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LE GUERRE
DELL^INDIPENDENZA ITAUANA
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FEOPBIETjL lettebabia
(539)
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CARLO MARIANI
'. LE GUERRE
DELL'INDIPENDENZA ITALMA
Dal 1848 AL 1870
STOMA POUTICA E MMARE
VOLUME SECONDO
1882
ZUDT72: S T'ATSrj^JLJB
TORINO.
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CAPITOLO I.
Xj'Assemblea veneta.
Jj'Egtuario veneto, sue difeae, snoi difenson. — Cavanella d'Adige e
Mestre. — I Commissari régi e l'il agosto in Venezia. •— Il Cir-
colo italiano. NnoTO oïdinamento delVesercito. — La mediazione
anglo-francese. Parole di Niccolô Tommaseo alla Francia. — Il
Oircolo italiano; Kevere, Mordini e Dall'Ongaro. — Manin e l'As-
semblea veneta. — Fazione di Cavallino del 22 ottobre. — Assalto
di Mestre del 27 ottobre. — Gonsiderazione sa l'assalto di Mestre.
— Venezia e la Costituente italiana. — L'Assemblea veneta e il
5 marso 1849. — Disegni di guerra di Goglielmo Pepe.
Gagllelmo Pepe — il quale, corne già dicemmo, dopo
la caduta di Yicenza, erasi ridotto a Venezia con le poche
soldatesclie napolitane serbatesi in fede alla causa patria
— appena ebbe assunto il comando supremo délie forze
armate délia repubblica, fidatogli dal Governo, volse sue
cure a ordinare, istruire e assoggettare alla militare di-
sciplina Tesercito, per la massima parte composte di volon-
tari; i quali, se possiedono entusiasmo e valore, non sono
perô osservatori rigidissimi délie leggi délia milizia. Il
générale Pepe, avendo saputo fortemente volere, in brève
tempo consegui lo intente desiderato e che a ogni costo
bisognava raggiungere; ciô che a lui fruttô laude gran-
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6 OAPITOLO I
dissima, aile sue genti splendide vittorie e a Venezia la
forza di resistere a lungo e gloriosamente sempre a ni-
mico per numéro d'uomini e potenza di armi e di oifese
prépondérante dimolto. — Innanzi d'imprendere la narra-
zione délie geste compiutesi nel memorando assedio da
quella magnanima città con magnanime virtù sostenuto e
i cui fortissimi âgli scrissero allora una pagina gloriosa,
che mai non morrà, nella storia deirindipendenza italiana,
diremo brevemente delVEstuario veneto, délie sue difese
e de'suoi difensori.
Giusta Topinione di sapienti scrittori, sino dai primi
tempi del romane imperio il mare Adriatico allagava buon
tratto délie pianure, che oggigiorno distendonsi dalla foce
deirisonzo sino a Ravenna e verso Acquileia, Portogruaro,
Treviso, Mirano e Adria. I fiumi, che immettevansi in quel-
Tampio bacino, diminuendo d'assai la velocità délie acque
loro quando stavano per confondersi con le onde marine,
deponevano in esso le sabbie trascinate nel loro corso;
per la quale cosa a poco a poco alzossi il fonde ineguale
e yariato di quel bacino, da riempirne buona parte a vantag-
gio délia terra ferma e formare in quella, che allagata rimase
e laguna chiamossi, moite isolette e non pochi bassifondi.
La grande laguna adriatica componesi di quattro picciole,
separate da terreni piii o mono paludosi. La méridionale
— le valu di Gomacchio — trovasi fra Ravenna e il Po
di Volano; quella di Venezia, tra le foci dell'Adige e del
Sile; la laguna di Gaorle sta in mezzo alla Livenza e al
Tagliamento, e la settentrionale — quella di Grade — fra
il Tagliamento e l'Isonzo. Parleremo largamente délia la-
guna di Venezia, o Estuario veneto, perô che sovr'essa
soltanto siasi combattuta nel 1848 e 1849 la guerra tra gli
Austriaci e i Veneziani. ;— VEstuario è separato dal-
TAdriatico da una stretta lingua di terra, chiamata lito-
raie o lido; le sue acque comunicano con quelle del mare
per le spezzature o porti di Ghioggia, di Malamocco, di
San Nicolô del Lido, di Sant'Erasmo e di Treporti;le quali
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L A88EMBLEA YBRBTA
spezzature formano di quella lingua di terra altrettante isole,
che difendono Venezia dagli insulti deirondetempestose del-
TAdriatico, la quale città s'alza dalla laguna rimpetto al
porto di San Niccolô del Lido. Oon lo andare degli anni
quei naturali ripari, âagellati incessantemente dalFonde
del mare sarebbero caduti in rovina — soprammodo dove
per la loro strettezza porgono debole resistenza — se non
si fosse pensato ad aflforzarli con opère d'arte; da prima
con argini di terra e palafitte, poscia coi murazziy che
la repubblica diede mano ad erigere in su la meta del se-
colo passato: essi consistono in una robusta muraglia a
scaglioni, per lo piii in numéro di tre, di grossi massi di
marmo deiristria. I fondamenti del primo murazzo, co-
strutto nel litorale di Pelestrina, vennero gettati il 24
aprile 1744 sopra disegno di Bernardino Zendrini (1). —
La laguna .viene alimentata, non solamente dalle acque
del mare, ma altresi da quelle di fiumi e canali, che rice-
vono gli scoli délie vicine campagne per immetterli poscia
nelVampio bacino di Venezia. Allô alzarsi délie marée co-
pronsl tutti i fondi melmosi délia laguna; e allô abbas-
sarsi di esse tornano a comparire le maremme, che cento
canali e rivi solcano in ogni lor parte e in mille guise,
n fondo délia laguna, mano mano che s'allontana dal-
TAdriatico per awicipiarsi alla terraferma, va gradata-
mente elevandosi; per la quale cosa il muoversi délie
acque, notevolissimo in vicinanza del lido — causa il
marine flusso e riflusso, e le correnti che radono le spiag-
gîe, fortissimo al sofflare dei venti di Grecia e sempre
prédominant! su gli opposti — diminuisce col suo allon-
tanarsi dal litorale, ed è nuUo quando è prossimo alla ter-
raferma: donde il soprannome di viva o morta alla la-
guna rispetto aile varie località di essa. I grandi canali.
(1) Vedi Memorie storiche dello Stato antico e modemo délia laguna
di Venezitty dl BiRNARDii^o Zsin>RiNi.
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8 CAPITOLO I
che intersecano il bacino di Venezia ed haano comincia-
meato a'suoi porti, furono scavati dalle acque stesse nel
loro entrare in laguna e neiruscirne dai rotti del lido per
lo elevarsi e ritrarsi délie marée. Pari aile maggiori ar-
terie e vene del corpo umano, dividonsi quelli e suddivi-
donsi in numéro infinité di piccioli canali ; ed è per que-
sti che le acque si spandono uniformemente e crescono
a gradi a gradi in tutta la laguna, e in modo uniforme e
gradatamente si abbassano. I grandi canali sono le vie di
comunicazione del mare eon Venezia, con le isole e la
terraferma, e servono alla navigazione dei grossi legni
mercantili e dei pesanti délia marineria da gueira; e i
canali minpri, a quelli del trafflco minute. Per dare ai na-
viganti una guida e una direzione sicura, piantaronsi lungo
il corso dei canali stessi alcuni grossi pâli, che sporgendo
fuora del livello délie acque, eziandio nei tempi di mas-
sima piena, impediscono ai marinai di smarrire la buona
via e portarsi sui bassi fondi. Il canale di San Marco, che
da Venezia conduce al porto di San Niccolô del Lido; il
canale Orfano e il grande canale militare, che mena al-
Tarsenale e al porto di Malamocco; quelli di San Pietro,
Santo Antonio e Garoman, i quali, costeggiando il lido di
Pelestrina, vanno al porto di Ghioggia; il canale dei Ma-
rani e dei Garboneri, che conducono all'isola di Murano e
al porto di Sant'Erasmo ; in fine, quelle di Burano, che mena
al porto dei Treporti, e il canale di San Felice, che va ai
luoghi piii interni del bacino; questi, i principali délia
laguna veneta. Il porto di Malamocco è il maggiore délia
laguna ; verso l'Adriatico difendonlo due forti — Alberoni
e San Pietro — i quali s'innalzano a destra e a sinistra
délia sua entrata sui lidi di Malamocco e Pelestrina, aile
cui estremità, fiancheggianti il porto, avanzansi entro il
mare due dighe; le quali, mentre ne restringono l'imboc-
catura, accrescono gli utili effetti délie correnti e impedi-
scono gli interramenti. La profondità minima délia foce
di Malamocco è di cinque metri allô incirca ; di quasi tre-
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l'absemblea ybneta 9
cento la larghezza. — Il porto di Lido — un tempo il
principale, il migliore del bacino — è accessibile sola-
mente ai legni che pescano poco a fondo, da tre metri al
piii; strettissima e angusta ne è Timboccatura, che sta in
mezzo ai forti di Sant' Andréa — opéra del Sanmicheli —
e di San Niccolô, i quali forti difendonla verso il mare;
difficile assai Tentrare e Tuscire dalla foce, causa i bancU
di sabbia e i grossi sassi, dei quali è seminata molta parte
del fondo di essa. — Il porto di Chioggia, che apresi tra
i lidi di Pelestrina e di Sotto Marina, nel 1848 ^ra difeso,
Yorso TAdriatico, dai forti di Garoman e San Felice; la
sua foce ha larga Tentrata, la quale misura cencînquanta
metri allô incirca, e Tacqua alta di quasi sei metri ; non
pertanto è difficile accedere al porto, allora che impetuosi
soffiano i venti contrari e le correnti sono troppo vive e
perturbate. — Il porto di Sant'Erasmo, che trovasi fra la
estremità méridionale del litorale — e da quel porto ha
nome — e il forte di Sant'Andrea del porto di Lido, serve
soltanto a picciole barche e quàndo Tonda è quieta ed
alta; perô che abbia basse il fondo e la sua foce sia
per la massima parte ostrutta di banchi di sabbia. Esso
era difeso da due ridotti, costruiti nella, vicina isola délie
Vignole, i quali mediante un argine legavansi al forte di
Sant'Andrea. — Il porto di Treporti giace tra il litorale
di Sant'Erasmo e l'estremità méridionale del lido del Oa-
vallino ; la sua foce è tanto ostrutta di banchi di sabbia,
da lasciarsi appena accedere da legni pescanti pochissimo
a fondo ; la sua entrata era dalla parte del mare difesa
dal forte di Treporti — il qiiale elevasi sul lido del Ca-
vallino — e da terrati costrutti su quel di Sant'Erasmo.
In fine, a mezzogiorno del litorale di Sotto Marina trovasi
il porto di Brondolo, che è la foce del Bacchiglione e di
altre acque neirAdriatico. Facile ne è l'entrata a barche
leggere, quando tranquilla ô l'onda e alta la marea;
difficile, allora che il fiume per troppa piena travolge
furiosamente le sue acque, o il mare tempestoso con-
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10 OAPITOt.0 I
trasta a queste libéra Tuscita. — Oltre le opère fortiflca-
torie che dicemmo difendere Tentrata dei porti — délie
quali quella di maggiore momento è l'entrata di San Nie-
colô di Lido — altre opère di minore importanza stavano
sui litorali veneti per impedire ad armata nimica lo avvi-
cinarsi ad essi, e a' suoi marinai e soldati di sbarcarvl. 11
lido, o isola di Sant'Erasmo, délia forma di un trapezoide
convesso verso il mare, aveva quattro opère di fortiflca-
zione munite di artiglierie a' suoi quattro angoli, e una
testa di ponte sita quasi rimpetto al Lazzaretto Nuovo, e-
dificato in una picciola isola separata dal lido di Sant'E-
rasmo da un canale. A mezza via del forte di San Niccolô
alla terra di Malamocco sorgeva la batteria délie Quattro
Fontane; e poco lungi di Malamocco, il fortino di Mala-
mocco 0 délie Terreperse. Sul litorale di Pelestrina tro-
vavasi la batteria di San Pietro in Volta; su quelle di
Sotto Marina alzavansi alcune opère di poco rilievo; e a
chiudere la conca di Brondolo, un forte e un vallo. — La
parte interna del bacîno di Venezia era difesa da batterie
d'artiglierie affatto isolate — alcune délie quali rivestite
di mura e chiamate ottagoni per la loro forma ottagonale
— erette a Poveglia, a Campana, a Fisolo, a Buel del
Lovo, a Tessera, a Carbonara, a Campalto e a Murano ;
in oltre, era difesa da opère costrutte alla Certosa, posta
dietro il forte di Sant'Andrea, e nelle isole di SanfElena,
Santo Spirito, San Francesco nel Deserto, San Giacomo in
Paludo, ecc, e dal picciolo forte di Mazorbo presse Burano.
Marghera proteggeva la laguna dalla parte di terraferma;
antemurale validissimo di Venezia per potenza di difese,
solidità e saldezza di costruzione, i cui quartieri erano a
botta di bomba. Edificata in sul cadere del secolo scorso
daU'Austria, alla quale il trattato di Gampoformio aveva
conceduto la signoria délia città di Venezia, venue poscia
Marghera perfezionata dal Governo italieo, cui era stata
annessa dopo la memoranda giornata d'Austerlitz ; e ri-
prese nel 1814 la Lombardia e le provincie venete, l'Au-
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l'assbmblba yeketa 11
stria compi le fortiflcazioni di Marghera. A destra di que-
sta nel 1848 siedeva a cavalière del canale Osellino il pic-
ciolo forte di Oampalto, e dietro ad essa, quelle di San
Giuliano, oye il canale di Mestre mette foce in su la la-
guna; San Seconde difendeva il ponte délia ferrovia; San
Giorgio in Alga chiudeva i due canali, vecchio e nuovo,
che da Fusina vanno a Venezia, — Siede questa città in
mezzo alla sua laguna, quale ridotto di fortissimo campo
trincerato, dalle difese di Marghera, dai porti, dai litorali
e dalle batterie che lo circondano reso quasi inespugna-
bile, e atto a sostenere lungo assedio, se di buon presidio
munito e d'ogni cosa bisognevole alla guerra proweduto.
Separata dai mare e dalla terraferma, Venezia puossi of-
fendere solamente da Treporti, da Marghera e da Bron-
dolo; 1 quali fort! sono di valide appoggio ai difensori,
allora che escono alla campagna per assaltare e distrug-
gere le opère ossidionali, e molestare il nimico ne' suoi
campi.
Cacciati nel marzo gli Austriaci dalla città e dalla la-
guna, il Governo délia repubblica veneta rivolgeva sue
cure a restaurare le opère fortificatorie del litorale marit-
timo e a raccogliere armi e armati per la difesa. In su
le prime attendeva al lavoro con poca vigoria; piîi tardi,
quando la guerra cominciô a diventare grossa e minacciô
altresi di durare a lungo, lo spingeva con operosità e ala-
crità singolari. — Quando il générale Pepe assumeva il
comando suprême délie armi repubblicane, Tesercito ve-
neto sommava a ventun mila soldati allô incirca ; dei quali,
tredici mila di Venezia, sei mila délie Romagne, milleseicento
del reame di Napoli, novecento di Lombardia; a queste
forze aggiugnevansi di più due mila soldati di Carlo Al-
berto (1). Buon numéro dei Veneziani avevano militato sotte
(1) Carlo Alberto, richiesto dai Veneziani, sino dai cominciare délia
gnerra aveva mandato il générale Alberto Lamarmora in Venezia a
reggervi le forze armate e ordinarvi le difese e le resistenze. Cadate
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là GAPITOLO I
le bandiere austriache e compoaevano due battaglioai di
fanti d'ordinanza e un terzo di gente d'arme (1). Venezia
aveva mobilitato altresisette battaglioai di guardie cittadine,
e armata grossa schiera di volontari ; in oltre, il battaglione
Brenta e Bacchiglione era tutto di volontari délia pro-
vincia padovana e del Polesine; quelle dei veliti, o cac-
ciatoriy per la massima parte di volontari Trevigiani; in
âne, une squadrone di cavalli. I Romani contavano tre
reggimenti di volontari, due battaglioni di guardie citta-
dine bolognesi e un drappello di guide. Le genti di Napoli
erano ordinate in un battaglione di fanti leggeri, o cao-
Vicenza e Palmanova i Veneziani, yeggendosi più fortemente stretti
dal nimico, imploravano dal Ee di Sardegna soccorso di armi; e Carlo
Alberto, non ostante il poco prosperare délia guerra, esaudlTa la do-
manda loro inviando a Yenezia tre battaglioni di fanti, due mila no-
mini allô incirca.
(1) Tra i buoni officiai!, che militavano sotto le bandiere di Yenezia,
ya in pecnliar modo ricordato il colonnello Galateo, che, non ostante
grayissime difficoltà, seppe tener bene nnito il suo battaglione di fanti,
i qnali presidiavano TreTÎso, allora che questa città toglievasi alla
signoria straniera. Sebbene improyyidamente licenziati dal primo Go-
vemo, che Yenezia erasi dato, pure quei soldati continuarono a tenersi
in sn Tarme per combattere il nimico d'Italia. Minacciata Udîne dagli
Anstriaci, Galateo portavasi soUecito in suo aiuto; ma ginnto a Por-
denone vi raccoglieva il presidio di qnella terra, uscitone con le armi
in virtù dei patti délia resa. Dal Piave, che Inyano tentossi contrastare
a Nugent, Galateo fa Tnltimo dei combattent! a indietreggiare. H 21
maggio il générale Antonin! con qnattro mila nomini assaliva, non
Inngi da Yicenza, la schiera di Thom in cammino per Yerona; nella
qaale fazione Galateo comportossi tanto yalentemente da meritarsi spé-
ciale Iode dal générale Dnrando. Tre giom! dôço egli strennamente
pngnaya aile difese di Yicenza assaltata con armi preponderantissime
da Thnm, riedutoyi da Yerona per comando d! Radetzky. Il quale
glorioso fatto yenne di poi rammentato nel Parlamento subalpine coi
nom! d! coloro, che eransi in qnello soprammodo segnalati. Chiamato
poscia a presidiare Chioggia, Galateo qui ordinaya un altro battaglione
di fanti, che insieme al suo costitui un reggimento d'ordinanza; fu allora
egl! nominato a comandarlo col grade di luogotenente colonnello.
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l'assbmblea ybnbta 13
datoriy in due piccioli battaglioni di volontari, in una
batteria di otto cannoni da campo, e in una compagnia di
soldati degli ingegneri militari. I Lombardi componevano
WOL grosso battaglione di volontari e una compagnia di
giovani ingegneri. Nell'esercito délia repubblica trovavansi
eziandio drappelli di volontari di tutte le contrade d'I-
talia, e persino di Prancesi, Polacchi e Svizzeri. DeU'ar-
mata veneta — la quale, dimenticata a Pela nei giorni délia
sollevazione del marzo, era venuta per la massima parte
a mano deirAustria — rimanevano alla repubblica due
corvette di ventiquattro cannoni e due brick di sedici
che sotto il comando del contrammiraglio Bua stavansi
con la sarda comandata daU'ammiraglio Albini. NeU'ar-
senale délia città eravi una flregata di quaranta cannoni,
una corvetta di ventiquattro, un brick di sedici, una go-
letta di dieci, una barca cannonlera con una grossa ar-
tiglieria, un battello a vax)ore délia forza di centoventi
cavalli; in âne, da settanta piccioli legni e barche can-
noniere correvano la laguna a guardia dei canali, dei
forti, délie batterie e délie spiagge délia terraferma, Trova-
vansi su le navi venete tre mila marinai, mille fanti e
milledugento artiglierie con dugento cannoni ; le quali sol-
datesche porsero aiuto validissimo alla difesa di Venezia.
La città e i forti erano govemati dal générale Antonini;
il contrammiraglio Graziani dirigeva i lavori deU'arsenale ;
un Comitato, presieduto dal générale Armandi, reggeva le
armi ; e il colonnello Paolucci siedeva Ministre sopra la
marineria di guerra.
Avuta Vicenza per forza d'armi e Treviso per accordi,
Welden — come già scrivemmo — il 18 giugno con poco
piii di dieci mila fanti e alquante artiglierie occupava
Mestre, Bottenigo e Malcontenta; e brevi giorni di poi di-
stendeva sue genti lungo le coste del bacino veneto, pre-
sidiando a sinistra di Mestre le terre di Favaro, San Donà
sul Piave, Gava Zuccherina e Gavallino sul Sile ; e a destra,
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14 GAPITOLO I
Fusinà su la laguna, Mira e Dolo sul Brenta, Gavarzere e
Gavanella sul basso Adige. Intento del générale austriaco
era di togliere a Venezia le vie di comunicazione con
la terraferma; e con impedirle le vettovaglie sperava co-
stringerla a darsi per la famé. La quale ossidione per
essere, in raglone del numéro délie soldatesche che dove-
vano vegliarla, estesa di troppo, rimase inefficace; avve-
gnachè, non ostante i bandi severissimi di Welden, che
minacciava la morte a chi la rompesse, i contadini délie
campagne circondanti la laguna portassero giornalmente
a Venezia copia grande di viveri. — Il Governo délia re-
pubblica, fatta deliberazione di starsi su le difese, teneva
raccolto Tesercito in Marghera e dentro la laguna; dis-
sennato consiglio questo, perô che, essendo le marine pro-
tette dalle squadre confederate di Sardegna e di Venezia,
gli Austriaci non potessero assaltare i litorali. Dividere
poi l'esercito e suddividerlo per presidiare tutti i forti
e tutte le batterie grandemente nuocevano al suo am-
maestrarsi, alla sua disciplina; era proprio un condan-
narlo airozio. I supremi reggitori délia repubblica avreb-
bero assai bene proweduto non solamente alla difesa, ma
eziandio aU'offesa, se il nerbo délie loro armi avessero col-
locato nel triangolo curvilineo, che il basso Adige e il
basso Brenta col canale ^orzone formano a mezzogiorno
délia conca di Brondolo ; il quale, opportunamente munito
di trinceroni sarebbe divenùto un fortissimo campo, e le
opère forti ficatorie di Brondolo sarebbero state il suo ri-
dotto. In quel campo spazioso le soldatesche délia repub-
blica — psr la massima parte affatto nuove al mestiere
délie armi — avrebbero potuto addestrarsi nei piccioli e
nei grossi ordini, e in simulacri di pugna; apprendere
tutta l'industria délia guerra campale e diventare esperti
nei maneggi di essa; awegnachè Tesercizio continuato
faccia sempre buoni soldati; in oltre, da quel campo le
genti délia repubblica avrebbero facilmente potuto uscir
fuora a cercare la contrada intorno intorno per raccogliere
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l'assemblba yeneta 15
yettoyaglie, molestare e ferire per fianco e aile spalle i
nimici assedianti Marghera, e rovinarne o guastarne i lavori.
— iQBaiizi il giugnere di Pepe in Venezia VEstiiario era
partito in ire grandi distretti militari ; il primo — la
parte settentrionale del bacino — comprendeva Venezia,
San Giorgio in Olga, San Secondo, San Giuliano, Marghera,
Campalto, Murano e Treporti; reggevalo il vecchio géné-
rale Rizzardi. U secondo — la parte di mezzo délia laguna
— dalle opère fortiflcatorie di Sant'Erasmo, dalle Vignole,
da San Niccolô di Lido, da Malamocco estendevasi sino al
porto di Chioggia; comandavalo il luogotenente colonnello
Lanzetta. L'ultimo — la parte méridionale delïEstuarîo —
governato dal contrammiraglio Marsich — dai forti di Ca-
roman San Felice scendeva sino al porto di Brondolo. 11
générale Pepe diede alla laguna un nuovo ordinamento;
con Sant'Erasmo, Treporti e Burano — tolti al primo di-
stretto militare, che comprendeva le opère più importanti
délia difesa — formô il quarto distretto, al cui governo
prépose il maggiore Belli délia marineria di guerra, e levô
al Lanzetta il comando del terzo per affldarlo al générale
San Ferme. Antonini, il quale non voleva riconoscere a
capo suprême Guglielmo Pepe, délia propria autorità g^
loso, di quella dell'emulo invido troppo^ fatto rlnuncia al
suo ufflcio, sdegnoso lasciava Venezia. — n 21 giugno le
guardie cittadine mobilitate assaggiaronsi per la prima
Yolta con gli Austriaci. Una picciola presa del primo bat-
taglione di esse, uscita di Margbera, assali e respinse le
ascolte del campo nimico e distrusse i ripari innalzativi
a difesa. Due giorni appresso il battaglione lombarde venue
a badaluccare con gli imperiali dinnanzi a Mestre, e gua-
stô il vallo da quésti eretto a loro difesa. — 11 générale
Pepe, che di quel giorni aveva risoluto di soccorrere Pal-
manuova, di tentare Udine e levare il Friuli in su l'arme,
non potendo compiere il ben meditato disegno, causa la
precipitata resa di quella fortezza, deliberava togliere
agli Austriaci Gavanella su TAdige, pocM di prima occu-
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16 CAPITOLO I
pata da Welden allô scopo di allargare Tossidione dello
Estuario. Siede Cavanella su quel fiume a dieci chilo-
metri dal mare, e a nove da Brondolo, cui Tunisce" il ca-
nale délia Valle; una testa di ponte bastionata difendeva
ivi il passo deU'Adig^. Il 7 luglio fu stabilito per Timpresa,
che Ferrari, générale délie armi pontiflcie, doveva com-
piere con due artiglierie da campo e quattro battaglioni
di fanti, il Lombarde, uno di Napolitani, une di Bolognesi
e quelle dei cacciatori del Sile, i quali insieme contavano
milleseicento uomini. Nella notte del 6 al 7 luglio, valicato
il Brenta presse Brondolo, questi battaglioni recaronsi a
Sant'Anna ; indi, ordinatisi in tre schiere, mossero contra
Cavanella. La schiera di destra procedette costeggiando
il canale délia Valle ; quella di mezzo avanzossi per la via
di SanfAnna; e la schiera di sinistra, scesa a Portesine
e passàtovi l'Adige, risali la destra del ûume. Aveva questa
a correre prima aile offese, e le altre due, quando avessero
veduto 1 nimici vivamente aile mani con gli assalitori,
dovevano fare ogni sforzo per superare dalla loro parte
il vallo; ma falli l'impresa per non essere stati gli assalti
condotti giusta gli ordinamenti del générale Pepe. Arri-
▼ate ad ora assai tarda a Portesine le barche da tragittare
alla destra delFAdigo il battaglione lombarde con le due
artiglierie che le seguivano, la schiera di destra — com-
posta dai cacciatori del Sile — non avendo potuto frenare
la impazienza sua di azzuffarsi col nimico, corse anzi tempo
airassalto ; quella di mezzo siibito Tappoggiô ; ma la schiera
di sinistra tardô alquanto a spalleggiarla. Il presidio au-
striaco di Cavanella, afforzato dalle soldatesche venutevi
nel mattlno per dargli lo scambio, non solamente fece
buona resistenza, ma eziandio ributtô con vantaggio i ni-
mici. Dope alcune ore di combattimento il générale Ferrari,
veduto tornar vano lo assalire, si toise giù dairimpresa,
e ce' suoi battaglioni si ritrasse a Sant'Anna e a Chioggia,
senza patire molestia veruna dagli imperiali. — Del fallito
tentative a torto incolpossi quel générale; egli fu bensi
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L ASSEMBLEA YEKETA 17
poco preveggente, non colpevole perô ; egli in quel giorno
confermô la fama di soldato valoroso, a buon diiitto acqui-
statasi in tanti combattimenti ; ma si mostrô capitano poco
esperto; oade perdette la flducia de' suoi soldati. — A vie
piii indurire e bene ammaestrare alla guerra Tesercito, e
a tener viva in esso con Tardore del combattere anche la
speranza di vincere, speranza di oui tutto allora ardeva,
Gruglielmo Pepe faceva deliberazione di badaluccare so-
rente coi nimici e perigliare di continuo i soldati suoi al
mestiere délie armi in piccioli affronti, destreggiandosi
perô di maniera da non essere costretto mai di venire a
fazione grossa con gli assediatori. E per rifarsi dello scar
pito patito a Gavanella e rinfrancare siibito l'animo délie
sue genti, il 9 luglio ordinô al presidio di Marghera di
uscir fuora ad abbattere il vallo eretto dagli imperiali da-
vanti a Mestre e lungo il canale. Nelle ore vespertine del
9 luglio due picciole prese di armati — che insieme som-
mayano a cinquecento uomini — avanzavansi dalla fortczza
contra Mestre, Tuna per la via ferrata, Taltra costeggiando
il canale. Allora che furono presso a una moschettata, si
spinsero con taie furia all'assalto del vallo nimico che i
difensorî, non potendo resistere aU'impetuoso loro urto
sîibito indietreggiarono ripiegandosi in Mestre ; che avreb-
bero senza contraste veruno abbandonato se i vincitori li
avessero perseguiti e vivamente incalzati. Paghi dello al-
lontanarsi degli Austriaci dalla laguna — onde l'ossidione
dinnanzi a Marghera veniva ad allargarsi non poco — ca-
richi d'armi e di munizioni da guerra tolte ai nimici, la
sera stessa di quel giorno 9 rientravano nella fortezza.
Mutatasi la repubblica veneta in provincia sarda, l'As-
semblea — alla quale dopo la rinunzia fatta alla propria
sovranità, non rimaneva più carico alcuno da compiere,
ne ufflcio da esercitare — avrebbe dovuto da se stessa li-
cenziarsi ; ma i Deputati, quasi presaghî délie sventure, di
cni tra brève tempo la patria loro sarebbe stata afflitta, pre-
8 — Yol, II, MiBîANi — Storia pol. e mil.
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18 OAPITOLO I
tessendo il diritto di confermare o rinnovare i membri
del Governo fino alla instaurazione del nicovo patio, si
mantennero neU'usato ufficio. La dedizione di Venezia a
Oarlo 'Alberto, aveva pienameate esauditi i desidèri e le
aspirazioni dei devoti alla monarchia sabauda; se non in
fatto, potevasi perô aiSermare esistere allora in diritto il
regno dell'Alta Italia tanto sospirato. La patria è salva,
aveva in quei giorni gridato il Castelli ; ad essa verranno
sussidi di danaro e soldatesche dalla Sardegna, avevano
asserito Paleocapa e i partigiani dell'annessione. Ma Ve^
nezia non ebbe mai soccorso di danaro, di cui somma-
mente penuriava (1); e di armati, aiuto picciolo e ineffi-
cace; e di 11 a pochi giorni vedeva la spada soccorritrice
di Carlo Alberto — al quale aveva fatto sacrificio di sue
libertà repubblicane per assicurarsi T indipendenza, ca-
dere sul Mincio e a Volta, e rompersi a Milano. — Il
danaro promesso non giugnendo mai, il Governo veneto,
a provvederne per le nécessita délia guerra, le quali an-
davano ogni di più aumentando, il 19 luglio toglievane a
prestanza su gli ori e gli argenti dei cittadini, e su gli
stipendi degli ufflciali pubblici oltrepassanti lire mille
ottocento aU'anno ratteneva un tanto ogni cento lire. —
In questo mezzo la città veniva fortemente commossa dalle
novelle di gravi disastri toccati all'esercito regio. In preda
a febbrile agitazione il popolo recavasi numerosissimo agli
uomini del Governo, chiedendo avessero a smentire o a
confermare quelle notizie; pregavali di dire francamente
la verità, aU'intento di provvedere alla bisogna senza in-
dugio e con offlcacia; maisupremi reggitori, nuUa avendo
ricevuto dal Re, nuUa potevano dire dei casi che la fama
gridava luttuosi e tristi. Pochi giorni innanzi il cadere del
luglio il Governo di Milano loro scriveva cosi : = Le fac-
(1) Vanne del danaro a Venezia da collette di privati, da qnalche
città e provincia d' Italia; ma, in ragione dei bisogni grandi e impe-
riosî, fa scarsissimo.
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l'asssmblba ybnbta 19
cende délia guerra volgere a maie; l'esercito di Carlo Al-
berto, sopraffatto dal numéro dei nimici a Sommacam-
pagna e a Custoza, ritrarsi dietro il Mincio, consiglio
prudente il prendere soUeciti il partito piîi vigoroso e piîi
gagliardo, e qtmle esso aveva già preso in Lombjirdia, =
In quel di stesso giugneva al Governo veneto uua lettera
del maresciallo Welden, il quale, annunziando la piena
sconûtta e lo indietreggiare deirarmi sarde dal Mincio, in-
vitavalo a cogliere quel momento, cKessere doveva Vul-
timo, per trattare delta loro causa prima che fosse in-
tieramente perduta (l). — Rispondevano a lui gli uomini
del governo in queste sentenze: = Non potere discutere
da son una causa che essi avevano comune con tutti i
popoli d'Italia ; e che se questa causa fosse ridotta niella
sala Venezîa, proverebbero essere assai lontana dalla sua
rovina (2). = La quale risposta è molto da riprovarsi,
perché non degna di uomini liberi e indipendenti; al gé-
nérale austriaco, che aveva mentito asserendo che l'eser-
cito del Re era stato compiutamente distrutto sul Mincio,
dovevansi rispondere parole più dignitose e piîi fiere. —
Il 6 agosto il Governo faceva conoscere ai cittadini avère
(1) n 27 Inglio 1848, il luogotenente maresciallo Welden dal sno
qnartiere di Mestre scriyeya al Governo cosi : a Dopo nn combattimento
ofltinato di tre giomi, l'esercito di Carlo Alberto venne compiutamente
distratto; il nostro oggidi sta a campo in sn TOglio. lo sono nomo
d'onore; délie menzogne sarebbero indegne e anche inntili, potendo
▼ci in pochissimi giomi rettificare qnanto io vi ho ora asserito. Qnesto
sarebbe il momento opportnno, ma l'ultimo, per discntere una causa
prima che essa non sia intieramente perduta. Io ho l'onore di essere... »
(2) n Governo veneto subito rispondeva cosi al générale austriaco:
u Eccellenza; abbiamo ricevnto la lettera del 27 andante, che la £. Y.
ci ha indirizzata. Apprezziamo i sentlmenti, ai qnali l'ascriviamo. Cre-
diamo su la vostra parola il fatto che ne annunziate. Vol ci dite che
qnesto sarebbe il momento, ma l'ultimo, per discutere nna causa che
abbiamo comune con tutti i popoli d'Italia. E se questa causa fosse
ridotta nella sola Venezia, noi speriamo che vi si proverebbe, Eccel-
lenza, che sarebbe molto lontana dall' essere perduta. Abbiamo l'onore... »
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20 GAPITOLO I
i Parlamenti subalpini accettata l'annessione di Venezia
alla Sardegna; essi guarantivanle sino al raccogliersi del
comune Parlamento, la libertà di stampa, il diritto d'unirsi
in compagnie e di congregarsi e Tistituzione délie gtiar-
die nazionali; in oliT^y rendeva noto essere stati eletti dal
Re a reggere temporaneamente in Venezia la cosa pub-
blica il générale CoUi e il Cibrario, piemontesi, e Tawo-
cato Castelli, veneziano, il quale allora presiedeva al Go-
verno délia città. Il di vegnente, in mezzo a gazzarra
fragorosissima d'artiglierie, ma deboJe di acclamazioni di
popolo — il quale applaude con entusiasmo solo ciô cho
è veramente generoso — su la maggiore piazza délia città
e su gli stendardi di San Marco, alzavasi la bandiera na-
zionale dei tre colori con lo scudo di Casa Savoia ; e i
Commissari régi prendevano possesso délia terra e pro-
vincia di Venezia in nome di Carlo Alberto. Il Governo
veneto ebbe allora flnito il dover suo e la sua missione, e
TAssemblea, non avendo piii da eleggerne i membri, cessô
di esistere. Mentre Venezia vedeva innalzarsi su la piazza
di San Marco la bandiera nazionale con lo scudo sabaudo,
Milano rivedeva su le sue mura sventolare le insegne ab-
borrite di Casa d'Absburgo; il 7 agosto i Commissari di
Sardegna acclamavano in Venezia il regno delVAlta Ita-
lia ; il 7 agosto Carlo Alberto, con l'animo pieno d'ango-
scia e Tesercito rotto e disordinato, ripassava il Ticino.
che quattro mesi innanzi aveva valicato pieno di baldanza
e sicuro délia vittoria.
In questo mezzo giugnevano a Venezia novelle funestis-
sime, novelle del campo e délia Lombardia. Correva famn
che Milano, dopo Tinfausta giornata di Custoza, avesse gri-
dato la pairia in pericolo; che il re Carlo Alberto, rac-
colta la guerra intorno alla metropoli lombarda, si prépa-
rasse a tentare Tultima prova; ancora una sconfitta e la
causa patria sarebbe perduta. — La nuova délie tregne di
Milano e délia ritratta deiresercito Sardo al di là del Ti-
cino perveniva il 9 agosto ai Commissari régi; i quali
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L*A8SEMBLEA VENETA 21
perô non osavano farsene banditori, avvegnachè poche ore
prima avessero parlato di vittorie e di trionû. Sebbeae la
tristissima notizia corra la città yaga e incerta, non per
tante il popolo si commuove, si agita, e tumul tuante chiede
ai supremi reggitori, che vede inerti e silenziosi, provve-
dimenti pronti e che valgano ad assicurare gli animi e
tutelare efflcacemente la città. — £ Tll agosto; Welden
ha scritto da Padova ai Gommissari régi per far loro co*
noscere i patti dolle tregue fermate in Milano dal géné-
rale Hess per Tlmperatore, e dal générale Salasco per
Carlo Alberto. I cittadini, venuti in sospetto délia cosa, in
sul cadere del giorno recansi in foUa al palazzo nazionale
e chiedono di conoscere la verità in tutta la sua pienezza;
e tardando i Gommissari a soddisfare a taie giusta demanda,
prorompono in furiese grida, minacciando di invadere il
palazze, se ancera indugiano a comparire: onde fu forza
affacciarsi aile ânestre e parlare ai cittadini délie tregue
e délia caduta di Milano. — E di Venezia che sarà mai 9
gridavano allera alcuni di essi ; e il générale Gelli, il quale
non ardiya palesare il patte délia tregua che tante feriva
al cuore quel popolo generoso, rispondeva: = Nulla sa-
père che la toccasse. = E la squadra sarda che farà 9
domandavane al tri; e il générale seggiungeva: = Nessun
comando avère per essa riceûuto dal Re. « Le quali ri-
sposte crebbere a dismisura il furore dei cittadini, che ac-
cecati dairire avrebbere forse commesse vielenze, se non
U avessero saputo frenare alcuni uemini amati e rispet-
tati daU'universale per l'esimie loro virtîi; uemini, che
amavano Venezia quale seconda patria; ed erano Mer-
diui di Tescana, Sirteri di Lombardia e altri ancera,
tutti pei di fede repubblicana. Pertatisi essi dinnanzi ai
Cenimissari, invitaranli a rinunziare al loro officie; il
Castelli prometteva loro di tornare siibito a vita privata,
Il Gibrario, sbigottite e confuse, tenevasi mute; ma il
générale Gelli, cen rigidezza soldatesca e con franchezza
imprentata di lealtà, dope avère chiesto chi essi si fes-
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22 GAPITOLO I
sero, diceva: « Noi stavamo discutendo ciô che meglio
convenisse operare in tanto difficile momento; delibere-
remo solo allora, che ci sarà noto il vero stato délie
cose. » E Mordini a lui con eguale franchezza e pari fer-
mezza: « Se tardate a ritirarvi dal vostro offlcio, noi non
possiamo piii guarentirvi la vita. » — «E che, riprendeva
a dire il générale, credete forse intimorirmi? Combattendo,
perdetti una gamba; tre flgli consecrai alla patria, soldati
al pari di me; non uso a indietreggiare mai dinnanzi al
pericolo^ saprei morire al mio posto, non m'importa il
modo. > — Tacendosi il Mordini, rispondeva a lui il Sir-
tori cosi : « Qui di persone non trattasi, e noi rispettiamo
il raarchese Colli; malasuprema potestà, che poc'anzi ttî-
nevate in vostre mani, ora appartiene al popolo. Se le
tregue di Milano hanno tradita la Lombardia, esse non
possono tradire Venezia; ogni patto è infranto; in nome
del popolo, noi vi comandiamo di cedere. » — « E quale
popolo, esclamava il générale, dov'è il vostro mandate? lo
qui veggo soltanto alcuni faziosi!... » Allora Sirtori, aperte
con impeto le imposte di una flnestra, soggiungevagli :
« Ecco il popolo che vi comanda di ritirarvi: obbedite. »
— E il Colli, affacciatosi alla finestra, alla moltitudine dei
cittadini congregati in su la piazza gridava cosi: « Popolo
Veneziano, dite se noi dobbiamo rinunziare al nostro of-
flcio. » — « Si, si, rispondevano i cittadini, vogliamo Ma-
nin ! » Daniele Manin, cui il Castelli era già ito a pregare
di correre in aiuto al Qoverno pericolante e a salvare
la patria, presentatosi di li a brevi momenti alla finestra,
parlava al popolo queste pai'ole: « I Gommissari régi hanno
fatto rinunzia al potere; tra due giorni si riunirà TAssem-
blea; per quarantotfore governo io. > Il popolo a lui, che
tanto amava, rispondeva con applausi prolungati e pieni di
entusiasmo e con immense grida di gioia. Fidenti neiruomo,
che nella fortunata sollevazione del marzo aveva avuto tanta
parte, i cittadini, ripresala quiète usata, facevano ritornoalle
loro case, pieno il cuore di liete speranze per lo avvenire
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l'assehblba ybxbta 23
délia patria; ogni tumulto subito cessô, e i Veneziani, rifatti
liberi e padroni di loro stessi, vedevano tornare tranquilli
e sereni i giorni e splendenti corne per lo addietro, perô
che allora, corne per lo passato, Danielo Manin vegliasse
alla sicurezza e pace délia città. Alla chiamata sua le guar-
die cittadine accorsero numerose aile armi e da settecento
oflTrironsi di recarsi ai forti délie lagune ad accrescervi i
presidi, assottigliati causa la partenza délie mllizie del Bor-
bone di Napoli — avvenuta il 10 di quel mese di agosto
— il quale, per mezzo del console napolitano in Venezia,
aveyale indotte a riedere a lui. Saldi nella fede data, ri-
masero con Pepe, gli ufflciali nelle artiglierie Musto, Mez-
zacapo, UUoa, Boldoni, Cosenz e Virgili ; Salomone, degli
ingegneri militari; Materazzo, Vaccaro, SanMarthio, Oliva
e Foglia, délie fanterie; Diaz, dei dragoni. — Il Governo
veneto ritennesi la batteria di cannoni per pagarsi délie
somministrazioni di carbone e viveri fatte alla squadra e
aile soldatesche borboniche. — Erano appena i Napolitani
usciti di Venezia, che gli Austriaci prendevano a fulmi-
nare Marghera coi cannoni di due batterie innalzate su la
destra del canale di Mestre a mille metri dalla fortezza ; le
cui artiglierie in due ore di combattimento, tanto guasta-
rono le batterie e i cannoni degli assedianti, da costrin-
gere questi a cessare dalle oflTese. I difensori non patirono
danni ; degli artiglieri austriaci sedici caddero morti, ven-
tidue feriti. — Nella notte stessa deH'll agosto Tommaseo
e Toffoli recavansi a Parigi per cercare l'aiuto délia re-
pubblica francese, dal Governo sardo stato imprudente-
mente respinto. Due giorni dopo TAssemblea veneta riu-
nivasi per eleggere i nuovi governanti; e con suffragio
unanime, fatta deliberazione di âdare il reggimento délia
cosa pubblica a tre Dittatori sino a che la patria si tro-
vasse in pericolo, gridava Manin sopra l'amministrazione
interna e su la politica esterna; il contrammiraglio Gra-
zianî, sopra la marineria da guerra ; e il colonnello Cave-
dalis, sopra le armi.
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24 CAPITOLO I
Già da tempo una schiera eletta di Veneziani ed eziin-
dio di cittadini di moite parti dltalla — illustri tutti per
le scienze che professavano, per le arti e le industrie che
esercitavano — avevano îstituito un Circolo, noto sotto il
nome di Circolo Italiano; scopo di quelli, giovare con le
forze e Tingegno loro al Governo délia repubblica, allora
aggravatissimo di cure, e partecipare aile sue fatiche. I
consigli e i disegni messi innanzi dal Circolo^ anche nei
momenti supremi délia patria a vantaggio del bene comune
furono respinti o poco favorevolmente accolti da Manin,
ne ai tempi del suo primo governo — dal marzo 1848 corso
sino al giorno délia dedizione di Venezia alla Sardegna —
ne di poi , cioè dairil agosto , aU'onorevole caduta délia
repubblica, ei voile veder sempre nel Circolo un ufflcio di
sindacato deU'operar suo, non mai un sincero coadiutore
all'opera del Governo. Tornata la Lombardia sotto la domi-
nazione austriaca, molti cittadini emigrarono da essa per
ripararsi nel vicino Piemonte, nella Svizzera, in Toscana
e nelle Romagne, e non pochi recaronsi a Venezia, tra i
quali Pietro Maestri — une dei membri del Comitato di
pubblica difesa di Milano — e il poeta Giuseppe Révère,
che tanto degnamente rappresentarono quella infelicissima
terra e aflforzarono Teletta schiera del Circolo italiano, nel
suo seno accolti con grande testimonianza di fratellevole
affetto. Manin, non solamente ne ingelosi, ma venue in so-
spetto che gli uomini del Circolo — egregi per cuore, in-
gegno e valore — volessero surrogare lui e i compagni
suoi, Graziani e Cavedalis, nel reggimento délia repubblica;
eppure quei savi, quegli onesti cittadini, veraceipente
amando il dittatore, studiavansi di rendergli piana e facile
la via ch'ei doveva percorrere, la quale era irta di esta-
coli e piena di tribolazioni. Tra i desidèri degli uomini del
Circolo primissimo era quelle, che cittadini di tutte le pro-
vincie italiane si chiamassero al Governo délia repubblica,
afflnchè avesse a rappresentare, non la sola Venezia, ma tutta
la patria italiana. Per raggiugnere taie intente, che doveva
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l'assemblba vkneta 25
<*
tornare a comune vantaggio, il Circolo maneggiavasi, non
già nel mistero, ma apertamente e con lealtà, perô che di-
scutesse in adunanze quotidiane e pubbliche. AUoraManin,
Graziani, Cavedalis e gli amici e i consiglieri loro — tra
i quali alcuni per ambizione, altri per interesse appoggia-
vano i dittatori — fecersi a combattere e a perseguitare
il Circolo, e, spargendo calunnie e menzogne, a muoyere
contr'essi l'odio del popolo. La fama non correva favore-
Yole a Graziani e a Cavedalis, che dicevansi non solamente
inetti alFalto carico loro affldato, ma anche traditori, per-
ché abusando deiraltrui fede, tenevano un offlcio che non
sapevano saggiamente esercitare, e persino malvagi, per-
ché contra Topinione del popolo, ostinavansi a rimanere
in an seggio, che non sapevano degnamente occupare. Gra-
ziani e Cavedalis, sebbene si s^pessero invisi ai cittadini,
perché difesi e sostenuti da Manii? alla cui volontà doci-
lissimi sempre si piegavano, stettero w-vldi nel triumvirato.
Allora che Cibrario e Colli, i Commissari régi in Venezia,
ebbero lasciato questa città — e f u VU agosto — il générale
Pepe riprendeva la suprema autorità militare (1), che da
quel giorno sino alla caduta délia repubblica serbô in tutta
sua integrità e tenne sempre con fermezza, quale era ne-
cessaria per condurre a onore la difâcile guerra. — Non
ostante il continue insistere di Welden e del comandante
la squadra austriaca presse 11 générale Alberto Lamarmora
e Albini, coutrammiraglio délia squadra sarda per lo adem-
pimento pronto e intero dell* articolo quarto délia tregua
fermata a Milano, Lamarmora e Albini, pretessendo gravi
impedimenti, ritardarono lor partenza di Venezia, allô
scopo di dare tempo ai triumviri di provvedere quanto
abbisognava a validamente sostenere V assedio , e a bene
(1) Il générale Alberto Lamarmora lasciô assai più tardi le lagune
venete co' snoi battaglioni, che allora presidiavano Chioggia e i porti
di Brondolo. ,
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CAPITOLO I
ordinare le difese e le resistenze (1). AUontanatesi dalle
acque di Venezia le navi régie e riparatesi dietro il lito-
rale di Malamocco quelle délia repubblica, la squadra im-
périale correva da Pola a schierarsi dinnanzi i lidi veneti
e ne chiudeva i porti. Il 16 agosto i Dittatori, abolito il
Comitato di guerray istituivano una Consulta di difesa,
composta dal contrammiraglio Bua, dal colonnello Milani,
dal luogoteaente colonnello Ulloa", dal maggiore Lulgi
Mezzacapo e dal capitano Mainardi délia marineria di
guerra; e taie Consulta aveva, con la potestà suprema
su tutte le faccende délia difesa, il carico di vegliare al
sollecito eseguimento di quanto venisse per la difesa stessa
ordinato. Il triumviro Cavedalis e il générale Pepe intesero
allora ogni cura a restaurare e accrescere le fortiflcazioni
del bacino e dei litorali, e a costrurre un campo trincerato
dinnanzi a Brondolo, dal quale si potesse împedire ai ni-
mici di sbarcare alla foce del Brenta e penetrare da quella
parte entre la laguna; in oltre diede>o aU'esercito un
nuovo ordinamento. Esso venue divise in cinque legioni,
ciascuna di milledugonto soldati regolari e irregolari délie
provincie venete; i due piccioli battaglioni di Napolitani
riunironsi in un solo, cui si aggiunsero le reliquie di
quelle di Rossaroll, il quale aveva fatta la giornata a Cur-
tatone. I molti volontari, d'ogni parte accorrenti a Venezia,
portarono a numéro Tesercito délia repubblica, non poco
assottigliatosi per la partenza délie genti di Napoli e di
Sardegna (2). Erano quegli aiuti una compagnia di volon^-
(1) Il générale Pepe tentô allora gli animi dei soldati del Re, spe-
rando di tenerseli in Venezia. u In quanto al morale, scriveva di qnei
giomi Alberto Lamarmora al Ministro sopra le armi in Torino, non
debbo nascondere alla E. V. che, rispetto ai sensi di fedeltà, è eccel-
lente, e tutti unanimi ufficiali , sott'ufficiali e soldati respinsero le in-
&mi propoBte — fatte dal générale Pepe e suoi ufficiali, di dichiarare
il nostro Re traditore, ecc. — e si condussero nel modo più onorevoie. r
(2) U 20 agosto Lamarmora volgera queste parole generose e paterne
a' suoi soldati, i quali, saputi i patti délie tregue di Milano, mostra-
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l'assemblea vkneta 27
tari anconitani, un battaglîone di Bolognesi, i cacciatori
délie Alpi e il battaglione degli studenti deir Università ;
cenquaranta artiglieri lombardo-veneti ; i quali tutti ave-
vano combattu to a Cornuda, o a Vicenza, o a Treviso ; e
che, dopo avère posato per tre mesi le armi in forza dei
patti délia dedizione di quelle città, riprendevanle per peri-
gliarsi in nuovi cimenti alla difesa di Venezia, la quale con
sommo onoro e singolare virtii teneva alto il vessillo nazio-
Qale. Ilcorpo dcgli ingegneri militari ebbe allora uno stabile
ordinamento per opéra del luogotenente colonnello Ron-
zelll, antico ufflziale deiresercito italico ; quello délie arti-
glierie ricevette notevoli accrescimenti durante il lungo
assedio; esso contô sino a dieci compagnie di artiglieri,
presidianti i forti ûélVEstuario; due batterie di cannoni
da campo, ciascuna di otto artiglierie ; e la legione degli
artiglieri volontari veneti — duo compagnie — nota sotto
il nome di Bandiera-Moro. La quale legione, da prima
composta d*una sola compagnia di cento soldati eletti, era
stata— appena Venezia rivendicatasi in libertà — istituita
in onore e ricordanza di que* suoi figli, poco innanzi caduti
sai campi sanguinosi di Cosenza per la causa patria. In-
sieme gli artiglieri corttavansi due mila, e avevano sedici
cannoni da campo e cinquecento cinquanta di grosso e
diverso calibro per la difesa dei forti delV Estuario. Con
Taumentare dei bisogni délia guerra accrebbesi ancora il
numéro degli artiglieri, che sommô col progredire deU'as-
sedio sino a quattro mila; nei quali yoglionsi comprendere
i soldati délie artiglierie cittadine di Venezia e Chioggia. Il
Yansi impazienti di ragginngere Tesercito: « Figli miel, Tordine di
partenza non tI fa ancora partecipato; e cosi, sintanto che ciô possa
ayyemre, staremo fenni al nostro posto; operando altiimenti si espoiv
rebbe yilinente a pericolo la sorte di questa illustre città e potrebbe
yenire macchiato il nostro onore e quello délia nazione nostra, con-
servato sinora illibato in mezzo ai disastri, al dire stesso dei nostri
nîmicL n
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28 GAPITOLO I
ministro delle armi Gavedalis diede al générale San Fermo
— eletto in quel mezzo visUatore delle fanterie e délia ca-
valleria — il carico di ordinarne ramministrazione, miglio-
rarne rarmamento e fornirle di tutto quanto abbisognassero
per la guerra, che ben prevedeva lunga e faticosa. Il Mi-
nistre provvide altresi a fabbricare polvere da fuoco e
munizioni d'ogni sorta, a fondere artiglierie e costruire
carrette per esse ; ma poco curossi e fece per gli ospedali,
corne era pur débite suc ; e se non fosse stato délia carità
cittadina, che donô a quelli copia grandissima di letti,
materassi, lenzuoli e coperte, i malati e i feriti avrebbero
sofferto assai gravi disagi e privazioni dimolte..Nè Gave-
dalis si prese cura dei quartieri dei soldati, ch'erano mal-
sani e angusti : onde gli uomini ebbero neirinverno a pa-
tire danni gravi e non pochi, e gli ospedali riempironsi
di infermi e l'esercito stremossi di forze. Sebbene con lo-
devole ardore si lavorasse neir arsenale, nonpertanto la
marineria veneta fu sempre inferiore al bisogni délia
guerra; e allora conobbesi tutta la gravita dell'errore
commesso da chi, nei primi giorni délia soUevazione dei
marzo, erasi trovato al Governo délia cosa pubblica, cioè
di non avère spedito direttamente dei messi ai comandanti
delle navi venete per chiamarle soUecitamente aile patrie
lagune. Con la sua armata Yenezia non sarebbe stata sol-
tanto padrona deir Adriatico, ma avrebbe potuto altresi
rendere piii facile la difesa propria e persino minacciare
Trieste e offenderla. Bene fu provveduto alla sicurezza
AelVEstuario ; da cenquaranta legni di capacità diversa e
armati di cannoni facevano buone guardie a*suoi forti e
aile sue batterie, ne custodivano i canali, vigilavano airen-
trata dei porti, e correvano là dove chiamavale il bisogno
délia difesa o délia offesa, sia a proteggere sbarchi e ap-
poggiare gli assalti contra gli assediatori, sia a respingere
quelli che i nimici tentavano contra Venezia, Con décrète
dei 17 agosto il Governo délia repubblica mobilitava parte
delle guardie cittadine, e pochi giorni di poi nominava
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l'assemblsa vbneta 29
il contrammiraglio Giuseppe Marsich comandante supremo
di esse, in surrogazione del générale Mengaldo, ito a Pa-
rigi con incarico spéciale di Manin. Il 10 settembre Mar-
sich, in compagnia dei Triumviri e del générale f^epe, in
su la piazza di San Marco faceva la rassegna di quattro
battaglioni di guardie cittadine e del battaglione délia
Speranza, composte di giovanetti di quattordici ai diciotto
anni ; terminata la quale Manin, Toltosi al popolo accorso
in gran numéro a quella festa nazionale, in nome délia
patria le ringraziô dei sacri&ci sopportati per essa; e dopo
avergli ricordato quanto aveva fatto nella notte dell* 11
agosto, confortoUo a bene sperare nella mediazione di
Francia e dlnghilterra ; e Tassicurô che Yenezia, essendo
retta da Oovemo indipendente, nulla accetterebbe se ono-
reFoJe non fosse ; e che poi délia sua sorte avvenire e del
future suo ordinamento politico deciderebbero i legali sicoi
rappresentantî. — A foTnire di danaro Terario, pressochè
esausto (1), Manin ordinava, che senza por tempo in mezzo
î^i coûsegnassero dai cittadini, con facoltà di riscatto, gli
ori e gli argenti già stati notiflcati in forza del décrète
19 luglio ; in oltre, instituiva il Banco Veneto che il Go-
Terno ayeya disegnato e deliberato sino dal 25 di quel
mese di luglio. Il BancOy costituitosi con due milioni di
lire, creô délia carta monetata, che i soci — i piii ricchi
cittadini di Venezia — guarentirono mediante dei pagherày
ai quali dovevano soddisfare con danaro dopo un anno
dal loro emettersi, ricevendo per esso dal Qoverno délie
pagioni di crédite sul débite pubblico. Le polizze dello
Stato vennero da tutti assai volontieri ricevute ed ebbero
buon corso ; la quale cosa chiaramente rivela quanto la
popolazione di quella virtuosissima città si tenesse sicura
'lella vittoria finale.
(1) L'il agosto, giorno in cni Manin assnmeya il potere dittatorîale
BfiUa Fepnbblica, troyayanfii nelle casse dello Stato da ottocento yenti-
Bûla liie.
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30 GAPITOIiO I
Mentre i Triumviri intendevano ad accrescere le difese
délie loro lagune e a preparare nuove e strenue resistenze,
gli oratori veneti presse i supremi reggitori délia Francia
chiedevano alla nazione sorella un valide soccorse di sue
armi, nel tempe in cui i legati di Carlo Alberto e del ces-
sato Governo di Lombardia supplicavanla di quegli aiuti,
che poco innanzi offerti da Lamartine avevano respinto,
perché aiuti di repubblica. Lo intervenire armato di Fran-
cia nelle faccende italiane non poteva perô essere veduto
di buon occhio daU'Inghilterra, gelosa sempre délia sua
rivale, i cui eserciti avrebbero potuto guadagnarle grande
preponderanza nella penisola a danno délia preponderanza
britannica; in oltre, i Governi di San Giacomo e di Ver-
sailles non chiarivansi allora favorevoli alla creazione del
règne dell'AZto Italia; e mentre essi desideravano veder
TAustria cacciata al di là délie Alpi, non amavano perô
che la signoria sabauda si aggrandisse di troppo; nei
loro voti solamente trovavasi la indipendenza del Lom-
bardo-Veneto, non estante che a questa si opponesse il
trattato del 1815; il quale, a ogni sconvolgimento politico,
era stato sempre messo innanzi dai maggiori potentati
d'Europa, come barriera ad ambizioni di principi, o a sol-
levazione di popolo per allargamento di dominio o a-
cquisto di libertà. Eppure i grandi Stati europei avevano
rotto quel trattato nel 1830 con la creazione del règne
belga; avevalo rotto TAustria nel 1846 con la violenta an-
nessione di Cracovia alla monarchia; e in fine, di quel
giorni, era stato rotto dalla parte libérale alemanna con
la creazione deirimperio germanico. Rispetto alla quistione
sardo-austriaca gli intendimenti di Francia erano allora in
opposizione ai disegni d'Inghilterra; perô che il Governo
di Versailles — il quale in sul cominciare délia guerra ré-
gla erasi mostrato pronto ad aiutare la Lombardia — par-
teggiasse in quel tempo per Venezia soltanto; e il Go-
verno britannico — che in sul cominciamento deiranno
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lVsskmblsa vsksta 31
1^8 aveva appoggiato i moti di tutta Italia e il levarsi
dei popoli suoi contra il mal reggimento dei regnanti —
ai chiarisse allora pronto a sacrificare la repubblica di
Venezia per Tindipendenza délia Lombardia e il miglio-
rarsi délie sue sorti. Palmerston, il quale voleva ad ogni
costo impedire una conflagrazione universale, che Tinter-
renire armato délia Francia avrebbe indubitabilmente ac-
cesa, invitava il Governo di Parigi a farsi con lui media-
tore nella contesa austro-sarda; egli sperava, che i buoni
offici degli Stati alleati varrebbero a condurre la Sarde-
gna e l'Austria a paciflco componimento e a concordia. Se
le tregue di Milano non avevano fatto posare le armi ai
combattitori; se esse non erano promettitrici di paco, ave-
vano perô fatto sospendere la guerra e offrivano ai Go-
verni mediatori giorni propizi all'opera di conciliazione.
I Ministri di Carlo Alberto accettarono con animo grato i
buoni offici di Palmerston e dei Governo francese; non
cosi 1 Miuistri austriaci, i quali, pur non mostrandosi a-
pertamente awersi alla mediazione, desideravano perô di
trattare gli accordi senza mezzani e direttamente con la
Sardegna. Se non che, stretti dalla nécessita e per non
inimicarsi Tlnghilterra e la Francia, aderivano di li a poco
alla proposta di riunire conferenze, nelle quali i rappre-
sentanti dei Re e deirimperatore e degli Stati mediatori
avessero a negoziare di pace. Dai Ministri deirAustria non
sarebbesi voluto parlare, in quelle conferenze, di Venezia,
slno a che questa città tenesse levate armi ribelli contra
rimperlo; ma avvertiti, che la repubblica francese era
venuta nella deliberazione di mandare suoi soldati in
aiuto ai Yeneziani, qualora fossero vigorosamente assaliti
dagli Austriaci, e consigliati altrosi da Palmerston di posare
la guerra — e ciô allô scopo di togliere alla Francia ogni
pretesto d'intervento armato — facevano conoscere a Ma-
nin essere stati bene accolti dalllmperatore gli amiche-
voli offici d'Inghilterra e di Francia per la paciflcazione
d Italia, e nel medesimo avère essi — i Ministri di Vienna
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32 OAPITOLO I
— comandato aU'esercito assediatore di Venezia di cessare
dalle offese: le quali novelle giugnevano a Venezia il 7
settembre. Non ostante 11 buon volere degli Stati amici la
mediazione non poteva approdare a componimento paci-
fico : ed ecco la ragione. I Governi di Londra e di Pa-
rigi, tenendo risoluta la quistione délia indipendenza in
favore di Lombardia, di Venezia e sue lagune, credevano
di dovere solamente discutere nelle conferenze intorno ai
confini territoriali e ai compensi pecunlari da darsi al-
l'Austria; il Governo di Vienna, tenôndo al contrario per
base immutabile del diritto pubblico europeo i trattati del
1815, intendeva di non cedere parte nessuna de* suoi pos-
sedimenti italiani, toccati aU'imperio in virtii di quei trat-
tati, e che allora, vittorioso délia ribellione e délia Sarde-
gna assalitrice, aveva riconquistato col valore délie sue
armi. Per questo Governo Tofficio degli Stati mediatori
consisteva unicamente nel proporre condizioni tali di pace,
che si potessero onorevolmente accettare daU'imperatore
Ferdinando e dal re Carlo Alberto. Sebbene TAustria ve-
desse quanto 1 disegni di Bretagua e Francia fossero in
opposizione aile sue mire, accettava nondimeno la media-
zione offertale, non osando o non potendo allora respin-
gerla- Per uscire a nuova guerra con Tesercito rifatto e
portato a numéro essa abbisognava di tempo ; ma eziandio
ne dimandava il negoziare; per la quale cosa, dovendo le
tregue formate a Milano durare, di nécessita, sino al chiu-
dersi délie conferenze, l'imperio avrebbe avuto mesi quanti
bastavano a provvedere armi e mettere assieme soldate-
sche per l'impresa. Maestra sempre nel governarsl giusta
la opportunità, TAustria, cedendo aile nécessita di quei
giorni, che per lo agitarsi deirUngaria correvano difficili
e pieni di pericoli, si disse pronta a trattare d'accordi, e
mostrossi tanto inchina alla pace da indurre in inganno i
Ministri di Inghilterra e di Francia intorno ai veri suoi fini.
In quel tempo Tommaseo aveva messo fuora per le
stampe in Parigi — dove trovavasi oratore di Venezia presse
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l'assi:m3lea veneta 33
il Governo délia repubblica — una Chiamaia alla Fi^an-
cia. Dopo avère ringraziata la nasione sorella dell'appog-
gio date a Venez» nella guerra contra lo straniero (1), e
ricordati i legami d'amicizia che nei secoli scorsi avevano
esistito ira i due Stati, scriveva : = Trovarsi nella storia
di Francia un nome che devesi assolutamente cancellare,
il nome di Campoformio. « Jm pace a qualsivoglia prezzo,
fu la parola d'un tempo che non deve mai più ritornare ;
la stima dei popoli ad ogni costo, ecco la nuova bandiera,
il nuovo motto degno délia libertà e délia Francia. » Sino
dal rompersi délie ostilità contra TAustria avère il Go-
verno francese oflferto aiuto di sue genti aU'Italla, senza
mercanleggiare siùa spada, corne atirehhelo fatto un sol-
dato venturîero; essere ora giunto il momento del fra-
terno soccorso, ora dalla patria nostra invocato. « Questa
non è la vecchia storia degli interventi, diceva Tomma-
seo, 0 per meglio dire, délie invasioni provocate per pas-
sione di parte, per un Interesse isolato; è un diritto santo
che invoca un dovere, è un principio che cerea sua gua-
rentigia là dove puô trovarla La Francia in questo mo-
mento ha il diritto di alutarci coi mezzi piii efficaci, poi-
chè essa ne ha il dovere; che viene non da taie o taie
altra parola, pronunciata da taie o taie altro Ministre o
rappresentante délia nazione ; è la grandezza stessa di que-
sta che glielo impone; essa non saprebbe abiurarlo senza
rinnegare se stessa. » r^r L'orator di Venezia, dopo avère
fatto conoscere alla Francia, che il massimo degli inte-
ressi suoi consisteva nello appoggiarsi ai principi di na-
turalità, soprammodo all'italiana e alla slava, affermava:
= La nazione non avère pronunziato, ne ripetuto il motto :
Yltalia farà da se ; non respinto mai il soccorso di Fran-
cia; per consiglio suo Venezia essersiun giorno vol ta alla
Sardegna e a tutti gli altri Stati délia penisola invitandoli
(1) Una sqnadra francese, comandata da Ricaudy, troyavasi già nelle
acqne deU'Adriatico.
3 — Vol. n. Martaîci — Storia pol e mtl
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34 CAPITOLO 1
a deliberare insieme intonio aile sorti comuni. NuUa a-
verle risposto la Sardegaa; gli altri Governi, parole in-
certe e che non potevano condurre al fine proposto. Avère
egli protestato contra la dediziono di Venezia alla Sarde-
gna, dedizione da lui giudlcata inopportuna; ed eziandio
avère protestato contra queU'atto in cui la violenza e la
frode, la speranza e il timoré' a vevano avuto tan ta parte, o
almeno una parte pur troppo da deplorarsi. zz: Tominaseo
conchiudeva quindi il suo parlare cosi : « La Francia non
ha a sguaînare la spada, basta che essa ne faccia inten-
dere il romore nel fodero per ispaventare il nimico... Dico
alla Francia e alllnghilterra, che sarebbe una vergogna
per la specie umana di lasciar pasare nella bilancia délie
sorti di un popolo la spada di un Brenno decrepito. La
nostra causa è lavostra; soccorreteci nel nostro pericolo,
0 voi perirete » (1). — Le parole di Tommaseo, se ven-
nero accolte con entusiasmo dai repubblicani di Francia
e se trovarono eco nei cuori generosi, non bastarono
perô a togliere i supremi governanti da quelle esitazioni
e da quel dubbi, che dovevano impedir loro di camminare
risoluti e franchi su la via, che Tonore e la grandezza
délia nazione volevano avessero a percorrere. Il générale
Cavaignac — che allora presiedeva ai Ministri délia re-
pubblica — per indurre l'Austria a pacifici accordi con la
Sardegna e Tltalia, montre spediva nuove navi ad afTor-
zare la squadra francose, proprio di quel giorni sorta in
su ràncora nei porti di Venezia, ordinava' al contrammi-
raglio Ricaudy di maneggiarsi per modo che Tassediatore
non avesse a oflTendere la città; e nel tempo stesso facera
pubblicamente annunziare essere stato decretato dal Go-
verno il soccorso di quattro mila soldati. Le quali novelle
giugnevano a Manin l'il settembre per mezzo del legno a
vapore francese il Solone, e al générale Pepe per lettera
(1) Parigi, agosto 1848.
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L^ASSEMBLEA VEXETA 35
(iel duca d'Harcourt, oratore di Francia in Corte del Pon-
teflce. Il 22 di quel mese arrivavano a Ricaudy le frégate
a vapore il Giove e la Psiche; e il di vegnente la squa-
dra austriaca (1), avvicinatasi ai litorali veneti, ordinavasi
dinnanzi ai porti délia laguna per impedirnerentrataalle
navi portanti vettovaglie alla città, e, se possibile, pre-
darle. Il 30 settembre VOceano, legao a vapore fr^ncese,
porto a Venezia sei mlla schioppi, da ottanta volontari
délia legione di Manara e i deputati del Comitato di difesa
d'Ancona, Tooli e Bassetti, con doni di quella città e di
Roma, consistenti in copia grande di panno per vestire
soldati, calzoni, camicie e scarpe. Alla chiamata di danaro
fatta aile provincie délia penisola dal Governo délia re-
pubblica « per difendere la sua bandiera, onore e spe-
ranza del popolo italiano > risposoro Lomellina, Toscana,
Ferrara, Bologna e Ancona; ne spedirono, non richiesti,
gli Italiani dimoranti nel Perii e neirAmerica méridionale ;
Grenova promise un milione di lire, ma non mandô nuUa (2).
(1) La squadra navale austriaca componevasi di tre frégate, due
c )rvette, quattro brigantini, nno schooner^ due Bcialnppe, quattro legni
a vapore e altri legni minori.
(2) Lomellina donô cento mlla lire; Toscana, settandue mila; Fer-
rara, sedici mila; e gli Italiani dimoranti nel Perù e neirAmerica del
mezzogiomo mandarono a Yenezia dieci mila lire.
b Gli inviati délia Repnbblica veneziana aile città d'Italia si rivol-
sero ai loro fratelli con un indbizzo in data di Firenze 9 settembre
1B48. Essi dichiararono che Yenezia, per difendere la sua bandiera,
onore e speranza del popolo italiano, ha bisogno d'una somma mensile
di tre milioni di franchi. Essi indinzzansi a tre milioni d'Italiani,
e chieggono a ciascun d'essi on franco al mese per la formazione di
questo capitale di soccorso. Yenezia ô oggidi il cnor dell'Italia: lo ô
per la sua incrollabile volontà, per la santit& délie sue intenzioni, per
le sne glorie, per le sue speranze e per le sue sventure. Montre pareva
che da per tutto si spegnesse, lo spirîto nazionale si raccoglieva in
essa come ne' tempi antichi; mentre tutti piegavano o disperavano,
Venezia gettava il guanto ai barbari ; essa aveva fede ne' dûritti e nel-
retemità d'Italia, ed ognuno di noi deve oggi rispondere alla sua esi-
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36 cAriTOLo I
A provvedere ai bisogni sempre crescenti délia guerra,
Venezia si volse alla generosita de' suoi figli; e i Vene-
ziani diedero allora e di poi il più che poterono in ra-
gione di loro forza ; Manin rinunzlô siibito allô stipendie
decretatogli daU'Assemblea ; Pepe, oltre alla sua provvi-
sione di générale, offri allora un Cesare Borgia, tola di
Leonardo da Vinci, dono carissimo del fratello suo ; e la
maggiore parte degli ufflciali pubblici e deiresercito lascia-
rono a favore délia repubblica meta del solde loro assegnato.
In questo mezzo il Circolo italiano — il quale, com(>
sopra dicemmo, caldeggiava il formarsi d'un Governo com-
posto di cittadini di tutte le provincie italiane e presie-
duto da Manin — adoperavasi a tutta forza per allonta-
nare dal grande triumviro alcuni tristi che Tattorniavano
La sera del 2 ottobre Giuseppe Révère proponeva ai soci*
raccolti in assemblea s'avessero a chiamare in Venezia
quanti illustri italiani correvano erranti le patrie contrado.
« Noi vorremmo che qui, esclamava egli, dove ancora si
combatte, venissero i desidèri e le opère a incontrarsi in
guisa che tutta Europa avesse a persuadersi come la guerra
italiana è tutta ancora nelle nostre lagune, guerra che per
virtù di principi tornô infelice in Lombardia, ma che
riarde ora fra noi purificata e gagliarda per volere di po-
poli. Qui, ove senza bisogno di andare a versi ad un po-
tere fallace, liberamente si possono agitare i nostri destini :
stenza, se vnol dar prove del suo onore per la patria. È tempo che
ritalia segua resempio che le dà la misera Irlanda; è tempo che la
cassa del popolo sia fondata fra noi, e che il nnmero immenso dei so-
sorittori apprenda ai nostri amici qnale è la somma del partito nazie-
nale e qnale la sua yolontà. Affrettiamoci dunque, ed operiamo. Ripe-
teremo qui le parole degli inviati Veneziani : Coloi che rifiuta di pagare
rimposta nazionale per Venezia, pronuncia la sua sentenza; ei disert^i
yilmente daUa causa délia patria e délia liberté., n
Parole di Giuseppe Mazzini.
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l'assemblea teneta 37
qui, ove non giugne insolenza di birro o minaccia di re-
gio commissario, i popoli d'Italia troverebbero la patria
délie loro vagheggia,te speranze, e, vergini d'ipocrisia e
schietti di studiate parole, potrebbero dire aU'Europa in-
sieme coi diritti i loro superni e patrii divisamenti... Alla
mentita lega dei principi, lega inventata perché Italia, ac-
cosciata su le sue sventure, attenda la luce donde veu-
nero le ténèbre, noi metteremo contra la solidaria lega
M popoli. Proveremo che una lega fra i potenti di
Itâlia a benefizio dei popoli è sogno e inganno: una
dei popoli per la comunanza dei pericoli, débite e bi-
sogao..... Cosi mentre gli Stati mediatori, sicuri che i
principi non protesteranno contra le loro sentenze, agite-
ranno le nostre sorti, avranno a darsi almanco pensiero
•iella vera mente, deU'animo dei popoli. L'Italia è per noi
dove si combatte, e non dove si traffica e si negozia... Egli
ô perciô che noi invitiamo i Circoli délie varie città di
Italia a portarci, col mezzo di rappresentanti, il loro
pensiero e una coUeganza d'opere da testimoniare , Ve-
iiezia essere il punto ove tutte concorrono le forze de-
laocratiche délia nazione, il luogo ove V interesse dei
Ijopoli ha il suo focolare È mestieri che 1 popoli
si persuadano corne per la via dei maie non è fatti-
bile raggiugnere il bene, e confessino Tipocrisia politica
«* Tinganno non tornare a vantaggio che dei principi;
♦iuali fan le viste di distruggere a miglior tempo... AU'As-
iemblea de' profughi veneti, sola e irrecusabile rappre-
sentanza délie provincie occupate, ora si aggiunsero
i profughi lombard! ; sicchè, uniti nei medesimi fra-
terni intendimenti, potranno deliberare intorno ai loro
ittteressi. Il nostro Circolo, a meglio conseguire il suo in-
tente, accolso fra se uomini di tutti gli Stati dltalia, i quali
consacrarono con la vita povera e intemerata, e con lungo
♦*•! iûfelice amore alla loro terra, il diritto di vigilarne
^li aspettati destini... Il nostro popolo, ridesto alla vene-
randa santità délie tradizioni, sente il debito di rispondere
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CAPITOLO I
al suo portentoso passato con la virtù del sacrificio, cou
l'allegra formezza negli immiaenti pericoli. Sirabolo giier-
reggiante délia libertà d'Italia, Venezia, ancorchô stremata,
è parata a proteggerla contra ogni maniera di attentato
che mirasse a recarle ^offesa. Stretti dairAustriaco, che
manomette le nostre terre, dubitosi del pane che deve
sfamare le nostre famiglie, nol tuttavia guardiamo alh»
miserie di tutta Italia. Dai comuni dolori noi caviamo ar-
gomento di coraggiosa perseveranza, meglio che da moiTu-
menti testimoni dei secoli caduti. E il giorno in cui if>
sdegno délia fortuna e il furore dei poteri congiurati ve-
nissero a soverchiarci, di Venezia non sopravviverebbe altro
che un nome tremendo d'insegnamento ai popoli venturi.
e via per le meste lagune, su le quali torreggiano ancora
le memorie del passato, non s'alzerebbe altro che un me-
lanconico gemito, il quale direbbe al monde, come Venezia,
anzichè tornare ancella, si sommergeva con la sua liber tn
in quel mare onde traeva la cuUa » (1). — Parlô di poi
Antonio Mordini con éloquente e franca parola ; il quale.
dopo avère lodato i triumviri come cittadini, ne biasimô
i modi di governo; disse che il loro amministrare non
procedeva spedito e sicuro, ma incerto; essendo dubbiosi
in se medesimi, non potevano avère la fiducia dei loro
governati; ciô che ad essi impediva di operare tutto 11
bene che era in loro mano di fare e che certamente <îe^-
sideravano a vantaggio délia patria. In oltre il Mordini
svelô il disordine che regnava nelle diverse amministra-
zioni dello Stato, con grave danno délia cosa pubblica t*
soprammodo délia guerra. Affermé che la verità non giu-
gneva ad aprirsi la via sino ai supremi reggitori, a cagione
di quella turba di gente ribalda, che aveva invaso le aule
triumvirali; turba avara, che ebbe allora chiamato ca-
méra nera, la quale sperdeva in basse vie l'oro offerte»
(1) Documenti délia Ghterra Santfi, Di Daniele Manin, memoria
storica di G. Vittobio Rovani, cart 178; Capolago, gennaio 1850.
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l'assemble A VBXSTA 39
alla patria dalla carità cittadina. Disse in âne délia né-
cessita di raccogliere in Venezia una costituente lombardo-
veneta, che, apportando nuove forze al Governo délia re-
pnbblica, ne accrescerebbe dimolto la potenza, tornerebbe
ai triumviri la fedo e il favore popolare, e porrebbe \o
basi di un Governo italiano. I ribaldi, le cui mire per-
verse erano state scoverte da Mordini nella sua orazione,
subito di lui e di Révère si vendîcarono; perô che nella
notte stessa, per incitamento di quel malvagi consiglieri, i
triumviri facessero trarre al lontano lido quegli onesti
cittadini, con ordine di reoarsi a Ravenna. L'onta di si
turpe violenza pèsera sempre su la memoria di Manin, di"
Cavedalis, di Graziani ! — La sera vegnente Giuseppe Sir-
tori, in mezzo al Cîrcolo italiano riunitosi a dispetto del
Governo, censurata da prima con severa parola la costui
opéra, propose di poi che si avesse dai buoni cittadini a
tentare tutte le vie per condurre i triumviri a più savio
consiglio e costringerli a richiamare Mordini e Révère.
Per invito di Sirtori il Comitato direttore di quel Circolo
rinunziô allora al proprîo officio ; ma i soci, seduta stante,
con suffragio unanime in esso il confermava; in tal modo
venne a Manin e ai compagni suoi nel triumvirato il bia-
simo meritato dalla commessa ingiustizia e violenza. La
Caméra nera diedesi subito a spargere con arte perfldis-
sima le più nere calunnie nel popolo a danno degli uo-
mini del Circolo; e il popolo — facile troppo a lasciarsi
sedurre, credulo sempre e pronto a voltarsi dall'amore al-
l'odio — cominciô a diffidare di quel cittadini, ch'eransi
mostrati in tutte le occasioni délia patria libertà svisce-
ratissimi, e prese a malvolerli. Ed ecco come alcuni tristi,
per ambizione o interesse privato gettarono la discordia
tra le moltitudini, quando piii imperioso che mai era il
bisogno di concordîa forte, operosa, efficace. In allora il
Circolo deputô alcuni suoi membri a Manin per sapere i
motivi che avevano indotto il Governo a cacciare di Ve-
nezia Mordini e Révère. Da prima il Triumviro niegô di
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40 CAPITOLO I
ricevere i deputati del Circolo; ma insistendo essi, fu
forza quindi ascoltarli; pregato di far conoscere le colpe
di que' due esiliati, a fine di poter calmare gli animi dei
cittadini, esasperati per tanta e si ingiusta violenza, e ri-
condurli poscia a concordia, Manin, che avrebbe dovuto
arrossire confessando tutta intera la verità, rispoadeva
cosi : = Non sempre î supremi reggiiori dei popoli potere
dar ragione del loro operato ai governati; la quale superba
risposta chiari la sua complicità nelle brutture commessc
dagli uomini délia Caméra nera. Accecato dallorgoglio, il
Dittatore lasciossi da' suoi tristi consiglieri, nimici alla
suabuona rinomanza, trascinare a nuova vendetta; vittima
di questa, Francesco DaU'Ongaro. — In sul cadere dell'ot-
tobre giunse notizia in Venezia, che Ippolito Mazzuchelli,
comandante il legno a vapore Pio Nono, si fosse lasciato
sfuggire di mano una nave nimica; délia quale, corse al-
lora la fama, avrebbe potuto impadronirsi, se non fosse
stato dell'ordine di Graziani, che proibiva ai legni délia
repubblica d'essere primi aile oflFese. DaU'Ongaro nel diario
Fatti e Parole, pubblicato il primo ottobre, narrava il caso
awenuto cosi : « L'altro ieri il nostro bel vapore Plo
Nono voile pigliarsi il piacere d'esaminare da vicino un
vapore austriaco del Lloyd. Sembra che l'ultimo non fosse
molto disposto a questo esame, perché si ritirô ben presto
sotto il cannone di Caorle. I maliziosi dicono che il capi-
tano Mazzuchelli sarebbe stato gravemente rimproverato
e forse deposto, nel caso che avesse commesso il delitto
di costringere a una fuga vergognosala bandiera austriaca,
alla quale alcuni sembrano servare, certo per vecchie
consuetudini , un riguardo che bisogna attribuire alla
paura, per non supporre qualche calcolo prudenziale troppo
più turpe. Signori generali, ammiragli, ministri sopra la
guerra presenti e passati, con cinque mesi di calcoli e di
prudenza voi ci avete fatto perdere il frutto d'una vittoria
riportata con cinque giorni di temerario coraggio! Il po-
polo è andato avanti senza di voi, e malgrado a voi; voi
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l'assemblea veneta 41
Tavete fatto sempre restare indietro, e tornare addîetro.
