Skip to main content

Full text of "Le guerre dell'indipendenza italiana dal 1848 al 1870 : storia politica e militare"

See other formats


This  is  a  digital  copy  of  a  book  that  was  preserved  for  générations  on  library  shelves  before  it  was  carefully  scanned  by  Google  as  part  of  a  project 
to  make  the  world's  books  discoverable  online. 

It  has  survived  long  enough  for  the  copyright  to  expire  and  the  book  to  enter  the  public  domain.  A  public  domain  book  is  one  that  was  never  subject 
to  copyright  or  whose  légal  copyright  term  has  expired.  Whether  a  book  is  in  the  public  domain  may  vary  country  to  country.  Public  domain  books 
are  our  gateways  to  the  past,  representing  a  wealth  of  history,  culture  and  knowledge  that 's  often  difficult  to  discover. 

Marks,  notations  and  other  marginalia  présent  in  the  original  volume  will  appear  in  this  file  -  a  reminder  of  this  book' s  long  journey  from  the 
publisher  to  a  library  and  finally  to  y  ou. 

Usage  guidelines 

Google  is  proud  to  partner  with  libraries  to  digitize  public  domain  materials  and  make  them  widely  accessible.  Public  domain  books  belong  to  the 
public  and  we  are  merely  their  custodians.  Nevertheless,  this  work  is  expensive,  so  in  order  to  keep  providing  this  resource,  we  hâve  taken  steps  to 
prevent  abuse  by  commercial  parties,  including  placing  technical  restrictions  on  automated  querying. 

We  also  ask  that  y  ou: 

+  Make  non-commercial  use  of  the  files  We  designed  Google  Book  Search  for  use  by  individuals,  and  we  request  that  you  use  thèse  files  for 
Personal,  non-commercial  purposes. 

+  Refrain  from  automated  querying  Do  not  send  automated  queries  of  any  sort  to  Google's  System:  If  you  are  conducting  research  on  machine 
translation,  optical  character  récognition  or  other  areas  where  access  to  a  large  amount  of  text  is  helpful,  please  contact  us.  We  encourage  the 
use  of  public  domain  materials  for  thèse  purposes  and  may  be  able  to  help. 

+  Maintain  attribution  The  Google  "watermark"  you  see  on  each  file  is  essential  for  informing  people  about  this  project  and  helping  them  find 
additional  materials  through  Google  Book  Search.  Please  do  not  remove  it. 

+  Keep  it  légal  Whatever  your  use,  remember  that  you  are  responsible  for  ensuring  that  what  you  are  doing  is  légal.  Do  not  assume  that  just 
because  we  believe  a  book  is  in  the  public  domain  for  users  in  the  United  States,  that  the  work  is  also  in  the  public  domain  for  users  in  other 
countries.  Whether  a  book  is  still  in  copyright  varies  from  country  to  country,  and  we  can't  offer  guidance  on  whether  any  spécifie  use  of 
any  spécifie  book  is  allowed.  Please  do  not  assume  that  a  book's  appearance  in  Google  Book  Search  means  it  can  be  used  in  any  manner 
any  where  in  the  world.  Copyright  infringement  liability  can  be  quite  severe. 

About  Google  Book  Search 

Google's  mission  is  to  organize  the  world's  information  and  to  make  it  universally  accessible  and  useful.  Google  Book  Search  helps  readers 
discover  the  world's  books  while  helping  authors  and  publishers  reach  new  audiences.  You  can  search  through  the  full  text  of  this  book  on  the  web 


at|http  :  //books  .  google  .  corn/ 


r      j 


ui-'- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LE  GUERRE 
DELL^INDIPENDENZA  ITAUANA 


mvfM^^^^^ 


::\ 


Digitized  by  VjOOQIC 


FEOPBIETjL  lettebabia 


(539) 


Digitized  by  VjOOQIC 


CARLO  MARIANI 

'.     LE  GUERRE 

DELL'INDIPENDENZA  ITALMA 

Dal  1848  AL  1870 

STOMA  POUTICA  E  MMARE 


VOLUME  SECONDO 


1882 

ZUDT72:   S   T'ATSrj^JLJB 
TORINO. 


Digitized  by  VjOOQIC 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO  I. 

Xj'Assemblea  veneta. 


Jj'Egtuario  veneto,  sue  difeae,  snoi  difenson.  —  Cavanella  d'Adige  e 
Mestre.  —  I  Commissari  régi  e  l'il  agosto  in  Venezia.  •—  Il  Cir- 
colo  italiano.  NnoTO  oïdinamento  delVesercito.  —  La  mediazione 
anglo-francese.  Parole  di  Niccolô  Tommaseo  alla  Francia.  —  Il 
Oircolo  italiano;  Kevere,  Mordini  e  Dall'Ongaro.  — Manin  e  l'As- 
semblea  veneta.  —  Fazione  di  Cavallino  del  22  ottobre.  —  Assalto 
di  Mestre  del  27  ottobre.  —  Gonsiderazione  sa  l'assalto  di  Mestre. 
—  Venezia  e  la  Costituente  italiana.  —  L'Assemblea  veneta  e  il 
5  marso  1849.  —  Disegni  di  guerra  di  Goglielmo  Pepe. 


Gagllelmo  Pepe  —  il  quale,  corne  già  dicemmo,  dopo 
la  caduta  di  Yicenza,  erasi  ridotto  a  Venezia  con  le  poche 
soldatesclie  napolitane  serbatesi  in  fede  alla  causa  patria 
—  appena  ebbe  assunto  il  comando  supremo  délie  forze 
armate  délia  repubblica,  fidatogli  dal  Governo,  volse  sue 
cure  a  ordinare,  istruire  e  assoggettare  alla  militare  di- 
sciplina Tesercito,  per  la  massima  parte  composte  di  volon- 
tari;  i  quali,  se  possiedono  entusiasmo  e  valore,  non  sono 
perô  osservatori  rigidissimi  délie  leggi  délia  milizia.  Il 
générale  Pepe,  avendo  saputo  fortemente  volere,  in  brève 
tempo  consegui  lo  intente  desiderato  e  che  a  ogni  costo 
bisognava  raggiungere;  ciô  che  a  lui  fruttô   laude   gran- 


Digitized  by  VjOOQIC 


6  OAPITOLO   I 


dissima,  aile  sue  genti  splendide  vittorie  e  a  Venezia  la 
forza  di  resistere  a  lungo  e  gloriosamente  sempre  a  ni- 
mico  per  numéro  d'uomini  e  potenza  di  armi  e  di  oifese 
prépondérante  dimolto.  —  Innanzi  d'imprendere  la  narra- 
zione  délie  geste  compiutesi  nel  memorando  assedio  da 
quella  magnanima  città  con  magnanime  virtù  sostenuto  e 
i  cui  fortissimi  âgli  scrissero  allora  una  pagina  gloriosa, 
che  mai  non  morrà,  nella  storia  deirindipendenza  italiana, 
diremo  brevemente  delVEstuario  veneto,  délie  sue  difese 
e  de'suoi  difensori. 

Giusta  Topinione  di  sapienti  scrittori,  sino  dai  primi 
tempi  del  romane  imperio  il  mare  Adriatico  allagava  buon 
tratto  délie  pianure,  che  oggigiorno  distendonsi  dalla  foce 
deirisonzo  sino  a  Ravenna  e  verso  Acquileia,  Portogruaro, 
Treviso,  Mirano  e  Adria.  I  fiumi,  che  immettevansi  in  quel- 
Tampio  bacino,  diminuendo  d'assai  la  velocità  délie  acque 
loro  quando  stavano  per  confondersi  con  le  onde  marine, 
deponevano  in  esso  le  sabbie  trascinate  nel  loro  corso; 
per  la  quale  cosa  a  poco  a  poco  alzossi  il  fonde  ineguale 
e  yariato  di  quel  bacino,  da  riempirne  buona  parte  a  vantag- 
gio  délia  terra  ferma  e  formare  in  quella,  che  allagata  rimase 
e  laguna  chiamossi,  moite  isolette  e  non  pochi  bassifondi. 
La  grande  laguna  adriatica  componesi  di  quattro  picciole, 
separate  da  terreni  piii  o  mono  paludosi.  La  méridionale 
—  le  valu  di  Gomacchio  —  trovasi  fra  Ravenna  e  il  Po 
di  Volano;  quella  di  Venezia,  tra  le  foci  dell'Adige  e  del 
Sile;  la  laguna  di  Gaorle  sta  in  mezzo  alla  Livenza  e  al 
Tagliamento,  e  la  settentrionale  —  quella  di  Grade  —  fra 
il  Tagliamento  e  l'Isonzo.  Parleremo  largamente  délia  la- 
guna di  Venezia,  o  Estuario  veneto,  perô  che  sovr'essa 
soltanto  siasi  combattuta  nel  1848  e  1849  la  guerra  tra  gli 
Austriaci  e  i  Veneziani.  ;—  VEstuario  è  separato  dal- 
TAdriatico  da  una  stretta  lingua  di  terra,  chiamata  lito- 
raie  o  lido;  le  sue  acque  comunicano  con  quelle  del  mare 
per  le  spezzature  o  porti  di  Ghioggia,  di  Malamocco,  di 
San  Nicolô  del  Lido,  di  Sant'Erasmo  e  di  Treporti;le  quali 


Digitized  by  VjOOQIC 


L  A88EMBLEA   YBRBTA 


spezzature  formano  di  quella  lingua  di  terra  altrettante  isole, 
che  difendono  Venezia  dagli  insulti  deirondetempestose  del- 
TAdriatico,  la  quale  città  s'alza  dalla  laguna  rimpetto  al 
porto  di  San  Niccolô  del  Lido.  Oon  lo  andare  degli  anni 
quei  naturali  ripari,  âagellati  incessantemente  dalFonde 
del  mare  sarebbero  caduti  in  rovina  —  soprammodo  dove 
per  la  loro  strettezza  porgono  debole  resistenza  —  se  non 
si  fosse  pensato  ad  aflforzarli  con  opère  d'arte;  da  prima 
con  argini  di  terra  e  palafitte,  poscia  coi  murazziy  che 
la  repubblica  diede  mano  ad  erigere  in  su  la  meta  del  se- 
colo  passato:  essi  consistono  in  una  robusta  muraglia  a 
scaglioni,  per  lo  piii  in  numéro  di  tre,  di  grossi  massi  di 
marmo  deiristria.  I  fondamenti  del  primo  murazzo,  co- 
strutto  nel  litorale  di  Pelestrina,  vennero  gettati  il  24 
aprile  1744  sopra  disegno  di  Bernardino  Zendrini  (1).  — 
La  laguna  .viene  alimentata,  non  solamente  dalle  acque 
del  mare,  ma  altresi  da  quelle  di  fiumi  e  canali,  che  rice- 
vono  gli  scoli  délie  vicine  campagne  per  immetterli  poscia 
nelVampio  bacino  di  Venezia.  Allô  alzarsi  délie  marée  co- 
pronsl  tutti  i  fondi  melmosi  délia  laguna;  e  allô  abbas- 
sarsi  di  esse  tornano  a  comparire  le  maremme,  che  cento 
canali  e  rivi  solcano  in  ogni  lor  parte  e  in  mille  guise, 
n  fondo  délia  laguna,  mano  mano  che  s'allontana  dal- 
TAdriatico  per  awicipiarsi  alla  terraferma,  va  gradata- 
mente  elevandosi;  per  la  quale  cosa  il  muoversi  délie 
acque,  notevolissimo  in  vicinanza  del  lido  —  causa  il 
marine  flusso  e  riflusso,  e  le  correnti  che  radono  le  spiag- 
gîe,  fortissimo  al  sofflare  dei  venti  di  Grecia  e  sempre 
prédominant!  su  gli  opposti  —  diminuisce  col  suo  allon- 
tanarsi  dal  litorale,  ed  è  nuUo  quando  è  prossimo  alla  ter- 
raferma: donde  il  soprannome  di  viva  o  morta  alla  la- 
guna rispetto  aile  varie  località  di  essa.  I  grandi   canali. 


(1)  Vedi  Memorie  storiche  dello  Stato  antico  e  modemo  délia  laguna 
di  Venezitty  dl  BiRNARDii^o  Zsin>RiNi. 


Digitized  by  VjOOQIC 


8  CAPITOLO   I 


che  intersecano  il  bacino  di  Venezia  ed  haano  comincia- 
meato  a'suoi  porti,  furono  scavati  dalle  acque  stesse  nel 
loro  entrare  in  laguna  e  neiruscirne  dai  rotti  del  lido  per 
lo  elevarsi  e  ritrarsi  délie  marée.  Pari  aile  maggiori  ar- 
terie  e  vene  del  corpo  umano,  dividonsi  quelli  e  suddivi- 
donsi  in  numéro  infinité  di  piccioli  canali  ;  ed  è  per  que- 
sti  che  le  acque  si  spandono  uniformemente  e  crescono 
a  gradi  a  gradi  in  tutta  la  laguna,  e  in  modo  uniforme  e 
gradatamente  si  abbassano.  I  grandi  canali  sono  le  vie  di 
comunicazione  del  mare  eon  Venezia,  con  le  isole  e  la 
terraferma,  e  servono  alla  navigazione  dei  grossi  legni 
mercantili  e  dei  pesanti  délia  marineria  da  gueira;  e  i 
canali  minpri,  a  quelli  del  trafflco  minute.  Per  dare  ai  na- 
viganti  una  guida  e  una  direzione  sicura,  piantaronsi  lungo 
il  corso  dei  canali  stessi  alcuni  grossi  pâli,  che  sporgendo 
fuora  del  livello  délie  acque,  eziandio  nei  tempi  di  mas- 
sima  piena,  impediscono  ai  marinai  di  smarrire  la  buona 
via  e  portarsi  sui  bassi  fondi.  Il  canale  di  San  Marco,  che 
da  Venezia  conduce  al  porto  di  San  Niccolô  del  Lido;  il 
canale  Orfano  e  il  grande  canale  militare,  che  mena  al- 
Tarsenale  e  al  porto  di  Malamocco;  quelli  di  San  Pietro, 
Santo  Antonio  e  Garoman,  i  quali,  costeggiando  il  lido  di 
Pelestrina,  vanno  al  porto  di  Ghioggia;  il  canale  dei  Ma- 
rani  e  dei  Garboneri,  che  conducono  all'isola  di  Murano  e 
al  porto  di  Sant'Erasmo  ;  in  fine,  quelle  di  Burano,  che  mena 
al  porto  dei  Treporti,  e  il  canale  di  San  Felice,  che  va  ai 
luoghi  piii  interni  del  bacino;  questi,  i  principali  délia 
laguna  veneta.  Il  porto  di  Malamocco  è  il  maggiore  délia 
laguna  ;  verso  l'Adriatico  difendonlo  due  forti  —  Alberoni 
e  San  Pietro  —  i  quali  s'innalzano  a  destra  e  a  sinistra 
délia  sua  entrata  sui  lidi  di  Malamocco  e  Pelestrina,  aile 
cui  estremità,  fiancheggianti  il  porto,  avanzansi  entro  il 
mare  due  dighe;  le  quali,  mentre  ne  restringono  l'imboc- 
catura,  accrescono  gli  utili  effetti  délie  correnti  e  impedi- 
scono gli  interramenti.  La  profondità  minima  délia  foce 
di  Malamocco  è  di  cinque  metri  allô  incirca  ;  di  quasi  tre- 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'absemblea  ybneta  9 

cento  la  larghezza.  —  Il  porto  di  Lido  —  un  tempo  il 
principale,  il  migliore  del  bacino  —  è  accessibile  sola- 
mente  ai  legni  che  pescano  poco  a  fondo,  da  tre  metri  al 
piii;  strettissima  e  angusta  ne  è  Timboccatura,  che  sta  in 
mezzo  ai  forti  di  Sant' Andréa  —  opéra  del  Sanmicheli  — 
e  di  San  Niccolô,  i  quali  forti  difendonla  verso  il  mare; 
difficile  assai  Tentrare  e  Tuscire  dalla  foce,  causa  i  bancU 
di  sabbia  e  i  grossi  sassi,  dei  quali  è  seminata  molta  parte 
del  fondo  di  essa.  —  Il  porto  di  Chioggia,  che  apresi  tra 
i  lidi  di  Pelestrina  e  di  Sotto  Marina,  nel  1848  ^ra  difeso, 
Yorso  TAdriatico,  dai  forti  di  Garoman  e  San  Felice;  la 
sua  foce  ha  larga  Tentrata,  la  quale  misura  cencînquanta 
metri  allô  incirca,  e  Tacqua  alta  di  quasi  sei  metri  ;  non 
pertanto  è  difficile  accedere  al  porto,  allora  che  impetuosi 
soffiano  i  venti  contrari  e  le  correnti  sono  troppo  vive  e 
perturbate.  —  Il  porto  di  Sant'Erasmo,  che  trovasi  fra  la 
estremità  méridionale  del  litorale  —  e  da  quel  porto  ha 
nome  —  e  il  forte  di  Sant'Andrea  del  porto  di  Lido,  serve 
soltanto  a  picciole  barche  e  quàndo  Tonda  è  quieta  ed 
alta;  perô  che  abbia  basse  il  fondo  e  la  sua  foce  sia 
per  la  massima  parte  ostrutta  di  banchi  di  sabbia.  Esso 
era  difeso  da  due  ridotti,  costruiti  nella,  vicina  isola  délie 
Vignole,  i  quali  mediante  un  argine  legavansi  al  forte  di 
Sant'Andrea.  —  Il  porto  di  Treporti  giace  tra  il  litorale 
di  Sant'Erasmo  e  l'estremità  méridionale  del  lido  del  Oa- 
vallino  ;  la  sua  foce  è  tanto  ostrutta  di  banchi  di  sabbia, 
da  lasciarsi  appena  accedere  da  legni  pescanti  pochissimo 
a  fondo  ;  la  sua  entrata  era  dalla  parte  del  mare  difesa 
dal  forte  di  Treporti  —  il  qiiale  elevasi  sul  lido  del  Ca- 
vallino  —  e  da  terrati  costrutti  su  quel  di  Sant'Erasmo. 
In  fine,  a  mezzogiorno  del  litorale  di  Sotto  Marina  trovasi 
il  porto  di  Brondolo,  che  è  la  foce  del  Bacchiglione  e  di 
altre  acque  neirAdriatico.  Facile  ne  è  l'entrata  a  barche 
leggere,  quando  tranquilla  ô  l'onda  e  alta  la  marea; 
difficile,  allora  che  il  fiume  per  troppa  piena  travolge 
furiosamente   le   sue  acque,   o  il  mare   tempestoso   con- 


Digitized  by  VjOOQIC 


10  OAPITOt.0   I 


trasta  a  queste  libéra  Tuscita.  —  Oltre  le  opère  fortiflca- 
torie  che  dicemmo  difendere  Tentrata  dei  porti  —  délie 
quali  quella  di  maggiore  momento  è  l'entrata  di  San  Nie- 
colô  di  Lido  —  altre  opère  di  minore  importanza  stavano 
sui  litorali  veneti  per  impedire  ad  armata  nimica  lo  avvi- 
cinarsi  ad  essi,  e  a'  suoi  marinai  e  soldati  di  sbarcarvl.  11 
lido,  o  isola  di  Sant'Erasmo,  délia  forma  di  un  trapezoide 
convesso  verso  il  mare,  aveva  quattro  opère  di  fortiflca- 
zione  munite  di  artiglierie  a'  suoi  quattro  angoli,  e  una 
testa  di  ponte  sita  quasi  rimpetto  al  Lazzaretto  Nuovo,  e- 
dificato  in  una  picciola  isola  separata  dal  lido  di  Sant'E- 
rasmo  da  un  canale.  A  mezza  via  del  forte  di  San  Niccolô 
alla  terra  di  Malamocco  sorgeva  la  batteria  délie  Quattro 
Fontane;  e  poco  lungi  di  Malamocco,  il  fortino  di  Mala- 
mocco 0  délie  Terreperse.  Sul  litorale  di  Pelestrina  tro- 
vavasi  la  batteria  di  San  Pietro  in  Volta;  su  quelle  di 
Sotto  Marina  alzavansi  alcune  opère  di  poco  rilievo;  e  a 
chiudere  la  conca  di  Brondolo,  un  forte  e  un  vallo.  —  La 
parte  interna  del  bacîno  di  Venezia  era  difesa  da  batterie 
d'artiglierie  affatto  isolate  —  alcune  délie  quali  rivestite 
di  mura  e  chiamate  ottagoni  per  la  loro  forma  ottagonale 
—  erette  a  Poveglia,  a  Campana,  a  Fisolo,  a  Buel  del 
Lovo,  a  Tessera,  a  Carbonara,  a  Campalto  e  a  Murano  ; 
in  oltre,  era  difesa  da  opère  costrutte  alla  Certosa,  posta 
dietro  il  forte  di  Sant'Andrea,  e  nelle  isole  di  SanfElena, 
Santo  Spirito,  San  Francesco  nel  Deserto,  San  Giacomo  in 
Paludo,  ecc,  e  dal  picciolo  forte  di  Mazorbo  presse  Burano. 
Marghera  proteggeva  la  laguna  dalla  parte  di  terraferma; 
antemurale  validissimo  di  Venezia  per  potenza  di  difese, 
solidità  e  saldezza  di  costruzione,  i  cui  quartieri  erano  a 
botta  di  bomba.  Edificata  in  sul  cadere  del  secolo  scorso 
daU'Austria,  alla  quale  il  trattato  di  Gampoformio  aveva 
conceduto  la  signoria  délia  città  di  Venezia,  venue  poscia 
Marghera  perfezionata  dal  Governo  italieo,  cui  era  stata 
annessa  dopo  la  memoranda  giornata  d'Austerlitz  ;  e  ri- 
prese  nel  1814  la  Lombardia  e  le  provincie  venete,  l'Au- 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assbmblba  yeketa  11 

stria  compi  le  fortiflcazioni  di  Marghera.  A  destra  di  que- 
sta  nel  1848  siedeva  a  cavalière  del  canale  Osellino  il  pic- 
ciolo  forte  di  Oampalto,  e  dietro  ad  essa,  quelle  di  San 
Giuliano,  oye  il  canale  di  Mestre  mette  foce  in  su  la  la- 
guna;  San  Seconde  difendeva  il  ponte  délia  ferrovia;  San 
Giorgio  in  Alga  chiudeva  i  due  canali,  vecchio  e  nuovo, 
che  da  Fusina  vanno  a  Venezia,  —  Siede  questa  città  in 
mezzo  alla  sua  laguna,  quale  ridotto  di  fortissimo  campo 
trincerato,  dalle  difese  di  Marghera,  dai  porti,  dai  litorali 
e  dalle  batterie  che  lo  circondano  reso  quasi  inespugna- 
bile,  e  atto  a  sostenere  lungo  assedio,  se  di  buon  presidio 
munito  e  d'ogni  cosa  bisognevole  alla  guerra  proweduto. 
Separata  dai  mare  e  dalla  terraferma,  Venezia  puossi  of- 
fendere  solamente  da  Treporti,  da  Marghera  e  da  Bron- 
dolo;  1  quali  fort!  sono  di  valide  appoggio  ai  difensori, 
allora  che  escono  alla  campagna  per  assaltare  e  distrug- 
gere  le  opère  ossidionali,  e  molestare  il  nimico  ne'  suoi 
campi. 

Cacciati  nel  marzo  gli  Austriaci  dalla  città  e  dalla  la- 
guna, il  Governo  délia  repubblica  veneta  rivolgeva  sue 
cure  a  restaurare  le  opère  fortificatorie  del  litorale  marit- 
timo  e  a  raccogliere  armi  e  armati  per  la  difesa.  In  su 
le  prime  attendeva  al  lavoro  con  poca  vigoria;  piîi  tardi, 
quando  la  guerra  cominciô  a  diventare  grossa  e  minacciô 
altresi  di  durare  a  lungo,  lo  spingeva  con  operosità  e  ala- 
crità  singolari.  —  Quando  il  générale  Pepe  assumeva  il 
comando  suprême  délie  armi  repubblicane,  Tesercito  ve- 
neto  sommava  a  ventun  mila  soldati  allô  incirca  ;  dei  quali, 
tredici  mila  di  Venezia,  sei  mila  délie  Romagne,  milleseicento 
del  reame  di  Napoli,  novecento  di  Lombardia;  a  queste 
forze  aggiugnevansi  di  più  due  mila  soldati  di  Carlo  Al- 
berto (1).  Buon  numéro  dei  Veneziani  avevano  militato  sotte 


(1)  Carlo  Alberto,  richiesto  dai  Veneziani,  sino  dai  cominciare  délia 
gnerra  aveva  mandato  il  générale  Alberto  Lamarmora  in  Venezia  a 
reggervi  le  forze  armate  e  ordinarvi  le  difese  e  le  resistenze.  Cadate 


Digitized  by  VjOOQIC 


là  GAPITOLO   I 


le  bandiere  austriache  e  compoaevano  due  battaglioai  di 
fanti  d'ordinanza  e  un  terzo  di  gente  d'arme  (1).  Venezia 
aveva  mobilitato  altresisette  battaglioai  di  guardie  cittadine, 
e  armata  grossa  schiera  di  volontari  ;  in  oltre,  il  battaglione 
Brenta  e  Bacchiglione  era  tutto  di  volontari  délia  pro- 
vincia  padovana  e  del  Polesine;  quelle  dei  veliti,  o  cac- 
ciatoriy  per  la  massima  parte  di  volontari  Trevigiani;  in 
âne,  une  squadrone  di  cavalli.  I  Romani  contavano  tre 
reggimenti  di  volontari,  due  battaglioni  di  guardie  citta- 
dine  bolognesi  e  un  drappello  di  guide.  Le  genti  di  Napoli 
erano  ordinate  in  un  battaglione  di  fanti  leggeri,  o  cao- 


Vicenza  e  Palmanova  i  Veneziani,  yeggendosi  più  fortemente  stretti 
dal  nimico,  imploravano  dal  Ee  di  Sardegna  soccorso  di  armi;  e  Carlo 
Alberto,  non  ostante  il  poco  prosperare  délia  guerra,  esaudlTa  la  do- 
manda  loro  inviando  a  Yenezia  tre  battaglioni  di  fanti,  due  mila  no- 
mini  allô  incirca. 

(1)  Tra  i  buoni  officiai!,  che  militavano  sotto  le  bandiere  di  Yenezia, 
ya  in  pecnliar  modo  ricordato  il  colonnello  Galateo,  che,  non  ostante 
grayissime  difficoltà,  seppe  tener  bene  nnito  il  suo  battaglione  di  fanti, 
i  qnali  presidiavano  TreTÎso,  allora  che  questa  città  toglievasi  alla 
signoria  straniera.  Sebbene  improyyidamente  licenziati  dal  primo  Go- 
vemo,  che  Yenezia  erasi  dato,  pure  quei  soldati  continuarono  a  tenersi 
in  sn  Tarme  per  combattere  il  nimico  d'Italia.  Minacciata  Udîne  dagli 
Anstriaci,  Galateo  portavasi  soUecito  in  suo  aiuto;  ma  ginnto  a  Por- 
denone  vi  raccoglieva  il  presidio  di  qnella  terra,  uscitone  con  le  armi 
in  virtù  dei  patti  délia  resa.  Dal  Piave,  che  Inyano  tentossi  contrastare 
a  Nugent,  Galateo  fa  Tnltimo  dei  combattent!  a  indietreggiare.  H  21 
maggio  il  générale  Antonin!  con  qnattro  mila  nomini  assaliva,  non 
Inngi  da  Yicenza,  la  schiera  di  Thom  in  cammino  per  Yerona;  nella 
qaale  fazione  Galateo  comportossi  tanto  yalentemente  da  meritarsi  spé- 
ciale Iode  dal  générale  Dnrando.  Tre  giom!  dôço  egli  strennamente 
pngnaya  aile  difese  di  Yicenza  assaltata  con  armi  preponderantissime 
da  Thnm,  riedutoyi  da  Yerona  per  comando  d!  Radetzky.  Il  quale 
glorioso  fatto  yenne  di  poi  rammentato  nel  Parlamento  subalpine  coi 
nom!  d!  coloro,  che  eransi  in  qnello  soprammodo  segnalati.  Chiamato 
poscia  a  presidiare  Chioggia,  Galateo  qui  ordinaya  un  altro  battaglione 
di  fanti,  che  insieme  al  suo  costitui  un  reggimento  d'ordinanza;  fu  allora 
egl!  nominato  a  comandarlo  col  grade  di  luogotenente  colonnello. 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assbmblea  ybnbta  13 

datoriy  in  due  piccioli  battaglioni  di  volontari,  in  una 
batteria  di  otto  cannoni  da  campo,  e  in  una  compagnia  di 
soldati  degli  ingegneri  militari.  I  Lombardi  componevano 
WOL  grosso  battaglione  di  volontari  e  una  compagnia  di 
giovani  ingegneri.  Nell'esercito  délia  repubblica  trovavansi 
eziandio  drappelli  di  volontari  di  tutte  le  contrade  d'I- 
talia,  e  persino  di  Prancesi,  Polacchi  e  Svizzeri.  DeU'ar- 
mata  veneta  —  la  quale,  dimenticata  a  Pela  nei  giorni  délia 
sollevazione  del  marzo,  era  venuta  per  la  massima  parte 
a  mano  deirAustria  —  rimanevano  alla  repubblica  due 
corvette  di  ventiquattro  cannoni  e  due  brick  di  sedici 
che  sotto  il  comando  del  contrammiraglio  Bua  stavansi 
con  la  sarda  comandata  daU'ammiraglio  Albini.  NeU'ar- 
senale  délia  città  eravi  una  flregata  di  quaranta  cannoni, 
una  corvetta  di  ventiquattro,  un  brick  di  sedici,  una  go- 
letta  di  dieci,  una  barca  cannonlera  con  una  grossa  ar- 
tiglieria,  un  battello  a  vax)ore  délia  forza  di  centoventi 
cavalli;  in  âne,  da  settanta  piccioli  legni  e  barche  can- 
noniere  correvano  la  laguna  a  guardia  dei  canali,  dei 
forti,  délie  batterie  e  délie  spiagge  délia  terraferma,  Trova- 
vansi su  le  navi  venete  tre  mila  marinai,  mille  fanti  e 
milledugento  artiglierie  con  dugento  cannoni  ;  le  quali  sol- 
datesche  porsero  aiuto  validissimo  alla  difesa  di  Venezia. 
La  città  e  i  forti  erano  govemati  dal  générale  Antonini; 
il  contrammiraglio  Graziani  dirigeva  i  lavori  deU'arsenale  ; 
un  Comitato,  presieduto  dal  générale  Armandi,  reggeva  le 
armi  ;  e  il  colonnello  Paolucci  siedeva  Ministre  sopra  la 
marineria  di  guerra. 

Avuta  Vicenza  per  forza  d'armi  e  Treviso  per  accordi, 
Welden  —  come  già  scrivemmo  —  il  18  giugno  con  poco 
piii  di  dieci  mila  fanti  e  alquante  artiglierie  occupava 
Mestre,  Bottenigo  e  Malcontenta;  e  brevi  giorni  di  poi  di- 
stendeva  sue  genti  lungo  le  coste  del  bacino  veneto,  pre- 
sidiando  a  sinistra  di  Mestre  le  terre  di  Favaro,  San  Donà 
sul  Piave,  Gava  Zuccherina  e  Gavallino  sul  Sile  ;  e  a  destra, 


Digitized  by  VjOOQIC 


14  GAPITOLO   I 


Fusinà  su  la  laguna,  Mira  e  Dolo  sul  Brenta,  Gavarzere  e 
Gavanella  sul  basso  Adige.  Intento  del  générale  austriaco 
era  di  togliere  a  Venezia  le  vie  di  comunicazione  con 
la  terraferma;  e  con  impedirle  le  vettovaglie  sperava  co- 
stringerla  a  darsi  per  la  famé.  La  quale  ossidione  per 
essere,  in  raglone  del  numéro  délie  soldatesche  che  dove- 
vano  vegliarla,  estesa  di  troppo,  rimase  inefficace;  avve- 
gnachè,  non  ostante  i  bandi  severissimi  di  Welden,  che 
minacciava  la  morte  a  chi  la  rompesse,  i  contadini  délie 
campagne  circondanti  la  laguna  portassero  giornalmente 
a  Venezia  copia  grande  di  viveri.  —  Il  Governo  délia  re- 
pubblica,  fatta  deliberazione  di  starsi  su  le  difese,  teneva 
raccolto  Tesercito  in  Marghera  e  dentro  la  laguna;  dis- 
sennato  consiglio  questo,  perô  che,  essendo  le  marine  pro- 
tette  dalle  squadre  confederate  di  Sardegna  e  di  Venezia, 
gli  Austriaci  non  potessero  assaltare  i  litorali.  Dividere 
poi  l'esercito  e  suddividerlo  per  presidiare  tutti  i  forti 
e  tutte  le  batterie  grandemente  nuocevano  al  suo  am- 
maestrarsi,  alla  sua  disciplina;  era  proprio  un  condan- 
narlo  airozio.  I  supremi  reggitori  délia  repubblica  avreb- 
bero  assai  bene  proweduto  non  solamente  alla  difesa,  ma 
eziandio  aU'offesa,  se  il  nerbo  délie  loro  armi  avessero  col- 
locato  nel  triangolo  curvilineo,  che  il  basso  Adige  e  il 
basso  Brenta  col  canale  ^orzone  formano  a  mezzogiorno 
délia  conca  di  Brondolo  ;  il  quale,  opportunamente  munito 
di  trinceroni  sarebbe  divenùto  un  fortissimo  campo,  e  le 
opère  forti  ficatorie  di  Brondolo  sarebbero  state  il  suo  ri- 
dotto.  In  quel  campo  spazioso  le  soldatesche  délia  repub- 
blica —  psr  la  massima  parte  affatto  nuove  al  mestiere 
délie  armi  —  avrebbero  potuto  addestrarsi  nei  piccioli  e 
nei  grossi  ordini,  e  in  simulacri  di  pugna;  apprendere 
tutta  l'industria  délia  guerra  campale  e  diventare  esperti 
nei  maneggi  di  essa;  awegnachè  Tesercizio  continuato 
faccia  sempre  buoni  soldati;  in  oltre,  da  quel  campo  le 
genti  délia  repubblica  avrebbero  facilmente  potuto  uscir 
fuora  a  cercare  la  contrada  intorno  intorno  per  raccogliere 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblba  yeneta  15 

yettoyaglie,  molestare  e  ferire  per  fianco  e  aile  spalle  i 
nimici  assedianti  Marghera,  e  rovinarne  o  guastarne  i  lavori. 

—  iQBaiizi  il  giugnere  di  Pepe  in  Venezia  VEstiiario  era 
partito  in  ire  grandi  distretti  militari  ;  il  primo  —  la 
parte  settentrionale  del  bacino  —  comprendeva  Venezia, 
San  Giorgio  in  Olga,  San  Secondo,  San  Giuliano,  Marghera, 
Campalto,  Murano  e  Treporti;  reggevalo  il  vecchio  géné- 
rale Rizzardi.  U  secondo  —  la  parte  di  mezzo  délia  laguna 

—  dalle  opère  fortiflcatorie  di  Sant'Erasmo,  dalle  Vignole, 
da  San  Niccolô  di  Lido,  da  Malamocco  estendevasi  sino  al 
porto  di  Chioggia;  comandavalo  il  luogotenente  colonnello 
Lanzetta.  L'ultimo  —  la  parte  méridionale  delïEstuarîo  — 
governato  dal  contrammiraglio  Marsich  —  dai  forti  di  Ca- 
roman  San  Felice  scendeva  sino  al  porto  di  Brondolo.  11 
générale  Pepe  diede  alla  laguna  un  nuovo  ordinamento; 
con  Sant'Erasmo,  Treporti  e  Burano  —  tolti  al  primo  di- 
stretto  militare,  che  comprendeva  le  opère  più  importanti 
délia  difesa  —  formô  il  quarto  distretto,  al  cui  governo 
prépose  il  maggiore  Belli  délia  marineria  di  guerra,  e  levô 
al  Lanzetta  il  comando  del  terzo  per  affldarlo  al  générale 
San  Ferme.  Antonini,  il  quale  non  voleva  riconoscere  a 
capo  suprême  Guglielmo  Pepe,  délia  propria  autorità  g^ 
loso,  di  quella  dell'emulo  invido  troppo^  fatto  rlnuncia  al 
suo  ufflcio,  sdegnoso  lasciava  Venezia.  —  n  21  giugno  le 
guardie  cittadine  mobilitate  assaggiaronsi  per  la  prima 
Yolta  con  gli  Austriaci.  Una  picciola  presa  del  primo  bat- 
taglione  di  esse,  uscita  di  Margbera,  assali  e  respinse  le 
ascolte  del  campo  nimico  e  distrusse  i  ripari  innalzativi 
a  difesa.  Due  giorni  appresso  il  battaglione  lombarde  venue 
a  badaluccare  con  gli  imperiali  dinnanzi  a  Mestre,  e  gua- 
stô  il  vallo  da  quésti  eretto  a  loro  difesa.  —  11  générale 
Pepe,  che  di  quel  giorni  aveva  risoluto  di  soccorrere  Pal- 
manuova,  di  tentare  Udine  e  levare  il  Friuli  in  su  l'arme, 
non  potendo  compiere  il  ben  meditato  disegno,  causa  la 
precipitata  resa  di  quella  fortezza,  deliberava  togliere 
agli  Austriaci  Gavanella  su  TAdige,  pocM  di  prima  occu- 


Digitized  by  VjOOQIC 


16  CAPITOLO   I 


pata  da  Welden  allô  scopo  di  allargare  Tossidione  dello 
Estuario.  Siede  Cavanella  su  quel  fiume  a  dieci  chilo- 
metri  dal  mare,  e  a  nove  da  Brondolo,  cui  Tunisce"  il  ca- 
nale  délia  Valle;  una  testa  di  ponte  bastionata  difendeva 
ivi  il  passo  deU'Adig^.  Il  7  luglio  fu  stabilito  per  Timpresa, 
che  Ferrari,  générale  délie  armi  pontiflcie,  doveva  com- 
piere  con  due  artiglierie  da  campo  e  quattro  battaglioni 
di  fanti,  il  Lombarde,  uno  di  Napolitani,  une  di  Bolognesi 
e  quelle  dei  cacciatori  del  Sile,  i  quali  insieme  contavano 
milleseicento  uomini.  Nella  notte  del  6  al  7  luglio,  valicato 
il  Brenta  presse  Brondolo,  questi  battaglioni  recaronsi  a 
Sant'Anna  ;  indi,  ordinatisi  in  tre  schiere,  mossero  contra 
Cavanella.  La  schiera  di  destra  procedette  costeggiando 
il  canale  délia  Valle  ;  quella  di  mezzo  avanzossi  per  la  via 
di  SanfAnna;  e  la  schiera  di  sinistra,  scesa  a  Portesine 
e  passàtovi  l'Adige,  risali  la  destra  del  ûume.  Aveva  questa 
a  correre  prima  aile  offese,  e  le  altre  due,  quando  avessero 
veduto  1  nimici  vivamente  aile  mani  con  gli  assalitori, 
dovevano  fare  ogni  sforzo  per  superare  dalla  loro  parte 
il  vallo;  ma  falli  l'impresa  per  non  essere  stati  gli  assalti 
condotti  giusta  gli  ordinamenti  del  générale  Pepe.  Arri- 
▼ate  ad  ora  assai  tarda  a  Portesine  le  barche  da  tragittare 
alla  destra  delFAdigo  il  battaglione  lombarde  con  le  due 
artiglierie  che  le  seguivano,  la  schiera  di  destra  —  com- 
posta dai  cacciatori  del  Sile  —  non  avendo  potuto  frenare 
la  impazienza  sua  di  azzuffarsi  col  nimico,  corse  anzi  tempo 
airassalto  ;  quella  di  mezzo  siibito  Tappoggiô  ;  ma  la  schiera 
di  sinistra  tardô  alquanto  a  spalleggiarla.  Il  presidio  au- 
striaco  di  Cavanella,  afforzato  dalle  soldatesche  venutevi 
nel  mattlno  per  dargli  lo  scambio,  non  solamente  fece 
buona  resistenza,  ma  eziandio  ributtô  con  vantaggio  i  ni- 
mici. Dope  alcune  ore  di  combattimento  il  générale  Ferrari, 
veduto  tornar  vano  lo  assalire,  si  toise  giù  dairimpresa, 
e  ce'  suoi  battaglioni  si  ritrasse  a  Sant'Anna  e  a  Chioggia, 
senza  patire  molestia  veruna  dagli  imperiali.  —  Del  fallito 
tentative  a  torto  incolpossi  quel  générale;  egli  fu  bensi 


Digitized  by  VjOOQIC 


L  ASSEMBLEA   YEKETA  17 

poco  preveggente,  non  colpevole  perô  ;  egli  in  quel  giorno 
confermô  la  fama  di  soldato  valoroso,  a  buon  diiitto  acqui- 
statasi  in  tanti  combattimenti  ;  ma  si  mostrô  capitano  poco 
esperto;  oade  perdette  la  flducia  de'  suoi  soldati. —  A  vie 
piii  indurire  e  bene  ammaestrare  alla  guerra  Tesercito,  e 
a  tener  viva  in  esso  con  Tardore  del  combattere  anche  la 
speranza  di  vincere,  speranza  di  oui  tutto  allora  ardeva, 
Gruglielmo  Pepe  faceva  deliberazione  di  badaluccare  so- 
rente  coi  nimici  e  perigliare  di  continuo  i  soldati  suoi  al 
mestiere  délie  armi  in  piccioli  affronti,  destreggiandosi 
perô  di  maniera  da  non  essere  costretto  mai  di  venire  a 
fazione  grossa  con  gli  assediatori.  E  per  rifarsi  dello  scar 
pito  patito  a  Gavanella  e  rinfrancare  siibito  l'animo  délie 
sue  genti,  il  9  luglio  ordinô  al  presidio  di  Marghera  di 
uscir  fuora  ad  abbattere  il  vallo  eretto  dagli  imperiali  da- 
vanti  a  Mestre  e  lungo  il  canale.  Nelle  ore  vespertine  del 
9  luglio  due  picciole  prese  di  armati  —  che  insieme  som- 
mayano  a  cinquecento  uomini  —  avanzavansi  dalla  fortczza 
contra  Mestre,  Tuna  per  la  via  ferrata,  Taltra  costeggiando 
il  canale.  Allora  che  furono  presso  a  una  moschettata,  si 
spinsero  con  taie  furia  all'assalto  del  vallo  nimico  che  i 
difensorî,  non  potendo  resistere  aU'impetuoso  loro  urto 
sîibito  indietreggiarono  ripiegandosi  in  Mestre  ;  che  avreb- 
bero  senza  contraste  veruno  abbandonato  se  i  vincitori  li 
avessero  perseguiti  e  vivamente  incalzati.  Paghi  dello  al- 
lontanarsi  degli  Austriaci  dalla  laguna  —  onde  l'ossidione 
dinnanzi  a  Marghera  veniva  ad  allargarsi  non  poco  —  ca- 
richi  d'armi  e  di  munizioni  da  guerra  tolte  ai  nimici,  la 
sera  stessa  di  quel  giorno  9  rientravano  nella  fortezza. 

Mutatasi  la  repubblica  veneta  in  provincia  sarda,  l'As- 
semblea  —  alla  quale  dopo  la  rinunzia  fatta  alla  propria 
sovranità,  non  rimaneva  più  carico  alcuno  da  compiere, 
ne  ufflcio  da  esercitare  —  avrebbe  dovuto  da  se  stessa  li- 
cenziarsi  ;  ma  i  Deputati,  quasi  presaghî  délie  sventure,  di 
cni  tra  brève  tempo  la  patria  loro  sarebbe  stata  afflitta,  pre- 

8  —  Yol,  II,  MiBîANi  —  Storia  pol.  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


18  OAPITOLO   I 


tessendo  il  diritto  di  confermare  o  rinnovare  i  membri 
del  Governo  fino  alla  instaurazione  del  nicovo  patio,  si 
mantennero  neU'usato  ufficio.  La  dedizione  di  Venezia  a 
Oarlo 'Alberto,  aveva  pienameate  esauditi  i  desidèri  e  le 
aspirazioni  dei  devoti  alla  monarchia  sabauda;  se  non  in 
fatto,  potevasi  perô  aiSermare  esistere  allora  in  diritto  il 
regno  dell'Alta  Italia  tanto  sospirato.  La  patria  è  salva, 
aveva  in  quei  giorni  gridato  il  Castelli  ;  ad  essa  verranno 
sussidi  di  danaro  e  soldatesche  dalla  Sardegna,  avevano 
asserito  Paleocapa  e  i  partigiani  dell'annessione.  Ma  Ve^ 
nezia  non  ebbe  mai  soccorso  di  danaro,  di  cui  somma- 
mente  penuriava  (1);  e  di  armati,  aiuto  picciolo  e  ineffi- 
cace; e  di  11  a  pochi  giorni  vedeva  la  spada  soccorritrice 
di  Carlo  Alberto  —  al  quale  aveva  fatto  sacrificio  di  sue 
libertà  repubblicane  per  assicurarsi  T  indipendenza,  ca- 
dere  sul  Mincio  e  a  Volta,  e  rompersi  a  Milano.  —  Il 
danaro  promesso  non  giugnendo  mai,  il  Governo  veneto, 
a  provvederne  per  le  nécessita  délia  guerra,  le  quali  an- 
davano  ogni  di  più  aumentando,  il  19  luglio  toglievane  a 
prestanza  su  gli  ori  e  gli  argenti  dei  cittadini,  e  su  gli 
stipendi  degli  ufflciali  pubblici  oltrepassanti  lire  mille 
ottocento  aU'anno  ratteneva  un  tanto  ogni  cento  lire.  — 
In  questo  mezzo  la  città  veniva  fortemente  commossa  dalle 
novelle  di  gravi  disastri  toccati  all'esercito  regio.  In  preda 
a  febbrile  agitazione  il  popolo  recavasi  numerosissimo  agli 
uomini  del  Governo,  chiedendo  avessero  a  smentire  o  a 
confermare  quelle  notizie;  pregavali  di  dire  francamente 
la  verità,  aU'intento  di  provvedere  alla  bisogna  senza  in- 
dugio  e  con  offlcacia;  maisupremi  reggitori,  nuUa  avendo 
ricevuto  dal  Re,  nuUa  potevano  dire  dei  casi  che  la  fama 
gridava  luttuosi  e  tristi.  Pochi  giorni  innanzi  il  cadere  del 
luglio  il  Governo  di  Milano  loro  scriveva  cosi  :  =  Le  fac- 


(1)  Vanne  del  danaro  a  Venezia  da  collette  di  privati,  da  qnalche 
città  e  provincia  d' Italia;  ma,  in  ragione  dei  bisogni  grandi  e  impe- 
riosî,  fa  scarsissimo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'asssmblba  ybnbta  19 

cende  délia  guerra  volgere  a  maie;  l'esercito  di  Carlo  Al- 
berto, sopraffatto  dal  numéro  dei  nimici  a  Sommacam- 
pagna  e  a  Custoza,  ritrarsi  dietro  il  Mincio,  consiglio 
prudente  il  prendere  soUeciti  il  partito  piîi  vigoroso  e  piîi 
gagliardo,  e  qtmle  esso  aveva  già  preso  in  Lombjirdia,  = 
In  quel  di  stesso  giugneva  al  Governo  veneto  uua  lettera 
del  maresciallo  Welden,  il  quale,  annunziando  la  piena 
sconûtta  e  lo  indietreggiare  deirarmi  sarde  dal  Mincio,  in- 
vitavalo  a  cogliere  quel  momento,  cKessere  doveva  Vul- 
timo,  per  trattare  delta  loro  causa  prima  che  fosse  in- 
tieramente  perduta  (l).  —  Rispondevano  a  lui  gli  uomini 
del  governo  in  queste  sentenze:  =  Non  potere  discutere 
da  son  una  causa  che  essi  avevano  comune  con  tutti  i 
popoli  d'Italia  ;  e  che  se  questa  causa  fosse  ridotta  niella 
sala  Venezîa,  proverebbero  essere  assai  lontana  dalla  sua 
rovina  (2).  =  La  quale  risposta  è  molto  da  riprovarsi, 
perché  non  degna  di  uomini  liberi  e  indipendenti;  al  gé- 
nérale austriaco,  che  aveva  mentito  asserendo  che  l'eser- 
cito del  Re  era  stato  compiutamente  distrutto  sul  Mincio, 
dovevansi  rispondere  parole  più  dignitose  e  piîi  fiere.  — 
Il  6  agosto  il  Governo  faceva  conoscere  ai  cittadini  avère 


(1)  n  27  Inglio  1848,  il  luogotenente  maresciallo  Welden  dal  sno 
qnartiere  di  Mestre  scriyeya  al  Governo  cosi  :  a  Dopo  nn  combattimento 
ofltinato  di  tre  giomi,  l'esercito  di  Carlo  Alberto  venne  compiutamente 
distratto;  il  nostro  oggidi  sta  a  campo  in  sn  TOglio.  lo  sono  nomo 
d'onore;  délie  menzogne  sarebbero  indegne  e  anche  inntili,  potendo 
▼ci  in  pochissimi  giomi  rettificare  qnanto  io  vi  ho  ora  asserito.  Qnesto 
sarebbe  il  momento  opportnno,  ma  l'ultimo,  per  discntere  una  causa 
prima  che  essa  non  sia  intieramente  perduta.  Io  ho  l'onore  di  essere...  » 

(2)  n  Governo  veneto  subito  rispondeva  cosi  al  générale  austriaco: 
u  Eccellenza;  abbiamo  ricevnto  la  lettera  del  27  andante,  che  la  £.  Y. 
ci  ha  indirizzata.  Apprezziamo  i  sentlmenti,  ai  qnali  l'ascriviamo.  Cre- 
diamo  su  la  vostra  parola  il  fatto  che  ne  annunziate.  Vol  ci  dite  che 
qnesto  sarebbe  il  momento,  ma  l'ultimo,  per  discutere  nna  causa  che 
abbiamo  comune  con  tutti  i  popoli  d'Italia.  E  se  questa  causa  fosse 
ridotta  nella  sola  Venezia,  noi  speriamo  che  vi  si  proverebbe,  Eccel- 
lenza, che  sarebbe  molto  lontana  dall' essere  perduta.  Abbiamo  l'onore...  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


20  GAPITOLO   I 


i  Parlamenti  subalpini  accettata  l'annessione  di  Venezia 
alla  Sardegna;  essi  guarantivanle  sino  al  raccogliersi  del 
comune  Parlamento,  la  libertà  di  stampa,  il  diritto  d'unirsi 
in  compagnie  e  di  congregarsi  e  Tistituzione  délie  gtiar- 
die  nazionali;  in  oliT^y  rendeva  noto  essere  stati  eletti  dal 
Re  a  reggere  temporaneamente  in  Venezia  la  cosa  pub- 
blica  il  générale  CoUi  e  il  Cibrario,  piemontesi,  e  Tawo- 
cato  Castelli,  veneziano,  il  quale  allora  presiedeva  al  Go- 
verno  délia  città.  Il  di  vegnente,  in  mezzo  a  gazzarra 
fragorosissima  d'artiglierie,  ma  deboJe  di  acclamazioni  di 
popolo  —  il  quale  applaude  con  entusiasmo  solo  ciô  cho 
è  veramente  generoso  —  su  la  maggiore  piazza  délia  città 
e  su  gli  stendardi  di  San  Marco,  alzavasi  la  bandiera  na- 
zionale  dei  tre  colori  con  lo  scudo  di  Casa  Savoia  ;  e  i 
Commissari  régi  prendevano  possesso  délia  terra  e  pro- 
vincia  di  Venezia  in  nome  di  Carlo  Alberto.  Il  Governo 
veneto  ebbe  allora  flnito  il  dover  suo  e  la  sua  missione,  e 
TAssemblea,  non  avendo  piii  da  eleggerne  i  membri,  cessô 
di  esistere.  Mentre  Venezia  vedeva  innalzarsi  su  la  piazza 
di  San  Marco  la  bandiera  nazionale  con  lo  scudo  sabaudo, 
Milano  rivedeva  su  le  sue  mura  sventolare  le  insegne  ab- 
borrite  di  Casa  d'Absburgo;  il  7  agosto  i  Commissari  di 
Sardegna  acclamavano  in  Venezia  il  regno  delVAlta  Ita- 
lia  ;  il  7  agosto  Carlo  Alberto,  con  l'animo  pieno  d'ango- 
scia  e  Tesercito  rotto  e  disordinato,  ripassava  il  Ticino. 
che  quattro  mesi  innanzi  aveva  valicato  pieno  di  baldanza 
e  sicuro  délia  vittoria. 

In  questo  mezzo  giugnevano  a  Venezia  novelle  funestis- 
sime,  novelle  del  campo  e  délia  Lombardia.  Correva  famn 
che  Milano,  dopo  Tinfausta  giornata  di  Custoza,  avesse  gri- 
dato  la  pairia  in  pericolo;  che  il  re  Carlo  Alberto,  rac- 
colta  la  guerra  intorno  alla  metropoli  lombarda,  si  prépa- 
rasse a  tentare  Tultima  prova;  ancora  una  sconfitta  e  la 
causa  patria  sarebbe  perduta.  —  La  nuova  délie  tregne  di 
Milano  e  délia  ritratta  deiresercito  Sardo  al  di  là  del  Ti- 
cino perveniva  il  9  agosto  ai  Commissari  régi;  i  quali 


Digitized  by  VjOOQIC 


L*A8SEMBLEA    VENETA  21 

perô  non  osavano  farsene  banditori,  avvegnachè  poche  ore 
prima  avessero  parlato  di  vittorie  e  di  trionû.  Sebbeae  la 
tristissima  notizia  corra  la  città  yaga  e  incerta,  non   per 
tante  il  popolo  si  commuove,  si  agita,  e  tumul tuante  chiede 
ai  supremi  reggitori,  che  vede  inerti  e  silenziosi,  provve- 
dimenti  pronti  e  che  valgano  ad  assicurare  gli  animi  e 
tutelare  efflcacemente  la  città.  —  £  Tll  agosto;  Welden 
ha  scritto  da  Padova  ai  Gommissari  régi  per  far  loro  co* 
noscere  i  patti  dolle  tregue  fermate  in  Milano  dal  géné- 
rale Hess  per  Tlmperatore,   e  dal  générale  Salasco  per 
Carlo  Alberto.  I  cittadini,  venuti  in  sospetto  délia  cosa,  in 
sul  cadere  del  giorno  recansi  in  foUa  al  palazzo  nazionale 
e  chiedono  di  conoscere  la  verità  in  tutta  la  sua  pienezza; 
e  tardando  i  Gommissari  a  soddisfare  a  taie  giusta  demanda, 
prorompono  in  furiese  grida,  minacciando  di  invadere  il 
palazze,  se  ancera  indugiano  a  comparire:  onde  fu  forza 
affacciarsi  aile  ânestre  e  parlare  ai  cittadini  délie  tregue 
e  délia  caduta  di  Milano.  —  E  di  Venezia  che  sarà  mai  9 
gridavano  allera  alcuni  di  essi  ;  e  il  générale  Gelli,  il  quale 
non  ardiya  palesare  il  patte  délia  tregua  che  tante  feriva 
al  cuore  quel  popolo  generoso,  rispondeva:  =   Nulla  sa- 
père  che  la  toccasse.  =  E  la  squadra  sarda  che  farà  9 
domandavane  al  tri;  e  il  générale  seggiungeva:  =  Nessun 
comando  avère  per  essa  riceûuto  dal  Re.  «  Le  quali  ri- 
sposte  crebbere  a  dismisura  il  furore  dei  cittadini,  che  ac- 
cecati  dairire  avrebbere  forse  commesse  vielenze,  se  non 
U  avessero  saputo  frenare  alcuni  uemini  amati  e  rispet- 
tati  daU'universale  per  l'esimie  loro  virtîi;  uemini,  che 
amavano  Venezia  quale   seconda  patria;  ed  erano  Mer- 
diui   di  Tescana,   Sirteri  di  Lombardia  e  altri   ancera, 
tutti  pei  di  fede  repubblicana.  Pertatisi  essi  dinnanzi  ai 
Cenimissari,  invitaranli  a  rinunziare  al  loro   officie;   il 
Castelli  prometteva  loro  di  tornare  siibito  a  vita  privata, 
Il  Gibrario,   sbigottite   e  confuse,   tenevasi  mute;   ma  il 
générale  Gelli,  cen  rigidezza  soldatesca  e  con  franchezza 
imprentata  di  lealtà,   dope  avère  chiesto  chi  essi  si  fes- 


Digitized  by  VjOOQIC 


22  GAPITOLO   I 


sero,  diceva:  «  Noi  stavamo  discutendo  ciô  che  meglio 
convenisse  operare  in  tanto  difficile  momento;  delibere- 
remo  solo  allora,  che  ci  sarà  noto  il  vero  stato  délie 
cose.  »  E  Mordini  a  lui  con  eguale  franchezza  e  pari  fer- 
mezza:  «  Se  tardate  a  ritirarvi  dal  vostro  offlcio,  noi  non 
possiamo  piii  guarentirvi la  vita.  »  —  «E  che,  riprendeva 
a  dire  il  générale,  credete  forse  intimorirmi?  Combattendo, 
perdetti  una  gamba;  tre  flgli  consecrai  alla  patria,  soldati 
al  pari  di  me;  non  uso  a  indietreggiare  mai  dinnanzi  al 
pericolo^  saprei  morire  al  mio  posto,  non  m'importa  il 
modo.  >  —  Tacendosi  il  Mordini,  rispondeva  a  lui  il  Sir- 
tori  cosi  :  «  Qui  di  persone  non  trattasi,  e  noi  rispettiamo 
il  raarchese  Colli;  malasuprema  potestà,  che  poc'anzi  ttî- 
nevate  in  vostre  mani,  ora  appartiene  al  popolo.  Se  le 
tregue  di  Milano  hanno  tradita  la  Lombardia,  esse  non 
possono  tradire  Venezia;  ogni  patto  è  infranto;  in  nome 
del  popolo,  noi  vi  comandiamo  di  cedere.  »  —  «  E  quale 
popolo,  esclamava  il  générale,  dov'è  il  vostro  mandate?  lo 
qui  veggo  soltanto  alcuni  faziosi!...  »  Allora  Sirtori,  aperte 
con  impeto  le  imposte  di  una  flnestra,  soggiungevagli  : 
«  Ecco  il  popolo  che  vi  comanda  di  ritirarvi:  obbedite.  » 
—  E  il  Colli,  affacciatosi  alla  finestra,  alla  moltitudine  dei 
cittadini  congregati  in  su  la  piazza  gridava  cosi:  «  Popolo 
Veneziano,  dite  se  noi  dobbiamo  rinunziare  al  nostro  of- 
flcio. »  —  «  Si,  si,  rispondevano  i  cittadini,  vogliamo  Ma- 
nin  !  »  Daniele  Manin,  cui  il  Castelli  era  già  ito  a  pregare 
di  correre  in  aiuto  al  Qoverno  pericolante  e  a  salvare 
la  patria,  presentatosi  di  li  a  brevi  momenti  alla  finestra, 
parlava  al  popolo  queste  pai'ole:  «  I  Gommissari  régi  hanno 
fatto  rinunzia  al  potere;  tra  due  giorni  si  riunirà  TAssem- 
blea;  per  quarantotfore  governo  io.  >  Il  popolo  a  lui,  che 
tanto  amava,  rispondeva  con  applausi  prolungati  e  pieni  di 
entusiasmo  e  con  immense  grida  di  gioia.  Fidenti  neiruomo, 
che  nella  fortunata  sollevazione  del  marzo  aveva  avuto  tanta 
parte,  i  cittadini,  ripresala  quiète  usata,  facevano  ritornoalle 
loro  case,  pieno  il  cuore  di  liete  speranze  per  lo  avvenire 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assehblba  ybxbta  23 

délia  patria;  ogni  tumulto  subito  cessô,  e  i  Veneziani,  rifatti 
liberi  e  padroni  di  loro  stessi,  vedevano  tornare  tranquilli 
e  sereni  i  giorni  e  splendenti  corne  per  lo  addietro,  perô 
che  allora,  corne  per  lo  passato,  Danielo  Manin  vegliasse 
alla  sicurezza  e  pace  délia  città.  Alla  chiamata  sua  le  guar- 
die  cittadine  accorsero  numerose  aile  armi  e  da  settecento 
oflTrironsi  di  recarsi  ai  forti  délie  lagune  ad  accrescervi  i 
presidi,  assottigliati  causa  la  partenza  délie  mllizie  del  Bor- 
bone  di  Napoli  —  avvenuta  il  10  di  quel  mese  di  agosto 
—  il  quale,  per  mezzo  del  console  napolitano  in  Venezia, 
aveyale  indotte  a  riedere  a  lui.  Saldi  nella  fede  data,  ri- 
masero  con  Pepe,  gli  ufflciali  nelle  artiglierie  Musto,  Mez- 
zacapo,  UUoa,  Boldoni,  Cosenz  e  Virgili  ;  Salomone,  degli 
ingegneri  militari;  Materazzo,  Vaccaro,  SanMarthio,  Oliva 
e  Foglia,  délie  fanterie;  Diaz,  dei  dragoni.  —  Il  Governo 
veneto  ritennesi  la  batteria  di  cannoni  per  pagarsi  délie 
somministrazioni  di  carbone  e  viveri  fatte  alla  squadra  e 
aile  soldatesche  borboniche.  —  Erano  appena  i  Napolitani 
usciti  di  Venezia,  che  gli  Austriaci  prendevano  a  fulmi- 
nare  Marghera  coi  cannoni  di  due  batterie  innalzate  su  la 
destra  del  canale  di  Mestre  a  mille  metri  dalla  fortezza  ;  le 
cui  artiglierie  in  due  ore  di  combattimento,  tanto  guasta- 
rono  le  batterie  e  i  cannoni  degli  assedianti,  da  costrin- 
gere  questi  a  cessare  dalle  oflTese.  I  difensori  non  patirono 
danni  ;  degli  artiglieri  austriaci  sedici  caddero  morti,  ven- 
tidue  feriti.  —  Nella  notte  stessa  deH'll  agosto  Tommaseo 
e  Toffoli  recavansi  a  Parigi  per  cercare  l'aiuto  délia  re- 
pubblica  francese,  dal  Governo  sardo  stato  imprudente- 
mente  respinto.  Due  giorni  dopo  TAssemblea  veneta  riu- 
nivasi  per  eleggere  i  nuovi  governanti;  e  con  suffragio 
unanime,  fatta  deliberazione  di  âdare  il  reggimento  délia 
cosa  pubblica  a  tre  Dittatori  sino  a  che  la  patria  si  tro- 
vasse  in  pericolo,  gridava  Manin  sopra  l'amministrazione 
interna  e  su  la  politica  esterna;  il  contrammiraglio  Gra- 
zianî,  sopra  la  marineria  da  guerra  ;  e  il  colonnello  Cave- 
dalis,  sopra  le  armi. 


Digitized  by  VjOOQIC 


24  CAPITOLO  I 


Già  da  tempo  una  schiera  eletta  di  Veneziani  ed  eziin- 
dio  di  cittadini  di  moite  parti  dltalla  —  illustri  tutti  per 
le  scienze  che  professavano,  per  le  arti  e  le  industrie  che 
esercitavano  —  avevano  îstituito  un  Circolo,  noto  sotto  il 
nome  di  Circolo  Italiano;  scopo  di  quelli,  giovare  con  le 
forze  e  Tingegno  loro  al  Governo  délia  repubblica,  allora 
aggravatissimo  di  cure,  e  partecipare  aile  sue  fatiche.  I 
consigli  e  i  disegni  messi  innanzi  dal  Circolo^  anche  nei 
momenti  supremi  délia  patria  a  vantaggio  del  bene  comune 
furono  respinti  o  poco  favorevolmente  accolti  da  Manin, 
ne  ai  tempi  del  suo  primo  governo  —  dal  marzo  1848  corso 
sino  al  giorno  délia  dedizione  di  Venezia  alla  Sardegna  — 
ne  di  poi ,  cioè  dairil  agosto ,  aU'onorevole  caduta  délia 
repubblica,  ei  voile  veder  sempre  nel  Circolo  un  ufflcio  di 
sindacato  deU'operar  suo,  non  mai  un  sincero  coadiutore 
all'opera  del  Governo.  Tornata  la  Lombardia  sotto  la  domi- 
nazione  austriaca,  molti  cittadini  emigrarono  da  essa  per 
ripararsi  nel  vicino  Piemonte,  nella  Svizzera,  in  Toscana 
e  nelle  Romagne,  e  non  pochi  recaronsi  a  Venezia,  tra  i 
quali  Pietro  Maestri  —  une  dei  membri  del  Comitato  di 
pubblica  difesa  di  Milano  —  e  il  poeta  Giuseppe  Révère, 
che  tanto  degnamente  rappresentarono  quella  infelicissima 
terra  e  aflforzarono  Teletta  schiera  del  Circolo  italiano,  nel 
suo  seno  accolti  con  grande  testimonianza  di  fratellevole 
affetto.  Manin,  non  solamente  ne  ingelosi,  ma  venue  in  so- 
spetto  che  gli  uomini  del  Circolo  —  egregi  per  cuore,  in- 
gegno  e  valore  —  volessero  surrogare  lui  e  i  compagni 
suoi,  Graziani  e  Cavedalis,  nel  reggimento  délia  repubblica; 
eppure  quei  savi,  quegli  onesti  cittadini,  veraceipente 
amando  il  dittatore,  studiavansi  di  rendergli  piana  e  facile 
la  via  ch'ei  doveva  percorrere,  la  quale  era  irta  di  esta- 
coli  e  piena  di  tribolazioni.  Tra  i  desidèri  degli  uomini  del 
Circolo  primissimo  era  quelle,  che  cittadini  di  tutte  le  pro- 
vincie  italiane  si  chiamassero  al  Governo  délia  repubblica, 
afflnchè  avesse  a  rappresentare,  non  la  sola  Venezia,  ma  tutta 
la  patria  italiana.  Per  raggiugnere  taie  intente,  che  doveva 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblba  vkneta  25 

<* 

tornare  a  comune  vantaggio,  il  Circolo  maneggiavasi,  non 
già  nel  mistero,  ma  apertamente  e  con  lealtà,  perô  che  di- 
scutesse  in  adunanze  quotidiane  e  pubbliche.  AUoraManin, 
Graziani,  Cavedalis  e  gli  amici  e  i  consiglieri  loro  —  tra 
i  quali  alcuni  per  ambizione,  altri  per  interesse  appoggia- 
vano  i  dittatori  —  fecersi  a  combattere  e  a  perseguitare 
il  Circolo,  e,  spargendo  calunnie  e  menzogne,  a  muoyere 
contr'essi  l'odio  del  popolo.  La  fama  non  correva  favore- 
Yole  a  Graziani  e  a  Cavedalis,  che  dicevansi  non  solamente 
inetti  alFalto  carico  loro  affldato,  ma  anche  traditori,  per- 
ché abusando  deiraltrui  fede,  tenevano  un  offlcio  che  non 
sapevano  saggiamente  esercitare,  e  persino  malvagi,  per- 
ché contra  Topinione  del  popolo,  ostinavansi  a  rimanere 
in  an  seggio,  che  non  sapevano  degnamente  occupare.  Gra- 
ziani e  Cavedalis,  sebbene  si  s^pessero  invisi  ai  cittadini, 
perché  difesi  e  sostenuti  da  Manii?   alla  cui  volontà  doci- 
lissimi  sempre  si  piegavano,  stettero  w-vldi  nel  triumvirato. 
Allora  che  Cibrario  e  Colli,  i  Commissari  régi  in  Venezia, 
ebbero  lasciato  questa  città  —  e  f u  VU  agosto  —  il  générale 
Pepe  riprendeva  la  suprema  autorità  militare  (1),  che  da 
quel  giorno  sino  alla  caduta  délia  repubblica  serbô  in  tutta 
sua  integrità  e  tenne  sempre  con  fermezza,  quale  era  ne- 
cessaria  per  condurre  a  onore  la  difâcile  guerra.  —  Non 
ostante  il  continue  insistere  di  Welden  e  del  comandante 
la  squadra  austriaca  presse  11  générale  Alberto  Lamarmora 
e  Albini,  coutrammiraglio  délia  squadra  sarda  per  lo  adem- 
pimento  pronto  e  intero  dell*  articolo  quarto  délia  tregua 
fermata  a  Milano,  Lamarmora  e  Albini,  pretessendo  gravi 
impedimenti,  ritardarono  lor  partenza  di  Venezia,  allô 
scopo  di  dare  tempo  ai  triumviri  di  provvedere  quanto 
abbisognava  a  validamente  sostenere  V  assedio ,  e  a  bene 


(1)  Il  générale  Alberto  Lamarmora  lasciô  assai  più  tardi  le  lagune 
venete  co'  snoi  battaglioni,  che  allora  presidiavano  Chioggia  e  i  porti 
di  Brondolo.  , 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO   I 


ordinare  le  difese  e  le  resistenze  (1).  AUontanatesi  dalle 
acque  di  Venezia  le  navi  régie  e  riparatesi  dietro  il  lito- 
rale  di  Malamocco  quelle  délia  repubblica,  la  squadra  im- 
périale correva  da  Pola  a  schierarsi  dinnanzi  i  lidi  veneti 
e  ne  chiudeva  i  porti.  Il  16  agosto  i  Dittatori,  abolito  il 
Comitato  di  guerray  istituivano  una  Consulta  di  difesa, 
composta  dal  contrammiraglio  Bua,  dal  colonnello  Milani, 
dal  luogoteaente  colonnello  Ulloa",  dal  maggiore  Lulgi 
Mezzacapo  e  dal  capitano  Mainardi  délia  marineria  di 
guerra;  e  taie  Consulta  aveva,  con  la  potestà  suprema 
su  tutte  le  faccende  délia  difesa,  il  carico  di  vegliare  al 
sollecito  eseguimento  di  quanto  venisse  per  la  difesa  stessa 
ordinato.  Il  triumviro  Cavedalis  e  il  générale  Pepe  intesero 
allora  ogni  cura  a  restaurare  e  accrescere  le  fortiflcazioni 
del  bacino  e  dei  litorali,  e  a  costrurre  un  campo  trincerato 
dinnanzi  a  Brondolo,  dal  quale  si  potesse  împedire  ai  ni- 
mici  di  sbarcare  alla  foce  del  Brenta  e  penetrare  da  quella 
parte  entre  la  laguna;  in  oltre  diede>o  aU'esercito  un 
nuovo  ordinamento.  Esso  venue  divise  in  cinque  legioni, 
ciascuna  di  milledugonto  soldati  regolari  e  irregolari  délie 
provincie  venete;  i  due  piccioli  battaglioni  di  Napolitani 
riunironsi  in  un  solo,  cui  si  aggiunsero  le  reliquie  di 
quelle  di  Rossaroll,  il  quale  aveva  fatta  la  giornata  a  Cur- 
tatone.  I  molti  volontari,  d'ogni  parte  accorrenti  a  Venezia, 
portarono  a  numéro  Tesercito  délia  repubblica,  non  poco 
assottigliatosi  per  la  partenza  délie  genti  di  Napoli  e  di 
Sardegna  (2).  Erano  quegli  aiuti  una  compagnia  di  volon^- 


(1)  Il  générale  Pepe  tentô  allora  gli  animi  dei  soldati  del  Re,  spe- 
rando  di  tenerseli  in  Venezia.  u  In  quanto  al  morale,  scriveva  di  qnei 
giomi  Alberto  Lamarmora  al  Ministro  sopra  le  armi  in  Torino,  non 
debbo  nascondere  alla  E.  V.  che,  rispetto  ai  sensi  di  fedeltà,  è  eccel- 
lente,  e  tutti  unanimi  ufficiali ,  sott'ufficiali  e  soldati  respinsero  le  in- 
&mi  propoBte  —  fatte  dal  générale  Pepe  e  suoi  ufficiali,  di  dichiarare 
il  nostro  Re  traditore,  ecc.  —  e  si  condussero  nel  modo  più  onorevoie.  r 

(2)  U  20  agosto  Lamarmora  volgera  queste  parole  generose  e  paterne 
a'  suoi  soldati,  i  quali,  saputi  i  patti  délie  tregue  di  Milano,  mostra- 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblea  vkneta  27 

tari  anconitani,  un  battaglîone  di  Bolognesi,  i  cacciatori 
délie  Alpi  e  il  battaglione  degli  studenti  deir  Università  ; 
cenquaranta  artiglieri  lombardo-veneti  ;  i  quali  tutti  ave- 
vano  combattu to  a  Cornuda,  o  a  Vicenza,  o  a  Treviso  ;  e 
che,  dopo  avère  posato  per  tre  mesi  le  armi  in  forza  dei 
patti  délia  dedizione  di  quelle  città,  riprendevanle  per  peri- 
gliarsi  in  nuovi  cimenti  alla  difesa  di  Venezia,  la  quale  con 
sommo  onoro  e  singolare  virtii  teneva  alto  il  vessillo  nazio- 
Qale.  Ilcorpo  dcgli  ingegneri  militari  ebbe  allora  uno  stabile 
ordinamento  per  opéra  del  luogotenente  colonnello  Ron- 
zelll,  antico  ufflziale  deiresercito  italico  ;  quello  délie  arti- 
glierie  ricevette  notevoli  accrescimenti  durante  il  lungo 
assedio;  esso  contô  sino  a  dieci  compagnie  di  artiglieri, 
presidianti  i  forti  ûélVEstuario;  due  batterie  di  cannoni 
da  campo,  ciascuna  di  otto  artiglierie  ;  e  la  legione  degli 
artiglieri  volontari  veneti  —  duo  compagnie  —  nota  sotto 
il  nome  di  Bandiera-Moro.  La  quale  legione,  da  prima 
composta  d*una  sola  compagnia  di  cento  soldati  eletti,  era 
stata—  appena  Venezia  rivendicatasi  in  libertà —  istituita 
in  onore  e  ricordanza  di  que*  suoi  figli,  poco  innanzi  caduti 
sai  campi  sanguinosi  di  Cosenza  per  la  causa  patria.  In- 
sieme  gli  artiglieri  corttavansi  due  mila,  e  avevano  sedici 
cannoni  da  campo  e  cinquecento  cinquanta  di  grosso  e 
diverso  calibro  per  la  difesa  dei  forti  delV  Estuario.  Con 
Taumentare  dei  bisogni  délia  guerra  accrebbesi  ancora  il 
numéro  degli  artiglieri,  che  sommô  col  progredire  deU'as- 
sedio  sino  a  quattro  mila;  nei  quali  yoglionsi  comprendere 
i  soldati  délie  artiglierie  cittadine  di  Venezia  e  Chioggia.  Il 


Yansi  impazienti  di  ragginngere  Tesercito:  «  Figli  miel,  Tordine  di 
partenza  non  tI  fa  ancora  partecipato;  e  cosi,  sintanto  che  ciô  possa 
ayyemre,  staremo  fenni  al  nostro  posto;  operando  altiimenti  si  espoiv 
rebbe  yilinente  a  pericolo  la  sorte  di  questa  illustre  città  e  potrebbe 
yenire  macchiato  il  nostro  onore  e  quello  délia  nazione  nostra,  con- 
servato  sinora  illibato  in  mezzo  ai  disastri,  al  dire  stesso  dei  nostri 
nîmicL  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


28  GAPITOLO   I 


ministro  delle  armi  Gavedalis  diede  al  générale  San  Fermo 
—  eletto  in  quel  mezzo  visUatore  delle  fanterie  e  délia  ca- 
valleria  —  il  carico  di  ordinarne  ramministrazione,  miglio- 
rarne  rarmamento  e  fornirle  di  tutto  quanto  abbisognassero 
per  la  guerra,  che  ben  prevedeva  lunga  e  faticosa.  Il  Mi- 
nistre provvide  altresi  a  fabbricare  polvere  da  fuoco  e 
munizioni  d'ogni  sorta,  a  fondere  artiglierie  e  costruire 
carrette  per  esse  ;  ma  poco  curossi  e  fece  per  gli  ospedali, 
corne  era  pur  débite  suc  ;  e  se  non  fosse  stato  délia  carità 
cittadina,  che  donô  a  quelli  copia  grandissima  di  letti, 
materassi,  lenzuoli  e  coperte,  i  malati  e  i  feriti  avrebbero 
sofferto  assai  gravi  disagi  e  privazioni  dimolte..Nè  Gave- 
dalis si  prese  cura  dei  quartieri  dei  soldati,  ch'erano  mal- 
sani  e  angusti  :  onde  gli  uomini  ebbero  neirinverno  a  pa- 
tire  danni  gravi  e  non  pochi,  e  gli  ospedali  riempironsi 
di  infermi  e  l'esercito  stremossi  di  forze.  Sebbene  con  lo- 
devole  ardore  si  lavorasse  neir  arsenale,  nonpertanto  la 
marineria  veneta  fu  sempre  inferiore  al  bisogni  délia 
guerra;  e  allora  conobbesi  tutta  la  gravita  dell'errore 
commesso  da  chi,  nei  primi  giorni  délia  soUevazione  dei 
marzo,  erasi  trovato  al  Governo  délia  cosa  pubblica,  cioè 
di  non  avère  spedito  direttamente  dei  messi  ai  comandanti 
delle  navi  venete  per  chiamarle  soUecitamente  aile  patrie 
lagune.  Con  la  sua  armata  Yenezia  non  sarebbe  stata  sol- 
tanto  padrona  deir  Adriatico,  ma  avrebbe  potuto  altresi 
rendere  piii  facile  la  difesa  propria  e  persino  minacciare 
Trieste  e  offenderla.  Bene  fu  provveduto  alla  sicurezza 
AelVEstuario  ;  da  cenquaranta  legni  di  capacità  diversa  e 
armati  di  cannoni  facevano  buone  guardie  a*suoi  forti  e 
aile  sue  batterie,  ne  custodivano  i  canali,  vigilavano  airen- 
trata  dei  porti,  e  correvano  là  dove  chiamavale  il  bisogno 
délia  difesa  o  délia  offesa,  sia  a  proteggere  sbarchi  e  ap- 
poggiare  gli  assalti  contra  gli  assediatori,  sia  a  respingere 
quelli  che  i  nimici  tentavano  contra  Venezia,  Con  décrète 
dei  17  agosto  il  Governo  délia  repubblica  mobilitava  parte 
delle  guardie  cittadine,  e  pochi  giorni  di  poi  nominava 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblsa  vbneta  29 


il  contrammiraglio  Giuseppe  Marsich  comandante  supremo 
di  esse,  in  surrogazione  del  générale  Mengaldo,  ito  a  Pa- 
rigi  con  incarico  spéciale  di  Manin.  Il  10  settembre  Mar- 
sich, in  compagnia  dei  Triumviri  e  del  générale  f^epe,  in 
su  la  piazza  di  San  Marco  faceva  la  rassegna  di  quattro 
battaglioni  di  guardie  cittadine  e  del  battaglione  délia 
Speranza,  composte  di  giovanetti  di  quattordici  ai  diciotto 
anni  ;  terminata  la  quale  Manin,  Toltosi  al  popolo  accorso 
in  gran  numéro  a  quella  festa  nazionale,  in  nome  délia 
patria  le  ringraziô  dei  sacri&ci  sopportati  per  essa;  e  dopo 
avergli  ricordato  quanto  aveva  fatto  nella  notte  dell*  11 
agosto,  confortoUo  a  bene  sperare  nella  mediazione  di 
Francia  e  dlnghilterra  ;  e  Tassicurô  che  Yenezia,  essendo 
retta  da  Oovemo  indipendente,  nulla  accetterebbe  se  ono- 
reFoJe  non  fosse  ;  e  che  poi  délia  sua  sorte  avvenire  e  del 
future  suo  ordinamento  politico  deciderebbero  i  legali  sicoi 
rappresentantî.  —  A  foTnire  di  danaro  Terario,  pressochè 
esausto  (1),  Manin  ordinava,  che  senza  por  tempo  in  mezzo 
î^i  coûsegnassero  dai  cittadini,  con  facoltà  di  riscatto,  gli 
ori  e  gli  argenti  già  stati  notiflcati  in  forza  del  décrète 
19  luglio  ;  in  oltre,  instituiva  il  Banco  Veneto  che  il  Go- 
Terno  ayeya  disegnato  e  deliberato  sino  dal  25  di  quel 
mese  di  luglio.  Il  BancOy  costituitosi  con  due  milioni  di 
lire,  creô  délia  carta  monetata,  che  i  soci  —  i  piii  ricchi 
cittadini  di  Venezia  —  guarentirono  mediante  dei  pagherày 
ai  quali  dovevano  soddisfare  con  danaro  dopo  un  anno 
dal  loro  emettersi,  ricevendo  per  esso  dal  Qoverno  délie 
pagioni  di  crédite  sul  débite  pubblico.  Le  polizze  dello 
Stato  vennero  da  tutti  assai  volontieri  ricevute  ed  ebbero 
buon  corso  ;  la  quale  cosa  chiaramente  rivela  quanto  la 
popolazione  di  quella  virtuosissima  città  si  tenesse  sicura 
'lella  vittoria  finale. 


(1)  L'il  agosto,  giorno  in  cni  Manin  assnmeya  il  potere  dittatorîale 
BfiUa  Fepnbblica,  troyayanfii  nelle  casse  dello  Stato  da  ottocento  yenti- 
Bûla  liie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


30  GAPITOIiO   I 


Mentre  i  Triumviri  intendevano  ad  accrescere  le  difese 
délie  loro  lagune  e  a  preparare  nuove  e  strenue  resistenze, 
gli  oratori  veneti  presse  i  supremi  reggitori  délia  Francia 
chiedevano  alla  nazione  sorella  un  valide  soccorse  di  sue 
armi,  nel  tempe  in  cui  i  legati  di  Carlo  Alberto  e  del  ces- 
sato  Governo  di  Lombardia  supplicavanla  di  quegli  aiuti, 
che  poco  innanzi  offerti  da  Lamartine  avevano  respinto, 
perché  aiuti  di  repubblica.  Lo  intervenire  armato  di  Fran- 
cia nelle  faccende  italiane  non  poteva  perô  essere  veduto 
di  buon  occhio  daU'Inghilterra,  gelosa  sempre  délia  sua 
rivale,  i  cui  eserciti  avrebbero  potuto  guadagnarle  grande 
preponderanza  nella  penisola  a  danno  délia  preponderanza 
britannica;  in  oltre,  i  Governi  di  San  Giacomo  e  di  Ver- 
sailles non  chiarivansi  allora  favorevoli  alla  creazione  del 
règne  dell'AZto  Italia;  e  mentre  essi  desideravano  veder 
TAustria  cacciata  al  di  là  délie  Alpi,  non  amavano  perô 
che  la  signoria  sabauda  si  aggrandisse  di  troppo;  nei 
loro  voti  solamente  trovavasi  la  indipendenza  del  Lom- 
bardo-Veneto,  non  estante  che  a  questa  si  opponesse  il 
trattato  del  1815;  il  quale,  a  ogni  sconvolgimento  politico, 
era  stato  sempre  messo  innanzi  dai  maggiori  potentati 
d'Europa,  come  barriera  ad  ambizioni  di  principi,  o  a  sol- 
levazione  di  popolo  per  allargamento  di  dominio  o  a- 
cquisto  di  libertà.  Eppure  i  grandi  Stati  europei  avevano 
rotto  quel  trattato  nel  1830  con  la  creazione  del  règne 
belga;  avevalo  rotto  TAustria  nel  1846  con  la  violenta  an- 
nessione  di  Cracovia  alla  monarchia;  e  in  fine,  di  quel 
giorni,  era  stato  rotto  dalla  parte  libérale  alemanna  con 
la  creazione  deirimperio  germanico.  Rispetto  alla  quistione 
sardo-austriaca  gli  intendimenti  di  Francia  erano  allora  in 
opposizione  ai  disegni  d'Inghilterra;  perô  che  il  Governo 
di  Versailles  —  il  quale  in  sul  cominciare  délia  guerra  ré- 
gla erasi  mostrato  pronto  ad  aiutare  la  Lombardia  —  par- 
teggiasse  in  quel  tempo  per  Venezia  soltanto;  e  il  Go- 
verno britannico  —  che  in  sul  cominciamento  deiranno 


Digitized  by  VjOOQIC 


lVsskmblsa  vsksta  31 


1^8  aveva  appoggiato  i  moti  di  tutta  Italia  e  il  levarsi 
dei  popoli  suoi  contra  il  mal  reggimento  dei  regnanti  — 
ai  chiarisse  allora  pronto  a  sacrificare  la  repubblica  di 
Venezia  per  Tindipendenza  délia  Lombardia  e  il  miglio- 
rarsi  délie  sue  sorti.  Palmerston,  il  quale  voleva  ad  ogni 
costo  impedire  una  conflagrazione  universale,  che  Tinter- 
renire  armato  délia  Francia  avrebbe  indubitabilmente  ac- 
cesa,  invitava  il  Governo  di  Parigi  a  farsi  con  lui  media- 
tore  nella  contesa  austro-sarda;  egli  sperava,  che  i  buoni 
offici  degli  Stati  alleati  varrebbero  a  condurre  la  Sarde- 
gna  e  l'Austria  a  paciflco  componimento  e  a  concordia.  Se 
le  tregue  di  Milano  non  avevano  fatto  posare  le  armi  ai 
combattitori;  se  esse  non  erano  promettitrici  di  paco,  ave- 
vano perô  fatto  sospendere  la  guerra  e  offrivano  ai  Go- 
verni  mediatori  giorni  propizi  all'opera  di  conciliazione. 
I  Ministri  di  Carlo  Alberto  accettarono  con  animo  grato  i 
buoni  offici  di  Palmerston  e  dei  Governo  francese;  non 
cosi  1  Miuistri  austriaci,  i  quali,  pur  non  mostrandosi  a- 
pertamente  awersi  alla  mediazione,  desideravano  perô  di 
trattare  gli  accordi  senza  mezzani  e  direttamente  con  la 
Sardegna.  Se  non  che,  stretti  dalla  nécessita  e  per  non 
inimicarsi  Tlnghilterra  e  la  Francia,  aderivano  di  li  a  poco 
alla  proposta  di  riunire  conferenze,  nelle  quali  i  rappre- 
sentanti  dei  Re  e  deirimperatore  e  degli  Stati  mediatori 
avessero  a  negoziare  di  pace.  Dai  Ministri  deirAustria  non 
sarebbesi  voluto  parlare,  in  quelle  conferenze,  di  Venezia, 
slno  a  che  questa  città  tenesse  levate  armi  ribelli  contra 
rimperlo;  ma  avvertiti,  che  la  repubblica  francese  era 
venuta  nella  deliberazione  di  mandare  suoi  soldati  in 
aiuto  ai  Yeneziani,  qualora  fossero  vigorosamente  assaliti 
dagli  Austriaci,  e  consigliati  altrosi  da  Palmerston  di  posare 
la  guerra  —  e  ciô  allô  scopo  di  togliere  alla  Francia  ogni 
pretesto  d'intervento  armato  —  facevano  conoscere  a  Ma- 
nin  essere  stati  bene  accolti  dalllmperatore  gli  amiche- 
voli  offici  d'Inghilterra  e  di  Francia  per  la  paciflcazione 
d Italia,  e  nel  medesimo  avère  essi  —  i  Ministri  di  Vienna 


Digitized  by  VjOOQIC 


32  OAPITOLO   I 


—  comandato  aU'esercito  assediatore  di  Venezia  di  cessare 
dalle  offese:  le  quali  novelle  giugnevano  a  Venezia  il  7 
settembre.  Non  ostante  11  buon  volere  degli  Stati  amici  la 
mediazione  non  poteva  approdare  a  componimento  paci- 
fico  :  ed  ecco  la  ragione.  I  Governi  di  Londra  e  di  Pa- 
rigi,  tenendo  risoluta  la  quistione  délia  indipendenza  in 
favore  di  Lombardia,  di  Venezia  e  sue  lagune,  credevano 
di  dovere  solamente  discutere  nelle  conferenze  intorno  ai 
confini  territoriali  e  ai  compensi  pecunlari  da  darsi  al- 
l'Austria;  il  Governo  di  Vienna,  tenôndo  al  contrario  per 
base  immutabile  del  diritto  pubblico  europeo  i  trattati  del 
1815,  intendeva  di  non  cedere  parte  nessuna  de*  suoi  pos- 
sedimenti  italiani,  toccati  aU'imperio  in  virtii  di  quei  trat- 
tati, e  che  allora,  vittorioso  délia  ribellione  e  délia  Sarde- 
gna  assalitrice,  aveva  riconquistato  col  valore  délie  sue 
armi.  Per  questo  Governo  Tofficio  degli  Stati  mediatori 
consisteva  unicamente  nel  proporre  condizioni  tali  di  pace, 
che  si  potessero  onorevolmente  accettare  daU'imperatore 
Ferdinando  e  dal  re  Carlo  Alberto.  Sebbene  TAustria  ve- 
desse  quanto  1  disegni  di  Bretagua  e  Francia  fossero  in 
opposizione  aile  sue  mire,  accettava  nondimeno  la  media- 
zione offertale,  non  osando  o  non  potendo  allora  respin- 
gerla-  Per  uscire  a  nuova  guerra  con  Tesercito  rifatto  e 
portato  a  numéro  essa  abbisognava  di  tempo  ;  ma  eziandio 
ne  dimandava  il  negoziare;  per  la  quale  cosa,  dovendo  le 
tregue  formate  a  Milano  durare,  di  nécessita,  sino  al  chiu- 
dersi  délie  conferenze,  l'imperio  avrebbe  avuto  mesi  quanti 
bastavano  a  provvedere  armi  e  mettere  assieme  soldate- 
sche  per  l'impresa.  Maestra  sempre  nel  governarsl  giusta 
la  opportunità,  TAustria,  cedendo  aile  nécessita  di  quei 
giorni,  che  per  lo  agitarsi  deirUngaria  correvano  difficili 
e  pieni  di  pericoli,  si  disse  pronta  a  trattare  d'accordi,  e 
mostrossi  tanto  inchina  alla  pace  da  indurre  in  inganno  i 
Ministri  di  Inghilterra  e  di  Francia  intorno  ai  veri  suoi  fini. 
In  quel  tempo  Tommaseo  aveva  messo  fuora  per  le 
stampe  in  Parigi  —  dove  trovavasi  oratore  di  Venezia  presse 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assi:m3lea  veneta  33 


il  Governo  délia  repubblica  —  una  Chiamaia  alla  Fi^an- 
cia.  Dopo  avère  ringraziata  la  nasione  sorella  dell'appog- 
gio  date  a  Venez»  nella  guerra  contra  lo  straniero  (1),  e 
ricordati  i  legami  d'amicizia  che  nei  secoli  scorsi  avevano 
esistito  ira  i  due  Stati,  scriveva  :  =  Trovarsi  nella  storia 
di  Francia  un  nome  che  devesi  assolutamente  cancellare, 
il  nome  di  Campoformio.  «  Jm  pace  a  qualsivoglia  prezzo, 
fu  la  parola  d'un  tempo  che  non  deve  mai  più  ritornare  ; 
la  stima  dei  popoli  ad  ogni  costo,  ecco  la  nuova  bandiera, 
il  nuovo  motto  degno  délia  libertà  e  délia  Francia.  »  Sino 
dal  rompersi  délie  ostilità  contra  TAustria  avère  il  Go- 
verno francese  oflferto  aiuto  di  sue  genti  aU'Italla,  senza 
mercanleggiare  siùa  spada,  corne  atirehhelo  fatto  un  sol- 
dato  venturîero;  essere  ora  giunto  il  momento  del  fra- 
terno  soccorso,  ora  dalla  patria  nostra  invocato.  «  Questa 
non  è  la  vecchia  storia  degli  interventi,  diceva  Tomma- 
seo,  0  per  meglio  dire,  délie  invasioni  provocate  per  pas- 
sione  di  parte,  per  un  Interesse  isolato;  è  un  diritto  santo 
che  invoca  un  dovere,  è  un  principio  che  cerea  sua  gua- 
rentigia  là  dove  puô  trovarla La  Francia  in  questo  mo- 
mento ha  il  diritto  di  alutarci  coi  mezzi  piii  efficaci,  poi- 
chè  essa  ne  ha  il  dovere;  che  viene  non  da  taie  o  taie 
altra  parola,  pronunciata  da  taie  o  taie  altro  Ministre  o 
rappresentante  délia  nazione  ;  è  la  grandezza  stessa  di  que- 
sta che  glielo  impone;  essa  non  saprebbe  abiurarlo  senza 
rinnegare  se  stessa.  »  r^r  L'orator  di  Venezia,  dopo  avère 
fatto  conoscere  alla  Francia,  che  il  massimo  degli  inte- 
ressi  suoi  consisteva  nello  appoggiarsi  ai  principi  di  na- 
turalità,  soprammodo  all'italiana  e  alla  slava,  affermava: 
=  La  nazione  non  avère  pronunziato,  ne  ripetuto  il  motto  : 
Yltalia  farà  da  se  ;  non  respinto  mai  il  soccorso  di  Fran- 
cia; per  consiglio  suo  Venezia  essersiun  giorno  vol  ta  alla 
Sardegna  e  a  tutti  gli  altri  Stati  délia  penisola  invitandoli 

(1)  Una  sqnadra  francese,  comandata  da  Ricaudy,  troyavasi  già  nelle 
acqne  deU'Adriatico. 

3  —  Vol.  n.  Martaîci  —  Storia  pol   e  mtl 


Digitized  by  VjOOQIC 


34  CAPITOLO   1 


a  deliberare  insieme  intonio  aile  sorti  comuni.  NuUa  a- 
verle  risposto  la  Sardegaa;  gli  altri  Governi,   parole  in- 
certe  e  che  non  potevano  condurre  al  fine  proposto.  Avère 
egli  protestato  contra  la  dediziono  di  Venezia  alla  Sarde- 
gna,  dedizione  da  lui  giudlcata  inopportuna;  ed  eziandio 
avère  protestato  contra  queU'atto  in  cui  la  violenza  e  la 
frode,  la  speranza  e  il  timoré' a  vevano  avuto  tan  ta  parte,  o 
almeno  una  parte  pur  troppo  da  deplorarsi.  zz:  Tominaseo 
conchiudeva  quindi  il  suo  parlare  cosi  :  «  La  Francia  non 
ha  a  sguaînare  la  spada,   basta  che  essa  ne  faccia  inten- 
dere  il  romore  nel  fodero  per  ispaventare  il  nimico...  Dico 
alla  Francia  e  alllnghilterra,  che  sarebbe  una  vergogna 
per  la  specie  umana  di  lasciar  pasare  nella  bilancia  délie 
sorti  di  un  popolo  la  spada  di  un  Brenno  decrepito.  La 
nostra  causa  è  lavostra;  soccorreteci  nel  nostro  pericolo, 
0  voi  perirete  »  (1).  —  Le  parole  di  Tommaseo,   se  ven- 
nero  accolte  con  entusiasmo  dai  repubblicani  di  Francia 
e  se  trovarono  eco  nei   cuori  generosi,   non  bastarono 
perô  a  togliere  i  supremi  governanti  da  quelle  esitazioni 
e  da  quel  dubbi,  che  dovevano  impedir  loro  di  camminare 
risoluti  e  franchi  su   la  via,  che  Tonore  e   la   grandezza 
délia  nazione  volevano  avessero  a  percorrere.  Il  générale 
Cavaignac  —  che  allora  presiedeva  ai  Ministri   délia  re- 
pubblica —  per  indurre  l'Austria  a  pacifici  accordi  con  la 
Sardegna  e  Tltalia,  montre  spediva  nuove  navi  ad  afTor- 
zare  la  squadra  francose,  proprio  di  quel  giorni  sorta   in 
su  ràncora  nei  porti  di  Venezia,  ordinava'  al  contrammi- 
raglio  Ricaudy  di  maneggiarsi  per  modo  che  Tassediatore 
non  avesse  a  oflTendere  la  città;  e  nel  tempo  stesso  facera 
pubblicamente  annunziare  essere  stato  decretato  dal   Go- 
verno  il  soccorso  di  quattro  mila  soldati.  Le  quali  novelle 
giugnevano  a  Manin  l'il  settembre  per  mezzo  del  legno  a 
vapore  francese  il  Solone,  e  al  générale  Pepe  per  lettera 


(1)  Parigi,  agosto  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


L^ASSEMBLEA   VEXETA  35 


(iel  duca  d'Harcourt,  oratore  di  Francia  in  Corte  del  Pon- 
teflce.  Il  22  di  quel  mese  arrivavano  a  Ricaudy  le  frégate 
a  vapore  il  Giove  e  la  Psiche;  e  il  di  vegnente  la  squa- 
dra  austriaca  (1),  avvicinatasi  ai  litorali  veneti,  ordinavasi 
dinnanzi  ai  porti  délia  laguna  per  impedirnerentrataalle 
navi  portanti  vettovaglie  alla  città,  e,  se  possibile,  pre- 
darle.  Il  30  settembre  VOceano,  legao  a  vapore  fr^ncese, 
porto  a  Venezia  sei  mlla  schioppi,  da  ottanta  volontari 
délia  legione  di  Manara  e  i  deputati  del  Comitato  di  difesa 
d'Ancona,  Tooli  e  Bassetti,  con  doni  di  quella  città  e  di 
Roma,  consistenti  in  copia  grande  di  panno  per  vestire 
soldati,  calzoni,  camicie  e  scarpe.  Alla  chiamata  di  danaro 
fatta  aile  provincie  délia  penisola  dal  Governo  délia  re- 
pubblica  «  per  difendere  la  sua  bandiera,  onore  e  spe- 
ranza  del  popolo  italiano  >  risposoro  Lomellina,  Toscana, 
Ferrara,  Bologna  e  Ancona;  ne  spedirono,  non  richiesti, 
gli  Italiani  dimoranti  nel  Perii  e  neirAmerica  méridionale  ; 
Grenova  promise  un  milione  di  lire,  ma  non  mandô  nuUa  (2). 


(1)  La  squadra  navale  austriaca  componevasi  di  tre  frégate,  due 
c  )rvette,  quattro  brigantini,  nno  schooner^  due  Bcialnppe,  quattro  legni 
a  vapore  e  altri  legni  minori. 

(2)  Lomellina  donô  cento  mlla  lire;  Toscana,  settandue  mila;  Fer- 
rara, sedici  mila;  e  gli  Italiani  dimoranti  nel  Perù  e  neirAmerica  del 
mezzogiomo  mandarono  a  Yenezia  dieci  mila  lire. 

b  Gli  inviati  délia  Repnbblica  veneziana  aile  città  d'Italia  si  rivol- 
sero  ai  loro  fratelli  con  un  indbizzo  in  data  di  Firenze  9  settembre 
1B48.  Essi  dichiararono  che  Yenezia,  per  difendere  la  sua  bandiera, 
onore  e  speranza  del  popolo  italiano,  ha  bisogno  d'una  somma  mensile 
di  tre  milioni  di  franchi.  Essi  indinzzansi  a  tre  milioni  d'Italiani, 
e  chieggono  a  ciascun  d'essi  on  franco  al  mese  per  la  formazione  di 
questo  capitale  di  soccorso.  Yenezia  ô  oggidi  il  cnor  dell'Italia:  lo  ô 
per  la  sua  incrollabile  volontà,  per  la  santit&  délie  sue  intenzioni,  per 
le  sne  glorie,  per  le  sue  speranze  e  per  le  sue  sventure.  Montre  pareva 
che  da  per  tutto  si  spegnesse,  lo  spirîto  nazionale  si  raccoglieva  in 
essa  come  ne' tempi  antichi;  mentre  tutti  piegavano  o  disperavano, 
Venezia  gettava  il  guanto  ai  barbari  ;  essa  aveva  fede  ne'  dûritti  e  nel- 
retemità  d'Italia,  ed  ognuno  di  noi  deve  oggi  rispondere  alla  sua  esi- 


Digitized  by  VjOOQIC 


36  cAriTOLo  I 

A  provvedere  ai  bisogni  sempre  crescenti  délia  guerra, 
Venezia  si  volse  alla  generosita  de'  suoi  figli;  e  i  Vene- 
ziani  diedero  allora  e  di  poi  il  più  che  poterono  in  ra- 
gione  di  loro  forza  ;  Manin  rinunzlô  siibito  allô  stipendie 
decretatogli  daU'Assemblea  ;  Pepe,  oltre  alla  sua  provvi- 
sione  di  générale,  offri  allora  un  Cesare  Borgia,  tola  di 
Leonardo  da  Vinci,  dono  carissimo  del  fratello  suo  ;  e  la 
maggiore  parte  degli  ufflciali  pubblici  e  deiresercito  lascia- 
rono  a  favore  délia  repubblica  meta  del  solde  loro  assegnato. 

In  questo  mezzo  il  Circolo  italiano  —  il  quale,  com(> 
sopra  dicemmo,  caldeggiava  il  formarsi  d'un  Governo  com- 
posto  di  cittadini  di  tutte  le  provincie  italiane  e  presie- 
duto  da  Manin  —  adoperavasi  a  tutta  forza  per  allonta- 
nare  dal  grande  triumviro  alcuni  tristi  che  Tattorniavano 
La  sera  del  2  ottobre  Giuseppe  Révère  proponeva  ai  soci* 
raccolti  in  assemblea  s'avessero  a  chiamare  in  Venezia 
quanti  illustri  italiani  correvano  erranti  le  patrie  contrado. 
«  Noi  vorremmo  che  qui,  esclamava  egli,  dove  ancora  si 
combatte,  venissero  i  desidèri  e  le  opère  a  incontrarsi  in 
guisa  che  tutta  Europa  avesse  a  persuadersi  come  la  guerra 
italiana  è  tutta  ancora  nelle  nostre  lagune,  guerra  che  per 
virtù  di  principi  tornô  infelice  in  Lombardia,  ma  che 
riarde  ora  fra  noi  purificata  e  gagliarda  per  volere  di  po- 
poli.  Qui,  ove  senza  bisogno  di  andare  a  versi  ad  un  po- 
tere  fallace,  liberamente  si  possono  agitare  i  nostri  destini  : 


stenza,  se  vnol  dar  prove  del  suo  onore  per  la  patria.  È  tempo  che 
ritalia  segua  resempio  che  le  dà  la  misera  Irlanda;  è  tempo  che  la 
cassa  del  popolo  sia  fondata  fra  noi,  e  che  il  nnmero  immenso  dei  so- 
sorittori  apprenda  ai  nostri  amici  qnale  è  la  somma  del  partito  nazie- 
nale  e  qnale  la  sua  yolontà.  Affrettiamoci  dunque,  ed  operiamo.  Ripe- 
teremo  qui  le  parole  degli  inviati  Veneziani  :  Coloi  che  rifiuta  di  pagare 
rimposta  nazionale  per  Venezia,  pronuncia  la  sua  sentenza;  ei  disert^i 
yilmente  daUa  causa  délia  patria  e  délia  liberté.,  n 
Parole  di  Giuseppe  Mazzini. 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblea  teneta  37 

qui,  ove  non  giugne  insolenza  di  birro  o  minaccia  di  re- 
gio  commissario,  i  popoli  d'Italia  troverebbero  la  patria 
délie  loro  vagheggia,te  speranze,  e,  vergini  d'ipocrisia  e 
schietti  di  studiate  parole,  potrebbero  dire  aU'Europa  in- 
sieme  coi  diritti  i  loro  superni  e  patrii  divisamenti...  Alla 
mentita  lega  dei  principi,  lega  inventata  perché  Italia,  ac- 
cosciata  su  le  sue  sventure,  attenda  la  luce  donde  veu- 
nero  le  ténèbre,  noi  metteremo  contra  la  solidaria  lega 
M  popoli.  Proveremo  che  una  lega  fra  i  potenti  di 
Itâlia  a  benefizio  dei  popoli  è  sogno  e  inganno:  una 
dei  popoli  per  la  comunanza  dei  pericoli,  débite  e  bi- 
sogao.....  Cosi  mentre  gli  Stati  mediatori,  sicuri  che  i 
principi  non  protesteranno  contra  le  loro  sentenze,  agite- 
ranno  le  nostre  sorti,  avranno  a  darsi  almanco  pensiero 
•iella  vera  mente,  deU'animo  dei  popoli.  L'Italia  è  per  noi 
dove  si  combatte,  e  non  dove  si  traffica  e  si  negozia...  Egli 
ô  perciô  che  noi  invitiamo  i  Circoli  délie  varie  città  di 
Italia  a  portarci,  col  mezzo  di  rappresentanti,  il  loro 
pensiero  e  una  coUeganza  d'opere  da  testimoniare ,  Ve- 
iiezia  essere  il  punto  ove  tutte  concorrono  le  forze  de- 
laocratiche   délia   nazione,   il    luogo  ove   V  interesse  dei 

Ijopoli  ha   il   suo   focolare È    mestieri    che   1  popoli 

si  persuadano  corne  per  la  via  dei  maie  non  è  fatti- 
bile  raggiugnere  il  bene,  e  confessino  Tipocrisia  politica 
«*  Tinganno  non  tornare  a  vantaggio  che  dei  principi; 
♦iuali  fan  le  viste  di  distruggere  a  miglior  tempo...  AU'As- 
iemblea  de'  profughi  veneti,  sola  e  irrecusabile  rappre- 
sentanza  délie  provincie  occupate,  ora  si  aggiunsero 
i  profughi  lombard!  ;  sicchè,  uniti  nei  medesimi  fra- 
terni  intendimenti,  potranno  deliberare  intorno  ai  loro 
ittteressi.  Il  nostro  Circolo,  a  meglio  conseguire  il  suo  in- 
tente, accolso  fra  se  uomini  di  tutti  gli  Stati  dltalia,  i  quali 
consacrarono  con  la  vita  povera  e  intemerata,  e  con  lungo 
♦*•!  iûfelice  amore  alla  loro  terra,  il  diritto  di  vigilarne 
^li  aspettati  destini...  Il  nostro  popolo,  ridesto  alla  vene- 
randa  santità  délie  tradizioni,  sente  il  debito  di  rispondere 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO   I 


al  suo  portentoso  passato  con  la  virtù  del   sacrificio,  cou 
l'allegra  formezza  negli  immiaenti  pericoli.  Sirabolo  giier- 
reggiante  délia  libertà  d'Italia,  Venezia,  ancorchô  stremata, 
è  parata  a  proteggerla  contra  ogni  maniera   di    attentato 
che  mirasse  a  recarle  ^offesa.   Stretti   dairAustriaco,  che 
manomette  le  nostre  terre,  dubitosi   del   pane    che    deve 
sfamare  le  nostre  famiglie,  nol   tuttavia  guardiamo   alh» 
miserie  di  tutta  Italia.  Dai  comuni  dolori  noi  caviamo  ar- 
gomento  di  coraggiosa  perseveranza,  meglio  che  da  moiTu- 
menti  testimoni  dei  secoli  caduti.  E  il  giorno    in    cui    if> 
sdegno  délia  fortuna  e  il  furore  dei  poteri  congiurati  ve- 
nissero  a  soverchiarci,  di  Venezia  non  sopravviverebbe  altro 
che  un  nome  tremendo  d'insegnamento  ai  popoli  venturi. 
e  via  per  le  meste  lagune,  su  le  quali  torreggiano  ancora 
le  memorie  del  passato,  non  s'alzerebbe  altro  che  un  me- 
lanconico  gemito,  il  quale  direbbe  al  monde,  come  Venezia, 
anzichè  tornare  ancella,  si  sommergeva  con  la  sua  liber tn 
in  quel  mare  onde  traeva  la  cuUa  »  (1).  —  Parlô  di   poi 
Antonio  Mordini  con  éloquente  e  franca  parola  ;  il  quale. 
dopo  avère  lodato  i  triumviri  come  cittadini,   ne  biasimô 
i  modi  di  governo;   disse   che  il  loro  amministrare   non 
procedeva  spedito  e  sicuro,  ma  incerto;  essendo  dubbiosi 
in  se  medesimi,  non  potevano  avère   la   fiducia   dei    loro 
governati;  ciô  che  ad  essi  impediva  di   operare  tutto    11 
bene  che  era  in  loro  mano  di  fare  e  che  certamente   <îe^- 
sideravano  a  vantaggio  délia  patria.  In   oltre  il    Mordini 
svelô  il  disordine  che  regnava  nelle  diverse  amministra- 
zioni  dello  Stato,  con  grave  danno  délia  cosa   pubblica  t* 
soprammodo  délia  guerra.  Affermé  che  la  verità  non  giu- 
gneva  ad  aprirsi  la  via  sino  ai  supremi  reggitori,  a  cagione 
di  quella  turba  di  gente  ribalda,  che  aveva  invaso  le  aule 
triumvirali;  turba  avara,  che  ebbe  allora  chiamato    ca- 
méra nera,  la  quale  sperdeva  in  basse  vie  l'oro  offerte» 


(1)  Documenti  délia  Ghterra  Santfi,  Di  Daniele  Manin,  memoria 
storica  di  G.  Vittobio  Rovani,  cart  178;  Capolago,  gennaio  1850. 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemble  A   VBXSTA  39 


alla  patria  dalla  carità  cittadina.  Disse  in  âne  délia  né- 
cessita di  raccogliere  in  Venezia  una  costituente  lombardo- 
veneta,  che,  apportando  nuove  forze  al  Governo  délia  re- 
pnbblica,  ne  accrescerebbe  dimolto  la  potenza,  tornerebbe 
ai  triumviri  la  fedo  e  il  favore  popolare,  e  porrebbe  \o 
basi  di  un  Governo  italiano.  I  ribaldi,  le  cui  mire  per- 
verse erano  state  scoverte  da  Mordini  nella  sua  orazione, 
subito  di  lui  e  di  Révère  si  vendîcarono;  perô  che  nella 
notte  stessa,  per  incitamento  di  quel  malvagi  consiglieri,  i 
triumviri  facessero  trarre  al  lontano  lido  quegli  onesti 
cittadini,  con  ordine  di  reoarsi  a  Ravenna.  L'onta  di  si 
turpe  violenza  pèsera  sempre  su  la  memoria  di  Manin,  di" 
Cavedalis,  di  Graziani  !  —  La  sera  vegnente  Giuseppe  Sir- 
tori,  in  mezzo  al  Cîrcolo  italiano  riunitosi  a  dispetto  del 
Governo,  censurata  da  prima  con  severa  parola  la  costui 
opéra,  propose  di  poi  che  si  avesse  dai  buoni  cittadini  a 
tentare  tutte  le  vie  per  condurre  i  triumviri  a  più  savio 
consiglio  e  costringerli  a  richiamare  Mordini  e  Révère. 
Per  invito  di  Sirtori  il  Comitato  direttore  di  quel  Circolo 
rinunziô  allora  al  proprîo  officio  ;  ma  i  soci,  seduta  stante, 
con  suffragio  unanime  in  esso  il  confermava;  in  tal  modo 
venne  a  Manin  e  ai  compagni  suoi  nel  triumvirato  il  bia- 
simo  meritato  dalla  commessa  ingiustizia  e  violenza.  La 
Caméra  nera  diedesi  subito  a  spargere  con  arte  perfldis- 
sima  le  più  nere  calunnie  nel  popolo  a  danno  degli  uo- 
mini  del  Circolo;  e  il  popolo  —  facile  troppo  a  lasciarsi 
sedurre,  credulo  sempre  e  pronto  a  voltarsi  dall'amore  al- 
l'odio  —  cominciô  a  diffidare  di  quel  cittadini,  ch'eransi 
mostrati  in  tutte  le  occasioni  délia  patria  libertà  svisce- 
ratissimi,  e  prese  a  malvolerli.  Ed  ecco  come  alcuni  tristi, 
per  ambizione  o  interesse  privato  gettarono  la  discordia 
tra  le  moltitudini,  quando  piii  imperioso  che  mai  era  il 
bisogno  di  concordîa  forte,  operosa,  efficace.  In  allora  il 
Circolo  deputô  alcuni  suoi  membri  a  Manin  per  sapere  i 
motivi  che  avevano  indotto  il  Governo  a  cacciare  di  Ve- 
nezia Mordini  e  Révère.  Da  prima  il  Triumviro  niegô   di 


Digitized  by  VjOOQIC 


40  CAPITOLO   I 


ricevere  i  deputati  del  Circolo;  ma  insistendo  essi,  fu 
forza  quindi  ascoltarli;  pregato  di  far  conoscere  le  colpe 
di  que'  due  esiliati,  a  fine  di  poter  calmare  gli  animi  dei 
cittadini,  esasperati  per  tanta  e  si  ingiusta  violenza,  e  ri- 
condurli  poscia  a  concordia,  Manin,  che  avrebbe  dovuto 
arrossire  confessando  tutta  intera  la  verità,  rispoadeva 
cosi  :  =  Non  sempre  î  supremi  reggiiori  dei  popoli  potere 
dar  ragione  del  loro  operato  ai  governati;  la  quale  superba 
risposta  chiari  la  sua  complicità  nelle  brutture  commessc 
dagli  uomini  délia  Caméra  nera.  Accecato  dallorgoglio,  il 
Dittatore  lasciossi  da'  suoi  tristi  consiglieri,  nimici  alla 
suabuona  rinomanza,  trascinare  a  nuova  vendetta;  vittima 
di  questa,  Francesco  DaU'Ongaro.  —  In  sul  cadere  dell'ot- 
tobre  giunse  notizia  in  Venezia,  che  Ippolito  Mazzuchelli, 
comandante  il  legno  a  vapore  Pio  Nono,  si  fosse  lasciato 
sfuggire  di  mano  una  nave  nimica;  délia  quale,  corse  al- 
lora  la  fama,  avrebbe  potuto  impadronirsi,  se  non  fosse 
stato  dell'ordine  di  Graziani,  che  proibiva  ai  legni  délia 
repubblica  d'essere  primi  aile  oflFese.  DaU'Ongaro  nel  diario 
Fatti  e  Parole,  pubblicato  il  primo  ottobre,  narrava  il  caso 
awenuto  cosi  :  «  L'altro  ieri  il  nostro  bel  vapore  Plo 
Nono  voile  pigliarsi  il  piacere  d'esaminare  da  vicino  un 
vapore  austriaco  del  Lloyd.  Sembra  che  l'ultimo  non  fosse 
molto  disposto  a  questo  esame,  perché  si  ritirô  ben  presto 
sotto  il  cannone  di  Caorle.  I  maliziosi  dicono  che  il  capi- 
tano  Mazzuchelli  sarebbe  stato  gravemente  rimproverato 
e  forse  deposto,  nel  caso  che  avesse  commesso  il  delitto 
di  costringere  a  una  fuga  vergognosala  bandiera  austriaca, 
alla  quale  alcuni  sembrano  servare,  certo  per  vecchie 
consuetudini ,  un  riguardo  che  bisogna  attribuire  alla 
paura,  per  non  supporre  qualche  calcolo  prudenziale  troppo 
più  turpe.  Signori  generali,  ammiragli,  ministri  sopra  la 
guerra  presenti  e  passati,  con  cinque  mesi  di  calcoli  e  di 
prudenza  voi  ci  avete  fatto  perdere  il  frutto  d'una  vittoria 
riportata  con  cinque  giorni  di  temerario  coraggio!  Il  po- 
polo  è  andato  avanti  senza  di  voi,  e  malgrado  a  voi;  voi 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblea  veneta  41 


Tavete  fatto  sempre  restare  indietro,  e  tornare  addîetro. 
Ê  questo  il  merito  vostro  ?  —  Badate  che  già  tutti  lo  pen- 
sano  e  molti  lo  dicono.  Forse  non  è  lontano  il  giorno  che 
il  popolo  imprudente,  temerariOy  senza  disciplina  tentera 
un  altro  colpo  de'  suoi.  E  che  sarà  allora  dei  vostri  spal- 
Uni  e  dei  vostri  consigli?  Se  le  rostre  ricche  pensioni 
vi  stanno  a  cuore  piii  deironore  délie  armi  nostre,  piii 
ilella  nostra  libertà,  chiedete  le  vostre  pensioni  e  vi 
saranno  date,  a  patto  che  Tltalia  non  abbia  a  pagare  la 
vostra  inerzia  e  i  vostri  senili  riposi  con  la  proprîa  sven- 
tura  e  la  propria  vergogna.  »  Il  4  ottobre  il  Oomitato  di 
pubblica  vigilanza,  in  virtii  dei  diritti  impartitigli  dal  Go- 
verno,  ordinava  che  senza  por  tempo  in  mezzo  l'abate 
Francesco  DaU'Ongaro  venisse  bandito  da  Venezia  e  sua 
provincia,  per  aver  dato  un  impulsa  determinato  al  dis- 
ordine  col  richiamare  alla  memoria  cià  che  il  popolo 
nveva  fatto  e  presagito  quanto  esso  sarébhe  per  fare. 
Dalla  nave  V Indipendenza,  che  doveva  portarlo  lungi  da 
quella  terra  si  amata  e  si  cara,  DaU'Ongaro  protestô  in- 
nanzi  a  Dio,  innanzi  alVItalia  e  ai  dittatori  di  Venezia 
contra  quel  bando  che  ofifendeva  la  libertà  délia  stampa  e 
délia  persona,  e  tutti  i  diritti  di  cittadino  ;  protestô  con- 
tra le  intenzioni  appostegli  di  voler  sommuovere  il  popolo 
<»  rovesciare  un  Qoverno  ch'egli  aveva  contribuito  a  creare; 
protestô  contra  lo  incriminarsi  délie  sue  intenzioni.  Si 
disse  pronto  a  soffrire,  senza  querelarsi,  l'esilio  che  TAu- 
stria  non  aveva  osato  mai  di  infliggergli  e  che  allora  gli 
veniva  dal  Governo  repubblicano  di  Venezia.  «  Cosi  vo- 
lesse,  scriveva  egli,  la  carità  délia  patria  velare  la  ingiu- 
stizia  e  Timprevîdenza  di  questi  fatti  ai  presenti  e  ai  lon- 
tani.  »  —  Non  ostante  Tarte  malvagia  degli  uomini  délia 
Campera  nera,  che  studiavansi,  eziandio  coi  mezzi  piîi 
sleali,  di  fuorviare  l'opinione  pubblica,  il  popolo  non  tardô 
molto  ad  avvedersi  degli  errori  dei  Governo;  e  siccome 
esso  amava  soprammodo  Manin  —  nel  quale  aveva  posto 
fede  illimitata  —  cosi  gettô  tutta  la  colpa  e  la  vergogna 


Digitized  by  VjOOQIC 


42  CAPITOLO   I 

di  quegli  errori  sui  ministri  Cavedalis  e  Graziani,  dicen- 
doli  inetti  all'alto  officio  che  tenevano.  Allora  risveglia- 
ronsi  e  presero  sembianza  di  verità  i  sospetti  di  troppa 
devozîone  al  reggimento  despotico  deU'Aiistria,  cors!  poco 
innanzi  sul  Cavedalis  e  di  quei  giorni  quasi  sopiti.  Ad  al- 
lontanare  e  disperdere  la  tempesta  cho  romoroggiava  so- 
pra  i  triumviri,  Manin  invitô  i  deputati  délia  città  e  pro- 
vincia  di  Venezia  a  raccogliersi  in  assemblea  TU  di  quel 
mese  d'ottobre,  allô  scopo  di  eleggere  un  Comitato,  cho 
avesse  a  trattare  délie  condizioni  politiche  del  paese,  e  a 
nominare  un  nuovo  Governo,  qualora  reputassero  cessato 
il  pericolo  che  un  giorno  aveva  minacciato  la  patria  e 
consigliatili  a  istituire  la  dittatura.  —  L'Assemblea,  repu- 
tando  non  necessario,  ne  onorevole  mantenere  nella  dit- 
tatura —  che  essa  aveva  deliberato  di  conservare  —  Ca- 
vedalis e  Graziani,  ai  quali  era  venuto  meno  il  favore 
popolare,  preparavasi  a  dare  nuovi  colleghi  a  Manin,  al- 
lora che  il  grande  cittadino,  montato  in  bigoncia,  pren- 
deva  a  sostenere  Graziani  lodandone  le  virtù,  segnata- 
mente  la  modestia  e  Toperosità;  il  quale  perô  veggendo 
«  quanto  fosse  grande  la  sproporzione  tra  il  suo  alto  of- 
ficio e  le  forze  proprie  »  il  giorno  innanzi  aveva  fatto 
rinunzia  al  potere  dittatoriale.  «  La  modestia  deirammira- 
glio  Graziani,  affermava  Manin,  lo  fa  ingiusto  verso  s(> 
medesimo;  io  ebbi  l'onore  d'essere  con  lui,  e  attesto  che 
difflcilmente  si  troverebbe  persona  piîi  alta.  Uomo  di  molti 
fatti  e  di  poche  parole;  d'una  operosità,  dirô  quasi  feb- 
brile  ;  senza  di  esso  molto  difficile  ci  sarebbe  il  governare  ; 
pregherei  perciô  TAssemblea  a  insistere  perché  egli  ritiri 
la  sua  rinunzia.  »  E  i  deputati,  i  quali,  tranne  pochissimi, 
erano  devoti  a  Manin,  ligi  alla  sua  volontà  e  servilmente 
obbedienti  ai  comandi  suoi,  credendo  tuttavia  sussistere 
il  pericolo,  per  cui  il  13  agosto  avevano  istituita  la  dit- 
tatura mettevano  a  partito  il  confermamento  di  essa  nelU? 
medesime  persone  che  già  la  tenevano.  Raccolti  i  suffragi, 
i  tavolaccini  ne  contarono  centocinque  favorevoli  ai  trium- 


Digitized  by  VjOOQIC 


L*A8SEMBLEA   VBNBTA  4  ÎJ 

viri,  tredici  contrari;  nô  paga  d'averli  conferraati  nell'u- 
sato  ofBcio,  l'Assomblea  affidô  loro  il  carico  di  trattare 
con  l'Austria  délie  condizioai  politiche  délia  ropubblica, 
riservandosi  soltanto  la  ratificazione  dei  negozi:  onde 
accrebbesi  di  molto  l'autorità  di  Manin,  il  quale  d*allora  ira- 
pose  sempre  il  proprio  aU'altrui  volere,  e  governô  lo  Stato 
con  potestà  assoluta. 

n  maresciallo  Welden,  appena  seppe  il  giugnere  di  nuove 
navi  alla  squadra  di  Ricaudy,  temendo  lo  intervenire  ar- 
mato  di  Francia,  soUecito  lasciava  le  posture  di  minore 
importanza  occupate  attorno  aile  lagune  per  raccogliere  in 
forte  schiera  le  suc  genti,  e  dava  opéra  altresi  a  fortiflcare 
iJ  ponte  délia  Piave  alla  Priula,  su  la  grande  via  di  Mestre, 
Treviso  e  Conegliano.  I  difensori  di  Osoppo,  i  quali  da  sei 
mesi  resistevano  strenuamente  alla  potenza  dell'armi  ni- 
miche,  venute  meno  le  vettovaglie,  il  13  ottobre  arrende- 
vansi;  e  in  virtù  dei  patti  délia  resa  —  che  fu  onorevole 
—  essi  poterono  tornare  liberi  ai  propri  focolari.  Se  la 
perdita  di  quella  fortezza  non  peggiorô  le  cose  délia  guerra, 
allora  tutta  ridottasi  entre  la  laguna,  arrecô  nondimeno 
assai  grave  ferita  al  sentimento  nazionale.  —  In  quel  mezzo 
i  Veneziani,  che  il  Governo  teneva  da  lunga  pezza  inope- 
rosi,  ardentemente  desiderando  di  far  prova  délia  fortuna 
e  dei  loro  valore,  chiedevano  d'uscire  contra  gli  assedia- 
tori;  e  i  Triumviri,  voggendo  l'Austria  aftbrzare  gli  eser- 
citi  suoi  in  Italia  e  la  mediazione  anglo-francese  non  dare 
ancora  guarentigia  veruna  di  pace,  aile  demande  dei  di- 
fensori di  Venezia  rispondeva  ordinando  a  Pepe  di  ripren- 
dere  le  offese;  e  il  générale  disegnô  subito  far  l'impresa 
di  Cavallino.  Questa  terra,  che  siede  su  la  marina  dal  suo 
nome  chiamata,  non  lungi  dal  metter  foce  dei  Sile  su  TAdria- 
Uco,  formava  Testremità  sinistra  deirossidione  austriaca; 
la  difendevano  trecento  imperiali  ed  era  munita  di  due 
cannoni.  n  canale  di  Pardelio  e  lo  stretto  argine  che  si 
éleva  a  sinistra  di  esso  mettono  in  comunicazione  Cavallino 


Digitized  by  VjOOQIC 


44  CAPITOLO    I 


con  Treporti,  da  cui  dista  poco  piii  di  dieci  chilometri;  il 
terreiio  che  giace  tra  queste  due  terre,  paludoso  e  tutto 
iiigombro  di  siepi,  è  difficile  a  corrorsi  dalle  fanterie,  im- 
possibile  poi  dai  cavalli  e  dai  carri.  Allô  albeggiare  del 
22  ottobre  una  schiera  di  quattrocento  fanti  leggeri  — 
cacciatori  del  Sile  —  comandata  dai  luogoteiiente  coloa- 
nello  d'Amigo,  uscita  da  Treporti  avviavasi  a  Cavallino, 
appoggiata  da  tre  barche  portanti  soldati  délia  marineria 
da  guerra  e  da  due  barche  armate  ciascuaa  di  un  cannone, 
tutte  poi  discendenti  il  canale  di  Pardelio  ;  le  due  barche 
cannoniere  camminavano  con  Tavanguardia,  la  compagnia 
del  capitano  Cattabeni.  Il  nimico  aveva  posto  le  sue  due 
artiglierie  allô  sbocco  dell'argine;  collocato  una  presa  di 
soldati  dietro  una  siepe  a  destra  del  Pardelio  e  a  quasi  due 
chilometri  da  Cavallino  ;  Tavauguardia,  poco  dinanzi  alla 
terra;  presse  questa,  due  barche  con  alquanti  armati;  11 
grosso  di  sue  genti  entre  quella.  La  compagnia  di  Catta- 
beni, neiravvicinarsi  alla  siepe  dietro  la  quale  stava  na- 
scosto  il  nimico,  veniva  ricevuta  da  vivissimo  trarre  di 
moschetti  ;  inarcate  le  armi  senza  por  tempo  in  mezzo  essa 
corse  airassalto,  e  con  Taiuto  délie  barche  cannoniere  snidô 
içli  Austriaci  dai  loro  nascondiglio.  Giu'nta  poscia  a  brève 
distanza  di  Cavallino  correva  nuovamente  a  investire  il 
nimico;  il  quale,  prima  d'aversi  addosso  gli  assalitori,  da- 
vasi  a  fuga  precipitosa  e  disordinata,  lasciando  al  vincitore 
i  suoi  cannoni,  le  barche,  moite  armi,  munizioni  di  guerra 
e  vettovaglie:  respinti  gli  imperiali  al  di  là  délia  Piave, 
gli  Italiani,  in  sul  cadere  del  giorno,  facevano  ritorno  a 
Treporti.  In  quella  fazione  degli  Austriaci  quindici  caddero 
uccisi  o  feriti  ;  dei  vincitori,  nessuno.  —  Il  possesso  di  Ca- 
vallino, se  fu  di  lieve  vantaggio  alla  difesa  di  Venezia,  im- 
porté perô  assai  al  vettovagliamento  délia  città  ;  avvegnachè 
allargandosi  per  esso  l'ossidione  si  aprisse  da  quella  parte 
agli  assediati  una  via  di  comunicazione  con  la  terraferma. 
Se  non  che  per  tenere  Cavallino  abbisognando  un  valide 
presidio,  e  per  difendere   efflcacomente  Venezia  non  po- 


Digitized  by  VjOOQIC 


L^ASSEMBLEÂ    VENKÏ.V  45 


tendosi  spargore  ditroppo  le  forze,  Pepe  comandava  di 
lasciare  quella  terra,  che  i  nimici  riprendevano  molto 
temxK)  di  poi.  Il  giorno  dopo  la  fazlone  di  Cavallino,  in  su 
la  piazza  di  San  Marco  facevasi  da  Pepe  la  rassegna  dei 
cacciatori  del  Sile,  che  avevano  condotto  ad  onore  quella 
impresa;  e  il  frate  Ugo  Bassi  da  una  flnestra  del  palazzo 
nazionale  volgeva  generose  parole  a  quoi  valorosi  e  al  po- 
polo  accorso  numerosissirao  a  festeggiarli.  In  quel  di  stesso 
il  Governo  decretava,  con  plauso  universale,  l'ordinamento 
(li  una  légions  ungarese,  alla  quale  chiamava  a  scriversi 
coi  soldati  che  avevano  lasciato  la  bandiera  austriaca  anche 
i  cittadini  di  quella  nazione  che  trovavansi  entre  Venezia; 
con  ciô  egli  intendeva  dar  pegno  d'amore  fratellevole  al- 
rungaria,  di  quel  giorni  levatasi  tutta  in  su  l'arme  per 
combattere,  contra  lo  imperio,  la  guerra  délia  propria  in- 
dipendenza. 

Il  buon  esito  sortito  all'assalto  di  Cavallino  aveva  sve- 
gliato  nei  Veneziani  tanto  entusiasmo  e  taie  speranza  di 
potersi  difendere  e  sostenere  a  lungo,  ch'essi  fecersi  a 
gridare  armi,  e  Tesercito  a  chiedere  di  venir  presto  ri- 
condotto  a  nuovi  cimenti.  E  i  Dittatori,  cui  il  valore  e  lo 
ardimento  dei  volontari  alla  fazione  del  22  ottobre  avevano 
dato  guarantigia  di  certa  vittoria,  comandavano  al  géné- 
rale Pepe  di  mandare  volontari  e  soldati  ad  altre  imprese; 
le  quali,  se  fortunate ,  oltre  a  mantenere  vivo  in  tutti  lo 
ardore  di  guerra  e  stancare  il  nimico  costringendolo  con 
Incessanti  assalti  a  fare  vigili  guardie  e  a  tenersi  serapre 
in  su  l'arme,  avrebbero  vie  più  incoraggiati  i  mediatori  di 
Francia  e  di  Bretagna  a  difendere,  nelle  conferenze  di  pace 
di  Bruxelles,  con  maggior  calore  i  diritti  di  Venezia:  Pepe 
disegnô  quindi  di  assaltare  Mestre  e  Fusina.  —  Trovasi 
Mestre  a  ponente  di  Venezia,  dove  si  incontrano  le  vie  di 
Padova  e  di  Treviso  e  dinnanzi  al  forte  di  Malghera,  da  cui 
dista  tre  chilometri  allô  incirca  ;  a  mezzodi  di  quella  terra 
corre  la  via  ferrata  che  da  Padova  mena  a  Venezia.  Giace 


Digitized  by  VjOOQIC 


46  CAPITOLO   I 


Fusina  ove  il  canale  di  Brenta  mette  foce  in  su  la  laguna, 
a  sei  chilometri  da  Malghera  e  a  mezzogiorno  dol  forte.  Il 
nimico  —  conosciuta  la  importanza  di  Mestre,  che  era  la 
porta  délie  principali  vie  di  coraunicazioni  di  Venezia  con 
le  provincie  di  terraferma  e  la  piii  vantaggiosa  postura 
de'  suoi  campi  d'assedio  —  aveavi  innalzato  due  valli,  Tuno 
su  la  riva  del  canale  di  Mestre  a  difesa  di  questa  terra,  e 
Taltro  su  la  via  ferrata;  e  muniti  ciascuno  di  due  arti- 
glierie  da  campo,  presidiava  il  primo  con  seicento  uomini, 
con  cinquecento  il  secondo.  Oinquanta  Austriaci  tenevano 
la  posta  délia  Rana,  chiusa  da  forte  serraglio  ;  cencinquanta, 
il  villaggio  di  Fusina  con  due  grosse*  artiglierie  ;  e  dugento 
di  essi  stavano  a  guardia  del  terreno,  che  stendesi  tra 
Mestre  e  la  picciola  terra  di  Oarapalto  sino  al  canale  Osel- 
lino.  Queste  forze  d'uomini  e  di  cannoni  —  appartenenti 
alla  brigata  Mitis,  campeggiante  Mestre  e  Fusina  —  erano 
state  riconosciute  dagli  esploratori  di  Pepe  il  giorno  che 
precedette  aU'impresa  ;  ma  nella  notte  seguente  erano  ac- 
cresciute  del  doppio  dal  comandante  di  quella  brigata,  ve- 
nuto  in  sospetto  di  un  vicino  assalto.  E  allora  che  fu  da 
una  spia  assicurato  di  questo  e  di  ciô  che  in  Venezia  pre- 
paravasi  a  danno  suo,  raccolti  in  brève  ora  da  tre  mila 
soldati  mutô  Tordinamento  e  i  presidi  del  suo  campo  cosi  : 
pose  millecinquecento  uomini  in  Mestre  e  ne'  suoi  dintorni, 
cioè  una  compagnia  di  fanti  all'entrata  di  Zellarino  e  di 
Treviso  ;  una  a  quella  di  Carpenedo  ;  una  terza  con  due 
cannoni  da  campo  a  presidiare  l'opéra  di  terra  costrutta 
sul  canale  di  Mestre  verso  Malghera;  una  compagnia  su 
Targine  destro  di  esso  ;  una  al  convento  dei  Cappuccini  ; 
un'altra  con  due  artiglierie  da  campo  a  difesa  del  vallo 
délia  via  ferrata;  in  fine,  la  schiera  di  riscossa  —  da  tre- 
cento  uomini  allô  incirca  e  due  cannoni  —  su  la  piazza 
di  Mestre.  Alla  sinistra  di  Mestre  il  générale  austriaco 
aveva  collocato  una  mezza  compagnia  di  fanti  in  Favaro; 
mezza  al  ponte  di  Dese;  una  compagnia  in  Carpenedo  e 
una  picciola  presa  di  soldati  in  Campalto.  Alla  destra   di 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assbmblea  vkneta  47 

Mestre  egli  teneva  Gambarare  e  Malconteata  con  uaa  mano 
di  fanti;  il  ponte  délia  Rana  con  una  compagnia;  eavevâ 
posto  cento  soldati  presse  Ghirignago,  e  un  drappello  di 
essi  a  guardia  deirofficio  telegrafico  délia  via  ferrata;  il 
presidlo  di  Fusina  noa  era  stato  accresciuto,  contando 
ancora  cenciaquanta  Austriaci  e  due  canaoni  di  grosso 
calibre. 

Per  l'impresa  il  générale  Pepe  aveva  chiamato  in  su 
Tanne  due  mila  soldati,  numéro  bastevole  per  assaltare  con 
vautaggio  le  posture  nimiche;  perô  che,  credendole  presi- 
diate  da  mille  cinquecento  Austriaci  non  preparati  aile 
difese,  egli  si  tenesse  sicuro  di  riportare  con  quelle  forze 
piena  Tittoria  ;  ma  ei  doveva  trovarsi  di  fronte  a  tre  mila 
uomim  pronti  a  combattere.  Non  estante  il  tradimento  di 
chi  riTelô  a  tempo  agli  Austriaci  i  disegni  di  Pepe,  questo 
,'enerale  seppe  in  modo  splendido  vittoriare  del  nimico, 
forte  per  numéro  e  piii  ancora  per  le  posture  occupate  ;  i 
bilooi  ordini  e  il  valoredei  soldati  ebbergli  allora  procacciata 
la  Tittoria.  Le  genti  designate  all'impresa  di  Mestre  ven- 
aero  partite  in  tre  schiere;  quella  di  sinistra  —  quattro- 
cencinquanta  cacciatori  del  Sile  sotto  il  comando  del  co- 
lunnello  D'Amigo  —  protetta  dal  fuoco  di  barche  armate 
dartiglierie  doveva,  mezz'ora  innanzi  il  sorgere  del  giorno, 
icendere  presse  Fusina  e  attorniare  questo  villaggio,  montre 
lofulminerebbero  i  canne  ni  délie  barche  — state  sua  scorta 
e  allora  suo  appoggio  —  e  una  compagnia  di  quei  caccia- 
tori recherebbesi  sopra  Malcontenta  e  l'occuperebbe  per 
togliere  al  presidio  di  Fusina  la  via  di  ritratta  sopra  Dolo 
e  Padova  ;  del  quai  presidio  d'Amigo  col  rimanente  de'  suoi 
<taceiatori  doveva  impadronirsi  ;  e,  respinta  di  poi  la  presa 
d* Austriaci,  che  teneva  la  posta  délia  Rana,  procedere  verso 
Mestre,  per  appoggiare  gli  assalti  che  dalla  schiera  di  mezzo 
veiTebbero  dati  a  questa  terra,  obbietto  dell'impresa.  — 
La  schiera  di  mezzo  —  guidata  dal  colonnello  Morandi  e 
composta  del  battaglione   lombarde^  dei  mezzi  battaglioni 

iUjLlia  libéra  e  Reno,  da  due  artiglierie  e  un  drappello  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


4S  CAPITOLO    I 


soldati  degli  ingegneri  militari,  in  tutto  mille  uomini  allô 
ihcirca  —  doveva  avanzarsi  contre  il  vallo  costnitto  su  la 
via  ferrata;  e  la  sua  avanguardia,  giunta  presse  la  portata 
délie  artiglierie  del  vallo,  spingersi  avanti  in  ordine  sparso 
a  sinistra  e  a  destra  di  quella  via  allô  intento  di  sopra- 
vanzare  il  torrato  nimico.  Il  grosso  délia  schiera  di  Mo- 
randi,  lasciate  le  due  artiglierie  su  la  via  ferrata  per  ri- 
spondere  ai  cannoni  degli  Austriaci,  spiegate  le  ordinanze, 
seguirebbe  j)arallelamente  il  movimento  délia  sua  avan- 
guardia per  assaltare  quindi  in  compagnia  dei  cacciatori 
del  colonnello  d'Amigo,  da  quella  parte  le  case  fortiflcate 
di  Mestre.  —  La  schiera  di  destra  —  capitanata  dal  colon- 
nello Bignami  e  composta  del  battaglione  dei  volontarl 
bolognesi,  da  una  compagnia  del  seconde  reggimeato  ro 
mano,  di  due  artiglierie  dacampo  e  un  drappello  di  soldati 
degli  ingegneri  militari,  in  tutto  da  seicento  uomini  —  per 
Targine  del  canale  di  Mestre  portandosi  sin  presse  la  por- 
tata dei  cannoni  del  vallo  eretto,  come  dicemme,  dinnanzi 
a  quella  terra,  doveva  ordinare  le  sue  battaglie  a  sinistra 
del  canale  per  sepravanzare  il  vallo  e  le  case,  che  pari- 
menti  da  quella  parte  gli  Austriaci  avevane  munito  di  di- 
fese.  Il  presidie  del  forte  O  -—  il  quale  venue  poscia  chia- 
mate  forte  Manin  —  doveva  uscire  alla  campagna  contr«*\ 
la  picciola  terra  di  Campalte  che  gli  sta  rimpetto,  allô 
scopo  di   divertire  Tattenzione  del  nimico.  Grli  assalitovi 
avevane  da  ultime  a  riunirsi  su  la  grande  piazza  di  Mestri» 
per  opprimerne  i  difensori  cen  tutto  le  sforzo  lero.  —  Al 
colonnello  Morandi  era  state  fldato  il  carice  d'apprestar^ 
in  Malghera  tutto  quanto  peteva  occorrere  alFimpresa  di- 
segnata;  a  lui,  la  cura  di  costrurre  un  passaggio  su  la  via 
ferrata  per  le  artiglierie;  a  lui,  quella  altresi  di  fornin^ 
aile  soldatesche,  chiamate  a  fare  la  giornata,  i  viveri  e  lo 
munizieni.  Aile  due  ore  del  mattino  del  27  ottobre  il  ge^ 
nerale  Pepe  —  seguito  dagli  ufficiali  délie  Stato  Magg'ioroi 
deiresercite  e  da  una  compagnia  di  gente  d'arme  —  arri^ 
vava  al  forte  Malghera  per  bene  assicurarsi  délie  esegni- 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblea  yknbta  49 

mento  pieno  e  intiero  de'  suoi  ordîni  per  l'assalto  di  Mesire. 
Ma  al  suo  gingnervi  il  ponte  o  passaggio  su  la  via  ferrata 
non  era  compiuto  ancora;  e  se  la  schiera  di  mezzo  stavasi 
tntta  raccolta  su  gli  spalti  del  forte,  a  quella  di  destra  — 
cui  era  stato  mutato  il  comandante,  il  Bignami  col  Zam- 
beccari  —  mancava  perô  il  battaglione  bolognese,  il  quale 
yenîva  poscia  aggiunto  alla  schiera  di  Morandi  ;  in  oltre, 
â  cagione  délia  bassa  marea,  non  erano  neppur  giunti  nel 
forte  i  due  cannoni  da  campo  e  il  drappello  di  cayalleggeri, 
il  quale,  sotto  gli  ordini  del  capitano  Dîaz,  doveva  servire 
di  scorta  al  comandante  supremo.  In  sul  far  del  giorno  le 
schiere  di  mezzo  e  di  destra,  spinte  innanzi  da  Pepe,  co- 
perte  da  propizia  nebbia  arrivavano  inosservate  presse  il 
campo  degli  Austriaci  ;  i  quali,  sebbene  preparati  a  soste- 
nere  gli  assalti,  allô  irrompere  violente  deiravanguardia 
di  Morandi,  precipitosamente  indietreggiavano,  riparandosi 
dietro  l'Osellino.  Se  non  che  poco  dopo,  veduta  la  schiera 
che  la  seguiva  avanzarsi  con  passe  incerto  e  al  primo 
trarre  délie  loro  artiglierie  tutta  disordinarsi,  rioccupsr 
vano  Mestre:  onde  Pepe  mandava  sollecito  il  colonnello 
Ulloa  con  la  gente  d'arme  —  la  scorta  sua  —  a  rifare  la 
schiera  scomposta  e  ricondurla  aile  offese;  il  quale,  in 
brevi  istanti  raccoltala,  correva  con  essa  agli  assalti  spal- 
leggiato  da  due  compagnie  di  Lombard!.  AU'urto  impe- 
tuoso  degli  Italiani,  saldamente  sostenuto  dàl  nimico,  suc- 
cedette  una  pugna  lunga  e  féroce,  che  perô  ebbe  fine  con 
la  peggio  degli  imperiali  ;  che  per  tema  d*essere  presi  aile 
«palle,  lasciato  il  vallo  e  le  sue  difese,  riparavansi  in  Mestre. 
Teneva  lor  dietro  Ulloa,  il  quale  dopo  avère  coUocato  tre 
compagnie  di  fanti  bolognesi  a  cavalière  délia  via  ferrata 
di  Padova  per  togliere  agli  Austriaci  presidianti  Fusina 
Q  la  Rana  la  via  di  Mestre,  entrava  in  questa  terra,  pro- 
siegaendo  il  combattimento,  in  quella  che  vi  giugneva 
Zambeccari  con  le  sue  genti.  Era  la  schiera  di  destra,  la 
qnale,  dopo  essersi  impadronîta  del  vallo  costrutto  sul  car 
nale   di  Mestre  e  dei  cannoni  che  le  munivano,  avevane 

4  —  Vol  n.  Mariaht  —  Storia  poU  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


50  OAPITOLO   I 


incalzato  il  presidio  fuggitivo  sino  aU'ingresso  di  Mestre. 
Qui  il  contrasto  diventava  assai  piU  ostinato  e  vigoroso  ; 
gli  assalitori,  gravemente  feriti  da  micidialissimo  fuoco 
nimico,  Indietreggiavano  confusamente  ;  mentre  Pepe  iaten- 
deva  a  riordinarli,  gli  Austriaci,  raccoltisi  su  la  principale 
piazza  di  quella  terra,  preparavansi  alla  resistenza  estrema. 
Per  raggiungerli  era  forza  valicare  il  ponte  deirOsellino, 
che  due  artiglierie  e  una  grossa  mano  di  imperiali  afiTor- 
zatisi  nelle  vicine  case  difendevano,  rendendone  assai  pe- 
ricoloso  l'avVicinarsi  a  quelle.  Il  buon  esito,  in  quel  mezzo 
sortito  agli  sforzi   di-  Morandi,  rese  facile  l'irapresa    alla 
schiera  di  Zambeccari.  Avanzatesi  insieme  le  due  di  mezzo 
e  di  destra  entre  Mestre,  pure  insieme  preeipitavansi  sul  ! 
nimico  ;  il  quale,  con  quanto  furore  veniva  assalito,  con  al-  I 
trettanta  rabbia  si  difendeva:  onde  la  pugna  facevasi  rie  j 
più  sanguinosa  e  fiera;  due  volte  respinti,   due  volte  gli  | 
Italiani  tornavano  alleoflese  ;  insignoritisi  délie  case,  che  gli  I 
Austriaci  avevano  mutato  in  piccioli  forti,  riescivano  a  ; 
cacciare  da  Mestre  gli  imperiali,  che  Mitis,  loro  capltano  | 
—  il  quale  trovavasi  a  Dese  con  le  riscosse  —  non  aveva  I 
saputo  soccorrere  e  sostenere.  —  Mentre  cosi  le  schiere  di  I 
mezzo  e  di  destra  combattevano  e  vittoriavano,  quella  di| 
sinistra  non  avendo  cominciate  le  oflTese  all'ora  stabllital 
dal  comando  supremo,  riportava  lievi  vantaggi  sul  nimico, 
e  non  giugneva  in  tempo  d'appoggiare  le  genti  di  Morandi 
e  Zambeccari  nello  assaltare  Mestre,  come  le  era  stato  or-l 
dinato.  Le  barche  armate  del  colonnello  D'Amigo  tardi  ful-^ 
minarono  Fusina  con  le  loro  artiglierie  ;  e  quando  i  cac-l 
ciatori  del   Sile  mettevano  piede  a  terra,  gli  Austriaci; 
eransi  già  ritirati  da  quella  terra,  in  loro  precipitoso  inn 
dietreggiare  lasciandosi  addietro  i  cannoni,  che  là  tenevano 
per  impedire  lo  sbarco  degli  Italiani.  D'Amigo,  coa  su^ 
genti  divise  in  due  partite,  mosse  contra  le  poste  di  Mal^ 
contenta  e  délia  Rana,  che  i  nimici  abbandonarongli  senzs 
contrasto;  ne  più  egli   procedette  innanzi;  perô  ch.e,  il 
giorno  essendo  innoltrato  dimolto,  e  informato  anche  dell^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'asse^iblea  ybneta  51 

presa  di  Mestre,  facesse  ritorno  a  Fusiaa.  —  L'assalto  di 
Mestre,  il  quale  doveva  avère  solamente  uno  scopo  strate- 
gico  e  che  i  Triumviri  avevano  voluto  che  si  eseguisse 
per  tener  vivo  nei  difensori  di  Venezia  Tardore  di  guerra 
i^  soddîsfare  al  desiderio  di  combattere  tante  volte  manife- 
stato  dairesercito  e  dai  cittadini,  terminô  con  la  cacciata 
degli  împeriali  da  quella  terra.  Gli  Italiani  avrebbero  ot- 
tenuto  piii  splendida  vittoria,  se  il  colonnello  D*Amigo  fosse 
i^iunto  davanti  a  Fusina  alFora  flssatagli  ;  cou  lo  assaltare 
Pnsina  divertendo  egli  Tattenzione  dei  nimici  da  Mestre, 
Morandi  e  Zambeccari  avrebbero  riportati  vantaggi  di 
qualcbe  rilievo  cbe  non  fu  quello  délia  semplice  cacciata 
degli  Austriaci  da  Mestre.  —  Posato  il  combattere,  Pepe 
ordinava  sollecito  aile  sue  genti  di  riedere  ai  loro  allog- 
giamenti  ;  savio  consiglio  qnesto,  avvegnachè  il  maresciallo 
Stiirmer,  che  allora  comandava  le  armi  imperiali  occupant! 
le  Venezie  (1)  e  dirigeva  le  militari  operazioni  intorno 
alFEstuario,  saputo  di  quelVassalto,  avesse  mandate  da  Pa- 
«lova,  sua  stanza,-  grossa  mano  di  soldatesche  verso  Dolo 
«^  Mira,  e  spedito  ordine  al  générale  Perglass  di  recarsi 
'ia  Treviso  a  Dese,  e  al  générale  Macchio  di  correre  sopra 
Mestre  in  aiuto  di  Mitis.  —  Le  schiere  italiane  ritiraronsi 
in  buona  ordinanza;  messi  da  prima  in  salvo  i  feriti,  rac- 
colsero  di  poi  e  seco  condussero  quanto  avevano  tolto  al  ni- 
mico;  il  quale  ebbe  in  quella  giornata  a  lasciare  nelle  mani 
dei  vincitori  da  cinquecento  soldati  prigionieri,  dodici  ar- 
Tiglierie  di  calibre  diverse,  molti  carri  di  munizioni  da 
guerra  e  da  bagaglie,  ealquanticavalli;  inoltre  lasciôsul 
campo  circa  dugento  uomini  uccisi  o  feriti  ;  degli  Italiani 
da  cento  venti  caddero  morti  o  feriti.  Nell'ordinare  l'im- 
presa  di  Mestre  il  générale  Pepe  aveva  disposto  che  una 
presa  di  seicento  armati  uscisse  dal  forte  di  Brondolo  e, 


(1)  Il  2  ottobre  StOrmer  assmiBe  il  eomando  supremo  délie  amd  au- 
striaAhe  nelle  provincie  venete,  rimessogli  da  Welden;  il  quale  era 
allora  stato  creato  govematore  militare  e  civile  di  Vienna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


52  GAPITOLO   I 


valicatâ  la  Brenta,  carcasse  la  contrada  sino  a  Cavanella 
d'Adige,  allô  scopo  di  rivolgere  altrove  l'attenzione  del 
nimico  e  minacciarlo  da  quella  parte  aile  spalle.  Sul  fare 
del  giorno  il  presidio  di  Brondolo  usci  alla  campagna  e 
portossi  a  Cavanella;  ma  non  trovando  nimici  da  com- 
battere,  per  ayere  il  générale  austriaco  pochi  di  innanzi 
posto  a  Cavarzere  l'estremità  destra  del  campo  d'ossidione, 
fece  tosto  ritorno  a  sue  stanze.  Parimenti  nuUa  operô  in  quel 
giorno  il  presidio  del  forte  O  —  cencinquanta  volontari 
romani  —  il  quale  uscito  fuora  era  giunto  a  Mestre,  quando 
già  la  tenevano  le  schiere  di  destra  e  di  mezzo. 

La  giomata  di  Mestre  —  onorevolissima  per  le  arini 
repubblicane  —  se  non  ebbe,  corne  sopra  dicemmo,  scopo 
strategicOy  contribui  perô  possentemente  ad  accrescere 
l'entusiasmo  nei  difensori  di  Venezia  e  rese  efficacissima 
la  speranza  di  difendersi  con  buona  fortuna,  speranza  da 
tutti  nutrita,  aggiugnendo  ad  essa  novello  ardore  di  corn- 
battere;  in  oltre,  fece  nascere  nelle  giovani  milizie  la 
confidenza  nelle  proprie  forze;  e  in  verltà,  quante  volte 
eransi  assaggiate  con  gli  imperiali,  già  in  moite  pugne 
provati,  altrettante  avevano  vittoriato.  Diligenza  somma 
era  nel  capitano  suprême  ;  périzia  di  faccende  guerresche, 
in  molti  ufficiali  dell'esercito,  soprammodo  nei  Napolitani; 
in  tutti  poi,  valore  e  buon  volere  :  onde  la  patria  non  po- 
teva  disperare  di  sua  sainte.  Ma  il  Governo  non  seppe 
profittare  dei  vantaggi  morali  guadagnati  in  queirimpresa  ; 
esso  lasciô  cadere  nelFinerzia  cittadini  e  soldati,  respin* 
gendo  il  consiglio  di  Pepe,  che  voleva  si  proseguisse  cou 
audacia  e  vigore  in  quel  sistema,  si  prosperamente  comin- 
ciato,  di  assalti  e  badalucchi,  i  quali  avrebbero  sempre 
più  fatto  esperto  Tesercito  italiano  nelle  cose  délia  guerra 
e  stancato  il  nimico  assediatore.  Daniele  Manin  am6  ^ 
contrario  ottemperare  ai  desidèri  di  Francia,  i  cui  reggi- 
tori,  lusingandosi  di  indurre  l'Austria  a  far  compren- 
dere  Venezia  nelle  tregue  formate  a  Milano  il  9  agosi»' 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'AS8£MBLEA   VBKETA  63 

rolevano  che  le  armi  délia  repubblica  non  avessero  più  a 
muovere  ad  offesa  contra  quelle  deirimperio.  —  L'impresa 
di  Mestre  yenne  da  Pepe  sariamente  ordinata;  mas^ellV 
vesse  con  maggiori  forze  eseguita,  i  lavori  fortificatorii 
Aegli  Austriaci  sarebbero  stati  distrutti,  e  Tossidione  per 
alquanto  tempo  allargata  con  molto  yantaggio  di  Yenezia. 
In  verp  non  so  trovare  la  ragione  che  indusse  i  Trium- 
Tlri  a  non  volere  con  Tassalto  di  Mestre  raggiungere  scopo 
âtrategico,  possibilissimo  a  ottenersi  con  grande  utile  délia 
difesa  e  grave  danno  degli  assediatori.  —  DeU'errore  dei 
Triumvipi  subito  profittarono  gli  Austriaci.  Il  giorno  dopo 
Tassalto,  Mitis,  occupata  Mestre  con  presidio  numeroso, 
pose  mano  ad  accrescere  le  fortiflcazioni  di  quella  terra  ; 
diede  migliore  ordinamento  aIl*ossidione,  portandone  ad- 
dietro  le  poste,  raccogliendole  in  luoghi  piii  opportuni,  ed 
eziandiio  allô  scopo  di  metterle  al  sicuro  di  nimiche  sor- 
prese  ;  e  fece  piii  diligenti  guardie  ne'  suoi  campi.  Dal 
canto  sue  il  générale  Pepe  con  savio  consiglio  volse  sue 
eure  a  preparare  nuoYi  e  più  vigorosi  assalti  al  doppio 
scopo  di  non  concedere  mai  tregua  agli  assediatori,  di  in- 
darire  aile  fatiche  délia  guerra  le  soldatesche  sue  e  péri- 
gliarle  in  incessanti  pugne.  Avyertito  che  i  presidi  impe- 
riali  di  Cavanella,  Cavarzere  e  Borgoforte  su  TAdige  eransi 
ridotti  in  Rovigo,  conoscendo  l'importanza  di  CavaneUa  — 
chiave  del  basse  Polesine,  onde  per  essa  potevasi  agevol- 
mente  vettovagliare  Yenezia —  fatta  deliberazione  di  recarsi 
in  mano  quella  terra,  comandava  al  générale  Rizzardi, 
che  teneva  Brondolo,  d*occuparne  il  forte  e  accrescerne 
le  difese.  Se  non  che  Bizzardi,  reputando  abbisognare  di 
molto  danaro  e  tempo  per  rimettere  quel  forte  in  buono 
stato»  non  Toccupô.  La  sua  disobbedienza,  la  quale  arrecô 
non  poeo  danno  agli  assediati,  rimase  del  tutto  impunita; 
ebbero  salvato  il  générale  Rizzardi  il  favor  grande  ch'egli 
,?odeva  presse  i  supremi  reggitori  e  la  poca  fermezza  di 
Pepe,  che  avrebbe  dovuto  fare  rispettata  la  propria  auto- 
rità  e  mantenere  severamente  la  militare  disciplina. 


Digitized  by  VjOOQIC 


54  CAPITOLO   I 


Le  buone  novelle  del  soUevamento  d'Ungaria  contra  la 
dominazione  austrîaca  e  il  tornare  délia  squadra  sarda 
nelle  acque  di  Venezia  —  il  28  di  quel  mese  di  ottobre 
arrivata  aU'ancoraggio  di  Pelorosso  —  assicuravano  i  di- 
fensoiî  délia  laguna  délia  vittoria  finale,  divenuti  baldi  per 
li  assàlti  fortunati  di  Cavalllno  e  Mestre.  Se  in  forza  délie 
tregue  di  Milano  le  navi  régie  non  potevano  prendere 
parte  operosa  alla  difesa  di  Venezia,  tenevansi  perô  esse 
preparate  alla  riseossa;  ayvegnachè  la  Sardegna  già  si 
affaticasse  ad  apparecchiare  nuovo  esercito  e  nuoye  armi 
contra  l'Austria.  —  A  prowedere  di  danaro  l'erario  il  Mn- 
nicipio,  dopo  essersi  fatto  mallevadore  verso  i  cittadini 
dei  prestiti  per  lo  innanzi  levati  dal  Governo  (1),  il  6  no- 
vembre di  quell'anno  1848  deliberava  di  anticipare  al  Go- 
verno stesso  in  quattro  rate  mensili  dodici  milioni  di  lire, 
rispondenti  a  una  imposta  annua  di  seicento  mila  lire  per 
venti  anni,  imposta  da  cedersi  poi  al  Comune  ;  la  quale, 
se  per  allora  doveva  gravare  soltanto  le  praprietà  fonr 
diarie  del  dominio  veneto,  sarebbe  stata  in  sèguito  distri- 
buita  con  equa  misura  su  tutte  le  popolazioni  ad  esso 
soggette,  mediante  imposizioni  indirette  (2).  —  In  questo 
mezzo,  più  che  un  vero  desiderio,  una  smania  intempestiva 
di  capitali  mutazioni  agitava  Roma,  Toscana  e  Sardegna; 
da  tutti  gridavasi  e  volevasi  una  Costttuente  italiana, 
corne  quella  che  sola  valesse  a  salvare  la  patria  dai  péri- 
coli  che  la  minacciavano,  e  mantenere  la  pace  allo  in- 
terne, pace  indispensabile  a  condurre  presto  e  a  buon  fine 
gli  apprestamenti  délia  seconda  guerra  contra  il  comune 


(1)  Sommayano  a  cinqne  milioni  di  lire. 

(2)  Il  22  novembre  decretoesi  dal  Governo  on  aumento  d'imposta  di 
ventîcinqne  centesimi  per  lira  d'estimo.  H  Comune  di  Venezia  con  le 
terre  non  occnpate  dal  nimico  aveva  allora  nn  estimo  di  due  milioni  e 
seicento  mila  lire;  esso  sowenne  al  Governo  i  dodici  milioni,  di  cui 
abbisognava,  mediante  carta  monetata,  cbe  ebbe  il  nome  di  moneta  del 
Comune  di  Venezia^  la  qoale  venne  messa  fnora  il  primo  dicembre  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'aSSBHBLBA   VEKBTJL  65 

nimico,  contra  l'Imperio.  Venezia,  quando  seppe  che  i  Mi- 
aistri  di  Toscana  aveyano  acclamato  la  Costttuente  —  dal 
Granduca  pubblicamente  consentita,  ma  in  segreto  osteg- 
giata  —  invitava  i  Triumvîri  ad  accostarsi  a  quelli,  che 
già  eransi  voltî  ai  regnanti  in  Italia  e  aveyanli  chiamati 
a  comporre  in  buon  accordo  la  tanto  desiderata  Assemblea 
nazionale,  che,  appena  posate  le  armi,  doveya  dare  agli 
Italiani  Tordinamento  politico  e  civile,  quale  richiedevanlo 
i  nuovi  tempi,  la  dignità  e  la  grandezza  délia  nazione.  — 
Poco  dopo  il  Circolo  italiano  eleggeva  un  Comitato  di 
cinque  suoi  membri,  cui  dava  il  carico  d'accordarsi  con 
quelle  già  costituito  in  Firenze  allô  scopo  di  promuovere 
la  convocazione  délia  Costttuente.  Moite  artiglierie  e  tutte 
le  campane  di  qnante  chiese  conta  Venezia  salutavano 
con  romorosa  gazzarra  Taurora  del  primo  dicembre,  an- 
oiversario  délia  Lega  Lomibarda  (1);  nella  sera  poi  di 
quel  giorno,  che  il  Governo,  a  eternare  la  memoria  del 
grande  awenimento,  consecrô  a  festa  naztonale,  nel  teatro 
délia  Fenicey  mentre  acclamavasi  dXY Italia  libéra  e  unita 
e  alla  Lega  Lombarda,  una  voce  gridô  la  Costttuente 
italianoj  cui  la  moltitudine  degli  spettatori  col  massimo 
entusiasmo  rispose.  I  Triumviri,  i  quali  erano  poco  favo- 
reroli  alla  grande  Assemblea  dei  rappresentanti  délia  na- 
zione, non  diedersi  per  intesi  di  quel  manifestarsi  délia 
opinione  pubblica;  e  fu  soltanto  verso  il  cadere  dell'anno 
che  costretti  dalla  nécessita  —  perô  che  il  popolo  avesse 
fatto  conoscere  la  sua  volontà  imperiosa  —  decretarono  la 
istituzione  d'una  Assemblea  permanente  dei  rappresen- 
tanti délia  repubblica;  la  quale  doveva  deliberare  su  gli 
interessi  interni   ed  esteriori  dello  Stato,   nel  medesimo 


(i)  n  primo  dicembre  1167  i  depntati  délie  citt&  délia  Lega  —  fei- 
matasi  in  Pontida  il  7  aprile  di  qnell'anno  —  stabilivano  i  patti  délia 
(<mnne  difesa  eontra  Federico  Barharossa;  giniaronli  poscia  i  rappre- 
sentanti di  Venezia,  Verona,  Padova,  Treviso,  Ferrara,  Brescia,  Ber- 
gamo,  Cremona,  Milano,  Lodi,  Piacenza,  Parma,  Hodena  e  Bologna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


56  CAPITOLO   I 


tempo  âssando  le  norme  da  seguirsi  nella  elezione  de'  suoi 
rappresentanti.  Il  20  dicembre  Daniele  Manin,  coq  lettera 
circolare,  invitava  i  parrochi  délia  città  a  istruire  nei  di- 
ritti  politici  il'  popolo,  che  il  lungo  servaggio  aveva  disu- 
sato  dallo  esercizio  di  quelli.  «  Mai  sempre,  scriveva  il 
Triumviro,  e  specialmente  poi  allorquando  difficili  sono  i 
tempi  e  gravi  gli  avvenimenti,  solenne  è  l'atto  coa  cui 
una  nazione,  valendosi  del  suffragio  universale,  nomina  i 
propri  rappresentanti,  e  ripone  nelle  loro  maûi  i  destin! 

délia  patria  comune È  indispensabile,   e    privatamente 

ed  anche  con  la  viva  voce  daU'altare,  di  far  conoscere 
come  nel  doppio  atto  a  cui  ognuno  è  chiamato,  è  riposta 
eminentemente  Tespressione  délia  nazionale  indipendeoza 
e  la  dignità  di  un  libero  cittadino.  Nei  govemi  assoluti  il 
popolo  è  nulla,  e  di  lui  si  dispone  segretamente  a  seconda 
di  particolari  ambizioni  ;  nei  govemi  liherî  invece  il  po- 
polo è  tutto,  e,  se  non  puô  radunarsi  nelle  piazze  per  di- 
scutere  e  statuire,  discute  e  statuisce  col  mezzo  di  rap- 
presentanti a  cui  direttamente  e  liberamente  rilascia  il 
mandate.  »  —  Il  Clero,  a  pieno  comprendendo  Timportanza 
dell'atto  che  dovevasi  compiere  dal  popolo,  in  modo  deg^no 
rispose  allô  invite  di  Manin  ;  e  il  Patriarca  di  Venezia,  fa- 
voreggiatore  délia  Costituente,  in  una  pastorale  a'  suoi 
diocesani  ebbe  allora  a  parlare  queste  generose  parole  : 
«  Freme  già  intorno  un  nuovo  nembo  di  guerra  ;  la  Ghiesa 
è  in  lutto  ;  il  monde  intero,  si  puô  dire,  in  iscompiglio  ;  e 
Venezia  solamente,  sotto  la  protezione  di  Maria,  come  la 
casa  di  Obededom,  albergatrice  dell'-^rca,  resto  sempre 
tranquilla,  come  se  nuUa  di  nuovo  fosse  avvenuto  ne  dentro, 
ne  fuori  di  essa;  ma  nella  stessa  sua  tranquillità  ne  rimane 
ancora  molto  a  desiderare  per  essere  felice.  Finchè  le  sue 
sorti  non  sieno  decise  ;  finchè  non  le  si  riapra  una  libéra 
comunicazione  con  le  città  sorelle;  finchè  non  si  striag-a 
tra  essa  e  tutto  il  resto  d'Italia  quella  compatta  e  stabile 
unione  a  cui  mirano  i  voti  comuni,  non  puô  non  sentîre 
le  angustie  di  una  affannosa  incertezza.  Per  questo   avvi- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LASSBMBIiXik   YBXETA  57 

saroûo  saggiamente  i  rettori  délia  cosa  pubblica»  che  si 
trascelgaao  da  ogni  contrada  i  piii  qualiâcati  cittadinl^  i 
quali,  formando  in  un  dato  giorno  un  autorevol  consesso, 
coaoscano  e  propongano  e  stabiliscano  ci6  che  parrà  loro 
piii  espediente  alla  condizione  délia  patria.  >  Eletti  furono 
proprio  quelli  che  il  paese  si  meritava»  avyegnachè  il  mag- 
gior  numéro  dei  rappresentanti  suoi  appartenesse  alla 
parte  libérale. 

Il  15  febbraio  1849  aprissi  la  grande  Assemblea;  i  rap- 
presentanti dello  Stato  veneto,  asaistita  da  prima  la  messa 
solemie,  celebratasi  nel  maggior  tempio  dal  cardinale  Pa- 
triarca,  raccoglieyansi  di  poi  nel  palazzo  ducale.  FaVellô 
primo  DanieleManin;  il  quale,  dopo  aver  dette  délie  con- 
diaoni  politiche,  in  cui  erasi  trovata  Venezia  dal  giorno 
di  sua  spontanea  dedizione  al  principato  sabaudo  sino  a 
quelle  che  allora  correva,  fece  conoscere  quanto  i  Trium- 
viri  avevano  operato  durante  il  loro  governo.  Si  discusse 
quindi  neU'Assemblea  a  lungo  e  caldamente  su  la  latitu- 
dine  da  darsi  alla  parola  cittadinanza,  usata  nella  legge 
elettorale;  e  venue  ad  essa  conceduto  il  senso  piii  lato  per 
le  eloquenti  parole  di  Niccolô  Tommaseo;  il  quale,  per 
istanza  sua  richiamato  da  Parigi,  aveya  âno  dal  20  gen- 
naio  fatto  ritorno  a  Venezia  (1).  Nelle  riunioni,  che  poscia 
seguirono,  TAssemblea  ebbe  confermati  nel  reggimento  délia 
cosa  pubblica  «  con  poteri  straordinari  Manin,  Graziani 
e  Cavedalis  —  la  cui  dittatura  avéra  avuto  fine  il  giorno 
in  cui  quella  Assemblea  era  stata  costituita  — per  quanto 
nguardava  la  difesa  dello  Stato,  esclusa  perd  la  facoltà 
di  prorogare  o  scipgliere  f  Assemblea.  >  NeU'adunanza  del 
22  febbraio  Manin  parlô  délie  relazioni  di  Venezia  con  gli 
altri  Stati  dltalia  e  con  Francia;  délie  pratiche  tenute 


(1)  Oratore  di  Venezia  presso  la  repnbblica  francese  and6  allora  "Va- 
lentmo  Pasdni,  anche  col  earico  di  tutelare  gli  interessi  di  Venezia  al 
Oongreaso  di  Bruxelles. 


Digitized  by  VjOOQIC 


58  OAPITOLO  I 


con  gli  Stati  mediatori  per  sospendere  —  mentre  trattavasi 
di  pace  —  la  gaerra  su  la  laguna,  e  disse  del  diniego  del- 
l'Austria  ;  lesse  di  poi  la  risposta  del  ministre  Bastide  al- 
raiuto  implorato  délie  armi  francesi,  aiuto  che  il  Governo 
délia  repubblica  non  poteva  siio  malgrado  accordare  per 
essersi  gli  Italiani  chiariti  avversi  a  ogni  straniero  inter- 
vente.  —  Approvate  le  norme  che  dovevano  reggere  TAs- 
semblea  e  dichiaratasi  questa  difflnitivamente  costituitcby  i 
Triumyiri  proponevano  che  si  avesse  a  trattare  délia  forma 
d'un  nuovo  governo,  nel  tempo  stesso  aflTermando  d'essere 
pronti  a  rinunziare  al  loro  officie  e  alla  potestà  dittato- 
riale.  —  Già  dieci  volte  i  rappresentanti  veneti  eransi  rac- 
colti'a  consulta,  ne  ancora'  avevano  parlato  délia  Costi- 
tuente  italiana  ;  indarno  gli  oratori  di  Roma  e  di  Toscana, 
recatisi  a  Venezia  per  trattare  di  essa,  avevano  tentato  ra- 
nime dei  supremi  reggitori  délia  repubblica;  invano  se- 
vente  e  in  modo  solenne  i  Yeneziani  eransi  manifestati  a 
quella  favorevole;  avversata  con  poca  lealtà  dagli  uomini 
del  Governo,  non  difesa  ne  sostenuta  da  quelli  deU'Assem- 
blea,  la  Gostituente  veniva  lasciata  da  parte.  Nella  tema 
che  i  Trlumviri  rinunziatori  non  fossero  dairAssemblea 
confermati  nella  suprema  potestà,  gli  amici  loro,  risoluti 
di  appoggiarli  a  ogni  costo,  seminando  nel  popolo  le  piii 
brutte  menzogne  le  spinsero  contra  la  parte  onestamente 
repubblicana.  Dicevano  quei  tristi  :  =  Trovarsi  in  seno  al 
grande  Consesso  alcuni  i  quali,  fingendosi  partigiani  ar- 
rabbiati  délia  repubblica,  tendevano  perô  ogni  loro  sforzo 
al  potere  dittatoriale,  di  cui  volevano  insignorirsi  all'ini- 
quo  scopo  di  rimettere  Venezia  in  soggezione  deirAustria  ; 
in  oltre,  sfacciatamente  affermavano  volere  Sirtori  sostî- 
tuire  se  stesso  a  Manin;  bassa  calunnia,  che  non  poteva 
in  nulla  ferire  quell'uomo  di  virtù  antica  e  note  a  tutti 
per  esere  délia  libertà  svisceratissimo  e  délia  liberià  stesso 
benemerito.  —  Il  5  marzo  una  moltitudine  innumerevolo 
di  popolo  accalcavasi  dinnanzi  alla  porta  del  palazzo  du* 
cale,  e  gridando  tHva  Manin,  abbasso  Sirtori,  minacciava 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assembiiBA  ybxeta  59 

invadere  rAssemblea  per  insultare  i  rappresentan-ti  del 
popolo  stesso  awersi  al  Triumviro  e  dar  morte  aU'emulo 
suo.  Mani  yendute  a  faccendieri  disonestamente  ambiziosi 
ayeyano  nel  mattino  afflsso  ai  canti  délie  vie  di  Yenezia 
cartelli  infami,  sui  quali  leggevasi:  «  Vogliamo  Manîn  dit- 
tatore  assoluiOy  àbbasso  Sirtori.  >  È  fama,  avéré  le  guardie 
cittadine  impedito  il  togliersi  di  quei  cartelli;  se  ciô  è  vero^ 
esse  vituperaronsi,  e  la  forza  armata,  che  non  ardi  strap- 
parli  dal  muri,  quel  di  commise  una  viltà.  —  Il  romore 
popolare  non  isbigotti  TAssemblea,  la  quale  tennesi  ferma 
e  serena,  respingendo  persino  il  partito  del  deputato  Ave- 
sani  —  che  avrebbe  voluto,  s'avessero,  seduta  stante,  a  con- 
fermare  i  Triumviri  nell'usato  offlcio  —  per  discutere  e 
risolvere  il  giorno  vegnente  sopra  il  grave  argomento  con 
maggiore  tranquillità. 

Da  che  a  Manin  venne  saputo  gridarsi  dal  popolo  il  suo 
nome  ed  essere  egli  stato  preso  a  proteste  di  quel  tumulte 
per  gli  interessi  privati  o  per  le  mire  ambiziose  di  alcuni 
suoi  amici,  corse  al  palazzo  ducale.  Era  tempo;  perô  che 
le  guardie  cittadine  non  potessero  più  frenare  i  tumul- 
tuanti,  ne  rattenerli  dallo  irrompere  in  mezzo  alFAssem- 
blea;  e  allora  Manin,  fatto  col  suo  corpo  argine  all'onda 
degli  invaditori,  disse  a  questi  :  «  Se  mi  amate,  allontana- 
te?i  di  qui  ;  »  e  siibito  la  moltitudlne  tumultuaria  si  ri- 
trasse,  non  quietossi  perô,  ne  si  disperse  ;  che  anzi,  quando 
vide  Sirtori  uscire  di  palazzo,  ripetè  contra  lui  il  féroce 
grido  di  morte.  L'ira  di  quella  gente  forsennata  non  inti- 
mori  quell'uomo  fortissimo;  il  quale,  a  Manin  che  voleva. 
riparasse  entre  la  sua  gondola  per  togliersi  al  pericolo  che 
lo  minacciava,  rispondeva:  =  Nulla  temere;  essere  con- 
tento  di  sacrificarsi  per  la  giustizia  délia  causa,  da  lui 
presa  a  difendere.  =  Dette  ciô,  cacciossi  audacemente  in 
mezzo  alla  folla  romoreggiante;  e,  senza  patire  danno  ne 
insulto,  si  ridusse  a  sua  casa  :  il  suo  coraggio  Tebbe  sal- 
vato  !  —  Il  giorno  vegnente  Niccolô  Tommaseo  ai  rappresen- 
tanti  congregati  in  Assemblea  prese  a  parlare  cosi:  «  lo 


Digitized  by  VjOOQIC 


60  GAPITOLO   I 


non  ho  mai  accagionato  il  Governo  di  quello  di  che  esso 
si  scolpa;  ho  distinto  i  goyernanti  dall'offlcio  di  pubblioa 
vigilanza;  e  a  qaesto  stesso  non  rimproverai  malYOlere, 
ma  aonno.  Tatti  sanno  quante  scritte  offendenti  il  decoro 
di  città  libéra  si  sieno  lette  in  questi  giorni  pe'  canti, 
scritte  la  oui  uniformità  e  correttezza  indicava  altra  mano 
che  quella  dell'onesto  e  povero  popolo  ;  tutti  sanno  che  una 
stampa  faziosa,  senza  nome  d'autore,  ma  col  nome  délia 
stamperia,  fu  anch'essa  afâssa  pe'  canti,  e  che  l'autorità 
non  euro  ne  punire  Tatto  colpevole  e  nemmeno  ripren* 
derlo;  tutti  sanno  il  cartello  insolente  —  insolente  lo  chia- 
mai  io,  minacciose  altre  scritte  —  il  cartello  insolente  ap- 
peso  alla  porta  di  questo  palazzo,  e  che  rimase  11  per  piii 
ore;  tutti  sanno  che  grida  di  morte  e  di  vitupère  furono 
impunemente  scagliate  contra  alcuni  degli-  eletti  del  popolo 
e  contra  le  loro  famiglie  —  e  avrei  bramato  che  il  biasimo 
di  tanta  indegnità  da  altre  labbra  uscisse  prima  che  dalle 
mie;  tutti  sanno  che  ventimila  e  piii  uomini  di  milizia  a 
certuni  parvero  non  bastare  a  difendere  all*Assemblea  la 
libertà  dei  suffragi,  e  a  voi,  cittadini,  la  vita;  e  che,  se 
Taltro  ieri  la  vostra  fermezza  non  era,  sarebbesi  sparso 
per  ritalia  il  grido  che  i  tumulti  délia  piazza  fecero  alla 
coscienza  vostra  turpiasima  violenza.  I  fatti  accennati  sono 
riconosciuti  per  veri  da  molti  de'  nostri  coUeghi,  e  la  co- 
scienza del  paese  li  afferma.  Puô  Tonorevole  oratore  scu- 
sarne  taluno,  negare  le  cose  notorie  non  puô.  Parle  senza 
rancore;  e  già  fin  da  principio  dimostrai  di  sapere  fran- 
camente  consentire  e  dissentire  da  esso.  L*onor  suo  mi  è 
caro,  come  Tonore  del  popolo  ch'egli  governa.  Noi  sappiamo 
le  benemerenze  sue  verso  la  patria;  egli  sa  che  la  nostra 
iiberazione  è  opéra  di  molti  uomini,  di  molti  eventi;  che 
due  soli  ne  sono  gli  autori  dawero,  il  popolo  e  Dio.  La 
fiducia  che  in  lui  pone  il  popolo,  i  doveri  che  gli  impone 
Dio  lo  faranno  maggiore  délie  ambizioni  plmmee,  più  forte 
degli  odi  meschini  che  ci  trasciniam  dietro  come  servili 
catene.  Siam  tutti  piccioli,  tutti  dappoco,  solo  una  cosa  è 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'asbbhblsa  ysneta  61 

grande:  la  patria.  >  Aile  savie  parole  di  Tommaseo,  le  quali 
suonavano  grave  bîasimo  airoperato  di  chi  doveva  vegliare 
al  conservamento  delFordine  pubblico,  rispose  Manin.  Dopo 
avère  con  poca  modestia  esaltato  se  stesso  per  tutto  quanto 
di  utile  e  di  decoro  alla  patria  era  stato  da  lui  compiuto 
durante  il  tempo  del  suo  governo,  allô  intento  di  giustiâ- 
care  il  Comitato  di  vigilanza  studiossi  di  provare,  con 
ragioni  speciose  ma  non  giuste,  i  romori  del  giorno  in- 
nanzi  essore  stati  di  assai  lieve  momento;  per  la  quale 
cosa  TAssemblea  non  doveva  occuparsene.  Nello  interesse 
délia  verità  dobbiamo  far  conoscere  che  Daniele  Manin, 
caduti  a  vuoto  i  due  tentativi  di  sciogliere  amichevolmente 
gli  assembramenti  tumultuosi  del  popolo  minacciante  di 
violare  il  sacro  recinto  dei  rappresentanti  del  paese,  <  veg- 
gendo  non  bastare  le  sue  parole,  com'ebbe  egli  stesso  ad 
aflfermare  pubblicamente  ai  deputati  veneti,  ricordatosi  di 
quelle  che  aveva  operato  nel  marzo  1848,  prese  la  spada 
e  postosi  alla  testa  di  un  drappello  di  guardie  cittadine,  col 
fîgliuol  suo,  quasi  fanciullo,  al  flanco,  entrô  nel  cortile 
dell'Assemblea,  risoluto  di  difenderne  l'entrata  a  costo 
délia  propria  vita  e  di  quella  altresi  del  flgliuolo  ;  il  popolo 
avrebbe  portante  dovuto  calpestare  i  loro  cadaveri  per 
invadere  TAssemblea.  »  —  Il  tumulto  fu  oltre  ogni  dire 
minaccioso  e  ostinato;  tanto  che  per  vincerlo  Manin  do- 
vette  impugnare  la  spada.  In  quel  medeslmo  giorno  —  il 
6  marzo  1849  —  il  fiero  Triumviro,  ricordato  aU'Assemblea 
che  sîno  dal  17  febbraio  essa  aveva  dichlarato  che  per  lo 
costituirsi  suo  era  cessata  la  Dittatura,  caldamente  sup- 
plicô  i  rappresentanti  veneti  a  provvedere  solleciti  la  re- 
pubblica  di  un  nuovo  governo.  «  Questo  nuovo  governo, 
disse  Manin,  saprà  TAssemblea,  saprà  il  paese,  saprà  egli 
stesso  di  avère  la  fiducia  dei  rappresentanti  del  popolo  »  (1). 


(l)  Eeco  la  parte  piû  importante  del  discorso  di  Manin  all'Assemblea 
dei  rappresentanti  del  paese.  —  «  n  Governo  ayeva  crednto  che  le  ra- 


Digitized  by  VjOOQIC 


62  OAPITOLO   I 


—  Fu  allora  che  il  deputato  Olper  mise  innanzi  la  pro- 
posta di  eleggere  à'urgenza  Daniele  Manin  capo  del  potere 
esecutivo,  con  ampia  autorità  di  provvedere,  corne  meglio 
credesse,  alla  difesa  interna  ed  esteriore  di  Venezia  e  délia 
sua  laguna,  e  col  diritto  altresi  di  prorogare  l'Assemblea, 
riserbando  perô  a  questa  la  potestà  costiitiente  e  legisla- 
tiva.  Nel  di  vegnente  Sirtori  parlô  cosi  contra  la  proposta 
di  Olper  :  =  Non  potersi  riunire  in  una  sola  persona  tutti 
i  poteri,  ne  tutta  la  malleveria,  non  essendo  in  facoltà 
deirAssemblea  di  rinunziare  a  un  mandate  ricevuto  dal 
popolo  e  non  ancora  adempiuto.  Dovere  il  capo  del  Go- 
verno  esercitare  il  potere  esecutivo  per  mezzo  di  Ministri 
che  abbiano,  al  pari  di  chi  li  presiede,  a  dare  guarentîgie 
sicure  dell'opera  loro.  AU'onore  deirAssemblea,  del  paese 


gioni,  dalle  quali  l'Assemblea  era  stata  indotta  a  concedere  tempara- 
neamente  lo  eserclzio  del  potere  esecutivo  ai  tre  che  erano  stati  ditta- 
tort,  dopo  il  costituirsi  di  essa  fossero  cessate,  e  occorresse  oocuparsi 
Immediatamente  délia  elezione  di  un  Goyemo  nnoYo  ;  essendo  il  présente 
toUerato  per  la  nécessita  del  momento,  non  ha  dnnque  nessnna  autorità 
morale.  Esso  trovasi  in  quelle  condizioni  in  cni  troverebbersi  i  ministri 
di  un  paese  costituzionale,  che  avessero  dato  la  loro  rlnunzia  e  dovea- 
sero  continuare  a  sbrigare  gli  a£fari,  finchè  subentrassero  nuovi  ministri. 
In  quelle  stato,  che  suol  chiamarsi  di  crisi  ministeriale,  e  che  in  tutti 
i  paesi  si  cerca  che  duri  pochissimo ,  perché  la  lunga  durata  puô  in- 
durre  pericolo,  i  Govemi  pensano  soltanto  all'oggi,  e  non  possono  peu- 
sare  e  proyyedere  al  domani;  noi  poi  siamo  in  condizioni,  che  che  si 
dica,  diverse  dagli  altri  paesi.  Questo  Stato  ô  un  campo  trincerato;  que- 
sto  popolo  è  un  esercito,  per  condurre  il  quale  occorre  potenza  e  Tigore; 
abbiamo  il  nimico  che  ci  oppugna  all'estemo  con  le  armi,  allô  interne 
con  la  discordia.  lo  dunque  debbo ,  in  nome  anche  de'  miei  colleghi , 
dichiarare  che  non  ci  sentiamo  nô  autorità,  nô  forza  per  govemare 
cosi;  e  quindi  debbo  supplicare  l'Assemblea  che  proweda  immediata- 
mente a  qualche  cosa  di  più  stabile.  Quando  io  dico  stabile,  non  intendo 
dire  définitive,  perché  tutto  ô  temporaneo,  ma  che  perô  non  abbia  a 
durare  solamente  da  un'ora  all'altra.  Questo  Govemo  nuovo  qnalunquei 
che  sarà  costituito,  saprà  l'Assemblea,  saprà  il  paese,  saprà  egli  stesso 
d'avere  la  fiducia  dei  rappresentanti  del  popolo;  noi  al  contrario  ci5 
non  sappiamo,  percha  tollerati  e  non  eletti.  > 


Digitized  by  VjOOQIC 


L^ASSEMBIiEA   YENBTA  63 

e  del  Governo  stesso  disconvenire  i  poteri  straordinari,  i 
qnali  concedonsi  soltanto  in  tempi  di  tumulto  o  di  forte 
agitazione.  =:  Conchiuse  poscia  il  suo  dire  cosi  :  «  Lo  stesso 
Manin  ci  annuQziavay  il  tumulto  deiraltro  giorno  essere 
stato  un  picciolissimo  tumulto  :  ora  noi  dobbiamo  dimostrare 
in  fatto  che  il  tumulto  non  era  taie  da  far  paura  a  chi 
che  sia;  e  mostriamolo  coi  fatti,  costituendo  il  Governo 
normalmente,  corne  si  farebbe  nelle  circostanze  ordinarie.  » 
Non  estante  le  sennate  osservazioni  di  Sirtori,  aile  quali 
erasi  awicinato  Niccolô  Tommaseo,  dopo  non  lunga  discus- 
sione  venue  mandata  a  partito  la  proposta  di  Olper;  rac- 
colti  i  suflTragi  se  ne  trovarono  centotto  favorevoli,  due  con- 
trari  ad  essa.  L'Assemblea  ebbe  allora  commesso  un  atto 
non  di  prudenza^  ma  di  servile  sommissione  a  Daniele 
Manin,  che  da  quel  giorno  fu  arbitre  dei  destini  délia  re- 
pnbblica  (1).  Assunta  la  podestà  dittatoriale,  egli  confer- 
mava  nell'usato  offlcio  di  Ministri  sopra  le  armi  e  sopra 
la  marineria  di  guerra  i  compagni  suoi  nel  triumvirato, 
Cavedalis  e  Grazîani  ;  assai  meglio  avrebbe  proweduto  allô 
intéresse  délia  patria  e  alla  propria  fama  allontanandoli 
da  se;  e  le  ragioni  abbiamo  fatto  conoscere  più  sopra. 

n  re  Carlo  Alberto,  perduta  ogni  speranza  di  comporre 
pacificamente  la  contesa  sua  con  l'Austria  —  la  quale  aveva 
bensi  deliberato  di  prendere  parte  aile  conferenze  di  Bru- 
xelles, ma  perô  allora  soltanto  che  dagli  Stati  mediatori 
si  fossero  tenuti  inviolaMli  i  trattati  del  1815  —  il  12  di 
quel  mese  aveva  inditta  la  guerra  airimperio.  Daniele  Manin, 


(1)  Ecco  la  proposta  di  Olper:  «  1^  L'Assemblea  nomlna  un  capo  del 
poteie  esecntÎTO,  col  titolo  di  présidente,  nella  persona  di  Daniele  Manin. 
^  L'Assemblea  conserva  in  sô  il  potere  costitnente  e  legislativo.  3^  Al 
présidente  Manin  â  data  ampia  potestà  per  la  difesa  interna  ed  estema 
'iel  paese,  non  esclnso  il  diritto  di  aggiomare  TAssemblea.  4^  Nei 
<^  di  nrgenza  il  présidente  potrà  fare  disposizioni  législative,  con  ob- 
%o  di  farle  poscia  samdonare  dalFAssemblea.  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


64  CAPITOLO   I 


di  quei  gîorni  accostatosi  alla  Sardegna,  tosto  che  seppe 
del  prossimo  cominciarsi  délie  nimistà  —  notizia  questa 
pervenutagli  nella  sera  del  14  marzo  —  a  fine  di  potersi 
tutto  consacrare  ai  preparamenti  di  guerra,  prorogava  di 
quindici  giorni  il  piunirsi  deirAssemblea;  la  quale  novella 
riempi  di  gioia  1  cittadini  e  d*entusiasino,  che  subito  appa- 
recchiarono  le  armi  per  uscire  alla  campagna  a  far  prova 
délia  for  tuna  e  del  loro  valore  e  liberare  la  patria.  —  Poco 
dopo  la  disfatta  di  Mestre,  Radetzky  aveva  surrogato  11  gé- 
nérale Qoltz  in  luogo  di  Mitis,  che  erasi  lasciato  sorpren- 
dere  dal  nimico  ne*  suoi  campi,  non  ostante  fosse  stato  a 
tempo  avvertito  da  una  spia  dell'assalto  che  Pepe  appareo- 
chiava  ;  in  oltre,  il  maresciallo  aveva  accresciuto  Tesercito 
campeggiante  attorno  aU'Estuario  per  afforzarne  Tossi- 
dione.  Era  quelle  composte  di  due  divisioni,  che  insieme 
contavano  ventimila  soldati  allô  incirca;  la  divisione  di 
destra,  capitanata  dal  générale  Susan  e  forte  di  due  bri- 
gate  di  fanti,  dal  fiume  Brenta  scendeva  al  Po  ;  quella  dî 
sinistra,  governata  dal  générale  Perglass  e  composta  di  tro 
brigate  di  fanti,  stendevasi  da  Mestre  sino  al  fiume  Piave. 
Mentre  da  moite  terre  délie  provincie  venete,  soprammodo 
dal  Friuli,  la  gioventù  piii  animosa  correva  a  ingrossare 
Tesercito  italiano,  che  su  la  laguna  teneva  alto  con  onore 
la  bandiera  nazionale,  le  schiere  pontificie  lasciavano  Ve- 
nezia  per  recarsi  a  Roma  a  difendervi  i  nuovi  ordini  e  la 
repubblica,  la  quale  per  la  fuga  del  Ponteflce  a  Gaetîi, 
avvenuta  il  25  novembre  1848,  eravi  stata  festosamente 
acclamata.  11  mattino  del  17  dicembre  di  queU'anno  la  di- 
visione del  générale  Ferrari  —  cinque  mila  uomini  allô 
incirca  —  avviavasi  alla  città  eterna;  nel  licenziarla,  Pepe 
ne  encomiô  il  valore,  di  cui  in  tutta  la  guerra  aveva  ilato 
splendide  prove,  e  tanto  eflîcacemente  aveva  cooperato  alla 
difesa  di  Venozia.  Il  Circolo  italiano  in  nome  del  popolo 
veneziano  le  donô  una  bandiera,  pegno  d'amore  fraterno,  su 
la  quale  stava  scritto:  Italia  libéra  ed  una;  a  Rama  e 
Venezia.  A  riempire  il  vuoto,  che  il  partire  délie  genti  ro- 


Digitized  by  VjOOQIC 


Ii'ASSEMBLEA  YEN£TA  65 

mane  doveva  fare  neU'esercito,  il  Ministro  sopra  le  armi, 
Cavedalîs,  con  decreto  del  9  dicembre  aveva  ordinato  il 
comporsi  di  quattro  battaglioni  di  fanti  ;  dei  volontari  del 
Gadore,  di  Belluno,  di  Feltre  e  dei  sette  Comuni  costitui  la 
legione  dei  Caccîatori  délie  Alpi,  e  furono  due  battaglioni  ; 
dei  volontari  friulani,  un  battaglione  ;  e  un  altro  di  Cac- 
eîatorî  del  Sîle  (1);  in  oltre,  institui  la  legione  JDalmaUh 
Istriana  coi  volontari  di  queste  provincie,  legione  che  non 
ebbe  a  contare  piii  di  sessantacinque  soldati.  Un  mese 
(îi  poi  decretava  la  legione  Euganea,  che  doveva  comporsi 
dei  volontari  di  Padova,  Vicenza  e  Rovigo;  i  quali,  per 
isfuggire  alla  chiamata  delFAustria,  in  gran  numéro  eransi 
portati  a  Venezia.  Allô  scopo  d'avere  pronti  per  li  bisogni 
dell'esercito  offlciali  bene  istniiti  in  tutti  gli  ordini  délia 
miiizia  e  nelle  cose  délia  guerra,  il  3  febbraio  dal  Ministro 
sopra  le  armi  instituivasi  una  coorte  di  veliti,  composta 
di  giovani  forniti  di  buoni  studi. 

Sino  dairs  febbraio  erano  giunti  in  Venezia  Cesare  Cor- 
renti  e  il  générale  Olivieri,  degli  ingegneri  militari  del- 
l  esercito  sardo,  il  quale  ultime  era  stato  chiesto  da  Pepe 
a  Carlo  Alberto  per  discutere  insieme  su  le  faccende  délia 
guerra  —  ch'  egli  sperava  non  lontana  —  e  fargli  cono- 
scere,  nello  interesse  dei  due  Stati,  i  disegni  suoi  intorno 
ai  modi  diversi  d'uscire  alla  campagna  e  di  condurre  le 
militari  operazioni  (2)  ;  i  quali  modi  egli  faceva  dipendere 
dal  vario  ordinarsi  degli  Austriaci  per  l'impresa  contra  la 
Sardegna.  Se  Radetzky,  diceva  Pepe,  avesse  a  raccogliere 
sue  genti   dietro  il  Mincio  e  nei   trinceroni  di   Verona, 


(1)  Di  Cacciatori  del  Sik  esisteva  già  un  battaglione. 

(2)  Sino  dal  dicembre  il  générale  Pepe  aveva  spedito  disegni  di 
iraeTra  al  Re  sardo.  —  Cesare  Correnti  veniva  allora  al  Govemo  ve- 
neto  portatore  di  centonovantanovemila  lire  raccolte  in  Piemonte  per 
Venezia.  H  23  febbraio  gingnevano  pnre  a  qnel  Govemo,  e  per  mezzo 
del  console  sardo,  lire  novemila  e  trecentottantadne,  mandate  dagli  Ita- 
liani  abitahti  il  Perû  a  favore  délia  causa  patria;  il  qnal  danaro  per 
Tolere  di  Carlo  Alberto  era  stato  spedito  a  Venezia. 

5  —  VoL  n,  .  ^LkBTAKi  —  Storia  pol.  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


6G  CAFITOLO   I 


lasciando  le  divisioni  di  Perglass  e  Susan  a  guardia  del- 
Talto  Veneto  e  alla  ossidione  deirEstuario,  egli,  fortiflcata 
la  terra  di  Coache  —  che  giaco  sul  canale  o  taglio  nuo- 
vissimo  del  Brenta  —  afforzato  altresi  Borgoforte  su  TA- 
dige  e  presidiata  Malghera  d*una  brigata  di  fanti,  con  altre 
due  brigate  e  due  squadroni  di  cavalleggeri  e  due  batterie 
di  cannoni  da  Chioggia  invaderebbe  il  Polesine  per  susci- 
tarvi  soUevazioni  e  tumulti  contra  TAustria,  valicando  il 
Brenta  al  suo  mettere  foce  in  su  TAdriatico,  e  TAdige  a 
Cavarzere.  Discenderebbe  poscia  verso  il  Po  allô  scopo  di 
appoggiare  l'assalto,  che  darebbesi  alla  cittadella  di  Fer- 
rara  dalla  divisione  di  Mezzacapo  —,  forte  di  circa  otto  mila 
uomini  e  sedici  artiglierie  da  campo  —  che  in  quel  mezzo 
toneva  Bologna.  Fatta  Timpresa  di  Ferrara  e  riunite  le 
sue  armi  a  quelle  di  Mezzacapo,  Pepe  andrebbe  contra  gli 
Austriaci,  che  stringevano  Venezia,  per  romperne  Tossi- 
dione  ;  non  difficile  impresa  questa  mercè  l'aiuto  del  pre- 
sidio  di  Malghera;  il  quale  uscito  alla  campagna  corre- 
rebbe  la  contrada,  che  da  Mestre  scende  al  Bacchiglione 
e  a  Chioggia.  —  Qualora  Radetzky,  in  luogo  di  tenersi  in 
su  le  difese  al  Mincio  e  nei  campi  fortiflcati  di  Verona, 
risoluto  di  assalire  il  nimico,  passasse  il  Ticino  con  tutto 
lo  sforzo  suo  di  guerra,  il  générale  Pepe,  vinto  da  prima 
il  presidip  di  Ferrara,  getterebbesi  di  poi  con  tutte  le  sue 
armi  sopra  le  genti  di  Perglass  e  Susan  per  romperle  e 
impedir  loro  la  ritratta  su  TAdige  e  il  congiungersi  allV 
sercito  del  maresciallo.  Se  Pepe  fosse  uscito  fuora  dalla 
laguna  per  condurre  a  effetto  i  suoi  disegni  di  guerra  — 
in  verità  saviamente  concepiti  —  il  giorno  medesimo  in 
cui  Carlo  Alberto  avesse  disdetto  aU'Austria  le  tregue 
formate  a  Milano,  quoi  disegni  avrebbero  non  poco  giovato 
alla  buona  riuscita  délie  militari  operazioni  délia  nuora 
guerra,  che  la  Sardegna  doveva  combattere;  perô  che 
Radetzky,  perdu  ta  Ferrara  e  minacciato  aile  spalle  da 
Pepe  e  da  Mezzacapo,  non  avrebbe  valicato  il  Ticino  con 
Tesercito  intero  per  aflforzare  i  presidi  di  Verona  e  Man- 


Digitized  by  VjOOQIC 


l'assemblea  teneta  67 

tova;  0  sarebbesi  raccolto  con  tutte  sue  forze  entro  il 
(iuadrilatero  y  nel  quale  poteva  con  maggiore  efflcacia 
provredere  alla  difesa  délie  sue  fortezze  e,  al  bisogno, , 
correre  in  soccorso  délie  divisionl  campeggianti  le  pro- 
vincie  venete  e  la  laguna.  Nel  primo  caso  i  Sardi  sareb- 
bersi  trovati  a  Novara  in  numéro  prépondérante  agli  Au- 
striaci  :  laonde  facile  cosa  per  essi  vincero  la  giornata  ; 
e  nel  seconde  caso,  l'esercito  di  Carlo  Alberto  portate  per 
la  seconda  volta  le  oflTese  su  l'Adige,  avrebbe  potuto  unirsi 
aile  genti  venete  e  romagnole,  comandate  da  Pepe  e  Mez- 
zacapo,  e  operare  di  concordia  con  esse  contra  il  comune 
iiimico.  Se  non  che  il  tarde  giugnere  a  Daniele  Manin 
délia  lettera  di  Paleocapa  —  di  quel  giorni  Ministre  di 
Carlo  Alberto  —  annunziatrice  del  piprendersi  délie  ni- 
raistà  —  la  quale  lettera,  come  sopra  dicemmo,  perveniva 
in  Venezia  il  14  marzo,  cioè  due  giorni  dopo  la  intima- 
zione  di  guerra  aU'Austria  -—  toise  ai  disegni  del  générale 
Pope  buona  parte  del  loro  valore  (1)  ;  e  taie  danno  fu  ac- 
cresciuto  dimolto  dalla  lentezza  di  operare  del  vecchio 
générale  napolitano,  di  disegni  ^i  guerra  assai  fecondo  e 
facile  nel  concepirli,  ma  tarde  a  risolvere  e  ancora  più 
tarde  a  mandare  a  effetto  quanto  deliberava  di  fai'o.  — 
Guglielmo  Pepe  avrebbe  potuto  facilmente  levare  agli  Au- 
striaci  le  vie  di  comunicazione  délie  fortezze  del  Quadri- 
laiero  con  le  provincie  deirimperio  —  eccetto  perô  la 
valle  dell'Adige  che  sale  al  Tirolo  —  e  minacciarli  aile 
spalle;  onde  Radetzky,  per  togliersi  a  si  gravi  angustie  e 
molfôtie,  sarebbe  stato  costretto  a  mandare  contra  Pepe 
grosso  sforzo  di  imperiali,  con  non  lieve  danno  o  pericolo 
délie  sue  difese  sul  Mincie  e  su  l'Adige  ;  in  oltre,  il  géné- 
ralissime délia  repubblica  veneta  campeggiando  provincie 


(1)  n  Gk)yenLO  di  Torino,  nello  annnnciare  a  Manin  il  disdire  délie 
tregne  di  Milano,  non  fece  conoscere  a  Pepe  i  snoi  disegni  di  guerra,  e 
Qolla  richiese  al  comandante  suprême  deUe  armi  venete  :  onde  Pepe  non 
poté  armonizzare  le  militari  sne  operazioni  con  le  mosse  deU'esercito  sardo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


68  GAFITOLO   I 


vicine  alla  Lombardia  —  principale  sede  délia  guerra  — 
avrebbe  potuto  prestamente  correre  a  Carlo  Alberto  per 
combattere  insieme  la  giornata  finale.  —  Di  quanto  operô 
il  générale  Pepe  diremo  più  innanzi  (1). 


(1)  Poco  prima  del  rompere  délia  nnova  gnerra,  Daniele  Mauin  a 
Tecchio,  Ministro  sardo  sopra  1  Lavori  pubblici,  scriveva  cosî: 

«  Caro  amico,  —  Noi  siamo  persnasi  che  il  Ministero  sardo  voglia 
sinceramente  ritentare  al  piû  presto  la  prova  délie  armi;  e  siamo  pronti 
6  ansiosi  di  concorrere,  secondo  le  forze  nostre,  all'opera  santa.  Per  la 
scelta  del  momento  opportnno  di  riprendere  le  ostilità  e  per  oïdinare 
le  mosse  nel  modo  più  yantaggioso,  giova,  anzi  occorre,  conoscere  le 
condizîoni  deiresercito  nimico.  Su  ciô  noi  raccogliamo  giornalmente  rag- 
goagli  col  mezzo  dei  nostri  esploratori  ;  e  parmi  utile  che  del  risnlta- 
mento  di  tali  raggnagli  sia  fatto  partecipe  Tegregio  Ministro  sardo. 
Corne  gioverebbe  che  da  esso  ricevessimo  le  notizie  che  egli  avesse  dal 
sno  canto  raccolte;  t'invio  intanto  privatamente  l'inchiusa  memoria.  8e 
a  codesto  Goyemo  gradisse,  il  nostro  Dipartimento  della  gaerra  potrà 
mettersi  in  diretta  e  regolare  corrispondenza  con  loi.  Insomma  il  nostn> 
scopo  nnico  e  solo  è  qneUo  di  cacciare  TÂustriaco  ;  e  per  qaesto  alcnn 
sacrificio  ci  parrà  men  graye;  e  chionqne  a  taie  scopo  mira  e  a  ras:- 
ginngerlo  concorre,  ô  a  noi  amico  e  firatello  amato  e  benedetto.  n  — 
Dalla  memoria  sa  Tesercito  austriaco,  alla  qnale  accenna  Daniele  Manin. 
ynolsi  togliere  qnanto  segue:  =  L'esercito  anstriaco,  che  campeggia 
dairisonzo  al  Ticino,  tiene  nel  Friuli,  tra  i  monti  del  Cadore  e  del 
Bellonese  sino  alla  Piaye,  qnattro  mila  nomini;  nel  Treyigiano  att^^rnu 
a  Mestre  e  Inngo  il  picciolo  canale  del  Brenta,  tra  Fusina  e  Padova, 
altri  qnattro  mila;  nel  Padoyano  e  nel  Vicentino  da  cinqne  mila;  Innsro 
la  sÎQÎBtra  del  Po  e  su  TÂdige  sino  a  Monselice  e  Legnago,  due  miU 
e  cinqnecento;  in  Verona,  Mantoya  e  Peschiera  e  loro  raggio  rispet* 
tiyo,  nndici  mila;  nelle  proyincie  di  Brescia  e  Bergamo,  e  nei  laoghi 
forti  dei  loro  monti,  qnattordici  mila;  su  quel  di  J^Iilano  e  Como  e 
Inngo  la  frontiera  syizzera,  altri  qnattordici  mila;  lungo  la  riya  sinistra 
del  Ticino,  yenti  mila;  negli  ospedali,  dodici  mila;  in  totale,  ottantasei 
mila  cinqnecento  nomini,  dicui  ottomila  di  cayalleria;  inoltre,  dugento 
cannoni  da  campo.  Gli  approyyigionamenti  di  Yerona,  Mantoya,  Pe- 
schiera e  Legnago,  e  l'inyito  fatto  ai  cittadini  di  queste  fortezze  di 
bene  yettoyagliarsi  proyerebbero  a  eyidenza,  che  gli  Austriaci  pensino 
di  doyere  ben  presto  ridurre  la  guerra  entre  il  Quadriîatero, 


Digitized  by  VjOOQIC 


/VNAA^SAAA/VVA/VN/VV\AkA/VNAA/V%/S/VVS»^V^^VV'^VVN^^ 


CAPITOLO  IL 

La  Repubblica  romana. 


Gli  Austriaci  invadono  Ferrara.  —  L'8  agosto  1848  a  Bologna;  disfatta 
di  Welden.  —  Convenzione  di  Bovigo  del  15  agosto.  —  Pellegrino 
Rossi  e  la  Lega  italiana,  —  Garibaldi  entra  nelle  LegazionL  — 
Uccîsione  del  ministro  Bossi.  Fnga  di  Pio  IX  a  Gaeta;  soiv  pro- 
testa. —  La  Costituente  romana;  il  9  febbraio  1849  yiene  in  Cam- 
pidoglio  grîdata  la  repubblica  romana.  —  Haynan  a  Ferrara.  — 
Manifesto  del  Govemo  repnbblicano  ai  popoli  d'Eoropa.  —  Mazzini 
in  Roma.  La  Costituente  manda  aiuto  di  armi  alla  Sardegna  per 
l'impresa  di  Lombardia. 


Airiafausta  notizia  délia  caduta  di  Yicenza,  i  cittadini  di 
Roma,  che  Terenzio  Mamiani  avéra  poco  iananzi  ricon- 
dotti  alla  usata  quiète  e  saputo  tranquillarne  gli  animi, 
nuovamente  si  commossero  e  si  turbarono.  In  forza  dei 
patti  di  dedizîone  di  quella  terra  aile  armi  imperiali  le 
milizie  pontificie,  che  avevano  avuto  parte  larga  e  glo- 
riosa  nella  difesa  di  essa,  doyevano  tornare  in  patria  e 
per  tre  mesi  non  combattere  contra  TAustria;  cosi  al  danno 
délia  Tinta  città,  quello  si  aggiunse  dello  allontanarsi  dalla 
guerra  di  una  schiera  eletta  di  soldati,  e  per  somma  sven- 
tura  proprio  in  quoi  giorni  in  cui  il  re  Carlo  Alberto,  per 
sostenersi  sul  Mincio  e  su  TAdige,  abbisognava  dimolti  ar- 


Digitized  by  VjOOQIC 


70  CAPITOLO  II 


mati.  A  rimediare  a  danno  si  grave  e  a  provvedere   aile 
nécessita  împeriose  délia  guerra,  la  quale  ogni  di  piii  fa- 
cevasi  difficile  e  grossa,    causa   l'accrescersi   deiresercito 
nimico,  i  ministri  del  Ponteflce  proponevano  che  le  genti 
di  Durando  si  recassero  a  presidiare  le  fortezze  degli  Stati 
del  Re  sardo,  affinchè  i  presidi  di  queste  avessero  ad  af- 
forzare  Tesercito  regio  in  Lombardia;  inoltre  decretavano 
di  riunire  sul  Po  le  milizie  sparse  nelle  terre  del  dominio 
délia  Chiesa;  di  levare   sei  mila  uomini  e  ordinarli  in 
ischiera  di  riscossa  e  învitare  a  scriversi  ai  ruoli    dellV^ 
sercito  quanti  fossero   atti  aile  armi   e  aile   fatiche  dol 
campo.  Allô  invite  de'  suoi  ministri,  di  provvedere    sollo- 
citamente  e  con  efflcacia   alla   sainte   dltalia,   il   Sommo 
Pontefice  rispose  niegativamente.  AUora  i   rappresentanti 
del  popolo,  voltisi  a  lui,  che  poco  prima   aveva  promesso 
di  voler  difendere  la  giustizia  e  la  verità,  e  signiflcatogli  : 
avère  Roma  conosciuto  nella  parola  di  pace  il  Vicario  di 
Cri^tOy  nelle  istituzioni  liberali  già  concedute  il  principe 
rigeneratore,  e  nelle  benedizioni   date  allltalia   Vangelo 
annunciatore  di  non  atteso  gaudio,  facevansi  a  chieder- 
gli,  che  con  nicove  e  prowide  leggi  riordinasse  i  Mur 
nicipi;  diffbndesse  Vistruzione  adattandola  alla  intelli- 
genza  del  popolo;  accrescesse  le  armi  per  sostenere  la 
civile  lïbertà  da  lui  stesso  handita,  —  E  Pio  IX  rispon- 
deva  a  quelli  cosi:   levassero  al  cielo  il    ctùore  e    gli 
sguardi,  da  JDio  solo  potendo  ottenere  Vappoggio  forte,  i 
lumi  necessari,  la  costanza  e  il  coraggio  per  toccare  la 
meta  (1).  —  Raggirati  dai  nimici  d'ogni  libero  reggimento, 
i  Gesttiti  —  i  quali  con  perfidi  awolgimenti  impedivangli 
di  conoscere  i  veri  interessi  délia  Chiesa  e  dello  Stato  — 
Pio  IX  mostrossi   talvolta  volonteroso   di  soddisfare  aile 
giuste  aspirazioni  de'  sudditî  suoi  ;  ma  più  di   sovente   se 
ne  chiari  avversario.  Egli  stava  sempre  tra  due  ;  dubbioso 


(1)  Ci6  accadeva  il  16  Inglio  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BlBPUBBIiICA  BOMANA  71 

in  sè,  voleva  e  disvoleva  a  un  tempo;  desiderava  il  bene, 
ma  era  impotente  a  conseguirlo;  aveva  Tanimo  inchino 
alla  clemenza,  ma  consiglieri  raalvagi  fecergli  non  di  rado 
CDmmettere  atti  tirannici.  Il  Pontefice,  che  avrebbe  dovuto 
in  santa  armonia  congiungere  popoli  e  prîncipi,  gettô  al 
coatrario  tra  questi  la  face  di  novelle  discordie,  confer- 
maado  cosi  la  sentenza  di  Machiavelli  :  essere  la  potestà 
terrena  dei  Papi  causa  prima  délie  divisîoni  d'Italia  e 
impedimenta  alVunità  x>atrîa  ;  Pontefice  e  principe,  Pio  IX 
ebbe  allora  divisa  in  duecampi  la  città  eterna,  voglio  dire 
in  Roma  papale  e  in  Roma  italiana.  —  In  questo  mezzo 
rapiQi  imperiali  invadevano  lo  Stato  délia  Chiesa.  Liech- 
tensiein,  valico  il  Po  con  la  sua  brigata  nella  notte  del 
13  al  14  luglio  a  Ficarolo,  Occhiobello  e  Polesella,  occu- 
pava  Ferrara,  la  cui  cittadella  era  presidiata  da  un  batta- 
glione  d'Austriaci  ;  offesa  veruna  e  veruno  insulte  avevano 
proYocata  quella  invasione,  cui  tennero  dietro  atti  d'osti- 
lità  e  violenza.  Il  Inogotenente  di  Radetzky  imperiosamente 
chiedeva  allora  al  Pro-Legato,  il  conte  Lovatelli,  avesse  a 
fornire  al  presidio  délia  cittadella  quante  vettovaglie  abbiso- 
gnare  potevangli  per  due  mesi.  Al  diniego  del  Pro-Legato  il  gé- 
nérale Liechtenstein  minacciava  di  gravi  danni  la  città  (1); 
il  Lovatelli,  che  non  ha  forze  armate  da  opporre  agli  in- 
vaditori,  cedendo  alla  dura  nécessita,  accorda  ciô  che  prima 
avevagli  riflutato,  a  patto  perô  che  abbia  a  uscire  imme- 
diatamente  con  la  sua  brigata  dal  territorio  pontiflcio. 
<  La  promessa  evactcazione,  scrisse  allora  il  conte  Lo- 
vatelli al  luogotenente  maresciallo  Perglass  (2),  délie  mi- 


(1)  «  Al  8ignor  conte  Lovatelli,  Pro-Legato  délia  dttà  di  Ferrara. 
•"  Dopo  il  rifiuto  che  EUa  mi  ha  fatto  di  adoperani  allô  approvrigiona- 
mento  per  dae  mesi  deUa  cittadeUa,  io  sono  costretto  a  farle  conoscere 
wpettare  ineessantemente  la  risposta  decisiva  su  ciô  ;  avendo,  nel  caso 
di  tm  diniego,  risolnto  di  ottenere  anche  con  la  violenza  lo  scopo  mio.  » 

u  Ferrara,  14  luglio  1848,  mezzanotte.  »        »  Libchtbnstbin.  » 

(2)  Protesta  contra  l'invasîone  austriaca;  Ferrara,  26  luglio  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


72  CAPITOLO   II 


Hzie  austriache  veniva  eseguita  ritirandosi  bensi  da  Fer- 
rara,  ma  occupando  la  linea  del  Po  in  diversi  punti, 
trincerandosî  e  fortî/îcandosi  in  ciascuno  di  essi,  tagliandé 
gli  argini  del  fiume  per  costruirvi  opère  di  difesa,  esp^ 
nendo  il  territorio  aile  inondazioni,  sottoponendo  i  pa(Si 
a  un  reggimento  militare,  imponendo  contribuzioni  in 
danaro  e  viveri  superiori  anche  al  bisogno,  mescolatdo 
lo  spregio  allô  insulto,  ponendo  la  mano  su  le  autoHtà 
locali  rappresentanti  il  Ooverno,  sui  ministri  delVaUare, 
vietando  il  suono  délie  campane,  minacciando  ad  ogni 
passo  incendi  e  morte,  trattando,  in  una  parola,  i  sud- 
diti  devoti  di  Sua  Santità  coms  abitanti  di  un paese,non 
solo  nimicOy  ma  vinto...  io  non  avrei  mai  irmiginato 
possibile,  che  convenzioni  dettaie  dalla  volontà  del  piii 
forte  avessero  ad  essere  infrante  e  calpestate  da  quella 
parte  medesima  che  le  aveva  imposte,  e  che  ora  aperia- 
mente  le  distrugge  in  tutto  e  per  tutto.  »  Pio  IX,  il  quale 
poco  innanzi  aveva,  a  fine  di  suo  supremo  sacerdoziOy 
iaviato  oratori  al  re  Carlo  Alberto  e  a  Vienna  per  trovar 
modo  onorevole  a  condurre  i  guerreggianti  a  concordia  e 
a  paoe,  tosto  che  seppe  dalle  soldatesche  imperiali  violati 
i  diritti  délia  Santa  Sede,  ordinava,  che  nei  modi  e  nelle 
forme  legali  si  facesse  solenne  protesta  alla'corte  au- 
striaca  da  comunicarsi  eziandio  a  tutti  i  Governi.  Spe- 
rarono  allora  i  Romaai  che  il  Sommo  Pontefice  in  quel 
momento  d' ira  generosa  e  di  giusto  sdegno  bandirebbe 
guerra  aU'imperio  ;  e  a  taie  grande  impresa  incoraggiavalo 
l'alto  Consiglio  dei  Beputati,  preparato  a  ogni  sacrificio 
per  difendere  sino  allô  estremo  i  diritti  délia  Chiesa,  del 
popolOj  délia  nazione,  e  per  salvare  a  lui  lo  Stato  e  la 
gloria^  alVItalia  la  indipendenza,  a  tutti  Vonore.  Metnore 
del  delitti  in  ogni  tempo  perpétrait  dagli  Austriad  conr 
tra  la  Santa  Sede,  e  délie  antiche  e  recenti  lacerazioni 
d'Italia,  scongiuravalo  a  far  si  che  il  Governo  suo  senza 
por  tempo  in  mezzo  brandisse  le  armi  per  difesa  e  of'- 
fesay  e  a  unirsi  in  durevole  alleanza  coi  principi  deçni 


Digitized  by  VjOOQIC 


LK  BBPUBBLICA   ROMANA  73 

(li  modei^are  popoli  italianî,  dacchè  combattevano  per  la 
indipendenza  patria.  —  La  parte  gesuitica,  che  nella  vit- 
toria  délia  libertà  vedeva  la  rorina  propria,  maneggiossi 
allora  per  modo  da  far  siibito  rinascere  in  cuore  al  debole 
Pontefice  gli  antichi  scrupoli  per  la  guerra  ;  contra  i  quali 
scrupoli  si  ruppero  e  naufragarono  le  speranze  concepite 
dai  buoni  di  alleare  Roma  a  quel  Re,  che  con  molto  cuore 
e  valore,  ma  perô  con  poca  militare  sapienza,  sul  Mincio 
e  su  TAdige  pugnava  per  la  causa  patria.  I  Minîstri  pon- 
tifie!, quando  seppero  essere  stato  da  Pio  IX  disconosciuto 
e  ritratto  tutto  ciô  che  aveva  promesse  in  giorni  di  nobile 
entusiasmo,  rinunziarono  al  loro  officie.  Pieno  d'ira  il  po- 
polo  prese  allora  a  minacciare  di  levarsi  a  tumulte;  ma 
dal  commettere  disordini  lo  rattennero  le  milizie  cittadine, 
le  quali,  chiamate  soUecitamente  in  su  Tarme,  occuparono 
Gastel  Santangelo  e  le  porte  di  Roma.  A  fine  di  quietare 
l'universale  commozione,  il  Somme  Pontefice,  ai  Commis- 
sari  délia  Consulta  di  Stato  venuti  a  lui  per  conoscere  i 
propositi  suoi,  promise  di  ammettere  di  pieno  diritto  la 
difesa  délie  terre  délia  Chiesa,  e  di  riprendere  le  pratiche 
d*alleanza,  da  tempo  cominciate  e  da  lunga  pezza  sospese, 
coi  principi  italiani  per  la  salvezza  délia  patria.  Nella  fatta 
rinanzia  i  Ministri  suoi  instando  sempre,  il  2  agosto  sur- 
rogô  il  settuagenario  Edoardo  Fabbri,  esule  antico,  in  luogo 
del  conte  Mamiani;  il  quale  perô  di  li  a  non  molto  doveva 
richiamare  al  reggimento  délia  cosa  pubblica,  come  celui 
che  5oto,  godendo  di  largo  favor  popolare,  poteva  ricon- 
durre  a  tranquillitâ  la  città  agitata  e  romoreggiante  ;  la 
îî'uerra  diventava  pertanto  una  nécessita  suprema.  Urgeva 
che  il  Governo  soUecitamente  ad  essa  si  piegasse;  perô 
che  nelle  provîncie  si  fossero  già  instituiti  dei  Comitati, 
allô  intento  di  provvedere  con  efficacia  e  sollecitudine  a 
quella;  e  il  popolo,  veggendo  non  essere  quel  momenti  di 
timidi  consigli  e  di  lenti  consulti,  impugnate  le  armi,  al- 
tamente  chiedesse  di  venir  condotto  aile  offese.  Le  con- 
cessioni  del  Pontefice,  sebbene  rispondessero   pienamente 


Digitized  by  VjOOQIC 


74  CAPITOLO  II 


ai  desidèri  de'  sudditi  suoi,  gioia  veruna  destarono  in  essi, 
ormai  assuefatti  a  vederlo  obbligare  sua  fede,  indi  niegarla. 
Ne  si  ingannarono;  avvegnachê  Pio  IX  fosse  sùbitouscito 
fuora  con  tali  parole  :  «  La  Provvidenza  darebbe  risolvi- 
mento  finale  ai  destini  d'Italia,  assai  tempo  prima  di  com- 
pirsi  i  partit!  presi  per  la  guerra.  » 

Mentre  le  armi  imperiali,  dopo  le  giornate   di   Somma- 
campagna,  Custoza  e  Volta  dalle  rive  del  Mincio  cammina- 
vano  sopra  Milano,  seguendo  da  vicino  l'esercito  italiano  nel 
suo  indietreggiare,    il  luogotenente  maresciallo   Weldeii, 
valicato  il  Po  alla  testa  di  sette  mila  Austriaci,  per  la  se- 
conda volta  invadeva  i  domini  deïidi  Chiesa.  per  disperdere 
le  bande  che  non  cessavano  di  turbare  la  pace  e  Vordine- 
—  «  Trent'anni  or  sono,   scriveva  egli   il   3  agosto  dal 
campo  di  Bondeno  aile  popolazioni   romagnole,  TAustria 
conquistô  le  Legazioni,  considerate  il  gioiello  degli  Stati 
pontifici,  e  le  restitui  con  nobile  disinteresse  al  legittimo 
loro  Sovrano.  Le  continue  amichevoli  relazioni^  e  i  reci- 
proci  riguardî  di  buon  vicinato  devono  raflfermare  sempro 
più  la  pace  fra  i  due  popoli;  se  non  che  un  abbominevole 
fanatisme,  la  smania  d'arricchirsi  e  d'îngrandire  a  spese 
del  popolo,  e  le  mire  ambiziose  per  arrogarsene  il  governo. 
crearono  una  fazione  sempre  irrequieta,  che  copre  il  vo 
stro  paciflco  e  fertile  paese  di  miserie,  di  guerre  e  delh* 
distruzioni,  che  ne  sono  inseparabili  conseguenze.  È  ormai 
tempo  di  porre  un  argine  a  tanto  disordine;  dove  la  voco 
délia  ragione  non  pénétrasse,  mi  farà  ascoltare  coi  miei 
cannoni.  Lungi  da  ogni  idea  di  conquista,  non  mai  aspi- 
rata  daU'Austria  riguardo  al  vostro  paese...  io  intendo  solo 
di  proteggere  i  paciflci  abitanti  e   conservare  al    vostro 
Governo  il  dominio  che  gli  viene  contrastato  da  una  fa- 
zione; guai  a  coloro  che  si  mostreranno  sordi    alla  mia 
voce,  e  oseranno  fare  resistenza.  Volgete  lo  sguardo  su  gli 
ammassi  fumant!   di  Sermide;   il  paese   resta    distrutto. 
percha  gli  abitanti  fecero  fuoco  sopra  i  miei  soldat! > 


Digitized  by  VjOOQIC 


LÀ   BEPUBBLIOA  BOMANA  75 

In  verità  il  parlare  di  Welden  —  non  consono  a  ragione 
civile  (1)  —  era  oltremodo  provocatore  di  disordini  ;  sua 
missione  non  era  di  rimettere  in  quelle  popolazioni  la  pace, 
da  nessuno  turbata,  sibbene  di  vendicarsi  col  ferro  e  col 
fuoco  di  esse,  odiatrici  délia  signoria  austriaca,  causa  di 
tanti  mali  alla  patria  italiana  ;  in  fine,  sua  missione  non 
era  di  serbare  al  Governo  del  Papa  il  dominio,  da  néssuno 
contrastatoglî,  ma  di  appoggiare  colle  armi  i  rei  disegni  di 
quella  parte,  mostratasi  allora  più  che  mai  avversa 
alla  indipendenza  patria  e  alla  libertà;  di  quella  parte 
che  nel  Vaticano  era  già  salita  a  potenza.  —  Di  que! 
giorni  siedeva  in  Bologna  Pro-Legato  pontificio  Ce- 
.^are  Bianchetti,  uomo  di  vita  integerrima,  ma  di  timidi 
consigli;  il  quale,  spaventato  dal  manifesto  minaccioso  di 
Welden  e  dallo  awicinarsi  degli  Austriaci,  reputando  im- 
possibile  di  tener  con  vantaggio  la  città,  proponeva  che 
le  milizie  regolari  s'avessero  a  raccogllere  su  la  forte  po- 
stera délia  Cattolica.  La  proposta  del  pauroso  magistrato, 
consenti  ta  dal  Municipio,  veniva  fleramente  respinta  dal 
popolo;  il  quale,  numeroso,  correva  al  palazzo  del  Pro- 
Legato  a  domandare  la  resistenza.  Cesare  Bianchetti,  che 
dal  resistere  agli  invaditori  temeva  gravi  rovine  per  la 
patria  terra,  cercô  persuadere  a'  suoi  concittadini,  non  po- 
tersi  tenere  Bologna  per  la  sua  po^ura  favorevole  agli  as- 
salitori,  non  alla  difesa;  e  detto  posciacome  i  nimici  pre- 
valessero  per  armi  e  per  numéro  d'uomini,.  li  consigliô  di 
wlgere  a  più  utile  segno  il  loro   ardore  per   la  santa 


(1)  «  Le  mie  soldatesche  si  manterranno  in  bnon  ordine  e  in  bnona 
Qiïtare  disciplina,  ovnnqne  esse  avranno  piede  snl  territorio  pontificio; 
ûgni  violenza  contra  le  persone  qniete  e  paciôche  e  le  loro  proprietà, 
SMà  înqnisita  da  un  tribnnale  di  gnerra  ;  ma  parimenti  farô  moschet- 
tare  —  perché  non  voglio  prigionieri  —  chiunque  terra  armi  in  mano, 
0  mostrerà  in  altro  modo  nimicizia  contra  noi.  »  Cosi  scriveva  Welden 
h  Bondeno  il  4"ag08to;  in  vero,  qnesto  modo  disumano  di  guerreg- 
giue  era  degno  di  gente  barbara,  non  di  popolo  civile. 


Digitized  by  VjOOQIC 


76  CAPiTOLO  n 


causa  italiana,  e  a  seguire  î  prodi,  che  erano  siati  ad 
essi  compagni  ed  emuli  sui  campi  délia  gloria  e  délia 
aventura  e  che  recavansî  là  dove  poteva  farsi  zctile 
schermo  agit  assalti  del  nimico  (1).  Nella  notte  del  4  ago- 
sto  il  colonnello  Belluzzi  alla  testa  del  presidio  di  Bologna 
camminô  verso  la  Cattolica:  onde  allora  la  città  trovossi 
senza'difesa  e  cosi  Qompiutamente  esposta  agli  insulti  de- 
gli  invaditori.  —  Aveva  Roma  appena  ripreso  la  quiète 
usata,  quando  le  novelle  degli  aspri  casi  toccati  aile  armi 
régie  in  Lombardia  nuovamente  la  commovevano.  A  rassi- 
curare  gli  animi  dei  sudditi  e  richiamarli  a  ûducia  Pio  IX 
il  2  agosto  metteva  fuora  un  moto-proprio,  nel  quale  con- 
fermava  le  promesse  fatte  poco  innanzi,  dî  volere  difen- 
dere  î  confini  dello  Stato  ;  e  allora  che  gli  Austriaci  in- 
vasero  per  la  seconda  volta  le  Legazioni  e  Welden  parlô 
le  insolent!  parole  qui  sopra  riferite,  il  cardinale  Soglia, 
che  stava  a  capo  délia  Consulta  di  Stato,  in  nome  del  Pon- 
tefice  si  volse  agli  Stati  amici  per  implorarne  la  prote- 
zione.  «  Fine  dal  principio  del  suo  pontificato,  cosi  scri- 
veva  egli  il  6  agosto,  la  Santitàdi  nostro  Signore  osservando 
la  condizione  dello  Stato  pontiScio,  non  che  quella  degli 
al  tri  Stati  d'Italia,  come  padre  comune  dei  principi  e  dei 
popoli,  aliène  egualmente  dalle  guerre  esteriori  che  dalle 
discordie  intestine,  per  procurare  la  vera  félicita  deiritalia 
imaginô  e  imprese  le  negoziazioni  di  una  lega  fra  i  prin- 
cipi délia  Penisola,  essendo  questo  l'unico  mezzo  atto  ad 
appagare  le  brame  de*suoi  abitatori^  senza  punto  ledere  1 
diritti  dei  principi,  ne  contrariare  le  tendenze  dei  popoli 
a  una  bene  intesa  libertà;  queste  negoziazioni  furono  in 
parte  secondate,  e  in  parte  tornarono  infruttuose.  Soprav- 
vennero  quindi  le  grandi  vicende  d'Europa,  aile  quali  ten- 
nero  dietro  i  patti  e  la  guerra  d'Italia.  Il  Santo  Padre, 
sempre  coerente  a  se  stesso,  con  grave   suo   sacrificio   si 


(1)  Manifesto  del  4  agosto  184S. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BEPUBBLICA   BOMANA  77 

mostrô  alieno  dal  prendere  parte  alla  guerra,  senza  porô 
trascurare  tutti  i  mezzi  pacifici  per  ottenere  il  primo  in- 
tente che  si  era  preflsso.  Ma  qaesta  sua  maniera  di  gover- 
narsi,  inspirata  dalla  prudenza  e  dalla  mansuetudine,  non 
ha  impedito,  con  sua  grande  sorpresa,  V  ingresso  ne'  suoi 
Stati  a  un  esercito  austriaco,  il  quale  non  ha  dubitato  di 
occupare  alcuni  territori,  col  dichiarare  che  Toccupazione 
era  temporanea.  È  dunque  necessario  far  conoscere  a  tutti, 
corne  il  dominio  délia  Santa  Sede  venga  violato  da  questa 
occupazione,  la  quale  con  qualunque  intendimento  sia  stata 
impresa,  non  poteva  mai  giustamehte  eseguirsi  senza  pre- 
ventivo  awiso  e  necessario  consenso.  In  si  dura  nécessita, 
•nella  quale  ci  si  vuole  mettere  dalla  forza  dei  nimici  e- 
sterni  e  dalle  insidie  dei  nimici  interni,  il  Santo  Padre  si 
abbandona  nelle  mani  délia  divina  giustizia,  che  benedirà 
Tnso  dei  mezzi  da  adoperarsi  seconde  che  le  circostanze 
richiedono;  e  montre  por  mezzo  dei  suo  cardinale  segre- 
tario  di  Stato  protesta  altamente  contra  un  simile  atto,  fa 
appelle  a  tutti  gli  Stati  amici,  affinchè  vogliano  assumere 
la  protezione  dî  quelli  dei  Pontefice  per  la  conservazione 
'lella  loro  libertà  e  integrità,  per  la  tutela  dei  sudditi,  e 
soprattutto  per  la  indipendenza  délia  Chiesa.  » 

Fatta  solenne  deliberazione  di  difèndersJ,  il  Papa  ordi- 
nava  al  Legato  di  Forli,  il  cardinale  Marini,  di  recarsi  a 
Welden  per  domandargli  ragione  dei  motivi  che  avevanlo 
indotto  a  quel  passe  di  violenta  e  ostile  occupazione  délie 
Legazionî,  e  nel  medesimo  tempo  imporgli  di  retrocedere 
e  lasciarle  affàtto  libère.  I  Belognesi,  teste  che  seppero 
^ûmoto^roprio  pontlflcio  —  e  fu  il  mattino  dei  6  agosto  — 
rinfrancati  dalle  parole  di  Pie  IX,  recatisi  in  foUa  dal  Pro- 
Legato,  chledevangli  che,  giusta  gli  ordinamenti  e  le  di- 
chiarazieni  dei  cape  délie  State,  prowedesse  sollecito  e 
con  mezzi  efflcaci  alla  sainte  délia  patria,  tante  minacciata 
•ial  nimice.  Cesare  Bianchetti,  il  quale  ha  sguarnito  d'armi 
la  città,  consenziente  il  Municipie,  spedisce  al  campe  au- 
'îtriaco  due  Belognesi  per  tentare  l'animo  di  Welden,  e  con 


Digitized  by  VjOOQIC 


78  OAPiTOLO  n 


légale  protesta  contra  la  violazione  del  territorio  délia 
Ohiesa  rimuoverlo  dai  fatti  propositi.  Ma  il  maresciallo, 
senza  dare  peso  veruno  alla  protesta  del  Pro-Legato,  agli 
oratori  di  Bologna  risponde  in  queste  sentenze  :  =  Domani, 
all'ora  sesta,  aver  deliberato  di  ontrare  con  le  sue  solda- 
tesche  nella  loro  città;  lasciar  libero  ad  essi  di  aprirgli 
le  porte  corne  ad  amico,  o  di  rompergli  guerra  e  di  resi- 
stergli.  =  La  superba  e  minacciosa  risposta  mosse  a  sde- 
gno  il  popolo  tutto  ;  il  quale,  levatosi  a  romore,  impadroni- 
vasi  degli  schioppi  che  trovavansi  negli  armamentari  délie 
guardie  cittadine,  e  apparecchiavasi  ad  asserragliare  le 
porte  e  le  vie  délia  città.  Il  timido  magistrato  Bianchetti, 
che  pensa  una  difesa,  per  quanto  eroica,  ove  non  sia  suf-  • 
ficiente  e  duratura,  non  faccia  che  provocare  nel  paese 
i  guasti  e  i  danni  d'una  forza  armata  troppo  preva- 
lente  (1),  invita  i  cittadini  a  costringere  Tira  e  a  serbare 
tutte  le  loro  forze  per  quel  giorno  in  cui  potranno  essere 
adoperate  a  gloria  e  a  vantaggio  délia  patria.  I  Bolognesi, 
accondiscendendo,  sebbene  a  malincuore,  aile  preghiere  di 
lui,  che  aveva  con  poca  virtù,  ma  con  molta  schiettezza 
parlato,  compressi  gli  sdegni  e  temperate  le  lacrime,  torna- 
vano  aile  proprie  case;  torse  speravano  che  il  supremo 
lor  Magistrato,  per  la  cui  timidezza  le  cose  trovavansi  ri- 
dotte  a  mal  partito,  avrebbe  saputo  trovare  modi  onoreroli 
di  togliere  la  città  aile  minacciate  rovine  e  salvare  tutta 
la  dignità  del  carattere  cittadino.  —  Il  mattino  del  7  agosto 
Welden,  tosto  che  ebbe  accampato  sue  genti  presse  Bologna, 
mandava  al  Pro-Legato  un  ufflziale  per  intimargli  la  conse- 
gnazione  di  cinque  porte  délia  città.  Allora  Bianchetti,  trat- 
tandosi  d'affare  di  cosi  alto  momento,  recavasi  alla  villa 
Doria,  stanza  del  maresciallo,  in  compagnia  del  senatore 
di  Bologna,  Zucchini,  e  dei  cittadini  Brunetti  e  Martinelli, 
gli  stessi  che  il  giorno  innanzi  erano  iti  al  campo  austriaco 


(1)  Manifesto  ai  Bolognesi  pubblioato  nella  notte  del  6  al  7  agosto  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BEPUBBLICA  BOMANA  79 

portatori  délia  protesta.  Di  ritorno  pubblicavano  la  conven- 
zione  fermata  col  nimico;  accordi  di  essa,  i  seguenti:  = 
Gli  impérial!,  occupate  le  porte  San  Felice,  Galliera  e  Mag- 
iriore,  si  collocheranno  sopra  posture  circondanti  in  parte 
la  città;  il  Municipio  fornirà  loro  le  vettovaglie;  al  rice- 
vere  guarentigie  d'ordine  e  di  quiète,  Welden  allontanerà 
ie  sue  genti  ;  e  quando  quelle  saranno  state  confermate 
dal  PoQtefice  e  il  paese  avrà  riacquistata  Tusata  tranquil- 
lité, egli  rivalicherà  il  Po.  =  Gli  accordi,  proposti  da  Wel- 
den e  accettati  da  Bianchetti,  venivano  subito  rotti  dagli 
Austriaci  ;  perô  che  questi  corressero  Bologna  —  la  quale, 
giusta  la  convenzione,  avrebbe  dovuto  rimanere  inviolata 
sempre  —  e  insultassero  a'  cittadini,  certamente  allô  scopo 
di  eccitare  tumulti  e  avère  quindi  un  pretesto  di  occu- 
pare  militarmente  la  città.  Il  popolo  oltremodo  irritato 
da  quegli  atti,  che  rivelavano  i  pravi  disegni  e  la  mala 
fede  del  maresciallo,  non  tardô  a  rispondere  con  insulti 
âgli  insultatori  provocanti  disordini,  e  con  ferite  al  ferire 
dei  ûimici;  e,  fatto  proponimento  di  opporre  la  forza  alla 
violenza,  senza  por  tempo  in  mezzo  préparé  le  resistenze. 
-  Era  appena  sorte  VS  agosto,  quando  una  turba  di  soldati 
austriaci  con  fare  baldanzosamente  minaccioso  entrava  in 
città,  par  muoverla  a  romore  e  chiamare  il  popolo  alla  prova 
délie  armi  ;  il  quale,  accettata  la  superba  disSda,  presse 
San  Felice  impavide  venue  coi  nimici  allô  affronte.  Lo 
strepito  délia  pugna  trasse  da  quella  parte  in  aiuto  dei 
compagni  quanti  soldati  campeggiavano  in  quel  dintorni; 
t*  sarebbersi  gettati  entre  Bologna,  se  un  ufflziale  dei  ca- 
rabinieri  pontifici  non  avesseli  awertiti,  starsi  allora  Wel- 
den e  Perglass  raccolti  a  parlamento  col  senatore  Zucchini, 
recatosi  al  campo  austriaco  per  trovare  insieme  accordi 
eâicaci  e  pronti  per  impedire  nuova  effusione  di  sangue. 
Le  pratiche  di  conciliazione  caddero  perô  a  vuoto,  causa 
le  pretensioni  esorbitanti  dei  generali  nimici  ;  i  quali,  in 
risarçimento  délie  ingiurie  e  danni  sofferti  —  danni  e  in- 
?iurie  da  essi  stessi  con  la  piix  vituperevole  arte  provocati 


Bigitizedby  Google 


80  CAPITOLO   II 

—  aveano  domandato  per  se  trenta  mila  scudi  e  sei  ostaggi 
da  scegliersi  tra  gli  ottimati  bolognesi;  danaro  o  ostaggi  che 
il  Senatore  niegô  fermamente  di  dare,  offrendo  nondimeno 
se  stesso  a  guareiitigia  deirawenire.  Welden,  che  ebbeallora 
respinta  TofTerta  del  generoso  Magistrato,  accettô  quella 
diBianchetti;  il  quale,  conferito  il  governo  délia  cosa  pub- 
blica  al  Municipio,  con  animo  rassegnato  awiossi  al  campo 
austriaco;  non  gli  fu  porô  possibile  uscire  di  Bologna; 
avvegnachè  aile  porte  délia  città,  state  asserragliate,  d'ambe 
le  parti  si  combattesse.  I  Bolognesi,  tosto  che  seppero  le 
disoneste  pretensioni  del  maresciallo  —  le  quali  in  verità 
suonavano  un  féroce  insulte  al  loro  carattere  cittadino! 

—  riprese  le  armi,  poco  innanzi  posate  nella  speranza  di 
paciflco  accomodamento,  corsero  animosi  aile  offese.  L'ira 
tanto  tempo  e  a  forza  repressa,  mutossi  allora  in  furore; 
quanti  nimici  essi  incontrarono  per  le  vie,  tanti  percos- 
sero  a  morte  o  ferirono.  Al  suonare  a  stormo  dei  sacri 
bronzi  entre  la  città,  risposero  dalle  campagne  i  can- 
noni  degli  Austriaci;  che  appressatisi  alla  terra  con  tutto 
lo  sforzo  loro  tentarono  recarsi  in  mano  il  colle  San 
Michèle,  dal  quale  potevasi  fulminare  con  le  artiglierie 
la  città  sottostante;  ma  ne  furono  respinti.  Welden,  insi- 
gnoritosi  délia  Montagnola,  ordinato  che  vi  ebbe  le  sui^ 
battaglie,  prese  a  trarre  coi  cannoni  sopra  Bologna  con 
orrendo  fracasse,  con  gravi  danni  e  incendi  :  e  la  mischia, 
che  già  erasi  fatta  vivissima  a  porta  Galliera  e  a  San 
Felice,  diventô  in  brevi  momenti  ferocissima  e  sanguinosa 
alla  Montagnola.  Quivi  gli  imperiali,  furiosamente  assaliti 
da  una  schiera  di  cinquecento  popolani,  dopo  flero  con- 
traste furono  costretti  a  cedere  del  campo  ;  minacciati 
poscia  aile  spalle,  temendo  perdere  la  via  alla  ritratta, 
lasciarono  quell'altura;  e  sarebbero  stati  a  pieno  sconfltti 
se  il  capitano  Cortassa  —  il  quale  comandava  aile  due  com- 
pagnie dei  caràbinieri  pontifici,  le  sole  milizie  regolari 
che  trovavansi  allora  in  Bologna  —  li  avesse  con  sue  genti 
incalzati  nel  loro  indietreggiare  disordinato.  In  quella  gior- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BBPUBBLIOA  BOMAALA  81 

nata  i  maggiori  danni  toccarono  agli  Austriaci;  dei  quali 
circa  dugento  caddero  morti  o  feriti,  e  settanta  vennero 
a  mano  dei  vincitori,  che  ebbero  appena  trenta  uomini 
uccisi,  e  settanta  feriti,  Gacciati  di  Bologna  gli  Austriaci, 
senza  soffrire  molestie  si  ritrassero  verso  il  Po,  segnando 
i  passi  délia  loro  ritratta  col  ferro  e  col  fuoco  ;  essi  vol- 
ière con  le  uccisioni  e  gli  incendi,  con  gli  stupri  e  le  ra- 
pine vendicarsi  délia  vergognosa  disfatta  patita  a  Bologna; 
in  vero  imprese  queste  degne  di  ladroni,  ma  indegne  di 
soldati  âgli  di  nazione  civile.  Erano  le  prove  di  sctenzOf 
di  saviezza  e  moderazione  che  il  Governo  di  Vienna, 
gîusta  Taffermazione  di  lord  Landshowne  (1)  dava  di  quoi 
giorni  aU'Europa  allô  intento  di  rendere  facile  la  missione 
pacificatrice  degli  Stati  proffertisi  mediatori  délia  contesa 
anstro-sarda. 

Âppena  giunse  in  Roma  la  lieta  novella  délia  vittoria 
dei  Bolognesi,  i  ministri  dei  Pontefice  corsero  a  lui  per 
awertirlo  dei  pericolo  che  tuttavia  minacciava  i  sudditi 
suoi;  avvegnachè,  sebbene  sconfltto,  Welden  non  era  per 
anco  uscito  dalle  Legazioni  :  «  Pacciasi  dunque,  rispon- 
deva  loro  Pio  IX,  quanto  puossi  per  salvare  la  patria  e 
difenderne  i  sacri  diritti.  »  AUora  il  générale  Aldobrandini 
chiamava  i  Romani  a  unirsi  a  quella  legione,  che  aveva 
acquistato  glorla  imperitura  combattendo  sui  campi  délie 
Ven^e  contra  il  nimico  d'Italia  e  da  brève  tempo  rieduta  in 
patria:  «  Con  essa,  diceva  Aldobrandini,  correte  a  debellare 
il  barbaro  a^ressore;  fatevi  valide  sostegno  a  quel  fratelli, 
che  già  intrepidi  gli  stanno  a  fronte  ;  le  armi  «di  questi,  le 
armi  vostre,  benedette  da  Pio,  saranno  invincibili;  e  Tltalia 
intera  dovrà  risentire  immense  vantaggio  dagli  sforzi  gene- 
rosi  operati  dai  sudditi  dei  Pontefice  »  (2).  Lo  scriversi  di 


(1>  Paiole  da  lord  Landshowne  pTonnnziate  il  20  agosto  1848  nella 
aasemblea  dei  Pari  d'Inghilterra. 
(2>  Oïdine  dei  gionio  12  agosto  1848. 
6  —  Toi,  n.  Mabuki  —  Stor.'a  pal»  «  mil- 


Digitized  by  VjOOQIC 


82  CAFITOLO   II 


molti  soldati,  Tordiiiarsi  di  nuove  legioni,  Tinvito  aile  città 
dello  Stato  di  munirsi  di  difese,  il  consiglio  ai  popoli  di 
rea^stere  sino  allô  estremo,  e  in  fine  i  provvedimeati  del 
Ministro  sopra  le  armi,  mentre  accrescevaao  nei  generosi 
l'ardore  per  la  guerra,  rinfrancavano  raiiimo  dei  timidi; 
a  tutti  poi  aprivano  il  cuore  aile  piii  care  speranze,  — 
In  questo  mezzo  una  moltitudine  innumerevole  di  popolo 
raccoltasi  dinnanzi  al  palazzo  Golonna,  stanza  delFamba* 
sciatore  di  Francia,  il  duca  d'Harcourt,  deputava  a  questi 
tre  cittadini  per  chiedergli  Tintervento  armato  délia  re- 
pubblica  nella  guerra  che  volevasi  riaccendere  contra  Tim- 
perio.  Rispondeva  ad  essi  l'ambasciatore  cosi  :  =  Recargli 
meraviglia  non  poca  la  demanda  fattagli,  sebbene  assai 
lusinghiera  per  la  sua  nazione;  le  diatribe  dei  loro  gior- 
nali  e  i  discorsi  dei  loro  oratori  non  averlo  preparato  a 
quella  richiesta  d'aiuti,  perô  che  ben  altra  cosa  signiûcas- 
sero;  non  estante  ciô  la  Francia  dimenticherebbe  facil- 
mente  ogni  ofifosa  in  sua  grandezza  e  generosità.  Non  poter 
(Uvinare  la  deliberazione  che  il  suo  Governo  sarebbe  per 
prendere  rispotto  allltalia  ;  invitarli  quindi  a  stendere  una 
petizione,  ch'egli  trasmetterebbe  a  Parigi,  quando  fosse 
sottoscritta  da  uomini  onorevoli  e  in  numéro  taie  che 
avesse  degnamente  a  rappresentare  le  popolazioni  ro- 
mane. =  Superba  risposta  questa  del  duca  di  Harcourt, 
che  rivelava  non  essere  la  Francia  officiale  molto  inchina 
a  favoreggiare  le  aspirazloni  di  indipendenza  e  libertà 
délia  nazione  italiana. — L'entusiasmo  per  la  guerra,  che 
ogni  di  piii  manifestavasi  nelle  Romagne,  andava  poco  a 
genio  al  Pontefice;  al  quale,  se  alcuni  de*  suoi  consiglieri 
ingegnavansi  persuadere,  che  la  salute  dello  Stato  ripo- 
sava  tutta  nelValleanza  délia  Chiesa  con  la  Sardegna  e 
la  Toscana  per  combattere  insîeme  il  comune  nimicoj  i 
più  de*  suoi  Ministri  e  la  parte  moderata  —  assai  numerosa 
in  Corte  del  Papa  —  cercavano  persuadere  a  lui:  =  Essere 
cosa  ardua  far  paghe  le  aspirazioni  dei  popoli,  impossibile 
poi  accontentarli,  perché  desiderosi  sempre  di  nuore  e 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BBPUBBLICA   BOMANA  83 

maggiori  larghezze;  Tesercito  del  Piemonte,  stremato  di 
forze  e  awilito  a  cagione  dei  disastri  toccati  in  Lombardia, 
non  potere  uscire  aile  riscosse  ;  quelli  délia  Chiesa  e  di 
Toscana  essere   scarsi  di  soldatesche,  e  queste  poi  non 
molto  esperimentate  neirindustria   e   nei  maneggi  délia 
giierra;  ne  trovarsi  allora  in  Italia  un  capitano  abile  a 
t6nere  la  somma  di  essa  e  condurla  a  onore;  e  conside- 
rato  lo  sforzo  poderoso  deU'Austria,  trovarsi  le  armi  con- 
federate  italiane  sotto  ogni  rispetto  insufScienti  all'impresa; 
consiglio  prudente  e  savio  venire  agli  accordi  con  Tim- 
perio.  =  Rotta  la  fede  data  pochi  di  innanzi  a'  suoi  popoli, 
Pio  IX  fatta  deliberazione  di  rappattumarsi  col  Governo 
di  Yienna,  deputava  a  Welden  —  in  quel  giorni  di  stanza 
in  Rovigo  —  il  principe   Corsini,    Senatore  di  Roma,   il 
rainistro  Guarini  e  il  cardinale  Marini,  Legato  di  Forli, 
in  apparenza  col  carico  di  protestare  contra  Finvasione 
di  Bologna,  ma  in  sostanza  con  TofScio  di  trattare  di  pace. 
n  15  di  quel  mese  di  agosto  il  laogotenente  maresciallo 
Welden  e  i  deputati  pontifici  fermavano  una  convenzione, 
in  virtii  délia  quale  il  Governo  délia  Santa  Sede  doveva  ren- 
dere  i  soldati  austriaci  ritenuti  prigionieri  in  Bologna  e  nei 
contorni,  e  guarentire  il  territorio  deirimperio  da  qualsiasi 
offesa  armata  e  provocazione  che  potessero  turbare  Tor- 
dine  e  la  tranquillità  pubblica.  Dal  canto  suo  Welden  pro- 
metteva  sgombrare  di  sue  genti  lo  Stato  délia  Chiesa,  ad 
eccezionei  délia  cittadella  di  Perrara,  délia  terra  di  Bon- 
deno  e  di  Pontelagoscuro  ;  di  restituire  le  armi  confiscate 
nelle  Legazioni  ;  in  fine,  di  ristabilire  le  cose  giusta  il  trat- 
tato  di  Vienna  del  1815,  quando  gli  fosse  pervenuta  la  ra- 
tifica  papale  dei  patti  délia  convenzione.  Pio  IX,  tosto  che 
ebbe  accettati  e  sottoscritti  i  patti  di  essa,  in  verità  poco 
onorevoli,  per  mezzo  dei  supremi  governanti  comandava 
di  sospendere  l'ordinarsi  di   nuovi  corpi  di  soldatesche  e 
che  i  volontari  —  corsi  alla  sua  chiamata  a  difendere  la 
patria  contra  gli  assalitori  stranieri  —  posate  le  armi,  fa- 
cessero  siibito  ritorno   ai  loro  focolari,  ai  trafflci,  all'in- 


Digitized  by  VjOOQIC 


84 


CAPITOLO  It 


dustria  e  ai  mestieri  usati.  £  i  Ministri,  pretessendo  il  bi- 
sogno  di  grosse  économie,  allo  intente  di  evitare  il  danno 
di  un  dispendio  Tionpiù  condtAcente  allo  scopo  pre/îsso  (1), 
a  cagione  délie  mutate  circostanze»  onestavano  il  disarma- 
mento,  il  quale  metteva  lo  Stato,  se  non  in  potestà,  certa- 
mente  nella  dipendenza  deirAustria.  Se  la  convenzione  di 
Rovigo  aveva  battuto  lo  allarme  nel  campo  libérale,  i  nuovi 
atti  del  Governo,  che  erano  un  vero  attentato  alla  liberté, 
averano  fatto  nascere  grande  malcontento  nei  popoli  sog- 
getti  alla  Chiesa.  n  Somme  Pontefice,  spinto  dalla  parte 
moderata  —  in  quel  mezzo  divenuta  oltrapotente  in  Vati- 
cano  per  lo  appoggio  délia  Corte  di  Vienna  —  tendeva 
allora  a  cambiare  il  principato  costituzionale  in  assoluto; 
al  quale  scopo  alcuni  tra  i  Cardinali  tenevano  pratiche 
col  Governo  austriaco,  e  fra  essi  il  ministre  Soglia,  che 
di  quel  giorni  aveva  scritto  una  lettera  a  segni  o  gerogliflci 
alla  Corte  impériale.  —  In  questo  mezzo  Bologna  e  le  cam- 
pagne circostanti  venivano  da  bande  di  gente  scellerata 
funestate  di  uccisioni  e  rapine;  le  quali,  mandando  sos- 
sopra  ogni  cosa,  avevano  riempiuto  di  spavento  anche  i 
cittadini  d^animô  forte  e  audace.  Quelle  bande  erano  conr 
datte  e  guidate  da  una  potenza,  quanta  occulta,  altret- 

tanto  a^tuta  e  infâme; erano  tristi  satelliti  di  uno 

stolto  e  infâme  sistemay  che  rahUosamsnte  contorcevansi 
e  cercavano  salute  in  tutto  ciô  che  la  pavera  umanità  avea 
di  laido  e  di  schifoso  (2).  Il  Governo  pontifîcio,  forse  allo 
intente  di  rendere  odiosa  la  libertà  (3),  da  prima  lasciô 
che  si  compissero  quelle  scelleraggini,  che  la  voce  pub- 
blica  affermava  fossero  vendette  di  parte;  ma  quando  s*ac- 
corse,  che  una  più  lunga  tolleranza  potrebbe  far  nascere 
sospetti  sopra  i  supremi  reggitori  dello  Stato  ;  e  allora  che 


(1)  Lettera  circolare  del  22  agosto  1848  del  ministro  Edoaido  Fabbri. 

(2)  Décrète  del  Oomitato  di  sainte  pnbblica  di  Bologna  del  22  ag^o- 
8to  1848. 

(3)  LoiGi  Anbllt,  Stùria  d'Italiaj  vol.  ii,  cart.  239.  Milano,  1864. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BBPUBBLIOA   BOHANA  85 

seppe  il  padre  Gavazzi»  invitato  da*  suoi  coacittadini  (1), 
recarsi  tra  questi  per  mettere,  con  la  sua  potente  parola, 
freno  aile  passioai  che  agitavano  Bologna  e  far  cessare  le 
morti  e  le  violenze  che  raffliggevano,  il  cardinale  Amat, 
Legato,  arrestà  il  sang%te  e  i  misfatH. 

n  26  di  quel  mese  di  agosto  Pic  IX  prorogava  il  Parla- 
mento  nazionale  sino  al  15  del  veguente  settembre  ;  in  oltre, 


(1)  n  25  agosto  il  ComiMo  di  piMliea  salute  scriyeva  al  padre 
Gftvazzi  ia  qnesti  termini:  a  Padre  reyerendissiino!  Il  nostro  generoBO 
popolo  ha  dimostrato  di  essere  degno  figlio  d'Italia;  sia  Iode  a  Dio, 
che  tanta  yentara  ci  concesse.  Appena  cessato  il  pericolo  e  rinebbria- 
mento  délia  yittoria,  unanime  il  popolo  gentl  il  bisogno  di  riyolgersi  a 
Dio;  e  0  yostro  nome,  Padre  reyerendissimo,  fa  su  le  bocche  di  tntti, 
perché  in  yoi  apprezza  Talta  missione  del  Cleio  di  nnire  gli  nomini  a 
Dio.  In  mezzo  ai  generosi  sentimenti  che  sono  dati  aile  masse  da  Dio, 
non  mancano  i  tristi  che  dpingono  e  trayolgono  il  bnon  popolo  aile 
idée  anarchiche  di  rapine  e  saocheggio,  fomentando  Todio  contra  le 
clasd  agiate  dei  cittadini;  tali  idée,  che  hanno  troppo  profonde  radici, 
e  che  sono  alimentate  dall'ayere  U  popolo  lasdato  i  snoi  layori,  tro- 
vando  mezzo  di  Incro  dandosi  all'ozio,  rechimano  nn  pronto  proyyedi- 
mento,  a  fine  d'eyitare  'quei  mali,  che  ci  trayolgerebbero  in  una  totale 
roTina.  H  Comitato,  che  ama  di  tutto  cnore  il  popolo  e  Tltalia,  confida 
nel  senno  e  nel  caldo  amor  di  patria  di  yoi,  Padre  reyerendissimo  ;  co- 
noscendo  il  yostro  cnore,  confida  che  comprenderete  l'alta  missione  che 
vi  aspetta,  e  mostrerete  all'Italia  che  chi  yi  accnsaya  di  tnrbolento  e 
Anarchico  solennemente  mentiya.  Il  Comitato  spera  che  ritomerete  fra  noi 
per  aintarci,  per  diyidere  la  sorte,  e  &r  riyerire  il  popolo  da  chi  lo  di- 
sprezza.  Pensate,  Padre  reyerendissimo,  che  al  trionfo  morale  del  po- 
polo noi  sacrifichiamo  interamente  noi  stessi,  e  forse  la  fama  e  la  yita. 

—  Voleté  yoi  stringere  nn  tal  patto  con  noi?  —  Pensateci,  Padre 

A  Toi,  più  popolare  che  ogni  altro,  toccherà  lodare  le  yirtù  del  popolo, 
corne  a  biasimare  i  yizi,  a  fine  di  impedire  che  le  insinnazioni  e  le 
arti  dei  tristi  preyalgano  ;  forse,  per  le  grayi  circostanze  che  corrono, 
vi  toccherà  di  essere  qnalche  yolta  seyero ,  e  forse  anche  inginsto  ! 
Siete  yoi  tanto  forte  per  bere  nn  calice  cosi  amaro?  Pensateci,  Padre, 
«  decidete.  A  ogni  modo  noi  attendiamo  nna  risposta  degna  di  yoi, 
<legiûEk  del  popolo  che  yi  demanda;  e  per  parte  nostra  yi  garantiamo 
che  nella  Legazione  di  Bologna  godrete  perfetta  libertà.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOIiO   H 


licenziati  i  Ministri,  che  allora  reggevano  la  cosa  pubblica, 
perché  inetti  a  fargli  riacquistare  la  potestà  assoluta  — 
la  quale,  corne  già  dicemmo,  egli  intendeva  di  riavere  in 
tutta  sua  pienezza  e  ad  ogni  costo  —  fidava  a  Pellegrino 
Rossi  il  carico  di  comporre  un  nuovo  Governo  (1),  cui  egli 
doveva  dare  il  nome  e  l'andamento  (2).  Con  lui  siedettero 
nel  suprême  Consiglio  di  Stato  il  cardinale  Soglia,  Cico- 
gnara,  Montanari,  il  principe  di  Rignano,   Guarini;  piii 


(1)  n  conte  Pellegrino  Rossi,  da  Carrara,  era  stato   proposto  dal 
conte  Pasolini   al  Papa  corne  l'aomo  più  adatto   a  comporre ,  in  qnei 
momenti  difficili,  nn  nuoyo  Governo.  Rossi  ave^a  messo  innan  tre 
principali  diffîcoltà  all'accettazione  di  quell'o£Scio.  »  Prima  l'avere  mo- 
glle  protestante,  cosa  che  si  poteya  credere  non  convenire  al  Ministro 
di  nn  Pontefice;  poi   l'essere  membro  deUlstituto  di  Francia,  e  per 
qnesto  chiedeva  che  la  nomina  sna  potesse  risnltare  da  un  antografo 
del  Papa.  Se  il  Papa,  dlceva,  scriye  la  nomina  di   propria  mano,   la 
rispetteranno  tanto  che  nessnna  osservazione  verra  fatta  a  mio  rignardo. 
Da  nltimo  egli  rammentava  al  Papa,  che  alcnni  snoi  libri  erano  stati 
messi  9}ïindice:  ma  il  Papa  rispose:  «  Qt^esto  non  fa  niente  ...... 

RossL....  accettô  cedendo  aUe  istanze  del  Papa  e  di  Pasolini,  ma  lo  fece 

contra  sua  voglia  dicendosi  poco  esperto  conoscitore  degli  Italiani  »  (*). 

(2)  n  26  agosto  il  Parlamento  romano  metteva  fuora  le  seguenti 
proposte,  discusse  e  deliberate  il  22  di  quel  mese: 

u  V  Che  il  Sovrano  Pontefice  convoehi  un  congresso  nel  quale  gli 
interessi  d'Italia  siano  rappresentati  e  convenientemente  trattati  in 
tutta  Testensione  del  potere  spirituale  e  temporale  del  papato; 

2»  Che  in  nome  di  Pio  IX  siano  sgombrati  intieramente  gli  Stati 
délia  Chiesa,  compresa  la  cittadella  di  Ferrara  ;  che  nelle  convenzioni 
concernent!  il  regno  Lombardo-Veneto  siano  guarentite  le  libertà  dei 
popoli  e  rindipendenza  délia  nazione  italiana,  e  venga  Tltalia  restî- 
tuita  a'  suoi  limiti  naturali; 

3"*  Che  il  Sovrano  Pontefice  intervenga  a  ristabilire  col  mezzo 
délia  sua  autorità  la  pace  fra'  Siciliani  e  il  Re  di  Napoli,  o  almeno 
nna  sospensione  d'arml; 

4P  Che  nelle  diplomatiche  trattative  già  iniziate  i  rappresentauti 
italiani  siano  in  accorde  con  gli  interessi  delFItalia  di  maniera  a  pro- 
durre  un  primo  effetto  deUa  lega  e  délia  dieta  nazionale; 

(*)  Oiuiepp«  Poêolim,  ICemorie  racoolte  da  sao  flffUo,  ^éftrt.  itt.  Imola,  1880. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   REPUBBLIOA   BOMANA  87 

tardi,  il  générale  Zucchi.  Rossi  niegô  da  prima  d'accettare 
queirofflcio,  già  oflTertogli  da  Fabbri,  perché  suddito  di 
Prancia,  del  quale  Governo  era  stato  oratore  presso  la  Corte 
romana  ;  ma  insistendo  Pio  IX  ed  eziandio  pregato  dal  duca 
d'Harcourt,  che  Tassicurô  avrebbegli  ottenuta  la  voluta  li- 
cenza  da  Parigi,  fu  Pellegrino  Rossi  ministre  del  Ponteflce. 
Un  giorno,  ardente  propugnatore  deirindipendenza  d'Italia, 
patria  sua,  e  di  sensi  liberalissimi  egli  era  venuto  in  grande 
estimazione  appo  gli  Italiani  e  avrersato  dalla  Curia  pa- 
pale, che  aveva  posto  nlVindice  le  opère  dell'ingegno  sno 
e  costretto  ad  esulare  in  terra  straniera.  Ma  poscia  dal- 
Tamicizia  e  dalle  dottrine  di  Guizot  —  aile  quali  erasi  ac- 
costato  e  fatte  sue  dopo  avère  consigliato  lo  stesso  Guizot 
di  lasciarle,  reputandole  pericolose  a  lui  e  di  danno  alla 
monarchia  —  mutato  tanto  da  essere  tenuto  più  francese 
che  italiano,  scapitô  dimolto  nella  considerazione  de'  suoi 
concittadinî,  e  guadagnossi  tutto  il  favore  délia  parte  mo- 
derata,  di  quanti  in  Corte  di  Roma  avversavano  le  libertà 
italiano  ed  anche  del  Ponteflce,  allora  che  disertava  dalla 
causa  patria  per  unirsi  ai  nimici  di  essa  (1).  Pari  al  sa- 
pere,  che  vastissimo  possedeva  soprattutto  nelle  scienze 
economiche,  era  in  Pellegrino  Rossi  la  superbia  délia  mente  ; 
alla  risolutezza  e  alla  forza  di  carattere  andava  congiunta 


.5«  Clie  il  Governo  pontificio  si  occupî  al  più  presto  possibUe  délia 
conchinsione  di  qnesta  lega  e  costitozione  di  qnesta  dieta; 

6'^  Che  Tesercito  sia  organato  e  disciplinato  seeondo  il  modo  e  la 
cifra  dalla  Caméra  prescritta  sino  a  che  sia  decisa  la  qTdstione  italiana; 

7^  Che  0  Governo  s'adoperi  con  tutti  i  mezzi  a  Ini  possibili  per 
ristabilire  la  reciproca  confidenza  tra  il  Clero  e  il  popolo; 

S^  Che  il  Governo  e  le  Camere  si  occnpino  a  liformare  le  rendite 
dello  Stato  per  Fanno  1849; 

9^  Che  si  renda  ginstizia  aile  classi  inferiori  e  ai  proprietari;  sol- 
levando  le  prime  dei  pesi  che  direttamente  su  loro  si  aggravano,  e 
rendendo  per  li  secondi  le  tasse  piû  eqne  applicandole  a  ogni  specie 
di  introito.  » 

(1)  Vedi  la  corrispondenza  di  Pellegrino  Rossi  col  mlnistro  Guizot, 
del  ^ennaio  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


88  OAPITOLO  II 


grande  asprezza  di  modi  ;  avverso  a  reggimento  repubbli- 
cano,  al  gridarsi  di  questo  in  Francia,  rinunciô  airofflcio 
d*amba3ciatore  e  fece  ritorno  a  vita  privata.  Divenuto  Mi- 
nistro  del  Ponteâce  dayasi  a  combattere  la  parte  democra- 
tica,  i*cui  principi  riteneva  esiziali  alla  patria;  contrario 
airingrandimento  délia  monarchia  sabauda,  délia  quale  ben 
conosceva  le  mire  a  maggiore  signoria,  egli  niegava  al- 
learsl  alla  Sardegna  per  guerreggiare  TAustria;  respingeva 
la  Costituentey  dai  piii  délia  nazione  richiesta;  in  fine,  de- 
liberava  di  stringersi  in  amicizia  con  Ferdinando  di  Napoli 
allô  scopo  di  fare  contrappeso  alla  potenza  di  Carlo  Alberto 
e  impedirgll  Tacquisto  del  primato  in  Italia.  In  verità,  per 
li  tempi  che  allora  correvano,  l'alleanza  del  Pontefice  col 
Borbone  poteva  dirsi  un  mostruoso  connubio  !  Il  governo 
politico  di  Pellegrino  Rossi,  degno  di  principe  despotico 
più  che  di  consigliere  di  sovrano  costituzionale,  facevagli 
subito  perdere  la  confidenza  del  popolo,  che  aveangli  valso  i 
primi  atti  del  reggimento  suo  ;  perô  che  egli  avesse  tolto  i 
molti  abus!  trovati  nell'amministrazione  délia  cosa  pubblica 
e  introdotto  in  essa  ordinamenti  efflcaci  a  migliorarla  e  a 
ristorarne  l'erario  esausto,  assoggettando  aile  comuni  gra- 
vezze  il  Clero  e  i  corpi  moralif  sino  a  quel  giorno  esenti; 
e  siccome  Tesercito  mancava  di  un  capo  esperimentato  e 
provato  nelle  armi,  fidava  il  suprême  comando  di  quelle 
al  vecchio  générale  Zucchi»  che  dopo  la  caduta  di  Milano 
erasi  rifugiato  in  Isvizzera.  —  Lo  scacciar  di  Roma  e  dello 
Stato  di  due  napolitani,  che  aveanvi  cercato  asilo  securo 
contra  le  ire  del  Borbone  (l\  e  le  persecuzioni  mosse  ad 
alcuni  uomini  di  parte  libérale  turbavano  la  calma  délia 
clttà,  minacciando  di  levarla  a  tumulte  ;  e  allora  poi  ch*egli 
chiarissi  pronto  a  spegnere  la  libertà  e,  se  la  bisogna  il 
richiedesse,  a  usare  délia  forza  per  ridurre  le  popolazioni 
a  servile  obbedienza  de'  suoi  voleri,  i  Romani  agitaronsi  e 
si  mossero  a  romore.  Ne  di  ciô  Rossi  diedesi  pensiero,  av- 


(1)  Erano  Gennaro  Bomba  e  Vincenzo  CarbonellL 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BSPUBBLIOA   ROMANA  89 

vegoachè  tutte  sae  cure  fossero  rivolte  a  rialzare  il  papato, 
di  quel  giorni  cadato  molto  in  basso,  tornarlo  alla  gran- 
dezza  antica  e  metterlo  a  capo  d'una  nnova  civiltà,  délia 
quale  egli  voleya  essere  primo  e  principalissimo  faitore. 

lû  quel  mezzo  ara  venuto  in  Roma  il  prête  Antonio  Ros- 
mlni,  deputato  dal  re  Carlo  Alberto  al  Pontefice  per  discu- 
tere  sui  mezzi  di  condurre  i  régnant!  in  Italia  a  buoni 
accord!  e  fermare  d^essi  una  federazione.  Fallirono  com- 
piutamente  le  trattative  tentate  da  Rosmini  ;  fallirono  quelle 
altresi  di  De  Ferrari,  consigliere  sardo,  spedito  poco  di  poi 
a  Roma  dal  Governo  di  Torino  per  ritentarle  ;  perô  che  gl! 
orator!  d!  Carlo  Alberto  ponessero  innanzi  condizioni  im- 
po3sibili  ad  accettarsi  dal  Yaticano;  e  i  Ministri  delPapa, 
tali  patti,  che  la  Corte  Sabauda  doveva  respingere.  I  con- 
signer! del  Re  aveyano  proposto:  =  Lega  perpétua  tra  la 
Ohiesa,  la  Sardegna  e  la  Toacana,  la  eu!  unità  di  forza  e 
di  azione  guarantirebbe  i  territori  di  quelli  Stati  ;  avesse 
Pio  II,  quale  mediatore  e  iniziatore  dalla  Lega,  a  presie- 
dere  la  federazione,  a  i  succes3ori  suoi  a  perpetuità  ;  do- 
Tersi  raccogllere  in  Roma  una  Dieta  permanente,  costi- 
teita  dai  rappresentanti  degli  Stati  coUegati,  con  autorità 
di  fare  la  guerra  e  conchiudare  la  pace  ;  s'avessero  a  or- 
diaaro  le  dogane  délia  confederazlone;  a  fermare  trattati 
ii  nayigazione  e  per  1!  trafflc!  di  terra  con  le  nazioni  stra- 
niere;  a  yegliare  alla  concordia  e  buona  intelligenza  tra 
gli  Stati  délia  Lega  e  proteggerne  Tuguaglianza  politica  ; 
a  risolvere  le  controyersie  interne  ;  a  proyyedere  alla  uni- 
formità  del  sistema  monetario,  di  quelle  dai  pas!  e  délie 
i&isure,  délia  militare  disciplina  ;  in  fine,  a  studiare  i  mezzi 
di  raggiungere  gradatamente  nella  legialazione  politica,  ci- 
vile, pénale  e  di  procedura  la  maggiore  possibile  unifor- 
mità;  libero  poi  a  tutti  gli  altri  Stati  italiani  d*entrare  nella 
l^ga.  =  Dalla  Corte  romana  era  stato  messo  innanzi  :  = 
Ogni  Stato  indipendente  délia  penisola  potere  aderire,  fra 
«n  tempo  stabilité,  alla  Lega  e  farne  parte  ;  le  faccende 
.'ue  doyersi  trattare  daU'assemblea  de!  pienipotenziar!  degli 


Digitized  by  VjOOQIC 


90  CAPITOLO   II 


Stati  confederati  ;  i  pienipotenziari  di  ciascuno  di  essi  rap- 
presentare  collettîvamente  il  detto  Stato.  Il  Sommo  Ponte- 
fice,  o  in  vece  sua  uno  dei  rappresentanti  lo  Stato  delln 
Chiesa,  dover  presiedere  a  quelVassemblea  o  congresso  ;  da 
ultimo,  che  in  un  congresso  preliminare  si  avessero  a  fis- 
sare  le  regole  e  gli  ordinamenti  délia  Lega,  coi  diritti  v  j 
gli  obblighi  che  ne  fossero  per  derivare  ;  salva  al  Papa  U* 
piena  libertà  di  conchiudere  trattati  e  convenzioni  riguar- 
danU  direttamente  o  indirettamente  gli  affari  di  reUgione.  | 
=  In  vero,  quest'ultima  condizione,  la  quale  costituiva  uit 
privilégie  di  sommo  momento  per  Roma  —  avvegnachè  in 
virtii  di  essa  si  venisse  a  concedere  al  Pontefico  la  facoltà 
di  stringere  amicizia  con  l'Austria,  amicizia  ch'egli  avrebbe 
potuto  sempre  onestare  col  pretesto  délia  religione  —  tor- 
nando  di  grave  danno  agli  altri  Stati  délia  Lega,  doveva 
far  respingere  dal  Qoverno  subalpine  tutte  le  proposte  dei 
Ministri  pontifîcî.  Siccome  dei  non  essersi  potuto  fermare 
la  confederazione  1  consiglieri  di  Carlo  Alberto  gettavano 
tutta  la  colpa  su  quelli  dei  Papa,  Pellegrino  Rossi,  a  difesa 
loro,  nella  Gazzetta  di  Roma  dei  4  novembre  scrlveva  cosi  : 
=  Iniziatore  e  promuovitore  assidue  délia  Lega  politica  tra 
le  monarchie  costituzionali  essere  stato  Pio  IX;  dei  Go- 
verno  suo,  il  ferme  desiderio  di  stabilirla.  Le  umane  pas- 
sioni  e  gli  interessi  privati,  che  speravasi  non  sarebbero 
mai  per  contrastare  all'opera  santa  e  rendere  vana  la  pura 
carità  di  patria  inspiratrice  di  quel  pensiero,  porre  oggidi 
gravi  ostacoli  al  compiersi  di  esso  ;  e  gli  ostacoli  incon- 
trarsi  appunto  là,  dove  ogni  ragione  voleva  che  si  tro- 
vasse  facile  consenso  e  cooperazione  sincera.  Là  udirsi 
acerbe  parole  accusant!  il  Pontefice  di  non  volere  la  Lega 
—  ch'egli  primo  disegnava  e  proponeva  —  perché  cieca- 
mente  non  aderiva  aile  proposte  délia  Sardegna,  le  quali 
suonavano  cosi:  Noi  decretiamo  la  Lega  in  génère;  man- 
dateci  uomini,  armi  e  danari;  poi,  tostochè  sia  possibile, 
i  pienipotenziari  si  riuniranno  in  Roma  per  delîberarc 
su  le  leggi  organiche  délia  federazione.  —  Quai  territorio 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BBPVBBLIOA   BOMANA  91 

vorrebbesi  dalla  Sardegna  che  Roma  e  Toscana  avessergli 
a  guarentire  ?  se  Tantico,  nessuna  obbiezione  ;  se  il  nuovo, 
Toscana  e  Roma  non  bastare,  ma  richiedersî  il  consenti- 
mento  d'Europa.  Lo  aggrandirsi  délia  Sardegna  doveva  es- 
3ere  opéra  volonterosa,  comune  e  maturatamente  deliberata 
da  tatti  gli  Stati  délia  vera  Lega  italiana.  Il  Governo  sub- 
alpino  domandare  a  quello  del  Pontefice  e  di  Firenze  lor 
parte  contingente  d'armi  e  di  danaro;  ma  come  flssarla,  se 
ancora  non  sapevasi  quali  Stati  sarebbero  per  entrare  nella 
UgOy  i  cimenti  in  oui  essa  avrebbe  potuto  trovarsi,  le  ami- 
cizie  da  sperare,  le  inimicizie  da  temere  ?  —  Le  proposte 
del  Governo  di  Carlo  Alberto  tacere  di  Napoli,  che  è  grande 
parte  dltalia  ;  altri  e  ben  diversi  dovrebbero  essere  i  patti 
délia  Lega^  se  Napoli  in  questa  entrasse  ;  diversi  ancora, 
se  quello  Stato  amico  ci  fosse,  se  ci  avversasse,  o  se  neu- 
trale  si  tenesse.  Gertamente  venire  utile  non  picciolo  al 
Re  di  Sardegna  dal  capitanare  due  o  tre  eserciti  uniti  al 
suo  ;  ma  assai  più  di  vedere  il  reame  sabaudo  allargarsi 
di  territorio,  tornare  di  vantaggio  aU'Italia  lo  stringerne 
gli  Stati  in  salda  Lega  e  solidamente  riformarne  e  amme- 
gliorarne  le  armi,  I  Ministri  sardi,  desiderosi  di  pace,  avère 
date  il  carico  di  negoziarla  agli  Stati  mediatori,  Francia  e 
Inghilterra  ;  perô  Roma  e  Toscana  ignorarne  i  patti.  In 
verità  strana  cosa  sarebbe  se  di  tre  Governi  confederati 
uno  solo  avesse  a  trattare  taie  faccenda,  di  si  grave  mo- 
mento  per  tutti,  e  conoscere  le  basi  su  le  quali  posare  Te- 
difizio  délia  pace  e  le  condizioni  di  essa.  Se  la  Sardegna 
volesse  in  ciô  fare  da  se,  la  Lega  potrebbesi  bensi  fermare, 
ma  non  già  stabilirne  gli  obblighi  speciali,  che  quando  il 
conchiudersi  délia  pace  o  lo  sciogliersi  délie  trattative  fa- 
cesse  noto  il  mistero  dei  negoziati;  qualora  poi  il  Governo 
di  Torino  intendesse  negoziare  quai  collegato,  si  affrettasse 
ad  aderire  alla  Lega  e  inviasse  a  Roma  i  suoi  pienipoten- 
ziari.  Le  proposte  pontificie  aprire  una  via  facile  e  piana 
^  raggiungimento  dello  scopo  da  tutti  sospirato  ;  ogni  altra 
via  dilungarci  da  esso.  «  Pio  IX ,  conchiudeva  Pellegrino 


Digitized  by  VjOOQIC 


92  CAPITOLO   II 


Rossi,  non  si  rimuove  dairalto  suo  pensiero,  desideroso  qnale 
sempre  fu  di  provvedere  efficacemente  per  la  Lega  politica 
italiana,  alla  sicurtà,  alla  dlgnità,  alla  prosperità  dellltalia 
e  délie  monarchie  costituzionali  délia  penisola.  Pio  IX  non 
è  mosso  da  interessi  particolari,  nà  da  antiyeggeaze  am- 
biziose  ;  nuUa  chiede,  nuUa  desidera  se  non  la  félicita  del- 
ritalia  e  il  regolare  svolgimento  délie  istituzioni  ch*egli 
largi  a'  suoi  popoli.  Ma  non  iscorderà  mai  ad  un   tempo 
quanto  ei  debba  alla  dignità  délia  Santa  Sede  e  alla  gloria 
di  Roma.  Qualsiasi  proposta  che  fosse  incompatibile  con 
questo  sacro  debito,  tprnerebbe  vana  presse  il  Sovrano  di 
Roma  e  il  capo  délia  Ghiesa  ;  il  ponti&cato  è  la  sola  viva 
grandezza  che  resta  all'Italia  e  che  a  questa  fa  riverenti  ; 
e  ossequiosi  l'Europa  e  Tintero  orbe  cattolico  ;  Pio  IX  non 
sia  mai  per  dimenticarlo  come  suprême  gerarca,  ne  corne  \ 
italiano.  »  =  Queste  parole  aspre  e  quasi  insultanti  non 
proyenivano  da  una  ferma  credenza  dei  torti  délia  Sar- 
degna  verso  lo  Stato  délia  Ghiesa,   ma,  per  la  massima 
parte  almeno,  erano  uno  sfogo  d*ira  superba  delVacre  Mi-  ; 
nistro  ppntiftcio  :  onde  allora,  non  solo  crebbe  il  malcon-  1 
tento,  che  i  modi  suoi  di  governo  avevangli  già  mosso  contra,  | 
ma  vie  più  inasprironsi  gli  animi  délia  parte  libérale  e  i 

di  quanti  erano  favorevoli  a  Garlo  Alberto.  ! 