Ê questo il merito vostro ? — Badate che già tutti lo pen-
sano e molti lo dicono. Forse non è lontano il giorno che
il popolo imprudente, temerariOy senza disciplina tentera
un altro colpo de' suoi. E che sarà allora dei vostri spal-
Uni e dei vostri consigli? Se le rostre ricche pensioni
vi stanno a cuore piii deironore délie armi nostre, piii
ilella nostra libertà, chiedete le vostre pensioni e vi
saranno date, a patto che Tltalia non abbia a pagare la
vostra inerzia e i vostri senili riposi con la proprîa sven-
tura e la propria vergogna. » Il 4 ottobre il Oomitato di
pubblica vigilanza, in virtii dei diritti impartitigli dal Go-
verno, ordinava che senza por tempo in mezzo l'abate
Francesco DaU'Ongaro venisse bandito da Venezia e sua
provincia, per aver dato un impulsa determinato al dis-
ordine col richiamare alla memoria cià che il popolo
nveva fatto e presagito quanto esso sarébhe per fare.
Dalla nave V Indipendenza, che doveva portarlo lungi da
quella terra si amata e si cara, DaU'Ongaro protestô in-
nanzi a Dio, innanzi alVItalia e ai dittatori di Venezia
contra quel bando che ofifendeva la libertà délia stampa e
délia persona, e tutti i diritti di cittadino ; protestô con-
tra le intenzioni appostegli di voler sommuovere il popolo
<» rovesciare un Qoverno ch'egli aveva contribuito a creare;
protestô contra lo incriminarsi délie sue intenzioni. Si
disse pronto a soffrire, senza querelarsi, l'esilio che TAu-
stria non aveva osato mai di infliggergli e che allora gli
veniva dal Governo repubblicano di Venezia. « Cosi vo-
lesse, scriveva egli, la carità délia patria velare la ingiu-
stizia e Timprevîdenza di questi fatti ai presenti e ai lon-
tani. » — Non ostante Tarte malvagia degli uomini délia
Campera nera, che studiavansi, eziandio coi mezzi piîi
sleali, di fuorviare l'opinione pubblica, il popolo non tardô
molto ad avvedersi degli errori dei Governo; e siccome
esso amava soprammodo Manin — nel quale aveva posto
fede illimitata — cosi gettô tutta la colpa e la vergogna
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42 CAPITOLO I
di quegli errori sui ministri Cavedalis e Graziani, dicen-
doli inetti all'alto officio che tenevano. Allora risveglia-
ronsi e presero sembianza di verità i sospetti di troppa
devozîone al reggimento despotico deU'Aiistria, cors! poco
innanzi sul Cavedalis e di quei giorni quasi sopiti. Ad al-
lontanare e disperdere la tempesta cho romoroggiava so-
pra i triumviri, Manin invitô i deputati délia città e pro-
vincia di Venezia a raccogliersi in assemblea TU di quel
mese d'ottobre, allô scopo di eleggere un Comitato, cho
avesse a trattare délie condizioni politiche del paese, e a
nominare un nuovo Governo, qualora reputassero cessato
il pericolo che un giorno aveva minacciato la patria e
consigliatili a istituire la dittatura. — L'Assemblea, repu-
tando non necessario, ne onorevole mantenere nella dit-
tatura — che essa aveva deliberato di conservare — Ca-
vedalis e Graziani, ai quali era venuto meno il favore
popolare, preparavasi a dare nuovi colleghi a Manin, al-
lora che il grande cittadino, montato in bigoncia, pren-
deva a sostenere Graziani lodandone le virtù, segnata-
mente la modestia e Toperosità; il quale perô veggendo
« quanto fosse grande la sproporzione tra il suo alto of-
ficio e le forze proprie » il giorno innanzi aveva fatto
rinunzia al potere dittatoriale. « La modestia deirammira-
glio Graziani, affermava Manin, lo fa ingiusto verso s(>
medesimo; io ebbi l'onore d'essere con lui, e attesto che
difflcilmente si troverebbe persona piîi alta. Uomo di molti
fatti e di poche parole; d'una operosità, dirô quasi feb-
brile ; senza di esso molto difficile ci sarebbe il governare ;
pregherei perciô TAssemblea a insistere perché egli ritiri
la sua rinunzia. » E i deputati, i quali, tranne pochissimi,
erano devoti a Manin, ligi alla sua volontà e servilmente
obbedienti ai comandi suoi, credendo tuttavia sussistere
il pericolo, per cui il 13 agosto avevano istituita la dit-
tatura mettevano a partito il confermamento di essa nelU?
medesime persone che già la tenevano. Raccolti i suffragi,
i tavolaccini ne contarono centocinque favorevoli ai trium-
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L*A8SEMBLEA VBNBTA 4 ÎJ
viri, tredici contrari; nô paga d'averli conferraati nell'u-
sato ofBcio, l'Assomblea affidô loro il carico di trattare
con l'Austria délie condizioai politiche délia ropubblica,
riservandosi soltanto la ratificazione dei negozi: onde
accrebbesi di molto l'autorità di Manin, il quale d*allora ira-
pose sempre il proprio aU'altrui volere, e governô lo Stato
con potestà assoluta.
n maresciallo Welden, appena seppe il giugnere di nuove
navi alla squadra di Ricaudy, temendo lo intervenire ar-
mato di Francia, soUecito lasciava le posture di minore
importanza occupate attorno aile lagune per raccogliere in
forte schiera le suc genti, e dava opéra altresi a fortiflcare
iJ ponte délia Piave alla Priula, su la grande via di Mestre,
Treviso e Conegliano. I difensori di Osoppo, i quali da sei
mesi resistevano strenuamente alla potenza dell'armi ni-
miche, venute meno le vettovaglie, il 13 ottobre arrende-
vansi; e in virtù dei patti délia resa — che fu onorevole
— essi poterono tornare liberi ai propri focolari. Se la
perdita di quella fortezza non peggiorô le cose délia guerra,
allora tutta ridottasi entre la laguna, arrecô nondimeno
assai grave ferita al sentimento nazionale. — In quel mezzo
i Veneziani, che il Governo teneva da lunga pezza inope-
rosi, ardentemente desiderando di far prova délia fortuna
e dei loro valore, chiedevano d'uscire contra gli assedia-
tori; e i Triumviri, voggendo l'Austria aftbrzare gli eser-
citi suoi in Italia e la mediazione anglo-francese non dare
ancora guarentigia veruna di pace, aile demande dei di-
fensori di Venezia rispondeva ordinando a Pepe di ripren-
dere le offese; e il générale disegnô subito far l'impresa
di Cavallino. Questa terra, che siede su la marina dal suo
nome chiamata, non lungi dal metter foce dei Sile su TAdria-
Uco, formava Testremità sinistra deirossidione austriaca;
la difendevano trecento imperiali ed era munita di due
cannoni. n canale di Pardelio e lo stretto argine che si
éleva a sinistra di esso mettono in comunicazione Cavallino
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44 CAPITOLO I
con Treporti, da cui dista poco piii di dieci chilometri; il
terreiio che giace tra queste due terre, paludoso e tutto
iiigombro di siepi, è difficile a corrorsi dalle fanterie, im-
possibile poi dai cavalli e dai carri. Allô albeggiare del
22 ottobre una schiera di quattrocento fanti leggeri —
cacciatori del Sile — comandata dai luogoteiiente coloa-
nello d'Amigo, uscita da Treporti avviavasi a Cavallino,
appoggiata da tre barche portanti soldati délia marineria
da guerra e da due barche armate ciascuaa di un cannone,
tutte poi discendenti il canale di Pardelio ; le due barche
cannoniere camminavano con Tavanguardia, la compagnia
del capitano Cattabeni. Il nimico aveva posto le sue due
artiglierie allô sbocco dell'argine; collocato una presa di
soldati dietro una siepe a destra del Pardelio e a quasi due
chilometri da Cavallino ; Tavauguardia, poco dinanzi alla
terra; presse questa, due barche con alquanti armati; 11
grosso di sue genti entre quella. La compagnia di Catta-
beni, neiravvicinarsi alla siepe dietro la quale stava na-
scosto il nimico, veniva ricevuta da vivissimo trarre di
moschetti ; inarcate le armi senza por tempo in mezzo essa
corse airassalto, e con Taiuto délie barche cannoniere snidô
içli Austriaci dai loro nascondiglio. Giu'nta poscia a brève
distanza di Cavallino correva nuovamente a investire il
nimico; il quale, prima d'aversi addosso gli assalitori, da-
vasi a fuga precipitosa e disordinata, lasciando al vincitore
i suoi cannoni, le barche, moite armi, munizioni di guerra
e vettovaglie: respinti gli imperiali al di là délia Piave,
gli Italiani, in sul cadere del giorno, facevano ritorno a
Treporti. In quella fazione degli Austriaci quindici caddero
uccisi o feriti ; dei vincitori, nessuno. — Il possesso di Ca-
vallino, se fu di lieve vantaggio alla difesa di Venezia, im-
porté perô assai al vettovagliamento délia città ; avvegnachè
allargandosi per esso l'ossidione si aprisse da quella parte
agli assediati una via di comunicazione con la terraferma.
Se non che per tenere Cavallino abbisognando un valide
presidio, e per difendere efflcacomente Venezia non po-
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L^ASSEMBLEÂ VENKÏ.V 45
tendosi spargore ditroppo le forze, Pepe comandava di
lasciare quella terra, che i nimici riprendevano molto
temxK) di poi. Il giorno dopo la fazlone di Cavallino, in su
la piazza di San Marco facevasi da Pepe la rassegna dei
cacciatori del Sile, che avevano condotto ad onore quella
impresa; e il frate Ugo Bassi da una flnestra del palazzo
nazionale volgeva generose parole a quoi valorosi e al po-
polo accorso numerosissirao a festeggiarli. In quel di stesso
il Governo decretava, con plauso universale, l'ordinamento
(li una légions ungarese, alla quale chiamava a scriversi
coi soldati che avevano lasciato la bandiera austriaca anche
i cittadini di quella nazione che trovavansi entre Venezia;
con ciô egli intendeva dar pegno d'amore fratellevole al-
rungaria, di quel giorni levatasi tutta in su l'arme per
combattere, contra lo imperio, la guerra délia propria in-
dipendenza.
Il buon esito sortito all'assalto di Cavallino aveva sve-
gliato nei Veneziani tanto entusiasmo e taie speranza di
potersi difendere e sostenere a lungo, ch'essi fecersi a
gridare armi, e Tesercito a chiedere di venir presto ri-
condotto a nuovi cimenti. E i Dittatori, cui il valore e lo
ardimento dei volontari alla fazione del 22 ottobre avevano
dato guarantigia di certa vittoria, comandavano al géné-
rale Pepe di mandare volontari e soldati ad altre imprese;
le quali, se fortunate , oltre a mantenere vivo in tutti lo
ardore di guerra e stancare il nimico costringendolo con
Incessanti assalti a fare vigili guardie e a tenersi serapre
in su l'arme, avrebbero vie più incoraggiati i mediatori di
Francia e di Bretagna a difendere, nelle conferenze di pace
di Bruxelles, con maggior calore i diritti di Venezia: Pepe
disegnô quindi di assaltare Mestre e Fusina. — Trovasi
Mestre a ponente di Venezia, dove si incontrano le vie di
Padova e di Treviso e dinnanzi al forte di Malghera, da cui
dista tre chilometri allô incirca ; a mezzodi di quella terra
corre la via ferrata che da Padova mena a Venezia. Giace
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46 CAPITOLO I
Fusina ove il canale di Brenta mette foce in su la laguna,
a sei chilometri da Malghera e a mezzogiorno dol forte. Il
nimico — conosciuta la importanza di Mestre, che era la
porta délie principali vie di coraunicazioni di Venezia con
le provincie di terraferma e la piii vantaggiosa postura
de' suoi campi d'assedio — aveavi innalzato due valli, Tuno
su la riva del canale di Mestre a difesa di questa terra, e
Taltro su la via ferrata; e muniti ciascuno di due arti-
glierie da campo, presidiava il primo con seicento uomini,
con cinquecento il secondo. Oinquanta Austriaci tenevano
la posta délia Rana, chiusa da forte serraglio ; cencinquanta,
il villaggio di Fusina con due grosse* artiglierie ; e dugento
di essi stavano a guardia del terreno, che stendesi tra
Mestre e la picciola terra di Oarapalto sino al canale Osel-
lino. Queste forze d'uomini e di cannoni — appartenenti
alla brigata Mitis, campeggiante Mestre e Fusina — erano
state riconosciute dagli esploratori di Pepe il giorno che
precedette aU'impresa ; ma nella notte seguente erano ac-
cresciute del doppio dal comandante di quella brigata, ve-
nuto in sospetto di un vicino assalto. E allora che fu da
una spia assicurato di questo e di ciô che in Venezia pre-
paravasi a danno suo, raccolti in brève ora da tre mila
soldati mutô Tordinamento e i presidi del suo campo cosi :
pose millecinquecento uomini in Mestre e ne' suoi dintorni,
cioè una compagnia di fanti all'entrata di Zellarino e di
Treviso ; una a quella di Carpenedo ; una terza con due
cannoni da campo a presidiare l'opéra di terra costrutta
sul canale di Mestre verso Malghera; una compagnia su
Targine destro di esso ; una al convento dei Cappuccini ;
un'altra con due artiglierie da campo a difesa del vallo
délia via ferrata; in fine, la schiera di riscossa — da tre-
cento uomini allô incirca e due cannoni — su la piazza
di Mestre. Alla sinistra di Mestre il générale austriaco
aveva collocato una mezza compagnia di fanti in Favaro;
mezza al ponte di Dese; una compagnia in Carpenedo e
una picciola presa di soldati in Campalto. Alla destra di
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l'assbmblea vkneta 47
Mestre egli teneva Gambarare e Malconteata con uaa mano
di fanti; il ponte délia Rana con una compagnia; eavevâ
posto cento soldati presse Ghirignago, e un drappello di
essi a guardia deirofficio telegrafico délia via ferrata; il
presidlo di Fusina noa era stato accresciuto, contando
ancora cenciaquanta Austriaci e due canaoni di grosso
calibre.
Per l'impresa il générale Pepe aveva chiamato in su
Tanne due mila soldati, numéro bastevole per assaltare con
vautaggio le posture nimiche; perô che, credendole presi-
diate da mille cinquecento Austriaci non preparati aile
difese, egli si tenesse sicuro di riportare con quelle forze
piena Tittoria ; ma ei doveva trovarsi di fronte a tre mila
uomim pronti a combattere. Non estante il tradimento di
chi riTelô a tempo agli Austriaci i disegni di Pepe, questo
,'enerale seppe in modo splendido vittoriare del nimico,
forte per numéro e piii ancora per le posture occupate ; i
bilooi ordini e il valoredei soldati ebbergli allora procacciata
la Tittoria. Le genti designate all'impresa di Mestre ven-
aero partite in tre schiere; quella di sinistra — quattro-
cencinquanta cacciatori del Sile sotto il comando del co-
lunnello D'Amigo — protetta dal fuoco di barche armate
dartiglierie doveva, mezz'ora innanzi il sorgere del giorno,
icendere presse Fusina e attorniare questo villaggio, montre
lofulminerebbero i canne ni délie barche — state sua scorta
e allora suo appoggio — e una compagnia di quei caccia-
tori recherebbesi sopra Malcontenta e l'occuperebbe per
togliere al presidio di Fusina la via di ritratta sopra Dolo
e Padova ; del quai presidio d'Amigo col rimanente de' suoi
<taceiatori doveva impadronirsi ; e, respinta di poi la presa
d* Austriaci, che teneva la posta délia Rana, procedere verso
Mestre, per appoggiare gli assalti che dalla schiera di mezzo
veiTebbero dati a questa terra, obbietto dell'impresa. —
La schiera di mezzo — guidata dal colonnello Morandi e
composta del battaglione lombarde^ dei mezzi battaglioni
iUjLlia libéra e Reno, da due artiglierie e un drappello di
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4S CAPITOLO I
soldati degli ingegneri militari, in tutto mille uomini allô
ihcirca — doveva avanzarsi contre il vallo costnitto su la
via ferrata; e la sua avanguardia, giunta presse la portata
délie artiglierie del vallo, spingersi avanti in ordine sparso
a sinistra e a destra di quella via allô intento di sopra-
vanzare il torrato nimico. Il grosso délia schiera di Mo-
randi, lasciate le due artiglierie su la via ferrata per ri-
spondere ai cannoni degli Austriaci, spiegate le ordinanze,
seguirebbe j)arallelamente il movimento délia sua avan-
guardia per assaltare quindi in compagnia dei cacciatori
del colonnello d'Amigo, da quella parte le case fortiflcate
di Mestre. — La schiera di destra — capitanata dal colon-
nello Bignami e composta del battaglione dei volontarl
bolognesi, da una compagnia del seconde reggimeato ro
mano, di due artiglierie dacampo e un drappello di soldati
degli ingegneri militari, in tutto da seicento uomini — per
Targine del canale di Mestre portandosi sin presse la por-
tata dei cannoni del vallo eretto, come dicemme, dinnanzi
a quella terra, doveva ordinare le sue battaglie a sinistra
del canale per sepravanzare il vallo e le case, che pari-
menti da quella parte gli Austriaci avevane munito di di-
fese. Il presidie del forte O -— il quale venue poscia chia-
mate forte Manin — doveva uscire alla campagna contr«*\
la picciola terra di Campalte che gli sta rimpetto, allô
scopo di divertire Tattenzione del nimico. Grli assalitovi
avevane da ultime a riunirsi su la grande piazza di Mestri»
per opprimerne i difensori cen tutto le sforzo lero. — Al
colonnello Morandi era state fldato il carice d'apprestar^
in Malghera tutto quanto peteva occorrere alFimpresa di-
segnata; a lui, la cura di costrurre un passaggio su la via
ferrata per le artiglierie; a lui, quella altresi di fornin^
aile soldatesche, chiamate a fare la giornata, i viveri e lo
munizieni. Aile due ore del mattino del 27 ottobre il ge^
nerale Pepe — seguito dagli ufficiali délie Stato Magg'ioroi
deiresercite e da una compagnia di gente d'arme — arri^
vava al forte Malghera per bene assicurarsi délie esegni-
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l'assemblea yknbta 49
mento pieno e intiero de' suoi ordîni per l'assalto di Mesire.
Ma al suo gingnervi il ponte o passaggio su la via ferrata
non era compiuto ancora; e se la schiera di mezzo stavasi
tntta raccolta su gli spalti del forte, a quella di destra —
cui era stato mutato il comandante, il Bignami col Zam-
beccari — mancava perô il battaglione bolognese, il quale
yenîva poscia aggiunto alla schiera di Morandi ; in oltre,
â cagione délia bassa marea, non erano neppur giunti nel
forte i due cannoni da campo e il drappello di cayalleggeri,
il quale, sotto gli ordini del capitano Dîaz, doveva servire
di scorta al comandante supremo. In sul far del giorno le
schiere di mezzo e di destra, spinte innanzi da Pepe, co-
perte da propizia nebbia arrivavano inosservate presse il
campo degli Austriaci ; i quali, sebbene preparati a soste-
nere gli assalti, allô irrompere violente deiravanguardia
di Morandi, precipitosamente indietreggiavano, riparandosi
dietro l'Osellino. Se non che poco dopo, veduta la schiera
che la seguiva avanzarsi con passe incerto e al primo
trarre délie loro artiglierie tutta disordinarsi, rioccupsr
vano Mestre: onde Pepe mandava sollecito il colonnello
Ulloa con la gente d'arme — la scorta sua — a rifare la
schiera scomposta e ricondurla aile offese; il quale, in
brevi istanti raccoltala, correva con essa agli assalti spal-
leggiato da due compagnie di Lombard!. AU'urto impe-
tuoso degli Italiani, saldamente sostenuto dàl nimico, suc-
cedette una pugna lunga e féroce, che perô ebbe fine con
la peggio degli imperiali ; che per tema d*essere presi aile
«palle, lasciato il vallo e le sue difese, riparavansi in Mestre.
Teneva lor dietro Ulloa, il quale dopo avère coUocato tre
compagnie di fanti bolognesi a cavalière délia via ferrata
di Padova per togliere agli Austriaci presidianti Fusina
Q la Rana la via di Mestre, entrava in questa terra, pro-
siegaendo il combattimento, in quella che vi giugneva
Zambeccari con le sue genti. Era la schiera di destra, la
qnale, dopo essersi impadronîta del vallo costrutto sul car
nale di Mestre e dei cannoni che le munivano, avevane
4 — Vol n. Mariaht — Storia poU e mil.
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50 OAPITOLO I
incalzato il presidio fuggitivo sino aU'ingresso di Mestre.
Qui il contrasto diventava assai piU ostinato e vigoroso ;
gli assalitori, gravemente feriti da micidialissimo fuoco
nimico, Indietreggiavano confusamente ; mentre Pepe iaten-
deva a riordinarli, gli Austriaci, raccoltisi su la principale
piazza di quella terra, preparavansi alla resistenza estrema.
Per raggiungerli era forza valicare il ponte deirOsellino,
che due artiglierie e una grossa mano di imperiali afiTor-
zatisi nelle vicine case difendevano, rendendone assai pe-
ricoloso l'avVicinarsi a quelle. Il buon esito, in quel mezzo
sortito agli sforzi di- Morandi, rese facile l'irapresa alla
schiera di Zambeccari. Avanzatesi insieme le due di mezzo
e di destra entre Mestre, pure insieme preeipitavansi sul !
nimico ; il quale, con quanto furore veniva assalito, con al- I
trettanta rabbia si difendeva: onde la pugna facevasi rie j
più sanguinosa e fiera; due volte respinti, due volte gli |
Italiani tornavano alleoflese ; insignoritisi délie case, che gli I
Austriaci avevano mutato in piccioli forti, riescivano a ;
cacciare da Mestre gli imperiali, che Mitis, loro capltano |
— il quale trovavasi a Dese con le riscosse — non aveva I
saputo soccorrere e sostenere. — Mentre cosi le schiere di I
mezzo e di destra combattevano e vittoriavano, quella di|
sinistra non avendo cominciate le oflTese all'ora stabllital
dal comando supremo, riportava lievi vantaggi sul nimico,
e non giugneva in tempo d'appoggiare le genti di Morandi
e Zambeccari nello assaltare Mestre, come le era stato or-l
dinato. Le barche armate del colonnello D'Amigo tardi ful-^
minarono Fusina con le loro artiglierie ; e quando i cac-l
ciatori del Sile mettevano piede a terra, gli Austriaci;
eransi già ritirati da quella terra, in loro precipitoso inn
dietreggiare lasciandosi addietro i cannoni, che là tenevano
per impedire lo sbarco degli Italiani. D'Amigo, coa su^
genti divise in due partite, mosse contra le poste di Mal^
contenta e délia Rana, che i nimici abbandonarongli senzs
contrasto; ne più egli procedette innanzi; perô ch.e, il
giorno essendo innoltrato dimolto, e informato anche dell^
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l'asse^iblea ybneta 51
presa di Mestre, facesse ritorno a Fusiaa. — L'assalto di
Mestre, il quale doveva avère solamente uno scopo strate-
gico e che i Triumviri avevano voluto che si eseguisse
per tener vivo nei difensori di Venezia Tardore di guerra
i^ soddîsfare al desiderio di combattere tante volte manife-
stato dairesercito e dai cittadini, terminô con la cacciata
degli împeriali da quella terra. Gli Italiani avrebbero ot-
tenuto piii splendida vittoria, se il colonnello D*Amigo fosse
i^iunto davanti a Fusina alFora flssatagli ; cou lo assaltare
Pnsina divertendo egli Tattenzione dei nimici da Mestre,
Morandi e Zambeccari avrebbero riportati vantaggi di
qualcbe rilievo cbe non fu quello délia semplice cacciata
degli Austriaci da Mestre. — Posato il combattere, Pepe
ordinava sollecito aile sue genti di riedere ai loro allog-
giamenti ; savio consiglio qnesto, avvegnachè il maresciallo
Stiirmer, che allora comandava le armi imperiali occupant!
le Venezie (1) e dirigeva le militari operazioni intorno
alFEstuario, saputo di quelVassalto, avesse mandate da Pa-
«lova, sua stanza,- grossa mano di soldatesche verso Dolo
«^ Mira, e spedito ordine al générale Perglass di recarsi
'ia Treviso a Dese, e al générale Macchio di correre sopra
Mestre in aiuto di Mitis. — Le schiere italiane ritiraronsi
in buona ordinanza; messi da prima in salvo i feriti, rac-
colsero di poi e seco condussero quanto avevano tolto al ni-
mico; il quale ebbe in quella giornata a lasciare nelle mani
dei vincitori da cinquecento soldati prigionieri, dodici ar-
Tiglierie di calibre diverse, molti carri di munizioni da
guerra e da bagaglie, ealquanticavalli; inoltre lasciôsul
campo circa dugento uomini uccisi o feriti ; degli Italiani
da cento venti caddero morti o feriti. Nell'ordinare l'im-
presa di Mestre il générale Pepe aveva disposto che una
presa di seicento armati uscisse dal forte di Brondolo e,
(1) Il 2 ottobre StOrmer assmiBe il eomando supremo délie amd au-
striaAhe nelle provincie venete, rimessogli da Welden; il quale era
allora stato creato govematore militare e civile di Vienna.
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52 GAPITOLO I
valicatâ la Brenta, carcasse la contrada sino a Cavanella
d'Adige, allô scopo di rivolgere altrove l'attenzione del
nimico e minacciarlo da quella parte aile spalle. Sul fare
del giorno il presidio di Brondolo usci alla campagna e
portossi a Cavanella; ma non trovando nimici da com-
battere, per ayere il générale austriaco pochi di innanzi
posto a Cavarzere l'estremità destra del campo d'ossidione,
fece tosto ritorno a sue stanze. Parimenti nuUa operô in quel
giorno il presidio del forte O — cencinquanta volontari
romani — il quale uscito fuora era giunto a Mestre, quando
già la tenevano le schiere di destra e di mezzo.
La giomata di Mestre — onorevolissima per le arini
repubblicane — se non ebbe, corne sopra dicemmo, scopo
strategicOy contribui perô possentemente ad accrescere
l'entusiasmo nei difensori di Venezia e rese efficacissima
la speranza di difendersi con buona fortuna, speranza da
tutti nutrita, aggiugnendo ad essa novello ardore di corn-
battere; in oltre, fece nascere nelle giovani milizie la
confidenza nelle proprie forze; e in verltà, quante volte
eransi assaggiate con gli imperiali, già in moite pugne
provati, altrettante avevano vittoriato. Diligenza somma
era nel capitano suprême ; périzia di faccende guerresche,
in molti ufficiali dell'esercito, soprammodo nei Napolitani;
in tutti poi, valore e buon volere : onde la patria non po-
teva disperare di sua sainte. Ma il Governo non seppe
profittare dei vantaggi morali guadagnati in queirimpresa ;
esso lasciô cadere nelFinerzia cittadini e soldati, respin*
gendo il consiglio di Pepe, che voleva si proseguisse cou
audacia e vigore in quel sistema, si prosperamente comin-
ciato, di assalti e badalucchi, i quali avrebbero sempre
più fatto esperto Tesercito italiano nelle cose délia guerra
e stancato il nimico assediatore. Daniele Manin am6 ^
contrario ottemperare ai desidèri di Francia, i cui reggi-
tori, lusingandosi di indurre l'Austria a far compren-
dere Venezia nelle tregue formate a Milano il 9 agosi»'
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l'AS8£MBLEA VBKETA 63
rolevano che le armi délia repubblica non avessero più a
muovere ad offesa contra quelle deirimperio. — L'impresa
di Mestre yenne da Pepe sariamente ordinata; mas^ellV
vesse con maggiori forze eseguita, i lavori fortificatorii
Aegli Austriaci sarebbero stati distrutti, e Tossidione per
alquanto tempo allargata con molto yantaggio di Yenezia.
In verp non so trovare la ragione che indusse i Trium-
Tlri a non volere con Tassalto di Mestre raggiungere scopo
âtrategico, possibilissimo a ottenersi con grande utile délia
difesa e grave danno degli assediatori. — DeU'errore dei
Triumvipi subito profittarono gli Austriaci. Il giorno dopo
Tassalto, Mitis, occupata Mestre con presidio numeroso,
pose mano ad accrescere le fortiflcazioni di quella terra ;
diede migliore ordinamento aIl*ossidione, portandone ad-
dietro le poste, raccogliendole in luoghi piii opportuni, ed
eziandiio allô scopo di metterle al sicuro di nimiche sor-
prese ; e fece piii diligenti guardie ne' suoi campi. Dal
canto sue il générale Pepe con savio consiglio volse sue
eure a preparare nuoYi e più vigorosi assalti al doppio
scopo di non concedere mai tregua agli assediatori, di in-
darire aile fatiche délia guerra le soldatesche sue e péri-
gliarle in incessanti pugne. Avyertito che i presidi impe-
riali di Cavanella, Cavarzere e Borgoforte su TAdige eransi
ridotti in Rovigo, conoscendo l'importanza di CavaneUa —
chiave del basse Polesine, onde per essa potevasi agevol-
mente vettovagliare Yenezia — fatta deliberazione di recarsi
in mano quella terra, comandava al générale Rizzardi,
che teneva Brondolo, d*occuparne il forte e accrescerne
le difese. Se non che Bizzardi, reputando abbisognare di
molto danaro e tempo per rimettere quel forte in buono
stato» non Toccupô. La sua disobbedienza, la quale arrecô
non poeo danno agli assediati, rimase del tutto impunita;
ebbero salvato il générale Rizzardi il favor grande ch'egli
,?odeva presse i supremi reggitori e la poca fermezza di
Pepe, che avrebbe dovuto fare rispettata la propria auto-
rità e mantenere severamente la militare disciplina.
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54 CAPITOLO I
Le buone novelle del soUevamento d'Ungaria contra la
dominazione austrîaca e il tornare délia squadra sarda
nelle acque di Venezia — il 28 di quel mese di ottobre
arrivata aU'ancoraggio di Pelorosso — assicuravano i di-
fensoiî délia laguna délia vittoria finale, divenuti baldi per
li assàlti fortunati di Cavalllno e Mestre. Se in forza délie
tregue di Milano le navi régie non potevano prendere
parte operosa alla difesa di Venezia, tenevansi perô esse
preparate alla riseossa; ayvegnachè la Sardegna già si
affaticasse ad apparecchiare nuovo esercito e nuoye armi
contra l'Austria. — A prowedere di danaro l'erario il Mn-
nicipio, dopo essersi fatto mallevadore verso i cittadini
dei prestiti per lo innanzi levati dal Governo (1), il 6 no-
vembre di quell'anno 1848 deliberava di anticipare al Go-
verno stesso in quattro rate mensili dodici milioni di lire,
rispondenti a una imposta annua di seicento mila lire per
venti anni, imposta da cedersi poi al Comune ; la quale,
se per allora doveva gravare soltanto le praprietà fonr
diarie del dominio veneto, sarebbe stata in sèguito distri-
buita con equa misura su tutte le popolazioni ad esso
soggette, mediante imposizioni indirette (2). — In questo
mezzo, più che un vero desiderio, una smania intempestiva
di capitali mutazioni agitava Roma, Toscana e Sardegna;
da tutti gridavasi e volevasi una Costttuente italiana,
corne quella che sola valesse a salvare la patria dai péri-
coli che la minacciavano, e mantenere la pace allo in-
terne, pace indispensabile a condurre presto e a buon fine
gli apprestamenti délia seconda guerra contra il comune
(1) Sommayano a cinqne milioni di lire.
(2) Il 22 novembre decretoesi dal Governo on aumento d'imposta di
ventîcinqne centesimi per lira d'estimo. H Comune di Venezia con le
terre non occnpate dal nimico aveva allora nn estimo di due milioni e
seicento mila lire; esso sowenne al Governo i dodici milioni, di cui
abbisognava, mediante carta monetata, cbe ebbe il nome di moneta del
Comune di Venezia^ la qoale venne messa fnora il primo dicembre 1848.
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l'aSSBHBLBA VEKBTJL 65
nimico, contra l'Imperio. Venezia, quando seppe che i Mi-
aistri di Toscana aveyano acclamato la Costttuente — dal
Granduca pubblicamente consentita, ma in segreto osteg-
giata — invitava i Triumvîri ad accostarsi a quelli, che
già eransi voltî ai regnanti in Italia e aveyanli chiamati
a comporre in buon accordo la tanto desiderata Assemblea
nazionale, che, appena posate le armi, doveya dare agli
Italiani Tordinamento politico e civile, quale richiedevanlo
i nuovi tempi, la dignità e la grandezza délia nazione. —
Poco dopo il Circolo italiano eleggeva un Comitato di
cinque suoi membri, cui dava il carico d'accordarsi con
quelle già costituito in Firenze allô scopo di promuovere
la convocazione délia Costttuente. Moite artiglierie e tutte
le campane di qnante chiese conta Venezia salutavano
con romorosa gazzarra Taurora del primo dicembre, an-
oiversario délia Lega Lomibarda (1); nella sera poi di
quel giorno, che il Governo, a eternare la memoria del
grande awenimento, consecrô a festa naztonale, nel teatro
délia Fenicey mentre acclamavasi dXY Italia libéra e unita
e alla Lega Lombarda, una voce gridô la Costttuente
italianoj cui la moltitudine degli spettatori col massimo
entusiasmo rispose. I Triumviri, i quali erano poco favo-
reroli alla grande Assemblea dei rappresentanti délia na-
zione, non diedersi per intesi di quel manifestarsi délia
opinione pubblica; e fu soltanto verso il cadere dell'anno
che costretti dalla nécessita — perô che il popolo avesse
fatto conoscere la sua volontà imperiosa — decretarono la
istituzione d'una Assemblea permanente dei rappresen-
tanti délia repubblica; la quale doveva deliberare su gli
interessi interni ed esteriori dello Stato, nel medesimo
(i) n primo dicembre 1167 i depntati délie citt& délia Lega — fei-
matasi in Pontida il 7 aprile di qnell'anno — stabilivano i patti délia
(<mnne difesa eontra Federico Barharossa; giniaronli poscia i rappre-
sentanti di Venezia, Verona, Padova, Treviso, Ferrara, Brescia, Ber-
gamo, Cremona, Milano, Lodi, Piacenza, Parma, Hodena e Bologna.
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56 CAPITOLO I
tempo âssando le norme da seguirsi nella elezione de' suoi
rappresentanti. Il 20 dicembre Daniele Manin, coq lettera
circolare, invitava i parrochi délia città a istruire nei di-
ritti politici il' popolo, che il lungo servaggio aveva disu-
sato dallo esercizio di quelli. « Mai sempre, scriveva il
Triumviro, e specialmente poi allorquando difficili sono i
tempi e gravi gli avvenimenti, solenne è l'atto coa cui
una nazione, valendosi del suffragio universale, nomina i
propri rappresentanti, e ripone nelle loro maûi i destin!
délia patria comune È indispensabile, e privatamente
ed anche con la viva voce daU'altare, di far conoscere
come nel doppio atto a cui ognuno è chiamato, è riposta
eminentemente Tespressione délia nazionale indipendeoza
e la dignità di un libero cittadino. Nei govemi assoluti il
popolo è nulla, e di lui si dispone segretamente a seconda
di particolari ambizioni ; nei govemi liherî invece il po-
polo è tutto, e, se non puô radunarsi nelle piazze per di-
scutere e statuire, discute e statuisce col mezzo di rap-
presentanti a cui direttamente e liberamente rilascia il
mandate. » — Il Clero, a pieno comprendendo Timportanza
dell'atto che dovevasi compiere dal popolo, in modo deg^no
rispose allô invite di Manin ; e il Patriarca di Venezia, fa-
voreggiatore délia Costituente, in una pastorale a' suoi
diocesani ebbe allora a parlare queste generose parole :
« Freme già intorno un nuovo nembo di guerra ; la Ghiesa
è in lutto ; il monde intero, si puô dire, in iscompiglio ; e
Venezia solamente, sotto la protezione di Maria, come la
casa di Obededom, albergatrice dell'-^rca, resto sempre
tranquilla, come se nuUa di nuovo fosse avvenuto ne dentro,
ne fuori di essa; ma nella stessa sua tranquillità ne rimane
ancora molto a desiderare per essere felice. Finchè le sue
sorti non sieno decise ; finchè non le si riapra una libéra
comunicazione con le città sorelle; finchè non si striag-a
tra essa e tutto il resto d'Italia quella compatta e stabile
unione a cui mirano i voti comuni, non puô non sentîre
le angustie di una affannosa incertezza. Per questo avvi-
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LASSBMBIiXik YBXETA 57
saroûo saggiamente i rettori délia cosa pubblica» che si
trascelgaao da ogni contrada i piii qualiâcati cittadinl^ i
quali, formando in un dato giorno un autorevol consesso,
coaoscano e propongano e stabiliscano ci6 che parrà loro
piii espediente alla condizione délia patria. > Eletti furono
proprio quelli che il paese si meritava» avyegnachè il mag-
gior numéro dei rappresentanti suoi appartenesse alla
parte libérale.
Il 15 febbraio 1849 aprissi la grande Assemblea; i rap-
presentanti dello Stato veneto, asaistita da prima la messa
solemie, celebratasi nel maggior tempio dal cardinale Pa-
triarca, raccoglieyansi di poi nel palazzo ducale. FaVellô
primo DanieleManin; il quale, dopo aver dette délie con-
diaoni politiche, in cui erasi trovata Venezia dal giorno
di sua spontanea dedizione al principato sabaudo sino a
quelle che allora correva, fece conoscere quanto i Trium-
viri avevano operato durante il loro governo. Si discusse
quindi neU'Assemblea a lungo e caldamente su la latitu-
dine da darsi alla parola cittadinanza, usata nella legge
elettorale; e venue ad essa conceduto il senso piii lato per
le eloquenti parole di Niccolô Tommaseo; il quale, per
istanza sua richiamato da Parigi, aveya âno dal 20 gen-
naio fatto ritorno a Venezia (1). Nelle riunioni, che poscia
seguirono, TAssemblea ebbe confermati nel reggimento délia
cosa pubblica « con poteri straordinari Manin, Graziani
e Cavedalis — la cui dittatura avéra avuto fine il giorno
in cui quella Assemblea era stata costituita — per quanto
nguardava la difesa dello Stato, esclusa perd la facoltà
di prorogare o scipgliere f Assemblea. > NeU'adunanza del
22 febbraio Manin parlô délie relazioni di Venezia con gli
altri Stati dltalia e con Francia; délie pratiche tenute
(1) Oratore di Venezia presso la repnbblica francese and6 allora "Va-
lentmo Pasdni, anche col earico di tutelare gli interessi di Venezia al
Oongreaso di Bruxelles.
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58 OAPITOLO I
con gli Stati mediatori per sospendere — mentre trattavasi
di pace — la gaerra su la laguna, e disse del diniego del-
l'Austria ; lesse di poi la risposta del ministre Bastide al-
raiuto implorato délie armi francesi, aiuto che il Governo
délia repubblica non poteva siio malgrado accordare per
essersi gli Italiani chiariti avversi a ogni straniero inter-
vente. — Approvate le norme che dovevano reggere TAs-
semblea e dichiaratasi questa difflnitivamente costituitcby i
Triumyiri proponevano che si avesse a trattare délia forma
d'un nuovo governo, nel tempo stesso aflTermando d'essere
pronti a rinunziare al loro officie e alla potestà dittato-
riale. — Già dieci volte i rappresentanti veneti eransi rac-
colti'a consulta, ne ancora' avevano parlato délia Costi-
tuente italiana ; indarno gli oratori di Roma e di Toscana,
recatisi a Venezia per trattare di essa, avevano tentato ra-
nime dei supremi reggitori délia repubblica; invano se-
vente e in modo solenne i Yeneziani eransi manifestati a
quella favorevole; avversata con poca lealtà dagli uomini
del Governo, non difesa ne sostenuta da quelli deU'Assem-
blea, la Gostituente veniva lasciata da parte. Nella tema
che i Trlumviri rinunziatori non fossero dairAssemblea
confermati nella suprema potestà, gli amici loro, risoluti
di appoggiarli a ogni costo, seminando nel popolo le piii
brutte menzogne le spinsero contra la parte onestamente
repubblicana. Dicevano quei tristi : = Trovarsi in seno al
grande Consesso alcuni i quali, fingendosi partigiani ar-
rabbiati délia repubblica, tendevano perô ogni loro sforzo
al potere dittatoriale, di cui volevano insignorirsi all'ini-
quo scopo di rimettere Venezia in soggezione deirAustria ;
in oltre, sfacciatamente affermavano volere Sirtori sostî-
tuire se stesso a Manin; bassa calunnia, che non poteva
in nulla ferire quell'uomo di virtù antica e note a tutti
per esere délia libertà svisceratissimo e délia liberià stesso
benemerito. — Il 5 marzo una moltitudine innumerevolo
di popolo accalcavasi dinnanzi alla porta del palazzo du*
cale, e gridando tHva Manin, abbasso Sirtori, minacciava
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l'assembiiBA ybxeta 59
invadere rAssemblea per insultare i rappresentan-ti del
popolo stesso awersi al Triumviro e dar morte aU'emulo
suo. Mani yendute a faccendieri disonestamente ambiziosi
ayeyano nel mattino afflsso ai canti délie vie di Yenezia
cartelli infami, sui quali leggevasi: « Vogliamo Manîn dit-
tatore assoluiOy àbbasso Sirtori. > È fama, avéré le guardie
cittadine impedito il togliersi di quei cartelli; se ciô è vero^
esse vituperaronsi, e la forza armata, che non ardi strap-
parli dal muri, quel di commise una viltà. — Il romore
popolare non isbigotti TAssemblea, la quale tennesi ferma
e serena, respingendo persino il partito del deputato Ave-
sani — che avrebbe voluto, s'avessero, seduta stante, a con-
fermare i Triumviri nell'usato offlcio — per discutere e
risolvere il giorno vegnente sopra il grave argomento con
maggiore tranquillità.
Da che a Manin venne saputo gridarsi dal popolo il suo
nome ed essere egli stato preso a proteste di quel tumulte
per gli interessi privati o per le mire ambiziose di alcuni
suoi amici, corse al palazzo ducale. Era tempo; perô che
le guardie cittadine non potessero più frenare i tumul-
tuanti, ne rattenerli dallo irrompere in mezzo alFAssem-
blea; e allora Manin, fatto col suo corpo argine all'onda
degli invaditori, disse a questi : « Se mi amate, allontana-
te?i di qui ; » e siibito la moltitudlne tumultuaria si ri-
trasse, non quietossi perô, ne si disperse ; che anzi, quando
vide Sirtori uscire di palazzo, ripetè contra lui il féroce
grido di morte. L'ira di quella gente forsennata non inti-
mori quell'uomo fortissimo; il quale, a Manin che voleva.
riparasse entre la sua gondola per togliersi al pericolo che
lo minacciava, rispondeva: = Nulla temere; essere con-
tento di sacrificarsi per la giustizia délia causa, da lui
presa a difendere. = Dette ciô, cacciossi audacemente in
mezzo alla folla romoreggiante; e, senza patire danno ne
insulto, si ridusse a sua casa : il suo coraggio Tebbe sal-
vato ! — Il giorno vegnente Niccolô Tommaseo ai rappresen-
tanti congregati in Assemblea prese a parlare cosi: « lo
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60 GAPITOLO I
non ho mai accagionato il Governo di quello di che esso
si scolpa; ho distinto i goyernanti dall'offlcio di pubblioa
vigilanza; e a qaesto stesso non rimproverai malYOlere,
ma aonno. Tatti sanno quante scritte offendenti il decoro
di città libéra si sieno lette in questi giorni pe' canti,
scritte la oui uniformità e correttezza indicava altra mano
che quella dell'onesto e povero popolo ; tutti sanno che una
stampa faziosa, senza nome d'autore, ma col nome délia
stamperia, fu anch'essa afâssa pe' canti, e che l'autorità
non euro ne punire Tatto colpevole e nemmeno ripren*
derlo; tutti sanno il cartello insolente — insolente lo chia-
mai io, minacciose altre scritte — il cartello insolente ap-
peso alla porta di questo palazzo, e che rimase 11 per piii
ore; tutti sanno che grida di morte e di vitupère furono
impunemente scagliate contra alcuni degli- eletti del popolo
e contra le loro famiglie — e avrei bramato che il biasimo
di tanta indegnità da altre labbra uscisse prima che dalle
mie; tutti sanno che ventimila e piii uomini di milizia a
certuni parvero non bastare a difendere all*Assemblea la
libertà dei suffragi, e a voi, cittadini, la vita; e che, se
Taltro ieri la vostra fermezza non era, sarebbesi sparso
per ritalia il grido che i tumulti délia piazza fecero alla
coscienza vostra turpiasima violenza. I fatti accennati sono
riconosciuti per veri da molti de' nostri coUeghi, e la co-
scienza del paese li afferma. Puô Tonorevole oratore scu-
sarne taluno, negare le cose notorie non puô. Parle senza
rancore; e già fin da principio dimostrai di sapere fran-
camente consentire e dissentire da esso. L*onor suo mi è
caro, come Tonore del popolo ch'egli governa. Noi sappiamo
le benemerenze sue verso la patria; egli sa che la nostra
iiberazione è opéra di molti uomini, di molti eventi; che
due soli ne sono gli autori dawero, il popolo e Dio. La
fiducia che in lui pone il popolo, i doveri che gli impone
Dio lo faranno maggiore délie ambizioni plmmee, più forte
degli odi meschini che ci trasciniam dietro come servili
catene. Siam tutti piccioli, tutti dappoco, solo una cosa è
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l'asbbhblsa ysneta 61
grande: la patria. > Aile savie parole di Tommaseo, le quali
suonavano grave bîasimo airoperato di chi doveva vegliare
al conservamento delFordine pubblico, rispose Manin. Dopo
avère con poca modestia esaltato se stesso per tutto quanto
di utile e di decoro alla patria era stato da lui compiuto
durante il tempo del suo governo, allô intento di giustiâ-
care il Comitato di vigilanza studiossi di provare, con
ragioni speciose ma non giuste, i romori del giorno in-
nanzi essore stati di assai lieve momento; per la quale
cosa TAssemblea non doveva occuparsene. Nello interesse
délia verità dobbiamo far conoscere che Daniele Manin,
caduti a vuoto i due tentativi di sciogliere amichevolmente
gli assembramenti tumultuosi del popolo minacciante di
violare il sacro recinto dei rappresentanti del paese, < veg-
gendo non bastare le sue parole, com'ebbe egli stesso ad
aflfermare pubblicamente ai deputati veneti, ricordatosi di
quelle che aveva operato nel marzo 1848, prese la spada
e postosi alla testa di un drappello di guardie cittadine, col
fîgliuol suo, quasi fanciullo, al flanco, entrô nel cortile
dell'Assemblea, risoluto di difenderne l'entrata a costo
délia propria vita e di quella altresi del flgliuolo ; il popolo
avrebbe portante dovuto calpestare i loro cadaveri per
invadere TAssemblea. » — Il tumulto fu oltre ogni dire
minaccioso e ostinato; tanto che per vincerlo Manin do-
vette impugnare la spada. In quel medeslmo giorno — il
6 marzo 1849 — il fiero Triumviro, ricordato aU'Assemblea
che sîno dal 17 febbraio essa aveva dichlarato che per lo
costituirsi suo era cessata la Dittatura, caldamente sup-
plicô i rappresentanti veneti a provvedere solleciti la re-
pubblica di un nuovo governo. « Questo nuovo governo,
disse Manin, saprà TAssemblea, saprà il paese, saprà egli
stesso di avère la fiducia dei rappresentanti del popolo » (1).
(l) Eeco la parte piû importante del discorso di Manin all'Assemblea
dei rappresentanti del paese. — « n Governo ayeva crednto che le ra-
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62 OAPITOLO I
— Fu allora che il deputato Olper mise innanzi la pro-
posta di eleggere à'urgenza Daniele Manin capo del potere
esecutivo, con ampia autorità di provvedere, corne meglio
credesse, alla difesa interna ed esteriore di Venezia e délia
sua laguna, e col diritto altresi di prorogare l'Assemblea,
riserbando perô a questa la potestà costiitiente e legisla-
tiva. Nel di vegnente Sirtori parlô cosi contra la proposta
di Olper : = Non potersi riunire in una sola persona tutti
i poteri, ne tutta la malleveria, non essendo in facoltà
deirAssemblea di rinunziare a un mandate ricevuto dal
popolo e non ancora adempiuto. Dovere il capo del Go-
verno esercitare il potere esecutivo per mezzo di Ministri
che abbiano, al pari di chi li presiede, a dare guarentîgie
sicure dell'opera loro. AU'onore deirAssemblea, del paese
gioni, dalle quali l'Assemblea era stata indotta a concedere tempara-
neamente lo eserclzio del potere esecutivo ai tre che erano stati ditta-
tort, dopo il costituirsi di essa fossero cessate, e occorresse oocuparsi
Immediatamente délia elezione di un Goyemo nnoYo ; essendo il présente
toUerato per la nécessita del momento, non ha dnnque nessnna autorità
morale. Esso trovasi in quelle condizioni in cni troverebbersi i ministri
di un paese costituzionale, che avessero dato la loro rlnunzia e dovea-
sero continuare a sbrigare gli a£fari, finchè subentrassero nuovi ministri.
In quelle stato, che suol chiamarsi di crisi ministeriale, e che in tutti
i paesi si cerca che duri pochissimo , perché la lunga durata puô in-
durre pericolo, i Govemi pensano soltanto all'oggi, e non possono peu-
sare e proyyedere al domani; noi poi siamo in condizioni, che che si
dica, diverse dagli altri paesi. Questo Stato ô un campo trincerato; que-
sto popolo è un esercito, per condurre il quale occorre potenza e Tigore;
abbiamo il nimico che ci oppugna all'estemo con le armi, allô interne
con la discordia. lo dunque debbo , in nome anche de' miei colleghi ,
dichiarare che non ci sentiamo nô autorità, nô forza per govemare
cosi; e quindi debbo supplicare l'Assemblea che proweda immediata-
mente a qualche cosa di più stabile. Quando io dico stabile, non intendo
dire définitive, perché tutto ô temporaneo, ma che perô non abbia a
durare solamente da un'ora all'altra. Questo Govemo nuovo qnalunquei
che sarà costituito, saprà l'Assemblea, saprà il paese, saprà egli stesso
d'avere la fiducia dei rappresentanti del popolo; noi al contrario ci5
non sappiamo, percha tollerati e non eletti. >
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L^ASSEMBIiEA YENBTA 63
e del Governo stesso disconvenire i poteri straordinari, i
qnali concedonsi soltanto in tempi di tumulto o di forte
agitazione. =: Conchiuse poscia il suo dire cosi : « Lo stesso
Manin ci annuQziavay il tumulto deiraltro giorno essere
stato un picciolissimo tumulto : ora noi dobbiamo dimostrare
in fatto che il tumulto non era taie da far paura a chi
che sia; e mostriamolo coi fatti, costituendo il Governo
normalmente, corne si farebbe nelle circostanze ordinarie. »
Non estante le sennate osservazioni di Sirtori, aile quali
erasi awicinato Niccolô Tommaseo, dopo non lunga discus-
sione venue mandata a partito la proposta di Olper; rac-
colti i suflTragi se ne trovarono centotto favorevoli, due con-
trari ad essa. L'Assemblea ebbe allora commesso un atto
non di prudenza^ ma di servile sommissione a Daniele
Manin, che da quel giorno fu arbitre dei destini délia re-
pnbblica (1). Assunta la podestà dittatoriale, egli confer-
mava nell'usato offlcio di Ministri sopra le armi e sopra
la marineria di guerra i compagni suoi nel triumvirato,
Cavedalis e Grazîani ; assai meglio avrebbe proweduto allô
intéresse délia patria e alla propria fama allontanandoli
da se; e le ragioni abbiamo fatto conoscere più sopra.
n re Carlo Alberto, perduta ogni speranza di comporre
pacificamente la contesa sua con l'Austria — la quale aveva
bensi deliberato di prendere parte aile conferenze di Bru-
xelles, ma perô allora soltanto che dagli Stati mediatori
si fossero tenuti inviolaMli i trattati del 1815 — il 12 di
quel mese aveva inditta la guerra airimperio. Daniele Manin,
(1) Ecco la proposta di Olper: « 1^ L'Assemblea nomlna un capo del
poteie esecntÎTO, col titolo di présidente, nella persona di Daniele Manin.
^ L'Assemblea conserva in sô il potere costitnente e legislativo. 3^ Al
présidente Manin â data ampia potestà per la difesa interna ed estema
'iel paese, non esclnso il diritto di aggiomare TAssemblea. 4^ Nei
<^ di nrgenza il présidente potrà fare disposizioni législative, con ob-
%o di farle poscia samdonare dalFAssemblea. n
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64 CAPITOLO I
di quei gîorni accostatosi alla Sardegna, tosto che seppe
del prossimo cominciarsi délie nimistà — notizia questa
pervenutagli nella sera del 14 marzo — a fine di potersi
tutto consacrare ai preparamenti di guerra, prorogava di
quindici giorni il piunirsi deirAssemblea; la quale novella
riempi di gioia 1 cittadini e d*entusiasino, che subito appa-
recchiarono le armi per uscire alla campagna a far prova
délia for tuna e del loro valore e liberare la patria. — Poco
dopo la disfatta di Mestre, Radetzky aveva surrogato 11 gé-
nérale Qoltz in luogo di Mitis, che erasi lasciato sorpren-
dere dal nimico ne* suoi campi, non ostante fosse stato a
tempo avvertito da una spia dell'assalto che Pepe appareo-
chiava ; in oltre, il maresciallo aveva accresciuto Tesercito
campeggiante attorno aU'Estuario per afforzarne Tossi-
dione. Era quelle composte di due divisioni, che insieme
contavano ventimila soldati allô incirca; la divisione di
destra, capitanata dal générale Susan e forte di due bri-
gate di fanti, dal fiume Brenta scendeva al Po ; quella dî
sinistra, governata dal générale Perglass e composta di tro
brigate di fanti, stendevasi da Mestre sino al fiume Piave.
Mentre da moite terre délie provincie venete, soprammodo
dal Friuli, la gioventù piii animosa correva a ingrossare
Tesercito italiano, che su la laguna teneva alto con onore
la bandiera nazionale, le schiere pontificie lasciavano Ve-
nezia per recarsi a Roma a difendervi i nuovi ordini e la
repubblica, la quale per la fuga del Ponteflce a Gaetîi,
avvenuta il 25 novembre 1848, eravi stata festosamente
acclamata. 11 mattino del 17 dicembre di queU'anno la di-
visione del générale Ferrari — cinque mila uomini allô
incirca — avviavasi alla città eterna; nel licenziarla, Pepe
ne encomiô il valore, di cui in tutta la guerra aveva ilato
splendide prove, e tanto eflîcacemente aveva cooperato alla
difesa di Venozia. Il Circolo italiano in nome del popolo
veneziano le donô una bandiera, pegno d'amore fraterno, su
la quale stava scritto: Italia libéra ed una; a Rama e
Venezia. A riempire il vuoto, che il partire délie genti ro-
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Ii'ASSEMBLEA YEN£TA 65
mane doveva fare neU'esercito, il Ministro sopra le armi,
Cavedalîs, con decreto del 9 dicembre aveva ordinato il
comporsi di quattro battaglioni di fanti ; dei volontari del
Gadore, di Belluno, di Feltre e dei sette Comuni costitui la
legione dei Caccîatori délie Alpi, e furono due battaglioni ;
dei volontari friulani, un battaglione ; e un altro di Cac-
eîatorî del Sîle (1); in oltre, institui la legione JDalmaUh
Istriana coi volontari di queste provincie, legione che non
ebbe a contare piii di sessantacinque soldati. Un mese
(îi poi decretava la legione Euganea, che doveva comporsi
dei volontari di Padova, Vicenza e Rovigo; i quali, per
isfuggire alla chiamata delFAustria, in gran numéro eransi
portati a Venezia. Allô scopo d'avere pronti per li bisogni
dell'esercito offlciali bene istniiti in tutti gli ordini délia
miiizia e nelle cose délia guerra, il 3 febbraio dal Ministro
sopra le armi instituivasi una coorte di veliti, composta
di giovani forniti di buoni studi.
Sino dairs febbraio erano giunti in Venezia Cesare Cor-
renti e il générale Olivieri, degli ingegneri militari del-
l esercito sardo, il quale ultime era stato chiesto da Pepe
a Carlo Alberto per discutere insieme su le faccende délia
guerra — ch' egli sperava non lontana — e fargli cono-
scere, nello interesse dei due Stati, i disegni suoi intorno
ai modi diversi d'uscire alla campagna e di condurre le
militari operazioni (2) ; i quali modi egli faceva dipendere
dal vario ordinarsi degli Austriaci per l'impresa contra la
Sardegna. Se Radetzky, diceva Pepe, avesse a raccogliere
sue genti dietro il Mincio e nei trinceroni di Verona,
(1) Di Cacciatori del Sik esisteva già un battaglione.
(2) Sino dal dicembre il générale Pepe aveva spedito disegni di
iraeTra al Re sardo. — Cesare Correnti veniva allora al Govemo ve-
neto portatore di centonovantanovemila lire raccolte in Piemonte per
Venezia. H 23 febbraio gingnevano pnre a qnel Govemo, e per mezzo
del console sardo, lire novemila e trecentottantadne, mandate dagli Ita-
liani abitahti il Perû a favore délia causa patria; il qnal danaro per
Tolere di Carlo Alberto era stato spedito a Venezia.
5 — VoL n, . ^LkBTAKi — Storia pol. e mil.
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6G CAFITOLO I
lasciando le divisioni di Perglass e Susan a guardia del-
Talto Veneto e alla ossidione deirEstuario, egli, fortiflcata
la terra di Coache — che giaco sul canale o taglio nuo-
vissimo del Brenta — afforzato altresi Borgoforte su TA-
dige e presidiata Malghera d*una brigata di fanti, con altre
due brigate e due squadroni di cavalleggeri e due batterie
di cannoni da Chioggia invaderebbe il Polesine per susci-
tarvi soUevazioni e tumulti contra TAustria, valicando il
Brenta al suo mettere foce in su TAdriatico, e TAdige a
Cavarzere. Discenderebbe poscia verso il Po allô scopo di
appoggiare l'assalto, che darebbesi alla cittadella di Fer-
rara dalla divisione di Mezzacapo —, forte di circa otto mila
uomini e sedici artiglierie da campo — che in quel mezzo
toneva Bologna. Fatta Timpresa di Ferrara e riunite le
sue armi a quelle di Mezzacapo, Pepe andrebbe contra gli
Austriaci, che stringevano Venezia, per romperne Tossi-
dione ; non difficile impresa questa mercè l'aiuto del pre-
sidio di Malghera; il quale uscito alla campagna corre-
rebbe la contrada, che da Mestre scende al Bacchiglione
e a Chioggia. — Qualora Radetzky, in luogo di tenersi in
su le difese al Mincio e nei campi fortiflcati di Verona,
risoluto di assalire il nimico, passasse il Ticino con tutto
lo sforzo suo di guerra, il générale Pepe, vinto da prima
il presidip di Ferrara, getterebbesi di poi con tutte le sue
armi sopra le genti di Perglass e Susan per romperle e
impedir loro la ritratta su TAdige e il congiungersi allV
sercito del maresciallo. Se Pepe fosse uscito fuora dalla
laguna per condurre a effetto i suoi disegni di guerra —
in verità saviamente concepiti — il giorno medesimo in
cui Carlo Alberto avesse disdetto aU'Austria le tregue
formate a Milano, quoi disegni avrebbero non poco giovato
alla buona riuscita délie militari operazioni délia nuora
guerra, che la Sardegna doveva combattere; perô che
Radetzky, perdu ta Ferrara e minacciato aile spalle da
Pepe e da Mezzacapo, non avrebbe valicato il Ticino con
Tesercito intero per aflforzare i presidi di Verona e Man-
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l'assemblea teneta 67
tova; 0 sarebbesi raccolto con tutte sue forze entro il
(iuadrilatero y nel quale poteva con maggiore efflcacia
provredere alla difesa délie sue fortezze e, al bisogno, ,
correre in soccorso délie divisionl campeggianti le pro-
vincie venete e la laguna. Nel primo caso i Sardi sareb-
bersi trovati a Novara in numéro prépondérante agli Au-
striaci : laonde facile cosa per essi vincero la giornata ;
e nel seconde caso, l'esercito di Carlo Alberto portate per
la seconda volta le oflTese su l'Adige, avrebbe potuto unirsi
aile genti venete e romagnole, comandate da Pepe e Mez-
zacapo, e operare di concordia con esse contra il comune
iiimico. Se non che il tarde giugnere a Daniele Manin
délia lettera di Paleocapa — di quel giorni Ministre di
Carlo Alberto — annunziatrice del piprendersi délie ni-
raistà — la quale lettera, come sopra dicemmo, perveniva
in Venezia il 14 marzo, cioè due giorni dopo la intima-
zione di guerra aU'Austria -— toise ai disegni del générale
Pope buona parte del loro valore (1) ; e taie danno fu ac-
cresciuto dimolto dalla lentezza di operare del vecchio
générale napolitano, di disegni ^i guerra assai fecondo e
facile nel concepirli, ma tarde a risolvere e ancora più
tarde a mandare a effetto quanto deliberava di fai'o. —
Guglielmo Pepe avrebbe potuto facilmente levare agli Au-
striaci le vie di comunicazione délie fortezze del Quadri-
laiero con le provincie deirimperio — eccetto perô la
valle dell'Adige che sale al Tirolo — e minacciarli aile
spalle; onde Radetzky, per togliersi a si gravi angustie e
molfôtie, sarebbe stato costretto a mandare contra Pepe
grosso sforzo di imperiali, con non lieve danno o pericolo
délie sue difese sul Mincie e su l'Adige ; in oltre, il géné-
ralissime délia repubblica veneta campeggiando provincie
(1) n Gk)yenLO di Torino, nello annnnciare a Manin il disdire délie
tregne di Milano, non fece conoscere a Pepe i snoi disegni di guerra, e
Qolla richiese al comandante suprême deUe armi venete : onde Pepe non
poté armonizzare le militari sne operazioni con le mosse deU'esercito sardo.
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68 GAFITOLO I
vicine alla Lombardia — principale sede délia guerra —
avrebbe potuto prestamente correre a Carlo Alberto per
combattere insieme la giornata finale. — Di quanto operô
il générale Pepe diremo più innanzi (1).
(1) Poco prima del rompere délia nnova gnerra, Daniele Mauin a
Tecchio, Ministro sardo sopra 1 Lavori pubblici, scriveva cosî:
« Caro amico, — Noi siamo persnasi che il Ministero sardo voglia
sinceramente ritentare al piû presto la prova délie armi; e siamo pronti
6 ansiosi di concorrere, secondo le forze nostre, all'opera santa. Per la
scelta del momento opportnno di riprendere le ostilità e per oïdinare
le mosse nel modo più yantaggioso, giova, anzi occorre, conoscere le
condizîoni deiresercito nimico. Su ciô noi raccogliamo giornalmente rag-
goagli col mezzo dei nostri esploratori ; e parmi utile che del risnlta-
mento di tali raggnagli sia fatto partecipe Tegregio Ministro sardo.
Corne gioverebbe che da esso ricevessimo le notizie che egli avesse dal
sno canto raccolte; t'invio intanto privatamente l'inchiusa memoria. 8e
a codesto Goyemo gradisse, il nostro Dipartimento della gaerra potrà
mettersi in diretta e regolare corrispondenza con loi. Insomma il nostn>
scopo nnico e solo è qneUo di cacciare TÂustriaco ; e per qaesto alcnn
sacrificio ci parrà men graye; e chionqne a taie scopo mira e a ras:-
ginngerlo concorre, ô a noi amico e firatello amato e benedetto. n —
Dalla memoria sa Tesercito austriaco, alla qnale accenna Daniele Manin.
ynolsi togliere qnanto segue: = L'esercito anstriaco, che campeggia
dairisonzo al Ticino, tiene nel Friuli, tra i monti del Cadore e del
Bellonese sino alla Piaye, qnattro mila nomini; nel Treyigiano att^^rnu
a Mestre e Inngo il picciolo canale del Brenta, tra Fusina e Padova,
altri qnattro mila; nel Padoyano e nel Vicentino da cinqne mila; Innsro
la sÎQÎBtra del Po e su TÂdige sino a Monselice e Legnago, due miU
e cinqnecento; in Verona, Mantoya e Peschiera e loro raggio rispet*
tiyo, nndici mila; nelle proyincie di Brescia e Bergamo, e nei laoghi
forti dei loro monti, qnattordici mila; su quel di J^Iilano e Como e
Inngo la frontiera syizzera, altri qnattordici mila; lungo la riya sinistra
del Ticino, yenti mila; negli ospedali, dodici mila; in totale, ottantasei
mila cinqnecento nomini, dicui ottomila di cayalleria; inoltre, dugento
cannoni da campo. Gli approyyigionamenti di Yerona, Mantoya, Pe-
schiera e Legnago, e l'inyito fatto ai cittadini di queste fortezze di
bene yettoyagliarsi proyerebbero a eyidenza, che gli Austriaci pensino
di doyere ben presto ridurre la guerra entre il Quadriîatero,
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/VNAA^SAAA/VVA/VN/VV\AkA/VNAA/V%/S/VVS»^V^^VV'^VVN^^
CAPITOLO IL
La Repubblica romana.
Gli Austriaci invadono Ferrara. — L'8 agosto 1848 a Bologna; disfatta
di Welden. — Convenzione di Bovigo del 15 agosto. — Pellegrino
Rossi e la Lega italiana, — Garibaldi entra nelle LegazionL —
Uccîsione del ministro Bossi. Fnga di Pio IX a Gaeta; soiv pro-
testa. — La Costituente romana; il 9 febbraio 1849 yiene in Cam-
pidoglio grîdata la repubblica romana. — Haynan a Ferrara. —
Manifesto del Govemo repnbblicano ai popoli d'Eoropa. — Mazzini
in Roma. La Costituente manda aiuto di armi alla Sardegna per
l'impresa di Lombardia.
Airiafausta notizia délia caduta di Yicenza, i cittadini di
Roma, che Terenzio Mamiani avéra poco iananzi ricon-
dotti alla usata quiète e saputo tranquillarne gli animi,
nuovamente si commossero e si turbarono. In forza dei
patti di dedizîone di quella terra aile armi imperiali le
milizie pontificie, che avevano avuto parte larga e glo-
riosa nella difesa di essa, doyevano tornare in patria e
per tre mesi non combattere contra TAustria; cosi al danno
délia Tinta città, quello si aggiunse dello allontanarsi dalla
guerra di una schiera eletta di soldati, e per somma sven-
tura proprio in quoi giorni in cui il re Carlo Alberto, per
sostenersi sul Mincio e su TAdige, abbisognava dimolti ar-
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70 CAPITOLO II
mati. A rimediare a danno si grave e a provvedere aile
nécessita împeriose délia guerra, la quale ogni di piii fa-
cevasi difficile e grossa, causa l'accrescersi deiresercito
nimico, i ministri del Ponteflce proponevano che le genti
di Durando si recassero a presidiare le fortezze degli Stati
del Re sardo, affinchè i presidi di queste avessero ad af-
forzare Tesercito regio in Lombardia; inoltre decretavano
di riunire sul Po le milizie sparse nelle terre del dominio
délia Chiesa; di levare sei mila uomini e ordinarli in
ischiera di riscossa e învitare a scriversi ai ruoli dellV^
sercito quanti fossero atti aile armi e aile fatiche dol
campo. Allô invite de' suoi ministri, di provvedere sollo-
citamente e con efflcacia alla sainte dltalia, il Sommo
Pontefice rispose niegativamente. AUora i rappresentanti
del popolo, voltisi a lui, che poco prima aveva promesso
di voler difendere la giustizia e la verità, e signiflcatogli :
avère Roma conosciuto nella parola di pace il Vicario di
Cri^tOy nelle istituzioni liberali già concedute il principe
rigeneratore, e nelle benedizioni date allltalia Vangelo
annunciatore di non atteso gaudio, facevansi a chieder-
gli, che con nicove e prowide leggi riordinasse i Mur
nicipi; diffbndesse Vistruzione adattandola alla intelli-
genza del popolo; accrescesse le armi per sostenere la
civile lïbertà da lui stesso handita, — E Pio IX rispon-
deva a quelli cosi: levassero al cielo il ctùore e gli
sguardi, da JDio solo potendo ottenere Vappoggio forte, i
lumi necessari, la costanza e il coraggio per toccare la
meta (1). — Raggirati dai nimici d'ogni libero reggimento,
i Gesttiti — i quali con perfidi awolgimenti impedivangli
di conoscere i veri interessi délia Chiesa e dello Stato —
Pio IX mostrossi talvolta volonteroso di soddisfare aile
giuste aspirazioni de' sudditî suoi ; ma più di sovente se
ne chiari avversario. Egli stava sempre tra due ; dubbioso
(1) Ci6 accadeva il 16 Inglio 1848.
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LA BlBPUBBIiICA BOMANA 71
in sè, voleva e disvoleva a un tempo; desiderava il bene,
ma era impotente a conseguirlo; aveva Tanimo inchino
alla clemenza, ma consiglieri raalvagi fecergli non di rado
CDmmettere atti tirannici. Il Pontefice, che avrebbe dovuto
in santa armonia congiungere popoli e prîncipi, gettô al
coatrario tra questi la face di novelle discordie, confer-
maado cosi la sentenza di Machiavelli : essere la potestà
terrena dei Papi causa prima délie divisîoni d'Italia e
impedimenta alVunità x>atrîa ; Pontefice e principe, Pio IX
ebbe allora divisa in duecampi la città eterna, voglio dire
in Roma papale e in Roma italiana. — In questo mezzo
rapiQi imperiali invadevano lo Stato délia Chiesa. Liech-
tensiein, valico il Po con la sua brigata nella notte del
13 al 14 luglio a Ficarolo, Occhiobello e Polesella, occu-
pava Ferrara, la cui cittadella era presidiata da un batta-
glione d'Austriaci ; offesa veruna e veruno insulte avevano
proYocata quella invasione, cui tennero dietro atti d'osti-
lità e violenza. Il Inogotenente di Radetzky imperiosamente
chiedeva allora al Pro-Legato, il conte Lovatelli, avesse a
fornire al presidio délia cittadella quante vettovaglie abbiso-
gnare potevangli per due mesi. Al diniego del Pro-Legato il gé-
nérale Liechtenstein minacciava di gravi danni la città (1);
il Lovatelli, che non ha forze armate da opporre agli in-
vaditori, cedendo alla dura nécessita, accorda ciô che prima
avevagli riflutato, a patto perô che abbia a uscire imme-
diatamente con la sua brigata dal territorio pontiflcio.
< La promessa evactcazione, scrisse allora il conte Lo-
vatelli al luogotenente maresciallo Perglass (2), délie mi-
(1) « Al 8ignor conte Lovatelli, Pro-Legato délia dttà di Ferrara.
•" Dopo il rifiuto che EUa mi ha fatto di adoperani allô approvrigiona-
mento per dae mesi deUa cittadeUa, io sono costretto a farle conoscere
wpettare ineessantemente la risposta decisiva su ciô ; avendo, nel caso
di tm diniego, risolnto di ottenere anche con la violenza lo scopo mio. »
u Ferrara, 14 luglio 1848, mezzanotte. » » Libchtbnstbin. »
(2) Protesta contra l'invasîone austriaca; Ferrara, 26 luglio 1848.
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72 CAPITOLO II
Hzie austriache veniva eseguita ritirandosi bensi da Fer-
rara, ma occupando la linea del Po in diversi punti,
trincerandosî e fortî/îcandosi in ciascuno di essi, tagliandé
gli argini del fiume per costruirvi opère di difesa, esp^
nendo il territorio aile inondazioni, sottoponendo i pa(Si
a un reggimento militare, imponendo contribuzioni in
danaro e viveri superiori anche al bisogno, mescolatdo
lo spregio allô insulto, ponendo la mano su le autoHtà
locali rappresentanti il Ooverno, sui ministri delVaUare,
vietando il suono délie campane, minacciando ad ogni
passo incendi e morte, trattando, in una parola, i sud-
diti devoti di Sua Santità coms abitanti di un paese,non
solo nimicOy ma vinto... io non avrei mai irmiginato
possibile, che convenzioni dettaie dalla volontà del piii
forte avessero ad essere infrante e calpestate da quella
parte medesima che le aveva imposte, e che ora aperia-
mente le distrugge in tutto e per tutto. » Pio IX, il quale
poco innanzi aveva, a fine di suo supremo sacerdoziOy
iaviato oratori al re Carlo Alberto e a Vienna per trovar
modo onorevole a condurre i guerreggianti a concordia e
a paoe, tosto che seppe dalle soldatesche imperiali violati
i diritti délia Santa Sede, ordinava, che nei modi e nelle
forme legali si facesse solenne protesta alla'corte au-
striaca da comunicarsi eziandio a tutti i Governi. Spe-
rarono allora i Romaai che il Sommo Pontefice in quel
momento d' ira generosa e di giusto sdegno bandirebbe
guerra aU'imperio ; e a taie grande impresa incoraggiavalo
l'alto Consiglio dei Beputati, preparato a ogni sacrificio
per difendere sino allô estremo i diritti délia Chiesa, del
popolOj délia nazione, e per salvare a lui lo Stato e la
gloria^ alVItalia la indipendenza, a tutti Vonore. Metnore
del delitti in ogni tempo perpétrait dagli Austriad conr
tra la Santa Sede, e délie antiche e recenti lacerazioni
d'Italia, scongiuravalo a far si che il Governo suo senza
por tempo in mezzo brandisse le armi per difesa e of'-
fesay e a unirsi in durevole alleanza coi principi deçni
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LK BBPUBBLICA ROMANA 73
(li modei^are popoli italianî, dacchè combattevano per la
indipendenza patria. — La parte gesuitica, che nella vit-
toria délia libertà vedeva la rorina propria, maneggiossi
allora per modo da far siibito rinascere in cuore al debole
Pontefice gli antichi scrupoli per la guerra ; contra i quali
scrupoli si ruppero e naufragarono le speranze concepite
dai buoni di alleare Roma a quel Re, che con molto cuore
e valore, ma perô con poca militare sapienza, sul Mincio
e su TAdige pugnava per la causa patria. I Minîstri pon-
tifie!, quando seppero essere stato da Pio IX disconosciuto
e ritratto tutto ciô che aveva promesse in giorni di nobile
entusiasmo, rinunziarono al loro officie. Pieno d'ira il po-
polo prese allora a minacciare di levarsi a tumulte; ma
dal commettere disordini lo rattennero le milizie cittadine,
le quali, chiamate soUecitamente in su Tarme, occuparono
Gastel Santangelo e le porte di Roma. A fine di quietare
l'universale commozione, il Somme Pontefice, ai Commis-
sari délia Consulta di Stato venuti a lui per conoscere i
propositi suoi, promise di ammettere di pieno diritto la
difesa délie terre délia Chiesa, e di riprendere le pratiche
d*alleanza, da tempo cominciate e da lunga pezza sospese,
coi principi italiani per la salvezza délia patria. Nella fatta
rinanzia i Ministri suoi instando sempre, il 2 agosto sur-
rogô il settuagenario Edoardo Fabbri, esule antico, in luogo
del conte Mamiani; il quale perô di li a non molto doveva
richiamare al reggimento délia cosa pubblica, come celui
che 5oto, godendo di largo favor popolare, poteva ricon-
durre a tranquillitâ la città agitata e romoreggiante ; la
îî'uerra diventava pertanto una nécessita suprema. Urgeva
che il Governo soUecitamente ad essa si piegasse; perô
che nelle provîncie si fossero già instituiti dei Comitati,
allô intento di provvedere con efficacia e sollecitudine a
quella; e il popolo, veggendo non essere quel momenti di
timidi consigli e di lenti consulti, impugnate le armi, al-
tamente chiedesse di venir condotto aile offese. Le con-
cessioni del Pontefice, sebbene rispondessero pienamente
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74 CAPITOLO II
ai desidèri de' sudditi suoi, gioia veruna destarono in essi,
ormai assuefatti a vederlo obbligare sua fede, indi niegarla.
Ne si ingannarono; avvegnachê Pio IX fosse sùbitouscito
fuora con tali parole : « La Provvidenza darebbe risolvi-
mento finale ai destini d'Italia, assai tempo prima di com-
pirsi i partit! presi per la guerra. »
Mentre le armi imperiali, dopo le giornate di Somma-
campagna, Custoza e Volta dalle rive del Mincio cammina-
vano sopra Milano, seguendo da vicino l'esercito italiano nel
suo indietreggiare, il luogotenente maresciallo Weldeii,
valicato il Po alla testa di sette mila Austriaci, per la se-
conda volta invadeva i domini deïidi Chiesa. per disperdere
le bande che non cessavano di turbare la pace e Vordine-
— « Trent'anni or sono, scriveva egli il 3 agosto dal
campo di Bondeno aile popolazioni romagnole, TAustria
conquistô le Legazioni, considerate il gioiello degli Stati
pontifici, e le restitui con nobile disinteresse al legittimo
loro Sovrano. Le continue amichevoli relazioni^ e i reci-
proci riguardî di buon vicinato devono raflfermare sempro
più la pace fra i due popoli; se non che un abbominevole
fanatisme, la smania d'arricchirsi e d'îngrandire a spese
del popolo, e le mire ambiziose per arrogarsene il governo.
crearono una fazione sempre irrequieta, che copre il vo
stro paciflco e fertile paese di miserie, di guerre e delh*
distruzioni, che ne sono inseparabili conseguenze. È ormai
tempo di porre un argine a tanto disordine; dove la voco
délia ragione non pénétrasse, mi farà ascoltare coi miei
cannoni. Lungi da ogni idea di conquista, non mai aspi-
rata daU'Austria riguardo al vostro paese... io intendo solo
di proteggere i paciflci abitanti e conservare al vostro
Governo il dominio che gli viene contrastato da una fa-
zione; guai a coloro che si mostreranno sordi alla mia
voce, e oseranno fare resistenza. Volgete lo sguardo su gli
ammassi fumant! di Sermide; il paese resta distrutto.
percha gli abitanti fecero fuoco sopra i miei soldat! >
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LÀ BEPUBBLIOA BOMANA 75
In verità il parlare di Welden — non consono a ragione
civile (1) — era oltremodo provocatore di disordini ; sua
missione non era di rimettere in quelle popolazioni la pace,
da nessuno turbata, sibbene di vendicarsi col ferro e col
fuoco di esse, odiatrici délia signoria austriaca, causa di
tanti mali alla patria italiana ; in fine, sua missione non
era di serbare al Governo del Papa il dominio, da néssuno
contrastatoglî, ma di appoggiare colle armi i rei disegni di
quella parte, mostratasi allora più che mai avversa
alla indipendenza patria e alla libertà; di quella parte
che nel Vaticano era già salita a potenza. — Di que!
giorni siedeva in Bologna Pro-Legato pontificio Ce-
.^are Bianchetti, uomo di vita integerrima, ma di timidi
consigli; il quale, spaventato dal manifesto minaccioso di
Welden e dallo awicinarsi degli Austriaci, reputando im-
possibile di tener con vantaggio la città, proponeva che
le milizie regolari s'avessero a raccogllere su la forte po-
stera délia Cattolica. La proposta del pauroso magistrato,
consenti ta dal Municipio, veniva fleramente respinta dal
popolo; il quale, numeroso, correva al palazzo del Pro-
Legato a domandare la resistenza. Cesare Bianchetti, che
dal resistere agli invaditori temeva gravi rovine per la
patria terra, cercô persuadere a' suoi concittadini, non po-
tersi tenere Bologna per la sua po^ura favorevole agli as-
salitori, non alla difesa; e detto posciacome i nimici pre-
valessero per armi e per numéro d'uomini,. li consigliô di
wlgere a più utile segno il loro ardore per la santa
(1) « Le mie soldatesche si manterranno in bnon ordine e in bnona
Qiïtare disciplina, ovnnqne esse avranno piede snl territorio pontificio;
ûgni violenza contra le persone qniete e paciôche e le loro proprietà,
SMà înqnisita da un tribnnale di gnerra ; ma parimenti farô moschet-
tare — perché non voglio prigionieri — chiunque terra armi in mano,
0 mostrerà in altro modo nimicizia contra noi. » Cosi scriveva Welden
h Bondeno il 4"ag08to; in vero, qnesto modo disumano di guerreg-
giue era degno di gente barbara, non di popolo civile.
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76 CAPiTOLO n
causa italiana, e a seguire î prodi, che erano siati ad
essi compagni ed emuli sui campi délia gloria e délia
aventura e che recavansî là dove poteva farsi zctile
schermo agit assalti del nimico (1). Nella notte del 4 ago-
sto il colonnello Belluzzi alla testa del presidio di Bologna
camminô verso la Cattolica: onde allora la città trovossi
senza'difesa e cosi Qompiutamente esposta agli insulti de-
gli invaditori. — Aveva Roma appena ripreso la quiète
usata, quando le novelle degli aspri casi toccati aile armi
régie in Lombardia nuovamente la commovevano. A rassi-
curare gli animi dei sudditi e richiamarli a ûducia Pio IX
il 2 agosto metteva fuora un moto-proprio, nel quale con-
fermava le promesse fatte poco innanzi, dî volere difen-
dere î confini dello Stato ; e allora che gli Austriaci in-
vasero per la seconda volta le Legazioni e Welden parlô
le insolent! parole qui sopra riferite, il cardinale Soglia,
che stava a capo délia Consulta di Stato, in nome del Pon-
tefice si volse agli Stati amici per implorarne la prote-
zione. « Fine dal principio del suo pontificato, cosi scri-
veva egli il 6 agosto, la Santitàdi nostro Signore osservando
la condizione dello Stato pontiScio, non che quella degli
al tri Stati d'Italia, come padre comune dei principi e dei
popoli, aliène egualmente dalle guerre esteriori che dalle
discordie intestine, per procurare la vera félicita deiritalia
imaginô e imprese le negoziazioni di una lega fra i prin-
cipi délia Penisola, essendo questo l'unico mezzo atto ad
appagare le brame de*suoi abitatori^ senza punto ledere 1
diritti dei principi, ne contrariare le tendenze dei popoli
a una bene intesa libertà; queste negoziazioni furono in
parte secondate, e in parte tornarono infruttuose. Soprav-
vennero quindi le grandi vicende d'Europa, aile quali ten-
nero dietro i patti e la guerra d'Italia. Il Santo Padre,
sempre coerente a se stesso, con grave suo sacrificio si
(1) Manifesto del 4 agosto 184S.
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LA BEPUBBLICA BOMANA 77
mostrô alieno dal prendere parte alla guerra, senza porô
trascurare tutti i mezzi pacifici per ottenere il primo in-
tente che si era preflsso. Ma qaesta sua maniera di gover-
narsi, inspirata dalla prudenza e dalla mansuetudine, non
ha impedito, con sua grande sorpresa, V ingresso ne' suoi
Stati a un esercito austriaco, il quale non ha dubitato di
occupare alcuni territori, col dichiarare che Toccupazione
era temporanea. È dunque necessario far conoscere a tutti,
corne il dominio délia Santa Sede venga violato da questa
occupazione, la quale con qualunque intendimento sia stata
impresa, non poteva mai giustamehte eseguirsi senza pre-
ventivo awiso e necessario consenso. In si dura nécessita,
•nella quale ci si vuole mettere dalla forza dei nimici e-
sterni e dalle insidie dei nimici interni, il Santo Padre si
abbandona nelle mani délia divina giustizia, che benedirà
Tnso dei mezzi da adoperarsi seconde che le circostanze
richiedono; e montre por mezzo dei suo cardinale segre-
tario di Stato protesta altamente contra un simile atto, fa
appelle a tutti gli Stati amici, affinchè vogliano assumere
la protezione dî quelli dei Pontefice per la conservazione
'lella loro libertà e integrità, per la tutela dei sudditi, e
soprattutto per la indipendenza délia Chiesa. »
Fatta solenne deliberazione di difèndersJ, il Papa ordi-
nava al Legato di Forli, il cardinale Marini, di recarsi a
Welden per domandargli ragione dei motivi che avevanlo
indotto a quel passe di violenta e ostile occupazione délie
Legazionî, e nel medesimo tempo imporgli di retrocedere
e lasciarle affàtto libère. I Belognesi, teste che seppero
^ûmoto^roprio pontlflcio — e fu il mattino dei 6 agosto —
rinfrancati dalle parole di Pie IX, recatisi in foUa dal Pro-
Legato, chledevangli che, giusta gli ordinamenti e le di-
chiarazieni dei cape délie State, prowedesse sollecito e
con mezzi efflcaci alla sainte délia patria, tante minacciata
•ial nimice. Cesare Bianchetti, il quale ha sguarnito d'armi
la città, consenziente il Municipie, spedisce al campe au-
'îtriaco due Belognesi per tentare l'animo di Welden, e con
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78 OAPiTOLO n
légale protesta contra la violazione del territorio délia
Ohiesa rimuoverlo dai fatti propositi. Ma il maresciallo,
senza dare peso veruno alla protesta del Pro-Legato, agli
oratori di Bologna risponde in queste sentenze : = Domani,
all'ora sesta, aver deliberato di ontrare con le sue solda-
tesche nella loro città; lasciar libero ad essi di aprirgli
le porte corne ad amico, o di rompergli guerra e di resi-
stergli. = La superba e minacciosa risposta mosse a sde-
gno il popolo tutto ; il quale, levatosi a romore, impadroni-
vasi degli schioppi che trovavansi negli armamentari délie
guardie cittadine, e apparecchiavasi ad asserragliare le
porte e le vie délia città. Il timido magistrato Bianchetti,
che pensa una difesa, per quanto eroica, ove non sia suf- •
ficiente e duratura, non faccia che provocare nel paese
i guasti e i danni d'una forza armata troppo preva-
lente (1), invita i cittadini a costringere Tira e a serbare
tutte le loro forze per quel giorno in cui potranno essere
adoperate a gloria e a vantaggio délia patria. I Bolognesi,
accondiscendendo, sebbene a malincuore, aile preghiere di
lui, che aveva con poca virtù, ma con molta schiettezza
parlato, compressi gli sdegni e temperate le lacrime, torna-
vano aile proprie case; torse speravano che il supremo
lor Magistrato, per la cui timidezza le cose trovavansi ri-
dotte a mal partito, avrebbe saputo trovare modi onoreroli
di togliere la città aile minacciate rovine e salvare tutta
la dignità del carattere cittadino. — Il mattino del 7 agosto
Welden, tosto che ebbe accampato sue genti presse Bologna,
mandava al Pro-Legato un ufflziale per intimargli la conse-
gnazione di cinque porte délia città. Allora Bianchetti, trat-
tandosi d'affare di cosi alto momento, recavasi alla villa
Doria, stanza del maresciallo, in compagnia del senatore
di Bologna, Zucchini, e dei cittadini Brunetti e Martinelli,
gli stessi che il giorno innanzi erano iti al campo austriaco
(1) Manifesto ai Bolognesi pubblioato nella notte del 6 al 7 agosto 1848.
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LA BEPUBBLICA BOMANA 79
portatori délia protesta. Di ritorno pubblicavano la conven-
zione fermata col nimico; accordi di essa, i seguenti: =
Gli impérial!, occupate le porte San Felice, Galliera e Mag-
iriore, si collocheranno sopra posture circondanti in parte
la città; il Municipio fornirà loro le vettovaglie; al rice-
vere guarentigie d'ordine e di quiète, Welden allontanerà
ie sue genti ; e quando quelle saranno state confermate
dal PoQtefice e il paese avrà riacquistata Tusata tranquil-
lité, egli rivalicherà il Po. = Gli accordi, proposti da Wel-
den e accettati da Bianchetti, venivano subito rotti dagli
Austriaci ; perô che questi corressero Bologna — la quale,
giusta la convenzione, avrebbe dovuto rimanere inviolata
sempre — e insultassero a' cittadini, certamente allô scopo
di eccitare tumulti e avère quindi un pretesto di occu-
pare militarmente la città. Il popolo oltremodo irritato
da quegli atti, che rivelavano i pravi disegni e la mala
fede del maresciallo, non tardô a rispondere con insulti
âgli insultatori provocanti disordini, e con ferite al ferire
dei ûimici; e, fatto proponimento di opporre la forza alla
violenza, senza por tempo in mezzo préparé le resistenze.
- Era appena sorte VS agosto, quando una turba di soldati
austriaci con fare baldanzosamente minaccioso entrava in
città, par muoverla a romore e chiamare il popolo alla prova
délie armi ; il quale, accettata la superba disSda, presse
San Felice impavide venue coi nimici allô affronte. Lo
strepito délia pugna trasse da quella parte in aiuto dei
compagni quanti soldati campeggiavano in quel dintorni;
t* sarebbersi gettati entre Bologna, se un ufflziale dei ca-
rabinieri pontifici non avesseli awertiti, starsi allora Wel-
den e Perglass raccolti a parlamento col senatore Zucchini,
recatosi al campo austriaco per trovare insieme accordi
eâicaci e pronti per impedire nuova effusione di sangue.
Le pratiche di conciliazione caddero perô a vuoto, causa
le pretensioni esorbitanti dei generali nimici ; i quali, in
risarçimento délie ingiurie e danni sofferti — danni e in-
?iurie da essi stessi con la piix vituperevole arte provocati
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80 CAPITOLO II
— aveano domandato per se trenta mila scudi e sei ostaggi
da scegliersi tra gli ottimati bolognesi; danaro o ostaggi che
il Senatore niegô fermamente di dare, offrendo nondimeno
se stesso a guareiitigia deirawenire. Welden, che ebbeallora
respinta TofTerta del generoso Magistrato, accettô quella
diBianchetti; il quale, conferito il governo délia cosa pub-
blica al Municipio, con animo rassegnato awiossi al campo
austriaco; non gli fu porô possibile uscire di Bologna;
avvegnachè aile porte délia città, state asserragliate, d'ambe
le parti si combattesse. I Bolognesi, tosto che seppero le
disoneste pretensioni del maresciallo — le quali in verità
suonavano un féroce insulte al loro carattere cittadino!
— riprese le armi, poco innanzi posate nella speranza di
paciflco accomodamento, corsero animosi aile offese. L'ira
tanto tempo e a forza repressa, mutossi allora in furore;
quanti nimici essi incontrarono per le vie, tanti percos-
sero a morte o ferirono. Al suonare a stormo dei sacri
bronzi entre la città, risposero dalle campagne i can-
noni degli Austriaci; che appressatisi alla terra con tutto
lo sforzo loro tentarono recarsi in mano il colle San
Michèle, dal quale potevasi fulminare con le artiglierie
la città sottostante; ma ne furono respinti. Welden, insi-
gnoritosi délia Montagnola, ordinato che vi ebbe le sui^
battaglie, prese a trarre coi cannoni sopra Bologna con
orrendo fracasse, con gravi danni e incendi : e la mischia,
che già erasi fatta vivissima a porta Galliera e a San
Felice, diventô in brevi momenti ferocissima e sanguinosa
alla Montagnola. Quivi gli imperiali, furiosamente assaliti
da una schiera di cinquecento popolani, dopo flero con-
traste furono costretti a cedere del campo ; minacciati
poscia aile spalle, temendo perdere la via alla ritratta,
lasciarono quell'altura; e sarebbero stati a pieno sconfltti
se il capitano Cortassa — il quale comandava aile due com-
pagnie dei caràbinieri pontifici, le sole milizie regolari
che trovavansi allora in Bologna — li avesse con sue genti
incalzati nel loro indietreggiare disordinato. In quella gior-
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LA BBPUBBLIOA BOMAALA 81
nata i maggiori danni toccarono agli Austriaci; dei quali
circa dugento caddero morti o feriti, e settanta vennero
a mano dei vincitori, che ebbero appena trenta uomini
uccisi, e settanta feriti, Gacciati di Bologna gli Austriaci,
senza soffrire molestie si ritrassero verso il Po, segnando
i passi délia loro ritratta col ferro e col fuoco ; essi vol-
ière con le uccisioni e gli incendi, con gli stupri e le ra-
pine vendicarsi délia vergognosa disfatta patita a Bologna;
in vero imprese queste degne di ladroni, ma indegne di
soldati âgli di nazione civile. Erano le prove di sctenzOf
di saviezza e moderazione che il Governo di Vienna,
gîusta Taffermazione di lord Landshowne (1) dava di quoi
giorni aU'Europa allô intento di rendere facile la missione
pacificatrice degli Stati proffertisi mediatori délia contesa
anstro-sarda.
Âppena giunse in Roma la lieta novella délia vittoria
dei Bolognesi, i ministri dei Pontefice corsero a lui per
awertirlo dei pericolo che tuttavia minacciava i sudditi
suoi; avvegnachè, sebbene sconfltto, Welden non era per
anco uscito dalle Legazioni : « Pacciasi dunque, rispon-
deva loro Pio IX, quanto puossi per salvare la patria e
difenderne i sacri diritti. » AUora il générale Aldobrandini
chiamava i Romani a unirsi a quella legione, che aveva
acquistato glorla imperitura combattendo sui campi délie
Ven^e contra il nimico d'Italia e da brève tempo rieduta in
patria: « Con essa, diceva Aldobrandini, correte a debellare
il barbaro a^ressore; fatevi valide sostegno a quel fratelli,
che già intrepidi gli stanno a fronte ; le armi «di questi, le
armi vostre, benedette da Pio, saranno invincibili; e Tltalia
intera dovrà risentire immense vantaggio dagli sforzi gene-
rosi operati dai sudditi dei Pontefice » (2). Lo scriversi di
(1> Paiole da lord Landshowne pTonnnziate il 20 agosto 1848 nella
aasemblea dei Pari d'Inghilterra.
(2> Oïdine dei gionio 12 agosto 1848.
6 — Toi, n. Mabuki — Stor.'a pal» « mil-
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82 CAFITOLO II
molti soldati, Tordiiiarsi di nuove legioni, Tinvito aile città
dello Stato di munirsi di difese, il consiglio ai popoli di
rea^stere sino allô estremo, e in fine i provvedimeati del
Ministro sopra le armi, mentre accrescevaao nei generosi
l'ardore per la guerra, rinfrancavano raiiimo dei timidi;
a tutti poi aprivano il cuore aile piii care speranze, —
In questo mezzo una moltitudine innumerevole di popolo
raccoltasi dinnanzi al palazzo Golonna, stanza delFamba*
sciatore di Francia, il duca d'Harcourt, deputava a questi
tre cittadini per chiedergli Tintervento armato délia re-
pubblica nella guerra che volevasi riaccendere contra Tim-
perio. Rispondeva ad essi l'ambasciatore cosi : = Recargli
meraviglia non poca la demanda fattagli, sebbene assai
lusinghiera per la sua nazione; le diatribe dei loro gior-
nali e i discorsi dei loro oratori non averlo preparato a
quella richiesta d'aiuti, perô che ben altra cosa signiûcas-
sero; non estante ciô la Francia dimenticherebbe facil-
mente ogni ofifosa in sua grandezza e generosità. Non poter
(Uvinare la deliberazione che il suo Governo sarebbe per
prendere rispotto allltalia ; invitarli quindi a stendere una
petizione, ch'egli trasmetterebbe a Parigi, quando fosse
sottoscritta da uomini onorevoli e in numéro taie che
avesse degnamente a rappresentare le popolazioni ro-
mane. = Superba risposta questa del duca di Harcourt,
che rivelava non essere la Francia officiale molto inchina
a favoreggiare le aspirazloni di indipendenza e libertà
délia nazione italiana. — L'entusiasmo per la guerra, che
ogni di piii manifestavasi nelle Romagne, andava poco a
genio al Pontefice; al quale, se alcuni de* suoi consiglieri
ingegnavansi persuadere, che la salute dello Stato ripo-
sava tutta nelValleanza délia Chiesa con la Sardegna e
la Toscana per combattere insîeme il comune nimicoj i
più de* suoi Ministri e la parte moderata — assai numerosa
in Corte del Papa — cercavano persuadere a lui: = Essere
cosa ardua far paghe le aspirazioni dei popoli, impossibile
poi accontentarli, perché desiderosi sempre di nuore e
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LA BBPUBBLICA BOMANA 83
maggiori larghezze; Tesercito del Piemonte, stremato di
forze e awilito a cagione dei disastri toccati in Lombardia,
non potere uscire aile riscosse ; quelli délia Chiesa e di
Toscana essere scarsi di soldatesche, e queste poi non
molto esperimentate neirindustria e nei maneggi délia
giierra; ne trovarsi allora in Italia un capitano abile a
t6nere la somma di essa e condurla a onore; e conside-
rato lo sforzo poderoso deU'Austria, trovarsi le armi con-
federate italiane sotto ogni rispetto insufScienti all'impresa;
consiglio prudente e savio venire agli accordi con Tim-
perio. = Rotta la fede data pochi di innanzi a' suoi popoli,
Pio IX fatta deliberazione di rappattumarsi col Governo
di Yienna, deputava a Welden — in quel giorni di stanza
in Rovigo — il principe Corsini, Senatore di Roma, il
rainistro Guarini e il cardinale Marini, Legato di Forli,
in apparenza col carico di protestare contra Finvasione
di Bologna, ma in sostanza con TofScio di trattare di pace.
n 15 di quel mese di agosto il laogotenente maresciallo
Welden e i deputati pontifici fermavano una convenzione,
in virtii délia quale il Governo délia Santa Sede doveva ren-
dere i soldati austriaci ritenuti prigionieri in Bologna e nei
contorni, e guarentire il territorio deirimperio da qualsiasi
offesa armata e provocazione che potessero turbare Tor-
dine e la tranquillità pubblica. Dal canto suo Welden pro-
metteva sgombrare di sue genti lo Stato délia Chiesa, ad
eccezionei délia cittadella di Perrara, délia terra di Bon-
deno e di Pontelagoscuro ; di restituire le armi confiscate
nelle Legazioni ; in fine, di ristabilire le cose giusta il trat-
tato di Vienna del 1815, quando gli fosse pervenuta la ra-
tifica papale dei patti délia convenzione. Pio IX, tosto che
ebbe accettati e sottoscritti i patti di essa, in verità poco
onorevoli, per mezzo dei supremi governanti comandava
di sospendere l'ordinarsi di nuovi corpi di soldatesche e
che i volontari — corsi alla sua chiamata a difendere la
patria contra gli assalitori stranieri — posate le armi, fa-
cessero siibito ritorno ai loro focolari, ai trafflci, all'in-
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84
CAPITOLO It
dustria e ai mestieri usati. £ i Ministri, pretessendo il bi-
sogno di grosse économie, allo intente di evitare il danno
di un dispendio Tionpiù condtAcente allo scopo pre/îsso (1),
a cagione délie mutate circostanze» onestavano il disarma-
mento, il quale metteva lo Stato, se non in potestà, certa-
mente nella dipendenza deirAustria. Se la convenzione di
Rovigo aveva battuto lo allarme nel campo libérale, i nuovi
atti del Governo, che erano un vero attentato alla liberté,
averano fatto nascere grande malcontento nei popoli sog-
getti alla Chiesa. n Somme Pontefice, spinto dalla parte
moderata — in quel mezzo divenuta oltrapotente in Vati-
cano per lo appoggio délia Corte di Vienna — tendeva
allora a cambiare il principato costituzionale in assoluto;
al quale scopo alcuni tra i Cardinali tenevano pratiche
col Governo austriaco, e fra essi il ministre Soglia, che
di quel giorni aveva scritto una lettera a segni o gerogliflci
alla Corte impériale. — In questo mezzo Bologna e le cam-
pagne circostanti venivano da bande di gente scellerata
funestate di uccisioni e rapine; le quali, mandando sos-
sopra ogni cosa, avevano riempiuto di spavento anche i
cittadini d^animô forte e audace. Quelle bande erano conr
datte e guidate da una potenza, quanta occulta, altret-
tanto a^tuta e infâme; erano tristi satelliti di uno
stolto e infâme sistemay che rahUosamsnte contorcevansi
e cercavano salute in tutto ciô che la pavera umanità avea
di laido e di schifoso (2). Il Governo pontifîcio, forse allo
intente di rendere odiosa la libertà (3), da prima lasciô
che si compissero quelle scelleraggini, che la voce pub-
blica affermava fossero vendette di parte; ma quando s*ac-
corse, che una più lunga tolleranza potrebbe far nascere
sospetti sopra i supremi reggitori dello Stato ; e allora che
(1) Lettera circolare del 22 agosto 1848 del ministro Edoaido Fabbri.
(2) Décrète del Oomitato di sainte pnbblica di Bologna del 22 ag^o-
8to 1848.
(3) LoiGi Anbllt, Stùria d'Italiaj vol. ii, cart. 239. Milano, 1864.
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LA BBPUBBLIOA BOHANA 85
seppe il padre Gavazzi» invitato da* suoi coacittadini (1),
recarsi tra questi per mettere, con la sua potente parola,
freno aile passioai che agitavano Bologna e far cessare le
morti e le violenze che raffliggevano, il cardinale Amat,
Legato, arrestà il sang%te e i misfatH.
n 26 di quel mese di agosto Pic IX prorogava il Parla-
mento nazionale sino al 15 del veguente settembre ; in oltre,
(1) n 25 agosto il ComiMo di piMliea salute scriyeva al padre
Gftvazzi ia qnesti termini: a Padre reyerendissiino! Il nostro generoBO
popolo ha dimostrato di essere degno figlio d'Italia; sia Iode a Dio,
che tanta yentara ci concesse. Appena cessato il pericolo e rinebbria-
mento délia yittoria, unanime il popolo gentl il bisogno di riyolgersi a
Dio; e 0 yostro nome, Padre reyerendissimo, fa su le bocche di tntti,
perché in yoi apprezza Talta missione del Cleio di nnire gli nomini a
Dio. In mezzo ai generosi sentimenti che sono dati aile masse da Dio,
non mancano i tristi che dpingono e trayolgono il bnon popolo aile
idée anarchiche di rapine e saocheggio, fomentando Todio contra le
clasd agiate dei cittadini; tali idée, che hanno troppo profonde radici,
e che sono alimentate dall'ayere U popolo lasdato i snoi layori, tro-
vando mezzo di Incro dandosi all'ozio, rechimano nn pronto proyyedi-
mento, a fine d'eyitare 'quei mali, che ci trayolgerebbero in una totale
roTina. H Comitato, che ama di tutto cnore il popolo e Tltalia, confida
nel senno e nel caldo amor di patria di yoi, Padre reyerendissimo ; co-
noscendo il yostro cnore, confida che comprenderete l'alta missione che
vi aspetta, e mostrerete all'Italia che chi yi accnsaya di tnrbolento e
Anarchico solennemente mentiya. Il Comitato spera che ritomerete fra noi
per aintarci, per diyidere la sorte, e &r riyerire il popolo da chi lo di-
sprezza. Pensate, Padre reyerendissimo, che al trionfo morale del po-
polo noi sacrifichiamo interamente noi stessi, e forse la fama e la yita.
— Voleté yoi stringere nn tal patto con noi? — Pensateci, Padre
A Toi, più popolare che ogni altro, toccherà lodare le yirtù del popolo,
corne a biasimare i yizi, a fine di impedire che le insinnazioni e le
arti dei tristi preyalgano ; forse, per le grayi circostanze che corrono,
vi toccherà di essere qnalche yolta seyero , e forse anche inginsto !
Siete yoi tanto forte per bere nn calice cosi amaro? Pensateci, Padre,
« decidete. A ogni modo noi attendiamo nna risposta degna di yoi,
<legiûEk del popolo che yi demanda; e per parte nostra yi garantiamo
che nella Legazione di Bologna godrete perfetta libertà. »
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CAPITOIiO H
licenziati i Ministri, che allora reggevano la cosa pubblica,
perché inetti a fargli riacquistare la potestà assoluta —
la quale, corne già dicemmo, egli intendeva di riavere in
tutta sua pienezza e ad ogni costo — fidava a Pellegrino
Rossi il carico di comporre un nuovo Governo (1), cui egli
doveva dare il nome e l'andamento (2). Con lui siedettero
nel suprême Consiglio di Stato il cardinale Soglia, Cico-
gnara, Montanari, il principe di Rignano, Guarini; piii
(1) n conte Pellegrino Rossi, da Carrara, era stato proposto dal
conte Pasolini al Papa corne l'aomo più adatto a comporre , in qnei
momenti difficili, nn nuoyo Governo. Rossi ave^a messo innan tre
principali diffîcoltà all'accettazione di quell'o£Scio. » Prima l'avere mo-
glle protestante, cosa che si poteya credere non convenire al Ministro
di nn Pontefice; poi l'essere membro deUlstituto di Francia, e per
qnesto chiedeva che la nomina sna potesse risnltare da un antografo
del Papa. Se il Papa, dlceva, scriye la nomina di propria mano, la
rispetteranno tanto che nessnna osservazione verra fatta a mio rignardo.
Da nltimo egli rammentava al Papa, che alcnni snoi libri erano stati
messi 9}ïindice: ma il Papa rispose: « Qt^esto non fa niente ......
RossL.... accettô cedendo aUe istanze del Papa e di Pasolini, ma lo fece
contra sua voglia dicendosi poco esperto conoscitore degli Italiani » (*).
(2) n 26 agosto il Parlamento romano metteva fuora le seguenti
proposte, discusse e deliberate il 22 di quel mese:
u V Che il Sovrano Pontefice convoehi un congresso nel quale gli
interessi d'Italia siano rappresentati e convenientemente trattati in
tutta Testensione del potere spirituale e temporale del papato;
2» Che in nome di Pio IX siano sgombrati intieramente gli Stati
délia Chiesa, compresa la cittadella di Ferrara ; che nelle convenzioni
concernent! il regno Lombardo-Veneto siano guarentite le libertà dei
popoli e rindipendenza délia nazione italiana, e venga Tltalia restî-
tuita a' suoi limiti naturali;
3"* Che il Sovrano Pontefice intervenga a ristabilire col mezzo
délia sua autorità la pace fra' Siciliani e il Re di Napoli, o almeno
nna sospensione d'arml;
4P Che nelle diplomatiche trattative già iniziate i rappresentauti
italiani siano in accorde con gli interessi delFItalia di maniera a pro-
durre un primo effetto deUa lega e délia dieta nazionale;
(*) Oiuiepp« Poêolim, ICemorie racoolte da sao flffUo, ^éftrt. itt. Imola, 1880.
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LA REPUBBLIOA BOMANA 87
tardi, il générale Zucchi. Rossi niegô da prima d'accettare
queirofflcio, già oflTertogli da Fabbri, perché suddito di
Prancia, del quale Governo era stato oratore presso la Corte
romana ; ma insistendo Pio IX ed eziandio pregato dal duca
d'Harcourt, che Tassicurô avrebbegli ottenuta la voluta li-
cenza da Parigi, fu Pellegrino Rossi ministre del Ponteflce.
Un giorno, ardente propugnatore deirindipendenza d'Italia,
patria sua, e di sensi liberalissimi egli era venuto in grande
estimazione appo gli Italiani e avrersato dalla Curia pa-
pale, che aveva posto nlVindice le opère dell'ingegno sno
e costretto ad esulare in terra straniera. Ma poscia dal-
Tamicizia e dalle dottrine di Guizot — aile quali erasi ac-
costato e fatte sue dopo avère consigliato lo stesso Guizot
di lasciarle, reputandole pericolose a lui e di danno alla
monarchia — mutato tanto da essere tenuto più francese
che italiano, scapitô dimolto nella considerazione de' suoi
concittadinî, e guadagnossi tutto il favore délia parte mo-
derata, di quanti in Corte di Roma avversavano le libertà
italiano ed anche del Ponteflce, allora che disertava dalla
causa patria per unirsi ai nimici di essa (1). Pari al sa-
pere, che vastissimo possedeva soprattutto nelle scienze
economiche, era in Pellegrino Rossi la superbia délia mente ;
alla risolutezza e alla forza di carattere andava congiunta
.5« Clie il Governo pontificio si occupî al più presto possibUe délia
conchinsione di qnesta lega e costitozione di qnesta dieta;
6'^ Che Tesercito sia organato e disciplinato seeondo il modo e la
cifra dalla Caméra prescritta sino a che sia decisa la qTdstione italiana;
7^ Che 0 Governo s'adoperi con tutti i mezzi a Ini possibili per
ristabilire la reciproca confidenza tra il Clero e il popolo;
S^ Che il Governo e le Camere si occnpino a liformare le rendite
dello Stato per Fanno 1849;
9^ Che si renda ginstizia aile classi inferiori e ai proprietari; sol-
levando le prime dei pesi che direttamente su loro si aggravano, e
rendendo per li secondi le tasse piû eqne applicandole a ogni specie
di introito. »
(1) Vedi la corrispondenza di Pellegrino Rossi col mlnistro Guizot,
del ^ennaio 1848.
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88 OAPITOLO II
grande asprezza di modi ; avverso a reggimento repubbli-
cano, al gridarsi di questo in Francia, rinunciô airofflcio
d*amba3ciatore e fece ritorno a vita privata. Divenuto Mi-
nistro del Ponteâce dayasi a combattere la parte democra-
tica, i*cui principi riteneva esiziali alla patria; contrario
airingrandimento délia monarchia sabauda, délia quale ben
conosceva le mire a maggiore signoria, egli niegava al-
learsl alla Sardegna per guerreggiare TAustria; respingeva
la Costituentey dai piii délia nazione richiesta; in fine, de-
liberava di stringersi in amicizia con Ferdinando di Napoli
allô scopo di fare contrappeso alla potenza di Carlo Alberto
e impedirgll Tacquisto del primato in Italia. In verità, per
li tempi che allora correvano, l'alleanza del Pontefice col
Borbone poteva dirsi un mostruoso connubio ! Il governo
politico di Pellegrino Rossi, degno di principe despotico
più che di consigliere di sovrano costituzionale, facevagli
subito perdere la confidenza del popolo, che aveangli valso i
primi atti del reggimento suo ; perô che egli avesse tolto i
molti abus! trovati nell'amministrazione délia cosa pubblica
e introdotto in essa ordinamenti efflcaci a migliorarla e a
ristorarne l'erario esausto, assoggettando aile comuni gra-
vezze il Clero e i corpi moralif sino a quel giorno esenti;
e siccome Tesercito mancava di un capo esperimentato e
provato nelle armi, fidava il suprême comando di quelle
al vecchio générale Zucchi» che dopo la caduta di Milano
erasi rifugiato in Isvizzera. — Lo scacciar di Roma e dello
Stato di due napolitani, che aveanvi cercato asilo securo
contra le ire del Borbone (l\ e le persecuzioni mosse ad
alcuni uomini di parte libérale turbavano la calma délia
clttà, minacciando di levarla a tumulte ; e allora poi ch*egli
chiarissi pronto a spegnere la libertà e, se la bisogna il
richiedesse, a usare délia forza per ridurre le popolazioni
a servile obbedienza de' suoi voleri, i Romani agitaronsi e
si mossero a romore. Ne di ciô Rossi diedesi pensiero, av-
(1) Erano Gennaro Bomba e Vincenzo CarbonellL
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LA BSPUBBLIOA ROMANA 89
vegoachè tutte sae cure fossero rivolte a rialzare il papato,
di quel giorni cadato molto in basso, tornarlo alla gran-
dezza antica e metterlo a capo d'una nnova civiltà, délia
quale egli voleya essere primo e principalissimo faitore.
lû quel mezzo ara venuto in Roma il prête Antonio Ros-
mlni, deputato dal re Carlo Alberto al Pontefice per discu-
tere sui mezzi di condurre i régnant! in Italia a buoni
accord! e fermare d^essi una federazione. Fallirono com-
piutamente le trattative tentate da Rosmini ; fallirono quelle
altresi di De Ferrari, consigliere sardo, spedito poco di poi
a Roma dal Governo di Torino per ritentarle ; perô che gl!
orator! d! Carlo Alberto ponessero innanzi condizioni im-
po3sibili ad accettarsi dal Yaticano; e i Ministri delPapa,
tali patti, che la Corte Sabauda doveva respingere. I con-
signer! del Re aveyano proposto: = Lega perpétua tra la
Ohiesa, la Sardegna e la Toacana, la eu! unità di forza e
di azione guarantirebbe i territori di quelli Stati ; avesse
Pio II, quale mediatore e iniziatore dalla Lega, a presie-
dere la federazione, a i succes3ori suoi a perpetuità ; do-
Tersi raccogllere in Roma una Dieta permanente, costi-
teita dai rappresentanti degli Stati coUegati, con autorità
di fare la guerra e conchiudare la pace ; s'avessero a or-
diaaro le dogane délia confederazlone; a fermare trattati
ii nayigazione e per 1! trafflc! di terra con le nazioni stra-
niere; a yegliare alla concordia e buona intelligenza tra
gli Stati délia Lega e proteggerne Tuguaglianza politica ;
a risolvere le controyersie interne ; a proyyedere alla uni-
formità del sistema monetario, di quelle dai pas! e délie
i&isure, délia militare disciplina ; in fine, a studiare i mezzi
di raggiungere gradatamente nella legialazione politica, ci-
vile, pénale e di procedura la maggiore possibile unifor-
mità; libero poi a tutti gli altri Stati italiani d*entrare nella
l^ga. = Dalla Corte romana era stato messo innanzi : =
Ogni Stato indipendente délia penisola potere aderire, fra
«n tempo stabilité, alla Lega e farne parte ; le faccende
.'ue doyersi trattare daU'assemblea de! pienipotenziar! degli
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90 CAPITOLO II
Stati confederati ; i pienipotenziari di ciascuno di essi rap-
presentare collettîvamente il detto Stato. Il Sommo Ponte-
fice, o in vece sua uno dei rappresentanti lo Stato delln
Chiesa, dover presiedere a quelVassemblea o congresso ; da
ultimo, che in un congresso preliminare si avessero a fis-
sare le regole e gli ordinamenti délia Lega, coi diritti v j
gli obblighi che ne fossero per derivare ; salva al Papa U*
piena libertà di conchiudere trattati e convenzioni riguar-
danU direttamente o indirettamente gli affari di reUgione. |
= In vero, quest'ultima condizione, la quale costituiva uit
privilégie di sommo momento per Roma — avvegnachè in
virtii di essa si venisse a concedere al Pontefico la facoltà
di stringere amicizia con l'Austria, amicizia ch'egli avrebbe
potuto sempre onestare col pretesto délia religione — tor-
nando di grave danno agli altri Stati délia Lega, doveva
far respingere dal Qoverno subalpine tutte le proposte dei
Ministri pontifîcî. Siccome dei non essersi potuto fermare
la confederazione 1 consiglieri di Carlo Alberto gettavano
tutta la colpa su quelli dei Papa, Pellegrino Rossi, a difesa
loro, nella Gazzetta di Roma dei 4 novembre scrlveva cosi :
= Iniziatore e promuovitore assidue délia Lega politica tra
le monarchie costituzionali essere stato Pio IX; dei Go-
verno suo, il ferme desiderio di stabilirla. Le umane pas-
sioni e gli interessi privati, che speravasi non sarebbero
mai per contrastare all'opera santa e rendere vana la pura
carità di patria inspiratrice di quel pensiero, porre oggidi
gravi ostacoli al compiersi di esso ; e gli ostacoli incon-
trarsi appunto là, dove ogni ragione voleva che si tro-
vasse facile consenso e cooperazione sincera. Là udirsi
acerbe parole accusant! il Pontefice di non volere la Lega
— ch'egli primo disegnava e proponeva — perché cieca-
mente non aderiva aile proposte délia Sardegna, le quali
suonavano cosi: Noi decretiamo la Lega in génère; man-
dateci uomini, armi e danari; poi, tostochè sia possibile,
i pienipotenziari si riuniranno in Roma per delîberarc
su le leggi organiche délia federazione. — Quai territorio
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LA BBPVBBLIOA BOMANA 91
vorrebbesi dalla Sardegna che Roma e Toscana avessergli
a guarentire ? se Tantico, nessuna obbiezione ; se il nuovo,
Toscana e Roma non bastare, ma richiedersî il consenti-
mento d'Europa. Lo aggrandirsi délia Sardegna doveva es-
3ere opéra volonterosa, comune e maturatamente deliberata
da tatti gli Stati délia vera Lega italiana. Il Governo sub-
alpino domandare a quello del Pontefice e di Firenze lor
parte contingente d'armi e di danaro; ma come flssarla, se
ancora non sapevasi quali Stati sarebbero per entrare nella
UgOy i cimenti in oui essa avrebbe potuto trovarsi, le ami-
cizie da sperare, le inimicizie da temere ? — Le proposte
del Governo di Carlo Alberto tacere di Napoli, che è grande
parte dltalia ; altri e ben diversi dovrebbero essere i patti
délia Lega^ se Napoli in questa entrasse ; diversi ancora,
se quello Stato amico ci fosse, se ci avversasse, o se neu-
trale si tenesse. Gertamente venire utile non picciolo al
Re di Sardegna dal capitanare due o tre eserciti uniti al
suo ; ma assai più di vedere il reame sabaudo allargarsi
di territorio, tornare di vantaggio aU'Italia lo stringerne
gli Stati in salda Lega e solidamente riformarne e amme-
gliorarne le armi, I Ministri sardi, desiderosi di pace, avère
date il carico di negoziarla agli Stati mediatori, Francia e
Inghilterra ; perô Roma e Toscana ignorarne i patti. In
verità strana cosa sarebbe se di tre Governi confederati
uno solo avesse a trattare taie faccenda, di si grave mo-
mento per tutti, e conoscere le basi su le quali posare Te-
difizio délia pace e le condizioni di essa. Se la Sardegna
volesse in ciô fare da se, la Lega potrebbesi bensi fermare,
ma non già stabilirne gli obblighi speciali, che quando il
conchiudersi délia pace o lo sciogliersi délie trattative fa-
cesse noto il mistero dei negoziati; qualora poi il Governo
di Torino intendesse negoziare quai collegato, si affrettasse
ad aderire alla Lega e inviasse a Roma i suoi pienipoten-
ziari. Le proposte pontificie aprire una via facile e piana
^ raggiungimento dello scopo da tutti sospirato ; ogni altra
via dilungarci da esso. « Pio IX , conchiudeva Pellegrino
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92 CAPITOLO II
Rossi, non si rimuove dairalto suo pensiero, desideroso qnale
sempre fu di provvedere efficacemente per la Lega politica
italiana, alla sicurtà, alla dlgnità, alla prosperità dellltalia
e délie monarchie costituzionali délia penisola. Pio IX non
è mosso da interessi particolari, nà da antiyeggeaze am-
biziose ; nuUa chiede, nuUa desidera se non la félicita del-
ritalia e il regolare svolgimento délie istituzioni ch*egli
largi a' suoi popoli. Ma non iscorderà mai ad un tempo
quanto ei debba alla dignità délia Santa Sede e alla gloria
di Roma. Qualsiasi proposta che fosse incompatibile con
questo sacro debito, tprnerebbe vana presse il Sovrano di
Roma e il capo délia Ghiesa ; il ponti&cato è la sola viva
grandezza che resta all'Italia e che a questa fa riverenti ;
e ossequiosi l'Europa e Tintero orbe cattolico ; Pio IX non
sia mai per dimenticarlo come suprême gerarca, ne corne \
italiano. » = Queste parole aspre e quasi insultanti non
proyenivano da una ferma credenza dei torti délia Sar-
degna verso lo Stato délia Ghiesa, ma, per la massima
parte almeno, erano uno sfogo d*ira superba delVacre Mi- ;
nistro ppntiftcio : onde allora, non solo crebbe il malcon- 1
tento, che i modi suoi di governo avevangli già mosso contra, |
ma vie più inasprironsi gli animi délia parte libérale e i
di quanti erano favorevoli a Garlo Alberto. !
I
Gon lo awicinarsi del 15 novembre, giorno délia ricon-
vocazione del Parlamento, andava crescendo in Roma l
Tagitazione popolare: per la quale cosa il Ministre, per
tutelare fordine minacciato da alcuni faziosi, chiamava
a se dalle terre più vicine alla metropoli quanto più po-
teva di carabinieri, la sola forza di difesa, giusta Topi-
nione di Balleydier, sopra la quale egli credesse poter fare
sicuro fondamento (1); ai q%mlU corse allora la fama, egli
(1) c egli ne fece la rassegna per ricordare ad essi il dover loro,
sordamente minacciato dai nlmici deUa società. »
Alphonse BALLBToncB, Histoire de la Révolution de Borne, vol. 1,
carL 171. Ginevra, 1861.
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LA. BËPITBBLIGA BOMANA 93
ebbe allora detto: di dimenticare d'essere cittadinU per
ricordarsi d'essere soldait. — I fatti dolorosi compiutisi
di quei giorni ia Bologna, e lo imprigiooarsi del frate
Gavazzi esasperayano fuor di misura gli animi dei Romani,
e facevano traboccare d*ogni parte la tazza colma di odio
e d'ira contra il Governo. Terminata la guerra regia su
FAdige e sul Mincio e riusciti vani i teniativi di tener
viva in Lombardia la guerra del popolo, il générale Gari-
baldi erasi portato a Genova ad a^ttendervi il ricominciare
délie ostilità contra l'Austria, che sperava non lontano.
Poco temjpo egli oziô; avvegnachè, accettato lo invito dei
deputati di Sicilia, subito entrasse in mare con trecento
de' suoi âdi — tra* quali alcuni gloriosi avanzi délia le-
gione di Montevideo — per correre in aiuto ai Siciliani,
nuovamente levatisi in su Tarme per togliersi alla tiran-
nide del Borbone. Se non che al suo giugnere in Livorno,
sapato dei casi di Roma e del romoreggiare délie Lega-
zioniy messa da parte Timpresa sicula e attraversata con
soUecito passe la Toscana, per le Filigari recavasi a Bo-
logna. Il Governo pontificio, il quale non avevagli potuto
contrastare il passe deirAppennino, temendo a buona ra-
gione clie le popolazioni romagnole incoraggiate dalla sua
preaenza si levassero a tumulte, offriva a Garibaldi di
trasportarlo con sue genti a Ravenna, di là a Porto Cor-
sini e imbarcarlo per Yenezia. Ed egli, reputando allora
inopportune di ribellare le Legazioni airautorità papale e
credendo di poter meglio giovare agli interessi délia pa-
tria col soccorrere ai Veneziani, aiutandone col suo brac-
cio, e col braccio de' suoi valorosi compagni le resistenze,
volontieri accoglieva le proposte di Roma, Ma i nimici
suoi, avendo con maie arti sparsa voce in Venezia, che la
schiera di Garibaldi era composta di awenturieri e di
uomini civilmente e moralmente .perduti, inducevano il
Governo délia repubblica a rigettare quel validissimo soc-
corso, n popolo ravennate, allora che seppe del rifiuto di
Manin e del proposito délie genti garlbaldine, le quali,
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94 CAPiTOLO n
veggendosi respinte dai Governi italiani, volevano rifu-
giarsi in Turchia, tumultuante corso al palazzo» staaza del
Legato pontiQcio, e con alte grida domandôgli» avesse a
impedire la partonza doi volontari. Il Legato, il quale per
trovarsi in mezzo aile armi dei mercenari stranieri teae-
vasi sicuro da ogni insulto, a fine di ricondurre alla quiète
usata i cittadini, prometteva loro che non tarderebbe ad
appagarne i giusti desidèri. Se non che, i Ravennati, non
accontentandosi di vane parole, persistevano, romoreggianti
sempre, nelle domande fatte; e il Legato, sperando di rag-
giugnere Tintento suo, rinnovava le promesse di concedere
loro quanto bramavano. Stancatosi il popolo di chiedere
invano, davasi a slanciare piètre contra il palazzo, minac-
ciando altresi d'invaderlo; allora le milizie straniere, che
vi stavano a guardia^ a quella minaccia rispondevano col
trarre délie armi. Lo spargimento di sangue accrebbe ol-
tre ogni dire la irritazione nei cittadini; i quali, con lo
appoggio dei volontari garibaldini atterrarono le porte
del palazzo, e tolsero le armi ai soldati stranieri. La
guerra, che stava per accendersi ira i Ravennati e il
presidio, veniva impedita dalle novelle arrivate di li a
poco da Roma perturbata, sconvolta e tutta piena di
pericoli. n générale Zucchi — in quel mezzo recatosi a
Bologna per mantenere neirobbedienza al Pontefice le Le-
gazioni e opporsi a Garibaldi, ch*egli credeva mirasse a
soUevarle — facendola da dittatore, infuriava, anzi imbe-
stialiva contra la parte libérale; mandava prigioniero a
Gorneto il barnabita Gavazzi, toglieva le armi al popolo;
con uomini di cattivo affare cacciava cittadini onesti; ne
vergognavasi di insidiare alla libertà, promovendo disor-
dini, e perseguitarne i difensori; avvegnachè mandasse
sue soldatesche contra le genti di Garibaldi e del bolognese
Masina, le quali insieme congiuntesi camminavano verso
Ancona. Il mal governo di Zucchi destô tali e tanti lamenti,
che pochi giorni di poi il ministre sopra le armi Campello,
messolo in accusa, lo invitava a scolparsi del suo operato.
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LA BEPCBBLIGA BOMANA 95
Era il 15 novembre. la quel giorno Roma destavasi piÎL
agitata che mai; i cittadlni ne popolavano in gran nu-
méro le vie sino dalle prime ore del mattino, dovunque
raccogliendosi in capannelli, in mezzo ai quali i soliti ora-
tori da piazjsa tenevano parola di Costituente italiana e
di quanto dovevasi trattare dai Deputati, che stavano per
riuairsi a parlamento. Le voci di congiura contra il Mi-
aistro abborrito — contra Pellegrino Rossi — cbe già da
tempo correvano la città, ripetevansi in quel mattino con
maggiore insistenza; Tora délia catastrofe — non aflfret-
tata, ma perô attesa senza timoré — nondimeno non cre-
<levasi tanto prossima a suonare. Nel mattino stesso la
duchessa di Rignano — moglie al Ministre dei lavori pub-
blici — avvertiva per lettera il Rossi, cui erano note
quelle voci sinistre, del pericolo che gli sovrastava ed e-
ziandio consigliavalo di non recarsi al Parlamento; ma
t'gli, sprezzando il prudente consiglio, in sul mezzodi por-
tavasi al Quirinale per ricevere gli ordini del Papa, e
poco di poi uscivane per recarsi al palazzo délia Cancel-
leria, stanza deirAssemblea nazionale (1). Le vie che me-
navano ad esso erano ingombre di popolo; davanti al
palazzo stava schierato un battaglione di guardie cittadine ;
e nel vestibolo trovavasi una mano di legionari, reduci
dalla guerra veneta, sessanta allô incirca. La moltitudine
dei cittadini, accalcantesi nelle vie che il Ministre doveva
percorrere, a lui, che torvo guardavala e con sorriso pro-
vocatore, facevasi a rispondere con chiari segni di sprezzo
(1) tt ..... nu baon saceidote cercô di lui; non ricevnto, lo aspettd
laogamente, e accostatosegli mentre nsciva, segnendolo per le scale lo
awisava in segreto délia conginra, di cui aveva avnto notizia in con-
feasione. a Ob! la ringiazio del suo zelo! » rispondeva il Ministre a
voce alta, e affrettando il passe per troncare il coUoquio e liberarsi
dall'importnno. »
QwHppc PasoUni, Memoiie raccolte da suo figlio, cart. 140. Imola, 1880-
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96 CAPITOLO II
G di orrore ; e allô scendere di carrozzâ accoglievalo tra
i âschi, e alzava grida di abominazionè e minaccia: allora
i congiurati gli si serravano d'attorno. Aveva fatto pochi
passi appena, quando uno d'essi toccavalo con bastone al
flanco destro ; nel momento in cui Rossi volgeva fieramente
il capo per conoscere Toltraggiatore, il ferro d'un assas-
sine due volte cadeva su lui; una sola volta ferivalo, ma
di ferita mortale; erangli state tagliate Tarteria carotide
e la vena giugulare esterna! Tassassino e i suoi complici
sparivano quasi per incanto, ne di loro nulla seppesi mai.
— Nel suo brève governo Pellegrino Rossi ebbe a tutti
arrecato gravi oflTese; alla Corte romana, col levarle i tanti
abusi di cui era piena; ai Gardinali e ai patrizi, col trat-
tarli superbamente ; al popolo, con lo attentare aile sue
libertà: ond'egli ebbe avversari dimolti, amico nessuno;
ne certo fu caro al Pontefice, al quale non dovevano tor-
nare graditi i suoi modi troppo despotici dî governare, che
toglievano al Capo suprême dello Stato ogni autorità, per
raccogliersi tutta nelle mani delForgoglioso Ministro. Le
ricerche poco sollecite ne premurose fatte per impadro-
nirsi deirassassino e il processo spinto innanzi non con
queirardore che la gravita del caso richiedeva, lasciato da
prima e ripreso da poi, indussero Tuniversale a sospettare,
cHe a tutte le fazioni sommamente importasse di non isco-
prire Tucciditore temendone le rivelazioni. Sedici cittadini
vennero accagionati di queirassassinio ; uno di essi perde
la vita per mano dol carneâce ; cinquo furono mandati
aile galère; uno mori durante il processo; uno, parimenti
condannato nel capo, si spense prima dello eseguirsi délia
sentenza; gli altri otto, avvertiti in tempo, salvaronsi con
la fuga. La Oiicstizia aveva in apparenza fatto il débite
suo; in realtà, no; era stato in poter suo di rompere il
vélo, dietro il quale stavano nascosti i promovitori délia
trama, in verità assai bene ordita e benissimo condotta a
fine, e non lo voile; ne la luce per correre di anni ancor
si fece su queirorribile tragedia! — Cacciato a terra dal
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LA BBPUBBLICA BOMANA 97
Tiolento colpo dell'assassino, Rossi, con lo appoggio di
Pietro Righetti — sottosegretario suo venuto con lui dal
Quirinale — siibito rialzatosi, facevasi a salire la scala
condncente all'Assemblea; se non che, ascesi appena pochi
gradini, venivangli meno le forze; onde il servo suo e il
Righetti sollevatolo di peso, trasportavanlo nelle sale del
cardinale Gazzolli^ che trovayansi in capo alla scala^ e
dove brevi momenti dopo passava di vita. I Deputati, già
raccolti a parlamento, stavano in aspettazione del Rossi —
il quale doveva in nome del Sovrano Ponteflce aprîre la
nazionale Assemblea — quando il ministre Montanari ve-
niva ad essi apportatore dell'orpenda novella. Il popolo,
atTollato nelle logge, siibito fortemente agitossi; ma î suoi
rappresentanti chiamati da Sturljinetti, che li presiedeva,
corne se nulla fosse accaduto, diedero cominciamento aile
loro parlamentari fatiche. Fu questa una vana ostentazione
«li codarda fermezza e di menzognera tranquillità; awe-
^nachè il pallore dei loro yolti chiaramente ne rivelasse
la interna commozione, ed eziandio nella maggiore parte
di quelli anche un terrore pieno d'affanno e una inquie-
tudine paurosa deirawenire. Per pochi istanti perô sie-
dettero i Deputati in Assemblea; dopo avère udito ■— senza
aver nulla compreso — alcuni oratori, che parlarono bre-
vemente e senza far cenno délia uccisioae di Rossi, silen-
ziosi se ne andarono. — I Romani, mantenutisi tran-
quilli in tutta la giornata, non avendo al calare délia
notte riceviito contezza nessuna délie deliberazioni del
Ponteflce — che aveva fatto venir siibito al Quirinale il
coate Pasolini e Marco Minghetti (1) — presero a com-
rauoversi, a rimescolarsi e a correre tumultuariamente,
(1) Pic rx mandô aùbito per Pasolini e Minghetti, « i qnali a lui
si offenero in ogni coaa avessero potuto aintarlo col consiglio e con
l'opéra. Non ai ricnsaiono a qnalnnqne sacrificio ma non vollero dis-
âmolare a se Btesd, nô al Pontefice, che dopo la fanesta allocnzione
'i^l 29 aprile, che essi non erano riuscid a stomare, dopo il disoidine
^ - Yol. II. Mabuvt — Storia pol « mih
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98 CAPITOLO II
ma non minacciosamente, la città. I Cardbinieri. invitati
ad affratellarsi col popolo, uscirono dal loro quartiere per
far causa con osso; il quale, fatto più audace per avère
condotto a sua parte quella soldatesca, sino allora creduta
(levotissima al Governo, lasciossi andare a turpe baccano,
e, alzando spaventevoli grida di féroce gioia per Tottenuta
vendetta, benedisse alla mano che aveva morto il superbe
Ministre: atti questi che gettarono il vituperio sul nome
romane; vituperio che non potè essere scusato, corne da
alcuni scrittori partigiani troppo tentossi fare, dalla so-
ciale corruttela di quoi tempi, tristissima conseguenza dei
passât! reggimenti. L*assassinîo di Pellegrino Rossi — la
cui novella si sparse per tutta Italia con la velocità del
lampo — fu altamente riprovato dagli onesti, da quanti
cioè amano la virtii, e onorano la giustizia; e Topinione
pubblica — ai nostri giorni levatasi a potenza — sia délia
parte repubblicana e monarchica, sia délia parte costitu-
zionale e di quella altresi che respinge i progressi délia
civiltà odierna, condannô alla esacràzione universale la
uccisione del Ministre pontificio. Non la perdita di Rossi,
ma il modo col quale gli fu tolta la vita, e certo ancora
piii le cagioni che avevano prodotto quella perdita — le
quali rivelavano chiaramente lo stato délie cose — feri-
rono dolorosamente l'animo mite e dolce di Pie IX.
n mattino del 16 moltitudini innumerevoli di cittadini e
soldati d'ogni grade, eccitate dalla parte libérale a far co-
noscere al Ponteflce quanto era non solamente nei loro
voti, ma in quelli altresi di tutta la nazione, muovevano.
ne tumultuanti, ne minacciose, verso il Quirinale. Scon-
trato per via Tawocato Giuseppe Galletti — arrivato al-
cresciato e gli infelici casi deUa gnerra, non era facile lo stabilire nn
sistema di Govemo in nno Stato italiano, che il Principe voleva nen-
trale neUa gnerra di indipendenza. n
CHuuppe Faaolini, Memorie raccoite da sno figlio, cart. 142. Lnola,
1880.
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LA BEPUBBLIGA. BOMANA 99
lora allora in Roma, il quale godeva delFaura popolare —
costriagevanlo a unirsi alla deputazione loro, recantesi
al Papa per chiedergli Vadesione sim alla Costtticente
italiana bandîta da-Montanelli, il sollecito e pienoe/Tet-
tuarsi dei prowedimenti decreiati per la guerra dal-
CAssemblea nazionale e un Governo democratico, quale
avevalo disegnato net luglîo il conte Mamiani. La deputa-
zione venne ricevuta dal cardinale Soglra, cui il Galletti
maaifesiô i desidèri dei cittadini romani, n Ponteflce, in
queirora raccolto a consulta con Montanari, col cardinale
Antonelli, con Sturbinetti e monsignor Muzzarelli, con Pa-
solini (1) e Fusconi e altri confldenti suoi — i quali ave-
vangli già consigliato di âdare a Galletti il carico di com-
[)orre un nuovo Governo — incoraggiato dalla presenza
degli ambasciatori degli Stati amici, corsi ad assîsterlo in
quel difficile momento, niegô soddisfare ai voti dei popolo
espostigli dal cardinale Soglia. Nessuna preghiera, non i
pericoli dei tumulte romoreggiante in tutta Roma poterono
indurre Pio IX ad appagare le demande di maggiori li-
bertà fattegli dai sudditi suoi, non volendo egli trattare
coi ribelli, ne piegarsi mai alla loro volontà. AlFudire le
ferme ripulse dei Ponteflce — in vero non conciliatrici di
pace, ma provocatrici di disordini — le moltitudini pas-
savano daUlmpazienza airira; e salite in furore, agguan-
tate le armi con Taiuto di molti soldat! reduci dalla guerra
veneta, assaltavano il Quirinale. Gli Svizzeri, clie yi star
yano a guardia e a difesa, inarcati gli archibugi prende-
vano allora a trarre contra il popolo : onde d'ambe le parti
accendevasi la pugna (2). Gli ambasciatori stranieri, ve-
(1) H conte Gioseppe Pasolini da Bayenna erasi recato a Borna in
sol cadere dei marzo 1847 per inyito di Pio IX, che aveyalo conoscinto
in Imola Tanno innanzi alla sua elezione al Pontificato.
(2) n popolo aveva plantato dayanti alla porta dei Qmrinale on can-
none per abbatterla; e se ciô non fece, fa per opéra di Federico Torre,
gioyane romano, il quale non yoUe si minacciasse col cannone colni
che poco prima era stato si generoso di perdono.
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100 CAPITOLO II
duto cader morto monsignor Palma, ch'erasi affacciato a
una flnestra per tentare Tanimo dei tumultuanti e indurli
a posare con le armi le ire che li inflammavano, indovi-
nato il grave pericolo, che non solamente dal Papa, ma
altresi da tutti si, correva se il popolo, vinti gli Svizzeri,
avesse invaso il palazzo, facevansi a scongiurare Pio IX
di cedere alla nécessita del momento; e pur caldameiite
supplicavanlo a ciô Martinez de la Rosa, Toratore di Spa-
gna, e il duca d'Harcourt, il rappresentante di Francia;
i quali poco innanzi avevano fatto plauso aile deliberazioni
del Papa, incoraggiatolo alla resistenza e mosso rimproveri
aile Deputazioni mandate àl Quirinale dal popolo romano ;
essi chiaramente provarono quanto la paura sia brutta
consigliatrice di viltà (1). Spaventato per la morte di mon-
signor Palma e abbandonato persino dagli ambasciatori di
Spagna e Francia — prima del pericolo tanto superba-
mente baldi e allora tanto pieni di sgomento — il Ponte-
flce, costretto ad accondiscendere ai desidèri délie molti-
tudini, ordinô al cardinale Soglia d'accordarsi con Galletti
su gli uomini da chiamarsi al Governo e che fossero bene
accetti al popolo; e la nuova amministrazione riesci com-
posta da Mamiani ministre sopra gli affari esterni, da
Galletti sopra gli affari interni, da Sereni sopra la giusti-
zia, da Sterbini sopra i lavori pubblici, da Lunati sopra
le rendite dello Stato, da Campello sopra le armi e dall'a-
bate Rosmini sopra la istruzione pubblica, il quale fu eletto
(1) Agli officiai! dei Carabinieri vennti al Ponteôce per intercédera
a favore del popolo a fine d'impedire ogni spargimento di sangue, Mar-
tinez de la Kosa parl6 queste parole : u Andate dire, o signori, ai capi
délia ribellione, clie se persistono nel loro odioso disegno, essi dovranno
passare snl mio cadavere per gingnere alla persona sacra del Sovrano
Pontefice. » E il duca d'Harconrt parimentî a qnegli officiali : u Se voi
faceste il dover vostro, o signori, impedireite con le armi le sventnre,
che voi non arriverete a impedire con le vostre sterili parole. »
Alphonsb BALLBrDiEB, HisMre de la Révolution de Rome, vol. i,
cart. 210. Ginevra, 1851.
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LA JiKPUUBLICxV KOMAXA 101
altresi présidente dei ministri. Dalla Costituente italiana
6 di quanto altro era stato ricliiesto dalle deputazioni in
nome del popolo, Pio IX disse di volersi riferire aU'Assem-
blea nazionale, cui lasciô il carico di discutere e delibe-
rare. — Nel momento stesso in cui il Somme Pontefice,
ottemperando ai consigli prudenti degli amici che gli sta-
vano d'attornoy dava ai sudditi le tante sospirate conceS"
sloniy protestava solennemente davanti agli ambasciatori
straoieri contra quegli attiy ch'egli sîibito dichiarava ir-
riti e nuUi per essergli stati strappati con la violenza, e
iavitatili a raccogliere quella sua protesta pregavali di
riferire aile loro Corti: -zz Avère egli ceduto ai ribelli
solamente per impedire che Roma si insanguinasse e si
riempisse di lutti; e disconoscere il nuovo Governo, da
lui accordato al popolo alFunico scopo di fargli posare le
armi e ricondurlo alla primiera quiète e pace. = In fatto,
airannunzio délie papali concessioni ogni tumulte all'i*
stante cessô, e le moltitudini, che poco innanzi ayevano
alzato féroce grido di guerra e minacciato d'invadere il
Quirinale, deposte le ire, corsero festanti le vie délia città,
ilovunque apportando la fausta novella. Degli eletti al
uuoYO reggimento délia cosa pubblica Tabate Rosmini
avendo rifiutato Tofficio oflTertogli, il Pontefice surrogô in
luogo sue monsignor Muzzarelli. — A far conoscere gli
intendimenti loro, i Ministri appena assunti al supremo
potere mettevano fuora un manifeste, nel quale aflTerma-
vano di professare principi in armonia non soltanto coi
voti del popolo, ma eziandio con quelli délia maggiore
parte dei rappresentanti suoi neU'Assemblea nazionale; in
oltre promettevano di adottare quanto era stato da esse
deliberato a vantaggio délia patria italiana e fare adesione
piena e intiera ai divisamenti esposti da Mamiani il 5
^'iugno nel Parlamento romane rispetto alla guerra di in-
dipeadenza e agli ordini délie libertà interne; e in fine,
parlavano del patte fédérale e del convocarsi délia Costi-
tuente in Roma, la quale avrobbe poi preso a disamina
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102 OAPITOLO II
gli interessi d'Italia e risoluto su di essi. — I principi
posti innanzi dai nuovi Ministri per essore informati a
savia moderazione ebbero il favore popolare, non pero
quelle degli uomini del Circolo romano; i quali avrebbero
amato cbe in quei momenti si difficili e pieni di pericoli,
si dessero dai supremi governanti prove di maggiore forza
e di più fermi propositi. Col fare use délia propria auto-
rità — e non era picciola — il Circolo costringeva il
Governo a togliere le armi agli Svizzeri; a porre i Cara-
Unieri sotto il comando immédiate di Galletti, Ministro
sopra le faccende Interne, e a fidare al colonnello Giu-
seppe Gallieno Tautorità suprema sopra le guardie citta-
dine, per lo addietro tenuta dai duca di Rignano. — Tro
giorni dope Tuccislone di Pellegrino Rossi, i Deputati di
Bologna levayansi in seno all'alto Gonsesso del Parlamento
a rimproverare con acerbe parole al Governo, di non
avère ancora protestato in modo solenne contra Tassassi-
nio di quel Ministro, ne fatto le ricercbe più minute per
iscoprire Tucciditore e impadronirsene. Rispondeva loro il
Galletti promettendo, anche in nome dei colleghi, di dare
opéra sollecita ed efficace a rintracciare il colpevole f
quanti avevano avuto mano alla sanguinosa congiura; ♦*
cosi allontanare dalla parte libérale il rio sospetto, cht'
Tautore del misfatto fosse uscito dalle sue file; sospetto
con mala arte sparso a suo danno dai nimici alla libertà.
Il 20 di quel mese di novembre Potenziani proponeva al-
TAssemblea di mandare al Pontefice una deputazione, la
quale avesse ad assicurarlo délia devozione e obbedienza
cbe professavangli i rappresentanti del popolo; tarda, anzi
menzognera protestazione di affetto alla persona del So-
vrano, perô che neU'ora del pericolo e proprio quand*»
maggiore era stato il bisogno del loro appoggio l'avessero
abbandonato. La proposta di Potenziani non avendo ric»^
vuto favorevole acco^ienza, i Deputati bolognesi, fatta ri-
nunzia al proprio mandate, lasciavano Roma.
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LA BEPU6BLICA ROMANA 103
Dopo gli avvenimenti del 16 novembre Pio IX, non avendo
più intorno a se gli Svizzeri, e veggendosi custodito da
guardie cittadine, presidianti il palazzo suo, credettesi
prigioniero dei propri sudditi. Sdegnoso di star soggetto a
coloro, cui per lo innanzi aveva imposto ogni sua volontà,
risoluto di recuperare la perduta libertà, deliberô di la-
sciare lo Stato. Incoraggiaronlo alla fuga, assicurandolo
délia loro cooperazione, il cardinale Antonelli, gli amba-
sciatori di Spagna, di Francia e il conte Spaur, oratore
d'Austria e di Baviera in Corte del Pontefice. Gli aiutatori
di quella fuga avevano opinione diversissima intorno al-
Tasilo del Papa; ciascuno desiderava portarlo in sua pa-
tria, non già per l'onore d'ospitarvi il capo del mondo
câttolico, sibbene allô intento di potersi, alla bisogna,
servire di lui nello interesse del proprio paese. Il duca
d*Harcourt voleva condurlo a Civitavecchia, nel cui porto
sorgeva in su l'àncora una nave a vapore francese, che
avrebbelo in brevi ore trasportato a Marsiglia; Martinez
de la Rosa offriva al Pontefice Tisole Baleari; ma il conte
Spaur e il cardinale Antonelli — i quali, se di Spagna
poco fldavano, molto sospettavano délie offerte di Francia
— pretessendo la troppa lontananza di quel rifugi da Roma
e la disagevolezza del viaggio, mettevano innanzi Gaeta,
terra fortissima di Ferdinando Borbone, cbe sapevasi, non
solo all'Austria devotissimo, ma suo vassallo. Era appena
scesa la notte del 24 novembre, quando Pio IX, mutate
sue vesti pontificie in quelle di semplice prête, per segreta
porta usciva non visto dal Quirinale e in modesta carrozza
recavasi con diligente fretta in Albano, ove attendevalo
la contessa di Spaur, che aveva con amorosa cura prepa-
rato le fughe; indi con essa e lo sposo suo portavasi a
Gaeta; quivi raggiugnendo il cardinale Antonelli, il quale
aveva d'alquante ore preceduto il suo arrive. Il duca
d'Harcourt, venuto in quella sera stessa al Quirinale per
condurre via il Papa, appena seppe délia sua fuga, senza
l)or tempo in mezzo lasciô Roma, e corse velocissimo a
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104 CAPITOLO II
Civitaveccllia nella certezza di prendervi il Pontefice e
trafugarlo a Marsiglia; ma vi trovô lo scorno suo, perô che
egli, troppo malaccorto, fosse caduto neiringauno orditogli
dallo astuto cardinale Antonelli e dallo scaltro oratore di
Baviera.
Airannunzio délia fuga del Principei Romani ne si commos-
sero, ne si turbarono, avvegnacliè giàdaalcuni giorniaves-
sero di quella gravi sospetti. I supremi governanti, veggendo
le moltitudini mantenersi tranquille, facevano siibito co-
noscere in un manifesto al popolo: = Il Pontefice essere
stato indotto a lasciare Roma dai malvagi consigli di chi
voleva vedere il territorio délia Chiesa in preda alla guerra
civile; = assicuravano poscia i cittadinî, che, se a loro
non venisse meno la fede e il senno, il Governo prowe-
derebbe alla tutela dell'ordine pubblico. Informati quindi
i Ministri dal marchese Sacchetti — il quale soprainten-
deva alla casa del Pontefice — avère questi, in una lettera
direttagli, caldamente raccomandato ad essi, in ispecie a
Galletti, di premunire i palazzi e più ancora le persane
addeite, che ignoravano le risoluzioni sue, e d'assicurare
la quiète delVintera città, bene interpretando le parole
del Principe — le quali, non solamente confermavano i
Ministri, da lui eletti, neirofficio loro, ma eziandio quanto
sarebbero per operare allô intento di impedire tumulti e
danni — allontanarono da se i dubbi su la legittimità del
loro suprême potere, dubbi cbe la fuga di Pio IX aveva
fatto nascere in essi. E di quel potere subito usarono met-
tendo in accusa il générale Zuccbi, il cui mal governo a
Bologna aveva destato universale lamente; e lui, già chia-
mato a Roma, invitavano a giustificare quegli atti d*auto-
rità dittatoria — dal Pontefice non conferitagli mai — e
che avevanlo chiarito nimico e persecutore délia parte li-
bérale nelle Legazioni. — Pio IX, due giorni dopo il suo
giugnere in Gaeta — e fu il 25 novembre — pubblicava
un Brève, nel quale protestava contra le sacrileghe viô-
lenze, che avevanlo costretto a separarsi da'suoi sudditi
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LA BBPUBBLICA BOMANA 105
e figli bene amati. = Primissimo tra i motivi di tanta
dolorosa separazione, scriveva egli, essere stato il bisogno
di serbare in sue mani nelVinteresse délia Cattolicità H-
f)era e intégra la suprema potestà delVapostolico Seggio.
Rinnovare allora solennemente in faccia alVEuropa c
al mondo la protesta fatta prima di lasciare Romu din-
mnzi agli a7nbasciatori dei Oovemi stranieri contra le
patite violenze; e dichiarare irriti e nulli gli atti, tri-
siissi)ne œnseguenze di esse. In fine, allô intento di non
lasciare lo Stato senza capo, eleggere egli una Commis-
4one govemativa, per reggerlo, nelle persone del cardi-
mie Castracanef di monsignor Roherti, dei principi di
Raciano e Barberini, dei marchesi Bevilacqua e Ricci e
fiel générale Zucchi. — Di questa Commissione trovavausi
illorain Roma soltantoGastracane,Roberti, Raviano, Zucchi
e Barberini ; i quali, non estante che si dicessero devoti al
Pontefice e alla sua causa e neirodiare le libère istituzioni
pienamente s'accordassero, non mostraronsi d'animo bene
disposto a soddisfare al desiderio del loro Sovrano; e per
•luale ragione ? per averli il Papa chiamati a queU'alto
officio senza prima consultarli, fu scritto da alcuni; ma
iioi ci riteniamo nel vero aflfermando, che, essendo essi
uomini poveri di consiglio e di partiti, non abbiano osato
porsi al governo délia cosa pubblica in quel moment! ar-
•lui e pieni di guai. Piîi spregevole di tutti fu il principe
<1i Raviano, il quale fuggi di Roma, e riparossi a Toscana,
mostrando cosi di possedere assai più di un animo vile,
un animo tristamente abietto. — Il Brève pontificio per-
veaiva al Parlamento romano il 3 dicembre e quand*esso
aveva già deliberato d*inviare a Pio IX una deputazione
•li cittadini a pregarlo di riedere in mezzo ai sudditi suoi.
[>ichiarata illégale quella protesta — perché di principe
che aveva violato lo Statuto, lasciando il regno suo — il
Parlamento confermava i Ministri nellofflcio che tenevano,
'^ino a che esso avrebbe in altro modo provveduto al go-
verno dello Stato; faceva invito M'alta Consulta d asso-
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106 CAPITOLO II
ciarsi aile sue deliberazioni e d'aggiugnere alcuai de'suoi
membri ai deputati che dovevano recarsi a Gaeta; in fine,
raccomandava aile guardie cittadine di proteggere Tordine
pubblico. E il di vegnente Valta Consulta invitava i Mi-
nistri a conservare teraporaneamente la suprema potestà,
lor cohferita dal Ponteflce pochi giorni prima délia sua
fuga a Gaeta; e commetteva a monsignore Martel e al
marchese Paolucci di rappresentarlo nella deputazione cht*
stava per portarsi a Pio IX. I quali tutti poi il 5 dicem-
bre partivano alla volta di Gaeta in compagnia del prin-
cipe Tomraaso Corsini, Senatore di Roma, del dottore Fu-
sconi e dell'abate Rossi, Deputati al Parlamento nazionale.
Ma aU'ambasceria romana non fu concesso di compiere il
fidatole incarico; perô che un Commissario del Governo
napolitano le proibisse di valicare il confine del regno
borbonico. Appena di ritorno a Terracina Tambasceria
scrisse al cardinale Antonelll per fargli conoscere lo scopo
di sua missione e ottenere quindi libero il passe per Gaeta :
e il Cardinale sollecitamente le rispose cosi: = Nel ^no-
tuproprio del 27 novembre avère il Sovrano Ponteficc
chiarito i motivi del suo partire di Roma! quel motivi
tuttavia esistendo, il Papa, ferme nelle prese deliberazioni,
non poter ricevere gli inviati di un Governo privo d*au-
torità e da lui non riconosciuto. = Il diniego del Ponte-
flce d'accogliere chi veniva a' suoi piedi con animo som-
messo, in verità non fu atto informato a giustizia, e non
degno del Servo dei Servi di Dio; il respingere gli inviati
del popolo suo, venuti a supplicarlo dl riedere in mezzo
ad esso, mostrô non essore vero, quanto egli aveva scritt^>
nel suo Brève bandito da Gaeta: avère sempre amato i
sudditi, i flgli suoi, e amarli ancora. Montre aflTermava
di pregare Dio per la pace del monde, e in ispecio per
quella del suo principato, rifiutavasi d'ascoltare le parolo
di concordia che a lui portavano gli oratori romani : onde
facevasi manifeste, che egli non rifuggiva dal gettare la
patria nelle miserie e negli orrori délia guerra civile i^
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LA KKPUDBLICA KOMANA 107
che voleva tornare a Roma per forza d'armi straniere giii
risoluto d'iûvocare, non in virtù d'onesti accordi coi po-
poli suoi. — L'oltraggio fatto dalla Corte di Gaeta alla
deputazione romana turbô grandemente Yalta Consulta o
il Parlamento, e suscité nuove ire e nuovi sdegni nella
parte libérale, già malcontenta di quella missione al Sommo
Pontefice, e che essa aveva reputato dicevole soltanto a
gente ribelle, non a un popolo il quale, conscio dei pro-
pri diritti, ha risoluto di fermamente sostenerli. Se al-
Tannunzio délia ingiusta ripulsa papale il popolo in Roma
e nelle provincie si commosse, non perô levossi a tumulto
e a romore; che anzi ei seppe allorae di poi, anche quando
i tempi copsero assai più difficili e fortunosi, tenersi in
moderazione degna proprio délie nazioni altamente civili.
A ppovvedere aile gravi nécessita e agli imperiosi bi-
^gni del momento, 1*8 dicembre i Deputati raccoglievansi
a Parlamento. Urgeva anzi tutto d'aflfermare l'ordine pub-
blico per impedire allô Stato di cadore neiranarchia, in
cui i tristi consiglieri di Pio IX avrebbero voluto ina-
bissare il paese; al quale scopo Pantaleon proponeva il
crearsi d'una Commissione di cinque membri, che dovesso
governare il regno sino al ritorno del Sovrano Pontefice.
Taie proposta veniva fortemente combattuta dal principe
di Canino, un Buonaparte ; il quale, sapendo a tutti bene
accetta la Costituente, desiderava ardentemente di farla
finita con la potestà temporale dei Papi. Discordava mol-
tissimo dal Buonaparte il ministre Mamiani; che, tuttavia
convinto potersi da Pio IX ritornare il papato all'antico
splendore e alla grandezza di un tempo con vantaggio e
gloria délia patria comune, sosteneva doversi per mezzo
del cardinale Castracane — cui il Sommo Pontefice aveva,
in quella sua lontananza di Roma, commesso il governo
degli Stati délia Chiesa — tentare nuovi accordi con la
Corte di Gaeta. Raccolti i suffragi trovossi la proposta di
Pantaleon , stata valîdamente sostenuta da Mamiani, avère
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108 CAPITOIiO II
viato il partito, e la scelta dei Commissari essere caduta
sopra monsignor Muzzarelli, Sterbini, Campello, Galeotti
e Armellini. — Le notizie, giuate in tal mezzo da Gaeta
accrescevano a dismisura la esacerbazione degli animi con-
tra il Ponteflce ; il quale, forse a istigazione del re Ferdi-
nando, certamente poi per consiglio di quanti gli stavano
d*attorno, tutti avversissimi a libertà, andava sempre piii
chiarendosi contrario ad ogni pacifico componimento coi
popoli suôi. Fu allora che i Romani — già da lunga pezza
mostratisi desiderosi di Costituente e di radicali mutazioni
negli ordini dello Stato — non volendo più sapere délia
autorità temporale del Ponteflce, che avevali a loro stessi
abbandonati, inchinarono alla repubblica. I Commissari
governativi — due giorni appresso le loro elezioni — re-
putandosi impotenti a dominare e inetti a guidare la ri-
voluzione che stava per nascere e il cui intente era di
stabilire un nuovo ordinamento di cose, posero innanzi al
Parlamento la creazione di una Giunta temporanea di
Stato con potestà suprema; a comporre la quale chiama-
ronsi il principe Corsini e i gonfalonieri di Bologna e di
Ancona, Zucchini e Oamerata. Gridata poscia la Costiti^nte,
venue licenziato il Parlamento — che aveva omai perduto
ogni autorità ed erasi fatto quasi cadavere — per consul-
tare il paese nei Comizi elettorali da convocarsi il 21
del prossimo gennaio. Il ministre Mamiani, il quale sti-
mava inopportuna la Costituente, non riescendo a vitto-
riosamente combattere i propugnatori di essa, faceva ri-
nunzia al proprio ufflcio; e il principe Corsini, credondo
d'avere pienamente soddisfatto al débite sue, toglievasi
dalla Giunta di Governo. Il Ponteflce — il quale con dé-
crète del 7 dicembre aveva prorogato i due Consîgli —
appena seppe délia creazione délia Giunta di Stato, del
licenziamento dei Deputati e dello istituirsi d'un' Assemblea
costituente, ritenendo illegali e sacrileghi quegli atti, di-
chlarolli irriti e senza efietto quanto da essi sarebbe per
eraanare; in oltre avverti, che cadrebbero nelle censure
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LA BEPUBBLICA BOMANA 10^
ecclesiastiche quei cittadini i quali prendessero parte alla
elezione dei membri délia Costituente. Se i decreti délia
Corte papale costrinsero i governatori délie provincie,
preti e laici, e il comandante suprême délie guardie cit-
tadine di Roma a rinunziare ai propri ofBci, non valsero
perô a commuovere le popolazîoni (1); e le soldatesclie
pontificie, che il générale Zucchi aveva chiamate a Gaeta,
mantennersi in fede alla patria, eccetto i pochi caraM-
nieri che presidiavano Frosinone ; in fine le scomuniche,
perche minacciate per intente politico, non per ragioni
religiose, furono impotent! a turbare le coscienze ancbe le
più timorate.
In questo mezzo erano arrivati in Corte del Pontefice a
Gaeta monsignor Riccardi, Vescovo di Savona, e il mar-
chese di Montezemolo inviati da Gioberti — il quale allora
siedeva tra i consiglieri di Carlo Alberto di Sardegna —
per offrire a Pio IX ospitalità negli Stati del Re, loro si-
gnore, e i buoni offlci del Governo di Torino ; o, se più gli
piacesse, l'aiuto délie armi sabaude per ristaurare in Roma
il principato temporale dei Papi, e affermarvi gli ordini
costituzionali da esso largiti ai sudditi/ Il 29 dicembre i
Commîssari régi, venuti alla presenza del Pçntefice, face-
^angli conoscere lo scopo délia loro missione; e avvertiti
da lui che i regnanti d'Europa non solamente erano stati
informati dei tristi casi succedutisi di quei giorni in Roma,
ma eziandio stâti richiesti di consiglio e di armi per tor-
nare i popoli ribelli all'obbedienza usata, i Commissari del
Re, messl da prima innanzi a Pio IX i danni immensi che
«ia quella chiamata d'eserciti stranieri verrebbero alla pa-
tria italîana, supplicavanlo d'accettare gli aiuti che la Sar-
degna spontaneamente gli offriva. Se non che il Papa, al-
l'amicizia interessata dei nimici d'Italia posponendo quella
(1) Dei governatori laici quel di Perugia — il Rota — continué a
rsggere la sua provincia, a ciô pregato dal supremo Maestrato dei
dttadini, da tutta la parte libérale e perslno dal Yescovo.