I 

Gon  lo  awicinarsi  del  15  novembre,  giorno  délia  ricon- 
vocazione  del  Parlamento,  andava  crescendo  in  Roma  l 
Tagitazione  popolare:  per  la  quale  cosa  il  Ministre,  per 
tutelare  fordine  minacciato  da  alcuni  faziosi,  chiamava 
a  se  dalle  terre  più  vicine  alla  metropoli  quanto  più  po- 
teva  di  carabinieri,  la  sola  forza  di  difesa,  giusta  Topi- 
nione  di  Balleydier,  sopra  la  quale  egli  credesse  poter  fare 
sicuro  fondamento  (1);  ai  q%mlU  corse  allora  la  fama,  egli 

(1)  c egli  ne  fece  la  rassegna  per  ricordare  ad  essi  il  dover  loro, 

sordamente  minacciato  dai  nlmici  deUa  società.  » 

Alphonse  BALLBToncB,  Histoire  de  la  Révolution  de  Borne,  vol.  1, 
carL  171.  Ginevra,  1861. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.   BËPITBBLIGA  BOMANA  93 

ebbe  allora  detto:  di  dimenticare  d'essere  cittadinU  per 
ricordarsi  d'essere  soldait.  —  I  fatti  dolorosi  compiutisi 
di  quei  giorni  ia  Bologna,  e  lo  imprigiooarsi  del  frate 
Gavazzi  esasperayano  fuor  di  misura  gli  animi  dei  Romani, 
e  facevano  traboccare  d*ogni  parte  la  tazza  colma  di  odio 
e  d'ira  contra  il  Governo.  Terminata  la  guerra  regia  su 
FAdige  e  sul  Mincio  e  riusciti  vani  i  teniativi  di  tener 
viva  in  Lombardia  la  guerra  del  popolo,  il  générale  Gari- 
baldi  erasi  portato  a  Genova  ad  a^ttendervi  il  ricominciare 
délie  ostilità  contra  l'Austria,  che  sperava  non  lontano. 
Poco  temjpo  egli  oziô;  avvegnachè,  accettato  lo  invito  dei 
deputati  di  Sicilia,  subito  entrasse  in  mare  con  trecento 
de'  suoi  âdi  —  tra*  quali  alcuni  gloriosi  avanzi  délia  le- 
gione  di  Montevideo  —  per  correre  in  aiuto  ai  Siciliani, 
nuovamente  levatisi  in  su  Tarme  per  togliersi  alla  tiran- 
nide  del  Borbone.  Se  non  che  al  suo  giugnere  in  Livorno, 
sapato  dei  casi  di  Roma  e  del  romoreggiare  délie  Lega- 
zioniy  messa  da  parte  Timpresa  sicula  e  attraversata  con 
soUecito  passe  la  Toscana,  per  le  Filigari  recavasi  a  Bo- 
logna.  Il  Governo  pontificio,  il  quale  non  avevagli  potuto 
contrastare  il  passe  deirAppennino,  temendo  a  buona  ra- 
gione  clie  le  popolazioni  romagnole  incoraggiate  dalla  sua 
preaenza  si  levassero  a  tumulte,  offriva  a  Garibaldi  di 
trasportarlo  con  sue  genti  a  Ravenna,  di  là  a  Porto  Cor- 
sini  e  imbarcarlo  per  Yenezia.  Ed  egli,  reputando  allora 
inopportune  di  ribellare  le  Legazioni  airautorità  papale  e 
credendo  di  poter  meglio  giovare  agli  interessi  délia  pa- 
tria  col  soccorrere  ai  Veneziani,  aiutandone  col  suo  brac- 
cio,  e  col  braccio  de' suoi  valorosi  compagni  le  resistenze, 
volontieri  accoglieva  le  proposte  di  Roma,  Ma  i  nimici 
suoi,  avendo  con  maie  arti  sparsa  voce  in  Venezia,  che  la 
schiera  di  Garibaldi  era  composta  di  awenturieri  e  di 
uomini  civilmente  e  moralmente  .perduti,  inducevano  il 
Governo  délia  repubblica  a  rigettare  quel  validissimo  soc- 
corso,  n  popolo  ravennate,  allora  che  seppe  del  rifiuto  di 
Manin  e  del  proposito  délie  genti  garlbaldine,  le  quali, 


Digitized  by  VjOOQIC 


94  CAPiTOLO  n 


veggendosi  respinte  dai  Governi  italiani,  volevano  rifu- 
giarsi  in  Turchia,  tumultuante  corso  al  palazzo»  staaza  del 
Legato  pontiQcio,  e  con  alte  grida  domandôgli»  avesse  a 
impedire  la  partonza  doi  volontari.  Il  Legato,  il  quale  per 
trovarsi  in  mezzo  aile  armi  dei  mercenari  stranieri  teae- 
vasi  sicuro  da  ogni  insulto,  a  fine  di  ricondurre  alla  quiète 
usata  i  cittadini,  prometteva  loro  che  non  tarderebbe  ad 
appagarne  i  giusti  desidèri.  Se  non  che,  i  Ravennati,  non 
accontentandosi  di  vane  parole,  persistevano,  romoreggianti 
sempre,  nelle  domande  fatte;  e  il  Legato,  sperando  di  rag- 
giugnere  Tintento  suo,  rinnovava  le  promesse  di  concedere 
loro  quanto  bramavano.  Stancatosi  il  popolo  di  chiedere 
invano,  davasi  a  slanciare  piètre  contra  il  palazzo,  minac- 
ciando  altresi  d'invaderlo;  allora  le  milizie  straniere,  che 
vi  stavano  a  guardia^  a  quella  minaccia  rispondevano  col 
trarre  délie  armi.  Lo  spargimento  di  sangue  accrebbe  ol- 
tre  ogni  dire  la  irritazione  nei  cittadini;  i  quali,  con  lo 
appoggio  dei  volontari  garibaldini  atterrarono  le  porte 
del  palazzo,  e  tolsero  le  armi  ai  soldati  stranieri.  La 
guerra,  che  stava  per  accendersi  ira  i  Ravennati  e  il 
presidio,  veniva  impedita  dalle  novelle  arrivate  di  li  a 
poco  da  Roma  perturbata,  sconvolta  e  tutta  piena  di 
pericoli.  n  générale  Zucchi  —  in  quel  mezzo  recatosi  a 
Bologna  per  mantenere  neirobbedienza  al  Pontefice  le  Le- 
gazioni  e  opporsi  a  Garibaldi,  ch*egli  credeva  mirasse  a 
soUevarle  —  facendola  da  dittatore,  infuriava,  anzi  imbe- 
stialiva  contra  la  parte  libérale;  mandava  prigioniero  a 
Gorneto  il  barnabita  Gavazzi,  toglieva  le  armi  al  popolo; 
con  uomini  di  cattivo  affare  cacciava  cittadini  onesti;  ne 
vergognavasi  di  insidiare  alla  libertà,  promovendo  disor- 
dini,  e  perseguitarne  i  difensori;  avvegnachè  mandasse 
sue  soldatesche  contra  le  genti  di  Garibaldi  e  del  bolognese 
Masina,  le  quali  insieme  congiuntesi  camminavano  verso 
Ancona.  Il  mal  governo  di  Zucchi  destô  tali  e  tanti  lamenti, 
che  pochi  giorni  di  poi  il  ministre  sopra  le  armi  Campello, 
messolo  in  accusa,  lo  invitava  a  scolparsi  del  suo  operato. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BEPCBBLIGA  BOMANA  95 


Era  il  15  novembre.  la  quel  giorno  Roma  destavasi  piÎL 
agitata  che  mai;  i  cittadlni  ne  popolavano  in  gran  nu- 
méro le  vie  sino  dalle  prime  ore  del  mattino,  dovunque 
raccogliendosi  in  capannelli,  in  mezzo  ai  quali  i  soliti  ora- 
tori  da  piazjsa  tenevano  parola  di  Costituente  italiana  e 
di  quanto  dovevasi  trattare  dai  Deputati,  che  stavano  per 
riuairsi  a  parlamento.  Le  voci  di  congiura  contra  il  Mi- 
aistro  abborrito  —  contra  Pellegrino  Rossi  —  cbe  già  da 
tempo  correvano  la  città,  ripetevansi  in  quel  mattino  con 
maggiore  insistenza;  Tora  délia  catastrofe  —  non  aflfret- 
tata,  ma  perô  attesa  senza  timoré  —  nondimeno  non  cre- 
<levasi  tanto  prossima  a  suonare.  Nel  mattino  stesso  la 
duchessa  di  Rignano  —  moglie  al  Ministre  dei  lavori  pub- 
blici  —  avvertiva  per  lettera  il  Rossi,  cui  erano  note 
quelle  voci  sinistre,  del  pericolo  che  gli  sovrastava  ed  e- 
ziandio  consigliavalo  di  non  recarsi  al  Parlamento;  ma 
t'gli,  sprezzando  il  prudente  consiglio,  in  sul  mezzodi  por- 
tavasi  al  Quirinale  per  ricevere  gli  ordini  del  Papa,  e 
poco  di  poi  uscivane  per  recarsi  al  palazzo  délia  Cancel- 
leria,  stanza  deirAssemblea  nazionale  (1).  Le  vie  che  me- 
navano  ad  esso  erano  ingombre  di  popolo;  davanti  al 
palazzo  stava  schierato  un  battaglione  di  guardie  cittadine  ; 
e  nel  vestibolo  trovavasi  una  mano  di  legionari,  reduci 
dalla  guerra  veneta,  sessanta  allô  incirca.  La  moltitudine 
dei  cittadini,  accalcantesi  nelle  vie  che  il  Ministre  doveva 
percorrere,  a  lui,  che  torvo  guardavala  e  con  sorriso  pro- 
vocatore,  facevasi  a  rispondere  con  chiari  segni  di  sprezzo 


(1)  tt  .....  nu  baon  saceidote  cercô  di  lui;  non  ricevnto,  lo  aspettd 
laogamente,  e  accostatosegli  mentre  nsciva,  segnendolo  per  le  scale  lo 
awisava  in  segreto  délia  conginra,  di  cui  aveva  avnto  notizia  in  con- 
feasione.  a  Ob!  la  ringiazio  del  suo  zelo!  »  rispondeva  il  Ministre  a 
voce  alta,  e  affrettando  il  passe  per  troncare  il  coUoquio  e  liberarsi 
dall'importnno.  » 

QwHppc  PasoUni,  Memoiie  raccolte  da  suo  figlio,  cart.  140.  Imola,  1880- 


Digitized  by  VjOOQIC 


96  CAPITOLO  II 

G  di  orrore  ;  e  allô  scendere  di  carrozzâ  accoglievalo  tra 
i  âschi,  e  alzava  grida  di  abominazionè  e  minaccia:  allora 
i  congiurati  gli  si  serravano  d'attorno.  Aveva  fatto  pochi 
passi  appena,  quando  uno  d'essi  toccavalo  con  bastone  al 
flanco  destro  ;  nel  momento  in  cui  Rossi  volgeva  fieramente 
il  capo  per  conoscere  Toltraggiatore,  il  ferro  d'un  assas- 
sine due  volte  cadeva  su  lui;  una  sola  volta  ferivalo,  ma 
di  ferita  mortale;  erangli  state  tagliate  Tarteria  carotide 
e  la  vena  giugulare  esterna!  Tassassino  e  i  suoi  complici 
sparivano  quasi  per  incanto,  ne  di  loro  nulla  seppesi  mai. 
—  Nel  suo  brève  governo  Pellegrino  Rossi  ebbe  a  tutti 
arrecato  gravi  oflTese;  alla  Corte  romana,  col  levarle  i  tanti 
abusi  di  cui  era  piena;  ai  Gardinali  e  ai  patrizi,  col  trat- 
tarli  superbamente  ;  al  popolo,  con  lo  attentare  aile  sue 
libertà:  ond'egli  ebbe  avversari  dimolti,  amico  nessuno; 
ne  certo  fu  caro  al  Pontefice,  al  quale  non  dovevano  tor- 
nare  graditi  i  suoi  modi  troppo  despotici  dî  governare,  che 
toglievano  al  Capo  suprême  dello  Stato  ogni  autorità,  per 
raccogliersi  tutta  nelle  mani  delForgoglioso  Ministro.  Le 
ricerche  poco  sollecite  ne  premurose  fatte  per  impadro- 
nirsi  deirassassino  e  il  processo  spinto  innanzi  non  con 
queirardore  che  la  gravita  del  caso  richiedeva,  lasciato  da 
prima  e  ripreso  da  poi,  indussero  Tuniversale  a  sospettare, 
cHe  a  tutte  le  fazioni  sommamente  importasse  di  non  isco- 
prire  Tucciditore  temendone  le  rivelazioni.  Sedici  cittadini 
vennero  accagionati  di  queirassassinio  ;  uno  di  essi  perde 
la  vita  per  mano  dol  carneâce  ;  cinquo  furono  mandati 
aile  galère;  uno  mori  durante  il  processo;  uno,  parimenti 
condannato  nel  capo,  si  spense  prima  dello  eseguirsi  délia 
sentenza;  gli  altri  otto,  avvertiti  in  tempo,  salvaronsi  con 
la  fuga.  La  Oiicstizia  aveva  in  apparenza  fatto  il  débite 
suo;  in  realtà,  no;  era  stato  in  poter  suo  di  rompere  il 
vélo,  dietro  il  quale  stavano  nascosti  i  promovitori  délia 
trama,  in  verità  assai  bene  ordita  e  benissimo  condotta  a 
fine,  e  non  lo  voile;  ne  la  luce  per  correre  di  anni  ancor 
si  fece  su  queirorribile  tragedia!  —  Cacciato  a  terra  dal 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BBPUBBLICA   BOMANA  97 

Tiolento  colpo  dell'assassino,  Rossi,  con  lo  appoggio  di 
Pietro  Righetti  —  sottosegretario  suo  venuto  con  lui  dal 
Quirinale  —  siibito  rialzatosi,  facevasi  a  salire  la  scala 
condncente  all'Assemblea;  se  non  che,  ascesi  appena  pochi 
gradini,  venivangli  meno  le  forze;  onde  il  servo  suo  e  il 
Righetti  sollevatolo  di  peso,  trasportavanlo  nelle  sale  del 
cardinale  Gazzolli^  che  trovayansi  in  capo  alla  scala^  e 
dove  brevi  momenti  dopo  passava  di  vita.  I  Deputati,  già 
raccolti  a  parlamento,  stavano  in  aspettazione  del  Rossi  — 
il  quale  doveva  in  nome  del  Sovrano  Ponteflce  aprîre  la 
nazionale  Assemblea  —  quando  il  ministre  Montanari  ve- 
niva  ad  essi  apportatore  dell'orpenda  novella.  Il  popolo, 
atTollato  nelle  logge,  siibito  fortemente  agitossi;  ma  î  suoi 
rappresentanti  chiamati  da  Sturljinetti,  che  li  presiedeva, 
corne  se  nulla  fosse  accaduto,  diedero  cominciamento  aile 
loro  parlamentari  fatiche.  Fu  questa  una  vana  ostentazione 
«li  codarda  fermezza  e  di  menzognera  tranquillità;  awe- 
^nachè  il  pallore  dei  loro  yolti  chiaramente  ne  rivelasse 
la  interna  commozione,  ed  eziandio  nella  maggiore  parte 
di  quelli  anche  un  terrore  pieno  d'affanno  e  una  inquie- 
tudine  paurosa  deirawenire.  Per  pochi  istanti  perô  sie- 
dettero  i  Deputati  in  Assemblea;  dopo  avère  udito  ■— senza 
aver  nulla  compreso  —  alcuni  oratori,  che  parlarono  bre- 
vemente  e  senza  far  cenno  délia  uccisioae  di  Rossi,  silen- 
ziosi  se  ne  andarono.  —  I  Romani,  mantenutisi  tran- 
quilli  in  tutta  la  giornata,  non  avendo  al  calare  délia 
notte  riceviito  contezza  nessuna  délie  deliberazioni  del 
Ponteflce  —  che  aveva  fatto  venir  siibito  al  Quirinale  il 
coate  Pasolini  e  Marco  Minghetti  (1)  —  presero  a  com- 
rauoversi,  a  rimescolarsi  e  a  correre  tumultuariamente, 


(1)  Pic  rx  mandô  aùbito  per  Pasolini  e  Minghetti,  «  i  qnali  a  lui 
si  offenero  in  ogni  coaa  avessero  potuto  aintarlo  col  consiglio  e  con 

l'opéra.  Non  ai  ricnsaiono  a  qnalnnqne  sacrificio ma  non  vollero  dis- 

âmolare  a  se  Btesd,  nô  al  Pontefice,  che  dopo  la  fanesta  allocnzione 
'i^l  29  aprile,  che  essi  non  erano  riuscid  a  stomare,  dopo  il  disoidine 

^  -  Yol.  II.  Mabuvt  —  Storia  pol  «  mih 


Digitized  by  VjOOQIC 


98  CAPITOLO   II 


ma  non  minacciosamente,  la  città.  I  Cardbinieri.  invitati 
ad  affratellarsi  col  popolo,  uscirono  dal  loro  quartiere  per 
far  causa  con  osso;  il  quale,  fatto  più  audace  per  avère 
condotto  a  sua  parte  quella  soldatesca,  sino  allora  creduta 
(levotissima  al  Governo,  lasciossi  andare  a  turpe  baccano, 
e,  alzando  spaventevoli  grida  di  féroce  gioia  per  Tottenuta 
vendetta,  benedisse  alla  mano  che  aveva  morto  il  superbe 
Ministre:  atti  questi  che  gettarono  il  vituperio  sul  nome 
romane;  vituperio  che  non  potè  essere  scusato,  corne  da 
alcuni  scrittori  partigiani  troppo  tentossi  fare,  dalla  so- 
ciale corruttela  di  quoi  tempi,  tristissima  conseguenza  dei 
passât!  reggimenti.  L*assassinîo  di  Pellegrino  Rossi  —  la 
cui  novella  si  sparse  per  tutta  Italia  con  la  velocità  del 
lampo  —  fu  altamente  riprovato  dagli  onesti,  da  quanti 
cioè  amano  la  virtii,  e  onorano  la  giustizia;  e  Topinione 
pubblica  —  ai  nostri  giorni  levatasi  a  potenza  —  sia  délia 
parte  repubblicana  e  monarchica,  sia  délia  parte  costitu- 
zionale  e  di  quella  altresi  che  respinge  i  progressi  délia 
civiltà  odierna,  condannô  alla  esacràzione  universale  la 
uccisione  del  Ministre  pontificio.  Non  la  perdita  di  Rossi, 
ma  il  modo  col  quale  gli  fu  tolta  la  vita,  e  certo  ancora 
piii  le  cagioni  che  avevano  prodotto  quella  perdita  —  le 
quali  rivelavano  chiaramente  lo  stato  délie  cose  —  feri- 
rono  dolorosamente  l'animo  mite  e  dolce  di  Pie  IX. 

n  mattino  del  16  moltitudini  innumerevoli  di  cittadini  e 
soldati  d'ogni  grade,  eccitate  dalla  parte  libérale  a  far  co- 
noscere  al  Ponteflce  quanto  era  non  solamente  nei  loro 
voti,  ma  in  quelli  altresi  di  tutta  la  nazione,  muovevano. 
ne  tumultuanti,  ne  minacciose,  verso  il  Quirinale.  Scon- 
trato  per  via  Tawocato  Giuseppe  Galletti  —  arrivato  al- 


cresciato  e  gli  infelici  casi  deUa  gnerra,  non  era  facile  lo  stabilire  nn 
sistema  di  Govemo  in  nno  Stato  italiano,  che  il  Principe  voleva  nen- 
trale  neUa  gnerra  di  indipendenza.  n 

CHuuppe  Faaolini,  Memorie  raccoite  da  sno  figlio,  cart.  142.  Lnola, 
1880. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BEPUBBLIGA.  BOMANA  99 

lora  allora  in  Roma,  il  quale  godeva  delFaura  popolare  — 
costriagevanlo  a  unirsi  alla  deputazione  loro,  recantesi 
al  Papa  per  chiedergli   Vadesione  sim  alla  Costtticente 
italiana  bandîta  da-Montanelli,  il  sollecito  e  pienoe/Tet- 
tuarsi   dei  prowedimenti  decreiati  per  la  guerra  dal- 
CAssemblea  nazionale  e  un  Governo  democratico,  quale 
avevalo  disegnato  net  luglîo  il  conte  Mamiani.  La  deputa- 
zione venne  ricevuta  dal  cardinale  Soglra,  cui  il  Galletti 
maaifesiô  i  desidèri  dei  cittadini  romani,  n  Ponteflce,  in 
queirora  raccolto  a  consulta  con  Montanari,  col  cardinale 
Antonelli,  con  Sturbinetti  e  monsignor  Muzzarelli,  con  Pa- 
solini  (1)  e  Fusconi  e  altri  confldenti  suoi  —  i  quali  ave- 
vangli  già  consigliato  di  âdare  a  Galletti  il  carico  di  com- 
[)orre  un  nuovo  Governo  —  incoraggiato  dalla  presenza 
degli  ambasciatori  degli  Stati  amici,  corsi  ad  assîsterlo  in 
quel  difficile  momento,  niegô  soddisfare  ai  voti  dei  popolo 
espostigli  dal  cardinale  Soglia.  Nessuna  preghiera,  non  i 
pericoli  dei  tumulte  romoreggiante  in  tutta  Roma  poterono 
indurre  Pio  IX  ad  appagare  le  demande  di  maggiori  li- 
bertà  fattegli  dai  sudditi  suoi,   non  volendo  egli  trattare 
coi  ribelli,  ne  piegarsi  mai  alla  loro  volontà.  AlFudire  le 
ferme  ripulse  dei  Ponteflce  —  in  vero  non  conciliatrici  di 
pace,  ma  provocatrici  di  disordini   —  le  moltitudini  pas- 
savano  daUlmpazienza  airira;  e  salite  in  furore,  agguan- 
tate  le  armi  con  Taiuto  di  molti  soldat!  reduci  dalla  guerra 
veneta,  assaltavano  il  Quirinale.  Gli  Svizzeri,  clie  yi  star 
yano  a  guardia  e  a  difesa,  inarcati  gli  archibugi  prende- 
vano  allora  a  trarre  contra  il  popolo  :  onde  d'ambe  le  parti 
accendevasi  la  pugna  (2).  Gli  ambasciatori  stranieri,  ve- 


(1)  H  conte  Gioseppe  Pasolini  da  Bayenna  erasi  recato  a  Borna  in 
sol  cadere  dei  marzo  1847  per  inyito  di  Pio  IX,  che  aveyalo  conoscinto 
in  Imola  Tanno  innanzi  alla  sua  elezione  al  Pontificato. 

(2)  n  popolo  aveva  plantato  dayanti  alla  porta  dei  Qmrinale  on  can- 
none  per  abbatterla;  e  se  ciô  non  fece,  fa  per  opéra  di  Federico  Torre, 
gioyane  romano,  il  quale  non  yoUe  si  minacciasse  col  cannone  colni 
che  poco  prima  era  stato  si  generoso  di  perdono. 


Digitized  by  VjOOQIC 


100  CAPITOLO   II 


duto  cader  morto  monsignor  Palma,  ch'erasi  affacciato  a 
una  flnestra  per  tentare  Tanimo  dei  tumultuanti  e  indurli 
a  posare  con  le  armi  le  ire  che  li  inflammavano,  indovi- 
nato  il  grave  pericolo,  che  non  solamente  dal  Papa,  ma 
altresi  da  tutti  si,  correva  se  il  popolo,  vinti  gli  Svizzeri, 
avesse  invaso  il  palazzo,  facevansi  a  scongiurare  Pio  IX 
di  cedere  alla  nécessita  del  momento;  e  pur  caldameiite 
supplicavanlo  a  ciô  Martinez  de  la  Rosa,  Toratore  di  Spa- 
gna,  e  il  duca  d'Harcourt,  il  rappresentante  di  Francia; 
i  quali  poco  innanzi  avevano  fatto  plauso  aile  deliberazioni 
del  Papa,  incoraggiatolo  alla  resistenza  e  mosso  rimproveri 
aile  Deputazioni  mandate  àl  Quirinale  dal  popolo  romano  ; 
essi  chiaramente  provarono  quanto  la  paura  sia  brutta 
consigliatrice  di  viltà  (1).  Spaventato  per  la  morte  di  mon- 
signor Palma  e  abbandonato  persino  dagli  ambasciatori  di 
Spagna  e  Francia  —  prima  del  pericolo  tanto  superba- 
mente  baldi  e  allora  tanto  pieni  di  sgomento  —  il  Ponte- 
flce,  costretto  ad  accondiscendere  ai  desidèri  délie  molti- 
tudini,  ordinô  al  cardinale  Soglia  d'accordarsi  con  Galletti 
su  gli  uomini  da  chiamarsi  al  Governo  e  che  fossero  bene 
accetti  al  popolo;  e  la  nuova  amministrazione  riesci  com- 
posta da  Mamiani  ministre  sopra  gli  affari  esterni,  da 
Galletti  sopra  gli  affari  interni,  da  Sereni  sopra  la  giusti- 
zia,  da  Sterbini  sopra  i  lavori  pubblici,  da  Lunati  sopra 
le  rendite  dello  Stato,  da  Campello  sopra  le  armi  e  dall'a- 
bate  Rosmini  sopra  la  istruzione  pubblica,  il  quale  fu  eletto 


(1)  Agli  officiai!  dei  Carabinieri  vennti  al  Ponteôce  per  intercédera 
a  favore  del  popolo  a  fine  d'impedire  ogni  spargimento  di  sangue,  Mar- 
tinez de  la  Kosa  parl6  queste  parole  :  u  Andate  dire,  o  signori,  ai  capi 
délia  ribellione,  clie  se  persistono  nel  loro  odioso  disegno,  essi  dovranno 
passare  snl  mio  cadavere  per  gingnere  alla  persona  sacra  del  Sovrano 
Pontefice.  »  E  il  duca  d'Harconrt  parimentî  a  qnegli  officiali  :  u  Se  voi 
faceste  il  dover  vostro,  o  signori,  impedireite  con  le  armi  le  sventnre, 
che  voi  non  arriverete  a  impedire  con  le  vostre  sterili  parole.  » 

Alphonsb  BALLBrDiEB,  HisMre  de  la  Révolution  de  Rome,  vol.  i, 
cart.  210.  Ginevra,  1851. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   JiKPUUBLICxV    KOMAXA  101 


altresi  présidente  dei  ministri.  Dalla  Costituente  italiana 
6  di  quanto  altro  era  stato  ricliiesto  dalle  deputazioni  in 
nome  del  popolo,  Pio  IX  disse  di  volersi  riferire  aU'Assem- 
blea  nazionale,  cui  lasciô  il  carico  di  discutere  e  delibe- 
rare.  —  Nel  momento  stesso  in  cui  il  Somme  Pontefice, 
ottemperando  ai  consigli  prudenti  degli  amici  che  gli  sta- 
vano  d'attornoy  dava  ai  sudditi  le  tante  sospirate  conceS" 
sloniy  protestava  solennemente  davanti  agli  ambasciatori 
straoieri  contra  quegli  attiy  ch'egli  sîibito  dichiarava  ir- 
riti  e  nuUi  per  essergli  stati  strappati  con  la  violenza,  e 
iavitatili  a  raccogliere  quella  sua  protesta  pregavali  di 
riferire  aile  loro  Corti:  -zz  Avère  egli  ceduto  ai  ribelli 
solamente  per  impedire  che  Roma  si  insanguinasse  e  si 
riempisse  di  lutti;  e  disconoscere  il  nuovo  Governo,  da 
lui  accordato  al  popolo  alFunico  scopo  di  fargli  posare  le 
armi  e  ricondurlo  alla  primiera  quiète  e  pace.  =  In  fatto, 
airannunzio  délie  papali  concessioni  ogni  tumulte  all'i* 
stante  cessô,  e  le  moltitudini,  che  poco  innanzi  ayevano 
alzato  féroce  grido  di  guerra  e  minacciato  d'invadere  il 
Quirinale,  deposte  le  ire,  corsero  festanti  le  vie  délia  città, 
ilovunque  apportando  la  fausta  novella.  Degli  eletti  al 
uuoYO  reggimento  délia  cosa  pubblica  Tabate  Rosmini 
avendo  rifiutato  Tofficio  oflTertogli,  il  Pontefice  surrogô  in 
luogo  sue  monsignor  Muzzarelli.  —  A  far  conoscere  gli 
intendimenti  loro,  i  Ministri  appena  assunti  al  supremo 
potere  mettevano  fuora  un  manifeste,  nel  quale  aflTerma- 
vano  di  professare  principi  in  armonia  non  soltanto  coi 
voti  del  popolo,  ma  eziandio  con  quelli  délia  maggiore 
parte  dei  rappresentanti  suoi  neU'Assemblea  nazionale;  in 
oltre  promettevano  di  adottare  quanto  era  stato  da  esse 
deliberato  a  vantaggio  délia  patria  italiana  e  fare  adesione 
piena  e  intiera  ai  divisamenti  esposti  da  Mamiani  il  5 
^'iugno  nel  Parlamento  romane  rispetto  alla  guerra  di  in- 
dipeadenza  e  agli  ordini  délie  libertà  interne;  e  in  fine, 
parlavano  del  patte  fédérale  e  del  convocarsi  délia  Costi- 
tuente in  Roma,   la  quale  avrobbe  poi  preso  a  disamina 


Digitized  by  VjOOQIC 


102  OAPITOLO   II 


gli  interessi  d'Italia  e  risoluto  su  di  essi.   —  I  principi 
posti  innanzi  dai   nuovi  Ministri  per  essore  informati  a 
savia  moderazione  ebbero  il   favore  popolare,  non  pero 
quelle  degli  uomini  del  Circolo  romano;  i  quali  avrebbero 
amato  cbe  in  quei  momenti  si  difficili  e  pieni  di  pericoli, 
si  dessero  dai  supremi  governanti  prove  di  maggiore  forza 
e  di  più  fermi  propositi.  Col  fare  use  délia  propria  auto- 
rità  —  e  non  era  picciola  —  il   Circolo  costringeva  il 
Governo  a  togliere  le  armi  agli  Svizzeri;  a  porre  i  Cara- 
Unieri  sotto  il  comando  immédiate  di   Galletti,   Ministro 
sopra  le  faccende  Interne,   e  a   fidare  al  colonnello  Giu- 
seppe  Gallieno  Tautorità  suprema  sopra  le  guardie  citta- 
dine,  per  lo  addietro  tenuta  dai  duca  di  Rignano.  —  Tro 
giorni  dope  Tuccislone  di  Pellegrino  Rossi,  i  Deputati  di 
Bologna  levayansi  in  seno  all'alto  Gonsesso  del  Parlamento 
a  rimproverare   con   acerbe   parole  al   Governo,   di  non 
avère  ancora  protestato  in  modo  solenne  contra  Tassassi- 
nio  di  quel  Ministro,  ne  fatto  le  ricercbe  più  minute  per 
iscoprire  Tucciditore  e  impadronirsene.  Rispondeva  loro  il 
Galletti  promettendo,  anche  in  nome  dei  colleghi,  di  dare 
opéra  sollecita  ed  efficace  a  rintracciare  il  colpevole  f 
quanti  avevano  avuto  mano  alla  sanguinosa  congiura;  ♦* 
cosi  allontanare  dalla  parte  libérale  il  rio   sospetto,    cht' 
Tautore  del  misfatto  fosse  uscito  dalle  sue  file;   sospetto 
con  mala  arte  sparso  a  suo  danno  dai  nimici  alla  libertà. 
Il  20  di  quel  mese  di  novembre  Potenziani  proponeva  al- 
TAssemblea  di  mandare  al  Pontefice  una  deputazione,  la 
quale  avesse  ad  assicurarlo  délia  devozione  e  obbedienza 
cbe  professavangli  i  rappresentanti  del  popolo;  tarda,  anzi 
menzognera  protestazione  di  affetto  alla  persona  del  So- 
vrano,   perô  che  neU'ora  del  pericolo  e  proprio  quand*» 
maggiore  era  stato  il  bisogno  del  loro  appoggio  l'avessero 
abbandonato.  La  proposta  di  Potenziani  non  avendo  ric»^ 
vuto  favorevole  acco^ienza,  i  Deputati  bolognesi,  fatta  ri- 
nunzia  al  proprio  mandate,  lasciavano  Roma. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BEPU6BLICA   ROMANA  103 


Dopo  gli  avvenimenti  del  16  novembre  Pio  IX,  non  avendo 
più  intorno  a  se  gli  Svizzeri,  e  veggendosi  custodito  da 
guardie  cittadine,  presidianti  il  palazzo  suo,  credettesi 
prigioniero  dei  propri  sudditi.  Sdegnoso  di  star  soggetto  a 
coloro,  cui  per  lo  innanzi  aveva  imposto  ogni  sua  volontà, 
risoluto  di  recuperare  la  perduta  libertà,  deliberô  di  la- 
sciare  lo  Stato.  Incoraggiaronlo  alla  fuga,  assicurandolo 
délia  loro  cooperazione,  il  cardinale  Antonelli,  gli  amba- 
sciatori  di  Spagna,  di  Francia  e  il  conte  Spaur,  oratore 
d'Austria  e  di  Baviera  in  Corte  del  Pontefice.  Gli  aiutatori 
di  quella  fuga  avevano  opinione  diversissima  intorno  al- 
Tasilo  del  Papa;  ciascuno  desiderava  portarlo  in  sua  pa- 
tria,  non  già  per  l'onore  d'ospitarvi  il  capo  del  mondo 
câttolico,  sibbene  allô  intento  di  potersi,  alla  bisogna, 
servire  di  lui  nello  interesse  del  proprio  paese.  Il  duca 
d*Harcourt  voleva  condurlo  a  Civitavecchia,  nel  cui  porto 
sorgeva  in  su  l'àncora  una  nave  a  vapore  francese,  che 
avrebbelo  in  brevi  ore  trasportato  a  Marsiglia;  Martinez 
de  la  Rosa  offriva  al  Pontefice  Tisole  Baleari;  ma  il  conte 
Spaur  e  il  cardinale  Antonelli  —  i  quali,  se  di  Spagna 
poco  fldavano,  molto  sospettavano  délie  offerte  di  Francia 
—  pretessendo  la  troppa  lontananza  di  quel  rifugi  da  Roma 
e  la  disagevolezza  del  viaggio,  mettevano  innanzi  Gaeta, 
terra  fortissima  di  Ferdinando  Borbone,  cbe  sapevasi,  non 
solo  all'Austria  devotissimo,  ma  suo  vassallo.  Era  appena 
scesa  la  notte  del  24  novembre,  quando  Pio  IX,  mutate 
sue  vesti  pontificie  in  quelle  di  semplice  prête,  per  segreta 
porta  usciva  non  visto  dal  Quirinale  e  in  modesta  carrozza 
recavasi  con  diligente  fretta  in  Albano,  ove  attendevalo 
la  contessa  di  Spaur,  che  aveva  con  amorosa  cura  prepa- 
rato  le  fughe;  indi  con  essa  e  lo  sposo  suo  portavasi  a 
Gaeta;  quivi  raggiugnendo  il  cardinale  Antonelli,  il  quale 
aveva  d'alquante  ore  preceduto  il  suo  arrive.  Il  duca 
d'Harcourt,  venuto  in  quella  sera  stessa  al  Quirinale  per 
condurre  via  il  Papa,  appena  seppe  délia  sua  fuga,  senza 
l)or  tempo  in  mezzo  lasciô  Roma,  e  corse  velocissimo   a 


Digitized  by  VjOOQIC 


104  CAPITOLO   II 


Civitaveccllia  nella  certezza  di  prendervi  il  Pontefice  e 
trafugarlo  a  Marsiglia;  ma  vi  trovô  lo  scorno  suo,  perô  che 
egli,  troppo  malaccorto,  fosse  caduto  neiringauno  orditogli 
dallo  astuto  cardinale  Antonelli  e  dallo  scaltro  oratore  di 
Baviera. 

Airannunzio  délia  fuga  del  Principei  Romani  ne  si  commos- 
sero,  ne  si  turbarono,  avvegnacliè  giàdaalcuni  giorniaves- 
sero  di  quella  gravi  sospetti.  I  supremi  governanti,  veggendo 
le  moltitudini  mantenersi  tranquille,  facevano  siibito  co- 
noscere  in  un  manifesto  al  popolo:  =  Il  Pontefice  essere 
stato  indotto  a  lasciare  Roma  dai  malvagi  consigli  di  chi 
voleva  vedere  il  territorio  délia  Chiesa  in  preda  alla  guerra 
civile;  =  assicuravano  poscia  i  cittadinî,  che,  se  a  loro 
non  venisse  meno  la  fede  e  il  senno,  il  Governo  prowe- 
derebbe  alla  tutela  dell'ordine  pubblico.  Informati  quindi 
i  Ministri  dal  marchese  Sacchetti  —  il  quale  soprainten- 
deva  alla  casa  del  Pontefice  —  avère  questi,  in  una  lettera 
direttagli,  caldamente  raccomandato  ad  essi,  in  ispecie  a 
Galletti,  di  premunire  i  palazzi  e  più  ancora  le  persane 
addeite,  che  ignoravano  le  risoluzioni  sue,  e  d'assicurare 
la  quiète  delVintera  città,  bene  interpretando  le  parole 
del  Principe  —  le  quali,  non  solamente  confermavano  i 
Ministri,  da  lui  eletti,  neirofficio  loro,  ma  eziandio  quanto 
sarebbero  per  operare  allô  intento  di  impedire  tumulti  e 
danni  —  allontanarono  da  se  i  dubbi  su  la  legittimità  del 
loro  suprême  potere,  dubbi  cbe  la  fuga  di  Pio  IX  aveva 
fatto  nascere  in  essi.  E  di  quel  potere  subito  usarono  met- 
tendo  in  accusa  il  générale  Zuccbi,  il  cui  mal  governo  a 
Bologna  aveva  destato  universale  lamente;  e  lui,  già  chia- 
mato  a  Roma,  invitavano  a  giustificare  quegli  atti  d*auto- 
rità  dittatoria  —  dal  Pontefice  non  conferitagli  mai  —  e 
che  avevanlo  chiarito  nimico  e  persecutore  délia  parte  li- 
bérale nelle  Legazioni.  —  Pio  IX,  due  giorni  dopo  il  suo 
giugnere  in  Gaeta  —  e  fu  il  25  novembre  —  pubblicava 
un  Brève,  nel  quale  protestava  contra  le  sacrileghe  viô- 
lenze,  che  avevanlo  costretto  a  separarsi  da'suoi  sudditi 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BBPUBBLICA   BOMANA  105 

e  figli  bene  amati.  =  Primissimo  tra  i  motivi  di  tanta 
dolorosa  separazione,  scriveva  egli,  essere  stato  il  bisogno 
di  serbare  in  sue  mani  nelVinteresse  délia  Cattolicità  H- 
f)era  e  intégra  la  suprema  potestà  delVapostolico  Seggio. 
Rinnovare  allora  solennemente  in  faccia  alVEuropa  c 
al  mondo  la  protesta  fatta  prima  di  lasciare  Romu  din- 
mnzi  agli  a7nbasciatori  dei  Oovemi  stranieri  contra  le 
patite  violenze;  e  dichiarare  irriti  e  nulli  gli  atti,  tri- 
siissi)ne  œnseguenze  di  esse.  In  fine,  allô  intento  di  non 
lasciare  lo  Stato  senza  capo,  eleggere  egli  una  Commis- 
4one  govemativa,  per  reggerlo,  nelle  persone  del  cardi- 
mie  Castracanef  di  monsignor  Roherti,  dei  principi  di 
Raciano  e  Barberini,  dei  marchesi  Bevilacqua  e  Ricci  e 
fiel  générale  Zucchi.  —  Di  questa  Commissione  trovavausi 
illorain  Roma  soltantoGastracane,Roberti,  Raviano,  Zucchi 
e  Barberini  ;  i  quali,  non  estante  che  si  dicessero  devoti  al 
Pontefice  e  alla  sua  causa  e  neirodiare  le  libère  istituzioni 
pienamente  s'accordassero,  non  mostraronsi  d'animo  bene 
disposto  a  soddisfare  al  desiderio  del  loro  Sovrano;  e  per 
•luale  ragione  ?  per  averli  il  Papa  chiamati  a  queU'alto 
officio  senza  prima  consultarli,  fu  scritto  da  alcuni;  ma 
iioi  ci  riteniamo  nel  vero  aflfermando,  che,  essendo  essi 
uomini  poveri  di  consiglio  e  di  partiti,  non  abbiano  osato 
porsi  al  governo  délia  cosa  pubblica  in  quel  moment!  ar- 
•lui  e  pieni  di  guai.  Piîi  spregevole  di  tutti  fu  il  principe 
<1i  Raviano,  il  quale  fuggi  di  Roma,  e  riparossi  a  Toscana, 
mostrando  cosi  di  possedere  assai  più  di  un  animo  vile, 
un  animo  tristamente  abietto.  —  Il  Brève  pontificio  per- 
veaiva  al  Parlamento  romano  il  3  dicembre  e  quand*esso 
aveva  già  deliberato  d*inviare  a  Pio  IX  una  deputazione 
•li  cittadini  a  pregarlo  di  riedere  in  mezzo  ai  sudditi  suoi. 
[>ichiarata  illégale  quella  protesta  —  perché  di  principe 
che  aveva  violato  lo  Statuto,  lasciando  il  regno  suo  —  il 
Parlamento  confermava  i  Ministri  nellofflcio  che  tenevano, 
'^ino  a  che  esso  avrebbe  in  altro  modo  provveduto  al  go- 
verno dello  Stato;  faceva  invito  M'alta  Consulta  d  asso- 


Digitized  by  VjOOQIC 


106  CAPITOLO    II 


ciarsi  aile  sue  deliberazioni  e  d'aggiugnere  alcuai  de'suoi 
membri  ai  deputati  che  dovevano  recarsi  a  Gaeta;  in  fine, 
raccomandava  aile  guardie  cittadine  di  proteggere  Tordine 
pubblico.  E  il  di  vegnente  Valta  Consulta  invitava  i  Mi- 
nistri  a  conservare  teraporaneamente  la  suprema  potestà, 
lor  cohferita  dal  Ponteflce  pochi  giorni  prima  délia  sua 
fuga  a  Gaeta;  e  commetteva  a  monsignore  Martel  e  al 
marchese  Paolucci  di  rappresentarlo  nella  deputazione  cht* 
stava  per  portarsi  a  Pio  IX.  I  quali  tutti  poi  il  5  dicem- 
bre  partivano  alla  volta  di  Gaeta  in  compagnia  del  prin- 
cipe Tomraaso  Corsini,  Senatore  di  Roma,  del  dottore  Fu- 
sconi  e  dell'abate  Rossi,  Deputati  al  Parlamento  nazionale. 
Ma  aU'ambasceria  romana  non  fu  concesso  di  compiere  il 
fidatole  incarico;  perô  che  un  Commissario  del  Governo 
napolitano  le  proibisse  di  valicare  il  confine  del  regno 
borbonico.  Appena  di  ritorno  a  Terracina  Tambasceria 
scrisse  al  cardinale  Antonelll  per  fargli  conoscere  lo  scopo 
di  sua  missione  e  ottenere  quindi  libero  il  passe  per  Gaeta  : 
e  il  Cardinale  sollecitamente  le  rispose  cosi:  =  Nel  ^no- 
tuproprio  del  27  novembre  avère  il  Sovrano  Ponteficc 
chiarito  i  motivi  del  suo  partire  di  Roma!  quel  motivi 
tuttavia  esistendo,  il  Papa,  ferme  nelle  prese  deliberazioni, 
non  poter  ricevere  gli  inviati  di  un  Governo  privo  d*au- 
torità  e  da  lui  non  riconosciuto.  =  Il  diniego  del  Ponte- 
flce d'accogliere  chi  veniva  a'  suoi  piedi  con  animo  som- 
messo,  in  verità  non  fu  atto  informato  a  giustizia,  e  non 
degno  del  Servo  dei  Servi  di  Dio;  il  respingere  gli  inviati 
del  popolo  suo,  venuti  a  supplicarlo  dl  riedere  in  mezzo 
ad  esso,  mostrô  non  essore  vero,  quanto  egli  aveva  scritt^> 
nel  suo  Brève  bandito  da  Gaeta:  avère  sempre  amato  i 
sudditi,  i  flgli  suoi,  e  amarli  ancora.  Montre  aflTermava 
di  pregare  Dio  per  la  pace  del  monde,  e  in  ispecio  per 
quella  del  suo  principato,  rifiutavasi  d'ascoltare  le  parolo 
di  concordia  che  a  lui  portavano  gli  oratori  romani  :  onde 
facevasi  manifeste,  che  egli  non  rifuggiva  dal  gettare  la 
patria  nelle  miserie  e  negli   orrori  délia  guerra  civile  i^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   KKPUDBLICA   KOMANA  107 

che  voleva  tornare  a  Roma  per  forza  d'armi  straniere  giii 
risoluto  d'iûvocare,  non  in  virtù  d'onesti  accordi  coi  po- 
poli  suoi.  —  L'oltraggio  fatto  dalla  Corte  di  Gaeta  alla 
deputazione  romana  turbô  grandemente  Yalta  Consulta  o 
il  Parlamento,  e  suscité  nuove  ire  e  nuovi  sdegni  nella 
parte  libérale,  già  malcontenta  di  quella  missione  al  Sommo 
Pontefice,  e  che  essa  aveva  reputato  dicevole  soltanto  a 
gente  ribelle,  non  a  un  popolo  il  quale,  conscio  dei  pro- 
pri  diritti,  ha  risoluto  di  fermamente  sostenerli.  Se  al- 
Tannunzio  délia  ingiusta  ripulsa  papale  il  popolo  in  Roma 
e  nelle  provincie  si  commosse,  non  perô  levossi  a  tumulto 
e  a  romore;  che  anzi  ei  seppe  allorae  di  poi,  anche  quando 
i  tempi  copsero  assai  più  difficili  e  fortunosi,  tenersi  in 
moderazione  degna  proprio  délie  nazioni  altamente  civili. 

A  ppovvedere  aile  gravi  nécessita  e  agli  imperiosi  bi- 
^gni  del  momento,  1*8  dicembre  i  Deputati  raccoglievansi 
a  Parlamento.  Urgeva  anzi  tutto  d'aflfermare  l'ordine  pub- 
blico  per  impedire  allô  Stato  di  cadore  neiranarchia,  in 
cui  i  tristi  consiglieri  di  Pio  IX  avrebbero  voluto  ina- 
bissare  il  paese;  al  quale  scopo  Pantaleon  proponeva  il 
crearsi  d'una  Commissione  di  cinque  membri,  che  dovesso 
governare  il  regno  sino  al  ritorno  del  Sovrano  Pontefice. 
Taie  proposta  veniva  fortemente  combattuta  dal  principe 
di  Canino,  un  Buonaparte  ;  il  quale,  sapendo  a  tutti  bene 
accetta  la  Costituente,  desiderava  ardentemente  di  farla 
finita  con  la  potestà  temporale  dei  Papi.  Discordava  mol- 
tissimo  dal  Buonaparte  il  ministre  Mamiani;  che,  tuttavia 
convinto  potersi  da  Pio  IX  ritornare  il  papato  all'antico 
splendore  e  alla  grandezza  di  un  tempo  con  vantaggio  e 
gloria  délia  patria  comune,  sosteneva  doversi  per  mezzo 
del  cardinale  Castracane  —  cui  il  Sommo  Pontefice  aveva, 
in  quella  sua  lontananza  di  Roma,  commesso  il  governo 
degli  Stati  délia  Chiesa  —  tentare  nuovi  accordi  con  la 
Corte  di  Gaeta.  Raccolti  i  suffragi  trovossi  la  proposta  di 
Pantaleon ,  stata  valîdamente  sostenuta  da  Mamiani,  avère 


Digitized  by  VjOOQIC 


108  CAPITOIiO    II 


viato  il  partito,  e  la  scelta  dei  Commissari  essere  caduta 
sopra  monsignor  Muzzarelli,  Sterbini,  Campello,  Galeotti 
e  Armellini.  —  Le  notizie,  giuate  in  tal  mezzo  da  Gaeta 
accrescevano  a  dismisura  la  esacerbazione  degli  animi  con- 
tra il  Ponteflce  ;  il  quale,  forse  a  istigazione  del  re  Ferdi- 
nando,  certamente  poi  per  consiglio  di  quanti  gli  stavano 
d*attorno,  tutti  avversissimi  a  libertà,  andava  sempre  piii 
chiarendosi  contrario  ad  ogni  pacifico  componimento  coi 
popoli  suôi.  Fu  allora  che  i  Romani  —  già  da  lunga  pezza 
mostratisi  desiderosi  di  Costituente  e  di  radicali  mutazioni 
negli  ordini  dello  Stato  —  non  volendo  più  sapere  délia 
autorità  temporale  del  Ponteflce,  che  avevali  a  loro  stessi 
abbandonati,  inchinarono  alla  repubblica.  I  Commissari 
governativi  —  due  giorni  appresso  le  loro  elezioni  —  re- 
putandosi  impotenti  a  dominare  e  inetti  a  guidare  la  ri- 
voluzione  che  stava  per  nascere  e  il  cui  intente  era  di 
stabilire  un  nuovo  ordinamento  di  cose,  posero  innanzi  al 
Parlamento  la  creazione  di  una  Giunta  temporanea  di 
Stato  con  potestà  suprema;  a  comporre  la  quale  chiama- 
ronsi  il  principe  Corsini  e  i  gonfalonieri  di  Bologna  e  di 
Ancona,  Zucchini  e  Oamerata.  Gridata  poscia  la  Costiti^nte, 
venue  licenziato  il  Parlamento  —  che  aveva  omai  perduto 
ogni  autorità  ed  erasi  fatto  quasi  cadavere  —  per  consul- 
tare  il  paese  nei  Comizi  elettorali  da  convocarsi  il  21 
del  prossimo  gennaio.  Il  ministre  Mamiani,  il  quale  sti- 
mava  inopportuna  la  Costituente,  non  riescendo  a  vitto- 
riosamente  combattere  i  propugnatori  di  essa,  faceva  ri- 
nunzia  al  proprio  ufflcio;  e  il  principe  Corsini,  credondo 
d'avere  pienamente  soddisfatto  al  débite  sue,  toglievasi 
dalla  Giunta  di  Governo.  Il  Ponteflce  —  il  quale  con  dé- 
crète del  7  dicembre  aveva  prorogato  i  due  Consîgli  — 
appena  seppe  délia  creazione  délia  Giunta  di  Stato,  del 
licenziamento  dei  Deputati  e  dello  istituirsi  d'un' Assemblea 
costituente,  ritenendo  illegali  e  sacrileghi  quegli  atti,  di- 
chlarolli  irriti  e  senza  efietto  quanto  da  essi  sarebbe  per 
eraanare;  in  oltre  avverti,  che  cadrebbero  nelle  censure 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BEPUBBLICA  BOMANA  10^ 

ecclesiastiche  quei  cittadini  i  quali  prendessero  parte  alla 
elezione  dei  membri  délia  Costituente.  Se  i  decreti  délia 
Corte  papale  costrinsero  i  governatori  délie  provincie, 
preti  e  laici,  e  il  comandante  suprême  délie  guardie  cit- 
tadine  di  Roma  a  rinunziare  ai  propri  ofBci,  non  valsero 
perô  a  commuovere  le  popolazîoni  (1);  e  le  soldatesclie 
pontificie,  che  il  générale  Zucchi  aveva  chiamate  a  Gaeta, 
mantennersi  in  fede  alla  patria,  eccetto  i  pochi  caraM- 
nieri  che  presidiavano  Frosinone  ;  in  fine  le  scomuniche, 
perche  minacciate  per  intente  politico,  non  per  ragioni 
religiose,  furono  impotent!  a  turbare  le  coscienze  ancbe  le 
più  timorate. 

In  questo  mezzo  erano  arrivati  in  Corte  del  Pontefice  a 
Gaeta  monsignor  Riccardi,  Vescovo  di  Savona,  e  il  mar- 
chese  di  Montezemolo  inviati  da  Gioberti  —  il  quale  allora 
siedeva  tra  i  consiglieri  di  Carlo  Alberto  di  Sardegna  — 
per  offrire  a  Pio  IX  ospitalità  negli  Stati  del  Re,  loro  si- 
gnore,  e  i  buoni  offlci  del  Governo  di  Torino  ;  o,  se  più  gli 
piacesse,  l'aiuto  délie  armi  sabaude  per  ristaurare  in  Roma 
il  principato  temporale  dei  Papi,  e  affermarvi  gli  ordini 
costituzionali  da  esso  largiti  ai  sudditi/  Il  29  dicembre  i 
Commîssari  régi,  venuti  alla  presenza  del  Pçntefice,  face- 
^angli  conoscere  lo  scopo  délia  loro  missione;  e  avvertiti 
da  lui  che  i  regnanti  d'Europa  non  solamente  erano  stati 
informati  dei  tristi  casi  succedutisi  di  quei  giorni  in  Roma, 
ma  eziandio  stâti  richiesti  di  consiglio  e  di  armi  per  tor- 
nare  i  popoli  ribelli  all'obbedienza  usata,  i  Commissari  del 
Re,  messl  da  prima  innanzi  a  Pio  IX  i  danni  immensi  che 
«ia  quella  chiamata  d'eserciti  stranieri  verrebbero  alla  pa- 
tria  italîana,  supplicavanlo  d'accettare  gli  aiuti  che  la  Sar- 
degna spontaneamente  gli  offriva.  Se  non  che  il  Papa,  al- 
l'amicizia  interessata  dei  nimici  d'Italia  posponendo  quella 


(1)  Dei  governatori  laici  quel  di  Perugia  —  il  Rota  —  continué  a 
rsggere  la  sua  provincia,  a  ciô  pregato  dal  supremo  Maestrato  dei 
dttadini,  da  tutta  la  parte  libérale  e  perslno  dal  Yescovo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


110  CAPITOLO   II 


del  Governo  sabaudo  —  allora  mostratosi  devoto  alla  sua 
causa  e  pronto  a  sostenerla  —  mantenevasi  fermo  nelle 
prçse  deliberazioni  ;  che  dovevano  nuocere,  como  nocquero 
in  fatto,  ai  veri  interessi  délia  religion  e  e  del  papato  spi- 
rituale.  Vincenzo  Gioberti,  che,  giusto  quanto  egli  stesso 
èbbe  in  quei  tempi  a  scrivere,  nelVoffrire  al  Santo  Padre 
la  7nediazione  subalpina  era  stato  guidato  da  sensi  ita- 
liani  e  cattolici;  che  aveva  creduto  una  interposizionc 
paciflca  e  benevola  dover  tornare  ineglio  gradita  al  Vi- 
cario  di  Cristo,  délia  violenta  e  sanguinosa  délie  armi; 
in  fine,  Vaiuto  d'un  principe  italiano  dover  essere  più 
(jradito  a  Pio  IX  del  soccorso  austriaco,  appena  gli  fa- 
rono  note  le  ripulse  del  Pontefice,  spedi  a  Napoli  il  sena- 
tore  Plezza  per  tentare  nuovi  accordi  col  Borbone,  e  mandô 
Ferdinando  Rosellini  a  Firenze  per  consigliare  Montanelli 
e  Guerrazzi  a  rimettere  la  quiète  e  la  tranquillità  in  Ta- 
scana,  cbe  essi  agitavano  allô  intento  di  condurla  a  repub- 
blica.  Plezza  e  Rosellini,  sebbene  dotati  di  non  comune  av- 
vedutezza  in  faccende  politiche,  a  nuUa  perô  approdarono  ; 
il  primo,  perché  in  Corte  di  Napoli  sapevasi  avère  egli  un 
giorno  parlato  con  disprezzo  del  Re;  Taltro,  perché  aveva  a 
trattare  con  uomini  di  natura  troppo  fantastica  e  di  carattere 
impossibile  a  lasciarsi  piegare  a  persuasione  veruna.  — 
Gorreva  il  5  febbraio  1849,  quando  nel  palazzo  délia  Cancel- 
leria  —  Tantica  sede  delFAssemblea  dei  Deputati  —  racco- 
glievasi  la  Costituente  (1)  romana  di  popolo  numeroso  corso 
ad  assistere  a  quella  solenne  ceremonia.  In  nome  del  Go- 
verno parlé  allora  il  ministre  Armellini;  il  quale,  dopo 


(1)  Sin  dal  primo  gennaio  là49  il  Papa,  in  on  sao  monitorio  da  Gaeta 
avea  condannato  la  Costitttente  e  chiamato  ribelli,  non  solamente  quelli 
che  foBsero  per  prender  parte  ad  essa,  ma  coloro  altresi  che  dessero 
opéra  a  costitoirla.  Con  ci6  allontanossi  l'animo  di  quanti  tnttavia 
fidavano  in  Ini,  fede  meritamente  guadagnatasi  coi  primi  atti  del 
sao  pontificato,  i  quali  aveano  rivelato  in  lui  un  grande  amore  alla 
patria  italiana. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BEPUBBLICA   BOMAXA  111 

avère  sommariamente  narrati  gli  ultimi  casi  di  Roma,  la 
lotta  tra  il  principio  costituzionale  e  il  teocraiico,  la  fuga 
(lel  Pontefice  ;  ed  eziaudio  dopo  avère  fatto  conoscere  le 
condizioni  politiche  e  civili,  le  riformagionijje  i  auovi  prov- 
vedimenti  introdotti  negli  ordini  dello  Stato  e  nelle  am- 
ministrazioni  pubbliche  dalla  Commissione  temporanea  di 
Governo,  l'Armelliai  conchiuse  il  suo  dire  cosi:  «  Il  no- 
stro  popolo,  primo  in  Italia  a  trovarsi  libero,  vi  ha  chia- 
Diati,  0  cittadini,  sul  Campidoglio  a  inaugurare  una  nuova 
èra  alla  patria,  a  sottrarla  dal  giogo  interno  e  straniero, 
a  ricostituirla  in  una  nazione,  a  puriflcarla  dalla  gravita 
leU'antica  tirannide  e  dalle  recenti  menzogne  costituzio- 
nali.  Voi  siedete  fra  i  sepolcri  di  due  grandi  epoche.  Dal- 
luna  parte  vi  stanno  le  rovine  delFItalia  dei  Gesari,  dal- 
Taltra,  le  rovine  deiritalia  dei  Papi.  A  voi  tocca  elevare 
un  edificio  che  possa  posare  su  quelle  macerie,  c  Topera 
délia  vita  non  sembri  minore  di  quella  délia  morte,  e 
possa  fiammeggiare  degnamente  sul  terreno,  ove  dorme  il 
falmine  delFaquila  romana  e  dei  Yaticano,  la  bandiera 
deiritalia  dei  popolo.  Dopo  ciô  noi  inauguriamo  i  vostri 
immortali  lavori  sotto  gli  auspici  di  queste  due  santissime 
parole  :  Italia  e  popolo,  »  Pronun^iato  che  Armellini  ebbe 
il  suo  discorso  —  dal  popolo  e  da'  suoi  rappresentanti  cla- 
morosamente  applaudito  —  cominciossi  a  discutere  sul 
partito  che  dalTAssemblea  dovevasi  prendere.  Per  alcuni 
giorui  fu  Tarduo  tema  discusso  con  quella  savia  mode- 
dcrazione  che,  impedendo  ogni  eccesso  nelle  dispute,  pone 
queste  su  la  via  délia  giustizia.  Dei  CosHtuenti  pochi  pen- 
derano  dubbiosi  e  incerti  sul  deliberare;  se  non  che  i  piii, 
reputando  la  sainte  délia  patria  posare  intiera  nella  forma 
repubblicana,  mettevanla  francamente  innanzi.  A  provare 
la  nécessita  di  essa,  monsignor  Muzzarelli  leggeva  all'As- 
^mblea  una  lettera  di  Gioberti,  giunta  allora  allora  ai 
Ministri,  il  quale,  certamente  con  buon  volere,  ma  con 
poco  senno  e  minore  dignità  consigliava  ai  Deputati  di 
nconoscere  innanzi  tutio  i  diritti  costituzionali  dei  Papa 


Digitized  by  VjOOQIC 


112  CAPITOLO    II 

e  (Vaccoglîere  nel  loro  seno  i  delegati  e  i  rappresentanti 
dî  Pio  IX,  per  venire  a  conciliazione  con  la  Corte  di 
Gaeta.  A  provvedere  quindi  alla  sicurezza  personale  del 
Santo  Padre  contra  i  tentativi  possiMH  di  pocHi  fazmi 
e  a  tutelame  la  legittima  potestà  egli  o/M^ebb^  al  Pon- 
tefice  un  presidio  di  huoni  soldati  piemontesi  (1).  Questa 
via,  credevasi  dal  Ministro  sardo,  essere  la  più  acconcia 
e  decorosa  a  tcrminare  le  differenze!  — Il  grido  di  Vit  a 
la  RepubUica  del  principe  di  Canino  e  la  risposta  di  Ga- 
ribaldi  :  Andiamo  ad  acclamarla  in  Campidoglio,  avevano 


(1)  È  prezzo  deU'opera  far  conoscere  al  leg^gitori  in  tatta  saa  inte- 
rezza  la  lettera  scritta  il  28  gennaio  1849  dal  Gioberti,  Ministro  di 
Sardegna,  al  Présidente  del  Govemo  romano.  —  «  Ricevo  da  Gaeta  la 
lieta  notizia  che  il  conte  Martini  fa  accolto  amicheyolmente  dal  Papa 
in  qnalità  di  nostro  ambasciatore.  Tra  le  moite  cose  che  gli  disse  i| 
Santo  Padre  snl  conto  degli  a  fart  eorrenti,  qnesti  mo9tr6  di  vedere 
di  bnon  occhio  che  il  Govemo  piemontese  s'interponesse  amicheyolmente 
presso  i  rettori  e  il  popolo  di  Koma  per  venire  a  una  conciliazione.  lo 
mi  credo  in  débite  di  raggoagliarla  di  qnesta  entratura,  affinchè  ella 
ne  faccia  queirnso  che  le  parrà  più  opportune.  S'ella  mi  permette  di 
aprirle  il  mio  pensiero  in  qnesto  proposito,  crederei  che  il  Govemo  rv- 
mano  dovesse,  prima  di  tutto  osare  la  sua  azione  acciocchô  la  Costi- 
tuewte,  che  sta  per  aprirsi,  riconosca  per  primo  sno  atto  i  diritti  costi- 
tozionali  del  Santo  Padre.  Fatto  qnesto  preambolo,  la  CostituenU 
dovrebbe  dichiarare,  che  per  determinare  i  diritti  costitnzionali  del 
Pontefice  nopo  ô  che  qnesti  abbia  i  snoi  delegati  e  rappresentanti  nel- 
l'Assemblea  medesima,  ovvero  in  una  Commissione  nominata  e  autorîz- 
zata  da  essa  Costituente,  Senza  qnesta  condizione  il  Papa  non  accetterA 
mai  le  conchinsioni  délia  Costituente^  ancorchô  fossero  moderatissime  ; 
non  potendo  ricevere  la  legge  dai  propri  sudditi  senza  lesione  mani- 
festa, non  solo  dei  diritti  antichi,  ma  délia  medesima  costitozione.  Se 
si  ottengono  qnesti  dne  pnnti,  l'accordo  non  sarà  impossibile.  II  nostri* 
Govemo  farà  ogni  sno  potere  presso  il  Pontefice,  afiinchô  egli  accetti 
il  partito  di  farsi  rappresentare  come  principe  costitnzionale  dinnanzi 
alla  Commissione,  o  per  via  diretta  o  almeno  îndirettamente;  ed  io 
adoprerô  al  medesimo  effetto  eziandio  la  diplomazia  estera  per  qnanto 
possa  dispome.  Qnesto  spediente  sarà  ben  vednto  dalla  Francia  e  dal- 
ringhilterra,  perché  conciliativo,  perché  necessario  ad  evitare  il  pericolo 
d'una  guerra  générale.  Nello  stabilire  l'accordo  tra  il  popolo  romaao  o 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BXPUBBLICA   ROMANA  113 


scosso  tutta  TAssemblea.  Mamiani,  il  quale  temeva  che 
dalla  caduta  del  potere  temporale  dei  Papi  verrebbero  gra- 
vissimi  danni,  non  a  Roma  soltanto,  ma  airitalia  altresi  e 
aile  sue  libertà,  facevasi  a  difendere  la  tanto  niinacciata 
sovranita  pontiflcia  e  a  consigliare  di  sottoporre  il  diffi- 
cile tema  alla  Costituente  federativa  italiana  —  che  il 
deputato  Audinot  proponeva,  s'avesse  a  convocare  il  primo 
del  prossimo  marzo  —  alla  quale  sola  spettava  il  delibe- 
rare  su  di  esso.  Molti  deputati  levaronsi  poscia  a  parlare  ; 
pochi  sostennero  Mamiani  ;  1  più  perorarono  a  favore  délia 


il  Pontefice  bisognerebbe  aver  riguardo  agli  scrupoli  religiosi  di  questo, 
Pio  IX  non  farà  mai  alcnna  concessione  contra  ci6  che  crede  debito 
di  cosciénza.  Sarebbe  dunqae  mestieri  procedere  con  molta  delica- 
tezza,  non  urtare  Tanimo  timorato  del  Pontefice;  lasciare  da  parte 
certi  tasti  più  delicati,  e  riservame  la  decisione  a  pratiche  posteriori, 
qoando  gli  animi  saranno  più  tranqnilli  dalle  due  parti.  lo  spererei,  in 
tâl  caso,  di  potere  ottenere  un  modo  di  composizione,  che  accordasse  la 
pia  delicatezza  del  Pontefice  coi  diritti  e  coi  desidèri  degli  Italiani 
nell'nniversale.  Stabilito  cosi  l'accordo  del  Papa  e  dei  sudditi  agli  or- 
dini  costitozionali,  sarebbe  d'nopo  prowedere  alla  sicurezza  personale 
del  Santo  Padre,  il  quale  dopo  i  casi  occorsi  non  potrebbe  sicoramente, 
ne  dignitosamente  rientrare  in  Roma  senza  esservi  protetto  contra  1 
tentativi  possibili  di  pochi  faziosi.  Per  sortire  questo  intente  senza  ge- 
losia  del  popolo  e  pregiudizio  délia  dignità  romana,  il  nostro  Govemo 
offrirebbe  al  Santo  Padre  un  presidio  di  buoni  soldati  piemontesi,  che 
lo  accompagnerebbe  in  Borna,  ed  avrebbe  per  ufficio  di  tutelare  non 
meno  la  legittima  podestà  del  Pontefice  contra  pochi  tumnltuanti,  che 
i  diritti  costîtazionali  del  Parlamento  e  del  popolo  contra  le  trame  e 
i  conati  di  pochi  retrogradù  Sono  più  settimane  che  io  vo  pensando 
essere  questa  la  yia  più  acconcia  e  decorosa  per  terminare  le  differenze. 
Ho  comînciato  a  questo  effetto  délie  pratiche,  verso  le  quali  il  Pontefice 
pare  oia  inclinato.  Se  aon  si  adopera  questo  partito,  l'intervento  stra- 
Biero  è  ineTitabile;  e  benchè  io  metta  in  opéra  tatti  i  mezzi  per  im- 
pedjre  questo  interrento,  ella  vede  che  dorante  la  présente  sospensione 
délie  cose  la  voce  del  Piemonte  non  pUô  più  prevalere  contra  il  con- 
senso  d'Enropa.  Io  la  prego,  illostrissimo  signer  Présidente^  a  pigliare 
in  considerazione  questi  miei  cenni,  che  mnovono  unicamente  daU'amore 
che  porto  all'Italia,  e  dal  desiderio  che  tengo  di  antiveuire  ai  mali 
imminenti.  Mi  ricordi  agli  egregi  Mamiani  e  Sterbini,  ecc.  » 

8  —  Vol.  H.  Mariant  —-  Storia  pol.  t  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


114  CAPITOLO   II 


repubblica;  tra  questi  il  principe  di  Canino,  che  pose  fiae 
alla  sua  orazione  con  queste  parole:  <  Sento  tremare  la 
terra  sotto  i  miei  piedi!  sono  le  anime  dei  vostri  grandi 
avi,  i  qnali,  insofferenti  d'indugio,  gridano:  Viva  la  Re- 
pubblîca  romana,  »  —  Dopo  una  discussione  lunga  e  ca- 
lorosa  il  partito  délia  repubblica  riportava  vittoria  splen- 
didissima;  perô  che  raccolti  i  suffragi  se  ne  contassero 
dieci  contrari,  centoventi  favorevoli  al  medesimo;  e  tra 
questi  trovaronsi  i  suffragi  dei  Ministri  e  dello  stesso  mon- 
signore  Muzzarelli,  uomo  di  chiesa,  il  quale  all'amore  délia 
religione  univa  quelle  délia  giustizia*  e  délia  patria.  Tre- 
dici  deputati,  sebbene  pienamente  acconsentissero  al  pronto 
acclamarsi  délia  repubblica,  non  presero  parte  al  suffragio 
perché' in  disaccordo  con  la  maggioranza  dei  coUeghi  sopra 
un  articolo  dei  décréta  concepito  cosi:  «  Il  Papato  è  de- 
caduto  di  fatto  e  di  diritto  dal  governo  temporale  dello 
Stato  romano.  Il  Ponteflce  romano  avrà  tutte  le  giiarenti- 
gie  necessarie  per  la  sua  indipendenza  nello  esercizio  délia 
sua  potestà  spirituale.  La  forma  dei  Groverno  dello  Stato 
romano  sarà  la  democrazia  pura,  e  prenderà  il  glorioso 
nome  di  Repubblica  romana.  La  Repubblica  romana  avrà 
col  rimanente  d'Italia  la  naturalità  comune.  »  —  In  verità 
il  gridarsi  délia  caduta  dolla  signoria  papale  e  la  inaugu- 
razione  délia  forma  repubblicana,  dalla  Cosiituente  allora 
data  al  paese,  furono  logica  conseguenza  délia  fuga  di 
Pic  IX  a  Gaeta;  a  lui  i  sudditi  non  tolsero  con  la  violenza 
il  principato,  ma  fu  lo  stesso  Ponteflce  che  ad  essi  le  la- 
sciô  per  li  cattivi  consigli  di  chi  gli  stava  d'attorno;  che 
anzi,  pregato  di  tornare  alla  sua  città,  niegô  di  far  paghi 
i  voti  dei  popolo  «  da  lui  sempre  amato  e  che  tuttavia 
ama'oay  »  e  queste  son  sue  parole.  —  «  La  bandiera  repub- 
blicana innalzata  in  Roma  dai  Deputati  dei  popolo,  scrisse 
Mazzini,  rappresenta  il  trionfo  d'una  frazione  di  cittadini 
sopra  un'altra;  rappresenta  un  trionfo  comune,  una  vittoria, 
riportatadamolti,  consentita  dalla  immensa  maggiorità,  dcl 
principio  dei  bene  su  quelle  dei  maie,  dei  diritto  comune 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BBFU6BLI0Â   BOMANA  115 

SU  Tarbitrio  dei  pochi,  délia  santa  eguaglianza  che  Dio 
decretava  a  tutte  le  anime  sul  privilégie  e  sul  dispotismo.  » 
—  Non  estante  la  difflcoltà  dei  tempi  e  i  tentativi  fatti 
dalla  Corte  di  Oaeta  per  ispingere  le  moltitudini  a  pugna 
parricida;  non  estante  gli  sforzi  délia  parte  ay\'^ersissîma 
alla  libertà  per  muovere  le  plebi  a  tumulte,  Roma,  nei  mesi 
corsi  dalla  fuga  dei  Papa  al  riunirsi  dalla  Costituente  — 
durante  i  quali  fu  retta  da  un  Governo  temporaneo  —  e 
di  poi  nel  saiiguindso  assedio,  eon  tanta  gloria  e  onore  dei 
nome  italiano  sostenuto  contra  le  armi  di  Francia  repub- 
blicana,  mantennesi  in  si  mirabile  concordia  di  volontà  e 
affetti,  e  in  tanta  moderazione  e  in  tanto  rispetto  aile  leggi 
da  far  credere,  che  da  lunga  pezza  fosse  uscita  di  servag- 
gio  e  da  molti  anni  già  godesse  di  larga  libertà.  —  Il  mat- 
tino  dei  di  vegnente,  il  9  febbraio,  i  membri  délia  Costi'- 
tuente,  ascesi  al  Campidoglio,  aile  innumerevoli  moltitudini 
di  cittadini  d'ogni  ordine  ivi  accorse  in  modo  solenne  an- 
nunziarono  essere  la  rep%M)lica  in  Roma  sorta  a  vita 
novella.  Indi  a  reggere  le  Stato  composero  un  Comitato 
esecutivo  con  Armellini,  Montecchi  e  Saliceti;  i  quali 
confermarono  monsignor  Muzzarelli  neirofflcio  di  Ministre 
sopra  la  istruzione  pubblica,  Pietro  Sterbini  in  quelle  di 
Ministre  sopra  i  lavori  pubblici  e  Pompée  Gampello  sopra 
le  armi  ;  in  oltre,  chiamarono  Ignazio  Guiccioli  al  governo 
délie  entrate  dello  Stato  e  Carlo  Rusconî  a  quelle  degli 
affari  interni.  In  un  manifeste  all'Italia  e  all'Europa  il 
Comitato  e  i  Ministri  facevano  conoscere  gli  intendimenti 
loro,  eziandlo  allô  scopo  di  rassicurare  i  timidi  che  la 
nuova  forma  di  governo  aveva  non  poco  spaventati.  «  La 
politica  di  questa  repubblica,  dicevano  essi,  emersa  vergine 
e  incruenta  dagli  avanzi  di  un  reggimento  distrutto  dal- 
Talito  potente  délia  civiltà  dei  tempi  nostri,  sarà  una  po* 
litica  franca,  dignitosa,  conciliatrice,  quale  l'esigono  i  det- 
tati  etemi  di  quella  democrazia  da  cui  desumemmo  le 
nostre  piii  care  ispirazioni;  e  quale  la  vogliono  i  bisogni 
deiretà  nostra,  il  suprême  bene  dltalia.  Lungî  da  noi  le 


Digitized  by  VjOOQIC 


116  OAPITOLO  II 


codarde  ipocrisie  e  le  infinte  simulatrici,  noi  adoriamo  la 
repubblica;  ma  adorandela,  invaditrice  non  la  vogliamo, 
civile  e  pia  Tabbiamo  neiranima  scolpita.  La  Costituente 
italiana,  quella  magica  parola  che  valse  a  tener  fervida 
la  vita  dopo  i  disastri  di  Lombardia,  sarà  il  nostro  perpé- 
tue grido Con  essa  noi  patrociniamo  la  guerra;   ne  ri- 

poso  certo  daremo  airanime  nostre,  sinchè  tal  guerra  non 
sia  condotta  a  lieto  compimento.  A  non  mostrarci  disuguali 

al  gran  conflitto daremo  opéra,  afflnchè  si  riordinino 

quelle  falangi  cbe  con  gli  altri  fratelli  scendevano  alla 
seconda  crociata.....  Le  discipline  civili,  che  conseguita  la 
indipendenza  possono  assicurare  sole  alla  nazione  una  vera 
grandezza,  saranno  con  pari  zelo  da  noi  incoraggiate.  Svin- 
colate  dairazione  cléricale,  Tistruzione  procédera  di  pari 
passe  con  la  religione,  elemento  unico  più  che  singolare  di 
educazione,  allorchè  non  si  adultéra  con  falsi  interessi,  e 
si  scevera  da  quella  scoria  délie  passioni  umane,  délie  umane 
cupidigie,  dalle  quali  rifuggi  con  tanto  abborrimento  Tau- 
tore  di  questa  religione  céleste Noi  tenderemo  a  restau- 
rare  l'erario  pubblico,  a  rimettere  in  corso  la  moneta  »^ 
ad  arricchire  il  paese  di  quel  danaro  che  è  11  nerbo  délia 
guerra.....  I  codici  attireranno  eziandio  tutta  Tattenzione 
nostra.  Una  legislazione  facile  e  semplîce  rende  gli  uomini 
forti  e  virtuosi;  una  legislazione  dubbia  e  complicata  li 
guasta,  li  corrompe,  li  sfata  d'ogni  sana  morale.  Vegliando 
aile  leggi  avremo  in  vista  che  le  riforme  nostre  sono  fatt^ 

per  uomini  schietti  e  repubblicani Una  legge,  non  ha 

guari  promulgata,  lascia  ai  Municipi  quella  libertà  che  fa 
sempre  il  sospiro  délie  anime  nostre,  e,  senza  toglierli  alla 
provvida  tutela  del  Governo,  consente  loro  di  far  fîorire  e 
diffondere  la  vita  in  mille  piccioU  centri  di  questa  Italia, 
civile  troppo,  anelante  troppo  d'azione,  e  troppo  gloriosa- 
mente  assetata  di  gloria,  perché  possibile  vi  si  rendesse 
quel  mostruoso  accentrarsi  che  pur  scorgiamo  in  nazioni 

meno  dai  fati  privilegiate Le  questioni  sociali  assorbi- 

ranno  grande  parte  délie  nostre  elucubrazioni....   Mentre 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    BBPUBBLICA   BOMANA  117 

animati  da  un  peosiero  fraterno  tenderemo  la  maao  verso 
chi  langue,  daremo  opéra  instancabile  a  correggere,  a  ri- 
formare  cW  impingua  dello  Stato,  chi  ne  spolpa  le  viscère, 
immemore  o  incurevole  del  sozzo  egoismo  di  cui  si  fa  col- 
pevole.  La  repubbllca  esige  forti  e  maschie  virtii,  perché 
è  lo  stato  délia  perfezione  sociale,  che  è  umanamente  pos- 
sibile  di  conseguire  quaggiti  ;  onde,  a  mettere  in  onore  tali 
virtii,  a  sbandire  le  colpe  délia  concussione  e  deiregoismo, 
tenderemo  con  quella  gagliardia  che  ispira  aU'anima  un 

pensiero  santo L'Europa  ci  guarda,  Tltalia  tiene  vôltl 

in  noi  gli  occhi;  Italia  ed  Europa  veggano  quale  èquesta 
repubblica  romana,  che,  succeduta  a  un  Governo  di  casta, 
6  acclamata  tra  la  letizia  e  la  serenità  di  tutto  un  popolo, 
dalla  tradita  naturalità  nostra  prese  le  mosse,  col  rispetto 
degli  uomini  e  délie  cose  segui  il  suo  corso,  col  grido  di 
CosUtuente  e  di  naturalità  toccherà,  quando  a  Dio  piaccia, 
la  sua  meta  gloriosa.  L'Italia  e  l'Europa  ci  guardano.  Eb- 
bene,  ch'esse  veggano  intere  l'opère  nostre  e  discono- 
scano,  se  possono,  la  santità  del  nostri  diritti,  Tinviolabile 

fede  délie  anime  nostre »  —  Questi  intenti  del  Comi- 

tato  esecutivo  e  dei  Ministri,  proprio  saggi  e  generosi,  non 
poteronsi  raggiugnere  mai,  causa  la  tristizia  dei  tempi 
d'allora.  Se  la  repubblica  romana  ottenne  le  simpatie  dei 
popoli,  ebbe  perô  tutti  nimici  i  regnanti  in  Europa,  e  ni- 
micissima  la  repubbtica  francese;  cui,  il  mal  senno  dei 
supremi  suoi  reggitori  e  soprammodo  Tambizione  sfrenata 
di  chi  più  tardi  signoreggiolla  dovevano  importe  l'odioso 
officio  di  spegnere  la  repubblica  sorella  e  farla  sostenitrice 
di  un  Governo  assoluto.  —  Tosto  che  in  Gaetà  giunse  la 
novella  deU'acclamata  repubblica  romana,  i  Gardinali  cor- 
revano  al  Pontefice  per  indurlo  a  protestare  —  come  in 
fatto  protesté  —  contra  il  décrète  ûelVAssemblea  CosU- 
tuente, che  aveva  solennemente  dichiarato  essere  il  papato 
decaduto  di  diritto  e  di  fatto  da  ogni  temporale  potestà 
iopra  lo  Stato  romano.  La  protesta  pontificia,  pubblicata 
il  14  febbraio,  sentenziô  nei  modi  piii  solenni^   che   nulli 


Digitized  by  VjOOQIC 


118  CAPITOLO   II 


erano  gli  atti  deirAssemblea,  présentait  al  cospetto  del 
mondo  col  moltiplice  carattere  delVingiusiîzia,  delVin- 
gratiiudine,  délia  stoltezza  e  delVeTnpietà;  e  chiese  il 
mantenimento  del  sacro  diritto  del  temporale  dominio  délia 
Santa  Sede,  del  quale  da  tanti  secoli  godeva  il  legittimo 
possesso  universalmente  conosciuto.  —  Fu  allora  che 
Pio  IX  diede  opéra  sollecita  per  coadurre  a  buon  fine  le 
pratiche  già  da  tempo  cominciale  con  Francia,  Austria, 
Napoli  e  Spagna,  allô  intente  di  ottenere  un  soccorso  di 
armi  per  l'impresa  di  Roma.  Non  estante  il  vivo  soUeci- 
tare  délia  Corte  di  Gaeta,  i  Governi  devoti  alla  causa  del 
Pontefice  non  aft'rettaronsi  a  oorrere  in  suo  aiuto  ;  perô 
che  TAustria  si  trovasse  di  fronte  alla  ribellione  magiara 
e  alla  Sardegna,  minacciante  d'uscire  presto  alla  riscossa; 
Napoli  non  avesse  ancor  vinto  i  soUevati  siciliani  :  e  il  su- 
prême reggitore  délia  repubblica  francese,  Napoleone  Buo- 
naparte  —  il  quale  aveva  già  in  sua  mente  disegnata  la 
restaurazione  deirimperio  dei  grande  capUano  —  volesse 
intervenire  quando  fosse  securo  di  non  destare  gelosie  nelle 
CJorti  di  Europa,  ne  di  far  nascere  neU'universale  verun 
dubbio  su  Tonestà  di  sœ  intenzioni.  Soltanto  la  Spagna 
avrebbe  potuto  liberamente  operare  in  favore  délia  Santa 
Sede,  ma  non  efflcacemente,  non  avendo  forze  bastevoli 
airimpresa. 

Mentre  tali  fatti  compivansi  in  Roma  e  in  Gaeta,  i' Austria 
faceva  invadere  di  sue  armi  il  territorio  romane;  ingiusta 
aggressione,  che  reputava  onestata  dal  proteste  di  vendi- 
care  la  morte  di  tre  soldati  del  presidio  di  Ferrara,  avve- 
nuta  di  quel  giorni  in  un  popolare  tumulte.  Gorreva  il  18 
febbraio  di  quelFanno  1849,  allora  che  Haynau,  valicato 
il  Po  alla  testa  di  sei  miia  fanti  e  ventidue  artiglierie, 
giunto  dinnauzi  a  Ferrara,  mandava  a  chiedere  al  suprême 
Magistrato  di  essa,  che  soUecito  avesse  a  dargli  in  mano 
le  porte  délia  città  e  gli  ucciditori  de'  suoi  soidati,  o  sei 
citta'lini  in  ostaggio  ;  in  oltre,  che  venisse  immediatamente 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BBPUBBLIOA   BOMANA  119 


restaurata  l'autorità  del  legittimo  sovrano  e  rimesso  in 
oQore  lo  stemma  pontificio;  in  âne,  che  si  consegnassero 
sel  miia  scudl  al  vicoconsoio  austriaco  in  compenso  d'in- 
giuria  patita,  e  dugento  milaa  lui;  minacciara  poi  di  ful- 
minare  la  città  co*  suoi  cannonl,  qualora  si  niegasse  di 
dare  piena  e  intiera  soddisfazione  aile  sue  domande.  —  Riu- 
seiti  vani  i  tentativi  di  una  deputazione  di  cittadini,  la 
quale,  condotta  dall'arcivescovo  cardinale  Cadoliui,  era  ita 
al  générale  austriaco  per  condurlo  a  più  miti  consigli, 
Carlo  Mayr,  Préside  di  Ferrara,  dopo  avère  protestato  con- 
tra le  insultanti  richieste  di  Haynau,  non  potendo  resistere 
con  vantaggio  al  nimico,  dimolto  prépondérante  in  forze 
armate,  portossi  col  suo  Ooverno  in  Argenta  ad  attendervi 
gli  ordini  e  i  soccorsi  di  Roma.  —  Alla  notizia  délia  vio- 
lazione  del  territorio  suo,  YAssemblea  Costituente  romana 
spediva  il  Ministro  sopra  le  armi  a  Bologna  col  carico  di 
provvedere  ai  modi  più  pronti  e  più  sicuri  di  cacciare  il 
nimico  invaditore.  Fu  allora  che  il  Luogotenente  dell'Au- 
stria,  temendo  di  vedersi  da  una  sollevazione  popolare  le- 
vate  le  vie  di  comunicazione  col  Po,  ottenuto  dai  Ferra- 
resi,  con  le  minaccie  di  gravi  danni,  il  danaro  e  gli  ostaggi 
(lomandati,  lasciata  la  città,  ripassava   poscia  quel  fiume. 

Appena  acclamata  la  repubblica,  il  Governo  romano  aveva, 
in  un  manifeste  ai  popoli  d'Europa,  fatto  conoscere  che  la 
città,  il  oui  nome  e  le  cui  ruine  parlano  si  forte  di  li- 
hertà  e  di  patria,  non  poteva  essere  patrimonio  del  papato, 
il  quale  per  stissistere  abbisognava  d'opprimere,  ond'era 
cagione  permanente  di  danno  alVltalia;  in  oltre  aveva, 
in  quel  manifesto,  promesse  di  metiere  un  popolo  libero 
a  difesa  delVindipendenza  religiosa  del  Pontefice,  e  d'oc- 
dngersi  a  tradurre  le  leggi  di  moralité  e  di  carità  uni- 
thermie  nei  portam^nti  sitoi  e  nello  svolgimento  di  ma 
oita  politica.  —  Dopo  ciô  la  repubblica  romana  inviava 
a  Parigi,  a  rappresentarla  presse  il  Governo  di  Francia, 
Pietro  Beltrami  e  Federico  Pescantini,  cui  la  parte  libe- 


Digitized  by  VjOOQIC 


120  CAPITOLO    II 


raie  faceva  le  accoglienze  piii  liete  e  piii  amichevoli.  I  rap- 
presentanti  del  popolo  —  detti  délia  Montagna  —  nella 
Cùsituente  francese,  il  24  di  quel  mese  di  febbraio  .volge- 
vano  ai  membri  délia  Costituente  romana  queste  generose 
parole  :  «  La  democrazia  di  Francia  saluta  coa  entusiasmo 
la  repubblica  gloriosamente  costituitasi  in  su  le  rive  del 
Tevere;  onore  al  popolo  romaao!  la  storia  ammirerà  la 
grandezza  dell'opera  sua.....  Roma  emancipata  è  il  segnale 
deiremancipazione  di  tutta  Italia,  è  il  primo  passe  verso 
la  restaurazioue  délia  naturalità  italiana  sotto  Tunica  forma 

che  ornai  la  rende  possibile,  la  repubblica Spagna,  Au- 

stria  e  Napoli,  dicesi^  facciano  ora  una  alleanza  sacrilega 
per  ispegnere  in  Roma  il  potere  popolare...  i  vecchi  tiranni 
esiteranno  prima  d'assalire  i  Romani  che  fondano  la  propria 

indipendenza.  Se  mai  Tosassero cittadini  d'Italia,  le  sim- 

patie  délia  democrazia  francese  sono  per  vol;  i  suoi  vo- 
lontari,  alla  vostra  chiamata  verrebbero  ad  aiutarvi  per 

cacciare  i  barbari »  L*Assemblea  romana  siibito  rispon- 

deva  cosi:  «  Il  vostro  indirizzo  ci  è  giunto  in  un  momento 
solenne,  alla  vigilia  délia  battaglia;  e  noi  vi  attingeremo 
nuove  forze,  nuovi  incoraggiamenti  per  la  santa  lotta  che 
sta  per  aprirsi.  La  Francia  ha  fatto  grandi  cose  nel  monde  ; 
voi  avete  patito,  sperato,  combattuto  per  Tumanità,  e  ogni 
voce  che  venga  da  voi  ci  impone  doveri  che,  con  Taiuto 
di  Dio,  noi  sapremo  compiere.  Voi  avete  sentito,  o  citta- 
dini, quanto  ha  di  nobile,  di  grande,  di  provvidenziale 
questa  bandiera  di  rinnovamento  ondeggiante  su  la  città 
che  racchiude  il  Campidoglio  e  il  Vaticano:  il  diritto  eterno 
fatto  forte  d'una  nuova  consecrazione  :  un  terzo  monde 
sorgente,  nel  nome  di  Dio  e  del  popolo,  su  le  rovlne  di 
due  mondi  spenti  ;  un'Italia,  che  sarà  sorella  alla  Francia, 
rompente  il  coperchio  délia  sua  sepoltura  per  venire  a 
chiedere,  in  nome  d'una  missione  da  compiersi,  il  diritto 
di  cittadinanza  nella  federazione  dei  popoli.  Voi  avete  in- 
teso  che  i  nostri  cuori  sono  puri  di  odio  e  di  intolleranza  : 
che  noi  stiamo  compiendo  un'opera  di  amore  e  di  miglio- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BKPUBBLIGA   BOMANA  121 


ramento  umano;  e  che»  rivendicaado  i  nostri  diritti  senza 
violare  la  credenza,  separando»  corne  noi  Tabbiamo  fatto, 
il  Papa  dal  principe,  abbiamo  assunto  Tobbligo  di  non  con- 
taminare  quesfopera  col  contatto  délie  basse  passion!  e 
deUe  codarde  vendette,  che  una  stampa  corrotta  o  ingan- 
nata  si  ostina  a  rimproverarci.  Quest*obbligo  noi  lo  atter- 
remo;  parole  simili  aile  vostre  ci  compensano  di  moite 
calunnie,  ci  rassicurano  contra  moite  insidie  coperte.  Noi 
sappiamo  che  voi  illuminerete  i  vostri  concittadini  sul  ca- 
rattere  délia  nostra  rivoluzione,  che  voi  manterrete  per 
noi  quel  diritto  alla  vita  nazionale,  che  voi  primi  avete 
proclamato  e  conquistato.  Non  vi  è  che  un  sole  nel  cielo 
per  tatta  la  terra  ;  non  vi  è  che  uno  scopo,  una  legge, 
una  sola  credenza  :  associazione,  progresse,  per  tutti  quelli 
che  la  popolano.  Corne  voi,  noi  combattiamo  a  vantaggio 
del  monde  intero,  noi  siamo  tutti  fratelli,  noi  rimarremo 
tali,  che  che  si  faccia.  Fidate  in  noi,  noi  fidiamo  in  voi; 
se  mai  nella  crisi  che  stiamo  per  attraversare  le  forze 
ci  mancassero,  noi  ricorderemo  allora  le  vostre  promesse  ; 
noi  vi  grideremo  :  Fratelli,  Vora  è  venuta^  sorgete  !  e  noi 
vedremo  i  vostri  volontari  accorrere.  Insieme  combattem- 
mo  sotto  rimperio  napoleonico;  noi  combatteremo  un'altra 
volta  insieme  per  quanto  v*ha  di  piii  sacro  per  gli  uomini  : 
Dio,  patria,  libertà,  repubblica,  santa  alleanza  dei  popoli.  » 
La  democrazia  francese  giurava  allora  fede  e  amistà  alla 
repubblica  romana  e  giurava  eziandio  di  darle,  al  biso- 
gno,  aiuto  di  sue  armi  ;  ma  la  Francia  di  Napoleone  Buo- 
naparte  doveva,  di  li  a  poco,  mandare  contra  Roma  gli 
eserciti  suoi  per  abbattere  le  libère  istituzioni  e  restau- 
rare  il  dominio  temporale  dei  Ponteflci,  i  quali  da  quel 
giorno  in  poi  non  poterono  piu  reggersi,  se  non  con  Tap- 
poggio  délie  baionette  straniere.  —  Agli  sforzi,  fatti  in 
questo  mezzo  per  raccogliere  in  Roma  la  Costttuente  ita- 
lianay  non  sorti  esito  fortunato,  causa  il  non  essersi  po- 
tuto  accordare  tra  loro  i  Governi  délia  penisola  e  a  ca- 
gione  altresi  délia  sconôtta  patita  dalle  armi  di  Sardegna 


Digitized  by  VjOOQIC 


122  CAPITOLO   II 


alla  giornata  di  Novara.  I  Siciliani,  sebbene  si  fossero  chia- 
riti  favorevoli  alla  Costituente,  volevano  perô  anzi  tutto 
la  propria  autonomia;  chiedevano  una  Dieta  federativOy 
non  solamente  per  essere  Tltalia  in  sommo  grado  muni- 
cipalBy  ma  anche  perché  troppo  pericoloso  reputavano  con- 
durla  a  un  tratto  da  reggimento  dispotico  a  vita  unitaria. 
La  monarchia  sabauda  sosteneva  il  principio  federativo, 
posto  innanzi  da  Qioberti  ;  e  gli  stessi  Veneziani  —  che 
pur  reggevansi  a  governo  di  popolo  —  eccetto  la  parte 
sinceramente  libérale,  sia  per  non  offendere  il  Re  sardo, 
che  saperano  apprestarsi  a  nuova  guerra  contra  il  nimico 
comune;  sia  perché  non  mettessero  molta  fede  inunaAs^ 
semblea  costituente  italiana;  sia  in  fine,  perché  troppo 
superbi  di  loro  gloriose  tradiâoni  sperassero  tornarle  tut- 
tavia  aU'antico  splendore  e  far  rivivere  11  passato,  niega- 
vano  aderlre  aile  proposte  di  Roma;  con  la  quale  Assem* 
blea  perô  intendevano  accordarsi  sui  prowedimenti  da 
prende.rsi  per  la  comune  difesa.  Toscana,  che  in  quel  torno 
di  tempo  per  la  fuga  del  suo  principe  aveva  acquistata 
piena  e  intiera  la  libertà,  ardentemente  desiderava  di  fare 
con  Roma  una  sola  repubblica;  ma  Domenico  Guerrazzi, 
il  quale  con  Montanelli  e  Mazzoni  teneva  allora  la  su- 
prema  potestà,  combatteva  con  arte  sôttile  la  sospirata 
uniflcazione;  che,  saviamente  compiuta,  avrebbe  attirato 
a  se  Venezia  e  Sicilia  :  onde  sarebbersi  avvantaggiate  nou 
poco  le  sorti  délia  patria.  Non  ostanti  le  fratellevoli  sim- 
patie  dei  popoli  e  la  buona  amicizia  dei  Governi  italiani 
—  quel  di  Napoli  eccettuato  —  i  Romani  trovaronsi  nell'i- 
solamento  più  pericoloso.  Né  per  questo  si  scoraggirono; 
che  anzi  di  quai  animo  fossero  e  quanta  fede  nutrissero 
nella  santità  e  giustizia  délia  loro  causa  venue  luminosa- 
mente  provato  dall'eroica  difesa  sostenuta  contra  gli  eser- 
citi  délia  repubblica  francese. 

Di  quel  giorni  accadevano  alcuni  mutamenti  negli  uo- 
mini  del  Groverno;  a  Campello,  Ministre  sopra  le  armi,  ma 
che  di  cose  deila  milizia  era  pochissimo  esperto,  veniva 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BEPUBBLIGA  BOHANA  123 

surrogato  Alessandro  Galandrelli  ;  e  Mazzoni  e  Moatecchi 
in  luogo  di  Sterbini  e  Guiccioli,  i  quali  ayevano  lasciato 
ruffîcio  per  essere  stati  severamente,  ma  a  ragione,  cen- 
surât! e  incolpati  di  negligeaza  nel  far  pervenire  a  Bo- 
logna  e  ad  Ancona  il  sussidio  in  danaro  richiesto  dai  bi- 
sogni  dei  loro  traffici  e  ad  esse  decretato  dalla  CosUt%Aente. 
-Intanto  congiupavasi  in  Gaeta  apertamente  a  danno  di 
Roma:  era  la  Corte  pontificia,  la  quale  per  mezzo  de'  suoi 
partigiani  e  di  quanti  avversavano  la  repubblica,  suscitava 
disordiai  nelle  provincie  romane,  spingendo  il  volgo,  col 
manto  dalla  religione,  da  prima  a  fatti  biasimevolissimi, 
per  eccitarlo  poscia  a  ribellarsi  ai  nuovi  ordinamenti  dello 
Stato;  ed  era  facile  cosa  trascinare  ad  eccesai  il  volgo,  che 
âllora  ignorava  come  le  faccende  corressero  o,  quel  che  è 
peggio,  malamente  lo  sapeva.  —  A  far  cessare  i  delitti  di 
sangue,  perturbatori  del  maravîglioso  concorso  d'un  in^ 
tero  popolo  nelVqpera  délia  siui  redenzione  e  che  erano 
un'atroce  ingiuria  allapurezza  deiprincïpi  repubblicanU 
il  ministro  Aurelio  Saffl  in  un  manifeste  al  popolo,  dopo 
avère  chiarito  i  principi  ragione  délia  esistenza  del  nuofoo 
ordine  di  cose,  invitava  i  cittadini  e  le  milizie  nazionali 
a  proteggere  lo  Stato  contra  le  invasioni  straniere  e  a  di- 
fendere  la  civiltà  délia  patria.  «  Uomini  di  intelligenza  e 
di  cttore,  cosi  chiudeva  Saffl  il  suo  dire  (1),  circoli  popolari, 
generose  adunanze  di  liberi*cittadini  !  una  sublime  missione 
Toi  avete  da  adempiere  :  emancipare  il  popolo  dalla  schia- 
vitù  dell'ignoranza,  dei  pregiudizi  e  délie  passioni  violente, 
che  sono  l'eredità  délie  tirannidi  régie;  fare  délia  repub- 
Wica  quello  ch'essere  deve:  una  grande  scuola  di  doveri 
e  dirifcti,  una  grande  educazione  di  virtù  e  amore.  Cittar 
dini!  pensate  agli  obblighi  che  avete  comuni  verso  la 
grande  patria  italiana,  verso  la  società;  pensate  che,  ri- 
mossi  gli  impedimenti  che  prima  vi  attraversavano  la  via. 


(1)  Roma,  ô  marzo  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


124  GAPITOLO   II 


ora  sta  nella  volontà  e  neU'opera  vostra  il  fare  che  questa 
parte  d'Italia  si  levi  aU'altezza  de*  suoi  grandi  destiai.  » 
—  Al  manifesto  d*Aurelio  Saffl  al  popolo  romano,  per  con- 
siglio  deU'Assemblea  teneva  subito  dietro  una  Nota  ai  Go- 
verni  d'Europa  del  Ministro  sopra  gli  affari  osterni,  Carlo 
Rusconi,  Nota  dettata  allô  intento  di  far  conoscere  l'in- 
giustizia  delle  accuse  lanciate  addosso  alla  repubblica  dalla 
stampa  nimica  a  libertà.  Il  Rusconi,  dopo  avère  somma- 
riamente  parlato  delle  ultime  vicende  dltalia  e  detto  corne 
quella  mîrabile  armonia  —  che  ébbe  già  insieme  uniti 
ventiqtuittro  milioni  d'uomini  in  unHdea,  in  una  fede 
e  in  una  speranza  —  era  stata  distrutta  dalVvuymo  stesso 
nel  oui  nome  gli  oppressi  eransi  levait  contra  gli  oppres- 
sort,  terminava  in  queste  sentenze:  «Finchè  il  papato  ci 
assecondô  (1);  finchè  mostrossi  amico  délia  nostra  indipen- 
denza,  noi  procedemmo  con  esso,  e  da  esso  una  coasecra- 
zione  cercammo  al  glorioso  nostro  risorgimento.  Ma  quando 
disertô  da  noi  e  ci  dichiarô  che  il  suo  carattere  sacerdo-i 
taie  gli  vietava  di  corroborare  i  santi  conati  délia  iadipen- 
denza,  allora  che  ci  disse  che  gli  interessi  del  mondo  cat- 
tolico  gli  impedivano  di  patrocinare  gli  interessi  italianû 
allora  noi  non  avemmo  che  un  grido,  allora  noi  esalammo 
dal  profonde  del  cuore  che  eravamo  Italiani,  e  il  papato 
ripudiamrao  che  ci  avea  ripudiàti,  onorando  il  sacerdote, 
ma  non  obbedendo  omai  piii  che  alla  voce  dltalia.  Il  mondo 
giudichi  questi  fatti  e  sèguiti,  se  il  vuole,  a  calunniarci.  Non 
è  per  giustiâcarci  che  noi  qtcesii  fatti  allegammo,  giacchè 
la  giustificazione  nostra  sta  tutta  nei  nostri  diritti,  nelle 
nostre  coscienze.  Ma  è  bene  che  l'Europa  abbia  un  regolo 
per  misurare  le  sorti  che  ci  si  preparano,  sorti  che  incoa- 
treremo  senza  baldanza,  senza  paure,  con  la  dignità  di 
uomini  che  si  adoprarono  pel  bene  délia  terra  in  cui  eranc 
nati,  e  che  all'Europa,  con  fronte  alta,  con  cuor  sicuro^ 


(1)  Borna,  5  marzo  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BEPUBBLICA   BOMANA  125 

potran  sempre  dire:  un'opera  gloriosa  almeno  compimmo, 
e  fa  quel  giorno  in  cul  abbattemmo  il  dominio  temporale 
dei  Papi.  »  —  Le  parole,  oltre  ogni  dire  generose  del  Mi- 
nistre —  le  quali  suonavano  una  forte  protesta  contra  chi 
aflermava:  non  essere  la  repubblica  romana  una  emana- 
zione  del  popolo,  ma  la  creazione  di  pochl  faziosi  —  non 
trovarono  buona  occoglienza  nelle  Oorti  e  nei  Governi 
d'Europa;  esse  furono  voci  gridate  nel  deserto! 

In  quel  torno  di  tempo  era  venuto  a  Roma  Giuseppe 
Mazzini,  chiamato  da  numeroso  sufiragio  di  popolo  a  se- 
dere  neWAsseniblea  costituente,  la  quale  Testante  e  plau- 
dente  accolse  il  grande  apostolo  délia  libertà  e  unità  ita- 
liana.  Il  fiero  agitator  genovese,  convinto  non  potere  la 
repubblica  romana  conquistare  a  se  Vltalia,  come  ci  la- 
8ciô  scritto,  se  non  emancipandola  dallo  straniero,  fa- 
cendola;  e  per  parla  adbisognare  una  forza,  che  non 
$olamente  esisteva,  ma  che  nessuno  pensava  a  ordinarla, 
perà  che  Veserdto  dello  Stato  contasse  allora  sedici  mila 
uomini  appena  senza  cœsione,  senza  uniformità  di  di- 
sciplina  e  di  solda  (1),  il  16  marzo  proponeva  aU'Assem- 
blea  di  eleggere  una  Oommissione,  la  quale  dovesse  cer- 
care  e  studiare  i  migliori  ordînamenti  per  l'esercito  e  prov- 
Tedere  aile  forti  nécessita  délia  difesa  e  offesa:  due  giorni 
dopo  la  Oommissione  teneva  tal  grave  offlcio  dalla  Costi- 
^luente,  —  La  notizia  allora  allora  giunta  in  Roma  délia 
guerra,  già  da  più  giorni  inditta  all'Austria  da  Carlo  Al- 
berto —  délia  quale  l'oratore  di  Sardegna  presse  la  repub- 
blica era  stato  subito  edotto  —  mentre  faceva  nascere  in 
cuore  a  tutti  la  speranza  di  un  felice  avvenire,  suscitava 
perô  contra  il  Governo  di  Torino  forte  sdegno  nei  repub- 
blicani  più  ardenti,  che  non  avevali  a  tempo  awertiti  del 


(1)  Scritti  ediii  ed  inediti  di  Giubbppb  Mazzini,  vol.  tii,  cart  186; 
Milano,  1864 


Digitized  by  VjOOQIC 


126  OAPITOLO   II 


disdir  délie  tregue  :  e  in  veiità  il  contegno  di  quel  Governo 
ia  cosa  di  si  grave  momento  non  fu  Iode  vole!  Innanzi  di 
intimare  la  guerra  aU'imperio  —  la  quale  doveva  essere 
tutta  nazionale,  non  regia  —  era  obbligo  dei  Ministri  di 
Oarlo  Alberto  d'accordarsi  con  Roma,  Toscana  e  Venezia 
sui  provvedimenti  che  valessero  ad  assicurarne  il  buon 
esito;  tra  cui  il  primo,  e  proprio  quelle  che  soprammodo 
importava,  fosse  d*uscire  inaieme  alla  campagna  e  con  lo 
sforzo  maggiore  délie  loro  armi.  I  consiglieri  del  Re  ave- 
vano  bensi  inviato  a  Firenze  e  a  Roma  Lorenzo  Valerio 
per  far  conoscere  quanto  da  Carlo  Alberto  era  stato  deli- 
berato;  ma  fu  si  tardi,  che  ai  Ministri  délia  repubblica, 
assai  prima  delForatore  sardo,  pervenisse  il  m&nifesto  di 
Buffa  ai  Genovesi,  col  quale  informavali  délia  nuova  guerra 
bandita  dalla  Sardegna  alFAustria.  VAssemblea  cosUtuente. 
non  estante  la  viva  opposizione  di  alcuni  Deputati  (1),  a- 


(1)  Tra  gli  opposîtori  trovavaai  Enrico  Cemuschi,  milanese:  t  Citta- 
dini,  diceva  egli  allora,  ricordatevi  che  1117  febbraio  Lamannora  dore* 
invadere  la  Toscana,  e  qnel  giorno  Haynan  occnpava  Feiran..  »  -* 
Contra  loi,  seminatore  di  diaeordia^  levaronsi  Anrelio  Saffi,  Bodolfo 
Andinot  e  Ginseppe  Mazzîni  per  caldegglare  la  gnerra  di  indipendenza 
—  la  quale  aveva  per  intento  nnico  la  cacciata  dello  straniero  dal- 
ritalia  —  senza  cnrarsi  délie  forme  politiche.  A  far  conoscere  qnanto 
da  Cemuschi  si  odiasse  la  Sardegna  rîcorderô  qni  le  parole  da  Ini  pro- 
nunziate  nel  1851  in  nna  rînnione  repnbblicana,  presiednta  da  Lamenai? 
e  tenntasi  in  Parigi  neila  casa  del  générale  Gnglielmo  Pepe:  «  1^ 
amerei  meglio  vedere  i  Tedeschi  in  Torino,  che  i  Piemontesi  in  Mi- 
lano.  »  —  a  Ê  certo  che  Cemuschi  amava  i  Mazziniani,  quanto  iPi^ 
montesi,  cosi  scrisse  Giorgio  Pallavicino;  .....a  8e  mi  travMsi  davanti 
a  tm  Piemontese  e  a  un  Austriaco,  e  avesH  in  mano  uno  sehiopf 
a  due  canne,  io  =.  intendi  Cemuschi  =  tirerei  prima  contra  il  ^^ 
manteac,  pai  contra  VAuatriaco,  n  —  I  Mazziniani  oerataono  ^ 
cacciare  di  Parigi.....  ma  ei  vivea  sicuro  perché  amato  dagli  amici  più 
întimi  del  Présidente,  il  Buonaparte  »  (*). 

n  n  PUmonU  negli  ami  1850, 1851  •  1859,  Idttere  di  Vinoenzo  Gioberti  e  Giorgio 
PalIaviciDO,  cart.  157  e  seg.;  Milano,  1875^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BEPUBBLIGA  BOMANA  127 


yendo  deliberato  di  dare  aiuto  di  sue  armi  all*esercito  sub- 
alpiao  senza  auUa  patteggiare  —  nemmeno  il  riconosoi- 
mento  deUa  repubblica  da  parte  del  €k>yemo  sardo  —  man- 
dava  all*iinpresa  di  Lombardia  diecimila  soldati  sotto  il 
comando  del  luogotenente  colonnello  Mezzacapo,  ai  quali 
avrabbero  poi  tenuto  dietro  altri  dieci  mila.  Rispondeva 
cosi  generosamente  la  Costituente  romana  alla  stampa 
sarda,  la  quale  poco  prima  aveya  oltraggiato  la  repubblica, 
tacciandola  di  nou  essore  buona  ad  altro,  fuorchè  a  cou- 
sumare  il  tempo  in  vani  discorsi  e  a  mettere  fuora  décret! 
in  nome  di  Lia  e  del  popolo.  —  L'Assemblea  e  il  (Joverno 
di  Roma  auaunziarono  la  seconda  guerra  di  indipendenza  e 
la  partenza  dei  soldati  per  taie  impresa  ai  popoli  délia  repub- 
blica col  seguente  bando  :  «  Il  cannone  italiano,  annunzio 
di  battaglie  e  di  riscatto,  tuona  di  nuovo  nelle  pianure  lom- 
barde. AlVarmi.  Tempo  è  di  fatti,  non  di  parole!  le  schiere 
repubblicane  insieme  aile  subalpine  e  aile  altre  itallane 
combatteranno  :  non  sia  fra  loro  gara  che  di  valore  e  di 
sacrifizi.  Maledetto  chi  nel  suprême  arringo  divide  dai 
fratelli  i  fratelli.  Dall'Alpi"  al  mare  non  è  indipendenza 
vera,  non  è  libertà,  finchè  l'Austriaco  conculchi  la  sacra 
terra.  La  patria  demanda  a  voi  uomini  e  danaro.  Sorgete 
e  rispondete  aU'invito.  AlVarmi  e  Italia  sia  »  (1).  —  L'ac- 
cortezza  politica  di  Lorenzo  Valérie  —  il  quale,  come  sopra 
dicemmo,  era  in  quel  mezzo  venuto  a  Roma  —  o  i  fini  ac- 
corgimenti  da  esso  usati  nella  difficile  missione  affldatagli, 
giugnevano  a  quietare  i  repubblicani  piii  fleri,  tuttavia 
sdegnati  contra  il  Governo  di  Torino,  per  la  ragione  già 


(1)  Il  22  marzo  il  Comitato  eaeeutivo  mobilitava,  per  la  tutela  délia 
ncnrezza  interna,  dodici  battaglioni  di  goaidie  nazionaU  nelle  provincie 
dello  Stato;  aile  quali  intendeva  poi  inviare  dei  Commisaari  con  appo- 
rte norme  per  mobilitare  i  battaglioni  con  nniformità  di  sistema;  in 
oltre,  rispondeva  al  battaglione  nniversitario ,  che  aveva  Utantemente 
chiesto  di  rtearsi  alla  guerra  di  indipendenza^  ordinando,  il  22  di  qnel 
mese  di  marzo,  lo  armarsi  sollecito  di  easo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


128  OAPiTOLO  n 


sopra  accennata,  non  che  a  sperdere  i  dubbi  e  le  diffidenze, 
che  il  passato  contegno  dei  Ministri  del  Re  aveva  fatto 
nascere  nella  mente  e  neiranimo  del  popolo.  Allora  la  città, 
credendo  assicurate  per  sempre  allltalia  le  sorti  più  liete 
e  più  prospère,  tutta  si  riempi  di  allegrezza;  e  i  Romani, 
già  pregustando  di  quella  libertà,  che  era  stato  il  sospiro 
ardentissimo  di  innumerevoli  generazioni,  e  per  la  quale 
avevano  molto  soflTerto,  esultarono.  Ma  si  grande  allegrezza 
e  tanta  gioia  dovevano  essere  d'assai  brève  durata! 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO  m. 

JL»a  Toscana;  faga  di  Leopoldo  IL 


n  baniabita  Gravazzi  a  Livorno.  —  Tamulto  del  2  settembre  1848  in 
Livomo.  —  Montaaelli  grida  la  Costituente  italiana.  —  Faga  di 
Leopoldo  H;  sue  lettere  a  Montanelli.  H  Triumvirato.  —  SoUeva- 
zioni  del  contado  di  Firenze  e  d'Empoli.  —  Spedizione  contra  il 
générale  De  Langier.  —  Domenico  Gnerrazzi  e  la  nnificazione  di 
Toscana  e  Borna. 


I  Toscaai,  quando  videro  le  loro  armi  salire  a  Lombar- 
dia  per  combattere  TAustria  —  e  fu  in  sul  cadere  del 
marzo  1848  —  riprendevano  la  tranquillità  usata  ;  che  d'es- 
sere  durevole  e  secura  d'ogni  perturbamento  promettevalo 
la  fede  data  dal  Granduca  di  manteiiere  iatatte  le  costitu- 
zionali  fraachigie  —  le  quall  avevano  compiuto  le  riforme 
—  e  di  perseverare  nella  guerra  sino  aU'acquisto  délia 
patria  indipendenza,  che  la  Lega  politica  dei  principi  ita- 
liani  avrebbe  poscia  maggiormente  raflferraata  e  condotta 
\'uniià  nazionale  al  auo  pieno  compimento.  Le  parole  di 
Leopoldo  II,  il  quale,  nello  accordare  ai  sudditi  le  libertà 
sospirate,  erasi  riunito  ad  essi  con  patto  generoso,  avevano 
allontanato,  anche  dai  più  diffldenti,  ogni  dubbio  e  ogni 
ombra  di  sospetto  su  la  lealtà  di  quelle  promesse;  aile 
quali  di  li  a  non  molto  egli  veniva  meno  con  grave  danno 

»  —  Vol.  n.  Mariant  —  Sior%a  poL  e  mil 


Digitized  by  VjOOQIC 


130  CAPITOLO    III 


deiritalia  e  délia  sua  buona  reputazione,  acquistatasi  negli 
anni  addietro  con  la  moderazione  e  la  dolcezza  del  sue 
governo.  Allora  ch'ei  vide  la  Sicilia  separarsi  da  Napoli 
per  costituirsi  in  regno  indipendente  —  onde  Tltalia  contc> 
una  divisione  di  piû  proprio  in  quei  giorni,  in  cui  l'idea 
deWunità  andava  già  guadagnando  il  favore  del  popolo 
nostro  —  desideroso  d'allargare  la  signoria  di  sua  casa, 
subito  maneggiossi  per  ottenere  la  sovranità  di  quell'isola: 
il  cui  Governo  non  tardô  a  oflfrirgli  la  corona  a  patto  di 
rinunziare  a  Toscana,  o  per  suo  figlio  secondogenito  ;  nel 
quale  caso  avrebbe  dovuto  reggere  la  Sicilia  sino  a  che  il 
figliuol  suo  chiamato  a  regnare  su  l'isola,  allora  giovanis- 
simo,  avesse  raggiunto  Tetà  voluta  dalle  istituzioni  del 
paese.  Ma  le  pratiche  del  Granduca  presse  gli  uomini  del 
Governo  siculo  per  ottenere  il  trono  ambito  riuscirono  a 
nuUa;  avvegnachè  i  Parlamenti  dei  Pari  e  dei  Comuni, 
volendo  dar  la  corona  a  un  principe  guerrière  e  italiano. 
gridassero  Re  un  di  casa  Savoia,  Ferdinando  duca  di  Ge- 
nova,  secondonato  di  Carlo  Alberto:  délia  quale  cosa  di- 
remo  tra  brève  e  a  lungo. 

n  26  giugno  di  quell'anno  1848  i  rappresentanti  délia 
Toscana  si  raccolsero  per  la  prima  volta  a  Parlamento, 
prendendo  innanzi  tutto  a  trattare  délie  faccende  délia 
guerra;  e  le  rivelazioni  fatte  dai  Deputati  e  dal  ministre 
Oorsini  sopra  di  esse  chiarirono  i  molti  disordini,  di  cui 
ne  era  piena  Tamministrazione,  ai  quali  sommamente  im- 
portava  di  provvedere  con  efficacia  e  prontezza.  —  Le 
novelle  giunte  dal  campo  dei  disastri  toccati  aile  armi 
sabaude  in  Lombardia  commossero  vivamente,  e  fecero  tu- 
multuare  Firenze,  si  quieta  sempre  e  si  tranquilla,  e  dove, 
per  Tindole  mitissima  degli  abitatori  suoi,  la  parte  mode- 
rata,  piii  assai  che  nelle  altre  città  dello  Stato,  contava 
numerose  aderenze  in  tutte  le  classi  dei  cittadini,  sopram- 
modo  in  quelle  potenti  per  censo  e  nel  patriziato.  Démo- 
cratici  e  partigiani  dell'Austria  trovaronsi  allora  di  fronte 
per  combattersi  ;  vittoriosi  i  primi,  la  repubblica  verrebbe 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.  toscana:   FUGA   DI  LEOPOLDO   II  131 

acciamata  ia  Toscana;  vincitori  i  secondi,  il  paese  cadrebbe 
nella  dipendenza  deirimperio.  —  Era  il  30  luglio  quando 
uaa  moltitudiae  innumerevole  di  popolo,  vennta  al  Palazzo 
Vecchio,  coa  grida  minacciose  chiedeva  ai  Ministri  la  ri- 
nunzia  al  loro  offîcio;  i  quali,  non  essendo  riesciti  a  se- 
dare  il  tumulto  non  ostante  lo  intervenire  délie  guardie 
cittadiae  e  délia  milizla  granducale,  rendevano  a  Leopoldo 
il  mandato,  che  poco  prima  avevano  rioevuto  dalle  sue 
mani.  Il  barone  Bettino  Ricasoli  ebbe  allora  il  carico  di 
comporre  un  nuovo  Governo;  ma  tornati  a  vuoto  gli  sforzi 
suoi,  quel  carico  venue  dal  Granduca  fldato  a  Gino  Cap- 
poni,  il  quale  gîunse  a  costituirlo  col  maggiore  Belluomini, 
COQ  Leonida  Lauducci,  Donato  Samminiatelli,  Jacopo  Maz- 
zei,  Celso  Marzuccfai  e  Gaetano  Giorgini,  tutti  di  parte 
moderata,  che,  tranne  Gino  Capponi  —  lor  présidente  — 
non  erano  del  nuovo  ordine  di  cose  svisceratissimi,  non 
fayorevoli  alla  guerra  e  ancor  meno  airunità  d'ItalisC.  La 
voce  di  quel  Ministri,  che  non  godevano  dell'aura  popolare, 
fu  impotente  a  quietare  le  popolazioni  ;  le  quali,  già  in 
forte  perturbamento  per  quelle  vittorie  e  quelle  tregue  che 
avevano  rimesso  la  Lombardia  in  potestà  e  i  Ducati  in  bal  la 
delUAustria,  venivano  maggiormente  irritate  da  alcune  in- 
consulte deliberazioni  e  codarde  persecuzioni,  che  facevano 
conoscere  essere  nel  Governo  debolezza,  non  forza  :  donde 
romori  e  tumulti;  mutamento  nell'edifiziopolitico  dello  Stato 
e  faghe.  Piceiola  scintilla  doveva  quindi  bastare  ad  accen- 
dere  grave  incendie;  e  la  scintilla  scoppiô  a  Livorno,  che 
in  brève  arse  tutta  la  città  del  fuoco  délia  ribellione.  — 
Correva  il  20  agosto,  quando  il  barnabita  Gavazzi,  poco 
tempo  innanzi  cacciato  di  Firenze  per  troppa  eloquenza 
^l^niagogica,  giunto  nella  rada  di  Livorno  su  nave  prove- 
niente  da  Genova,  mandava  a  chiedere  al  governatore  di 
quella  città,  Lelio  Guinigi,  libero  il  transite  di  Toscana  per 
recarsi  a  Bologna.  Non  page  di  niegare  a  Gavazzi  il  per- 
messo  implorato,  Lelio  Guinigi  faceva  circuire  la  nave,  che 
io  portava,  di  genti  d*arme;  con  la  quale  improntitudine 


Digitized  by  VjOOQIC 


132  OAPITOLO    III 


egli  forniya  alla  popolazione  il  pretesto  di  nuovi  tumulti. 
I  Livornesi,  appena  seppero  deiratto  ostile  del  loro  su- 
prême Magistrato  verso  quel  tribuno  del  popolo,  corsi  in 
foUa  al  porto,  facevanlo  scendere  di  sua  nave  e  quasi  trion- 
falmente  conducevanlo  all'albergo  che  doveva  ospitarlo.  I 
Ministri,  che  da  prima  avevano  voluto  impedire  al  barna- 
bita  di  trausitare  per  Toscana,  avvertiti  dello  accaduto  in 
Livorno,  per  tema  di  più  gravi  perturbazioni,  affrettavansi 
allora  a  mandargli  un  salvocondotio.  Con  bella  accompa- 
guatura  di  amici  e  d'alcuni  membri  del  Circolo  NazionaU 
délia  città  —  ai  quali  era  stata  data  per  quella  festa  la 
bandiera  ai  colori  nazionali  —  Gavazzi  camminara  tran- 
quille verso  Bologna,  quando,  a  Signa,  preso  dai  cacciatori 
a  cavallo  del  Granduca  e  posto  in  una  carrozza,  veniva  con 
pochi  de'  suoi  per  la  via  di  Pistoia  trasportato  a  guisa  di 
malfattore  ai  con  fini  di  Romagna.  Il  Governo  di  Toscana, 
recando  molestie  e  ingiurie  a  lui,  che  con  l'accordargli  un 
salvocondotto  erasi  obbligatodi  proteggerloefarlo  rispettare, 
chiarissi  inetto  ad  antivenire  disordini;  che  in  fatto  non 
tardarono  a  scoppiare,  avvegnachè  i  Livornesi,  togliendo 
pretesto  del  suo  maie  operato,  si  levassero  a  tumulto.  Il 
mattino  del  23  agosto,  conosciuti  i  casi  di  Signa,  raccoltisi 
in  gran  numéro  e  portatisi  alla  casa  del  governatore,  trae- 
vanlo  prigioniero  al  castello;  indi,  fatta  irruzione  entre  la 
fortezza  e  atterrate  le  porte  deirarmamentario,  armavansi 
di  schioppi  e  sciabole;  e  il  loro  imperversare  crebbeoltre 
ogni  dire,  quando  scoversero  i  telegrammi  e  le  lettere  dei 
Ministri,  che  rivelavano  le  insidie  tese  al  troppo  éloquente 
demagogo.  Allora  la  campana  del  palazzo  comunale  suonô 
a  stormo  per  chiamare  in  su  Tarme  le  guardie  cittadine; 
délie  quali  nessuna  avendo  risposto,  Livorno  fini  per  tro- 
varsi  tutta  nelle  mani  del  popolo  che  minaccioso  diedesi 
a  correrla.  Il  Gonfaloniere  e  con  lui  i  Maestrati  del  Co- 
mune,  a  impedire  che  il  popolare  movimento  venga  fao^ 
viato  dai  partigiani  d'anarchia,  e  allô  intente  di  signoreg- 
giarlo  e  guidarlo,  costituisconsi  in  Governo  temporaneo, 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   TOSCANA;   FUGA   DI    LE0P0LT>0   II  133 


associando  molto  saviamente  neirofflcio  loro  anche  i  capî 
di  quel  moto.  Lelio  Guinigi,  pregato,  scrive  ai  Ministri  dei 
romori  di  Livorno,  facendo  lor  conoscere:  =  Avère  egli 
avuto  piena  assicurazione  dal  Gonfalonîere,  che  la  città 
tornerebbe  a  quiète,  se  accordasserç  intiero  perdôno  deî 
crimini  politici,  e  mandassero  liberi  gli  amici  di  Gavazzi 
imprigionati  a  Signa  contra  ogni  diritto  e  giustizia.  =  Por- 
tatori  a  Firenze  délia  lettera  del  Governatore  andavano  un 
oflSciale  delFesercito  e  due  Deputati  dal  popolo;  il  quale, 
assembrato  nella  maggiore  piazza  délia  città  e  consentita 
la  liberazione  di  Guinigi,  recavasi  poscia  al  castello  a  trarlo 
quasi  festosamente  di  prigione,  ontro  cui  il  mattino  stesso 
avevalo  chiuso  carico  di  villanie  e  di  insulti.  Tanto  sono 
voltabili  le  moltitudini,  le  quali,  se  da  gente  onesta  consi- 
gliate  e  condotte,  operano  generosamente  ;  se  da  malvagia, 
con  ferocia  e  vituperio  di  se  e  délia  patria  !  —  Il  di  ap- 
presso  tornavano  di  Firenze  gli  inviati  del  Gonfaloniere  ai 
Ministri  portatori  di  liete  novelle;  perô  che  Leopoldo  avesse 
lor  dato  fede  di  porre  in  dimenticanza  ogni  cosa  passata; 
e  pegno  di  sua  parola  essere  stato  il  subito  scarceramento 
degli  amici  di  Gavazzi  e  la  restituzione  délia  bandiera  ai 
tre  colon  nazionali  délia  parrocchia  di  Venezia,  tolta  a 
quelli,  in  Signa,  dai  soldati  granducali.  —  La  quiète,  suc- 
ceduta  alla  tempesta,  fu  d'assai  corta  durata.  Poco  tempo 
innanzi  del  succedersi  dei  casi  ora  narrati,  Lelio  Guinigi, 
al  popolo  chiamante  armi,  aveva  risposto  cosi:  =  Non  e- 
sisterne  negli  armamentari  del  Governo*,  nemmeno  per  le 
guardie  cittadine,  in  parte  non  ancora  provvedute  di  esse  ; 
i  cinque  mila  schioppi,  che  prima  dei  fatti  del  23  trova- 
vaosi  nella  fortezza,  essere  stati  portât!  via  dai  tumultuanti. 
=  Ma  quando  il  popolo  vide  i  capi  délie  guardie  cittadine 
in  Porta  Murata  consegnare  armi  ai  militi,  mosso  a  sdegno 
contra  quelle  ch'ei  reputava  basso  provocamento  ed  era 
al  contrario  una  imprudente  leggerezza  o,  dirô  meglio,  un 
atto  d'iiomini  sventati,  irruppe  in  Porta  Murata,  e  con  la 
violenza  impadronissi  délie  armi  per  lo  addietro  niegategli. 


Digitized  by  VjOOQIC 


134  OAPITOLO  m 


I  militi,  che  vi  stavano  a  guardia,  avevano,  per  comanda- 
mento  del  loro  capitano,  fatto  fuoco  su  gl'invaditori,  ucci- 
dendone  e  ferendone  alcuni;  ma  il  sangue  di  questi  destô 
nei  popolo  tant'ira  contra  quella  milizia  e  i  suoi  capi  — 
tutti  di  parte  moderata  e  délia  libertà  non  molto  amanti 
—  che  avrebbe  sovr'essi  vendicato  il  sangue  sparso,  se 
alcuni  onesti  cittadini,  tra  cui  due  sacerdoti  (1),  non  si 
fossero  adoperati  a  quietarne  il  furore  e  riconciiiarlo  con 
le  guardie  cittadine;  le  quali  non  dovevano,  per  la  tsisti- 
zia  de' loro  capi,  fuggiti  a  Firenze,  vivere  in  odio  al  po- 
polo, di  cui  erano  parte  elettissima;  da'quel  giorno  non 
piii  si  nippe  taie  santa  concordia.  Tornati  tranquilli  i  Li- 
vornesi,  deputavano  parecchi  dei  loro  al  Granduca  per  as- 
sicurarlo,  che  sarebbersi  mantenuti  in  fede  a  lui,  s'egli, 
portato  a  numéro  Tesercito,  e  riordinatolo,  desse  parola  di 
spedirlo  alla  nuova  guerra  che  sapevasi  già  prepararsi 
dalla  Sardegna  contra  l'Austria  ;  e  se  accordasse  pieno  e  in- 
tiero  perdôno  a  quanti  avevano  preso  parte  ai  tumulti  pas- 
sât!, e  introducesse  neiramministrazione  délia  cosa  pubblica 
i  miglioramenti  richiesti  dai  tempi.  I  Ministri  del  Principe 
stettero  alquanto  tempo  tra  due,  cioè  se  dovessero  ridurre 
con  la  forza  la  città  aU'obbedienza  e  punire  quindi  seve- 
ramente  quelli  délia  parte  libérale  sommovitori  dei  disor- 
dini,  o  piuttosto  venire  a  pacifici  accordi  con  essa.  Im- 
ppovvidi  sempre,  ma  piii  improvvidi  allora  e  dissennati,  i 
Ministri,  scelto  il  partito  cattivo,  fecero  a  Pisa  l'accolta 
délie  armi  designâte  aU'impresa,  il  cui  carico  fidarono  al 
colonnello  Leonetto  Cipriani;  e  Livorno,  awertita  délie 
offese  che  dal  Governo  preparavansi  a  suo  dftnno,  apprestA 
le  resistenze.  Il  Commissario  di  Leopoldo  II,  che  vede  di 
non  potere  per  forza  d'assalto  impadronirsi  délia  terra. 


(1)  Ad  esempio  di  tutti  giova  ricoi-dare  il  nome  di  quei  virtuosi  mi- 
nistri deU'altare;  erano  l'abate  Zacchî  e  il  padre  Melloni,  Priore  dei 
Domenicani. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  TOSGANA;    FU6A   DI  LEOPOLDO    II  135 


studiasi  d'averla  con  lo  inganno,  aiutato  nella  disonesta 
impresa  dai  partigiani  del  Governo;*!  quali,  mentre  il  Ci- 
prianl  bandisce,  essere  stato  concesso  dal  Principe  quanto 
era  nei  voti  dei  cittadini,  da  un  branco  dl  gente  venduta, 
riunita  nella  piazza,  fanno  acclamare  i  soldat!  del  Gran- 
(luea  e  il  loro  capitano,  invitandoli  a  venire  subito  tra  essi 
a  restaurare  Tordine  sconvolto.  Leonetto  Gipriani,  che  con 
parte  délia  sua  schiera  teneya  il  campo  non  lungi  dalle 
mura,  entrava  in  Livorno  festosamente  ricevuto  dai  citta- 
(lini;  i  quali,  pubblicata  l'amnistia,  quietavansi  nella  spe- 
ranza  di  un  mlgliore  ayvenire  ;  se  non  che  questa,  appena 
concepita,  doveva  svanire. 

Era  il  2  settembre,  quando  il  popolo,  irritato  degli  or- 
•iini  del  colonnello  Oipriani,  che  vietava,  sotto  pena  di 
ammenda  pecuniaria  e  prigionia,  il  riunirsi  nei  Circoli  e 
îielle  case  de'  privati  cittadini,  fortemente  si  commoveva  : 
onde  il  Gommissario,  venuto  in  sospetto  di  nuova  ribel- 
lione,  a  sperdere  gli  assembramenti,  che  già  avvenivano 
aei  luoghi  più  frequentati  di  Livorno,  mandava  un  drap- 
pello  di  cavalleria;  che,  senza  far  precedere  la  intimazione 
•li  sciogliersi,  cadeva  improvvisamente  sul  popolo,  me- 
naado  strage  di  vecchi,  di  fanciuUi  e  donne;  alloraalcuni 
rK)polani,  saliti  sopra  un  campanile,  si  danno  a  suonare  a 
niartello  ;  Gipriani,  avvertito  da  questo  suono,  che  chiama 
i  cittadini  aile  armi,  essere  scoppiata  la  ribellione  da  lui 
provocata,  tratte  le  soldatesche  dai  quartier!,  sollecito  si 
porta  in  su  la  maggiore  piazza,  e  vi  si  ordina  alla  pugnà  ; 
la  qualc,  comincîata  aile  cinque  délia  sera,  finiva  aile  dieci 
délia  notte.  Ne  ebbero  grave  danno  i  granducali,  che  per- 
dettero  più  d'un  centinaio  dei  loro  mort!  o  feriti;  lievis- 
simo  toccô  al  popolo,  eu!  fu  uccisa  una  donna  e  ferito  un 
vecchio.  H  colonnello  Gipriani,  il  quale  crede  dovere  rin- 
novare  nei  dl  appresso  il  cOmbattere,  non  muove  il  campo  ; 
se  non  che,  al  sorgere  del  nuovo  giorno,  veduti  i  cittadini 
inermi  avvicinars!  alla  piazza  e  invitare  i  soldat!  a  ri- 


Digitized  by  VjOOQIC 


136  CAPITOLO    III 


trarsi  ;  ed  anche  avvisato,  non  voler  più  le  sue  genti  trarre 
contra  il  popolo,  riducevasi  nella  fortezza  di  Porta  Murata, 
e  nel  tempo  stesso  mandava  per  aiuti  a  Flrenze.  Il  4  set- 
tembre,  il  Commissario  —  non  estante  l'assicurazione  es- 
sere  state  dal  popolo  messe  in  dimenticanza  la  provoca- 
zione  di  Cipriani  e  Vinfame  aggressione  de'  suai  cavalieri 
—  avendo  respinto  Tinvito  fattogli  di  riprendere  pacifica- 
mente  1  suoi  quartieri,  i  soldati  tumultuarono  :  ond'egli, 
temendo  per  se,  entrato  in  mare  su  nave  toscana  coi  ca- 
rabinieri  —  tanto  fedeli  al  Governo,  quanto  invisi  ai  cit- 
tadini,  ed  eran  da  questi  odiatissimi  —  prendeva  terra  a 
Gembo;  indi,  per  la  via  di  Pisa,  recavasi  a  Firenze;  ove 
sino  dal  giorno  innanzi  trovavasi  una  Commissione  di  Li- 
vornesi  deputata  ai  Minlstri  per  ottenere  Guerrazzi  e  Cor- 
sini  con  mandate  di  riordinare  e  ricomporre  le  faccende 
sconvolte.  In  sul  cadere  del  4,  Domenico  Guerrazzi  giugneva 
in  Livorno,  e  il  mattino  del  giorno  appresso  metteva  fuora 
il  seguente  manifeste:  <  Gittadini!  —  Commosso  dai  casi 
délia  mia  patria  io  mi  riduco  fra  voi.  È  un  semplice  cit- 
tadino  che  ritorna  in  famiglia  per  provvedere  in  comune 
al  pubblico  bene.  Tento  indagare  le  cause  dei  fatti,  ascolto 
i  desidèri,  le  aM>rensioni,  i  voti  vostri,  e  persuaso  ormai 
che  saranno  conformi  a  giustizia,  lo  mi  sforzerô  che  ven- 
gano  esauditi.  Gonfido  nella  temperanza  vostra,  nella  be- 
ne volenza  che  il  Principe  professa  avervi  portata  sempre, 
e  tuttavia  portarvi,  e  in  Dio  che  illumina  il  cuore  degli 
uomini,  afflnchè  ogni  discordia  venga  lealmente  e  deflniti- 
vamente  sopita,  per  attendere  con  voleri  uniti,  e  con  forze 
concordi  alla  difesa  délia  Patria  comune.  Il  nostro  aimico 
è  il  Tedesco.  Onta  sia  a  chi  ha  potuto  vedere  i  nimici 
d'Italia  in  altre  file  che  in  quelle  dello  straniero!  »  —  In 
questo  stesso  giorno,  5  settembre,  di  ritorno  dalla  guerra 
di  Lombardia  scendeva  a  Livorno  un  battaglione  di  volon- 
tari  toscani,  duce  il  maggiore  Gfhilardi,  lucchese,  cui  senza 
por  tempo  in  mezzo  il  suprême  Maestrato  conferiva  il  co- 
mando  di  tutte  le  forze  armate,  milizia  stanziale  e  cittadina. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   T080ANA;    FUOA   DI   IiSOPOLDO   II  137 

Mentre  tali  casi  awenivano  in  Livorno,  il  Granduca  e 
î  consiglieri  suoi,  fatta  deliberazione  di  racquistare  la 
città  nbelle  cou  le  guardie  cittadine  dello  Stato  —  ciô  che 
se  fosse  accadato,  avrebbe  arso  tutto  il  paese  di  fuoco  di 
guerra  civile!  —  decretarono  di  fare  la  massa  di  quelle 
in  Pisa.  Leopoldo,  che  doveva  condurle  aU'impresa,  nel 
chiamarie  aile  armi,  volgevaloro  tali  parole:  «  Niun  pen- 
siero  ostile  si  racchiude  verso  i  traviati,  ma  voglio  fare 
soltanto  ad  essi  coaoscere  per  via  d'unanime  manifesta- 
zlone  quanto  il  sentire  di  tutta  Toscana  sia  risolutamente 
awerso  a  quelle  massime  sovvertitrici,  le  quali  a  nulFal- 
tro  potrebbero  mai  condurre,  fuor  che  a  scindere  misera- 
bilmente  —  e  la  Dio  mercè  per  brève  tempo  —  questa  che 
fu  sempre  tanto  concorde  famiglia.  L'effetto,  che  noi  con- 
fidiamo  d'ottenere,  è  il  ricondurre  i  pochi  sedotti  a  quella 
unità  di  volere,  délia  quale  il  vostro  concorso,  o  militi  cit- 
tadini,  sarà  oggi  una  solenne  dichiarazione  »  (1).  —  Al- 
l'appello  del  Principe  poche  guardie  cittadine  risposero; 
perô  che,  délie  cento  mila  che  Toscana  contava  scritte 
ne*  suoi  battaglioni,  tre  mila  soltanto  si  trovassero  al  campo 
di  Pisa  il  giorno  délia  rassegna  di  Leopoldo,  che  fu  il  7 
settembre  di  queiranno  1848.  Pieno  di  vergogna  e  rabbia 
ei  lasciô  siibito  il  campo,  che  di  11  a  poco  venue  sciolto  ; 
e  siccome  d'armi  proprie  pochissime  numerava,  ne  bene 
ordinate,  e,  quel  che  era  peggio,  da  debole  militare  disci- 
plina corrette,  cosi  ferme  in  sua  deliberazione  di  volere 
con  la  forza  ridurre  i  ribelli  aU'obbedienza,  mandava  per 
aiuti  alla  Sardegna.  E  gli  aiuti  —  da  quattro  mila  soldati 
con  sèguito  di  cannoni  —  vennero  solleciti;  se  non  che, 
chiaritisi  avversi  alla  impresa,  per  far  la  quale  il  Gran- 
duca avevali  chiesti,  rimasero  inoperosi  in  Lucca  e  in  Pisa. 
Giuseppe  Montanelli,  il  quale,  ferito  a  Montanara,  era  ve- 
nuto  a  mano  degli  Austriaci,  tornato  in  quel  mezzo  di  sua 


(1)  Manifesto  pubblicato  in  Firenze  il  5  settembre  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


138  CAPITOLO   III 


prigionia  a  Pisa,  vi  si  metteva  a  predicare  concordia  al 
popolo,  e  a  difendere  la  causa  dei  Livornesi;  e,  recatosi 
poscia  in  Parlamento,  adoperava  la  sua  éloquente  parola 
per  indurre  i  Ministri  a  comporre  con  onestà  e  giusUzia 
le  cose  di  Livorno,  in  modo  che  fossero  salvi  il  decoro  e 
l'autorità  del  Governo  e  pienamente  soddisfatte  le  asplra- 
zioni  di  quella  città  generosa  e  forte.  Giugneva  allora 
in  Firenze  una  seconda  deputazione  livornese,  per  ottenere 
dal  Principe  quanto  dai  cittadini  ardentementc  si  deside- 
raya  —  già  altra  volta  stato  richiesto,  ma  invano  —  e  la 
elezione  altresi  a  governatore  Domenico  Guerrazzi  ;  quella 
deputazione  faceva  conoscere,  che  se  il  Granduca  si  osti- 
nasse  a  niegare  le  concession!  domandate,  Livorno  sepa- 
rerebbesi  dalla  Toscana  per  reggersi  a  governo  di  popolo. 
Leopoldo  e  i  Ministri  suoi  —  che  per  la  mala  riuscita 
del  campo  di  Pisa  e  per  Tavversione  dei  soldati  sardi  di 
farsi  carnefici  di  fratelli  erano  sbaldanziti  dimolto  —  tutto 
accordarono,  tranne  la  dignità  di  governatore  di  Livorno 
a  Guerrazzi;  e  anzi,  allô  intente  di  generare  discordie  e 
promovere  scissure  nella  parte  libérale  davano  queirofficio 
—  tanto  ambito  dal  democratico  livornese  —  a  Montanelli; 
il  quale  da  prima  rifiutavalo  per  rispetto  e  devozione  a  Guer- 
razzi; e  di  poi  Taccettava  a  patto  che,  messa  innanzi  al  popolo 
la  sua  elezione,  ei  venisse  gridato  con  suffragio  unanime. 
Cosi  fu,  senza  che  nascessero  disordini  nel  campo  libérale» 
o  nimicizia  tra  i  due  capi  délia  parte  democratica,  tra  i  due 
emuli  al  suprême  potere  nella  città,  cul,  per  amore  di  concor- 
dia, Domenico  Guerrazzi  fece  pronta  rinunzia,  non  estante 
lo  tenesse  già  dal  Principe  :  questo  fu  atto  di  virtù  patria, 
che  che  ne  dicessero  poi  i  nimici  suoi,  de'  quali  ebbe  dimolti. 

Montanelli,  sino  dal  primo  suo  giugnere  in  Pisa,  aveva 
tenuto  discorso  su  la  nécessita  di  convocare  una  Costihtente 
italiana;  la  quale  signiflcava  unificazione  délia  pairia 
italiana  e  guerra  ai  regnanti  nella  penisola:  ond'era  av- 
versata  da  quanti  Governi  stavano  in  Europa  contra  alla 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  toscana;  PCGA  DI  LEOPOLDO  II         139 


iibertà  e  persino,  e  forse  più  d'ogni  altro,  da  quello  di 
Francia  repubblicana,  che  se  desiderava  vedere  nel  setten- 
trione  d'Italia  un  regno  forte  e  indipendente,  non  voleva 
perô  sapered'una  Italiaunita{\).  Il  grido  di  CosUtuentej  le- 
vato  da  Montanelli,  corse  con  la  velocità  del  pensiero  tutto 
il  bel  Paese,  ne  commosse  e  agitô  i  popoli,  destando  negli 
animi  dei  veri  amatori  délia  prosperità  nazionale  e  délia 
patria  grandezza  la  speranza  del  sollecito  effettuarsi  délie 
jwpirazioni  di  tanti  secoli,  il  sospiro  di  innumerevoli  ge- 
norazioni.  —  I  casi  di  Livorno  avevano  destato  in  Toscana 
universale  malcontento  verso  il  Granduca  e  i  supremi  reg- 
iritori  dello  Stato;  1  cui  modi  di  governo  e  di  contegno 
nelle  circostanze  passate  —  in  verità  assai  difRcili  e  cala- 
raitose  —  avevano  rivelato  di  quale  natura  fossero  la  bontà 
t*  cleraenza  dl  Leopoldo  II,  per  lo  addietro  tanto  celebrata, 
e  lo  infîngersi  e  il  tristo  dissimulare  de'  suoi  Ministri.  In- 
teppellati  questi  in  Parlamento  su  le  faccende  délia  Lega 
italiana,  rispondevano:  —  Le  pratiche  per  essa  camminare 
a  seconda  dei  desidèri  di  tutti  ;  essere  prossimi  gli  accordi 
tra  i  principi  per  la  convocazione  di  una  Dieta  In  Roma. 
n  Lo  lodi,  che  allora  si  ebbero  dai  Deputati,  dai  Senatori 
e  fiai  popolo  mutaronsi  in  severissimo  biasimo  e  in  vitu- 
p^rio.  quando  seppesi  che  il  re  Carlo  Alberto  erasi  già 
chiarito  contrario  a  qualunque  Assemblea,  la  quale  in  se 
accogliesse  elemento  popolare  ;  in  oltre,  che  Perdinando  di 
Napoli  aveva  protestato,  che  non  sarebbe  per  entrare  mai 
in  lega  col  Monarca  sabaudo.  Scoverta  la  impudente  men- 
zogma,  i  Ministri,  non  potendo  più  reggere  lo  Stato,  iti  la 
^ra  del  12  ottobre  al  Granduca,  rassegnavangli  Toflacio 
loro;  la  quale  cosa,  mentre  soddisfaceva  ai  desidèri  dcU'u- 
niversale,  dava  origine  a  molti  intrighi  délia  parte  mode- 
rata  e  délia  democratica,  allora  aflfaticantesi  per  far  saliro 


(1)  Lamartine,  nella  Sioria  delîe  Eivoîuzioni  di  Francia^  aifermô 
che  la  Francia  non  doveva  permettere  mai  che  tra  essa  e  l'Austria  si 
averse  a  coatitnire  nell'Alta  Italia  nn  forte  Stato. 


Digitized  by  VjOOQIC 


140  CAPITOIiO    III 


ai  supremi  poteri  uomini  délia  loro  parte.  In  assai  cattivo 
momento  era  venuta  a  Leopoldo  quella  piauozia,  perô  che 
essendosi  di  quel  giorni  la  metropoli  austriaca  sollevata 
contra  il  Governo  suo,  il  Granduca  fosse  pieno  di  dubbi  e 
di  incertezze  sui  provvedimenti  da  prendersi:  ond*egli  de- 
liberava  d'aspettare  il  fine  del  moti  di  Vienna  per  potere 
scegliere  i  nuovi  Ministri  nella  parte  moderata  o  nella 
democratica,  seconde  che  l'Imperatore  avesse  felicemente 
domata  la  ribellione  o  questa  avesse  vittoriato  di  lui.  lu 
fatto,  Leopoldo  II,  appena  ricevuta  la  novella  délia  fuga  di 
Ferdinando  a  Olmutz,  chiamato  a  se  Montanelli,  lo  incari- 
cava  di  comporre  un  Governo,  che  fosse  bene  accetto  al 
paese.  Non  di  buona  voglia,   ma  costretto  dalle  nécessita 
dei  tempi,  che  allora  volgevano  grossi  di  pericoli  per  la 
sua  corona,  egli  associava  Domenico  Guerrazzi   a  Monta- 
nelli,  e  con  ciô  rendeva  agevolissimo,  quanto  prima  era  diffi- 
cile assai,  intendo  dire  il  eostituirsi  di  una  nuova  Ammi- 
nistrazione;  nella  quale,  il   27  ottobre,  siedette  Ministre 
sopra  le  armi  Mariano  d*Ayala;  sopra  la  giustizia,  Giu- 
seppe  Mazzoni;  sopra  Tistrazione  pubblica,  Prancesco  Fran- 
chini;  sopra  gli  affari  interni,  Domenico  Guerrazzi,  e  sopra 
gli  esterni,  Giuseppe  Montanelli,  cui  toccô  Tonore  altre<^i 
di  presiedere  ai  colleghi,  che  la  Toscana  libérale  salutô 
con  gioia,  reputando  per  quoi  Ministri  assicurato  un  av- 
venire  felice  alla  patria  ;  avvegnachè  promettessero  ampie 
riforme,  più  larghe  libertà  e  la  Costituente.   Se   la  parte 
democratica  poteva  a  buon  diritto  gloriarsi  délia  splendida 
sua  vittoria,  la  moderata  perô  non  davasi  per  vinta;  che 
anzi,  piii  che  mai  adoperavasi  a  preparare  rovine  alla  ri- 
vale, aiutata  neH'impresa  dal  Granduca  e  dalla  sua  fami- 
glia;  la  quale  erasi  in  quel  mezzo  condotta  a  Siena  allô 
intente  di  congiurare  con  piena  sicurezza,  e  proseguire, 
senza  tema  d'essere  scoverta,  le  segrete  pratiche  che  gik 
teneva  con  FAustria,  dalla  quale  sperava,  in  giorno   non 
lontano,  avère  aiuto  d'armi  per  tornare  lo  Stato  airantico 
reggimento.  La  elezione  di  quegli  uomini  di  parte  démo- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   TOSCAN  a;    FT70A    DI   LBOPOLDO   II  141 

cratica  al  governo  délia  cosa  pubblica  provocô  le  ire  délia 
ambiziosa  nobiltà  fiorentina,  che  tanto  erasi  maaeggiata 
in  Corte  del  Principe  per  recarsi  in  mano  il  suprême  po- 
tere;  non  pochi  di  essa  lasciarono  allora  Firenze;  alcuni 
offlciali  délie  guardie  cittadine,  tre  segretarl  di  Stato  e 
Bettino  Ricasoli,  Gonfaloniere  délia  città,  fecero  rinunzia 
ai  loro  oflîci  ;  mostrando  cosi  di  porre  gli  interessi  délia 
propria  casta  al  di  sopra  di  quelli  délia  patria.  Montanelli, 
venuto  in  Parlamento,  ai  rappresentanti  del  popolo  parlô 
queste  parole:  «  Nello  assumere  il  reggimento  dello  Stato 
aoi  non  lasciammo  alla  porta  armi  e  bagagli.  La  CosH- 
tuente  promulgammo  nei  nostri  scritti  ;  la  Costituente  pro- 
mulghiamo  nel  Governo;  essa  consiste  nel  suffragio  di 
ventitrè  milioni  d'uomini  legittimamente  rappresentati  per 
determinare  la  forma  degli  ordini  pubblici  che  meglio  loro 
convenga.  Se  non  che  questo  sovrano  Oongresso  ha  da  es- 
sere  pegno  d'amicizia,  e  non  impedîmento  a  conseguire  la 
suprema  délie  nostre  nécessita,  la  liberazione  d'Italia. 
Quindi,  apparecchiandola  noi,  non  intendiamo  che  venga 
convocata  in  città  più  inclita  délia  nostra,  quantunque  no- 
bilissima  essa  sia,  e  ne  pure  vogliamo  che  non  abbia  ef- 
fetto  per  pbca  autorità  del  nostro  Stato,  o  turbi  le  amici- 
zie  frateme  coi  popoli  vicini.  A  noi  basta  di  avère  pro- 
mulgato  il  principio,  e  richiamare  di  continue  sopra  di 
esso  l'attenzione  délie  genti  italiane....  »  —  A  quei  Ministri, 
banditori  di  Costituente  e  che  stavano  per  inaugurare  una 
polUica  informata  ai  princlpi  di  larga  libertà,  mal  si  ad- 
dava  quel  Parlamento,  che  per  lo  addietro  era  stato  spesse 
volte  più  curante  degli  interessi  délia  sovranità  grandu- 
cale,  che  del  vero  bene  délia  patria  e  che,  senza  tema 
d'errare,  possiamo  alQfermare  avère  esso  mostrato  altresi 
pih  servilità  che  indipendenza;  necessitava  portante  di 
rinnovarlo.  A  ciô  si  oppose  da  prima  Leopoldo  II,  bene 
prevedendo  che  i  nuovi  Deputati  non  sarebbergli  stati 
molto  favorevoli,  causa  la  grande  preponderanza  acquista- 
tasi  di  quei  giorni  dalla  parte  libérale  su  la  moderata; 


Digitized  by  VjOOQIC 


142  CAPITOLO   III 


costretto  di  poi  dai  Ministri,  il  5  noTembre  soscriveTa  il 
decreto  di  licenziamento  del  Parlamento.  Se  non  che  per 
ottenere  una  vera  rinnovazione  di  questo  —  cosa  ppoprio 
délia  massima  importanza  —  abbisognava,  prima  di  appel- 
larsi  al  popolo  nei  Gomizi  per  conoscerne  Topinione,  mo- 
dificare  la  legge  elettorale,  piena  di  privilegi,  e  allargare 
il  diritto  di  saffragio,  alio  scopo  di  rendere  forte,  almeno 
per  numéro,  lo  olemento  libérale  nella  nuova  Assemblea. 
Ma  di  ciô,  nalla;  i  Ministri,  che  pur  volevano  il  bene  del 
paese,  non  sempre  perô  sapevanlo  fare:  onde  i  Deputati 
eletti  con  gll  usati  modi  di  suffragio  e  di  un  suffragio  ri- 
stretto  ditroppo,  non  risposero  degnamente  aile  speranze 
concepite  dai  supremi  reggitori,  ne  agli  interessi  dello 
Stato.  —  Le  notizie  del  miserando  fine  di  Pellegrino  Rossi, 
anrenuto  il  15  novembre,  e  délia  fuga  di  Pio  IX  a  Gaeta, 
seguita  dieci  giorni  dopo  la  nefasta  uccisione  di  quel  suo  Mi- 
nistro,  riempirono  di  spavento  Leopoldo  e  i  suoi  cortigiani, 
non  perô  Montanelli,  il  quale  anzi  rall^rossi  délia  fuga  del 
Papa,  corne  di  un  ostacolo  tolto  a' suoi  disegni;  avvegnachè 
in  Botna  libéra  egli  vedesse  la  naturale  sedia  ^eWAssem- 
hlea  Cosiituente  italiana,  e  la  metropoli  di  un  nuovo  rè- 
gne, ch'ei  deliberava  comporre  per  Leopoldo  con  la  Toscana, 
gli  Stati  pontifici  e  la  Sicilia.  Oombatteva  la  sua  proposta 
il  Principe  ;  il  quale,  al  Ministre  insistente,  rispondeva  cosi  : 
=  Religione  e  coscienza  vietargli  d'usurpare  i  possedimenti 
altrui;  chè  disonesta  usurpazione  sarebbe  lo  accettare  la 
dedizione,  eziandio  spontanea,  di  gente  soggetta  alla  signoria 
délia  Santa  Sede,  o  soggetta  al  Borbone.  =  Antica  e  ingiu- 
sta  teorica  dei  re  despôtici,  i  quali  pensano,  i  popoli  ap- 
partenere  alla  corona  e  non  essere  mai  padroni  di  loro 
stessi;  ereditarsi  essi  corne  armenti  e  peggio. 

Oorreva  il  10  gennaio  1849,  quando  i  nuovi  eletti  dai 
popolo  raccoglievansi  a  Parlamento;  il  Granduca  lesse  loro 
il  discorso  inaugurale,  lavoro  ornatissimo  e  scritto  cou 
arte  sottile  da  Domenico  Guerrazzi,  il  quale,  senza  adden- 
trarsi  nelle  quistioni   politiche,   accennava   nondimeno    a 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  T08GAKA  ;    FUOA    DI   LEOPOLDO    II  143 


tutte.  Divenuto  Ministre,  Guerrazzi  rivolse  gli  sforzi 
per  conduire  a  conciliazione  il  Principe  coi  sudditi  ;  non 
ostante  ei  fosse  contrario  alla  CostituentSy  reputandola, 
nelie  condizioni  d'allora  dellltalia,  più  di  danno  che  di 
vantaggio  agli  interessi  patrii,  pure  non  la  respinse,  perche 
desiderata  vivamente  dai  piti.  Allô  entrare  in  Parlamento 
Leopoldo  fu  dai  Deputati  e  dal  popolo,  ivi  accorso  in  foUa, 
festeyolmente  salutato;  flnito  il  suo  dire  ricevette  gran- 
dissimi  applausi,  e  nell'uscire  daU'Assemblea  venue  frago- 
rosamente  acclamato.  I  Fiorentini,  non  veggendo  siibîto 
pubblicarsi  il  décrète  per  la  CosHtuente  italiana  —  la 
quaie  volevasi  da  tutti,  si  avesse  a  riunire  presto  in  Roma 
—  diedersi  a  romoreggiare.  La  sera  del  21  gennaio  recar 
tisl  in  gran  numéro  in  su  la  piazza  degli  Uf/izi,  con  grida 
minacciose  chiederano  ai  Ministri  la  legge  sui  Comizl. 
Guerrazzi,  fatto  conoscere,  come  quel  moti  inconsulti  tur- 
bassero  la  Toscana,  la  quale  areva  somme  bisogne  di  tran- 
quillità  e  pace  a  fine  di  provredere  efâcacemente  al  bene 
pubblico,  riusci  a  mandarli  presto  aile  loro  case;  ma  il 
mattino  del  vegnente  tornati  a  tumultuare  davanti  al  pa- 
lazzo  Vecchio,  Tolendo  a  ogni  costo  la  pubblicazione  im- 
mediata  délia  legge  tante  sespirata,  deputavane  alcuni  di 
essi  al  Parlamento  e  ai  Ministri.  Senza  por  tempo  in  mezzo 
questi  portavano  al  Sovrano  il  décrète  délia  legge  cemi- 
ziale,  invitandole  a  settoscriverlo,  ch'egli  perô,  awersissime 
alla  Costitieente,  niegava  con  futili  ragieni  di  soscrivere  ; 
se  non  che,  Taccorto  Guerrazzi,  indovinata  la  ragiene  vera 
del  rifiuto,  facevasi  ad  assicurarlo,  che  qualunque  fosse 
ïter  essere  Cesito  délie  cose,  egli  non  correrebbe  pericolo 
teruno;  vincitori  gli  Atùstriaci,  sarebbe  stato  rispettato 
come  principe  di  casa  Ahshurghese  ;  vincitrice  Vltalia, 
la  generosità  sua  di  sotioporre  alVarbitrato  del  popolo 
la  corona  granducale,  gliela  avrebbe  raffermata  più 
glorîosa  sul  siio  capo.  —  E  sicceme  il  Granduca  tuttavia 
ostinavasi  in  suo  diniego  per  ragiene  di  coscienza  o  ri- 
spetto  al  Pentefice,  cui  quel  décrète    arrecava  non   poco 


Digitized  by  VjOOQIC 


144  CAPITOLO   III 


danno,  Guerrazzi  toglieva  ogni  scrupolo  daU'animo  timo- 
roso  e  pio  del  Principe,  inducendo  Montanelli  a  levare  dal 
decreto  ciô  che  poteva  offendere  i  diritti  deila  Ghlesa  e 
del  supremo  capo  di  essa  :  allora  Leopoido  soscrisse  il  de- 
creto che,  appena  avuta  la  sanzione  del  Parlamento,  veniva 
messo  fuora  per  le  stampe  (1);  i  popoli  di  Toscana  lo  ao- 
colsero  con  gioia,  e  festaati  tributarono  lodi  al  Granduca 
e  ai  Ministri  suoi.  ^ 

Mentre  la  pace  pareva  assicurata  e  il  comporsi  amiche- 
vole  d'ogni  differenza  faceva  sperare  che  le  faccende  dello 
Stato  dovessero  ornai  cainminare  in  buono  accordo  tra  il 
Principe  e  i  sudditi,  una  nuova  tempesta  s'addensava  sopra 
la  Toscana.  Patto  securo  degli  aiuti  delFAustria,  il  Gran- 
duca aveva  risoluto  di  seguire  Tesempio  del  Ponteflce  ;  la 
anarchia  in  cui,  egli  tenevasi  certo,  sarebbe  caduto  il 
paese,  causa  la  sua  fuga,  doveva  porgergli  il  pretesto  di 
implorare  armi  straniere,  con  le  quali  egli  avrebbevi  ri- 
messo  Tordine  e  gli  antichi  modi  di  reggimento.  Il  primo 
febbraio  Leopoido  recavasi  a  Siena,  ove  la  parte  moderata 
accoglievalo  tra  le  grida  di;  Viva  VArciduca;  non  vo- 
gliamo  più  di  cosUtuzione  ;  e  la  parte  libérale  a  sua  po- 


(1)  Ecco  il  decreto  del  22  gennaio  1849  per  la  Costituente,  sotto- 
scritto  dal  Granduca: 

u  V  La  Toscana  mandera  trentasette  Deputati  all'ABsemblea  Na- 
zionale  convocata  in  Roma. 

2^  I  Deputati  saranno  eletti  su  le  basi  del  suffragio  uniyersale 
diretto. 

3°  Ë  elettore  ogni  cittadino  di  ventun  anno  compiuto,  qualora  goda 
il  pieno  esercizio  de'  suoi  diiitti. 

40  È  eleggibile  ogni  cittadino  italiano  maggiore  d'anni  yenticinque* 

5^"  Sarà  stabilito  un  compenso  bouTeniente  per  ciascuno  dei  De- 
putati. 

6**  Le  forme  più  spécial!  délie  elezioni  e  Tepoca  précisa  délia  con- 
Yocazione  dei  collegi  elettorali  saranno  stabilité  con  apposito  regola- 
mento.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  TOSGANA;  PUOA  DI  LBOPOLDO  II  145 

sta  gridando:  Viva  la  CostUitente,  a  basso  il  Oranduca. 
Dopo  essersi  per  alquanto  tempo  guardate  con  mal  piglio, 
le  due  parti  vennero  aile  ingiurie  da  prima,  a  pugna  mar 
nesca  e  a  spargimento  di  sangue  da  poi.  Questi  furono  i 
prodromi  di  guerra  civile,  che  doyeva  di  li  a  poco  divam- 
pare  per  quella  contrada  e  recarie  danni  e  lutti  ;  Topera 
meditata  dal  henigno  e  amorevole  Principe  aveva  avuto 
cominciamento  :  i  fratelli  eransi  bruttati  di  sangue  fra- 
terno!  La  subitana  partenza  del  Ghranduca  da  Firenze,  délia 
quale  non  conoscevansi  le  ragioni,  destô  grave  turba- 
mento  nelle  popolazioni^  già  da  tempo  dubitanti  di  sua  lealtà 
e  fede;  ne  valeva  a  tornarle  alla  tranquillità  la  notizia  di 
avère  egli  chiamato  a  se  il  ministre  Montanelli,  che  sol- 
lecito  andava  a  lui  per  ricondurlo  a  Firenze,  ove  piii 
che  mai  era  di  quei  giorni  necessaria  la  sua  presenza, 
ed  eziandio  per  allontanare  i  sospetti  d'avere  la  famiglia 
del  Oranduca  avuto  mano  nel  tumulte  di  Siena,  di  cui 
perô  ben  sapevasi  essere  stata  principale  promovitrice 
la  consorte  sua^  Maria  Antonietta  di  Napoli.  Ghiari 
ci6  il  giudizio  mosso  contra  alcuni  délia  plèbe  impri- 
gionati,  i  quali  confessarono  avère  ricevuto  dai  nobili 
danaro  per  eccitare  disordini,  e  a  capo  dei  nobili  stava  la 
Granduchessa.  —  In  questo  mezzo  giugneva  a  Leopoldo 
lettera  del  maresciallo  Radetzky  —  allora  in  Verona  —  il 
quale  in  nome  delllmperatore,  suo  Signore,  signiâcavagli  : 
=  cfie  s'egli  volesse  conformarsi  ai  consigli  datigli  poco 
innanzi  dal  swo  Governo,  lasciasse  lo  Stato  e  si  ripa- 
rosse  a  Santo  Stefano  ;  appena  sottomessi  i  demagoghi 
délia  Sardegna,  volerébbe  in  suo  soccorso  con  trentamila 
^  S!mi  valorosi  per  riporlo  sul  trono  arHto.  =  Dopo  al- 
quanti  giorni  di  aspettamento,  il  mattino  del  7  febbraio, 
Montanelli  veniva  per  la  prima  volta  —  e  fu  pure  Tul- 
tima  —  ricevuto  dal  Granduca;  il  quale,  fingendosi  in- 
fermo,  dopo  brevissimo  parlare  licenziava  il  troppo  credulo 
Miaistro.  Erano  trascorse  poche  ore  da  quel  coUqquio, 
quando  il  Principe,  recuperata  Tniracolosamente  la  sainte, 

10  —  Vol.  n.  Martaki  —  Storia  poî.  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


146  CAPITOLO   UI 


salito  in  carrozza  cou  la  famiglia  usciva  di  Siena  a  pas- 
seggio,  ne  più  vi  riedeva.  Montanelli,  che  di  fughe  non 
sospettava,  fu  preso  da  forte  maraviglia  ricevendo,  in  sul 
cadere  di  quel  giorno,  due  lettere  di  Leopoldo.  Nella  prima, 
affatto  privata,  il  Granduca  raccomandava  al  Ministre  i 
famigliari  lasciati  in  Firenze  e  Siena  ignari  dei  disegni 
suoi  ;  in  oltre,  pregavalo  a  permettere  che  lo  seguissero  le 
bagaglie  menate  di  Firenze  a  Siena,  ch'erangli  stretta- 
mente  necessarie.  La  seconda  lettera,  che  il  Principe 
ordinavagli  di  far  siibito  di  pubblica  ragione,  molto  impor- 
tando  conoscerla  in  tutta  la  sua  interezza,  perché  rivela 
il  carattere  di  chi  la  scrisse,  la  mettiamo  innanzi  ai  leg- 
gitori  nostri.  —  «  Scorsi  otto  giorni  da  che  io  mi  trovo 
in  Siena  ;  e  sapendo  da  piii  parti  che  moltissime  voci,  nella 
metropoli  e  altrove,  dicono  che  la  mia  lontananza  da  Fi- 
renze muove  da  cagioni  di  timoré  o  d'altra  plii  rea  na- 
tura,  io  posso  ora  e  debbo  apertamente  palesarne  la  causa 
vera.  Il  desiderio  di  evitare  gravi  turbamenti,  mi  spinse 
il  22  gennaio  1849  ad  approvare,  che  fosse  in  mio  aome 
presentato  alla  discussione  e  al  veto  délie  Assemblée  légis- 
lative il  disegno  di  legge  per  la  elezione  dei  rappresen- 
tanti  toscani  alla  Costiluente  italiana.  Montre  la  discus- 
sione doveva  maturarsi  al  Consiglio  générale  e  al  Senato. 
io  ml  riserbava  ad  osservare  Tandamento  délia  medesima 
e  a  riflettere  sopra  un  dubbio  che  sorgeva  neiranimo  mio, 
che  potesse  cioè  incorrersi  con  quella  legge  nella  scomu- 
nica  indicata  nel  Brève  di  Sua  Santità  dei  primo  gennaio 
1840  da  Gaeta.  Questo  mio  dubbio  manifestai  ad  alcnni 
dei  Ministri,  accennando  loro  che  il  pericolo  intrinseco  délia 
censura  mi  sembrava  dipendere  principalmente  dal  man- 
date che  si  sarebbe  poi  conferito  ai  Deputati  délia  Costi- 
tuente,  e  di  cui  non  era  parola  nel  disegno  di  legge.  Ma 
nella  discussione  dei  Consiglio  générale  fu  mossa  appunto 
questione  intomo  ai  poteri  da  darsi  ai  Deputati  délia  detta 
Assemblea  Costituente^  e  fu  rîsoluto  e  approvato  alla  una- 
nimita,  che  dovesse  intendersi  essore  il  loro  mandato  illi- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.   TOSGAKA;   FUGA  DI  LBOPOLDO  II  147 

mitato.  Allora  il  dubbio  si  fece  in  me  gravissimo,  e  credei 
di  dovere  sottoporre  la  quistione  al  segreto  giudizio  di 
più  persone  autorevoli;  e  tutte  poi  rispettivamente  coa- 
veanero  nel  dichiarare  incorrersi  con  taie  atto  uella 
censura  délia  Ghiesa.  Nondimeno  esseado  stata  sparsa 
da  taluno  notizia  con  moite  apparenze  di  verità,  che  il 
Papa  non  soltanto  non  intendeva  di  condannare  la  (Josti- 
tuente  italiana,  che  egli  anzi  interrogato  su  tal  proposito, 
non  ayeya  disapprovato  di  votarla^  io  volendo  procedere  in 
questo  importantissimo  affare  per  le  vie  piii  sicure,  e  avère 
un  giudizio  solenne  e  inappeUabile,  mi  risolsi»  con  lettera 
del  28  gennaio  passato,  a  consultare  il  Somme  Pontefice, 
al  giudizio  del  quale  in  si  fatta  materia  io  come  Sovrano 
cattolico  doveya  intieramente  sottopormi.  La  replica  di 
Sua  Santità  per  improviste  circostanze  mi  è  pervenuta 
più  tardi  di  quelle  che  io  credeva;  quindi  la  rAffione  per 
eui  ho  sospeso  finora  a  questa  legge  la  sanzione  anale  che 
per  Io  Statuto  apparteneva  al  Principe.  Ma  la  lettera  de- 
siderata è  ora  giunta,  ed  è  nelle  mie  mani;  Tespressioni 
del  Santo  Padre  sono  cosi  chiare  ed  esplicite  da  non 
lasciare  l'ombra  del  dubbio  ;  la  legge  délia  Costituente 
italiana  non  puô  essere  da  me  sanzionata.  Finchè  la  Costi- 
tînente  era  taie  atto  da  porre  a  rischio  anche  la  mia  co- 
rona,  io  credei  di  poter  non  fare  obbietto,  avendo  solamente 
in  mira  il  bene  del  paese  e  Tallontanamento  d'ogni  ria- 
zione  (sic).  Perciô  accettai  un  Ministère,  che  Taveva  già 
acclamata  e  che  la  acclamô  nel  suo  programma,  e  ne 
feci  so^etto  del  mio  discorso  d*apertura  nelle  Assemblée 
législative.  Ma  poiehè  si  tratta  ora  di  esporre  con  questo 
atto  me  stesso  e  il  mio  paese  a  sventura  massima,  quale 
è  quella  d'incorrere  io,  e  di  fare  incorrere  tant!  buoni 
Toscani  nelle  censure  fulminate  dalla  Ghiesa,  io  debbo  ri- 
cvLsarmi  daU'aderire  e  Io  faccio  con  tutta  tranquillità  di 
mia  coscienza.  In  tanta  esaltazione  degli  animi  è  facile 
il  prevedere  che  il  mio  ritorno  in  Firenze  in  questo 
momento  potrebbe  espormi  a  tali  estremi  da  impedirmi  la 


Digitized  by  VjOOQIC 


148  CAPITOLO   III 


libertà  del  voto  che  mi  spetta.  Perciô  io  rai  allontano 
dalla  metropoli  e  lascio  anche  Siena,  afflnchè  non  sia  detto 
che  per  raia  causa  questa  città  fu  campo  di  ostili  riazioni. 
Confldo  perô,  che  il  senno  e  la  coscienza  del  mio  popolo 
sapranno  riconoscere  di  quai  grave  peso  sia  la  cagione 
che  mi  obbliga  a  dare  il  veto  e  spero  che  Dio  avrà  cura 
del  mio  diletto  paese.  Prego  infine  il  Ministère  a  dare 
pubblicità  a  iutta  la  présente  dichiarazione,  onde  sia  ma- 
nifeste a  tutti  come  e  perché  fu  mossa  la  negatira  che  io 
do  alla  sanzione  délia  legge  per  la  elezione  dei  rappre- 
sentanti  Toscani  alla  Costituente  italiana.  Che  se  taie  pub- 
blicazionè  non  fosse  fatta  nella  sua  integrità  e  con  solle- 
citudine,  mi  troverei  costretto  a  farla  io  stesso  dal  luogo, 
ove  la  Provvidenza  vorrà  ch'  io  mi  trasferisca  »  (1). 

Non  era  ancora  sorta  l'aurora  dell'S  febbraio,  quando  i 
Ministri  toscani  venivano  chiamati  a  consulta  da  Monta- 
nelli,  tornato  nella  notte  da  Siena  a  Firenze,  per  discutere 
su  quanto  meglio  convenisse  aile  difQcili  circostanze  d'al- 
lora.  La  notizia  délia  fuga  del  Principe,  la  quale  per  tem- 
pissimo  e  con  celerità  straordinaria  aveva  corso  tutta  la 
città,  ne  gettava  gli  abitanti  in  forte,  ma  diversa  commo- 
zione;  avvegnachè  dei  cittadini  di  quell'andata  del  Gran- 
duca  a  Santo  Stefano  si  rallegrassero  —  ed  erano  i  più  — 
e  altri  si  dolessero;  perô  la  incertezza  dell'awenire  met- 
teva  in  tutti  non  poca  inquietudine,  eccetto  nei  più  svi- 
scerati  di  governo  a  popolo,  i  quali  speravano  veder  presto 
compiersi  l'ardente  lor  voto.  I  tamburi  délie  guardie  cit- 
tadine  suonavano  a  raccolta,  montre  la  carapana  del  Qo- 
mune  con  gravi  rintocchi  chiamava  i  Fiorentini  a  parla- 
mento  in  su  la  piazza  délia  Signo^Ha,  come  ai  tempi  di 
sua  gloriosa  repubblica,  nei  momenti  di  pericolo,  per  prov- 
vedere  aï  casi  délia  patria.  Dalla  loggia  dell* Or^a^wa,  ove 


(1)  Questa  lettera  del  Granduca  era  stata  scritta  in  Siena  il  7  feb- 
braio 1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.  TOSGANA;   FUOA   DI   LBOPOLDO  II  149 

eransi  raccolti  i  capi  del  Circolo  popolare,  cui  presiedeva 
Mordini  —  alcuni  oratorio  dopo  avère  fatto  conoscere  aile 
moltitudini  congregate  la  fuga  di  Leopoldo,  i  bisogni  del 
paese  e  la  nécessita  di  soddisfare  ad  essi  con  efflcacia  e 
soUecitudine,  proposero  la  creazione  di  un  Governo  tem- 
poraneo  con  Montanelli,  Guerrazzi  e  Mazzoni,  a  candizione 
che  la  CosHtuente  italiana  avesse  a  determinamela  forma 
defifUtivay  e  che  frattanto  ei  si  riunisse  e  stringesse  a 
queUo  di  Roma,  tanto  che  i  due  Stati  apparissero  alVI- 
talia  e  al  monda  di  compome  une  solo.  £  il  popolo  gridô 
11  Governo  temporaneo  ;  gridô  Montanelli,  Guerrazzi,  Maz- 
zoni,  la  Costitt4ente  e  l'unione  con  Roma.  —  Montre  tali 
case  avyeniyano  dlnnanzi  al  palazzo  Vecchio,  Montanelli 
idggeva  ai  Deputati  lo  scritto  del  Granduca  ;  indi  in  nome 
proprio  e  dei  colleghi  rinunziava  aU'ofScio  ad  essi  confe- 
rito  dal  Principe  Ifùggitivo.  Stava  egli  per  mettere  fine  al 
sao  dire,  quando  gli  eletti  dal  popolo  a  riferire  al  Parla- 
mento  le  deliberazioni  state  prese,  entrati  a  forza  neirAs- 
semblea  con  numerosa  accompagnatura  di  cittadini,  chie- 
devano  che  siibito  venisse  licenziato  il  Governo.  Avvisati 
non  avère  essi  diritto  di  parlare,  ma  soltanto  di  porgere 
petizioni,  alteramente  rispondevano:  =  Essore  portatori 
di  quanto  volevasi  dal  popolo,  cioè  un  Governo  temporaneo 
COQ  Montanelli,  Guerrazzi  e  Mazzoni.  =  LMmperioso  comando 
tarbô  non  poco  i  Deputati;  itimidi  allora  si  ritirarono;  gli 
animosi  rimasero  protestando  contra  quella  invasione  vio- 
lenta :  onde  TAssemblea  riempissi  di  confusione  e  tumulte. 
A  quietare  Tagitazione  e  ricondurre  tutti  a  concordla, 
Guerrazzi,  salito  su  la  tribuna,  con  parole  generose  ed 
eloquenti  —  provata  la  nécessita  che  popolo  e  governanti 
s'avessero  a  stringere  in  fratellevole  accorde  per  la  sainte 
€  la  grandezza  délia  patria  —  fece  si  che  il  Parlamento 
siibito  tornasse  a  numéro,  e  riprendesse  il  discutere,  poco 
innanzi  sospeso,  con  quella  dignità  e  pacatezza,  ch'erano 
richieste  dalla  gravita  délia  cosa.  Allora  i  Deputati  con- 
fermarono  con  voce  unanime  quanto  era  stato  risoluto  dal 


Digitized  by  VjOOQIC 


150  OAPiTOLO  m 


popolo,  cioè  la  creazione  di  un  triumvirato,  costituito  da 
Montanelli,  Guerrazzi  e  Mazzoni  ;  i  quali  chiamarono  a  soci 
nel  Governo  Mordini,  Marmocchl  e  Romanelli,  conservando 
gli  antichi  coUeghi  Adami,  Franchini  e  D'Ayala;  il  qualo 
ultimo  perô  fece  sollecita  rinunzia  al  suo  ofScio,  non  vo- 
lendo  trovarsi  in  un  Governo  costituitosi  contra  il  legitUmo 
Sovrano.  Nella  sera  di  quel  giorno  8  febbraio  i  Triumviri 
mettevan  fuora  il  seguente  manifesto  ai  Toscani  :  «  Il  Prin- 
cipe, a  cui  voi  prodigaste  tesori  di  affetto,  vi  ha  abbando- 
nato  ;  e  yi  ha  abbandonato  nei  supremi  momenti  di  pericolo. 
Il  Popolo  e  le  Assemblée  législative  hanno  appreso  questo 
fatto  con  senso  di  profonda  amarezza.  I  principi  passano, 
i  Popoli  restano.  Popolo  e  Assemblée  ci  hanno  eletti  a 
reggere  il  Governo  temporaneo  délia  Toscana.  Noi  accet- 
tammo,  e  in  Dio  confidando  e  nella  nostra  coscienza  lo  ter- 
remo  con  rettitudine  e  forza.  Coraggio!  Stiamo  uniti;  e 
questo  avvenimento  sarà  lieve  come  piuma  caduta  dairala 
di  uccello  che  passa.  Nessuno  si  attenti  sotto  qualunque 
proteste  turbare  la  pubblica  sicurezza.  Il  Popolo  guardi 
il  Popolo.  La  libertà  porta  bandiera  senza  macchia.  I  To- 
scani se  lo  rammentino.  Oustodi,  per  volere  del  popolo, 
délia  civiltà,  délia  probità  e  délia  giustizia,  noi  siamo  de- 
terminati  a  reprimere,  e  acerbamente  reprimere  le  inique 
mené  dei  violenti  e  dei  reirogradi;  difensori  délia  indi- 
pendenza,  noi  veglieremo  a  ordinare  armi  libère  e  ono- 
rate.  »  —  Tra  i  primi  e  più  important!  atti  del  Governo 
temporaneo  dobbiamo  notare  il  licenziamento  dei  Deputati 
e  Senatori,  che  dovevano  venir  surrogati  da  un'Assemblca 
eletta  da  sufTragio  universale,  e  il  chiamarsi  délie  milizie 
a  giuramento  di  fedeltà  al  nuovo'ordine  di  cose;  contra  il 
quale  ultimo  décrète  non  pochi  ufflciali  deiresercito,  dopo 
aver  giuratoj  protestarono  :  assai  cattivo  esempio  di  mili- 
tare  disciplina,  di  quel  giorni  oltremodo  ralientata!  In  ve- 
rità,  quale  fondamento  avrebbero  potuto  fare  i  supremi 
reggitori  nell'ora  del  pericolo  sopra  soldatesca,  che  amore 
di  patria  non  infiammava  ?  e  pure  essa  aveva  strenuamente 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  T08CANA;   7U6A  DI  LBOPOLDO   II  151 

combattuto  con  volontari  concittadini  suoi  alla  giornata 
<]i  Curtatone  e  Montanara,  si  gloriosa  per  le  armi  toscane  ! 
Il  Principe  avevala  guasia,  e  parimenti  aveva  guaste  le 
genti  dei  contadi,  che  in  nome  diLeopoldolevayansi  proprio 
allora  a  guerra  civile. 

Il  9  febbraio  era  in  sul  cadere»  quando  grosse  compa- 
gnie di  campagnuoli  fiorentini  irrompevano  contra  porta 
San  Frediano.  Guardie  cittadine  e  municipali,  popolo  ar- 
mato  insieme  confuse  ad  alquanti  soldati  délia  milizia  re- 
golare^  una  mano  di  Polacchi  e  un  battaglione  di  Lombardi 
—  che  trovavansi  in  Firenze  —  chiamati  dai  Triumviri 
correvano  aile  difese;  e  dopo  lieve  contraste  mettevano 
in  fuga  gli  assalitori  ;  1  quali»  scoraggiti  dal  mal  esito  sor- 
lito  alla  loro  impresa,  riedevano  ai  domestici  focolari.  11 
giorno  appresso  gli  Empolesi  alzavano  la  bandiera  délia 
ribellione;  ma  intimoriti  dUle  minaccie  di  D'Apice  — 
fatto  générale  toscane  —  che  uscito  di  Livorno  con  buona 
mano  di  soldati  e  con  artiglierie  muoveva  contr'essi,  po- 
savane  le  armi  e  davano  in  potere  di  quel  générale  i  pro- 
movitori  délia  ribellione.  A  impedire  chequesta  avesse  ad 
allargarsi  e  a  prontamente  spegnerla  ne'  suoi  primordi, 
sommamente  urgeva  allontanare  di  Toscana  il  Granduca, 
la  oui  dimora  in  Santo  Stefano  —  ove,  fuggitivo  da  Siena, 
erasi  ridotto  —  era  un  continue  pericolo  alla  tranquillità 
•iel  paese.  Il  quale,  in  un  manifeste  ai  sudditi  (1),  ricor- 
dati  airesercito  i  suoi  giuramenti,  agli  ufficiali  pubblici 
Tosservanza  dei  propri  doveri,  e  al  popolo  la  fedeltà  verso 
il  suo  p/Hndpe  cosUtuzionale,  protestava  contra  il  Governo 
temporaneo,  eziandio  affermando  di  non  tenere  validi  gli 
atti  da  esso  emanati.  —  In  quel  mezzo  l'oratore  di  Sar- 
degna  in  Firenze,  recatosi  con  quelli  degli  altri  Stati 
presso  il  Granduca,  offrivagli  in   nome  di   Carlo  Alberto 


(1)  Manifesto  dei  12  febbraio  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


152  CAPITOLO  in 


soccorso  d'armi  sabaude  per  la  restaurazione  del  suo  prin- 
cipato.  Aveva  taie  disegno  conceplto  Vincenzo  Giobertî  — 
che  di  quei  giorni  presiedeva  ai  ^inistri  del  Re  —  te- 
mendo  che  le  idée  di  repubblica,  allora  germoglianti  in 
tutta  Toscana,  non  avessero  a  propagarsi  nel  regno  sardo, 
e  soprammodo  in  Genova,  la  quale  mostravasi  tuttavia 
amantissima  di  governo  a  popolo,  avvegnacliè  per  esso 
fosse  un  tempo  salita  a  potenza  e  a  ricchezza  veramente 
stragrande.  A  Carlo  Alberto,  che  senz'essere  soUecitato 
aveva  ofiferto  aiuti  di  soldati  suoi  per  Timpresa  di  To- 
scana, il  Granduca  siibito  rispondeva:  =  Accettare  con 
animo  grato  il  valide  suo  appoggio,  ch*egli  considerava 
corne  prova  délia  divina  protezione  ;  pregarlo,  che  la  schiera 
di  sussidio  dovesse  essere  forte  di  quattro  o  cinque  mila 
uomini  almeno;  in  oltre,  avvertirlo  che  al  De  Laugier  — 
il  quale  con  le  genti  toscane  teneva  il  campo  in  Luni- 
giana  —  era  stato  ordinato  di  operare  in  armonia  con  le 
milizie  sarde;  in  fine,  fargli  conoscere  d'aver  partecipato 
ai  rappresentanti  degli  Stati  amici  il  soccorso  offertogli  e 
Taccettazione  del  medesimo.  i=:  Leopoldo  aveva  appena 
spedita  la  lettera  sua  a  Carlo  Alberto,  quando  arrivava  a 
Santo  Stefano  il  Bargagli,  oratore  di  Toscana  in  Corte  del 
Pontefice  ;  veniva  a  soUecitarlo  in  nome  di  Pio  IX,  del  re 
Ferdinando,  d'Antonelli  e  d'Esterhazy  di  lasciare  la  To- 
scana e  recarsi  a  Gaeta  ;  per6  che  gli  Stati  cattolici  aves- 
sero deliberato  di  intervenire  in  Roma  per  rimettervi  la 
sovranità  papale  ;  e  siccome  essi  non  volevano  che  la  Sar- 
degna  si  facesse  restauratrice  del  trono  granducale,  cosi  il 
Governo  di  Vienna  aveva  risoluto  di  ricondurre,  con  le 
armi  dell'imperio,  Leopoldo  II  sul  trono  degli  avi.  Per  le 
quali  cose  il  Granduca  rinunziava  agli  aiuti  di  Sardegaa, 
non  estante  la  vivissima  disapprovazione  dei  rappresentanti 
dei  Governi  stranieri,  che  giudicavan'o  taie  rifiuto  molto 
dissennato  e  contrario  ai  principi  di  una  prudente  politica. 
I  Livornesi,  tosto  che  seppero  délia  fuga  del  Principe, 
vollero  gridare  la  repubblica;  ma  da  far  cio   11  distolse 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  toscana;  FUGA  DI  LBOPOLDO  II  158 

Mazzini,  pôrtatosi  alloratra  essi;  «  lo  repubblicano  per  la 
Yita,  disse  egli,  vi  esorto  ad  attendere  la  iniziativa  di  Roma. 
La  nazione,  per  mezzo  dei  rappresentanti  del  popolo,  eletti 
con  soffragio  universale  e  con  libero  mandato,  farà  cono- 
scere  le  sue  volontà,  e  noi  ci  inchineremo  dinnanzi  a  quel 
potere.  »  —  Délia  libertà  svisceratissimi  sempre,  i  Livor- 
nesi  diedero  in  quei  giorni  difficili  e  nei  più  calamitosi 
che  seguirono  di  11  a  poco,  prove  splendidissime  del  loro 
amore  al  paese.  Alla  chiamata  dei  supremi  governanti 
corsero  con  entusiasmo  a  sedare  le  ribellioni  e  a  difendere 
la  patria  contrada  quando  fu  minacciata  d'invasione  ni- 
mica.  Dopo  avère  fatta  Timpresa  d*Empoli,  presidiata  l'isola 
d'Elba  e  presidiata  altresi  quella  del  Giglio  allô  intente  di 
impedire  a  Leopoldo  di  cercare  in  esse  un  rifugio,  grossa 
schiera  di  cittadini  di  Livorno  —  duce  Giovanni  La  Ge- 
ciiia  —  camminô  verso  Santo  Stefano  per  costringere  il 
Grauduca  a  lasciare  la  Toscana;  avvegnachè  la  sua  pre- 
senza  in  quella  terra  servisse  di  proteste  alla  parte  mode- 
rata  di  tenere  il  paese  in  continua  agitazione  ed  anche, 
quando  corresse  tempo  propizio,  di  levarlo  a  guerra  civile. 
Egli  perô  non  attese  a  mettersi  in  salvo  il  giugnere  del- 
Toste  livornese  ;  chè,  il  mattino  del  20  febbraio  salito  so- 
pra  nave  britanna,  spiegasse  le  vêle  per  Gaeta.  Stava  La 
Cecilia  con  sue  genti  in  Grosseto  di  Maremma  in  su  le 
armi  per  muovere  verso  Santo  Stefano  —  era  il  19  feb- 
braio —  quando  pervenivagli  da  Pigli,  Governatore  di  Li- 
Torno,  Tordine  di  tornare  sollecito  addietro.  «  Ventimila 
Sardi,  scriveva  egli,  sono  in  procinto  di  invadere  la  To- 
scana guidati  da  De  Laugier,  il  quale  avrebbe  ieri  pubbli- 
cato  lettera  del  Principe  che,  nel  dargli  taie  incarico, 
commettevasi  alla  sua  fede.  »  —  Se  bugiarda  era  la  no- 
Tella  dello  avanzarsi  dei  Sardi  minaccianti  invasione  messa 
fttora  da  quel  générale  (1)  e  sostenuta  dalla  parte  mode- 


Ci)  Nel  8110  manifesto  del  17  febbraio  ai  Toscani  il  générale  De  Lau- 


Digitized  by  VjOOQIC 


154  OAPITOLO   III 


rata  allô  intente  tristisaimo  di  mantenere  il  paese  in  cou- 
tinua  commozione,  verace  perô  era  la  notizia  délia  ribel- 
lione  di  De  Laugier,  che  con  tre  mila  soldati  e  alquante 
artiglierie  da  Massa  e  Garrara  e  da  Pietrasanta  minacciava 
offendere  Lucca.  Per  assicurare  la  pace  alla  Toscana  i 
Triumviri  deliberavano  di  assalire  e  dfsperdere  le  milizie 
tamnltaanti  dell'agitatore  ribelle  ;  al  quale  scopo  mettevano 
assieme  forte  schiera  di  soldati  regolari  e  volontari,  fidan- 
done  il  govemo  a  D*Apice  ed  eleggendo  Commissario  délia 
impresa  Domenico  Guerrazzi.  A  combattere  De  Laugier  le 


gier  aveva  scritto  cosi:  u  Per  sostenere  lui,  le  milizie  del  Re  sardoin 
numéro  di  ventîmila  uomini  passano  ora  le  frontière  dello  Stato.  »  Cou 
lo  annunciare  soccorso  si  poderoso  di  soldatesche  sabaude  egli  sperava 
intimorire  i  suoi  conoittadini  e  indurli  a  poaare  le  armL  Taie  menzogna 
fruttô  nuoyo  vituperio  a  quel  générale,  la  cui  vita  era  macchiata  del 
gangue  d'un  camerata,  Stefano  Bandini,  da  lui  Bpento  a  tradigione  la 
notte  del  10  aprile  1807.  —  Eeputo  neoessario  far  conoscere  con  brève 
parola  quel  générale,  cui  sorti  Tonore  insigne  di  comandare  a  quanto 
di  piû  eletto  la  Toscana  ebbe  spedito  alla  guerra  di  Lombardia  ;  notizie 
tolte  A  un  documento  délia  famiglia  Bandini  di  Pietrasanta.  —  Con- 
dannato  De  Laugier  dal  tribunale  militare  per  quel  misfittto  a  pena 
infamante,  yenivagli  poco  appresso  questa  mitigata  per  quietanza  del 
padre  delVucciao  —  cosi  dal  sopra  citato  documento  —  coneedutagli  per 
interposizione  di  peraone  ragguardevoli ;  dopo  alquanti  mesi  di  prigionia 
De  Laugier  ricuperava  la  Ubertà.  Cancellato  dai  ruoU  dell'esercito  to- 
scane, egli  entré  in  quelle  del  reg^no  italico;  caduto  il  quale  nel  1814 
ool  oadere  dell'imperio  napoleonico.  De  Laugier  fece  ritomo  in  patiia; 
ma  non  gli  riescendo  di  venire  riammesso  nelle  milizie  di  Toscana,  egli 
andd  al  solde  del  Be  di  Napoli.  Tomate  il  quai  reame  ai  Borboni,  egli 
recossi  nuovamente  al  paese  native;  e  fa  allora  che  per  intercessione 
del  colonnello  Fortini,  suo  parente,  fd  collocato  nelle  fianterie  grandu- 
cali  col  grade  di  capitano,  e  ciô  con  décrète  spéciale  del  principe,  eAe 
aoeva  posta  un  vélo  sut  trascorH  giovanili  di  De  Laugier,  Da  qael 
giorno  ei  non  lasciô  più  le  insegne  dei  Lorenesi,  i  quali,  con  un  atto 
di  lor  soyrana  yolontà,  mutarono  Vucdditore  di  un  8uo  eamerata  in  un 
soldato  onoratof  A  pagare  si  grande  bénéficie  il  générale  De  Laugier 
nel  1849  messe  le  armi  toscane  —  fidate  alla  sua  lealtà  —  a  ribellarsi 
al  Goyemo  per  restaurare  il  trono  di  Leopoldo  II. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  TOBCANA;  FUOA  DI  LEOPOLDO  II  155 

armi  toscane  mossero  da  Lucca  divise  in  tre  ordinanze; 
una  dl  queste  per  la  marina  di  Viareggio'ayanzossi  contra 
il  campo  nimico  ;  la  seconda  camminô  verso  Monte  Ghiesa  ; 
i^ultima,  per  San  Quirico,  portossi  a  Gamajore,  ove  trova- 
vasi  il  grosso  délie  forze  awersarie;  la  riscossa  tennesi 
in  Val  di  Serchio.  Giusta  l'ordine  del  Gommissario  porta- 
vano  tntte  ramoscelli  d'olivo  sui  caschetti  e  su  la  bocca 
degli  schioppi;  incontrando  resistenza  dovevano  chiedere, 
se  per  Vempietà  (Vun  ttomo  avessero  i  fratelli  a  uccidere 
i  fratelli.  All'avvicinarsi  délie  schiere  del  générale  D'Apice 
i  soldati  di  De  Laugier  protestano  di  non  voler  combat- 
tre i  loro  concittadini  :  ond'egli  è  costretto  a  togliersi  da 
Camajore  e  indietreggiare  da  Pietrasanta,  e  il  giorno  ap- 
presso  —  il  23  febbraio  —  a  portarsi  a  Massa;  abbando- 
nato  da'  suoi  iti  al  campo  del  Gommissario,  De  Laugier 
Tiparasi  a  Sarzana  —  terra  dello  Stato  sardo  —  e  di  poi  alla 
Spezia:  questo  il  fine  deirincruenta  impresa  di  Lunigiana. 
Mentre  qui  tali  fatti  si  compivano,  gli  abitatori  del  con- 
tado  fiorentino,  levatisi  per  la  seconda  volta  in  su  le  armi, 
ritentavano  la  métro  poli,  allora  che  il  presidio  di  questa 
camminava  verso  Lucca  per  la  spedizione  testé  narrata. 
Era  da  poco  caduta  la  notte  del  21  febbraio,  quando  un 
trarre  fragoroso  di  moschetti  •  facevasi  udire  fuor  délie 
mura  che  corrono  da  porta  al  Prato  alla  Romana.  Lo  im- 
provviso  assalto  turbava,  ma  non  isbigottiva  i  cittadini; 
che,  prese  le  armi,  coi  Lombardi  e  i  Polacchi  —  i  quall 
trovavansi  tuttavia  in  Firenze  —  si  recavano  soUeciti  aile 
porte  minacciate  e  con  lieve  sforzo  respingevano  gli  assa- 
litori,  dei  quali  non  pochi  venivano  a  lor  mano.  Fu  allora 
che  il  Governo  temporaneo,  a  farla  finita  con  gli  eccitatori 
a  guerra  civile,  istituiva  una  Gommissione,  la  quale  avesse 
a  giudicare  con  tutto  il  rîgore  délie  Jeggi  militari  quor 
lunque  attentato  sedizioso  alla  tUa,  agli  averi  dei  cittor 
dini  e  alVordine  pubblico.  Taie  Gommissione  di  guerra 
ebbe  vita  brevissima;  perô  che  Guerrazzi  la  licenziasse, 
appena  allontanato  ogni  pericolo  di  ribellione  e  assicurata 


Digitized  by  VjOOQIC 


156  CAPITOLO    III 


la  pace  al  paese  ;  ciô  che  avvenne  pochi  giorai  appresso 
il  suo  ritornodlLunigiana;  délia  quale  clemenza  i  nimici 
délia  patria  proôttarono  per  rinnovare  lor  parricida  im- 
presa.  —  In  questo  mezzo  una  grossa  mano  di  soldatescbe 
austrlache  e  modenesi  erasi  appressata  ai  conâni  toscan!, 
alla  cui  difesa  subito  accorreva  Montanelli.  Quelle  solda- 
tesche  perô  presto  indietreggiarono  per  tema  di  vedersi 
levata  la  via  al  ritorno  dal  générale  Lamarmora,  che  allora 
teneva  il  campo  a  Sarzana  con  una  divisione  sarda. 

Intanto  awicinavasi  il  5  marzo,  giorno  âssato  per  la 
riunione  del  Parlamento  —  che  chiamossi  di  poi  Costttuente 
—  e  tanto  sospirato  dai  Toscani,  i  quali  speravano  udire 
presto  gridata  dai  loro  rappresentanti  Vunificazione  con 
Roma  per  costituire  poscia  assieme  nel   mezzo  dell'Italia 
una  forte  repubblica.  Guerrazzi,  che  aveva  fatto  ogni  sua 
possa  per  differire  il  convocamento  deirAssemblea,  avrer-  ' 
sissimo  alla  uni/ÎGazione,  perché  reputavala  dannosa  alla  . 
patria,  erasi  preparato  a  combatterla  :  intente  suo,  salvare 
le  libertà  e  le  franchigie  costituzionali  col  ricondurre  a  ; 
concordia  il  Principe  coi  sudditi.  L'avversione  sua  aHuni-  i 
ficarsi  di  Toscana  e  Roma  egli  scusô  dicendo  non  doversi  j 
suscitare  gelosie  in  Carlo  Alberto  prima  del  rompere  délia  . 
guerra  alVAustria,  che  affermava  essere  imminente;  e  ■; 
quando  la  Sardegna  fu  vinta  a  Novara,  Guerrazzi  sostenne  | 
il  diniego  suo  a  queirunione  mettendo  innanzi  il  pericolo  ) 
dello  intervento  straniero.  Egli  ben  doveva  prevedere  che  \ 
Venezia  e  Sicilia  non  tarderebbero  a  seguire  Tesempio  di  | 
Toscana,  onde  sarebbesi  creato  uno  Stato  di  taie  potenza 
da  assicurare  le  sorti  deiritalia.  Allora  il  disastro  di  No- 
vara non  avrebbe  avuto  conseguenze  esizialissime  alla  pe- 
nisola  ;  ne  Roma,  ne  Venezia  sarebbero  cadute  ;  la  quale 
cosa  possiamo  affermare  senza  tema  di  venire  contraddetti, 
memori  deU'assedio  si  strenuamente  e  a  lungo  da  queire- 
roiche  città  sostenuto  contra  le  armi  di  Francia  e  d'Austria. 
L'opinione  pubblica  era  omai  diventata  si  imperiosa  e  qua;si 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   TOSCANA;   FUGA   DI   LBOPOLDO   II  157 

minaecîosa,  che  il  Guerrazzl  si  vide  costretto  a  scendere 
a  concessioni  ;  ma  fermo  sempre  nel  riienere  inopportuna 
Tunità  assoluta  dei  due  Stati,  egli  prese  a  negoziare  con 
Maestri,  inviato  a  lui  dalla  repubblica  romana,  sopra  faccende 
affljtniûistratiye  non  di  alta  importanza,  con  somma  accor- 
tezza  ponendo  in-  disparte  quelle  di  grave  momento.  Bene 
apponeadosi,  che  gli  sarebbe  stato  impossibile  di  tenersi  in 
mano  Tautorità  suprema  senza  mostrarsi  obbediente  ai  vo- 
lerî  del  popolo,  nél  discorso,  col  quale  inaugurô  il  nuovo 
Parlamento,  disse  parole  favorevoli  alla  uniflcazione  di 
Toscana  e  Roma.  Egli  allora  menti  ;  avvegnachè,  non  avendo 
fede  veruna  in  quella  repubblica,  retta  da  uomini  poveri 
di  consiglio  e  che  armi  non  possedeva,  non  intendesse  u- 
nirsi  mai  ad  essa.  In  fatto,  pretessendo,  corne  già  dicemmo, 
la  nécessita  o  meglio  la  convenevolezza  d'attendero  il  rom- 
persi  délie  ostilità  tra  la  Sardegna  e  TAustria,  riescî  a  im- 
pedire  ai  Deputati  ogni  discussione  su  Tunione  dei  due 
paesi.  Repubblicano  impaziente  flno  a  quel  giorni,  Dôme- 
nico  Guerrazzi  erasi  tutto  mutato  e  d'un  tratto  ;  egli,  si 
fiero,  non  isdegnô  allora  di  volgersi  ai  principi  e  di  farsi 
propugnatore  di  reggimento  monarchico,  per  lo  addietro 
da  lui  vivamente  combattuto.  Ove  era  ito  quelVamore  suo 
STisceratissimo  per  la  più  larga  libertà,  ond'egli  poco  prima 
tante  ardeva  per  la  patria,  amore  ch'egli  seppe  potente- 
mente  trasfondere  negli   scritti  suoi  ?  Quanto  diverse  le 
opère  sue  dai  principi  innanzi  professât!  e  con  mirabile 
coraggio  banditi  nei  tempi  délia  tirannide  î  Quale  dififerenza 
tra  Guerrazzi  cittadino,  e  Guerrazzi  ministre  e  dittatore  ! 
—  In  quel  torno  di  tempo  era  giunto  in  Firenze  Lorenzo 
Valérie,  speditovi  dal  Governo  sardo  per  chiedere  ai  Trium- 
viri  soccorso  d'armati  per  la  guerra,  che  il  re  Carlo  Al- 
berto stava  per  muovere  aU'Austria  ;  e  i  Triumviri  promisero 
aiuti  maggiori  dell'armi  che  essi  possedevano;  certamente 
Guerrazzi  moltissimo  avrebbe  date,  se  moltissimo  avesse 
avnto  ;  egli  favoreggiava  allora  tanto  la  Sardegna  monar- 
chica  quanto  avevala  per  lo  addietro  awersata;  e  dicevasi 


Digitized  by  VjOOQIC 


158  CAPITOLO   III 


pronto  a  uaire  la  Toscana  al  regao  dî  Garlo  Alberto,  se 
questi  fosse  riuscito  vincitore  nella  guerra  coatra  la  si- 
gnoria  austriaca.  Per  raggiugnere  lo  intento  suc  Guerrazzi 
sospendeva  il  convocamento  deirAssemblea  legislativa  sino 
al  22  marzo,  e  lo  prorogava  di  poi  sino  al  25;  nel  quale 
giorno,  ei  diceva,  la  sovranità  popolare  surrogherà  il 
Ooverno  temporaneo.  —  Nel  di  fissato  i  rappresentanti  del 
popolo  raccoglievansi  a  Parlamento.  Alcuni  di  essi,  dopo 
avère  udito  da  Montanelli  la  relazione  di  quanto  i  Trium- 
viri  avevano  operato  a  vantaggio  délia  cosa  pubblica,  fa- 
cevansi  a  chiedere  loro,  che  senza  por  tempo  in  mezzo 
avessero   ad  acclamare  la   repubblica  toscana  e  la  sua 
unione  a  Roma.  Domenico  Guerrazzi,  pretessendo  la  inop- 
portunità  di  tali  atti,  niegava  soddisfare  a  taie  giusta  do- 
manda;  e  siccome  per  lui  stavano  i  piii  dei  Deputati,  cosi 
la  proposta  di  quella  acclamazione,  mandata  a  partito,  ve- 
niva  rejetta  (1).  Il  contegno  del  Dittatore  non  avova  ancora 
destato  sospetto  veruno  sopra  i  disegni  suoi,  sia  ch*egli 
sapesse  con  somma  avredutezza  e  finissima  arte  nascon- 
derli,  sia  clie  i  Toscani  nutrissero  tuttavia  per  lui  cieca 
fede  Gli  infingimenti  di  Guerrazzi  non  erano  perô  sfuggiti 
agli  occhi  yigill  dei  repubblicani  ;  i  quall,  severi  sindaca- 
tori  del  Governo,  arevano  penetrato  le  sue  mire  restau- 
ratrici  di  principato,  onde  si  erano  allontanati  da  lui  ;  ma 
godendo  sempre  di  molta  aura  popolare,  non  potevano  coq 
sicurezza  di  vittoria  combatterlo  ;  fu  quindi   nécessita  di 
aspettare  Toccasione  favorevole,  che  non  tardô  ad  arrirare. 


(1)  u  In  nna  pubblica  adunanza  tenuta  il  18  febbraio  sotto  le  logge 
degli  Uffizi  e  alla  qnale  s'affollaTano  da  dieci  mila  persone,  fed  votare 
l'adozione  délia  fonna  repnbblicaiia,  ronione  a  Borna  e  la  oomposizioiie 
d'un  Comitato  di  difesa  composto  di  Gnenuizi,  Montanelli  e  Zannetii 
Gli  nomini,  che  reggevano,  ricnaarono.  lo  partii  alla  yolta  di  Roma, 
doye  m'ayeyano  eletto  depntato.  » 

GnxsipPB  Mazzini,  Seritti  politici,  yol.  y,  cart  186;  Milano,  IS^. 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO  IV. 

La  Sicilia  e  Ferdinando  Borbone. 


I  SieilÎAiii  gridano  Be  il  Daca  di  Geaoya,  Ferdinando  di  Sayoia.  In- 
Gortesze  del  Dnca  di  GenoTa  sa  raocettarione  délia  corona  offer- 
tagli.  ~  Spedizione  dei  Napolitani  in  Sioilia;  Hesdna  ricade  aotto 
la  tiiannide  borbonica.  —  Preparamenti  del  Goyerno  sicnlo  per  la 
gnerra.  —  H  Parlamento  napolitano  prorogato  al  30  noyembre; 
le  tregne.  —  L'uUimatum  del  re  Ferdinando;  disdiconsi  le  tregne 
di  Messina.  —  La  Sicilia  prépara  le  resistenze;  il  Borbone  licensia 
il  Parlamento. 


n  13  aprile  1848  il  Parlamento  siculo,  ael  decretare  la 
decadenza  délia  dinastia  borbonica  dal  trono  di  Sicilia  e  la 
forma  di  governo  con  la  quale  dovoya  reggersi  il  naovo 
Stato,  deliberava  di  eleggere  a  Re  un  principe  italiano, 
dope  avère  perô  adattato  ai  bisogni  richiesti  dai  tempi  mu- 
tati  la  CosMuzione  del  1812.  Le  quali  riforme  consistevano: 
nel  figsare  le  norme  per  la  elezione  dei  Pari  ;  nel  determi- 
nare  la  religione  cattolica,  apostolica,  romana  quella  del 
regno  e  la  sovranità  popolare  dover  risiedere  neiruniver- 
salità  dei  cittadini;  nel  niegare  al  Re  il  diritto  di  licenziare 
e  prorogare  il  Parlamento,  e  ai  rappresentanti  del  popolo 
compensi  pecaniari;  in  fine  nel  limitare  il  diritto  elettorale. 


Digitized  by  VjOOQIC 


160  CAPITOLO   IV 


—  Correva  il  10  luglio  di  quelVanno  1848,  quando  i  Par- 
lamenti  delllsola  raccoglievansi  in  Palermo  per  discutere  su 
la  elezione  del  nuovo  Sovrano.  Non  pochi  Deputati  ostavano 
a  che  s*ayesse  a  deliberare  di  cosa  di  momento  tanto  grave, 
allora  che  piîi  forte  ferveva  la  guerra  in  Lombardia  ed  erauo 
di  avviso  d^aspettarne  Tesito,  il  quale  avrebbe  a  tutti  con- 
sigliato  quanto  piii  convenisse  operare  nello  interesse  délia 
patria.  I  Deputati  di  parte  moderata,  spinti  da  Francia  e 
da  Bretagna  ed  eziandio  appoggiati  dagli  uomini  del  Go- 
verno,  mettevano  innanzi  la  nécessita  di  darsi  prontamente 
un  Re.  Ghiaro  appariva  il  fine  di  tan  ta  loro  sollecitudine; 
l'aristocrazia,  tutta  la  parte  moderata  e  i  Governi  degU 
Stati  benevoli  alla  Sicilia  non  volevano  che  la  repubblica 
avesse  a  stabilirsi  nell'isola.  Ben  presagivano  i  i*epubblicani 
che  la  elezione  del  Re  fatta  innanzi  tempo  poteva  acca- 
gionare  pericoli  alla  patria,  creando  una  rivalità  fatale  agli 
interessi  d'Italia  tra  Carlo  Alberto  di  Sardegna  e  Leopoldo 
di  Toscana.  In  fatto,  se  la  Sicilia  chiamasse  a  se  un  principe 
di  Casa  Savoia,  si  inimicherebbe  Toscana,  Roma  e  la  stessa 
Francia,  la  quale  non  avrebbe  veduto  di  buon  occhio  la 
Sardegna  accrescere  in  potenza  e  diventare  prépondérante 
nella  penisola,  senza  compenso  alcuno  per  se,  corne  aveva 
affermata  il  Ministre  francese  su  gli  affari  esterni  nella  riu- 
nione  deirAssemblea  nazionale  del  19  giugno  ;  qualora  poi 
la  Sicilia  acclamasse  Re  un  figliuolo  del  Granduca,  rende- 
rebbesi  nimiche  la  Sardegna,  la  Lombardia  e  Venezia.  Il 
Governo  inglese  erasi  chiarito  favorevole  alla  elezione  del 
Duca  di  Genova;  quelle  di  Francia,  alla  nomina  del  se- 
condogenito  di  Leopoldo,  non  estante  la  sua  minorità.  I 
Siciliani,  i  quali  volevano  subito  un  Re  e  non  una  reg- 
genza,  eransi  mostrati  propensi  al  flglio  di  celui,  che  allora 
con  tutte  sue  genti  combatteva  per  la  sainte  d'Italia  ;  per 
la  quale  cosa,  quando  nei  Parlamenti  siculi  il  Ministre  per 
gli  affari'stranieri,  Mariano  Stabile,  annunziô,  c?ie  Francia  e 
Bretagna^  per  vedere  a^sicurato  Vordine  e  il  benessere  di 
Sicilia^  avevano  promesso  di  prontamente  riconoscere  la 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  8ICILIA   B   FSBDIKANDO   BOBBONB  161 


indipendenza  stm  e  anche  qicel  principe  iixiliano  che  sa- 
rebbe  stato  eletto  a  reggere  i  suai  destlni,  mandata  a  par- 
tito  la  nomina,  veniva  con  suffragio  unanime  gridato  Re 
il  Duca  di  Genova.  A  mezzanotte  di  quel  giorno  10  luglio  il 
Parlamento  générale  deirisola  decretava:  «  !<>  II  Duca  di 
Genova,  flglio  del  présente  Re  di  Sardegna,  è  chiamato  con 
la  sua  discendenza  a  regnare  in  Sicilia  seconde  lo  Statuto 
costituzionale  del  10  luglio  1848.  —  29  Egli  prenderà  nome 
e  titolo  di  Alberto  Amedeo  Primo  Re  dei  Sicilianî  per  la 
Costituzione  del  Regno  (1).  —  3©  Sarà  Invitato  ad  accettare 
e  giurare  seconde  Tarticolo  quaranta  dello  Statuto.  »  —  I 
Palermitani,  i  quali  con  ansia  febbrile  avevano  aspettato  le 
deliberazioni  dei  Parlamenti,  appena  seppero  di  quella  ele- 
zione,  illuminarono  le  case  e  corsero  le  vie  délia  città  gri- 
flando  evviva  al  nuovo  Re  ;  ma  taie  vittoria,  nel  porre  fine 
alla  splendîda  epopea  délia  sollevazione  sicula,  doveva  dare 
cominciamento  a  una  iliade  di  dolori  e  guai,  che  ricondus- 
sero  Tisola  aU'antica  signoria  borbonica.  I  sacri  bronzi  e  le 
artiglierie  annunziarono  con  gazzarrastrepitosail  di  novello, 
che  vedeva  la  bandiera  siciliana  salutata  dai  cannoni  délie 
navi  di  Bretagna  e  Francia  —  le  quali  sorgevano  in  su 
ràncora  nel  porto  di  Palermo  —  e  di  li  a  poco  rendersi 
sovrani  onori  al  Présidente  del  Governo  e  ai  Ministri  dagli 
ammiragli  d'inghilterra  e  délia  Repubblica  francese,  Parker 
e  Baudin:  cosi  délia  Sicilia  veniva  allora  riconosciuta  la 
indipendenza  da  due  grandi  Stati  d^Europa.  Senza  por  tempo 
in  mezzo  Parker  faceva^  col  battello  a  vapore  il  Porco- 
^pino,  trasportare  a  Genova  Tinviato  di  Sicilia  al  Governo 
sardo  annunziatore  délia  elezione  al  trono  del  secondoge- 
nito  di  Garlo  Alberto;  e  Baudin  spedivagli  la  deputazione 
dell'isola  incaricata  d'oflfrirne  la  corona  al  Duca  di  Ge- 


(n  II  Duca  di  Genova  chiamavasi  Ferdinando  Maria  Alberto  Amedeo; 
il  nome  Ferdinando  essendo  esoso  ai  SiciHani,  qaesti  vollero  chiamare 
il  Re  eletto  coi  nomi  Alberto  Amedeo. 

U  —  Vol.  IL  Mabiaot  —  Storia  pd.  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


162  CAPITOLO   IV 


nova  (1)  ;  alla  quale  dovevaao  unirsi  Emerico  Amari  e  il 
barone  Pisani,  Gommissari  siciliani  presso  il  Re  sabaudo. 
La  Deputazione  giugneva  11  21  luglio  al  campo  di  Marmi- 
rolo,  ove,  col  comaado  supremo  deiresercito,  Carlo  Alberto 
teneva  sua  stanza;  il  quale  nello  accoglierla  festosamente 
prometteva  di  presentarla  il  dimani  al  flgliuol  suo,  il  Duca 
di  Genova,  allora  campeggiaate  ira  Villafranca,  Mozzecane 
e  Castelbelfiore.  Ma  l'assalire  degli  Austriaci  —  che,  co- 
miaciato  il  22  su  le  alture  délia  Corona  e  di  Rivoli,  dovea 
posare  soltanto  a  Milano  in  virtii  di  non  molto  onorevole 
tregua  •—  chiamando  il  Re  a  nuove  e  incessant!  pugne. 
impedi  a  lui  e  agli  inviati  di  Sicilia  d'avviare  le  pratiche 
per  l'accettazione  délia  corona  offerta  al  figliuolo:  onde 
quella  Deputazione  recavasi  a  Torino  per  trattare  di  essa 
col  Governo  del  Re.  La  fredda  accoglienza  ricevuta  dal 
Ministre  sopra  gli  aflfari  esterni,  Lorenzo  Pareto,  reco  do- 
lorosa  sorpresa  agli  oratori  siciliani,  cui  il  benevolo  par- 
lare  del  Monarca  sabaudo  era  stato  augurio  lietissimo  per 
la  loro  missione;  quale  dunque  la  ragione  di  mutamento 
si  repentino?  fu  la  protesta  di  Ferdinando  di  Napoli  contra 
la  elezione  del  principe  di  casa  Savoia!  la  quale,  se  re- 
cata  a  effetto,  non  solamente  avrebbe  rotto  i  buoni  accordi 
che  legavano  i  due  Stati,  ma  eziandio  il  Borbone  sarebbesi 
valso  di  tutte  le  sue  forze  per  prowedere  alla  integrità  e 
al  decoro  délia  monarchia  délie  due  Sicilie  :  e  queste  pa- 
role il  re  Ferdinando  scrisse  nella  sua  protesta.  E  siccome 
Tambasciatore  dlnghilterra  in  Corte  di  Torino,  lord  Aber- 
cromby,  richiesto  di  consiglio  in  cosa  di  si  alta  importanza. 
aveva  soltanto  ricordato  a  Pareto  la  promessa  del  Groverno 
britannico,  di  riconoscere  sovrano  deU'isola  il  Duca  di  Oe- 
nova,  quando  si  trovasse  in  possesso  del  trono  di  Sicilia, 


(1)  La  deputazione  siciliana  era  composta  dal  Duca  di  Serradifalco. 
dai  prineipi  di  Torremozza  e  San  Gioseppe,  dal  barone  Riso  e  dai  de- 
pntati  al  Parlamento  Ferrara,  Perez,  Natoli  e  Camazza. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SIOILIA   £    FBBDINANDO   BOBBOKB  163 

cosi  il  Minlstro  di  Garlo  Alberto  significaya  alla  Deputazioae 
sicula:  =  Il  principe  sabaudo  non  accettare  allora  lacorona 
oflfertagll;  primamente,  perché  reputavasi  incapace  di  reg- 
gere  popoli  e  governaro  Stato;  in  secondo  luogo,  perché  sti- 
mava  dover  suo  di  non  lasciare  la  Sardegna,  la  quale,  seb- 
bene  vinta,  non  aveva  perô  posate  le  armi  ;  in  fine,  perché 
la  sigûoria  di  Sicilia  data  a  lui  avrebbe  attirato  sul  regno 
paterno  la  gaerra  di  Napoli,  e  su  Tltalia^  nuovi  danni   e 
nuove  discordie.   =  Taie  diniego,  non  essendo  assoluto, 
oon  iscoraggi  gli  oratori  siciliani,  che  subito  chiesero  un 
colloquio  col  Re  e  col  Duca  di  Genoya,  allp  scopo  di  far  loro 
direttamente  la  commissione  ayuta  dal  proprio  Goyerno.  In 
sul  mezzodi  del  27  agosto,  in  Alessandria,  la  Deputazione 
veniva  riceyuta  da   Carlo  Alberto;  il  quale,  dopo  ayerle 
espresso  con  parole  cortesi  si,  ma  piene  di  sayia  circospe- 
zione,  la  gratitudine  deiranimo  suo  per  Tonore  reso  dai 
Siciliani  alla  sua  casa  ed  eziandio  fattole  conoscere  Taffe- 
zioae  che  per  essi  aveya  syegliato  in  cuore  l'atto  generoso 
di  quelli,  âniya  il  dire  cosi:  =  Non  poter  ricevere,  né 
rifiutare  la  corona  offertagli  per  suo  figlio  senza  prima 
consul  tare  i  Ministri.  =  Congedata  dal  Re,  la  Deputazione 
presentayasi  al  Duca;  il  quale,  dopo  averle  ripetuto  quanto 
pochi  giorni  prima  erale  stato  dette   da  Lorenzo  Pareto, 
soggiungeya:  =  Le  ragioni,  che  ayevano  indotto  a  non 
accettare  la  corona,  non  essere  di  gran  peso  ;  in  ogni  caso, 
egli  obbedirebbe  alla  yolontà  del  Re  suo  padre.  =  In  quel 
medesimo  giorno  il  Ministre  Lisio,  che  stayasi  con  Carlo 
Alberto,  recayasi   presse  gli  oratori  siciliani  per  riferir 
loro,  che  il  Ooyerno  sardo  riteneya  corne  afi^re  d'intéressé 
politico  il  consentire  o  no  alla  accettazione  del  Duca;  che^ 
non  estante  il  vivo  dosiderio  di  veder  posare   sul  di  lui 
capo  la  corona  dell'isola,  i  Ministri  molto  esitavano  per 
timoré  délie  ostilità  del  Borbone;  che  abbisognando  essi 
di  nuove  guarentigie  dall'Inghilterra,  domandavano  tem  po 
bastevole  a  chiederle  e  ottenerle.  =  Le  parole  di  Lisio  la. 
sciarono  negll  animi  degli  inviati  di  Sicilia  forte  speranza 


Digitized  by  VjOOQIC 


164  CAPITOLO   IV 


che  gli  ostacoli  messî  innanzi  dal  Q^overno  sardo  sarebbersi 
potuti  senza  gravi  difflcoltà  superare.  Tutto  aduaque  di- 
pendeva  dal  buon  volere  dei  Ministri  inglesi;  i  quali  se 
dcssero  fede  al  Re  d*appoggiarlo  cou  le  loro  armi  nel  caso 
di  una  guerra  con  Napoli,  Carlo  Alberto  siibito  acconsen- 
tirebbe  alla  accettazione  délia  corona  offerta,  nuUa  avendo 
a  temere  di  Francia  ;  chè ,  sebbene  awersa  alla  elezione 
del  Duca  di  Genova,  corne  sopra  notammo,  non  sarebbesi 
perô  opposta  al  desiderio  dei  Siciliani,  per  non  rompere 
la  buona  amicizia  che  allora  esisteva  ira  la  repubblica  e 
la  Bretagna.  Ma  lord  Palmerston,  quando  venne  interpel- 
lato  dai  Gommissari  di  Sicilia  su  Taiuto  ch*essi  potevano 
sperare  dal  Governo  délia  Regina,  rispose  in  queste  seii- 
tenze:  =  Appoggio  morale  si,  non  d'armi  perô;  che  se  Per- 
dinando  Borbone  respingesse  i  consigli  di  lasciare  ai  propri 
destini  l'isola,  già  toltasi  alla  sua  signoria,  egli  non  avreb- 
belo  potuto  costringere  a  ciô  con  la  forza.  Due  espedienti 
rimanevano  quindi  a  tentarsi  dai  Siciliani  per  salvarsi  da 
una  guerra  di  distruzione  :  riporre  sul  capo  del  Borbone 
la  corona  dell'isola,  patteggiando  salva  la  indipendenza 
amministrativa  e  legislativa;  o,  fatto  délia  Sicilia  un  reame 
indipendente^  offrirne  la  corona  al  flgliuolo  del  Re;  che 
se  tali  onestissime  proposte  fossero  reiette,  l'Inghil terra 
insisterebbe  presse  il  re  Ferdinando  di  riconoscere  il  prin- 
cipe eletto  dai  Siciliani.  =  Alla  demanda  di  soccorso,  Pal- 
merston aveva  risposto  offrendo  la  sua  mediazione,  e  con- 
sigliando  ai  Gommissari  di  mettere  innanzi  accordi  pacifici. 
non  estante  conoscesse  i  disegni  del  Monarca  napolitano  e 
sapesse  gli  isolani  pronti  ai  piii  duri  sacrifici  e  incapaci 
di  commettere  vilezze.  Gli  Stati  amici  avendo  ricusato  a 
quelli  di  concedere  aiuto  d'armi,  quale  via  ancora  rima- 
neva  a  tentare  per  trarre  la  patria  a  salvamento  ?  gridare 
la  repubblica! 

Montre  in  Londra  e  in  Parigi  si  consultava,  Tisola  tutta 
ardeva  di  guerra,  e  i  soldati  del  Borbone  vi  commettevano 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SICILIA    S   FSBDIKAKDO   BORBONE  165 

atti  di  tele  ferocia,  che  gente  barbara  non  avrebbe  potuto 
commetterne  di  peggiori.  Sino  dal  giugno  il  re  Ferdinando, 
deliberato  di  racquistare  la  Sicilia  per  sola  virtii  délie 
armi,  ayeva  con  la  massima  segretezza  cominciato  i  pre- 
paramenti  délia  spedizione  ;  e  ne  soUecitàva  il  compimento 
al  giugnergli  délia  notizia  del  dietreggiare  di  Carlo  Al- 
berto dal  Mincio  e  délie  tregue  fermate  a  Milano.  In  su! 
cadere  d'agosto  yenticinque  battaglioni  di  fanti  napolitani 
e  svizzeri  con  numerose  artiglierie  —  cbe  insieme  conta- 
vano  da  venti  mila  uomini  —  trovayansi  raccolti  intorno 
a  Reggio  di  Galabria.  Filangeri  teneya  la  somma  del  co- 
mando  deiresercito,  partito  in  due  diyisiôni  ;  la  prima  délie 
qoali  staya  agli  ordini  del  maresciallo  Pronio,  i  cui  ge- 
nerali  di  brigata  erano  Schmid  e  Diyersi;  l'altra,  sotto  il 
goyerno  del  maresciallo  Nunziante,  ayeya  a  brigadieri 
Lanza  e  Busacca.  L*impresa  doyeya  cominciare  con  Tespu- 
gnazione  di  Messina,  designata  a  base  délie  militari  ope- 
razioni,  e  la  cui  cittadella  e  il  castello  di  San  Salyadore, 
muniti  di  trecento  cannoni  e  presidiati  da  forte  schiera 
di  régi  —  quattro  mila  allô  incirca  —  teneyansi  tuttayia 
per  Ferdinando.  I  coUi,  sul  cui  yersante  orientale  siede 
quella  terra  animosa,  erano  guarniti  d'artiglierie,  disposte 
a  offesa  délia  cittadella  e  del  forte  San  Salyadore^  alzan- 
tisi  presso  la  marina,  e  che  alto  yallo  e  largo  fosso  —  i 
quali,  afforzati  da  batterie  di  cannoni^  correyano  dalla 
banchina  del  porto  sino  allô  sbocco  del  torrente  Zaera  — 
separavano  da  Messina.  Su  la  spiaggia  del  mare  e  sotto  il 
forte  di  porta  Real  Basso  rimpetto  al  castello,  e  allô  sbocco 
di  quel  torrente  i  cittadini  ayeyano  costrutto  due  batterie; 
scopo  di  queste  opère  fortificatorie,  offendere  la  cittadella 
e  San  Salyadore,  e  impedire  ai  presidi  di  uscir  fuora  per 
assaltare  la  città  ;  la  quale  da  mezzogiorno  e  da  occidente 
aveva  difese  poco  yalide,  che  poteyano  yenire  facilmente 
soprayanzate  dal  nimico.  Ginque  mila  uomini  presidiayano 
Messina,  ordinati  in  due  piccioli  battaglioni  di  fanti  leg- 
geri,  in  sette  squadre  di  gente  ragunaticcia  dei  contadi  e 


Digitized  by  VjOOQIC 


166  OAPITOLO   IV 


in  alquante  compagnie  di  ai*tiglieri;  cenquarantadue  can- 
noni  ne  guarnivano  le  opère  di  fortificazione  ;  le  guardie 
cittadine  vegliavano  alla  sicurezza  interna  di  Messina.  Âii- 
tonino  Pracanica  teneva  il  comando  supremo  délie  armi; 
il  colonnello  Orsini,  quelle  délie  artiglierie;    e   Yincemo 
Miloro  governava  le  sedici  barche  cannoniere,  che  guar- 
davano  la  marina.  Bebole  era  il   presidio,    il   quale  non 
avrebbe  potuto  durarla  a  lungo  senza  l'aiuto   del    popolo 
che  neirora  del  pericolo  accorreva  in  grande   numéro  a 
sostenerlo.  In  sul  ânire  di  luglio  creavasi  in  Messina  una 
consulta  di  difesa,  che  doveva  prowedere  con    sollecitu- 
dine  ai  bisogni  doUa  città  e  accrescerne  le  forze  ;  ed  essa 
proponeva  di  presidiare  Scaletta  con  quattrocento  uomiui 
e  due  artiglierie  da  campo;  Spuria,  con  mille  uomini  per 
proteggere  le  batterie  del  faro;  Gesso,  con  ottocento    sol- 
dati  e  due  cannoni  ;  Divieto,  con  dugento  e  due  artiglierie  ; 
Forza  di  Agrô,  con  duemila  e  quattro  cannoni  ;  in  fine,  di 
portare  quelle   di  Milazzo  sino  a  quattro  mila  uomini,  e 
aumentare  i  presidi  di  Gastellaccio  e  Gonzaga  di  clnquanta 
soldati  ciascuno.  In  verità,  le  proposte  délia  Consulta  erano 
savissime  e   proprio  richieste  dai  bisogni  délia   guerra; 
ma   non  possedendo  Messina  armi  e  armati   bastevoli  a 
soddisfarli,  essa  risolveva  di  domandare  al   Governo  cin- 
que  mila  uomini,  cannoni,  schioppi  e  munizioni  di  guerra. 
Era  il  3  settembre,  quando  una  fregata  napolitana  a 
vêla,  quattro  corvette  a  vapore  e   venti  barche    canno- 
niere (1),  appressatesi  alla  spiaggia  méridionale  délia  città, 
prendevano  a  trarre  contra  la  batteria  posta  allô  sbocco 
del  torrente  Zaera,    eziandio   fulminata  dalle   artiglierie 
délia  cittadella  e  del  forte  Don  Blasco  ;  rovinata  la  quale, 
molti  marinai  scendevano  a  terra,   e   unitisi   ad   alcune 
compagnie  di  fanti  e  ad  una  schiera  di  artiglieri  e    gua- 


(1)  Qneste  navi  avevano  a  bordo  tre  mila  nomini  délia  dirisioxie  di 
Proxdo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    SIGJLIA   B   FXBBIKANDO   BOBBOKE  167 

stat^ri  uscite  fuora  dalla  cittadella  tentavano  sorprendere 
Messina.  Ma  i  sooi   difensori,   che   attenti   yigilavano    le 
mosse  dei  aimici,  caddero  sovr'essi  con  tanto  impeto,  da 
mandarli  in  pochi  istanti  con  grave  loro  danno  a  cercare 
salvezza  aile  navi,  alla  cittadella.  Allora  i  Napolitani  pre- 
sero  a  bombardare  Messina,  nella  quale  opéra  di  yandalica 
distruzione  consumarono  cinque  giorni,   mandando  a  ro- 
rina  templi  e  chiostri,  palagi  e  case  ;   ne   riederono  agit 
âssalti,  se  non  quando  la  videro  ardere  tutta  di  fuoco  di 
jfuerra  e  coperta  di  ferro;  nulla  importava  al  Re  cbe  la 
città  andasse  disfatta,  pur  che  vi  si  spegnesse  la  libertà. 
D  mattino  del  6  giugneva  dinnanzi  a  Messina  la  restante 
parte  deirarmata  di  spedizione  ;  erano  tre  frégate  a  yela, 
tredici  navi  a  vapore,  venti  barche  cannoniere   e   molti 
le^i  minori,  portanti  la  divisione  di  Nunziante  ;  la  quale, 
verso   le.nove  antimeridiane  scendeva  a  terra  in  vici- 
iianza  di  Gontesse,  villaggio  situato  su  la  marina  méridio- 
nale a  due  miglia  dalla  città;  ed  era   nel   suo  sbarcare 
protetta  dalle  artiglierie  délie  navi  e  dal  presidio   délia 
cittadella  uscito  in  buon  numéro  alla    campagna,  duce  il 
maresciallo  Pronio.  Ai  nimici  invadenti,  i  Messinesi  oppo- 
sero  una  resistenza  strenuissima:  onde  la  pugna  fu   osti- 
nata  e  sanguinosa.  La  fortuna  mostrossi  da  prima  favore- 
vole  ai  difensori  délia  libertà^  alla  causa  délia   giustizia  ; 
perô  che  le  genti  di  Pronio,  fulminate  dai  cannoni   bene 
aggiostati    dai   Siciliani,    disordinatesi ,   indietreggiassero 
sino  alla  cittadella;  lo  che  vedutosi  da  Pilangeri,  spingeva 
avanti  speditamente  un  reggimento  di  fanterie  napolitaiie 
e  un  battaglione  dl  Svizzeri,  nel  medesimo  tempo  coman- 
<Jando  alla  brigata  Lanza  di  ferire  la   destra  délie   ordi- 
nanze  nimiche,  e  a  Nunziante  d'assalirne  con  le  artiglierie 
ia  sinistra;  più  numerose  essendo  cosi   le   forze  combat- 
tenti,  maggiore  fu  Teccidio.  AU'urto  impetuoso  degli  assa- 
liton  —  gente  tutta  peritissima  nelle  armi  —  oppongono 
una  resistenza  superiore  ad  ogni  elogio  i  difensori,  per  la 
massima  parte  ignari  di  cose  di  guerra^  ne  per  militare 


Digitized  by  VjOOQIC 


168  CAPITOLO    IV 


disciplina  esercitati  nelle  fatiche  del  campo.  Âl  fulmiaare 
délie  artiglierie  crollano  i  mûri  délie  case,  per  li  rotti  dei 
quali  s'avanzano  i  Napolitani;  e  doye  il   forte   contraste 
dei  nimici  impedisce  loro  di  progredire,  Filangeri  fa  get- 
lare  il  fuoco;  cosi  egli  stesso   ci   lasciô  scritto   nel    suo 
Racconto  istorico  del  racquisto  di  Messina.  Arsa  la  terra 
di  Contesse  e.  attraversato  il  torrente  Bordonaro  non  senza 
combattere,  i  régi   presentansi  dinnanzi   al   villaggio   di 
Gazzi  che,  con  Taiuto  dei  cannoni  délie  jiavi,  se  lo  recano 
in  mano  e  lo  incendiano  :  la  distruzione  segna  dovunqae 
i  loro  passi.  Per  indnrre  i  nimici  a  dietreggiare  o  togliere 
a  questi  la  via  alla  ritratta,  Filangeri  tenta  soprayanzare 
la  sinistra  délie  loro  ordinanze  spingendo  ayanti,    per  la 
marina,  due  battaglioni  di  fanti   e   alcune  artiglierie  da 
montagna  ;  ma  la  resistenza  dei  Siciliani  è  tanto  yigorosa, 
che  i  régi,  dopo  avère  sofferto  gravi  perdite,  si  tolgono 
giù  da  queir  impresa.  DalFaltra   parte   Pronio,  il  qoale. 
uscito   con  sue  genti   dalla  cittadella,   erasi  sforzato  di 
cacciarsi  entre  Messina   —  incessantemente  battuta    dai 
cannoni  di  quella  —  pativa  danno  si  sanguinoso  dal  ber- 
sagliare  vivissimo  dei  difensori,  da  essere  costretto  di  tor- 
nare  addietro  per  timoré  di  piii  grande  rovina.  Il  soprav- 
venire  délia  notte  faceva  sospendere  la  pugna,  per  andici 
ore  combattutasi  con  varia  fortuna,  ma  con  pari  rabbia  e 
valore.  Piraino,  Oommissario  del  poter  esecutivo  del  vallo 
di  Messina,  preveggendo  prossimo  il  fine  del    combattere, 
tanto  disuguale  in  forze,  se  non  gli  giungono  gli  aiuti  pro- 
messigli  da  Palermo,  che  crede  vicini,  prega  i  comandanti 
délie  division!  navali  d'Inghilerra  e  Francia  ancorate  din- 
nanzi alla  città  a  voler  interporre  i  loro   buoni   offici 
presse  il  générale  suprême  dei  nimici  per  una  tregua;  che 
non  fu  possibile  ottenere,  perô  che  Filangeri  demandasse 
la  resa  a  discrezione  di  Messina,  e  i  cittadinl  non  voles- 
sero  senza  guarentigie  sicure  darsi  al  Borbone,  infldo  man- 
tenitore  di  promesse  e  giuramenti  ;  per  la  quale   cosa    al 
sorgere  del  nuovo  giorno  ripigliavansi  le  armi  e  il  com- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.   8ICILIA   S   FEBDINANDO   BOBRONE  169 

battere.  Le  genti  di  Proaio  uscite  dalla  cittadella  venivano 
aile  prese  eoi  difensori  del  sobborgo  di  Zaera,  che  recar 
vansi  in  mano  dopo  averae  coa  yigorosi  aasalti  cacciati  i 
cittadini,  i  quali  di  casa  in.  casa  ritirayansi  pugaando  sem- 
pre,  sebbene  il  numéro  stragrande  dei  Napolitaai  li  oppri- 
messe.  Padroni  del  sobborgo,  i  yincitori  portavansi  sopra 
il  monistero  délia  Maddeleaa,  la  cui  espugaazione  doveva 
schiudere  loro  Tentrata  in  Messina.  Tre  volte  assaltaronlo, 
tre  volte  venaero  ributtati,  e  costretti  d*attendere  che  il 
caonone  rompesse  i  mûri  del  monistero  per  riedere  aile 
offese;  al  quale  ayyicinaronsi  gli  Svizzeri  per  Tassalto  solo 
allora  che  yidero  i  difensori  stremati  di  forze:  ma  sgo- 
mentati  dalle  resistenze  strenuissime  dei  Siciliani,  non  ar- 
dirono  tentarlo,  se  non  quando  seppero  essere  Nunziante 
entrato  in  cittèu  Superati  i  mûri,  gli  Svizzeri  invaditori 
ebbero  a  sostenere  nella  chiesa  stessa  del  monistero  assai 
féroce  combattimento  coi  soUevati,  cui  eransi  uniti  i  mo- 
naci;  i  quali  tutti  poi,  dal  numéro  soverchiante  dei  nimici 
forzati  a  indietreggiare,  cedettero  palmo  a  palmo  il  ter- 
reno,  sino  a  che  pervenuti  in  su  la  piazza  deirospedale  e 
trovatovi  un  cannone  vi  arrestarono  per  alquanto  tempo 
lo  incalzare  dei  Napolitani.  Imbestialiti  questi  per  la  inat- 
teaa  resistenza  dei  vinti  mlsero  fuoco  al  pio  ospizio:  onde, 
quanti  per  la  gravita  délie  ferite  o  délie  malattie  non  po- 
terono  fuggire,  rimasero  consunti  dalle  flamme.  Montre 
tali  vantaggi  ottenevansi  dalla  divisione  di  Pronio,  le  genti 
di  Nunziante,  avanzatesi  per  la  via  di  Gatania  verso  il 
forte  Gonzaga  —  che  senza  colpo  ferire  veniva  in  loro 
potere,  perché  non  munito  di  presidio  -—  occupavano  le 
colline  signoreggianti  la  città,  nella  notte  lasciate  dalla 
schiera  di  La  Masa.  Messina  era  omai  perduta,  awegna- 
chè  superate  dai  nimici  tutte  le  sue  difese,  fosse  divenuto 
impossibile  resistere  piii  a  lungo.  Le  divisioni  di  Pronio  e 
Nunziante  insieme  congiunte  la  allagarono  uccidendo 
quanti  incontravano  con  Tarmi  alla  mano,  e  facendo  strage 
di  vecchi,  fanciulli  e  donne.  Sangue,  incendi  e  rovine  se- 


Digitized  by  VjOOQIC 


170  CAPITOLO   IV 


gnarono  i  passi  del  vincitore;   dovunque   il   saccheggio; 
non  rispettati  i  templi,  rubati  i  vasi  sacri,  uccisi  i  sacer- 
doti  ai  pledi  degli  altari  ;  donne   e  giovanette   da   prima 
violate  fino  nelle  chiese  ove  avevano  cercato  salvezza,  di 
poi  in  crudel  modo  ammazzate.  Troppo  lungo,  e  por   cU 
legge  orribile  troppo,   sarebbe   nàrrare   le  cose   nefande 
oommesse  dalle  soldatesche  del  Borbone  nella  misera  città, 
la  quale  ebbe  a  soffrire  gli  orrori  d*una  presa  per  assalto 
e  d*una  invasione  di  barbari.  I  soldati  di  nazione  incivilita 
rispettano  sempre  e  lodano   il   nimico  che  nel    resistere 
perdura  sino  allô  estremo;  ma  Ferdinando  aveva  gnasti  e 
corrotti  i   suoi  —  Napolitani  e   Svizzeri  —  e   Pilaageri, 
Pronio  e  Nunziante,  per  mostrarsi  proprio  degni  del  loro 
padrone  ed  essergli  sempre  più  bene  accetti,  voUero  al* 
lora  vincere  i   barbari  in  efferatezza.  «  I  nostri  soldati» 
diceva  Landsowne  il  2  febbraio  di  queiranno    1849   nella 
Assemblea  del   Pari   dlnghilterra,  videro   soldati    uccisi, 
fortezze  distrutte,  case  rovinate;  ma  essi  videro  ancoralo 
zoppo,  il  malato,  il  paralitico  strappati    dagli   ospedali   e 
scannati;  donne,    che  avevano  cercato  un  rifugio    nelle 
chiese,  violate  e  uccise;  gente   presa  nelle  campagne,   e 
dove  già  sventolava  la  bandiera  bianca,   trucidata    nelle 
pubbliche  vie  o  su  le  spiaggie  del  mare.  »  Di  taie  grave  ac- 
cusa di  lui  che   presiedeva  ai  Ministri  inglesi,  il  générale 
Filangeri  —  il  quale  tre  giorni  dopo  la  presa  di  Messina 
scriveva  al  Governodel  suo  Re:  gliincendi  sono  cessatU 
giustificavasi  dicendo:  =  Avère  i  Francesi   ad   Austerlitz 
e  a  Jena  commesso  crudeltà  eguali  a  quelle  de*  suoi  sol- 
dati in  Messina.  =  11  Times,  diario  di  Londra   avversis- 
simo  alla  soUevazione  siciliana,  narrando  i  casi  di  quella 
infelice  città,  il  18  ottobre,  diceva  cosi:  «  Gli  incendi,  che 
distrussero  grande  parte  di  Messina,  non  sono   già  tutti 
effetti  délie  bombe  ;  ma  il  fùoco  fù  principalmente  appio- 
cato  dai  soldati  napolitani  con  certe  materie  combustibili» 
uno  degli  istrumenti  di  guerra  del  générale  Filangeri;  il 
quale  aveva  comandato  aile  sue  genti  man  mano  avanzas* 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    SICILIA  S   FEBDIHANDO   BOBBOKB  171 

sero  aelle  vie  di  mettere  fuoco  a  tutti  gli  edifici.  A  taie 
scopo  11  forni  di  fiaschi  di  latta  pieni  di  liquido  infiam- 
mabile»  col  quale  bruciavano  ogni  cosa.  »  In  brève  ora  la 
città  rimase  a  meta  déserta,  per  isfuggire  alla  rabbia  e 
aile  vendette  di  soldati  borbonici,  essendosi  moite  famiglie 
rifugiate  su  le  navi  di  Bretagua  e  Francia,  e  moltissime 
sui  vicini  monti  (1).  Non  ostante  il  cessare  délie  ostilità, 
duré  ancora  a  lungo  il  fulminare  délie  artigliere  con  im- 
mense danno  degli  abitatori;  «  e  per  compiere  vie  meglio 
la  distruzione,  cosi  lord  Palmerston  al  Parlamento  dei  De- 
piitati  inglesi,  di  quanto  le  bombe,  le  granate  e  il  cannone 
non  avevano  potuto  disfare,  entrô  in  Messina  una  schiera 
di  soldati.  »  Guasta  e  consunta  dalle  artiglierie  e  dal  fuoco, 
derubate  le  chiese  e  le  case,  e  persino  i  Monti  di  Pietà  (2X 
roTinati  per  tre  miglia  tutto  airintorno  i  campi  e  arsi  gli 
abituri  dei  contadini,  dopo  una  difesa  eroica  quella  città 
tornava  sotto  la  tirannide  borbonica.  Sfogate  le  ire  e  com- 
piute  le  vendette  il  re  Ferdinando  concedeva  perdôno  ai 
sollevati,  eccetto  perô  ai  sommovitori  e  accordava  a  Mes- 
sina e  a'  suoi  sobborghi  il  privil^io  di  porto  franco  (3). 


(1)  Gli  stessi  officiai!  pnbblici  dei  Grovemo  borbonico  ebbero  nei  loro 
%ritti  a  fur  conoseere  Topera  dévastatrice  dei  soldati  di  Filangeri.  Il 
marchese  di  Gasaibile,  Siadaco  di  Messina,  il  12  settembre  metteva 
faora  il  aegnente  manifeste  ai  cittadini:  u  Dovendosi  dal  Sindaco  di 
qnesta  città  prowedere  agli  alloggi  militari,  e  per  lo  scarso  numéro 
délie  abitazioni  délie  qaali  pa6  fars!  aso,  atantt  le  altre  ineendiate  e 
iûirwtte^  cosi  vengono  invitati  e  pregati  i  cittadini  tntti  che  da  questa 
trovansi  assenti,  le  cni  case  abitabili  sono  chinse,  a  restitnirsi  in  città, 
0  apedîze  persone  di  loro  fiducia  per  aprirle,  e  coadinvare  a  questa  parte 
intéressante  di  reale  servizio.....  » 

(2)  n  Monte  di  Pietà  di  Monticello,  dopo  essere  stato  derubato  dei 
pegni  dai  Borbonici,  veniva  dato  aile  fiamme;  la  parte  maggiore  dei 
bottino  £atto  a  Messina  fa  portata  in  Calabria. 

(3)  n  31  marzo  il  Parlamento  sidliano  aveva  restituito  a  Messina  e 
û  snoi  sobborghi  quel  porto  franco  di  cni  godevano  sino  dal  1784  e 
che  il  re  Ferdinando  aveva  hr  toîto  con  frode  e  violenza. 


Digitizedby  VjOOQ IC 


172  CAPITOLO   IV 


La  aovella  che  una  forte  spedizlone  d*armi  napolitane 
stava  per  assalire  la  Sicilia  —  novella  il  2  settembre  par- 
tecipata  dal  Governo  dell'isola  al  Parlamento  —  veniva 
accolta  e  salutata  dai  Deputati  e  dal  popolo  con  grida  di 
giola  e  di  vero  entusiasmo.  La  vicina  guerra  non  arrivava 
loro  inaspettata,  perô  che  non  avessero  sperato  mai  che 
la  mediazione  inglese  e  1  buoni  offlci  di  Francia  avessero 
potuto  coadurre  a  conciliazione  onorevole  il  re  Ferdiaando 
e  la  Sicilia,  conciliazione  resa  oitremodo  difficile  dairodio 
che  gli  isolani  portavano  a  lui  e  alla  sua  famiglia;  e 
quanto  taie  odio  fosse  fiero  e  intense  lo  prova  il  décrète 
del  Parlamento  per  la  fusione  in  cannoni  délie  statue 
in  bronzo  dei  reali  di  casa  Borbone»  non  pregevoli  corne 
opère  d'arte.  Un  dei  Pari  nello  approvare  quel  décrète 
aveva  dette,  doversi  fondere  quelle  statue,  ancorchè  non 
potessero  dare  fuorchè  il  bronzo  hasteoole  per  unapistola 
da  scaricarsi  contra  il  petto  del  tiranno.  —  Il  grido  dî 
guerra  alzato  a  Palermo  trovô  eco  favorevole  nel  cuore 
di  tutti  i  Siciliani;  ai  quali  il  Governo  rivolse  queste  pa- 
role: «  Una  lieta  notizia  noi  dobbiamo  annunciarvi.  Celui 
che  fu  nostro  tiranno,  perduta  la  speranza  di  spegnere  la 
nostra  liberta  e  la  nostra  indipendenza  nei  lacci  cQploma- 
tici,  tenta  Tultimo  sforzo,  e  prépara  una  nuova  spedizione 
contra  questa  terra,  che  rosseggia  del  sangue  de'suoi  sa- 
telliti,  ed  echeggia  del  grido  dei  nostri  trionfi!  Il  Governo 
si  renderà  degno  con  la  gagliardia  e  la  prudenza  del  po- 
polo cui  è  preposto.  Il  Governo  è  sicuro  deU'appoggio  délie 
Camere,  délia  guardia  nazionale,  deiresercito,  di  tutti  i 
corpi  armati»  di  tutto  il  popolo,  di  questo  popolo,  cui  è 
gioia  lo  annuncio  d*un  nuovo  periglio,  perché  cagione  di 
vittorie  nuove  je  di  nuova  gloria!  Siciliani!  Il  grido  délia 
nostra  soUevazione  trovô  eco  in  tutta  Europa,  destô  i  dor- 
ment!, scorô  i  tristi!  fece  impallidire  i  tiranni.  Uomini  dei 
primo  settembre,  del  12  geunaio,  del  22  febbraio,  uomini 
per  li  quali  non  vi  è  battaglia  senza  vittoria,  all'armi  !  al- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SICILIA   E   FBBDIHANDO   BOBBONE  173 


I*armi!  Goncordia,  abnegazione,  sacriâci  d*ogni  guisa:  ogni 
casa  sia  una  fortezza,  ogni  clttadino  un  milite,  ogni  ferro 
un'ârma.  Vengano,  vengano  i  codardi;  il  turbine  deirira 
nostra  11  spegnerà  in  un  istanteî  » 

Corne  Messina  generosamente  rispondesse  aU'invito  di 
coloro  che  reggevano  i  destini  délia  patria,  or  ora  nar- 
rammo;  corne  rispondesse  la  rimanonte  parte  di  Sicilia 
Tedremo  tra  brève.  —  Il  giorno  in  cui  i  Napolitani  scen- 
devano  neirisola,  una  deputazione  di  Messinesi,  presenta- 
vasi  al  Governo  in  Palermo  per  chiedergli  aiuto  d*armi, 
d'armati  e  di  danaro,  allô  intente  di  soddisfare  ai  bisogni 
délia  guerra,  giusta  le  proposte  délia  Consulta  di  difesa  ; 
e  i  Ministri  concedevanle  subito  danaro,  munizioni  da 
guerra  e  schioppi,  ma  niegavanle  soccorsi  di  soldati,  per 
non  indebolire  il  presidio  délia  metropoli,  che  più  d*ogni 
altra  città  importava  difendere  ;  persuasi  che  lo  sforzo  dei 
nimici  non  sarebbe  stato  volto  a  Messina  —  contra  la 
qMle  essi,  cosi  credevasi,  avrebbero  soltanto  simulato  un 
assalto  per  divertire  l'attenzione  loro  —  sibbene  rivolto  a 
Palermo,  perché  sede  del  Par  lamente  e  del  Governo;  le 
accordavano  per6  mille  uominl  délie  squadre  campagnuole. 
—  Mentre  nel  Parlamento  dei  Comuni  discutevasi  sopra 
i  sussidi  d'inviarsi  a  Messina,  giugneva  per  telegramma 
al  Ministre  su  le  armi  Favviso  dello  sbarco  dei  régi  ;  al- 
lora  i  Deputati,  credendo  che  in  quel  momenti  supremî 
meglio  d'ogni  altra  forma  di  reggimento  avrebbe  prowe- 
duto  alla  salvezza  délia  patria  una  Dittatura  forte  e  co- 
raggiosa,  offrivanla  ai  Ministri;  i  quali  perô  riflutavanla 
afifermando:  =  Bastar  loro  lo  appoggio  del  popolo  e  dei 
SQoi  rappresentanti  ;  verun  pericolo  interne  minacciare  il 
paese;  qualora  imperiosa  nécessita  li  costringesse  a  vio- 
lare  le  leggi  costituzionali,  non  esiterebbero  a  farlo  per 
salvare  la  libertà.  =  Il  giorno  appresso  la  novella,  che 
Messina  aveva  vittoriosamente  combattuto  il  primo  affronte 
coi  nimici,  riempiva  Palermo  di  gioia;  nella  nette  una 
uave  a  vapore  camminava  verso  la  città  assediata  con 


Digitized  by  VjOOQIC 


174  CAPITOLO   IV 


munizioni  da  guerra,  danaro  e  quattrocento  armati,  duce 
La  Masa,  e  nella  notte  del  5  altri  ottocento  partivano  a 
quella  volta.  Le  notizie  del  campo,  a  brevi  intervalli  spe- 
dite  da  Piraino  ai  Ministri^  montre  facevano  conoscere  la 
coraggiosa  resistenza  dei  Messinesi  e  la  deliberazione  da 
essi  fatta  di  vincere  o  morire^  annunciavano  altresi  il 
grave  strazio  che  la  città  pativa  dal  fulminare  incessante 
dei  cannoni  délia  cittadella,  deiresercito  di  spedizione  e 
délie  navi  napolitane.  Il  6  settembre  il  Ministre  sopra  le 
armi,  avvertito,  per  telegramma,  da  Piraino  del  giagnere 
del  grosso  deirarmata  regia,  del  sùblto  sbarcare  délia  di- 
visione  di  Nunziante  e  del  ricominciare  degli  assalti,  spe- 
ditamente  su  nave  a  vapore  mandava  a  Messina  quattro 
battaglioni  di  fanti,  danaro  e  munizioni  da  guerra.  Aile 
tre  pomeridiane  del  giorno  appresso  Palermo  seppe  del 
sacriâcio  dellà  città  sorella,  la  quale  voile  perdere  tutto 
per  salvare  l'onore;  i  régi,  non  potendola  vincere,  per 
riaverla  diedersi  a  disfarla,  a  incenerirla!  Se  i  modi,  coi 
quali  venne  condotta  Timpresa,  fruttarono  vituperio  eterno 
al  re  Ferdinando,  a  Filangeri,  a  Pronio  e  a  Nunziante,  i 
sacriâzi  generosamente  e  con  grande  animo  sostenuti  e 
le  pugne  eroicamente  combattute  fruttarono  ai  Messinesi 
gloria  immortale.  —  La  perdita  di  quella  fortissima  terra, 
sebbene  fosse  una  grave  sventura  nazionale,  un  danno  a 
ripararsi  impossibile,  non  solamente  non  iscoraggi  i  Sici- 
liant,  ma  aggiugnendo  odio  nuovo  aU'odio  antico  verso  la 
signoria  del  Borbone  per  li  barbari  suoi  modi  di  guerreg- 
giare,  accrebbe  nei  fieri  isolani  la  speranza  di  potersi  di- 
fendere  e  sostenere  e  l'ardore  del  combattere^  e  toise  ogni 
via  ad  onesta  conciliazione  con  Napoli.  «  Prima  délie  ro- 
vine  di  Messina,  disse  allora  il  ministre  La  Farina  nel 
Parlamento  siculo,  venire  ai  patti  coi  Borboni  sarebbe 
stato  errore  e  vergogna;  dopo  il  sacriflcio  di  quella  città, 
tradimento  e  infamia.  »  —  Era  tempo  di  risolutamente 
deliberare  e  di  operare  con  fermezza;  e  i  Ministri  sici- 
liani,  traendo  coraggio  dalla  stessa  gravita  del  momento, 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    8ICILIA    K   TJBBDINANDO    BOBBONE  175 


seppero  prendere  partit!  vigoposi,  e  fecero  con  forte  vo- 
lonta  quanto  stette  in  poter  loro  per  la  salute  délia  patria. 
Decretarono  quindi:  =  di  chiamare  ia  su  Tarme  i  licen- 
ziati  dairesercito  regio  dai  1834  in  poi;  di  mobilitare 
parte  délie  guardie  nazionali;  di  conduire  al  solde  loro 
une  0  pib  officiali  generali  stranieri  e  almeno  quaranta 
offlciali  délie  artiglierie  e  degli  ingegneri  militari;  di 
prendere  dai  privati  a  prestito  cavalli  e  muli  per  for- 
nirne  la  cavalleria  e  i  traini;  di  fabbricare  venti  mila 
picche  per  armare  il  popolo  in  mancanza  di  schioppi; 
di  ordinare  il  clero  in  compagnie  per  la  sicurezza  interna 
inquei  Gomuni,  le  cui  guardie  nazionali  dovessero  uscire 
contra  il  nimico;  di  vettovagliare  Palermo  per  cinquanta 
giorni;  di  istituire  Gomitati  di  guerra  nelle  città  lontane 
dalla  sede  del  Ooverno  e  una  Gommissione,  la  quale  avesse 
a  studiai*e  i  luoghi  piii  important!  a  munirsi  d*artiglierie  ; 
in  fine,  di  erigere  in  Palermo  nella  nuova  via  délia  li- 
bertà  un  tempio  a  Nostra  Donna  delta  Vittoria.  =  Per 
raccogliere  le  forze  armate,  allora  molto  sparse  neirisola, 
il  Governo  ordinô  campi  militari  a  Melazzo,  Taormina 
Gatania,  Siracusa,  Girgenti,  Trapani  e  Palermo;  ma  di 
questi  campi  soltanto  quel  di  Taormina  fu  mandate  a  ef- 
fetto,  nel  quale  Pracanica  riuni  buona  parte  dei  difensori 
délia  caduta  Messina:  le  tregue,  fermatesi  poco  di  poi  tra 
i  combattenti,  fecero  sospendere  Teseouzione  del  décrète 
governativo  (1).  —  Lord  Napier  e  il  signore  di  Rayneyal, 


(1)  Helazzo  era  stata  occnpata  da  La  Masa,  il  quale,  corne  scriTemmo 
più  Bopra,  ayeya  con  sue  genti  lasciato  Messina  nella  notte  del  6  al 
7  Bettembre.  Bagginngeyalo  in  Melazzo  Orsini  con  alquanti  offlciali^ 
che  nnitifli  a  consulta  di  gnem  deliberayano  da  prima  di  tenere  quella 
terra,  poco  di  poi  di  lasciarla,  non  potendo  far  fondamento  yemno  su 
le  squadre,  la  cm  militare  disciplina  erasi  moltissimo  allentata.  La  ri- 
tratta  fa  si  precipitosa  da  dimenticare  nel  castello  persino  la  cassa 
nûlitare,  la  quale  con  le  armi,  di  cui  era  quello  bene  fomito,  le  ma- 
Tômoi  e  le  yettoyaglie  yennero  a  mano  dei  régi. 


Digitized  by  VjOOQIC 


176  CAPITOLO   IV 


oratori  d'Inghilterra  e  di  Francia  in  Corte  del  Borbone, 
appena  seppero  délie  sevizie  commesse  dai  régi  in  Mes- 
sina,  in  nome  délia  umaniià  chiesero  ai  Ministri  di  Per- 
dinando,  che  senza  por  tempo  in  mezzo  sospeadessero  le 
ostilità,  sino  a  che  fossero  conosciute  le  delïberazioni  dei 
loro  Oovemi  intomo  alla  paciflcazione  délia  SicUia.  Pa- 
lermo  aveva  di  buon  grade  aderito  alla  tregua  e  accettata 
la  mediazione  anglo-francese  ;  e  Filangeri  avevala  forzata- 
mente  accolta  per  timoré  délie  minaccie;  ma  Napoli  pro- 
testé subito  contra  lo  inframmettersi  di  quei  due  Stati 
nelVoperato  di  un  Governo  libero  e  indipendente  ;  la  quale 
protesta  doveva  di  nécessita  ritardare  la  sommessione  deU'i- 
sola,  che  con  tutta  certezza  si  aspettava.  Non  era  questa 
una  giusta  affermazione,  perô  che  i  régi  tenessero  soltanto 
la  brève  marina  che  da  Scaletta  corre  a  Messina  e  a  Me- 
lazzo;  e  di  queste  ultime  due  terre  avessero  i  régi  oonqui- 
stato  la  prima  dopo  sanguinosissima  lotta,  Taltra  senza  gloria 
aflTatto,  perché  non  munita  di  presidio.  Invero  al  Re  tor- 
navano  d*assai  grave  svantaggio  le  tregue  impostegli  da 
Bretagna  e  da  Francia;  il  sospendersi  délia  guerra,  mon- 
tre scemava  dimolto  ne'suoi  soldati  l'entusiasmo  délia 
vittoria  di  Messina,  dava  allora  tempo  al  Governo  sici- 
liano  d'apprestare  nuove  armi,  d'accrescere  le  difese  e  di 
riparare,  in  parte  almeno,  ai  danni  arrecatigli  délia  per- 
dita  di  quella  città. 

n  Borbone,  quando  gli  pervenne  la  novella  dello  appro- 
dar  felice  delFesercito  di  spedizione  alllsola  e  del  primo 
affronte  da  esso  combattuto  coi  Siciliani  —  che  fu  nella 
nette  del  4  settembre  —  forse  di  sua  opéra  malvagia  ver- 
gognando  davanti  ai  rappresentanti  del  Paese,  o  per  non 
vedersi  da  questi  opporre  ostacoli  airimpresa  prospera- 
mente  cominciata,  il  Borbone,  io  dico,  deliberava  di  pro- 
rogare  il  Parlamento.  Il  mattino  del  5,  poco  prima  del 
raccogliersi  delFAssemblea,  quanto  eravi  di  piii  vile  e 
spregevole  nella  plèbe  napolitana  percorreva  le  vie  con- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   8IGILIA   S   FSBDINANDO    BOBBONE  177 

tigue  al  palazzo  sede  del  ParlamentOy  alzaado  gridi  feroci 
di  morte  ai  Deputati,  allô  scopo  di  impedire  il  loro  adu- 
aarsi.  Punto  intimoriti  dalle  minaccie  délia  plebaglia  bor- 
bonica,  numéros i  recaronsi  aU'Assemblea  (1),  che  pochi 
istanti  dopo  lasciarouo,  licenziati  dal  ministro  Ruggero,  in 
forza  del  regio  decreto,  col  quale  veniva  slno  al  cadere 
del  novembre  prorogato  il  Parlamento.  La  brutta  sceoa 
del  mattino  rinnovossi  in  quel  giorno  più  tardi  e  dal  più 
turpe  popolaccio  rappresentata;  erano  donne  di  malo  af- 
fare,  uomini  avanzo  di  prigioni  e  riâuto  d*ogni  società^ 
birri  e  soldati  che  correvano  tutta  Napoli  condotti  da  un 
prête,  il  quale  agitava  al  veDto  un  lenzuolo  appeso  a  una 
pertica,  e  sudicio  quanto  Tanirna  di  quella  gente  perduta, 
che  in  mezzo  a  gridi  sediziosi  faceva  udire  gli  evviva  al 
Re,  Al  suo  avvicinarsi  i  cittadini  fuggivano  spaventati; 
indovlnando  le  disoneste  mire  del  Governo,  che  per  quella 
prezzolata  canaglia  tentava  spingerli  a  tumulto  e  dare  po- 
scia  al  sacco  la  terra  e  forse  aile  stragi,  chiudevansi  entre 
lor  case.  I  Lazzeroni  dei  quartier!  di  Montecalvario  e  Pi- 
gnasecca  con  la  bandiera  ai  colori  nazionali  mossero  in- 
contro  a  quella  mala  gente,  e  trovatala  poco  lungi  dal 
palazzo  regio,  gridando  viva  il  Re,  viva  la  Costituzioney 
l'urtô  con  tanto  impeto  da  romperla  sîibito  e  mapdarla  in 
fuga.  Il  Governo,  che  attente  vigilava,  visto  che  a*  suoi 
venduti  toccava  la  peggiore,  spediva  loro  aiuto  di  solda- 
tesche;  le  quali  usarono  le  armi  non  contra  i  promovitori 
di  tumulto,  ma  contra  i  provocati  :  onde  dei  Lazzeroni 
caddero  morti,  feriti  e  alcuni  furono  condotti  in  carcere; 
allora  ogni  cosa  tornô  alla  quiète.  Fallito  il  tentative  di 
levare  la  città  a  romore  e  i  cittadini  contra  gli  ordini  co- 
stituzionali,  il  ministre  Bozzelli  —  secreto  concitatore  a 
sedizione  —  passava  alla  istruzione  pubblica  e  Langobardi 


(1)  Qael  gionio  i  Députât!  contaronsi  centoBstte;  quanti  non  eransi 
raccolti  mai  a  Parlamento  durante  quella  sessione. 

12  —  Vol.  n.  MA11IA5T  —  Skwria  poU  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


178  CAPITOLO   IT 


diyentava  Ministro  sopra  gli  affari  esterai.  —  La  norella 
del  racquisto  di  Messina  riempi  di  gioia  il  re  Ferdinando 
e  i  suoi  consiglieri,  racquisto  che  largamente  compensolU 
del  danno  délia  non  avrenuta  sommossa,  la  quale  dovera 
lor  porgere  il  pretesto  di  togliere  al  reame  le  franchigie 
costituzionali  e  farla  flnita  coa  la  libertà.  Ma  quella  gioia 
fu  di  11  a  poco  contristata  dalle  tregue  siciliane  ingiante 
a  Napoli  da  Inghilterra  e  da  Francia  con  modi,  se  non 
imperiosi,  certo  pieni  di  minaccie;  le  quali  tregue,  uello 
aspettamento  di  quanto  gli  Stati  mediatori  avrebbero  riso- 
luto,  in  générale  per  paciâcare  Tltalia,  in  particolare  poi 
per  la  Sicilia,  dovevano  impedire  il  rinnovarsi  nelle  attire 
paru  deWisola  le  ributtanti  scène  di  devastazione  avte- 
nute  in  Messina,  corne  Tammiraglio  Parker  ebbe  a  scri- 
vere  a  lord  Napier.  Sottoscrissero  le  tregue  per  Ferdinando 
Borbone  il  générale  Filangeri  ;  per  Sicilia,  il  ministro  Tor- 
rearsa;  per  Francia,  Tammiraglio  Baudin;  e  per  Bretagna, 
l'ammiraglio  Parker;  patti  di  quelle  furono:  =  Che  i  régi 
dovessero  tenere  la  contrada  terminata  dal  mare  e  dalla 
linea,  la  quale  dal  congiungersi  délia  via  Barcellona  con 
la  via  di  Patti,  passa  per  Barcellona,  Gentineo,  Pozzo  di 
Gotto,  le  sommità  dei  monti  di  Rosimano,  Artalia  e  scende 
alla  marina  di  Scaletta;  che  la  linea  dei  campi  siciliani 
dal  capo  Tindaro  —  tra  Barcellona  e  Patti  —  avesse  a 
passare  per  Oastelnuovo,  Trifù,  Noara,  Graniti,  Mola  e 
finire  al  capo  di  Taormina,  a  mezzogiorno  di  Scaletta: 
rimanendo  poi  neutrale  il  paese  situato  tra  i  campi  borbo- 
nici  e  siculi,  e  da  reggersi  giusta  le  leggi  del  govemo 
deirisola,  cui  dovevano  obbedire  i  pubblici  officiali;  che  le 
imposte,  da  questi  riscosse,  dovessero  per  li  consoli  fran- 
cesi  e  inglesi  spedirsi  a  Messina  allô  scopo  di  soccorrere 
gli  abitanti,  che  durante  la  guerra  avevano  sofferto  i  mag- 
giori  danni;  in  fine,  Sicilia  e  Napoli  tenessero  sospese  le 
armi  sino  a  che,  disdette  le  tregue  dieci  giornî  innanzi 
dagli  ammiragli  di  Bretagna  e  Francia,  si  potesse  venire 
a  nuova  guerra  senza  offendere  quoi  patti  =  La  mala  riu- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  8ICILIÀ   S   FSRDINAKBO   BOBBONS  179 

sclta  del  tentatiyo  del  5  settembre  aveva  reso  il  Borbone 
piu  circospetto;  e  sebbene  ei  fosse  d'ogni  indugio  insoffe- 
rente,  nondimeno  per  assicararsi  Tesito  che  egli  voleva 
raggiungere,  finse  di  non  avversare  quelle  libertà,  che,  il 
giorno  stesso  in  cui  erano  state  da  lui  concesse  ai  sudditi, 
aveva  deliberato  di  spegnere  al  primo  offrirglisi  di  occa- 
sione  favorevole.  I  Deputati,  ai  quali  non  era  tornato  dif- 
ficile cosa  lo  indovinare  i  segreti  disegni  del  Re,  prepa- 
raroosi  a  combatterli  in  Parlamento,  che  di  li  a  brevi 
giorni  dovevasi  raccogliere;  ma  Ferdinando  Borbone,  al- 
lora  in  Gaeta  a  festeggiare  il  Pontefice  fuggitivo  di  Roma, 
non  credendosi  bene  apparecchiato  alla  lotta,  il  30  novem- 
bre spediva  ai  Ministri  suoi  un  décrète»  col  quale  proro- 
gava  TAssemblea  al  primo  febbraio  del  prossimo  anno. 

Mentre  tali  fatti  compivansi  in  Napoli,  il  Governo  sici- 
liano  intendeva  tutte  sue  cure  a  preparare  la  guerra,  che 
bene  prevedeva  non  lontana.  Riordinato  e  portato  a  nu- 
méro Tesercito  con  nuova  leva  e  coi  licenzlati  da  quelle 
del  Borbone  e  rimandati  gli  ufflciali  ritenuti  inabili  per 
difetto  di  studio  o  poca  attitudine  al  mestiere  délie  armi, 
creava  inspettore  suprême  di  esso  il  générale  Antonini, 
con  titolo  e  grade  di  maresciallo;  e  siccome  egli  era  sol- 
dato  vecchio  e  provato  (1),  cosi  veniva  bene  accolto  dal 
popolo;  in  fine,  chiamaya  in  Sicilia  Luigi  Mieroslawski, 
uomo  svisceratissimo  délia  libertà  e  pratico  délie  guerre 
di  popolo,  nominatolo  brigadiere,  ponevalo  a  capo  dello 
Stato  Maggiore  générale  délie  forze  armate  regolari.  An- 
tonini e  Mieroslawski,  i  quali  avrebbero  dovuto  operare 
sempre  in  buono  accorde  nell'interesse  del  paese  che  ave- 
vali  soldat],  e  per  quelle  eziandio  d^la  causa  che  difen- 
devano,  invidi  l'une  deU'altro  deirofflcio  lor  conferito  dal 


(1)  n  générale  Antonini,  combattendo  pochi  mesi  innanzi  nelle  Ve- 
nezie,  avea  perduto  un  biaccio. 


Digitized  by  VjOOQIC 


180  OAPITOLO   IV 


Governo,  e  ambiziosi  deirautorità  suprema,  tentarono  so- 
praffarsi  a  vicenda.  Antonini  aveva  cercato  di  recarsi  in 
mano  il  governo  di  tutte  le  armi  deirisola,  che  perô  non 
gli  fu  coûferito  mai,  reputandosi  essere  Tanità  del  comando 
di  pericolo  alla  libertà,  awegnachè  possa  facilmente  mu- 
tarsi  in  dittatura  militare.  Offeso  dal  diniego  dei  Ministri, 
il  générale,  fatta  rinuncia  al  proprio  offlcio,   partissi  di 
Slcilia  ;  allora  il  governo  prese  al  soldo  De  Trobriand,  un 
vecchio  soldato  délia  Repubbiica  francese  e  del  primo  im- 
perio  napoleonico;  11  quale,  creato  maresciallo,  assunse  il 
comando  deiresercito.  Nel  gennaio  1849,  le  forze  armat<^ 
regolarl  contavano  quattordici  mila  uomini;  le  irr^folari, 
cinque  mila;  in  oltre  trovavasi  agli  stipendi  délia  Sicilia 
un  battaglione  di  volontari  francesi  e  polacchi,  seicento 
allô  incirca;  i  cannoni  (Ja  campo  erano  ordinati  in  due 
brigate;  gli  artiglieri  presidianti  le  fortezze,  in  tre.  L'ar- 
mata  constava  di  due'^  navi  a  vapore  e  moite  barche  can* 
noniere,   e  doveva  poi  tra  non  molto  afforzarsi   di  diie 
frégate  a  vapore,  comperate  dal  Governo  nei  cantieri  di 
Londra  ;  ma  di  queste  una  sola  giunse  a  Palermo,  e  fu  in 
sul  cadere  del  marzo  ;  airaltra  venne  impedita  Tandata  a 
Sicilia  da  Castelcicale,  oratore  napolitano  in  Cîorte  d'In- 
ghil terra;  il  quale,  mettendo  innanzi  la  legge  che  proibiva 
ai  sudditi  inglesi  d*armare,  senza  licenza  regia,  sul  terri- 
torio  britanno  navi  a  danno  di  uno  Stato  amico,  chiama- 
vane  1  costruttori  davanti  al  tribunale;  i  quali  poi  erano 
rimandati  assolti.  Il  Governo  siciliano  avrebbe  bene  prov* 
veduto  alla  guerra  comperando  navi  usate,  che  in  brevi 
giorni  sarebbersi   potute  apprestare  alla  difesa  dell'isola; 
acquistandole  sui  cantieri  furono  di  veruno  aiuto,  a  cagione 
del  molto  tempo  che  abbisognô  per  compierle  e  armarle. 
—  Gli  Stati  mediatori,  i  cui  buoni  offlci  avevano  sine  al- 
lora a  nuUa  approdato,  erano  tra  loro  discordi  nei  mezzl 
di  paciâcazione;  Tlnghilterra,   avversa  alla  restaurazion^ 
del  re  Ferdinando  neirisola,  resavi  omai  impossibile  dalle 
stragi  di  Messina,  dopo  il  riâuto  del  Duca  di  Genova,   rt^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SICILIA   B   FBBDIKAKDO   BOBBOXB  181 

patara  unica  via  Ai  raggiungere  la  pace  quella  che,  mon* 
tre  conduceva  alla  separazione  di  Napoli  la  sollevata  Si- 
cilla,  ne  dava  la  corona  ad  un  fig^liuolo  del  Borbone,  il 
quale  avrebbe  dovuto  regnaresovr'essacon  la  costitusione 
del  1812;  allo  incontro  la  Francia,  pur  desiderosa  di  ve- 
dere  presto  pacificata  Tltalia,  proponeva  che  la  Sicilia 
avesse  Parlamento,  amminlstrazione,  esercito  proprio,  ma 
che  le  due  corone  si  portassero  da  un  solo  principe.  Se 
non  che  i  Siciliani,  i  quali  non  volevano  più  sapere  di  si- 
gnoria  borbonica,  avevano  niegato  di  accettare  quelle  pro- 
poste; e  il  re  Perdinando,  che  non  rioonosceva  in  rerun 
Governo  straniero  il  diritto  d'intervenire  nella  contesa  coi 
sudditi  suoi  e  rispettava  le  tregue  di  Messina  soltanto  per 
timoré  délie  armate  di  Francia  e  d'Inghilterra,  aveva  bu- 
perbamente  respinto  quanto  dai  Ministri  di  Parigi  e  di 
Londra  eragli  stato  messo  innanzi.  Il  16  dicembre  il  signor 
di  Rayneval  e  lord  Temple  —  inviato  a  Napoli  da  Palmer- 
ston,  allora  accostatosi  aile  proposte  francesi  —  presenta- 
vaao  al  principe  di  Cariati  Vultimatum  dei  loro  Ooverni, 
nel  quale  affermavasi:  —  Potersi  ristabilire  pace  e  con- 
cordia  tra  i  due  reami  mediante  istituzioni  politiche,  ammi- 
nistrazione,  Parlamento  ed  esercito  separati,  sotto  un  unico 
8o^Tano.  =  11  Ministre  di  Ferdinando  rispondevaaquellicosi- 
=  Il  Re  essore  conyinto  délia  impossibiiità  di  raggiugnere 
lo  intente  desiderato,  se  non  per  mezzo  délia  unione  délie 
forze  di  terra  e  di  mare  di  Napoli  e  Sicilia  ;  le  opinion!  di 
Pranciae  d'Inghilterra,  in  taie  faccenda,  contraddire  a  quelle 
del  Re,  suo  signore,  e  aile  urgenti  nécessita  dell'isola.  Av- 
vertirli,  che  nelle  conferenze  da  tenersi  per  risolvore  sopra 
la  questione  siciliana  coi  rappresentanti  degli  Stati  media- 
tori  dovranno  eziandio  intervenire  quelli  d'Austria  e  di 
Russia,  che  nei  trattati  del  1815  ébbero  a  gxmrentire  alla 
fnonarchia  borbonica  il  possesso  e  la  integrttà  délie  Due 
SicUie.  =  Rayneval  e  Temple  replicavano:  =  Argomento 
principalissimo  del  Re  contra  la  separazione  deiresercito 
e  deirarmata  di  Sicilia  e  di  Napoli  essore  la    difflcoltà  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


182  CAPITOLO   lY 


soldare  gente  nell'isola;  la  quale  farebbe  si  che  in  sul 
principio  l'uno  e  l'altra  sarebbero  composti  soltanto  di  na- 
politani.  Superata  con  lo  andare  del  tempo  taie  difflcoltà, 
e  facondosi  le  levé  in  ragione  di  popolazione,  avverrebbe 
che  nelle  armi  Telemento  napolitano  troverebbesi  sempre 
prépondérante  dimolto;  perô  che  il  reame  di  Napoli  fosse 
in  abitanti  tre  volte  tanto  quel  di  Sicilia,  le  cui  libertà 
non  sarebbero  perciô  mai  bastevolmente  guarentite.  La 
sospensione  délie  ostilità  essere  stata  creduta  necessaria 
per  non  lasciare  l'isola  aU'esercito  minacciosamente  inva- 
dente,  il  barbare  operato  del  quale  aveva  mosso  nuovi  odi 
nella  Sicilia,  I  Governi  di  Londra  e  di  Parigi  volere  bensi 
usare  di  tutta  la  loro  superiorità  e  amicizia  per  ricon- 
durre  a  pace  i  combattenti  ;  ma  per  raggiugnere  taie  scopo 
non  volere  servirai  mai  délia  forza.  =  Di  quale  vantaggio 
poteva  dunque  essere  alla  Sicilia  una  mediazione  pura- 
mente  offlciosa?  Russia,  la  quale  aveva  mosso  grave  cen- 
sura all'operato  degli  Statî  mediatori  per  le  tregue  di 
Messina,  reputandole  offensive  alla  indipendenza  di  Napoli, 
difendeva  il  re  Ferdinando;  ond'esso,  forte  di  si  valido 
appoggio,  irridendosi  di  Bretagna  e  Francia,  protestava^li 
voler  nuUa  concedere  ai  ribelli. 