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110 CAPITOLO II
del Governo sabaudo — allora mostratosi devoto alla sua
causa e pronto a sostenerla — mantenevasi fermo nelle
prçse deliberazioni ; che dovevano nuocere, como nocquero
in fatto, ai veri interessi délia religion e e del papato spi-
rituale. Vincenzo Gioberti, che, giusto quanto egli stesso
èbbe in quei tempi a scrivere, nelVoffrire al Santo Padre
la 7nediazione subalpina era stato guidato da sensi ita-
liani e cattolici; che aveva creduto una interposizionc
paciflca e benevola dover tornare ineglio gradita al Vi-
cario di Cristo, délia violenta e sanguinosa délie armi;
in fine, Vaiuto d'un principe italiano dover essere più
(jradito a Pio IX del soccorso austriaco, appena gli fa-
rono note le ripulse del Pontefice, spedi a Napoli il sena-
tore Plezza per tentare nuovi accordi col Borbone, e mandô
Ferdinando Rosellini a Firenze per consigliare Montanelli
e Guerrazzi a rimettere la quiète e la tranquillità in Ta-
scana, cbe essi agitavano allô intento di condurla a repub-
blica. Plezza e Rosellini, sebbene dotati di non comune av-
vedutezza in faccende politiche, a nuUa perô approdarono ;
il primo, perché in Corte di Napoli sapevasi avère egli un
giorno parlato con disprezzo del Re; Taltro, perché aveva a
trattare con uomini di natura troppo fantastica e di carattere
impossibile a lasciarsi piegare a persuasione veruna. —
Gorreva il 5 febbraio 1849, quando nel palazzo délia Cancel-
leria — Tantica sede delFAssemblea dei Deputati — racco-
glievasi la Costituente (1) romana di popolo numeroso corso
ad assistere a quella solenne ceremonia. In nome del Go-
verno parlé allora il ministre Armellini; il quale, dopo
(1) Sin dal primo gennaio là49 il Papa, in on sao monitorio da Gaeta
avea condannato la Costitttente e chiamato ribelli, non solamente quelli
che foBsero per prender parte ad essa, ma coloro altresi che dessero
opéra a costitoirla. Con ci6 allontanossi l'animo di quanti tnttavia
fidavano in Ini, fede meritamente guadagnatasi coi primi atti del
sao pontificato, i quali aveano rivelato in lui un grande amore alla
patria italiana.
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LA BEPUBBLICA BOMAXA 111
avère sommariamente narrati gli ultimi casi di Roma, la
lotta tra il principio costituzionale e il teocraiico, la fuga
(lel Pontefice ; ed eziaudio dopo avère fatto conoscere le
condizioni politiche e civili, le riformagionijje i auovi prov-
vedimenti introdotti negli ordini dello Stato e nelle am-
ministrazioni pubbliche dalla Commissione temporanea di
Governo, l'Armelliai conchiuse il suo dire cosi: « Il no-
stro popolo, primo in Italia a trovarsi libero, vi ha chia-
Diati, 0 cittadini, sul Campidoglio a inaugurare una nuova
èra alla patria, a sottrarla dal giogo interno e straniero,
a ricostituirla in una nazione, a puriflcarla dalla gravita
leU'antica tirannide e dalle recenti menzogne costituzio-
nali. Voi siedete fra i sepolcri di due grandi epoche. Dal-
luna parte vi stanno le rovine delFItalia dei Gesari, dal-
Taltra, le rovine deiritalia dei Papi. A voi tocca elevare
un edificio che possa posare su quelle macerie, c Topera
délia vita non sembri minore di quella délia morte, e
possa fiammeggiare degnamente sul terreno, ove dorme il
falmine delFaquila romana e dei Yaticano, la bandiera
deiritalia dei popolo. Dopo ciô noi inauguriamo i vostri
immortali lavori sotto gli auspici di queste due santissime
parole : Italia e popolo, » Pronun^iato che Armellini ebbe
il suo discorso — dal popolo e da' suoi rappresentanti cla-
morosamente applaudito — cominciossi a discutere sul
partito che dalTAssemblea dovevasi prendere. Per alcuni
giorui fu Tarduo tema discusso con quella savia mode-
dcrazione che, impedendo ogni eccesso nelle dispute, pone
queste su la via délia giustizia. Dei CosHtuenti pochi pen-
derano dubbiosi e incerti sul deliberare; se non che i piii,
reputando la sainte délia patria posare intiera nella forma
repubblicana, mettevanla francamente innanzi. A provare
la nécessita di essa, monsignor Muzzarelli leggeva all'As-
^mblea una lettera di Gioberti, giunta allora allora ai
Ministri, il quale, certamente con buon volere, ma con
poco senno e minore dignità consigliava ai Deputati di
nconoscere innanzi tutio i diritti costituzionali dei Papa
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112 CAPITOLO II
e (Vaccoglîere nel loro seno i delegati e i rappresentanti
dî Pio IX, per venire a conciliazione con la Corte di
Gaeta. A provvedere quindi alla sicurezza personale del
Santo Padre contra i tentativi possiMH di pocHi fazmi
e a tutelame la legittima potestà egli o/M^ebb^ al Pon-
tefice un presidio di huoni soldati piemontesi (1). Questa
via, credevasi dal Ministro sardo, essere la più acconcia
e decorosa a tcrminare le differenze! — Il grido di Vit a
la RepubUica del principe di Canino e la risposta di Ga-
ribaldi : Andiamo ad acclamarla in Campidoglio, avevano
(1) È prezzo deU'opera far conoscere al leg^gitori in tatta saa inte-
rezza la lettera scritta il 28 gennaio 1849 dal Gioberti, Ministro di
Sardegna, al Présidente del Govemo romano. — « Ricevo da Gaeta la
lieta notizia che il conte Martini fa accolto amicheyolmente dal Papa
in qnalità di nostro ambasciatore. Tra le moite cose che gli disse i|
Santo Padre snl conto degli a fart eorrenti, qnesti mo9tr6 di vedere
di bnon occhio che il Govemo piemontese s'interponesse amicheyolmente
presso i rettori e il popolo di Koma per venire a una conciliazione. lo
mi credo in débite di raggoagliarla di qnesta entratura, affinchè ella
ne faccia queirnso che le parrà più opportune. S'ella mi permette di
aprirle il mio pensiero in qnesto proposito, crederei che il Govemo rv-
mano dovesse, prima di tutto osare la sua azione acciocchô la Costi-
tuewte, che sta per aprirsi, riconosca per primo sno atto i diritti costi-
tozionali del Santo Padre. Fatto qnesto preambolo, la CostituenU
dovrebbe dichiarare, che per determinare i diritti costitnzionali del
Pontefice nopo ô che qnesti abbia i snoi delegati e rappresentanti nel-
l'Assemblea medesima, ovvero in una Commissione nominata e autorîz-
zata da essa Costituente, Senza qnesta condizione il Papa non accetterA
mai le conchinsioni délia Costituente^ ancorchô fossero moderatissime ;
non potendo ricevere la legge dai propri sudditi senza lesione mani-
festa, non solo dei diritti antichi, ma délia medesima costitozione. Se
si ottengono qnesti dne pnnti, l'accordo non sarà impossibile. II nostri*
Govemo farà ogni sno potere presso il Pontefice, afiinchô egli accetti
il partito di farsi rappresentare come principe costitnzionale dinnanzi
alla Commissione, o per via diretta o almeno îndirettamente; ed io
adoprerô al medesimo effetto eziandio la diplomazia estera per qnanto
possa dispome. Qnesto spediente sarà ben vednto dalla Francia e dal-
ringhilterra, perché conciliativo, perché necessario ad evitare il pericolo
d'una guerra générale. Nello stabilire l'accordo tra il popolo romaao o
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LA BXPUBBLICA ROMANA 113
scosso tutta TAssemblea. Mamiani, il quale temeva che
dalla caduta del potere temporale dei Papi verrebbero gra-
vissimi danni, non a Roma soltanto, ma airitalia altresi e
aile sue libertà, facevasi a difendere la tanto niinacciata
sovranita pontiflcia e a consigliare di sottoporre il diffi-
cile tema alla Costituente federativa italiana — che il
deputato Audinot proponeva, s'avesse a convocare il primo
del prossimo marzo — alla quale sola spettava il delibe-
rare su di esso. Molti deputati levaronsi poscia a parlare ;
pochi sostennero Mamiani ; 1 più perorarono a favore délia
il Pontefice bisognerebbe aver riguardo agli scrupoli religiosi di questo,
Pio IX non farà mai alcnna concessione contra ci6 che crede debito
di cosciénza. Sarebbe dunqae mestieri procedere con molta delica-
tezza, non urtare Tanimo timorato del Pontefice; lasciare da parte
certi tasti più delicati, e riservame la decisione a pratiche posteriori,
qoando gli animi saranno più tranqnilli dalle due parti. lo spererei, in
tâl caso, di potere ottenere un modo di composizione, che accordasse la
pia delicatezza del Pontefice coi diritti e coi desidèri degli Italiani
nell'nniversale. Stabilito cosi l'accordo del Papa e dei sudditi agli or-
dini costitozionali, sarebbe d'nopo prowedere alla sicurezza personale
del Santo Padre, il quale dopo i casi occorsi non potrebbe sicoramente,
ne dignitosamente rientrare in Roma senza esservi protetto contra 1
tentativi possibili di pochi faziosi. Per sortire questo intente senza ge-
losia del popolo e pregiudizio délia dignità romana, il nostro Govemo
offrirebbe al Santo Padre un presidio di buoni soldati piemontesi, che
lo accompagnerebbe in Borna, ed avrebbe per ufficio di tutelare non
meno la legittima podestà del Pontefice contra pochi tumnltuanti, che
i diritti costîtazionali del Parlamento e del popolo contra le trame e
i conati di pochi retrogradù Sono più settimane che io vo pensando
essere questa la yia più acconcia e decorosa per terminare le differenze.
Ho comînciato a questo effetto délie pratiche, verso le quali il Pontefice
pare oia inclinato. Se aon si adopera questo partito, l'intervento stra-
Biero è ineTitabile; e benchè io metta in opéra tatti i mezzi per im-
pedjre questo interrento, ella vede che dorante la présente sospensione
délie cose la voce del Piemonte non pUô più prevalere contra il con-
senso d'Enropa. Io la prego, illostrissimo signer Présidente^ a pigliare
in considerazione questi miei cenni, che mnovono unicamente daU'amore
che porto all'Italia, e dal desiderio che tengo di antiveuire ai mali
imminenti. Mi ricordi agli egregi Mamiani e Sterbini, ecc. »
8 — Vol. H. Mariant —- Storia pol. t mil.
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114 CAPITOLO II
repubblica; tra questi il principe di Canino, che pose fiae
alla sua orazione con queste parole: < Sento tremare la
terra sotto i miei piedi! sono le anime dei vostri grandi
avi, i qnali, insofferenti d'indugio, gridano: Viva la Re-
pubblîca romana, » — Dopo una discussione lunga e ca-
lorosa il partito délia repubblica riportava vittoria splen-
didissima; perô che raccolti i suffragi se ne contassero
dieci contrari, centoventi favorevoli al medesimo; e tra
questi trovaronsi i suffragi dei Ministri e dello stesso mon-
signore Muzzarelli, uomo di chiesa, il quale all'amore délia
religione univa quelle délia giustizia* e délia patria. Tre-
dici deputati, sebbene pienamente acconsentissero al pronto
acclamarsi délia repubblica, non presero parte al suffragio
perché' in disaccordo con la maggioranza dei coUeghi sopra
un articolo dei décréta concepito cosi: « Il Papato è de-
caduto di fatto e di diritto dal governo temporale dello
Stato romano. Il Ponteflce romano avrà tutte le giiarenti-
gie necessarie per la sua indipendenza nello esercizio délia
sua potestà spirituale. La forma dei Groverno dello Stato
romano sarà la democrazia pura, e prenderà il glorioso
nome di Repubblica romana. La Repubblica romana avrà
col rimanente d'Italia la naturalità comune. » — In verità
il gridarsi délia caduta dolla signoria papale e la inaugu-
razione délia forma repubblicana, dalla Cosiituente allora
data al paese, furono logica conseguenza délia fuga di
Pic IX a Gaeta; a lui i sudditi non tolsero con la violenza
il principato, ma fu lo stesso Ponteflce che ad essi le la-
sciô per li cattivi consigli di chi gli stava d'attorno; che
anzi, pregato di tornare alla sua città, niegô di far paghi
i voti dei popolo « da lui sempre amato e che tuttavia
ama'oay » e queste son sue parole. — « La bandiera repub-
blicana innalzata in Roma dai Deputati dei popolo, scrisse
Mazzini, rappresenta il trionfo d'una frazione di cittadini
sopra un'altra; rappresenta un trionfo comune, una vittoria,
riportatadamolti, consentita dalla immensa maggiorità, dcl
principio dei bene su quelle dei maie, dei diritto comune
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LA BBFU6BLI0Â BOMANA 115
SU Tarbitrio dei pochi, délia santa eguaglianza che Dio
decretava a tutte le anime sul privilégie e sul dispotismo. »
— Non estante la difflcoltà dei tempi e i tentativi fatti
dalla Corte di Oaeta per ispingere le moltitudini a pugna
parricida; non estante gli sforzi délia parte ay\'^ersissîma
alla libertà per muovere le plebi a tumulte, Roma, nei mesi
corsi dalla fuga dei Papa al riunirsi dalla Costituente —
durante i quali fu retta da un Governo temporaneo — e
di poi nel saiiguindso assedio, eon tanta gloria e onore dei
nome italiano sostenuto contra le armi di Francia repub-
blicana, mantennesi in si mirabile concordia di volontà e
affetti, e in tanta moderazione e in tanto rispetto aile leggi
da far credere, che da lunga pezza fosse uscita di servag-
gio e da molti anni già godesse di larga libertà. — Il mat-
tino dei di vegnente, il 9 febbraio, i membri délia Costi'-
tuente, ascesi al Campidoglio, aile innumerevoli moltitudini
di cittadini d'ogni ordine ivi accorse in modo solenne an-
nunziarono essere la rep%M)lica in Roma sorta a vita
novella. Indi a reggere le Stato composero un Comitato
esecutivo con Armellini, Montecchi e Saliceti; i quali
confermarono monsignor Muzzarelli neirofflcio di Ministre
sopra la istruzione pubblica, Pietro Sterbini in quelle di
Ministre sopra i lavori pubblici e Pompée Gampello sopra
le armi ; in oltre, chiamarono Ignazio Guiccioli al governo
délie entrate dello Stato e Carlo Rusconî a quelle degli
affari interni. In un manifeste all'Italia e all'Europa il
Comitato e i Ministri facevano conoscere gli intendimenti
loro, eziandlo allô scopo di rassicurare i timidi che la
nuova forma di governo aveva non poco spaventati. « La
politica di questa repubblica, dicevano essi, emersa vergine
e incruenta dagli avanzi di un reggimento distrutto dal-
Talito potente délia civiltà dei tempi nostri, sarà una po*
litica franca, dignitosa, conciliatrice, quale l'esigono i det-
tati etemi di quella democrazia da cui desumemmo le
nostre piii care ispirazioni; e quale la vogliono i bisogni
deiretà nostra, il suprême bene dltalia. Lungî da noi le
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116 OAPITOLO II
codarde ipocrisie e le infinte simulatrici, noi adoriamo la
repubblica; ma adorandela, invaditrice non la vogliamo,
civile e pia Tabbiamo neiranima scolpita. La Costituente
italiana, quella magica parola che valse a tener fervida
la vita dopo i disastri di Lombardia, sarà il nostro perpé-
tue grido Con essa noi patrociniamo la guerra; ne ri-
poso certo daremo airanime nostre, sinchè tal guerra non
sia condotta a lieto compimento. A non mostrarci disuguali
al gran conflitto daremo opéra, afflnchè si riordinino
quelle falangi cbe con gli altri fratelli scendevano alla
seconda crociata..... Le discipline civili, che conseguita la
indipendenza possono assicurare sole alla nazione una vera
grandezza, saranno con pari zelo da noi incoraggiate. Svin-
colate dairazione cléricale, Tistruzione procédera di pari
passe con la religione, elemento unico più che singolare di
educazione, allorchè non si adultéra con falsi interessi, e
si scevera da quella scoria délie passioni umane, délie umane
cupidigie, dalle quali rifuggi con tanto abborrimento Tau-
tore di questa religione céleste Noi tenderemo a restau-
rare l'erario pubblico, a rimettere in corso la moneta »^
ad arricchire il paese di quel danaro che è 11 nerbo délia
guerra..... I codici attireranno eziandio tutta Tattenzione
nostra. Una legislazione facile e semplîce rende gli uomini
forti e virtuosi; una legislazione dubbia e complicata li
guasta, li corrompe, li sfata d'ogni sana morale. Vegliando
aile leggi avremo in vista che le riforme nostre sono fatt^
per uomini schietti e repubblicani Una legge, non ha
guari promulgata, lascia ai Municipi quella libertà che fa
sempre il sospiro délie anime nostre, e, senza toglierli alla
provvida tutela del Governo, consente loro di far fîorire e
diffondere la vita in mille piccioU centri di questa Italia,
civile troppo, anelante troppo d'azione, e troppo gloriosa-
mente assetata di gloria, perché possibile vi si rendesse
quel mostruoso accentrarsi che pur scorgiamo in nazioni
meno dai fati privilegiate Le questioni sociali assorbi-
ranno grande parte délie nostre elucubrazioni.... Mentre
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LA BBPUBBLICA BOMANA 117
animati da un peosiero fraterno tenderemo la maao verso
chi langue, daremo opéra instancabile a correggere, a ri-
formare cW impingua dello Stato, chi ne spolpa le viscère,
immemore o incurevole del sozzo egoismo di cui si fa col-
pevole. La repubbllca esige forti e maschie virtii, perché
è lo stato délia perfezione sociale, che è umanamente pos-
sibile di conseguire quaggiti ; onde, a mettere in onore tali
virtii, a sbandire le colpe délia concussione e deiregoismo,
tenderemo con quella gagliardia che ispira aU'anima un
pensiero santo L'Europa ci guarda, Tltalia tiene vôltl
in noi gli occhi; Italia ed Europa veggano quale èquesta
repubblica romana, che, succeduta a un Governo di casta,
6 acclamata tra la letizia e la serenità di tutto un popolo,
dalla tradita naturalità nostra prese le mosse, col rispetto
degli uomini e délie cose segui il suo corso, col grido di
CosUtuente e di naturalità toccherà, quando a Dio piaccia,
la sua meta gloriosa. L'Italia e l'Europa ci guardano. Eb-
bene, ch'esse veggano intere l'opère nostre e discono-
scano, se possono, la santità del nostri diritti, Tinviolabile
fede délie anime nostre » — Questi intenti del Comi-
tato esecutivo e dei Ministri, proprio saggi e generosi, non
poteronsi raggiugnere mai, causa la tristizia dei tempi
d'allora. Se la repubblica romana ottenne le simpatie dei
popoli, ebbe perô tutti nimici i regnanti in Europa, e ni-
micissima la repubbtica francese; cui, il mal senno dei
supremi suoi reggitori e soprammodo Tambizione sfrenata
di chi più tardi signoreggiolla dovevano importe l'odioso
officio di spegnere la repubblica sorella e farla sostenitrice
di un Governo assoluto. — Tosto che in Gaetà giunse la
novella deU'acclamata repubblica romana, i Gardinali cor-
revano al Pontefice per indurlo a protestare — come in
fatto protesté — contra il décrète ûelVAssemblea CosU-
tuente, che aveva solennemente dichiarato essere il papato
decaduto di diritto e di fatto da ogni temporale potestà
iopra lo Stato romano. La protesta pontificia, pubblicata
il 14 febbraio, sentenziô nei modi piii solenni^ che nulli
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118 CAPITOLO II
erano gli atti deirAssemblea, présentait al cospetto del
mondo col moltiplice carattere delVingiusiîzia, delVin-
gratiiudine, délia stoltezza e delVeTnpietà; e chiese il
mantenimento del sacro diritto del temporale dominio délia
Santa Sede, del quale da tanti secoli godeva il legittimo
possesso universalmente conosciuto. — Fu allora che
Pio IX diede opéra sollecita per coadurre a buon fine le
pratiche già da tempo cominciale con Francia, Austria,
Napoli e Spagna, allô intente di ottenere un soccorso di
armi per l'impresa di Roma. Non estante il vivo soUeci-
tare délia Corte di Gaeta, i Governi devoti alla causa del
Pontefice non aft'rettaronsi a oorrere in suo aiuto ; perô
che TAustria si trovasse di fronte alla ribellione magiara
e alla Sardegna, minacciante d'uscire presto alla riscossa;
Napoli non avesse ancor vinto i soUevati siciliani : e il su-
prême reggitore délia repubblica francese, Napoleone Buo-
naparte — il quale aveva già in sua mente disegnata la
restaurazione deirimperio dei grande capUano — volesse
intervenire quando fosse securo di non destare gelosie nelle
CJorti di Europa, ne di far nascere neU'universale verun
dubbio su Tonestà di sœ intenzioni. Soltanto la Spagna
avrebbe potuto liberamente operare in favore délia Santa
Sede, ma non efflcacemente, non avendo forze bastevoli
airimpresa.
Mentre tali fatti compivansi in Roma e in Gaeta, i' Austria
faceva invadere di sue armi il territorio romane; ingiusta
aggressione, che reputava onestata dal proteste di vendi-
care la morte di tre soldati del presidio di Ferrara, avve-
nuta di quel giorni in un popolare tumulte. Gorreva il 18
febbraio di quelFanno 1849, allora che Haynau, valicato
il Po alla testa di sei miia fanti e ventidue artiglierie,
giunto dinnauzi a Ferrara, mandava a chiedere al suprême
Magistrato di essa, che soUecito avesse a dargli in mano
le porte délia città e gli ucciditori de' suoi soidati, o sei
citta'lini in ostaggio ; in oltre, che venisse immediatamente
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LA BBPUBBLIOA BOMANA 119
restaurata l'autorità del legittimo sovrano e rimesso in
oQore lo stemma pontificio; in âne, che si consegnassero
sel miia scudl al vicoconsoio austriaco in compenso d'in-
giuria patita, e dugento milaa lui; minacciara poi di ful-
minare la città co* suoi cannonl, qualora si niegasse di
dare piena e intiera soddisfazione aile sue domande. — Riu-
seiti vani i tentativi di una deputazione di cittadini, la
quale, condotta dall'arcivescovo cardinale Cadoliui, era ita
al générale austriaco per condurlo a più miti consigli,
Carlo Mayr, Préside di Ferrara, dopo avère protestato con-
tra le insultanti richieste di Haynau, non potendo resistere
con vantaggio al nimico, dimolto prépondérante in forze
armate, portossi col suo Ooverno in Argenta ad attendervi
gli ordini e i soccorsi di Roma. — Alla notizia délia vio-
lazione del territorio suo, YAssemblea Costituente romana
spediva il Ministro sopra le armi a Bologna col carico di
provvedere ai modi più pronti e più sicuri di cacciare il
nimico invaditore. Fu allora che il Luogotenente dell'Au-
stria, temendo di vedersi da una sollevazione popolare le-
vate le vie di comunicazione col Po, ottenuto dai Ferra-
resi, con le minaccie di gravi danni, il danaro e gli ostaggi
(lomandati, lasciata la città, ripassava poscia quel fiume.
Appena acclamata la repubblica, il Governo romano aveva,
in un manifeste ai popoli d'Europa, fatto conoscere che la
città, il oui nome e le cui ruine parlano si forte di li-
hertà e di patria, non poteva essere patrimonio del papato,
il quale per stissistere abbisognava d'opprimere, ond'era
cagione permanente di danno alVltalia; in oltre aveva,
in quel manifesto, promesse di metiere un popolo libero
a difesa delVindipendenza religiosa del Pontefice, e d'oc-
dngersi a tradurre le leggi di moralité e di carità uni-
thermie nei portam^nti sitoi e nello svolgimento di ma
oita politica. — Dopo ciô la repubblica romana inviava
a Parigi, a rappresentarla presse il Governo di Francia,
Pietro Beltrami e Federico Pescantini, cui la parte libe-
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120 CAPITOLO II
raie faceva le accoglienze piii liete e piii amichevoli. I rap-
presentanti del popolo — detti délia Montagna — nella
Cùsituente francese, il 24 di quel mese di febbraio .volge-
vano ai membri délia Costituente romana queste generose
parole : « La democrazia di Francia saluta coa entusiasmo
la repubblica gloriosamente costituitasi in su le rive del
Tevere; onore al popolo romaao! la storia ammirerà la
grandezza dell'opera sua..... Roma emancipata è il segnale
deiremancipazione di tutta Italia, è il primo passe verso
la restaurazioue délia naturalità italiana sotto Tunica forma
che ornai la rende possibile, la repubblica Spagna, Au-
stria e Napoli, dicesi^ facciano ora una alleanza sacrilega
per ispegnere in Roma il potere popolare... i vecchi tiranni
esiteranno prima d'assalire i Romani che fondano la propria
indipendenza. Se mai Tosassero cittadini d'Italia, le sim-
patie délia democrazia francese sono per vol; i suoi vo-
lontari, alla vostra chiamata verrebbero ad aiutarvi per
cacciare i barbari » L*Assemblea romana siibito rispon-
deva cosi: « Il vostro indirizzo ci è giunto in un momento
solenne, alla vigilia délia battaglia; e noi vi attingeremo
nuove forze, nuovi incoraggiamenti per la santa lotta che
sta per aprirsi. La Francia ha fatto grandi cose nel monde ;
voi avete patito, sperato, combattuto per Tumanità, e ogni
voce che venga da voi ci impone doveri che, con Taiuto
di Dio, noi sapremo compiere. Voi avete sentito, o citta-
dini, quanto ha di nobile, di grande, di provvidenziale
questa bandiera di rinnovamento ondeggiante su la città
che racchiude il Campidoglio e il Vaticano: il diritto eterno
fatto forte d'una nuova consecrazione : un terzo monde
sorgente, nel nome di Dio e del popolo, su le rovlne di
due mondi spenti ; un'Italia, che sarà sorella alla Francia,
rompente il coperchio délia sua sepoltura per venire a
chiedere, in nome d'una missione da compiersi, il diritto
di cittadinanza nella federazione dei popoli. Voi avete in-
teso che i nostri cuori sono puri di odio e di intolleranza :
che noi stiamo compiendo un'opera di amore e di miglio-
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LA BKPUBBLIGA BOMANA 121
ramento umano; e che» rivendicaado i nostri diritti senza
violare la credenza, separando» corne noi Tabbiamo fatto,
il Papa dal principe, abbiamo assunto Tobbligo di non con-
taminare quesfopera col contatto délie basse passion! e
deUe codarde vendette, che una stampa corrotta o ingan-
nata si ostina a rimproverarci. Quest*obbligo noi lo atter-
remo; parole simili aile vostre ci compensano di moite
calunnie, ci rassicurano contra moite insidie coperte. Noi
sappiamo che voi illuminerete i vostri concittadini sul ca-
rattere délia nostra rivoluzione, che voi manterrete per
noi quel diritto alla vita nazionale, che voi primi avete
proclamato e conquistato. Non vi è che un sole nel cielo
per tatta la terra ; non vi è che uno scopo, una legge,
una sola credenza : associazione, progresse, per tutti quelli
che la popolano. Corne voi, noi combattiamo a vantaggio
del monde intero, noi siamo tutti fratelli, noi rimarremo
tali, che che si faccia. Fidate in noi, noi fidiamo in voi;
se mai nella crisi che stiamo per attraversare le forze
ci mancassero, noi ricorderemo allora le vostre promesse ;
noi vi grideremo : Fratelli, Vora è venuta^ sorgete ! e noi
vedremo i vostri volontari accorrere. Insieme combattem-
mo sotto rimperio napoleonico; noi combatteremo un'altra
volta insieme per quanto v*ha di piii sacro per gli uomini :
Dio, patria, libertà, repubblica, santa alleanza dei popoli. »
La democrazia francese giurava allora fede e amistà alla
repubblica romana e giurava eziandio di darle, al biso-
gno, aiuto di sue armi ; ma la Francia di Napoleone Buo-
naparte doveva, di li a poco, mandare contra Roma gli
eserciti suoi per abbattere le libère istituzioni e restau-
rare il dominio temporale dei Ponteflci, i quali da quel
giorno in poi non poterono piu reggersi, se non con Tap-
poggio délie baionette straniere. — Agli sforzi, fatti in
questo mezzo per raccogliere in Roma la Costttuente ita-
lianay non sorti esito fortunato, causa il non essersi po-
tuto accordare tra loro i Governi délia penisola e a ca-
gione altresi délia sconôtta patita dalle armi di Sardegna
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122 CAPITOLO II
alla giornata di Novara. I Siciliani, sebbene si fossero chia-
riti favorevoli alla Costituente, volevano perô anzi tutto
la propria autonomia; chiedevano una Dieta federativOy
non solamente per essere Tltalia in sommo grado muni-
cipalBy ma anche perché troppo pericoloso reputavano con-
durla a un tratto da reggimento dispotico a vita unitaria.
La monarchia sabauda sosteneva il principio federativo,
posto innanzi da Qioberti ; e gli stessi Veneziani — che
pur reggevansi a governo di popolo — eccetto la parte
sinceramente libérale, sia per non offendere il Re sardo,
che saperano apprestarsi a nuova guerra contra il nimico
comune; sia perché non mettessero molta fede inunaAs^
semblea costituente italiana; sia in fine, perché troppo
superbi di loro gloriose tradiâoni sperassero tornarle tut-
tavia aU'antico splendore e far rivivere 11 passato, niega-
vano aderlre aile proposte di Roma; con la quale Assem*
blea perô intendevano accordarsi sui prowedimenti da
prende.rsi per la comune difesa. Toscana, che in quel torno
di tempo per la fuga del suo principe aveva acquistata
piena e intiera la libertà, ardentemente desiderava di fare
con Roma una sola repubblica; ma Domenico Guerrazzi,
il quale con Montanelli e Mazzoni teneva allora la su-
prema potestà, combatteva con arte sôttile la sospirata
uniflcazione; che, saviamente compiuta, avrebbe attirato
a se Venezia e Sicilia : onde sarebbersi avvantaggiate nou
poco le sorti délia patria. Non ostanti le fratellevoli sim-
patie dei popoli e la buona amicizia dei Governi italiani
— quel di Napoli eccettuato — i Romani trovaronsi nell'i-
solamento più pericoloso. Né per questo si scoraggirono;
che anzi di quai animo fossero e quanta fede nutrissero
nella santità e giustizia délia loro causa venue luminosa-
mente provato dall'eroica difesa sostenuta contra gli eser-
citi délia repubblica francese.
Di quel giorni accadevano alcuni mutamenti negli uo-
mini del Groverno; a Campello, Ministre sopra le armi, ma
che di cose deila milizia era pochissimo esperto, veniva
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LA BEPUBBLIGA BOHANA 123
surrogato Alessandro Galandrelli ; e Mazzoni e Moatecchi
in luogo di Sterbini e Guiccioli, i quali ayevano lasciato
ruffîcio per essere stati severamente, ma a ragione, cen-
surât! e incolpati di negligeaza nel far pervenire a Bo-
logna e ad Ancona il sussidio in danaro richiesto dai bi-
sogni dei loro traffici e ad esse decretato dalla CosUt%Aente.
-Intanto congiupavasi in Gaeta apertamente a danno di
Roma: era la Corte pontificia, la quale per mezzo de' suoi
partigiani e di quanti avversavano la repubblica, suscitava
disordiai nelle provincie romane, spingendo il volgo, col
manto dalla religione, da prima a fatti biasimevolissimi,
per eccitarlo poscia a ribellarsi ai nuovi ordinamenti dello
Stato; ed era facile cosa trascinare ad eccesai il volgo, che
âllora ignorava come le faccende corressero o, quel che è
peggio, malamente lo sapeva. — A far cessare i delitti di
sangue, perturbatori del maravîglioso concorso d'un in^
tero popolo nelVqpera délia siui redenzione e che erano
un'atroce ingiuria allapurezza deiprincïpi repubblicanU
il ministro Aurelio Saffl in un manifeste al popolo, dopo
avère chiarito i principi ragione délia esistenza del nuofoo
ordine di cose, invitava i cittadini e le milizie nazionali
a proteggere lo Stato contra le invasioni straniere e a di-
fendere la civiltà délia patria. « Uomini di intelligenza e
di cttore, cosi chiudeva Saffl il suo dire (1), circoli popolari,
generose adunanze di liberi*cittadini ! una sublime missione
Toi avete da adempiere : emancipare il popolo dalla schia-
vitù dell'ignoranza, dei pregiudizi e délie passioni violente,
che sono l'eredità délie tirannidi régie; fare délia repub-
Wica quello ch'essere deve: una grande scuola di doveri
e dirifcti, una grande educazione di virtù e amore. Cittar
dini! pensate agli obblighi che avete comuni verso la
grande patria italiana, verso la società; pensate che, ri-
mossi gli impedimenti che prima vi attraversavano la via.
(1) Roma, ô marzo 1849.
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124 GAPITOLO II
ora sta nella volontà e neU'opera vostra il fare che questa
parte d'Italia si levi aU'altezza de* suoi grandi destiai. »
— Al manifesto d*Aurelio Saffl al popolo romano, per con-
siglio deU'Assemblea teneva subito dietro una Nota ai Go-
verni d'Europa del Ministro sopra gli affari osterni, Carlo
Rusconi, Nota dettata allô intento di far conoscere l'in-
giustizia delle accuse lanciate addosso alla repubblica dalla
stampa nimica a libertà. Il Rusconi, dopo avère somma-
riamente parlato delle ultime vicende dltalia e detto corne
quella mîrabile armonia — che ébbe già insieme uniti
ventiqtuittro milioni d'uomini in unHdea, in una fede
e in una speranza — era stata distrutta dalVvuymo stesso
nel oui nome gli oppressi eransi levait contra gli oppres-
sort, terminava in queste sentenze: «Finchè il papato ci
assecondô (1); finchè mostrossi amico délia nostra indipen-
denza, noi procedemmo con esso, e da esso una coasecra-
zione cercammo al glorioso nostro risorgimento. Ma quando
disertô da noi e ci dichiarô che il suo carattere sacerdo-i
taie gli vietava di corroborare i santi conati délia iadipen-
denza, allora che ci disse che gli interessi del mondo cat-
tolico gli impedivano di patrocinare gli interessi italianû
allora noi non avemmo che un grido, allora noi esalammo
dal profonde del cuore che eravamo Italiani, e il papato
ripudiamrao che ci avea ripudiàti, onorando il sacerdote,
ma non obbedendo omai piii che alla voce dltalia. Il mondo
giudichi questi fatti e sèguiti, se il vuole, a calunniarci. Non
è per giustiâcarci che noi qtcesii fatti allegammo, giacchè
la giustificazione nostra sta tutta nei nostri diritti, nelle
nostre coscienze. Ma è bene che l'Europa abbia un regolo
per misurare le sorti che ci si preparano, sorti che incoa-
treremo senza baldanza, senza paure, con la dignità di
uomini che si adoprarono pel bene délia terra in cui eranc
nati, e che all'Europa, con fronte alta, con cuor sicuro^
(1) Borna, 5 marzo 1849.
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LA BEPUBBLICA BOMANA 125
potran sempre dire: un'opera gloriosa almeno compimmo,
e fa quel giorno in cul abbattemmo il dominio temporale
dei Papi. » — Le parole, oltre ogni dire generose del Mi-
nistre — le quali suonavano una forte protesta contra chi
aflermava: non essere la repubblica romana una emana-
zione del popolo, ma la creazione di pochl faziosi — non
trovarono buona occoglienza nelle Oorti e nei Governi
d'Europa; esse furono voci gridate nel deserto!
In quel torno di tempo era venuto a Roma Giuseppe
Mazzini, chiamato da numeroso sufiragio di popolo a se-
dere neWAsseniblea costituente, la quale Testante e plau-
dente accolse il grande apostolo délia libertà e unità ita-
liana. Il fiero agitator genovese, convinto non potere la
repubblica romana conquistare a se Vltalia, come ci la-
8ciô scritto, se non emancipandola dallo straniero, fa-
cendola; e per parla adbisognare una forza, che non
$olamente esisteva, ma che nessuno pensava a ordinarla,
perà che Veserdto dello Stato contasse allora sedici mila
uomini appena senza cœsione, senza uniformità di di-
sciplina e di solda (1), il 16 marzo proponeva aU'Assem-
blea di eleggere una Oommissione, la quale dovesse cer-
care e studiare i migliori ordînamenti per l'esercito e prov-
Tedere aile forti nécessita délia difesa e offesa: due giorni
dopo la Oommissione teneva tal grave offlcio dalla Costi-
^luente, — La notizia allora allora giunta in Roma délia
guerra, già da più giorni inditta all'Austria da Carlo Al-
berto — délia quale l'oratore di Sardegna presse la repub-
blica era stato subito edotto — mentre faceva nascere in
cuore a tutti la speranza di un felice avvenire, suscitava
perô contra il Governo di Torino forte sdegno nei repub-
blicani più ardenti, che non avevali a tempo awertiti del
(1) Scritti ediii ed inediti di Giubbppb Mazzini, vol. tii, cart 186;
Milano, 1864
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126 OAPITOLO II
disdir délie tregue : e in veiità il contegno di quel Governo
ia cosa di si grave momento non fu Iode vole! Innanzi di
intimare la guerra aU'imperio — la quale doveva essere
tutta nazionale, non regia — era obbligo dei Ministri di
Oarlo Alberto d'accordarsi con Roma, Toscana e Venezia
sui provvedimenti che valessero ad assicurarne il buon
esito; tra cui il primo, e proprio quelle che soprammodo
importava, fosse d*uscire inaieme alla campagna e con lo
sforzo maggiore délie loro armi. I consiglieri del Re ave-
vano bensi inviato a Firenze e a Roma Lorenzo Valerio
per far conoscere quanto da Carlo Alberto era stato deli-
berato; ma fu si tardi, che ai Ministri délia repubblica,
assai prima delForatore sardo, pervenisse il m&nifesto di
Buffa ai Genovesi, col quale informavali délia nuova guerra
bandita dalla Sardegna alFAustria. VAssemblea cosUtuente.
non estante la viva opposizione di alcuni Deputati (1), a-
(1) Tra gli opposîtori trovavaai Enrico Cemuschi, milanese: t Citta-
dini, diceva egli allora, ricordatevi che 1117 febbraio Lamannora dore*
invadere la Toscana, e qnel giorno Haynan occnpava Feiran.. » -*
Contra loi, seminatore di diaeordia^ levaronsi Anrelio Saffi, Bodolfo
Andinot e Ginseppe Mazzîni per caldegglare la gnerra di indipendenza
— la quale aveva per intento nnico la cacciata dello straniero dal-
ritalia — senza cnrarsi délie forme politiche. A far conoscere qnanto
da Cemuschi si odiasse la Sardegna rîcorderô qni le parole da Ini pro-
nunziate nel 1851 in nna rînnione repnbblicana, presiednta da Lamenai?
e tenntasi in Parigi neila casa del générale Gnglielmo Pepe: « 1^
amerei meglio vedere i Tedeschi in Torino, che i Piemontesi in Mi-
lano. » — a Ê certo che Cemuschi amava i Mazziniani, quanto iPi^
montesi, cosi scrisse Giorgio Pallavicino; .....a 8e mi travMsi davanti
a tm Piemontese e a un Austriaco, e avesH in mano uno sehiopf
a due canne, io =. intendi Cemuschi = tirerei prima contra il ^^
manteac, pai contra VAuatriaco, n — I Mazziniani oerataono ^
cacciare di Parigi..... ma ei vivea sicuro perché amato dagli amici più
întimi del Présidente, il Buonaparte » (*).
n n PUmonU negli ami 1850, 1851 • 1859, Idttere di Vinoenzo Gioberti e Giorgio
PalIaviciDO, cart. 157 e seg.; Milano, 1875^
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LA BEPUBBLIGA BOMANA 127
yendo deliberato di dare aiuto di sue armi all*esercito sub-
alpiao senza auUa patteggiare — nemmeno il riconosoi-
mento deUa repubblica da parte del €k>yemo sardo — man-
dava all*iinpresa di Lombardia diecimila soldati sotto il
comando del luogotenente colonnello Mezzacapo, ai quali
avrabbero poi tenuto dietro altri dieci mila. Rispondeva
cosi generosamente la Costituente romana alla stampa
sarda, la quale poco prima aveya oltraggiato la repubblica,
tacciandola di nou essore buona ad altro, fuorchè a cou-
sumare il tempo in vani discorsi e a mettere fuora décret!
in nome di Lia e del popolo. — L'Assemblea e il (Joverno
di Roma auaunziarono la seconda guerra di indipendenza e
la partenza dei soldati per taie impresa ai popoli délia repub-
blica col seguente bando : « Il cannone italiano, annunzio
di battaglie e di riscatto, tuona di nuovo nelle pianure lom-
barde. AlVarmi. Tempo è di fatti, non di parole! le schiere
repubblicane insieme aile subalpine e aile altre itallane
combatteranno : non sia fra loro gara che di valore e di
sacrifizi. Maledetto chi nel suprême arringo divide dai
fratelli i fratelli. Dall'Alpi" al mare non è indipendenza
vera, non è libertà, finchè l'Austriaco conculchi la sacra
terra. La patria demanda a voi uomini e danaro. Sorgete
e rispondete aU'invito. AlVarmi e Italia sia » (1). — L'ac-
cortezza politica di Lorenzo Valérie — il quale, come sopra
dicemmo, era in quel mezzo venuto a Roma — o i fini ac-
corgimenti da esso usati nella difficile missione affldatagli,
giugnevano a quietare i repubblicani piii fleri, tuttavia
sdegnati contra il Governo di Torino, per la ragione già
(1) Il 22 marzo il Comitato eaeeutivo mobilitava, per la tutela délia
ncnrezza interna, dodici battaglioni di goaidie nazionaU nelle provincie
dello Stato; aile quali intendeva poi inviare dei Commisaari con appo-
rte norme per mobilitare i battaglioni con nniformità di sistema; in
oltre, rispondeva al battaglione nniversitario , che aveva Utantemente
chiesto di rtearsi alla guerra di indipendenza^ ordinando, il 22 di qnel
mese di marzo, lo armarsi sollecito di easo.
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128 OAPiTOLO n
sopra accennata, non che a sperdere i dubbi e le diffidenze,
che il passato contegno dei Ministri del Re aveva fatto
nascere nella mente e neiranimo del popolo. Allora la città,
credendo assicurate per sempre allltalia le sorti più liete
e più prospère, tutta si riempi di allegrezza; e i Romani,
già pregustando di quella libertà, che era stato il sospiro
ardentissimo di innumerevoli generazioni, e per la quale
avevano molto soflTerto, esultarono. Ma si grande allegrezza
e tanta gioia dovevano essere d'assai brève durata!
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CAPITOLO m.
JL»a Toscana; faga di Leopoldo IL
n baniabita Gravazzi a Livorno. — Tamulto del 2 settembre 1848 in
Livomo. — Montaaelli grida la Costituente italiana. — Faga di
Leopoldo H; sue lettere a Montanelli. H Triumvirato. — SoUeva-
zioni del contado di Firenze e d'Empoli. — Spedizione contra il
générale De Langier. — Domenico Gnerrazzi e la nnificazione di
Toscana e Borna.
I Toscaai, quando videro le loro armi salire a Lombar-
dia per combattere TAustria — e fu in sul cadere del
marzo 1848 — riprendevano la tranquillità usata ; che d'es-
sere durevole e secura d'ogni perturbamento promettevalo
la fede data dal Granduca di manteiiere iatatte le costitu-
zionali fraachigie — le quall avevano compiuto le riforme
— e di perseverare nella guerra sino aU'acquisto délia
patria indipendenza, che la Lega politica dei principi ita-
liani avrebbe poscia maggiormente raflferraata e condotta
\'uniià nazionale al auo pieno compimento. Le parole di
Leopoldo II, il quale, nello accordare ai sudditi le libertà
sospirate, erasi riunito ad essi con patto generoso, avevano
allontanato, anche dai più diffldenti, ogni dubbio e ogni
ombra di sospetto su la lealtà di quelle promesse; aile
quali di li a non molto egli veniva meno con grave danno
» — Vol. n. Mariant — Sior%a poL e mil
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130 CAPITOLO III
deiritalia e délia sua buona reputazione, acquistatasi negli
anni addietro con la moderazione e la dolcezza del sue
governo. Allora ch'ei vide la Sicilia separarsi da Napoli
per costituirsi in regno indipendente — onde Tltalia contc>
una divisione di piû proprio in quei giorni, in cui l'idea
deWunità andava già guadagnando il favore del popolo
nostro — desideroso d'allargare la signoria di sua casa,
subito maneggiossi per ottenere la sovranità di quell'isola:
il cui Governo non tardô a oflfrirgli la corona a patto di
rinunziare a Toscana, o per suo figlio secondogenito ; nel
quale caso avrebbe dovuto reggere la Sicilia sino a che il
figliuol suo chiamato a regnare su l'isola, allora giovanis-
simo, avesse raggiunto Tetà voluta dalle istituzioni del
paese. Ma le pratiche del Granduca presse gli uomini del
Governo siculo per ottenere il trono ambito riuscirono a
nuUa; avvegnachè i Parlamenti dei Pari e dei Comuni,
volendo dar la corona a un principe guerrière e italiano.
gridassero Re un di casa Savoia, Ferdinando duca di Ge-
nova, secondonato di Carlo Alberto: délia quale cosa di-
remo tra brève e a lungo.
n 26 giugno di quell'anno 1848 i rappresentanti délia
Toscana si raccolsero per la prima volta a Parlamento,
prendendo innanzi tutto a trattare délie faccende délia
guerra; e le rivelazioni fatte dai Deputati e dal ministre
Oorsini sopra di esse chiarirono i molti disordini, di cui
ne era piena Tamministrazione, ai quali sommamente im-
portava di provvedere con efficacia e prontezza. — Le
novelle giunte dal campo dei disastri toccati aile armi
sabaude in Lombardia commossero vivamente, e fecero tu-
multuare Firenze, si quieta sempre e si tranquilla, e dove,
per Tindole mitissima degli abitatori suoi, la parte mode-
rata, piii assai che nelle altre città dello Stato, contava
numerose aderenze in tutte le classi dei cittadini, sopram-
modo in quelle potenti per censo e nel patriziato. Démo-
cratici e partigiani dell'Austria trovaronsi allora di fronte
per combattersi ; vittoriosi i primi, la repubblica verrebbe
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LA. toscana: FUGA DI LEOPOLDO II 131
acciamata ia Toscana; vincitori i secondi, il paese cadrebbe
nella dipendenza deirimperio. — Era il 30 luglio quando
uaa moltitudiae innumerevole di popolo, vennta al Palazzo
Vecchio, coa grida minacciose chiedeva ai Ministri la ri-
nunzia al loro offîcio; i quali, non essendo riesciti a se-
dare il tumulto non ostante lo intervenire délie guardie
cittadiae e délia milizla granducale, rendevano a Leopoldo
il mandato, che poco prima avevano rioevuto dalle sue
mani. Il barone Bettino Ricasoli ebbe allora il carico di
comporre un nuovo Governo; ma tornati a vuoto gli sforzi
suoi, quel carico venue dal Granduca fldato a Gino Cap-
poni, il quale gîunse a costituirlo col maggiore Belluomini,
COQ Leonida Lauducci, Donato Samminiatelli, Jacopo Maz-
zei, Celso Marzuccfai e Gaetano Giorgini, tutti di parte
moderata, che, tranne Gino Capponi — lor présidente —
non erano del nuovo ordine di cose svisceratissimi, non
fayorevoli alla guerra e ancor meno airunità d'ItalisC. La
voce di quel Ministri, che non godevano dell'aura popolare,
fu impotente a quietare le popolazioni ; le quali, già in
forte perturbamento per quelle vittorie e quelle tregue che
avevano rimesso la Lombardia in potestà e i Ducati in bal la
delUAustria, venivano maggiormente irritate da alcune in-
consulte deliberazioni e codarde persecuzioni, che facevano
conoscere essere nel Governo debolezza, non forza : donde
romori e tumulti; mutamento nell'edifiziopolitico dello Stato
e faghe. Piceiola scintilla doveva quindi bastare ad accen-
dere grave incendie; e la scintilla scoppiô a Livorno, che
in brève arse tutta la città del fuoco délia ribellione. —
Correva il 20 agosto, quando il barnabita Gavazzi, poco
tempo innanzi cacciato di Firenze per troppa eloquenza
^l^niagogica, giunto nella rada di Livorno su nave prove-
niente da Genova, mandava a chiedere al governatore di
quella città, Lelio Guinigi, libero il transite di Toscana per
recarsi a Bologna. Non page di niegare a Gavazzi il per-
messo implorato, Lelio Guinigi faceva circuire la nave, che
io portava, di genti d*arme; con la quale improntitudine
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132 OAPITOLO III
egli forniya alla popolazione il pretesto di nuovi tumulti.
I Livornesi, appena seppero deiratto ostile del loro su-
prême Magistrato verso quel tribuno del popolo, corsi in
foUa al porto, facevanlo scendere di sua nave e quasi trion-
falmente conducevanlo all'albergo che doveva ospitarlo. I
Ministri, che da prima avevano voluto impedire al barna-
bita di trausitare per Toscana, avvertiti dello accaduto in
Livorno, per tema di più gravi perturbazioni, affrettavansi
allora a mandargli un salvocondotio. Con bella accompa-
guatura di amici e d'alcuni membri del Circolo NazionaU
délia città — ai quali era stata data per quella festa la
bandiera ai colori nazionali — Gavazzi camminara tran-
quille verso Bologna, quando, a Signa, preso dai cacciatori
a cavallo del Granduca e posto in una carrozza, veniva con
pochi de' suoi per la via di Pistoia trasportato a guisa di
malfattore ai con fini di Romagna. Il Governo di Toscana,
recando molestie e ingiurie a lui, che con l'accordargli un
salvocondotto erasi obbligatodi proteggerloefarlo rispettare,
chiarissi inetto ad antivenire disordini; che in fatto non
tardarono a scoppiare, avvegnachè i Livornesi, togliendo
pretesto del suo maie operato, si levassero a tumulto. Il
mattino del 23 agosto, conosciuti i casi di Signa, raccoltisi
in gran numéro e portatisi alla casa del governatore, trae-
vanlo prigioniero al castello; indi, fatta irruzione entre la
fortezza e atterrate le porte deirarmamentario, armavansi
di schioppi e sciabole; e il loro imperversare crebbeoltre
ogni dire, quando scoversero i telegrammi e le lettere dei
Ministri, che rivelavano le insidie tese al troppo éloquente
demagogo. Allora la campana del palazzo comunale suonô
a stormo per chiamare in su Tarme le guardie cittadine;
délie quali nessuna avendo risposto, Livorno fini per tro-
varsi tutta nelle mani del popolo che minaccioso diedesi
a correrla. Il Gonfaloniere e con lui i Maestrati del Co-
mune, a impedire che il popolare movimento venga fao^
viato dai partigiani d'anarchia, e allô intente di signoreg-
giarlo e guidarlo, costituisconsi in Governo temporaneo,
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LA TOSCANA; FUGA DI LE0P0LT>0 II 133
associando molto saviamente neirofflcio loro anche i capî
di quel moto. Lelio Guinigi, pregato, scrive ai Ministri dei
romori di Livorno, facendo lor conoscere: = Avère egli
avuto piena assicurazione dal Gonfalonîere, che la città
tornerebbe a quiète, se accordasserç intiero perdôno deî
crimini politici, e mandassero liberi gli amici di Gavazzi
imprigionati a Signa contra ogni diritto e giustizia. = Por-
tatori a Firenze délia lettera del Governatore andavano un
oflSciale delFesercito e due Deputati dal popolo; il quale,
assembrato nella maggiore piazza délia città e consentita
la liberazione di Guinigi, recavasi poscia al castello a trarlo
quasi festosamente di prigione, ontro cui il mattino stesso
avevalo chiuso carico di villanie e di insulti. Tanto sono
voltabili le moltitudini, le quali, se da gente onesta consi-
gliate e condotte, operano generosamente ; se da malvagia,
con ferocia e vituperio di se e délia patria ! — Il di ap-
presso tornavano di Firenze gli inviati del Gonfaloniere ai
Ministri portatori di liete novelle; perô che Leopoldo avesse
lor dato fede di porre in dimenticanza ogni cosa passata;
e pegno di sua parola essere stato il subito scarceramento
degli amici di Gavazzi e la restituzione délia bandiera ai
tre colon nazionali délia parrocchia di Venezia, tolta a
quelli, in Signa, dai soldati granducali. — La quiète, suc-
ceduta alla tempesta, fu d'assai corta durata. Poco tempo
innanzi del succedersi dei casi ora narrati, Lelio Guinigi,
al popolo chiamante armi, aveva risposto cosi: = Non e-
sisterne negli armamentari del Governo*, nemmeno per le
guardie cittadine, in parte non ancora provvedute di esse ;
i cinque mila schioppi, che prima dei fatti del 23 trova-
vaosi nella fortezza, essere stati portât! via dai tumultuanti.
= Ma quando il popolo vide i capi délie guardie cittadine
in Porta Murata consegnare armi ai militi, mosso a sdegno
contra quelle ch'ei reputava basso provocamento ed era
al contrario una imprudente leggerezza o, dirô meglio, un
atto d'iiomini sventati, irruppe in Porta Murata, e con la
violenza impadronissi délie armi per lo addietro niegategli.
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134 OAPITOLO m
I militi, che vi stavano a guardia, avevano, per comanda-
mento del loro capitano, fatto fuoco su gl'invaditori, ucci-
dendone e ferendone alcuni; ma il sangue di questi destô
nei popolo tant'ira contra quella milizia e i suoi capi —
tutti di parte moderata e délia libertà non molto amanti
— che avrebbe sovr'essi vendicato il sangue sparso, se
alcuni onesti cittadini, tra cui due sacerdoti (1), non si
fossero adoperati a quietarne il furore e riconciiiarlo con
le guardie cittadine; le quali non dovevano, per la tsisti-
zia de' loro capi, fuggiti a Firenze, vivere in odio al po-
polo, di cui erano parte elettissima; da'quel giorno non
piii si nippe taie santa concordia. Tornati tranquilli i Li-
vornesi, deputavano parecchi dei loro al Granduca per as-
sicurarlo, che sarebbersi mantenuti in fede a lui, s'egli,
portato a numéro Tesercito, e riordinatolo, desse parola di
spedirlo alla nuova guerra che sapevasi già prepararsi
dalla Sardegna contra l'Austria ; e se accordasse pieno e in-
tiero perdôno a quanti avevano preso parte ai tumulti pas-
sât!, e introducesse neiramministrazione délia cosa pubblica
i miglioramenti richiesti dai tempi. I Ministri del Principe
stettero alquanto tempo tra due, cioè se dovessero ridurre
con la forza la città aU'obbedienza e punire quindi seve-
ramente quelli délia parte libérale sommovitori dei disor-
dini, o piuttosto venire a pacifici accordi con essa. Im-
ppovvidi sempre, ma piii improvvidi allora e dissennati, i
Ministri, scelto il partito cattivo, fecero a Pisa l'accolta
délie armi designâte aU'impresa, il cui carico fidarono al
colonnello Leonetto Cipriani; e Livorno, awertita délie
offese che dal Governo preparavansi a suo dftnno, apprestA
le resistenze. Il Commissario di Leopoldo II, che vede di
non potere per forza d'assalto impadronirsi délia terra.
(1) Ad esempio di tutti giova ricoi-dare il nome di quei virtuosi mi-
nistri deU'altare; erano l'abate Zacchî e il padre Melloni, Priore dei
Domenicani.
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LA TOSGANA; FU6A DI LEOPOLDO II 135
studiasi d'averla con lo inganno, aiutato nella disonesta
impresa dai partigiani del Governo;*! quali, mentre il Ci-
prianl bandisce, essere stato concesso dal Principe quanto
era nei voti dei cittadini, da un branco dl gente venduta,
riunita nella piazza, fanno acclamare i soldat! del Gran-
(luea e il loro capitano, invitandoli a venire subito tra essi
a restaurare Tordine sconvolto. Leonetto Gipriani, che con
parte délia sua schiera teneya il campo non lungi dalle
mura, entrava in Livorno festosamente ricevuto dai citta-
(lini; i quali, pubblicata l'amnistia, quietavansi nella spe-
ranza di un mlgliore ayvenire ; se non che questa, appena
concepita, doveva svanire.
Era il 2 settembre, quando il popolo, irritato degli or-
•iini del colonnello Oipriani, che vietava, sotto pena di
ammenda pecuniaria e prigionia, il riunirsi nei Circoli e
îielle case de' privati cittadini, fortemente si commoveva :
onde il Gommissario, venuto in sospetto di nuova ribel-
lione, a sperdere gli assembramenti, che già avvenivano
aei luoghi più frequentati di Livorno, mandava un drap-
pello di cavalleria; che, senza far precedere la intimazione
•li sciogliersi, cadeva improvvisamente sul popolo, me-
naado strage di vecchi, di fanciuUi e donne; alloraalcuni
rK)polani, saliti sopra un campanile, si danno a suonare a
niartello ; Gipriani, avvertito da questo suono, che chiama
i cittadini aile armi, essere scoppiata la ribellione da lui
provocata, tratte le soldatesche dai quartier!, sollecito si
porta in su la maggiore piazza, e vi si ordina alla pugnà ;
la qualc, comincîata aile cinque délia sera, finiva aile dieci
délia notte. Ne ebbero grave danno i granducali, che per-
dettero più d'un centinaio dei loro mort! o feriti; lievis-
simo toccô al popolo, eu! fu uccisa una donna e ferito un
vecchio. H colonnello Gipriani, il quale crede dovere rin-
novare nei dl appresso il cOmbattere, non muove il campo ;
se non che, al sorgere del nuovo giorno, veduti i cittadini
inermi avvicinars! alla piazza e invitare i soldat! a ri-
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136 CAPITOLO III
trarsi ; ed anche avvisato, non voler più le sue genti trarre
contra il popolo, riducevasi nella fortezza di Porta Murata,
e nel tempo stesso mandava per aiuti a Flrenze. Il 4 set-
tembre, il Commissario — non estante l'assicurazione es-
sere state dal popolo messe in dimenticanza la provoca-
zione di Cipriani e Vinfame aggressione de' suai cavalieri
— avendo respinto Tinvito fattogli di riprendere pacifica-
mente 1 suoi quartieri, i soldati tumultuarono : ond'egli,
temendo per se, entrato in mare su nave toscana coi ca-
rabinieri — tanto fedeli al Governo, quanto invisi ai cit-
tadini, ed eran da questi odiatissimi — prendeva terra a
Gembo; indi, per la via di Pisa, recavasi a Firenze; ove
sino dal giorno innanzi trovavasi una Commissione di Li-
vornesi deputata ai Minlstri per ottenere Guerrazzi e Cor-
sini con mandate di riordinare e ricomporre le faccende
sconvolte. In sul cadere del 4, Domenico Guerrazzi giugneva
in Livorno, e il mattino del giorno appresso metteva fuora
il seguente manifeste: < Gittadini! — Commosso dai casi
délia mia patria io mi riduco fra voi. È un semplice cit-
tadino che ritorna in famiglia per provvedere in comune
al pubblico bene. Tento indagare le cause dei fatti, ascolto
i desidèri, le aM>rensioni, i voti vostri, e persuaso ormai
che saranno conformi a giustizia, lo mi sforzerô che ven-
gano esauditi. Gonfido nella temperanza vostra, nella be-
ne volenza che il Principe professa avervi portata sempre,
e tuttavia portarvi, e in Dio che illumina il cuore degli
uomini, afflnchè ogni discordia venga lealmente e deflniti-
vamente sopita, per attendere con voleri uniti, e con forze
concordi alla difesa délia Patria comune. Il nostro aimico
è il Tedesco. Onta sia a chi ha potuto vedere i nimici
d'Italia in altre file che in quelle dello straniero! » — In
questo stesso giorno, 5 settembre, di ritorno dalla guerra
di Lombardia scendeva a Livorno un battaglione di volon-
tari toscani, duce il maggiore Gfhilardi, lucchese, cui senza
por tempo in mezzo il suprême Maestrato conferiva il co-
mando di tutte le forze armate, milizia stanziale e cittadina.
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LA T080ANA; FUOA DI IiSOPOLDO II 137
Mentre tali casi awenivano in Livorno, il Granduca e
î consiglieri suoi, fatta deliberazione di racquistare la
città nbelle cou le guardie cittadine dello Stato — ciô che
se fosse accadato, avrebbe arso tutto il paese di fuoco di
guerra civile! — decretarono di fare la massa di quelle
in Pisa. Leopoldo, che doveva condurle aU'impresa, nel
chiamarie aile armi, volgevaloro tali parole: « Niun pen-
siero ostile si racchiude verso i traviati, ma voglio fare
soltanto ad essi coaoscere per via d'unanime manifesta-
zlone quanto il sentire di tutta Toscana sia risolutamente
awerso a quelle massime sovvertitrici, le quali a nulFal-
tro potrebbero mai condurre, fuor che a scindere misera-
bilmente — e la Dio mercè per brève tempo — questa che
fu sempre tanto concorde famiglia. L'effetto, che noi con-
fidiamo d'ottenere, è il ricondurre i pochi sedotti a quella
unità di volere, délia quale il vostro concorso, o militi cit-
tadini, sarà oggi una solenne dichiarazione » (1). — Al-
l'appello del Principe poche guardie cittadine risposero;
perô che, délie cento mila che Toscana contava scritte
ne* suoi battaglioni, tre mila soltanto si trovassero al campo
di Pisa il giorno délia rassegna di Leopoldo, che fu il 7
settembre di queiranno 1848. Pieno di vergogna e rabbia
ei lasciô siibito il campo, che di 11 a poco venue sciolto ;
e siccome d'armi proprie pochissime numerava, ne bene
ordinate, e, quel che era peggio, da debole militare disci-
plina corrette, cosi ferme in sua deliberazione di volere
con la forza ridurre i ribelli aU'obbedienza, mandava per
aiuti alla Sardegna. E gli aiuti — da quattro mila soldati
con sèguito di cannoni — vennero solleciti; se non che,
chiaritisi avversi alla impresa, per far la quale il Gran-
duca avevali chiesti, rimasero inoperosi in Lucca e in Pisa.
Giuseppe Montanelli, il quale, ferito a Montanara, era ve-
nuto a mano degli Austriaci, tornato in quel mezzo di sua
(1) Manifesto pubblicato in Firenze il 5 settembre 1848.
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138 CAPITOLO III
prigionia a Pisa, vi si metteva a predicare concordia al
popolo, e a difendere la causa dei Livornesi; e, recatosi
poscia in Parlamento, adoperava la sua éloquente parola
per indurre i Ministri a comporre con onestà e giusUzia
le cose di Livorno, in modo che fossero salvi il decoro e
l'autorità del Governo e pienamente soddisfatte le asplra-
zioni di quella città generosa e forte. Giugneva allora
in Firenze una seconda deputazione livornese, per ottenere
dal Principe quanto dai cittadini ardentementc si deside-
raya — già altra volta stato richiesto, ma invano — e la
elezione altresi a governatore Domenico Guerrazzi ; quella
deputazione faceva conoscere, che se il Granduca si osti-
nasse a niegare le concession! domandate, Livorno sepa-
rerebbesi dalla Toscana per reggersi a governo di popolo.
Leopoldo e i Ministri suoi — che per la mala riuscita
del campo di Pisa e per Tavversione dei soldati sardi di
farsi carnefici di fratelli erano sbaldanziti dimolto — tutto
accordarono, tranne la dignità di governatore di Livorno
a Guerrazzi; e anzi, allô intente di generare discordie e
promovere scissure nella parte libérale davano queirofficio
— tanto ambito dal democratico livornese — a Montanelli;
il quale da prima rifiutavalo per rispetto e devozione a Guer-
razzi; e di poi Taccettava a patto che, messa innanzi al popolo
la sua elezione, ei venisse gridato con suffragio unanime.
Cosi fu, senza che nascessero disordini nel campo libérale»
o nimicizia tra i due capi délia parte democratica, tra i due
emuli al suprême potere nella città, cul, per amore di concor-
dia, Domenico Guerrazzi fece pronta rinunzia, non estante
lo tenesse già dal Principe : questo fu atto di virtù patria,
che che ne dicessero poi i nimici suoi, de' quali ebbe dimolti.
Montanelli, sino dal primo suo giugnere in Pisa, aveva
tenuto discorso su la nécessita di convocare una Costihtente
italiana; la quale signiflcava unificazione délia pairia
italiana e guerra ai regnanti nella penisola: ond'era av-
versata da quanti Governi stavano in Europa contra alla
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LA toscana; PCGA DI LEOPOLDO II 139
iibertà e persino, e forse più d'ogni altro, da quello di
Francia repubblicana, che se desiderava vedere nel setten-
trione d'Italia un regno forte e indipendente, non voleva
perô sapered'una Italiaunita{\). Il grido di CosUtuentej le-
vato da Montanelli, corse con la velocità del pensiero tutto
il bel Paese, ne commosse e agitô i popoli, destando negli
animi dei veri amatori délia prosperità nazionale e délia
patria grandezza la speranza del sollecito effettuarsi délie
jwpirazioni di tanti secoli, il sospiro di innumerevoli ge-
norazioni. — I casi di Livorno avevano destato in Toscana
universale malcontento verso il Granduca e i supremi reg-
iritori dello Stato; 1 cui modi di governo e di contegno
nelle circostanze passate — in verità assai difRcili e cala-
raitose — avevano rivelato di quale natura fossero la bontà
t* cleraenza dl Leopoldo II, per lo addietro tanto celebrata,
e lo infîngersi e il tristo dissimulare de' suoi Ministri. In-
teppellati questi in Parlamento su le faccende délia Lega
italiana, rispondevano: — Le pratiche per essa camminare
a seconda dei desidèri di tutti ; essere prossimi gli accordi
tra i principi per la convocazione di una Dieta In Roma.
n Lo lodi, che allora si ebbero dai Deputati, dai Senatori
e fiai popolo mutaronsi in severissimo biasimo e in vitu-
p^rio. quando seppesi che il re Carlo Alberto erasi già
chiarito contrario a qualunque Assemblea, la quale in se
accogliesse elemento popolare ; in oltre, che Perdinando di
Napoli aveva protestato, che non sarebbe per entrare mai
in lega col Monarca sabaudo. Scoverta la impudente men-
zogma, i Ministri, non potendo più reggere lo Stato, iti la
^ra del 12 ottobre al Granduca, rassegnavangli Toflacio
loro; la quale cosa, mentre soddisfaceva ai desidèri dcU'u-
niversale, dava origine a molti intrighi délia parte mode-
rata e délia democratica, allora aflfaticantesi per far saliro
(1) Lamartine, nella Sioria delîe Eivoîuzioni di Francia^ aifermô
che la Francia non doveva permettere mai che tra essa e l'Austria si
averse a coatitnire nell'Alta Italia nn forte Stato.
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140 CAPITOIiO III
ai supremi poteri uomini délia loro parte. In assai cattivo
momento era venuta a Leopoldo quella piauozia, perô che
essendosi di quel giorni la metropoli austriaca sollevata
contra il Governo suo, il Granduca fosse pieno di dubbi e
di incertezze sui provvedimenti da prendersi: ond*egli de-
liberava d'aspettare il fine del moti di Vienna per potere
scegliere i nuovi Ministri nella parte moderata o nella
democratica, seconde che l'Imperatore avesse felicemente
domata la ribellione o questa avesse vittoriato di lui. lu
fatto, Leopoldo II, appena ricevuta la novella délia fuga di
Ferdinando a Olmutz, chiamato a se Montanelli, lo incari-
cava di comporre un Governo, che fosse bene accetto al
paese. Non di buona voglia, ma costretto dalle nécessita
dei tempi, che allora volgevano grossi di pericoli per la
sua corona, egli associava Domenico Guerrazzi a Monta-
nelli, e con ciô rendeva agevolissimo, quanto prima era diffi-
cile assai, intendo dire il eostituirsi di una nuova Ammi-
nistrazione; nella quale, il 27 ottobre, siedette Ministre
sopra le armi Mariano d*Ayala; sopra la giustizia, Giu-
seppe Mazzoni; sopra Tistrazione pubblica, Prancesco Fran-
chini; sopra gli affari interni, Domenico Guerrazzi, e sopra
gli esterni, Giuseppe Montanelli, cui toccô Tonore altre<^i
di presiedere ai colleghi, che la Toscana libérale salutô
con gioia, reputando per quoi Ministri assicurato un av-
venire felice alla patria ; avvegnachè promettessero ampie
riforme, più larghe libertà e la Costituente. Se la parte
democratica poteva a buon diritto gloriarsi délia splendida
sua vittoria, la moderata perô non davasi per vinta; che
anzi, piii che mai adoperavasi a preparare rovine alla ri-
vale, aiutata neH'impresa dal Granduca e dalla sua fami-
glia; la quale erasi in quel mezzo condotta a Siena allô
intente di congiurare con piena sicurezza, e proseguire,
senza tema d'essere scoverta, le segrete pratiche che gik
teneva con FAustria, dalla quale sperava, in giorno non
lontano, avère aiuto d'armi per tornare lo Stato airantico
reggimento. La elezione di quegli uomini di parte démo-
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LA TOSCAN a; FT70A DI LBOPOLDO II 141
cratica al governo délia cosa pubblica provocô le ire délia
ambiziosa nobiltà fiorentina, che tanto erasi maaeggiata
in Corte del Principe per recarsi in mano il suprême po-
tere; non pochi di essa lasciarono allora Firenze; alcuni
offlciali délie guardie cittadine, tre segretarl di Stato e
Bettino Ricasoli, Gonfaloniere délia città, fecero rinunzia
ai loro oflîci ; mostrando cosi di porre gli interessi délia
propria casta al di sopra di quelli délia patria. Montanelli,
venuto in Parlamento, ai rappresentanti del popolo parlô
queste parole: « Nello assumere il reggimento dello Stato
aoi non lasciammo alla porta armi e bagagli. La CosH-
tuente promulgammo nei nostri scritti ; la Costituente pro-
mulghiamo nel Governo; essa consiste nel suffragio di
ventitrè milioni d'uomini legittimamente rappresentati per
determinare la forma degli ordini pubblici che meglio loro
convenga. Se non che questo sovrano Oongresso ha da es-
sere pegno d'amicizia, e non impedîmento a conseguire la
suprema délie nostre nécessita, la liberazione d'Italia.
Quindi, apparecchiandola noi, non intendiamo che venga
convocata in città più inclita délia nostra, quantunque no-
bilissima essa sia, e ne pure vogliamo che non abbia ef-
fetto per pbca autorità del nostro Stato, o turbi le amici-
zie frateme coi popoli vicini. A noi basta di avère pro-
mulgato il principio, e richiamare di continue sopra di
esso l'attenzione délie genti italiane.... » — A quei Ministri,
banditori di Costituente e che stavano per inaugurare una
polUica informata ai princlpi di larga libertà, mal si ad-
dava quel Parlamento, che per lo addietro era stato spesse
volte più curante degli interessi délia sovranità grandu-
cale, che del vero bene délia patria e che, senza tema
d'errare, possiamo alQfermare avère esso mostrato altresi
pih servilità che indipendenza; necessitava portante di
rinnovarlo. A ciô si oppose da prima Leopoldo II, bene
prevedendo che i nuovi Deputati non sarebbergli stati
molto favorevoli, causa la grande preponderanza acquista-
tasi di quei giorni dalla parte libérale su la moderata;
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142 CAPITOLO III
costretto di poi dai Ministri, il 5 noTembre soscriveTa il
decreto di licenziamento del Parlamento. Se non che per
ottenere una vera rinnovazione di questo — cosa ppoprio
délia massima importanza — abbisognava, prima di appel-
larsi al popolo nei Gomizi per conoscerne Topinione, mo-
dificare la legge elettorale, piena di privilegi, e allargare
il diritto di saffragio, alio scopo di rendere forte, almeno
per numéro, lo olemento libérale nella nuova Assemblea.
Ma di ciô, nalla; i Ministri, che pur volevano il bene del
paese, non sempre perô sapevanlo fare: onde i Deputati
eletti con gll usati modi di suffragio e di un suffragio ri-
stretto ditroppo, non risposero degnamente aile speranze
concepite dai supremi reggitori, ne agli interessi dello
Stato. — Le notizie del miserando fine di Pellegrino Rossi,
anrenuto il 15 novembre, e délia fuga di Pio IX a Gaeta,
seguita dieci giorni dopo la nefasta uccisione di quel suo Mi-
nistro, riempirono di spavento Leopoldo e i suoi cortigiani,
non perô Montanelli, il quale anzi rall^rossi délia fuga del
Papa, corne di un ostacolo tolto a' suoi disegni; avvegnachè
in Botna libéra egli vedesse la naturale sedia ^eWAssem-
hlea Cosiituente italiana, e la metropoli di un nuovo rè-
gne, ch'ei deliberava comporre per Leopoldo con la Toscana,
gli Stati pontifici e la Sicilia. Oombatteva la sua proposta
il Principe ; il quale, al Ministre insistente, rispondeva cosi :
= Religione e coscienza vietargli d'usurpare i possedimenti
altrui; chè disonesta usurpazione sarebbe lo accettare la
dedizione, eziandio spontanea, di gente soggetta alla signoria
délia Santa Sede, o soggetta al Borbone. = Antica e ingiu-
sta teorica dei re despôtici, i quali pensano, i popoli ap-
partenere alla corona e non essere mai padroni di loro
stessi; ereditarsi essi corne armenti e peggio.
Oorreva il 10 gennaio 1849, quando i nuovi eletti dai
popolo raccoglievansi a Parlamento; il Granduca lesse loro
il discorso inaugurale, lavoro ornatissimo e scritto cou
arte sottile da Domenico Guerrazzi, il quale, senza adden-
trarsi nelle quistioni politiche, accennava nondimeno a
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LA T08GAKA ; FUOA DI LEOPOLDO II 143
tutte. Divenuto Ministre, Guerrazzi rivolse gli sforzi
per conduire a conciliazione il Principe coi sudditi ; non
ostante ei fosse contrario alla CostituentSy reputandola,
nelie condizioni d'allora dellltalia, più di danno che di
vantaggio agli interessi patrii, pure non la respinse, perche
desiderata vivamente dai piti. Allô entrare in Parlamento
Leopoldo fu dai Deputati e dal popolo, ivi accorso in foUa,
festeyolmente salutato; flnito il suo dire ricevette gran-
dissimi applausi, e nell'uscire daU'Assemblea venue frago-
rosamente acclamato. I Fiorentini, non veggendo siibîto
pubblicarsi il décrète per la CosHtuente italiana — la
quaie volevasi da tutti, si avesse a riunire presto in Roma
— diedersi a romoreggiare. La sera del 21 gennaio recar
tisl in gran numéro in su la piazza degli Uf/izi, con grida
minacciose chiederano ai Ministri la legge sui Comizl.
Guerrazzi, fatto conoscere, come quel moti inconsulti tur-
bassero la Toscana, la quale areva somme bisogne di tran-
quillità e pace a fine di provredere efâcacemente al bene
pubblico, riusci a mandarli presto aile loro case; ma il
mattino del vegnente tornati a tumultuare davanti al pa-
lazzo Vecchio, Tolendo a ogni costo la pubblicazione im-
mediata délia legge tante sespirata, deputavane alcuni di
essi al Parlamento e ai Ministri. Senza por tempo in mezzo
questi portavano al Sovrano il décrète délia legge cemi-
ziale, invitandole a settoscriverlo, ch'egli perô, awersissime
alla Costitieente, niegava con futili ragieni di soscrivere ;
se non che, Taccorto Guerrazzi, indovinata la ragiene vera
del rifiuto, facevasi ad assicurarlo, che qualunque fosse
ïter essere Cesito délie cose, egli non correrebbe pericolo
teruno; vincitori gli Atùstriaci, sarebbe stato rispettato
come principe di casa Ahshurghese ; vincitrice Vltalia,
la generosità sua di sotioporre alVarbitrato del popolo
la corona granducale, gliela avrebbe raffermata più
glorîosa sul siio capo. — E sicceme il Granduca tuttavia
ostinavasi in suo diniego per ragiene di coscienza o ri-
spetto al Pentefice, cui quel décrète arrecava non poco
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144 CAPITOLO III
danno, Guerrazzi toglieva ogni scrupolo daU'animo timo-
roso e pio del Principe, inducendo Montanelli a levare dal
decreto ciô che poteva offendere i diritti deila Ghlesa e
del supremo capo di essa : allora Leopoido soscrisse il de-
creto che, appena avuta la sanzione del Parlamento, veniva
messo fuora per le stampe (1); i popoli di Toscana lo ao-
colsero con gioia, e festaati tributarono lodi al Granduca
e ai Ministri suoi. ^
Mentre la pace pareva assicurata e il comporsi amiche-
vole d'ogni differenza faceva sperare che le faccende dello
Stato dovessero ornai cainminare in buono accordo tra il
Principe e i sudditi, una nuova tempesta s'addensava sopra
la Toscana. Patto securo degli aiuti delFAustria, il Gran-
duca aveva risoluto di seguire Tesempio del Ponteflce ; la
anarchia in cui, egli tenevasi certo, sarebbe caduto il
paese, causa la sua fuga, doveva porgergli il pretesto di
implorare armi straniere, con le quali egli avrebbevi ri-
messo Tordine e gli antichi modi di reggimento. Il primo
febbraio Leopoido recavasi a Siena, ove la parte moderata
accoglievalo tra le grida di; Viva VArciduca; non vo-
gliamo più di cosUtuzione ; e la parte libérale a sua po-
(1) Ecco il decreto del 22 gennaio 1849 per la Costituente, sotto-
scritto dal Granduca:
u V La Toscana mandera trentasette Deputati all'ABsemblea Na-
zionale convocata in Roma.
2^ I Deputati saranno eletti su le basi del suffragio uniyersale
diretto.
3° Ë elettore ogni cittadino di ventun anno compiuto, qualora goda
il pieno esercizio de' suoi diiitti.
40 È eleggibile ogni cittadino italiano maggiore d'anni yenticinque*
5^" Sarà stabilito un compenso bouTeniente per ciascuno dei De-
putati.
6** Le forme più spécial! délie elezioni e Tepoca précisa délia con-
Yocazione dei collegi elettorali saranno stabilité con apposito regola-
mento. »
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LA TOSGANA; PUOA DI LBOPOLDO II 145
sta gridando: Viva la CostUitente, a basso il Oranduca.
Dopo essersi per alquanto tempo guardate con mal piglio,
le due parti vennero aile ingiurie da prima, a pugna mar
nesca e a spargimento di sangue da poi. Questi furono i
prodromi di guerra civile, che doyeva di li a poco divam-
pare per quella contrada e recarie danni e lutti ; Topera
meditata dal henigno e amorevole Principe aveva avuto
cominciamento : i fratelli eransi bruttati di sangue fra-
terno! La subitana partenza del Ghranduca da Firenze, délia
quale non conoscevansi le ragioni, destô grave turba-
mento nelle popolazioni^ già da tempo dubitanti di sua lealtà
e fede; ne valeva a tornarle alla tranquillità la notizia di
avère egli chiamato a se il ministre Montanelli, che sol-
lecito andava a lui per ricondurlo a Firenze, ove piii
che mai era di quei giorni necessaria la sua presenza,
ed eziandio per allontanare i sospetti d'avere la famiglia
del Oranduca avuto mano nel tumulte di Siena, di cui
perô ben sapevasi essere stata principale promovitrice
la consorte sua^ Maria Antonietta di Napoli. Ghiari
ci6 il giudizio mosso contra alcuni délia plèbe impri-
gionati, i quali confessarono avère ricevuto dai nobili
danaro per eccitare disordini, e a capo dei nobili stava la
Granduchessa. — In questo mezzo giugneva a Leopoldo
lettera del maresciallo Radetzky — allora in Verona — il
quale in nome delllmperatore, suo Signore, signiâcavagli :
= cfie s'egli volesse conformarsi ai consigli datigli poco
innanzi dal swo Governo, lasciasse lo Stato e si ripa-
rosse a Santo Stefano ; appena sottomessi i demagoghi
délia Sardegna, volerébbe in suo soccorso con trentamila
^ S!mi valorosi per riporlo sul trono arHto. = Dopo al-
quanti giorni di aspettamento, il mattino del 7 febbraio,
Montanelli veniva per la prima volta — e fu pure Tul-
tima — ricevuto dal Granduca; il quale, fingendosi in-
fermo, dopo brevissimo parlare licenziava il troppo credulo
Miaistro. Erano trascorse poche ore da quel coUqquio,
quando il Principe, recuperata Tniracolosamente la sainte,
10 — Vol. n. Martaki — Storia poî. e mil.
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146 CAPITOLO UI
salito in carrozza cou la famiglia usciva di Siena a pas-
seggio, ne più vi riedeva. Montanelli, che di fughe non
sospettava, fu preso da forte maraviglia ricevendo, in sul
cadere di quel giorno, due lettere di Leopoldo. Nella prima,
affatto privata, il Granduca raccomandava al Ministre i
famigliari lasciati in Firenze e Siena ignari dei disegni
suoi ; in oltre, pregavalo a permettere che lo seguissero le
bagaglie menate di Firenze a Siena, ch'erangli stretta-
mente necessarie. La seconda lettera, che il Principe
ordinavagli di far siibito di pubblica ragione, molto impor-
tando conoscerla in tutta la sua interezza, perché rivela
il carattere di chi la scrisse, la mettiamo innanzi ai leg-
gitori nostri. — « Scorsi otto giorni da che io mi trovo
in Siena ; e sapendo da piii parti che moltissime voci, nella
metropoli e altrove, dicono che la mia lontananza da Fi-
renze muove da cagioni di timoré o d'altra plii rea na-
tura, io posso ora e debbo apertamente palesarne la causa
vera. Il desiderio di evitare gravi turbamenti, mi spinse
il 22 gennaio 1849 ad approvare, che fosse in mio aome
presentato alla discussione e al veto délie Assemblée légis-
lative il disegno di legge per la elezione dei rappresen-
tanti toscani alla Costiluente italiana. Montre la discus-
sione doveva maturarsi al Consiglio générale e al Senato.
io ml riserbava ad osservare Tandamento délia medesima
e a riflettere sopra un dubbio che sorgeva neiranimo mio,
che potesse cioè incorrersi con quella legge nella scomu-
nica indicata nel Brève di Sua Santità dei primo gennaio
1840 da Gaeta. Questo mio dubbio manifestai ad alcnni
dei Ministri, accennando loro che il pericolo intrinseco délia
censura mi sembrava dipendere principalmente dal man-
date che si sarebbe poi conferito ai Deputati délia Costi-
tuente, e di cui non era parola nel disegno di legge. Ma
nella discussione dei Consiglio générale fu mossa appunto
questione intomo ai poteri da darsi ai Deputati délia detta
Assemblea Costituente^ e fu rîsoluto e approvato alla una-
nimita, che dovesse intendersi essore il loro mandato illi-
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LA. TOSGAKA; FUGA DI LBOPOLDO II 147
mitato. Allora il dubbio si fece in me gravissimo, e credei
di dovere sottoporre la quistione al segreto giudizio di
più persone autorevoli; e tutte poi rispettivamente coa-
veanero nel dichiarare incorrersi con taie atto uella
censura délia Ghiesa. Nondimeno esseado stata sparsa
da taluno notizia con moite apparenze di verità, che il
Papa non soltanto non intendeva di condannare la (Josti-
tuente italiana, che egli anzi interrogato su tal proposito,
non ayeya disapprovato di votarla^ io volendo procedere in
questo importantissimo affare per le vie piii sicure, e avère
un giudizio solenne e inappeUabile, mi risolsi» con lettera
del 28 gennaio passato, a consultare il Somme Pontefice,
al giudizio del quale in si fatta materia io come Sovrano
cattolico doveya intieramente sottopormi. La replica di
Sua Santità per improviste circostanze mi è pervenuta
più tardi di quelle che io credeva; quindi la rAffione per
eui ho sospeso finora a questa legge la sanzione anale che
per Io Statuto apparteneva al Principe. Ma la lettera de-
siderata è ora giunta, ed è nelle mie mani; Tespressioni
del Santo Padre sono cosi chiare ed esplicite da non
lasciare l'ombra del dubbio ; la legge délia Costituente
italiana non puô essere da me sanzionata. Finchè la Costi-
tînente era taie atto da porre a rischio anche la mia co-
rona, io credei di poter non fare obbietto, avendo solamente
in mira il bene del paese e Tallontanamento d'ogni ria-
zione (sic). Perciô accettai un Ministère, che Taveva già
acclamata e che la acclamô nel suo programma, e ne
feci so^etto del mio discorso d*apertura nelle Assemblée
législative. Ma poiehè si tratta ora di esporre con questo
atto me stesso e il mio paese a sventura massima, quale
è quella d'incorrere io, e di fare incorrere tant! buoni
Toscani nelle censure fulminate dalla Ghiesa, io debbo ri-
cvLsarmi daU'aderire e Io faccio con tutta tranquillità di
mia coscienza. In tanta esaltazione degli animi è facile
il prevedere che il mio ritorno in Firenze in questo
momento potrebbe espormi a tali estremi da impedirmi la
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148 CAPITOLO III
libertà del voto che mi spetta. Perciô io rai allontano
dalla metropoli e lascio anche Siena, afflnchè non sia detto
che per raia causa questa città fu campo di ostili riazioni.
Confldo perô, che il senno e la coscienza del mio popolo
sapranno riconoscere di quai grave peso sia la cagione
che mi obbliga a dare il veto e spero che Dio avrà cura
del mio diletto paese. Prego infine il Ministère a dare
pubblicità a iutta la présente dichiarazione, onde sia ma-
nifeste a tutti come e perché fu mossa la negatira che io
do alla sanzione délia legge per la elezione dei rappre-
sentanti Toscani alla Costituente italiana. Che se taie pub-
blicazionè non fosse fatta nella sua integrità e con solle-
citudine, mi troverei costretto a farla io stesso dal luogo,
ove la Provvidenza vorrà ch' io mi trasferisca » (1).
Non era ancora sorta l'aurora dell'S febbraio, quando i
Ministri toscani venivano chiamati a consulta da Monta-
nelli, tornato nella notte da Siena a Firenze, per discutere
su quanto meglio convenisse aile difQcili circostanze d'al-
lora. La notizia délia fuga del Principe, la quale per tem-
pissimo e con celerità straordinaria aveva corso tutta la
città, ne gettava gli abitanti in forte, ma diversa commo-
zione; avvegnachè dei cittadini di quell'andata del Gran-
duca a Santo Stefano si rallegrassero — ed erano i più —
e altri si dolessero; perô la incertezza dell'awenire met-
teva in tutti non poca inquietudine, eccetto nei più svi-
scerati di governo a popolo, i quali speravano veder presto
compiersi l'ardente lor voto. I tamburi délie guardie cit-
tadine suonavano a raccolta, montre la carapana del Qo-
mune con gravi rintocchi chiamava i Fiorentini a parla-
mento in su la piazza délia Signo^Ha, come ai tempi di
sua gloriosa repubblica, nei momenti di pericolo, per prov-
vedere aï casi délia patria. Dalla loggia dell* Or^a^wa, ove
(1) Questa lettera del Granduca era stata scritta in Siena il 7 feb-
braio 1849.
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LA. TOSGANA; FUOA DI LBOPOLDO II 149
eransi raccolti i capi del Circolo popolare, cui presiedeva
Mordini — alcuni oratorio dopo avère fatto conoscere aile
moltitudini congregate la fuga di Leopoldo, i bisogni del
paese e la nécessita di soddisfare ad essi con efflcacia e
soUecitudine, proposero la creazione di un Governo tem-
poraneo con Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni, a candizione
che la CosHtuente italiana avesse a determinamela forma
defifUtivay e che frattanto ei si riunisse e stringesse a
queUo di Roma, tanto che i due Stati apparissero alVI-
talia e al monda di compome une solo. £ il popolo gridô
11 Governo temporaneo ; gridô Montanelli, Guerrazzi, Maz-
zoni, la Costitt4ente e l'unione con Roma. — Montre tali
case avyeniyano dlnnanzi al palazzo Vecchio, Montanelli
idggeva ai Deputati lo scritto del Granduca ; indi in nome
proprio e dei colleghi rinunziava aU'ofScio ad essi confe-
rito dal Principe Ifùggitivo. Stava egli per mettere fine al
sao dire, quando gli eletti dal popolo a riferire al Parla-
mento le deliberazioni state prese, entrati a forza neirAs-
semblea con numerosa accompagnatura di cittadini, chie-
devano che siibito venisse licenziato il Governo. Avvisati
non avère essi diritto di parlare, ma soltanto di porgere
petizioni, alteramente rispondevano: = Essore portatori
di quanto volevasi dal popolo, cioè un Governo temporaneo
COQ Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni. = LMmperioso comando
tarbô non poco i Deputati; itimidi allora si ritirarono; gli
animosi rimasero protestando contra quella invasione vio-
lenta : onde TAssemblea riempissi di confusione e tumulte.
A quietare Tagitazione e ricondurre tutti a concordla,
Guerrazzi, salito su la tribuna, con parole generose ed
eloquenti — provata la nécessita che popolo e governanti
s'avessero a stringere in fratellevole accorde per la sainte
€ la grandezza délia patria — fece si che il Parlamento
siibito tornasse a numéro, e riprendesse il discutere, poco
innanzi sospeso, con quella dignità e pacatezza, ch'erano
richieste dalla gravita délia cosa. Allora i Deputati con-
fermarono con voce unanime quanto era stato risoluto dal
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150 OAPiTOLO m
popolo, cioè la creazione di un triumvirato, costituito da
Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni ; i quali chiamarono a soci
nel Governo Mordini, Marmocchl e Romanelli, conservando
gli antichi coUeghi Adami, Franchini e D'Ayala; il qualo
ultimo perô fece sollecita rinunzia al suo ofScio, non vo-
lendo trovarsi in un Governo costituitosi contra il legitUmo
Sovrano. Nella sera di quel giorno 8 febbraio i Triumviri
mettevan fuora il seguente manifesto ai Toscani : « Il Prin-
cipe, a cui voi prodigaste tesori di affetto, vi ha abbando-
nato ; e yi ha abbandonato nei supremi momenti di pericolo.
Il Popolo e le Assemblée législative hanno appreso questo
fatto con senso di profonda amarezza. I principi passano,
i Popoli restano. Popolo e Assemblée ci hanno eletti a
reggere il Governo temporaneo délia Toscana. Noi accet-
tammo, e in Dio confidando e nella nostra coscienza lo ter-
remo con rettitudine e forza. Coraggio! Stiamo uniti; e
questo avvenimento sarà lieve come piuma caduta dairala
di uccello che passa. Nessuno si attenti sotto qualunque
proteste turbare la pubblica sicurezza. Il Popolo guardi
il Popolo. La libertà porta bandiera senza macchia. I To-
scani se lo rammentino. Oustodi, per volere del popolo,
délia civiltà, délia probità e délia giustizia, noi siamo de-
terminati a reprimere, e acerbamente reprimere le inique
mené dei violenti e dei reirogradi; difensori délia indi-
pendenza, noi veglieremo a ordinare armi libère e ono-
rate. » — Tra i primi e più important! atti del Governo
temporaneo dobbiamo notare il licenziamento dei Deputati
e Senatori, che dovevano venir surrogati da un'Assemblca
eletta da sufTragio universale, e il chiamarsi délie milizie
a giuramento di fedeltà al nuovo'ordine di cose; contra il
quale ultimo décrète non pochi ufflciali deiresercito, dopo
aver giuratoj protestarono : assai cattivo esempio di mili-
tare disciplina, di quel giorni oltremodo ralientata! In ve-
rità, quale fondamento avrebbero potuto fare i supremi
reggitori nell'ora del pericolo sopra soldatesca, che amore
di patria non infiammava ? e pure essa aveva strenuamente
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LA T08CANA; 7U6A DI LBOPOLDO II 151
combattuto con volontari concittadini suoi alla giornata
<]i Curtatone e Montanara, si gloriosa per le armi toscane !
Il Principe avevala guasia, e parimenti aveva guaste le
genti dei contadi, che in nome diLeopoldolevayansi proprio
allora a guerra civile.
Il 9 febbraio era in sul cadere» quando grosse compa-
gnie di campagnuoli fiorentini irrompevano contra porta
San Frediano. Guardie cittadine e municipali, popolo ar-
mato insieme confuse ad alquanti soldati délia milizia re-
golare^ una mano di Polacchi e un battaglione di Lombardi
— che trovavansi in Firenze — chiamati dai Triumviri
correvano aile difese; e dopo lieve contraste mettevano
in fuga gli assalitori ; 1 quali» scoraggiti dal mal esito sor-
lito alla loro impresa, riedevano ai domestici focolari. 11
giorno appresso gli Empolesi alzavano la bandiera délia
ribellione; ma intimoriti dUle minaccie di D'Apice —
fatto générale toscane — che uscito di Livorno con buona
mano di soldati e con artiglierie muoveva contr'essi, po-
savane le armi e davano in potere di quel générale i pro-
movitori délia ribellione. A impedire chequesta avesse ad
allargarsi e a prontamente spegnerla ne' suoi primordi,
sommamente urgeva allontanare di Toscana il Granduca,
la oui dimora in Santo Stefano — ove, fuggitivo da Siena,
erasi ridotto — era un continue pericolo alla tranquillità
•iel paese. Il quale, in un manifeste ai sudditi (1), ricor-
dati airesercito i suoi giuramenti, agli ufficiali pubblici
Tosservanza dei propri doveri, e al popolo la fedeltà verso
il suo p/Hndpe cosUtuzionale, protestava contra il Governo
temporaneo, eziandio affermando di non tenere validi gli
atti da esso emanati. — In quel mezzo l'oratore di Sar-
degna in Firenze, recatosi con quelli degli altri Stati
presso il Granduca, offrivagli in nome di Carlo Alberto
(1) Manifesto dei 12 febbraio 1849.
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152 CAPITOLO in
soccorso d'armi sabaude per la restaurazione del suo prin-
cipato. Aveva taie disegno conceplto Vincenzo Giobertî —
che di quei giorni presiedeva ai ^inistri del Re — te-
mendo che le idée di repubblica, allora germoglianti in
tutta Toscana, non avessero a propagarsi nel regno sardo,
e soprammodo in Genova, la quale mostravasi tuttavia
amantissima di governo a popolo, avvegnacliè per esso
fosse un tempo salita a potenza e a ricchezza veramente
stragrande. A Carlo Alberto, che senz'essere soUecitato
aveva ofiferto aiuti di soldati suoi per Timpresa di To-
scana, il Granduca siibito rispondeva: = Accettare con
animo grato il valide suo appoggio, ch*egli considerava
corne prova délia divina protezione ; pregarlo, che la schiera
di sussidio dovesse essere forte di quattro o cinque mila
uomini almeno; in oltre, avvertirlo che al De Laugier —
il quale con le genti toscane teneva il campo in Luni-
giana — era stato ordinato di operare in armonia con le
milizie sarde; in fine, fargli conoscere d'aver partecipato
ai rappresentanti degli Stati amici il soccorso offertogli e
Taccettazione del medesimo. i=: Leopoldo aveva appena
spedita la lettera sua a Carlo Alberto, quando arrivava a
Santo Stefano il Bargagli, oratore di Toscana in Corte del
Pontefice ; veniva a soUecitarlo in nome di Pio IX, del re
Ferdinando, d'Antonelli e d'Esterhazy di lasciare la To-
scana e recarsi a Gaeta ; per6 che gli Stati cattolici aves-
sero deliberato di intervenire in Roma per rimettervi la
sovranità papale ; e siccome essi non volevano che la Sar-
degna si facesse restauratrice del trono granducale, cosi il
Governo di Vienna aveva risoluto di ricondurre, con le
armi dell'imperio, Leopoldo II sul trono degli avi. Per le
quali cose il Granduca rinunziava agli aiuti di Sardegaa,
non estante la vivissima disapprovazione dei rappresentanti
dei Governi stranieri, che giudicavan'o taie rifiuto molto
dissennato e contrario ai principi di una prudente politica.
I Livornesi, tosto che seppero délia fuga del Principe,
vollero gridare la repubblica; ma da far cio 11 distolse
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LA toscana; FUGA DI LBOPOLDO II 158
Mazzini, pôrtatosi alloratra essi; « lo repubblicano per la
Yita, disse egli, vi esorto ad attendere la iniziativa di Roma.
La nazione, per mezzo dei rappresentanti del popolo, eletti
con soffragio universale e con libero mandato, farà cono-
scere le sue volontà, e noi ci inchineremo dinnanzi a quel
potere. » — Délia libertà svisceratissimi sempre, i Livor-
nesi diedero in quei giorni difficili e nei più calamitosi
che seguirono di 11 a poco, prove splendidissime del loro
amore al paese. Alla chiamata dei supremi governanti
corsero con entusiasmo a sedare le ribellioni e a difendere
la patria contrada quando fu minacciata d'invasione ni-
mica. Dopo avère fatta Timpresa d*Empoli, presidiata l'isola
d'Elba e presidiata altresi quella del Giglio allô intente di
impedire a Leopoldo di cercare in esse un rifugio, grossa
schiera di cittadini di Livorno — duce Giovanni La Ge-
ciiia — camminô verso Santo Stefano per costringere il
Grauduca a lasciare la Toscana; avvegnachè la sua pre-
senza in quella terra servisse di proteste alla parte mode-
rata di tenere il paese in continua agitazione ed anche,
quando corresse tempo propizio, di levarlo a guerra civile.
Egli perô non attese a mettersi in salvo il giugnere del-
Toste livornese ; chè, il mattino del 20 febbraio salito so-
pra nave britanna, spiegasse le vêle per Gaeta. Stava La
Cecilia con sue genti in Grosseto di Maremma in su le
armi per muovere verso Santo Stefano — era il 19 feb-
braio — quando pervenivagli da Pigli, Governatore di Li-
Torno, Tordine di tornare sollecito addietro. « Ventimila
Sardi, scriveva egli, sono in procinto di invadere la To-
scana guidati da De Laugier, il quale avrebbe ieri pubbli-
cato lettera del Principe che, nel dargli taie incarico,
commettevasi alla sua fede. » — Se bugiarda era la no-
Tella dello avanzarsi dei Sardi minaccianti invasione messa
fttora da quel générale (1) e sostenuta dalla parte mode-
Ci) Nel 8110 manifesto del 17 febbraio ai Toscani il générale De Lau-
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154 OAPITOLO III
rata allô intente tristisaimo di mantenere il paese in cou-
tinua commozione, verace perô era la notizia délia ribel-
lione di De Laugier, che con tre mila soldati e alquante
artiglierie da Massa e Garrara e da Pietrasanta minacciava
offendere Lucca. Per assicurare la pace alla Toscana i
Triumviri deliberavano di assalire e dfsperdere le milizie
tamnltaanti dell'agitatore ribelle ; al quale scopo mettevano
assieme forte schiera di soldati regolari e volontari, fidan-
done il govemo a D*Apice ed eleggendo Commissario délia
impresa Domenico Guerrazzi. A combattere De Laugier le
gier aveva scritto cosi: u Per sostenere lui, le milizie del Re sardoin
numéro di ventîmila uomini passano ora le frontière dello Stato. » Cou
lo annunciare soccorso si poderoso di soldatesche sabaude egli sperava
intimorire i suoi conoittadini e indurli a poaare le armL Taie menzogna
fruttô nuoyo vituperio a quel générale, la cui vita era macchiata del
gangue d'un camerata, Stefano Bandini, da lui Bpento a tradigione la
notte del 10 aprile 1807. — Eeputo neoessario far conoscere con brève
parola quel générale, cui sorti Tonore insigne di comandare a quanto
di piû eletto la Toscana ebbe spedito alla guerra di Lombardia ; notizie
tolte A un documento délia famiglia Bandini di Pietrasanta. — Con-
dannato De Laugier dal tribunale militare per quel misfittto a pena
infamante, yenivagli poco appresso questa mitigata per quietanza del
padre delVucciao — cosi dal sopra citato documento — coneedutagli per
interposizione di peraone ragguardevoli ; dopo alquanti mesi di prigionia
De Laugier ricuperava la Ubertà. Cancellato dai ruoU dell'esercito to-
scane, egli entré in quelle del reg^no italico; caduto il quale nel 1814
ool oadere dell'imperio napoleonico. De Laugier fece ritomo in patiia;
ma non gli riescendo di venire riammesso nelle milizie di Toscana, egli
andd al solde del Be di Napoli. Tomate il quai reame ai Borboni, egli
recossi nuovamente al paese native; e fa allora che per intercessione
del colonnello Fortini, suo parente, fd collocato nelle fianterie grandu-
cali col grade di capitano, e ciô con décrète spéciale del principe, eAe
aoeva posta un vélo sut trascorH giovanili di De Laugier, Da qael
giorno ei non lasciô più le insegne dei Lorenesi, i quali, con un atto
di lor soyrana yolontà, mutarono Vucdditore di un 8uo eamerata in un
soldato onoratof A pagare si grande bénéficie il générale De Laugier
nel 1849 messe le armi toscane — fidate alla sua lealtà — a ribellarsi
al Goyemo per restaurare il trono di Leopoldo II.
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LA TOBCANA; FUOA DI LEOPOLDO II 155
armi toscane mossero da Lucca divise in tre ordinanze;
una dl queste per la marina di Viareggio'ayanzossi contra
il campo nimico ; la seconda camminô verso Monte Ghiesa ;
i^ultima, per San Quirico, portossi a Gamajore, ove trova-
vasi il grosso délie forze awersarie; la riscossa tennesi
in Val di Serchio. Giusta l'ordine del Gommissario porta-
vano tntte ramoscelli d'olivo sui caschetti e su la bocca
degli schioppi; incontrando resistenza dovevano chiedere,
se per Vempietà (Vun ttomo avessero i fratelli a uccidere
i fratelli. All'avvicinarsi délie schiere del générale D'Apice
i soldati di De Laugier protestano di non voler combat-
tre i loro concittadini : ond'egli è costretto a togliersi da
Camajore e indietreggiare da Pietrasanta, e il giorno ap-
presso — il 23 febbraio — a portarsi a Massa; abbando-
nato da' suoi iti al campo del Gommissario, De Laugier
Tiparasi a Sarzana — terra dello Stato sardo — e di poi alla
Spezia: questo il fine deirincruenta impresa di Lunigiana.
Mentre qui tali fatti si compivano, gli abitatori del con-
tado fiorentino, levatisi per la seconda volta in su le armi,
ritentavano la métro poli, allora che il presidio di questa
camminava verso Lucca per la spedizione testé narrata.
Era da poco caduta la notte del 21 febbraio, quando un
trarre fragoroso di moschetti • facevasi udire fuor délie
mura che corrono da porta al Prato alla Romana. Lo im-
provviso assalto turbava, ma non isbigottiva i cittadini;
che, prese le armi, coi Lombardi e i Polacchi — i quall
trovavansi tuttavia in Firenze — si recavano soUeciti aile
porte minacciate e con lieve sforzo respingevano gli assa-
litori, dei quali non pochi venivano a lor mano. Fu allora
che il Governo temporaneo, a farla finita con gli eccitatori
a guerra civile, istituiva una Gommissione, la quale avesse
a giudicare con tutto il rîgore délie Jeggi militari quor
lunque attentato sedizioso alla tUa, agli averi dei cittor
dini e alVordine pubblico. Taie Gommissione di guerra
ebbe vita brevissima; perô che Guerrazzi la licenziasse,
appena allontanato ogni pericolo di ribellione e assicurata
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156 CAPITOLO III
la pace al paese ; ciô che avvenne pochi giorai appresso
il suo ritornodlLunigiana; délia quale clemenza i nimici
délia patria proôttarono per rinnovare lor parricida im-
presa. — In questo mezzo una grossa mano di soldatescbe
austrlache e modenesi erasi appressata ai conâni toscan!,
alla cui difesa subito accorreva Montanelli. Quelle solda-
tesche perô presto indietreggiarono per tema di vedersi
levata la via al ritorno dal générale Lamarmora, che allora
teneva il campo a Sarzana con una divisione sarda.
Intanto awicinavasi il 5 marzo, giorno âssato per la
riunione del Parlamento — che chiamossi di poi Costttuente
— e tanto sospirato dai Toscani, i quali speravano udire
presto gridata dai loro rappresentanti Vunificazione con
Roma per costituire poscia assieme nel mezzo dell'Italia
una forte repubblica. Guerrazzi, che aveva fatto ogni sua
possa per differire il convocamento deirAssemblea, avrer- '
sissimo alla uni/ÎGazione, perché reputavala dannosa alla .
patria, erasi preparato a combatterla : intente suo, salvare
le libertà e le franchigie costituzionali col ricondurre a ;
concordia il Principe coi sudditi. L'avversione sua aHuni- i
ficarsi di Toscana e Roma egli scusô dicendo non doversi j
suscitare gelosie in Carlo Alberto prima del rompere délia .
guerra alVAustria, che affermava essere imminente; e ■;
quando la Sardegna fu vinta a Novara, Guerrazzi sostenne |
il diniego suo a queirunione mettendo innanzi il pericolo )
dello intervento straniero. Egli ben doveva prevedere che \
Venezia e Sicilia non tarderebbero a seguire Tesempio di |
Toscana, onde sarebbesi creato uno Stato di taie potenza
da assicurare le sorti deiritalia. Allora il disastro di No-
vara non avrebbe avuto conseguenze esizialissime alla pe-
nisola ; ne Roma, ne Venezia sarebbero cadute ; la quale
cosa possiamo affermare senza tema di venire contraddetti,
memori deU'assedio si strenuamente e a lungo da queire-
roiche città sostenuto contra le armi di Francia e d'Austria.
L'opinione pubblica era omai diventata si imperiosa e qua;si
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LA TOSCANA; FUGA DI LBOPOLDO II 157
minaecîosa, che il Guerrazzl si vide costretto a scendere
a concessioni ; ma fermo sempre nel riienere inopportuna
Tunità assoluta dei due Stati, egli prese a negoziare con
Maestri, inviato a lui dalla repubblica romana, sopra faccende
affljtniûistratiye non di alta importanza, con somma accor-
tezza ponendo in- disparte quelle di grave momento. Bene
apponeadosi, che gli sarebbe stato impossibile di tenersi in
mano Tautorità suprema senza mostrarsi obbediente ai vo-
lerî del popolo, nél discorso, col quale inaugurô il nuovo
Parlamento, disse parole favorevoli alla uniflcazione di
Toscana e Roma. Egli allora menti ; avvegnachè, non avendo
fede veruna in quella repubblica, retta da uomini poveri
di consiglio e che armi non possedeva, non intendesse u-
nirsi mai ad essa. In fatto, pretessendo, corne già dicemmo,
la nécessita o meglio la convenevolezza d'attendero il rom-
persi délie ostilità tra la Sardegna e TAustria, riescî a im-
pedire ai Deputati ogni discussione su Tunione dei due
paesi. Repubblicano impaziente flno a quel giorni, Dôme-
nico Guerrazzi erasi tutto mutato e d'un tratto ; egli, si
fiero, non isdegnô allora di volgersi ai principi e di farsi
propugnatore di reggimento monarchico, per lo addietro
da lui vivamente combattuto. Ove era ito quelVamore suo
STisceratissimo per la più larga libertà, ond'egli poco prima
tante ardeva per la patria, amore ch'egli seppe potente-
mente trasfondere negli scritti suoi ? Quanto diverse le
opère sue dai principi innanzi professât! e con mirabile
coraggio banditi nei tempi délia tirannide î Quale dififerenza
tra Guerrazzi cittadino, e Guerrazzi ministre e dittatore !
— In quel torno di tempo era giunto in Firenze Lorenzo
Valérie, speditovi dal Governo sardo per chiedere ai Trium-
viri soccorso d'armati per la guerra, che il re Carlo Al-
berto stava per muovere aU'Austria ; e i Triumviri promisero
aiuti maggiori dell'armi che essi possedevano; certamente
Guerrazzi moltissimo avrebbe date, se moltissimo avesse
avnto ; egli favoreggiava allora tanto la Sardegna monar-
chica quanto avevala per lo addietro awersata; e dicevasi
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158 CAPITOLO III
pronto a uaire la Toscana al regao dî Garlo Alberto, se
questi fosse riuscito vincitore nella guerra coatra la si-
gnoria austriaca. Per raggiugnere lo intento suc Guerrazzi
sospendeva il convocamento deirAssemblea legislativa sino
al 22 marzo, e lo prorogava di poi sino al 25; nel quale
giorno, ei diceva, la sovranità popolare surrogherà il
Ooverno temporaneo. — Nel di fissato i rappresentanti del
popolo raccoglievansi a Parlamento. Alcuni di essi, dopo
avère udito da Montanelli la relazione di quanto i Trium-
viri avevano operato a vantaggio délia cosa pubblica, fa-
cevansi a chiedere loro, che senza por tempo in mezzo
avessero ad acclamare la repubblica toscana e la sua
unione a Roma. Domenico Guerrazzi, pretessendo la inop-
portunità di tali atti, niegava soddisfare a taie giusta do-
manda; e siccome per lui stavano i piii dei Deputati, cosi
la proposta di quella acclamazione, mandata a partito, ve-
niva rejetta (1). Il contegno del Dittatore non avova ancora
destato sospetto veruno sopra i disegni suoi, sia ch*egli
sapesse con somma avredutezza e finissima arte nascon-
derli, sia clie i Toscani nutrissero tuttavia per lui cieca
fede Gli infingimenti di Guerrazzi non erano perô sfuggiti
agli occhi yigill dei repubblicani ; i quall, severi sindaca-
tori del Governo, arevano penetrato le sue mire restau-
ratrici di principato, onde si erano allontanati da lui ; ma
godendo sempre di molta aura popolare, non potevano coq
sicurezza di vittoria combatterlo ; fu quindi nécessita di
aspettare Toccasione favorevole, che non tardô ad arrirare.
(1) u In nna pubblica adunanza tenuta il 18 febbraio sotto le logge
degli Uffizi e alla qnale s'affollaTano da dieci mila persone, fed votare
l'adozione délia fonna repnbblicaiia, ronione a Borna e la oomposizioiie
d'un Comitato di difesa composto di Gnenuizi, Montanelli e Zannetii
Gli nomini, che reggevano, ricnaarono. lo partii alla yolta di Roma,
doye m'ayeyano eletto depntato. »
GnxsipPB Mazzini, Seritti politici, yol. y, cart 186; Milano, IS^.
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CAPITOLO IV.
La Sicilia e Ferdinando Borbone.
I SieilÎAiii gridano Be il Daca di Geaoya, Ferdinando di Sayoia. In-
Gortesze del Dnca di GenoTa sa raocettarione délia corona offer-
tagli. ~ Spedizione dei Napolitani in Sioilia; Hesdna ricade aotto
la tiiannide borbonica. — Preparamenti del Goyerno sicnlo per la
gnerra. — H Parlamento napolitano prorogato al 30 noyembre;
le tregne. — L'uUimatum del re Ferdinando; disdiconsi le tregne
di Messina. — La Sicilia prépara le resistenze; il Borbone licensia
il Parlamento.
n 13 aprile 1848 il Parlamento siculo, ael decretare la
decadenza délia dinastia borbonica dal trono di Sicilia e la
forma di governo con la quale dovoya reggersi il naovo
Stato, deliberava di eleggere a Re un principe italiano,
dope avère perô adattato ai bisogni richiesti dai tempi mu-
tati la CosMuzione del 1812. Le quali riforme consistevano:
nel figsare le norme per la elezione dei Pari ; nel determi-
nare la religione cattolica, apostolica, romana quella del
regno e la sovranità popolare dover risiedere neiruniver-
salità dei cittadini; nel niegare al Re il diritto di licenziare
e prorogare il Parlamento, e ai rappresentanti del popolo
compensi pecaniari; in fine nel limitare il diritto elettorale.
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160 CAPITOLO IV
— Correva il 10 luglio di quelVanno 1848, quando i Par-
lamenti delllsola raccoglievansi in Palermo per discutere su
la elezione del nuovo Sovrano. Non pochi Deputati ostavano
a che s*ayesse a deliberare di cosa di momento tanto grave,
allora che piîi forte ferveva la guerra in Lombardia ed erauo
di avviso d^aspettarne Tesito, il quale avrebbe a tutti con-
sigliato quanto piii convenisse operare nello interesse délia
patria. I Deputati di parte moderata, spinti da Francia e
da Bretagna ed eziandio appoggiati dagli uomini del Go-
verno, mettevano innanzi la nécessita di darsi prontamente
un Re. Ghiaro appariva il fine di tan ta loro sollecitudine;
l'aristocrazia, tutta la parte moderata e i Governi degU
Stati benevoli alla Sicilia non volevano che la repubblica
avesse a stabilirsi nell'isola. Ben presagivano i i*epubblicani
che la elezione del Re fatta innanzi tempo poteva acca-
gionare pericoli alla patria, creando una rivalità fatale agli
interessi d'Italia tra Carlo Alberto di Sardegna e Leopoldo
di Toscana. In fatto, se la Sicilia chiamasse a se un principe
di Casa Savoia, si inimicherebbe Toscana, Roma e la stessa
Francia, la quale non avrebbe veduto di buon occhio la
Sardegna accrescere in potenza e diventare prépondérante
nella penisola, senza compenso alcuno per se, corne aveva
affermata il Ministre francese su gli affari esterni nella riu-
nione deirAssemblea nazionale del 19 giugno ; qualora poi
la Sicilia acclamasse Re un figliuolo del Granduca, rende-
rebbesi nimiche la Sardegna, la Lombardia e Venezia. Il
Governo inglese erasi chiarito favorevole alla elezione del
Duca di Genova; quelle di Francia, alla nomina del se-
condogenito di Leopoldo, non estante la sua minorità. I
Siciliani, i quali volevano subito un Re e non una reg-
genza, eransi mostrati propensi al flglio di celui, che allora
con tutte sue genti combatteva per la sainte d'Italia ; per
la quale cosa, quando nei Parlamenti siculi il Ministre per
gli affari'stranieri, Mariano Stabile, annunziô, c?ie Francia e
Bretagna^ per vedere a^sicurato Vordine e il benessere di
Sicilia^ avevano promesso di prontamente riconoscere la
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LA 8ICILIA B FSBDIKANDO BOBBONB 161
indipendenza stm e anche qicel principe iixiliano che sa-
rebbe stato eletto a reggere i suai destlni, mandata a par-
tito la nomina, veniva con suffragio unanime gridato Re
il Duca di Genova. A mezzanotte di quel giorno 10 luglio il
Parlamento générale deirisola decretava: « !<> II Duca di
Genova, flglio del présente Re di Sardegna, è chiamato con
la sua discendenza a regnare in Sicilia seconde lo Statuto
costituzionale del 10 luglio 1848. — 29 Egli prenderà nome
e titolo di Alberto Amedeo Primo Re dei Sicilianî per la
Costituzione del Regno (1). — 3© Sarà Invitato ad accettare
e giurare seconde Tarticolo quaranta dello Statuto. » — I
Palermitani, i quali con ansia febbrile avevano aspettato le
deliberazioni dei Parlamenti, appena seppero di quella ele-
zione, illuminarono le case e corsero le vie délia città gri-
flando evviva al nuovo Re ; ma taie vittoria, nel porre fine
alla splendîda epopea délia sollevazione sicula, doveva dare
cominciamento a una iliade di dolori e guai, che ricondus-
sero Tisola aU'antica signoria borbonica. I sacri bronzi e le
artiglierie annunziarono con gazzarrastrepitosail di novello,
che vedeva la bandiera siciliana salutata dai cannoni délie
navi di Bretagna e Francia — le quali sorgevano in su
ràncora nel porto di Palermo — e di li a poco rendersi
sovrani onori al Présidente del Governo e ai Ministri dagli
ammiragli d'inghilterra e délia Repubblica francese, Parker
e Baudin: cosi délia Sicilia veniva allora riconosciuta la
indipendenza da due grandi Stati d^Europa. Senza por tempo
in mezzo Parker faceva^ col battello a vapore il Porco-
^pino, trasportare a Genova Tinviato di Sicilia al Governo
sardo annunziatore délia elezione al trono del secondoge-
nito di Garlo Alberto; e Baudin spedivagli la deputazione
dell'isola incaricata d'oflfrirne la corona al Duca di Ge-
(n II Duca di Genova chiamavasi Ferdinando Maria Alberto Amedeo;
il nome Ferdinando essendo esoso ai SiciHani, qaesti vollero chiamare
il Re eletto coi nomi Alberto Amedeo.
U — Vol. IL Mabiaot — Storia pd. e mil.
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162 CAPITOLO IV
nova (1) ; alla quale dovevaao unirsi Emerico Amari e il
barone Pisani, Gommissari siciliani presso il Re sabaudo.
La Deputazione giugneva 11 21 luglio al campo di Marmi-
rolo, ove, col comaado supremo deiresercito, Carlo Alberto
teneva sua stanza; il quale nello accoglierla festosamente
prometteva di presentarla il dimani al flgliuol suo, il Duca
di Genova, allora campeggiaate ira Villafranca, Mozzecane
e Castelbelfiore. Ma l'assalire degli Austriaci — che, co-
miaciato il 22 su le alture délia Corona e di Rivoli, dovea
posare soltanto a Milano in virtii di non molto onorevole
tregua •— chiamando il Re a nuove e incessant! pugne.
impedi a lui e agli inviati di Sicilia d'avviare le pratiche
per l'accettazione délia corona offerta al figliuolo: onde
quella Deputazione recavasi a Torino per trattare di essa
col Governo del Re. La fredda accoglienza ricevuta dal
Ministre sopra gli aflfari esterni, Lorenzo Pareto, reco do-
lorosa sorpresa agli oratori siciliani, cui il benevolo par-
lare del Monarca sabaudo era stato augurio lietissimo per
la loro missione; quale dunque la ragione di mutamento
si repentino? fu la protesta di Ferdinando di Napoli contra
la elezione del principe di casa Savoia! la quale, se re-
cata a effetto, non solamente avrebbe rotto i buoni accordi
che legavano i due Stati, ma eziandio il Borbone sarebbesi
valso di tutte le sue forze per prowedere alla integrità e
al decoro délia monarchia délie due Sicilie : e queste pa-
role il re Ferdinando scrisse nella sua protesta. E siccome
Tambasciatore dlnghilterra in Corte di Torino, lord Aber-
cromby, richiesto di consiglio in cosa di si alta importanza.
aveva soltanto ricordato a Pareto la promessa del Groverno
britannico, di riconoscere sovrano deU'isola il Duca di Oe-
nova, quando si trovasse in possesso del trono di Sicilia,
(1) La deputazione siciliana era composta dal Duca di Serradifalco.
dai prineipi di Torremozza e San Gioseppe, dal barone Riso e dai de-
pntati al Parlamento Ferrara, Perez, Natoli e Camazza.
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LA SIOILIA £ FBBDINANDO BOBBOKB 163
cosi il Minlstro di Garlo Alberto significaya alla Deputazioae
sicula: = Il principe sabaudo non accettare allora lacorona
oflfertagll; primamente, perché reputavasi incapace di reg-
gere popoli e governaro Stato; in secondo luogo, perché sti-
mava dover suo di non lasciare la Sardegna, la quale, seb-
bene vinta, non aveva perô posate le armi ; in fine, perché
la sigûoria di Sicilia data a lui avrebbe attirato sul regno
paterno la gaerra di Napoli, e su Tltalia^ nuovi danni e
nuove discordie. = Taie diniego, non essendo assoluto,
oon iscoraggi gli oratori siciliani, che subito chiesero un
colloquio col Re e col Duca di Genoya, allp scopo di far loro
direttamente la commissione ayuta dal proprio Goyerno. In
sul mezzodi del 27 agosto, in Alessandria, la Deputazione
veniva riceyuta da Carlo Alberto; il quale, dopo ayerle
espresso con parole cortesi si, ma piene di sayia circospe-
zione, la gratitudine deiranimo suo per Tonore reso dai
Siciliani alla sua casa ed eziandio fattole conoscere Taffe-
zioae che per essi aveya syegliato in cuore l'atto generoso
di quelli, âniya il dire cosi: = Non poter ricevere, né
rifiutare la corona offertagli per suo figlio senza prima
consul tare i Ministri. = Congedata dal Re, la Deputazione
presentayasi al Duca; il quale, dopo averle ripetuto quanto
pochi giorni prima erale stato dette da Lorenzo Pareto,
soggiungeya: = Le ragioni, che ayevano indotto a non
accettare la corona, non essere di gran peso ; in ogni caso,
egli obbedirebbe alla yolontà del Re suo padre. = In quel
medesimo giorno il Ministre Lisio, che stayasi con Carlo
Alberto, recayasi presse gli oratori siciliani per riferir
loro, che il Ooyerno sardo riteneya corne afi^re d'intéressé
politico il consentire o no alla accettazione del Duca; che^
non estante il vivo dosiderio di veder posare sul di lui
capo la corona dell'isola, i Ministri molto esitavano per
timoré délie ostilità del Borbone; che abbisognando essi
di nuove guarentigie dall'Inghilterra, domandavano tem po
bastevole a chiederle e ottenerle. = Le parole di Lisio la.
sciarono negll animi degli inviati di Sicilia forte speranza
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164 CAPITOLO IV
che gli ostacoli messî innanzi dal Q^overno sardo sarebbersi
potuti senza gravi difflcoltà superare. Tutto aduaque di-
pendeva dal buon volere dei Ministri inglesi; i quali se
dcssero fede al Re d*appoggiarlo cou le loro armi nel caso
di una guerra con Napoli, Carlo Alberto siibito acconsen-
tirebbe alla accettazione délia corona offerta, nuUa avendo
a temere di Francia ; chè , sebbene awersa alla elezione
del Duca di Genova, corne sopra notammo, non sarebbesi
perô opposta al desiderio dei Siciliani, per non rompere
la buona amicizia che allora esisteva ira la repubblica e
la Bretagna. Ma lord Palmerston, quando venne interpel-
lato dai Gommissari di Sicilia su Taiuto ch*essi potevano
sperare dal Governo délia Regina, rispose in queste seii-
tenze: = Appoggio morale si, non d'armi perô; che se Per-
dinando Borbone respingesse i consigli di lasciare ai propri
destini l'isola, già toltasi alla sua signoria, egli non avreb-
belo potuto costringere a ciô con la forza. Due espedienti
rimanevano quindi a tentarsi dai Siciliani per salvarsi da
una guerra di distruzione : riporre sul capo del Borbone
la corona dell'isola, patteggiando salva la indipendenza
amministrativa e legislativa; o, fatto délia Sicilia un reame
indipendente^ offrirne la corona al flgliuolo del Re; che
se tali onestissime proposte fossero reiette, l'Inghil terra
insisterebbe presse il re Ferdinando di riconoscere il prin-
cipe eletto dai Siciliani. = Alla demanda di soccorso, Pal-
merston aveva risposto offrendo la sua mediazione, e con-
sigliando ai Gommissari di mettere innanzi accordi pacifici.
non estante conoscesse i disegni del Monarca napolitano e
sapesse gli isolani pronti ai piii duri sacrifici e incapaci
di commettere vilezze. Gli Stati amici avendo ricusato a
quelli di concedere aiuto d'armi, quale via ancora rima-
neva a tentare per trarre la patria a salvamento ? gridare
la repubblica!
Montre in Londra e in Parigi si consultava, Tisola tutta
ardeva di guerra, e i soldati del Borbone vi commettevano
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LA SICILIA S FSBDIKAKDO BORBONE 165
atti di tele ferocia, che gente barbara non avrebbe potuto
commetterne di peggiori. Sino dal giugno il re Ferdinando,
deliberato di racquistare la Sicilia per sola virtii délie
armi, ayeva con la massima segretezza cominciato i pre-
paramenti délia spedizione ; e ne soUecitàva il compimento
al giugnergli délia notizia del dietreggiare di Carlo Al-
berto dal Mincio e délie tregue fermate a Milano. In su!
cadere d'agosto yenticinque battaglioni di fanti napolitani
e svizzeri con numerose artiglierie — cbe insieme conta-
vano da venti mila uomini — trovayansi raccolti intorno
a Reggio di Galabria. Filangeri teneya la somma del co-
mando deiresercito, partito in due diyisiôni ; la prima délie
qoali staya agli ordini del maresciallo Pronio, i cui ge-
nerali di brigata erano Schmid e Diyersi; l'altra, sotto il
goyerno del maresciallo Nunziante, ayeya a brigadieri
Lanza e Busacca. L*impresa doyeya cominciare con Tespu-
gnazione di Messina, designata a base délie militari ope-
razioni, e la cui cittadella e il castello di San Salyadore,
muniti di trecento cannoni e presidiati da forte schiera
di régi — quattro mila allô incirca — teneyansi tuttayia
per Ferdinando. I coUi, sul cui yersante orientale siede
quella terra animosa, erano guarniti d'artiglierie, disposte
a offesa délia cittadella e del forte San Salyadore^ alzan-
tisi presso la marina, e che alto yallo e largo fosso — i
quali, afforzati da batterie di cannoni^ correyano dalla
banchina del porto sino allô sbocco del torrente Zaera —
separavano da Messina. Su la spiaggia del mare e sotto il
forte di porta Real Basso rimpetto al castello, e allô sbocco
di quel torrente i cittadini ayeyano costrutto due batterie;
scopo di queste opère fortificatorie, offendere la cittadella
e San Salyadore, e impedire ai presidi di uscir fuora per
assaltare la città ; la quale da mezzogiorno e da occidente
aveva difese poco yalide, che poteyano yenire facilmente
soprayanzate dal nimico. Ginque mila uomini presidiayano
Messina, ordinati in due piccioli battaglioni di fanti leg-
geri, in sette squadre di gente ragunaticcia dei contadi e
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166 OAPITOLO IV
in alquante compagnie di ai*tiglieri; cenquarantadue can-
noni ne guarnivano le opère di fortificazione ; le guardie
cittadine vegliavano alla sicurezza interna di Messina. Âii-
tonino Pracanica teneva il comando supremo délie armi;
il colonnello Orsini, quelle délie artiglierie; e Yincemo
Miloro governava le sedici barche cannoniere, che guar-
davano la marina. Bebole era il presidio, il quale non
avrebbe potuto durarla a lungo senza l'aiuto del popolo
che neirora del pericolo accorreva in grande numéro a
sostenerlo. In sul ânire di luglio creavasi in Messina una
consulta di difesa, che doveva prowedere con sollecitu-
dine ai bisogni doUa città e accrescerne le forze ; ed essa
proponeva di presidiare Scaletta con quattrocento uomiui
e due artiglierie da campo; Spuria, con mille uomini per
proteggere le batterie del faro; Gesso, con ottocento sol-
dati e due cannoni ; Divieto, con dugento e due artiglierie ;
Forza di Agrô, con duemila e quattro cannoni ; in fine, di
portare quelle di Milazzo sino a quattro mila uomini, e
aumentare i presidi di Gastellaccio e Gonzaga di clnquanta
soldati ciascuno. In verità, le proposte délia Consulta erano
savissime e proprio richieste dai bisogni délia guerra;
ma non possedendo Messina armi e armati bastevoli a
soddisfarli, essa risolveva di domandare al Governo cin-
que mila uomini, cannoni, schioppi e munizioni di guerra.
Era il 3 settembre, quando una fregata napolitana a
vêla, quattro corvette a vapore e venti barche canno-
niere (1), appressatesi alla spiaggia méridionale délia città,
prendevano a trarre contra la batteria posta allô sbocco
del torrente Zaera, eziandio fulminata dalle artiglierie
délia cittadella e del forte Don Blasco ; rovinata la quale,
molti marinai scendevano a terra, e unitisi ad alcune
compagnie di fanti e ad una schiera di artiglieri e gua-
(1) Qneste navi avevano a bordo tre mila nomini délia dirisioxie di
Proxdo.
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LA SIGJLIA B FXBBIKANDO BOBBOKE 167
stat^ri uscite fuora dalla cittadella tentavano sorprendere
Messina. Ma i sooi difensori, che attenti yigilavano le
mosse dei aimici, caddero sovr'essi con tanto impeto, da
mandarli in pochi istanti con grave loro danno a cercare
salvezza aile navi, alla cittadella. Allora i Napolitani pre-
sero a bombardare Messina, nella quale opéra di yandalica
distruzione consumarono cinque giorni, mandando a ro-
rina templi e chiostri, palagi e case ; ne riederono agit
âssalti, se non quando la videro ardere tutta di fuoco di
jfuerra e coperta di ferro; nulla importava al Re cbe la
città andasse disfatta, pur che vi si spegnesse la libertà.
D mattino del 6 giugneva dinnanzi a Messina la restante
parte deirarmata di spedizione ; erano tre frégate a yela,
tredici navi a vapore, venti barche cannoniere e molti
le^i minori, portanti la divisione di Nunziante ; la quale,
verso le.nove antimeridiane scendeva a terra in vici-
iianza di Gontesse, villaggio situato su la marina méridio-
nale a due miglia dalla città; ed era nel suo sbarcare
protetta dalle artiglierie délie navi e dal presidio délia
cittadella uscito in buon numéro alla campagna, duce il
maresciallo Pronio. Ai nimici invadenti, i Messinesi oppo-
sero una resistenza strenuissima: onde la pugna fu osti-
nata e sanguinosa. La fortuna mostrossi da prima favore-
vole ai difensori délia libertà^ alla causa délia giustizia ;
perô che le genti di Pronio, fulminate dai cannoni bene
aggiostati dai Siciliani, disordinatesi , indietreggiassero
sino alla cittadella; lo che vedutosi da Pilangeri, spingeva
avanti speditamente un reggimento di fanterie napolitaiie
e un battaglione dl Svizzeri, nel medesimo tempo coman-
<Jando alla brigata Lanza di ferire la destra délie ordi-
nanze nimiche, e a Nunziante d'assalirne con le artiglierie
ia sinistra; più numerose essendo cosi le forze combat-
tenti, maggiore fu Teccidio. AU'urto impetuoso degli assa-
liton — gente tutta peritissima nelle armi — oppongono
una resistenza superiore ad ogni elogio i difensori, per la
massima parte ignari di cose di guerra^ ne per militare
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168 CAPITOLO IV
disciplina esercitati nelle fatiche del campo. Âl fulmiaare
délie artiglierie crollano i mûri délie case, per li rotti dei
quali s'avanzano i Napolitani; e doye il forte contraste
dei nimici impedisce loro di progredire, Filangeri fa get-
lare il fuoco; cosi egli stesso ci lasciô scritto nel suo
Racconto istorico del racquisto di Messina. Arsa la terra
di Contesse e. attraversato il torrente Bordonaro non senza
combattere, i régi presentansi dinnanzi al villaggio di
Gazzi che, con Taiuto dei cannoni délie jiavi, se lo recano
in mano e lo incendiano : la distruzione segna dovunqae
i loro passi. Per indnrre i nimici a dietreggiare o togliere
a questi la via alla ritratta, Filangeri tenta soprayanzare
la sinistra délie loro ordinanze spingendo ayanti, per la
marina, due battaglioni di fanti e alcune artiglierie da
montagna ; ma la resistenza dei Siciliani è tanto yigorosa,
che i régi, dopo avère sofferto gravi perdite, si tolgono
giù da queir impresa. DalFaltra parte Pronio, il qoale.
uscito con sue genti dalla cittadella, erasi sforzato di
cacciarsi entre Messina — incessantemente battuta dai
cannoni di quella — pativa danno si sanguinoso dal ber-
sagliare vivissimo dei difensori, da essere costretto di tor-
nare addietro per timoré di piii grande rovina. Il soprav-
venire délia notte faceva sospendere la pugna, per andici
ore combattutasi con varia fortuna, ma con pari rabbia e
valore. Piraino, Oommissario del poter esecutivo del vallo
di Messina, preveggendo prossimo il fine del combattere,
tanto disuguale in forze, se non gli giungono gli aiuti pro-
messigli da Palermo, che crede vicini, prega i comandanti
délie division! navali d'Inghilerra e Francia ancorate din-
nanzi alla città a voler interporre i loro buoni offici
presse il générale suprême dei nimici per una tregua; che
non fu possibile ottenere, perô che Filangeri demandasse
la resa a discrezione di Messina, e i cittadinl non voles-
sero senza guarentigie sicure darsi al Borbone, infldo man-
tenitore di promesse e giuramenti ; per la quale cosa al
sorgere del nuovo giorno ripigliavansi le armi e il com-
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LA. 8ICILIA S FEBDINANDO BOBRONE 169
battere. Le genti di Proaio uscite dalla cittadella venivano
aile prese eoi difensori del sobborgo di Zaera, che recar
vansi in mano dopo averae coa yigorosi aasalti cacciati i
cittadini, i quali di casa in. casa ritirayansi pugaando sem-
pre, sebbene il numéro stragrande dei Napolitaai li oppri-
messe. Padroni del sobborgo, i yincitori portavansi sopra
il monistero délia Maddeleaa, la cui espugaazione doveva
schiudere loro Tentrata in Messina. Tre volte assaltaronlo,
tre volte venaero ributtati, e costretti d*attendere che il
caonone rompesse i mûri del monistero per riedere aile
offese; al quale ayyicinaronsi gli Svizzeri per Tassalto solo
allora che yidero i difensori stremati di forze: ma sgo-
mentati dalle resistenze strenuissime dei Siciliani, non ar-
dirono tentarlo, se non quando seppero essere Nunziante
entrato in cittèu Superati i mûri, gli Svizzeri invaditori
ebbero a sostenere nella chiesa stessa del monistero assai
féroce combattimento coi soUevati, cui eransi uniti i mo-
naci; i quali tutti poi, dal numéro soverchiante dei nimici
forzati a indietreggiare, cedettero palmo a palmo il ter-
reno, sino a che pervenuti in su la piazza deirospedale e
trovatovi un cannone vi arrestarono per alquanto tempo
lo incalzare dei Napolitani. Imbestialiti questi per la inat-
teaa resistenza dei vinti mlsero fuoco al pio ospizio: onde,
quanti per la gravita délie ferite o délie malattie non po-
terono fuggire, rimasero consunti dalle flamme. Montre
tali vantaggi ottenevansi dalla divisione di Pronio, le genti
di Nunziante, avanzatesi per la via di Gatania verso il
forte Gonzaga — che senza colpo ferire veniva in loro
potere, perché non munito di presidio -— occupavano le
colline signoreggianti la città, nella notte lasciate dalla
schiera di La Masa. Messina era omai perduta, awegna-
chè superate dai nimici tutte le sue difese, fosse divenuto
impossibile resistere piii a lungo. Le divisioni di Pronio e
Nunziante insieme congiunte la allagarono uccidendo
quanti incontravano con Tarmi alla mano, e facendo strage
di vecchi, fanciulli e donne. Sangue, incendi e rovine se-
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170 CAPITOLO IV
gnarono i passi del vincitore; dovunque il saccheggio;
non rispettati i templi, rubati i vasi sacri, uccisi i sacer-
doti ai pledi degli altari ; donne e giovanette da prima
violate fino nelle chiese ove avevano cercato salvezza, di
poi in crudel modo ammazzate. Troppo lungo, e por cU
legge orribile troppo, sarebbe nàrrare le cose nefande
oommesse dalle soldatesche del Borbone nella misera città,
la quale ebbe a soffrire gli orrori d*una presa per assalto
e d*una invasione di barbari. I soldati di nazione incivilita
rispettano sempre e lodano il nimico che nel resistere
perdura sino allô estremo; ma Ferdinando aveva gnasti e
corrotti i suoi — Napolitani e Svizzeri — e Pilaageri,
Pronio e Nunziante, per mostrarsi proprio degni del loro
padrone ed essergli sempre più bene accetti, voUero al*
lora vincere i barbari in efferatezza. « I nostri soldati»
diceva Landsowne il 2 febbraio di queiranno 1849 nella
Assemblea del Pari dlnghilterra, videro soldati uccisi,
fortezze distrutte, case rovinate; ma essi videro ancoralo
zoppo, il malato, il paralitico strappati dagli ospedali e
scannati; donne, che avevano cercato un rifugio nelle
chiese, violate e uccise; gente presa nelle campagne, e
dove già sventolava la bandiera bianca, trucidata nelle
pubbliche vie o su le spiaggie del mare. » Di taie grave ac-
cusa di lui che presiedeva ai Ministri inglesi, il générale
Filangeri — il quale tre giorni dopo la presa di Messina
scriveva al Governodel suo Re: gliincendi sono cessatU
giustificavasi dicendo: = Avère i Francesi ad Austerlitz
e a Jena commesso crudeltà eguali a quelle de* suoi sol-
dati in Messina. = 11 Times, diario di Londra avversis-
simo alla soUevazione siciliana, narrando i casi di quella
infelice città, il 18 ottobre, diceva cosi: « Gli incendi, che
distrussero grande parte di Messina, non sono già tutti
effetti délie bombe ; ma il fùoco fù principalmente appio-
cato dai soldati napolitani con certe materie combustibili»
uno degli istrumenti di guerra del générale Filangeri; il
quale aveva comandato aile sue genti man mano avanzas*
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LA SICILIA S FEBDIHANDO BOBBOKB 171
sero aelle vie di mettere fuoco a tutti gli edifici. A taie
scopo 11 forni di fiaschi di latta pieni di liquido infiam-
mabile» col quale bruciavano ogni cosa. » In brève ora la
città rimase a meta déserta, per isfuggire alla rabbia e
aile vendette di soldati borbonici, essendosi moite famiglie
rifugiate su le navi di Bretagua e Francia, e moltissime
sui vicini monti (1). Non ostante il cessare délie ostilità,
duré ancora a lungo il fulminare délie artigliere con im-
mense danno degli abitatori; « e per compiere vie meglio
la distruzione, cosi lord Palmerston al Parlamento dei De-
piitati inglesi, di quanto le bombe, le granate e il cannone
non avevano potuto disfare, entrô in Messina una schiera
di soldati. » Guasta e consunta dalle artiglierie e dal fuoco,
derubate le chiese e le case, e persino i Monti di Pietà (2X
roTinati per tre miglia tutto airintorno i campi e arsi gli
abituri dei contadini, dopo una difesa eroica quella città
tornava sotto la tirannide borbonica. Sfogate le ire e com-
piute le vendette il re Ferdinando concedeva perdôno ai
sollevati, eccetto perô ai sommovitori e accordava a Mes-
sina e a' suoi sobborghi il privil^io di porto franco (3).
(1) Gli stessi officiai! pnbblici dei Grovemo borbonico ebbero nei loro
%ritti a fur conoseere Topera dévastatrice dei soldati di Filangeri. Il
marchese di Gasaibile, Siadaco di Messina, il 12 settembre metteva
faora il aegnente manifeste ai cittadini: u Dovendosi dal Sindaco di
qnesta città prowedere agli alloggi militari, e per lo scarso numéro
délie abitazioni délie qaali pa6 fars! aso, atantt le altre ineendiate e
iûirwtte^ cosi vengono invitati e pregati i cittadini tntti che da questa
trovansi assenti, le cni case abitabili sono chinse, a restitnirsi in città,
0 apedîze persone di loro fiducia per aprirle, e coadinvare a questa parte
intéressante di reale servizio..... »
(2) n Monte di Pietà di Monticello, dopo essere stato derubato dei
pegni dai Borbonici, veniva dato aile fiamme; la parte maggiore dei
bottino £atto a Messina fa portata in Calabria.
(3) n 31 marzo il Parlamento sidliano aveva restituito a Messina e
û snoi sobborghi quel porto franco di cni godevano sino dal 1784 e
che il re Ferdinando aveva hr toîto con frode e violenza.
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172 CAPITOLO IV
La aovella che una forte spedizlone d*armi napolitane
stava per assalire la Sicilia — novella il 2 settembre par-
tecipata dal Governo dell'isola al Parlamento — veniva
accolta e salutata dai Deputati e dal popolo con grida di
giola e di vero entusiasmo. La vicina guerra non arrivava
loro inaspettata, perô che non avessero sperato mai che
la mediazione inglese e 1 buoni offlci di Francia avessero
potuto coadurre a conciliazione onorevole il re Ferdiaando
e la Sicilia, conciliazione resa oitremodo difficile dairodio
che gli isolani portavano a lui e alla sua famiglia; e
quanto taie odio fosse fiero e intense lo prova il décrète
del Parlamento per la fusione in cannoni délie statue
in bronzo dei reali di casa Borbone» non pregevoli corne
opère d'arte. Un dei Pari nello approvare quel décrète
aveva dette, doversi fondere quelle statue, ancorchè non
potessero dare fuorchè il bronzo hasteoole per unapistola
da scaricarsi contra il petto del tiranno. — Il grido dî
guerra alzato a Palermo trovô eco favorevole nel cuore
di tutti i Siciliani; ai quali il Governo rivolse queste pa-
role: « Una lieta notizia noi dobbiamo annunciarvi. Celui
che fu nostro tiranno, perduta la speranza di spegnere la
nostra liberta e la nostra indipendenza nei lacci cQploma-
tici, tenta Tultimo sforzo, e prépara una nuova spedizione
contra questa terra, che rosseggia del sangue de'suoi sa-
telliti, ed echeggia del grido dei nostri trionfi! Il Governo
si renderà degno con la gagliardia e la prudenza del po-
polo cui è preposto. Il Governo è sicuro deU'appoggio délie
Camere, délia guardia nazionale, deiresercito, di tutti i
corpi armati» di tutto il popolo, di questo popolo, cui è
gioia lo annuncio d*un nuovo periglio, perché cagione di
vittorie nuove je di nuova gloria! Siciliani! Il grido délia
nostra soUevazione trovô eco in tutta Europa, destô i dor-
ment!, scorô i tristi! fece impallidire i tiranni. Uomini dei
primo settembre, del 12 geunaio, del 22 febbraio, uomini
per li quali non vi è battaglia senza vittoria, all'armi ! al-
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LA SICILIA E FBBDIHANDO BOBBONE 173
I*armi! Goncordia, abnegazione, sacriâci d*ogni guisa: ogni
casa sia una fortezza, ogni clttadino un milite, ogni ferro
un'ârma. Vengano, vengano i codardi; il turbine deirira
nostra 11 spegnerà in un istanteî »
Corne Messina generosamente rispondesse aU'invito di
coloro che reggevano i destini délia patria, or ora nar-
rammo; corne rispondesse la rimanonte parte di Sicilia
Tedremo tra brève. — Il giorno in cui i Napolitani scen-
devano neirisola, una deputazione di Messinesi, presenta-
vasi al Governo in Palermo per chiedergli aiuto d*armi,
d'armati e di danaro, allô intente di soddisfare ai bisogni
délia guerra, giusta le proposte délia Consulta di difesa ;
e i Ministri concedevanle subito danaro, munizioni da
guerra e schioppi, ma niegavanle soccorsi di soldati, per
non indebolire il presidio délia metropoli, che più d*ogni
altra città importava difendere ; persuasi che lo sforzo dei
nimici non sarebbe stato volto a Messina — contra la
qMle essi, cosi credevasi, avrebbero soltanto simulato un
assalto per divertire l'attenzione loro — sibbene rivolto a
Palermo, perché sede del Par lamente e del Governo; le
accordavano per6 mille uominl délie squadre campagnuole.
— Mentre nel Parlamento dei Comuni discutevasi sopra
i sussidi d'inviarsi a Messina, giugneva per telegramma
al Ministre su le armi Favviso dello sbarco dei régi ; al-
lora i Deputati, credendo che in quel momenti supremî
meglio d'ogni altra forma di reggimento avrebbe prowe-
duto alla salvezza délia patria una Dittatura forte e co-
raggiosa, offrivanla ai Ministri; i quali perô riflutavanla
afifermando: = Bastar loro lo appoggio del popolo e dei
SQoi rappresentanti ; verun pericolo interne minacciare il
paese; qualora imperiosa nécessita li costringesse a vio-
lare le leggi costituzionali, non esiterebbero a farlo per
salvare la libertà. = Il giorno appresso la novella, che
Messina aveva vittoriosamente combattuto il primo affronte
coi nimici, riempiva Palermo di gioia; nella nette una
uave a vapore camminava verso la città assediata con
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174 CAPITOLO IV
munizioni da guerra, danaro e quattrocento armati, duce
La Masa, e nella notte del 5 altri ottocento partivano a
quella volta. Le notizie del campo, a brevi intervalli spe-
dite da Piraino ai Ministri^ montre facevano conoscere la
coraggiosa resistenza dei Messinesi e la deliberazione da
essi fatta di vincere o morire^ annunciavano altresi il
grave strazio che la città pativa dal fulminare incessante
dei cannoni délia cittadella, deiresercito di spedizione e
délie navi napolitane. Il 6 settembre il Ministre sopra le
armi, avvertito, per telegramma, da Piraino del giagnere
del grosso deirarmata regia, del sùblto sbarcare délia di-
visione di Nunziante e del ricominciare degli assalti, spe-
ditamente su nave a vapore mandava a Messina quattro
battaglioni di fanti, danaro e munizioni da guerra. Aile
tre pomeridiane del giorno appresso Palermo seppe del
sacriâcio dellà città sorella, la quale voile perdere tutto
per salvare l'onore; i régi, non potendola vincere, per
riaverla diedersi a disfarla, a incenerirla! Se i modi, coi
quali venne condotta Timpresa, fruttarono vituperio eterno
al re Ferdinando, a Filangeri, a Pronio e a Nunziante, i
sacriâzi generosamente e con grande animo sostenuti e
le pugne eroicamente combattute fruttarono ai Messinesi
gloria immortale. — La perdita di quella fortissima terra,
sebbene fosse una grave sventura nazionale, un danno a
ripararsi impossibile, non solamente non iscoraggi i Sici-
liant, ma aggiugnendo odio nuovo aU'odio antico verso la
signoria del Borbone per li barbari suoi modi di guerreg-
giare, accrebbe nei fieri isolani la speranza di potersi di-
fendere e sostenere e l'ardore del combattere^ e toise ogni
via ad onesta conciliazione con Napoli. « Prima délie ro-
vine di Messina, disse allora il ministre La Farina nel
Parlamento siculo, venire ai patti coi Borboni sarebbe
stato errore e vergogna; dopo il sacriflcio di quella città,
tradimento e infamia. » — Era tempo di risolutamente
deliberare e di operare con fermezza; e i Ministri sici-
liani, traendo coraggio dalla stessa gravita del momento,
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LA 8ICILIA K TJBBDINANDO BOBBONE 175
seppero prendere partit! vigoposi, e fecero con forte vo-
lonta quanto stette in poter loro per la salute délia patria.
Decretarono quindi: = di chiamare ia su Tarme i licen-
ziati dairesercito regio dai 1834 in poi; di mobilitare
parte délie guardie nazionali; di conduire al solde loro
une 0 pib officiali generali stranieri e almeno quaranta
offlciali délie artiglierie e degli ingegneri militari; di
prendere dai privati a prestito cavalli e muli per for-
nirne la cavalleria e i traini; di fabbricare venti mila
picche per armare il popolo in mancanza di schioppi;
di ordinare il clero in compagnie per la sicurezza interna
inquei Gomuni, le cui guardie nazionali dovessero uscire
contra il nimico; di vettovagliare Palermo per cinquanta
giorni; di istituire Gomitati di guerra nelle città lontane
dalla sede del Ooverno e una Gommissione, la quale avesse
a studiai*e i luoghi piii important! a munirsi d*artiglierie ;
in fine, di erigere in Palermo nella nuova via délia li-
bertà un tempio a Nostra Donna delta Vittoria. = Per
raccogliere le forze armate, allora molto sparse neirisola,
il Governo ordinô campi militari a Melazzo, Taormina
Gatania, Siracusa, Girgenti, Trapani e Palermo; ma di
questi campi soltanto quel di Taormina fu mandate a ef-
fetto, nel quale Pracanica riuni buona parte dei difensori
délia caduta Messina: le tregue, fermatesi poco di poi tra
i combattenti, fecero sospendere Teseouzione del décrète
governativo (1). — Lord Napier e il signore di Rayneyal,
(1) Helazzo era stata occnpata da La Masa, il quale, corne scriTemmo
più Bopra, ayeya con sue genti lasciato Messina nella notte del 6 al
7 Bettembre. Bagginngeyalo in Melazzo Orsini con alquanti offlciali^
che nnitifli a consulta di gnem deliberayano da prima di tenere quella
terra, poco di poi di lasciarla, non potendo far fondamento yemno su
le squadre, la cm militare disciplina erasi moltissimo allentata. La ri-
tratta fa si precipitosa da dimenticare nel castello persino la cassa
nûlitare, la quale con le armi, di cui era quello bene fomito, le ma-
Tômoi e le yettoyaglie yennero a mano dei régi.
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176 CAPITOLO IV
oratori d'Inghilterra e di Francia in Corte del Borbone,
appena seppero délie sevizie commesse dai régi in Mes-
sina, in nome délia umaniià chiesero ai Ministri di Per-
dinando, che senza por tempo in mezzo sospeadessero le
ostilità, sino a che fossero conosciute le delïberazioni dei
loro Oovemi intomo alla paciflcazione délia SicUia. Pa-
lermo aveva di buon grade aderito alla tregua e accettata
la mediazione anglo-francese ; e Filangeri avevala forzata-
mente accolta per timoré délie minaccie; ma Napoli pro-
testé subito contra lo inframmettersi di quei due Stati
nelVoperato di un Governo libero e indipendente ; la quale
protesta doveva di nécessita ritardare la sommessione deU'i-
sola, che con tutta certezza si aspettava. Non era questa
una giusta affermazione, perô che i régi tenessero soltanto
la brève marina che da Scaletta corre a Messina e a Me-
lazzo; e di queste ultime due terre avessero i régi oonqui-
stato la prima dopo sanguinosissima lotta, Taltra senza gloria
aflTatto, perché non munita di presidio. Invero al Re tor-
navano d*assai grave svantaggio le tregue impostegli da
Bretagna e da Francia; il sospendersi délia guerra, mon-
tre scemava dimolto ne'suoi soldati l'entusiasmo délia
vittoria di Messina, dava allora tempo al Governo sici-
liano d'apprestare nuove armi, d'accrescere le difese e di
riparare, in parte almeno, ai danni arrecatigli délia per-
dita di quella città.
n Borbone, quando gli pervenne la novella dello appro-
dar felice delFesercito di spedizione alllsola e del primo
affronte da esso combattuto coi Siciliani — che fu nella
nette del 4 settembre — forse di sua opéra malvagia ver-
gognando davanti ai rappresentanti del Paese, o per non
vedersi da questi opporre ostacoli airimpresa prospera-
mente cominciata, il Borbone, io dico, deliberava di pro-
rogare il Parlamento. Il mattino del 5, poco prima del
raccogliersi delFAssemblea, quanto eravi di piii vile e
spregevole nella plèbe napolitana percorreva le vie con-
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LA 8IGILIA S FSBDINANDO BOBBONE 177
tigue al palazzo sede del ParlamentOy alzaado gridi feroci
di morte ai Deputati, allô scopo di impedire il loro adu-
aarsi. Punto intimoriti dalle minaccie délia plebaglia bor-
bonica, numéros i recaronsi aU'Assemblea (1), che pochi
istanti dopo lasciarouo, licenziati dal ministro Ruggero, in
forza del regio decreto, col quale veniva slno al cadere
del novembre prorogato il Parlamento. La brutta sceoa
del mattino rinnovossi in quel giorno più tardi e dal più
turpe popolaccio rappresentata; erano donne di malo af-
fare, uomini avanzo di prigioni e riâuto d*ogni società^
birri e soldati che correvano tutta Napoli condotti da un
prête, il quale agitava al veDto un lenzuolo appeso a una
pertica, e sudicio quanto Tanirna di quella gente perduta,
che in mezzo a gridi sediziosi faceva udire gli evviva al
Re, Al suo avvicinarsi i cittadini fuggivano spaventati;
indovlnando le disoneste mire del Governo, che per quella
prezzolata canaglia tentava spingerli a tumulto e dare po-
scia al sacco la terra e forse aile stragi, chiudevansi entre
lor case. I Lazzeroni dei quartier! di Montecalvario e Pi-
gnasecca con la bandiera ai colori nazionali mossero in-
contro a quella mala gente, e trovatala poco lungi dal
palazzo regio, gridando viva il Re, viva la Costituzioney
l'urtô con tanto impeto da romperla sîibito e mapdarla in
fuga. Il Governo, che attente vigilava, visto che a* suoi
venduti toccava la peggiore, spediva loro aiuto di solda-
tesche; le quali usarono le armi non contra i promovitori
di tumulto, ma contra i provocati : onde dei Lazzeroni
caddero morti, feriti e alcuni furono condotti in carcere;
allora ogni cosa tornô alla quiète. Fallito il tentative di
levare la città a romore e i cittadini contra gli ordini co-
stituzionali, il ministre Bozzelli — secreto concitatore a
sedizione — passava alla istruzione pubblica e Langobardi
(1) Qael gionio i Députât! contaronsi centoBstte; quanti non eransi
raccolti mai a Parlamento durante quella sessione.
12 — Vol. n. MA11IA5T — Skwria poU e mil.
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178 CAPITOLO IT
diyentava Ministro sopra gli affari esterai. — La norella
del racquisto di Messina riempi di gioia il re Ferdinando
e i suoi consiglieri, racquisto che largamente compensolU
del danno délia non avrenuta sommossa, la quale dovera
lor porgere il pretesto di togliere al reame le franchigie
costituzionali e farla flnita coa la libertà. Ma quella gioia
fu di 11 a poco contristata dalle tregue siciliane ingiante
a Napoli da Inghilterra e da Francia con modi, se non
imperiosi, certo pieni di minaccie; le quali tregue, uello
aspettamento di quanto gli Stati mediatori avrebbero riso-
luto, in générale per paciâcare Tltalia, in particolare poi
per la Sicilia, dovevano impedire il rinnovarsi nelle attire
paru deWisola le ributtanti scène di devastazione avte-
nute in Messina, corne Tammiraglio Parker ebbe a scri-
vere a lord Napier. Sottoscrissero le tregue per Ferdinando
Borbone il générale Filangeri ; per Sicilia, il ministro Tor-
rearsa; per Francia, Tammiraglio Baudin; e per Bretagna,
l'ammiraglio Parker; patti di quelle furono: = Che i régi
dovessero tenere la contrada terminata dal mare e dalla
linea, la quale dal congiungersi délia via Barcellona con
la via di Patti, passa per Barcellona, Gentineo, Pozzo di
Gotto, le sommità dei monti di Rosimano, Artalia e scende
alla marina di Scaletta; che la linea dei campi siciliani
dal capo Tindaro — tra Barcellona e Patti — avesse a
passare per Oastelnuovo, Trifù, Noara, Graniti, Mola e
finire al capo di Taormina, a mezzogiorno di Scaletta:
rimanendo poi neutrale il paese situato tra i campi borbo-
nici e siculi, e da reggersi giusta le leggi del govemo
deirisola, cui dovevano obbedire i pubblici officiali; che le
imposte, da questi riscosse, dovessero per li consoli fran-
cesi e inglesi spedirsi a Messina allô scopo di soccorrere
gli abitanti, che durante la guerra avevano sofferto i mag-
giori danni; in fine, Sicilia e Napoli tenessero sospese le
armi sino a che, disdette le tregue dieci giornî innanzi
dagli ammiragli di Bretagna e Francia, si potesse venire
a nuova guerra senza offendere quoi patti = La mala riu-
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LA 8ICILIÀ S FSRDINAKBO BOBBONS 179
sclta del tentatiyo del 5 settembre aveva reso il Borbone
piu circospetto; e sebbene ei fosse d'ogni indugio insoffe-
rente, nondimeno per assicararsi Tesito che egli voleva
raggiungere, finse di non avversare quelle libertà, che, il
giorno stesso in cui erano state da lui concesse ai sudditi,
aveva deliberato di spegnere al primo offrirglisi di occa-
sione favorevole. I Deputati, ai quali non era tornato dif-
ficile cosa lo indovinare i segreti disegni del Re, prepa-
raroosi a combatterli in Parlamento, che di li a brevi
giorni dovevasi raccogliere; ma Ferdinando Borbone, al-
lora in Gaeta a festeggiare il Pontefice fuggitivo di Roma,
non credendosi bene apparecchiato alla lotta, il 30 novem-
bre spediva ai Ministri suoi un décrète» col quale proro-
gava TAssemblea al primo febbraio del prossimo anno.
Mentre tali fatti compivansi in Napoli, il Governo sici-
liano intendeva tutte sue cure a preparare la guerra, che
bene prevedeva non lontana. Riordinato e portato a nu-
méro Tesercito con nuova leva e coi licenzlati da quelle
del Borbone e rimandati gli ufflciali ritenuti inabili per
difetto di studio o poca attitudine al mestiere délie armi,
creava inspettore suprême di esso il générale Antonini,
con titolo e grade di maresciallo; e siccome egli era sol-
dato vecchio e provato (1), cosi veniva bene accolto dal
popolo; in fine, chiamaya in Sicilia Luigi Mieroslawski,
uomo svisceratissimo délia libertà e pratico délie guerre
di popolo, nominatolo brigadiere, ponevalo a capo dello
Stato Maggiore générale délie forze armate regolari. An-
tonini e Mieroslawski, i quali avrebbero dovuto operare
sempre in buono accorde nell'interesse del paese che ave-
vali soldat], e per quelle eziandio d^la causa che difen-
devano, invidi l'une deU'altro deirofflcio lor conferito dal
(1) n générale Antonini, combattendo pochi mesi innanzi nelle Ve-
nezie, avea perduto un biaccio.
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180 OAPITOLO IV
Governo, e ambiziosi deirautorità suprema, tentarono so-
praffarsi a vicenda. Antonini aveva cercato di recarsi in
mano il governo di tutte le armi deirisola, che perô non
gli fu coûferito mai, reputandosi essere Tanità del comando
di pericolo alla libertà, awegnachè possa facilmente mu-
tarsi in dittatura militare. Offeso dal diniego dei Ministri,
il générale, fatta rinuncia al proprio offlcio, partissi di
Slcilia ; allora il governo prese al soldo De Trobriand, un
vecchio soldato délia Repubbiica francese e del primo im-
perio napoleonico; 11 quale, creato maresciallo, assunse il
comando deiresercito. Nel gennaio 1849, le forze armat<^
regolarl contavano quattordici mila uomini; le irr^folari,
cinque mila; in oltre trovavasi agli stipendi délia Sicilia
un battaglione di volontari francesi e polacchi, seicento
allô incirca; i cannoni (Ja campo erano ordinati in due
brigate; gli artiglieri presidianti le fortezze, in tre. L'ar-
mata constava di due'^ navi a vapore e moite barche can*
noniere, e doveva poi tra non molto afforzarsi di diie
frégate a vapore, comperate dal Governo nei cantieri di
Londra ; ma di queste una sola giunse a Palermo, e fu in
sul cadere del marzo ; airaltra venne impedita Tandata a
Sicilia da Castelcicale, oratore napolitano in Cîorte d'In-
ghil terra; il quale, mettendo innanzi la legge che proibiva
ai sudditi inglesi d*armare, senza licenza regia, sul terri-
torio britanno navi a danno di uno Stato amico, chiama-
vane 1 costruttori davanti al tribunale; i quali poi erano
rimandati assolti. Il Governo siciliano avrebbe bene prov*
veduto alla guerra comperando navi usate, che in brevi
giorni sarebbersi potute apprestare alla difesa dell'isola;
acquistandole sui cantieri furono di veruno aiuto, a cagione
del molto tempo che abbisognô per compierle e armarle.
— Gli Stati mediatori, i cui buoni offlci avevano sine al-
lora a nuUa approdato, erano tra loro discordi nei mezzl
di paciâcazione; Tlnghilterra, avversa alla restaurazion^
del re Ferdinando neirisola, resavi omai impossibile dalle
stragi di Messina, dopo il riâuto del Duca di Genova, rt^
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LA SICILIA B FBBDIKAKDO BOBBOXB 181
patara unica via Ai raggiungere la pace quella che, mon*
tre conduceva alla separazione di Napoli la sollevata Si-
cilla, ne dava la corona ad un fig^liuolo del Borbone, il
quale avrebbe dovuto regnaresovr'essacon la costitusione
del 1812; allo incontro la Francia, pur desiderosa di ve-
dere presto pacificata Tltalia, proponeva che la Sicilia
avesse Parlamento, amminlstrazione, esercito proprio, ma
che le due corone si portassero da un solo principe. Se
non che i Siciliani, i quali non volevano più sapere di si-
gnoria borbonica, avevano niegato di accettare quelle pro-
poste; e il re Perdinando, che non rioonosceva in rerun
Governo straniero il diritto d'intervenire nella contesa coi
sudditi suoi e rispettava le tregue di Messina soltanto per
timoré délie armate di Francia e d'Inghilterra, aveva bu-
perbamente respinto quanto dai Ministri di Parigi e di
Londra eragli stato messo innanzi. Il 16 dicembre il signor
di Rayneval e lord Temple — inviato a Napoli da Palmer-
ston, allora accostatosi aile proposte francesi — presenta-
vaao al principe di Cariati Vultimatum dei loro Ooverni,
nel quale affermavasi: — Potersi ristabilire pace e con-
cordia tra i due reami mediante istituzioni politiche, ammi-
nistrazione, Parlamento ed esercito separati, sotto un unico
8o^Tano. = 11 Ministre di Ferdinando rispondevaaquellicosi-
= Il Re essore conyinto délia impossibiiità di raggiugnere
lo intente desiderato, se non per mezzo délia unione délie
forze di terra e di mare di Napoli e Sicilia ; le opinion! di
Pranciae d'Inghilterra, in taie faccenda, contraddire a quelle
del Re, suo signore, e aile urgenti nécessita dell'isola. Av-
vertirli, che nelle conferenze da tenersi per risolvore sopra
la questione siciliana coi rappresentanti degli Stati media-
tori dovranno eziandio intervenire quelli d'Austria e di
Russia, che nei trattati del 1815 ébbero a gxmrentire alla
fnonarchia borbonica il possesso e la integrttà délie Due
SicUie. = Rayneval e Temple replicavano: = Argomento
principalissimo del Re contra la separazione deiresercito
e deirarmata di Sicilia e di Napoli essore la difflcoltà di
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182 CAPITOLO lY
soldare gente nell'isola; la quale farebbe si che in sul
principio l'uno e l'altra sarebbero composti soltanto di na-
politani. Superata con lo andare del tempo taie difflcoltà,
e facondosi le levé in ragione di popolazione, avverrebbe
che nelle armi Telemento napolitano troverebbesi sempre
prépondérante dimolto; perô che il reame di Napoli fosse
in abitanti tre volte tanto quel di Sicilia, le cui libertà
non sarebbero perciô mai bastevolmente guarentite. La
sospensione délie ostilità essere stata creduta necessaria
per non lasciare l'isola aU'esercito minacciosamente inva-
dente, il barbare operato del quale aveva mosso nuovi odi
nella Sicilia, I Governi di Londra e di Parigi volere bensi
usare di tutta la loro superiorità e amicizia per ricon-
durre a pace i combattenti ; ma per raggiugnere taie scopo
non volere servirai mai délia forza. = Di quale vantaggio
poteva dunque essere alla Sicilia una mediazione pura-
mente offlciosa? Russia, la quale aveva mosso grave cen-
sura all'operato degli Statî mediatori per le tregue di
Messina, reputandole offensive alla indipendenza di Napoli,
difendeva il re Ferdinando; ond'esso, forte di si valido
appoggio, irridendosi di Bretagna e Francia, protestava^li
voler nuUa concedere ai ribelli.