Di  quel  giorni  la  libertà  andava  sempre  più  perdendo 
del  campo  in  Europa,  eccetto  in  Italia,  ove  perô  a  mala 
pena  si  sosteneva;  dovunque  duravano  le  simpatie  dei  po- 
poli  per  la  causa  siciliana,  ma  erano  tutte  sterili,  avve- 
gnachè  nessuno  di  essi  la  potesse  soccorrere  d'armi.  Sar^ 
degna  e  Venezia  afTorzavano  bensi  Tesercito,  ma  per  uscire 
alla  campagna  contra  TAustria,  la  quale  se  non  assaltavâ 
l'émula  sua,  premeva  perô  fortemente  ;  e  Roma  e  Toscana 
avevano  poche  soldatesche  e  maie  ordinate.  Quale  cosa 
pertanto  rimaneva  ai  Siciliani,  se  non  sommettersi  o  pre- 
parare  la  guerra?  Chiamati  a  deliberare  gridarono  una- 
nimi  la  resistenza.  —  Il  re  Ferdinando,  respinte  le  pro- 
poste d'Inghilterra  e  di  Francia,  il  28  febbraio  offriva  a 
Sicilia  la  pace  con  le  seguenti  concessioni  :  =  Istitazioni 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    SJCILIA   S   FSBDI17A17DO   BOBBONB  183 

politiche  separate  e  spéciale  Parlamento;  in  sua  assenza 
il  Re  farebbesi  rappresentare  da  ud  yicerè,  cui  darebbe 
quelle  attribùzioni  e  quei  poteri  che  sarebbe  per  determi- 
nare.  L*ammiiiistrazione  interna  verrebbe  affatto  separata  ; 
donde  la  cessazione  d'ogni  promiscuità  d*officiali  negli  or- 
dini  civili,  cioè  che  in  Sicilia  tutti  gli  uffizi  sarebbero  oc- 
cupai da  Siciliani  eletti  dal  Re.  Le  spese  comuni  aile  Due 
Sicilie  si  ripartirebbero  tra  le  due  parti  del  reame  nella 
proporzione  numerica  dei  loro  abitanti,  o  flssate  a  tre  mi- 
lioni  annui  di  ducati;  gli  esiti  straordinariy  cui  avevano 
dato  luogo  gli  avvenimenti  del  1848  e  1849  —  erano  le  spese 
délia  guerra  sostenute  da  Napoli,  un  milione  e  mezzo  di 
ducati  —  da  pagarsi  dalla  Sicilia.  Amnistia  piena  e  in- 
tiera  (1),  eccetto  a  quarantaquattro  Siciliani,  i  quali  dove- 
vano  temporaneamente  allontanarsi  dairisola,  sino  a  che 
la  tranquillità  vi  fosse  ristabilita.  Le  milizie  régie,  oltre 
le  terre  che  già  tenevano  in  Sicilia,  presidierebbero  Sira- 
cusa,  Trapani  e  i  forti  di  Gatania.  Il  Re  afflderebbe  a 
tempo  la  tutela  deirprdine  in  Palermo  aile  guardie  nazio- 
nali  délia  città,  mettendoyi  perô  un  presidio  di  sue  solda - 
lesche  per  difendere  le  persone  e  gli  averi,  qualora  se  ne 
mostrassero  inette  le  guardie  nazionali,  nel  quale  caso  ver- 
rebbero  queste  licenziate.  Tali  concession!  poi  intendereb- 
bersi  corne  ne  promesse  ne  fatte,  se  la  Sicilia  non  si 
sommettesse  immediatamente  airautorità  del  legittimo  so- 
vrano;  imperciocchè,  se  Tesercito  regio  dovesse  usare  la 
forza  per  lo  acquisto  délia  parte  delFisola  non  ancora  oc- 
cupata,  questa  esporrebbesi  a  tutti  i  danni  délia  guerra  e 
alla  perdita  dei  vantaggi  assicuratile  dalle  presenti  con- 
cessionl.  =  Vuliimatum  di  Gaeta  venue  il  6  marzo  tras- 
messo  al  Ministre  siciliano  sopra   gli  affari  esterni  dagli 


(1)  Non  ostante  la  pienezza  dell'ammstia  escludeyansi  da  questa 
quarantaquattro  Siciliani,  qnelli  cioè  che  nei  rivolgimenti  dell'iaola  aye> 
Tano  avuto  la  parte  maggiore. 


Digitized  by  VjOOQIC 


184  CAPITOLO   IV 


ammlragli  Parker  e  Baudin.  —  I  rappresentaiiti  degli 
Stàti  medîatori  avevano  di  quei  giorni  riceyuto  dai  loro 
Ooverni  nuove  prescrizioni  sul  modo  di  condursi  nella 
quistione  sîcula;  quali  le  cagioni  di  si  poco  leale  mu- 
tamento?  In  Francia  la  poliUca  aveva  avuto  da  Luigi 
l^apoleone  ua  avviamento  ostile  aile  lîbertà  popolari; 
il  nepote  del  grande  capitano,  appena  gridato  Présidente 
délia  Repubblica,  aveva  rivolto  in  sua  mente  la  restaura- 
zione  deirimperio:  onde  per  non  aversi  nell'ardua  impresa 
nimici  i  regnanti  in  Europa  erasi  fatto  sostenitore  dei  loro 
dirittiy  anche  se  danneggiassero  ai  popoli;  e  da  prima 
prendeva  a  favoroggiare  la  causa  di  Perdinando  di  Napoli, 
di  poi  quellà  del  Ponteftce,  provvedendo  cosi  vantaggiosa- 
mente  agli  ambiziosi  suoi  disegni,  assai  maie  perô  alla  sua 
fama.  L'Inghilterra  poi,  la  quale  per  indipendenza  di  na- 
zioni  non  fece  guerre  mai,  e  in  contese  straniere  inter- 
venue allora  soltanto  che  vide  minacciati  i  propri  interessi, 
non  indugiô  a  seguire  le  idée  di  Francia  nella  paciflca- 
zione  di  Sicilia  e  Napoli,  non  estante  che  la  via  segnata 
dallo  Stato  compagne  suo  nella  mediazione  fosse  poco  ono- 
revole.  Prova  di  ciô  il  diniego  del  Governo  del  Buonapane 
alla  uscita  di  Marsiglia  délie  artiglierie  comperate  dai 
Siciliani;  il  passe  per  Francia  impedito  agli  Svizzeri  sol- 
dati  da  quelli  ;  Tordine  date  ai  suoi  legni  a  vapore  postali 
di  non  approdare  ai  porti  dell'isola,  quando  fossero  riprese 
le  ostilità;  ed  eziandio  quelle  di  far  sparire  o  di  aprire  le 
lettere  dei  Commissari  siciliani  allora  in  Parigi,  Le  quali 
indegne  vessazioni  e  ingiuste  molestie  facevano  conoscere 
quanto  il  Présidente  délia  grande  Repubblica  fosse  poco 
inchino  a  difendere  le  libertà  popolari:  invero  rivelavano 
l'uomo  del  2  dicembre!  Gli  Stati  médiate  ri  non  guarenti- 
rono  nemmeno  lo  Statuto,  che  il  Borbone  aveva  promesse 
di  concedere  tra  quattro  mesi,  cioè  quando  l'isola,  posate 
le  armi,  fosse  con  tutte  le  sue  fortezze  venuta  a  mano  del- 
Tesercito  regîo.  Se  nel  1815  il  Governo  inglese,  soscrivendo 
i  trattati  di  Vienna,  erasi  fatto  mallevadore  del  possesso 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SICILIA  E    FSRDINANDO   BOBBONE  185 

pieno  e  intero  del  reame  délie  Due  Sicilie  alla  dinastia  dei 
Borboni,  aveva  poi  altresi  guarentito  alla  Sicilia  la  costi- 
tuzione  del  1812  ;  Inghilterra  e  Prancia,  dt)po  avère  gridato 
contra  le  sevizie  commesse  dai  soldati  del  re  Ferdinando 
inMessina  e  incoraggiato  gli  isolanialevarsi  in  su  l'arme 
pertogliersi  alla  tirannide  borbonica,  abbandouavano  al- 
loracon  grande  vituperio  quella  bandiera,  che  pochi  mesl 
inoanzi  avevano  riconosciuta  e  salutata.  Ad  accrescero  tal 
Tituperio,  che  già  fortemente  pesava  sul  Governo  di  Napo- 
leone,  Tammiraglio  Baudin,  per  comandamento  del  signore 
di  Rayneval,  spediva  una  nave  a  vapore  a  spargere  nelle 
città  siedenti  su  la  marina  sicula  il  manifeste  délie  con- 
cessioni  del  re  Ferdinando;  la  quale  cosa mosse  giustamente 
gli  sdegni  dei  Palermitani,  i  quali,  ritenendo  a  buon  di- 
ritto  offesa  la  dignità  délia  nazione  e  del  Governo,  in- 
sieme  ai  manifesti  del  Borbone  avrebbero  arse  le  insegne 
dei  consoli  d'Inghilterra  e  di  Francia,  se  cittadini  autore- 
voli  non  fossero  intervenuti  a  impedire  quell'insulto,  che 
avrebbe  potuto  crear  loro  gravi  irabarazzi.  Dovunque  il 
popolo  diede  quei  manifesti  al  fuoco  alla  presenza  dei  ma- 
rinai francesi  e  in  mezzo  ai  gridi  dell'entusiasmo  piii  ar- 
dente di  guerra  ai  Borboni,  In  taie  faccenda  Buonaparte  e 
Palmerston  governaronsi  senza  umanità  e  molto  slealmente  ; 
avyegnachè  lor  poco  importasse  di  gettare  l'isola  negli 
orrori  di  una  guerra  civile,  pur  di  mettere  presto  fine  a 
quella  lotta,  che  per  le  gravi  sue  spese  era  sommamente 
dannosa  al  Re:  cosi  il  15  marzo  scriveva  Baudin  al  Mi- 
nistre siciliano  Butera.  Il  quale,  cinque  giorni  di  poi,  agli 
^miragli  di  Francia  e  Bretagna,  significantigli:  che  se 
Ferdinando  Borbone  si  impazientisse  délie  tregue,  glà  da 
Inngo  tempo  fermate,  dovesse  ritenerle  disdette  dal  19 
ïûarzo,  rispondeva  fleramente:  =  Potere  il  Re  ripigUare 
le  ostilità  all'alba  del  29,  come  il  Governo  dell'isola  tro- 
vavasi  nel  pieno  diritto  di  riprendere  le  armi  in  quel 
giorno.  =  Il  23  marzo  1  Ministri,  venuti  in  Parlamento, 
^Qunziavano  ai  rappresentanti  del  popolo  di  avère  rice- 


Digitized  by  VjOOQIC 


186  CAPITOLO   IV 


vuto  nel  mattino  alcuni  articoli  co^ne  ultimatum  del  Re 
di  Napoliy  identici  a  quslli  delVatto  di  Gaeta,  ma  cfie  essi 
non  potevano  portare  al  cospetto  dei  Députait  délia  na- 
zione.  Interpellati  questi  se  desideravano  leggerli,  Raeli 
rispondeva:  «  Noi  li  conosciamo,  per  essere  stati  pubblicati 
da  chi  non  ne  aveva  il  carico  ;  la  risposta  già  tutta  la  Si- 
cilia  rha  data,  e  il  Parlamento  non  puô  darne  altra  che 
questa:  guerra!  »  Allora  i  Deputati  levaronsi  a  gridare: 
guerra!  guerra!  e  il  popolo,  cola  raccolto,  ripetè  quel  grido 
col  più  grande  entusiasmo.  —  La  novella  del  prossimo  ri- 
cominciarsi  délie  ostilità  venue  in  tutte  le  parti  dell'isola 
festeggiata  cou  luminarie  e  canti  guerrieri,  cui  accompa- 
gnossi  il  suono  dei  sacri  bronzi.  Fu  scritto  che  di  quai 
giorni  non  delitti,  ne  tumulti,  ne  disordini  turbarono  la 
gioia  universale;  che  parve  spento  ogni  odio;  deposta  ogni 
inimicizia  e  ogni  ira;  dimenticato  ogni  rancore;  gli  uomini 
erano  diventati  fratelli;  unico  pensiero  era  la  salvezza  délia 
patria,  alla  quale  avevano  rivolto  tutte  le  loro  cure- 
Il  Governo  dell'isola,  credendo  che  tosto  o  tardi  lo  sforzo 
armato  dei  régi  sarebbesi  portato  sopra  Palermo,  deliberô 
munirla  di  valide  difese  ;  al  quale  intente  désigna  di  sca- 
varo  fossi  e  innalzare  un  vallo  dal  lato  di  mezzogiorno  e 
fuor  délie  mura,  chiamando  al  lavoro  gli  abitanti,  i  quali 
in  gran  numéro  risposero  all'appello  dei  loro  supremi  reg- 
gitori.  Vidersi  in  quoi  giorni  persone  d'ogni  ordine  e  stato, 
d'ogni  età,  di  ogni  sesso  e  condizione  sostenere  aspre  fa- 
tiche,  cui  non  erano  state  usate  mai  ;  vidersi  insieme  con- 
fusi  sacerdoti  e  soldati,  patrizi  e  plebei,  ricchi  e  poveri 
in  generosa  concordia  gareggiare  nel  lavoro;  e  venue 
eziandio  gente  dalle  campagne  circostanti  alla  città  a  dare 
aiuto  all'opera,  onde  questa  fu  condotta  a  termine  in  bre- 
vissimo  tempo:  è  fama,  abbiano  lavorato  attorno  aile  for- 
tificazioni  da  cinquanta  mila  persone.  In  mezzo  al  romore 
incessante  degli  istrumenti  da  lavoro  udivansi  migliaia  e 
migliaia  di  voci  cantare  inni  di  guerra;  altre,  maledire  al 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SICILIA   B   FBBDINANDO   BOBBONB  187 

Borbone;  tutte  poi  augurare  la  vittoria  aile  armi  patrie. 
E  queste  impugnavano  gli  studenti  deiruniversità,  i  quali, 
ordinati  in  legione,  il  30  di  quel  mese  di  marzo  andavano 
a  campeggiare  Misilmeri.  Tre  giorni  innanzi  il  battaglione 
di  guardie  nazionali  mobilitate  erasi  recato  a  presidiare 
Termini.  Il  clero  palermitano,  non  volendo  essere  da  meno 
de'  suoi  concittadini  nel  servire  la  patria»  diedesi  a  predi- 
care  al  popolo  la  perseveranza  e  la  fermezza  nel  difendere 
la  libertà;  in  dire,  a  raccogliere  elemosine  e  doni  per 
soccorrere  le  famiglie,  cai  la  guerra  aveva  tolto  Tunico 
sostegno;  in  fine,  a  curare  i  feriti  e  portare  i  conforti  délia 
religione  a  chi  cadeva  combattendo.  —  Mentre  dai  Sici- 
liani  apparecchiavansi  le  resistenze  e  dal  générale  Filan- 
geri  apprestavansi  contra  quelli  le  oflfese,  il  Borbone  li- 
cenziava  i  rappresentanti  del  popolo;  i  quali,  al  primo 
riuriirsi  a  Parlamento  —  e  fu  in  sul  cominciare  del  febbraio 
—  avevanlo  supplicato  d'allontanare  da  se  i  Ministri,  che 
allora  governavano  lo  Stato,  perché  indegni  di  tanto  offi- 
cie, e  di  eleggere  poscia  a  consiglieri  suoi  uomini  onesti 
e  che  godessero  délia  fiducia  popolare.  Il  Re,  non  solamente 
niego  soddisfare  a  taie  giusta  richiesta,  ma  non  voile 
nemmeno  ricevere  la  demanda  da  quelli  dettata  in  termini 
rispettosamente  dignitosi;  e  anzi,  dopo  averli  lasciati  per 
alquanti  giorni  discutere  e  approvare  buone  l^gi  —  che 
noû  dovevano  perô  avère  mai  la  regia  sanzione  —  a  mezzo 
il  mese  di  marzo,  e  proprio  quando  era  vicino  il  rinnovarsi 
délia  guerra,  rimandolli  a  loro  case.  Questo  atto  som- 
mamente  audace,  che  in  altri  principi  sarebbe  stato  la 
espressione  di  sicurezza  interna,  era  nel  Borbone  quella 
del  piit  grande  timoré.  Con  le  tentate  sedizioni,  col  susci- 
tare  il  popolaccio  a  tumulte  contra  il  Parlamento  non  es- 
sendogli  riescito  di  sgomentare  i  Beputati  e  renderli  osse- 
queutl  alla  sua  volontà,  e  mostrandosi  essi  ogni  di  piii 
minacciosi  e  audaci  al  segno  di  muovere  aspre  censure  ai 
Ministri,  governanti  la  cosa  pubblica  gius*ta  i  rei  intendi- 
menti  del  loro  Sovrano,   il  Borbone  se   ne  disfece.  Taie 


Digitized  by  VjOOQIC 


188  CAPITOLO    IV 


attentato  alla  libertà  avrebbe  potuto  tornare  fatalissimo  a 
lui  e  alla  sua  dinastia;  perô  che,  se  TAustria  fosse  stata 
Tinta  nella  guerra  di  quei  giorni  mossa  alla  Sardegna,  la 
Sicilia  sarebbe  andata  irremissibilmente  perduta  per  Fer- 
dinando,  e  il  suo  trono  avrebbe  corso  gravi  pericoli.  Non 
ostante  che  l'esercito  regio,  designato  a  fare  Timpresa 
deirisola,  contasse  di  soldat!  tre  volte  tanto  quelle  dei  Si- 
ciliani,  in  oltre  avesse  buoni  ordini  e  fosse  retto  da  of- 
flciali  vecchi,  provati  e  nell'arte  bellica  istruttissimi,  non 
portante  vera  sicurezza  di  vittoria  non  possedeva.  Anima- 
tissimi  e  deliberati  a  difendersi  siuo  allô  estremo  erano 
gli  isolani;  Messina  aveva  chiarito  quanto  valessero  e  po- 
tessero;  e  se  mancavano  di  capitani  esperti  nelle  armi  e 
nel  governo  délia  guerra,  non  mancavano  perô  di  virtù 
militari,  erano  pieni  d'entusiasmo  e  vivamente  desiderosi 
di  venire  a  giornata  con  gli  invaditori.  Sebbene  sapessero 
di  quanto  la  parte  avversaria  li  superasse  in  numéro,  pure, 
non  disperando  di  resistere  con  vantaggio  a  quella  piena 
di  nimici,  affaticavansi  alla  sainte  délia  patria,  Fu  brève 
la  lotta;  fu  loro  contraria  la  fortuna  délie  armiî  Sicilia 
non  sarebbe  caduta  se,  riconosciuta  la  repubblica  romana 
al  suo  gridarsi  in  Gampidoglio,  avesse  con  questa  acco- 
munate  le  forze  per  guerreggiare  nel  medesimo  tempo  i 
régi  nel  reame  e  neU'isola.  Le  genti  délia  repubblica  erano 
poche,  ne  bene  ordinate;  ciô  non  portante  esse,  che  di  li 
a  non  molto  con  tanto  onore  sostennero  violente  assedio* 
affronti  e  combattimenti  sanguinosi  con  esercito  floritîssimo 
di  Francia,  invadendo  le  provincie  napolitane  avrebbero 
potuto  soUevarne  le  popolazioni  e  condurre  aU'ultima  ro- 
vina  il  trono  borbonico.  Ma  i  supremi  reggitori  délia  Si- 
cilia, 0  per  naturale  timidezza,  o  per  essersi  inspirati  a 
principi  di  esagerata  prudenza,  tardarono  assai  a  ricono- 
scere  la  romana  repubblica;  ne  vollero  unirsi  mai  a  questa, 
sebbene  godessero  délie  stesse  libertà,  perché  gelosi  del- 
Tautonomia  dell^isola,  ed  anche  perché  non  possedevano 
la  magnanimità  di  sacrificare  la  propria  indipendenza  — 


Dlgitized  by  VjOOQIC 


LA   8ICILIA   B   FXBDINANDO    BORBONB  189 

una  indipeadenza  tutta  municipale  —  ai  supremi  interessi 
deiritalia.  Ëssi  aderirono  bensi  ^1  disegno  d'una  Costi- 
tuente,  di  quesio  grande  atto  délia  vita  politica  italiana, 
ma  auUa  fecero  a  vantaggio  di  quella;  e  credettero  far 
molto  decretando,  il  19  dicembre,  che,  se  nella  penisola  si 
riunisse  un' Assemblea  Costituente  rappreseniante  i  vari 
Stati  delVltalia,  la  Sicilia,  q%uile  uno  degli  Stati  liberi  e 
indipendenti,  m  si  farébbe  rappresentare.  —  Una  stretta 
unione  deirisola  con  Roma  era  avversata  dai  Ministri,  te- 
mendo  che  Videa  repubhlicana  —  già  nei  voti  délia  mas- 
sima  parte  de!  popolo  —  per  quella  unione  s'afforzasse  tanto 
da  venire  acclamata  in  Sicilia  (1). 


(1)  Era  noto  a  tatU  che  il  principe  di  Butera,  Ministro  sopra  gli 
ftffieui  estemi,  ayeya  piotestato  di  non  yoler  seryiie  sotto  aitra  bandiera 
che  non  fosse  monarehica  e  eostituzionalt. 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO  V. 

La  Sardegna  préparas!  a  nuova  guerra 
contra  TAustria. 


Il  ministro  Pinelli;  tumnlto  in  Genora;  Gioberti  e  la  federazione  ita- 
liana.  —  Nnove  g^ravezze  dell'Aastria  snl  Lombaido-Veneto.  — 
Gioberti  creato  Ministro.  Bespinti  i  snoi  disegni  d'interrento  a^ 
mato  in  Toscana  e  in  Borna,  Gioberti  rinanzia  all'oi&cio  suo.  — 
n  GoTemo  aardo  prépara  la  gnerra  contra  l'Anstria;  Chrzanowski 

—  L'Anstria,  FUngaria  e  la  Oroazia;  sollevazione  di  Yienna:  Fer- 
dinando  abdica  alla  corona  ;  Francesco  Giuseppe  gridato  Imperatore. 

—  Gnerra  Anstro-Ungarica.  —  Moto  popolare  a  Berlino.  —  La  con- 
ferenza  d'Alessandria. 


La  Sardegna,  airudire  le  tregue  fermate  da  Carlo  Alberto 
in  Milano  e  riaffermate  di  poi,  sebbene  con  aperta  mala 
fede  violate  dagli  Austriaci,  profondamente  si  commosse: 
ne  yalsero  a  confortarla  le  parole  geaerose,  che  il  Re  ebbele 
rivolte  dal  suo  campo  di  Vigevano  (1)  brevi  giorni  dopo 
avère  rivalicato  il  Ticino  ;  e  la  sua  commozione  mutossi  poi 


(1)  «  PopOLi  DBL  Bbgno!  L'indipondonza  délia  terra  italiana  mi 
spinse  alla  gnerra  contra  il  nostro  nimico.  Secondato  dal  valore  del  mio 
esercito  la  yittoria  sorrise  da  prima  aile  nostre  armi  ;  nô  io,  né  i  miel 
figli  abbiamo  retrocednto  al  pericolo;  la  santità  délia  causa  raddoppiara 
il  nostro  coraggio.  Il  sorriso  délia  yittoria  fa  brève;  il  nimico  ingros- 
sato,  il  mio  esercito  qnasi  solo  a  combattere,  la  mancanza  dei  viveii 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  8ABDS0NA  PBEPARA8I  A  KUOVA  OUSBRA  EGO.    191 

m  fîero  sdegno  quando  seppe,  che  per  gli  intrighi  di  Oorte 
e,  peggio  ancora,  per  le  mené  di  un  Governo  nimico  al- 
17talia  i  Ministri  arevano  fatto  rinunzia  al  loro  offlcio.  Il 
carico  di  comporre  la  nuova  amministrazione  del  regno 
veniva  allora  dal  Re  commesso  airayvocato  Pinelli  ;  il  quale, 
il  16  agosto,  costituivala  dei  generali  Da  Bormida,  Lamar- 
mora  e  Perrone,  d*Alfieri,  di  Merlo  e  degli  ^ntichi  ministri 
Pareto  e  Ricci.  «  Questo  Governo,  cosi  Riccardo  Sineo, 
creato  sotto  la  pressione  délia  parte  aristocratica,  era 
ugualmente  gradito  alla  parte  austriaca.  É  questa  ana  dura 
verità  che  vorrei  abolita,  ma  che  non  debbo  nascondere; 
anche  il  partito  austriaco  esisteva  in  Piemonte  »  (1).  Da 


ci  costrinsero  a  iasciare  le  porizioni  per  noi  conqnistate ,  le  terre  già 
fatte  libère  dalle  armi  italiane.  Con  l'esercito  io  mi  era  ritirato  alla 
difesa  di  lOlAno;  ma  stanco  daUe  Innghe  fatichei  non  poteva  qnesto 
resistere  a  nna  nnoya  battaglia  campale,  perché  anche  la  forza  del 
prode  Boldato  ha  i  snoi  limitL  L'interna  difesa  délia  città  non  poteva 
Bostenersi;  mancavano  danari,  mancavano  sufficienti  mnnizioni  di  guerra 
e  di  bocca;  il  petto  dei  cittadini  avrebbe  forse  potnto  per  alcnni  giomi 
Tesiatere,  ma  per  seppellirci  sotto  le  rovine,  non  per  yincere  il  nostro 
nimico.  Una  conyennone  fb  da  me  iniziata;  dai  Milanesi  medesimi  fa 
prosegnita,  fn  sottoscritta.  Non  ignoro  le  accuse  con  le  qnali  si  yorrebbe 
da  alcnni  macchiare  il  mio  nome;  ma  Dio  e  la  mia  coscienza  sono 
testimoni  délia  integrità  délie  mie  operazioni;  lascio  alla  Storia  il  gin- 
dicarle.  Una  tregna  di  sei  settimane  venne  stabilita  per  ora  col  nimico  ; 
e  avremo  nell'intervallo  condizioni  onorate  di  pace,  o  ritomeremo  nn'al« 
tra  Tolta  a  combattere.  I  palpiti  del  mio  cuore  forono  sempre  per  Tin- 
dipendenza  italiana  ;  ma  ritaUa  non  ha  ancora  fatto  conoscere  al  monde 
cbe  pu6  fare  da  se.  Popoli  del  Regno!  Mostratevi  forti  in  nna  prima 
SYentnra;  mettete  a  calcolo  le  libère  istituzioni  che  sorgono  nnove  tra 
^oi;  se,  conoscinti  i  bisogni  dei  popoli,  io  primo  ve  le  ho  concednte,  io 
Bapr6  in  ogni  tempo  fedelmente  ossenrarle.  Ricordo  gli  evviya  coi  qnali 
a^ete  salntato  il  mio  nome;  essi  risnonayano  ancora  al  mio  orecchio 
nel  fragore  délie  battaglie.  Confldate  nel  yostro  Re;  la  cansa  délia 
i&dipendenza  italiana  non  é  ancora  perdnta  n. 

«  Date  in  Vigevano,  10  agosto  1848.  r 

c  Carlo  Albebto.  » 

(l)  Alcuni  cenni  agli  Elettori,  cart.  12;  Torino,  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


192  OAPiTOLO  y 


prima  la  parte   libérale  accoglieva  i  nuovi  Ministri  con 
somma   diffldenza;    perô  che    fosse    noto  a  tutti    essere 
Pinelli  poco  favorevole  a  larga  libertà  e,  quel  che  mag- 
giormente  la  impensieriva,  eziandio  avverso  ad  ogni  poli- 
tico  rivolgimento,  forse  perché  non  possedeva  ingegno  ne 
forza  bastevoli  a  bene  guidarlo;  onde  pur  sospettava  délie 
fntenzioni  del  Monarca.  Se  non  che,  quando  il  Ministre 
ebbe  chiarito  gli  intendimenti  suoi,  cioè  di  volere  rispet- 
tate  le  franchigie  costituzionali  e  avère  deliberato  di  ri- 
tentare  la  prova  délie  armi,  nel  caso  in  cui  gli  Stati  me- 
diatori  non  riuscissero  a  condurre  l'Austria  a  onorevoli 
accordi  di  pace,  la  parte  libérale  quietossi,  non  senza  pero 
lasciar  mai  di  invigilare  attentissima  su  Topera  dei  Mi- 
nistri. Le  parole  di  Pinelli  non  poterono  tranquillare  Ge- 
nova  (1);  ove  la  parte  repubblicana  piii  numerosa  che 
altrove,  anche   per  li  molti  fuorusciti  italiani  che  vi  si 
erano  rifugiati,  non   ponondo  fede  a  quelle  promesse,  yo- 
leva  che  il  Govemo,  senza  curarsi  délie  tregue  già  rotte 
dal  nimico,  siibito  rompesse  la  guerra  in  Lombardia.  Ad 
allontanare  la  tempesta,  minacciante  turbare  la  tranquillità 
a  fatica  ricomposta  nel  paese,  il  Ministre  faceva  espellere 
dalla  città  il  piii  ardente  dei  repubblicani,  il  piii  audace 
degli  agitatori,  l'esule  Filippo  De  Boni;  stolto  prowedimento 
che,  insultando  al  popolo,  destavane  gli  sdegni  e  levaTalo 
a  romore  (2).  Genova  sarebbesi  allora  insanguinata,  se  a 


(1)  La  novella  délie  tregue  di  Milano,  arrivata  in  Genova  il  7  agosto, 
ne  levô  i  cittadini  a  romore;  i  qaali,  dopo  aver  chiesto  e  ottenuto  che 
aile  guardie  nazionali  si  rimettessero  i  forti,  distruggevano  quelli  del 
Castelletto  e  di  San  Giorgio,  perché  piû  che  a  difesa  stavano  a  offesa 
di  Genova. 

(2)  L'esole  Filippo  De  Boni  veniva  arrestato  nella  notte  del  31  a- 
gosto  al  primo  settembre;  per  la  quale  cosa  il  popolo  tnmoltad.  Fu 
allora  che  voile  non  s'avesse  a  prosegui];^  il  gindizio  contra  i  piomo- 
vitori  délia  demolizione  del  Castelletto  e  di  San  Giorgio^  e  che  a  Balbi 
Piovera,  comandante  snpremo  délie  guardie  nazionali,  si  surro^asse 
Lorenzo  Pareto. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  8ABDBGNA  PSBPABA8I  A  NUOYA  GUSBBA  BOO.    19$ 

quietare  i  cittadini  non  fosse  corso  Lorenzo  Pareto;  il 
quale,  con  parole  piene  di  amor  patrio,  piene  di  forza  e 
di  affetio,  seppe  moderare  le  passioni  popolari,  già  vi- 
eine  a  sfogarsi,  e  far  posare  le  ire.  Pinelli,  che  non  sa 
0  non  vaole  riconoscere  se  stesso  causa  prima  di  quelle 
perturbazioni,  pretessendo  essere  stata  dalla  cittadina 
sommossa»  oltre  la  dignità  propria,  offesa  la  maestà 
délie  \eggU  invia  a  Genova  Ck>mmissario  straordinario  il 
générale*  Giacomo  Durando;  e,  volendo  reggere  a  suo 
piacimento  la  cosa  pubblica,  sospende  il  riunirsi  deirAs- 
semblea  nazionale.  Se  ingrato  fu  sempre  ai  popoli  il  Go- 
Terne  milîtare,  quello  che  allora  stava  per  pesare  sopra 
oaa  città  di  sensi  liberalissimi  doveva  toruare  oltremodo 
odioso!  Gioberti,  cbe  ambiva  la  potestà  suprema,  a  profit- 
tare  degli  improvvidi  consigli  deiremulo  suo  diedesi  allora 
à  faxorire  il  disegno  délia  Lega  italica,  già  da  tempo  pro- 
posto  e  in  su  le  prime  bene  accetto  ai  regnanti  in  Italia, 
di  poi  messo  da  parte,  ma  che,  ritenendosi  allora  àncora 
secura  di  comune  salvezza,  veniva  nuovamente  messo  in- 
nanzi.  Affermavasi  dal  grande  âlosofo,  che  una  Lega  po- 
îiticcLy  montre  darebbe  alla  patria  Tunità  di  cui  abbisognava 
per  diventare  potente  e  libéra,  guarantirebbe  ai  yari  Stati 
délia  penisola  Tintegrità  del  loro  territorio;  e  congiugnendo 
le  armi  di  tutta  la  nazione  costituirebbesi  un  esercito  po- 
deroso  per  combattere  TAustria  con  certezza  di  vittoria 
finale;  intente  questo  che  si  otterrebbe  creando  con  la 
Sardegna,  la  Lembardia  e  le  Venezie  un  forte  règne  sotte 
la  signoria  di  casa  Savoia.  Ma  la  Lega  politica  ideata  da 
Gieberti  avrebbe  impedita,  non  favoreggiata,  la  nostra  uni- 
ficazione  ;  e  la  creazione  del  règne  deiraZto  Italia  avrebbe 
indubitabilmente  fatto  nascere  in  Francia  gravi  sospetti  a 
danno  deintalia  stessa.  Non  era  poi  facile  impresa,  come 
eredevasi  da  Gieberti  e  dagli  amici  suoi,  unire  di  quoi 
giorni  in  lega  i  principi  délia  penisola;  Ferdinand  odiNa- 
poli  —  che  da  tempo  aveva  disertate  dalla  causa  patria  — 
B  il  Somme  Pontefice  —  il  quale  era  fuggito  di  Roma  per 

13  —  Vol.  U.  Mabiaxi  —  Storia  p  oh  •  miL 


Digitized  by  VjOOQIC 


194  CAPITOLO   V 


ripararsi  a  Gaeta  —  mostrayaosi  apertamente  avrersi  a 
Carlo  Alberto,  non  volendo  che  egli,  col  lopo  appoggio , 
salisse  a  potenza  e  diventasse  prépondérante  in  Italia;  in 
oltre,  il  Borbone  e  il  Papa  chiarivansi  amici  airAustria, 
la  quale  se,  corne  essi  speravano,  fosse  uscita  vincitrice 
nella  seconda  guerra  contra  il  Re  di  Sardegna,  avrebbelî 
aiutati  ad  abbattere  le  liberali  istituzioni  poco  prima  lar- 
gite  ai  sudditl  e  a  recuperare  altresi  la  potestà  assoluta. 
Pur  contrario  alla  Lega  facevasi  conoscere  il  Granduca  di 
Toscana;  che,  se  un  di  avova  mostrato  animo  bene  di- 
sposto  airindipendenza  patria  e  airimpresa  di  Lombardia, 
indovinati  cVegli  ebbe  i  disegni  di  Carlo  Alberto,  sepa- 
rossi  dalla  causa  nazionale;  e,  per  non  avère  débite  ye- 
runo  di  gratitudine  yerso  il  Re,  niegô  persino  di  riceyere 
da  lui  gli  aiuti  d'armi  offertigli  per  ridurre  Liyorno,  al- 
lora  allora  leyatasi  a  tumulto,  airobbedienza  usata.  Se 
non  giusti,  erano  perô  meritati  i  rifiuti  dei  principi  ita- 
liani  alla  federazione  con  la  Sardegna,  ayyegnachè  il  Mo- 
narca  sabaudo,  appena  rotta  la  guerra  airAustria,  inor- 
goglito  délie  yittorie  sue,  non  ayesse  piu  yoluto  trattare 
di  Lega  polittca,  ma  solamente  di  ciô  che  toccaya  ai  traf- 
fici  e  al  mercanteggiare;  e  quando  più  tardi  propose  a 
Roma  nn'alleanza  difensiva,  il  ministre  Pellegrino  Rossi, 
il  quale  non  yoleva  più  saper  di  guerra,  soprammodo  dope 
le  tregue  di  Milano,  la  respinse.  Non  isgomentato  da  osta- 
coli  si  grayi,  si  difflcili  a  yincere,  Gioberti,  ferme  ne'  suoi  i 
propositi  di  federazione  (1),  riuni  allora  in  Torino  a  con- 
gresso  quanto  piîi  gli  fu  possibile  d'uomini  chiari  per  dot-  j 
trina  e  sapienza  politica  e  che  eransi  accostati  ai  disegni 
suoi.  «  L'unità  italiana,  cosi  il  âlosofo  in  una  allocuzione  | 


(1)  tt  Una  federazione  non  ô  che  on  pasao  mosso  yerso  Tuiiità,  e 
qnesta  d  contraddittoria  alla  esistenza  dinastica  dei  Re.  Una  lega  di 
Re  puô  esistere  —  esiste;  ma  contra  ai  popoli,  contra  al  moto  délie 
idée,  non  a  fayore  deUa  libertà  e  délie  idée  progressive,  b 

Mazzihi,  Scritti  politici,  vol.  vn,  cart.  148;  Milano,  1864. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  SABDSeBTA   PBBPARASI   A  WOVA   OUSBBA  BCC.  195 

ai  Pontremolesi,  al  di  d'oggi  non  ptt6  essere  che  federativa. 
Abbiamo  già  i  rudimenti  di  questa  sacra  alleanza  nella 
lega  doganale,  la  qoale  in  brève  diverrà  eiyile.  Tutta  1*1- 
talia  superiore  sarà  fra  poco  raccolta  sotto  lo  scettro  di 
Carlo  Alberto.  Le  nosire  divisioni  stataali  si  ridurranno  a 
sole  quattro.  » 

In  questo  mezzo  da  nuove  perturbazioni  veniva  Genova 
afflitta.  Insofferento  di  indugi  la  parte  l'epnbblicana  aveva 
dato  fnora  cartelli  di  Costth^ente  Italiana  allô  scopo  di 
togliere  dalla  superba  ignavia,  in  cal  trovayansi  da  tempo 
1  Minisixi  del  Re;  i  quali,  cuUandosi  nella  speranza  d'ono- 
revole  pace,  che  per  essi  stavano  trattando  Francia  e  In- 
ghilterra  a  Bruxelles»  poco  o  nnlla  facevano.  A  spegnere 
quel  fuoco  di  popolare  paasione,  entro  cai  sofflavano  i  re- 
pabblicanl  più  animosi  e  audaci,  fnoco  che  minacciava  al- 
largarsi  e  divampare  per  tutta  la  Sardegna,  Pinelli  coman- 
dava  al  Gommissario  regio,  che  con  risolutezza  e  forza  si 
servisse  di  quanto  riteneva  efficace  a  impedire  ai  repub- 
blicani  di  turbare  Tordine  e  la  quiète  délia  città:  onde 
allora  ebbersi  a  deplorare  alcuni  morti  e  feriti.  Il  troppo 
severo  procedore  del  Governo  inaspri  sempre  più  gli  animi 
dei  Genovesi  e  spinse  a  protestare  contra  Topera  del  Mi- 
nistre il  Parlamento,  di  quel  giorni  raccolte  per  Tagitarsi 
minaccioso  délie  popolazioni  ed  anche  per  invite  del  Circolo 
politico  di  Torino  —  cui  presiedeva  Gioberti  —  il  quale,  po- 
stes! à  cape  délia  deraocrazia  costituzionale  d'Italia  e  legatosi 
ai  Circoli  di  Genova,  Gagliari,  Pirenze,  Livorno  e  Venezia, 
maneggiavasi  per  estendere  e  tener  viva  Tagitazione  po- 
polare. Pinelli,  interpellato  sopra  la  mediazione,  le  tregue 
e  i  preparamenti  per  la  nuova  guerra,  rispondeva:  =  Base 
dolla  mediazione  essere  il  rlconoscimento  délia  nazione  ita- 
liana e  del  diritto  di  costituire  le  proprie  leggi  e  Tordi- 
namento  di   un  forte  Stato  nelVAlta  Italia.  L'Austria  non 
averla  ancora  accettata,  ne  scelta  la  città  a  sede  délie  con- 
fereaze.  Per  la  violazione  délie  tregue  avère  il  Governo 
fatto  le  débite  rimostranze  a  Radetzky,  le  quali  furono  ap- 


Digitized  by  VjOOQIC 


196  CAPITOLO    V 


poggiate  dagli  Stati  mediatori  (1).  Quelle  tregue  non  essere 
state  rinnovate:  ma  durare  di  otto  in  otto  giomi  sino  al 
loro  disdirsi.  Se  TAustria  non  accettasse  la  mediazione 
anglo-francese,  o  se  fosse  impossibile  comporre  amichevol- 
mente  la  contesa,  riprenderebbesi  la  gaerra  con  lo  aiuto 
di  Francia,  in  taie  caso  promesse  alla  Sardegna;  in  fine, 
deiropportunità  di  quella  essere  giudice  soltanto  il  Governo 
del  Re.  ==  Interne  a  ciô  si  discusse  per  tre  giorni  e  tem- 
pestosamente,  moite  e  diversissime  essendo  le  opinioni  nel 
Parlamento.  A  porre  termine  alla  quistione,  Brofferio  pro- 
poneva  di  appoggiare  i  Ministri  qualora,  senza  attendere 
Tesito  dei  buoni  ufBci  di  Francia  e  di  Bretagna  presse  il 
Governo  di  Vienna,  bandissero  la  guerra;  ma  la  proposta 
di  Brofferio  mandata  a  partito  ve^iva  respinta.  Non  estante 
taie  vittoria,  Pinelli  non  giunse  a  quietare  le  passioni  coni- 
movitrici  délie  plebi,  di  quoi  giorni  divenute  piii  ardenti 
e  minacciose,  causa  Tagitazione  délie  provincie  lombarde, 
promossa  dalle  gravi  imposizioni,  o  dirô  meglio,  dalle  ra- 
pine commessevi  dairavido  maresciallo,  agitazione  clie  pa- 
rêva  dovesse  farle  prorompere  a  ribellione;  la  quale  sareb- 
besi  non  poco  avvantaggiata  dalla  impresa  di  Val  dlntelvi,  di 
cui  facemmo  parola  al  capitolo  tredicesimo  del  volume  primo 
di  queste  istorie;  impresa  che,  condotta  da  alcuni  capitani  di 
Garibaldi  —  dope  il  combattimento  di  Morazzone  rifugiatisi 
nel  Canton  Ticino  —  aveva  per  intente  di  spingere  la  Lom- 
bardia  a  soUevarsi  contra  la  dominazione  austriacaf  per 


(1)  In  virtû  deirarticolo  secondo  dei  patti  délie  tregue  di  Milano 
l'Anstria  doveva  rendere  alla  Sardegna  le  salmerie  e  gli  impedimenti 
di  gaerra  deU'esercito  regio;  e  meta  solamente  deUe  artiglierie  Yeuse 
restitnita  dal  maresciallo.  —  In  forza  dell'articolo  qnarto  dovevanâi 
Bospendere  le  armi  anche  contra  Venezie^;  e  gli  Anstriaci  assaltaTano 
qnesta  città  e  i  snoi  forti  durante  le  tregue.  —  In  fine,  in  virtû  del- 
l'articolo  quinto  l'Austila  doveva  rispettare  le  persone  e  gU  averi  dei 
luoghi  occupati  dalle  sue  soldatesche,  e  vennero  quelle  gravate  d'iin- 
posizioni  esorbitanti  e  di  taglie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


I.A    8ABDE6KA   PBEPABA8I    A   ITUOTA   aUEBBA    SCC.  197 

combattere  quindi  una  guerra  di  popolo,  Tarmi  régie 
avendo  fatta  prova  infelicissima.  Il  moto  ebbe  comincia- 
meato  e  fine  in  Val  dlntelvl,  e  fu  in  sul  cadere  d'ottobre; 
per  esso  patirono  gravi  danni  i  poveri  abitatori  di  quella 
valle;  e  par  esso  potè  Radetzky  rifornire  di  danaro  Terario 
esausto.  Non  estante  11  perdôno  poco  innanzi  accordato 
dairimperatore  ai  Lombardi  e  ai  Veneti,  che  avevano  preso 
parte  ai  moHpoiiUci  di  quelVanno  1848,  e  non  estante  il 
divieto  80Vf*ano  dCinquisire  qieelli  e  punirli  in  verun  modo, 
il  maresciallo  metteva  forte  contribuzione  sui  membri  dei 
cessait  Govemi  temporanei  e  dei  Comitati,  sui  promovi- 
tari  delta  soltevazione  e  su  chi  aveva  ad  essa  concorso 
con  gli  atti  e  con  mezzi  matériau  e  morali.  Milano  contô 
eenaovanta  cittadini  multati,  tra  oui  alcuni  pupiili  e  per- 
sone  dévote  alFAustria;  in  oltre,  fu  multato  TOspedale 
Magg^iore!?...;  la  somma  délie  contribu2ioni  sali  nella  me- 
tropoli  lombarda  a  piii  di  venti  milioni  di  lire.  Radetzky 
non  giunse  perô  in  tempo  d*assoggettare  a  tanta  rapina  le 
altre  città,  avvegnachè  il  Governo  impériale,  non  appro- 
vando  l'operato  dèl  sue  luogotenente,  ordinassegli  d'aggra- 
vare  soltanto  i  fuorusciti  e  coloro  che  continuassero  a 
conginrare  contra  la  signoria  austriaca.  Montre  con  taie 
determinazione  i  Ministri  di  Vienna  toglievano  a  certa  ro- 
vina  molti  cittadini,  con  un  altro  décrète  aggravavano  i  Co- 
muni  lombardo-veneti  di  nuove  imposte  ;  erano,  per  Tanno 
vegnente^  sei  milioni  di  lire  al  mese  da  consecrarsi  al 
mantenimento  deiresercito.  I  tanti  danni,  che  affliggevano 
quelle  provincie,  dates!  spontaneamsnte  al  principato  sa- 
baudo  pochi  mesi  innanzi,  e  che  violavano  le  tregue  fer- 
mâtes! in  Milano,  nella  Sardegna  accagionavansi  dalle 
plebi  al  Gk>verno  dei  Re;  il  cui  malcontento  scoppiava  in 
sommossa  romorosa  al  giugnere  in  Torino  délia  notizia 
dell'assassinio  di  Rossi  e  dei  turaulti  di  Roma;  e  fu  il  19 
novembre.  Fecersi  allora  in  Parlamento  piii  vivi  gli  assalti 
contra  i  Ministri,  più  forti  le  accuse  ;  i  quali,  non  potendo 
piû  rej^rsi,  eziandio  per  essere  loro  venuto  meno  Tap- 


Digitized  by  VjOOQIC 


198  CAPITOLO  V 


poggio  del  Re,  desideroso  quanto  il  popolo  suo  d'uscire 
alla  guerra,  rassegnarono  Tofficio  loro  a  Garlo  Alberto  (1); 
lo  clie  ayvenne  nei  primi  giorni  del  dicembre. 

L'abate  Vincenzo  Gioberti  —  che  allora  godeva  deiraura 
popolare  —  avuto  dàl  Monarca  il  carico  di  comporre  una 
nuova  amministrazione,  faceva  eleggere  il  générale  Ettore 
De  Sonnaz  ministre  sopra  le  armi,  Ricci  sa  le  rendite 
dello  Stato,  Rattazzi  sopra  la  giustizia,  Sineo  su  gli  aâarî 
interni,  Gadorna  sopra  Tistruzione  pabblica,  Bufia  sopra 
Tagricoltura,  Tecchio  sui  lavori  pubblici,  e  serbava  a  se 
l'onore  di  presiedere  al  Consigna  délia  Corona  e  il  governo 
degli  affari  esteriori.  Il  16  dicembre  Vincenzo  Gioberti, 
recatosi  coi  coUeghi  in  Parlamento  per  far  conoscere  le 
idée  e  i  disegni  suoi  e  dei  compagni,  disse  ai  Deputati: 
=  Lo  intervenire  di  nazioni  si  chiare  e  potenti  nella 
contesa  con  TAustria  tornare  a  grande  onore  per  la  Sarde- 
gna;  non  dover  perô  mettere  in  quelle  tutte  le  loro  spe- 
ranze;  la  guerra,  già  risoluta,  romperebbesi  a  tempo  op- 
portune. =  Parlô  quindi  délia  Costituente  italiana,  ma 
coh  parole  brevi  e  ambiguë;  e  sebbene  egli  affermasse  di 
voler  proteggere  le  plebi  e  awantaggiarne  le  condizioni, 
non  mostrossi  perô  favorevole  alla  democrazia;  eppure  il 
nuovo  reggimento  çui  il  Ministro-fllosofo  stava  a  capo,  in- 
titolossi  democraticOy  e  democrattci  voUero  chiamarsi 
quelli  che  lo  componevano.  Il  discorso  di  Gioberti  mara- 
vigliô  gli  aderenti  e  gli  awersari  suoi  ;  awegnachè ,  dopo 
avère  propugnato  con  ardore  la  nécessita  di  una   sùbita 


(1)  M  n  Ministero  déWopportuniià  ô  caduto  ;  voglia  Dio  che  gli  suc- 
céda il  Ministero  dtlla  nécessita,  H  paese,  senza  trascendere  a  moti 
incomposti,  ha  manifestato  con  nna  fredda  tenacità  la  soa  diffidenza  per 
un  Governo,  che  durante  qnattro  mesi  si  tenne  penosamente  in  bilic« 
8Q  nna  qnistione  capziosa,  mentre  i  tempi  vogliono  lealtà  e  ardimento.  • 

CiBABB  GoBRiNTi,  il  4  dicembre  1848,  scriveva  cod  ne'  suoi  BolUt- 
Uni  deiremigraeione. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SAJIDBGNA   PBXPARABI  A  MUOVA   OUBBBA  BOO.  199 

gaerra,  divenuto  Ministro  mutasse  d'opinione  ;  délia  quale 
cosa  grandemente  rallegraronsi  gli  amici  e  i  fautori  di  Pi- 
nelli,  corne  di  vittoria  riportata.  —  In  sul  cominciare  del 
1849  arrivaya  ia  Torino  il  barone  Spleny,  ungarese,  incar 
ricato  dal  suo  Governo  —  il  Magiaro  —  di  ripigliare  con 
quel  di  Sardegna  le  pratiche  d*aceordo  per  là  nuova 
guerra  contra  Timperio  ;  le  quali  pratiche,  già  imprese  nel 
laglio  deiranno  innanzi,  erano  state  rotte  dai  royesci  del- 
Farmi  régie  su  l'Adige  e  sul  Mincio  e  dalle  tregue  di  Mi- 
lano.  Tra  i  Ministri  di  Garlo  Alberto  e  Tinviato  magiaro 
eonireniyasi  :  =  Ohe  si  ayessero  ad  armonizzare  le  militari 
operazioni  dei  Sardi  sul  Ticino»  sul  Po  e  sul  Mincio  con 
quelle  degli  Ungaresi  sul  Danubio  per  laimpresacomune; 
che  il  Goyerno  del  Re  ordinasse  in  compagnie  e  batta- 
glioni,  e  proyyedesse  d*armi  e  di  cayalli  i  Magiari  trafug- 
gitori»  i  quali  dai  cam'pi  imperiali  di  Lombardia  fossero 
per  passare  negli  Stati  del  Re  ;  e  allora  che  ne  ayesse  da 
quattro  mila  raccolti  facesseli  da  sue  nayi  trasportare  sui 
lidi  ungarici  deirAdriatico  ;  dai  quali  sarebbersi  portât! 
sopra  Trieste  per  tentarla  e  assaltarla,  quando  Tarmata 
sarda  la  fulminasse  con  le  sue  artiglierie  (1). 

Per  ricondurre  (Jenoya  alla  quiète,  Gioberti  spediyale  il 
ministro  Buffa,  Gommissario  regio,  con  potestà  piena  e 
intiera;  il  quale,  appena  arrivatoyi,  metteva  fuora  un  ma- 
nifesto  ai  cittadini,  in  cui,  dopo  ayer  biasimata  la  poco 
dignitosa  politica  dei  Ministri  scaduti  e  censuratine  i  modi 
di  goyerno  usati  yerso  la  metropoli  ligure,  ordinaya  lo  al- 
lontanamento  dalla  città  del  presidio;  in  fine,  gridaya  la 
Castituente  italiana.  Le  quali  ineaute  parole  aggiunsero 
nuoTO  inasprimento  ai  yecchi  odi  lungamente  esasperati^ 


(1>  La  brève  guerra  di  Novara  impedi  lo  effettnarsi  di  tali  diBegni  ; 
dei  molti  Ungaresi,  che  al  disdirsi  délie  tregue  di  Milano  disertarona 
dalla  TMmdiera  anstiiaca,  a  dngento  soltanto  fa  dato  di  prendere  parte 
a  quella  gaerra  tanto  gloiiosa,  qnanto  infelice,  che  si  combatte  nella 
loro  patria. 


Digitized  by  VjOOQIC 


900  oAPiTOLo  y 

«he  esistevano  tra  i  Genovesi  e  la  soldatesca  régla.  La 
plebe,  vedutasi  padrona  assoluta  délia  città,  prese  allora  a 
eorrerla  tumultuosamente  minacciando  nobili  e  ricchi.  Non 
riescendo  a  Lorenzo  Pareto  di  freaarla  e  avendo  patito 
oltraggio  da  quella,  egli  rinunziô  al  comaado  supremo  délie 
guardie  nazionali;  al  quale  nobilissimo  offlcio  Buffa  chiamù 
il  générale  Avezzana,  uno  dei  piii  gloriosi  campioni  délia 
libertà  italiana;  non  per  questo  cessarono  i  romori  (I). 
Saputosi  ciè  in  Parlamento^  Pinelli  e  i  partigiani  suoi 
moBsero  gravi  rimostranze  ai  Ministri  ;  e  siccome  Qioberti 
abbisognava  d'ana  Assemblea  tutta  a  lui  devota  per  gover- 
nare  il  paese  a  suo  talento,  cosi  il  30  dicembre  licenziara, 
a  tempo,  i  Deputati,  che  dovevano  poi  riunirsi  il  25  geanaio 
del  vegnente  anno.  Arverso  alla  Costituente,  quanto  fan- 
tore  ardentissimo  délia  federazione  dei  principi  italiani, 
Gioberti ,  a  vie  meglio  raggiugneré  lo  scopo  desiderato , 
spediva  Gommissari  al  Pontefice,  allora  in  Gaeta,  e  al  gran- 
daca  Leopoldo  di  Toscana  a  oSï*ire  aiuto  d*armi  régie  per 
restaurare  e  aflfermare  la  loro  potestà  in  Roina  e  in  Fi> 
renze.  Respinto  da  Pio  IX  lo  intervenire  délia  Sardegna 
nelle  sue  faccende  temporali  (2),  Gioberti  deputava  a  Per- 
dinando  di  Napoli  il  senatore  Plezza,  che  doveva  studiarsi 
di  rawicinare  il  Borbone  alla  causa  italiana;  ma  il  Re, 
niegando  di  ricevere  l'inviato  di  Sardegna,  mandava  a  vuoto 
i  disegni  del  Ministre  filosofo  (3).  Ne  Rosellini  in  Firenze 


(1)  Il  générale  Avezzana  avova  combattuto  nella  gnerra  délia  iadi- 
pendenza  spagnnola,  in  qnella  del  1829  e  di  poi  nella  guerra  del  Mes- 
sico,  dovnnqne  segnalandosi  per  coragglo  e  nûlitare  sapienza. 

(2)  Pio  IX ,  che  allora  respinse  gli  aiuti  di  Sardegna,  accettè  di  li 
a  non  molto  queUi  di  Francia,  d'Aïutaia  e  di  Spagna:  onde  a  ragione 
fa  posto  nel  numéro  dei  Papi  chiamatori  d'armi  straniere  a  strazio  del- 
ritalia. 

(3)  Délia  fidlita  spedizione  del  senatore  Plezza  la  colpa  fù  da  Rie- 
eardo  Sineo  data  9XL*oligareh%a  piemantese,  la  quale  impedi  di  combat- 
tere  Tazione  signoreggiatrice  dell'Austria  in  NapolL  —  Vedi  Gli  ul 
timi  meH  del  regno  di  Carlo  Alberto,  cart.  18;  Torino,  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  8ABDEGKA  PBSPABA8I  A  KUOVA  aUEBBA  XOC.    801 

fu  piU  fortunato  m  sua  missione  dei  Oommissari  Sardi  in 
Gorte  di  Gaeta  e  di  Napoli  ;  nulla  egli  ottenne  dal  Graaduca, 
nulla  da  coloro  che  per  lui  reggevano  la  cosa  pubblica: 
onde  di  li  a  poco  Leopoldo  fuggiva  di  Toscana;  la  quale, 
per  la  fiiga  del  suo  principe  trovandosi  libéra  délie  sue 
sorti  e  del  suo  avrenire,  gridava  allora  la  repubblica.  — 
11  rifiuto  del  Pontefice  salvô  lltalia  dalla  guerra  civile  ; 
che  sarebbe  indubitabilmente  nata,  se  un  esercito  sardo 
aresse  invaso  le  Romagne  e  assaltata  Roma  per  rimettervi 
la  potestà  temporale  dei  Papi.  Se  Francia  repubblicana 
vituperossi  mandando  sue  armi  contra  Roma,  quanto  e 
quale  vituperio  sarebbe  venuto  alla  Sardegna  in  quella 
impresa,  nella  quale  avrebbe  ayuto  a  compagni  Austriaci 
e  Napolitani  ?  Invero  il  consiglio  di  Gioberti  fli  più  che  dis- 
sennato  ;  avregnachè  pericolosa  cosa  sarebbe  stata  togliere 
dal  Tioino  forte  presidio  d'armi  per  soccorrere  al  Pon- 
tefice, allora  che  Radetzky  ingrossava  Tesercito  suo  in 
Lombardia.  Non  iscoraggito  dalle  ripulse  di  Pio  IX  e  del 
granduca  Leopoldo,  ne  dal  freddo  accoglimento  fatto  aile 
I>arole  di  Carlo  Alberto  allô  aprirsi  del  nuovo  Parlamento, 
Gioberti  deliberava  d'intervenire  con  le  armi  nelle  fac- 
cende  di  Toscana  per  aflTermarvi  il  principato.  Nel  suo  di- 
flcorso  ai  rappresentanti  del  paese  il  Ré  aveva  taciuto  délia 
Costituente,  ma  il  suo  primo  Ministre  ne  parlô  di  poi  sfa- 
Torevolmente  :  «  Quella  di  Francia  del  secolo  scorso,  disse 
egli,  tutta  la  insanguinè  e  la  condusse  airuccisione  del 
suo  Monarca  ;  la  Costituente  romana  —  alla  quale,  lui 
Ministre,  la  Sardegna  non  avrebbe  aderito  mai,  cosi  ebbe 
risposto  un  giorno  a  chi  pregato  Taveva  d'accostarsele  — 
e  la  Cùêtituente  toscana  essere  piene  di  pericoli  e  àvere 
per  intente  di  stabilire  la  repubblica  in  Italia.  »  E  siccome 
la  repubblica  farebbe  cadere  la  potestà  temporale  del  Papa 

—  istituzione  che  non  poteva  più  rinnovarsi,  ne  riformarsi 

—  cosi  Gioberti,  grande  cald^giatore  délia  federazione 
dei  principi  italiani  presieduta  dal  Pontefice,  per  rendere 
la  repubblica  impossibile  nella  penisola,  aveva  disegnato  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


âOâ  OAPITOLO  V 


spedire  a  Toscana  Tarmi  régie  aquietarvi  i  romori  e  assicu- 
rare  il  trono  vacillante  del  lorenese  (1);  fatta  la  quale  im- 
presa,  ritenterebbe  l'animo  del  Papa  per  quella  di  Roma. 
Accordatosi  su  ci6  con  Leopoldo,  senza  consultarsi  coi.  col- 
leghi  egli  comandava  ad  Alfonso  Lamarmora  di  recarsi  coa 
sue  genti  a  Sarzana  e  tenervisi  pronto  a  irrompere  in  To- 
scana; ma  poco  appresso  il  Granduca,  mutato  consiglio,  re- 
spingeva  gli  aiuti  di  Sardegna  per  darsi  in  braccio  all'Au- 
stria.  I  compagni  di  Gioberti,  allora  cbe  seppero  la  cosa, 
mossergli,  e  a  buon  diritto,  acerbi  rimproveri  :  onde  gli  fu 
forza  rassegnare  il  proprio  officie  al  Re»  pure  contra  lui 
sdegnato.  I  Deputati,  al  cui  orecchio  erano  arrivate  voci 
vaghe  e  notizie  incerte  délia  spedizione  di  Toscana,  quando 
non  videro  più  Gioberti  siedere  tra  i  Ministri,  ma  in  mezzo 
a  loro  —  e  fu  il  21  febbraio  di  quelFanno  1849  —  chiede- 
yangli  schiarimenti  su  la  faccenda  e  ragione  altresi  délia 
mutata  sua  condizione  ;  ed  ei  rispondeva:  =  Causa  del  dis- 
senso  coi  coUeghi  suoi  essere  l'impresa  di  Toscana;  la 
quale,  bene  accolta  da  prima^  aveyano  rigettata  di  poi.  = 
n  niegarsi  ciô  dai  Ministri  faceva  nascere  nelVAssemblea 
una  disputa  fierissima,  sostenuta  con  parole  oltraggiose  e 
quasi  offensive  alla  maestà  del  Parlamento.  Il  popolo,  pré- 
sente alla  brutta  scena,  plaudi  a  Gioberti,  creduto  vittima 
degli  intrighi  de*  suoi  nimici  (2);  i  quali  allora  pubblica- 


(1)  Nel  febbraio  1849  Gioberti  al  marchese  Nerli,  oratore  del  Gran- 
duca di  ToBcana  in  Corte  di  Torino,  dava  le  maggiori  assictmudoni , 
«  che  il  restanro  si  farà  con  tutti  i  possibili  Hguardi;  che  Tesercito 
sardo  verra  posto  sotto  gli  ordini  immediati  del  Granduca,  occupera  i 
paesi  in  suo  nome,  e  al  primo  suo  oenno  rientrerà  in  Piemonte.  » 

(2)  Erano  note  le  ire  di  Gioberti  contra  il  depntato  Brofferio,  ohe 
f^rono  causa  di  gravissima  perturbazione  popolare  in  Torino,  avrenuta 
la  sera  del  20  febbraio;  nella  quale  una  moltitudine  di  gcate  briaca 
portossi  alla  casa  di  quel  valoroso  suo  arversario  politico  e,  atterratene 
le  porte,  rinvadeva  gridando  morte  a  Brofferio;  e  certamente  sareb- 
besi  resa  colpevole  d'atti  infami,  se  dal  commetterli  non  fosse  stata 
rattenuta  dalla  fotza  armata,  soUecita  accorsa  a  sedare  il  tumulte,  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  SABDB6NA  PREPABA8I  A  MUOVA  GUEBBA  BCC.    203 

rono  vitaperevoli  libelli,  ia  cui  le  accuse  andavano  con- 
giunte  aile  calunnie  contra  lui  che,  al  dire  de*  partigiani 
suoi,  aveva  in  tatte  le  circostanze  sempre  operato  in  buona 
fede  e  con  retta  coseienza.  Vincenzo  Oioberti  erasi  pre- 
fisse  non  soltanto  di  affermare  nella  Sardegna  il  princi- 
pato  costitnzîonale,  ma  eziandio  di  costringere  Roma  e  Pi- 
renze  a  mantenere  le  libéral!  istitazioni,  che  Ponteûce  e 
Grandaca  avevano  Tanno  innanzi  ai  loro  sudditi  concedute. 

Âppena  ebbe  Oioberti  lasciato  Tofflcio  sao,  i  Ministri  del 
Re  intesero  tutte  lor  cure  a  preparare  la  guerra  altamente 
hchiesta  dal  popolo;  e  montre  riordinavano  e  accresce- 
vano  l'esercito,  spedivano  Lorenzo  Valérie  a  Firenze  e  a 
Roma  a  domandarvi  aiuto  d*armi  per  Timpresa  di  indipen- 
denza  (IX  e  dalFuna  e  dall'altra  l'inviato  sardo  aveva  fatto 
promesse  di  soldati,  più  assai  di  quanto  potevano  dare.  —  Del- 
Vesito  infelice  sortito  alla  guerra  di  Lombardia  erano  stati 
incolpati  i  generali  di  Garlo  Alberto  ;  ma  la  imperizia  del 
Re  al  comando  supremo  deiresercito  e  al  governo  délie 
militari  operazioni  fu  la  causa  primissima  de!  disastri  pa- 
titi.  Si  disse  allora:  =  La  ritratta  dal  Mincio  essere  stata 
fatta  innanzi  tempo  e  a  precipizio,  e  la  tregua  di  Milano 
poco  onorevole:  onde  Tonore  délia  nazione  aveva  gran dé- 
mente sofferto.  =  In  verità,  le  miserande  condizioni,  in  cui 
trovavasi  l'esercito  quando  riducevasi  presse  la  metropoli 


giorno  appiesso  neirAssemblea  legislatiya  molti  Deputati  vivamente 
PTotestanmo  contra  queirinsnlto,  che  nella  penona  di  onoratiBsimo  rap- 
piesentante  del  popolo  aveva  ferito  la  maestà  délia  nazione.  —  Non  a 
Oioberti,  ma  a  qnalche  sno  eattivo  partigiano  va  tatta  la  oolpa  di  quel 
popolare  tnrbamento! 

(1)  Qnesta  difflcilissima  missione  venne  data  a  Lorenzo  Valerio,  allô 
i^po  di  allontanarlo  dal  Pariamento,  ove  erasi  chiarito  awerso  aile 
leggi  allora  messe  innanzi  dai  Ministri,  in  virtû  délie  qnali  sospende- 
vand  le  libertà  eogtituzionali  durante  la  gnerra.  Il  GK^vemo  del  Be 
ayrebbe  pnr  voluto  allontanare  di  Torino  anche  Tavvocato  Brofferio; 
loa  aocortoei  délia  impossiMlità  di  rinsdrvi,  rinanziô  al  ùlUo  disegno. 


Digitized  by  VjOOQIC 


S04  OAPITOLO    T 


lombarda  -—  ed  erano  la  conseg^enza  degli  errori  commessi 
da  chi  aTeva  diretto  la  guerra  —  non  potranno  mai  sca- 
sare  quella  tregua  ;  ma  l'onore  délia  nazione  era  stato  salvo 
per  yirth  del  soldato,  il  quale  avéra  gloriosamente  pu- 
gnato  a  Sommacampagna,  a  Custoza,  a  Volta:  giornate 
che,  non  ostante  il  numéro  8tragi*anâe  deile  forze  nimiche, 
erano  statc  combattute  dal  soldato  con  fermezza  strenuis- 
sima.  Eusebio  Bava,  eletto  generalissimo  deiresercito  — 
e  ta  neirottobre  del  1848  —  aveayi  già  rimessa  la  militare 
disciplina  e  riaccesivi  i  nobili  sentimenti  di  patria  e  d*o- 
nore  (IX  quando,  per  li  basai  intrighi  dei  nimici  suoi  — 
invidiosi  del  favor  dei  soldati  ch*egli  meritamente  godeva 
—  a  mezzo  febbraio  del  1849  venivagli  tolto  il  comando 
suprême  per  conferirlo  a  uno  straniero.  Dopo  il  rifiuto  del 
Ck)Yerno  francese,  cui  1  Ministri  di  Carlo  Alberto  ayevano 
domandato  un  oapltano  provato  in  armi  per  Timpresa  di 
Lombardia  ornai  risoluta,  il  Re  fidayala  somma  délia  guerra 
al  générale  Alberto  Chrzanowski(2);  il  quale,  sebbene  si  fosse 


(1)  u  Un  solo  affetto,  on  solo  peiudero,  un  solo  yolere  siala  libertà 
e  l'indipendenza  di  questa  terra  beata,  che  dalla  concordia,  dalla  in- 
trepidezza  e  dalla  yirtù  di  vol,  suoi  figli  prediletti,  attende  il  coiue- 
gnimento  di  quel  snblimi  destini,  che  la  ProvYldenza  riserva  ai  forti, 
e  che  nessuno  potrà  contendere  ai  yincitori  di  Goito,  di  Pastrengo  e 
di  CoBtcza.  » 

Cosi  scriTeva  il  générale  Bava  nel  ano  manifesto  del  23  ottobre  1848 
all'eseicito,  manifesto  bandito  dal  qnartiere  générale  d'Alessandria. 

(2)  n  générale  Lamoiiciére  rifintè  il  comando  sapremo  dell'esercito 
saido  per  consiglio  di  Thien  ;  il  dnca  d'isly,  perché  speraya  d'intetre- 
nire  col  suo  —  qoello  délie  Aîpi  —  nella  gaerra  d'Italia  ;  Ghangamier, 
perchô  trovayasi  a  capo  délie  gnaidie  nazionali  di  Parigi  ;  e  se  qualehe 
générale  firancese  erasi  da  prima  mostrato  inchino  ad  acoettorio,  se  ne 
schivava  di  poi  veggendo  il  suo  Qoyemo  poco  fayorerole  a  queUa 
gaerra;  per  la  qoale  cosa  avrebbegli  negato  il  eonsentimento  suo  «Ua 
accettazione  dell'offioio  offertogli;  ehe  parimenti  non  yoUe  Dnfonr,  gé- 
nérale deUa  Confederanone  Elyetioa,  per  la  malferma  sainte  e  par  l'ob- 
bligo  assnntosi  d'accompagnare  a  Parigi  Loigi  Napoleone,  già  sao  di- 
scepolo.  Fa  allora  che  il  Be  ohiamè  a  quel  comando  Chrzanowiki  col 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   BABDBONA   PBBPASJLSI   A   NUOVA    (^UBSBA    BGC.  ^5 

per  valore  segnalato  nella  lotta  di  indipendenza  délia  patrla 
sua,  la  Polonia,  combattuta  nel  1830  (1),  non  aveavi  perô 
tenuto  il  comando  di  un  corpo  d*esercito;  rispetto  a  ci6 
egli  era  dunque  inferiore  a  Bava  (2).  Improvvido,  anzi  pes- 
simo  consiglio  ta  cambiare  quasi  alla  vigilia  di  uscire  alla 
campagna,  un  capitano  vecchio  ed  esperimentato  nelle  armi 
COQ  un  générale  affatto  ignoto  airesercito,  del  quale  igno- 
raya  gli  ordini  e  le  instituzioni,  Tindole  e  persino  la  lin- 
gua  parlata  dai  soldati.  Quale  fede  potevano  questi  avère 
in  chi  non  possédera  rinomanza  di  guerra  e  le  cui  geste 
militari  erano  a  tutti  sconos.ciute  ?  La  giornata  del  23  marzo 


titolo  di  gênerai  maggiore  e  diede  al  générale  Alessandro  Lamannora 
l'oiBcio  di  capo  dello  Stato  Maggiore  dell'esercito;  il  quale  conferimento 
di  dignità  militari  ebbe  Inogo  il  7  e  1*8  febbraio.  Fn  allora  altresi  che 
Alfonso  Lamarmora,  lasciato  al  générale  De  Sonnaz  Tofficio  di  Mini-* 
stio  sopra  le  armi,  prese  il  comando  délia  diviHane  temporanea^  tntta 
di  vecchi  soldati  già  licenziati  a  tempo,  e  di  que'  giomi  a  campo  presso 
Sarzana. 

(1)  «<  non  ftolamente  Chrzanowski  erasi  presentato  corne  générale 

ripntatissimo ,  ma  anche  qnale  eccellente  capo  di  Stato  Maggiore  d'e- 
sercito;  e  nel  nostro  paese  e  in  Italia  non  abbiamo  assolntamente  nn 
générale  abile  tanto  da  atare  a  capo  del  nostro  Stato  Maggiore...  Se 
voi  lo  fate  yenire,  sarà  nn  gran  bene  per  Tesercito  nostro.  » 

Lettera  del  re  Carlo  Alberto  del  26  agosto  1848  al  générale  Da- 
bormida. 

(2)  Nella  sollevazione  polacca  del  1830,  Chrzanowski  ebbe  in  Gora 
on  coUoqnio  segreto  col  générale  maso  Thiemann  ;  egli  ayeva  pregato 
qnesto  générale  di  adoperare  i  snoi  bnoni  offici  presso  lo  Gzar,  a  fine 
d'ottenere  nn  accomodamento  onorevole  col  principe  Czartoryski  —  che 
preaiedeva  al  Govemo  ~  e  col  conte  ^Ladislao  Ostrowski,  allora  Mare- 
sciallo  délia  Dieta.  Chrzanowski,  divennto  QoTematore  di  Varsavia,  ta 
de'  più  inchini  alla  dedizione ,  qnando  erano  tattayia  yalide  le  difese, 
forti  le  resistenze;  e  ginnse  a  tanto,  da  minacciare  persino  di  morte  il 
"Vice  Présidente  délia  eittà,  allora  che  Toleya  chiamare  in  sn  Tarme 
le  gmardie  di  sieurezza,  che  costitoiscono  il  yero  popolo  di  Varsayia. 
Vennta  questa  per  resa  patteggiata,  a  mano  dei  Bnssi,  Chrzanowski 
rimase  in  città,  sperando  che  lo  Czar  sarebbe  per  tener  conto  di  qnanto 
egli  ayeya  già  da  tempo  operato  per  la  dedizione;  ma  accolto  fireddar 
mente  dal  grandnca  Michèle  egli  lasciaya  la  Polonia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


206  CAPITOLO   Y 


rivelô  Terrore  di  quella  elezione  cosi  poco  sennata;  perô 
che  Ghrzanowski,  nello  affermare  a  Novara  la  fama  di 
soldato  valoroso»  si  chiarisse  mediocrissimo  capitano:  il 
maie,  coaseguenza  délia  sua  elezione  a  generalissimo,  fa 
irreparabile  !  —  In  questo  mezzo  chiudevansi  le  conferenze 
di  Bruxelles.  La  mediazione  di  Francia  e  di  Bretagna  — 
accettata  dalla  Sardegna  con  lealtà,  daU'Austria  con  mala 
fede  —  non  rlescendo  a  condurre  i  guerreggianti  a  compo- 
nimento  amichevole,  causa  le  esprbitanti  pretensioni  del 
Governo  impériale,  di  voler  trattare  direttamenle  con  quel 
di  Torino  e  negoziare  la  pace  su  le  basi  del  trattato  di 
Vienna,  lasclava  aile  armi  il  carico  di  risolvere  la  qui- 
stione.  In  verità  era  follia  sperare  che  l'Austria  volesse 
lasciarsi  spogliare  délie  sue  più  belle  provincie,  che,  per 
brevi  mesi  perdute,  aveva  racquistate  con  la  forza  delle 
«rmi.  Se  in  favore  di  Carlo  Alberto  stava  la  dedizione  v(h 
lontaria  di  quelle,  per  Tlmperatore  stavano  gli  antichl 
trattati,  soprammodo  poi  quelli  di  Vienna  del  1814  e  1815. 
—  La  guerra  era  dunque  divenuta  inevitabile,  e  a  sîibita 
guerra  spingevasi  il  Re  sabaudo  dai  popoli  subalpin!  e  dagli 
amici  délia  monarchia  sarda,  desiderosi  di  vederne  allar- 
gâta  la  dominazione  e  accresciute  le  belle  e  gloriose  tra- 
dizioni  delle  sue  armi;  da  moltissimi  poi  volevasi  la  guerra 
per  tema  che  la  Lombardia  e  le  Venezie  avessero  ad  eri- 
gersi  in  principato  indipendente  con  somme  danno  degli 
interessi  délia  Sardegna;  soUecitavasi  11  Re  a  rompere  le 
ostilità  contra  TAustria  dalla  Consulta  lombarda  (1),  impa- 
ziente  di  vedere  i  concittadini  francati  dalla  signoria  stra- 


(1)  La  Consulta  lombarda,  la  quale  siedeva  in  Torino,  era  stata 
creata  allô  scopo  di  tntelare  le  facoende  dei  faornsciti  di  Lombardia. 

Angelo  Fava,  repntando,  e  a  ragione,  non  essere  anoor  gionto  il 
momento  favorevole  a  gnerreggiare  FAustria,  opponerasi  alla  Consulta, 
che  Yoleya,  ai  ayesse  ad  afifrettare  il  disdir  delle  tregne.  C(m  la  quale 
sennatissima  opposizione  »  in  verità  molto  a  lodarsi  —  Fava  mostro 
di  conoscere  assai  più  dei  colleghi  le  condizioni  del  paese,  da  lui  rite- 
nnto  allora  non  preparato  alla  gnerra. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SABDEGITA  PBXPA&ASI  A   KUOVA  GUBBBA   BGC.  907 

niera,  ehe  in  mille  gaiae  tormentavali  e  11  ammiseriva;  in 
fine,  volevasi  la  guerra  dallo  stesso  Carlo  Alberto  per  To- 
nore  proprio  e  la  gloria  del  suo  regno. 

Prima  di  narrare  la  seconda  guerra  deirindipendenza 
italiana  —  guerra  che,  dopo  un  badaluccare  e  combattere 
di  tre  giornl,  doveva  flnire  con  la  giornata  di  Novara,  in- 
faosta  tanto  ail'armi  patrie  —  diremo  brevemente  degli 
ayyenimenti  compiutisi  neirimperio  austriaco  dalle  tregue 
di  Milano  al  rompersi  di  esse. 

Ottenuti,  con  la  indipendenza  del  regno,  Ministri  nazie- 
nali  obbligati  a  dar  ragione  deiroperar  loro,  gli  Ungaresi 
Tollero  che  l'esercito  avesse  a  giurare  fedeltà  alla  patria 
soltanto  ;  e  dovendo  per  ciô  le  forze  armate  del  paese  esclu- 
siyamente  adoperarsi  alla  difesa  di  esso,  richiamarono  quelle 
che  allora  combattevano  sul  Mincio  e  su  TAdige,  nel  me- 
desimo  tempo  deliberando  di  non  concedere  piii  alla  guerra 
dltalia  uomiiii  e  danaro.  L'Austria,  che  da  quel  risve- 
gliarsi  dei  Magiari  e  dal  loro  gridarsi  indipendenti,  temeva 
ayesse  a  venir  grave  danno  alla  integrità  dello  Stato,  non 
potendo  apertamente  resistere  ad  essi,  ridestava  gli  odi  di 
razza,  già  da  lunga  pezza  sopiti,  muovendo  i  Croati  contra 
qnella  nazione  generosa.  I  quali,  veduto  Jellacbich»  lor 
bano,  in  brevi  giorni  salire  ai  sommi  onori  e  aile  piii  alte, 
dignità  deirimperio,  securi  délia  protezione  délia  Gorte 
viennese,  ribellavansi  alla  Dieta  ungarica;e,  rotti  i  vincoli 
Gratellevoli  di  loro  secolare  nnione  ai  Magiari,  costituivansi 
in  regno  indipendente.  Gostretta  a  rispettare  i  privilegi 
deirungaria,  sui  quali  poggiano  le  sue  libertà,  e  a*  cui 
principi  deve  rendere  omaggio,  l'Austria,  che  ad  ogni  costo 
vuole  opprimerla,  lascia  impuniti  gli  assassini  commessi 
dai  Serbi  (1)  sui  vicini  Tedeschi  e  sui  Magiari  :  onde  tra 


(1)  I  Serbi  abitano  il  comitato  di  Bacs  —  la  Bacska  —  che  sta  tra 
la  bassa  Theiss  —  il  Tibisco  —  e  il  Dannbio.  Nella  Bacska  troyansi 
le  anticbe  trineee  romane. 


Digitized  by  VjOOQIC 


206^  CAPITOLO  V 


le  due  nazioni  rivali,  di  li  a  poco  accendesi  guerra  fero- 
cissima.  La  condusse  il  bano  Jellachich,  il  quale,  sebbene 
per  quella  ribellione  e  mossa  d*armi  coatra  TUngaria,  ve- 
nisse  apertamente  rimproverato  dall*Imperatore,  riceveva 
perô  di  nascosto  da  lui  validi  ainti  per  la  sua  impresa; 
egli  era,  forse  senza  volerlo,  strumento  délie  usate  arti 
deirAustria  e  délia  sottile  politica  di  Metternich,  la  quale 
finiva  allora  il  suo  tempo.  La  Gorte  impériale  —  e  con  essa 
il  Ooverno  —  mentre  affermaya  pubblicameute  di  condan- 
nare  la  ribellione  e  Toperato  di  Jellachich,  e  dicevasi  riso- 
luta  di  proteggere  i  diritti  délia  corona  magiara,  agitava 
in  tutta  segretezza  la  Groazia  e  sofflaya  nel  fuoco  délia 
discordia,  allô  intente  d*inyalidare  gli  sforzi  délia  média- 
zione  assunta  dalFarciduca  Giovanni  —  il  Vicario  dell'im- 
perio  germanico  —  per  comporre  onoreyolmente  la  contesa 
slayo-ungarica  e  impedire  cosi  la  guerra  ciyile,  che  pa- 
reya  vicinissima  ad  accendersi.  Falliti  i  tentativi  di  tornare 
a  concordia  quelle  due  nazioni»  Tarciduca  Giovanni  lasciava 
Vienna  per  recarsi  a  Pranooforte  ad  aprire  la  Dieta  del- 
l'imperio;  Esterhazy,  il  quale  in  Gorte  di  Ferdinando  rap- 
presentava  TUngaria,  riedeva  a  Pesth  aU'offlcio  di  Miuistro 
sopra  gli  affari  esterni;  in  fine,  il  bano  Jellachich  ricon- 
ducevasi  in  Groazia  a  darvi  opéra  sollecita  ai  preparamenti 
^bellici,  per  uscire  alla  campagna  innanzi  che  i  Magiari 
avessero  raccolto  esercito  bastevole  a  contrastargli  Tinva- 
sione  del  loro  paese.  Pochi  giorni  dopo  i  prosperi  eventi 
dell'armi  austriache  sul  Mincie  e  la  cacciata  di  Lombardia 
dei  Sardi,  Ferdinando  da  Innspruck  faceva  ritorno  all'im- 
periale  Vienna,  e  1*8  settembre  di  queiranno  1848  venivano 
alla  sua  presenza  molti  rappresentanti  deirungaria,  i  qu&li 
nello  assicurarlo  di  loro  fedeltà^pregavanlo  di  salvare  la 
indipendenza  e  la  libertà  délia  patria  magiara  minacciata  da 
Jellachich.  Rispondeva  ad  essi  Tlmperatore  :  =  Essere  stata 
sempre  in  lui  ferma  volontà  di  mantenerne  intatti  i  diritti, 
le  leggi  e  l'integrità,  corne  giurato  avea  al  suo  ascendere  al 
trono;  i  Ministri  farebbero  presto  conoscere  la  delîbera- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    SARDEQNA  PBSPABA8I  A  ITUDYA   OUBRRA   ECC.  209 

zione  ch'egli  sarebbe  per  preadere.  =  Che  poteva  mai  spe- 
rare  ITJngaria  dal  suo  Re,  che  di  quei  giorni  scrîvendo  a 
Jellachich»  dopo  averne  lodate  le  prove  di  devozione  da- 
tegli,  confermavalo  nella  dignità  di  bano  e  negli  alti  carichi 
già  conferitigli  ?  Da  tali  atti  del  suo  sovrano  vie  più  inco- 
raggiato  airimpresa,  Jellachich  chiama  allora  in  su  l*arme 
i  Groati,  gli  Illirici,  gli  Slavoni  e  le  popolazioni  dei  Cotir 
fini  militari;  e  di  essi,  che  numerosi  corrono  al  suo  ap- 
pello,  fatta  la  massa  su  la  Drava,  il  9  settembre,  valicatala 
presse  Varadino  senza  contrasto,  invade  il  territorio  un- 
garese.  Moltissimi  ufBziali  imperiali  contavansi  neireser- 
cito  del  bano,  le  cui  artiglierie,  tolte  aile  fortezze  del  con- 
fine, erano  tutte  maneggiate  da  cannonieri  austriaci.  Taie 
invasione,  operatasi  senza  intimare  prima  la  guerra,  era 
stata  voluta  dal  Governo  di  Vienna,  allô  intente  di  spingere 
i  Magiari  aile  armi  e  aver  cesi  il  preteste  d'intervenire 
nella  contesa  e  domare  quella  soUevazione  che  con  la  più 
vituperevole  mala  fede  il  Governo  stesso  aveva  provecata. 
Il  29  settembre  a  Yelentze,  terra  situata  a  brève  distanza 
da  Sthulweissemburg  su  la  via  che  mena  a  Buda,  i  Ma- 
giari assaggiavansi  per  la  prima  volta  coi  Oroati,  capita- 
nati  da  Jellachich;  il  quale,  avendo  patite  aspra  battitura, 
implerava  dal  vincitore  una  tregua  di  tre  giorni,  che  ve- 
nivagli  accerdata,  ma  veggendosi  ridotte  in  assai  malo 
stato  e  senza  via  di  salvamento,  di  nottetempo,  rompendo 
la  fede  data,  fuggiva  verso  Talto  Danubio  per  ripararsi 
neU'arciducate  d'Austria.  —  In  queste  mezzo,  avvenimenti 
di  grave  impertanza  eransi  compiuti  a  Pesth  e  a  Vienna. 
L'Imperatere,  il  quale  voleva  ad  ogni  ceste  si  posassero  le 
armi  dagli  Ungaresi,  mentre  a  questi  ordinava  di  posare  la 
gaerra,  spediva  il  maresciallo  Lemberg,  Commissario  régie 
a  Pesth,  a  prendere  la  somma  del  cemande  di  tutti  i  pre- 
sidi  del  règne  magiaro,  ed  eziandio  con  Tufflcio  di  com- 
perre  le  differenze  levatesi  tra  le  due  nazieni  combattenti. 
Se  non  che  al  suo  arrivare  in  quella  città  —  e  fu  il  28 
settembre  —  il  popole,  tumultuante  scagliavasi  su  lui  e  le 

14  —  Vol.  IL  Maruni  —  Storia  j>o{.  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


210  CAPITOLO   V 


tagliava  a  pezzi.  Si  orrendo  delitto  eccita  lo  sdegao  di  Fer- 
dinando,  il  quale,  licenziata  la  Dieta  e  messa  TUngaria 
sotto  l'imperio  délie  leggi  militari,  créa  il  bauo  comandante 
suprerao  di  tutte  le  forze  armate  di  quel  paese  cou  la  piii 
alta  autorità  epotestà;  e  a  rendergli  facile  e  spedita  la 
repressione  del  soUevamento  magiaro,  aflTorza  Tesercitodi 
Jollacliich  di  grossa  schiera  d'imperiali,  che  toglie  dal  pre- 
sidio  di  Vienna.  Ma  il  diniego  di  un  battaglione  di  fanti 
italiani  di  recarsi  a  combattere  guerra  fraterna  e  i  modi 
violenti  usati  dal  Governo  per  ridurre  aU'obbedienza  quei 
soldati,  fanno  soUevaro  gli  opérai  délia  citta;  i  quali,  assaliii 
da  prima,  assalgoiio  di  poi  gli  imperiali  con  tante  impeto  da 
costringerli  a  lasciar  Vienna  nella  sera  stessa  di  quel  giorno  6 
ottobre.  Vittima  del  furore  popolesco  cadeva  il  Ministre  so- 
pra  le  armi,  Latour,  che,  preso  in  sua  casa,  veniva  bar- 
baramente  ucciso,  indi  trascinato  per  le  vie  e  appeso  ad 
un  lampione.  L'Imperatore,  il  quale  trovavasî  al  castello  di 
Schônbrunn,  avvertitô  che,  vittoriosa  la  soUevazione,  YAs- 
semblea  Costîtuente  aveva  fidato  il  potere  supremo  a  un 
Gomitato  di  salute  pubblica,  s*incammina  verso  Olmûtz, 
scortato  da  forte  presa  di  soldati;  e  saputo  per  via  Tavri- 
cinarsi  di  Jellachich  al  Danubio  —  in  quel  mezzo  giunio 
a  Presburg  —  gli  ordina  di  procedere  sollecito  innanzi  per 
unirsi  aile  genti  di  Auersperg,  riprendere  insieme  la  città 
rubelle  e  spegnervi  la  soUevazione.  Il  bano  avanzossi  spe- 
ditamente  e  venue  a  porre  i  suoi  campi  davanti  alla  parte 
orientale  di  Vienna;  la  quale,  dopo  violente  assalto  stre- 
nuamente  sostenuto,  e  che  durô,  quasi  incessante,  quattro 
giorni  —  gli  ultimi  d'ottobre  —  non  vedendo  giugnere  il 
tanto  sperato  soccorso  deiresercito  ungarese,  allora  cam- 
peggiante  Presburg,  il  primo  novembre  posava  le  armi.  Win- 
dischgratz,  che  aveva  condotto  il  brève  assedio,  usô  cru- 
delmente  la  vittoria  ;  avvegnachè,  concesso  da  prima  a'  suoi 
soldati  di  saccheggiare  le  robe  e  fare  strazio  dei  cittadini, 
ponesse  di  poi  questi  sotto  il  governo  militare,  dure  sem- 
pre,  durissimo  allora  per  la  ferocia  di  lui  che  lo  presie- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   8ÀBDE6NA   PRBPARASI  A  NTTOYA   OUERBA   ECC.  211 

Aev3L  e  per  quella  altresi  délia  fazione  soldatesca,  la  quale, 
salita  in  superbîa  per  Tottenuta  vittoria,  davasi  vanto  di 
aver  salvata  la  Monarchia.  Alla  Dieta  deirimperio,  raccol- 
tasi  poco  appresso  alla  sommessione  di  Vienna,  U  principe 
Felice  Schwarzenberg,  che  stava  a  capo  del  Governo,  pro- 
metteva  mantenere  ai  popoli  delFAustria  le  loro  libertà,  di 
soddisfare  ai  bisogni  dei  nuovi  tempi  e  di  assicurare  ai 
Gomuni  Tamministrazione  degli  interessi  propri;  in  âne, 
dara  speranza  che  in  un  awenire  non  lontano  le  diverse 
genti,  che  abitavano  Timperio,  godrebbero  dei  benefici  di 
nna  Costituzioney  la  quale,  mediante  Tuguaglianza  dei  di- 
ritti,  tutte  insieme  le  unirebbe.  A  impedire  il  rinnovarsi 
di  sollevamenti  popoleschi,  che  in  brève  période  di  mesi, 
avevano  più  volte  turbata  la  pace  deirimperio,  la  parte, 
che  intitolavasi  iiçWAustria  ringiwaniia,  e  che  sebbene 
da  poco  tempo  ordinatasi,  era  già  divenuta  oltrepotente  in 
Corte  di  Vienna,  obbligava  Ferdinando  ad  abdicare  al  trono 
e  costpingeva  il  fratello  suo  Prancesco  —  cui  spettava  la 
corona  —  a  rînunziarla  al  primogenito  suo  Francesco  Giu- 
seppe;  il  quale,  nello  ascendere  alla  sedia  imperatoria,  ban- 
diva  il  viribus  unitis,  motto  ch'egli  prendeva  a  sua  im- 
presa;  con  queste  parole  —  simbolo  delFunione  di  tutte  le 
forze  morali  e  materiali  délia  monarchia  absburghese  — 
egli  mirava  a  far  conoscere  gli  intendimenti  suoi,  che  perô 
non  gli  fu  possibile  di  compiere  mai  (1). 


(1)  u  In  taie  nnova  condizione  deUe  cose  era  necessario  un  potere 
più  gioyane...  nnoye  difficoltà  doveyano  ora  leyarsi  lispetto  ali'Uiigaria. 
Di  fronte  a  questo  popolo  rimperatore  troyavasi  legato  dalla  sua  pa- 
Tola  e  dalle  concessioiii  anteriori...  Già  da  Inngo  tempo  on  grande  par- 
^ito,  a  Vienna,  pensava  aUa  abdicazione  dell'imperatore  Ferdinando, 
principe  malaticcio,  nomo  onesto  corne  tutti  quelli  délia  sua  razza,  ma 
inettisnmo  a  govemaie  in  un  momento  si  difficile.  Nella  crisi  prodot- 
tasL  dopo  il  24  febbraio,  nna  donna,  rarcidnchessa  Sofia,  erasi  mostrata 
piena  di  fermezza  e  di  forte  risolntezza;  essa  ayeva  un  figlinolo  di 
diciotto  anni,  già  conoscinto  dall'esercito  e  snl  quale  riposavano  grandi 


Digitized  by  VjOOQIC 


212  OAPITOLO  ▼ 


La  lentezza  nel  risolvere  e  la  irresolutezza  neiroperare 
di  Môga,  il  quale  capitanava  Tesercito  ungarico,  erano 
state  le  vere  cause  délia  caduta  di  Vienna;  se  la  négli- 
gente sua  guardia  aveva  reso  facile  a  Jellachich  la  fuga 
da  Velentze,  dovere  di  Môga  era  di  acquîstare,  con  la  ce- 
lerità  délie  mosse,  quanto  avevagli  fatto  perdere  la  pristina 
negligenza;  ma  egU  tardi  e  flaccamente  perseguitô  il  ftv 
difrago  Bano;  e  venuto  a  Presburg,  non  pensando  più  a 
offendere,  pose  i  suoi  carapi  presse  le  mura  di  quella  città. 
spingendone  fin  su  la  Leytha  le  prime  ascolte  allô  scopo 
di  spiare  i  movimenti  del  nimico  ;  il  quale,  allora  tutto  in- 
iento  airimpresa  di  Vienna,  non  poteva  volgerglisi  contra. 
—  Di  quel  giorni  Tesercito  magiaro  dell'alto  Danubio  con- 
tava  quattordici  mila  fanti  e  due  reggimenti  di  ussari, 
tutta  gente  d'ordinanza  bene  ammaestrata  aile  armi;  in 
oltre,  ventiraila  guardie  nazionali  e  grossa  schiera  délia 
Landsturm  ;  ma  su  quelle  e  su  questa  perô  potevasi  fare 
poco  fondamento,  per  essere  maie  armate,  non  istruite  negli 
ordini  délia  milizia  e,  quel  che  era  peggio,  non  discipli- 
nate  alla  guerra  ;  onde,  essendo  atte  soltanto  a  combattert" 
tumultuariamente,  dovevano  tornare  più  spesso  di  danno, 
rare  volte  di  vantaggio.  A  togliere  gli  Ungaresi  dalla  loro 
inoperosità,  che  tanto  nuoceva  agli  interessi  délia  patrie 
ed  eccitarli  a  soccorrere  Vienna,  dalla  cui  resistenza  in 
grande  parte  dipendevano  le  sorti  délia  comune  libertà, 
recavasi  al  carapo  di  Parendorf  il  Présidente  del  Comitato 
di  difesa  nazionale,  Kossuth,  con  forte  mano  di  armati  e 
alquante  batterie  di  cannoni  ;  il  quale,  con  sua  éloquente 
parola  vinti  gli  oppositori,  confortati  i  dubbiosi,  tutti  poi 


speranze:  perché  dimqiie,  ottenendod  l'abdicazione  dell'Imperatore  e 
del  padre  del  giovane  aroidnca  Francesco  Ginseppe,  non  offirirebb^  & 
qnesti  la  coiona  impériale?  n 

M.  Capbfigub,  La  Société  et  les  Gouvernements  de  l'Europe,  voL  n, 
-cart  173;  Broxelles,  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SABBEONA  PSBPABA8I  A   NTJOYA  OUEBBA   EGC.  213 

iafiammando  al  combattere,   riusciva   a   fare  accettare  i 
suoi  disegni  di  offesa»  da  lui  mandat!  a  partito:  era  troppo 
tardi  per  salvare  Vienna!  —  Il  28  ottobre   l'esercito  ma- 
^aro,  divise  in  tre  scliiere,  superata   la   Leytha,  portossi 
su  la  Fischa;  il  di  appresso,  yalicato  questo  fiume,  proce- 
dette  innanzî  poco  più  di  cinque  chilometri  verso  le   al- 
ture  di  Schwechat;  presse  le  quali  il  30  veniva   assalite 
e  dope  brève  pugna  fugato  dalle  armi  di  Windiscligrâtz; 
il  quale,  sapute  il  sue  awicinarsi,  aveva  spedite  a  incen- 
tarlo  buen  nerbe  di  sue  genti;  viste  di  nen  peter  riescire 
a  rompere  l'assedie  di  Vienna,  Môga   ricenduceva  dietre 
ia  Leytha  le  diserdinate  sue  schiere.  Queste  générale,  che 
nel  muovere  l'esercite  e  nel  cembattimente  di  Schwechat 
erasi  chiarite  inette  a  reggere  la  guerra,  per  cemando  di 
Kossuth  cedevane  il  geverne  a  Gôrgey,  chesinealpesare 
délie  armi  le  tenue.  Appena  assunte  queste  efficie,  Gôrgey 
ÎQtese  sue  cure  a  rifermare  Tesercite,  a  rinnevarne  lamili- 
tare  disciplina  e  ad  esercîtarle  nelle  fatiche,  nei  maneggi  e 
negli  erdini  délia  guerra;  scritti  in  esse  i  volontari  che  me- 
stravansi  prepriedesideresi  di  servire  allapatriaconle  armi, 
licenziô  i  poco  animes!.  —  Riaffermata  in  Vienna  Tautorità 
impériale,  Windischgrâtz  a  mezzo  novembre  messe  Teser- 
cito  centra  l'Ungaria,  e  senza  contraste  ne  superô  la  fren- 
tiera,  il  grande  prependerare  di  sue  forze  avende  cestretto 
i  Magiari  a  indietreggiare;  i  quali,  vinti  di  poi  aBàbàlna 
e  a  Moor,  riducevansi  da  prima  a  Buda,  indi   a   Waitzen 
sa  la  sinistra  del  Danubie,  eve  queste  flume  velge  il  sue 
corso  da  penente  a  mezzegierne.  —  In  queste  mezzo  il  Ge- 
verne e  la  Dieta  avevano  trasportate  la  lore  sede  a  De- 
breczin,  dietre  la  Theiss  ;  ragione  di  sicurezza  ebbeli  con- 
sigliati  di  lasciare  Pesth  e  di  recarsi  in  terra  lontana  dalla 
coQtrada,  nella  quale  devevasi  cendurre  la  guerra.  I  Mi- 
mstri,  fatta  deliberazione  di  venire  col  nimice  a  giornata 
finale  innanzi  a  Buda,  ingiungevano  a  Gorgey  di  combat- 
terla  cen  tutto  le  sforze  délie  sue  armi,  e  nel   medesime 
tempo  di  ordinarsi  per  mode  da  petere,  nel  case  di   una 


bigitized  by  VjOOQ IC 


214  CAPITOLO   V 


sconfitta,  ridurre  Tesercito  a  salvameato  su  la  sioistra  del 
Danubio;  in  oltre,  comandavagli  di  non  fare  in  sua  ritratta 
resistenza  veruna  in  Buda,  per  non  esporla  agli  orroridi 
una  presa  per  assalto,  ai  quali  Windischgràtz,  se  vincitore, 
certamente  avrebbela  data.  Se  non  che,  importando  allora 
più  d'ogni  altra  cosa  di  conservare  quell'esercito,  sul  qual^^ 
riposavano  la  salute  e  la  libertà  délia  patria,  Gôrgey,  poco 
curandosi  del  comando   dei  Ministri»  lasciata  la  metropoli 
—  che  senza  colpo   ferire  veniva  in  potere  degli  impo- 
riali  —  riducevasi  con  tutte  sue  genti  a  Waitzen.  Mentre 
il  Gomitato  di  difesa  con  mirabile  operosità   ordinaya  in 
Debreczin  un  nuovo  esercito  —  i  cui   battaglionî,    mano 
mano  erano  forniti  di  quanto  abbisognavano  per  la  guerra, 
portavansi  a  campeggiare  la  Theiss  —  a  divertire  da  que- 
sta  Tattenzione  e  l'impeto  délie  forze  nimiche,  ed  ezîandio 
a  prowedere  alla  sicurezza  délie  sue  soldatesche,  Gôrgey, 
in  su  la  meta  del  gennaio  1849,  per  la  vallata  della  Gran 
saliva  ai  distretti  délie  città  montanine  e  agli  alti  gioghi 
dei  Garpazi  sui  confini  di  Galizia.  Windischgrâtz,  delîbe- 
rato  di  distruggere  Fesercito  di  Gôrgey,  per  tentare  D(y 
breczln  senza  tema  di  vedersi  da  esso,  in   suo   avanzarsi. 
sopraffatto  aile  spalle,  mandava  grosse  schiere  ad  assalirlo. 
Non  ostante  la  copia  grande  di  neve  caduta  in  quel  yerno 
rigidlssimo  —  la  quale  rendeva  oltremodo  penoso  il  cam- 
minare  —  fu  assai  viva  la  guerra.  —  La  fortuna  délie 
armi  da  prima  fu  varia  ;  di  poi  volse  favorevole  a  quelle  dei 
Magiari.  Gapitanati  da  Schlick  gli  Austriaci,  venuti  su  l'alta 
Theiss  per  valicarla,  il  22,  23  e  24  gennaio  a  Tarczal,  a  Bod- 
rog-Keresztur  e  a  Tokaj  erano  sconfltti  dagli  Ungaresi  di 
Elapka;  il  cinque  febbraio  gli  imperiali  perdovano  la  foi*te 
postura  del  Branyskô,  ributtati  dai  Magiari   di   Guyon  ;  i 
vincitori,  avanzandosi  d'ogni  parte,  costringevano  Schlick 
a  dietreggiare  verso  il  Danubio,  che  non  lungi  da  Waitzen 
riunivasi  al  grosso  deiresercito  austriaco.  Gôrgey  e  Klapka, 
ch'eransi  avvicinati  per  incalzare  il  nimico  conloro  forzc 
congiunte,  avevano  pur  risoluto  di  liberare  Koraorn  stretti 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  8ABDBONA   PRBPABA8I   A  NUOVA   OURBRA   ECO.  215 

d'assedio;  con  la  quale  mossa  d'armi  essi  tenevansi  sicuri 
di  allontanare  dalla  Theiss  gli  imperiali,  che  indubitabil- 
mente  correrebbero  in  aiuto  agli  assediatori.  Ma  queste 
ben  disegnate  imprese  non  poteronsi  compiere  per  essore 
stato  Klapka  chiamato  addîetro  dal  générale  Dembinski, 
un  Polacco,  allora  allora  creato  comandante  suprême  del- 
l*armi  ungariche,  eccetto  quelle  che  sotte  Bem,  parimenti 
Polacco,  campeggiavano  la  Transilvania  (1)  e  i  presidi 
délie  fortezze.  —  Mentre  Schlick  sforzavasi  di  superare  la 
Theiss  a  Tokaj,  il  23  febbraio  Windischgràtz  faceva  ten- 
tare  il  passe  di  Szolnok.  Corne  su  Talta,  cosi  su  la  média 
Theiss  gli  tomô  avversa  la  sorte;  la  battitura  patita  a 
Szolnok  fu  tanto  aspra  da  metterlo  in  forse,  se  fosse 
più  savio  consiglio  tenere  o  lasciare  Pesth;  e  certo  a- 
vrebbe  dovuto  ritrarsi  da  questa  città,  se  i  Magiari,  me^ 
glio  usando  la  vittoria,  avessero  vivamente  perseguitato 
il  nimico,  che  fuggiva  nel  massimo  disordine;  essi,  al 
contrario,  paghi  délia  riportata  vittoria,  riederono  ai  loro 
campi  su  la  sinistra  délia  Theiss.  Con  quanto  onore  gli 
Ungaresi  combattevano  in  campagna  aperta,  con  altret- 
tanta  Ûacchezza  pugnavano  dietro  le  mura  délie  fortezze 
assediate  ;  perô  che  dopo  brève  resistenza  aprissero  ai  ni- 
mici  le  porte  di  Leopolstadt  —  la  quale  signoreggia  la 
Tallata  délia  Waag  —  e  di  Essek,  che  dalla  Drava,  sevra 
CQi  siede,  soprasta  minacciosa  alla  Schiavonia;  la  perdita 
délie  quali  fortezze  tornô  di  11  a  non  moite  di  grave  danno 
ai  soUevati.  Fatta  deliberazione  di  prendere  le  offese  con- 
tra il  grosso  degli  Austriaci,  Dembinski,  quand'ebbe  rac^ 


(1)  La  conquista  della  Transilvania  vanne  da  Eossuth  fidata  al  gd- 
oerale  Bem,  che  recossi  in  qnella  provincia  nel  novembre  1848.  Ordi- 
Bato  nel  période  di  poche  settimane  nn  esercito  —  di  numéro  inferiore 
a  quel  dei  nimici,  in  valore  perô  d'assai  superiore  —  in  brave  tempo 
e  con  somma  glorîa  compté  l'impresa,  sbaragliando  e  sperdendo  Au- 
striaci e  Russi,  1  quali  ultlmi  erano  accorsi  a  sostenere  la  vacillante 
fortuna  della  monarchia  absburghese. 


Digitized  by  VjOOQIC 


216  CAPITOLO   V 


colto  a  Miskolczy  sul  Sajo,  lo  sforzo  deiresercito  suo,  avan- 
zossi  verso  Pesth  ;  ma  i  nimici  ruppei^li  i  concepiti  disegni, 
perô  elle  mentre  trovayasi  in  Erlau,  forze  poderose  di  im- 
periali  assalissero  sue  genti,  il  26  febbraio,  a  Kàpolna,  a 
Yeperlèt,  a  Kàl.  Due  giorni  si  combatte;  le  armi  che  po- 
saronsi  al  cadere  délia  notte,  si  riprendettero  airalbeg- 
giare  del  nuovo  di;  la  fortuna  fu  varia,  avendo  quando 
l'una,  quando  Taltra  délie  parti  il  peggio,  sovente  dovet- 
tero  rifarsi.  Dalla  lotta,  oltre  ogni  dire  ostinata  e  sangui- 
nosa,  uscirono  vincitori  gli  Austriaci;  cause  di  lor  vittoria, 
il  giugner  tardi  di  alcune  forze  magiare  e  il  non  arrivare 
di  altre  sul  campo  e,  come  allora  si  scrisse,  la  poca  ar- 
monia  che  regnava  flra  Dembinski  e  Gôrgey,  funesta  con- 
seguenza  délia  gelosia,  fors'  anche  deirodio  di  quesVultimo 
verso  il  suo  capo;  awegnachè,  cupidissimo  del  generalato 
supremo,  lamentasse  la  perduta  indipendenza  di  comaa- 
dante  deU'esercito  deiralto  Danubio,  e  dicesse  se  e  i  suoi 
compagni  d'armi  umiliati  di  trovarsi  sotto  gli  ordini  di 
capitano  straniero.  Windischgrâtz  non  seppe  profittare 
délia  vittoria;  soddisfatto  d'avere  respinto  il  nimico  da 
Kàpolna  e  Yeperlèt,  non  perseguitollo  in  sua  ritratta; 
glielo  ébhe  impedito  la  nebMa^  cosi  scrisse  ai  Minlstri 
deirimperatore  nella  sua  relazione  délie  giornate  di  feb- 
braio  !  !  —  Dembinski,  scoraggiato  dall'esito  infelice  sortito 
a  Kàpolna  aile  sue  armi,  fatta  allora  rinunzia  ad  ogni  of- 
fesa,  11  28  di  quel  mese  andô  con  Tesercito  riunito  iutorno 
a  Mezo-Kôvsed,  a  cavalière  délia  via  di  Keresend;  e  il  di 
vegnente,  il  primo  marzo,  portoUo  piii  addietro  in  campi 
gli  uni  dagli  altri  lontani,  rinnovando  cosi  Terrore  com- 
messo  a  Kàpolna.  Gli  Austriaci,  che  il  giorno  innanzi  ave- 
vano  assalito  il  retroguardo  ungarese>  in  sul  cadere  di  quel 
giorno  venivano  sopra  Klapka  in  Eger-Farmos^  la  destra 
dei  campi  magiari.  Klapka  strenuamente  resistette  ai  ni- 
mici; ma  sorvenuta  la  notte,  temendo  nuovi  assalti  portossi 
a  Poroszlô  allô  scopo  d'appoggiarsi  alla  Theiss;  e  allora 
Dembinski,  per  non  correre  pericolo   di   far  la   gioraata 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  SABDSGNA  PBEPABASI  A  KUOYA  GUSBBA  EGC.    217 

avendo  quel  fiume  aile  spalle,  ordînô  airesercito  la  ritratta 
sa  la  sinistra  di  esso  ;  la  quale  yenne  eseguita  il  2  marzo  e  il 
mattino  del  vegnente,  senza  danno  ne  molestia,  in  presenza 
dei  nimici.  Due  giorni  dopo  il  colonnello  Damjanics,  ri- 
passata  con  la  sua  divisione  la  Theiss  presse  Gzibakhaza, 
a  valle  di  Szolnek,  allô  scopo  di  esplorare  le  mosse  degli 
imperiali,  spingevasi  su  la  via  ferrata  di  Pesth;  e  trova- 
tosi  in  mezzo  alla  brigata  d*Ottinger  in  Abany  e  in  quella 
di  Kagern  in  Szolnok,  voltosi  contra  quest'ultima  mette- 
vala  in  piena  rotta  ;  montre  un*altra  schiera  di  Ungaresi» 
aasalite  in  Gzegled  le  genti  di  Grammant  e  di  Ottinger, 
ne  li  cacciava  con  grave  lor  perdita.  —  La  cattiva  prova 
fattadaDembinski  nel  condurre  laguerra  avea  destato  mal- 
eoûtento  universale;  i  generali  discordavano  tra  loro,  di- 
scordavano  dal  capitano  suprême;  e  la  sfiducia  di  soldati 
era  giuata  a  tanto  da  niegare  obbedienza  agi!  ordini  di 
Dembinski,  se  non  fossero  stati  prima  approvati  da  Gôrgey 
0  da  Klapka,  nei  quali  avevano  piena  conûdenza:  onde  il 
Goyerno,  a  impedire  che  discordia  e  sflducia  menassero  a 
royina  la  guerra,  e  con  questa  la  patria,  diede  a  Yetter  il 
comando  in  capo  deiresercito,  che  pochi  giorni  di  poi,  per 
lo  infermarsi  di  quel  générale,  la  potestà  suprema  délie 
armi  venue  a  mano  di  Gôrgey. 

Dopo  Tascensione  al  trono  di  Francesco  Giuseppe,  la 
politlca  austriaca  aveva  preso  un  indirizzo  piii  risoluto, 
pià  ferme.  Felice  di  Schwarzenberg,  primo  ministro  del- 
rimperatore,  deliberato  di  farla  flnita  con  le  ribellioni  e 
coi  ribelli,  erasi  avvicinato  alla  Russia;  la  quale,  restau- 
rati  con  la  Turchia  gll  Ospodari  di  Moldavia  e  Yalacchia 

—  abbatfcuti  già  dalla  parte  libérale  per  avère  ricevute  le 
iayestiture  di  queste  provincie  dalle  Gzar  e  dal  Sultane 
dei  Turchi  —  tenevasi  tuttavia  forte  in  su  l'arme  nei 
principati  Danubîani  e  lungo  i  conûni  degli  Stati  slavi  e 
aastriaci.  Il  principe  Schwarzenberg  bene  indovinando  es- 
sere  la  quistione  magiara  di  vita  e  di  morte  per  TAustria 

—  perô  che  il  violente  separarsi  deirungaria  farebbe  cer- 


Digitized  by  VjOOQIC 


218  CAPITOLO   V 


tamente  cadere  Timperio  in  rovina  —  il  6  dicembre  del  1849 
fermara  con  la  Russia  ua  trattato  segreto,  in  virtù  del 
quale  gli  eserciti  del  Sire  moscovita,  quando  la  fortuna  délie 
armi  austriache  vacillasse  sul  Danubio,  correrebbero  in  loro 
aiuto;  tanto  valide  appoggio  dovea  assicurare  all'Imperatore 
esito  felice  airimpresa  dltalia,  ove  la  Sardegna  e  tuttala  parte 
libérale  apprestavano  nuove  armi  per  combatterlo.  —  Corne 
a  Vienna,  cosi  in  Germania  la  democrazia  pura,  deslde- 
rosa  di  piîi  largo  reggimento,  commoveva  e  muoveva  il 
paese,  soprammodo  Berlino,  dove  eransi  raccolti  con  la 
parte  maggiore  dei  capi  di  quella  gli  agitatori  piii  ardenti; 
i  quali,  non  di  rado  spalleggiati  dai  Parlamenti  di  Vienna 
e  Berlino,  diventavano  ogni  giorno  più  audaci.  VAssem- 
hlea  Costituenie  di  Francoforte,  in  oui  risiedeva  la  suprema 
potestà  délia  nazione,  cercava  bensi  di  porgere  argine  alla 
invadente  idea  délia  repubblica  e  frenare  chi  facevasi  a 
tentar  novità;  ma  non  sempre  gli  sforzi  suoi  giugnevano 
a  impedire  i  tumulti  e  le  sommosse.  Invero  strana  contrad- 
dizione  !  quelFAssemblea,  cho  combattendo  i  sognatori  del- 
Vunità  germanica  voleva  soprattutto  rispettate  le  sovra- 
nit&  e  le  libertà  degli  Stati  alemanni,  nello  approvare  la 
riunione  dello  Schleswig  aU'Holstein  in  uno  Stato  indipen* 
dente,  incitava  allora  la  Prussia  alla  guerra  contra  la  Da- 
nimarca,  oflTendendo  cosi  i  diritti  del  Sire  danese  (1).  Pre- 


(1)  Nel  1814  lo  Schleswig  e  l'Holstein  avevano  chiesto  &1  Oovenio 
danese  di  reggersi  oon  nna  costitozione  tntta  propria;  non  esauditi  al- 
lora, linnovayano  taie  domanda  nel  1830,  chiedendo  anche  di  compoisi 
in  uno  Stato  indipendente  sotto  la  famiglia  régnante.  Corne  nel  1814, 
cosi  nel  1830  il  Govemo  niegô  soddisfare  ai  loro  desidôri:  onde  i  Dn- 
cati  cominciarono  ad  agitarsi.  I  Tedeschi  dello  Schleswig,  memoii  che 
sino  dai  tempi  di  Carlo  Magno  TEyder  segnava  il  confine  di  Qennania 
—  Eidora  terminus  imperii  romani  —  yolevano,  avesse  il  dncato  a  far 
parte  délia  federazione  alemanna.  Lo  acclamarsi  délia  repubblica  in 
Francia  faceva  levare  in  su  Tarme  gli  Olsteinesi;  i  qnali  insignoritiaî 
di  Rendsbnrg,  entravano  nello  Schleswig.  AUo  scopo  di  protegg^re  la 
integrità  danese,  la  Prossia  al  cominciare  d'aprUa  occapava  l'Holstein^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  BABDEQNA  PB£PABA8I  A  NUOVA  OUBBBA  K0<\    219 


sto  l'ordine  veniva  sconvolto  in  Berlino  per  opéra  dei 
Circoli  polîtici  di  parte  repubblicana,  i  quali,  levato  il 
popolo  a  romore  contra  l'Assemblea^  spingevanlo  a  com- 
battere  le  guardie  nazionali  corse  a  difenderla.  A  far  che 
non  avessero  più  a  rinnovarsi  tali  brutte  scène  il  conte 
di  Brandebourg  —  che  presiede  ai  Ministri  —  propone, 
con  rapprovazione  del  Re,  abbiasi  a  trasferire  altrove  il 
Parlamento  e  mettere  Berlino  sotto  il  governo  délia  spada. 
Al  protestare  dei  Deputati  che  chiamano  tali  atti  illegali, 
6  ai  tentativi  di  ribellare  il  popolo,  risponde  il  Re  licen- 
ziando  l'Assemblea  e  ponondo  Berlino  sotto  Timpcrio  dellc 
leggi  militari:  cosi  à  ristabilito  Vordine  nella  metropoli 
pnissiana.  Del  licenziamento  deirAssemblea  di  Berlino  la 
Dieta  di  Francoforte  lagnasi  presso  il  Re  ;  il  quale,  in  sua 
risposta,  le  fa  conoscere:  ==  Che,  per  essere  taie  affare 
tatto  prussiano,  il  suo  operato  non  puô  offendere  i  diritti 
délia  Dieta.  =  Il  contegno  ferme  e  risoluto  dei  Ministri 
di  Vienna  e  Berlino,  contegno  che  preludeva  a  un  sistema 
di  governo  tutto  militare  —  nel  qualo  ben  di  sovente  im- 
pera  l'arbitrio,  raramente  la  legge  —  non  intimidisce  gli 
agîtatori  e  i  promuovitori  di  novità,  ma  li  rende  piii  cir- 
cospetti  e  prudenti.  La  democrazia  pura  di  Germania 
aveya  riposto  grande  parte  di  sue  speranze  nelle  resistenze, 
che  Magiari  e  Danesi  opponevano  allora  aile  pretensioni 
d'Austria  e  di  Prussia;  se  essi  fossero  stati  vincitori  sul 
Tibisco  e  su  l'Eyder,  la  causa  délia  libertà  avrebbe  pur 
vittoriato  a  Francoforte  e  sul  Danubio. 

Gorreva  il  7  marzo  di  quelFanno  1849,  allora  che  in  A- 
lessandria  riunivansi  a  consulta  Cadorna  e  Tecchio,  Mini- 


il  cm  Re  protestava  subito  contra  lo  intervento  stranîero.  Riâpondeyagli 
il  GoYemo  di  Berlino  chiedendo  Tunione  dello  Schleswig-Holstein  in  uno 
Stato  indipendente;  e  YAssembïea  Costituente  di  Prancdforte,  decretata 
Tannesaione  dei  Dacati,  dava  alla  Prussia  il  carîco  di  mamlarla  a  ef- 
fetto:  allora  açcendevasi  la  guerra  dano-prussiana. 


Digitized  by  VjOOQIC 


220  CAPITOLO   V 


stri  di  Carlo  Alberto,  e  il  générale  Ohrzanowski  per  de- 
liberare  su  la  ripresa  délie  armi.  Già  iunanzi  avevano 
risoluto,  che  si  avesse  a  combattere  guerra  grosso^  e  ve- 
nire  presto  a  giornata  finale;  perô  che  la  guerra  minuta 
torni  quasi  sempre  di  danno,  rare  volte  di  vantaggio  ai 
piccioli  Stati,  consumandosi  in  essa  lentamente  si,  ma  inces- 
santemente  le  forze  deU'esercito;  per  la  quale  cosa  dovevasi 
dai  Ministri  del  Re  trattare  soltanto  del  giorno  di  indirla,  del 
giorno  di  romperla.  Aile  loro  interpellanze  sui  preparamenti 
bellici,  su  le  condizioni  morali  e  materiali  deiresercito  e  su 
la  convenienza  di  intimarla  prima  di  muovere  le  armi,  o  di 
uscire  alla  campagna  senza  disdire  le  tregue  al  nimico  — 
tregue  già  da  questo  piîi  volte  violate  —  Ghrzanowski  ri- 
spondeya:  =  Brevi  giorni  abbisognargli  per  compiere  gli 
apparecchi  délia  guerra,  che  potrebbesi  cominciare  il  18 
marzo;  nell'esercito,  da  tempo  purgato  di  chi  era  indegno 
d*appartenergli,  essere  Tistruzione  soddisfacentissima  ;  mi- 
nima  la  diserzione  e  taie  da  non  doverne  tener  conto;  eo- 
cellente  lo  stato  morale  dei  soldat!,  délia  cul  lealtà  non 
potevasi  dubitare.  Rispetto  poi  alla  ripresa  délie  armi  pre- 
ferire  egli  dinunziare  la  guerra  la  sera  per  combatterla  il 
mattino  appresso  ;  ma  nel  caso  d'allora  essere  consiglio  sa- 
vio  e  prudente  disdire  le  tregue  otto  giorni  innanzi  il 
rompere  délie  ostilità,  giusta  i  patti  fermati  a  Milano  il  9 
agosto  1848.  Uno  Stato  grande  e  forte  non  incontrare  cen- 
sure dimolte  e  poter  di  queste  non  darsi  pensiero,  se  corne 
meglio  gli  convenisse  o  a  suo  talento  opérasse;  ciô  dalla 
Sardegna  non  potersi  fare,  awegnachè  tutta  Europa  gri- 
derebbe  da  quella  ofieso  il  diritto  délie  genti.  Consigliare 
in  oltre,  per  ragione  di  maggiore  sicurezza,  di  far  nota  al 
paese  la  guerra  due  giorni  dopo  la  intimazione  di  essa  al 
maresciallo;  =  conchiudeva  quindi  il  suo  discorso  cosi: 
=  Questo  mese  è  opportunissimo  a  una  mossa  d'armi  con- 
tra TAustria,  potendo  sperare  un  soUevamento  délia  Ger- 
mania,  nella  quale  esistevano  tuttavia  le  cause  che  ave- 
vanla,  nel  marzo  dell'anno  antécédente,  spinta  alla  guerra  ; 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   SABDEQKA   PREPABASI   A   NUOVA   OU£RRA   ECO.         221 

onde  airimperio  austriaco  —  da  una  parte^minacciato  dalla 
ribellione  magiara,  dalla  sollevazione  alemanna  dairaltra 
—  non  sari  possibile  tenere  in  Italia  forze  poderose  con- 
tra la  Sardegna  =  (1).  Fissato  il  10  marzo  per  Tintima- 
zione  délia  guerra  a  Radetzky,  risoluto  di  spedire  un  messo 
a  Venezia  per  far  conoscere  al  Governo  délia  repubblica  le 
deliberazioni  prese  dai  Ministri  del  Re,  il  quale  messo,  toc- 
cando  Ancona  in  suo  viaggio»  dovera  pur  d*esse  ayyertire  Tarn- 
miraglio  Albini  che  allora  trovavasi  in  quelle  acque  con 
la  squadra  sarda;  e  stabilité  di  porre,  durante  la  guerra, 
sotto  Timperio  délie  leggi  militari  le  provincie  lombarde 
mano  mano  le  lasciasse  il  nimico,  fidandone  il  governo  al 
générale  Chrzanowski,  i  Ministri  facevano  ritorno  a  To- 
rino  (2):  ove  appena  giunti,  e  fu  il  di  vegnente,  significa- 


(1)  1  IGnistri  aTevano  gi&  da  tampo  interpellato  Chizanowski  sa 
l'esercito,  se  eioè  per  numéro  e  v<ilore  potesae  euperare  il  nimico 
e  quando  passar  la  frontiera  (*),  e  il  générale  polaoco  areya  lor  ri- 
sposto  cod:  =  L'esercito  sopravanza  in  numéro  qnello  dell'Aastria 
campeggiante  îa  Italia:  rispetto  al  valore  dei  soldat!  del  Re,  non  poter 
dubitare  abbia  a  venir  meno  aile  nnoye  prove  che  gli  si  preparavano, 
ricordando  qnanto  di  strenuo  era  stato  da  quelli  compinto  nella  gnerra 
dell'anno  antécédente.  =  Sol  tempo  più  opportune  a  trarre  l'esercito 
da'  snoi  aUoggiamenti  aveva  dette  :  =  Se  esso  si  fosse  trovato  a  sera- 
nare  nell'ottobre,  avrebbe  con  poco  disagio  sopportato  le  cmdezze  del 
verno:  ma  avendo  passato  nei  quartieri  la  stagione  più  fredda ,  repu- 
tava  cosa  conveniente  famelc  uscire  aUora  soltanto  che  non  si  avessero 
più  a  temere  i  rigori  invemali.  =  Avrezzo  a  guerreggiare  nella  set- 
tentrionale  Polonia,  Chrzanowski  non  conosceva  la  différenza  délia  in- 
tensitA  dei  freddi  iemali  d'Italia  da  quelli  del  suo  paese  native. 

(2)  t  SntB.  Ad  assicurare  un  [esito  pronto  e  fortunato  alla  guerra, 
che  la  Maestà  Yostra  ha  handita  pel  riscatto  délia  Italiana  indipendenza, 
e  la  liberazione  délie  pioyincie  del  Begno  occupate  dallo  straniero  con- 
^ene  ohe  queste  vengano,  di  mano  in  mano  che  sono  sgombrate  dal 
nimico,  prowedute  temporaneamente  d'nna  amministrazione  conforme 
aile  straordinaiie  condizioni  in  cui  sono  per  trovarsi  Esse  richieggono 

(*)  Vaolsi  qai  aTYortire  che  a  taie  interpeUann  Bava  non  era  présente,  essendo  al- 
lora eomandante  Bopremo  délie  armi  régie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


222  CAPITOLO   V 


Taiio  a  Carlo  All^erto,  présent!  i  colleghi  loro,  quanto  era 
stato  discusso  nella  conferenza  di  Alessandria.  Se  non  che, 
considerando  essere  il  18  e  19  marzo  giorni  festivi,  nei 
quali  buona  cosa  sarebbe  benedire  le  bandiere  e  fare  pub- 
bliche  preci  per  la  felice  riuscita  délia  guerra,  il  disdire 
délie  tregue  venne  prorogato  sino  al  12  e  il  rompersi  délia 
guerra  al  20  marzo.  Di  li  a  brevi  ore  Melchiorre  Giovan- 
nîni,  segrctario  di  Legazione,  partiva  alla  volta  di  Ancona 
e  di  Yenezia,  apportatore  di  lettera  del  Ministre  sopra  le 
armi  airammiraglio  Albini,  e  d*uno  scritto  del  Ministre 
sopra  i  lavori  pubblici  a  Daniole  Manin,  Présidente  délia 
Rcpubblica  veneta.  L'inviato  sardo  compiva  in  Yenezia  la 
sua  missione  il  14;  nel  quale  giorno  Carlo  Alberto  giu- 
gneva  in  Alessandria  per  mettersi  a  capo  deiresercito  — 
da  cui  riceveva  le  piîi  degne,  le  più  festose  accoglienze  - 
0  i  Ministri  suoi,  ottenuto  dal  Parlamento  nazionale  poteri 
illimitati,  facevano  conoscere  per  le  stampe,  corne  era 
stato  stabilité  nella  conferenza  deirs  col  Re,  la  naova 
guerra  intimata  all'Austria;  guerra  di  quattro  giorni,  la 
quale  doveva  flnire  con  una  catastrofe  tanto  imprevedibile, 
quanto  tremenda,  la  catastrofe  di  Novara!  e  conseguenza 
di  essa  un  décennie  di  dolori  e  lutti  aU'Italia! 


nn  Governo  forte  e  libero  nella  azione  e  nelle  determinazioni,  che  fre- 
nondo  da  una  parte  le  interne  agitazioni,  cal  la  perfidia  del  nimico 
non  mancherà  di  eccitarvi,  faccia  dall'altra  concorrere  tatte  le  fone 
alla  suprema  lotta  che  vi  si  combatte.  Qaesto  scopo  non  pare  potem 
ineglio  raggingnere  che  aÛdando  il  reggimento  di  quelle  proyincie  ai 
General  maggiore  deiresercito,  il  quale,  raccogliendo  in  se  il  comasdo 
di  tutte  le  forze  militari  e  Talta  amministrazione  del  paese,  saprà  daigli 
quel  temporaneo  ordinamento,  che  in  modo  più  efficace  lisponda  aile 
esigenze  délia  guerra.  n 
Eelazione  del  Ministro  sopra  gli  affari  dell'intemo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


/SA/VA./VSAAA^>^VV\AA/VV>A<^AA^^\A./VV\A/VSA/^^ 


CAPITOLO  VL 

Ija  giomata  di  Novara. 


0  Goyemo  sardo  disdice  le  tregne.  —  Foize  armate  dei  g^nerreggianti. 
»  Condizioni  morali  dell'esercito  regio  e  dell'imperiale.  —  Bompesi 
la  gaerra  ;  gli  Anstriaci  invadono  il  Piemonte.  —  U  re  Carlo  Alberto 
e  Chrzanowski  al  ponte  di  BoflBetlora;  Bamorino  al  ponte  di  Mezza- 
nacorte.  —  Fazioni  di  San  Siro  e  délia  Sforzesca.  —  Gombatti- 
mento  di  Mortara;  canse  délia  sconfitta  di  Mortara.  —  Giomata 
finale  di  Noyara  del  23  marzo.  —  Abdicazione  di  Carlo  Alberto; 
le  tregne  di  Noyara;  Casale.  —  Solleyazione  di  Genoya.  Descri- 
zione  délie  sne  fortificazionL  —  Resistenze  e  sommessione  dei  sol- 
leyati.  —  Considerazioni  sa  la  giomata  di  Noyara  e  sa  la  gaerra 
del  1849.  —  Licenziamento  délia  diyisione  lombarda. 


n  12  marzo  era  giunto  a  mezzo  il  suo  corso,  quando  in 
Milano  il  maggiore  Cadoma  presentatosi  a  Radetzky,  in  nome 
del  Governo  sardo  disdicevagli  le  tregue  ;  le  nimistà  potevano 
quindi  ricominciare  otto  giorni  dopo.  I  soldat!  delFAustria, 
conosciuta  taie  lieta  novella,  come  Tebbe  allora  chiamata 
il  vecchio  maresciallo,  diedersi  a  correre  le  vie  délia  città, 
rtempiendola  di  evviva  aU'Imperatore  e  al  loro  capitano; 
e  ritalia,  che  da  tanto  tempo  desiderava  la  guerra,  tutta  si 
commosse  e  si  agitô  per  nuovi  timori  e  nuove  speranze.  I 
Lombardi  prepararonsi  a  levarsi  per  la  seconda  volta  in 
su  Tarme,  e  Venezia  apparecchiossi  a  mandar  fuora  dalle 


Digitized  by  VjOOQIC 


224  CAPITOLO    VI 

.  lagune  grossa  schiera  di  sue  genti,  che  a  Rovigo  dovevano 
congiungersî  agli  aiuti  di  Roma  già  arrivati  presso  Ferrara, 
per  assalire  poscia  insieme  i  nimici  aile  spalle,  e  toglier  loro 
nel  Veneto  le  vie  di   comunicazione  con  Timperio.  Aile 
parole  dignitosamente  severe  con  le  quali  Carlo  Alberto 
annunciava  a'  suoi  popoli  la  seconda  guerra  di  indipen- 
denza,  Radetzky  rispondeva  con  parole  superbamente  mi- 
nacciose  ;  dopo  avère  ricordato  ai  soldati  il  loro  valore  e 
le  vittorie  riportate  Tanno  innanzi,  prometteva  di  condur]i 
a  Torino,  ove  egli  avrebbe  dettato  la  pace  ai  nimici.  In  un 
manifeste  all'esercito  il  maresciallo  accusava  il  Re  d'à- 
vere  violata  la  santità  dei  trattati  e  posti  in  dimenticanza 
i  vincoli  di  parentela,  che  legavano  la  Casa  di  Savoia  a 
quella  di  Absburgo;  e  nel  condannare  Tirrompere  suo  in 
Lombardla  del  marzo  1848,  paragonavalo  al  ladro  dome- 
stico  che  profltta  dell'assenza  del  padrone  per  compiere 
con  sicurezza  il  furto  meditato;  in  fine,  gli  muoveva  rim- 
provero  d'avere  fatto  lega  con  la  ribellione  per  cacciare 
TAustria  dairitalia.  —  Vediamo  ora  quali  furono  i  militari 
provvedimenti  délia  Sardegna  e  i  disegni  di  guerra  di 
Chrzanowski.  —  Nei  sette  mesi  délie  tregue  —  che  tanto 
durarono  —  i  Ministri  di  Carlo  Alberto,  più  che  a  bene  rior- 
dinare  l'esercito,  a  indurirlo  aile  fatiche  e  renderlo  esperto 
nclle  cose  délia  guerra,  avevano  inteso  lor  cure  ad  açcre- 
scerlo:  e  questo  fu  gravissimo  errore.  Nessuna  difesa  era 
stata  da  essi  innalzata  per  impedire  agli  Austriaci  â*inTa- 
dere  il  Remonte;  nessun  luogo  afforzato,  per  appog^giare 
l'esercito  in  caso  di  sconfltta;  e  le  fortificazioni  costrutte 
ad  Alessandria  erano  di  lieve  momento.  Non  fu  sag^io  il 
collocamento  dei  primi  campi,  perô  che,  occupando  il  lungo 
tratto  di  paese  che  da  Arona  corre  sin  presso  Parma  senza 
aflTorzare  le  împortanti  posture  di  Novara  e  délia  Gava,  si 
indebolissero  tanto  quel  campi  da  potersi  dal  nimico  vin- 
cere  con  poco  sforzo  :  onde  doveva  a  Radetzky  riuscire  fa- 
cile impresa  valicare  il  Ticino,  sorprendere  i  régi  a  Mor- 
tara  e  furare  a  questi  le  mosse  a  Novara  Chrzanoijsrski, 


Digitized  by  VjOOQIC 


L/l    OIOBITATA   DI    NOYARA  225 

tenendo  per  fermo  che  il  maresciallo  non  opporrebbegli 
séria  resistenza  nelle  provincie  lombarde,  ma  al  primo  ash 
salire  dei  Sardi  egli  si  ridurrebbe  aile  difese  del  Mincio 
e  dell'Adige,  corne  ayeva  fatto  dope  le  giornate  di  marzo 
dell'anno  antécédente,  Clirzanowski,  io  dico,  non  erasi  dato 
pensiero  veruao  di  prepararsi  una  valida  base  di  guerra  ; 
in  tal  modo  mostrô  di  non  possedere  i  grandi  principi  del- 
Tarte  bellica.  Egli  non  si  awide,  che  le  condizioni  politi- 
che  e  militari  di  quel  giorni  erano  affatto  diverse  da  quelle 
del  1848;  avvegnachè  allora  Carlo  Alberto  fosse  calato  a 
Lombardia,  quando  la  sollevazione  popolare  aveva  vinto 
il  maresciallo  e  costrettolo  a  indietreggiare  verso  il  Mincio, 
e  Timperio  austriaco  era  tutto  pieno  di  confusione  per  la 
ribellione  di  Vienna;  e  quando,  in  fine,  lo  improvviso  in- 
dire  di  guerra  délia  Sardegna  aveva  accresciuto  negli  im- 
periali  lo  abbattimento,  in  cui  trovavansi  per  le  battiture 
6  i  danni  sofferti  dalle  armi  cittadine  ;  mentre  nel  marzo 
di  quelFanno  1849  Tordine  e  la  quiète  regnavano  nella  me- 
tropoli  dell'Austria,  e  l'esercito  di  Radetzky  —  rifatto,  ac- 
cresciuto e  baldo  per  lo  racquisto  délia  Lombardia  —  era 
bene  apparecchiato  alla  guerrr  e  anelava  a  nuovi  allori. 
Ne'suoi  disegni  di  guerra  Ghrzanowski  aveva  stabilité  di 
andar  primo  aile  oflTese;  superato  il  Ticino  a  Boffalora, 
ch'egli  credevasi  certo,  non  gli  contrasterebbero  i  nimici, 
voleva  con  rapida  mossa  portarsi  sopra  Lodi,  farvi  la  gior- 
nata  col  maresciallo  e  forzarlo  a  ripararsi  dietro  il  Mincio  ; 
e  mentre  egli  col  grosso  deiresercito  incalzerebbe  gli 
Austriaci  nel  loro  dietreggiare,  le  genti  di  Alfonso  Lamar- 
mora,  di  Ramorino  e  di  Solaroli  li  molesterebbero  ai  flan- 
chi.  Qualora  poi  Radetzky  passasse  il  Ticino  a  Pavia,  Ghrza- 
nowski  andrebbe  a  lui  da  Novara  per  assalirlo  di  fronte  se 
si  volgesse  a  quella  città,  e  investirlo  per  flanco,  se  cam- 
minasse  verso  Alessandria;  neiruno  e  nell'altro  caso  poi  i 
Sardi,  se  vincitori,  toglierebbero  facilmente  al  nimico  in- 
vaditore  la  ritratta  su  Pavia  e  Piacenza,  facendo  occupare 
da  Ramorino  la  Gava,  da   Lamarmora  il   passe  di  Stra- 

15  —  VoL  n.  Mabiavi  —  Storta  poi  e  miL 


Digitized  by  VjOOQIC 


226  CAriTOLO  vi 


délia.  —  Il  générale  polacco  nel  disegnare  cosi  la  guerra 
mostrô  dl  ritenersi  invincibile,  non  essendosi  curato  délie 
fortezze,  clie  dovevano  formare  la  base  délie  sue  militari 
operazioni  :  laonde  una  sola  scondtta  poteva  bastare  a  porre 
in  isfacelo  Tesercito  suo,  corne  accadde  a  Novara.  Chrza- 
nowski  avrebbe  saggiamente  provveduto  aU'impresa  da  lui 
governata,  se,  raccolte  tutte  le  sue  armi  tra  Alessandria 
e  Genova  —  forte  base  di  guerra  —  fosse  di  poi,  coa  tutta 
la  potenza  sua  a  piedi  e  a  cavallo,  andato  celermente  ad 
oste  sopra  Piacenza  per  impadronirsene  mediante  assalto 
improvviso  e  vigoroso  ;  cosi,  mentre  avrebbe  rotto  i  diaegni 
del  nimico,  da  quella  fortezza  —  che  siede  a  cavalière  del 
Po  —  sarebbegli  tornato  facilissimo  difendere  il  Piemonte, 
la  Toscana  e  buona  parte  délia  Lombardia;  e  qualora  poi 
fosse  toccata  ai  régi  una  sconfltta  sul  Po,  sarebbegli  ri- 
raasta  Piacenza,  ove  riparare  aile  perdite  soflferte  e  rifare 
le  sue  forze,  e  uscirne  poi  a  momento  opportuno  per  ten- 
tare  novella  prova  deU'armi.  Ma  Taccorto  Radetzky,  quaado 
vide  con  dissennato  consiglio  stendersi  i  Sardi  oltre  mi- 
sura  lungo  il  Ticino  e  spingersi  sino  a  Castel  San  Giovanni 
e  a  Parma,  deliberô  rompere  la  debole  linea  dei  campi 
nimici  e  separarne  la  destra  ;  oppressa  la  quale,  correre 
ad  assalire  e  combattere  la  rimanente  parte  deiresercito 
regio  in  giornata  campale,  fors'anche  finale.  A  questo  scopo 
fece  grande  accolta  di  sue  genti  presse  Pavia,  preparan- 
dosi  a  invadere  il  Piemonte  con  tutto  lo  sforzo  suo  di 
guerra  allô  spirare  délie  tregue  ;  cosi  opérande  mise  «  tutte 
le  sorti  morali  dalla  sua  parte,  eccitando  Tardore  de'  suoi 
e  colpendo  il  nimico  di  stupore  sino  dal  cominciare  délia 
guerra  »  (1). 

Quali  erano  le  forze  armate  dei  guerreggianti,  quali  le 
condizioni  morali  e  posture  che  tenevano  al  momento  di 


(1)  JoMiKi,  De  VArt  de  la  guerre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    OIOBNATA   DI   NOVAEA  227 

riprendero  le  ostilità?  —  I  Sardi  contavansi  conventicin- 
que  mila  allô  incirca;  tolti  i  presidi,  i  supplimenti  dei  reg- 
gimenti  e  i  moltissimi  che  allora  giacevano  negli  ospedali, 
novaniacinquemila  soltanto  uscivano  alla  campagna.  Essi 
erano  ordiaati  in  ventinove  reggimenti  di  fanti  d*ordinanza 
e  due  di  granatieri;  in  cinque  battaglioni  di  fanti  leggeri  — 
bersaglieri  —  e  in  uno  délia  marineria,  Real  Navi;  in  otto 
reggimenti  di  cavalleria,  tre  squadroni  di  guide  e  due  di 
carabinieri  a  cavallo;  in  diciannove  batterie  e  mezza  di 
artiglierie  da  campo  —  centocinquantasei  cannoni  —  e  due 
compagnie  d'artiglieri-pontieri  ;  in  sei  compagnie  di  sol- 
dati  degli  ingegneri  militari  e  nel  traino  deiresercito. 
Tutte  queste  forze  armate  componevano  sette  divisioni,  cia- 
scuna  di  due  brigate;  in  oltre,  una  brigata  d'avanguardia 
e  una  teraporanea.  La  brigata  d'avanguardia,  posta  sotto 
il  comando  del  colonnello  Belvédère,  era  costituita  d'un 
reggimento  di  fanti  d'ordinanza,  di  due  battaglioni  di  fanti 
leggeri  e  d'una  batteria  d*artiglierie  a  cavallo  :  quattro  mila 
uomini  allô  incirca.  Le  prime  quattro  divisioni  constavano 
ciascuna  di  quattro  reggimenti  di  fanti  d'ordinanza,  d'una 
compagnia  di  bersaglieri,  di  sei  squadroni  di  cavalli,  di 
due  batterie  di  cannoni,  d*una  compagnia  di  soldati  degli 
ingegneri  militari  e  di  un  drappello  di  soldati  del  traino. 
Avevano  a  duci  i  luogotenenti  generali  Giovanni  Durando, 
Bes,  Perrone  e  il  Duca  di  Genova,  i  cui  brigadieri  erano 
Lovera  e  Trotti,  Boyl  e  La  Rocca,  Mollard  e  Ansaldi,  Pas- 
salacqua  e  Damiano;  ufflciali  e  soldati  contavansi  insieme 
dacinquantatrè  mila.  La  quinta  divisione —  \di,,Lombarda  — 
capitanata  dal  luogotenente  générale  Ramorino,  compo- 
nevasi  di  quattro  reggimenti  di  fanti  di  ordinanza,  d'un 
battaglione  bersaglieri  e  uno  di  volontari^  d'una  grossa 
compagnia  di  stranieri,  di  sei  squadroni  di  cavalleggeri  e 
di  due  batterie  di  cannoni  ;  in  tutto  poi,  poco  piii  di  otto 
mila  ufflciali  e  soldati  ;  suoi  brigadieri,  i  maggiori  generali 
Fanti  e  Gianotti.  La  sesta  divisione,  posta  sotto  gli  ordin- 
del  maggiore  générale  Alfonso  Lamarmora,  constava  di  doi 


Digitized  by  VjOOQIC 


228  OAPITOLO  YI 


dici  battaglioni  di  fanti  d'ordinanza,  d*uQa  compagaia  dî 
bersaglieri^  di  due  piccioli  squadroni  di  cavalli,  di  due  bat^ 
terie  di  cannoni,  d'una  compagnia  di  soldati  degli  in- 
gegneri  jnilitari  e  d*una  squadra  del  traino  ;  otto  mila  uo- 
mini  allô  incirca.  La  settima  divisione  —  quella  di  riscossa 
—  che  reggevasi  dal  Duca  di  Savoia,  era  composta  di  due 
reggimenti  di  fanti  d^ordinanza,  di  dieci  squadroni  di  ca- 
valli,  di  quattro  batterie  d'artiglierie  —  délie  quali,  due  a 
cavallo  —  e  da  grossa  presa  del  traino;  in  tutto,  tredici 
mila  uomini  ;  suoi  brigadieri,  Biscaretti  e  Bussetti.  La  bri- 
gata  temporanea,  comandata  dal  maggiore  générale  Sola- 
roli,  era  costituita  di  due  reggimenti  di  fanti  d'ordinanza, 
del  battaglione  Real  Navi,  d'un  battaglione  di  bersaglieri 
lombardi  (1),  d'una  batteria  di  cannonl  e  di  due  squadroni 
di  cavalli  parimenti  lombardi;  in  tutto,  cinquemila  e  cin- 
quecento  uomini;  in  fine,  le  artiglierie  di  sussidio,  ordinate 
in  una  batteria  e  mezza,  le  due  compagnie  di  artiglieri- 
pontieri  con  le  barche  e  i  cavalletti  da  ponte,  e  i  carri 
délie  munizioni  di  guerra;  mille  e  cinquecento  uomini. 
Presse  il  Gomando  suprême  dell'esercito,  che,  coroe  di- 
cemmo  piîi  sopra,  sotto  gli  auspîci  del  Re  tenevasi  da  Ghrza* 
nowski,  stavano  il  capo  dello  Stato  maggiore  générale  coi 
suoi  offlciali,  quelle  délie  artiglierie  e  del  corpo  degli  in- 
gegneri  militari,  cioè  i  maggiori  generali  Alessandro  La- 
marmora,  Rossi  e  Chiodo;  trovavasi  pure  il  provveditore 
générale  dell'esercito.  Mentale;  in  oltre,  seguivano  il  quar- 
tier maggiore  due  battaglioni  di  fanti  leggeri,  tre  squa- 
droni di  guide,  sessanta  carabinieri  a  cavallo  —  la  scorta 
del  Re  —  due  compagnie  di  soldati  degli  ingegneri  militari 
e  una  grossa  compagnia  del  traino;  queste  forze  armate  in- 
sieme  contavano  più  di  due  mila  uomini.  —  La  brigata  d'sr 
vanguardia  campeggiava  Oastel  San  Giovanni,  poco  innanzi 
il  passe  di  Stradella  e  a  brevi  chilometri  da  Piacenza.  Il 


(1)  Cacciatori  yaltellinesi  e  bergamaschi 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   6I0&NATA   DI   NOYARA  329 

primo  corpo  d'esereito  era  costituito  délia  prima,  seconda 
6  quinta  divisione  ;  Durando  areya  ordinato  le  sue  genti 
a  scaglioni  davanti  a  Yespolate,  grosso  borgo  che  sta  a 
meta  délia  via  che  da  Novara  mena  a  Mortara,  tenendo 
Vigevano  con  quattro  batiaglioni;  Bes  occupava  Gastel* 
nuovo  e  Oerano,  su  la  via  di  Trecate  a  Vigevano.  Ramo» 
rino  stava  a  campo  su  la  destra  del  Po  a  monte  e  a  valle 
del  passe  di  Mezzanacorte,  spingendo  le  sue  prime  guardie 
fine  a  San  Martine,  davanti  a  Pavia,  e  co*  suoi  bersaglieri 
guardando  il  Gravellone  dal  suo  uscire  dal  Ticino  al  suo 
mettere  foce  in  sul  Po.  Il  seconde  corpo  d'esereito  era  com- 
posto  délia  terza  e  quarta  divisione  e  délia  brigata  tem- 
poranea.  Perrone  tenevasi  a  Galliate  —  su  la  via  che  da 
Novara  conduce  al  passe  del  Ticino  a  Turbigo  —  e  a  Ro- 
mantino,  villaggio  situato  tra  Galliate  e  Trecate.  Il  Duca 
di  Genova  occupava  Trecate,  non  lungi  dal  ponte  di  Bof- 
falora  sul  Ticino^  alla  cui  guardia  aveva  posto  forte  mano 
di  soldatesche.  Solaroli  trovavasi  con  la  sua  brigata  tra 
Belinzago  e  Oleggio  su  la  estremità  sinistra  deiresercito; 
allô  avanzarsi  del  quale  ei  doveva  valicare  il  Ticino  a  Tor<- 
aavento  e  portarsi  celermente  su  Talta  Lombardia  —  che 
affermavasi  pronta  a  pigliare  le  armi  —  al  doppio  scopo 
di  appoggiarne  la  sollevazione  popolare  e  sopravanzare  la 
destra  dell'oste  nimica.  Dietro  Novara  e  su  la  via  di  Mor- 
tara erasi  coUocato  il  Duca  di  Savoia  con  la  divisione  di 
riscossa;  e  quella  di  Lamarmora,  che  al  disdire  délie  tre- 
gue  stava  a  Sarzana  —  ove  avevala  mandata  Gioberti  per 
interveriire  nelle  faccende  di  Toscana  —  portavasi  a  Parma 
e  vi  giugneva  il  22  di  quel  mese  di  màrzo  :  questa  divisione 
costituiva  la  estremità  destra  dei  campi  régi  ;  in  âne,  il 
Quartier  maggiore  delFesercito  teneva  sua  stanza  in  Tre- 
cate ;  Novara  poi  era  stata  presidiata  da  mille  cinquecento 
nomini. 

Durante  le  tregue  Radetzky  aveva  considerevolmente 
accresciuto  Tesercito,  senza  perô  introdurre  mutamento 
verono  nella  composizione  e  negli  ordini  di  esso.  Gli  im- 


Digitized  by  VjOOQIC 


230  CAPITOLO   VI 


periali  contavansi  cencinquantamila;  toltî  i  presidî  delle 
fortezze  (1),  i  malati  e  quelli  che  trovavansi  aU'ossidione 
di  Yenezia,  rimanevane  al  maresciallo  piii  di  novanta- 
mila  per  l'impresa  di  Sardegna;  forza  eguale  a  quella 
dei  régi,  ch'egli  perô  superava  in  cavallerîa  e  in  arti- 
glierie,  delle  quali  conduceva  in  campo  ben  dugento.  Gli 
Austriaci  erano  spartiti  in  sei  corpi  d'esercito;  il  primo 
reggevasi  da  Wratislaw,  générale  di  cavalleria;  suoi  capi 
di  divisione,  i  luogotenenti  marescialli  Wohlgemuth  e  Hal- 
1er;  D'Aspre  comandava  il  seconde;  suoi  capi  di  divisione, 
i  luogotenenti  marescialli  arciduca  Alberto  e  Schafigotsche; 
.  il  terzo  governavasi  dal  luogotenente  maresciallo  Appel; 
suoi  capi  di  divisione,  i  luogotenenti  marescialli  Culoz  e 
Rath.  Del  primo  corpo  d'esercito  di  riscossa  teneva  il  co- 
mando  il  luogotenente  maresciallo  Wocher;  del  secondo, 
il  luogotenente  maresciallo  Haynau;  il  quale  stringeva  Ve- 
nezia  con  le  sue  genti.  —  Appena  Radetzky  ebbe  ricevuto 
dal  Governo  sardo  Tatto  denunziante  le  tregue,  cômmessa 
ad  Haynau  l'alta  potestà  su  le  provincie  lombardo?-venet^  e 
il  carico  di  difendere  il  basse  Po,  comandava  agli  altri  corpl 
d'esercito  di  raccogliersi  presse  Pavia;  e  siccome  erano 
stati  coUocati  ai  quartieri,  in  modo  da  potersi  recare  in 
pochi  alloggiamenti  dove  chiamerebbeli  poi  il  duce  su- 
prême, cosi  nella  sera  del  19  marzo  Wratislaw  campeg- 
giava  Mirabelle,  su  l'antica  strada  di  Milano  a  Pavia,  e  a 
brevi  chilometri  da  questa  città,  occupata  dai  soldati  di 
D'Aspre;  Appel  e  Thurn  tenevano  i  loro  campi  a  Motta 
San  Damiano  e  a  Belgioioso  su  la  via  di-Pizzighettone; 
Wocher,  a  Fossarmato  e  Vimanone,  poco  indietro  della 
via  di  Santangelo,  ove  il  18  erasi  recato  il  maresciallo  col 
Quartiere  maggiore  dell'esercito;  in  fine,  moite  prese  di 


(1)  Gli  Anstriaci  presidiavano  Mantova,  Yerona,  Peschiera,  Legnago, 
la  testa  di  ponte  di  Brescello,  le  cittadelle  di  Ferrara  e  Piacenza,  i 
castelli  di  MUano  e  Brescia,  e  la  rôcca  di  Bergamo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIORNATA   DI    NOVARA  231 

cavalli  e  fanti  délia  divisione  di  Wohlgemuth  stavano  lungo 
il  Tlcino  sino  a  Sesto  Galende,  dove  trovavasi  parte  délia 
brigata  Gôrger,  la  quale  presidiava  anche  VaresQ  per  vi- 
gilare,  sotto  il  governo  dello  stesso  Wohlgemuth,  i  movi- 
menti  dei  régi.  Gon  taie  ordinamento  tutto  lo  sforzo  di 
guerradi  Radetzky  trovavasi  davanti  alla  destra  debolissima 
deiresercito  sardo  alla  Gava. 

I  guerreggianti  erano  uguali  in  forze  armate  ;  ma  gli 
ordlni  loro,  la  militare  disciplina  e  lo  spirito  che  li  ani- 
mava,  differivano  d'assai.  Durante  la  sospensione  délie  armi 
Tesercito  di  Carlo  Alberto  era  stato,  corne  già  scrivemmo, 
aumentato  dimolto;  alla  guerra,  che  dai  piîi  credevasi  do- 
vere  essere  lunga  e  grossa,  i  Ministri  del  Re  avevano  prov- 
veduto  con  forti  levé  di  soldati;  se  non  che,  il  troppo  sol- 
lecito  indire  di  quella  non  concedette  agli  ultimi  chiamati 
tempo  bastevole  a  bene  addestrarsi  aile  fazioni,  a  soppor- 
tar  le  fatiche  e  i  disagi  del  campo  e  del  combattere.  A 
questo  grave  errore,  altro  non  meno  grave  si  aggiunse, 
cioè  il  comporsi  di  nuovi  reggimenti  (1),  per  li  quali  si 
rese  necessario  un  grande  promovimento  néi  gradi  tutti 
délia  milizia,  che  con  mal  senno  si  fece  alla  vigilia  d'uscire 
alla  campagna,  e  per  anzianità  e  non  per  merito  (2).  Sa- 
rebbesi  meglio  soddisfatto  ai  bisogni  délia  guerra  portando 
a  numéro  i  reggimenti  delFesercito,  ch'erano  di  forze  di- 
versissime  (3),  e  mettendo  il  di  piii  nei  supplimenti,  per 


(1)  I  reggimenti  di  fanti  componevansi  allora  cîascnno  di  qnattro 
battaglioni;  nella  guerra  del  1848,  di  tre  soltanto.  Nel  1849  erano  or- 
^ati  giasta  il  sistema  di  Alfonso  Lamarmora;  nel  1848,  giasta  quelle 
di  Yillamarina. 

(2)  La  guerra  venue  intimata  con  tanta  precipitazione,  che  molti 
Bottotenenti  rîcevettero  la  loro  nomina,  quando  già  Tarmi  erano  state 
posate. 

(3)  I  reggimenti  di  fanti  délia  quinta  e  sesta  divisione  constavano 
soltanto  di  tre  battaglioni;  di  quelli,  uno  contava  milledugento  uomini; 
on  altro,  mîlletrecento;  due,  da  ndllecinquento.  I  reggimenti  délie  altre 
dlTisioni  variavano  dai  duemilacinquecento  ai  tremilaquattrocento  soldati. 


Digitized  by  VjOOQIC 


232  CAPITOLO  vt 


poi  coa  questi  surrogare  i  morti,  i  feriti,  i  prigioaieri  ;  ed 
eziandio  col  purgare  Tesercito  dei  soldati  provinciali,  dal- 
l'età  resi  inabili  a  sopportare  le  privazioni  délia  guerra; 
cosi  lo  si  avrebbe  avuto  meno  numeroso,  ma  eletto.  Par 
potersi  servire  di  tutto  Tesercito  contra  il  nimico  il  €K>- 
verno  avrebbe  dovuto,  nei  lunghi  mesi  délie  tregue,  mobi- 
litare  alquaate  legioni  di  Ghmrdie  nazionali  benissimo 
atte  a  surrogare  ia  luogo  délia  milizia  regolare  presidiaate 
le  fortezze  dello  Stato;  da  quelle  sarebbersi  otteuuti  ser- 
vigi  importantissimi,  perô  che  allora  fossero  pieae  d*entu* 
siasmo  e  bene  comaudate  (!)•  I  disastri,  toccati  ai  régi 
negli  ultimi  giorni  del  luglio  e  nei  primi  deiragosto  del- 
Tanno  innanzi,  ne  aveyano  allontata  la  militare  disciplina 
e  acomposti  gli  ordini;  ô  bensi  vero  che  in  molti  combat- 
timenti  aveyano  fatto  belle  prove  di  valore  ;  ma  ben  poca 
cosa  è  il  valore,  quando  non  è  accompagnato  da  quella  fer- 
mezza  e  da  quella  disciplina  che  rendono  il  soldato  vinci- 
tore  délie  prove  più  difflcili,  e  sovente  mutano  in  propizia 
la  fortuna  da  prima  mostratasi  awersa.  Se  miserrime  e- 
rano  le  condizioni  deiresercito,  allora  che  dopo  la  giornata 
del  4  agosto  1848  ritraevasi  su  la  destra  del  Ticino,  per 
nulla  rassicuranti  erano  quelle  in  cui  si  trovava  nei  marzo 
1849;  perô  che  il  Governo,  più  amante  dei  grossi  bat- 
taglioni,  che  dei  battaglioni  piccioli,  ma  di  soldati  eletti, 
non  si  fosse  curato  di  tornare  aU'esercito  la  sua  vera 
forza,  intendo  dire  la  militare  disciplina;  e,  rialzando 
Tanimo  abbattuto  dei  soldati,  rldar  loro  il  coraggio  usato 
e  accenderli  d'amor  patrie,  assai  più  potente  a  eccitarli 
ad  opère  generose  e  forti  deiramore  alla  bandiera.  Alla 
provveditoria  générale  dell'esercito,  la  quale  neU'anno  in- 


(1)  Questa  istitazlonô  ô  oggi  affieitto  cadata.  Il  Ckiyemo,  che  non  amd 
d'avere  mai  altra  foiza  armata  fnor  dell^esercito,  per  mandare  a  roTÎna 
quella  istitozione  pose  al  comando  deile  Quardie  Nazionali  nomini  nnlli 
0  da  p^eo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIORKATA   Dl   KOTABA  233 

oanzi  avéra  fatto  tanta  mala  prova,  noa  pensarono  i  Mi- 
alstri  del  Re  d'apportare  quelle  riforme,  daU'esperienza 
chiarite  indispensabili;  e  si  che  essa  meritava  le  cure  più 
soUecite  e  piu  savie  del  Governo  per  Timportanza  somma 
che  ha  in  guerra,  avregnachè  le  sia  aiQdato  il  manteni- 
mento  dei  soldati  e  il  servizio  degli  ospedali  ambulanti. 
«  L*arte  di  vincere,  cosi  Federico  di  Prussia  (1),  si  perde,  se 
non  è  accompagnata  da  quella  di  ben  yettovagliare  Teser- 
cito.  >  Lo  Stato  maggiore  générale,  sul  quale  tutta  riposa  la 
somma  délia  guerra,  era  il  medesimo  delFanno  innanzi,  e 
qnindi  ancora  inferiore  all'alto  suo  officie;  soltanto  il  corpo 
degli  artiglieri  e  la  cavalleria  erano  veramente  buoni; 
ma  si  quelle^  che  questa  non  per  numéro  bastevoli  ai  bi- 
sogni;  difettavasi  poi  di  cavalleggeri,  i  quali  rendono  in 
guerra  servigi  importantissimi.  —  Al  contrario  gli  Au- 
striaci,  forti  per  militare  disciplina,  possedevano  fanterie 
saldiasime;  se  il  corpo  degli  artiglieri  e  la  cavalleria  per 
istruzione  e  bontà  d*armi  non  potevano  gareggiare  con 
qaelli  dei  Sardi,  avevano  perô  il  vantaggio  del  numéro.  I 
generali  austriaci  e  soprammodo  gli  officiai!  dello  Stato 
maggiore  deiresercito  erano  molto  istruiti,  esperti  negli 
ordini  délia  milizia  e  pratici  in  tutto  quanto  attiensi  ai- 
Tarte  bellica.  Radetzky  e  i  suoi  luogotenenti  godevano  délia 
Qdacia  dei  loro  soldati,  ciô  ne  accresceva  la  forza;  al  con- 
trario fede  nessuna  aveva  in  Ghrzanowski  e  ben  poca 
ne' suoi  generali  l'esercito  regio;  il  quale,  sebbene  devoto 
a  casa  Savoia,  vedeva  di  mal  occhio  quella  guerra,  ne 
volontieri  andava  allora  a  combatterla.  «  Un  buon  géné- 
rale, cosi  Napoleone  primo  (2),  dei  buoni  quadri  —  la  vera 
ossatura  dei  reggimenti  —  un  buon  ordinamento,  una  buona 
iâtrozione  e  una  disciplina  severa  fanno  buoni  soldati,  in- 


(1)  De  VArt  de  la  guerre. 

(2)  Maximes  de  gtierre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


234  CAPJTOLO   VI 


dipendentemente  dalla  causa  per  la  quale  combattono.  >  E 
tutto  ci6  mancava  allora  airesercito  sardo. 

Poco  iananzi  lo  intimarsi  délia  nuova  guerra  mostra- 
vansi  nelFesercito  del  Re  mali  umori  o  discordie,  e,  osiamo 
afitermare,  persino  degli  odî;  dure  parole  queste,  mavere! 
Avevali  destati  quella  setta,  che  patria  non  ha;  che  è  ni- 
mica  a  tutto  quanto  si  inspira  a  indipendenza,  a  libertà; 
quella  setta  che  non  abhorre  il  sangue,  e  che  per  sue 
mire  ambiziose  ha  persino  armato  il  braccio  de'  suoi  fana- 
tici  seguaci  per  uccidere  Re  e  Principi  :  intendo  dire  délia 
setta  gesuitica,  la  quale,  già  da  lunga  pezza  potente  nella 
Sardegna,  eravi  di  quei  giorni  diventata  oltrepotente  per 
lo  appoggio  deirAustria.  Aveva  essa  posto  neiranimo  dei 
soldati  régi  :  dover  combattere  allora  non  più  per  Vonorc 
délia  monarchia  sabauda,  ne  per  francare  provincie  ita- 
liane  dalla  signoria  straniera,  ma  per  la  repubblica;  e 
ai  volontari  militant!  sotto  le  bandiore  del  Re  —  ed  erano 
molti  e  d*ogni  parte  délia  penisola  —  i  Gesuiti  averano 
insinuato:  essereper  dare  la  loro  vita  a  favore  délia  causa 
regia  e  per  lo  ingrandimento  délia  Sardegna,  non  per 
la  libertà  patria.  —  Queste  voci  bugiarde  sparse  con  arte 
malefica  neiresercito  ottennero  lo  scopo  desiderato;  avre- 
gnachà,  facendo  nascere  non  poche  diffldenze  tra  i  soldati. 
questi  sospettassero  délia  lealtà  dei  fini^  cui  dicevano  ten- 
dere  i  voUmtariy  e  detestassero  la  guerra  che,  come  dai 
cattivi  affermayasi,  avrebbero  doTuto  combattere  per  la 
repubblica;  e  i  volontari  poi,  i  quali,  sebbene  la  deside- 
rassero  ardentemente  —  perô  che  soltanto  nelle  armi  po- 
nessero,  e  a  ragione,  la  salute  délia  patria  —  nondlmeno, 
alla  vigilia  di  rompere  le  ostilità,  si  mostrassero  inoerti 
délia  buona  riescita  délia  impresa.  Ne  paghi  di  seminare 
discordie  e  diffidenze  tra  i  soldati  e  i  volontari,  i  Gresuiti 
e  i  loro  partigiani,  alla  indipendenza  patria  avyersissimi, 
gettavano  il  disprezzo  su  le  libertà  costituzionali  e  su 
Carlo  Alberto  largitore  di  esse!  Sotto  si  tristi  auspici  do- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    OIOBNATA    DI   MOVASA  235 

vevano  gli  Italiani  ricominciare  la  guerra  (1).  —  Ben  dif- 
ferenti  erano  le  condizioni,  nelle  quaM  trovavansi  gli  Au- 
striaci  al  riprendere  délie  armi.  Le  vittorie  guadagnate 
nella  guorra  del  1848,  sebbene  dovute  più  al  numéro  pré- 
pondérante di  loro  forze,  che  alla  perizia  del  maresciallo 
e  al  valore  dei  soldati  —  vittorie  che  dall'Adige  e  dal  Min- 
cio  avevanli  ricondotti  a  Milano  e  al  Ticino  —  a  vevano 
fatto  racquistare  aire»ercito  impériale  la  coscienza  dolla 
propria  potenza,  toltagli  nel  marzo  dell'anno  innanzi  dalle 
vittoriose  sollevazioni  del  popolo,  e  pieno  di  fiducia  nel 
Tecchio  suo  condottiero,  salutô  allora  con  entusiasmo  il 
bandirsi  délia  seconda  guerra,  che  promettevagli  nuovi 
allopi  e  nuova  gloria.  Durante  le  tregue  l'esercito  au- 
striaco  era  stato  rifatto  e  non  solamente  portato  a  numéro» 
ma  eziandio  accresciuto  di  molti  battaglioni  ;  ed  era  stata 
altresi  creata  una  divisione  di  dragoni  per  li  bisogni  del 
généralissime^  al  cui  sèguito  cavalcava  un  eletto  drappello 
di  Serezani,  mandatogU  dal  bano  di  Groazia,  Jellachich^ 
quale  scorta .  d'onore.  Nel  tempo  délia  sospensione  délie 
armi  le  fortezze  del  Quadrilatero  avevano  ricevuto  copia 
grande  di  vettovaglie,  ed  erano  state  munite  d'ogni  cosa  oc- 
corrente  alla  guerra;  le  vecchie  difese  restaurate  e  d'altre 
opère  afforzate;  in  fine,  in  tutte  le  città  di  Lombardia, 
specie  poi  in  quelle  che  avrebbero  potuto  trovarsi  dentro 
la  sede  délia  guerra,  Radetzky  aveva  preso  provvedimenti 
Talevoli  -tA  assicurarsene  il  possesso,  nel  caso  di  popolare 


(1)  BBomBio,  Storia  del  Piemonte,  vol.  v,  cart.  98;  Torino,  1852. 

Carlo  Alberto,  in  Oporto,  nanrô  che  a  Kovara  i  fioldati  d'nn  reggi- 
mento  di  fànti,  foggenti  la  pugna,  a  loi,  ehe  11  esortava  di  tomare  al 
cunpo,  risposero  parole  inBnltanti. 

Nelle  Memorie  délia  guerra  d'ItaUa  del  1848  e  1849  di  on  Veterano 
dustriaeo,  a  cart  222  del  volume  secondo,  parlando  délia  invasione  an- 
striacain  Piemonte,  scrisse  cosi:  a  Gli  ô  ben  vero  che  avevamo  dalla 
Dostra  nn  obrto  pabtito...  »  Assai  grave  confesfiione  qnesta  d'an  nimico 
airitalia,  confessione  che  sparge  grande  lace  sa  la  giomata  di  NovaTa  I 


Digitized  by  VjOOQIC 


236  CAFITOLO   TI 


solleTazione.  II  massimo  accordo  e  una  armonia  mirabile 
regnavano  naU'eserifito,  il  quale»  sebben  composto  di  ele- 
meati  diversissimi,  e  direi  quasi  gli  uni  agli  altri  contrari 
corne  a  tutti  è  bon  noto,  era  tenuto  assieme  da  forte  mi- 
litare  disciplina  e  da  quoi  sentimenti  d*onore,  che  ayev&iiio 
reso  grande,  persino  in  mezzo  ai  piii  tremendi  disastrt 
toccatigli  ai  tempi  del  primo  Napoleone.  Sotto  auspici  si 
buoni  âoveyano  gli  Austriaci  uscire  alla  campagna. 

Dalle  posture,  che  gli  imperiali  occuparono  al  dinunziare 
délia  guerra,  chiaro  apparve  il  disegno  del  maresciallo  di 
invadere  il  paese  nimico;  al  quale  scopo  egli  aveva  fatto 
la  massa  délie  sue  genti  presse  Pavia,  per  essere  iyi  faci- 
lissimo  il  passare  in  Piemonte  ;  inyasione  e  passaggio  che 
egli  ebbe  a  compiere  senza  contraste,  perd  che  Ghrzanow- 
ski,  non  preveggendoli,  si  fosse  ridotto  col  grosso  deU'e- 
sercito  sardo  intorno  a  Novara,  lasciando  debolissima  di 
forze  Testremità  destra  de'  suoi  campi  davanti  allô  sforzo 
degli  Austriaci;  onde  la  guerra  dovevasi  combattere  sul 
medio  Po  e  sul  basse  Ticino.  «  La  grande  arte  délia  guerra, 
scriveva  Federico  di  Prussia  il  3  novembre  1786  al  mare- 
sciallo di  Sassonia,  consiste  nel  prevedere  tutti  i  casi  possi- 
bili,  e  la  grande  arte  del  générale  sta  nel  preparare  tutti  gli 
espedienti  possibili  per  non  trovarsi  impacciato  nel  momento 
di  deliberare.  »  Se  Ghrzanowski  avesse  fatto  diligentemente  I 
spiare  le  mosse  deiravversario  —  come  usano  far  sempre 
i  generali  prudenti  e  accorti  —  nella  notte  del  10  al  30 
marzo  sarebbe  stato  avyertito  délia  direzione  presa  dairin- 
tiero  esercito  austriaco;  la  quale  direzione,  svelandogli  le 
mire  del  maresciallo,  ayrebbelo  consigliato  ad  afforzare  la 
divisione  lombarda  alla  Gava  con  quella  di  Durando  ;  a 
guardare  i  passi  del  Ticino  a  Oleggio,  Turbigo,  Boffalora. 
Vigevano  e  Zerbolô  con  la  brigata  Solaroli  e  le  divisioni 
di  Perrone  e  Bes;  a  riunire  quelle  dei  Duchi  di  Savoia  e 
di  Genova  intorno  a  Mortara,  e  con  queste  egli  avrebbe 
potuto  correre  alla  difesa  del  passe,  che  tenterebbesi  da 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIORTTATA   DI   XOVABA  237 

Radetzky  col  grosso  délie  sue  forze.  Che  il  générale  polacco 
non  temesse  una  vera  e  grande  invaslone»  ma  soltanto  un  ten- 
tative del  nimico  a  Payia,  ce  lo  prova  il  comando  date  poi 
da  Ramorino  di  struggere  il  ponte  di  barche  sul  Po  a  Mez- 
zanacorte,  e  ciô  allô  scopo  di  combattere  gli  imperiali  in 
qaella  difficile  postura  —  perô  che  ivi  sarebbersi  trovati 
COQ  due  grossi  fluml  aile  spalle  —  e  impedir  loro  di  pas- 
sare  in  quel  luogo  su  la  destra  del  Po.  Gon  tali  mutamenti 
e  tali  mosse,  che  potevansi  compiere  innanzi  lo  spirare 
délie  tregue,  Tesercito  regio  sarebbesl  awicinato  alla  sua 
base  délia  guerra,  Valenza-Alessandria-Qenova,  fortissima 
per  natura  di  sito  e  per  arte,  ma  dal  suo  capo  suprême 
coa  poco  senno  negletta;  in  oltre,  sarebbesl  appressato 
alla  divisione  del  générale  Lamarmora  di  quanto  bastava 
per  arerla  con  se  in  una  giornata  campale.  —  Allô  intento 
d'impedire  al  nimico  di  portare  la  guerra  in  Lombardia, 
Radetzky  invase  il  Piemonte  con  tutte  le  sue  forze  armate  ; 
ciô  che  sarebbegli  tomato  di  rovina,  se  Ghrzanowski,  da 
générale  risoluto  e  audace,  fosse  entruto  in  Lombardia  con 
tutta  la  sua  potenza  a  piedi  e  a  cavallo,  e  rapidamente 
portandosi  su  l'Adda  e  su  TOglio  avesse  minacciato  agli 
imperiali  le  loro  vie  di  ritratta  al  Mincie.  «  Una  corsa 
ntpida,  un  camminare  spedito,  cosi  Napoleone  nelle  sue 
Massime  di  çtierra,  accrescono  il  morale  dei  soldati...  La 
forza  d'un  esercito,  corne  la  quantità  dei  movimenti  nella 
meccanica,Yaluta8i  dalla  massa  moltiplicata  per  la  yelocitii.  » 
--  n  timoré  di  peter  venire  separato  dalla  sua  base  délia 
guerra  ayrebbe  certamente  costretto  il  maresciallo  a  die- 
^eggiare  dal  Ticino  e  ad  aTvicinarsi  al  Quadrilatero  ;  nella 
qnale  ritratta,  se  perseguito  vivamente  dai  régi  e  molestato 
daiLombardi  soUevati,  sarebbergli  toccati  non  pochi  danni. 
n  vasto  piano  che  stendesi  fira  11  Ticino  e  la  Sesia^  le 
pendici  meridionali  dell'Alpi  elvetiche  e  le  settentrionali 
dell'Appennino  ligure,  formava  la  sedia  délia  guerra  (1); 

(1)  Vedi  l'Atlante. 


Digitized  by  VjOOQIC 


238  CAPITOLO   VI 


la  quale  misurava  in  lunghezza  da'  centoventi  chilometri, 
poco  più  di  sessanta  in  larghezza  ;  nel  suo  centro  trovaTasî 
Novara,  città  non  munita  di  difese.  La  parte  bassa  di  quel 
piano  è  forte  per  la  cittadella  d*Alessandria;  ma  la  sape- 
riore  è  aperta  air  assalitore  invadente,  essendo  il  Ticino 
un  ostacolo  facile  a  superarsi  :  per  la  quale  cosa  una  gior- 
nata  perduta  su  quel  fiume  o  su  la  Sesia  farebbe  cadere 
in  mano  al  nimico  l'alto  Piemonte  con  la  sua  metropoli; 
e  qualora  Tesercito  venisse  soparato  da  Alessandria,  non 
potendosi  sostentare  la  guerra  su  le  Alpi,  sarebbe  forzato 
a  posarla;  cio  che  accadde  a  Novara.  Altri  âumi,  molxi 
torrenti  e  canal!  —  le  cui  acque  vanno  a  immettersi  nel 
Po  e  nel  Ticino  —  attraversano  i  piani  di  Vercelli,  d'Ales- 
sandria,  di  Mortara  e  di  Novara;  che  perô  poco  giovano 
alla  difesa,  nulla  alla  ofiesa.  —  Suonavano  le  undici  anti- 
meridiane  del  20  marzo ,  quando  D' Aspre  col  secondo 
corpo  d'esercito  divise  in  tre  schiere  valicava  il  Ticino  a 
Pavia  su  tre  ponti  (1),  uno  stabile  e  due  militari  costratii 
airalbeggiare  del  giorno,  di  poco  a  valle  délia  città;  i  quall 
mettevano  neirisola  formata  dal  Ticino  e  da  un  suo  ramo, 
il  Gravellone,  che  esce  a  destra  del  corso  principale  di 
quel  fiume  poco  al  di  sopra  di  Pavia,  per  ritornargli  sue 
acque  non  lungi  dal  suo  mettere  foce  in  sul  Po.  Le  prime 
ascolte  degli  Austriaci  stavano  neirisola  sovraccennata; 
erano  un  battaglione  di  cacciatori  tirolesi  che  tutta  la 
occupava;  due^cannoni  battevano  la  via  conducente  alla 
Cava.  AUo  scoccare  del  mezzogiorno  le  schiere  del  mare- 
sciallo  D*Aspre  superavano  il  Gravellone;  quella  di  désira, 
a  guado  e  a  valle  del  ponte  stabile  di  barche  esistente  su 
la  strada  di  Pavia  a  San  Martine,  sul  quale  passava  la 
schiera  di  mezzo;  e  la  sinistra  valicavalo  sopra  un  ponte 


(1)  Giusta  la  relazione  di  Badetzky  su  la  giornata  di  Novara,  il 
mattino  del  20  marzo  trovavansi  raccolti  presso  Pavia  sessanta  batta 
glioni  di  fanti,  qaaranta  squadroni  di  cavalli  e  centottantasei  caononL 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.    GIORNATA   DI   KOVABA  239 

railitare  brevi  ore  prima  costrutto.  L'avanzare  degli  im- 
periali  fu  per  poco  contrastato  dai  bersaglieri  lombardi 
—  il  battaglione  di  Manara  —  che  su  la  destra  del  Gra- 
vellone  forniva  le  prime  guardie  délia  divisione  Ramorino. 
Questo  générale,  cui  era  stato  comandato  di  portare  nel 
mattino  del  20  marzo  il  suo  campo  alla  Gava  —  buona 
postura  signoreggiante  la  via  di  Mortara  —  e  di  stendere 
parte  délie  sue  genti  lungo  il  Ticino  sino  al  passo  di  Be- 
reguardo  per  osservare  le  mosse  del  nimico,  reputando, 
0  a  ragione,  impossibile  lo  eseguimento  di  taie  disegno  con 
le  poche  sue  armi,  erasi  tenuto  col  grosso  délia  divisione 
su  la  destra  del  Po  intorno  a  Casatisma,  accontentandosi 
di  mandare  verso  Zerbolô  un  battaglione  di  fanti,  d'occu- 
pare  la  Gava  con  altri  due  e  con  la  picciola  legione  degli 
studenti  lombardi,  e  San  Martino  Sicomario  col  battaglione 
ai  Manara.  Le  quali  forze  armate  insieme  contavano  due 
mila  uomini  appena,  pur  compresi  gli  artiglieri  dei  due 
caaiioni  collocati  su  la  destra  del  Po  alla  testa  del  ponte 
di  barche  di  Mezzanacorte  e  i  pontieri  che  stavano  a  guar- 
dia  di  quello  (1).  Ghrzanowski  aveva  imposto  altresi  al 
générale  Ramorino  di  tentare  Pavia  nel  mattino  del  21  ;  e 
se  gli  riescisse  di  recarsela  in  mano,  di  spingersi  immediata- 
meute  con  tutta  la  sua  divisione  sopra  Lodi,  ove,  come  so- 
pradicemmo,  egli  sperava  far  la  giornata  col  maresciallo  (2); 


(1)  All'antore  di  queste  istorie,  che  allora,  Inogotenente  nelle  arti- 
gUerie  lombarde,  goveniaya  i  due  cannoni  collocati  aUa  testa  del  ponte 
^  barche  di  Mezzanacorte  per  batterie  al  bisogno  in  tntta  la  sua  Inn- 
ghezza,  era  stato  comandato  di  incendiarlo  con  granate,  qnando  il  ni- 
mico tentasse  passarlo;  inntile  ordine  qnesto,  perô  che  gi&  da  più  giomi 
Qoa  sqnadra  d'artiglieri-pontieri  si  fosse  bene  preparata  a  ritirare,  in  caso 
<li  perlcolo,  buon  numéro  di  barche  presse  la  destra  del  Po. 

(2)  tt  n  giorno  âO,  nel  mattino,  senza  affaticare  il  soldato,  la  divi- 
none  lombarda  dovrA  prendere  nna  forte  posizione  difensiva  alla  Cava 
e  nei  dintorm...  DottjI  assicnrarsi  le  due  linee  di  ritirata  nei  easi  occor- 
fenti,  quella  cioô  del  ponte  snl  Po  a  Mezzanacorte  e  quella  di  Sanna- 
zaro.  n  Ticino  sarà  soryegliato  da  ronde  dal  ponte  di  Beregnardo  sino 


^  Digitized  by  VjOOQIC 


240  CAPITOLO   VI 


e  qualora  Pavia  gli  résistasse,  o  gli  Austriaci  ne  uscissero 
numerosi  contra  i  Lombard!,  Ramorino  —  rotto  il  ponte 
di  Mezzanacorto  allô  scopo  di  impedire  ai  nimici  di  pas- 
sarvi  il  Po  —  doveva  indietreggiare  verso  Sannazaro  e 
Mortara;  se  poi  gli  imperiali  sboccassero  con  grandi  forze 
dal  passe  di  Bereguardo,  portarsi  su  la  destradi  quel  fiume. 
Ma  egli,  ritenendo,  pcr  le  mutate  circostanze,  impossibile 
a  eseguire  ciô  che  quattro  giorni  innanzi  eragii  stato  co- 
mandate  dal  generalissimo»  voile  che  i  battaglioni  già  col- 
locati  davanti  al  Gravellone  e  sul  basse  Ticino  e  airnscir 
di  Pavia  degli  Austriaci  ritrattisi  dietro  il  Po,  si  stendes- 
sero  lungo  le  rive  di  questo  fiume  a  monte  e  a  valle  del 
ponte  di  Mezzanacorte,  e  la  restante  parte  délia  sua  divl- 
sione  campeggiasse  Gasatisma,  ove  Ramorino  tenera  sua 
stanza.  Fu  scritto,  che  la  disobbedienza  di  questo  générale 
tornô  esizialissima  alla  guerra  ;  taie  affermazione  è  esage- 
rata  dimolto  ;  invero,  s'egli  col  sacriflcio  di  buona  parte  délia 
sua  divisione  avesse  fatto  alla  Gava  una  resistenza  ostinata 
—  la  natura  del  sito  sommamente  avvantaggiando  la  difesa — 


al  metter  foce  snl  Po...  È  essenziale  tenersi  informato  délie  forze  nîmié^h^ 
che  stanno  di  fronte,  e  qualora  non  sieno  snperiori,  si  devra  tentaie  di 
împadonirsi  di  Pavia  il  mattîno  del  giorno  21,  salvo  ordini  contraiL  II 
migliore  modo  di  conoscere  le  forze  nimiche  sarà  di  assaltare  l'isola 
Inngo  il  GraveUone;  se  il  nimico  la  difende  debolmente,  segno  ô  che 
ha  poche  forze;  se  con  tenacità,  ô  indizio  di  forze  superioii.  Nel 
primo  caso  bisognerà  impossessarsi  a  viva  forza  dell'isola,  e  padroni 
del  borgo,  battere  Pavia  di  fronte,  mentre  con  altre  forze  armate  la 
si  girerebbe  a  valle  deU'isola  stessa  verso  la  casoina  Momhallone  ;  nel 
secondo  caso  bisognerà  limitarsi  a  nn  combattimento  lento,  ma  cont> 
nnato,  per  distogUere  di  là  quelle  forze  nimiche  e  ricominciare  la  do- 
mane  il  combattimento.  Signord  di  Pavia,  dovr&  cautamente  persegnîre 
il  nimico  senza  arrischiarsi  di  troppo,  e  collocandosi  su  la  destra  di 
Lodi,  mandare  grossa  mano  di  sue  genti  verso  Belgioioso  ad  e^loraR 
le  vie  che  conducono  a  Milano  e  a  Melegnano.  »  —  Queste  le  istm- 
zioni  spedite  da  Ghrzanowski  al  générale  Ramorino  il  16  mano,  toa 
che  non  potevansi  mandare  ad  effetto. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    OIOBNATA  DI  NOYABA  241 

il  nimico  sarebbe  stato  ia  sao  cammino  arrestato  per  tutto 
quel  giorno;  e  Ghrzanowski,  dal  cannone  délia  Gava  av- 
Tertito  deirinvasione  austriaca,  accorrendo  in  aiuto  dei 
Lombardi  con  le  genti  di  Durando,  di  Bes  e  del  Duca  di 
Savoia,  avrebbe  potuto  opprimere  gli  iuvaditori  nellastretta 
del  Ticino  e  del  Po.  Nel  caso  poi  che  la  divisione  di  Ramo- 
rino  non  potasse  résistera  airurto  deiroste  impériale  sino  al 
giugnere  di  Chrzanowski,  ritraendosi  a  Mortara,  avrebbe 
preso  pai^te  alla  giornataivi  combattuta  il  di  appresso,  e  cer- 
tamente  impedito  il  disastro  toccato  a  Durando  poche  ora 
dopo.  —  Il  numéro  soverchiante  degli  Austriaci  invadenti 
costrinse  i  piccioli  battaglioni  lombardi,  che  guardavano  il 
Gravellone  e  la  Gava,  a  ripassare  il  Po  ;  allora  venne  disfatto 
il  ponte  di  Mezzanacorte.  Il  battaglione  lombarde  del  ven- 
tunesimo  reggimento,  campeggiante  presse  Zerbolô,  non 
avendo  potuto  riunirsi  alla  divisione  per  essergli  stata  le- 
vata  la  via,  recossi  a  Mortara;  e  cosi  rimosso  ogni  ostacolo 
D'Aspre  prosegui  il  suo  cammino  verso  i  luoghi  désignât!, 
n  quale,  per  la  via  di  Mortara,  si  porto  a  Gropello  con  Ap- 
pel —  che  col  terzo  corpo  d'esercito  l'aveva  seguito  da 
presse  —  e  dietro  a  loro  Wratislaw  col  primo  a  Zerbolô  ; 
ove  il  di  vegnente  fu  raggiunto  da  Wohlgemuth  con  la  bri- 
gata  Gôrger  —  e  poco  innanzi  presidiante  Varese  e  Sesto 
Calende;  egli  con  le  fanterie  aveva  passato  il  Ticino  a  Bere- 
guardo;  i  suoi  cannoni  e  la  sua  cavalleria,  a  Pavia.  Thurn, 
Bpedita  a  Mezzanacorte  la  brigata  di  Ëdoardo  Liechtenstein 
a  spiarvigli  andamenti  délia  divisione  lombarda,  col  restante 
di  sue  genti  —  il  quarto  corpo  d'esercito  —  postossi  alla 
Cava;  il  primo  corpo  di  riscossa,  lasciata  addietro  la  bri- 
gata WimpflTen  —  la  quale  doveva  presidiare  Pavia  per  as- 
sicurare  al  maresciallo  il  passe  del  Ticino  —  sotto  il  co- 
mando  di  Wocher  pose  i  suoi  campi  sul  Gravellone  ;  in  fine, 
Radetzky  (1)  portossl  col   Quartier  générale  [deiresercito 


(1)  Al  Buo  entrare  in  Piemonte  il  maresciallo  pubblicava  un  mani- 
festo  aile  popolazioni;  nel  quale,  dopo  avère  incolpato  il  Be  di  quella 
16  —  Vol.  n.  Mabuni  —  Storia  poi.  •  miL 


Digitized  by  VjOOQIC 


242  CAPITOLO    VI 


nella  città  ticiûense:  queste  le  posture  deirarmi  austriaclw» 
nella  sera  del  20  marzo. 

Mentre  gli  impérial!  coa  tutto  lo  sforzo  di  guerra  vali- 
cavano  il  basso  Ticino,  dal  ponte  di  Bofl&lora  i  régi  cala- 
vano  a.  Lombardia;  ma,  appena  occupateae  le  prime  tem. 
lasciavanle  per  correre  contra  il  nimico  invadente  ii  Pie- 
monte.  Due  ore  innanzi  lo  spirare  délie  tregue  Carlo  Al- 
berto e  Chrzanowski  giugnevano  a  quel  ponte,  alla  cui 
difesa  tenevasi  l'antiguardo  délia  divisione  del  Duca  di 
Genova  —  la  quarta  —  che  allô  scoccare  del  mezzogiorno 
là  trovavasi,  serrata  insieme.  Dopo  lungo  osservare  nulU 
scorgendosi  su  la  sinistra  del  fiume  che  rivelasse  la  vicl- 
nanza  degli  Austriaci,  ne  udendosi  fragore  veruno  di  a^ 
tiglierie  dalla  parte  délia  Gava,  Ghrzanowski  comandava 
al  Duca  di  Grenova  di  portarsi  con  tutta  la  sua  divisione 
sopra  Magenta  a  ricercàre  la  contrada  piii  avanti  gli  fosse 
possibile  e  riconoscere  i  luoghi  e  i  campi  degli  imperiali: 
e  in  pari  tempo  ordinava  al  générale  Perrone  —  in  quel 
mezzo  campeggiante  Galliate  —  di  recarsi  al  ponte  per 
appoggiare,  se  la  bisogna  il  ricbiedesse,  con  le  sue  ge&t: 
quelle  del  Duca  di  Genova.  Primo  a  varcare  il  Ticino  e  a 
premere  il  suolo  lombarde  fu  il  Re  alla  testa  d*una  com- 
pagnia  di  bersaglieri,  al  cui  avanzarsi  fuggivano  i  corri- 
dori  austriaci,  i  quali  lungo  il  fiume  spiavano  le  mossedei 
régi.  In  Magenta  egli  veniva  avrertito,  avère  Radetzky  fatta 
la  massa  di  sue  genti  intorno  a  Pavia;  novella  questa  che  | 
sommamente  turboUo  e  sconcertô  non  poco  Cbrzanowski.  ! 


inginata  guerra  e  dei  molti  mali  cbe  ayrebbe  loro  arrecati,  assicnranle 
che  l'eserGito  impériale  rispetterebbe  le  loro  vite  e  quanto  possedemn 
se  a  quella  non  prendessero  parte  yemna.  «  Me  non  anima,  cosi  coc- 1 
chindeva,  come  Carlo  Alberto  lo  spirito  di  conqnista;  ma  yengo  a  <ii'  | 
fendere  i  diritti  dell'Imperatore  mio  sîgnore,  e  la  integrità  délia  do- 
narchia  cbe  il  tostro  Ooremo,  alleato  alla  ribellione,  slealmente  dù- 
nacda.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    6I0BKATA    DI   KOTABA  94B 

Ëssi,  che  eransi  tenuti  certi  di  combatliere  il  maresciallo  su 
l'Adda,  saputolo  con  tutto  resercito  sul  basso  Tîcino,  stanno 
ailora  tra  dae  sopra  quanto  meglio  conviene  operare;  se 
Radetzky  osa  invadere  il  Piemonte  —  ove  uomini  e  cose 
essendogli  apertamente  nimici  gli  lasceranno  soltanto  il 
terreno  da  lui  campeggiato  (1)  —  perché  mai  Oarlo  Al- 
berto e  il  generalissimo  non  osano  irrompere  in  Lombar- 
dia,  ove  tutto  è  amico  ad  essi  e  la  popolazione  è  pronta 
a  levarsi  in  su  l'arme  ?  Perché  mai  con  rapide  mosse  non 
vanno  a  coUocarsi  su  le  vie  di  comunicazione  degli  Au- 
striaci  col  Mincio  e  con  le  fortezze  del  Quadrilaterof  Per- 
ché, in  âne,  non  rispondono  all'audacia  del  maresciallo  con 
pari  audacia?  Se  nel  Re  e  in  Ghrzanowski  la  gaglîardia 
deiroperare  fosse  stata  pari  al  loro  valore;  se  avessero 
saputo  prendere  la  guerra  con  maggiore  caldezza,  arréb- 
berla  indubitabilmente  condotta  a  onore;  ma  in  Oarlo  Al- 
berto la  irresolutezza  era,  più  che  un  abito,  una  infermità 
deiranimo;  e  il  générale  polacco,  sebbene  possedesse  le 
teoriche  délia  guerra,  mancava  perô  di  prontezza  nel  de- 
liberare,  d'operosità  e  vigoria  nel  mandare  a  efTetto  i  pro- 
pri  disegni.  «  Per  un  générale,  cosi  Napoleone  (2),  la  vera 
sapienzasta  in  una  forte  risoluzione.  »  Che  fa  ailora  Ghrza- 
nowski? Lasciato  il  Duca  di  Genova  sul  Tîcino  e  ordinato 
a  Perrone  di  tornare  a*  suoi  campi  di  Galliate,  portas!  col 
Re  a  Trecate,  ove  pone  il  Quartiere  générale  dell'esercito  ! 
forse  ad  aspettare  <9he  il  cannone  nîmico  abbîa  ad  avver- 
tirlo  délia  disfatta  di  Durando  e  délia  caduta  di  Mortara 
in  mano  agli  Austriaci  ?  —  Nella  sera  di  quel  giorno  20 
marzo,  Ramorino  accresceva  le  difese  del  ponte  di  Mezza- 
nacorte  di  due  sezioni  d'artiglierie,  comandando  per6  nes- 
sim  colpo  si  avesse  a  tirare  sui  nimici    campeggianti  la 


(1)  u  L'esercito,  che  entra  in  un  simile  paese,  non  vi  possiede  che 
il  terreno  snl  qnale  s'accampa.  n 

JoHiHi,  De  VArt  de  la  guerre, 

(2)  MaxmeB  de  guerre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


S44  CAPITOLO   YI 


sinistra  riva  del  Po;  i  qaali,  durante  la  notte,  incendia- 
roQO  alcune  barche  che  trovayansi  su  la  riva  dol  fiume, 
presso  cui  costruirono  una  batteria  di  cannoni  da  campo. 
Poco  dopo  Talbeggiare  del  di  Yegnente  Liechtenstein  trasse 
fùriosamente  con  razzi  di  guerra  e  artiglierie  contra 
quelle  dei  Lombardi,  i  quali,  con  eguale  furia  ma  con 
maggiore  esattezza  di  tiro,  risposero  e  si  efficacemente  al- 
l'offendere  del  nimico  da  mandare  a  rovina  la  sua  batteria 
e  guastarne  i  cannoni.  Durô  due  ore  il  fuoco,  col  qaale 
gli  Austriaci  intesero  a  raggiungere  —  corne  in  fatto  rag^ 
giunsero  —  il  doppio  scopo,  di  coprire  la  loro  andata  90- 
pra  Mortara  e  tenere  tutta  rivolta  Tattenzione  del  nimico 
ai  passi  del  Po  allô  intente  dlmpedirgli  di  molestare  quella 
loro  mossa.  Nel  mattino  stesso  del  21  marzo  gli  imperiali 
lasciavano  la  postura  di  Mezzanacorte  per  non  piii  curarsi 
di  Ramorino,  paghi  d*ayergli  leyata  la  via  di  comuoica- 
zione  col  grosso  deiresercito  italiano. 

In  sul  cadere  di  quel  giorno,  rimesso  il  comando  deila 
diyisione,  il  générale  Ramorino  lasciava  il  campo  di  Oa- 
satisma,  chiamato  da  Chrzanowski  in  nome  del  Re  a  Tre- 
cate.  Lunga  era  la  yia  ch'  ei  doyeva  percorrere,  perô  che 
gli  ussari  austriaci,  spintisi  già  oltre  TAgogna,  ricercando 
da  quella  parte  tutte  le  terre  per  ayer  lingua  délie  armi 
nimiche,  costringessero  il  générale  a  passare  per  Jdesr 
sandria,  Gasale  e  Yercelli  per  recarsi  a  Noyara  —  allora 
allora  diyenuta  stanza  del  Quartier  maggiore  dei  régi  - 
e  doye  giugneya  aile  undici  e  mezza  délia  notte  del  22. 
Aile  tre  del  mattino  del  yegnente  egli  presentayasi  a 
Ghrzanowski,  il  quale  —  dopo  ayere  lamentata  la  perdita 
di  Mortara  e  la  soonfltta  di  Durando,  e  pronunciate  parole 
di  biasimo  per  l'esercito  del  Re,  e  dopo  essersi  espresso 
in  modo  da  far  conoscere,  come  tenesse  Ramorino  per  in- 
yido  e  geloso  del  generalato  suprême  conferitogli  dal  Go- 
verno  sardo  —  terminaya  il  suo  parlare  cosi  :  «  Bisognara 
sino  dal  cominciare  délia  guerra  dirmi  che  yoi  non  to- 
leyate  militare  sotto  gli  ordini  miei.  >  Indi  a  lui,  che  af- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIOBNATA   DI   NOYARA  245 

fermava  d'avere  avuto  uno  scopo  solo,  quello  di  dare  il 
sao  braccio  alla  patria,  e  che  amandola  egli  veramente 
non  poteva  nutrire  sentimenti  di  invidia  e  gelosia,  Ghrza- 
nowski  rispondeva:  =  Ora  che  la  cosa  è  pubblica»  dubi- 
tare  che  il  Re  sia  per  rimetterlo  alla  testa  délia  divisione 
lombarda  ;  consigliarlo  perô  a  chiedergli  taie  favore  e  nel 
tempo  stesso  anche  una  Gommissione,  la  qaale  abbia  a  in- 
vestigare  Toperato  suo  e  cercare  le  prove  dei  fatti  de- 
nunziati,  come  meritevoli  di  punizione.  =  Aveva  scritto 
Ramorino  a  Ghrzanowski,  quanto  da  questo  vecchio  suo 
compagne  d*armi  eragli  onestamente  e  saviamente  sugge- 
rito,  allora  che  verso  le  dieci  del  mattino  stesso  ricevera 
lettera  dal  gênerai  maggiore,  il  qaale  avrertivalo  che  il 
Re,  nello  accettare  la  richiesta  d*una  Gommissione  esami- 
natrice  del  suo  operato,  vietavagli  di  presentarsi  davanti 
ai  soldati  sino  a  che  fosse  egli  giudicato  e  assolto  délie 
colpe  a  lui  attribuite.  Stava  queU'infelice  per  chiedergli 
la  licenza  di  portarsi  a  Torino  per  sollecitarvi  il  racco- 
gliersi  délia  Gommissione,  che  dovea  condannarlo  o  assol- 
verlo,  quando  il  romoreggiare  dairartiglierie,  nello  annun- 
ciargli  Tawicinarsi  del  nimico,  awertivalo  non  essore 
quello  momento  opportune  a  scrivere  a  Ghrzanowski,  cer- 
tamente  ito  già  a  governare  il  combattere.  Di  Ramorino 
€  de'  suoi  tristi  casi  narreremo  piîi  avanti. 

U  généralissime  —  che  vedemmo  dal  ponte  di  Boffalora 
correre  a  Trecate  per  aver  lingua  degli  Austriaci,  non 
incontrati  su  la  sinistra  del  Ticino  —  saputo  nella  sera 
di  quel  giorno  20  del  loro  entrare  in  Piemonte  e  dello  in- 
dietreggiare  dalla  Gava  di  Ramorino,  chiamato  a  se  il 
Duca  di  Genova,  mandavalo  con  sue  genti  a  campeggiare 
Vigevano,  ove  giugneva  nelle  ore  pomeridiane  del  ve- 
gnente(l);  in  pari  tempo  comandava  a  Durando  di  recarsi 


(1)  Vedi  rAUante. 


Digitized  by  VjOOQIC 


246     •  CAPITOLO   VI 


con  la  sua  divisione  a  Mortara;  a  Bes,  di  coadursi  alla 
Sforzesca  e  per  Vigevano  procedere  inaanzi  verso  Pavia 
occupando  borgo  San  Siro  col  suo  antiguardo;  aPerrone, 
di  scenderea  Gambolô;  a  Solaroli,  di  calaresopra  Boffalora 
per  difendervi  il  passo  del  Ticino  ;  in  fine,  al  Duca  di  Sa- 
voia,  di  eollocarsi  con  la  riscossa  intorno  a  Mortara.  Con 
taie  ordinamento  de'  suoi  campi  —  che  chiariva  lo  inten- 
dimento  del  générale  maggiore  di  fare  la  giornata  coi  ni- 
mici  sui  piani  che  stendonsi  davanti  a  Vigevano  e  a  Mor- 
tara —  il  grosso  deiresercito  —  da  trentotto  milauomini 
e  sessantotto  artiglierie  —  egli  voleva  raccolto  presse  Vi- 
gevano, che,  giusta  i  suoi  calcoli,  doveavi  arrivare  aicuQ>' 
ore  prima  di  Radetzky;  da  ventisei  mila  uomini  e  quaran- 
totto  cannoni  avevano  a  riunirsi  presso  Mortara;  concio 
Ohrzanowski  mirava  pure  a  offendere  la  destra  dei  campi 
imperiali.  Lasciate  le  stanze  di  Trecate,  Carlo  Alberto  in 
sul  mezzogiorno  del  21  entrava  in  Vigevano;  ove  poco 
dopo  il  tocco  il  romoreggiare  del  cannone  annunciavagli 
essere  i  suoi  aile  prese  con  gli  Aùstriaci  a  borgo  San  Siro. 
Mentre  i  régi  numerosi  raccoglievansi  dinnanzi  a  Vige- 
vano, il  nimico  avanzavasi  per  recarsi  in  mano  questa 
terra  e  ferire  il  primo  colpo  contra  Mortara,  ove  il  ma- 
resciallo  intendeva  condursi  con  lo  sforzo  suo  di  guerra. 
Al  quale  scopo,  fatto  mangiare  ai  soldati  il  pasto  del  mat- 
tino,  comandava  a  Wratislaw  di  andare  col  suo  corpo  à\ 
esercito,  il  primo,  sopra  Gambolô  ;  poscia,  avanzarsi  sino  â 
Mortara,  porsi  a  campo  a  destra  di  questa  terra,  e  nel 
medesimo  tempo  spedire  il  luogotenente  colonnello  Schaoz 
con  due  battaglieni  di  fanti,  due  squadroni  di  cavalli  e  uns 
mezza  batteria  di  razzi  a  occupare  Vigevano;  ciô  che  non 
gli  fu  dato  di  eseguire  per  essergli  ivi  già  state  furatele 
mosse  dai  régi.  Per  comando  di  Radetzky  il  maresciallo 
D'Aspre  doveva,  col  seconde  corpo  d'esercito,  seguire 
Wratislaw  e  procedere  oltre  Mortara,  se  non  tenuta  dai 
Sardi,  mentre  Appel,  col  terzo,  occuperebbela,  e  Thuni 
col  quarto  collocherebbesi  su  la  sinistra  di  quella  città. 


Digitizeciby  VjOOQ le 


LA   GIOBNATA   DI   MOVAKA  247 

dietro  la  quale  e  a  cavalière  délia  via  di  Garlasco  e  Tru- 
mello  posterebbosi  Wocher  con  l'esercito  di  riscossa.  Con 
lali  moss6  il  vecchio  maresciallo  mirava  sopravanzare  la 
destra  dei  campi  italiani,  levare  a  questi  la  via  di  Torino 
e,  cJô  che  più  importavagli,  separarli  dalla  lor  base  délia 
gueira,  Valenzc^Alessandria^Genova,  e  stringerli  poscia 
tra  il  grosso  délie  sue  forze  armate  e  il  Ticino;  disegno 
in  parte  riescitogli  per  l'imperizia  dei  général!  del  Re,  che 
non  seppero  eseguire  quanto  Chrzanowski  aveva  lor  co- 
mandato.  Radetzky,  nel  suo  camminare  sopra  Mortara, 
lasciô  espofiico  aile  oflTese  nimiche  il  suo  flanco  destro,  che  la 
debole  schiera  di  Schanz  era  impotente  a  difenderlo  da  un 
vigoroso  assalto  degli  Italiani.  Se  quella  mossa  di  fiance, 
latta  in  molta  vicinanza  delFesercito  regio,  fu  per  Ra- 
detzky  una  colpevolissima  imprudenza,  cosa  dobbiamo  mai 
dire  délia  indolenza  dei  generali  di  Oarlo  Alberto,  che  la- 
sciaronla  compiere  senza  la  minima  offesa  ? 

Era  da  poco  suonato  il  tocco,  allora  che  l'avanguardia 
di  Wratislaw  —  la  brigata  Strassoldo  —  e  le  genti  di 
Schanz  urtavano  fortemente  sopra  il  debole  avanguardo 
délia  divisione  di  Bes  in  borgo  San  Siro;  il  quale,  costretto 
dal  numéro  degli  assalitori  —  che  contavano  tre  volte 
tanto  le  forze  sue  —  a  cedere  loro  il  campo,  ritiravasi 
verso  San  Vittore;  unitosi  a  due  battaglioni  di  fanti,  ve- 
nutivi  ad  appoggiarlo,  si  ridusse  di  poi  alla  Sforzesca,  sem- 
pre  combattendo  il  niraico  d'ogni  parte  premente  per  rom- 
P^re  gli  ordini  suoi.  La  pugna  si  riaccese  e  fu  aspra  alla 
Sforzesca,  davanti  alla  quale,  preparato  a  ricevere  gli  as- 
salitori, trovavasi  Bes  con  due  reggimenti  di  fanti,  alquanti 
bersaglieri,  due  squadroni  di  cavalli  e  otto  cannoni  (1), 
Gli  Austriaci,  tuttavia  preponderanti  in  numéro,  tentarono 


(1)  La  brigata  Casale,  spedita  da  Bes  verso  Fogliano  per  impedire 
û  niinico  di  sopravanzare  Vigevano,  chiamata  di  poi  al  combattiiiiento, 
Qon  poté  prendere  parte  a  questo,  avendo   smarrita  la  via  délia  Sfor- 


eesca. 


Digitized  by  VjOOQIC 


248  OAPITOLO    TI 


girare  sui  fianchi  Tordinanze  dei  régi,  ma  invano  ;  e  quanta 
volte  le  assaliroQO,  altrettante  yennero  respinti,  e  da  ul- 
timo  in  si  malo  modo,  da  essere  obblîgati  a  indietreggiare 
disordinatamente.  E  Bes  avrebbe  certamente  lor  fatto  toc- 
care  piena  rotta,  se  non  fosse  corso  ad  appoggiarli  Wohl- 
gemuth  con  buona  parte  délia  brigata  Gôrger  —  ohé  in 
quel  mezzo  aveva  varcato  il  Ticino  a  Bereguardo  —  e  cou 
una  batteria  di  cannoni  del  primo  corpo  d'esercito  di  ri- 
scossa  incontrato  per  via.  —  Ghrzanowski,  appena  udi  lo 
strepito  délie  artiglierie  combattenti  a  San  Siro,  fece  avan- 
zare  un  reggimento  di  fanti  délia  divisione  Perrons  su  la 
via  délia  Sforzesca,  e  con  un  altro,  parimenti  di  quella 
divisione,  e  dieci  cannoni  egli  stesso  si  porto  fino  a  mczzo 
chilometro  da  Gambolô,  verso  cui  muoveva  Wratislaw  col 
grosso  del  suo  corpo  d'esercito.  Pervenuta  a  quella  terra 
in  sul  cadere  del  giorno,  Wratislaw  soUecito  spedi  forte 
schiera  di  sue  armi  ad  affrontare  gli  Italiani,  già  ordinati 
alla  pugna  e  préparât!  a  contrastargli  il  passe;  ributtato, 
venue  a  sua  volta  assalito  e  costretto  a  dare  addietro. 
Chrzanowski  avrebbelo  incalzato,  se  lo  iugrossarsi  délie 
battaglie  austriache  per  lo  sopravvenire  di  forti  sussidi  e 
il  vivo  romoreggiare  di  cannoni  e  di  moschetti  udito  dalla 
parte  di  Mortara  non  Tavessero  consigliato  a  retrocedere, 
per  fare  al  dimani  la  giornata  col  nimico  dinnanzi  a  Yi- 
gevano  e  con  quanto  di  sue  genti  sarebbegli  stato  possi- 
bile  di  raccogliere  nella  notte.  Esizialissima  deliberazione 
questa,  e  certamente  délie  piii  gravi  tra  le  cause  che  con- 
corsero  a  rovinare  Timpresa;  avvegnachè  con  taie  indugio, 
rimettendo  cioè  al  di  vegnente  quelle  oflTese,  che  avreb- 
bersi  potute  fare  nella  sera  contra  gli  invaditori,  si  con- 
cedesse  al  maresciallo  tempo  bastevole  a  raccogliere  tutte 
le  sue  forze  armate.  Se  il  gênerai  maggiore,  all'arrivare 
del  Duca  di  Genova  in  Vigevano  —  che  fu  in  sul  finire 
del  giorno  (1)  —  senza  por  tempo  in  mezzo  e  proflttando 


(1)  n  tardare  délie  vettovaglie  fii  causa  del  tardo  giugnere  a  Vige- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBKATA    DI  KOYARA  249 


deirentusiasmo  de'  suoi  soldati  destato  dal  buon  esito  del 
combattimento  délia  Sforzësca,  avesse  fatto  impeto  su  gii 
imperiali  a  Gambolô,  sarebbe  indubitabilmente  riescito  a 
rompere  la  destra  dei  campi  austriaci,  riparando  cosi  lar- 
^mente  allô  scapito  patlto  da  Durando  a  Mortara;  e,  re- 
cuperata  questa  città,  avrebbe  ridotto  il  maresciallo  alla 
Gava,  nella  stretta  del  Pc  e  del  Ticino.  11  non  aver  ci6 
operato  provô,  che  Obrzanowski,  se  di  scienza  bellica  pos- 
sédera quanta  gliene  davano  gli  amici  suoi,  non  era  tut- 
tavia  atto  a  maneggiare  la  guerra,  ne  condurla  con  au- 
dacia  e  vigore. 

Durando,  che  giusta  gli  ordini  del  généralissime  avrebbe 
dovuto,  il  mattino  del  21,  collocarsi  dietro  i  Sabbioni  di 
Mortara  (1)  —  i  quali  formano  un'eccellente  postura  di  difesa 

—  e  spingere  la  sinistra  dei  campi  délia  sua  divisione  verso 
Fogliano,  allô  scopo  di  sostenere  e  alla  bisogna  di  farsi 
appoggiare  da  quelle  campeggianti  Vigevaiio  (2),  maie  in- 
terpretando  quegli  ordini,  invero  poco  chiari  e  molto  meno 
esatti,tenutosi  presse  Mortara,  ponevasi  a  cavalière  délia  via 
di  Garlasco  con  le  sue  due  brigate  di  fanti  —  Aosta  e  Regina 

—  di  cui  otto  battaglioni  in  prima  ordinanza  e  quattro  in 
seconda;  con  le  due  batterie  di.cannoni  dinnanzi  a  quelle, 
separate  da  un  profonde  fosso  sul  quale  era  stato  costrutto 
un  ponte  ;  con  la  cavalleria  su  le  vie  di  Garlasco  e  Vige- 
vano  e  tre  squadroni  entre  Mortara.  E  il  Duca  di  Savoia, 


vano  deUa  quarta  divisione;  allora,  corne  nell'aiino  innanzi,  la  Provve- 
ditoria  générale  dell'esercito,  per  inettezza  air  alto  sao  carico,  cagionô 
danni  e  disastri! 

(1)  Vedi  TAtlante. 

(2)  Notammo  più  sopra  che  Bes,  non  avvertito  da  Chrzanowski  del 
gingnere  di  Dnrando  a  Mortara,  mandava  la  brigata  Casale  a  Fogliano 
per  difendere  da  qnella  parte  Vigevano,  se  i  nemici  l'assaltassero  ;  in 
tal  modo  indeboliva  con  grande  suo  danno  il  campo  délia  sna  divisione 
aUa  Sforzesca. 


Digitized  by  VjOOQIC 


250  CAPITOLO   VI 


cui  Chrzanowski  avéra  comandato  di  spalleggiare  la  dé- 
sira del  campo  di  Durando  e  proteggere  Mortara,  qui 
giunto  —  e  f u  poco  dopo  le  due  pomeridiane  —  stendeva 
la  sua  divisione  da  Gastel  d'Agogna  sino  a  trecento  metri 
da  quella  città,  sopra  un  terreno  per  tanti  impedimenti 
difficile  a  percorrere  e  a  muoversi  osservando  gli  ordini. 
La  destra  délie  sue  battaglie  egli  componeva  délia  brigata 
dei  granatieri  ;  la  sinistra,  délia  brigata  Cuneo,  le  cui  estre- 
mità  e  il  centre  afforzava  di  ventiquattro  cannoni  ;  copriva 
il  corno  destro  délia  sua  ordinanzacon  un^reggimento  di 
cavalli;  l'altro  reggimento  con  otto  cannoni  — il  sussidio 
suo  —  coUocava  dietro  il  centre  di  tutta  la  ordinanza  (1). 
Cattive  posture  queste  del  Duca  di  Savoia,  avvegnachè  pcr 
recarsi  in  aiuto  di  Durando  —  se  oppresso  dal  numéro  dei 
nimici  —  ei  dovesse  passare  attraverso  Mortara  col  peri- 
colo  di  averne  impedite  le  vie  dai  fuggitivi:  donde  la  con- 
fusione,  il  disordine  ;  e  conseguenza  di  quella  e  di  questo, 
danni  gravissimi  e  irreparabili  :  lo  che  accadde  a  Mortara. 
—  Chrzanowski,  il  quale,  persuaso  di  dover  fare  il  di  ve- 
gnente  la  giornata  con  gli  Austriaci,  aveva  comandato  alla 
prima  divisione  di  postarsi  a  levante  di  Mortara  sui  campi 
che  dai  Molini  di  Faenza  scendono  ai  Gasoni  di  Sant'Al- 
bino  su  la  via  di  Garlasco,  formando  cosi  un  angolo  rien- 
trante  con  la  destra  dell'esercito,  che  sarebbesi  schierato 
dinnanzi  a  Vigevano,  e  aveva  mandate  la  riscossa  a  porsi 
con  la  sinistra  dietro  Testremità  destra  délia  divisione  di 
Durando  e  a  stendersi  con  la  sua  destra  sin  presse  Gastel 
d'Agogna,  al  doppio  intente  d'aflforzare  il  générale  Du- 
rando e  coprire  Mortara,  Ghrzanowski,  io  dico,  spediva  cola 
Alessandro  Lamarmora  col  carico  di  vigilare  a  che  i  di- 
segni  e  i  comandamenti  suoi  fossero  pienamente  mandati 
a  efietto.  ^-  Arrivato  al  tocco  in  Mortara,  Lamarmora  ve- 


(1)  n  Dnca  di  Savoia  aveva  fortificato  il  Molino  Nuovo,  spalleggianta 
la  destra  délia  brigata  Cuneo, 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBNATA   DI    NOTABA  251 


data  ]a  prima  divisione  sopra  le  posture  già  da  noi  de- 
soritte,  comandavale  che,  dopo  essersi  cibata  del  vitto  che 
ailora  allora  si  apprestava,   si  avanzasse  e  si  ordinasse 
su  quelle  già  ad  essa  designate  dal   geaeral  maggiore,  e 
ael  frattempo  spedisse  fuora  degli   esploratori  a  cercare 
il  terreno  flao  a  San  Giorgio,  per  avère  novelle  del  nimico 
etroyare  altresi  una  via  per  Castel  d'Agogna.  I  quali  esplo- 
ratori riedevano  senza  riferire  cosa  alcuna  degli  Austriaci, 
e  senza  che  Tufficiale  dello  Stato  maggiore  deiresercito, 
preposto  a  quella  ricognizione  délia  campagna,  avesse  sa- 
puto  rinvenire  la  via  desiderata  e  che  proprio  esisteva. 
Aile  tre,  e  appuato  in  quella  che  da  ogni  parte  annuncia- 
vasi  Tawicinarsi  del  nimico,  Durando  procedeva  innanzi, 
non  fino  aile  posture  che  avrebbe   dovuto  tenere  sin  dal 
mattino,  ma  solamente  poco  piii  di  un  chilometro  e  mezzo, 
collocaudosi  su  due  ordinanze  a  cavalière  délia  via  di  Gar- 
lasco  ;  schierando  a  destra  délia  medesima  la  brigata  Re- 
gina,  la  estremità  délia  oui   ordinanza  era  afforzata  dal 
conveuto  di  Sant'Albino,  difeso  da  un  battaglione  di  fanti 
e  dal  torrente  Arbogna;  e  a  sinistra  la  brigata  Aosta, 
airestremità  délia  cui   battaglia  faceva  spalla  un  reggi- 
meato  di  cavalleria  e  stava  il  cimitero  di  Mortara  —  situato 
presse  la  via  di  Vigevano  —  nei  mûri  del  quale  erano  state 
aperte  moite  feritoie;  in  fine,  le  due  batterie   ponevansi 
da  Durando  lungo  la  fronte  délia  divisione  ;  e  il  Duca  di 
Savoia,  che  vedemmo  giugnere  a  Mortara  poco  dopo  le  due 
pomeridiane,  collocavasi  ne'  luoghi  da  noi  descritti  qui  so- 
pra. Cosi   ordinate  e   proprio  contra  i  princîpi  deU'arte 
bellica,  quelle  due  divisioni,  che  insieme  contavano  ven- 
tisei  mila  uomini   e  quarantotto   artiglierie,  ne  presenta- 
vano  al  nimico  poco  piii  di  sette  mila  con  sedici  cannoni  ; 
e  le  rimanenti  forze,  perché  troppo   distant!  dalla  prima 
ordinanza  e  separate  da  questa  da  un  largo  fosso,  che  im- 
pediva  di  muoversi  con  facilita  e  speditezza,  non  potevano 
&1  bisogno  soUecitamente  aiutarla  ;  in  oltre,  la  molta  vici- 
nanza  di  quella  città  che,  come  già  notammo,  trovavasi 


Digitized  by  VjOOQIC 


252  OAPITOIiO   TI 


a  un  chilometro  e  mezzo  circa  dietro  ad  essa,  poteva, 
nel  caso  d'una  ritratta,  essere  causa  dî  disordine,  corne 
lo  fu.  Durando,  col  piantare  i  suoi  campi  su  le  posture 
designategli  dal  généralissime,  e  il  Duca  di  Sayoia,  cou  lo 
spalleggiarne  saviamente  la  destra,  ayrebbero  non  sola- 
mente  bene  provveduto  alla  difesa  di  Mortara,  ma  con  lo 
avvicinarsi  al  corpo  d'esercito,  che  staya  dînnanzi  a  Vi- 
geyano,  eziandio  meglio  provyeduto  alla  loro  sicurezza. 
Suonayano  le  quattro  e  mezza  pômeridiane,  quando  i  cor- 
ridori,  mandati  fuori  alla  campagna  per  ayer  lingua  del 
nimico  e  speculare  la  contrada,  annunciayano  a  Durando 
l'appressarsi  di  quello,  per  la  yia  di  Garlasco  ;  era  il  corpo 
d'esercito  di  D'Aspre,  il  quale,  montre  Wratislaw  com- 
batteya  a  San  Siro  e  alla  Sforzesca,  muoyeya  contra 
Mortara.  L'arciduca  Alberto  —  che  guidava  Tavanguardia 
—  giunto  in  vista  del  campo  italiano  disponeva  sue  genti, 
per  Tassalto,  in  due  schiere  a  ordinanza  serrata  ai  lati 
délia  via;  la  sua  cavalier ia  fermavasi  a  Remondo  (1);  se- 
guivale  a  brève  distanza  la  divisione  Schaffgotsche  :  mez- 
z'ora  dopo  le  artiglierie  deiravanguardia  davano  il  segnale 
délia  pugna.  L'improvviso  apparire  degli  impérial!  e  il 
siibito  loro  affrontare  gettano  lo  sgomento  nel  campo  regio, 
le  oui  prime  guardie  indietreggiano  quasi  senza  trar  colpo; 
ad  esse  tien  dietro  il  battaglione  presidiante  Sant'Albino. 
Venuto  questo  convento  a  mano  degli  Austriaci,  è  poco 
appresso  recuperato  dagli  Italiani;  i  quali,  rifattisi  e  rin- 
francati  gli  animi  dal  primo  smarrimento,  riprendono  il 
terreno  poco  prima  lasciato  al  nimico,  e  fronteggiano  con 
fermezza  gli  assalitori.  D'Aspre,  che  non  estante  Tora  tarda 


(1)  La  schiera  di  destra  componevasi  di  quattro  battaglioni  di  fanti, 
due  délia  brigata  EoUowrat  e  due  délia  brigata  Stadion,  e  d'nno  di 
cacciatori  tirolesi;  e  la  schiera  di  sinistra  constaya  parimenti  di  quattro 
battaglioni  di  fanti  délie  stesse  brigate  di  quella  di  destra;  una  parte 
del  suc  battaglione  di  cacciatori  camminava  avant!  in  ordine  sparso, 
Faltra  parte  erasi  coUocata  dietro  on  fosso. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIOBNATA   DI   NOVABA  353 

ha  voluto  combattere  per  fruire  del  vantaggio  di  quella 
sorpresa,  deliberato  di  impadronirsi  di  Mortara  ayaati  il 
cadere  délia  notte,  si  avanza  con  tutto  lo  sforzo  di  sue 
genti  coatra  la  désira  délia  prima  ordinanza  italiana;  la 
qnale,  non  ricevendo  sussidio  veruno,  e  maie  reggendosi 
contra  la  piena  dei  nimici  venutagli  sopra,  yacilla,  cède  e 
disordinatamente  riparasi  entre  la  città,  già  tutta  in  iscom- 
piglio  e  in  confusione  di  comandi  e  di  voleri  diversi.  Car 
lata  la  notte,  D'Aspre  non  osa  tentare  quella  terra;  ma  sa- 
puto  del  colonnello  Benedek,  che  co*  suoi  fanti  ungaresi 
e  con  due  artiglierie  mischiatosi  coi  fuggitivi  yi  si  era 
messo  dentro  o  combatteya,  contra  grossa  schiera  di  régi» 
in  ordine  serrato  nella  yia  principale  délia  città,  ayyicinar 
tosi  a  questa  afforza  Benedek  d*un  battaglione  di  fanti.  U 
Duca  di  Sayoia,  appena  ode  11  romoreggiare  del  cannone, 
manda  parte  délia  brigata  Cuneo  ad  appoggiare  la  destra 
di  Durando,  e  con  la  rimanente  parte  speditissimo  si  reca 
a  Mortara  (IX  aUa  cui  difesa  parimenti  accorre  il  géné- 
rale Durando  con  la  brigatâ  Aosta  —  la  destra  délie  sue 
battaglie  —  allora  che  yede  il  tentennare  e  il  ritrarsi  délia 
brigata  Regina.  Tard!  aiuti!  perô  che  non  sia  più  possi- 
bile  salvare  la  città,  ne  rimettere  gli  ordini  nelle  schiere, 
che  si  sbandano  ;  onde  il  Duca  è  costretto  a  retrocedere 
Terso  Oastel  di  Agogna  e  a  yolgersi  quindi  sopra  Robbio 
senza  retroguardia,  ayyegnachè  questa  —  un  battaglione  di 
fenti  e  due  artiglierie  —  smarrita  la  yia  —  cammini  yerso 
Yalenza;  e  la  brigata  Aosta,  perduta  buona  parte  del  suo 
battaglione  d'ayanguardia  —  neirentrare  in  Mortara  caduto 
prigionlero  —  volgesi  a  Noyara,  Il  presidio  di  Sant'Albino, 
il  quale  non  estante  il  dietreggiare  délia  brigata  Regina 
ha  strenuamente  resistito  ai  ripetuti  assalti  di  nimico  po- 
deroso,  allora  che  yedesi  in  pericolo  d*essere  circondato. 


(1)  Il  Daea  di  Sayoia  aTeya  pur  fatto  ayvicinare  alla  città  un  reg- 
gimento  di  granatieri. 


Digitized  by  VjOOQIC 


254  CAPITOLO    VI 


di  là  si  toglie  e  proprio  airavvicinarsi  del  geaerale  La- 
marmora  (1)  ;  il  quale,  alla  testa  di  due  battaglioai  délia 
brigata  Cuneo,  par  la  via  di  San  Giorgio  portavasi  in  aiuto 
délia  brigata  Regina.  Awisato   da*  suoi  esploratori   délia 
caduta  di  Mortara  e  del   ritrarsi   dei  régi  sopra  Novara. 
Lamarmora,  eut  soao  sconosciuti  i  campi  ch'  egli  percorre, 
délibéra  aprirsi  con  la  forza  la  via  di  salvameato  ;  e  a  taie 
intento  muoyé  contra  Mortara.  L'oscurità  délia  notte  fe 
ch'egli  possa,  non  visto,  ayyicinarsi  alla  città,  ove  entra 
per  la  porta  San  Giorgio.  L*armi,  che  già  vi  erano  pasate, 
sono  riprese  al  gridare  délie  sentinelle,  che  stanno  presso 
la  grande  piazza,  alla  quale  orasi  appressato  randacissimo 
générale;  da  ambe  le  parti  sonvi  sorpresa  e  timori  di 
perigli  ignoti:   i   régi,  perché  credono  la  terra    essere 
libéra  di  nimici,  nuUa  avendo  lor  dette  il  générale  che  11 
guida,  per  ragione  facile  a  indovinarsi  ;  e  gli  imperiali, 
perché  non  sanno  rendersi  conto  di  quelle  improvviso  as- 
salto  aile  spalle,  securi  che  il  nimico  trovasi  tutto  in  riti- 
rata  davanti  ad  essi.  Grave  pericolo  sovrasta  quindi  a  Be- 
nedek;  se  gli  Italiani   fanno   impeto,  egli  è  perduto;  ma 
pronto,  quanto  intrépide,  il  colonnello  austriaco,  bene  in- 
dovinando  aver  solo  a  fare  coi  battaglioni  di  Sant'Albino. 
lor  grida  d'arrendersi,  essendo  impossiMle  il  combattere 
e  prédira  ogni  via  di  scampo  ;  ed  essi,  reputandosi  cir- 
condati  dalle  sue  genti,  rendono  Tarmi  e  gli  si  danno  pri- 
gioni,  non   perô  Lamarmora,  il  quale   con  una  mano  dei 
suoi   piîi  valorosi  —  circa  cinquanta  —  s'avanza   audace» 
mente  nella  città,  tutta  piena  d'Austriaci  ;  e  irridendosi  di 


(1)  Per  via  Lamarmora  veniva  assalito  da  una  presa  di  Aostriaci. 
nasGostiù  dietro  gli  alberi;  ribnttatili,  egli  procedeva  secoio  ianaita. 
qnando  di  11  a  brevi  istanti  era  offeso  dal  fuoco  dei  battaglioni  di 
Sant'Albino;  i  qnali,  taratti  in  errore  dal  moschettare  pooo  prima  udito 
e  oltremodo  bnia  essendo  la  notte,  avevano  creduto  essere  una  sdùera 
di  nimici,  qnella  che  a  lor  s'appressava.  L'errore  perô  fn  presto  rico- 
nosciuto:  onde  lievissimo  fa  il  danno  soiferto. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    GIOBNATA    DI   NOYABA  255 

quelle  spavaldo  che  ha  gridato  :  inutile  ogni  offèsa,  mi- 
glior  cansiglio  VarrendersU  superati  gli  impedimenti  che 
sbarrano  le  vie,  apresi  fra  i  nimici  il  passo,  e  per  Gastel 
d'Àgogna  raggiunge  il  Duca  di  Savoia,  col  quale  trova- 
Tasi  Durando,  che  nel  confuso  ritrarsi  era  stato  sepa- 
rato  dalla  sua  divisione.  —  Di  poco  momento  furono  le  per- 
dite  sofferte  dagll  Austriaci  a  Mortara  :  da  trecento  uominl 
morti  0  feriti,  gravissime  quelle  patite  dagll  Italiani,  i  quali 
oltre  la  perdita  délia  città  e  di  cinquecento  de'  loro  ca- 
duti  uccisi  o  feriti,  ne  avessero  lasciati  in  mano  al  vinci- 
tore  due  mila  allô  incirca  con  cinque  cannoni  e  buona 
parte  dei  carriaggi  e  del  carreggio  délia  divisione  di  Du- 
rando, che  il  mattino  del  di  vegnente  giugneva  a  Novara 
eaandio  stremata  di  fbrze  per  lo  disperdersi  di  molti  sol- 
dat!, i  quali,  scompostisi  gli  ordini  nella  notturna  ritratta, 
eransi  smarriti  per  le  campagne. 

Moite  e  varie  le  cagioni  délia  sconfitta  di  Mortara.  — 
Nelle  ore  pomeridiane  del  22  marzo  due  divisioni  erano 
yenute  a  schierarsi  davanti  quella  città;  le  capitanavano 
Durando  e  il  Duca  di  Savoia;  potendo  combattere  lontano 
dal  Quartier  générale  dell'esercito  —  come  in  fatto  av- 
teiine— chi  ne  teneva il  comando  suprême?  nessuno !  Grave 
errore  in  guerra  fu  sempre,  sovente  anche  causa  di  ro- 
Tina,  soprammodo  in  un  giorno  di  combattimento  la  man- 
canza  d'unità  di  comando.  Le  posture  occupate  da  Durando 
—  non  quelle  designategli  da  Chrzanowski  —  erano  sotto 
ogni  ripetto  piii  che  infelici  ;  dissennato  consiglio  fu  il  suo 
eollocarsi  troppo  vicino  aile  mura  délia  città;  dissennatis- 
Bimo  poi  campeggiar  terreno  pieno  d'ostacoli,  che  dove- 
vano  nuocérgii  del  pari  se  si  fosse  avanzato  per  oflTendere, 
0  si  fosse  tenuto  in  su  le  difese  ;  e  attravesato  da  foâso, 
che  dovéva  împedire  il  libero  e  facile  muoversi,  il  vicen- 
devole  s<yvTenire  e  il  sticcedere  nella  pugna  délie  divét^e 
opdinanze  combattent!.  Tardi  mandaronsi  fuora  gli  esplo- 
ratori  a  spéculare  la  campagna  e  ad  avôr  lingua  dei  ni- 
mici :  onde  dell'arrivo  degli  Austriaci   fu  Durando  awer- 


Digitized  by  VjOOQIC 


256  OAPITOLO   YI 


tito  allora  allora  che  già  stavangli  sopra.  Dirô  in  fine,  non 
ultima  ira  le  cause  del  disastro  essere  state  la  lentezza  nel 
proTvedere  aile  nécessita  del  combattere,  la  poca  vigoria 
e  la  poca  fermezza  dei  capi,  che  generarono  nei  soldati 
trepidanza,  turbamento  e  confusione.  in  tutto  il  campo.  Se 
Durando,  se  il  Duca  di  Savoia  —  capitani  di  valore  prova- 
tissimo  —  avessero  con  savio  ardimento  risposto  airaudacia 
imprudente  di  D'Aspre,  Mortara  non  sarebbe  andata  per- 
duta,  e  certamente  a  Novara  —  se  la  giornata  vi  fosse  stata 
fatta  —  non  sarebbe  caduta  la  fortuna  d'Italia.  Padrone  di 
Mortara,  D'Aspre  cessô  d'ogni  offesa  contra  il  nimico»  ne 
YoUe  incalzarlo  per  non  arriscbiare  di  perdere  nella  nette 
il  Yantaggio  sopra  quelle  acquistato  nella  giornata:  onde 
ponoYa  il  campo  presse  le  mura  délia  città,  montre  il  primo 
corpo  d*esercito  mettoYalo  a  Gambolô  ;  il  terzo  a  Trumello 
con  le  stanze  di  Radetzky  e  del  Quartier  générale  ;  il  quarto 
a  San  Giorgio  ;  quelle  di  riscossa  a  Groppello  ;  due  squa- 
droni  d*ulani,  Yarcata  TAgogna,  cercaYano  la  contrada  che 
stendesi  fra  Sartirana  e  Valenza.  —  In  quella  notte,  Intanto 
che  la  prima  diYJsione  dei  régi  camminaYa  sopra  Novara» 
e  la  riscossa  sopra  Robbio,  la  seconda,  la  terza  e  la  qaarta 
serenaYano  davanti  a  Vigevano  —  oyo  stavano  il  Re  e  il 
généralissime  —  unabrigata  di  fanti  serenaYa  al  ponte  di 
Boffalora  sul  Ticino  e  la  diYisione  lombarda  a  quello  di 
Mezzanacorte  sul  Po. 

La  noYoUa  délia  rotta  di  Mortara,  portata  in  Vigevano 
da  due  officiai!  dello  Stato  générale  deiresercito  poco  dopo 
la  mezzanotte,  feri  dolorosamente  il  Re  e  gettô  lo  scon- 
forte  in  tutto  il  campo  :  eppure  délia  guerra  non  potevasi 
ancora  disperare.  Che  far  dovoYa  allora  Carlo  Alberto? 
rinYiare  Durando  e  il  Duca  di  SaYoia  a  Mortara,  ed  e^ 
stesso,  raccolto  quanto  pib  sarebbegli  stato  possibile  diarmi, 
muoYore  speditamente  contra  D'Aspre  e  all'albeggiare  del 
nuoYO  giorno  far  impeto  contra  esso,  ributtarlo  su  l'Ago- 
gna  e  levargli  la  via  di  San  Giorgio.  4[  Abbastanza  oggi 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    GIOBNATA  DI  VOTABA  257 


dietreççiamfno  >  aveya  detto  Napoleone  ai  suoi  soldati  a 
Marengo;  «  Abbastanza  questa  notte  retrocedemmo,  »  dir 
doyeva  il  Re  airesercito  suo;  e  ridestaado  in  questo  la  fede 
nel  proprio  valore  e  nelle  proprie  forze,  avrebbe  indubi- 
tabilmente  rimesso  la  fortana  deirarmi  italiane.  Non  ista- 
Tangli  forse  di  fronte  gli  stessi  Austriaci  neiranao  innanzi 
vinti  e  fugati  due  volte  a  Goito,  di  poi  a  Pastrengo,  a  Ri- 
voli, a  Governolo  ?  Ignorava  egli  forse,  che  l'audace  assalto 
di  D'Aspre  era  stato  la  conseguenza  deiresaltamento  del 
momento,  non  la  ispirazione  del  genio  ?  Non  trovayasi  forse 
davaQti  a  lui  un  necchio  capitano  délia  vecchia  scuola  di 
Daun  e  Lascy?  Un  capitano  tardo  sempre  nel  concepire, 
più  tardo  ancora  nello  eseguire  ?  E  la  cui  usata  lentezza 
—  che  il  di  appresso  la  vittoria  di  Mortara  lo  tenue  ino- 
peroso  ne'  suoi  campi  sino  a  màttina  avanzatissima  —  sa- 
rebbe  stata  a  caro  prezzo  pagata,  se  Ghrzanowski  ayesse 
sapato  mandare  a  effetto  il  disegno  assai  caldeggiato  dal 
Re,  e  da  lui  posto  innanzi  ai  generali  riuniti  in  quella 
Dotte  a  consulta  di  guerra  per  deliberare  intorno  a  quanto 
coQTenisse  fare  nei  [momenti  difficili  e  pieni  di  pericoli» 
che  allora  correyano.  Il  généralissime  ayeya  proposto  d'ire 
subito  con  le  tre  diyisioni  campeggianti  Vigeyano  sopra 
Mortara,  combattere  D'Aspre  ;  di  poi,  chiamate  a  se  quelle 
di  Durando  e  del  Duca  di  Sayoia,  yoltarsi  contra  il  grosso 
deU'esercito  nimico  e  far  con  questo  la  giornata.  Il  disegno 
di  Chrzanowski,  inyero  audace,  se  condotto  con  fermezza 
e  Tigore,  ayrebbe  dato  felice  risultamento  ;  mandate  a  par- 
tito,  fa  con  mal  senno  respinto.  Qualche  générale,  ayyer- 
sissimo  alla  guerra  délia  indipendenza  patria,  affermé  allora, 
che  i  più  dei  soldati  erano  contrari  a  quella  ;  parole  che 
suonayano  un  graye  insulte  all'esercito;  altri  generali  dis- 
sero  Vimpresa  proposta  dal  comandante  supremo  essere 
molto  arrischiata  ;  altri  poi,  inyocando  la  prudente  sayiezza 
del  maggior  générale,  mostrarono  certe  titubanze,  le  quali 
più  che  di  prudenza,  doyeyansi  chiamare  di  yiltà  ;  indie- 
treggiare  e  raccogliersi  a  Novara,  questa  la  deliberazione 

17  —  VoL  U.  MiBiAin  —  Storia  poi.  «  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


S58  OAPITOLO   YI 


dei  timidi  conaigliatori,  che  aliora  Tebbero  vinta  ami  ge- 
nerosi!  —  «  A  forza  di  fare  dissertazioni,  cobi  il  grande  N»- 
poleone  (IX  e  di  tenere  consulte  di  gaerra,  accadrà  ciô 
che  sempre  è  accaduto  segueado  taie  sistema  di  goyerno: 
si  finisce  per  preadere  il  peggiore  dei  partiti,  che  alla 
gaerra  è  quasi  sempre  il  più  pusillanime  o,  se  vuolsi,  il  piii 
prudente.  La  yera  saviezza,  per  un  générale,  sta  in  un  de- 
liberare  vigoroso  e  forte.  »  Se  timidi  furono  i  vinti  di  Moi^ 
tara,  ancor  più  timido  fu  il  vincitore;  il  quale  avrebbe 
dovuto  correre  soUecito  con  tutto  Tesercito  sopra  Novara 
allô  scopo  d'impedirvi  il  riunirsi  dei  régi,  o  portarsi  con 
68S0  su  Yeroelli  per  levare  ai  r^i  la  via  di  Torino,  corne 
già  ayeys^li  saputo  togliere  quella  d'Alessandria;  ai  con- 
trario il  vecchio  maresciallo  perdette  ore  preziosissimc 
nelle  sue  stanze  di  Trumello  per  risolvere  sul  partito  che 
meglio  convenisse.  «  Ohi  guadagna  dei  tempo^  ha  tutto  gua- 
dagnato  in  guerra,  »  cosi  Federico  di  Prussia  (2).  Eguale 
lentezza  regnava  aliora  nei  due  campi  :  Radetzky  poteva  coiî 
una  celere  mossa  rendere  compiuta  la  yittoria  di  Mortara: 
Ghrzanowski  con   una  mossa  audace  poteva  recuperare, 
quanto  la  negligenza  di  Durando  avevagli  fatto  perdere, 
e  rimettere  la  fortuna  délie  sue  armi.  Ei  l'avova  bene  ideata 
quella  mossa,  ma  non  seppe  mandarla  a  effetto;  cedendo 
alla  pusillanimità  di  qualche  générale,  dimenticava  che  in 
guerra  il  capo  suprême  è  il  solo,  il  vero  giudice  délia  im- 
portanza  e  délia  opportunità  di  certe  militari  operaziouL 
Al  sorgere  dei  22  marzo  Ghrzanowski,  levato  il  campo 
di  Vigevano,  camminaya  verso  Novara.  Lasciato  in  Trecaw 
il  Duca  di  Genova,  in  sul  cadere  dei  giorno  giugneva  con 
le  genti  di  Bes  e  di  Perrone  presse  quella  città  aenza  aver 
patito  molestie  dal  nimico;  e  vi  trovava  già  accampata  la 
divisione  di  Durando,  e  parimenti  doveavi  arrivare  nelU 
notte  quella  dei  Duca  di  Savoia;  la  brigata  Solaroli  dal  ponte 


(1)  Maximes  de  guerre. 

(2)  Histoire  de  mon  temps. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOSHATA  DI  NOTABA  259 

di  Boffalora  portavasi  a  Romeatiao,  dietro  Trecate.  —  Aile 
oûdici  mattina  del  22,  Radetzky^  cibate  sue  genti,  avanzar 
vasi  contra  Novara  con  tutte  lo  sue  arpi  divise  in  tre 
schiere;  quella  di  destra  composta  dal  corpo  d'esercito  di 
Wratislaw  ~-  il  primo  ^  da  Gambolô  recavasi  a  Cilavegna, 
spiiigendo  la  brigata  Strassoldo  sino  a  Yignarello,  a  meta 
circa  délia  via  che  corre  tra  Vigevano  e  Vespolate;  la 
schiera  di  mezzo  —  forte  dei  corpi  d*esercito  di  D*Aspre,  di 
Appel  e  di  Wocher  —  il  secondo,  il  terzo  e  quelle  di  ri- 
scossa  —  da  Mortara,  Trumello  e  Gropello,  per  la  sinistra 
dell'Agogna  veniva  a  Vespolate  :  e  Vocher,  presse  Mortara  ; 
la  schlfcra  di  sinistra  —  il  quarto  corpo  d'esercito,  quelle  di 
Thurn  •-  varcato  il  torrente  Agogna,  da  San  Giorgio  per 
la  via  di  Robbio  portavasi  a  Torre  di  Robbio,  coUocando  i 
suoicampia  sinistra  di  quelli  di  D*Aspre;  infine  il  mare- 
sciaUo  mettevasi  a  quartiere  in  Borgo  Lavezzaro,  proprio 
nel  mezzo  de*  suoi  campi  e  délie  sue  battaglie.  —  Invero  gli 
Austriaci  non  avrebbero  camminato  con  maggiore  lentezza, 
s'avessero  avuto  a  fare  con  un  nimico  vincitore  e  per  po- 
tenza  d*armi  e  d*armati  piii  forte  di  loro  ;  portandosi  in  quel 
giorno  steaso  a  Novara  sarebbe  tornato  impossibile  ai  régi 
di  raccogliersi  e  ordinarsi  ;  il  maresciallo  non  ricordavasi 
più  délie  tante  celebrate  guerre  strategiche  che  formarono 
la  gloria  del  primo  Napoleone.  Se  Ohrzanowski  commise 
grave  errore  dimenticando,  nel  prepararsi  a  giornata  di- 
feasiva  sui  campi  di  Novara,  di  chiamare  a  se  la  divisione 
lofflbarda  campeggiante  sul  Po  presso  Casatisma  e  quella 
più  lontana  d'Alfonso  Lamarmora,  che  stava  su  quel  di 
Parma,  non  meno  grave  errore  commise  Radetzky  con  lo 
aUontanare  da  se,  proprio  alla  vigilia  di  una  grande  gîor* 
oata,  piii  di  dieci  mila  uomini  per  Timpresa  di  Gasale  (1). 


(1)  Erano  la  brigata  di  Edoardo  Liechtenstein,  che  gnaxdaxail.pa8to 
del  Po  a  Meszanaoorte  e  quella  di  Cavriani ,  venuta  alloia  alloia  di 
Lombardia,  aile  qnali  doveva  poi  nnirsi  la  brigata  di  Gustaifo  Wimpfféii, 
che  presidiava  Pavia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


OAPITOLO  YI 


«  Non  togliete  alFesercito,  non  mandate  fuora  mai,  per 
qualsiyoglia  fazione,  presa  veruna  di  soldati,  cosi  scriveTâ 
Federico  di  Pruasia  a'  suoi  generali  (IX  quando  vol  movete 
airoffese  o  state  per  fare  la  giornata.  »  —  Quai  valore,  o, 
dirô  meglio,  quale  importanza  aveva  Casale  allora,  da  in- 
durre  il  maresciallo  a  impadronirsene  nel  giorno  in  cul 
avrebbe  dovuto  riunire  a  Novara  lo  sforzo  suo,  sin  Tultimo 
soldato,  sopra  quel  campo  sul  quale  tutto  concorreva  a  far 
credere  si  ayesse  a  combattere  la  giornata  finale,  corne  la 
fu  ?  vincitore  a  Novara,  non  sarebbegli  Oasale  veauta  a 
mano  senza  ferir  colpo?  vinto,  quale  aiuto  avrebbe  avuto 
dalla  occupazione  di  quella  città  ? 

Tra  l'Agogna  e  il  Terdoppio  —  torrenti  che  corrono  quasi  I 
parallelamente  da  settentrione  a  mezzogiorno  —  e  ad  eguale 
distanza  da  quelli  giace  Novara,  délie  cul  anticlie  difese  po- 
chissime  rimangono  e  queste  di  assai  debole  sussidio  ad  e8e^ 
cito  campeggiante  intorno  alla  città  (2).  La  fertile  piannra, 
che  distendes!  verso  Vespolate  e  in  mezzo  a  quel  torrenâ 
è  di  superficie  varia,  ineguale,  e  dolcemente  elevantesi  da 
formare,  a  due  chilometri  di  Novara,  un  poggio,  sul  quale 
siede  la  Bicocca,  picciolo  villaggio  di  poche  case  e  d'una 
cUesa  e  attraversato  dalla  via  di  Mortara.  Dalla  parte  del 
Terdoppio,  che  scorre  a  levante  di  Novara,  il  po^io  scende  i 
rapidamente  alla  pianura  ;  la  quale,  ricca  di  vigneti  e  ai- 1 
beri,  è  tagliata  da  canali  e  fossi,  sempre  d*ostacolo  a  cbi 
offende  e  di  aiuto  alla  difesa,  che  su  quella  pianura  s^aTvao- 
taggia  altresi  dei  molti  e  solidi  casolari  sparsi  sovr'essa. 
Al  sorgere  del  nuovo  di  —  il  23  marzo  —  i  régi,  già  tutti 
in  su  le  armi,  recavansi  ai  posti  loro  assegnati  per  la  pu- 
gna,  che  ritenevasi  imminente.  Sopra  due  ordinanze  areva 
Ohrzanowski  schierata  Teste  sua;  il  corno  destro  della 
prima  ordinanza  —  la  divisione  Durando  —  appoggiavasi 


(1)  Instruction  ffUlitaire  à  ses  généraux. 

(2)  Yedi  l'Atlante. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBKATA   OI  KOYABA  261 

al  canale  Dassi,  che  scorre  in  vicinanza  e  parallelameate 
alKAgogna  sin  presse  Corte  Nuova,  ove  volgendosi  a  levante 
forma  un  ostacolo  validissimo  alla  offesa;  le  battaglie  di 
mezzo  —  la  divisione  Bes  —  stavano  dinnanzi  alla  grossa 
masseria  délia  Citella;  il  corno  sinistre  —  la  divisione  Per- 
rone  —  trovavasi  alla  Bicocca,  la  postura  più  forte  delFordi- 
nanze  italiane  ed  eziandio  la  più  avanzata  verso  il  nimico, 
dalla  quale  signoreggiavasi  un  largo  tratto  délia  zona  ora 
descritta;  e  quelle  spingevasi  sine  a  Olengo  presse  un 
canale,  dal  nome  di  questo  villaggio  chiamato  Roggia  di 
Olengo.  Quattro  battaglioni  di  fanti  afforzavano  il  fiance 
destro  délia  divisione  Durande;  sei,  il  sinistre  di  quella 
di  Perrone  ;  la  fronte  délia  prima  ordinanza  era  coperta 
da  tre  battaglioni  di  bersaglieri.  Le  divisioni  del  Duca  di 
Savoia  e  del  Duca  di  Genova  tenevansi  alla  riscossa  in 
ischiere  serrate  ;  la  prima  a  destra  tra  Novara  e  la  via  di 
Vercelli,  la  quale  via  era  percorsa  da  grosse  prese  di  ca- 
valli;  la  seconda  a  sinistra  tra  il  cimitero  e  la  Bicocca; 
in  fine,  la  brigata  Solaroli  erasi  coUocata  sul  Terdoppie  e 
a  cavalière  délia  via  di  Trecate.  Da  taie  ordinamento  del- 
l'esercito  chiaro  appariva  il  disegne  di  Chrzanowski,  il 
quale  iatendeva  fare  alla  Bicocca  la  resistenza  più  strenua 
3  più  ostinata,  dalla  natura  del  site  sommamente  favoreg- 
giata;  e  tenevasi  certo  di  rompervi  i  nimici,  se,  per  im- 
padronirsi  di  quella  postura,  venissero  agli  assalti  cen  tutto 
il  loro  sforzo  di  guerra;  ed  eziandio  tenevasi  securo  di 
opprimerli  con  le  riscosse,  prima  che  si  ordinassero  aile 
offose,  se  le  tentassero  a  tergo  valicando  il  Terdoppie  e 
Agogaa.  —  PoGO  dope  le  dieci  del  mattino  di  quel  giorno 
?li  Austriaci  avanzavansi  verso  Novara.  La  novella  perve  • 
luta  nella  nette  a  Radetzky,  che  il  grosso  deiresercite  re- 
;io,  presidiata  quella  citta  di  poche  migliaia  di  soldati, 
îamminasse  sopra  Vercelli  per  coprire  Torino,  induceva 
1  maresciallo  a  mutare  in  parte  gli  ordini  stabiliti  per  la 
fiornata  da  cembattere  il  dimani,  certo  di  farla  a  Novara 
)  a  Vercelli.  Fermava  quindi   che  D'Aspre  muevesse  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


262  OAPITOLO   TI 


buon  mattino  con  sue  genti  contra  Novara;  che  ^pel  e 
Wocher  lo  seguissero,  conservando  perô  in  lor  cammino 
le  distanze  e  gli  ordini  a  scaglioni  presi  il  giorno  innanzi 
nello  accamparsl  ;  che  Wratislaw  per  la  via  di  Robbia  an- 
dasse  sopra  Borgo  Vercelli,  per  recarsi  là  dove  si  corn-  \ 
battesse,  a  Novara  cioè  o  a  Vercelli  ;  e  che  Thurn,  lasciato  ; 
il  suo  campo,  si  portasse  sopra  Vercelli,  soltanto  allora  ; 
che  venisse  avvisato  essere  Novara  in  mano  degli  impe-  \ 
riali.  Il  non  aver  piii  ricevuto  notizie  dei  nimici  —  onde  i 
veniva  a  confermarsi  vie  piîi  la  voce  corsa  del  loro  rac-  I 
cogliersi  intorno  a  Vercelli  —  induceva  il  maresciallo  a 
comandare  a  Thurn  di  camminare  subito  contra  queUa 
città,  credendo  piii  che  bastevole  il  corpo  d'esercito  di 
D'Aspre  per  l'impresa  di  Novara.  Ignorare  le  posture  e  le 
forze  degli  Italiani  in  tanta  vicinanza  dei  loro  campi,  non 
fa  certo  l'elogio  délia  prudenzà  e  délia  vigilanza  di  Ra- 
detzky  e  de' suoi  generali;  prima  di  andare  aile  offese, 
prima  di  mettersi  per  via,  essi  avrebbero  dovuto  spedire 
fuora  i  corridori  a  speculare  diligentemente  la  contrada 
e  conoscere  le  mosse  del  nimico.  —  OU  eserciti  guerreg- 
gianti,  che  al  cominciare  délie  ostilità  erano  eguali  in 
forze,  il  23  marzo,  nel  quai  giorno  venivano  aU'ultim:! 
prova  délie  armi,  quelle  dei  régi  era  non  poco  inferiorr? 
aU'esercito  impériale  per  numéro  d'uomini  e  d'artiglierie. 
causa  le  perdite  toccate  a  Mortara  dalle  division!  di  Du- 
rando  e  del  Duca  di  Savoia,  e  lo  sbandarsi  di  moltissimî 
nella  notturna  ritratta  da  quella  città,  che  non  avevana 
ancora  raggiunto  le  proprie  bandiere;  in  oltre,  da  quasi 
venti  mila  —  la  divisione  di  Alfonso  Lamarmora  e  la  Lom- 
barda  —  stavano  lontan  lontano  da  Novara  su  la  destra 
del  Po  e  proprio  abbandonati  a  loro  stessi  ;  mentre  l'eser- 
cito  austriaco  aveva  sino  allora  soflTerto  pochi  danni,  e  sol- 
tanto da  dieci  mila  uomini  —  i  designati  alla  inconsulta 
impresa  di  Casale  —  trovavansi  per  la  loro  lontananza 
nella  impossibilità  di  prendere  parte  alla  giornata  del  23 
marzo;  nella  quale  gli   Italiani  contaronsi    cinquantatrè 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBKATA   SI  ITOYABA  363 

mila  con  centodieci  cannoni;  e  gli  imperiali,  ciaquanta- 
$ette  mila  con  centoventicinqne  artiglierie.  Non  ostante  il 
prepoaderare  délie  armi  avrersarie,  Ghrzanowski  sarebbe 
uscito  vincitore  dalla  pugna,  se  non  si  fosse  ostinato  a  te- 
nersi  in  su  le  difese,  eziandio  quando  il  valore  del  soldati 
e  il  vantaggio  délie  posture,  saviamente  scelte  e  occupaie, 
coûsigliaranlo»  anzi  lo  spingevano  a  pigliare  con  audacia 
le  offese.  «  Alla  guerra,  ci  lasciô  scritto  Napoleone,  non 
arvi  che  un  momento  favorevole;  il  gran  talento  è  di  sa- 
perlo  ben  cogliere  >  (1). 

Erano  le  undici  del  mattino.  Carlo  Alberto,  uscito  allora 
di  Novara,  correva  le  sue  ordinanze  per  animare  i  soldatî 
alla  pugna  e  riconoscere  le  posture  occupate,  quando  il 
cannone  rayvertiva  avère  il  nimico  assaltata  la  Bicocca. 
D'Aspre  —  il  quale,  in  suo  avanzarsi  urtando  contra  i  posti 
italiani  a  Olengo,  credeva  fronteggiare  il  retroguardo  ni- 
mico, sempre  neirerrore  che  il  grosso  deiresercito  avrer- 
sario  fosse  in  quell'ora  raccolto  presse  Vercelli  —  con  Tau- 
dacia  usata  erasi  spinto  da  solo  troppo  innanzi,  non  già 
per  Timpazienza  di  venir  presto  aile  mani,  sibbene  per  la 
yanita  di  voler  fare  da  se  :  délia  quale  cosa  va  con  grave 
rimprovero  ripreso,  corne  quella  che  avrebbe  posto  a  re- 
pentagllo  Fimpresa  del  maresciallo.  L'arciduca  Alberto,  la 
cui  divisione  precedeva  in  avanguardia  Teste  impériale, 
ail  uscire  di  Nibbiola  facevasi  âancheggiare  a  sinistra  verso 
l'Agogna  da  un  battaglione  di  fanti  d^ordinanza,  da  due 
compagnie  di  fanti  leggeri  —  i  cacciatori  tirolesi  —  da  una 
^uadra  di  ussari  e  da  una  mezza  batteria  di  razzi  ;  la  quale 
schiera  stava  sotto  il  comando  del  colonnello  Kielmansegge. 
Appena  s'accorse  délia  vicinanza  del  nimico,  D'Aspre  or- 
dinô  in  due  schiere  ai  lati  délia  via,  ch'ei  percorreva,  la 
divisione  delTArciduca  ;  quella  di  destra  compose  di  due 
battaglioni  di  fanti  d'ordinanza  e  une  di  cacciatori  ;  quella 


(1)  Maximes  de  guerre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


264  OÀPrroLO  vi 


di  sinistra,  délia  brigata  Kollowrat  e  d*altri  due  battaglioni 
di  fanti.  Il  vivo  e  poderoso  fuoco  dei  régi  awertendolo 
stargli  di  fronte  tutto  Tesercito  avversario,  fatti  avanzare 
tre  battaglioni  di  fanti,  uno  di  cacciatori,  una  batteria  di 
cannoni  e  una  mezza  di  razzi,  risolutamente  va  contra  la 
Bicocca,  seguito  dalla  divisione  Schaffgotsche  e  dalla  ca- 
valleria,  ch'erano  le  riscosse  del  suo  corpo  d'esercito  ;  spe- 
rando  di  tener  testa  da  solo  sino  al  giugnere  di  Radetzk  j 
e  degli  altri  corpi  d*esercito,  chiamati  in  suo  sossidio.  D 
maresciallo,  cui  il  forte  e  lungo  romoreggiare  délie  arti- 
glierie  ha  rivelato  il  vero  stato  délie  cose,  prima  ancora  di 
ricevere  le  novelle  del  campo  inviategli  da  D'Aspre,  dopo 
avère  comandato  ad  Appel  e  a  Wocher  d'awicinarsi  a  No- 
vara  e  spedito  ordine  a  Thurn  di  voltarsi  contra  la  destra 
del  nimico  —  corne  sopra  dicemmo,  appoggiata  aU'Agogna  — 
e  a  Wratislaw  di  seguire  Thurn  da  vicino,  egli  stesso  sol- 
lecito  cammina  verso  la  Bicocca.  Oacciati  dalle  picciole 
terre  di  Moncucco  e  Olengo  i  posti  avanzati  degli  Italiani, 
la  divisione  dell'Arciduca  cadendo  con  grande  impeto  su  la 
sinistra  del  nimico,  costringe  il    primo  reggimento  délia 
brigata  Savona  a  piegare,  a  céder  terreno;  ma  di  li  a 
poco  quella  divisione  perde  il  campo  acquistato,  e  a  sua 
volta  è  assalita  e  respinta  dal  secando  reggimento   délia 
brigata  Savoia,  il  quale  poi  con  lo  aiuto  di  uno  squadrone 
di  cavalli  respinge  quattro  battaglioni  di  fanti  condotti  in- 
nanzi  dallo  stesso  Arciduca,  che  sarebbero  stati  assai  più 
malconci  che  non  lo  furono,  se  non  fosse  venuta  in  loro 
soccorso  la  schiera  del  colonnello  Kielmansegge;  la  quale 
si  bene  resistette  al  Torrione  da  rendere  vani  gli  sforzi 
del  nimico,  minacciante  sopravanzare  la  sinistra  di  quella 
divisione,  che  allora  nuovamente  irrompe  nei  Savoiardi. 
Questi,  dopo  aver  dato  alquanto  addietro,  afforzati  dal  primo 
reggimento  délia  brigata  Sapona  rieduto  alla  pugna,  ribut- 
tano  per  la  seconda  volta  gli  assalitori  ;  se  TArciduca  non 
corre  in  aiuto  alla  sua  divisione,  questa  sarà  inevitabil- 
mente  oppressa.  Awedutosi  del   pericolo  che  le  sovrasta. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBNATA   DI   NOYABA  265 


D'Aspre  fa  avanzare  la  riscossa  —  le  genti  di  Schaffgot- 
sche  —  la  quale  rinfresca  la  pugna  e  racquista  i  van- 
taggi  guadagnati  da  prima,  e  perduti  di  poL  Kollowrat»  in 
quel  mezzo  distesosi  verso  Olengo,  con   parte  délie  sue 
soldâtesche  va  sopra  la  casclna  Castellazzo,  mentre  la  re- 
stante parte  per  la  grande  via  procède  verso  la  Bicocca, 
e  tentata  questa  due  volte,  due  volte  è  respinto  ;  rinnovato 
con  maggiori  forze  Tassalto,  EoUowrat  perviene  a  impadro- 
nirsi  di  Castellazzo,  il  oui   presidio  indietreggia  sino  alla 
Farsata.  La  divisione  Perrone,  già  tanto  percossa  e  mal- 
trattata,  veggendosi  venir  sopra  tanta  piena  di  nimici  — 
tutto  il  corpo  d'esercito  di  D'Aspre  —  tentenna,  dietreg- 
gia,  non  ostante  lo  sforzo  del  valoroso  suo  capitano  di  man- 
tenerla  ferma  su  quella  validissima  chiave   délie  posture 
italiane  dinnanzi  a  Novara:  la  Bicocca  cade  allora  in  mano 
degli  imperiali.  Ghrzanowski,  che  sa  non  potere,  senza 
questa  postura,  reggere  a  lungo,  comanda  al  Duca  di  Ge- 
nova  d'assalire  la  destra  délie  ordinanze  nimiche;  il  quale, 
messosi  alla  testa  délia  brigata  Piemonte,  si  avanza  riso- 
lutamente  contra  Gastellazzo  ;  il  terzo  reggimento,  a  destra 
délia  via,  è  guidato  dal  générale  Passalacqua;  il  quarto,  a 
sinistra  di  quella,  è  condotto  dal  Duca  stesso.  Aspro  e  ga- 
gliardo  fu  l'assalto,  tenace  e  fiera  la  resistenza;  perô  che 
i  combattenti  sappiano  la  vittoria  o  la  sconfitta  dipendere 
dallo  acquisto  o  dalla  perdita  délia  Bicocca.  Dalle  due 
parti  Tartiglierie  ingrossano;  il  trarre  di  esse  e  dei  mo- 
schetti  si  fa  ogni  momento  piii  vivo  ;  ma  il  valore  dei  sol- 
dati  e  il  senno   dei  capitani  vincono  ogni  ostacolo.  Gli 
Austriaci,  minacciati  a  tergo  dal  générale  Passalacqua  — 
che  per  la  valle   dell'Arbogna  s'è    mosso  a  circuirne  il 
fiance  sinistre  —  indietreggiano  lasciando  molti  dei  loro 
prïgionieri  del  nimico  e  il  terreno   da  prima  conquistato. 
Non  ostante  la  perdita  del  suo  générale,  il  Passalacqua  -~ 
Baduto  allora  mortalmente  ferito  —  il  terzo  reggimento 
procède  innanzi  sin  presse  Gastellazzo  ;  sopraffatto  da  vio- 
ento  faoco  nimico  cède  del  campo;  ma  soccorso  dal  tre- 


Digitized  by  VjOOQIC 


266  OAPITOLO    VI 

dicesimo  reggimento  —  il  primo  délia  brigata  Pinerolo  - 
che  gli  sta  dietro,  torna  aile  offese  in  quella  che  il  Duca 
di  Genova  col  secondo  reggimento  délia  brigata  Piemonk, 
dopo  avère  cacciata   avanti  a  se  la  schiera  di  Kollowrat, 
s'insignorisce  di  Gastellazzo;  e  raggiuato  di  li  a  poco  dal 
secondo  reggimento  délia  brigata  Pinerolo  va  sopra  Olengo; 
fugati  gli  Austriaci  che  l'occupavano,  si  appresta  a  girare 
la  destra  délie  battaglie  di  D'Aspre  e  a  prenderle  a  rove- 
scio.  Se  queste  resistoao  per  salvare  Tesercito,  saranno 
tagliate  a  pezzi;  se  cedono,  lo  sforzo  degli  Italiani  oppri- 
mera gli  imperiali,  che  stanno  per  giugaere  sul  campa  - 
Sono  le  due  pomeridiane  ;  i  momeati  corrono   supremi  e 
difflcili  per  gli  Austriaci,  oui  pur  maie  sono  riusciti  i  tenta- 
tivi  fatti  al  Torrione  contra  le  ordinanze  di  Durando  e  Bes. 
Dalla  loro  quasi  secura  rovina  li  toglie  lo  stesso  Ghrza- 
nowski;  il  quale,  invece  di  correre  conquanto  piii  puôdi 
sue  armi  sopra  le  battaglie  di  D'Aspre,  oltremodo  stanche 
del  lungo  combattere  e  assottigliate  dimolto   per  morti, 
feriti  e  prigionieri;  invece  di  prendere  con  risoluzione  e 
forza  le  oflfese  —  tuttavia  persistendo  ne'  suoi  disegni  pura- 
mente  di  difesa  —  chiama  dietro  Gastellazzo  il  Duca  di  Ge- 
nova, perché  crede  la  postura  d'Olengo  per  lui  troppo  a^ 
rischiata,  e  cosi  strappa  di  mano  airardimentoso  principe 
quella  vittoria,  ch'egli   avrebbe    potuto    splendi  dament^ 
correre  ad  aflfermare.   Il  retrocedere  del   Duca  rincuon 
D'Aspre  —  già  disperante  di  sua  sainte  —  e  inanimisce  su»» 
genti,  già  piene  d'oppressione  e  d'abbattimento  ;  indi,  ri- 
composte  il  meglio  che  gli  vien  dato  di  fare  le  sue  battaglie 
prendendo  soltanto  consiglio  dal  proprio  ardire,  D'Aspn* 
va  nuovamente  sopra  Gastellazzo  e  con  l'usato  furore  vi 
riaccende  la  pugna  ;  che  dai  régi  combattesi  confusamente. 
awegnachè  il  disfarsi  di   qualche  battaglione  —  causa  li 
replicati  assalti  del  nimico  —  ne  abbia  rotte  le  ordinanze, 
e  la  combattoQO  altresi  con  poco  ardore  per  avère  ornai 
lasciata  ogni  speranza  di  vincere,  sebbene  Garlo  Alberto, 
col  porsi  là  dove  il  pericolo  è  maggiore,  tenti  incoraggiarli 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    GTOBNATA    DI   WOVABA  267 

a  perseverare  nelle  resistenze,  nelle  quali  non  di  rado  sta 
la  vittoria.  Il  générale  Perrone,  veggendo  gli  Austriaci  in 
procinto  di   racquistare  la   Bicocca,   rannodati   alquanti 
soldati,  corre  ad  aflfrontarli;  ma  caduto  per  raortale  colpo 
nol  capo,  i  suoi  soldati,  sgomcntati   da   perdita  si  grave, 
incerti  da  prima,  ondeggianti   di  poi,  alla   fine  indietreg- 
giano;  allora  Ghrzanowski  chiama  alla  Bicocca  un  reggi- 
mento  di  fanti  délia  divisione  Bes  e  la  brigata  Cuneo  délia 
riscossa,  guidata  dallo  stesso  Duca  di  Savoia.  Questo  valide 
soccorso  rinfresca  la  pugna  con  vantaggio  dei  régi  ;  se  il 
generalissimo  sa  proflttarne,  se  con   quella  schiera  di  re- 
cuperazione,  attestata  in  ordini   stretti,  egli  cade  con  im- 
peto  su  gli   imperiali,  D'Aspre,  tuttavia  solo   a  sostenere 
l'urto  degli  assalitori,  corre  alla  estrema  rovina.  L'ora  è 
supremaî  pochi  momenti  ancora,  e  gli  aiuti  tanto  sosplrati 
e  attesi  arriveranno  sul  campo  ;  e  quel  momenti,  nei  quali 
sta  tutta  la  fortuna  dell'armi   italiane,  sono  concessi  agli 
Austriaci  da  lui  che  proprio  non  sa  vincere,  da  Chrza- 
nowski  !  «  Un  solo  istante  décide  délia  fortuna,  »  cosi  Fe- 
derico di  Prussia  (1).  —  Aile  quattro  pomeridiane  giungeva 
Appel  col   suo  corpo  d'eserclto,   cui   gli   impedimenti  di 
quelle  di  Wratislaw  attraversandogli  la  via  nel  suo  avan- 
zarsi  ne  avevano  ritardato  dimolto  il  cammînare.  Sollecito 
Appel   afforzava  le  estremità  délie  battaglie  di  D'Aspre 
—  le  quali  non  potevano  più  reggersi  —  con  la  divisione 
Lichnowski,  mandando  alla  loro  destra  la  brigata  Maurer, 
alla  sinistra  quella  di  Alemann  rimpetto   aile   posture  di 
Bes  ;  e  dietro  aile  genti  di  Alemann  coUocava  la  divisione 
Taxis,  quale  schiera  di  recuperazione,  sino   al  giugnere 
délia  riscossa,  il  corpo  d'esercito  di  Wocher.  H  combattere 
facevasi  allora  piii  vivo  d'ambe  le  parti,  senza  perô  nulla 
tentarsi  dai  guerreggianti  che  accennasse  a  quegli  sforzi 
Tigorosi,  i  quali  d'ordinario  conducoao  alla  vittoria;  awe- 


I)  Hisftcire  de  mon  temps» 


Digitized  by  VjOOQIC 


268  OAPITOLO    VI 


gnachè  Radetzky  aspettasse  Thurn  e  Wratislaw  per  an- 
dare  sopra  il  nimico  e  percuoterlo  con  tutto  lo  sforzo  suo; 
e  Ohrzanowski,  8empre   persistendo  nella   difesa,  mirasse 
8oltanto  a  conservarsi  la  Bicocca;  potrebbesi  affermareche 
per  lui  la  vittoria  tutta  consistesse  iiel  mantenersi  in  pos- 
sesso  del  campo  sul  quale  combatteva.  —  La   destra  délie 
ordinanze  di  D'Aspre,  afforzata  dai  tre  battaglioni  di  Mau- 
rer,  proceduta  innanzi  rinnovaya  gli  assalti  contra  la  ca- 
scina  Oastellazzo;  non  riescendo  a  impadronirsene,  correva 
ad  appoggiarla  il  colonnello  Benedek,  in  quella  in  cui,  per 
comando  di  Ohrzanowski,  le  divisioni  di  Bes  e  di  Durando 
volgevansi  alla  Bicocca  per  aiutarne  i  difensorî,  che  gli 
imperiali  minacciavano  d'opprimere  col  loro  numéro.  Que- 
sta  mossa,  la  quale  avrebbe   data  la  vittoria  agli  Italiani 
se  fatta  un'ora  innanzi,  non   solamente  in  quei  moment! 
tornava  inefficace,  ma  eziandio  inopportuna;  perô  che  fosse 
allora  arrivato  sul   campo  il  maresciallo  con  Teletta  del- 
Tesercito  —  sei  battaglioni  di  granatieri  —  con  ventiquattro 
cannoni,  coi  quali  arrestava  Tavanzarsi  délia  divisione  di 
Durando,  la  destra  délie  cui   ordinanze  veniva  proprio  in 
quel  mezzo  minacciata  aile  spalle  da  Thurn  con  tutto  il 
quarto  corpo  d'esercito.  Thurn  -—  il  quale,  giusta  gli  ordini 
di  Radetzky,  nel  mattino  dal  suo  campo  di  Torre  di  Robbio 
erasi  awiato  a  Vercelli  —  udito,  in   sul   mezzogiorno,  a 
Oonflenza  forte  romoreggiare  d'artiglierie,  non  avendo  in- 
dizio  alcuno  di  mossa  nimica  sopra  quella  città,  e  bene 
indovinando  farsi   la  giornata   presse  Novara,  senza  por 
tempo  in  mezzo,  portavasi  su  la  via  che  mena  da  Vercelli 
a  Novara;  indi,  voltosi  a  destra,  aile  cinque  délia  sera  a^ 
rivava  al  ponte  su  l'Agogna  —  che  dista  circa  due  chilo- 
metri  dalla  città,  e  superavalo  senza   contraste;  la  caval- 
leria  délia  sua  antiguardia  respingeva  una  presa  di  cavalii 
nimici,  da  quella  parte  esplorante  la  contrada  :  brevi  mo- 
menti  dopo  egli  giugneva   sul  campo.  Con  taie  sennatis- 
sima  mossa  Thurn  aveva  sopravanzata  la  destra  délia  di- 
visione di  Durando  e,  minacciandola  a  tergo,  arrestavane 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBNATA    DI   NOYABA 


Tavanzarsi  verso  la  Bicocca,  ove,  corne  già  dicemmo,  Ghrzar 
nowski  ayevala  chiamata  per  difendere  quella  postura»  dal 
cui  possesso  dipendeva  Tesito  dalla  giornata.  Era  il  mo- 
mento  supremo  délia  pugaa!  era  eziandio  il  momento  del 
massimo  sforzo  degli  imperiali  !  avrebbe  dovuto  essere  al- 
tresi  quello  délia  piti  ostinata  resistenza  dei  régi,  e  fu'  al 
contrario  délia  più  vergognosa  flacchezza!  —  Radetzky, 
quando  ride  la  sua  riscossa  —  il  oorpo  d'esercito  di  Wo- 
cher  —  schierarsi  tra  Olengo  e  l'Agogna,  spingeva  avanti 
la  brigata  dei  granatieri,  e  nel  medesîmo  tempo  comandava 
a  D'Aspre  e  ad  Appel  di  fare  impeto  contra  la  Bicocca  con 
le  loro  quattro  divisioni  attestate  in  istretti  ordini  ;  onde 
allora  correanvi  soUeciti  il  Re  e  Chrzanowski  per  rinfran- 
care  con  la  loro  persona  gli  animi  dei  difenditori,  e  trovar 
modo  di  porre  un  argine  allô  irrompere  di  tanta  piena  di 
nimici.  Era  tardi  perô,  awegnachè  la  divisione  di  Perrone, 
sopraffatta  dal  numéro  degli  assalitori,  ceduto  il  campo, 
confusamente  dietreggiasse  ;  e  quella  postura  tanto  contrar 
stata,  già  perduta  e  ripresa,  fosse  allora  venuta  a  mano 
degli  Austriaci.  Ohrzanowski,  che  vuol  tentare  lo  sforzo 
estremo  per  recuperare  la  Bicocca,  comanda  al  Duca  di 
Genova  d*assaltarla  con  quanto  piii  puô  di  soldatesche  ;  e 
Taudace  principe  ya  allora  sopra  gli  Austriaci  con  tre  bat- 
taglioni  di  fanti  ;  egli  spera  résistera  tempo  bastevole  a 
riordinarsî,  di  parte  almeno,  délia  divisione  di  Perrone. 
Avanzatosi  alla  testa  di  quel  pugno  di  valorosi  il  Duca  ani- 
mosamente  combatte  ;  se  il  générale  Solaroli  —  respinta  la 
presa  d* Austriaci  che  stavagli  di  fronte  al  solo  scopo  di 
spiarne  le  mosse  —  si  muove  ad  appoggiare  la  sinistra  délia 
schiera  del  Duca,  e  se  qualche  reggimento  délia  divisione 
di  Perrone  ne  afforza  la  destra,  è  possibile  al  principe  di 
tener  testa  con  vantaggio  al  nlmico  invadente  sino  al  ca- 
lare  délia  notte,  già  vicinissima.  Ma  Solaroli  tenendosi  sem- 
pre  inoperoso  nel  sue  campo,  come  se  nulla  awenisse  din- 
nanzi  a  lui,  e  la  divisione  di  Perrone  avendo  mutata  la 
ritratta  in  fuga,  il  Duca  di  Genova  è  costretto  a  togliersi 


Digitized  by  VjOOQIC 


270  CAPITOLO   VI 


giù  daU'impresa;  lentamente  retrocedendo,  egli  riducasi 
presso  Novara.  Irremissibilmente  perduta  la  Bicocca  e  con 
questa  anche  ogai  speranza  di  più  oltre  résistera,  Ghrzar 
nowski  comandava  a  Bes  e  a  Durando  di  ritrarsi  sopra 
quella  città,  ealla  divisione  di  riscossadi  sostenere  il  Iofo 
indietreggiare.  La  divisione  di  Bes,  la  cui  sinistra  correva 
già  grave  pericolo  d'essere  percossa  a  tergo  dagli  Austriaci 
padroni  délia  Bicocca,  piegô  confusamente  ;  e  ancor  piii 
confusameate  entrô  in  Novara,  a  cagione  del  trarre  sovra 
e^sa  délie  artiglierie  délie  mura,  che  nella  oscurita  délia 
notte,  resa  oltremodo  buia  da  ûttissima  pioggia,  avevaola 
£atta  credere  una  schiera  di  nimici:  ma  quella  di  Duraado, 
venuta  allora  aile  prese  con  le  genti  di  Thuru,  si  ritrasse 
bene  conservando  gli  ordini  di  combattimento.  Tutto  era 
flnito!  finita  la  catastrofe  di  quel  dramma  e  Tultima  prova 
altresi  di  quella  guerra,  le  quali  tornarono  Tltalia  sotto  il 
servaggio  straniero,  che  doveva  durare  ancor  dieci  anni! 