Di quel giorni la libertà andava sempre più perdendo
del campo in Europa, eccetto in Italia, ove perô a mala
pena si sosteneva; dovunque duravano le simpatie dei po-
poli per la causa siciliana, ma erano tutte sterili, avve-
gnachè nessuno di essi la potesse soccorrere d'armi. Sar^
degna e Venezia afTorzavano bensi Tesercito, ma per uscire
alla campagna contra TAustria, la quale se non assaltavâ
l'émula sua, premeva perô fortemente ; e Roma e Toscana
avevano poche soldatesche e maie ordinate. Quale cosa
pertanto rimaneva ai Siciliani, se non sommettersi o pre-
parare la guerra? Chiamati a deliberare gridarono una-
nimi la resistenza. — Il re Ferdinando, respinte le pro-
poste d'Inghilterra e di Francia, il 28 febbraio offriva a
Sicilia la pace con le seguenti concessioni : = Istitazioni
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LA SJCILIA S FSBDI17A17DO BOBBONB 183
politiche separate e spéciale Parlamento; in sua assenza
il Re farebbesi rappresentare da ud yicerè, cui darebbe
quelle attribùzioni e quei poteri che sarebbe per determi-
nare. L*ammiiiistrazione interna verrebbe affatto separata ;
donde la cessazione d'ogni promiscuità d*officiali negli or-
dini civili, cioè che in Sicilia tutti gli uffizi sarebbero oc-
cupai da Siciliani eletti dal Re. Le spese comuni aile Due
Sicilie si ripartirebbero tra le due parti del reame nella
proporzione numerica dei loro abitanti, o flssate a tre mi-
lioni annui di ducati; gli esiti straordinariy cui avevano
dato luogo gli avvenimenti del 1848 e 1849 — erano le spese
délia guerra sostenute da Napoli, un milione e mezzo di
ducati — da pagarsi dalla Sicilia. Amnistia piena e in-
tiera (1), eccetto a quarantaquattro Siciliani, i quali dove-
vano temporaneamente allontanarsi dairisola, sino a che
la tranquillità vi fosse ristabilita. Le milizie régie, oltre
le terre che già tenevano in Sicilia, presidierebbero Sira-
cusa, Trapani e i forti di Gatania. Il Re afflderebbe a
tempo la tutela deirprdine in Palermo aile guardie nazio-
nali délia città, mettendoyi perô un presidio di sue solda -
lesche per difendere le persone e gli averi, qualora se ne
mostrassero inette le guardie nazionali, nel quale caso ver-
rebbero queste licenziate. Tali concession! poi intendereb-
bersi corne ne promesse ne fatte, se la Sicilia non si
sommettesse immediatamente airautorità del legittimo so-
vrano; imperciocchè, se Tesercito regio dovesse usare la
forza per lo acquisto délia parte delFisola non ancora oc-
cupata, questa esporrebbesi a tutti i danni délia guerra e
alla perdita dei vantaggi assicuratile dalle presenti con-
cessionl. = Vuliimatum di Gaeta venue il 6 marzo tras-
messo al Ministre siciliano sopra gli affari esterni dagli
(1) Non ostante la pienezza dell'ammstia escludeyansi da questa
quarantaquattro Siciliani, qnelli cioè che nei rivolgimenti dell'iaola aye>
Tano avuto la parte maggiore.
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184 CAPITOLO IV
ammlragli Parker e Baudin. — I rappresentaiiti degli
Stàti medîatori avevano di quei giorni riceyuto dai loro
Ooverni nuove prescrizioni sul modo di condursi nella
quistione sîcula; quali le cagioni di si poco leale mu-
tamento? In Francia la poliUca aveva avuto da Luigi
l^apoleone ua avviamento ostile aile lîbertà popolari;
il nepote del grande capitano, appena gridato Présidente
délia Repubblica, aveva rivolto in sua mente la restaura-
zione deirimperio: onde per non aversi nell'ardua impresa
nimici i regnanti in Europa erasi fatto sostenitore dei loro
dirittiy anche se danneggiassero ai popoli; e da prima
prendeva a favoroggiare la causa di Perdinando di Napoli,
di poi quellà del Ponteftce, provvedendo cosi vantaggiosa-
mente agli ambiziosi suoi disegni, assai maie perô alla sua
fama. L'Inghilterra poi, la quale per indipendenza di na-
zioni non fece guerre mai, e in contese straniere inter-
venue allora soltanto che vide minacciati i propri interessi,
non indugiô a seguire le idée di Francia nella paciflca-
zione di Sicilia e Napoli, non estante che la via segnata
dallo Stato compagne suo nella mediazione fosse poco ono-
revole. Prova di ciô il diniego del Governo del Buonapane
alla uscita di Marsiglia délie artiglierie comperate dai
Siciliani; il passe per Francia impedito agli Svizzeri sol-
dati da quelli ; Tordine date ai suoi legni a vapore postali
di non approdare ai porti dell'isola, quando fossero riprese
le ostilità; ed eziandio quelle di far sparire o di aprire le
lettere dei Commissari siciliani allora in Parigi, Le quali
indegne vessazioni e ingiuste molestie facevano conoscere
quanto il Présidente délia grande Repubblica fosse poco
inchino a difendere le libertà popolari: invero rivelavano
l'uomo del 2 dicembre! Gli Stati médiate ri non guarenti-
rono nemmeno lo Statuto, che il Borbone aveva promesse
di concedere tra quattro mesi, cioè quando l'isola, posate
le armi, fosse con tutte le sue fortezze venuta a mano del-
Tesercito regîo. Se nel 1815 il Governo inglese, soscrivendo
i trattati di Vienna, erasi fatto mallevadore del possesso
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LA SICILIA E FSRDINANDO BOBBONE 185
pieno e intero del reame délie Due Sicilie alla dinastia dei
Borboni, aveva poi altresi guarentito alla Sicilia la costi-
tuzione del 1812 ; Inghilterra e Prancia, dt)po avère gridato
contra le sevizie commesse dai soldati del re Ferdinando
inMessina e incoraggiato gli isolanialevarsi in su l'arme
pertogliersi alla tirannide borbonica, abbandouavano al-
loracon grande vituperio quella bandiera, che pochi mesl
inoanzi avevano riconosciuta e salutata. Ad accrescero tal
Tituperio, che già fortemente pesava sul Governo di Napo-
leone, Tammiraglio Baudin, per comandamento del signore
di Rayneval, spediva una nave a vapore a spargere nelle
città siedenti su la marina sicula il manifeste délie con-
cessioni del re Ferdinando; la quale cosa mosse giustamente
gli sdegni dei Palermitani, i quali, ritenendo a buon di-
ritto offesa la dignità délia nazione e del Governo, in-
sieme ai manifesti del Borbone avrebbero arse le insegne
dei consoli d'Inghilterra e di Francia, se cittadini autore-
voli non fossero intervenuti a impedire quell'insulto, che
avrebbe potuto crear loro gravi irabarazzi. Dovunque il
popolo diede quei manifesti al fuoco alla presenza dei ma-
rinai francesi e in mezzo ai gridi dell'entusiasmo piii ar-
dente di guerra ai Borboni, In taie faccenda Buonaparte e
Palmerston governaronsi senza umanità e molto slealmente ;
avyegnachè lor poco importasse di gettare l'isola negli
orrori di una guerra civile, pur di mettere presto fine a
quella lotta, che per le gravi sue spese era sommamente
dannosa al Re: cosi il 15 marzo scriveva Baudin al Mi-
nistre siciliano Butera. Il quale, cinque giorni di poi, agli
^miragli di Francia e Bretagna, significantigli: che se
Ferdinando Borbone si impazientisse délie tregue, glà da
Inngo tempo fermate, dovesse ritenerle disdette dal 19
ïûarzo, rispondeva fleramente: = Potere il Re ripigUare
le ostilità all'alba del 29, come il Governo dell'isola tro-
vavasi nel pieno diritto di riprendere le armi in quel
giorno. = Il 23 marzo 1 Ministri, venuti in Parlamento,
^Qunziavano ai rappresentanti del popolo di avère rice-
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186 CAPITOLO IV
vuto nel mattino alcuni articoli co^ne ultimatum del Re
di Napoliy identici a quslli delVatto di Gaeta, ma cfie essi
non potevano portare al cospetto dei Députait délia na-
zione. Interpellati questi se desideravano leggerli, Raeli
rispondeva: « Noi li conosciamo, per essere stati pubblicati
da chi non ne aveva il carico ; la risposta già tutta la Si-
cilia rha data, e il Parlamento non puô darne altra che
questa: guerra! » Allora i Deputati levaronsi a gridare:
guerra! guerra! e il popolo, cola raccolto, ripetè quel grido
col più grande entusiasmo. — La novella del prossimo ri-
cominciarsi délie ostilità venue in tutte le parti dell'isola
festeggiata cou luminarie e canti guerrieri, cui accompa-
gnossi il suono dei sacri bronzi. Fu scritto che di quai
giorni non delitti, ne tumulti, ne disordini turbarono la
gioia universale; che parve spento ogni odio; deposta ogni
inimicizia e ogni ira; dimenticato ogni rancore; gli uomini
erano diventati fratelli; unico pensiero era la salvezza délia
patria, alla quale avevano rivolto tutte le loro cure-
Il Governo dell'isola, credendo che tosto o tardi lo sforzo
armato dei régi sarebbesi portato sopra Palermo, deliberô
munirla di valide difese ; al quale intente désigna di sca-
varo fossi e innalzare un vallo dal lato di mezzogiorno e
fuor délie mura, chiamando al lavoro gli abitanti, i quali
in gran numéro risposero all'appello dei loro supremi reg-
gitori. Vidersi in quoi giorni persone d'ogni ordine e stato,
d'ogni età, di ogni sesso e condizione sostenere aspre fa-
tiche, cui non erano state usate mai ; vidersi insieme con-
fusi sacerdoti e soldati, patrizi e plebei, ricchi e poveri
in generosa concordia gareggiare nel lavoro; e venue
eziandio gente dalle campagne circostanti alla città a dare
aiuto all'opera, onde questa fu condotta a termine in bre-
vissimo tempo: è fama, abbiano lavorato attorno aile for-
tificazioni da cinquanta mila persone. In mezzo al romore
incessante degli istrumenti da lavoro udivansi migliaia e
migliaia di voci cantare inni di guerra; altre, maledire al
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LA SICILIA B FBBDINANDO BOBBONB 187
Borbone; tutte poi augurare la vittoria aile armi patrie.
E queste impugnavano gli studenti deiruniversità, i quali,
ordinati in legione, il 30 di quel mese di marzo andavano
a campeggiare Misilmeri. Tre giorni innanzi il battaglione
di guardie nazionali mobilitate erasi recato a presidiare
Termini. Il clero palermitano, non volendo essere da meno
de' suoi concittadini nel servire la patria» diedesi a predi-
care al popolo la perseveranza e la fermezza nel difendere
la libertà; in dire, a raccogliere elemosine e doni per
soccorrere le famiglie, cai la guerra aveva tolto Tunico
sostegno; in fine, a curare i feriti e portare i conforti délia
religione a chi cadeva combattendo. — Mentre dai Sici-
liani apparecchiavansi le resistenze e dal générale Filan-
geri apprestavansi contra quelli le oflfese, il Borbone li-
cenziava i rappresentanti del popolo; i quali, al primo
riuriirsi a Parlamento — e fu in sul cominciare del febbraio
— avevanlo supplicato d'allontanare da se i Ministri, che
allora governavano lo Stato, perché indegni di tanto offi-
cie, e di eleggere poscia a consiglieri suoi uomini onesti
e che godessero délia fiducia popolare. Il Re, non solamente
niego soddisfare a taie giusta richiesta, ma non voile
nemmeno ricevere la demanda da quelli dettata in termini
rispettosamente dignitosi; e anzi, dopo averli lasciati per
alquanti giorni discutere e approvare buone l^gi — che
noû dovevano perô avère mai la regia sanzione — a mezzo
il mese di marzo, e proprio quando era vicino il rinnovarsi
délia guerra, rimandolli a loro case. Questo atto som-
mamente audace, che in altri principi sarebbe stato la
espressione di sicurezza interna, era nel Borbone quella
del piit grande timoré. Con le tentate sedizioni, col susci-
tare il popolaccio a tumulte contra il Parlamento non es-
sendogli riescito di sgomentare i Beputati e renderli osse-
queutl alla sua volontà, e mostrandosi essi ogni di piii
minacciosi e audaci al segno di muovere aspre censure ai
Ministri, governanti la cosa pubblica gius*ta i rei intendi-
menti del loro Sovrano, il Borbone se ne disfece. Taie
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188 CAPITOLO IV
attentato alla libertà avrebbe potuto tornare fatalissimo a
lui e alla sua dinastia; perô che, se TAustria fosse stata
Tinta nella guerra di quei giorni mossa alla Sardegna, la
Sicilia sarebbe andata irremissibilmente perduta per Fer-
dinando, e il suo trono avrebbe corso gravi pericoli. Non
ostante che l'esercito regio, designato a fare Timpresa
deirisola, contasse di soldat! tre volte tanto quelle dei Si-
ciliani, in oltre avesse buoni ordini e fosse retto da of-
flciali vecchi, provati e nell'arte bellica istruttissimi, non
portante vera sicurezza di vittoria non possedeva. Anima-
tissimi e deliberati a difendersi siuo allô estremo erano
gli isolani; Messina aveva chiarito quanto valessero e po-
tessero; e se mancavano di capitani esperti nelle armi e
nel governo délia guerra, non mancavano perô di virtù
militari, erano pieni d'entusiasmo e vivamente desiderosi
di venire a giornata con gli invaditori. Sebbene sapessero
di quanto la parte avversaria li superasse in numéro, pure,
non disperando di resistere con vantaggio a quella piena
di nimici, affaticavansi alla sainte délia patria, Fu brève
la lotta; fu loro contraria la fortuna délie armiî Sicilia
non sarebbe caduta se, riconosciuta la repubblica romana
al suo gridarsi in Gampidoglio, avesse con questa acco-
munate le forze per guerreggiare nel medesimo tempo i
régi nel reame e neU'isola. Le genti délia repubblica erano
poche, ne bene ordinate; ciô non portante esse, che di li
a non molto con tanto onore sostennero violente assedio*
affronti e combattimenti sanguinosi con esercito floritîssimo
di Francia, invadendo le provincie napolitane avrebbero
potuto soUevarne le popolazioni e condurre aU'ultima ro-
vina il trono borbonico. Ma i supremi reggitori délia Si-
cilia, 0 per naturale timidezza, o per essersi inspirati a
principi di esagerata prudenza, tardarono assai a ricono-
scere la romana repubblica; ne vollero unirsi mai a questa,
sebbene godessero délie stesse libertà, perché gelosi del-
Tautonomia dell^isola, ed anche perché non possedevano
la magnanimità di sacrificare la propria indipendenza —
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LA 8ICILIA B FXBDINANDO BORBONB 189
una indipeadenza tutta municipale — ai supremi interessi
deiritalia. Ëssi aderirono bensi ^1 disegno d'una Costi-
tuente, di quesio grande atto délia vita politica italiana,
ma auUa fecero a vantaggio di quella; e credettero far
molto decretando, il 19 dicembre, che, se nella penisola si
riunisse un' Assemblea Costituente rappreseniante i vari
Stati delVltalia, la Sicilia, q%uile uno degli Stati liberi e
indipendenti, m si farébbe rappresentare. — Una stretta
unione deirisola con Roma era avversata dai Ministri, te-
mendo che Videa repubhlicana — già nei voti délia mas-
sima parte de! popolo — per quella unione s'afforzasse tanto
da venire acclamata in Sicilia (1).
(1) Era noto a tatU che il principe di Butera, Ministro sopra gli
ftffieui estemi, ayeya piotestato di non yoler seryiie sotto aitra bandiera
che non fosse monarehica e eostituzionalt.
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CAPITOLO V.
La Sardegna préparas! a nuova guerra
contra TAustria.
Il ministro Pinelli; tumnlto in Genora; Gioberti e la federazione ita-
liana. — Nnove g^ravezze dell'Aastria snl Lombaido-Veneto. —
Gioberti creato Ministro. Bespinti i snoi disegni d'interrento a^
mato in Toscana e in Borna, Gioberti rinanzia all'oi&cio suo. —
n GoTemo aardo prépara la gnerra contra l'Anstria; Chrzanowski
— L'Anstria, FUngaria e la Oroazia; sollevazione di Yienna: Fer-
dinando abdica alla corona ; Francesco Giuseppe gridato Imperatore.
— Gnerra Anstro-Ungarica. — Moto popolare a Berlino. — La con-
ferenza d'Alessandria.
La Sardegna, airudire le tregue fermate da Carlo Alberto
in Milano e riaffermate di poi, sebbene con aperta mala
fede violate dagli Austriaci, profondamente si commosse:
ne yalsero a confortarla le parole geaerose, che il Re ebbele
rivolte dal suo campo di Vigevano (1) brevi giorni dopo
avère rivalicato il Ticino ; e la sua commozione mutossi poi
(1) « PopOLi DBL Bbgno! L'indipondonza délia terra italiana mi
spinse alla gnerra contra il nostro nimico. Secondato dal valore del mio
esercito la yittoria sorrise da prima aile nostre armi ; nô io, né i miel
figli abbiamo retrocednto al pericolo; la santità délia causa raddoppiara
il nostro coraggio. Il sorriso délia yittoria fa brève; il nimico ingros-
sato, il mio esercito qnasi solo a combattere, la mancanza dei viveii
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LA 8ABDS0NA PBEPARA8I A KUOVA OUSBRA EGO. 191
m fîero sdegno quando seppe, che per gli intrighi di Oorte
e, peggio ancora, per le mené di un Governo nimico al-
17talia i Ministri arevano fatto rinunzia al loro offlcio. Il
carico di comporre la nuova amministrazione del regno
veniva allora dal Re commesso airayvocato Pinelli ; il quale,
il 16 agosto, costituivala dei generali Da Bormida, Lamar-
mora e Perrone, d*Alfieri, di Merlo e degli ^ntichi ministri
Pareto e Ricci. « Questo Governo, cosi Riccardo Sineo,
creato sotto la pressione délia parte aristocratica, era
ugualmente gradito alla parte austriaca. É questa ana dura
verità che vorrei abolita, ma che non debbo nascondere;
anche il partito austriaco esisteva in Piemonte » (1). Da
ci costrinsero a iasciare le porizioni per noi conqnistate , le terre già
fatte libère dalle armi italiane. Con l'esercito io mi era ritirato alla
difesa di lOlAno; ma stanco daUe Innghe fatichei non poteva qnesto
resistere a nna nnoya battaglia campale, perché anche la forza del
prode Boldato ha i snoi limitL L'interna difesa délia città non poteva
Bostenersi; mancavano danari, mancavano sufficienti mnnizioni di guerra
e di bocca; il petto dei cittadini avrebbe forse potnto per alcnni giomi
Tesiatere, ma per seppellirci sotto le rovine, non per yincere il nostro
nimico. Una conyennone fb da me iniziata; dai Milanesi medesimi fa
prosegnita, fn sottoscritta. Non ignoro le accuse con le qnali si yorrebbe
da alcnni macchiare il mio nome; ma Dio e la mia coscienza sono
testimoni délia integrità délie mie operazioni; lascio alla Storia il gin-
dicarle. Una tregna di sei settimane venne stabilita per ora col nimico ;
e avremo nell'intervallo condizioni onorate di pace, o ritomeremo nn'al«
tra Tolta a combattere. I palpiti del mio cuore forono sempre per Tin-
dipendenza italiana ; ma ritaUa non ha ancora fatto conoscere al monde
cbe pu6 fare da se. Popoli del Regno! Mostratevi forti in nna prima
SYentnra; mettete a calcolo le libère istituzioni che sorgono nnove tra
^oi; se, conoscinti i bisogni dei popoli, io primo ve le ho concednte, io
Bapr6 in ogni tempo fedelmente ossenrarle. Ricordo gli evviya coi qnali
a^ete salntato il mio nome; essi risnonayano ancora al mio orecchio
nel fragore délie battaglie. Confldate nel yostro Re; la cansa délia
i&dipendenza italiana non é ancora perdnta n.
« Date in Vigevano, 10 agosto 1848. r
c Carlo Albebto. »
(l) Alcuni cenni agli Elettori, cart. 12; Torino, 1849.
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192 OAPiTOLO y
prima la parte libérale accoglieva i nuovi Ministri con
somma diffldenza; perô che fosse noto a tutti essere
Pinelli poco favorevole a larga libertà e, quel che mag-
giormente la impensieriva, eziandio avverso ad ogni poli-
tico rivolgimento, forse perché non possedeva ingegno ne
forza bastevoli a bene guidarlo; onde pur sospettava délie
fntenzioni del Monarca. Se non che, quando il Ministre
ebbe chiarito gli intendimenti suoi, cioè di volere rispet-
tate le franchigie costituzionali e avère deliberato di ri-
tentare la prova délie armi, nel caso in cui gli Stati me-
diatori non riuscissero a condurre l'Austria a onorevoli
accordi di pace, la parte libérale quietossi, non senza pero
lasciar mai di invigilare attentissima su Topera dei Mi-
nistri. Le parole di Pinelli non poterono tranquillare Ge-
nova (1); ove la parte repubblicana piii numerosa che
altrove, anche per li molti fuorusciti italiani che vi si
erano rifugiati, non ponondo fede a quelle promesse, yo-
leva che il Govemo, senza curarsi délie tregue già rotte
dal nimico, siibito rompesse la guerra in Lombardia. Ad
allontanare la tempesta, minacciante turbare la tranquillità
a fatica ricomposta nel paese, il Ministre faceva espellere
dalla città il piii ardente dei repubblicani, il piii audace
degli agitatori, l'esule Filippo De Boni; stolto prowedimento
che, insultando al popolo, destavane gli sdegni e levaTalo
a romore (2). Genova sarebbesi allora insanguinata, se a
(1) La novella délie tregue di Milano, arrivata in Genova il 7 agosto,
ne levô i cittadini a romore; i qaali, dopo aver chiesto e ottenuto che
aile guardie nazionali si rimettessero i forti, distruggevano quelli del
Castelletto e di San Giorgio, perché piû che a difesa stavano a offesa
di Genova.
(2) L'esole Filippo De Boni veniva arrestato nella notte del 31 a-
gosto al primo settembre; per la quale cosa il popolo tnmoltad. Fu
allora che voile non s'avesse a prosegui];^ il gindizio contra i piomo-
vitori délia demolizione del Castelletto e di San Giorgio^ e che a Balbi
Piovera, comandante snpremo délie guardie nazionali, si surro^asse
Lorenzo Pareto.
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LA 8ABDBGNA PSBPABA8I A NUOYA GUSBBA BOO. 19$
quietare i cittadini non fosse corso Lorenzo Pareto; il
quale, con parole piene di amor patrio, piene di forza e
di affetio, seppe moderare le passioni popolari, già vi-
eine a sfogarsi, e far posare le ire. Pinelli, che non sa
0 non vaole riconoscere se stesso causa prima di quelle
perturbazioni, pretessendo essere stata dalla cittadina
sommossa» oltre la dignità propria, offesa la maestà
délie \eggU invia a Genova Ck>mmissario straordinario il
générale* Giacomo Durando; e, volendo reggere a suo
piacimento la cosa pubblica, sospende il riunirsi deirAs-
semblea nazionale. Se ingrato fu sempre ai popoli il Go-
Terne milîtare, quello che allora stava per pesare sopra
oaa città di sensi liberalissimi doveva toruare oltremodo
odioso! Gioberti, cbe ambiva la potestà suprema, a profit-
tare degli improvvidi consigli deiremulo suo diedesi allora
à faxorire il disegno délia Lega italica, già da tempo pro-
posto e in su le prime bene accetto ai regnanti in Italia,
di poi messo da parte, ma che, ritenendosi allora àncora
secura di comune salvezza, veniva nuovamente messo in-
nanzi. Affermavasi dal grande âlosofo, che una Lega po-
îiticcLy montre darebbe alla patria Tunità di cui abbisognava
per diventare potente e libéra, guarantirebbe ai yari Stati
délia penisola Tintegrità del loro territorio; e congiugnendo
le armi di tutta la nazione costituirebbesi un esercito po-
deroso per combattere TAustria con certezza di vittoria
finale; intente questo che si otterrebbe creando con la
Sardegna, la Lembardia e le Venezie un forte règne sotte
la signoria di casa Savoia. Ma la Lega politica ideata da
Gieberti avrebbe impedita, non favoreggiata, la nostra uni-
ficazione ; e la creazione del règne deiraZto Italia avrebbe
indubitabilmente fatto nascere in Francia gravi sospetti a
danno deintalia stessa. Non era poi facile impresa, come
eredevasi da Gieberti e dagli amici suoi, unire di quoi
giorni in lega i principi délia penisola; Ferdinand odiNa-
poli — che da tempo aveva disertate dalla causa patria —
B il Somme Pontefice — il quale era fuggito di Roma per
13 — Vol. U. Mabiaxi — Storia p oh • miL
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194 CAPITOLO V
ripararsi a Gaeta — mostrayaosi apertamente avrersi a
Carlo Alberto, non volendo che egli, col lopo appoggio ,
salisse a potenza e diventasse prépondérante in Italia; in
oltre, il Borbone e il Papa chiarivansi amici airAustria,
la quale se, corne essi speravano, fosse uscita vincitrice
nella seconda guerra contra il Re di Sardegna, avrebbelî
aiutati ad abbattere le liberali istituzioni poco prima lar-
gite ai sudditl e a recuperare altresi la potestà assoluta.
Pur contrario alla Lega facevasi conoscere il Granduca di
Toscana; che, se un di avova mostrato animo bene di-
sposto airindipendenza patria e airimpresa di Lombardia,
indovinati cVegli ebbe i disegni di Carlo Alberto, sepa-
rossi dalla causa nazionale; e, per non avère débite ye-
runo di gratitudine yerso il Re, niegô persino di riceyere
da lui gli aiuti d'armi offertigli per ridurre Liyorno, al-
lora allora leyatasi a tumulto, airobbedienza usata. Se
non giusti, erano perô meritati i rifiuti dei principi ita-
liani alla federazione con la Sardegna, ayyegnachè il Mo-
narca sabaudo, appena rotta la guerra airAustria, inor-
goglito délie yittorie sue, non ayesse piu yoluto trattare
di Lega polittca, ma solamente di ciô che toccaya ai traf-
fici e al mercanteggiare; e quando più tardi propose a
Roma nn'alleanza difensiva, il ministre Pellegrino Rossi,
il quale non yoleva più saper di guerra, soprammodo dope
le tregue di Milano, la respinse. Non isgomentato da osta-
coli si grayi, si difflcili a yincere, Gioberti, ferme ne' suoi i
propositi di federazione (1), riuni allora in Torino a con-
gresso quanto piîi gli fu possibile d'uomini chiari per dot- j
trina e sapienza politica e che eransi accostati ai disegni
suoi. « L'unità italiana, cosi il âlosofo in una allocuzione |
(1) tt Una federazione non ô che on pasao mosso yerso Tuiiità, e
qnesta d contraddittoria alla esistenza dinastica dei Re. Una lega di
Re puô esistere — esiste; ma contra ai popoli, contra al moto délie
idée, non a fayore deUa libertà e délie idée progressive, b
Mazzihi, Scritti politici, vol. vn, cart. 148; Milano, 1864.
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LA SABDSeBTA PBBPARASI A WOVA OUSBBA BCC. 195
ai Pontremolesi, al di d'oggi non ptt6 essere che federativa.
Abbiamo già i rudimenti di questa sacra alleanza nella
lega doganale, la qoale in brève diverrà eiyile. Tutta 1*1-
talia superiore sarà fra poco raccolta sotto lo scettro di
Carlo Alberto. Le nosire divisioni stataali si ridurranno a
sole quattro. »
In questo mezzo da nuove perturbazioni veniva Genova
afflitta. Insofferento di indugi la parte l'epnbblicana aveva
dato fnora cartelli di Costth^ente Italiana allô scopo di
togliere dalla superba ignavia, in cal trovayansi da tempo
1 Minisixi del Re; i quali, cuUandosi nella speranza d'ono-
revole pace, che per essi stavano trattando Francia e In-
ghilterra a Bruxelles» poco o nnlla facevano. A spegnere
quel fuoco di popolare paasione, entro cai sofflavano i re-
pabblicanl più animosi e audaci, fnoco che minacciava al-
largarsi e divampare per tutta la Sardegna, Pinelli coman-
dava al Gommissario regio, che con risolutezza e forza si
servisse di quanto riteneva efficace a impedire ai repub-
blicani di turbare Tordine e la quiète délia città: onde
allora ebbersi a deplorare alcuni morti e feriti. Il troppo
severo procedore del Governo inaspri sempre più gli animi
dei Genovesi e spinse a protestare contra Topera del Mi-
nistre il Parlamento, di quel giorni raccolte per Tagitarsi
minaccioso délie popolazioni ed anche per invite del Circolo
politico di Torino — cui presiedeva Gioberti — il quale, po-
stes! à cape délia deraocrazia costituzionale d'Italia e legatosi
ai Circoli di Genova, Gagliari, Pirenze, Livorno e Venezia,
maneggiavasi per estendere e tener viva Tagitazione po-
polare. Pinelli, interpellato sopra la mediazione, le tregue
e i preparamenti per la nuova guerra, rispondeva: = Base
dolla mediazione essere il rlconoscimento délia nazione ita-
liana e del diritto di costituire le proprie leggi e Tordi-
namento di un forte Stato nelVAlta Italia. L'Austria non
averla ancora accettata, ne scelta la città a sede délie con-
fereaze. Per la violazione délie tregue avère il Governo
fatto le débite rimostranze a Radetzky, le quali furono ap-
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196 CAPITOLO V
poggiate dagli Stati mediatori (1). Quelle tregue non essere
state rinnovate: ma durare di otto in otto giomi sino al
loro disdirsi. Se TAustria non accettasse la mediazione
anglo-francese, o se fosse impossibile comporre amichevol-
mente la contesa, riprenderebbesi la gaerra con lo aiuto
di Francia, in taie caso promesse alla Sardegna; in fine,
deiropportunità di quella essere giudice soltanto il Governo
del Re. == Interne a ciô si discusse per tre giorni e tem-
pestosamente, moite e diversissime essendo le opinioni nel
Parlamento. A porre termine alla quistione, Brofferio pro-
poneva di appoggiare i Ministri qualora, senza attendere
Tesito dei buoni ufBci di Francia e di Bretagna presse il
Governo di Vienna, bandissero la guerra; ma la proposta
di Brofferio mandata a partito ve^iva respinta. Non estante
taie vittoria, Pinelli non giunse a quietare le passioni coni-
movitrici délie plebi, di quoi giorni divenute piii ardenti
e minacciose, causa Tagitazione délie provincie lombarde,
promossa dalle gravi imposizioni, o dirô meglio, dalle ra-
pine commessevi dairavido maresciallo, agitazione clie pa-
rêva dovesse farle prorompere a ribellione; la quale sareb-
besi non poco avvantaggiata dalla impresa di Val dlntelvi, di
cui facemmo parola al capitolo tredicesimo del volume primo
di queste istorie; impresa che, condotta da alcuni capitani di
Garibaldi — dope il combattimento di Morazzone rifugiatisi
nel Canton Ticino — aveva per intente di spingere la Lom-
bardia a soUevarsi contra la dominazione austriacaf per
(1) In virtû deirarticolo secondo dei patti délie tregue di Milano
l'Anstria doveva rendere alla Sardegna le salmerie e gli impedimenti
di gaerra deU'esercito regio; e meta solamente deUe artiglierie Yeuse
restitnita dal maresciallo. — In forza dell'articolo qnarto dovevanâi
Bospendere le armi anche contra Venezie^; e gli Anstriaci assaltaTano
qnesta città e i snoi forti durante le tregue. — In fine, in virtû del-
l'articolo quinto l'Austila doveva rispettare le persone e gU averi dei
luoghi occupati dalle sue soldatesche, e vennero quelle gravate d'iin-
posizioni esorbitanti e di taglie.
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I.A 8ABDE6KA PBEPABA8I A ITUOTA aUEBBA SCC. 197
combattere quindi una guerra di popolo, Tarmi régie
avendo fatta prova infelicissima. Il moto ebbe comincia-
meato e fine in Val dlntelvl, e fu in sul cadere d'ottobre;
per esso patirono gravi danni i poveri abitatori di quella
valle; e par esso potè Radetzky rifornire di danaro Terario
esausto. Non estante 11 perdôno poco innanzi accordato
dairimperatore ai Lombardi e ai Veneti, che avevano preso
parte ai moHpoiiUci di quelVanno 1848, e non estante il
divieto 80Vf*ano dCinquisire qieelli e punirli in verun modo,
il maresciallo metteva forte contribuzione sui membri dei
cessait Govemi temporanei e dei Comitati, sui promovi-
tari delta soltevazione e su chi aveva ad essa concorso
con gli atti e con mezzi matériau e morali. Milano contô
eenaovanta cittadini multati, tra oui alcuni pupiili e per-
sone dévote alFAustria; in oltre, fu multato TOspedale
Magg^iore!?...; la somma délie contribu2ioni sali nella me-
tropoli lombarda a piii di venti milioni di lire. Radetzky
non giunse perô in tempo d*assoggettare a tanta rapina le
altre città, avvegnachè il Governo impériale, non appro-
vando l'operato dèl sue luogotenente, ordinassegli d'aggra-
vare soltanto i fuorusciti e coloro che continuassero a
conginrare contra la signoria austriaca. Montre con taie
determinazione i Ministri di Vienna toglievano a certa ro-
vina molti cittadini, con un altro décrète aggravavano i Co-
muni lombardo-veneti di nuove imposte ; erano, per Tanno
vegnente^ sei milioni di lire al mese da consecrarsi al
mantenimento deiresercito. I tanti danni, che affliggevano
quelle provincie, dates! spontaneamsnte al principato sa-
baudo pochi mesi innanzi, e che violavano le tregue fer-
mâtes! in Milano, nella Sardegna accagionavansi dalle
plebi al Gk>verno dei Re; il cui malcontento scoppiava in
sommossa romorosa al giugnere in Torino délia notizia
dell'assassinio di Rossi e dei turaulti di Roma; e fu il 19
novembre. Fecersi allora in Parlamento piii vivi gli assalti
contra i Ministri, più forti le accuse ; i quali, non potendo
piû rej^rsi, eziandio per essere loro venuto meno Tap-
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198 CAPITOLO V
poggio del Re, desideroso quanto il popolo suo d'uscire
alla guerra, rassegnarono Tofficio loro a Garlo Alberto (1);
lo clie ayvenne nei primi giorni del dicembre.
L'abate Vincenzo Gioberti — che allora godeva deiraura
popolare — avuto dàl Monarca il carico di comporre una
nuova amministrazione, faceva eleggere il générale Ettore
De Sonnaz ministre sopra le armi, Ricci sa le rendite
dello Stato, Rattazzi sopra la giustizia, Sineo su gli aâarî
interni, Gadorna sopra Tistruzione pabblica, Bufia sopra
Tagricoltura, Tecchio sui lavori pubblici, e serbava a se
l'onore di presiedere al Consigna délia Corona e il governo
degli affari esteriori. Il 16 dicembre Vincenzo Gioberti,
recatosi coi coUeghi in Parlamento per far conoscere le
idée e i disegni suoi e dei compagni, disse ai Deputati:
= Lo intervenire di nazioni si chiare e potenti nella
contesa con TAustria tornare a grande onore per la Sarde-
gna; non dover perô mettere in quelle tutte le loro spe-
ranze; la guerra, già risoluta, romperebbesi a tempo op-
portune. = Parlô quindi délia Costituente italiana, ma
coh parole brevi e ambiguë; e sebbene egli affermasse di
voler proteggere le plebi e awantaggiarne le condizioni,
non mostrossi perô favorevole alla democrazia; eppure il
nuovo reggimento çui il Ministro-fllosofo stava a capo, in-
titolossi democraticOy e democrattci voUero chiamarsi
quelli che lo componevano. Il discorso di Gioberti mara-
vigliô gli aderenti e gli awersari suoi ; awegnachè , dopo
avère propugnato con ardore la nécessita di una sùbita
(1) M n Ministero déWopportuniià ô caduto ; voglia Dio che gli suc-
céda il Ministero dtlla nécessita, H paese, senza trascendere a moti
incomposti, ha manifestato con nna fredda tenacità la soa diffidenza per
un Governo, che durante qnattro mesi si tenne penosamente in bilic«
8Q nna qnistione capziosa, mentre i tempi vogliono lealtà e ardimento. •
CiBABB GoBRiNTi, il 4 dicembre 1848, scriveva cod ne' suoi BolUt-
Uni deiremigraeione.
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LA SAJIDBGNA PBXPARABI A MUOVA OUBBBA BOO. 199
gaerra, divenuto Ministro mutasse d'opinione ; délia quale
cosa grandemente rallegraronsi gli amici e i fautori di Pi-
nelli, corne di vittoria riportata. — In sul cominciare del
1849 arrivaya ia Torino il barone Spleny, ungarese, incar
ricato dal suo Governo — il Magiaro — di ripigliare con
quel di Sardegna le pratiche d*aceordo per là nuova
guerra contra Timperio ; le quali pratiche, già imprese nel
laglio deiranno innanzi, erano state rotte dai royesci del-
Farmi régie su l'Adige e sul Mincio e dalle tregue di Mi-
lano. Tra i Ministri di Garlo Alberto e Tinviato magiaro
eonireniyasi : = Ohe si ayessero ad armonizzare le militari
operazioni dei Sardi sul Ticino» sul Po e sul Mincio con
quelle degli Ungaresi sul Danubio per laimpresacomune;
che il Goyerno del Re ordinasse in compagnie e batta-
glioni, e proyyedesse d*armi e di cayalli i Magiari trafug-
gitori» i quali dai cam'pi imperiali di Lombardia fossero
per passare negli Stati del Re ; e allora che ne ayesse da
quattro mila raccolti facesseli da sue nayi trasportare sui
lidi ungarici deirAdriatico ; dai quali sarebbersi portât!
sopra Trieste per tentarla e assaltarla, quando Tarmata
sarda la fulminasse con le sue artiglierie (1).
Per ricondurre (Jenoya alla quiète, Gioberti spediyale il
ministro Buffa, Gommissario regio, con potestà piena e
intiera; il quale, appena arrivatoyi, metteva fuora un ma-
nifesto ai cittadini, in cui, dopo ayer biasimata la poco
dignitosa politica dei Ministri scaduti e censuratine i modi
di goyerno usati yerso la metropoli ligure, ordinaya lo al-
lontanamento dalla città del presidio; in fine, gridaya la
Castituente italiana. Le quali ineaute parole aggiunsero
nuoTO inasprimento ai yecchi odi lungamente esasperati^
(1> La brève guerra di Novara impedi lo effettnarsi di tali diBegni ;
dei molti Ungaresi, che al disdirsi délie tregue di Milano disertarona
dalla TMmdiera anstiiaca, a dngento soltanto fa dato di prendere parte
a quella gaerra tanto gloiiosa, qnanto infelice, che si combatte nella
loro patria.
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900 oAPiTOLo y
«he esistevano tra i Genovesi e la soldatesca régla. La
plebe, vedutasi padrona assoluta délia città, prese allora a
eorrerla tumultuosamente minacciando nobili e ricchi. Non
riescendo a Lorenzo Pareto di freaarla e avendo patito
oltraggio da quella, egli rinunziô al comaado supremo délie
guardie nazionali; al quale nobilissimo offlcio Buffa chiamù
il générale Avezzana, uno dei piii gloriosi campioni délia
libertà italiana; non per questo cessarono i romori (I).
Saputosi ciè in Parlamento^ Pinelli e i partigiani suoi
moBsero gravi rimostranze ai Ministri ; e siccome Qioberti
abbisognava d'ana Assemblea tutta a lui devota per gover-
nare il paese a suo talento, cosi il 30 dicembre licenziara,
a tempo, i Deputati, che dovevano poi riunirsi il 25 geanaio
del vegnente anno. Arverso alla Costituente, quanto fan-
tore ardentissimo délia federazione dei principi italiani,
Gioberti , a vie meglio raggiugneré lo scopo desiderato ,
spediva Gommissari al Pontefice, allora in Gaeta, e al gran-
daca Leopoldo di Toscana a oSï*ire aiuto d*armi régie per
restaurare e aflfermare la loro potestà in Roina e in Fi>
renze. Respinto da Pio IX lo intervenire délia Sardegna
nelle sue faccende temporali (2), Gioberti deputava a Per-
dinando di Napoli il senatore Plezza, che doveva studiarsi
di rawicinare il Borbone alla causa italiana; ma il Re,
niegando di ricevere l'inviato di Sardegna, mandava a vuoto
i disegni del Ministre filosofo (3). Ne Rosellini in Firenze
(1) Il générale Avezzana avova combattuto nella gnerra délia iadi-
pendenza spagnnola, in qnella del 1829 e di poi nella guerra del Mes-
sico, dovnnqne segnalandosi per coragglo e nûlitare sapienza.
(2) Pio IX , che allora respinse gli aiuti di Sardegna, accettè di li
a non molto queUi di Francia, d'Aïutaia e di Spagna: onde a ragione
fa posto nel numéro dei Papi chiamatori d'armi straniere a strazio del-
ritalia.
(3) Délia fidlita spedizione del senatore Plezza la colpa fù da Rie-
eardo Sineo data 9XL*oligareh%a piemantese, la quale impedi di combat-
tere Tazione signoreggiatrice dell'Austria in NapolL — Vedi Gli ul
timi meH del regno di Carlo Alberto, cart. 18; Torino, 1849.
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LA 8ABDEGKA PBSPABA8I A KUOVA aUEBBA XOC. 801
fu piU fortunato m sua missione dei Oommissari Sardi in
Gorte di Gaeta e di Napoli ; nulla egli ottenne dal Graaduca,
nulla da coloro che per lui reggevano la cosa pubblica:
onde di li a poco Leopoldo fuggiva di Toscana; la quale,
per la fiiga del suo principe trovandosi libéra délie sue
sorti e del suo avrenire, gridava allora la repubblica. —
11 rifiuto del Pontefice salvô lltalia dalla guerra civile ;
che sarebbe indubitabilmente nata, se un esercito sardo
aresse invaso le Romagne e assaltata Roma per rimettervi
la potestà temporale dei Papi. Se Francia repubblicana
vituperossi mandando sue armi contra Roma, quanto e
quale vituperio sarebbe venuto alla Sardegna in quella
impresa, nella quale avrebbe ayuto a compagni Austriaci
e Napolitani ? Invero il consiglio di Gioberti fli più che dis-
sennato ; avregnachè pericolosa cosa sarebbe stata togliere
dal Tioino forte presidio d'armi per soccorrere al Pon-
tefice, allora che Radetzky ingrossava Tesercito suo in
Lombardia. Non iscoraggito dalle ripulse di Pio IX e del
granduca Leopoldo, ne dal freddo accoglimento fatto aile
I>arole di Carlo Alberto allô aprirsi del nuovo Parlamento,
Gioberti deliberava d'intervenire con le armi nelle fac-
cende di Toscana per aflTermarvi il principato. Nel suo di-
flcorso ai rappresentanti del paese il Ré aveva taciuto délia
Costituente, ma il suo primo Ministre ne parlô di poi sfa-
Torevolmente : « Quella di Francia del secolo scorso, disse
egli, tutta la insanguinè e la condusse airuccisione del
suo Monarca ; la Costituente romana — alla quale, lui
Ministre, la Sardegna non avrebbe aderito mai, cosi ebbe
risposto un giorno a chi pregato Taveva d'accostarsele —
e la Cùêtituente toscana essere piene di pericoli e àvere
per intente di stabilire la repubblica in Italia. » E siccome
la repubblica farebbe cadere la potestà temporale del Papa
— istituzione che non poteva più rinnovarsi, ne riformarsi
— cosi Gioberti, grande cald^giatore délia federazione
dei principi italiani presieduta dal Pontefice, per rendere
la repubblica impossibile nella penisola, aveva disegnato di
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âOâ OAPITOLO V
spedire a Toscana Tarmi régie aquietarvi i romori e assicu-
rare il trono vacillante del lorenese (1); fatta la quale im-
presa, ritenterebbe l'animo del Papa per quella di Roma.
Accordatosi su ci6 con Leopoldo, senza consultarsi coi. col-
leghi egli comandava ad Alfonso Lamarmora di recarsi coa
sue genti a Sarzana e tenervisi pronto a irrompere in To-
scana; ma poco appresso il Granduca, mutato consiglio, re-
spingeva gli aiuti di Sardegna per darsi in braccio all'Au-
stria. I compagni di Gioberti, allora cbe seppero la cosa,
mossergli, e a buon diritto, acerbi rimproveri : onde gli fu
forza rassegnare il proprio officie al Re» pure contra lui
sdegnato. I Deputati, al cui orecchio erano arrivate voci
vaghe e notizie incerte délia spedizione di Toscana, quando
non videro più Gioberti siedere tra i Ministri, ma in mezzo
a loro — e fu il 21 febbraio di quelFanno 1849 — chiede-
yangli schiarimenti su la faccenda e ragione altresi délia
mutata sua condizione ; ed ei rispondeva: = Causa del dis-
senso coi coUeghi suoi essere l'impresa di Toscana; la
quale, bene accolta da prima^ aveyano rigettata di poi. =
n niegarsi ciô dai Ministri faceva nascere nelVAssemblea
una disputa fierissima, sostenuta con parole oltraggiose e
quasi offensive alla maestà del Parlamento. Il popolo, pré-
sente alla brutta scena, plaudi a Gioberti, creduto vittima
degli intrighi de* suoi nimici (2); i quali allora pubblica-
(1) Nel febbraio 1849 Gioberti al marchese Nerli, oratore del Gran-
duca di ToBcana in Corte di Torino, dava le maggiori assictmudoni ,
« che il restanro si farà con tutti i possibili Hguardi; che Tesercito
sardo verra posto sotto gli ordini immediati del Granduca, occupera i
paesi in suo nome, e al primo suo oenno rientrerà in Piemonte. »
(2) Erano note le ire di Gioberti contra il depntato Brofferio, ohe
f^rono causa di gravissima perturbazione popolare in Torino, avrenuta
la sera del 20 febbraio; nella quale una moltitudine di gcate briaca
portossi alla casa di quel valoroso suo arversario politico e, atterratene
le porte, rinvadeva gridando morte a Brofferio; e certamente sareb-
besi resa colpevole d'atti infami, se dal commetterli non fosse stata
rattenuta dalla fotza armata, soUecita accorsa a sedare il tumulte, n
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LA SABDB6NA PREPABA8I A MUOVA GUEBBA BCC. 203
rono vitaperevoli libelli, ia cui le accuse andavano con-
giunte aile calunnie contra lui che, al dire de* partigiani
suoi, aveva in tatte le circostanze sempre operato in buona
fede e con retta coseienza. Vincenzo Oioberti erasi pre-
fisse non soltanto di affermare nella Sardegna il princi-
pato costitnzîonale, ma eziandio di costringere Roma e Pi-
renze a mantenere le libéral! istitazioni, che Ponteûce e
Grandaca avevano Tanno innanzi ai loro sudditi concedute.
Âppena ebbe Oioberti lasciato Tofflcio sao, i Ministri del
Re intesero tutte lor cure a preparare la guerra altamente
hchiesta dal popolo; e montre riordinavano e accresce-
vano l'esercito, spedivano Lorenzo Valérie a Firenze e a
Roma a domandarvi aiuto d*armi per Timpresa di indipen-
denza (IX e dalFuna e dall'altra l'inviato sardo aveva fatto
promesse di soldati, più assai di quanto potevano dare. — Del-
Vesito infelice sortito alla guerra di Lombardia erano stati
incolpati i generali di Garlo Alberto ; ma la imperizia del
Re al comando supremo deiresercito e al governo délie
militari operazioni fu la causa primissima de! disastri pa-
titi. Si disse allora: = La ritratta dal Mincio essere stata
fatta innanzi tempo e a precipizio, e la tregua di Milano
poco onorevole: onde Tonore délia nazione aveva gran dé-
mente sofferto. = In verità, le miserande condizioni, in cui
trovavasi l'esercito quando riducevasi presse la metropoli
giorno appiesso neirAssemblea legislatiya molti Deputati vivamente
PTotestanmo contra queirinsnlto, che nella penona di onoratiBsimo rap-
piesentante del popolo aveva ferito la maestà délia nazione. — Non a
Oioberti, ma a qnalche sno eattivo partigiano va tatta la oolpa di quel
popolare tnrbamento!
(1) Qnesta difflcilissima missione venne data a Lorenzo Valerio, allô
i^po di allontanarlo dal Pariamento, ove erasi chiarito awerso aile
leggi allora messe innanzi dai Ministri, in virtû délie qnali sospende-
vand le libertà eogtituzionali durante la gnerra. Il GK^vemo del Be
ayrebbe pnr voluto allontanare di Torino anche Tavvocato Brofferio;
loa aocortoei délia impossiMlità di rinsdrvi, rinanziô al ùlUo disegno.
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S04 OAPITOLO T
lombarda -— ed erano la conseg^enza degli errori commessi
da chi aTeva diretto la guerra — non potranno mai sca-
sare quella tregua ; ma l'onore délia nazione era stato salvo
per yirth del soldato, il quale avéra gloriosamente pu-
gnato a Sommacampagna, a Custoza, a Volta: giornate
che, non ostante il numéro 8tragi*anâe deile forze nimiche,
erano statc combattute dal soldato con fermezza strenuis-
sima. Eusebio Bava, eletto generalissimo deiresercito —
e ta neirottobre del 1848 — aveayi già rimessa la militare
disciplina e riaccesivi i nobili sentimenti di patria e d*o-
nore (IX quando, per li basai intrighi dei nimici suoi —
invidiosi del favor dei soldati ch*egli meritamente godeva
— a mezzo febbraio del 1849 venivagli tolto il comando
suprême per conferirlo a uno straniero. Dopo il rifiuto del
Ck)Yerno francese, cui 1 Ministri di Carlo Alberto ayevano
domandato un oapltano provato in armi per Timpresa di
Lombardia ornai risoluta, il Re fidayala somma délia guerra
al générale Alberto Chrzanowski(2); il quale, sebbene si fosse
(1) u Un solo affetto, on solo peiudero, un solo yolere siala libertà
e l'indipendenza di questa terra beata, che dalla concordia, dalla in-
trepidezza e dalla yirtù di vol, suoi figli prediletti, attende il coiue-
gnimento di quel snblimi destini, che la ProvYldenza riserva ai forti,
e che nessuno potrà contendere ai yincitori di Goito, di Pastrengo e
di CoBtcza. »
Cosi scriTeva il générale Bava nel ano manifesto del 23 ottobre 1848
all'eseicito, manifesto bandito dal qnartiere générale d'Alessandria.
(2) n générale Lamoiiciére rifintè il comando sapremo dell'esercito
saido per consiglio di Thien ; il dnca d'isly, perché speraya d'intetre-
nire col suo — qoello délie Aîpi — nella gaerra d'Italia ; Ghangamier,
perchô trovayasi a capo délie gnaidie nazionali di Parigi ; e se qualehe
générale firancese erasi da prima mostrato inchino ad acoettorio, se ne
schivava di poi veggendo il suo Qoyemo poco fayorerole a queUa
gaerra; per la qoale cosa avrebbegli negato il eonsentimento suo «Ua
accettazione dell'offioio offertogli; ehe parimenti non yoUe Dnfonr, gé-
nérale deUa Confederanone Elyetioa, per la malferma sainte e par l'ob-
bligo assnntosi d'accompagnare a Parigi Loigi Napoleone, già sao di-
scepolo. Fa allora che il Be ohiamè a quel comando Chrzanowiki col
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LA BABDBONA PBBPASJLSI A NUOVA (^UBSBA BGC. ^5
per valore segnalato nella lotta di indipendenza délia patrla
sua, la Polonia, combattuta nel 1830 (1), non aveavi perô
tenuto il comando di un corpo d*esercito; rispetto a ci6
egli era dunque inferiore a Bava (2). Improvvido, anzi pes-
simo consiglio ta cambiare quasi alla vigilia di uscire alla
campagna, un capitano vecchio ed esperimentato nelle armi
COQ un générale affatto ignoto airesercito, del quale igno-
raya gli ordini e le instituzioni, Tindole e persino la lin-
gua parlata dai soldati. Quale fede potevano questi avère
in chi non possédera rinomanza di guerra e le cui geste
militari erano a tutti sconos.ciute ? La giornata del 23 marzo
titolo di gênerai maggiore e diede al générale Alessandro Lamannora
l'oiBcio di capo dello Stato Maggiore dell'esercito; il quale conferimento
di dignità militari ebbe Inogo il 7 e 1*8 febbraio. Fn allora altresi che
Alfonso Lamarmora, lasciato al générale De Sonnaz Tofficio di Mini-*
stio sopra le armi, prese il comando délia diviHane temporanea^ tntta
di vecchi soldati già licenziati a tempo, e di que' giomi a campo presso
Sarzana.
(1) «< non ftolamente Chrzanowski erasi presentato corne générale
ripntatissimo , ma anche qnale eccellente capo di Stato Maggiore d'e-
sercito; e nel nostro paese e in Italia non abbiamo assolntamente nn
générale abile tanto da atare a capo del nostro Stato Maggiore... Se
voi lo fate yenire, sarà nn gran bene per Tesercito nostro. »
Lettera del re Carlo Alberto del 26 agosto 1848 al générale Da-
bormida.
(2) Nella sollevazione polacca del 1830, Chrzanowski ebbe in Gora
on coUoqnio segreto col générale maso Thiemann ; egli ayeva pregato
qnesto générale di adoperare i snoi bnoni offici presso lo Gzar, a fine
d'ottenere nn accomodamento onorevole col principe Czartoryski — che
preaiedeva al Govemo ~ e col conte ^Ladislao Ostrowski, allora Mare-
sciallo délia Dieta. Chrzanowski, divennto QoTematore di Varsavia, ta
de' più inchini alla dedizione , qnando erano tattayia yalide le difese,
forti le resistenze; e ginnse a tanto, da minacciare persino di morte il
"Vice Présidente délia eittà, allora che Toleya chiamare in sn Tarme
le gmardie di sieurezza, che costitoiscono il yero popolo di Varsayia.
Vennta questa per resa patteggiata, a mano dei Bnssi, Chrzanowski
rimase in città, sperando che lo Czar sarebbe per tener conto di qnanto
egli ayeya già da tempo operato per la dedizione; ma accolto fireddar
mente dal grandnca Michèle egli lasciaya la Polonia.
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206 CAPITOLO Y
rivelô Terrore di quella elezione cosi poco sennata; perô
che Ghrzanowski, nello affermare a Novara la fama di
soldato valoroso» si chiarisse mediocrissimo capitano: il
maie, coaseguenza délia sua elezione a generalissimo, fa
irreparabile ! — In questo mezzo chiudevansi le conferenze
di Bruxelles. La mediazione di Francia e di Bretagna —
accettata dalla Sardegna con lealtà, daU'Austria con mala
fede — non rlescendo a condurre i guerreggianti a compo-
nimento amichevole, causa le esprbitanti pretensioni del
Governo impériale, di voler trattare direttamenle con quel
di Torino e negoziare la pace su le basi del trattato di
Vienna, lasclava aile armi il carico di risolvere la qui-
stione. In verità era follia sperare che l'Austria volesse
lasciarsi spogliare délie sue più belle provincie, che, per
brevi mesi perdute, aveva racquistate con la forza delle
«rmi. Se in favore di Carlo Alberto stava la dedizione v(h
lontaria di quelle, per Tlmperatore stavano gli antichl
trattati, soprammodo poi quelli di Vienna del 1814 e 1815.
— La guerra era dunque divenuta inevitabile, e a sîibita
guerra spingevasi il Re sabaudo dai popoli subalpin! e dagli
amici délia monarchia sarda, desiderosi di vederne allar-
gâta la dominazione e accresciute le belle e gloriose tra-
dizioni delle sue armi; da moltissimi poi volevasi la guerra
per tema che la Lombardia e le Venezie avessero ad eri-
gersi in principato indipendente con somme danno degli
interessi délia Sardegna; soUecitavasi 11 Re a rompere le
ostilità contra TAustria dalla Consulta lombarda (1), impa-
ziente di vedere i concittadini francati dalla signoria stra-
(1) La Consulta lombarda, la quale siedeva in Torino, era stata
creata allô scopo di tntelare le facoende dei faornsciti di Lombardia.
Angelo Fava, repntando, e a ragione, non essere anoor gionto il
momento favorevole a gnerreggiare FAustria, opponerasi alla Consulta,
che Yoleya, ai ayesse ad afifrettare il disdir delle tregne. C(m la quale
sennatissima opposizione » in verità molto a lodarsi — Fava mostro
di conoscere assai più dei colleghi le condizioni del paese, da lui rite-
nnto allora non preparato alla gnerra.
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LA SABDEGITA PBXPA&ASI A KUOVA GUBBBA BGC. 907
niera, ehe in mille gaiae tormentavali e 11 ammiseriva; in
fine, volevasi la guerra dallo stesso Carlo Alberto per To-
nore proprio e la gloria del suo regno.
Prima di narrare la seconda guerra deirindipendenza
italiana — guerra che, dopo un badaluccare e combattere
di tre giornl, doveva flnire con la giornata di Novara, in-
faosta tanto ail'armi patrie — diremo brevemente degli
ayyenimenti compiutisi neirimperio austriaco dalle tregue
di Milano al rompersi di esse.
Ottenuti, con la indipendenza del regno, Ministri nazie-
nali obbligati a dar ragione deiroperar loro, gli Ungaresi
Tollero che l'esercito avesse a giurare fedeltà alla patria
soltanto ; e dovendo per ciô le forze armate del paese esclu-
siyamente adoperarsi alla difesa di esso, richiamarono quelle
che allora combattevano sul Mincio e su TAdige, nel me-
desimo tempo deliberando di non concedere piii alla guerra
dltalia uomiiii e danaro. L'Austria, che da quel risve-
gliarsi dei Magiari e dal loro gridarsi indipendenti, temeva
ayesse a venir grave danno alla integrità dello Stato, non
potendo apertamente resistere ad essi, ridestava gli odi di
razza, già da lunga pezza sopiti, muovendo i Croati contra
qnella nazione generosa. I quali, veduto Jellacbich» lor
bano, in brevi giorni salire ai sommi onori e aile piii alte,
dignità deirimperio, securi délia protezione délia Gorte
viennese, ribellavansi alla Dieta ungarica;e, rotti i vincoli
Gratellevoli di loro secolare nnione ai Magiari, costituivansi
in regno indipendente. Gostretta a rispettare i privilegi
deirungaria, sui quali poggiano le sue libertà, e a* cui
principi deve rendere omaggio, l'Austria, che ad ogni costo
vuole opprimerla, lascia impuniti gli assassini commessi
dai Serbi (1) sui vicini Tedeschi e sui Magiari : onde tra
(1) I Serbi abitano il comitato di Bacs — la Bacska — che sta tra
la bassa Theiss — il Tibisco — e il Dannbio. Nella Bacska troyansi
le anticbe trineee romane.
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206^ CAPITOLO V
le due nazioni rivali, di li a poco accendesi guerra fero-
cissima. La condusse il bano Jellachich, il quale, sebbene
per quella ribellione e mossa d*armi coatra TUngaria, ve-
nisse apertamente rimproverato dall*Imperatore, riceveva
perô di nascosto da lui validi ainti per la sua impresa;
egli era, forse senza volerlo, strumento délie usate arti
deirAustria e délia sottile politica di Metternich, la quale
finiva allora il suo tempo. La Gorte impériale — e con essa
il Ooverno — mentre affermaya pubblicameute di condan-
nare la ribellione e Toperato di Jellachich, e dicevasi riso-
luta di proteggere i diritti délia corona magiara, agitava
in tutta segretezza la Groazia e sofflaya nel fuoco délia
discordia, allô intente d*inyalidare gli sforzi délia média-
zione assunta dalFarciduca Giovanni — il Vicario dell'im-
perio germanico — per comporre onoreyolmente la contesa
slayo-ungarica e impedire cosi la guerra ciyile, che pa-
reya vicinissima ad accendersi. Falliti i tentativi di tornare
a concordia quelle due nazioni» Tarciduca Giovanni lasciava
Vienna per recarsi a Pranooforte ad aprire la Dieta del-
l'imperio; Esterhazy, il quale in Gorte di Ferdinando rap-
presentava TUngaria, riedeva a Pesth aU'offlcio di Miuistro
sopra gli affari esterni; in fine, il bano Jellachich ricon-
ducevasi in Groazia a darvi opéra sollecita ai preparamenti
^bellici, per uscire alla campagna innanzi che i Magiari
avessero raccolto esercito bastevole a contrastargli Tinva-
sione del loro paese. Pochi giorni dopo i prosperi eventi
dell'armi austriache sul Mincie e la cacciata di Lombardia
dei Sardi, Ferdinando da Innspruck faceva ritorno all'im-
periale Vienna, e 1*8 settembre di queiranno 1848 venivano
alla sua presenza molti rappresentanti deirungaria, i qu&li
nello assicurarlo di loro fedeltà^pregavanlo di salvare la
indipendenza e la libertà délia patria magiara minacciata da
Jellachich. Rispondeva ad essi Tlmperatore : = Essere stata
sempre in lui ferma volontà di mantenerne intatti i diritti,
le leggi e l'integrità, corne giurato avea al suo ascendere al
trono; i Ministri farebbero presto conoscere la delîbera-
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LA SARDEQNA PBSPABA8I A ITUDYA OUBRRA ECC. 209
zione ch'egli sarebbe per preadere. = Che poteva mai spe-
rare ITJngaria dal suo Re, che di quei giorni scrîvendo a
Jellachich» dopo averne lodate le prove di devozione da-
tegli, confermavalo nella dignità di bano e negli alti carichi
già conferitigli ? Da tali atti del suo sovrano vie più inco-
raggiato airimpresa, Jellachich chiama allora in su l*arme
i Groati, gli Illirici, gli Slavoni e le popolazioni dei Cotir
fini militari; e di essi, che numerosi corrono al suo ap-
pello, fatta la massa su la Drava, il 9 settembre, valicatala
presse Varadino senza contrasto, invade il territorio un-
garese. Moltissimi ufBziali imperiali contavansi neireser-
cito del bano, le cui artiglierie, tolte aile fortezze del con-
fine, erano tutte maneggiate da cannonieri austriaci. Taie
invasione, operatasi senza intimare prima la guerra, era
stata voluta dal Governo di Vienna, allô intente di spingere
i Magiari aile armi e aver cesi il preteste d'intervenire
nella contesa e domare quella soUevazione che con la più
vituperevole mala fede il Governo stesso aveva provecata.
Il 29 settembre a Yelentze, terra situata a brève distanza
da Sthulweissemburg su la via che mena a Buda, i Ma-
giari assaggiavansi per la prima volta coi Oroati, capita-
nati da Jellachich; il quale, avendo patite aspra battitura,
implerava dal vincitore una tregua di tre giorni, che ve-
nivagli accerdata, ma veggendosi ridotte in assai malo
stato e senza via di salvamento, di nottetempo, rompendo
la fede data, fuggiva verso Talto Danubio per ripararsi
neU'arciducate d'Austria. — In queste mezzo, avvenimenti
di grave impertanza eransi compiuti a Pesth e a Vienna.
L'Imperatere, il quale voleva ad ogni ceste si posassero le
armi dagli Ungaresi, mentre a questi ordinava di posare la
gaerra, spediva il maresciallo Lemberg, Commissario régie
a Pesth, a prendere la somma del cemande di tutti i pre-
sidi del règne magiaro, ed eziandio con Tufflcio di com-
perre le differenze levatesi tra le due nazieni combattenti.
Se non che al suo arrivare in quella città — e fu il 28
settembre — il popole, tumultuante scagliavasi su lui e le
14 — Vol. IL Maruni — Storia j>o{. e mil.
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210 CAPITOLO V
tagliava a pezzi. Si orrendo delitto eccita lo sdegao di Fer-
dinando, il quale, licenziata la Dieta e messa TUngaria
sotto l'imperio délie leggi militari, créa il bauo comandante
suprerao di tutte le forze armate di quel paese cou la piii
alta autorità epotestà; e a rendergli facile e spedita la
repressione del soUevamento magiaro, aflTorza Tesercitodi
Jollacliich di grossa schiera d'imperiali, che toglie dal pre-
sidio di Vienna. Ma il diniego di un battaglione di fanti
italiani di recarsi a combattere guerra fraterna e i modi
violenti usati dal Governo per ridurre aU'obbedienza quei
soldati, fanno soUevaro gli opérai délia citta; i quali, assaliii
da prima, assalgoiio di poi gli imperiali con tante impeto da
costringerli a lasciar Vienna nella sera stessa di quel giorno 6
ottobre. Vittima del furore popolesco cadeva il Ministre so-
pra le armi, Latour, che, preso in sua casa, veniva bar-
baramente ucciso, indi trascinato per le vie e appeso ad
un lampione. L'Imperatore, il quale trovavasî al castello di
Schônbrunn, avvertitô che, vittoriosa la soUevazione, YAs-
semblea Costîtuente aveva fidato il potere supremo a un
Gomitato di salute pubblica, s*incammina verso Olmûtz,
scortato da forte presa di soldati; e saputo per via Tavri-
cinarsi di Jellachich al Danubio — in quel mezzo giunio
a Presburg — gli ordina di procedere sollecito innanzi per
unirsi aile genti di Auersperg, riprendere insieme la città
rubelle e spegnervi la soUevazione. Il bano avanzossi spe-
ditamente e venue a porre i suoi campi davanti alla parte
orientale di Vienna; la quale, dopo violente assalto stre-
nuamente sostenuto, e che durô, quasi incessante, quattro
giorni — gli ultimi d'ottobre — non vedendo giugnere il
tanto sperato soccorso deiresercito ungarese, allora cam-
peggiante Presburg, il primo novembre posava le armi. Win-
dischgratz, che aveva condotto il brève assedio, usô cru-
delmente la vittoria ; avvegnachè, concesso da prima a' suoi
soldati di saccheggiare le robe e fare strazio dei cittadini,
ponesse di poi questi sotto il governo militare, dure sem-
pre, durissimo allora per la ferocia di lui che lo presie-
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LA 8ÀBDE6NA PRBPARASI A NTTOYA OUERBA ECC. 211
Aev3L e per quella altresi délia fazione soldatesca, la quale,
salita in superbîa per Tottenuta vittoria, davasi vanto di
aver salvata la Monarchia. Alla Dieta deirimperio, raccol-
tasi poco appresso alla sommessione di Vienna, U principe
Felice Schwarzenberg, che stava a capo del Governo, pro-
metteva mantenere ai popoli delFAustria le loro libertà, di
soddisfare ai bisogni dei nuovi tempi e di assicurare ai
Gomuni Tamministrazione degli interessi propri; in âne,
dara speranza che in un awenire non lontano le diverse
genti, che abitavano Timperio, godrebbero dei benefici di
nna Costituzioney la quale, mediante Tuguaglianza dei di-
ritti, tutte insieme le unirebbe. A impedire il rinnovarsi
di sollevamenti popoleschi, che in brève période di mesi,
avevano più volte turbata la pace deirimperio, la parte,
che intitolavasi iiçWAustria ringiwaniia, e che sebbene
da poco tempo ordinatasi, era già divenuta oltrepotente in
Corte di Vienna, obbligava Ferdinando ad abdicare al trono
e costpingeva il fratello suo Prancesco — cui spettava la
corona — a rînunziarla al primogenito suo Francesco Giu-
seppe; il quale, nello ascendere alla sedia imperatoria, ban-
diva il viribus unitis, motto ch'egli prendeva a sua im-
presa; con queste parole — simbolo delFunione di tutte le
forze morali e materiali délia monarchia absburghese —
egli mirava a far conoscere gli intendimenti suoi, che perô
non gli fu possibile di compiere mai (1).
(1) u In taie nnova condizione deUe cose era necessario un potere
più gioyane... nnoye difficoltà doveyano ora leyarsi lispetto ali'Uiigaria.
Di fronte a questo popolo rimperatore troyavasi legato dalla sua pa-
Tola e dalle concessioiii anteriori... Già da Inngo tempo on grande par-
^ito, a Vienna, pensava aUa abdicazione dell'imperatore Ferdinando,
principe malaticcio, nomo onesto corne tutti quelli délia sua razza, ma
inettisnmo a govemaie in un momento si difficile. Nella crisi prodot-
tasL dopo il 24 febbraio, nna donna, rarcidnchessa Sofia, erasi mostrata
piena di fermezza e di forte risolntezza; essa ayeva un figlinolo di
diciotto anni, già conoscinto dall'esercito e snl quale riposavano grandi
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212 OAPITOLO ▼
La lentezza nel risolvere e la irresolutezza neiroperare
di Môga, il quale capitanava Tesercito ungarico, erano
state le vere cause délia caduta di Vienna; se la négli-
gente sua guardia aveva reso facile a Jellachich la fuga
da Velentze, dovere di Môga era di acquîstare, con la ce-
lerità délie mosse, quanto avevagli fatto perdere la pristina
negligenza; ma egU tardi e flaccamente perseguitô il ftv
difrago Bano; e venuto a Presburg, non pensando più a
offendere, pose i suoi carapi presse le mura di quella città.
spingendone fin su la Leytha le prime ascolte allô scopo
di spiare i movimenti del nimico ; il quale, allora tutto in-
iento airimpresa di Vienna, non poteva volgerglisi contra.
— Di quel giorni Tesercito magiaro dell'alto Danubio con-
tava quattordici mila fanti e due reggimenti di ussari,
tutta gente d'ordinanza bene ammaestrata aile armi; in
oltre, ventiraila guardie nazionali e grossa schiera délia
Landsturm ; ma su quelle e su questa perô potevasi fare
poco fondamento, per essere maie armate, non istruite negli
ordini délia milizia e, quel che era peggio, non discipli-
nate alla guerra ; onde, essendo atte soltanto a combattert"
tumultuariamente, dovevano tornare più spesso di danno,
rare volte di vantaggio. A togliere gli Ungaresi dalla loro
inoperosità, che tanto nuoceva agli interessi délia patrie
ed eccitarli a soccorrere Vienna, dalla cui resistenza in
grande parte dipendevano le sorti délia comune libertà,
recavasi al carapo di Parendorf il Présidente del Comitato
di difesa nazionale, Kossuth, con forte mano di armati e
alquante batterie di cannoni ; il quale, con sua éloquente
parola vinti gli oppositori, confortati i dubbiosi, tutti poi
speranze: perché dimqiie, ottenendod l'abdicazione dell'Imperatore e
del padre del giovane aroidnca Francesco Ginseppe, non offirirebb^ &
qnesti la coiona impériale? n
M. Capbfigub, La Société et les Gouvernements de l'Europe, voL n,
-cart 173; Broxelles, 1849.
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LA SABBEONA PSBPABA8I A NTJOYA OUEBBA EGC. 213
iafiammando al combattere, riusciva a fare accettare i
suoi disegni di offesa» da lui mandat! a partito: era troppo
tardi per salvare Vienna! — Il 28 ottobre l'esercito ma-
^aro, divise in tre scliiere, superata la Leytha, portossi
su la Fischa; il di appresso, yalicato questo fiume, proce-
dette innanzî poco più di cinque chilometri verso le al-
ture di Schwechat; presse le quali il 30 veniva assalite
e dope brève pugna fugato dalle armi di Windiscligrâtz;
il quale, sapute il sue awicinarsi, aveva spedite a incen-
tarlo buen nerbe di sue genti; viste di nen peter riescire
a rompere l'assedie di Vienna, Môga ricenduceva dietre
ia Leytha le diserdinate sue schiere. Queste générale, che
nel muovere l'esercite e nel cembattimente di Schwechat
erasi chiarite inette a reggere la guerra, per cemando di
Kossuth cedevane il geverne a Gôrgey, chesinealpesare
délie armi le tenue. Appena assunte queste efficie, Gôrgey
ÎQtese sue cure a rifermare Tesercite, a rinnevarne lamili-
tare disciplina e ad esercîtarle nelle fatiche, nei maneggi e
negli erdini délia guerra; scritti in esse i volontari che me-
stravansi prepriedesideresi di servire allapatriaconle armi,
licenziô i poco animes!. — Riaffermata in Vienna Tautorità
impériale, Windischgrâtz a mezzo novembre messe Teser-
cito centra l'Ungaria, e senza contraste ne superô la fren-
tiera, il grande prependerare di sue forze avende cestretto
i Magiari a indietreggiare; i quali, vinti di poi aBàbàlna
e a Moor, riducevansi da prima a Buda, indi a Waitzen
sa la sinistra del Danubie, eve queste flume velge il sue
corso da penente a mezzegierne. — In queste mezzo il Ge-
verne e la Dieta avevano trasportate la lore sede a De-
breczin, dietre la Theiss ; ragione di sicurezza ebbeli con-
sigliati di lasciare Pesth e di recarsi in terra lontana dalla
coQtrada, nella quale devevasi cendurre la guerra. I Mi-
mstri, fatta deliberazione di venire col nimice a giornata
finale innanzi a Buda, ingiungevano a Gorgey di combat-
terla cen tutto le sforze délie sue armi, e nel medesime
tempo di ordinarsi per mode da petere, nel case di una
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214 CAPITOLO V
sconfitta, ridurre Tesercito a salvameato su la sioistra del
Danubio; in oltre, comandavagli di non fare in sua ritratta
resistenza veruna in Buda, per non esporla agli orroridi
una presa per assalto, ai quali Windischgràtz, se vincitore,
certamente avrebbela data. Se non che, importando allora
più d'ogni altra cosa di conservare quell'esercito, sul qual^^
riposavano la salute e la libertà délia patria, Gôrgey, poco
curandosi del comando dei Ministri» lasciata la metropoli
— che senza colpo ferire veniva in potere degli impo-
riali — riducevasi con tutte sue genti a Waitzen. Mentre
il Gomitato di difesa con mirabile operosità ordinaya in
Debreczin un nuovo esercito — i cui battaglionî, mano
mano erano forniti di quanto abbisognavano per la guerra,
portavansi a campeggiare la Theiss — a divertire da que-
sta Tattenzione e l'impeto délie forze nimiche, ed ezîandio
a prowedere alla sicurezza délie sue soldatesche, Gôrgey,
in su la meta del gennaio 1849, per la vallata della Gran
saliva ai distretti délie città montanine e agli alti gioghi
dei Garpazi sui confini di Galizia. Windischgrâtz, delîbe-
rato di distruggere Fesercito di Gôrgey, per tentare D(y
breczln senza tema di vedersi da esso, in suo avanzarsi.
sopraffatto aile spalle, mandava grosse schiere ad assalirlo.
Non ostante la copia grande di neve caduta in quel yerno
rigidlssimo — la quale rendeva oltremodo penoso il cam-
minare — fu assai viva la guerra. — La fortuna délie
armi da prima fu varia ; di poi volse favorevole a quelle dei
Magiari. Gapitanati da Schlick gli Austriaci, venuti su l'alta
Theiss per valicarla, il 22, 23 e 24 gennaio a Tarczal, a Bod-
rog-Keresztur e a Tokaj erano sconfltti dagli Ungaresi di
Elapka; il cinque febbraio gli imperiali perdovano la foi*te
postura del Branyskô, ributtati dai Magiari di Guyon ; i
vincitori, avanzandosi d'ogni parte, costringevano Schlick
a dietreggiare verso il Danubio, che non lungi da Waitzen
riunivasi al grosso deiresercito austriaco. Gôrgey e Klapka,
ch'eransi avvicinati per incalzare il nimico conloro forzc
congiunte, avevano pur risoluto di liberare Koraorn stretti
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LA 8ABDBONA PRBPABA8I A NUOVA OURBRA ECO. 215
d'assedio; con la quale mossa d'armi essi tenevansi sicuri
di allontanare dalla Theiss gli imperiali, che indubitabil-
mente correrebbero in aiuto agli assediatori. Ma queste
ben disegnate imprese non poteronsi compiere per essore
stato Klapka chiamato addîetro dal générale Dembinski,
un Polacco, allora allora creato comandante suprême del-
l*armi ungariche, eccetto quelle che sotte Bem, parimenti
Polacco, campeggiavano la Transilvania (1) e i presidi
délie fortezze. — Mentre Schlick sforzavasi di superare la
Theiss a Tokaj, il 23 febbraio Windischgràtz faceva ten-
tare il passe di Szolnok. Corne su Talta, cosi su la média
Theiss gli tomô avversa la sorte; la battitura patita a
Szolnok fu tanto aspra da metterlo in forse, se fosse
più savio consiglio tenere o lasciare Pesth; e certo a-
vrebbe dovuto ritrarsi da questa città, se i Magiari, me^
glio usando la vittoria, avessero vivamente perseguitato
il nimico, che fuggiva nel massimo disordine; essi, al
contrario, paghi délia riportata vittoria, riederono ai loro
campi su la sinistra délia Theiss. Con quanto onore gli
Ungaresi combattevano in campagna aperta, con altret-
tanta Ûacchezza pugnavano dietro le mura délie fortezze
assediate ; perô che dopo brève resistenza aprissero ai ni-
mici le porte di Leopolstadt — la quale signoreggia la
Tallata délia Waag — e di Essek, che dalla Drava, sevra
CQi siede, soprasta minacciosa alla Schiavonia; la perdita
délie quali fortezze tornô di 11 a non moite di grave danno
ai soUevati. Fatta deliberazione di prendere le offese con-
tra il grosso degli Austriaci, Dembinski, quand'ebbe rac^
(1) La conquista della Transilvania vanne da Eossuth fidata al gd-
oerale Bem, che recossi in qnella provincia nel novembre 1848. Ordi-
Bato nel période di poche settimane nn esercito — di numéro inferiore
a quel dei nimici, in valore perô d'assai superiore — in brave tempo
e con somma glorîa compté l'impresa, sbaragliando e sperdendo Au-
striaci e Russi, 1 quali ultlmi erano accorsi a sostenere la vacillante
fortuna della monarchia absburghese.
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216 CAPITOLO V
colto a Miskolczy sul Sajo, lo sforzo deiresercito suo, avan-
zossi verso Pesth ; ma i nimici ruppei^li i concepiti disegni,
perô elle mentre trovayasi in Erlau, forze poderose di im-
periali assalissero sue genti, il 26 febbraio, a Kàpolna, a
Yeperlèt, a Kàl. Due giorni si combatte; le armi che po-
saronsi al cadere délia notte, si riprendettero airalbeg-
giare del nuovo di; la fortuna fu varia, avendo quando
l'una, quando Taltra délie parti il peggio, sovente dovet-
tero rifarsi. Dalla lotta, oltre ogni dire ostinata e sangui-
nosa, uscirono vincitori gli Austriaci; cause di lor vittoria,
il giugner tardi di alcune forze magiare e il non arrivare
di altre sul campo e, come allora si scrisse, la poca ar-
monia che regnava flra Dembinski e Gôrgey, funesta con-
seguenza délia gelosia, fors' anche deirodio di quesVultimo
verso il suo capo; awegnachè, cupidissimo del generalato
supremo, lamentasse la perduta indipendenza di comaa-
dante deU'esercito deiralto Danubio, e dicesse se e i suoi
compagni d'armi umiliati di trovarsi sotto gli ordini di
capitano straniero. Windischgrâtz non seppe profittare
délia vittoria; soddisfatto d'avere respinto il nimico da
Kàpolna e Yeperlèt, non perseguitollo in sua ritratta;
glielo ébhe impedito la nebMa^ cosi scrisse ai Minlstri
deirimperatore nella sua relazione délie giornate di feb-
braio ! ! — Dembinski, scoraggiato dall'esito infelice sortito
a Kàpolna aile sue armi, fatta allora rinunzia ad ogni of-
fesa, 11 28 di quel mese andô con Tesercito riunito iutorno
a Mezo-Kôvsed, a cavalière délia via di Keresend; e il di
vegnente, il primo marzo, portoUo piii addietro in campi
gli uni dagli altri lontani, rinnovando cosi Terrore com-
messo a Kàpolna. Gli Austriaci, che il giorno innanzi ave-
vano assalito il retroguardo ungarese> in sul cadere di quel
giorno venivano sopra Klapka in Eger-Farmos^ la destra
dei campi magiari. Klapka strenuamente resistette ai ni-
mici; ma sorvenuta la notte, temendo nuovi assalti portossi
a Poroszlô allô scopo d'appoggiarsi alla Theiss; e allora
Dembinski, per non correre pericolo di far la gioraata
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LA SABDSGNA PBEPABASI A KUOYA GUSBBA EGC. 217
avendo quel fiume aile spalle, ordînô airesercito la ritratta
sa la sinistra di esso ; la quale yenne eseguita il 2 marzo e il
mattino del vegnente, senza danno ne molestia, in presenza
dei nimici. Due giorni dopo il colonnello Damjanics, ri-
passata con la sua divisione la Theiss presse Gzibakhaza,
a valle di Szolnek, allô scopo di esplorare le mosse degli
imperiali, spingevasi su la via ferrata di Pesth; e trova-
tosi in mezzo alla brigata d*Ottinger in Abany e in quella
di Kagern in Szolnok, voltosi contra quest'ultima mette-
vala in piena rotta ; montre un*altra schiera di Ungaresi»
aasalite in Gzegled le genti di Grammant e di Ottinger,
ne li cacciava con grave lor perdita. — La cattiva prova
fattadaDembinski nel condurre laguerra avea destato mal-
eoûtento universale; i generali discordavano tra loro, di-
scordavano dal capitano suprême; e la sfiducia di soldati
era giuata a tanto da niegare obbedienza agi! ordini di
Dembinski, se non fossero stati prima approvati da Gôrgey
0 da Klapka, nei quali avevano piena conûdenza: onde il
Goyerno, a impedire che discordia e sflducia menassero a
royina la guerra, e con questa la patria, diede a Yetter il
comando in capo deiresercito, che pochi giorni di poi, per
lo infermarsi di quel générale, la potestà suprema délie
armi venue a mano di Gôrgey.
Dopo Tascensione al trono di Francesco Giuseppe, la
politlca austriaca aveva preso un indirizzo piii risoluto,
pià ferme. Felice di Schwarzenberg, primo ministro del-
rimperatore, deliberato di farla flnita con le ribellioni e
coi ribelli, erasi avvicinato alla Russia; la quale, restau-
rati con la Turchia gll Ospodari di Moldavia e Yalacchia
— abbatfcuti già dalla parte libérale per avère ricevute le
iayestiture di queste provincie dalle Gzar e dal Sultane
dei Turchi — tenevasi tuttavia forte in su l'arme nei
principati Danubîani e lungo i conûni degli Stati slavi e
aastriaci. Il principe Schwarzenberg bene indovinando es-
sere la quistione magiara di vita e di morte per TAustria
— perô che il violente separarsi deirungaria farebbe cer-
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218 CAPITOLO V
tamente cadere Timperio in rovina — il 6 dicembre del 1849
fermara con la Russia ua trattato segreto, in virtù del
quale gli eserciti del Sire moscovita, quando la fortuna délie
armi austriache vacillasse sul Danubio, correrebbero in loro
aiuto; tanto valide appoggio dovea assicurare all'Imperatore
esito felice airimpresa dltalia, ove la Sardegna e tuttala parte
libérale apprestavano nuove armi per combatterlo. — Corne
a Vienna, cosi in Germania la democrazia pura, deslde-
rosa di piîi largo reggimento, commoveva e muoveva il
paese, soprammodo Berlino, dove eransi raccolti con la
parte maggiore dei capi di quella gli agitatori piii ardenti;
i quali, non di rado spalleggiati dai Parlamenti di Vienna
e Berlino, diventavano ogni giorno più audaci. VAssem-
hlea Costituenie di Francoforte, in oui risiedeva la suprema
potestà délia nazione, cercava bensi di porgere argine alla
invadente idea délia repubblica e frenare chi facevasi a
tentar novità; ma non sempre gli sforzi suoi giugnevano
a impedire i tumulti e le sommosse. Invero strana contrad-
dizione ! quelFAssemblea, cho combattendo i sognatori del-
Vunità germanica voleva soprattutto rispettate le sovra-
nit& e le libertà degli Stati alemanni, nello approvare la
riunione dello Schleswig aU'Holstein in uno Stato indipen*
dente, incitava allora la Prussia alla guerra contra la Da-
nimarca, oflTendendo cosi i diritti del Sire danese (1). Pre-
(1) Nel 1814 lo Schleswig e l'Holstein avevano chiesto &1 Oovenio
danese di reggersi oon nna costitozione tntta propria; non esauditi al-
lora, linnovayano taie domanda nel 1830, chiedendo anche di compoisi
in uno Stato indipendente sotto la famiglia régnante. Corne nel 1814,
cosi nel 1830 il Govemo niegô soddisfare ai loro desidôri: onde i Dn-
cati cominciarono ad agitarsi. I Tedeschi dello Schleswig, memoii che
sino dai tempi di Carlo Magno TEyder segnava il confine di Qennania
— Eidora terminus imperii romani — yolevano, avesse il dncato a far
parte délia federazione alemanna. Lo acclamarsi délia repubblica in
Francia faceva levare in su Tarme gli Olsteinesi; i qnali insignoritiaî
di Rendsbnrg, entravano nello Schleswig. AUo scopo di protegg^re la
integrità danese, la Prossia al cominciare d'aprUa occapava l'Holstein^
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LA BABDEQNA PB£PABA8I A NUOVA OUBBBA K0<\ 219
sto l'ordine veniva sconvolto in Berlino per opéra dei
Circoli polîtici di parte repubblicana, i quali, levato il
popolo a romore contra l'Assemblea^ spingevanlo a com-
battere le guardie nazionali corse a difenderla. A far che
non avessero più a rinnovarsi tali brutte scène il conte
di Brandebourg — che presiede ai Ministri — propone,
con rapprovazione del Re, abbiasi a trasferire altrove il
Parlamento e mettere Berlino sotto il governo délia spada.
Al protestare dei Deputati che chiamano tali atti illegali,
6 ai tentativi di ribellare il popolo, risponde il Re licen-
ziando l'Assemblea e ponondo Berlino sotto Timpcrio dellc
leggi militari: cosi à ristabilito Vordine nella metropoli
pnissiana. Del licenziamento deirAssemblea di Berlino la
Dieta di Francoforte lagnasi presso il Re ; il quale, in sua
risposta, le fa conoscere: == Che, per essere taie affare
tatto prussiano, il suo operato non puô offendere i diritti
délia Dieta. = Il contegno ferme e risoluto dei Ministri
di Vienna e Berlino, contegno che preludeva a un sistema
di governo tutto militare — nel qualo ben di sovente im-
pera l'arbitrio, raramente la legge — non intimidisce gli
agîtatori e i promuovitori di novità, ma li rende piii cir-
cospetti e prudenti. La democrazia pura di Germania
aveya riposto grande parte di sue speranze nelle resistenze,
che Magiari e Danesi opponevano allora aile pretensioni
d'Austria e di Prussia; se essi fossero stati vincitori sul
Tibisco e su l'Eyder, la causa délia libertà avrebbe pur
vittoriato a Francoforte e sul Danubio.
Gorreva il 7 marzo di quelFanno 1849, allora che in A-
lessandria riunivansi a consulta Cadorna e Tecchio, Mini-
il cm Re protestava subito contra lo intervento stranîero. Riâpondeyagli
il GoYemo di Berlino chiedendo Tunione dello Schleswig-Holstein in uno
Stato indipendente; e YAssembïea Costituente di Prancdforte, decretata
Tannesaione dei Dacati, dava alla Prussia il carîco di mamlarla a ef-
fetto: allora açcendevasi la guerra dano-prussiana.
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220 CAPITOLO V
stri di Carlo Alberto, e il générale Ohrzanowski per de-
liberare su la ripresa délie armi. Già iunanzi avevano
risoluto, che si avesse a combattere guerra grosso^ e ve-
nire presto a giornata finale; perô che la guerra minuta
torni quasi sempre di danno, rare volte di vantaggio ai
piccioli Stati, consumandosi in essa lentamente si, ma inces-
santemente le forze deU'esercito; per la quale cosa dovevasi
dai Ministri del Re trattare soltanto del giorno di indirla, del
giorno di romperla. Aile loro interpellanze sui preparamenti
bellici, su le condizioni morali e materiali deiresercito e su
la convenienza di intimarla prima di muovere le armi, o di
uscire alla campagna senza disdire le tregue al nimico —
tregue già da questo piîi volte violate — Ghrzanowski ri-
spondeya: = Brevi giorni abbisognargli per compiere gli
apparecchi délia guerra, che potrebbesi cominciare il 18
marzo; nell'esercito, da tempo purgato di chi era indegno
d*appartenergli, essere Tistruzione soddisfacentissima ; mi-
nima la diserzione e taie da non doverne tener conto; eo-
cellente lo stato morale dei soldat!, délia cul lealtà non
potevasi dubitare. Rispetto poi alla ripresa délie armi pre-
ferire egli dinunziare la guerra la sera per combatterla il
mattino appresso ; ma nel caso d'allora essere consiglio sa-
vio e prudente disdire le tregue otto giorni innanzi il
rompere délie ostilità, giusta i patti fermati a Milano il 9
agosto 1848. Uno Stato grande e forte non incontrare cen-
sure dimolte e poter di queste non darsi pensiero, se corne
meglio gli convenisse o a suo talento opérasse; ciô dalla
Sardegna non potersi fare, awegnachè tutta Europa gri-
derebbe da quella ofieso il diritto délie genti. Consigliare
in oltre, per ragione di maggiore sicurezza, di far nota al
paese la guerra due giorni dopo la intimazione di essa al
maresciallo; = conchiudeva quindi il suo discorso cosi:
= Questo mese è opportunissimo a una mossa d'armi con-
tra TAustria, potendo sperare un soUevamento délia Ger-
mania, nella quale esistevano tuttavia le cause che ave-
vanla, nel marzo dell'anno antécédente, spinta alla guerra ;
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LA SABDEQKA PREPABASI A NUOVA OU£RRA ECO. 221
onde airimperio austriaco — da una parte^minacciato dalla
ribellione magiara, dalla sollevazione alemanna dairaltra
— non sari possibile tenere in Italia forze poderose con-
tra la Sardegna = (1). Fissato il 10 marzo per Tintima-
zione délia guerra a Radetzky, risoluto di spedire un messo
a Venezia per far conoscere al Governo délia repubblica le
deliberazioni prese dai Ministri del Re, il quale messo, toc-
cando Ancona in suo viaggio» dovera pur d*esse ayyertire Tarn-
miraglio Albini che allora trovavasi in quelle acque con
la squadra sarda; e stabilité di porre, durante la guerra,
sotto Timperio délie leggi militari le provincie lombarde
mano mano le lasciasse il nimico, fidandone il governo al
générale Chrzanowski, i Ministri facevano ritorno a To-
rino (2): ove appena giunti, e fu il di vegnente, significa-
(1) 1 IGnistri aTevano gi& da tampo interpellato Chizanowski sa
l'esercito, se eioè per numéro e v<ilore potesae euperare il nimico
e quando passar la frontiera (*), e il générale polaoco areya lor ri-
sposto cod: = L'esercito sopravanza in numéro qnello dell'Aastria
campeggiante îa Italia: rispetto al valore dei soldat! del Re, non poter
dubitare abbia a venir meno aile nnoye prove che gli si preparavano,
ricordando qnanto di strenuo era stato da quelli compinto nella gnerra
dell'anno antécédente. = Sol tempo più opportune a trarre l'esercito
da' snoi aUoggiamenti aveva dette : = Se esso si fosse trovato a sera-
nare nell'ottobre, avrebbe con poco disagio sopportato le cmdezze del
verno: ma avendo passato nei quartieri la stagione più fredda , repu-
tava cosa conveniente famelc uscire aUora soltanto che non si avessero
più a temere i rigori invemali. = Avrezzo a guerreggiare nella set-
tentrionale Polonia, Chrzanowski non conosceva la différenza délia in-
tensitA dei freddi iemali d'Italia da quelli del suo paese native.
(2) t SntB. Ad assicurare un [esito pronto e fortunato alla guerra,
che la Maestà Yostra ha handita pel riscatto délia Italiana indipendenza,
e la liberazione délie pioyincie del Begno occupate dallo straniero con-
^ene ohe queste vengano, di mano in mano che sono sgombrate dal
nimico, prowedute temporaneamente d'nna amministrazione conforme
aile straordinaiie condizioni in cui sono per trovarsi Esse richieggono
(*) Vaolsi qai aTYortire che a taie interpeUann Bava non era présente, essendo al-
lora eomandante Bopremo délie armi régie.
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222 CAPITOLO V
Taiio a Carlo All^erto, présent! i colleghi loro, quanto era
stato discusso nella conferenza di Alessandria. Se non che,
considerando essere il 18 e 19 marzo giorni festivi, nei
quali buona cosa sarebbe benedire le bandiere e fare pub-
bliche preci per la felice riuscita délia guerra, il disdire
délie tregue venne prorogato sino al 12 e il rompersi délia
guerra al 20 marzo. Di li a brevi ore Melchiorre Giovan-
nîni, segrctario di Legazione, partiva alla volta di Ancona
e di Yenezia, apportatore di lettera del Ministre sopra le
armi airammiraglio Albini, e d*uno scritto del Ministre
sopra i lavori pubblici a Daniole Manin, Présidente délia
Rcpubblica veneta. L'inviato sardo compiva in Yenezia la
sua missione il 14; nel quale giorno Carlo Alberto giu-
gneva in Alessandria per mettersi a capo deiresercito —
da cui riceveva le piîi degne, le più festose accoglienze -
0 i Ministri suoi, ottenuto dal Parlamento nazionale poteri
illimitati, facevano conoscere per le stampe, corne era
stato stabilité nella conferenza deirs col Re, la naova
guerra intimata all'Austria; guerra di quattro giorni, la
quale doveva flnire con una catastrofe tanto imprevedibile,
quanto tremenda, la catastrofe di Novara! e conseguenza
di essa un décennie di dolori e lutti aU'Italia!
nn Governo forte e libero nella azione e nelle determinazioni, che fre-
nondo da una parte le interne agitazioni, cal la perfidia del nimico
non mancherà di eccitarvi, faccia dall'altra concorrere tatte le fone
alla suprema lotta che vi si combatte. Qaesto scopo non pare potem
ineglio raggingnere che aÛdando il reggimento di quelle proyincie ai
General maggiore deiresercito, il quale, raccogliendo in se il comasdo
di tutte le forze militari e Talta amministrazione del paese, saprà daigli
quel temporaneo ordinamento, che in modo più efficace lisponda aile
esigenze délia guerra. n
Eelazione del Ministro sopra gli affari dell'intemo.
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/SA/VA./VSAAA^>^VV\AA/VV>A<^AA^^\A./VV\A/VSA/^^
CAPITOLO VL
Ija giomata di Novara.
0 Goyemo sardo disdice le tregne. — Foize armate dei g^nerreggianti.
» Condizioni morali dell'esercito regio e dell'imperiale. — Bompesi
la gaerra ; gli Anstriaci invadono il Piemonte. — U re Carlo Alberto
e Chrzanowski al ponte di BoflBetlora; Bamorino al ponte di Mezza-
nacorte. — Fazioni di San Siro e délia Sforzesca. — Gombatti-
mento di Mortara; canse délia sconfitta di Mortara. — Giomata
finale di Noyara del 23 marzo. — Abdicazione di Carlo Alberto;
le tregne di Noyara; Casale. — Solleyazione di Genoya. Descri-
zione délie sne fortificazionL — Resistenze e sommessione dei sol-
leyati. — Considerazioni sa la giomata di Noyara e sa la gaerra
del 1849. — Licenziamento délia diyisione lombarda.
n 12 marzo era giunto a mezzo il suo corso, quando in
Milano il maggiore Cadoma presentatosi a Radetzky, in nome
del Governo sardo disdicevagli le tregue ; le nimistà potevano
quindi ricominciare otto giorni dopo. I soldat! delFAustria,
conosciuta taie lieta novella, come Tebbe allora chiamata
il vecchio maresciallo, diedersi a correre le vie délia città,
rtempiendola di evviva aU'Imperatore e al loro capitano;
e ritalia, che da tanto tempo desiderava la guerra, tutta si
commosse e si agitô per nuovi timori e nuove speranze. I
Lombardi prepararonsi a levarsi per la seconda volta in
su Tarme, e Venezia apparecchiossi a mandar fuora dalle
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224 CAPITOLO VI
. lagune grossa schiera di sue genti, che a Rovigo dovevano
congiungersî agli aiuti di Roma già arrivati presso Ferrara,
per assalire poscia insieme i nimici aile spalle, e toglier loro
nel Veneto le vie di comunicazione con Timperio. Aile
parole dignitosamente severe con le quali Carlo Alberto
annunciava a' suoi popoli la seconda guerra di indipen-
denza, Radetzky rispondeva con parole superbamente mi-
nacciose ; dopo avère ricordato ai soldati il loro valore e
le vittorie riportate Tanno innanzi, prometteva di condur]i
a Torino, ove egli avrebbe dettato la pace ai nimici. In un
manifeste all'esercito il maresciallo accusava il Re d'à-
vere violata la santità dei trattati e posti in dimenticanza
i vincoli di parentela, che legavano la Casa di Savoia a
quella di Absburgo; e nel condannare Tirrompere suo in
Lombardla del marzo 1848, paragonavalo al ladro dome-
stico che profltta dell'assenza del padrone per compiere
con sicurezza il furto meditato; in fine, gli muoveva rim-
provero d'avere fatto lega con la ribellione per cacciare
TAustria dairitalia. — Vediamo ora quali furono i militari
provvedimenti délia Sardegna e i disegni di guerra di
Chrzanowski. — Nei sette mesi délie tregue — che tanto
durarono — i Ministri di Carlo Alberto, più che a bene rior-
dinare l'esercito, a indurirlo aile fatiche e renderlo esperto
nclle cose délia guerra, avevano inteso lor cure ad açcre-
scerlo: e questo fu gravissimo errore. Nessuna difesa era
stata da essi innalzata per impedire agli Austriaci â*inTa-
dere il Remonte; nessun luogo afforzato, per appog^giare
l'esercito in caso di sconfltta; e le fortificazioni costrutte
ad Alessandria erano di lieve momento. Non fu sag^io il
collocamento dei primi campi, perô che, occupando il lungo
tratto di paese che da Arona corre sin presso Parma senza
aflTorzare le împortanti posture di Novara e délia Gava, si
indebolissero tanto quel campi da potersi dal nimico vin-
cere con poco sforzo : onde doveva a Radetzky riuscire fa-
cile impresa valicare il Ticino, sorprendere i régi a Mor-
tara e furare a questi le mosse a Novara Chrzanoijsrski,
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L/l OIOBITATA DI NOYARA 225
tenendo per fermo che il maresciallo non opporrebbegli
séria resistenza nelle provincie lombarde, ma al primo ash
salire dei Sardi egli si ridurrebbe aile difese del Mincio
e dell'Adige, corne ayeva fatto dope le giornate di marzo
dell'anno antécédente, Clirzanowski, io dico, non erasi dato
pensiero veruao di prepararsi una valida base di guerra ;
in tal modo mostrô di non possedere i grandi principi del-
Tarte bellica. Egli non si awide, che le condizioni politi-
che e militari di quel giorni erano affatto diverse da quelle
del 1848; avvegnachè allora Carlo Alberto fosse calato a
Lombardia, quando la sollevazione popolare aveva vinto
il maresciallo e costrettolo a indietreggiare verso il Mincio,
e Timperio austriaco era tutto pieno di confusione per la
ribellione di Vienna; e quando, in fine, lo improvviso in-
dire di guerra délia Sardegna aveva accresciuto negli im-
periali lo abbattimento, in cui trovavansi per le battiture
6 i danni sofferti dalle armi cittadine ; mentre nel marzo
di quelFanno 1849 Tordine e la quiète regnavano nella me-
tropoli dell'Austria, e l'esercito di Radetzky — rifatto, ac-
cresciuto e baldo per lo racquisto délia Lombardia — era
bene apparecchiato alla guerrr e anelava a nuovi allori.
Ne'suoi disegni di guerra Ghrzanowski aveva stabilité di
andar primo aile oflTese; superato il Ticino a Boffalora,
ch'egli credevasi certo, non gli contrasterebbero i nimici,
voleva con rapida mossa portarsi sopra Lodi, farvi la gior-
nata col maresciallo e forzarlo a ripararsi dietro il Mincio ;
e mentre egli col grosso deiresercito incalzerebbe gli
Austriaci nel loro dietreggiare, le genti di Alfonso Lamar-
mora, di Ramorino e di Solaroli li molesterebbero ai flan-
chi. Qualora poi Radetzky passasse il Ticino a Pavia, Ghrza-
nowski andrebbe a lui da Novara per assalirlo di fronte se
si volgesse a quella città, e investirlo per flanco, se cam-
minasse verso Alessandria; neiruno e nell'altro caso poi i
Sardi, se vincitori, toglierebbero facilmente al nimico in-
vaditore la ritratta su Pavia e Piacenza, facendo occupare
da Ramorino la Gava, da Lamarmora il passe di Stra-
15 — VoL n. Mabiavi — Storta poi e miL
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226 CAriTOLO vi
délia. — Il générale polacco nel disegnare cosi la guerra
mostrô dl ritenersi invincibile, non essendosi curato délie
fortezze, clie dovevano formare la base délie sue militari
operazioni : laonde una sola scondtta poteva bastare a porre
in isfacelo Tesercito suo, corne accadde a Novara. Chrza-
nowski avrebbe saggiamente provveduto aU'impresa da lui
governata, se, raccolte tutte le sue armi tra Alessandria
e Genova — forte base di guerra — fosse di poi, coa tutta
la potenza sua a piedi e a cavallo, andato celermente ad
oste sopra Piacenza per impadronirsene mediante assalto
improvviso e vigoroso ; cosi, mentre avrebbe rotto i diaegni
del nimico, da quella fortezza — che siede a cavalière del
Po — sarebbegli tornato facilissimo difendere il Piemonte,
la Toscana e buona parte délia Lombardia; e qualora poi
fosse toccata ai régi una sconfltta sul Po, sarebbegli ri-
raasta Piacenza, ove riparare aile perdite soflferte e rifare
le sue forze, e uscirne poi a momento opportuno per ten-
tare novella prova deU'armi. Ma Taccorto Radetzky, quaado
vide con dissennato consiglio stendersi i Sardi oltre mi-
sura lungo il Ticino e spingersi sino a Castel San Giovanni
e a Parma, deliberô rompere la debole linea dei campi
nimici e separarne la destra ; oppressa la quale, correre
ad assalire e combattere la rimanente parte deiresercito
regio in giornata campale, fors'anche finale. A questo scopo
fece grande accolta di sue genti presse Pavia, preparan-
dosi a invadere il Piemonte con tutto lo sforzo suo di
guerra allô spirare délie tregue ; cosi opérande mise « tutte
le sorti morali dalla sua parte, eccitando Tardore de' suoi
e colpendo il nimico di stupore sino dal cominciare délia
guerra » (1).
Quali erano le forze armate dei guerreggianti, quali le
condizioni morali e posture che tenevano al momento di
(1) JoMiKi, De VArt de la guerre.
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LA OIOBNATA DI NOVAEA 227
riprendero le ostilità? — I Sardi contavansi conventicin-
que mila allô incirca; tolti i presidi, i supplimenti dei reg-
gimenti e i moltissimi che allora giacevano negli ospedali,
novaniacinquemila soltanto uscivano alla campagna. Essi
erano ordiaati in ventinove reggimenti di fanti d*ordinanza
e due di granatieri; in cinque battaglioni di fanti leggeri —
bersaglieri — e in uno délia marineria, Real Navi; in otto
reggimenti di cavalleria, tre squadroni di guide e due di
carabinieri a cavallo; in diciannove batterie e mezza di
artiglierie da campo — centocinquantasei cannoni — e due
compagnie d'artiglieri-pontieri ; in sei compagnie di sol-
dati degli ingegneri militari e nel traino deiresercito.
Tutte queste forze armate componevano sette divisioni, cia-
scuna di due brigate; in oltre, una brigata d'avanguardia
e una teraporanea. La brigata d'avanguardia, posta sotto
il comando del colonnello Belvédère, era costituita d'un
reggimento di fanti d'ordinanza, di due battaglioni di fanti
leggeri e d'una batteria d*artiglierie a cavallo : quattro mila
uomini allô incirca. Le prime quattro divisioni constavano
ciascuna di quattro reggimenti di fanti d'ordinanza, d'una
compagnia di bersaglieri, di sei squadroni di cavalli, di
due batterie di cannoni, d*una compagnia di soldati degli
ingegneri militari e di un drappello di soldati del traino.
Avevano a duci i luogotenenti generali Giovanni Durando,
Bes, Perrone e il Duca di Genova, i cui brigadieri erano
Lovera e Trotti, Boyl e La Rocca, Mollard e Ansaldi, Pas-
salacqua e Damiano; ufflciali e soldati contavansi insieme
dacinquantatrè mila. La quinta divisione — \di,,Lombarda —
capitanata dal luogotenente générale Ramorino, compo-
nevasi di quattro reggimenti di fanti di ordinanza, d'un
battaglione bersaglieri e uno di volontari^ d'una grossa
compagnia di stranieri, di sei squadroni di cavalleggeri e
di due batterie di cannoni ; in tutto poi, poco piii di otto
mila ufflciali e soldati ; suoi brigadieri, i maggiori generali
Fanti e Gianotti. La sesta divisione, posta sotto gli ordin-
del maggiore générale Alfonso Lamarmora, constava di doi
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228 OAPITOLO YI
dici battaglioni di fanti d'ordinanza, d*uQa compagaia dî
bersaglieri^ di due piccioli squadroni di cavalli, di due bat^
terie di cannoni, d'una compagnia di soldati degli in-
gegneri jnilitari e d*una squadra del traino ; otto mila uo-
mini allô incirca. La settima divisione — quella di riscossa
— che reggevasi dal Duca di Savoia, era composta di due
reggimenti di fanti d^ordinanza, di dieci squadroni di ca-
valli, di quattro batterie d'artiglierie — délie quali, due a
cavallo — e da grossa presa del traino; in tutto, tredici
mila uomini ; suoi brigadieri, Biscaretti e Bussetti. La bri-
gata temporanea, comandata dal maggiore générale Sola-
roli, era costituita di due reggimenti di fanti d'ordinanza,
del battaglione Real Navi, d'un battaglione di bersaglieri
lombardi (1), d'una batteria di cannonl e di due squadroni
di cavalli parimenti lombardi; in tutto, cinquemila e cin-
quecento uomini; in fine, le artiglierie di sussidio, ordinate
in una batteria e mezza, le due compagnie di artiglieri-
pontieri con le barche e i cavalletti da ponte, e i carri
délie munizioni di guerra; mille e cinquecento uomini.
Presse il Gomando suprême dell'esercito, che, coroe di-
cemmo piîi sopra, sotto gli auspîci del Re tenevasi da Ghrza*
nowski, stavano il capo dello Stato maggiore générale coi
suoi offlciali, quelle délie artiglierie e del corpo degli in-
gegneri militari, cioè i maggiori generali Alessandro La-
marmora, Rossi e Chiodo; trovavasi pure il provveditore
générale dell'esercito. Mentale; in oltre, seguivano il quar-
tier maggiore due battaglioni di fanti leggeri, tre squa-
droni di guide, sessanta carabinieri a cavallo — la scorta
del Re — due compagnie di soldati degli ingegneri militari
e una grossa compagnia del traino; queste forze armate in-
sieme contavano più di due mila uomini. — La brigata d'sr
vanguardia campeggiava Oastel San Giovanni, poco innanzi
il passe di Stradella e a brevi chilometri da Piacenza. Il
(1) Cacciatori yaltellinesi e bergamaschi
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LA 6I0&NATA DI NOYARA 329
primo corpo d'esereito era costituito délia prima, seconda
6 quinta divisione ; Durando areya ordinato le sue genti
a scaglioni davanti a Yespolate, grosso borgo che sta a
meta délia via che da Novara mena a Mortara, tenendo
Vigevano con quattro batiaglioni; Bes occupava Gastel*
nuovo e Oerano, su la via di Trecate a Vigevano. Ramo»
rino stava a campo su la destra del Po a monte e a valle
del passe di Mezzanacorte, spingendo le sue prime guardie
fine a San Martine, davanti a Pavia, e co* suoi bersaglieri
guardando il Gravellone dal suo uscire dal Ticino al suo
mettere foce in sul Po. Il seconde corpo d'esereito era com-
posto délia terza e quarta divisione e délia brigata tem-
poranea. Perrone tenevasi a Galliate — su la via che da
Novara conduce al passe del Ticino a Turbigo — e a Ro-
mantino, villaggio situato tra Galliate e Trecate. Il Duca
di Genova occupava Trecate, non lungi dal ponte di Bof-
falora sul Ticino^ alla cui guardia aveva posto forte mano
di soldatesche. Solaroli trovavasi con la sua brigata tra
Belinzago e Oleggio su la estremità sinistra deiresercito;
allô avanzarsi del quale ei doveva valicare il Ticino a Tor<-
aavento e portarsi celermente su Talta Lombardia — che
affermavasi pronta a pigliare le armi — al doppio scopo
di appoggiarne la sollevazione popolare e sopravanzare la
destra dell'oste nimica. Dietro Novara e su la via di Mor-
tara erasi coUocato il Duca di Savoia con la divisione di
riscossa; e quella di Lamarmora, che al disdire délie tre-
gue stava a Sarzana — ove avevala mandata Gioberti per
interveriire nelle faccende di Toscana — portavasi a Parma
e vi giugneva il 22 di quel mese di màrzo : questa divisione
costituiva la estremità destra dei campi régi ; in âne, il
Quartier maggiore delFesercito teneva sua stanza in Tre-
cate ; Novara poi era stata presidiata da mille cinquecento
nomini.
Durante le tregue Radetzky aveva considerevolmente
accresciuto Tesercito, senza perô introdurre mutamento
verono nella composizione e negli ordini di esso. Gli im-
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230 CAPITOLO VI
periali contavansi cencinquantamila; toltî i presidî delle
fortezze (1), i malati e quelli che trovavansi aU'ossidione
di Yenezia, rimanevane al maresciallo piii di novanta-
mila per l'impresa di Sardegna; forza eguale a quella
dei régi, ch'egli perô superava in cavallerîa e in arti-
glierie, delle quali conduceva in campo ben dugento. Gli
Austriaci erano spartiti in sei corpi d'esercito; il primo
reggevasi da Wratislaw, générale di cavalleria; suoi capi
di divisione, i luogotenenti marescialli Wohlgemuth e Hal-
1er; D'Aspre comandava il seconde; suoi capi di divisione,
i luogotenenti marescialli arciduca Alberto e Schafigotsche;
. il terzo governavasi dal luogotenente maresciallo Appel;
suoi capi di divisione, i luogotenenti marescialli Culoz e
Rath. Del primo corpo d'esercito di riscossa teneva il co-
mando il luogotenente maresciallo Wocher; del secondo,
il luogotenente maresciallo Haynau; il quale stringeva Ve-
nezia con le sue genti. — Appena Radetzky ebbe ricevuto
dal Governo sardo Tatto denunziante le tregue, cômmessa
ad Haynau l'alta potestà su le provincie lombardo?-venet^ e
il carico di difendere il basse Po, comandava agli altri corpl
d'esercito di raccogliersi presse Pavia; e siccome erano
stati coUocati ai quartieri, in modo da potersi recare in
pochi alloggiamenti dove chiamerebbeli poi il duce su-
prême, cosi nella sera del 19 marzo Wratislaw campeg-
giava Mirabelle, su l'antica strada di Milano a Pavia, e a
brevi chilometri da questa città, occupata dai soldati di
D'Aspre; Appel e Thurn tenevano i loro campi a Motta
San Damiano e a Belgioioso su la via di-Pizzighettone;
Wocher, a Fossarmato e Vimanone, poco indietro della
via di Santangelo, ove il 18 erasi recato il maresciallo col
Quartiere maggiore dell'esercito; in fine, moite prese di
(1) Gli Anstriaci presidiavano Mantova, Yerona, Peschiera, Legnago,
la testa di ponte di Brescello, le cittadelle di Ferrara e Piacenza, i
castelli di MUano e Brescia, e la rôcca di Bergamo.
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LA GIORNATA DI NOVARA 231
cavalli e fanti délia divisione di Wohlgemuth stavano lungo
il Tlcino sino a Sesto Galende, dove trovavasi parte délia
brigata Gôrger, la quale presidiava anche VaresQ per vi-
gilare, sotto il governo dello stesso Wohlgemuth, i movi-
menti dei régi. Gon taie ordinamento tutto lo sforzo di
guerradi Radetzky trovavasi davanti alla destra debolissima
deiresercito sardo alla Gava.
I guerreggianti erano uguali in forze armate ; ma gli
ordlni loro, la militare disciplina e lo spirito che li ani-
mava, differivano d'assai. Durante la sospensione délie armi
Tesercito di Carlo Alberto era stato, corne già scrivemmo,
aumentato dimolto; alla guerra, che dai piîi credevasi do-
vere essere lunga e grossa, i Ministri del Re avevano prov-
veduto con forti levé di soldati; se non che, il troppo sol-
lecito indire di quella non concedette agli ultimi chiamati
tempo bastevole a bene addestrarsi aile fazioni, a soppor-
tar le fatiche e i disagi del campo e del combattere. A
questo grave errore, altro non meno grave si aggiunse,
cioè il comporsi di nuovi reggimenti (1), per li quali si
rese necessario un grande promovimento néi gradi tutti
délia milizia, che con mal senno si fece alla vigilia d'uscire
alla campagna, e per anzianità e non per merito (2). Sa-
rebbesi meglio soddisfatto ai bisogni délia guerra portando
a numéro i reggimenti delFesercito, ch'erano di forze di-
versissime (3), e mettendo il di piii nei supplimenti, per
(1) I reggimenti di fanti componevansi allora cîascnno di qnattro
battaglioni; nella guerra del 1848, di tre soltanto. Nel 1849 erano or-
^ati giasta il sistema di Alfonso Lamarmora; nel 1848, giasta quelle
di Yillamarina.
(2) La guerra venue intimata con tanta precipitazione, che molti
Bottotenenti rîcevettero la loro nomina, quando già Tarmi erano state
posate.
(3) I reggimenti di fanti délia quinta e sesta divisione constavano
soltanto di tre battaglioni; di quelli, uno contava milledugento uomini;
on altro, mîlletrecento; due, da ndllecinquento. I reggimenti délie altre
dlTisioni variavano dai duemilacinquecento ai tremilaquattrocento soldati.
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232 CAPITOLO vt
poi coa questi surrogare i morti, i feriti, i prigioaieri ; ed
eziandio col purgare Tesercito dei soldati provinciali, dal-
l'età resi inabili a sopportare le privazioni délia guerra;
cosi lo si avrebbe avuto meno numeroso, ma eletto. Par
potersi servire di tutto Tesercito contra il nimico il €K>-
verno avrebbe dovuto, nei lunghi mesi délie tregue, mobi-
litare alquaate legioni di Ghmrdie nazionali benissimo
atte a surrogare ia luogo délia milizia regolare presidiaate
le fortezze dello Stato; da quelle sarebbersi otteuuti ser-
vigi importantissimi, perô che allora fossero pieae d*entu*
siasmo e bene comaudate (!)• I disastri, toccati ai régi
negli ultimi giorni del luglio e nei primi deiragosto del-
Tanno innanzi, ne aveyano allontata la militare disciplina
e acomposti gli ordini; ô bensi vero che in molti combat-
timenti aveyano fatto belle prove di valore ; ma ben poca
cosa è il valore, quando non è accompagnato da quella fer-
mezza e da quella disciplina che rendono il soldato vinci-
tore délie prove più difflcili, e sovente mutano in propizia
la fortuna da prima mostratasi awersa. Se miserrime e-
rano le condizioni deiresercito, allora che dopo la giornata
del 4 agosto 1848 ritraevasi su la destra del Ticino, per
nulla rassicuranti erano quelle in cui si trovava nei marzo
1849; perô che il Governo, più amante dei grossi bat-
taglioni, che dei battaglioni piccioli, ma di soldati eletti,
non si fosse curato di tornare aU'esercito la sua vera
forza, intendo dire la militare disciplina; e, rialzando
Tanimo abbattuto dei soldati, rldar loro il coraggio usato
e accenderli d'amor patrie, assai più potente a eccitarli
ad opère generose e forti deiramore alla bandiera. Alla
provveditoria générale dell'esercito, la quale neU'anno in-
(1) Questa istitazlonô ô oggi affieitto cadata. Il Ckiyemo, che non amd
d'avere mai altra foiza armata fnor dell^esercito, per mandare a roTÎna
quella istitozione pose al comando deile Quardie Nazionali nomini nnlli
0 da p^eo.
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LA OIORKATA Dl KOTABA 233
oanzi avéra fatto tanta mala prova, noa pensarono i Mi-
alstri del Re d'apportare quelle riforme, daU'esperienza
chiarite indispensabili; e si che essa meritava le cure più
soUecite e piu savie del Governo per Timportanza somma
che ha in guerra, avregnachè le sia aiQdato il manteni-
mento dei soldati e il servizio degli ospedali ambulanti.
« L*arte di vincere, cosi Federico di Prussia (1), si perde, se
non è accompagnata da quella di ben yettovagliare Teser-
cito. > Lo Stato maggiore générale, sul quale tutta riposa la
somma délia guerra, era il medesimo delFanno innanzi, e
qnindi ancora inferiore all'alto suo officie; soltanto il corpo
degli artiglieri e la cavalleria erano veramente buoni;
ma si quelle^ che questa non per numéro bastevoli ai bi-
sogni; difettavasi poi di cavalleggeri, i quali rendono in
guerra servigi importantissimi. — Al contrario gli Au-
striaci, forti per militare disciplina, possedevano fanterie
saldiasime; se il corpo degli artiglieri e la cavalleria per
istruzione e bontà d*armi non potevano gareggiare con
qaelli dei Sardi, avevano perô il vantaggio del numéro. I
generali austriaci e soprammodo gli officiai! dello Stato
maggiore deiresercito erano molto istruiti, esperti negli
ordini délia milizia e pratici in tutto quanto attiensi ai-
Tarte bellica. Radetzky e i suoi luogotenenti godevano délia
Qdacia dei loro soldati, ciô ne accresceva la forza; al con-
trario fede nessuna aveva in Ghrzanowski e ben poca
ne' suoi generali l'esercito regio; il quale, sebbene devoto
a casa Savoia, vedeva di mal occhio quella guerra, ne
volontieri andava allora a combatterla. « Un buon géné-
rale, cosi Napoleone primo (2), dei buoni quadri — la vera
ossatura dei reggimenti — un buon ordinamento, una buona
iâtrozione e una disciplina severa fanno buoni soldati, in-
(1) De VArt de la guerre.
(2) Maximes de gtierre.
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234 CAPJTOLO VI
dipendentemente dalla causa per la quale combattono. > E
tutto ci6 mancava allora airesercito sardo.
Poco iananzi lo intimarsi délia nuova guerra mostra-
vansi nelFesercito del Re mali umori o discordie, e, osiamo
afitermare, persino degli odî; dure parole queste, mavere!
Avevali destati quella setta, che patria non ha; che è ni-
mica a tutto quanto si inspira a indipendenza, a libertà;
quella setta che non abhorre il sangue, e che per sue
mire ambiziose ha persino armato il braccio de' suoi fana-
tici seguaci per uccidere Re e Principi : intendo dire délia
setta gesuitica, la quale, già da lunga pezza potente nella
Sardegna, eravi di quei giorni diventata oltrepotente per
lo appoggio deirAustria. Aveva essa posto neiranimo dei
soldati régi : dover combattere allora non più per Vonorc
délia monarchia sabauda, ne per francare provincie ita-
liane dalla signoria straniera, ma per la repubblica; e
ai volontari militant! sotto le bandiore del Re — ed erano
molti e d*ogni parte délia penisola — i Gesuiti averano
insinuato: essereper dare la loro vita a favore délia causa
regia e per lo ingrandimento délia Sardegna, non per
la libertà patria. — Queste voci bugiarde sparse con arte
malefica neiresercito ottennero lo scopo desiderato; avre-
gnachà, facendo nascere non poche diffldenze tra i soldati.
questi sospettassero délia lealtà dei fini^ cui dicevano ten-
dere i voUmtariy e detestassero la guerra che, come dai
cattivi affermayasi, avrebbero doTuto combattere per la
repubblica; e i volontari poi, i quali, sebbene la deside-
rassero ardentemente — perô che soltanto nelle armi po-
nessero, e a ragione, la salute délia patria — nondlmeno,
alla vigilia di rompere le ostilità, si mostrassero inoerti
délia buona riescita délia impresa. Ne paghi di seminare
discordie e diffidenze tra i soldati e i volontari, i Gresuiti
e i loro partigiani, alla indipendenza patria avyersissimi,
gettavano il disprezzo su le libertà costituzionali e su
Carlo Alberto largitore di esse! Sotto si tristi auspici do-
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LA OIOBNATA DI MOVASA 235
vevano gli Italiani ricominciare la guerra (1). — Ben dif-
ferenti erano le condizioni, nelle quaM trovavansi gli Au-
striaci al riprendere délie armi. Le vittorie guadagnate
nella guorra del 1848, sebbene dovute più al numéro pré-
pondérante di loro forze, che alla perizia del maresciallo
e al valore dei soldati — vittorie che dall'Adige e dal Min-
cio avevanli ricondotti a Milano e al Ticino — a vevano
fatto racquistare aire»ercito impériale la coscienza dolla
propria potenza, toltagli nel marzo dell'anno innanzi dalle
vittoriose sollevazioni del popolo, e pieno di fiducia nel
Tecchio suo condottiero, salutô allora con entusiasmo il
bandirsi délia seconda guerra, che promettevagli nuovi
allopi e nuova gloria. Durante le tregue l'esercito au-
striaco era stato rifatto e non solamente portato a numéro»
ma eziandio accresciuto di molti battaglioni ; ed era stata
altresi creata una divisione di dragoni per li bisogni del
généralissime^ al cui sèguito cavalcava un eletto drappello
di Serezani, mandatogU dal bano di Groazia, Jellachich^
quale scorta . d'onore. Nel tempo délia sospensione délie
armi le fortezze del Quadrilatero avevano ricevuto copia
grande di vettovaglie, ed erano state munite d'ogni cosa oc-
corrente alla guerra; le vecchie difese restaurate e d'altre
opère afforzate; in fine, in tutte le città di Lombardia,
specie poi in quelle che avrebbero potuto trovarsi dentro
la sede délia guerra, Radetzky aveva preso provvedimenti
Talevoli -tA assicurarsene il possesso, nel caso di popolare
(1) BBomBio, Storia del Piemonte, vol. v, cart. 98; Torino, 1852.
Carlo Alberto, in Oporto, nanrô che a Kovara i fioldati d'nn reggi-
mento di fànti, foggenti la pugna, a loi, ehe 11 esortava di tomare al
cunpo, risposero parole inBnltanti.
Nelle Memorie délia guerra d'ItaUa del 1848 e 1849 di on Veterano
dustriaeo, a cart 222 del volume secondo, parlando délia invasione an-
striacain Piemonte, scrisse cosi: a Gli ô ben vero che avevamo dalla
Dostra nn obrto pabtito... » Assai grave confesfiione qnesta d'an nimico
airitalia, confessione che sparge grande lace sa la giomata di NovaTa I
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236 CAFITOLO TI
solleTazione. II massimo accordo e una armonia mirabile
regnavano naU'eserifito, il quale» sebben composto di ele-
meati diversissimi, e direi quasi gli uni agli altri contrari
corne a tutti è bon noto, era tenuto assieme da forte mi-
litare disciplina e da quoi sentimenti d*onore, che ayev&iiio
reso grande, persino in mezzo ai piii tremendi disastrt
toccatigli ai tempi del primo Napoleone. Sotto auspici si
buoni âoveyano gli Austriaci uscire alla campagna.
Dalle posture, che gli imperiali occuparono al dinunziare
délia guerra, chiaro apparve il disegno del maresciallo di
invadere il paese nimico; al quale scopo egli aveva fatto
la massa délie sue genti presse Pavia, per essere iyi faci-
lissimo il passare in Piemonte ; inyasione e passaggio che
egli ebbe a compiere senza contraste, perd che Ghrzanow-
ski, non preveggendoli, si fosse ridotto col grosso deU'e-
sercito sardo intorno a Novara, lasciando debolissima di
forze Testremità destra de' suoi campi davanti allô sforzo
degli Austriaci; onde la guerra dovevasi combattere sul
medio Po e sul basse Ticino. « La grande arte délia guerra,
scriveva Federico di Prussia il 3 novembre 1786 al mare-
sciallo di Sassonia, consiste nel prevedere tutti i casi possi-
bili, e la grande arte del générale sta nel preparare tutti gli
espedienti possibili per non trovarsi impacciato nel momento
di deliberare. » Se Ghrzanowski avesse fatto diligentemente I
spiare le mosse deiravversario — come usano far sempre
i generali prudenti e accorti — nella notte del 10 al 30
marzo sarebbe stato avyertito délia direzione presa dairin-
tiero esercito austriaco; la quale direzione, svelandogli le
mire del maresciallo, ayrebbelo consigliato ad afforzare la
divisione lombarda alla Gava con quella di Durando ; a
guardare i passi del Ticino a Oleggio, Turbigo, Boffalora.
Vigevano e Zerbolô con la brigata Solaroli e le divisioni
di Perrone e Bes; a riunire quelle dei Duchi di Savoia e
di Genova intorno a Mortara, e con queste egli avrebbe
potuto correre alla difesa del passe, che tenterebbesi da
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LA GIORTTATA DI XOVABA 237
Radetzky col grosso délie sue forze. Che il générale polacco
non temesse una vera e grande invaslone» ma soltanto un ten-
tative del nimico a Payia, ce lo prova il comando date poi
da Ramorino di struggere il ponte di barche sul Po a Mez-
zanacorte, e ciô allô scopo di combattere gli imperiali in
qaella difficile postura — perô che ivi sarebbersi trovati
COQ due grossi fluml aile spalle — e impedir loro di pas-
sare in quel luogo su la destra del Po. Gon tali mutamenti
e tali mosse, che potevansi compiere innanzi lo spirare
délie tregue, Tesercito regio sarebbesl awicinato alla sua
base délia guerra, Valenza-Alessandria-Qenova, fortissima
per natura di sito e per arte, ma dal suo capo suprême
coa poco senno negletta; in oltre, sarebbesl appressato
alla divisione del générale Lamarmora di quanto bastava
per arerla con se in una giornata campale. — Allô intento
d'impedire al nimico di portare la guerra in Lombardia,
Radetzky invase il Piemonte con tutte le sue forze armate ;
ciô che sarebbegli tomato di rovina, se Ghrzanowski, da
générale risoluto e audace, fosse entruto in Lombardia con
tutta la sua potenza a piedi e a cavallo, e rapidamente
portandosi su l'Adda e su TOglio avesse minacciato agli
imperiali le loro vie di ritratta al Mincie. « Una corsa
ntpida, un camminare spedito, cosi Napoleone nelle sue
Massime di çtierra, accrescono il morale dei soldati... La
forza d'un esercito, corne la quantità dei movimenti nella
meccanica,Yaluta8i dalla massa moltiplicata per la yelocitii. »
-- n timoré di peter venire separato dalla sua base délia
guerra ayrebbe certamente costretto il maresciallo a die-
^eggiare dal Ticino e ad aTvicinarsi al Quadrilatero ; nella
qnale ritratta, se perseguito vivamente dai régi e molestato
daiLombardi soUevati, sarebbergli toccati non pochi danni.
n vasto piano che stendesi fira 11 Ticino e la Sesia^ le
pendici meridionali dell'Alpi elvetiche e le settentrionali
dell'Appennino ligure, formava la sedia délia guerra (1);
(1) Vedi l'Atlante.
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238 CAPITOLO VI
la quale misurava in lunghezza da' centoventi chilometri,
poco più di sessanta in larghezza ; nel suo centro trovaTasî
Novara, città non munita di difese. La parte bassa di quel
piano è forte per la cittadella d*Alessandria; ma la sape-
riore è aperta air assalitore invadente, essendo il Ticino
un ostacolo facile a superarsi : per la quale cosa una gior-
nata perduta su quel fiume o su la Sesia farebbe cadere
in mano al nimico l'alto Piemonte con la sua metropoli;
e qualora Tesercito venisse soparato da Alessandria, non
potendosi sostentare la guerra su le Alpi, sarebbe forzato
a posarla; cio che accadde a Novara. Altri âumi, molxi
torrenti e canal! — le cui acque vanno a immettersi nel
Po e nel Ticino — attraversano i piani di Vercelli, d'Ales-
sandria, di Mortara e di Novara; che perô poco giovano
alla difesa, nulla alla ofiesa. — Suonavano le undici anti-
meridiane del 20 marzo , quando D' Aspre col secondo
corpo d'esercito divise in tre schiere valicava il Ticino a
Pavia su tre ponti (1), uno stabile e due militari costratii
airalbeggiare del giorno, di poco a valle délia città; i quall
mettevano neirisola formata dal Ticino e da un suo ramo,
il Gravellone, che esce a destra del corso principale di
quel fiume poco al di sopra di Pavia, per ritornargli sue
acque non lungi dal suo mettere foce in sul Po. Le prime
ascolte degli Austriaci stavano neirisola sovraccennata;
erano un battaglione di cacciatori tirolesi che tutta la
occupava; due^cannoni battevano la via conducente alla
Cava. AUo scoccare del mezzogiorno le schiere del mare-
sciallo D*Aspre superavano il Gravellone; quella di désira,
a guado e a valle del ponte stabile di barche esistente su
la strada di Pavia a San Martine, sul quale passava la
schiera di mezzo; e la sinistra valicavalo sopra un ponte
(1) Giusta la relazione di Badetzky su la giornata di Novara, il
mattino del 20 marzo trovavansi raccolti presso Pavia sessanta batta
glioni di fanti, qaaranta squadroni di cavalli e centottantasei caononL
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LA. GIORNATA DI KOVABA 239
railitare brevi ore prima costrutto. L'avanzare degli im-
periali fu per poco contrastato dai bersaglieri lombardi
— il battaglione di Manara — che su la destra del Gra-
vellone forniva le prime guardie délia divisione Ramorino.
Questo générale, cui era stato comandato di portare nel
mattino del 20 marzo il suo campo alla Gava — buona
postura signoreggiante la via di Mortara — e di stendere
parte délie sue genti lungo il Ticino sino al passo di Be-
reguardo per osservare le mosse del nimico, reputando,
0 a ragione, impossibile lo eseguimento di taie disegno con
le poche sue armi, erasi tenuto col grosso délia divisione
su la destra del Po intorno a Casatisma, accontentandosi
di mandare verso Zerbolô un battaglione di fanti, d'occu-
pare la Gava con altri due e con la picciola legione degli
studenti lombardi, e San Martino Sicomario col battaglione
ai Manara. Le quali forze armate insieme contavano due
mila uomini appena, pur compresi gli artiglieri dei due
caaiioni collocati su la destra del Po alla testa del ponte
di barche di Mezzanacorte e i pontieri che stavano a guar-
dia di quello (1). Ghrzanowski aveva imposto altresi al
générale Ramorino di tentare Pavia nel mattino del 21 ; e
se gli riescisse di recarsela in mano, di spingersi immediata-
meute con tutta la sua divisione sopra Lodi, ove, come so-
pradicemmo, egli sperava far la giornata col maresciallo (2);
(1) All'antore di queste istorie, che allora, Inogotenente nelle arti-
gUerie lombarde, goveniaya i due cannoni collocati aUa testa del ponte
^ barche di Mezzanacorte per batterie al bisogno in tntta la sua Inn-
ghezza, era stato comandato di incendiarlo con granate, qnando il ni-
mico tentasse passarlo; inntile ordine qnesto, perô che gi& da più giomi
Qoa sqnadra d'artiglieri-pontieri si fosse bene preparata a ritirare, in caso
<li perlcolo, buon numéro di barche presse la destra del Po.
(2) tt n giorno âO, nel mattino, senza affaticare il soldato, la divi-
none lombarda dovrA prendere nna forte posizione difensiva alla Cava
e nei dintorm... DottjI assicnrarsi le due linee di ritirata nei easi occor-
fenti, quella cioô del ponte snl Po a Mezzanacorte e quella di Sanna-
zaro. n Ticino sarà soryegliato da ronde dal ponte di Beregnardo sino
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240 CAPITOLO VI
e qualora Pavia gli résistasse, o gli Austriaci ne uscissero
numerosi contra i Lombard!, Ramorino — rotto il ponte
di Mezzanacorto allô scopo di impedire ai nimici di pas-
sarvi il Po — doveva indietreggiare verso Sannazaro e
Mortara; se poi gli imperiali sboccassero con grandi forze
dal passe di Bereguardo, portarsi su la destradi quel fiume.
Ma egli, ritenendo, pcr le mutate circostanze, impossibile
a eseguire ciô che quattro giorni innanzi eragii stato co-
mandate dal generalissimo» voile che i battaglioni già col-
locati davanti al Gravellone e sul basse Ticino e airnscir
di Pavia degli Austriaci ritrattisi dietro il Po, si stendes-
sero lungo le rive di questo fiume a monte e a valle del
ponte di Mezzanacorte, e la restante parte délia sua divl-
sione campeggiasse Gasatisma, ove Ramorino tenera sua
stanza. Fu scritto, che la disobbedienza di questo générale
tornô esizialissima alla guerra ; taie affermazione è esage-
rata dimolto ; invero, s'egli col sacriflcio di buona parte délia
sua divisione avesse fatto alla Gava una resistenza ostinata
— la natura del sito sommamente avvantaggiando la difesa —
al metter foce snl Po... È essenziale tenersi informato délie forze nîmié^h^
che stanno di fronte, e qualora non sieno snperiori, si devra tentaie di
împadonirsi di Pavia il mattîno del giorno 21, salvo ordini contraiL II
migliore modo di conoscere le forze nimiche sarà di assaltare l'isola
Inngo il GraveUone; se il nimico la difende debolmente, segno ô che
ha poche forze; se con tenacità, ô indizio di forze superioii. Nel
primo caso bisognerà impossessarsi a viva forza dell'isola, e padroni
del borgo, battere Pavia di fronte, mentre con altre forze armate la
si girerebbe a valle deU'isola stessa verso la casoina Momhallone ; nel
secondo caso bisognerà limitarsi a nn combattimento lento, ma cont>
nnato, per distogUere di là quelle forze nimiche e ricominciare la do-
mane il combattimento. Signord di Pavia, dovr& cautamente persegnîre
il nimico senza arrischiarsi di troppo, e collocandosi su la destra di
Lodi, mandare grossa mano di sue genti verso Belgioioso ad e^loraR
le vie che conducono a Milano e a Melegnano. » — Queste le istm-
zioni spedite da Ghrzanowski al générale Ramorino il 16 mano, toa
che non potevansi mandare ad effetto.
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LA OIOBNATA DI NOYABA 241
il nimico sarebbe stato ia sao cammino arrestato per tutto
quel giorno; e Ghrzanowski, dal cannone délia Gava av-
Tertito deirinvasione austriaca, accorrendo in aiuto dei
Lombardi con le genti di Durando, di Bes e del Duca di
Savoia, avrebbe potuto opprimere gli iuvaditori nellastretta
del Ticino e del Po. Nel caso poi che la divisione di Ramo-
rino non potasse résistera airurto deiroste impériale sino al
giugnere di Chrzanowski, ritraendosi a Mortara, avrebbe
preso pai^te alla giornataivi combattuta il di appresso, e cer-
tamente impedito il disastro toccato a Durando poche ora
dopo. — Il numéro soverchiante degli Austriaci invadenti
costrinse i piccioli battaglioni lombardi, che guardavano il
Gravellone e la Gava, a ripassare il Po ; allora venne disfatto
il ponte di Mezzanacorte. Il battaglione lombarde del ven-
tunesimo reggimento, campeggiante presse Zerbolô, non
avendo potuto riunirsi alla divisione per essergli stata le-
vata la via, recossi a Mortara; e cosi rimosso ogni ostacolo
D'Aspre prosegui il suo cammino verso i luoghi désignât!,
n quale, per la via di Mortara, si porto a Gropello con Ap-
pel — che col terzo corpo d'esercito l'aveva seguito da
presse — e dietro a loro Wratislaw col primo a Zerbolô ;
ove il di vegnente fu raggiunto da Wohlgemuth con la bri-
gata Gôrger — e poco innanzi presidiante Varese e Sesto
Calende; egli con le fanterie aveva passato il Ticino a Bere-
guardo; i suoi cannoni e la sua cavalleria, a Pavia. Thurn,
Bpedita a Mezzanacorte la brigata di Ëdoardo Liechtenstein
a spiarvigli andamenti délia divisione lombarda, col restante
di sue genti — il quarto corpo d'esercito — postossi alla
Cava; il primo corpo di riscossa, lasciata addietro la bri-
gata WimpflTen — la quale doveva presidiare Pavia per as-
sicurare al maresciallo il passe del Ticino — sotto il co-
mando di Wocher pose i suoi campi sul Gravellone ; in fine,
Radetzky (1) portossl col Quartier générale [deiresercito
(1) Al Buo entrare in Piemonte il maresciallo pubblicava un mani-
festo aile popolazioni; nel quale, dopo avère incolpato il Be di quella
16 — Vol. n. Mabuni — Storia poi. • miL
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242 CAPITOLO VI
nella città ticiûense: queste le posture deirarmi austriaclw»
nella sera del 20 marzo.
Mentre gli impérial! coa tutto lo sforzo di guerra vali-
cavano il basso Ticino, dal ponte di Bofl&lora i régi cala-
vano a. Lombardia; ma, appena occupateae le prime tem.
lasciavanle per correre contra il nimico invadente ii Pie-
monte. Due ore innanzi lo spirare délie tregue Carlo Al-
berto e Chrzanowski giugnevano a quel ponte, alla cui
difesa tenevasi l'antiguardo délia divisione del Duca di
Genova — la quarta — che allô scoccare del mezzogiorno
là trovavasi, serrata insieme. Dopo lungo osservare nulU
scorgendosi su la sinistra del fiume che rivelasse la vicl-
nanza degli Austriaci, ne udendosi fragore veruno di a^
tiglierie dalla parte délia Gava, Ghrzanowski comandava
al Duca di Grenova di portarsi con tutta la sua divisione
sopra Magenta a ricercàre la contrada piii avanti gli fosse
possibile e riconoscere i luoghi e i campi degli imperiali:
e in pari tempo ordinava al générale Perrone — in quel
mezzo campeggiante Galliate — di recarsi al ponte per
appoggiare, se la bisogna il ricbiedesse, con le sue ge&t:
quelle del Duca di Genova. Primo a varcare il Ticino e a
premere il suolo lombarde fu il Re alla testa d*una com-
pagnia di bersaglieri, al cui avanzarsi fuggivano i corri-
dori austriaci, i quali lungo il fiume spiavano le mossedei
régi. In Magenta egli veniva avrertito, avère Radetzky fatta
la massa di sue genti intorno a Pavia; novella questa che |
sommamente turboUo e sconcertô non poco Cbrzanowski. !
inginata guerra e dei molti mali cbe ayrebbe loro arrecati, assicnranle
che l'eserGito impériale rispetterebbe le loro vite e quanto possedemn
se a quella non prendessero parte yemna. « Me non anima, cosi coc- 1
chindeva, come Carlo Alberto lo spirito di conqnista; ma yengo a <ii' |
fendere i diritti dell'Imperatore mio sîgnore, e la integrità délia do-
narchia cbe il tostro Ooremo, alleato alla ribellione, slealmente dù-
nacda. »
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LA 6I0BKATA DI KOTABA 94B
Ëssi, che eransi tenuti certi di combatliere il maresciallo su
l'Adda, saputolo con tutto resercito sul basso Tîcino, stanno
ailora tra dae sopra quanto meglio conviene operare; se
Radetzky osa invadere il Piemonte — ove uomini e cose
essendogli apertamente nimici gli lasceranno soltanto il
terreno da lui campeggiato (1) — perché mai Oarlo Al-
berto e il generalissimo non osano irrompere in Lombar-
dia, ove tutto è amico ad essi e la popolazione è pronta
a levarsi in su l'arme ? Perché mai con rapide mosse non
vanno a coUocarsi su le vie di comunicazione degli Au-
striaci col Mincio e con le fortezze del Quadrilaterof Per-
ché, in âne, non rispondono all'audacia del maresciallo con
pari audacia? Se nel Re e in Ghrzanowski la gaglîardia
deiroperare fosse stata pari al loro valore; se avessero
saputo prendere la guerra con maggiore caldezza, arréb-
berla indubitabilmente condotta a onore; ma in Oarlo Al-
berto la irresolutezza era, più che un abito, una infermità
deiranimo; e il générale polacco, sebbene possedesse le
teoriche délia guerra, mancava perô di prontezza nel de-
liberare, d'operosità e vigoria nel mandare a efTetto i pro-
pri disegni. « Per un générale, cosi Napoleone (2), la vera
sapienzasta in una forte risoluzione. » Che fa ailora Ghrza-
nowski? Lasciato il Duca di Genova sul Tîcino e ordinato
a Perrone di tornare a* suoi campi di Galliate, portas! col
Re a Trecate, ove pone il Quartiere générale dell'esercito !
forse ad aspettare <9he il cannone nîmico abbîa ad avver-
tirlo délia disfatta di Durando e délia caduta di Mortara
in mano agli Austriaci ? — Nella sera di quel giorno 20
marzo, Ramorino accresceva le difese del ponte di Mezza-
nacorte di due sezioni d'artiglierie, comandando per6 nes-
sim colpo si avesse a tirare sui nimici campeggianti la
(1) u L'esercito, che entra in un simile paese, non vi possiede che
il terreno snl qnale s'accampa. n
JoHiHi, De VArt de la guerre,
(2) MaxmeB de guerre.
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S44 CAPITOLO YI
sinistra riva del Po; i qaali, durante la notte, incendia-
roQO alcune barche che trovayansi su la riva dol fiume,
presso cui costruirono una batteria di cannoni da campo.
Poco dopo Talbeggiare del di Yegnente Liechtenstein trasse
fùriosamente con razzi di guerra e artiglierie contra
quelle dei Lombardi, i quali, con eguale furia ma con
maggiore esattezza di tiro, risposero e si efficacemente al-
l'offendere del nimico da mandare a rovina la sua batteria
e guastarne i cannoni. Durô due ore il fuoco, col qaale
gli Austriaci intesero a raggiungere — corne in fatto rag^
giunsero — il doppio scopo, di coprire la loro andata 90-
pra Mortara e tenere tutta rivolta Tattenzione del nimico
ai passi del Po allô intente dlmpedirgli di molestare quella
loro mossa. Nel mattino stesso del 21 marzo gli imperiali
lasciavano la postura di Mezzanacorte per non piii curarsi
di Ramorino, paghi d*ayergli leyata la via di comuoica-
zione col grosso deiresercito italiano.
In sul cadere di quel giorno, rimesso il comando deila
diyisione, il générale Ramorino lasciava il campo di Oa-
satisma, chiamato da Chrzanowski in nome del Re a Tre-
cate. Lunga era la yia ch' ei doyeva percorrere, perô che
gli ussari austriaci, spintisi già oltre TAgogna, ricercando
da quella parte tutte le terre per ayer lingua délie armi
nimiche, costringessero il générale a passare per Jdesr
sandria, Gasale e Yercelli per recarsi a Noyara — allora
allora diyenuta stanza del Quartier maggiore dei régi -
e doye giugneya aile undici e mezza délia notte del 22.
Aile tre del mattino del yegnente egli presentayasi a
Ghrzanowski, il quale — dopo ayere lamentata la perdita
di Mortara e la soonfltta di Durando, e pronunciate parole
di biasimo per l'esercito del Re, e dopo essersi espresso
in modo da far conoscere, come tenesse Ramorino per in-
yido e geloso del generalato suprême conferitogli dal Go-
verno sardo — terminaya il suo parlare cosi : « Bisognara
sino dal cominciare délia guerra dirmi che yoi non to-
leyate militare sotto gli ordini miei. > Indi a lui, che af-
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LA GIOBNATA DI NOYARA 245
fermava d'avere avuto uno scopo solo, quello di dare il
sao braccio alla patria, e che amandola egli veramente
non poteva nutrire sentimenti di invidia e gelosia, Ghrza-
nowski rispondeva: = Ora che la cosa è pubblica» dubi-
tare che il Re sia per rimetterlo alla testa délia divisione
lombarda ; consigliarlo perô a chiedergli taie favore e nel
tempo stesso anche una Gommissione, la qaale abbia a in-
vestigare Toperato suo e cercare le prove dei fatti de-
nunziati, come meritevoli di punizione. = Aveva scritto
Ramorino a Ghrzanowski, quanto da questo vecchio suo
compagne d*armi eragli onestamente e saviamente sugge-
rito, allora che verso le dieci del mattino stesso ricevera
lettera dal gênerai maggiore, il qaale avrertivalo che il
Re, nello accettare la richiesta d*una Gommissione esami-
natrice del suo operato, vietavagli di presentarsi davanti
ai soldati sino a che fosse egli giudicato e assolto délie
colpe a lui attribuite. Stava queU'infelice per chiedergli
la licenza di portarsi a Torino per sollecitarvi il racco-
gliersi délia Gommissione, che dovea condannarlo o assol-
verlo, quando il romoreggiare dairartiglierie, nello annun-
ciargli Tawicinarsi del nimico, awertivalo non essore
quello momento opportune a scrivere a Ghrzanowski, cer-
tamente ito già a governare il combattere. Di Ramorino
€ de' suoi tristi casi narreremo piîi avanti.
U généralissime — che vedemmo dal ponte di Boffalora
correre a Trecate per aver lingua degli Austriaci, non
incontrati su la sinistra del Ticino — saputo nella sera
di quel giorno 20 del loro entrare in Piemonte e dello in-
dietreggiare dalla Gava di Ramorino, chiamato a se il
Duca di Genova, mandavalo con sue genti a campeggiare
Vigevano, ove giugneva nelle ore pomeridiane del ve-
gnente(l); in pari tempo comandava a Durando di recarsi
(1) Vedi rAUante.
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246 • CAPITOLO VI
con la sua divisione a Mortara; a Bes, di coadursi alla
Sforzesca e per Vigevano procedere inaanzi verso Pavia
occupando borgo San Siro col suo antiguardo; aPerrone,
di scenderea Gambolô; a Solaroli, di calaresopra Boffalora
per difendervi il passo del Ticino ; in fine, al Duca di Sa-
voia, di eollocarsi con la riscossa intorno a Mortara. Con
taie ordinamento de' suoi campi — che chiariva lo inten-
dimento del générale maggiore di fare la giornata coi ni-
mici sui piani che stendonsi davanti a Vigevano e a Mor-
tara — il grosso deiresercito — da trentotto milauomini
e sessantotto artiglierie — egli voleva raccolto presse Vi-
gevano, che, giusta i suoi calcoli, doveavi arrivare aicuQ>'
ore prima di Radetzky; da ventisei mila uomini e quaran-
totto cannoni avevano a riunirsi presso Mortara; concio
Ohrzanowski mirava pure a offendere la destra dei campi
imperiali. Lasciate le stanze di Trecate, Carlo Alberto in
sul mezzogiorno del 21 entrava in Vigevano; ove poco
dopo il tocco il romoreggiare del cannone annunciavagli
essere i suoi aile prese con gli Aùstriaci a borgo San Siro.
Mentre i régi numerosi raccoglievansi dinnanzi a Vige-
vano, il nimico avanzavasi per recarsi in mano questa
terra e ferire il primo colpo contra Mortara, ove il ma-
resciallo intendeva condursi con lo sforzo suo di guerra.
Al quale scopo, fatto mangiare ai soldati il pasto del mat-
tino, comandava a Wratislaw di andare col suo corpo à\
esercito, il primo, sopra Gambolô ; poscia, avanzarsi sino â
Mortara, porsi a campo a destra di questa terra, e nel
medesimo tempo spedire il luogotenente colonnello Schaoz
con due battaglieni di fanti, due squadroni di cavalli e uns
mezza batteria di razzi a occupare Vigevano; ciô che non
gli fu dato di eseguire per essergli ivi già state furatele
mosse dai régi. Per comando di Radetzky il maresciallo
D'Aspre doveva, col seconde corpo d'esercito, seguire
Wratislaw e procedere oltre Mortara, se non tenuta dai
Sardi, mentre Appel, col terzo, occuperebbela, e Thuni
col quarto collocherebbesi su la sinistra di quella città.
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LA GIOBNATA DI MOVAKA 247
dietro la quale e a cavalière délia via di Garlasco e Tru-
mello posterebbosi Wocher con l'esercito di riscossa. Con
lali moss6 il vecchio maresciallo mirava sopravanzare la
destra dei campi italiani, levare a questi la via di Torino
e, cJô che più importavagli, separarli dalla lor base délia
gueira, Valenzc^Alessandria^Genova, e stringerli poscia
tra il grosso délie sue forze armate e il Ticino; disegno
in parte riescitogli per l'imperizia dei général! del Re, che
non seppero eseguire quanto Chrzanowski aveva lor co-
mandato. Radetzky, nel suo camminare sopra Mortara,
lasciô espofiico aile oflTese nimiche il suo flanco destro, che la
debole schiera di Schanz era impotente a difenderlo da un
vigoroso assalto degli Italiani. Se quella mossa di fiance,
latta in molta vicinanza delFesercito regio, fu per Ra-
detzky una colpevolissima imprudenza, cosa dobbiamo mai
dire délia indolenza dei generali di Oarlo Alberto, che la-
sciaronla compiere senza la minima offesa ?
Era da poco suonato il tocco, allora che l'avanguardia
di Wratislaw — la brigata Strassoldo — e le genti di
Schanz urtavano fortemente sopra il debole avanguardo
délia divisione di Bes in borgo San Siro; il quale, costretto
dal numéro degli assalitori — che contavano tre volte
tanto le forze sue — a cedere loro il campo, ritiravasi
verso San Vittore; unitosi a due battaglioni di fanti, ve-
nutivi ad appoggiarlo, si ridusse di poi alla Sforzesca, sem-
pre combattendo il niraico d'ogni parte premente per rom-
P^re gli ordini suoi. La pugna si riaccese e fu aspra alla
Sforzesca, davanti alla quale, preparato a ricevere gli as-
salitori, trovavasi Bes con due reggimenti di fanti, alquanti
bersaglieri, due squadroni di cavalli e otto cannoni (1),
Gli Austriaci, tuttavia preponderanti in numéro, tentarono
(1) La brigata Casale, spedita da Bes verso Fogliano per impedire
û niinico di sopravanzare Vigevano, chiamata di poi al combattiiiiento,
Qon poté prendere parte a questo, avendo smarrita la via délia Sfor-
eesca.
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248 OAPITOLO TI
girare sui fianchi Tordinanze dei régi, ma invano ; e quanta
volte le assaliroQO, altrettante yennero respinti, e da ul-
timo in si malo modo, da essere obblîgati a indietreggiare
disordinatamente. E Bes avrebbe certamente lor fatto toc-
care piena rotta, se non fosse corso ad appoggiarli Wohl-
gemuth con buona parte délia brigata Gôrger — ohé in
quel mezzo aveva varcato il Ticino a Bereguardo — e cou
una batteria di cannoni del primo corpo d'esercito di ri-
scossa incontrato per via. — Ghrzanowski, appena udi lo
strepito délie artiglierie combattenti a San Siro, fece avan-
zare un reggimento di fanti délia divisione Perrons su la
via délia Sforzesca, e con un altro, parimenti di quella
divisione, e dieci cannoni egli stesso si porto fino a mczzo
chilometro da Gambolô, verso cui muoveva Wratislaw col
grosso del suo corpo d'esercito. Pervenuta a quella terra
in sul cadere del giorno, Wratislaw soUecito spedi forte
schiera di sue armi ad affrontare gli Italiani, già ordinati
alla pugna e préparât! a contrastargli il passe; ributtato,
venue a sua volta assalito e costretto a dare addietro.
Chrzanowski avrebbelo incalzato, se lo iugrossarsi délie
battaglie austriache per lo sopravvenire di forti sussidi e
il vivo romoreggiare di cannoni e di moschetti udito dalla
parte di Mortara non Tavessero consigliato a retrocedere,
per fare al dimani la giornata col nimico dinnanzi a Yi-
gevano e con quanto di sue genti sarebbegli stato possi-
bile di raccogliere nella notte. Esizialissima deliberazione
questa, e certamente délie piii gravi tra le cause che con-
corsero a rovinare Timpresa; avvegnachè con taie indugio,
rimettendo cioè al di vegnente quelle oflTese, che avreb-
bersi potute fare nella sera contra gli invaditori, si con-
cedesse al maresciallo tempo bastevole a raccogliere tutte
le sue forze armate. Se il gênerai maggiore, all'arrivare
del Duca di Genova in Vigevano — che fu in sul finire
del giorno (1) — senza por tempo in mezzo e proflttando
(1) n tardare délie vettovaglie fii causa del tardo giugnere a Vige-
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LA OIOBKATA DI KOYARA 249
deirentusiasmo de' suoi soldati destato dal buon esito del
combattimento délia Sforzësca, avesse fatto impeto su gii
imperiali a Gambolô, sarebbe indubitabilmente riescito a
rompere la destra dei campi austriaci, riparando cosi lar-
^mente allô scapito patlto da Durando a Mortara; e, re-
cuperata questa città, avrebbe ridotto il maresciallo alla
Gava, nella stretta del Pc e del Ticino. 11 non aver ci6
operato provô, che Obrzanowski, se di scienza bellica pos-
sédera quanta gliene davano gli amici suoi, non era tut-
tavia atto a maneggiare la guerra, ne condurla con au-
dacia e vigore.
Durando, che giusta gli ordini del généralissime avrebbe
dovuto, il mattino del 21, collocarsi dietro i Sabbioni di
Mortara (1) — i quali formano un'eccellente postura di difesa
— e spingere la sinistra dei campi délia sua divisione verso
Fogliano, allô scopo di sostenere e alla bisogna di farsi
appoggiare da quelle campeggianti Vigevaiio (2), maie in-
terpretando quegli ordini, invero poco chiari e molto meno
esatti,tenutosi presse Mortara, ponevasi a cavalière délia via
di Garlasco con le sue due brigate di fanti — Aosta e Regina
— di cui otto battaglioni in prima ordinanza e quattro in
seconda; con le due batterie di.cannoni dinnanzi a quelle,
separate da un profonde fosso sul quale era stato costrutto
un ponte ; con la cavalleria su le vie di Garlasco e Vige-
vano e tre squadroni entre Mortara. E il Duca di Savoia,
vano deUa quarta divisione; allora, corne nell'aiino innanzi, la Provve-
ditoria générale dell'esercito, per inettezza air alto sao carico, cagionô
danni e disastri!
(1) Vedi TAtlante.
(2) Notammo più sopra che Bes, non avvertito da Chrzanowski del
gingnere di Dnrando a Mortara, mandava la brigata Casale a Fogliano
per difendere da qnella parte Vigevano, se i nemici l'assaltassero ; in
tal modo indeboliva con grande suo danno il campo délia sna divisione
aUa Sforzesca.
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250 CAPITOLO VI
cui Chrzanowski avéra comandato di spalleggiare la dé-
sira del campo di Durando e proteggere Mortara, qui
giunto — e f u poco dopo le due pomeridiane — stendeva
la sua divisione da Gastel d'Agogna sino a trecento metri
da quella città, sopra un terreno per tanti impedimenti
difficile a percorrere e a muoversi osservando gli ordini.
La destra délie sue battaglie egli componeva délia brigata
dei granatieri ; la sinistra, délia brigata Cuneo, le cui estre-
mità e il centre afforzava di ventiquattro cannoni ; copriva
il corno destro délia sua ordinanzacon un^reggimento di
cavalli; l'altro reggimento con otto cannoni — il sussidio
suo — coUocava dietro il centre di tutta la ordinanza (1).
Cattive posture queste del Duca di Savoia, avvegnachè pcr
recarsi in aiuto di Durando — se oppresso dal numéro dei
nimici — ei dovesse passare attraverso Mortara col peri-
colo di averne impedite le vie dai fuggitivi: donde la con-
fusione, il disordine ; e conseguenza di quella e di questo,
danni gravissimi e irreparabili : lo che accadde a Mortara.
— Chrzanowski, il quale, persuaso di dover fare il di ve-
gnente la giornata con gli Austriaci, aveva comandato alla
prima divisione di postarsi a levante di Mortara sui campi
che dai Molini di Faenza scendono ai Gasoni di Sant'Al-
bino su la via di Garlasco, formando cosi un angolo rien-
trante con la destra dell'esercito, che sarebbesi schierato
dinnanzi a Vigevano, e aveva mandate la riscossa a porsi
con la sinistra dietro Testremità destra délia divisione di
Durando e a stendersi con la sua destra sin presse Gastel
d'Agogna, al doppio intente d'aflforzare il générale Du-
rando e coprire Mortara, Ghrzanowski, io dico, spediva cola
Alessandro Lamarmora col carico di vigilare a che i di-
segni e i comandamenti suoi fossero pienamente mandati
a efietto. ^- Arrivato al tocco in Mortara, Lamarmora ve-
(1) n Dnca di Savoia aveva fortificato il Molino Nuovo, spalleggianta
la destra délia brigata Cuneo,
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LA OIOBNATA DI NOTABA 251
data ]a prima divisione sopra le posture già da noi de-
soritte, comandavale che, dopo essersi cibata del vitto che
ailora allora si apprestava, si avanzasse e si ordinasse
su quelle già ad essa designate dal geaeral maggiore, e
ael frattempo spedisse fuora degli esploratori a cercare
il terreno flao a San Giorgio, per avère novelle del nimico
etroyare altresi una via per Castel d'Agogna. I quali esplo-
ratori riedevano senza riferire cosa alcuna degli Austriaci,
e senza che Tufficiale dello Stato maggiore deiresercito,
preposto a quella ricognizione délia campagna, avesse sa-
puto rinvenire la via desiderata e che proprio esisteva.
Aile tre, e appuato in quella che da ogni parte annuncia-
vasi Tawicinarsi del nimico, Durando procedeva innanzi,
non fino aile posture che avrebbe dovuto tenere sin dal
mattino, ma solamente poco piii di un chilometro e mezzo,
collocaudosi su due ordinanze a cavalière délia via di Gar-
lasco ; schierando a destra délia medesima la brigata Re-
gina, la estremità délia oui ordinanza era afforzata dal
conveuto di Sant'Albino, difeso da un battaglione di fanti
e dal torrente Arbogna; e a sinistra la brigata Aosta,
airestremità délia cui battaglia faceva spalla un reggi-
meato di cavalleria e stava il cimitero di Mortara — situato
presse la via di Vigevano — nei mûri del quale erano state
aperte moite feritoie; in fine, le due batterie ponevansi
da Durando lungo la fronte délia divisione ; e il Duca di
Savoia, che vedemmo giugnere a Mortara poco dopo le due
pomeridiane, collocavasi ne' luoghi da noi descritti qui so-
pra. Cosi ordinate e proprio contra i princîpi deU'arte
bellica, quelle due divisioni, che insieme contavano ven-
tisei mila uomini e quarantotto artiglierie, ne presenta-
vano al nimico poco piii di sette mila con sedici cannoni ;
e le rimanenti forze, perché troppo distant! dalla prima
ordinanza e separate da questa da un largo fosso, che im-
pediva di muoversi con facilita e speditezza, non potevano
&1 bisogno soUecitamente aiutarla ; in oltre, la molta vici-
nanza di quella città che, come già notammo, trovavasi
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252 OAPITOIiO TI
a un chilometro e mezzo circa dietro ad essa, poteva,
nel caso d'una ritratta, essere causa dî disordine, corne
lo fu. Durando, col piantare i suoi campi su le posture
designategli dal généralissime, e il Duca di Sayoia, cou lo
spalleggiarne saviamente la destra, ayrebbero non sola-
mente bene provveduto alla difesa di Mortara, ma con lo
avvicinarsi al corpo d'esercito, che staya dînnanzi a Vi-
geyano, eziandio meglio provyeduto alla loro sicurezza.