—  Il  maresciallo,  non  volendo  arrischiare  di  perdere  la 
vittoria,  a  prezzo  di  tanto  sangue  ottenuta,  con  persegaire 
il  nimico  fuggitivo,  ignorando  il  miserabile  stato  in  cai 
trovavasi  Tesercito  del  Re,  sopraggiunta  la  notte,  sospese 
le  armi,  ponevasi  a  campo  davanti  a  Novara;  D*Aspre,  Appel 
e  Thurn  collocavansi  sopra  le  posture^  conquistate;  Wo- 
cher  mettevasi  dietro  a  queste  tra  Olengo  e  Garbagna: 
Wratislaw,  a  Monticello  su  la  destra  dell'Agogna,  ove  era 
arrivato  in  sul  cadere  del  giorno  ;  ed  egli  portava  sua  stanza 
a  Yespolate.  —  Perdite  gravissime  patirono  i  guerr^^giaoti 
in  quella  memoranda  giornata;  degli  Italiani  caddero  morti 
due  generali  —  Perrone  e  Passalacqua  —  e  da  quattrocento 
ufficiali  e  soldat!;  duemila  e  cento  feriti:  e  tre  mila  veo- 

•  nero  a  mano  degli  Austriaci  con  dodici  cannoni  ;  degli  im- 
periali,  piii  di  quattrocento  gli  ufficiali  e  i  soldati  morti 
sul  campo;  quasi  due  mila  i  feriti;  da  mille  i  prigionieri. 

—  Alla  giornata  di  Novara  l'esercito  itaiiano,  più  che  vinto, 
fu  disfatto;  e  il  suo  disfacimento  non  fu  opéra  del  valore 
dei  nimici,  ne  conseguenza  degli  errori  di  chi  lo  governava. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIORNATA   DI   NOYABA  271 

sibbene  il  tristissimo  &utto  dell'ayyersioae,  che  la  maggiore 
parte  dei  soldati  portava  a  qnella  gaerra  ;  avrersione  che 
con  le  arti  più  perfide  aveyano  già  da  tempo  in  essi  destato 
non  pochi  di  coloro,  i  qnali  tenevano  gli  alti  carichi  nella 
milizia  e  odiavano  Timpresa  délia  îndipendenza  italiana: 
onde  la  militare  disciplina  erasi  sempre  piii  andata  rallen- 
tando,  quella  disciplina  sopra  ogni  cosa  necessaria  nelle 
armi,  specialmente  in  gaerra.  In  verità  la  mano  rifugge  dal 
narrare  le  turpitadini,  le  nefandità  commesse  in  Novara  dai 
régi  nella  notte  che  segui  alla  fatale  giornata  del  23  marzo  ! 
abhorre  altresi  la  mente  il  pensare,  come  quella  terra, 
quant'altre  mai  devota  alla  cansa  nazionale,  avesse  a  sof- 
frire  per  mano  fratema  tutti  gli  orrori  e  i  danni  di  ana 
presa  per  assalto!  furono  insulti  e  ferite  ai  cittadini,  ru- 
bamenti  e  goasti  aile  loro  robe  !  furono  minaccie  di  fuoco 
e  di  totale  distruzione  !  —  A  flnirla  coi  predatori,  Ghrzar 
nowski  faceva  correre  la  città  da  grossi  drappelli  di  ca- 
valleria,  che  uccisero  e  tagliarono  chi  ad  essi  si  oppose 
con  le  armi  (1).  Non  minori  danni  ebbero  a  patire  le  cam- 
pagne e  i  villaggi  da  coloro  i  quali,  disertati  dalle  ban- 
diere,  correvanli  nel  recarsi  aile  native  loro  terre. 

Carlo  Alberto,  prima  di  calare  dai  bastioni,  sui  quali  era 
salito  per  sorvegliare  al  ritrarsi  de*  suoi,  chiamati  a  se  il 
ministro  Gadoma  e  il  générale  Cossato,  ingiugneva  loro  di 
recarsi  a  Radetzky  per  chiedergli  la  sospensione  délie  armi 
e  una  tregua.  A  si  dure  passe  veniva  dalla  imperiosa  né- 
cessita délie  cose  costretto  quel  Re,  che  tante  volte  aveva 
sul  campo  luminosamente  provato,  assai  piii  délia  vita, 
stargli  a  cuore  Tonore  delFesercito;  e  che  in  quella  fatale 
giornata  di  Novara  —  nella  quale  erasi  strenuamente  com- 


(1)  Fu  proprio  nécessita  venire  a  ciô,  per  non  avère  più  gli  nffldali 
antoiità  e  potestà  bastevoli  a  impedire  tante  vergogne  e  a  frenare  i 
Boldati  qnaà  ûnbestialitL 


Digitized  by  VjOOQIC 


272  CAPITOLO  VI 


portato  —  avrebbe  voluto  morire,  piuttosto  che  assistere 
al  trionfo  che  menerebbe  poi  il  nimico  riacitore,  e  vedere 
umiliata  la  patria  (1).  —  Suonavano  le  nove  délia  notte, 
quando  gli  inviati  di  quel  Mouarca  infelice,  pervenuti  aile 
prime  guardie  degli  impérial!  davanti  alla  Bicocca,  erano 
coQdotti  alla  preseoza  del  luogotenente  maresciallo  Hess, 
che  ivi  trovavasi  ordinatore  di  nuovi  assalti  e  auove  mosse 
per  la  dimane;  il  quale,  udito  lo  scopo  délia  loro  missiooe, 
prendeva  a  parlare  cosi  :  ==  Le  ostilità  non  potersi  sospen- 
dere  ;  riedessero  a  lui  il  mattino  del  di  vegnente  a  pattcg- 
giare  le  tregue  desiderate  e  chieste;  =  e  nel  liceoziarli 
faceva  lor  conoscere  a  quali  condizioni  il  maresciallo  Ra- 
detzky  tratterebbe  gli  accord!.  Garlo  Alberto,  appena  seppe 
i  patti  umlUanti  che  il  vincitore  voleva  imporgli,  patt!  che, 
offendendo  la  sua  dignità,  egli  sdegnô  ricevere,  riuniti  siibito 
a  consulta  di  guerra  i  gênerai!  e  i  flgliuoli  sue!  per  troTar 
modo  di  prowedere  a  ciô  che  valesse,  in  tante  perturba- 
zioni  e  in  tant!  tumulti  d'uomini  e  cose,  a  salvare  la  patria. 
Ma  Tanimosa  sua  {proposta  di  andare  sopra  Alessandrla, 
raccogliervi  tutte  le  forze  armate  e  uscire  peseta  a  far 
prova,  in  nuovi  cimenti,  délia  fortuna  e  délie  armi,  veniva 
respinta  dai  generali,  perché  il  nimico  aveva  levate  loro 
le  vie  alla  fortezza  e  perché  le  miserrime  condizioni,  in 
cui  trovavasi  Vesercito,  rendevano  impossible  la  continua' 
zione  délia  guerra  (2);  onde  alloral  il  Re  parl6  ad  essi 
queste  nobilissime  parole:  «  lo  mi  sono  sacrificato  alla 
causa  deirindipendenza  italiana;  per  questa  mis!  piii  volte, 
in  guerra,  a  repentaglio  la  vita  mia  e  quella  de*  ôgli,  a  me 
cari  ;  arrischiai  perdere  la  corona,  senza  poter  conseguire 


(1)  Al  générale  Durando,  che  sforzavasi  trarlo  da  inntili  pericoli  al* 
lora  che  tatto  era  perduto  —  non  perô  l'onore  —  con  accento  di  do- 
loroso  sconforto  il  Be  diceva:  =:  Essere  qnello  l'altimo  giorno  di  sua 
vita;  lo  lasciasse  morire. 

(2)  Fn  aUora  che  Garlo  Alberto,  con  l'anima  piena  d'aaiai«zz*. 
esclamô:  u  Tntto  è  perduto,  anche  Tonore!  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    OIOBNATA    DI   NOVABA  278 


la  indipendenza  desiderata.  Comprendo  essere  oggi  la  mia 

persona  d*impedimento  a  conchiudore  la  pace,  divenuta 

ornai  indispensabile,  pace  che  io  non  potrei  soscrivere.  Non 

essendomi  stato  possibile  trovare  la  morte  combattendo, 

coQsumerô  Tultimo  sacriQzio  per  la  sainte  del  mio  paese, 

col  deporre  la  corona  e  con   Tabdicare  a  favore   di   mio 

fîglio,  il  Dttca  di  Savoia.  »  Abbracciatl  poscia  quanti  gli 

sta?ano  d'attorno,  licenzioUi  ;  rimasto  solo,  scrisse  alla  con- 

sorte  parole  di  addio,  dalle  quali  traspariva  la  mestizia 

deU'animo  suo;  ci6  fatto,  chiamô  a  se  i  flgliuoli,  e  dopo 

ayerli  baciati,  diè  loro  Tultimo  saJuto  (1).  —  Era  la  notte 

innoltrata  dimolto,  quando  una  carrozza,  uscita  di  Novara 

e  che  di  buon  trotto  correva  la  via  di  Torino,  veniva  arre- 

stata  ai  posti  avanzati  del  campo  di  Thurn.  Il  viaggiatore, 

airafflclàle  austriaco  chiedente  chi  egli  fosse,  rispondeva: 

«  Sono  il  conte  di  Barge,  colonnello  piemontese  ;  dopo  la 

giornata  rinunziai  aU'offlcio  mio  e  ora  torno  a  Torino.  » 

Coadotto  in  Borgo  Vercelli  al  quartiere  di  Thurn,  questi 

comandava,  si  conducesse  innanzi  al  conte  un  sergente  dei 

bersaglieri  fatto  prigione  il  di  avanti;  se  il  riconoscesse, 

lo  si  lascerebbe  passare;  se  no,  lo  si  terrebbe  prigioniero. 

Interrogato  il  sergente  sul  conte  di  Barge,   disse  non  ri- 

cordarsi  tal  nome;  quando  gli  fu  imposte  d'accostarsegli 

per  osservarlo  bene,  ammutoli  ;  ma  indovinato  siibito  un 

I^gero  cenno  fattogli  dal  conte,  aflfermô  (Vaverlo  veduto 

ieri  sempre  col  Re.  Saputo  ciô,  Thurn,    fatto   pregare  il 

conte  di  Barge  di  venire  a  lui,  che  stava  ragionando  con 

gli  ufflciali  suoi  délia  giornata,  prese  a  discorrere  insieme 


(I)  tt  lo  conseryerô  in  tntta  la  loro  interezza  —  oosi  VittorioEma- 
miele  in  qnella  sera  a  coloro  che  stavangli  d'attoino  —  le  istitozioni 
Itfgite  dal  padie  mio  al  paese.  Io  terrô  alta  e  ferma  la  bandiera  dei 
^  coloii,  sûnbolo  délia  nazione  italiana,  che  oggi  fa  yinta,  ma  che  nn 
gi<niio  vincerit;  vittoria,  che  sarà  lo  scopo  di  tutti  li  sforzi  miei  n 
Qoanto  lealmente  il  Ee  galantuomo  abbia  mantennto  la  fede  allora 
^ta,  lo  yeâiemo  nel  corso  di  qneste  istorie. 

18  —  YoL  n.  ICiSLàNi  —  Stcria  pd.  ê  mU» 


Digitized  by  VjOOQIC 


274  CAPITOLO    VI 


dei  casi  délia  guerra;  accomiatatosi  poscia  da  Thurn,  il 
conte  di  Barge  riprendeva  la  via  di  Oasale.  —Lamattina 
del  26  marzo  in  Nizza,  a  Teodoro  Santarosa  —  il  figlio  di 
Santorre  —  reggente  quella  città,   uno  sconosciuto  chie- 
deva,  in  nome   di   Carlo  Alberto,   un   passaporto  per  la 
Francia,  passaporto  che  doveva  intitolarsi  al  conte  diBargi',  ,• 
titolo  preso  dal  Re.  Santarosa,  il  quale  délia  guerra  oras[li  -, 
solamente  noto  il  passaggio  degli  Austriaci  in  PiemonkN  ic 
su  le  prime  non  presto  fede  aile  parole  dello  sconosciuw. 
ma  fatto  di  poi  persuaso  délia  verità  del  suo  dire  da  un  pa>-  i 
saporto  militare,  di  cui  era  portatore,  corse  dal  Re,  ch» 
aspettavalo  su  la  via  a  poco  piii  d'un  chilometro  da  Nizza,  e 
conducevalo  al  di  là  del  Varo.  Il  figlio  di  quel  grande,  che  nel  i 
1821,  fallita  Timpresa  di  indipendenza  patriaper  ladiserziou»^ 
di  Carlo  Alberto,  principe  di  Carignano,  esulava  dalla  pa- 
tria,  allora  soccorreva  a  Carlo  Alberto  re  di  Sardegna,  clie 
esulava  dal  regno  suo,  per  essere   la  medesima  impre>â 
fallita  a  cagione  del  tradimento  dei  nimici  dltalia!  —  B 
Re,  discorrendo  del  suo  viaggio  con  Santarosa,  disse:  «lo. 
aveva  da  prima  risoluto  di  recarmi  in  Terra  Santa;  ma 

temendo  sarebbesi  dai  malevoli  affermato  che »equisi 

tacque;  certo  intese  alludere  a  Carlo  V,  imperatore,  il  quale^ 
voile  finire  la  vita  in  un  convento;  di  li  a  brève  ist&nte 
ripigli&  a  parlare  cosi:  «  Venni  di  poi  nella  deliberazione. 
di  ritrarmi  in  Oporto,  lontan  lontano  dallltalia,  per  prir| 
vare  che  io  non  voglio  più  prendere  parte  alie  faccen<ie 
del  regno.  »  E  al  Santarosa,  che  parlavagli  d'una  terza 
ripresa  délie  armi:  «  Allora  che  un  Governo  ordinato  rom- 
perà  guerra  all'imperio,  gli  Austriaci  me  troveranno  grt^ 
gario  neiresercito  che  li  combatterà.  »  Questo  il  principe. 
che  molti,  con  troppa  cortigianeria,  portarono  a  cielo:clit^ 
"îaltri,  con  somma  ingiustlzia,  vituperarono,  perché  non  lo 
conobbero  mai  ;  ma  che  la  storia,  imparzialmente  si,  iû*^ 
pure  benevolmente  ha  giudicato,  perché  seppe,  come  ber. 
meritava,  apprezzarlo  e  lo  ha  chiamato  magnanimo. 
Il  mattino  del  24  marzo  gU  oratori  Sardi  recavansi  a 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    GIORNATA    Dl    NOVABA  275 


Radetzky,  in  Vespoiate,  ad  aimunciargli  rabdicazione  di 
Carlo  Alberto  e  per  discutere  e  fermare  i  patti  di  uaa 
sospensione  d'armi  e  d'una  tregua;  per  la  quale  rinuncia 
il  maresciallo,  fatto  piU  inchinevole  agli  accordi,  signifl- 
cava  a  quelli  volerli  trattare  col  Re  ;  ci6  che  avveime 
siibito  dopo  in  Vignale,  picciola  terra  a  cinque  chilometri 
da  Novara  su  la  via  di  Borgomanero.  I  patti,  allora  reci- 
procamente  accettati,  si  eottoscrissero  due  giorni  appresso 
da  Vittorio  Eraanuele  e  da  Radetzky;  in  virtîi  dei  quali  i 
guerreggianti  sospesero  le  armi;  e  quel  patti  che  servi- 
rono  di  fondamento  al  trattato  di  pace  da  conchiudersi  poi, 
furono:  I©  Il  Re  licenzierà  gli  Ungaresi,  i  Polacchi  e  i  Lom- 
bardi  militant!  sotto  le  sue  bandiere,  con  facoltà  perô  di 
ritenersi  alquanti  ufflciali  (1).  2^  Il  conte  Radetzky  farà 
buona  opéra  presso  Tlmperatore,  allô  scopo  d'ottenere  un 
perdôno  pieno  e  intero  a  favore  degli  Ungaresi,  Polacchi 
e  Lombardi  sudditi  deirAustria.  3^  Il  Re  di  Sardegna  per- 
metterà,  che  il  territorio  situato  tra  il  Pc,  il  Ticino  e  la 
Sesia  sia  occupato  da  ventimila  imperiali,  obbligandosi  a 
provvederli  di  vettovaglie;  in  oltre,  che  Alessandria  e  la 
sua  cittadella  sieno  presidiate  da  tre  mila  Austriaci  e  altret- 
tanti  Sardi,  e  che  i  régi  abbiano  a  sgombrare  i  ducati  di 
Parma,  Piacenza,  Modena  e  Toscana.  4°  Il  Governo  del  Re 
guarentirà  l'entrata  del  presidio  impériale  nella  cittadella 
d'Alessandria,  5°  L'armata  sarda  lascerà,  tra  quindici  giorni, 
le  acque  dell'Adriatico;  nel  quale  spazio  di  tempo  i  soldati 
del  Re,  presidianti  Venezia,  faranno  ritorno  in  patria.  6*  Il 


(I)  Richiamata  da  Gasatisma  ad  Alessandria,  mandata  di  poi  a  Tor- 
toaa  e  a  Yoghera,  la  divisione  lombarda  inriavasi  poscia  a  Bobbio,  oye 
doreva  venire  licenziata.  Non  pochi  de'  snoi  soldati  riederono  ai  dôme- 
•stici  focolari;  molti  rimasero  nell'ospitale  Piemonte  e  nella  Liguria; 
ima  bella  schiera  di  qnelli  recossi  a  Boma  con  trenta  artiglieri,  pren- 
dendo  parte  nella  ^loiiosa  difesa  délia  città  assediata  dalle  armi  di 
fVancia;  il  maggior  nnmero  degli  officiali  passô  sotto  le  bandiere  délia 
libéra  Sardegna,  retta  da  liberissimo  principe. 


Digitized  by  VjOOQIC 


276  OAPITOLO   VI 


Re  si  obbliga  di  fermare  presto  nna  pace  durevole,  e  pa- 
rimenti  di  ordinare  Tesercito  a  pace.  ?<>  Il  Re  tiene  per 
iaviolabile  quantd  venne  sopra  stipulato.  80  Le  due  parti 
invieranno  i  loro  pienipotenziari  nella  città,  che  verra  poi 
designata,  per  sottoscrivere  la  pace.  9»  La  pace  da  conchiu- 
dersl  sarà  indipendente  dalle  stipulazioni  délia  présente 
tregua.  IQo  Qualora  non  fosse  possibile  giugnere  ad  ami- 
chevole  componimento,  la  tregua  si  disdirà  dieci  giorni 
prima  di  riprendere  le  offese.  Il*»  Nel  piii  brève  spazio  di 
tempo  saranno  vicendevolmente  resi  i  prigionieri  di  guerra. 
120  I  soldati  austriaci,  che  avessero  già  yarcata  la  Sesia, 
si  porteranno  siibito  entre  i  limiti  sopra  flssati  per  la  occu- 
pazione  militare.  —  AU'albeggiare  di  quel  giorno,  24  marzo, 
gli  imperiali,  con  alquante  artiglierie,  prendevano  a  ful- 
minare  Novara;  poco  dopo  presentavasi  a  Thurn  un  messo 
del  Duca  di  Genova  per  avvertirlo,  che  aJlora  stavasi  trat- 
tando  accordi  e  tregue  col  maresciallo;  e  Thurn  rispondeva 
al  messo:  =  Cesserebbe  dalle  offese,  quando  la  città  fosse 
sgomberata  dai  régi.  =  Non  molto  dopo,  avvertito  da  un 
inviato  del  Municipio  essere  la  terra  senza  presidio  veruno, 
Thurn,  sospese  le  armi,  v'entrava  con  D'Aspre  per  tenere 
dietro  al  nimico,  il  quale,  ritirandosi  per  la  via  di  Borgo- 
manero,  in  sul  mezzodi  ponevasi  a  campo  al  di  là  di  Momo 
senza  patire  molestija,  perô  che  la  tregua  di  Vignale  arre- 
stasse  in  lor  cammino  le  genti  di  Thurn  e  D'Aspre.  — 
L'ultima  fazione  di  quella  guerra  fu  combattuta  davanti  a 
Gasale.  Nello  avanzarsi  contra  il  nimico  e  proprio  alla  vi- 
gilia  délia  giornata  di  Novara  Radetzky  deliberava  d'impa- 
dronirsi  di  quella  città,  che  siede  su  la  destra  del  Po. 
Viclnissimo  ad  essa  sta  un  vecchio  castello,  a  difesa  del 
ponte,  che  la  unisce  alla  opposta  riva,  munita  d'opéra 
fortiâcatoria  alla  testa  del  ponte  stesso.  Il  possesso  di  Gasale, 
pensava  il  maresciallo,  col  dargli  in  mano  un  valico  del  Po/ 
doveva  assicurare  la  sinistra  deiresercito  fiuo  contra  quai- 
sivoglia  tentative  dei  régi.  Wimpffen,  cui  era  stato  dato  il 
carico  dell'impresa,  partito  da  Trumello  alla  testa  délie  bri 


Digitized  by  VjOOQIC 


I<A.   OIORHATA    DI   NOVABA  277 

gâte  di  Cavriani  e  d*£doardo  Liechtenstein — la  prima  venuta 
allora  di  Lombardia,  Taltra  di  Mezzanacorte,  le  quali  ayerano 
poscia  ad  afforzarsi  di  quella  di  Guatayo  WimpfiTen,  presi- 
diante  Pavia  —  arrivata  a  Gandia  la  sera  dei  23,  subito  spe- 
diva  drappelli  di  cavalli  e  fanti  a  speculare  il  paese  âno  alla 
Sesia  Restaurato  nella  notte  il  ponte  di  Terranuova,  il  luo- 
gotenente  maresciallp  Wimpffen  passava  il  fiume  con  la  bri- 
gata  Liechtenstein,  spingendosi  oltre  Terranuova,  presse  la 
quale  terra  su  buona  postura  collocavasi  quella  di  Cavriani, 
aile  quattro  del  mattino  uscita  di  Gandia.  Al  sorgere  del 
nuovo  giorno  l'avanguardia  austriaca  compariva  dinnanzi  a 
Gasale  ;  e  alla  chiamata  di  resa,  avendo  i  difensori  negativa- 
mente  risposto  (IX  WimpfTen  assaltava  e  recavasi  in  mano, 
dopo  due  ore  di  contraste,  la  testa  di  ponte  ;  quindi  fulminava 
la  città  con  le  sue  artiglierie,  aile  quali  rispondevano  i  can- 
nonidel  castello;  ma  resistendogli  âeramente  Gasale  e  contra 
questa  nuUa  di  efficace  potendo  allora  tentare,  in  sul  fare 
dalla  sera  indietreggiava  sin  fuora  délie  offese  nimiche  ;  e  i 
difensori,  usciti  nella  notte  per  molestare  il  campo  impériale, 
riprendevansi  la  testa  di  ponte.  Verso  le  due  pomeridiane 
del  giorno  appresso,  WimpflTen,  proceduto  nuovamente  in- 
nanzi  con  la  brigata  Liechtenstein,  ripigliava  quella  testa  di 
ponte  ;  e  quando  era  in  procinto  di  restaurare  il  ponte  stesso 
per  avvicinarsi  alla  città,  riceveva  l'avviso  délie  tregue  di 
Novara:  onde,  cessate  le  offese,  ripassava  la  Sesia  (2).  — 
Una  compagnia  di  milizia  veterana  e  pochi  cittadini,  gover- 
nati  dal  générale  Solaro  —  un  antico  soldato  d'Austerlitz  — 
con  virtîi  e  coraggio  superiori  ad  ogni  elogio  e  sempre  da 


(i)  I  patti  délia  resa  messi  innanzi  dal  générale  anstriaco,  perché 
saperbi,  yennero  respinti  dal  cittadim. 

(2)  Ë  fama,  primo  a  informare  gli  Aastriaci  délie  tregue  di  Noyara 
essere  stato  Carlo  Alberto ,  che  aU'uBcir  di  Borgo  Vercelli  aveva  preso 
la  yia  di  Gasale.  Sarebbe  dunqae  il  Be  rofficiale  piemontese  yiaggiante 
con  salyaeondotto  del  générale  Thom,  coi  accennô  Badetzkj  nella  sua 
narrazione  della  giomata  di  Noyara. 


Digitized  by  VjOOQIC 


278  CAPITOLO    VI 


imitarsi  degnissimi,  resistettero  per  due  giorni  a  nimico  pré- 
pondérante dimolto  per  numéro  d'uomini  e  potenza  d'armi. 
Oasale  per  quelli  fu  salva  da  occupazione  straniera;  questo 
il  preraio  délia  loro  virtù,  del  loro  coraggio. 

Le  novelle  del  disastro  di  Novara,  deU'abdicazione  di  Carlo 
Alberto  e  délie  tregue  fermate  da  Vittorio  Emanuele  col  ma- 
resciallo,  pervenute  in  Genova  la  sera  del  26  marzo,  ne  tur- 
barono  e  commossero  la  popolazione  ;  ma  quando  udi  le 
voci  —  forse  astutamente  sparse,  o  forse  esagerate  per  la  lon- 
tananza,  la  quale  ben  sovente  altéra  il  vero  —  doversi,  in 
forza  délie  tregue,  abrogare  lo  Statuto  fondamentale  dello 
Stato,  pagare  grossa  somma  di  denaro  e  dar  Oenova  inpe- 
gno  alVAustria  sino  alla  estinzione  del  débito,  tumultuanto 
chiese  le  armi  per  difendere  la  propria  terra  contra  lo"  stra- 
niero  (1).  Quanti  erano  in  Genova  amatori  delFantico  reggi- 
mento  sofflavano  nel  fuoco;  e  affermando  essere  stato  il  sen- 
tiraento  nazionale  offeso  dagli  accordi  patteggiati  col  nimico 
per  sospendere  le  arml  —  accordi  che,  dicevasi,  avrebbero 
condotto  a  pace  non  onorevole  —  spingevano  il  popolo  a 
soUevarsi.  Tenevasi  allora  dal  générale  De  Asarta  il  coraando 
délia  città  e  del  presidio,  grosso  di  dodici  battaglioni  di  fanti 
e  d'alquanti  artiglieri  ;  il  quale,  dopo  avère  ceduto  ai  tumul- 
tuanti  il  forte  dello  Sperone  da  [prima,  quello  del  Begato  'li 
poi,  mandava  lettera  per  aiuti  ad  Alfonso  Lamarmora;  lettera 
che,  venuta  a  mano  dei  Genovesi,  facevalo  credere  ipocrita 
e  menzognerd;  perô  che,  mentre  dava  parola  di  pac4. 
attendesse  Varrivo  del  collega  per  mettere  a  ferro  e  a 
fuoco  la  città.  Il  popolo,  pieno  di  sdegno  e  d*ira,  invade  il 
palazzo  Ducale  e  se  ne  insignorisce,  e  allora  vengono  in  peter 
suo  il  générale  Ferretti,  comandante  militare  délia  fortezza, 


(1)  A  maggiormente  esacerbare  gli  animi  del  popolo  venne  sparsa 
la  voce,  clie  cinqaecento  cavalli  austriaci  erano  di  già  calati  dall'Ap- 
pennino  nella  valle  délia  Polcevera;  chi  affermaya  ciô,  asseriva  anclie 
d'averli  veduti  !!.... 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA  GImBNATA  di  novaba  279 


Farcito,  governatore  civile,  e  la  famiglia  di  De  Asarta,  che 
via  conduce,  non  per  trarli  in  carcere  (1),  sibbene  per 
metterli  in  luogo  securo  contra  qualunque  ingiuria,  od 
offesa,  che  in  quella  grande  agitazione  e  turbamento  degli 
animi,  involontariamente  avrebbero  potuto  toccar  loro.  Il 
supremo  Maestrato  dei  cittadini,  mutatosi  poscia  in  Comi- 
tato  di  sicurezza  pubblica,  prestando  fede  alla  notizia  per- 
venutagli  il  29  di  quel  mese  di  marzo,  che  il  Parlamento 
nazionale  aveva  decretato  di  continuare  la  gtierra,  man- 
dava  a  quelle  il  seguente  invito  :  «  Il  Municipio  di  Genova 
in  nome  di  qt^sto  popolo,  fa  sapere  che  la  città  dHnfausta 
memoïia  per  VAustriaco  tracotante,  andrehhe  orgogliosa 
di  ofTerire  sirura  sede  a  un  Parlamento  che  sostiene  la 
dignità  délia  patria.  —  Venite!  —  J)a  qtœsto  ferma  pro- 
pugnacolo  si  trattino  le  condizioni,  'non  dalle  pianure 
aperte  al  nimico,  dove  una  pace  vergognosa  diviene  con- 
segtienza  del  m^iseràbile  armisiizio, —  Venite!  —  Circon- 
datevi  dalle  forze  che  ancora  esistono.  Da  Alessandria, 
daWAppennino,  dal  centre  di  Genova  picà  sostenersi  la 
causa  del  paese  e  délia  libertà.  --  Il  Municipio,  sia  che  si 
reputasse  inetto  a  reggere  la  cosa  pubblica  in  quoi  momenti 
«lifflcili,  sia  che  temesse  di  farsi  mallevadore  de'  suoi  con- 
cittadini,  di  cui  non  pochi  miravano  a  mutare  lo  Stato, 
creava  un  triumvirato  ;  al  quale  ufficio  chiamava,  con  au- 
torita  e  potestà  piena  o  intera,  il  générale  Avezzana,  Co- 
stantiao  Reta,  deputato  al  Parlamento  subalpine,  e  ravvocato 
Davide  Morchio  (2).  H  primo  aprile  Genova  trovasi  tntta 

(1)  Non  ô  vera  l'affermazione  di  alcnni  scrittori,  che  Ferretti,  Farcito 
e  la  famicrlia  del  générale  De  Asarta  sieno  stati  condotti  in  carcere  ; 
la  pmdenza  aveva  consigliato  1  cittadini  a  mettere  qnelli  in  luogo  se- 
cnro,  ove  fùrono  trattati  con  segni  di  rispetto  e  stima. 

(2)  eu  fosse  il  générale  Avezzana,  qaant«  la  sua  devozione  allltalia, 
qnale  la  illibatezza  dell'animo,  già  sopra  brevemente  lo  dissi;  non  al- 
trettanto  puô  dirsi  de'  coUeghi  auoi  nel  Triumvirato,  perô  che  Costan- 
tino  Reta  fosse  uomo  ambiziosissimo  e  poco  costumato,  e  l'avvocato 
Morchio  era  taie,  che  avrebbe  voluto  u  fare  ascendere  il prezzo  délia 
canapé  a  quel  délia  seta;  "  e  queste  son  sue  parole! 


Digitized  by  VjOOQIC 


280  OAPITOIiO   VI 


in  su  l'arme.  Impadrofaitosi,  dopo  lieve  contrasto,  deirar- 
senale  délia  marineria  di  guerra,  il  popolo  viene  aile  prese 
con  De  Asarta,  il  quale  coq  le  sue  geati  erasi  raccolto  nei 
quartieri  di  Santo  Spirito  airAcquavepde.Risoluto  di  ripren- 
dere  Tarsenale,  senza  cui  non  puô  tenere  la  città.  De  Asarta 
manda  all'impresa  il  colonnello  Morozzo  con  un  battaglione 
di  granatieri;  ma  ferito  esso  a  morte,  quando  sta  par  assal- 
tare  il  primo  serraglio,  che  difende  l'entrata  délia  via  con- 
ducente  aU'arsenale,  i  granatieri  esitano,  vacillano,  indie- 
treggiano.  AUora  De  Asarta,  fatte  cessare  le  offese,  scende 
a  trattare  délia  dedizione  coi  Triumviri,  la  quale  è  ferninta 
a  patto  ch'egli  consegni  i  forti  aile  armi  cittadine;  chu  le 
sue  soldatesche,  lasciata  Genova,  rientrino  in  Piemonte  per 
la  via  di  Savona  ;  in  fine,  che  abbia  a  invitare  per  lettera 
il  générale  Lamarmora  a  retrocedere,  allô  scopo  di  evi- 
tare  uno  inutile  spargimento  di  sangue,  avendo  i  Genovesi 
risoluto  di  non  cedere  a  qualunque  costo  la  città,  ch'essi 
avevano  conquistata  ;  in  compenso  di  ciô  i  Triumviri  pro- 
mettevano,  che  Genova  rimarrebbe  fermamente  unita  alla 
Sardegna.  Il  mattino  del  vegnente,  il  2  aprile,  il  presidio 
regio,  uscito  dalla  città,  camminava  verso  Savona  ;  taie  via, 
sebbene  piii  lunga  di  quella  dei  Giovi,  era  stata  scelta  per 
impedire  che  i  soldati  avessero  a  incontrarsi  con  la  divisione 
lombarda;  la  quale,  dalla  destra  del  Po  a  Mezzanacort^. 
dopo  la  giornata  di  Novara  aveva  portato  i  suoi  campi  a 
Tortona;  e  qui  trovaronla  i  Oommissari  genovesi,  venuti 
a  invitarla  di  recarsi  a  Genova  a  difendervi  la  causa. 
d^Italia,  Il  générale  Fanti  —  che,  dopo  Tandata  di  Ramo- 
rino  al  Quartier  maggiore  del  Re,  teneva  il  comando  délie 
genti  lombarde  —  rispose  niegativamente  a  quellinvito, 
che  Tonor  suo  e  il  dover  militare  vietavangli  d'accettare; 
e  fu  questa  somma  ventura;  avvegnachè,  se  i  Lombardi  si 
fossero  uniti  ai  sollevati  Genovesi,  lunghe  e  gagliarde  sa- 
rebbero  state  le  difese  e  le  resistenze  délia  città,  e  forse  tali 
da  partorire  guerra  civile  e  intervento  straniero,  avendo 
^ià  Francia  e  lo  stesso  Radetzky  oflTerto  al  Governo  del  Re 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    OIORKATA   BI   NOTABA  281 

aiuto  di  loro  armi  per  ridurre  Genova  alla  obbedienza 
usata.  lûtanto  Alfonso  Lamarmora  procedeva  innanzi  con- 
tr'essa  a  grandi  giornate;  il  quale,  appena  ebbe  ricevuto 
da  Ohizanowski  —  allora  in  Borgomanero  —  il  carico  di 
far  Timpresa  di  Genova  —  e  fu  la  sera  del  27  marzo  —  e 
dai  Mlnistri  di  Vittorio  Emanuele  i  pieni  poteri  per  reggere 
poscia  la  città  con  leggi  militari,  il  mattino  del  28,  levavasi 
di  Parma;  e  per  Piacenza,  Stradella  e  Novi  in  cinque  allog- 
giamenti  giugneva  nella  valle  délia  Polcevera,  piantando  i 
suoi  campi  presso  San  Pier  d'Arena  (1).  Trovata  per  via 
la  brigata  d'avanguardia  del  colonnello  Belvédère  (2)  —  la 
quale,  al  rompere  délia  guerra,  campeggiava  Castel  San 
Gioyanni  —  Lamarmora  aggregavala  alla  sua  divisione, 
coflsentendolo  il  Ministre  sopra  le  armi  ;  in  oltre,  chiamava 
airimpresa  le  gentl  di  De  Asarta,  che,  dicemmo  già,  cammi- 
navano  verso  Savona. 

Genova,  per  natura  di  sito  e  opère  d'arte  militare  for- 
tissima,  siede  su  la  spiaggia  settentrionale  del  Méditer- 
ranée in  fqndo  al  golfo,  che  da  quella  città  prende  il  nome, 
e  nel  basse  d'una  valle  formata  dal  biforcarsi  di  un  con- 
trafforte  dei  monti  liguri,  quasi  a  meta  del  pendio  méri- 
dionale di  quella  tratta  deir  Appennino,  che  scende  da 
Oneglla  alla  Spezia  e  sépara  Tantico  Stato  délia  repubblica 
dal  Piemonte  (3).  Davantl  alla  città,  la  quale  elevasi  quasi 
ad  ânfiteatro  sovra  alcuni  coUi  —  estreme  appendici  di  quel 
contrafiforte  —  apresi  un  porto  ampio  e  securo.  Due  grandi 
vie  menano  da  Genova  a  Francia  e  al  centre  d'Italia;  la 
prima,  chiamata  riviera  di  ponente,  corre  rasente  il  mare 


(1)  Presso  Ronco  il  générale  Lamarmora  riceveva  lettera  dal  Comi- 
bto  di  ncnrezza  pnbblica  di  Genova,  che  pregavalo  di  non  portarsi 
npra  la  città  ;  la  qnale,  non  acconsentendo  aile  tregne  di  Novara,  non 
wteYa  ricevere  le  milizie  del  Govemo,  che  avevale  accettate. 

(2)  La  brigata  del  colonnello  Belvédère  contava  allora  da  tre  mila 
(omini;  la  divisione  del  générale  Lamarmora,  otto  mila  allô  incirca. 

(3)  Vedi  l'Atlante. 


Digitized  by  VjOOQIC 


282  CAPITOLO    VI 


sino  a  Nizza,  sino  al  Varo,  frontiera  naturale  del  belpaese; 
Taltra,  detta  riviera  di  levante,  va  lunghesso  il  mare  fino 
a  Sestri  Levante  ;  qui  la  via  si  avanza  entro  terra  sino 
alla  Spezia,  per  calar  quindi  a  Toscana  e  su  Roma.  Par  le 
valli  dei  torrenti  Polcevera  e  Bisagno  —  tra  i  quali  sta 
Genova  —  si  sale  aU'Apennino  (1).  In  quella  ricca  e  spa- 
ziosa  délia  Polcevera  —  per  un  lungo  tratto  perpendicolare 
al  mare  —  trovasi  una  larga  e  commoda  via,  che  presse 
San  Quirico  dividesi  in  due;  quella  di  destra  per  Ronce, 
la  valle  délia  Scrivia  e  Serravalle  conduce  aNovi;  Taltra 
di  sinistra  per  Voltaggio,  Carosio  e  Gavi  —  il  cui  forte  la 
signoreggia  —  scende  alla  pianura  di  Novi,  che  si  allarga 
sino  ad  Alessandria  e  al  Tanaro  per  confondersi  in  quella 
estesissima  délie  valli  del  Po  e  del  Ticino.  Nell'angustâ 
valle  del  Bisagno  la  via  rasenta  il  torrente,  a  venti  chilo- 
metri  allô  incirca  da  Genova  dividesi  in  tre,  le  quali  attra- 
versano  gli  Appennini;  quella  di  destra  per  Borgonovo  e 
quella  di  mezzo  per  Torriglia  scendono  nella  valle  délia 
Trebbia;  la  via  di  sinistra  per  la  Torazza  e  Gasella  cala  in 
val  di  Scrivia.  Due  solidissime  mura  cingono  l'antica  Si- 
gnora  del  Méditerranée;  Tinterna,  che  abbraccia  la  clttà, 
risale  ai  primi  tempi  del  sistema  bastionato  ;  dalla  parte  di 
mare  misura  tre  chilometri,  non  contando  in  questi  il  tratto 
che  chiude  e  protegge  il  porto;  dalla  parte  di  terra,  sei 
chilometri  allô  incirca;  rotta  oggidi  in  piii  luoghi  non  servo 
piii  alla  difesa  di  Genova;  in  essa  apronsi  cinque  porte. 
La  mura  esteriore,  eretta  nel  secolo  scorso,  e  irregolaris- 
sima  per  le  disuguaglianze  del  terreno  che  percorre,  ha  la 


(1)  La  Polcevera  scende  dal  colle  dei  Giovi,  scorre  a  mezzogiorno 
verso  il  mare,  snl  quale  mette  foce  presso  Comegliano  ai  piedi  del 
monte  Coronato^  che  elevasi  alla  sua  destra.  Il  Bisagno  scende  dal 
colle  délia  Scoffera;  dopo  Inngo  camminare  verso  mezzogiorno,  piega 
ad  occidente;  e  poco  prima  di  gingneré  ail' 0/mo,  volgesi  nnovamente 
a  mezzodi  per  gettarsi  poi  in  inare  ai  piedi  délia  collina  à*AlbarOy  che 
innalzasi  alla  sna  sinistra. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBNATA   Dl  NOVABA  283 

forma  d*un  grande  triangolo,  alla  cui  base  sta  il  mare,  e  i 
lati  del  quale  misurano  diciotto  chilometri  ;  i  suoi  forti,  i 
suoi  bastioni  con  le  opère  fortificatorie  esterne  ■—  signo- 
reggianii  le  sottoposte  valli  e  i  circostanti  colli  —  costi- 
tuiscono  dalla  parte  di  terra  una  validissima  difesa  délia 
città;  il  presidio  dei  quali  in  tempo  dassedio  deve  con- 
tare  ventisei  mila  uomini  allô  incirca;  che  tanti  ne  richie- 
dono  la  grande  distesa  dolle  fortificazioni  e  H  bisogno  di 
avère  pronta  sempre  buona  mano  di  soldati  per  le  uscite 
contra  i  lavori  ossidionali  e  i  campi  del  nimico  assedia- 
toro  (1).  Dalla  mura  esterna  si  esco  alla  campagna  per  sette 
porte;  quattro  aprentisi  nella  parte  orientale  di  essa,  tre 
nella  occidentale;  le  quali  ultime,  per  mezzo  di  buona  via 
di  comunicazione,  menano  alla  porta  di  San  Tomaso  o  délia 
Lanterna  —  che  sta  dietro  il  faro  —  per  la  quale  passa 
la  via  che  da  San  Pier  d'Arena  conduce  in  val  di  Polce- 
vera.  --  A  settentrione  délia  città  e  quasi  a  sette  chilo- 
metri dal  mare  alzasi  il  monte  dei  l>ue  Fratelli,  cosi  chia- 
mato  dalle  due  eminenze  che  s'ergono  su  l'alto  di  esso,  e 
sopra  le  quali  stanno  due  difese,  dal  nome  del  monte  dette 
T>ue  Fratelli.  Da  questo  diramasi  un  contrafforte,  il  quale 
dopo  avère  corso  due  chilometri  perpendicolarmente  al 
mare,  là  dove  sorge  il  forte  dello  Sperone,  si  biforca  per 
calare,  in  direzione  sempre  divergente,  verso  il  mare  stesso; 
tra  questi  due  contraflforti  trovasi  Genova  con  la  sua  mura 
interna.  Rimpetto  alla  cinta  esteriore  di  levante  e  sovra  la 
sinistra  del  Bisagno  stanno  le  colline  d'Albaro,  che  per  la 
loro  altezza,  signoreggiando  la  parte  estrema  e  bassa  di 
quella  cinta  —  onde  le  difese  di  essa  furono  chlamate 
Pr07iti  bassi  —  vennero  munite  d'opere  fortificatorie,  allô 


(1)  Alla  difesa  délia  cinta  esteriore  abbisognano  da  quindici  mila 
uoinini;  al  Seriggio  e  a  monte  Matti,  d.i  tre  mila  e  cinquecento;  al 
forte  Richelieu,  cinquecento;  al  Diâniante,  trecento;  ai  Due  Fratelli^ 
trecento  ;  al  colle  di  mezzo,  trecento  ;  al  forte  Quezzi,  trecento  ;  a  Santa 
Teeîa,  trecento;  per  le  picciole  nscite  e  per  la  riscossa,  tre  mila. 


Digitized  by  VjOOQIC 


284  cApiTOLo  VI 


intento  d'impedirne  Taccesso  al  nimico  assediante,  e  sono: 
il  forte  di  San  Francesco  al  mare,  quello  di  San  Mariino, 
e  più  sopra  il  forte  Quezzi.  Lungo  la  cresta  dei  due  con- 
trafforti,  che  dicemmo  staccarsi  dallo  Sperone^  corre  la 
mura  esterna  incamiciata  e  guarnita  di  bastioni,  la  quale 
costituisce  i  lati  di  quel  triangolo  fortiflcatorio  —  trince- 
rone  vastissimo  e  validissimo  —  la  cui  base  è  sul  mare  e 
il  vertice  allô  Sperane.  I  fronti  bastionati  dalla  mura  Ta- 
riano  dai  centreata  ai  dugencinquanta  metri  di  lunghezza; 
i  loro  fiaachi,  dai  dieci  ai  dodici;  l'altezza,  dai  nove  ai 
dieci.  —  11  forte  dello  Sperone  componesi  del  bastione 
molto  acuto,  che  difende  Tangolo  compreso  dalla  cresta  dei 
due  coutrafforti  sopra  descritti  e  di  quello  che  gli  tien 
dietro  a  destra;  il  quale  forte,  per  avère  la  gola  natural- 
mente  scoscesa  e  munita  di  mûri,  va  considerato  altresi 
come  opéra  separata  dalla  cinta  esteriore.  È  dai  colli  o 
contraflforti  elevantisi  dinnanzi  allô  Sperone  verso  l'Appen- 
nino,  che  discendono  le  acque  délia  Polcevera  e  del  Bisagno, 
nelle  cui  valli  il  nimico  assediatore,  padrone  di  quel  colli, 
puô  calare  con  assai  facilita  contra  le  difese  délia  cinta  di 
levante  o  di  ponente.  A  settentrione  délia  Lanterna  e  a 
brève  distanza  di  essa  innalzansi  due  colline  quasi  d*eguale 
altezza,  che  vanno  tra  loro  parallelamente  da  San  Benîgno 
al  piano  délie  Bombe,  e  aventi  origine  dai  contraflTorte 
délia  Tanaglia;  il  quale,  poco  al  di  sotto  dello  Sperone, 
staccasi  da  quello  sovra  cui  corre  la  cinta  esteriore:  sono 
le  colline  di  Belvédère  e  Pramantone.  Su  la  cresta  del 
contrafforte  délia  Tanaglia,  presse  l'estremità  del  medesimo 
e  a  cento  metri  dalla  mura  esterna,  avvi  un'opera  a  corno 
o  Tanaglia;  la  quale  si  unisce  alla  grande  cinta  per  mezzo 
d*una  postierla  âancheggiata  dai  mûri  pertugiati  di  feritoie, 
ed  eziandio  si  lega  per  un'altra  postierla  alla  Crocetta  di 
Belvédère^  dente  munito  di  fianchi  e  d'un  terrazzo  cir- 
colare  posto  sopra  la  gola;  e  sul  pendio  principale  del 
contrafforte  délia  Tanaglia  verso  la  Polcevera.  Non  molto 
lungi  dalla  chiesa  délia  Madonna  di  Belvédère  sorge  una 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIOBNATA    DI   KOVABA  285 


lunetta,  che  da  quella  collina  prende  il  nome;  la  quale 
opéra  fortiflcatoria  consta  di  un  dente  coi  flanchi  circon- 
dato  da  fosso  ed  è  chiusa  alla  gola  da  una  caserma,  sa 
Talto  délia  quale  avvi  un  terrazzo  munito  di  parapetto;  i 
fnoclii  délia  lunetta,  incrocicchiandosi  con  quoi  délia  Cro- 
cetta,  difendono  i  seni  ivi  format!  dalla  collina,  La  cinta 
esteriore  di  levante  componesi  dei  Fronti  Bassi  e  del 
F^onti  di  Carignano.  I  primi,  che  per  la  natura  del  sito 
sarebbero  facilmente  espugnabili,  se  le  loro  difese  non  fos- 
sero  state  accresciute  dalle  opère  costruite  sui  coUi  di 
Quezzi,  San  Marttno  e  iS5fln  Francesco  d'Albapo,  hanno 
daranti  aile  cortine  délie  mezze  lune;  quelli  di  porta  Ro- 
mana  e  porta  Pila,  sono  eziandio  munite  di  contragguardîe 
coi  fianchi,  cui  si  va  per  due  postierle;  tutti  poi  sono  cir- 
condati  da  una  via  coperta.  Di  tre  piccioli  fronti  bastionati 
constano  le  difese  di  Carignano  ;  le  quali,  piîi  che  ad  av- 
valorare  le  resistenze  di  questa  postura,  già  forte  per  natura 
di  sito,  servono  a  proteggere  le  artiglierie,  che  deggiono 
col  loro  fnochi  impedire  al  nimico  di  fermare  il  piede  su 
le  alture  signoreggianti  la  slnistra  del  Bisagno,  e  contrab- 
battere  altresî  quelle  che  vi  pianterebbe  F  assediatore. 
Sopra  una  eminenza  isolata  dal  più  alto  dei  coUi  —  su  la 
cui  cresta  sta  la  grande  cinta  da  noi  brevemente  descritta 
—  e  a  duemila  quattrocento  metri  dallo  Sperone  tra  levante 
e  settentrione  giace  un  forte  a  stella  circondato  da  fosso 
e  da  via  coperta  e  denominato  Diamante,  dalla  forma  del- 
l'eminenza  che  gli  serve  di  base  ;  la  quale  difesa,  che  siede 
a  cavalière  dei  valichi  conducenti  allô  Sperone,  è  la  pià 
avanzata  entro  terra  délie  opère  che  guarniscono  Tantica 
metropoli  ligure.  A  sei  chilometri  dal  mare  e  a  tramontana 
dalla  città  awi  una  catena  di  montagne,  chiamata  dei  Dite 
Fratelli  per  due  alture  che  tutte  le  circostanti  sopravan- 
zano,  dalle  quali  discendesi  alla  Polcevera  e  al  Bisagno. 
Sovr'esse  innalzansi  due  torri  quadre,  diverse  di  altezza, 
capacità  e  forza,  che  tra  loro  distano  di  trecento  metri. 
La  terre  del  Fratello  Maggiore  a  destra,  quella  del  Frar 


Digitized  by  VjOOQIC 


286  CAPITOLO   VI 


tello  Minore  a  sînistra,  e  davanti  allô  Sperone  stanno  a 
millesecento  metri  da  questo  forte  e  a  secento  dietro  il 
Diamante;  legate  a  quesVultimo  —  quasi  in  un  sistema 
di  fortificazione  tutto  a  se,  tutto  isolato  —  costituiscono  la 
piîi  valida  difesa  di  Genova.  La  cresta,  che  a  destra  dello 
Sperone,  si  avanza  verso  TAppennino,  forma  un  colle  su  cui 
ergesi  una  torre  quadra,  circuita  da  muro  pertugiaio  di 
bombardiere  o  feritoie;  è  la  torre  del  Puin,  la  quale,  non 
solamente  difende  la  sua  via  di  comunicazione  col  Dia- 
mante,  ma  impedisce  altresi  al  nimico  assalitore  il  passaggio 
che  per  quella  cresta  si  âpre  dalla  Polcevera  al  Bisagno. 
Il  letto  di  quest'ultimo  torrente  —  risalendo  dalla  sua  foce 
in  sul  mare  airorigine  sua  —  presso  TOlmo  piega  verso 
levante  ad  angolo  retto  a  destra  e,  dopo  un  tratto  di  quattru 
chilometri  allô  incirca,  nel  quale  trovasi  la  terra  di  Mo- 
lasana  (1),  volgesi  nuovamente  a  settentrione  e  va  al  colle 
délia  Scoffera,  da  cui  discende.  Quel  tratto  di  letto  del 
Bisagno  corrisponde  al  fronte  délia  postura  fortificata  di 
monte  Ratti,  su  l'alto  del  quale  allargasi  un  piano,  detto 
di  Seriggio,  con  un  vasto  trincerone,  che  vieta  aU'assali- 
tore  d'avvicinarsi  da  quella  parte  del  Bisagno  alla  grande 
cinta  di  Genova.  Dietro  il  piano  di  Seriggio  staccansi  due 
contraflforti;  quel  di  sinistra,  chiamato  monte  del  Vento, 
s'avanza  verso  la  città  sin  quasi  a  due  chilometri  dal  mezzo 
délia  cinta  esteriore,  per  mettere  fine  nella  valle  del  Bi- 
sagno, divise  in  due  picciole  creste,  che  ripide  scendoiio 
al  torrente.  Il  sito,  dal  quale  dipartonsi,  chiamato  Quezzi, 
è  difeso  da  un  forte,  che  da  quelle  prendendo  il  nome  vien 
chiamato  forte  di  Qu^ezzi  ;  esso  sbarra  al  nimico  il  monte 
Vento.  n  contrafforte,  che  sta  a  destra  del  piano  di  Seriggio. 
corre  quasi  orizzontalmente  a  settentrione;  sovr'esso,  a  mil- 
letrecento  metri  da  quel  piano  elevasi  una  bella  difesa,  il 


(1)  Da  Molasana  ascendesi  al  monte  Crtto^  dal  qaale  per  la  valle 
deUa  Secca  calasî  in  qnella  di  Polcevera. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA    GIOKXATA    DI    NO V ARA  287 

forte  Richelieu,  Qui  il  contraflforte  dividosi  in  due  creste, 
quella  di  destra,  chiamata  del  Chiapeto,  prolungasi  in  dire- 
zione  del  contrafforte  suo  generatore,  e  a  poco  meno  di  due 
chilometri  dal  mare  scende  nella  Sturla  (1);  torrente  che 
trae  origine  dai  vicini  monti  délie  Fascîe,  e  dopo  un  corso 
di  nove  chiloraetri  porta  sue  acque  al  mare,  su  cui  mette 
foce  a  tre  chilometri  da  quella  del  Bisagno  ;  e  la  cresta  di 
siiiistra  spingesi  sino  a  milledugento  metri  dalle  mura  di 
Gftnova:  le  dà  il  nome  la  chiesa  délia  Madonna  del 
Monte,  la  quale  ergesi  su  la  sua  eâtremità.  Non  lontano  da 
quella  trovasi  un  picciolo  forte,  chiamato  di  Santa  Tecla, 
dalla  chiesa  che  gli  è  vicina;  il  quale,  con  le  sue  arti- 
glierie,  impedisce  al  nimico  di  accamparsi  sui  colli  d'Albaro. 
Sopra  questi  —  i  cui  piedi  sono  bagnati  a  levante  dalle 
acque  délia  Sturla,  a  ponente  da  quelle  del  Bisagno  — 
staano  alcune  difese;  sono  due  forti  elevantisi  a  setten- 
trione  nelle  vicinanze  di  San  Martine  e  a  mezzogiorno 
presse  San  Francesco  d'Albaro;  il  quale  ultimo  difende  la 
brève  spiaggia  marina,  che  corre  tra  le  foci  di  quei  due 
torrenti;  e  insieme  poi  validamente  contrastano  le  colline 
d'Albaro  aU'assediatore,  cui  importa  moltissimo  possederle 
per  poter  battere  con  vantaggio  i  Fronti  Bassi,  che  sono 
la  parte  debole  délia  grande  mura  di  Genova.  —  Le  opère 
fortificatorie  délia  cinta  di  mare  sono  di  potenza  minore 
d'assai  délie  difese,  ora  sommariamente  descritte,  che  dalla 
parte  di  terra  rendono  Genova  quasi  inespugnabile,  se  bene 
presidiata.  Esse  consistono  in  una  lunga  série  di  poderose 
batterie  di  cannoni,  che  dai  Fronti  bastionati  di  Cari- 
gnano  vanne  alla  Lanterna,  le  quali  devono  proteggere 
l'sQtrata  del  porto  e  terier  lontano  le  navi  nimiche  per 
togliere  Genova  ai  danni  d'una  bombardata,  gravi  sempre, 
gravissimi  poi  per  quella  città,  che  in  se  racchiude  copia 


(1)  Questa  cresta  si  chiama   del  Chiapeto  dal    nome  del   viUaggio, 
che  sta  sopra  il  pendio  occidentale  di  qnella. 


Digitized  by  VjOOQIC 


288  CAPiTOiiO  VI 


grande  di  ricchezze;  ma,  cosi  corne  soao,  quelle  batterie 
ancor  non  bastano  allô  scopo  di  taie  difesa,  sempre  con- 
sideraudo  le  gagliardissime  offese  di  oui  le  armate  vanno 
oggidi  munite.  La  batteria  délia  Strega,  la  prima  délie 
difese  di  mare  dopo  i  FronU  di  Carignano  ;  incrocicchiando 
a  destra  i  suoi  fuochi  con  quella  di  San  BemardOj  che 
giace  a  levante  deirarsenale,  a  sinistra  coi  faochi  di  San 
Francesco  dCAlbaro,  impedisce  ai  nimici  d'awicinarsi  alla 
splaggia  del  Bisagno.  Il  luogo  più  importante  per  la  difesa 
délia  cinta,  che  corre  tra  Tultimo  dei  Fronti  di  Carignano 
e  la  estremità  del  Molo  Vecchio,  è  la  batteria  délia  Cava: 
da  questa  sino  al  Molo  Vecchio  la  cinta  forma  un  ampio 
rientrante,  o  seno,  nelle  cui  acque  potrebbero  entrare 
navi  leggere  e  spedite  del  nimico  assediatore,  se  quel 
seno  di  mare  non  fosse  battuto  da  grosse  artiglierie  savia- 
mente  aU'uopo  collocate.  Le  batterie  poi  délia  cinta  di 
mare  dal  Molo  Nuovo  salgono  fino  a  San  Benigno;  la 
prima  di  esse  per  la  sua  altezza  difende  e  appoggia  le 
altre  del  Molo  Vecchio,  e  manda  i  suoi  proietti  lontan 
lontano  sul  vasto  campo  di  tiro  che  le  sta  dinnanzi  :  onde 
le  armate  nimiche  non  possono  da  quella  parte  appressarsi 
ditroppo  a  Genova,  il  cui  porto  è  difeso  dalle  batterie 
costrutte  lungo  la  mura  bastionata  che  lo  circonda  e  ne 
vietano  Tentrata  al  nimico,  quando  tentasse  irrompervi. 

Gli  Appennini  liguri  formano  col  Méditerranée  un  assai 
ampio  e  valide  trincerone,  di  cui  Genova  è  il  fortissimo 
ridotto  ;  il  quale  sbarra  la  grande  via,  che  attraversa  in 
tutta  la  sua  lunghezza  il  trincerone  e  mena  dltalia  in 
Francia,  e  chiude  altresi  i  passi  dei  Giovi  e  del  colle 
délia  Bocchetta,  scendenti  di  Genova  sui  piani  d*Alessandria 
e  nella  valle  del  Po.  Dentro  quel  campo  militare  —  che 
proprio  taie  vuolsi  ritenere  Tantica  liguria  —  il  oui  vallo 
Tebbe  fatto  natura  —  intendo  dire  TAppennino,  vallo 
difficile  assai  a  superarsi,  e  che  non  puossi  girare  sui  fianchi, 
un  esercito,  stato  sconfltto  In  aperta  campagna,  trova  re- 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   GIOBKATA   DI  KOVABA 


fugio  securo  per  rifarsi  e  uscir  quindi  a  rînnovare  la  prova 
délie  armi  e  muovere  a  nuove  oflTese.  Ed  è  perciô  che  ia 
Senoya  volevasi  dai  cittadini  si  recassero  il  Goverao  e  il 
Parlamento  ;  che  vi  si  portasse  Tesercito  stato  rotto  a  No- 
rara,  per  accrescerlo  e  riordinarlo  :  in  fine,  che  in  Genova 
ii  avesse  a  raccogliere  la  guerra,  guerra  da  prima  di  difesa 
~  cui  tanto  dovevano  giovare  la  natura  del  sito  e  le  moite 
brtificazioni  délia  città  —  ed  oflTesa  di  poi  e  tosto  che 
)ermeit^rebberlo  la  restaurata  militare  disciplina  e  l'armi 
'iafforzate  e  riordinate.  A  quel  volere,  a  quel  desidèri  dei 
îenovesi  —  invero  generosi,  ma  impossibili  a  compiersi 
-  i  Ministri  del  Re  risposero  inviando  Alfonso  Lamar- 
nora  col  carico  di  sedarne  la  ribellione  e  rimetterli  sotto 
a  potestà  regia,  che  avevano  scossa.  —  Appena  arrivato  a 
^ontedecimo  —  e  fti  il  mattino  del  3  aprile  —  il  générale 
.amarmora,  che  ben  conosceva  la  potenza  di  Genova, 
'eputando  impresa  troppo  ardua  impadrônirsi  délia  città  a 
iva  forza,  con  le  poche  armi  ch'egli  capitanava,  intendeva 
i  chiuderle  ogni  via  ai  soccorsi  e  ai  viveri,  e  averla  cosi 
•er  famé.  Se  non  che,  privo  di  navi  da  sbarrarne  il  porto, 
ibero  rimaneva  il  mare  ai  soUevati  ;  i  quali,  potendo  ri- 
îniirsi  di  vettovaglie,  renderebbero  vana  Tossidione  e 
iù  ostinate  dimolto  le  resistenze:  ond'egli  volgevasi  al 
[iiiistro  sopra  la  guerra  sollecitandolo  a  chiamare  davanti 

Genova  la  squadra  navale,  che  allora  trovavasi  nelle 
cque  di  Venezia,  Nella  ricognizione  militare  délia  valle 
i  Polcevera  sino  a  Cornigliano  fatta  al  suo  giugnere  in 
•ontedecimo,  il  générale,  awisato  che  i  Genovesi,  più  che 

difendere  la  cinta  e  i  forti  esterni,  curavansi  difendere 
i  città,  le  cui  vie  avevano  chiuse  con  robusti  serragli, 
eliberava  mandare  per  San  Cipriano  e  Montobbio  in  val 
1  Bisagno  un  reggimento  di  fanti  per  tentare  dalla  Pol- 
3vera  quelli  tra  i  forti  che  avrebbe  veduto  meno  vigi- 
iti  e  poco  custoditi  (1).  Rieduto  il  giorno  appresso  con 


(1)  La  cinta  estenia  e  i  forti  erano  presidiati  da  poche  Guardie  nazionalù 
10  —  Vol.  n.  Mabiaiii  —  Storia  pol  6  ma. 


Digitized  by  VjOOQIC 


290  OAPITOLO  VI 


due  compagnie  di  bersaglieri  e  uno  squadrone  dî  cavalli 
a  Cornigliano,  e  non  avendovi  trovata  la  divisione  di  De 
Asarta ,  tanto  aspettata ,  Lamarmora  portossi  a  San  Pier 
d'Arena,  grosso  e  popoloso  sobborgo  di  Genova  su  la  sinistra 
délia  Polcevera;  e,  dopo  averlo  presidiato  de'suoi  cavallL 
sali  speditamente  alla  chiesa  di  Belvédère.  Fatta  la  cbia- 
mata  alla  Lunetta,  che  le  sta  vicinissima,  e  alla  Crocetta. 
pur  non  lontana  da  quella  chiesa,  e  avutele  subito  dai 
presidi,  ai  quali  aveva  promesse  salva  la  vita,  andô  sopra 
il  forte  délia  Tanaglia  ;  i  cui  difensori,  minacciati  di  morte 
se  resistevano,  non  potendo  calare  il  ponte  levatoio,  per 
mezzo  di  corde  trassero  i  difensori  dentro  quello.  Quidata 
da  un  contadino,  una  presa  di  soldati,  per  un  passe  noto 
a  pocbi,  notissimo  perô  ai  contrabbandieri,  supera  la  cinta 
non  lungi  dalla  Tanaglia^  indi  Voltasi  alla  vicina  porta 
degli  Angeliy  ne  caccia  le  Ouardie  nazionali,  l'apre  e  ne 
cala  il  ponte  leVatoio:  brevi  moment!  dopo  Lamarmora, 
entrato  nella  cinta,  corre  velocissimo  verso  San  BetUgno, 
forte  postura  che  soprasta  e  protegge  la  porta  délia 
Lanterna.  Tosto  che  in  Genova  seppesi  délia  perdita  del 
Belvédère  e  délia  Tana^li4Xy  una  grossa  schiera  di  sol- 
levati,  impugnate  le  armi,  saliva  a  San  Benigno,  duce  il 
marchese  Lorenzo  Pareto,  comandante  supremo  délie 
Guardie  nazionali,  e  un'altra  ascendeva  al  contraffortë 
dello  Sperone  verso  la  porta  degli  Angeli.  Grave  pericolo 
minaccia  allora  il  générale  Lamarmora;  se  i  soUevati 
riprendono  la  porta  poco  innanzi  perduta,  egli  e  le  sue 
genti  sono  costretti  a  darsi  prigioni,  perô  che  il  prepon- 
derare  de'nimici  renderebbe  vano  il  resistere;  molto  più 
poi  che  dal  bastione  o  forte  del  Begatto  —  che  sta  non 
lontîuio  dalla  porta  degli  Angeli  tra  la  Tanaglia  e  lo 
Sperone  —  era  già  uscita  buona  mano  del  presidio  di  esso 
per  ferire  aile  spalle  gli  assalitori  audacemente  fortonati. 
In  quella  che  Lamarmora  riceveva  la  risposta  délia  inti- 
mazione  di  resa  fatta  all'Avezzana  —  risposta  che  suonava 
cosî  :  /  Genovesi  voler  resistere  sino  a  che  un  d'essi  vivra. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOSHATA  DI  KOYABA  291 

arrivaya  a  lui  dal  campo  del  Re  il  fratello  Alessandro  ;  e 
glî  giugneyano  pure  gli  aiuti  fatti  venire  da  Pontedecimo  ; 
erano  una  compagnia  di  bersaglieri  e  oito  battaglioni  di 
faati.  Yedutolo  si  yalidamente  afforzato,  i  solleyati  indie* 
treggîaroao  :  ond'egli  campeggiô  e  presidiô  le  posture  e  i 
forti  conquistati,  facendo  altresi  occupare  San  Pier  d'Arena 
—  ove  troyayasi  lo  squadrone  de'  suoi  cayalli  —,  da  una 
batteria  di  cannoni  e  da  due  battaglioni  di  fanti  ;  la  rétro- 
guardia  délia  divisione  —  un  battaglione  di  fanterie  — 
teneyasi  in  Pontedecimo  con  le  bagaglie  e  gli  impedimenti. 
Non  era  ancor  sorta  l'aurora  del  5  aprile  che  il  géné- 
rale Lamarmora  muoyeya  all'assalto  délia  città,  ordinato 
cosi:  Ai  battaglioni  di  fanti  di  San  Pier  d'Arena  era  stato 
comandato  d'impadronirsi  délia  2/antema;  a  una  compagnia 
di  bersaglieri  e  a  un  battaglione  di  fanti  d'ordinanza,  di 
calare  da  San  Benigno  e  Insignorirsi  dei  borgbi  di  San 
Lazzaro  e  San  Teodoro;  la  quale  ojBTesa  yerrebbe  appog- 
giata  da  una  compagnia  di  bersaglieri  e  da  un  battaglione  di 
fanterie,  che  dalla  porta  degli  Angeli  calerebbero  sopra 
(renoya;  in  fine,  una  compagnia  di  fanti  leggeri  e  un  bat- 
taglione di  fanti  d'ordinanza,  yolgendosi  a  sinistra  e  salendo 
il  contraflTorte  dello  Sperone,  doyeyano  recarsi  in  mano  la 
ciuta  sin  presse  il  Begatto;  e,  se  possibile  fosse,  sorpren- 
dere  questo  forte.  Lamarmora,  che  erasi  posto  a  capo  délia 
schiera  di  mezzo,  nello  scendere  da  San  Benigno  mandaya 
innanzi  i  suoi  bersaglieri  per  feriro  aile  spalle  i  difensori 
délia  porta  Lanterna;  i  quali,  dallo  inaspettato  moschet- 
tare  degli  assalitori  sgominati,  presi  da  timor  panico,  pre- 
cipitosi  lasciarono  la  porta  per  rifugiarsi  al  Moto  Nuùw; 
e  per  quella  porta  incontrastata  entrayano  allora  in  Genoya 
i  due  battaglioni  che  ayeyano  serenato  in  San  Pier  d'Arena, 
preceduti  da  Lamarmora,  già  unitosi  presse  San  Lazzaro 
alla  schiera  discesa  dal  bastione  degli  Angeli  alla  città. 
Mentre  le  artiglierie  dei  forti,  délia  cinta  di  ponente  e  del 
porto  traeyano  furiosamente  contra  i  régi  —  ma  con  lieve 
danno  di  questi  —  yeniyano  a  Lamarmora  i  Oonsoli  degli 


Digitized  by  VjOOQIC 


292  CAPITOLO   VI 


Stati  esteri  a  chiedergli,  in  nome  di  Gostantino  Reta,  uno 
dei  triumviri,  onorevoli   condizioni  di  pace;  e  il  generalo 
Tispondeva  di  non  poter  trattare  coi  ribeîli;  chesela 
città  e  i  forti  gli  s'arrendessero  a  discrezione,  concède- 
rebbe  venttquattro  are  di  tempo  ai  promovilori  e  ai  ça]^i 
délia  ribellione  per  allontanarsi  dalla  città,  Pregato  dai 
Consoli  accordava  una  sospensione  d'armi  di  treoreperla 
risposta,  a  patto  che,  nessuna  ricevendo,  ripiglierebbe  1^ 
offese.  Assaliti,  presi  e  barbaramente  messi  a  fil  di  spada  1 
pochi  difensori  del  palazzo  Boria  —  il  quale,  per  la  sua  pcn 
stura,  impodiva  ai  régi  lo  avaozare  —  e  munite  d'un  batta- 
glioae  di  fanti  le  alture  di  San  Francesco  e  SanRoccOyà^ 
signoreggiano  il  borgo  di  San    Teodoro  e  la  villa  Dom 
e  il   giorno  già   declinando,   Lamarmora    sospendeva  la 
pugna  ;  il  trarre  dei  cannoni  durô  tuttavia  e  d'ambe  le 
parti  la  intera  notte;  e  anche  questa  volta  con  dannoli»^ 
vissimo   dei   combattenti.   Verso  le  undici   di  notte  lorJ 
Hardwick,  comandante  la    Vendetta  —  nave  da  guerra 
inglese  che  sorgeva  in  su  Tàncora  entro  il  porto  —  veniva 
a  Lamarmora  in  nome  del  Municipio  a  pregarlo  di  salure 
la  città,  promettendogli  di  adoperarsi  presse  il  Maestratoi 
dei  cittadini  per  far  cessare  la  ribellione,   ricondurre  i 
soUevati  aU'obbedienza  del  Re  e  ricomporre  le  cose  scoa» 
volte  (1).  Il  di  vegnente,  poco  innanzi  il  mezzogiorno,  giu- 
gnevano  al  Quartiere  générale  —  allora  a  porta  Lanterna 
—  i  deputati  dal  Municipio  a  Lamarmora  per  offrirgli  la 
sommissione  di  Genova  a  patti  onorevoli;  accompagnavariii  ^ 
i  Consoli  degli  Stati  amici.  Il  générale  accettava  promet- 
tendo  salva  a  tutti  la  vita,  salvi  gli  averi,  e  ventiquattro 
ore  per  coloro  che  volessero  lasciare  la  città,  a  condizion» 


(1)  L'ammiraglio  inglese,  lord  Hardwick,  aveva  già  fatto  gettm  it 
mare  le  munizioni  délie  difese  del  MoloNmvo:  fu  questa  unaazine 
biasimevolissimal  —  Si  disse  allora  e  si  scrisse  di  poi,  avère  il  gf'^'^ 
raie  Avezzana  voluto  dare  la  libertà  ai  gaJeotti  per  servirai  di  <[^^^ 
nella  difesa  délia  dttà:  ci6  ô  assolutamente  feJso. 


Digitized  by 


Google 


LA   OIOBNATA  DI    KOYABA  293 

che  questa  e  i  forti  gli  venissero  rimessi  con  tutte  le  armi, 

tranne  quelle  che  le  Guardie  nazionali  potevano,  giusta 

la  legge,  serbarsi;  in  oltre  accordava  una  sospensione 

d'armi  di  ventiquattro  ore,  tempo  bastevole  a  una  depu-* 

tazione  di  cittadiai  di  recarsi  a  Yittorio  Emanuele,  allora 

in  Torino,  per  ottenere  dalla  sua  clemenza  perdôno  pieno 

t' intiero  délia  ribellione.  Meatre  le  armî  stavano  d'ambe 

le  parti  sospese,  Lamarmora   compiva  Tossidione  di   Ge- 

iiûva,  occupando  la  valle  del  Bisaguo,  e  s'aflTorzava  in 

quella  délia  Polcevera  con  le  genti  di  De  Asarta,  le  quall, 

rîfatta  la  via,  erano  giunte  a  San  Pier  d'Arena,  ed  eziandio 

con  una  brigata  di  fanti  e  una  compagnia  d*artiglieri,  per 

comando  del  Ministro  sopra  le  armi  venutegll  da  Alessandria. 

îl  riprendersi  délie  ostilità  —  che  avrebbe  dovuto  aver 

Inogo  a  mezzogiorno  deirs  aprile  —  era  stato  prorogato 

di  quarantotto  ore  per  richiesta  dei  deputati  iti  al  Re 

per  implorarne  la  grazia  ;  la  quale,  arrivata  la  sera  del 

9,  senza  por  tempo  in  mezzo  veniva  dal  générale  notifi- 

cata  al  Municipio  e  da  questo  nella  sera  st^sa  ai  citta- 

fini.  Il  mattino  del  di  vegnente  una  nave  americana  salpava 

dal  porto  di  Genova;  aveva  a  bordo  Giuseppe  Avezzana, 

molti  Genoyesi,  non  pochi  Italiani  d*ogni  parte  délia  peni- 

^la  e  alcuni  stranieri;  sommavano  insieme  a  quattrocento 

cinquanta  allô  incirca  (1);  erano  essi  i  promovitori  e  i 

fautori  del  soUevamento;  erano  i  capi  dei  soUevati.  —  In 

quel  medesimo  giorno  —  il  10  aprile  —  Lamarmora  occu- 

pava  tiitta  la  grande  cinta  e  i  forti  esteriori  ;  nel  di  appresso, 

ia  città;  la  quale  egli  poneva  sotto   l'imperio  délie  leggi 

militari,  al  solo  scopo  di  réprimera  i  perturbatori,  non 

già  per  molestare  i  cittadini  tranquilli  (2).  La  cosa  pub- 

plica,  stata  sconvolta  dalla  soUevazione,  fu  prestamente 


(1)  Coirevano  tutti  alla  difesa  di  Borna  minaociata  didle  anni  di 
Fiancia. 

(2)  Mamfesto  del  générale  Lamannoia  ai  GenovesL 


Digitized  by  VjOOQIC 


294  CAPITOLO  Yl 


riordinata,  e  presto  la  quiète  rimessa  nella  città;  la  quale 
perô  ricevette  con  digaitosa  freddezza  il  vincitore,  con 
difSdenza  e  sospetto  i  suoi  soldati:  causa  di  ciô,  i  deplû- 
rabili  eccessi,  corne  ebbe  a  confermare  il  générale  La- 
marmora,  da  alcunî  codardi  commessi,  mentre  i  çenerosi 
affrontavano  i  pericoli  (1).  Se  i  turpi  atti  compiuti  dai 
régi  ia  Novara  dopo  l'infausta  giornata  del  23  marzo  sono 
altamente  da  riprovarsi,  assai  più  vituperevoli  sono  quelli 
compiuti  in  Genova  ;  avvegnachè  là  fossero  soldati,  cul  la 
sconûtta  sofferta  avova  tolto  o  almeno  rallentato  il  freno 
délia  militare  disciplina;  qui  soldati,  ai  quali  una  facile 
vittoria  aveva  date  in  mano  una  città,  levatasi  in  su  l'arme 
per  difendere  la  propria  libertà,  e  quella  dltalia  altresi; 
quella  libertà,  che  con  grande  onore  délia  patria  e  con 
ammiranda  virtù  difendevasi  da  Yenezia  e  da  Ronia!  I 
Genovesi,  soUevandosi,  intesero  a  protestare  contra  le  tregue 
di  Novara;  perô  che,  già  lo  dissi  e  giova  ora  ripeterlo,  si 
fosse  fatto  credere,  che  in  forza  di  quelle  lo  Statuto  fonda- 
mentale del  paese  s'aveya  ad  abrogare,  e  Genova  doTea:«i 
dare  in  pegno  airAustria  sino  al  totale  pagamento  del 
danaro,  che  il  Governo  del  Re  erasi  obbligato  di  pagare 
ad  essa:  il  moto  dei  Genovesi  fu  dunque  generoso,  come 
ebbe  ad  affermarlo  lo  stesso  Lamarmora  (2).  I  Ministri  di 
Vîttorio  Emanuele,  nel  dare  il  carico  deirimpresa  a  quel 
générale,  non  avevangli  perô  comandato  di  condurla  cor 
la  violenza,  bensî  con  vigore  e  forza  per  ridurre  pre- 
stamente  la  città  rubelle  all'obbedienza  usata;  e  ci6  allô 
intente  di  salvarla  dai  danni  di  un  lungo   assedio  e  più 


(1)  u  Ck>l  vostro  valoie  e  oon  la  vostra  fermezza  avete  reso  un  vero 
servizio  alla  patria.  Yoi  liberaste  i  Genovesi  da  nn  partîto  tîrannico, 
cagione  di  tante  nostre  sciagnre.  Mentre  i  generoH  affirontavaao  i  pe 
ricoli,  alconi  codardi  commettevano  deplorevoli  eccessL..  n  Manifesio 
di  Lamarmora  ai  soldati, 

(2)  Lamarhoba,  Un  ej^odio  del  risorgimento  italiano,  cart  112; 
Firenze,  1875. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBNATA  DI  NOTABA  395 

ancora  dagli  orrori  di  una  presa  per  assalto.  Geaova  ita- 
lianissima,  che  in  un  momento  di  grande  entusiasmo  erasi 
levata  in  su  Tarme  per  continuare  la  guerra  délia  indipen- 
denza  nazionale,  andô  allora  af9itta  dai  maltrattamenti  di 
soldati  italiani  !  renne  il  perdôno  ai  soUeyati,  ma  non  fu 
pieno,  non  fu  intero,  perô  che  fossero  da  quelle  esclusi 
Avezzana,  Reta,  Pellegrini,  Lazzotti,  Acame  e  altri  egregi 
cittadini,  perché  in  fama  di  repubblicani. 

Nella  guerra  del  1849,  soprammodo  alla  giornata  anale 
di  Novara,  in  molti  e  gravissîmi  errori  incorsero  î  capi- 
tani  che  la  governarono;  corne  nel  1848,  cosi  yediamo  al- 
lora nei  generali  del  Re  le  stesse  irresolutezze  nel  delibe- 
rare,  le  medesime  lentezze  nel  roandare  a  effetto  le  militari 
operazioni  risolute  nelle  consulte  di  guerra;  essi  mostra- 
rono  sempre  di  non  sapere  apprezzare  il  valore  del  tempo; 
la  vittoria  sorti  al  maresciallo,  perché  seppe  quella  con- 
durre  meno  dissennatamente.  Meglio  oprarono  i  soldati  e 
i  loro  officiali,  specialmente  gll  Austriacl  ;  gli  affronti  ga- 
gliardi,  gli  assalti  d'ambe  le  parti  tante  volte  rinnovati,  il 
prendersi  e  riprendersi  délie  posture  occupate  da  prima  e 
perdute  di  poi,  le  resistenze  ostinate  e  il  più  ostinato  of- 
fendere  mostrarono  quanto  valorosamente  si  combatte  alla 
Sforzesca,  a  Mortara,  a  Norara.  Se  neU'esercito  impériale 
ebbesi  grandemente  a  lamentare  la  poca  esattezza  e  la  poca 
chiarezza  altresi  nei  comandamenti  di  Radetzky,  i  cui  luo- 
gotenenti  molto  fecero  d'autorità  propria  e  giusta  il  loro 
modo  di  vedere;  in  quelle  del  Re  mancô  affatto  la  unità 
del  comando  ;  eserciti  governati  da  generali  mediocri  hanno- 
bene  spesso  vittoriato  ;  eserciti  governati  con  potestà  su- 
prema  da  più  generali,  anche  valentissimi,  vennero  il  più 
délie  volte  sconfitti.  —  La  fronte  délie  militari  operazioni 
dei  Sardi,  che  da  Arona  correva  sino  a  Parma,  sebbene 
tra  Novara,  Trecate  e  il  Ticino  si  trovasse  riunito  il  grosso 
deiresercito  loro,  era  debole  assai,  causa  la  sua  lunghezza 
non  in  ragione  délie   armi  di  cui  constava.  Di  taie  capi- 


Digitized  by  VjOOQIC 


296  OAPITOLO    VI 


tâlissimo  errore  proâtto  il  maresciallo  ;  che,  sollecitamente 
raccolto  presse  Novara  tutto  lo  sforzo  suo  di  guerra,  var- 
cato  il  Ticino,  sorprese  Durando  e  lo  scoafisse  a  Mortara, 
riescendo,  col  possesso  di  questa  città,  a  separare  1  nimici 
d'Alessandria  e  da  Genova,  rifugi  validissimi  nel  caso  di 
un  disastro  in  campo  aperto  ;  che  se  prima  di  venire  alla 
prova  délie  armi  Ghrzanowski  si  fosse  assicurato  le  vie  di 
ritratta  a  quelle  fortezze,  vinto  a  Novara,  avrebbe  potuto 
tenere  alta  la  bandiera  nazionale  e  salvarne  ronore.  Alla 
audace  invasione  di  Radetzky  egli  avrebbe  dovuto  rispon- 
dere  con  eguale  audacia  (1),  portandosi  rapidamente  cou 
quanto  piii  d'armati  sarebbegli  stato  possibile  di  rao- 
cogliere,  su  le  vie  di  comunicazione  degli  Austriaci  col 
Miucio,  lor  base  délia  guorra;  ciô  opérande  Ghrzanowski 
avrebbe  sconcertati  i  disegni  del  maresciallo.  Nella  qoale 
impresa  sarebbe  stato  efficacemente  aiutato  dai  Lombardi, 
pronti  a  soUevarsi  contra  TAustria  alla  chiamata  del  Re, 
e  da  Venezia  altresi,  già  preparata  a  uscire  di  sue  lagune 
con  forte  mano  di  armati,  per  minacciare  e  prendere  aile 
spalle  il  comune  nimico;  e  di  non  lieve  sussidio  sarel)- 
begli  pure  stata  la  divisione  di  Lamarmora,  la  quale  d& 
Parma  avrebbe  potuto  rocare  molestie  e  danni  agli  impé- 
rial! nel  loro  indietreggiaro  verso  il  Mincio.  Ma  Ghrza- 
nowski mancava  di  queU'accorgimento  e  veder  presto  — 
doti  e  virtii  dei  grandi  capitani  —  che  fanno  sempre  pi- 
gliare  forti  partit!  e  piii  fort!  risoluzioni.  Primo  a  indire 
la  guerra,  toccava  a  lui  essere  primo  aile  offese;  al  con- 
trario lasciavas!  sorprendere  dal  nimico.  A  tanto  errore 
teneva  dietro  Taltro  del  fare  la  massa  di  buona  part^ 
dell'esercito  in  sul  Ticino  davanti  a  Trecate,  montre  con 
tutta  la  sua  potenza  a  piedi  e  a  cavallo  avrebbe  dovuto 
correre  incontro  all'avversario  invadente;  vinti    sul  Ti- 


(1)  L*audaeia  è  una  forza  che  erea,  cosi  scrisse  il  générale  Clan- 
aewitz. 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.    OIOBKATA    DI  NOTAS  A  297 

ciao,  gli   Àustriaci   sarebbersi   facilmente  rifatti   dietro 
l'Àdda  0  roglio  a  tentaryi  nuove  resistenze  ;  ma  vinti  alla 
Gara,  avrebbero  dovuto  dietreggiare  sino  al  Mincio,  —  A 
raezzogiorno  del  20  marzo  Chrzanowski  è  al  ponte  di  Bof- 
falora,  presso  il  quale  in  ordini  serrati   sta   la   divisione 
del  Duca  dr  Grenova  pronta  a  irrompere   in   Lombardia; 
lion  trovandovi  i  nimici,  il  generalissimo,  passato  il  Ticino, 
I)ortasi  a  Magenta  in  compagnia  di  Carlo  Alberto  scortato 
(la  una  compagnia  di  bersaglieri  ;  ne  pur  qui  veggendo  in- 
(Jizio  veruno  di  lor  vicinanza,  anzi  avvertito  avère  quelli 
fatta  la  massa  a  Pavia,  rivalica  il  flume,  e  va  sopra  Trecate, 
proprio  in  quel  mezzo  in  cui  gli  Austriaci  già  minaccia- 
vanlo  aile  spalle;  avvegnachè  superato  il  Gravellone  — 
quasi  incontrastato  —  e  respinta  su  la  destra   del  Po  la 
debolissima  divisione  lombarda,  avanzassero  speditamente 
sopra  Mortara  lasciando  esposto  al  ferire  dei  régi  il  loro 
fiance  destro  ;  il  quale  errbre  avrebbe  dovuto  essere  for- 
temente  punito  da  Chrzanowski,  se  fosse  stato  piii  attente 
e  più  vigile  nello  spiare  le  mosse  del  maresciallo.  Ma  che 
fece  egli  allora?  invece  di  andare  in  cerca  dei   nimici  e 
portarsi  col  grosso  di  sue  forze  a  Yigevano   per   corn- 
battervi  la  destra  degli  imperiali,  aspettô  in  Trecate  le 
Qorelle  di  sue  mosse;  e  quando  nella   sera  stessa   venue 
arvisato  che  Radetzky  con  armi  poderose  procedeva  in- 
nanzi  minacciando  il  centre  dei  campi  italiani,  comandô 
al  Duca  di  Savoia  e  a  Durando  di  recarsi  colle   loro  di- 
visioni  sopra  Mortara;  a  quelle  di  Bes,  Perrone  e  Solaroli 
di  scendere  alla  Sforzesca,  a  Gambolô  e  al  ponte  di  Bof- 
falora;  e  al  Duca  di  Genova  di  portarsi  a  Vigevano;   da- 
raati  alla  quale  e  sui  piani  che  corrono  sino  a  Mortara 
siveva  risoluto  di  fare  la  giornata  con  gli  Austriaci.   Se 
questi  erano  i  disegni  di  guerra  ideati  e  risoluti    dal  gé- 
nérale polacco,  perché  innanzi  il  disdire  délie  tregue  non 
fortificô  la  Cava,  chiave  délie  sue  difese,  che  poteva  di- 
ventare,  come  in  fatto  diventô  per  lo  irrompere  da  Pavia 
dello  sforzo  di  guerra  dei  nimici,  da  quella   parte   capo 


Digitized  by  VjOOQIC 


298  CAPiToiiO  vi 


principale  délie  militari  operazioni?  perché  non  muni  i 
passaggi  del  Po  a  Mezzanacorte  e  a  Casale  ?  (1)  ;  perché 
non  provvide  Novâra  di  un  trincerone,  cui  appoggîare  Te- 
sercito  del  Re?  —  Il  12  marzo,  disdette  le  tregue  di  Mi- 
lano,  intirnavasi  dal  Governo  sardo  nuova  guerra  alFAu- 
stria,  Chrzanowski  aveva  mostrato  desiderio  di  prorogarla 
sino  al  cadere  di  quel  mese,  non  percha  ritenesse  ancora 
non  compiuti  i  prowedimenti  ad  essa  necessari,  già  da 
tempo  impresl,  sibbene  porche  reputasse  il  serenare  in 
quoi  giorni  pernicioso  alla  sainte  dei  soldati  ;  quasi  che  il 
freddo  délia  stagione  dovesse  nuocore  ai  régi  soltanto»  non 
agli  imperiali.  Per  altre  ragioni  e  di  alto  momento  avreb- 
besi  dovuto  ritardare  il  rompere  délie  ostilità  ;  primissima, 
la  mancanza  di  moite  cose  indispensabili  alla  guerra;  ri- 
corderô  che,  sebbene  dalla  provveditoria  générale  dell'e- 
sercito  si  fosse  pensato  aile  riposte  délie  vettoyaglie,  e  dal 
comando  suprême  délie  armi  ai  servizi  vari  dei  campi, 
nondimeno  airuscire  alla  campagna  quelle  non  erano 
pronte,  i  carri  delUospedale  non  giunti,  ne  ancora  bene 
ordinati  i  servizi  dei  campi.  Deliberazione  sennatissima 
sarebbe  stata  di  muovere  le  armi  airAustria,  quando  i 
soUerati  ungaresi  si  fossero  ayyicinati  tanto  a  Yienna  da 
riempirne  il  Governo  di  confusione  e  spavento.  Adunque 
il  tempore^iare  dell'impresa,  mentre  assicurava  ai  régi 
una  piena  vittoria,  doveva  giovare  non  poco  ai  Magiari 
e  a  Venezia;  arvegnachè  i  Ministri  deirimperatore  non 
avrebbero  tolto  mai  soldatesche  airesercito  di  Lombardia, 
per  afforzare  quelle  combattente  sul  Danubio,  su  la  Waag 
e  su  le  Lagune;  nà  certamente  sarebbe  lor  stato  pos- 
sibile  durarla  a  lungo,  se  la  Sardegna,  TUngaria  e  Venezia 
avessero  bene  armonizzate  le  loro  offese  contra  l'armi  au- 


(1)  Casale  venne  saviamente  fortiflcata  da  Lamannora,  corne  vedremo 
nel  corso  di  qneste  istorie,  qnando  leggeva  l'officio  di  ministro  sopra 
le  armL 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBNATA   DI  NOTARA  299 

striache.  Da  si  grave  perîcolo  salvoUi  rimprovvido  Govemo 

di  Torino,  nel  quale  siedevano  bensi  uomini  onesti,   non 

perô  all'altezza  di  quei  momenti,  dai  quali   pendeva  l'av- 

yenire  dltalia.  Due  colpe  pesano  sui  Ministri  di  Garlo 

Alberto;  la  prima,  di  non  aver  licenziati,  per  debolezzadi 

anlmo,  i  generali  che,  durante  le  tregue,   eransi   chiariti 

anersi  alla  guerra  di  indipendenza;  la  seconda,   di   non 

arere  adoperate  per  questa  tutte  le  forze  vive  del  paese  :  onde 

non  fu  quale  avrebbe  dovuto  essere,  cioè  una  guerra  nazi(h 

mie  (1).  Radetzky,  valicando  il  Ticino  a  Pavia  col  grosso 

deiresercito,  ayava  mirato  alla  base   di  guerra   dei   regl, 

AlmandriOrOenovay  dalla  quale  Chrzanowski   con   insi- 

pienza  colpevolissima  erasi  allontanato  per  recarsi  a  No- 

vara.  Non  affermerô,  taie  mossa  essere  stata  la  vera  causa 

délia  disfatta  degli  Italiani  al  23  marzo;  ma  furono  certa- 

mente  errori  assai  gravi  del  générale  polacco  lasciare  la 

via  di  ritratta  alla  base  délia  guerra  e  la  linea  strategica 

che  conducevalo  su  le  vie  di  comunicazione  del  nimico  col 

Mincio,  per  pigliar  quella  che  lo  menava  contra  la  fronte 

deile  militari   operazioni  del  maresciallo.  Già  lo  dissi,  e 

ridirlo  giova  sempre,  non  avère  Chrzanowski  saputo  ri- 

spondere  alFaudacia  degli  invasori  con  altrettanta  audacia, 

invadendo  la  Lombardia;  ciô  facendo  avrebbe,  in  parte 

almeno,  rimediato  all'errore  commesso,  scostandosi  dalla  sua 

base  di  guerra;  errore  sovente  cagione  di  disastri   e  che 

i  régi  duramente   scontarono  a  Novara.  Da  questa  città  e 

da  Pavia  gli  eserciti  guerreggianti  minacciavansi  a  vicenda 

la  linea  délie  loro  militari  operazioni  ;  chi  dunque  doveva 

vincere  se  eguali  erano  le  forze  combattenti?  quelle  invero 

che  superava  Tawersario  in  ardimento  e  in  tattico  sapere  : 


(1)  A  Josti  —  imo  dei  rappresentanti  délia  nazione  nel  Parlamenta 
Subalpine  —  glnnto  al  campo  del  Re  prima  délia  giomata  di  Novara 
con  lettera  dei  Ministri  per  accordarsi  con  Chrzanowski  snl  modo  di 
chiamare  aUe  armi  la  Lombardia,  il  générale  polacco  diceva  di  non 
<w2er  sapere  di  sollevazione ,  ne  di  sollevatû 


Digitized  by  VjOOQIC 


300  OAPITOLO  VI 


6  cosi  fa.  Gli  ordinamenti  degli  Italiani  per  la  giornata 
del  23  marzo  furono  buoni  ;  se  non  che,  avendo  il  genera- 
lissimo  fatta  deliberazione  di  tenersi  aile  difese,  Tesercito 
dovette  schierarsi  sopra  terreno  angusto  :  onde  non  gli  tu 
possibile  distendersi,  corne  richiedevanlo  il  numéro  e  la 
potenza  délie  sue  armi.  Da  capitano  prudente  avrebbe 
Chpzanowski  operato  se,  risoluto  di  conservare  ad  ogni 
costo  la  Bicocca  —  chiave  délie  sue  posture  —  memore 
del  caso  di  Mortara,  si  fosse  portato  piii  avanti  verso  il 
nimico  con  la  destra  délie  sue  ordinanze  ;  e  ciô  allô  intente 
di  mettere  dietro  ad  esse  largo  campo  per  evitare,  se  co- 
strette  a  indietreggiare,  il  loro  disordinarsi  e  confondersi; 
in  oltre,  se  non  avesse  esagerate  le  proporzioni  délia  ri- 
scossa,  che  compose  di  due  division!,  montre  sui  campi  di 
Novara  i  régi  ne  contarono  cinque  soltanto.  L*assalto  di 
D'Aspre  alla  forte  postura  délia  Bicocca  —  il  quale,  pii 
che  ardimentoso,  fu  temerario  —  sarebbe  tornato  esizia- 
lissimo  agli  Austriaci,  se  il  capitano  polacco  si  fosse  ga- 
gliardamente  comportato,  quando,  stanco  del  iungo  com- 
battere  e  assottigliate  sue  schiere  dal  fuoco  degli  Italiani, 
il  corpo  d'^esercito  D'Aspre  indietreggiava  perdendo  il  campo 
prima  conquistato.  Ne  sarebbe  stata  difficile  Impresa  per 
Chrzanowski  sbaragliare  gli  altri  corpi  d'esercito  del  ni- 
mico, i  quali,  non  insieme,  ma  successivamente  giunsero 
dinnanzi  a  Novara  per  rinfrescare  la  pugna  e  sostenere  la 
fortuna  pericolante  di  D*Aspre;  alla  cui  tenacità  e  fer- 
mezza  il  maresciallo  fu  debitore  délia  vittoria.  Questa  la 
causa  che  fece  perdere  ai  régi  il  vantaggio  tattico  di 
quella  giornata,  che  aile  tre  pomeridiane  era  tutto  par 
Ohrzanowski!  —  «  Quesfoggila vittoria  sarebbe  stata  dei 
nimici,  se  comandati  da  un  capitano  il  quale  avesse  sa- 
puto  vincere;  »  cosi  parlô  Cesare  a' suoi  luogotenenti  il 
giorno  in  cui,  superato  da  Pompeo,  non  aveva  il  vincitore 
saputo  proflttare  délia  vittoria,  »  —  «  Quest'oggi  sarebbe 
stata  nostra  la  vittoria,  se  il  générale  avesse  saputo  vin- 
cere;» avrebbero  gli  Italiani  potuto  dire  a  Novara,  i  quali 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA.   OIOBKATA   DI   KOYABA  301 

dopo  quattro  ore  di  fiera  pugna  avevano  guadagnato  il 

mntaggio  tattico  délia  giornata  !  —  Radetzky  seppe  allora 

bene  applicare  il  principio  délie  masse.  L'ostinata  resi- 

stenza  di  D'Aspre  ai  nimici  —  con  la  quale  esso  rimediô 

airerrore  di  un  precipitato  assalto  —  avendo  dato  tempo 

bastevolo  a  tutti  i  corpi  d'esercito,  persino  allariscossa,  di 

correre  sul  campo,  il  maresciallo,   fattane  la  massa,  andô 

con  questa  sopra  i  régi  e  li  oppresse  col  numéro.  —  Confu- 

sione  non  poca  regnô  nei  campi  dei  combattenti  a  Novara: 

durante  la  pugna  e  nelle  varie  sue  fasi  ^idorsireggimenti 

e  battaglioni,  e  dalla  parte  degli  Austriaci    porsino    corpi 

d'esercito,  operaro  con  vigore  e  senno,    e   governarsi    da 

se,  per  la  mancanza  d*ordini  dei  lord  supremi  comandanti. 

La  confusione  e  il  mancare  d'ordini   non  possono    perô 

scusare  il  capitano  délia  riscossa  dei  régi,  d'aver  lasciata 

impunita  l'imprudente  mossa  di  flanco,  fatta  quasi    a  git- 

tata  délie  sue  artiglierio,  dal  corpo   d'esercito   di  Thurn, 

quando,  valica  l'Agogna  —  corne  sopra  narraramo  —  scen- 

deva  sul  canipi  di  Novara  aile  spalle  délia  prima  divisione, 

quella  di  Durando,  allora  cho  stava  per  recarsi   in  aiuto 

ai  difensori  délia  Bicocca,  d'ogni  parte  invasa  dai  nimici. 

Perduta  per  gli  Italiani  era  la  giornata;  masarebbe  stato 

perduto  altresi  il  corpo  d'esercito  di  Thurn,  se  il  Duca  dl 

Savoia  con  l'impeto  e  col  valore  —  che  pochi  capitani  pos- 

sedettero  corne  lui,  e  forse  nessuno  in  grade  maggiore  — 

avesse  assalito  quelle  che  nel  suo  avanzarsi  avevagli  pre- 

sentato  il  fianco  sinistre  al  ferire  dell'avversario  ;  e  ben 

sapeva  il  Duca  non  potere  essere  ordinato  mai  alla  difesa, 

colui  che  cammina  per  fianco.   La  sconfitta  di  Thurn   a- 

vrebbe  forse  impedite  le  tregue,  certamente  migliorate  le 

condizioni  dei  régi,  vinti  bensi  alla  Bicocca,  ma  vincitori 

perô  su  l'Agogna;  e  qualora  fosse  stato  impossibile  conti- 

nuare  la  guerra,  a  patti  meno  duri  e  meno  umilianti    sa- 

i^ebbersi  formate  la  sospensione  délie  armi  da  prima  e  la 

pace  da  poi.  Se  a  Mortara  poco  si   obbedi,  non  avendo  il 

générale  Durando  fedelmente  mandate   a  effetto   quanto 


Digitized  by  VjOOQIC 


302  OAPITOLO   TI 


eragli  stato  con  molto  senno  comandato  da  Ghrzanowski, 
a  Novara  si  obbedi  troppo  scrupolosamente^  avvegnachè 
il  Duca  dl  Genova,  richiamato  a  Castellazzo  dal  generalisr 
simo,  lasciasse  Olengo,  ove  vittoriava  dei  nimici,  per  do- 
vere  i  prïncîpU  com'  egli  stesso  ebbe  a  dire,  dare  Vesempio 
cCuna  obbedienza  piena  e  intiera  ai  loro  capi.  —  Se 
Radetzky  fu  meritamente  censurato  per  avère,  alla  vigilia 
d'una  giornata  campale,  tolto  airesercito  dieci  mila  aomini 
par  rimpresa  di  Oasale,  censura  severissima  devesi  inflig- 
gère  a  Gbrzanowski,  il  quale,  sin  dal  cominciare  délia 
guerra,  ebbe  dimenticate  a  Casatisma  e  a  Parma  le  diyi- 
sioni  di  Ramoriao  e  di  Lamarmora;  e  lasciata  inoperosa 
a  Trecate  la  brigata  di  Solaroli,  mentre  egli  pugnava  e 
perdeva  a  Novara^  tutte  queste  forze  armate  —  da  veati- 
mila  uomini  —  erano  vinte  senza  aver  combattuto.  Napo- 
leone  ci  lasciô  scritto  nelle  sue  Massime  di  guerra;  = 
Allora  che  vuolsi  fare  la  giornata,  essere  regola  générale 
di  raccogliere  tutte  le  forze,  di  non  iscordarne  nessana. 
potendo  un  solo  battaglione  dare  qualche  voltala  vittoria.= 
Ghrzanowski  a  Novara  ne  ebbe  dimenticate  moltissime! 
Il  disastro  di  Novara  —  tremenda  sciagura  nazionale,  tor- 
nata  funestissima  all'Italia  —  pose  fine  alla  seconda  guem 
di  indipendenza;  guerra  di  quattro  giorni,  combattutasi  tra 
il  Po,  la  Sesia  e  il  Ticino.  Possiamo  affermare  altresl  la 
sconfitta  di  Novara  essore  stata  una  ben  meritata  poni- 
zione  dei  gravi  errori  commessi  dai  Governi  e  dai  gene- 
rali  in  due  anni  di  sollevazione  di  popolo  e  di  guerra  regia. 

Primo  dei  patti  délie  tregue  di  Novara  era  il  licenzia- 
mento  délia  divisione  lombarda  e  délie  légion!  ungaresee 
polacca,  militanti  sotto  le  bandiere  di  Sardegna.  Gosa  di 
poco  momento  fu  disciogliere  le  ultime,  perché  picciole  assai; 
non  facile  poi  disfare  quella  e  rimandarne  i  soldati  aile 
loro  case.  Recatasi  da  prima  a  Tortona  —  ove,  corne  scri- 
vemmo,  incontrossi  negli  oratori  genovesi  —  valicato 
TAppennino  per  Godiasco  e  Bobbio,  la  divisione  lombarda 


Digitized  by  VjOOQIC 


LA   OIOBKATA    DI   KQTABA  303 

scese  alla  Spezîa;  e  qui  fu  dai  commissari  del  Governo  li- 
cenziata.  Molli  de'suoi  soldati  —  tra  cui  Maaara  e  i  ber- 
saglieri  —  per  la  via  del  mare  portatisi  a  Civitavecchîa, 
presero  parte  alla  difesa  di  Roma,  nella  quale  comporta- 
l'ousi  Talorosamente  e  con  grande  onore  del  nome  lom- 
barde; gli  altri,  che  in  disagiate  barche,  poco  appresso, 
tcnaero  dietro  alla  prima  spedizione,  raggiunti  dalle  navi 
(la  gaerra  francesi  nelle  acque  di  Toscana  furono  oon 
modi  minacciosi  ricondotti  alla  Spezia.  Gli  artiglieri,  1 
quali,  rese  impraticabili  ai  loro  cannoni  le  vie  dalla  pioggia 
(iirottissima  caduta  di  quel  giorni,  non  avevano  potuto  se- 
guire  le  fanterie,  vennero  licenziati  in  Tortona;  perô  a  tren- 
tuno  di  essi  —  imbarcatisi  a  Genova  sopra  nave  mercatan- 
tesca  —  venne  dato  d'arrivare  felicemente  a  Oivitavecchia, 
da  dove  si  condussero  a  Roma  (1). 


(1)  In  quel  tomo  di  tempo  Biccardo  Sineo,  rappresentante  del  po- 
polo  al  Parlamento  Snbalpino,  in  nno  scritto:  Su  gli  ultimi  mesi  del 
regno  di  Carlo  Alberto ,  disse  cosi:  a  Le  ormi  dello  straniero  hanno 
nchjamato  in  fatto  il  regno  agli  antichi  snoi  limiti,  ed  anzi  alcnne 
délie  antiche  provincle  sono  occnpate  dairAostriaoo.  In  diiitto  esiste 
tnltavia  il  regno  dell'alta  Italia,  sintantochô  non  è  rivocato  con  un 
Atto  del  Parlamento.  Il  diiitto  deve  cedere  talvolta  al  fatto  ed  è  ci6 
che  è  affidato  alla  pmdenza  dei  reggitorL....  Prima  d'ora  si  ô  sciolta 
noa  délie  più  valorose  e  sicnre  divisioni  deU'esercito.  Si  sono  licenziati 
ed  anzi  espnlsl  in  grandissimo  numéro  eroici  soldati,  che  erano  disposti' 
t  Teisare  fino  all'altîma  goccia  il  sangne  per  l'indipendenza  del  paese, 
<&e  arevaH  ospitatL  Si  è  richiamata  la  flotta  dall'Adriatico.....  Tntto 
Q^  ai  è  £atto  in  esegoimento  d'nna  pace  non  ancora  conchinsa,  e  che, 
ttclie  eonchinsa,  non  pn5  essere  valida  e  irrevosabile,  se  non  ô  accet- 
*ita  dal  potere  législative.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


/^/^AAA^v^/v^A*^/SA/v^A/^A/^A•v^AA•^•^A/vv^^vvv^A^^ 


CAPITOIO  VII. 

Venezia    e   Ungaria. 


Moto  di  Como.  —  Bergamo;  missione  di  GamozzL  —  Brescia  lemis 
sa  Tanne;  le  dieci  giomate.  —  Contentezze  dei  Lombardo-Yeneû 
per  lo  indirsi  délia  nuova  gnerra.  —  Tormo  dopo  il  disastro  é 
Novara.  —  Venezia,  respinta  la  chiamata  di  resa,  prépara  le  r^ 
stenze.  Marghera.  —  Difesa  di  Marghera.  —  D  ponte  su  U  U- 
guna;  le  sne  batterie;  la  Commissione  mil! tare.  —  Il  27  gîngQ<^ 
e  la  batteria  Sant'Agostino.  —  Uscita  di  Brondolo;  la  carestia  e 
il  cholerormorbus ;  il  nimico  stringe  Tassedio  da  terra  e  à&mrt 
—  Le  pratiche  délia  resa;  il  21  agosto  Venezia,  ridotta  allô  estremo, 
s'arrende;  il  27  Manin,  Tommaseo  e  Pepe  lasciano  la  città.  —  1 
Magiari  ripigliano  le  ofFese;  HatTàn,  Tapi^-Bieske,  Isaszeg,  Xasr- 
Sarlô.  —  L'Ungaria  grida  sua  indipendenzadall'imperio;  g^ornata 
di  O'SzQny  ;  impresa  di  Buda.  —  Intenrento  armato  délia  Bn^âa; 
il  générale  Haynau.  —  Disobbedienza  di  GKîrgey.  —  I  Kiud  >îil  • 
Dannbio,  su  la  Theîss  e  in  Transilvania  ;  imprese  di  Bem.  —  J"?^' 
lachich  sconfitto  a  Hegyes  ;  ritratta  di  GQrgey. —  Kiss-Becskeret; 
Vilàgos  e  la  resa;  vittoria  di  Klapka;  fine  délia  gnerra;  renderte 
dell'Anstria. 


Alla  vigilîa  del  rompersi  délia  seconda  guerra  tra  la  Sar- 
degna  e  l'imperio,  Como,  libéra  di  soldatesche  austriache  (U 
senza  tumultuare  chiedeva  e  otteneva  le  armi  a  tutela  del- 


(1)  Ayeyanla  lasciata  sin  dal  18  marzo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENEZIA   B   rNOARIA  305 

l'ordine  interne.  I  cittadini,  già  da  più  giorni  preparati  a 
sollevarsi  contra  TAustria,  avevano  ricevuto  dal  Comîtato 
(îi  Toriûo  (1)  le  norme  opportune  a  governare  il  moto,  af- 
finchè  avesse  a  riescire  efficace  allô  scopo  desiderato,  di 
molestar  cioè  senza  posa  il  nimico  aile  spalle,  allora  che 
troverebbesi  con  tutte  le  sue  forze  armate  aile  prese  coi 
Sardi  sul  Ticino.  Le  novelle  délia  guerra  pervenute  in 
Como  il  22  marzo,  incerte  e  contraddittorie  tanto  da  infer- 
marsi  Tune  l'altre,  avevano  grandemente  commosso  il  po- 
polo;  il  quale  non  sarebbesi  levato  in  su  l'arme,  se  non 
l'avessero  indotto  a  ciô  le  parole,  quasi  imperatorie,  d'un 
manifeste,  parole  che  suonavan  cosi:   «  Vol  siete  posti  a 

<  sentinella  del  racquisto  délia  nostra  libertà  ;  dunque 
«  ripuliie  le  armi  e  attentl,  o  fratelli.  Al  segnale  délia 
«  vicinissima  pugna,  non  prima  —  tenetela  ben  fissa  nella 

<  mente  questa  parola  —  deponete  dagli  animi  vostri  la 

«  pietà  verso  i  nimici »   Gabriele   Camozzi  —  in  quel 

mezzo  arrivato  dal  Piemonte  con  armi  avute  dal  Governo 
subalpine,  ^er  essere  distribuite  aile  popolazioni  dell'alta 
Lombardia  in  ragione  délia  militare  importanza  délie  loro 
terre  —  instituiva  in  Como  un  Comitato,  che  avesse  a  pro- 
rauovere  la  soUevazione  e  a  prowedere  sollecitamente  aile 
'lifese;  Comitato  il  quale  agli  abitanti  délia  città  e  sua  pro- 
vincia  annunciavasi  cosi:  «  L'esercito  italiano  ha  passato  il 
Ticino.  —  A  voi  era  stata  promessa  la  guerra,  e  voi,  barba- 
ramente  spogliati  e  assassinati  dall'Austriaco,  con  ansia  mor- 
tale  tendevate  l'orecchio  verso  il  Piemonte  in  aspettazione 
«iel  rimbombare  del  cannone  liberatore,  e  il  nostro  cannone 


(1)  Gi&  da  tempo  esisteva  in  Torino  un  Comitato  ^  il  quale  aveva 
per  intento  di  preparare  nn  sollevamento  générale  délie  popolazioni 
tombardo-venete  per  qnando  la  Saidegna  nscirebbe  a  nnova  guerra 
contra  rAustria.  Aiutavanlo  nel  lavoro  preparatorio  alcuni  Sotto-Co- 
miiati  istitniti  in  diverse  città  di  Lombardia,  i  quali  dovevano  poi 
ingère  i  mot!  giusta  gli  ordini  che  lor  verrebbero  da  quel  di  Torino, 
ivente  sua  sede  nelle  stesse  aule  del  palazzo  del  Governo. 

«0  —  Vol.  n.  Marianx  —  l^oria  pol.  e  mH» 


Digitized  by  VjOOQIC 


306  CAPITOLO    VII 


già  vi  tuona  trionfante  con  la  terribile  sua  voce.  H  giorno 
20  corrente  Carlo  Alberto,  con  al  fianco  il  generalisimo 
Chrzanowski,  aile  ore  dieci  antimeridiane,  fra  gli  applausi 
e  gli  augîiri  di  quel  popolo  e  di  quei  soldati,  muoveva  da 
Novara  a  Trecate,  e  sîibito  dopo  il  mezzodi,  appena  spirato 
l'armistizio,  Tesercito  vendicatore  metteva  il  piede  sul  no- 
stro  suolo,  che  se  noi  saremo  uomini  divehterà  alla  fine 
sacro  e  indipendente  :  la  vittoria  arrise  aile  nostre  armi. 
e  il  nimico  dovette  già  cedere  al  valore  dell'esercito  no- 
stro.  Abitanti  délia  città  e  provincia  di  Oomo  î  L'ora  fatale 
per  noi  è  suonata;  il  Governo  délia  violenza,  l'abborrito 
Austriaco  ha  lasciato  queste  terre  non  sue.  Voi  avete  armi, 
condottieri  e  mezzi  d'ogni  sorta  a  perseguirlo  e  impedire 
ch'egli  ritorni  a  insozzare  le  ridenti  vostre  contrade  ;  ma 
ricordatevi  una  volta,  che  la  libertà  è  dura  a  conseguirsL 
e  che  nessun  popolo  è  veramente  popolo  su  la  terra,  se  non 
sa  impugnare  e  trattare  le  armi....  »  (1).  —  Queste  parole 
infiammarono  vie  piii  gli  animi  dei  Comaschi,  già  ardenti 
per  la  guerra;  i  quali  d'ogni  parte  délia  provincia  cor- 
sero  numerosi  alla  città,  facendovi  viva  istanza  d'essere 
condotti  sollecitamente  contra  il  nimico;  ma  Francesco 
Giovio  —  che  presiedeva  al  suprême  Maestrato  dei  citta- 
dini  —  avversissimo  a  quelle  rimostranze  bellicose,  pur  ri- 
spettando  gli  accorsî  al  supposto  Usogno  —  corne  egli  stesso 
ebbe  a  dire  —  rimandoUi  aile  loro  case  (2)  ;  fatto  questo 
che  învalidô  gli  sforzi  dei  Comitaio,  e  spense  raolto  di  quel- 


(1)  Taie  manifesto,  sottoscritto  da  Giorgio  Baimonâi  e  da  Pietr* 
Nessi,  fa  pnbblicato  in  Como  il  24  marzo  1849. 

(2)  n  28  marzo  di  qneli'anno  1849,  dei  conte  Francesco  Giovio,  im- 
periale  e  regio  deUgato  di  Como,  il  maresciallo  Radetzky  sGrivera 

qnanto  segue  :  « non  si  saprebbe  corne  fare  elogi  al  coraggk 

civile,  alla  fermezza  e  prudenza  con  la  qnale  ha  sempre  opeiato  3 
conte  Giovio  nella  sua  qnalità  di  présidente  délia  Commissione  mnni- 
cipale  di  qnesta  città.  »  Le  qnali  parole  di  elogio  ci  fanno  conoaceie, 
essersi  il  conte  Giovio  cnrato  solamente  degli  interessi  dell'Anstm, 
poco  0  nnlla  délia  libertà  patria. 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENBZIA  E   UNOABIA  307 

l'entusiasmo,  di  cui  tanto  abbisognano  le  guerre  naâonali. 
Le  lettere  arrivate  il  24  da  Gallarate  apportavano  liete 
novelle  dal  campo.  =  Gli  Austriaci,   cosi  dicevano,  dopo 
arere  due  volte  teutato  Novara,  trovarsi  allora  in  perico- 
losecondizioni;  ayvegaachè  le  armi  di  Sardegnà  impedish 
ser  loro  lo  indietreggiare  verso  il  Ticino,  e  a  grossa  schiera 
d'imperiali  avessero  levata  ogni  via  alla  ritratta.  =  Il  Muni- 
cipio,  che  pur  deve  fare  qualche  cosa,  décréta  l'ordina- 
raento  délie  Guardie  NazionalU- cm  vuole  affidata  la  tu- 
kla  delVordine  jpubUico  e  délia  sicurezza  interna  délia 
cittày  che  perô  nessuno  minaccia  turbare-  Combattuto  da 
coloro,  che  aveano  il  dovere  di  sostenerlo  e  aiutarlo  nella 
sua  missione,  il  Comitato  di  difesa  il  26  di  quel  mese  di 
raarzo  risegnava  il  proprio  officie.  Nello  accomiatarsi  dai 
jiuoi  concittadini  diceva  di  essere  costretto  a  ciô  fare,  per- 
ché impedito  di  liberamente  operare;  ritenersi  perô  mal- 
levadore  degli  atti  da  esso  compiuti. — Saputasi  taie  rinunzia 
in  sul  mezzogiorno  del  27,  il  popolo,  raccoltosi  numeroso 
al  Lîceo  per  provvedere  alla  bisogna,  délibéra  doversi  chie- 
dere  al  Munîcipio  la  creazione  d'un  Governo  temporaneo, 
il  quale,  nel  prendere  la  somma  délie  cose  pubUiche  délia 
città  e  provinda  di  Com^,  abMa  a  gagliarda7nente  coor 
diuvare  alla  cai^sa  per  la  qiuzle  si  combatte  sul  Ticino. 
In  quella  giugne  un  cittadino  ad  annunciare  il  disastro  di 
Novara  e  le  tregue  fermate  dai  guerreggianti;  il  popolo, 
fortemente  commosso  da  si  infausta  novella,  chiede  armi 
per  difendere  se  e  soccorrere  a  Bergamo  e  a  Brescia,  che 
sa  minacciate  dal  nimico.  A  tali   generosi   propositi  s'op- 
pongono  i  partigiani  deirAustria,  i  quali,  fidato  aile  Ghuardie 
Nazionali  —  composte  di  probe  persone  -—  il  carico  di 
respingere  le  bande  armate  che  dalla  campagna  tentassero 
introdursi  nella  città,  consigliano  ai  Comaschi  d'attendere 
Tesito  délia  guerra,  che  arde  sul  Ticino,  la  quale  deve  ri- 
solvere  la  contrastata  sorte  délie  provincie  lombarde,  e 
di  continuare  ad  essere  fedeli  osservatori  délie  leggi  che 
11  reggono,  in  pari  tempo  confidando  nello  zelo  del  savio 


Digitized  by  VjOOQIC 


308  CAPITOLO  VII 


lor  Maestrato  e  nel  senno  de'  suoi  consiglieri.  —  È  il  29 
marzo.  La  novella,  con  mala  arte  sparsa  per  Gomo,  d'una 
vittoria  délie  armi  italiane  su  le  imperiali  e  dello  indin- 
treggiare  di  queste  al  Mincio,  caccîa  nella  massima  confii- 
sione  glî  abitanti,  perô  che  molti  di  essi,  certiasimi  délia 
falsità  di  taie  notizîa,  si  sforzassero  d'impedire  una  solle- 
vazione,  già  minacciante  di  prorompere;  e  alcuni  al  tri, 
che  ritenevano  vera,  perché  tanto  desiderata,  la  vittoria 
deiresercito  régie,  si  maneggiassero  a  levare  i  cittadini  in 
su  rarme  :  onde  questi,  da  timori  e  speranze  agitati,  pieai 
di  incertezze  non  sapevano  a  quai  partito  appigliarsi;  e  i 
momenti  correvano  supremi.  Montre  pochi  animosi,  dopo 
avère  corsa  la  città  per  chiamarla  aile  armi,  riunivansi  a 
moltissimi  del  popolo  In  su  la  piazza  di  porta  Torre  per 
eleggere  un  Comitato  di  difesa,  arrestavasi  un  coinmissarîi> 
austriaco,  certo  Mader,  dal  quale  e  da  alcune  lettere  pi- 
gliate  per  sorpresa  venivansi  a  conoscere  i  tristi  casi  délia 
guerra!  Tutto  era  finito!  poche  ore  appresso  gli  imperiali 
rioccupavano  Como  ;  dei  cittadini,  che  avevano  avuto  part*» 
al  moto,  i  piii  esularono;  non  pochi  patirono  prigîonia; 
alcuni,  la  morte. 

n  20  marzo  una  schiera  di  cencînquanta  armati  lombanîi 
entrata  nel  lago  Maggiore  ad  Arona  e  scesa  in  brève  ora 
su  la  spiaggia  d'Angera,  camminava  sopra  Gavirate,  ove 
giugneva  il  mattlno  del  di  seguente.  Guidavala  Gabriel»^ 
Camozzi;  il  quale,  imbarcati  parimenti  ad  Arona  per  La- 
veno  cinquemila  e  cinquecento  schioppi  datigli  dal  Govemo 
sardo  per  li  sollevati  dell'alta  Lombardia,  doveva  ripigliarli 
a  Gavirate,  e  senza  por  tempo  in  mezzo  recasi  a  Varese, 
a  Como,  a  Lecco,  a  Bergamo  e  a  Brescia  —  punto  strate- 
gico  délia  sollevazione  —  instituendo  dovunque  Comitati 
di  difesa;  e,  opérande  aile  spalle  e  contra  il  fianco  destro 
degli  Austriaci,  armare  le  popolazioni  délie  montagne  per 
molestare  con  esse  il  nimico  nel  suo  avanzarsi  verso  il 
Ticino,  divertirne  Tattenzione  e  le  forze,  montre  i  régi  com- 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENEZIA  S   TTNOABIA  309 

batterebberlo  di  fronte  :  questa  la  missione  di  Camozzi,  che 
a  nessuûo  migliore  di  lui  potevasi  affldare,  e  che  egli  as- 
sunse  in  nome  délia  Sardegna  (1).  Da  Gavirate  andô  con 
sua  banda  a  Varese  e,  dopo  avervi  instituito  un  Comitato 
e  date  a  questo  da  quattrocento  scbioppi,  portossi  a  Como  ; 
ove  appena  giunto  —  e  fu  in  sul  cadere  del  22  marzo  — 
intese  alla  costituzione  di  un  Comitato  promovitore  di  sol- 
levazione.  Fatto  accorto,  come  opéra  efficace  ad  essa  si 
potesse  dare  solamente  da  un  Commissario  del  Governo 
sardo,  soUecito  chiedevalo  a  Torino.  Lasciati  in  Como  du- 
gonto  schioppi,  il  23  entrava  in  lago  con  sue  genti,  armi 
e  munizioni  di  guerra,  e  il  mattino  del  giorno  appresso 
scendeva  a  Lecco;  ordinatevi  le  Ouardie  Nazionali  e  prov- 
vedutele  di  cencinquanto  schioppi,  afTorzata  sua  schiera 
di  cento  volontari  lecchesi  e  rimessosi  in  cammino  entrava 
in  quel  di  Bergamo.  Il  di  vegnente,  25  marzo,  occupava 
questa  città,  la  cui  rôcca  munita  d*alquanti  cannoni  e  di 
mortai,  e  presidiata  da  più  di  trecento  imperiali,  era  stretta 
d'assedio  dai  cittadini;  che,  poco  dopo  l'arrivare  di  Camozzi, 
con  lo  aiuto  degli  accorsi  dalle  circostanti  valli  e  dalle 
vicine  montagne,  prendevano  a  trarre  contra  i  nimici,  I 
quali  rispondevano  con  le  artiglierie.  Il  giorno  appresso, 
visto  non  potere  ottener  vantaggio  veruno  senza  l'aiuto 
di  cannoni,  Gabriele  Camozzi  sospese  le  armi  per  istringere 
piii  da  vicino  la  rôcca;  al  quale  intente  asserragliô  le  vie 
coaducenti  a  quella,  in  pari  tempo  creando  un  Comitato 
per  la  difesa  e  le  oflfese;  indi  mandô  a  chiedere  al  Governo 
di  Torino  délie  artiglierie  per  espugnare  la  rôcca.  Le  cose 
erano  bene   avviate  e  l'entusiasmo  sempre  crescente  nei 


(1)  Gabriele  Camozzi  fàceva  parte  délia  Commi»9ioi%e  dei  lavori  stch 
tistiei,  che  inuanzi  IL  cadere  del  1848  era  stata  instituita  dal  ministro 
PîaellL  Scopo  di  essa  era  di  raccogliere  i  mezzi  opportun!  a  promno- 
Tere  la  soUevazione  armata  nelle  provinde  lombardo-venete,  e  fomire 
Ai  Ministro  sopra  le  armi  le  notizie  di  quelle  provincie  che  potevano 
tornare  util!  ai  preparamenti  délia  nuova  guerra. 


Digitized  by  VjOOQIC 


310  CAPiTOLo  vn 


cittadini  era  promettitore  di  felici  risultamenti,  allora  che 
a  mezzo  il  27  marzo  arrivava  lettera  d'Arona  portatrice 
délia  notizia  délia  rotta  di  Novara  (1).  Camozzi,  il  quale 
crede  potersi  la  perdita  di  una  giornata  vendicare  con  una 
vinta,  e  che  la  destra  deiresercito  italiano  puô  sul  Ticino 
e  STil  Po  riparare  al  maie  operato  dalla  sinistra  sotto  le 
mura  di  Novara,  délibéra  di  tenersî  in  Bergamo,  da  dore 
puô  promuovere  e  bene  ordiuare  la  soUevazione  deU'alta 
Lombardia.  Se  non  che,  continuando  a  ricevere  notizie 
sconfortanti  délie  faccende  délia  guerra,  e  nella  notte  del 
29  al  30  marzo  saputo  dello  awicinarsi  alla  città  di  duemila 
e  cinquecento  Austriaci,  nella  speranza  di  poter  fare  lunga 
e  valida  resistenza  in  Brescia  —  cui  aveva  già  spedito  aiuto 
d'armi  o  di  armati  —  risolveva  recarvisi  con  quanti  ani- 
mosi  volessero  seguirlo.  In  fatto,  il  mattino  del  30  mosse 
con  grossa  schiera  d*armati  alla  volta  di  Brescia,  e  poco 
dopo  il  mezzodi  del  primo  aprile  recatisi  in  mano  i  passi 
del  Mella,  il  ponte  délie  Grotte  e  di  San  Giovanni  tenuti 
dai  nimici,  pervenne  ai  coUi  che  si  alzano  presse  qnella 
città.  Awertito  poscia,  avanzarsi  da  Ospedaletto,  Chiari  e 
Palazzolo  forti  prese  d' Austriaci,  Camozzi  riuniva  sue  genti 
nei  dintorni  di  Ponte  délie  Grotte  9  di  Torricella,  Quivi  a 
notte  innoltrata  era  improvvisamente  assalito  dai  nimici, 
i  quali  col  favore  délie  ténèbre  avevano  potuto,  non  visti, 
awicinarsi  a'  suoi  campi.  AU'assalto  vigorosamente  dato, 
i  volontari  lombard!  opposero  gagliarda  difesa:  onde  gli 
Austriaci  furono  costretti  a  dirtreggiare.  In  sul  mattino  del 
nuovo  giorno,  veduta  sventolare  sul  castello  di  Brescia  la 


(1)  Era  lettera  di  ToieUi,  U  qnale  il  25  marzo  da  Arona  scriveya  a 
Camozzi  cosi:  u  Ora,  caro  amico,  non  ci  resta  piû  nolla  a  fiare,  raa 
tntto  pel  fatnro;  poichô  sono  lontano  dai  dispeiare  délia  causa  ita- 
liana.....  conviene  far  rîpassare  i  conôni  agi!  schioppi,  e  mandarli,  se 
ô  possibile,  a  Cannero,  altrimenti  andranno  nelle  mani  del  nimico. 
Addio,  mio  caro;  sono  occnpatissimo  e  non  ho  tempo  di  tratteneimi 
piû  oltre.  n 


I 


Di^itized  by  VjOOQIC 


VBNSZIA   X   UNOABIA  311 


bandiera  bianca  e  saputo  délia  resa  délia  città,  Camozzi, 
reputando  inutile  ogni  ulteriore  resistenza  —  molto  piîi  che 
andavano  confermandosi  le  novelle  délie  tregue  di  Novara 
—  toltosi  giù  dalla  impresa,  retrocedeva  verso  Iseo,  e  qui 
giunto  licenziava  sue  genti.  Cosi  ebbe  fine  la  missione  di 
Gabriele  Camozzi  ;  e  in  Lombardia,  tutta  ritornata  sotte  il 
dominio  di  casa  d'Austria,  cosi  posô  la  seconda  guerra 
délia  indipendenza  italiana  !  Allora  gli  impeViali,  cbe  ave- 
vano  combattuto  sul  Ticino,  portavansi  su  le  lagune  ad 
oppugnare  Venezia,  la  quale  con  somme  sue  onoro  e  con 
onore  dell'Italia  altresi  —  perô  cbe  tra  i  difensori  di  quella 
strenuissima  città  si  trovassero  figli  d'ogni  parte  délia  pe- 
nisola—  resisteva  tuttavia  e  vittoriosamente  aile  nimiche 
armi  assediatrici. 

All'annunzio  del  disdire  délie  tregue  di  Milano  e  dello 
scendere  di  Sardegna  armata  contra  l'Austria,  Brescia 
rlempissi  di  gioia  e  preparossi  ad  aiutare  l'impresa  del- 
Tesercito  liberatore,  pigliando  le  armi  per  minacciare  aile 
spalle  i  nimici  délia  patria.  Pieni  d'ira  per  le  atrocità  e 
gli  insulti  di  Appel  e  del  ferocissimo  Haynau  patiti  durante 
il  yemo^  i  Bresciani  jsalutarono  con  entusiasmo  il  ripren- 
dersi  délie  ostilità,  sperando  avrebberli  condotti  a  indi- 
pendenza e  libertà.  n  16  marzo,  messe  a  presidiare  il 
castello  da  cinquecento  soldati,  il  luogotenente  maresciallo 
Appel,  col  reste  di  sue  genti,  camminava  sopra  Milano, 
lasciando  negli  ospedali  militari  délia  città  settecento  dei 
suoi  ammalati.  Se  tutti  i  Bresciani  erano  preparati  a  sol- 
levarsi  al  grido  di  guerra  cbe  stava  per  alzarsi  sul  Ticino, 
discordanti  perô  erano  tra  essi  su  la  opportunità  del  tempo  ; 
dai  più  prudenti  volendosi  cbe  si  venisse  alla  presa  délie 
armi  quando  si  conoscessero  le  prime  mosse  e  la  prima 
vittoria  dei  régi;  ma  dai  piii  ardimentosi,  cbe  senza  por 
tempo  in  mezzo  si  assaltasse  e  si  espugnasse  il  castello, 
minacciante  sempre  danni  e  rovine  alla  loro  terra.  Dai 
subito  prorompere  li  r atténue  "Giovanni  Zambelli  —  il  capo 


Digitized  by  VjOOQIC 


312  CAPITOLO  VII 


del  supremo  Maestrato  dei  cittadinl  —  cui  Appel,  partendo, 
aveva  dato  il  carico  di  conserrar  Brescia,  con  raiuto  délie 
genti  d'armi  lasciategli,  in  fede  aU'imperio.  Già  inviso  alla 
popolazione  e  allora  venutole  in  odio  per  le  dissennate 
parole  scritte  in  un  manifeste  alla  città,  Zambelli  faceva 
rinunzia  al  suo  officio.  Surrogavalo  l'avvocato  SaJeri,  la 
cui  provata  onestà  e  i  cui  sensi  generosi,  ai  quali  erasi 
sempre  inspirato,  e  il  preclaro  ingegno  avevanlo  fatto 
amare  daU'universale.  A  proteggere  l'ordine  pubblico  — 
che  in  quel  momenti  di  forte  commozione  avrebbe  potato 
facilmente  essere  turbato  —  Saleri  chiamava  con  istanza 
al  comandante  del  castello  la  istituzione  d'una  goardia 
cittadina;  e  il  comandante  austriaco  gliela  concedeva 
promettendo  per  lo  armamento  di  essa  quattrocento  scia- 
bole,  ridotte  poi  a  sole  quaranta.  In  questo  mezzo  il  Co 
mitato  aveva  raccolto  sui  vicini  colli  signoreggianti  la 
città  da  trecento  uomini,  provveduti  d'armi  col  danaro 
pervenutogli  da  Torino  (1).  L'apparire  di  taie  banda  inco- 
raggiô  i  Bresciani  a  pronta  soUevazione,  alla  quale  vie 
piii  li  spinsero  le  esorbitanti  pretonsioni  del  comandante 
austriaco,  che  il  23  marzo  cMese  al  Municipio  la  restante 
parte  d'una  grossa  multa  —  pep  tre  quarti  sborsata  già  — 
nel  passato  inverno  da  Haynau  stata  imposta  alla  eittà  in 
punizione  dei  sentiment!  ostili  al  Governo  impériale  da  essa 
francamente  e  più  volte  manifestati.  Saputa  la  quale  cosa. 
il  popolo  corse  tumultuante  al  Municipio,  non  solamente  a 
protestare  contra  il  soddisfarsi  di  si  ingiusta  imposizione(2), 
ma  eziandio  a  invitare  il  supremo  Maestrato  a  non  fornire  piii 
di  vettovaglie  il  presidio  del  castello.  Mentre  ciô  accadeva, 
il  comandante  militare  délia  città,  recatosi  al  Municipio 


(1)  La  prima  banda  armata,  che  apparve  sui  colli  bresciani,  era  goi- 
data  dal  parroco  Pletro  Boissava,  nel  quale  al  cnlto  del  Signore  Iddio 
andava  compagno  quello  délia  patria. 

(2)  Ai  ladri  pi&mbo,  non  oro!  gridayano  i  Bresciani  minacciosamente 
contra  gli  Anstriaci. 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENEZIA   B    UNOABIA  313 

per  quel  danaro,  veniva  fatto  prigioniero  dal  popolo  e  tratto 
fuor  di  Brescia,  proprio  allora  in  cui  una  mano  di  auda- 
cissimi  cittadiai  impadronivasi  di  alcuai  carri  di  munizioni, 
di  viveri  e  di  buona  parte  délia  scorta.  la  quella  giugae- 
vaiio  dal  Piemonte  Martiaengo,  Maffei  e  Borghetti  appor- 
tatori  di  fauste  novelle:  =  La  guerra,  narravano  essî, 
volgere  a  bene;  Tesercito  Sardo,  riunito  presso  la  Gava, 
aver  sorpreso  e  fatto  strage  degli  Austriaci  usciti  di  Pavia 
—  e  ciô  era  falso;  —  una  schiera  di  régi,  superato  il 
Ticino  a  Boflfalora  tenere  Magenta  —  e  cià  era  vero,  ma 
appena  in  parte;  —  onde  essere  lecito  sperare  che  il  re 
Carlo  Alberto  già  campeggiasse  Milano;  Gabriele  Camozzi 
trovarsi  dinnanzi  a  Bergamo  con  moite  bande  armate;  e 
il  Comitato  di  Torino  avère  spediti  in  Lombardia  sette  mila 
schioppi,  dei  quali  due  mila  per  Brescia.  —  A  tali  novelle 
crebbe  si  fattamente  lo  entusiasmo  per  la  guerra  nel  po- 
polo, che,  quando  il  nimico  prese  a  trarre  dal  castello  con 
ie  artiglierie  —  e  f u  nel  mezzo  délia  notte  23  marzo  —  î 
cittadini,  risoluti  di  rispondere  alla  offesa  con  Toffesa,  cor- 
revano  al  Municipio  in  cerca  d'armi;  non  trovandone, 
perô  che  non  fossero  ancora  arrivate  quelle  attese  da 
Torino,  la  mattina  vegnente  irrompevano  negli  ospedali 
militari  e  vi  pigliavano  le  poche  dei  soldati,  ivi  giacenti 
infermi.  Intanto  il  cittadino  Sangervasio  —  surrogato  a 
Saleri,  a  letto  per  una  caduta  —  chiamava  a  comporre  un 
Comitato  di  difesa  Tingegnere  Oontratti  e  il  dottore  Cas- 
sola; i  quali  sollecitamente  spedivan  fuora  dei  commissari 
a  raccogliere  armati,  e  in  pari  tempo  nominavano  Gom- 
missioni  per  Tordinamento  di  guardie  cittadine,  per  la 
compera  d'armi  e  munizioni.  Il  25^  in  un  manifesto  agli 
abitanti,  invocato  da  prima  l'aiuto  di  coloro  che  avevano 
dato  chiare  prove  d'amor  patrio,  invitavano  quelli  che 
possedevano  armi,  a  scriversî  negli  ordini  délie  Guardie 
^azionalî.  €  Nessun  privato  interesse,  cosi  diceva  il  Go- 
mitato,  nessun  timoré  poterli  trattenere  daU'accorrere  alla 
chiamata;  acquisterebbe  infamia  chi  negasse  Topera  propria 


Digitized  by  VjOOQIC 


314  CAPITOLO   VII 


in  momenti  tanto  decisivi  per  la  salute  délia  patria.  > 
Le  vie  délia  città  chiudevansi  poscia  con  forti  serragli:e 
parimenti  munîvansi  di  serragli  le  porte  délia  città;  i 
quali,  nel  rendere  più  valida  la  difesa,  accrescevano  0 
coraggio  nei  cittadini  per  la  lotta,  chô  avevano  risoluto 
di  sostenere  sino  allô  ostremo,  lotta  tanto  disuguale  per 
numéro  e  potenza  di  armi.  Il  mattino  del  26  il  Comitato, 
avvertito  dello  avvicinarsi  d'una  schiera  nimica  —  due 
battaglioni  di  fanti,  due  cannoni  e  un  drappello  di  caval- 
leggieri  —  spediva  a  Nugent,  che  la  capitanava,  tre  citta- 
dini per  chiedergli  gli  intendimenti  suoi;  eil  générale  ri- 
spondeva:  ~  Voler  che  Brescia,  distrutti  i  serragli  chêne 
sbarravan  le  vie,  e  posate  le  armi,  gli  si  arrendesse  a 
discrezione.  =  Respinta  taie  ingiuriosa  proposta,  Nugent 
venne  sopra  la  città;  allora  .cominciô  il  badaluccare  con 
le  bande  scese  contra  lui  dai  vicini  coUi;  le  quali  pero, 
sopraffatte  dal  numéro  degli  Austriaci,  dopo  brève  zuffa, 
tornavano  ai  loro  campi  ad  aspettarvi  gli  aiuti  promessi 
e  impazientemente  attesi  dal  Comitato  di  Torino.  In  Brescia 
il  suonare  a  stormo  délie  campane,  nello  awertire  il  popolo 
dello  appressarsi  dei  nimici  e  nel  chiamarlo  aile  difese 
minacciate,  grandemente  infiammavalo  di  nuovo  ardore 
di  guerra. 

Erano  le  due  pomeridiane  del  27,  quando  Nugent  —  che 
poco  innanzi  aveva  ricevuto  sussidio  di  genti  e  di  cannoni 
—  assaltava  porta  Torrelunga  con  quattro  mila  fenti  e 
cinque  artiglierie,  e  dal  castello  fulminava  la  città,  pren- 
dendo  persino  di  mira  e  bene  imberciando  Tospedale;  la 
quale  cosa,  contraria  agli  usi  di  guerra  di  nazione  civile, 
induceva  il  Comitato  di  difesa  ad  awertire  il  comandante 
del  castello,  che  metterebbe  a  morte  dieci  soldati  —  dei 
taati  che  aveva  in  sua  mano  —  per  ogni  bomba  fosse 
ancora  per  cadere  sul  nosocomio  cittadino;  il  quale  d*allora 
fu  rispettato.  Allô  scendere  del  giorno  Nugent  riedè  a'  suoi 
campi  di  Santa  Eufemia,  ma  i  Bresciani  non  per  questo 
allontanaronsi  dalle  loro  difese  per  timoré  di  sorpresa 


Digitized  by  VjOOQIC 


YBNEZIA  X  X7NOABIA  315 

nimica  o  di  improvviso  assalto.  Nel  combattimento  del  27, 
che  dupô  quattro  ore,  i  difensori  patirono  lievissime  per- 
dite;  gravi,  quelle  degli  assalitori.  Nella  sera  del  di  se- 
guente  un  pugiio  d'animosi,  guidati  da  Speri,  usciva  di 
porta  Torrelunga  fiancheggiato  a  sinistra  dalle  bande 
campeggianti  i  vicini  colli;  incontrata  presse  San  Fran- 
cesco  di  Paola  una  grossa  presa  d'iraperiali,  con  grande 
impeto  l'affrontava.  La  zuffa,  rabblosamente  fiera,  non  potè 
durare  a  lungo;  avregnachè  i  Bresciani,  per  non  venire 
a  mano  del  nimico,  il  quale  con  forze  preponderanti  di- 
molto  tentava  accerchiarli,  dovessero  presto  indietreggiaro, 
lasciando  sul  terreno  alcuni  dei  loro  morti  o  feriti,  e 
cinque  prigionieri  degli  Austriaci.  —  Il  28  arrivavano  in 
città  le  novelle  dei  tristi  casi  di  Novara,  non  tutte  vere, 
non  tutte  false;  dicevano  esse,  che  Carlo  Alberto,  vinto 
non  per  valore  dei  nimici,  sibbene  per  tradigione  de'  suoi, 
aveva  abdicata  la  corona  in  favore  del  Duca  di  Savoia, 
dal  quale  era  stata  siibito  fermata  una  tregua  con  Radetzky  ; 
ma  il  Parlamento  Subalpine,  gridata  la  decadenza  di  casa 
Sabauda  dal  trono,  aveva  croate  Chrzanowski  dittatore  e 
comandante  suprême  délie  armi  di  Sardegna  ;  il  quale  poi, 
purgato  l'esercito  dai  traditori,  rotte  le  tregue  e  tornato 
aile  oflfese,  aveva  vittoriosamente  combattuto  il  25  e  26  di 
quel  mese  di  marzo,  e  costretto  il  maresciallo  a  ripararsi 
dietro  l'Adige.  —  In  quel  giorno  medesimo,  28  marzo,  da 
alcune  lettere  di  Radetzky,  pigliate  per  sorpresa,  seppesi 
dell'abdicazione  di  Carlo  Alberto  e  délia  sospensione  d'armi 
sottoscritta  da  Vittorio  Emanuele  e  dal  maresciallo.  In  tanto 
contraddirsi  di  notizie  si  gravi  il  Comîtato  di  dîfesa,  pîu 
inchino  a  repubblica  che  a  monarchia,  in  un  manifeste  ai 
cittadini,  pubblicato  il  giorno  appresso,  parlava  cosi:  = 
Sine  a  quel  di  essersi  curato  délia  guerra  sol  tanto,  nulla 
délie  quistioni  politiche,  che  agitavano  Tltalia;  ma  i  casi 
di  Novara  avendo  tolto  il  vélo  del  dubbîo  e  fatta  conoscere 
la  verità,  senza  esitazione  chiamando  traditore  Carlo  Al- 
berto acclamava  Chrzanowski  lîberatore  d'Italla.  Il  quale, 


Digitized  by  VjOOQIC 


316  CAPiTOLO  vn 


ripresa  la  guerra  dal  Re  posata  a  Novara,  aveva  combat- 
tuto  con  vantaggio  taie  gli  Austriaci  da  costringerli  a 
ritrarsi  alFAdige  e  a  cedergli,  in  virtù  di  patti  fermati 
con  lui  le  fortezze  di  Mantova  e  Peschiera.  «  Bresciani, 
cosi  il  Gomitato,  se  questa  vittoria  ci  assicura  già  la  indî- 
pendenza,  nessuno  per  qualche  giorno  ci  puô  salvare  dalla 
vendetta  del  Croato,  tranne  il  vostro  valore.  Probabilmente 
saremo  presto  assaliti  dal  nimico,  perô  inferiore  a  noi  di 
numéro;  e  sebbene  egli  abbia  il  vantaggio  délie  bombe, 
noi  abbiamo  quelle  del  coraggio  e  délia  santità  délia  nostra 
causa.  »  —  Buona  parte  dei  cittadini,  cui  il  mal  governo 
délia  passata  guerra  aveva  spento  la  fede  un  di  riposta 
piena  e  intiera  nel  re  Carlo  Alberto,  ritenuto  questi  tra- 
ditore,  acclamava  la  repubblica;  da  quel  giorno  i  Bresciani 
andarono  contra  i  nimici  con  bandiera  rossa,  in  Italia 
simboleggiante  Governo  di  Popolo.  Nugent,  che  il  27  aveva 
con  suo  danno  assaggiato  il  valore  dei  difenditori  di 
Brescia,  veggendo  impossibile  ridurre  aU'obbedienza  la 
città  rubelle  con  le  armi  che  teneva,  mandava  per  aiuti; 
e,  avuti  da  mille  cinquecento  uomini  e  tre  cannoni,  in  su 
le  ore  pomeridiane  del  30  muoveva  da  Santa  Eufemia  a 
nuovo  assalto.  Ributtate  dai  colli  le  bande  armate  ebe  11 
occupavano,  faceva  impeto  contra  Torrelunga,  mentre  le 
artiglierie  del  castello  fulminavano  la  città;  per  la  seconda 
volta  respinto,  Nugent  riedeva  al  suo  alloggiamento  di 
Santa  Eufemia,  ove  nella  notte  giugneva  da  Verona  il 
maresciallo  Haynau.  Il  quaie,  appena  entrato  nel  castello 
per  la  porta  di  Soccorso  con  un  battaglione  di  fanti  e 
compiuta  Tossidione  alla  terra  coi  sussidi  seco  condotti« 
facevane  la  chiamata,  minacciandole  saccbeggio  e  tutti  gli 
orrori  d'una  presa  per  assalto,  se  si  ostinasse  nelle  resi- 
stenze.  «  Bresciani,  diceva  egli,  voi  mi  conoscete  ;  io  sono 
uso  a  tenere  la  parola  data,  »  Il  suprême  Maestrato,  riu- 
nitosi  allora  per  discutere  su  ciô  cbe  meglio  convenisse 
operare  in  quel  momento  pieno  di  pericoli,  deliberô  di 
deputare  ad  Haynau  quattro  cittadini  ;  i  quali,  dopo  avergli 


Digitized  by  VjOOQIC 


VEXBZIA   E    UNOABIA  317 

riferite  le  novelle  ricevute  dei  casi  délia  guerra,  dovevano 
chiedergli  una  sospensione  d'armi  per  due  giorni  allô 
scopo  di  evitare  inutile  spargimento  di  sangue  ;  nel  quai 
tempo  sarebbesi  potuto  conoscere  il  vero  stato  délie  cose; 
ma  niegando  Haynau  di  accordare  la  tregua  domandata, 
il  popolo,  fatta  risoluzione  di  resistere  flno  allô  estremo, 
corse  numeroso  aile  difese.  —  Suonavano  le  due  pome- 
ridiaue  del  31  marzo,  allora  che  le  artiglierie  del  castello 
e  i  cannoni  da  campo  prendevano  a  trarre  contra  la  porta 
Torrelunga,  l'obbietto  del  primo  operare  del  nimico;  cui, 
dopo  tre  ore  di  combattimento,  riesciva  a  superare  da 
quella  parte  le  mura  e  a  portarsi  ai  primi  serragli,  che 
cbiudevano  le  vie  délia  città,  ed  eziandio  in  sul  cadere 
del  giomo  a  insignorirsi  di  quelli  che  sbarravano  le  di- 
scese  dal  castello.  La  notte  non  poneva  fine  al  combattere, 
perô  che  Haynau,  il  quale,  ad  ogni  costo,  voleva  recarsi 
in  mano  la  città,  facesse  conati  inauditi  per  invaderla;  e 
i  fortissimi  difenditori  di  quella,  deliberati  di  salvarla, 
gliela  contrastassero  con  valore  e  virtù  superiori  ad  ognî 
elogio.  A  vendicarsi  di  tanta  ostinata  resistenza,  i  soldati 
di  quel  capitano,  che  per  sua  efferatezza  fu  soprannomato 
il  tigre,  saccheggiarono  e  incendiarono  case,  uccisero 
non  solamente  quanti  venivano  a  loro  mano  con  le  armi, 
ma  spensero  barbaramente  vecchi,  fanciuUi  e  non  poche 
donne,  dopo  aver  fatto  a  queste  patire  il  massimo  degli 
oltraggi.  n  suprême  Maestrato,  ritenendo  omai  impossibile 
resistere  più  alungo  aU'assalitore,  tanto  potente  per  nu- 
méro, mostravasi  inchino  a  dedizione;  ma  il  Comîiato  di 
difesUy  il  quale,  ponendo  tuttavia  molta  fede  aile  notizie 
nielle  vittorie  di  Ohrzanowski,  voleva  si  resistesse,  anche 
nella  certezza  di  prossimo  aiuto  (1),  e  salvare  cosi  Brescia 
dalVeccidio  minacciatole  dal  générale  nimico.  Al  ferme 


(1)  Era  la  schiera  di  Gabriele  Camozzi,  che  il  80  marzo  aveva  av- 
vertito  il  ComitcUo  del  sno  partir  di  Bergamo  per  Brescia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


318  CAPITOLO  VII 


volere  del  Comitato  plaudi  il  popolo  ;  il  quale,  abborrendo 
la  resa,  erasi  preparato  aile  ultime  resistenze  ;  se  non  che, 
quando  gli  fu  noto  che  una  grossa  schlera  di  imperiali, 
già  campeggiante  Chiari,  avvicinavasi  alla  città,  disperando 
di  soccorso,  risolvette  di  seguire  il  Comitato;  che,  fatta 
allora  rinunzia  al  proprio  offlcio,  aveva  deliberato  d'uscire 
alla  campagna  con  quanti  armati  sarebbegli  dato  di  met- 
tere  assieme,  e  irrompere  contra  i  nimici  per  aprirsi  nna 
via  ai  monti,  a  farvi  guerra  guerreggiata,  minuta,  sino 
al  giugnere  dell'esercito  di  Chrzanowski,  al  quale  ai  uni- 
rebbe;  generoso  disegno,  perô  a  mandarsi  a  eflfetto  impos- 
sibile.  Libero  d'operare,  corne  meglio  credeva,  il  Maestrato 
dei  cittadini  inviava  al  campo  nimico  dei  commissari  a 
trattare  la  resa,  la  quale  venue  patteggiata  cosi:  =  Cou- 
cedere  Haynau  salve  le  vite  e  gli  averi  dei  pacifici  citta- 
dini; dovere  questi  posare  le  armi,  rendere  i  prigionieri, 
disfare  i  serragli  e  levare  tutti  gli  impedimenti  che 
chiudevano  le  vie;  in  fine,  consegnare  al  générale  sei 
ostaggi  =  (1).  Tali  patti,  che  il  Municipio  fermô  col  nimico. 
vennero  subito  rotti  da  Haynau;  il  quale,  sprezzatore  d'ogni 
fede,  a  vendicarsi  délia  strenua  resistenza  dei  Bresciani. 
permise  a'  suoi  soldati  di  porre  a  ruba  moite  case  e 
compiere  le  atrocità  più  barbare  eidelitti  piîi  turpi:cosi 
bruttô  se  d'infamia  incancellabile  e  contaminô  la  bandiera 
deirAustria  (2).  Gravi  furono  i  danni  dei  guerreggianû 
•  nella  giornata  del  31  marzo,  soprammodo  quelli  degli  impe- 
riali. «  In  questo  combattimento,  scrisse  allora  Haynau  (3), 


(1)  Haynau  minacciô  i  Bresciani  di  incendiare  le  case,  dalle  quaîi 
avesse  ad  nscire  una  moschettata,  e  mandare  a  morte  Tautore. 

(2)  Nella  relazione  délia  presa  di  Brescia  al  maresciallo  Badetzky. 
dopo  aver  fatto  l'elogio  délia  difesa  oatinata  e  persévérante  dei  citta- 
dini, Haynau  disse  u  che,  per  le  gravi  perdite  soferte,  aveva  eoman- 
dato  di  non  fare  prigionieri;  n  e  confessô  u  che  i  suot  soldati  erof^ 
trascorsi  a  brutti  eccessù  » 

(3)  Belazione  d'Haynau  a  Badetzky.  =  All'impresa  di  Brescû  forti 


Digitized  by  VjOOQIC 


YEKEZIA   X   UKOABIA  319 

ostinato  e  micîdîale»  abbiamo  a  lamentare  considerevoli 
perdite.  »  —  Brescia  era  appena  venuta  a  mano  del  nimico, 
quando  non  lungi  di  sue  mura  vedevasi  comparire  Gabriele 
Camozzi  (1)  con  una  schiera  di  cinquecento  armati;  il 
quale,  ignorando  la  dedizione  délia  città  al  nimico,  univasî 
aile  bande  che  tenevano,  come  già  dissi,  i  propinqui  coUi, 
per  tentare  assieme  il  campo  austriaco.  Ei  poneva  il  suo 
a  Fantasima  e  a  Torricella,  e  le  prime  ascolte  sul  Mella, 
presso  Ospedaletto;  le  quali,  assalite  nella  notte  dai  nimici, 
non  estante  la  forte  difesa  délie  poche  che  vigilavano, 
venivano  tagliate  a  pezzi  dagli  imperiali;  cui  perô  maie 
riesciva  Tassalto  improvviso  date  nella  notte  stessa  al 
grosso  délie  forze  di  Camozzi,  campeggianti  le  vicine 
alture.  Il  di  vegnente,  avvisato  délia  resa  di  Brescia  e 
dello  appressarsi  di  schiera  poderosa  d'Austriaci,  Gabriele 
Camozzi  dietreggiô  verso  Iseo;  veggendo  poscia  nulla  po- 
tersi  più  tentare  a  vantaggio  délia  patria,  licenzio  le  sue 
genti.  Allora  la  guerra  posô  in  Lombardia;  e  TAustria 
tornô  a  imperarvi  con  l'usata  potestà  assoluta!  —  Nei 
primi  giorni  del  governo  d'Haynau  —  dei  piii  feroci  che  si 
conoscano  (2)  —  Brescia  vide  molti  suoi  flgli  sentenziati 
a  morte  senza  essere  stati  giudicati!  tanto  strazio  cessô 
il  5  aprile,  nel  quale  di  Appel  promise  che  nessuno  più 
verrébhe  moschettato,  se  non  condannato  da  regolare 
processo. 


danni  toccarono  ai  cittadini;  maggiori  perô  agli  assalitori,  che  ebbero 
morto  il  générale  Nagent,  il  colonnello  Fayanconr  e  il  luogotenente  co- 
lonnello  MilitsE. 

(1)  Tardi  arrivô  Gabriele  Camozzi,  cansa  le  grosse  pioggie,  che  ave- 
yangli  reso  penoso  e  Inngo  il  camminare. 

(2)  a  Ayeva  egli,  cosi  Anelli  scrisse  d'Hajnan  nella  sua  Storia  d'Ilalia^ 
minacciato  di  punir  Brescia  a  ferro  e  a  faoco  se  resistesse,  e  tenne  la 
féroce  promessa.  Sbranati  gll  estinti,  e  gettati  i  peszi  a  Indibrio  contra 
i  frantnmi  délie  barricate  (sic)  ;  braccia  di  donne,  di  fancinlli  rotolanti 
per  Taria;  i  prigionieri  in  mille  barbare  gnise  straziati  su  gli  occhi  délie 


Digitized  by  VjOOQIC 


320  CAPITOLO   VII 


Vincitore  alla  giornata  di  Milano  del  4  agosto  1848,  Ra- 
detzky  aveva  posto  le  provincie  austriache  d'Italia  sotto  il 
dominio  délie  leggi  militari,  invalidando  cosi  Topera  di  pa- 
ciflcazione  del  commissario  impériale,  il  conte  Moatecuc- 
coli,  cui  dai  Miaistrl  di  Vienna  era  stato  fidato  il  carico 
di  restaurare  nel  Lombardo-Veneto  il  governo  civile  e  gli 
ordini  antichi,  sconvolti  dalle  soUevazioni  del  marzo  e  du- 
rante la  guerra  da  nuovi  ordini  stati  surrogati.  I  mm 
corsi  dalle  tregue  di  Milano  allô  indirsi  délia  seconda 
guerra  d'indipendenza  furono  per  gli  Italiani  so^ettî  al- 
TAustria  pieni  di  miserie  e  trepidanze,  di  dubbi  e  spe- 
ranze,  di  timori  e  desidèri.  Dallo  abbattimento  nel  qnale, 
non  le  patite  avversità,  ma  le  feroci  persecuzioni,  ne  la 
violenta  oppressione  del  despotico  reggimento  del  mare- 
sciallo  avevanli  gettati  —  persecuzioni  e  oppressione  j 
che  soprammodo  ne  ferivano  la  parte  eletta  —  da  quello 
abbattimento,  io  dico,  rialzaronsi,  quando  videro  la 
bellicosa  Sardegna  preparare  armi  e  armati  per  rinno- 
vare  V  impresa  di  Lombardia.  E  corne  sempre  accade, 
cosi  allora,  chi  per  lo  addietro  era  stato  più  scoraggito  ♦^ 
piii  sfiduciato,  rilevossi  piii  d'ogni  altro  fidente  nelle  forze 
proprie  e  in  queiresercito,  ch'egli  Tanno  innanzi  aveva 
gridato  lîberatare  cCItalia  e  vedeva  di  quoi  giorni  appre- 
starsi  a  nuovi  cimenti  per  la  sainte  délia  patria.  —  Vit- 


loro  donne;  e  intanto  il  barbaro  soldato  sghignazzare  nelle  Ioto  cob- 
vnlsioni  di  morte,  e  t&lora  strappame  i  visceri  e  cacdarli  in  bocca  ai 
morenti  per  sofTocame  i  gemiti  estremi.  »  —  Il  maasimo  sâregio  che  ad 
uomo  ai  poasa  fare,  aofi^va  il  générale  Haynan  Tanno  appresso  in  Los- 
dra.  Conoaclnto  dagli  opérai  délia  fabbiica  di  birra  delli  Barekr  e 
Perkina,  qnando  la  viaitava  in  compagnia  del  banchiere  Rothschild,  ebbe 
da  qnelli  il  viso  bmttato  di  apati  e  achiaffeggiato,  e  fa  talmente  tem- 
peatato  di  pngni,  che  non  aarebbe  nacito  vivo  dalle  loro  manî,  se  nos 
foaser  ginnti  in  ano  ainta  molti  cittadini  e  la  aoldateaca  del  Magistral 
civile. 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBNSZIA  B   I7K0ABIA  321 


torioso  su  l'Adige,  sul  Mincio  e  a  Milano,  ma  non  yinta 
Yenezia,  nô  domata  la  soUeyazione  magiara,  Francesco 
Ginseppe,  in  quel  torno  di  tempo  salito  al  trono  austriaco 
per  rabdicazîone  di  Ferdinando  I,  a  presiedere  ai  Mînistri 
suoi,  o  più  esattamente  parlando,  a  reggere  per  lui  la  mo- 
narchia  cercava  un  uomo,  il  quale,  bene  conoscendo  l'in- 
dole  dei  tempi  che  correvano,  i  bisogni  e  le  giuste  aspi- 
razioni  dei  var(  popoli  dei  diversissimi  suoi  Siati,  sapesse 
accontentarli^  salyando  perô,  in  tutta  loro  integrità  e 
pîenezza,  Tautorità  e  la  dignrtà  dello  Imperatore;  un  uomo 
di  mente  grande  e  atto  non  solamente  a  comprendere  la 
nécessita  di  nuovi  ordini,  ma  eziandio  a  concepirli  e  a 
disegnarli;  in  fine,  forte  e  operoso  per  mandarli  a  effetto: 
un  tanto  uomo  il  Sire  austriaco  Tebbe  nel  principe  Felice 
di  Schwarzenberg;  il  quale,  gi&  Ministro  di  Ferdinando, 
veaiva  da  Francesco  Giuseppe  confermato  nell'offlcio  suo. 
Presi  a  compagni  nel  governo  délia  cosa  pubblica  Bach, 
Stadion  e  De  Bruck  —  per  ingegno  e  sapienza  ammini- 
stratira  tenuti  in  grande  stima  dairuniversale,  e  che  ave- 
vano  già  fatto  buona  prova  nei  giorni  délie  passate  popo- 
lari  commozioni  —  il  principe  Ministro  tanto  adoperossi 
da  indurre  il  giovane  suo  Signore  ad  assicurare  ai  sudditi, 
nel  manifeste  dei  0  marzo  1849,  quelle  leggi  che  a  libero 
Stato  si  convengono:  donde  dovevano  venir  loro  l'egua- 
gllanza  deidiritti  e  il  rispettoalle  diverse  natnralità,  tanto 
da  quelli  sospirato  (1).  Cosi  la  casa  d'Absburgo,  la  quale  sino 
a  quel  giorni  aveva  imperato  sopra  genti  schiave,  sarebbe 
per  trovarsi,  di  11  a  poco,  in  mezzo  a  popoli  liberi  ;  e  la 
monarchia,  spenta  affatto  la  feudalità  e  tutta  rinnovata  da 


(1)  Alla  Dieta  dell'impeiio,  tenntasi  in  Krenuddr,  il  pzineipe  Schwar- 
zenberg ayava  detto,  che  0  Governo  dello  Lnperatore  mantenebbe  ai 
popoli  Biioi  le  loro  libertà;  aBsicarerebbe  ai  Comimi,  con  vna  legge  li- 
bérale, ramministrazione  degli  interessi  locali;  e  che  il  Lombardo-Ve- 
neto,  formata  la  pace,  troverebbe  nella  sua  nidone  tâVAuêtria  eostUth 
zionaU  nna  secnra  goarentigia  di  sua  natoralità. 

21  —  Vol.  Q.  MiRUKi  -^  Storia  poL  «  mU. 


Digitized  by  VjOOQIC 


322  CAPITOLO  YII 


institazioni  iaformate  a  priacipi  in  ariuonia  al  moderno 
iacivilimento,  non  tarderebbe  a  vivere  di  vita  civile,  per 
lo  passato  non  vissuta  mai,  e  promettitrice  di  un'èra  pro- 
spéra e  felice.  Le  speranze  allora  concepite  dai  popoli. 
non  estante  il  buon  volere  del  principe  Schwarzenberg, 
presto  svanirono!  Nella  assoluta  impossibilità  di  rifornire 
di  danaro  Terario  esausto  con  lo  accrescere  le  imposte, 
già  quasi  insopportabili,  ne  d'altri  prestiti  aggravare  il 
debito  dello  Stato,  già  énorme,  egli  sarebbesi  appigiiato 
airunico  espediente  che  rimanevagli  per  prowedere  allô 
imperioso  bisogno  con  sarie  économie,  primissima  quella 
di  ridurre  a  giusto  numéro  l'esercito,  consumatore  di  buona 
parte  délie  rendite  pubbliche,  se  non  gli  si  fossero  oppo- 
ste  le  nécessita  délia  guerra,  che  ardeva  tuttora  in  Un- 
garia  e  su  le  venete  lagune,  e  soprammodo  poi  la  fazione 
militare.  La  quale,  balda  per  le  vittorie  guadagnate  l'anno 
innanzi  sùl  Mincio,  e  che  dicevasi  secura  di  rinnoraple 
tra  brève  sul  Ticino,  era  divenuta  oltrepotente  in  Cone 
dello  Imperatore:  onde  le  riformagioni,  lo  Statuto  e  tutto 
quanto  di  libérale  era  stato  conceduto  o  promesse  erano 
di  11  a  poço  abrogati. 

I  popoli  délia  Lombardia  e  délie  Venezie  appena  seppero 
che  Francia  e  Inghilterra,  disperando  di  menare  a  coq- 
cordia  e  a  pace  Austria  e  Sardegna,  avevano  il  16  febbraio 
di  queU'anno  1849  rotte  le  conferenze  di  Bruxelles,  indo- 
vinando  essere  vicina  Tora  délia  riscossa,  pieni  d'entn- 
siasmo  e  fede  s*apparecchiarono  a  levarsi  in  su  Tarme, 
per  uscire  alla  campagna  contra  il  nimico  dltalia  alla 
chiamata  del  Re  Sabaudo  e  al  primo  romoreggiare  del 
cannone  sul  Ticino.  Dall'Alpi  al  Po  uomini  e  cose  trova- 
ronsi  allora  in  preda  alla  piîi  grande  commozioneîcessate  I 
le  dolorose  incertezze  loro  sorrisero  le  piii  liete  speranzo: 
e  il  giorno  stesso  dello  spirare  délie  tregue,  insofferenti 
di  îndugio,  destarono  nelFalta  Lombardia  moti  di  guerra, 
alzando  in  Como,  Lecco,  Bergamo,  Brescia  e  nelle  circo- 
stanti  valli  il  vessillo  nazionale.    Gli   strepiti   délie  armi 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENBZIA  B  UNOJIBIA  323 

combattenti  nel  Piemonte  invaso  accrebbero  nei  forti  Tar- 
âire,  e  la  noyella  di  una  grande  vittoria,  che  la  fama  dî- 
ceva  gaadagûata  dai  régi,  rincuorô  i  pochi  trépidant!  ;  ma 
la  infausta  notizia  délia  sconfitta  di  Novara,  conosciutasi 
di  li  a  brevi  giorni,  faceva  svanire  le  speranze  poco  prima 
conœpite,  e  gettava  in  una  quiète  di  morte  quel  popoli  che  al 
rompersi  délia  nuova  guerra  ayeano  festanti  salutato  Tau- 
rora  del  giorno  del  riscatto,  il  finire  délia  dominazione 
straniera  e  il  cominciare  di  loro  indipendenza.  Tanta 
sventura  non  potè  accasciarli,  nô  avvilirli  ;  avvegnacliè, 
se  sovr'essi,  per  la  récente  vittoria  degli  Austriaci^  mi- 
nacciosa  più  che  mai  pendesse  la  tirannica  spada  di 
Radetzky  —  e  dal  suo  luogotenente  Haynau  a  Brescia 
mutata  in  arma  di  assassine  —  vedessero  perô  nelle 
strenne  resistenze  di  Yenezia  e  nelle  armi  di  Roma 
repubblicana  due  àncore  di  sainte;  per  queste  il  do- 
lore  del  disastro  di  Novara  non  fu  senza  conforte;  e 
securi  che  il  buon  diritto  e  la  buona  causa  avrebbero  al 
fine  vittoriato,  e  che  d'assai  più  grandi  si  è  nella  avrersa 
che  non  nella  prospéra  fortuna  quando  non  si  dispera, 
cosi  i  Lombardi  serbarono  allora  e  di  poi  dinnanzi  ai 
loro  oppressori  un  contegno  dignitosamente  severo,  che 
g:li  stessi  nimici  ebbero  ad  ammirare.  —  Il  28  di  quel 
mese  di  marzo  il  maresciallo,  dopo  dieci  giorni  di  lonta- 
aanza,  rientraya  in  Milano  alla  testa  de'  suoi  granatieri  ; 
eccettuati  i  ventimila  uomini  i  quali,  in  yirtù  délie  tregue 
di  Noyara,  doyeano  occupée  il  territorio  che  siendesi  tra 
il  Po,  la  Sesia  e  il  Ticino,  gli  Austriaci  lasciavano  il  Pie^ 
monte.  Il  terzo  corpo  d'esercito,  quelle  di  Appel,  portayasi 
sopra  Brescia,  la  cul  soUeyazione  e  i  tristi  casi  seguiti  or 
ora  narrammo;  d'Aspre,  col  seconde,  scendeva  a  Toscana 
a  restaurare  l'autorità  del  Granduca,  tenendogli  dietro 
Wratislaw  con  parte  del  primo;  in  fine,  due  reggimenti 
di  cayalli  camminayano  yerso  TUngaria,  oye  le  faccende 
délia  guerra  yolgeyano  a  maie  per  Timperio. 


Digitized  by  VjOOQIC 


324  capitolO  VII 


In  sul  cadere  del  24  marzo  arrivayano  ia  Torino  notizie 
yaghe  e  contraddittorie  degli  eventi  délia  guerra,  nessonaj 
ancora  perô  délia  catastrofe  di  Novara.  I  cittadini,  da 
quelle  dolorosameate  turbati,  correvano  allora  in  foUa  ai 
Ministri  per  conoscere  la  yerità  dei  casi  e  togliersi  m 
alla  penosa  incertezza  in  cui  si  trovayano;  ma  nolla  po- 
tendo  sapere  da  quelli»  perché  nnlla  ayeyano  ricevutodal 
campOy  tumultuanti  e  quasi  minacciosi  yersayansi  nelleyie 
imprecando  a  coloro,  che  erano  stati  cagione  e  capi  di 
tante  royine,  di  tantissimi  lutti.  Nella  notte  i  rappresen- 
tant!  del  popolo  riuniyansi  a  Parlamento  per  discutere  e 
risolyere  su  ciô  che  meglio  conyehisse  operare;  Brofferio 
proponeya  una  sùbita  presa  d^armi  di  tutta  la  nazione  per 
serrare  il  nimico  inyaditore  entre  una  cerchia  di  ferro  e 
fuoco;  che  si  munisse  Torino;  che  si  mandassero  nelle 
proyincie  dei  Gommessari  promoyltori  e  ordinatori  disoi- 
leyazioni  popolesche  contra  gli  Austriaci;  e  che  i  Depatati 
siedessero  a  Parlamento  sino  a  che  fosse  cessato  il  peri- 
colo  allora  minacciante  il  paese»  e  ciô  allô  scopo  di  prov- 
yedere  con  soUecitudine  efficace  alla  salyezza  délia  patria. 
Tardi  proyyedimenti  questi  e  non  quali  ayrebbeli  richiesti 
la  gravita  délia  bisogna!  La  maggioro  parte  dei  Depntatf 
e  i  Ministri  rigettarono  le  proposte  di  BrofiTerio  ;  innanrf 
tuttOy  perché  suonavano  un  atto  di  sflducia  al  Gtoverno  dél 
Re;  di  poi,  perché  non  volevano  mutare  il  Parlamento  is 
un  Gomitato  di  sainte  pubblica^  e  il  ministre  Rattazzi  eblie 
a  dire,  che  egli  e  i  coUeghi  suoi  rinunzierebbero  al  ion» 
offlciOy  quando  si  délibérasse  di  chiamare  il  popolo  aile 
armi.  Fu  paura  o  filacchezza  che  fece  preferire,  quasi  senza 
discntere»  le  tregue  di  Novara  airaudace  e  generoeo  dise' 
gno  d'armare  la  nazione  ?  lo  penso  essere  nel  vero  affer- 
mande,  in  quella  poco  onorevole  deliberazione  avère  avuto 
parte  Tuna  e  Taltra,  cui  si  era  accompagnata  la  sfidacia 
nelle  forze  del  paese.  Il  Parlamento  subalpine  non  mosM 
allora  quella  forte,  quella  maschia  virtù,  che  sempre,  mi 


Digitized  by  VjOOQIC 


YXNXZIA  X  UKOABIA  3S5 

soprammodo  nei  momenti  di  pericolo,  devono  possedere  i 
rappresentaati  del  popolo.  —  Il  27  marzo  naovi  Miaistri 
yeaiyaao  davanti  alla  rappresentaoza  aazioQale(l);  tra 
essi»  Pier  Dioaigi  Piaelli;  il  quale,  per  awantaggiarsi  del« 
Taora  popolare,  di  eut  godeva  tuttavia  Viacenzo  Gioberti, 
Tareva  voloto  a  compagao;  Ministro  perô  aenzA  portafoglif 
allô  scopo  di  poterselo  allontaaare,  tosto  che  il  Governo  si 
fosse  afforzato  e  gli  aaimi  délie  popolazioni  avessero  ra- 
cquistata  la  tranquillità  usata;  ciô  eh'egli  fece  dl  li  a  non 
molto,  inyiandolo  oratore  sardo  presso  la  repabblioa  Cran- 
cese.  n  quale  offleio  ei  teaae  brève  tempo  ;  ayyegnaehè, 
veggendosi  in  nessua  conto,  anzi  a  belle  studio  trascnrato 
dai  coUeghi,  presto  da  quello  sô  liceoziasse  :  taie  il  Pinelli, 
tali  i  Ministri  chiamati  a  reggere  lo  Stato  in  quei  mo- 
menti cosi  difâcili  !  —  Appena  entrati  in  Parlamento  il 
depatato  Lanza  chiese  loro,  corne  mai  un  esercito  di  een- 
treniamila  uomini  si  sia  lasciato  vincere  da  cinqikinta' 
nUla  Croatiy  in  dir  ciô  mostrando  un  foglio  arrivatogli  dal 
campo,  sul  quale  stavano  scritte  a  stampa  queste  parole  : 
«  Soldati!  per  chi  credete  di  combattere?  Il  Re  è  tradito; 
a  Torino  si  è  gridata  la  repubblica.  »  Di  sdegno  e  confu- 
sione  riempissi  allora  TAssemblea;  la  quale,  altamente  ri- 
provando  e  condannando  i  patti  délie  tregue  uditi  da 
Pinelli,  perché  offendevano  Tonore  nazionale,  afifermaTa 
non  potere  i  Ministri  mandarli  a  effetto  senza  violare  lo 
Statuto  cke  li  reggeva;  di  poi  imperiosamente  domandava: 
-  Avesse  Cesercito  a  far  la  massa  dinnanzi  ad  Aies- 
^andria  (2);  qiMnti  fossero  atti  alVarmi  si  raccogliessero 


(1)  Siedeyano  allora  nel  Govemo  Pinelli,  Demargarita,  Morouo  dalla 
Bocea,  Mameli,  Nigra,  Galvagno;  presiedeTa  loro  il  générale  De  Lavnay, 
Hinifltro  sopra  gli  affari  estemL 

(2)  La  proposta  di  far  la  massa  deU'esercito  ad  Alessandria  per 
continuare  la  guerra  era  stata  fatta,  corne  scriremmo  già,  dopo  No* 
vara  dal  re  Carlo  Alberto  a'  saoi  generali;  generosa  proposta  ohe  fa, 
^  questi  resplnta. 


Digitized  by  VjOOQIC 


326  CAPITOLO  vu 


in  Oenova;  e  le  navi  da  guerra  sarde  rimanessero  neUe  \ 
CLCque  di  Venezia.  =  I  Ministri,  sebbene  altri  disegni  ai 
ayessero,  non  osarono,  in  tanta  concitazione  degli  animi, 
niegare  quanto  era  stato  lor  cWesto;  ma  altresi  nulla  con- 
cessero  tranne  la  nomina  di  Gommissari  col  mandato  di 
scrutare  le  condizioni  deiresercito  prima  délia  guerra  e 
le  cause  dei  disastri  toccati.  Se  non  che,  quando  in  Par- 
lamento  venne  domandata  ai  Gommissari  la  pubblicazîonf^ 
dei  risultamenti  délie  compiute  indagini,  i  Ministri  for- 
temente  a  ciô  si  opposero:  onde  una  volta  di  piîi  al- 
lora  fu  provato,  che  le  Gommissioni  scrutatrici  tendono 
a  celare  non  a  rivelare  le  cause  dei  fatti,  che  il  paese 
ha  diritto  di  conoscere;  o  almeno  a  cercarle  apter- 
titamente  ove  son  certe  di  non  trovarle,  —  In  quel 
giorno  stesso,  27  marzo,  il  nuovo  re  Vittorio  Emanuele 
pubblicava  in  Torino  il  seguente  manifesto:  «  Gittadini! 
Fatali  avvenimenti  e  la  volontà  dei  veneratissimo  mio 
Genitore  mi  chiamarono  assai  prima  dei  tempo  al  trono 
de'  miei  avi.  Le  circostanze  fra  le  quali  io  prendo  le  re- 
dini  dei  Governo  sono  tali  che,  senza  il  piii  efficace  con- 
corso  di  tutti,  difflcilmente  potrei  compiere  l'unico  mio 
veto,  la  sainte  délia  patria  comune.  I  destini  délie  nazioni 
si  maturano  nei  disegni  di  Dio;  Tuomo  ri  dere  tuttâ 
Topera  sua;  a  questo  débite  noi  non  abbiamo  fallito.  On 
la  nostra  impresa  deve  essere  di  mantenere  salvo  e  illeso 
Tonore,  di  rimarginare  le  ferite  délia  pubblica  fortuna,  ai 
consolidare  le  nostre  istituzionicostituzionali.  A  quest' im- 
presa io  scongiuro  tutti  i  miei  popoli;  io  mi  appresto  adarn<> 
solenne  giuramento,  e  attende  dalla  nazione  in  ricambio 
aiuto,  aflfetto  e  flducia.  »  —  AUora  e  di  poi  Vittorio  Ema- 
nuele tenue  religiosamente  la  parola  data,  in  verità  cosa 
assai  rara  nei  potentati  délia  terra!  Due  giorni  dopo,  il 29 
marzo,  egli  giurô,  in  presenza  di  Dio,  di  osservare  leal- 
mente  Io  Statuto  e  volgere  ogni  cura  alla  prosperità  e 
aironore  délia  nazione;  e  il  suo  giuramento,  cheSenatori 
e  Deputati    raccolsero,  serbô   sempre  con  la   fade    più 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBKBZIA   E   UNQABIA  327 

scnipolosa,  anche  nei  momenti  difflcili  in  cui  trovossi  il 
picciolo  suo  Stato,  e  seppe  tenere  alta  e  far  rispettata  la 
bandlera  nazionale:  onde  si  ebbe  nel  tempo  quel  sopran- 
nome  che  nessun  régnante  mai  si  meritô,  e  col  quale  lo 
si  voile  chiamato  in  un  giorno  di  giusto  e  santo  entusiasmo, 
il  soprannome  di  Galanticomo,  registrato  dalla  Storîa  nelle 
sue  pagine  che  non  periscono  mai.  I  Ministri,  ai  quali,  con 
un  Parlamento  lor  chiaritosi  awersissimo,  riusciva  impos- 
sibile  di  reggere  lo  Stato,  specialmente  in  quel  giorni  di 
grave  commozione  per  la  soUevazione  di  Genova  —  che 
noi  vedemmo  già  ricondotta  alla  obbedienza  del  Re  dal 
générale  Alfonso  Lamarmora  —  licenziavano  allora  i  Dé- 
putât!, promettendo  perô  di  convocare,  giusta  il  tempo  sta- 
bilito  dallo  Statuto,  1  Comizi  elettorali  ;  in  oltre,  protestan- 
dosi  devotissimi  alla  patria,  che  intendevano  ristorare  dei 
danni  patiti  e  mantenere  sue  libère  instituzioni;  e  da  ul- 
time, dando  fede  di  difenderne  l'onore  e  afTermarne  quel 
massimo  dei  béni,  in  tanti  infortuni  tuttavia  rimastole,  che 
era  la  libertà. 

Nella  sera  del  14  marzo  giugneva  in  Venezia  la  novella 
délia  nuova  guerra  inditta  dalla  Sardegna  aU'Austria,  che 
cittadini  e  presidio  con  entusiastiche  grida  salutavano.  Gu- 
glielmo  Pepe,  générale  suprême  dell'armi  repubblicane, 
dellberava  allora  d'uscire  dalle  lagune  con  quanto  più  sa- 
rebbegli  possibile  di  soldatesche  per  unirsi  a  Mezzacapo  — 
il  quale  con  otto  mila  uomini  da  Bologna  per  la  via  di 
Rovigo  doveva  venire  a  lui  —  e  insieme  combattere  e  ri- 
buttare  su  l'Adige  il  nimico  con  poche  forze  campeggiante 
le  Venezie  ;  awegnachè  la  maggiore  parte  dell'esercito  impé- 
riale a  grandi  giornate  camminasse  verso  il  Ticino  e  sopra 
Pavia,  intorno  a  cui  fece  la  massa.  Pepe,  lasciato  aile  di- 
fese  di  Marghera  il  générale  Paolucci  con  una  brigata  di 
fanti  —  tre  mila  dugento  uomini  allô  incirca  —  e  imposto 
al  générale  Rizzardi  di  passare  con  sua  divisione  —  da  cin- 
quemila  quattrocento  uomini  —  da  Ohioggia  a  Couche  sul 


Digitized  by  VjOOQIC 


328  CAPITOLO  TU 


taglio  nuoyissimo  del  Brenta  a  dodici  chilometri  daBrondolo, 
Pepe»  io  dico,  il  19  marzo  recavasi  a  Ghioggia.  Ma  appena 
arrivatovL  riceveva  comaado  da  Gayedalis,  Miaistro  sopra 
le  armil  di  non  mettorsi  alla  campagna;  perô  che  si  avesse 
solamente  a  tenere  a  bada  il  nimico,  per  combatterlo  poi 
quando  fossero  note  le  mosse  dei  Sardi  in  Lombardia.  Non 
assaliti,  gli  AuBtriaci  assalirono;  e  il  22  prendevano  Gon- 
che,  il  cui  debole  presidio  —  cencinquanta  Lombardi  e  po* 
chi  Veneziani  non  proweduti  d'artiglierie  —  non  soccorso 
a  tempo  dovette,  dopo  flero  contraste  di  cinque  ore,  indie- 
treggiare  dinnanzi  a  forze  armate  otto  volte  tanto  le  sue 
e  mnnite  di  tre  cannoni.  Alla  difesa  di  Yenezia  molto  iin- 
portando  quella  postura,  Pepe,  il  24,  mandava  airimpreu 
Sirtori;  il  quale  con  vigoroso  assalto  délia  sua  schiera- 
da  trecento  Lombardi  e  Romani  —  riprendeya  Gonche»  re- 
spingendo  il  nimico  fine  a  Santa  Margarita.  In  quel  mede- 
simo  giorno  il  capitano  Gosenz,  cot'rendo  il  PolesinOi  rieo- 
nosceva  dal  grosso  degli  imperiali  campeggiarsi  Gavarzone. 
n  générale  Pepe,  non  veggendo  arrivare  le  genti  di  Mex- 
zacapo,  aveva  risoluto  di  star  ferme  ne*  suoi  campi  in 
aspettamento  di  notizie  dal  Ticino,  quando  veniva  soUeci- 
tamente  richiamato  a  Yenezia,  allora  in  grande  agitazioae; 
awegnachè  aile  prime  novelle  délia  guerra  —  liete,  ma 
false —  giuntevi  il  mattino  del  28  e  annuncianti  una  lu- 
minosa  y ittoria  dei  régi,  ayessero  siibito  tenuto  le  yere  del 
disastro  di  Noyara!  Il  luogotenente  maresciallo  Haynau  - 
prima  assai  del  rompere  délie  ostililà  sul  Ticino  stato  so- 
stituito  a  Welden  nel  comando  délie  armi  ossidionali  in- 
torno  a  Mestre  —  il  27  ayyisato  per  lettera  Daniele  Maniû 
délia  sconâtta  di  Garlo  Alberto»  délia  sua  abdicazioae  e 
délie  tregue  formate  da  Yittorio  Emanuele  con  Radetzky; 
in  oltre,  mostratagli  yana  impresa  il  resistere,  eccitava  il 
Dittatore  di  Yenezia  a  rendere  la  città  e  sommetterla  alla 
clemenza  deirimperatore,  assicurandola  délia  grazia  so- 
yrana;  montre  yerrebbe  poi  seyeramente  trattata,  e  corne 
a  città  rubelle  si  conyiene,  se  perdurasse  nelle  resistenze. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TXNBZIA   M  T7KOABIA  329 

—  Dure  le  parole  del  capitano  anstriaco  e  superba  la  chia- 
mata  di  Yenezia,  sino  a  quel  di  ylncitrice  sempre!  la  quale 
chiamata  con  nobile  flerezza  fu  respiata,  quando  Mania  — 
dopo  aver  tenuta  sécréta  per  alquanti  giorni  la  lettera  di 
quel  générale  ferocemente  altero,  per  non  maggiormente 
esasperare  gli  animi  de*  suoi  concittadini  —  facevala  nota 
ai  rappresentanti  del  popolo,  il  2  aprile  raccolti  a  Parla- 
mento.  «  Venezia  non  si  sommetterà  a  verun  patto  al- 
TAustria,  gridava  allora  TAssemblea,  e  durera  sino  allô 
estremo  nelle  sue  resistenze.  »  Al  quale  scopo  e  a  âne  dl 
potere  speditamente  prov vedere  aile  nécessita  délia  guerra, 
esaa  concedeya  la  suprema  potestà  nella  repubblica  a  Da- 
niele  Manin;  che,  venuto  poscia  in  su  la  maggiore  piazza 
délia  città  per  annunciare  al  popolo  —  ivi  radunato  in  gran 
numéro  —  la  generosa  deliberazione  de*  suoi  rappresen- 
tanti, udiva  d*ogni  intorno  gridare  con  entusiasmo  le  re- 
sistenze  a  ogni  costo  (1).  In  quel  giorno  stesso  davanti  al 
tempio  di  San  Marco  i  Yeneziani  alzarano  la  bandiera 
rossa;  e  il  Dittatore,  dopo  avère  spedito  ad  Haynau,  in 
risposta  alla  intimazione  di  resa,  il  décrète  deirAssemblea. 
scriveva  ai  supremi  reggitori  di  Francia  e  d'Inghiiterra 
pregandoli  a  voler  fare  Yenezia  centre  di  un  Governo  ita- 
liano;  di  porla  in  una  conveniente  posizione  poliUca,  per 
ottenere  la  quale  aveva  già  respinta  la  proposta  d*una  Co- 
stttuefUeI/>mJbarcUhVeneta;  in  une,  di  aderire  alla  Costî" 
tuente  italianOy  che  proprio  stava  nei  voti  délia  parte  li- 
bérale. —  Per  ristorare  poi  Terario,  di  quei  giorni  esausto, 
Manin  toglieva  a  prestito  dai  cittadini  più  danarosi  tre  mi- 
lioai  di  lire;  e  quando  le  nécessita  délia  guerra  diventa- 
rono  imper iose  e  gravi,  allô  invite  di  nuovi  sacriOzi  tutti  i 


(1)  In  memoria  délia  strenna  deliberazione  dell'Assemblea  coniosû 
allora  una  medaglia,  rappresentante  Yenezia  che  difende  Tindipendenza 
namonale;  e  snl  lovesoio  délia  medaglia  si  scrisse  il  décrète  délie  re- 
skienie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


330  CAFITOLO  VII 


Veneziani  largamente  risposergli,  i  poveri  col  loro  obolo,  i 
picclii  col  loro  oro. 

11  générale  Pepe,  appena  conobbe  la  deliberazione  delFAs- 
semblea,  giudicando  di  non  avère  armi  bastevoli  a  tenere 
con  vantaggio  la  campagna>  raccoglievale  entro  le  lagune, 
e  sollecito  preparavasi  a  difendere  la  città  e  i  forti  del- 
VEstuario  contra  i  nimiçi  (1),  i  quali,  cosi  ponsava  il  gé- 
nérale, non  tarderebbero  ad  assaltarli;  e  siccome  bene 
reputava  essere  Marghera  la  chiave  piii  valida  délie  resi- 
stenze,  volgeva  tutte  sue  cure  a  munirla  di  grosso  presidio 
e  ad  accrescerne  le  difese.  —  II  forte  di  Marghera  giace 
a  cavalière  del  canale  di  Mestre,  che  Tattraversa,  a  due 
chilometri  da  questa  terra  e  a  due  altresi  dalla  lagana; 
a  quel  forte  mettono  capo  le  principali  vie  di  comunica- 
zione  délia  terraferma  con  Venezia,  dalla  quale  dista  pocc 
più  di  cinque  chilometri.  Oomponesi  di  due  ointe  di  forma 
pentagonale  irregolare;  l'interna  consiste  in  una  grande 
tanaglia,  volta  verso  Mestre,  e  di  due  piccioli  bastioni  uniti 
alla  tanaglia  mediante  due  cortine,  intorno  aile  quali  scorre 
un  largo  fosso  con  acqua,  che  entra  nel  canale  di  Mestre. 
La  cinta  esteriore  —  che  l'altra  tutta  circonda  e  chiude  - 
è  parimenti  provveduta  di  largo  fosso  con  acqua  délia  la- 
guna,  corne  la  prima,  e  ha  una  strada  coperta  difesa  da 
spalto  e  palancate.  Questa  seconda  cinta  ha  tre  fronti  ba- 
stionati,  le  cui  artiglierie  battono  la  campagna  aliargan- 
tesi  davantl  a  quelli  sino  oltre  Mestre;  le  loro  cortine  sono 
afforzate  da  altrettante  lunette  con  fosso,  via  coperta  e 
spalto,  le  quali  proteggono  Tuscire  del  presidio  contra  il  campo 
assediatore.  Ai  bastioni  estremi  seguono  due  lunghe  faccie 
formant!  angoli  salienti  diritti,  le  quali  faccie  compiono  la 
cinta  esteriore  del  forte;  la  cui  gola  si  âpre  dalla  parte 
di  Venezia  ed  è  chiusa  da  una  lunetta.  Ai  lati  di  questa 


<1)  I  forti  e  le  batterie  àeWEatuario  erano  da  settanta;  non  podù 
avrebbersi  dovnto  distmggere  con  vero  beneficio  délia  difesa  di  Vene» 


Digitized  by  VjOOQIC 


▼ENBziA  E  tnreAsiA  331 

e  davanti  ai  piccioli  bastioni  délia  cinta  interna  stanno 
due  contraggaardie  a  due  faccie  ad  angolo,  le  quali,  nel 
dare  un  altro  ordine  di  fuoco  per  le  artiglierie  e  la  mo- 
schetteria,  accrescono  dimolto  le  difese  di  Marghera  (1). 
Nella  grande  plazza  —  di  forma  irregolare  —  racchiusa 
dalla  tanaglia  e  dai  bastioni  délia  cinta  interna  troyansi 
due  magazzini  per  le  polyeri  da  guerra  e  due  casematte, 
capaci  di  poco  piii  di  cento  uomini  :  onde  la  maggiore  parte 
del  presidio  fu  costretta  sempre  a  serenare.  Allô  intente  di 
rendere  arduo  al  nimico  lo  accostarsi  a  Marghera,  innalza- 
ronsi  abreve  distanza  di  questo  forte  alcune  opère  in  terra; 
lequali,  oltre  di  validamente  flancheggiarla,  ne  assicuravano 
le  Tie  di  comunicazione  con  Venezia,  In  un  angolo  rien- 
trante  del  canale  Oselino  —  che,  passando  per  Mestre, 
scende  nella  laguna  sopra  Torcello  —  e  quasi  a  mezzo  chi- 
lometro  a  destra  di  Marghera  siede  il  forte  O  a  stella,  dai 
Veneziani  allora  chiamato  dai  nome  di  Manin  ;  esso  difende 
le  chiuse  di  quel  canale  per  le  quali  puossi  allagare  la 
campagna  circostante  (2),  In  su  la  sinistra  délia  via  fer- 
rata  e  a  cinquecento  metri  allô  incirca  di  Marghera  giace 
il  picciolo  forte  Rizzardi,  dette  cosî  dai  nome  del  générale 
che  Taveva  costrutto;  scopo  suo,  assicurare  da  quella  parte 
contra  i  nimici  il  terreno  per  lungo  tratto  coperto  dall'ar- 
gine,  sul  quale  corre  la  via  ferrata  ;  argine,  che  ivl  si  alza 
di  molto  sopra  il  livello  naturale  délia  campagna  (3).  Due 
batterie,  di  quattro  cannonl  ciascuna,  erano  state  costrutte 
dai  générale  Paolucci  nella  via  coperta,  che  dai  forte  Riz- 
zardi  menava  a  Marghera;  e  una  terza  presse  le  rovi'ne  di 
un  ponte  di  cinque  archi  demolito  —  donde  il  nome  di 
batteria  dei  Cinque  Archi  —  sopra  l'argine  stesso  délia  via 


(1)  Marghera  contava  settantaqnattro  artiglierie  —  cannoni,  obid, 
portai  e  petrieri  —  di  diametro  diverse. 

(2)  Nel  forte  Manin  stavano  dodici  caimoiii  e  an  obice. 

(3)  n  fbrte  BixMrdi  era  mmdto  di  cinque  artiglierie  di  varie  calibro» 


Digitized  by  VjOOQIC 


832  OAPITOLO  TU 


ferrata,  la  quale  batteria  vaataggiosameate  questa  batteva 
per  cortina;  in  flae,  là  presse  il  metter  foce  del  eanale 
di  Mestre  in  su  la  laguaa  trovayasi,  nella  iaoletta  di  Saa 
Giacomo,  un  picciolo  forte,  il  quale  compiva  le  difese  este- 
riori  di  Marghera  (1).  Il  presidio  di  questa  contava  allora 
duemila  quattrocento  fanti  allô  inciroa;  da  cento  soldati 
degli  ingegneri  militari,  e  quattrocento  cinquanta  artigUeri, 
di  cul  centrenta  délia  legione  ist^tuita  il  3  giugno  del- 
Tanno  innanzi  e  chiamata  dal  nome  di  quoi  màrtiri  dalla 
patria  che  furono  i  frâlelli  Bandiera  e  Moro,  nome  da  essa 
portato  degnamente  sempre.  —  L*importanza  strategica  di 
Marghera  è  di  somme  momento  per  le  difese  e  le  offese  di 
Venezia,  contra  la  quale  il  nimico  nulla  puô  di  efficace 
imprendere,  per  Tossidione  o  per  Tassedio,  senza  il  pos- 
sesso  di  quel  forte;  e  i  Veneziani,  sapendolo  il  sussidiopiï 
gagliardo  aile  loro  difese  e  aile  uscite  contra  il  campo  a»- 
sediatore,  ebbero  allora  volta  ogni  cura  ad  ammegliorame 
lo  armamento  e  rimettere  noUe  soldatesche  del  presidio 
la  militare  disciplina,  che  negli  ozi  inyernali  erasi  alquaato 
rallentata;  ofBcio  questo  da  Pepe  affldato  al  générale  Pao- 
lucciy  e  che  il  Paolucci  seppe  compiere  assai  lodeTobnente 
per  se  e  con  molto  vantaggio  délia  difesa 

Radetzky,  saputa  la  deliberazione  deirAssemblea  di  resi' 
stère  sino  agit  estremi^  senza  por  tempo  in  mezzo  comao- 
dava  ad  Haynau  di  dare  sollecitamente  mano  all'assediodi 
Marghera,  e  airammiraglio  Dalhrup  di  portarsi  con  la  sqna- 
dra  nelle  acque  di  Yenezia,  davanti  alla  quale  il  17  apriie 
gettava  le  àncore  (2);  impedendo  cosi  alla  città,  già  asse- 
diata  per  terra,  di  ricevere  sussidi  di  uomini,  di  rettora* 


(1)  La  batteria  del  Cinqtu  Archi  era  anaata  di  qnattro  cannoni  e 
un  obioe;  il  forte  San  Ginliano  aveya  sedici  artiglieiie  di  diametio 
différente. 

(2)  La  squadra  anstriaca  di  Dalbrap  oompcmevasi  alloia  di  lie  fré- 
gate, due  corrette,  dne  bricks  e  qoattro  legni  a  vapore. 


Digitized  by  VjOOQIC 


VENXZIA   M   U170ABIA  333 

glie  e  dl  quanto  abbisognava  alla  gaerra,  e  che  per  lo  ad- 
dietro  erano  arriyati  per  la  via  di  mare.  Da  trentamila 
soldati  contaya  il  corpo  d*esercito  assedîatore,  poderoso 
altresl  per  numéro  e  potenza  di  artiglierie.  Hajmaa  ave- 
valo  per  Timpresa  coUocato  sopra  due  ordinanze  ;  a  destra 
délia  prima  la  divisioue  Perglas,  di  cui  la  brigata  Goronini 
campeggiava  Oriago,  Poate  délia  Rana  e  Malcontenta;  quella 
di  Kerpan  teneya  Mestre  ;  a  sinistra  le  brigate  Macchio  e 
Thum  délia  diyisione  Simbschen  occupayano  Garpenedo  e 
Fayaro,  mandando  grosse  prese  di  soldati  a  Brîssuola»  Gam- 
palto  e  Tessera;  la  brigata  Woeher  staya  in  Altino  su  la  la- 
gana;  la  seconda  ordinanza  era  composta  di  quattro  brigate 
di  fanti  ;  stanza  d'Haynau  e  del  Quartiere  générale  delFeser- 
cito  era  la  yilla  Pappadopoli  (1)  su  la  yia  di  Treyiso  e  in 
Ticinanza  di  Mestre;  in  fine,  le  riposte  degli  attrezzi,  stru- 
menti  e  bisogneyoli  ai  layori  delFassedio  troyayansi  in 
parte  a  destra  nella  stazione  délia  yia  ferrata,  in  parte  a 
sinistra  in  Bissuola.  Il  25  aprile  il  luogotenente  colonnello 
Kautch  degli  ingegneri  militari  cominciô  i  layori  d'assedio 
di  fronte  aile  lunette  délia  cinta  esteriore  di  Marghera  a 
millenoyecento  metri  di  distanza  da  quelle  e  yerso  Boaria, 
Angioletta  e  Anniero;  presse  le  quali  terre  aprironsi  le 
fosse  0  trincee,  tirate  ayanti  da  prima  in  larghi  serpeg- 
giamenti,  e  in  più  stretti  man  mano  che  ayyicinayansi  al- 
Topere  nimiche;  la  trincea  di  destra  corroya  lungolayia 
ferrata  yerso  il  forte  Rizzardi  ;  quella  di  sinistra,  lungo  il 
canale  di  Mestre  e  proprio  su  la  capitale  délia  lunetta  del 
fronte  bastionato  di  contra  Marghera;  la  terza,  tra  l'argine 
deUa  yia  ferrata  e  il  canale  di  Mestre.  Il  29  al  générale 
Paolueci  -^  che  flno  a  quel  di  ayeya  in  modo  lodeyolissimo 
goyemato  Marghera  e  le  sue  difese  —  infermatosi,  yeniya 
soatituito  il  colonnello  Gerolamo  Ulloa  già  ufflciale  nelle 


(1)  Appena  xioidinata  in  IBlano  la  cosa  pnbblica,  Radetsky  portossi 
all'aBsedio  di  Venezia  per  assisteme  i  layori 


Digitized  by  VjOOQIC 


334  OAPITOLO  VII 


artiglierie  napolitane,  nel  quale  alla  molta  yaleatia  nel- 
l'arte  délia  guerra  andava  compagna  una  risolntezza  non 
comune.  —  Nella  notte  seguita  a  quel  giorao  20  aprile  il 
nimico,  diunaazi  a  Mestre  e  a  piii  di  novecento  metri  dalle 
difese  esteriori  di  Marghera,  aperse  la  prima  parallela  di 
forma  semicircolare  irregolare  e  interrotta,  causa  la  na- 
tura  del  luogo  molle  e  faugoso;  essa  correva  da  Bottenigo 
sin  presso  la  laguna  di  Oampalto,  abbracciando  tre  fronti 
bastionati  di  quel  forte  e  i  forti  Rizzardi  e  Manin,  che 
di  11  a  poco  fulminô  coi  cannoni  délie  sue  batterie  ;  cui 
Haynau  fece  dar  mano  nella  notte  seguente  —  non  estante 
il  trarre  incessante  délie  artiglierie  veneziane  —  e  che  in 
numéro  di  sette  contaronsi  il  mattino  del  quattro  maggio(I). 
Nel  quale  giorno  il  fuoco  fu  d'ambe  le  parti  vivissimo; 
avvegnachè  gli  Austriaci  lanciassero  entre  Marghera  da 
cinque  mila  proietti;  e  gli  assediati,  da  nove.mila  ael 
campo  nimico  ;  di  quelli,  ventidue  caddero  morti  o  fe- 
riti,  ed  ebbero  scavalcati  tre  cannoni,  guasti  i  parapetti 
e  le  paliûcate;  degli  imperiali,  da  dugento  morti  o  feriti; 
e  gravi  danni  toccarono  aile  loro  batterie,  di  cui  una  ebbe 
smontate  quasi  tutte  le  artiglierie.  Alla  bombardata  di  Mar- 
ghera —  che  verso  le  sette  pomeridiane  diminui  d'in- 
tensità,  per  cessare  poi  in  su  le  nove  —  eraao  presenti 
Radetzky  e  quattro  Arciduchi;  i  quali,  tenendosi  securi 
di  intimidire  gli  assediati  con  una  sAiriata  di  tiri  d*arti- 
glierie  poderose,  avevano  creduto  riavere  subito  la  cittàper 
sommessione  volontaria;  ma  la  strenua  resistenza  deî  di- 
fensori  di  Marghera  e  il  loro  rispondere  aile  offese  nim^- 
che  con  piîi  vigorose  offese  tolsero  al  maresciallo  e  agli 
Arciduchi  le  speranze  d'un  facile  racquisto  di  Veneaa. 
Ciô  nondimeno  Radetzky  il  di  appresso  voile  tentare  per 
la  seconda  volta  Tanimo  di  Manin  e  dei  Yeneziani,  con 


(1)  In  qneste  sette  batterie  stavano  qnaraata  cannoni,  cmqne  obici 
e  qnindici  mortai. 


Digitized  by  VjOOQIC 


VEICBZIA   E    UNGABIA  335 

lettera  eccitandoli  a  posare  le  armi  e  rendersi  a  discro* 
zîone,  prometteudo  a  tutti  la  sovraaa  clemenza,  il  pdr- 
dôno  pieno  e  iatiero  ai  soldati  e  sott'ufflciali  trafuggi- 
tori  ai  ribelli  e  accordando,  senza  eccezione  a  quanti 
il  vorrebbero,  il  permesso  di  lasciare  la  città  per  la  via 
di  terra  o  di  mare.  —  E  Manin  a  lui  :  =  Corne  già  i  rap- 
presentanti  del  popolo  avevano  risposto  aU'invito  di  resa 
rli  Haynau,  cosi  egli  allora,  in  nome  délia  stessa  Assemblea, 
fargli  noto  essere  Venezia  ferma  nei  fatti  propositi  di  re- 
sistere  fino  allô  estremo.  Avère  poi  egli  il  4  aprile  invo- 
cati  i  buonl  offlci  di  Francia  e  dlnghilterra  presso  il 
Governo  aostriaco,  allô  scopo  d*ottenere  a  Venezia  la  in- 
.dipendenza  politica.  =  E  il  maresciallo  replicavagli  :  = 
L'Imperatore  avère  risoluto  di  non  piîi  toUerare  lo  inter- 
vento  di  (Joverni  stranieri  tra  lui  e  i  sudditi  rubelli  ;  esser 
quindi  nulle  le  speranze  concepite  dai  Yeneziani.  Nel  cessare 
le  pratiche,  le  quali  avrebbero  potuto  condurre  i  guerreg- 
gianti  a  paciflci  accordi,  deplorare  egli  grandemente  i 
(laani  che  Tassedio  farà  soffrire  alla  città.  »  Il  ô  maggio 
Radetzky  riedeva  a  Milano  scornato  da  coloro  che  egli 
aveva  tenuto  a  vile! 

Orgogliosi,  a  buon  diritto,  délia  prova  sostenuta  due 
giorni  prima  a  Marghera,  i  Yeneziani,  aile  dignitose  e 
risolute  parole  di  Manin  fatto  il  meritato  plauso,  vie  piii 
s'affermarono  nel  proposito  di  resistere  a  ogni  costo;  e 
nella  notte  stessa,  che  segui  alla  partenza  da  Mestre  del 
maresciallo,  uscirono  alla  campagna  in  una  bella  schiera 
di  cinquecento  armati  per  rovinare  i  lavori  délia  seconda 
parallela,  aperta  dagli  assediatori  a  mezzo  chilometro  dal 
saliente  délia  lunetta.  Dopo  avère  combattuto  per  quasi 
uQ*ora  rimpetto  alla  testa  délia  parallela,  dovettero  indîe- 
treggiare  per  lo  accorrervi  di  grossa  presa  d'Austriaci. 
—  Due  giorni  appresso,  e  propriamente  all'albeggiare  del 
9,  una  mano  di  seicento  fanti,  d'alcuni  artiglieri  e  di  cento 
soldati  degli  ingegneri  militari  uscirono  di  Marghera  per 
esplorare  e  riconoscere  i  lavori  del  nimico;  il  quale,  perché 


Digitized  by  VjOOQIC 


336  CAPiTOLO  yn 


intente  a  togliere  Tacqua  dalle  trincee,  pareva  non  più 
intendesse  a  quelli  con  la  pristina  alacrità.  Gli  nseiti  pro- 
cedettero  contra  il  campo  degli  assedianti  ordînati  in  due 
schiere;  quella  di  destra,  capitanata  da  Rosaroll,  doveTa, 
per  Targine  del  canale  di  Mestre,  prendere  a  royescio  la 
seconda  parallela;  Taltra,  guidata  da  Sirtori  e  Gosenz,  dovera, 
camminando  a  sinistra  per  la  via  ferrata,  percaotere 
quella  di  fronte  e  sopravanzarne  Testremità  destra.  L'im- 
presa  venne  ordinatamente  condotta  e  con  molta  gagliardia 
dagli  assalitori  eseguita;  i  qnali,  superato  il  yallo,  seesero 
nella  trincea  e  ne  cacciarono  i  difensori»  oui  (ta  dato  ri- 
prenderla  al  giugnere  loro  di  sussidio  poderoso;  allorale 
gentî  di  RosaroU,  Sirtori  e  Gosenz,  protette  dal  cannone. 
di  Marghera,  si  ritrassero  combattendo  (1)  :  esse  ayevano 
ottenuto  lo  scopo  di  quella  uscita  (2).  —  Nei  giomi  11  e  13 
maggio  due  batterie  della  seconda  parallela,  innalzate 
presse  Gampalto,  apriyano  il  fuoco  contra  il  forte  San 
Ginliano  ;  e  coi  loro  proietti,  battendo  la  testa  del  ponte 
dellalagana,  metteyano  in  pericolo  taie  yia  di  comunicazione 
di  Marghera  con  Yenezia.  Fu  allora  che  il  générale  Pepe 
adnnô  a  consulta  di  guerra  i  Ministri  sopra  le  armi  e  la 
marineria  —  Oayedalis  e  Graziani  —  e  i  principal!  del- 
Tesercito  per  discutere  su  ciô  che  meglio  conyenisseï  se 
cioè  tenere  Marghera  sino  allô  estremo,  o  riunire  tatte 
le  forze  armato  entre  le  lagune,  i  confini  yeri  e  natarali 
délie  difese  di  Yenezia.  Questo  disegno  da  parecchi  offl- 
ciali  del  presidio  appoggiato,  sino  dal  5  di  quel  mese  di 
maggio  messo  innanzi  da  Cayedalis,  era  stato  combattuto 
dal  colonnello  Ulloa  con  assai  buone  ragioni  :  =  Col  lasciare 


(1)  La  ritratta  ta  protetta  dal  capitano  liartiiieUi,  ohe  teneTasiaJla 
riscossa  con  bnona  mano  di  soldati  del  reggimento  Galateo,  il  (p^ 
fiaceya  parte  del  presidio  di  Marghera. 

(2)  I  gnastatori,  che  ayeyano  segnito  la  schiera  di  BobhtoII,  id^' 
diante  tagli  fàtti  presse  il  canale  di  Mestre,  allagarono  nnoTameate 
le  trincee  del  nimico. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TENBZIA  S  UNOABIA  337 

Marghera,  affermava  egli,  mentre  accrescerebbesi  la  bal- 
danza  nei  nimici,  getterebbe  lo  sconforto  neiranimo  dei 
soldati  e  dei  Veneziani»  che  consideravaao  quella  fortezza 
antemnrale  inespugnabile  délia  loro  città;  =  il  disegno  di 
Cavedalis  ponevasi  quindi  da  parte.  Nella  consulta  di 
gaerra  —  cui  non  era  stato  chiamato  Ulloa,  perché  sape- 
vasr  ayyerso  allô  sgombro  di  Marghera  —  molto  si  discusse, 
nulla  perô  si  risolvette;  ayvegnachè,  prima  di  deliberare 
sopra  faccenda  di  si  grave  importanza,  il  générale  supremo 
repatasse  necessario  conoscere  Topinione  dei  Dittatore. 
Quanta  insipienza  in  quegli  uomini  invecchiati  nelle  armi» 
i  quali  in  cose  di  guerra  —  e  dove  proprio  la  politica  non 
entrava  —  volevano  interpellare  un  avvocato,  Daniele 
Manin!  --  Sebbene  gli  imperiali  lavorassero  con  somma 
alacrità  e  vigoria,  nonpertai;ito  le  opère  ossidionali  pro- 
gredivano  lentamente,  causa  lo  allagamento  délie  acque 
deirosellino  e  dei  canale  di  Mestre,  fatto  ad  arte  dagli 
ingegneri  veneziani  mediante  alcuni  tagli,  e  che  le  pioggie 
primaverili  avevano  non  poco  ingrossato:  onde  Tassedia- 
tope,  innanzi  d'aprire  nuove  trincee,  fosse  costretto  a  to- 
gliere  le  acque  dalle  parallèle,  a  deviarle  dal  terreno  cir- 
costante  aprendo  in  più  luoghi  Targine  délia  via  ferrata 
6  a  costrurre  dighe  contra  le  innondazioni,  che  indubi- 
tabilmente  ritenterebbersi  dagli  assediati;  nei  quali  lavori 
gli  Austriaci  ebbero  a  lamentare,  oltre  la  perdita  d'un 
tempo  preziosissimo,  quella  di  molti  dei  loro  per  le  fatiche 
0  le  malattie.  —  Il  16  maggio  assumevasi  da  Thurn  il 
governo  dell'assedio  di  Yenezia  per  la  partenza  di  Haynau, 
allora  chiamato  al  comando  supremo  dell'esercito  impé- 
riale guerreggiante  in  Ungaria:  dove  Windischgr&tz  e 
Welden  avevano  fatto  malissima  prova;  ne  certamente 
Haynau  avrebbela  fatta  migliore,  ne  parimenti  a  lui  sarebbe 
stato  possibile  vincere  la  ribellione  magiara  senza  lo  in- 
tervenire  di  poderosi  aiuti  d'armi  moscovite.  La  sera  dei 
20  un  araido  di  Thurn  presentavasi  al  comandante  di 
Marghera  per  annunziargli  la  novella,  giunta  allora  allora 

«  —  Vol.  a  Martini  —  Storia  pol-  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


338  OAPITOLO  TH 


al  suo  campo,  délia  volontaria  dedizione  di  Bologna  a 
Wîmpffen,  che  avevala  assediata;  chiedeva  Taraldo,  se 
Venezia  volesse  seguirne  Tesempio;  e  i  Veneziani,  alla 
chiamata  di  resa  del  nimico,  rispondevano  col  cannone  di 
Marghera.  Il  di  seguente  da  tre  mila  stranieri,  per  invito 
dei  loro  consoli,  lasciavano  la  cîttà,  ove  le  vettovaglie  già 
scarseggiavano  ;  ne  era  possibile  fornirla  di  quante  abbi- 
sognava,  per  essere  le  vie  del  mare  impedite  dalle  nari 
deirammiraglio  Dahlrup,  le  quali  sorgevano  in  su  Tàncora 
rimpetto  ai  lidi  di  Pelestrina  e  Malamocco  ;  soltanio  a 
quelle  di  Prancia  e  d'Inghilterra  era  staia  concessa  l'en- 
trata  nelle  lagune,  a  patto  che  non  portassero  agli  asse- 
diati  viveri,  ne  lettere.  Nelle  uscite  di  Treporti  e  Bron- 
dolo,  felicemente  condotte  di  quel  giorni  dal  générale 
Rizzardi  allô  intente  di  allargare  da  quelle  parti  l'assedio 
e  prender  lingua  del  nimico,  arevano  i  presîdi  raccolto 
alquante  vettovaglie,  da  cento  buoi  neiruscita  di  Treporti 
e  da  trecento  nelFaltra  di  Brondolo  con  molto  vino  e 
commestibili  ;  ma  era  ben  poca  cosa  e  insufficiente  aile 
nécessita  del  momento;  le  quali,  da  tutti  prevedevasi,  di- 
verrebbero  maggiori  alla  stregua  deU'avanzare  deirassedio. 
La  picciola  squadra  veneziana  usci  allora  dal  porto  di 
Malamocco;  ma  presto  vi  rientrô,  veggendo  impresa  im- 
possibile  tenere  con  vantaggio  il  mare  contra  quella  di 
Dahlrup.  Taie  la  sciagurata  conseguenza  délia  insipienia 
di  Graziani;  il  quale,  invece  di  portare  la  marineria  da 
guerra  a  numéro  e  potenza  da  fronteggiare  la  nimica,  aveva 
inconsultamente  tolto  a  molti  legni  le  artiglierie  per 
armarne  i  forti,  e,  piii  che  ad  acquistare  la  preponderanza 
sul  mare,  volto  sue  cure  a  difendere  l'interno  délie  lagune 
e  assicurarne  la  navlgazione  ;  egli  non  aveva  saputo  com- 
prendere  che,  dopo  la  caduta  délie  armi  italiane  a  Novara, 
se  per  Venezia  tuttavia  esîsteva  un'àncora  di  salute,  questa 
doveva  trovarsî  nella  sua  marineria  di  guerra. 

Erano  le  cinque  antimeridiane  del  24  maggio,   quando 
gli  Austriaci  prendevano  a  percuotere  Marghera  con  una 


Digitized  by  VjOOQIC 


YBRXZIA  X   UNOABIA  839 

tempesta  di  palle,  di  granate  e  bombe;  cencinquantuno 
cannonl,  obici  e  mortai,  ordinati  eatro  le  due  parallèle 
gm  costrutte  in  dicianacve  batterie,  abbracciavano  in  un 
mezzo  cerchio  di  fuoco  —  il  quale  correva  da  Bottenigo 
a  Caznpalto  —  quella  fortezza  e  le  opère  di  fortiflcazione, 
che  ai  lati  ne  accrescevano  le  difese.  A  si  furioso  tempe- 
stare  délie  artiglierie  nimiohe,  gli  assediati,  non  potendo 
rispondere  che  con  sole  settantacinque,  supplivano  alla 
scarsezza  del  numéro  con  la  celerità  del  tirare;  ed  essi, 
che  erano  tutti  giovani  soldati,  comportaronsi  in  quel  com- 
battimento  con  taie  maestria  e  coraggio,  che  di  più  non 
sarebbesi  potuto  attendere  da  uomini  proyatissimi  nelle 
armi  e  da  lunga  pezza  esercitati  nel  maneggio  del  cannone: 
onde  a  buon  diritto  i  difensori  di  Marghera  ebbero  fama 
e  prestanza  di  valorosi.  £  l'Ulloa  —  capitano  assai  diligente 
e  perito  e  sul  quale  tutta  riposavaladifesa  délia  fortezza  — 
e  Gosenz,  Sirtori,  Galateo  e  Rosaroll  f urono  superiori  a  ogni 
elogio;  accorrendo  ove  la  morte  flaceva  la  strage  maggiore, 
ne  sdegnando  surrogare  anche  nei  più  bassi  offici  il  gre- 
gario  ucciso  o  ferito,  essi  potentemente  rinfrancarono  le 
forze  dei  loro  soldati  ;  e  cosi  puossi  affermare  essere  stati, 
in  qnella  difficile  prova,  gli  uni  degni  degli  altri,  tutti  poi 
degni  délia  causa  che  difendeyano.  Il  flioco,  vivissimo  in 
tutta  la  giornata,  dalla  parte  degli  assediati  rallentô  verso 
il  tramontare  del  sole  causa  la  diiTalta  di  munizioni; 
avvegnachè,  se  copia  grande  ne  aveva  consunta  il  cannone 
di  Marghera,  eziandio  non  poca  fosse  stata  distrutta  dai 
proietti  nimici  caduti  su  le  riposte  délie  medesime%  sopra 
due  barche  cariche  di  esse.  Il  fuoco  degli  Austriaci  durô 
al  contrario  in  tutta  la  sua  intensità  sino  a  notte  fatta  ; 
durante  la  quale  le  artiglierie  trassero  d'ambe  le  parti  a 
lunghi  interyalli  ;  ciô  che  permise  agli  assediatori  e  agli 
assediati  di  riparare  ai  danni  piii  gravi  toccati  aile  batterie 
nella  bombardata  di  quel  giorno.  La  quale  il  di  appresso 
riprese  e  seguitô  con  sempre  crescente  furore  da  parte 
degli  Austriaci  e  da  quella  dei  difensori  con  intensità 


Digitized  by  VjOOQIC 


ZiO  OAPITOLO   TII 


sempre  déclinante  per  lo  venir  meno  non  soltanto 
munizioni,  ma  anche  délie  artiglierie,  non  arendone  in  serbn 
tante  che  bastassero  a  snrrogare  le  guaste  e  le  scavalcate. 
n  rovînarsi  délie  difese  di  Marghera,  in  cento  luoghi 
rotté  dai  proietti  degli  Austriaci,  e  il  continue  dimimiiro 
deirappoggio  dei  forti  Manin  e  Rizzardt,  e  délie  batterie' 
dei  dnque  Archi  si  fattamente  queste  e  quelli  malconci 
da  reggersi  a  mala  pena  per  poco  tempo,  inducerano  il 
Goyerno  dittatoriale  a  interpellare  il  colonnello  Ulloa  sq 
la  possibilità  di  continuare  efflcacemente  nelle  resistenz>^ 
di  Marghera  senza  metterne  a  repentaglio  il  presidio;  il 
quale,  non  estante  i  sussidi  venutigli  di  Venezia  —  soprara- 
modo  di  artiglieri  —  andava  ogni  ora  più  assottigliandosi; 
e  ruiloa  rispondevagli:  =  Essere  ancora  possibile  di  resi- 
stère,  se  gli  si  mandassero  mnnizioni  e  buona  mano  di  mar- 
rainoli  con  sacchi  di  terra  e  fascine,  in  copia  taie  ch^ 
bastassero  a  chiudere  le  rotture  dei  parapetti.  =  Ma  il 
Governo,  veggendo  di  non  potere  soddisfare  a  quantn 
chîedevagli  il  colonnello  Ulloa;  in  oltre,  informato  che  il 
générale  Thurn  preparavasi  ad  aâsaltare  la  fortezza  cel 
mattino  dei  27  (1),  ne  decretava  lo  sgombero,  per  restrin- 
gère  le  difese  di  Venezia  ne'  suoi  confini  naturali,  entro 
cui  la  città  ritenevasi  veramente  inespugnabile.  <  Le  esi- 
genze  daU'onore  militare,  cosî  Manin  nel  suo  décrète  dei 
26  maggio,  sono  ampiamente  soddisfatte  per  le  segnalai^ 
prove  di  perizia,  di  coraggio  e  di  perseveranza  che  dîp- 
dero  il  presidio  e  l'egregio  suo  comandante  nel  ripulsare 
replicAi  fierissimi  assalti,  e  portando  all'inimico  gravis- 

simi  danni; »  —  AU'albeggiare  dei  26  ricomînciô  d'ambe 

le  parti  con  eguale  gagliardia  il  trarre  délie  artiglierie 


(1)  Che  nn  assalto  si  dovesse  dare  a  tntta  la  fortezza  nel  mattiBo 
dei  27  mag^o  lo  disse  lo  stesso  Thurn  nella  sua  rekizione  dell'assedio 
di  Harghera  al  Ministro  sopra  le  armi:  u  Bgli  voleva  cosi  adempiere 
al  deâderio  ardente,  da  Inngo  tempo  nutrito  da'  suoi  brari  soIdatL  ' 


Digitized  by  VjOOQIC 


VSVBZIA  X  UVOABIA  341 

e  dopo  qaalche  ora  di  bombardata  il  coloaaello  Ulloa  — 
che  aveva  avuto  il  carico  di  mandare  a  effetto  lo  sgom- 
biro  délia  fortezza  —  chiamati  a  sô  i  comandanti  degli  inge^ 
^neri  militari,  délie  artiglierie  e  délie  fanterie  del  presidio 
diede  loro  gli  ordini  délia  ritratta,  la  quale  doyeva  comin- 
ciare  sul  cadere  del  giorno.  Il  fuoco  dei  cannoni  di  Mar- 
ghera  e  dei  forti  Manin  e  Rizzardt,  pur  rallentando  verso 
lo  imbrunire,  aveva  a  cessare  soltanto  a  notte  avanzata, 
allô  scopo  di  far  credere  agli  assedianti,  che  i  difensori 
pcrdorayano  nelle  resistenze:  e  cosi  fu.  AU'ora  fissata  — 
le  nove  di  notte  —  ebbe  cominciamento  lo  sgombero.  Du- 
rante quel  giorno  erasi  già  lavorato  attorno  al  trasporto  di 
due  grossi  cannoni  e  due  obici,  i  quali,  con  una  barca 
carica  di  polveri  vennero  condotti  aVenezia;  le  rimanenti 
artiglierie,  man  mano  che  terminavano  il  loro  fùoco, 
inchiodavansi;  e  le  munizioni  di  guerra  gettavansi  nella 
laguna.  I  presidi  si  ritrassero  quasi  a  scaglioni;  primo  fu 
quello  del  forte  Manin^  che  si  imbarcô;  di  esso  due  com- 
pagnie dei  cacciatori  del  Sile  dovevano  scendere  al  forte 
San  Giuliano;  le  altre  a  Venezia;  indi  tennergli  dietrogli 
artiglieri  e  le  fanterie  di  Marghera;  ultime,  in  retroguardia, 
il  presidio  del  forte  Rizzardi  e  délia  batteria  dei  Ctnque 
Archi;  e  parte  sopra  barche,  parte  per  la  via  ferrata  e 
il  ponte  su  la  laguna  ripararonsi  entre  Venezia.  La  ritratta 
compissi  in  quattro  ore,  ordinatamente  e  in  taie  silenzio, 
che  il  nimico  di  nulla  si  accorse;  e  ciô  diciamo  non  estante 
la  contraria  affermazione  di  scrittori,  in  yerità  ingiusti 
verso  quel  valorosi  che  seppero  difendere  Marghera  dopo 
ventinove  giorni  di  trincea  aperta;  i  quali  si  ritrassero 
per  non  vedersi  tolta  Tunica  yia  di  scampo,  che  certamente 
^vrebbero  il  giorno  appresso  perduta,  in  forza  deirassàlto» 
che  con  armi  poderose  Thurn  ayeya  risoluto  di  dare  alla 
t'^rtezza;  assalto  preyeduto  dal  Goyerno  dittatoriale  e  dal 
«omando  supremo  dell'esercito  per  certe  notizie  lor  giunte 
'lai  campo  assediatore.  Quel  valorosi  —  tra  cui  primissimi 
Ulloa,  Gosenz,  RosaroU,  Mezzacapo,  Galateo  e  Sirtori  —  la- 


Digitized  by  VjOOQIC 


842  GAPiTOiiO  yn 


sciarono  Marghera  totalmente  rovinata,  com*ebbe  a  confes- 
sare  il  aimico  stesso,  che  ayeva  fulminato  quel  forte  cou  più 
di  sessantamila  proietti,  ai  quali  i  difensori  aveyano  risposto 
con  ottantamila  gettati  contra  le   trincee  e  le   batterie 
degli  Austriaci.  D'altronde  nella  condizione  in  cui  trova- 
yansi  le  eose  una  più  lunga  resistenza  in  Marghera,  anche 
se  al  presidio  fosse  stato  dato  di  ributtare  sempre  e  coc  i 
yantaggio  gli  assalti  di  Thurn,  e  ammettendo  pare  che  1 
difensori  délia  fortezza   non    corressero   il   pericolo   di 
perdere  l'unica  lor  yîa  di  ritratta  —  la  quale  era  protetta. 
non  troppo  efiScacemente  per6  in  quegli  ultimi  giorni»  dal 
forte  Riszardi  e  dalla  batteria  dei  Cinque  Archi  —  una  | 
piii  lunga  resistenza,  io  dico,  sarebbe  stata  certamente  ai  | 
danno  alla  difesa  di  Yenezia;  mentre  essa  ayyantaggiavasi  j 
dimolto  col  raccogliersi  di  tutte  le  forze  armate  entre  h 
lagune.  Verso  le  due  antimeridiane  del  27  maggio  Marghera 
non  ayeya  più  difonsori;  del  presidio,  che  in  sul  comin- 
ciare  deirassedio  contaya  due  mila  e  cinquecento   uomini 
allô  incirca,  cento  yi  perdettero  la  yita;  a  quattrocenU» 
toccarono  ferite,  e  la  maggiore  parte  si  grayi,    che  h. 
breye  tempo  ne  spensero  da  trecento;  degli  imperiaii  poi, 
dalla  notte  in  cui  diedero  mano  alla  prima  parallela  sino  i 
alla  caduta  di  Marghera,  quasi  mille  caddero  morti  o  feriti:  | 
e  più  di  due  yolte  tanto  fu  il  numéro   dei  malati   per  le  j 
fatiche  e  il  serenare  presse  luoghi  paludosi.  —  Sorgeyâ  | 
Talba  del  s^,  quando  una  presa  di  cacciatori  austriaci  I 
ayyicinatasi  a  Marghera,  y^^ndone  la  yia  coperta  ài  \ 
guardie  afiatto  déserta  e  non  udendo  yerun  romore  di 
armi,  salito  il  bastione  scendeya  nella  fortezza,  che  un'orâ  , 
dopo  yeniya  fortemente  occupata  dal  nimico.  Alla  'sua  si- 
curezza  moltissimo  importando  il  possesso  di  San  Giuliano 
—  le  cui  artiglierie  batteyano  la  gela  di  Marghera  —  un 
capitano  degli  ingegneri  militari  con  settanta  soldatî  lo 
tentaya  e  se  ne  impadroniya  senza  contraste  ;  ayyegnachè 
il  presidio,  dopo  lo  sgombero  di  quella  fortezza,  reputando 
impossibile  di  sosteneryisi  anche  per  poco  tempo,   nella 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBNSZIA  B   UUGABIA  843 

notte  lo  ayesse  laaciato  libero  al  nimico>  che  per  brevi 
istanti  lo  teime;  perô  che»  avendo  subito  preso  fuocouna 
riposta  di  polveri,  San  Giuliano  tutto  roviaasse»  seppel- 
lendo  in  sue  rovine  due  offlciali  e  diciotto  soldati,  che  in 
esso  erano  entrati  (1). 

Signori  di  Marghera,  gli  Austriaci  davansi  immediata- 
mente  e  con  somma  alacrità  a  innalzare  batterie  di  mortai 
neirisola  di  San  Giuliano  e  alla  testa  del  gran  ponte,  i  oui 
primi  archi  erano  stati  allora  allora  distrutti  dai  Vene- 
ziaoi  per  mezzo  di  cunlcoli  già  da  tempo  preparati;  ma  le 
roYine  degli  archi  abbattutl  avendo  riempita  quella  parte 
di  laguna  che  correva  tra  i  pilastri  di  essi,  dovovano  gio- 
vare  non  poco  al  nimico  nelle  sue  nuove  opère  d'assedio. 
1  difensori  di  Venezia,  dallo  scoraggimento  in  cui  avovali 
gettati  la  perdita  di  Marghera,  presto  si  riebbero  ;  e  bene 
apprezzando  in  tutta  loro  giustezza  le  ragioni  che  avovano 
indotto  il  Governo  a  comandarne  lo  sgombero,  ripresa  la 
lena  usata  del  fare  e  quella  volontà  altresi  che  tutto  puô, 
iûtesero  con  animo  lieto  e  gagliardo  ad  afforzare  la  se- 
conda linea  délie  difese,  nella  quale  meritamente  ponevano 
la  sainte  délia  patria.  Questa  seconda  linea  di  difesa,  go* 
vernata  da  Ulloa,  consistera  in  batterie  di  terra,  e  in  zat- 
tere  e  barche  armate  di  cannoni;  le  prime  costrutte  sul 
gran  ponte,  l'altre  qua  e  là  sorgenti  su  la  laguna  e  sul 
canali,  le  quali,  più  che  altrove,  trovavansi  tra  la  città  e 
Marghera,  la  parte  pib  da  vicino  minacciata  dal  nimico 
assediatore.  Su  la  piazza  maggiore  del  ponte  —  la  quale 


(1)  u  Occnpata  Maigiiera,i  nostri  soldati  ayanzaronsi  verso  il  ponte 
^Ua  via  f errata;  molti  di  essi  sino  agli  archi  rovinati  dal  nimico; 
&itri,  gettatisi  nella  lagnna,  nnotarono  sino  al  forte  San  Ginliano  per 
impadionirsene.  Sgraziatamente  nna  granata  nimica  aceese  ona  riposta 
di  polveri:  onde  venti  soldati,  tra  cni  dne  officiai!,  rhnasero  vittima 
àû  loio  coraggio.  » 

Belaàone  del  Inogotenente  maiesdallo  Tham  al  sno  Governo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


844  OAPiTOLO  vu 


sta  a  milleciaquecento  metri  dalla  terraferma  e  ad  altret- 
taati  da  Venezia  —  era  stata  costrutta  una  batteria  di 
sette  grossi  cannoni  e  tre  mortai;  goTernavala  Gosenz. 
Gentoventi  metri  a  destra  e  cencinquanta  addietro  a  quello 
alzavazi  un*altra  batteria  nell'isoletta  di  San  Seconde,  mu- 
Qita  di  quattordici  artiglierle,  pure  di  forte  calibre,  e  di 
sei  mortai  :  comandavala  Sirtori.  Tra  queste  due  batterie 
sorgevano  su  Tàncora  nel  canale  marittimo  una  zattera 
con  un  mortaio  e  sei  navi  leggiere,  ciascuna  armata  di 
un  cannone;  al  tre  sel,  tra  l'isola  di  San  Giorgio  in  Alga 
e  il  ponte  délia  via  ferrata:  le  primo  poste  sotto  gli  or- 
dini  di  Sagredo;  le  altre,  sotto  quelli  di  Viscowich;  due 
capitani  di  corvetta,  che  non  rare  volte  avanzaronsi  di 
giorno  sin  presso  le  rovine  degli  archi  abbattuti  par  fui- 
minare  i  nimici  cho  vi  si  nascondevano,  e  di  notte  sep- 
pero  eseguire  sbarchi  audacissimi;  in  fine,  compivano  la 
seconda  linea  di  difesa  le  batterie  di  Gampalto  e  di  Teâ- 
sera  a  destra  del  ponte;  e  di  San  Giorgio  a  sinistra  di 
esso.  Altre  ancora  erano  state  erette  dietro  la  batteria 
délia  piazza  maggiore  del  ponte,  e  neirisola  di  Murano 
e  nel  campo  di  Marte;  ma  queste,  più  che  ad  aflEbrzare 
le  batterie  che  stavanle  rimpetto,  costituivano  una  terza 
linea,  anzi  la  difesa  estrema  di  Venezia.  —  Il  mattino 
del  28  maggio  gli  assediatori,  dalle  batterie  costrutte  nella 
notte  alla  testa  del  ponte,  dietro  gli  archi  rotti  e  nel- 
Tisola  di  San  Gîuliano,  prendevano  a  trarre  bombe  e 
granate  contra  San  Seconde  e  la  batteria  délia  piazza  mag- 
giore del  ponte  stesso;  e  da  questa  lor  rispondevano  gli 
assediati  con  bombe  e  palle,  e  con  le  artiglierie  délie  bar- 
che  cannoniere  molestavano  il  nimico  ne'  suoi  laveri  di 
assedio.  —  Nella  notte  del  2d  Ullôa  fece  tentare  San  Qiu- 
liane  con  cinque  barche  cannoniere  e  cinquanta  soldati; 
cape  dell'impresa  Sirtori,  il  quale,  venuto  a  poce  più  di 
cente  passi  daU'isola  senza  esser  visto,  trasse  con  sue  ar- 
tiglierie cariche  a  scaglia  contra  la  batteria  nimica;  ma 
trovando  San  Giuliano  fortemente  presidiato,  dope  nn'era 


Digitized  by  VjOOQIC 


VSNSZIA   E   rXQABIA  845 

di  combattimento  retrocedette.  A  qaesta,  corne  aU'impresa 
<lel  6  giugno  contra  Botteaigo,  da  dovo  gli  Anstriaci  bat- 
tevano  le  barcho  cannoniere  ancorate  nel  canale  di  San 
Giorgio  in  Alga  —  imprese  che  avevano  per  intento  di 
distruggere  le  offese  degli  imperiali  —  non  sorti  esito  felicc 
per  la  vigile  guardia  che  vi  facera  il  nimlco,  e  per  easere 
State  tentate   da  forzc  insufScienti. 

Il  31  maggio  i  rappresentanti  del  popolo  raccoglievansi 
a  Parlamento  per  invite  di  Manin;  il  quale,  dopo  aver 
fatto  conoscore  le  pratiche  tenuto  coi  Governi  amici  —  di 
Prancia  ed  Inghilterra  —  allô  intento  di  ottenere,  corne 
sopra  scrivemmo,  una  conveniente  posizione  politica  in 
Italia  e  in  Europa,  metteva  innanzi  per  una  lega  con  la 
Ungaria  le  offerte  di  Kossuth,  cioè  di  un  soccorso  di  ar- 
mât], di  danaro,  di  due  frégate  a  vapore  a  Yenezia,  se 
aelle  resistenze  potesse  durare  sino  a  luglio;  in  oltre,  Ma- 
nia notificava  ai  congregati  una  lettera  del  ministre 
De  Bruck,  chiedente  a  qvuM  patti  Venezia  si  pacifiche- 
r^be  con  VAtistria.  £  TAssemblea,  posta  per  base  d*ogni 
trattativa  la  indipondenza  assoluta  délia  Venezia,  rispon- 
deva  a  De  Bruck  col  seguente  décrète  :  «  Le  milizie  di 
terra  e  di  mare  col  loro  valore,  il  popolo  co'  suoi  sacrifizi 
haimo  bene  meritato  délia  patria.  L'Assemblea,  persistendo 
nella  deliberazione  del  2  aprile,  fida  nel  valore  dei  soldati 
e  nella  perseveranza  del  popolo.  Il  présidente  del  Govemo, 
Manin,  è  abilitato  a  continuare  le  trattative  iniziate  in 
via  diplomatica,  salva  sempre  la  ratificazione  deirAssem- 
blea.  »  Questo  décrète  deirAssemblea  venne  salutato  con 
gioia  dal  popolo;  il  quale,  pieno  d'entusiasmo,  fecesi  per 
ogni  dove  agridare:  doversi  resistere  ad  ogni  costo.  Per 
invito  del  ministre  De  Bruck  il  mattlno  del  2  giugno  Ma- 
nia spediva  i  cittadini  Oalucci  e  Foscolo  a  lui,  giunto  al 
iora  allora  in  Mestre  per  negoziare  la  pace.  Alla  demanda 
(MVindipendenza  assoluta  di  Venezia  e  di  tanto  territorio 
che  bastasse  alla  esistenza  sua,  il  Ministre  impériale  ri- 
spondeYa:  m  II  Ooverno  austriaco  avère   risoluto   di  ra 


Digitized  by  VjOOQIC 


346  OAPITOLO  ▼)! 


cquistare  la  città  ;  ma  essore  pronto  di  dare  leggi  costitn- 
zionali  al  regno  Lombardo-Veneto,  separandolo  in  due. 
Sezioni,  la  lombarda  e  la  yeneta;  in  oltre,  a  fare  di  ^> 
nezia  una  città  impériale  con  reggimento  municipale.  = 
Tali  condizioni  di  pace,  o  quelle  che  Tinviato  deU'Ausiria 
ebbe  di  poî  a  oâ*rire  ai  Veneziani,  furono  respinte  dalVAs- 
semblea,  corne  diremo  tra  brève.  —  In  questo  mezzo  la 
squadra  nimica,  avvicinatasi  alla  spiaggia  che  corre  dal 
porto  di  Chioggia  a  quel  di  Brondolo  e  di  Fossone,  minac- 
ciaya  sbarcare  gente  per  rovinarvi  le  difese.  Il  3  glugno 
tentava  porto  Fossone;  ributtata,  batteva  nella  notte,  in- 
fruttuosamente  perô,  con  tre  legni  a  vapore  il  forte  Lom- 
bardOy  le  batterie  di  Sotto  Marina,  di  San  Felice  e  Ca- 
roman,  lo  quali  difendevano  Tentrata  del  porto  di  Chioggia; 
e  il  giorno  appresso  fulminava,  ma  sempre  invano,  per 
mare  e  per  terra  quelle  che  alzavansi,  ove  la  Brenta  mett^ 
foce  su  l'Adriatico.  Due  giorni  di  poi  Radetzk}',  arrivato  a 
Mestre  il  di  stesso  dello  sgombero  di  Marghera,  faceva  ssr 
saltaro  il  forte  Brondolo  —  che  giace  dove  insieme  con- 
fondonsi  le  acque  del  Bacchiglione»  del  canale  di  Yaiie  ^ 
del  Brenta,  distante  un*ora  di  cammino  da  Chioggia  - 
per  divertire  le  forze  armate  degli  assediati  e  rirolgerne 
altrove  Tattenzione.  Brondolo  —  il  quale  consisteva  in  un 
quadrilatero  bastionato  —  era  fiancheggiato  a  destra  dal 
picciolo  forte  di  San  Michèle;  a  sinistra  era  unito  al  m&^ 
da  una  trincea  a  denti^  che  formava  dietro  ad  esso  un  trio* 
cerone,  entre  cui  eleTavansi  due  forti,  cioè  il  Lombardo^ 
eretto  su  la  marina  per  impedire  Tawicinarsi  del  nimico: 
e  il  forte  délia  MouUmna,  che  da  quella  parte  proteggeva 
la  spiaggia  di  Chioggia.  L'assalto  fu  vigoroso,  gagliardis- 
sima  la  difesa  di  Brondolo;  dope  dieci  ore  di  combatti- 
mente  il  nimico,  veduti  tornar  vani  gli  sforzi  suoi,  toglie- 
vasi  giù  dairimpresa;  se  quel  forte  fosse  caduto,  Chioggia 
e  il  suo  lido  sarebbero  subito  venuti  a  mano  degli  imperiali. 
Correva  il  13  giugno,  quando  gli  Austriaci  scoprivano 
le  batterie  costrutte  nascostamente  in  quoi  giorni  a  Botte-  | 


Digitized  by  VjOOQIC 


VEKEZIA  B   UKGABIA  347 


Qjgo,  alla  testa  del  ponte  su  la  laguna»  neirisola  di  San 
Giuliano  e  in  Campalto  ;  e  prendevano  a  trarre  con  furia 
contra  quelle  di  San  Seconde  e  délia  piazza  maggiore  del 
ponte,  davanti  alla  quale  erano  stati  démolit!  otto  arclu. 
Dalle  batterie  violentemente  percos3e  dagli  assediatori,  gli 
assediati  risposero  con  Tusata  prodezza  al  vivissimo  fuoco 
dei  cannoninimici;  cui  riesci  gettare  alcnne  bombe  sino 
nella  parte  esterna  délia  città  e  nell'ospedale  militare  di 
Santa  Cbiara,  sul  quale  sventolava  una  bandiera  nera.  D'al* 
lora  la  grande  batteria  del  ponte  ebbe  il  nome  di  Sanf  An- 
tonio, per  avère  con  vantaggio  sostenuto  poderosa  bombar- 
data  il  13  giugno,  sacro  a  quel  santo,  in  molta  venerazione 
non  solo  presso  i  Padovani,  che  ne  posseggono  il  corpo, 
ma  anche  presso  i  Veneziani.  D'ambe  le  parti  il  fuoco  délie 
artiglierie  dura  incessantemente  sino  a  tutto  il  15;  nella 
nette  diminuendo  d'întensità  per  poter  riparare  ai  guasti 
toccati  aile  batterie  durante  il  giorno.  —  A  meglio  e  piîi 
soUecitamente  provvedere  ai  bisogni  délia  guerra  —  che 
andavano  sempre  crescendo  e  facevansi  ogni  di  piii  im- 
periosi  —  il  16  giugno  daU'Assemblea  dei  rappresentanti 
del  popolo  creavansi  Ulloa,  Sirtori  e  Baldisserotto  —  un 
lnogotenente  di  vascello  —  Gommessari  militari  con  ampia 
e  suprema  potestà  di  fare  tutto  quanto  in  loro  saviezza 
reputassero  necessario  a  mantenere  vive  e  in  buono  stato 
e  difese  délia  città.  Ne  certamente  a  mani  piii  vigorose, 
ne  ad  uomini  piu  audaci,  più  risoluti  e  piii  fermi  di  quoi 
Commessari  potevasi  âdare  il  difficile  governo  délie  resi* 
stenze  di  quel  propugnacolo  délia  libertà  italiana,  che  era 
Venezia;  i  quali,  in  un  manifeste  al  popolo  affermavano 
allora:  =  Avère  accettato  quel  grave  obbligo  con  la  in- 
tenzione  di  resistere  sino  allô  estremo,  e  nella  persuasionc 
che  nei  cittadini,  nell'esercito  e  nelle  Guardie  Nazionali 
non  sarebbero  mai  per  venir  meno  quel  coraggio  e  quella 
virtù  di  cui  avevano  già  date  luminose  prove;  in  fine,  in- 
vitavanli  a  conservarsi  uniti  sempre  e  concordi.  —  Il  géné- 
rale Pepe,  credendo  che  la  Commissione  di  difesa  mirasse 


Digitized  by  VjOOQIC 


343  OAPiTOLO  vu 


alla  dittatura  militare,  onde  sarebbe  stata  diminuita  dimolto 
la  sua  autorità,  voleva  riaunziare  al  comando  supremo  délie 
armi;  ma  ciô  impedira  Manin,  chiamandolo  a  presiedere 
a  quella  Commissione  (I);  per  la  quale  cosa  avvantaggiavasî 
aucora  plu  la  difesa.  Fu  allora  che  Pepe  ai  soldati  e  ma- 
rinai e  ai  difensori  délia  indipendenza  italiana  parlo  in 
queste  sentenze:  =  Ora  che  il  nimico  ha  posto  il  piede 
nella  nostra  laguna,  essere  un  dovere  per  tutti  di  combat- 
terlo  con  valore  più  gagliardo  di  quello  mostrato  nei  ci- 
menti  di  Mestre  e  neirassedio  di  Marghera.  La  base  délia 
forza  trovarsi  nella  militare  disciplina  ;  il  fondamento  di 
questa,  nella  obbedienza  cieca,  soprammodo  necessaria  ne- 
gli  alti  carichi  délia  milizia,  avvegnachè  il  buono  esempio 
venendo  daU'alto  torni  sempre  piii  efficace.  Punirebbe 
egli  inesorabilmente  ogni  mancanza,  e  terrebbe  colpeTole 
di  alto  tradimento  chi,  sotto  qualsiasi  pretesto,  lasciasse 
il  posto  dalla  patria  fidatogli.  Essere  perô  securo  che  sa- 
pranno  meritarsi  délie  ricompense  da  lui  e  dai  loro  con- 
cittadini,  ricompense  più  gloriose  di  quante  mai  si  pos- 
sano  raccogliere,  perché  passerebbero  alla  posterità.  Guar- 
darli  TEuropa  e  Tltalia!  I  fasti  di  Yenezia  di  quattordici 
secoli  essere  per  ricevere  dal  loro  valore  un  noyello  splen- 
dore;  dover  quindi  tutti  ope^^are  in  modo  che,  oltre  le 
Alpi,  gli  uomini  di  cuore  abbiano  a  invidiarci  i  patimenti 
sofferti  e  i  pericoli  corsi  per  la  eroica  Yenezia.  =  Senza 
por  tempo  in  mezzo  la  Commissione  militare  si  accinse 
con  ardore  e  alacrità  somma  aU'opera  sua;  in  brève  ora 
rimise  nella  milizia  la  disciplina  di  quel  giorni  svigorita 
d*assai;  institui  un  tribunale  di  guerra  per  giudicare  e 
punire  i  crimini  di  tradigione;  port6  a  numéro  le  com- 
pagnie degli  artiglieri  Bandiera  e  Moro,  le  quali  avevano, 
in  Marghera,  patito  gravi  perdite;  accrebbe  le  fortifiea- 
zioni  di  Brondolo,   e  con  nuove  difese  protesse  il  basso 


(1)  Segretario  générale  délia  Commisaione  fa  Luigi  Seismit-Doda. 


Digitized  by  VjOOQIC 


VENXZIA.  B   UHGABIA  M9 

Brenta,  là  dovo  matte  foce  in  sul  mare;  restaurô  le  bat- 
terie di  San f  Antonio  e  San  Secondo  e  ne  aumentô  il  nu- 
méro dei  cannoni  ;  in  fine,  diede  il  comando  délia  divisione 
navale  a  Bacchia,  capitano  di  corvetta,  ingiugnendogli  in 
pari  tempo  di  uscir  siibito  di  Malamocco  —  nel  cui  porto 
stavasi  quella  raccolta  —  per  assaltare  le*  nayi  nimiche, 
allô  scopo  di  allargare  e  rompere  Tossidione  di  Venezia, 
e  poter  cosi  rifornire  la  città  di  vettovaglie,  già  peïiu- 
riante.  —  Era  la  notte  del  10  giugno,  quando  la  riposta 
di  polveri  deU'isoletta  délie  Orazie  —-  la  quale  sorge  dalla 
lagana  a  poco  piii  d'an  chilometro  dalla  piazzetta  di  Ve- 
nezia —  scoppiava  con  empito  spaventoso,  riemplendo  di 
terrore  la  città,  il  Lido  e  il  campo  impériale  ;  la  cagione 
dello  scoppio  non  conobbesi  allora,  ne  di  poi.  AU  orrendo 
strepito  i  Veneziani  corsei^o  in  foUa  al  palazzo,  sede  del 
Govemo,  e,  tumultuanti,  incolparono  di  quel  disastro  la 
Gommissione  militare.  Sdegnato  di  tanto  ingiosta  accusa 
lanciata  contra  uomini  onorandissiml,  Manin,  portatosi 
dinnanzi  al  popolo,  parl6  fieramente  cosi  :  «  Il  vostro  con- 
tegûo  è  indegno  dei  cittadini  di  Venezia;  vol  non  siete  il 
popolo,  Yoi  ne  siete  la  feccia;  io  non  modellerô  giammai 
i  miei  atti  sui  capricci  d'una  accozzaglia  di  perturbatori; 
io  non  mi  regolerô  che  sul  veto  dei  rappresentanti  del 
Tero  popolo  di  Venezia.  Quanto  a  voi,  io  vi  dirô  la  verità, 
se  anche  vedessi  gli  schioppi  e  i  vostri  pugnali  appuntati 
al  mio  petto.  Ora,  che  ne  siete  awertiti,  andate.  »  Il  ro- 
more  cessô  all'istante,  e  la  moltitudine  dei  cittadini  in 
pochi  moment!  si  disperse  gridando:  Viva  Manin.  Due 
giomi  dopo  il  Dittatore  înviava  Giuseppe  Calucci  e  Lodo- 
Tieo  Pasini,  membri  deU'Assemblea,  al  ministre  De  Bruck, 
allora  in  Verona,  per  riprendere  le  pratiche  d'accordo, 
State  sospese  a  Mestre,  e  fermare  con  l'Austria  una  pace 
onorevole,  la  quale  avesse  a  dare  a  Venezia  la  tanto  so- 
spirata  indipendenza.  Se  non  cbe,  tornato  impossibile  ai 
negoziatori  veneti  di  ottenore  dal  Ministre  deU'Imperatore 
guarentigie  valevoli  ad  dssicurare  i  diritti  délia  nazione 


Digitized  by  VjOOQIC 


350  CAPiTOLO  vn 


e  famé  rispettata  la  dignità  ;  in  oltre,  veggendo  çMelli 
che  Vadempimento  délie  di  lui  promesse  pendeva  dcU  ca- 
pricdo  del  Ooverno  di  Vienna,  per  essere  sprovvedutedi 
sanzione;  in  fine,  che  le  offerte  faite  alla  città  racchiu- 
devano  una  dedizione  vituperosa,  le  pratiche  furono  rotte 
0  pubblicate  poscia  per  le  stampe,  afflnchè  VEur&pa  gm- 
dicasse  ira  VAustria  e  Venezia. 

Il  trarre  délie  artiglierie  contîauava  incessante  e  furioso 
d'ambe  le  parti;  se  gli  assediatori  intendevano  àiroffesa 
con  vîgore  e  forza,  con  uguale  forza  e  vigore  gli  assediati 
intendevano  alla  difesa;  per  la  quale  cosa  Tassedio  poco  o 
nuUa  avanzava  (1).  Thurn,  bene  preveggendo  di  non  poter 
venire  a  capo  deU'impresa  sino  a  quando  la  batteria 
SanVAntonio  non  fosse  compjiutamente  distrutta,  il  27 
giugno  con  violenza  e  impeto  grandissime  la  bombardé; 
ma  non  riesci  nell'intento  suo,  avvegnachè,  sebbene  Tavesse 
tutta  malconcia  e  in  parte  anche  rovinata,  pure  gli  arti- 
glieri  la  rifecero  nella  notte  e  la  misero  in  istato  taie  da 
tenere,  come  per  lo  addietro,  validissimamente  contra  il 
tempestare  del  nimico.  Essa  ebbe  perô  a  perdere,  in  sul 
cadere  di  quel  giorno,  lo  strenuîssimo  offlciale  che  la 
governava,  Cesare  RosaroU,  napolitano,  da  Pepe  sopran- 
nomato  YArgante  délia  laguna.  Colpito  alla  spalla  destra 
da  un  proietto  di  cannone,  ai  soldati  a  lui  accorrenti 
gridô:  *  Aile  vostre  artiglierie!  aile  vostre  artiglierie!» 
e  a  Pepe  —  nelle  cui  braccia  due  ore  dopo  spirava  la 
grande  anima  —  il  quale  stringendogli  la  mano  cercaTa 
confortarlo:  «  Non  io,  che  muoio,  devo  essere  l'oggetto 
del  vostrî  pensîeri,  sibbene  Tltalia  nostra  »  (2).  —  Il  gène- 


(1)  Vedi  TAtlante. 

(2)  tf  GioYÎaetto,  cosi  Franoesco  Ganano  nella  vita  di  GogUeliDi) 
Pepe,  segnendo  il  padre  aveya  Eosaroll  combattuto  per  la  Hbertà  delU 
Grecia.  Poi  fu  in  Napoli  condannato  nel  capo  per  congima  milltare 
contra  il  Be,  ma,  graziato,  ta  messo  in  ferrL  Dopo  tre  Instri  toniato 


Digitized  by  VjOOQIC 


YKKSZIA  B   UKGABLA.  351 

raie  Pepe,  dopo  aver  fatto  conoscere  ai  soldati  la  morte  di 
quel  raloroso  e  ricordato  corne  i  difensorî  délie  lagune, 
^ebbene  abbandonati  dagli  uomini,  e  dalla  Provridenza 
sommessi  aile  ppove  più  dure,  si  fossero  perô  mostrati 
sempre  all'altezza  délia  gloria,  che  Venezia  mantenne  per 
ben  quattordici  secoli,  ordinava  che  a  perpetuare  la  me- 
raoria  di  Rosaroll,  vonlsse  dal  suo  nome  chiamata  la  bat- 
toria  allora  costrutta  su  la  prima  piazzetta  del  ponte, 
dietro  quella  di  Sant'Antonio.  —  Thurn,  accortosi  di  non 
poter  distruggere  con  una  bombardata  la  batteria  San- 
t' Antonio,  ne  opprimerne  i  difensorî,  deliberava  impadro- 
uirsene  con  improwiso  assalto.  Nella  notte  del  6  al  7  luglio, 
allô  elevarsi  délia  marea  il  capitano  BrûlU  con  qua- 
ranta  soldati  eletti,  calati  in  due  barche,  andava  airim- 
presa;  mentre  Campalto  con  un  vivo  trarre  délie  sue 
artiglierie  chiamava  da  quella  parte  Tattenzione  degli 
assediati.  L'alba  era  vicinissima,  quando  una  barca  incen- 
diaria  arrivata  presso  quella  batteria  tutta  awolgevala  in 
dense  fumo;  nel  medesimo  tempo  BrûU  ne  scalava  co'suoi 
il  parapetto.  Sorpresi  da  quel  sîibito  apparire  del  nimico, 
i  difensorî  di  quella,  colti  da  timor  panico,   dopo  lieve 


a  libertà,  domandô  di  andare  alla  guerra  per  la  indipendenza  italiana. 
Toccô  ferita  in  Cnrtatone.  Alla  difesa  di  Venezia  combatte  sempre  ore 
maggiore  il  perîcolo.  Da  Marghera  usciva  spesso  con  brève  drappello 
di  arditissimi,  e  tatto  impeto  e  fnria  andando  inaino  ai  piè  délia  trinoea 
degli  Anstriaci  proyocarli  a  pngna  nell'aperto.  Sol  gran  ponte  exa  al 
comando  délia  batteria  Sanf  Antonio.  Stando  in  qnesta  ai  27  di  gingno, 
con  la  febbre  addosso,  fece  prove  incredibili  di  yalore,  poichô  i  nimici 
in  quel  giorno  essendosi  incapati  di  atterrarla  a  tntta  forza ,  tali  e 
tante  offese  vi  scaglîarono  contra,  che  de'  sette  cannoni  che  areya, 
<nnqiie  faiono  scavaleati,  saltd  in  aria  nn  magazzino  ripieno  di  polyeri 
da  guerra,  si  appiccô  il  ftioco  a  materie  ammassate  nell'angnsto  apaiio. 
^01  la  fn  salya.  E  la  sera,  allora  apponto  che  il  Bosaroll  potô  yedere 
tomate  yano  qnel  massimo  sforzo  degli  Anstriaci  e  goderai  del  pensiero 
di  aver  tanto  operato  a  sostenere  Tonore  di  Venezia,  colpito  da  palla 
di  cannone  stramazzô.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


352  OAPITOLO  Yll 


contrasto  âietreggiayano,  lasciando  la  batteria  in  mano 
airaudace  assaltatore,  il  quale,  con  dissennato  consiglio,  no 
cliiodaya  i  cannoni,  cho  avrebbe  dovuto  volgere  contra 
San  Seconda  e  le  altre  difese  del  ponte;  errore  che  pochi 
istanti  dopo  facevagli  perdere  sua  facile  conquista;  awe- 
gnachè,  corsi  alla  riscossa  quci  due  valorosl,  che  erano 
Perazzi  e  Gosenz  con  alquanti  soldati  il  ributtassero  dal 
ponte:  nella  quale  brève  fazione  fu  morto  il  capitano 
Brûll.  Se  taie  impresa,  da  prima  bene  riescita,  fosse  stata 
yalidamente  sostenuta  da  grossa  mano  di  Austriaci  e  dall»^ 
artiglierie  di  San  Oîuliano;  e  se,  corne  già  dissi,  i  can- 
noni délia  batteria  Sanf Antonio  fossero  stati  volti  contra 
la  batteria  Rosaroll  e  contra  la  città  —  onde  sarebbe  riu- 
scito  facile  superare  il  canale  San  Seconda  —  Venezia 
non  avrebbe  potuto  resistere  più  a  lungo.  La  sorpresa  del 
7  luglio  fece  gli  assediati  più  vigilanti;  d'allora  le  batterie 
furono  più  attentamente  guardate;  a  quella  di  SanV Antonio 
e  Rosaroll  vennero  aggiunti  due  fianchi  bassi  muniti 
d'obici  e  di  cannoni,  e  fu  sbarrato  il  canale  San  Seconda. 
—  Non  iscoraggiti  dal  cattivo  esito  toccato  ai  loro  tenta- 
tivi  d'improvvisi  assalti,  gli  Austriaci,  che  vedevano  distrutti 
nella  notte  i  lavori  d'approccio  innalzati  durante  il  giorno 
sul  ponte,  pensarono  fulminare  Venezia  con  bombe  portato 
da  palloni  areostatici  ;  una  ventina  de'  quali  vidersi  il 
12  luglio  alzarsi  da  una  fregata  accostatasi  al  Lido,  c  le 
bombe  scoppiare  senza  arrecare  il  più  lieve  danno  alla 
città;  un  pallone  discese  entre  il  forte  San  Nicoldy  due 
caddero  nella  laguna.  Intanto  la  popolazione  comînciava  a 
soffrire  per  famé.  La  Commissione,  che  intendeva  ail.» 
grascie,  già  da  tempo  aveva  prcso  gravi  deliberazioni 
contra  gli  incettatori  di  vettovaglie,  razza  vilissima  d'uo- 
mini  d'assai  lunga  peggiore  dei  ladri  ;  ma  serrata  da  ogni 
parte  la  laguna  dalFesercito  assediatore  e  chiuse  le  vi»* 
del  mare  dalle  navi  austrîache,  la  quotidiana  consuma- 
zione  délie  biade  era  sempre  maggiore  dimolto  di  quanto 
i  contrabbandieri  potevano  giornalmente  fornire  a  Venezia: 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENIZIAS   X7NOASIA 


onde  ogni  giorno  piii  aumentava  la  pcnuria  dei  viveri.  Le 
saggie  provvidenze  délia  Commissione  annonaria  ayerano 
bensi  dato  buoni  frutti,  ma  furono  di  brève  durata  ;  avve- 
gnachè  i  tristi  trovassero  presto  modi  artiflziosi  per  élu- 
dera le  leggi  piii  beaefiche.  Il  valore  del  pane  essendo 
oltremodo  cresciuto,  la  Commissione  ordinava,  che  si 
avesse  a  fare  d'una  mistianza  di  farina  e  segale,  nel 
tempo  stesso  determinandone  il  prezzo;  di  poi  imponeva 
ai  venditori  di  commestibili  e  aile  famiglie  di  notiflcare 
con  esattezza  tutte  le  provvigioni  che  possedevano,  pena 
la  confisca  ;  ma  non  estante  il  provredere  sennatissimo 
dei  Commissari  alla  bisogna  pubblica,  la  carestia^  e  con 
questa  le  tristi  inevitabili  sue  conseguenze,  avanzavasi  a 
grandi  passi!  —  Altri  tentativi  di  sbarchi  sul  ponte,  e 
altri  di  assalto  contra  Brondolo  rinnovaronsi  dal  nimico 
8in  quasi  al  cadere  di  luglio,  riesciti  perô  sempre  a  vuoto  ; 
anzi  ni  di  quel  mese  fu  costretto  a  togliersi  giù  daU'im- 
presa  di  Brondolo,  causa  la  itisalubrità  dell'aria,  la  quale 
infermaya  moltissimi  soldati;  e  in  oltre  a  cagione  délia 
natura  paludosa  del  terreno,  che  rendeya  oltremodo  dif- 
ficile i  layori  e  il  trasporto  délie  pesanti  artiglierie  d'as- 
sedio.  Il  ferro  e  il  fuoco  del  nimico  e  le  malattie  avendo 
assottigliate  .di  molio  le  schiere  dei  difensori  di  Yenezia, 
la  Commissione  militare  chiedeya  la  mobilitazione  di  parte 
délie  Gimrdie  Nazionali  ;  e  TAssembleail  19  luglio  decre- 
tava  pma  leva  di  mille  di  esse  per  l'esercito,  e  il  di  ve- 
gnente  quella  di  quattrocento  uomini  per  la  marineria  da 
guerra. 

La  notte  del  28  al  20  luglio  era  giunta  a  mezzo  del  suo 
corso,  quando  un  trarre  furioso  délie  artiglierie  austriache 

—  il  cui  fuoco  aveva  da  piii  giorni  diminuito  di  intensità 

—  chiamava  in  su  l'arme  la  popolazione,  tutta  riempien- 
dola  di  terrore  e  confusione.  Le  bombe  e  i  proietti  d*ogni 
specie,  cadendo  numerosi  nei  quartieri  di  Ganereggio, 
San  Giacomo,  San  Samuele  e  San  Barnaba,  ne  costringevano 

23  —  VoL  n.  Xasiaki  —  Storia  pd*  t  m%L 


Digitized  by  VjOOQIC 


354  okVTTOho  vn 


gli  abitatori  a  cercare  salvezza  nei  lontani  tanto  dalle  bav 
terie  nimiche,  da  non  potere  essere  côlti  dalle  loro  offese; 
ed  essi  venivano  intorno  alla  piazza  San  Marco  e  alla  riva 
degli  Schiavoni,  ove  ricevevano  ospitalità  cordiale  e  aiuto 
veramente  fraterno  dai  ricclii  e  dai  poveri,  dal  Clero,dal 
Municipîo,  dal  Governo  e  persino  dal  soldato;  il  quale, 
oltre  all'aprire  a  quegli  infelici  la  sua  stanza,  facevasi  a 
dividere  con  essi  il  poco  che  possedeva.  La  confusions 
in  su  le  prime  assai  spaventosa,  destata  nella  popolazlone 
dal  violente  fuoco  délie  armi  assediatrici,  presto  cessô;  e 
Venezia  riprese  l'abituale  sua  tranquillità  mercè  Jesa- 
pienti  cure  delFAssemblea,  che  seppe  con  soUecitadine 
prowedere  di  ricovero,  di  vitto  e  di  laroro  i  cittato  i 
quali  per  salvare  la  vita  avevano  lasciato  le  loro  case.- 
Per  la  molta  distanza  che  correva  dal  campo  impériale 
alla  città  assediata,  non  potendosi  bombardare  questa  ù 
coi  mezzi  e  non  nei  modi  ordinari,  Tburn  aveva  £ 
costruire  neU'isoletta  di  San  Giuliano  due  batterie  di  grosâ 
cannoni  e  di  paixhans;  un'altra  dietro  il  ponte  di  SaQ 
Giuliano;  una  quarta  nelle  vicinanze  di  Campalto,  euni 
quinta  entro  Gampalto  stesso,  tutte  poi  fornite  di  groai 
cannoni  ;  i  quali,  cavalcati  a  guisa  di  mortai  e  poggla^ 
aUe  scarpe  interne  dei  parapetti,  trovavansi  inclinati  sotv 
Tangolo  di  quarantacinque  gradi,  e  ciô  per  essere  stafl 
data  una  taie  inclinazione  aile  scai*pe  dei  parapetti  :  oni 
con  cariche  di  meta  peso  dei  proietti  poteronsi  quest 
gittare  sino  alla  distanza  di  quattro  e  di  cinque  mil 
metri  e  più  dalle  batterie,  tanto  da  cadere  nei  ceatro  i 
Venezia,  e  dalla  batteria  di  Campalto  fin  dentro  Tisola  d 
Murano.  La  bombardata,  che  d'allora  ùx  senza  tregaa 
sempre  furiosissima,  destô  parecchi  incendi,  e  guastù  no! 
pochi  capolavori  di  architettura  e  pittura;  ma  non  î&^s 
a  rimuovere  i  Veneziani  dal  generoso  proposîto  di  resis^r 
sino  allô  estremo;  i  quali  ebbero  di  quel  giorni  acomba 
tere  aU'interno  dei  nimici,  sotto  certi  rispetti  più  peria 
losi  degli  assediatori.  Erano  alcuni  arrabbiati  agitatoi 


Digitized  by  VjOOQIC 


VSNEZIÂ.  X  ITHOABIA  355 

che,  mettendo  innanzi  lo  stolto  disegno  di  levare  in  su 
Tarmi  quanti  erano  atti  a  portarle  e  Timprudente  consiglio 
d*ana  uscitaditutte  le  forze  armate,  gettayano  il  popolo  nella 
massima  commozione,  e  la  discordia  tra  governanti  e  go- 
yernati.  £  siccome  i  subornatori  erano  riusciti  a  gua- 
dagnarsi  con  artifizi  ingannevoli  l'animo  di  qualche  gio- 
vane  soldato,  cosi  il  générale  Pepe,  in  un  manifeste  del 
31  luglio  all'esercito,  dopo  averne  lodate  le  militari  virtù, 
le  quali  rendevano  lui  superbo  di  comandare  a  milizie 
italiane,  inTitavalo  a  sopportare  con  coraggio  le  dure 
prove  della  guerra  e  le  più  dure  estremità  di  essa,  che 
sarebbero  per  toccargU;  in  pari  tempo  Tassicuraya,  essere 
egli  per  eccitare,  anche  nel  nimico»  un  sentimento  di 
invidia,  non  mai  di  pietà.  —  Se  una  uscita  di  tutto  l'eser^ 
cito  contra  Tassediatore  poteva  tornare  pericolosa  e  de* 
plorevole  per  une  spreco  inutile  di  vite,  quella  di  pochi, 
ma  di  eletti  soldati,  se  gagliardamente  condotta,  poteva 
riescire  di  grande  yantaggio  a  Venezia.  E  di  gran  proâtto 
le  fu  di  yiveri  Tuscita  di  Brondolo  del  primo  agosto;  nel 
quale  giorao  da  milledugento  fanti,  trenta  cavalleggeri  e 
qaattro  artiglierie  da  campo,  duce  lo  strenuissimo  Sirtori» 
lauoTevano  verso  il  Brenta  e  lo  varcavano  divisi  in  tre 
schiere,  procedendo  celermente  contra  i  posti  avanzati 
degli  Austriaci,  distesi  da  Gonche  a  Oalcinara,  e  valida- 
mente  asserragliatisi  là  dove  congiungonsi  i  due  argini  di 
quel  fiume:  scopo  deiruscita,  sopravanzare  taie  posto,  la 
cui  perdita  avrebbe  costretto  il  nimico  a  indietreggiare  (I). 
La  schiera  di  destra  —  di  quattrocento  fanti  del  reggimento 
Oalateo  (2),  sedici  cavalleggeri  e  due  cannoni  —  per  la 


(1)  Yedi  rAtlante. 

(2)  n  reggimento  del  Galateo  —  ordinatissîmo  per  virtû  di  loi  che 
lo  comandava  —  quando  fu  lasciata  Marghera  agli  Austriaci^  andô  aile 
difese  costmtte  snl  ponte  deUa  via  ferrata;  a  mezzo  giugno  portossi  a 
presidiare  i  forti  del  Lido,  che  stavano  sotto  il  govemo  del  générale  Sc- 
iera; un  mese  di  poi  Galateo  veniva  trasferito  a  Chioggia,oye  rimase 
mo  alla  resa  di  Venezia. 


gigitized  by  VjOOQIC 


356  OAPITOLO    VII 


sinistra  del  Brenta  doveva  portarsi  sopra  .Conche  e  impa- 
dronirsene  ;  quella  di  mezzo  —  dugento  veliti  e  ceato  fanti 
di  ordinanza  —  per  la  sinistra  del  Bacchiglione  girando 
sul  âanco  il  poste  fortificato  degli  Austriaci,  doyeya  assal- 
tarlo  al  momento  in  cui  sarebbegli  andata  sopra  la  schiera 
di  destra;  in  fine,  quella  di  sinistra  —  che  contava  sei- 
cento  fanti,  quattordici  cavalleggeri  e  due  cannoni  —  oc- 
cupata  Brenta  dell'Alba  aveva  a  riunirsi  con  Taltre  due  su 
la  Galcinara.  Gli  imperiali  fecero  dovunque  brève  resistenza; 
e  da  Brenta  dell'Alba  si  ritrassero  con  tanta  furia  da  la- 
sciarvi  una  bandiera,  alquanti  schioppi  e  non  poco  cor- 
redo  da  soldato,  e  che  tutto  venue  a  mano  degli  usciti  con 
molto  grano,  vino  e  dugento  buoi;  anni  e  vettovaglie  chu 
in  sul  cadere  del  giorno  portarono  in  Chioggia;  e  copia 
assai  maggiore  di  viveri  avrebbervi  potuto  recare,  se  il 
Municipio  di  Chioggia,  giusta  il  comando  datogli,  avesseli 
forniti  non  di  trenta,  ma  di  sessanta  barche.  Il  buon  esito 
toccato  all'impresa  del  presidio  di  Brondolo  indusse  i  di- 
fensori  di  Treporti  a  uscir  fuora  per  vettovagliarsi  ;  dei 
quali,  in  su  la  sera  del  2  agosto  da  settecento  awiaronsi 
verso  la  Gava  Zuccherina;  ma  la  vigile  guardia  del  nimico 
mandô  a  vuoto  il  loro  tentative  :  onde  il  di  vegnente,  rifatta 
la  via,  rientrarono  in  Treporti. 

Quasi  che  i  mali  délia  guerra  e  la  carestia  non  bastas- 
sero  ad  affliggere  l'eroica  Venezia,  un  terribile  morbo,  il 
choiera,  che  sine  allera  era  andato  serpeggiando  per  la 
cîttà  mietendo  poche  vittime,  erasi  in  quel  mezzo  allargato 
in  tutto  VEstuariOy  dovunque  spaventosamente  infierendo; 
ciô  nobpertanto  i  cittadini  mostravansi  fermî  nei  delibe- 
rati  propositi,  avvegnachè  le  miserie  presenti,  ne  le  peg- 
giori  che  prevedevano  essore  per  toccar  loro,  facessero 
venir  mené  in  quel  generosi  il  coraggio  e  il  perseverare 
nelle  resistenze  (1).  L'Ungaria,   nella  quale  i  Yeneziani 


(1)  Un  bmtto  caso ,  ma  ohe  prora  quanto  il  popolo  yeneziano  fosse 
risolntissimo  a  leaistere  sino  allô  estremo,  accadde  il  3  agosta  Attî- 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENBZIA   E    UNOARIA  357 

âverano  riposte  tante  speranze  di  validi  aiuti  di  navi,  di 

soldatesche  e  di  danare  —  navi,  soldatj  e  danaro  più  velte 

prbmessi  —  TUngaria,  io  dico,  allagata  di  poderose  armi 

moscovite,  vedeva  allora  la  sua  fortuna  declinare;  e,  seb- 

bene  rittoriosa  in  molti  cembattimenti  e  in  molto  giornate 

degli  eserciti  deli'Austria,  nondimeno  vedeva  i  suoi  giorni 

essere  contati:  tutte  ciô  Venezia  sapeva,  eppure,   non  di- 

sperando  délia  sainte  sua,  resisteva  da  forte!  e  con  onore 

d'Italia  teneva  alta  la  nazionale  bandiera,  già  da  un  mese 

gloriosamente  caduta  a  Roma!  — -  L'assedio  andava  sempre 

piii  stringendo  in  un  semicerchio  di  fuoco  e  ferre  la  stre- 

auissima  città,  su  la  quale  gli  Austriaci  facçvano  piovere, 

senza  tregua  mai,  una  mirlade  di  proietti,  oui  rispondevano 

intrepidamente  1  difensori,  costretti  perô  a  trarre  con 

lentezza  per  lo  scarseggiare  délie  polveri.  Importava  som- 

mamente  agli  assediati  rompere  o  almeno  allargare   l'os- 

•'^idione  délie  navi  imperiali;  perô  che  dalla  parte  di  terra 

fosse  omai  impossibile  provvedersi  di  viveri  e  di  quanto 

abbisognava  alla  guerra;  e  siccome  dalla  marineria  veneta 

opérante  con  audacia  e  vigore  ciô  soltanto  dipendeva  — 

onde  con  vantaggio  di  Venezîa  sarebbei*si  prolungate  le 

resistenze  —  cosi  le  si  volgeva  il  Governo  délia  repub- 

Uica,  tutto  sperando  dal  suo  coraggio,  dal  sue  amor  patrie. 

Vane  speranze  !  avvegnachè  si  trovasse  allora  in  condizioni 

deplorevolissime  sotto  ogni  rispetto,  soprammodo  per  la 

Quiltare  disciplina,  di  quel  giorni  allentatasi  tante  da  ve- 

dere  ribellarsi  e  disobbedire  ai  comandi   dei  loro  capi  i 

marinai,  i  quali  avrebbero  dovuto  essere  prima  gloria  e 

primo  décore  di  Venezia,  un  di  potente  e  temuta  per  opéra 

e  sapienza  dei  padri   loro,  che  avevano  lasciato  retaggio 


ttto,  che  presse  il  Patriarca  da  alqnanti  cittadini  discntevasi  sn  la  resa 
délia  città,  tamnltnante  corse  al  sno  palazzo,  Tinvase  e  ne  gnastô  al- 
CQne  snppellettili;  e  maggiori  danni  avrebbe  arrecato,  se  Tommaseo 
ftcn  li  si  fosse  prontamente  recato  e  con  sua  éloquente  parola  non  lo 
tresse  persnaao  a  cessare  da  ogni  inanlto  e  a  ritirarsi  di  là. 


Digitized  by  VjOOQIC 


358  CAPITOLO   vil 


ricchissimo  di  splendide  tradizionî  di  marittime  imprese. 
Ma  la  colpa  dî  maie  si.  grave,  forse  rovinoso,  era  tutta  di 
coloro,  i  quali  dopo  la  fortunata  soUevazione  del  marzo 
1848  avevano  preso  a  ordinare  e  a  reggere  la  marineria 
da  guerra.  Vhito  Tesercito  italiano  a  Novara,  il  Governo 
veneto,  poco  o  nulla  curandosi  del  mare,  toglieva  aile 
navi  gli  offlciali  e  i  soldati,  per  presidlare  i  forti  e  le  bat- 
terie délia  terraferma  e  délia  laguna.  A  tanto  errore,  il  quale 
poteva  tornare  funestisslmo  alla  difesa,  la  Commîssione. 
appena  instituita  —  e  fu,  come  vedemmo,  a  mezzo  il  giugno 
—  con  savîo  consiglîo  armava  soUecitamente  una  squadra 
di  piccioli  legni,  di  barche  cannoniere  e  d'un  legno  a  va- 
pore,  portanti  insieme  da  centoventi  artiglierle.  Se  non 
che,  quando,  tutta  raccolta,  era  in  procinto  di  muovere 
contra  il  nimico,  i  marinai  délia  nave  a  vapore  —  che 
dal  nome  di  Pio  IX  era  stata  intitolata  —  rifiutavansi 
d'uscir  fuora,  tumultuariamonte  chiamando  il  loro  antict» 
capitano.  La  severa  punizione  inflitta  ai  capi  délia  ribel- 
lione  valse  bensi  a  soddisfare  alla  militare  disciplina  offesa, 
non  perô  a  rimetterla  nel  dovuto  onore  e  rispetto.  Bucchia, 
,alla  Commissione  ita  a  lui  in  sul  cominciare  del  luglio 
per  invitarlo  a  combattere  Tarmata  ossidionale,  affermava. 
essere  allora  impossibile  quell'impresa,  fondamento  verune 
non  potendosi  fare  sui  marinai.  —  E  siccome  Bucchia  di 
quanti  offlciali  contava  la  squadra  veneziana  era  non  sola- 
mente  il  piii  abile  e  il  più  degno  di  comandarla,  ma  quello 
altresi  che  meritamente  si  aveva  la  stima  e  la  confideoza 
di  tutti,  i  Commissari  vidersi  costretti  di  coramettere  al 
suo  senno  e  al  suo  amor  di  patria  l'onore  délia  marineria 
e  la  salvezza  di  Venezia.  —  11  giorno,  in  cui  i  viveri  — 
gi&  da  tempo  scarsi  e  insalubri  —  mancherebbero  afiatto* 
avvicinavasi  a  grandi  passi;  e  taie  giorno  era  stato  sino 
dal  cominciare  di  giùgno  rivelato  al  Governo  délia  repub- 
blica  dalla  Commissione  annonaria;  la  quale,  con  suo  cauto 
e  diligente  indagare  aveva  trovato  nelle  riposte  di  Venezia 
0  presse  i  cittadinl  copia  di  vettovaglie  bastevole  al  loro 


Digitized  by  VjOOQIC 


YEKSZIA   E  UKaABIA  369 

manteaimento  fino  al  24  agosto,  che  doyeva  quindi  essere 
Tultimo  délia  resistenza.  Che  risolvere,  e  quale  cosa  ope- 
rare  in  Si  dura  nécessita?  Manin,  raccolti  segretamente  il 
6  agosto  i  rappresentanti  del  popolo  a  parlamento,  dopo 
arer  detto  délie  condizioni  in  cul  troravansi,  diceva:  = 
essere  consiglio  prudente  ripigliare  con  De  Bruck  —  di 
quel  giorni  iu  Milano  —  le  pratiche  d'accordo  per  una 
pace  onoreyole  con  TAustria;  ogni  induglo  non  migliorare, 
bensi  peggiorare  lo  stato  loro  e  i  patti  délia  resa.  =  I  piii 
ardent!  sostenitori  délia  resistenza  estrema  ponevano  allora 
innanzi  il  disegno  di  una  grossa  e  forte  uscita  del  pre- 
sidio  allô  intente  di  prowedersi  di  Tireri;  ma  questa 
metteva  a  repentaglio  la  difesa  di  Venezia;  ayregnachè 
non  sarebbe  possibile  resistere  al  gagliardo  assalto  che 
Thurn,  avrisato  di  quella  uscita,  senza  por  tempo  in  mezzo^ 
avrebbe  date  alla  città  con  sicurezza  délia  vittoria  ;  e  la 
presa  per  assalto  d'un  nimico,  da  parecchi  mesi  affaticantesi 
in  assedio  tanto  sanguinoso,  sarebbe  tornato  a  Venezia 
dannosissimoy  ai  cittadini  oltremodo  micidiale.  Anche  il 
disegno  di  levare  in  su  le  armi  quanti  poterano  portarle, 
aveva  trovato  favore  presse  la  gioventù  e  Tappoggio  di 
alcani  rappresentanti  del  popolo,  soprattutti  di  Tommaseo; 
il  quale,  pur  di  non  sommettersi  aU'Austria,  non  avrebbe 
rifuggito  mai  dalle  imprese  piii  arrischiate^  ne  dalle  deli- 
berazioni  piii  audaci.  Ma  corne  potevasi  armare  la  massa 
veneziana,  se  gli  armamentari  délia  repubblica  erano  quasi 
Tnoti?  corne  ordinarla  e  ammaestrarla  in  tanta  ristrettezza 
di  tempo?  e  cosa  poi  veramente  di  efficace  ottenere  da  un 
esercito,  forte  bensi  per  numéro  e  d*animo  gagliardo,  ma 
composto  di  tumultuari  e  al  quale  non  sarebbesi  potuto 
dare  ufflciali  e  sott*ufflciali  quanti  strettamente  abbisogna- 
vano  per  comandarlo  e  guidarlo  in  campo  aperto?  ayve- 
gnachè  in  quel  lungo  assedio  il  primo  esercito  ne  avesse 
perduti  dimolti  morti  o  feriti.  In  si  dolorosa  condizione 
di  cose^  in  momenti  tanto  imperiosi,  l'Assemblea,  convinta 
dover  la  resistenza  avère  un  termine,  e  che  questo  era 


Digitized  by  VjOOQIC 


360  CAPITOLO    VII 


ornai  vicinissimo,  serbata  a  se  la  piena  autorità  di  ratifî- 
care  ogni  e  qualsiasi  deliberazione  d'intéressé  politico, 
decretava  al  Dittatope  il  carico  di  provvedere  nel  modo 
ch'egli  reputasse  piii  degno  aironore  e  alla  salute  di  Te- 
nezia.  Il  quale  decreto  veniva  da  Maoin  fatto  conoscere  al 
popolo  cou  queste  parole:  <  Nelle  circostanze  solenni  in 
che  ci  troviamo,  TAssemblea  dei  vostri  rappresentanti  ha 
gittdicato  opportune  di  fare  quanto  in  simili  casi  si  pratiea 
in  altri  paesi,  e  affldô  a  un  solo  cittadino  tutti  i  poteri; 
io  sono  il  prescelto.  Voi  sapete  quanto  io  ami  sinceramente 
Venezia  ;  prestatemi  adunque  la  vostra  assistenza,  tentiamo 
assieme  tutto  quelle  che  sarà  possibile  per  salvare  Tonore 
e  la  esistenza  nazionale;  amici  miei,  comportiamoci  da  pro- 
pugnatori  d'una  causa  santa,  e  confidiamo  in  Dio.  »  Aile 
quali  parole  la  sera  del  7  agosto  una  turba  di  stolti  —  oui 
eransi  uniti  alcuni  soldati  —  raccoltasi  in  su  la  piazza 
San  Marco,  rispondeva  gridando  una  générale  levcUa  di 
armi;  e  Manin  ai  tumultuanti:  che  voleté?  domaadara; 
vot  ben  sapete  essere  i  registri  tuttavta  aperti;  chi  vuole 
conibattere  vi  si  scriva  (1).  Siccome  poi  sino  dal  28  lugUo 
era  stato  risoluto  dairAssemblea,  avesse  la  marineria  da 
guerra  a  tentare  cou  tutte  sue  navi  di  rompere  o  allar- 
gare  Tossidione,  anche  solamente  quanto  bastasse  a  yetto- 
yagliare  la  città  affamata,  cosi  Bucchia  VS  agosto  usciva 
dalle  lagune  con  la  squadra;  allô  avanzarsi  délia  quale 
Taustriaca  allontanavasi  dalla  spiaggia,  certamente  allô 
scopo  di  attirare  a  sô  in  alto  mare  il  nimico;  ma  due 
giorni  appresso  Bucchia  riedeva  a*  suoi  porti,  per  essere 
il  choiera  comparse  su  le  sue  nari  (2). 


(1)  Nel  tre  giorni  nei  qnali  rimasero  ancora  aperti  i  registd ,  8oIa- 
mente  diciotto  cittadini  yi  si  scrissero. 

(3)  La  squadra  veneta  condacera  seco  nna  baica  carioa  di  TÎno: 
qnesto  tutto  il  fratto  délia  spedizione. 


Digitized  by  VjOOQIC 


VRNBZIÂ   X    UNOÂBIA  361 


Intanto  Topera  dévastatrice  délie  artiglierie  assedianti 
andava  ogni  giorno  piii  spaventosamente  orescendo  !  A  ren- 
derla  ancor  piîi  terribile  s'aggiungeva  Topera,  non  meno 
sterminatrice  di  quella,  del  morbo  asiatico  e  dcUa  carestla, 
che  mieteyano  vittime  innumerevoli  e  minacciavano  mu- 
tare  Venezia  in  una  stanza  di  morti:  eppure  tanti  mali 
non  yalevano  a  fiaccare  gli  animi  del  popolo,  anzi  pareva 
che  nel  petto  dei  difensori  di  quella  terra  strenuissima 
s^anmentasse  il  coraggio  con  Taumentare  délie  rovine,  che 
intomo  intorno  ad  essi  a  ogni  istante  si  facevano.  Ma  Da- 
niele  Manin  —  il  quale  ornai  disperava  di  salvare  alla  sua 
patria  la  tanto  desiderata  indipendenza  —  TU  di  quel 
mese  d'agosto  scriveva  a  De  Bruck,  tuttora  in  Milano, 
d'essere  pronto  a  riprendere  le  trattative  di  pace.  Pru- 
dente e  saggio  consiglio  questo  del  Dittatore;  perô  che  il 
nimico,  ancora  ignaro  del  vero  stato  délie  cose,  avrebbe 
potuto  accordare  a  Venezia  onorevoli  patti  di  resa;  patti 
che  non  sarebbe  possibile  a  Manin  di  ottenere  il  giorno 
in  cui  se,  per  conservare  religiosamente  il  generoso  pro- 
posito  di  resistere  fino  agit  estremi,  fosse  poi  costretto 
a  rendersi  per  mancanza  di  viverù  In  quel  giorno  stesso 
delTll  agosto  moltl  offlciali  e  soldati  —  i  quali  in  una 
générale  levata  d*armi  e  in  una  grossa  uscita  contra  il 
campo  assediatore  tutta  ponevano  la  salvezza  délia  città 
—  eransi  raccolti  per  ordinare  Tuna  e  mandare  Taltra  a 
effetto.  Pepe,  saputo  ciô,  chiamati  sollecitamente  a  se  i 
principali  delTesercito,  ingiugneva  loro  avessero  a  impe- 
dire  quegli  atti  che  recherebbero  grave  offesa  alla  militare 
disciplina.  Poche  ore  dopo  recavansi  a  lui  sette  offlciali, 
delegati  dai  compagni  a  pregarlo  di  riunlre  tutte  le  forze 
armate  e  condurle  alla  pugna;  e  il  générale  rispondeva: 
=  Essere  impossibile  soddisfare  al  loro  desiderio;  avver- 
tirli,  che  rimanevangli  fedeli  tanti  soldati  bastevoli  a  sven- 
tare  si  biasimevoli  intrighi.  =  UUoa,  il  quale  voleva  cono- 
scere  i  disegni  degli  agitatori,  invltava  i  delegati  a  mettergli 


Digitized  by  VjOOQIC 


362  OAPITOLO  YII 


innanzi  due  offlciali,  nel  cui  talento  e  coraggio  avessero 
riposta  tutta  lor  fede,  allo  intento  di  diacatere  insieme 
rimpresadeliberata;  ed  essi  designavangli  Morandîe  Sirtoii, 
che  perô  non  voUero  accettare  discussione  veruna  sn 
quanto  era  già  stato  risoluto.  La  fermezza  di  Pepe  manda 
a  vuoto  rimpresa  disegnata;  avyegnachè  ei  facesse  siibito 
conoscere  airesercito,  che  s*egii  era  pronto  a  terminare 
con  onore  la  guerra  —  la  quale  da  piii  mesi  durava  con 
somma  gloria  di  Venezia  e  de*  suoi  difensori  —  era  pre- 
parato  altresi  a  sperderé  con  la  forza  qnalsiasi  riunione 
di  soldatesche,  ch*6gli  considererebbe  corne  tentativo  di 
ribellione.  —  Il  di  vegnente  in  su  la  piazza  San  Marco 
aile  otto  legioni  délie  Otuirdie  Nazionali  raccolte  assieme 
a  moltitudine  innumerevole  di  popolo,  Daniele  Manin  parlô 
in  queste  sentenze:  «  Soldat!  e  cittadini!  se  la  nostra 
rivoluzione  si  è  mantenuta  pura  fino  a  questo  giorno,  se 
il  nome  di  Venezia,  tanto  Tilipeso  sino  a  ieri,  è  oggîdi 
attorniato  délia  stima  dei  nostri  stessi  nimici,  la  gloria  di 
questo  cambiamento  ô  dovuta  intera  allo  zelo  costante, 
infaticabile,  intelligente  délia  milizia  cittadina.  Un  popolo 
che  ha  fatto  e  ha  sofferto»  quanto  voi  avete  fatto  e  sofferto, 
non  puô  perire.  Il  future  vi  riserba  la  sua  ricompensa. 
Quando  splenderà  questo  giorno?  Iddio  lo  sa;  ma  a  noi 
basta  averlo  meritato.  Sciagure  grandi  sono  imminenti; 
se  non  ô  in  nostro  potere  lo  scongiurarle,  è  bene  in  nostro 
potere  il  conservare  intatto  flno  aU'ultimo  l'onore  dalla 
nostra  città.  Ora  tocca  a  voi  conservarlo  come  il  piii  pre- 
zioso  patrimonîo  dei  nostri  ûgli.  Se  per  un  giorno  solo 
Venezia  cessasse  d*essere  degna  di  se  medesima,  tutto 
quelle  che  avete  fatto  rimarrebbe  macchiato,  obliato,  per- 
duto.  lo  ho  invitato  la  milizia  cittadina,  logera  da  tante 
fatiche,  sûnita  da  tante  sofTerenze,  a  radunarsi  qui  intorno 
a  me,  come  a  consulta  di  amici  e  di  fratelli  ;  io  la  supplice, 
la  scongiuro  a  perseverare  in  quest*opera  salutare  e  su- 
blime, di  mantenere  Tordine  e  la  disciplina,  che  hanno 
fatto  sino  al  présente  la  sua  forza  e  la  sua  gloria.  L*As* 


Digitized  by  VjOOQIC 


TBHEZIA  B    UNOABIÂ  363 


semblea  dei  rappresentanti  del  popolo,  solo  potere  legit- 
timo,  ha  voluto  conferirmi  la  malleveria  formidabile  délia 
situazione  (sic):  io  ho  accettato,  non  già  per  orgoglio,  Dio 
me  ne  è  testimonio,  ma  per  dovere,  e  perché  ogni  altro 
ravrebbe  ricusata.  Tuttavia,  se  la  guardia  cittadina  non 
avesse  più  nella  mia  lealtà  quella  confidenza  che  mi 
ha  conservato  cosi  lungamente,  mi  sarebbe  sonz'essa 
impossibile  sostenere  il  peso  del  governo;  allora  io  pre- 
gherei  TAssemblea  a  confidare  a  mani  piii  degne  dello 
mie  questo  potere,  che  non  ho  cercato,  ne  ambito,  e  che, 
nelle  tristi  circostanze,  in  cui  siamo,  non  è  certamente  da 
desiderare.  Io  demande  alla  guardia  civica  e  al  popolo  : 
«  Avete  veramente  confidenza  in  me  ?»  —  A  taie  domanda 
il  popolo  e  le  Gttardie  NazionalU  avendo  risposto  con  un 
si  fragoroso  e  prolungato,  il  Dittatore  continué  a  parlaro 
cosi  :  «  La  vostra  amicizia  mi  contrista,  miei  amici  ;  essa 
mi  fa  sentire  piîi  vivamente  ancora,  se  possibile,  tutti  i 
vostri  mali,  tutte  le  vostre  sofferenze.  Non  è  su  la  mia 
forza  morale  e  fisica  che  voi  dovete  appoggiarvl,  ma  su 
la  mia  devozione;  questa  sola  è  grande,  intima  e  profonda, 
e  non  finira  che  con  la  mia  vita.  Qualunque  cosa  accada, 
sia  ch'io'viva  o  muoia  lontano  da  voi,  direte:  qiœsPuomo 
si  è  ingannato;  ma  non  dite  mai:  QuesVuomo  ha  voluto 
ingannarci,  »  —  No,  no!  gridarono  allora  gli  astanti.  — 
<  Voi  mi  renderete  questa  giustizia,  prosegui  Manin,  o 
amici  miei;  io  non  ho  giammai  inspirato  agli  altri  délie 
illusioni  che  io  nutrito  non  abbia;  io  non  ho  mai  detto 
speralCj  quando  non  îsperava  io  stesso.  »  E  qui,  oppresso 
da  grave  commozione,  fini  il  suo  dire  e  svonne:  onde  fu 
via  portato  dagli  amici  che  stavangli  d'attorno.  —  In  questo 
mezzo  giugneva  al  Dittatore  lettera  di  De  Bruck,  nella 
quale  il  Ministre  austriaco  avvertivalo,  che  per  essere 
state  respinte  dall'Assemblea  le  antiche  sue  proposte  d*ac- 
cordo  e  pace,  Venezia  doveva,  senza  condizione  di  sorta, 
sommettersi;  per6  il  maresciallo,  sempre  inspirandosi  a 
sentimenti  d'umanità,  accordavale  ancora  quanto   avevale 


Digitized  by  VjOOQIC 


364  CAPiTOLO  vu 


offerte  il  4  maggio  (1).  Perduta  ogai  speranza  d'aiuto 
esterno  —  avvegnachè,  sebbene  tuttavia  si  igaorasse  la 
dedizione  di  Vilàgos,  pure  tutti  sapessero  gli  Ungaresi  tro- 
varsi  allô  estremo  e  avère  la  Sardegna  segnata  la  pace 
coa  TAustria  —  che  far  doveva  Venezia  di  forze  esausta, 
e  col  nimico  d'ogni  parte  premente?  nuiraltro  fuorchè 
ai-rendersi  e  ricevore  la  legge  dal  vincitore  fortuaato  !  — 
Nella  sera  del  16  agosto  le  sorti  e  Tavvenire  di  Venezia 


(1)  Le  conoessioni  del  4  maggio  venivano  affermate  da  Badetzkj  nel 
segaente  manifesto  ai  VenezianL  u  La  pace  con  la  Sardegna  è  cou- 
chiosa.  Con  qnestx)  aT7eiiimeiito  syaniscono  le  ultime  speranze  che  al- 
cnni  fra  yoi  ancora  ripûneyano  in  nna  nuova  ripresa  délie  ostîlità.  Poeo 
a  poco  la  quiète  e  l'ordine  légale  tornano  pure  a  felicitare  le  altre 
parti  d'Italia,  le  oui  popolazioni,  liberate  dai  terrori  deU'anaicluA,  ooa 
rinascente  fiducia  yolgono  i  loro  sguardi  a  un'éra  noyella.  Una  fiudone, 
che  yj  signoreggia,  fa  in  modo  che  yoi  soli  persistiate  ancora  in  una 
ingiustificabile  resistenza  contra  un  Groyemo,  che  yi  ofire  tutte  quelle 
guarentigie  di  Ilbertà  légale  c  di  assennato  progresse,  che  voi,  col  sa- 
crificio  del  yostro  benessere,  indarno  cercate  consegnire  sotto  un  Go- 
yeruo  riyoltoso.  In  questo  suprême  momento  una  yolta  ancora  ai»  U 
mia  yoce  che,  senza  portaryi  yerun  utile^  senza  ofifrind  yeruna  speranza 
di  8ucc€880j  non  farebbe  che  aggiugnere  nuoye  sciagure  a. quelle  che 
yi  ha  apportato  questa  causa  disperata.  A  fine  pertanto  che  tali  scia- 
gure abbiano  un  termine,  sono  ancor  pronto  a  concederyi  le  steaae  con- 
dizioni  oiferteyi  il  4  maggio: 

1^  Resa  piena,  intera  e  assoluta. 

2^  Dedizione  immediata  di  tutti  i  forti,  degli  arsenali  e  dell'înten 
città,  che  yerranno  occupât!  da'  miei  soldat!,  ai  quai!  saranno  puze  da 
consegnarsi  tutte  le  nayi  da  guerra,  in  qualunque  epoca  coatrutte, 
tutte  le  pubbliche  fabbriche,  le  materie  di  guerra,  e  tutti  gli  oggetti 
di  proprietà  del  pubblico  erario  di  qualsiasi  sorta. 

3"  Consegna  di  tutte  le  armi  appartenent!  ailo  Stato  ed  ai  priyatL 
Accordo  oggi,  corne  già  allora  accordai,  le  seguent!  concession!:  Yieae 
data  licenza  di  partire  da  Venezia  a  tutte  le  persone  senza  diatinzione, 
che  yogliono  lasciare  la  città  per  la  yia  di  terra  o  di  mare.  Sarà  emanato 
un  perd6no  générale  per  tutti  i  soldati  di  terra  o  di  mare.  Accettando 
queste  condizioni  yoi  farete  il  primo  passe  yerso  Tunica  yia,  ohe  pu5 
portare  rimedio  ai  mal!  ayvenuti,  e  guarentind  un  migliore  e  piA  fansto 
ayyeniie.  »» 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBNEZIA   E   UNOARIA  365 


fermaronsi  da  Mania,  dalla  Commissione  militare,  dal 
Maestrato  dei  cittadini  e  dai  Ministri;  i  quali,  discusse  e 
stabilité  lo  basi  délia  resa,  per  trattare  qui^sta  deputarono 
a  Gorzkowski  —  allora  succeduto  a  Tburn  nel  governo 
deirassedîo  (1)  —  Priuli,  Medin  o  Calucci  rappresentanti 
del  Municipio,  Cavedalls  deiresercito  e  Antonini  rappre- 
sentante  dalla  casta  mercatantesca.  Aile  loro  dimande  il 
générale  austriaco  rispondeva:  =  Non  avère  autorità  di 
sospendere  le  armi;  schiarimento  nessuno  poter  dare  su 
ci6  che  nel  manifeste  di  Radetzky  toccava  agli  esiliati  e 
al  perdôno  dei  soldati  e  sott'ufflciali  deiresercito  impériale, 
che  allora  militavano  sotto  le  insogne  délia  repubblica; 
promettere  di  scrivere  immediatamente  al  maresciallo  per 
fargli  conoscere  i  desidèri  loro.  r=  il  mattino  del  16  la 
squadra  veneta,  uscita  dal  porto  di  Malamocco,  avvicinavasi 
alla  nimica;  la  quale,  sebbene  d*assai  superiore  per  nu- 
méro, potenza  di  nari  e  di  cannoni,  non  osando  assaltar 
quella,  tentava  sopravanzarla,  allô  scopo  di  toglierle  la  via 
alla  rîtratta  a  Malamocco:  nel  cui  porto  la  squadra  dei 
Veneziani  rientrava  in  sul  cadere  délia  notte.  Il  21  agosto 
il  trarre  dolle  artiglierie  assediatrici  cessava  affatto  :  per- 
venuta  la  risposta  di  Radetzky,  Tarmi  sospendevansi  d'ambe 
le  parti  (2). 

Le  ultime  ore  délia  resistenza  dovevano  essere  turbate 
da  una  ribellione  soldatesca;  e  certamente  se  non  fosse 
stato  délia  risolutezza  dei  capi  e  del  coraggio  di  Manin  — 
non  ultima  délie  virtu  di  questo  grande  cittadino  —  Venezia 
sarebbesl  allora  bruttata  di  sangue  italiano  per  opéra  stessa 
di  coloro,  che  nel  lungo  e  glorioso  assedio  avevanla  tanto 


(1)  Thurn  era  ito  in  Piemonte  a  riprendere  il  comando  del  sno  corpo 
d'esercito,  che  allora  campeggiava  la  contrada  stendentegi  fra  il  Tidno 
e  la  Sesia. 

(2)  La  risposta  di  Radetzky  venne  portata  dal  maresciallo  Hess,  il 
quale  doveva  trattare  gli  accordi  per  la  rimessione  di  Venezia  aile 
armi  imperiali  e  sottoscrivere  i  patti  délia  resa. 


Digitized  by  VjOOQIC 


366  CAPiTOLO  yn 


strenuamente  difesa.  Il  Dittatore  aveva  appena  ottenuto  dal 
Municipio  sei  milioni  di  lire  (1)  allô  scopo  di  sussidiare  ai 
geaerosi,  corsi  da  ogai  parte  délia  penisola  a  combattere 
per  quella  città  e  che  allora  doveva  rimandare  a  lor  case, 
quando  da  grossa  mano  di  soldati,  venuta  minacciosa  al 
palazzo  ducale,  chiedevaasi  tre  mesi  di  solde,  la  ievata  in 
su  rarme  di  tutti  i  cittadioi  e  Tuscita  générale  délie  forze 
armate  contra  il  campo  nimico.  A  quietare  il  tumulto 
Manin  al  popolo  —  in  sul  cadere  del  giorno  accalcantesi 
su  la  piazzetta  —  favellava  cosi  :  =  A  voi  e  airAssemblea, 
gi&  francamente  dissi  trovarsi  Vënezia  in  condizioni  assai 
difflcili  e  gravi;  perciô  ebbi  dai  vostri  rappresentantila 
potestà  di  trattare  d*accordi  con  Tassediatore  ;  è  dunque 
necessario  che  il  negoziare  di  essi   facciasi  con  dignità  e 
tranquillità.  Difflcili,  ma  non  senza  speranza  sono  le  con- 
dizioni nostre;  ne  io  sarô  mai  per  fermare  una  paceTe^ 
gognosa:  onde  la  gloria  di  Yenezia  andrà  salva  da  ogni 
macchia.  =  Avvertito,   clie  i  sediziosi  aveano  rivoltoi 
cannoni  d*una  batteria  del  ponte  contra  la  città  per  fol- 
minarla,  qualora  il  Govorno  niegasse  soddisfare  aile  loro 
demande,  il  Dittatore,  portatosi  in  mezzo  al  popolo,  facevasi 
a  gridare  :  <  Ghi  è  vero  italiano  mi  segua  e  mi  aiuti  a 
mantenere  Tordine.  »  Indi,  accompagnato  da  sessanta  utS- 
ciali,  corse  per  buona  parte  délia  notte  la  città  ;  la  quale 
in  sul  levarsi  del  nuovo  giorno,  il  24  agosto  —  la  batteria 
essendo  stata  tolta  ai  rivoltosi  senza  colpo  ferire  —  ripren- 
deva  l'usata  quiète;  ma  brève  ora  di   poi  Venezia  tutta 
riempivasi  di  tristezza  e  d'afflizione!  erano  preparamenti 
al  lutto,  cui  la  ria  sorte  la  condannava  e  che  dovera 
durar  piii  di  tre  lustri!  Nelle  ore  pomeridiane  dl  quel 
giorno  Daniele  Manin,   fermât!  col  nimico  i  patti  délia 


(1)  Taie  somma  era  in  earta  eomunale;  con  qnesta  poitaw  > 
sessanta  milioni  quella  délie  spese  fatte  da  Venezia  dal  18  mano  ï^ 
sino  al  21  agosto  1849, 


Digitized  by  VjOOQIC 


tenez: A.  s   UNOARIA  867 


dedizione  e  gli  accordi  per  la  rimessione  délia  citta,  de*  suoi 
fortî  e  deWJS^tuario^  rinuiiziava  la  potestà  dittatoriale  al 
sapremo  Maestrato  dei  cittadinl;  il  quale,  senza  por  tempo 
ia  mezzo,  pubblicava  il  nome  di  coloro,  che,  esclusi  dal 
perdôno,  doverano  lasciare  Yenezia  e  lo  Stato,  e  faceva 
conoscere  altresi  le  condizioni  délia  resa  (1).  —  Tutto  era 
finito  per  quella  eroica  città!  la  quale  ricadeva  nel  ser- 
vaggio  deirAustria  dopo  una  lotta  di  diciassette  mesi,  dopo 
un  assedio  sostenuto  con  coraggio  invero  straordinario  e 
a  prezzo  di  sacriâzi  immensi  ;  assedio  che  sarà  sempre  una 
délie  plii  splendide,  délie  plu  grandi  çlorie  délie  armi 
italiane.  Yinta  sul  Ticino  e  su  la  Sesia  la  picciola  Sar- 
degna;  domata  la  soUeyazione  ungarica,  non  per  virtii 
degli  eserciti  proprii,  sibl^ene  per  quella  dei  russl,  e  ridotta, 
non  con  la  forza,  ma  per  la  famé  all'usata  obbedienza  la 
strenuissima  Venezia,  la  guerra  posava  in  Italia  e  neU'im- 
peirio  absburghese!  —  n  27  agosto  Manin,  Tommaseo  e 


(1)  Gli  esclusi  dal  perdôno  fnrono  quaranta.  —  Ecco  le  condizioni 
délia  resa:  1°  Sonunessione,  giusta  i  precisi  tennini  dei  manifesto  di  Ba- 
detzky,  14  corrente  agosto.  2^  Consegna  encro  qnattio  giorni,  di  qnanto 
è  compreso  nel  manifesto  stesso,  nei  modi  da  concertarsi.  A  schiarimento 
degli  articoli  quarto  e  qninto  di  detto  manifesto,  si  dichiara  che  le  per- 
Bone  che  devono  lasciare  Venezia  sono:  P  Tutti  gli  impeiiali  régi  of- 
ficiali ,  che  hanno  seryito  con  le  armi  contra  il  loro  legittimo  Sovrano  ; 
np  tutti  gli  uomini  mUitari  esteri;  m*  le  peiaone  nominate  nell'elenco 
che  Bar&  consegnato  ai  deputati  venetL 

Durante  l'assedio  gli  Austriaci  scagliarono  contra  Venezia  e  le  sue 
difese  da  sessantamila  paUe,  dodici  mila  granate  e  trentacinque  mila 
bomhe;  ed  ehbero  mille  soldat!  morti  e  feriti  sul  campo,  e  da  quattordici 
mila  mancati  di  vita  negli  ospedali  o  resi  inabili  aile  armi  per  le  fa- 
tiche,  le  malattie  e  soprammodo  per  le  fehbri  palustri.  —  I  difensori 
di  Venezia  lanciarono,  nel  lungo  assedio  sostenuto,  da  ottantamila  palle, 
granate  e  bombe;  miUe  aUo  incirca  dei  loro  caddero  morti  o  feriti 
combattendo  ;  e  un  numéro  stragrande,  ragion  fatta  alla  forza  dell'eser- 
cîto,  di  morti  negli  ospedali  per  fatiche  e  per  choiera;  la  quale  malattîa 
mieté  nelk  città  e  nelle  isole  e  terre  dell'Estuario  assediato  pure  gran- 
dîssimo  numéro  di  VenesianL 


Digitized  by  VjOOQIC 


368  OAPrroLo  vu 


Pepe  con  molti  dei  principali  deiresercito  e  délia  città, 
saliti  sopra  una  nave  francese,  uscivano  dalle  lagune  ;  e  per 
Corfîi  e  Genova  andarono  a  Francîa,  andarono  a  Parigi; 
e  il  28  pur  di  quel  mese  Gorzkowski  prendeva  possesso  di 
Yenezia  e  de*  suoi  forti,  nella  quale  poi  due  giorni  dopo 
entrava  solennemente  il  maresciallo  Radetzky. 

Vinta  la  Sardegna  a  Novara,  risoggettate  Como,  Bergamo 
e  Brescia,  rimaneva  ancora  aU'Austria  a  combattere  una 
grossa  guerra  sul  Tibisco^  sul  Danubio  e  su  le  lagune  adria- 
tiche  per  ridurre  aU'obbedienza  Magiari  e  Veneziani  :  ond<^ 
essa  dal  non  più  miuacclante  Ticino  trasportava  non  po- 
chi  battaglioni  nei  campi  d'Ungaria  ad  afforzare  l'esercito 
di  Windischgràtz,  mal  reggentesi  contra  lo  sforzo  dei  soUe- 
vati,  e  artiglierie  poderose  davanti  a  Venezia.  —  Narrato 
il  glorioso  assedio  sostenuto  dairantica  Signora  delFAdria- 
tico,  diremo  ora  aommariamente  délia  guerra  ungarica,  la 
quale  molto  si  lega  a  questa  nostra  istoria;  guerra  che 
poco  mancô  mandasse  a  rovina  rimperio  ;  ciô  che  avrebb»^ 
indubitabilmente  mutate  le  sorti  deiritalia. 

Deliberati  di  venir  primi  aile  offese,  i  Magiari,  a  mezzo 
il  marzo  dei  1849,  dalla  Theiss  —  superata  senza  contrasto 
—  avanzaronsi  contra  il  nimico,  che  aspettavali  su  la  via 
di  Pesth  in  forti  posture  dietro  la  Zagyva  e  la  Galga,  fiumi 
dalle  rive  paludose.  Il  grosso  deiresercito  ungarese,  var- 
cato  il  Tibisco  a  Poroszlô,  si  divise  in  due  schiere  ;  quella  di 
sinistra  si  diresse  a  Jàszberény  a  prendervi  di  rovescio 
1  campi  austraci  su  la  Galga;  e  la  destra  cammino  verso 
i  campi  di  Hatvàn,  presse  i  quali,  il  2  aprile,  urtava  nelle 
genti  di  Schlick,  mossesi  a  incontraria.  La  giornata  fu 
sanguinosa;  il  peggio  toccô  agli  imperiali,  che  dovettero 
indietreggiare  sino  a  Gôdollô,  non  lungi  di  Pesth.  La  schiera 
di  sinistra  degli  Ungaresi,  in  sul  cadere  dei  3  aprile  arri- 
vata  presse  Jàszberény,  avvertita  che  Jellachich  cammi- 
nava  da  Alberti  verso  Pillis  per  unirsi  a  Windischgrâtz, 
il  mattino  dei  vegnente  andava  sopra  i  Croati  e  affronta- 


Digitized  by  VjOOQIC 


VENSZXA  S   UNOABIA  369 

vali  in  vicinanza  del  villaggio  di  Tàpiô-Bicske.  La  gior- 
nata  perduta  dalle  genti  di  Klapka  yeniva  reintegrata  e 
vinta  da  quelle  di  Damjanics;  e  il  nimico,  che  assalito 
da  prima  erasi  fatto  di  poi  assalitore  vittorioso,  era  al  fine 
costretto  a  cedere  il  campo  per  salvarsi  da  totale  scon- 
fitta.  Sorgeva  il  6  aprile,  quando  i  Croati  appiccavano  il 
fuoco  al  bosco  di  Isaszeg  allo  scopo  d*impedire  agli  Unga- 
resî  d*avanzarsi  attraverso  il  medesimo  per  molestare  Jel- 
lacliicli  in  suo  cammino  verso  Hatvàn  ;  ma  pervenuto  il 
Banc  alla  Zagyra,  mutato  disegno,  retrocedeya  per  la  yia 
ili  GôdôUô.  Non  lontano  dal  bosco  di  Isaszeg,  tuttayia  in 
fiamme,  incontratosi  in  Klapka  o  Damjanics,  senza  por 
tempo  in  mezzo  li  assale.  Non  estante  il  numéro  prépon- 
dérante dei  nimici  le  batti^lie  di  destra  —  capitanate  da 
Damjanics  —  resistono  strenuamente  ;  e  quelle  di  sinistra 
—  governate  da  Klapka  —  cedono  e  lasciano  il  campo  ; 
ma  di  li  a  poco  ricondotto  da  Gôrgey  contra  il  nimico  e 
appoggiate  dalle  genti  di  Aulîch,  chiamatevi  dal  fVagorc 
délie  artiglîerie,  rinnovano  la  pugna  ;  che,  ostinata  e  fiera, 
ma  yittoriosa  per  le  armi  magiare,  dura  sino  al  calaro 
délia  notte.  Durante  la  quale  Windischgrâtz,  per  non  cor- 
rere  il  pericolo  di  trovarsi  addosso  tutte  le  forze  armate 
dei  Magiari,  porta  i  suoi  campi  nei  dintornî  di  Pesth;  e  Gôr- 
ge3%  il  di  vegnente,  riunisce  in  Oôdôllô  le  genti  di  Klapka, 
di  Damjanics,  d'Aulich  e  quelle  che,  il  4  aprile,  sotto  il  go- 
verno  di  Gaspar  avevano  vittorîato  ad  Hatyàn  degli  Au- 
striaci  di  Schlick.  Montre  con  leggero  badaluccare  e  con 
assalti  simulati  Aulich  e  Gaspar  tengono  a  bada  gli  impe- 
rîali,  coUocati  da  Windischgràtz  su  la  sinistra  del  Danubio, 
lungo  un  grande  arco  di  cerchio  stendentesi  da  Palotta  a 
Keresztur  e  a  Sorohar  (1),  per  difendere  Pesth  —  da  nes- 
suno  perô  minacciata  —  Damjanics  e  Klapka  insignori- 


(1)  Relazione  del  principe  di  Windischgr&tz  al  Ministro  sopra  le 
armi. 

24  —  VoL  n,  Marusî  —  Storia  pol.  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


370  CAPITOLO    VII 


sconsî  di  Waitzen,  mettendo  in  fuga  due  brigate  d'Austriaci 
cho  la  presidfano.  Padrone  di  Waitzen,  Gôrgey  col  grosso 
delFesercito  risale  il  Danubio  e  varca  la  Grau  ira  K&lna  o 
Szecse,  e  a  Zsemlér  ;  scopo  di  taie  mossa  è  la  liberazione 
di  Komorn»  clie  11  nimico  stringe  d*assedio.  11 10  aprile  Da- 
mjanics  e  Klapka  sorprendono  a  Nagy-Sarl6  gli  impérial], 
corsi  alla  Gran  per  impedirne  il  passaggio  agit  Ungarest 
e  li  pongono  in  disordiuatissima  fuga.  Il  giorno  dopo  la 
vittoria  di  Nagy-Salô  due  divisioni  di  Gaspar  nel  discendere 
la  Gran  urtano  in  forte  schiera  d*Austriaci»  e  la  rieac- 
ciano  al  di  là  del  Danubio;  o  Damjanics  e  Klapka  prose- 
guono  senza  contraste  il  loro  avanzarsi  verso  Komorn- 
Giunti  il  22  appo  le  mura  di  questa  fortezza  —  dalla  quale 
airawicinarsi  dei  Magiari  eransl  allontanati  gli  Austriaci 
passando  su  la  destra  del  Danubio  —  piantano  1  campi 
dlnnanzi  al  ponte  délia  Waag. 

In  questo  mezzo  i  Magiari  gridavansi  indipendenU  dal- 
rimperio.  Messa  avanti  da  Kossuth^  11 14  aprile  in  Debreezin. 
la  loro  indipendenza  venira  acclamata  dalFAssemblea  na- 
zionale,  che  dichiarava  altresi  la  dinastia  àbsburghese 
caduta  da  ogni  diritto  ereditario  al  regno  ungarico,  Noo 
estante  la  deliberazione  di  non  fermare  allora  la  forma  del 
reggimento  da  darsi  al  paese,  Szemere,  il  quale  presiedera 
ai  Ministri,  nel  manifestarsi  favoreggiatore  di  repubblica, 
faceva  conoscere  alUAssemblea  il  Governo  temporaneo  es- 
sore democ^^tic(Hr^pva>blicano.  L*acclamazione  délia  indi- 
pendenza magiara^  non  seguita  da  quella  deiraûratellanza 
degli  Slavi  del  mezzogiorno,  fu  atto  ne  generoso,  ne  grande, 
e  mostrô  il  poco  accorgimento  e  la  molta  inesperienza  dei 
supremi  reggitori  delVUngaria.  In  verità,  guadagnare  alla 
causa  magiara  Groati,  Serbi  e  Valacchi  -- 1  capi  dei  quali 
per  avère  ottenuto  dalFAustria  alti  carichi  nelle  armi  e 
in  Corte  deirimperatore  dicevansi  a  questo  devotissimi  e 
alla  monarcliia  —  era  assai  difficile  impresa,  non  perd  im- 
possibile,  se  i  Minîstri,  nel  bandire  Tindipendenza  délia 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBinBZiA  X  UirOABIA  371 

patria,  avessero  accordato  a  qnei  popoli  il  pieno  soddia- 
facimento  di  lor  giuste  aspirazioni.  —  La  inettezza  di 
Windischgrâtz  nel  conduire  la  guerra  induceva  allora  il 
GOTerno  di  Vienaa  a  preporre  al  comando  délie  armi  au- 
striache  il  maresciallo  Welden,  che  giugneva  a  Gran  il  di 
stesso  In  cui  il  principe  laaeiara  TUngarla.  Yenutovi  con 
rinomanza  di  gran  capitano  e  con  esercito  conquistatore 
e  baldo  per  le  vittorie  di  Praga  e  di  Vienna,  Welden  ne 
usciva  con  fama  di  condottiero  imperltissimo  e  lasciando 
Tesercito  avvilito  per  tante  battiture  sofferte  e  in  assai 
cattire  condizioni.  —  Gorreva  la  nette  del  25  aprile,  allora 
che  il  colonnello  Knézich,  per  un  ponte  di  zattere  calato 
sa  la  destra  del  Danubio  con  una  eletta  di  quattro  mila 
fantj,  Tayanguardia  deiresercito  ungarese,  con  assalto  im- 
provTiso  recavasi  in  mano  le  trincee  nimiche  eleyantesi 
presso  il  yillaggio  di  O*  Szôny,  rimpetto  a  Komorn.  All*al- 
beggiare  del  nuoyo  di  Klapka  e  Damjanics,  e  non  molto 
dopo  Gôrgey,  yalicato  il  fiume  con  tutte  le  loro  genti, 
afirontayano  gli  imperiall  accorsi  con  armi  poderose  al 
racquisto  délie  posture  perdute  e  a  difendere  i  layori  di 
assedio.  Alquanti  battaglioni  del  presidio  di  Komorn  usci- 
rono  ad  appoggiare  la  pugna,  che  in  breyissima  ora  fecesi 
générale  e  durô  senza  posa  sin  quasi  al  cadere  del  giorno. 
011  Austriaci,  cui  il  giugnere  deU'esercito  magiaro  di  soo- 
corso  agit  assediati  ayeya  fatto  ancor  piii  ardua  Timpresa, 
iatorno  alla  quale  da  tanto  tempo  affaticayansi,  oppressi 
in  quella  giomata  dal  yalore  dei  nimici,  dietreggiarono  per 
la  via  di  Raab  portandosi  a  Wiaelburg,  in  lor  rltratta  la- 
sciando,  preda  del  yincitore»  non  poche  artiglierie,  moite 
proyyigioni  e  munizioni  da  guerra.  Gosi  liberayasi  Ko- 
morn, per  natura  di  sito  e  per  arte  fortissima,  yalido 
propugnacolo  deirungaria,  nà  per  potenza  d*armi  espu- 
gnato  mai.  —  Gôrgey,  inyece  di  perseguire  con  tutto 
le  sforzo*  suo  e  senza  posa  il  nimioo  indietreggiante 
verso  la  frontiera  e  andar  minaccioso  sopra  Vienna,  yol- 
tavasi  airassedio  di  Buda,  la  cui  fortezza  teneyasi  dal  ge- 


Digitized  by  VjOOQIC 


372  CAPiTOLo  vn 


nerale  Hentzi  con  buon  presidio;  risolutodi  continaare  le 
offese  contra  il  grosso  deiresercito  impériale,  quando  Buda 
fosse  venuta  a  sue  mani.  Ayyersissimo  alla  indipendenza 
délia  patria  daU'imperio,  che  dicemmo  proposta  da  Kossuth 
e  acclamata  dalla  Dieta  di  Diebreczin,  Gôrgey  aveva  re- 
spinto  il  saggio  consiglio  di  portare  le  armi  contra  Yieima, 
solamente  perché  messo  innanzi  da  Dembinski  e  accettato 
da  Kossuth  !  Deliberato  in  sua  mente  di  riconciliare  lllo- 
garia  airAustria,  allô  intente  di  facilitarne  gli  accordi- 
la  oui  base  dovova  essere  la  castituzione  del  1848  —  spe« 
rava  guadagnarsi  Tanimo  del  Monarca  e  de'  suoi  consi- 
glieri  rispettando  la  metropoli  deirimperio  :  Timpresa  di 
Buda  fu  pertanto  la  rovina  dei  Magiari  e  la  salvezza  del- 
TAustria.  —  Fatta  occupare  Raab  dalle  due  diTisioni  di 
Pôltenberg  e  Tisola  di  Schûtt  da  grossa  mano  di  soldate- 
sche  del  presidio  di  Komorn,  Gôrgey  col  rimanente  del- 
l'esercito  andô  ad  este  sopra  Buda,  attorno  alla  quale  il  4 
maggio  e  lungo  un  vasto  semicerchio  appoggiante  le  e^re- 
mita  al  Danubio  pose  i  suoi  campi.  Alla  chiamata  di  resa 
avendo  Hentzi  risposto,  che  difenderebbe  la  fortezza  sino 
allô  estremo,  giusta  i  principi  del  daver  suo  e  deWonore, 
Gôrgey  comandô  siibito  Tassalto,  che  fu  date,  ma  senza  van- 
taggio  ;  allora,  mutata  Tossidione  in  assedio,  ne  imprese  i 
lavori  e  li  condusse  a  fine  con  alacrità  somma,  non  ostante 
il  trarre  violente  délie  artiglierie   degli  assediati,  con  I'^ 
quali  Hentzi  pur  fulminô  Pesth,  che  non  TolTendeva:  ba^ 
bara  opéra  di  distruzione,  che  nuUa  fruttando  alla  difesa, 
nuUa  puô  scusarla!  —  Erano  le  tre  del  mattino  21  maggio. 
quando  gli  Ungaresi  assaltavano  la  fortezza  là  dove  le  ar 
tiglierie  dello  Spitzbergel  —  colle  che  si  éleva  a  occidente 
di  Buda  dinnanzi  alla  fronte  o  cinta  di   Weissenbmf ' 
ne  avevano  rotto  le  mura.  Allô  impetuoso  assalto  dei  Ma- 
giari il  presidio,  sebbene  avesse  perduto  ogni  speranza  di 
vincere,  oppose  gagliarda  resistenza;  ma  allora  che  ride 
gli  assaltatori,  superati  i  terrapieni,  scendere  alla  città;  ^ 
quando  vide  Hentzi,  che  era  l'anima  délia  difesa,  cadere 
ferito  a  morte,  poso  lo  armi  ë  s'arrese  a  discrezione. 


Digitized  by  VjOOQIC 


yjQKSZIA   B   XTK&ABIA  373 


n  giorno,  in  cui  i  Magiari  giagnevano  sotto  le  mura  di 
Buda,  diciassette  mila  Russi  entravaao  in  Cracovia  ;  altre 
e  più  nnmerose  schiere  tenevano  lor  dietro,  le  quali,  sa- 
perai! i  confini  a  Tarnogrod,  a  Brody,  a  Wolosezys  e  Hus- 
syatyn  per  la  Gallizia  maoveyano  a  danno  deirungaria,  in 
brève  tempo  invasa  da  poderosissimo  esercito  moscovita, 
che  contava  centosei  mila  uomini  e  piu  di  ventimila  ca- 
valli,  e  ayeya  a  duce  supremo  il  maresciallo  principe  Pa- 
sckiewitch.  L'intervenire  dello  Czar  facevasi  conoscere  agli 
Ungaresi  dalllmperatore  d'Austria  in  un  manifeste,  ch'ei 
metteva  fuora  il  12  maggio  in  Presburg,  ov'erasi  recato  a 
visitare  i  suoi  soldati,  dal  valore  dei  Magiari  vinti  a  Szol- 
nok,  Hatvàn,  Tapiô-Bicske ,  Jsaszeg,  Waitzen,  Nagy-Sarlô 
e  Komorn.  —  Presa  Buda,  Gôrgey  mandava  il  grosso  di 
sue  genti  su  la  sinistra  del  Danubio  e  su  la  bassa  Waag, 
e  la  divisione  di  Kanety  al  di  là  délia  Raab,  presse  il  lago 
di  Neusiedel  a  riprendere  le  offese  contra  gli  imperiali. 
Ck>minciava  allora  una  guerra  minuta,  la  quale,  ineffi- 
cace a  condurre  a  risultamento  finale,  doveva  assottigliare 
quell*esercJto,  che  sommamente  importava  di  mantenere 
aella  pienezza  di  sue  forze  per  le  grandi  giornate  e  per 
quella  'finale,  che  dai  Russi  sarebbe  stato  costretto  a  com- 
battere.  1  campi  magiari  dalla  bassa  Neutra  per  lo  sboccare 
liella  Waag  nel  ramo  del  Danubio  di  Neuhàusel  scendevano 
a  Raab,  e  costeggiando  il  piccioïo  flume  Raab  spingevansi 
siao  a  Marczalto.  Rimpetto  ad  essi  stendevansi  i  campi 
austriaci  da  Silein,  su  la  sinistra  délia  Waag,  a  Zsigàrd,  e 
attraversando  le  isole  del  grande  e  piccioïo  Schiitt  e  il 
Rabnitz  arrivavano  sino  a  Kapuvàr.  —  In  questo  mezzo  al 
comando  supremo  deirarmi  imperiali  veniva  chiamato  il  gé- 
nérale Haynau,  un  barbaro^  il  quale,  come  aveva  già  insan- 
guinata  Teroioa  Brescia,  doveva  riempire  di  lutti  e  di  dolori 
tutta  rungaria;  egli  uguagliô  allora  in  ferocia  i  pib  feroci 
condottieri  di  barbari;  e  per  gli  atti  d*inaudita  crudeltà  da 
lui   commessi  fu  giustamente  soprannomato  il  tigre.  — 


Digitized  by  VjOOQIC 


374  OAPITOLO    VII 


Albeggiava  appena  il  13  giugno,  quando  forte  presa  di  sol- 
dat! magiari,  varcata  la  Rabnitz  a  Marczalto,  muoTeva  ad 
affrontare  la  brigata  Wyss,  clie  dal  lago  di  Neusiedel  proce* 
deva  verso  Gsoma  per  appoggiare  il  maresciallo  Sehlick,coD 
sue  genti  avvicinantesi  a  Raab.  L*urto  degli  a£Eh>Qtatori 
fil  si  improvyiso  e  impetuoso  da  rompere  in  brève  ora  e 
mettere  in  fiiga  quella  brigata;  délia  quale  molti  caddero 
morti  o  feriti,  molti  vennera  a  mano  del  nimico  ;  tra  questj, 
il  générale  Wyss.  —  Riusciio  vano  il  tentativo  fatto  tn» 
giorni  appresso  di  caociare  gli  Austriaci  tra  la  FeketTitz  e 
la  Waag,  e  tornato  pure  a  vuoto  Tassalto  lor  dato  a  Schin- 
tau,  Qôrgey  il  20  di  quel  mese  di  giugno  rinnovaTa  la 
prova  con  maggiori  forze  contra  le  posture  nimiche  délia 
Waag.  Egli  vince  a  Pered;  ma  a  Klapka  —  allora  comaD- 
dante  di  Komorn  e  di  tutte  le  armi  riunite  interne  a  Raab  - 
uscito  dalla  fortezza  contra  gli  imperiali  occupant!  Vasâ- 
rut»  tocca  il  peggiore  presse  Nyàsarad  neirisola  grande 
.di  Schûtt.  n  di  appresso  Austriaci  e  Russi  —  la  divisioûe 
di  Paniutino  —  primi  agli  af&onti,  assalgono  Pered.  Per 
buena  parte  délia  giomata  la  fortuna  délie  armi  pende  io- 
certa;  ma  in  sul  finire  di  essa  i  Magiai*!  sono  vintia 
Szigrad:  onde  Qôrgey,  costretto  a  ristare  dalle  ofTese,  causa 
il  numéro  soverchiante  dei  nimici,  e  a  lasciare  la  Waag 
poco  innanzi  occupata»  penesi  a  campe  dietro  questo  fiuine. 
I  nimiei,  che  da  prima  pareva  mirassero  aU'alta  Waag, 
raecoltisi  in  un  subite  alla  destra  del  Danubie,  il  28  gingno 
muevene  contra  i  campi  di  Kmety  e  Pôltenberg  su  la  Raab. 
Oppresse  dal  numéro,  dope  brève  combattimento  Pôlten- 
berg, non  ricevendo  gli  aiuti  chiesti  e  promessi  da  Elapka. 
indietreggia  verso  Komorn  lasciande  agli  assalitori  la  terra 
di  Raab  ;  nella  quale  entra  il  giovane  Imperatore  alla  testa 
deiresercito,  da  lui  guidato  alla  pugna.  Il  2  luglio  gli  Au- 
striaci recansi  sepra  il  campe  trincerato  di  Komorn;  ^ 
lor  riesce  d*opprimeme  î  difensori,  avranne  libère  il  cam- 
mine  di  Buda;  il  cenquisto  délia  metropoli  ungarica  nei 
disegni  strategici  di  Haynau  è  il  primo  obbiettivo.  OM  as- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TENXZIA  B   UHGABIA  375 


salti  ftirono  oitre  ogni  dire  impetuosi  e  âeri;  le  resistenze, 
salde  e  gagliarde:  onde  il  combattere  durô  a  lungo  e  fa 
sanguinoso,  ayendo  or  Tano  or  Taltro  dei  guerreggianti 
pîu  volte  avuto  il  peggiore;  gli  imperiali  perô  soffrlrono 
i  maggiori  danni.  A  nessuno  sorrise  la  vittoria,  sebbene 
le  due  parti  si  gridassero  vincitrici;  avregnachè,  se  gll 
Austriaci  in  sul  cominciare  délia  giornata  si  impadronis- 
sero  d*alcune  trincee  nimiche,  in  sul  ânire  di  essa  lor  le 
ritogliessero  i  Magiari. 

Di  quoi  giorni  il  Governo,  eletto  Mészàros  comandante 
supremo  dellc  forze  armate  del  paese,  chiamato  a  se  Gôr- 
gey,  dava  a  ciuello  la  direzione  délie  faccende  délia  guerra. 
Grorgey,  il  quale,  salito  in  superbia  per  le  vittorie  ripor- 
tate»  e  signoreggiato  dalla  più  sfrenataambizione.tenevasi 
a  tutti  superiore^  sdegnô  obbedire  a  chi  per  ragione  di 
ufflcio  soprastavagli  dimolto;  eppure  egli  dicevasi  osser- 
vatore  rigidissimo  délia  soldatesca  disciplina,  che  tutta  posa 
sa  la  piii  assoluta  obbedienza  ai  capi.  Nel  levare  a  Gôrgey 
il  governo  deiresercîto  principale,  i  Ministri  avevano^or- 
dinato,  ch*egli  senza  por  tempo  in  mezzo  si  portasse  a 
Szegedin,  ove  la  Maros  porta  sue  acque  nella  bassa  Theiss 
formando  un  angolo  saliente.  Dietro  quoi  âumi  —  in  re* 
rità  buone  linee  di  difesa  —  voleva  Kossuth  s'avessero  a 
raccogliere  forze  poderose,  per  muovere  poscia  alla  ricon- 
quista  deiruugarîa:  strano  disegno  di  guerra  questo!  Se- 
curo  délie  simpatie  délie  sue  genti,  tante  volte  da  lui 
condotte  alla  vittoria,  e  certo  délia  devozione  di  Klapka  e 
délia  obbedienza  di  Nagy-Sàndor,  generali  strenuissimi  e 
molto  esperti  nelle  industrie  belliche,  Gorgey,  non  curan- 
dosi  de*  comandi  del  Governo,  mantenevasi  nelle  trincee 
di  Komorn  per  continuare  la  lotta,  fosse  anche  col  solo 
suo  esercito,  su  la  destra  del  Danubio.  Dissennato  consi- 
glio,  che  anticipô  il  termine  di  quella  impresa  si  grande 
e  si  infelice!  Il  valore  dei  Magiari,  che  tante  volte 
aveva   vittoriato  délie  armi  imperiali,  avrebbe  flnito   a' 


Digitized  by  VjOOQIC 


376  CAPiToiiO  VII 


renderli  indipendenti  e  a  opprimere  TAustria,  se  ramica 
Russia  non  fosse  accorsa  con  forte  esercito  a  sostenerne 
la  fortuna  cadente.  Le  intervenire  armato  dello  Czar  toise 
la  vittoria  di  mano  agli  Ungaresi  ;  i  quali  perô  avrebbero 
potuto  prosegulre  più  a  lungo  e  con  vantaggio  la  guem, 
se  accorde  e  armonia  avessero  insieme  congiunto  chl  con 
autorità  suprema  reggeva  la  nazioue  e  clii  ne  gOTernaTa 
le  armi.  Non  estante  la  molta  amicizia  che  legava  Gôrgej 
a  Klapka,  questi  non  approvô  i  disegni  deiramico,  del  suo 
générale;  awegnachè  a  ragione  temesse,  che  avrebbero 
divise  Tesercito  principale  dalle  altre  forze  délia  nazione 
con  danno  gravissimo  délia  comune  difesa.  Egli  volera 
che,  presidiata  validamente  Komorn,  la  restante  parte  del- 
l'esercito  dell'alto  Danubîo  si  riunisse  a  quelle  che  sta- 
vasi  allora  costituendo  su  la  Theiss,  e  alFaltro  campeg* 
giante  i  comitati  dell'alta  Ungaria.  I  comandanti  délie  or- 
dinanze  di  Oorgey  —  raccoltisi  per  discutere  su  quantc' 
conveniva  operare  —  essendosi  accostati  alla  proposta  di 
Klapka,  fu  Gorgey  costretto  ad  accettarla;  ma  prima  di 
maftdarla  a  eflétto  e  di  portarsi  a  Szegedin  egli  chiese  e 
ottenne  di  ritentare  la  prova  délia  fortuna  e  délie  armi 
contra  gli  Austriaci  ;  la  ritratta  da  Komorn  doveva  essere, 
giusta  il  suo  modo  di  ragionare,  la  conseguenza  cCuna 
vittoria  o  d'una  scon/ltta.  Cosi  si  perdettero  giorni  pre- 
ziosissimi,  durante  i  quali  i  Russi  avanzaronsi  minaccioàl 
occupando  senza  contraste  terre  e  città  ;  e  cosi  sacrificossi 
il  bène  suprême  délia  patria  airorgoglio  e  alla  vimità  di 
un  uomo;  il  quale,  pur  che  quelle  e  questa  aadassero 
salvi,  osô  avventurare  le  sorti  deU'esercito  più  esperimen- 
tato  nei  maneggi  délia  guerra  che  l'Ungaria  possede^e. 
e  sul  quale  riposavano  tutte  le  speranze  délia  nazione.  — 
L'il  luglio  Gorgey,  uscito  da  Komorn  con  le  sforzo  $uo. 
assaltava  i  campi  austriaci  coUocati  in  grande  semieer- 
chio  attorno  alla  fortezza;  portarsi  aile  sbocco  del  Czonczo 
sine  a  Nagy-Igmànd,  questo  le  intento  suo,  che  non  poti* 
raggiungere  non  estante  Tabilità    sua   nel  governare   la 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBNSZIA   B   UNOABIA  377 

giornata  e  il  valore  dei  Magiari  nel  combatterla.  Due 
giorni  appresso  Gôrgey,  con  le  genti  di  Nagy-Sàndor,  di 
Leiningen  e  Pdlteaberg,  per  la  sinistra  del  Danubio  cam- 
minava  verso  Waitzen;  a  proteggere  la  quale  mossa  c 
divertire  Tattenzione  dei  nimici  Klapka  cadeva  sovr^essi 
cou  l*usata  prodezza  e  con  taie  impeto,  che  Haynau  cre- 
detie  avère  a  fare  con  tutto  Tesercito  di  Gorgey,  non  col 
solo  presidio  di  Komorn.  II  mattino  del  15  l'avanguardia 
ungarese  respingeva  dalle  alture  di  Waitzen  le  ascolte 
del  presidio  russe,  che  all*avvicinarsi  di  quella  lasciava  la 
città.  A  mezzo  il  di  grosse  schiere  di  nimici,  giunte  din- 
uanzi  a  Waitzen,  venivano  aile  prese  con  l'avanguardia 
magiara;  la  quale,  non  potendo  resistere  alla  piena  dei 
Rossi  che  cadevale  addosso,  dietreggiô  sino  a  che  per  lo 
arrivare  di  Nagy-Sàndor  da  prima,  e  poco  di  poi  di  Lei- 
ningen potè  rintegrare  la  pugna,  che,  incerta  sempre, 
durô  sino  aU'imbrunare.  In  sul  far  délia  notte  del  di  se- 
guente  —  che  trascorse  senza  combattere  —  Gôrgey,  per 
isfuggire  a  certa  rovina  —  perô  che  il  grosso  dell'esercito 
rnsso,  raccoltosi  tra  Szôd  e  Hartv&n,  fosse  pronto  ad  as- 
salirlo  —  si  toise  da  Waitzen,  con  mossa  sapiente  portan- 
dosi,  per  la  via  di  Lossoncz  e  Miskolcz,  verso  Talta  Theiss. 
La  ritratta  di  Gôrgey  fu  protetta  or  dalle  genti  di  Lei- 
ningen, ora  da  quelle  di  Pôltenberg  e  di  Nagy-Sàndor,  le 
quali  dovettero  di  continue  combattere  per  frenare  il  vivo 
incalzare  dei  nimici. 

n  18  giugno  Paskiewitch  con  lo  sforzo  sue  di  guerra 
^cendeva  dai  Karpazi  al  comitato  di  Saros  e,  dopo  avère 
ï*espinte  le  genti  di  Wysocky,  senza  colpo  ferire  insigno- 
rivasi  d*£peries  e  di  Kaschau,  che  Dembinski,  allora  cam- 
P^Sgiante  Talta  Theiss,  non  potendo  contrastarle  con  van- 
^gio  al  nimico,  gliele  aveva  lasciate.  Il  28  i  Russi  mossero 
<ia  Kaschau  divisi  in  due  schiere  ;  quella  di  destra,  capi- 
tanata  da  Riidiger  e  da  Kuprianoff,  si  volse  al  Danubio  ; 
Valtpa,  governata  da  Czeedi^efT,  portossi   su   la  Theiss;  e 


Digitized  by  VjOOQIC 


378  OAPITOLO    TU 


superatala  presso  lo  sbocco  del  Bodrog,  camminô  verso 
Debreczin^  che,  indifesa,  il  3  luglio,  aenza  trarre  spada, 
recossi  in  mano  ;  dovette  perô  subito  lasciarla  e  rifare  la 
via  di  Tokay,  e  portarsi  a  Miskolcz,  causa  la  penuria  di  vet- 
tovaglie  e  la  difficoltà  somma  di  procacciarsene.  Mentre 
il  comandante  supremo  délie  armi  russe  col  grosso  di 
queste  per  la  valle  deirHernath  calava  al  Danubio  e  alla 
Theiss,  la  divisione  di  Paniutine  univasi  agli  Austriaci  in 
Presburg;  e  l'esercito  di  Grabbe,  la  riscossa  di  Paskie- 
witch,  che  da  prima  tenevasi  in  Gracovia,  avuto  poscla 
Tordine  di  avvicinarsi  alla  sinistra  di  Haynau  campeg- 
giante  davaati  a  Komorn,  per  le  valli  delFAxva  e  délia 
Waag  tentava  i  passi  délie  città  montanine;  se  non  che, 
vivamente  molestato  da  bande  innumerevoli  di  partîgiani» 
che  correvano  il  paese  con  l'appoggio  di  Benizki  —  il 
quale  con  la  legione  polacca  vigilava  a  quel  passi  —  Grabbe 
dovette  ritrarsi  a  Kubin  in  val  deirArva;  e  ne  use!  solo 
quando  Benizki,  chiamato  dal  Governo  nazionale  su  la 
Theiss,  gli  lasciô  libéra  la  via.  Per  Kremnitz  e  Schemnits 
venuto  a  mezzo  luglio  in  Kis-Tapolcsan,  univasi  agli  Au- 
striaci di  Csorich,  che  vi  si  trovavano  a  campo.  —  n 
giorno  in  cul  Gôrgey,  innanzi  di  recarsi  a  Szegedin,  ten- 
tava Tultima  offesa  contra  i  nimici  davanti  a  Komorn  e 
faceva  l'ultimo  sforzo  per  cacciarli  al  di  là  di  Presburg  — 
e  fu  ril  luglio  —  Buda  veniva  a  mano  délia  divisione  di 
Romberg,  che  Haynau  aveva  voluto  non  i  Russi,  ma  gli 
Austriaci  Toccupassero.  —  Gli  eserciti  dello  Czar  non 
avevano  invaso  riJngaria  soltanto,  ma  la  Transilvania  al- 
tresl  dai  conflni  moldo-valacchi.  A  mezzo  giugno  le  schiere 
di  Grotjenhein,  di  Lûders  e  d'Engelhardt,  varcata  la  Bi- 
stritz  e  superati  i  passi  di  Tônôs  e  Tôrzburg,  impadroni- 
vansi  di  Borgo-Prund,  Bistritz,  Kersten  e  Kronstadt  Bem, 
ito  contra  Grotjenhein,  dopo  avergli  tolto  Bistritz^  il  2 
luglio  respingevalo  sino  alla  stretta  di  Borgo  ;  e  gli  Szekler, 
chiamati  aile  armi  dal  loro  générale,  sbsuragliavano  Adler- 
berg  e  Jesanlow,  eziandio  costringendoli  a  salvarsi  entra 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBNSZIA  ■   UyOABIA  379 


Kronstadt  A  iagrossare  i  Russi»  i  quali^  sebbene  per  nu- 
méro e  potenza  â*armi  soverchiassero  dimolto  le  forze  av- 
versarie,  il  15  luglio  Clam  Gallas  condueeYa  loro  di  Va- 
lacchia  le  reliquie  délie  ordinanze  di  Puchner,  che  Bem 
avova  tante  volte  sconâtto  nel  marzo  e  costretto  a  cercare 
salvezza  nei  Principati.  Il  générale  polaoco  coi  valorosi 
suoi  Szekler  cadeva  su  quelle  e  le  metteva  in  fuga;  indi 
minaceiava  Kronstadt  ed  Herrmanstadt;  i  Russi,  che  pro- 
teggeyano  queste  città,  rotti  due  volte  da  Bem,  ripara- 
yansi  a  Illyefalya  e  ad  Aldoboly  ;  e  allora  il  générale  per 
la  stretta  di  Ojtoz  entrava  in  Moldavia  per  sollevarla  ;  ma, 
corsala  sino  a  Roman  senza  trovare  simpatia  per  la  sua 
causa,  riedeva  in  Transilvania  a  frenare  i  nimici,  i  quali, 
ripresa  Bistritz  e  respinti  sino  a  Reusmarkt  gli  Szekler^ 
che  tenevano  Herrmanstadt,  miravano  ad  occupare  Klau- 
senburg.  n  5  agosto  combatteva  e  sbaragliava  compiuta- 
mente  Hasford  poco  lungi  di  Salzburg  ;  indi  voltosi  contra 
Lûders  —  accorrente  in  aiuto  di  Hasford  —  l'afOrontava 
su  le  alture  di  Grosscheuem  ;  se  non  che,  tornati  vani  gli 
sforzi  per  sopravanzarne  i  âanchi  e  romperne  le  ordinanze, 
al  cadere  del  giorno  Bem,  posato  il  combattere,  dietrèg- 
giava  per  ridursi  con  sue  genti  su  la  destra  délia  Maros« 
Arriyatogli  in  quel  mezzo  Tinvito  di  Kossuth  di  portarsi 
ai  campi  ungaresi  assedianti  Temeswar  per  assumere  il 
comando  suprême  dell'armi  magiare,  fldata  al  générale 
Lazar  la  difesa  délia  Transilvania,  per  la  via  di  Lugos  sol- 
lecito  recavasi  al  nuovo  suo  ofûcio. 

Âllora  che  gli  Austriaci,  dopo  la  rotta  di  Isaszeg  e  la 
perdita  di  Waitzen,  lasciata  Pesth  e  presidiata  Buda,  re- 
trocedevano  verso  Presburg  e  la  Leytha,  Jellachich  con  le 
genti  croate,  per  la  destra  del  Danubio  sceso  alla  Drava,  ri- 
paravasi  in  Essek.  Rifatto  Tesercito,  quando  seppe  délia  in- 
vasione  dei  Russie  usciva  ancora  alla  campagna  ;  e  allargatosi 
da  prima  tra  il  Danubio  e  la  bassa  Theiss,  recavasi  di  poi 
a  stringere  d*ossidione  Petervaradino,   la   Komorn  délia 


Digitized  by  VjOOQIC 


380  CAPITOLO  vu 


parte  méridionale  deirungaria.  Il  25  giugno  vincitore  délia 
retroguardia  di  Perczel,  affrontata  dinnanzi  a  O'Becse  coa 
armi  due  Tolto  tante  le  ayyersarie,  non  sapendo  corne 
profittare  délia  facile  vittoria  riportata,  indietreggia  verso 
San  Tomaso  e  Fôldwar.  In  quel  di  medesimo,  dopo  lungu 
assedio  strenuamente  sostenuto,  la  fortezza  di  Arad  —  che 
siede  su  la  destra  délia  Maros  —  rendevasi  ai  Magiari  : 
resisteva  perô  Temeswar,  gagliardamente  difesa  dal  vec- 
chio  maresciallo  Rukowina,  cui  la  fortuna  in  premio  di 
sua  costanza  e  virtù  serbô  Tonore  di  renderla  a  cU  gliela 
avcva  fidata,  al  suo  Sovrano.  —  Già  da  alquanti  gioroi 
quietavano  le  armi  nella  Bascka,  allora  che  il  Bano  di 
Groazia  disegnava  d'assaltare  di  nottetempo  il  campo  di 
Guyon  ad  Eperies  ;  il  quale,  avvertito  délia  impresa  deli- 
berata  dal  nimico,  preparossi  a  ricevere  Tassalitore.  Fa 
nella  stretta  di  Hegyes  che  Jellachich  pati  asprissima  bat- 
titura;  perô  che,  entratovi  all'albeggiare  del  18  luglio 
senza  precursori  che  ne  cercassero  gli  aditi  e  gli  sbocchi, 
quand' ei  trovossi  bene  addentro  venisse  d'ogni  parte  ftil- 
minato  dalle  artiglierie  nimiche.  Allora  che  gli  fu  date  di 
uscire  dalla  fatale  stretta,  tanto  precipitosamente  fuggi. 
da  lasciare  moltissimi  dei  suoi  in  mano  agli  Ungaresi;  aè 
arrestossi  al  Danubio,  ma  portossi  sino  alla  frontiera 
di  Servia,  pronto  a  passare  in  Turchia,  se  gli  si  fosse  ar- 
yicinato  il  vincitore!  in  taie  impresa,  si  malamente  gover- 
nata,  il  Bano  perdette  meta  del  suo  esercito.  La  vittoria 
di  Guyon  liberô  la  Basca  di  nimici  e  fece  allargare  Tas- 
sedio  di  Petervaradino,  la  quale  fortezza  potè  allora  rl- 
fornirsi  di  vettovaglie  e  accrescere  il  presidio  di  nuove 
soldatesche.  I  Magiari  si  volsero  quindi  alla  conquista  del 
vicino  altipiano  di  Tittel;  ma  dovettero  subito  togliersi 
giii  dall'impresa  per  correre  a  Szegedin,  minacciata  da 
presse  dal  grosso  degli  Austriaci,  Il  22  luglio  Guyon 
giuntovi  con  le  sue  genti  —  da  otto  mila  uomini  —  po- 
nevasl  a  guardia  délie  trincee  fidate  al  suo  valore. 
Costretto  a  indietreggiare  da  Kaschau  per  le  armi  sover- 


Digitized  by  VjOOQIC 


VENBZIA   E   UNQABIA  381 

chianti  dei  Russi,  Dembinski,  pcr  la  valle  deirHernath  e 
per  Erlaa  sceso  verso  il  Danubio,  erasi  portato  a  GyOngyôs 
—  terra  che  siede  a  cavalière  délia  grande  via  di  Pesth  — 
ad  attendervi  Gôrgey  per  fare  insieme  la  giornata  coi  ni- 
mîci.  Avvertito  che  Paskiewitch,  il  quale  campeggiava 
Aszod  per  difendere  la  metropoli,  aveva  divisato  d'affiron- 
tarlo  il  23  luglio  dalla  parte  di  Hatvàn,  il  générale  polacco 
deliberô  di  furargli  la  mossa  e  venir  primo  aile  offese. 
Aile  due  del  mattino  di  quel  giorno  —  tre  ore  avanti 
(laella  fissata  da  Paskiewitch  a  muovere  Tarmi  contra  gli 
Ungaresi  —  cadde  furiosamente  tempestando  sui  campi 
rossi  di  Hatvàn  e  li  ruppo:  trofei  di  sua  vittoria,  dodici 
cannoni  e  molti  prigionieri.  Mentre  Dembinski  combatteva 
pposperamente  ad  Hatvàn,  Gôrgey  varcava  il  Sajô  stenden- 
(iosi  da  Sziksz6  a  Onod,  non  lungi  dal  metter  foce  di  quel 
fiame  su  la  Theiss  ;  e  P51tenberg,  che  dalla  stretta  del  Sajô 
proteggeva  Tavanzarsi  di  Gôrgey,  ributtava  una  grossa 
presa  di  Russi  per  la  via  di  Gyôngyôs  venuta  sino  ai  colli 
di  Gôrômbôly,  ove  Pôltenberg  teneva  il  suo  campo.  H  di 
appresso  —  24  luglio  —  assalito  da  forze  nimiche  d'assai 
maggiori  délie  sue,  dopo  alcune  ore  di  combattimento,  per 
non  trovarsi  preso  a  rovoscio  da  una  grossa  schiera  di 
Russi  minacciante  la  sinistra  délie  sue  battaglie,  ritrattosi 
a  Miskolcz  passava  il  Sajô  senza  patir  molestie  dai  nimici  ; 
i  quali,  il  mattino  seguente,  rinnovavano  la  pugna,  che 
dur6  sino  a  notte  con  vantaggio  degli  Ungari.  Il  26,  Gôrgey, 
portatosi  su  la  destra  deU'Hernàth,  fermossi  un  giorno  a 
Cesztely  per  dare  riposo  aile  sue  genti  ;  e  fu  questo  un  assai 
grave  errore  strategico,  perô  che  soprammodo  importasse 
<i'avvicinarsi  a  Szegedin  e  al  Banato  per  impedire  agli  Au- 
stpiaci  di  soccorrere  Temeswar,  e  varcare  la  Theiss  prima 
del  Russi,  de' quali  un  nuovo  osercito,  capltanato  da  Sacken, 
ÎQ  quel  mezzo  calato  ad  Ungaria  per  la  valle  deirHernath 
procedeva  verso  Tokay.  Al  cadere  del  28  luglio  e  poche 
ore  dopo  una  zuffa  combattuta  vantaggiosamente  da  Lei* 
ûingen  contra  Grabbe  —  toltosi  dagli  Austriaci  per  unirsi 


Digitized  by  VjOOQIC 


382  cAPiTOiiO  VII 


a  Paskiewitch  —  Gôrgey  lovava  i  suoi  campi  dallTEemàth 
e  il  30  a  Nyiregyhàza  snperava  la  Theiss:  era  tempo»  awe 
gnachè  î  nimici,  che  già  avoYanla  passata  presso  Tisza- 
Fûred,  per  la  sinistra  del  fiame  si  fossero  portail  rimpetto 
a  Tokay  per  contrastarne  il  valico  agli  UngaresL  Dembinski, 
non  veggendo  renire  a  lai  Tesercito  di  Oôrgey»  dopo  ia 
vittorla  di  Hatvàn  recavasi  a  Szegedin,  lasciando  in  Ozegled 
le  genti  di  Wisocky  e  di  Perczel;  i  quali,  allora  che  sep- 
pero  Gôrgey  camminare  verso  Talta  Theiss,  scesero  pur 
essi  a  Szegedin. 

Yalicato  quel  fiume,  Oôrgey  col  grosso  deiresercito  por 
Nagy-Kallô  mosse  verso  il  Berettyô,  protetto  alla  sua  destra 
dalle  ordinanze  di  Nagy-Sàndor,  il  quale  spalleggiavalo 
per  la  via  di  Hadhàz  e  Debreczin.  Fu  presso  questa 
eittà  che  Paskiewitch  con  armi  poderose  affrontara  e 
opprimeva  Nagy-Sàndor»  costringendolo  a  ripararsi  entre 
Granvaradino,  dove  subito  raggiugnevalo  Gôrgey.  Questî. 
chiamato  soUecitamente  ad  Arad  da  Aulich,  Ministro  aopra 
le  armi,  levati  il  5  i  campi  dal  Kôrôs  portavali  il  0  e  il 
10  alla  Moros  intorno  ad  Arad  ;  e  qui  dovevano  raccogliersi 
le  armi  magiare  per  venire  poi  a  giornata  campale  e  farla 
finita  con  gli  Austriaci,  già  su  la  Theiss,  già  minaccianti 
Szegedin  e  il  Banato,  per  voltarsi  quindi  contra  i  Rassi.  — 
Era  tardi  !  la  disobbedienza  di  Gôrgey  portava  allora  i  suoi 
frutti  tristissimi;  i  giorni  dalui  perduti  in  Komorn  toma- 
rono  esiziali  alla  libertà  patria  ;  per6  che,  quand'egli  giunse 
in  Arad,  la  fortezza  di  Szegedin,  dopo  fiero  contrasto,  fosse 
caduta  in  potere  di  Haynau,  e  a  Dembinski  fosse  toccata  il 
5  agosto  grave  soon&tta  sui  campi  di  Szôregh,  non  ostante 
il  valore  di  cul  le  sue  genti  avevano,  in  quella  giornata. 
date  luminose  prove.  La  ritratta  del  générale  polacco  verso 
Temeswar  ^  che  Wecsey  teneva  tuttavia  assodiata  —  con- 
dusse  Tesercito  suo  alla  rovina  estrema.  Gostretto  dagli  Au- 
striaci, che  avevanlo  segulto  da  presse^  a  far  nuova  giornata. 
veniva  compiutamente  distrutto  a  Eis*Becskeret  Bem,  in 


Digitized  by  VjOOQIC 


VENBZIA  B   UKOARIA  383 


quel  mezzo  arrivato  di  Transilvania,  governô  la  pugaa  (1); 
cho  prospéra  da  prima,  voltossi  in  sul  finira  avversa  aile 
anni  magiare,  per  la  tradigione  di  Gôrgey  (2);  il  quale,  già 
ÎQ  mente  volgendo  sua  dodîzione  ai  Russi,  non  corossi  di 
.«^occorrere,  o  forso  non  voile  soccorrere  Bem  (3).  Se  con 
lo  sforzo  suc  uscito  da  Arad,  occupata  Theresiopoli,  si  fosse 
awicinato  alla  destra  délie  battaglie  di  Bem,  avrebbe  im- 
pedlto  aglî  Anstriaci  di  ricevere  gli  aiuti  che  lor  venivano 
dalla  bassa  Maros!  Libéra  dalFassedio,  Temeswar  avéra 
aperto  le  porte  al  vincitore,  e  Haynau,  stretta  la  mano  al 
veochio  Rukowina.  DeU'esercito  di  Dembinski,  parte  andô 
dispersa,  parte  si  raccolse  a  Lugos,  non  lungi  dai  confini 
transilvanL  —  Il  mattino  del  10  agosto  Gôrgey,  non  awi- 
sato  délia  disfatta  di  Bem,  manda  ad  oecupare  Vinga  — 
su  la  via  di  Temeswar  —  le  ordlnanze  di  Nagy-Sàndor,  le 
quali  il  giorno  appresso  devono  unirsi  a  Dembinski  ;  ma 
afirontate  e  oppresse  da  prépondérant!  armi  nimiche  retro- 
cedoQo  ad  Arad.  Allora  Gôrgey,  fatta  deliberazione  di  libe- 
rare  la  via  di  Temeswar  e  d'avvicinarsi  a  Wecsey  e  a 
Kmety  ^  ch*egli  crede  strîngano  sempre  d*assedio  quella 
fortezsa  —  preparasi  d'assalire  il  di  vegnente  gli  Austriacl, 
elle  stanno  a  campo  non  lungi  di  Arad.  Uno  scritto  di  Guyon, 
gianto  nella  notte,  faceva  eonoscere  a  Kossuth  il  disastro 
(li  Kis-Becskeret  in  tutti  i  suoi  particolari  ;  dlsperando  di 
poter  eontinuare  la  guerra  con  vantaggio,  il  Dittatore 
dUngaria  depone  allora  la  suprema  autorità:  onde  il  Go- 


(1)  Dembinski  a  SzOreg  nel  cadere  di  cavallo  erasi  ferito  gravemente 
Oûaspalla. 

(S)  Dobbiamo  proprio  pariare  coai  d'im  uomo,  cbe  tanto  strennamente 
^  Bapientemeate  aveya  operato  per  la  patiia!  Se  in  GOrgey  ramore  di 
WsU  ayene  snpeiato  Tamore  di  se  stesso;  sepiù  avesse  odiato  TAu- 
Btria  e  si  fosse  levato  emolo,  non  rivale  di  Eossuth,  egli  non  ayrebbe 
^û  poste  in  dimenticanza  il  proprio  dovere,  e  l'Ungaria  sarebbe  stata 
«alTa. 

(3)  GK^rgey  aveva  già  tentato  pratiche  d'accordo  ed  Bnssi,  senza 
anertire  di  ciô  U  Govenio  nadoaale. 


Digitized  by  VjOOQIC 


384  OAPITOLO   VII 

verno  elegge  Gôrgey  généralissime  di  tutte  le  forze  armate 
con  facoltà  di  fermare  la  pace  coi  Russie  se  reputa  impos- 
sibile  salvare  la  patria  con  le  armi.   LU   agosto  in  un 
manifeste  alla   nazione  il   Governo  annunziava  di  avère 
confldato  a  Oôrgey  Valtapotestà  civile  emilitareaUoscojjO 
di  assicurare  la  vita  e  Vawenire  del  paese,  sicuro  che  sarà 
per  adoperarla  per  la  sainte  e  laprosperità  délia  patria. 
—  Al  manifeste  dei  Ministri  rinunziatorî  del  potere,  tenne 
dietro  quelle  di  Gorgey,  nel  quale  prometteva  di  operare  a 
vantaggio  di  essa  quanto  sarebbegli  possibile  con  le  armi  o 
gli  accordi.  —  Nella  nette  in  cui  Kossuth  —  lasciata  Arad, 
lasciata  la  patria  —  portavasi  in  terra  d*esilie  —  e  f u  qnella 
deiril  al  12  agosto  —  Gôrgey  inviava  a  Rûdiger  araldi  per 
trattare  délia  resa:  egli,  mentre  faceva  appelle  alla  genero- 
sità  e  alla  giustizia  dello  Czar  a  favore  délia  nazione  e  del- 
l'esercito,   eccettuata   perô  la  sua   persona,   significavagli 
essere  per  trasportare  i  suoi  campi  a  Vilàgos,  il  13  a  Boros- 
Jenô  e  il  14  a  Beel,  afflnchè    Rudiger  potesse  con  sue  genti 
collocarsi  tra  i  Magiari  e  gli  Austriaci.  In  quella  notte  stessa. 
uscito  (li  Arad  col  grosso  dell'esercito,  portavasi  a  Viligos; 
e  fu  qui  che  Gôrgey  parlô  a' suoi  soldati  délia  dedizione,  dopo 
il  ritorno  degli  araldi  spediti  a  Rûdiger  e  aver  ricevnto  il 
comandante  délia  schîera  mandata  dal  générale  russe  a  cam- 
peggiare  la  via  d'Arad  a  Vilàgos  per  separare  gli  Ungari 
dagli  Austriaci.  La  notizia  délia  resa  a  discrezione  destô  si 
terribili  ire  e  tal  furore  nei  soldati,  che  se  Gorgey  non  si 
fosse  portato  sollecitamente  ad  essi  per  frenarne  gli  impetî 
generosi,  sarebbersi  levati  a  ribellione  per  togliersi  allô 
obbrobrioso  posare  di  quelle  armi,  che  tante  volte  e  splendi- 
damente  avovano  vittoriato  dei  nimici  délia  patria.  Il  mat- 
tino  del  13  agosto  sui  campi  che  stendonsi  tra  Kiss-Jenô  e 
SzoUôs,  non  lungi  di  Vilàgos,  stavano  schierate  le  battaglie 
di  Riidiger  ;  rimpetto  a  queste,  le  ordînanze  ungaresî,  ven- 
tiquattro  mila  uomini  allô  incirca  ;  le  bandiere  e  gli  ston- 
dardi,  poco  prima  si  gelosamente  custoditi  e  strenuamentp 
difesi,  giacevano  dinnanzi  a  quelle  abbandonati  e  n^letti  : 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBNSZIA  K   imOA&IA  385 


i  schioppi  erano  raecolti  in  fasci;  i  cavalieri,  accanto  ai 
ro  cavalli,  con  le  sciabole  appese  al  porno  délia  sella;  lo 
'tiglierîe,  serrate  le  une  presse  aile  altre  senza  canno- 
ieri  (1).  Mentre  l'esercito  di  GôPgey  recavasi,  prigioniero 
gaerra,  ai  campi  nissi  dî  Varkad  e  Gyula,  e  il  suc  sapremo 
ipitano  con  sègaito  di  pochi  ufflciali  portavasi  ai  quartieri 
Paskiewitch  in  Granvaradino,  Schlick,  arrivato  su  la 
aistra  délia  Maros  dîniianzi  ad  Arad,  faeeva  la  chîamata 
questa  fortozza.  Ni)gativamente  rîspondevagli  Damjanics, 
quale  subito  dopo  trattava  col  g(>nerale  Buturlin  délia 
edizione  di  Arad,  a  patto  cho  gli  Austriaci  non  avessero 
d  assiâtere  alla  uscita  del  presidio:  ciô  che  avreniva  il  17 
i  quel  mese  d'agosto.  Alla  resa  di  Vilàgos  e  di  Arad  tien 
lietro  quella  dell'altre  fortozze  e  délie  schiere  carapeggianti 
1  mezzogiorno  d^Ungaria  e  la  Transilvania,  a  ciô  fare  invi- 
ate  da  Oôrgey;  il  quale,  scri  vende  ai  loro  comandanti, 
ireva  parlato  di  non  rendersi  a  discrezione,  ma  d*unirsi  ai 
iussi.  Le  reliquie  deiresercito  di  Bem  e  dl  Guyon,  dopo 
a  sconfitta  di  Kiss-Becski^ret  raccoltesi  interne  a  Luges, 
venute  dî  poi  a  Dobra  —  terra  transilvana  che  siede  su 
la  Mares  —  trovandosi  circondate  dagli  Austriaci,  il  giorno 
stesso  délia  dedizionc  di  Arad  disperdonsi  tra  i  menti, 
^eiy,  apertosi  con  le  poche  sue  genti  il  varco  tra  le 
genti  austriache,  per  Mehadia  riparasi  in  Turchia;  ma 
Wecsey,  cui  i  Rassi  son  rinsciti  a  precludere  ogni  via  di 
i^alvamento,  loro  s'arrendi'^  il  19  agosto;  ai  quali  Munkacs 
il  26  âpre  le  porte;  e  Petervaradino,  il  27  agli  impérial  i. 
In  Transilvania  i  Secli,  dopo  avère  sbaragliati  gli  Austriaci 
<li  Urban,  a  Sibo,  si  danno  ai  Russi  ;  e  Lazar,  a  Deva,  arren- 
<ïesi  a  Simbschen.  —  Il  3  agosto,  allora  che  Haynau  con 
lo  sforzo  di  guerra  camminava  verso  Szegedin,  Klapka, 
uscito  di  Komom,  ributtava  gli  assediatori  da  Mocsa,  da 
Piissta  Herkaly  e  da  Pussta  Chem,  e,  recatasi   in  mano 


(1)  ContaTansi  cenqiuurantaqiiattro  le  artiglierie. 

85  -  VoL  n.  Maetaxi  —  Staria  pd»  ê  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


H86  CAPITOLO   VII 

risola  di  Schûtt,  il  di  appresso  impadronivasi  di  Raab. 
Gravi  i  danni  degli  Austriaci  e  dei  Russi,  i  quali,  oltre  i 
molti  morti  e  feriti  rimasti  sul  campo,  îa  loro  precipitosa 
fuga  lasciaroao  ai  vincitori  non  poche  artiglierie  e  copia 
grande  di  munizioni  da  guerra  e  di  vettovaglie.  Klapka, 
rivelando  con  quella  impresa  tutta  la  potenza  di  sue  armi^ 
gettô  nei  nimici  taie  spavento  di  se  e  de'  suoi,  che  quaado 
caduta  a  Yilàgos  la  fortuna  dei  Magiari,  respinse  sdegnoso 
la  cUamata  di  rendersi  a  discrezione,  TAustria  concede- 
vagli  onorevoli  patti  di  resa;  il  27  settembre  Komorn  apriva 
le  porte  agli  imperiali:  TUngaria  era  vinta  (1).  Posata 
la  guerra  cominciarono  le  vendette,  e  furono  oltre  ognî 
dire  feroci,  brutali!  Molti  generosi  che  in  campo  il  ferro 
(i  il  piombo  dei  nimici  avevano  in  cento  pugne  rispettati, 
caddero  allora  moscliettati,  o  per  mano  dei  carnefice  per- 
dettero  la  vita  sul  patibolo.  Francesco  Giuseppe,  che  gii 
adulatori  —  di  cui  pur  troppo  vanno  sempre  popolate 
le  Gorti  dei  regnanti  —  voUero  chiamato  il  cavaUeresco 
Imperatore,  permise  si  mandassero  al  supplizio  estremo 
quanti  de'  più  nobili  e  grandi  contava  la  sollevazioue  ma- 
giara.  Arad  fu  il  teatro  di  sanguinosa  scena!  il  6  ottobre 
vi  perdevano  la  vita  i  generali  e  gli  ufflciali  più  strenni 
deiresercito  ungarico.  La  storia  ha  scritto  nelle  sue  pagine 
—  che  tirannide  veruna  potrà  distruggere  mai  —  i  nomi  di 
Aulich,  di  Ernesto  Kiss,  di  Pôltenberg,  di  Leiningen,  di 
Tôrok,  di  Lahner,  di  Nagy-Sàndor,  dl  Knezich,  di  Dessewffy, 
di  Damjanics  e  di  Wecsey.  Ricordano  pure  le  storie  quelli 
di  altri  màrtiri  dannati  a  morte  da  tribunali  militari,  tra 
cui  i  più  illustri  Luigi  Batthyany  (2),  Woronieczky,  Pietro 


(1)  Il  colrainello  Monti,  di  Biesda,  che  lappresentava  la  Sardegna 
presao  U  Govemo  magioro,  allora  che  seppe  la  disfatta  di  Novan  e 
rabdicazione  di  Carlo  Alberto,  assonto  il  comando  deUa  legione  italiana, 
che  militava  sotto  le  insegne  d'Ungaria,  combatte  valorosamente  cob 
essa  per  la  iudipendenza  di  qnel  nobilissimo  paese. 

(S)  La  sposa  di  Batthyany,  corsa  alla  prigione  per  abbiacdaze  il  mm- 


Digitized  by  VjOOQIC 


YENSZIA  B   UNOABIA  387 

(Jripon,  Carlo  Abancourt,  Pereny,  Enrico  Szacsyay,  Gsernyas, 
Luigi  Csany,  Giovanni  di  Jessenak  e  Luigi  Kasinczy.  — 
Gôrgey,  il  quale,  per  intercessione  dello  Czar,  aveya  avuto 
salva  la  yita,  era  relegato  a  Klagenfurth,  in  Garinzia;  gli 
amici  e  i  suoi  compagni  d'arme  venivano  morti  o  condan- 
uati  a  lunghi  anni  di  durissimo  earcere  (1).  —  L*  Ungaria 
era  cosi  tornata  alFimperio  e  alla  signoria  absburghese  non 
per  la  rirtù  délie  armi  austriache  e  la  sapienza  de'  suoi  ge- 
nerali,  ma  per  quelle  dei  Russi,  e  per  la  tradigione  di 
Gorgey,  che,  nato  magiaro,  avéra  in  comune  co'  suoi  con- 
cittadinl  il  valor  personale,  non  perô  il  cuore,  non  l'entu- 
siasmo,  ne  la  fede.  In  guerra,  tradimento  e  disobbedienza 
partoriscono  sempre  i  medesimi  eifetti  e  portano  gli  stessi 
tristissimi  frutti!  la  disobbedienza  di  Gôrgey  a  Komorn 
produsse  la  catastrofe  di  Vilàgos»  e  condusse  TUngaria  alla 
resa  di  Kiss-Jenô,  di  ZôUôs. 

La  pace  fermatasi  di  quel  giorni  con  la  Sardegna  — 
délie  cui  pratiche  parleremo  tra  brève  —  la  sommessione 
dell'Ungaria  e  la  dedizione  di  Venezia,  awenuta  poco  ap- 
presso  alla  resa  di  Vilàgos  e  di  Arad,  avevano  affermata 
la  monarcbia  délia  casa  d'Absburgo;  essa,  che  l'anno  in- 
nanzi  erasi  trovata  vicinissima  a  ruina,  trovavasi  allora 
piU  forte  che  mai  per  opéra  di  quelFonor  militare  che, 
confessiamolo  in  omaggio  alla  verità,  in  nessun  esercito 
d'Europa  di  quoi  tempi  —  e  possiamo  dire  altresi  del- 
l'epoca  délie  gigantesche  guerre  napoleoniche  —  non 
^ra  tanto  vivamente  sentito,  quanto  neiresercito  austriaco, 
sobbene  composte  d'uomini  di  nazioni  varie  e  per  odi  an« 
ticU  tra  loro  nimicissime.  Senza  i   poderosi   soccorsi    di 


^toper  Vultima  volta,  veniva  lespinta,  perô  che  Haynan  aveva  niegato 
<ti  eoncedere  tanto  conforto  al  condannato  ;  e  se  rinfelice  donna  riescl 
neli'intento  suo,  qnesto  dovette  all'amanit&  del  principe  Liechtenstein* 
(1)  AKossnth,  Dembinski,  Bem,  Perezel,  Casimiro  Batthyany,  Szmere, 
^ety,  Gnyon,  Wisoki,  Wetter  e  a  Meszaros  venne  dato  di  salvarsi 
nella  os^tale  Tnrchia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


383  CAPITOLO  VII 


Russia  certo  lo  armi  austriache  sarebbero  cadute  sal  Da- 
nubio  e  su  la  Theiss;  ma  salyo  ne  sarebbe  stato  l*onore 
militare,  il  quale  toraô  e  tomerà  sempre  efScacissimo  a 
cementarne  gli  elementi  .piii  divers!  e  persino  i  piii  con- 
trari.  L*imperio  austro-ungarico ,  costitaito  corne  è  «3 
corne  fu  sempre  da  aggregazlone  di  popoli  e  frazioni  di 
popoli  di  naturalith  diversissime,  ne  insieme  legati  da 
vincolo  alcuQO,  non  puô  avère  un  esercito  nazUmale; 
ma  sino  a  che  i  soldati  di  esso  —  Italiani  e  Magiari, 
Slavi  e  Tedeschi  —  rispetteranno  nel  Monarca  il  rappre* 
sentante  délia  grande  nnità  militare  deirimperio,  rAastria 
potrjt  modificarsi,  eziandio  trasformarsi,  perire  non  mai. 
«  Ouardate  quesix>  campo,  »  cosi  Radetzky  nello  additare 
a  un  de*  suoi,  che  temeva  deirawenire  deirAustria,  un 
campo  sul  quale  poche  ore  prima  avevano  combattuto 
Sardi  e  imperiali,  e  tuttavîa  coperto  di  morti  todeschi, 
italiani,  ungaresi,  boemi  e  croati,  tutti  soldati  délia  casa 
d'Absburgo.  Di  quoi  giorni  la  casta  militare  —  che  gloria- 
vasi  di  aver  salvata  la  monarchia  —  era  venuta  in  tanta 
potenza  da  imporre  la  volontà  propria  al  giovane  Sorrano, 
e,  affermando  le  armi  soltanto  poter  dare  saldezza  al  trono, 
usurpata  la  suprema  autorité,  prendeva  a  spadroneggiart» 
dovunque,  fino  sotto  gli  occhi  delllmperatore.  La  siessa 
Vienna  —  un  di  levatasi  vittoriosamente  contra  gli  ordi- 
natori  délie  stragi  di  Gallizia  e  di  Milano  e  i  cai  moti 
liberali  avevano  date  Tultima  spinta  alla  soUevazione  di 
Lombardia  e  délie  Venezie  —  giaceva  allora  oppressa 
dal  piii  dèspotico  dei  governi,  il  govemo  délia  spadal 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO  VIII. 

Kozna. 


FranciA  délibéra  di  fur  Timpresa  di  Borna.  ~  Bibellione  dei  montanari 
ascolitani;  la  compagnia  infernale  in  Ancooa.  —  Sbarco  dei  Fran- 
cesi  a  CiTitayecchia.  I  Franced  soonfitti  il  30  aprile  sotto  le  mma 
di  Borna.  —  I  Napolitaoi  a  Palestrina  e  a  Velletri;  ftiga  dei  re 
Ferdinando.  —  Spedizione  spagnnola.  —  Gli  Anstriaci  fanno  l'im- 
presa  di  Bologna  e  d'Ancona.  —  Ite  a  ynoto  le  pratiche  di  con< 
ciliazione,  Ondinot  disdice  le  tregne.  —  La  giomatii  dei  8  giugno. 
—  Lettere  di  Ondinot  all'Assemblea  e  all'esercito  romano;  risposta 
dell'Assemblea.  —  Missione  di  Coreelleeu  I  Francesi  tentano  Borna 
nella  notte  dei  21  gingno.  —  Ultime  reabtenze;  Medici  e  Manara; 
il  80  gingno.  —  I  Triamyin  risegnano  Tofficio  loio;  i  Francesi 
in  Borna.  Garibaldi;  ospitalitA  Sanunarinese.  —  Lettera  di  Lnigi 
Bnonaparte  a  Edgardo  Ney.  —  Pio  IX  toma  a  Borna;  cattivo 
reggimento  degli  Stati  délia  Chiesa;  nei  1857  il  Pontefice  visita 
le  sne  provincie;  visita  Modena,  Panna  e  Toscana.  —  H  1858. 


Roma,  la  quale  ayeva  tanto  festeggiato  lo.intimar  délia 
imova  guerra  airÀostria,  quando  seppe  dei  disastro  di 
Novara,  tutta  riempissi  di  lutto  e  d'afflizione;  ma  se  il  do- 
lore  di  quella  sventura  nazionale  Toppressc,  non  gianse 
porô  a  proâtrare  gli  animi  dei  popolo.  In  quel  moment! 
diflaclli  e  pericolosi  sôprammodo  împortando  raccogliere 
in  poche  mani  il  reggimento  della  cosa  pubUica,  a  fine 
'li  provredere  soUecitamente  ai  bisogni  della  patria,   che 


Digitized  by  VjOOQIC 


390  CAPITOLO   VIII 


facevansi  ogni  giorno  più  imperiosi,  l'Assemblea  Costituenle 
instituiva  un  triumvirato  con  potestà  illimitata,  al  quale 
oflicio  chiamava  Giuseppe  Mazzini,  Aurello  Saffl  e  Carlo 
Armellini.  La  elozione  di  questi  uomini  tanto  benemeriti 
deiritalia  —  i  quali,  con  la  riverenza  del  nome  e  col  loro 
governo  rigido,  ma  civile  e  netto  dCogni  proscrizione  e 
di  sangiœ,  fermarono  in  tempo  Vinsolenza  délie  voltabili 
plebi  e  le  ire  délie  fraterne  discordie  (1)  —  venno  accolta 
col  massimo  entusiasmo  dalla  parte  libérale;  avTegnacb- 
sapesse  corne  i  Triumviri  avrebbero  mantenuta  semprc  e 
preservata  la  repubblica  a  ogni  patto  da  qualunque  péri- 
colo  si  affacciasse  e  la  rappresenterebbero  degnamcnt/^ 
nella  guerra  di  indipendenza  (2).  Il  lungo  indugiare  «li 
Guerrazzi  —  di  quel  giorni  reggente  la  Toscana  con  au- 
torité dittatoria  —  a  riconoscere  la  repubblica  e  soprai- 
tutto  i  tristi  casi  di  Firenze  e,  conseguenza  di  questi,  Tin- 
vasione  austriaca,  rattristarono  Roma,  che  vedeva  maii- 
care  alla  causa  délia  libertà  Tappoggio  di  quella  gente,  la 
quale  l'anno  innanzi  aveva  valorosamente  combattuto  a 
Gurtatone  e  a  Montanara.  La  novella,  giunta  in  quel  mezzo 
del  suo  riconoscimento  da  parte  délia  Sicilia,  leni  alquant^» 
il  suo  dolore;  e  sebbene  da  quella  terra,  che  in  Italia 
prima  erasl  levata  contra  la  tirannide,  non  potesse  sperar** 
aiuto  di  armi,  pure  l'accomunare  che  essa  voile  fare  del 
suo  avvenire  con  quel  délia  repubblica,  tornô  di  graniU* 
conforto  ai  Romani,  allora  in  gravi  pensieri  per  l*ostile 
contegno  di  Francia^  che  gi&  chiariva  la  intenzione  di 
intervenire  armata  mano  nelle  faccende  loro.  Sino  dal 
febbraio  gli  oratori  di  Francla,  d'Austria,  di  Spagna  e  Na- 
poli  presse  Pio  IX  in  Gaeta  (3)   discutevano   con   Anto- 


(1)  LuiGi  A^rniLi,  Storia  (Fltalia,  vol.  n,  cart  371  ;  lOlano,  18H4. 
(9)  Parole  dei  Triumviri  ai  Romani. 

(3)  Erano  per  la  Francia  d'Harcourt  e  Bayneval;  Esterhai^  per 
TAustria;  Hartinez  de   la  Rosa  per  la  Spagna;  e  Ludolf  per  NaiM>li. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  391 

nelli  e  i  cardinali  délia  Gorte  pontiâcia  su  la  restaura- 
zione  délia  potestà  papale.  Se  tutti  erano  d'accordo  sopra 
la  nécessita  d'un  intervento  d'armi  straniere,  discordavano 
perô  nella  scelta  dello  Stato  che  doveva  far  Timpresa; 
Napoli  e  Spagna  volevano  bensi  aiutarla,  ma  da  sole 
non  potevano  compierla  (1):  taie  scelta  pendeva  quindi 
su  TAustria  e  la  Francia.  D'Harcourt,  a  ragione  temendo 
che,  se  l'onore  di  ricondurre  il  PonteSce  a  Roma  toccasse 
aile  armi  austriache,  Timperio  acquisterebbe  soverchia 
preponderanza  in  Italia;  e  veggendo  il  cardinale  Antonelii 
apertamente  inclinare  verso  l'Austria,  metteva  innanzl: 
avesse  Pio  IX  a  recuperare  lo  Stato  non  per  forza  di 
armi,  l^ensi  in  virtu  délia  parte  cosUtuzionale  e  di  moti 
popolari;  alla  quale  sua  proposta  Toratore  di  Francia  te- 
nevasi  certissimo,  accosterebbesi  lo  stesso  Ponteflce,  che, 
persuûso  i  nuovi  ordini  di  Roma  essere  stati  Topera  di 
pochissimi,  riteneva  quella  parte  a  lui  affezionata.  —  lu 
Corte  di  Gaeta  non  yolevasi  saper  di  Francesi  ;  i  cardinali, 
pochi  eccettuati,  erano  contrari  a  D'Harcourt;  il  quale, 
irritato  dai  modi  violenti  di  combattere  la  proposta  sua, 
minacciô  di  rompere  le  pratiche  dellMutervento.  Antonelii, 
richiesto  di  far  conoscere  le  concessioni  che  Pio  IX,  ri- 
salito  al  trono,  accorderebbe  ai  sudditi,  astutamente  rispon- 
deva  a  D'Harcourt  :  «  Dite  al  pubblico,  che  la  Francia 
spegnerà  la  romana  repubblica  per  restaurare  il  potere 
temporale,  e  allora  il  Ponteflce  si  pîegherà  ai  desldèri 
vostri;  se  niegate  fare  taie  dichiarazione,  laseiate  l'impresa 
airAustria,  che  nuUa  patteggia  per  essa.  »  ^  Indubitabil- 
mente  aU'invito  di  Pio  IX  l'Austria  sarebbe   corsa   a   op- 


(1)  Napoli,  yinta  ma  non  domata  dal  Borbone,  sarebbesi  nnoyamente 
sollevata  alla  prima  sconfitta  dell|esercito  di  Ferdinando,  o  se  avesse 
vedato  awicmarsi  le  armi  romane.  Una  spedizione  armata  negli  Ab- 
bnuzi  e  una  pnnta  di  essa  a  Napoli  erano  state  due  yolte  saggiamente 
Gongigliate  dal  générale  Pepe  al  Govemo  di  BomÀ;  il  sollevarsi  del 
rearne  avrebbe  al  certo  ricondotta  la  bnona  fortnna  allltalia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


392  CÂPiTor.o  viii 


primere  la  libertà  romana,  perô  che  tenesse  allora  la  poco 
conto  il  giudizio  dei  popoli  (1).  —  Odillon  Barrot,  uii  dei 
Miaistri  di  Francia,  appena  venne  avTisato  délia  delibe- 
razione  presa  dai  rappreseiitauti  degli  Stati  cattolici  in 
Gaeta,  cioè  che  la  Francia  avesse  a  intervenire  con  sue 
armi  nelle  faccende  di  Roma,  recatosi  airAssemblea  aa- 
zionale  per  otterne  Tassenso^  prendeva  a  dire  cosi:  <  Noi 
non  andiamo  in  Italia  a  imporvi  con  le  armi  nessun  si- 
stema  di  governo,  ma  ad  afferinarvi  i  dlritti  délia  libertà 
0  a  oonservarvi  un  legittimo  ingerimento  nelle  cose  délia 
penisola.  »  A  Ledru-RoUin,  il  quale  lamentava  come  Fran- 
cia, dopo  aver  lasciate  a  loro  stesse  Sardegna  e  Yeneàa. 
Firenze  e  Messina,  s*unisse  allora  all'Austria  e  a  Napoli 
per  restaurare  la  potostà  poniificia,  il  générale  Lamori- 
ciôre  rispondeva  :  <  Se  la  Francia  doTesse  operare  ia  Italia 
giufita  le  mire  deirAastria,  io  non  mi  farei  ad  appoggian^ 
Timpresa.  Invitata  con  gli  altri  Stati  dei  Papa  ad  aiutarlo 
alla  recuperazione  di  Roma,  Francia  spediva  a  Gaeta  un 
orator  auo  per  conoscere  ciô  che  meglio  convenisse  fare. 
Yinto  a  Noyara  Tesercito  dell'indipendenza  italiana,  TAq- 
stria,  cui  la  repubblica  romana  ha  ora  inditta  la  guerra, 
sta  per  valersi  dei  diritto  di  romperla;  se  le  armi  sue  ri- 
ponessero  il  Ponteflce  sul  trono,  con  la  repubblica  romana 
perderebbersi  le  libertà  d'Italia  e  il  crédite  nostro  altresi 
nella  penisola.  01  sia  dunque  concesso  di  occupare  Ciri- 
tavecchia  e  di  portarci  a  Roma,  quando  l'Austria  si  aran- 
zasse  per  ricondurvi  il  Ponteflce.»  Il  Buonaparte,  che 
il  2  dioembre  deiranno  innanzi  erasi  mostrato  contrario 
airimpresa  di  Roma,  facevasi  allora  a  caldeggiarla  per  li 
suoi  fini  ambiziosi  e  ravvenir  suo,  ch'egli  già  andava  pre- 
parando;  difendendo  il  Papato  —  un  giorno  da  lui  com- 


(1)  n  20  aprile  il  Sommo  Ponteflce  proniinsiô  nna  alheumi^  adli 
quale  mostrossi  bénerolissimo  all'Anstria   e  al  Be  di  Napoli  che  h 


4>spitaYa. 


Digitized  by  VjOOQIC 


ROUX 


))âttuto  —  intendeva  eonquistarsi  il  favore  del  Yatioano  e 
del  elero  francese.  Egli,  che  aveva  segretamente  conve- 
nato  col  Qoyerno  di  Yienna  d'impadronirsi  di  Oivitayec- 
chia,  mentre  gli  imperiali  invaderebbero  le  Legazioni, 
cercô  onestare  la  spedizione  spargendo  voce  nelle  plebi, 
che  la  repubblica  romana  —  opéra  di  alcuni  amatori  di 
notyità  —  era  awersata  da  pachif  invisa  ai  piU  :  che  il  Pan- 
tefice  ffodeva  del  favore  universale;  e  che  essOy  nel  desi- 
derare  il  ritomo  al  seggio  apostolico^mirava  alla  restau- 
razione  degli  anttchi  ordini  di  govemo  ;  onde  un  intervento 
reintegratore  di  quesH  doveva  essere  bene  accolto.  Men- 
zognera  afifermazione,  con  cui  Napoleone  ingannava  la 
Francia  e  i  suoi  rappresentanti  ;  i  quali  approvando  l*im- 
presa,  credevano  togliere  Roma  alla  tirannide  di  gente 
faâosa  e  salvare  i  diritti  e  la  volontà  del  suo  popolo.  A  capo 
délia  spedizione  veniva  posto  il  générale  Oudinot,  cui  Odil- 
Ion  Barrot  dava,  sul  governo  di  essa,  istruzioni  contrarie 
anzi  ripugnanti  aile  parole  da  lui  pronunciate  neirAsaem- 
blea  (1).  Corne  eseguisse  Oudinot  i  comandi  di  Napoleone  e 


(1)  a L'ingresso  in  CiTitaveochia  non  yl  sart  certamente  nie- 

^to;  taUo  c'induce  a  eredere  che,  Inngi  dall'incontraie  resistenxa,  sa- 
rete  accolto  ansiosamente  dagli  uni  quai  liberatore ,  dagli  altri  qnal 
inedktoTe  contra  i  pericoli  minacciati  alla  repubblica  dai  nimici  di 
qaesta.  Qoalora  poi  si  yolesse  impediryi  Tentrare  in  Civitayecchia,  yoi 
son  ti  anesterete  alla  resistenza  oppostavi  in  nome  d'nn  Goyemo  non 
rieaaoscinto  in  Eniopa  e  che  mantiensi  contra  la  yolontA  dei  più.  Fer- 
mato  il  piede  snl  tenitorio  délia  Chiesa  invierete  a  Borna  nn  dei 
rostri  nfficiali  per  far  conoscere  ai  capi  del  Goyemo  la  yostra  missione 
^  ayyertirliy  non  dover  yoi  appoggiare  Tordine  di  cose  da  essi  rappre- 
"«ntato.....  Yoi  gindicherete  se  le  resistenze  sono  tali  da  potervi  recare  ' 
il  Roma,  non  solamente  con  la  certeiza  di  non  incontrare  opposizione, 
loa  d'esserri  bene  aocetto,  e  qnando  nell'entrarvi  possiate  lispondere  a 
nn  appelle  deUe  popolazioni  OTnnqne  ▼!  troyerete,  sino  al  momento 
in  cid  on  Goyemo  regolare  saiA  sostitaito  a  qnello  che  ora  si  aggraya 
^  gli  Stati  délia  Ohiesa,  potrete,  se  yi  pana  necessario  o  conyeniente, 
naatenem  in  offido  le  auUmià  ciTili,  qnando  non  snscitino  pericoli  o 
imbarazzi;  o  yeiamente  favoreggiare  il  ristabilimento  di  qnelle  che  già 
^'-wrcitaTano  offioi  amministiatiTi,  o  creame  di  nnoTe.....  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


394  CAPITOLO   VIII 


del  suo  Ministro  diremo  tra  brève;  ed  eziandio  vedremo 
con  quanta  rabbia  quel  générale  d'una  repubblica  combat- 
tesse  a  danno  di  un'altra  repubblica;  ne  di  ciô  maraviglb 
nessuna,  quando  si  saprà,  Oudinot,  non  avère  servitOj  ma 
essere  stato  sefvo  di  dinastie  l'une  aile  altre  avversissime; 
perô  che  egli  abbia  militato  fedelmente  sempre  sotto  le 
bandiere  del  primo  dei  Napoleonidi  (1),  di  poi  sotto  quelk 
dei  Borboni,  degli  Orléans,  e  allora  militasse  sotto  le  in- 
segne  di  Fraucia  repubblicana.  Lasciato  il  comaado  dello 
esercito  délie  Alpi  —  raccolto  Tanno  innanzi  presso  la 
frontiera  délia  Sardegna  allô  scoppiare  dei  mot!  popolari 
d'Italia  —  Oudinot,  appena  eletto  capo  délia  spedizione  di 
Roma,  portavasi  a  Marsiglia,  ove  imbarcavansi  le  soldate- 
sche  designate  a  quella.  Erano  poche  allora,  avvegnachè 
i  Francesi,  dimenttchi  délie  tante  imprese  audaci  e  stre- 
nuissime  operate  dagli  Italiani  sotto  il  governo  del  piii 
grande  Italiano,  del  più  sapiente  capitano  deirevo  moderne, 
Napoleone  Buonaparte,  credessero  che  gli  Italiani  non 
avrebbero  combattuto,  e  che  Roma  al  primo  apparire  délie 
insegne  di  Francia  poserebbe  le  armi  e  loro  aprirebbe  h 
porte:  ma  davanti  alla  città  etema  dovevano  i  Francesi 
fare  assai  dura  prova  del  valore  italîco.  Il  22  aprile  Oudi- 
not  entrava  in  mare  co*  suoi  soldati,  portati  da  sei  fregaù\ 
due  corvette  e  due  legni  minori  a  vapore.  «  Essi  erano 
superbi  e  felici,  scrisseBalleydier  (2);essiandavanoacoD]- 
battere  per  la  più  giusta  e  piii  santa  delle  cause  ;  esai  anda- 
vano  a  Roma  a  rovesciare  Tidra  deiranarchia...  »  Essi  erano 
al  contrario  dei  poveri  illusi,  perô  che  fosse  quella  unaguerni 
fraterna;  fosse  la  restaurazione  d'una  signoria  avversata 


(1)  Alfonso  Balleydier  mette  a  grande  onore  di  Oadinot  l'esseiâ  Na- 
poleone primo,  la  notte  che  precedette  la  gioniata  di  WagnuOt  app^?' 
giato  al  suo  braocio,  nell'ora  in  cni  assisteva  al  passagfgio  del  D^ 
nubio  dell'esercito  francese. 

(2;  Histoire  de  la  révolution  de  Bome^  voL  n,  cart  64;  Qinem,  1851. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  395 

daU'universale;  in  fine,  fosse  Tabbattimento  â*un  Gk)V6rno 
legalmente  creato  da  libéra  gente,  con  libero  soffragio. 

In  quel  mezzo  in  alcune  terre  délia  repubblica  romana 
Tordine  andava  sconvolto  da  tumulti,  promossi  dalla  setta 
che  prendeva  sue  ispirazioni  in  Gorte  di  Gaeta,  iuspira- 
zioni  le  qaali  aveyano  per  iscopo  di  eccitare  le  popolazioni 
alla  guerra  civile.  Altre  terre  poi  venivano  funestate  da 
orrendi  assassin!  o  da  barbare  vendette!  una  compagnia 
d'uomini  —  che  erasi  intitolata  infemaley  e  in  verità  pa- 
reva  proprio  che  Tinferno  Tavesse  mandata  fuora  —  ucci- 
ileva  chi  non  possedeva  principi  repubblicani,  o  che  sa- 
pera nimico  alla  repubblica;  e  in  taie  maniera  bruttava 
la  causa  délia  libertà.  —  I  montanari  deirAscolitano,  alzata 
la  bandiera  délia  ribellione,  levavansi  in  su  Tarmo  pro- 
tetti  da  grossa  mano  di  soldatesche  napolitane  e  da  gente 
di  scarriera  raccoltesi  su  quel  di  Teramo,  consenzienti  il 
Borbone  e  la  Corte  di  Gaeta,  la  quale  aveva  fidato  a  mon- 
signor  Savelli  il  carico  di  governare  il  moto,  suscitato  in 
nome  délia  religione  e  nello  interesse  délia  potestà  tem- 
[iorale  del  Ponteflce  (1).  Preti  e  frati,  incitando  a  ribellione 
quegli  uomini  rozzi  e  ignoranti  (2),  preparavano  la  via  aile 


(1)  I  Napolitani ,  nello  inyadere  U  territorio  della  repubblica,  ai^ri- 
lOQo  le  carceri  a  molti  ladri;  ai  quali  il  cardinale  Antonelli  diede  nu 
passaporto,  affinchô  potessero  eorrerlo  Uberamente;  egli  agginnse  eosi 
agli  orrori  della  guerra  i  delitti  che  non  avrebber  lasciato  di  commet- 
tere  i  prosciolti  dal  carcere.  Erano  qnesti  i  principi  eristiani  profes- 
sât! da  quel  cardinale. 

(2)  A  far  conoscere  ai  leggitori  noatri  la  carità  cristiana,  di  cni  eran 
pieni  i  consiglieri  del  Ponteflce,  trascrivo  la  lettera  drcolare  che  essi 
il  15  febbraio  mandavano  da  Gaeta  ai  parrochi  della  città  e  campagna 
6  ai  priori  dei  conventi  degli  Stati  romani. 

u  Alfii  f         Amatî  fratelli, 
u  Iddio  délie  misericordie,  prima  di  concedere  a'  snoi  fedeli  le  glorie 
del  Païadiso,  ama  che  essi  gnadagnino  la  pabna  del  martirio.  Le  oa- 
lamitose  vicende  che  sovrastanno  all'mnanità  e  alla  religione,  esigono 


Digitized  by  VjOOQIC 


396  CAPITOLO   TllI 


gcnti  di  Savelli  ;  le  quali,  guidate  da  certo  Tagliani  —  un 
sacerdote,  un  antico  capo  dei  centurioni  ai  tempi  del  pon- 
tefice  Gregorio  XVI  —  procedevano  innaazi,  e  con  le  în- 
segne  di  lui,  che,  dopo  aver  gridata  la  libertà,  tnorHco 
perdonando,  uccidovano  e  rubavano  in  nome  di  Pio  IX  e 
dol  re  Ferdinando  (!)•  Ugo  Calandri,  Prefetto  d'Ascoli,  tosto 
che  gli  fu  nota  la  sollevazione  dei  montanari,  il  12  aprlle 


che  voi|  amati  fratelli,  nsiate  tutti  i  inezzi  che  sono  al  vostxo  poteie 
da  aoi  affidatoyi,  per  gingnere  a  racquÎBtare  i  noatri  infranti  diiitti  e 
a  dispeidere  le  trame  dei  nostri  nimici  I  liherali,  i  giacobini,  i  carbo- 
nari,  i  repnbblicani  non  sono  che  un  sinonimo.  Essi  yogliono  disperdere 
la  religione  e  tutti  i  Ministri;  noi  doyremo  invece  disperdere  sino  U 
eeneri  délia  laro  razza,  Proseguite  col  vostro  zelo  a  coltiTare  oodesd 
religioH  e  gli  abitanti  di  coteste  campagne,  corne  avete  fatto  ê&ajxe 
per  lo  passato.  Dite  loro  che  al  euono  délia  campaaa  non  manehino  al 
santo  convegno,  ove  ognuno  di  noi  dovrà  vibrare  senza  pietà  le  sue 
armi  nel  petto  dei  profanatori  délia  nostra  santissima  religione.  Eiflet- 
tete  a!  TOti  che  slnnalzano  da  noi  all'Altissimo  :  sono  queUi  di  disper- 
dere sino  alFultimo  i  nostri  nimici,  non  eccettuati  i  bambini,  per  evi- 
tare  le  vendette  che  questi  un  giorno  potrebbero  esercitare  rai  nostri 
allievi;  procurate  in  somma,  ohe  quando  noi  manderemo  il  grido  di 
rioperare,  ognuno  di  voi  senza  timoré  ci  imitL  Si  ô  già  pensato  a  pie- 
miaryi.  n 

u  A1&  t        P.  C.  B.        Gaeta,  15  febbraio  1849.  v 

Dimentichi  del  precetto  divine  u  non  oceidere  »,  i  tristi  consiglieri 
di  Pio  IX  invitayano  allora  i  Mmistri  dell'altare,  loro  fratelli,  in  nome 
del  Dio  délie  miserieordie  a  farsi  ucciditoii  di  gente  batteuata,  bm 
eccettuati  i  bambini!  Eppure  Cristo  ayera  insegnato  il  peidèno  délie 
offese,  e  dalla  croce  ne  avova  date  un  esempio  iuminoso! 

(1)  Cristo  avéra  gridato  la  libertà,  e  monsignor  Savelli  gridava  al- 
lora la  schîavitù  regia  e  le  sue  masnade  cantavan  cosi: 

«  Non  saran  schiave  le  genti 
Dei  ribaldi,  ma  dei  Re.  » 

Cristo  aveva  bandito  la  pace  agli  uomini  di  buona  volontà^  e  le 
masnade  capitanate  da  quel  ministro  di  Dio  volevano  la  pace  sul  volto 
e  la  guerra  nel  seno;  e  uccidendo  cantavano: 

«  Yi  sorrida  la  pace  sul  volto, 
Ma  vi  firema  la  guerra  nel  sen.  -? 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  397 

uaadaya  a  combatterli  il  colonnello  Rosselll  con  picciola 
Mîhiera  di  fanti  d*ordina]iza  e  guardie  cittadîne;  il  quale, 
^viamente  e  con  gagliardia  operândo,  vinse  in  brève  e  in 
nolti  scontri  1  ribolli  c  tanto  li  perseguitô  da  costringerli 
i  ripararsi  nei  monti  d*Abbruzzo:  allora  l'Ascolano  riebbe 
)ace  e  tranquillità.  Nella  Mai*ca  anconitana  infuriô  in  modo 
)rribile  a  dirsi  la  compagnia  infernale;  in  Ancona  ucci- 
leva  impunemente  di  pien  giorno  nelle  vie,  su  le  piazze 
3  ncUe  botteghc  non  solamente  chi  era  in  fama  di  nimieo 
^l  nuovo  ordine  di  cose,  ma  eziandio  nomini  di  costumi 
corrotti  e  moralmente  perduti;  e  ciô  facendo  quella  com- 
pagnia credeva  di  giovare  agli  intoressi  civili  e  moi^Ii 
lella  repubbiica.  Felice  Orsiiii,  venuto  per  comandamento 
ilel  Governo  in  Ancona  a  restituirvi  Tordine  aconvolto, 
messa  la  città  aotto  Timpcrio  dolle  leggi  militari,  faeeva 
arrestare  gli  assassin!  e  condurli  dinnanzi  ai  tribunali,  in 
cui  siedevano  giudici  gli  ufliciali  délia  milizia;  e  cosi  in 
pochi  giorni  tornava  la  città  alla  primiera  sicurezza. 

Mentre  Francîa  od  Austria  preparavano  le  armi,  che  do- 
vevano  opprimere  Roma  e  restaurarvi  la  potestà  temporale 
pontificia,  i  Triumviri  davano  opéra  sollecita  alFordinamento 
civile  e  militare  délia  repubbiica;  raccoglievano  soldatesch() 
in  Bologna,  un  campo  a  Treviri;  coi  béni  ecclesiastici,  poco 
prima  uniti  al  patrimonio  dello  Stato,  dotavano  il  dero 
povero,  decretando  altresi  di  ripartire  porzione  délie  terre 
<ia  coltivarsi  tra  le  famiglie  popolane,  le  quali  dovevano 
riceverle  in  enflteusi  libéra  e  perpétua,  gravate  da  leggero 
canone  redimlbile  a  lor  boneplacito;  e  con  moite  altn^ 
prowlde  leggi,  che  tendevano  a  rendero  più  efficace 
il  lavoro  e  soUevare  gli  indigent],  proponevano  di  por- 
^^  Tesercito  a  quarantamila  uomini  (1).  Il  disegno  del 
nuovo  Statuto  fondamentale  délia  repubbiica  il  17  aprile 


(1)  HAZzm,  Seritti  politieij  vol.  vu,  eart  18  e  aeg.;  Milâno,  1S64. 


Digitized  by  VjOOQIC 


3d8  CAPiTOLo  Vin 


veniva  mosso  iananzi  airAssemblea  da  discutera  ;  coq  esso 
creavaasi  due  Gonsoli  —  un  dei  quali  doveya  lasciare  Tuf- 
ficio  ogni  anno  —  e  dodîci  Tribuni,  eletti  per  cinque  anni, 
la  cui  missione  era  di  vegliare  su  le  deliberazioni  del- 
TAssemblea  e,  nel  caso  d'una  Dittatura,  di  raccogliere  i 
rapprescntanti  délia  nazione  al  cessare  dei  pericoli  che 
avevano  minacciata  la  repubblica.  Il  popolo  creaTa  i  Gon- 
soli, i  Tribuni  e  rAssemblea,  la  quale  non  poteira  essere 
licenziata  mai;  la  Consulta  di  Stato  doveya  comporsi  di 
quindici  cittadini  di  tutte  le  provincie.  —  I  Tciumviri,  al 
ricevere  la  novella  deU'intenrento  armato  di  Prancia,  spe- 
divano  un  battag;lione  di  fanti  leggîeri,  capitanati  da  Hel- 
lara,  ad  afforzare  il  presidio  di  Givitayecchia  ;  davanti  alla 
quale  il  24  aprile  arrivava  Tavanguardia  délia  spedizione 
franeese  ;  di  cui  la  fregata  Panama  metteva  subito  a  terra 
il  segretario  di  legazione  Latour  d'Auvergne  e  i  capitani 
Espivent  e  Durand,  che  venuti  al  Préside  délia  provincia, 
Michèle  Manucci,  chiedevangli  in  nome  dei  générale  Oudi- 
not  libero  lo  sbarco  aile  genti  di  Francia,  aff6rmando:=: 
Essere  i  soldati  di  Francia  amici,  non  nimicî  a  Roma; 
missione  loro,  difenderne  le  liberté  non  combattorle;  non 
volere  restaurare  Tantico  reggimento,  sibbene  stabilité  un 
governo  che  fosse  nei  voti  délie  popolazioni  e  lontano 
dalla  tirannide  passata  quanto  dalVanarchia,  già  minac- 
ciante  la  repubblica.  =  Manucci,  mentre  inviava  un  sue 
messo  a  Roma  a  chiedere  ciô  che  far  dovesse,  col  Mae- 
strato  dei  cittadini  e  il  comandante  délia  fortezza  riuni- 
vasi  a  consulta  per  discutere  e  risolvere  su  quauto  con- 
venisse  operare  in  si  stringente  nécessita.  Chiesti  poscia 
agli  inviati  di  Oudinot  gli  intendimenti  dei  loro  générale, 
Espivent  diehiarava  per  iscritto,  che  la  repubblica  fraur 
cese,  rispettando  le  aspirazioni  deipopoli  délie  Romagne, 
non  imporrebbe  loro  forma  veruna  di  governo  ;  e  che 
essa  interveniva  in  Italia  per  mantenervi  il  crédite,  l^ 
gitttm^mente  e  da  lunga  pezza  goduto  dalla  Francia*  Su 
la  fede  di  tali  promesse  —  confermate  di  poi  da  Oudinot 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  309 

on  parole  piene  di  benevolenza  per  Roma  —  M aiiucci  per- 
Qise  ai  Franeesi  di  sceadere  a  terra,  i  quali  entravano  in 
Uvitayecchia  gridando  Viva  la  Fran:ia,  al  quale  grido 
cittadini  rispondevano  acclamando  alla  repubblica:  lo 
he  âccadeva  il  25  di  quel  mese  di  aprile.  Oudinot  appena 
ceso  a  terra  pubblicaya  un  manifeste  ai  Romani,  in  oui, 
lopo  avère  affermato,  che  Franeia  interveniva  nelle  fac* 
ende  loro,  non  per  difendere  un  Governo  da  essa  non 
icoQosciuto,  sibbene  per  allontanare  da  Roma  gravi  sven- 
are,  diceva:  «  Non  intende  la  Franeia  di  attribuirsi  il 
tirïtto  di  ordinare  gli  interessi  che  sono,  innanzi  tutto, 
inelli  délie  popolazioni  romane  e  in  ciô  che  hanno  di  pih 
j'enerale  toccano  l*Europa  intera  e  il  monde  cristiano.  » 
je  quali  parole  ricevevano  pienissima  conferma  dairope- 
'ato  del  capitano  francese^  che  con  una  slealtà  e  perâ- 
lia,  che  nome  non  hanno,  non  curandosi  délia  fede  data 
aceva  prigioniero  Mellara  col  suo  battaglione,  spogliava 
a  città  délie  armi  e  la  poneva  sotto  l'imperio  délia  spada; 
ndi,  avuta  in  sua  mano  la  fortezza,  impediva  lo  sbarco  a 
ma  schiera  di  Lombard!  —  mille  allô  incirca  —  la  quale, 
ieenziata  dal  Governo  sardo  dopo  la  giornata.di  Novara, 
^ra  venuta  a  Givitavecchia,  per  recarsi  poscia  aile  difese 
11  Roma;  duce  suo,  Luciano  Manara.  L*A8semblea  romana, 
illa  novella  dell'invasione  stranlera,  da  essa  non  provo- 
;ata  e  che  il  Governo  di  Franeia,  dimentico  degli  usi  dei 
)opoli  clvili,  non  aveva  fatto  precedere  da  intimazione 
remna,  mandava  deputati  al  générale  Oudinot  portatori 
li  protesta  contra  queU'atto  eccitatore  (fanarchia  in  un 
yiese,  che  ardinato  e  tranquillo  ripasava  su  la  cosdenza 
M  propri  dirittt  e  nella  concordia  dei  cittadini,  e  che  vUh 
ava  a  un  tempo  il  diritto  dette  gentil  gli  obblighi  m- 
^nti  dalla  nazione  franoese  nella  stm  Costituzione  (1) 

(1)  La  CoêtUuzione  fraacese  del  1848  stabiliva,  che  la  Franeia  non 
ivesse  mai  a  mnovere  gnerra  contra  la  libertÀ  di  nessnn  popolo;  ma 
lell'anno  appresso  il  suo  Governo,  eonsentendolo  l'Âssemblea  nazionale, 
nandava  gne  armi  in  Italia  a  spegnere  la  libertà  romana. 


Digitized  by  VjOOQIC 


400  CAPITOLO   VIII 


e  i  nincoli  di  fratellanza,  che  avrebàero  domio  riimm 
le  due  repubbliche;  essa  diehiarava  altresi  il  fermo  propo- 
sito  di  reâistere  o  rendere  la  Francia  mallevadrice  di  tatt'. 
le  consegucuze  di  t^uella  invasione.  — Letta  la  quale  pro- 
testa Oadinot  favellava  cosi  agli  inviati  romani:  =  E$- 
sere  veauto,  non  a  invadere,  ma  a  salvare  la  loro  patrie 
dalle  sciagure  che  la  minacciavano.  Le  geste  dei  Francesi 
nella  peaisola  c  le  guerre  da  essi  combattut^}  in  compa- 
gnia  degli  Italiani  ai  tempi  délia  prima  repubblica  e  del- 
Timperio  doverlî  assicurare,  la  spedizione  avère  per  in- 
tento  di  proteggere  i  diritti  délia  geate  romana  e  dWer- 
mare  sempre  piii  i  fratellevoli  affetti,  che  da  lunga  pezza 
legavano  Francia  airitalia.  —  E  i  Depatati  rispondevangli: 
=  I  modi  di  interveniro  del  suo  Governo  farli  gr«i- 
démente  temere  deiramicizia  che  esso  diceva  nutrire  per 
Roma;  lo  iuframmettersi,  non  domandato»  nelle  faccende 
loro,  non  essere  certamente  una  prova  di  affetto  fraterna  - 
Richiesto  dei  motivi  che  avevano  indotto  la  Francia  a  vio- 
lare  il  territorio  romano,  il  générale  soggiungeva:  -  Es- 
sere  slato  impossibile  porsi  d'accordo  su  Timpresa  per  non 
avère  il  Governo  di  Parigi  ancora  riconosciuto  quel  <li 
Roma  ;  assicurarli  pero  che  Francia,  montre  desiderava  ve- 
dere  le  popolazioni  libcramente  manifestare  le  aspirazionl 
loro,  non  intendeva  metter  mano  nella  forma  del  reggi- 
mento  che  sarobbero  per  darai;  esortarli  a  tranquiUare  gli 
animi  agitati  e  a  far  che  il  popolo  romano,  accolte  frate^ 
namente  le  soldatesche  di  Francia,  avesse  a  trovare  su! 
Gampidoglio  insieme  congiunti  i  vessilli  délie  due  repub- 
bliche —  come  già  uniii  sventolavano  già  su  le  mui'a  di  Citi- 
tavecchia  —  a  securezza  e  difesa  délia  città  eterna.  ^  M 
protestare  che  i  Francesi  facevano  di  essere  ccUaU  a  Italia 
came  amici  —  cio  che  avrebbe  pubblicameate  affermato  in 
un  manifeste  che  stava  per  mandare  al  Governo  di  Roni'^ 
—  Oudinot  invocava  in  testimonio  délia  verità  del  suo  dire 
la  memoria  del  padre,  Tonore  délia  Francia,  deireseroitoe 
il  suo  ;  e  in  segno  degli  amichevoli  suoi  intendimenti  con- 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  401 

^edeva  ai  Lombardi  di  Manara  di  scendere  a  terra  a  Porto 
TAnzio,  perô  non  prima  del  4  maggio  (1).  Montre  ei  parlava 
;osi  ai  messi  deirAssemblea  nazionale,  il  colonnello  Leblanc 
-  portatosi  a  Roma  con  Espivent  e  Ferrand  per  esplorare 
jli  animi  del  cittadini  —  faceva  noto  ai  Triumviri  che,  deli- 
)eratosi  dagli  Statî  cattolici  di  restaurare  Tàutorità  pon- 
ificia,  Prancia  erasi  assnnta  taie  impresa  per  impedire 
iirAustria  di  invaderelo  Stato  délia  Ghiesa;  in  oltre,  Le- 
t)lanc  intimava  loro  di  diehiarare,  se  Roma  riceverebbe 
imichevolmente  o  da  nimici  i  soldat!  francesi.  L'Assem- 
blea^  consultata  da  Mazzini,  alVinnato  di  Oudinot  rispon- 
leva  decretando  le  resistenze.  Poche  ore  dopo,  e  propria- 
mente  a  mezzo  la  notte  del  26  aprile,  Saffl  significava  a 
quella,  che  il  capitano  Fabart  —  giunto  allora  di  Giyitayec- 
shia  coi  messi  romani  portatori  délia  protesta  contra  l'in- 
tervento  straniero  —  aveva  in  nome  del  suo  générale  assi- 
curato  i  Triumviri  delle  benevoli  intenzioni  di  Oudinot, 
la  coi  missione^diceva  Fabart,  non  era  di  ristabilire  il  pa- 
pato  temporale,  ma  di  riconciliare  i  Romani  al  Pontefice, 
salva  sempre  la  libertà  ;  se  li  accogliessero  come  amici,  i 
Ftancesi  li  difenderebbero  dalle  armi  di  Napoli  e  d^Austria, 
che  minacciose  già  s'avanzavano.  —  Le  gravi  contraddizioni, 
che  trovavansi  nelle  cose  riferite  da  Leblanc  e  da  Fabart, 
destarono  neiruniversale  forti  sospetti  su  gli  intendimenti 
del  Governo  di  Parigi:  onde  le  passioni,  già  molto  eccitate, 
divamparono  allora  di  terribile  fuoco;  e  TAssemblea,  con- 
fermata  la  deliberazione  presa  poco  innanzi,  decretô  cosi: 
J>opo  le  comunicazioni  ricevute  dai  Triumviri,  corn- 
mettere  a  qtiestt  di  salvare  la  repubblica  e  di  respingere 
^  forza  con  la  forza.  Da  alcuni  fu  dette,  taie  délibéra- 
zione  essere  stata  presa  anzi  tempo;  ma,  domanderemo 
i^oi,  erano  forse  possibili  gli  accordi  tra  Roma,  pronta 


(1)  Oudinot  tenevasi  secuio  d'impadrDnirsi  di  Roma  prima  di  quel 

gionio. 

M  —  Vol.  n.  HisUMi  —  Storia  poL  «  mO. 


Digitized  by  VjOOQIC 


402  CAPITOLO  YIII 


bonsl  ad  accogliere  in  se  il  capo  supremo  délia  cattolicità, 
non  perô  un  PaporRe^  e  Francia,  sostituitasi  airAustria 
nella  impresa  restauratrice  délia  temporale  signoria  per 
mantenere  11  proprio  crédite  in  Italia,  e  gratificarsi  il  Pon- 
teâce  e  i  cardinali  per  le  future  sue  mire?  Laguerra,che 
due  nazioni  sorelle  apprestavansi  a  combattere,  era  viia- 
mente  desiderata  dalla  parte  nimica  a  libertà  ;  avTegDacliè, 
sia  che  trionfassero  le  armi  romane  o  vincessero  le  fran- 
cesi ,  dovesse  tornare  esizialissima  alla  democrazia.  E  a 
maggiormente  inasprire  gli  animi  dei  Romani  —  ondearera 
a  farsi  più  fiera  la  lotta  —  un  orgoglioso  soldato  di  Fran- 
cia,  airudiro  le  resistenze  docretate  dairAssemblea,  pro- 
nunziava  parole  insultanti  aU'onore  di  quelli  :  «  I  RomaQi 
non  si  battono  !  »  Prove  assai  sanguinose  egli  doTeva  so- 
stenere  di  li  a  brevî  giorni  del  valore  italiano.  la  verità 
dolorosissima  cosa,  vedere  due  popoli  civili  —  iqualiuniti 
sempre  dovrebbero  correre  le  vie  del  progresso  —  spin- 
gersi  Tuno  contra  Taltro  armati»  causa  Tambizione  di  po- 
chissimi  tristi!  | 

Fabart,  di  ritorno  a  Oivitavecchia,  assicurava  Oudinot,  | 
che,  allô  apparire  délie  insigne  di  Prancia,  Roma  aprirebbe  | 
loro  le  porte  e  festosamente  le  accoglierebbe  entro  sa^  | 
mura:  ond'egli  il  28  aprile  muoveva  il  campo  verso  la  cittî  i 
eterna  per  combattere  non  la  popolazione  ne  le  milizie  ro- 1 
mane»  ma  i  fuorusciti  di  tutte  le  nazioni  che  la  opprime* 
vano  (1).  L*Assemblea,  deliberate  le  resistenze,  volse  soi 
cure  ad  accrescere  le  difese  di  Roma;e,  raccolto  in  qoestl 
quanto  più  potè  di  armati,  preparossi  a  ricevere  degn» 


(1)  u  Soldati  !.....  andiamo  su  Boxoa.  Noi  non  troveremo  vmàt  ^ 
le  popolazioni,  ne  le  soldatesclie  zomane ,  Tone  e  Taltre  ci  consderaDi 
quali  liberatori.  Noi  avremo  a  combattere  dei  faomsciti  di  tatte  le  a» 
zioni,  i  qnali  opprimono  qnesto  paese  dopo  aver  confnso  nella  loio  cai^^ 
qnella  délia  libertà.  n 

Parole  del  générale  Oudinot  aU'esârcito  alla  vigilia  di  Usdaie  ^ 
ntavecchia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


fiOMA  403 

mente  Toste  nimica.  Le  mura  délia  città,  non  ugualmente 
divise  dal  Tevere,  misurano  ventiquattro  chilometri  allô 
incirca;  hanno  forma,  per  la  maggiore  parte,  irregolare, 
m  sono  proYvedute  di  fossi,  di  spalti  e  d'opere  fortiâcatorie 
esteriori;  erette  quelle  daU'imperatore  Aureliano  iiel  terzo 
secolo  deirevo  cristiano,  erano  statc  di  poi  aumentate  da 
alcani  Ponteûci.  La  ciata  che  elevasi  su  la  sinlstra  del 
tlume,  oltre  essere  maie  fiancheggiata  da  torri^  poste  lungo 
(li  qaella  a  intervalli  disuguali,  troyavasi  allora  in  assai 
cattivo  stato,  non  estante  i  restauramenti  eseguiti.  In  mi- 
ifliore  condizione  erano  le  mura,  che  su  la  destra  del  Tevere, 
girano  per  plu  di  seite  chilometri,  chiudendo  in  se  Gastel 
Sant* Angiolo,  il  Vaticano  e  il  Transtevere.  Papa  Urbano  VIII 
A'ce  costruiro  la  cinta  bastionata,  che  da  porta  Cavalleg- 
jriori  sale  al  0-ianicolo  —  colle  signoreggiante  la  città  — 
indi  Ta  alla  porta  San  Pancrazio,  per  discendere  poscia  a 
IM)rta  Portese,  la  quale  sta  presse  il  Tevere.  Era  questa  la 
parte  piii  regolare  e  me^io  fortiâcata  délia  cinta  di  Roma; 
a  tatte  poi  erano  stati  allora  aggiunti  dei  merli  fatti  con 
sacchi  pieni  di  terra,  i  quali  di  tratto  in  tratto  lasciayano 
larghe  aperture  per  le  artiglierie;  validi  serragli  chiude- 
v&QO  le  porte  e  le  vie  délia  città,  soprammodo  quelle  di 
Transtevere.  Airesercito,  i  oui  soldat!  contavansi  diciassette 
mila  —  in  verità  pochi  assai  per  uno  Stato  di  tre  milioni 
d'abitamti  ^  sino  a  quel  giorno  negletto,  volgevansi  allora 
(mre  solerti  dai  supremi  reggitori  délia  repubblica,  sopram- 
modo da  Avezzana,  Ministre  délie  armi,  per  accrescerlo  e 
disciplinarlo  alla  guerra.  —  In  sul  cadere  d'aprile  Roma 
trovavasi  presidiata  da  circa  nove  mila  uomini,  ordinati  in 
quattro  legioni,  poste  sotto  il  comando  dei  generali  Gari- 
baldi  e  Masi,  e  dei  colonnelli  Savini  e  Bartolomeo  Oalletti. 
Da  pochi  giorni  l'eroe  di  Montevideo  vi  si  era  portato  con 
tmaschiera  di  settecento  armati;  gente  valorosa  e  cappata, 
non  già  uomini  di  scarriera,  come  da  qualche  scrittore  fu 
affermato  per  essere  venuti  una  volta  tra  loro  a  contesa  e 
al  sangue  :  erano  essi  gli  avanzi  gloriosi  di  Luino  é  Moraz» 


Digitized  by  VjOOQIC 


404  oAPiTOLO  vin 


zone;  erano  Lombardi  e  Bolognesi.  Le  guardie.  nazionali, 
chiamate  il  28  aprile  a  rassegna  su  la  piazza  degli  Apostoli, 
giuravaiio  difendere  sino  allô  estremo  la  repubblica  e  la 
libertà  loro  :  onde  per  esse  duplicavasi  la  forza  del  presidio 
di  Roma.  I  Triumviri,  non  volendo  lasciare  întentata  nes- 
sana  via  che  potesse  menare  a  concordia  i  Francesi  coi 
Romani  e  impedire  quella  guerra  di  fratelli,  la  sera  del  28 
spedivano  messl  a  Givitavecchia  per  esortare  Oudinot  a 
differire  d'alcun  poco  Timpresa»  per  la  quale  egli  non  pos- 
sedeva  forze  bastevoli;  e  invitarlo  a  far  pratiche  per  nna 
composizione  amicheyole  délie  faccende  romane  ;  lasciando 
a  carico  suo  le  dolorose  consegaenze  di  quella  impresa»  se 
si  fosse  ostinato  in  essa.  Se  non  che  gli  inviati  dei  Trium- 
viri,  non  troVando  in  Givitaveccliia  il  générale,  in  quel  di 
medesimo  poriatosi  con  sue  genti  a  Gastel  Guido,  ed  essendo 
lor  vietato  dal  comandante  francese  délia  fortezza  di  recarsi 
al  campo  di  Oudinot,  facevano  conoscere  a  questi  per  lettera» 
quanto  avrebbero  dovuto  signiâcargli  a  voce.  Ma  il  géné- 
rale, assicurato  dai  nimici  délia  repubblica,  che  Roma  Tac- 
coglierebbe  quale  suo  liberatore  da  un  governo  odiato, 
molto  innanzi  Talbeggiare  del  90  erasi  avanzato  verso  la 
città  dalla  destra  del  Tevere,  per  assaltarne  la  parte  più 
fortiflcata  con  sette  mila  soldaii  e  dodici  artiglierie  da 
campo.  Awertiti  del  suo  appressarsi  i  Romani  corsero  aile 
difese;  Garibaldi  coUocô  la  sua  ordinanza  —  la  prima  bri- 
gâta  0  legione  —  fuor  délie  mura  distendendola  da  porta 
Portese  a  quella  di  San  Pancrazio;  Masi  con  la  seconda 
postossi  su  la  mura,,  che  da  porta  Gavalleggieri  va  a  porta 
Angelica;  Savini  con  la  terza,  tuttadi  cavalli,  tennesi  per 
la  riscossa  su  la  piazza  Navona;  Galletti  con  la  quarta, 
parimenti  corne  schiera  di  sovvenimento,  schierossi  presse 
la  Ghiesa  Nuova  e  su  la  piazza  Gesarini  ;  in  fine,  tennersi 
pronti  a  soccorrere  quelle  battaglie,  che  il  nimico  perve- 
nisse  a  opprimere,  il  générale  Galletti  co*  suoi  carabinieri 
e  il  maggiore  Manara  coi  bersaglieri  lombardi  ;  i  quali,  non 
il  4  maggio,  corne  avrebbe  voluto  Oudinot,  ma  il  27  aprile 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  405 

^rano  scesi  a  terra  a  Porto  d'Anzlo  e  in  due  alloggiamenti 
renuti  a  Roma. 

la  su  le  undici  ore  del  mattino  30  aprile  il  générale 
rancese,  arrivato  presse  le  mura  délia  città  con  sue  genti 
iivise  in  due  schiere  e  occupate  con  buone  forze  due  case 
Il  villa  Pamfili,  assaltava  al  medesimo  tempo  porta  Caval- 
eggieri  e  porta  Angelica.  Montre  i  difensori  di  queste 
nspondevano  vigorosamente  al  fuoco  deU'oste  nimica,  Gari- 
)aldi  muoveva  da  porta  San  Pancrazio  contr'essa  per  sopra- 
vanzarne  la  destra  e  percuoterla  a  tergo.  Tornatogli  vano 
Tassalto  e  rinnovatolo  poi  con  forze  maggiori,  riescivagli 
di  fugare  i  Francesi;  i  quali,  pur  superati  in  vicinanza  dei 
^iardini  del  Vaticano  e  davanti  a  porta  Cavalleggieri,  toglie- 
vansi  giti  dairimpresa,  lasciando  prigionieri  in  mano  al 
vincitore  molti  dei  loro,  coi  morti  e  coi  feriti  perdendo  da 
seicento  soldati  ;  e  avrebbero  sofferto  danni  assai  più  grari 
se  la  cavalleria  romana,  che  troyavasi  a  porta  San  Pan- 
crazio, avesseli  incalzati  nella  ritratta.  Garibaldi  avrebbe 
voluto  seguire  la  vittoria,  ma  ne  fu  rattenuto  da  Mazzini, 
il  quale,  sperando  acquistare  con  modi  generosi  e  tempe- 
rati  vantaggi  più  grandi  che  non  potessero  venirne  alla 
patria  dalFintera  distruzione  délie  genti  d'Oudinot,  fece 
sospendere  le  armi  per  non  ferîre  maggiormente  l'amor 
proprio  d'una  nazione,  che  dovrebbe  essere  arnica  sempre, 
noa  inimica  mai  airitalia.  —  La  strenua  resistenza  del  pre- 
sidio  di  Roma  e  il  mancare  dello  appoggio  dei  cittadini 
iicoQcertarono  grandemente  il  générale  francese,  che  tene- 
vasi  certo  d'insignorirsi  di  quella,  non  tanto  per  virtù 
délie  armi,  quanto  per  gli  aiuti  del  popolo,  ch'egli  crodeva, 
«^ebbesi  allô  apparire  délie  insegne  di  Prancia  levato 
contra  il  Qoverno  de'  Triumviri  (1),  —  La  giornata  del 


(1)  Balleydier,  a  carte  92  del  secondo  Yolnme  délia  oitata  sua  stoxiAt 
'^gistra  le  segaenti  parole  del  capitano  Fabart  a  Oadinot:  «  Mio  ge- 
iierale;  io  ho  riconosciato  ieri  Taltro  nna  yia  la  quale  conduce  —  senaa 
^^re  espoBta  al  fiioco  dei  teiragU  —  a  porta  Angelica,  ore  deye  il  po* 


Digitized  by  VjOOQIC 


406  CAPITOLO   VIII 


30  aprile,  nella  quale  i  soldati  di  Francia  vecchi  e  prc»- 
vati  in  guerra  furono  vinti  dai  giovani  soldati  di  Roma,  ia 
maggiore  parte  poco  esercitati  negli  ordiui  délia  miliziii. 
ne  esperti  nelle  industrie  belliche,  quella  giornata,  io  dico, 
maravigliô  tutta  Europa,  e  suscité  gravi  rumori  neirAs- 
semblea  francese,  che  allora  s^avride  essere  stata  ingannati 
dal  Buonaparte  e  da'  suoi  Ministri.  Oudinot,  che  non  avéra 
potuto  vincere,  nel  riferire  al  suo  Qoverno  la  rotta  patita 
sotte  le  mura  deiralma  città,  chiamavasi  vittima  d'nna 
tradigione  ;  se  già  da  tempo  egli  erasi  fatto  conoscere  insi- 
piente  nel  governare  la  guerra,  a  Givitavecchia  erasi  chia- 


polo  manifestarsi  in  nostro  favore.  »  Balleydier  rifeiisce  quindi,  che  il 
comandante  supremo,  riconoscendo  che,  non  ostante  gU  sforzi  inanditi 
e  i  prodigi  di  incredibile  valore,  un  piû  lungo  résister  e  sarebbe  siûif* 
inuHïe  sensa  Vainto  d'un  movimento  popolare  contrario  al  O&oemo... 
diede  il  segnale  délia  ritratta.  Qnesta  confessione  del  générale  nimîeo  ê 
la  più  splendida  conferma  del  valore  italiano;  e  lo  aver  lasciato  su  la  via 
di  porta  Angelica  due  cannoni  ô  la  prova  più  évidente  del  precipitosi» 
indietreggiare  del  Francesi.  La  storia  di  Balleydier  ô  tntta  piena  di  fslse 
afférmazioni;  ç  alcnne  pagine  lo  sono  délie  piû  vitaperevoli  calnmtl?; 
ciô  ehe  mostra  la  parzialità  dello  scrittore.  —  Egli  mentiiva  scrireadr. 
che  i  soldati  di  Franeia  avevano  il  80  aprile  eombattuto  eotitra  %» 
nimico  dieei  volte  piik  numeroso  di  loro  e  nascosto  dietro  forti  wl- 
raglie;  mentre  ben  sapeva  qnanti  nomini  il  presidio  di  Roma  contaT.i 
allora;  che  non  tntti  avevano  preso  parte  a  quella  giomata;  e  che  all«* 
QiMrdie  nazioTiali  non  exa  stata  fatta  la  chiamata:  e  siccome  1  Franoe^i 
eraao  vennti  in  sette  mila  ad  aasaltare  la  eittà  (*),  oosi  i  gnetreggiapri 
avevano  oon  ugnali  foize  eombattuto  a  porta  Cavalleggieri  e  a  porta 
Angelica.  Garibaldi  non  pngnô  dietro  le  mura,  ma  affronté  gli  assalitari 
in  campo  aperto  ;  ne  fa  fede  lo  stesso  BaUeydier,  11  qnale  nella  sua  storia 
scrisse  cosi:  u  I  Romani,  in  numéro  di  quattro  o  cînque  mila,  escon» 
dalla  dtt&  sotto  il  comando  di  GaribaldL..  Questa  uscita  ha  per  intenta 
di  sopravanzare  le  posture  dei  Francesi...  »  In  contraddizioni  ai  grosse 
cade  sovente  lo  storico  firancese,  che  esagera  sempre,  raramente  pariit 
sineero  e  piû  raramente  ancora  narra  cou  anîmo  tnmquiUo  e  sent^nsu 
cou  giustizia. 

r*)  OneUiot  8re?a  lasciato  parte  df  sue  g«ntl  a  prHidfan  OritaTeodii». 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  407 

rito  soldato  sleale  e  fraudolento,  e  il  30  aprile,  giorno  di 
sua  Tergognosa  sconfltta,  erasi  mostrato  mentitore.  E  con 
lui  pur  mentiva  Odillon  Barrot»  qaando  in  mezzo  all'As- 
semblea  dayasi  a  calunniare  e  scagliare  yitupèri  contra 
il  popolo  di  Roma,  perché,  tenutosi  fedele  alla  patria,  in 
luogo  d'aprire  le  porte  délia  città  aile  armi  invaditrici, 
aveya  con  la  forza  respinta  la  forza  e  rintuzzato  Torgoglio 
6  la  iattanza  del  duce  nrancese.  Ma  Giulio  Fayre,  cui  erano 
noti  i  sensi  generosi  délia  demoerazia  romana,  fatto  ap- 
pelle all'onore  délia  Francia  e  alla  dignltà  deirAssemblea, 
proponeya  di  richiamare  d'italia  il  générale;  e,  consi- 
gliaado  ai  Ministri  di  mantenersi  nei  limiti  del  mandato 
nceTuto,  inyitayali  a  sospendere  le  offese  contra  Roma, 
sino  a  che  >enisse  fatta  la  lace  su  le  condizioni  délia 
repubblica.  Fu  allora  che  i  Ministri,  in  omaggio  ai  desi- 
dèrl  dei  rappresentanti  délia  nazione,  mandayano  al  campo 
di  Ciyitayecchia  commessario  straordinario  Ferdinando 
Lesseps,  col  carico  di  dare  alla  spedizione  l'andamento 
assegnatole  e  dal  quale  ayeya  fuonriato,  e  accordarsi  con 
Oudinot  per  la  buona  riescita  deirimpresa;  in  fine,  di  ten- 
tare  con  Roma  quelle  yie  che  yalessero  a  condurre 
a  un  componimento  amicheyole.  —  Yinto  e  ributtato  dalle 
mura  dell'alma  città^  Oudinot  riedeya  a  Gastel  Guido  a 
rifaryi  sue  schiere  e,ad  aspettanri  gli  aiuti,  che  doyeyano 
giugnerglî  di  Francia;  indi  spediya  buona  presa  di  soldati 
ad  occupare  Fiumicino  per  assicurarsi  lo  sbocco  del  Teyere, 
e  un'altra  ad  Ostia,  nella  quale  terra  faceya  la  riposta 
d*ogni  cosa  necessaria  alla  guerra  e  aU'assedio,  che  ben 
prevedeya  lungo  e  faticoso. 

In  questo  mezzo  Napoli,  Austria  e  Spagna  mandayano, 
giusta  i  patti  fermât!  a  Gaeta,  armi  e  armati  a  dar  mano 
ai  Francesi  nella  brutta  impresa  d*opprimere  la  romana 
repubblica.  No'tempi  andati  molti  Papi  eransi  fatti  chia- 
matori  di  stranieri  a  difesa  di  lor  temporale  signoria;  ma 
ûessuno  d'essi   ne  ebbe  chiamati  tanti  insieme,  quanti 


Digitized  by  VjOOQIC 


408  CAPITOLO   VIII 


Pio  IX  in  quell'aano  1849.  Lo  strepito  d'armi  si  numerose 
e  potenti  —  sempre  rispetto  aile  forze  che  la  repub- 
blica  poteva  opporre  aile  straniere  —  e  le  minaccie  degll 
invaditori  non  valsero  a  sgomentare  Roma,  ne  a  rimuo- 
verla  da*  suoî  fleri  propositi  di  resisiere  sino  allô  estremo. 
In  fatto,  ayyertita  dello  appressarsi  dei  NapoUtani  —  dodicl 
mila  secondo  alcuni^  sedici  mila  seconde  altri,  guidati  da 
Casella  —  i  quali  il  29  aprile  avovano  superata  la  frontiera 
del  reame,  spediva  a  combatterli  il  générale  Garibaldi  con 
la  sua  brigata  di  due  mila  cinquecento  uomini  e  coi  bersa- 
glieri  lombardi  di  Manara,  che  insieme  costituirano  la 
ayanguardia  di  Rosselli,  il  quale  di  li  a  poco  doyea  uscire 
alla  campagna  con  buona  mano  d'armati  per  farla  finita 
col  Borbone,  montre  tra  Roma  e  Oudinot  erano  sospese  le 
armi.  La  notte  del  4  maggio  Garibaldi,  uscito  dalla  città, 
per  ingannare  il  nimico  su  lo  scopo  délia  sua  spedizione, 
prendoya  da  prima  la  yia  Plaminia  simulando  d'ire 
contra  1  Francesi  campeggianii  Palo  ;  indi  yoltosi  a  sinistra 
metteyasi  su  quella  che  mena  a  Palestrina;  influe  dirige- 
yasi  a  Tiyoli,  a  una  lega  dalla  quale  città  poneva  il  campa 
Il  mattino  del  di  appresso»  il  6  maggio,  per  la  stretta  di 
San  Veterno  camminaya  sopra  Palestrina,  oye  giugaeva 
alcune  ore  innanzi  Talbeggiare  del  di  seguente.  Il  re  Ferdi- 
nando,  che  per  la  yia  Consolare  erasi  portato  tra  Velletri 
e  Yalmontone,  quando  seppe  Tayyicinarsi  deiroste  gari- 
baldlna,  spediyale  contra  il  générale  Lanza  con  cinque 
mila  uomini  per  assaltarla  oyunque  la  troyasse;  assalto  che 
Winspeare  doyeya,  dalla  parte  di  Montecompatn,  appog- 
giare,  ed  anche  aiutare  Lanza  a  togliere  al  nimico  la  m 
alla  ritratta.  Il  Borbone,  che  passando  su  quel  délia  repab- 
blica,  avea  creduto  di  vedersi  venire  incontro  i  Francesi 
per  fare  insieme  Timpresa  di  Roma,  non  essendosi  trorato 
con  essi,  mandaya  per  aiuto  e  per  consiglio  a  Oudinot;  il 
quale,  yolendo  a  se  e  a*  suoi  serbata  tutta  la  gloria  della 
restaurazione  pontiflcia  in  Roma,  lasciô  che  il  Borbone  da 
solo  ayesse  a  leyarsi  da  quella  bisogna;  in  yerità  facile 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  409 

cosa  per  chi  aveva  quattro  volte  tanto  le  armi  deiravver- 
sario.  Molestato  per  via  dai  corridori  garibaldini,  Winspeare 
riedeya  al  suo  campo  di  Frascati;  ma  Lanza  prooedeva 
avanti,  e  il  mattino  del  9  maggio  assaggiavasi  col  nimico  a 
Palestrina.  Giace  questa  terra  sul  pendio  d'un  colle,  sovra 
il  quale  ergesi  una  rôcca  antichissima  quanto  la  terra 
stessa,  fondata  molto  tempo  innanzi  Roma.  Grossi  borghi 
siedono  su  le  colline  circostanti  a  Palestrina,  che  da  tre 
lati  è  chiusa  da  mura  rovinaia  dai  secoli  (1).  Nel  lato  che 
guarda  Yalmontone  apronsi  due  porte,  la  Eomana  e  del 
SolCj  e  a  quest'ultima  mettono  capo  due  vie,  che  ascendono 
alla  città  tra  folti  alberi,  siepi  e  vigaeti.  Garibaldi,  uscito 
contra  i  nimici,  i  quali,  divisi  in  due  schiere,  avanzavansi 
per  quelle  due  vie,  dopo  brève  combattimento  li  sbara- 
gliava  e  11  voltava  in  fuga;  i  vincitori  avrebberli  perse- 
guiti,  se  il  générale  Garibaldi,  temendo  una  imboscata 
nimica,  non  avesseli  trattenuti.  Taie  vittoria,  per  se  stessa 
di  lieve  momento,  fu  di  grande  vantaggio  morale;  awe- 
gnachè  rinfrancasse  non  poco  i  giovani  soldati  di  Roma, 
che  due  volte  affrontatisi  coi  nimici  nel  période  di  brevi 
giomi,  due  volte  avevano  vittoriato;  primamente,  davanti  a 
Roma,  dei  Francesi;  poscia,  sotto  Palestrina,  dei  Napolitani; 
la  cui  fuga  disordinata  e  precipitosa  s'arrestava  solamente 
ad  Albano,  ove  trovavasi  il  grosso  délie  armi  borboniche. 
—  Nella  notte  dell'll  maggio,  Garibaldi,  levato  spedita- 
mente  il  campo,  dirigevasi  a  Roma,  chiamatovi  dai  Trium- 
riri,  venuti  in  sospetto  di  un  assalto  francese  a  Monte 
Mario;  entrava  in  essa  il  mattino  del  12.  In  quella  notte 
egli  aveva  percorso  ventotto  miglia,  passando  in  prossi- 
mità  degli  alloggiamenti  dei  Napolitani,  senza  che  questi 
si  awedessero  di  lui  e  délie  sue  genti. 


(1)  Palestrina  —  arx  Prcerhestrina  —  fti  la  principale  citt&  degli 
Equi;  la  sna  rôcca  diyenne  ûunosa  ai  tempi  di  Mario  e  Silla,  e  dei 
tempi  altreà  délie  faadoni  dei  Colonnesi,  che  fnrono  nel  secolo  decimo- 
qninto. 


Digitized  by  VjOOQIC 


410  OAPITOLO   VllI 


Correva  il  7  maggio,  quando  i  Trîumviri,  non  f)Olendv 
tener  mallevadore  degli  atti  if  un  Oovemo  ingannaio  / 
soldait,  che,  pugnandOy  avevano  obbedito,  mandavanoliberi 
al  campo  di  Oudinot,  senza  condizione  di  sorta,  i  Franeesi 
fattl  prigionieri  al  combattimento  del  30  aprile.  Pochi 
giorni  dopo  Oudinot  rendeva  a  libertà  il  battaglione  di 
Meilara,  che,  per  impadronirsi  di  Givitavecchia,  egli  ayeva 
a  tradigione  disarmato  e  tenuto  prigione  di  guerra;e'i 
egli  Toffriva  quale  scambio  de*  suoi,  ma  che  came  scambù' 
i  Triumvlri  niegaroao  ricevere;  perô  chelegenti  di  Meilara 
fossero  state,  contra  la  fede  data,  slealmente  imprigionate. 
e  i  soldat!  di  Francia,  che  essi  prima  aveyano  reao  al 
générale,  fossero  yenuti  a  lor  mano  combaitendo.  Il  14 
maggio  giugneva  al  qnartiere  di  Oudinot  il  commessario 
Ferdinando  Lesseps,  ii  quale,  dopo  accordi  presi  conesso 
lui,  recavasi  sollecitamente  a  Roma  (1);  e  siibito  fermata 
tregua  coi  Triumviri,  che  aveva  a  durare  aintanto  si  ne- 
goziasse  di  pace.  La  tregua  fu  bene  accetta  ai  guerr^- 
gianti;  essa  daya  agio  al  générale  francese  di  compierei 
preparamentl  per  Tassedio  délia  città  e  tempo  bastevol»^ 
alla  Francia  di  portare  a  numéro  l'esercito  per  la  conquista 
di  Roma;  e  ai  Romani  concedeya  di  condurre  a  fine  1^ 
loro  difese  e  Topportunità  di  yoltarsi  con  tutto  lo  sror2> 
di  guerra  contra  il  Borbone  di  Napoli;  alla  quale  impresa 


(1)  Lesseps  portava  a  Oudinot  ona  lettera  di  Napoleoae  BaonBpait<^ 
neUa  quale  il  Présidente  délia  repubblica  firancese,  dopo  esseisi  Uu&es- 
tato  dei  Romani,  che  non  avevano  ricevuto  u  con  premura  un  esercit*) 
venuto  a  eotnpiere  pressa  loro  una  azione  benevola  e  disinteressaU,  - 
soggingneva  :  «  1  vosM  soldati  sono  stati  rieevttii  quali  ninUci,  ora  w 
va  del  nostro  onore  militare;  io  non  soffrirh  eh'esso  abbia  a  faiif 
ingiuria  veruna;  i  sussîdi  non  vi  maneheranno,  n  —  Le  parole  di 
Luigi  Napoleone  erano  manifestamente  in  contraddizione  .all'offieio  ami* 
chevole  di  Lesseps,  che  doveva  tentaro  coi  Bomani  le  vie  degli  accordi. 
mentre  il  Présidente  della  repubblica  firancese  voleva  vendicata  la  seoo- 
fitta  de'  suoi  soldati  sotto  Borna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  411 

soUeciti  si  accinsero.  Nella  sera  del  16  maggio  Toste  re- 
pubblicaaa,  duce  supremo  il  générale  Rosselli,  usciva  di 
Roma;  contava  dieci  mila  fanti,  mille  cavalli  allô  incirca 
e  dodici  cannoni;  Tantiguardia  era  guidata  da  Marocchetti; 
la  battaglia,  da  Garibaldi  ;  Galletti  toneva  il  comando  délia 
retrogaardia  e  délie  riscosse.  Deliberatosi  di  sopravanzare  la 
4estra  dei  campi  nimlci  —  che  stendevansi  da  Albano  a 
Frascati  e  a  Yalmontone  —  e  minacciare  ai  Napolitani  la 
via  di  ritratta  al  reame,  Rosselli  per  Zagarolo  dirigeva  sue 
^ti  contra  Palestrina;  ma  avyertito  poscia,  che  il  Re 
alla  notizia  di  quella  spedizione  aveva  raccolto  i  suoi  campi 
intorno  a  Yelletri,  mandava  sue  schiere  a  occupare  Mon- 
tefortino,  per  volgersi  quindi  contra  la  stessa  Yelletri.  Al 
cadere  del  18  maggio  Tavanguardia  romana  insignorivasi 
senza  eontrasto  di  Montefortino;  la  battaglia  accampavasi 
tra  questo  e  Yalmontone,  dietro  la  quale  ponevansi  le 
riscosse  ;  la  cavalleria  e  le  artiglierie.  Ferdinando  Borbone, 
coayinto  di  non  poter  resistere>  senza  Taiuto  de'  Francesi, 
»lle  armi  repubblicane,  sebbene  le  sue  superassero  quelle 
in  numéro,  soprammodo  in  cannoni,  aveya  il  mattino  del 
10  ayviato  sue  genti  yerso  le  frontière  del  reame,  allora 
che,  yisto  apparire  Tayanguardia  romana  —  con  la  quale 
troyayasi  Garibaldi,  portatosi  innanzi  per  riconoscere  le  po- 
sture nimichc  —  richiamato  a  sa  Tesercito,  spediya  ad 
affi*ontar  quella  il  générale  Lanza  con  un  rcggimento  di 
fanti,  tre  squadroni  di  cayalli  e  dieciotto  artiglierie.  La 
cayalleria  napolitana,  rotta  con  assàlto  impetuoso  la  prima 
ordiuanza  dei  repubblicani,  lasciayasi  trasportare  troppo 
innanzi  dalla  foga  dei  cayalli  ;  caduta  perci6  in  mezzo  ai  le* 
gionari  romani,  nascostisi  tra  i  yigneti,  era  costretta  a  rifSar 
la  yia,  perdendo  nella  ritratta  non  pochi  de'  suoi  morti  o 
feriti.  Garibaldi,  che  yoleya  assalire  con  grosse  forze  il 
nimico  per  tentare  poscia  la  città,  mandaya  per  aiuti  a 
Rosselli  ;  ma  tardando  questi  ad  arriyare,  spingeyasi  auda- 
cemente  ayanti  con  l'ayanguardia;  e  quando  giugneya 
RossoUi  con  la  battaglia,  i  Borbonici  stayano  già  sotto  la 


Digitized  by  VjOOQIC 


412  CAPITOLO   TUI 


protezione  dei  cannoni  di  Yelletri,  i  quali  dalla  forte  postura 
dei  Oappncciiii  impedivano  ai  nimici  d'awicinarsi  alla 
città;  il  momento  propîzio  ad  assaltarla  era  quindi  passato, 
trorandosi  i  Napolitani  in  buon  numéro  aile  difese  e  traendo 
già  coi  moschetti  e  con  le  artiglierie.  Garibaldi,  yisto  di 
nuUa  poter  fare  contra  Velletri,  proponeva  a  Rosselli  di 
trattenere  di  fronte  i  nimici  con  parte  deiresercito,  o  con 
la  restante  parte,  attraversando  a  sinistra  i  campi,  correre 
sopra  il  Re,  il  qusle,  con  grossa  mano  d*armati  indietr^- 
giara  dalla  città.  Rosselli,  approvando  il  disegno  di  Gari- 
baldi,  diceva:  farebbe;  se  non  che,  entrato  in  sos petto  che 
i  Borbonici  non  si  ritirassero,  sibbene  si  allargassero  per  so- 
pravanzare  le  battaglie  romane  e  ferirle  ai  fianchi  e  a  tergo, 
mantennesi  dinnanzi  a  Yelletri,  combattendo  inutile  pugna 
coi  difensori  délia  città  sino  al  cadere  délia  notte.  Per  as- 
sicurarsi  d*ogni  sorpresa  aile  spalle,  chiuse  ai  nimici  le 
vie  d*Agnani  e  di  Cisterna,  facendo  occupare  da  una  mano 
di  sue  soldatesche  Montefortino  e  Giuliano;  e  nella  per- 
suasione  che  i  Napolitani  sarebbero  yenuti  il  giomo  dope 
aile  offese,  deliberava  d'assaltare,  al  sorgere  dei  nuoTO  di. 
la  postura  dei  Oappuccîni.  Ma  nella  notte  il  Re  fuggiva 
turpemente  da  Velletri  e  per  la  via  di  Terracina  rientrava 
negli  Stati  suoi:  onde  i  Romani  senza  colpo  ferire  impa- 
droniyansi  di  Velletri.  Borbonici  e  repubblicani  attribui- 
ronsi  Tonore  dei  combattimento;  nessun  d*essî  perô  potè 
a  diritto  vantarsi  vincitore.  Se  Garibaldi  riesci  a  ricac- 
ciare  i  nimici  nella  città,  dalla  quale  erano  usciti  U  4nat- 
tino  per  affrontarlo,  a  Lanza  riesci  di  mandare  a  vuoto  i 
tentatiyi  dello  strenuo  awersario  contra  Velletri,  per  la 
quale  cosa  fa  oltremodo  yituperevole  la  fuga  di  Ferdinando, 
che,  non  yinto,  lasciaya  un  campo  ben  munito  di  difesa  e 
per  natura  di  sito  fortissimo,  e  yolgeya  le  spalle  aile  armi 
romane  per  numéro  e  potenza  inferiori  aile  sue.  Eppure 
egli  non  yergognossi  di  cantare  nel  maggior  tempio  di 
Gaeta  il  Te  Deum!  forse  intose  con  questo  render  grazie 
a  Dio  d*ayerlo  scampato  da  totale  royina,  che  certamento 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  413 

sarobbegli  toccata,  se  fosse  rimasto  in  Yelletri,  e  se  i  re- 
pubblicani,  perseguendolo  in  sua  ritratta,  Tavessero  rag^ 
giunto  e  costretto  a  far  la  giornata;  e  ciô  sarebbe  avve- 
nnto,  se  si  fosse  segaito  il  consiglio  di  Mazzini,  d'avanzarsî 
nel  reame  per  dare  appoggio  agli  Abruzzi,  che  dicevansi 
pronti  a  sollevarsi  al  primo  apparire  délie  insegne  romane. 
Rosselli,  per  ragione,  non  tanto  di  strategia,  qnanto  d^esa- 
gerata  pmdenza  —  la  quale  maie  addicevasi  a  loi  che  aveva 
sperimentato  il  valore  de'  suoi  soldati  —  respinse  il  sennato 
consiglio  del  Triumviro;  e  cosi  andava  perduta  Toccasione 
favorevole  a  levare  i  Napolitani  a  ribellione  contra  il  Re 
e  il  suo  Gk)yerno;  ciô  che  ayrebbe  allargata  la  gaerra  e 
impresso  a  questa  nn  carattere  eminentemente  nazionale. 
Pur  non  volendo  contraddire  in  tutto  a  Mazzini,  il  géné- 
rale Rosselli  mandava  Garibaldi  con  sua  brigata  a  tentare 
novita  su  quel  di  Napoli;  il  quale,  dopo  avère  disperse  i 
Pontifici  capltanati  da  Zucchi,  che  infestavano  il  territorio 
ai  Frosinone,  superata  la  frontiera  napolitana,  recayasi  in 
mano  Rocca  d'Arce,  lasciata  dai  Borbonici  al  suo  avvi- 
cinarsi.  Ma  non  gli  fu  possibile  di  proseguire  più  oitre; 
perô  che  i  Triumviri,  non  avendo  potuto  venire  agli 
accordi  con  Tinviato  francese,  corne  or  ora  narrercmo, 
reputando  vicinissimo  il  disdirsi  délia  tregua  con  Oudinot, 
solleciti  il  richiamassero  a  Roma,  ove  già  raccoglievano 
il  grosso  délie  loro  armi.  Errore  grave,  anzi  esizialissimo 
alla  repubblica,  che  l'ebbe  più  presto  condotta  a  rovina, 
anegnachè  Roma  dovesse  tutto  trascinare  in  sua  caduta  ; 
mentpe,  se  parte  dell'esercito  regolare  si  fosse  tenuto  fuor 
délia  città,  venuta  questa  a  mano  del  nimico,  avrebbe 
quella  potuto  combattere  una  guerra  sparsa  e  minuta, 
nella  quale,  indubitabilmente,  il  vantaggio  sarebbe  toccato 
aile  genti  repubblicane. 


La  Spagna,  prima  a  gridare  la  crociata  contra  Roma 
per  la  restaurazione  del  trono  pontificio  e  prima  a  chia- 


Digitized  by  VjOOQIC 


414  OAPITOLO  VIU 


mare  a  Gongresso  gli  Stati  cattolici   per  accordarsi  su 
rimpresa»  ultima  e  con  pochissime  armi  yeniva  in  Italia. 
non  a  rompere  guerra,  ma  a  bandire  manifesti  di  superk 
parole  e  d'insolente  disfida  ai  popoli  romani,  o  rimanersi 
inoperosa  sempre  ne*  suoi  campi,  mentre  i  confederati  face- 
vano  prove  sanguinose  del  valore  dei  repubblicani  ;  c  in 
yerità  quei  manifesti  ayrebbero  mosso  il  riso,  se  non  aves- 
sero  destato  lo  sdegno  per  le  calunnio  cho  contenevano. 
Il  giorno  in  cui  le  genti  del  Borbone  invadevano  le  terre 
délia  repubblica  —  e  fu  il  29  aprile  —  la  squadra  spa- 
gnuola  giugneya  nelle  acque  di  Terracina  e  vi  sbarcara 
i  soldati  che  la  regina  Isabeila  ayeya  mandate  a  danno  di 
Roma  per  gratificarsi  il  Ponteflce  e  ottenere   da  lui  Vap- 
proyazione  e  la  sanatoria  dei  béni  ecclesiastici  usurpatie 
yendnti  poco  innanzi  dal  suo  Ooyei*no.  Rialzata  in  Terra- 
cina la  bandiera  di  Pio  IX,  gli   Spagnuoli  ayanzaron^i 
lungo  la  marina,  occnpando  per  yia  le  terre  che  siedevano 
soyr'essa;  e  il  6  maggio  gianti   a  Fiumicino  —  poTen' 
paesello  di  pescatori  —  il  comandante  délia  spedizione.  | 
mandate  a  famé  la  chiamata,  pubblicaya  un  maoifesto  ai 
popoli  di  quella  terricciuola,  col  quale  inyitayali  «  a  ren- 
dere  omaggio  al  Ponteflce  e  a  separarsi  dal   Gorerno  ri- 
belle  di  Roma,  già  agonizzante  per  gli  assalti  di  quMro 
nazioni  confederate  per  dîstruggerlo.  »  L'esercito  spagnuolo , 
—  allora  di  otto  mila  soldati,  accrescinto  di  poi  d'altritre 
mila  —  portatosi  a  Gaeta  era  rassegnato  c  benedetto  (1&  | 
Pio  IX.  Perdinando  di  Oordoya,  suo  générale  supremo,  il  | 
3  giugno  venne  a  campeggiare  Fondi  ;  il  di  appresso  recossi 
a  Terracina; -e  quando  i  Francesi  insignorironsi  dlRoma 
procedette  innanzi;  e,  dopoaver  corso  Nar ni,  Terni,  Spih 
leto  e  Rieti,  fece  ritorno  ai  patrii  lidi.  Alla  causa  del  Pon- 
teflce e  délia  religione,  alla  cui  difesa  era  yenuto  di  Spagoa, 
non  solamente  fu  di  nessun  gioyamento  —  ay vegnachè  si 
fosse  tenuto  lontan  lontano  sempre  dal  nimico  —  ma  recè 
al  contrario  graye  danno  per  li  mali  portamenti  de*  sol- 
dât! suoi,  che  offesero  la  morale  pubblica  e  i  sentimenti 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  415 

religiosi  del  popolo  italiano  (1):  tali  le  geste  délia  spedi- 
zioQe  spagnuola  nella  impresa  di  Roma. 

n  7  maggio  la  dlvisione  austriaca  del  générale  Wimpffen 
passava  dal  Modenese  su  quel  di  Bologna  e  poneva  il  campo 
a  Castelfranco;  mentre  il  générale  Thurn  Taxis  con  buona 
presa  d*imperiali  entrava  in  Ferrara,  e,  dopo  avère  resti- 
tuito  a  libertà  gli  ostaggi  fattivi  da  Haynau  nel  febbraio 
di  queiranno  1849,  invitava  il  Maestrato  suprême  dei  cit- 
tadini  a  deputare  suoi  rappresentanti  a  Wimpffen  e  a 
monsignor  Bedini,  commessario  pontificlo  al  campo  au- 
striaco,  i  quali  avessero  a  dar  fede  d'obbedienza  aU'auto- 
rità  papale  in  nome  di  tutta  Ferrara.  I  Municipali  riuni- 
yaiisi  allora  a  consulta  per  deliberare  su  la  forma  di 
governo  che  potesse  riescire  meglio  accetta  ai  cittadini; 
raccolti  i  suflfragi  trovossi  avère  la  repubblica  vinto  il 
partito;  questa  la  risposta  dei  Ferraresi  al  générale  nimico, 
che,  appena  vennegli  fatta  conoscerey  lasCiô  oon  sue  genti 
la  citta.  —  Wimpffen  e  Bedini,  awertiti  del  disprezzoool 
quale  erano  stati  ricevuti  i  manlfosti,  che  da  Castelfranco 
avevano  rivolto  ai  popoli  délie  Romagne  per  aveme  aiuto 
e  cooperazione  aU'impresa  restauratrice  délia  potestà  pa- 
pale, rovesciata,  dicevano  quelli,  da  fazione  perversa  (2), 
rs  maggio  portavansi  sopra  Bologna;  la  quale,  animosa, 


(1)  «  In  Terni  gli  Spagnnoli  nscivano  moite  volte  ignudi,  e  anda- 
vano  coBi  a  layare  i  loro  panni  aile  fontane.  Tacciavano  d*inetti  i  ri- 
Toltosi  italiani  che  non  aveano  sapnto  bruciare  i  conventi,  com'essi 
dicevano  di  aver  fatto  in  Ispagna.  Eidevano  dei  misteri  piû  angnsti 
delk  leligione  e  dicevano  —  parole  testaali  —  che  la  soverchia  quan- 
tité dalle  ostie  avea  fàtto  crescere  il  prezzo  del  pane,  n 

Carlo  Ruscoki,  La  BepiMliea  Eamana,  Doetimenti  délia  guerra 
Santa j  cart.  208;  Capolago,  1851. 

(2)  «  Vengo  a  ricondurre  fra  voi,  scrivevano  Wimpffen  e  il  commes- 
sario Bedini,  il  legittimo  governo  del  Sommo  Pontefice  Pio  IX,  abbat- 
tato  da  nna  fazione  pervenui,  e  per  ristabilire  la  pnbblica  e  privata 
sicnrezza.»  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


416  CAPITOLO  VIU 


erasi  preparata  coraggiosamente  a  riceverll.  Aveva  picciolo 
presidlo  —  circa  due  mila  soldat!  —  perô  che  la  divisione 
Mezzacapo  fosse  stata  poco  prima  chiamata  aile  difese  di 
Roma;  ma  afforzaronlo  le  Ouardie  nazionali  e  soprammodo 
il  popolo  ;  il  quale,  se  avesse  avuto  capi  degni  di  comandarlo 
e  se  al  governo  délia  cosa  pubblica  si  fossero  trovati  uo 
mini  di  mente  e  cuore,  avrebbe  rinnovata  allora  l'eroica 
resistenza  delFagosto  1848:  onde  Bologna  non  sarebbe  ca- 
duta,  ne  Ancona  yenuta  a  mano  del  nimico  inyaditore. 
Wimpffen,  senza  por  tempo  in  mezzo,  assaltô  la  città;  re- 
spinto,  provossi  di  ottenere  per  via  di  militare  scaltrimentû 
quanto  non  eragli  stato  possibile  per  impeto  aperto.Neilo 
indietreggiare  egli  lasciava  sul  campo  due  cannoni  carichi 
a  scaglia,  nella  certezza  cbe  i  Bolognesi,  credendo  sue 
genii  pienamente  rotte  e  in  fuga»  uscirebbero  dalla  città  a 
predarli:  e  fu  cosi.  Da  quella  facile  vittoria  fatti  impni- 
dentemente  audaci  e  di  veruna  insidia  temendo,  davans^  a 
incsdzare  gli  Aùstriaci;  ma  giunti  presso  le  artiglierie 
lasciate  da  Wimpffen,  da  queste  fulminate  di  fronte  e  di 
Qanco  dai  tiratori  Tirolesî  imboscati  li  vicino,  dovevano 
retrbcedere,  non  senza  patire  gravi  perdite.  Nella  qoaie 
fazione  fu  morto  il  colonnello  Boldrini,  che  aveva  sorro- 
gato  Marescotti,  tristo  consigliatore  di  vergogne  e  di  viltà: 
awegnachè  non  soltanto  egli  rifiutasse  di  combattere,  ma 
volesse  che  il  presidio  posasse  le  armi.  —  Per  risolvere 
su  ciô  che  convenisse  fare,  il  Municipio  raccoglieva  presso 
di  se  i  principali  délia  milizia;  non  riescendo  ad  accordarsi 
per  lo  inchinare  del  primo  alla  resa,  dei  più  degli  altri 
alla  resistenza,  il  Maestrato  dei  cittadini,  allo  intente  di 
conoscere  la  volontà  del  popolo,  alzava  bandiera  bianca; 
e  popoli  e  soldati  rispondevano:  gicerraf  gtserra!  Il  Mu- 
nicipio perô,  che  non  voleva  saper  di  guerra,  deputava  a 
Wimpflfen  i  cittadini  Albert  e  Aldovrandi  per  chiedere  una 
tregua  ;  rimasto  l'Aldovrandi  in  ostaggio  al  campo  nimico, 
TAlberi  tomava  al  Municipio  apportatore  di  non  liete  no- 
velle;  perô  che  Wimpffen  avesse  conceduto  una  sospen- 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  417 

sione  d'armi  brevissimay  cioè  sino  al  mezzogiorno  del  9, 
mlnacciando  di  fulminare  Bologna  con  sue  artiglierie,  se 
non  gli  si  arrendesse;  e  l'Alberi  aananziava  altresi  pros- 
simo  Tarrivo  di  sedici  mila  Austriaci  con  piii  di  trenta 
cannoni  d*assedio;  le  quali  novelle  non  valsero  a  scorag- 
gire  il  popolo;  che  anzi  il  crescere  del  pericolo  aumentô 
in  esso  l'ardore  del  combattere  e  l'alacrità  deiroperare.  A 
mezzodi  del  9  Wimpffen  prendeva  a  trarre  con  le  artiglierie 
contra  la  città,  e  11  popolo  a  rispondergli  con  quelle  pian- 
taie  sa  le  mura  e  su  la  Montagnola;  ma  non  riesci  a  questo 
d'impedire  ai  nimici  d'impadronirsi  del  colle  San  Michèle 
e  del  convento  deirAnnunziata»  che  stava  non  lungi  di 
porta  San  Manaolo.  Il  quale  convento,  per  essere  un  buon 
posto  ayanzato  del  campo  impériale»  veniva  subito  assaltato 
e  preso  dai  soldati  del  quarto  reggimento  di  fanti  ;  cosi 
aveva  fine  quella  giornata  bella  per  le  armi  délia  repub- 
blica,  gloriosa  per  Bologna.  —  U  Municipio  —  oui  il  pré- 
side Biancoli,  poco  Qdando  nel  prineipto  popolare,  avova 
il  giorno  innanzi  rassegnato  l'officio  suo  —  commetteva 
allora  a  cinque  Gommessari  tolti  dal  proprio  seno  il  go- 
vemo  délia  cosa  pubblica,  che  inetto  reputavasi  a  reg^erlo 
io  qaei  momenti  difflcili,  e  i  Gommessari  a  insaputa  del 
popolo  domandarano  e  ottenevano  da  Wimpffen  una  seconda 
tregaa  di  ventiquattro  ore,  cioô  sino  al  mezzodi  del  10.  — 
L'Assemblea  romana,  quando  seppe  dei  pericoli  sorrastanti 
a  Bologna,  mandava  ordine  al  colonnello  Zambeccari,  reg- 
gente  Ancona  e  la  fortezza  sua,  di  spedire  soUecito  in  aiuto 
alla  città  minacciata  il  baitaglione  dei  Cacdatori  del  basse 
Reno,  il  quale,  con  le  bande  dei  volontari  romagnoli,  capi- 
tanate  da  Pianciani,  arrebbe  dovuto  tenere  a  bàda  e  badar 
laccare  col  nimico  per  renire  poi  con  questo  a  giornata, 
allora  che  sarebbero  arrlvati  sussidi  bastevoli  a  tentarla 
con  certezza  di  buona  riescita.  Ma  di  quelle  bande,  che 
Pianciani  non  ayeva  saputo  militarmente  ordinare,  la 
iiuiggiore  parte  discioglievasi  prima  deirarrivare  dei  soc- 
corsi  d*Aucona.  AUo  squillare  de'  sacri  bronzi,  i  quali^  con 

27  -  Vol.  II.  MABiAin  —  Stima  pol.  e  mU- 


Digitized  by  VjOOQIC 


418  CAPITOIiO  TIII 


lo  annunciare  che  il  10  maggio  era  giunto  a  mezzo  il  m 
corso,  avrertivano  lo  spirare  délia  tregua,  presidio  e  cit- 
tadiai  correyaao  aile  difese;  ma  il  aimico  non  yeniie  agli 
•  assalti;  ayyegnachô,  fatto  piii  cauto  dal  maie  esito  sortito 
ai  già  tentati,  avesse  risoluto  d^aspettare  a  rinnoyarli, 
quando  fosse  arrivato  Gorzgowsky,  che  coa  buon  nerbo 
di  soldatesche  e  grosse  artiglierie  correva  ad  aiutarlo 
nella  impresa;  e  intanto  le  genti  di  Wimpifen  andaTaao 
predando  le  terre  yicine  di  tutto  che  lor  potesse  abbiso- 
gnare.  11  14  maggio  alquante  compagnie  di  milizia  bolo- 
gnese  muoyeyano  yerso  Gastel  San  Pietro  incoatro  ana 
schiera  di  volontari  romagnoli,  condncenti  ad  esse  tre 
cannoni.  Avvertiti  di  ciô  da  certo  Palomba,  un  traditore, 
gli  Austriaci  assaliyano  e  poneyano  in  fuga  al  ponte  dalle 
Sirène  i  Bolognesi,  mentre  tornayano  di  loro  spedizione; 
i  quali  tutti  sarebbero  stati  tagliati  a  pezzi,  se  le  artiglierie 
délia  città  non  ayessero  frenato  lo  incalzare  degli  assalitori. 
Giunto  in  quel  mezzo  al  campo  impériale  Gorzgowsky  cod 
buon  polso  di  soldati,  Wimpffen  aU'albeggiare  del  15  preo- 
deya  a  fulminare  Bologna  con  sue  artiglierie,  destandoin 
moite  parti  dl  essa  assai  grayi  incendi,  il  oui  lugubre 
chiarore  doyeya  nella  notte  illuminare  la  misera  eittà.1 
Gommessari,  yisto  di  non  poter  più  oltre  continuarele 
resistenze,  inyiayano  messi  al  générale  nimico  a  pregarlo 
di  sospendere  le  armi  per  trattare  di  resa.  A  meta  délia 
notte  il  cannone  austriaco  taceya  e  Bologna  al^aya  bandiers 
bianca;  se  non  che  Wimpffen,  non  riceyendo  i  deputati  per 
discutere  su  la  dedizione,  verso  le  undici  del  di  suce6ssi^<> 
ripigliaya  Topera  dévastatrice  poco  prima  lasciata.  Tre  ore 
dopo  facevala  nuovamente  cessare  per  l'arrivare  di  quelli« 
alla  cui  uscita  dalla  città  il  popolo  aveva  tentato  d*opporsi; 
ma  gli  inviati  a  lui  non  gradendo  al  générale  per  essere, 
sebbene  onorevolissimi,  di  parte  popolana,  Wimpffen  ii 
respingeva  chiedendo  che  gli  si  mandassero  cittadiui  di 
quella  parte  che  Bologna  ben  sapeva  potere  essergU  ac- 
cetta.  Andarono  allora  al  campo  austriaco  rarcivescoTo 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  419 

Opizzoni,  il  senatore  Zanolini,  i  conservatori  Aldiai,  Gan- 
dolfi,  Marsili,  Pizzardi,  Silvani  ;  in  oltre  Marescotti,  colon- 
aello  nelle  fanterie,  Malrezzi,  colonnello  nelle  (huirdte 
nazionali  e  Nicoletti,  comandaate  dei  carabinieri.  I  patti 
délia  resa,  appena  fermati,  venivano  rotti  dagli  Austriaei, 
i  qaali,  con  la  occupazione  di  porta  Galliera  e  San  Felice 
e  délia  Montagnola  potendo  facilmente  opprimere  il  popolo 
se  tentasse  ancora  ribellarsi  e  tumultuare,  mettevano  la 
citta  sotto  l'imperio  delle  leggi  militari;  condannavano  alla 
morte,  all'esilio  e  alla  prigionla  i  principali  délia  parte 
libérale;  e  mandavano  a  niba  e  a  guasto  i  diatorni  di 
Bologaa(l);  e  tali  nefandità  commettevansi  dai  soldati 
deirAustria  in  nome  del  Ponteflce,  che  avovali  chiamati 
alla  restaurazione  di  sua  mondana  potestà,  tanto  contraria 
ai  reri  interessi  délia  Ghiesa  di  Oristo. 

Vinta  Bolojgna,  Wimpflén  muOTeva  alFacquisto  d'Ancona 
con  dodici  mila  uomini,  due  batterie  da  campo  e  alquante 
artiglierie  d'assedio;  le  quali  armi  dovevano  accrescersi 
durante  Timpresa  per  Tarrivo  di  nuovi  sussidi.  Girca  a 
mezzo  la  yia  che  da  Bologna  per  Rimini  conduce  a  Roma 
e  soTra  il  pendio  di  piooiol  colle»  ultima  appendice  dello 
Appennino  clie  scende  airAdriatioo,  siede  Ancona,  terra 
forte  per  natura  di  ûto  e  per  arte.  Nello  assumere  il  go- 
verno  délie  operazioni  di  guerra  nelle  Marche  il  colon- 
nello Zambeccari  avéra  date  mano  ad  accrescerne  le  for- 
tificazioni,  che  perô  non  gli  fu  possibile  di  condurre  a 
compimento;  e  airappressarsi  dei  nimici  vi  raccoglieva  i 
presidi  di  Pesaro,  Sinigaglia  e  Osimo:  onde  saliva  aquair 
tro  mila  soldati  quel  d'Ancona,  le  cui  mura   erano   state 


(1)  A  San  Michèle  in  Bosco  gli  Austriaci  guastarono  i  dipinti  dei 
Car&cci;  nella  villa  Barozzi  rovinarono  alcnne  opère  insigni  di  Canova; 
in  quelle  di  Pepoli  e  Poggi  distmsseto  non  pochi  oggetti  d'arte.  A 
tali  atti  degni  di  gente  barbara,  non  di  nazione  ciTile,  essi  agginnseio 
tmpissime  violenze;  in  borgo  Panigale  naa  giovane  donna  per  quelle 
Perdette  la  vita. 


Digitized  by  VjOOQIC 


420  CAPITOLO  YIII 


opportunamento  munite  d^artiglierie,  centoventi   allô    în- 
circa.  WimpflTen  mandava  da  Gastelfraaco  agli  Aacoaitani 
il  noto  minaccioso  maaifesto,  cui  rispondeva    il    préside 
Mattiolî  cosi:  =  Rappresentante  d'au  Goyemo   costîtuito 
nella  forma  piu  legittima,   protestare   ^li  soleanemente 
contra  Tobbrobriosa  calannia  d'anarchia,  onde  il  générale 
austriaco  tacciô  un  Gk>yerno  basato  su  Tordine,  la   fratel- 
lanza  e  la  libertà;  essere  preparato  ad  opporsi  a  lui   che 
veniva  a  violare  ogni  più  sacro  diritto.  =  n   24   maggio 
Wimpffen  cingeva  co'suoi  campi  la  cittadella  e  i  forti  di 
Ancona,  e  poco  di  poi  con  sue  navi  il  porto,    per   esser- 
sene  allontanato  l'ammiraglio  francese  irato  a  cagione  del 
rifluto  di  sua  protezione  contra  l'ofiTesa  austriaca,  prote- 
zione  offerta  a  patto  che  gli  Anconitani  avessero  ad  alzarè 
su  la  fortezza  la  bandiera  di  Prancia(l).  Respinta  la  chia- 
mata  di  resa  il  25  maggio   gli   Austriaci  cominclavano  a 
battere  Ancona  da  terra  e  da  mare,  cui  i  difensori  rispon- 
devano  colpo  per  colpo,  eziandio  ributtando  le  navi  nimi- 
che,  tutte  le  volte  che  avanzayansi  per  superare  Tentrata  I 
del  porto.  I  nimici,  nel  restringere  Tassedio^  si    fanno   a 
tentare  la  cittadella,  i  forti  e  le  mura  per  conoscerne   la 
parte  piii  debole;  ributtati  sempre  yittoriosamente  dagli 
assediati,  gettano  entre  la  città  bombe,  granate   e   razzi 
incendiari,  che  destano  il  ftioco  in  molti  luoghi  di   essa; 
ne  rispettando  quelli  sacri  alla  sventurUy  indicati  da  ban- 
diera nera,  TArclyescoyo    d* Ancona    invia  a  Wîmpflfen 
monsignor  Barili  e  il  cittadino  Fazioli  a  pregarlo,  in  nome 
dell'uiAanità,  abbia  a  yolgere  le  ofTese  contra  i  forti;  e  il 
générale  austriaco  rispondeya:  =  Non  ayer   comandato 
d*offendere  quei  luoghi  ;  essere  impossibile  impedire  il  ca- 
deryi  délie  bombe.  =  Dopo  un  combattere  e  un  badalue- 


(1)  Alla  propoBta  dell'ammiraglio  finmcese  Ancona  rispondeya:  =  Non 
potere  aoeettare  a  difensori  snoi  i  Franced,  che  di  qnei  giomi  offende- 
yano  Borna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  4ai 

care  di  parecchi  giorni  ira  gli  assediati  e  gli  assediatori 
-•  arvegnachè  quelli  uscissero  di  soveate  in  picciole  prose 
(iai  loro  forti  contra  le  ascolte  dei  campi  nimici  e  contra 
i  âoldati  che  stavano  alla  goardia  dei  lavori  di  approccio 
—  gli  Austriaci,  il  15  giugno,  assaltavano  furiosamente  la 
cittadella  e  il  suo  trincerone;  da  quel  di  il  fulminare 
deile  artiglierie  durô  incessante  sino  alla  resa,  la  quale 
aweane  il  10  giugno  dopo  ventisette  giorni  di  assedio,  e  non 
fu  per  virtii  délie  armi  assalltrici,  bensi  per  diffalta  di  vet- 
tovaglie  e  per  trovarsi  la  difesa  ridotta  allô  estremo  di 
sue  forze.  11  presidio  use!  con  gli  onori  di  guerra  dalla 
cittadella  e  dai  forti,  che  gli  Austriaci  occuparono  nelle 
ore  pomeridiane  dei  19  e  nel  mattino  dei  20*  Signore  di 
Ancona,  Wimpffen  ponevala  sotto  Timperio  délie  leggi  mi- 
litari ;  e,  restauratovl  il  dominio  papale»  a  reggerla  in  nome 
di  Pio  IX  eleggeva  una  Giunta  di  Governo  in  accordo  con 
moQsignor  Savelli,  Gommessario  pontiâcio,  lo  stesso  che 
vedemmo  levare  a  ribellione  1  montanari  ascoUtani  e  di- 
rigerne  il  moto.  Tolta  la  libertà  alla  stampa,  il  générale 
aostriaco  licenziava  le  guardie  ctitadine,  comandando  nel 
medesimo  tempo  gli  si  consegnassero  tutte  le  armi  e  ma- 
aizioni  da  guerra,  pena  la  morte  a  chi  disobbedisse.  Caduta 
Ancona,  le  città  e  terre  délie  Marche,  rialzate  le  in- 
segne  dei  Pontefice,  ne  restituirono  Tautorità;  eccettuata 
Penigia,  la  quale,  seguendo  Tesempio  di  Ferrara,  agli 
Austriaci  che  imponevanle  quella  instaurazione  rispon- 
deya  cosi  :  =  Mano  cittadina  non  essere  per  rialzare  le 
û^ne,  che  areva  poco  innanzi  abbattute  ;  il  facessero  essi 
per  la  forza  che  tenevano. 

Le  pratiche  di  conciliazione  tra  Roma  e  Francia,  che 
stava  allora  tentando  Lesseps,  non  doTovano  a  nuUa  ap- 
prodare,  non  per  difetto  di  buon  volere  e  d*onestà  nel 
Gcmimessario  francese,  bensi  per  la  mala  volontà  dei  Buo- 
Qaparte  e  de*suoi  Ministri;  i  quali  avovano  deliberato  di 
spegnere  la  repubblica  non  estante  le  informazioni  dei  loro 


Digitized  by  VjOOQIC 


422  GAPITOLO  YIU 


inviato,  che  affermava:  =  Essere  lealissimo  il  governodei 
Triumviri  ;  i  Romani  rispettare  la  religione  ;  la  ragioQ 
deirodio  alla  potestà  temporale  dei  Pontefici  sempre  cre- 
scente  troyarsi  tutta  nei  malvagi  consigli  degli  aderenti 
al  Papa,  i  quali  per  vituperare  la  repubblica  comperavano 
i  delitti.  =  Poco  dopo  il  suo  arrivo  in  Roma  Lesseps  man- 
dava  ai  Triumviri  la  segaente  proposta  d*accomodamento: 
€  I.  Gli  Stati  romani  chiedono  la  protezione  fratema  délia 
repubblica  ft*ance3e.  II.  Le  popolazioni  romane  hanno  il 
diritto  di  darsi  liberamente  la  forma  di  governo  che  de- 
siderano.  III.  Roma  accoglierà  l'esercito  firancese,  corne  un 
esercito  amico.  I  soldati  romani  e  francesi  faranno  iusieme 
la  guardia  délia  città.  Gli  offlciali  pubblici  romani  eserci- 
teranno  i  loro  offlci  giusta  le  legali  facoltà  che  essi  ten- 
gono  glà.  »  —  L'Assemblea  non  aderi  alla  proposta  di 
Lesseps:  primamente,  perché  avendo  scorto  in  essa  a bello 
studio  evitarsi  le  parole  repubblica  romanOy  credeva,  a 
buon  diritto,  scorgervi  intendimento  sfavorevole  a  questa; 
e  in  seconde  luogo,  perché  nella  proposta  di  Lesseps  non 
trovayansi  buone  guarentigie  per  la  conservazione  délia 
repubblica.  €  Roma  non  ha  bisogno  di  protezione,  scrivo- 
vano  i  Triumviri  al  Commessario  francese;  in  essa  non  si 
combatte  ;  se  il  nimico  si  présentasse  davanti  aile  sue  mura, 
saprebbe  resistergli  con  le  proprie  forze.  È  alla  flrontiera 
toscana,  è  a  Bologna  che  oggi  difendesi  Roma.  Nella  vostra 
proposta  awi  un  pensiero  politioo,  ai  quale  TAssembleanoQ 
puô  accostarsi,  per  essersi  l'Assemblea  di  Francia  chiarita 
awersa  a  una  occupazione  non  provocata.  Contraria- 
mente  ai  patti  délie  tregue  voi  faceste  oggi  stesso  passare 
il  Tevere  a  un  nodo  dei  vostri  soldati  per  allargare  il 
campo  délie  militari  operazioni.  »  Rigettati  quegli  accordi, 
Lesseps,  ferme  in  suo  intente  di  conciliare  gli  interessi 
délia  romana  repubblica  aU'onore  délia  Francia,  altri  ao- 
oordi  cercô  che  valessero  a  rag^iugnere  lo  scopo  deside- 
rato  di  sua  mediazione  di  paoe.  Gonservati  in  loro  inté- 
grité 1  primi  due  articoli  délia  sua  proposta,  mntava  il 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  423 

terzo  cosi:  =  Roma  accoglierà  corne  amico  Tesercito  fran- 
cese,  il  quale  prenderà  le  stanzeper  se  piu  salubri  e  per 
la  difesa  délia  città  più  convenienti,  e  non  s'immischierà 
neiramminlstrazione  del  paese.  =  A  questi  articoli  Lesseps 
aggiugneva  un  quarto  concepito  cosi:  =  La  repubblica  firan- 
cese  guarantirà  da  qualsiasi  invasione  stranlera  il  territoiio 
occapato  da*  suoi  soldati;  =  e  conchindeva:  =  D'accordo 
col  générale  Oudinot  far  noto,  che  qualora  taie  convenzione 
non  venisse  immediatamente  accettata,  ei  terrebbe  ânita  la 
suamissione  e  Tesercito  francese  sarebbe  libero  di  ripigliare 
le  armi,  che  il  negoziare  di  pace  aveva  fatto  sospendere.  — 
Alla  quale  dichiarazione  del  Gommessario  di  Francia,  spedita 
il  29  maggio  aU'Assemblea  romana,  il  di  appresso  i  Trium- 
viri  replicavano  in  questi  iermini:  =  Accettare  lanuova 
proposta  coa  modiScazioni  toccanti  più  la  forma  che  la 
sostanza  di  essa;  Roma  aver  diritto  d'essere  intesa  dalla 
Francia  e  di  trovare  in  questa  un  appoggio,  non  uno  Stato 
nimico;  délia  fratellanza,  non  délia  protezione,  la  cui  de- 
manda oggl  si  interpreterebbe  dall'Europa  corne  una  con- 
fessione  d'impotenza,  e  con  rawilirla  ai  propri  occhi  la 
renderebbe  indegna  deiramicizia  di  Francia,  su  la  quale 
fece  sempre  fondamento.  Questo  grido  di  perlcolo  non  es- 
sere  per  Roma;  avregnachè  non  sia  impotente  mai  un  po- 
polo  che  sa  morire  ;  ingenerosa  poi  sarebbe  la  Francia  — 
oazione  grande  e  fiera  —  se  disconoscesse  questo  nobile 
sentimento  che  inspira  il  popolo.  Essere  necessario  che 
taie  condizione  di  cose  abbia  a  finire;  necessario  altresl 
che  la  fratellanza  non  sia  per  le  due  repubbliche  una  sem- 
plice  parola;  bisogna  che  i  corrieri  e  le  armi  romane  pos- 
^ano,  per  la  difesa  dello  Stato,  liberamente  correrne  il 
territorio;  bisogna  che  Roma  non  abbia  più  a  sospettare 
di  coloro  che  era  avvezza  a  tenere  corne  amici,  a  fine  di 
poter  volgere  tutte  le  sue  forze  armate  contra  gli  Austriaci 
inyadenti.  Necessitare  eziandio  che  non  abbiansi  più  a 
(lisconoscere  in  alcuna  parte  le  intenzioni  buone  e  leali 
délia  Prancia,  e  che  TEuropa  non  possa  dire,  che   essa 


Digitized  by  VjOOQIC 


424  CAPITOLO  VIII 


oggi  ci  toglie  ogni  cosa  allo  scopo  d'imporci  più  tardi  la 
sua  protezione  ;  la  quale,  mentre  salverebbe  Tintegrità  del 
territorio  délia  repubblica,  farebbe  perderle  qaanto  ha  di 
più  caro,  Vonore  e  la  liberté.  Gon  ciô  si  raffermeraano  i 
legami  di  simpatia,  oggidi  indeboliti,  verso  la  Francia;  I3 
quale  acquisterà  il  diritto  di  coasigliarci  in  modo  più  ef* 
ficace  ai  comuni  interessi,  che  coq  lo  stato  apparente  di 
ostllità  che  oggi  ci  mostra.  L'esercito  poi  troverà  qnar- 
tieri  saluberrimi  nella  campagna,   che   corre  da  Pra-| 
scati  a  Yelletri.  =  Il  31  maggio  i  Triumviri,  portatisi  al 
campo  francese,  fermavano  con  Lesseps  la  convenzione  se- 
guente  :  €  I.  L*appoggio  délia  Francia  è  assicorato  aile  po- 
polazioni  degli  Stati  romani;  le  quali  considerano  Tesercito 
francese  come  un  esercito  amico,  venuto  per  concorrere 
alla  difesa  del  loro  territorio.  II.  D'accordo   col   Govemo  ! 
romano,  e  senza  immischiarsi  per  nuUa  neiramministra- 
zione  del  paese,  Tesercito  di  Francia  prenderà  gli  accam- 
pamenti  esterni  tanto  per  la  difesa  dello  Stato,  quanto  per 
la  sainte  dei  soldati;  libère  saranno  le  vie  di   comunica- 
zîone.  III.  La  repabblica  francese  assicura  da   qualunqae 
invasione  straniera  i  territori  occupati   dal  suo  esercito. 
lY.  La  présente  convenzione  dovrà  essere  sommessa  alla 
ratiScazione  délia  repabblica  francese.  Y.  In  nessun  caso 
gli  effetti  délia  présente  convenzione  non  potranno  ces- 
sare  che  quindici  giorni  dopo  la  comunicazione   ufBciale 
délia  non  ratiflcazione.  »  Taie  convenzione,  discassa  e  ac- 
cettata  il  31  maggio,  aile  otto  délia  sera,  al  Quartier  prin- 
cipale deiresercito  francese,  veniva  sottoscritta  da  Carlo 
Armellini,  Giuseppe  Mazzini  e   Aurelio  Saffl   per   la  re- 
pubblica  romana,  e  da  Ferdinando  Lesseps  quale  Ministro 
délia  repubblica  francese.  —  Pareva  rimosso  ogni  ostacolo 
per  giugnere  alla  sospirata  concordia,  di  cui  Roma  tanto 
abbisognava  per  la  salvezza  sua  e  la  Francia   per  Tonor 
suo,  quando  più  terribili,  che  mai  non  erano  stati  per  lo 
avanti,  gridi  di  guerra  levavansi  nei  campi   dei   combat- 
tenti.  n  générale  Oudinot,  niegando  ratificare  quella  con- 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOHA  425 

venzione,  dichiarata  rotta  ogni  pratica  d*accordo,  disdiceva 
le  tregue,  da  lui  perô  già  yiolate  ;  av vegnachè,  nulla  cu- 
randosi  délia  fede  data,  avesse,  durante  la  sospensione 
(lelle  armi,  allargato  il  suo  campo  sia  presso  la  basilica  di 
SâQ  Paolo,  ed  avrebbe  anche  assaltata  Roma  di  sorpresa, 
se  tanta  slealtà  e  tanta  offesa  al  soldatesco  onore  non  gli 
fossero  state  impedito  daironesto  Lesseps.  €  Allora  che  voi 
giadicherete  del  caso  di  prendere,  cosi  il  Gommessario  di 
Francia  a  Oudinot,  militari  posture  nello  interno  di  Roma 
0  in  prossimità  délia  sua  cinta  senz*  essersi  accordato  con 
me^  io  credo  di  dover  rendere  voi   solo   mallevadore  di 
tutte  le  conseguenze  politiche  che  ne  yerrebbero.  Sino  al 
giagnere  degli  ordini  del  QoTerno  nostro,  sia  per   biasi- 
mare  o  approvare  il  mio  operato,  la  missione  mia  non 
comporta  che  TOi  rimaniate  solo  a  prendere   détermina* 
zioni  0  partiti  militari  che  potrebbero  esporre  a  pericolo 
il  crédite  dei  Governo  francese  e  trascinare  il  nostro  paese 
âopra  una  via,  che  io  credo  la  più  funesta  >  (1).  Dure  pa- 
role, con  le    quali  Lesseps   chiamava  al  proprio  dovere 
il  générale  Oudinot;  che  se  suonano  per  tutti  gravissimo 
rimproYoro»  Io  sono  ancor  piu  per  un  soldato,  cui  l'osser- 
vaaza  délia  fede  data  è  e  sarà  sempre  una  legge  severis- 
slma  d'onor  militare.  Ma  taie  legge  pareva  proprio  intie- 
rameute  sconosciuta  a   Oudinot;  perô  che,  non  pago  di 
avero  per  la  seconda  volta  yiolate  le  tregue  occupando 
prima  dello  albeggiare  del  31  maggio  Monte  Mario  —  im- 
portante postura  strategica,  signoreggiante  le  yie  di  co- 
municazione  deU'alto  Teyere  e  di  Viterbo,  e  dalla   quale 
potevansi  yedere  le  mosse  dei  Romani   neirinterno  délia 
città  —  assaltasse  Roma  di  sorpresa  e  innanzi  Io  spirare 
dello  tregue  !  Chi  avrebbe  potuto  impedirgli  di  commettere 
offesa  si  grave  al  diritto  délie  genti  —  offesa  che  gli  fruttô 


(1)  A.  Balletdiib,  Bévolution  de  Bame,  tom.  n,  cart.  136;  Gi- 
WTO,  1851. 


Digitized  by  VjOOQIC 


436  GAPITOLO  YUI 


vituperio  e  vergogna  —  aveva  laseiato  il  campo:  intendo 
dire  di  Ferdinando  Lesseps  (1).  Saldo  sempre  negli  accordi 
délia  convenzione  sottoscrltta  coi  Triumviri,  il  Commes- 
sario  stara  il  primo  giugno  per  recarsi  in  Francia  allô 
scopo  di  ottenerne  lo  ratiftcamento  dal  suo  Governo,  dal 
quale  avoYa  avuto  le  istruzioni  necessarie  a  fermarla,  allora 
che  in  quel  giorno  stesso  giugneya  di  Parigi  ordine  del  Mi- 
nistro  sopra  gli  affari  esterni  al  générale  d'assaltare  senza 
por  tempo  in  mezzo  Roma,  ritenendo  finita  la  missionedi 
Lesseps:  onde  il  générale  Oudinot,  nel  rispondere  a  Ros- 
selli  —  capo  suprême  délie  armi  romane  —  che  ayeragli 
chiesto  una  tregua  illimitata,  da  disdirsi  quindici  giorni 
innanzi  il  riprendersi  délie  ofTese,  allô  intente  di  poter 
condurre  tutto  lo  sforzo  di  guerra  contra  gli  Austriaci  - 
che  pareva  mirassero  a  unirsi  ai  Napolitani  per  la  via  de- 
gli  Abruzzi  —  Oudinot,  io  dico,  scriveva  a  Rosselli  in  queste 
sentenze:  =  Il  suo  Ctoverno  avergli  imposte  d*entrare  in 
Roma  il  più  presto  possibile;  le  tregue  essere  state  già 
disdette  aU'Assemblea;  differire  perô  Tassalto  alla  cita 
sino  al  4  giugno  almeno^  per  dare  tempo  ai  Francesi,  che 
l'abitavano,  di  lasciarla.  =  Perduta  ogni  speranza  di  ac- 
corde i  Romani  prepararonsi  aile  resistenze  ;  essi  conta- 
vansi  in  su  le  armi  diciassette  mila   allô  incirca  (2),  io 


(1)  tt  In  taie  stato  di  cose,  ebbe  allora  a  dire  Lesseps,  un  assalto 
deU'eseroito  francese  sarebbe  oonsiderato  da  tatta  FEuropa  %na  for* 
presa  incompatibile  eon  le  regole  del  éHritto  délie  getUi,  » 

(2)  Tra  le  tante  volgari  ealunnie  d^anarehia,  di  terrore  e  di  »tia 
gettate  contra  la  repubblica  romana  dai  Ministri  del  Baonaparte,  e  tu 
le  basse  menzogne  sparse  per  tatta  Enropa  a  danno  di  essa,  trorad 
pur  qnella  che  ventimila  stranieri  militassero  nelVesercito  di  Bom^ 
montre  da  treoento  soltânto  si  contasseio,  fira  qnali  dngento  Polacehi 
Da  millednqneoento  nomid  appartenevano  aile  varie  proYinoîe  d'Italii; 
tatti  gli  altri,  agli  Stati  romani.  Mazzini,  nella  lettera  scritta  a  Falloai 
e  Tocqneville  dopo  la  cadnta  délia  repnbblica ,  osserva  non  ayere  Ba- 
detzky  chiamato  mai  stranieri  i  Lombardi,  i  Toscan! ,  i  Bomani  e  i 
XapoUtani,  che  sotto  le  insegne  di  Sardegna  combatterono  contra  loi 
nel  1848  e  1849  snl  Mincio  e  a  Novara. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  427 

due  diyisioni  ordinati  e  in  una  schiera  di  recuperazione. 
Alla  destra  del  Tevere  stava  a  guardia  il  générale  Oari- 
b&ldi  con  la  sua  divisione  (1);  alla  sinistra  del  flume,  Barto- 
lucci  con  Taltra;  la  riscossa,  entro  la  città.  L'esercito 
francese,  portato  a  numéro  durante  le  tregue,  aveya  da 
trenta  mila  uomini;  de'quali,  due  mila  artiglieri,  mille  de- 
gli  ingegneri  militari,  da  settecento  a  ottocento  cavalieri. 
L'esercito  componerasi  di  tre  divisioni:  la  prima,  costi- 
tuita  dalla  brigata  MoUière  —  sette  battaglioni  di  fanti  di 
ordinanza  —  e  da  quella  di  cavalleria  di  Morin  —  otto 
squadroni  —  comandavasi  dal  générale  Regnault  de  Saint- 
Jean  d*Angély;  la  seconda,  capitanata  dal  générale  Rosto- 
lan,  constava  délie  brigate  Ohadeysson  e  Carlo  Le  vaillant 
—  dodici  battaglioni  di  fanti  d'ordinanza  e  due  di  veliti, 
0  cacciatorî;  —  la  terza  divisione,  governata  dal  générale 
Guesviller,  contava  le  brigate  Sauvan  e  Giovanni  Levail- 
lant  —  quindici  battaglioni  di  fanti  di  ordinanza  e  uno  di 
veliti;  —  oltre  le  quattro  batterie  da  campo  vennero  di  Fran- 
ciaper  l'assedio  grossi  cannoni,  obici  e  molti  mortai.  Al  ri- 
prendersldelleostilltà  la  prima  e  la  secondadivisione  distesero 
i  loro  campi  da  Santa  Passera  sino  al  di  là  di  villa  Pamfili,  te- 
nendoalquante  compagnie  di  fanti  nel  tempio  e  nel  convento 
di  San  Paolo  ;  délia  terza  divisione,  la  brigata  Levaillant  stette 
alla  villa  Mattei  a  cavalière  délia  via  di  Givitavecchia;  e 
la  brigata  Sauvan,  all'Acqua  Traversa  su  quella  di  Fi- 
renze;  il  Quartiere  générale  di  Oudinot  si  pose  alla  villa 
Santucci,  luogo  eminente  dond'egli  poteva  vedere  ed  essere 
veduto  dall'esercito,  dirigere  Tassedio  e  tutte  le  militari 
operazioni.  Non  estante  la  preponderanza  del  numéro  e 
la  potenza  délie  armi,  non  estante  il  valore  dei  soldati  e 
la  perizia  dei  capi,  Oudinot  non  ardi  passare  con  Tesercito 
8u  la  sinistra  del  Tevere,  per  tema  d'essere  assalito  a 
tergo  0  al  fianco  dai  Romani;  ne  fuor  di  questa  non  sa- 


(1)  Vedi  l'Atlante. 


Digitized  by  VjOOQIC 


428  OAPITOLO  YIU 


prebbesi  troyare  altra  ragione  che  possa  giastiflcare  la 
scelta  fatta  dal  générale  francese  di  offeadero  il  lato  più 
forte  délia  città,  cioè  la  cinta  che  corre  attorao  a  Roma 
su  la  destra  di  quel  fiume,  da  questa  parte  validissima, 
che  misura  soltanto  otto  chilometri  ia  lunghezza  e  la  cui 
difesa  era  assai  favoreggiata  dalle  tante  ville  che  le  stanno 
di  fronte,  forti  esse  pure  perché  circondate  da  solidi  mun. 
Oudinot  e  i  suoi  generali  tentarono  da  prima  provare  la 
giustezza  di  quella  scelta  con  la  nécessita  di  assicurarsi 
le  vie  di  comunicazione  con  Givitavecchia,  base  délia 
guerra;  ma  veggendo  la  ragione  addotta  non  accettarsi  da 
nessuno  —  per  essere  proprio  speciosa  e  non  vera,  aTve- 
gnachè  padroni  del  Tevere  non  potossero  pericolare  di  Te- 
dersi  separati  dal  nimico  dalla  loro  sedia  di  guerra  —  af- 
fermarono  di  poi:  =  Avère  essi  deliberato  d'assaltare  la 
parte  occidentale  di  Roma  allô  scopo  di  togliere,  piii  che 
possibile  fosse,  ai  danni  délie  artiglierie  assediatrici  i  mo- 
numenti  délia  città  etema.  =  I  generali  francesi  per6 
non  ignoravano,  che  i  più  preziosi  di  quelli  erano  anche 
i  più  vicini  alla  cinta  di  mura  che  dovevano  battere.  La 
giomata  del  30  aprile,  col  fiaccare  la  iattanza  di  Oudinot, 
avevalo  reso  molto  prudente  eavevagli  insegnatô  altresi»  che 
se  non  devesi  mai  temere  i  nimici,  non  devonsi  perô  di- 
sprezzare  mai. 

Innanzi  Talbeggiare  del  3  giugno  Oudinot,  vlolando  per 
la  terza  volta  le  tregue,  che  dovevano  spirare  il  giorno 
appresso,  risoluto  d*impadronirsi  délie  alture  sovra  cui 
siedono  le  ville  Pam&li,  Yalentini  e  Gorsini  —  quest*ultima 
nota  sotto  il  nome  di  Quattro  Venti  —  mandava  a  ùx  l'im- 
presagrossa  mano  di  sue  genti  (1).  Due  schiere  d^armati  mos- 
sero  contra^  villa  Pamfili;  la  più  forte  di  esse  guidata  dal 
générale  MoUière  e  composta  di  due  battaglioni  di  fanti, 


(1)  Vedi  l'Atlante. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  429 

quattro  compagnie  di  yeliti,  due  canaonî  da  campo,  cin- 
quanta  cacciatori  a  cavallo  e  ana  compagnia  di  soldai! 
àegli  ingegneri  militari  l'assaltava  dalla  via  délia  Nocetta, 
mentre  Taltra  di  due  battaglioni  di  fanti  e  due  artiglierie, 
capitanata  dal  générale  Guesviller,  avanzavasi  alla  sinistra 
di  qiiella  per  divertire  Tattenzione  del  presidio,  che  con* 
tara  quattrocentocinquanta  uomini;  il  quale,  côlto  airim* 
proTviso  e  non  preparato  alla  difesa,  perô  che  riposasse 
su  la  fede  dei  Francesi,  non  potè  opporre  lunga  resistenza. 
Oppresse  dal  numéro  dei  nimici  —  entrati  nella  villa  per 
li  rotti  délia  cinta  di  muro  —  il  presidio  la  lasciava  e, 
combattendo  sempre,  riparavasi  nella  villa  Corsini,  dalla 
qnale  ritrattosi  dopo  brève  difesa  raccoglievasi  entro  11 
VasceUo,  edlflcio  saldisslmo  posto  a  dugento  metri  dalla 
porta  San  Pancrazio  e  tenuio  allora  dalla  legione  di  Me- 
dici  (1).  In  questo  mezzo  il  générale  Sauvan,  sceso  di  Monte 
Mario  con  la  sua  brigata,  tentava  il  ponte  Molle  o  ponte 
Milvio;  ma  essendo  un  arco  di  esso  rovinato,  Sauvan  spin- 
geva  nel  fiume  una  mano  de'  suoi,  i  quali,  non  potendo 
superare  la  corrente,  tomavano  presto  addietro.  n  fragore 
deila  moschetteria  di  villa  Pamflli  aveva  chiamato  il  pre- 
sidio di  Roma  In  su  l'arme  ;  e  Garibaldi,  raccolti  i  legio- 
nari  suoi,  soUecito  usciva  dalla  città  contra  il  nimico,  per 
ripigliare  quelle  posture  che  sole  potevano  impedire  ai 
Franoesi  d'imprendere  i  lavori  d'assedio:  ne  segui  allora 
una  lotta  accanitissima.  La  legione  garibaldina  corse  prima 
ad  assaltare  la  villa  Gorsini;  e  fu  sopra  a  questa  con  im- 


(1)  Nel  febbraio  di  qaell'anno  1849  in  Firenze,  Medici  aveya  assai 
heaie  orâmata  ima  compagnia  di  voloniari  lombaidi:  erano  centodiecî 
allo  Indica.  Matatesi  le  cose  in  qnella  dttà,  Medici  portavad  a  Borna, 
facendOy  in  sno  cammino,  d'antigoardo  alla  grosaa  scMera  del  colonnello 
Mezzacapo.  Oinnto  a  mezzo  aprile  in  Boma,  egli  prese  stanza  nel  Ca- 
$ino  dei  Quattro  Venti,  ove  la  sna  compagnia  s'ingrossô  di  dugento 
stndenti  lombard!;  e  accresciutasi  poscia  di  dngento  voîontari  toscanî 
la  eompagnia  di  Medici  ebbe  nome  e  ordinamento  di  legione. 


Digitized  by  VjOOQIC 


430  OAPITOLO  TIII 


peto  si  farioso  e  si  veloce,  clie  senza  trar  colpo  di  mo- 
schetto  riesciyale  di  cacciarne  i  difensori  e  di  insignorir- 
sene;  ma  i  Francesi,  iagrossati  d'aiati  poderosi,  che  ad 
ogni  istante  giugnevano  sul  campo,  tornavano  all^assalto 
per  recuperare  quanto  innanzi  averano  perduto.  Viato  di 
non  potere  resistere  alla  moltitudine  di  nimici  che  veniTa 
loro  addosso»  i  legionari  di  Garibaldi  indietreggiarono  ;  se 
non  che  ricevuti  alcuni  sussidi  nuoyamente  assaltavano  la 
villa  e  la  riprendevano,  per  lasciarla  perô  poco  di  poi  a 
cagione  del  numéro  sempre  crescente  dei  FrancesL  Per 
Tarrivare  di  Manara  coi  bersaglieri  lombardi  riaccende- 
vasi  la  pugna,  una  yera  pugna  d'eroi,  la  quaie  doTera 
durare  lunghe  ore  ed  essere  oitre  ogni  dire  sangroinosa. 
Senza  por  tempo  in  mezzo  i  Lombardi,  oorsi  sopra  la  villa 
e  dope  sforzi  strenuissimi  scalatane  la  terrazza,  atarano 
per  invadere  la  casa,  quando  un  ierribil  fuoco  di  moschet- 
teria  ferivali  di  fronte  e  di  fianco  ;  intrepidi  per6  resi- 
stevano;  ne  di  là  sarebbersi  tolti —  ben  sapendo  quanto 
alla  difesa  di  Roma  importasse  il  possesso  di  quella  postora 
—  se  non  avesseli  chiamati  addietro  il  suonare  a  raccolta 
di  Garibaldi;  il  quale,  reputando  impossibile  far  qaell*im- 
presa  con  un  pugno  d'uomini,  sebbene  di  valore  singola- 
rissimo,  facevali  venire  a  se  per  rinnovare  gli  assaltl 
allora  che  gli  giugnessero  gli  aiuti  richiesti  ;  e  in  fatto, 
ricevuto  ch*egli  ebbe  alquante  compagnie  di  fanti  e  stu- 
denti,  e  alcuni  nodi  di  milizie  diverse,  con  passe  risolnto 
avanzossi  conti*a  la  villa  Corsini.  Arrivato  quivi,  parte 
di  sue  genti,  superata  la  cinta,  scese  nel  giardino,  e  Taltra 
parte,  allargatasi  ai  ôanchi,  chiuse  la  villa  entro  una  cer- 
chia  di  fuoco»  eziandio  occupando  la  casa  Yalentini,  dalla 
quale  una  presa  di  nimici  molestava  le  mosse  dei  Garibal- 
dini,  che  di  quella  impadronivansL  L*impetuoso  assalto  di 
quoi  coraggiosi  abbatteva  in  un  subito  i  difensori  délia 
villa  Corsini  e  costringevali  altresi  a  ripararsi  entro  la 
casa;  teneva  lor  dietro  Masina,  capitano  straordinariamente 
animoso,  col  suo  manipolo  di  cavalli,  i  lancieri  garibaldini; 


Digitized  by  VjOOQIC 


B09CA  431 

il  quale,  nella  furia  dello  incalzare,  salita  la  scala,  sul  pia- 
nerottolo  dl  essa  cadeva  ferito  a  morte.  Manara,  che  ave- 
valo  seguito  da  presso  coi  bersaglieri  lombardi,  inarcate 
le  armi  aryentavasi  allora  contra  i  Fraacesi  ;  i  quaii,  non 
reggendo  airurto,  davanst  a  fuga  disordinatissima;  ma  ri- 
fattisi  6  afforzatisi  di  grosse  schiere  portatesi  innanzi  per 
riafrescare  la  pugna,  riedevano  aile  offese,  riconquistando 
villa  Gorsini,  la  tanto  contrastata  postura.  La  piena  inrero 
soverchiante  dei  nimici,  d*ogni  parte  allagante  il  terreno» 
costrinse  Garibaldi  a  togliersi  giù  daU'impresa:  onde  rac- 
cogrli6Ta  sue  genti  al  VasceUo.  Il  giorno  stava  per  cadere, 
quando  ona  compagnia  di  bersaglieri  lombardi  chiedeva 
di  fare  nuova  prova  délie  armi;  e  €  Fatela  pure^  »  rispon- 
deva  loro  GaribaldL  Gondotti  da  Ooffredo  Mameli  e  da 
Emilio  Dandolo  corsero  pieni  d*ardimento  a  rinnovare 
gli  assalti,  che  perô  tornarono  vani.  Di  cento  che  al  par- 
tire  per  Taffronto  contavansi,  solamente  la  meta  torna- 
rano!  Tra  i  morti  fa  Ooffredo  Mameli;  tra  i  feriti,  Emilio 
Dandolo. 

La  giornata  del  3  giugno  costô  cara  ai  vincitori  e  ai 
Finti  ;  il  combattere,  che  durô  senza  riposo  dairalba  al  car 
lare  délia  notte  e  fu  più  volte  ristorata  per  l'arrivare 
di  nnove  armi  sul  campo,  fu  sanguinosissima,  sempre  ri- 
spetto  al  numéro  dei  soldati  che  prese  parte  a  quella  ; 
ciascuna  délie  parti  moite  âate  si  rifece,  essendo  quando 
all'una  e  quando  all'altra  toccato  il  peggiore.  La  vittoria^ 
dnbbia  per  lunghe  ore,  alla  fine  sorrise  ai  grossi  batta- 
glioni,  a  chi  aveva  maggiore  potenza  d'armi;  ciô  non 
estante  quelle  posture  —  per  la  cui  signoria  si  sparse  tanto 
saague  —  non  sarebbero  andate  a  mano  dei  Francesi,  se 
Oudinot  non  fosse  ito  aile  offese  con  la  tradigione  e  Tin- 
ganno  ;  se  gli  Italiani  fossero  stati  piii  ordinati  negli  as- 
sàlti  ;  e  se  Rosselli  avesse  tratto  fuor  délia  città,  ad  appog- 
giare  la  divlsione  dl  Garibaldi,  con  tutte  le  riscosse  anche 
bnona  parte  délie  genti  di  Bartolucci;  e  ciô  far  poteva 
senza  correre  pericolo  di  vedere  Roma  assaltata  su  la  si- 


Digitized  by  VjOOQIC 


432  cAPiTOiiO  viii 


nistra  del  Tevere,  idlora  che  quasi  tntto  lo  sforzo  armato 
di  Oudinot  combatteva  a  villa  Pamfili  e  al  casino  dei  Otuii- 
tro  Venti.  Nello  spazio  di  poche  ore  queste  posture  furono 
quattro  volte  perdute,  altrettante  volte  racquistate;  da 
prima  caddero  per  sorpresa,  di  poi  per  la  moltitudine  dei 
soldati  con  cui  il  nimico  le  aveva  assaltate,  moltitudine 
che  superava  d'assai  le  forze  di  quelli  che  le  presidia- 
vano  :  onde  puossi  a  buon  diritto  afifermare,  che  dagli  Ita- 
liani  si  prendessero  per  virtù,  dai  Francesi  per  numéro 
d*armi.  Questi  pure  strenuamente  comportaronsi  uella  pu- 
gna,  non  perô  da  par^giare  gli  Italiani,  i  quaU  compirono 
prodigi  di  yalore  si  straordinario,  che  avrebbero  mosao 
ammirazione  e  stupore  in  una  soldaiesca  per  lunga  e  forte 
disciplina  esercitata  in  belliche  imprese,  ed  era  al  contrario 
una  giovanissima  milizia;  pareva  in  quel  giorno  che  gli 
Italiani,  nulla  di  loro  stessi  curanti,  pensassero  soltanto  a 
dar  morte  o  a  morire  (1).  Gorsi  pieni  d*entusiasmo  a  of- 
frire  la  vita  per  la  libertà  délia  patria,  spirando  alzayano 


(1)  H  3  giagno  cadeva  morta  snl  campo  o  mortftlmente  forita  ima  schiera 
elettlBdma  d'uffidali  e  di  doldati  italiani  ;  tra  i  qnali  licorda  la  Storia  nelle 
sue  pagine,  che  non  periscono  mai,  Masina,  il  Murât  italiano^  Hellaia, 
PoUini,  Peralta,  Enrico  Dandolo,  Dayerio,  Sivori,  Ramorino,  Canepa, 
Scaroni,  Folgari,  Rasori,  Borelli  e  Mameli,  il  Tirteo  italiano,  Troppo 
longo  assai  sarebbe  numerare  tntti  i  yalorosi  yennti  a  morte  in  qnella 
memoranda  giomata;  corne  pure  troppo  longo  sazebbe  descriyere  i  fiitd 
compinti  dagli  eroi  che  la  comhatterono;  impossibile  poi  dire  tntte  le 
angosde  da  Borna  soflferte  in  quel  di  per  si  grayi  peidite!  le  qnali  fo- 
rono  accrescinte  dimolto  dalla  poca  pietà  dei  soldati  di  Francia  rerso 
i  prigionierî  feriti.  Narra  il  Baroni  che  u  dei  soldati  délia  legione  ita- 
liana  grayemente  feriti  la  più  parte  morlrono  per  lo  innmano  tratta- 
mento  riceynto  dai  Francesi  nel  trasportarli  a  Civitayecchia  »(*).— 
È  forza  dirlo:  la  cansa  inginsta,  a  sostenere  la  qnale  Lnigi  Napoleone 
e  i  snoi  Ministri  ebbero  allora  impngnate  le  armi  per  gneneggiare 
Borna,  ayeya  reso  i  soldati  di  Francia  yeramente  innmani,  da  incmde- 
lire  persino  coi  prigionieri! 

(*)  /  Lomhcardi  ndU  guerre  iiaiiane. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  433 

m  grido,  non  di  dolore,  ma  di  amore  airitalia!  quai  grido 
Dai  potevano,  morendo,  alzare  i  Fraiicesi  venuti  al  bel 
Paese  per  nccidere  gente,  che  non  ayeTali  offesi  ?  a  op- 
Drimere  nna  repubblica  e  restaurare  una  potestà  assoluta 
ii  re,  essi  figli  d*una  repubblica  e  di  una  nazione,  che  da 
é  appellossi  grande  f  —  Oltremodo  funesto  a  Roma  fu  il 
^  giagno!  Pn6  dirsi  da  quel  di  cominciata  la  rovina  délia 
!ittà  e  contati  i  suoi  giomi  !  Se  i  Romani  avessero  potuto 
(nantenersi  in  possesso  della  villa  Pamâli  e  del  Casino  dei 
Qmttro  VefMj  e  rotti  e  ributtati  gli  assalitori,  la  repub- 
blica sarebbesi  sostenuta  lungo  tempo  ancora,  forse  assi- 
curata  la  sua  sorte;  avTegnachè  una  nuova  sconQtta  del 
(limico  ayrebbe  suscitato  in  Francia  Todio  e  Tira  contra 
Oudinot^  violatore  di  tregue  e  della  fede  data,  e  mossa  TAs- 
semblea  a  romore  contra  i  supremi  reggitori,  per  costrin- 
gerli  a  porsi  su  la  via  dell'onore,  dalla  quale  eransi  allon- 
tanati  per  servire  agli  interessi  di  un  ambizioso. 

Âl  calare  délie  ténèbre  ogui  strepito  d'armi  cessô.  La 
notte  fu  trîstissima  in  Roma  ;  le  vie  illuminate  —  e  furonlo 
tarante  tutto  il  tempo  deU'assedio  —  erano  percorse  dai 
clttadini  silenziosi,  sul  cui  volto  leggevansi  il  dolore  più 
cupo  6  la  mestizia  più  profonda;  piangevano  i  loro  morti 
iQa  ancora  più  la  rovina  della  patria,  che  prevedevano  non 
lontana!  Ma,  quasi  che  della  sainte  di  essa  non  disperas- 
sero,  COQ  novello  ardore  apparecchiavansi  a  nuovi  cimenti 
i  suoi  difensori,  i  quali,  con  tanta  gloria  e  grandezza,  ave- 
vano  il  giorno  innanzi  sostenuto  Vonore  di  Roma,  Vonore 
iltaliay  e  cornbattuto  per  dire  quattordici  ore  corne  vec- 
<^hi soldait;  che  sebbene  côltt  aWimpensala  dai  tradimento 
e  da  una  violazione  di  proTnessa  formale  e  soUoscritta, 
(nceano  conteso  palmo  a  palme  il  terreno  e  respinte  le 
Mizieptù  valorose  dCEuropa  (1).  —  Nella  persuasione  che 


G)  Parole  dei  Txiumvîii  all'esercito.  —  Balleydier,  a  carte  156  de 
seconde  yolnme  della  citata  sua  opéra,  scusa  cosi  la  tradigione  del  ge- 

28  —  Toi.  II.  Mabtaiîi  —  Storia  poh  e  mtl. 


Digitized  by  VjOOQIC 


434  GAPITOLO   VIII 


i  vincitori  senza  por  tempo  in  mezzo  verrebbero  a  nuoro 
assalto  sdlo  intento'  di  approflttarsl  dello  abbatUmento  ioj 
cui  credevano  di  trovare  il  presidio  di  Roma,  Garibaldil 
intese  subito  a  riordinare  le  difese;  le  quali,  faor  della  cittaj 
e  dalla  parte  del  campo  nimico,  erano  poche  ;  avvegnachè| 
i  Romani  vi  tenessero  soltanto  alcune  casuccie  di  lieve  im- 
portanza  e  il  Vascello,  ohe  dicemmo  occupato  dalla  legione 
Medici.  Ma  i  Francesi  non  uscirono  dai  loro  campi,  fnor- 
chë  nella  notte  del  4  al  5  giugno  per  aprire  la  prima  p&- 
rallela,  che  condussero  a  trecento  metri  dalFangolo  s»- 
gliente  piu  avanzato  della  cinta  di  mura,  cbe  dalla  porta 
San  Pancrazio  va  a  porta  Portese,  appoggiandone  la  sinl- 
stra  alla  chiesa  di  San  Pancrazio,  poco  addietro  della  Tîllâ 
Corsini  e  la  destra  aile  alture  del  vicino  Tevere,  Aile  estre- 
mità  della  parallela  costrussero  due  batterie  di  cannoni  e 
d'obici  per  contrabattere  le  artiglierie  dei  bastioni  e  dei 
Testaccio,  monte  che  si  éleva  su  la  sinistra  del  fiume  e  da- 
vanti  a  porta  Ostiense.  Il  mattino  del  5  giugno  ebbe  co- 
minciamento  quella  lotta,  la  quale  dovette  farsi  ogni  giorno 
piii  aspra  e  sanguinosa  e  durare  incessante  sino  al  cadere 
di  Roma;  ai  Francesi,  che  senza  posa  fulminarono  la  città 


nerale  Ondinot:  u  II  rimprovero  dato  al  comandante  sapiemo  d'arere 
assaltata  la  città  prima  che  spirasse  il  termine  convennto  per  le  ire^e. 
è  privo  di  fbndamento.  H  générale  cominciô  il  sac  movimento  verso  h 
villa  Pamfili,  se  non  dopo  avMme  awertiti  i  posti  avanzati  d^  Bosiani; 
egli  non  fece  traire  contra  Borna  f^rcliô  nel  giorno  di  maitedi  H  S 
giugno  Ondinot  non  rispose  nemmeno  con  nn  solo  colpo  di  cannoneal 
faoco  délie  artiglierie  nimiche,  che  dalle  mnra  traevano  a  scaglia.  ^ 
Le  parole  di  Balleydier  confermano  e  non  iscnsano  la  violasione  delle 
tregne  di  Ondinot;  il  qnale,  scrivendo  al  capo  supremo  dell^eseroito  rk 
mano,  avevalo  aasienrato  che  diferirMe  le  offest  ttno  a  luneâl  mtMm 
—  il  4  gingno  —  per  lo  meno.  Egli,  che  aveva  fissato  il  termine  délie 
tregne,  assaltava,  prima  dello  spirare  di  eese,  le  difése  nimiche!  e  di 
qnesto  sno  vitnperevole  operato  cercô  ginstificarei  dicendo  d'aveie  ar- 
vertito  del  rao  assalire  i  posti  avanzati  dei  Romani;  non  a  qnesti,  nu 
al  générale  Bosselli  era  débite  sno  di  volgeni 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  435 

con  le  artiglierie^  risposero  i  Romani  uscendo  alla  cam- 
pagna  per  rovinare  i  lavori  d'assedio  e  molestarne  i  di- 
fensori.  —  Fatta  deliberazione  Ai  riprendere  villa  PamÛli, 
Rosselli  disegnô  per  la  notte  del  10  una  incamiciata  d*otto 
mlla  uomîni  allô  incirca  (IX  tra  cul  le  genti  del  eolon- 
nello  Masi  arrivato  due  giorni  iunanzi.  Garibaldi,  che  do- 
veva  governare  Timpresa,  ordinato  ai  soldati  dl  sopram- 
mettere  la  camicia  aile  vesti  a  fine  di  riconoscersi  nella 
oscurità  délia  notte,  aile  ore  dieci  per  porta  Gavalleggieri 
usciva  di  Roma.  La  spedizione  in  buon  ordine  e  silenziosa 
camminava  per  la  notte   tacita    all'obbietto  suo  promet- 
titrice  d'esito  felice,  allora  che  l'avanguardia  —  composta 
délia  legione  polacca,  circa  dugento  uomini  —  per  uno 
strepito  improvriso,  come  di  pugna  manesca  e  lo  scari- 
carsi  délie  armi,  volgevasi  alla  fuga.  n  brutto  accidente 
avveniva  cosî.  Stavano  i  Polacchi  in  prossimità  del  vallo 
nimicoy  quando  udivano  vicino  ad  essi  un  tempestare  di 
sassi  ;  onde  credendosi  côlti  dai  Francesi,  rotti  gli  ordini, 
indietreggiarono;  erano  al  contrario  le  genti  di  Sacchi 
sboccanti  da  nn  canneto  per  portarsi  contra  San  Pancrazio. 
Un  altro  malaugurato  accidente  aggiunse  confusione  a  con- 
fusione,  e  fa  questo.  Alcuni  soldati,  allô  intente  di  assieu- 
rarsi  che  insidia  verona  si  nascondesse  entre  una  casa, 
presse  la  quale  passayano  e  che  pareva  déserta,  appog- 
giata  a  una  finestra  unascala  salivan  sopra.  Il  rompersi  di 
un  piuolo  Cacera  cadere  a  terra  i  soldati  e  in  loro  caduta 
scaricare  due  schioppL  Lo  strepito  dei  Aiggenti  e  il  romore 
délie  armi  nel  dare  lo  alFarme  ai  campi   nimici  resero 
impossibile  la  sorpresa  bene  disegnata:  onde  Garibaldi, 
toltosi  giù  dall'impresa,  rientrava  con  sue  genti  in  Roma. 
Di  questi  giorni,  e  precisamente  il  7  giugno,   erano 
giunti  al  Quartiere  générale  di  Oudinot  i  colonnelli  Bue- 


(1)  Dicesi  che  taie  stratagemma  di  guerra  sia  stato  inrentato  dal 
capitano  Alfonso  Dayalos,  marchese  di  Pescara,  nel  1534. 


Digitized  by  VjOOQIC 


436  CAPITOLO  YUI 


naga  e  D'Agostino  a  offrirgli  i  soccorsi  dl  Spagna  e  dî 
Napoli;  e  il  générale  francese  accettava  dal  Borbone  al- 
quante  artiglierie  d*assedio,  ma  rifiatava  glî  aiuti  di  sol- 
dat!, dei  quali  affermaya  averne  di  troppo  (1).  «  Aspetta 
alla  Francia,  figlia  primogenita  délia  Chiesa,  diceva  egli 
ai  messi  di  Spagna  e  Napoli,  la  iniziativa  délia  restaura- 
zione  in  Roma  délia  sovranità  temporale  del  Papa,  intima- 
mente  legata  all'autorità  spirituale.  »  Dopo  ayer  parlato  di 
quanto  aveya  fatto  per  lo  acquisto  délia  città  eterna,  s<^ 
giugneva:  «  Ebbene!  allora  che  una  grande  nazioae,  corne 
la  Francia,  ha  già  compiuto  tali  cose,  e  fatti  sacrifizi  e 
sopportate  spese  si  enormi,  quando  ha  soflTerto  una  offesa, 
le  abbisogna  una  riparazione  splendida;  e  deve  ottenerla  da 
sola  e  senza  soccorso  straniero.Nelle  presenti  circostanzela 
Francia  non  puô  permettere  che  altre  nazioni  vengano  a 
toglierle  quella  gloria  che  tutta  esclusivamente  le  appar- 
tiene,  e  che  non  le  puô  sfuggire  di  mano.  »  In  verita  assai 
strano  linguaggio  questo  di  Oudinot,  che  parlava  di  ripa^ 
razione  di  offesa  patita!  In   che  mai  i  Romani  ayeyano 
offeso  la  Francia?  forse  nel  non  aocogliere  entre  la  loro 
città  Tarmi  mandate  per  opprimere  la  repubblica?  o  forse 
nello  sbaragliarle  nella  giornata  del  30  aprile?  Francia 
aveva  invaso  il  territorio  di  Roma;  erasi  împadronita  di 
Givitavecchia  con  l'inganno;  e  poco  di  poi  tentata  la  città 
con  un  assalto;  e  perché  i  suoi  soldati  venivano  ributtati, 
gridavasi  allora  offesa  e  chiedeva  riparazione?   Oudinot 
non  accettava  gli  aiuti  di  Spagna  e  Napoli,  perché  la  patria 
sua  avesse  ad  acquistare  tutta  la  gloria  deirimpresa!  — 
Francia  avrebbe  bene  provveduto  al  proprio  onore,  se,  non 
a  combattere  qi^el  picciolo  Stato  —  che  poche  armi  e  maie 
ordinate  possedeva  —  lo  avesse  difeso  dagli  assalti  di 


(1)  u  lo  amo  rendeie  al  mio  Gk)venio  questa  giustîzia,  ch'egli  mi 
inyiè  forze  armate  superiori  a  quelle  che  mi  sono  rigorosamente  indî- 
spensabilL  » 

Parole  di  Oadinot  agli  inviati  di  Napoli  e  Spagna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  437 

Napoli,  d'Austria  e  di  Spagna,  che  stringevanio  in  una 
cerchia  di  fuoco  e  di  ferro.  Inframmettendosi  in  contesa 
non  sua  —  perô  che  la  quistione  romana  non  toccasse  la 
religione,  ma  solamente  il  potere  temporale  pontiflcio,  che 
non  è  istituzione  di  Oristo,  ma  degli  nomini  —  e  spegnendo 
la  libertà  di  Roma,  Francia  acquistava  yitaperio  e  non 
gloria- 

Come  sempre  avviene  neî  grandi  rivolgimenti  politici, 
le  passioni  umane,  se  non  sono  fortemente  e  saviamente 
conteante,  prorompono  con  Timpeto  lopo  naturale  :  cosi  fu 
in  Roma.  Il  parroco  délia  Minerva,  che,  devotissimo  alla 
Oorte  papale,  instancabile  maneggiavasi  a  far  proseliti  per 
essa  e  a  danno  délia  repubblica,  condotto  con  la  violenza 
nei  sotterranei  di  san  Galisto  veniavi  barbaramente  ucciso 
da  quel  tristi,  i  quali  approQttano  délie  popolari  commo- 
zioni  per  compiere  le  piii  turpi  vendette  e  le  scellerag- 
gini  piii  sanguinose.  Altri  sacerdoti,  in  fama  di  nimici  alla 
repubblica,  seguivano  poco  di  poi  quel  parroco  infelice,  il 
quale  non  avrebbe  certamente  perduta  allora  la  vita,  se, 
come  amava  i  poTerelli,  avesse  pure  amata  la  patria.  La 
stampa  francese,  avrorsa  a  Roma,  disse  complice  di  quel 
delitti  il  Governo;  essa  non  affermé  il  vero,  anzi  vergo- 
gnosamente  menti,  sapendo  proprio  di  mentire,  avvegnachè 
le  fosse  noto,  che  i  Triumviri  aveyano  siibito  posto  fine  a 
tali  yiolenze  e  messo  faora  un  bando,  col  quale,  nello  in- 
vitare  il  popolo  a  mantenere  illesa  e  pura  dCogni  benchè 
menoma  macchia  la  bandiera  repubhlicana,  Vebhe  altresi 
avvertito  che  al  Oovemo  soltanto  spettava  il  diritto  di 
punire.  —  Nel  mattino  del  12  giugno  il  colonnello  Amedei 
degli  ingegneri  militari,  a  finirla  con  gli  assediatori,  i  quali 
senza  posa  molestavanlo  nei  lavori  di  contrapproccio  ch'egli 
atava  costruendo  dinnanzi  alla  villa  Gorsini,  mandava  una 
buona  presa  d'armati  contra  il  vallo,  dal  quale  uscivano 
i  nimici  per  guastare  i  suoi  lavori.  Al  gagliardo  assalto 
dei  Romani  teneva  subito  dietro  rabbiosa  pugnamanesca; 


Digitized  by  VjOOQIC 


438  CAPITOLO  VIII 


le  guardie  del  vallo  cedevano  da  prima  del  campe,  che 
riprendevano  di  poi  aU'arrivare  di  grossi  battaglioni  di 
soccorso;  gli  assalitori,  soprafGsttti  dal  numéro,  lasciato  il 
vallo  tornavano  ai  loro  lavori  senza  patir  molestie  dai 
Francesi.  In  sul  cadere  di  quel  giorno  giugneTano  ai 
Triumviri,  al  comandante  supremo  deiresercito  e  a  quello 
délie  Ouardie  nazionali,  lettore  dal  générale  Oudinot;di 
esse,  uno  solo  11  concetto;  eguali  i  sensi;  suonavano  uns 
superba  intlmazione  di  posare  le  armi  e  di  arrendersi,  da 
quel  generosi  respinta  con  disprezzo.  =  Gli  eventi  délia 
guerra,  cosi  il  générale  francese,  aver  portato  sinpresso 
le  porte  di  Roma  le  armi  vincitrici  di  Francia  ;  qualora 
la  città  perdurasse  nelle  resistenze^  essere  egli  per  usare 
tutte  stiùe  forze^  allô  intento  di  costringerla  alla  dedizione. 
Prima  di  venire  a  tanta  e  si  terribile  nécessita  fx>lçer^ 
ancora  una  volta  al  popolo,  il  quale  non  pua  nutrire 
sentim^ntt  osttli  alla  Francia.  Sperare  che  Vesercito  vorrà, 
al  pari  di  lui,  risparmiare  sançuinose  rovine  alla  me- 
tropoli  del  m^ndo  cristiano.  =  Oudinot  chiudeva  quindi 
il  suo  dire  minacciando  d'assaltare  la  città  con  tutto  lo 
sforzo  suo  armato,  se  dodici  ore  dopo  la  consegna  délia 
sua  lettera  non  gli  pervenisse  riposta,  giusta  gli  inten- 
dimenti  e  Vonore  délia  Francia.  —  Agli  abitanti  poi  di 
Roma  cosi  parlava:  =  Non  essere  venuto  a  portar  Iopj 
la  guerra,  ma  ad  appoggiare  ira  essi  Vordine  con  la 
liberté.  Awidnarsi  Vulttmo  momento  in  cui  le  nécessita 
délia  guerra  scoppieranno  in  tremende  nécessita;  essere 
in  lor  mano  salvare  Roma  dai  disastri,  che  un  più 
osttnato  resistere  indiMtabilmente  le  arrecherà.  =  In  vero 
il  popolo  romano  non  era  nimico  ai  Francesi,  sibbene  ai 
supremi  loro  reggitori;  i  quali  avevano  da  prima  adope- 
rato  Vinganno  e  allora  usavano  la  violenza  per  togliere 
libertà  e  indipendenza  alla  patria  e  rimetterla  sotto  la 
potestà  assoluta  del  Papi.  In  quella  lettera  circolare  Oudinot 
mostravasi  dolente  di  dover  portare  rovine  alla  metropoli 
del  monde  cristiano;  dicendo  ciô  egli  non  afiermara  la 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  439 

verità,  ayvegaaclxè  avesse  già  guaatato  e  dimolto  alcune 
opère  insigni  deirarte  italiana  col  vandalico  fulminare 
délie  sue  artiglierie;  le  quali  avrebbe  dovuto  rivolgere  sol- 
tanto  contra  le  mura,  che  impedivangli  l'entrata  nella 
citt&  e  contra  la  parte  faziosa  che  le  difendeva  strenua- 
mente;  la  quaUj  corne  egli  stesso  ebbe  scritto  in  un  ma- 
nifesto  all'esercito,  strania  a  Roma^  vi  si  era  armata 
aironibra  délia  lîbertà.  <  Noi  non  troveremo  nimiche  ne 
le  popolazioni,  ne  la  milizia  romana;  quelle  e  questa  ci 
coasiderano  corne  liberatori.  Noi  avremo  a  combattere 
de'  rifugiati  d'ogni  nazione»  che  opprimono  il  paese,  dopo 
averlo  avrenturato  nella  loro  la  causa  délia  liberté  »  (1). 
Qaante  contraddizioni  ueiroperato  di  Oudinot;  il  quale, 
mentre  asseverava  non  essere  il  popolo  romane  nimico 
alla  Francia»  percuoteva  co*  suoi  cannoni  lui  e  i  monu- 
menti  della  sua  città!  —  L*Assemblea,  raccoltasi  nella 
notte  a  consulta,  rispondeva  al  générale  in  questi  termini  : 
=  La  conyenzione,  formata  il  31  maggio  col  signore 
Lesseps,  essere  obbligatoria  par  le  due  parti  e  posta  sotto 
la  salvaguardia  del  diritto  délie  genti  sino  a  che  il  Go- 
yemo  di  Francia  Tabbia  ratificata  o  respinta;  perciô  do- 
yersi  ritenere  corne  una  violazione  di  essa  le  ostilità,  che 
da  quel  giorno  Oudinot  aveya  ripreso  ed  eziandio  quelle 
che  fosse  per  rinnovare  prima  dello  spirare  délie  tregue 
patteggiate  e  del  notiâcarsi  di  quanto  stavasi  allora  deli- 
berando  dai  Ministri  francesi.  Agli  intendimenti  e  aU'onore 
deUa  Francia  bene  rispondere  il  subito  cessare  della  vio- 
lazione del  diritto  délie  genti.  Dei  tristi  effetti  di  taie  vio- 
lazione non  potersi  chiamare  mallevadore  il  popolo;  il 
quale,  forte  de'  suoi  diritti,  ha  lisoluto  di  mantenere  la 
convenzione  che  lo  legano  a  Francia,  ma  nel  medesimo 
tempo  di  respingere  per  sua  difesa  ogni  ingiusta  aggres- 


(1)  Maaifesto  di  Oudinot  aU'esereito,  pnbblicato  in  Ciyitaveocliia  il 
27  apiile  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


440  CApiïOLO  VIII 


sione.  =  Non  meiio  fieramente  rispondevano  i  comandanti 
supremi  délie  forze  armate:  =  La  convenzione,  dicevano 
essi,  guarantire  la  città  da  ogui  disastro;  le  guardie  nazio- 
nali  —  cui  soprattutto  staiino  a  cuore  la  dignità  propria  e 
l'onore  di  Roma  —  secondare  le  risoluzionl  deirAssemblea; 
ogni  infortunio  alla  città  monumentale  doversi  attribuiiv 
agli  aggressori,  non  ai  cittadlni  costretti  a  difenderla.  Una 
fatalità  dolorosa  spingere  a  guerreggiarsi  i  soldati  di  dae 
nazioni  repubblicane,  che  dorrebbero  al  contrario  com- 
battere,  insieme  uniti,  i  comuni  nimici;  ayvegnachè  i 
nimici  deU'una  sieno  pur  quelli  delfaltra.  Essore  pronti 
a  difendere  le  loro  libère  istituzioni  ;  prima  la  morte,  che 
vodere  le  interminabili  oppression!  e  miserie  délia  patria. 
=  Ributtata  Tintimazione  di  resa,  Oudinot  spingera  col 
massimo  ardore  i  lavori  d'approccio.  Condotta  nella  notie 
del  14  giugno  la  terza  parallela  con  gabbioni  fascinatî  v 
costruite  subito  dopo  altre  batterie,  prendeva  a  trarre 
ancor  piii  furiosamente  che  mai  contra  la  città»  gaastando 
l'antico  tempio  délia  Fortuna  Virile^  gli  edifici  di  Miche- 
langiolo  e  Bramante,  e  alcune  dipinture  del  Dominichino, 
di  Guido  Reni  e  del  Pinturicchio.  Il  quai  modo  vitupere- 
vole  di  guerreggiare  del  générale  francese,  proprio  degno 
di  gente  barbara,  non  di  nazione  incivilita  e  che  i  tempi 
non  pi  il  consentivano,  induceva  poco  di  poi  il  Senatore  di 
Roma^  Sturbinetti,  a  volgersi  ai  rappresentanti  degli  Stati 
stranieri  amici,  pregandoli  dei  loro  buoni  offlci  presse 
Oudinot,  per  salvare  da  rovina  le  sublimi  creazioni  de\ 
genio  italiano  ed  eziandio  a  far  che  quella  guerra,  dai 
Romani  non  provocata,  non  avesse  a  prorompere  in  quegli 
eccessi  ripugnanti  aile  condizioni  délie  nazioni  civili  di 
Ëuropa.  Tutti  i  Gonsoli,  allora  in  Roma,  unanimi  protestarono 
vivamente  contra  il  barbare  operare  di  Oudinot,  che  metteva 
in  pericolo,  non  solamente  le  vite  degli  abitanti  neutrali 
e  paciâci,  ma  ancora  quella  dei  fanciuUi  inoffensivi  e 
délie  donne.  <  Noi  ci  permettiamo,  scriveyano  essi,  signor 
générale,  di  farvi  conoscere,  che  la  bombardata  di  già 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA    ^  441 

uccise  molti  innocent!  e  distrusse  non  poclii  capolavori  di 
belle  arti,  chc  non  potranno  essere  surrogati  mai.  Noi 
confidiamo  in  voi,  che  in  nome  délia  umanità  e  délie 
nazioni  civili  voi  cesserete  d'una  bombardata  ulteriore, 
per  salvare  dalla  distrozione  la  città  dei  grandi  monu- 
raentty  considerata  sotto  la  protezione  morale  di  tutti  i 
paesi  inciviliti  del  mondo  »  (1).  Oudinot,  che  avéra  il 
cuore  chiuso  a  ogni  sentimento  d^umanità  —  nel  cui 
nome  i  Gonsoli  aveyano  parlato  —  e  che  il  bello  non 
poteva  commuovere,  senza  darsi  pensiero  veruno  continuô 
uella  yandalica  opéra  di  distruzione!  Il  suo  Governoave- 
vagli  comandato  di  muovere  contra  Roma  con  tutto  lo 
sforzo  armato  e  d'impadronirsene  a  ogni  costo;  ma  dai 
Ministri  di  Francia  non  gli  sarà  stata  certamente  imposta 
la  rovina  dei  monumenti,  che  nessuno  mai  potrebbe  rifare. 
Noi  sappiamo  per  esperienza,  nelle  città  assediate  spargersi 
soreate  sangue  innocente,  avVegnachè  non  sia  possiblle 
sempre  ben  governare  il  traire  délie  artiglierie;  ma  il 
générale  francese  fulminô  Roma  airimpazzata  ;  ne  diremo 
troppo  di  lui,  afiermando  non  avesse  allora  intero  il  suo 
«etwo  morale. 

Mentre  cosi  camminavano  le  faccende  deirassedio,  fatti 
di  grare  momento  compivansi  in  Parigl.  I  Ministri  del 
Buonaparte,  dopo  avère  respinta  la  convenzione  di  Les- 
seps  con  TAssemblea  CosUttcente  romana  —  che  già  di- 
cemmo  formata  dall'oratore  francese  in  virtii  délie  istru- 
zioûi  ricevute  da  quelli  —  mandavano  al  générale  Oudinot 
ua  altro  Gommessario,  il  Corcelles,  il  quale  in  appa- 
renza  aveva  missione  di  tentare  nuovi  accordi  con  Roma, 
in  Terità  poi  di   soUecitare   Timpresa,  che  sommamente 


(1)  Taie  protesta  era  sottoscritta  dai  rappresentanti  d'Inghilterra, 
di  Prossia,  dei  Paesi  Bassi,  di  Danîmarca,  di  Svizzera,  del  Wurtemberg, 
Ma  repubblica  di  San  Salratore,  degli  Stati  Uniti  d' America  e  di 
Sardegna;  la  protesta  porta  va  la  data  24  çiugno  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


442  CAPITOLO   VIII 


importava  condurre  a  fine,  inaaazi  che  la  parte  libérale, 
già  romoreggiante,  avesse  a  levarsi  contra  il  GoTemo  délia 
repubblica  e  chi  lo  presiedeva,  i  quali  aTevano  mosso  le 
armi  a  danno  délia  romaaa  repubblica  e  minacciaFano  op- 
primere  le  libertà  délia  Francia.  La  soUevazioae  scoppiô; 
ril,  il  12  e  il  13  giugno  Parigi  fu  piena  di  tumnlti  e  di 
sangue  !  L'Assemblea  legislativa  levatasi  a  riprendere,  se- 
veramente  ma  con  giustizia,  i  Ministri  e  gli  atti  di  loro 
sleale  politica,  soccombette  nella  lotta,  e  con  essa  anche 
la  parte  libérale:  ogni  speranza  di  sainte  per  Roma  andi 
allora  perdnta.  —  Nella  notte  del  12  al  13  Gernuschi  por- 
tavasi  al  campe  nimico  chiamato  da  Oudinot»  il  quale  pro- 
ponevagli,  che  i  guerreggianti  avessero  a  ventre  a  gior- 
nata,  ma  per  combattere  una  fînta  e  non  una  verapugna; 
salvato  in  tal  modo  Vonore  di  site  armi,  Roma  aprirebhe 
le  porte  alVesercito  assediatore.  A  proposta,  che  in  veriià 
dir  non  saprebbesi  se  piu  vile  o  piii  infâme,  perô  che  nei 
giuoclii  di  Marte  la  posta  sia  sempre  di  vite  omane,  ri- 
spondeva  con  nobile  flerezza  il  deputato  alla  CosHtuente: 
«  Roma  non  flngere  mai:  sebbene  sappia  di  dover  presto 
soccombere,  nondimeno  farà  quanto  Tonor  sue  e  gli  oh- 
blighi  suoi  le  impongono  d'operare,  difendersi  cioè  slno 
allô  estremo.  >  Corcelles,  il.  quale  partito  il  6  giugno  di 
Parigi  era  arrivato  allora  allora  agli  alloggiamenti  di  Oo- 
dinot,  per  lettera  al  cancelliere  deU'ambasceria  di  Francia 
faceva  conoscere  gli  intendimenti  del  suo  Qoverno  su  la 
quistione  romana  (1).  Dopo  aver  parlato  délia  convenzione 
sottoscrltta  da  Lesseps  e  dai  Triumviri,  affermavaâ  in 
quella  lettera  dal  Commessario  francese:  =  Roma  ingan- 
narsi  se,  sotto  il  pretesto  di  attendere  la  ratificazione  del- 
Toperato  di  Lesseps,  si  ostinasse  nelle  resisteiuse  tante 
contrarie  alla  libertà  propria  e  agli   interessi   che    UAs- 


(1)  La  lettera  di  Corcelles,  scritta  alla  villa  Santncd,  Btanxa  del 
générale  Oudinot,  portava  la  data  del  Id*  giugno  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


KOMA  443 

semblea  credeva  dlfendere.  «  Uno  solo  essere  lo  scopo  che 
Francia  mira  di  raggiungere  in  questa  guerra  veramente 
dolorosa,  cosi  concMudeva  Corcelles;  iatendo  pârlare 
délia  IJbertà  del  Poateâce,  quella  degli  Stati  romani  e  la 
pace  del  mondo.  >  —  Egli  sarebbe  stato  nel  vero  dicendo, 
che  intenta  unico  del  suo  Oofoerno  era  la  restaurazione 
delpotere  temporale  dei  Papi;  amegnachè  Pio  IX  fosse 
liberissimo  di  tomare  a  Roma  a  esercitarvi  in  tutta  sua 
pienezza  Vautorità  spirituale,  la  sola  venutagli  dal  fon- 
datore  délia  religions^  oui  egli  stava  a  capo,  ed  eziandio 
la  SOLA  autorità,  che  nei  primi  secoli  del  Cristianesimo 
gli  antecessori  moi  avevano  tenuto  con  tanto  onorepro- 
pria  e  tante  splendore  per  la  Chiesa.  Asseriva  in  oltre 
Corcelles,  clie  la  Francia  voleva  la  lihertà  di  Roma; 
ma  non  aveya  forse  essa  mandato  sue  armi  a  spegnere  la 
romana  repubblica,  dal  popolo  gridata  con  libero  suflfra- 
gio?  Francia  voleva  altresî  assicurare  la  pace  universale; 
ma  erasi  torse  VEuropa  commossa  quando  la  città  eterna^ 
lasciata  a  se  stessa  da  quel  Ponteflce  che  nessuno  aveva 
minacciato  ne  oflfeso  mai,  erasi  data  un  reggimento  re- 
pubblicano  ?  —  Il  15  giugno  alla  lettera  di  Corcelles  no- 
tiQcata  alla  Costituente  dal  cancelliere  deirambasceria 
îrancese  rispondeva  Giuseppe  Mazzini;  il  quale,  nel  difen- 
dere  l'operato  di  Lesseps,  metteva  in  piena  luce  la  mala 
fede,  gli  inganni  e  le  tradigioni  di  Oudinot  e  dei  Ministri 
âel  Buonaparte  negli  intenti  e  nel  governo  délia  spedi- 
zione  di  Roma  (1).  Il  19  giugno  gli  assediatori  prendevano 


(1)  È  pregio  dell'opera  portar  qui  in  tatta  sua  interezza  la  lettera 
sopn  citata  di  Giuseppe  Mazzini,  nella  qnale  il  fiero  Trinmviro  rivela 
le  slealtA  e  î  tradimenti  del  générale  Ondinot. 

<<  SiGNo&E.  La  lettera  che  il  signer  di  Coroelles  vi  scrive  in  data 
del  13  e  che  vol  avete  volnto  comnnicarmi  non  ci  spetta  m  nesanna 
parte;  Toi  dovete  averlo  vednto  a  prima  ginnta  il  senso  dell'Assemblea 
Costituente  romana.  Poco  importa  la  data  di  taie  o  tal  dispaccio  f rau- 
cese,  poco  importa  che  il  signor  De  Lesseps  fosse  o  non  fosse  revocato, 


Digitized  by  VjOOQIC 


444  CAPITOLO   VIII  ' 

a  battere  furiosameiite  e  con  artiglierie  poderose  i  ba- 
stioni  più  avanzati  rerso  il  loro  eampo;  il  fuoco  sospeso 
durante  la  notto,  ricomlnciava  allô  albeggiare  del  nuovo 
giorao  e  continuava  poscia  incessante;  nelle  ore  pomeri- 
diane  del  21  quel  bastioni  croUavano  aile  fulminate  palle. 
le  quali  in  brève  ora  eziandio  spianavano  le  aperture  fatte 


qnando  egli  apponeya  il  buo  nome  alla  convenzione  del  31  maggio.  Yi 
ô  una  parola  che  a  tntto  risponde.  L'Assemblea  non  ha  saputo  niante  : 
ella  non  ha  gianunai  avuto  comonicazione  officiale  di  qaesti  dispaccL 
La  qnistione  officiale  viene  cosi  da  noi  stabilita.  Il  signor  Leasepsera 
Hinistro  plenipotenziario  di  Francia  in  missione  a  Borna.  £g^  era  taie 
per  noi  il  31  maggio  corne  per  lo  avanti.  Nulla  ci  era  penrennto  ad  ar- 
▼ertirci  il  contrario.  Noi  trattavamo  dnnqne  in  plena  buona  fede  con  Ici, 
come  se  noi  trattassimo  cou  la  Francia.  E  questa  bnona  fede  ci  é  ct- 
atata  la  occupazione  di  Monte  Mario  nella  notte  del  28  al  29  maggio. 
Impegnati  in  una  discussione  interamente  pacifica  col  signor  Lessep?. 
avendo  a  cnore  d'evitare  tntto  ciô  che  avrobbe  potnto  precipitare  gli 
animi  in  nna  soluzione  contraria  ai  nostri  voti,  e  non  potendo  noi  de- 
ciderci  a  credere  che  la  Francia  vedesse  iniziare  la  sua  misaione  pivr 
tettrice  con  Tassedio  di  Borna,  noi  sostammo.  A  ciascun  movimento  di 
soldatesche,  a  ciascnna  operazione  più  minuta,  tendente  a  restringere 
il  circuito  militare  e  ad  avricinarsi  pasdo  pasao  a  posizioni  che  noi 
avremmo  molto  bene  potnto  difendere,  il  signore  Lesseps  ci  diceva,  cbo 
non  si  trattava  per  parte  dei  Francesi,  fuorchô  dare  soddÎBfazione  al 
fiero  eccitamento  délie  milizie  stancate  dalla  loro  immobilità.  Ci  suppli- 
caya  in  nome  délie  due  nazioni  e  dell'umanità  d'eyitare  ogni  incontro 
ostile,  di  porre  ogni  fiducia  in  lui  e  di  niente  temere  per  le  conseguense. 
Noi  cedeyamo  di  buon  grado.  lo  ne  sento  rammarico  oggi  per  mia  parte. 
Ne  ho  rammarico,  non  perché  tema  per  Borna,  poichô  vi  sono  dei  petti 
di  prodi  che  difendono  ciô  che  délie  buone  posizieni  ayrebbero  potnto 
difenderci.  n  81  maggio  aile  ore  otto  délia  sera  la  convenzione  fia  il 
signore  Lesseps  e  noi  fn  sottoscritta.  Egli  la  recd  al  campo,  dicendoci 
che  riguardava  la  prma,  del  générale  Oudinot  come  una  semplice  for- 
malità,  su  la  quale  non  poteva  darsi  il  minimo  dubbio.  Eravamo  tutti 
nella  gioia.  Le  cose  andavano  a  riprendere  tra  la  Francia  e  noi  il  loto 
corso  natniale.  Il  dispaccio  del  générale  Oudinot  contenente  il  rifinto 
di  aderire  al  trattato  ed  asseverante  la  sua  conyinzione,  che  0  signor 
Lesseps,  sottoscrivendolo,  aveva  oltrepassato  i  suoi  poteri,  ci  airivd,  io 
credo,  nella  notte.  Un  secondo  dispaccio,  in  data  del  primo  giugno,  a 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  445 

—  erano  tre  —  per  modo  da  reuderne  facile  il  salire. 
Nella  sera  del  di  innaozi,  montre  le  artiglierie  rovinavano 
le  difese  délia  città,  due  compagnie  di  granatieri  francesi 
eransi  awicinate  tacite  fra  le  vigne  d'una  casa  posta  rim- 
petto  alla  yilla  Corsini  per  recarsela  in  mano  con  assalto 
improYTiso  e  togliere  cosi  .aile   molestie  del   presidio  di 


tre  ore  e  meuo  dopo  il  meszogiomo  e  sottoscritto  dal  detto  générale, 
ci  dichiarè  da  sua  parte  che  »  raYTenimento  avea  giostiflcato  la  sua 
determinasioiie,  e  che  in  dne  dispacoi  emanatî  dal  Ministro  délia  gnerra 
e  da  quello  degli  affari  esteri ,  con  la  data  28  e  29  maggio ,  il  Go- 
Terno  francese  gU  dichiaraya  che  la  missione  del  signor  Lesseps  era 
terminata.  n  Ventiqaattro  ore  ci  erano  accordate  per  accettare  VuL 
timattm  del  29  maggio.  Lo  steeso  giorno,  voi  lo  sapete,  il  signor  Le8- 
seps  c'inviava  ana  partecipazione  nella  qoale  diceva:  c  lo  mantengo 
il  concordato  sottoeciitto  ieri,  e  parte  per  Parigi  per  farlo  ratificare. 
Qnesto  concordato  é  stato  coachinso  in  Tirtù  deUe  mie  istmzioni,  che 
nii  abilitavano  a  eonsacrarmi  esclnsivamente  aile  negonasdoni  e  ai  rap- 
port! da  stabilirsi  con  le  aatorit&  e  il  popolo  romano.  »  Lo  stesso 
giorno,  più  tardi,  il  générale  Oudinot  ci  dichiaraya  che  le  ostitità 
avrebbero  di  nnovo  cominciamento,  ma  che  «  sn  la  dimanda  del  can- 
celliere  dell'ambasceria  di  Francia....  Tassalto  délia  piazza  sarebbe 
differito  fine  a  lonedi  mattina  almeno.  n  La  domenica  l'assalto  ayeya 
Ivogo,  e  la  consegnenza  di  qnesta  mancanza  di  fede  era  per  nd 
l'occupazîone  di  yiUa  Pamfili  e  il  rapimento  di  due  compagnie  ta- 
gliate  fiiori,  la  cni  eifra  sta  senza  dnbbio  nel  bollettino  délia  gior- 
n&ta  del  3.  Qnesti  dngento  nomini,  sorpresi  nel  loro  sonno,  litro* 
vaiBi  tnttora,  nnitamente  ai  yentiqnattro  prigionieri  fatti  nello  Btesso 
giorno  a  Bastia  in  Gorsica.  Ora  coea  d  gioya,  ye  lo  dimando,  signore, 
il  dispaedo  del  26  maggio  dtato  per  la  prima  yolta  nella  lettera  del 
%iior  Corcellee  ?  Goea  yalgono  al  Goyemo  romano  i  dlspacci  citati  dal 
générale  Ondinot?  Noi  non  abbiamo  mai  yednti  qud  dispacoi ,  il  loro 
<^at6nnto  ci  è  del  tatto  ignoto,  non  essendoci  stato  offidalmente  coma- 
lûcato.  Abbiamo  da  on  lato  le  affermazioni  dd  générale  Ondinot,  dal- 
l'altro  qaelle  del  Ministro  plenipotenziario  francese:  le  qnali  sono  in 
piena  contraddizione.  Licombe  alla  Francia  Tordinarle  in  modo,  che  il 
800  onore  sia  salyo.  Fra  nn  Ministro  plenipotenziario  e  il  générale  di 
^  corpo  d'eserdto  la  nostra  Assemblea  ha  crednto  doyere  riportarsi 
alla  tradizione  dd  fatti  stabillti  dal  plenipotenziario.  lo  credo  che  abbia 
operato  bene,  e  yi  faccio  osseryare,  Signore,  che  non  prima  di  qnest'oggi 


Digitized  by  VjOOQIC 


446  CAPITOLO  YZII 


essa  —  un  pugno  di  trentacinque  uomini  —  le  guardie 
délie  trincee  da  quella  parte  senza  posa  ferite  dai  Romani. 
Quel  presidio,  che  attento  vegliava,  non  isgomentato  dal 
numéro  dei  nimici  quasi  dieci  volte  tanto  le  sue  forzi^. 
quando  ride  gli  assalitori  giunti  alla  porta  délia  casa, 
oadde  loro  addosso  con  taie  impeto  .da  mandarli   via  in 


—  dedmo  giomo  dell'assedio  di  Borna  —  ci  fo  officialmente,  benehé 
indirettamente,  nota  la  presenza  del  signor  di  Corcelles  al  campo  in 
qualité  di  Miniatro  inviato.  ConaideTate  le  date  délie  note  offieiali,  p^*- 
netele  a  fronte  la  data  dalla  oconpazione  di  Honte  Mario  e  delle  opi- 
Taâoni  dell'esercito  franceae;  e  ditemi,  Signore,  se  nell'esamiiuTe  fred- 
damente  la  qnistione  diplomatica  potrà  TEnropa  non  essere  cosmttft  & 
dire:  -*  u  II  Govemo  francese  non  ha  pieteso  che  dileggiare  il  GoTenj 
romano.  Il  générale  Ondinot  ha  alealmente  proflttato  délia  baona  Mt 
degli  nomioi  che  il  compongono  per  restringere  il  cerehio  dell'assair . 
per  occnpare  favoreyoli  posizioni  e  per  avère  la  possibilîtà  di  sorpreL- 
dere  la  città.  »  —  Ne  yiene  di  consegnenza  che,  o  il  dispaocio  del  2^ 
non  esiste,  oyyero  non  ô  stato  comnnicato  in  tempo  al  signor  Lessepf. 
A  dÎT  Tero  il  dispaccio  del  29  maggio  era  noto  al  campo  francese  il 
mattino  del  primo  giogno;  poteva  pereiô  troyarsi  nelle  mani  del  géné- 
rale Ondinot  fino  dal  29  maggio  il  dispaccio  del  26.  Se  il  geaenJt  in 
capo  non  lo  prodnsse  a  qnell'epoca  per  sospendere  ogni  negoziazione  e 
il  negoriatore  stesso,  si  potrebbe  pensaie  che  egli  abbia  yolnto  preTï- 
lersi  di  cotesta  spede  di  negczianone,  che  inyalidava  la  sorye^iaiua 
e  la  forza  del  popolo  romano,  a  fine  di  impadronirsi,  senza  ineontrare 
resîJBtenza,  poco  a  pooo  délie  migliori  posizioni  ;  sicnro  com'era,  che  nel 
prodnrre  il  dispaccio  del  26  ayrebbe  fatto  cessare  a  sno  ariûtrio  ogsl 
negoziazione  che  a  Ini  non  piaoesse,  e  ogni  armistizio  nel  momenfeo  che 
sarebbe  pronto  a  operare.  Permettete  che  io  ye  lo  dica,  Signore,  con 
la  franchezza  che  dîstingae  nn  aomo  di  cnore;  il  contegno  del  Ooverao 
romano,  donnte  le  negoziazioni,  non  ha  giammai  deyiato  d'mta  Unes 
dalla  yia  dell'onore.  Il  Govemo  firancese  non  pud  dime  altrettanto. 
Délia  Franda,  grade  a  Dio,  non  y'ô  qnistione:  brava  e  geuetwa  ni- 
zione,  essa  ô  vittima  d'nn  vile  intrigo,  egnalmente  che  noL  Oggi  i  vo- 
stri  cannoni  tnonano  oontra  le  nostre  mura;  le  bombe  vostre  piovono 
sopra  la  dttà  santa;  la  Frauda  ha  avnto  La  fi^oria,  qnesta  notte,  di 
uccidere  nna  povera  giovane  di  TranêUvere,  che  doirniva  al  ianeo  di 
sna  sorella.  I  nostri  giovani  nffidali,  i  nostri  impravtitoH  soldati.  î 
nostri  nomini  del  popolo  cadono  sotto  il  vostro  faoco  gridando:  Vira  îa 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  447 

t 

pochi  momenti  pesti  e  malconci.  —  La  notte  del  21  al  22 
ora  innoltrata  dimolto,  le  artiglierie  assediatrici  aveyano 
cessato  di  trarre  e  silenziosi  erano  i  campi,  quando  tre 
scblere  di  nimici,  in  capo  aile  quali  camminavanp  drap- 
pelli  di  soldati  Côrsi,  appressavansi  ai  rotti  dei  bastion!, 
e,  non  udite,  non  yiste  11  salivano  fermandovi  il  piede  con 


rtpubhlica!  I  valorosi  soldati  di  Francia  cadono  sotto  il  nostro  senza 
grido,  senza  monnorio,  corne  nomini  disonorati.  Sono  sicnio  che  non 
hayrene  nno  che  morendo  non  dica  ciô  che  ono  dei  yostri  disertori  ci 
diceya  qnest'oggi:  «  Noi  proTiamo  in  noi  stessi  qnalche  cosa,  corne  se 
combattessimo  contra  fratellL  »  £  percha  qnesto?  né  io,  né  voi  lo  sap- 
piamo.  La  Francia  costi  non  ha  bandiera;  essa  combatte  nomini  che 
l'amano  e  che  ieri  ancora  fidarano  in  essa.  Cerca  incendiare  nna  città 
che  nnlla  le  fece,  senza  programma  politieo,  senza  scopo  manifesto,. 
senza  dnitto  a  reclamare,  senza  missione  ad  adempiere.  Essa  rappresenta, 
per  mezzo  de'  snoi  generali,  la  parte  dell'Aostria,  meno  il  triste  co- 
raggio  che  non  ha  di  confessarlo.  Essa  imbratta  la  sna  bandiera  nel 
fango  dei  concîUaboli  di  Gaeta,  e  si  ritrae  alla  vista  di  nna  dichiara- 
zione  franca  e  netta  di  ristanrazione  cléricale.  Il  signor  di  Gorcelles 
non  parla  pin  d'anarehia  e  di  fazioni:  non  l'osa,  ma  scrive,  corne  xm 
uomo  imbarazzato,  qnesta  inooncepibîle  firase:  «  La  Francia  ha  per 
iscope  la  liberté  del  capo  yenerato  délia  Chiesa,  la  libertà  degli  Stati 
romani  e  la  pace  del  monde,  n  Noi  almeno  sappiamo  il  perché  combat- 
tiamo;  ed  é  perciô  che  siamo  fortL  Se  la  Francia  rappresentasse  costi 
an  principio,  nna  di  quelle  idée  che  formano  la  grandezza  délie  nazioni 
e  che  fbrmarono  la  sna,  il  yalore  de'  snoi  figli  non  resterebbe  schiacciato 
contra  il  petto  délie  nostre  gioTani  reelnte.  Oh!  qnanto  é  triste,  Si- 
gnore,  la  pagina  che  si  traccia  in  qnesto  pnnto  dalla  mano  del  vostro 
Ooremo  nella  stoiia  di  Francia!  qnesto  é  nn  colpo  micidiale  scagliato 
al  papato  che,  volendo  sostenere,  affogate  nel  sangne:  nn  abisso  senza 
fonde  che  approfondisce  in  mezzo  due  nazioni,  ehiamate  a  camminare 
onite  per  la  sainte  del  monde,  e  che  da  secoli  si  porgono  la  mano  a 
fine  d'intendersi:  è  nna  profonda  percossa  alla  moralité  dei  rappiesen- 
tanti  tn  popoli  e  popoli,  alla  oredenza  comnne  che  deye  gnidarli,  alla 
santa  caasa  deUa  libertà,  che  vive  nella  fidncia  dell'aTrenire,  non  del- 
l'Italia  —  i  patimenti  sono  per  essa  nn  battesimo  di  progresse  —  ma 
non  délia  Francia,  che  non  pn6  mantenersi  al  primo  ordine,  se  abdica 
^e  maschie  virtù  délia  credenza  e  all'intelligenza  délia  liberté.  » 
QïUêta  Uttera  di  Mcutini  portava  la  data  del  15  giugno  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


448  CAPITOLO   VIII 


militare  scaltrimento:  ed  ecco  in  quai  modo.  Una  senti- 
nella  presso  la  quale  eransi  accostate,  stava  per  chîamare 
a  Tarme,  allora  che  i  Côrsi  facevansi  a  gridare:  Viva  la 
Repubblica  romana.  A  queste  parole,  dette  con  accento  ita- 
ianOjlasentinellae  le  guardie,cheinquelmezzo  si  raccoglie- 
vano,rimanevanoalquantoin  torse;  equando  si  avvîdero  dello 
inganno^  ogni  resistenza  era  diventata  impossibUe;  tante 
che,  scambiati  alcuni  colpi  di  moschetto  col  nimico,  con- 
fusamente  ripararonsi  dietro  le  seconde  difese.  A  divertire 
Tattenzione  degli  assediati,  montre  assaltavansi  i  rotti  dei 
bastioni,  il  générale  Gaesviller  tentava  le  posture  romane 
di  ponte  Molle,  e  il  luogotenente  colonnello  Espinasse  ap- 
pressavasi  aile  mura  délia  città  dalla  parte  délia  basilica 
di  San  Paolo.  Al  ponte  Molle  Guesviller  combatte  uaa  fa- 
zione,  hella  quale  fu  pari  il  valore  dei  guerreggianti,  dub- 
bio  perô  l'esito  di  essa;  ma  su  la  sinistra  dei  Tevere  Espi- 
nasse scambiô  poche  moschettate  appena  con  le  genti  dei 
presidîo,  che  dalla  porta  di  San  Paolo  eransi  recate  verso 
quelle  dei  Popolo  e  di  San  Sebastiano.  Oudinot  avéra  cosi 
raggiunto  Tintento  suo,  d'allontanare  dal  luogo  dei  vero 
assalto  buona  parte  délie  forze  dei  presidio  ;  e  soi  bastioni 
conquistati  si  tortificô,  costruendovi  una  batteria  di  can- 
noni,  non  estante  il  fuoco  délie  artiglierie  nimiche,  e  as- 
serragliando  villa  Barberini  occupata  da'suoi  soldatî.  Desti 
dalla  campana  dei  Gampidoglio,  i  cittadini  scesero  soUe- 
citamente  nelle  vie,  chiedendo  di  essere  condotti  contra 
i  Prancesi.  Rosselli  avrebbe  volute  ributtarli  giù  daJie 
mura  con  un  subito  assalto,  impresa  questa  non  difficile 
se  fosse  stata  bene  ordinata  e  fatta  innanzi  il  tortificarvisi 
dei  nimici;  ma  gli  si  oppose  Garibaldi,  per  tema  che  la 
confusione,  facile  a  nascere  nelle  imprese  notturne,  avesse 
a  portare  mali  maggiori;  e  reputando  egli  ornai  essere 
Roma  perduta,  voile  col  suo  diniego  alla  proposta  dî  Ros- 
selli salvare  quattro  o  cinque  mila  difensori  devoti,  corne 
scrisse  di  poi,  che  il  conoscevano  e  ch'ei  pur  conosceva, 
e  che  avrebbero  risposto  alla  5wa  prima  chiamata.  Quel 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  449 

riûuto  fu  causa  di  discordia  tra  i  due  generali  e  Mazzini, 
il  quale  in  una  lettera  al  colonnello  Manara  censurô  con 
qualche  asprezza  Toperato  di  Garibaldi.  In  verità  la  deli- 
berazione  di  Rosselli  d*assaltare  senza  por  tempo  in  mezzo 
i  Francesi  era  proprio  quale  le  circostanze  deirassedio  esi- 
gevano;  racquistare  col  valore  délie  armi  le  posture  ve- 
nute  a  mano  dei  nimici  per  inganno  avrebbe  accresciuto 
forza  non  poca  alla  difesa  ;  con  lo  allontanare  dalle  mura 
gli  assalitori,  già  minaccianti  invadere  la  città,  sarebbersi 
rialzati  gli  animi  di  tutti  e  date  nuova  lena  ai  difensori. 
Fu  scritto,  che  in  quella  notte  i  Francesi  vincessero  per 
tradigione  d'un  uomo  del  presidio;  ma  quali  le  prove? 
nessuna.  «  Gon  Taiuto  délie  ténèbre,  corne  un  traditore,  il 
nimico  fermô  il  piede  su  le  mura,  »  cosi  i  Triumviri  nel 
loro  manifeste  ai  Romani.  Gertamente  il  grido  dei  Gôrsi 
di  :  Viva  la  repubUica  romana  fu  un  militare  scaltrimento; 
ma  il  far  ciô  è  da  capitano  accorto  e  astuto,  non  già  di 
soldato  ti^ditore.  Noi  già  provammo  la  slealtà  e  le  viola- 
zioni  délie  tregue  di  Oudinot;  parlammo  il  vero,  quando, 
nel  narrare  Tassalto  del  3  giugno,  cbiamammo  traditore 
il  générale  francese,  ma  nell'assalto  del  21  Oudinot  mo- 
strossi  avreduto  e  destro,  perô  che  avesse  trovato  il  modo 
di  compiere  con  poco  suo  danno  l'impresa  deliberata. 

Montre  gli  assediatori,  lavorando  con  somma  alacrità 
agli  approcci,  awicinavansi  ogni  ora  più  a  Roma  e  costrui- 
vano  nuove  batterie,  che  dovevano  gettare  su  quella  una 
tempesta  di  proietti,  gli  assediati  afforzavano  Tantica  cinta 
di  mura  Aureliana  e  preparavansi  aile  ultime  resistenze. 
Unica  difesa  estema  loro  rimasta  era  il  VasceUOf  situato  a 
dugento  passi  da  porta  San  Pancrazio;  presidiavanlo,  come 
già  scrivemmo,  i  legionari  di  Medici,  valorosi  tutti  e  in- 
trepidi  quanto  il  loro  capo  ;  i  quali^  sebbene  accerchiati 
d'ogni  parte  da  forro  e  da  fuoco  e  non  estante  il  malo 
stato  cui  queirediflcio  era  stato  ridotto  dalle  artiglierie 
francesi,  che  minaccîavano  trarlo  presto  alla  rovina  estrema, 

29  —  VoL  n,  Maeuki  —  Sioria  poL  ê  mO, 


Digitized  by  VjOOQIC 


450  CAPITOLO  Yin 


pure  alla  chiamata  di  resa  rispondevano  niegativamente. 
Il  26  giugno  parte  del  Vascello  aile  palle  fulminate  croUara 
con  orreudo  firacasso,  sotto  le  sue  rovine  seppellendo  molti 
de*  suoi  difensori  ;  ne  per  ci6,  ne  per  lo  assottigliarsi  délia 
schiera  legionaria  Medici  si  indusse  a  lasciarlo  ;  che  anzl 
volto  ranime  a  oflfondere  gli  assediatori,  lavorava  a  cao- 
ciarsi,  per  un  acquedotto,  sino  alla  yilla  Corsini  allô  scopo 
di  abbattervi  la  batteria  costruita  daî  Francesi;  il  quale 
disegno  non  gli  fti  possibile  menare  a  compimento  per  a- 
vere  i  nimlci  ridata  la  via  aile  acque  di  quello,  che  poeo 
innanzi  avean  levata  con  danno  degli  assediati  (1).  Termi- 
nata  la  quarta  parallela  —  e  Ai  il  27  giugno  —  gli  ass»- 
diatori  andavano  con  grosso  nerbo  di  armati  airassalto, 
montre  il  générale  Sauvan,  portatosi  a  Tivoli,  vi  distrug- 
geva  la  grande  riposta  délie  polveri  dei  Romani,  i  mulini 
e  quanto  serviva  alla  loro  fabbricazione.  Tutto  il  giorno 
si  combatte  sotto  la  città;  gravi  i  danni  d*ambe  le  parti; 
il  fuoco  degli  assedianti  ebbe  solamente  brevi  intervalli  di 
riposo  per  impedire  Bi  presidio  di  Roma  di  riparare  ai 
guastt  toccati  aile  loro  artiglierie.  Garibaldi,  reputando  ornai 
impossibile  di  tenere  più  a  lungo  il  Vascello,  chiamô  Me- 
dici entre  le  mura  délia  città  con  le  gloriose  reliquie  ddla 
sua  legione;  perduto  il  quale,  i  giorni  délie  resistenze  ftiron 
contati  (2).  —  Erano  da  poco  suonate  le  due  del  mattîno 
30  giugno,  allora  che  tre  colpi  di  cannone  ndivansi 
dal  campo  flrancese,  già  tutto   in  su  Tarme;   al  quai 


(1)  Medici  avea  fàtto  pone  dei  barili  di  polvere  dentro  l'acqnedotto 
e  propiio  sotto  la  batteria  dei  Francesi;  la  miccia,  che  dorera  dar 
ftioeo  a  quella,  anirava  sin  piesso  il  Vascello. 

(2)  Medici,  qaalche  giomo  prima  di  lasciaro  il  Vascello^  era  aadato 
alla  rilla  Sarorelli  con  bnona  mano  de'  snoi,  ad  appoggiame  il  pie- 
sidio,  dai  Francesi  con  grosse  forze  assalito.  Ritiratosi  poi  dal  Vascello, 
qnando  era  proprio  impossibile  di  tenerlo,  Medici  con  forte  ed  eletu 
mano  de'  snoi  portossi  sopra  la  sommità  di  Porta  San  Pancrazio,  ails 
ditea  deUa'qnale  péri  la  maggiore  parte  dei  legionari. 


Digitized  by  VjOOQIC 


SOMA  451 

segnale  quattro  schiere  di  fanti  eletti  —  ciascuna  di 
tre  compagnie  —  muoyevano  ad  assaltare  il  bastione 
che  sta  a  sinistra  di  clii  esce  di  porta  San  Pancrazio,  cui 
le  artiglierie  nimiche  aveyano  due  giorni  innanzi  rotto  il 
fianco  sinistro  e  il  29  spianatane  l'apertura;  la  qaale,  dopo 
lotta  sangainosa,  veniva  a  mano  degli  assalitori.  Al  primo 
romoreggiaFe  deirarmi  Garibaldi  accorse  alla  pugna  pro- 
rompendo  impetuoso  sopra  i  Francesi,  che  tentavano  im- 
padronirsi  del  recinto  Aureliano,  già  rotto  in  più  luoghi 
e  che  egli  seppe  per  lunghe  ore  lor  contrastare.  Al  le- 
varsi  del  giorno  il  combattere  s'allargô  e  fecesi  générale. 
Manara,  chiusosi  entre  villa  Spada  con  un  pugno  di  ra- 
lorosi,  sebbene  d*ogni  parte  (ùriosamente  percosso  dal  can- 
none  dei  Francesi  e  tutto  da  questi  circondato,  emulando 
Medici  nella  difesa  del  Vascello,  ha  risoluto  di  seppel- 
lirsi  sotto  le  rovine  délia  postura  fidata  alla  sua  guardia, 
piuttosto  che  arrendersi.  A  liberarlo  da  quella  stretta  ao- 
corre  Garibaldi  con  alquante  compagnie  di  soldat!,  i  quali, 
armate  le  baionette  e  spianatele,  avrentansi  con  impeto 
terribile  contra  il  nimico  ;  e  quando  tra  gli  assalitori  e  gli 
assaliti  sparisce  il  terreno,  i  Garibaldini  feriscono  con 
ior  corte  daghe,  cui  nello  andare  sopra  i  Francesi  ave- 
vano  posto  mano;  spaventati  da  quella  féroce  zuffa  ma- 
nesca  i  soldati  di  Francia  riparansi  entre  i  loro  campi: 
allora  prendono  a  fulminare  le  mura  e  la  città  con  for- 
midabili  artiglierie,  aile  quali  le  batterie  romane  rispon- 
doQo  con  languido  ftaoco  e  a  rari  intervalli,  per  esserne 
stati  i  cannoni  quasi  tutti  scavalcati  e  guasti,  e  gli  arti- 
glieri  uccisi.  La  lotta.  continua  tuttavia  ostinata  per  buona 
parte  délia  giornata,  non  estante  la  disuguaglianza  del 
numéro  e  délia  potenza  délie  armi.  Ammirabile  in  verità 
li  valore  e  la  fermezza  del  romane  esercîto,  che,  lacero  e 
stanco  per  le  notti  vegliate,  e  stremato  di  forze  per  le 
tante  pugne  combattute  in  un  mese  di  stretto  assedio, 
tiene  tuttavia  alta  la  bandiera  délia  repubblica  —  che  ô 
pur  quella  délia  nazione,  la  bandiera  dei  tre  colori  —  e 


Digitized  by  VjOOQIC 


452  CAPiTOLO  vni 


combatte  con  daghe  e  mosclietti  Tôsercito  di  Francia,  per 
numéro  e  militare  disciplina  fortissimo,  comandato  da  nf- 
ficiali  esperti  e  provati  in  guerra  e  che  pugna  con  mo- 
schetti  e  cannoni  !  —  AUora  che  dopo  conati  sangoinosi  i 
Francesl  riescono  a  piantar  ferme  il  piede  su  Testremiti 
délia  cinta  Aureliana  —  da  dove  signoreggiasi  il  campe  degli 
assediati  —  e  a  cdllocare  sovr'  essa  alquante  artiglierie, 
ruppersi  gli  ordini  délie  battaglie  romane;  ma  non  per 
questo  i  soldati  délia  repubblica  pensano  a  ritirarsi;  che 
anzi  mutano  la  grande  pugna  in  cento  piccioli  combattî- 
menti  »  nei  quali  fanno  più  che  mai  rifulgere  la  prestanza 
individua;  e  resistono  sino  a  che,  disperando  di  ripren- 
dere  la  postura  perduta  e  oppressi  dalla  fatica,  indietreg* 
giano  non  per  posare  le  armi,  sibbene  per  chiudere  con 
serragli  le  vie  délia  città  ai  Francesi  invadenti,  e  far  die- 
tro  a  quelli  Tultimo  sforzo  e  la  difesa  estrema.  Non  li  mo- 
lesta in  lor  ritratta  il  vincitore,  il  quale,  pago  délia  po- 
stura conquistata,  intende  a  fortiflcarvisi  per  assicurarsene 
U  possesso.  —  Il  30  giugno  1849  scrisse  una  pagina  glorio- 
sissima  negli  annali  militari  délia  patria  ;  i  soldati  italiani 
che  la  combatterono,  non  per  la  sainte  délia  repubblica  — 
perô  che  ben  la  sapessero  già  ferita  a  morte  —  ma  per  lo 
onore  d'Italia  nostra  con  Teroico  valore  che  ci  venne  da 
Roma  e  che  fece  degli  avi  nostrii  prlmi  soldati  del  monda 
La  quale  giornata  fu  la  più  sanguinosa  di  quelle  innanzi 
combattute,  e  fa  altresi  la  più  solenne  deUe  tante  mentite 
date  nei  giorni  dell'assedio  dai  difensori  di  Roma  all'or- 
goglioso  ufficiàle  francese,  che  poco  prima  aveva  affer- 
mato  —  non  saprei  se  per  ignoranza  o  mala  fede,  e  forse 
per  Tuna  e  Taltra  —  in  faccia  ai  Triumviri:  Gli  Italiani 
non  battersi;  le  quali  parole  provano  chiaramente,  come 
egli  non  conoscesse  la  storia  délia  prima  repubblica  e  del 
primo  imperio  di  Francia  per  la  cui  gloria,  non  per  qnella 
d'Italia,  i  padri  nostri  tanto  e  strenuamente  hanno  com- 
battuto  sotto  le  insegne  del  gran  capitano.  La  resistenza 
gagliarda  e  ostinata  di  Roma  mostrô  quanto  i  Ministri  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


soMA  458 

Fraûcia  a  Gaeta  si  ingannassero  asserendo,  che  i  soldati 
della  repubblica  romana  non  avrebbero  osato  di  cimentarsi 
coi  Francesi,  il  eut  giugnere  subito  e  non  atteso  aveva 
atterrito  le  popolazioni  (1).  —  Di  morti  e  feriti  fu,  nella 
giomata  del  30  giugno,  assai  grave  la  perdita  d'ambe  le 
parti  ;  Roma  ebbe  a  deplorare  quella  d'nno  dei  più  valorosi 
saol  difensorl,  il  colonnello  Luciano  Manara,  cittadino  di 
Mîlano,  caduto  a  rilla  Spada  (2).  «  Eroe,  cosi  si  scrisse  di 
lui,  che  segnô,  meteora  splendida  ma  troppo  fugace,  una 
âtriscia  luminosa  nelle  rivoluzioni  e  nelle  guerre  del  1848 
e  1840.  » 

Montre  i  Romani  combattevano  su  le  mura  e  una  tem- 
pesta  rovinosa  di  bombe  e  palle  cadeva  sopra  la  misera 
città,  i  rappresentanti  del  popolo  stavano  raocolti  in  as- 
semblea  aspettando  con  ansia  affannosa  Tesito  di  quella 
pugna,  dalla  quale  tutte  pendevano  le  sorti  della  patria 
tanto  amata;  e  quando  lor  giugneva  la  novella  che  i 
Prancesi  eransi  impadroniti  del  recinto  Aureliano  un  si- 
lenzio  di  morte  prendeva  a  regnare  neirAssemblea.  Lo 
ruppe  Mazzini>  il  quale,  dopo  avère  consultât!  i  principali 
dell*esercito,  portossi  a  quella  a  parlar  parole  di  conforto 
e  di  speranza.  =  Roma  poter  tuttavia  continuare  le  resi- 
stenze,  diceva  egli,  avvegnachè  nuUa  siasi  mutato  nelle 
condizioni  sue,  che  da  trenta  giorni  con  poche  e  maie 
ordinate  forze  combatte  con  tanto  onore  contra  nimico 


(1)  K  I  Ministri  di  Fraacia  a  Borna  e  a  Gaeta  ayeyano  motivo  di 
credeie  che  la  maggiore  parte  dei  soldati  romani  non  sarebbero  per  nd- 
smare  le  loro  spade  con  le  spade  dei  soldati  franceai;  e  qnelli  spingevano 
Ondinot  ad  aiirettare  il  sno  moTimento.  7-  «  Aoanti^  générale^  serive- 
vagli  il  dnca  d'Haiooiurt  il  S6  aprile;  importa  aasai  ehe  vi  affrettiate 
ad  andare  sopra  Borna;  il  Mito  e  non  atteso  vostro  arrivare  ha 
fatto  stupire  e  spaventare  le  popolazUmù  n 

Ballstoisb,  Révolution  de  Rome;  voL  n,  cart  78;  Qmevra,  1851. 

(2)  Mori  pnre  Smilio  Morosini,  miianese,  giovane  diciottenne,  splen- 
dore  dei  bersaglieri  lombardi  di  oui  faceva  parte. 


Digitized  by  VjOOQIC 


454  CÂPiTOLO  vni 


par  copia  d'armi  9  d*armati  potentissimo.  Mettere  egli 
innanzi  tre  partiti,  i  soli  clie  in  quelle  difflcili  circostanze 
rimanessero:  arrendersi;  difendere  la  città,  contrastan- 
done  ai  Francesi  invaditart  palmo  a  palmo  il  terreno; 
in  fine,  ttsdr  di  Rotna  VAssemblea  e  il  Oaverno  can 
Vesercito  per  correre  leproiHncie  délia  repubUica,  riste- 
gliandone  Ventusic^smo  délie  papolazioni,  e  continuare  la 
guerra  in  campo  aperto,  mantenendo  cosi  incolume  il 
palladio  délia  Ubertà.  n  partito  délia  resa,  conchiadeva 
Mazzini,  non  potersi  onorevolmente  accettare;  la  sctita 
deirAssemblea  dover  quindi  cadere  su  quel  délia  difesa 
interna  a  oltranza,  0  délia  guerra  guerreggiata  e  minuta, 
aile  qusJi  dicevasi  inchinevole.  —  AUora  che  il  TriumTiro 
pose  fine  al  suo  dire»  levossi  a  parlare  il  générale  Bar- 
tolucci,  che,  la  propria  autorit&  ayvalorando  con  quelia 
di  Garibaldi,  prese  a  chiarire  la  impossibilità  di  prolun- 
gare  le  resistenze,  corne  le  intendeva  Mazzini.  1  rappre- 
sentanti  del  popolo,  che  nutrivano  poca  fede  nei  due  par- 
titi  messi  lor  dinnanzi  a  deliberare  con  senno  e  proTve- 
dere  con  efflcacia  aile  dure  nécessita  che  li  incalzavano, 
mandarono  soUeciti  per  Garibaldi  dX\o  scopo  di  conoscere 
da  lui  il  vero  stato  délie  cose;  il  quale,  venuto  ad  essî^ 
parlôin  queste  sentenze:  =  Essere  possibile  resistere  alcuni 
giorni  ancora,  se  il  popolo  di  Transtevere  si  trasportasse 
immediatamente  su  la  sinisira  del  fiume,  di  questo  rom- 
pendo  i  ponti.  =  In  verità  TAssemblea  non  sarebbe  siata 
in  forse  un  solo  istante  ad  accogliere  taie  partito,  se  questo 
Tavesse  potuta  salrare  dall*  inrasione  straniera;  ma  lo 
respinse,  reputando  inutile  il  sacriflcio  di  quelia  parte 
délia  città  per  una  resistenza  di  brevi  giorni.  —  «  Se  toî, 
prosegui  a  dire  Garibaldi,  credete  di  poter  yantaggiosa- 
mente  difendervi   dietro  i  serragli  che  devono  impedire 
l'avanzarsi  ai  nimici,  già  invadenti,  vi  ingannate  dimcrtto 
perô  che  questi,  potendo  percuotere  la  città  dalle  alture 
che  la  signoreggiano,  non  sieno  per  venire  mai  a  pugna 
manesca,  nella  quale,  assai  più  délia  potenza  délie  armi. 


Digitized  by  VjOOQIC 


&01IA  456 

vale  il  eoraggio  personale,  e  la  cui  sorte  è  troppo  dubbia, 
e  la  yittoria  san^inosa  sempre;  il  miglior  partito»  anù 
roûico  che  porga  speranza  di  buon  esito  essere  quello 
deiriscita  di  Roma.  »  Dopo  una  discnssione  agitata  e  calo- 
rosa,  non  ostante  la  parola  éloquente  di  Mazzini,  rAssem^ 
blea,  ritenendo  che  Tesercito  repubblicano,  in  miserrime 
condizioni  ridotto  daU'assedio  sostenuto,  sarebbe  stato  in 
brève  ora  oppresso  dalle  genti  di  Napoli,  d'Austria  e  di 
Spagna  campeggianti  le  provincie;  ritenendo  eziandio  che 
l'entosiasmo  délie  popolazioni  sarebbe  inefficace  o  di  lieve 
aiato  airimpresa,  perché  la  guerra  ne  avova  stremate  le 
forze  e  impoverito  Terario,  TÀssemblea,  respinto  il  partito^ 
décrété  di  cessare  una  difesa  dtvenuta  ornai  impossibile  (1). 
Allora  i  Triumviri  risegnarono  l'ufficio  e  pnbblicarono  il 
seguente  manifeste  ai  Romani:  —  «  Il  Triumvirato  si  ô 
Yoloûtariamente  disciolto.  L'Assemblea  Costituente  vi  comu- 
nicherà  i  nomi  dei  nostri  successori.  L'Assemblea,  com- 
mossa,  dopo  il  vantag^io  ottenuto  ieri  dal  nimico,  dal  desi- 
derio  di  sottrarre  Roma  agli  estremi  pericoli  e  d'impediro 
che  si  mietessero  senza  frutto  per  la  difesa  altre  vite  pre- 
ziose,  decretava  la  cessazione  délia  resistenza.  Gli  uomini  che 
avevano  retto  mentre  durava  la  lotta,  mal  potevano  segaire 
a  reggere  nei  naovi  tempi  che  &i  preparavano.  Il  mandate 
ad  essi  affidato  cessava  di  fiitto,  ed  essi  s'affrettarono  a 
rassegnarlo  nelle  mani  dell'Assemblea.  Romani!  Fratelli! 
Voi  avete  segnata  una  pagina,  che  rimarrà  nella  storia 
documente  délia  potenza  di  vlgore  che  dormiva  in  yoi,  e 
dei  Tostri  fatti  futuri,  che  nessuna  forza  potrà  rapirri. 
Voi  avete  dato  battesimo  di  gloria  e  di  consecrazione  di 


(1)  BlPUBBLTOA  BOXANA.  Ih  NOXB  DI  DiO  B  DIL  POPOLO.  —  L'Afl- 

aemblea  Costituente  romana  cessa  ima  difesa  divennta  ornai  impossibile.. 
H  TriuniTirato  ô  incaricato  délia  esecmâone  dei  présente  decretp. 
Borna,  80  gingno  1849. 

B  Présidente  I  segretari 

ASaliobti.  Fennaeehi,  Fabrettij  Zanbianehi^  Coeehi^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


456  GAPiToiiO  Yin 


sangue  generoso  alla  niiova  vita  che  albeggia  allltalia 
vita  coUettiva,  vita  di  popolo  che  vuol  essere  e  che  saja. 
Yoi  avete,  raccolti  sotto  il  vessillo  repubblicano,   red«ato 
Tonore  délia  patria  comune,  contaminaio  àltroye  dagL  atti 
dei  tristi,  e  scaduto  per   impotenza  monarchica.  I  vostri 
Triumviri,  tornando  semplici  cittadini  fra  voi,  tniggoao 
con  sô  conforto  supremo  nella  coscienza  di  pure  inceiizioai 
6  Tonore  d'ayere  il  loro  nome  consociato  coi  rortri  fortis- 
simî  fattî.  Una  nube  sorge  tra  il  vostro  awenire  e  toL 
É  nube  di  un*ora.  Durate  costaiiti  nella  coscienza  del  vostro 
diritto  e  nella  fede  per  la  quale  morirono,  apostoli  armati, 
molti  dei  migliori  fira  voi.  Dio  vuole  che  Roma  sia  libéra 
e  grande,  e  sariu  La  vostra  non  è  di9fatta;  è  vittoria  dei 
màrtiri,  ai  quali  il  sepolcro  ô  scala  di  cielo.  Qoando  il  cielo 
splenderà  raggiante  di  risurrezione  per  yoi  —  quaado^  tra 
brève  ora»  il  prezzo  del  sacrificio  che  incontraste  lieta- 
mente  per  Tonore,  yi  sarà  pagato  —  possiate  allora  ricor- 
daryi  degli  uomini  che  yissero  per  mesi  délia  vostra  vita, 
soffrono  oggi  dei  yostri  dolori,  e  combatteranno,  occorrendo, 
domani,  misti  nelle  yostre  file,  le  nuoye  yostre  battaglie.  » 
—  Nel  lasciare  TufOcio  Mazzini  rimetteya  alVAssemblea 
una  sua  protesta;  in  essa^  dopo  ayere  lamentato  il  posare 
délia  difesa  e  dette  che  per  lui  non  sarebbesi  e9^;uita 
rimproyeraya  i  rappresentanti  del  popolo  dCessere  venuti 
mena  al  loro  mandato,  se  non  per  colpa,  certamente  per 
debolezza.  L'Assemblea,  accettata  la  rinunzia  dei  Triumyiri 
che  gridô  benemeriti  délia  patria,  e  quella  eziandio  dei 
llinistri,  conferiya  a  Saliceti,  a  Galandrelli  e  a  Mariani  la 
suprema  potestà  esecutiya;  e  il  générale  Rosselli   signifi- 
^aya  per  lettera  al  générale  Oudinot:  =  Ayere  eglî  fatto 
sospendere  le  armi,  in  yirtù  di  un  décrète  deirAsaemblea; 
portatori  del  quale  essere  per  yenire  al  campo  francese  i 
messi  del  supremo  Maestrato  dei  cittadini.  =  1  patti  délia 
conyenzione  di  resa  proposti  dal  Municipio  non  essendo  stati 
accettati  da  Gorcelles,  perché    contrari  agli  intendimenti 
del  Goyerno  di  Francia;  e  il  Municipio  ayendo  respinta  la 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOUA.  457 

conyenzioQe  messa  innanzi  dal  plenipotenziario  francese, 
perché  offendeva  la  dignità  del  popolo  romano,  del  cui 
valore  lo  stesso  Oudinot  avea  parlato  parole  d*ammirazione» 
non  fa  possibile  yenire  ad  accomodamento  onorevole  ira  i 
guerreggianti.  L'Assemblea  Costttt^entey  risoluta  di  lasciare 
entrare  nella  città  i  nimici  da  conquistatorij  piuttosto  che 
fermare  con  gli  oppressori  della  patria  un  accordo  umi- 
liante,  ordinô  aU'esercito  di  uscir  di  Roma;  cedendo  alla 
violenza  e  alla  forza,  rAssemblea  salyava  i  diritti  del  suo 
popolo  gloriosamente  caduto  cou  le  armi  alla  mano  (1). 
Degli  ultimi  decreti  della  CosUtuenle  yogliamo  a  onor  suo 
ricordare  quello  dei  sussidi  aile  famiglie  poyere  dei  citta- 
dini  uecisi  combattendo  per  la  repubblica  e  dei  funerali 
solenni  celebrati  in  San  Pietro  per  le  anime  dei  morti  in 
difesa  della  patria;  e  il  décrète  dello  scolpirsi  della  nuoya 
Costituzione  sopra  due  tayole  di  marmo  da  coUooarsi  in 
Oampidoglio. 

A  mezzo  il  giorno  3  luglio,  e  proprio  nell*ora  in  cui  1 
primi  soldati  di  Oudinot  —  i  precursori  del  grosso  dell'e- 
sercito  suo  —  percorreyano  le  città  a  specularne  le  yie, 
il  Présidente  dell'Assemblea»  cui  faceyano  corona  i  rap- 
presentanti  del  popolo,  promulgaya  dal  Oampidoglio  la  C(h 
sHtuzUme  della  repubMica  romana;  tu.  questo  Tultimo  atto 
c  certamente  il  più  solenne  della  yita  politica  di  quella. 


(1)  «  La  città  di  Borna  si  pone  Botto  la  protedone  dell'onore  e  sott^ 
i  priacipi  liberali  della  repnbblica  tencese. 

1*  L'esercito  fîrancese  entrera  nella  citta,  occnpandone  poi  le  po- 
stule militari  che  credera  conyenientL 

2«  Tntte  le  yie  di  comimioazione  della  città,  ora  impedite  dall'e- 
seidto  fraaceseï  tomeranno  libère. 

&»  Le  difese  costmtte  dentro  la  città,  non  ayendo  piû  ragione  di 
e&Bteie,  yenanno  distratte. 

4^  Le  Boldatescbe  regolari  romane  prenderanno  i  quartier!,  che 
Terraimo  loro  fissati;  le  straniere  saranno  licendate;  a  qneste  si  âge- 
voleH  il  fitomo  in  patria.  n 
Tali  i  patti  della  conyonnone  di  Corcelles. 


Digitized  by  VjOOQIC 


458  CAf ITOLO  TIII 


Alla  lettara  d*ogiii  articolo  délia  naova  legge  alzayansi  al 
cielo  gridi  pieni  di  entusiasmo  di  fHva  la  reptMlica  da 
moltitudine  innumereyole  di  popolo,  accalcaatesi  iatorno 
a  quel  colle  sacro  ai  Romani.  Gompiuta  quella  ceremonia, 
i  cittadini  si  riirassero  ai  propri  focolart,  dignitosameote 
tranquilli,  corne  beae  addicerasi  alla  natorale  loro  fîerezzâ, 
ad  essi  che,  dopo  avère  sopportati  i  più  duri  sacrifizl  e 
sparso  il  sangue  per  la  libertà  délia  patria,  vedevansi  al- 
lora  condanoati  ad  assisterne  alla  rovioa;  e  i  rappreseo- 
tanti  del  popolo  riederono  alla  loro  residenza,  aspettando 
d'esserne  cacciati  dalle  baionette  del  yincitore;  e  furonlo 
il  di  appressoy  Carlo  Buonaparte  vivameate  protestando 
contra  la  violenta  invasione  di  lor  sede  dalle  armi  fran- 
cesi  (1).  Oudinot»  il  quale  nella  sera  del  giorno  innanzi 
aveva  fatto  occupare  le  porte  Portese,  San  Pancrario  e 
Gavalleggieri,  il  mattino  di  quel  di  3  luglio  mandava,  forse 
per  tema  d*insidie  corne  or  ora  scrivemmo,  alcune  prese 
di  soldati  a  esplorare  le  vie  di  Roma  e  spiare  gli  anda- 
menti  del  presidio.  Aile  cinque  pomeridiane  egli  entrara 
in  Transtevere  alla  testa  deiresercito;  in  luogo  délie  spe- 
rate  festose  accoglienze  aveva  ricevimento  di  malediziooi, 
clie  bene  stavano  a  lui  violatore  di  fede  data;  amari^ 
sima  delusione  per  li  soldati  suoi,  i  quali  tenevansi  certi 
di  trovare  amico  il  popolo,  per6  che  Oudinot  avesse  fatto 
lor  credere  su  la  parola  sua,  che  quel  rivolgimenti  di  Roma 


(l)  K  In  nome  di  Dio,  in  nome  del  popolo  degli  Statî  romani  che  Benr 
mente,  con  snffragio  nnivenale,  ha  eletto  i  snoi  lappreaentanti;  is  son» 
deU'articolo  qninto  délia  coâtituxione  fiancese,  FAssemblea  Ckfstitfi^ 
romana  in  faceia  al  monde  indTilito  contra  la  violenta  inmone  deOa 
sna  sede  operata  dalle  forze  firancesi  il  giomo  4  luglio,  aile  m  ^o 
pomeridiane.  » 

Borna,  nel  Campidoglio,  4  la|^o  1840. 
Per  Tintera  Assemblea 
Il  FresideiUe  di  sezione  C.  Buonipàbtb.  Il  SegreUuri^ 

QUIBICO  PlLOPAÏÎI- 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  469 

9rano  stati  Vopera  di  pochi  faziosi  (1);  solamente  in  su 
Tentrare  in  città  Oudinot  vcnne  da  alcuni  cittadini  salu- 
tato  restauratore  del  Oovemo  pontiflcio^  cui  erano  qaelli 
legati  per  interesse  o  fini  ambiziosi,  pochissimi  per  affetto. 
U  loro  passare  i  Francesi  yedono  chiudersi  le  finestre, 
farsi  quasi  déserte  le  vie  e  odono  gridi  di  viva  la  repub- 
)lica,  viva  VltaliOj  ftiori  gli  straniert,  e  di  morte  al  car- 
^nale  Oudinot;  il  qnale,  arrivato  dX  caflS  delle  belle  arti 
evedutaYi  sventolare  una  bandiera  dai  tre  colori  italiani, 
comanda  ai  cittadini,  raccolti  innanzi  ad  essa,  abbiano  a 
rimnoverla  di  là:  levatela  voi,  rispondongli  fieramente;  e 
queU'orgoglioso,  pieno  d*ira  e  di  superba  stizza,  spinto  il 
cavallo  aotto  la  bandiera,  Tafferra  e  l'attira  a  se;  ma  non 
rinscendo  a  strapparla,  la  lascia  a  quel  del  suc  sègaito,  che 
di  \k  ginngono  a  toglierla  in  mezzo  agli  scherni  e  aile 
beffe  del  popolo.  Oudinot,  a  vendicare  Tinsulto  patito  —  in 
sua  stoltezza  da  lui  provocato  —  stava  per  assalire  con  le 
balonette  i  gridatori,  quando  arrivava  Gemusclii  a  impe- 
dirgU  la  codarda  impresa;  la  quale  avrebbe  partorito  or- 
renda  strage  di  cittadini  e  di  Francesi,  e  gettato  nuovo 
vitaperio  su  lui,  che  nel  governo  délia  spedizione  e  del- 
l*assedio  erasi  mostrato  capitano  însipiente,  dinessuna  fede 
e  di  molta  snperbia.  Per  le  minaccie  dei  nimici  non  ces- 
s^u^no  i  romori  e  i  fischi  delle  moltitudini,  che  anzi  ac- 
crebbersi  tanto  da  costringere  a  tacersi  il  suono  dei  reg- 
gimenti  firancesi,  che  menavano  i  loro  trionfi  in  Roma  (2). 


(1)  Hanifbato  del  générale  Oudinot  a'  snoi  soldatl  al  partira  per  Tim- 
Tf^^  di  Borna» 

(2)  Ad  aasai  caro  presse  la  Franda  pag6  la  gloria  d'ayere  spenta  la 
liberU  di  Borna!  langninosissime  ftirono  le  yittorie  gnadagnate  sotto 
le  mont  délia  città  etema!  —  t  Da  certe  note,  scriase  Gnerraszi, 
^'^BiBttsemi  da  prode  offidale  che  intende  non  essere  nominato,  ricavo  : 

che  dai  8  gingno  al  primo  loglio  1849  per  la  râ  d'acqoa  Ai- 

^^  tiasportati  a  CiTitaTeechia  qnattordici  mila  feriti  aU'indrca.  »  Il 
'^^'^fi^re  Payant  del  cinquantedmo  reggimento  di  &nti,  stando  di  pre- 


Digitized  by  VjOOQIC 


460  CAPiTOLo  yiii 


—  Nella  sera  di  quel  giorno  si  nefasto  Oudinot  pubblicaTa 
un  manifesto  ai  Romani,  che  noi  mettiamo  innanzi  ai  leg- 
gitori  nostri  in  tutta  sua  integrità,  afflncliè  conoscano  le 
menzogne  con  le  quali  il  Governo  di  Francia  e  il  suo  gé- 
nérale procedettero  sempre  in  quella  brutta  impresa.  - 
«  Abitanti  di  Roma!  —  L'esercito  mandate  sul  vostro  te^ 
ritorio  dalla  repubblica  flrancese  ha  per  missione  di  re* 
staurare  Tordine,  giusta  i  voti  délie  popolazionL  Un  partito 
di  pochi  faziosi  o  di  traviati  ci  ha  costretti  a  dare  Tassalto 
aile  Tostre  mura;  noi  siamo  padroni  della  città;  noi  adem- 
piremo  la  nostra  missione.  In  mezzo  aile  testimonianze  di 
simpatia  che  ci  hanno  accolti,  là  soprattutto  ove  i  senti- 
menti  del  vero  popolo  romano  non  erano  contestabili,  al- 
cuni  clamori  ostili  si  alzarono  e  ci  hanno  obbligati  a  una 
immediata  repressîone;  che  gli  onesti  e  i  veri  amici  della 
libertà  riprendino  conâdenza,  e  i  nimici  deirordine  e  délia 
società  sappiano,  che  se  alcune  rimostranze  oppressive, 
provocate  da  una  fazione  straniera,  si  rinnoyassero,  Te^ 
rebbero  rigorosamente  punite.  Per  dare  alla  slcureca 
pubblica  délie  guarentigie,  io  ordino  quanto  segue:  Tutti 
i  poteri  sono  temporaneamente  raccolti  noile  mani  dell'as- 
torità  militare;  la  quale  farà  subito  appello  al  concorso 
del  Municipio.  L'Assemblea,  il  Governo,  il  cui  regno  yio- 
lento  e  oppressive  cominciô  con  Tingratitudine  e  fini  con 
una  chiamata  empia  alla  guerra  contra  una  nazione  arnica 
délie  popolazioni  romane,  cessano  d'eslstere  (1).  I  c^^^ 


sidio  a  ^terbo,  accertava,  Tassedio  di  Borna  essere  costato  alla  Fran- 
cia dioiassette  mila  nomini;  dai  quali  Toglionsi  perô  escladere  (flf^ 
tarasportati  all'ospedale  di  Gastelgoido:  donde  résulta  meniogaeio 
quanto  affermô  in  propoaito  il  Vaillant  nell'opera:  Siège  de  Borne, 

(1)  u  L'accusa  di  yiolenza,  di  teirore  eretto  a  aistema,  gittata  contra 
il  Governo  repubbUcano,  é  accnaa  oggimai  smentita  solennam^^^  ^ 
fatti  della  difësa.  Non  si  comanda  col  terrore  l'entosiasmo  a  tatto  u 
popolo  armato;  e  voi  siete,  Signori,  nel  bivio  di  calunniare  il  ^^ 
délie  armi  franeeai  o  di  confatarvi  da  voi  ateasi  —  di  ^aààmi^  clie 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOXA  461 

)  le  associazioni  politiche  sono  chiusi  ;  ogni  pubblicazione 
àtta  per  la  stampa,  ogni  awiso  messo  Aiora  senza  il  con- 
enso  délia  potestà  militare^  sono  temporaneamente  inteiv 
lette.  I  delitti  contra  le  persone  e  le  proprietà  sono  gin- 
licati  dai  tribnnali  militari,  n  générale  Rostolan  è  eletto 
^yematore  di  Roma;  il  générale  di  brlgata  Sauvan  è  no- 
ninato  comandante  délia  piazza  forte;  e  il  colonnello  Sol, 
naggiore  di  piazza  (sic).  »  —  Xi  manifeste  di  Oudinot  —  che 
per  essere  compreso  non  abbisogna  di  comment!  e  chiose,  e 
ael  quale  chiarissimi  appariscono  gli  intendimenti  e  Tanimo 
di  chi  aveyalo  dettato  —  yeniva  subito  lacerato  dal  popolo  : 
onde  dovettesi  al  dimani  nuovamente  afflggerlo  ai  mûri  délie 
case,  n  générale  francese  cominciava  la  sua  missione  pacifi- 
catrice cacciando  con  la  violenza,  coma  dicemmo  già,  FAs- 
semblea  Costftuente  dal  Gampidoglio,  ponendo  la  città  sotto 
rimperio  délie  leggi  militari;  di  poi,  chiudeva  i  circoli  po- 
litici,  licenziava  le  guardie  cittadine,  in  pari  tempo  ordi- 
nando  loro  la  consegnazione  délie  armi  e  munizioni  di 
gaerra,  e  minacciando  tradurre  ai  tribunali  militari  chi  ne 
tenesse  presso  di  se.  Alla  bandiera  nazionale  e  al  berretto 
rosso,  che  Oudinot  chiamava  insegne  di  anarcMa  e  di  ter- 
n>re,  aostituiva  gli  stemmi  di  Pio  IX,  al  quale  area  man- 
dato,  il  giorno  stesso  délia  occupazione  di  Roma,  il  colon- 


Voehi  &dosi,  costretti  a  comprîmere  mia  popolazione  di  cenaessaiit»- 
nôla  anime,  valsero  per  dae  mesi  a  combattere,  a  yincere  soyente,  Te- 
Bercîto  vogtro,  o  di  confessare,  a  salvarvi  dalla  taccia  d'imbedllità  e 
codudia,  che  Govemo,  popolo,'  Goardia  nazionale  ed  eaercito  erano  in 
Soma  aAratellati  in  nn  solo  pensiero  di  libertà  e  di  gnerra  ai  nimici 
della  repnbblica.  Pnr  giova  parlarne,  tanto  almeno  che  Toi  non  possiate 
lipetere  la  Btolta  accnsa  senza  che  altri  possa  dirvi:  la  Tostra  ô  men- 
^gna  premeditata.  b  —  Cosi  scriTOva  Ginseppe  Mazzini  ai  Ministri 
fn&ceai  Tocqueville  e  Fallonx,  vittoriosamente  combattendo  raccnsadi 
^olenza  e  di  oppressione  data  da  Ondinot,  dal  Govemo  di  Lnigi 
^«poleone  Bnonaparte  e  da  qnanti  in  Francia  erano  nimici  aile  libertA 
â'Italia  e  al  Govemo  délia  repnbblica  lomana. 


Digitized  by  VjOOQIC 


462  CAPITOLO  VUI 


nello  Niel  a  portare  la  nuova  délia  restaurazione  del  potere 
temporale  pontificio.  Era  in  tal  modo  ch'egli  adempiva  alla 
promessa  fatta  pubblicamente  di  non  attribuirsi  mai  il  di- 
ritto  di  ordinare  gli  interessi  délie  popolazioni  romane, 
ne  importe  a  queste  un  reggimento  contrario  ai  loro  Toti, 
aile  loro  aspirazioni!  E  quanto  fossero  quelle  avrerse  alla 
sovranità  politica  del  Papa  provaronlo  allora  e  di  poi  le 
moite  condanne  di  morte  e  le  innumerevoli  sentenze  di 
prigionia  e  d'esilio  per  cittadini  colpevoli  d*amare  la  pa- 
tria  e  la  libertà  (1).  Allô  invite  fatto  dal  générale  Oudinot 
aile  soldatesche  romane  di  passare  agli  stipendi  del  Go- 
verno  pontificio,  soltanto  pochissimi  risposero  affermatira- 
mente  (2);  i  più  ricusarono,  protestando  in  modo  soknne 
contra  la  violenza,  che  avea  abbattuta  la  repubblica  nain 
per  libero  voto  dél  popolo  e  deponendo  la  spada  conse- 
crata  alla  patria,  piuttosto  che  servire  a  reggimento 
despotico  imposto  dalle  armi  francesi.  L'esercito  repub- 
blicano  disfecesi  di  per  sô  ;  molti  di  esso  riederono  ai 
domestici  focolari  (3);  altri,  e  non  furon  pochi,  sdegnando 
^ommettersi  a  potestà  restaurata  da  soldatesca  straniera, 
esularono;  in  fine,  grossa  schiera  d*armati,  già  uscitadi 
Roma  sino  dalla  sera  del  2  luglio,  correva  a  combattere 
una  guerra  di  tratteaimento  e  minuta,  duce  il  generalô 
Garibaldi;  il  quale,  fatta  deliberazione  di  soccorrere  Ve- 
nezia  —  che  tuttavia  strenuamente  resisteva  aile  arzni  as- 


(1)  Più  di  cinquanta  sacerdoti  patiiono  prigionia  in  castel  Santangdo 
per  avère  prestato  lor  cnre  ai  feriti  dell'eserdto  repnbblicano  di  Bon»! 
anche  la  carit&  cristiana  era  da  Oadinot  e  da'  snoi  Inogotenenti  asedtta 
a  deUtto! 

(2)  Fnrono  da  settecento,  aedotti  dal  colonnello  De  Pasqnali,  nooo 
di  dnbbia  fede. 

(3)  Le  reliqnie  délia  legione  Medici  si  disoiolsero;  parte  di  essa  andi) 
con  lo  strenniflsimo  sno  dnce  a  Malta;  a  Genova  l'aitara  parte  abordo 
del  Lombardo,  legno  a  vapore  che  serri  a  Garibaldi  nella  spedisoa^' 
veramente  leggendaria,  dei  JUtlU, 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  463 

A 

sediatrici  delFAustria,  —  avea  chiamato  a  quella  impresa 
si  ardna  e  piena  di  pericoli,  coloro  che  non  disperavano 
della  fortuna  dltalia,  promettendo  ad  essi,  in  ricompensa 
di  lor  devozione  alla  patria,  famé  e  sete,  camminar  lungo 
e  fatîeoso,  disagi,  priyazioni  e  stenti  d'ogni  sorta,  e  un 
pugnare  senza  posa.  Più  di  tre  mila  soldati,  tra  cni  quat- 
trocento a  cavallo,  soguirono  Taudace  condottiero,  che  pos- 
sedeva  straordinaria  potenza  di  risolozione  e  d*azione  ;  egli 
areva  poche  armi  e  scarse  munizioni,  ottanta  cartuccie 
ver  ogni  fante  !  Arrivato  il  mattino  del  3  a  Tivoli,  prov- 
veduto  che  si  ebbe  di  vettovaglie,  allô  intento  d*ingannare 
su  Vimpresa  disegnata  il  générale  Regnaalt  che  lo  incal- 
zara  con  la  sua  divisione,  dopo  avère  corso  lungo  cam- 
mino  verso   il  reame  di  Napoli,  tornossene  addietro  ;  e 
venuto  a  Monte  Rotonde  per  la  valle  del  Tevere  TS  lu- 
glio  sali  a  Terni,  ove  gli  si  unirono  da  seicento  legionari 
di  Forbes,  un  inglese,  che  amor  di  libertà  aveva  tratto  a 
combattere  per  Tltalia.  La  notte  del  di  vegnente  porto  il 
campe  a  Cesi,  indf  a  Todi  non  lungi  dal  confine  di  To* 
scana;  nella  quale  sarebbe  disceso,  se  securo  di  trovare 
î^ppoggio  e  aiuti  nelle  popolazioni.  Awertito  che  gli  Au- 
striaci  tenovano  Poligno,  mandô  fuor  di  Todi  tre  compa- 
goie  e  alquanti  cavalli  a  esplorare  le  vie  di  Perugia,  di 
Orvieto  e  di  Poligno,  e  a  spiare  altresi  i  movimenti  del 
nimico.  Innanzi  lo  albeggiare  del  13  luglio  levato  il  campo 
da  Todi,  Garibaldi  recossi  da  prima  a  Bordo,  indi  a  Or- 
vieto; ma  awertito  dello  awlcinarsi  dei  Francesl  e  degli 
^Qstriaci,  al  cadere  del  15  lasciata  Orvieto  —  che  poche 
ore  dopo  veniva  occupata  dai  Francesi  —  portossi  a  cam- 
P^iare  FicuUe,  e  il  di  appresso  per  aspri  sentieri  di 
iQontagna  cal6  a  Getona  in  Toscana.  Montepulciano  lo  ac- 
<^l3e  festante;  Arezzo,  presidiata  da  Austriaci,  gli  chiuse 
Id  porte;  alcuni  de*suoi  avrebbero  voluto  assaltarla;  ma 
%U)  oui  sopra  ogni  cosa  desiderava  raggiungere  presto 
l&  marina  adriatica,  si  volse  aU'Appennino.  n  24  pose  il 
<^ampo  a  Monterchi,  presse  il  confine  di  Romagna;  a  San 


Digitized  by  VjOOQIC 


464  GAPiTOLO  vm 


SepolcrOy  su  Talto  Reno,  badalnccô  con  gli  Austriaci;e 
coprendo  le  sue  mosse  di  drappellidi  soldat!  seppe  cosi  de- 
stramente  dirertire  Tattenzione  dei  nimiei,  da  passare  senza 
contrasto»  nella  notte  del  25»  su  la  sinistra  del  Tevere  a 
Borgo  San  Sepolcro.  Per  San  Giustino  portossi  al  monte 
Luna;  sceso  a  Mercatello  venue  a  Sant*Angelo  in  Yado 
nella  valle  del  Metauro;  dalla  quale  passô  in  quelladel 
Foglia;  il  30  luglio  tenue  per  brevi  ore  il  campo  a  Gar- 
peguo;  superata  nella  notte  Talta  valle  del  Gonca,  presea 
camminare  verso  San  Marine.  Ai  Capitani  Reggenti  qae- 
sta  antichissima  repubblica  —  la  quale  siede  sul  Titano, 
monte  posto  presse  i  confini  delVEmilia  e  délie  Marcbe  a 
quindici  chilometri  daU'Adriatico  (1)  —  Garibaldi  chiese 
licenza  di  attraversare  con  sue  genti  il  territorlo  sanm^ 
rinese  e  di  prowedersi  di  vittovaglie»  di  cui  molto  abbi- 
sognava.  Risposergli  i  Reggenti:  =  Non  potergli  concedere 
il  passe  domandato  per  non  dare  proteste  agli  Austriaci 
dMnvadere  con  loro  armi  le  terre  délia  repubblica  ;  gli  fo^ 
nirebbero  perô  quanti  viveri  gli  occorrevano.  =  Era  tardi: 
awegnacbè  i  legionari  di  Garibaldi  —  allora  poco  più  di 
due  mila  —  da  ogni  parte  premutl  dalle  armi  poderose  dei 
nimici,  valiche  le  frontière  délia  repubblica,  fossero  gli 
arrivati  aile  mura  di  San  Marine,  dalla  cui  ospitalità  ri- 
cevevano,  corne  esuli,  pane  e  riposo.  Il  Governo  délia  re- 
pubblica, richiesto  dal  générale  Garibaldi,  interponeva  i 
suoi  buoni  offlci  per  ottenere  dai  comandanti  gli  imperiali 
onesti  patti  di  resa;  e  fa  convenuto  cosi:  =  I  legionari, 
posate  le  armi,  verrebbero  in  piccioli  drappelli  condotti 
sotte  buona  scorta  aile  provincie  cui  appartenevano  e  man- 
dat! poscia  aile  loro  case;  Garibaldi  e  la  sua  famiglia  si 
imbarcherebbero  in  un  porto  del  Méditerranée  per  le  Ame- 


Ci)  n  Titano  elevasi  settecentotrenta  metrisopraillivellodelinare; 
tre  rôcohe,  costrutte  da  tempo  iimnemorabOe,  stanno  ra  le  vette  di  quel 
montei  e  son  chiamate  Fenne. 


Digitized  by  VjOOQIC 


ROMA  465 

riche;  sino  a  che  taie  convenzione  non  fosse  sottoscritta 
(la  Gorzkowsky  nessuno  dei  legionari  uscirebbe  dal  ter- 
ritorio  délia  repubblica,  e  d*ambe  le  parti  sospendereb- 
bersi  le  offese.  =  Nella  notte  del  31  luglio  Garibaldi,  dopo 
aver  fatto  conoscere  ai  Capitani  Reggenti  di  non  accet- 
tare  le  condizloni  impostegll   dagli  Austriaci,  per  la  via 
délia  Marecchia  e  di  Sogliano  riparavasi  a  Cesenatico  con 
dugento  de'  suoi  —  i  più  audaci,  1  più  fidi  —  ai  qualî  egli 
areva  promesso  combattimenti,  sacriflzi  e  patimenti  senza 
fine.  Gli  altri  legionari,  tosto  che  seppero  délia  subita- 
nea  partenza  del  loro  duce  —  e  fu  al  levarsi  del  nuovo 
giorno— diedersi  a  cercarela  via  per  la  quale  egli  si  era 
messe  per  unirsi  a  lui;  non  riescendo  trovare  traccia 
del  suo  passaggio   tumultuanti  riederono  a  San  Marine  ; 
che  avrebbero  occupata  per  farvi  l'ultima  resistenza  allô 
scopo  di  ottenere  dal  nimico  migliori  patti  di  resa,  se  il 
contegno  dei  cittadini,  deliberati  di  contrastare  loro  la 
città,  e  la  molta  vicinanza  degli  Austriaci  non  li  avessero 
siibito  condotti  a  piii  savio.  consiglio.  Deposte  le  armi,  in- 
drappellatisi  a  dieci  portavansi  a  Rimini,  indi  ai  domestici 
lari.  —  n  mattino  del  2  agosto  tredici  barche  di  pescatori 
di  Chioggia  entrate  in  mare  da  Cesenatico  facevano  vêla 
verso  Venezia,  che  sola  in  Italia  di  quoi  giorni   teneva 
alta  con  onore  la  banûiera  nazionale;  quelle  barche  porta- 
vaao  Qaribaldi,  sua  moglîe  e  alcuni  compagni  deireroe 
di  Montevideo.  In  sul  cadere  di  quel  di  erano  arrivate  già 
presse  la  Punta  délia  Maestra^  allora  che  innanzi  ad  esse 
comparivano  quattro  navi  austriache  ;  otto  di  quelle  barche, 
tomato  vano  ogni  tentative   di  fuga,  arrendevansi  al  ni- 
lûico;  aile  altre  cinque  riesciva  di  ridursi  a  terra  alla  Me- 
sola;  su  queste  trovavansi  Garibaldi,  la  moglie  sua,  Cîce- 
ruacchio  con  un  flgliuolo,  il  frate  Ugo  Bassi  e  alquanti 
^fflciali.  Dopo  avère  per  ben  quarantotto  ore  errato  di 
inacchia  in  macchia,  Garibaldi  giugneva  a  ripararsi  in  una 
^upola  contadinesca  non  lungi  di  Ravenna,  ove  la  mo- 
glie del  générale,  consunta  dai  patimenti  e  dalle  fatiche, 

30  —  Vol.  n,  Mariasi  —  Siwria  pol*  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


465  CAPITOLO    VIII 


siibito  rendeya  il  sospiro  estremo  (1).  Venuto  per  la  To- 
scaaa  al  mare  e  sopra  nave  mercatantesca  a  Ghiavari, 
Garibaldi  eravi  fatto  prigione  e  fu  il  6  settembre;  e  pochi 
giorni  dopo  liberato  di  sua  prigionia  portavasi  aU'isoletta 


(1)  Il  générale  Garibaldi,  in  nna  lettera  del  25  ottobre  1876  scritu 
da  Caprera  al  signor  Dobélli  —  nella  qnale  risponde  Tittoriosament^ 
agli  insulti  lanciati  da  un  diario  austriaco  all'Italia  —  naira  cosi  U 
miseranda  fine  dl  Angelo  Bronetti  Ciceruaeehio,  del  figlinol  sno  Lo- 
renzo  e  de'  snoi  compagnl.  —  <  Nel  1849 ,  persegoitato  in  nna  barca 
nell'Adriatico,  sbarcai  in  compagnia  di  Ciceroacchio ,  di  Ugo  Basa  e 
vari  altri  militi,  e  siccome  era  pericoloso  che  qnelli  rimanessero  ore  io 
mi  troTava ,  dissi  loro  d'incamminarsi  alla  spicciolata  per  sottrani  ai 
segugi  che  ci  persegnivano.  Ugo  Bassi  e  nn  sno  compagne,  LiTraghi, 
furono  presi  a  Bologna  e  moschettati  corne  cani.  Cicernacchio  e  il  figlio 
sno,  di  tredici  anni,  con  sei  compagni,  fra  cui  tre  de'  miei  nfficiali  di 
Montevideo,  caddero  in  potere  d'un  capitano  austriaco ,  d'nn  corpo  co- 
mandato  da  un  principe  austriaco  :  ed  ecco  in  che  modo  furono  trattati. 
Si  chiamarono  nove  contadini  e  si  ordinô  loro  di  scavare  otto  fosse,  dô 
che  si  esegui  in  preseuza  dei  prigionieri  legati;  quindi  fece  yenire  alcuii 
soldat!;  e  il  venerando,  onesto,  incomparabile  popolano  romane  cadde 
co'  suoi  sette  compagni  e  figlio,  e  tutti  fnrono  sepolti  dagli  stesai  coq- 
tadini.  U  giovane  figlio,  essendo  caduto  non  morto,  fa  finito  colcalcio 
dello  schioppo.  Si  osservi  che  Cicernacchio  e  i  compagni  erano  tutti 
vestiti  da  borghesi  e  senz'armi,  le  quali  gianunai  aveva  usato  il  Tri- 
buno  di  Roma.  Di  più  avendo  io  licenziata  la  gente  a  San  Maiino,  i 
miei  militi,  yestiti  da  borghesi ,  si  recavano  a  casa ,  e  qnando  erano 
incontrati  dai  valorosi  soldat!  deirAustria,  erano  bastonati  sensa  pieti; 
probabilmente  alcuni  portano  le  traccie  di  cotesti  insulti  di  soldatesche 
ubbriache,  e  a  ciô  allude  senza  dubbio  il  diario  austriaco,  corne  a 
nna  gloria  nazionale.  —  Fra  i  bastonati  ricordo  il  prode  maggioreDe 
Maistre,  gravemente  ferito  in  un  braccio,  che  gli  venue  poi  ampntato, 
e  che  era  coperto  di  onorevoli  fente  americane.  »  —  L'assaasinio  di 
que!  màrtiri  délia  libertà  italiana  compissi  il  10  agosto  poco  lungi  di 
Ca  di  Tiepolo,  sni  confini  veneti  del  Polesine  in  su  la  riva  simstra  del 
Po,  e  rimpetto  alla  chiesa  parrocchiale  posta  a  Cfr-Venier;  essi  rennero 
sepolti  nel  luogo  stesso  dove  per  comando  di  Bokawina,  nn  capitano 
austriaco,  erano  stati  moschettati.  Gli  avanzi  di  quattro  di  qnegli  in^ 
felici,  rimasti  scopert!  per  alcuni  anni,  prima  del  1859,  dagli  abitanti 
di  Ca  di  Tiepolo  farono  seppellit!  di  nottetempo  nel  oimitero  di  Ca-Venier. 
Nel  1866  un  barcaiuolo  scoverse  lungo  la  riva  del  Po  teschî  e  oss» 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  467 

délia  Maddalena  presso  l'isola  di  Sardegaa,  indi  a  Tangeri 
e  poscia  nelle  Americhe  (1).  A  Lima  ebbe  il  goverao  di  un 
bastimento,  il  quale,  per  ragioa  di  trafflco,  condusse  in 
China.  Nel  1855  tornô  aU'isola  di  Sardegna;  di  poi  recossi 
coi  figliuoli  ad  abitare  la  vicina  Gaprera,  ore,  novello  Cin^ 
cinnatOj  diedesi  a  coltivare  i  campi;  e  fatto  eziandio  lo 
acquisto  di  picciol  legno  corso  il  Mediterraneo  in  cerca 
d'onesti  gnadagni.  Nel  yerno  del  1859  lasciô  la  sua  predi- 
letta  Caprera  per  recarsi  a  Torino,  chiamatovi  da  Oavour 
a  ordinare  le  legioni  di  rolontari  per  la  guerra  che  la 
Sardegna  stava  per  rompere  contra  l'Austria  (2). 


nnume,  daUe  acqae  del  fiome  smossi  daUa  terra:  erano  gli  ayanzi  di 
C'cemacchio  e  degli  altri  tre  suoi  compagnL  Composti  in  nna  cassa,  con 
qaelli  innanzi  collocati  nel  cimitero,  vennero  deposïtati  neUa  cbiesa 
di  Ca-Yenier,  presse  il  battistero  ;  ove  si  pose  tma  lapide,  che  i  nomi 
degli  uccisi  dal  piombo  anstriaco  ricorda  cosi  :  «  Ferehè  —  Eroi  di 
GarU)aldi  —  Angeîo  Brunetti  Cieeruaeehio  —  Lorenzo  di  lui  figlio 
tredieenne  —  Qaetano  Fratemaîi  —  PaoU)  Bragigalussa  —  Fran- 
ceseo  Laudadio  —  Luigi  Bossi  —  Bomani  —  Stefano  Bamorino  e 
Lormzo  Parodi  —  Genovesi  —  per  famé  di  oro  ^  Da  Bokawina  mi- 
lite austriaeo  —  nelîa  noite  10  agosto  1849  ^  8u  le  terre  di  Ca-Tie- 
polo  —  Inermi  assassinati  —  Queato  monumento  —  A  gloHa  dei 
wwrttVi  Italiani  —  A  vitupero  del  eodardo  eamefiee  —  L*anno  1866 
^  H  Comune  di  8,  Nieolà  d'Ariano  —  poneva. 

(1)  Garibaldl  cercô  anche  rifngio  a  Tunisi  e  a  Gibilterra;  a  Tnnisi 
^  Bey  gli  vietô  di  prendere  terra,  é  fama,  per  comando  del  console 
^cese;  a  Gibilterra  glielo  fa  impedito  diJ  consolo  spagnaolo. 

(2)  Importa  assaissimo  dir  qui  alcime  parole  del  frate  Ugo  Bassi, 
uno  dei  màrtiri  più  glorîosi  délia  libertÀ  italiana  ;  di  lui  che  mostrô 
lominosamente,  corne  l'amore  deUa  patria  possa  andare  conginnto  a 
qnello  deUa  religione  di  Oristo.  —  CHuseppe  Bassi  nacque  in  Cento 
correodo  Tagosto  del  1801.  Anima  piena  di  fede  e  di  ferrore  religioso 
6iitr6,  diciassettenne  appena,  neUa  Congregazione  di  San  Paolo;  com- 
pinto  il  noTiziato  ne  vesti  l'abito,  e  fa  frate  Ugo.  Apostolo  ardente  del 
V&ngelo,  corse  predicandolo  le  primarie  città  d'Italia;  e  Napoli,  Bo- 
^?Qa,  Oesena,  Palermo,  Milano,  Qenoya,  Piacenza,  Trapani,  Marsala  e 
^^tania  ndironlo  esaltare  con  eloqaenza  insnperabile  le  glorie  délia  re« 
^one  cristiana  e  bandîme  i  precetti  dlTini;  e  montre  dal  pergamo 


Digitized  by  VjOOQIC 


468  CAPITOLO   TIII 


Il  governo  di  Oudinot  in  Roma  fu  tutto  militare,  non 
despotico,  corne  a  torto  da  molti  si  scrisse  ;  venno  perô 
data  colpa  a  quel  générale  d'essersi  mostrato  troppo  ligio 
ai  Cardinali'Ministriy  e  questo  è  vero;  ond'essi,  protett: 
dalla  bandiera  francese,  poterono  commettere  basse  per- 
secuzioni,  che  costrinsero  cittadini  onestissimi  a  esulare 
di  Roma,  e  a  cercare  sainte  e  pace  nella  ospitale  Sardegna 


folminaya  i  yizi,  dava  ai  caduti  in  colpa  i  piû  santi  consigli  per  rial- 
zarsL  La  saa  parola  franca  e  seyera  gli  soscitô  contra  penecozioni  fie- 
rissime,  soprâmmodo  dai  GFesniti,  persecozioni  che  egli  sopportd  cm 
rassegnazione  tntta  cristiana.  Grande  ammiratore  e   caldo  sostenitore 
di  Pio  IX,  qaando  qaesti,  dopo  il  più  largo  dei  perdoni  che  sia  stato 
concesso  mai  dai  régnant!  ai  sndditi,  erasi  mostrato  propngnatore  délia 
liberté  patria  e  inangnratore  di  nn'êra  felice  perFItalia,  Ugo  Bassi  fecesi 
a  spargere  nel  popolo  le  speranse  del  più  lieto  ayrenire.  Allora  predicô  in 
Alessandiia,  in  Torino,  citt&  questa  per  lo  innand  contrastatagli  dai  Lojo- 
lesohi,  e  doye  ebbe  da  Carlo  Alberto  festose  accoglienze.  Nel  1848  pie- 
dicaya  in  Ancona,  allora  che,  sapnto  del  passare  dei  volonicari  romasi 
accorrenti  alla  gaerra  di  Lombardia,  lasciaya  il  pnlpito  per  andare  ccd 
essi  all'impresa  in  compagnia  del  padre  Gayazzi,  che  di  Borna  avéra 
condotto  qnei  volontari.  Il  12  maggio  Ugo  Bassi  toccaya,  daranti  % 
TreyiBO,  grayi  fente  al  braccio  smistro  e  al  costato  presso  U  cnore. 
Dopo  malattia  longa  e  dolorosa  recnperata  la  sainte ,  yolgendo  giâ  a 
maie  le  faccende  délia  gnerra  su  TAdige  e  sol  Hincio,  IJgo  portossi  i 
Venezla;  oye  diyise  coi  difensori  di  qaella  strennissima  città  gli  stenti' 
le  fatiche  e  le  glorie  del  memorando  assedio,  e  yi  stette  sino  a  qiiu^o 
richiamate  a  Borna,  per  la  fùga  del  Pontefice  a  Gaeta,  le  romane  l^ 
gioni,  nel  dicembre  di  qnell'anno  1848  lasdaya  Venezia;  portatosi  & 
Bologna,  yi  si  fermaya  quasi  due  mesi;  a  meszo  il  febbraio  del  1849  re- 
cayasi  alla  città  éternel  Eietto  da  Mazzini  cappeUano  délia  legione  di 
Garibaldî,  il  3  marzo  andaya  a  Rieti ,  allora  campeggiata  dall'eioe  di 
Monteyideo,  cui  fu  da  quel  giorno  compagno  indiyisibile  nelle  pagne 
del  glorioso  assedio  e  nella  ritratta  di  Roma.  In  sul  finire  del  combat- 
timento  del  30  aprile  Ugo  Bassi  yeniya  a  mano  dei  nimici,  mentrenell^  ■ 
yilla  Pamfili  confortayaalla  suprema  dipartita  un  soldato  ferito  a  morte.  > 
NeUo  andar  prigioniero  al  campo  francese  ebbe  a  sofi&îre  gnvi  io^^' 
dai  soldati  di  Oudinot,  ehe  troHaranlo  quale  brigantCf  come  scrisse  egli  | 


Digitized  by  VjOOQIC 


ROMA  469 

e  in  terre  straniere  (1).  H  signor  di  Gorcelles  volse  bensi 
tutte  le  sue  cure  al  Gorerno  pontiflcio,  per  dargli  un  in- 
dirizzo  saggio  e  temperato  e  rispondente  altresi  agli  in- 
tendimenti  del  Buonaparte  e  aile  promesse  fatte  ai  Ro- 
mani; ma  gli  sforzi  del  Gommissario  di  Francia  caddero 
a  vuoto,  causa  il  mal  volere  di  chi  allora  stava  attorno 
al  Ponteflce.  Ne  esito  migliore  sorti  ai  buoni  ofûci  del  si- 
gnore  di  Rayneval,  Toratore  di  Prancia  in  Gorte  di  Gaeta; 


stesso  alla  madré.  H  mattino  del  primo  Inglio  portayasi  a  Borna  con 
lettera  del  comando  deU'esercito  nimico  al  Govemo  délia  repabblica; 
nella  sera  riedeya  con  la  risposta  al  générale  Ondinot,  che  il  di  appresso 
rimandayalo   libero.  Caduta  Borna  in  potere  dei  Francesi,  Ugo  Basai 
segd  Gaiibaldi,  il  quale,  corne  scriyemmo  qni  sopra,  aveya  risolnto  di 
condone  in  soccorso  di  Venezia  bnona  schiera  de'  snoi  legionari;  in 
verità  generosa  impresa,  cni  la  sorte  serbato  ayeya  miserando  fine. 
Bopo  ayere  inrano  tentato  il  mare,  Garibaldi,  il  figliaol  sno,  e  alcnni 
pochi  nfficiali  snoi  yolgeyano  il  passe  a  Bayenna  ;  Ugo  Bassi  e  il  capi- 
tano  lâyragM  —  un  Lombardo,  nn  disertore  dalle  bandiere  anstriache 
—  camminayano  yerso  Gomacchio  a  cercaryi  Tainto   d'nn  amico;  ma 
sorpiesi  per  yia  dai  carabinieri  pontifici,  legati  mani  e  piedi  quasi  fos- 
sero  dd  malfattori,  yeniyaiio  condotti  a  Bologna;  oye  1*8  agosto  incon- 
tT&Yano  con  animo  inyitto  il  snpplizio  estremo.  Sotto  la  terra,  che  mo- 
rendo  bagnô  col  sao  sangne,  yenne  Ugo  Bassi  sepolto;  ma  presto  era 
tr&tto  di  là  e  deposto  in  Inogo  ignoto.al  popolo  per  comandamento  di 
moQsignor  Bedini,  al  qnale  non  poco  infastidiya  il  pellegrinare  inces- 
sante dei  Bologmesi  alla  tomba  di  qnel  martire.  Dieci  anni  appresso, 
6  piopiiamente   il  7  agosto  1869,  le  spoglie  mortali  di  frate  Ugo 
tr^iuportayansi  al  cimitero  deUa   Certosa,  e   sopra  il  sepolcro,  che  le 
cMudeya,  scriyeyasi  cosi:    «  Uoo  Babsi  —  Nuovo  Arehetipo  —  Dei 
^^  Testamenti  —  inoB  —  billa  yiTA  tbbbina  i    oilisti  — 
VABTxu  —  DiLLO  AMOB  PATBio  S  BILIOI080  —  MemoTOte,  OnoraU, 

(1)  «  E  qni  deyesi  ricordare  come,  essendosi  yennti  all'atto  délia 
^^^^i^giui  deUe  casse  e  dei  portafogli  del  Tesoro,  gli  stessi  commissari 
^^  feceio  délie  regolarità  e  délia  probità  Inminosa  degli  ammini- 
^toii  tepubblicani  amplissima  testimonianza.  » 

BitYioLiiiii,  Storia  âHioMa  dal  1804  al  1866,  yoL  ly,  cart.  227; 
^Glauo,  1867. 


Digitized  by  VjOOQIC 


470  cApiTOLO  vni 


il  quale,  non  riescendo  a  inspirare  ai  Cardinali  miti  consi- 
gli,  aveva  cercato  d'indurre  Pio  IX  ad  affrettare  il  ritorno 
a  Roma  (1),  per  condurre  i  Ministri  suoi  a  giusta  mode- 
razione,  e  cosi  metter  fine  ai  dolori  che  opprimevano  il 
popolo  suo.  —  Al  supremo  Maestrato   dei   cittadiai,  che 
sempre  e  soprammodo   nell'avversa   fortuna,   àvea  tanto 
dignitosamente  rappresentato  la  romana   grandezza,  era 
aucceduto  uno,  più  che  devoto,  servile  a  quella  autorité, 
che  un  giorno  abbattuta  dal  popolo  veniva  allora  restau- 
rata  dalle  armi  straniere.  Ne  certo  saprebbesi   affermare 
se  negli  uomini  del   nuovo  Magistrato    délia   città  fosso 
maggiore   l'abbiettezza  dei  sentiment!   o   la  viltà  dell'a- 
nimo,  leggendo  la  lettera  scrîtta  dai  membri  di  quello 
a  Oudinoty  nella  quale  con  parole   adulatorie   sforzaronsi 
di  pascere  la  yanità  del  capitano  francese,  e,  ben  si  com- 
prende,  a  scopo  indegno  (2).   =   Ogni  romano,   dicevano 
essî,  amico  délia  patria  sente  gratitudine  profonda  per  lui 
che  degnamente  compi  la  missione  di  rîstabilire  Tordine 
e  la  sovranità  temporale  del  Ponteflce  nella  metropoli  del 
monde  cristiano.  Moderato  nella  pugna,  dolce  dopo  la  vit- 
toria,  le  sue  virtù  diminuirono  i  mali  che  la  guerra  tra- 
scina  dietro  a  se  ;  onde  furono  salvi  i  monumenti  deU'arte 
antica  e  moderna,  gloria  di  Roma  e  che  appartengono  al 
monde  civile.  =  n  15  luglio  Oudinot  assisteva  nella  ba- 
silica  Vaticana  a  un  solenne   Te  Deum^  cantato  in  ria- 
graziamento  délia  vittoria  francese  e  délia  restaurata  po- 
testa  pontificia;  tutto  il  presidio  in  su  Tarme  trovarasi 


(1)  Al  générale  Ondinot,  ito  a  Gaeta  per  soUecitare  il  ritomo  del 
Pontefice  all'apostolica  sua  sedia,  Pio  IX  aveva  dato  parola  di  Toletsi 
recare  presto  a  Castel  Gandolfo. 

(2)  Del  nnovo  Maestrato  dei  cittadini,  presieduto  dal  principe  Pietio 
Odescalchi,  erano  membri:  Bianchini  e  Pericoli,  i  profeasori  Carpi  « 
Pieri;  gli  awocati  Balli,  Scaramncchi  e  Massani,  i  dottori  Tayani,  Belli, 
Alibrandi  e  Spagna,  i  marchesi  Capranica,  Qaglielmi,  Sacchetti  e  Cam- 
pana. 


Digitized  by  VjOOQIC 


ROMA  471 

schierato  dalla  piazza  di  san  Pietro  a  Castel  Saatangelo, 
sul  quale  e  sul  Campidoglio  alzavasî  nel  medesîmo  istante 
la  bandiera  papale  saluiata  da  cento  colpi  di  cannone.  Due 
giorni  dopo  la  restaurazione  del  potere  temporale  Pio  IX 
mandava  da  Gaeta  ai  sudditi  diletU  un  manifeste,  già  da: 
molti  giorni  atteso,  annunziante  Tinvio  a  Roma  di  Gom- 
messari  pontiflci,  i  quali  con  Taiuto  dei  Ministri  dovevanp 
riordinare  il  governo  dello  Stato.  —  In  sul  cadere  di  lu- 
glio  yennero  in  Roma  Commessari  del  Papa  1  cardinali 
Délia  Genga,  Altieri  e  Vannicelli:  offlcio  si  importante  e 
si  arduo,  quale  era  il  riordinamento  délia  cosa  pubblica 
in  quel  tempo  in  cui  le  passioni  più  ardenti  e  più  diverse 
commuoveyano  e  agitavano  le  popolazioni,  non  poteva  darsi 
ad  ttomini  piii  inetti  e  anche  più  tristi;  parle  cosi  di  essi 
corne  reggitori  di  popoli,  non  come  ecclesiastici,  ne  cit- 
tadlni  privati.  In  fatto,  nimico  apertissimo  ad  ogni  libertà 
poteva  il  cardinale  Délia  Genga  condurre  a  buon  fine  sua 
missione  di  pace,  egli,  dei  piii  fanatici  della  setta  atcstro- 
sanfedista  e  stato  avverso  alla  elezione  di  Pio  IX  al  Somme 
Pontificato  ?  come  adempire  quella  missione  Tantico  nun- 
zio  papale  in  Corte  di  Vienna,  il  cardinale  Altieri,  un  de- 
gli  amici  più  devotl  del  principe  Metternich?  e  potevala 
forse  compiere  degnamente  Yannicelli,  tolto  già  da  Pio  IX 
alla  legazione  di  Bologna,  a  cagione  del  féroce  suo  avver- 
sare  la  parte  libérale?  —  Il  mal  governo  di  questi  por- 
porati  —  che  il  popolo  con  terribile  allusione,  ma  giusta, 
designô  col  nome  di  triumvirato  rosso  —  innaspri  tutti 
gli  ordini  dei  cittadini  ;  avvegnachè  si  perseguitassero  al- 
lora  non  solamente  i  fautori  e  i  difensori  della  repubblica, 
ma  eziandio  chi  Taveva  osteggiata,  e  dei  rappresentanti 
delFAssemblea  colore  altresi  che  eransi  mostrati  favorevoli 
al  restauramento  papale.  Le  accuse  lanciate  contra  i  Car^ 
dinali'triumvîri  suscitarono  gli  sdegni  nei  supremi  reg- 
gitori di  Francia  e  nello  stesso  Buonaparte.  —  Odillon 
Barrot,  che  aveva  già  aflfermato:  =  Dallo  intervenire  délie 
anni  francesi  dover  scaturire  guarentîgie  larghe  e  secure 


'  Digitized  by  VjOOQIC 


472  •    OAriTOLO  viii 


alla  causa  délia  libertà  ;  il  Governo  délia  repubblica  mn 
poter  permettere  mai  una  restaurazione  papale  coûtraria 
ai  principi  da  essa  professati,  ne  imporre  agli  Italiani  nes- 
sun  reggimento  politico;  =  Odillon  Barrot,  io  dico,  sapato 
dello  sgoveraare  del  triumvirato-rosso  ebbe  a  condannare 
rimpresadi  Roma,  che  era  opéra  sua;  e  il  principe  Na- 
poleone,  ayvertito  délia  troppa  condiscendenza  di  Oudinot 
verso  i  Cardinali-triumviri  (1),  sdegnato  altresi  contra 
questi  che  abusavano  non  poco  délia  protezione  di  Fran- 
cia,  cbiamato  a  se  quel  générale,  dava  il  comando  deiïe- 
sercito  francese  a  Roâtolan,  oui  deputava  il  luogotenente 
colonnello  Edgardo  Ney  con  lettera  sua,  la  quale  importa 
assai  qui  riferire.  —  «  La  Repubblica  francese  non  ha 
inviato  un  esercito  a  Roma  per  soffbcarvi  la  libertà  ita- 
liana,  ma  sibbene  per  regolarla,  togliendola  a'  suoi  propri 
eccessi,  e  per  darle  una  solida  base,  rimettendo  sul  tronc 
pontiflcio  il  principe  che  primo  erasî  posto  arditamente 
alla  testa  di  tutte  le  utili  riforme.  Apprendo  con  dolore, 
che  gli  intendimenti  benevoli  del  Santo  Padre  e  la  nostra 
opéra  rimangono  sterili  dayanti  a  passioni  e  a  superiorità 
o  pressioni  nimiche.  Vorrebbesi  dare  base  del  ritorno  del 
Ponteûce  la  proscrizione  e  la  tirannia;  dite  da  mia  parte 
al  générale  Rostolan,  ch'  egli  non  deve  permettere,  che  al- 
Tombra  délia  bandiera  francese  si  commettano  atti,  1  quali 
possano  snaturare  il  carattere  del  nostro  interrento.  Io 
riassumo  cosi  il  potere  temporale  del  Papa:  perdàno  g^ 
nerale,  secolarizzazione  delVamministraziotie,  cadicena' 
poleontco,  e  governo  libérale,  Io  sono  stato  personalmente 
ferito,  leggendo  il  manifeste  dei  tre  Oardinali,  di  non  re- 
dore fatta  menzione  del  nome  délia  Francia,  nô  délie  sof- 
ferenze  dei  uostri  valorosi  soldati.  Ogni  insulte  reeato 
alla  nostra  bandiera  o  airesercito  nostro  va  diritto  al 


(1)  Innanzi  di  riedere  a  Francia  il  générale  Oadinot  yintaya  il  Poa- 
tefice  in  Gaeta  e  il  re  Ferdinando  in  Napoli;  il  primo  settembret  ^ 
trato  in  mare,  ylaggiava  yerso  Maraiglia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMÀ  473 

cuore,  e  io  vi  prego  di  far  bene  conoscere  che  se  Francia 
non  veade  i  suoi  servigi,  essa  esige  almeno  délia  gratitu- 
dine  de' suoi  sacriûzi  e  délia  sua  abnegazione.  AUora  che 
le  nostre  armi  fecero  il  giro  deirEuropa,  dovunque  esse 
lasciarono,  corne  traccia  del  suo  passaggio,  la  distruzione 
degii  abusi  délia  feodalità  e  i  germi  délia  libertà.  Non  sarà 
mai  detto  che  nel  1849  ua  esercito  francese  abbia  potuto 
operare  in  altro  senso  e  dare  altri  risultamenti.  Dite  al 
générale  di  ringraziare,  in  mio  nome,  l'esercito  del  suo 
nobile  contegno.  Gon  dolore  io  seppi  che  anche  fisicamente 
i  nostri  soldati  non  furono  trattati,  corne  dovevano  esserlo. 
Nulla  deve  essere  negletto  per  piantare  conrenevolmente 
i  qnartieri  dell'esercito  nostro.  Ricevete,  mio  caro  Edgardo 
Ney,  Tassicurazione  délia  mia  sincera  amicizia.  —  Luigi 
Napoleone  Buonaparte.  » 

Da  questa  lettera  di  chi  presiedeva  ai  destini  délia  Fran- 
cia chiaramente  rilevasi:  =  L'impresa  di  Roma  avère  avuto 
per  primo  intente  la  restaurazione  del  potere  temporale 
del  Pontefice,  e  ciô  contrariamente  a  quanto  era  stato  affer- 
mato  dal  générale  Oudinot  nel  manifeste  26  aprile  ai  Romani, 
cioè:  che  la  Francia  non  intendeva  attribuirsi  il  diritto 
di  ordinare  gli  inieressi  délie popolazioni  romane;  e  anche 
dai  Ministri  alFAssemblea  nazionale  francese  :  che  Vesercito 
^epubblicano  aveva  per  iscopo  di  proteggere  Roma  conr 
^^d  le  armi  austriache;  le  quali,  invase  le  Legazioni, 
<ivanzavan$i  minacciose  contra  la  città  etema;  in  oltre, 
<îon  quella  spedizione  aver  voluto  assicurare  un  Imon 
Q(mrno  ai  popoli  délie  Romane,  e  una  Imona  libertà.  = 
Nella  lettera  a  Edgardo  Ney  il  principe-présidente  lagna- 
vasi  che  a  base  del  ritorno  di  Pio  IX  si  volessero  dare 
proscrizione  e  tirannia;  vano  lamente,  avvegnachè,  bene 
^uoscendo  gli  intendimenti  dei  consiglierx  del  Pontefice, 
aresse  dovuto  per  sentimento  di  umanità  e  giustizia  im- 
Porre  loro  condizioni  oneste  ed  eque  per  la  restaurazione 
^6Ua  potestà  temporale;  in  tal  modo  non  sarebbesi  veduta 
la  bandiera  repubblicana  di  Francia  coprire  atti,  che  mu- 


Digitized  by  VjOOQIC 


474  OAPITOLO    VIII 


tavano  il  carattere  dello  intervento  armato  francese.  Do- 
levasi  in  ultimo  Napoleone  Buonaparte  délia  ingratitadine 
dei  Gardinali-triumviri,  i  quali,  in  un  manifesto  ai  Romani, 
nuUa  avevano  dette  dei   gravi   sacriflzi  sopportati  dalla 
Francia  e  dei  patimenti  sofferti  dai  soldait  in  queUa  im- 
presa,  ora  malamente  trattati.  Non  dei  Cardinali,  ma  dei 
générale  Oudinot  doveva  querelarsi  il  Présidente;  di  Ou- 
dinot,  il  quale,  troppo  condiscendente  verso  la   Corte  di 
Gaeta,  non  biasimava,  ma  anzi  quasi  scusava  il  xïibïq  ope- 
rare  dei  triumviratCHTOSSO,  e  assai  poco  curavasi  dell'o- 
nore  délia  Francia  e  meno  ancora  poi  dei  benessere  del- 
Tesercito  fidato  aile  sue  cure.  —  11  générale  Rostolan,  che 
era  pur  grandemente  inchino   ai   voleri  délia  Corte  di 
Gaeta,  aflfermando  essere  la  lettera  dei  Présidente  affàtt) 
privata  e  tutta  intima,  e  pretessendo  altresi  che,  se  si 
facesse  conoscere  per  le  stampe  potrebbe  fortemente  corn- 
muovere  le  popolazioni  e  turbare  le  politiche  faccende  già 
avviate  a  buon  compimento,  riûutossi  di  pubblicarla;  ma 
il  luogotenente  colonnello  Ney,  non  estante  il  vivo  opporsi 
di  Rostolan,  la  metteva  fuora.  Di  li  le  ire    dei  Cardinali- 
triumviri  ;  i  quali,  se  non  fosse  stato  dei  générale  Rostolan, 
che  confortavali  dei  suo  appoggio,  avrebbero  risegnato  il 
proprio  offlcio  e  laaciata  Roma;  di  li  eziandio  gli  sdegni 
dei  Ponteflce  che,  posta  in  non  cale  la  promessa  fatta  a 
Oudinot  di  presto  recarsi  a  Castel  Gandolfo  in  mezzo  ai 
soldati  di  Francia,  sul  cominciare  dei  settembre  partira 
di  Gaeta  per  recarsi  con  la  sua  Corte  a  Portici  (U  Ire  e 
sdegni  suscitava  parimenti  la  pubblicazione  di  quella  let- 
tera neirAssemblea  francese  e  nel  principe-présidente  délia 
repubblica.  Il  tirannico  governo   dei   trium'oiratxy'TO^  ^ 
la  sconoscenza  dei  beneflzi  ricevuti  indussero  Napoleone 
a  domandare  una  riparazione  alla  sua  dignità  offesa  6  a 
quella  altresi  délia  Francia;  e  TAssemblea  nazionale  poi 


(1)  Pic  IX  dimorô  in  Gaeta  nove  mes!  e  nove  gioini. 


Digitized  by  VjOOQIC 


fiOMA  475 

fecesi  a  dire  cosi  :  =  Se  la  lettera  del  Présidente  ferisse 
la  cosUhùzione,  lo  si  ponesse  dai  Ministri  in  accusa;  se  a 
ragione  egli  si  fosse  lagnato,  i  Ministri  approTassero  quella 
lettera  e  proprio  nel  modo  che  meglio  convenisse  all'im- 
portanza  délia  cosa. 

Mentre  a  Parigi  cosi  si  discutera,  arrivava  in  Roma  un 
moturproprio  di  Pio  IX  ai  sudditi  suoi  —  pubblicato  in 
Portici  il  12  settembre  —  nel  quale,  dopo  avère  reso  il 
dovuto  omaggio  al  valore  délie  armi  degli  Stati  cattolici, 
che  avevanlo  rimesso  nel  domini  temporali  délia  Santa 
Sede  e  liberati  i  popoli  suoi  dalla  tirannide  che  in  mille 
guise  11  opprimeva;  e  dopo  avère  altresi  ricordata  la  sol- 
lecitudine  sua  nello  stabillre  le  bas!  délie  istituzioni  atte 
ad  assicurare  convenienti  larghezze  e  la  comune  indipen- 
denza,  annunziava  il  costitulrsi  in  Roma  di  un  Consiglio  e 
di  una  Consulta  di  Stato  (1);  il  confermai*si  dei  Gonsigli 
provinciali;  il  regolarsi  délie  rappresentanze  e  ammini- 
strazioni  comunali  con  ampie  franchigie;  in  fine,  le  rifor- 
magioni  e  i  miglioramenti  airordine  giudiziario,  alla  legis- 
lazione  civile,  criminale  e  amministrativa  che  erano  vohiti 
dai  tempi  e  il  perdôno  a  quel  tramatt,  stati  trascinati 
alla  felkmia  e  alla  ribellione  dalla  seduzione,  dalVincer- 
tezza  e  forse  ancora  dalVinerzia  altrui.  —  In  verità  le 
riformagioni  cui  accennava  il  Ponteflce  nel  mott^-proprio, 
non  potevano  soddisfare  ai  bisogni  dei  sudditi  suoi,  ne  aile 
giuste  esigenze  di  Luigi  Napoleone  e  de'  suoi  Ministri,  i 
quali  anzitutto  avevano  chiesto  per  li  popoli  délie  Roma- 
gne  la  secolarizzazione  amministrativa,  il  codice  napoleo- 
nico,  un  perdôno  générale  e  un  reggimento  informato  a 


(1)  «  n  Consiglio  di  Stato  —  eosi  il  motthproprio  del  Pontefice  — 
daià  il  sno  parère  sopra  i  progetti  di  legge  prima  che  siano  sottoposti 
alla  sanzione  soyrana;  esaminerà  tutte  le  qtdstioiii  più  grayi  d'ogni 
nu&o  délia  puhhlîca  amministrazione.....  La  Consulta  di  Stato  per  la 
Finanza  (sic)  sarà  intesa  snl  préventive  dello  Stato  e  ne  esaminerà  i  con- 
simtiYi,  pronnnciando  sni  medesimi  le  relative  sentenze  sindacatorie...:.  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


476  OAPITOLO   TUI 


princîpi  liberali  (1).  Pio  IX  aveva  promesso  quanto  egli 
ben  sapeva  di  non  poter  mantenere;  ayy.egnachè  col  pa- 
pato  temporale  la  libertà  dei  Gomuni  non  accordlsi  mai; 
e  con  l'autorità  ecclesiastica  —  despotica  quando  sta  sopra 
le  cose  terrene  —  sieno  Impossibili  le  riforme  agi!  ordi- 
namenti  civili,  e  che  nel  motu^roprio  del  Pontefice  erano 
state  solennemente  annunciate.  Il  perdôno  ai  tratfiaU 
dalla  seduzione,  che  avrebbe  dovuto  essere  pieno  e  intiero 
con  grande  beneflzio  délie  popolazioni  e,  oso  proprio  af- 
fermare,  con  grandissimo  vantaggio  del  papato,  conteneva 
tante  e  tali  eccezioni,  le  quali,  oltre  dar  luogo  agli  arbi- 
trî  più  disonesti,  facevano  si  che  la  maggiore  parte  di  quel 
traviati  trovavansi  esclusi  àalla  grazia  papale  (2).  H  lavoro 
dei  Cardinalî-triumviri  non  fu  di  restaurazione,  sibbene 
di  distruzione,  perô  che  il  triumvirata^osso  avesse  riem- 
piuto  le  prigioni  d'uomini  rei  d'avere  obbedito  a  chi  reg- 
geva,  sotto  la  repubblica,  la  somma  délia  cosa  pubblica; 
mandate  al  supplizio  estremo  uomini  colpeyoli  d'arere  ri- 
tenuto  délie  armi  non  estante  il  divieto  délie  leggi,  ed 
esiliato  persino  coloro  che  ayevano  date  opéra  efficace  al 
rîstabilimento  délia  autorità  pontiflcia  (3);  onde  è  facile 
cosa  immaginare  di  quanti  dolori  e  afâizioni  foasero  piene 
la  metropoli  e  le  provincie»  nelle  quali  non  rare  volte  si 
Yidero  gli  Austriaci  difendere  i  perseguitati  dai  Goinmes- 


(1)  Yedi  la  lettera  citata  di  Lnigi  Napoleone  Bnonaparte  al  Imgo- 
tenente  colonnello  Edgardo  Ney. 

(2)  Yennero  esclusi  dalla  grazia  pontificia  1  membri  del  Gorenio 
temporaneo  di  Roma,  qaelli  del  Trinmyirato,  del  Governo  délia  repnb- 
blica  e  dell'Assemblea  Costituente  romana  e  i  principali  dell'eseieito 
con  tutti  i  già  perdonati  nel  1848.  Quanta  differenza  tra  l'amnistia  data 
da  Pi«  IX  al  suo  ascepdere  alla  sedia  apostolica  e  quella  del  18491 

(3)  A  far  meglio  conoscere  il  modo  di  govemo  dei  piimi  tempi  délia 
restaurata  autorità  temporale  del  Papa  basta  riferire  clô  che  il  conte  di 
Bayneyal  ebbe  a  raocomandare  al  générale  Oudinot,  cioé:  «fÛNpedtre 
a  ogni  eosto  gli  arresti  arhitrari  per  delitti  poliHci;  coei  BaOejdier 
nella  sua  storia  délia  rivoluzione  di  Roma. 


Digitized  by  VjOOQIC 


KOMA  477 

sajri  del  Papa.  Per  si  fatto  sgoverno  indignati,  alcunî  del- 

l^Ajssemblea  francese  protestarono  contra  le  spese  délia  spe- 

dizione  di  Roma;  la  quale  aveva  avuto  per  intento,  non 

di  cissicurare  aile  popolazioni  romane  un  buon  reggi- 

rrtenio  e  una  buona  libertà^  corne  era  stato  promesse  dai 

Ministri  del  Buonaparte  aU'Assemblea  stessa,  ma  di  ricon- 

durre  quelle  sotto  la  potestà  assoluta  del   Pontefica    Tre 

^oroi  dararono  le  discussioni  e  le  dispute  (1);  nellequali 

dalla  parte   moderata  lanciaronsi    le  più   basse  ingiurie 

contra  la  rivoluzione  italiana;  e   î  supremi   reggitori  di 

Francia  non  vergognaronsi  d'accusarla  d'avere  cominciata 

la  repubblica  romana  con  la  violenza  e  Tassassinlo,  e  per- 

sino  d'aflTermare  che  la  restaurazione  deirautorità   ponti- 

ficia  era  stata   compiuta  senza  spargimento   di   sangue 

umano,  senza  la  perdita  dei  béni  e  délia  libertà   di   chic- 

chessia.  Menzogna  qunsta!  avyegnachè  ben  sapessero,le 

carceri  dello  Stato  essere  piene  tanto  da  non  poter  più 

capire  prigionîerî;  non  pochi  cittadini  avère  perduta  la 

vita  8ul  patibolo  per  sentcnza  dei  tribunall,  nei  quali  Tar* 

bitrio,  non  la  legge,  regnava;   che  moltissimi  erano  stati 

cacciati  in  esilio  e  molti  altri  avevano  volontariamente 

esulato  dalla  patria   terra   per   salvare   la   vita.  Monta- 

lembert  con  eloquenza,  in  verità  degna  di  migliore  causa, 

sostenne  che  Tonore  délia  bandiera   francese   non  aveva 

corso  pericolo  veruno  nella  impresa  di  Roma,  per  distrug- 

gervi  la  repubblica  e  restituirvi  Tautorità   papale.  «  La 

storia  lo  dira,  gridô  egli  allora;  pîeno  di  confldenza  io 

ne  invoco  il  giudizî'o  e  la  cbiamo  a  far  fede  délie  mie 

parole.  >  E  la  storia  già  pronunziô  il  giudizio  suo,  severo 

ma  imparziale,  condannando  quella  impresa,  condotta  con 

la  menzogna,  e  vittoriosa,  ma  con  gli  inganni  e   i  tradi- 

menti  del  générale  Oudinot  !  —  Il  31  gennaio  1848  Odil- 

lon  Barrot  ebbe  aflTermato  il  diritto  assoluto  degli   Stati 


(1)  Gi6  awenne  circa  a  mezzo  l'ottobre  del  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


478  CAPiTOLO  vin 


italiani  alla  libertà  e  alla  indipendonza  ;  e  di  poi,  che  la 
Francia  non  distruggerebbe  mai  la  repubblica  romanau..; 
che  le  armi  délia  repubblica  non  interverrebbero  initalia 
per  imporre  verun  governo,  ne  a  difenderne  in  Roma 
nessuna  forma. —  Il  23  maggio  di  queiranno  stesso  La- 
martine, dopo  avcr  fatto  conoscere  aU'Assemblea  nazionale, 
che  la  Francia  aiuterebbe  gli  Italiani  nella  guerra  di  in- 
dipendenza,  che  essi  combattevano  sul  Mincio  e  su  l'A- 
dlge,  la  assicurava,  che  in  verun  caso  mai  l'Italia  cadrebbe 
sotte  il  giogo  si  gloriosamente  scosso  e  abbattuto;  in  fine, 
che  lo  Statuto  fondamentale  délia  Francia  diceva  :  non  do- 
vere  questa  usare  mai  le  forze  proprie  contra  la  libertà 
dei  popoli.  —  Non  estante  le  affermazioni  e  le  assicura- 
zioni  date  da  Odillon  Barrot  e  da  Lamartine  la  repubblica 
romana  venue  abbattuta  daU'esercito  francese  per  restau- 
rare  la  sovranità  temporale  del  Pontofice,  duce  il  fedifrago 
Oudinot,  il  quale,  corne  sopra  notammo,  fece  l'impresa  e 
vinse  piii  con  maie  arti  che  col  senno  suo  e  col  valore 
délie  armi  da  lui  capitanate.  Con  eloquenza,  certamente 
non  inferiore  a  quella  di  Montalembert^  parlarono  Arago, 
Vittore  Ugo  e  Mathieu  per  censurare  Toperato  del  Groverno 
di  Francia  e  difendere  la  rivoluzione  italiana  contra  i 
tristi  che  avevanla  calunniata  e  vilipesa.  —  Messa  a  par- 
tito  la  legge  su  le  spese  per  la  spedizione  di  Roma,  unitisi 
nel  suflfragio  i  fautori  e  gli  aderenti  alla  monarchia,  agU 
amici  e  sostenitori  di  Napoleone  Buonaparte,  gli  orleani- 
sti  ai  legittimisti,  quella  legge  vinse  la  prova.  —  In  quel 
mezzo  —  fallite  le  pratiche  con  Oudinot  per  indurlo  a  ri- 
prendere  il  comando  militare  di  Roma  e  fargli  eziandio 
accettare  l'ufflcio  di  ambasciatore  straordinario  in  Corte 
del  Pontefice  —  il  Governo  délia  repubblica  surrogava  a 
Rostolan  il  générale  Baraguey  d'Hilliers  ;  il  quale  tenne 
per  brève  tempo  il  comando  suprême  délie  armi  francesi 
in  Roma;  avvegnachè,  poco  dopo  il  ritorno  di  Pio  IX,  ve- 
nisse  richiamato  a  Parigi  e  surrogato  dal  générale  Geman 
nel  comando  di  quelle. 


Digitized  by  VjOOQIC 


ROMA  479 


Correva  il  4  aprile  1850  quando  Pio  IX,  assicurato    dal 
Segretario  di  Stato,  il  cardinale  Antonelli,  essere  compiu- 
tamente  vinta  la  ribellione,  che  aveva  sconvolto  gli  or- 
dini  e  turhato  i  sudditi  suoi,  lasciata  Porfcici,  per  la  via 
di  Capua  e  Gaeta  awiavasi  a  Roma.  A  Valmontone   egli 
prendeva  commiato  dal  Re  di  Napoli   e   dal   principe   di 
Calabria,  ivi  portatisi   per  rendere  l'ultimo  omaggio  al- 
Tospite  illustre.  A  Terracina  —  la  prima  città  délia  Chiesa 
che  il  Pontefice  trovô  in  suo  cammino  —  egli  fu  ricevuto 
dai  principali  délia  magistratura  e  dagli  inviati  délie  terre 
circonvicine  e  da  quelli  di  Roma  altresi,  venutigli  incon- 
tro  pep  ossequiarlo.  Nelle  ore  pomeridiane  del    12   aprile 
il  Somme  Pontefice  rientrava  nella  città  eterna  al  trarre 
fragoroso  délie  artiglierie,  al  suonare  délie  campane,  délie 
trombe  e  dei  tamburi,  i  quali,  piîi  che  strepito  d'allegrezza, 
facevano  gazzarra  spaventosa  a  udirsi  (1).  FoUa   înnume- 
revole  di  clttadini  accalcavasi  nelle  vie,  che  Pio   IX   do- 
veva  correre  per  recarsi  a  San  Giovanni  Laterano  ;  tutti 
plaudivano  a  lui,  certamente  nella  speranza  che  —  memore 
M  primi  giorni  di  sua  esaltazione   al   seggio  apostolico 
-*-  avrebbe  nuovamente  volto  sue  cure  alla  prosperità  mo- 
rale e  materiale  dei  sudditi.  Vana  speranza!    awegnachè 
6gli>  che  aveva  lasciato  Roma  da  principe  indipendente  e 
Ubero,  vi  facesse  ritorno  schiavo  délie  armi  straniere  da 
lui  stesso  chiamate  ;  Innanzi  la  sua  fuga  a  Gaeta  il  papato 
temporale  era   tuttavia  accettàbiley   i  suoi    giorni   non 


(1)  Nel  gennaio  del  1849  era  corsa  la  fama  che  Pio  IX  volesge  la- 
^iar  Qaeta  per  recarsi  in  Francia  o  in  Ispagna;  ma  la  cattiva  stagione 
^^''ip^gli  di  mandare  a  efietto  taie  sno  disegno.  —  «  Ammesse  anche 
tQtte  le  eyentnalità  &vorevoli,  il  Papa  non  farà  sollecito  ritorno  a 
^oioa,  Egli  dice  che  ora  ô  Papa  dawero,  perché  aile  sole  cose  spiri- 
^h  pensa,  al  regno  temporale  poco...  »  (*).  Cosi  avesse  fatto  sempre. 

(*)  OiuBippB  Pabouki,  Memor%9  raecolte  dasuofiglio,  cart.  162;  Imola,  1880. 


Digitized  by  VjOOQIC 


480  CAPITOLO   VUI 


erano  ancora  contati  ;  ma  la  fuga  del  Pontefice  e  il  pnmo 
colpo  del  cannone  ft*ancese  contra  le  mura  deirahna  città 
segnarono  il  finire  di  quello.  —  Le   numerose  baionetto 
straniere,  le  quali,  dopo  avère  restaurato  il  trono  pontifi- 
cio,  eransi  fatte  suo  sostegno  e  puntello,  rivelarono  tutta 
la  debolezza  di  quella  istituzione  umana,  che  nello  inte- 
resse délia  religione  non  avrebbesi  dovuto  creare  mai.- 
Dopo  il  rendimento  di  grazie  a  Dio  per  la  recuperata  po- 
testa  temporale,  Pio  IX,  dalla  basilica  lateranense,  porta- 
vasi  a  san  Pietro,  di  poi  aile  sue  stanze  del  Yaticano  in 
mezzo  aile  armi  di  Francia,  che  egli  —  sebbene  Ministro 
di  Lui,  che  ebbe  gridata  la  fratellanza  universale  e  bandita 
la  pace  agli  uomini  —  aveva  chiamato  a  strazio  dei  sud- 
diti  suoi  e  per  recuperargli  quella  sovranità   tutta  mon- 
dana,  che  i  Ministri  di  Cristo   in   terra   non   avrebbero 
dovuto  possedere  mai  (1).  —  Oome  i  Francesi  in  Roma, 
cosi  gli  Spagnuoli  nelle  provincie  vicine  alla  metropolie 
gli  Austriaci  neirUmbria,  nelle  Marche  e  nelle  Legazioni 
mantenevansi  da  padroni  e  reggevano   la   cosa  pubblica 
con  potere  militare  e  civile,  lasciando  ai  delegatidiPioLX 
di  rappresentarvi  Tautorità  pontiflcia.  Sopra  tutti  e  su 
tutto  poi  imperava  despoticamente  la  compagnia  di  Lo- 
jola,  in  quel  mezzo  tornata  negli  Stati  délia  Chiesa;  com- 
pagnia che  avrebbe  eziandio  signoreggiata   la   Corte  ro- 
mana,  se  non  Tavesse  frenata  in  sua  ambizione  e  tenuta 
proprio  a  dovere  il  cardinale  Antonelli,  allora  potentis- 
simo  non  solamente  per  lo  appoggio  dei  Governi  strani^i 
ma  altresi  per  la  illimitata  confidenza  del  Papa,  che  egli 
aveva  saputo  guadagnarsi  (2). 


(1)  Nel  gennaio  del  1850  Pio  IX  scriveva  al  vescovo  d'Imola,  che 
alla  Beata  Vergine,  non  alVesereito  franeeae,  dovevasi  la  restaura- 
zione  papale. 

(2)  Il  cardinale  Antonelli,  che  voleva  imperare  da  solo  e  con  potesti 
piena  e  intiera,  licenziô  di  U  a  poco  il  tritêmvircao  rossOf  mandando 
Vannicelli  aUa  sedia  arcîvescovile  di  Perrara,  dando  aU'Altieri  la  pr^ 
gidenza  di  Borna  e  Comarca ,  e  mettendo  da  parte  il  cardinale  délia 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  481 

Quali  fossero  in  quel  giorni  i  modi  di  reggimento,  quale 
Tordine  e  anche  il  benessere  degli  Stati  délia  Chiesa,  che 
tanto  esaltavansi  e  venivano  portati  a  cielo  dai  partigiani 
délia  restaurata  potestà  temporale,  qui  brevemente  de- 
scriveremo,  —  Dovunqae  oondannavansi  a  morte,  a  pri- 
gioaia  e  a  battiture  quanti  tenevano  armi  e  profferivano 
parole  ingiuriose  ai  soldati  stranieri;  si  dissotterravano  i 
corpi  degli  Italiani  periti  combattendo  per  la  libertà  délia 
patria  sotte  le  mura  di  Roma»  e  lasciavansi  in  pasto  ai 
cani;  aocrescevansi  a  dismisura  le  imposte;  dal  Vescovo 
di  Gabbio  richiamayasi  a  vita  lo  editto  di  Faolo  lY  contra 
i  bestemmlatori  ;  a  chi  cadease  in  eresia  doyevasi  cucire 
la  bocca  e  dare  la  punizione  del  fiioco  (1);  in  fine,  licen^ 


Genga.  --  A  far  conoscere  in  qnale  stima  fosse  teniito  Antonelli  dai 
coUeghi  del  Sacro  Collegio,  ricorderù  le  parole  di  schemo  a  lui  rivolte, 
in  presenjsa  del  Pontefice,  dal  cardinale  Altieri.  In  nna  disputa  ool  Se- 
gretario  di  Stato  ayendo  l' Altieri  yednto  Pio  IX  dare  ragione  ad  An» 
touelli,  quel  Cardinale  faceyasi  ad  esclanuure:  =  Non  marayigliarsi  piû 
se  le  faccende  pubbliche  andayano  a  maie,  da  che  il  Sonuno  Pontefice 
non  metteva  différenza  nessona  tra  le  parole  d'an  principe  romano  e 
quelle  d'un  eioeeiaro  di  Sonnino.  =  Di  loi  e  di  sna  famiglia  fù  scritto 
cœi:  c  Uflcito  da  nna  famiglia  di  malyiyenti  dl  Sonnino,  Antonelli  ha 
tra  i  BQoi  antenati  dei  ladri  di  strada.  Egli  col  latte  materno  sncchiO  i 
principi  di  morale  priyata,  insegnati  nelle  cayeme  di  Sonnino.....  Con 
luia  facilita,  che  costitnisce  il  più  grande  onore  alla  sua  inteUigensa, 
comprese  che  doyeya  la  vita  sua  consecrare  ad  acquistand  ricchezce... 
l^opo  un  esamfi  profondo  Antonelli  scoyerse  che  la  carriera  piû  lu- 
ciosa  doyeya  esser  quella  che  conduce  ai  più  alti  uffici  ecclesiastici;  e 
^po  matura  riflessione  risolyette  di  non  diyentar  prête,  ma  prelato^ 
egH  non  ha  riceyuto  gli  ordini,  non  la  ordinazione  e  non  ha  celebrato 

la  messa  mai da  un  pensiero  tutto  profane  egli  fti  inspirato;  il  Ca^ 

^ûiale  preferi  amministrare  le  rendite  dello  Stato  pontificio  alla  recita- 
^tte  degli  oreim».  § 

(1)  ^  Paolo  IV  a  di  15  febbraio  1549  pubblicô  una  fulminante  boUa 
contra  de'  cattoM,  che  cadessero  iu  eresia,  confermando  le  pêne  gi^ 
imposte  da  altri,  con  la  giunta  d'altre  maggiori,  stendendola  a  qual- 
^^<)gUa  grado  di  persone,  e  neppure  esentando  gli  stessi  Sommi  Pon- 
^^ci^  >  cogl  £,.  A^nroNio  Huratobi  ne*  suoi  Annali  d^Jtalia, 
51  -~  yoL  IL  IfABiAia  —  Staria  pol*  •  mO, 


Digitized  by  VjOOQIC 


482  CAPiTOLO  vin 


ziavansi,  senza  motivo  alcuno,  pubblici  officia^i  e  ponevan^i 
a  dura  penitenza  nei  conventi  molti  sacerdoti,  rei  d'arere 
servito  alla  repubblica,  quasi  çhe  governo  repubblicano 
fosse  governo  di  gente  reproba.  Si  feroci  pepsecuzioni  fatte 
in  nome  di  Pio  IX  dal  triumvirato  cardinalizio  disgusta- 
pono  non  solamente  gli  onesti,  ma  i  più  temperati  altresl 
tanto  dallo  allontanarli  dalFamore  per  la  potestà  papale  e 
dalla  devozione  al  Pontefice  (1).  Eppure  Pio  VI  il  10  feb- 
braio  1797  ai  cattolici  di  Francia  aveva  fatto  conoscere: 
=  Insegnare  il  Vangelo,  che  ogni  autorità  viene  dal  cielc^ 
e  in  conseguenza  anche  quella  délia  repubblica;  Gristonon 
avère  predicata  la  intoUeranza,  che  sovente  fece  macchiare 
gli  altari  di  sangue  umano  ;  avère  egli  vietato  al  Ministri 
suoi  il  desiderio  délie  ricchezze,  le  quali  rendono  gli  uomini 


(1)  Ë  bene  riportare  qui  una  sentenza  prontmciata  dalla  Consnlu 
romana  contra  Alessandro  Calandrelli,  sentenza  la  qnale  rivela  tnm 
la  turpitndine  dell'animo  del  cardinale  AntoneUi.  —  AUssandro  Càbn- 
drelli ,  ufficiale  nelle  artiglierie ,  Ministre  sopra  le  arini  e  TriamTiro 
délia  repubblica,  nomo  di  tali  virtù  da  essere  posto  tra  gli  uomiai  in- 
signi  di  Plntarco,  allora  che  Borna  venne  a  mano  dei  Francesi,  limet- 
teva  a  qnesti  danaro,  carte  e  qnanto  di  prezioso  teneva  in  cnstodia  e 
che  apparteneva  allô  Stato;  nel  medesimo  tempo  faceva  noto  eaister? 
presso  di  se  alcnni  Tolomi  deU'Accademia  Ecclesiastica,  alla  qnale  con- 
segnerebbe  qnei  libri  appena  li  avesse  raccoltL  Montre  a  ciô  davs  open 
sollecita,  vedevasi  arrestato  e  tradotto  davanti  ai  tribnnali  acctisato  di 
fdrto  di  libri  di  grandissimo  pregio  e  valore;  ribalda  accusa  messa 
faora  con  arte  infâme  dal  (Governo  pontificio,  il  qnale,  con  lo  infainare 
il  nome  di  quell'aomo  veramente  intemerato,  intendeva  iofamare  anche 
il  Triumvirato  della  romana  repubblica.  Assolto  dal  tribimaie,  il  ^ 
vemo,  risolutissimo  di  perdere  Calandrelli,  incolpavalo  di  estoisione  di 
danaro  ai  Torlonia  e  di  appropriazione  d'armidei  Barberini;  madi^ 
dagli  stessi  Torlonia  e  Barberini ,  che  provarono  bogiarda  l'accusa  e 
innocente  Taccusato,  la  Sacra  Consulta,  giudicatolo  in  segroto,  eondaii- 
navale  al  supplizio  estremo  per  crimine  di  lésa  Maestà  e  a  Tentianai 
di  galera  per  furto.  Il  Pontefice,  graziato  il  Calandrelli  della  rita,  ia- 
sdiava  perô  che  avesse  a  scontare  nel  carcere  la  pena  di  un  non  com. 
messo  delitto!  Taie  condanna  —  tanto  iniquamente  ingiusta,  la  <l^^^^ 
vituperava  coloro  che  pronunciata  Tavevano,  non  Calandrelli  che  dorer» 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  483 

superbi;  quello  del  dominare,  che  li  fanno  vendicativi  e 

turbolenti; avère  egli  affermato  solennemeute ,  moite 

gaerre,  micidiali  e  funeste  alla  umanità,  essere  state  eo- 
citate  da  dispute  sacerdotal!  ;  moite  carnificine,  da  contese 
teologiche;  e  molti  essere  stati  sacriûcati  e  trucidati  per 
la  pretesa  causa  del  cielo.  =  Tali  savi  consigli  e  ad  evan- 
gelica  carità  informât!  di  quel  Ponteflce  erano  da  tempi 
caduti  neiroblio  !  —  I  Governi  militari,  che  reggevano  il 
paese  con  legg!  di  guerra,  e  perseguitavano  e  oondanna- 
vano  quanti  erano  in  fama  d!  libéral!,  lasciavano  andar 
quelle  sossopra  da  masnadieri;  i  quali,  riuniti  in  grosse 
bande,  ne  percorrevano  le  contrade,  mettendone  a  ruba  le 
terre  e  taglieggiandole.  Nel  reame  di  Napoli,  ove  parimenti 
quelle  bande  infierivano,  soprammodo  nelle  Oalabrie,  venue 


patirla  —  rnosse  a  sdegno  e  a  pieU  rinUera  Eoropa;  aUora  gli  onesti 
d'ogni  parte  politica  gituliearono,  corne  ben  meiitaya,  il  Oovemo  pa- 
pale^ ayvegnachô  nel  campo  délia  giostizia  e  délia  onestà  tntte  le  opi- 
nion! 81  accordino.  —  Il  re  Federico  Gaglielmo  di  Prnssia,  già  amico 
del  padre  di  queU'innocente  vitUma ,  fecesi  subito  a  richiedere  il  car- 
dinale Antonelli  délie  ragioni  di  si  dura  condanna;  ma  il  féroce  segre- 
taiio  di  Stato  niegô  fargli  conoscere  il  processo.  Indoyinata  la  perfidia 
che  in  questo  celavasi,  il  Be  pregô  che  si  avesse  a  mutare  la  pena 
in  peipetao  esilio,  offirendo  di  tenere  il  Oalandrelli  nel  regno  suo;  ma 
il  cardinale  respinse  la  preghiera  del  Monarca  pmssiano;  il  qnale  perè 
non  iscoraggito  da  quel  dinieghi  si  volse  al  Papa,  e  tanto  insistette 
da  ottenere,  in  su  la  meta  del  1853,  a  patto  di  perpétue  esilio,  la  grazia 
tanto  desiderata.  Alessandro  Oalandrelli,  sdegnando  di  acoettare  la 
grazia  del  crimine  di  fnrto  da'  suoi  nimici  addebitatogli ,  non  voleva 
lasciare  il  carcere  se  non  dopo  an  naoyo  processo  e  nn  nnovo  giudizio. 
Allora  il  cardinale  Antonelli,  temendo  non  fosse  da  quelle  a  nscire  grave 
8candalo  a  danno  suo  e  del  papato ,  di  nottetempo  fece  trarre  di  ga 
lera  il  prigioniero  e  trasportare  sopra  nave  anstriaca;  sbarcato  a  Trieste 
venne  condotto  a  Berlino,  ove  ricevette  accoglienza  onorevole  e  festosa 
dal  Ee  e  dagli  nomini  piû  insigni  délia  città.  Il  processo  e  la  con- 
danna di  Alessandro  Oalandrelli  provarono  chiaramente  il  turpe  modo 
col  qnale  in  quel  giomi  amministrayasi  la  giustizia  nello  Stato  pon- 
tificio,  e  palesarono  altresi  la  tiistizia  d' Antonelli  e  délia  Oonsulta 
lomana. 


Digitized  by  VjOOQIC 


484  OAPITOXiO  YIII 


màndato  a  oombatterle  il  marescialloNunziaate;  che,  opé- 
rande cou  severità  e  vigore  dopo  moite  fatiche  e  gravi 
steiiti>  se  non  giunse  compiatamente  a  diatruggerle,  riesci 
perô  a  stremarle  ai  fattamente  di  forze  da  renderle  qaasi 
impotent!  a  far  maie.  Non  cosi  negli  Stati  della  Ghiesa; 
nei  quali,  sebbene  plene  d*armi  straniere»  non  curandosi 
queste  di  frenare  gU  assassini,  si  ridero  sovente  preseû- 
tarsene  grosse  bande  aile  porte  délie  più  popolose  citti  e 
della  stessa  Roma.  A  tanto  danno  s'aggiunsero  Yillanie  e 
ingiorie;  perô  che  nonpotendolepopolazioni  difendersi- 
ogni  arma  essendo  stata  lor  tolta  —  il  commissario  Bedini 
le  dicesse  complici  di  quelle  —  che,  saccheggiando,  deva- 
stavano  —  e  mettessero  a  lor  carico  le  taglie  imposte  ai 
ladri.  Ne  yogliamo  tacere  della  banda  rendutasi  famosa 
per  l'ardimento  del  suo  capo,  certo  Stefano  Pelloni,  so- 
prannomato  il  Passatore;  la  quale,  forte  d'un  centinaio 
d*uomini  e  quasi  militarmente  ordinata,  correva,  in  varie 
schiere  divisa,  Talta  Romagna,  portando  dovunque  désola- 
zione  e  terrore.  A  far  conoscere  Taudacia  di  quei  masna- 
dieri  basti  dire,  che  nel  gennaio  1851  due  squadre  di 
essi,  entrate  al  cadere  della  notte  in  Forlimpopoli,  ne  chiu- 
devano  le  porte;  indi  raccoltesi  aile  otto  nel  teatro,  affol- 
lato  di  spettatori,  toglievano  le  armî  aile  guardie  e  dal 
palco  scenico  gridatesi  padroni  della  terra,  minacciavano 
di  porla  a  ruba  e  a  sacco,  se  i  cittadini  non  le  fornissero 
di  danaro;  e  i  masnadieri  ebbero  oro,  spogliarono  molti 
di  quanto  possedevano  di  prezioso,  e  saccheggiarono  alcune 
case  ;  nessuno  perô  ebbe  nella  persona  a  patire  danno  o 
insulte  ;  messo  assieme  grosso  bottine,  uscîvano  dalla  citti, 
tenuta  in  lor  mano  per  ben  tre  ore.  A  farla  finita  col  Pas- 
satore e  con  la  sua  banda  gli  Austriaci  mossero  numerosi 
dai  loro  presîdi  ;  e  dopo  mischie  ostinatissime  e  feroci  la 
distrussero;  moltî  uccisero  combattendo;  molti,  fatH  pri- 
gioni,  mandarono  al  supplizio  estremo;  a  pechi  fti  dato 
salvarsi  con  la  fuga;  il  térribile  e  temuto  Passatore  ^^^^ 
a  Russi.  Compiuta  taie  impresa  gli  Austriaci  riederono  aile 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  486 

loro  stanze,  ne  si  presero  pensiero  délie  altre  bande,  che 
affliggevano  il  paese  e  che  per  lunga  pezza  ancora  do- 
vevano  funestarlo  con  le  rapine»  le  violenze  e  con  gli  as- 
sassinamenti.  Non  poche  vendette  fecersi  per  odio  politlco» 
le  quali  insangninarono  Roma  e  le  piii  cospicue  città  délia 
Ghiesa;  ricorderô  il  ferocissimo  Nardoni  (1)  e  il  Dandini  fe^ 
rito  di  pugnale  e  ruccisione  deirEvangelisti,  un  cancelliere 
délia  Sacra  Consulta;  e  dlrô  eziandio,  non  avère  i  sudditi 
del  Pontefice  cessato  mai  dal  cospirare  contra  chi  li  go- 
vernava,  non  estante  il  loro  trovarsi  sotto  Timperio  délie 
leggi  militari  di  Prancia  e  d'Anstria,  di  cui  molti  soldati 
in  Roma,  In  Bologna  e  in  Ancona  furono  morti  dal  citta- 
dini^  i  quali  seguivano  siibito  nella  tomba  quelle  vittime 
deirira  di  un  popolo  oppresso  !  —  Nel  1854  i  Ministri  di 
Pic  IX  con  Tusato  arbitrio  e  la  solita  violenza  governando, 
molti  al  supplizio  estremo  mandavano,  molti  a  prigionia 
perpétua  o  a  tempo;  erano  repubblicani  e  monarchici,  i 
quali,  dopo  il  tentative  mazziniano  del  6  febbraio  delFanno 
innanzi  a  Milano,  avevano  date  opéra  a  levare  in  su  Tarme 
le  Romagne;  erano  altresi  gli  ucciditori  di  Pellegrino 
Rossi !  (2).  Tra  supplizi,  condanne  e  torture;  tra  ferocissime 


(1)  Filippo  Nardoni,  giovasissinio,  era  stato  condannato  alla  galera 
per  ftarto.  Graziato,  alla  restanxasioiie  délia  potestà  temporale  pontificia 
nel  1814,  entrava  nella  gente  d'arme,  nella  qnale  miliziail  ladroper- 
donato  gingneva  al  aommo  grado;  e  il  cardinale  Antonelli  preponeralo 
alla  Folizia  segreta.  Di  ri1)aldi  si  ûttti  servissi  per  lunga  pezza  quel 
£ui08o  Segretaiio  di  Stato  I 

(2)  B  17  marzo  1854  pronnnziavasi  sentenza  di  morte  contra  Lnigi 
Gnindoni  e  Santé  Costantini,  e  di  galera  a  yita  o  a  tempo  altri  gin* 
dicati  colpevoli  per  mandata  rieevuto  délia  nccisione  di  Pelligrino  Bosai, 
In  sol  cadere  di  qaell'anno  la  Sacra  Consulta  dannara  alla  galera  a 
vita  dnque  cittadini,  a  pêne  minori  altri  trentaqnattro  colpevoli  di  teth 
tata  soUevazione  mazziniana  —  che  ayrebbe  doTUto  aver  Inogo  il  15 
agosto  —  contra  il  Govemo  papale.  Per  associazione  di  Carbonari  ve- 
uiTano,  nel  processo  di  Ck)rinaldi,  condaanati  sette  cittadini  alla  pena 
capitale;  un  sacerdote,  a  prigionia  perpétua.  —  Lnigi  Maraviglia,  che 
reggeva  Faenza,  dopo  aveme  visitate  le  carceri  nel  1858,  al  Ck)mme8o 


Digitized  by  VjOOQIC 


486  OAPITOLO  VIII 


vendette,  ira  assassinii  e  ferimenti;  ira  mille  dolori  in  fine, 
e  in  mezzo  aile  armi  straniere,  opprimenti  sempre,  passa- 
rono  alcuni  an  ni,  senza  perô  mai  che  gli  animi  di  quella 
gente  nobilmente  fiera  si  lasciassero  abbattere^  pronta  a  i 
sollevarsi  àppena  si  présentasse  occasioae  favorevole  (1).  - 
Negli  anni  che  corsero  dalla  restaurazione  al  1859  —  aani 
ai  raccoglimento  e  di  preparazione  —  il  Governo  délia 
Ghieea  oompi  moite  opère  in  verità  a  lodarsi;  e  furonogli 
studi  per  la  bonificazione  délie  paludi  Pontine  e  alcani 
trattati  per  li  trafflci  con  gli  Stati  stranieri;  fu  la  insti- 
tuzione  del  Consiglio  di  Stato,  d*una  Consulta  par  le  éco- 
nomie nella  amministrazione  del  paese;  furono  i  l&vori 
compiuti  di  San  Paolo,  basilica  fuor  délie  mura  di  Roma, 
distrutta  da  un  incendie  sino  ai  tempi  del  pontificato  di 
Pio  VII;  in  fine,  fu  —  dopo  il  congresso  di  Parigi  del  18o6 
—  la  concessione  délie  vie  ferrate  —  niegata  sempre  da 
prima  —  e  che  Pio  IX  accordô,  indotto  dalle  gravi  cen- 
sure mosse  dai  rappresentanti  di  alcuni  Stati  in  quel  con- 
gresso su  le  miserrime  condizioni  del  regno  poatificio,  e 
fors'anche  costretto  dal  manifestarsl,  se  non  mioaccioso, 


sario  straordinario  del  Pontefice  in  Bologna  scriveTa  oosi:  =  Strin- 
gergli  il  cnore,  per  ci6  che  senza  contare  parecchi  sostenuti  in  altre 
prigioni,  in  qnelle  sole  ne  riscontrasse  novantnno,  qnali  in  dipendens 
dell'Anstriaco,  qnali  délia  Sacra  Consulta,  11  più  per  precanzione  sen» 
esame,  senza  processo,  forse  anche  senza  sospetti;  taluni  langairri  da 
mesi,  da  anni,  da  lusfcri;  taluni  manifestamente  innocenti;  piùdi  quat- 
trocencinquanta  processi  criminali  pendere  da  quattroa  cmqneaiuii-" 
(1)  Troppo  lungo,  e  ai  leggitori  miei  doloroso  troppo,  sarebbenar- 
rare  tntte  le  sevizie  commesse  dagli  Austriaei  nelle  Legazioni  durante 
la  militare  lor  signoria;  impossibile  dire  U  modo,  yeramente  baitot)< 
col  quale  condussero  i  processi  politici!  Gli  uomini  di  quel  Gorerno, 
ehe^  corne  scrisse  Gaetano  IJngarelli  (*),  a^arroga  il  titolo  di  ^W*' 
ftoono  in  tutto  degni  di  quell'altro,  che  ^arroga  il  titolo  di  wnto. 

(*)  Gaetano  UngaréUi,  lettera  di  Torino  del  primo  dicembre  1858  a  Ga«pire  Rb^* 
nella  quale  narra  le  brataUtà  e  vli  imolti  &ttt«li  eoffiriie  in  sua  prisieaia  <l<i  1^' 
più  che  floldati  Teri  manigoldi  austriaei. 


Digitized  by  VjOOQIC 


AOiftA  487 

certamente  solenne  délia  opinione  pubblica.  Vennero  di  poi 
î  concordati  con  Toscana,  Austria  e  Napoli;  i  quali,  se 
erano  desideratissimi  dai  regnanti,  sommamente  bisognosl 
deirappoggio  chiesastico  per  combattere  i  principi  che  ten- 
devano  a  scemare  rautorîtà  regia  e  già  dovunque  inva- 
denti,  tornavano  perô  quel  concordati  assai  invisi  ai  po- 
poli,  perché  di  danno  alla  loro  libertà  e  a  tutto  vantaggio 
degli  inteati  mondani  del  clero.  L'Austria,  dopo  aver  tolto, 
per  istanza  del  granduca  di  Toscana,  i  presidi  di  sue  genti 
da  Flrenze  e  Livorno  —  e  fti  nel  maggio  del  1855  —  chia- 
mava  a  se  quelil  délie  Marche  e  délie  Legazioni,  eccetto 
i  presidi  di  Bologna  e  Ancona  ;  sottile  arte  di  suo  governo 
ciuesta!  perô  che,  mentre  fingeva  di  lasciare  a  libertà  quelle 
proYincie,  ne  tenesse  in  sua  mano  le  due  città,  dopo  Roma 
le  più  importantl  degli  Stati  papali.  Le  parole  di  Gavour, 
Ministro  di  Sardegna,  al  Gongresso  di  Parigi  neiraprile 
1856  su  le  tristissime  condizioni  dltalia,  soprammodo  di 
Napoli  e  Roma,  ed  eziandio  quelle  di  Glarendon,  ora- 
tore  dlnghilterra,  che  affermava  essere  il  Oovemo  ponr 
tiflcio  una  vergogna  per  VEuropCy  commossero  profon- 
damente  Pio  IX  (1);  il  quale,  per  conoscere  i  mali,  di  cui 
dicevansi  afflitti  i  sndditi  suoi,  e  allô  intênto  di  poter  dare 
a  quelli  un  rimedio  proprio  efficace,  fatta  risoluzione  di 
visitare  le  sue  provincie,  nel  1857  faceva  precedere  quel 
vla^o  dal  perdôno  ad  alcuni  esuli,  e  nel  maggio  di  quel- 
Tanno  stesso  toglieva  Bologna  allô  imperio  délie  leggi  mi- 
litari austriache  per  rimetterla  sotto  quelle  délie  leggi 


(1)  Cayonr  areva  messo  innanzi  û  disegno  di  fare  con  le  Bomagn» 
un  prineipato  apostolico  con  amministrazione  e  leggi  proprie  e  con 
esercito  paesano,  perô  sotto  Talta  sovranità  del  Papa;  disegno  appro- 
vato  da  Clarendon,  oratore  d'Inghilterra,  il  qnale  Toleva  si  ayesse  a 
mataie  il  reggimento  ecclesiastico  in  laicale,  affermando  anche  essere 
onud  tempo  di  fàr  cessare  il  bratto  officie  di  Francia  e  d'Aostria,  cha 
da  sette  anni  pnntellayano  con  le  loro  armi  il  Governo  pontUlcio. 


Digitized  by  VjOOQIC 


488  CAPITOLO    VllI 


oivlll  dello  Stato  suo  (1).  Dopo  arere  corse  le  primarie 
cîttà  dei  domini  suoi,  visitato  il  santuario  di  Loreto,  por- 
tossi  a  Bologna  e  lungamente  vi  stette;  e  îvi  ricerêtte 
gli  omaggi  dei  principi  di  Modena,  Parma,  Toscana  e  dei 
rappresentanti  deli'Auâtria  e  délia  Sardegna;  e  cedendo 
ai  pregiii  di  Prancesoo  IV  di  Modena  e  di  Leopoldo  n  di 
Toscana,  visitô  Modena  e  Pirenze,  doruaque  festeggiato 
dai  regnanti,  e  accolto  e  salutato  dai  popoli  oon  segni  di 
rîspetto,  ma  senza  entasiasmo;  perô  che  Toleasero  redere 
iû  lui  soltanto  il  capo  délia  Gristianità  e  dei  Gattolicesimo, 
non  un  tiranno  coronato.  Se  il  Somme  Pontefice  avesse  aynto 
allora  al  âanco  suo  consiglieri  onesti  e  savi,  certamente 
avrebbero  potuto  salire  sino  a  lui  i  gridi  di  dolore  dei 
sudditi  per  lo  malo  reggimento  dei  Ministri,  e  por  quella 
pressione  e  prepotenza  d'armi  straniere»  che  tanto  li  of- 
fendevano  e  li  strazlavano;  e  PioIX  avrebbe  potuto  cono- 
seere  altresi  i  loro  bisogni  e  i  prorvedimenti  che  alta- 
mente  imploravano.  Ma  i  consiglieri  che  stavangli  attomo, 
tutti  ligi  al  cardinale  Antonelli,  giugnendo  quasi  sempre 
a  impedire  che  la  roce  di  cittadini  probi  e  leali  avesse  a 
parlare  al  suo  cuore»  fecero  si  che  il  Papa  riedesse  a  Roma 
convinto  essere  il  popolo  suo  felicissimo  (2X  ne  di  nuori 


(1)  Pio  IX  mosse  di  Borna  il  4  maggio;  per  Tend  e  Spoleto  reeoasi 
a  Peragia;  indi  yiaggiô  le  Marche  fino  ad  Ascoli  Piceao;  risitô  An- 
cona  e  Loreto;  il  9  gingao  entrô  in  Bologna,  oye  t^inesi  per  ben  due 
mesL  Portossi  qnindi  a  Modena  e  a  Ferrara;  e  per  la  seconda  Tolta  a 
Bologna,  che  il  17  agosto  lasciô  per  discendere  a  Toecana;  Q  di  ap- 
presso  ginnse  a  Firenze.  Dopo  ayer  corso  le  principal!  città  dei  Gran- 
dncato,  per  Orvieto  e  Viterbo  fece  ritomo  a  Borna,  oye  entrô  0  5  set* 
tembre. 

(3)  Il  cardinale  Antonelli  a  impedire  alla  popolazione  di  ftr  gin- 
gnere  al  Papa  i  lamenti  dei  sno  mal  goyemo,  scriase  ai  GonMaderi 
délie  città,  che  non  ayessero  a  presentare  al  S<muno  Pontefice  la  pro- 
teste e  i  richîami  dei  sudditi  e  le  dimande  di  rifirame  e  liberta.  Non 
estante  taie  diyieto,  a  qnalche  Gonfaloniere  fil  date  di  far  penrenixe  a 
Pio  IX  rimostranse  e  suppliche  di  cittadini  implorant!  sùbiti  e  sostan- 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  489 

progressi  bisognevole,  ne  di  novità  desideroso.  Il  viaggio 
di  Pio  IX,  se  noa  peggiorô,  certamente  non  toise  i  sudditi 
suoi  aile  infelici  condizioni  nelle  quali  si  trovavano;  anzi 
il  loro  malcontento  crebbe  dimolto  e  crebbero  altresi  i 
loro  mali  umori,  quando  seppero  avère  il  Papa  respinto 
il  saggio  consiglio  del  Duea  di  Grammont  —  in  quel  torno 
di  tempo  venuto  oratore  di  Francia  in  Gorte  di  Roma  in 
surrogazione  di  Rayneval  —  consiglio  messo  avanti  in  nome 
fieirimperatore  Napoleone  sul  riformare  lo  Stato  e  il  go- 
verno  délia  cosa  pubblica;  soddisbcendo  in  tal  modo  aile 
gîQste  aspirazloni  dei  soggetti  al  Ponteflce  sarebbesi  potuto 
Ueenziare  le  armi  austriache  presidianti  le  legazioni,  e 
Roeo  di  poi  i  Francesi  presidianti  Roma. 

Appena  seppesi  del  ritorno  di  Pio  IX  (1),  alcuni  cittadini 
romani  inviavano  al  Municipio  il  segnente  memoriale:  €  H 
viaggio  del  Somme  Ponteflce  nelle  provincie  ha  date  oo- 
casione  ai  cittadini  délie  più  cospicue  città  dello  Stato  di 
^argli  porgere  per  mezzo  délie  Magistrature  Municipali  pe- 
tizioai  sottoscritte  e  chiedenti  miglioramenti  nella  ammi- 
nistrazione  e  nella  legislazione  del  paese.  Questo  esempio  di 
civile  franchezza  e  moderazione  intendono  i  qui  sottoseritti 
cittadini  di  Roma  imitare.  Ghe  le  condizioni  dello  Stato 
romano,  da  lungo  tempo  non  prospère,  sieno  ora  più  che 
mai  tristi,  non  puô  negarsi  se  non  chiudendo  gli  occhi  al 
vero;  per6  che  da  parecchi  mesi  siasi  di  fatto  perduta  la 
indipendenza  dello  Stato  col  perpetuarsi  degli  interventi, 
e  mentre  farono  scontentati  i  popoli  per  li  aggravi  e  ri- 
gori  cresciuti,  d'altra  parte  Tamministrazione,  la  legisla- 


ziali  pioyyedimeiiti  allô  Stato;  che  perô  non  approdarono  a  baon  porto, 
^^Kiido  il  Papa  risolnto  di  non  mettere  la  Ghiesa  a  nnovi  pericoli  :  = 
n  1848,  diceya  egli  allora,  essergli  présente  alla  memoria. 

(1)  H  ritorno  del  Ponteflce  yenne  fatto  conoscere  ai  Bomoni  il  primo 
wttembre  da  Luigi  Antonelli  —  frateUo  al  cardinale  —  che,  mancante 
u  Senatore,  presiedeva  al  Municipio.  In  quel  giorno  stesso  i  cittadini 
QiviaTano  11  memoriale  sopra  dtato  al  snpremo  Maestrato  di  Borna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


490  CAPITOI^O    VIII 


zione  e  la  prosperità  materiale  dello  Stato  non  fecero  che 
picciolissimi  passi,  se  si^considera  il  grande  interyailo  di 
oui  siamo  lontani  dalle  piii  civili  nazioni.  Non  è  qui  luogo 
di  ppoporre  sistemi  di  ordinamento  politico;  sono  desti  i 
sospetti  e  vivi  i  rancori  che  impedirebbero  un  retto  giudizio 
su  tali  proposte  ;  ma  vi  sono  pure  bisogni  e  desidèri  tantonni- 
versalmente  sentiti  e  onesti,  che  possono  senza  vélo  esporsi, 
e  che  quando  giungono  al  trono  dol  Pontefice,  quasi  nonpuô 
dubitarsi  non  vengano  ascoltati.  Se  il  Municipio  chiederàal 
Papa  che  una  amnistia  consôli  le  numerose  famiglie  degli 
esuli  e  dei  prigionleri  per  causa  politica;  che  lo  Stato  venga 
liberato  dal  peso  e  dal  disdoro  délie  occupazioni  frances<^ 
austriaca,  ordinando  in  pari  tempo  un  esercito  del  paese 
sufflciente  e  non  inferiore  per  istituzioni  militari  ai  buoni 
d'Europa;  se  chiederà  che  venga   finalmente   promulgato 
un  codice,  che  dalla  procedura  civile  si   tolgano  le  lun- 
gaggini,  le  eccessive   spese,  e  dalla  procedura  criminale 
le   brutte    anomalie  dei  tribunal!  eccezionali,  e  le  con- 
suetudini  di  lentezza;  se  chiederà  che  le  imposizionl  ab- 
biano  un  più  equo  riparto,  sicchè  siano  veramente  seconde 
la  ricchezza,  e  vengano  d'altronde  alleviate  quelle  che  pe- 
sano  troppo  sui  poveri  ;  se  chiederà  che    in  pari  tempo 
venga  date  aiuto  e  impulso  ai  traffici,  all'industria  e  al- 
Fagricoltura,  e  questo  con  Tabbassare  i  diritti  doganali  su 
le  materie  prime,  col  rendere  libero  lo  scambio  dei  cereali, 
col  togliere  l'impaccio  dei  passaporti  tra  provincia  e  pro- 
vincia  dello  Stato,  con  gli  istituti  di  credito,  cou  le  nuove 
vie,  con  le  scuole  tecniche  per  li  commercianti  e  gli  a^ 
tefici,  con  l'adozione  del  sistema  metrico  di  pesi  e  misure. 
Se  queste  e   altre  simili  cose  chiederà  il   Municipio  di 
Roma,  chi  dubiterà  che  esso  non  abbia  parlato  seconde  il 
veto  di  Roma  e  di  tutto  il  paese?   I   cittadini  qui  sotto- 
scritti  tengono  per  certo  che  di  gravissimo  momento  sa- 
rebbe  nei  consigli  del  Principe  una  demanda  solenne  del 
Municipio  romano.  Essi  confidano  pure  che  questo  Muni- 
cipio, chiamato   a  rappresentare  nelle  pompe  il  P^P^^^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  491 

Romano,  noa  si  ristarà  per  qualsiasi  riguardo  dallo  espri- 
merne  i  voti.  »  Questo  memoriale  —  sottoscritto  da  gran- 
dissime numéro  di  cittadinl  —  sebbene  dettato  con  forma 
temperatissima  e  accennasse  soltanto  a  provvedimenti  am- 
ministrativi»  non  a  rinnovamento  politico  dello  Stato,  im- 
paori  si   fattamente    i  supremi   reggitori  da   spingerli   a 
cercarne  i  promovitori,  coloro  che  avevanlo  scritto,  e  per- 
seguitarne    persiiio  i  sottoscrittori.  Avvertiti  di  ciô  quelli 
che  erano   stati   deputati  di  presentare  il  memorialo  al 
VannnteUi,  segretario  del   Municipio,   protestarono   cosi: 
«  Quando  noi,  portatori  della  petizione  dei  cittadini   ro- 
mani al  Municipio,   avemmo  Tonore  d*essere  ricevuti   ia 
vostra  casa,  fu  stabilito  che  saremmo  ritornati  per  inten- 
dere  dalla  Signoria  Vostra  la  risposta  deireccellentissima 
Magistratura  alla  preghiera  sportale  di  presentare  al  Pon- 
te&ce  Tindirizzo.  Era   nostra   intenzione   di   consegnare, 
tornando,  alla  Signoria  Vostra  il  documente  e   le   sotto- 
scrizioni  originali  che  convalidassero  le  nostre  parole.  Perô 
quasi  contemporaneamente  a  pochi  passi  della  vostra  casa 
veniva  perquislto  e  tratto  prigione  il  maestro  di  musica 
signer  Filippo  Bemia,  non  di  altro  accusate  che  di  avère 
apposte  il  proprie  nome  alla  petizione.  Poste  che  la  PolU 
zia  intende  di  procedere  contra  i  sottoscrittori  dell'indirizze 
e  disconescere  cosi  la  innocenza  e  la  legalità  di  queU'atto» 
non  possiamo  più  consegnare  le  sottoscrizioni  affidate  al- 
Tonor  nostre  senza  mettere  a  pericolo  la  libertà  di  onere- 
voli  persene  e  padri  di  famiglia,  e  porre  nello  stesso  tempe 
la  Signoria  Vostra  nella  dura  alternativa  di   seffrire  una 
persecuzione  o  di  tradire  la  nostra  fiducia.  D'altrende   la 
nostra  petizione  è  a  quest*era   conesciuta  dalla  maggiore 
parte  dei   Censiglieri  Municipal!  ;  e  se  questi  la  giudiche- 
ranno  seconde  la  propria  cescienza   e   dignità,  non  v'ha 
<lubbio  che  la  faranne  cosa  prepria  e  la  presenteranne  al 
Ponteflce.  Ove  ciô  non  avvenga,  nei,  eltre   il   rammarice 
^i  veder  persistere  il  Governe  in  una  politica  improwida 
6  ingiusta,  avremo  pur  quelle  di  vedervi  per  peritanza 


Digitized  by  VjOOQIC 


499  GAPIT0I.0   YIU 


e  timidezza  associato  ronorevolô  Municipio  romane.  Pre- 
ghiamo  la  Signoria  Yostra  di  comunicare  alla  eccellentis- 
sima  Magistratura  la  présente  lettera  »  (1).  —  Ghe  Cacera 
allora  il  Sommo  Pontefiee,  cui  appena  di  ritomo  a  Roma 
era  stato  noti&cato  quel  memoriale?  nuUa;  e  ai  ginsti  ri- 
chiami  di  prorridenze  amministrative,  da'  suoi  popoli  tanto 
desiderate,  rispose  convocando,  in  sul  cadere  del  settem- 
bre,  un  concistoro  segreto;  nel  quale,  dopo  a^er  -pariato 
a  lungo  délie  rimostranze  d*affetto  e  devozione  ricevute  da 
quelli  nel  suo  viaggio,  degli  otnaggi  dei  principi  vennti  da 
lui  0  visitati  nei  loro  domini,  tacendo  délie  condizioni 
politiche  ed  economiche  dello  Stato  délia  Ghiesa,  aecennô 
aile  domande  dei  fedeli  e  religiosissimi  suoi  sudditi»  le 
qucUi  miravano  soltanto  cUlo  soddisfaGimento  dei  àisogni 
particolari  dei  luoghi  e  ad  accrescere  la  prosperità  dei 
traffici;  e  pose  fine  al  suo  dire  con  lo  annunciare  a  tutte 
le  genti  del  mondo  cattolico  indulgenza  plenaria  in  forma 
di  giubileo  straordinario. 

Nell'anno  appresso,  il  1858,  per  le  superbe  pretensioni 
dell*orgoglioso  Guyon,  généralissime  dell'armi  firancesi  pre- 
sidianti  Roma,  poco  mancô  non  si  rompesse  la  buona  ami- 
cizia  che  legava  il  Vaticane  alla  Gorte  impériale  di  Parigi. 
Quel  générale»  pretessende  le  sanguinose  risse  che  non  di 
rade  ayrenirano  tra  i  soldati  del  Papa  e  quoi  di  Prancia, 
erasi  arrogato  il  cemando  suprême  délie  genti  pontificie  ; 
usurpazione  di  potere  che,  ferendo  Tautorità  del  cardinale 
Antonelli  —  allora  Ministre  sopra  la  guerra  —  spingevalo 
a  protestare  a  Grammont  e  agli  oratori  degli  Stati  aoiici 
in  Gorte  di  Pie  IX^  dicendosl  deliberato  di  portare  la  sedia 
papale  e  il  Goveme  suo  in  Ancona  sotto  la  protezione  délia 
bandiera  austriaca,  piuttosto  che  soppertare  più  oltre  le 


(1)  Qnesta  lettera  di  protesta  fil  scritta  a  Yanxintelli  il  4  settem- 
bre  1857. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BQJCA  493 

eâorbitanze  oltraggiose  del  générale  fraacese.  I  buoni  ofQci 

del  dnca  di  Grammont,  conducendo  Guyon  a  coosigli  sayi 

e  l^mperati,  valsoro  a  distogliere  il  cardinale-ministro  dal 

fatto  proposlto;  che  perô  avrebbe  assai  voloatieri  mandato 

a  effetto,  allô  scopo  di  promuovere  uno  scandale,  il  quale 

sarebbe  certamente  tornato  di  danno  al  Cristianissimo  di 

Franoia.  Era  questo  uno  sfogo  di  rabbiacardinalesea!  av- 

ve^^nacliè  Antonelli  mirasse  con  taie  scandale  a  vendicarsi 

deile  sollecitazioni  incessanti  che  il  Governo  di  Lnigi  Na- 

poleone  facevagli  di  riformare  lo  Stato.  —  Un    atto   di 

violenza  inaudita  commettevasi  di  quel  giorni  dalla  Sacra 

Congregazione,  atto  il  quale,  ofifendendo  la  libertà   indivi- 

duale  e  la  coscienza  pubblica,  inaspriva  vie  più  le  popo- 

lazioni  romane  contra  i  supremi  lor  reggitori   e   ne   ac* 

cresceva  H  malcontento.  Il  24  giugno   di  quelFanno  1858 

in  Bologna  i  tavolaccini   del   Santo   Offlcio   toglievano  a 

forza  dalla  casa  di  Salomone  Mortara  —  un  israelita  —  il 

figliuolo   Edgardo,  appena  settenne,  perché  aei   anni    in- 

nanzi  graveniente  infermatosi   era  stato   dalla   serpente 

battezzato.  I  genitori  infelîci,  trovando  sordi  aile  loro  pre- 

gMere  e  insensibili  aile  loro  lacrime  il  Legato   pontificio 

e  rArcivescoYO  délia  città,  correyano  a  Roma  a  domandare 

giustizîa  ai  tribunali.  Il  buon  diritto  era  per  essi ,  per  essi 

naolti  statut!  e  moltissime  provvisionl  di  Governi  civili,  e 

non  poche  decretali  e  parecchie   bolle   di  Pontefici  ;  ma 

siccome  la  giustizia  era  allora  proprio  messa  in  non  cale 

da  coloro  che  reggevano  lo  Stato  in  nome  del  Papa,  cosl 

a  Roma»  corne  prima  a  Bologna,  le  supplichevoli  richieste 

^ei  Mortara  venivano  crudelmente  respinte*  Non  è  a  dirsi 

quanto  dolorosa  suonasse  la  sentenza  ai  genitori  del  ra- 

pito  fanciullo,  che  essi  non  riavrebbero  mai  il  flgliuolo  se 

^ou  allora  che,  abiùrata  la  fede  ebraica,  la  cristiana   ab- 

bracciassero  ;  niegando  apostataro,  non  ebbero  piii  il  loro 

Edgardo.  La  Corte  romana,  risoluta  a  mantenere  il  vitu- 

perevole  suo   proposlto,  oppose   sempre   il    tradizionale 

^^^  possumi^9  con  una  fermezza  in  verità  degna  di  causa 


Digitized  by  VjOOQIC 


494  CAPITOLO    VIII 


migliore,  aile  vive  istanze  degli  oratori  degli  Stati  stra- 
nieri,  e  dello  stesso  Grammont,  il  rappreseatanie  di  quella 
nazione  cattolicissima,  cul  il  Papato  andava  allora  debitore 
non  solamente  délia  restaurazlone,  ma  délia  protezione  di 
sue  armi  altresi,  senza  le  quali  sarebbe  nuovamente  caduto. 
Gregorio  Magno,  Pontefice  per  giustizia   e    prudenza  am- 
mirando  sempre,  ci  lasciô  scritto  :  le  esortazioni  e  Vesm- 
pio  délia  carità  essere  mezzi  efflcacissimi  a  gwsMgnan 
gli  infedeli  alla  religione  cristiana,  non  le  minaccie  e  U 
terrore  che  li  allontanano  (1);  quanto  mai   Pio  IX,  che 
pure  ebbe  animo  buono  e  dolce,  fu  diverse  da  quel  Papsu 
tra  i  piii  grandi  santi  nella  chiesa  di  Cristo!  —  Se  iltra- 
fugamento  del  fanciullo  Mortara  commosse  l'Europa  civile, 
la  giustizia  tanto  sfacciatamente  niegata  dai  tribanali  ro 
manir  e  piu  ancora  il  rifluto  di  Pio  IX  —  délia  cui  mitezza 
e  umanità  di  sentire  correva  dovunque  la  fama  —  ne  sb- 
scitô  gli  sdegni.  Taie  atto  di  violenza  —  che  invano  ten- 
tossi  onestare  col  fine  di  non  avventurare  più  tra  le  ténè- 
bre e  le  insidie  del  giudaesimo  qu^l  fanciullo  rigenerato 
e  santi/îcato  dal  battesimo  (2),  —  taie  atto,  io  dico,  chiari, 
che  nuUa  di  inviolabile  esisteva  di  quel  giorni  negli  Stati 
romani,  e  che  nuUa  rispettavasi  ;   in   oltre,  che  il  di- 
ritto  paterne  non  aveva  agli  occhi  dei  Gesuiti  verun  va- 
lore,  di  essi  che  non  conosoono  quanto  vi  ha  di  piu  sacre 
al  monde,  intendo  parlare  degli  affetti  di  famiglia  e  del- 
Tamor  del  padre   e   délia  madré  verso  i  loro  figliuoli! 
La  potestà  dei  genitori,  che  i  Barbari  sempre  rispettarono 
e  i  popeli  civili  protessero  con  leggi  spécial!,  venue  allora 
calpestata  in  Rema,  dove  la  suprema  auterità  reliposa  e 
temporale  trovavasi  nelle  mani  di  una  sola  persona  Crrare 


(1)  Letteia  di  Gregorio  Magno  al  Vescovo  di  Cagliari.  Anertito 
quel  Pontefice  che  un  ebreo  oonvertito  al  cristianesimo  avéra  tolto 
agli  antichi  suoi  correligionari  la  sinagoga  per  mutarla  in  tempio  ca^ 
tolico,  coiuandô  di  restituire  la  chiesa  al  culto  ebraico. 

(2)  Civiltà  eattoltea,  diario  délia  Oompagnia  gesnitiea. 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOHA  495 

errore  questa  riunione  di  due  autorità  tanto  diverse, 
riunione  che  in  ognî  tempo  partori  molti  controssensi 
morali,  quale  fu  nel  1858  il  rapimento  del  fanciuUo 
Mortara.  —  Tali  fatti  e  non  pochi  altri  di  simile  specie, 
le  condanne  a  morte,  cuî  già  accennammo,  le  dure  pri- 
gionie,  le  torture  e  in  fine  i  molti  esilii  volontari  o  for- 
zati  erano  conseguenze  logiche  délia  violenta  restaura- 
zione  délia  temporale  potestà  certamente  poco  in  armonia 
con  la  religiosa.  Perô  il  governo  del  cardinale  Anto- 
uelli  fu  di  vantaggio,  non  di  danno,  alla  causa  d*Italia; 
avvegnachè,  lo  strazio  ch*egli  fece  dei  popoli  soggetti, 
ne  accrescesse  il  malcontento  e  Todio  contra  coloro  che 
li  reggevano  con  potestà  assoluta  ;  ne  dir  rfaprebbesi 
se  nei  Ministri  di  Pio  IX  fosse  maggiore  la  perfidia  o 
la  stoltezza.  Invero  non  sarebbesi  Tltalia  si  presto  uni- 
ficata  senza  lo  incocciarsi  dei  cardinali  che  stavano  al- 
lora  presso  il  Pontefice,  soprammodo  d'Antonelli;  i  quali 
tutti  poi,  volendo  che  il  papato  fosse  come  era,  o  non  fosse 
—  in  ciô  proprio  uguali  ai  Gesuiti  —  risolutissimi  a  nulla 
coacedere  e  a  lasciaro  insoddisfatte  sempre  le  piîi  oneste 
^  piii  giuste  aspîrazioni  dei  sudditî,  rovinarono  la  potestà 
temporale  dei  Pontefici,  i  quali,  nello  intéresse  délia  reli- 
gione  di  Cristo,  non  avrebbero  dovuto  possederla  mai.  È 
dunque  storicamente  vero,  che  non  ultimi  tra  i  fattori 
«iella  unificazione  italiana  sono  stati  i  cardinali  consi- 
glieri  di  Pio  IX  ;  Dio,  volendoli  perdere,  confuse  le  loro 
wienti  ;  e  questo  per  la  buona  ventura  dellltalia. 

H  1858  era  presso  al  suo  termine,  quando  gravissime  in- 
quietudini  destavansi  nella  Corte  di  Roma  per  li  mali  u- 
ïûori  nati  allora  allora  nel  Governo  di  Parigi  verso  quel 
<li  Vienna,  causa  lo  atteggiarsi  a  offesa  deirAustria  contra 
la  Sardegna,  e  il  mirare  apertamente  dei  Ministri  del  Sire 
absburghese  a  far  deiritalia  una  vassalla  aU'imperio  suo. 
I  quali  cattivi  umori  maggiormente  inasprendosi  e  minac- 
ciando  condurre  a  guerra  quel  due  grandi  Stati  — Prancia 
^  Austria  —  malgrado  délie  assicurazioni  di  pace  dei  diari 


Digitized  by  VjOOQIC 


496  CAPITOLO   VIII 


piii  autorevoli  d'Europa,  montre  gettayaao  il  turbamento 
e  lo  sconforto  nella  Gorte  pontiâcla,  ne  incuoravaEo  i  po- 
poli  soggetti  0  davano  loro  anime  a  bene  sperare  delFav- 
venire.  E  come  era  notissimo,  che  la  belUcosa   Sardegaa 
da  lunga  pezza  preparavasi  alla  terza  riscossa,  cosi  la  gio- 
ventii  più  ardimentosa  délie  Romagne,  sQdando  latliB  pe- 
ricoli,  ardentissima  dî  combattere  per  la  iadipendenza  pa- 
tria,  oorreva  a  porsi  sotto  la  bandiera  italiaaa,  tenuta  i» 
alto  con  fortezza  ammiranda  da  lui  che,  prostrata  a  No- 
vara,  Tavova  raccolta  e  rialzata,  e  che  doveva  presto  tor- 
narla  airusato  onore.  Il  Papa  e  il  cardi^e  Antonelli  sta- 
vansi  allora  in  assai  gravi  pensieri;  awegnachè  bene  a 
ragione  temessero,  che  la  guerra  di  Francia  e  Sardegnâ 
confederate  contra  l'Austria  —  omai  d^  tutti  ritenuta  in- 
evitabile  —guerra  la  quale  non  poteva  aver  luogochesDJ 
Mincio  e  su  TAdige,  sommuoverebbe  indubitabilment^  le 
Legazioni  contra  la  signoria  pontîflcia^  non  estante  la  pre- 
senza  deiresercite  austriaco  che  le  presidiava.  É  più  facile 
imaginai'si,  che  dirsi,  in  quale  e  quanta  trepidazione  ve- 
nisse  la  Corte  papale,  quande  seppe  ci6  che  airuniversale 
da  moite  tempo  era  note,  che  la  Socîetà  Nazionale  Ita- 
liana  —  di  cui  parleremo  più  avanti  —  per  opéra  de'suoi 
Comitati  sparsi  nelle  terre  degli  Stati  délia  Chiesa,  lavo- 
rava  a  tutt'uomo  nelle  Romagne,  nelle  Marche  e  neirum- 
bria  a  preparare  una  levata  in  su  l'arme  dei  più  animosi, 
pep  allora  che  la  guerra  romperebbeei  in  Lembardia.  Clie 
far  doveva  il  Governo  papale  per  frenare   in   suc  lavoro 
quella  Società  su  la  cui  bandiera  stava  scritto:  IHunione 
dèlVItalia  sotto  lo  scettro  costituzioncUe  di  casa  Savciaf 
in  quai  modo  combattere  vittoriosamente  le  idée  di  indi- 
pendenza  e  di  uni/îcazione  nazionale  dalla  Società  ovun- 
que  predicate,  idée  che  allagavano  già  tutto  il  paese,  coii- 
ducendone  le  popolazioni  a  fratellevole  concordia,  e  allora 
rinate  a  nuova  vita,  a  vita  operosa  e  forte?  Pio  IX,  P^^^ 
sua  natura  incerto  sempre  nel  deliberare;  Antonelli,  poco 
innanzi  audace  e  allora  timidamente  irresoluto;  e  i  Ca^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


BOMA  497 

inali,  che  goyernayano  la  cosa.  pubblica,  dubbiosi  su 
nanto  meglio  conyenisse  fare,  nessuna  forte  deliberazîone 
eppero  prenâere.  Riconosciutisi  impotent!  ad  arrestare 
a  soli  il  moto  procedente  con  legge  uniforme  —  ond'era 
ecuro  di  gîugnere  a  buon  porto  —  diedersi  in  braccio 
lia  Proyyidenza,  e  attesero  gli  eyenti  délia  yicinissima 
uerra.  Il  papato  temporale,  un  di  rispettato  e  temuto,  dî 
uel  tempo  inetto  a  reggersî  con  le  forze  proprie,  declinava 
céleri  passi;  i  suoi  giorni  erano  contati!  ciô  staya  nei 
lestini  delFumanità. 


38  —  YoL  n.  Mabiahi  —  Storia  poh  «  mH 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO  K. 

Toscana.  Parma,  Modena,  NapolL 


Domenico  Gnerrazzi  e  la  Dittatuîa.  —  Conflitti  tra  Fiorentini  e  Li- 
vomesi;  restaurazione  délia  monarchia  in  FireiLze.  —  Livonio; 
sue  resisteuze  aile  armi  austriache;  sua  cadnta.  —  Leopoldo  II 
rientra  in  Toscana;  bandisce  il  perdôno  dei  crimini  politici.  —  H 
concordato  tra  Roma  e  Toscana.  n  Oranduca  trasfonna  la  ToscaD;si  ! 
in  provincia  anstriaca.  —  I  Ministri  di  Toscana  e  CaTonr.  —  H 
1859;  Leopoldo  II  lascia  la  Toscana.  —  I  casi  di  Parma  e  M'> 
dena.  —  I  Napolitani  fanno  l'impresa  di  Catania;  loro  atti  di  di&- 
solntezza  e  ferocia.  —  Palermo  apparecchia  le  resistenze.  —  Ten- 
tativo  d'accordo  pacifico.  —  Combattimento  del  7,  8  e  9  magd- 
1849  presso  Palermo;  sommessione  délia  Sicilia.  —  Gladstone  rive'j 
all*Enropa  le  nequizie  del  Goyerno  borbonico.  —  Bentivegna  tenta 
novità  in  Sicilia.  Attentato  di  Agesilao  Milano  contra  il  re  Ferdi- 
nando.  —  Pisacane,  Picotera  e  la  spedizione  di  SaprL  Morte  de] 
re  Ferdinando  II. 


Correva  la  notte  del  27  al  28  marzo  1849,  quando  i  Triuni- 
viri  toscani  convocavano  a  Parlamento  i  Deputati,  per  co- 
municar  loro  Tinfausta  novella  del  disastro  di  Novara  e 
délia  rlnunzia  di  Carlo  Alberto  al  trono;  in  oitre  per  di- 
scutere  e  deliberare  soUecitamente  su  quanto  convenisse 
operare  in  quel  momenti  solenni  e  pieni  di  pericoli.  Do- 
menico Guerrazzi,  reputando  essere  propizia  Toccasione  a 
compiere  la  meditata  restaurazione  monarchica,  prendeva 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CANA,   FABMA,   MODENA,   NAPOLI  499 

a  discorrere  délie  condizioni  in  cui  trovavansi  le  cose  ci- 
Yili  e  militari  del  paese;  e  le  dipinse  coa  si  neri  colori, 
che  l'Assemblea  rimase  grandemente  impaurita;  in  verità 
esse  erano  deplorevoli,  non  perô  quali  le  aveva  per  li  suoî 
fini  rappresentate  lo  scaltro  Ministre.  Riconosciuta  da  tutti 
la  nécessita  di  un  Governo  munito  dei  piii  larghi  poteri, 
il  quaie  valesse  a  provvedere  con  la  massima  prestezza  e 
forza  ai  bisogni  délia  guerra  e  alla  sainte  délia  patria, 
Guerrazzi  metteva  innanzi  la  creazione  di  una  dittatura 
limitata,  che  dovesse  stare  in  offlcio  sino  al  ânire  délie 
ostiiità.  La  scelta  del  Dittatore  cadde  naturalmente  «u  Do- 
menico  G-uerrazzi,  il  quale,  dopo  fiera  lotta  sostenuta  con 
gli  avversari  suoi  —  i  fautori  più  ardenti  d'un  governo 
dî  popolo  —  ottenne  quanto  era  nei  voti  suoi.  Da  prima 
mostrossi  ritroso  ad  accettare  quell'onorevole,  ma  arduo 
incarico,  non  volendo  sapere  d'una  autorità,  i  cui  strettis- 
simi  confini  potevanla  rendero  non  molto  efficace  ;  e  la 
ritenne  di  poi,  quando  l'Assemblea  gliela  offerse  pîena  e 
intiera,  e  ch'egli  promise  di  adoperarla  non  per  offendere 
la  libertà,  sibbene  per  difendere  il  paese.  —  La  patria  era 
in  pericolo!  che  faceva  allora  il  Dittatore  per  salvarla? 
Geloso  di  Montanelli,  il  quale  godeva  di  molta  aura  popo- 
lare,  lo  inviava  ambasciatore  straordinario  presse  il  Go- 
verno di  Francia  e  la  Corte  d'Inghilterra;  cosî  allontanava 
da  se  queU'uomo  intemerato,  che  avrebbe  potuto  giovarlo 
di  sayi  consigli.  In  luogo  di  gridare  la  immediata  unione 
con  Roma  e  levare  in  su  l'arme  i  popoli  di  Toscana  e  délie 
Romagne  per  la  comune  difesa,  Guerrazzi  accontentossi  di 
volgersi  agli  amanti  délia  patria,  chiamandoli  ad  aflTorzare 
Tesercito,  che  tra  brève  tempo  doveva  recarsi  ai  confini 
contra  gli  Austriaci,  già  minaccianti  invasione.  Il  suo  poco 
fervido  appelle  ebbe  tiepidissima  risposta;  awegnachô  pic- 
ciola  schiera  di  Toscani  si  scrivesse  nei  ruoli  délia  milizia, 
pochissimi  poi  entrassero  in  essa.  Fu  in  taie  chiamata 
aile  armi,  che  il  Dittatore  chiari  i  suoi  disegni  di  rifaci- 
mento  del  trono  granducale,  e  che,  parlando  di  Leopoldo  II, 


Digitized  by  VjOOQIC 


500  OAPITOLO    IX 


esprimesse,  in  favore  del  principe,  i  suoi  sentimenti  cosi  : 
«  Se  yi  ha  anclie  taluno  che  negli  ultimi  precordi  faccia 
Yoti  per  la  restaurazione,  si  rammenti  che  il  suo  principe 
non  difendesse  la  frontiera,  ma  spingesse  i  Toscani  alla 
guerra  di  Lombardia  ;  che  dove  il  voto  del  suo  cnore  i^i 
compisse,  il  suo  principe  gli  direbbe:  perché  hai  consen- 
tito  che  mi  venissero   tolte  la  Lunigiana  e  Massa  e  Gar- 
rara?  Di  queste  frontière  ha  bisogno  la  Toscana,  se  non 
intende  rimanere  esposta  al  primo  invasore;  io  lasciai  pih 
vasto  lo  Stato,  per  la  tua  codardia  lo  trovo  diminuito;  va. 
tu  non  sei  un  servo  fedele;  tu  mi  stai  addosso  corne  Tin- 
setto  sopra  la  planta.  »  L'Arcivescovo  di  Firenze  —  il  quale, 
temendo  insulti  dal  popolo  per  essersi  riâutato  di  cantare 
un  Te  Deum  per  la  elezione  délia  nuova  Assemblea,  avea 
di  quel  giomi   lasciata  la  città  —  tornava  allora  alla  sua 
sedia,  a  patto  perô  che  gli  venissero  consegnati  due  sacer- 
doti  propugnatori  coraggiosi  di  libertà;  vilissimo  patto  che 
gettô  il  vituperio  su  chi  l'aveva  proposto  e  su  chî  Taveva 
accettato;  il  quale  turpe  fatto  mosse  a  sdegno  i  cittadini.  Il    I 
Dittatore  flnse  di  non  addarsene  e  tirô  yia,  ch*egli  temp<>    I 
non  aveva  a  perdere  in  cose  di  si  lieve  importanza  ;  la  re-    I 
staurazione  signoreggiava  tutti  i  pensieri  suoi  e  ad  easa  sol-    I 
tanto  intendeva  ogni  cura.  Partigiani  del  Granduca  e  co-    I 
siituzionaH,  che  senza  stringersi  in  lega  trovayansi  allora    ' 
uniti  dal  comune  desiderio  di  riporre  sul  trono  il  prin-    ' 
cipe  transfuga,  prendevano  a  commuoyere  le  popolazioni    ' 
non  già  per  ispingerle  a  magnanima  impresa,  sibbene  per    ' 
prepararle  a  yergognosa  mutazione  di  Stato.  La  patria 
àbbisogna  di  pace  e  sicurezza^  gridayano  essi;  la  sita  in-  : 
dipendenza,  le  me  libertà  sono  minacciate  dagli  Aur 
striad;  per  allontanare  dal  paese  le  armi  straniere^  già 
qwisi  prementi,  Vunico  ed  efficace  espediente  consiste  nel 
tomare  alla  devozione  di  Leopoldo.  —  I  faccendieri  délia 
restaurazione  accordatisi  insieme,  senza  curarsi  délie  aspi- 
razioni  del  paese,  inyiavano  a  Gaeta  il  conte  Seriistorî. 
amicissimo  del  Granduca,  per  indurlo  a  volgere  alla  To- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABMA,   MOOENA,    NAPOLI  501 

scaaa  parole  di  conciliazione  e  pace;  atto  questo  di  ono- 
revole  franchezza,  il  quale,  mentre  avrebbe  posto  in  bella 
Luce  la  benignità  deiranimo  suo,  avrebbe  rimesso  il  pria^ 
cipe  aeiramore  dei  sudditi,  e  resogli  facile  il  racquisto 
dei  trono  paterno.  Alla  missione  di  Serristori  non  sorti  Te- 
sito  sperato.  Leopoldo,  che  voleva  riprehdere  lo  Stato  oon 
la  forza  soltanto,  fatto  ornai  securo  daU'appoggio  délie  armi 
austriache  —  a  Novara  vincitrici  deiremulo  suo  —  riman- 
dava  rinviato  toscane  senza  nuUa  promottere;  il  principe, 
la  cul  clemenza  e  bontà  di  cuore  erano  state  tanto  cele- 
brate  in  tutta  Italia,  agognava  allora  a  yendette  di  sangue. 

Mentre  Guerrazzi  studiavasi  di  ricondurre  il  Granduca 
a  Firenze  mediante  il  suffragio  deirÂssemblea  Costituente, 
che  dovea  riunirsi  il  15  aprile,  la  parte  moderata  maneg- 
glavasi  a  suscitare  nei  contadi  nuoye  ribellioni  contra  il 
Governo  dittatoriale.  I  favoreggiatori  dei  principe  e  la 
parte  avrersa  a  libertà  doyeyano  essere  yalidamente  aiu- 
tati  nella  brutta  impresa  dagli  odi,  che  un  di  aveano 
divise  due  nobilissime  città,  Firenze  e  Livorno,  allora  ri- 
destatisi,  se  dai  tristi  o  dal  caso  non  saprei  affermare.  Go- 
munque  sla  stata  la  cosa,  la  parte  moderata  profittô  délie 
iuiinicizie  antiche  per  far  nascere  nuove  ire,  e  diedesi  con 
ogQi  sua  possa  a  sofflare  nel  fuoco  délia  discordia.  —  Di 
quei  giorni  trovavansi  in  Firenze  grosse  bande  di  Livor- 
nesi,  venutevi  a  prendere  armi,  assisa,  militare  ordina- 
mento  e  ammaestramento,  brève  per6»  awegnachô  impe- 
rioso  fosse  il  bisogno  d*afforzare  l'esercito  campeggiante  i 
confini  dello  Stato,  aile  cui  difese  intendeva  allora  il  gé- 
nérale D'Apice,  capo  suprême  délie  milizle  toscane  (1).  I 
Fiorentini,  i  quali  vedevano  di  maie  occhio  quella  gente, 
per  vendicarsi  délie  ruberie  commesse  e  degli  oltraggi  fatti 


(1)  Gnenazzi  aveva  oïdinato  al  générale  D'Apice ,  che  al  premere 
^^gli  Anstiiaci  alla  firontiera  indietreggiasse  protestando  contra  la  vio- 
laxicme  dei  territorio  toscane. 


Digitized  by  VjOOQIC 


502  OAPITOLO   IX 


aile  loro  donne  d'alcuni  di  essa  —  uomiai  di  scarriera  che 
del  soldato  possedevano  soltanto  l'assisa  —  più  e  piîi  volte 
avevano  assalito  i  Livornesi  con  la  peggiore   di   questi. 
Il  Dittatore,  saputo  dello  atteggiarsl  minaccevole  dei  citr 
tadini  e  avvisato  che  le  genti  di  Livorno  apprestavansi  a 
vendlcare  le  battiture  sofferte,  credendo  di  rimettere  ogni 
cosa  nella  quiète  usata  con  lo  allontanare  da  Firenze  parti, 
délia  milizia  livornese,  comandava  alla  schiera  di  Goar- 
ducci  di  condursi  a  Prato.  —  Era  111   aprile;  il  iwpolo 
eccitato  a  tumulte  da  alcuni  cagnotti  di  Baldasseroni  —  i 
quali,  corne  corse  allora  la  fama,  da  quel  vecchio  Ministro 
di  Leopoldo  erano  stati  travestiti  da  guardîe  municipali 
di  Livorno  —  insultava  e  assaliva  il  battaglione  di  Guar- 
ducci  nello  attraversare  che  faceva  la  città  per  recarsi  al 
nuoTO  presidîo  assegnatogli  da  Guerrazzi.  Alla  saaguinosa 
disfida  gli  assaliti  rispondevano  con  le  armi,  che  volge- 
vano  altresi  contra  i  Veliti  (1),  i  quali  avevano  preso  ad 
appoggiare  il  popolo.  La  pugna,  che  diventô  furiosa  in  su 
la  piazza  di  Santa  Maria  Novella,  sarebbe  indubitabihnent^ 
tornata  micidialissima  aile  genti  di  Guarducci  —  awegna- 
chè  i  cittadini  dalle  loro  case  e  i  frati  dal  campanile  délia 
chiesa  traessero  vivamente  contra  quelle  —  se  il  Dittatore, 
soUecito  recatosi  in  mezzo  ai  combattitori,  con  parole  di 
concordia  e  pace  non  avesseli  indotti  a  mettere  giii  le  armi 
parricide.  Non  gli  riesci  perô  di  far  loro  posare  le  ire  e  gli 
sdegni;  avvognachè,  appena  cessata  la  pugna,  Veliti  e  po- 
polo ponessero  a  morte  alcuni  Livornesi  venuti  a  lor  rnano,. 
e  ferissero  con  pietra  Domenico  Guerrazzi;  il  quale,  non 
giunto  in  tempo  a  salvare  quel  miseri,  avea  mosso  acerbo 
rimprovero  agli  ucciditorf.  La  parte  moderata,  giudicando 
essere  quelle  il  momento  opportune  a  soUeyare  le  popola- 
zioni  del  contado,  da  lunga  pezza  preparate  a  levarsi  con- 
tra il  Governo,  chiamavanle  aile  armi  per  mezzo  di  fuochi 


(1)  Con  tal  nome  chiarnavaiisi  allora  gli  antichi  carabinieri. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABMA,   MODENA,    NAPOLI  503 

accesi  sui  campanili,  cui  subito   rispondevano  altri  accesi 
su  le  colline.  Al  nuovo  giorno  —  il  12  aprile  —  bande  nu- 
merose  di  contadini  armati  di  schioppi  e  di  rural!  attrezzi 
invadono  la  città,  ne  corrono  le  vie  assierao  al  popolo  e, 
con  le  insegne  del  Granduca  alla  mano,  atterrano  gli  al- 
beri  délia  libertà  gridando  :  Viva  Leopoldo,  morte  a  Guer- 
razzi  ;  in  verità,  barbare  grido,  ma  degno  di  colore  che  lo 
innalzavano,  e  del  principe  cui  era  dedicato!  A  frenare  i 
sollevati,  che  per  eccitamento  dei  partigiani  del  Granduca 
e  délia  parte   moderata  minacciavano  rovina  aile  case  di 
quanti  erano  in  voce  di  liberali,  quali   provvedixnenti  da- 
vansi  dal   Dittatore,  daU'Assemblea  Costituente  e  dal  su- 
prême Maestrato  di  Firenze?  Su  le  guardie  cittadine —  che 
(la  sole  avrehbero  bastato  a  restaurare  Tordine  sconvolto  — 
non  potevasi   fare  fondamento  veruno;  perô  che  avessero 
udito  con  indiflferenza  vergognosa  i  gridi  di  morte  di  una 
gente  piîi   che   briaca,  féroce;  e  veduto  con  impassibilità 
vituperevole  abbattere  da  essa  gli  alberi  délia  libertèu  Non 
potevano  essere  di  presidio  securo  al  Governo  quoi  soldati, 
che  avevano  rivolto  contra  i  propri  fratelli  le  armi  loro 
affldate  dalla  patria  per  combattere  i  nimici.  I  suoi  disegni 
di  restaurazione  monarchica  avevano  allontanato  da  Guer- 
razzi  quanti  parteggiavano  per  la  repubblica  ed  erano  ama- 
tori  di  libère  reggimento  ;  e  i  modi  di  governo  del  Ditta- 
tore avevangli  reso  nimicissimi  i  monarchici,  non  estante 
il  sue  trovarsi  d'accordo  su  la  ricostituzione  del  principato 
civile.  Abbandonato  da  tutti,  nulla  egli  potô  operare  in  quoi 
momenti  solennemente  difflcili.  Il  suprême  Maestrato  délia 
città,  cui  per  malattia  del  gonfaloniere  Ubaldino  Peruzzi 
allora  presiedeva  Orazio  Ricasoli  primo  prière,  deliberava 
di  eleggere  nel  sue  seno  una  Commissione,  la  quale  avesse 
ad  assumere  in  nome  del  Granduca  la  direzione  délie  fac- 
cende  dello  Stato  sino  al  restaurarsi  délia  monarchia  co- 
stituzionale.  La  parte  moderata,  smaniosa  di  avère  il  ma- 
ûôggio  degli  aflTari  per  metterli  su  la  via  che  piii  le  con- 
^enisse,  obbligava  la  Commissione  ad  associarsi  cinque  dei 


Digitized  by  VjOOQIC 


504  CAPITOLO  IX 


suoi,  Gino  Capponi,  Bettino  Ricasoli,  Luigi  Serristori,  Carlo 
Torrigiani  e  Gesare  Gapoquadri  (1).  In  un  maoifesto  ai  cit- 
tadini  la  Gommissione  faceva  conoscere  gli  intenti  suoi 
con  le  seguenti  parole:  =  Avère  assunto  il  reggimento  délia 
cosa  pubblica  per  assecondare  al  veto  espresso  dalla  in- 
tiera  popolazione  ;  attendere  da  questa  e  dalle  guardie  cit- 
tadine  la  conservazione  dell'ordine;  volere  che  alla  monar- 
chia  costituzionale,  al  cui  ristabilimento  egli  intendeTa, 
andassero  compagne  le  istituzioni  liberali.  =  latanto  i  Dé- 
putât!, che  troyavansi  in  Firenze,  eransi  riuniti  a  parlar 
mento  per  prowedere  col  Dittatore  e  coi  Ministri  aile 
imperiose  bisogne  del  momento,  soprattutto  al  modo  di  af- 
fermare  la  sicurezza  del  paese  fortemente  minacciata  dai 
nimici  interni  e  dal  vicino  premere  degli  Austriaci.  Mossi 
a  sdegno  contra  il  Maestrato  dei  cittadini,  che  aveva  offeso 
Tautorità  deirAssemblea  e  usurpatine  i  poteri  col  creare 
una  Giunta  di  Goyerno,  essi  stavano  per  protestare,  allora 
che  una  moltitudine  innumerevole  di  popolo,  dope  avère 
per  alquanto  tempo  furiosamente  ondeggiato  dinnanzi  al 
palazzo  di  quella,  irrompeva  in  mezzo  ai  Deputati  con 
ferocissime  grida  di  morte  al  Dittatore;  presi  da  spavento, 
cercarono  salvezza  nella  fùga.  Guerrazzi,  che  non  s*era 
mosso  di  là,  veniva  allora  tradotto  da  Ricasoli  e  da  Dignj 
nella  fortezza  di  San  Giorgio;  in  apparenza,  per  sottrarlo 
all'ira  popolare;  in  realtà  poi,  per  tenerlo  prigionîero  in 
lor  mano;  perô  che,  pretessendo  avère  egli  in  alcuni  scritti 
offeso  il  Granduca,  non  lo  rimettessero  più  in  libertà.  — 
Alla  Dittatura  succedette  una  Gommissione  govem&tiva, 
che  Orazio  Ricasoli  annunciô  a  Firenze  composta  dal  co- 


(1)  La  Coxuinissione  yenne  composta  cosi:  Oiamo  Cesaie  Ricasoli, 
primo  Priore^  Guglielmo  Cambray  Bignj,  Filippo  Brocchî,  Gînseppe 
Ulivi,  Giuseppe  Martelli,  Luigi  CantagalU,  Carlo  Buonainti,  Giuseppe 
Bonini,  Gnstavo  Galletti,  Filippo  Rossi,  Gino  Capponi,  Bettino  Ricasoli, 
Luigi  Serristori,  Carlo  Torrigiani,  Cesare  Capoqoadri,  Ferdinando  Za- 
netti,  générale  délia  Ghtardia  nazionaU,  e  Lnigi  Pavolini,  caneeUimt. 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CANA,   PABMA,   HODENA,    NAFOLI  505 


lonnello  Belluomini,  da  Fornetti,  AUegretti,  Martini,  Du- 
choqué  e  Tabarrini;  allora  acclamossi  la  restaurazione 
del  principato  costituzionale  di  Leopoldo  d*Austria. 

Nel  Lacchese  la  soUevazione  in  favore  della  monarchia 
ebbe  luogo   il  12  aprile;  e  primi  a  ribellarsi  al  Governo 
dittatoriale  furono  gli  abitatori  délie  campagne  circostanti 
a  Lucca.  Il  suonare  a  stormo  dei  sacri  bronzi  chîamava  in 
quel  giorno  aile  armi  i  terrazzani  di  Picciorana,  Porcari, 
Lammari  e  San  Pilippo.  Il  presidio  della  città  —  nel  quale 
contavansi  da  novecento  volontari  —  ito  per  comanda- 
meato  del  Prefetto  a  combattere  1  sollevati,  in  brève  ora 
mettevali  in  pezzi.  La  novella  dei  casi  di  Firenze  e  della 
piena  vittoria  ivi  riportata  dai  fautori  della  monarchia, 
pervenuta  ai  Luccbesi  il  mattino  del  13,  turbô  gravemente 
la  città,  già  commossa  per  la  ribellione  armata  dei  cam- 
pagQuoli;  i  quali,  sbaragliati  il  di  innanzi,  udito  lo  scam- 
pauare  festevole  di  Lucca,  vi  si  recavano  in  foUa  da  ogni 
terra;  e  in  compagnia  délie  guardie  cittadine  ne  correrano 
le  vie  innalzando  dovunque  le  insegne  del   Granduca,  e 
abbattendo  gli  alberi  della  libertà  ira  gridi  feroci  di  morte, 
quasi  che  il  massimo  dei  dont  di  Dio,  e  che  i  potenti  della 
terra  d'ogni  età  e  d'ogni  luogo  tentarono  soventissimo,  ma 
sempre  indarno  di  spegnere,  potesse  cadere  al  solo  gridare 
d'un  pugno  di  gente,  cbe  dir  non  saprebbesi  se  piii  stoltà 
0  Tituperevole.  Il  somme  Maestrato  lasciava  allora  Tofflcio 
suo  ad  uomini  devoti  airantico  reggimento  e  a  Leopoldo  II, 
e  ai  quali  Antonio  Mazzarosa,  eletto  Gonfaloniere  di  Lucca, 
veniva  chiamato  a  presiedere.  Il  giorno  appresso,  i  volon- 
tari fiorentini  erano  rimandati  alla  loro  città,  e  aile  guardie 
municipali  tolte  le  armi.  Presto  e  senza  contraste  compi- 
^asi  la  restaurazione  granducale  ;  e  la  Commissione  creata 
*  reggere  Lucca  siibito  annunziava,  e  Testante  come  per 
vittoria  acquistata,  che  le  soldatesche  Austro-Estensi  eransi 
iinpadronite  di  Massa  e  Garrara  in  nome  del  Duca  di  Mo- 
dena,  e  di  Pontremoli  per  quel  di  Parma,   senza  spargi- 


Digitized  by  VjOOQIC 


506  CAPITOLO   IX 

mento  di  sangue,  perô  che  non  fosse  possibile  al  générale 
D'Apice  d'impedir  loro  quella   impresa;  in  oltre  la  Com- 
missione  assicurava  i  cittadini,  che  l'armi  impérial!  non 
calerebbero   a  Toscana,   se   tornata  alla  obbedienza  deî 
legittimo  principe.  —  *Airudire  i  mutamenti    di   Firenze, 
Siona,  devotissima  a  Leopoldo,  rostaurava  il  principato  del 
Lorenese,  senza  incontrare  opposizione  di  sorta;  Pisa,  di 
nottetempo  e  per   sorpresa   occupata   per  comandamento 
délia  Gommissione  âorentina  da  una  schiera  di  soldati  del 
générale   D'Apice,   rifacevasi   monarchica;  e  siibito  dopo 
Pistoia  veniva,  con  Tinganno,  in  potere  délia  parte  mode- 
rata.  Guarducci,  che  la  teneva  con  un  grosso   battaglione 
di  fanti,  tratto  fraudolentemente  in  errore  dai  Commfôsari 
mandatigli  dal  Maestrato  pisano  —  i  quali  avevanlo  assi- 
curato  che  il  contado  erasi  levato  a  romore,  e  che  milizie 
numerose  e  dévote  al  Granduca  stavano  raccolte  in  Pisa 
—  lasciava  Pistoia  e  riducevasi  a  Livorno.  Tutte  lô  altre 
terre  di  Toscana  tornarono  allora  alla  obbedienza  délia 
signoria  antica,  eccetto  Livorno,  il  cui  popolo,  ricordando 
d*essere  italiano,  mantenne  alta,  con  grande  sua  gloria,  la 
bandiera  délia  patria,  sino  a  che,  oppresse   dal  numéro, 
non  superato  dal  valore  degli  stranieri  invaditori,  cadeva, 
corne  aveva  combattuto,  da  forte:  per  lui  fu  salvo  Tonore 
del  nome  toscane.  I  Livornesi,  airannunzio  deU'eccidio  dei 
loro  concittadini  in  Firenze  e  délia  restauraziono  délia 
monarchia  in  tutto  lo  Stato,  levavansi  a  tumulto  ;  e  non 
volendo  saper  di  governo  granducale  davansi  a  prowedere 
armi,  a  ordinare  soldatesche,  ad  accrescere  le  difese  contra 
gli  Austriaci,  già  prementi  sui  conflni  ;  la  loro  resistenza, 
se  non  valse  a  risvegliare  nei  Toscani   quell'ardore  di 
guerra,  e  riaccendere  in  essi  quella  virtîi,  di  cui  avevano 
date  splendide    prove  a  Curtatone  e  a  Montanara,  onde 
sarebbersi  avvantaggiate  le  sorti  dell'Italia,  servi  almeno 
di  coraggiosa  protesta  airinvasione  nimica.  Chi  mai  voile 
questa  ?  chi  a  danno  délia  patria  fu  chiamatore  dello  stra- 
niero,  se  non  Leopoldo?  —  Agli  Inviati  dai  restauratori di 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSGANA,   FABMA,   MODENA,   NAPOLI  507 

sua  soyranità,   supplicanti  di  riedere  presto  in  mezzo  ai 

sudditi  per  salvarli  dalla  signoria  deirimperio  absburghese 

e  conservare  loro  le  libertà  nazionali,  già  da  lui  largite  e 

giurate,  egli  rispondeva  mandando  a  reggere  la  Toscana 

in  suer  nome  e  con  piena  autorità  il  conte  Luigi  Serristori, 

tristissimo   strumento  di  tirannide  e  in  tutto  degno  del 

principe  che  doveva  rappresentare.  —  Il  4  maggio   l'alto 

Commissario  metteva  fuora  un  manifesto  di  Leopoldo,  nel 

quale,  taciuto  lo  intervenire  armato  deirAustria,  diceva  di 

voler  ricondurre  il  paese  alla  osservanza  délie  leggi;  di 

assicurare  il  risiàbilimento  delVordine  e  preparare  la  più 

solida  restaurazione  del  reggimento  costituzionale,  Per 

ottenere  da  Vienna  aiuti  valevoli  al  racqulsto  délia  corona 

il  Granduca  aveva,  non   soltanto   promesso  di  fare  tutto 

quanto  sarebbe  piaciuto  al  Governo  delVlmperatore,  ma 

erasi  persino  scusato  di  ciô  che  aveva  operato  a  favore 

délia  libertà  italiana  —  addebitatogli   a  colpa  dal   Sire 

austriaco  —  con  lo  aflfermare,  che  i  bisogni  dei  nuovi  tempi 

e  lo  atteggiarsi  minaccioso  dei  sudditi  aveanlo,  suo  mal- 

grado,  costretto  a  concedere  riforme  e  franchigie  costitu- 

ziouali  ed  eziandio  a  mandare  sue  genti  alla  impresa  di 

Lombardia.  —  Egli,  che   aveva   respinto  il  sussidio  del- 

l'armi  sabaude  e  che  le  proprie  non  bastavano  a  racqui- 

stargli  il  trono,  erasi  trovato  nella  nécessita  d'implorare 

il  soccorso  deirimperio  (1).  Troppo  vile  per  riedere  da  solo 


(1)  n  80CC0TS0  d'anni  fa  chiesto  e  richiesto  da  Leopoldo  n  al  Go- 
verno anstriaco;  ciô  ô  provato  da  iina  lettera  scritta  il  25  maggio  di 
queU'aimo  1849  dal  maresciallo  Eadetzky  —  allora  in  Milano  —  al 
coûte  Serristori.  In  qnella  cosi  si  esprime  il   yecehio  mareaciallo: 

'^ Tassistenza  militare  che,  ginsta  gli  ordini  del  mio  augosto 

"ignore,  ho  date  alla  Toscana,  venne  accordata  dairimperatore ,  non 
8olamente  in  virtù  dei  diritti  incontestabili  di  S.  A.  1.  e  R.  il  Granduca, 

^  anche  per  la  demanda  reiterata  del  Granduca  stesso »  La  Com- 

nussione  govematÎTa,  temendo  che  i  soldati  délia  divisione  lombarda 
"*  licenziati  dal  Governo  sardo  dopo  il  disastro  di  Novara  —  imbar- 
<^ti8i  alla  Spezia  avessero  a  prender  terra  a  Livomo  ad  affbrzarvi  i 


Digitized  by  VjOOQIC 


508  CAPITOLO   IX 


e  con  lealtà  a  quel  paese  da  lui  lasciato  nella  speranza 
che  avesse  a  cadere  neiranarchia,  ei  voleva  rieutrare 
ne'  suoi  dominl  con  grande  accompagnatura  di  soldatesehe 
austriache,  la  cui  missione  era  di  opprimere  la  parte 
libérale,  ritornargli  in  potestà  la  ribelle  Livorno  e  assicu- 
rargli  la  corona. 

Correva  il  30  aprile,  quando  TAssemblea  livornese  costi- 
tuitasi,  poco  appresso  il  compiersi  dei  casi  di  Firenze,  coi 
piii  notevoli  cittadini  d'ogni  ordine  e  di  ogni  condizione, 
riunivasi  per  discutere  su  le  difese  piii  efflcaci  a  prendersi 
contra  gli  Austriaci,  i  quali,  duce  il  luogotenente  mare- 
sciallo  D*Aspre  (1),  giunti  a  Pietrasanta,  pareva  miras36ro 
a  Lucca.  I  membri  di  quella  eleggeyano  un  Gomitato  di 
pubblica  sicurezza,  cui  preponevano  Guarducci,  uomo  ani- 
mo3o,  soldato  risoluto  e  délia  patria  amantisslmo;  per 
opéra  sua  mettevansi  in  istato  di  résistera  il  forte  di 
Marzocco  e  le  mura;  munivansi  d'artiglierie  le  porte  délia 
città,  e  di  questa  asserragliavansi  le  vie.  Intanto  D'Aspre 
portatosi  a  Lucca  —  e  fu  il  5  maggio  —  con  una  grida 
invitava  i  Toscani  ad  accogliere  lui  e  i  suoi  soldati  quali 
amici  e  fratelli,  venuti  a  tutelare  i  diritti  del  legittimo 


solieyati,  erasi  riyolta  u  aile  Legazioni  di  Francia  e  d'Inghiltem,  che 
ofifriTano  cortesi  l'appoggio  loro,  a  fine  di  otteuere  ivi  nno  abarco  che 
togliesse  qaell'infelice  paese  aUe  agitazioni  âeli'anarchia;  e  ofliifise 
occasione  alla  tnaggioranza  intimidita  degli  abitauti,  di  acuotere  ûaat 
mente  il  giogo  dei  faziosL  »  —  H  conte  Walewski,  Ministro  di  Fiaocit 
a  Firenze,  scriveTa  allora  airanuniraglio  Bandin,  eseere  necenario  oeat- 
pare  Livorno^  per  impedire  airAustria  é^intervenire  in  To9eaM;  e 
Baudin,  che  con  Tarmata  francese  troYaYasi  di  que'  gionii  nelle  acqoe 
di  Gaeta  —  ore  stava  pore  il  Grandaca  —  andd  a  qnesti  e  gli  oi&i  ^ 
portarlo  a  Toscana;  nel  tempo  stesso  lo  sconginiô  di  non  ehianwre 
gli  Austriaci  nel  auo  Stato,  la  loro  présenta  potendo  aUontanaft  da 
lui  gli  animi  dei  stMiti, 

(1)  L'esercito  d'occupazione  contara  diciottomila  nomini  allô  indicA' 
Erano  col  maresciallo  D' Aspre  rarddaca  Alberto  e  il  Dnoa  di  ïodena 
con  nna  picciola  mano  di  soldatesehe  estensL 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCAXÂ,    PARHA,   HODENA,   NAPOLI  509 

signore;  a  dar  loro  sicurezza  e  quiète,  e  a  rimettere  la 
cosUluzione  di  governo  civile;  affermava  poi  che  Tesepcito 
suo  —  mantenitore  severo  deU'ordine  e  délia  militare  di- 
sciplina —  arrecherebbe  al  paeae  nuova  êra  di  pace  e  di 
ricchezza.  —  Aile  belle  parole  del  capitano  austriaco  se- 
goirono  tristi  fatti,  perô  ch*egli  subito  licenziasse  le  guardie 
cittadine  e  si  impadronisse  di  tutte  le  armi  che  trovavaiisi 
in  Lncca.  L*opera  codarda  del  maresciallo  D*Aspre  com- 
macve  e  agita  i  Florentini;  allora  il  sapremo  Maestrato 
délia  città,  interprète  dei  loro  voti,  scrive  a  Serristori, 
biasimando  gli  atti  di  celui  che  si  fa  lecito  di  trattare 
quale  terra  di  conquista  quella  che  poco  prima  averalo 
accolto  corne  amico.  Le  guardie  cittadine  protestano  contra 
ianto  vituperio  ;  ma  il  Gommessario  del  Granduca,  che 
ionanzi  lo  inyadere  degli  Austriaci  erasi  indettato  col 
capitano  degli  imperiali  sui  modi  di  condurre  Timpresa, 
non  si  dà  pensiero  dei  reggitori  municipali,  e  meno  ancora 
del  protestare  délie  guardie  cittadine.  —  Il  6  di  quel  mese 
di  maggio  i  nimici  invaditorï  portavano  i  loro  alloggia- 
menti  a  Pisa;  e  due  giorni  appresso  recatisi  ad  este 
sopra  Livorno,  e  posti  i  campi  intorno  a  questa  città  pre- 
paravano  gli  assaltl.  Primi  aile  ofiTese  corrono  i  bersaglieri 
del  capitano  Piva  fuor  di  porta  al  mare,  i  quali  valoro- 
samente  rispondono  con  le  armi  a  chi  aveva  fatto  la  chia- 
mata  alla  città  e  concessole  ventiquattro  ore  por  darglisi 
a  discrezione.  —  D'Aspre,  venuto  111  maggio  con  tuttolo 
sforzo  di  guerra  —  ventimila  allô  incirca  Austro-Estensi 
—  a  tentare  Livomo,  la  quale  contava  appena  due  mila 
cinquecento  difensori,  dopo  essere  stato  tre  yolte  ributtato 
riusciva  al  fine  a  recarsl  in  mano  il  forte  Marzocco.  Ca- 
dnta  porta  al  mare  in  potere  degli  assalitori,  Emilie  Demi, 
nno  délia  Gommissione  governativa,  allô  intente  di  salvare 
Livorno  dagli  orrori  d'una  presa  per  assalto,  riconosciuto 
impossibile  resistere  piii  a  lungo,  alzava  su  la  cattedrale 
bandiera  bianca.  A  taie  vista  il  popolo  infuria,  protestando 
di  voler  continuare  le  resistenze  sine  allô  estremo;  ma 


Digitized  by  VjOOQIC 


510  CAPITOLO    IX 


tra  i  suoi  geaerosi  gridi  di  guerra,  e  i  gridi  di  pace  dei 
partigiani  del  Granduca,  gli  Austriacientrano  in  Livonio.Al 
giugnere  in  su  la  maggiore   piazza  alcuni   d'essi  cadono 
feriti  da  una  moschettata   traita  lop  contra   dai  cittadiai 
nascosti   nelle  case  vicine  alla  piazza.   D'Aspre,  oui  la 
natura  era  stata  avarissima  di  sensi  umani  e  nobili,  vie 
piii  inferocito  da  quella   offesa,   fa    allora    spietatamente 
crudele  e  le  sue  genti  mostraronsi  degne  di  nazione  bar- 
bara,  non  di  nazione  incivilita.  Per  comandamento  del  loro 
duce  suprême  mandarono  a  morte  molti  cittadini;  misero 
a  fuoco  e  a  sacco  parecchie  case;  e  se  non  fosse  statodel 
Console  americano,   il  quale  interpose  i  suoi  buoni  offici 
presse  il  générale  austriaco,  la  città  sarebbe  andata  a  ru- 
bamento  e  a  guasto.  Posta  sotto  il  governo  delle  leggi 
militari,   Livorno  vede  allora  la  bandiera  dei  tre  colori 
surrogata  daU'imperiale  e  licenziarsi  le  sue  guardie  citta- 
dine  ;  costretta  a  rimettere  le  armi  al  vincitore,  la  misera 
città  viene  tutta  in  balia  d'un  soldato,  la  cui  spada  erasi 
già  mutata  in  ferro  di  assassino:  la  tirannide  coalarapi- 
dità  del  fulmine  allaga  quindi  la  Toscana.  Fu  dette  che  il 
Granduca  altamente  disapprovasse  le  feroci  uccisioni,  le 
violenze  e  i  rubamenti  del  générale  D'Aspro;  ma  poteva 
muovere  lamenti  egli,  chiamatore  dello  straniero  ?  Erangli 
ben  noti  i  modi  che  dal  Governo  di  Vienna  adoperavaasi 
per  ridurre  alla  obbedienza  i  popoli   ribellatisi  alla  sua 
autorità  e  che  avevano  scosso  il  suo  giogo;  ed  eragli  no*^ 
altresi  corne  restaurava  gli  ordini  sconvolti.  Leopoldo  U,  sa- 
pendo  essere  costumanza  antica  di  quel  Gorerno  di  spegnere 
nel  sangue  le  sedizioni  dei  sudditi,  doveva  bene  aspettarsi 
di  vedere  dai  Ministri  deU'Austria  trattata  la  Toscana  - 
che  essi  considerayano  q}xaleStaiodellHmperio(l)'-<^^^ 
già  aveano  trattato  Milano,  la  Gallizia,  l'Ungaria  e  la  stessa 
Vienna,  sino  a  quoi  giorni  mantenutasi  religiosamente  m 


(1)  Parole  dette,  nel  1816,  dal  principe  di  Mettemich  a  Neri  Coisini, 
il  quale  rappresentava  al  congresso  di  Vienna  il  Granduca  FerdinandO' 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCAN  A,    FABUA,    MODENA,   KAFOLI  511 

fede  agli  Absburghesi  e  allora  piena  di  tumulti.  A  torto 
dunque  il  Granduca  lagnossi  del  capitano  austriaco  ;  a  torto 
deplorô  le  miserie  e  le  sciagure  che  affliggevano  lo  Stato 
suc,  tristissime  conseguenze  deirinvasione  da  lui  voluta  e 
replicatamente  richiesta.  Il  25  maggio  D'Aspre,  con  grossa 
schiera  di  imperiali  occupô  Firenze  (1),  il  cui  popolo,  non 
estante  il  maneggiarsi  dei  partigiani  del  principe  e  délia 
parte  moderata  —  i  quali  tutti  avevano  desiderato  di  festeg- 
giarne  l'entrata  in  modo  solenne  —  accolse  con  manifesti 
segni  d'odio  e  di  sprezzo  lo  invaditore  straniero,  che  ebbe 
soltanto  pochi  applausi  dalla  più  spregevole  plebaglia.  Gome 
a  Livorno,  a  Lucca,  a  Pistoia  e  in  tutte  le  terre  di  Toscana, 
cosi  nella  metropoli  vennero,  senza  por  tempo  in  mezzo, 
licenziate  le  guardie  cittadine,  ricercate  e  sequestrate  le 
armi  e  abbattuta  la  bandiera  nazionale,  dovunque  poi  per- 
seguitata  la  parte  libérale  e  riempita  di  lutti  e  di  dolori  con 
le  morti  e  le  piii  flere  violenze. 

In  quel  torno  giugnevano  in  Firenze  Giovanni  Baldas- 
seponi,  Leonida  Landucci,  Gesare  Gapoquadri,  il   duca  di 


(1)  lyAspre  aveva  fatto  precedere  l'occupazione  di  Firenze  da  un 
loanifesto  ai  cittadini  pnbblicato  in  Empoli  il  24  maggio  1849,  mani- 
feste elle  mettiamo  innanzi  ai  nostri  leggitori.  u  I  yincoli  di  sangne 
cbe  Tudficono  il  vostro  Sovrano  alla  casa  impériale  del  mio  Monarca,  i 
moltiplici  trattati  che  a  Sna  Maestà  l'Imperatore  e  Re  mio  Signore 
impongono  il  dovere  di  proteggere  la  integrità  délia  Toscana  e  di  di- 
fendere  i  diritti  del  yostro  Principe,  hanno  determinata  l'Aostria  a  ce- 
^ere  al  desiderio  di  S.  A.  L  e  B.  il  Granduca ,  e  a  porre  un  termine 
ftlio  stato  di  anarchiai  sotto  U  qnale  già  da  Inngo  tempo  gemeva  il 
vostro  bel  paese.  La  fazione  che  opprimera  Livorno,  fa  dalle  mie  armi 
^trutta;  e  quella  popolazione,  liberata  dal  giogo  di  orde  ribelli,  si 
sottomise  al  suo  legittimo  Sovrano.  Chiamato  ora  dal  Principe  vengo 
<^ii  le  mie  soldatesche  nella  vostra  città  come  amico,  come  vostro  al- 
leato.  Unitevi  a  noi,  per  vie  meglio  consolidare  la  quiète,  la  pace  e  Tor- 
^6i  e  ricondnrre  stabilmente  tra  voi  la  concordia,  l'imperio  délie  leggi, 
e  quei  giomi  di  félicita ,  che  già  un  tempo  TEoropa  vi  invidiava.  n 
"^Hmanifesto  del  générale  austriaco  ebbe  raccoglienza  che  si  meritava. 


Digitized  by  VjOOQIC 


512  GAPITOLO   IX 


Casigliano,  Jacopo  Mazzei,  Cesare  Boccella  e  il  générale  De 
Laugier,  Ministri  eletti  da  Leopoldo  a  reggere  il  paese;  i 
quali  nel  manifesto  del  5  giugno  al  popolo  affermavano, 
che  il  Oovemo  di  Toscana  sarebbe  stato  di  monarchia 
temperata  da  costîtuzione  ;  e  qtùesta  consistere  nelloSta- 
tuto  fondamentale  concesso  il  15  febbraio  1848  dal  Gran- 
di/tcOy  il  quale,  sempre  fedele  aile  me  promesse,  voleva 
mantenerlo,  sebbene  da  altri  violato,  e  che  essi  avetano 
deliberato  di  difendere  dagli  assalH  d'ogni  partito  e  di 
conservare  quale  base  délie  oneste  libertà  civili  e  di  ele- 
mento  (fordine.  —  Queste  parole  gridavansi  dai  Ministri 
in  nome  di  Leopoldo  II;  che,  offeso  da  prima  lo  Statuto 
con  la  chiamata  dello  straniero  (1),  restringeva  di  li  a  non 
molto  la  libertà  délia  stampa  e  aboliva  Tofflcio  dei  giurati 
di  gitcdizio;  e  tornato  poco  di  poi  a  Toscana  e  a  Firenze 
—  ove  entrava  il  28  luglio  festosamente  ricevutodal  popolo, 
che  lusingavasi  di  veder  partire  glî  Austriaci  il  giorno 
stesso  del  giugnere  di  Leopoldo  —  spediva  suo  oratore 
alla  Corte  di  Vîenna  Ottavio  Lenzoni,  allô  scopo  di  otto- 
nere  dairimperatore  un  esercito  ausiliare  di  dodici  mila 
uomini  a  presidio  délia  Toscana  per  tempo. indeterminato; 
con  l'aiuto  del  quale  egli  sperava  di  dare  stabilità  e  sicu- 
rezza  al  proprio  trono,  e  tenere  in  freno  la  parte  libérale, 
che  indubitabilmente  ritenterebbe,  al  presentarsi  di  occa- 
sione  favorevole,  di  abbattere  quelle  e  sconvolgere  nnova- 
mente  gli  ordini  dello  Stato,  quando  perô  gli  Austriaci 
non  occupassero  più  la  Toscana.  Taie  demanda  venne  ac- 
colta  con  molto  favore  dalla  Corte  impériale  di  Vienna, 
che  pienamente  esaudivala  allô  scopo  di  estendere  la  sua 
autorità  nella  penisola.  Recatosi  poscia  alla  metropoli  au- 
striaca,  Leopoldo  riconciliavasi  con  lo  Imperatore,  che 
serbavagli  rancore  per  avère  Tanno  innanzi  moss^li  con- 


(1)  L'articolo  sedicesimo  dello  Statuto  diceva  cod:  «  Nessnna  miliDA 
Btraniera  potr&  essore  chiamata  a  servizio  dello  Stato,  se  non  in  virtû 
di  legge.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   F  ARMA,   MODENA,    NAPOLI  513 

tra  le  armi  (1).  Fu  allora  che  il  Granduca  con  Vaugi^to 
suo  parente  e  alleato  indettossi  intorno  ai  modi  di  gover- 
nare  lo  Stato  e  aU'abolizione  délie  libertà  costituzionali, 
non  vergognandosi  di  nuovamente  spergiurare  cosi  din- 
nanzi  a  Dio  e  a'  sudditi  suoi.  —  Fatto  ritorno  a  Pirenze  egli 
prese  a  reggere  la  Toscana  con  moderazione  e  con  Tusata 
mitezza,  che  un  tempo  avevangli  valso  Tamore  dei  popoli 
soggetti  e  par  le  quali  era  in  tutta  Europa  venuto  in 
ppido  di  principe  clémente  e  libérale.  A  racquistare  la 
rinomanza  di  un  giorno  il  Granduca  migliorava  Tammini- 
strazione  pubblica  ;  manteneva  il  Parlamento  in  onope,  in 
apparenza  perô;  metteva  fuora  buone  leggî  di  sicurezza 
e  ordinava  quella  municipale.  L'astuto  principe  intendeva 


(1)  L'Imperatore  d'Anstria  il  27  marzo  1849  al  Granduca  scriyeva 

in  qnesti  termini:  «  Le  due  lettere  da  lei  direttemi  da  Porto  San  Ste- 

fano  e  da  Mola  di  Gaeta,  mi  sono  pervenute.  Biceva  l'espiessione  délia 

sincera  mia  gratitndine  per  gli  amichevoli  aagnri   che  Ella  mi  ha  of- 

terti  in  occasione  del  mio  avYenimento  al  trono.....  È  da  annoverarsi 

^  i  casi  piû  tristi  del  nostro  tempo,  grave  di  eventi,  che  Ella,  dopo 

l^uigo  silenzio,  si  troyl  costretto  a  rannodare  da  una  terra  straniera  le 

relaâoni  con  la  noatra  fiimiglla.  Ella  mi  ha  espresso  il  desiderio  che 

'^ia  tirato  on  yelo  di  ohhlio  sa  gli  avrenimenti  che  hanno  cagionato 

peste  tristi  complicazioni;  non  posso  che  diyidere  taie  desiderio,  in 

qiianto  che  gli  sgoardi  sol  passato  non  potrebbero  destare  in  me  che 

^ensi  dolorosi.  Si  grande  che  mai  potesse  essere  U  complesso  dei  doveri 

elle  si  cercayano  di  dedorre  dalla  di  lei  posizione  corne  Soyrano  di  nno 

^^U>  italiano,  mai  ayrebbe  doynto  essere  dimenticato  che  il  sno  diritto 

^i  sovranitÀ  staya  unicamente  nella  sna  qnalità  di  membre  délia  nostra 

^*»ûgUa.  Doyeya  perciô  afiliggermi  che  le  esigenze  dei  tempi  potessero 

<^iidiirre  nn  Arddnca  d'Anstria  a  rinnegare  qnasi  i  oolori  e  persino  il 

Ironie  délia  gloriosa  nostra  Casa,  a  prendere  le  armi  contra  la  medesima 

^)  nell'ora  del  pericolo,  a  cercare  prima  ainto  presso  il  dichiarato  ni- 

^^  di  essa,  anzichè  là  oye  i  yîncoli  del  sangne,  le  piû  yenerate  me- 

°^^e,  i  costnmi,  i  diritti  e  i  trattati  ayrebbero  doynto  goidare  nn 

l^cipe  délia  nostra  Casa.  Ma  comnnqne  dô  sia,  Ella  mi  ha  reso  gin- 

^^  nel  mostrarsi  anticipatamente  persnaso,  che  io  non  sarei  per  ne- 

^le  di  prendere  sinceramente  parte  alla  dolorosa  sorte  che  ha  colpito 

^*  A.  I.  e  la  sna  famîglia...  » 

^  -  Vol.  IL  Mabujti  -  Storia  pal.  e  ma. 


Digitized  by  VjOOQIC 


514  CAPITOLO   IX 


COU  ciô  addormentare  i  sudditi  suoi  e  far  loro  i>orre  in 
dimeaticanza  le  libertà  un  tempo  largite,  e  che  di  spe- 
gnere  aveva  promesso  airimperatore,  in  ricompensa  degli 
aiuti  datigli  per  la  recuperazione  del  trono  avito,  elecui 
baionette  dovevano  appoggiarlo  nella  impresa  parricida  (1). 
E  quale  fosse  la  generosità  di  Leopoldo  II  e  quanta  la  cle- 
menza  sua  le  vediamo  nel  perdôno  accordato,  al  suo  rîe- 
dere  in  Toscana,  ai  colpeyoli  di  lésa  maestà;  a,Y\egnschè 
fossero  in  quello  tante  e  tante  le  esclusioni  da  non  inan- 
dare  assolto  e  libero  nessuno  degli  incolpati  !  fu  dunque 
un  perdôno  per  gli  innocenti.  La  beniffnità  e  la  pietà  del 
principe  a  prova  conoscendo,  avevano  quelli,  innanzi  il 
ritorno  del  Granduca,  lasciata  la  Toscana;  ma  le  colpeë 
tutti  vennero  espiate  da  Domenico  Guerrazzi;  il  quale. 
come  sopra  scrivemmo,  fidando  se  stesso  alla  lealtà  il 
Ricasoll  e  Digny,  scontô  lungo  tempo  in  careere  il  delitt-- 
d'avere  molto  amato  la  patria.  Dalle  bugiarde  accuse,  onde 
i  nimici  non  solamente  di  parte  moderata,  ma  oziandio  di 
parte  repubblicana,  aveanlo  fatto  segno,  Guerrazzi  si  difesc 
con  molta  sapienza  e  grande  forza  di  argomentazione.  Seh- 
bene  gli  riescisse  di  mettere  in  piena  luce  la  falsità  deile 
accuse,  stette  quattro  anni  in  dura  prigionia,  nel  cot>} 
dei  quali  ebbe  a  soffrire  non  poche  torture  morali.  I  gu- 


(1)  Ecco  cosa  scrivea  il  primo  maggio  1848  da  Mola  di  Gaeta  Leo- 
poldo n  ai  Toscam:  u  n  Principe  che  per  venticinqae  anni  tî  ha  r^ 
vemato  con  cura  ed  affetto  di  padre,  che  vi  fece  ricchi  di  îstituziùii 
liberali  e  seppe  conservare  fede  aile  medeaimei  anche  quando  rim^> 
bità  di  faziosi  osô  conyertirla  a  suo  danno,  e  non  dubitè  di  antep^rre 
i  suoi  doveri  alla  propria  corona,  e  l'esiglio  onorato  ad  un  sogiio  cq^ 
taminato  dalla  licenza  e  malignità  soTerchiante;  quel  Principe  tcit^i 
ora  a  dirigere  a  toI  la  sua  yoce.  Vol  l'ayete  invocata:  roi  stanoi 
délie  yiolenze  di  pochi  oppressori,  ammaestrati  da  breye  ma  penio^ 
eqperienza,  rayyivati  ai  sensi  di  antica  deyozione  dalFabuso  iayereco^' 
dei  più  cari  nomi  e  délie  cose  più  santé,  ascoltate  ora  e  sempre  qu&a 
yoce.  £  la  Toscana,  questa  gentile  porzione  d'italia,  tomerà,  Dio  sv^* 
correndOi  in  breye  aUa  inyidiata  sua  prosperità.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABHA,    HODEKA,   NAPOLI  515 

<Ilci,  troppo  ligi  alla  potesta  suprema,  inspirât!  da  odio  di 
parte,  non  da  amor  di  giustizia,  condannaronlo  a  quindici 
anni  di  galera;  piu  umano  fu  il  Oranduca;  il  quale,  repu- 
tando  taie  pena   sproporzionata   aile  colpe  addebitate   a 
(ruerrazzi,  mutavala  poi  in  esilio.  Turpissimo  fu  il  processo, 
perô  che  svelasse  vergogne,  che  carità  di  patria  avrebbe 
(lOTuto  consigliare  di  nascondere  agli  occhi    di  tutti.   La 
fama  del  fîero  Dittatore   non    usci   dal    processo  proprio 
immaculata  ;  quella  dei  nimici  suoi,  non  senza  infamia. 
Nel  maggio  del  vegnente  anno,  il  1850,  tra  il  (Joverno 
âustriaco  e  il  toscane  fermossi  un  trattato  per  le   milizie 
ausUlarie  concedute  daU'Imperatore  d'Austria  al  Granduca. 
In  virtù  degli  accordi  in  esso  patteggiatî,  Toscana  obbli- 
gossi  di  fornire,  a  proprie  spese,  ai  presidi  imperiali  tutto 
quanto  fossero  per  abbisognare,  tranne  il  solde  e  il  mill- 
tare  corredo;  grave  fatto,  che  nel  période  di  brevi   anni 
costô  al  paese  da  trenta  milioni  di  lire!   —   Contra   taie 
convenzione,  fatta  sîibito  conoscere  a  tutti  i    Governi   di 
Europa,  la  sola  Sardegna  protesté,   come    quella  conven- 
zione che  accordando  airAustria  il  diritto  di  tenere  campi 
<W  sue  armi  nel  cuore  d'Italia,  ne  mettesse  in  pericolo  la 
indipendenza  (1).  Credutosi  omai  pienamente  securo  dagli 
assalti  délia  parte  libérale  per  le  appoggio  délie  baionette 
straniere,  Leopoldo  II  si  toise  la  maschera,    mostrandosi 
quale  veramente  egli  era.  Ai  Piorentini,  chiedenti  licenze 
(li  celebrare  offlci  per  li  caduti  a  Montanara  e  a  Curtatone 
-^  come  avevano  già  fatto  Tanne   innanzi  —  rispondeva  : 
—  Non  voler  ciô  concedere  per  tema  di  offendere  le  sol- 
<iatesche  austriachê  presidianti  la  città.  =  Ma  il  principe 
<ii  Liechtenstein,  duce  suprême  di  queste,  a  togliere  ogni 


(l)  L'occnpazioue  austriaca  costô  parecchi  milioni  alla  Toscana;  la 
quale,  per  soppeiire  alla  nnova  spesa,  fa  costretta  ad  anmentare  le 
^poste,  e  togliere  persino  a  prestanza  da  Bastogi,  ricco  banchiere  di 
Livomo,  la  aomma  di  dodid  milioni  di  lire. 


Digitized  by  VjOOQIC 


516  OAPITOLO   IX 


ostacolo  al  sacro  rito,  soUecito  al  générale  De  Laugier, 
Mioistro  sopra  le  armi,  scriveva  in  queste  sentenze  :  <  Sa- 
rebbe  dolentissimo  se,  per  cagion  sua,  non  avesse  luogo  la 
religiosa  funèbre  commemorazione  per  coloro  checombafc- 

terono  e  perirono  da  forti Egli,  che   già  ne   aveva  in 

campo  ammirato  il  valore,  terrebbe  a  onore,  corne  soldats 
d'assiatere  a  quella  ;  astenersene  soltanto  per  non  porgere 
occasione  agli  stolti  di  dare  senso  diverse  al  vero  senti- 
mento  militare.  »  —  Il  rifluto  del  Granduca  oflTese  gran- 
démente  i  Toscani  ;  i  qnali,  indovinato  Tintento  oui  mirava, 
presero  ad  awersarne  il  Governo  e  non  lasciarono  più 
passare  occasione  veruna  per  fare  palesemente  conoscere 
la  loro  awersione  al  principe  e  alla  sua  casa-  —  Era  il 
maggio  del  1851  quando  i  Fiorentini,  non  ostante  il  di- 
vieto  dei  Ministri,  numerosi  raccoglievansi  in  Santa  Croc»» 
per  Tanniversaria  commemorazione  dei  caduti  nella  guerra 
di  Lombardia.  Montre  alcuni  di  quelli  stavano  per  ap- 
pondère  corone  aile  tavole  portant!  i  nomi  dei  morti 
combattendo  per  la  indipendenza  patria,  tentava  strapparle 
lor  di  mano  un  uomo  di  quel  Magistrato  civile,  che,  invece 
di  vigilare  alla  sîcurezza  pubblica,  si  fa  tal  âata  promovi- 
tore  di  disordini:  onde  non  di  rado  è  malvisto  dalle  po- 
polazioni  in  tutti  i  reggimenti  despotici,  costituzionali  o 
repubblicani.  L'atto  oltraggioso  del  birro  provoca  lo  sdo- 
gno  e  la  resistenza  dei  cittadini  congregati  nel  tempio 
per  la  pietosa  ceremonia;  allora  sovr'e^si  precipitansi 
molti  carabinieri,  che  stavansi  nascosti  in  Santa  Croce. 
Al  gridar  del  popolo,  per  volontà  del  religioso  LeopoMo 
assasslnato  nella  casa  del  Dio  délia  pàce,  accorrouo  gli 
Austriaci,  di  stanza  nel  vicino  convento  ;  e  questi,  che  du»» 
anni  innanzi  hanno  fatto  strazio  di  Livorno,  frenano  in 
quel  di  gli  sgherri  del  Granduca,  che  hanno  tratto  le  armi 
contra  i  fratelli.  Il  Governo,  pigliando  il  proteste  da  quella 
resistenza  con  arte  malvagia  da  lui  stesso  suscitata,  si 
dà  a  perseguitare  quanti  erano  in  fama  di  liberali,  allô 
scopo  di  far  nascere  più  gravi  tumulti,  che  dôvono   pre- 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CANA,    FABHA,    MODENA,   KAFOLI  517 

parargli  la  yia  alla  abolizione  dello  Statuto,  che  già  sol- 
tanto  di  nome  esisteva. 

Uq  mese  dopo  la  sanguinosa  scena  di  Santa  Groce,  e 
precisamente  il  30  giugno  di  queU'anno  1851»  promulgavasi 
in  Firenze  il  Concordato  conchiuso  e  sottoscritto  il  25 
aprile  in  Roma  dal  cardinale  Antonelli  e  dal  ministro  Gio- 
vanni Baldasseroni  —  che  presiedeva  al  Governo  grandu- 
cale  —  e  dallo  stesso  Sommo  Pontefice  vivamente  soUeci- 
tato  (1).  Il  Concordato  accrebbe  il  malcontento  universale 
6  turbè  persino  le  coscienze  timorate,  causa  le  esorbitanze 
délia  Guria  romana,  la  quale,  per  allargare  Tautorità  pro- 
pria in  Toscana,  aveva  di  questa  offeso  la  legislazione 
giurisdizîonale  :  ciô  che  faceva  nascere  non  molto  di  poi 
gravi  contrasti  ira  i  Governi  dei  due  Stati.  Il  Bargagli, 
orator  di  Toscana  in  Gorte  di  Roma,  lamentossi  in  nome 
del  suo  principe  délie  eccessive  pretensioni  dei  Guriali; 
allora  questi,  che  non  volevano  scontentare  chi  era  stato 
con  loro  si  prodigo  nel  concéderez  fecero  atto  d'umiltà 
scusandosi  col  dire»  che  monsignor  Massoni,  legato  ponti- 
ficia  in  Gorte  del  Granduca,  nel  protestare  contra  le  let- 
tere  circolari  messe  fuora  dal  Governo  di  Firenze  su   lo 


(1)  n  90  giugno  da  Borna  il  Sommo  Ponteiice  scriTea  al  Grandaca 
cosi:  tt  Ginnsero  m  piena  regola  li  articoli  sottoscritti  da  Y.  A«,  ed  ô 
stata  per  me  una  vera  consolazione  di  ayer  yeduto  condotto  a  tenmne 
qoesta  iniziatiTa  di  Concordato.  Spero  che  il  Signore  vorrà  spargeie 
anche  per  qaesto  nnoye  misericordie  su  la  Toscana,  e  yorrà  benedire 
l'A.  V.  per  la  rettitndine  di  sue  intenzioni  e  per  li  sentiment!  délia 
sua  religiosa  pietà.  Qui  acchiusa  troyerà  la  lettera  che  ho  gi&  sotto- 
aeritta  a  tutti  i  YescoTl  de'  snoi  Stati  e  che  sarà  diffusa  subito  che  la 
présente  sarà  giunta  in  Firenze.  Nella  prima  parte  degli  articoli  con- 
cordat! e  nella  seconda  parte  insinuo  le  massime  da  adottarsi  dal  coipo 
ep^pale.  Piaccia  al  Signore  di  confermare  e  dare  la  opportuna  effi- 
cacia  aile  mie  parole,  come  io  di  cuore  lo  prego  a  yolerlo  fare.  Biceya 
l'Apostolica  benedizione,  che  con  sempre  maggiore  effosione  di  cnore 
comparto  a  V.  A.  e  a  tutta  l'impériale  e  reale  fanûglia.  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


518  OAPITOLO  IX 


exequatur  regio  e  sopra  le  af/îssioni  esteme,  aveva  ope- 
rato  di  suo  talento.  —  Leopoldo,  a  mostrare  quanto  fosse 
soddisfatto  di  taie  riparazione,  fece   altre   concessioni  al 
Vaticano  ;  délie  quali  la  romana  Curia  subito  abusô  ;   av- 
vegnachè,  non  solamente  si  facesse  lecito   di  pubblicare 
nella  Toscana  le  sentenze  deU'Inquisizione   di   Roma,  ma 
dèsse  persino  ai  tribunali  del  granducato  il  carico  di  man- 
dare  a  effetto  quelle  che  toccavano  i  sudditi  del  principe. 
—  Nel  Concordato  fu  convenuto  e  fermato:  =  La  potestà 
ecclesiastica,  pienamente  libéra  nel  suo   ministerio,   deve 
essere  protetta  dalla  potestà  civile;  alla  quale  corre  pur 
l'obbligo  di  impédire  e  rimuovere  gli  scandali  che  offen- 
dono  il  culto  e  la  religione,  e  di  dare  lo  appoggio  suo  alla 
Ohiesa  per  lo  esercizio  délia  potestà  episcopale.  I  Vescovi 
sono  liberi  nel  pubblicare  tutto  ciô  che  spetta  al  loro  mi- 
nisterio. È  riserbata  agli  Ordinari  la  censura  preyentiva 
délie  opère  e  degli  scritti  che  trattano  di  materie  religiose; 
rimanendo  perô  libéra  ai  Vescovi  Tautorità  di  premunire 
e  allontanare  i  fedeli  dalla  lettura  di  libri  perniciosi  alla 
religione  e  alla  morale.  È  concesso  ai  Vescovi  e  ai  fedeli 
di  comunicare  con  la  Santa  Sede;  la  quale  acconsente 
che  vengano  portate  ai  tribunali  laici  le  cause  civili  délie 
persone  e  dei  béni  degli  ecclesiastici,  o  toccanti  il  patri- 
monio  délia  Chiesa  ;  e  quelle  appartenenti  alla  Fede  e  ai 
Sacramenti,  aile  sacre  funzioni  e  ai  diritti  annessi  al  sacro 
ministerio  e  le  cause  di  lor  natura  spirituali    o   ecclesiar 
stiche   spettano   esclusivamente   al   giudizio  deU'autorità 
chiesastica  a  norma  dei  sacri  canoni.  La  Santa  Sede  con- 
sente altresî,  che  ove  trattisi  di  Gius  patronato  laicale,  i 
tribunali  laici  conoscano  le  quistioni  su  la  successione  al 
patronato  medesimo.   I   tribunali   ecclesiastici  giudicano 
délie  cause  matrimoniali  giusta  il  canone  del  Sacro  Oon- 
cillo  di  Trente.  Rispetto  agli  sponsali,   giusta   il  decreto 
tridentlno  e  la  BoUa  <  Ai^torem  /îdei  »  la  potestà  ee- 
clesiastica  giudica  délia  loro  esistenza  e  valore  aU'effetto 
del  vincolo  che  ne  dériva  e  degli  impedimenti   che  po- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PARMA,    HOBENA,   NAPOLI  519 

trebberonascere;  e  per  gli  eflfetti  civili  i  tribunali    laici 

coaosceranno  in  separato  giudizio  le  cause  degli  sponsali. 

La   Santa  Sede  lascia  che  le  cause  criminali  degli  Eccle- 

siastici,  per  tutti  i  delltti   estranei    alla  Rellgione  sieno 

xx>rtate  ai  tribunali  laici,  che   devono  dar  le   pêne   pre- 

scritte  dalle  leggi  dello  Stato  (1).  Nellrf  contravvenzioni 

aile  leggi  i  tribunali  laici  puniranno  con  pena  pecuniaria 

gli  ecclesiastici,  non  mai  con  altra  corporale  ;  i  quali  poî 

deggiono  essere  trattati  come  conviensi  al  loro  sacro   ca- 

rattere  quando  sono  sotto  processo.  I  béni  ecclesiastici 

sono  liberamente  amministrati  dai  Vescovi  e  daî  Rettori 

délie  Parrocchie  e  Benefizi  durante  il  possesso  dei  mede- 

sîmi  ;  6  nel  case  di  vacanza  vengono  amministrati  sotto  la 

protezione  e  assistenza  del  Governo,  da  una  Gommissione 

di  ecclesiastici   e  laici  presieduta   dal   Vescovo.    Quando 

trattasi  di  Legati  pii  e  di  permutare  lo  impiego  dei   béni 

ecclesiastici,  le  due  potestà  civile  ed  ecciesiastica   si  ac- 

corderanno,  e,  se  abbisôgna^  impetreranno  Tassenso  dalla 

Santa  Sede.  =  Questi  patti  del  Ck)ncordato,  sebbene  stati 

gîà  discussi  dal  Pontefice,  dai  Gardinali   e  dal  Granduca 

sino  dal  1849  nel  ritrovo  di  Gaeta,  pure  non  appagarono 

pienamente  la  Guria  romana,  che  avrebbe  yoluto  ancor 

piu  larghe  concessioni  alla  potestà  chiesastica;  ne  sod- 

disfecero  al  Governo  di  Pirenze,  il  quale,  dalle  esorbitanze 

délia  setta  cléricale  (2),  vedeva  minacciata  la  propria  le- 

gislazione  giurisdizionale,  la  più  bella  gloria  di  Toscana; 


(1)  Delittî  estranei  alla  Rellgione  e  meramente  ecclesiastici  sono: 
l'apostasia,  Teresia,  la  simonia,  lo  scisma,  la  profànazione  dei  Sacra- 
menti  e  ogni  yiolazione  degli  offici  ehe  toccano  al  Ministerio  ecclesia* 
stieo  e  al  cnlto  di  Dio. 

(2)  Vaolsi  distingnere  la  setta  cléricale  dalla  eaeta  sacerdotale; 
perô  che  la  prima  sia  nimica  sempre  a  liberté  e  a  civile  progresse, 
Faltra  no.  Esempi  di  sacerdoti  generosamente  sacriâcatisi  per  la  sainte 
6  la  libertà  délia  patria,  e  di  sacerdoti  che  a  viso  aperto  combatterono 
la  tirannide  regia  contansi  nnmerosi  nelle  storie  profane. 


Digitized  by  VjOOQIC 


520  OAPITOLO  IX 


e  temeva  altresi,  avessero  quelle  ad  accrescere  il  malcon- 
tento  destatosi  nei  popoll  al  negoziarsi  del  Coacordato. 

Correva  il  maggio  del  1852.  Gravi  mutameati  erano  in 
quel  tempo  avvenuti  in  Europa:  vinta  dovunque  la  parto 
libérale  —  perché  poco  concorde  negli  intenti  suoi  e  meoo 
ancora  nei  mez^  di  raggiugnerli  —  i  régnant!  ayeyano 
ripreso  Tusata  potestà  assoluta,  cul  quattro  anni  innanzi 
una  dura  nécessita  ayeva  costretti  ad  abdicare,  e  facevano 
altresi  ogni  sforzo  per  ricondurre  i  popoli  aile  idée  di  un 
passato»  morto  per  sempre,  e  per  impedlre  Tavanzarsi  délia 

nuova  civiltà.  < da  una  parte  la  menzogna  e  la  pre- 

potenza  monarchica,  cosi  Emilio  Yisconti  Yenosta  (1),  dal- 
l'altra  il  diritto  e  il  sacrificio  repubblicano  ;  questo  lo 
spettacolo  che  allora  offriva  TEuropa.  »  —  In  Francia  la 
libertà  agonizzava;  ivi  il  nepote  del  gran  capitano  prepa- 
ravasi,  non  a  rinnovare  il  primo  imperio  —  ch'egli  potenza 
di  genio  non  possedeva  per  si  grande  impresa  —  sibbene 
a  creare  un  seconde  col  più  nero  tradimento.  In  Ger- 
mania  l'ordine  e  la  tranquillità  erano  state  ristabilite 
con  la  forza  délie  armi,  e  con  questa  i  principi  tedesehi 
aveano  assicurato  la  legitttmità  del  loro  potere  e  i  diritU 
sacri  délie  loro  corone.  L'Austria,  domata  la  sollevazione 
magiara  con  gli  eserciti  poderosi  di  Russia  e  rifatte  le 
catene  poco  prima  spezzate  dai  popoli  soggetti,  areya 
abolito  la  CosUtuzione  ;  in  fine,  nella  penisola  italiana 
Pontefice  e  Borbone  signoreggiavano  Roma  e  Napoli  con 
autorità  despotica;  la  Sardegna  reggevasi  a  governo  co- 
stituzionale;  e  il  suo  Re,  che  aveva  dato  prove  luminose 
di  molta  fermezza,  mostrava  chiaramente  di  voler  man- 
tenuto  con  lealtà  e  in  tutta  sua  pienezza  lo  Statulo  giurato 
al  salire  sul  trono  avito;  e  Leopoldo  di  Toscanaî  già 
spergiuro  una  volta,  non  volendo  essere  principe  italiano, 


(1)  Parole  di  Visconti  Venoata  su  «  Lts  révolutioni  d'ItalU  "  di 
Ed.  Quinst. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,    PABMA,   MODENA,   KAPOLI  521 

ma  solamente  Arcidtica  austriaco,  rompeva  nuoyamente 

fede  ai  sudditi  suoi;  e  dal  Vaticano  prosciolto  dal  giura- 

mento  fatto  a  Dio»  il  6  di  quel  mese  di  maggio  revocava 

lo  Statuto  fondamentale  deilo  Stato,  già  da  tempo  sospeso. 

—  «  Quando  in  mezzo  agli  straordinari  avvenimenti,  scri- 

veva  il  Granduca  nello  editto  d*abolizione,  che  in  Italia  e 

fuor  si  compievano,  noi  deliberammo  di  concédera  alla 

dilotta  nostra  Toscana    più  larghe  istituzioni    politiche, 

promulgando  il  15  febbraio  1848  lo  Statuto  fondamentale, 

non  altro  desiderio  ci  mosse  se  non  quelle  di  preservare 

il  paese  dalle  commozioni  onde  era  minacciato,  di  confer- 

mare  la  nostra  maniera  di  governo   con   quella,  che  in 

altri  Stati  vicini  al  tempo  stesso  adottavasi,  e  di  contribuire 

col  nuovo   sistema  alla  maggiore   prosperità  dei  nostri 

amatissimi  sudditi.. Ma  Tesito  non  rispose  ai  desidèri  co- 

muûi.  I  benefizi  sperati  non  si  raccolsero;  i  mali  temuti 

non  si   sfuggirono;  e  Tautorità  nostra,   disconosciuta  da 

prima,  e  resa  inabile  a  operare  il  bene,  dovette  poi  ce- 

dere  aile  violenze  di  una  rivoluzione,  la  quale  abbattè 

lo  Statuto,  e  gittô  la  Toscana  in  mezzo  aile  più  deplora- 

bili  calamità.  Ristabilito   indi  a  poco   dal  coraggio   dei 

Toscani  rimasti  a  noi  fedeli  il  governo  legittimo,  noi  rin- 

graziando  la  Provvidenza,  che  consolava  cosi  le  amarezze 

dei  nostro  esilio,  accettammo  il  generoso  fatto,  riserban- 

doci  a  restaurare,  non  estante  la  dolorosa  esperienza,  l'or-' 

dinamento   politico  da  noi  fondato   nel   febbraio   1848,  in 

guisa  per  altro  che  non  avesse  a  temersi  la  rinnovazione 

^ei  passati  disordini.  A  raflfrenare  nondimeno  le  macchi- 

nazioni  dei  faziosi,  sconcertate  si,  ma  non  dôme  dal  felice 

ifucc€«so  dei  12  aprile   1849,  fu   necessario  assicurare  la 

quiète  dello  Stato  conr  mezzi  straordinari  ;  e  a  proyvedere 

^^  poi  in  modo  spedito  ed  efficace  alla  migliore  ammini- 

âtrazione  dei  paese,  noi  dovemmo  riprendere  l'esercizio  di 

ogûi  potere,  fine  a  tanto  che  le  circostanze  generali  d'Eu- 

^opa  e  le  condizioni  particolari  di  Toscana  e  dltalia  non 

^ûsentissero  di   restaurare  quel  sistema  di  gorerno  co- 


Digitized  by  VjOOQIC 


522  OAPITOLO   IX 


stituzionale.  Frattanto   gravissimi    avvenimenti  si  sono 
succeduti  in  Europa.  La  società,  ove  più,  ove  meno  mi- 
nacciata  nelle  sue   basi,   ha  cercato  e  cerca   la  propria 
salvezza  nel   rlpararsi   sotto  il   principio   délia  autorità 
libéra  e  forte.  E  mentre  già  nella  più  grande  parte  d'Italia 
non   resta   ornai   traccia  dî  governi  costituzionaM,  noi 
possiamo  andar  persuasi  che  la  maggioranza   stessa  dei 
Toscani,  ricorditrice  délia  quiète  e  délia  prosperita  limga- 
mente  godute,  e  ammaestrata  dairinfelice  esempio,  senta 
più  presto  il  bisogno  di  sperare  nel  consolidamento  délia 
potestà  e  dell'ordine  lo  svolgersi    d'ogni   benessere  dei 
paese,  di  quelle  che  desideri  di  veder  risorgere  forme  di 
governo,  le  quali  non  consuonano  ne  con  le  patrie  istitu- 
zioni,  ne  con  le  abitudini  dei  nostro  popolo,  e  feoero  di 
se  mala  prova  nel  brève  période  di  loro   esistenza.  Ora, 
poichè  il  vero  bene  dei  paese  esige  e  le  condizioni  gene- 
rali  richiedono,  che  il  Governo  dello  Stato  si  costituisca 
sopra  le  basi  stesse,  su  le  quali  procédé  fine  al  1848,  noi, 
venuti  perciô  con  animo  tranquille  nella  determinazione 
di  promulgare  le  seguenti  disposizioni,  assicuriamo  i  Toscani 
che  continuera  ad  essere,  fin  che  la  vita  ci  basti,  la  prima 
e  più  dolce  cura  per  noi  quella  di  promuovere  nel  nostro 
diletto  paese  ogni  maniera  di  morali  e  civili  vantaggi- 
Gosi  Iddio  ci  soccorra  e  ci  afforzi  ogni  di  più  la  concorde 
âducia  dei  nostri  amatissimi  popoli,  mentre  siamo  consa- 
pevoli  che  col  nuovo  ordinamento  politico  délia  Toscans 
tornando  ad  ampliarsi  le  prérogative  dei  potere,  viene  a 
farsi  più  grave  il  peso  dei  nostri  doveri.  »  —  AUo  editto 
d'abolizione  délia  legge  fondamentale  dello  Stato  —  e  nel 
quale  il  Grranduca  aveva  invocato  il  soccorso  di  quel  Dio, 
innanzi  cui  erasi  fatto  spergiuro  —  segui  rabolizione  délie 
guardie  civiche,  il  restrignersi  délia  libertà  délia  stampa, 
per  guarenttre  efUcaicemente  il  rispetto  dovuto  alla  reU- 
gione,  alla  morale  e  alVordine  pubbUco;  si  diminuirono 
le  franchigie  comunali:  e  d'allora  i  Ministri  resero  conto 
dei  loro  operato  al  principe  soltanto.  Cosi  a  poco  a  poco 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABMA,   MOBENA,   NAPOLI  523 

a  Toscana  andava  mutando  i  politici  suoi  ordinamenti  per 
;rasformarsi  in  provincia  austriaca,  e  che  Leopoldo  II 
)r6nd6ya  a  reggerla,  non  da  régnante  indipendente,  ma 
la  luogotenente  deirimperatore,  gli  interessi  del  quale 
^gli  non  erasi  vergognato  di  mettere  innanzi  agli  interessi 
lei  sudditi  suoi.  A  compiere  taie  brutta  trasformazione  il 
ïrandnca  dava  aile  milizie  toscane  Tassisa  dei  soldati  del- 
'Austria;  e  per  ammaestrarle  negli  ordini  e  negli  armeg- 
jiamenti  di  questi,  la  Corte  di  Vienna  mandavagli  un 
îolonnello  suo,  Ferrari  da  Grado,  che  Leopoldo  creava 
générale  e  comandante  supremo  di  tutte  le  forze  armate 
dello  Stato  ;  le  quali,  scritte  nei  ruoli,  contavano  dodici 
mila  uomini  ;  numéro  che  perô  non  fn  raggiunto  mai.  Da 
quel  tempo  le  soldatesche  di  Toscana  vennero  considerate 
proprio  corne  una  divisione  deiresercito  austriaco;  ciô  che 
feri  al  viyo  il  sentimento  nazionale  del  paese.  —  Sicuri 
dello  appoggio  e  délia  âducia  del  loro  principe,  i  Minlstri, 
più  che  a  goyernare,  diedersi  a  spadroneggiare  ;  essi  cac* 
ciarono  dallo  Stato  gli  usciti  di  Napoli  e  di  Roma;  perse- 
guitarono  e  imprigionarono  chi,  fatta  rinunzia  al  cristia- 
nesimo,  erasi  ascritto  alla  comunità  dei  riformati;  e 
costrinsero  persino  il  Granduca  a  ristabilire  la  pena  di 
ïûorte;  la  quale,  abolita  nell'anno  1786  da  Pietro  Leopoldo; 
rimessa  nel  1705;  nuoyamente  canceUata  nel  1848  dal 
codice  pénale  da  Leopoldo  II,  il  12  novembre  1852  veniva 
da  questi  ancora  ristabilita  per  delitto  di  pubblica  violenza 
contra  il  Governo  e  contra  la  religione,  di  lésa  Maestà, 
di  omicidio  premeditato  e  di  furto  violente. 

Il  tentativo  di  Mazzini  del  6  febbraio  1853  commosse  vi- 
vamente  le  popolazioni  délia  Toscana,  ma  non  ne  turbô  la 
^Tûete,  avvegnachè  a  bene  mantenerla  vigilassero  atten- 
*^eate  i  presidi  imperiali.  Livorno  era  bensi  preparata 
^  levarsi  a  guerra  nazionale;  ma,  giusta  il  comando  di  lui, 
che  aveva  ordito  la  congiura,  dovendo  aspettare  Tesito 
^^Wa  soUevazione  di  Milano,  e  questa  essendo  stata  spenta 


Digitized  by  VjOOQIC 


524  GAFITOLO   IX 


in  sul  nascere,  stette  tranquilla.  —  La  signoria  straaiera. 
che  durava  da  quasi  sei  anni,  era  divenuta  iasopportabile; 
oltre  recare  forte  offesa  alla  indipendenza  dei   Toscani  e 
al  loro  sentimento  nazionalOi  gravando  quella  dimolto  su 
Terario  pubblico,  dava  origiae  a  nuovo  malconteato  :  onde 
il  Granduca,  credendo  ornai  assicurato  il  trono  per  se  e 
per  la  sua  casa^  ristabilito   Tordine  e  la  tranquillità  del 
paese  e  allontanate  le  cause,  che  un  tempo  aveyano  scon- 
volto  lo  Stato,  per  mezzo  di  Lenzoni,  orator  di  Toscana  in 
Corte  di  Vienna,  pregava  lo  Imperatore  a  richiamare  dal 
granducato  Tarmi  austriache  che  lo  presidiavano,  promet- 
tendogli  di  conservare  l'usata  amicizia  e  di  accordarsi  col 
suo  Governo  in  tutto  quanto  poteva  œntribuire  a  man- 
tenere  la  quiète  nelVItalia  e  antivenire  a  qualunque  scon- 
volgimento  politico  nella  medesima.  L'Austria,  soUecltata 
da  Francia  e  da  Inghilterra,   le  quali  vedevano  di  maie 
occhio,  avesse  a  durare  piii  a  lungo  il  padron^giar  del- 
rimperio  suo  nella  Toscana;  in  oltre,   impensierita  délia 
guerra  di   Grimea,   che  aveva  già  messo  sossopra  tutta 
TËuropa,  faceva  sgombrare  il  granducato  dalle  sue  solda- 
tesche;  sgombramento  che  pienamente  compivasi  nel  mag- 
gio  del  1855.  —  Nell'anno  appresso  Leopoldo  II  venira  in 
gravi  timori  per  le  audaci  parole  del   gran  Ministro  del 
Re  di  Sardegna,  il  conte   Gavour,   il  quale,    con  somma 
eloquenza  e  fine  accorgimento,   avea,   nel   Gongresso  di 
Parigi,  chiamata  Tattenzione  dei  rappresentanti  dei  grandi 
Stati  d*Europa,  in  quelle  siedenti,  su  le  miserrime  condi- 
zioni  deiritalia,  e  yivamente   censurato  il  contegno  del- 
TAustria  verso  quella;  deirAustria,  che  sino  dal  1849  oc- 
cupando    Parma  e  le  Legazloni,    spadroneggiava   nella 
penisola,  corne  fosse  dominio  suo.  A  dissipare  i  timori  del 
principe  e  le  apprensioni  de*  suoi   consiglieri,    il   conte 
Buol,  nel  maggio  di  quell'anno  1856,   scriveva  di  Vienna 
al  barone  Hugel,  oratore  austriaco  in  Firenze,  per  far 
conoscere  a  quelli  gli  intendimenti  e  i  propositi  del  suo 
Sovrano;  il  quale  aveva  risoluto  di  proseguire  nella  peni- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCAXÂy   PABMA,    MODEXA,   NAPOLI  525 

K>la  Tusata  politica,  seaza  darsi  pensiero  délie  accuse 
nosse  nel  Congresso  parigino  al  Governo  deirimperatore 
lai  rappresentante  di  Sardegna,  Camillo  Cavour,  cui  eglî 
liegava  il  diritto  di  parlare  in  nome  di  tutta  l'Italia  e  di 
evarsi  in  censore  privilegiato  di  quanto  operavano  gli 
Stati  indipendenti  di  essa.  «  Noi  stessi,  affermava  il  conte 
3uol,  abbiamo  consigliato  savie  riforme  ai  Goyerni  délia 
^onisola  nei  limiti  di  una  sana  pratica  e  con  tutti  i  rispetti 

illa  loro  dignità  e  indipendenza  giustamente  dovuti Ma 

ûamo  convinti  che  i  distruggltori  deU'ordine  non  cesse- 
ranno  di  drizzare  lor  macchine  di  guerra  contra  i  Governi 
Legittimi  deU'Italia  sino  a  quando  vi  saranno  paesi  che  li 
^PPOggiano  e  li  proteggono,  e  uomini  di  Stato»  i  quali  non 
temoao  di  fare  appelle  aile  passioni  e  agli  sforzi,  che 
hanno  per  iscopo  di  abbattere  l'ordine  nella  penisola. 
Noi  non  vogliamo  lascinrci  sviare  dalla  direzione  del  nostro 

contegno e  aspettiamo  risoluti  gli  avvenimenti,  convinti 

che  lo  atteggiamento  dei  Governi,  stati  come  noi  Toggetto 
degli  assalti  del  conte  Gavour,  non  differirà  dal  nostro. 
Pronti  ad  approvare  le  riforme  bene  intese,  a  incoraggiare 
ogni  miglioramento  utile,  emanato  dalla  volontà  libéra  e 
illuminata  dei  Governi  italiani,  a  offrir  loro  la  nostra 
cooperazione  morale  per  lo  svolgimenjx)  délia  loro  prospe- 
rità,  TAustria  è  deliberata  di  adoperare  tutte  le  sue  forze 
per  respingere  gli  ingiusti  assalti  da  qualsiasi  parte  essi 
vengano,  e  a  render  vani,  dove  puô,  i  conati  di  coloro 
che  vorranno  turbare  il  paese  e  favorire  Tanarchia  »  (1). 
—  Rassicurati  dalle  parole  del  Ministre  impériale,  il  Gran- 
duca  e  i  suoi  consiglieri  a  Cavour  —  il  quale,  per  togliere 
al  vassallaggio  delUAustria  la  Toscana,  avea  proposto  di 


(1)  Qnesta  lettera-circolare  del  conte  Buol,  Ministro  per  gli  aflari 
estenii  deil'Anstria  —  scritta  il  18  maggio  di  queiranno  1856  -^ 
Tenne  mandata  aile  Legazioni  impérial!  di  Firenze,  Borna,  Napoli  e 
Modena. 


Digitized  by  VjOOQIC 


526  GAPITOLO   IX 


avvicinar  questa  alla  Sardegna  —  non  soltanto  superba- 
mente  rimandarono  Tonorevole  proposta  sua,  ma  fecersi 
ad  accusarlo  di  voler  turbare  Vordine  e  la  tranquillità, 
che  allora  godevansi  dallltalia,  A  respingere  le  maligne 
insinuazioni  di  quel  consiglieri  dissennati,  Cavour  soUecito, 
in  uno  scritto  da  lui  fatto  di  pubblica  ragione,  rispondeva 
loro  :  =  Non  da  ragionevole  e  temperato  esercizio  di  una 
liberté  moderata  pigliare  nascimento  le  sollevazioni  e  i 
perturbamenti  ;  la  storia  délia  Sardegna  di  quegli  ultimi 
anni  chiaramente  provarlo.  Il  Governo  granducale  sapera 
per  prova  avère,  in  moite  circostanze,  la  Sardegna  assai 
efflcacemente  cooperato  a  impedire  torbidi  nello  interne  e 
fuora,  e  non  essere  certamente  nel  momento  in  cui  esce 
da  una  guerra  cruenta  e  dispendiosa,  impresa  per  la  causa 
deirordine,  che  possa  accusarsi  di  fomentare  il  disordine 
interne  a  se.  Il  Governo  del  ^Re,  conoscendo  gli  obbligbi 
che  lo  legano  agll  Stati  vicini,  li  compie  scrupolosa- 
mente. 

Le  concessioni  e  le  riforme  introdotte  nelle  amministra- 
zioni  governative  del  Lombardo-Veneto  daU' imperatorc 
Francesco  Giuseppe,  quando  dimorava  in  Milano  —  e  f u 
correndo  il  1857  —  costringevano  a  temperare  i  modi  di 
governo  i  principi  d'Italia,  che  seguivano  la  politica  del- 
l'Austria;  la  quale,  a  compensare  la  loro  servilità,  accor- 
dava  ad  essi  la  sua  protezione  —  che  doveva  poi  perderli 
—  e,  alla  bisogna,  lo  aiuto  di  sue  armi.  I  miglioramenti 
portati  nel  civile  reggimento  degli  Stati  essendo  di  assai 
lieve  importanza,  e  non  sincera  la  moderazione  dei  regnanti, 
non  valsero  ad  accontentare  i  popoli,  nei  quali  ogni  di  più 
il  sentimento  nazionale  andava  affermandosi  e  cresceva  a  po- 
tenza.  Sperô  il  Granduca  ricevere  manifestazioni  di  affetto  dai 
sudditi,  quando  in  compagnia  del  Pontefice  percorse  le 
terre  dello  Stato;  ma  Leopoldo  e  Pio  IX  ebbero  fredda 
accoglienza  dalle  popolazioni  toscane;  le  quali,  se  recaronsi 
numerosi  sul  loro  passaggio,  fu  solamente  per  vederli  da 
vicino,  non  per  festeggiarli.  *  La  memoria  lasciata  allora 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCAN  A,   PARMA,    HODBNA,    NAPOLI  527 

dâl  Papa  in  Toscana,  scrisse  Antonio  Zobi  (IX  fu  quella 
deile  spese  dal  suo  viaggio  cagionate  alla  Corte  e  àllo 
Stato.  »  —  Dopo  la  restaurazione  il  Granduca  fece  ogni 
possa  per  alienarsi  l'amore  dei  sudditi  ;  nel  tempo  corso 
dal  ritorno  di  Gaeta  al  secondo  lasciar  la  corona  —  che 
non  dovea  più  ripîgliare  —  il  contegno  suo  e  il  suo  go- 
verno  furono  tali  da  rendere  per  sempre  impossibile  il 
racqoisto  del  trono  alla  dinastia  austro-lorenese,  la  quale 
avea  per  centoventidue  anni  regnato  sopra  Toscana  (2). 
—  La  spedizione  del  colonnello  Pisacane  contra  Napoli  e 
Tattentato  di  Felice  Orsini  su  Napoleone  Buonaparte  ave- 


Ci)  Memorie  ecanomico-politiehe,  ecc.;  voL  i,  cart.  306;  Firenze,  1860. 

Fa  allora  che  i  principali  del  clero  tentarono  indorre  il  Granduca  a 
togiiere  la  Chiesa  di  Toscana  agli  antichi  ordinamenti  leopoldini,  i  qnali 
impedivano  a  quello  di  abnsare  di  sua  potestà.  Ha  il  principe,  cni  i 
Ministri  ayevano  minaeciato  di  rinnnziare  all'officio  loro  s'egli  accondi- 
scendesse  alla  demanda  dei  maggiorenti  del  clero  toscane,  pretessendo 
la  importanza  délia  cosa,  prese  tempo  a  deliberare,  e  fini  per  nnlla  ac- 
cordare. 

(2)  Nel  1718  la  casa  Medici,  imperante  sopra  Toscana,  contaya  dne 
principi,  Cosimo  m,  già  innanzd  negli  anni,  e  Giovanni  Gastone,  gio- 
vane,  ma  la  cui  malferma  sainte  faceva  temere  non  lontano  lo  spegnersi 
di  qnella  famiglia,  che  teneva  la  signoria  deU'antica  gloriosa  repnb- 
blica  di  Firenze  da  un  popolo  indipendente  e  libero.  Carlo  VI  d'Austria 
chiedeya  allora  a  fàvore  d'uno  di  sua  casa  ai  rappresentanti  dei  grandi 
Stati  d'Europa,  raccolti  a  congresso  in  Londra,  la  Toscana  quai  fendo 
impériale;  ingiusta  pretensione,  che  ebbe  perô  yalido  sostenitore  nel 
Monarca  francese,  il  quaie  da  lunga  pezza  ayeya  inyaso  oon  sue  armi  la 
Iiorena,  principato  degli  Absburghesi.  L'imperatore  d'Austria,  prefe- 
rendo  la  ricca  e  bella  Toscana  a  quello  Stato  poyero  e  minaeciato 
sempie  dalla  vicina  Francia,  ceduta  a  questa  la  Lorena,  nel  1736  fa- 
(^eva  gridare  erede  di  Toscana  Francesco  délia  impériale  sua  casa;  il 
qoale,  senza  por  tempo  in  mezzo,  recavasi  a  Firenze  per  yegliare  su 
rinfermo  Giovanni  Gastone;  alla  cui  morte,  awenuta  nel  1737,  Fran- 
cesco di  Lorena  saliva  al  trono  di  Toscana.  Délia  dinastia  d'Absburgo 
~-  che  su  quella  regnd  sino  al  1859  —  quattro  principi  tennero  il 
^tanducato:  Francesco  II,  Pietro  Leopoldo  I,  Ferdinando  m  e  Léo- 
poldo  n. 


Digitized  by  VjOOQIC 


528  CAPIT0I.0  IX 


vano  chiarito  quaata  passione  bollisse  di  quei  gioriii  in 
Italia.  Avvertiti  dal  Govemo  di  Prancia  délia  congiura 
ordita  da  Mazzini,  quei  délia  penisola  poterono  coq  lieve 
sforzo  opprimere,  in  sul  nascore,  le  soUevazioni  di  Genova 
e  Livorno  —  délie  quali  diremo  nel  corso  di  queste 
istorie  (1)  —  e  mandare  a  vuoto  il  tentative  del  colonnello 
Pisacane.  Il  Granduca,  sempre  pieno  di  paura  e  di  sospetti, 
toise  occasione  dal  moto  di  Livorno  per  tornare  agli  antichi 
rigori,  che,  corne  poco  sopra  scrivemmo,  era  stato  dal- 
TAustria  non  molto  innanzi  costretto  di  allentare:  onde 
allora  il  malcontento  délie  moltitudini  mutossi  in  ira,  e 
crebbe  l'odio  verso  lui,  verso  sua  casa  nella  parte  libérale, 
al  quale  odio  il  Granduca  con  pari  odio  rispose. 

Il  1858  avvicinavasi  al  suo  fine,  quando  il  raffreddarsi 
deiramicizia,  che  per  lo  addietro  aveva  legato  insieme  i 
Governi  di  Napoleone  Buonaparte  e  di  Francesco  Giuseppe 
e  il  crescere  altresi  dei  mali  umori  delFAustria  verso 
la  Sardegna  facevano  nascere  nel  cuore  degli  Italiani  la 
speranza  di  prossima  guerra  tra  quei  due  potentissimi  in 
Europa.  Dei  popoli  délia  penisola  ultimi  non  furono  i  To- 
scani  a  commuoversi  e  ad  accostarsi  alla  Società  Nazionak. 
la  quale,  costituitasi  sotto  gli  auspici  e  per  opéra  di  Da- 
niele  Manin,  Giorgio  Pallavicino  e  Giuseppe  La  Farina  — 
ferventi  apostoli  di  libertà  —  andava  allora  allargandosi 
in  tutta  Italia  gridando  la  îndipendenza  e  la  unificazîone 
délia  patria  con  libero  reggimento  e  con  la  casa  di  Savoia. 
I  Ministri  di  Leopoldo,  appena  si  awidero  del  maneg- 
giarsi  di  quella  Società  e  dello  agitarsi  del  popolo,  credet- 
tero  di  potere  allontanare  la  tempesta  —  già  romoreggiante 
sul  trono  del  Granduca  —  temperando  alquanto  lor  modi 
di  govemo;  ma  era  tardi,  awegnachè,  se  alcuni,  teneris- 
simi  deirautonomia  toscana  e  devoti  al  principe,  tenessero 


(1)  Vedi  il  capitolo  iv  del  terzo  volnme  di  queste  istorie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


T080ANA,   PABMA,   MODBNA,    NAPOLI  589 

per  la  monarchia  del  Lorenese   —  da    rinnovarsi   perd 
costitnzionalmente    e  civilmente   corne  volevano  i  nuovi 
tempi  —  la  parte  maggiore  délie  popolazioni,  seguendo  la 
bandiera  délia  Società  NazionalSy  mirasse  alla  Sardegna  e 
al  suo  Re,  che  soli  potevano  raggiugiiere  lo  scopo  uni* 
versalmente  desiderato.  E  quando   Napoleone  Buonaparie 
all'oratore   austrlaco   nel  solenne  ricevimento  del   primo 
gennaio  1850  parl6  con  severa  giustizia  del  6K)verno  di 
Yienna,  e  pochi  giorni  dopo  Yittorio  Emanuele,  inauga- 
rando  la  sessione  parlamentare,  ai  rappresentanti   délia 
nazioue  e  ai  senatori  raccolti  in  Assemblea,  nel  dire  dei 
gridi  di  dolore  che  alzavano  a  lui  gli  Italiani  oppressi  da 
tirannici  reggimeati,  pronunciô  animose  e  forti  parole,  i 
ptii  generosi  di  quella  nobilissima  terra,  che  fu  sempre  la 
Toscana,  corsero  a  scriversi  nello  esercito  sardo,  allora 
tutto  intente  a  ordinarsi  per  la  terza  riscossa.  Il  conte 
di  Cayour,  il  quale  attentissimo  vigilava  per  cogliere  qual- 
siasi  occasione  che   potesse  aiutarlo   nella  impresa  diae- 
gnata  e  risoluta  contra  TAustria,  accortosi  dei  gravi  timori 
lu  ctti  di  quoi  giorni  erano  venuti  i  t&nidi  consiglieri  del 
^^randuca,  causa  il  manifestarsi  minaccioso  délia  opinione 
pubblica,  diedesi  a  tentarne  gli   animi  ;  e  per  Carlo  Bon- 
compagni,  oratore  regio  presse  il  Governo  di  Pirenze,  posti 
inuanzi  a  quelli  i  pericoli  che  il  loro  principe  correrebbe 
se  nel  caso  di  guerra  si  mantenesse  neutrale  —  guerra  che 
reputayasi  proprio  inevitabile  contra  la  signoria  straniera 
~~  e  i  vantaggi  che  Leopoldo  potrebbe  trarre  da  una  lega 
coa  la  Sardegna,  studiossi  di  indurli  a  far  causa  comune 
<^ntra  il  comune  nimico.  Oonsigliavali  anche  a  ciô  il  Go- 
verno francese  ;  il  quale,  sebbene  credesse  che  la  Toscana, 
^w  avendo  in  animo  di  prender  parte  alla  guerra,  si 
^^f'omsse  tra  quegli  Stati,  che  il  diritto  pubUico  considéra 
^^ralmente  neutri  (IX  pure,   desiderando   esso  arden- 

(1)  Lettera  del  26  aprile  1859  dello  incaricato  di  aifori  délia  To- 
*^^*ûa  in  CoTte  di  Parigi  al  Goyemo  di  Francia. 

^  --  VoL  n.  MàRUJKl  —  Storia  pcl.  •  mîZ. 


Digitized  by  VjOOQIC 


630  OAPITOLO   IX 


temente  il  bene  di  quel  paese  e  délia  famiglia  graaducale, 
desiderava  si  accordasse  con  Prancia  (1).  Ne  dello  invito  di 
Oavour  (2),  ne  dei  consigli,  che  in  nome  deirimperatore  Na- 
poleone  aveva  lor  dato  Walewski,  curaronsi  i  Ministri  del 
Granduca;  1  quali,  sia  che  non  reputassero  vicinissimo  il 
rompersi  délia  guerra  sul  Ticino,  sia  che  ponessero  fede 
illimitata  nella  mediazione  inglese  e  nella  neutridità  che 
di  serbare  scrupolosamente  affermavano,  non  soltanto  1^ 
sciarono  liberamente  passare  in  Sardegna  fX>lontari  d'ogni 
condizioue  e  classe  di  cittadini,  ma  concederono  anche  a 
Yincenzo  Malenchini  di  ordinarne  una  grossa  compagnia 
in  Livorno  e,  ammaestrata  ch'ei  Tebbe  nel  maneggio  délie 
armi,  di  condurla  a  Genova. 

Appena  Garlo  Boncompagni  seppe  dal  suo  Goyerno  délia 
superba  intimazione  deirAustria  alla  Sardegna,  senza  por 
tempo  in  mezzo  domandô,  per  lettere,  ai  Ministri  del  Gran- 
duca, avesse  questi  a  stringersi  in  lega  con  Vittorio  Ema- 
nuele  per  combattere  insieme  agli  eserciti  di  Francia  Top- 
pressore  dltalia  ;  assicurandoli  che  dal  Re  «  rispettavasi 
Vautonomia  degli  Stati,  aventi  lor  ragione  di  essere  nella 
configurazione  del  territorio,  nelle  tradizioni  délia  sto- 


(1)  Nella  lettera  su  citata  deirorator  di  Toscana,  Nerll,  in  Cortedi 

Francia,  sta   scritto   cosi:  «  Walewski confidenzialmente  mi  disse, 

essere  due  le  vie  aperte  a  noi  :  lo  statu  quo ,  nentralitil  dichiarata  o 
no,  0  raccorde  con  Francia.  Nel  primo  caso  non  si  mette  più  in  dnbbio 
che,  trattandosi  di  gnerra  nazionale,  il  Govemo  nostro  sarebbe  per  lo 
meno  soperchiato  ;  nel  secondo,  Tlmperatore,  mosso  unicamente  da  con- 
siderazione  di  stima,  riconoscenza  e  affetto  per  la  nostant  dinastia,  si 
obbligherebbe  a  gnarentibrle,  aile  condizioni  meno  onerose,  la  corona  di 
di  Toscana...  » 

(2)  u  £  perché  Cayonr  avrebbe  volnto,  cosi  Nicomede  Bîanchi,  ehe 
ne'  campi  di  gnerra  le  milizie  regolari  italiane  si  fossero  trorate  ad- 
dirittnra  maggiori  o  almeno  ngnali  in  numéro  aile  francesi,  cm  egli 
non  ayeva  ristato  dal  fare  nnoyi  tentativi  per  indnrre  i  GoTerai  di 
Napoli  e  di  Firenze  alla  compartecipazione  deU'impresa  nazionale  »  (*). 

(*)  n  conte  OamOlo  di  Oaoomr,  cart  09;  Torino,  186S. 


Digitized  by  VjOOQIC 


T080AHA,   PABMA,    MODBNA,   HAPOLI  531 

fia,  negli  interessi  dei  popoli   italiani.  Che  nello  accinr 
gersi  alVitnpresa  —  la  quale,  se  riescisse,  sarébbe  la  piû 
grande  di  quante  la  storia  (Tltalia  serba  ricordanza  — 
la  Sardegna  non  ambisce  la  propria  preponderanza,  sib- 
hene  il  vantaggio  comune  dei  principati  e  dei  popoli  délia 
penisola;  che  se  poi  gli  altri  Stati  erano  in  condizioni 
tali  da  non  dare  speranza  veruna  di  lor  coqperazione, 
la  Sardegna  amava  conservare  la  /îducia  che  la  Toscana 
trovavasi  in  condizioni  migliori  »  (1).  Il  ministro  Lenzoni^ 
cui  almeno  per  ragione  di  urbanità  correva  obbligo  di  ri- 
spondere  a  Boncompagni,  si  tacque  forse  per  tema  di  met- 
tere,  scrivendogli,  il  nome  e  il  credito  suo  a  repentaglio; 
e  nemmeno  Leopoldo  diedesi  per  inteso  di  quel  soUecitar 
^i  lega  deiroratore  di   Sardegna,  torse   per  la  sicurezza 
piena  e  intiera  da  lui  riposta  nella  fedeltà  e  devozione  dei 
soldati  suoi;  ne  per  quanto  i  principali  dei  Fiorentini  lo 
pregassero   a  cedere  aile  nécessita   dei   tempi,  e,  col  far 
paghi  i  Yoti  dei  popolo,  sàlvare  a  se  la  corona  e  al  paese 
la  tranquillità  e  la  pace,  egli   non  solamente  stette  fermo 
ne*  suoi  propositi  di  resistenza,  ma  chiarissi  pronto  a  ri- 
corre  aile  armi  per   punire  gli  amatori  di  novità,  quando 
tentassero  offendere  i  suoi  diritti  di  principe.  Il  Granduca 
e  i  Ministri  eransi  cosi  stupidamente  incaponiti  nelle  fatte 
<)eliberazioni  ritenendosi  forti  tanto  da  piegare  le  cose  alla 
loro  volontà  —  montre  essi   stessi  avrebbero  dovuto  pie- 
rre lanimo  aile  esigenze    veramente  imperiose  dei  mo- 
mento  —  da  non  pigliarsi   pensiero  dello  affratellarsi  dei 
soldati  coi   cittadini  allora  pubblicamente  awenuto.  Dio, 
che  voleva  perderli,  aveali  accecati  sul  pericolo,  al  quale 
per  la  insensata  loro  ostinazione  andavano  incontro:  non 
i  giorni,  ma  le  ore  per  la  casa  di  Lorena  erano  contate! 
^  Il  27  aprile  Alessandro   Danzini,  maggiore  noUe  arti- 


^0  Qnesta  nota  yenne  mandata  da  Boncompagni  al  ministro  Lenzoni 
^^  mattino  dei  24  aprile. 


Digitized  by  VjOOQIC 


532  OAPITOLO   IX 


glierie,  e  Alessandro  Capellim,  comandante  délia  cavalleria, 
portavansi  di  buon  maitino  al  -Granduca  per  ayyertirlo 
délia  forte  agitazione  in  cul  trovavasi  allora  la  milizia,  sa 
la  cul  devozione  alla  dinastla,  affermayano  essi,  non  pot^ 
yasi  fare  fondamento  yeruno.  Leopoldo,  che  non  ayeva  vo- 
lato  yenisser  quelli  in  sua  presenza»  per  mezzo  del  gene^ 
raie  Ferrari  da  Grado  comandô  loro  di  fare  soUecitamente 
noto  ai  soldati:  essere  egli  pronto  a  operare  qttanto  dai 
tempi  eragli  richiesto.  Danzini  e  Gapellini,  tornati  di  li  a 
poco  con  altri  offlciali  al  palazzo  granducale»  a  Leopoldo 
—  che  ayeya  doyuto  a  suo  dispetto  riceyerli  —  fattogli  con 
franche  parole  conoscere  il  yero  stato  délie  cose,  sfor- 
zaronsi  di  indurlo  a  soddisfare  ai  desidèri  del  popolo;  il 
quale,  risoluto  di  leyarsi  a  tumulte,  raccoltosi  numerosis- 
simo  in  su  la  piazza  di  Barbano ,  già  fortemente  romo- 
reggiaya.  Stretto  dalla  nécessita  del  momento  il  Granduca 
tutto  concédé  al  popolo,  che  allô  apparire  délia  bandiera 
dei  tre  colori  posô  ogni  minaccia.  L*arcidaca  Carlo  - 
secondogenito  di  Leopoldo  —  il  quale  poco  prima  avova 
condotto  la  granduchessa  e  i  fratelli  minori  in  Belvédère  (1) 
— -  fortezza  ben  munita,  dalla  quale  poteyasi  fùlminare  Fi- 
renze  —  chiamati  a  se  gli  offlciali  del  presidio,  faceva  lor 
leggere  uno  scritto  del  comandante  suprême,  Ferrari  da 
Grade,  in  cui  questo  antiveggente  générale  aveva  det- 
tato,  sine  daU'anno  innanzi,  le  norme  per  bombardare  ein- 
cacemente  la  città  nel  caso  di  ribellione  popolesca.  Ter- 
minata  la  lettura,  il  luogotenente  nelle  artiglierie  Dario 
Angelini  aU'Arciduca,  che  ingiugneyagli  di  tenersi  pronto 
con  sue  artiglierie,  con  la  piii  lodevole  franchezza  rispon- 
deya:  =  Impossibile  compiere  quanto  era  stato  dettatodal 
générale,  essendo  tutti  i  soldati  fermissimi  a  non  trarre 
contra  il  popolo,  col  quale  diyideyano  lo  entusiasmo  per 


(1)  L'arcidnca  Ferdinando,  il  primogenito,  era  rimasto  ool  padrenel 
palaszo  Pitti. 


Digitized  by  VjOOQIC 


T080ANA,   PAIUCA,   MODBNA,   KAPOLI  533 

la  guerra  nazionale,  e   che    essi   desideravano   ardente- 
mente  di  combattere;  il  Sovrano  e  la  famiglia  sua  essere 
stati  ingannati  da  chi  aveya  fatto  lor  credere  il  contrario. 
=  Pochi  istanti  dopo  la  bandiera  italiana  innalzossi  su  la 
fortezza  di   Belvédère,  salutata  del  presidio   con  gridi  di 
gioia;  e  salda  vi  stette,  non   ostante  il  protestare  deirAr- 
ciduca  e  il  comando  suo  di  toglierla  di  là:  erano  allora 
le  undici  antlmeridiane.  Non  paga  délie  concessioni  di  Leo- 
poldo,  la  parte  libérale  domandava  Tabdicazione  del  prin- 
cipe in  favore  del  flgliuolo  Ferdinando;  la  rimozione  dei 
Ministri,  del  générale  e  degli  offlciali  chiaritisi  awersi  alla 
Tolontà  délia  nazione  ;  l'alleanza  con  la  Sardegna;  la  pronta 
cooperazione  alla  guerra  di  tutte  le  forze  armate  délia 
Toscana  sotte   il  comando  di  Gerolamo  Ulloa  e  Tordina- 
mento  délie  libertà  costituzionali. — Leopoldo  II,  affermando 
che  Tabdicazione  alla  corona  eragli  vietata  dalla  coscienza 
e  dalConar  suo,  e  dichiarando  irriti  e  nulli  gli  ordini  che 
àa  qualsiasi  potestà  venissero  sino  da  quel  momento  emor 
iML%  disse  di   volersi  subito  allontanare  dallo  Stato  con 
tutta  la  famiglia  sua;  e  in   fatto,  poche  ore  dopo  lasciô 
Pirenze,  lasciô  Toscana,  ch'ei  non  doveva  più  rivedere(l). 
Perla  sua  partenza  venue  in  grande  allegrezza  il  popolo, 
che  ito  al  palazzo  délia  legazione  sarda  acclamô  a  Yittorio 
Emanuele  e  alla  Sardegna,  scendenti  in  campo  contra  l'op- 
pressore  d*Italia.  E  Boncompagni  dal  balcone  di  sua  stanza 
in  nome  del  Re  e  délia  Sardegna,  fatto  plauso  al  noMle 
«  civile  contegno  dei  Fiorentini,  invitoUi  a  osservare  le 
^Qgi;  a  rispettare  le  persone  e  le  proprietà  pubbliche  e 
pivate;  a  mantenere  la  quiète,  e  i  soldait  anche  la  mir 
litare  disciplina;  e  dopo  aver  dette  che  a  quanti  deside- 


(l)  <<  Leopoldo  n  e  i  snoi  consiglieri,  cosi  Nicomede  Blanchi,  voUero 
'^iiuinere  anstriaci  e  presero  la  via  di  Yienna  nella  stolta  credenza  di 
CBsere  in  brève  ricondotti  a  Firenze  dalle  armi  impérial!  »  (*). 


nu 


«ONte  OohmUo  di  Oammr,  cart  71  ;  Torino,  1863. 


Digitized  by  VjOOQIC 


&B4  CAPITOIiO  IX 


ravano  combattere  per  la  patria  era  loro  aperto  il  campe, 
eonchiadeva  il  suo  concionare  con  queste  sentenze:  «  11  Re, 
eui  stanao  sommamente  a  cuore  le  sorti  délia  Toscana, 
provrederebbe  alla  sicurezza  dello  Stato  e  aile  nécessita 
délia  guerra,  senza  preoccupare  il  deflaitivo  assettamento 
del  paese,  perô  che  la  Sardegna  muovesse  le  armi  per  la 
indipendenza  patria,  non  per  ambiziosa  conqnista;  si  ricor- 
dassero,  che  la  indipendenza  e  la  libertà  ottengonsi  per 
Tirtù  di  sacriflzi,  di  concordia  e  disciplina.  »  —  A  reggere 
lo  Stato,  avendo  tutti  i  Ministri  lasciato  Tofficio  loro,  il  Ma- 
gistrato  dei  Priori  aile  sei  pomeridiane  di  quel  giorno  27 
aprile  creô  un  triumvirato,  chiamando  a  comporlo  Ubal- 
dino  Peruzzi,  l'avvocato  Vincenzo  Malenchini  e  il  maggiore 
nelle  artiglierie  Alessandro  Danzini  (1);  i  quali,  in  un  ma- 
nifeste pubblicato  nella  sera,  parlarono  cosi  ai  Toscani: 
«  Il  Granduca  e  il  suo  Ck)verno,  anzichè  soddisfare  ai  giusii 
desidèri  in  tanti  modi  e  da  tanto  tempo  manifestati  dal 
paese,  lo  hanno  lasciato  a  se  stesso.  In  questi  frangenti  û 
Municipio  di  Firenze,  solo  elemento  di  autorità  qui  ri- 
masto,  adunatosi   straordinariamente,  volendo  proTvedere 


(!)  Fn  per  coiudglio  di  Boncompagni  che  il  Magiâtrato  dei  Pziczi 
elesse  qaenti  tre  cittadini  al  govemo  délia  cosa  pnbblica.  «  H  Magi- 
strato  dei  Priori  in  Firenze,  considerando  che  aebbene  alla  Hagiâtratnra 
non  consti  officialmente  che  S.  A.  B.  il  Grandaca  sia  per  lasdare  il  It^ 
ritorio  toscano  dirigendosi  yerso  Bologna  :  considerando  che  dalle  lEdor- 
mazioni  prese  dalla  Magistratora  e  ^lla  lettera  di  questo  giomo  «ii- 
letta  dal  Ministre  sardo  a  qnesto  nostro  Qbnfaloniere ,  non  che  dalk 
lettera  del  ministro  Baldasseroni  diretta  al  Ministro  francese  resold 
la  yerità  di  questo  fatto  :  considerando  che  non  apparisce  avère  il  Pzin- 
oipe  emessa  vemna  disposizione  relativa  a  chi  deye  rappresentarlo  nella 
di  Ini  assenza  e  assnmere  le  ingerenze  govemative:  considerando  che  a 
eyitare  le  grayissime  calamità  che  potrebbero  yerificarsi  nella  initnfaBy.i, 
anche  momentanea,  dell' opéra  govematiya  iôb,  di  nécessita  che  il  Mrt 
nicipio  venga  a  nn  proyvedîmento  atto  a  prevenirle  :  per  qnesti  motivi 
la  Magistratura  aderisce  alla  nomina  di  nn  Goyemo  temporaneo,  e-l 
elegge  a  comporlo  i  signori  cayaliere  IJbaldino  Peruzzi,  ayyocato  Ti> 
cenzo  Halenchini  e  il  maggiore  cavalière  Alessandro  DanzinL  ** 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOANA,   PABMA,   MODENA,   NAPOLI  535 

alla  suprema  nécessita  di  non  lasciare  la  Toscana  senza 
aoyerno,  ha  nominato  i  sottoscritti  a  reggerla  temporanea- 
mente.  Toscani!  Noi  abbiamo  assunto  questo  grave  incar 
rico  pel  solo  tempo  necessario  a  S.  M.  il  Re  Vittorio  Ema- 
nnele  di  provredere  tosto,  e  durante  il  tempo  délia  guerra, 
a  reggere  la  Toscana  in  modo  che  essa  concorra  efflca- 
cemente  al  riscatto  nazionale.  Gonâdiamo  neiramore  délia 
patria  italiana  che  anima  il  nostro  paese,  afflnchè  Tordine 
e  la  tranquillità  vengano  mantenuti  ;  con  Tordine  e  la  di- 
sciplina soltanto  si  giugne  a  rigenerare  le  nazioni  e  a 
vincere  in  guerra.  » 

Uscito  di  Firenze,  Leopoldo  prese  la  via  di  Bologna, 
scortato  da  molti  offlciali  di  ogni  grade  e  da  una  presa  di 
gente  d'arme,  e  seguito  dalle  carrozze  délie  legazioni  stra- 
niere  entre  cui  stavano  i  segretari  di  quelle.  Da  Bologna 
il  Granduca  portossi  a  Ferrara,  ove  di  moto  proprio  scrisse 
una  vivissima  protesta,  nella  quale,  dopo  avère  accusata 
la  Sardegna  di  eccitazione  alla  ribellione  délia  Toscana, 
disse  délie  violenze  usategli,  che  avevano  per  iscopo 
di  obUigarlo  a  consentire  ad  atti  contrari  alla  sua  vo- 
lonté, al  decoro  délia  sua  persona  corne  Sovrano  e  a 
dichiarare  la  guerra  alVAusiria,  offendendo  cosi  il  primo 
diritto  di  sua  sovranità:  onde  avea  dovuto  lasciare  la 
Toscana  amata  e  cercare  asilo  in  uno  Stato  amico,  H 
mattino  del  27  aprile  avère  egli  già  protesiato  solenne- 
mente  in  Firenze,  dinnanzi  a  rappresentanti  dei  Oo- 
f^rni  amici,  contra  tali  violenze,  e  dichiaraii  irriti  e 
mlli  gli  atti  stessi  (sic);  protestare  nuovamente  in  quel 
giorno,  primo  maggio,  contra  le  violenze  usategli  e 
confermare  la  nullité  di  quegli  atti,  tendenti  ad  aMattere 
lo  stato  délie  cose,  sanzionato  dal  trattato  di  Vienna  del 
1815  e  guarentito  dagli  Statt  d'Europa.  —  Il  giorno  ap- 
presso  a  quel  délia  partenza  di  Leopoldo  II,  i  Triumviri 
scrivevano  al  conte  di  Oavour  pregandolo  di  far  si,  che 
il  re  Vittorio  Emanuele  avesse  ad  assumere  la  dittatura 
délia  Toscana  durante  la  guerra.  «  Il  sentimento  délia  in- 


Digitized  by  VjOOQIC 


536  CAPITOLO 


dipendenza  nazionaie,  diceyaao  easi,  e  l'ardente  desîderio 
di  concorrere  a  riscattarla  nella  lotta  che  si  sta  prepa- 
rando,  hanno  dato  luogo  a  un  movimento  irresistibile,  oui 
tutte  le  classi  dei  cittadini  con  entusiasmo  presero  parte... 
La  grande  mutazione  di  cose  ayvenuta  nel  loro  paese   ha 
dunque  proceduto  da  un  solo  movente  ;  il  desiderîo  di  con- 
correre alla  guerra  deirindipendenza  italiana  e  dî   parte- 
cipare  ai  sacrifizi  di  essa  e  alla  gloria  del   nazionale  rï- 
scatto.  Questo   essendo   stato    il   carattere  esclosivo   del 
movimento  compiutosi  in  Toscana,  a  chi   meglio  potreb- 
bero  temporaneamente  affldarne  i  destini,  se  non   al  Go- 
yerno  del  Re  di  Sardegna,  che  a  si    nobile   causa    tante 
prove  ha  già  dato  di  sua  lealtà?...  La  Toscana  conserve- 
rebbe  frattanto,  anche  in  questo  période  transitorio,  la  sua 
autonomia,  una  amministrazione   indipendente   da  quella 
délia  Sardegna  e  il  suo  assetto  définitive   dovrebbe   aver 
luogo  a  guerra  finita,  e  quando  si  sarà   proceduto  all'or- 
dinamento  générale  d'Italia.  É  una  specie  di  tutela  che  si 
Invoca  non  solamente  nello  interesse  délia  Toscana,   ma 
délia  causa  comune,..  >  —  Alla  lettera  dei  Triumviri  sol- 
lecito  rispose  il  gran  Ministre  di  Sardegna  (1)  ;  il  quale  — 
chiaramente  veggendo  come  i  Toscani  volessero  bensi  la 
indipendenza    délia   patria   italiana   e  intendessero  coo- 
perare  con   le  armi  allô    acquisto   di   essa,  senza  perô 
rinunciare  alla   propria  autonomia  —  signiûcô  a  quelli: 
non  potere  il  Re,  per  ragiane  dCalta  convenienza  polidca, 
accettare   la  dittatura  offertagli  nella  forma  messaçli 
innanzi.  Per  dare  unità  al  govemo  délia  guetta  assur 
mère  egli  il  comando  supremo  délia  milizia   toscana  e 
Vautorità  necessaria  a  bene  ordinarla  e  a  prowedere  cià 
che  necessario  fosse  per  condurre  a  biMn  fine  Vimpresa. 
Assumere  eziandio  la  protezione  del  Govemo  toscane,  a 
taie  iu>po  delegando  la  necessaria  potestà  al  sîm)  rappre- 
sentante  in  Firenze,  il  ministre  Boncompagni,  il  quale 


(1)  La  risposta  fa  scritta  da  Cavour  il  30  aprile. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TO80A.NA,   PA&MA,  KODBNA.,   KAPOLI  537 

sarebbe  âCallora  anche  Commissario  straordinario  del  Re 
per  la  guerra  di  indipendenza.  Ed  ecco  corne  il  conte  di 
Gayour  con  Tosata  sua  sottilissima  arte  alla  dittatura  con- 
dizionata  seppe  surrogare  un  protettorato  diplomatico.  In 
\rerità  questo  non  sarebbesi  voluto  dai  Triumviri,  cui  so- 
prastava  Ubaldino  Peruzzi;  il  quale»  per  essere  di  parte 
moderata  e  fautore   caldissimo   délia  autonomia  toscana, 
dovanque  gli  tornô  possibile  fece  prevalere  le  idée  délia 
sua  parte.  Una  délie  prime  cure  del  Triumvirato  fu  quella 
deirordinamento  e  accrescimento  délia  milizia,  il  comando 
délia  quale   conferi  a  Gerolamo    UUoa,   proprio  di   quel 
giorni  chiamato  dal  Governo  sardo  a  capitanare  la  legione 
dei  Cacciatori  degli  Appentiinij  che    allora  mettevasi  as- 
sieme  per  la  imminente  guerra.  Ma  il  lavoro  di  quel  gé- 
nérale fu  si  lento,  che  parte  nessuna  aile  militari  opera- 
zioQi  di  Lombardia  venue  presa  dalla  milizia  stanziale  di 
Toscana,  ne  dai  yolontari,  schieratisi  sotto  le  insegne  na- 
zionali  in  numéro  si  grande,  da  far  credere  ai  Triumviri 
non  necessario  levar  nuoyi  soldati;  la  quale   cosa   chiari 
la  insipienza   somma  del    Governo   nelle  faccende    délia 
guerra.  Ne  questo  fu  Tultimo  de'  suoi   atti   insipienti,  av- 
Tegoai^hè  poco  appresso,  per  togliere   di   prigionia  e   ri- 
cUamare   dairesilio  in  patria  coloro  che   dalla   passata 
dominazione  erano  stati  condannati  a  quella   o   a  questo, 
concédasse  piena  amnistia  ;  la  quale  parola  solamente  si 
usa  da  Sovrano  che  abbia  patito  ingiuria  o  offesa!  —  In 
snl  cominciare  di  maggio  i  Triumviri  lasciarono  l'offlcio 
d'accordo  col  commessario  regio  Boncompagni  ;  che  ebbe 
^  affermare  :  il  Governo  temporaneo,  avendo  compiuto  sua 
iQissione,  dover  trasferire  in  lui  i  poteri  tenuti  sino  allora, 
«  che  egli  eserciterebbe  in  virtù  délia  autorità  conferi- 
^Qli  dal  Re,  in  modo  perd  da  serbare  alla  Toscana  tutta 
^  sua  indipendenza  (1).  Giô  fatto  Boncompagni,   a   com- 


(1) 


^posta  alla  domanda  dei  Triumviri  su  la  potestà  che  spettaya 
LcomnafiniL 


Digitized  by  VjOOQIC 


538  OAPITOLO  IX 


porre  il  nuovo  reggimento,  chiamô  Bettino  Ricasoli  al  go- 
verno  délie  cose  interne;  Cosimo  Ridolfi  a  quelle  délia 
istruzione  pubblica  e,  temporaneamente,  anche  degli  affari 
eeteriori  ;  voile  Ministre  sopra  le  rendite  dello  Stato  lUf- 
faele  Busacca;  sopra  la  giustizia  Enrico  Poggi;  sopra  le 
armi  Vincenzo  Malenchini,  e  su  le  faccende  del  Culto 
Vincenzo  Salvagnoli.  Alli  11  maggio  poi  in  un  manifesto 
aile  popolazioni  fece  conoscere  d'avere  decreiata  la  insti- 
tuzione  di  una  Consulta  di  Govemo,  la  quale  d&ma 
riunirsi  in  assemiblea  ogni  mese  per  esaminare  le  cose 
più  importanti  delVamministrazione  e  convocarsi  anche 
dal  Governo,  quando  lo  repuiasse  opportuno  (1).  —  Qui 
sospendiamo  il  racconto  dei  casi  di  Toscana  per  narrare 
quelli  dei  Ducati  padani. 

Parma  e  Piacenza,  Modena  e  Reggio  —  divenute  perla 
fuga  dei  loro  prîncipi  libère  e  padrone  dei  propri  destin! 
—  quando  videro  il  re  Carlo  Alberto  intendere  alla  co- 
stituzione  di  un  forte  regno  nell'alta  Italia,  univansi  alla 
Sardegna;  al  cui  esercito  sin  già  dal  cominciare  délia 
guerra  di  Lombardia  avevano  congiunto  lor  soldatesche, 
Oaduta  neU'agosto  del  1848  la  fortuna  délie  armi  sabaude 
presse  Milano,  Radetzky  faveva  invadere  da  sue  genti  i 
Ducati  del  Po;  e,  rimessivi  gli  antichi  ordini,  tornavali  in 
potesta  di  Garlo  III  di  Borbone  e  dello  estense  France- 
sco  V,  la  signoria  dei  quali  veniva,  pochi  mesi  di  poi,  af- 
fermata  dalla  vittoria  degli  Austriaci  a  Novara.  —  Tristis- 
simi  per  Parma   e  Piacenza  corsero  i  primi   anni  délia 


(1)  La  Camulta  toscana  era  composta  di  qaarantadne  onorandissini 
cittadini,  dei  quali  molti  in  grande  ripatazione  e  credito,  tutti  poi 
presiednti  da  Gino  Capponi;  e  yogliamo  ricordare  i  nomi  di  Bartolommei, 
Qonfaloniere  di  Firenze;  di  Neri  Corsini  di  Laiatico,  Lmg:i  Pigny» 
Lambraschini  BAfFaele,  e  i  professori  Atto  Vannucci  e  Zannetti  Ferdî- 
nando.  Tutti  i  membri  délia  Consulta  e  il  suo  présidente  vennero  eletti 
dallo  stesso  Boncompagni. 


Digitized  by  VjOOQIC 


T080AKA,    FABMA,   MODXKA,    NAFOLI  539 

restaurazione  borbonica.  Carlo  III  (1),  principe  dissoluto  e 
malyagio,  in  brève  tempo  riempi  lo  Stato  di  sue  brut- 
ture  e  di  guai  ;  inchineyole  per  natura  a  disonestà,  ei  non 
vergognossi  di  fomentarla  negli  altri  ;  tiranneggiô  sempre, 
non  goyernô  mai;  il  suo  volere  tenne  in  conto  di  legge; 
le  cause  politiche  fece  trattare  non  da  tribunali  civili,  sib* 
bene  da  tribunali  militari,  nei  quali  siedettero  giudici  i 
soldati  deirAustria.  Un  dei  primi  atti  del  suo  governo  fu 
la  chlusura  délie  scuole  universitarle,  che  sotto  il  regno 
suo  non  yennero  riaperte  mai.  Per  vie  più  assicurarsi  il 
trono  —  non  bastandogli  lo  appoggio  délie  baionette  au- 
striache  —  pose  lo  Stato  sotto  lo  imperio  délie  leggi  mi- 
litari, non  estante  la  tranquillità  del  paese,  il  buon  con- 
tegno  délie  popolazioni  e  la  promessa  data  solennemente 
nel  manifeste  ai  sudditi,  del  18  maggio  1840,  di  volermeir 
tere  con  cura  sollecita  le  hasi  per  uno  Staûuto  consentor 
neo  aile  esigenze  di  una  sana  polîtica.  Bene  egli  concédé 
libero  il  ritorno  ne'domini  suoi  agli  usciti  per  gli  ultimi 
rivolgimenti  politici  (2),  dando  fede  che  non  avrebbero  a 
soffrire  molestia  di  sorta;  ma  siibito  dopo  aver  bandito 
il  perdôno  il  Duca  inferoci  con  le  persecuzioni  e  le  spo- 
gliazioni  a  danno  di  cittadinî  onestissimi;  e  giunse  persino 
a  punire  col  bastone  e  con  le  verghe  —  seguendo  in  ciô 
Tesempio  inumano  dell'Austria  —  uomini  di    ogni    età   e 


(1)  Carlo  n  aTOTa  abdicato  alla  signoria  di  Parma  e  Piacenza  il  14 
marzo  1849  in  Weisstrop,  terra  di  Sassonia,  a  fayore  del  flglio,  che  fa 
Carlo  ni;  il  quale  prese  possesso  del  dacato  il  18  maggio  di  quel- 
l'anno,  giorno  del  Bolenne  suo  ingresso  in  Parma  sotto  la  protezione 
délie  armi  austriache. 

(2)  n  laogotenente  maresciallo  Di  Stnrmer,  Goyematore  snpremo 
civile  e  militare  degli  Stati  parmensi,  con  nn  suo  bando  dell'8  ago^ 
Bto  1849  annnnzift  aile  popolazioni  il  perdôno  del  Dnca,  dal  quale  fa- 
rono  esclnsi  il  conte  Lnigi  Sanvitale,  ravrocato  Pietro  Gioia,  il  conte 
Gregorio  di  Castagnola  coi  due  suoi  figlinoli,  il  dottore  Pietro  Pelle- 
grini,  il  capitano  Engenio  Leonardi,  il  laogotonente  Angelo  Grossardi, 
il  calzolaio  Enrico  Azzoni  e  il  fratello  suo  Ginseppe. 


Digitized  by  VjOOQIC 


540  OApITOLO   DC 


condizione,  che  infami  delatori,  per  sete  di  oro  e  privata 
vendetta,  aveyano  incolpato  di  atti  di  disprezzo  alFautorità 
ducale,  di  censure  al  Governo,  e  d'avere  risposto  con  beffe 
ai  soldati  e  agli  officiali  (1)  che  a  bello  studio  aveYanli  con 
le  piii  triviali  insolenze  provocati.  Ne  il  Duca  rispettô  la 
casta  ecclesiastica,  avregnachè  nel  settembre  1849  non 
più  iollerasse  Tordine  religioso  dei  Benedettini,  e  pochi 
mesi  dopo  chiudesse  il  ricchissimo  collegio  Alberoniano  di 
San  Lazzaro  presso  Piacenza  dei  Padri  Missionari,  e  i  béni 
di  questi  e  dei  Benedettini  egli  dèsse  da  amministrare  allô 
Stato:  ne  di  ci6  la  Gorte  papale  fece  proteste  o  mosse  la- 
menti.  A  rendere  vie  più  odioso  un  goyerno  tanto  aspro  e 
ingiusto,  Carlo  III  nel  1851  creava  una  Giunta  sindaca- 
trice  délia  vita  morale  e  politica  dei  pubblici  officiali,  me- 
dici,  notai  e  degli  avYOcati  ed  anche  dal  comportarsi  nello 
esercizio  dei  loro  doveri  e  délia  loro  professione.  A  rifor- 
nire  poi  lo  erario  impoverito  dalle  insensate  sue  dilapida- 
zioni  accresceya  il  prezzo  annualmente  pagato  dai  fit- 
taiuoli  per  li  poderi  che  erano  patrimonio  dello  Stato;  e 
nell'anno  appresso  —  il  1852  —  sentenziando  essere  tutte 
le  minière  dei  ducato  proprietà  dello  Stato,  serbavasi  il 
diritto  di  accordarle,  per  le  escayazioni,  a  chi  meglio  gli 


(1)  n  24  settembre  1849  un  di  Parma  ebbe  yenticinque  bastonate 
per  eanti  e  sehiamazzi  noUumi;  il  28  pni  di  quel  mese  otto  terrazzani 
di  Gainago  ftuono  poniti  col  bastone,  il  più  colpeyole  con  qnannta 
colpi;  sei,  con  yenti;  nno,  oon  dodid  soltanto  per  essere  graeiUemor 
laticeio;  il  3  ottobre,  di  tre  terrazzaid  di  Soragna  imo  ebbesi  tieata 
colpi,  il  seconde  yenti  e  il  teraso  qnindici  colpi  di  bastone  per  eamani 
aediziose  e  mali  sentimenti;  il  6  ottobre,  in  Pontremoli,  tre  oontadini 
di  Argenzio  yennero  pnniti  oon  yenticinqne  bastonate  ciascnno,  |i«r  es- 
sere  disturbatori  délia  pubbliea  tranquillità  ;  ne  ebbe  pur  yenticinqne 
il  18  ottobre  nn  di  Parma  per  aivere  indotto  un  aoldato  austriaeo  ad 
ubbriaearai;  il  22  ottobre  a  nn  contadino  di  Gastelnnoyo  di  Tern  too- 
carono  qnindici  bastonate  per  parole  di  sprezzo  alh  stemma  reaie;  nn 
di  San  Donnino  pati  qnindici  nerbate  per  tenere  in  sua  easa  due  medor 
glie  con  V effigie  di  Pio  IX;  eco. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOAJVAy   PABUA,    MODBNA,   KAPOLI  541 

piacesse,  a  patto  d*anauo  tributo.  A  vantaggio  délie  indu- 
strie austriache,  ma  a  grayissimo  danno  délie  paesane, 
Carlo  m,  per  comandamento  del  Goyerno  di  Vienna,  strin- 
geva  nel  medesimo  aano  con  Timperio  una  lega  doganale, 
già  messa  innanzi  da  quel  Gk)yerno  sino  dal  1840.  —  Le 
yiolenze  e  le  continue  ingiurie  ai  cittadini,  la  dissolu- 
tezza  dei  costumi  e  le  disoneste  azioni  del  principe  furono 
punite  dal  ferro  di  un  assassino;  il  quale,  per  yendicare 
an  oltraggio  da  lui  riceyuto,  il  26  marzo  1854  in  Parma 
scontratolo  per  yia  a  tradigione  Tuccise  (1).  La  vedoya 
sua,  Luisa  di  Borbone  (2),  prese  allora  le  redini  del  go- 
verno  per  Roberto,  suo  primogenito,  che  contaya  sei  anni 
appena,  subito  yolgendo  tutte  sue  cure  a  sanare  le  piaghe 
arrecate  allô  Stato  dalla  cattiya  amministrazione  ;  impresa 
assai  ardua,  ayyegnachô  fossero  gli  ordini  tutti  pieni  di 
confusione  o  sconyolti.  I  saggi  proyyedimenti  délia  Reg- 
gente,  sebbene  non  basteyoli  a  compiutamente  rimediare 
ai  mali  onde  erano  afditti  i  popoli  soggetti,  meritarongli 
Iode  non  poca;  e  ayrebbe  ayuto  Iode  maggiore  e  con  ef- 
ficacia  proyyeduto  alla  félicita  dei  sudditi,  se  —  allonta- 
nati  i  tristi  consiglieri  inyiati  a  lei  da  quella  Gorte,  che 
mirara  farla  odiosa  al  paese  —  ayesse  impedito,  corne  fa- 
eiimente  poteya,  la  ribellione  la  quale  nel  luglio  1854 
turbô  Parma;  essa  al  contrario  preferi  attenderne  lo  scop- 
pio,  allô  intente  di  spegnerla    poscia  nel   sangue  (3).  La 


(1)  Se  il  Daca  ayesse  avato  cura  di  ciicondarsi  d'aornini  onesti,  cer- 
tamente  sarebbe  stato  temperato  ne'  snoi  godimenti;  ma  per  sua  syen- 
tnra  e  danno  dei  sudditi,  egli  non  ebbe  che  eortigiani^  la  cni  bocca  si 
âpre  soltanto  per  la  menzogna  e  Tadulazione. 

(2)  Lnisa  di  Borbone  era  figlinola  di  Carlo  Ferdinando  d'Artois,  morto 
£  pngnale  in  Parigi  il  14  febbraio  1820. 

(3)  n  primo  Inglio  1854  Piaoenza  tnmnltnô  per  la  carezza  dei  yiyeri; 
nta  prestissimo  qmetossi.  n  22  di  qnel  mese  stesso  in  Parma ,  essen- 
doTisi  sparsa  la  yoce  di  moti  repnbblioani  a  Genoya,  da  dnecento  dt* 
tadini  leyayansi  in  su  Tarme  per  tentare  noyità;  se  non  che  assaliti 
^Ue  soldatesohe  dncali,  prépondérant!  d'aseai  per  numéro,  ftarono  con 


Digitized  by  VjOOQIC 


542  OAPITOLO    IX 


Duchessa,  resa  crudele  dai  timori  di   nuovi  soUevamenti, 
dei   ribelli   venuti    a    sua  mano    condannaya    a    morte 
i  capi,  gli  altri  mandava  aile  carceri  dl  Mantova,  e  met- 
teva  il  dominio  suo  sotto  lo  imperio  délie  leggi  militari. 
Vinto  il  debole  tentativo  di  sollevazione  e  tornata  la  quiète 
allô  Stato,  Luisa  di  Borbone  temperô  alquanto  i   modi   di 
governo,  senza  perô  racquistare  lo  affetto  dei  sudditi,  av- 
regnachè  si  fosse  chiarita  nimicissima  persino  alla  liberté 
più  moderata  e  mostratasi,  piU   ohe   alleata,  vassalla  dei- 
l'Austria.  —  Nel  giugno  dei  1855  nuove  condanne  di  morte 
e  prigionia  funestarono  Parma,  e  furono  di  cittadini  in- 
nocenti  di  un  tentativo  d'omicidio  loro  attribuito  dal  sce]- 
leratissimo  Anviti,  che  il  castigo  di  sua  malvagità  di  li  a 
non  molto  scontô  con  la  yita  :  ed  ecco  il  rio   caso.   Nello 
aprile  di  queiranno  al  luogotenente  colonnello  conte  Luigi 
Anviti  —  già  amico  e  compagno  di   Garlo   III   nelle  sue 
tristizie,  ond'era  da  tutti  odiato  —  veniva  tratto  un  colpo 
di  pistola,  che  perô  falli.  Su  le  deposizioni  o  testimonianze 
d*Anviti  alcuni  cittadini   furono   imprigionati   e    condotti 
dinnanzi  ai  tribunali  militari  ;  i  quali,  montre  ne  condan- 
navano  due  al  supplizio  estremo  —  Andréa  Garini  e  Fran- 
cesco  Panizza  —  e  un  terzo  a  venti  anni  di   carcere  — 
Giuseppe  Isola  —  mancando  le  prove  legali  e  persino  gli 
indizi  deirassassinio  loro  ascritto,  caldamerUe  raccoTnan- 
davarUi  per  una  commutazione  di  pena  alla  clemenza  e 
al  cuore  magnanimo  delta  Reggente;  la  quale  rispondeva 
confermando  la  sentenza  di  morte  per  Garini  e  mandaodo 
Panizza  in  perpetuo  alla    galera.   Un   altro   incolpato  fu 
rinvenuto  strangolato  in  carcere,  e  si  disse  per  mano  de- 
gli  sgberri  dei  conte  Anviti;  e  da    moltissimi    aflTermossi 
altresi  che  quelVucmo  nefando,  allô  scopo  di  creacere  nel 


lieve  sforzo  disfatti.  Baldi  di  quella  yittoria,  conquÎBtata  non  col  valore 
ma  col  numéro,  officiaU  e  soldati  corsero  Parma  ammazzando  o  ferendo 
cittadini  inermi  e  che  non  offendeyano;  tra  i  morti  contaioiui  mi  sa- 
ceidote,  tre  yecchi  settua^ifenari,  nna  donna  e  nn  fancinllo. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOAKA,   PABUA,   MODBKA,  NAPOLI  543 

favore  délia  Oorte  e  farsi  credere  personaggio  d'alto  affare, 
avesse  ordito  quel  flnto  attentato   alla   sua  vita.  —  Poco 
dopo  i  tristissimi  casi  ora  narrati  Luisa  di   Borbone  ri- 
pose  lo  Stato  sotto  il  dominio  délie   leggi    civili;    e   tolti 
gli  eccessi  e  i  rigori  del  governo  militare  straniero   stu- 
diossi  di  firenare  le  esorbitanze  dei  luogotenenti  imperiali. 
Se  ne  offese  Grenaeville,  comandante  suprême  délie  armi 
austriache  presidianti  il  ducato:  il  qualë,  côlta  Toccasione 
di  una  contenzione  levatasi   sui   diritti   del  tribunale   di 
guerra  —  che  pretendera  devoluto  a  sua  potestà   il    giu- 
dicare  gli  ucciditori  di  Carlo  III  —  la  ruppe  con  la  Reg- 
gente;  ne  il  buono  accorde  tornô  se  non   quando   inter- 
Tenne  lo  imperatore  Francesco  Giuseppe.  Fu  allora  che 
la  Duchessa,  deliberata  di  togliersi  alla  tutela  deU'Austria, 
diedesi  a  reggere  con  maggiore  mitezza  lo  Stato  e  acco- 
stossi  a  Napoleone  Buonaparte  per  avère  nella  Francia  un 
valido  appoggio;  che   perô  non  ottenne  mai:   onde  nel 
1850  essa  cadde  nella  rovina  che  incolse  tutti  i    principi 
despotici  dltalia.  Luisa  di  Borbone  avrebbe  amato  starsi 
neutrale  nella  guerra  inditta  daU'Austria  contra  la  Sarde- 
gna  e  la  Francia  insieme  fédéra tesi;  ma  parecchi  offlciali 
délie  armi  parmensi,  fatta  risoluzione  di  unirsi  alla  Lega, 
chiesero  alla  Reggente  licenza  di  recarsi  al  campo  sardo- 
francese;  la  quale,  spayentatasl  per  si  audace  demanda,  fldato 
ai   Ministri  suoi  il  reggimento  dello  Stato,  si  ridusse   coi 
figliuoli  a  Mantova  Di  sua  partenza   esultarono  i  Parmi- 
giani,  che  subito  fecersi  ad  acclamare  airitalia  e  a   Vit- 
torio  Ëmanuelc:  onde  i  Ministri  délia  Duchessa,  temendo 
insulti  dalle  popolazioni,    cui   ben  sapevano   d*essere   in 
odio,  rinunciarono  airofflcio  loro;  che  cittadini  spettabilis- 
siml,  costituitisi  in  Giunta  di  Governo,   raccolsero   affer- 
mando  di  tenerlo  sino  al  giugnere  del    Gommessario   del 
Re  di  Sardegna,  al  quale  scopo  soUeciti   spedirono    degli 
oratori  al  conte  di  Gavour,  che  festosamente  11  ricevette. 
Mentre  gli  inviati  di  Parma  recavansi  a  Torino,   la  mili- 
zia,  per  istigazione  dei  partigiani  di  Luisa  di  Borbone,  tu- 


Digitized  by  VjOOQIC 


544  GAPITOLO   IX 


multuô  e  gridando  la  Reggente  ne  restauré  l'autorità;  al- 
lora  la  Giunta  di  Governo,  minacciata  dal  colonnello   Ba 
Vico^  si  sciolse;  e  gli  antichi  Ministri  délia  Duchessa  ri- 
presero  l'usato  officie  :  le  che  accadde  il  3  maggio.  Il  giorno 
appresso  Luisa  di  Borbone  rientrô  in  Parma,  e  il  5  di  quel 
mese  diede  fuora  un  manifesto  ai  sudditi,  nel  quale,  dopo  aver 
dette  d'essere  ritomata  in  mezzo  a  loro  per  lo   ardente 
voto  espressole  dal  Municipio,  dai  più  notabili  del  paese 
e  dalla  fedele  sua  milizia,  parlô  in  queste  sentenze  :  «  Qui 
mi  ferme  coraggiosa  e  fldente   nella   lealtà  dei  soldati  e 
délia  popolazione,  in  queirattitudine  di  aspettamento,  che 
è   per  noi  di   assoluta   nécessita.  Poichè,  mentre  mi  è 
permesso  dal  vero  spirito  dei  trattati,  debb'essere    la  mi- 
gliore  salvaguardia  del  paese  ;  non  potendo  l'alta  giustizis 
e  civiltà  degli  Stati  guerregglanti  oflTendere  chi    non  of- 
fende,  e  compie  intanto  il   proprio  dovere   mantenendo 
l'ordine  sino  a  quelle  risoluzioni  con  cui  la  sapienza  del- 
l'Europa  saprà  ricondurre  e  stabillre  in  modo  permanente 
la  pace.  »  Pochi  giorni  dopo  voltasi  a  tutti  i  regnanti  in 
Europa  lor  signiflcava:  =  Trovarsi  essa   legata  alfAth 
stria  da  un  trattato  d'alleanza  di  difesa,  da'  suot  prede- 
cessori  fermato  con  Vimperio  sino  dal  1848.  Non   volere 
ne  iHolare  la  fede  data,  ne  ricorrere  al  trattato .  a  fine 
di  impedire  maggiori  complicazioni  di  cose  tra  i  due 
Stati  vicini  a'suoi  domlni;  onde  avère  risoluto  di  man- 
tenersi  neutrale  nella  guerra  prossima  a  rompersi  sul 
Ticino.  =  Perô,  quando  s'awide  non  potere  la  neutraliti 
salvarla  dalla  rovina,  che  le  correva  incontro,  chiesepre- 
sidio  d'armi  ai  Ministri  di  Francesco  Giuseppe  ;  ma  questi 
le  risposero:  =  Sarebbe  essa  al  certo  costretta  a  lasciare 
momentaneamente  la  Stato,  del  qtmle  ritornerébbe  più 
tardi  in  possesso.  =  La  tempesta   che   la   minacciaya,  e 
dalla  Reggente  tanto  temuta,  di  li  a  non  molto  scoppiava. 
Le  novelle   délie   vittorie   riportate  dai  Franco-Sardi  a 
Montebello  e  due  volte  a  Palestre  aveyano  vivamente  com- 
mosso  i  Parmigiani  e  riempito  di  spavento    la  Duchessa; 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOANAy    PAKMA,   MOBBNA,   NAPOLl  545 

la  qual^  allora  che  seppe  gli  Austriaci,  sbaragliati  in  una 
grande  giornata  a  Magenta,  iadietreggiare  verso  il  Mincio, 
e  Napoleone  e  Vittorio  Emanuele  tenere  Milano  coi  vit- 
toriosi  loro  eserciti,  venuta  in  grave  timoré  di  un  soUe- 
vamento  popolesco,  in  su  l'albeggiare  del  9  giugno  fuggi 
di  Parma,  non  senza  perô  aver  raccomandato  al  Municipio 
la  fwmina  di  una  Commissione  di  Oavemo  per  tutela 
delCordiney  délie  persane  e  délie  cose,  per  Vamministra- 
zione  pubblica,  per  un  congruo  prowedimento  alla  mi- 
lizia  ducale  e  per  quelle  altre  prowidenze  che  venissero 
camandate  dalle  circostanze  (l).  A  reggereil  Dacato  sino 
all'arrivare  del  Gommessario  che  Vittorio  Emanuele  invie- 
rebbe  loro,  furono  eletti  dal  Municipio  Pietro  Bruni,  un 
ma^strato  onestissimo,  ringegnere  Evaristo  Armani  e  il 
conte  Gerolamo  Gantelli,  già  familiare  dei  Borboni,  ma  dai 
quali  negli  ultimi  tempi  erasi  allontanato.  Il  mattîno  del 
14  giugno  venne  a  Parma  il  générale  Ribotti  alla  testa 
délia  picciola  legione  dei  Gacciatori  délia  Magra  e  una  presa 
di  fanti  délia  reale  marineria  sarda;  e  tre  giorni  di  poi  il 
conte  Diodato  Pallieri  assunse  il  governo  dello  Stato  in 
nome  del  Re,  al  quale  oratori  di  Parma  e  Piacenza  erano 
iti  a  rinnovare  la  dedizione  délie  loro  città  e  del  Ducato 
alla  casa  sabauda,  già  fatta  sino  dal  17  marzo  1848:  cosi 
aveva  fine  la  signoria  borbonica  negli  Stati  parmensi. 

Corne  a  Parma,  cosi  a  Modena  la  dinastia  régnante  al 
prosperare  délia  fortuna  dltalia  aveva  perduto  lo  Stato: 
era  naturale  ciô,  awegnacbè  le  stesse  cause  partoriscano 
sempre  i  medesimi  eflTetti.  Francesco  V,  riavuto  il  principato 
dopo  le  infauste  tregue  di  Milano,  fece  ai  popoli  suoi  larghe 
promesse  di  riforme  civili  e  di  libère  istituzioni;  e  ven- 
nero  le  une  e  le  altre;  i  pesi,  ond'erano  tanto  gravati  i 
sudditi  furono  allora  alquanto  diminuiti  ;  riordinate  le  leggi 


(1)  Cod  la  Duchessa  nel  suo  m^J^ifesto  del  9  giaguo  ai  sadditi  quaado 
lasciaya  lo  Stato  per  recarsi  in  IsTizzera ,  doye  aveva  glÀ  mandato  i 
snoi  figlinoli  con  qaanto  essa  possède  va  di  più  prezioso. 

35  —  Vol.  n.  Mabiani  —  Storia  poL  e  miL 


Digitized  by  VjOOQIC 


•  546  OAPITOLO    IX 


del  paese;  e  ciô,  che  fcce  tutti  altamente  maravigliare,  il 
Duca  con  nessuna  vendetta  funestô  lo  Stato.  Grande  e  uni- 
yersale  fu  la  contentezza  al  primo  apparire  di  quelle  ;  ma 
d'assai  maggiore  fu  la  scontentezza  dei  popoli,  quando  si 
avvidero  che  le  riformagioni  accordate  nulla  aveano  mu- 
tato  di  sostanziale  negli  antichi  ordinamenti  di  governo. 
Consignera  al  Duca  di  liberali  promesse  per  rendersi  be- 
nevoli  i  popoli  era  stata^  neil'autunno  del  1848,  la  paora  : 
perô  che  le  armi  guerreggianti  fossero  non  posate,  ma 
sospese^  e  il  re  Carlo  Alberto  attendesse  con  somma  ope- 
rosità  a  rifare  Tesercito  e  ad  accrescerlo  per  uscire  poscia 
alla  riscossa  contra  TAustria,  e  le  sorti  délia  seconda  guerra 
potessero  eziandio  tornare  avverse  all'imperio.  Ma  vinta 
nuovamente  la  Sardegna,  la  paura  svani  neirEstense;  il 
quaie,  rifattosi  dèspota,  diedesi  a  tiranneggiare  i  popoli, 
rinnovando  nello  Stato  suo  i  tempi  infelici  délia  signoria 
di  Francesco  TV,  suo  padre,  da  meno  di  lui  per  ingegao 
e  accortezza,  ma  eguale  per  la  ferocia  d'animo  (1).  Pre- 
cursore  del  suo  ritorno  a  Modena,  dopo  Tinfausta  giornata 
di  Novara,  fu  un  manifeste  ai  sudditi»  bandito  da  Brescello 
il  29  marzo  1849,  nel  quale  parlô  délia  pace  onorevole  e  dura- 
tura  che,  tra  brève  fermata,  toglierebbe  lo  Stato  allapenosa 
incertezza  in  cui  trovavasi  da  un  anno;  invitô  gli  amici 
deU'ordine  e  del  legittimo  go  ver  no  a  deporre  ogni  Umore 
e  a  dare  opéra  efficace  al  mantenimento  délia  tranquil- 
lità  pubblica  e  privata.  Disse  di  una  Oommissione  militare 
da  eleggersi  per  giudicare  chi   commise  o  eccitô  a  com- 


(1)  Francesco  V  attese  nel  forte  di  Breacello  —  presidiato  da  sue 
soldatesche  —  Tesito  délia  seconda  guerra  ;  egli  aveva  mandate  a  Han- 
tova  la  moglie  coi  figlinoli;  il  30  marzo  1849  rientrô  in  Modena.  Nella 
notte  del  13  al  14  aprile  egli  passava  gli  Appennini  anitod  con  sue 
genti  alla  brigata  austriaca  del  générale  EoUowrath,  il  qnale  per  h 
via  di  Beggio  portavasi  a  Toscana  ;  il  di  appresso  egli  entrara  in  Fi- 
vizzano  e  Kollowrath  di  poi  in  Pontremoli;  cosi  riaveva  qneste  terre, 
niegategli  gi&  dal  Govemo  toscano. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABMA,   MODENA,   KAPOLI  547 

mettere  atti  di  ribellione  contra  la  stâa  autorità  legittima 
e  chi  violô  le  proprietà  altrui,  o  che  oflTese  le  persane. 
Espresse  la  ricoaoscenza  sua  aile  popolazioni  campagnuole 
e  a  coloro  che  in  tempi  cosi  difficili  eransi  a  lui  mante- 
nuH  in  fede;  in  fine,  lodô  il  contegno  délia  milizia  du- 
cale, sul  coraggio  délia  qitale  era  certo  di  poter  fare 
fondamento  securo  in  ogni  evento.  —  Nello  aprile  di  quel- 
Tanno  cou  parte  de*suoi  soldati  e  coa  gli  Austriaci  capi- 
tanati  dal  générale  D'Aspre  —  che,  passato  TAppennino, 
scendeva  a  Toscana  per  restaurarri  la  potestà  del  Gran- 
duca  —  Francesco  V  riprendevasi  Massa  e  Garrara,  e  le 
proYlncie  délia  Garfagnana  e  délia  Lunigiana  estense,  i 
cui  popoli  neiranno  innanzi  eransi  dati  spontaneamente 
e  con  voce  unanime  alla  vicina  Toscana.  La  Gommissione 
di  governo,  la  quale  allora  reggeva  in  nome  di  Leopoldo  II 
il  Granducato,  vivamente  protestô  contra  la  ingiusta  oc- 
cupazione  di  quel  territori;  ma  il  duca  di  Modena  non 
curossi  di  taie  protesta,  e  rimise  quelle  città  e  provincie 
sotto  la  propria  autorità  e  signoria.  Neiranno  appresso, 
il  1850,  Francesco  V  richiamava  ne'  suoi  domini  i  Gesuiti 
—  che  il  Governo  temporaneo  del  1848  aveva  espulsi  dal 
ducato  —  concedendo  di  riaprire  i  loro  antichi  coUegi  e 
le  scuole  in  Modena,  Reggio  e  Massa,  nel  medesimo  tempo 
rimettendoli  in  possesso  dei  béni  già  posseduti  ;  e  i  Gesuiti 
negli  Stati  estensi,  corne  altrove  e  per  lo  addietro  sempre 
areyano  fatto,  arrogaronsi  padronanza  quasi  assoluta  su 
gli  uomini  e  su  le  cose  per  li  âni  loro,  non  religiosi,  ma 
tutti  mondani. 

La  lega  doganale,  con  cui  il  Governo  austriaco  aveva 
mirato  a  maggiormente  rendersi  vassalli  i  signori  di  Mo- 
dena e  Parma  —  se  possibile  fosse  più  di  quelle  che  erano 
già  —  e  ad  awantaggiare  i  trafflci  e  le  industrie  délia  mo- 
narchia,  tornô  assai  dura  a  Francesco  Y,  avvegnachè  da 
quella  lega  sapesse  venire  nocumento  non  poco  a  se  e  allô 
Stato  suo.  Bene  egli  aveva  tentato  di  non  accettare  si 
dannosa  imposizione  —  che  taie  era  veramente  —  o  almeno 


Digitized  by  VjOOQIC 


54S  OAPITOLO    IX 


di  ottenere  patti  meno  gravosi,  ma  inyano:  onde  allora  al- 
l'inviato  modenese,  il  quale  in  nome  sno  doveya  soserivere 
la  convenzione,  comandô  che  nello  accettarla  protestasse 
di  cedere  per  alte  considerazioni  e  allô  sœpo  di  etHtare  a 
se  stesso  disturM  e  allô  Stato  suo  maçffiori  danni.  Nem- 
meno  taie  protesta  gli  fu  conceduta  d*inserire  nel  trattata, 
il  principe  di  Schwarzenberg  —  che  allora   presiedeva  ai 
Ministri  deirimperatore  —  essendosi  opposto  a  che  venisse 
scritta  in  quelle,  perché  oflTendeva  la  dignità  del  Governo 
austriaco  e  deirestense.  —  Correva  il  1854,  qnando  i  ten- 
tativi  di  Mazzlni  sopra  Sarzana  e  la  Spezia,  e  i  disegni 
suoi  di  soUevare  la  Lunigiana  —  di  cui  diremo  più  innanzi  — 
commuovevano  i  cittadini  di  Oarrara  ;  ma  falllti  quei  ten- 
tativi,  Francesco  V  mise  sotto  Timperio  délia  spada  quella 
città,  soltanto  perché  avea  sperato  di  potersi   togliere  ai 
suo  giogo  aborrito.  Per  la  guerra  d'Orienté,  venuta  poco 
di   poi,  impensierissi   il   principe  e  soprammodo  quando 
vide  rimperatore  d'Austria  stringersi  in  amicizia  col  Sire 
dei  Franceii,  che  il  Duca  menava  yanto  d^essere  solo  in 
Europa  a  non  aver  riconosciuto,  e  ch'egli  chiamava  &rt- 
gante,   e  baracca  btionapartista  Timperio   napoleonico; 
e  rassicarossi  allora  soltanto  che  seppe  délia  pace  fermata 
a  Parigi;  la  quale  se  fece  posare  le  armi,  lasciô  perô  in- 
soluta  la  quistione  d'Orienté.  Credutosi   securo   sopra  il 
trono,  Francesco  V  diedesi  a  inflerire  contra  i   sudditi, 
crebbe  gli  usati   rigori  e  sotto  il  governo  militare  ripose 
i  Carraresi,  per  vendicarsi   di  loro  che   nutrivano  sensi 
italianisslmi.  E  a  ministre  di  sue  scellerate  vendette  ebbe 
daU'Austria  certo  Leopoldo  Wiederkhern,  maggiore  nel- 
l'esercito  impériale;  uomo  bestialmento  crudele  e  indegno 
di  capitanare  soldati,  degnissimo  perô  di  comandare  a  car- 
nefici,  anzi  carneSce  egli  stesso  dei   più  brutali;  il  quale, 
bene  indovinati  i  desidèri   del   principe  tiranno,  in  mille 
guise  torturô  l'infelice  Oarrara.  —  Non  molto  di  poi  ve- 
nuto  in  gravi  timori  délia  Sardegna  —  la  quale  al  Con- 
gresso  di  Parigi  aveva  altamente  parlato  del  governo  ti- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSGANA,    PABMAy   MODKNA,   KAPOLI  549 

rannico  de'  suoi  principl  e  délie  afflizioai  che  l'Italia  pativa 
—  yedendo  il  re  Vittorio  Emanuele  prepararsi  alla  guerra 
contra  l'Àustria,  securo  degli  aiuti  validissimi  di  Francia, 
Francesco  Y  diedesi  a  visitare  le  Ck>rti  délia  penisola  allô 
scopo  di  stringerne  in  lega  i  regnanti  per  la  comune  di- 
fesa  del  trono.  In  verità  a  ciô  fare  egli  fa  proprio  indotto 
dalla  Gorte  di  Vienna,  che  sarebbesi  certamente  mesaa  a 
capo  délia  lega  per  governarla  a  tutto  suo  vantaggio.  Se 
non  che  il  Ponteâce,  il  Borbone  di  Napoli  e  il  Granduca 
di  Toscana,  indovinate  le  secrète  mire  del  Governo  au- 
striaco  e  non  dividende  essi  con  Francesco  di  Modena  il 
timoré  che  tanto  l'agitava,  respinsero  i  disegni  dello  e- 
stense.  Visitato  da  prima  il  Sire  d'Absburgo  nella  sua  impé- 
riale Yienna,  il  Duca,  in  sul  cominciare  del  1850,  fece  ri- 
torno  a*  suoi  domini,  che  trovà  in  grande  commozione  per 
le  novelle  giunte  allora  allora  di  Parigi  e  di  Torino.  Mon- 
tato  per  ciô  in  furore,  prese  a  perseguitare  quanti  erano 
in  fama  di  libérait;  e  siccome  di  tutti  sospettava,  cosi  per 
tema  che  un  giorno  si  tentasse  di  liberare  i  condannati 
per  crimine  di  lésa  maestà,  gementi  nelle  prigioni  del 
ducato,  mandoUi  alla  fortezza  di  Mantova:  cosi  llmpera- 
tore  d'Austria  facevasi  carceriere  dei  condannati  politici  di 
Francesco  di  Modena!  Espediva  pure  di  li  a  poco  a  Mantova 
non  solamente  quanto  di  suo  possedeva,  ma  quanto  di  più 
prezioso  trovavasi  nel  ducale  palazzo,  e  che  suo  non  era, 
6d  anche  i  lini  e  gli  arazzi;  in  oltre  toise  per  se  alla  bi- 
blioteca  Palatina  codici  e  autograâ  di  molto  valore,  e  dal 
gabinetto  numismatico  tutte  le  monete  e  medaglie  d*oro  e 
d'argento;  in  fine,  veggendo  prossimo  il  rompersi  délia 
guerra  di  Sardegna  e  Francia  contra  TAustria,  comandô 
di  riscuotere  anticipatamente  le  imposte  di  maggio  e  to- 
gliere  a  prestanza  un  miiione  di  lire.  —  Massa  e  Carrara, 
quando  seppero  délie  ostilità  cominciate  su  Talto  Po  e  su  la 
Sesia,  levaronsi  a  tumulte,  e  fu  il  28  maggio;  e  siccome 
le  milizie  estensi  —  che  per  lo  addietro  avevanle  presi- 
diate  -—  raccoltesi  a  Fivizzano  al  primo  romoreggiare  délia 


Digitized  by  VjOOQIC 


550  OAPITOLO   IX 


guerra,  minacciavano  calare  sopra  quelle  città,  cosî  a  loro 
difesa  ordinaronsi  i  volontari  del  paese  ;  i  quali  poi,  aflTor- 
zatisi  délie  Ouardie  Nazionali  ivi  accorse  da  Sarzana  e  sin 
da  Genova,  occuparono  le  alture  di  Ceserano  e  Fosdinovo 
diananzi  al  campo  délie  soldatesche  ducali  capitaaate  d&l 
colonnello  Casoni.  Il  quale,  dopo  qualche  badaluccare  coi 
volontari,  fatta  deliberazione  d'assaltare  Oarrara  e  riunite 
a  taie  scopo  tutte  le  sue  forze  armate  e  le  sue  artiglierie, 
mandava  innanzi  alquanti  soldati  a  speculare  la  contrada; 
ma  avvertito  che  dal  générale  Ignazio  Ribotti  —  un  vecchio 
soldato  délia  libertà  —  tenevasi  Oarrara  con  grossa  schiera 
di  volontari  —  i  Cacciatori  délia  Magra  —  il  colonnello 
Casoni,  dopo  avère  tratto  contra  il  nimico  pochi  colpi  di 
moschetto,  tornava  a'  suoi  campi.  —  Non  molto  innanzi  il 
compiersi  di  tali  fatti  era  giunto  a  Massa  e  Oarrara  Vin- 
cenzo  Giusti  (1),  quale  Commessario  del  Governo  sardo,  con 
ufflcio  di  reggerle  in  nome  di  Vittorio  Emanuele;  e  con 
lo  aiuto  di  Enrico  Brizzolari,  egreglo  cittadino  carrarese, 
bene  ricompose  la  cosa  pubblica.  Prancesco  V,  irritato  per 
lo  intervenire  délia  Sardegna  nelle  faccende  sue,  interven- 
zione  ch'ei  diceva  violare  e  usurpare  i  territorî  estensi, 
protesté,  nel  tempo  stesso  movendo  acerbo  rimprovero  al 
Governo  del  Re  cbe,  non  offeso,  offendeva.  Vennegli  ri- 
sposto  :  =  Massa  e  Oarrara,  levatesi  spontaneamente  per 
la  causa  nazionale,  avère  gridata  la  dittatura  di  Vittorio 
Emanuele;  e  il  Governo,  ritenendosi  in  guerra  col  Duca 
di  Modena,  avère  inviato  sue  armi  a  proteggervi  le  popo- 
lazioni  minacciate  da  soldatescbe  estensi.  =  Il  passaggio 
del  Ticino  di  poderosissimo  esercito  austriaco  e  lo  allar- 
garsi  di  questo  nelle  provincie  oriental!  del  regno  subal- 
pine avevano  destato  nel  Duca  di  Modena  gli  ardori  di 
guerra,  tanto  che  con  sue  genti  e  una  brigata  di  fanti 
imperiali  avanzossi  verso  TAppennino  in  cerca  del  nimico 


(1)  Vincenzo  Giusti  ayeva  esulato  da  Massa  nel  1848. 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08GANA,    PABHA,   MODENA,    NAFOIiI  551 


cb'egli  ben  sapeva  non  avrebbe  mai  incontrato.  Ma  quando 
seppe  délie  dlsfatte  patite  da  Giulay  —  il  généralissime 
délie  armi  austriache  in  Italia  —  due  volte  a  Palestre,  e  di 
quella  sanguinosissima  di  Magenta — ond'era  statocostrettoa 
indietreggiare  verso  il  Mincie  —  Francesco  V  soUecito  con- 
dusse  i  suoi  a  Brescello  e  a  Guastalla;  unendosi  a  lui,  in 
Brescello,  il  générale  Grotti  con  le  milizie  parmensi  man- 
tenutesi  in  fede  alla  duchessa  reggente  di  Parma  (1);  le 
quali  poi  andavano  a  campeggiare  Gualtieri.  Nel  lasciare 
Modena  —  e  fu  il  mattino  deiril  giugno  —  il  Duca,  in  un 
editto  bandito  dal  sue  palazzo,  nominô  una  Reggenzay  la 
quale  doveva  in  st«a  lontananza  governare  lo  Stato  in 
nonie  suo  ;  a  tutelare  vie  più  la  sicurezza  pitbblica  e  pri- 
vata  istitul  una  Guardia  Urbana  sotto  il  comando  del 
maggiore  Stanzani;  edichiarà  sin  d'allora  nulli  gli  atti 
e  gli  ordini,  che  poiessero  emanare  da  qualsiasi  Governo 
usurpatore,  chiamando  mallevadori,  anche  in  futuro, 
quelli  che  si  facessero  autqri,  isb^umentt  o  complici  di 
atU  illegali  e  lesivi  de'  suoi  diritti,  o  a  danno  e  offesa 
dé  suoi  sudditi  fedeli  {2).  Le  sconfltte  di  Magenta  e  Mele- 
gnano  costringendo  Giulay  a  portarsi  al  Mincie  e  a  rac- 
cogliervi  tutte  le  sue  forze  armate,  il  battaglione  di 
fanti,  che  ancora  teneva  Modena,  ripassava  speditamente 
il  Pc:  onde  Francesco  V,  fatte  venire  a  se  le  milizie 
estensi,  portavasi  con  queste  a  Mantova;  e,  dope  averle 
poste  sotto  il  comando  di  Liechtenstein  —  il  quale  stava 
a  capo  del  seconde  corpo  d'esercito  austriaco  —  egli  andô 
a  Verona  presse  Timperatore  Francesco  Giuseppe,  sceso 


(1)  I  Modenesi  conta vansi  tremila  e  seicento,  avevano  da  ottanta 
cavalli  e  una  batteria  di  cannoni;  i  Parmensi  erano  da  mille  ottocento, 
con  settanta  cayalli  e  dieci  cannoni  da  campo. 

(2)  Francesco  V  a  comporre  la  reggenza  ehiamô  il  conte  Luigi  Gi»- 
cobazzi,  Ministro  sopra  le  faccende  interne,  il  conte  Giovanni  Gkilyani, 
il  dottore  Gioaeppe  Coppi,  il  conte  Pietro  Gandini  e  il  dottore  Tomaso 
Borsari. 


Digitized  by  VjOOQIC 


562  CAPITOLO   IX 


in  quel  mezzo  a  Italia  per  assumere  la  direzione  suprema 
délia  guerra.  —  I  Modenesi,  appena  seppero  délia  partenza 
degli  Austriaci  dalla  loro  città  —  e  fu  il  mattiao  del  13 
giugno  —  chiamapono  a  governare  lo  Stato  Pietro  Mura- 
tori,  Giuseppe  Tirelli,  Egidio  Boni,  Emilie  Nardi  e  Gio- 
vanni Montanari;  i  quali  due  gîorni  di  poi  risegnarone 
l'ofScio,  temporaneamente  assunto,  airavTOcato  Luigi  Zini 
—  un  loro  concittadino  esule  sin  dal  1848  —  Commessario 
per  Vittorio  Emanuele,  deputato  a  reggere  la  cosa  pubblica 
nel  ducato,  fino  al  vero  ordinamento  di  esso.  Nel  bre- 
yissimo  tempo  di  sua  reggenza  fece  molto  e  bene;  aTve- 
gnachè,  armata  la  gi$ardia  dttadina,  licenziasse  la  milùda 
di  campagna,  devota  agli  Estons!  ;  comandasse  ai  Gesuiti 
di  lasciare  le  provincie  modenesi,  e  i  béni  che  tenevano 
dal  Duca  consecrasse  alla  pubblica  istruzione;  e,  a  goa- 
rentire  i  crediti  dello  Stato,  séquestrasse  il  patrimonio  di 
Prancesco  V.  —  Il  21  giugno  Oarlo  Luigi  Farini  —  un  esule 
romagnuolo,  già  Ministre  sopra  Tistnizione  pubblica  nel 
regno  subalpine  —  dal  re  Vittorio  Emanuele  deputato  a 
governare  in  sue  nome  le  provincie  modenesi,  in  un  bando, 
che  importa  qui  riportare  in  tutta  interezza,  al  popoli  di 
quelle  provincie  parlava  cosî  :  «  Voi  avete  rinnovato  il  voto 
deirunione  col  regno  di  Sardegna  ;  Vittorio  Emanuele  mi 
manda  a  governarvi.  L'esempio  del  primo  soldato  deirin- 
dipendenza  insegna  a  me  e  a  voi  la  via  del  dovere.  Primo 
dovere  di  tutti  gli  Italiani  è  oggi  quelle  di  esser  larghi 
alla  patria  dell'avere  e  del  sangue:  primo  dovere  di  un 
governo  nazionale  il  mantenere  severamente  Tordine  ci- 
vile, e  il  rifornire  l'esercito  d'uomini  e  di  danaro.  lo  fera 
il  mio,  voi  non  mancherete  al  dover  vostro.  In  queste  pro- 
vincie furon  sempre  ingegni  elevati  e  animi  forti,  che  per 
egregie  qualità  e  fatti  preclari  salirono  in  fama.  Voi  con- 
tinuerete  a  far  prova  di  quel  senne  civile  che  è  necessario 
a  fondare  libère  reggimento,  e  di  quella  costanza  che  nei 
duri  partiti  délia  guerra  non  abbandona  gli  animi  robusti. 
Dope  lunghi  secoli  di  dolore  l'Italia  ha  una  occasione 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CANA,   PABMAi   HODENA,    NAPOLI  5S3 

naoYissima  di  liberarsi  dalla  domiaazione  straniera.  Il  re 
Vittorio  Emanuele  scioglie  il  voto  fatto  su  la  tomba  del 
suo  magnanimo  Padre,  esponendo  la  vita  ovo  maggiore  è 
il  pericolo  délie  battaglie.  L'Imperatore  délia  più  forte  fra 
le  nazioni  latine,  combattendo  i  nostri  nimici  con  genero- 
sità  maravigliosa,  accresce  lo  splendore  di  un  nome,  al 
qnale  pareva  che  ne  il  genio,  ne  la  fortuna  potessero  ag- 
giugnere  gloria.  Italiani  délie  provincie  modenesi  î  lo  ho 
îatto  sicurtà  per  voi  al  Governo  del  Re,  che  mostrerete 
riconoscenza  all'Imperatore  e  aU'eroica  Nazione  francese, 
gar^giando  di  yirtii  coi  popoli  subalpin!  ;  i  quali,  provati 
da  moite  sventure,  non  perdonarono  a  fatiche  ne  a  sacri- 
fizi  per  assecondare  Vittorio  Emanuele  nel  disegno  di  con- 
durre  a  buon  fine  la  grande  impresa.  Aiutatemi  voi  del 
consiglio  e  deiropera;  siate  uniti  e  concordi;  chè  per  vin- 
cere  i  nimici  dltalia  bisogna  vincere  le  nostre  passioni, 
levar  via  gli  sdegni,  por  giû  le  borie  municipali,  avère  in 
eima  dei  pensieri  Tindipendenza,  l'unione  e  la  grandezza 
délia  patria,  délia  quale  vogliamo  essere  liberi  cittadini.  » 

—  Aile  parole  dell'onesto  Farini  risposero  largamente 
e  sapientemente  le  opère;  perô  che  egli  siibito  prov- 
vedesse  allô  ordinamento  délia  milizia  cittadina;  accor- 
dasse liber  ta  alla  stampa;  abolisse  le  pêne  corporali  ehe 
dal  Magistrato  civile  potevansi  infliggere  (1);  rendesse  ai 
Comuni  le  franchigie  un  di  godute,  e  décrétasse  il  riapri- 
mento  delFantica  scuola  degli  ingegneri  militari,  istituita 
in  Modena  dal  grande  Napoleone,  la  quale  aveva  dato  al- 
Tesercito  italico  offlciali  illustri  nelle  scienze  belliche  (2). 

—  Questo  il  fine  délia  mala  signoria  di  Prancesco  V  d'Esté  ; 


(1)  Tra  le  pêne  che  il  Suprême  Magistrato  civile  —  la  Polizia  — 
poteva  infliggere  eravi  qnella  dei  colpi  di  verga  per  le  donne  e  i  gio- 
Tanetti  che  non  avevano  compinto  il  diciottesimo  anno  di  età  ;  e  i  colpi 
di  bastone  per  gli  nomini. 

(2)  Non  estante  il  decreto  di  Farini,  la  scuola  di  Modena  per  gli  in- 
gegneri militari  non  venne  riaperta. 


Digitized  by  VjOOQIC 


554  CAPITOLO    IX 


che,  soltanto  de*  suoi  soldati  amante  —  alla  cui  fedeltà 
aveva  fidato  se  e  il  trono  —  trattô  sempre  con  superbo 
disprezzo  tutti  gli  ordini  dei  cittadini,  tenendoli  in  coato 
di  servi,  non  di  sudditi.  Il  timoré  che,  stanchi  del  giogo 
loro  imposte,  avessero  un  giorno  a  ribellarglisi,  le  rese 
oltremodo  sospettoso,  e  lo  spinse  a  sempre  nuove  crudeltà  ; 
e  giunse  persino  ad  annuUare  pareccMe  sentenze  dei  tri- 
bunali  civili,  se  troppo  miti  :  onde  ebbe  sovente  a  rimpro- 
verare  i  giudici  delpoco  uso  che  facevano  délia  pena  di 
morte,  tanto  opportuna  e  salutare;  ciô  che  molto  onora 
la  magistratura  estense.  Sotto  la  domînazione  sua  perdet- 
tero  la  vita  sul  patibolo  giovanetti  non  ancora  diciottenni, 
per  avère  quel  principe  disumano  fatto  grazia  di  anai  a 
chi,  in  virtii  délie  leggi,  sarebbe  stato  salvo  dal  supplido 
estremo.  Persecutore  ôerissimo  di  quanti  erano  in  fama 
di  liberali,  il  Duca  giunse  persino  a  decretare  la  peaa  di 
morte  a  celui  che  avesse  osato  discutere  i  diritti  di  saa 
potestà  assoluta;  la  prigionia,  i  digiuni  e  il  bastone,  queste 
le  pêne  per  le  colpe  minori  !  Il  sue  governo  di  terrore  gli 
fruttô  la  perdita  del  trono. 

Il  Parlamento  siciliano,  poco  innanzi  il  disdirsi  délie 
tregue  con  Napoli,  decretava  lo  spartimento  deirisola  ia 
due  comandi  militari,  il  primo  componendo  con  le  pro- 
vincie  di  Palermo,  Trapani,  Girgenti  e  Caltanisetta  Taltro 
con  quelle  di  Messina,  Gatania  e  Siracusa;  quelle  da  go- 
vernarsi  da  De  Trobriand,  il  seconde  da  Mieroslawski. 
Ambizioso  di  primeggiare,  il  générale  polacco  otteneTa, 
mediante  bassi  intrighi  e  prepotenti  istanze,  d'essere  pre- 
posto  all'emulo  per  potersi  affrontare  col  nimico  al  subito 
rompersi  délia  guerra.  Sicilia,  con  piccolo  esercito,  pos- 
sedeva  due  capitani  supremi,  tra  loro  indipendentissimi  ; 
onde  non  esisteva  unità  di  comando,  indispensabile  al 
buono  andamento  d'ogni  militare  impresa  ;  obbedivano  perô 
al  Ministre  sopra  le  armi;  se  non  che  Mariano  Stabile, 
che  allora  teneva  quell'alto  officie,  era  aflTatto   ignaro  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOBOAHA,   PA&MA,   MODENA,   KAPOLI  555 

scienza  bellica!  Le  milizie  regolari,  le  quali    sotto  il  go- 
verno  di  Mieroslawski  stavansi  sul  cadere  di  marzo  rao- 
colte  in  Catania  e  nelle  provincie  a  sua  autorità  soggette, 
contayano  settemila  settecento  uomini  con  undici  artiglie- 
rie.  Presidiavano  Gatania  ire  battaglioni  di  fanti  leggeri, 
nno  di  cacciatori,  due  compagnie  di  guardie  municipali  e 
cinque  cannoni  ;  trovayansi  in  Siracusa  due  battaglioni  di 
fanti  leggeri  e  una  brigata   d'artlglieri;  tenevano  Taor- 
mina  due  battaglioni  di  volontari;  e  Augusta,  due  com- 
pagnie di  Canti  leggeri  con   una  batteria  d'artiglierie  da 
campo;  la  quale  per  colpa  di  chi  la  comandaya,  il  luogo- 
tenente  colonnello  Médina,  non  prese  parte  alla  guerra  (1). 
In  aiuto  a  queste  forze  armate  il  Goyerno   aveya  spedito 
da  Palermo  una  bella  schiera   di    soldati,   capitanata   dal 
colonnello  di  Santa  Rosalia  (2),  che  yeniva  creato  coman- 
dante  générale  délia  provincia  messinese.  Ayeyano  i  Mini- 
stri  risoluto  di  far  l'impresa  di  Messina  ;  disegno    audace 
messo  innanzi  da  Mieroslawski,  combattuto  da  molti,  ma 
da  quelli  accettato.  Fu  grayissimo  errore  lo  assaltare  con 
pocîie  e  non  ordinate  genti  una  città  yalidamente  fortifi- 
cata  e  munita  di  presidio  numeroso  ;  fu  pure  graye  errore 
del  générale  polacco  far  base  di  guerra    Catania,   le   cui 
difese  consisteyano  in  pochi  asserragliamenti,  nel    campo 
trincerato  di  Misterbianco  e  in  quattro  batterie,  ciascuna 
di  quindici  cannoni,  che  proteggeyanla    dalla  parte   del 
mare;  e  fu  non  mono  graye   errore  lo  scegliere   a  linea 
délie  militari  operazioni  la  yia  che  corre    la  marina   da 


(t)  u il  Inogotenente  colonnello  Médina  ebbe  il  merito  di  for- 

maria,  non  il  coraggio  di  comandarla  rimpetto  al  nimico.  » 

GiusvppB  La  Farina,  Bivoluziane  Siciliana,  yol.  ii,  cart.  254;  Ca- 
polago,  1850. 

(2)  Era  composta  di  dne  battaglioni  di  licenziati  dall'esercito  borbonico, 
dal  battaglione  dei  cacciatori  francesi,  da  mezzo  battaglione  di  guasta- 
tori  degli  ingegneri  militari,  da  nno  squadrone  di  cavalleria  e  da  sel 
artiglierie  da  montagna. 


Digitized  by  VjOOQIC 


556  GAPIXOLO   IX 


Gatania  airobbietto  dell*impresa;  pero  che  si  trovasse 
esposta  aile  offese  dell^armata  aapolitaaa.  —  Se  i  Siciliani 
aveyaao  deliberato  di  togliere  Messina  al  nimico,  Filangeri 
aveva  risoluto  di  insignorirsi  di  Gatania  ;  al  quale  intento, 
presidiata  Messina,  sua  base  di  guerra,  con  qnattro  mila 
soldati  muoveva  airimpresa  col  grosso  deiresercito  —  se- 
dici  mila  uomini  allo  incirca  —  composto  di  sette  reggi- 
menti  di  fanti  napolitani  e  due  di  svizzeri^  di  cinque  bat- 
taglioni  di  cacciatori,  due  reggimenti  di  cavalleria,  un 
battaglione  di  guastaton,  tre  batterie  di  artiglierie  da 
campo  e  tre  da  montagna;  esso  correva  la  via  del  litorale 
per  avvantaggiarsi  delFarmata  regia,  la  quale  contara 
diciotto  navi  a  vapore  —  frégate  e  corvette  —  tre  fré- 
gate a  yela  e  moite  barche  cannoniere.  —  11  30  marzo  di 
quell'anno  1849  Mieroslawski  e  Filangeri  avanzarono  Ton 
contra  l'altro  i  loro  campi  per  la  marina  di  Gatania  e  di 
Messina.  Gontra  questa  città  alcnne  compagnie  di  fanti 
siciliani  con  tre  cannoni,  duce  il  colonnello  Sant* Antonio, 
muovevano  da  Patti  lungo  il  litorale  per  volgersi  quindi 
a  Gastroreale,  montre  due  battaglioni  di  volontari,  guidati 
dal  colonnello  Pracanica,  procedevano  innanzi  per  impa- 
dronirsi  del  capo  Santo  Alessio  e  di  Scaletta  che  siedono 
su  la  marina  del  mar  Jonio.  Queste  schiere  di  armati  do- 
vevano  poscia  avanzarsi  da  Gastroreale  e  da  Scaletta  verso 
l'obbietto  deirimpresa,  percorrendo  i  versanti  del  monti, 
e,  per  sostenersi  a  vicenda,  assicurarsi  dei  passi  di  quelli. 
Ad  appoggiare  tali  mosse  Mieroslawski  prometteva  di  cou- 
durre  in  Taormina  cinque  battaglioni  di  fanti,  uno  squa- 
drone  di  cavalleria  e  cinque  cannoni.  Pracanica  non  potè 
compiere  gli  ordini  avuti;  avvegnachè  le  poche  sue  sol- 
datesche  fossero  state  costrette  a  indietreggiare  da  grossa 
mano  di  régi,  che  con  armi  preponderanti  dimolto  aile  sue 
da  Scaletta  erasi  avanzata  verso  capo  Santo  Alessio,  so- 
stenuta  a  sinistra  in  suo  cammino  dalle  navi  napolitane. 
le  quali  ne  avevano  seguite  le  mosse  con  soldatesche  da 
sbarco,  e  a  destra  appoggiata  da  tre  battaglioni   di   cac- 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CAKA,    PABMA,    MODENA,   NAPOLI  557 

ciatori,  percorrenti  i  monti  che  signoreggiano  la  spiaggia 
ionica.  Offesi  dai  cannoni  di  una  nave  borbonioa  e  op- 
pressi  dal  numéro  soverchiaate  dei  nimici,  i  battaglioni  di 
Pracanica  e  parte  délia  gente  del  colonnello  Santa  Rosalia 
corsa  in  loro  aiato,  dovettero  cedere  il  campo  e  cacciarsi 
tra  i  monti  :  lo  che  avvenne  il  primo  aprile  di  quell'anno 
1849.  Il  di  appresso  i  régi  assaltavano  Taormina;  ma  di- 
fesa  da  scarsissimo  presidio,  dopo  brevi  ore  di  contrasto 
cadeva  in  potere  dei  nimici  ;  i  quali,  usando  la  vittoria 
giusta  i  modi  loro  consueti,  mettevano  quella  terra  a 
ruba  e  a  fuoco.  Il  générale  polacco,  appena  seppe  délia 
perdita  di  Taormina,  indietreggiô  verso  Botteghelle;  di 
poi  recossi  a  campeggiare  Piedimonte,  ove  il  raggiansero 
parte  delle  sue  genti;  quelle  di  Pracanica,  per  comando 
SQO,  portaronsi  a  Randazzo.  Se  non  che,  bene  a  ragione 
reputando  essere  quelle  posture  troppo  perlcolose  e  te- 
mendo  di  yedersi  levata  dai  Napolitani  la  ritratta  sopra 
Gatania,  siibito  si  toise  da  quei  campi,  e  corse  a  difendere 
la  sua  base  di  guerra;  ch'  egli  perô  sapeva  di  non  potervi 
fare  lunga  resistenza  allô  sforzo  dei  régi  per  essere  tutta 
aperta  e  debolmente  presidiata.  Non  estante  lo  speditis- 
simo  suo  camminare,  avendo  preso  la  via  di  Randazzo, 
Bronte  e  Adernô  —  via  che  gira  attorno  ai  piedi  deU'Etna 
—  per  agevolare  Tunirsi  a  lui  de'  suoi  che  stavano  tra  i 
monti,  non  gli  fu  date  di  condurre  a  Oatania  fuorchè  due 
battaglioni  di  fanti,  uno  squadrone  di  cavalli  e  cinque  ar- 
tiglierie  da  montagna,  nella  quale  città  entravano  il  cin- 
que aprile  (1).  Il  mattino  di  questo  stesso  giorno  la  re- 
stante parte  dell'esercito  di  Mieroslawski  —  ch'erasi  rac- 
colta  entre  Randazzo  —  muoveva  alla  volta  di  Oatania 
^tto  il  comando  di  Santa  Rosalia.  In  questo  mezzo  i  régi, 
i  quali  avevano  fatto   l'impresa  di  Taormina,    congiuntisi 


(1)  Mieroslawski  lasciava  Randazzo  la  sera  del  3  aprile,  e  yiaggiando 
^  le  poste  giogneva  a  Catania  il  mattino  del  giorno  appresso. 


Digitized  by  VjOOQIC 


558  OAPITOLO   IX 


a  quelli  messi  a  terra  dairarmata  borbonica  su  la  marioâ 
di  Riposto  —  che  insieme  sommayano  a  dodici  mila  con 
trentadue  artiglierie  —  il  5  di  quel  mese  recavansi  in 
mano  Acireale.  Al  loro  avvlcinarsi  il  battaglione  di  cac- 
ciatori  siciliani,  che  vi  stava  a  guardia,  pitraevasi  a  Ca- 
tauia  ;  la  quale  in  quel  giorno  si  vigorosamente  rispondeya 
al  fulminare  di  quattro  navi  a  vapore  napolitane  da  ri- 
mandarne  dal  combattimento  due  assai  malconcie. 

Era  sorto  da  poco  il  6  aprile,  quando  le  campane  di 
Oatania  suonavano  a  martello  per  chiamare  i  cittadlni  in 
su  l'arme  contra  i  nimici,  clie  per  la  via  di  Aci  avanza- 
yansi  a  grandi  passi  ;  i  quali,  senza  colpo  ferire,  recavansi 
in  mano  le  belle  posture  elevantisi  non  lungi  dalle  mura 
catanesi,  da  Mieroslawski  non  occupate:  fatale  inconside- 
ratezza,  che  précipité  la  royina  di  quella  città  animosa. 
Lo  strepito  délie  armi  l'ha  ayvertita,  avère  da  quella  parte 
i  régi  cominciati  gli  assalti  ;  allora  i  cittadini  corrono  aile 
difese;  e  cinque  compagnie  di  vecchi  soldati  —  i  licen- 
ziati  dairesercito  borbonico  —  seguite  da  mezza  batteria 
di  cannoni  da  campo,  insofferenti  di  indugio  —  perô  che 
gli  ordini  del  générale  tardassero  a  giugnere  —  corrono 
ad  affrontare  i  nimici,  che  con  impeto  furioso  assalgono  tra 
Battiati  e  San  Giovanni  la  Punta,  combattendolo  con  co- 
raggio  straordinario.  Oppressi  dal  numéro,  avvegnachè  i 
régi  sieno  sei  volte  tanto,  indietreggiano  verso  Battiati; 
ove,  trovati  in  ordinanza  gli  aiuti  condottivi  da  Mieros- 
lawski  —  due  battaglioni  di  fanti  e  uno  squadrone  di 
cavalli  —  voltano  nuovamente  la  faccia  ai  nimici;  allora 
la  pugna  rinnovasi  piii  féroce  di  prima,  e  per  otto  ore 
continue  e  senza  riposo  la  si  combatte.  Le  perdite  sono 
gravissime  dalla  parte  dei  Siciliani,  ma  nonliscoraggiano, 
e,  facendo  prove  di  sempre  nuovo  valore,  resistono  nello 
aspettamento  délia  schiera  di  Santa  Rosalia,  cui  il  géné- 
rale aveva  spedito  l'ordine  di  aflfrettare  sua  venuta  a  Ca- 
tania.  Svanita  la  speranza  di  quel  soccorso,  dope  aver 
visto  cadere  la  terza  parte   de'  suoi,    Mieroslawski  indie- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSGAKA,   PABMA,   MODBNA,   NAPOLI  559 

treggia  (ino  aile  mura  délia  città.  Incalzati  da  presso  dai 
Borboni,  i  Siciliani  riappiccano  audacemente  la  pugna;  ma 
affranti  dalla  fatica  e  dal  numéro  soverchiante  del  nimici 
minacciati  di  totale  eccidio,  sono  di  li  a  poco  costretti  a 
ripararsi  entre  Gatania  e  con  essi  quanti  cittadini  erano 
corsi  aile  difese.  Rotte  le  ordinanze,  la  confusione  è  in 
ogni  parte;  fulminate  dal  cannone  dei  régi,  moite  case 
sono  preda  délie  ûamme:  onde  il  générale  comanda  aile 
sue  genti,  abbiano  a  raccogllersi  sollecite  nel  trince- 
rone;  le  quali  vi  si  recano  a  drappelli;  ma  non  trovan- 
dovi  chi  le  rannodi  e  le  riordini,  siibito  ne  escono  —  po- 
chissime  eccettuate  —  e  pigliano  la  via  di  Palermo.  AUora 
i  Napolitani  per  la  porta  di  Aci  invadono  Gatania;  ma 
dopo  brève  avanzare  veggonsi  impedito  il  passe  dal  popolo 
e  dal  battaglione  di  fanti  leggeri,  in  quel  mezzo  rientrato 
in  città  dopo  essersi  tutto  il  giorno  sostenuto  a  Lognina 
contra  l'armata  borbonica,  la  quale  co'suoi  grossie  nume- 
rosi  cannoni  aveva  distrutto  le  batterie,  che  difendevano 
Catania  dalla  parte  del  mare,  e  distrutto  pure  il  trince- 
ramento  di  Lognina.  Assaliti  gagliardamente  di  fronte  e 
aile  spalle,  i  Napolitani  cedono  il  campo  e  sono  ributtati 
fuor  délia  porta  ;  furiosamente  perseguiti,  indietreggiano 
fin  quasi  al  piano  di  Gioeni  lasciando  due  cannoni  in  po- 
tere  dei  Siciliani.  Anche  dalla  via  di  San  Giovanni  i  régi 
vengono  aspramente  respinti  da  picciola  schiera  di  solda- 
tesche  sicule.  Se  tutte  le  genti  di  Mieroslawski  si  fossero 
trovate  in  quel  momento  raccolte  attorno  a  Gatania;  se 
in  queU'ora,  che  favorevolissima  correva  aile  armi  sici- 
liane,  Santa  Rosalia  fosse  caduto  sul  fiance  destro  delFe- 
sercito  napolitano,  questo  sarebbe  stato  rotto  e  cacciato  in 
mare.  Ma  Santa  Rosalia  —  il  quale,  per  avère  indovinati 
i  disegni  dei  nimici,  levato  il  campo  da  Randazzo  erasi 
poste  per  via  il  5,  giorno  innanzi  a  quelle  fissatogli  dal 
générale  —  non  potè  giugnere  perô  in  tempo  a  salvare  Ga- 
tania. Ricevuto  al  suo  arrivare  in  Adernô  —  e  fu  nella 
sera  del  5  stesso  —  l'ordine  di  Mieroslawski  di  scendere 


Digitized  by  VjOOQIC 


560  OAPiTOLO  rz 


soUecito  sopra  Gravina  contra  i  régi,  accordate  poche  ore 
di  riposo  ai  soldati,  che  in  quel  di  ayeyano  percorso  Yen- 
tiquattro  miglia,  si  rimise  in  cammino,  e  per  Belpasso  e 
Gamporotondo  venuto  in  sul  cadere  del  6  aprile  a  Maia- 
cusia  vi  pose  il  campo.  AU*albeggiare  del  ^orno  appresso 
prese  la  via  di  Gravina;  ma  giunto  a  brève   distanza  da 
questa  terra,   avvisato  deî  tristi   casi  sortiti  a    Gatania 
volse  i  passi   al  trincerone.  I  Borboni,  i  quali,    dopo    es- 
sersi  sui  piani  di  Gioeni  rifatti  e  afforzati  d*altre  armi,  in 
sul  cadere  délia  notte  erano  tornati  agli  assalti,  superate 
le  porte  délia  città,  nuovamente  vi  entravano  conquistan- 
dola  palmo  a  palmo,   perô  che   il  popolo   e   i    pochi  sol- 
dati  rimastivi  loro  la  contendessero  combattendo   sino  al 
mattino  del  7  aprile.   Santa  Rosalia,  non  avendo  trovato 
nel  campo  di  Misterbianco  Mieroslawski  con  le  sue  genti, 
recossi  a  Paternô,  su  la  via   di  Palermo,  contra  il  desi- 
derio  de'  suoi,  i  quali  avrebbero   amato    scendere    sopra 
Gatania  per  tentarne  la  impresa  ;  ma  il  générale  polaceo, 
ferito  nelle   ultime  difese  délia  città,  erasi  recato  a  Pa- 
lermo, e  il  suo  picclolo  esercito  a  Gastrogiovanni,  ove  spe- 
rava  far  buona  resistenza  ai  nimici,  se  vi  si  fossero  portati 
ad  assalirlo,  Gatania  non  sarebbe  venuta  in   potere  dei 
Borboni,  o  avrebbe  certamente  a  questi    potuto    résistera 
piu  a  lungo,  se  Mieroslawski  fosse  stato  capitano  esperto> 
diligente,  operoso;  egli  possedeva  il  coraggio  del  soldato, 
non  le  virtii  d'un  capo  d'esercitoc  Grave  errore  commise 
il  Governo  nel  porre  la  somma  délia  guerra  in  chi  non 
conosceva  a  pieno;  ebbe  pur  torto  il  générale  polacco  di 
assumere  [quel  carico,  che   ingegno  bastevole  non   avea 
per  conlpierne  gli  obblighi,  difflcili  sempre,   più   difiScili 
poi  nelle  condizioni  in  cui  allora  trovavasi  la  Sicilia  Po- 
che e  maie  esperimentate  aile  armi  erano  le  milizie  del- 
risola  rimpetto   aile    napolitane;   pure,   se   Mieroslawski 
avesse  saputo  combattere  i  nimici  con  tutto  lo  sforzo  délie 
sue  genti;  se,  piii  prudente  e  accorto,  avesse    in  sua  ri- 
tratta  da  Taormina  su  la  base  délia  guerra  difeso  le  mi- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSGANA,   FABMA,   MODENA,   NAPOLI  561 

litari  posture,  che  stanno  dinnanzi  a  Gatania,  buona  for- 
tuna  sarebbe  toccata  aile  sue  armi,  valorosissime  e  piene 
d*entusiasmo.  Ma,  avendole  tenute  sempre  sparse,  egli  non 
potè  presentare  una  giornata  al  nimico,  dinnanzi  al  quale 
non  condnsse  mai  più  di  tre  battaglioni. 

Corne  a  Messina,  cosi  a  Gatania  i  Napolitani  e  chi  li 
capitanava  —  il  générale  Pilangeri,  principe  di  Satriano 
—  mostraronsi  in  tutto  degni  del  re  Ferdinando.  Non 
pagki  d'aver  mandate  la  città  a  ferro,  a  fuoco  e  a  ruba, 
essi  commisero  atti  di  taie  dissolutezza  e  tanta  ferocia, 
che  il  capitano  inglese  Key  ebbe  ad  affermare  :  le  età  più 
barbare  e  le  nazioni  più  selvagge  non  offrire  esempi  cosi 
orribiii  e  ributtanti.  Egli  scrisse  a  Filangeri  :  non  essersi 
»wi  vedute  simili  scène  in  una  terra  senza  fortificazioniy 
senza  difese;  appellarsi  alla  sua  umanità!  Vana  pre- 
ghiera,  inutile  appelle!  ai  venduti  alla  tirannide  Yumanità 
è  virtù  sconosciuta.  Il  principe  di  Satriano  non  frenô  il 
saccheggio,  non  fece  cessare  Topera  di  distruzione;  che 
anzi  quelle  e  questa  continuarono  vandalicamente  sotto 
gli  occhi  degli  offlciali  napolitani,  indifferenti  a  tanto 
strazio  e  a  tanta  rovina:  testimoni  di  ciô  furono  gli  In- 
«lesi  délia  nave  il  Bulldog. 

L'eroica  resistenza  di  Gatania  non  fu  imitata  da  Siracusa  ; 
îuella  cadde  con  onore,  questa  con  vituperio  per  gli  in- 
^righi  di  alcuni  cittadini  di  parte  borbonica  ;  i  quali,  teste 
cbe  seppero  avère  i  régi  espugnata  Gatania,  fecersi  a 
Picordare  ai  Siracusani  le  stragi,  i  saccheggi  e  gli  incendi 
^i  Messina,  e  i  recenti  atti  di  eflferatezza  compiuti  dal  ni- 
^ico  nello  impadronirsi  di  quella  terra,  che  aveva  osato 
resistergli;  in  oltre  dissero  loro  essere  impossibile  resistere 
^ll'esercito  napolitano  potente  per  numéro  d'uomini  e  per 
^ïûi,  e  per  essere  debolissime  le  difese  délia  città  e  scarso 
"  presidio  :  onde  gli  animi  di  tutti  riempironsi  di  tanto 
'^rrore,  che  popolo  e  soldati  —  i  quali  poco  innanzi  ave- 
^ano  giurato  di  combattere  sine  allô  estremo  —  allô  scopo 

^  -  Vol.  n.  MiBiiin  -  Storia  pol.  «  mU. 


Digitized  by  VjOOQIC 


662  CAPITOLO   IX 


di  risparmiare  inutile  spargimento  di  sangue  chiesero  di 
rendere  la  terra  alla  chiamata  dei  régi.  E  questi  la  fecerc 
e  Tottennero,  e  seaza  colpo  ferire  entrarono  in  Siracuâa 
nel  momento  in  cui  ne  usciva  il  presidio,  serbato8i  in  fede 
alla  patria,  per  recarsi  al  campo  di  Gastrogiovanni  ;  vers-j 
il  qnale  erasi  pur  diretto  quello  d'Augusta  —  due  com- 
pagnie di  fanti  —  che  aU'avricinarsi  dei  Borboni  avevanû 
lasciato  la  città.  AU'udire  i  tristi  casi  di  Gatania  e  la 
brutta  dedizione  di  Siracusa,  molti  tra  i  piii  noteToli  di 
Palermo  caddero  in  taie  abbattimento  d'animo,  che,  dispe- 
rando  ornai  délia  libertà  e  délia  indipendenza,  per  togliere 
la  metropoli  e  le  altre  terre  deirisola  al  ferro,  al  fuoco  e 
aile  brutalità  délie  soldatesche  napolitane,  mostraronsi  in- 
clinare  agli  accordi  col  nimico  e  fecero  intendere  parok 
di  pace.  Ma  il  popolo,  magnanime  sempre,  piii  grande  nel- 
Tora  dei  pericolo  e  quando  il  tradimento  minaccia  di 
danni  la  patria,  alzatosi  animoso  gridô  :  voler  piuttosto  în 
morte  che  i  Borboni;  generoso  proposito  che  doveva  essere 
combattuto  e  vinto  con  le  arti  di  Giuda  dai  partigiani  de! 
Re.  I  quali,  con  lo  accettare  i  buoni  offici  di  Baudio,  am- 
miraglio  francese,  per  lo  accomodamento  delli  affari  di 
SiciUOy  forzavano  i  Ministri  a  rinunziare  al  loro  officia 
<«  Noi  eravamo  Ministri  per  fare  la  guerra,  diceva  il  prin- 
cipe di  Butera  il  14  aprile  aU'Assemblea  dei  Deputati 
sebbene  le  condizioni  non  sieno  state  felici  per  noi,  la  sola 
cosa  cbe  avremmo  potuto  fare  sarebbe  stata  di  riferirla 

alla  Oamera >  E   il   Ministre   sopra  le  armi,   Mariano 

Stabile,  cosi  parlava:  «  A  quelli  che  ci  lessero  la  lettera 
con  la  quale  ci  si  offrira  la  mediazione,  abbiamo  soggiunto 
che,  accettandosi  questa,  i  mediatori  arrebbero  a  trattare 
con  altre  persone.  »  In  fatto,  accolta  la  interrenzione  di 
Francia,  ai  Ministri  rinunziatori  succedevano  i  baroni 
Orasso  e  Ganalotti  e  Salvatore  Vigo,  uomini  prontiâsimi 
a  ricevere  le  condizioni,  anche  le  più  umîlianti,  che  il  re 
Ferdinando  sarebbesi  compiaciuto  di  imporre  alla  Sicilia. 
Essi  presero  da  soli  a  reggere  la  cosa  pubblica,  non  essendo 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABHAy    HODBNA,   NAPOLI  563 

stato  possibile  trovare  altri  che  yolessero  associarsi  a 
Orasso  e  a  Canalotti,  troppo  sfacciatamente  favoreggiatori 
del  Borbone,  e  a  Vigo,  cittadino  bensi  onesto,  ma  di  natura 
timido,  6  di  carattere  debole.  Soccorrevanli  di  consiglio  il 
barone  Riso  e  il  marchese  Spaccaforno;  il  primo,  per  li 
interessi  suoi  particolari,  «  avvegnachè,  corne  scrisse  La 
Farina  (1),  vedendo  pericolare  le  sorti  délia  rivoluzione, 
altra  cura  e  altro  intento  non  avesse  che  salvare  se  e  il 
danaro  oflferto  alla  Sicilia,  quando  offrirlo  era  gloria  e  yan- 
taggio  sicuro;  »  e  il  secondo,  per  ambizione  congiurava  in 
favore  del  Re;  e  i  cittadini  suoi,  reputandolo  uomo  onesto, 
creavanlo  Pretore  di  Palermo.  —  Prima  che  venisse  posta 
innanzi  la  mediazione  di  Francia,  lo  atteggiarsi  minaccioso 
dei  Palermitani  —  i  quali,  non  volendo  più  saper  di  si- 
gnoria  borbonica,  andavano  per  le  vie  gridando  ferro  e 
fuoco  —  avevano  costretto  i  Mlnistri  a  prowedere  soUe- 
citi  airordinamento  délie  Guardie  nazionali  délia  valle  di 
Palermo,  che  tutte  dovevano  raccogliersi  nella  metropoli 
o  in  Termini,  e  avère  a  capitani  quegli  uomini  sopram- 
modo  segnalatisi  nella  sollevazione  del  12  gennaio  e  nei 
rivolgimenti  politici  che  la  seguirono.  I  cittadini  di  Palermo, 
veggendo  per  taie  deliberazione  il  Governo  a  preparare 
nuova  resistenza  e  la  guerra  di  popolo,  e  affldare  a  questo 
le  armi  salvatrici  délia  patria,  pieni  di  speranze  per  lo 
awenire,  si  quietarono;  aller  a  i  timidi  presero  coraggio; 
gli  abbattuti,  forza  e  lena  per  operare  ;  negli  animosi  crebbe 
Tardire;  in  tutti  poi,  Talacrità  del  fare.  Allô  invite  dei 
supremi  reggitori,  nelle  campagne  e.  sui  monti  numerosi 
ievavansi  in  su  l'arme  i  Siciliani;  ma  vedevansi  poscia 
dalle  Guardie  nazionali  di  Palermo  impedito  lo  entrare 
nella  città,  nella  quale  dovevano  ordinarsi  per  la  sua  di- 
fesa.  Ingannate  o  sedotte  dai  loro  capi,  segnatamente  dal 
barone  Riso,  le  Guardie  nazionali  erano  divenute  strumento 


(1)  BtvoZun'one  Sidliana,  vol.  u,  cart.  290;  Oapolago,  1860. 


Digitized  by  VjOOQIC 


564  GAPITOLO    IX 


délia  tirannîde  borbonica  prima  che  questa  venisse  restan- 
rata  neirisola.  Esse,  allô  scopo  di  condurre  il  popolo  alla 
loro  parte,  spargevano  per  la  città  le  più  impudenti  men- 
zogne;  chiamavano  traditori  i  Ministri  passati,  al  cui  go- 
verno  attribuivano  il  deplorevole  stato  délia  Sicilia;  dice- 
vano,  Gatania  e  Siracusa  perdute  per  tradigione  dei  soldaii; 
affermavano  essere  ornai  impossibile  la  guerra;  se  le  armi 
siciliane  avessero  superate  le  borboniche,  non  daraturi 
sarebbero  per  essere  1  vantaggi  délia  yittoria,  perô  che 
l'Austria,  di  quoi  giorni  vincitrice  délia  Sardegna  a  No 
vara,  non  tarderebbe  a  spedire  aiuto  di  sue  genti  a  Fer- 
dinando;  ogni  spargimento  di  sangue  tornar  quindi  di 
danno,  non  di  vantaggio  alla  patria;  miglior  consiglio 
venire,  per  opéra  dei  buoni  offici  di  Francia,  a  pace  col 
Re,  il  quale,  assicuravano,  essere  pronto  a  concedere  alla 
Sicilia  onorevoli  patti.  —  I  traditori  in  fatto  esistevano, 
ma  tra  i  Deputati  e  1  Pari;  trovavansi  nelle  file  délie 
Guardie  nazionali,  che  niegavano  di  combattere  il  aimico 
già  minaccioso  soprastante  a  Palermo,  corne  asserivasi 
allora  dal  barone  Riso,  loro  sùpremo  comandante  ;  non 
vergognavansi  di  correre  con  le  arml  le  vie  délia  città, 
quasi  fosse  sotto  Timperio  délie  leggi  militari;  in  fine, 
respingevano  i  contadini  e  i  montanari  recantisi  alla 
metropoli  per  iscriversi  soldat!  sotto  le  patrie  insegne. 
Non  tutte  perô  furono  vili;  avvegnachè  se  ne  vedessero 
moltissime  svestire  quella  assisa,  la  quale,  poco  innanzi 
nobile  e  onorata,  erasi  di  quoi  giorni,  per  Topera  turpis- 
sima  di  alcuni  pochj.  yenduti  alla  tirannide,  d'immenso 
yituperio  bruttata.  —  I  Ministri,  i  quali  capitanavano  la 
parte  borbonica,  non  più  frenati  dal  Parlamento,  che  il 
17  aprile  avova  prorogato  le  sue  riunioni,  maneggiaronsi 
a  tutta  possa  allô  scopo  d'agevolare  il  ritorno  délia  signoria 
di  Ferdinando.  Non  chiesti,  mandarono  passaporti  a  quelli 
che,  godendo  il  favore  dei  popolo,  e  avendo  crédite  e  su- 
periorità  sovr'esso,  avrebbero  potuto  muoverlo  a  romore 
e  levarlo  in  su  l'arme   contra  la  loro  autorità  e  il  loro 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOANA,    PABMA,   MODENA,   KAPOLI  565 

potere.  Non  osando  licenziare  l'esepcito,  ne  dispersero  i 
soldati,  e  spedirono  lettera-circolare  ai  Comuni  deirisola 
per  sospendere  lo  invio  délie  Guardie  nazionali  a  Palermo  (1). 
Rifiutarono  di  ricevere  la  polvere  da  fuoco  e  le  armi  giunte 
in  quel  mezzo  a  Trapani,  dai  loro  antecessori  comperate 
per  la  gnerra;  in  fine,  la  legione  universitaria,  la  quale, 
duce  La  Farina,  in  sul  cadere  del  marzo  erasi  portata  aile 
stanze  di  Misilmeri,  subito  lasciate  per  recarsi  a  Gatania, 
da  prima  richiamarono,  poscia  ordinarono  a  La  Farina  di 
dare  licenza  ai  legionari  di  tornare  aile  loro  case;  i  quali, 
al  comando  del  ministre  Grosso,  rispondevano  recandosi 
a  Palermo  e  ponendovisi  a  quartiere  nel  palazzo  dell'U- 
versità. 

Correva  la  sera  del  20  aprlle,  allora  che  il  Présidente 
del  Ocverno,  Ruggero  Settimo,  chiamava  a  se  i  Ministri, 
molti  Pari  e  rappresentanti  del  popolo,  il  comandante  su- 
prême e  gli  ufflciali  piu  alti  in  grado  délie  Guardie  nazio- 
nali, e  i  capi  délie  milizie  presidianti  Palermo,  per  far 
loro  conoscere  le  concessioni  promesse  da  Ferdinando  alla 
Sicilia,  quando  spontaneamente  posasse  le  armi,  e  per  de- 
liberare  su  l'accettazione  o  il  rifiuto  di  esse.  Accordavasi 
dal  Re  ai  Siciliani  :  «  Una  costituzione  in  conformità  del- 
l'atto  di  Gaeta  del  28  febbraio;  il  flglio  primogenito,  o 
altro  principe  reale,  e  in  mancanza,  un  grande  personaggio 
l>er  Vicerè;  Guardia  nazionale  per  Palermo  con  una  legge 
che  ne  stabilirebbe  Tordinamento;  liberazione  dei   prigio- 


(1)  (<Signore.  Il  Parlamento  générale  ayendo  accettato  i  bnonioffici 
offert!  dali'anuniTaglio  Bandin  per  comporre  la  vertenza  ira  la  Sicilia 
^  il  Re  di  Napoli,  si  rende  pel  momento  non  necessaria  la  presenza 
della  Gnardia  nazionale  mobilitata  e  délie  sqnadre  che  vorrebbero  ac- 
correre  in  difesa  di  Palermo,  e  quindi  mi  rivolgo  a  lei  perché  per  ora 
&e  sospenda  la  partenza. 

Palermo,  16  aprUe  1849. 

Barone  Gbasso.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


566  CAPITOLO   IX 


nieri  siculi,  fatti  negli  awenimenti  di  Calabria»  eccetto  i 
capi,  che  manderebbersi  in  esilio  per  un  tempo  determi- 
nato;  amnistia  générale,  esclusi  perô  i  capi  e  li  autori 
délia  rivoluzione  ;  riconoscimento  del  debito  pubblico  fatto 
dal  Governo  délia  rivoluzione  »  (1).  I  più  dei  rioniti  a 
consulta,  inclinando  a  pace,  affermavano:  =  Il  popolo, 
stanco  di  rivolgimenti,  desiderare  un  governo  stabile;  le 
Guardie  nazionali  di  Palermo,  oui  principalmente  spettava 
la  difesa  délia  città,  avère  risoluto  di  non  combattere  più  ; 
le  forze  armate  essere  per  la  guerra  troppo  scarse  e  disa- 
nimate;  se  queste  volessero  continuare  le  resistenze,  toc- 
cherebbero  alla  città  le  sorti  dolorose  di  Messina  e  Gatania; 
=  conchiudevano  in  fine,  che  potevansi  accettare  le  con- 
dizioni  offerte  dal  Re,  perché  onorevoli.  —  Rispondevano 
loro  gli  ofBciali  dell'esercito  in  questi  termini:  =  I  sol- 
daki  essere  desiderosi  di  far  nuove  prove  deU'armî  ;  se  le 
Guardie  nazionali  di  Palermo  rifiutavansi  di  combattere, 
la  patria  poteva  far  sicuro  fondamento  su  quelle  délie 
altre  città  deU'isola,  che  allô  invite  del  Governo  aveano 
generosamente  risposto  ;  non  dover  quindi  disperare  délia 
causa  di  Sicilia,  awegnachè  impresa  non  difficile  fosse  il 
rimetterla  in  buono  stato.  :=  Queste  generose  parole,  che 
provavano  la  falsita  délia  parte  avversa  a  libertà,  sgomen- 
tarono  i  Ministri;  i  quali,  temendo  che  i  partigiani  del 
Borbone,  per  vergogna  di  comparire  traditori  non  osas- 
sero  opporsi  al  riprendersi  délia  guerra,  rinunziarono  al 
loro  offlcio.  NuUa  fu  deliberato  in  quella  sera.  Il  dimani, 
i  più  animosi  délia  parte  libérale,  i  volenti  la  continua- 
zione  délie  resistenze  sino  allô  estremo,  raccoglievansi 
intorno  a  Ruggero  Settimo  ;  cui  La  Farina,  neiroffrire  la 
Dittatura,  proponeva  il  licenziamento  délie  Guardie  nazio- 
nali di  Palermo  e  la  chiamata   aile   armî  del    popolo  di 


(2)  Qneste  concessioni  per  la  Sicilia  erano  state  ûitte  àal  Be  ai  rap- 
presentanti  deUa  repnbblica  firancese. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSGAKA,    PABMA,   MODENA,   KAPOLI  567 

ijueâta  città  e  délie  genti  del  contado  e  dei  monti.  Il  capo 

del  Goyerno  non  accettô  tali  proposte»  nella  tema  ayessero 

a  spingere  i  Siciliani  a  combattersî  in  lotta  ciyile  :  «  lo 

sono  pronto  a  tutto,  disse  egli  a  La  Farina,  per  la  sainte 

délia  patria  ;  qnalunque  sacrificio  non  mi  è  graye  ;   quar 

lunque  periglio  non  mi  sgomenta;  ma  non  proponetemi  di 

versare  sangue  cittadino;  io  yoglio  ad  ogni  costo  eyitare 

la  guerra  ciyile.  »  Innanzi  di  abdicare  airautorità  suprema, 

egli  tentô  ancora  nna  yolta  gli  animi  délie  Guardie  nazie- 

nali  ;  ma  ayendo  troyato  moltissimi  inchinare  a  pace,  pochi 

aile  resistenze,  deposto  il  potere  suprême  nelle  mani  del 

Municipio,   il  25  aprile  —  tredici   giomi    dopo  la   prima 

riunione  del  Parlamento  siciliano  —  lasciaya  Tisola  e  ri- 

fugiavasi  a  Malta  (1).  —  Appena  il  suprême  Maestrato  délia 

città  ebbe   assunto  il  goyerno  délia  Sicilia,   unà   députa- 

zioûe  di  clnque  cittadini,  nella  notte  salita  sul  Palermo, 

nave  a  yapore  da   guerra,   recayasi  a  Gatania  presse  il 

principe  di  Satriano  a  porgergli  Vatto  di  sommessione  del 

comune  di  Palermo  ;  portaya  bandiera  parlamentaria  e  per 

guarentigia  propria  erasi  fatta  accompagnare  da  un  offl- 

ciale  francese.  Non  troyato  in  Gatania  il  générale  Filangeri 

—  il  quale  ayeya  mosso  Tesercito  yerso  la  metropoli  —  la 

deputazione    recayasi  a  Galtanisetta,  oye  il  capitano   dei 

Borboni  teaeya  il  campo;   consegnatogli  Tatto  di  cui  era 

portatrice,  e.riceyuta  da  lui  la  promessa  di  un  pieno  perdôno 

faceva  ritorno  a  Palermo.  Montre  tanta  yitupereyole  mis- 

sione  si  compiya,   la  squadra  napolitana  —  sei  frégate  a 

^ela  e  cinque  legni  a  yapore  —  il  mattino  del  26  aprile 

niluacciosa  appariya  nelle  acque  di  Palermo.   Alla  yista 

délie  nayi  nimiche  e  alla  noyella  giunta   poco  appresso 

dell'avyicinarsi  di  Filangeri  con   tutta  la  sua  potenza  a 


(l)  La  prima  rinnione  del  Parlamento  générale  di  Sicilia  ebbe  Inogo 
il  25  marzo  1848;  il  potere  suprême  venne  allora  temporaneamente 
affidato  a  Ruggero  Settimo,  chiamato  a  presiedere  al  Govemo  con  fa- 
coltà  d'eleggeme  i  Ministri. 


Digitized  by  VjOOQIC 


568  CAPITOLO   IX 


piedi  6  a  cavallo»  scoverti  gli  inganni  di  cui  era  stata 
vittima,  levossi  a  romore  gridando  morte  ai  traditori; 
côlti  da  spayento  i  membri  délia  Commissione  digoverno 
si  nascondeyano  ;  e  il  marchese  Spaccaforno  fuggiya,  cer- 
cando  salvezza  a  bordo  di  una  naye  ft*ancese.  Il  giorno 
<lopo,  il  30  aprile,  la  consulta  dei  cittadini,  raccoltasi  nel 
palazzo  del  Pretorlo,  eleggeva  il  nuoyo  Magistrato;  e  il 
popolo,  chieste  e  ottenute  le  armi ,  dayasi  a  restaurare  e  a 
munire  le  difese.  Gli  si  uaiyano  neU'opera  e  prendevano 
À  far  causa  con  esso  moite  Guardie  nazionali,  intendendo 
con  ciô  riparare,  in  parte  almeno,  al  brutto  contegno  che 
ayeyano  tenuto  nei  giorni  addietro.  Nella  nette  del  30 
:aprile  e  nel  mattino  del  primo  maggio  le  artiglierie  del  forte 
Mondello  e  di  quelli  di  Castellamare  tirayano  contra  i 
legni  napolitani,  accostatisi  alla  rada  di  Paiermo,  con  in- 
tendimento  ostile,  e  obbligayanli  ad  allontanarsene.  Nel 
inedesimo  giorno  il  barone  Riso,  che  presiedeya  alla  nuoTa 
Oommissione  di  goyerno,  coi  cittadini  Turrisi,  Raffaele, 
€angemi  e  con  un  offlciale  francese,  saliya  a  bordo  del 
Tancredi,  entrato  allora  in  porto,  per  conferire  col  luo- 
gotenente  colonnello  Nunzîante,  inviato  da  Filangeri  allô 
scopo  di  ordinare  col  Pretore  le  stanze  deU'esercito  repo 
fuora  délia  città  in  modo  da  impedire  qualsiasi  ostilità  tra 
i  soldati  e  le  popolazioni.  Ai  Deputati,  che  faceyano  cono- 
scere  la  nécessita  d'ottenere,  anzi  tutto  un  perdôno  géné- 
rale, il  parlamentario  borbonico  rispondeya:  =  Non  avère 
facoltà  d'accordarlo;  metterebbe  perô  tutta  Topera  sua  par 
lo  esaudimento  di  taie  demanda;  assicurarli,  cbe  fra  tre 
o  quattro  giorni  giugnerebbe  la  risposta,  che  auguravasi 
fayoreyole.  =  Montre  i  reggitori  di  Palermo  con  arti  in- 
gannatrici  apparecchiayansi  ad  aprire  le  porte  ai  régi,  il 
popolo  intendeva  con  somma  alacrità  alla  guerra;  e  quando 
seppe,  ayere  i  Napolitani  portato  il  campo  a  Misilmeri,  a 
mezza  giomata  dalla  città  —  e  fu  il  5  maggio  —  non  ostante 
la  promessa  del  principe  di  Satriano  di  non  affrettare  il 
movimento  delVesercito  sopra  Palermo,  allô  intento  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CANA,   PABMA,   HODSNA,    NAPOLI  569 

cancorrere  per  qitanto  fosse  in  poter  suo  alla  pacificor 
zione  di  Sicilia^  alzata  bandiera  rossa,  segnale  di  lotta  a 
tutta  oltranza,  gridô  :  gvcerra  ai  nimici,  marie  ai  traditori  ! 
Il  supremo  Maestrato  dei  cittadini,  a  rattenere  il  popolo 
dal  commettere  atti  che  potessero  mettere  a  repentaglio 
i  poco  onesti  suoi  disegni,  volgevagli  queste  parole:  «  Si  at- 
tende il  legno  a  vapore  da  Napoli  con  la  risposta.  Popolo 
generoso  mostra  al  solito  la  tua  sobrietà;  risolverai  dopo 
avère  consigliato  bene  sul  tuo  interesse.  I  tuoi  rappresen- 
tanti  non  saranno  che  Teco  délia  tua  toco.  »  Ma  il  popolo, 
non  avendo  più  fede  ne*  suoi  rappresentanti  e,  sapendo 
riposare  in  sua  mano  i  destini  délia  patria,  rispondeva  a 
queirinyito  consecrandosi  tutto  e  con  mirablle  ardore  ai 
preparamenti  di  difesa  e  d'oflTesa.  Spaventata  dal  suo  terri- 
bile  atteggiarsi,  e  veggendo  di  non  poterlo  più  signoreg- 
giare,  la  Commissione  di  governo  lasciô  Tofflcio,  eccetto 
Turrisi  e  Raffaele,  i  quali  vi  si  mantennero  saldi. 

Erano  le  due  pomeridiane  del  7  maggio,  allora  che  il 
toccare  deirarma  chiamava  cittadini  e  soldat!  a  combattere 
il  nimico;  il  quale  da*suoi  campi  di  Misilmeri  erasi  mosso 
ad  assaltare  Palermo;  e  i  Palermitani,  impazienti  di  affron- 
tarlo»  non  Tattesero  di  piè  fermo,  ma,  usciti  alla  campagna. 
glicorsero  incontro  pieni  di  entusiasmo,  gridando:  guerra^ 
guerra^  guerral  Poco  innanzi  il  cadere  del  giorno  i  Sici- 
liani  assalgono  i  régi,  ordinati  su  le  alture  di  Gibilrossa;  il 
subito  sopravvenire  délia  notte  ponendo  fine  alla  pugna,  fa 
che  di  lieve  momento  sieno  le  perdite  dei  combattenti  ;  i 
quali  raccolgonsi  sui  luoghi  occupati  innanzi  il  cominciare 
délia  zuffa;  che  il  mattino  del  dimani  si  riprende  per  durare 
senza  posa  e  fierissima  tutto  il  giorno.  Stanno  dalla  parte 
dei  Borboni  i  buoni  ordiui,  la  militare  disciplina,  armi  nu- 
merose  e  capitani  esperti  e  provati  in  guerra:  e  dalla  parte 
dei  Siciliani  sta  il  coraggio  individuale  soltanto;  eppure 
Tesito  délia  pugna  tornô  favorevole  non  a  quelli,  ma  a 
questi  ;  i  quali  avrebbero  compiutamente  debellato  il  nimico 


Digitized  by  VjOOQIC 


570  CAPITOLO   IX 


se  bene  condotti  e  se  unità  di  comando  avesse  presiedato  al 
governo  délia  giornata.  AUo  albeggiare  del  9  il  combattere 
si  riaccese  con  l'usato  furore.  Satriano,  reputando  impresa 
difficile  assai  domare  il  nimico,  che  faceva  strenuissima 
resistenza  e  andava  sempre  pib  ingroasando  per  gli  aiuti 
che  giugnevangli  dalle  terre  vicine^  raccolse  Tesercito,  il 
quale,  durante  la  notte,  erasi  allargato  sino  ai  Tîllaggi  di 
Mezzagno  e  Villabate;  poscia  tentava  gli  animi  dei  Sici- 
liani,  mettendo  fuora,  per  mezzo  del  Console  di  Francia 
«  la  spontanea  e   magnanima  determinazione  del  Re  di 
concedere  il  perdôno  a  tutti  i  reati  comuni  di  qualunque 
natura   commessi  sino  a  quel  giorno;  esclusi  perô  dalla 
sovrana  beneficenza  coloro  che   avevano   architettata  la 
rivoluzione.  >  Nuovo  inganno  e  nuova  perfidia  celavasi 
neiratto  di  Ferdinando  Borbone  ;  avvegnachè  col  tacere  in 
quel  perdôno  i  nomi  degli  architettori  dei  rivolgimenti  di 
Sicilia  egli  potesse  allora  e  sempre,  sonza  rompere  la  fede 
data,  infierire  a  suo   arbitrio  contra  i  sudditi  e  disporne 
délia  vita  e  degli  averi  a  suo  talento.  Ma  il  popolo,  indo- 
vinata  l'artifiziosa  insidia,  prosegui  la  pugna  sin  quasi  al 
cadere  del  giorno,  e  giurô  eziandio  di  riprenderla  al  di  se- 
guente,  se  i  régi  non  si  riducessero  ai  campi  tenuti  il  7 
di  quel  mese  di  maggio,  e  Filangeri  non  pubblicasse  i  nomi 
degli  esclusi  dalla  regia  generosa  amnistia.  Il  Maestrato 
suprême  di  Palermo,  che  ad  ogni  costo  voleva  metter  fine 
alla  guerra,  spediva  una  deputazione  di  cittadini  al  géné- 
rale Satriano  in  Misilmeri  per  fargli  conoscere  le  domande 
del  popolo;  e  le  appagô  subito  il  Filangeri;  il  quale,  se  non 
disperava  délia  vittoria,  la  prevedeva  perô  ancor  lontana  e 
moltosanguinosa.  Fatto  indietreggiare  Tesercito  da  Palermo, 
il  principe  di  Satriano  consegnava  ai  deputati  a  lui  spe- 
diti  dal  Municipio  un  foglio,  su  cui  stavano  scritti  i  nomi 
délie  persone  non  ammesse  al  reale  perdôno;  erano  qua- 
rantatrè.  Il  popolo,  rassicurato  dai  partigiani  del  Borbone, 
che  un  combattere  di  due  giorni  tanto  onorevolmente  so- 
stenuto  coi  nimici,  e  il  pieno  soddisfacimento  date  da  questi 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CANA,   PABMA,    MOBENA,    NAPOLI  571 

a  quanto  esso  aveva  richiesto,  facevano  salvo  l'onore  e  lo 

awenire  suo  politico,  si  quietô;   ma  dépose  le  armi  sol- 

tanto  allora  che  ottenae  libéra  la  uscita  dairisola   agit 

stranieri  e  ai  Napolitani  —  i  quali,  disertati  dalle  bandiere 

borboniche,  erano  passati  sotto  quelle  di  Sicilia  —  ed  ebbe 

promessa  dal  générale  Satriano  che  i  régi  avrebbero  pre- 

sidiato  i  forti  di  Castellamare  e  presa  stanza  fuor  di  Pa- 

lermo,  la  cui  sicurezza  interna  doTeva  affldarsi  aile  Guardie 

nazionali.  —  Il  15  maggio  1849  Tantica  bandiera  dei  Bor- 

bon.i  veniva  alzata  sui   forti  e  su  le    mura  di   Palermo; 

Sicilia  vedeva  allora  la  sua  libertà  cadere  per  opéra  di 

quei  soldati  che  un  anno  innanzi  in  Napoli  aveanla  spenta 

nel  sangue  di  tant!  cittadini.  Corne  a  Messina  e  a  Catania, 

cosi  a  Mezzagno,  a  Villabate  le  milizie  di  Ferdinando  II, 

interpreti  fedeli  délia  volontà  del  loro  padrone,  commisero 

orribili  atti  di  barbarie,  segnando  i  loro  passi  con  gli  in- 

cendi  e  le  ruberie,  e  compiendo  la  nefanda  impresa  con 

uccisioni  di  yecchi  e  di  infermi,  di  donne  e  di  fanciulli. 

Dei  quali  turpissimi  fatti  addussero  a  scusa  la  gagliarda 

resîstenza  incontrata  nello  insignorirsi  di  quei  villaggi  ; 

ma  i  régi  mandarono  a  ruba  anche  la  terra  di  Misilmeri, 

recatasi  in  mano  senza  colpo  ferire!(l).  Il  re  Ferdinando, 

riaffermata  la  propria  signoria  neU'isola  piii  col  terrore, 

che  per  virtii  di  sue  armi,  non  curandosi  délia  fede  data 

ai  Siciliani  di  un  générale  perdôno  e  délia  conservazione 

dei  loro  diritti,  prese  a  opprimere  quanti  erano  in  fama 

di  liberali  ;  per  la  quale  cosa,  non  essendovi  piii  sicurezza 

di    vita  e  libertk,   moltissimi    esularono.  I  patti,  fermati 

il  14  maggio  dal  barone  Riso  e  dal  générale  Filangeri, 

guarentivano  ai  Palermitani  la  inviolabilità  délia  loro  città 


(1)  «  Non  gingne  potenza  di  parola  ad  esprimere  il  yalore  spiegato 
dalla  nostra  soldatesca  in  respingere  le  orde  armate,  snidandole  da 
tntte  le  rôcche  e  balze  di  Mezzagno  e  di  Abate,  villaggi  che,  nel  calor 
délia  mischia,  vennero  bmciati,  facendone  eccidio.  » 

Diario  offieiale  di  Napoli  del  12  maggio  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


572  OAPITOLO    IX 


—  patto  che  Tammiraglio  Baudiii  ayea  già  messo  iananzi 
in  nome  del  Re  —  e  la  conservazione  délie  Guardie  nazio- 
nali.  Ma  cinque  giorni  dopo  il  fermarsi  della  convenzione  di 
Misilmeri,  il  principe  di  Satriano  invadeva  Palermo  con 
sue  genti,  e  dieci  giorni  appresso  licenziava  le  Guardie 
nazionali,  costringendole  a  consegnare  le  armi;  pena  la 
morte  il  disobbedire;  eppure  Filangeri,  nel  suo  manifeste 
del  22  di  quel  mese  di  maggio  ai  Siciliani,  ne  aveya  enco- 
miata  la  libertà.  Il  Governo  borbonico  peso  allora  con 
mano  di  ferro  su  quella  terra  generosa;  la  quale,  prima, 
non  solamente  in  Italia,  ma  in  Europa  tutta,  avea  alzata 
la  bandiera  della  libertà,  e  prima  eziandio  a  bandire  la 
guerra  contra  la  tirannide  ;  gli  iniquissimi  Ministri  di  Fer- 
dinando  II  diedersi  a  perseguitare  i  popoli  e  a  torturarli  in 
mille  guise.  Era  in  quelli  incessante  lo  affannarsi  per  tro- 
vare  motivi  d'imprigionare,  di  condannare;  e,  mancando 
tali  motivi,  i  tristi  satelliti  del  Borbone  li  creavano,  e  con 
le  arti  più  vili  ne  preparavano  le  occasioni.  Il  Re,  tor- 
mentato  sempre  dai  dubbi  di  nuove  cospirazioni  e  sospet- 
toso  di  tutti,  non  rare  volte  indicô  le  vittime;  e  i  giudici, 
non  troyandole  colpeyoli,  le  punirono  per  la  parte  avuta 
nella  passata  sollevazione  e  persino  per  la  intenzione  di 
congiurare  a  danno  della  monarchia:  onde  chiaro  appariva, 
essere  stata  Tamnistia  di  Ferdinando  la  più  vituperevole 
délie  insidie.  Dovunque  la  giustizla  venue,  da  chi  Tammini- 
strava,  apertamente  violata;  eppure  il  Borbone,  a  un  infelice 
che  supplicavalo  di  clemenza,  os6  rispondere  :  «  La  giustizia 
deve  seguire  il  suo  corso;  raccomandatevi  allaMadonna.  » 

Sommessa  la  Sicilia  e  paciflcata  (1)  —  in  quale  turpis- 
simo  modo  fu  or  ora  da  noi  narrato  —  il  Borbone,  temendo 


(1)  n  governo  dell'isola  fa  dato  con  pieni  poteri  al  générale  Filan- 
geri, che  Ferdinando  creô  Duca  di  Taormina  con  l'annua  rendita  di 
eessanta  mila  lire  per  avère  riassoggettata  alla  sua  antoiit  la  Sicilia 
ribelle. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABMA,    MODBNA,    NAPOLI  573 

che  la  libertà  romana  non  avesse  a  destare  nuovi  incendi 
nel  suo  reame,  a  vendicarsi  délie  vergogne  toccategli  a 
Palestrina  e  a  Velletri  (1),  davasi  a  inflerire  contra  l'as- 
sociazione  délia  Unità  Italiana^  la  quale  avéra  il  doppio 
îateato,  di  combattere  la  tirannide  e  di  riunire  le  mem- 
bra  sparse  délia  patria.  Sorta  dopo  gli  eccidi  di  Napoli 
dell'anno  innanzi  per  opéra  d*alcuni  rappresentanti  del 
popolo,  in  brève  tempo  erasi  diffusa  in  moite  parti  délia 
penisola.  Dividevasi  essa  in  Circoliy  i  cui  capi  chiamavansi 
unitari;  unitiy  i  semplici  soci;  Tobbedienza  a  chi  li  go- 
Ternava  era  assoluta  e  cieca;  tutti  giuravano  il  secreto 
délia  loro  istituzione  ;  al  traditore  davasi  la  morte,  la  quale 
pena  potevasi  mandare  a  effetto  da  qualunque  dei  soci.  11 
Magistrato  civile  di  Napoli,  venuto  in  sospetto  dell'esi- 
stenza  di  taie  associazione,  tanto  e  si  abilmente  maneg- 
giossi  da  fare  ascrivere  a  quella  alcuni  degli  sgherri  suol, 
che  dovevano,  non  solamente  denunziarne  le  opère,  ma 
eziandio  spingerla  a  moti  inconsulti:  disonesto  scopo  che 
egli  con  tali  disonestissimi  mezzi  non  tardô  a  raggiugnere. 
Le  delazioni  degli  sgherri  aveano  già  mandate  aile  prigioni 
alcuni  membri  dell'associazione,  allora  che  lo  accendersi 
di  poca  polvere  (2)  forni  Toccasione  a  quel  Magistrato  di 
imprigionarne  degli  altri.  Il  processo  di  questi  infelici  fu, 
oltre  ogni  dire,  inique  quanto  i  giudici  eletti  a  comporre 
il  tribunale,  i  quali,  violando  ogni  principio  di  giustizia, 
non  ostante  la  mancanza  assoluta  di  prove,  sentenziaronli 
colpevoli  di  attentato  alla  vita  del  Re  eagli  ordini  dello  Stato. 
Se  nessunodiessi  venue  mandate  al  supplizioestremo,  ebbero 
perô  tutti  a  patire  durissima  prigionia.  Il  processo  — 
lungo  e  pieno  di  strazi  morali  e  fisici  —  e  le  feroci  con- 
danne  emanate  dal  tribunale  commossero  non  solamente 
il  reame  ma  tutta  l'Europa,  e  si    fattamente  che  i  Go- 


(1)  Vedi  il  capitolo  viii. 

(2)  Fa  la  polvere  di  im  salterello  gettato  in  mezzo  al  popolo  rianito 
davanti  la  reggia  per  ricevere  la  benedizione  di  Pio  IX. 


Digitized  by  VjOOQIC 


574  OAPiToiiO  IX 


Terni  d'Inghilterra  e  di  Fraacia  vidersi  costretti  a  muo- 
vere  aspri  rimproveri  al  Re  Borbone;  il  quale,  noa  po- 
tendo  niegare  gli  atti  vituperevoli  commessi  da*  saoi 
Ministri  —  cui  perô  di  crudeità  e  d*infamia  egii  era  mae- 
stro —  scusossi  dicendo  di  nulla  sapeme;  e  allô  invito 
di  riparare  al  suo  maie  operato  Ferdinando  rispose  col 
licenziare  alcuai  dei  consiglieri  suoi,  ma  senza  restitniiv 
a  libertà  gli  innoceati,  che  gemevano  in  carcere.  E  fu 
soltanto  dopo  sofferenze  infinité  e  lunga  prigionia  ch'egli 
ruppe  ad  alcuni  di  essl  le  catene  ridonandoli  aile  loro  fa- 
miglie,  e  ad  altri  mutô  il  carcere  in  esilio  (1).  Il  mal  go- 
verno  che  il  Borbone  faceva  délia  Sîcilia,  a  lui  sot- 
tomessasi  a  patti  —  quasi  al  tempo  stesso  fermati  e 
infranti  —  induceva  a  vive  rimostranze  e  a  protesta  Tln- 
ghilterra;  =  i  Palermitani  essersi  assoggettati  alla  s%ui 
signoridj  cosi  parlava  Toratore  britanno  in  Gorte  di  Napoli 
il  16  settembre  1849,  su  la  fede  lor  data  dal  Re  di  uni- 
versale  perdôno  ;  sperar  quindi  di  non  vedere  violata  la 
reale  parola.  Avère  essi  diritto  alla  Costituzione  del  1812; 
ricordargliy  che  la  sospensione  continuata  di  taie  antic^ 


(1)  Gladstone,  nelle  sue  lettere  a  lord  Aberdeen,  svelè  a  tutta  En- 
ropa  le  iniquità  commesse  nel  processo  delL'  Unità  Italiana  dal  OoTerno 
borbonico,  che  l'onorevole  scrittore  chiamô  la  negazione  di  Dio  ereata 
in  sistema.  Per  ottenere  confessioni  dai  prigionieri  adoperaronai  da  quel 
Oovemo  le  torture,  degne  degli  autichi  tribunali  inqtùsitoTiali,  non  di 
gindici  di  nazione  dyile.  A  danno  di  quegli  infeiici  fece  testimonianza 
nna  gente  perduta,  tra  cui  un  iadro  e  un  offîciale  del  Hagistrato  cirile. 
False  deposizioni  vennero  dagli  avvocati  avrertite,  ma  non  respinte  dtl 
tribunale.  Ferdinando  Carafifa  ~  un  accusato  —  il  quale,  preso  da  spa- 
yento  alla  minaccia  délie  torture  aveya  in  carcere  sottosciitto  nna  ac- 
cusa contra  amici  suoi,  venuto  innanzi  alla  Corte  snprema  riparara  al 
mal  fatto  confessando  il  suo  torto.  «  lo  fui  sempre  uomo  d'onore  ;  prora 
di  ci6  il  trovarmi  in  questo  processo  e  prova  altresi  la  testimonianza 
d'uomini  egregL  In  mia  vita  M  non  onesto  una  sola  volta,  e  fîi  qaando 
scrissi  queUa  bngiarda  accusa.  Ai  giudici,  al  pubblico  e  agli  amici,  che 
offesi,  chiedo  perdôno  del  fallo  mio.  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


T080AKA,   7ABHA,    MODENA,   NAPOLI  675 

e  incontrastahile  diritto,  oltre  mantenere  nelVisola  un 
malcontento  dannoso  agli  interessi  comuni,  spingerébbe 
i  Siciliani  a  nuova  guerra  contra  Napolù  =  Stizzito  deilo 
inframmettersi  di  Bretagaa  in  sue  faccende,  Ferdiaando  II, 
per  mezzo  del  ministre  Fortunato  siibito  rispondeva  :  «  Tutti 
i  provvedimenti  con  saggezza  adottati  dal  principe  di  Sa- 
triano,  sin  dopo  la  sommessione  di  Palermo,  sono  stati 
sempre  dettati  da  sentimenti  di  umanità  e  dal  compiuto 
oblio  del  passato.  Nessuna  idea  di  vendetta  è  vonuta  nel- 
Tanimo  del  Governo  del  Re  in  quell'isola.  V.  E.  deve  cono- 
scere  che  fino  ad  oggi  nessuna  sentenza  di  morte  ha  avuto 
luogo  per  delitti  politici,  e  che  la  legge  non  ha  usato  rigori 
fuorcbè  verso  gli  assassinie  i  perturbatori  deU'ordine  pubbli- 
co.  Sebbene  il  Re  insista  pienamente  sul  principio  che  niun 
Governo  straniero  abbia  il  diritto  d'intervenire  neirammini- 
strazione  interna  d'un  altro  paese,  pure  io  non  posso  pri- 
varmi  del  piacere  di  far  noto  al  Governo  di  uno  Stato  amico 
e  alleato,  che  la  Sicilia  in  questo  momento  gode  di  una 
perfetta  tranquillità  ;  che  gli  abitanti  sono  lieti  d'essere 
tornati  sotto  la  protezione  del  loro  legittimo  Sovrano;  e 
che  se  alcuno  agente  esterno  non  tenta  turbare  la  pace 
che  attualmente  régna  nelVisola,  il  Re  è  sicuro  che  tutti 
i  suoi  sudditi  saranno  uniti  in  un  legame  indissolubile  di 
affetto  e  fedeltà  al  loro  Sovrano  legittimo.  >  —  Con  quanta 
saviezza  e  moderazione  il  principe  di  Satriano  reggesse 
la  Sicilia  e  corne  egli  avesse  rispettato  i  patti  délia  con- 
venzione  di  Misilmeri  e  il  perdôno  promesse  a  quelli  che 
avevano  preso  parte  ai  moti  dell'isola,  il  dicemmo  piii  so- 
pra.  Le  parole  del  Ministre  borbonico  erano  quindi  bu- 
giarde;  e  la  perfetta  tranquillità,  nella  quale,  come  fran- 
camente  asseriva,  trovavansi  di  quoi  giorni  i  Siciliani^ 
non  provava  il  loro  contente  d'essere  rieduti  sotto  la  si- 
gnoria  borbonica;  ma  era  un  morale  abbattimente,  con- 
seguenza  délie  passate  sventure,  dei  dolori  e  délie  per- 
secuzioni  che  tuttavia  soffrivano.  In  fatto,  appena  gli  iso- 
lani  riavuti  gli  spiriti  d'un  tempo,  si  rialzarone,  ripresere 


Digitized  by  VjOOQIC 


576  CAPITOLO   IX 


a  tentare  novità:  ciô  che  accadde  in  Palermo  in  sul  co- 
mînciamento  del  1850.  Il  Governo,  pigliando  pretesto  da 
quel  moto  popolare  —  che  combattuto  in  sul  suo  nascere 
facilmente  fu  vinto  —  diedesi  di  bel  nuovo  a  perseguitare 
e  imprjgionare  i  cittadini  più  onorevoli;  e  il  Re  colse  sol- 
lecito  quell'occasione,  tanto  favorevole,  quanto  desiderata, 
per  togliere  ai  popoli  suoi  lo  Statuto,  e  senza  darsi  pen- 
siepo  del  giuramento  dato,  tornare  il  reame  alfusato  de- 
spotico  reggimento.  Ed  egli  che  avea  abolito  il  privilégia 
del  pubblico  insegnamento,  sino  a  quei  giorni  goduto  dagli 
ecclesiastici,  fermava  allora  con  Roma  un  concordato  par 
ristabilire  i  principi  di  sua  regale  autorita,  profondameme 
scossi  dai  passati  rivolgimenti  e  avère  nel  Ponteûce  e  nel 
Glero  un  forte  sussidio  nei  tempi  di  perturbazione  e  di 
tumulto,  che  prevedeva  non  lontani.  E  Pio  IX  premiava 
Ferdinando  II  di  sua  tanta  sommessione  e  riverenza  a  lai 
e  a  Roma,  sciogliendolo  dal  legame  feudale  verso  la  Ghiesa 
e  dal  tributo  délia  chinea  dovuto  ad  essa,  contra  il  quale 
legame  e  vincolo  la  Oorte  di  Napoli  sino  da  Carlo  Borbone 
aveva  protestato  nella  festività  di  San  Pietro  (1), 


(1)  u  Usavano  i  Re  di  NapoU.....  presentare  al  Papa  in  ogni  anno  h 
chinea  —  cavallo  bianco  riccamente  bardato  —  e  settemila  dncati  d'oro. 
La  cerimonia  era  pomposa,  perciocchô  un  ambasciatore  nel  29  di  giugno, 
giomo  di  San  Pietro,  ofieriva  quel  dono  in  nome  del  Be  al  Pontefice, 
che  negli  atrii  deUa  basilica  vaticana  ricevendolo  diceva:  tsêcre  il 
eenso  a  lui  dovuto  per  diretto  dominio  sul  regno  délie  due  Sieilie.  » 

GoLLBTTA,  Storia  del  reame  di  Napoli  dal  1734  sino  al  1825,  cart  78; 
Milano,  1861. 

Una  disputa  di  precedenza  tra  i  servi  dell'ambasciatore  di  Spagna  e 
del  Govematore  di  Borna,  disputa  avvenuta  nel  1776,  indusse  Carlo 
Borbone,  Be  di  Napoli,  a  far  cessare  quelPatto  di  sua  devozùme  verso  i 
santi  Apostoli.  u  Gli  esempi,  scriveva  egli  a  Borna  nel  luglio  di  quel- 
Tanno  1776,  la  ragione,  le  riflessioni,  le  cautele,  la  umanità,  la  retti- 
tudine,  hanno  concorso  a  muovere  il  régie  animo  a  taie  deliberaâone, 
da  quell'atto  dipendendo  unicamente  la  forma  della  sovrana  volontà  e 
dall'impulso  di  sua  pietà  e  dalla  religiosa  compiaoenza.  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOBCiLNA,    PABMA,    MODENA,   XAPOLI  577 


Gli  anni,  che  dalla  sommessioûe  di  Sicilia  corsero  slno 
ailo  aprirsi  délie  conferenze  di  Parigi  nella  primavera  del 
1855,  furono  di  regQo  tranquillo  per  Ferdinando  II;  il 
quale,  sempre  irridendosi  délie  rimostranze  e  dei  consiglî 
di  Bretagna  e  Francia,  che  avrebbero  voluto  inchinevole 
a  governo  mite  e  onesto,  ostinossi  in  suo  perseguitare  la 
parte  libérale,  credendo  di  assicurare  cosi  il  trono  a  se 
e  alla  sua  casa,  e  mantenere  gli  ordini  e  la  quiète  nel 
reame.  Ma  da  quella  sicurezza  in  cui  egli  tanto  si  cullava 
lo  tolsero  il  rompersi  délia  guerra  di  Russia  contra  Tur- 
chia  per  la  quistione  d'Orienté  e  la  Lega  degli  Occidentali  ; 
e  soprammodo  turbaronlo  le  parole  di  Oavour  su  le  con- 
dizioni  politiche  dltalia  ai  rappresentanti  dei  grandi  Stati, 
siedenti  a  Parigi  in  quel  Oongresso  che  da  prima  fece  so- 
spendere  le  armi  combattenti  nella  Tauride  e  diede  poscia 
la  pace  aU'Europa  ;  e  grandemente  impensierirono  il  Bor- 
bone  le  buone  accoglienze  fatte  dagli  oratori  d'Inghilterra 
^  di  Francia  aile  proposte  del  Ministre  sardo,  su  la  néces- 
sita di  provvedere  con  sollecitudine  all'Italia,  allora  piena 
di  pericoli  per  lo  mal  governo  de'  suoi  principi,  in  ispecie 
del  Pontefice  e  del  Re  napolitano  (1),  Lord  Clarendon, 
ûello  appoggiare  le  parole  di  Oavour,  aflfermava  :  =  Essere 
necessario  occuparsi  di  Napoli.  =  Le  quali  proposte  e  af- 
fermazioni  inducevano  i  Ministri  del  Re  a  protestare  din- 
nanzi  aile  Corti  di  Vienna,  di  Parigi,  di  Londra  e  di  Pie- 
troborgo  contra  lo   inframmettersi    del   Oongresso    nelle 


(1)  Il  re  Ferdinando,  invitato  a  unirai  alla  Lega  franco-inglese  e  a 
Piendere  parte  alla  guerra  d'Orienté,  rispose  di  volerai  tenere  neutrale 
i^ella  contesa,  chiarendosi  perô  amico  aUa  Russia.  E  siccome  gli  Ita- 
liani  mostravansi  favorevoli  a  quella  Lega  e  plaudivano  alla  Sardegna 
iillora  che  mandava  a  Crimea  schiere  elettissime  di  sue  armi ,  il  Bor- 
bone,  temendo  che  in  quella  universale  commozione  degli  animi  la  parte 
libérale  avesse  a  sommuovere  il  reame,  crebbe  i  rigori  nel  governo 
^ello  Stato. 

^  —  Vol.  n.  Mabiaw  —  Storia  pcL  e  mO. 


Digitized  by  VjOOQIC 


578  CAPITOLO   IX 


faccende  interne  délia  penisola,  specialmente  dello  Stato 
di  Ferdinando  II,  loro  signore;  in  pari  tempo  accusavano 
la  Sardegna  di  turbare  Tltalia  con  sue  mire  ambiziose.  £ 
siccome  essi  facevano  grande  fondamento  su  TAustrla,  cosi 
al  ministre  Walewski  —  che  reputavano  il  meno  cattivo 
délia  canaglia  componente  la  Corte  e  il  Oovemo  di  Na- 
poleone  (1)  —  il  quale  avvertivali,  che  le  condizioni  in  cui 
di   quei   giorni   trovavansi  Napoli   e  Sicilia,  costitnivano 
un  serio  pericolo  per  la  tranquillità  d*Italia  e  par  la  pace 
d'Europa,  superbamente  rispondevano :   «La  clemenza  e 
generosità  usate  sempre  dal  Re  verso  i  ribelli  alla  sua  au- 
torità,  essendo  rimaste  senza  efflcacia,  egli  aveva  allora 
dovuto  servirsi  di  mezzi  severi  bensî,  ma  giusti,  per  tute- 
lare  gli  ordini  dello  Stato  e  la   quiète  de'  suoi  popoli  ;  in 
oltre,  essendo  il  loro  Signore  solo  giudice  dei  bisognî  dei 
sudditi,  egli  avrebbe  sempre  respinto  qualunque  intervento 
straniero.  >  —  Aile  parole  dei  Ministri  borbonici,  altiere  e 
fermissime,  Francia  e  Inghilterra,  non  volendo   romperla 
con  Napoli,  facevano   moderatissima  replica;  che  cioè  sa- 
rebbersi  tenute  paghe  se  il   Re   accordasse  il  perdôno  a 
chi  glielo  chiedesse.  Ma  avendo   ricevuto  dal  Borbone  un 
assoluto  diniego  e  avvertite  ch'egli  di  nuove  difese  affor- 
zava  le  coste,  Oapua  e  Gaeta;  e   che,  pretessendo  i   mali 
umori  in  quel  mezzo  destatisi  in  Sicilia,  portava  a  numéro 
i  reggimenti  dei  mercenari  svizzeri  e  riordinava  Tesercito. 
6sse  da  prima  richiamavano  da  Napoli  i  loro  ambasciatori, 
di  poi  licenziavano  quei  di  Ferdinando,  che  stavano  in  Corte 
di  Parigi  e  di  Londra.  Le   rimostranze   di   simpatia  degli 
Stati  occidentali  verso  l'Italia,  e  lo  atteggiarsi  di  essi  ostile 
al  Borbone  incoraggiarono  alcuni   Siciliani  a  tentare  no- 


(1)  n  13  maggio  1856  il  principe  Oarini  scrivea  da  Londia  ai  Mi- 
nistri di  Napoli:  u  Non  iscnserô  Walewski,  ma  egli  ô  il  meno  cattiro 
délia  canaglia  innnmerevole  che  compone  la  Corte  e  il  Gk>vemo  dei- 
rimperatore,  dalla  cui  cnpa  mente  soltanto  dipende  la  politica  deUa 
Francia.  « 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOANA,   PABMA,   MODBNA,   NAPOLI  579 

Tità  aeirisola;  i  quali,  in  numéro  di  dugento  allô  incirca, 
duce  il  barone  Francesco  Bentivegna  da  Corleone,  giovane 
audacissimo  (1),  il  22  novembre   di   quelFanno   1856  alza- 
rano  la  bandîBra  italiana  dei  tre  colori  gridando  :   Viva  la 
liber^tà,  viva  la  costUuzîone  del  1812;  e  da  Mezzojuso  cor- 
revano  a  Villafrate,  Ciminna  e  Vontimiglia  su  quel  di  Ter- 
mini,  mettendo  in  fuga  la  gente   d'arme  e  le  guardie  up- 
bane  ite  loro  incontro  per  combatterli.  La  schiera  di  Fran- 
cesco Guarneri  nella  sera  del  26  impadronissi  di  Cefalîi  e 
subito  aperse  le  prigioni  ai  condannati   politici  che  là  si 
trovavano.  Ma  l'impresa,  non  assecondata  dalle  popolazioni, 
cadde  a  vuoto;  e  i  sollevati  vennero  in  parte  dispersi,  in 
parte  fatti  prigionieri,  ira  questi  il  barone  Bentivegna  per 
tradimento  di  certo  Milone,  un  giorno  amico  suo.  Condotto 
a  Palermo,  egli  fu  da  un  tribunale  militare  condannato  al 
suppUzio  Gstremo,  cbe  sopportô  con  animo   forte  in  Mez- 
zojuso il  23  dicembre  di  quelFanno;  come  certo  Spinuzza, 
un  dei  capi  dell'impresa,  perdette  la  vita  in  Cefalù;  ai  loro 
compagni  toccarono  le  galère.  —  Pochi  giorni  dopo  il  moto 
<ii  Sicilia,  spento  in  sul   suo   nascere,  un  giovane  soldato, 
Aj^esilao  Milano,  attentava  alla  vita  di  Ferdinando,  allora  che 
sui  carapo  di  Marte  passava  in  rassegna  il  presidio  di  Na- 
poli.  Era  VS  dicembre,  giorno  délia  Immacolata  Concezione, 
Mentre  il  terzo  battaglione  dei  cacciatori  —  fanti  leggeri  — 
giugneva  dinnanzi  al  Re,  Agesilao  Milano,  uscito  dalle  flle,  con 
la  baionetta  innastata  scagliavasi  contra  il  Borbone,  il  quale 
perô  ebbe  a  patire  soltanto  una  leggera  scalfittura,  per 
avère  la  sella  sviata  da  lui   l'arma  omicida;   il  feritore 
avrebbe   rînnovato  il  colpo,  se   non   fosse   stato  gottato  a 
terra  da  un  colonnello  degli  ussari.  Tratto  davanti  al  tri- 
bunale confessô  avère  da  molto  tempo  risoluto  di  uccidere 
il  Re,  contra  al  quale,  perché  fedifrago,  nel  1848  avea  com- 


(1)  n  barone  Bentivegna   nel  1848   ave  va   siednto  nel  Parlamento 
si^îUiano. 


Digitized  by  VjOOQIC 


580  OAPITOLO   IX 


battuto  ;  dannato  nel  capo,  sopportô  coraggiosamente  la  pena 
inflittagli  (1).  Non  ostante  la  affermazione  del  tribunale 
non  essersi  trovati  complici  nelVattentato  di  AgesUao 
Milano,  pure  il  Maestrato  civile  délia   città,  sempre  in 
sospetto  di  cospirazioni  e  di  congiure,  fece   ricerche  dili- 
gentissime,  ma  tutte  invano,  per  trovarne  i  correi  :  ondi^ 
le  prigioui   riempironsi  di  nuove  vittîme.  Sgraziatamente 
confermayanlo   ne*  suoi  sospetti  il  comporsi  di  bande  ar- 
mate  nelle  Oalabrie  e  il  minacciar  che  queste  facev^ano  di 
ribellare  il  paese  tutto  contra  Tautorità  regia  ;  in  oltre,  lo 
accendersi  délie   polveri  da  guerra,  avvenuto  a  mezzo  il 
giorno  17  dicembre,  mentre  toglievansi  da  una  nave  (2), 
e  lo  scoppiare  délia  Santa  Barbara  d*una  ft*egata  a  vapor^ 
—  il  Carlo  III  (3)  —  allora  che  stava  per  trasportare  armi 
a  Palermo  ;  del  prender   fuoco   di   quelle    polveri  —  che 
molti  spense  e  moltissimi  feri  —  il  Governo  aflTermô  essere 
opéra  délia  parte  libérale,  non  del  casa.  Il  Borbone,  che 
poco  prima  avea  sdegnosamente  niegato  d'avvicinarsi  alla 
Sardegna  —  proposta  fatta  da  Cavour  a  Canofari,  oratorv 
di  Ferdinando  II  in  Corte  di  Torino  (4)  —  venuto  allora 


(1)  Agesilao  MUano  di  San  Benedetto,  terra  del  Cosentâno,  per  com- 
piere  il  disegno  tanto  meditato  erasi  scritto  neU'esercito,  nel  qnale 
comportossi  sempre  lodevolmente.  Nel  confessare  la  tentata  uccisione 
del  Re,  disse  non  aver  mai  confidato  a  nessuno  il  disegno  sno:  onde 
non  poteva  aver  complici. 

(2)  Le  polveri  dovevansi  portare  nel  magazzino  del  Holo  mtlitare, 
che  corre  dinnanzi  al  palazzo  reale. 

(3)  Lo  scoppio  avYenne  nella  notte  del  4  al  5  gennaio  1857.  Sn  la 
fregata  trovavasi  copia  grandissima  di  moschetti  e  di  mnnizioni  da 
guerra. 

(4)  Nel  novembre  del  1856  OaToar,  parlando  con  Canofari  dei  tenta- 
tivi  fîGitti  da  Lnciano  Mnrat  e  dai  partigiani  saoi  allô  scopo  di  traire 
a  loro  vantaggio  lepessinu  eondizioni  in  ehe  erasi  posto  Ferdinando  11^ 
dopo  avère  lodato  il  Be  per  avère  saputo  seiogliere  a  8uo  profitto  ial 
nodo  aasai  intricato^  soggiungeva:  «  H  vostro  Sovrano  dovrebbe  ora 
vendicarsi  degli  Stati  che  lo  hanno  annoiato,  corne  di  qnelli  che  lo 
hanno  moUemente  assistito,  e  ravricinarsi  al  Piemonte.  Dico  ci6  come 


Digitized  by  VjOOQIC 


T08CAKA,    PABMA^   MOBBNA,   NAPOLI  581 

in  gravi  timori  per  lo  abbandono  di  Fraacia  e  d'Inghil- 
terra,  cercava  i  buoni  offlci  délia  Prussia  per  rinnovare 
COQ  la  Bretagna  le  antiche  amichevoli  relazioni,  rotte  poco 
innanzi  del  superbo  suo  contegno.  Se  non  che  il  Governo 
di  Londra  chiedendogli  la  riparazione  â*lngiurie  sofierte  (1) 
e  nel  reggimento  dei  popoli  quella  moderazione,  che  in 
principi  onesti  sempre  s'accompagna  alla  giustizia,  e  non 
volendo  il  re  Ferdinando  ottemperare  ai  savi  consigU 
di  quel  Governo,  del  cui  appoggio  tanto  abbisognava,  ne 
codere  aile  sue  eque  demande,  non  fu  possibile  stabi- 
lire  il  desiderato  accorde.  Il  Borbone  vedevasi  allora  la- 
sciato  tutto  a  se  stesso,  perô  che  fondamento  veruno  egli 
potesse  fare  su  la  Russia,  la  cui  grande  lontananza  rende- 
vano  inefficace  Talleanza;  e  pochissimo  su  l'Austria,  la 
quale  non  passerebbe  il  Po  con  sue  armi  se  non  quando 
un  générale  sollevamento  minacciasse  la  Lombardia  e  le 
Venezie.  A  provvedere  alla  sicurezza  interna  del  reame, 
Ferdinando  II  accostossi  maggiormente  al  Clero,  certo  di 
trovare  in  esso  un  valide  appoggio  nelle  perturbazioni 
popolari.  A  taie  intente  fecegli  concessioni  di  somma  im- 
portanza,  tra  le  quali  ricorderemo  lo  aflfrancamento  délia 
Chiesa  dalla  potestà  civile,  la  secrêtezza  nei  processi  degli 
ecclesiastici  e  la  mutazione  délia  pena  se  richiesta  dai  ve- 
scovi;  a  questi  lo  invigilare  su  le  scuole  pubbliche  e  pri- 
mate, la  censura  preventiva (sic);  in  fine  libero  accordô  al 
Clero  il  diritto  di  raccogliersi  a  concilie  e  di  pubblicare 
i  loro  atti. 


ui'iividuo  privato.  Non  è  il  MiniBtro  degli  affari  ester!  che  parla:  Na- 
P^U  e  Piemonte  bene  nniti  darebbero  la  legge  all'Italia.  »  Nel  dicembre 
il  Hinistro  sopia  le  faccende  esteme  délie  Dne  Sicilie  scriveva  a  Ca- 
iiofari  in  nome  del  suo  Signore:  «  H  Governo  del  Re  non  demanda  di. 
Anlcinarsi  ad  alcono  Stato  ;  egli  mette  ogni  studio'per  istare  bene  con 
l^tti,  a  condizione  per6  che  nessnno  s'ingerisca  negli  affari  délia  sua 
^terna  amministrazione.  » 

(1)  In  Napoli  erano  state  messe  faora  per  le  stampe  parole  inginriose 
alVlngbilterra. 


Digitized  by  VjOOQIC 


582  CAPITOLO   IX 


la  quel  mezzo  Giuseppe  Mazzini  ordiva  nuove  cospira- 
zioni  per  soUevare  l'Italia.  Asaicurato  dagli  usciti  napoli- 
tani  che  le  Due  Sicilie  avrebbero  geiierosamente  rispo.sto 
al  suo  appelle,  egli  deliberava  di  tentare  prima  quel  reame; 
impresa  ardua  assai  e  piena  di  pericoli,  che  egli  fidava 
a  Carlo  Pisacane,  soldato  intrépide,  quanto  iatelligent^.  11 
quale,  con  veaticinque  compagni  al  pari  di  lui  audacis- 
simi,  il  25  giugno  saliva  a  borde  del  Cagliari,  legno  mer- 
catantesco  a  vapore  délia  Società  Rubattino,  meiitre  stava 
per  imprendere  Tordinario  suo  viaggio  da  Genova  a  Tu- 
nisi;  poco  lontano  dal  porto  da  sessanta  armati,  avvici- 
natisigli  sopra  barche  leggiere,  salivano  su  quello,  indi 
Pisacane  costringeva  il  comandante  del  legno  a  volgere 
la  prua  all'isola  di  Ponza.  Appena  arrivatovi  liberava<li 
prigionia  trecentoventisette  condannati  —  la  maggiore 
parte  per  crimine  di  Stato  —  e  dopo  aver  dato  loro  le 
armi,  seco  portate  da  Genova,  rientrava  sollecito  in  mare 
con  la  sua  banda,  facendo  cammino  verso  Sapri,  picciola 
terra  che  siede  sul  golfg  di  Policastro.  Pervenuto  a  quelle 
spiaggie  Pisacane  vi  scendeva  coi  suoi;  e,  gridando  vim 
alVltalia  e  alla  repubMica,  chiamavane  aU'impresa  gli 
abitatori;  ma  pochi  d'essi  fecero  eco  a  quoi  gridi,  po- 
chissimi  corsero  a  ingrossare  Tardimentosa  schiera,  la  quale 
con  armi  tanto  impari  aU'audace  impresa  osava  sfidare 
tutta  la  potenza  borbonica,  Assalita  dai  régi,  fu  forza 
gettarsi  sui  vicini  monti,  ove  credeva  potersi  difendere 
con  vantaggio  sine  al  ricevere  degli  aiuti,  che  le  Galabi  le 
non  avrebbero  tardato  a  inviarle.  Vivaraente  perseguita 
da  presse,  dovette  sostenere  nuovi  affronti;  e  il  2  luglio. 
sui  piani  di  Sanza,  toccô  piena  battitura  e  scoufitta;  molti 
di  essa  furono  uccisi  o  feriti;  tra  quelli,  il  Pisacane, 
e  tra  i  secondi,  Giovanni  Nicotera  da  Nicastro,  giovane 
di  nobile  sangue  e  intrépide  quanto  Tamico,  che  gover- 
nava  la  spedizione,  Alcuni  dei  loro,  caduti  in  potei'e  dei 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,   PABMA,   MOBENA,    NAPOLI  583 

Borboni,  vennero  subito  mandati  a  morte  (1);  la  rima- 
nentt  parte  di  quella  schiera  ando  dispersa  o  riparossi 
sul  Cagliari,  che,  fuggito  con  buona  fortuna  dai  lidi  na- 
politani,  era  ia  alto  mare  catturato  dalle  régie  frégate 
Tancredi  ed  Ettore  Fîeramosca,  le  quali  lo  trassero  a 
Napoli.  —  Questo  il  fine  délia  spedizione  di  Sapri,  che 
alla  patria  costô  tante  nobilissime  vite,  senza  che  si  av- 
yantaggiasse  la  causa  sua  e  il  principio  nazionale  (2).  la 


(1)  Carlo  Pisacane  —  figliuolo  a  Gennaro  duca  di  San  Giovanni  — 
naaceva  in  Napoli  addi  21  agosto  1818.  Compinti  gU  stadi  nel  collegio 
délia  Nunziatella  entrava  nel  corpo  degli  Ingegneri  militari.  Lasciato 
nel  febbraio  del  1847  l'esercito  borbonico,  recossi  a  Parigi;  messosi 
al  soldo  di  Francia,  militù  in  Algeria  nella  legione  estera,  allora  capi- 
tanata  dal  colonnello  Mellinet,  che  nell'aprile  1848  lasciava  per  riedere 
in  patria.  Tomato  il  reame  di  Napoli  sotto  l'antica  tirannide  del  Bor- 
lH)ne,  Carlo  Pisacane  portossi  a  Roma,  e  fa  de'  snoi  più  strenni  difen- 
sori  nel  memorando  assedio  del  1849.  Yenata  qnella  a  mauo  dei  Fran- 
cesi  assediatori,  egli  rifngiavasi  a  Londra,  ove  stringevasi  in  amicizia 
con  Giuseppe  Mazzini;  il  quale,  conosciutolo  per  nomo  arditissimo  e 
nelle  cose  délia  gnerra  bene  istratto,  fidavagli  la  difficile  impresa  di 
Napoli 

Giovanni  Nicotera  da  Nicastro  nel  1847  cospirô  e  nel  1848  combatte 
in  Calabria  contra  la  signoria  di  Ferdinando  II,  il  Re  fedifrago  ;  e  nel 
^eguente  anno,  pngnando  con  l'nsato  valore  contra  i  soldati  di  Francia 
assalitori  di  Koma,  toccô  assai  grave  ferîta  alla  giomata  del  30  aprile 
di  qaell'anno  1849  ;  esule,  non  lasciô  mai  di  agitarsi  e  d'agitare  a  bene- 
fiiio  dellltalia. 

Fq  detto  allora,  ma  non  confermato  poi,  che  Kattazzi,  Ministre  di  Sar- 
degna,  avesse  di  nascosto  appoggiato  Timpresa  di  Mazzini;  e  che,  ita  a 
ttiale,  l'abbia  di  poi  rinnegata. 

(2)  Xella  notte  che  segui  alla  fazione  di  Sanza,  combattatasi  il  primo 
i^glio,  ona  gnardia  del  campo  borbonico  rinvenlva  in  mezzo  ai  morti 
^  de'  soUevati,  il  quale  dava  segni  di  vita  :  era  Giovanni  Nicotera,  ivi 
giacente  per  tre  ferite  alla  testa  e  nna  alla  mano  destra,  e  che  per  via 
^ftl  campo  a  Sanza  ne  riceveva  un'altra  gravissima  al  ventre  da  nna  donna 
inibestialita  contra  i  briganti  che  avevano  voluto  ammazzare  lo  Re; 
6  avrebbelo  ncciso  se  la  gnardia  borbonica  non  l' avesse  difeso  daUe 
^^  di  quella  donna.  Al  generoso  guardiano  —  svelatosi  carbonaro  a 
Picotera  —  qnesti  chiedeva  sollecito  che,  sceso  al  campo  e  fatta  ricerca 


Digitized  by  VjOOQIC 


584  CAPITOLO    IX 


verità,  se  la  parte  moderata  giudicô  troppo  severameite 
il  tentative  di  Mazzini  di  levare  in  su  l'arme  al  medesimo 
tempo  Genova,  Livorno  e  il  Napolitano  con  un  pu^no  di 
gente  e  pochissime  armi,  è  perô  molto   da   censararsi  il 


d'un  uomo    basse  e  biondo  speuto   nella  pugna  —  C»rlo  Pisacane  — 
prendesse  le  carte  ch'egli  tioverebbe  certamente  in  nna  borsa  del  mono. 
E  il  guardiano  cercô  e  rinvenne  YiMmo  indicatogli,  e  prese    le  cane 
e  le  distrusse;  non  tutte  perô,  ayvegnachô  i  predoni  del  campo,  spo- 
gliato  già  Pisacane,  ne  ayessero  gettate  non  poche  al  vento,  che  le 
disperse  tra  i   caduti:  in   quelle  carte   troyavasi   la  nota  dei  contnn- 
rati.  Condotto  dinnanzi  ai  giudici  Nicotera  generosamente  accusaT.i  $é 
per  salvare  i  compagni;  interrogato,  rispoudeva:  =  Avère  conoscinto 
Carlo  Pisacane  soltanto;  Tarmi  per  l'impresa  essere  state  trovate  snl 
Cagliari,  =  Tratto  poscia  dinnanzi  al  tribunale  di  Salemo,  Nicotera 
vedeva  sul  tavolo  dei  giudici  alcune  carte  di  Pisacane  sfoggite,  couit 
dicemmo  già,  aile  ricerche  del  guardiano  carbonaro  ;  tra  quelle  un  fc*- 
glio,  sul   quale   stavano  scritti   alcuni  nomi  di   merci  e  commestibili. 
accanto  a  quel  nomi  moite  eifre;  in  queste  trovavasi  tutto  il  segreto 
délia  congiura.  Interpellato,  Nicotera  afferma  va:  =  Quel  foglio  avère 
appartenuto,  non  a  Pisacane,  ma  a  uno  dei  compagni  suoi,  che  per  ra- 
gione  dei  traffici  recavasi  in  Sardegna.  =  Più  volte  interrogato  sa  !•» 
<n/re,  fermamente  rispoudeva  :  =  Impossibile  a  spiegarle  senza  il  libr>> 
a  riscontro,  ch'egli  sape  va  posseduto  da  Pisacane.  =  Pu  allora  che  iJ 
Govemo  sardo,  richiesto  dal  borbonico,  spedi  a  Salemo  i  libri  di  Pisacane 
trovati  nella  sua  casa  in  Genova  ;  tra  quelli  Nicotera  non  seppe  rinvt- 
nire  il  l\bro  a  riscontro^  tanto  desiderato  dal  tribunale,  ma  soltanto  nu 
foglio,  sul  quale  stava  scritto  il  nome  di  De  Mata,  un  amico  di  Spa- 
venta,  un  cappellaio  di  Napoli,  che  Nicotera  salvô  asseverando:  avtrt 
Pisacane  notatone  il  nome^  per  un  cappello  comperato  in  sua  bottega  : 
De  Mata  veniva  quindi  tomato   a  libertà.  A  furia  di  ricerche  Vinten- 
dente  Ajossa  giunse  a  leggere  nelle  cifre,  già  tanto  studiate,  i  nomi 
di  molti  congiurati;  se  non  che  Nicotera,  protestando  di  non  avare  co- 
nosciuto  complici  e  quel  nomi  dicendo  inventati  per  punire  degli  inno- 
cent!, salvava  gli  amici  suoi.  Due  di  questi,  per  trarre  lui  pure  a  sainte. 
affermarono  avère  egli  sconsigliata  la  spedizione  ;  onde  Nicotera  allora 
esclamô:  :=  Mentire  essi;  s' egli  non  fosse  caduto  ferito,  non  sarebbesi 
parlato  mai  di  resa.  =  Dannato  a  morte,  Nicotera  ebbe,  per  U  buoni  offici 
d'Inghilterra,  mutata  la  pena  capitale  in  prigionia  perpétua  nelle  car- 
ceri  di  Favignana  ;  dalle  quali  usci  allora  che  Giuseppe  Garibaldi  spense 
in  Napoli  la  tirannide  borbonica. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSCANA,    PABMA,    MODBNA,    NAPOLI  585 

modo  col  quale  il  grande  agitatore  procedette  nella  dise- 
gnata  impresa.  Con  troppa  leggerezza  egli  presto  fede  aile 
parole  degli  usciti  di  Sicilia  e  di  Napoli,  che  affermavano 
essere  il  loro  paese  impaziente  di  togliersi  di  dosso  il  giogo 
borbonico  e  aspettare  con  ansia  febbrile  Tora  propizia  a 
sollevarsi  contr'esso:  onde  Mazzini,  nella  certezza  che 
picciola  favilla  basterebbe  ad  accendere  il  fuoco  in  tutta 
ritalia,  mandô  Pisacane  con  un  pugno  di  coraggiosi  a 
chiamare  in  su  l'arme  i  popoli  del  mezzogiorno  dltalia; 
il  cospiratore  genovese  non  erasi  avveduto  i  tempi  non 
correre  favorevoli  aU'irapresa.  Il  moto  di  Sicilia  del  Ben- 
tivegna,  l'attentato  d'Agesilao  Milano  e  lo  accendersi  délie 
polveri  di  due  navi  da  guerra,  confermando  i  sospetti 
concepiti  dal  Re  su  lo  agitarsi  délia  parte  libérale,  in- 
ducevano  i  suoi  Ministri  a  crescere  di  vigilanza  per  la 
sicurezza  dello  Stato.  La  Sardegna  aveva  allora  bisogno 
délia  massima  quiète  per  potere  combattere  con  vantaggio' 
la  politica  subdola  e  provocatrice  dell'Austria;  e  il  tenta- 
tive mazziniano  contra  Napoli  non  solamente  spinse  i  nimici 
suoi  a  muoverle  accusa  di  debolezza  inconciliabile  con  gli 
obblighi  verso  Taltre  nazioni  (1),  ma  eziandio  la  pose  in  lite 
col  Governo  borbonico  per  la  cattura  del  Caglîari.  Le  de- 
posizioni  di  testimoni  avendo  provato  essere  questa  avve- 
nuta  in  alto  mare,  la  Sardegna,  nel  protestare  contra  quel- 
Tatto  violatore  del  diritto  délie  genti,  domandô  a  Napoli 
la  immediata  rostituzione  del  legno  catturato  e  la  libertà 
délie  persone  prese  con  esso  (2).  Niegatole  dal  Ministri  di 
Ferdinando  il  soddisfacimento  di  sue  giuste  richieste,  la 
Sardegna  fece  rimettere  agli  Stati  amici  un  mémorandum, 
nel  quale  dimostrô,  che  quella  cattura  fatta  in  alto  mare 


(1)  NicoKBDE  BiANCHi.  //  conte  Camillo  di  Cavour,  cart.  50;  To- 
rino,  1863. 

(2)  Dei  prigionieri  del  Cagliari  due  erano  inglesi,  i  qaaU  dirige vano 
le  macchine  di  quel  legno  a  vapore.  Richiesti  dal  loro  Governo,  veni- 
vano  presto  restitiiiti  a  libertà. 


Digitized  by  VjOOQIC 


586  CAPITOLO    IX 


offendeva  i  princîpi  del  diritto  pubblico,  in  tempo  di  pace 
legittima  soltanto  contra  i  pirati,  Siccome  nel  Congresso 
di  Parigi  era  stato  sancito  il  princîpio,  che  la  bandiera 
copre  la  merce  in  pace  e  in  guerra^  cosi  Francia  e  Bre- 
tagna  dovettero  in  taie  contesa  sostonere  la  Sardegna: 
ciô  che  fecero  vigorosamente  da  prima,  debolznente  dl 
poi  :  onde  la  quistione  andô  molto  a  lungo.  Venne  perô 
risoluta  secondo  giustizia;  il  Cagliari  fu  restituito  dopo 
due  anni  dalla  sua  presa,  e  quando  il  re  Ferdiaando  era 
passato  di  vita  (1).  —  Se  per  la  cattura  del  Cagliari  eransi 
non  poco  rallentate  le  relazioni  tra  Napoli  e  Torino,  l'osti- 
narsi  del  Borbone  nel  malo  reggimento  dello  Stato  avea 
vie  piîi  raflfreddata  la  sua  amicizia  con  le  Gorti  di  Parigi  e 
di  Londra.  Fu  allora  che  la  Prussia,  temendo  la  parte 
libérale  avesse  da  quel  disaccordi  a  prendere  animo  per 
ritentare  novità,  mise  innanzi  gli  offici  suoi  aU'intento 
di  ravvicinare  Napoli  alla  Bretagna;  ma  gli  sforzi  suoi 
caddero  a  vuoto,  niegandosi  da  Ferdinando  II  il  perdôno 
ai  condannati  e  agli  usciti  politici;  ad  ottenere  il  quale 
Francia  e  Inghilterra  avevano  fatto,  presse  il  Governo 
del  Re,  le  piii  vive  istanze.  Il  Borbone,  che  voleva  sgom- 
brare  le  prigioni  per  rinchiicdervi  altre  viUimej  corne 
ebbe  poi  ad  aflfermare  lord  Palmerston  alla  Caméra  dei 
Comuni,  propose  alla  repubblica  Argentina  di  consegnarle 
i  condannati;  ma  questa,  che  assai  volontieri  avrebbeli 
ricevuti  quali  coloni  se  consenzienti  e  pienamente  liben. 
ricusô  accettarli,  quando  si  avvide  che  il  Re  intendeva 
fare  délia  repubblica  una  casa  di  pena  per  quegli  iafelici. 
—  Ferdinando  II,  trovatosi  omai  a  se  stesso  lasciato,  senza 
amici  ne  alleati,  pieno  di  timori  e  di  tutti  sospettoso,  cre- 
sceva  ogni  di  piîi  nei  rigori  e  nelle  persecuzioni;  e  quasi 
fosse  minacciato  d'armi  nimiche,  nel  1858  scriveva  nello 
esercito  un  numéro  di  soldati  maggiore  dell'usato.  —  Gor- 


(1)  Délia  quistione  del  Cagliari  riparleremo  nel  corso  di  queste  istorie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSOANA,    PABMA,    MOBBNA,    NAPOLI  587 

reva  queiranao  verso  il  suo  fine,  allora  che  le  prigioni 
dello  Stato  aprivansi  a  novantasei  condannati  per  crimini 
politici  (1),  cui  il  Re  ia  sua  grande  clemenza  aveva  com- 
mutata  la  pena  in  esilio  perpetuo  dal  reame.  Con  taie  atto 
di  grazia  sovrana  Ferdinando  II  intese  festeggiare  le  nozze 
fortunate  di  Francesco  duca  di  Calabria,  suo  primogenito, 
con  Maria  Sofia,  flgliuola  al  duca  Massimiliano  délia  casa 
di  Baviera,  e  sorella  aU'Imperatrice  d'Austria;  avveni- 
mento  questo  annunciato  ai  popoli  délie  Due  Sicilie  il 
4  gennaio  1859.  L'esilio  ai  graziati  dal  Re  venne  dai  Mi- 
nistri  cambiato  in  dolorosissima  relegazione  nell* America 
settentrionale  (2).  Su  lo  StrornbolU  scortato  dal  Fieramo- 
sca  —  che  Enrico  Brocchetti  governava  —  in  sul  cadere 
di  quel  mese  di  gennaio  giugnevano  a  Oadice;  ove  il  19 
febbraio  passavano  sul  David  Stewart,  leguo  americano 
mercatantesco  noleggiato  per  Nuova  York  dal  barone 
Brocchetti,  il  quale,  dopo  averlo  con  la  regia  fregata  con- 
dotto  al  capo  San  Vincenzo,  rifaceva  il  cammino  alla  volta 
del  reame.  Gli  esuli,  i  quali  invanamente  avevano  in  Na- 
poli  protestato  contra  la  violenza  dei  Ministri,  che  oflfen- 
deva  la  grazia  sovrana,  e  altresi  invano  protestato  in  Ca- 
dice,  quando  videro  allontanato  il  jFYeramo5ca,  tanto  fecero 
e  minacciarono  da  indurre  il  capitano  délia  nave  ameri- 
cana  a  volgere  le  antenne  alla  Irlanda;  e  dopo  quindici 
giorni  di  cammino  scesero  a  Gork,  terra  di  quell'isola.  — 
Il  27  dicembre  1858  —  in  cui  il  Re  dava  in  Oaserta  la 
grazia  ai  condannati  politici  —  allô  intente  di  tutelare 
sempre  più  in  awenire  la  tranquillità  interna  dello 
Stato  decretava:  i  tribunali  militari  suMtanei  avessero 
a  giudicare  coloro  che  venissero  côlti  neiratto  di  atten- 
tare  alla  vita  del  Sovrano  o  agli  ordini  dello  Stato  ;  il  quale 


(1)  Erano  ventisei  condannati  all'ergastolo,  settantadue  ai  ferri;  di 
questi  nltind,  dne  già  passati  di  vita.  H  decreto  della  commntazione 
délia  pena  aye»  il  Re  sottoscritto  in  Caserta  il  27  dicembre  1858. 

(2)  Ad  alconi,  per  grazia  spéciale,  fu  conceduto  di  rîmanere  in  Enropa. 


Digitized  by  VjOOQIC 


588  OAPITOLO   IX 


decreto  pubblicavasi  il  13  genuaio   deiranno   appresao   e 
quando  il  reame  trovavasi  in  festa  per    le   fauste    nozze 
dello  erede  al  trono.  —  Il  3  febbraio  1859  da  Trieste,  per 
TAdriatico  e  sopra  navi  napolitane  da  guerra,  Maria  Sofia 
di  Baviera  arrivava  a  Bari,  salutata  dal  Re,  dalla  Regina, 
dallo  sposo  e  dai  principi  venutivi  a  incontrarla.  Benedette 
daU'Arcivescovo   délia   città,  le    nozze    celebraronsi    con 
grande  pompa,  ma  le  feste  che   le   accompagnarono  non 
furono  liete;  avvegnachè  il  bando   perpétue    deî    graziati 
politici,  la  loro  relegazione  nelle  lontane  Americhe    e   lo 
editto  che  dava  ai  tribunali  militari  il  giudizio  dei  crimini 
di  Stato  avessero  imraalinconito  il  popolo;  e  la  malattia, 
che  da  tempo  consumava   Ferdinando    Borbone,   di   quei 
giorni  fattasi  piîi  torraentosa,  avesse  chiuso  Tanima  délia 
famiglia  reale  e  dei  cortigiani  alla  serenità  délia  gioia.— 
La  malattia  dei  Borbone  ogni  di   piii    aggravandosi,  deli- 
berossi  di  trasportarlo  a  Caserta.  Lasciata  Bari  il  7  marzo 
Taugusto  infermo  entrava  in  mare  a  bordo  dei    Ruggero 
—  una  fregata  da  guerra  —  e  due  giorni  dopo,  sceso  alla 
Famritdy  presse  Napoli,  senza  por  tempo  in  mezzo  per  la 
via  ferrata  recavasi  alla   sua    Caserta.  Ad  accrescere  le 
tristezze  délia  Oorte  e  ad  amareggiare  l'anima  dei  Re  — 
che  létal  morbo  andava  disfacendo  —  giugnevano   le  no- 
velle  délia  Lega  di  Francia  con  la  Sardegna  contra  l'Au- 
stria,  e  délia  guerra,  che,  già  inditta  dall'imperio  alla  ri- 
vale, era  vicinissima  a  combattersi.  Il  maie,  che  nei  primi 
giorni  dei  ritorno  di  Ferdinando  alla  prediletta  sua  reggia 
aveva  scemato  alquanto  di  intensità,  riprese  allora  violen- 
tissimo  e  si  fattamente  che  il  12  aprile  gli  si  amministrô 
il  viatico;  dal  quale  giorno  sempre  progredi  da  trarre  lo 
infermo  alla  tomba.  Il  22  maggio  Ferdinando  II  Borbone,  so- 
prannomato  il  Bombardatore,  si  spense  (1);  egli  aveacon- 


(1)  Brevi  giorni  dopo  la  morte  di  Ferdinando  di  Na^li  paasara  di 
vita  Clémente  Vinceslao  principe  di  Metternich.  In  verità  non  sapreb- 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOSGANA,   PABMA,    HOBBNA,   NAPOLl  589 

tato  cinquantanove  anni  di  vita,  ventotto  di  regno.  Prima 
di  scendere  nella  eternità  udi  il  romoreggiare  di  quella 
guerra,  che  dovea  riveadicare  il  bel  Paese  alla  libertà  da 
lui  sempre  osteggiata;  e  indovinandone  le  vittorie  consi- 
gliô  al  flgliuolo,  successore  suo,  moderazione  nel  goverao 
dei  popoli,  virtù  che  egli  aon  aveva  posseduto  mai.  I  cor- 
tigiani  piansero  allora  la  perdita  di  un  Monarca  grande 
e  pio  e  di  meritt  tanto  suMimi  da  non  potersi  celébrare 
abbastanza;  ma  tutta  Eupopa  —  cui  poco  iananzi  Glads- 
tone avealo  fatto  segno  a  giusta  esecrazione  —  rallegrossi 
di  vedere  per  quella  morte  liberato  dalla  piîi  barbara  ti- 
rannide  un  popolo  civile- 


besi  affennare  quai  dei  due  sia  stato  più  infesto  all'Italia,  se  il  fedifrago 
Borbone,  che  tante  volte  riempi  di  sangue  e  di  lutti  il  reame  suo,  o 
il  gran  cancelliere  délia  monarchia  absburghese;  il  quale,  mentre  a 
torto  chiamaya  la  patria  nostra  una  espressione  geografica,  non  vedeya, 
m  sm  molta  sapienza^  non  essere  l'Austria  che  un  neaso  politicol 


Digitized  by  VjOOQIC 


CÀPITOLOX. 

Francia   e  Orimea. 


I  Baonapartisti.  Carlo  Luigi  Napoleone  Baonaparte.  Le  officine  nazio- 
nali.  —  n  22,  23  e  24  giagno.  —  Laigi  Napoleone  ô  chiamato  daJ 
Buffiragio  nniyersale  a  presiedere  alla  repubblica.  —  Trama  di  Stato 
del  2  dicembre  1851.  I  complici  di  Baonaparte.  —  H  2  dicembre 
1852  e  rimperio.  —  Russia  e  Turchia.  Quistione  dei  Lnogbi  Santl 
—  I  primi  affronti  sul  Danubio.  Sinope  e  Citate.  —  L'armata  anglo- 
francese  nel  Baltico.  —  SolleTazione  del  Greci;  i  Francesl  al  Pireo 
e  in  Atene.  —  Anstria  e  Prnssia;  Svezia  e  Danimarca.  —  Ba- 
zardschik  e  Silistrîa;  Timperatore  Napoleone  disegna  l'impresa  di 
Orimea.  —  Bomarsond;  i  confederati  scendono  a  Ciimea;  Aima. 
Balaklava  e  Inkermann.  —  Napoleone  visita  in  Londra  la  regina 
Vittoria.  La  grande  mostra  délie  arti  e  délie  industrie  in  Parigl 
La  regina  d'Inghilterra  yisita  Timperatore  in  ParigL  —  Felke 
Orsinî  attenta  alla  vita  di  Napoleone.  —  Plombières;  il  primo 
d'anno  1859  ;  l'Imperatore  ya  con  sne  armi  in  ainto  alla  Sardegna. 


I  moti  sediziosi  del  15  maggio  1848  a  Parigi  arevano 
scoperti  i  subdoli  intrighi  dei  partigiani  d'Enrico  V,  dei 
Napoleonidi  e  loro  amici.  Ingannato  da  essi  —  che  per  inté- 
resse proprio  e  per  la  propria  ambizione  volevano  restau- 
rare  la  sovranità  regia  o  l'impériale  —  il  popolo  erasi  la- 
sciato  condurre  ad  attentare  contra  la  repubblica;  ed 
eziandio  fùorviato  da  coloro  i  quali,  pure  avendo  fede  re- 
pubblicana,  professa vano  principi,  che  non  potevano  porsi 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANOIA  E   ORIMEA  591 


in  essere,  perché  non  basati  sul  vero,  e,  diciamolo  franca- 
mente,  poco  onesti.  Inconscio  di  quel  che  faceva,  il  popolo 
avea  allora  cercato  distruggere  quanto,  a  prezzo  del  suo 
sangae  e  di  tanti  sacrifizi»  poco  innanzi  aveva  ediâcato,  ad 
abbattere  cioè  la  sovrana  sua  autorità.  Quietati  gli  animi, 
non  perô  spente  le  passioni,  sempre  minaccianti  di  allagare 
del  loro  luoco  tutta  la  Francia,  la  Gommissione  del  potere 
esecutivo  (1)  proponeva  aU'Assemblea  nazionale  di  soccor- 
rere  allltalia,  la  quale,  per  la  fuga  del  Pontefice  e  la  tradi- 
gione  di  Perdinando  di  Napoli,  volgeva  allora  in  miserrime 
condizioni.  «  Il  momento  è  venuto,  cosi  Lamartine  ai  rap- 
presentanti  délia  nazione,  d'ordinare  airesercito  délie  Alpi 
d'avanzarsi;  bisogna  salvare  Tltalia  e  rendere  la  sicurezza 
alla  Francia  con  una  àiYersione  patriottica  (sic)  oflferta  aile 
passioni  ostili.  »  Ma  siccome  lo  intervenire  armato  per  la 
indipendenza  del  bel  Passe  avrebbe  potuto  dai  regnanti  in 
Europa  interpretarsi  quale  pretesto  di  conquista,  onde 
risveglierebbersi  a  danno  délia  Francia  le  antiche  gelosie, 
sopite,  ma  non  dimenticate,  cosi  l'Assemblea  deliberava  di 
usclre  alla  guerra  contra  l'Austria,  quando  l'esercito  di 
Carlo  Alberto  fosse  stato  vinto  su  TAdige  e  sul  Mincio,  e 
elle  dairitalia  le  fosse  giunto  il  grido  d'aiuto.  Intanto  i 
Buonapartisti  tentavano  tutte  le  vie  per  ottenere  lo  scopo 
tante  desiderato,  il  corapimento  dei  loro  ardenti  voti;  e 
ricordando  le  vittorie  e  i  trionfi  del  primo  imperio,  le  cui 
anni  avevano  corsa  gloriosamente  tutta  l'Europa;  memo- 
rando  la  potenza  e  la  grandezza,  cui  il  genio  del  vincitore 
di  Marengo,  d'Austerlitz  e  di  Jena  aveva  soUevata  la  Francia, 
facevano  ogni  sforzo  per  risvegliare  nel  popolo  l'antico 
entusiasmo  per  la  famiglia  del  prigioniero  di  Sant'Elena. 
Rlmessi  in  patria  dalFAssemblea  nazionale,  i  membri  di 
quella,  mentre  protestavansi  devoti  alla  repubblica  e  pronti 


(I)  Taie  Gommissione  era  stata  eletta  il  10  maggio  dall'Assemblea 
nazionale  costituente  ;  e  componevasi  dei  cittadini  Arago,  Garnier-Pagés, 
Marie,  Lamartine  e  Ledrn-Bollin. 


Digitized  by  VjOOQIC 


592  CAPITOLO   X 


a  servirla,  cercavano  con  finissime  arti  di  fare  in  tutti  i 
parti ti  dei  proseliti  alla  loro  causa;  in  oltre,  simulando 
avère  soltanto  di  mira  la  salute  e  il  bene  délia  patria  e 
parlando  délia  possibilità  di  un  seconde  imperio,  mettevano 
innanzi  se  stessi.  Soprammodo  poi  Luigi  Napoleone,  effi- 
cacemente  secondato  da  amici  al  par  di  lui  audaci  e  intri- 
ganti,  maneggiavasi  per  avère  aderenti  neiresercito,  nel 
quale  tuttavia  mantenevasi  vivissima  la  memoria  deirerœ 
leggendario  e  di  sue  vittoriose  imprese.  In  brève  tempo  i 
segreti  raggiri  dei  Buonapartisti  mutaronsi  in  aperta  cospi- 
razione  contra  la  repubblica  ;  e  siccome  il  primo  passo  di 
Luigi  Napoleone  all'imperio  doveva  essere  l'ascendere  airof- 
ficio  di  présidente  dei  Governo,  cosi  allora  tutti  i  loro 
sforzi  si  volsero  a  conquistargli  quell'alto  carico.  I  parti- 
giani  di  Enrico  V,  degli  Orléans  e  dei  Buonaparte  e  i 
socialisti,  nello  afiaticarsi  alla  buona  riuscita  délia  loro 
causa,  pareva  si  fossero  data  la  mano  per  opprimere  la 
parte  repubblicana  —  che  sola  poteva  condurre  la  patria 
alla  grandezza  —  e  per  trarre  il  paese  a  guerra  civile. 
Assai  più  fortunato  dei  legittiraisti  e  dei  fautori  degli  Or- 
léans fu  Luigi  Napoleone;  perô  che  moltissimi,  sincera- 
mente  repubblicani,  nella  credenza  che  il  di  lui  nome 
associato  a  quelle  délia  repubblica,  darebbe  stabilità  e 
fermezza  al  governo  di  popolo,  che  allora  reggeva  la 
Francia,  avessero  preso  a  parteggiare  per  quel  principe; 
il  quale  poi  dal  canto  suo  afferraava  di  nutrire  fede  e  sea- 
timenti  repubblicani.  Posta  innanzi  la  sua  candidatura  a 
rappresentante  délia  nazione  nell'Assemblea  patria,  il  suo 
nome  venue  gridato  nei  Comizi  délia  Senna,  deirYonne, 
deU'Aube  e  délia  Charente  inferiore;  e  fu  questa  la  prima 
vittoria  di  lui,  che  pochi  mesi  appresso  ebbe  a  tenere  in 
sua  mano  la  suprema  autorità,  e  non  molto  di  poi  a  impa- 
dronirsi  dei  potere  assoluto  e  délia  impériale  dignità  in 
Francia.  Era  chiaro,  che  nella  elezione  dei  Buonaparte  non 
dovevasi  vedere  quella  di  un  semplice  rappresentante  dei 
popolo;  e  siccome  i  tentativi  di  Strasbourg  e  Boulogne 


Digitized  by  VjOOQIC 


FSANOIA   S   CBIMBA  593 


aveano  rivelate  le  mire  ambiziose  di  quel  principe,  cosi  la 
Commissione  délia  potestà  esecutivay  indovinato  il  pericolo 
che  soprastava  alla  repubblica,  vigilô  attenta  su  gli  amici 
e  i  partigiani  di  Luigi  Napoleone;  e  quando  seppe  bandire 
essi  apertamente  i  diritti  di  lui,  che  allora  mettevasi  in- 
nanzi  quale  erede  del  grande  Imperatore  e  délie  tradizioni 
imperiali,  ordinô  ai  Prefetti  dei  dipartimenti  marittimi  di 
arrestare  il  pretendente  al  suo  scendere  sul  territorio 
francese.  —  Reputiamo  necessario  spendere  alcune  parole, 
che  facciano  conoscere  Vuomo,  il  quale  tenne  per  molti 
anni  in  sua  mano  le  sorti  d'Europa. 

Luigi  Napoleone  Buonaparte  ebbe  i  natali  in  Parigi  il 
20  aprile  1808  dalla  regina  Ortensia  Beauharnais.  Luigi, 
Re  d'Olanda,  fratello  al  primo  dei  Napoleonidi  e  marito  a 
Ortensia  non  fu  il  padre  del  prigioniero  di  Ham,  awe- 
gnachè  egli  sia  nato  da  illegittimi  amori.  Nel  1816  costretto 
a  lasciare  la  Francia,  ove  i  tempi  allora  correvano  awersi 
alla  sua  famiglia,  riparossi  con  la  madré  da  prima  in  Baviera, 
di  poi  nella  Svizzera,  indl  a  Roma.  Vinta  dalle  armi  au- 
striache  la  sollevazione  délie  Romagne  nel  1831,  alla  quale 
Luigi  Napoleone  aveva  preso  parte,  recossi  a  Parigi  ;  che 
subito  lasciô  per  essergli  stato  niegato  da  Luigi  Pilippo 
d'entrare,  semplice  gregario,  neU'esercito  francese  ;  e  dopo 
aver  passato  alcuni  mesi  in  Inghilterra,  fece  ritorno  in 
Isvizzera,  ponendo  stabile  dimora  nel  castello  di  Arnenberg. 
Volontario  frequentatore  délia  scuola  militare  di  Thun, 
dedicossi  in  modo  spéciale  agli  studi  deU'artiglieria,  délia 
quale  mise  fuora  per  le  stampe  un  manuale  per  gli  ofla- 
ciali  délia  repubblica,  che  meritogli  dal  Ooverno  di  Berna 
il  gpado  di  capitano  nelle  artigllerie.  Sempre  desideroso 
<li  servire  la  Francia  come  cittadino  e  come  soldato,  e  flsso 
^^  suo  pensiero  d'abbattere  il  Ooverno  di  luglio  —  il  quale, 
giustale  sue  aflfermazioni  nelle  sue  Meditazioni  politiche  (l), 

(1)  Luigi  Napoleone  Buonaparte  pnbblicô  in  Jarizzera  le  BêverieB 
P^^itiques  nel  1882;   nell'anno  appresso,  le  Considérations  politiques 
^  -  VoL  n.  Habuxi  —  Siwria  poL  û  mO. 


Digitized  by  VjOOQIC 


584  GAPITOLO  X 


allontand  dal  suo  scopo  legittimo  la  rivoluzione  del  1830 
e  ne  tradi  la  causa  per  sostenere  il  solo  reggimento  atto 
a  porre  in  effetto  i  grandi  prindpi  del  1789  —  il  29  ot- 
tobre  1836  tentava  l'impresa  a  Strasbourg  con  lo  appoggio 
d'alcuni  amici,  ch'egli  contava  nell'esercito.  AUe  sei  del 
mattino  di  quel  giorno  il  Buonaparte  recayasi  al  quartiere 
d'Austerlitz,  ove  stanziava  un  reggimento  d'artigliert  i 
quali  salutavanlo  Imperatore;  ito  poscia  con  essi  al  quar- 
tiere Finkematt,  sede  di  un  reggimento  di  fanti,  veniva 
da  questi  arrestato,  e  dopo  alquanti  giorni  tradotto  a  Pa- 
rigi  ;  la  clemenza  di  Luigi  Filippo,  implorata  dalla  regina 
Ortensia,  esiliavalo  agli  Stati  Uniti-  Dopo  brève  soggîorno 
lasciava  l'America  per  riedere  al  suo  castello  di  Arnenberg. 
dal  quale  presto  allontanavasi  per  impedire  la  guerra  ira 
Francia  e  Svizzera;  perô  che  quella,  reputando  la 
vicinanza  del  principe  pericolosa  alla  tranquillità  sna, 
chiestone  al  Governo  délia  repubblica  la  cacciata  dal  sao 
territorio  e  ottenuto  un  diniego,  avesse  raccolto  grosso 
nerbo  di  armati  presso  i  confini  elvetici;  e  la  Svizzera,  a 
buon  diritto  altiera  di  sua  indipendenza,  alla  provocazione 
fpancese  rispondesse  inviando  ventimila  de'  siioi  aile  fron- 
tière minacciate.  —  Il  4  agosto  1840  Luigi  Buonaparte, 
Imbarcatosi  a  Londra,  muoveva  verso  Boulogne,  e  due 
giorni  appresso  con  sessanta  de'  suoi  fldi  scendeva  su  la 
marina  di  Wimereux,  a  quattro  chilometri  da  quella  citti 
A  Boulogne,  corne  a  Strasbourg,  egli  affermava  di  venîre 
non  già  ad  abbattere  un   Governo   ch'erasi   imposto   alla 


et  militairts  sur  la  Suisse;  nel  1884,  il  Manuale  d'artiglieria;  nel  ld39. 
in  Inghiltena;  le  Idées  napoléoniennes;  in  sna  prigionia  nel  castellc 
di  Ham  scrisse  i  Fragments  historiques,  pnbblicati  nel  1841;  e  nel 
1842  diede  alla  lace  la  Analyse  de  la  question  des  sucres:  nel  1843, 
il  Prqjet  de  loi  sur  le  recrutement  de  Varmée;  e  nel  1844,  la  Extinctùm 
du  paupérisme,  Dopo  la  faga  di  Ham  mise  fnora  in  Londra,  cotrendo 
il  1847,  il  primo  volume  dell'opera:  Etudes  sur  le  passé  etVacenirdt 
rartillerie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA  X   OBIMSA  595 


Francia  e  che  non  godeva  del  favor  popolare,  sibbene  a 
chiedere  per  se  l'autorità  impériale.  «  Queste  imprese,  cosi 
Gialio  Favre,  erano  criminose,  avregnachè  tendessero  a 
destare^  in  nome  di  un  uomo,  la  guerra  civile  in  un  paese 
libero  >  (1).  Portatosi  con  la  picciola   sua  schiera  a  Bou- 
logne, Napoleone  tentava  da  prima  guadaguare  alla  sua 
causa  alquante  compagnie  di  fanti,  che  la  presidiavano  (2); 
respinto,  cercava  di  impadronirsi  délia  città;  ma  tornatogli 
vano  lo  assalto,  per  essersi  le  Guardie  nazionali  chiaritesi 
a  lui  awerse,   lasciata   l'impresa,   riedeva   a   Wimereux 
per  risalire  a  sua  nave  ;  se  non  che,  essendosi  di  essa  insi- 
gnorito  il  capitano  del  porto,  il  Buonaparte  cadeva  con  sue 
genti  prigioniero.  Appena  condotto  a  Parigi,  convocavasi 
la  Corte  dei  Pari,  la  quale  condannavalo  a  prigionia  per- 
pétua nel  castello  di  Ham,  ove  veniva  portato  il  7  ottobre 
di  queiranno  1840.  La  cattivita  di  Ham  muté,  non  in  realtà, 
ma  in  apparenza,   le   opinioni  e  le  speranze  politiche  di 
Luigi  Napoleone.  Lasciati  gli  amici  e  i  complici  di  Strasbourg 
e  di  Boulogne  —  adoratori  délie   tradizioni  imperiali  — 
cerconne  altri  nella  democrazia;  egli  avea  compreso  o  simu- 
lava  di  comprendere,  che  i  tempi  d'allora  andavano  pieni  di 
idée  democratiche.  I  repubblicani,  cui  egli  orasi  accostato, 
volontieri  lo  ascrissero  alla  loro  parte,  persuasi  che  il  nome 
suo  —  il  quale,  non  estante   gli  errori   commessi  per  lo 
addietro,  godeva  tuttavia  molto  favore  nel  popolo  —  gio- 
verebbe  certamente  alla  loro  causa.  <  Sia  il  nome   del 
Buonaparte  la  bandiera  délia  repubblica,  null'altrb  fuorchè 
nna  bandiera;  se  voi  voleté  essere  di  piii,  non  fate  su  me 
fondamento  veruno;  »  cosi  aveagli   parlato  Peauger,  une 


(1)  Parole  pronnnziate  il  13  giagno  1848  nell'Aâsemblea  nazionale. 

(2)  Sia  Qon  lui  il  compagno  d'esilio  di  Napoleone  I  a  Sant'Elena,  il 
générale  di  Montholon;  il  quale  a  Boulogne  teneva  in  una  mano  una 
^Tsa  d'oro,  nell'altra  una  bottiglia  d'acquavita;  erano  queste  le  armi 
<^Q  le  quali  cercava,  non  di  vincere,  ma  di  guadagnare  i  soldati  al 
principe,  invitandoli  a  gridare:  viva  VImperatore, 


Digitized  by  VjOOQIC 


596  GAPITOLO   X 


de'capi  délia  parte  repubblicana,  venuto  a  troYarlo  al 
castello  Ai  Ham.  E  il  principe  rispondevagli  :  =  Non  essere 
in  lui  ambizione  di  persona;  desiderare  di  consecrarsi  nnî- 
camente  alla  causa  popolare.  =  Bugiarda  affermazione^ 
perô  che  di  11  a  poco  chiarisse  sua  libidine  d'imperio  nel 
discutere  con  Luigi  Blanc  su  la  parte  che  verrebbegli  as- 
segnata  nella  repubblica,  non  volendo  egli»  capo  del  potere 
esecûtivo,  sommettersi  all'autorità  dei  Gomitati  o  delFÂs- 
semblea  nazionale.  — •  Nel  febbraio  1846,  avvisato  che  i 
giorni  del  padre  suo  erano  minacciati  da  grave  malattia, 
il  principe  chiedeva  istantemente  al  Governo  di  recarsi  in 
Italia  per  assisterlo  neirora  estrema;  promettendo  riedere 
a  sua  prigionia,  appena  fosse  quegli  passato  di  yita.  Ma 
esigendosi  da  lui  parole  di  guarentigia,  ch'egli  dar  non 
voleva  per  non  mettere  a  rischio  rawenir  suo,  lasciô  che 
il  padre  morisse,  senza  il  conforte  degli  abbracci  suoi; 
l'ambizione  aveva  soflfocato  in  cuore  del   venturiero  di 

Strasbourg  e  di  Boulogne  gli  affetti  figliali! D*allora  non 

pensô  più  che  alla  fuga,  mandata,  pochi  mesi  di  poi,  feli- 
cémente  a  effetto,  con  la  sola  cooperazione  di  un  serve  e 
del  medico  Conneau  (1);  i  quali,  sebbene  avessero  già  com- 
piuto  il  tempo  di  loro  prigionia,  pure  non  avevano  voluto 
allontanarsi  dal  padrone  e  dall'amico  che  molto  amavano. 
—  Era  il  25  maggio  di  queU'anno  1846,  quando  Luigi  Na- 
poleone,  travestito  da  muratore,  fuggiva  dal  castello  di 
Ham,  e  per  la  via  del  Belgio  portavasi  a  Londra,  ove,  ap- 
pena giunto,  a  Saint-Aulair,  oratore  di  Francia  presso  il 
Governo  britannico,  scriveva  cosî  :  «  lo  vengo  a  dichiarare 
con  franchezza  airuomo  che  fu  l'amico  délia  madré  mia, 
che  nel  fuggire  di  mia  prigionia,  io  non  ho  ceduto  a  vemn 
disegno  di  rinnovare  contra  il  Governo  francese  tentativi, 


(1)  Oonnean  era  stato  da  prima  medico  d'Ortensia  Beanhamaû;  di 
poi  fd  tra  gli  amici  e  confident!  più  intimi  di  qnella  troppo  feymbile 
regina;  di  11  la  sna  amicizia  al  principe  Luigi,  figlio  di  on  altro  amante 
d'Ortensia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA   B   OBIMBA  597 


che  ci  sono  stati  assai  disastrosi,  ma  al  solo  pensiero  di 
rivedere  il  mio  vecchio  padre.  Prima  di  risolvermi  allô 
estremo  partito  délia  (ngh,  ho  esaurito  tutti  i  mezzi  di  sol- 
lecitazione  per  ottenere  la  permissione  di  recarmi  a  Fi- 
renze,  offrendo  le  guarentigie  compatibili  coa  Tonor  mio. 
Respinte  quelle,  io  feci  ciô  che  fecero  già  i  duchi  di  Guise 
e  di  Nemours,  sotto  il  reguo  di  Eurico  IV  in  circostanze 
simili.  Io  ri  prego,  o  signore,  di  far  couoscere  al  Governo 
francese  gli  iatendimenti  miei  paciâci,  e  spero  che  taie 
spoQtanea  dichiarazione  servira  ad  abbreviare  la  cattività 
degli  amici  miei  che  trovansi  ancora  in  prigione.  » 

Alla  notizia  délia  soUevazione  di  Parigi  del  febbraio  1848 
Luigi  Napoleone  recavasi  in  Francia.  Il  Governo  tem- 
poraneo,  temendo  potesse  la  sua  presenza  commuovere  o 
agitare  il  paese,  invitavalo  a  tornare  in  Inghilterra  e  a 
rimanervi  sino  a  che  la  repubblica  fosse  bene  costituita; 
ai  quale  invita  il  principe  soUecito  ottemperava.  La  sua 
elezione  a  rappresentante  del  popolo  gli  apriva  non  molto 
di  poi  le  porte  délia  Francia  ;  questo  fu  per  lui  il  primo 
passe  airimperio;  per  la  repubblica,  il  primo  verso  la 
rovina.  —  Preso  animo  da  quella  vittoria,  i  Buonapartisti 
diedersi  apertamente  a  combattere  il  Governo  e  la  Gom- 
missione  del  potere  esecuUvo,  e  fecero  ciô  con  armi  sleali 
e  in  modo  proprio  degno  délia  causa  che  sostenevano.  Pro- 
fittando  del  malcontento  délie  classi  operaie  —  dalla  man- 
canza  di  lavoro  gettate  nella  miseria  —  le  spinsero  alla 
ribellione.  II  6  giugno  a  Rennes  esse  abbattevano  Talbero 
della  liberté  ;  a  Rognonas  —  terra  délie  Bocche  del  Rodano 
—  alzavano  la  bandiera  bianca  acclamando  Enrico  Y;  nel 
%artimento  di  Vaucluse  gridavano:  Enrico  Vo  la  morte. 
n  9  giugno  i  cittadini  di  Gharleville  venivano  chiamati 
aile  armi  per  abbattere  la  nuova  tirannia  —  dai  Buona- 
partisti detta  più  infâme  e  più  ipocrita  délia  passata, 
perché  nascosta  sotto  il  vélo  délia  democrazia  —  e  per 
elevare  all'autorità  suprema  Luigi  Napoleone,  che  saluta- 
vano  Imperatore.  Ciô  parimenti  accadeva  il  10  a  Nancy. 


Digitized  by  VjOOQIC 


598  OAPITOLO  X 


A  San  Giovanni  d'Angely  essi  spargevano  scritti  sediziosi 
a  danno  délia  repubblica  e  in  favore  del  principe  pretenr 
dente;  il  15  a  Nimes  aile  grida  di  iHva  Enrico  V  i  Buo- 
napartisti  rispondevano  acclamando  Luigi  Napoleone  ;  iadi 
con  le  armi  alla  mano  portavansi  mi'nacciosi  alla  dimora 
del  Prefetto,  il  quale  a  fatica  riconducevali  alla  quîete  *  a 
Rouen  tentavano  guadagnar  con  l'oro  i  soldati  a  fayore 
deU'imperio.  Dovunque  i  nimici  alla  repubblica  sofflavano 
nel  fuoco  délie  passioni  che  in  modo  diverse  agitavanola 
Francia;  e  seminando  odio  e  predicando  la  ribellioae  chla- 
mavano  i  popoli  in  su  l'arme  contra  il  Governo.  Quali 
mezzi  adottavansi  allora  dalla  Oommissione  del  potere  ese- 
cuttvo  per  reprimere  tante  congiure?  Veggendo  impossi- 
bile  ogni  conciliazione  con  le  fazioni  —  che,  sebbene  per 
fini  diversissimi,  osteggiavano  il  nuovo  ordine  di  cose  — 
i  rappresentanti  délia  nazione  a  quella  consigliavano  d'o- 
perare  con  vigore,  audacia  e  forza;  ma  essa,  che  era  pur 
risoluta  a  difendere  la  repubblica  flno  allô  estremo,  re- 
spingeva  ogni  consiglio  violente,  deliberata  di  rispettare 
e  far  rispettate  la  lïbertày  Veguaglianza  e  la  frateUanza 
poco  innanzi  acclamate  da  tutta  la  Francia.  Per  sosteatare 
le  classi  operaie,  ridotte  in  cattive  condizioni,  causa  la 
sospensione  délie  industrie  e  dei  trafflci,  il  Governo  aveva 
istituite  délie  grandi  officine  nazionali  (1);  ma  costando 
somme  enôrmi,  ne  ottenendosi  da  esse  i  risultamenti  spe- 
rati;  in  oltre,  piii  che  a  bene  ordinare  i  lavori  dell'indu 
stria  privata  tendendo  quelle  a  disordinarli,  TAssemblea  con 
suffragio  quasi  unanime  deliberô  di  disfarle,  a  gradi  a 
gradi  perô,  inviando  gli  opérai  nei  dipartimenti,  ove  sa- 
rebbersi  subito  ripresi  i  lavori  da  darsi  loro  in  cottimo, 
non  a  giornata;  al  quale  scopo  il  Governo  ricomprerebbe 
le  strade  ferrate. 


(1)  Le  officine  nazionali  accoglievano  più  di  cento  mila  opérai;  eraao 
State  istituite  per  qnelli  che  non  avevano  lavoro. 


Digitized  by  VjOOQIC 


7BAN0IA  B   OBIMSA  599 


Era  il  22  giugno,  allora  che  numerose  schiere  d'operai 
correvano  tumultuanti  le  vie  di  Parigi  ;  i  quali,  mentre 
acclamayano  Luigi  Napoleone^  protestavano  di  non  voler 
lasciare  le  loro  officine,  nô  la  città:  i  Buonapartisti  e  i 
nimici  alla  repubblica  avevanli  mossi  a  romore  in  nome 
del  diritto  cCesistenza  (1).  Siccome  tutte  le  cure  del  Oo- 
verno  erano  intese  alla  ricerca  del  mezzi  efflcaci  ad  assi- 
curar  loro  un  sostentamento  onesto,  cosi  gli  agitatori, 
risoluto  di  impedire  a  ogni  costo  aU'Assemblea  Tapprovar 
zione  délia  legge  del  racquisto  délie  vie  ferrate,  facevano 
prendere  le  armi  al  popolo  il  giorno  âssato  alla  discusslone 
di  essa.  ih  sol  cadere  délia  notte  lo  atteggiamento  dei  sol- 
levati  erasl  fatto  oltremodo  minaccioso;  sebbene  paresse 
imminente  lo  scoppiare  délia  tempesta,  non  essendovi  stata 
provocazione  veruna,  la  notte  passô,  bensi  piena  di  tre- 
pidazione,  ma  senza  atti  ostili.  Aile  sei  del  mattino  del  di 
appresso  grossa  moltitudine  di  opérai  délie  officine  na- 
zionali  invadeva  la  piazza  del  Panthéon;  trovavansi  tra 
essi  alcune  guardie  mobilitate  in  asslsa  militare  e  non 
pochi  Buonapartisti  veduti  il  giorno  innanzi  alla  testa  dei 
tumultuanti.  In  su  le  prime  queirassembramento  non  mo- 
strô  intendimenti  d'oflTendere;  ma  dopo  brevi  ore  una  voce 
alzossi  in  mezzo  ad  esso,  la  quale,  gridata  la  ribellione  al 
Governo,  chiamô  il  popolo  aile  armi  per  abbatterlo;  e  gli 
opérai  risposero  a  quelle  invite  asserragliando  le  vie  e 
prendendo  le  armi.  Poco  prima  del  mezzogiorno  cominciô 
il  combattere  tra  i  soUevati  e  le  Guardie  nazionali,  le  quali. 


(1)  u  Nelle  officine  dicevasi  altamente  che  non  si  partirebbe  da  Parigi. 
Lasciare  la  città,  era  darla  in  mano  agli  aristocratici  ;  sapevasi  fonte 
in  qnali  Inoghi  sarebbero  stati  gettati  i  figli  del  lavoro  ?  In  palndi  insa- 
Inbri,  e  fra  le  nécessita  d'ogni  specie:  la  febbre  e  la  morte;  TAssemblea 
nazionale  voleva  sacrificarli.  » 

Gapetigui,  La  Société  et  les  Gouvernements  de  VEw^ope,  tom.  m, 
cart.  233;  Bmxelles,  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


600  OAPIXOLO  X 


senza  Tappoggio  deiresercito,  royinarono  serragli,  gaadâ- 
gnando  cosi  del  campo.  n  popolo,  che  ha  indovinato  le 
mené  degli  agitatori,  mostrasi  awerso  alla  sollevazione, 
la  quale  subito  si  chiarisce  tutta  politica  e  fatta  aello  in- 
téresse di  un  pretendente  —  orleanista,  legittimista  o  buo- 
napartista  —  non  già  per  quello  piii  nobile  del  lavoro: 
dietro  alla  bandiera  délia  ribellione  il  popolo  ha  veduto 
schierarsi  quanti  sono  contrari  alla  repubblica.  —  Mentre 
la  sollevazione  va  allagando  la  città,  i  rappresentanti  délia 
nazione,  raccolti  a  parlamento,  discutono  sul  pacifico  scio- 
glimento  délie  officine  nazionali  ;  che  da  alcuni  vorrebbesi 
fatto  senza  por  tempo  in  mezzo  ;  e  da  altri,  quando  la  tran- 
quillità  fosse  tornata  a  Parigi  e  alla  Francia.  «  Sciogliere 
le  officine  quando  il  paese  è  sconvolto,  cosi  Garnier-Pagès, 
sarebbe  dar  ragione  ai  raggiratori  e  giustiflcore  piii  che 
mai  i  lamenti  legittimi,  il  grido  délia  ribellione;  sarebbe 
gettare  la  massa  degli  opérai  nelia  miseria  e  spingerli  aile 
resistenze  »  (1).  La  discussione  fu  lunga,  fu  viva  ;  pero 
nessuna  deliberazione  venue  presa  su  lo  scioglimento  délie 
officine,  che  tutti  ritenevano  necessario,  ma  che  discordar 
vano  nei  modi  e  nel  tempo  di  mandarlo  a  efietto.  —  Lo 
intervenire  deiresercito  fece  la  lotta  più  sanguinosa;  as- 
saliti  vigorosamente,  i  sollevati  âeramente  difendevansi; 
e  se  costretti  a  lasciare  i  loro  serragli,  indietreggiavano 
pugnando  sempre  e  facendo  pagar  caro  al  vincitore  il  ter- 
reno  conquistato.  La  notte  rallentô  il  combattere,  ma  non 
fece  posare  le  armi  ;  che  anzi  i  sollevati  profittarono  di 
^ssa  per  apprestare  nuove  resistenze. 

Il  mattino  del  24  TAssemblea  nazionale,  fatta  persuasa  che 
per  flnirla  con  la  sollevazione,  restaurare  Tordine  e  assicu- 
rare  la  repubblica  da  ulteriori  offese  abbisognava  conferire 
a  un  capo  militare  ampia  potestà  e  mettere  Parigi  sotto 


(1)  Gabniib-Pagès,  La  rêvoluHande  1848,  vol.  x,  cart  160;  Pa- 
rigi, 1872. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA   B   GBIMBA  601 


Timperio  délie  leggi  di  guerra,  delegava  al  générale  Ca- 
vaignac  i  sommi  poteri;  il  quale,  se  al  cominciare  délia 
ribellione  avesse  usato  di  quella  sapiente  operosità  e  gar 
gUardia»  délie  quali  erasi  servito  quando  ebbe  in  sua  mano 
piena  autorità  di  fare,  la  sollevazione  sarebbe  stata  spenta 
in  sul  suo  nascere.  La  sorte  délia  pugna  allora  era  varia; 
perô  che  mentre  in  una  parte  délia  città  l'armi  délia  re- 
pubblica  felicemente  combattessero,  neiraltra  prospéras- 
sero  l'armi  dei  rlbelli,  i  cui  sforzi  erano  soprammodo  rivolti 
contra  il.  palazzo  municipale.  Ma  il  buon  andamento  dato 
airimpresa  dal  générale  Gavaignac  e  il  giugnere  délie 
Guardie  nazionali  délie  yicine  terre  volsero  di  li  a  poco 
le  sorti  délia  pugna  in  favore  dei  repubblicani  e  assicu- 
rarono  a  questi  la  vittoria  finale.  La  lotta,  sospesa  per  lo 
sceadere  délia  notte,  il  mattino  dei  25  riaccendesi  d'ambe 
le  parti  con  Tusata  ferocia.  L*Assemblea,  che  non  vuol 
lasciare  intentata  nessuna  via  per  condurro  a  concordia 
e  a  pace  i  concittadini  suoi,  fa  gettare  in  mezzo  ai  soUe- 
vati  un  suo  manifeste^  tutto  inspirato  a  sentimenti  di  con- 
ciliazione;  col  quale,  mentre  li  invita  a  sottomettersi  aile 
leggi,  li  assicui*a  che  le  braccia  delta  repubhlica  sono 
aperte  per  riceoerli;  in  oltre  promette  loro  di  aiutarechi, 
vivendo  dei  lavoro  giornaliero,  trovasi  in  bisogno  di  sus- 
sidio  (1). —  In  quel  mezzo  monsignor  Aspre,  Arcivescovo  di 
Parigi,  che»  come  già  scrivemmo^  avea  fatto  piena  adesione 
alla  repubblica,  recavasi  in  mezzo  ai  combattenti  per  chia- 
lûarli  a  pace.  Sacerdote  giusta  lo  spirito  di  Dio,  ei  sentiva 
il  dovere  di  quella  missione  di  carità  cristiana;  huon  por 
^tore  ei  voleva  dare  la  vita  per  le  site  pecorelle,  cosi 
rispondea  il  pio  prelato  al  colonnello  Bertrand,  che,  al 
^^  giugnere  in  su  la  piazza  dell'arsenale,  avevalo  avver- 
tito  dei  pericoli  cui  andava  incontro.  Preceduto  da  un  po- 


(I)  L'Assemblea  avea  deliberato  di  distribnire  tre  milioni  di  liie  agli 
op«Tai  bisognosi  di  sussidio. 


Digitized  by  VjOOQIC 


602  OAPITOLO  X 


polano  portante  un  ramo  verde,  simbolo  di  pace,  e  accom- 
pagnato  da  due  Vicari,  rArci^rescovo,  attraversata  la  piazza 
délia  Bastiglia,  viene  al  primo  serraglio  del  sobborgo 
Sant*Antonio  e  lo  sale;  al  suo  appressarsi  la  lotta  si  so- 
spende.  Ha  il  pietoso  sacerdote  appena  cominciato  a  par- 
lare,  che,  mortalmente  ferito,  cade  nelle  braccia  di  chi 
gli  sta  a  ôanco;  la  palla  omicida  eragli  stata  tirata  dauna 
casa  délia  vicina  piazza  délia  Bastiglia.  Ricoverato  nel 
presbiterio  délia  chiesa  di  Sant' Antonio,  riceveva  i  conforti 
di  quella  religione  di  cui  era  ministro  degnissimo  ;  tras- 
portato  poco  di  poi  nel  palazzo  arcivesco^ile,  il  di  ap- 
presso  spirava  l'anima  immortale!  Fu  una  perdita  irrepa- 
rabile  che  immerse  nel  lutto  tutta  Parigi  (1).  A  questo 
doloroso  episodio  délia  guerra  civile  succedeva  poche  ore 
dopo  un  atto  di  barbarie  inaudita,  l'assassinio  del  générale 
Brea.  Spinto  da  carità  patria,  allô  scopo  di  impedire  opn 
ulteriore  spargimento  di  sangue,  egli  erasi  coraggiosameate 
gettato  in  mezzo  ai  soUevati  per  legger  loro  il  manifesto 
dell'Assemblea  e  in vitarli  a  concordia,  La  sua  parola  franca 
e  soprammodo .  la  conâdenza  clxe  mostraya  porre  nella 
lealtà  e  neironore  dei  nimici,  venendo  a  mettersi  in  loro 
mano,  avevano  vinte  le  resistenze  délie  difese  di  San  Gia- 
como,  délia  Salute  e  deirinferno;  ma  a  quelle  di  Fontai- 
nebleau fatto  prigione,  dopo  avère  sofferto  con  anime  ia- 
vitto  gli  insulti  1  più  atroci,  fù  barbaramente  ucciso  dai 
ribelli  col  capitano  Mangin,  il  quale  non  erasi  tolto  mai 
dal  flanco  del  suo  générale  (2).  —  Verso  le  tre  pomeri- 


(1)  Allora  ch'egli  seppe  trovarsi  in  pericolo  di  morte,  esclamô:  »  Che 
Dio  sia  benedetto,  e  che  accetti  qnesto  sacrificio  ch'io  gli  offiro  per 
qnesto  popolo  fhorviato  !  che  la  mia  morte  serra  a  espiare  le  colpe  che 
ho  potnto  commettere  dorante  il  mio  episcopato.  » 

(2)  tt  L' episodio  più  sangoinoso  fa  la  morte  o,  per  dire  più  esattar 
mente,  Tassassinio  del  générale  di  Brea  e  del  suo  aintante  di  campo, 
aile  difese  di  Fontaineblean.  Taie  era  Tazione  perversa  délia  stampa  e 
dei  circoli,  ch' erasi  pervenuto  a  gettare  odii  profondi  nel  cnore  del  po- 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   E   CBIMBA 


diane  di  quel  giorno  25  giugno  Gayaignac  con  tutto  lo 
sforzo  di  sue  soldatesche  e  grosse  schiere  di  Guardie  nar 
zionali  mosse  vigorosamente  ad  assalire  i  soUevati  ;  i  quali, 
sopraffatti  non  dal  numéro  ma  dalla  potenza  délie  armi 
repubblicane,  dovettero  indietreggiare  da  ogni  parte;  la 
anita  di  comando,  la  perizia  di  chi  governava  Timpresa  e 
la  ferma  volontà  di  farla  presto  finita,  venuta  nel  générale 
allora  che  teneva  Tautorità  suprema,  portarono  buoni 
frutti.  Le  speranze  dei  ribelli  stavano  tutte  nel  sobborgo 
di  Sant* Antonio;  il  quale,  per  la  copia  grande  dei  difen- 
sori  e  per  li  validi  serragli  di  cui  era  stato  munito,  poteva 
considerarsi  formidabile  rôcca.  Gavaignac,  alla  chiamata 
di  rendersi  a  discrezione  avendogli  i  soUevati  risposto  nie- 
gativamente,  e  l'Assemblea  non  volendo  scendere  a  pat- 
teggiare  con  chi  a  buon  diritto  riteneva  ribelli  alla  sua 
autorità,  imprese  ad  assediarli.  La  lotta,  che  il  calare  délia 
nette  avea  fatto  sospendere,  ricominciô  il  mattino  dei  giorno 
ap presse,  il  26;  e  gli  assalti  deirarmi  repubblicane  fùrono 
si  bene  ordinati,  si  armonicamente  condotti  e  con  tanta 
forza  eseguiti,  che  i  soUevati,  reputando  vano  il  resi- 
stere  più  oltre,  lasciate  le  difese,  o  si  sottomisero,  o 
fuggirono  e  con  questi  i  capi  e  i  promovitori  délia  soUe- 
vazione.  Disfatti  i  serragli  e  levato  ogni  impedimento  da- 
gli  stessi  abitatori  dei  sobborgo,  i  soldati  délia  repubblica 
vi  entrarono  e  l'occuparono.  Innanzi  il  cadere  dei  giorno 
tutta  Parigi  era  paciflcata,  ma  durô  lunga  fatica  a  ripren- 
dere  la  quiète  usata;  avvegnachè  il  prolungarsi  dell'im- 
perio  délie  leggi  di  guerra  sovr'essa,  se  servlva  a  dare 
sicurezza  ai  cittadini,  ne  irritasse  perô  gli  animi,  e  in  ve- 
rità  non  potevano  riconciliarli  al  Governo  gli  appresta- 


polo  e  a  rendere  fanatica  l'anima  onesta  degli  opérai;  scena  onibile  che 
rirelô  Fombile  edncazione  fatta  aile  moltitndini  e  lo  abbratimeiito  nel 
quale  erano  stati  cacciati.  » 

Gapbhoub,  La  Société  et  les  Gouvernements  de  VEurope,  vol.  iv, 
cart  12;  Bruxelles,  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


604  CAPITOL O   X 


menti  militari  ch*egli  andava  facendo,  onde  la  città  mu- 
tavasi  in  un  campo  soldatesco.  —  Finito  il  combattere 
cominciarono  i  processi  e,  conseguenza  di  questi,  le  rele- 
gazioni  in  lontane  terre;  la  Gommissione,  eletta  per  h- 
cercare  le  cause  deirattentato  del  15  maggio  e  délia  ri- 
bellione  del  giugno,  lasciossi  trasportare  a  private  e  bass^ 
vendette  ;  scoprire  le  ragioni  di  quelle  e  di  questo,  trovart 
i  veri  colpevoli,  taie  doveva  essere  Topera  sua.  —  Dopoi 
danni  délia  guerra  civile,  Parigi  ebbe  a  soffrire  l'onta  di 
vergognose  vendette  ;  e  pure  il  Governo  col  suo  manifesto 
del  25  ^iugno  aveva  affermato:  «  la  repubblica  starsi  con 
le  braccia  aperte  per  accogliere  i  âgli  che  aile  sue  leggi 
si  sommetterebbero  ;  »  il  perdôno  promesse  fu  dunque  un 
inganno  dei  supremi  reggitori  (1). 

Vint!  i  nimici  délia  repubblica,  non  perô  posate  le  armi 
che  aveanli  combattuti,  Gavaignac  rendeva  ail' Assembler 
il  potere  dittatoriale,  che  essa  neU'ora  del  pericolo  aveagli 
conferito;  ma  i  rappresentanti  délia  nazione,  riconoscenti 
a  lui  salvatore  délia  patria,  confermavanlo  nella  suprema 
autorità  e  posto  in  sua  forte  mano  il  potere  chiamavanlo 
a  presiedere  ai  Ministri.  Brevi  giorni  dopo,  il  3  luglio, 
il  Ooverno  decretava  lo  scioglimento  délie  officine  na- 
zionali,  cause  di  tanti  disordini,  e  ritirava  la  legge,  messa 
poco  prima  innanzi,  del  racquisto  délie  vie  ferrate; 
provvedendo  perô  nel  medesimo  tempo  ai  bisogni  degli 
opérai  —  cui  il  chiudere  di  quelle  officine  avea  tolto  ogni 
lavoro  —  col  dar  loro  pane  e  brodo,  e  fornir  danaro  al- 
Tindustrie  nazionali.  Degli  avversari  alla  repubblica  — 
orleanisti,  legittimisti  e  buonapartisti  —  quelli  che  non 
ismarrironsi  d'animo  per  la  sconôtta  allora  toccata  furono 


(1)  u  Fn  on  vero  colpo  di  pugnale  cacciato  nel  caore  degli  nomini  dei 
febbraio  il  proseguirsi  délia  inchiesta  con  istinto  malevole...  ^ 

Capbfigub,  La  Société  et  les  Gùwoememenls  de  V Europe,  toI.  iv, 
cart.  147;  Braxelles,  1849. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   E   CBIMSA  605 


partigiani  di  Luigi  Napoleone;  i  quali  anzi,  traendo  da 
^ssa  novello  ardore  per  la  riscossa,  che  speravano  vicino 
1  giorno  di  vendicare  la  battitura  sofferta,  diedersi  a  co- 
ipirare  con  tutte  le  loro  forze,  non  più  apertamente^  ma 
n  segreto,  e  a  far  proseliti  alla  causa  del  principe  in 
ntte  le  classi  dei  cittadini,  soprammodo  nel  clero  e  tra 
fli  opérai.  Nella  quale  impresa  lavorô  eziandio  con  ope- 
*ositk  somma  il  pretendente,  quando  chiamato  dai  comizi 
lel  settembre  a  siedere  nell*Assemblea  nazionale  rientrava 
in  Francia,  contento  di  accettare  Vonorevole  ufficio  di 
'rappresentante  del  popolo,  essendo  allora  stato  ad  eoidenza 
iimostrato,  la  sim  elezione  nondoversi  a  hrogli,  ne  a  brighe 
politiche,  cui  erasi  tenuto  affàtto  estraneo  (1).  Non  lo  rat- 
tennero  dal  congiurare  a  suo  vantaggio  e  a  danno  délia 
repubblica  — per  la  cui  félicita  egli  faceva  ardenti  voti  (2) 
—  le  dure  leggi  di  guerra  con  le  quali  reggevasi  allora 
Parigi,  ne  la  dittatura  di  un  soldato,  che  con  autorità  as- 
soluta  governaya  la  Francia.  Il  26  settembre  Napoleone 
Buonaparte  venue  per  la  prima  volta  all'Assemblea,  e  vi 
disse  parole  generose  e  piene  d'amor  patrio.  Di  li  a  pochi 
giorni  ponevasi  innanzi  la  quistione  su  la  nomina  del  su- 
premo  maestrato  nella  repubblica,  se  ciô  far  si  dovesse  dai 
rappresentanti  délia  nazione,  o  da  questa  stessa  con  suf- 
fpagio  universale  ;  dopo  essere  stato  luminosamente  pro- 
vato  da  Lamartine  non  potersi  tenere  quell'alto  offlcio  da 
Luigi  Napoleone,  ne  da  alcuno  dei  principi  délie  espulse 
dinastie  borboniche,  posti  a  partito  quel  due  modi  di  ele- 
àone,  vinse  quello  del  suflfragio  universale.  Quando  poi  un 
ï^appresentante  del  popolo  —  il  quale  bene  prevedeva  a 
<iuauti  pericoli  andrebbero  incontro  le  libertà  repubbli- 
cane,  se  l'ambizioso  nepote  del  grande  Imperatore  salisse 
al  seggio  presidenziale  —  instava  caldamente  che  verun 


(1)  Lettera  al  générale  Fiat. 

(2)  Lettera  al  présidente  dell'Assemblea  nasdonale. 


Digitized  by  VjOOQIC 


606  OAPITOLO    X 


membro  délie  famiglie,  le  quali  aveano  regnato  in  FYanr 
cia,  potesse  venir  chiamato  alla  presidenza  o  vice-presi- 
denza  délia  repubblica  (1),  il  Buoaaparte   parlô   cosi:  = 
Molto  dolergli  di  dover  dire  ancora  di  se,  moltissimo  di  Te- 
dere  rAssemblea  mettere  in  un  canto  i  gravi  interessi  dalla 
patria  per  trattare  quistioni  personali.  Venire  egli   accu- 
sato  d*accettare  una  candidatura  che»  non  cercata,  eragli 
offerta  dal  sentimento  popolare;   essere   per    accoglierla, 
perché  onoriâca;  perché  tre  volte  chiamato  nei    comizi 
elettorali  a  rappresentare  la  nazione  ;  in   fine,    perché  il 
décrète  unanime    dell'Assemblea   contra  la  proscrizione 
délia  sua  famiglia  facevagli  credere,  tenere  la  Francia  il 
nome  ch'egli  portava  atto  a  rimettere  in  buono  stato  la 
società,  che  l'ultime  perturbazioni  aveano  scossa  dai  fon- 
damenti,  ed  eziandîo  a  dare  stabilità  e  prosperità  alla  re- 
pubblica. Ghi  lo  incolpava  d'ambizione   mostrare   di    non 
conoscere  il  suo  cuore.  Il  paese  aver  bisogno  d'un  governo 
ferme,  intelligente  e  saggio,  non  vendicatore,   ma  salva- 
tore;  di  un  governo  il  quale  abbia  a  combattere  le  teori- 
che  non  basate  su  la  esperienza  e  la  ragione.  Essere  egli 
deliberato  a  seguire  il  cammino   tracciatosi,   senza   arre- 
starsi  mai  ;  nulla  poter  fargli  scordare  gli  obblighi  del  suo 
offlcio;  volersi  mantenere  irremovibile  contra   gli  assalti 
de'suoi  nimici,  e  impassibile  aile  loro  calunnie.  =  Finito 
il  suo  parlare  l'Assemblea  decretava:  Velezione  del  Prési- 
dente doversi  fare  il  10  dicembre.  Il  solo  che  potesse  con- 
tendere  a  Luigi  Napoleone  il   seggio   presidenziale   délia 
repubblica  era  il  générale  Oavaignac,  che  godeva  del  favore 
dell'Assemblea  e  di  tutti  i  partigiani  del  Governo  ;  e  forse 
l'avrebbe  vinta  sul  principe,  se   a  questo  non  si   fossero 
accostati  gli  orleanisti  e  i  legittimisti  ;   i  quali,   per  odio 
alla  repubblica,  avevano  risoluto  di  sostenerlo  nella  lotta 
elettorale:  onde  certa  divenne  la  vittoria  del  Buonaparte. 


(1)  Parole  prontmciate  nell'Asseinblea  il  26  ottobre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBAKCIA   S   GBIliBA  607 


A  vie  più  assicurargliela  valse  non  poco  la  pubblicazione  dei 

suoi  lavori  ;  ira  cni  quelle  su.la  estinzione  délia  mendicitày 

da  lui  scritto  In  sua  prigionia  di  Ham»  servi  potentemeate 

a  rendere  popolare  il  nome  suo  (1).  Cavaignac,  per  gua- 

dagnarsi  Tappoggio  del  clero»  ordinava  al  comandante   lo 

esercito  dalle  Alpi  di  spedire  soUecitamente  a  Roma,  per 

la  via  di  mare,  una  brigata  di  fanti  in  difesa  délia  vita  e 

délia  libertà  del  Sommo  Pontefice,  cui  inviava  altresi   il 

signor  De  Corcelles  per  oflfrirgli  onorevole  asilo  in  Fran- 

cia;  in  oltre,  per  tenersi  arnica  la  parte  repubblicana  il 

générale  areva  risoluto  di  mandare  alcuni  legni  da  guerra 

e  mille  soldati  in  aiuto  a  Yenezia.  Ma  ne  Tuna  ne  l'altra 

délie  designate  spedizioni   ebbe   luogo;  awegnachè   Tim- 

presa  di  Roma  venisse  rivocata,  allora  che  le  navi  appor- 

tatrici  dei  soccorsi  al   Papa  apprestavansi   a  entrare  in 

mare,  causa  la  fuga  di  Pio  IX  a  Gaeta;  e  la  spedizione  di 

Venezia  non  fosse  mandata  a  effetto,  a  motivo  délie  gravi 

rimostranze  del  Governo  inglese,  che  a   Gavaignac   avea 

scritto  in  questi  termini  :  «  Su  taie  via  Tlnghilterra   non 

pa6  seguire  la  Francia,  nô  assecondarla,   awegnachè   da 

affare  di  poco  momento  e  tutto  accessorio  potrebbe  venire 

una  guerra  universale  e  lo  intervenire  armato  délia  Russia 

nelle  quistioni  d*Occidente.  »  Dal  canto  loro,  Luigi  Napo- 

leone  e  i  partigiani  suoi  lavoravano  con  operosità  instanca- 

bile  per  raggiugnere  il  primo  intente  prefissosi,  che  doveva 

poi  condurli  alla  desiderata  restaurazione  deirimperio.  In- 

tanto  che  i  Buonapartisti,   col   rammentare   al   popolo   i 

tempi  gloriosi  del  Gonsolato  e  gli  splendidi  del  grande  im- 


(1)  La  Estinzione  délia  mendieità  venue  messa  fùora  per  le  stampe 
&el  1844,  qnando  Luigi  Blanc  pnbblicava  il  suo  Ordinamento  del  lav&ro, 
"-  «  La  classe  operaia,  scriveva  il  Buonaparte,  noUa  possiede,  bisogna 
ïBnderla  proprietaria.  Essa  non  ha  altra  ricchezza  fnorchô  le  sue  braccia, 
bisogna  dare  a  queste  braccia  un  impiego  utile  a  tutti.  Essa  ô  corne  un 
popolo  d'Ilotî  in  mezzo  a  un  popolo  di  Sibariti.  Bisogna  darle  un  posto 
iiella  società,  e  congiungere  gli  interessi  suoi  a  quelli  del  suolo.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


608  CAPITOLO   X 


perio  napoleonico,  risyegliayano  in  esso  Tentusiasmo  per 
l'erede  del  vincitore  di  Marengo  e  d'Austerlitz,  U  preten- 
dente  metteva  se  iniianzi  aU'offlcio  presidenziale  délia  re- 
pubblica;  in  oltre,  per  ingrazlarsi  il  clero  facevasi  a  bia- 
simare,  in  una  lettera  al  Nunzio  apostolico^   il  contegno 
del  cugino  Carlo  Buonaparte,  principe  di   Ganino,  che  di 
corteggiatore  délia  romana  Caria  erasi  allora   mutato  in 
suo  acerrimo  nimico,  nelmedesimo  tempo  protestando  di  non 
essere  complice  del  suo  maie  operare  ;  in  fine,  scrivea  al  Co- 
stituzionalef  diario  di  Parigi,  gravi  parole  di  censura  alla 
spedizione  di  Roma  ordinata  da  Cavaignac,  nella  quale  egli 
vedeva  non  già  una  protezione  disinteressata  del  Pontefice, 
sibbene  un  brutto  intrigo  elettorale.  Mentre  Luigi  Napoleone 
afifermaya  di  volere  tutto  quanto   valesse   a   guarentire 
la  libertà   e  Tautorità   del  Papa,    affermaya  altresi   es- 
sere queir  impresa  a  un  tempo  pericolosa   ai   scuri  in- 
teressi  che   yoleyansi  difendere  e  alla   pace  di  Europa. 
—  Il  10   dicembre    sette    milioni  trecentoyentisei    mila 
trecentottanta  Francesi   yeniyano  chiamati  a  deliberare 
su  la  sorte   loro   ayvenire,  che  proprio  tutta   dipendeva 
dalla  nomina  del  capo   délia  repubblica.   Raccolti   i  suf- 
fragi  troyossi  che  Napoleone   Buonaparte  ayeva   yinto  il 
partito;  egli  era  stato  eletto  Présidente  da  cinque  milioni 
trecentotrentaquattro  mila  dugentoyentisei  suoi   concitta- 
dini;  questo  fu  il  seconde  passe  di  Luigi  Napoleone  allô 
imperio,  che  nessuno,  emulo  o  rivale,  avrebbe  ornai  potuto 
contrastargli;  e  questa  elezione  pienamente  chiari  la  po- 
polarità  del  suo  nome  (1),  che  politicamente  rappresentaya 
tutto  un  sistema.  Il  20  dicembre  Armando  Marrast   nella 
Assemblea  cosUtuente,  cui  presiedeva,  gridava,    in  nome 


(1)  n  générale  Cavaignac  ottenne  nn  milione  quattrocentoquanatar 
qnattro  mila  centosette  siiffiagi;  Ledru-Bollin  ne  ebbe  trecentosettanta 
mila  centodiciannove;  Baspail,  trentasei  mila  novecentoventi  ;  hBLOBJ- 
tine,  diciassette  mila  dngentodiciannove;  e  il  générale  Ohanganiîer,  qaat* 
tromila  seicentonovanta. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANOIA  B   CBIMEA  609 


del  popolo  francese  e  in  virtù  degli  articoli  47  e  48  délia 
Costituzionet  il  cittadino  Carlo  Luigi  Napoleone  Buona- 
parte,  nato  a  Parigi,  Présidente  délia  repubblica  da  quel 
giorno  sino  alla  seconda  domenica  di  maggio  del  1852.  Sa- 
lito  alla  tribuna  —  su  la  quale  stavano  scritte  le  mémo- 
rande  date:  22,  23,  24  fébbraio,  e  le  non  mono  memorabili 
parole;  libertà,  uguaglianza,  fratellanza  —  lo  eletto  dalla 
nazione  alla  suprema  potestà  con  voce  forte  e  ferma  giu- 
rava  innaozi  a  Dio  e  innanzi  al  popolo  francese  fedeltà 
alla  repubblica  democratica  una  e  indivisibile,  e  di  adem- 
piere  tutti  i  doveri  impostigli  dalla  Costituzione.  Il  prin- 
cipe, non  pago  d'aver  dato  sua  fede  aile  istituzioni  del 
paese,  faceva  conoscere  i  sentimenti  di  conciliazione,  di 
ordine  e  di  pace  dalui  nutriti  parlando  airAssemblea  cosi: 
^  Volere  egli  rimettere  la  società  su  le  sue  basi  e  af- 
fermare  le  istituzioni  democratiche  ;  intenti  suoi,  soUevare 
il  popolo,  che  aveagli  dato  prova  luminosa  di  fiducia, 
dalle  miserie  che  lo  affliggono  e  sanare  le  ferite,  che  i 
passati  rivolgimenti  aveano  recato  alla  patria.  Ritenere  ni- 
niico  a  questa  chi  tentasse  mutare  con  mezzi  illégal!  quanto 
dalla  Francia  tutta  era  stato  allora  stabilité.  Essere  molto  a 
lodarsi  nel  générale  Gavaignac  la  lealtà  di  carattere  e  di 
quel  sentimento  del  dovere,  che  costituisce  la  prima  qicalità 
del  capo  di  uuo  Stato.  =  Quando  il  Présidente  ebbe  posto 
fine  al  suo  dire,  i  rappresentanti  délia  nazione,  levatisi  corne 
un  sol  uomo,  gridarono:  Viva  la  repubblica/  n  giuramento 
di  fedeltà  dato  dal  principe  alla  patria  venue  dalla  parte 
sinceramente  repubblicana  accolto  con  palese  diffldenza; 
dagli  amicî  di  lui,  con  piena  fiducia  ;  Boulay,  il  quale  cono- 
8ceva  Luigi  Napoleone  sino  dall'infanzia,  aveva  affermato, 
^^e,  da  onesto  uomo  quale  era,  il  manterrebbe;  quanta  fede 
serbô  il  Buonaparte  alla  repubblica,  quanta  aile  promesse 
&tte  in  luogo  e  in  modo  si  solenne  lo  disse  il  2  dicembre  1851. 

Per  lo  acclamarsi  délia  repubblica  romana  piii  vive  eransi 
fatte  in  Parigi  le  anticho  simpatie  per  la  indipendenza  e 

*  —  Vol.  U.  MiJUAin  —  Storia  pol,  e  mil. 


Digitized  by  VjOOQIC 


610  CAPITOLO   X 


la  libertà  d'Italia;  ma  se  gli  iaviati   di    quella   trovavano 
grazia  e  favore  presse  il  popolo  francese,   venivano  perô 
assai  freddamente  ricevuti  dal  Présidente  e  da*  suoi  Mi- 
nistri;  i  quali  niegavano  riconoscere  e  appoggiare  il  nuoTo 
ordine  di  cose  stabilitosi,  seconde  giustizia,  in  Roma,  per 
tema  d'uscire  a  guerra,  che  di  li  a  poco  combatterono  per 
restaurare  una  potestà,  la  quale,  sotto  la  protezione  délia 
bandiera  di  Prancia,  dovea  non  governare,  ma  tiranneg- 
giare  i  popoli  soggetti.  Oorreva  allora  il  febbraio  del  1849. 
Già  da  qualche  tempo  l'opinione   pubblica,   per   la    mala 
opéra  di  Luigi  Buonaparte  e  degli  amici  suoi,  andava  ma- 
nifestando  idée  ostili  a  quelle  délia  rivoluzione  del  febbraio 
e  alla  democrazia;  il  10  dicembre,  dicevano  essi,  ha  tornato 
il  paese  aU'ordine  e  alla  tranquillité;  ora  è  d'uopo  assicu- 
rargli  stabile  pace  ;  per  questa  racquisterà  in  Europa  quella 
preponderanza  di  cui  in  epoca  non  lontana  ave  va  goduta; 
Vimperio  doveva  essere  la  pace.  —  Ricondurre  la  Francia 
all'antica  sua  potenza  e  prosperità  era  offlcio  nobilissimo: 
grande  Timpresa  d'affermare  quella  repubblica  banditrice 
di  libertà,  d'uguaglianza  e  di  fratellanza  ai  popoli  ;  offîcio 
e  impresa  che  avrebbero  potuto  soddisfare  aU'uGmo  piii 
ambizioso,  ma  che  non  bastarono  a  luiy  chë  ardentemente 
agognava  a  potestà  despotica.  —  La  giornata  di  Novara, 
nella  quale  cadde,  ma  per  poco,  la  fortuna  d'Italia,  com- 
mosse  la  nazione,  e  riempi  di  dolore  la  parte  sincerament^ 
repubblicana,  ma  non  destô  in  cuore  del  Présidente  e  dei 
suoi  Ministri  verun  sentimento  generoso  per  gli  Italîani, 
che,  con  occhio  indifférente  videro  perdersi  da  questi  le  li- 
bertà poco  innanzi  comprate  a  prezzo  di  tanto  sangue  e  ai 
gravi  sacrifizi.  La  Lombardia  e  la  terraferma  veneta  erano 
allora  ricadute  in  potere  dell'Austria;  Parma  e  Modena,To- 
scana  e  Sicilia,  sotto  la  signoria  dei  loro  antichl  tiranni; 
solo  reggevansi  indipendenti  e  libère  Venezia  e  Roma  ;  a  quella 
aveva  la  Francia  già  niegato  lo  aiuto  implorato  délie  sue 
armi,  a  questa,  sotto  colore  di  protezione,  doveva,  di  li  a 
brevi  giorni,  mandare  i  suoi  eserciti  per  rimetterla  nella 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   X   GBIMEA  611 


ervitù  antica.  —  Le  voci   che  in  quel  mezzo   correvano 
lello  intervenire  armato  deirAustria  nelle  faccende  délia 
îhiesa,  le  quali  voci  venivano  ogni  di  piîi  a  confermarsi 
lallo  ingrossare  degli  imperiali  sul  basso  Po,  indiùcevano 
1  Buonaparte  —  cosi   egli  ebbe  ad   affermare  —  a  fare 
'impresa  di  Roma  per  conservare  alla  Francia  quel  crédite, 
inzi,  quella  superiorità  ch*essa  da  lungo  tempo,  ma  sovente 
per  fini  diversissimi,  teneva  nella  patria  nostra,  Dimenti- 
cando  le  forti  censure  lanciate  nel  dicembre  contra  quella 
impresa,  allora  che  l'aveva  risoluta  il  générale  Oavaignac, 
Luigi  Napoleone  erasi  segretamente  accordato  con  la  Corte 
'U  Vienna  d'invadere  da  Civitavecchia  gli  Stati  délia  Chiesa 
e  poscia  reoarsi  in  mano  Roma  per  ristabilirvi  l'autorità 
del  Pontefice,  mentre  gli  Austriaci  occuperebbero  le  Legar 
zioni  e  le  Marche.  La  spedizione  trovô  nell'Assemblea  fieri 
oppositori.  Gonsentita  dai  legittimisti  e  dagli  orleanisti  per 
odio  alla  repubblica,  e  dagli  amici   del    Buonaparte,    che 
non  volevano  s'avesae  a  stabilire  in  terra  italiana  Tordine 
di  cose,  che  già  apprestavansi  ad  abbattere  nella  loro  patria, 
quella  spedizione  veniva  avversata  dai  repubblicani,  per  lî 
quali  il  vittoriare  délia  romana  repubblica  doveva  essere 
pegno  di  certa  vittoria  a  Venezia  e  alla  parte  libérale  di 
Oermanîa  e  dlJngaria,  di  quel  giorni  in  su  l'arme  contra 
gli  oppressori  suoi,  e  che  avrebbe  aflermata  altresi  su  la 
Senna  la  libertà,  al  cui  danno  allora  si  congiurava  ;  man- 
data a  partito,  l'impresa  di  Roma  vinse  la  prova.  Con  lo 
acquisto  délia  città  eterna  e  la  restituzione  délia  potestà 
papale  avrebbe  dovuto  aver  fine  lo  scopo  délia  spedizione 
francesé  negli  Stati  pontiflci;  ma  non  fu  cosi  ;  avvegnachè 
Luigi  Napoleone  mantenesse  in  Roma,  e  per  lunghi  anni, 
la  militare  signoria  délia  Francia,  sotto  proteste  di  difen- 
dere  Pio  IX,  il  quale,  lasciato  aile  sole  sue  forze,  sarebbe 
stato  presto  riassalito  dai  repubblicani  italiani;  ed  eziandio 
Por  concedere  tempo  ai  Ministri  suoi  di  riordinare  le  am- 
ininistrazioni  pubbliche  e  riformarle,  giusta  i  nuovi  bîsogni 
^6i  popoli.  D'armi  straniere  videsi  allora  allagata  l'Italia; 


Digitized  by  VjOOQIC 


612  OAPITOLO  X 


quelle  deirAustria  campeggiavano  Lombardia  e  le  Yeaezie, 
Toscana  e  i  Ducati,  le  Legazioni  e  la  Marca  Anconitana  ; 
quelle  di  Prancia  tenevano  Roma  e  il  patrimonio  di  San 
Pietro. 

Il  1851  volgeva  al  suo  fine,  quando  dal  Buonaparte  com- 
pivasi  una  vituperevolissima  trama  di  Stato,   che    veaiva 
approvata  dai  principi  e  dal  Govemi  despotici  e  da  quanti 
odiavano  la  libertà;  ma  alla  quale  trama  imprecarono  tutti 
quelli  che  per  la  libertà  avevano  una  religione  e  un  culto. 
I  partigiani  del  Duca  di  Bordeaux  e  del  Conte  di  Parigî 
—  i  legittimisti  e  gli  orleanisti  —  i  quali,  perché  odiatori 
délia  repubblica  avevano  favoreggiata  la  elezione  di  Luigi 
Napoleone  alla  suprema  magistratura,   indovinati  gli  in- 
trighi  dell*ambizioso  principe,  diedersi  apertamente  a  com- 
batterlo,  e  apparecchiaronsi  a  contendergli  la  potestà  su- 
prema, il  cui  termine  scadeva  nel  magglo  deiranno  appresso. 
Di  fronte  a  quelli  stavano  gli  amici  del  Buonaparte,  pronti 
a  sostenerlo  anche  con  armi  sleali  e  con  arti  poco  oneste; 
intendo  dire  le  arti  délia  seduzione,  per  prolungargli  quei 
poteri  che  dovevano  condurlo  aU'imperio  ;  e  siccome  a  cio 
ostava  la  Costituzionej  messa  innanzi  la  nécessita  di  mo- 
di&carla  a  loro  vantaggio,   ne  facevano  la  proposta   alla 
Assemblea  nazionale.  Il  respingersi  di  essa  non  disanim6 
il  principe  présidente;  il  quale,  risoluto  di  raggiungere  a 
ogni  costo  lo  intente  desiderato,  délibéré  di  non  aspettare 
Tesito  délia  nuova  elezione  per  ajQTermare  in  sua  mano  il 
potere,  che  i  nimici  volevano  togliergli.  Egli  non  attese 
che  gli  si  intimasse  la  guerra,  ma  fu  primo   aile   offese 
contra  la  parte  avversaria,   non  preparata  a  sostenere  lo 
assalto  improvviso.  Il  Buonaparte  riportô  facilmente  la  vit^ 
toria;  avvegnachè  lo  spergiuro,  gli  assassin!  avessero  al- 
Topera  parricida  appianata  la  via.  Strasbourg  e  Boulogne 
aveangli  flruttato  l'esilio  e  la  prigionia;  il  2  dicembre  do- 
veva  guadagnargli  un  trono  ;  là  era  stato  un  volgare  cospi- 
ratore  o  un  awenturiere  ;  a  Parigi  doveva  essere  un  tra- 
ditore,  un  fellone!   Per   assicurare    buona  riescita  alla 


Digitized  by  VjOOQIC 


PBANCIA   B   OBIMBA  613 


impresa,  da  lungo  tempo  meditata  e  disegnata,  nulla  era 
stato  ommesso  dal  principe  che  valesse  ad  accrescergli  lo 
amore  dei  soldati  e  il  favore  del  popolo,  il  quale  aveva  lui 
levato  al  più  alto  offlcio  délia  repubblica;  sommamente  poi 
col  mostrarsi  curantissimo  del  benessere  di  quelli  e  sol- 
lecito  di  migliorare  le  condizioni  délie  classi  operaie.  n  suo 
ordire  trame  a  danno  délia  repubblica  chiaro  appalesossi 
quando,  in  sul  cominciare  dell'aatunno,  chiamô  presso  di 
se  i  generali  a  lui  piu  devoti,  e  accrebbe  il  presidio  di 
Parigi  dei  reggimenti,  nei  quali  vivissima  tuttavia  mante- 
nevasi  la  memoria  del  grande  capitano  (1).  Rivelavano  la 
meute  del  Buonaparte  e  accennavano  anche  a  prossime 
mutazioni  negli  ordini  dello  Stato,  le  parole  da  esso  rirolte 
ai  premiati  délia  mostra  mondiale,  d*arti,  mestieri  e  in- 
dustrla  di  Londra.  «  Yeggonsi  oggidi  uomini,  diceva  egii, 
un  tempo  promovitori  délie  prérogative  régie,  farsi  con- 
tmzionali  per  abbattere  il  potere  creato  dal  suffragio 
popolare;  veggonsi  altresi  coloro,  che  tanto  patirono  per 
li  passati  rivolgimenti  politici,  provocarne  altri  allô  scopo 
di  sottrarsi  alla  volontà  délia  nazione  e  d'impedire  al  moto 
trasformatore  délia  società  di  seguire  un  paciûco  corso 


(1)  Al  2  dicembre  1851  il  presidio  di  Parigi  contava  ottantamila  no- 
mim  allô  incirca.  Vi  si  troyaya  il  42^  reggimento  di  fanti,  il  qaale  nel 
1840  aveva  arrestato  a  Boulogne  Loigi  Napoleone,  il  eospircUorCj  ma 
che  allora  difendeva  Napoleone  Buonaparte  che  spegneva  la  repttb- 
hlica.  Qnel  reggimento,  comandato  dal  colonneUo  Espinasse,  U  mattino 
di  qnel  giorno  nefasto  invadeva  l'Assemblea  nazionale.  v  Al  romore 
de'  8Qoi  passi,  cosl  Vittore  Hugo  nella  Storia  di  un  Delitto,  il  co- 
mandante  Meunier  acoorse.  =  Comandante,  gli  gridô  Espinasse,  io 
venge  a  dare  lo  scambio  al  vostro  battaglione.  =  H  comandante  im- 
pallidi:  il  suo  occhio  rimase  nn  istante  fisso  a  terra;  poi  d'un  tratto  porto 
lapidamente  la  mano  allé  sue  spaUe  e  ne  strappô  gli  omamenti;  trasse  la 
spada  dal  fodero,  la  mppe  sul  suo  ginoccbio,  gettd  i  troneoni  a  terra  e 
tutto  tremante  di  disperazione,  d'una  voce  tenibile  gridogli  :  =  Colou- 
nello,  voi  disonorate  il  reggimento  !  =  Va  bene!  va  bene!  disse  Espi- 
nasse. r> 


Digitized  by  VjOOQIC 


614  OAPITOLO   X 


Prima  di  separarmi  da  voi,  permettete  che  io  vi  incoraggi 
a  nuovi  lavori;  ponetevi  aU'opera,  senza  temere  di  nulla; 
non  prendetevi  pensiero  dell'avvenire;  qualunque  cosa 
awenga,  la  quiète  sarà  mantenuta  ;  perô  che  un  Groverno 
il  quale  si  appoggia  alla  nazione  tutta,  che  non  ha  altro 
motore  fuor  del  bene  pubbllco  ed  è  animato  da  fede  ardente 
—  guida  secura  anche  attraverso  gli  spazi,  ove  non  esiste 
traccia  di  via  —  compirà  la  propria  missione,  avendo  in 
se  quel  diritto  che  viene  dal  popolo,  e  quella  forza  che 
viene  da  Dio.  »  —  Il  dire  del  principe  avrebbe  dovuto 
rendere  avvertiti  i  repubblicani  del  pericolo  che  lor  sopra- 
stava;  ma:  sia  che  non  temessero  il  venturiere  cospiratore 
di  Strasbourg  e  di  Boulogne,  o  che  reputassero  ancora 
lontan  lontano  il  giorno  délia  lotta,  continuarono  a  tenersi 
in  quella  sicurezza,  nella  quale  assai  imprudentçmente 
cullavansi  sino  dalla  elezione  del  Buonaparte  a  cape  dello 
Stato  (1). 


(1)  Parmi  porti  il  pregio  di  queste  istorie  far  conoscere  con  brevi 
parole  gli  amici  di  Luigi  Napoleone,  che  ebbero  la  parte  primissima 
nella  trama  di  Stato  del  2  dicembre  di  qaeU'aimo  1851. 

n  conte  di  Momy  era  nno  dei  figli  illegittimi  délia  donna,  che  non 
conobbe  mai  freno  di  pndore,  délia  regina  Ortensia.  A  diciott'anni  egli 
combatteva  in  AMca;  poco  di  poi  lasoiava  le  armi;  indnstrioso,  s'ar- 
ricchiva;  onde  gli  elettori  di  Clermont-Ferrant  mandayanlo  loro  rappie- 
sentante  all'Assemblea  nazionale.  Con  lo  avanzare  negli  anni,  iaXiaû 
dissolnto,  scese  in  basse  stato.  Datosi  a  corteggiare  Tamante  del  Dna 
d'Orléans,  conoscendo  per  essa  i  segreti  délia  diplomazia,  specnl6  sol 
erescere  e  snl  diminnire  dei  vaîori  del  débite  pnbblico,  ciô  che  in  poco 
tempo  restanrogli  il  patrimonio.  Biednto  in  Francia  Lnigi  Napoleone 
Buonaparte,  i  due  fratelli  s'ayyicinarono ,  si  intesero  e  s'accordaroDo: 
era  cosa  qnesta  ben  natnrale!  Andacemente  intrigante,  il  conte  di  Momj 
più  di  tutti  cooperô  da  prima  alla  elezione  di  Napoleone  alla  presidenza 
délia  repubblica;  di  poi  alla  buona  riescîta  del  2  dicembre  e  aUa  ae- 
clamazione  delFImperatore  dei  Francesi  nel  venturiero  di  Strasbourg  e 
di  Boulogne. 

Qiovanni  Qilberto  Fialin  —  chiamatosi  poscia  visconte  di  Fersigny 
—  nel  1828  col  grade  di  sottuffiziale  passava  dalla  scuola  di  cayalleria  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


PBANGIA   E   GBIMEA  615 


Era  appena  sorta  l'alba  del  2  dicembre  —  anniversario 
délia  gloriosa  giornata  d'Austerlitz  e  délia  consecrazione 
a  Imperatore  del  gran  capitano  —  quando  il  nepote  suo, 
Luigi  Napoleone,  faceva  arrestare  i  priacipali  délia  parte 


Sanmur  in  an  reggimento  di  nssari;  cassato  tre  anni  appresso  per  mala 
Tita,  lasciava  la  milizia  per  trovarsi  perô  a  Strasbourg  e  a  Boulogne  con 
l'assisa  di  capo  squadrone.  AUora  si  diede  un  grado  militare,  più  tardi 
appiopriossi  un  titolo  di  nobiltà,  quello  di  visconte  di  Persigny,  ch'egli 
afferma  già  posseduto  da  un  antenato  suo.  Un  giorno  fn  di  parte  le- 
gittimiata^  poi  orUanista^  e  nel  1848  di  parte  repubblicana  ;  ambizione 
d'onori  e  libidine  di  oro  mutaronlo  da  ultimo  in  buonapartisia  ;  e  l'im- 
peratore  Napoleone  m,  riconoscente  alla  servile  sua  devozione,  creollo 
Dnca. 

Il  générale  Magnan  fece  le  prime  sue  armi  nel  1810  e  1811  in  Ispagna; 
poscia  prese  parte  alla  guerra  del  1814,  forse  la  più  sapiente,  certa- 
mente  la  più  gloriosa  del  gran  Capitano  ;  dopo  Fontainebleau  lasci6 
la  milizia  per  Tufficio  modestissimo  d'amanuense  presso  un  notaio.  Ki- 
disceso  Napoleone  nell'anno  appresso  sui  lidi  di  Francia,  Magnan,  ri- 
fattosi  soldato,  combatte  alla  giomata  di  Waterloo  quale  capitano  nella 
Quardia  impériale.  Caduta  per  sempre  la  fortuna  del  Buonaparte,  Ha- 
gnan  milité  sotto  le  bandiere  régie  e  per  lo  zelo  suo  sali  agli  alti 
gradL  Egli  fa  alla  guerra  del  1823  nella  penisola  iberica,  di  poi  alla 
spedizione  d'Algeri.  Nel  1831,  colonnello,  trovossi  col  reggimento  suo 
a  Monbrison,  quando  Roguet  chiamollo  a  se  per  andare  insieme  sopra 
Lione;  la  quale,  sollevatasi  nel  novembre  di  quell'anno,  cacciato  da 
prima  il  presidio,  costringeva  di  poi  il  Roguet  a  indietreggiare  ;  se  non 
che,  invece  di  seguire  il  suo  générale  ;  Magnan  awicinossi  alla  città 
ribelle,  e,  accordatosi  coi  ^ollevati,  vi  entrava.  La  sua  disobbedienza  e 
i  manifesti  legittimisti  da  lui  pubblicati  lo  nûsero  giustamente  in  so- 
spetto  al  Govemo,  il  quale  comandô  d'arrestarlo  ;  ayyertito  in  tempo, 
egli  riparossi  a  Bruxelles.  Âmmesso  nell'esercito  belga  col  grado  di  ma- 
resciallo  di  campo,  tre  anni  dopo  rientrd  nell'esercito  francese  con  quel 
suo  grado.  Tentato  dal  faccendiere  buonapartisia  Mésonan  con  oro  e 
promessa  del  bastone  di  maresciallo  a  seguire  le  parti  di  Luigi  Napo- 
leone, respinse  Tofferta,  non  per  mantenersi  in  fede  al  Be,  sibbene  per^ 
chè  credeva  che  il  pretendente  —  il  quale  aveva  fatto  si  mala  prova 
a  Strasbourg  —  non  potesse  riescire  felicemente  in  un  altro  tentativo 
di  cospirazione  e  di  sollevazione.  Nel  1848  fattosi  repubblicano  ebbe  il 
govemo  délia  Corsica;  e  poco  di  poi,  il  comando  délia  terza  divisione 
dell'esercito  délie  Alpi,  la  quale  presidiava  Lione.  Nel  giugno  corse 


Digitized  by  VjOOQIC 


616  CAPITOLO  X 


a  lui  nimica,  corne  quelli  che  avrebbero  potuto  mandare 
a  vuoto  i  suoi  tentativi  contra  la  repubblica;  tra  essi,  i  più 
celebrati  generali  di  Prancia,  Cavaignac,  Cliaagamier, 
Leflô,  Lamoricière  e  Bedeau,  il  colonaello  Charras  e  lo 


Bopra  Parigi  soUeyata;  e  dopo  la  elezione  del  10  dicembre  il  Présidents 
rimandoUo  a  Lione,  U  cni  sollevamento  del  15  giagno  egli  soffocè  nel 
sangue.  Passato  quindi  a  Strasbourg,  nel  Inglio  del  1851  riceveUe  0 
comando  supremo  delFesercito  di  Parigi  dalle  mani  del  Bnonaparte,  che 
ordendo  allora  le  prime  file  délia  trama  di  Stato  chiamô  intomo  a  se 
quanti  per  sete  d'oro  o  libidine  di  onore  egli  teneya  per  certo  gli  si 
sarebbero  associati  nell'opera  parricida. 

Leroy,  dette  di  Saint  Arnaud,  nel  1816  era  costretto  a  lascîare  l'e- 
sercito  a  cagione  di  sua  yita  scostumata;  dissîpatore,  cadde  in  poTerci 
stato.  Recatosi  a  Londra  per  tentare  la  fbrtuna,  doyette  presto  fùggire 
di  \k  per  togliersi  a  prigionia,  meritatasi  per  poco  ledti  guadagni 
Tomato  a  Parigi  non  tardô  molto  ad  essere  incarcerato  per  debiti;  oon- 
dannato  a  due  anni  di  carcere  in  Santa  Pelagia,  la  nyolimone  déî 
1830  tomoUo  a  libertà.  Nel  febbraio  del  yegnente  anno  entrô  nel  64*^ 
reggimento  di  fanti  col  grade  di  sottotenente;  combatte  in  Vandea  la 
solleyazione  legittimista;  poi  fu  carceriere  délia  Dnchessa  di  Berrj, 
yerso  la  quale  comportossi  in  modo  si  odioso  da  diyentare  oggetto  di 
sprezzo  de'  suoi  compagni  d'arme;  onde  doyette  lasciare  il  reggimento: 
allora  entrd  nella  leginne  straniera.  In  AMca  fti,  con  Pelissier,  un  dei 
soffbcatori  degli  Arabi  nelle  grotte  di  Dehara.  Nel  1837,  fatto  capitana 
ebbe  il  comando  d'una  compagma;  che  ayrebbe  presto  perdnto  per  azione 
indelicata  commessa,  se  di  lui  non  si  fosse  mosso  a  pietà  il  colonnello 
Bedeau,  i  cui  buoni  offici  salyaronlo  dal  disonore.  Protetto  dal  générale 
Bugeaud,  Saint  Arnaud  —  il  capo  dei  carcerieri  délia  Dnchessa  di 
Berry  al  castello  di  Blaye  —  progredî  rapidamente  nella  milîxia  ;  creato 
nel  1847  maresciallo  di  campo  per  la  dedizione  spontanea  di  Bon  Maza, 
riedè  a  Parigi.  Nella  solleyazione  del  febbraio  1848  cedette,  dopo  lieye 
contraste,  il  palazzo  délia  prefettura  di  Poîizia  —  ch'egli  ayrebbe  po- 
tuto facibnente  difendere  a  lungo  —  per  offîrire  la  sua  spada  al  Gk>yenM) 
délia  repubblica;  il  quale  mandoUo  in  Africa,  oye  resse  da  prima  Or- 
léansyille,  di  poi  Costantina  ;  e  qui  yennero  a  troyarlo  gli  oratori  del 
Buonaparte,  cui  allora  tutto  si  diede.  Dopo  ayere  goyemata  una  spe- 
dizione  contra  i  Kabily  —  alla  quale  toGc6  esito  infelice  —  reeosai  a 
Parigi;  poco  dopo  fu  creato  Ministre  sopra  le  armi ;  e  corne  taie  oondnsse 
la  brutta  guerra,  combattutasi,  come  or  ora  narreremo,  quattro  giorai 
in  Parigi  nel  dicembre  del  1851,  auspice  Luigi  Napoleone  Buonaparte. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA  E   GSIHEA  617 

illustre  storico  del  Consolato  e  delVlmperio,  l'orleanista 
Adolfo  Thiers  (1).  Nel  medesimo  tempo  il  Présidente  ban- 
diva  à^lYEliseo  un  decreto,  col  quale  licenziava  l'Assemblea 
nazionale  e  la  Consulta  dl  Stato  (2);  convocava  Ll  popolo  nei 
suoi  Oomizi  e  metteva  Parigi  sotto  il  governo  délie  leggi  mili- 
tari. Fer  onestare  Tatto  che  uccideva  la  libertà  délia  patria, 
Napoleone  Buonaparte  accompagnarane  il  decreto  con  un 
manifesto  alla  nazione,  nel  quale  afTermava  essere  stato 
costretto  a  far  ciô  dal  contegno  turbolento  deU'Assemblea, 
che  soffiava  nel  fuoco  di  passioni  pericolose  alla  quiète 
délia  Francia;  e  siccome  erasi  essa  mutata  in  un  focolare 
di  congiure  e  di  guerra  civile,  e  fatta  assalitrice  del  potere 
venutogli  dal  popolo,  cosi  Taveva  licenziata,  e  in  pari 
tempo  chiamato  il  paese  a  giudice  deiroperar  suo,  e  del- 
l'operare  di  quella.  =  Scopo  délia  Costtiuzione,  diceva  il 
principe-présidente  nel  suo  manifesto,  essere  di  indebolire 


(1)  Furono  da  dogencinqnanta  i  rappresentanti  délia  nazione  arrestati; 
qaelli  délia  destra  dell'Assemblea,  condotti  a  VincenneSf  vennero  trattati 
coi  maggiori  rignardi;  quel  délia  sinistra,  rinchiusi  a  Mazas,  con  la 
massimadurezza;  dei  cinqoantatrô  portati  al  Monte  YalerianOii  tredici 
délia  Hnistra  forono  tennti  prigionieri,  agli  altri  venne  subito  data  la 
Ubertà. 

(3)  Nel  suo  appellarsi  al  popolo  Napoleone  disse:  u  GU  nomini  che 
lianno  perdnto  due  monarchie  vogliono  legarmi  le  mani  allô  scopo  di  ro- 
Tesciare  la  repnbblica;  il  dover  mio  ô  di  sventare  i  loro  disegni  e  man- 
tenere  la  repnbblica...  n  qnale  menzogna  !  —  Dopo  avère  messo  innanzi 
le  basi  fondamental!  d'nna  Costituzione  scrivea  :  «  Qnesto  sistema,  creato 
dal  primo  Consolo  al  cominciare  del  secolo,  ha  gift  dato  alla  Francia  il 
riposo  e  la  prosperità,  che  egli  le  gnarentirebbe  ancora.  »  Lnigi  Napo- 
leone mentiva  affermando  ciô  ;  awegnachô  il  sistema  del  primo  Consolo 
avesse  dato  alla  Francia  qnattordici  anni  di  gnerra  e  dne  invasioni  d'armi 
straniere  ;  e  qnel  sistema  rimesso  in  onore  dal  terzo  Bnonaparte  dovesse 
dare  alla  Francia  nna  guerra  disastrosa  e  vergognosa  e  îngloriosa  e 
un'altra  invasione  d'armi  straniere.  Nel  sno  manifesto  ai  soldati  Lmgi 
Napoleone  invitavali  a  fare  rispettata  la  prima  legge  del  paese,  la  so- 
vranità  nazionale,  montre  ei  faceva  arrestare  i  rappresentanti  délia 
nazione,  che  devono  essere  inviolabili,  e  licenziava  TAssemblea  e  la  Con- 
Boltadi  Stato! 


Digitized  by  VjOOQIC 


618  OAPITOLO   X 


il  potere  che  la  Francia  stava  per  affldargli;  la  quale  aveia 
già  con  suffragio  splendidissimo  protestato  contra  YA^ 
semblea  stessa.  Avère  egli  sempre  fedelmente  rispettatoil 
patto  fondamentale,  di  continue  invocato  da  chi  sfacciata- 
mente  lo  violava.  Colore  che  avevano  mandate  a  ruina  due 
monarchie  volergli  ora  legare  le  mani  per  abbattere  la 
repubblica;  essere  quindi  dover  sue  sventarne  le  perfide 
mire,  mantenere  quella  e  salvare  il  paese,  invocando 
il  giudizio  del  popolo,  il  solo  sovrano  ch'egli  riconosceva 
in  Francia.  Se  il  popolo  vuole  conservare  questo  stato  di 
malessere,  che  mette  a  repentaglio  il  nostro  avvenire, 
scelga  a  suo  cape  un  altro  uomo,  perô  che  io  non  possa 
accettare  una  autorità  impotente  a  fare  il  bene,  impotente 
a  condurre  a  salvamento  la  nave  dello  Stato,  la  quale 
corre  verso  Tabisso;  ma  se  ha  fede  in  me,  mi  accordii 
mezzi  di  compiere  la  grande  missione  già  affidatamî,  che 
deve  chiudere  Têra  délie  rivoluzioni,  appagare  i  legittimi 
bisogni  del  popolo  e  proteggerlo  contra  le  passioni  scoa- 
volgitrici  deirordine,  fondare  istituzioni  che  abbiauo  a 
soprawivere  agli  uomini  e  sieno  basi  saldissime  a  opère 
durature.  Proporre  egli  a  basi  fondamentali  d'una  Cosii- 
tuzione  la  creazione  d'un  capo  suprême  —  nominato  per 
dieci  anni  e  mallevadore  del  proprio  operare  —  con  Mi- 
nistri  soggetti  al  solo  potere  esecutivo  ;  in  oltre,  una  Con- 
sulta di  Stato,  cui  spetti  preparare  le  leggi  e  sostenerle 
dàvanti  aU'Assemblea  nazionale,  eletta  dal  suffragio  uni- 
versale,  il  cui  primo  dovere  sia  di  discuterle,  approvarle 
0  respingerle;  in  fine,  una  seconda  Assemblea,  composta 
dagli  uomini  piii  illustri  del  paese,  la  quale  abbia  a  custo- 
dire  il  patto  fondamentale  e  le  libertà  pubbliche.  Taie 
sistema,  creato  dal  primo  Console  in  sul  cominciare  del 
secolo  nostro,  poter  dare,  come  aveva  già  dato  alloraalla 
patria,  la  quiète  e  la  prosperità.  Di  ciô  essere  egli  profon- 
damente  convinto  ;  se  i  Francesi  lo  fossero  del  pari,  proras- 
serlo  coi  loro  suffragi  ;  se  poi  preferissero  un  governo  senza 
forza  —  monarchico  o  repubblicano  —  rispondessero  nie- 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA   E   OBIMEA  619 


gativamente.  Qualora  egli  non  venisse  confermato  nel  potere, 
raccoglierebbe  una  nuova  Assemblea,  cui  rimetterebbe  il 
mandate  ricevuto  dal  popolo;  ma  se  questo  reputasse  la 
causa  —  délia  quale  il  suo  nome  è  simbolo  —  quella  délia 
patria  comune,  vale  a  dire  la  Francia  rigenerata  dalla  riro- 
luzione  deirottantanove  e  ordinata  dal  grande  Imperaiore, 
lui  acclamasse,  consecrando  la  potestà,  che  ad  esso  chie- 
deva;  in  tal  modo  TEuropa  sarebbe  salva  dairanarchia,  e 
tutti  rispetterebbero  nella  sentenza  del  popolo  i  decreti  délia 
Provvidenza.  =  Al  manifeste  rivolto  alla  nazione,  il  Buona- 
parte  faceva  tener  dietro  un  appelle  ai  soldati:  «  Siate  su- 
perbi,  diceva  loro,  délia  vostra  missione  !  (1).  Voi  salverete 
la  patria;  forte  deirappoggio  vostro  io  faro  rispettata  la 
sovranità  nazionale,  di  cui  sono  legittimo  rappresentante. 
Nel  1830,  come  nel  1848,  foste  trattati  da  vinti,  eppure 
siete  la  parte  eletta  del  paese  ;  ma  oggi,  ma  in  questo  mé- 
mento solenne,  voi  farete  udire  la  vostra  voce.  Oeme  liberi 
cittadini  darete  liberamente  il  vostro  suflfragie;  ma,  come 
soldati,  obbedirete  al  cape  del  Governo  ;  a  me  solo,  malle- 
Tadore  del  mie  operare  in  faccia  al  popolo,  spetta  il  diritto 


(1)  I  soldati  di  Napoleone  Baonaparte  —  intendo  pTopiio  dire  del 
Buonaparte,  non  délia  Francia  —  mostraronsi  allora  più  insolenti  dei 
Pretoriani  di  Roma  impériale,  più  sfrenatamente  violenti  dei  Giannizzeri 
dei  Soldani  di  Costantinopoli!  Dopo  avère  inyasa  l' Assemblea  scaglia- 
Tonsi  sopra  i  rappresentanti  délia  nazione  strappandoli  a  viva  forza  e 
con  modi  bmtali  dai  loro  seggL  H  colonnello  Garderens  a  nno  d'esai, 
che  lagnavaai  ii  tanta  in<^aria,  gridô:  u  Tacete!  nna  parola  di  più  e 
io  Ti  faccio  battere  col  calcio  degli  schioppi!  »  parole  queste  indegne 
d'mi  gentilnomo,  più  indegne  auoora  di  un  soldato.  —  Luigi  Napoleone 
ayoTa  fatto  awinazzare  i  soldati:  u  Si  aveva  dato  da  bere  a  qnesti, 
eosi  Yittore  Hugo  nella  sua  8toria  di  un  Delitto;  essi  obbedivano  pn- 
ramente  e  semplicemente  ai  loro  snperiori  e,  giusta  la  espressione  di 
un  testimonio  oculare,  sembravano  instupiditù  —  I  rappresentanti  del 
popolo  li  interpellavano  e  loro  dicevano:  =  Ma  qnesto  ô  un  delitto! 
=  ed  essi  rispondevano  :  =  Noi  non  sappiamo  nnlla.  —  Si  udi  nn  sol- 
dato chiamare  a  nn  altro:  =  Che  bai  fatto  de'  tnoi  dieci  franchi  di 
questa  mattina?  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


620  CAPITOLO   X 


di  adoperare  quei  mezzi,  che  reputerô  necessari  al  bene 
pubblico.  »  —  Se  le  parole  iadirizzate  alla  nazione  vale- 
vano  a  rassicurare  gli  animi  dei  più  timorosi,  quelle  dirette 
airesercito  dovevano  certamente  turbare  anche  i  più  fidenti 
nel  principe:  il  quale,  col  ricordare  ai  soldati  la  militare 
disciplina,  tendeva  a  far  d'essi  une  strumento  di  sua  am- 
bizione  e  tirannide,  mentre  dovrebberlo  essere  in  ogni 
tempo  di  indipendenza  e  libertiu  La  metropoli  e  molti  di- 
partimenti  délia  Prancia,  levaronsi  a  romore,  protestando 
contra  Tatto  del  2  dicembre  e  contra  lo  imprigionamento 
dei  loro  rappresentanti  ;  ma  Tesercito  represse  conlayio- 
lenza  il  manifestarsi  deiropinione  popolare,  bruttando,  con 
suo  -vituperio,  di  sangue  cittadino  le  armi,  che  la  patria 
aveagli  dato  per  difenderla  dai  nimici  esterni. 

Intanto  che  alcuni  rappresentanti  del  popolo  recayansi 
presse  Luigi  Napoleone  a  offrirgli  il  loro  appoggio  nell'im- 
presa  parricida,  moltissimi  altri,  gridato  il  Buonaparte  de- 
caduto  dairofflcio  di  Présidente  in  forza  délia  stessa  Co- 
stituzione  (l),  correvano  Parigi,  eccitandone  gli  abitanti 
a  levarsi  contra  queirambizioso,  che  mirava  a  impadronirsi 
délia  potestà  assoluta,  e  Talta  Oorte  di  giustizia,  soUecitâ- 
mente  riunitasi,  dichiarava  colpevole  del  delitto  d'alto  tra- 
dimento  Luigi  Napoleone,  Présidente  délia  repubblica.  La 
parte  dei  cittadini  tennesi  tranquilla—  sia  perché  reputasse 
impossibile  di  resistere  con  vantaggio  aile  forze  armate  del 
Présidente,  sia  che  di  buon  grade  accettasse  il  nuovo  sistema 
di  politico  reggimento  che  esso  roleva  inaugurare  —  Taltra 


(1)  L'artÂcolo  68  deUa  Costituzione  diceya  cosi:  «  Ogni  proTredimento 
col  qnale  il  Présidente  délia  repubblica  licenzia  l'Assemblea,  la  piorog» 
0  mette  ostacolo  allô  esercizio  del  suo  mandate,  é  un  dditto  di  oMo  tro- 
dimento,  Per  questo  solo  fatto  il  Présidente  ô  decaduto  dal  suo  officio: 
i  cittadini  sono  obbligati  a  niegargli  obbedienza;  il  potere  eseevtko 
passa  di  pieno  diritto  alFAssemblea  Nazionale  ;  i  giudici  dell'alta  Cort^ 
di  giustizia  si  riunisoono  immediatamente,  pena  di  preyaricazione;  esd 
couYOcano  i  giurati  nel  luogo  cbe  designano  per  procedere  al  gindizio 
del  Présidente  e  de'  suoi  complici.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   B   CBIMEA  621 


parte  di  quelli  ordinossi  alla  lotta,  clie  dovea  governarsi 
da  un  Gomiiato  di  resistenza  formatosi  nella  sera  stessa 
del  2  dicembre  dai  rappresentanti  del  popolo  Carnot,  de 
Flotte,  Giulio  Favre,  Madier  de  Montjau,  Michèle  di  Bour- 
ges, Schœlclier  e  Vittore  Hugo.  I  difenditori  délia  repub- 
blica  combatterono  per  due  giorni,  da  prima  con  prospéra, 
da  ultimo  con  avversa  fortuna;  sopraffatti  dal  numéro,  al 
cadere  del  4  luglio  posavano  le  armi.  —  Durante  il  com- 
battimento  le  soldatesche  del  Buonaparte  commisero  atti 
d'orrenda  barbarie  ;  essi  uccisero  vecchi  e  giovanetti,  donne 
e  bambini,  gente  tutta  impotente  a  difendersi  del  pari  che 
a  offendere  (1).  Corse  allora  fama,  e  fu  altresi  scritto  di 
poî,  che  il  principe  avesse  mandate  alla  pugna  i  soldati 
ebbri  di  vino!  Alcuni  cadaveri  giacquero  tutto  il  dimani 
su  le  vie  délia  città;  moltissimi  vennero  seppelliti  nei  cimi- 
teri  con  la  testa  fuor  délia  terra,  e  non  pochi  là  deposti 
gli  uni  accanto  agli  altri;  orribile  spettacolo  certamente 
ordito  ad  arte  da  Luigi  Napoleone  a'  suoi  concittadini  per 
incutere  un  salutare  spavento  di  sua  potenza  e  farli 
avvertiti  d'essere  egli  a  tutto  preparato  e  da  nuUa  rifug- 
gire  per  raggiugnere  gli  intenti  suoi.  Non  seppesi  mai  il 
numéro  dei  caduti  a  Parigi  e  nelle  Provincie  —  ma  fu 
assai  considerevole  —  per  quella  trama  di  Stato,  che  la 
storia  registre  in  sue  pagine  tra  le  piii  basse  tradigioni  e 
i  delitti  più  vituperevoli  che  siansi  compiuti  da'  reggitori 
di  popoli.  «  Buonaparte  gettô  le  ténèbre  sul  numéro  dei 
morti,  cosi  scrisse  Vittore  Hugo;  taie  è  Tabitudine  degli 
ucciditori  di  uomini.  »  Agli  assassinî,  avvenuti  nei  giorni 
délia  lotta,  tenue  dietro  il  moschettarsi  dei  prigionieri, 
eseguito  segretamente  e  nella  oscurità  délie  notti  ;  vennero 
quindi  le  carcerazioni  e  le  proscrizioni  ;  poscia  lo  esilio  e 
la  relegazione  perpétua  in  terre  lontane  lontane  dalla  pa- 


(1)  In  nno  scritto  del  GtoyemOf  pnbblicato  di  qnei  giorni,  si  parla  di 
iQolti  cittadini  assassinati  nelle  proprie  case  ;  ciô  induce  a  credere  che  i 
soldati  iieeidessero  solamente  per  uccidere  t 


Digitized  by  VjOOQIC 


CAPITOLO   X 


tria;  per  ultimo  i  sequestri  e  i  conflscamenti  dei  béni  (1). 
€  Ohi  résiste,  abbia  il  supplizio  estremo  in  nome  délia  so- 
cietà  in  legittima  difesa  ;  »  cosi  scriveva  il  générale  Saint 
Arnaud,  allora  Ministro  sopra  le  armi,  ai  proconsoli  mili- 
tari nelle  provincie  sollevate,  che  mandavano  a  morte 
quanti  con  le  armi  alla  mano  venivano  in  lor  potere;  con 
mezzi  cotali  restauravasi  Tordine  sconvolto  da  chi  aveva 
avuto  la  missione  di  tutelarlo  (2).  Nella  sua  brutta  impresa 


(1)  Se  Lnigi  Napoleone  fosse  stato  yinto  e  fatto  prigioniero,  ceita- 
mente  non  avrebbe  perduto  la  yita  ;  yincitore,  non  perdonô,  non  usô  la 
Tittoria  con  clemenza,  egli,  il  cospiratore  di  Strasbourg  e  di  Boulogne! 
Sette  mesi  dopo  il  2  dicembre,  a  Belley  saliva  U  patibolo  nn  operaie  di 
Bougez,  di  nome  Charlet,  stato  preso  nella  solleyazione  del  dipartimento 
dell'Ain  e  perciè  condannato  a  morte.  Dimenticato  nel  carcere,  la  sua 
sentenza  yeniva  dal  Buonaparte  trovata  nel  gingno  del  185S  in  mezzo 
ad  altre  carte;  e  quel  clémente  affrettayasi  di  sottosdiyerla  !  è  giu9to, 
la  legge  dev'easere  eseguitaJ  e  il  29  gingno  Charlet  perdeya  la  yita. 

(2)  n  diario  la  Patrie  narrando  i  casi  di  Parigi,  scrisse  allora  cosi  : 
u  Un  faoco  di  feritori  yenne  d'un  tratto  riyolto  contra  le  case;  le  fine- 
stre  e  le  facciate  furono  in  parte  distrutte;  poi  quelli  entrarono  in  esse 
nccidendo  quanti  yi  si  troyayano  nascosfci;  tra  cui  sei,  scoperti  dietro  tap- 
peti  ammonticchiati  per  difendersi  dalle  palle,  yennero  moschettati  su 
la  scala  del  palazzo  Lannes...  n  II  diario  la  Patrie  essendo  partigiano 
del  Buonaparte  e  tra  gli  apologisti  del  2  dicembre,  la  sua  narrazione 
ê  in  tutto  degnissima  di  fede.  —  Dopo  la  trama  di  Stato  quasi  cento 
mila  repubblicani  furono  condannati  aU'esilio,  portati  in  AMca  o  rele- 
gati  in  perpetuo  a  Cajenne;  la  ferocia  del  Buonaparte  giunse  sino  a 
far  moechettare  i  prigionieri  ;  la  quale  cosa  ai  giomi  nostii  si  fa  sola- 
mente  dai  Turchi,  che  noi  a  buon  diritto  chiamlamo  barhari.  Da  tre- 
centotrentasei  presi  nella  notte  del  4  dicembre,  quando  la  pugna  era 
posata,  neUe  case  e  per  le  yie,  poche  ore  dopo  sul  campo  di  Marte  per- 
dettero  la  yita  ;  e  tali  moscbettamenti  rinnoyaronsi  [allora  in  pubblioo; 
e  secretamente  poi,  per  molto  tempo.  Luigi  Buonaparte  faceya  uccidere 
non  per  giusta  sua  difesa,  ma  per  libidine  di  sangue  o  a  sfogo  di  sue 
turpissime  yendette;  e  come  lui  furono  assassini  i  suoi  complici;  e 
quelle  che  ô  peggio,  che  per  lui  andd  aUora  yituperata  Tassisa  mi- 
litare;  i  soldati  ammazzayano  in  nome  suo.  H  luogotenente  colonnello 
CaiUaud,  dell'antica  guardia  repubblicana,  yeduto  prender  di  mira  dei 
passeggeri,  gridô:  u  Voi  disonorate  la  yostra  assisa!  »  —  Nella  via  del 


Digitized  by  VjOOQIC 


FSANCIA   E    CBIMBA  623 

Luigi  Napolôone  ebbe  complici  dimolti  ;  promettendo  onori, 
alti  offlci  e  ricchezze  ne  trovô  in  tutte  le  classi  dei  citta- 
dini  ;  e  tutti  gli  si  mantennero  fedeli,  perché  egli  aveva 
saputo  assai  astutamente  legarli  al  carro  délia  sua  for- 
tuna  (1).  —  Il  20  dicembre  di  queiranno  1851  il  popolo, 
riunito  nei  Gomlzi,  accettava  il  mantenimenio  delVauto- 
rità  del  Bitonaparte  e  delegavagli  i  poteri  necessari  a 
fare  una  Costituzione  su  le  basi  messe  innanzi  nel  ma- 
nifesto  del  2  dicembre.  Raccolti  i  suflfragi  trovossi  che 
sette  milioni  quattrocentotrentanove  mila  e  dugento  sedici 
aveano  risposto  affermativamente  a  quella  domanda;  sei- 
centoquaraatamila  settecento  trentasette,  niegativamente. 
-Ne  libero,  ne  spontaneo  fu  quel  sufifragio,  perô  che  avesse 
sofferto  violenze  non  poche  ;  in  alcuni  villaggi  arrestaronsi 
quanti  sospettavansi  contrari  a  Luigi  Napoleone;  in  altri, 
le  genti  d'arme  minacciarono  chi  voleva  niegare  il  suf- 
fragio  al  principe  ;  e  si  videro  anche  noti  faccendieri  dare 
ai  contadini  il  cartellino  col  si  ;  corne  poi  corresse  la  cosa 
neiresercito,  è  più  facile  indovinare  che  dire  (2).  Il  31  di- 
cembre i  Commessari  incarlcati  délia  veriâcazione  dei  suf- 


Statkr  udissi  un  officiale  degli  Spahis  dire  ai  suoi  soldati:  u  Tirate 
aile  donne!  »  e  allora  caddero  donne  e  bambini.  —  In  nome  del  Bno- 
naparte,  il  3  dicembre,  il  notissimo  Reri,  offri  a  Giacomo  CriBcelli,  un 
CÔT80,  yenticinque  mila  lire  per  uccidere  Vittore  Hugo. 

(1)  A  difesa  del  féroce  govemo  de'  suoi  proconsoli  nelle  provincie 
Lnigi  Napoleone  fece  spargere  voci  menzognere  di  atti  orribili  compiuti 
dai  sollevati  ;  nella  quale  opéra  ingannatrice  ebbe  Tainto  di  Froissard, 
il  quale  nel  suo  diario,  la  Patrie,  non  yergognossi  di  calunniare  i  con- 
cittadini  suoi  per  amicarsi  il  principe.  Fu  scritto  aUora  di  spose  di  Pre- 
fetti,  che  ammogliati  non  erano;  di  uccisione  del  Sindaco,  di  genti 
d'arme  e  del  Sotto-Prefetto  di  Joigny,  oye  non  una  goccia  di  sangue  era 
statayersata;  di  rnbamento  al  castello  di  Cormatin,  di  saccheggio  e  di 
incendio  a  quelle  di  Saint  Pont;  e  i  signori  di  essi,  Lacretelle  e  La- 
martine; confessarono  di  poi  non  ayer  patito  danno  yeruno  dai  soUeyati. 

(2)  La  yittoria  fu  guadagnata  dal  Buonaparte  non  solamente  con  la 
Tiolenza,  ma  anche  con  Finganno.  «  H  Si,  disse  allora  il  Sindaco  d'un 
^illaggio  ai  contadini,  ô  la  repubblica;  il  No,  contra  questa.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


624  GAPITOLO   X 


fpagi  —  erano  Baroche,  Rouher,  Pieri,  Maupas  e  Troplong 
—  annanziavano  al  principe  la  sua  rielezione  al  supremo 
oflaicio;  il  quale  ai  loro  auguri  rispondeva:  =  I  Francesi, 
bene  indovinando  essere  egli  uscito  dalle  vie  legcUi^  se  non 
per  entrare  in  quelle  del  diritto,  averlo  assolto  e  giustîfi- 
cato  di  queU'atto,  che  dovea  risparmiare  alla  patria,  forse 
anche  aU'Europa,  molti  anni  di  perturbamento  e  di  guai 
Oomprendere  egli  tutta  la  grandezza  délia  sua  nuova  mis- 
sione;  tenersi  sicuro  di  superare  i  gravi  ostacoli,  che  quella 
attraversavano,  con  la  rettitudine  del  suo  cuore,  Taiuto 
degli  uomini  onesti,  la  fedeltà  deiresercito  e  la  protezione 
del  cielo.  Volere  assicurare  le  sorti  délia  Francia  mediaate 
istituzioni  rispondenti  aile  aspirazioni  democratiche  deJla 
nazione  e  al  desiderio  universalmente  espresso  d'un  go- 
verno  forte  e  rispettato.  =  Se  il  2  dicembre  1851  aveva 
chiarito  essere  il  Buonaparte  per  nulla  coscienzloso  in  fatto 
di  onestà,  il^  2  dicembre  deU'anno  appresso  dorea  provare, 
corne  ei  fosse  per  nulla  scrupoloso  mantenitore  délia  fede 
e  délie  promesse  date!  —  Il  primo  del  1852  Luigi  Napoleone 
recavasi  al  maggior  tempio  délia  metropoli,  ove  veniva  so- 
lennemente  cantate  il  Te  Deum  in  ringraziamento  al  Si- 
gnore  Iddio  di  sua  rielezione  al  seggio  presidenziale.  A 
mezzo  gennaio  pubblicavasi  la  rncova  Costituzione,  lavoro 
del  Présidente;  il  quale,  affermando  che  da  cinquante 
anni  in  poi  la  Francia  non  era  progredita  se  non  merd 
gli  antichi  ordinamenti  amministrattvi  del  Consolato  e 
delVimperio,  aveva  tratto  quella  dalla  Costituzione  del- 
Tanno  ottavo  ;  ma  nel  rendere  omaggio  e  nel  confermare 
i  grandi  principi  acclamati  dalla  rivoluzione  del  1789  egli 
chiudeva  in  limiti  assai  angusti  la  libertà  individaale  e 
quella  altresi  délia  stampa. 

Dal  giorno  in  cui  Luigi  Napoleone  ricevette  dal  suffra- 
gio  popolare  la  suprema  potestà  nella  repubblica,  palesô 
con  audacia  —  che  oflfendeva  ogni  convenienza  —  i  suoi 
disegni  alla  restaurazione  dell'imperio;  ne  lasciando  occa- 


Digitized  by  VjOOQIC 


FSANCIA  B  GSUCBA  625 


sione  mai  di  ricordame  le  memorie  gloriose  e  i  benefizi» 
ridestava  a  suo  vantaggio  le  simpatie  un  tempo  vivamente 
sentite  per  quel  Grande,  che  aveva  fatto  la  Francia  forte, 
rispettata,  temuta.  «  lo  chiederô  alla  nazione,  per  la  quiète 
délia  patria,  un  ntMvo  iitolo,  che  abbia  a  fissare  irrevoca- 
l>ilmente  sul  mio  capo  il  potere  da  essa  già  concedutomi, 
qnando  i  nimici  al  mio  Governo  mettesaero  a  repentaglio 
l*aTTenire  del  paese...  »  parole  queste  piene  di  minaccia 
che  il  29  marzo  1852  rivolse  ai  Senatori  e  Deputati  rac- 
colti  la  prima  yolta  in  assemblea.  Il  10  maggio  diede  al- 
Tesercito  le  antiche  insegne  deiraquila  impériale—  che 
sotte  il  primo  Napoleone  aveano  corso  vittoriosamente 
TEuropa  —  e  allora  dal  principe  chiamate  simbolo  cCauto- 
rità  e  di  gloria.  Neirestate  di  queU'anno  1852,  recatosi 
a  yisitare  le  provincie  del  mezzogiorno  allô  scopo  di  atti- 
rarne  a  se  le  popolazioni  e  decidere  Topinione  pubblîca 
in  favore  deirimperio»  ei  faceva  ritorno  a  Parigi  già  salu- 
tato  Imperatore.  A  Lione  dinnanzi  alla  statua  équestre 
del  gran  Capitano  —  che,  lui  présente,  inauguravasi  — par- 
lando  di  se  ai  cittadini,  nomossi  Verede  di  Napoleone; 
e  poco  di  poi  a  quelli  di  Bordeaux  diceva:  =  LMmperîo 
essere  la  pace,  perché  la  Francia  lo  desidera;  essa  sod- 
disfatta,  nessuna  guerra  poter  turbare  il  monde;  eletto 
Imperatore,  molto  conquisterebbe  ;  ma  le  sue  conquiste  sa- 
rebbero  tutte  morali.  —  Sventuratamente  per  la  Francia 
e  per  lui  Timperio  fu  proprio  la  guerra;  ce  lo  alOTermano 
il  Messico  e  Sedan,  due  vergogne  che  di  maggiori,  ne  di 
eguali  non  toccarono  mai  a  popolo  civile  !  Timperio  fu  al- 
treei  Tinvasione  straniera,  il  vituperio  di  Metz,  il  disastro 
di  Parigi  !  —  Era  il  4  novembre  1852,  quando  il  Présidente 
faceva  conoscere  ai  Senatori  :  =  La  volontà  délia  nazione 
essersi  chiarita  per  la  restaurazione  deirimperio  ;  sempre 
rispettando  la  costiiuzione,  il  mutarsi  degli  ordini  repub- 
blicani  in  monarchici  toccare  la  forma,  non  le  basi  fon- 
damentali  di  quella.  Il  popolo  troverebbe  neirimperio  una 
guarentigia  secura  agli  interessi  suoi  e  una  soddisfazione 

40  —  VoL  n.  Mariahi  —  Storia  pol-  e  mH 


Digitized  by  VjOOQIC 


626  CAPTTOLO   X 


al  suo  giusto  orgoglio  ;  in  oltre,  nel  conservare  le  conquiste 
gloriose  del  1789,  chiuderebbe  Têra  délie  rivoluziom  po- 
litiche.  =  Tre  giorni  dopo  11  Senato  deliberava  di  proporre 
alla  nazione  il  ristabilimento  délia  diçnità  imperiaie 
nella  persona  di  Luigi  Napoleone,  con  la  eredità  nella 
sua  discendenza  diretta,  legittima  o  adotttoa.  n  21  e  22 
novembre  i  Francesi,  chiamatl  ai  loro  comizi  per  Taccet- 
tazione  di  taie  proposta,  rispondeano  con  quasi  otto  milioni 
di  vocl  favorevoli,  con  dugencinquantamila  contrarie.  La 
sera  del  primo  annunziossi  al  principe  la  sua  nuova  vit- 
torla  ;  il  quale  subito,  con  la  corona,  prese  il  nome  di  Na- 
poleone m,  in  omaggio  a  quel  grande^  che  col  genio  sue 
avea  scritto  le  pagine  più  belle  délia  storia  modema.  D 
dimane,  dopo  essere  stato  acclamato  davanti  aile  Guardie 
nazionali  e  al  presidio  di  Parigi  Imperatore  dei  Francesi 
per  la  grazia  di  Dio  e  volontà  délia  nazione,  lasciô  l*Eli- 
seo  per  recarsi  aile  stanze  imperiali  délie  Tuileries.  Questa 
la  fine,  in  verità  ingloriosa,  délia  repubblica  del  febbraio 
1848!  Di  sua  caduta  molto  addoloraronsi  i  popolî,  molto 
rallegraronsi  i  dèspoti  d*Europa;  i  quall,  sebbene  non  ve- 
dessero  di  buon  occhio  la  dinastia  napoleonica  signoreg- 
giare  in  quella  regia,  dalla  quale  un  di  erano  usciti  i 
fulmini  di  Jena,  di  Friedland  e  d*Austerlitz,  non  tardu-ono 
perô  a  riconoscere  il  novello  imperio  levatosi  su  le  ruine 
di  quella  tribuna,  che  rieordava  le  tante  sconfitte  toccate 
ai  loro  eserciti  sul  Danubio,  a  Marengo  e  su  TAdige! 

La  pace  d'Europa,  che  allora  parve  per  lunga  pezza  as-  I 
sicurata,  fu  di  li  a  poco  turbata  dalle  ambizioni  di  Niccolô, 
lo  Gzar  di  Russia;  che  reputando  esser  quello  momento 
opportune  ai  disegni  vasti  e  audaci  di  Pietro  il  Grande, 
preparava  le  armî  per  assaltare  Timperio  musulmano;  pre- 
testo  délia  guerra  —  che  arder  dovea  terribile  e  sangui- 
nosa  sul  Danubio  e  nella  Tauride  —  diceva  lo  Czar  essere 
VôbUigo  suo  di  proteggere  in  Oriente  gli  interessi  dei 
Ored;  ma  in  realtà  era  la  smania  irrefrenabile  di  signo- 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBA.NOIA  E   OBIMBA.  627 


reggiare  sul  Bosforo;  era  altresi  il  desiderio,  in  vero  one- 
sio,  di  rimandare  là,  donde  eran  venuti,  i  ûgli  deirislam 
—  negazione  di  ogai  civile  progresse  —  da  secoli  campeg- 
gianti  uaa  délie  contrade  piii  belle  d'Europa,  con  vituperio 
dei  principi  cristiaui  e  délia  stessa  cristianità  per  lo  ad- 
dietro  piii  volte  dai  seguaci  di  Maometto  minacciata  di 
distruzione  (1).  «  Avvicinarsi  a  Costantinopoli  e  aile  Indie...; 
chi  régnera  su  queste  sarà  il  vero  Sovrano  deiruniverso... 
Smembrata  la  Svezia,  vinta  la  Persia,  sommessa  la  Polonia, 
conquistata  la  Turctaja,  riuniti  gli  eserciti  russi  da  navi 
russe,  corse  le  acque  del  Baltico  e  del  mar  Nero,  bisognerà 
tentare  segretamente  da  prima  Versailles,  di  poi  Vienna 
per  lo  spartimento  delFimperio  del  monde;...  »  cosi  testava 
il  fondatore  deirimperio  moscovita,  Pietro  il  Grande;  e  a 
compiere  la  vastissima  opéra  da  lui  si  bene  disegnata  e 
tanto  felicemente  cominciata  avevano  rivolti  tutti  gli  sforzi 
loro  i  successori  suoi  —  Nel  1828  lo  czar  Niccolô,  veduti 
riuscire  vani  i  tentativi  di  Mahmoud  per  infondere  nuova 
Tita  nella  razza  degli  Osmanli  (2),  un  di  forte  e  gagliarda, 
allora  molto  inûacchita,  apparecchiossi  al  conquisto  di 
Costantinopoli;  al  quale  scopo  richiese  a  Francia  Tappog- 
gio  suo,  promettendole  le   desiderate  frontière  del  Reno. 


(1)  Oltre  le  tante  e  grosse  guerre  imprese  dai  Tmchi  per  abbattere 
quel  formididabile  antemnrale  deUa  Cristianità,  che  nei  passati  tempi 
fa  rAustria,  Selim  I  e  Morad  IV,  in  efferatezza  certo  snperiori  a  Ne- 
Tone,  ayevano  proposto  al  Divano  di  mandare  a  morte  quanti  cristiani 
trovayansi  nel  loro  imperio. 

(â)  Voler  condnrre  a  ciyiltà  i  Mnsnlmanl  ô  impresa  al  di  sopra  d'ogni 
forza  nmana;  ritenere  ciô  possibile  ô  stoltezza;  il  Tnrco  per  incivilirsi 
deye  gettare  Inngi  da  sô  il  Corano,  e  qoando  esso  non  crederà  più  al 
suo  CoranOj  non  sar&  più  Tnrco.  Nessnn  Soldano  fù  tanto  desideroso 
di  riformare  l'imperio  qnanto  Mahmoud  n  ;  ma,  a  poca  cosa  gli  sford" 
suoi  approdarono;  ei  distmsse  qnèi  feroci  e  tnrbolenti  pretoriani,  che 
fnrono  sempre  i  Giannizzeri  —  il  15  giagno  1826  —  nn  tempo  sostegno 
saldissimo  dello  Stato,  ma  diyenuti  poi  inetti  a  difenderlo,  perché  dege- 
nerati  dall'antico  yalore. 


Digitized  by  VjOOQIC 


638  GAPITOLO  X 


n  respingersi  da  Carlo  X  Tofferta  dello  Czar  —  il  cni  sta- 
bilirsi  a  cavalière  del  Bosforo  riteneva  grave  pericolo  al- 
Tindipendenza  d'Europa  —  salvô  da  certa  rovina  il  vacil- 
lante imperio  turchesco  (l\  e  costrinse  Tambizioso  despota 
di  Russia  a  rinunziare  aU'impresa  da  luaga  pezza  riso- 
luta.  n  disputare,  che  da  tempo  immemorabile  facevasi  da 
Greci  e  da  LatiDi  intorno  il  pdssesso  de*  Luoghi  Santi  di 
Gerusalemme,  di  Bethlem  e  di  Nazareth,  di  que'  giorni  rin- 
fooolatosi  piu  che  mai,  forniva  al  vigile  Czar  occasione 
favorevole  a  inft*ammettersi  nelle  faccende  d'Orienté  per 
sostenere  i  diritti  dei  Greci,  sui  quali  suoi  correligionari, 
sebbene  soggetti  alla  Sublime  Porta,  ei  voleva  estendere 
sua  autorità  di  Ponteâce  supremo  délia  Chiesa  ortodossa. 
Ai  tempi  di  Francesco  I  e  di  Solimano  il  Magnifiée  era 
stato  da  Prancia  e  da  Turchia  convenuto  di  riconsegnare 
i  Luoghi  Santi  ai  Latini,  come  quelli  che  prima  avevanli 
tenuti.  Verso  la  meta  del  secolo  passato  per  differenze  sorte 
tra  cattolici  e  scismatici  —  differenze  suscitate  da  passioni 
di  due  caste  nimiche,  e  non  da  vero  interesse  di  religione 
—  dovettesi  addivenire  a  nuove  concessioni  e  fermare  un 
nuovo  trattato  ;  ma  non  essendosi  nemmeno  allora  potuto 
determinare  in  modo  assoluto  a  chi  proprio  per  diritto 
spettasse  il  possedimento  de'  Luoghi  Santi,  ridestavansi  non 
molto  di  poi  le  mal  sopite  contese.  Nel  1848  il  furto  corn- 
messo  dai  Greci  d'una  Stella  d'argento,  stata  posta  dai  La- 
tini nella  grotta  di  Bethlem,  inaspri  gli  animi  di  questi. 
e  agli  odi  antichi  altri  e  di  maggiori  allora  s'aggiunsero. 
Non  potendo  essi  ottenere  giustizia  dai  Governo  turco, 
volgevansi  a  Francia  ;  la  quale,  per  Toratore  suo  in  Corte 
di  Costantinopoli,  chiedeva  al  Soldano,  facesse  rendere  dai 
Greci  la  stella  rubata  e  quanto  per  lo  innanzi   avevano 


(1)  Di  quel  giorni  la  Bussia  era  piena  di  vita  nnova  e  operosa;  tntto 
faoeva  sperare  che  a  civiltÀ  si  awlasse  ;  mentre  Timperio  masnlmano 
aadava  ogni  di  più  decadendo  ;  esso  era  yecchio,  non  per  gli  anni,  mA 
per  le  istitazioni  barbare  con  le  quali  tuttayia  si  reggeva. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANOIA   B   GBXMBA  629 


tolto  al  clero  cattolico;  in  oltre,  si  restitulsse  al  culto  del 
cattolicesimo  la  grande  chiesa  di  Bethlem  e  il  Sepolcro  délia 
Vergine.  Contra  tali  pretensioni  i  scismatici  protestarono 
avanti  alla  Sublime  Porta  ;  la  quale,  non  osando  respingere 
le  giuste  domande  di  Francia,  ne  condannare  i  Greci  pro- 
tetti  dallo  Gzar,  lasciava  di  buon  grado  a  una  Gommissione 
mista  di  Latini  e  Greci  11  'carico  d*esaminare  e  deânire  i 
diritti  dei  contendenti.  Il  giudizio  dei  Commessari  non 
accontentô  i  primi  e  venne  compiutamente  rigettato  dai 
secondi,  perché  securi  deU'appoggio  di  Niccolô  ;.  il  quale, 
mentre  nel  febbraio  1853  per  difendere  gli  interessi  e  i  di- 
ritti dei  Greci,  inviava  al  Soldano  Tammiraglio  principe 
di  Menschlkoff,  raccoglieva  nella  Bessarabia  grosso  nerbo 
di  soldatesche  e  riuniva  nelle  acque  di  Sebastopoli  tutta 
la  marineria  di  guerra  del  Mar  Nero;  apparecchi  questi, 
che  cliiariYano  gli  intendimenti  guerreschi  délia  Russia. 
Menscbikoff,  in  nome  del  suo  Signore,  faceva  proposte  al 
Soldano,  le  quali  non  solo  ne  offendevano  la  dignità,  ma 
ne  mettevano  in  pèricolo  l'indipendenza.  Voleva  Toratore 
ni3S0  che  la  Sublime  Porta,  allontanandosi  dairamicizia 
di  Francia  e  d*Inghilterra,  fermasse  un  trattato  con  la 
Russia;  in  virtù  del  quale  lo  Czar  manderebbe  eserciti  e 
armate  in  aiuto  alla  sua  alleata,  quando  venisse  assaltata 
dagli  Stati  occidentall  ;  in  compense  di  taie  aiuto  la  Chiesa 
ortodossa  d'Orienté  e  i  Greci  soggetti  alla  Turchia  ver- 
rebbero  sotto  la  protezione  sua  (1).  Niccolô,  con  obbligare 
il  Soldano  a  ricorrere  a  lui  in  tutte  le  sue  contese  con 
gli  Stati  d'Europa,  mirava  a  renderselo  soggetto,  per  po- 
scia  far  suo  queU'imperio,  ch'egli,  già  da  tempo  ritenen- 
dolo  gravemente  malato,  affermava  non  lontana  la  sua 
caduta.  Resplnte  le  domande  del  Governo  moscovita,  la 
Sublime  Porta,  in  sul  ânire  di  maggio,  volgevasi  ai  rappre- 
sentanti  di  Francia,  di   Bretagna,  d*Austria  e  di  Prussia 


(1)  Dodici  milioni  di  cristiani  di  rito  greco  abitano  Fimperio  ottomano. 


Digitized  by  VjOOQIC 


630  CAPITOLO   X 


per  far  loro  conoscere  le  esigenze,  veramente  oltraggiose 
a  sua  dignità,  e  le  minaccie  di  guerra  dello  Czar;  in  oitre, 
li  ayvertiya  délia  deliberazione  presa  d^apprestare,  senza  por 
tempo  in  mezzo,  le  resistenze  su  terra  e  su  mare,  avregnachè 
la  Russia  fosse  pronta  già  ad  assalire,  a  offendere.  —  Men- 
scliikoflfaveva  giàda  parecchi  giorni  abbandonata  Costan- 
tinopoli  coi  principali  délia  legazione  russa,  allora  che,  il 
9  giugno,  Rechid  Pachà  —  luogotenente  deirimperio  tnr- 
chesco  —  riceveva  da  Nesselrode  un  ultimatum  ;  col  quale 
il  gran  Oancelliere  di  Russia  Tawisava,  che  se  il  Soldano 
si  ostinasse  a  rigettare  le  demande,  inspirate  a  moderazione 
e  a  giustizia,  di  Niccolô,  tra  brevi  settimane  gli  eserciti 
moscoviti  invaderebbero  la  Turchia,  non  per  rompere 
guerra,  ma  per  ottenere  da  essa  guarentigie  secure  in  fa- 
vore  del  culto  ortodosso  d'Orienté.  Con  nobile  fermezza 
rispondeva  Rechid  Pachà  di  non  poter  soddisfare  ai  desi- 
dèri  dello  Czar,  perché  ledevano  i  diritti  dell'autorita  so- 
vrana  del  suo  Signore. 

Mentre  le  armate  di  Francia  e  d'Inghilterra,  lasciate  le 
acque  del  Méditerranée,  navigavano  verso  la  baia  di  Besika, 
che  giace  presse  Tentrata  dei  Dardanelli,  ove  dovevaao 
arrivare  a  mezzo  il  giugno,  i  Ministri  di  Francia,  di  Bre- 
tagna,  d'Austria  e  di  Prussia  eransi  riuniti  a  consulta  in 
Vienna  per  trovare  modo  di  comporre  quella  contesa,  che 
poteva  far  divampare  di  fuoco  e  di  guerra  tutta  Europa. 
Se  non  che  la  Russia,  la  quale  per  li  suoi  fini  voleva  de- 
finire  la  quistione  con  le  armi,  il  3  luglio,  superato  il 
Pruth  con  gli  eserciti  suoi,  invadeva  i  principati  Danu- 
biani,  Moldavia  e  Valacchia  (1).  —  Il  Goyerno  musulmano 


(1)  Qaesti  principati  faceyano  parte  dell'antico  regno  di  Dacia. 
Trè^ano,  nello  annetterli  all'imperio  suo,  stabiliya  in  easi  alcnne  colonie 
latine  e  greche  ;  d'allora  gli  abitatori  di  quelle  provincie  prendevano  il 
nome  di  Bumeni.  Nel  1848  i  contadini  leyayansi  in  an  Tarme  per  to- 
gliersi  al  servaggio  e  liberarai  dalle  imposizioni  fendali,  che  dnramente 
pesayano  su  loro;  ed  eransi  levati  gridando  :  Viva  la  swranità  del  Sol- 


Digitized  by  VjOOQIC 


7&AKC1A.  B  GBIILBA  631 


siibito  protestô  contra  quella  violazione  del  suo  territorlo, 
ma  con  assai  moderazione,  che  in  vero  tornô  a  suo  grande 
elogio;  ne  voile  fare  di  essa  un  casus  beUi,  nella  speranza 
che  gli  Stati  mediatori  potessero  condurre  lo  Gzar  a  sensi 
più  miti,  a  consigli  più  saggi  ;  e  solo  quando  seppe  re- 
spinte  dalla  Gorte  di  Pietroborgo  le  proposte  dl  paciâco 
componimento  messe  innanzi  dal  congresso  di  Yienna,  in- 
timaya  la  guerra  airinvaditore,  nel  medesimo  tempo  vol- 
gendosi  per  aiuti  a'suoi  potenti  alleati;  lo  che  accadeya  il 
25  settembre.  Al  suo  inyito  Prancia  e  Inghilterra  doye- 
vano  presto  rispondere  con  armi  poderose,  e  più  tardi 
anche  la  bellicosa  Sardegna;  ma  gliele  niegayano  allora 
e  sempre  Austria  e  Prussia.  —  11  3  ottobre  in  Varsayia 
conyenlyano  per  rinnoyare  e  fermare  insieme  intimissimo 
accordo  lo  Gzar,  llmperatore  d' Austria  e  il  Re  di  Prussia; 
di  quanto  yenne  da  essi  discusso  e  deliberato,  nuUa  si 
seppe  allora  ne  di  poi;  parlarono  forse  di  pace  ?  no,  per6 
che  la  guerra  di  li  a  poco  scoppiasse  terribile  e  grossa; 
trattarono  forse  di  coUegare  lor  forze  armate  contra  Bre- 
tagna  e  Francia  ?  no,  ayyegnachè  la  Russia  non  abbia 
avuto  mai  nella  lotta,  che  fu  lunga  e  disastrosa,  soccorso 
veruno  d'alleati.  A  difendere  sua  politicay  yeramente  in- 
fida,  l'Austria  diceya:  =  Essere  stata  sempre  conserya- 
trice  e  ciô  per  la  sua  postura  geograâca  in  Europa,  i  cui 
interessi  ebbe  ognora  tutelati  e  difesi.  Amicissima  di  Russia 
—  phe  consideraya  come  argine  saldissimo  contra  le  se- 
dizioni  e  le  popolari  soUeyazioni  —  se  non  aveya  potuto 
impedire  Toccupazione  militare  dei  principati    Danubiani, 


dano,  Mentre  1  Turchi  entravano  nella  Yalacchia  per  sedarn  la  soUeva- 
zione,  i  Bnssi  invadeyano  la  Moldayia.  Contra  taie  intervenzione  armata 
il  Diyano  protestava;  ma  di  ciô  lo  Czar  non  cnrandosi,  le  armi  sne  non 
nscivano  di  Moldayia.  Il  trattato  di  Balta  Liman  dell'aprile  1848  met- 
teya  d'accordo  qne'  due  Stati,  ch'erano  in  procinto  di  gneneggiarsi;  in 
forza  di  esso  la  Enssia  poteya  interrenire  ne'  principati,  quando  gravi 
eîicostanze  il  richiedessero. 


Digitized  by  VjOOQIC 


6B2  OAPITOLO   X 


studiavasi  perô  sempre  di  condurla  a  moderazione;  consi- 
gnera di  pace,  essa  non  doveva  aggiugaere  fuoco  a  fuaco 
entrando  con  sue  armi  nella  contesa.  Nella  quale  sua  de- 
liberazione  di  neutralità  assoluta...  coufortayala  la  parola 
dello  Czar,  di  non  volere  far  guerra  di  conquista:  onde 
il  felice  coatrappeso  degli  Stati  d'Europa  non  correva  pe- 
ricolo  d'essere  turbato.  =  A  provare  poi  corne   l'Austria 
non  sarebbe  per  aiutare  mai  con  le  armi  Tuna  parte  o  l'al- 
tra,  il  Governo  di  Vienna  riduceva  di   numéro   Tesercito 
suo  ;  e  mentre  con  taie  provvedimento  intendeva  rassicu- 
rare  i  Governi  amici  sul  procedere  suo  in  quoi  momenti, 
in  yerità  difâcilissimi,  mirava  eziandio  al  soddisfacimento 
dei  bisogni  economici  deirimperio.  —  Il  giorno  8  di  otto- 
bre  Orner  Pachà,  généralissime  dell*armi  musulmane,   dai 
suoi  alloggiamenti  di  Choumla   scriveva   a   Gortschakoff, 
comandante  suprême  deU'esercito  russe  che  teneva  stanza 
in  Bukarest,  invitandolo  a  lasciare  i  principati  infra  quin- 
dici  di  ;  taie  invite  era  l'ultima  espressioné  dei  sentiment] 
paciflci  délia  Sublime  Porta.  Il  12  rispondevagli    il    prin- 
cipe Gortschakoff  di  non  avère  avuto  dalllmperatore,  suo 
Signore,  la  potestà  di  trattare  délia  pace,  délia   guerra  o 
dello  sgombramento  délie  provincie  Moldo-Valacche,  —  Le 
forze  armate  délia  Turchia,  allora  campeggianti  la  Bulga- 
ria,  sommavano  a  centrentacinque  mila  uomini  e  quaranta 
batterie  di  cannoni,  ed  erano  divise  in   quattro  corpi   di 
esercito.  Il  primo  di  essi,  di  cinquantamila  uomini,  trora- 
vasi  a  Ohoumla  sotte  il  comando  diretto  di  Omer  Pachà; 
il  seconde,  di  venticinque  mila,  stava  a  BabarDagh   nella 
Dobrutscha  sul  basse  Danubio,  e  aveva  a  cape  Alim  Pachà; 
capitanavasi  il  terzo,  di  trenta  mila  uomini,  da  Mustapha 
Pachà,  il  quale  teneva  i  suoi  campi  da  Roustchouk  a  Sistow; 
11  quarto,  di  trenta  mila,  sottolil  governo  d'Ismail  Pachà,  sten- 
deasi  daSistow  a  Widdin;inoltre,  grossi  presidi  di  soldatesche 
stavano  in  Varna,  Pravardin,  Tirnova  e  nei  forti  costrutti 
a  difesa  de*  passi  dei  Balkan  ;  in  âne,  la  riscossa^  cinquanta 
mila  uomini  airincirca,  comandata  da  Rifaat  Pachà  cam« 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   E   GAIMEA  633 


peggiava  nei  dintorni  di  Sofia,  dove  la  grande  strada  di 
Gostaatiûopoli  a  Belgrado  viene  attraversata  da  quella  che 
da  Bukarest  conduce  al  regno  di  Grecia  (1).  NelFAsia  la 
Turchia  teneva  ia  su  Tarme  cencinquanta  mila  uomini 
lungo  le  spiaggie  del  Mar  Nero  e  le  frontière  del  Gaucaso, 
ordinati  in  due  corpi  d'esercito,  il  primo  comandato  da 
Abdi  Pachà,  il  secoado  da  Selim  Pachà.  Le  forze  armate 
délia  Russia,  che  trovavansi  nei  principati  sotto  il  governo 
suprême  di  Gortschakoff,  componevansi  del  corpo  d*eser- 
cito  di  Dannenberg,  di  parte  del  corpo  di  Luders  —  i 
quali  ueirordinamento  militare  deU'imperio  numeravansi 
quarto  e  quinto  —  e  da  quattordici  reggimenti  di  Cosacchi 
del  Don  con  le  loro  batterie  di  cannoni;  in  tutto,  cen- 
venti  mila  uomini,  seguiti  da  grosse  artiglierie  per  gli  as- 
sedi;  la  riscossa,  il  corpo  d'esercito  d'Osten-Saken,  trova- 
Tasi  in  Bessarabia  dietro  il  Pruth.  Woronzoflf  capitanava 
nei  Caucase  cencinquantamila  Russi  ;  con  questo  esercito 
egli  aveva  a  combattere  non  solamente  le  soldatesche  mu- 
sulmane deirAsia,  ma  eziandio  le  popolazioni  di  quella 
contrada  non  domata  mai,  e  che  allora,  sotto  Schamyl, 
preparayansi  ad  uscire  alla  campagna  con  forze  poderose 
per  dar  mano  ai  Turchi  nelle  militari  operazioni  contra 
il  comune  nimico. 

I  primi  affronti,  che  furono  di  lieve  momento,  ebbero 
luogo  a  Isatcha,  non  lungi  dalla  foce  del  Pruth  nei  Danubio, 
e  presse  Turtukoi  dinnanzi  a  Oltenitza.  Rotta  la  guerra, 
Orner  Pachà  risolveva  di  costringere  i  Russi  a  sgombrare 
le  provincie  occupate  dal  nimico.  Il  27  ottobre  egli  entra 
nella  picciola  Valacchia;  il  primo  novembre  tenta  passare 


(1)  La  base  délie  militari  operazioni  scelta  da  Orner  Pachà  era  estesa 
ditroppo;  essa  correva  da  qnasi  trecento  miglia  lungo  il  Danubio.  Pochi 
8«no  i  Talichi  di  questo  fiume  in  Turchia,  avyegnachô  le  sue  rive  vi 
siano  quasi  tutte  dirupate  e  paludose;  nei  1828  i  Bussi  Tayeano  supe- 
rato  a  Silistria. 


Digitized  by  VjOOQIC 


634  GAFITOLO  X 


il  Danubio  a  Rustciuk,  invano  perô  ;  due  giorni  dopo  riesce 
a  superarlo  con  poco  più  di  nove  mila  uornini  a  Oltenitza; 
il  di  seguente  va  sopra  i  Russi,  di  lui  piii  forti  in  numéro; 
i  quali,  dopo  aver  patite  gravi  perdite,  indietreggiano  verso 
Bukarest  II  vincitore  non  li  insegue  ;  pago  di  taie  vittoria 
si  raccoglie  in  Oltenitza  ad  aspettarvi  il  nimico»  clie  tiene 
per  certo  abbia  a  venire  a  lui  per  vendicare  la  sconfitta 
sofferta;  attesolo  invano  alquanti  giorni,  torna  con  sue 
genti  su  la  destra  del  Danubio;  lo  che  eseguisce  il  di  11 
novembre.  In  Asia,  come  in  Europa,  la  guerra  cominciaTa 
felicemente  per  le  armi  musulmane;  le  quali»  il  28  ottobre 
impadronivansi  del  forte  Ghekvetil,  chiamato  dai  Russi  San 
Niccolô,  che  siede  sul  Mar  Nero  a  difesa  del  confine  di 
Georgia,  e  il  18  novembre  combattevano  vittoriosamente  la 
squadra  russa,  venuta  al  racquisto  di  quel  forte  ;  ma  dopo 
dieci  ore  di  combattimento  dovevano  togliersi  giù  dall'im- 
presa;  e  a  mezzo  novembre  i  Turchi  stringevano  Alessan- 
dropoli,  fortezza  che  giace  a  cavalière  délia  via  di  Tiflis. 
Ma  pochi  giorni  di  poi,  costretti  a  lasciar  quell'assedio,  il 
26  novembre  ad  Akhalzick  e  il  due  dicembre  a  Basch- 
Radisck-Lar  erano  messi  in  rotta  per  causa  del  tumultuario 
assalire  délie  milizie  irregolari,  le  quali,  respinte,  avevano, 
nello  indietreggiare,  disordinato  il  campo;  ciô  che  diede 
ai  Russi  la  vittoria.  —  Gli  infelici  successi  allora  sortiti 
aile  armi  moscovite  sul  Danubio  e  nella  Georgia,  se  non 
avevano  queste  scoraggiate,  avevano  perô  negli  animi  loro 
prodotto  assai  triste  impressioni  ;  a  cancellar  le  quali,  la 
Czar  ordinava  a  Nakimoff,  vice-ammiraglio  délia  squadra 
russa  nel  Mar  Nero,  distruggesse  la  nimica,  che  in  quel 
mare  aveva  il  carico  di  tener  libère  le  comunicazioni  tra 
Costantinopoli  e  l'esercito  turchesco  dell'Asia.  Osman  Pacha, 
che  la  comandava,  prestando  fede  alla  parola  di  Niccolô, 
c?ie  non  avrébhe  rotte  le  osttlità  sino  a  che  gli  Stati  medior 
tori  trattassero  di  pace,  tenevasi  in  imprudente  sicurezza 
nella  rada  di  Sinope,  città  posta  sa  la  marina  dell'Asia 
Minore  rimpetto  alla  Grimea.  Era  il  30  novembre,  quando 


Digitized  by  VjOOQIC 


FRANOIA   E   CRIMEA  635 


Nakimoff  giugneva  innanzi  a  quella  coa  la  suasquadra;  e 
appena  s'ebbe  ordinato  alla  pugna,  intimava  a  Osman 
Pachà  di  abbassare  la  bandiera  e  di  rendersi  a  lui;  alla 
oltraggiante  chiamata,  rammiraglio  turco  rispondeva  con 
le  artiglierie  délia  sua  fregata;  in  meno  che  non  balena, 
d*ambe  le  parti  le  navi  vomitavano  fuoco  e  ferro.  Dopo 
tre  ore  di  combattimento,  la  squadra  ottomana  più  non 
esisteva!  due  frégate,  allora  che  trovaronsi  li  li  per  venire 
a  mano  dei  Russi,  dato  fuoco  aile  polveri,  con  orrendo 
scoppio  saltavano  in  aria;  lealtre,  squarciati  i  âanchi  dal 
cannone  nimico,  si  sommergevano  e  con  esse  circa  tre 
mila  marinai;  centoventi  di  questi  con  Osman  Pachà 
cadevano  prigionieri  dei  Russi;  quattrocento,  gettatisi  in 
mare,  salvavaMsi  a  nuoto.  Nakimoff,  oltre  il  tradimento 
commesso  per  comando  dei  suo  Signore,  compiva  allora 
un  atto  di  fiera  barbarie  :  fu  Tincendio  di  Sinope,  i  cui 
abitatori,  come  ebbe  egli  stesso  a  confessare,  non  avevangli 
recato  offesa  veruna  (1),  La  giornata  di  Sinope,  che  proprio 
non  tornô  a  gloria  dell'armi  moscovite,  scrisse  allora  una 
pagina  splendidissima  nella  storia  militare  di  Turchia; 
ayvegnachè  per  Tonore  délia  nazionale  bandiera  migliaia 
di  Musulmani  andassero  incontro  a  certa  morte,  accettando 
la  pugna  offerta  da  un  nimico  dimolto  prépondérante 
in  forze  aile  loro  (2).  Il  disastro  di  Sinope  —  la  cui  novella 


(1)  Nakimoff,  prima  di  lasciare  le  acqne  di  Sinope  scriyeva  al  Consolo 

austriaco  di  Sinope  stesso  per  iscolparsi  di  qneirincendio  :  = la 

ostinata  difesa  délie  navi  nimiche  e  soprammodo  il  faoco  délie  batterie 
dei  cannonî  di  costa  ayerio  obbligato  a  fare  uso  délie  bombe;  ma  il  mag- 
gioT  danno  cagionato  alla  città  essere  proyenuto  dai  frammenti  incen- 
diât! dei  legni  tnrcheschi...  ;  gli  ordini  datigli  dal  sno  Goyemo  toccar 
solo  le  nayi  di  gnerra;  la  sqnadra  impériale  non  ayere  aynto  intendimenti 
ostili  contra  la  città  e  il  sno  porto.  .:=  Non  estante  il  comando  dato  di 
rispettare  Sinope,  Nakimoff  la  mandaya  a  royina  ! 

(2)  La  sqnadra  rossa,  cke  oombattè  a  Sinope,  componevasi  di  sei  grossi 
vascelli,  di  due  frégate  e  di  tre  minori  nayi  a  yapore  con  settecentosessanta 
cannoni;  altre  qnattro  frégate  stayano  in  crociera  dinnanzi  il  cape  Indjeh 


Digitized  by  VjOOQIC 


636  OAPITOLO  X 


veniva  il  3  dicembre  portata  a  Gostantinopoli  dal  Taif, 
legno  a  vapore  spedito  al  Soldano  da  Osman  durante  il 
combattimento  stesso  —  non  iscoraggi  i  Musnlmani,  ma 
accrebbe  anzi  in  essi  forza  e  lena  di  operare,  e  Tenta- 
siasmo  per  la  g^erra;  e  destô  eziandio  in  tutta  Europa 
dolore  misto  a  sdegno.  L*eccidio  di  Sinope  ebbe  grande 
importanza,  perô  che  a  Francia  e  a  Bretagna  facesse  corn- 
prendere  essere  giunto  il  momento  di  soccorrere  a  quel- 
rimperio,  alla  rovina  del  quale  lo  Czar  aveva  mosso  armi 
poderose,  e  i  cui  modi  di  guerreggiare,  mostravanlo  di  poco 
umani  sentimenti;  vuolsi  perô  avvertire,  in  omaggio  alla 
verità,  che  Tassalto  di  Sinope  non  ara  contrario  aile  leggi 
délia  guerra.  Il  3  gennaio  1854  le  squadre  dlnghilterra  e 
di  Francia  —  la  prima  comandata  dair^ynmiraglio  Ha- 
melin  (1)  —  lasciate  le  acque  di  Besika  e  di  Therapia  en- 
travano  nel  Bosfoto  e  tre  giorni  di  poi  nel  Mar  Nero, 
seguîte  da  alcune  navi  turchesche,  portanti  soldati,  armi 
e  vettovaglie  ai  presidi  di  Trebisonda,  di  Batoum  e  del 
forte  di  Chekvetil.  Dopo  avère  percorso  quel  mare  senza 
incontrare  Tarmata  nimica  e  senza  toccare  i  porti  délie 
spiaggie  russe,  le  squadre  coUegate  gettavano  Tàncora  nella 
rada  di  Sinope  ;  se  non  che,  reputandola  poco  secura,  il 
22  gennaio  facevano  ritorno  al  Bosforo.  Il  loro  entrare  nel 


e  nelle  acqne  di  Amastrah  per  impedire  la  via  ai  soccorsi  che  da  Costan- 
tinopoli  potessero  ginugere  alla  sqnadra  di  Sinope;  la  qnale  conUva 
soltanto  sette  frégate,  tre  coryette  e  nu  picciolo  legno  a  vapore  cc& 
quattrocentosei  cannoni. 

(1)  La  sqnadra  inglese  conta  va  venti  legni  —  vascelli,  frégate,  cor- 
vette, ecc.  —  con  millecentoventi  cannoni;  la  francese  era  di  quindici 
—  pure  di  vascelli,  frégate,  corvette,  ecc  —  con  novecentotrentadue 
cannoni.  L'armata  rnssa  del  Mar  Nero  componevasi  di  qoaranta  legni  — 
vascelli,  frégate,  steamers  e  corvette  —  con  due  mila  cannoni  all'inciic*. 
L'ambasciatore  d'InghUterra  a  Costantinopoli  nello  annnnziare  la  pa^ 
tenza  délie  squadre  confederate  diceva:  ==  Passare  esse  nel  Mai  Neiv 
a  proteggervi  gli  interessi  délia  Turchia;  ci6  che  non  poteva  ron^re 
la  buona  amicizia,  che  leg^va  la  Russia  ai  due  grandi  Stati  d'occidente. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBÂNCIA   K   CBIMEA  637 


Mar  Nero  non  fu  riteauto  dallo  Gzar  corne  un  caso  di 
çuerra;  ei  disse  perô  che  ial  fatto,  rompendo  la  fede  dei 
trattati,  lui  scioglieva  da  ogni  obbligo  verso  i  medesimi. 
Agli  schiarimenti  su  quello  intervenire  armati  chiesti  a 
Parigi  e  a  Londra,  essendo  stato  risposto  in  modo  poco 
amichevole,  gli  ambasciatori  russi  lasciavano  quelle  me- 
tropoli:  lo  che  avveniva  il  6  febbrâio  di  quell'anno  1854. 
Fu  allora  che  TAustria  davasi  a  raccogliere  armi  numerose 
nella  Voivodina  e  nel  banato  di  Ternes,  e  ciô  per  ragion 
diprudenza,  aflfermava  essa,  essendosi  la  guerra  ingros- 
sata  presso  le  sue  frontière,  e  la  vicina  Serbia,  minac- 
ciando  di  levarsi  a  romore  per  Topera  di  agitatori  russi 
e  musulmani,  che  volevano  trarla  a  lor  parte. 

In  questo  mezzo  i  Russi  facevano  deliberazione  d'impa- 
dronirsi  di  Kalafat,  la  prima  guardia  del  campo  turchesco 
di  Widin,  su  la  sinistra  del  Danubio,  ctoe  lor  chiudeva  il 
passe  nella  Servia.  Indovinati  i  disegni  del  nimico,  Ismail 
Pachà  con  tredici  battaglioni  di  fanti,  tre  reggimenti  di 
caralli  e  venti  cannoni  —  undici  mila  uomini  aU'incirca 

—  al  cadere  del  5  gennaio  portavasi  da  Kalafat  a  Citate, 
villaggio  posto  su  la  via  di  Bukarest  a  Widin,  presse  il 
quale  troyavasi  a  campo  grossa  schiera  di  Russi.  AlFal- 
beggiare  del  nuovo  giorno  i  Turchi  mossero  aile  oflfese; 
e  dopo  contraste  estinatissimo,  insignoritisi  di  Citate  sta- 
vane  per  assaltare  il  ridotto  alzato  dal  nimico  sopra  un^ 
poggio  signoreggiante  quella  via,  quando,  a  rimettere  la 
fertuna  dell'armi,  giugnevano  ai  Russi  aiuti  poderosi  di 
fanti,  di  cavalli  e  di  cannoni,  che  il  romore  délia  pugna 
aveva  tratto  a  quel  luogo  dai  vicini  alloggiamenti  di  Boi- 
lechti  e  di  Motzetzel  (1).  Non  isgomentati  dal  numéro  délie 
forze  nimiche  —  per  quel  seccorsi  accresciute  del  doppio 

—  anzi,  prendendo   consiglio  dal   proprio  ardire,  i   Mu- 


(1)  Erano  noyé  battaglioni  di  fanti,  due  reggimenti  di  cayalleria  é 
sedici  cannoni  ;  in  tntto  ciica  otto  mila  uominL 


Digitized  by  VjOOQIC 


638  cAPiTOiiO  X 


sulmani  voltaronsi  contra  le  sorvegnenti  battaglie;  e  si 
vigorosamente  le  affrontarono  da  costringerle  in  brève  ora 
a  cercare  salvezza  nel  ridotto;  dal  quale  si  tolsero  nella 
notte,  per  tema  di  vedersi  dal  vincitore  impedito  il  ritorno 
ai  loro  alloggiamentl.  In  quella  giornata  i  Russi  perdet- 
tero  da  tre  mila  uomini  morti  o  feriti,  moite  armi  e  mu- 
nizioni  di  guerra;  i  Tilrchi,  poco  più  dl  mille:  Kalafat  e 
Oitate,  avevano,  in  parte  almeno,  vendicato  il  tradimento 
di  Sinope! 

Riuscite  a  vuoto  le  pratiche  dei  plenipotenziari  dei 
grandi  Stati  d'Occidente  por  ricondurre  a  concordia  e  a 
pace  Russia  e  Turchia,  il  Signor  de'  Francesi,  innanzi  di 
uscire  alla  guerra  con  l'arnica  Bretagna  per  difendere 
l'imperio  Ottomano,  alla  eut  integrità  lo  Czar  attentava 
con  tutta  la  poteaza  délie  sue  armi,  il  29  gennaio  scriTera 
al  Sire  moscovita,  invitandolo  ad  abbandonare  quell'im- 
presa  —  dall'opinione  pubblica  condannata  perché  contra 
giustizia  —  la  quale  minacciava  il  riposo  d'Europa  (1).  Le 
parole  di  Napoleone  erano  piene  di  dignità  e  al  tempo 
stesso  severe  ;  nel  mostrarsi  inspirato  a  sentimenti  di  con- 
ciliazione,  egli  francamente  chiarivasi  pronto  aile  armi, 
qualora  si  respingessero  sue  proposte  d'accordo.  «  n  can- 
none  di  Sinope,  cosi  nella  sua  lettera,  risuonô  dolorosa- 
mente  nel  cuore  di  quanti  in  Inghilterra  e  in  Prancia 
sentono  vivamente  la  dignità  nazionale,  e  con  voce  una- 
nime si  gridô:  Sin  dove  i  nostri  cannoni  possono  ferira 
i  nostri  alleati  devono  essere  rispettati.  »  —  n  9  febbraio 


(1)  In  sol  cominclare  dei  1854  seicentomila  Basai  campeggiaTaiio  1< 
frontière  dell'imperio  moscovita.  L'ala  destra  di  qnesta  stenninata  bat- 
taglia  appoggiavasi  al  Baltico,  stendendosi  longo  i  confini  pmssîani  e 
anstriaci  ;  la  parte  di  mezzo  correva  lungo  qnei  délia  Polonia  e  della 
Transilyania  sino  al  basse  Danubio;  e  l'ala  sinistra  correva  dal  basso 
Dannbio  lango  le  spiagge  dell'Ensino  settentrionale,  e  dei  mar  d'Âzof 
sino  alla  Georgia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FRAKCIA.   B   CBIMEA  639 


Timperatore  Niccolô  rispondeva  cosi:  =  Per  la  cooserva- 
zione  délia  pace  avère  egli  faite  tutte  le  concessioai  per- 
messegli  dal  suo  onore.  I  dirittl  e  i  privilegi  de*  suoi  cor- 
religionari  in  Turcliia  —  un  giorno  lor  confermati  a  prezzo 
di  sangae  msso  —  yenire  ad  essi  da  trattati  antichi.  Se 
si  fosse  lasciata  la  Porta  a  se  stessa,  la  quistione  de'  Luoghi 
Santi  sarebbe  già  stata  deSnita.  L*inyio  ai  Dardanelli  délia 
squadra  flranco-inglese  avère  incoraggiati  i  Turchi  alla 
gaerra  e  invalidato  altresi  il  negoziare  dei  plenipotenziari 
congregati  in  Vienna.  Francia  e  Bretagna,  se  fossero  state 
amanti  di  pace,  avrebbero  dovuto  impedire  al  Governo 
ottomano  d*intimargli  la  guerra;  o,  se  rotta,  fermame  le 
ostilità  sul  Danubio.  Il  fatto  d'arme  di  Sinope  essere  stato 
la  conseguenza  dello  assalire  dei  Turchi  il  suo  territorio 
asiatico  e  dei  contegno  mlnaccioso  dei  due  grandi  Statl 
alleatl.  Se  il  cannone  di  Sinope  in  Francia  e  in  Inghilterra 
feri  il  sentimento  délia  dignità  nazionale,  Tentrare  nel 
Bosforo  e  neirEusino  delFarmata  franco-britanna,  offese 
quelle  délia  nazione  russa,  délia  quale  ei  difende  Tonore: 
non  accettare  quindi  le  proposte  d'accordo  messegli  in- 
nanzi.  ==  Perduta  Tultima  speranza  d'un  pacifico  compo- 
nimento,  che  tutta  riposava  nella  arrendevolezza  dei 
Governo  di  Pietroborgo  e  nei  sentimenti  di  moderazione 
dello  Gzar,  ai  quali  Napoleone  aveva  fatto  un  sincero  ap- 
pello,  Francia  e  Bretagna  diedersi  soUecite  a  raccogliere 
armi  e  armati  per  soccorrere  a  queirimperio,  che  Niccolô, 
più  che  opprimere,  tendeva  mandare  a  rovina  per  famé 
sue  le  ricche  spoglie,  pur  sempre  protestando  di  non  avère 
fatti  suoi  i  disegni  e  i  sogni  di  Caterina,  ne  di  volere  insir 
gnorirsi  di  Costantinopoli  (1).  —  Montre  dai  grandi  Stati 
d'Occidente  preparavansi  le  armi  per  la  guerra  in  aiuto 
délia  minacciata  Turchia,  l'imperatore  Napoleone  ritentava 


(1)  Lettera  dei  33  gexmaio  1868  dell'oratore  d'Inghilterra  in  Corte  di 
Pietroborgo  a  lord  BusseL 


Digitized  by  VjOOQIC 


640  CAPITOLO    X 


ranimo  del  Sire  Absburghese,  promettendogli  di  tener  con- 
giunte  le  sue  bandiere  a  quelle  delVAustria  in  Greda  e  su 
le  Alpiy  se  allora  si  fossero  unité  sul  LanuMo  e  sut  Mat 
Nero;  le  quali  parole  mostrano  cliiaramente  i  sentimenti 
del  Napoleoûide  per  la  Grecia  e  lltalia,  e  le  simpatie  di 
que'  giorni  da  lui  nutrite  per  la  libertà!!  (1).  —  L'imperatore 
d'Austria  —  che  poco  innanzi,  a  chi  soUecitayalo  d'entrar 
nella  lega  di  Francia  e  d'Inghilterra,  aveva  risposto  di  non 
poter  concedere  a  questi  Stati  quanto  aveva  niegato  alla 
Russia  (2)  —  di  11  a  poco  faceva  conoscere  aU'Europa,  cbe 
la  iategritii  deirimperio  turchesco  e  rindipendenza  sua 
essendo  necessarie  al  mantenimento  degli  Stati,  l'Austria, 
quale  avanguardia  délia  Germania  dalla  parte  deirOriente, 
doveva  tenersi  pronta  a  tutti  gli  eventi,  e  armarsi  per  la 
conservazione  dell'ordine  délie  cose  esistenti.  —  Egli,  che 
non  molto  prima  aveva  protestato  di  conservarsi  neutrale 
nolla  contesa,  allora  apertamente  affermava  :  =  Non  rite- 
nere  ancora  necessario  il  suo  intervento  per  tutelare  gli 
interessi  deirimperio;  dover  perô  apparecchiare  le  armi 
per  osservarey  se  fosse  del  ca^Oj  i  precetU  di  stm  tradizio- 
nale  politica,  d'opporsi  cioè  altingrandimento  territoriaXe 
délia  Russia  di  qua  del  Pruth.  =  Questa  la  gratitudine  sua 


(1)  Nella  memorabile  soilevazione  délia  Grecia  de!  1821  i  grandi 
Stati  d'Occideute  ayevano  fatto  délia  cansa  di  essa  nna  qoistioiie  en- 
Topea,  allô  scopo  di  non  lasciare  tntto  alla  Rnssia  il  protettorato  dà 
Greci;  e  avovano  volnto  mostrare  altresi  con  lo  iateryeniie  armato 
quanto  stesse  loro  a  cnore  il  benessere  dei  cristiani  d'Orienté  :  la  civtk- 
zione  del  regno  di  Grecia  fa  la  prova  dei  loro  benevoli  sentimentL  Nel 
1854  corne  la  pensasse  la  Francia  cel  dicono  le  parole  del  Buonaparte 
all'Aastria,  minacdanti  invasione  di  sue  armi  in  qnel  regno,  se  avesse 
soccorso  ai  generosi  dell'Epiro;  i  qnali,  levatisi  per  l'acquisto  dell'indi- 
pendenza  patria,  eombattevano  vittoriosamente  su  le  piannre  di  Peta,  a 
Bucovitz,  e  campeggiavano  intomo  ad  Arta  e  a  Prevesa. 

(2)  Con  tali  parole  alladeva  alla  missione  del  conte  Orloff,  inmto 
dallo  Czar  a  Ini  per  invitarlo  ad  essergli  compagne  nell'impresa  di 
Oriente. 


Digitized  by  VjOOQIC 


PBANGIA   E   OBIMSA  641 


a  lui  che  nel  1849  avevalo  salvato  in  Ungaria!  ->  L*eser- 
cito  di  Francia  designato  aU'impresa,  e  al  cui  govemo 
era  stato  preposto  il  maresciallo  Saint-Arnaud,  contava 
quarantamila  uomini;  trentamila,  duce  lord  Raglan,  quello 
dlnghilterra;  la  quale  mandava  altresi  nelle  acque  del 
Baltico  una  forte  squadra  sotto  il  comando  deirammiraglio 
Napier,  per  chiudere  aile  navî  russe  Tuscita  dai  canal!  di 
quel  mare  che  menano  aU'Atlantico.  Molti  altri  legni 
raggiungevanla  per  via,  portandola  cosi  a  numéro  ;  e  quando 
presentossi  ai  nimici  erasi  fatta  un'armata  formidabile; 
perô  che  avesse  a  bordo  ventiduemila  uomini  e  duemila 
quattrocento  cannoni  airincirca.  Superato  il  Cattegat,  il 
26  marzo  entrava  nel  Gran  Belt;  due  giornl  dopo  mette- 
vasi  aU'àncora  davanti  a  Kiel;  il  vegnente  awiavasi  a 
Kioge,  porto  deirisola  Seeland,  che  il  5  aprile  lasciava 
per  recarsi  aU'isola  di  Bornholm,  la  quale  sorge  dal  Bal- 
tico tra  Testrema  terra  délia  Svezla  méridionale  e  la  spiaggia 
prussiana  di  Kolberg.  Napier,  venuto  il  15  aprile  al  golfo 
di  Finlandia,  volgevasi  da  prima  contra  Helsingfors,  e  di 
poi  contra  Revel  per  combattervi  le  navi  nimiche,  che 
dicevasi  trovarsi  riunite  in  quel  porti  ;  ma  sendo  dai  ghlacci 
sbarrata  la  via,  tornossene  addietro.  Divisa  allora  Tarmata 
in  tre  squadre,  Napier  mandava  la  prima  a  incrociare 
nelle  acque  di  Curlandia  da  Windau  a  Liban  ;  ordinava 
alla  seconda  di  portarsi  nel  golfo  di  Livonia  e  porsi  all'àn- 
cora  dinnanzi  a  Riga;  ed  ei  teneva  la  terza  all'entrata  del 
golfo  di  Finlandia.  Àl  didiacciarsi  del  mare  le  navi  inglesi 
Teoivano  a  raccogliersi  nelle  acque  di  Gottskasandon,  a 
settentrione  dell'isola  di  Gothland  —  terra  dei  Goti  —  che 
glace  airaltezza  del  golfo  di  Livonia.  Il  13  ma^io  Tarmata 
britanna,  tutta  riunita,  aspettava  il  giugnere  di  quella  di 
Prancia  per  muovere  insieme  contra  le  squadre  nimiche, 
indi  assaltare  Kronstad  —  forte  antemurale  di  Pietroborgo 
—  obbietto  primo  deU'impresa  del  Baltico.  Esplorando  il 
goljCo  di  Finlandia,  nel  quale  era  stato  fatto  tutto  quanto 
il  genio  délia  difesa  aveva  potuto  inventare,  Napier  rico- 

41  —  VoL  n.  Marlahi  —  Storia  pol.  •  mU. 


Digitized  by  VjOOQIC 


642  OAPITOLO   z 


nosceva  l'impossibilità  di  tentare  Kronstad,  senza  battelli 
piatti  per  correre  i  bassi  fondi,  che  circondano  quella 
fortezza,  pieni  altresi  di  scogli  sottomarini,  e  d'espugnarla 
senza  raiuto  di  grossa  schiera  di  soidati  da  mettere  a  terr&. 
Mentre  a  ciô  provvedevasi  dagli  Stati  alleati  e  nello  aspdt- 
tamento  deirarmata  di  Francia,  l'ammiraglio  inglese  spe- 
diva  sue  navi  a  correre  le  spiaggie  di  Hangoe  ;  le  qaaii, 
con  le  loro  artiglierie  recarono  danni  gravissimi  ai  forti  che 
la  difendevano  (1).  Il  13  giugno,  Tarmata  francese  —  duce 
rammiraglio  Parseval-Deschesnes  —  uscita  di  Brest  il  20 
aprile,  univasi  alla  britaana  presse  Barœsund  a  poche 
leghe  di  Sweaborg,  per  la  sua  forza  soprannomata  OiMl- 
terra  del  seltentrione.  Insieme  congiunte  le  armate  con- 
federate  contavano  settanta  legni  aU'incirca;  ira  i  quali 
diciotto  vascelli  inglesi  e  nove  francesi  ;  nel  golfo  di  Fin- 
landia  le  navi  russe  sommavano  a  quarantaquattro,  tra  cai 
venti  vascelli. 

Mentre  cosi  avevano  cominciamento  le  nimistà  nelBal- 
tico,  più  grossa  facevasi  la  guerra  sul  Danubio.  Innanzi 
di  narrarne  le  militari  operazioni,  è  necessario  dire  brevi 
parole  intorno  la  soUevazione  greca  e  il  contegno  che 
Prussia  ed  Austria  presero  rimpetto  agli  Stati  délia  Lega 
e  allô  Ozar.  —  I  Monténégrin!  (2),  nimicissimi  sempre  alla 
Turchia,  e  i  Greci  délie  provincie  soggette  a  questa,  tosto 
che  seppero  dello  invadere  dei  Russi  nei  principati  danu- 
biani^  davano  mano  aile  armi  per  togliersi  alla  signoria  stra- 


(1)  I  forti  d'Hangoe  stanno  a  cavalière  dell'entrata  dei  dae  golfi  ^ 
Finlandia  e  di  Botnia. 

(2)  Il  Yladica  del  Monténégro,  Danilo  Petrovich}  aveva  messe  faoïa 
nn  manifesto,  nel  qoale  ecdtava  alla  guerra  contra  la  Toichia  ehipo9- 
sedeva  un  cuore  forte  e  non  di  donna;  e  ricordando  ai  MonteDegrioi 
d'essere  i  figli  dei  vincitori  délia  Cemagola,  che  nn  di  avevano  domat4? 
tre  Visir  e  preso  d'assalto  le  fortezze  del  Soldano,  diceva  cosi:  a  Se 
non  disprezziamo  la  patria,  se  non  rinneghiamo  la  gloria  degli  anticbi 
nostri  eroi,  rioniamoci  e  combattiamo  in  nome  di  Dio.  » 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANOIA   E   OBIMSA  643 


niera.  Dai  messi  di  Niccolô  fatti  secari  dello  appoggio  di 

Russia  ed  eziandio  deiraiuto  d'Ottone  di  Grecia  —  il  quale 

avevaaccordato,  non  palesemente  perô,  ad  alcuni  offlciali  del- 

Tesercito  suo  di  capitanare  i  sollevati  —  assalivano  i  presidi 

turcheschi  d'Epiro,  di  Tessaglia,  di  Macedonia  e  d'Albania. 

I  Greci  dei    reame,   pieni    d'entusiasmo  per  Timpresa  di 

indipendenza,   raccolgono  danari  e  armi   per  aiutarla;  e 

veggendo   Francia  e  Inghilterra»  un  giorno  ad  essi  ami- 

cissime  e  allora  avverse,  volgonsi  a  Germania,  che  sebbene 

neutrale    nella   contesa   russo-turca,    sanno   perô   arnica 

sempre  ailo  Czar.  Invero  era  vana  speranza  lo  attendere 

la  libertà  da  quei  principi  che  opprimono  i  loro  8(^getti! 

—  I  Governi  di  Parigi  e  di  Londra   fanno  vive   proteste 

contra  il  procedere  del  Sire  ellenico  ;  il  quale,  sognando  la 

restaurazione  deirantico  imperio  bisantino,  naentre  lascia- 

vasi  dal  popolo  suo  acclamare  Imperaiore  (fOrientSy  ri- 

spondeva  a  quei   Governi  di   non   potere  respingere  le 

rimostranze  d'aflfetto  de'  sudditi  suoi,  ne  vietar   loro  un 

soccorso  ai  fratelli  combattenti  per  la  propria  religione  e 

per  Tindipendenza  patria.  —  A  impedire  il  congiungersi 

dei  Greci  sollevati  coi  Montenegrini,  la  Sublime  Porta,  nel 

febbraio  1854,  spediva  contra  questi  una  grossa  schiera  di 

sue  genti,  la  quale  veniva  sconfltta  a  Vassœva.  Vincitori 

ad  Arta  e  a  Giannina,   il   28  marzo  i  sollevati  patiscono 

grave  battitura  neirËpiro;  non  perô  cedono  le  armi,  che 

anzi  ogni  di  piii  la  soUevazione  si  allarga,  si  afiBorza  (1). 

11  giorno  8  aprile  i  consoli  di  Francia  e  d'Inghilterra  in 


(1)  II  6  aprile  festeggiavari  in  Atene  Tanniversario  délia  gloriosa 
solleTazione  di  Grecia  del  1821.  Alla  ceremonia  religiosa,  aUa  quale 
erano  soliti  piender  parte  i  rappresentanti  di  tutti  i  grandi  Stati  d'Eu- 
^pa,  intervenue  aUora  quel  di  Russia  soltanto;  il  cannone  délie  navi 
di  Frauda  e  d'Inghilterra,  che  sorgevano  su  Fàncore  nel  porto  del  Pireo, 
st«tte  muto  contra  Tusanza  degli  anni  antécédent!  ;  e  cou  lo  astenersi 
da  taie  festa  eminentemente  nazionale  i  Governi  di  Parigi  e  di  Londra 
AveYano  inteso  riprovare  i  generosi  entusiasmi  di  quel  popoli  d'eroi! 
procedere  in  verità  non  degno  di  quei  Governi  di  libère  nazioni. 


Digitized  by  VjOOQIC 


644  GAPITOLO  X 


Prevesa  pubblicavano  un  manifesto  ai  crîstiani  ribelli;nt\ 
qaale,  dopo  avère  confessato,   che  le  enormità  commesse 
in  Paramita,  MargariU  e  Phanaris  dalla  soldalesca  otUh 
mana,  bestiale  e  sfrenata,  erano  state ,  con  giusta  inAir 
gnazione  udite  non  solo  dal  Ooverno  del  Soldano,  ma 
altresl  da  lutta  VEuropa,  invitavanli  a  posare  la  guerra, 
avvegnachè  Prancia  e  Bretagaa  dovesserOy   in  virtù  dei 
trattati  fermati  con  la  Sablime  Porta,  difendere  i  diritU  di 
sovranità  del  Soldano  e  la  integrità  delVimperio  suo.  — 
Ed  ecco  due  nazioni  civilissime   farsi  sostegno  di  un  Go- 
verno,  i  cui  soldati,  giusta  la  loro  confessîone,    eram 
besttalmente  e  sfrenatamente  inumaniîvji  Governo  che 
allora  allora  aveva  condannato  al  supplizio  del  palo,  senza 
processo,  in  Cavaja  d'Albania,  tre  Greci,  venutiri  par  ecci- 
tare  i  cristiani  alla  impresa  di  indipendenza.  —  A  far  finita 
quella  guerra,  che  combattesi  con  varia  fortana»  ma  coq 
pari  ferocia,  Francia  e  Bretagna  risolvono  di  costringere 
con  le  armi  il  re  Ottone  a  togliere  Tappoggio,  che  segre- 
tamente  da  prima,  e  allora  apertamente  concedeva  ai  sol- 
levati.  A  taie  scopo  comandano  al  vice-ammiraglio  Bniat 
il  quale  con  la  sua  squadra  portava  a  Gallipoli  la  quarta 
divisione  deiresercito  francese   d'Orienté,  capitanata  da 
Forey,  e  un  reggimento  inglese,  di    recarsi  al  Pireo.  Il 
mattino  del  25  maggio  il  générale  Forey  scende  a  terra 
con  parte  di  sue  genti  e  si  impadronisce  di  quel  porto ;6 
il  di  vegnente  da  un  drappello  de*  suoi  fa  scortare  gli 
oratori  di  Francia  e  di   Bretagna  recantisî   alla  vicina 
Atene  presse  il  re  Ottone  per  imporgli  la  volontà  dei  loro 
Sovrani  ;  il  quale,  non  avendo  forza  bastevole  da  résistera  a 
si  fatta  violenza,  deve  dar  fede  di  tenersi  in  avvenire  nelia 
assoluta  e  più  stretta  neutralità  verso  la  Turchia;  il  quale 
atto,  che  dir  non  saprebbesi  se  piii  ingiusto  o  insensato, 
obbligava  i  Ministri  di  Ottone  a  rinunziare  ai  loro  offlci  (\\ 


(1)  Appena  assnnti  all'aatorit&  saprema  i  nnovi  IGnistri  di  Gracia, 
in  on  baado  ai  popoli  del  regno,  avyertiyaiio  qnesti:  =  Eiaero  stata 


Digitized  by  VjOOQIC 


PBi^KOIA   B   GBIMEA  645 


Lasciato  al  Pireo  un  buon  presidio  d*armi  francesi,  il  28 
di  quel  mese  di  maggio,  Forey  col  rimanente  délia  sua 
divisione  entrato  in  mare  continuava  la  via  verso  Galli- 
poli  (1).  Ridotta  cosi  aile  sole  sue  forze  la  soUevazione 
epirota  non  potô  reggersi  a  lungo;  il  numéro  assai  pré- 
pondérante dei  nimici,  non  il  valore  di  essi,  faceva  ai 
generosi  ribelli  posare  le  gloriose  loro  armi. 

La  quistione  de*Luoghi  Santi,  primo  pretesto  délie  ni- 
mistà  di  Russia  contra  Turchia,  avcva  a  poco  a  poco  dato 
luogo  ad  altra»  invero  assai  grave;  perô  che  allora  si 
traitasse  deirimperio  musulmane  sul  Bosforo,  dalla  oui 
esistenza  o  caduta  dipendeva  la  conservazione  o  il  rom- 
persi  del  contrappeso  politîco  d*£uropa,  formate  nel  1815 
dal  Congresso  viennese.  La  guerra,  accesasi  sul  Danubio, 
doveva  allargare  sua  sede  per  lo  intervenire  armato  di 
Francia  e  di  Bretagna;  i  quali  Stati,  chiamati  dal  cannone 
di  Sinope,  che  aveva  chiariti  gli  intendimenti  dello  Czar, 
nel  coUegarsi  per  difendere  la  Turchia,  aflTermarne  la  po- 
teoza  e  risolvere  in  modo  assoluto  le  faccende  d'Orienté, 


da  Ottone  promessa  a  Francia  e  ad  Inghilterra  la  neutralità  assolnta 
nella  contesa  rnsso-tBrca;  stimare  essi  pare  le  loro  nobili  simpatie  per 
li  fratelli  che  stavano  tuttavia  sotto  la  dominazione  mnsulmana;  Tav- 
Tenire  délia  patria  trovarsi  perô  nelle  niani  délia  ProTvidenza...  onde 
^si  dovevano  distingaere  il  possibile  dairimpossibile,  =  Poco  appresso 
l'oratore  di  Bussia  in  Corte  di  Grecia  lasciava  Atene  per  comandamento 
dello  Czar;  il  qnale,  scrivendo  al  Re,  significavagli  di  voler  farsi  rap- 
presentare  soltanto  nelle  Corti  indipendenti. 

(1)  A  Patrasso,  a  Negroponte,  a  Vanitza  e  a  Stilide  e  iongo  le  coste 
di  Grecia  stavano  nayi  di  guerra  di  Francia  e  di  Bretagna  per  im- 
pedire  aile  elleniche  di  portare  armi  e  armati  ai  campi  di  Tessaglia  e 
d'Epiro  ;  nô  paghe  di  ci6  esse  comandavano  ai  loro  ammiragli  che  get- 
tassero  al  mare  le  mnnizioni  di  guerra  dei  legni  che  avrebbero  cattu- 
^ti  e  di  consegnare  ai  Turchi  i  soldati  greci  che  si  trovassero  su 
qnelli:  e  cosi  fecero.  Barbier  de  Tinan,  ammiraglio  di  Francia,  minacciô 
di  consegnare  ai  tribnnali  militari  chi  tentasse  passare  nelle  provinde 
ribellate:  Barbier  de  Tinan  voleva  far  la  guerra  da  barbarof 


Digitized  by  VjOOQIC 


646  OAPITOLO   X 

eransi  data  fede  reciproca  di  fare  Timpresa  senza  mirs 
alcuna  dlngraiidimento  territoriale  (1).  Innansi  d*uscire 
alla  campagna  i  due  grandi  Stati  d*Occidente  tentavano 
trarre,  corne  già  accennammo,  nella  loro  lega  TAustria  e 
la  Prussia  ;  le  quali  venivano  nel  medesimo  tempo  soUe- 
citate  da  Niccolô  d^unîrsi  a  lui.  Berlino  mostrossi  da  prima 
inchinare  ai  desidèri  dello  Czar;  ma  quando  seppe  avère  il 
Qoverno  di  Vienna  risoluto  di  tenersi  neutrale  in  quella 
contesa,  si  accostô  aU'Austria  ;  e  ordinati  gli  eserciti  lungo 
le  frontière  de' loro  Stati  per  impedire  ai  guerreggianti 
di  violarne  le  terre,  i  regnanti  di  Berlino  e  di  Vienna 
gridarono  la  neutralité  in  armi,  —  Le  provincie  orien- 
tali  deU'Austria  e  i  conflni  prussiani  délia  Polonia  e  del 
Reno  mutaronsi  allora  in  formidabili  campi  di  guerra. 
Contra  si  potenti  apprestamenti  di  forze  armate,  che  pa- 
revano,  più  che  a  difesa,  mirare  a  offesa,  quali  guarentigie 
avoyano  domandato  i  Governi  di  Parigi  e  di  Londra? 
nessuna  ;  a  quali  condizioni  averano  essi  accettata  la  neu- 
tralità  in  armi  d'Austria  e  di  Prussia,  oui  siibito  accosta- 
ronsi  gli  Stati  minori  délia  Germania?  a  nessuna.  Se  a 
Francia,  se  a  Bretagna  fosse  sortita  contraria  la  fortuna 
délia  guerra,  gli  eserciti  austro-prussiani  insieme  coUegai: 
avrebbero  indubitabilmente  imposta  lor  volontà  a  tut:â 
Europa  e  levata  la  Germania  ad  alto  grade  di  potenza  e 
di  autorità.  In  omaggio  alla  verità  dobbiamo  dire,  che  la 
diplomazia  tedesca  e  Taustriaca  mostraronsi  alloni  in  ac- 
cortezza  e  sagacità  superiori  dimolto  alla  francese  e  alla 
britanna.  —  Svezia  e  Danimarca,  le  cui  squadre  dalle  loro 
forti  posture  del  Gattegat  e  del  Sund  avrebbero  facilmente 
potuto  chiudere  i  passi  del  Baltico  aile  armate  di  Russia 


(1)  u  Animati  dal  desiderio  di  mantenere  il  contrappeso  degli  Sut! 
in  Eniopa,  e  non  avendo  scopo  interessato,  le  alte  parti  contiaeDâ 
rinnnziano  a  qnalsiasi  vantaggio  particolare  che  gli  awenîmenti  po- 
trebbero  produire.  »  —  Articolo  iv  del  trattato  conchinso  tra  Franci» 
e  Inghilterra  il  10  aprile  1854; 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBAKOIA  E   OBIMXA  647 


e  degli  Stati  délia  Lega,  bandirono  pur  esse  la  più  as- 
soluta  neutralità,  non  ostante  11  vivissimo  soUecitare  dei 
guerreggianti  per  averle  ausiliarie  nella  lotta;  i  quali 
Stati  assai  volontieri  sarebbero  entrati  nella  Lega  occi- 
dentale, se  Francia  e  Inghilterra  avessero  assicurato  alla 
Danimarca  i  suoi  possedimenti  germanici  e,  al  posare 
délie  armi  in  Oriente,  avessero  aiutata  la  Svezia  a  riven- 
dlcarsi  le  antiche  provincie  di  Finlandia,  délie  quali  in 
tempi  non  lontani  era  stata  spogliata  dalla  Russia.  Ma  i 
Goyerni  di  Parigi  e  di  Londra  intendevano  solamente  a 
salvare  Timperio  maomettano  minacciato  nella  sua  inte- 
grità  dalla  Russia  invadente,  non  già  a  mutare  confini 
territoriali  di  qualsiasi  Stato,  o  a  far  restituire  terre  in- 
giustamente  tolte  ai  legittimi  loro  Signori;  ne  ciô  per  ri- 
spetto  ai  trattati  del  1815  tante  volte  violati,  sibbene  per 
noQ  rendere  più  grave  la  già  difficile  situazione  politica 
deirEuropa.  Francia  e  Bretagna  assunsero  quindi  da  sole 
l'ardua  impresa  di  tutelare  gli  interessi  di  tutti  gli  Stati 
d'Ëuropa;  i  quali^  dicendosi  svisceratissimi  per  la  pace, 
avevano  niegato  alla  Lega  lo  aiuto  di  quegli  eserciti  che 
stavano  poderosi  lungo  le  loro  frontière. 

Gortschakoflf  —  il  cui  esercito  avea,  durante  il  verno, 
ricevuto  forti  sussidi  —  col  grosso  di  esso  avvicinatosi 
nel  marzo  al  basse  Danubio,  il  22  di  quel  mese  tentava 
valicarlo  a  Ibraila  e  ad  Ismail  ;  respinto,  con  maggiori 
forze  rinnovava  il  di  arppresso  la  prova.  Protetti  dalle  bat- 
terie costrutte  nelle  isole  del  fiume  —  il  quale  poco  in- 
nanzi  di  metter  foce  in  sul  mare  dividesi  in  sette  bracci 
—  e  appoggiati  altresi  da  alcune  barche  cannoniere,  i 
Russi  giugnevano  a  superare  quel  passi,  non  ostante  il 
fiero  contrastare  dei  Turchi.  Padrone  délia  destra  del  Da- 
nubio  nella  Dobrutscha,  Gortschakoff  deliberava  di  recarsi 
in  mano  Silistria,  per  fare  poscia  di  questa  fortezza  la 
base  di  sue  militari  operazioni.  Mentre  il  générale  Krou- 
lofif  tutto  airintorno  di  Silistria  innalzava  valli  e  batterie. 


Digitized  by  VjOOQIC 


648   .  CAUTOLO    X 


e  la  fulminava  con  trarre  incessante  di  numerosi  cannonL 
Gortschakoff  con  settantamila  uomini  portavasi  sul  vaste 
piano  di  Rassova,  stendendo  la  destra  de*  suoi  campi  vera) 
la  fortezza  assediata  e  la  sinistra  sin  presse  Bazardschi^ 
terra  situata  ai  piedi  dei  Balcani,  su  la  via  di  Ohoumla  e 
d*Andrinopoli.  Di  Trente  al  générale  russo  e  con  armi 
quasi  eguali  aile  russe  trovavasi  Orner  Pachà;  che  bramosis- 
simo  d'assaggiarsi  coi  nimici  in  campo  aperto,  siibito  con 
essi  si  azzuffava.  Da  prima  egli  ebbe  awersa  la  fortuna; 
ma  rifattosi  con  le  genti  délia  riscossa  e  tornato  alla  pu- 
gna  recuperô  il  terreno  poco  innanzi  perduto  e  costrinse 
i  Russi  a  indietreggiare.  Dalla  giornata  di  Bazardschik  del 
19  aprile  —  che  fu  assai  sanguinosa  —  nessuno  dei  com- 
battent! usci  vittorioso;  cessata  la  pugna  tutti  riprende- 
vano  le  posture  dianzi  occupate.  U  maresciallo  Paskiewitcb 
—  di  quel  giorni  assunto  al  governo  suprême  délia  guerra, 
al  quale  sommamente  premeva  di  valicare  i  Balcani  avanti 
il  giugnere  délie  genti  délia  Lega  —  deliberava  allora  di 
stringere  da  vicino  Silistria,  il  cui  possesso  doveva  ren- 
dergli  meno  difficile  il  passe  di  quel  menti.  A  taie  scopo 
ragunava  interne  ad  essa  armi  poderose  e  ravvicinava  i 
corpi  d*esercito,  che  i  pochi  saggi  suoi  luogotenenti  aveano 
sparso  in  larga  contrada  e  in  luoghi  poco  opportuni  alla 
impresa;  il  quale  grave  errore  impedi  ai  Russi  di  racco- 
gliere  sui  campi  di  Bazardschik  forze  maggiori,  che  non 
fu  ad  essi  possibile  il  giorno  délia  pugna.  Ma  i  disegni  di 
Paskiewitch  dovevano  essere  rotti-  dalla  strenuissima  re- 
sistenza  del  presidio  di  Silistria;  il  quale,  aile  offese  ga- 
gliarde  degli  assediatori,  oppose  sempre  vigorose  difese; 
onde  gli  toccô  la  vittoria.  —  Mentre  l'armata  franco-bri- 
tanna  del  Mar  Nero,  dope  avère  bombardata  Odessa  — 
e  fu  il  22  aprile  —  per  punirla  di  un  insulte  fatto  alla 
bandiera  parlamentaria  d*una  nave  inglese  (1)  correva  le 


(1)  I  BoBsi  ayevano  tirato  alcnni  colpi  di  cannone  contara  la  nave  a 


Digitized  by  VjOOQIC 


FRANCIA   E    CBIM£A  649 


eoste  di  quel  mare»  senza  perô  incontrare  mai  la  nimica, 
la  quale  tenevasi  sotto  la  protezione  délie  batterie  di  Se- 
bastopoli,  o  nello  stretto  di  Kaffa,  glieserciti  délia  Lega  pi- 
gliavano  terra  a  Gallipoli,  città  posta  alla  estremità  setten- 
trionale  deiDardanelli.il 21  maggio  Saint-Arnaud  e  Raglan, 
Hamelin  e  Dundas,RizaPachà,Minifitro  soprale  armi  musul- 
mane, e  Omer  Pachà  riunivansi  a  consulta  di  guerra  in  Varna 
par  discutere  su  quanto  conveniva  operare  per  liberar 
Silistria  dairassedio  e  difendere  i  passi  dei  Balcani  (1). 
Pochi  giorni  dopo  Tesercito  anglo-francese,  in  virtù  délie 
deliberazioni  prese  in  quella  consulta,  portava  i  suoi  campi 
di  Gallipoli  a  Varna.  Al  loro  avvicinarsi  i  Russi  toglievansi 
giù  dairimpresa  di  Silistria;  ma  prima  di  levare  Tassedio 
da  quella  fortezza,  per  tre  giorni  e  tre  notti  fulminaronla 
cou  tutta  la  potenza  délie  artiglierie  piantate  dkinanzi  ad 
essa.  Fu  questa  proprio  una  brutta  vendetta  sopra  una 
città,  che  aveva  saputo  valorosamente  resistere  quasi  due 
mesi  a  un  assaltare  senza  tregua  del  nimico  ;  non  fu  una 
guerra,  ma  un'opera  di  vandalica  distruzione>  che  comin- 
ciata  a  Silistria  prosi^uirono  i  Russi  nella  loro  ritratta; 
fuoco,  saccheggio  e  sangue  segnarono  le  vie  ch'essi  per- 
corsero!  Seguironli  da  presse  i  Turchi,  che  li  combatte- 
rono  e  li  sbaragliarono  tre  volte,  a  Giurgevo,  a  Kama,  a 
Tcbernawoda;  le  quali  vittorie  ricondussero  a  Bukarest 
Orner  Pachà,  proprio  in  quella  che  TAustria  occupava  con 
sue  armi  la  Valacchia  e  la  Moldavia.  Nuovamente  soUeci- 
tato  da  Francia  e  da  Bretagna,  il  Governo  di  Vienna  ac- 
costavasi  alla  Lega  ;  di  poi  fermava  un  trattato  con  la  Su- 
blime Porta  (2)^  in  virtù  del  quale  TAustria  mandava  gli 
eserciti  suoi  nei  Principati  a  surrogare  quoi  di  Turchia  e 


Tapore  Furious,  portatasi  a  Odessa  per  imbarcare  i  consoli  di  Francia 
e  d'Inghilterra. 

(1)  Il  20  maggio  Hamelin  e  Dnndas  troyavansi  con  le  loro  sqnadre 
neUe  acqne  di  Baltchik,  porto  délia  spiaggia  bolgara. 

(2)  n  trattato  del  20  gingno  1854. 


Digitized  by  VjOOQIC 


650  OAPITOLO   X 


dei  confederati  (1).  Gon  la  quale  sottile  politica,  ma  ia- 
gannevole  politica,  i  Ministri  di  Francesco  Giuseppe,  men- 
tre  col  loro  intervenire  armato  nella  contesa  —  senza 
perô  voler  prendere  parte  alla  guerra  —  facevansi  cre- 
dere  amici  a  Francia  e  a  Bretagna  e  alla  causa  altresi  che 
quegli  Stati  avevano  impreso  a  proteggere,  servivano  asaai 
efflcacemente  agli  interessi  dello  Gzar;  avregoacliè  gli 
Austriaci,  ponendosi  a  campo  sal.basso  Danubio  e  sal 
Pruth,  più  che  a  guardia,  si  mettessero  a  difesa  d^le 
frontière  di  Rassia.  Il  ritrarsi  del  nimico  dai  Principati  e 
Toccupazione  di  questi  fatta  dagli  eserciti  delFAastria  do- 
yeano  di  nécessita  mutare  i  disegni  di  guerra  discnssi  e 
risoluti  nella  consulta  di  guerra  tenuta  a  Varna,  e  dalla  po- 
stura  deirarmi  del  Sire  Absburghese  nella  Moldavia  e  Valac- 
chia  mutarsi  aifatto  la  condizione  délie  faccende  militari 
in  Turchia.  Un'altra  impresa  mettevasi  allora  innanzi  da 
Napoleone,  la  quale,  giusta  rayviso  suo,  avrebbe  indul>ita- 
bilmente  affrettato  il  finire  délia  lotta:  era  il  conquisto 
di  Sebastopoli  e  délia  Orimea;  era  la  distruzione  dell'ar^ 
mata  russa  nel  Mar  Nero.  Il  Signore  di  Francia,  prima 
di  deliberare  quella  impresa  -^  per  la  quale  la  guerra 
di  difesa  sarebbesi  mutata  in  guerra  d'offesa  —  avova  egli 
considerato  tutti  gli  ostacoli  che  potevansi  incontrare  in 
quella  spedizione  di  oltremare?  aveva  egli  preso  a  disa- 
mina  tutte  le  combinazioni  strategiche  di  queirinvasione 
di  contrada  nimica?  è  quanto  apparirà  dalla  narrazion^^ 
che  noi  faremo  délia  gigantesca  lotta  che  fu  combattuta 
sui  campi  délia  penisola  Taurica,  ed  è  quanto  noi  ver- 
remo  esponendo  tra  brève.  Fu  concepimento  audace  il  suo, 
ma  non  commendevole;  perô  che  l'esercito  confederato 
avrebbe  potuto,  per  fortune   di   mare,    trovarsi   separato 


(1)  Per  le  vie  di  Hermanstadt  e  di  Kronstadt  Tesercito  aiutriaco  en- 
trava, il  20  agosto,  in  Valacchia,  e  il  6  agosto  in  Bokarest;  gnidaYab 
il  Inogotenente  maresciallo  Ooronini,  il  qiule  era  nativo  di  Romenia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBAJ70IA    E   OBIHBA  651 


dalla  sua  prima  base  délia  guerra,  la  penisola  di  Gallipoli. 
Gertamente  Tlmperatore  si  sarà  ricordato,  allora  che  stu- 
diava  Timpresa,  il  modo  di  gu^rreggiare  dei  Russi,  i  quali 
usano  devastare  il  paese  che  il  nimico  ha  da  correre  e  da 
campeggiare.  Provvide  egli  ai  casi,  non  difficili  ad   avve- 
rarsi,  in  cul  tempeste  e  torbini  avessero  a  far  perdere  o 
impedire  per  lungo  tempo  Tapprodo  a  Crimea  délie   navi 
portant!  vettovaglie  all'esercito?  no.  —  La  spedizione  délia 
Tauride,   che  aveva  per   iscopo  la  distruzione  délia  ar- 
mata    russa   nell'Eusino,  incontrô  il  favore  degli  Inglesi 
e  dei  Turchi;  dei  primi,  per  ragione  do*loro  trafflci;  dei 
secondi,   per  la   sicurezza   di   Gostantinopoli;   e   piacque 
eziandio  al  Governo  Austriaco,  per  quella  jspedizione   al- 
lontanandosi  da'  suoi  confini  d'Ungaria   e    di   Polonia   la 
bandiera  francese;  e  il  motivo  è  facile   a  indovinarsi.  — 
Ricevuto  il  comando  d'apprestare  Timpresa,  Saint-Arnaud 
in  sul  cominciare  d'agosto  riuniva  a  consulta   di   guerra 
in  Varna  i  primari  ufflclali  délie  armate  e  degli   eserciti 
délia  Lega,  allô  intente  di  discutere  intorno   ai  modi    di 
governarla.  «  £  necessario,  cosi  parlava  il  maresciallo  in 
nome  dell'Imperatore,  conoscere  con  esattezza  le  forze  ar- 
mate di  Russia  nella  Orimea;  se  poco  numerose,  prende- 
remo  terra  a  Kaffa,  adatta  a  servire  di  base   aile   nostre 
nailitari  operazioni  nella  penisola,  e  la  cul  vasta  e  comoda 
rada  offre  un  asilo  securo  aile  squadre  confederate.  Padroni 
di  Kaffa,  ci  recheremo  poscia  in  mano  Simferopoli,  centre 
sirategico  délia  Tauride;  indi  ci  avanzeremo  verso  Tog- 
getto  deirimpresa,   S'^bastopoli.   Assai  probabilmente   in- 
nanzi  di  giugnere  a  questa  fortezza  faremo  la  giornata  col 
nimico  ;  vinti,  retrocederemo  a  Kaffa  per  rifarci  ;  vincitori, 
stringeremo  Sebastopoli,   che   necessariame^ite  (sic)  ci  si 
arrenderà  dopo  brève  assedio.  »  L'impresa  ideata  e  propo- 
sta da  Napoleone  ebbe  in  quella  consulta  vivissima  opposi- 
zione;  Raglan  e  Hamelin  reputavanla  arrischiata  ditroppo, 
non  conoscendosi  le  strade,  il  corso  e  la  natura  dei  âumi 
e  gli  ostacoli  che  presenterebbe  la  contrada,  su  la  quale 


Digitized  by  VjOOQIC 


652  OAPITOLO   X 


ayevasi  a  guerreggiare.  «  Gli  eserciti  prenderanno  terra, 
diceva  rammiraglio  francese,  protetti  dairarmata  ;  ma  qne- 
sta  dovrà  di  li  a  poco  abbandonarli  a  loro  stessi  per  cer- 
carsi  in  qualche  rada  secura  un  rifugio  contra  i  non  lon- 
tani  venti  equinoziali,  che  soUevano  nel  Mar  Nero  tempeste 
furiosissime.  »  —  Il  più  ardente  oppositore  alla  spedizione 
fu  il  principe  Napoleone,  il  quale  dopo  aver  fatto  cono- 
scere  i  gravi  pericoli  che  Taccompagnavano  —  ond*  era 
costretto  a  condannarla  nel  suo  principio  e  nei  modi  di 
condurla  e  di  reggerla  —  proponeva  di  portare  la  guerra 
sul  Pruth  e  in  Bessarabia.  Non  ostante  le  sennate  osse^ 
yazioni  degli  oppositori,  Timpresa,  mandata  a  partito,  tId- 
ceva  la  prova;  Tavevano  respinta  il  Buonaparte  eilDuca 
di  Cambridge,  Hamelin  e  Dundas. 

In  questo  mezzo  il  générale  Baraguey  d'Hilliers  erasi 
unito  con  la  sua  divisione  —  diecimila  no  mini  aU'incirca 
—  airarmata  anglo-francese  del  Baltico,  la  quale,  corne 
sopra  scrivemmo,  abbisognava  di  soldatesche  per  tentare 
la  formidabile  Kronstad.  Prima  d*innoltrarsi  nel  golfo  di 
Finlandia,  gli  ammiragli  Napier  e  Parseval-Deschênes  de- 
liberavano  d*impadronirsi  di  Bomarsund,  fortezza  délie  isole 
Aland,  per  fare  di  essa  un  appoggio  aile  loro  guerresche 
operazioni  in  quel  golfo  (1).  Otto  giorni  bastarono  a  taie 
impresa,  n  giorno  8  di  agosto  le  genti  di  Baraguey-d'Hil- 
liers  scendevano  nell'isola;  il  12  aprivano  le  trincere  con- 
tra Bomarsund;  la  quale  fulminata  da  terra  e  da  mare 
quattro  giorni  dopo  rendevasi  a  discrezione;  il  presidio 
suo  andava  prigioniero  a  Bretagna  e  a  Francia  (2).  L*ap- 
pressarsi  del  verno  e  soprammodo  l'infuriare  dei  venti 


(1)  La  fortezza  di  Bomarsund  signoreggia  lo  atretto  che  sepan  la 
maggiore  dell'isola  di  Aland  da  quella  di  Presto. 

(2)  Era  di  duemila  quattrocento  soldat! ,  comandati  dal  vecchio  gé- 
nérale Bodisco.  Non  potendo  tenerai  dai  confederati,  Bomarsund  vesne 
diatmtta  il  2  settembre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA   E   CBIMBA  658 


d'equinozio  che  readevano  pericolosa  la  navigazione  del 
Baltico,  soprattutto  de'  suoi  golfi,  forzavano  le  squadre  con- 
federate  a  rinunziare  a  qualunque  operazione  di  guerra  ; 
onde,  distrutte  le  fortificazioni  di  Bomarsund  e  quante  di- 
fese  trovayansi  neU'isole  d'Aland,  faceyano  ritomo  ai  loro 
porti.  —  NeirAsia  Minore  la  guerra  combattevasi  con  varia 
fortana.  I  Turchi,  dopo  avère  perdato  Bajazid,  pativano 
aspra  battitura  a  Karsh  ;  ma  rifattisi,  di  11  a  poco  sbara- 
gliavano  presse  Alessandropoli  i  Russi  ;  i  quali,  saputo  dello 
scendere  di  Sciamyl  dal  Gaucaso,  precipitosamente  ritrae- 
yansi  da  Bajazid.  —  Gli  eserciti  délia  Lega,  dal  loro  pren- 
dere  terra  a  Gallipoli  sino  al  giorno  in  cui  risalivano  le 
navi  per  recarsi  a  Orimea,  s'erano  assottigliati  dimolto  ; 
non  il  fuoco,  non  il  ferro  dei  nimici,  coi  quali  non  eransi 
ancora  assaggiati,  ne  avevano  stremate  le  file,  sibbene  il 
choléra,  le  tante  privazioni  sofferte  nei  campi  di  Varna  e 
Tinfellce  spedizione  del  générale  Espinasse  nella  Dobruts- 
cha,  ordinata  da  Saint-Arnaud  per  accontentare  i  suoi 
soldati,  oltreogni  dire  impazienti  di  cimentarsi  coi  Russi  (1). 
La  notizia  deirimpresa  di  Grimea  venue  daU'universale 
dei  soldati  accolta  con  gioia  indicibile:  era  tempo!  per6 
che  i  lunghi  ozi  castrensi  e  più  ancora  il  patire  senza 
gloria  avessero  rallentata  la  militare  disciplina:  era  dun- 
que  tempo  di  operare.  AUora  gli  animi  abbattuti  si  rial- 
zarono;  tornô  la  lena,  tornô  la  forza  del  fare;  e  i  campi, 
che  un  fiero  morbo  pareva  avesse  mutati  in  cimiterl,  ri- 
presero  Tusata  gaiezza  e  risuonarono  di  canti   guerrieri  ; 


(1)  tf  Deggionsi  troyare  ancora  dei  Bussi  nella  Dobratscha;  &te  dar 
loro  la  caccia  e  riportate  qnalche  yantaggio,  del  qnale  si  possa  fare  da 
noi  nna  vittoria  da  offrire  aU'ImpeTatore  per  le  feste  nazionali  del  15 
agoflto.  Espinaase  sarebbe  forse  il  migliore  dei  yoatri  generali  per  nn 
assalto  improyyiflo  di  qnesto  génère,  n  Gosi  scriyeya  Saint-Amand  a 
Canrobert  In  quella  spedizione  la  divisione  d'Espinasse  perdette  sei 
mila  nomini;  cansa  di  d  graye  perdita,  le  mortifère  esalazioni  délie 
paladi  di  quel  paese. 


Digitized  by  VjOOQIC 


654  GAPITOLO   X 


a  tutti  sorrise  la  speranza  délia  vittoria  (1).  —  Ai  primi 
giorni  del  settembre  Tesercito  anglo-francese  e  una  divi- 
sione  ottomana,  che  insieme  contayano  sessantadue  mila 
uomiai  (2),  da  Varna  e  da  Baltschik  entravano  in  mare; 
e  la  sera  del  13  giugneyano  dinnanzi  ad  Eupatoria  (3X  su 
la  cui  spiaggia  incontrastata  e  non  lungi  dal  capo  Baba 
scendevano  il  mattino  del  di  seguente  (4).  Menschikoff,  il 
quale  comandava  le  forze  russe  nella  penisola,  con  quanta 
gente  poteva  tener  la  campagna  -—  trentacinque  mila  uo- 
mini  aU'incirca  ^  erasi  posto  aile  difese  sopra  le  alture 
délia  sinistra  deirAlma,  non  lungi  dal  suo  mettere  foce  in 
sul  mare.  Il  20  faceva  la  giornata  coi  nimici.  Ghagliarda- 
mente  assalito  e  sopravanzato  alla  sinistra  délie  sue  bat- 


(1)  Saint-Amand,  nello  aringare  in  Gktllipoli  i  soldati  snoi,  lor  par- 
lava  queste  parole:  u  Noi  siamo  qui  renati  per  proteggere  i  nostri 
alleati  contra  gli  assalti  dello  Czar.  Grande  è  la  nostra  miasione...  Il 
nostro  Imperatore  altro  non  vede  in  essa  fùorchô  la  gloria  e  la  pn>- 
sperità  délia  Francia;  egli  attende  da  vol  che  nella  lotta,  la  quale  do- 
▼rete  presto  combattere  contra  i  barbari  dtl  aettentrione ,  abbiate  a 
oomportarri  da  valorosi  e  ad  accrescere  Tincomparabile  gloria  délia 
Francia.  n  ~  Strana  cosa  in  yerità  ndire  un  générale  franceae  chia- 
mare  barbari  gli  abitatori  délia  Buasia,  proprio  allora  che  gnidava 
eserciti  a  difesa  délia  barbarie  tiM-eheaea  e  di  qnel  Govemo  che  avcTa 
Boldati  bestialmente  e  sfrenatamente  inumanij  dô  che  era  stato  poeo 
innanzi  confessato  dai  consoll  di  Francia  e  diBretagna  in  Prevesa  nei  loro 
manifesti  ai  cristiani  deirEpiro! 

(2)  Ventottomila  contavanai  i  Francefd^  ventisei  mila  gli  Ingiesi,  ot- 
tomila  i  Tnrchi. 

(3)  Eupatoria,  o  Koslofy  trovasi  a  dieciotto  leghe  a  settentrione  di 
SebastopolL  II  nome  à' Eupatoria  le  venne  dal  g^rande  Mitridate  Eoptr 
tore,  al  qnale  Tebbero  toita  i  Komani  per  unirla  alla  loro  signorîa; 
allora  fa  città  ricca  e  potente;  oggidi  ô  vuota  d'abitatoii  e  poTera; 
picciolo  ô  il  sno  porto,  ma  securo.  I  confederati  con  la  occnpazione  di 
Eupatoria  minacclayano  la  via  di  comunicazione  di  Sebastopoli  con 
Perekop.  —  Vedi  l'Atlante. 

(4)  Le  coste  d'Enpatoria  e  di  Sebastopoli  erano  state  esplorate  e  ri- 
conoBciute  da  Oanrobert  sino  dal  giugno  con  tre  nayl  a  yapore  délie 
sqnadre  confederate. 


Digitized  by  VjOOQIC 


VBANGIA   B   OBIMBA  655 


taglie  —  i  cui  âanchi  erano  minacciati  aitresi  dai  cannoni 
deirarmata  anglo-francese  aacorata  presso  la  spiaggia  — 
per  non  esporsi  al  pericolo  di  perdere  la  via  di  comuni- 
cazione  con  Sebastopoli,  abbandonava  le  fort!  posture  del- 
TAlma,  coperte  di  quasi  sei  mila  de*suoi  morti  o  feriti; 
non  incalzato  dai  vincitori,  i  quali  ayevano  parimenti  sof- 
ferto  gravi  danni  —  di  tre  mila  uomini  (1)  —  portavasi 
dietro  la  Tschernaia  ponendo  i  suoi  campi  non  lungi  di 
Sebastopoli;  dl  poi,  rivalicato  questo  ûume  a  Traktir,  an- 
dava  sopra  Mackensie  per  assicurare  la  grande  via  di  Bak- 
chi*Sarai  ai  soccorsi ,  che  per  Tistmo  di  Perekop  dalle 
provincie  calavano  a  grandi  gîornate  nella  penisola.  Due 
giorni  appresso  la  vittoria  deirAlma  Saint  Arnaud  reca- 
vasi  sul  Belbek,  la  cui  riva  sinistra  era  stata  dai  Russi 
già  munita  di  valide  difese;  indi  scendeva  a  Balaklava 
per  tentare   da  questa  parte  Sebastopoli,  di  cui   lusin- 
gavasi   impadronirsi   con   assalto    improvviso.   La    quale 
impresa  non  potè  compiere;  perô  che,  vinto  da  crudel 
morbo,  che  da  lunga  pezza  il  tormentava  e  sempre  da  lui 
sopportato  con  forza  d*animo  straordlnaria,  fatta  rinunzia 
al  comando  suprême   deiresercito,  il  27  di  quel  mese  di 
settembre  abbandonasse  la  Grimea  per  tornare  a  Gostan- 
tinopoli  ;  e  due  giorni  dopo  morisse  a  bordo  del  Berthollet, 
che  trasportava  poscia  in  Francia  le  mortali  sue  spoglie. 
Canrobert  —  cui  lo  stesso  Saint-Arnaud  aveva  commesso 
il  governo  deirarmi  francesi  (2)  —  credendo  impossibile  e 
vano  ogni  tentative  per  terra  e  per  mare  contra  Sebasto- 
poli, awegnachè  Menschikoff  campeggi  sul  Belbek  non 
lungi  da  essa  con  l'esercito,  il  quale  ogni  di  più  s'afforza 
dl  nuovi  aiuti  che  gli  vengono  da  Odessa  e  abbia  mandate 


(1)  I  Toxchi  non  preseio  parte  alla  giomata  dell'Alma. 

(2)  L'impeiatore  Napoleone,  preveggendo  che  il  maresciallo  Saint- 
Ainand  non  avrebbe  potato  resistere  ai  disagi  délia  guerra,  aveva  dato 
a  Cuirobert,  innanzi  ch'ei  partisse  per  l'Oriente,  il  decreto  di  nomina 
al  comando  snpremo  dell'esercito  nel  caso  che  Saint-Axnaud  infermasse. 


Digitized  by  VjOOQIC 


656  OAPITOLO   X 


a  fondo  sette  navi  aU'entrata  délia  rada  per  chiuderla  aile 
squadre  nimiche,  Ganrobert,  io  dlco,  muta  il  dsegno  di 
guerra  di  Saint-Arnaud;  e,  assicurati  i  suoi  eampi,  al  co- 
minciare  deirottobre,  pianta  l'assedio  intorno  a  quella  cittk 
dal  genio  di  Totleben  presto  mutata  in  fortezza  formt- 
dabilissima,  e  il  17  di  quel  mese  prende  a  traire  contra 
essa  con  artiglierie  numerose,  continuando  senza  posa  il 
fuoco  sino  al  24  (1).  Se  portare  la  guerra  in  Grimea  — 
che  avrebbe  dovuto  combattersi  sul  Pruth  —  era  stato  un 
grave  errore  militare,  il  modo  di  governarla  del  générale 
Oanrobert  faceva  quell'errore  gravissimo;  capitano  valo- 
roso,  Ganrobert  fu  allora  più  che  médiocre  comandante 
suprême.  AU'albeggiare  del  di  seguente  ventldue  mila  Russi 
usciti  d'improvviso  dalla  valle  di  Kadikoi,  duce  il  générale 
Liprandi,  assaltavano  gagliardamente  la  destra  del  campe 
inglese  a  Balaklava  e  recavansi  in  mano  i  quattro  lidotti 
che  li  difendevano  ;  respinti  di  li  a  brève  ora  conducevan 
seco,  in  loro  ritratta,  i  cannoni  che  li  munivano.  Un  co- 
mando  di  Raglan,  tanto  assoluto,  quanto  insensato,  împo- 
neya  alla  sua  cavalleria  leggera,  comandata  dal  générale 
Lucan,  d*inyestire  tutto  ei6  che  stavagli  davanti  :  erano 
numerose  batterie  d'artiglierie  !  la  quale  valorosa  e  intre- 
pida  gente  con  impeto  si  rapide  e  violento  cadeva  sa 
quelle  da  costringerle  a  indietreggiare  precipitosamente: 
ma  folminata  poscia  da  ogni  parte,  la  cavalleria  inglese 
veniva  quasi  distrutta;  a  pochi  cavalieri  fu  dato  di  sal- 
varsi  da  quella  strage  ;  alla  quale  Raglan  e  Ganrobert  assi- 


(1)  I  campi  dei  confederati  stendevansi  dal  Capo  Chersoneso  al  Til- 
laggio  di  Kadikoi,  che  giace  a  brève  distanza  di  Balaklava  e  dove  si 
incontrano  le  vie  di  Sebastopoli  e  Simferopoli;  i  campi  francesi  sta- 
vano  a  destra,  gli  inglesi  a  sinistra,  i  turèhi  dietro  a  qnesti  nltîim. 
Alla  bombardata  del  17  presero  parte  le  squadre  dei  confederati;  quella 
{hcncese  aveva  già  dato  a  Oanrobert,  per  Tassedio,  trenta  artigEerie, 
qipmuita  offidali  e  mille  marinai,  sotto  U  comando  del  capitano  di  vi- 
sceUo  Rigaolt  de  Genonilly. 


Digitized  by  VjOOQIC 


7BANGIA.   B   OBIMEA  657 


stevano,  impotenti  a  impedirla.  La  cayalleria  francese, 
che  trovavasi  a  sinistra  deirordinanza  inglese,  ben  s'avaozô 
per  appoggiarae  la  ritratta;  ma  di  poco  aiuto  fu  ad  essa, 
elle  in  nessun  modo  potè  riordinarsi.  Dal  combattimento 
di  Balaklava  nessuao  de' guerreggianti  usci  vittorioso  o 
vinto;  Raglan,  sebbene  assai  malconcio,  mantennesi  nei 
suoi  campi  ;  e  Liprandi,  ito  a  yuoto  il  tentativo  di  cacciar- 
neli  per  liberare  da  quella  parte  la  fortezza  assediata,  ri- 
passô  la  Tschernaia  ;  e  da  quel  di  piii  nulla  dai  Russi  s'im- 
prese  contra  Balaklava.  —  Menschikoff,  che  attente  vigi- 
lava  le  mosse  dei  nimici,  ayyertito  délia  deliberazione  presa 
da  essi  d'assaltare  Sebastopoli  con  tutto  lo  sforzo  di  guerra 
siibito  dopo  averla  ben  bene  battuta  con  le  grosse  arti- 
glierie  dello  loro  navi,  con  le  quali  artiglierie  erano  state 
munite  le  opère  d*offesa  costruite  attorno  attorno  alla  città, 
dal  burrone  délia  Quarantena  sinô  al  monte  Sapoun,  e 
yisti  eziandio  gli  Inglesi  far  mala  guardia  nei  loro  campi, 
il  5  novembre  calato  dalle  alture,  che  da  Inkermann  co- 
steggiano  la  Tschernaia  sino  e  Tchorgoun,  muoveva  ad 
assalirli  con  armi  poderose  (1).  Quella  giornata,  ch'ebbe  il 
nome  dlnkermann,  è  délie  piu  gloriose  che  abbiano  com- 
battuto  mai  i  soldat!  d'Inghilterra  ;  essi  la  sostennero  per 
lunghe  ore  contra  forze  tre  volte  tanto  piii  numerose  délie 
loro,  e  mostraronsi  fortissimi  d'animo  e  di  coraggio  vera- 
mente  singolare.  Quando  tutta  Teste  nimica  si  serrô  so- 
vr'essi,  vennero  con  gli  assalitori  a  pugna  manesca,  la 
quale  fu  piena  di  rabbiae  di  ferocia;  rotte  le  baionette  si 
difesero  coi  calci  degli  schioppi  e  persino  coi  sassi;  e  sa- 
rebbero  lor  toccate  perdite  rovinosisaime  —  avvegnachè 
quel  forti  di  cuore  e  di  mano  avessero  deliberato  di  morire 


(1)  I  Francesi  campeggiavano  il  terreno  che  corre  tra  il  buirone 
délia  ÇtMrantena  e  qnello  del  Laboratario  ;  gli  Inglesi,  qnello  che  tro- 
yasi  tia  quest'ultimo  e  il  monte  Saponn;  i  Tnrohi  stavano  presse  Ba- 
laklava. Menschikoff,  lasciata  Bakchi-Sarai,  eiasi  posto  sn  Falture  délia 
Tschernaia  da  Inkennann  a  Tchorgonn. 

42  —  Vol.  U.  ILABiAin  —  St4Mr%a  pd,  e  mil- 


Digitized  by  VjOOQIC 


068  .         OAPITOLO  X 


ptttttoBtè  obe  •  loeiiere  il  tet*ridBqy  non  pensando  essi  a  ri- 
'tïlai'si/mafÀole  â^oomiiaitteroi^ae  i  Francesi  non  fossero 
•èorsi-ad  âppoggiarll  (l)i;  eieon:FLDQpeto  usato  spingendosi 
^^bUra  i  Aussi,  i  non  ili  «resseino  eoatretti  a  indietreggiare: 
^riyalitîfttlv  da  TBchernaia  ailakerlnann,  Menschikoff  si  ri- 
'dusse  pr«6B0i*6ebaBtopolL  û'amibe  le  parti,  assai  gravi  i 
^atinjf  résdrc^  confedemtoxonit&.piii  disei  mila  de'suoi 
tHorti'  0  fertti^^llniinioô, -Otto,  mila  .all*tncirca.  Due  giorni 
~d<ypo  ht  i^ornatBt'  d'Inkjermani^  iigenerali  délia  Lega  rio- 
-HlVaûsi  a  •  eoosuita  per:  disciitepe  intorno  .  quanto  meglio 
^^ollveQisdé  opérais;  etrioonoseiata  >da  tutti  Timpossibiliti 
'<fàt^t[*é  la*for(e£sia  peu  aesalta  ;  Tiolento  e  improvviso  fine 
^  ^e^MeiifôchilQoff  ten^âse^la  caôipagna^  risolveyano  di  dif- 
(Idk^irlO'Biïtoal  ghignerë  diBgH  aiutl  promesâi  dai  loro  Go- 
y^iai^  ë  airaprîtBre  di  JBtâgâone  prepizia  -^  cho  il  verno 
già' Ya)Gôyali"80ffirire  oo^fiuoi^  tègori  ^  e  iixtanto.4are  opéra 
M!'ttOcrei^l*6  lediK^se  dëii  canpi  e  a  proseguire  i  lavori 
dWWiftfleiiiO/  *'!.■':■  >  •-  • 

*  •  MMtre «osi  gaerreggiàvasi'fnellapenfdQla'Tauriea^ Tarmi 
^Èttubtilmane^  pavane  «ml  Daiiubioi  A  togliere  aiie  genti.  dagli 
iMi  vepgogtlosi  del  €«m{i9  e  per  àiutareieffloaceaieate  Tim- 
'^è^  df)  Oi^ifitea;  Orner  Pachà  ideàVa.d'invadereisla  Besst- 
l^a;  BaviO'disegno,  eol  4vale  ei  mirava  raggiangere  il 
-éôpi^io  ffitétito  <li  allaflrgare  la  sede  deUa  guerm  e  di  ri- 
^hiaimiare  !sul'  PratH  b%ioil  numéro  alm^o  délie  moite  soir 
^a<^e(|]fèi'dhé'lo  CzAr,''teUèiadosi  idarquella  fArte.aeeuro 
'd*o^ai  nili^cat  offBsa|)!^><)'oc!cu^azion«aiisilriaeaiAi  Moldam 
ê'^VktsiCGfaia^'aviei^ra  ^tolto  ialVes^citâ  già  oomtettente  stl 

MTrîTTT     '■  "1''  "  ('  '.'. M-    •■;•....  .',    [.-,   .[.    .     ..• 

(1)  Al  romoreggiare  del  cannone  corse  il  générale  Oanrobert  a  BagUn 
a  offiîrgli  Tainto  di  sne  genti  ;  non'  Taccettô  il  générale  inglese  nella 
ipMiîzà  di=  *^«6f  da  «élo  ieostê  testa  '  al  'nimio»;  ma  qmHd  ainiD  li- 
-^Besë'piÀ  ttedi^^^'ebibe  sûM-td  MstebâcisÉimo;  pevèx^haiii  geiMtelf 
'9ib8)ttrée"biAiidâaf  boiklil&iiâdre  déUli^i^«<«l  fosse  arrioÉdato  icoft  lasw 
'iih98fldtiéi«Lfiai"sî!<iifltta'd€(lle  4MtClig^i»iaglèai>».iaiiee86.]Nir  iégli  «rftartp 
il  sno  appoggio  ai  generali  Cath(wrt«'>Bibwni'    • 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   S   GBIHEA  659 


Danubio  per  afforzare  il  presidio  di  Sebastopoli.  Ma  TAu- 
stria  afTermaado  che,  se  i  Principati  fossero  divenuti  base 
délie  militari  operazioni  dei  Turchi  contra  la  Bessarabia» 
la  Russia  ayrebbela  certamente  assaltata,  si  oppose  a  quella 
invasione;  avvertiva  perô  Omer  Pachà,  che  se  essa  era 
risoluta  a  contrastargli  con  la  forza  il  Sereth,  non  sarebbe 
per  impedirgli  mai  di  valicare  il  basse  Danubio  ;  col  re- 
stringere  in  limiti  assai  angusti  il  campo  di  sue  belliche 
operazioni,  il  Governo  di  Vienna  intese  a  rendere  impos- 
sibile  il  disegno  del  générale  musulmane  (1).  Fu  allora  che 
il  Soldano,  dai  confederati  richiesto  d'aiuti,  comandava  a 
Orner  Pachà  di  recarsi  nella  Tauride  con  quanto  piîi  po- 
teva  di  sue  genti;  ond'egli  soUecito  nel  gennaio  del  nuovo 
anno,  il  1855^  entrava  in  mare;  e  senza  patire  molestie 
dal  nimico  in  sul  cadere  di  quel  mese  prendeva  terra  a 
Eupatoria  con  quasi  trenta  mila  de'  suoi,  gli  eletti  dell'e- 
sercito,  che  sul  Danubio  aveva  fatto  prove  mirabili  di  va- 
lore  e  di  fermezza.  Da  prima  i  Russi  accontentavansi  di 
spiare  le  mosse  del  campo  turchesco  e  cercavano  di  chiu- 
<^ergli  la  via  a  quoi  délia  Lega;  ma  di  poi,  avuto  coman- 
damento  dallo  Czar  di  combatterlo,  nella  notte  del  16  al 
17  febbraio  accostavansi  a  Eupatoria;  e  col  favore  délie 
tenebre  aperta  una  parallela  e  piantatevi  alcune  batterie, 
il  mattino   del  vegnente   procedevano  arditamente  all'as- 


(1)  «  L'Anstria  —  cosi  Droiiyn  de  Lhtiy,  allora  Hinistro  sopra  le 
faccende  estenie,  in  sua  lettera  del  6  dicembre  1854  alla  Legazione 
francese  in  Torino  —  si  obbliga  a  ppotegjçere  i  Principa  i  contra  ogni 
offesa  deiresercito  rnsso,  ma  l'occapazione  di  qneste  proyincie  non  met* 
^rebbe  ostacolo  Terono  aU'azione  deU'esercito  torco  e  dei  gnerreggianti 
^^ti  alla  ToTchia.  In  nna  parola,  le  file  degli  Anstriaci  dovrebbero 
*Prir8i  davanti  aile  schiere  francesi,  inglesi  e  tnrche  dirette  per  la  Va- 
lacchia  e  la  Moldavia  contra  i  Russi  e  il  loro  territorio.  »  —  Se  l'Au- 
ra avea  ciô  promesse  aUa  Prancia  —  come  proverebberlo  le  parole 
^  Diouyn  de  Lhuy  —  perché  quella  opponevasi  aUora  al  passaggio  dei 
-1-^irchi  per  li  Principati?  non  era  dunque  questa  la  solita  fede  del  Gk>- 
▼emo  di  Vienna? 


Digitized  by  VjOOQIC 


660  CAPITOLO   X 


salto.  Un  ostacolo —  il  fosso  cVera  pieno  d'acqua— la 
mandô  a  vuoto;  arrestatî  dal  non  previsto  impedimento,  gli 
assaMtori  mostraronsi  alquanto  incerti  e  irrésolu ti  sul  da 
fare;  taie  esitazione  li  perdetteî  i  Turchi,  già  usciti  in 
forte  schiera  alla  campagna,  veggendoli  turbati  e  tenten- 
nanti,  fatto  Impeto  in  loro,  ributtaronli  iontan  lontano  dalle 
mura  con  grande  uccisione;  e  i  Russi,  fallito  quel  tenta- 
tive di  sorpresa,  partironsi  di  là.  —  Un  avvenimento,  tanto 
grande  quanto  inaspettato,  apriva  allora  i  cuori^  a  spe- 
ranze  di  pace;  la  morte  di  Niccolô  I,  ayvenuta  il  mattino 
del  2  marzo  —  per  la  oui  ambizione  erasi  accesa  in  Oriente 
asprissima  guerra  —  e  l'esaltamento  al  trono  d'Alessandro  II, 
che  dicevasi  nutrire  sensi  di  moderazione,  avrebbero  po- 
tuto  ricondurre  a  concordia  l'Europa,  se  la  diplomazia  fosse 
stata  piîi  accorta,  piii  leale  e,  diciamolo  francamente,  anche 
piii  onesta.  Ma  la  guerra  doveva  farsi  sempre  piii  sangui- 
nosa  per  Taccrescersi  délie  forze  dei  combattenti;  perft 
che  di  Russia  scendessero  di  continue  a  Orimea  grosse 
schiere  d'àrmati,  e  Francia  e  Bretagna  ai  propri  sussidi 
aggiugnessero  quel  di  Sardegna  ;  la  quale,  entrata  in  quel 
mezzo  nella  Lega,  mandava  di  li  a  poco  nella  Tauride  più 
di  quindici  mila  de'  suol  soldati,  duce  Alfonso  Lamarmorai 
Ben  trattavano  allora  di  pace  —  nelle  conferenze  di  Vienna, 
da  tempo  aperte  —  i  plenipotenziari  d' Au  stria,  d'Inghil- 
terra  e  di  Francia,  che  pieni  di  fervore  per  essa  sforza- 
vansi  di  fare  accettare  allô  inviato  di  Russia  le  tanw 
famose  gtmrentigie,  messe  innanzi  sino  dal  dicembre  del- 
Tanno  innanzi.  Se  non  che  lo  Ozar,  il  quale  tenevasi  certa 
non  essere  le  conferenze  per  approdare  abuon  porto,  affret- 
tava  Tordinamento ,  già  decretato  dal  padre  suo,  délia 
milizia  générale  delVimperio,  con  cui  Niccolô,  in  sua  giusta 
flerezza,  aveva  inteso  rispondere  aile  pretensioni  —  per 
loro  esorbitanza  offensive  —  dei  grandi  Stati  d'Occidente  (1)- 


(1)  Alla  milizia  générale  delVimperio  venivano  chiainati  cittadini  di 
tntte  le   classi,  di  tatte   le  condizioni.  —  Se  gli  apprestamenti  gaer- 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBA.irCIA    B    OBIMBA  661 


—  Il  20  marzo  arrivava  a  Sebastopoli  il  maresciallo   Gort- 
schakofi^  cui  Menschikoff  rimetteva  il  comaado  supremo 
<leiresercito  russo,  da  lui  lasciato  a  cagione  di  sua  malferma 
salute.  Due  mesi  dopo  anche  Tesercito  francese  mutava  il 
suo  capo,  il  générale  Canrobert;il  quale,  veggendo  i  suoi 
disegni  di  guerra  maie  accolti  da  Raglan  e  da  Orner  Pachà, 
giustamente  avvisando  corne  in  tanta  e  si  imperiosa  néces- 
sita di  cose  soprammodo  importasse  la  concordia  tra  i  co- 
mandanti  delFarmi  confederate,  offriva  da  prima  l'autorità 
suprema  al  générale  inglese  ;  e  non  avendola  questi  accet- 
tata,  il  19  maggio  la  cedeva,  col   consentimento  pieno  e 
intero  di  Napoleone,  a  Pelissier,  che  stava  al  governo  del 
primo  corpo  d'esercito  (1);   cosi   Talta  capitananza  délia 
guerra,  dalle  mani  d*un  générale  prudente  troppo,  veniva 
a  quelle  di  un  générale  sempre  impetuosamente  audace  (2). 
—  Dalla  giornata  d'inkermann  sino  a  mezzo  il  maggio  del 
1855  fu  continue  il  trarre  délie  artiglierie  dei  forti  di  Se- 
bastopoli contra  i  campi  dei  nimici  per  impedirne  lo  avan- 
zarsi;  fu  incessante  il  badaluccare;  e  furono  senza  tregua 
le  uscite  notturne  dei  Russi  per  guastare  i  lavori  dell'as- 
sedio  e   scavalcare  i  cannoni   délie   batterie.  Nelle  quali 
fazioni  non  di  rado  accadde  di  trovarsi  assalitori  e  assa- 
liti  si  fattamente  stretti  insieme  da  non  poter  fare  uso  del- 
l'armi  ;  ohd'essi  s'accapigliavano  e  manescamente  combatte- 


reschi  dello  Gzar  palesavano  gli  intendimenti  suoi  di  continaare  la  lotta, 
la  festa  piena  di  eatnsiasmo ,  con  la  qnale  il  31  marzo  i  Rnssi  cele- 
bravano  nella  antica  metropoli  délia  signoria  moscovita  Tanniversario 
délia  presa  di  Pari^  del  1814,  mostrava  qnanto  odio  nutrissero  contra 
gli  invaditori  stranieri. 

(1)  u  La  mia  persona,  cosi  scriveva  Oanrobert  a  Pelissier,  in  sègtdto 
ad  ayyenimenti  imprevedati,  sembra  creare  serii  ostacoli  alla  effettaa- 
zione  dei  disegni  dei  dne  Govemi;  è  pertanto  dovere  mio,  e  per  lo 
servizio  dell'Imperatore  e  verso  il  mio  paese,  di  ritirarmi,  e  ho  soUeci- 
tato  da  Sua  Maestà  il  permesso  di  danri  il  comando  snpremo  dell'eseroitOi 
permettendomi  di  riprendere  quello  délia  mia  antica  divisione.  n 

(2)  Canrobert  era  solito  dire  :  u  Non  si  pnô  fare  tntto  in  nna  volta.  n 


Digitized  by  VjOOQIC 


662  OAPITOLO   X 


vano;  e  certo  non  saprebbesi  dire  se  allora  fosse  mag^giore 
la  ferocia  di  chi  assaliva,  o  la  rabbia  di  chi  si  difendCTa  (1). 
E  qui  sospendiamo  la  narrazione  sommaria  délia  guerra 
di  Grimea,  per  riprenderla  e  narrarla  con  maggiore  lar- 
ghezza,  allora  che  dorremo  dire  délia  Sardegna,  deU'en- 
trare  di  essa  nella  lega  dei  grandi  Stati  d*Occidente  e  délia 
parte  che  ebbero  in  quella  i  soldati  di  Vittorio  Emanueie. 

In  sul  cominciare  del  1855  era  corsa  voce  per  tutti 
Europa,  che  Timperatore  Napoleone,  poco  soddisfatto  deho 
avyiamento  date  alla  guerra  dai  generali  délia  Lega  e  del 
poco  vigore  col  quale  la  conducevano,  fosse  per  recarsi  iu 
Orimea  allô  aprirsi  délia  stagione  primaverile,  per  assu- 
mervi  il  comando  supremo  del  valoroso  suo  esercito,  che 
egli,  testimonio  degli  eroici  suoi  sforzi,  sarebbe  stato  su- 
perbo  di  capitanare.  Ma  quando  gli  vennero  saputi  i  mali 
umori  destatisi  in  Corte  di  Londra  e  le  gelosie  nate  negli 
uomini  militari  inglesi  per  quella  deliberazione  sua  —  che 
in  vero  avrebbe  fatto  prendere  alla  Bretagna  una  parte 
secondaria  nella  guerra  —  rinunziô,  sebbene  a  malincuore, 
al  disegno  suo  già  bandito  al  paese.  E  di  taie  rinunzia 
giustificossi  poi  innanzi  ai  rappresentanti  délia  nazione 
con  lo  addurre  le  gravi  questioni  che  agitavansi  allô 
esterno,  irresolute  sempre,  e  la  naiura  délie  circosùanze,  le 
quali  allô  interno  domandavano  ntcovi  e  importanti  proïh 
vedimenti  (2).  Fu  allora  che  il  Buonaparte  fece  délibéra- 


(1)  Bicorderô  Tassalto  dei  Francesi  nella  notte  del  2B  febbraio  aile 
difese  rosse,  innalzate  allora  da  Totleben  presse  la  baia  del  Carenaggio; 
assalto  vigoroso  ma  fallito,  per  esservisi  il  nimico  —  di  qnell'assalu} 
avreTtito  —  trovato  forte  di  numéro  e  di  armi.  Bicorderô  l'nscita  not- 
tuma  del  17  marzo  da  Malakoff  ;  Taltra  pore  de'  Rossi,  del  S3  di  quel 
mese  stesso,  contra  gli  approcci  del  poggio  Yerde  ;  Fassalto  fortuiato 
de'  Francesi,  nella  notte  del  12  aprile,  aile  posture  occapate  dal  nimico 
dinnanzi  a  Malakoff;  e  Tassalto  del  Oimitero  felicemente  compiato  <b 
qnelli  nella  notte  del  primo  maggio. 

(2)  Discorso  del  3  Inglio  1855. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANOIA   E   OBIMEA  66^) 


zione  di  visitare  la  regina  Yittoria,  allô  scapo  d  ^itiingeiieîj 
Tie  più  i  legami  strettisi  ira  Fraacia  e  Bratagaa  (j^rl^ 
faccende  d'Orienté,  ed  eziandio  per  togliere  ruitirùie'  difflt' 
denze  e,  diremo  anche,  l'ultime  restigie  delle<  geloâie.che 
un  tempo  erano  esistite  tra  i  Governi  di  qne'Mdnei.Steti. 
Il  15  aprile  Napoleone,  poche  ore  innanzi  di  làseliarerfBarf» 
rigi,  ai  rappresentanti  délia  nazione,  venuti  insuaiOorto» 
a  porgergli  le  leggi  allora  approvate,  parlava  iïi  que«tî> 
termini:  «  lo  sarô  l'interprète  de'  vostri  sentimem/ti'  itettsO' 
i  Ministri  di  Sua  Maestà  Britannica,  e  li  assicurerô>  teMir 
voi  in  grandissime  pregio  l'amicizia  inglese.  Noi  iuttiovcH 
gliamo  la  pace,  ma  soltanto  a  condlzioni  onorevdti^t  r^^ 
doyremo  continuare  la  guei'ra,  io  m'appoggerô  a  voij.  »iL& 
sera  di  quel  giorno  Tlmperatore  e  l'Impératrice  glugnis^ 
vano  a  Calais;  il  mattino  del  vegnente  entravano  in  mare^> 
e  in  sul  mezzodi  prendevano  terra  a  Douvres,  accolti  dal 
principe  Alberto,  lo  sposo  de] la  Regina;  aile  sei  del  po** 
meriggio  entravano  in  Londra;  brève  ora  di  poi  scende** 
vano  al  palazzo  di  Windsor,  sempre  con  entusiasmo  salu- 
tati  dal  popolo  accorso  numeroso  sul  loro  passaggio.  Splen- 
didissime  feste  vennero  date  in  onore  degli  ospiti  augusti  ; 
la  città  di  Londra  offri  un  banchetto  a  Napoleone;  il  quale^ 
al  lord  Sindaco  (1),  che  avevagli  indirizzate  parole  corte- 
sissime,  parlô  cosi  :  «  lo  conservai  sul  trono  per  la  nazione 
inglese  i  sentimenti  di  stima  e  simpatia  da  me  professati 
neiresilio,  allora  che  qui  godeva  délia  ospitalità  délia  Re- 
gina..... e  porterô  in  Francia  Fimpressione  profonda,  che 
lascia  nelle  anime  fatte  per  comprenderlo  lo  spettacolo 
ammirando  che  offre  l'Inghilterra,  ove  la  virtù  sul  trono 
regge  le  sorti  del  paese  sotto  l'imperio  d'una  libertà  senza 
pericolo  per  la  sua  grandezza.  »  Il  mattino  del  21  aprile 
rimperatore  e  l'Impératrice  lasciavano  Londra,  accompa- 


(1)  Il  Bnpremo  Magistrato  dei  cittadini  a  Londra  viene  chiamato^ 
^d  Mayor, 


Digitized  by  VjOOQIC 


664  OAFXTOLO   X 


gnati  in  lor  viaggio  sino  a  Douvres  dal  principe  Alberto; 
quando  uscivan  dal  porto^  Tarmata  inglese,  tutta  parata  a 
festa,  salutayali  con  tutti  i  suoi  caimoni;  la  sera  del  23 
erano  di  ritorno  a  Parigi. 

Se  la  buona  riescita  deirimpresa  di  Crimea  stava  a  capo 
dei  pensieri  del  Buonaparte,  stavagli   pur  sommameate  a 
cuore  la  grande  Mostra  di  Parigi  deirarti  e  délie  industrie, 
che,  studiata  e  risoluta  nel  1853,  quando  l'Europa  godeva  be- 
nefiche  aure  di  pace,  inauguravasi  da  lui  il  15  maggio  ;  nella 
quale  solenne  occasione  egli  ebbe  a  parlare  cosi:  «  Con 
yero  piacere  io  apro  questo  tempio  délia  pace,  che  invita  tutti 
i  popoli  alla  concordia.  »  Con  tali  parole,  piene  di  conforto 
e  di  speranze,  Tlmperatore  intese  non  soltanto  a  tranquil- 
lare  gli  animi  de'  sudditi  suoi  e  dei  moltissimi  accorsi  da 
ogni  parte  del  mondo  alla  metropoli  di  Francia  ad  ammi- 
rarvi  le  produzioni  delFumano   ingegno,  ma  altresi  a  far 
credere  essere  le  conferenze  di  Yienna  non  lontane  dal 
raggiugnere  lo  scopo  desiderato.  Ma  quelle  conferenze, 
come  vedremo   piîi  innanzi,   non  dovevano  risolvere  la 
quistione  d'Orienté,  ne  metter  âne   alla  guerra  disastro- 
sissima  che    si  combatteva  neirestrema  Europa;  anzi  il 
rompersi  di  esse  ebbe  a  creare  nuove  difflcoltà  al  conse- 
guimento  délia  pace,  e  il  contegno  tenuto  allora  dal  Sire 
Absburgbese   rallentô   d*assai  i  legami    d'amicizia,   che  il 
patto  del  2  dicembre  avea  stretti  tra  TAustria,  la  Francia 
e  la  Bretagna  (1).  Riusciti  inefBcaci  gli  sforzi  délia  diplo- 
mazia  a  condurre  i  guerreggianti   alla  concordia,  la  qui- 
stione turco-russa  non  poteva  piii  venire  risoluta  se  non 
dalle  armi;  e  siccome  per   continuare  la  guerra  Francia 
abbisognava  ancora  d'uomini  e  di  danaro,  cosi  llmperatore 
chiedevali  ai  due  Parlamenti  da  lui  convocati  il  2  luglio. 
<  Le  conferenze  di  Vienna,  diceva  loro  —  state  impotenti 


(1)  Chinse  le  conferenze,  Tlmperatore  d'Anstria  licenziava  parte  del- 
l'esercito  sno. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA  S   OBIMEA  665 


di  menare  a  pace  —  hanno  messo  in  piena  luce  gli  inten- 
dimenti  ambiziosi  délia  Corte  di  Pietroburgo  ;  per  condurre 
la  gnerra  a  onore  noi  dobbiamo  opporre  aile  nuove  e 
gagliarde  resistenze,  che  dalla  Russia  or  si  preparano, 
ancora  più  gagliarde  oflTese;  ma  per  ciô  fare  occorrono 
altri  sacrifizl,  ch'io  domando  al  vostro  amore  di  patria  »  (1). 
I  due  Parlamenti  rispondevangli  accordando  nuove  levé  e 
un  prestito  di  settecentocinquanta  milioni  di  lire.  —  AUora 
che  tutta  la  Francia  era  piena  di  gioia  per  la  vittoria 
délia  Tscbernaia,  la  Regina  d'Inghilterra  recavasi  a  Parigi 
per  visitare  gli  augusti  suoi  ospiti  di  Windsor  e  dar  prova 
di  fiducia  e  stima  alla  nazione  francese.  Imbarcatasi  a 
Osborne  il  17  agosto  col  principe  Alberto,  suo  sposo,  col 
principe  e  la  principessa  di  Galles,  il  mattino  del  18  scen- 
deva  a  Boulogne,  ove  Tlmperatore  era  corso  a  riceverla;  la 
sera  stessa  giugneva  a  Parigi  e  poco  dopo  a  Saint  Cloud.  Il 
27  faceva  ritorno  alla  sua  Inghilterra,  dalllmperatore  e  dal 
principe  Napoleone  accompagnata  sino  al  mare.  Se  le  feste 
civili  —  le  quali  furono  oltre  ogni  dire  sontuose  —  ebbero 
fine  in  Parigi,  le  feste  militari  seguirono  la  regina  Vittoria 
fino  a  Boulogne;  e  Tultima  ebbe  luogo  su  quelle  spiaggie, 
cînquant'anni  innanzi.  allô  incirca  campeggiate  da  esercito 
formidabile,  raccoltovi  dal  gran  capitano  contra  Bretagna. 


(1)  Nel  SQO  discorso  a'  due  Parlamenti  Tlmperatore  parlô  cosi  del- 
r  Anstria  :  «  Noi  aspettiamo  da  essa  il  pieno  adempimento  di  qnanto  ci 
pTomise  al  sno  entrare  in  lega  con  noi,  di  appoggiarci  cioè  con  le  sne 
armi,  qaalora  il  negoziare  con  Bnssia  non  ci  condncesse  a  pace.  È  bensi 
Tero  che  TAnstria  alloia  ci  propose  di  gnarentire  Tindipendenza  délia 
Tnrchia  mediante  xxd  trattato  e  di  ritenere  altresi  qnale  casus  belli  lo 
accrescersi  nel  Mar  Nero  délie  navi  russe  esistenti  innanzi  il  romper 
délia  gnerra  ;  ma  taie  proposta  non  potevasi  accettare...  »  —  Il  tacere 
di  Napoleone  in  quel  discorso  de'  snoi  alleati,  che  al  pari  di  Francia 
sopportavano  dnri  sacrifizi  nello  interesse  délia  pace  enropea,  spinse  il 
marchese  di  Villamarina  e  lord  Clowley,  oratori  di  Sardegna  e  di  Bre- 
tagna in  Corte  di  Parigi,  a  mnovere  lamenti  al  Govemo  impériale:  e 
in  verità  tanta  dimenticanza  era  imperdonabile  ! 


Digitized  by  VjOOQIC 


666  CAPITOLO   X 


Brevi  giorni  dopo  la  vittoria  di  Traktir,  altra  e  d'assai 
piii  gloriosa  guadagnavasi  dai  soldati  di  Francia,  i  quali, 
il  di  8  settembre  espugnavano  la  fortissima  torre  di  Ma- 
lakoflf,  onde  veniva  a  mano  de'  confederati  la  parte  méri- 
dionale di  Sebastopoli;  e  di  li  a  non  molto  anche  la  for- 
tezza  di  Kinburn,  che  giace  non  lungi  dalla  foce  del  Dnieper 
nel  Mar  Nero.  Mentre  si  fattamente  prosperavano  in  Grimea 
le  armi  délia  Lega,  l'imperatore  Napoleone  il  16  novembre 
cliiudeya  con  grande  solennità  nella  sua  Parigi  quella 
Mostra,  che  aveva  rivelato  al  monde  le  maraviglie  del 
layoro  umano  nelle  arti  e  nelle  indastrie.  Nel  discorso 
allora  da  lui  pronunziato  parlô  del  Msogno  cCuna  pace 
pronta  e  durevole;  «  per  essere  pronta,  deve  risolvere 
chiaramente  e  francamente  la  quistione,  che  diede  origine 
alla  guerra  d'Orienté;  e  per  essere  durevole  bisogna  che 
l'Europa  faccia  conoscere  il  proprio  modo  di  pensare  su 
quella  quistione  ;  senza  ciô  la  lotta,  che  or  si  combatte  tra 
i  grandi  Stati,  minaccia  di  prolungarsi.  Nei  tempi  civili, 
in  cui  viviamo,  la  vittoria  guadagnata  con  le  armi,  seb- 
bene   splendidissima,  è  sempre   passaggera;  è  Topinione 

pubblica  che  vince  la  vittoria  finale La  Mostra  deirarii 

e  délie  industrie,  che  sta  per  chiudersi,  ha  date  une  spet- 
tacolo  veramente  grande;  avvegnachè,  mentre  combattevasi 
e  tuttavia  si  combatte  una  guerra  sanguinosissima,  d'ogni 
parte  del  monde  sieno  qui  accorsi  gli  uomini  piii  chiari 
nelle  scienze,  nelle  arti  e  nelle  industrie;  onde  io  penso 
essere  universale  il  convincimento,  che  la  guerra  attuale 
minacci  solo  chi  la  provocô,  e  l'Europa,  ben  lungi  dal 
vedere  in  essa  un  pericolo  alla  sua  indipendenza  e  securtà, 
vi  trovi  un  pegno  di  quella  e  di  questa.  »  Le  quaii  savie 
parole  —  salutate  con  entusiasmo  dalla  moltitudine  dei 
cittadini  venuti  alla  festa  —  rivelarono  tutta  la  mente  di 
lui^  che  avevale  pronunciate.  Alla  solenne  ceremonia  délia 
chiusura  délia  Mostra  artistica  e  industriale  tennero  dietro 
le  feste  date  in  onore  del  re  Yittorio  Emanuele  di  Sardegna, 
venuto  a  visitare  nella  sua  metropoli  l'illustre  suo  alleato, 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   E   CBIMSA  667 


allo  inteato  di  stringere  vie  più  Tamicizia  che  a  lui  già 
il  legarano,  la  quale,  in  uu  vicino  avvenire,  doveva  tor- 
nare  tanto  vantaggiosa  airitalia  nostra.  In  sul  cadere  del- 
l'anno  (1)  tornavano  di  Crimea  a  Parigi  la  Guardia  impé- 
riale e  alcuni  reggimenti  di  fanti  d'ordinanza,  quelli  che 
nella  guerra  avevano  sofferto  i  maggiori  danni,  di  là  chia- 
mati  dairimperatore  per  rifarli  délie  perdite  patite.  Mosso 
a  incontrarli,  Napoleone  dava  loro  il  buon  ritorno  cosi: 
«  Soldati,  io  vengo  a  voi,  corne  un  tempo  il  Senato  romano 
muoveva  aile  porte  delFalma  città  a  incontrarvi  le  vitto- 
riose  sue  legioni;  io  vengo  a  dirvi,  che  voi  avete  bene 
meritato  délia  patria.  »  —  Le  condizioni  d'Europa  eransi 
in  quel  mezzo  cambîate  dimolto.  Non  ostante  il  nuovo  e 
poderoso  armarsi  di  Russia  e  degli  Stati  délia  Lega  —  ciô 
che  induceva  a  credere  volere  essi  continuare  la  guerra 
sino  allo  estremo  —  pure  voci  di  pace  correvano  per  ogni 
dove.  Caduta  la  cittadella  deirimperio  moscovita  nel  Mar 
Nero,  sommersa  o  distrutta  dal  fuoco  quelVarmata,  di  cui 
a  ragione  la  Russia  andava  superba,  la  diplomazia  poteva 
rinnovare  Topera  sua  e  riprendere  le  pratiche  di  accorde 
rotte  a  Vienna;  e  in  fatto,  quella  rinnovô,  e  queste  riprese, 
auspice  TAustria;  la  quale,  attenta  a  cogliere  la  buona 
occasione  per  far  finita  la  guerra  —  il  cui  romoreggiare, 
sebbene  lontano  di  sue  provincie,  turbavale  perô  sempre  i 
sonni  —  aveva  già  tentato  l'animo  del  Sire  francese.  Na- 
poleone, che  era  pur  desideroso  di  pace,  avvertito  non 
essere  Io  Ozar  aliène  da  essa,  invitollo  agli  accordi;  e 
avendo  questi  acconscuitito  di  trattarli,  sospese  l'armi  in 
Crimea,  il  Buonaparte  chiamava  a  congresso  in  Parigi  i 
rappresentanti  degli  Stati  guerreggianti ,  cui  univansi 
quelli  d'Austria  e  di  Prussia.  Il  negoziare  di  pace  —  che 
ebbe  cominciamento  il  25  febbraio  1856  —  questa  volta 
approdava  a  buon  porto;  il  trattato  del  20  marzo   faceva 


(1)  Fq  il  29  dicembre. 


Digitized  by  VjOOQIC 


668  CAPITOLO  X 


posare  la  guerra  in  Oriente,  assicurava  airEnropa  il  po- 
litico  suo  contrappeso  e  alla  Turchia  la  propria  indipen- 
denza. 

Dal  bandirsi  délia  pace  aU'attentato  di  Felice  Orsini  alla 
vita  di  Napoleone  passarono  due  anni,  senza  che  nuUa  av- 
venisse  di  notevole  in  Francia.  L'imperio  pareva  ornai  as- 
sicurato  ai  Buonaparte;  i  sentimenti  di  moderazione  mo- 
strati  dallo  Imperatore  nella  contesa  turco-russa  e  duraate 
la  guerra  d'Orienté,  e  il  leale  suo  trattare  di  pace  ave- 
rangli  guadagnata  la  stima  delfuniversale;  e  le  parole  da 
lui  pronunciate  nel  1854  innanzi  a' due  Parlamenti  dello 
Stato  :  il  tempo  délie  conquiste  essere  passato  per  semprt, 
avevangli  valsa  Tamicizia  de'  regnanti  in  Europa  (I).  A 
vie  più  aflfermare  la  dinastia  de'  Napoleonidi  sul  trono, 
l'Impératrice  nella  notte  del  15  al  16  marzo  dava  alla 
luce  un  flglio,  che  Troplong,  Présidente  del  Senato,  salu- 
tava  /îglio  délia  Francia:  il  cui  battesimo  venne  celebrato 
nel  maggior  tempio  della  città  il  14  giugno  ;  e  in  nome 
di  Pio  IX —  che  voile  esserne  il  padrino  —  fu  levatodal 
sacro  fonte  dal  cardinale  Patrizi,  Vescovo  d'Albano  e  Le- 
gato  del  Pontefice.  L'impresa  fortunata  di  Crimea,  la  pace 
che  la  segui  —  in  virtîi  della  quale  le  mire  ambiziose 
della  Russia  nel  Bosforo  venivano  rafitenate,  e  contenute 
ne'limiti  âssati  dagli  antichi  trattatile  forze  navali  di  essa 
—  in  fine,  la  nascita  dell'erede  aU'imperio  inducevano  a 
credere,  sarebbe  per  perpetuarsi  in  Francia  il  sistema 
nazionale  del  terzo  Napoleone,  che  ritenevoM  la  guaren- 
ttgia  più  secura  degli  interessi  del  paese  (2)  ;  ma  non  ào- 


(1)  Napoleone,  dopo  aver  detto  che  la  Francia  non  aveTa  alcnna  min 
di  ingrandimento ,  sogginngeva:  u  Essa  ynole  solamente  resistere  a 
nsnrpazioni  pericolose.  Cosi  io  amo  affermarlo  altamente,  essere  onuû  il 
tempo  délie  conqniste  passato  per  sempre.  » 

(2)  Parole  dell'Imperatore  al  conte  di  Momy,  Présidente  dell'As* 
semblea  legislativa. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANGIA   E    GBiaCBA  669 


veva  essere  cosi.  —  Correra  la  notte  del  14  gennaio  1858, 
quando  seguiva  in  Parigi  un  aspro  caso,  una  congiura  che 
dir  non  saprei  se  più  audace  o  più  insensatamente  teme- 
raria!  se  ad  essa  fosse  sortito  Tesito  voluto  dai  cospira- 
tori,  Francia  sarebbesi  riempita  di  tumulti,  fors' anche  di 
guerra  civile;  fu  l'attentato  d'Orsini,  che  destô  in  Europa 
sensi  diversi,  muovendo  a  un  tempo  ira,  pietà  e  orrore; 
ne  certo  andiamo  errati  afltermando  avère  eccitato  ezian- 
dio  seasi  d'ammirazione  per  Tardimentoso  capo  délia  co- 
spirazione,  invero  uomo  non  volgare,  anzi  degno  di  sorte 
migliore  che  non  gli  toccô.  Ohi  egli  fosse,  quale  la  vita, 
dirô  brevemente.  Police  Orsini  ebbe  nel  dicembre  1819  i 
natali  in  Meldola,  terra  del  forlivese.  Il  padre  —  che  aveva 
militato  sotto  le  bandiere  del  gran  capitano  —  caduto  il 
regno  italico  davasi  a  congiurare  contra  i  tiranni  délia 
patria;  tornate  a  maie  le  soUevazioni  e  le  trame  ordite 
par  levare  in  su  l'arme  la  penisola,  cercato  a  morte,  sal- 
vavasi  con  la  fuga;  come  il  padre,  cosi  fu  il  flgliuolo  fermo 
sempre  nell'odio  allô  straniero  e  nell'amore  aU'Italiâ.  Nel 
1835  cospirando  in  Romagna  contra  la  signoria  papale, 
che  le  baionette  dell'Austria  proteggevano  e  sostenevano, 
egli  è  preso  e  dannato  a  prigionia  perpétua,  Schiusogli 
Tergastolo  dall'amnistia  di  Pio  IX,  recasi  a  Firenze  ;  venuto 
iu  sospetto  al  Governo  granducale,  da  prima  vien  posto  in 
carcere,  di  poi  cacciato  di  Toscana.  La  guerra  di  Lom- 
bardia  del  1848  trova  in  lui  un  soldato  valoroso  e  istrutto 
aell'arte  bellica,  alla  quale  da  giovane  aveva  rivolto  gli 
studi  suoi.  Posate  le  armi  régie  sul  Ticino,  Felice  Orsini 
portasi  a  Roma,  ove  quelle  délia  repubblica  si  ordinano 
alla  difesa  e  aU'ofTesa.  Dopo  avère  quietate  le  cose  nelle 
provincie  d'Imola  e  d'Ascoli  —  dai  nimici  alla  libertà  con 
mala  arte  messe  sossopra  —  egli  entra  nella  Costituente. 
Restaurata  la  potestà  pontiflcia,  Orsini  va  a  Nizza  da 
prima,  di  poi  a  Sarzana  per  muoverla  a  romore;  ma  fal- 
litagli  l'impresa  viene  a  mano  del  magistrato  civile,  che 
il  caccia  dai  reame.  In  Londra,  ove  si  è  rifugiato,  dise- 


Digitized  by  VjOOQIC 


670  OAPITOLO   X 


gna  con  Mazzini  di  sollevare  tuttaltalia;  primo  obbietto  suo. 
la  Lunigiana;  qui  deve  principiar  la  ribellione;  qui,  la 
guerra  per  bande,  la  quale  ha  da  allagare  con  la  celerità 
massima  la  penisola  intera  e  Testrema  Sicilia.  Nel  1854  Fe- 
llce  Orslni,  venuto  con  la  solita  audacia  all'impresa,  scende 
aile  foci  délia  Magra  con  pochi  araici  e  alquanti  compa- 
gni;  ma  non  efficacemente  assecondato  da  questi  e  dalle 
genti  del  paese,  è  costretto  a  togliersi  giii  da  quella  e  a 
ripararsi  a  Francia,  indi  a  Ginevra.  Non  iscoraggiato  dal 
mal  successo  délia  Lunigiana,  tenta  di  li  a  poco  la  Val- 
tellina;  ma  gli  Austriaci,  che  la  presidiano  e  vi  fanno 
buona  guardia,  avvertiti  délia  trama,  raddoppiando  di  vi- 
gilanza  riescono  a  rompere  i  disegni  dei  congîuratori. 
L'anno  vegnento  Felice  Orsini  sotto  nome  mentito  recasi 
a  Vienna  allô  scopo  di  entrare  nell'esepcito  austriaco,  e, 
militando  nei  reggimenti  italiani,  spargervi  i  semi  di  ri- 
bellione; ma  non  potendo  raggiungere  Tintento  suo  por- 
tarasi  a  Hermanstad  ;  ove  preso  e  riconosciuto  è  tradotto 
aile  prigioni  di  Mantova,  dalle  quali  gli  vien  date  di  fug- 
gire  calandosi  di  nottetempo  da  una  finestra  coi  leozuoli 
del  suo  letto  —  proprio  allora  che  sta  per  essere  tratto 
al  supplizlo  estremo  —  e  riparasl  nuovamente  a  Loadra. 
Persuaso,  non  poter  l'Italia  tornare  padrona  di  se  fîno  a 
che  imperasse  su  Francia  il  Buonaparte  —  ch'egli  crede 
nimico  alla  libertà  e  alla  indipendenza  délia  sua  patria  e 
sostenitore  délia  potestà  temporale  dei  Pontefici  —  fatta 
deliberazione  di  spegnerlo,  recasi  a  Parigi.  Con.  Andréa 
Pieri  di  Lucca,  Carlo  Rudio  veneto,  Antonio  Gomez  napo- 
litano  e  Simone  Francesco  Bernard  francese,  soci  nella 
cospirazione  disegnata,  in  sul  cadere  del  14  gennaîo  1858 
portatosi  innanzi  il  vestibolo  del  teatro,  aU'arrivarri  del- 
rimperatore  lancia  verso  la  carrozza  sua  tre  bombe,  le 
quali  al  battere  contra  la  terra  scoppiano  con  orrendo 
fracasse  (1)  e  uccidono  e  feriscono  molti  cittadini  e  alcani 


(1)  Qnelle  bombe  son  conoscinte  sotto  il  nome  di  bombe  airOrnnû 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANOIÂ   E   CBIBfBA  671 


del  sèguito  di  Napoleone,  il  quale,  rimasto  illeso,  entra  in 

teatro  con  passo  franco  e  volto  tranquillo,  ma  certamente 

con  animo  agitato  ;  perô  che  il  tristissimo  caso  non  possa  a 

meno   d'averlo  profonrfamente   commosso   e   accorato.   È 

ornai  noto  a  tutti  essere  egli  stato  maestro  sempre  nel- 

l'arte  di  simulare  e  abilissimo  a  nascondere  le    ragioni 

suprême  del  suo  operare.  I  cospiratori  caddero  subito  in 

mano  del  Magistrato  civile,  eccetto  il  Bernard.  Non  estante 

la  difesa  eloquentissima   di  Giulio  Favre,  il  quale,  dopo 

aver  lamentato  corne  la  fatale  illusione  di  poter  salvare  la 

patria  col  togliere  di  vita  Tlmperatore  avesse  tratto  que- 

gli  uomini,   più    infelici  che  colpevoli,  al  sanguinoso  at- 

tentato,  ebbe  respinto  l'accusa  délie  vittime  di  esso  —  av- 

vegnacbè  non  siavi  delitto  ove  manca  la  volontà  di    de- 

linquere  —  Orsini,  Pieri  e  Rudio  venivano  condannati  al 

supplizio  estremo,  Gomez  a  prigionia  perpétua.  Orsini  parlô 

ai  giudici  parole  dignitose  e  franche,  le  quali   misero  in 

chiara  luce  tutta  Televatezza  del  carattere   e  la   fortezza 

deiranimo  suo.  Disse  délie  cospirazioni  aile  quali   aveva 

preso  parte  ;  e  narrando  i  casi  di  Roma  favellô  cosi  :  «  Al- 

lora  che  le  soldatesche  di  Francia,  che  la  democrazia  di 

ïtalia  reputava  amiche  alla  sua  causa,   scesero   a    Civita- 

vecchia,  noi  porgemmo  ad  esse  la  mano;  ma   esse   ci   ri- 

sposero  col  ferro  e  col  ftioco.  Gredendo  fossero  state  con- 

dotte  a  combatterci  contra  Tanimo  loro,  noi  rendemmo  a 

libertà  i  prigionieri  fatti  nei  primi  assalti,  e  nel  lasclarli 

li  salutammo  gridando:  Viva  la  Francia/  Vîva  V ïtalia! 

Che  fecero  allora  i  soldati  di  Francia?  in  quai  modo   ri- 

sposero  alla  nostra  generosità  ?  sospese  le  armi  per  lunghi 

giorni  allô  scopo  di  rifarsi  da  una  sconfitta  soflferta,  rie- 

derono  allé  offese,  quando  Oudinot  ebbe  l'esercito  aflforzato 

dai  sussidi  d'uomini  e  di  macchine  per  Tassedio  in  copia 

grande  mandatigli  dal  suo  Çoverno;  allora  i  difensori  di 

Roma  furono  giuridicamente  assassinats  Posata  la  guerra 

sul  Tevere,  cercai  soUevare  Sarzana;  riescita  vana  la  prova, 

disegnai  e   délibérai  con    Giuseppe  Mazzini  Timpresa  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


672  OAPITOLO   X 


Lunigiana  da  prima,  di  poi  quella  di  Yaltelliaa,  che  pari- 
menti  tornarono  a  maie.  Fermo  sempre  iieila  persuasione 
mia  di  non  lasciare  nulla  d*intentato  per  levare  armi  con- 
tra TAustria,  fui  in  Ungaria  e  a  Vienna  allô  scopo  di  ac- 
cordarmi  con  la  democrazia  magiara  e  tedesca  intorno  a 
quanto  doveyasi  operare  per  raggiungere   il   compimento 
dei  desidèri  nostri,  la  libertà.  Son  note  la  mia  cattura  e 
la  mia  fuga  dalle  prigioni  di  Mantova  ;  è  noto  altresi  corne 
io,  in  Londra,  la  rompessi    con   Mazzini,  disapprovando  i 
suoi  modi  d'operare  e  d'agitare  i  popoli.  Studiando  le  con- 
dizioni  politiche  dei  Governi  d'Europa,  vidi  in  Napoleone, 
divenuto  oltrapotente,  il  solo   uomo   che  potesse  aiutare 
ritalia  al  racquisto  di  sua  indipendenza  e  libertà;  se  non 
che  convinto,  o  almeno  persuaso  dal  suo  passato,  cb'egii 
non  solamente  sarebbe  mai  per  fare  impresa  si  generosa 
e  grande,  ma  osteggerebbe  certamente,gli  Italiani,  qaaodo 
si  levassero  in  su  l'arme  a  far  novelle  prove  délia  fortuna 
—  tante  volte  tentata  già  —  risolvetti  di  toglier  viaTIm- 
peratore.  A  taie  intente,  associatimi   alcuni    uomini,  coi 
erano  conosciuti  i  disegni  miei,  venni  a  Parigi.  >  —  Dal 
carcere  di  Mazas,  ove  quel  forte  piangeva,  non  su  la  sorte 
che  l'aspettava,  sibbene  su  le  miserie   délia    patria  tanto 
amata,  il  21  febbraio  Felice  Orsini  scriveva   a  Napoleone 
cosi:  €  Quanto  io  dissi    ai   giudici    deU'attentato    politico 
dei  14  gennaio  basta  per  farmi   condannare   alla  morte, 
che  sopporterô  senza  supplicare  grazia  per  non  umiliarmi 
innanzi  a  voi,  che  avete  spento  la  nascente  libertà  d*ltalia. 
Giunto  al  fine  di  mia  mortale  carriera,  voglio  ancor  ten- 
tare  un  ultime  sforzo  per  la  patria  mia,  per  la  cui  indi- 
pendenza andai  incontro  a  mille    pericoli;  per    essa,  che 
formô  sempre  l'oggétto  d'ogni  mio  aflTetto.  A  mantenere  il 
présente  contrappeso  europeo   abbisogna   rendere  Tltalia 
indipendente  o  stringere  maggiormente  le  catene  dei  ser- 
vaggio  austriaco.  Io  non  chieggo,  abbia  la  Francia  a  ver- 
sare  per  la  sua  redenzione   il  sangue   dei    propri  figli; 
ritalia  demanda  che  essa  non  abbia  a  interyenire  a  suo 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   B   GBIUEA  673 


danno,  ne  che  Allemagna  soccorra  con  le  sue  armi  airAu- 
stria  nella  guerra,  forse  non  lontana  a  rompersi.  E  taie 
cosa  puô  farsi  dalla  Maestà  vostra;  da  ciô  pende  la  fé- 
licita o  la  sventura  délia  mia  patria,  la  vita  o  la  morte 
d'una  nazione,  cul  l'Europa  deve  moltissima  parte  di  sua 
civiltà.  Questa  è  la  preghiera  che  dal  mio  carcere  a  voi 
soUevo,  non  disperando  ch'essa  abbia  ad  essere  esaudita. 
lo  vi  scongiuro  di  rendere  airitalia  l'indipendenza  perduta 
da'  suoi  flgli  nel  1849  per  colpa  del  Ooverno  francese. 
Ricordatevi  che  gli  Italiani,  tra'  quali  il  padre  mio,  diedero 
con  gioia  il  loro  sangue  per  Napoleone  il  Grande,  dovun- 
que  gli  piacque  condurli;  rammentatevi,  che  essi  gli  ri- 
masero  fedeli  sino  alla  sua  caduta;  non  dimenticate  che 
la  tranquillità  d'Europa  e  la  vostra  correranno  sempre 
gravi  pericoli  sino  a  che  l'Italia  non  avrà  acquistata  la 
indipendenza.  Non  respingete  la  voce  suprema  di  chi  sta 
per  salire  il  patibolo  !  liberate  la  mia  patria,  e  le  bene- 
dizioni  di  venticinque  milioni  di  cittadini  vi  accompagne- 
ranno  nella  posterità.  »  —  Le  quali  nobili  parole  d'un 
uomo  vicino  a  morte,  rivelando  tutta  la  generosità  e, 
siami  lecito  dire,  la  virtù  degli  intendimenti  suoi,  face- 
vano  nascere  negli  animi  di  quanti  nutrivano  sensi 
di  umanità  la  speranza  di  vedere  graziato  V  Orsini 
délia  vita  (1);  ma  il  cuore  delllmperatore  rimase  chiuso 
a  ogni  sentimento  di  clemenza;  bene  scrisse  TAnelli, 
che  i  Re  possono  sopportare  i  ladri  e  gli  scellerati,  non 
chi  attenta  alla  loro  vita  pet^  amor  di  patria  (2).  Francia 


(1)  H  Moniteur  col  pnbblicare  la  coraggiosa  difesa  di  Giolio  Fayre 
e  la  lettera  d' Orsini  aU'Imperatore  aveya  fatto  fatto  nascere  nell'animo 
di  tutti  la  speranza  di  veder  mntata  la  pena  di  morte  in  qnella  di 
prigionia  aperpetnità;  ma  la  grazia  aspettata,  e  certo  desiderata  dai 
bnoni,  non  venne. 

(2)  Storia  d^Italia,  vol.  iv,  cart  18;  Milano  1864. 

Questa  a£fermazione  deirAnelli,  giostissima  nella  maggior  parte  degli 
attentati  alla  vita  dei  Sovrani ,  ebbedi  qnesti  tempi  in  Italia  nna  solenne 

43  —  Vol.  n.  Màbiani  —  Storia  pcU  e  mtZ. 


Digitized  by  VjOOQIC 


674  OAPITOLO    X 


godeva  allora  délia  massima  tranquillità  allô  interno;  in 
oltre,  essa  era  rispettata  e  temuta  al  di  fuora:  onde  la 
morte  di  Felice  Orsini  non  poteva  esser  richiesta  da  ra- 
gione  di  Stato,  sovente  invocata  dai  principi  per  onestare 
le  loro  opère  poco  leali  e  scusare  i  piîi  neri  delitti,  quando 
V ombra  del  trono  non  basta  a  coprirli,  —  La  paura,  sem- 
pre  vilissima  consignera,  spinse  Napoleone  a  segnare  la 
sentenza  di  morte  di  lui  che  amor  di  patria,  grande  tanto 
da  toccare  il  delirio,  aveva  trascinato  ad  attentare  ai  giorni 
deirimperatore  ;  di  lui,  che  irrefrenabile  impazlenza  per 
la  libertà  aveva  indotto  a  mal  fare;  in  fine,  di  lui  che, 
dopo  essersi  rimproverata  l'oATesa  arrecata  al  principio 
morale,  erasi  pieno  di  fede  rivolto  a  chi  aveva  volutouc- 
cidere  per  implorare  grazia  a  favor  deiritalia.  Il  13  marzo 
Felice  Orsini  perde  sul  patibolo  la  vita,  che  sin  da  fan- 
ciuUo  ebbe  tutta  consecrata  alla  patria,  e  che  allora  darâ 
in  espiazione  del  suo  misfatto;  spirando  egli  gridô:  Vim 
Vltalia!  viva  la  Francia!  Con  lui  venne  morte  Andréa 
Pieri;  a  Rudio  la  clemenza  impériale  mutava  la  pena  di 
morte  in  quella  délie  galère  in  vita.  Alcuni  scrittori  fran- 
cesi,  certo  poco  benevoli  all'Italia,  dissero  di  questo  nostn» 
paese  —  tanto  grande,  quanto  infelice  —  tutto  il  maie 
che  poterono;  quasi  che  esso  soltanto  partorisca  gli  ucci- 
ditori  di  principi,  e  il  caso  del  loro  nascere  abbia  a  get- 
tare  luce  sinistra  su  tutta  una  nazione!  La  storia  di  tntti 
i  popoli  pur  troppo  è  piena  d'assassinî  politici  !  Quegli 
scrittori  francesi  avevano  dimenticato  —  scrivendo  di 
noi  —  l'ucciditore  d'Enrico  IV,  Ravaillac;  avevano  pari- 
menti  scordato  che  dei  tanti  assassini,  i  quali  attentarono 
alla  vita  di  Luigi  Filippo,  uno  solo  era  italiano,  il  côrso 
Fieschi;  gli  altri  tutti  erano  nativi  di  Francia  !(1).  È  forza 


smentita;  il  giovane  re  Umberto  I  lasciava  la  vita  al  Passanante,  che 
in  Napoli  ayeva  tentato  toglierla  a  Ini;  il  qnale  atto  generoso  tonaa 
«omma  gloria  del  Monarca  e  a  onore  délia  dyiltà  d'Italia  nosisii. 
(1)  Alla  vita  di  Luigi  Filippo  si  attentô  il  19  novembre  1882;  O  ^ 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBA.NGIA   E   CRIME  A  675 


convincerci,  che  tali  delitti  noa  fecero  progredire  mai  la 
sociotà  ma  sempre  indietreggiaronla  ;  ciô  che  sarebbe  av- 
venuto,  se  Napoleone  fosse  rimasto  vittima  di  queiratten- 
tato.  —  Pieno  di  paure  e  sospettando  altre  insidie  e  mac- 
chinazioni,  Tlmperatore  facevasi  ailora  a  domandare  alla 
Inghilterra,  al  Belgio,  alla  Svizzera  e  alla  Sardegna  leggi 
e  provvedimenti  che  valessero  a  impedire  nuove  congiure 
a  suo  danno  e  a  turbare  la  tranquillità  délia  Francia.  Pal- 
merston,  che  stava  a  capo  del  Governo  britanno,  mostrossi 
favorevole  alla  richiesta  dei  Ministri  imperiali,  da  lui  ri- 
tenuta  seconde  giustizia  ;  ma  quando  furoa  noti  gli  inten- 
dimenti  degli  amici  al  Buonaparte,  i  quali  Yolevano  si  pu- 
nissero   con   le   armi    gli   Stati  che  osassero  ancor  dare 
ricbvero  ai  macchinatori  di  congiura  contra  1  principi,il 
Parlamento  inglese,  reputando  da  quelle  minaccie  offeso  il 
sentimento  nazionale,  mosse  grave  censura  a  Palmerston 
per  essersi  piegato  aile  esorbitanti  pretensioni  del  Buona- 
parte:  ond'egli  eracostretto  a  lasciare  Tufficio,  che  veniva 
ailora  assuntô  da  lord  Derby.  Agli  schiarimenti  con  dignità 
richiesti  dal  ministre  inglese,  degnamente  rispose  quelle 
deirimperatore,   il  Walewski;  e  siccome   ne  Francia,  ne 
Inghilterra  volevano  rompere  le  relazioni    di   lor   buona 
amicizia,  tanto  lealmente  cementata  sui  campi  di  Grimea, 
oosi  i  Governi  di  Parigi  e  di  Londra  mettevan  âne  alla 
controversia  (1).  Dal   Belgio  e  dalla  Svizzera   ottenne    il 
Buonaparte  l'adempimento  pieno  e  intiero  délia  sua  vo- 
lonté; per  lui   il  Belgio  bandi  una  legge  spéciale  contra 


li^Iio  1885  —  e  fa  da  Fieschi;  —  il  25  gingno  1836;  il  27  dicembre 
pure  del  1836;  il  15  ottobre  1840. 

(1)  Ai  fhornsciti  politici  Flnghilterra  concède  ospitalit&  che  non  ha 
limiti.  Santo  è  il  diritto  di  asilo  ;  ma  Tospitalità  non  deve  giugnere  sino 
a  dax  protenone  agli  assassini.  In  Londra  fa  gridato  nuxrtire  il  Pianori, 
che  aveva  in  Parigi  perdata  la  vita  sol  patibolo  per  avère,  il  28  aprile 
1854,  attentato  a  qaella  dello  Imperatore;  e  a  conunemorare  il  saoatto 
di  coraggio  glilnglesi  coniarono  ona  medaglia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


676  OAPITOLO   X 


le  offese  faite  per  la  stampa  al  capo  di  uno  Stato  stra- 
niero;  e  la  Svizzera  allontanô  dai  confini  deirimperio  gli 
usciti  di  Francia  e  dltalia,  soprammodo  da  Ginevra,  ove 
trovavansi  i  più  audaci  e  i  più  violenti.  Gavour,  primo 
de*consiglieri  di  Vittorio  Emanuele,  accolse  seiiza  mostrare 
sdegno,  ne  ira  Tinvito,  in  verità  temperato  nelle  parole, 
del  ministre  francese;  e  seppe  cosi  maestrevolmentedestreg- 
giarsi  da  peter  di  li  a  brevi  giorni  ottemperare  ai  desidèri 
di  Napoleone,  senza  effendere  la  dignità  del  sue  Re  e  délia 
nazione,  quando  rinnovata  la  demanda  dal  Governo  di 
Versailles,  ebbe  essa  la  forma  più  d*una  preghiera  che  di 
un  comando  (1). 

Era  il  luglio  di  quell'anno  1858,  quando  il  conte  di  Ga- 
vour recavasi  al  casiello  di  Plombières,  chiamatovi  daU'im- 
peratore  Napoleone.  Se  nuUa  trapelô  di  quanto  venne  di- 
scusso  e  deliberato  in  quel  convegno  dal  Buonaparte  e  dal 
grande  Ministre  del  re  Vittorio  Emanuele,  molto  perô  si 
potè  indovinare;  avvegnachè  gli  intendimenti  del  Sire  di 
Francia  a  favore  dell'Italia  avessero  cominciato  a  chiarirsi 
nel  Gongresso  di  Parigi,  che  diede  la  pace  aU'Europa.  Dal 
convegno  di  Plombières  usci  una  nuova  lega  deirimperio 
con  la  Sardegna,  di  li  a  brevi  mesi  maggiormente  affer- 
mata  dalle  nozze  del  principe  Napoleone,  cugino  airim- 
peratore,  con  la  principessa  Glotilde,  figliuola  di  Vittorio 
Emanuele  ;  conseguenza  di  quella  lega,  la  fortunata  guerra 
di  Lombardia.  Si  disse  che  a  Plombières  tra  il  negoziator^» 


(1)  Poco  dope  l'attentato  d'Orsini  l'Imperatore  parlava  cosi  all'As- 
semblea  legislativa  :  «  Se  io  soccombessi,  rimperio  sa  rebbe  ancora  ^ù 
assodato  dalla  mia  morte,  perchô  l'indegnazione  del  popolo  e  dell'eserciti> 
foimerebbe  un  valido  sostegno  al  trono  del  figliuol  mio.  »  Fu  allora 
che  iatitoi  on  oonsiglio  di  Beggenza,  preveggendo  il  caso  che  egli 
avesse  a  mancare  prima  che  dal  figHo  suo  fosse  stata  ragginnta  la  mag- 
giore  età.  L'istitazione  délia  Beggenza  incontrô  il  favore  universale, 
awegnachô  con  essa  si  reputassero  assicorati  Tawenire  deirimperio  e  la 
tranquillità  del  paese. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FKÀKOIA   E    CBIMEÂ.  677 


regio  e  il  Monarca  francese  si  stipulasse  :  =  Ghe  la  Sar- 
degna,  posate  le  armi  e  fatta  la  pace,  si  aggregherebbe  il 
Lombardo-Veneto,  i  Ducati  padanl  e  il  Trentino,  e  cede- 
rebbe  a  Francia  la  Savoia;  che  formerebbesi  il  regno  di 
Etruria  con  Toscana  e  le  Legazioni  pontiflcie  per  Napo- 
leone,  il  flgliuolo  del  vecchio  re  Girolamo;  che  darebbesi 
Napoli  a  Murât,  e  Sicilia  a  un  principe  di  casa  Savoia;  in 
fine,  che  gli  Stati  italiani  unirebbersi  in  federazione,  pre- 
sieduta  dal  romano  Ponteflce.  =  Si  scrisse  allora  altresi  : 
^=  Avère  Tlmperatorc  consigliato  al  Ministre  del  Re  di 
costringere  VAustria  a  romper  guerra  alla  Sardegna; 
ne  la  verità  di  tali  parole  puô  mettersi  in  dubbio,  se  si 
osserva  il  contegno  assai  provocante  tenuto  da  Gavour, 
dopo  il  coUoquio  di  Plombières,  verso  il  Governo  di  Vienna 
per  ispingerlo  ad  atti  ostili  e  a  offese,  che  dovevano  servire 
di  pretesto  alla  Francia  per  intervenire  con  sue  armi  in 
aiuto  alla  Sardegna  minacciata  nella  sua  indipendenza  dal- 
rinvasione  degli  eserciti  austriaci.  =  L'amicizia  tra  i  G-o- 
verni  di  Versailles  e  di  Vienna  andava  di  que'  giorni  no- 
tevolmente  scemando  :  tre  principalissime  le  cause.  Prima, 
la  quistione  dei  Principati  Danubiani,  il  cui  ricostituirsi 
era  stato  condotto  a  termine  con  gravissime  difflcoltà  e 
senza  che  pienamente  si  rispondesse  aile  legittime  aspira- 
zioni  dei  Moldo-Valacchi,  aspirazioni  vivamente  sostenute 
da  Francia  e  da  Sardegna  e  ostinatamente  dal  Governo 
di  Vienna  combattute.  —  Seconda  causa  era  il  movimento 
de'  Serbi,  contra  i  quali  TAustria,  in  accorde  con  la  Tur- 
chia,  apprestava  armi  e  armati  per  rimettere  sul  trono  il 
principe  Alessandro  —  una  creatura  del  Sire  Absburghese 
—  da  quelli  deposto  per  innalzare  alla  potestà  suprema 
Milosch,  che  soprammodo  predileggevano.  — In  fine  la  terza 
causa,  e  certo  la  piii  grave,  era  il  brutale  spadroneggiare 
dei  generali  austriaci  in  Lombardia  e  nelle  Venezie,  che, 
mentre  accresceva  a  dismisura  nelle  popolazioni  Todio  alla 
signoria  straniera,  facevasi  promovitore  di  tumultl  e  di 
congiure.  Il  dure  reggimento    de'  Ministri  pontifici  —  di 


Digitized  by  VjOOQIC 


678  CAPITOLO  X 


tutti  ^ il  più  esoso  agit  Italiani  —  minacciando  turbare  non 
solo  la  pace  dei  soggetti  all'autorità  papale,  ma  quella 
eziandio  délia  intiera  penisola,  impensieriva  non  poco  il 
Buonaparte;  il  quale,  risoluto  di  condurre  i  consiglieri  di 
Pio  IX  a  modi  di  governo  piii  savi,  più  prudenti,  e,  dicia- 
molo  francamente,  anche  più  umani,  chiaraava  TAustria  a 
compagna  neirimpresa.  Ma  l'Austria,  che  aveva  coi  regnanti 
in  Roma,  in  Napoli  e  in  Firenze  comuni  gli  interessi  e 
gli  intenti,  e  yedeva  di  buon  occhio  maltrattare  i  sudditi 
più  che  da  essa  non  facevasi,  niegava  aderire  aU'invito 
del  Sire  di  Francia:  onde  maggiormente  raffreddavansi 
tra  i  due  Governi  le  relazioni  di  buona  amicizia.  E  allora 
che  il  primo  giorno  del  1859  gli  oratori  degli  Stati  stranieri 
in  Corte  di  Parigi  vennero  all'Imperatore  per  gli  usati 
omaggi  e  auguri  di  prosperità,  Napoleone  airambascia- 
tore  austrlaco,  il  barone  Hiibner,  parlô  cosl:  «  Duolmi 
che  le  nostre  relazioni  col  vostro  Governo  non  siono  buone 
come  per  lo  passato;  vi  prego  perô  di  slgnificare  airim- 
peratore,  che  i  miei  sentimenti  personali  verso  di  lui  non 
si  sono  mutati.  »  Le  quali  parole,  piene  di  minaccie  di 
guerra,  variamente  commossero  le  Corti,  i  Governi  e  i 
popoli  d'Ëuropa.  L*Italia  e  quanti  amavano  la  libertà  si  rai- 
legrarono  di  quel  dire,  che  loro  prometteva  aiuto  validis- 
simo  di  armi  a  difesa  délia  più  santa  délie  cause  umane; 
Francia  da  prima  impensierissi  per  Timminenza  di  nuoTi 
pericoli,  chè  essa  credevasi  non  preparata  ad  aflfrontare; 
ma  di  poi,  fidando  nella  saviezza  di  chi  la  reggeva,  accettc> 
il  carico  di  quelFimpresa  con  vero  entusiasmo,  e  proprio 
degno  di  nazione  grande  e  generosa  ;  e  l'Austria,  oui  quelle* 
parole  erano  state  rivolte,  venuta  in  timoré  per  le  sue  pro- 
vincie  di  Lombardia  e  délie  Venezie,  senza  por  tempo  in 
mezzo  mandô  grosse  schiere  di  sue  genti  ad  accrescerne 
i  già  forti  presidi.  —  Napoleone,  nella  tema  di  vedere  rom- 
persi  le  nimistà  innanzi  Fora  in  sua  mente  formata,  cerca 
allora  di  ingannare  i  Governi  d'Europa  intorno  gli  inten- 
dimenti  suoi,  e  soprammodo  di  acchetare  la  Corte  di  Vienna, 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA    E   GBIUEA  679 


tutta  piena  d'ire  e  di  sdôgni  contra  lui,  mitigando  il  si- 
gniflcato  délie  sue  parole  al  barone  Hûbner  con  queste 
ch'egli  pronunziô  il  7  febbraio  alla  solenne  inaugurazione 
(iella  nuova  sessione  deirAssemblea  legislativa:  «  La  com- 
mozione  che  testé  succedeva  seuza  rimminenza  apparente 
di  pericoli,  invero  a  buon  diritto  ci  sorprende  ;  perô  che 
essa  dia  se^o  di  troppa  diffldenza  e  al  tempo  stesso  di 
troppo  sgomento.  Pare  che  da  una  parte  si  dubiti  di  quella 
moderazione,  di  cui  diedi  già  tante  prove  ;  e  dall'altra,  non 
si  abbia  molta  fede  nella  potenza  délia  Francia;  fortuna- 
tamente  la  maggior  parte  del  popolo  non  dubita  di  me, 
ne  délie  sue  forze...  Il  Governo  di  Vienna  e  il  mio,  spia- 
cemi  dirlo,  si  trovarono  spesso  dissenzienti  interne  gravi 
quistioni  politiche...  Già  da  qualche  tempo  lo.  stato  dell'I- 
talia  e  le  condizioni  sue,  in  cui  Tordine  non  puô  essere 
mantenuto  fuorchè  da  soldatesche  straniere,  inquietano 
giustamente  tutti  i  Governi;  ma  questo  non  è  motivo  da- 
stevole  per  far  credere  alla  guerra.  Sia  che  gli  uni  la 
invochino  senza  legittime  ragioni;  sia  che  gli  altri  con 
paure  esagerate  vogliano  mostrare  alla  Francia  1  pericoli 
d'una  nuova  Lega  a  noi  nimica,  io  rimarrô  ferme  nella 
via  del  diritto,  délia  giustizia,  deU'onore  nazionale;  e  il 
raie  Governo  non  si  lascerà  strascinare,  ne  impaurire:  av- 
vegnachè  la  mia  politica  non  sia  per  essere  mai  pusilla- 
nime, ne  provocatrice.  »  —  A  far  meglio  conoscere  la  mente 
del  Sire  di  Francia  il  Laguerronière  pubblicava  in  quel 
torno  une  scritto  picciolo  di  mole,  ma  grande  di  pregio  e 
d'importanza  —  Napoleone  III  e  Vltalia  ;  —  il  quale,  per  es- 
sere apparso  anonimo  fu  in  sulle  prime  creduto  dello  stesso 
Imperatore;  e  seppesi  solo  molto  tempo  di  poi  averlo  egli 
inspirato,  non  dettato.  Nello  scioglimento  délia  quistione 
italiana  —  scioglimento  stato  già  da  tempo  trovato  e  tante 
volte  posto  innanzi  dal  senso  comune  —  affermavasi,  in 
qiieiropuscolo,  tutta  riposare  la  tranquillità  d'Europa;  per 
ottenerlo,  doversi  ordinare  a  federazione  gli  Stati  délia 
penisola  —  escluso  perô  lo  straniero;  —  préside  di  essa  il 


Digitized  by  VjOOQIC 


680  CA.PITOLO   X 


sommo  Pontefice;  e  ciô,  non  per  guerre  o  popolari  sale- 
vazioni,  sibbene  per  quegli  accordi,  che  Topinione  pubolica 
aveva  chiarito  di  volere  ;  a  raggiungere  i  quali  dovavano 
tutti  i  Governi  prestare  i  lor  buoni  ufflci.  I  grandi  Stati 
d'Europa,  bensî  desiderosi  di  vedere  ammigliorat^  le  con- 
dizioni  degli  Italiani,  riconosciute  tristissime,  mi  nel  me- 
desimo  tempo  gelosi  délia  preponderanza  che  Napoleone 
andava  allora  acquistando  nella  penisola,  de'  cui  interessi 
erasi  fatto  propugnatore  caldissimo,  i  grandi  Stati,  io  dico. 
deliberavano  di  definire  la  quistione  italiana  non  con  la 
forza  délie  armi,  ma  per  accordi  pacifici;  al  quale  intemo 
proponevano  un  nuovo  Congresso.  L'Austria  acconsenti.  a 
patto  che  non  vi  intervenisse  la  Sardegna  e  avesse  questa 
a  licenziare  subito  le  levé  di  que'  giorni  chiamate  aireser- 
cito.  Il  Ministre  di  Vittorio  Emanuele  protesté  con  forie 
ragionare  contra  le  ingiuste  pretensioni  del  Governo  di 
Vienna;  il  quale,  non  veggendosi  appoggiato  dai  grandi 
Stati,  fecesi  a  çhiedere  il  disamnamento  simultaneo  e  géné- 
rale. Russia,  Bretagna  e  Francia  accettarono  taie  proposta 
la  quale  perô  non  era  senza  pericoli  ;  e  accettoUa  pure  la 
Sardegna,  a  condizione  d'intervenire  al  Congresso,  e  sem- 
pre  che  il  licenziare  quelle  levé  e  Tordinarsi  deiresercito 
a  pace  non  avessero  a  incoraggire  i  noti  agitatori  a  ten- 
tare  novità  in  Italia,  già  tanto  facile  a  commuoversi.  L'Au- 
stria  rimanendo  irreraovibile  in  sue  deliberazioni,  i  grandi 
Stati,  per  non  lasciare  intentata  nessuna  via  che  potosse 
condurre  a  buono  acpordo,  proponevano  d'ammettere  al 
Congresso  i  rappresentanti  di  tutti  quelli  d'Italia.  Già  stava 
esso  per  raccogliersi,  quando  l'imperatore  Francesco  Giu- 
seppe,  mutata  opinione,  mandava  a  intimare  al  Governo 
di  Torino  il  disarmamento  immediato  o  la  gnerra;  iempo 
a  deliberare  concedevagli  tre  giorni;  e  guerra  rispon- 
deva  Cavour  il  26  aprile.  Bretagna  voile  tentare  ancora 
uno  sforzo  per  impedirla;  accordatasi  con  Russia  e  Prussia, 
montre  protestava  contra  le  deliberazioni  délia  Corte  di 
Vienna  —  le  quali  potevano  sconvolgere  tutta  TEuropa  - 


Digitized  by  VjOOQIC 


FRANCIA   E   CBIHBA  681 


spediva  un  orator  suo  a  Giulay,  comandante  supremo  degli 
eserciti  imperiali  in  Lombardia,  a  pregarlo  di  non  muovere 
i  campi  sino  al  ricevere  di  nuovi  ordini  dal  suo  Governo  ; 
ma  siccome  il  buon  esito  délia  guerra  tutto  dipendeva  da 
un  celere  e  vigoroso  operare,  e  quegli  ordini  tardando  di 
troppo  a  giugnere,  cosi  il  maresciallo  venue  con  sue  genti 
al  Ticino,  che  superô  senza  contraste. 

Napoleone,  appena  seppe  délia  intimazione  di  guerra, 
corse  in  aiuto  del  suo  nobile  alleate;  e  Francia,  poco  in- 
nanzi  a  quella  apertameute  contraria,  alla  chiamata  del 
suo  capo,  rispose  con  entusiasmo.  Per  rialzare  la  patria  e 
cercare  di  tornarla  alla  grandezza  del  primo  imperio  — 
toltale  dalle  paci  umilianti  impostele  dalla  Santa  AUeanza 
e  dal  tante  famoso  trattato  di  Vienna  del  1814  e  1815  — 
ilmperatere  aveva  da  un  pezzo  designate  in  sua  mente  di 
porre  freno  alla  preponderanza  deU'Austria,  ognora  piii 
invadente  l'italia,  su  la  quale  padroneggiava  con  potestà 
assoluta.  Le  esorbitanze  délia  Gorte  austriaca  offersero  al 
Monarca  francese  occasione  favorevole  di  muoverle  con 
giustizia  la  guerra,  per  la  quale  soltanto  ei  poteva  man- 
dare  a  efietto  i  disegni  meditati  ;  guerra,  che  prima  d*allora 
non  gli  era  stato  possibile  di  rompere  senza  ingelosire  i 
potentati  d'Europa  e  di  ridestare  in  essi  i  sospetti  di  mire 
conqulstatrici.  Rappresentanti  délia  nazione  neirÂssemblea 
e  pubblicisti  illustri — tra' quali  primissimi  Favre  e  Legouvé, 
nomi  cari  all'Italia  —  con  loro  parola  éloquente  appoggiando 
rimperatore,  concorserosommamente  arendere  in  Francia 
popolare  la  guerra.  «  La  politica  del  Governo,  cosi  Giulio 
Favre  al  Parlamento  nazionale,  deve  essere  quella  tradi- 
zionale  délia  patria  nostra;  questa  sarà  potente,  allora  che 
ritalia  avrà  racquistate  le  sue  libertà.  Spezzare  le  catene 
aile  genti  schiave,  cacciare  le  signorie  straniere  che  le 
opprimono,  ecco  la  nostra  missione.  >  —  «  Da  quattro  mesi, 
scriveva  Legouvé  al  Siècle^  noi,  Italiani  di  pensiero  e 
d'anima,  teniamo  la  mano  sul  cuore  per  impedire  che 
scoppi  in  grido  di  esecrazione  contra  l'Austria  e  di  sim- 


Digitized  by  VjOOQIC 


682  CAPITOLO  X 


patia  ardente  per  Tltalia Oggi   che  la  nimica  etenia 

dalla  Francia  esce  alla  guerra,  e  che  a  sue  malvagità 
unisce  la  provocazione  sôdando  TEuropa  a  strappargli  la 
sua  conquista,  ci  sia  concesso  di  mettere,  per  un  momentoT 
davanti  al  carnefice  la  sua  vittima.  Dolorosa  cosa  è  là 
conquista;  ma  la  usurpazione  dei  diritti-  di  un  popolo  è 
sempre  un  delitto;  esse  non  si  possono  giustificare,  ma 
solamente  spiegare,  quando  difendono  la  causa  délia  civiltà 

e  allontanano  dalla  barbarie Dove  è  qui   la  barbarie, 

dove  la  civilta?  Chi  rappresenta  dinnanzi  a  Dio  e  agii 
uomini  gli  elettî  délia  intelligenza,  il  popolo  œnquistatore 
0  il  conquistaix)  ?  Chi  fece  maggior  bene  al  monde,  Vienna 
o  Roma,  Venezia,  Genova,  Milano  e  Firenze?  Chi  osera 
mai  porre  a  confronte  i  barbari  del  secolo  decimonono, 
i  quali  nel  1859  scrissero  nel  loro  codice  la  fUigellazione 
délia  donna,  con  un  popolo  scelto  da  Dio,  al  quale  noi 
andiamo  debitori  di  ciô  che  siamo?  lo  lascio  da  parte 
l'antichità  che  ci  ha  nutriti,  e  che  è  pure  italiana,  per 
dire  dell'età  nostra.  Guardate  !  non  è  forse  l'Italia  che  âpre 
al  monde  la  via  délie  cose  grandi?  italiano  è  il  primo 
poeta  epico-moderno,  Dante;  il  primo  poeta  lirico,  Pe- 
trarca;  il  primo  poeta  cavalleresco,  Tasso;  il  primo  poeta 
di  immaginazione,  Ariosto;  il  primo  narratore,  Boccaccio: 
il  primo  pittore,  Raffaello;  il  primo  statuario,  Michelanr 
giolo;  il  primo  storico  politico,  Machiavellt;  il  primo 
storico  fllosofo,  Vico;  il  primo  conquistatore  del  nuovo 
monde,  Colombo;  il  primo  dimostratore  délie  leggi  del 
cielo,  Galileo.  Su  tutti  i  gradini  del  tempto  del  genio  dal 
dodicesimo  secolo  a  noi  vedesi  sempre  un  figlio  d'Italia. 
Nell'età  a  noi  vicine,  montre  le  altre  nazioni  lavorano  per 
continuare  questa  série  d'uomini  immortali,  Tltalia  di  tempo 
in  tempo  getta  in  mezzo  al  monde  un  colosse  che  supera 
tutti.  Oggi,  il  più  grande  artista  vivente  non  è  forse  JRossini^ 
Non  è  forse  figlio  d'Italia  il  gigante  dominatore  del  secolo, 
che  di  sua  luce  tutto  lo  illumina,  Napoleone?  In  verità, 
pare,  che  quando  la  Prowidenza  vuol  dare  alla  umaniti 


Digitized  by  VjOOQIC 


FRANCIA    B    CBIMEA  683 


una  guida  o  un  capo,  è  da  questa  terra  privilegiata  che 
trae  un  grand'uomo.  Ma  ciô  che  in  Italia  troviamo  più 
sublime  del  suo  genio  è  la  sua  sventura,  dirô  meglio,  la 
sua  disperazione  e  il  suo  furore  per  liberarsi.  Fu  chiamata 
terra  dei  morti  si,  perô  corne  il  suolo  délia  favola,  che 
mette  va  fuora  incessantemente  nuovi  combattitori  per 
vederli  inghiottiti  sempre.  Da  quarant'anni  la  rivoluzione 
corre  sotto  quella  contrada  vulcanica,  aprendo  dovunque 
uuovi  crateri.  Gli  Italiani,  non  iscoraggiati  dalle  disfatte, 
dai  supplizi,  dagli  esili  e  dalle  confische,  dopo  quarant'anni 
di  lotte  e  di  rovesci  levansi  oggi  più  risoluti  che  mai  a 
racquistare  con  le  armi  il  titolo  di  nazione,  che  nessuno 
ha  il  diritto  di  niegar  loro.  Si  diceva  un  tempo  che  lltalia 
non  era  degna  di  libertà  per  non  avère  il  coraggio  di 
conseguirla,  la  costanza  di  mantenerla  se  ottenuta,  la  saviezza 
di  governarla;  a  ciô  Milano  rispose  nel  1848  togliendo  le 
armi  agli  Austriaci  e  cacciandoli  dalle  sue  mura;  rispose 
Venezia  nel  1849  sostenendo  un  assedio  di  diciannove  mesi  ; 
risponde  in  fine  la  Sardegna  da  dieci  anni,  mostrando  al- 
TEuropa  il  modello  di  un  ordinamento  libero  e  moderato, 
démocratie©  e  costituzionale.  Nulla  più  si  puô  dire  contra 
ritalia;  il  Governo  nostro  stendendole  la  mano  fa  il  debito 
suo,  e  paga  il  debito  di  tutta  Europa.  A  noi,  Francesi, 
nazione  e  individui,  spetta  fare  il  dover  nostro,  la  difesa 
délia  più  santa  delle  cause,  la  indipendenza  d'Italia.  Non  è 
una  guerra,  ma  una  crociata.  > 

Russia,  Inghilterra  e  Prussia,  dopo  avère  francamente 
condannato  il  contegno  dell'Austria,  la  sua  politica  per- 
turbatrice di  pace,  e  la  ingiusta  mossa  d*armi  contra  la 
Sardegna,  gridarono  la  loro  neutralità,  e  con  esse  la  Sviz- 
zera,  ed  ebbero  ragione;  gridaronla  parimenti  i  regnanti 
in  Italia,  e  questi  ebbero  torto;  avvegnachè,  ciô  facendo, 
se  e  lo  Stato  perdessero;  abbandonata  da  tutti,  TAustria 
trovossi  scia  nella  lotta  contra  Francia  e  Sardegna.  Vide 
essa  altresi  ingrossarsi  dimolto  i  presidi  russi  aile  frontière 
sue;  perô  che  lo  Czar,  non  estante  la  fede   data  di  non 


Digitized  by  VjOOQIC 


684  CAPITOLO   X 


immischiarsi  in  quella  contesa,  vi  facesse  forte  ragunata 
di  armi,  per  tenere  a  freao  gli  Stati  minori  délia  Ger- 
mania,  i  quali  avevano  preso  un  contegno,  se  non  minac- 
cioso,  certamente  perô  poco  amichevole  verso  la  Francia  (1). 
—  Risoluta  la  guerra,  il  2  maggio  di  queiranno  1859. 
Hiibner  e  Bonneville  lasciavano  i  loro  offici  di  oratori, 
quello  in  Oorte  di  Parigi,  l'altro  in  Oorte  di  Vienna;  il  di 
appresso  Napoleone  parlava  ai  Francesi  in  queste  sen- 
tenze:  «  L'Austria,  con  lo  invadere  de'suoi  eserciti  il 
territorio  del  Re  sardo,  nostro  alleato,  indice  a  noi  la 
guerra;  minacciando  le  nostre  frontière,  viola  i  trattatie 
la  giustizia.  Tutti  i  grandi  Stati  protestaronp  contra  taie 
repentina  invasione.  La  Sardegna,  che  ebbe  accettate  le 
condizioni,  le  quali  dovevano  assicurare  la  pace,  chiede 
ragione  di  quella;  essa  consiste  in  ciô,  che  TAustria  con- 
dusse  le  cose  a  taie  estremità  da  dover  signoreggiare  sino 
all'Alpi,  0  da  far  Tltalia  libéra  sino  aU'Adriatico.  Finora 
la  moderazione  fu  norma  al  mio  governo;  adesso  è  mio 
dovere  operare  vigorosamente.  Ghe  la  Francia  si  armi  e 
dica  airEuropa  di  non  voler  conquiste,  ma  soltanto  inten- 
dere  a  conservare  la  sua  politica  nazionale  e  tradizionale: 
d'essere  pronta  a  osservare  i  trattati,  a  patto  che  non 
siano  violati  a  suo  danno  ;  di  rispettare  i  territori  e  i 
diritti  degli  altri  Stati,  ma  d'avere  simpatia  per  un  popolo, 
la  cui  storia  confondesi  con  la  sua,  e  che  geme  sotto 
Toppressione  straniera.  Francia  odia  Tanarchia  ;  essa  voile 
già  darmi  potere  bastevolmente  forte  a  frenare  i  fautori 
di  disordine  e  le  fazioni  che  parteggiano  coi  nimici  nostri: 
non  per  questo  rinunziava  alla  sua  missione  incivilitrice. 
AUeati  suoi  furono  sempre  quanti  vogliono  il  perfeziona- 
mento  délia  umanità;  e  quando  essa  pon  mano  alla  spada. 


(1)  Correva  allora  la  fama  che  Russia  e  Francia  si  fossero  legate 
per  nna  reciproca  difesa;  davano  credito  a  quella  fama  le  simpatie. 
che  vicendevolmente  mostravansi  di  possedere,  Napoleone  e  Alessandro 
di  Rnssia. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TBANCIA   K    CBIMEA  685 


non  è  per  signoreggiare,  ma  per  liberare.  Scopo  di  questa 
guerra  è  restituire  l'Italia  a  se  stessa,  non  già  mutarle 
padrone;  e  noi  avremo  ai  nostri  conflni  un  popolo  amico, 
che  andrà  debitore  sempre  di  sua  indipendenza  alla  Francia. 
Noi  non  andiamo  in  Italia  a  promuovervi  disordini,  o  a 
scuotervi  la  potestà  papale,  che  un  di  restaurammo  ;  bensi 
per  toglierla  alla  signoria  straniera,  che  si  aggrava  su 
tiitta  la  penisola,  e  aiutare  a  rimettere  Tordine  sopra  in- 
teressi  legittimi  e  soddisfatti.  Andiamo  in  fine  in  quella 
classica  terra,  illustre  per  tante  vittorie,  a  ritrovare  le 
orme  dei  nostri  padri;  ci  faccia  Dio  degni  di  loro.  Tra 
brève  io  mi  porrô  a  capo  del  mio  eserclto,  lasciando  in 
Francia  l'Impératrice  e  mio  flglio;  secondata  dal  senno  e 
dalla  ésperienza  deU'ultimo  fratello  dell'Imperatore,  essa 
saprà  porsi  aU'altezza  délia  sua  missione.  Io  li  affldo  al 
valore  deU'esercito  che  lascio  in  Francia  a  custodia  délie 
nostre  frontière  ;  li  affldo  aile  Guardie  nazionali  e  al  popolo 
tutto,  che  avranno  per  essi  quell'amore  che  nutrono  per 
nae.  Coraggio  e  concordia!  il  nostro  paese  sta  per  mostrare 
al  monde  di  non  avère  degenerato.  La  Provvidenza  bene- 
dirà  gli  sforzi  nostri,  perô  che  santa  sia  la  causa  che 
poggia  su  la  giustizia,  su  la  umanità,  su  l'amore  délia 
patria.  »  —  Le  quali  generose  parole  di  Napoleone,  mentre 
levavano  in  tutta  la  Francia  il  più  grande  entusiasmo  per 
la  guerra  che  doveva  rendere  V Italia  a  se  stessoy  faceva 
svanire  i  molti  timori  che  Talleanza  franco-sarda  aveva 
destati  nelle  Corti  e  nei  Governi  d'Europa. 

L'armi  designate  aU'irapresa  d'Italia  portavansi  allora 
rapidamente  aile  Alpi,  e,  valicatele,  correvano  al  Po  per 
mettere  argine  aU'lnvasione  austriaca  —  con  forze  pode- 
rose  già  allagante  la  contrada  che  stendesi  tra  il  Ticino, 
la  Sesia  e  la  Scrivia  —  e  impedire  a  quella  d'opprimere 
Tesercito  sardo,  che  da  solo  non  avrebbe  potuto  resistere 
a  lungo  alla  piena  dei  nimici.  11  10  maggio  Tlmperatore 
lasciava  Parigi,  salutato  da  moltitudine  innumerevole  di 
cittadini   plaudenti  a  lui,  che  aveva  impugnato  la  spada 


Digitized  by  VjOOQIC 


686  CAPiTOiiO  X 


per  la  indipeadeuza  e  la   libertà  di  una  nazione    sorella. 
Anche  le  popolazioni  délie  campagne  portaronsi  in  folla 
al  suo  passare  per  festeggiarlo;   tutta  la  Francia   accom- 
pagnollo  co'  suoi  voti  alla  grande  impresa.  A  mezzo  del 
seguente  giorno  Napoleone   giugneva  a  Mai-siglia  ;  e  due 
ore  dopo  sul  yacht  impériale  la  Regina  Ortensia  entrava 
in  mare  —  scortato   dalla  fregata   da  guerra  il  Vauban 
—  drizzando   le    antenne   verso   Genova;   ove,  sceso  il  di 
appresso  —  12  maggio  —  riceveva  accoglimento  degno  di 
lui,  degno  del  popolo   che   egli  veniva  ad  aiutare    nella 
impresa  di  sua   indipendenza.  Assunto  siibito  il  governo 
suprême  degli  eserciti  coUegati  —  governo  da  esso  tante 
ambito  —  ai  soldati,  che  allora  doveva  guidare   alla  Vic- 
toria, in  un  suo  manifeste  di  guerra,  pubblicato  prima  di 
muovere  il  campo,  parlava  cosi:  «  lo  vengo  a  pormi  alla 
vostra  testa  per  condurvi  alla  pugna.  Noi  andiamo  ad  ap- 
poggiare  la  lotta  d'un   popolo  rivendicante  sua   indipen- 
denza e  toglierlo  alla  oppressione  straniera;  questa  è  una 
causa  santa,  la  quale  ha  le  simpatie  del  mondo  civile.  îo 
non  ho  bisogno  di  stimolare  il  vostro  ardore;  ogni  giorno 
di  cammino  vi  ricorderà  una  vittoria.  Nella  via  Sacra  di 
Roma  antica  le  inscrizioni  ponevansi  sul  marmo  per  ram- 
mentare  al  popolo  le  alte  sue  geste;  lo  stesso  oggidi,  pas- 
sando  per  Mondovi,   Marengo,  Lodi,   Castiglione,    Arcole» 
Rivoli,  voi  percorrerete  un'altra  via  Sacra,   in   mezzo  a 
ricordi  gloriosi.  Conservate  la  militare  disciplina,   che  e 
l'onore  deU'esercito.  Non  dimenticate  che  qui  altri  nimici 
non  sono,  tranne  quelli  che  combattono  contra  voi.  Nella 
pugna  rimanete  compatti  e  non  lasciate  le  file  vostre  per 
correre  avanti  (1).  DifBdate  di  un  troppo  grande  impeto  e 


(1)  u  Non  saprebbesi  dire  sino  a  quai  pnnto  il  soldato  fi^ancese 
spinga  l'industria  e  Vardimento  sno  ;  »  cosi  il  mareseiallo  di  Sassonia. 

Colonnello  Edoardo  De  La  Babbe  Dupabcq,  Biographie  et  Maxi- 
mes de  Maurice  de  Saxe,  cart.  144;  Farigi,  1851. 


Digitized  by  VjOOQIC 


FBANCIA   B   OBnCEA  687 


di  troppa  foga,  è  la  sola  cosa  che  io  temo.  Le  nuove  armi 
di  precisione  non  sono  pericolose,  ftiorchè  di  lontano  ;  esse 
non  impediranno  alla  baionetta  d*essere,  corne  già  altre 
Tolte,  l'arma  terribile  délie  fanterie  francesi.  Soldati  !  fac- 
ciamo  tutti  il  dovere  nostro,  e  riponiamo  in  Dio  la  nostra 
confidenza,  La  patria  molto  aspetta  da  voi.  Di  già  da  una 
estremità  airaltra  délia  Francia  suona  un  felice  augurio: 
Il  nuovo  esercito  d'Italia  sarà  degno  del  primogenito  suo, 
11  grand*esercito  !  » 

In  quale  modo  degnissimo  i  soldati  di  Francia  rispon- 
dessero  allô  invite  del  loro  Imperatore  e  duce,  il  vedremo 
tra  brève. 


FINE  DEL  SECONDO  VOLUME. 


Digitized  by  VjOOQIC 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE 


CAPITOLO  L 
L'Àssemblea  reneta. 

L'Estaario  veneto,  sue  difese,  snoi  difensori Cart  5 

Gayanella  d'Adige  e  Mestre »  13 

I  Commessari  régi  e  TU  agosto  in  Venezia n  17 

n  Circolo  italiano.  Nnovo  ordinamento  dell'esercito n  24 

La  mediazione  anglo-firancese.  Parole  alla  Francia  di  Niccolô 

Tommaseo ...»  30 

n  Circolo  italiano  ;  Révère,  Mordini  e  Dall'Ongaro »  36 

lianin  e  l'Assemblea  veneta »  42 

Fazione  di  Cayallino  del  22  ottobre »  43 

Assalto  di  Mestre  del  27  ottobre »  45 

Ck>nslderazioni  sn  l'assalto  di  Mestre »  52 

Venezia  e  la  Costituente  italiana n  54 

L'Assemblea  veneta  e  il  5  marzo  1849 »  57 

Disegni  di  gnerra  di  Gnglielmo  Pepe »  63 


CAPITOLO  n. 
La  Repnbbliea  romana. 

Gli  Aastriaci  invadono  Ferrara »      69 

L'8  agosto  a  Bologna;  disfatta  di  Welden »      74 

Conyenzione  di  Boyigo  del  15  agosto »      81 

Pellegrino  Bossi  e  la  Lega  italica »      85 

44  —  Vol.  n.  Màsum  —  Storia  pol,  e  mO. 


Digitized  by  VjOOQIC 


690  INDICE 

Garibaldi  entra  nelle  Legazioni Cart,  9â 

Uccisione  del  mixiistro  Bossi , n  95 

FugadiPio  IX  a  Gaeta;  sua  protesta »  lOS 

La  Costituente  romana;  il  9  febbraio  1849  viene  in  Campido- 

glio  gridata  la  Eepnbblica  romana »  107 

Haynau  a  Ferrara »  118 

Manifeste  del  Governo  repubblicano  ai  popoli  d'Enropa  .  .  .  «*  lli^ 
Mazzini  in  Borna;  la  Costituente  manda  ainto  d'aimi  alla  Sar- 

degna  per  l'impresa  di  Lombaidia ^  123 

CAPITOLO  m. 
Toseana;  faga  dl  Leopoldo  IL 

Il  bamabita  Gavazzi  a  Livomo »  1S9 

Tomulto  del  2  settembre  in  Livomo ,  -  "^  ^^^ 

Montanelli  grida  la  Costituente  italiana »  13d 

Fuga  di  Leopoldo  II  ;  sue  lettere  a  Montanelli.  Il  Triumvirato  n  144 

SoUeyazioni  del  contado  di  Firenze  e  di  Empoli *)  151 

Spedi^one  contra  il  générale  De  Langîer n  154 

Domenico  Guerrazzi  e  rnnificazione  di  Toscana  e  Borna  ...»  156 


CAPITOLO  IV. 
La  Sicilla  e  il  Borbone. 

I  Siciliani  gridano  ^e  il  Dnca  di  Genova.  Incertezze  del  Dnca 

di  Genova  an  V  accettazione  délia  corona  offertagli  ...  n  159 
Spedizione  dei  Napolitani  in  Sicilia;  Messina  ricade  sotto  la  ti- 

rannide  borbonica »  164 

Preparamenti  del  Govemo  sicolo  per  la  gnerra »  172 

n  Parlamento  napolitano  prorogato  al  30  novembre  ;  le  tregue  »  176 
L'ultimatum  del  re  Ferdinando  ;  si  disdicono  le  tregue  di  Mes- 
sina    Ȕ  179 

Sicilia  prépara  le  resistenze;  il  Borbone  licenzia  il  Parlamento  n  186 

CAPITOLO  V. 
La  Sardegna  preparasl  a  nnova  gnerra  contra  PAnstrla. 

n  ministre  PineUi;  tnmnlto  in  Genova;  Gioberti  e  la  federa- 
zione  italiana.  Nnove  gravezze  deirAustria  sul  Lombardo- 
Veneto n    IdO 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE 


691 


Gioberti  creato  Ministro.  Respinti  i  snoi  disegni  d'intervento 
armatoin  Toscana  e  in  Borna,  Gioberti  rinnncia  aU'of- 
ficio   Buo Cart  198 

Il  GoTemo  sardo  prépara  la  gnerra  contra  l'Aostria  ;  Chrza- 

nowski "     203 

Li'Ânstria,  l'Ungaria  e  la  Groazia  ;  solleyazione  di  Yienna  ;  Fer- 
dinando  rinimzia  alla  corona;  Francesco  Ginseppe  gridato 
Iiuperatore n    207 

Oaerra  anstro-nngarica.  Moto  popolare  a  Berlino n    212 

La  conferenza  d'Alessandria n    219 


CAPITOLO  VI. 
La  griomata  di  Norara* 

H  Goyemo  sardo  disdice  le  tregne r?  223 

Forze  armate  dei  gneireggianti n  226 

Condizioni  moral!  dell'esereito  sardo  e  deU'imperiale  .    .    .    .  n  284 

Bompesi  la  gnerra;  gli  Anstriaci  inyadono  il  Piemonte    .    .  »  236 
n  re  Carlo  Alberto  e  Chrzanowski  al  ponte  di  Bofialora;Ba^ 

morino  al  ponte  di  Mezzanacorte n  242 

Fazione  di  San  Siro  e  délia  Sforzesca n  245 

Oombattimento  di  Mortara;  canse  délia  sconfitta  di  Mortara  n  249 

Giomata  finale  di  Noyara  del  28  marzo n  260 

Binnnzia  di  Carlo  Alberto;  le  tregne  di  Noyara;  Casale  .    .  »  271 

Solleyazione  di  Genoya.  Descrizione  délie  sne  fortificazioni   .  »  278 

Besistenze  e  sommessione  dei  solleyati n  288 

Considerazioni  sn  la  giomata  di  Noyara  e  sn  la  gnerra  del  1849  n  295 

Licenziamento  délia  diyisione  lombarda »  302 

CAPITOLO  VII. 
Assedio  di  Yeneiia.  —  Gnerra  d'Ungaria. 

Moto  di  Como n  804 

Bergamo;  missione  di  Camozzi »  808 

Brescia  leyasi  in  sn  l'arme  ;  le  dieci  giomate »  811 

Contentezza  dei  Lombardo-Veneti  per  Tindirsi  délia  nnoya 

gnerra »  320 

Torino  dopo  il  disastro  di  Noyara n  824 

Venezia,  respinta  la  chiamata  di  resa,  prépara  le  resistenze. 

Marghera »  327 

Difesa  di  Marghera n  832 


Digitized  by  VjOOQIC 


692  INBIOB 

n  ponte  su  la  lagftina;  le  gne  batterie  ;  la  Commissione  militare    Cart.  343 

n  27  giogno  e  la  batteria  Sant'Agostiiio i     350 

Uscita  di  Brondolo;  la  carestia  e  il  cholera-morbiiA  ;  il  nimico 

stringe  Tassedio  da  terra  e  da  mare »     353 

Le  pratiche  délia  resa;   il  SI  agosto  Venezia,  ridotta  ailo 

estremo,  s'arrende;  il  27  Manin,  Tommaseo  e  Pepe  la- 

sciano  la  oittà >»     360 

I  Magiari  ripigliano  le  offese;  Hatv&n,  Tapiù-Bieske,  Isasseg, 

Nagy-Sariô >.     368 

L'Ungaria  grida  sua  indipendenza  dall'imperio  ;  giomata  di 

(ySz^ny;  impresa  di  Buda »     370 

Intervento  armato  délia  Bnssia;  il  générale  Haynan    ...»     373 

Disobbedienza  di  GOrgey »     375 

I  Rusai  sul  Dannbio,  sn  la  Theiss  e  in  TransilYania  ;  imprese 

di  Bem i     377 

Jellachich  sconfitto  a  Hegyes  ;  ritratta  di  GOrgey  ....  »  379 
Eics^Becskeret;  Vil&gos  e  la  resa;   yittoria  di  Klapka  ;  fine 

délia  gnerra;  vendette  dell'Anstria »    382 


CAPiTOLO  vm. 

ÀBgedio   di   Borna. 

Francia  délibéra  far  Timpresa  di  Roma »  ^9 

Bibellione  de'  montanari  ascolitani  ;  la  eompagnia  infernale  in 

Ancona »  395 

Sbarco  de'  Francesi  a  Civitavecchia.  I  Francesi  soonfitti  il  30 

aprile  sotto  le  mnra  di  Borna »  397 

I  Napolitani  a  Palestrina  e  a  Velletri;  foga  del  re  Ferdinando  »  407 

Spedizione  spagnnola n  413 

Gli  Anstriad  fanno  l'impresa  di  Bologna  e  di  Ancona      .    .  n  415 

Ite  a  Yuoto  le  pratiche  di  concUiazione,  Ondinot  disdice  le  tregne  n  42I 

La  giomata  del  3  gingno »  429 

Lettere  di  Ondinot  ail' Assemblea  e  all'esercito  romano  ;  risposta 

dell'Assemblea >,  437 

Missione  di  Corcelles;  i  Francesi  tentano  Borna  nella  notte 

del  21  gingno »  441 

Ultime  resistenze;  Medici  e  Hanara;  U  30  gingno  ....  »  449 
I  Trinmyiri  risegnano  l'nfficio  loro;  i  Francesi  in  Boma;  Oa- 

ribaldi;  ospitalità  sanmarinese »  453 

Lettera  di  Lnigi  Bnonaparte  a  Edgardo  Ney       n  468 


Digitized  by  VjOOQIC 


nn>ics  693 

Pio  ÏX.  toma  a  Borna;  cattÎTo  reggimento  degli  Stati  délia 
Chiesa.  Nel  1857  il  Pontefice  visita  le  sue  Proyincie;  yi- 
aita  Modena,  Panna  e  Toscana Cart,  479 

n  1868 «     492 


CAPITOLO  EL 

Toseanj^  Parma,  Modena  e  NapolL 

Domenioo  Gnerrazzi  e  la  Dittatnra n  498 

Conflitti  tra  Fioientini  e  Livomesi;  restaonudone  délia  mo- 

narchia  in  Firenze n  501 

Livomo;  sue  resistenze  aU'anni  aiutriache;  sua  cadnta  .  .  n  505 
Leopoldo  n  lientra  in  Toscana;  bandisce  Famnistia  ai  con- 

dannati  per  crimini  politici      ..........  n  511 

Il  concordato  tra  Borna  e  Toscana.  H  Grandnca  trasformala 

Toscana  in  provincia  anstriaca »  517 

I  Ministii  di  Toscana  e  Cayonr n  523 

n  1859;  Leopoldo  II  lascia  la  Toscana n  528 

I  casi  di  Parma  e  Modena n  538 

I  Napolîtani  fiinno  l'impiesa  di  Catania;  loio  atti  di  dissolu- 

tezza  e  ferocia »  554 

Palermo  apparecchia  le  resistenze »  561 

Tentative  d'accordo  pacifico »  565 

Ck)mbattimentl  del  7,  8  e  9  maggio  presse  Palermo  ;  sommes- 

sione  délia  Sicilia »  569 

Gladstone  rivela  all'Eiuopa  le  neqoizie  del  Govemo  borbonico  n  572 

n  Bentivegna  tenta  novit&  in  Sicilia  ;  Agesilao  Milano  .  .  »  577 
Pisacane,  Nicotera  e  la  spedizione  di  SaprL  Morte  di  Ferdi- 

nando  ET »  582 


CAPITOLO  X. 

Francia  e  Crimea. 

I  Bnonapartisti.   Carlo  Lnigi  Napoleone  Bnonaparte.  Le  offi- 
cine nazionali »    590 

H  22,  23  e  24  gingno «599 

Lnigi  Napoleone  è  chiamato  dal  snffragio  nniversale  a  presie- 

dere  alla  Bepubblica »    604 


Digitized  by  VjOOQIC 


694  INDICE 

Trama  di  Stato  del  2  dicembre  1851  ;  i  complid  del  Bnona- 

parte Cari.  609 

n  s  dicembre  1852  e  Timperio »  624 

Bnssia  e  Tnrchia;  quistione  dei  Luoghi  Santi »  626 

I  primi  a&onti  sul  Danabio;  Sinope  e  Citate n  633 

L'armata  anglo-francese  nel  Baltico »  63â 

Solleyazione  dei  Greci;  i  Francesi  al  Pireo  e  in  Atene     .    .  n  642 

Anatria  e  Prossia;  Svezia  e  Danimarca »  645 

Bazardschik  e  Siiistria;  limperatore  Napoleojie  disegna  Tim- 

presa  di  Crimea n  647 

Bomarsond;  i  confederati  scendono  a  Crimea;  Aima,  Balaklaya 

e  Inkermann «  652 

Napoleone  visita  in  Londra  la  regina  Vittoria.  La  grande  mo- 
stra  délie  arti  e  délie  industrie.  La  regina  Vittoria  vi- 
sita il  Bnonaparte  in  Parigi n  662 

Felice  Orsini  attenta  alla  yita  di  Napoleone •?  668 

Plombières;  il   primo   d'anno  1859;  l'Imperatore  va  con   sue 

armi  in  aiuto  alla  Sardegna r  676 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE  DEI  NOMI  PKOPKI 


Âbancourt  Carlo,  387. 

Abdi  Padià,  633. 

Abercromby,  1Ô8. 

Âberdeen,  574. 

Acame,  295. 

Adlerberç,  générale,  378- 

Affre,  arciyescoTO.  601. 

Agostino  (D'),  colonnello,  436^ 

Ajosaa,  584. 

Alberi,  416,  417. 

Alberto  dlDfhllterra,  663,  664. 

Albini,  amnuraglio,  13,  25,  221,  222. 

Aldini,  419. 

Aldobrandini,  cardinale,  81. 

Aldoyrandi,  416. 

Alemann,  générale,  267. 

Aleseandro,  czar  di  RnsBia,  660,  684. 

Alessandro,  principe,  677. 

Alibrandi,  470. 

Ameri,  191. 

AUegretti,  505. 

Altieri,  cardinale,  471,  481. 

Amari  Emerico,  162. 

Amat,  cardinale,  85. 

Amigo  (D'),  luogotenente  colonnello,  44, 

47,  48,  50,  51. 
Anelli  Laigi,  673. 
Angelini  I^iclnogotenente,  532- 
Ansaldi.  générale,  227. 
Antonelli,  cardinale,  99, 103, 104,  106, 152, 

391,  395,  479, 480,  481,  482, 483,  488,  489, 

402,  493,495,  496,  517. 
Antonini,  générale,  12,  13,  15.  179,  180. 
Anviti,  Inogotenente  colonnello,  542. 
Apice  (D'),  générale.  151, 154, 155,  501,  500. 
Appel,  maresciallo,  230,  246,  259,  264,  269, 

270,  311,  312,  319. 
Arago,  478,  591. 
Armandi,  générale,  13. 
Armani  ËTaristo,  545. 


Armellini  Carlo,  10&  110, 111, 115, 390, 424. 
Asarta  (De),  générale,  278,  279;  280,  281, 

293. 
Aspre  (D*),  maresciallo,  230, 238,  241, 252, 

253,  256, 257,  259,  261,  262,  263,  264, 265, 

266,  267,  268,  260,  270,  276,  300,  301,  323, 

508,  &09,  510,  511. 
Andinot  Rodolfo,  113,  126. 
Aaersperg,  maresciallo,  210. 
Aalicb,  générale,  369,  382,  386. 
Aureliano,  imperatore,  403. 
Ayola  (D')  Mariano,  140. 
Arezzana,  générale,  200,  279,  290, 292,  295, 

403. 
Azzoni  Enrioo,  539. 
Azzoni  GÎQseppe,  539. 


Bacb,  321. 

Balbi  PiOTera,  192. 

Baldasseroni  Giovanni,  502,  511,517,534. 

Baldisserotto,  luogotenente  di   vascello, 

347. 
Balleydier  Alfonso,  92,  394,  405,  406,  433, 

434,  476. 
Bandiera.  fratelll,  332. 
Bandini  Stefano,  154. 
Baragoey  d'Hilliers,  générale,  478,  652. 
Barberini,  105,  482. 
Barbier  de  Tinan,  ammiraglio,  615. 
Barclay,  320. 
Bargagli,  152,  517. 
Barge  (o  il  re  Carlo  Alberto),  colonnello, 

273,  274. 
Barile,  monsignore.  420. 
Bartolacci,  générale,  427,  431,  454. 
Bartolommei  Paolo,  538. 
Bassetti,  35, 

Basai  Ugo,  45,  465,  466,  467,  468,  469. 
Bastide,  58. 


Digitized  by  VjOOQIC 


696 


INDICE    BEI  NOMI  PBOPBI 


Batthyany  Gasimiio,  387. 

Batthyany  Luin,  386. 

Bandin,  ammizagUo,  161,  178,  184,  185, 

508,  566,  572. 
Baya,  générale,  £04,  205. 
Bedeau,  geoerale,  616. 
Bedini,  monsignore,  415,  469. 
Belli,  470. 
Belli,  maniore,  I& 
Bellnomim,  maggiore,  poi  oolonnello,  181, 

505. 
Bellozzi,  oolonnello,  76. 
Beltrami  Pietro,  119. 
BeWedere,  coloonello,  227,  281. 
Bem,  générale,  215,  378, 379,  383, 385, 387. 
BeDodek,  oolonnello,  253,  208. 
Benizki,  générale,  378. 
BentiTogna  Franoesco,  579,  585. 
Bernard  Simone  Franoeeoo,  670,  671. 
Berry  (dachessa  di),  616. 
Bertrand,  oolonnello,  601. 
Bee,  générale,  227,  229,  236, 241,  246, 247, 

248,  240,  258,  261,  266,  267, 268,  270,  297. 
BeTilaoqua,  105. 

Bianchetti  Gesare,  75,  77,  78,  70,  80. 
Bianchi  Nicomede,  530,  533. 
Bianchini,  470. 
Biancoli,  417. 

Bignami,  oolonnello,  48,  49. 
Bonella  Geeare,  512. 
Bodisoo,  générale,  662. 
Boissaya  Pietro,  saoerdote,  312. 
Boldoni.  luogotenente,  23. 
Boldrini,  oolonnello,  416. 
Bomba  Gennaro,  88. 
Bonoompagni  Carlo,  529, 530,  531, 533, 534, 

536,  537,  538. 
BonTEridio,  552. 
Boni  (De)  BlUppo,  192. 
Bonini  Gmseppe,  504. 
Bonnevilie.  684. 
BoreUi,  432. 
Borghetti,  313. 
Bomia.  491. 
Borsari  Tomaso.  551. 
Bosquet,  générale,  658. 
Bonlay,  609. 
Boorgee  Michèle,  621. 
Boyl,  générale,  227. 
Booelli  Francesco  Paolo,  117, 
Bragigalttsea  Paolo,  467. 
Brandebourg,  219. 
Brea,  senerale.  602. 
BriaBOlari  Ennoo,  560. 
Broochetti  Enrico,  capitano,  587. 
Brocchi  Filippo,  504. 
BrofTerio  Angelo,  196,  202,  203,  204. 
Brow,  générale,  658. 
Broat,  vice-ammiraglio,  644. 
Bmck  (De)  321,  345,  349,  359,  361,  368. 
Bran,  capitano,  351,  352- 
Brunetti  Ângelo,  Oieemacekio,  465,  466, 

467. 
Brunetti  Oiovanni,  78. 
Brunetti  Lorenao,  467. 
Bruni  Pietro,  545. 
Bua,  oontrammiraglio,  13,  2A, 
Bncchia,  capitano  di  coryetta,   349,  358, 

360. 
Buenaga,  oolonnello,  436. 
Builk,  126,  199,  200. 
Bnol,  524,  526. 


Baonaiuti  Carlo,  504. 

Buonaparte  Carlo,  di  Cannino,    107.  45-) 

60& 
Busaeca,  générale,  165. 
Busaoca  Kaflàele,  538. 
Boseetti,  générale,  228. 
Butera.  185,  189. 
Buturlm,  générale,  385. 


Cadolini,  arciyeeooyo,  119. 

Gadoma  Carlo,  198,  210,  271. 

Cadoma  RaffiMle,  maggiore,  223. 

Cailland,  luogotenente  oolonnello,  6C2. 

Calandrelli  Aleesandro,  123,  450,  482, 4S3. 

Galandri  Ugo,  396. 

Calncd  Qiuseppe,  3«^  349,  805. 

Gambray  Digny  Guglielmc   ~" 

Cambridge,  générale,  652- 

Gamerata  Fuipi 


106. 


Gambray  Digny  Guglielmo,  504,  514. 
nera' 
ppoi 
GamoBi  Gabriele,  305,  308,  309,  SiO.  311 

313,  317,  319. 
Campana,  470. 

Campanello  Pompeo,  94,  108,  US,  Ht. 
Ganalotti,  562,  563. 
Ganessa,  432. 
Gangeni,  568. 
Cano&n,  580,  581. 
Ganrobert,  générale,  653,  654,   655.  656. 

658,  661. 
Gantagalli,  512. 
Oentelli  Gerolamo,  545- 
Gapellini  AlesBandro,  532. 
Gapoquadri  Gesare,  504,  51 1. 
Gapponi  Gino,  131,  504,  538. 
Gapranica.  470. 
Garbonelli  Vincenzo,  88. 
Garini,  578. 
Garini  Andréa,  542. 
Carlo  Alberto,  re  di  Sazdegna,  11, 12,  11 

19,  20,  21,  30,  31,  82,  63,  65,  6a,  67.  68. 

69,  72,  88,  89,  90,  91,  92,  109,    125,  126. 

130,  139,  151, 152, 156,  157,  158^  160, 1«1, 

162,  163,  165, 190, 191,  191,  195,  198.  IS». 

201,  203,  204,  205,206,  207,220,  822,224. 

225,  23 1 ,  235,  242,  243, 240,  247,  250, 263L 

266,  271,  272,  274, 275,  277,  ^8,  897,  »$, 

306,  313,  31^  316, 325,  328,  380,  468,  48Û, 

538,  546.  591. 
Carlo  Borbone  di  Napoli,  570. 
Carlo  Ferdinando  d'Artois,  541. 
Carlo  m  Borbone,  538,  539,  540,  541. 5i£. 

543. 
Carlo  V,  imperatore,  274. 
Carlo  Yi,  imneratore,  527, 
Carlo  X,  re  ai  Francia,  628. 
Carlo  Hagno,  imperatore^  818. 
Camaiza,  162. 
Camot,  621. 
Carpi.  470. 
CasigUano,  512. 
Gasslbile,  171. 
Cassola  Carlo,  313. 
Castagnola  Gregorio,  539. 
GasteUi,  18,  20,  21,  22. 
Castracane.  cardinale,  105,  107. 
Caterina  di  Bussia«  639. 
Cathcart,  générale,  658. 
Gattabeni,  capitano,  44. 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDIOX  DBI  NOMI  PBOPBI 


697 


Caraignac,  générale,  34,  601, 603, 604,606, 
607,  608,  611,  6IA. 

CaTOor  Gamillo,  467, 487,  &M,  5S^  586, 5S9, 
530,  535,  543,  577, 580, 676, 677, 680- 

GaTTJani,  générale,  277. 

Cbarras,  colonnello,  616. 

CeoUialLa)  Gioranni,  153. 

Cemneciil  Ébrioo,  186,  442,  456. 

ChadsyBson,  générale,  427. 

Cfaarl6t,6S2. 

Chiodo,  générale,  228. 

Chnanowski  Alberto,  générale,  804,  205, 
206,  820,  281, 884, 885, 886,  888, 836, 837, 
230,  840,  841,  848,843,844,845,846,847, 
248,840,  850,855,256,857,258,850,860, 
261,  865,  866,  267, 868, 809, 871, 881, 806, 
297,208, 899,  300, 308, 305,  315,  317,  318. 

Cibrario,  80,  81,  85. 

Cioognara,  86. 

Cipriani  Lionetto,  colonnello,  134, 135, 136. 

Clam  Gallas,  générale,  379. 

Clarendon.  487,  577. 

Clotilde,  ai  Sa^oia,  676. 

Coccfai,  455. 

Colli,  générale,  80,  81,  82,  85. 

Connean,50& 

Contratti  Loigi,  313. 

Coppi  Qiuseppe,  551. 

Corcellet  (De),  441,  448,  443, 445, 446, 447, 
456,  4W,  469,  607. 

Cordora  (Di),  générale,  414. 

Coronini,  maresdallo,  660. 

CorrentI  Ceeare,  65,  198. 

Corsini,  130. 

Corsini,  senatore  di  Borna,  88,  106,  806. 

Cortassa,  capitano,  80. 

Coeenz,  capitano,  poi  loogotenenie  colon- 
neUo,  83,  388,  336,  338,  341,  344,  358. 

CoBimo  m  di  Toecana,  527. 

Gossato.  générale,  271. 

Costantini  Santé,  485, 

Cowlej,  665. 

Creonerille,  générale,  543. 

Criscelli  Giacomo,  623. 

Crotti,  générale,  551. 

Csany  lÂigi,  3S7. 

Csemjns,  386. 

Csoricn,  générale,  378- 

Culoz,  maresoiallo,  830. 

Czartoryski,  205. 

Czeodajeff,  générale,  377. 


Dabormlda,  générale,  191. 
I>alhmp,  ammiraglio,  338,  338. 
I>airOngaro  Franceeoo,  40,  41. 
Damiano,  générale,  360,  370,  371, 385, 386. 
Dandini,  485. 
Dandolo  Emilio,  431. 
Dandolo  Enrioo,  432. 
Danneberg,  633. 

Danzini,  magfjfiore,  531,  532,  534- 
Daan.  maresciallo,  257. 
DaTalos  Alfonso,  435. 
DaTorio,  432. 

Délia  Genffa,  cardinale,  471,  481. 
Demarganta,  325. 

Dembinski,  générale,  215,  216,  217,  377, 
381,  382,  883,  387. 


Demi  Emilio,  509. 

Derby,  675. 

Deesewffy,  386. 

Dias,  capitano,  23,  49. 

DiTersi,  fenerale,  165. 

Dronyn  de  Lhnya,  669. 

DochoqQ4,  505. 

Dufoor,  générale,  204. 

Dondas,  Tioe-ammiraglio,  649,  651 

Doparoq  (De  la  Barre),  colonnello,  6â6. 

Durand,  capitano,  396. 

Durando  GiOTanni,  18,  193.  827,  836,  241, 
844,  845,  849,  850,  851, 858, 853, 855,  857, 
858.  860,  261,  262,  266,  266, 270,  272, 297, 
301. 


Engelhardt,  générale,  378. 

Enrico  IV,  597,  674, 

Enrico  Y,  590,  598,  597,  508. 

Eepinasse,  colonnello,  poi  générale,  478, 

613,  653. 
Eepirant,  capitano,  396,  401. 
EB&orhâzT.  158,  808,  390. 
Erangelisu,  485. 


Fabart,  capitano,  401,  4U2,  405. 

Fabbri  Edoardo,  72,  84,  87. 

Fabretti,  455. 

FaUoDx,  426,  461. 

Fanti,  générale,  227,  280. 

Farcito,  279- 

Farina  (La)  Gioseppe,  528,  563,  1565,  566, 

667. 
Farini  Garlo  Luigi,  552,  55a 
FaTa  Angelo,  206. 
FaTanoonr,  colonnello,  310. 


Fayant,  maggiore,  459!. 
FaTre  Gii** 


Uolio,  407,  505,  621,  671,  673,  681, 

Farioli.  42a 

Federico  U  di  Pmaaia,  233,  236,  258,860, 
867. 

Federico  Gngliélmo  di  Prussia,  483. 

Ferdinando T,  imperatore,  32, 140,  808, 810, 
811,  381. 

Ferdinando  Borbone  di  Napoli,  88,  103, 
108,  139,  158,  168, 164, 165, 171,  172, 178, 
179,  180,  181,  182, 184,  185,  188, 193,  800, 
391,396,  408,  411,418,478,561,562,564, 
570,  671,  572,  574,  575,  576, 577, 578,  579, 
580,  581,  583,  585,  586,  587,  588,  591- 

Ferdinando  di  Savoia,  duca  di  Genora, 
130,  161,  227,  289, 248,  843,  845,  248,  258, 
261,  265,  266,  269,  276,  897. 

Ferrand,  capitano,  401. 

Ferrara,  168. 

Ferrari  da  Grado,  générale,  583,  538. 

Ferrari  (De),  89- 

Ferrari,  générale,  16,  64. 

Ferretti,  générale,  278,  279. 

Fieschi,  675. 

Filangeri,  maresciallo,  165,  167,  168,  170, 
J71,  174,  176,  178,  187,  566,  561,  567, 
570,  572. 

Filopanti  Qoirico,  456. 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE   DBI   NOMI  PBOPBI 


Final!  Gaspare,  486. 

Flotte  (De)  621. 

Fofflia,  23. 

Folnri,  432. 

Forbes,  463. 

Forey,  générale,  644. 

Fornetti,  506. 

Fortini,  oolonnello,  IM. 

FosGOlo,  345. 

Francesco  I  di  Francia,  628. 

Francesco  Ginseppe,  imperatore,  211,  212, 

217,  321,  386,  526,   528,   543,  544,  551, 

650,  680. 
Fnncesco  lY  di  Modena,  488,  546. 
Francesco  V  di  Modena,  538, 545, 546,  547, 

548,  551,  552,  553. 
Francbini  Francesco,  140. 
Fratemali  Gaetano,  467. 
Fusconi,  09,  106. 


Galateo,  colonnello,  12,  336,  339,  341,  355. 
Galletti  Bartolomeo,  colonnello,  403,  404, 

411. 
Galletti  Giuseppe,  98,  99,  100,  102. 
Galletti  Gustayo,  504. 
Galvagno,  325. 
GalTaui  Giuseppe,  551. 
Gandini  Pietro,  551. 
Gandolfl,  419. 
Garderens,  colonnello,  6  9. 
Garibaldi,  générale,  93,  94,  196,  403,  404, 

406,  408,  409,  411, 412,  427, 429,  430,  431, 

434,  435,  448,  449,  450,  451, 454,  462,  463, 

464,  465,  466,  467,  468,  469,  584. 
Gamiers  Pages.  591,  600. 
Gaspar,  générale,  370. 
Gastone  Giovanni,  527. 
GaTazzi,  barnabita,  85,  93,  94,  131,  468. 
GazzoUi,  cardinale,  97. 
Ghilardi,  maggiore,  136. 
Giacobazzi  Lnigi,  551. 
Gianotti,  générale,  227. 
Gioberti  Vincenzo,  109,  110,  111, 122,  151, 

152,   193,   194,    198,  200,  201,  202,  203. 

229,  325. 
Gioja  Pietro,  539. 
Giorgini  Gaetano,  131. 
Gioranni,  arcidaca  d'Austria,  208. 
Giorannini  Melchiorre,  222. 
GiOTio  Francesco.  306. 
Giulay,  maresciallo,  551,  681. 
Gialio  Gesare,  300. 
Ginsti  Vincenzo,  550. 
Gladstone,  574. 
Goltz,  générale,  64. 
Gomez  Antonio,  670,  671. 
G^rgey,  générale,  213,  214,  216,  217,  231, 

241,  248,  369,  370,  371,  372,  374,375,  376, 

377,  378,  381,  382,  383,  384,  385,  387. 
Gorkowski,  générale,  365,  368,  418,  465. 
Gortschakoff,  maresciallo,  632,  633,  647, 

648. 
Grabbe,  générale,  878,  381. 
Grammant,  générale,  217. 
Grammont^  489,  492,  493,  494. 
Grandoni  Lnigi,  485. 
Grasse,  562,  563,  565. 
Graziani,  contrammiraglio,  23,  24,  25,  39, 

42,  67,  63,  836,  337,  338. 


Gregorio  Blagno,  papa,  494. 
Gregorio  XVl,  papa,  396. 
Grossardi  Angelo,  luogotenente,  539. 
Grotjenhelm,  générale,  378. 
Goardnoci,  502,  506. 
Goarini,  83,  86. 
Guameri  Francesco,  579. 
GnerrazziDomenico,  122,  136, 138, 140,  U2, 

143,  144,  149,  160,  154,  155, 156,  157, 15fi, 

390,  459,  498,   499,  501,  502,  503,  liûl, 

514    515. 
GnesTlUer,  générale,  427,  429,  US. 
Goglielmi,  470. 
Guiccioli  Ignazio,  115,  123. 
Guinigi  Leîio,  131,  133. 
Guizot,  87. 
Goyon,  générale,  214,   380,  383,  385, 3^7, 

492,493. 


Haller.  maresciallo.  290i 

Hamelin,  ammiragllo,  636,  649,  651, 65^ 

Harconrt  (D'),  82, 87, 100, 103, 390, 3»1,453. 

Hardwick,  ammiragUo,  292. 

Hasford,  générale,  379. 

Haynau,  maresciallo,  118,  119,  m,  230. 
311,  312,  316,  317,  318,  319,  320, 323.  S£?, 
329,  332,  333,  334,  335,  337,  373,  374,3:9. 
382,  383,  385,  387,  415. 

flentzi,  générale,  372. 

Hess,  maresdallo,  21,  272,  365. 

Hugo  Vittore,  478,  613,  619,  621,  Qfô. 

Hûbner,  678,  679,  684. 

Httgel,  524. 


Isabella  di  Spagna,  414. 
Isola  Giuseppe,  542. 


Jellachich,  générale^  208, 209, 210, 235, 3^ 

369.  379,  38a 
Jesanlow,  ffenerale,  378. 
Jessenak  GioYanni,  387. 
Jomini,  générale,  243. 
JOBti,  299. 


Kanety,  générale,  373. 

Kasinczy  Luicri,  387. 

Kantcfa,  Inogotenente  colonnello,  33a 

Kerpan,  générale,  333. 

Key,  capitano,  561. 

Kielmansegge,  colonnello,  283,  9M. 

Kiss  £me8to,  386. 

Klapka,  générale,  214,  215,  216,  217,  »». 

370,  371,  374,  376,  377,  886. 
Kmety,  générale,  374,  383,  385,  387. 
Knézich,  colonnello,  371,  386. 
Kollowrath,  générale,  252, 264,266,266  544 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE    DEI   NOMI    PROFRI 


699 


KosSDtb,  212,  213,  215,  345.  370,  372;  375, 

379,  383,  384,  367. 
Kronloff,  rtnerale*  647. 
Koprianon,  générale,  377. 


Lacretelle,  623. 

LaffuerroDÎère,  679. 

Lahner,  386. 

Lamarmora  Alberto,  eenerale,  11.  25,  26. 

Lamarmora  Alessandro,  générale,  228, 
250,  254,  291. 

Lamarmora  Alfonso,  générale,  126,  191, 
2U2,  205,  225,  229,  231,  237,  259,  262, 
278,  280,  281,  289,  290,  292,  294,  296, 
298,  302,  327,  660. 

Lamartine,  30.  139.  478,  591,  023. 

La  Masa,  colonnello,  169,  174,  175. 

Lambmschini  Baffaele,  538. 

T  Amenais,  126. 

Lamoricière,  générale,  204,  392,  616. 

lADdshowne,  81,  170- 

Landncci  Leonida,  131,  511. 

Langobardi,  177. 

Lanza,  générale,  165,  167,  408,  411,412. 

Lanza  Gioranni.  325. 

lADzotta,  loogotenente  colonnello,  15. 

L&scy.  maresciallo,  257. 

Latonr  d'Auvergne,  308. 

Latoar,  maresciallo,  210. 

Langier  (De),  générale,  152,  153,  154,  155, 
512,  216. 

Lannay  (De),  générale.  325. 

Lazar,  générale,  397,  385. 

Lazzotti.  295. 

Leblanc,  colonnello,  401. 

Ledra  Kollin,  392,  501. 

LeflO.  616. 

Le^onvé,  681. 

Leiningen,  générale.  377.  381,  386. 

Lemberg,  maresciallo,  i09. 

Lenzoni  OttaTÎq,  512,  524,  530.  531- 

Leopoldo  II  di  Toscana.  134, 137,  138, 139, 
140,  141,  142,  144,  145,  146,  151,  15'i, 
153,  IW,  160,  200,  201.  202,  488,  499, 
501,  502,  50.^  505,  506,  507,  510,  512, 
514,  515,  516,  518,  520,  523,  524,  526, 
529,  531,  532,  533,  53-1.  547. 

Lesseps  Ferdiiiando,  407,  410,  421,  422, 
423.  4SU,  426,  442,  443,  444,  445,  446. 

Levaillant  Carlo,  générale,  427. 

Levaillant  Giovanni,  générale,  427- 

Liechtenstein  Edoardo,  générale,  71,  241, 
214,  259,  515,  551. 

Lichnowski,  générale,  267. 

Liprandi,  générale,  656,  657. 

Lisio,  163. 

Livragbi,  capitano,  466,  469- 

LoTatelli,  71. 

Lovera,  générale.  227. 

Lacan,  générale,  656. 

LQders,  générale,  378,  379,  633. 

Lodolf.  390. 

Loigi  d' Glanda,  593. 

Loigi  Filippo  di  Francia,  593,  594,  674. 

Luisa  Maria  di  Borbone.  541,  542,  543. 

Lunati  Giuseppe,  100. 


M 


Macchio,  générale,  333. 

MachiaveUi  Niccolè,  71. 

Mader,  308. 

BCadier  de  Montjau,  021. 

ICaestri  Pietro,  24,  157. 

Maffei,  313. 

Magnan,  générale,  615- 

Kanmoad  II,  C27. 

Mainardi,  capitano,  20. 

Malenchini  Vinœnzo,  530,  534,  538. 

Malvezzi,  colonnello,  419. 

Mameli  Goffredo.  325,  431,  432. 

Mamiani  Terenzio,  69,  73,  99,  100,  101, 
107,  108,  113. 

Maaara  Luciano,  maggiore,  poi  colonnello, 

35,  239,  303,  399,  401,  408,  430,  431, 449, 

I       451,  453. 

I  Bfangin,  capitano,  C02. 

'   Manm  Daniele,  22,  23,  24,  25,  29,  34,  36, 

39,  40,  41,  42,  43,  52,  56,  57,  58,  61,  62, 

63,   67,   68,  222,  328,  329,  334,  335,  337 

3-15,  348,  360,  361,  362,363,360,367,528. 

Bfanacci  Michèle,  380,  399. 

Maraviglia  Luigi,  485. 

Marescotti,  colonnello,  416,  419. 

Maria  Antonietta  di  Napoli,  145. 

Mariani,  456. 

Marie,  591. 

Marini,  cardinale,  77.  83. 
■   Marrochetti,  colonnello,  411. 
I   Marrast  Armando,  608. 
I   Marsich,  contr'ammiraglio,  15,  29> 
!   Marsili,  419. 
'   Martel,  monsignore,  106. 
'   Martelli  Giaseppe,  504. 
1   Martinolli,  avvocato,  78. 

Martinelli,  capitano,  336. 
,  Martinengo,  313- 
'   Martinez  de  la  Rosa,  100,  103,  390. 

Martini,  505. 

Marzocchi  Celso,  131. 

Masi,  colonnello,  poi  générale,  403,404, 431- 

MasBoni,  monsignore,  517. 

Mata  (De),  584. 

Materazzo,  23. 

Mathieu,  478. 

Mattioli,  420. 

Mazzarosa  Antonio,  505. 

Mazzei  Jacopo,  131,  512. 

Mazzini  Giuseppe,  114,  125,  126,  153,  390, 
401,  405,  413,  'J24,  426,  443,  419,  453, 
454,  455,  456,  461,  468,  523,  528,  548, 
582,  583,  585,  670,  671,  672. 

Mazzoni  Giuseppe,  122,  123,  149,  150. 

Maurer,  générale,  267,  268. 

Maurizio,  maresciallo  di  Sassonia,  686. 

Biayr  Carlo,  119- 

Mazzuchelli  Ippolito,  capitano,  40. 

Medici  Giacomo,  colonnello,  429,  449,  450, 
451,  462. 

Medin,  365. 

Médina,  luogotenente  colonnello,  555- 

Mellara,  colonnello,  309,  410,  432. 

Meloni,  abate  e  pnore,  134. 

Mcngaido,  générale,  29. 

Menschikoff,  maresciallo.  629,  654,  655, 
657,  658,  661. 

Merlo,  19. 


Digitized  by  VjOOQIC 


700 


INDICE   DEI  NOMI  PBOPBI 


Mésoiuui,  615. 

Ménàros,  générale,  87&  387. 

Metternich  Clémente  Vinceslao,  208,  471, 

510,  588. 
Meonier,  maggiore,  613. 
Meziacapo  Carlo,  capitano,  poi  maggiore, 

83,  341. 
Measacapo  Lolgi,  maggiore,  poi  luogote- 

nente  colonnello,  66, 67, 187, 387, 416, 489. 
Michèle,  grandaca  di  Kossia,  805 
Mieroslawski,  générale,  179,  554,  555, 556, 

557,  558.  550,  56a 
Milani,  colonnello,  86. 
Milano  Âgesilao,  579,  580,  585. 
HilitE,  laogotonente  colonnello,  319. 
Milone,  579. 
Hiloro  Yinoenzo,  165. 
Milosch,  677. 
Mins^etti  ICarco,  97. 
Mi  tis,  générale,  46,  50,  51,  53,  63. 
Mitridate  Euoatore,  654. 
M6ffa,  ffeneraJe,  818, 8i3. 
Mollard,  générale,  887. 
Mollière,  générale,  487,  488. 
Mentale,  888. 
Montalembert,  477,  478. 
Montanari.  97,  99. 
MontaneUi  Gioseppe,   99,    188,  137,  138. 

139,    140,    148,    144,    145,  146,  148,  149, 

150,  156,  158,  499. 
Montecchi  Mattia,  115,  183. 
Montecuccoli,  maresdallo,  380- 
Montevemolo,  109. 
Monti,  colonnello,  386. 
Montonlon,  générale,  505- 
Morandi,  colonnello,  47,  48,  49,  50  51,  368. 
Morchio  Davide,  879. 
Mordini.  81,  88,  38,  39,  149. 
Morin,  générale,  487. 
Momy,  614,  668. 
Moro,  338. 
Morosini  Emilie,  453. 

M'^-—  --' "-   8S0. 

M  :  ...-.■  I*  générale,  385. 

ÏHcutiim  Kagurdu.  i93. 

Mûrtara  SiLlomaoe,  49X 

Munid  IV.  rt2fî. 

Murât  Lurinno,  l^ù,  677. 

ÎHurfltori  Pi^tro»  T^t2. 

Mu£ta|}bu  Ffi''^"      '- 

Masto,  83. 

Mozzarelli,  monsignore,  99,  100,  101,  108, 

111,  114,  115. 


N 


Nagy  Kallù,  388. 
NagiSa 


_  _„.  Sandor,  générale,  377,  388,  383,  386. 

Nakimoff,  vice  ammiraglio,  658,  665. 

Napoleone  I,  il  Grande,  833, 836, 837, 843, 
857.  858,  859j  863,  308, 443,  595,  685, 673. 

Napoleone  Luigi,  présidente  e  poi  impe- 
ratore,  118,  Ul,  186,  184,  185,804,  393, 
394,  406,  410,  438,  461,  469,  471,  478,  473, 
474,  475,  476,  477,  478,  489, 493,  587,  S88, 
589,  530,  543,  544,  553,  598,  503,  594,595, 
596,  597,  598,  599, 605,  607,  608,  609,  610, 
611,  618,  618,  614,  615,  616,  617,  619,  680, 
688,  683,  684,  685, 638, 639, 640,  650,  658, 
655,  661,  668,  663, 664,  665, 666,  667,  668, 


670,  671,  678,  «74, 675,  676, 678, 680,  «l. 

684.  687. 
Napdeone,  prindpe,  658,  665,  676.  67;. 
Napier,  ammiraglio,  175,  178,  641. 
Nardi  Emilio,  558. 
Nardoni  Filippo,  colonnello,  485. 
Natoli  Giaeeppe,  168. 
Neri  Corsini,  510,  538. 
Nerli,  802,  530. 
Nesaelrode,  63a 
Nessi  Pietro,  306. 
Ney  Edgardo,  luogotenente  colonnello,  4ït 

473,  474,  47a 
Niel,  colonnello,  461. 
Niocolè,  CBU-  di  Bossia,  686,  687,629.63:'. 

643,  646,  660. 
Niooletti,  maggiore,  410. 
Nicotera  GioTanni,  588,  583,  564. 
Nigra,  385. 

Nogent,  maresciallo,  18,  314,  316,  319. 
Nonziante,  loogotenente  colonnello,  588. 
Nonziante,  mareadaUo,  166,  167, 169,  no, 

174,484. 


Odeecalchi  Pietro,  470. 

Odillon  Barrot,  398,  393,  407,  471.  4ïl 

477,  478. 
Olira,  83. 

OliTieri,  générale,  66. 
Olper,  68,  63. 

Omer  Pachà,  638, 633, 636, 648, 668,  (Ifi«,  <)61. 
OpiBoni.  arciyesooYO,  419. 
Orsini  Felice,  165,  175,  997,  587,  d6&  a» 

671,  678,  073,  674,  67a 
Ortenaia,  regina,  593.  504,  506,  614. 
Osman  Pachà,  634,  635,  636,  649. 
Osten  Saken,  381,  63a 
Ostrowski  Ladislao,  805. 
Ottinger,  générale,  817. 
Ottone  I,  di  Greda,  644,  645. 
Oodinot,  générale,  393,  394.  398,  389,  40î. 

401,  408,  404,  405,  406, 407,  408, 410, 4S3. 

484,485,  486,  487,488,431,438.433,434. 

435,  43a  437,  438,  430,  44a  441,  448, 441 

444,  445,  44a  448, 449,  453, 45a  457, 45ts 

459,  46a  461,  468, 468, 469,  47a  47t.  474. 

477,  671. 


<Ï7. 

PidiaTÎâno  afoigioi,  18a  528. 
Fnili^î  T^icHinto,  &45. 
Piilma^  inoosigaor^,  lOa 
PftlmerïtoTi,  3U  HU  181,  18a  675^ 
Piiloîiiba,  114J» 
Pt^nizza  FmûCâsco,  54& 
Piu]LutJii6^  C^naraU^  374. 
Pautalwni,  Iû7, 
Tnoh  ]\\  papa,  4SL 
Paofo  V,  papa.  488» 
Paolm^i,  c^ioriEeMo,  poi  générale,  I3,)0o> 

Ya  T^to  L-i .  :  2,  163, 191,  198, 193.  «» 

Tatktir,  SLSoiikUtt^kkih,  161,  na  134. 
Parseval  Descbesues,  ammiraglia  6IS. 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE   DEl  KOMI  PBOPBI 


701 


Fasini  LodoTÏoo,  345. 

Pasini  Yalentino,  57. 

Paskiewitchf  maresdallo,  373,  377,  378, 
381,  382,  885,  648. 

Pasolini  Gioaeppe.  88,  95,  97,  98,  90. 

Pasqualis  (De),  colonnello,  4ô£. 

Paaàdaoqna,  générale,  £27,  205,  27a 

Passanante,  674. 

PaTOlini  LQigi,  504,  538. 

Pelissier,  mareeciallo,  616,  661. 

Pelle^ni,  295. 

Pelloni  Stefimo,  il  Ai#«ator«,  484. 

Pennacchi,  455- 

Pepe  Gaglielmo,  générale,  5,  11. 15, 16^  17, 
S6,  34,  36,  43,  45,  46,  47,  48,  49,  51,  53, 
64,  66,  67,  126,  327,  828,  330,  332,  347, 
348,  350,  351,  355,  361,  262,  368,  391. 

Peratta,  432. 

Perazzi,  352. 

Perczel,  générale,  380,  382,  387. 

Pereny,  387. 

Perrlass,  générale,  51,  64,  66,  70,  333. 

Polcoli,  470. 

Perktns,  320. 

Perrone,  générale,  191,  227,  229,  236, 
243,  246,  258,  261,  265,  267,  269,  270,  297. 

PersignTi  GioT.  Gilberto  Fialin,  614, 615. 

Pemaâ  Ubaldino.  503,  534,  537. 

Pncantini  Fedenoo,  119. 

PetrofTich  Danilo,  642. 

Piandani,  417. 

Pianori,  675. 

Pieri,  623.  624. 

I^eri  Andréa  di  Locca,  670,  671,  674. 

Pieri,  profeesore,  470. 

Pietro  il  Grande  di  Russia,  627. 

Pietro  Leopoldo  di  Toscana,  528. 

Pigli,  153. 

PineUi  Pier  Dionigi,  191,  192,  193,  195, 
196.  200,  309,  325. 

Pio  VU,  papa,  486. 

Pio  IX,  papa,  70,  71,  72,  73, 76, 77, 81, 83, 
S5,  86,  87,  89,  91,  92,  98,  99,  100,  101, 
106,  107,  109,  113,  114,  118,  142,  152, 
SOO,  201,  390,  301,  396,  408,  414,  421, 
443,  461,  468,  470,  471,  473,  475,  476, 
478,  470,  480,  482,  485,  486,  487,  488, 
489,  402,  494,  405,  406,  526,  573,  576, 
607,  611,  661,  660,  678. 

Piiaino,  168,  174. 

Pisacane,  colonnello,  527, 582, 583, 584, 685. 

Pisani,  162. 

Pizzardi,  410. 

Pleaa^  110,  200. 

Pocgi  fiirico,  538. 

Pomni,  colonnello.  432. 

Poltenberv,  générale,  372, 374, 377, 881, 386. 

Pompeo,  300. 

Potenziani,  102. 

Pracanica  Antonio,  165,  175. 

Priuli,  365. 

Pronio,  maresdaUo,  165,  167,  168,  160, 
170,  174. 

Paclmer,  générale,  370. 


Radetzky,  niaresciallo,  12,  64,  65,  66,  67, 
71,  145,  195,  107,  201,  221,  223,224,225, 
226,   220,  830,  231,  233,   234,  235,  287, 


238,  241,  242,  243,  246,  247,  256,  258, 
250,  281,  262,  268,  260,  270,  275,  276, 
277,  280,  206,  207,  200,  301,  302,  306, 
315,  318,  323,  328,  332,  333,  334,  835, 
346,  364, 865,  367, 368, 388, 426, 507,  538. 

Kaeli,  186. 

Raflaele,  568,  560. 

Baglan,  générale,  641,  640,  651,  666,  657, 
658,661. 

Baimondi  Giorgio,  306. 

Balli,  470. 

Ramorino,  générale,  225,  227,  220,  237, 
230,  240,  241,  243,  244,  245,  280,  302- 

Rasori,  432. 

Rath,  maresdallo,  230. 

Rattazzi  Urbano,  108,  324,  588. 

Ravaillac  647. 

Ramno,  105. 

RaynoTal,  175,  181,  185,  300, 460. 476, 480. 

Regnaolt  de  Saint  Jean  d'Angély,  géné- 
rale, 427,  463. 

Reschid  Pachà,  630. 

Reta  GoBtantino,  270,  202,  29& 

Révère  Ginseppe,  24,  36,  30. 

Ribotti,  générale,  345,  550. 

Ricasoli  Bettino,  131,  503,504,  514,588. 

RicasoU  Orazio,  504. 

RicaodT,  contr'ammira^iio,  33.  34, 43. 

Riccaroi,  toscovo,  100. 

Ricci,  105,  101,  108. 

Ridolfl  Gosioio,  538. 

Rilkat  Pachà,  632. 

Rlgaolt  de  Oenooilly,  eapitano  di  ya- 
Bcello.  666. 

Righetd  Pietro,  07. 

Rignano,  86^  102. 

Rignano  (Dachessa  di;,  9& 

Riso,  162,  563,  564,  568. 

Riza  PactiÀ,  générale,  640. 

Riznurdi,  générale,  15,  53,  327,  388. 

Roberti,  monsignore,  105.  ' 

Rocca  (La),  générale,  227. 

Roffoet,  générale,  615. 

Rokawina,  eapitano,  466,  407. 

Rombert,  générale,  378. 

Ronzelli,  Inogotenente  colonnello,  87. 

Rosellim,  100,  200. 

Rosmini  Antonio,  abate,  89,  100,  101. 

Rossaroll  Gesare,  eapitano,  poi  Inogote- 
nente colonnello,  26,  386,  339,  341,  350, 
351. 

Bosselli,  colonnello,  poi  générale,  397. 408, 
411,  412,  413,  431,  485,  448,  449. 

Roisi,  abate,  106. 

RoBSi  Filippo,  504. 

Rossi,  générale,  228. 

Rossi  Pellegrino,  86, 87,  88,  90,  92, 96,96, 

^97,98,102,  142,  194,  197,485. 

Rostolan,  générale,  461,  472,  474,  478. 

Rota,  109. 

Rothschild,  320. 

Rttdiger,  générale,  377,  384. 

Radio  Carlo,  67û,  671.  674. 

Rnkowioa,  maresdallo,  380,  888. 

Rnsconi  Carlo,  115,  124. 

Rossel,  639. 


Saccbetti,  104,  470. 


Digitized  by  VjOOQIC 


702 


INDICE   DBI   KOMI   PBOPBI 


Saffi  Aorelio,  123,  1^.  126.  900.  124. 
Safredo,  capitano  di  cor>etta,  344. 
Saint  Arnaud  Leroy,  maresciallo,  616. 622, 

041,  649,  661,  653.  654.  6^  666. 
Salasoo,  générale.  21. 
Saleri.  312. 

Saliceti  Aorelio,  115,  456,  456. 
Salomone.  23. 
SalTa^oli  Vinoenzo,  63& 
Samminiatelli  Donato.  131. 
Sanfermo.  générale.  15. 
Sangenrasio  Gîrolamo,  213. 
San  Martino,  23. 
Sanmicbele.  9. 
Santarosa  Teodoro.  274 
Santa  Rosalia,  oolonnello  ^5    557.  658 

560.  560. 
SaoTitale  Loigi,  539. 
Satriano,  561,  567,  568.  670,  572,  576. 
SaTelli,  monsignore,  395,  396,  411. 
SaTÎni,  colonne  Uo,  401,  403. 
SaoTant,  nperale,  427,  429,  450,  461. 
Scanunncdiî,  47a 
ScaronJ,  432. 
Scbal^tsche,  maresciaUo,  230  252,  261, 

266. 
Schamyl,663. 
Schanz,  générale,  247. 
Schlick,  générale,  214,  215,  36d,  360,  374, 

385. 
Schmid,  générale,  166. 
Scfawanenberg,  54S. 
Scbwarzenberg  Felke,  générale  211,  217. 

Schoelcber.  621. 

Seumit  Dooa,  Inogotenenteoolonnetto,  318. 

Selim  I,  627. 

SeUm  Pachà,  633. 

Serani,  loa 

Seirittori  Loigi,  500,  SOI,  504,  507. 

Settimo  Roggero,  566,  566,  567. 

Simbechen,  générale,  333,  385. 

Siltani,  419. 

Sineo  Riccarda  191, 196,  303. 

Sirtori  Gioseppe,  capitano  e  poi  loogo- 
tenente  cokimello,  21,  22,  39,  58.  62, 
63,  328,  336,  339,  311,  344,  347,356,362. 

SiTori.  432. 

Solerii  générale.  356* 

Solimano  I,  il  MagmUieo.  628. 

Sofia,  arddncliessa  d^Aostria,  211. 

Sofia  Maria  di  Napoli.  587,  588- 

So^lia.  cardinale,  84,  86,  99,  100. 

Solaro  générale,  277. 

Solaroli,  générale.  225.  229, 236,  246,  268, 
261,  260,  297.  302. 

Sonnaz  (De)  Rttore,  générale,  198,  206- 

Spagna.  470. 

Spaiir,  103- 

Speri  Tito,  315l 

Spinusa,  579- 

Splenj,  199. 

Stabile  Mariaiio,  160,  564. 

Stadion,  générale,  262,  321. 

Sterbini  Pietro,  100,  108,  113,  115,  123. 

Strassoldo,  générale,  247,  259. 

Stnrbinetti  Fnuaœsoo,  97.  99. 

Stnmer,  maresciaUo,  51,  539. 

Snsan,  genera]^  64,  66. 

Sacsnty  fiuioo.  387. 

Snnere,  370,  387. 


Tabarrini  505. 

Tavani,  470. 

Tecchio  Sebastiano.  68,  198<  tlif. 

Temple,  181. 

Teoli,  35. 

Thiemann.  renerale,  205. 

Tbiers  AdoUo.  204,  617. 

Thom  genertie,  333,  415- 

Thom,  mareedalkx.  12.  S30,  dld.  25d.  ^c. 
264,  268,  270,  273.  274,  276l  S77.  3l^ 
377,  339.  311,  312,  35a  351.  35»,  305. 

Tirelli  Giuseppe,  562. 

TooqneTille.  426,  461. 
,  Toffoli.  23. 

Tommaseo  Nieoold,  23,  32,  ^,  31,  57. 5i^ 
'       61,  63.  357,  367. 

Torelli  Loiin,  310- 

Torkmia,  482. 
.  'HJrQk,  38a 
,  Torre  Federico,  99. 
I  Torrifiani  Garto,  504. 
I  Totleben,  générale.  662. 
I  Trobiand  (De),  mareedaUo,  lâa  551. 

Tropkmg,  668. 

Trotti,  générale,  227. 


XJ 


Ulivi  Gineeppe,  504. 

UUoa,  oolonnello,  e  poi  générale,  23.  4v 

333,336   337,339,340,341,342  343.34:. 

361.  533.  537. 
Umberto  I,  re  dltilia.  674. 
Urban,  générale,  385. 
t'rbano  vn,  papa,  403. 
Ungarellî  Gaetano,  486. 


Taoearo,  23. 

Taillant,  générale,  40a 

Yakrio  Loreoao,  126,  127,  S03. 

Yannicelli,  cardinale,  <71,  4Sa 

Yanoocd  Atto,  638. 

Vannntelli,  491,  492. 

Valent»,  générale.  212. 

Vico  Salnttore,  562,  563. 

Tillamarina,  générale,  231. 

Yirgili,23. 

Visoonti  Tenosta  Emilio  52a 

Yisoowich,  capitano  di  corretta^  344. 

Tittoria,  regina  d^Inshilterra,  633. 

Tittorio  Emanuele,  diioa  di  SaToia,  e  poi 
re  d'Italia,  il  Oalaaiwmo,  228, 229,  236l 
241,  Sia  249, 250,  251, 252,  258.  255  25& 
257,  258, 261,  862,  267,  278,  275^  278,  2S:. 
203,  294,  297,  801, 315,  886.  328,  as,  530. 
633,534,  643, 541, 648,  650,  658,  563,  d6«. 
666,  €7a68a 


Digitized  by  VjOOQIC 


INDICE   BEI   NOMI   PBOPBI 


703 


Walewski,  508,  530,  578,  675. 
Wecsey,  générale,  382.  383,  385. 
Weldon^  13,  U,  16,  19,  21,  25,  43, 51.  72, 

74,  75,  76,  77,  78,  79,  80,  81,  83,   328, 

337.  371. 
Wettér,  générale,  217,  387. 
Wiederkhem  LeoDoldo,  maggiore,  548. 
Wimpffen,  générale,  24L  277. 
Wimi»iFen,  maresciallo,  276,  277,  415,  417. 

418,  419,  420,  421. 
Windiflchgifttz,  maresciallo,  210, 213,  214, 

215,  216,  237,  388,  369,  370. 
Winspeare,  générale,  408,  409. 
Wîsocky,  générale,  371,  382,  387. 
Wocher,  maresciallo,  230,  247,  259,  262, 

264,  267,  269,  270,  333. 
Wohlgemutb,  marescial)o>  230,  231,  241, 

248. 


Woroniecsky,  386. 
Woronzoïr,  633. 

Wratislaw,   générale,  230,  241,  246.  247, 
248,  252,  250,  262,  264,267, 868,  270,  323. 
Wyss,  générale,  374. 


Zaccbi,  abate,  134. 

Zambeccari,  colonnello<  49.  50,  51i  417, 

419. 
Zambelli  GioTanni,  311,  312. 
Zambianchi,  455. 
Zanetti,  158,  504. 
Zanolini,  419. 
Zendrino  Bemardino,  7. 
Zini  Loigi,  552. 
Zobi  Antonio,  527. 
Zacchi,  générale,  87.  88,  94,  104, 105,  109, 

413. 
Zucchini  Gaetano,  78,  79,  108. 


r/f//o 


Digitized  by  VjOOQIC 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOBDTO  —  EOUX  X  FAVAIiE  —  tobuto 


OJLRL,0  MAKIAKI 


Le  km  dell'lDlipdeDza  ItaliaDa 

dal  1848  al  1870 

STORIA  POLITICA  E' MILITARE 


VOLUME  PRIMO. 

Introduzione   (Vicende   dell'Italia  e   delPEuropa  dalla 
caduta  del  primo  Napoleone  fino  alla  esaltazione  di  Pio  IX) 

—  Carlo  Alberto  e  Pio  IX  —  L'agitazione  Lombarda  e 
la  guerra  del  Sonderbund  —  Le  Costituzioni  —  La  Re- 
pabblica  in  Francia  e  la  sollevazione  lombardo-veneta  — 
Lltalia  levasi  a  guerra  contro  TAustria  —  Le  armi  guer- 
reggianti  —  La  sede  délia  guerra  —  Primi  fatti  d'arme 

—  L'esercito  pontificio  nelle  Venezie  ;  sue  imprese  —  Il 
15  maggio  a  Napoli  —  Santa  Lucia  —  Annessione  délia 
Lombardia  al  Regao  Sardo  —  Dedizione  di  Venezia  alla 
Sardegna  —  Sommacampagna  e  Custoza  —  Milano  e  le 
tregue.  —  Indice  dei  nomi  propri. 


Un  vol.  di  oltre  650  pag.  in-8o  gr.  —  L.  S, 

Si  spedisce  in  porto  aifrancato  contro  vaglia  postale 
0  lettera  r&ccomandata. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOBiHO  —  ROUX  B  FAVALE  —  tomno 

CORRISPONDENZA 

EDITA  ED  INEDITA 


DEL  ooirrE 


CAMILLO  CAVOUR 

(1821-1861) 


Quest'opera  importantissima,  che  contieae  circa  900 
lettere  deirillustre  uomo  di  Stato,  délie  quali  la  maggior 
parte  inédite,  uscirà  corredata  da  interessanti  note  sto- 
piche,  in  tre  volumi,  in-8<»,  il  primo  dei  quali  sarà  pub- 
blicato  verso  la  âne  del  prossimo  giugno. 

Oiascun  volume  comprenderà  un  période  spéciale  délia 
vita  di  Camillo  Cavour,  e  la  materia  verra  ripartita  corne 
segue: 

VoL  I  (18âl-52)  -  DaU'ioeademia  militait  aUa  Preddema  iû  Ctin^ 
V   n  (1852-58)  -  AlleaRza  di  Crimea  -  Congresso  di  Parigi  -  Pteakièm. 

«  m  (1858-61). 


Si  spedisce  in  porto  &ûrancâto  contro  vaglia  postale 
0  lettera  raccomandata. 


Digitized  by  VjOOQIC 


ToaiHO  —  BOTJX  X  PAVALE  —  toeino 


O.  DI  PBRSAITO 


CAMPAGNA  NAVALE  DEGLI ANNI 1860  E 1X61 

DIAUO  PUfATO-fOUTICOllIUmB 


OUARTA   ■DHIONK 

sccnratameiite  rivedots,  ed  accnadnta  di  Tuie  pieùose  lettere  inédite 
del  Conte  di  Cavouk  e  di  note  dello  scrittore 


Un  volume  in  8°  grande  di  pagine  470  —  L.  6. 

roLim  mm  mluna 

(1863-1870) 


Vittorio  Emanuele  e  Giuseppe  Mazzini  —  Progetto  di 
spedizione  in  Gallizia  —  Viaggio  di  Garibaldi  in  Inghil- 
terra  —  Garibaldi  ad  Ischia  —  Paure  e  sospetti  dopo  la 
convenzîone  del  15  settembre  —  La  Permanente  di  Torino 
e  Gius.  Mazzini  —  Il  ministre  Ricasoli  e  Napoleone  III 
—  L'art.  V  del  trattato  di  Praga  —  Dopo  Montana  — 
Mazzini  e  Bismark  —  Mené  di  Mazzini  in  Piemonte  — 
Primo  tentative  di  conciliazione  fra  il  Ministère  Lanza  e 
la  Corte  Pontificia.  —  Indice  alfabetico  dei  Personaggi 
citati  nelPopera. 


Un  vol.  in-8o  gr.  di  pag.  450  —  Xj.  B, 

Si  spedisoe  in  porto  attrancato  contra  vâglia  postale 
0  lettera  raccomandata. 


Digitized  by  VjOOQIC 


Toanro  —  ROUX  k  PAVALE  —  tobino 


OAJEir.0  DIONISOTTI 


StORI4  DELIA  lÀGimATURÂ  PlEMONTESE 


VOLUm   PRIMO. 

I  Primordi  del  Piemonte  —  Le  prime  annessioni  — 
Gli  Statuti  di  Amedeo  VIII  —  Il  Senato  in  Piemonte  — 
La  decadenza  del  Piemonte  —  Emanuele  Filiberto  —  Le 
giurisdizioni  speciali  —  L'interinazione  délie  leggi  e  re- 
scritti  sovrani  —  Le  reggenze  —  La  Sicilia  e  la  Sardegna 
—  Le  Régie  Costituzioni  —  Lo  Stato  e  la  Ghiesa  —  L'or- 
dinamento  giudiziario  seconde  le  Régie  costituzioni  —  l 
Tribunali  Ecclesiastîci  —  L' occupazione  francese  ~ 
Unione  del  Piemonte  alla  Francia 


La  ristorazione  —  Il  Senato  dî  Genova  —  I  moti  libe- 
rali  —  I  Codici  —  Preminenze,  prérogative,  usi  e  costumi 
dei  Magistrat!  —  Lo  Statuto  —  Epilogo  —  Appendice 
(contenente  oltre  mille  biografie  di  magistrati)  —  Indice 
alfabetico  —  Indice  dei  magistrati. 


Ogni  volume  L.  6. 


Si  spedisce  in  porto  affrancâto^contro  vàgUa  postale 
0  lettera  raccomandata. 


Digitized  by  VjOOQIC 


ToxiKO  —  BOUX  B  PAVALE  —  toeiho 


VITTOBIO  BBBSBZIO 


IL  REGNO  Dl  VlTTOmO  EMANUELE  n 


TRENT'ANNl  Dl   VITA   ITALIANA 


S«M  pibblieati  i  priai  tre  Vtlui 
al  prezzo  dl  L.  3,60  il  1°,  di  L.  -4  cad.  il  2°  ed  il  3». 

MOijtfBNTri  P.  a. 


liSTOBUDIVEmilMUmPRITiTÂ 

DALLE  ORIGINI  ALLA  CADUTA  DELLA  REPDBBLICA 


OPKRA    PMMIATA 

(lai  Keale  iBtituto  Veneto  cLi  SdensEe,  Xjettere  ekX  ^rti 


See^nda  edizione  ri¥«dnta  «d  wpliata  dalI'Antere 


Un  volume  in-S»  grande  la.  7. 


Si  spedisce  in  porto  aûrancato  contro  vagUa  postale 
0  lettera  raccomandata. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOBiNO  —  EOUX  B  PAVALE  —  tobiho 


P.  G.  BOGKÏIO 


STORIA  POLITICO-MILITARE 


DBLLA 


mm  DELL'INDIPEIlDEm  ITILUNA 

(1859-1860) 
COMPILATA  SU  DOCUMENTI  E  RELAZIORI  AUTERTICHE 


Tre  grossi  volumi  inSo  grande  riccamente  illt&strcUi 


Eteneo  dei  ritratti  e  delte  illostniioBL 

Vittorio  Emanuele  II  —  Conte  Camillo  di  Cavour  — 
Générale  Garibaldi  —  Générale  Alfonso  Lamarmora  — 
Générale  Manfredo  Fanti  —  Générale  Enrico  Morozzo 
Délia  Rocca  —  Générale  MoUard  —  Générale  Giovanni 
Durando  —  Générale  Enrico  Cialdini  —  Comm.  Massimo 
d'Azeglio  —  Comm.  L.  C.  Farini  —  Barone  Bettino  Ricasoli 
—  Cav.  Lionetto  Cipriani  —  Cav.  Avv.  P.  C.  Boggia 
autore  deiropera  (morto  combattendo  nella  battaglia  narale 
di  Lissa  il  20  luglio  1866)  —  Napoleone  III  —  Principe 
G.  Napoleone  —  Maresciallo  Niel  —  Maresciallo  Mac- 
Mahon  —  Maresciallo  Reynaud  —  Générale  Forey  — 
Arrive  dei  volontari  in  Piemonte  —  Battaglia  di  Monte* 
belle  —  Battaglia  di  Palestre  —  Battaglia  di  Magenta  — 
Battaglia  di  S.  Martine  —  Assassinio  délia  famiglia  Gignoli 


Prezzo  dell'opera  compléta  L.  30. 


Si  spedisce  in  porto  âËrancato  contro  vagUa  postale 
0  lettera  racoomandata. 


Digitized  by  VjOOQIC 


TOBnro  —  ROUX  b  FAVALE  —  torino 


IjJL  twajlea. 


STORIA  DI  DUE  ANNI 

18A8-40 
Kritb  di  C.  AITGITSTO  YECCHI 


BBOOKDA.  SDIZIORB 


Due  volumi  in-S»  —  L.  3. 


TOM2EASO  "VAU^AXTRI 


LETTEBE  01 HLDSTIII  SCRinORI 


A  LUI  DIRETTE 


1  volume  in-8»  —  L.  6. 


VITA  DI  TOMMASO  VALLAURl 


SCEITTA  DA  ESSO 


1  volume  în-8o  —  L.  4. 


Shitraxnbi  i  volumi  assieme  Im  8. 

Si  spedisce  in  porto  attrancâto  contro  vagUa,  postale 
0  letterâ  raocomandata,. 


Digitized  by  VjOOQIC 


Digitized  by  VjOOQIC 


Digitized  by  VjOOQIC 


^-'?*' 


HARVARD  LAW  LIBRARY 
FROM  THE  LIBRARY 

OF 

RAMON  DE  DAI-MAU  Y  DE  OIJVART 
MARQUÉS  DE  OLIVART 


Received  December  31,  191  r