Suonayano le quattro e mezza pômeridiane, quando i cor-
ridori, mandati fuori alla campagna per ayer lingua del
nimico e speculare la contrada, annunciayano a Durando
l'appressarsi di quello, per la yia di Garlasco ; era il corpo
d'esercito di D'Aspre, il quale, montre Wratislaw com-
batteya a San Siro e alla Sforzesca, muoyeya contra
Mortara. L'arciduca Alberto — che guidava Tavanguardia
— giunto in vista del campo italiano disponeva sue genti,
per Tassalto, in due schiere a ordinanza serrata ai lati
délia via; la sua cavalier ia fermavasi a Remondo (1); se-
guivale a brève distanza la divisione Schaffgotsche : mez-
z'ora dopo le artiglierie deiravanguardia davano il segnale
délia pugna. L'improvviso apparire degli impérial! e il
siibito loro affrontare gettano lo sgomento nel campo regio,
le oui prime guardie indietreggiano quasi senza trar colpo;
ad esse tien dietro il battaglione presidiante Sant'Albino.
Venuto questo convento a mano degli Austriaci, è poco
appresso recuperato dagli Italiani; i quali, rifattisi e rin-
francati gli animi dal primo smarrimento, riprendono il
terreno poco prima lasciato al nimico, e fronteggiano con
fermezza gli assalitori. D'Aspre, che non estante Tora tarda
(1) La schiera di destra componevasi di quattro battaglioni di fanti,
due délia brigata EoUowrat e due délia brigata Stadion, e d'nno di
cacciatori tirolesi; e la schiera di sinistra constaya parimenti di quattro
battaglioni di fanti délie stesse brigate di quella di destra; una parte
del suc battaglione di cacciatori camminava avant! in ordine sparso,
Faltra parte erasi coUocata dietro on fosso.
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LA GIOBNATA DI NOVABA 353
ha voluto combattere per fruire del vantaggio di quella
sorpresa, deliberato di impadronirsi di Mortara ayaati il
cadere délia notte, si avanza con tutto lo sforzo di sue
genti coatra la désira délia prima ordinanza italiana; la
qnale, non ricevendo sussidio veruno, e maie reggendosi
contra la piena dei nimici venutagli sopra, yacilla, cède e
disordinatamente riparasi entre la città, già tutta in iscom-
piglio e in confusione di comandi e di voleri diversi. Car
lata la notte, D'Aspre non osa tentare quella terra; ma sa-
puto del colonnello Benedek, che co* suoi fanti ungaresi
e con due artiglierie mischiatosi coi fuggitivi yi si era
messo dentro o combatteya, contra grossa schiera di régi»
in ordine serrato nella yia principale délia città, ayyicinar
tosi a questa afforza Benedek d*un battaglione di fanti. U
Duca di Sayoia, appena ode 11 romoreggiare del cannone,
manda parte délia brigata Cuneo ad appoggiare la destra
di Durando, e con la rimanente parte speditissimo si reca
a Mortara (IX aUa cui difesa parimenti accorre il géné-
rale Durando con la brigatâ Aosta — la destra délie sue
battaglie — allora che yede il tentennare e il ritrarsi délia
brigata Regina. Tard! aiuti! perô che non sia più possi-
bile salvare la città, ne rimettere gli ordini nelle schiere,
che si sbandano ; onde il Duca è costretto a retrocedere
Terso Oastel di Agogna e a yolgersi quindi sopra Robbio
senza retroguardia, ayyegnachè questa — un battaglione di
fenti e due artiglierie — smarrita la yia — cammini yerso
Yalenza; e la brigata Aosta, perduta buona parte del suo
battaglione d'ayanguardia — neirentrare in Mortara caduto
prigionlero — volgesi a Noyara, Il presidio di Sant'Albino,
il quale non estante il dietreggiare délia brigata Regina
ha strenuamente resistito ai ripetuti assalti di nimico po-
deroso, allora che yedesi in pericolo d*essere circondato.
(1) Il Daea di Sayoia aTeya pur fatto ayvicinare alla città un reg-
gimento di granatieri.
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254 CAPITOLO VI
di là si toglie e proprio airavvicinarsi del geaerale La-
marmora (1) ; il quale, alla testa di due battaglioai délia
brigata Cuneo, par la via di San Giorgio portavasi in aiuto
délia brigata Regina. Awisato da* suoi esploratori délia
caduta di Mortara e del ritrarsi dei régi sopra Novara.
Lamarmora, eut soao sconosciuti i campi ch' egli percorre,
délibéra aprirsi con la forza la via di salvameato ; e a taie
intento muoyé contra Mortara. L'oscurità délia notte fe
ch'egli possa, non visto, ayyicinarsi alla città, ove entra
per la porta San Giorgio. L*armi, che già vi erano pasate,
sono riprese al gridare délie sentinelle, che stanno presso
la grande piazza, alla quale orasi appressato randacissimo
générale; da ambe le parti sonvi sorpresa e timori di
perigli ignoti: i régi, perché credono la terra essere
libéra di nimici, nuUa avendo lor dette il générale che 11
guida, per ragione facile a indovinarsi ; e gli imperiali,
perché non sanno rendersi conto di quelle improvviso as-
salto aile spalle, securi che il nimico trovasi tutto in riti-
rata davanti ad essi. Grave pericolo sovrasta quindi a Be-
nedek; se gli Italiani fanno impeto, egli è perduto; ma
pronto, quanto intrépide, il colonnello austriaco, bene in-
dovinando aver solo a fare coi battaglioni di Sant'Albino.
lor grida d'arrendersi, essendo impossiMle il combattere
e prédira ogni via di scampo ; ed essi, reputandosi cir-
condati dalle sue genti, rendono Tarmi e gli si danno pri-
gioni, non perô Lamarmora, il quale con una mano dei
suoi piîi valorosi — circa cinquanta — s'avanza audace»
mente nella città, tutta piena d'Austriaci ; e irridendosi di
(1) Per via Lamarmora veniva assalito da una presa di Aostriaci.
nasGostiù dietro gli alberi; ribnttatili, egli procedeva secoio ianaita.
qnando di 11 a brevi istanti era offeso dal fuoco dei battaglioni di
Sant'Albino; i qnali, taratti in errore dal moschettare pooo prima udito
e oltremodo bnia essendo la notte, avevano creduto essere una sdùera
di nimici, qnella che a lor s'appressava. L'errore perô fn presto rico-
nosciuto: onde lievissimo fa il danno soiferto.
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LA GIOBNATA DI NOYABA 255
quelle spavaldo che ha gridato : inutile ogni offèsa, mi-
glior cansiglio VarrendersU superati gli impedimenti che
sbarrano le vie, apresi fra i nimici il passo, e per Gastel
d'Àgogna raggiunge il Duca di Savoia, col quale trova-
Tasi Durando, che nel confuso ritrarsi era stato sepa-
rato dalla sua divisione. — Di poco momento furono le per-
dite sofferte dagll Austriaci a Mortara : da trecento uominl
morti 0 feriti, gravissime quelle patite dagll Italiani, i quali
oltre la perdita délia città e di cinquecento de' loro ca-
duti uccisi o feriti, ne avessero lasciati in mano al vinci-
tore due mila allô incirca con cinque cannoni e buona
parte dei carriaggi e del carreggio délia divisione di Du-
rando, che il mattino del di vegnente giugneva a Novara
eaandio stremata di fbrze per lo disperdersi di molti sol-
dat!, i quali, scompostisi gli ordini nella notturna ritratta,
eransi smarriti per le campagne.
Moite e varie le cagioni délia sconfitta di Mortara. —
Nelle ore pomeridiane del 22 marzo due divisioni erano
yenute a schierarsi davanti quella città; le capitanavano
Durando e il Duca di Savoia; potendo combattere lontano
dal Quartier générale dell'esercito — come in fatto av-
teiine— chi ne teneva il comando suprême? nessuno ! Grave
errore in guerra fu sempre, sovente anche causa di ro-
Tina, soprammodo in un giorno di combattimento la man-
canza d'unità di comando. Le posture occupate da Durando
— non quelle designategli da Chrzanowski — erano sotto
ogni ripetto piii che infelici ; dissennato consiglio fu il suo
eollocarsi troppo vicino aile mura délia città; dissennatis-
Bimo poi campeggiar terreno pieno d'ostacoli, che dove-
vano nuocérgii del pari se si fosse avanzato per oflTendere,
0 si fosse tenuto in su le difese ; e attravesato da foâso,
che dovéva împedire il libero e facile muoversi, il vicen-
devole s<yvTenire e il sticcedere nella pugna délie divét^e
opdinanze combattent!. Tardi mandaronsi fuora gli esplo-
ratori a spéculare la campagna e ad avôr lingua dei ni-
mici : onde dell'arrivo degli Austriaci fu Durando awer-
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256 OAPITOLO YI
tito allora allora che già stavangli sopra. Dirô in fine, non
ultima ira le cause del disastro essere state la lentezza nel
proTvedere aile nécessita del combattere, la poca vigoria
e la poca fermezza dei capi, che generarono nei soldati
trepidanza, turbamento e confusione. in tutto il campo. Se
Durando, se il Duca di Savoia — capitani di valore prova-
tissimo — avessero con savio ardimento risposto airaudacia
imprudente di D'Aspre, Mortara non sarebbe andata per-
duta, e certamente a Novara — se la giornata vi fosse stata
fatta — non sarebbe caduta la fortuna d'Italia. Padrone di
Mortara, D'Aspre cessô d'ogni offesa contra il nimico» ne
YoUe incalzarlo per non arriscbiare di perdere nella nette
il Yantaggio sopra quelle acquistato nella giornata: onde
ponoYa il campo presse le mura délia città, montre il primo
corpo d*esercito mettoYalo a Gambolô ; il terzo a Trumello
con le stanze di Radetzky e del Quartier générale ; il quarto
a San Giorgio ; quelle di riscossa a Groppello ; due squa-
droni d*ulani, Yarcata TAgogna, cercaYano la contrada che
stendesi fra Sartirana e Valenza. — In quella notte, Intanto
che la prima diYJsione dei régi camminaYa sopra Novara»
e la riscossa sopra Robbio, la seconda, la terza e la qaarta
serenaYano davanti a Vigevano — oyo stavano il Re e il
généralissime — unabrigata di fanti serenaYa al ponte di
Boffalora sul Ticino e la diYisione lombarda a quello di
Mezzanacorte sul Po.
La noYoUa délia rotta di Mortara, portata in Vigevano
da due officiai! dello Stato générale deiresercito poco dopo
la mezzanotte, feri dolorosamente il Re e gettô lo scon-
forte in tutto il campo : eppure délia guerra non potevasi
ancora disperare. Che far dovoYa allora Carlo Alberto?
rinYiare Durando e il Duca di SaYoia a Mortara, ed e^
stesso, raccolto quanto pib sarebbegli stato possibile diarmi,
muoYore speditamente contra D'Aspre e all'albeggiare del
nuoYO giorno far impeto contra esso, ributtarlo su l'Ago-
gna e levargli la via di San Giorgio. 4[ Abbastanza oggi
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LA GIOBNATA DI VOTABA 257
dietreççiamfno > aveya detto Napoleone ai suoi soldati a
Marengo; « Abbastanza questa notte retrocedemmo, » dir
doyeva il Re airesercito suo; e ridestaado in questo la fede
nel proprio valore e nelle proprie forze, avrebbe indubi-
tabilmente rimesso la fortana deirarmi italiane. Non ista-
Tangli forse di fronte gli stessi Austriaci neiranao innanzi
vinti e fugati due volte a Goito, di poi a Pastrengo, a Ri-
voli, a Governolo ? Ignorava egli forse, che l'audace assalto
di D'Aspre era stato la conseguenza deiresaltamento del
momento, non la ispirazione del genio ? Non trovayasi forse
davaQti a lui un necchio capitano délia vecchia scuola di
Daun e Lascy? Un capitano tardo sempre nel concepire,
più tardo ancora nello eseguire ? E la cui usata lentezza
— che il di appresso la vittoria di Mortara lo tenue ino-
peroso ne' suoi campi sino a màttina avanzatissima — sa-
rebbe stata a caro prezzo pagata, se Ghrzanowski ayesse
sapato mandare a effetto il disegno assai caldeggiato dal
Re, e da lui posto innanzi ai generali riuniti in quella
Dotte a consulta di guerra per deliberare intorno a quanto
coQTenisse fare nei [momenti difficili e pieni di pericoli»
che allora correyano. Il généralissime ayeya proposto d'ire
subito con le tre diyisioni campeggianti Vigeyano sopra
Mortara, combattere D'Aspre ; di poi, chiamate a se quelle
di Durando e del Duca di Sayoia, yoltarsi contra il grosso
deU'esercito nimico e far con questo la giornata. Il disegno
di Chrzanowski, inyero audace, se condotto con fermezza
e Tigore, ayrebbe dato felice risultamento ; mandate a par-
tito, fa con mal senno respinto. Qualche générale, ayyer-
sissimo alla guerra délia indipendenza patria, affermé allora,
che i più dei soldati erano contrari a quella ; parole che
suonayano un graye insulte all'esercito; altri generali dis-
sero Vimpresa proposta dal comandante supremo essere
molto arrischiata ; altri poi, inyocando la prudente sayiezza
del maggior générale, mostrarono certe titubanze, le quali
più che di prudenza, doyeyansi chiamare di yiltà ; indie-
treggiare e raccogliersi a Novara, questa la deliberazione
17 — VoL U. MiBiAin — Storia poi. « mil.
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S58 OAPITOLO YI
dei timidi conaigliatori, che aliora Tebbero vinta ami ge-
nerosi! — « A forza di fare dissertazioni, cobi il grande N»-
poleone (IX e di tenere consulte di gaerra, accadrà ciô
che sempre è accaduto segueado taie sistema di goyerno:
si finisce per preadere il peggiore dei partiti, che alla
gaerra è quasi sempre il più pusillanime o, se vuolsi, il piii
prudente. La yera saviezza, per un générale, sta in un de-
liberare vigoroso e forte. » Se timidi furono i vinti di Moi^
tara, ancor più timido fu il vincitore; il quale avrebbe
dovuto correre soUecito con tutto Tesercito sopra Novara
allô scopo d'impedirvi il riunirsi dei régi, o portarsi con
68S0 su Yeroelli per levare ai r^i la via di Torino, corne
già ayeys^li saputo togliere quella d'Alessandria; ai con-
trario il vecchio maresciallo perdette ore preziosissimc
nelle sue stanze di Trumello per risolvere sul partito che
meglio convenisse. « Ohi guadagna dei tempo^ ha tutto gua-
dagnato in guerra, » cosi Federico di Prussia (2). Eguale
lentezza regnava aliora nei due campi : Radetzky poteva coiî
una celere mossa rendere compiuta la yittoria di Mortara:
Ghrzanowski con una mossa audace poteva recuperare,
quanto la negligenza di Durando avevagli fatto perdere,
e rimettere la fortuna délie sue armi. Ei l'avova bene ideata
quella mossa, ma non seppe mandarla a effetto; cedendo
alla pusillanimità di qualche générale, dimenticava che in
guerra il capo suprême è il solo, il vero giudice délia im-
portanza e délia opportunità di certe militari operaziouL
Al sorgere dei 22 marzo Ghrzanowski, levato il campo
di Vigevano, camminaya verso Novara. Lasciato in Trecaw
il Duca di Genova, in sul cadere dei giorno giugneva con
le genti di Bes e di Perrone presse quella città aenza aver
patito molestie dal nimico; e vi trovava già accampata la
divisione di Durando, e parimenti doveavi arrivare nelU
notte quella dei Duca di Savoia; la brigata Solaroli dal ponte
(1) Maximes de guerre.
(2) Histoire de mon temps.
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LA OIOSHATA DI NOTABA 259
di Boffalora portavasi a Romeatiao, dietro Trecate. — Aile
oûdici mattina del 22, Radetzky^ cibate sue genti, avanzar
vasi contra Novara con tutte lo sue arpi divise in tre
schiere; quella di destra composta dal corpo d'esercito di
Wratislaw ~- il primo ^ da Gambolô recavasi a Cilavegna,
spiiigendo la brigata Strassoldo sino a Yignarello, a meta
circa délia via che corre tra Vigevano e Vespolate; la
schiera di mezzo — forte dei corpi d*esercito di D*Aspre, di
Appel e di Wocher — il secondo, il terzo e quelle di ri-
scossa — da Mortara, Trumello e Gropello, per la sinistra
dell'Agogna veniva a Vespolate : e Vocher, presse Mortara ;
la schlfcra di sinistra — il quarto corpo d'esercito, quelle di
Thurn •- varcato il torrente Agogna, da San Giorgio per
la via di Robbio portavasi a Torre di Robbio, coUocando i
suoicampia sinistra di quelli di D*Aspre; infine il mare-
sciaUo mettevasi a quartiere in Borgo Lavezzaro, proprio
nel mezzo de* suoi campi e délie sue battaglie. — Invero gli
Austriaci non avrebbero camminato con maggiore lentezza,
s'avessero avuto a fare con un nimico vincitore e per po-
tenza d*armi e d*armati piii forte di loro ; portandosi in quel
giorno steaso a Novara sarebbe tornato impossibile ai régi
di raccogliersi e ordinarsi ; il maresciallo non ricordavasi
più délie tante celebrate guerre strategiche che formarono
la gloria del primo Napoleone. Se Ohrzanowski commise
grave errore dimenticando, nel prepararsi a giornata di-
feasiva sui campi di Novara, di chiamare a se la divisione
lofflbarda campeggiante sul Po presso Casatisma e quella
più lontana d'Alfonso Lamarmora, che stava su quel di
Parma, non meno grave errore commise Radetzky con lo
aUontanare da se, proprio alla vigilia di una grande gîor*
oata, piii di dieci mila uomini per Timpresa di Gasale (1).
(1) Erano la brigata di Edoardo Liechtenstein, che gnaxdaxail.pa8to
del Po a Meszanaoorte e quella di Cavriani , venuta alloia alloia di
Lombardia, aile qnali doveva poi nnirsi la brigata di Gustaifo Wimpfféii,
che presidiava Pavia.
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OAPITOLO YI
« Non togliete alFesercito, non mandate fuora mai, per
qualsiyoglia fazione, presa veruna di soldati, cosi scriveTâ
Federico di Pruasia a' suoi generali (IX quando vol movete
airoffese o state per fare la giornata. » — Quai valore, o,
dirô meglio, quale importanza aveva Casale allora, da in-
durre il maresciallo a impadronirsene nel giorno in cul
avrebbe dovuto riunire a Novara lo sforzo suo, sin Tultimo
soldato, sopra quel campo sul quale tutto concorreva a far
credere si ayesse a combattere la giornata finale, corne la
fu ? vincitore a Novara, non sarebbegli Oasale veauta a
mano senza ferir colpo? vinto, quale aiuto avrebbe avuto
dalla occupazione di quella città ?
Tra l'Agogna e il Terdoppio — torrenti che corrono quasi I
parallelamente da settentrione a mezzogiorno — e ad eguale
distanza da quelli giace Novara, délie cul anticlie difese po-
chissime rimangono e queste di assai debole sussidio ad e8e^
cito campeggiante intorno alla città (2). La fertile piannra,
che distendes! verso Vespolate e in mezzo a quel torrenâ
è di superficie varia, ineguale, e dolcemente elevantesi da
formare, a due chilometri di Novara, un poggio, sul quale
siede la Bicocca, picciolo villaggio di poche case e d'una
cUesa e attraversato dalla via di Mortara. Dalla parte del
Terdoppio, che scorre a levante di Novara, il po^io scende i
rapidamente alla pianura ; la quale, ricca di vigneti e ai- 1
beri, è tagliata da canali e fossi, sempre d*ostacolo a cbi
offende e di aiuto alla difesa, che su quella pianura s^aTvao-
taggia altresi dei molti e solidi casolari sparsi sovr'essa.
Al sorgere del nuovo di — il 23 marzo — i régi, già tutti
in su le armi, recavansi ai posti loro assegnati per la pu-
gna, che ritenevasi imminente. Sopra due ordinanze areva
Ohrzanowski schierata Teste sua; il corno destro della
prima ordinanza — la divisione Durando — appoggiavasi
(1) Instruction ffUlitaire à ses généraux.
(2) Yedi l'Atlante.
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LA OIOBKATA OI KOYABA 261
al canale Dassi, che scorre in vicinanza e parallelameate
alKAgogna sin presse Corte Nuova, ove volgendosi a levante
forma un ostacolo validissimo alla offesa; le battaglie di
mezzo — la divisione Bes — stavano dinnanzi alla grossa
masseria délia Citella; il corno sinistre — la divisione Per-
rone — trovavasi alla Bicocca, la postura più forte delFordi-
nanze italiane ed eziandio la più avanzata verso il nimico,
dalla quale signoreggiavasi un largo tratto délia zona ora
descritta; e quelle spingevasi sine a Olengo presse un
canale, dal nome di questo villaggio chiamato Roggia di
Olengo. Quattro battaglioni di fanti afforzavano il fiance
destro délia divisione Durande; sei, il sinistre di quella
di Perrone ; la fronte délia prima ordinanza era coperta
da tre battaglioni di bersaglieri. Le divisioni del Duca di
Savoia e del Duca di Genova tenevansi alla riscossa in
ischiere serrate ; la prima a destra tra Novara e la via di
Vercelli, la quale via era percorsa da grosse prese di ca-
valli; la seconda a sinistra tra il cimitero e la Bicocca;
in fine, la brigata Solaroli erasi coUocata sul Terdoppie e
a cavalière délia via di Trecate. Da taie ordinamento del-
l'esercito chiaro appariva il disegne di Chrzanowski, il
quale iatendeva fare alla Bicocca la resistenza più strenua
3 più ostinata, dalla natura del site sommamente favoreg-
giata; e tenevasi certo di rompervi i nimici, se, per im-
padronirsi di quella postura, venissero agli assalti cen tutto
il loro sforzo di guerra; ed eziandio tenevasi securo di
opprimerli con le riscosse, prima che si ordinassero aile
offose, se le tentassero a tergo valicando il Terdoppie e
Agogaa. — PoGO dope le dieci del mattino di quel giorno
?li Austriaci avanzavansi verso Novara. La novella perve •
luta nella nette a Radetzky, che il grosso deiresercite re-
;io, presidiata quella citta di poche migliaia di soldati,
îamminasse sopra Vercelli per coprire Torino, induceva
1 maresciallo a mutare in parte gli ordini stabiliti per la
fiornata da cembattere il dimani, certo di farla a Novara
) a Vercelli. Fermava quindi che D'Aspre muevesse di
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262 OAPITOLO TI
buon mattino con sue genti contra Novara; che ^pel e
Wocher lo seguissero, conservando perô in lor cammino
le distanze e gli ordini a scaglioni presi il giorno innanzi
nello accamparsl ; che Wratislaw per la via di Robbia an-
dasse sopra Borgo Vercelli, per recarsi là dove si corn- \
battesse, a Novara cioè o a Vercelli ; e che Thurn, lasciato ;
il suo campo, si portasse sopra Vercelli, soltanto allora ;
che venisse avvisato essere Novara in mano degli impe- \
riali. Il non aver piii ricevuto notizie dei nimici — onde i
veniva a confermarsi vie piîi la voce corsa del loro rac- I
cogliersi intorno a Vercelli — induceva il maresciallo a
comandare a Thurn di camminare subito contra queUa
città, credendo piii che bastevole il corpo d'esercito di
D'Aspre per l'impresa di Novara. Ignorare le posture e le
forze degli Italiani in tanta vicinanza dei loro campi, non
fa certo l'elogio délia prudenzà e délia vigilanza di Ra-
detzky e de' suoi generali; prima di andare aile offese,
prima di mettersi per via, essi avrebbero dovuto spedire
fuora i corridori a speculare diligentemente la contrada
e conoscere le mosse del nimico. — OU eserciti guerreg-
gianti, che al cominciare délie ostilità erano eguali in
forze, il 23 marzo, nel quai giorno venivano aU'ultim:!
prova délie armi, quelle dei régi era non poco inferiorr?
aU'esercito impériale per numéro d'uomini e d'artiglierie.
causa le perdite toccate a Mortara dalle division! di Du-
rando e del Duca di Savoia, e lo sbandarsi di moltissimî
nella notturna ritratta da quella città, che non avevana
ancora raggiunto le proprie bandiere; in oltre, da quasi
venti mila — la divisione di Alfonso Lamarmora e la Lom-
barda — stavano lontan lontano da Novara su la destra
del Po e proprio abbandonati a loro stessi ; mentre l'eser-
cito austriaco aveva sino allora soflTerto pochi danni, e sol-
tanto da dieci mila uomini — i designati alla inconsulta
impresa di Casale — trovavansi per la loro lontananza
nella impossibilità di prendere parte alla giornata del 23
marzo; nella quale gli Italiani contaronsi cinquantatrè
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LA OIOBKATA SI ITOYABA 363
mila con centodieci cannoni; e gli imperiali, ciaquanta-
$ette mila con centoventicinqne artiglierie. Non ostante il
prepoaderare délie armi avrersarie, Ghrzanowski sarebbe
uscito vincitore dalla pugna, se non si fosse ostinato a te-
nersi in su le difese, eziandio quando il valore del soldati
e il vantaggio délie posture, saviamente scelte e occupaie,
coûsigliaranlo» anzi lo spingevano a pigliare con audacia
le offese. « Alla guerra, ci lasciô scritto Napoleone, non
arvi che un momento favorevole; il gran talento è di sa-
perlo ben cogliere > (1).
Erano le undici del mattino. Carlo Alberto, uscito allora
di Novara, correva le sue ordinanze per animare i soldatî
alla pugna e riconoscere le posture occupate, quando il
cannone rayvertiva avère il nimico assaltata la Bicocca.
D'Aspre — il quale, in suo avanzarsi urtando contra i posti
italiani a Olengo, credeva fronteggiare il retroguardo ni-
mico, sempre neirerrore che il grosso deiresercito avrer-
sario fosse in quell'ora raccolto presse Vercelli — con Tau-
dacia usata erasi spinto da solo troppo innanzi, non già
per Timpazienza di venir presto aile mani, sibbene per la
yanita di voler fare da se : délia quale cosa va con grave
rimprovero ripreso, corne quella che avrebbe posto a re-
pentagllo Fimpresa del maresciallo. L'arciduca Alberto, la
cui divisione precedeva in avanguardia Teste impériale,
ail uscire di Nibbiola facevasi âancheggiare a sinistra verso
l'Agogna da un battaglione di fanti d^ordinanza, da due
compagnie di fanti leggeri — i cacciatori tirolesi — da una
^uadra di ussari e da una mezza batteria di razzi ; la quale
schiera stava sotto il comando del colonnello Kielmansegge.
Appena s'accorse délia vicinanza del nimico, D'Aspre or-
dinô in due schiere ai lati délia via, ch'ei percorreva, la
divisione delTArciduca ; quella di destra compose di due
battaglioni di fanti d'ordinanza e une di cacciatori ; quella
(1) Maximes de guerre.
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264 OÀPrroLO vi
di sinistra, délia brigata Kollowrat e d*altri due battaglioni
di fanti. Il vivo e poderoso fuoco dei régi awertendolo
stargli di fronte tutto Tesercito avversario, fatti avanzare
tre battaglioni di fanti, uno di cacciatori, una batteria di
cannoni e una mezza di razzi, risolutamente va contra la
Bicocca, seguito dalla divisione Schaffgotsche e dalla ca-
valleria, ch'erano le riscosse del suo corpo d'esercito ; spe-
rando di tener testa da solo sino al giugnere di Radetzk j
e degli altri corpi d*esercito, chiamati in suo sossidio. D
maresciallo, cui il forte e lungo romoreggiare délie arti-
glierie ha rivelato il vero stato délie cose, prima ancora di
ricevere le novelle del campo inviategli da D'Aspre, dopo
avère comandato ad Appel e a Wocher d'awicinarsi a No-
vara e spedito ordine a Thurn di voltarsi contra la destra
del nimico — corne sopra dicemmo, appoggiata aU'Agogna —
e a Wratislaw di seguire Thurn da vicino, egli stesso sol-
lecito cammina verso la Bicocca. Oacciati dalle picciole
terre di Moncucco e Olengo i posti avanzati degli Italiani,
la divisione dell'Arciduca cadendo con grande impeto su la
sinistra del nimico, costringe il primo reggimento délia
brigata Savona a piegare, a céder terreno; ma di li a
poco quella divisione perde il campo acquistato, e a sua
volta è assalita e respinta dal secando reggimento délia
brigata Savoia, il quale poi con lo aiuto di uno squadrone
di cavalli respinge quattro battaglioni di fanti condotti in-
nanzi dallo stesso Arciduca, che sarebbero stati assai più
malconci che non lo furono, se non fosse venuta in loro
soccorso la schiera del colonnello Kielmansegge; la quale
si bene resistette al Torrione da rendere vani gli sforzi
del nimico, minacciante sopravanzare la sinistra di quella
divisione, che allora nuovamente irrompe nei Savoiardi.
Questi, dopo aver dato alquanto addietro, afforzati dal primo
reggimento délia brigata Sapona rieduto alla pugna, ribut-
tano per la seconda volta gli assalitori ; se TArciduca non
corre in aiuto alla sua divisione, questa sarà inevitabil-
mente oppressa. Awedutosi del pericolo che le sovrasta.
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LA OIOBNATA DI NOYABA 265
D'Aspre fa avanzare la riscossa — le genti di Schaffgot-
sche — la quale rinfresca la pugna e racquista i van-
taggi guadagnati da prima, e perduti di poL Kollowrat» in
quel mezzo distesosi verso Olengo, con parte délie sue
soldâtesche va sopra la casclna Castellazzo, mentre la re-
stante parte per la grande via procède verso la Bicocca,
e tentata questa due volte, due volte è respinto ; rinnovato
con maggiori forze Tassalto, EoUowrat perviene a impadro-
nirsi di Castellazzo, il oui presidio indietreggia sino alla
Farsata. La divisione Perrone, già tanto percossa e mal-
trattata, veggendosi venir sopra tanta piena di nimici —
tutto il corpo d'esercito di D'Aspre — tentenna, dietreg-
gia, non ostante lo sforzo del valoroso suo capitano di man-
tenerla ferma su quella validissima chiave délie posture
italiane dinnanzi a Novara: la Bicocca cade allora in mano
degli imperiali. Ghrzanowski, che sa non potere, senza
questa postura, reggere a lungo, comanda al Duca di Ge-
nova d'assalire la destra délie ordinanze nimiche; il quale,
messosi alla testa délia brigata Piemonte, si avanza riso-
lutamente contra Gastellazzo ; il terzo reggimento, a destra
délia via, è guidato dal générale Passalacqua; il quarto, a
sinistra di quella, è condotto dal Duca stesso. Aspro e ga-
gliardo fu l'assalto, tenace e fiera la resistenza; perô che
i combattenti sappiano la vittoria o la sconfitta dipendere
dallo acquisto o dalla perdita délia Bicocca. Dalle due
parti Tartiglierie ingrossano; il trarre di esse e dei mo-
schetti si fa ogni momento piii vivo ; ma il valore dei sol-
dati e il senno dei capitani vincono ogni ostacolo. Gli
Austriaci, minacciati a tergo dal générale Passalacqua —
che per la valle dell'Arbogna s'è mosso a circuirne il
fiance sinistre — indietreggiano lasciando molti dei loro
prïgionieri del nimico e il terreno da prima conquistato.
Non ostante la perdita del suo générale, il Passalacqua -~
Baduto allora mortalmente ferito — il terzo reggimento
procède innanzi sin presse Gastellazzo ; sopraffatto da vio-
ento faoco nimico cède del campo; ma soccorso dal tre-
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266 OAPITOLO VI
dicesimo reggimento — il primo délia brigata Pinerolo -
che gli sta dietro, torna aile offese in quella che il Duca
di Genova col secondo reggimento délia brigata Piemonk,
dopo avère cacciata avanti a se la schiera di Kollowrat,
s'insignorisce di Gastellazzo; e raggiuato di li a poco dal
secondo reggimento délia brigata Pinerolo va sopra Olengo;
fugati gli Austriaci che l'occupavano, si appresta a girare
la destra délie battaglie di D'Aspre e a prenderle a rove-
scio. Se queste resistoao per salvare Tesercito, saranno
tagliate a pezzi; se cedono, lo sforzo degli Italiani oppri-
mera gli imperiali, che stanno per giugaere sul campa -
Sono le due pomeridiane ; i momeati corrono supremi e
difflcili per gli Austriaci, oui pur maie sono riusciti i tenta-
tivi fatti al Torrione contra le ordinanze di Durando e Bes.
Dalla loro quasi secura rovina li toglie lo stesso Ghrza-
nowski; il quale, invece di correre conquanto piii puôdi
sue armi sopra le battaglie di D'Aspre, oltremodo stanche
del lungo combattere e assottigliate dimolto per morti,
feriti e prigionieri; invece di prendere con risoluzione e
forza le oflfese — tuttavia persistendo ne' suoi disegni pura-
mente di difesa — chiama dietro Gastellazzo il Duca di Ge-
nova, perché crede la postura d'Olengo per lui troppo a^
rischiata, e cosi strappa di mano airardimentoso principe
quella vittoria, ch'egli avrebbe potuto splendi dament^
correre ad aflfermare. Il retrocedere del Duca rincuon
D'Aspre — già disperante di sua sainte — e inanimisce su»»
genti, già piene d'oppressione e d'abbattimento ; indi, ri-
composte il meglio che gli vien dato di fare le sue battaglie
prendendo soltanto consiglio dal proprio ardire, D'Aspn*
va nuovamente sopra Gastellazzo e con l'usato furore vi
riaccende la pugna ; che dai régi combattesi confusamente.
awegnachè il disfarsi di qualche battaglione — causa li
replicati assalti del nimico — ne abbia rotte le ordinanze,
e la combattoQO altresi con poco ardore per avère ornai
lasciata ogni speranza di vincere, sebbene Garlo Alberto,
col porsi là dove il pericolo è maggiore, tenti incoraggiarli
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LA GTOBNATA DI WOVABA 267
a perseverare nelle resistenze, nelle quali non di rado sta
la vittoria. Il générale Perrone, veggendo gli Austriaci in
procinto di racquistare la Bicocca, rannodati alquanti
soldati, corre ad aflfrontarli; ma caduto per raortale colpo
nol capo, i suoi soldati, sgomcntati da perdita si grave,
incerti da prima, ondeggianti di poi, alla fine indietreg-
giano; allora Ghrzanowski chiama alla Bicocca un reggi-
mento di fanti délia divisione Bes e la brigata Cuneo délia
riscossa, guidata dallo stesso Duca di Savoia. Questo valide
soccorso rinfresca la pugna con vantaggio dei régi ; se il
generalissimo sa proflttarne, se con quella schiera di re-
cuperazione, attestata in ordini stretti, egli cade con im-
peto su gli imperiali, D'Aspre, tuttavia solo a sostenere
l'urto degli assalitori, corre alla estrema rovina. L'ora è
supremaî pochi momenti ancora, e gli aiuti tanto sosplrati
e attesi arriveranno sul campo ; e quel momenti, nei quali
sta tutta la fortuna dell'armi italiane, sono concessi agli
Austriaci da lui che proprio non sa vincere, da Chrza-
nowski ! « Un solo istante décide délia fortuna, » cosi Fe-
derico di Prussia (1). — Aile quattro pomeridiane giungeva
Appel col suo corpo d'eserclto, cui gli impedimenti di
quelle di Wratislaw attraversandogli la via nel suo avan-
zarsi ne avevano ritardato dimolto il cammînare. Sollecito
Appel afforzava le estremità délie battaglie di D'Aspre
— le quali non potevano più reggersi — con la divisione
Lichnowski, mandando alla loro destra la brigata Maurer,
alla sinistra quella di Alemann rimpetto aile posture di
Bes ; e dietro aile genti di Alemann coUocava la divisione
Taxis, quale schiera di recuperazione, sino al giugnere
délia riscossa, il corpo d'esercito di Wocher. H combattere
facevasi allora piii vivo d'ambe le parti, senza perô nulla
tentarsi dai guerreggianti che accennasse a quegli sforzi
Tigorosi, i quali d'ordinario conducoao alla vittoria; awe-
I) Hisftcire de mon temps»
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268 OAPITOLO VI
gnachè Radetzky aspettasse Thurn e Wratislaw per an-
dare sopra il nimico e percuoterlo con tutto lo sforzo suo;
e Ohrzanowski, 8empre persistendo nella difesa, mirasse
8oltanto a conservarsi la Bicocca; potrebbesi affermareche
per lui la vittoria tutta consistesse iiel mantenersi in pos-
sesso del campo sul quale combatteva. — La destra délie
ordinanze di D'Aspre, afforzata dai tre battaglioni di Mau-
rer, proceduta innanzi rinnovaya gli assalti contra la ca-
scina Oastellazzo; non riescendo a impadronirsene, correva
ad appoggiarla il colonnello Benedek, in quella in cui, per
comando di Ohrzanowski, le divisioni di Bes e di Durando
volgevansi alla Bicocca per aiutarne i difensorî, che gli
imperiali minacciavano d'opprimere col loro numéro. Que-
sta mossa, la quale avrebbe data la vittoria agli Italiani
se fatta un'ora innanzi, non solamente in quei moment!
tornava inefficace, ma eziandio inopportuna; perô che fosse
allora arrivato sul campo il maresciallo con Teletta del-
Tesercito — sei battaglioni di granatieri — con ventiquattro
cannoni, coi quali arrestava Tavanzarsi délia divisione di
Durando, la destra délie cui ordinanze veniva proprio in
quel mezzo minacciata aile spalle da Thurn con tutto il
quarto corpo d'esercito. Thurn -— il quale, giusta gli ordini
di Radetzky, nel mattino dal suo campo di Torre di Robbio
erasi awiato a Vercelli — udito, in sul mezzogiorno, a
Oonflenza forte romoreggiare d'artiglierie, non avendo in-
dizio alcuno di mossa nimica sopra quella città, e bene
indovinando farsi la giornata presse Novara, senza por
tempo in mezzo, portavasi su la via che mena da Vercelli
a Novara; indi, voltosi a destra, aile cinque délia sera a^
rivava al ponte su l'Agogna — che dista circa due chilo-
metri dalla città, e superavalo senza contraste; la caval-
leria délia sua antiguardia respingeva una presa di cavalii
nimici, da quella parte esplorante la contrada : brevi mo-
menti dopo egli giugneva sul campo. Con taie sennatis-
sima mossa Thurn aveva sopravanzata la destra délia di-
visione di Durando e, minacciandola a tergo, arrestavane
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LA OIOBNATA DI NOYABA
Tavanzarsi verso la Bicocca, ove, corne già dicemmo, Ghrzar
nowski ayevala chiamata per difendere quella postura» dal
cui possesso dipendeva Tesito dalla giornata. Era il mo-
mento supremo délia pugaa! era eziandio il momento del
massimo sforzo degli imperiali ! avrebbe dovuto essere al-
tresi quello délia piti ostinata resistenza dei régi, e fu' al
contrario délia più vergognosa flacchezza! — Radetzky,
quando ride la sua riscossa — il oorpo d'esercito di Wo-
cher — schierarsi tra Olengo e l'Agogna, spingeva avanti
la brigata dei granatieri, e nel medesîmo tempo comandava
a D'Aspre e ad Appel di fare impeto contra la Bicocca con
le loro quattro divisioni attestate in istretti ordini ; onde
allora correanvi soUeciti il Re e Chrzanowski per rinfran-
care con la loro persona gli animi dei difenditori, e trovar
modo di porre un argine allô irrompere di tanta piena di
nimici. Era tardi perô, awegnachè la divisione di Perrone,
sopraffatta dal numéro degli assalitori, ceduto il campo,
confusamente dietreggiasse ; e quella postura tanto contrar
stata, già perduta e ripresa, fosse allora venuta a mano
degli Austriaci. Ohrzanowski, che vuol tentare lo sforzo
estremo per recuperare la Bicocca, comanda al Duca di
Genova d*assaltarla con quanto piii puô di soldatesche ; e
Taudace principe ya allora sopra gli Austriaci con tre bat-
taglioni di fanti ; egli spera résistera tempo bastevole a
riordinarsî, di parte almeno, délia divisione di Perrone.
Avanzatosi alla testa di quel pugno di valorosi il Duca ani-
mosamente combatte ; se il générale Solaroli — respinta la
presa d* Austriaci che stavagli di fronte al solo scopo di
spiarne le mosse — si muove ad appoggiare la sinistra délia
schiera del Duca, e se qualche reggimento délia divisione
di Perrone ne afforza la destra, è possibile al principe di
tener testa con vantaggio al nlmico invadente sino al ca-
lare délia notte, già vicinissima. Ma Solaroli tenendosi sem-
pre inoperoso nel sue campo, come se nulla awenisse din-
nanzi a lui, e la divisione di Perrone avendo mutata la
ritratta in fuga, il Duca di Genova è costretto a togliersi
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270 CAPITOLO VI
giù daU'impresa; lentamente retrocedendo, egli riducasi
presso Novara. Irremissibilmente perduta la Bicocca e con
questa anche ogai speranza di più oltre résistera, Ghrzar
nowski comandava a Bes e a Durando di ritrarsi sopra
quella città, ealla divisione di riscossadi sostenere il Iofo
indietreggiare. La divisione di Bes, la cui sinistra correva
già grave pericolo d'essere percossa a tergo dagli Austriaci
padroni délia Bicocca, piegô confusamente ; e ancor piii
confusameate entrô in Novara, a cagione del trarre sovra
e^sa délie artiglierie délie mura, che nella oscurita délia
notte, resa oltremodo buia da ûttissima pioggia, avevaola
£atta credere una schiera di nimici: ma quella di Duraado,
venuta allora aile prese con le genti di Thuru, si ritrasse
bene conservando gli ordini di combattimento. Tutto era
flnito! finita la catastrofe di quel dramma e Tultima prova
altresi di quella guerra, le quali tornarono Tltalia sotto il
servaggio straniero, che doveva durare ancor dieci anni!
— Il maresciallo, non volendo arrischiare di perdere la
vittoria, a prezzo di tanto sangue ottenuta, con persegaire
il nimico fuggitivo, ignorando il miserabile stato in cai
trovavasi Tesercito del Re, sopraggiunta la notte, sospese
le armi, ponevasi a campo davanti a Novara; D*Aspre, Appel
e Thurn collocavansi sopra le posture^ conquistate; Wo-
cher mettevasi dietro a queste tra Olengo e Garbagna:
Wratislaw, a Monticello su la destra dell'Agogna, ove era
arrivato in sul cadere del giorno ; ed egli portava sua stanza
a Yespolate. — Perdite gravissime patirono i guerr^^giaoti
in quella memoranda giornata; degli Italiani caddero morti
due generali — Perrone e Passalacqua — e da quattrocento
ufficiali e soldat!; duemila e cento feriti: e tre mila veo-
• nero a mano degli Austriaci con dodici cannoni ; degli im-
periali, piii di quattrocento gli ufficiali e i soldati morti
sul campo; quasi due mila i feriti; da mille i prigionieri.
— Alla giornata di Novara l'esercito itaiiano, più che vinto,
fu disfatto; e il suo disfacimento non fu opéra del valore
dei nimici, ne conseguenza degli errori di chi lo governava.
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LA GIORNATA DI NOYABA 271
sibbene il tristissimo &utto dell'ayyersioae, che la maggiore
parte dei soldati portava a qnella gaerra ; avrersione che
con le arti più perfide aveyano già da tempo in essi destato
non pochi di coloro, i qnali tenevano gli alti carichi nella
milizia e odiavano Timpresa délia îndipendenza italiana:
onde la militare disciplina erasi sempre piii andata rallen-
tando, quella disciplina sopra ogni cosa necessaria nelle
armi, specialmente in gaerra. In verità la mano rifugge dal
narrare le turpitadini, le nefandità commesse in Novara dai
régi nella notte che segui alla fatale giornata del 23 marzo !
abhorre altresi la mente il pensare, come quella terra,
quant'altre mai devota alla cansa nazionale, avesse a sof-
frire per mano fratema tutti gli orrori e i danni di ana
presa per assalto! furono insulti e ferite ai cittadini, ru-
bamenti e goasti aile loro robe ! furono minaccie di fuoco
e di totale distruzione ! — A flnirla coi predatori, Ghrzar
nowski faceva correre la città da grossi drappelli di ca-
valleria, che uccisero e tagliarono chi ad essi si oppose
con le armi (1). Non minori danni ebbero a patire le cam-
pagne e i villaggi da coloro i quali, disertati dalle ban-
diere, correvanli nel recarsi aile native loro terre.
Carlo Alberto, prima di calare dai bastioni, sui quali era
salito per sorvegliare al ritrarsi de* suoi, chiamati a se il
ministro Gadoma e il générale Cossato, ingiugneva loro di
recarsi a Radetzky per chiedergli la sospensione délie armi
e una tregua. A si dure passe veniva dalla imperiosa né-
cessita délie cose costretto quel Re, che tante volte aveva
sul campo luminosamente provato, assai piii délia vita,
stargli a cuore Tonore delFesercito; e che in quella fatale
giornata di Novara — nella quale erasi strenuamente com-
(1) Fu proprio nécessita venire a ciô, per non avère più gli nffldali
antoiità e potestà bastevoli a impedire tante vergogne e a frenare i
Boldati qnaà ûnbestialitL
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272 CAPITOLO VI
portato — avrebbe voluto morire, piuttosto che assistere
al trionfo che menerebbe poi il nimico riacitore, e vedere
umiliata la patria (1). — Suonavano le nove délia notte,
quando gli inviati di quel Mouarca infelice, pervenuti aile
prime guardie degli impérial! davanti alla Bicocca, erano
coQdotti alla preseoza del luogotenente maresciallo Hess,
che ivi trovavasi ordinatore di nuovi assalti e auove mosse
per la dimane; il quale, udito lo scopo délia loro missiooe,
prendeva a parlare cosi : == Le ostilità non potersi sospen-
dere ; riedessero a lui il mattino del di vegnente a pattcg-
giare le tregue desiderate e chieste; = e nel liceoziarli
faceva lor conoscere a quali condizioni il maresciallo Ra-
detzky tratterebbe gli accord!. Garlo Alberto, appena seppe
i patti umlUanti che il vincitore voleva imporgli, patt! che,
offendendo la sua dignità, egli sdegnô ricevere, riuniti siibito
a consulta di guerra i gênerai! e i flgliuoli sue! per troTar
modo di prowedere a ciô che valesse, in tante perturba-
zioni e in tant! tumulti d'uomini e cose, a salvare la patria.
Ma Tanimosa sua {proposta di andare sopra Alessandrla,
raccogliervi tutte le forze armate e uscire peseta a far
prova, in nuovi cimenti, délia fortuna e délie armi, veniva
respinta dai generali, perché il nimico aveva levate loro
le vie alla fortezza e perché le miserrime condizioni, in
cui trovavasi Vesercito, rendevano impossible la continua'
zione délia guerra (2); onde alloral il Re parl6 ad essi
queste nobilissime parole: « lo mi sono sacrificato alla
causa deirindipendenza italiana; per questa mis! piii volte,
in guerra, a repentaglio la vita mia e quella de* ôgli, a me
cari ; arrischiai perdere la corona, senza poter conseguire
(1) Al générale Durando, che sforzavasi trarlo da inntili pericoli al*
lora che tatto era perduto — non perô l'onore — con accento di do-
loroso sconforto il Be diceva: =: Essere qnello l'altimo giorno di sua
vita; lo lasciasse morire.
(2) Fn aUora che Garlo Alberto, con l'anima piena d'aaiai«zz*.
esclamô: u Tntto è perduto, anche Tonore! »
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LA OIOBNATA DI NOVABA 278
la indipendenza desiderata. Comprendo essere oggi la mia
persona d*impedimento a conchiudore la pace, divenuta
ornai indispensabile, pace che io non potrei soscrivere. Non
essendomi stato possibile trovare la morte combattendo,
coQsumerô Tultimo sacriQzio per la sainte del mio paese,
col deporre la corona e con Tabdicare a favore di mio
fîglio, il Dttca di Savoia. » Abbracciatl poscia quanti gli
sta?ano d'attorno, licenzioUi ; rimasto solo, scrisse alla con-
sorte parole di addio, dalle quali traspariva la mestizia
deU'animo suo; ci6 fatto, chiamô a se i flgliuoli, e dopo
ayerli baciati, diè loro Tultimo saJuto (1). — Era la notte
innoltrata dimolto, quando una carrozza, uscita di Novara
e che di buon trotto correva la via di Torino, veniva arre-
stata ai posti avanzati del campo di Thurn. Il viaggiatore,
airafflclàle austriaco chiedente chi egli fosse, rispondeva:
« Sono il conte di Barge, colonnello piemontese ; dopo la
giornata rinunziai aU'offlcio mio e ora torno a Torino. »
Coadotto in Borgo Vercelli al quartiere di Thurn, questi
comandava, si conducesse innanzi al conte un sergente dei
bersaglieri fatto prigione il di avanti; se il riconoscesse,
lo si lascerebbe passare; se no, lo si terrebbe prigioniero.
Interrogato il sergente sul conte di Barge, disse non ri-
cordarsi tal nome; quando gli fu imposte d'accostarsegli
per osservarlo bene, ammutoli ; ma indovinato siibito un
I^gero cenno fattogli dal conte, aflfermô (Vaverlo veduto
ieri sempre col Re. Saputo ciô, Thurn, fatto pregare il
conte di Barge di venire a lui, che stava ragionando con
gli ufflciali suoi délia giornata, prese a discorrere insieme
(I) tt lo conseryerô in tntta la loro interezza — oosi VittorioEma-
miele in qnella sera a coloro che stavangli d'attoino — le istitozioni
Itfgite dal padie mio al paese. Io terrô alta e ferma la bandiera dei
^ coloii, sûnbolo délia nazione italiana, che oggi fa yinta, ma che nn
gi<niio vincerit; vittoria, che sarà lo scopo di tutti li sforzi miei n
Qoanto lealmente il Ee galantuomo abbia mantennto la fede allora
^ta, lo yeâiemo nel corso di qneste istorie.
18 — YoL n. ICiSLàNi — Stcria pd. ê mU»
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274 CAPITOLO VI
dei casi délia guerra; accomiatatosi poscia da Thurn, il
conte di Barge riprendeva la via di Oasale. —Lamattina
del 26 marzo in Nizza, a Teodoro Santarosa — il figlio di
Santorre — reggente quella città, uno sconosciuto chie-
deva, in nome di Carlo Alberto, un passaporto per la
Francia, passaporto che doveva intitolarsi al conte diBargi', ,•
titolo preso dal Re. Santarosa, il quale délia guerra oras[li -,
solamente noto il passaggio degli Austriaci in PiemonkN ic
su le prime non presto fede aile parole dello sconosciuw.
ma fatto di poi persuaso délia verità del suo dire da un pa>- i
saporto militare, di cui era portatore, corse dal Re, ch»
aspettavalo su la via a poco piii d'un chilometro da Nizza, e
conducevalo al di là del Varo. Il figlio di quel grande, che nel i
1821, fallita Timpresa di indipendenza patriaper ladiserziou»^
di Carlo Alberto, principe di Carignano, esulava dalla pa-
tria, allora soccorreva a Carlo Alberto re di Sardegna, clie
esulava dal regno suo, per essere la medesima impre>â
fallita a cagione del tradimento dei nimici dltalia! — B
Re, discorrendo del suo viaggio con Santarosa, disse: «lo.
aveva da prima risoluto di recarmi in Terra Santa; ma
temendo sarebbesi dai malevoli affermato che »equisi
tacque; certo intese alludere a Carlo V, imperatore, il quale^
voile finire la vita in un convento; di li a brève ist&nte
ripigli& a parlare cosi: « Venni di poi nella deliberazione.
di ritrarmi in Oporto, lontan lontano dallltalia, per prir|
vare che io non voglio più prendere parte alie faccen<ie
del regno. » E al Santarosa, che parlavagli d'una terza
ripresa délie armi: « Allora che un Governo ordinato rom-
perà guerra all'imperio, gli Austriaci me troveranno grt^
gario neiresercito che li combatterà. » Questo il principe.
che molti, con troppa cortigianeria, portarono a cielo:clit^
"îaltri, con somma ingiustlzia, vituperarono, perché non lo
conobbero mai ; ma che la storia, imparzialmente si, iû*^
pure benevolmente ha giudicato, perché seppe, come ber.
meritava, apprezzarlo e lo ha chiamato magnanimo.
Il mattino del 24 marzo gU oratori Sardi recavansi a
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LA GIORNATA Dl NOVABA 275
Radetzky, in Vespoiate, ad aimunciargli rabdicazione di
Carlo Alberto e per discutere e fermare i patti di uaa
sospensione d'armi e d'una tregua; per la quale rinuncia
il maresciallo, fatto piU inchinevole agli accordi, signifl-
cava a quelli volerli trattare col Re ; ci6 che avveime
siibito dopo in Vignale, picciola terra a cinque chilometri
da Novara su la via di Borgomanero. I patti, allora reci-
procamente accettati, si eottoscrissero due giorni appresso
da Vittorio Eraanuele e da Radetzky; in virtîi dei quali i
guerreggianti sospesero le armi; e quel patti che servi-
rono di fondamento al trattato di pace da conchiudersi poi,
furono: I© Il Re licenzierà gli Ungaresi, i Polacchi e i Lom-
bardi militant! sotto le sue bandiere, con facoltà perô di
ritenersi alquanti ufflciali (1). 2^ Il conte Radetzky farà
buona opéra presso Tlmperatore, allô scopo d'ottenere un
perdôno pieno e intero a favore degli Ungaresi, Polacchi
e Lombardi sudditi deirAustria. 3^ Il Re di Sardegna per-
metterà, che il territorio situato tra il Pc, il Ticino e la
Sesia sia occupato da ventimila imperiali, obbligandosi a
provvederli di vettovaglie; in oltre, che Alessandria e la
sua cittadella sieno presidiate da tre mila Austriaci e altret-
tanti Sardi, e che i régi abbiano a sgombrare i ducati di
Parma, Piacenza, Modena e Toscana. 4° Il Governo del Re
guarentirà l'entrata del presidio impériale nella cittadella
d'Alessandria, 5° L'armata sarda lascerà, tra quindici giorni,
le acque dell'Adriatico; nel quale spazio di tempo i soldati
del Re, presidianti Venezia, faranno ritorno in patria. 6* Il
(I) Richiamata da Gasatisma ad Alessandria, mandata di poi a Tor-
toaa e a Yoghera, la divisione lombarda inriavasi poscia a Bobbio, oye
doreva venire licenziata. Non pochi de' snoi soldati riederono ai dôme-
•stici focolari; molti rimasero nell'ospitale Piemonte e nella Liguria;
ima bella schiera di qnelli recossi a Boma con trenta artiglieri, pren-
dendo parte nella ^loiiosa difesa délia città assediata dalle armi di
fVancia; il maggior nnmero degli officiali passô sotto le bandiere délia
libéra Sardegna, retta da liberissimo principe.
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276 OAPITOLO VI
Re si obbliga di fermare presto nna pace durevole, e pa-
rimenti di ordinare Tesercito a pace. ?<> Il Re tiene per
iaviolabile quantd venne sopra stipulato. 80 Le due parti
invieranno i loro pienipotenziari nella città, che verra poi
designata, per sottoscrivere la pace. 9» La pace da conchiu-
dersl sarà indipendente dalle stipulazioni délia présente
tregua. IQo Qualora non fosse possibile giugnere ad ami-
chevole componimento, la tregua si disdirà dieci giorni
prima di riprendere le offese. Il*» Nel piii brève spazio di
tempo saranno vicendevolmente resi i prigionieri di guerra.
120 I soldati austriaci, che avessero già yarcata la Sesia,
si porteranno siibito entre i limiti sopra flssati per la occu-
pazione militare. — AU'albeggiare di quel giorno, 24 marzo,
gli imperiali, con alquante artiglierie, prendevano a ful-
minare Novara; poco dopo presentavasi a Thurn un messo
del Duca di Genova per avvertirlo, che aJlora stavasi trat-
tando accordi e tregue col maresciallo; e Thurn rispondeva
al messo: = Cesserebbe dalle offese, quando la città fosse
sgomberata dai régi. = Non molto dopo, avvertito da un
inviato del Municipio essere la terra senza presidio veruno,
Thurn, sospese le armi, v'entrava con D'Aspre per tenere
dietro al nimico, il quale, ritirandosi per la via di Borgo-
manero, in sul mezzodi ponevasi a campo al di là di Momo
senza patire molestija, perô che la tregua di Vignale arre-
stasse in lor cammino le genti di Thurn e D'Aspre. —
L'ultima fazione di quella guerra fu combattuta davanti a
Gasale. Nello avanzarsi contra il nimico e proprio alla vi-
gilia délia giornata di Novara Radetzky deliberava d'impa-
dronirsi di quella città, che siede su la destra del Po.
Viclnissimo ad essa sta un vecchio castello, a difesa del
ponte, che la unisce alla opposta riva, munita d'opéra
fortiâcatoria alla testa del ponte stesso. Il possesso di Gasale,
pensava il maresciallo, col dargli in mano un valico del Po/
doveva assicurare la sinistra deiresercito fiuo contra quai-
sivoglia tentative dei régi. Wimpffen, cui era stato dato il
carico dell'impresa, partito da Trumello alla testa délie bri
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I<A. OIORHATA DI NOVABA 277
gâte di Cavriani e d*£doardo Liechtenstein — la prima venuta
allora di Lombardia, Taltra di Mezzanacorte, le quali ayerano
poscia ad afforzarsi di quella di Guatayo WimpfiTen, presi-
diante Pavia — arrivata a Gandia la sera dei 23, subito spe-
diva drappelli di cavalli e fanti a speculare il paese âno alla
Sesia Restaurato nella notte il ponte di Terranuova, il luo-
gotenente maresciallp Wimpffen passava il fiume con la bri-
gata Liechtenstein, spingendosi oltre Terranuova, presse la
quale terra su buona postura collocavasi quella di Cavriani,
aile quattro del mattino uscita di Gandia. Al sorgere del
nuovo giorno l'avanguardia austriaca compariva dinnanzi a
Gasale ; e alla chiamata di resa, avendo i difensori negativa-
mente risposto (IX WimpfTen assaltava e recavasi in mano,
dopo due ore di contraste, la testa di ponte ; quindi fulminava
la città con le sue artiglierie, aile quali rispondevano i can-
nonidel castello; ma resistendogli âeramente Gasale e contra
questa nuUa di efficace potendo allora tentare, in sul fare
dalla sera indietreggiava sin fuora délie offese nimiche ; e i
difensori, usciti nella notte per molestare il campo impériale,
riprendevansi la testa di ponte. Verso le due pomeridiane
del giorno appresso, WimpflTen, proceduto nuovamente in-
nanzi con la brigata Liechtenstein, ripigliava quella testa di
ponte ; e quando era in procinto di restaurare il ponte stesso
per avvicinarsi alla città, riceveva l'avviso délie tregue di
Novara: onde, cessate le offese, ripassava la Sesia (2). —
Una compagnia di milizia veterana e pochi cittadini, gover-
nati dal générale Solaro — un antico soldato d'Austerlitz —
con virtîi e coraggio superiori ad ogni elogio e sempre da
(i) I patti délia resa messi innanzi dal générale anstriaco, perché
saperbi, yennero respinti dal cittadim.
(2) Ë fama, primo a informare gli Aastriaci délie tregue di Noyara
essere stato Carlo Alberto , che aU'uBcir di Borgo Vercelli aveva preso
la yia di Gasale. Sarebbe dunqae il Be rofficiale piemontese yiaggiante
con salyaeondotto del générale Thom, coi accennô Badetzkj nella sua
narrazione della giomata di Noyara.
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278 CAPITOLO VI
imitarsi degnissimi, resistettero per due giorni a nimico pré-
pondérante dimolto per numéro d'uomini e potenza d'armi.
Oasale per quelli fu salva da occupazione straniera; questo
il preraio délia loro virtù, del loro coraggio.
Le novelle del disastro di Novara, deU'abdicazione di Carlo
Alberto e délie tregue fermate da Vittorio Emanuele col ma-
resciallo, pervenute in Genova la sera del 26 marzo, ne tur-
barono e commossero la popolazione ; ma quando udi le
voci — forse astutamente sparse, o forse esagerate per la lon-
tananza, la quale ben sovente altéra il vero — doversi, in
forza délie tregue, abrogare lo Statuto fondamentale dello
Stato, pagare grossa somma di denaro e dar Oenova inpe-
gno alVAustria sino alla estinzione del débito, tumultuanto
chiese le armi per difendere la propria terra contra lo" stra-
niero (1). Quanti erano in Genova amatori delFantico reggi-
mento sofflavano nel fuoco; e affermando essere stato il sen-
tiraento nazionale offeso dagli accordi patteggiati col nimico
per sospendere le arml — accordi che, dicevasi, avrebbero
condotto a pace non onorevole — spingevano il popolo a
soUevarsi. Tenevasi allora dal générale De Asarta il coraando
délia città e del presidio, grosso di dodici battaglioni di fanti
e d'alquanti artiglieri ; il quale, dopo avère ceduto ai tumul-
tuanti il forte dello Sperone da [prima, quello del Begato 'li
poi, mandava lettera per aiuti ad Alfonso Lamarmora; lettera
che, venuta a mano dei Genovesi, facevalo credere ipocrita
e menzognerd; perô che, mentre dava parola di pac4.
attendesse Varrivo del collega per mettere a ferro e a
fuoco la città. Il popolo, pieno di sdegno e d*ira, invade il
palazzo Ducale e se ne insignorisce, e allora vengono in peter
suo il générale Ferretti, comandante militare délia fortezza,
(1) A maggiormente esacerbare gli animi del popolo venne sparsa
la voce, clie cinqaecento cavalli austriaci erano di già calati dall'Ap-
pennino nella valle délia Polcevera; chi affermaya ciô, asseriva anclie
d'averli veduti !!....
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LA GImBNATA di novaba 279
Farcito, governatore civile, e la famiglia di De Asarta, che
via conduce, non per trarli in carcere (1), sibbene per
metterli in luogo securo contra qualunque ingiuria, od
offesa, che in quella grande agitazione e turbamento degli
animi, involontariamente avrebbero potuto toccar loro. Il
supremo Maestrato dei cittadini, mutatosi poscia in Comi-
tato di sicurezza pubblica, prestando fede alla notizia per-
venutagli il 29 di quel mese di marzo, che il Parlamento
nazionale aveva decretato di continuare la gtierra, man-
dava a quelle il seguente invito : « Il Municipio di Genova
in nome di qt^sto popolo, fa sapere che la città dHnfausta
memoïia per VAustriaco tracotante, andrehhe orgogliosa
di ofTerire sirura sede a un Parlamento che sostiene la
dignità délia patria. — Venite! — J)a qtœsto ferma pro-
pugnacolo si trattino le condizioni, 'non dalle pianure
aperte al nimico, dove una pace vergognosa diviene con-
segtienza del m^iseràbile armisiizio, — Venite! — Circon-
datevi dalle forze che ancora esistono. Da Alessandria,
daWAppennino, dal centre di Genova picà sostenersi la
causa del paese e délia libertà. -- Il Municipio, sia che si
reputasse inetto a reggere la cosa pubblica in quoi momenti
«lifflcili, sia che temesse di farsi mallevadore de' suoi con-
cittadini, di cui non pochi miravano a mutare lo Stato,
creava un triumvirato ; al quale ufficio chiamava, con au-
torita e potestà piena o intera, il générale Avezzana, Co-
stantiao Reta, deputato al Parlamento subalpine, e ravvocato
Davide Morchio (2). H primo aprile Genova trovasi tntta
(1) Non ô vera l'affermazione di alcnni scrittori, che Ferretti, Farcito
e la famicrlia del générale De Asarta sieno stati condotti in carcere ;
la pmdenza aveva consigliato 1 cittadini a mettere qnelli in luogo se-
cnro, ove fùrono trattati con segni di rispetto e stima.
(2) eu fosse il générale Avezzana, qaant« la sua devozione allltalia,
qnale la illibatezza dell'animo, già sopra brevemente lo dissi; non al-
trettanto puô dirsi de' coUeghi auoi nel Triumvirato, perô che Costan-
tino Reta fosse uomo ambiziosissimo e poco costumato, e l'avvocato
Morchio era taie, che avrebbe voluto u fare ascendere il prezzo délia
canapé a quel délia seta; " e queste son sue parole!
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280 OAPITOIiO VI
in su l'arme. Impadrofaitosi, dopo lieve contrasto, deirar-
senale délia marineria di guerra, il popolo viene aile prese
con De Asarta, il quale coq le sue geati erasi raccolto nei
quartieri di Santo Spirito airAcquavepde.Risoluto di ripren-
dere Tarsenale, senza cui non puô tenere la città. De Asarta
manda all'impresa il colonnello Morozzo con un battaglione
di granatieri; ma ferito esso a morte, quando sta par assal-
tare il primo serraglio, che difende l'entrata délia via con-
ducente aU'arsenale, i granatieri esitano, vacillano, indie-
treggiano. AUora De Asarta, fatte cessare le offese, scende
a trattare délia dedizione coi Triumviri, la quale è ferninta
a patto ch'egli consegni i forti aile armi cittadine; chu le
sue soldatesche, lasciata Genova, rientrino in Piemonte per
la via di Savona ; in fine, che abbia a invitare per lettera
il générale Lamarmora a retrocedere, allô scopo di evi-
tare uno inutile spargimento di sangue, avendo i Genovesi
risoluto di non cedere a qualunque costo la città, ch'essi
avevano conquistata ; in compenso di ciô i Triumviri pro-
mettevano, che Genova rimarrebbe fermamente unita alla
Sardegna. Il mattino del vegnente, il 2 aprile, il presidio
regio, uscito dalla città, camminava verso Savona ; taie via,
sebbene piii lunga di quella dei Giovi, era stata scelta per
impedire che i soldati avessero a incontrarsi con la divisione
lombarda; la quale, dalla destra del Po a Mezzanacort^.
dopo la giornata di Novara aveva portato i suoi campi a
Tortona; e qui trovaronla i Oommissari genovesi, venuti
a invitarla di recarsi a Genova a difendervi la causa.
d^Italia, Il générale Fanti — che, dopo Tandata di Ramo-
rino al Quartier maggiore del Re, teneva il comando délie
genti lombarde — rispose niegativamente a quellinvito,
che Tonor suo e il dover militare vietavangli d'accettare;
e fu questa somma ventura; avvegnachè, se i Lombardi si
fossero uniti ai sollevati Genovesi, lunghe e gagliarde sa-
rebbero state le difese e le resistenze délia città, e forse tali
da partorire guerra civile e intervento straniero, avendo
^ià Francia e lo stesso Radetzky oflTerto al Governo del Re
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LA OIORKATA BI NOTABA 281
aiuto di loro armi per ridurre Genova alla obbedienza
usata. lûtanto Alfonso Lamarmora procedeva innanzi con-
tr'essa a grandi giornate; il quale, appena ebbe ricevuto
da Ohizanowski — allora in Borgomanero — il carico di
far Timpresa di Genova — e fu la sera del 27 marzo — e
dai Mlnistri di Vittorio Emanuele i pieni poteri per reggere
poscia la città con leggi militari, il mattino del 28, levavasi
di Parma; e per Piacenza, Stradella e Novi in cinque allog-
giamenti giugneva nella valle délia Polcevera, piantando i
suoi campi presso San Pier d'Arena (1). Trovata per via
la brigata d'avanguardia del colonnello Belvédère (2) — la
quale, al rompere délia guerra, campeggiava Castel San
Gioyanni — Lamarmora aggregavala alla sua divisione,
coflsentendolo il Ministre sopra le armi ; in oltre, chiamava
airimpresa le gentl di De Asarta, che, dicemmo già, cammi-
navano verso Savona.
Genova, per natura di sito e opère d'arte militare for-
tissima, siede su la spiaggia settentrionale del Méditer-
ranée in fqndo al golfo, che da quella città prende il nome,
e nel basse d'una valle formata dal biforcarsi di un con-
trafforte dei monti liguri, quasi a meta del pendio méri-
dionale di quella tratta deir Appennino, che scende da
Oneglla alla Spezia e sépara Tantico Stato délia repubblica
dal Piemonte (3). Davantl alla città, la quale elevasi quasi
ad ânfiteatro sovra alcuni coUi — estreme appendici di quel
contrafiforte — apresi un porto ampio e securo. Due grandi
vie menano da Genova a Francia e al centre d'Italia; la
prima, chiamata riviera di ponente, corre rasente il mare
(1) Presso Ronco il générale Lamarmora riceveva lettera dal Comi-
bto di ncnrezza pnbblica di Genova, che pregavalo di non portarsi
npra la città ; la qnale, non acconsentendo aile tregne di Novara, non
wteYa ricevere le milizie del Govemo, che avevale accettate.
(2) La brigata del colonnello Belvédère contava allora da tre mila
(omini; la divisione del générale Lamarmora, otto mila allô incirca.
(3) Vedi l'Atlante.
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282 CAPITOLO VI
sino a Nizza, sino al Varo, frontiera naturale del belpaese;
Taltra, detta riviera di levante, va lunghesso il mare fino
a Sestri Levante ; qui la via si avanza entro terra sino
alla Spezia, per calar quindi a Toscana e su Roma. Par le
valli dei torrenti Polcevera e Bisagno — tra i quali sta
Genova — si sale aU'Apennino (1). In quella ricca e spa-
ziosa délia Polcevera — per un lungo tratto perpendicolare
al mare — trovasi una larga e commoda via, che presse
San Quirico dividesi in due; quella di destra per Ronce,
la valle délia Scrivia e Serravalle conduce aNovi; Taltra
di sinistra per Voltaggio, Carosio e Gavi — il cui forte la
signoreggia — scende alla pianura di Novi, che si allarga
sino ad Alessandria e al Tanaro per confondersi in quella
estesissima délie valli del Po e del Ticino. Nell'angustâ
valle del Bisagno la via rasenta il torrente, a venti chilo-
metri allô incirca da Genova dividesi in tre, le quali attra-
versano gli Appennini; quella di destra per Borgonovo e
quella di mezzo per Torriglia scendono nella valle délia
Trebbia; la via di sinistra per la Torazza e Gasella cala in
val di Scrivia. Due solidissime mura cingono l'antica Si-
gnora del Méditerranée; Tinterna, che abbraccia la clttà,
risale ai primi tempi del sistema bastionato ; dalla parte di
mare misura tre chilometri, non contando in questi il tratto
che chiude e protegge il porto; dalla parte di terra, sei
chilometri allô incirca; rotta oggidi in piii luoghi non servo
piii alla difesa di Genova; in essa apronsi cinque porte.
La mura esteriore, eretta nel secolo scorso, e irregolaris-
sima per le disuguaglianze del terreno che percorre, ha la
(1) La Polcevera scende dal colle dei Giovi, scorre a mezzogiorno
verso il mare, snl quale mette foce presso Comegliano ai piedi del
monte Coronato^ che elevasi alla sua destra. Il Bisagno scende dal
colle délia Scoffera; dopo Inngo camminare verso mezzogiorno, piega
ad occidente; e poco prima di gingneré ail' 0/mo, volgesi nnovamente
a mezzodi per gettarsi poi in inare ai piedi délia collina à*AlbarOy che
innalzasi alla sna sinistra.
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LA OIOBNATA Dl NOVABA 283
forma d*un grande triangolo, alla cui base sta il mare, e i
lati del quale misurano diciotto chilometri ; i suoi forti, i
suoi bastioni con le opère fortificatorie esterne ■— signo-
reggianii le sottoposte valli e i circostanti colli — costi-
tuiscono dalla parte di terra una validissima difesa délia
città; il presidio dei quali in tempo dassedio deve con-
tare ventisei mila uomini allô incirca; che tanti ne richie-
dono la grande distesa dolle fortificazioni e H bisogno di
avère pronta sempre buona mano di soldati per le uscite
contra i lavori ossidionali e i campi del nimico assedia-
toro (1). Dalla mura esterna si esco alla campagna per sette
porte; quattro aprentisi nella parte orientale di essa, tre
nella occidentale; le quali ultime, per mezzo di buona via
di comunicazione, menano alla porta di San Tomaso o délia
Lanterna — che sta dietro il faro — per la quale passa
la via che da San Pier d'Arena conduce in val di Polce-
vera. -- A settentrione délia città e quasi a sette chilo-
metri dal mare alzasi il monte dei l>ue Fratelli, cosi chia-
mato dalle due eminenze che s'ergono su l'alto di esso, e
sopra le quali stanno due difese, dal nome del monte dette
T>ue Fratelli. Da questo diramasi un contrafforte, il quale
dopo avère corso due chilometri perpendicolarmente al
mare, là dove sorge il forte dello Sperone, si biforca per
calare, in direzione sempre divergente, verso il mare stesso;
tra questi due contraflforti trovasi Genova con la sua mura
interna. Rimpetto alla cinta esteriore di levante e sovra la
sinistra del Bisagno stanno le colline d'Albaro, che per la
loro altezza, signoreggiando la parte estrema e bassa di
quella cinta — onde le difese di essa furono chlamate
Pr07iti bassi — vennero munite d'opere fortificatorie, allô
(1) Alla difesa délia cinta esteriore abbisognano da quindici mila
uoinini; al Seriggio e a monte Matti, d.i tre mila e cinquecento; al
forte Richelieu, cinquecento; al Diâniante, trecento; ai Due Fratelli^
trecento ; al colle di mezzo, trecento ; al forte Quezzi, trecento ; a Santa
Teeîa, trecento; per le picciole nscite e per la riscossa, tre mila.
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284 cApiTOLo VI
intento d'impedirne Taccesso al nimico assediante, e sono:
il forte di San Francesco al mare, quello di San Mariino,
e più sopra il forte Quezzi. Lungo la cresta dei due con-
trafforti, che dicemmo staccarsi dallo Sperone^ corre la
mura esterna incamiciata e guarnita di bastioni, la quale
costituisce i lati di quel triangolo fortiflcatorio — trince-
rone vastissimo e validissimo — la cui base è sul mare e
il vertice allô Sperane. I fronti bastionati dalla mura Ta-
riano dai centreata ai dugencinquanta metri di lunghezza;
i loro fiaachi, dai dieci ai dodici; l'altezza, dai nove ai
dieci. — 11 forte dello Sperone componesi del bastione
molto acuto, che difende Tangolo compreso dalla cresta dei
due coutrafforti sopra descritti e di quello che gli tien
dietro a destra; il quale forte, per avère la gola natural-
mente scoscesa e munita di mûri, va considerato altresi
come opéra separata dalla cinta esteriore. È dai colli o
contraflforti elevantisi dinnanzi allô Sperone verso l'Appen-
nino, che discendono le acque délia Polcevera e del Bisagno,
nelle cui valli il nimico assediatore, padrone di quel colli,
puô calare con assai facilita contra le difese délia cinta di
levante o di ponente. A settentrione délia Lanterna e a
brève distanza di essa innalzansi due colline quasi d*eguale
altezza, che vanno tra loro parallelamente da San Benîgno
al piano délie Bombe, e aventi origine dai contraflTorte
délia Tanaglia; il quale, poco al di sotto dello Sperone,
staccasi da quello sovra cui corre la cinta esteriore: sono
le colline di Belvédère e Pramantone. Su la cresta del
contrafforte délia Tanaglia, presse l'estremità del medesimo
e a cento metri dalla mura esterna, avvi un'opera a corno
o Tanaglia; la quale si unisce alla grande cinta per mezzo
d*una postierla âancheggiata dai mûri pertugiati di feritoie,
ed eziandio si lega per un'altra postierla alla Crocetta di
Belvédère^ dente munito di fianchi e d'un terrazzo cir-
colare posto sopra la gola; e sul pendio principale del
contrafforte délia Tanaglia verso la Polcevera. Non molto
lungi dalla chiesa délia Madonna di Belvédère sorge una
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LA GIOBNATA DI KOVABA 285
lunetta, che da quella collina prende il nome; la quale
opéra fortiflcatoria consta di un dente coi flanchi circon-
dato da fosso ed è chiusa alla gola da una caserma, sa
Talto délia quale avvi un terrazzo munito di parapetto; i
fnoclii délia lunetta, incrocicchiandosi con quoi délia Cro-
cetta, difendono i seni ivi format! dalla collina, La cinta
esteriore di levante componesi dei Fronti Bassi e del
F^onti di Carignano. I primi, che per la natura del sito
sarebbero facilmente espugnabili, se le loro difese non fos-
sero state accresciute dalle opère costruite sui coUi di
Quezzi, San Marttno e iS5fln Francesco d'Albapo, hanno
daranti aile cortine délie mezze lune; quelli di porta Ro-
mana e porta Pila, sono eziandio munite di contragguardîe
coi fianchi, cui si va per due postierle; tutti poi sono cir-
condati da una via coperta. Di tre piccioli fronti bastionati
constano le difese di Carignano ; le quali, piîi che ad av-
valorare le resistenze di questa postura, già forte per natura
di sito, servono a proteggere le artiglierie, che deggiono
col loro fnochi impedire al nimico di fermare il piede su
le alture signoreggianti la slnistra del Bisagno, e contrab-
battere altresî quelle che vi pianterebbe F assediatore.
Sopra una eminenza isolata dal più alto dei coUi — su la
cui cresta sta la grande cinta da noi brevemente descritta
— e a duemila quattrocento metri dallo Sperone tra levante
e settentrione giace un forte a stella circondato da fosso
e da via coperta e denominato Diamante, dalla forma del-
l'eminenza che gli serve di base ; la quale difesa, che siede
a cavalière dei valichi conducenti allô Sperone, è la pià
avanzata entro terra délie opère che guarniscono Tantica
metropoli ligure. A sei chilometri dal mare e a tramontana
dalla città awi una catena di montagne, chiamata dei Dite
Fratelli per due alture che tutte le circostanti sopravan-
zano, dalle quali discendesi alla Polcevera e al Bisagno.
Sovr'esse innalzansi due torri quadre, diverse di altezza,
capacità e forza, che tra loro distano di trecento metri.
La terre del Fratello Maggiore a destra, quella del Frar
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286 CAPITOLO VI
tello Minore a sînistra, e davanti allô Sperone stanno a
millesecento metri da questo forte e a secento dietro il
Diamante; legate a quesVultimo — quasi in un sistema
di fortificazione tutto a se, tutto isolato — costituiscono la
piîi valida difesa di Genova. La cresta, che a destra dello
Sperone, si avanza verso TAppennino, forma un colle su cui
ergesi una torre quadra, circuita da muro pertugiaio di
bombardiere o feritoie; è la torre del Puin, la quale, non
solamente difende la sua via di comunicazione col Dia-
mante, ma impedisce altresi al nimico assalitore il passaggio
che per quella cresta si âpre dalla Polcevera al Bisagno.
Il letto di quest'ultimo torrente — risalendo dalla sua foce
in sul mare airorigine sua — presso TOlmo piega verso
levante ad angolo retto a destra e, dopo un tratto di quattru
chilometri allô incirca, nel quale trovasi la terra di Mo-
lasana (1), volgesi nuovamente a settentrione e va al colle
délia Scoffera, da cui discende. Quel tratto di letto del
Bisagno corrisponde al fronte délia postura fortificata di
monte Ratti, su l'alto del quale allargasi un piano, detto
di Seriggio, con un vasto trincerone, che vieta aU'assali-
tore d'avvicinarsi da quella parte del Bisagno alla grande
cinta di Genova. Dietro il piano di Seriggio staccansi due
contraflforti; quel di sinistra, chiamato monte del Vento,
s'avanza verso la città sin quasi a due chilometri dal mezzo
délia cinta esteriore, per mettere fine nella valle del Bi-
sagno, divise in due picciole creste, che ripide scendoiio
al torrente. Il sito, dal quale dipartonsi, chiamato Quezzi,
è difeso da un forte, che da quelle prendendo il nome vien
chiamato forte di Qu^ezzi ; esso sbarra al nimico il monte
Vento. n contrafforte, che sta a destra del piano di Seriggio.
corre quasi orizzontalmente a settentrione; sovr'esso, a mil-
letrecento metri da quel piano elevasi una bella difesa, il
(1) Da Molasana ascendesi al monte Crtto^ dal qaale per la valle
deUa Secca calasî in qnella di Polcevera.
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LA GIOKXATA DI NO V ARA 287
forte Richelieu, Qui il contraflforte dividosi in due creste,
quella di destra, chiamata del Chiapeto, prolungasi in dire-
zione del contrafforte suo generatore, e a poco meno di due
chilometri dal mare scende nella Sturla (1); torrente che
trae origine dai vicini monti délie Fascîe, e dopo un corso
di nove chiloraetri porta sue acque al mare, su cui mette
foce a tre chilometri da quella del Bisagno ; e la cresta di
siiiistra spingesi sino a milledugento metri dalle mura di
Gftnova: le dà il nome la chiesa délia Madonna del
Monte, la quale ergesi su la sua eâtremità. Non lontano da
quella trovasi un picciolo forte, chiamato di Santa Tecla,
dalla chiesa che gli è vicina; il quale, con le sue arti-
glierie, impedisce al nimico di accamparsi sui colli d'Albaro.
Sopra questi — i cui piedi sono bagnati a levante dalle
acque délia Sturla, a ponente da quelle del Bisagno —
staano alcune difese; sono due forti elevantisi a setten-
trione nelle vicinanze di San Martine e a mezzogiorno
presse San Francesco d'Albaro; il quale ultimo difende la
brève spiaggia marina, che corre tra le foci di quei due
torrenti; e insieme poi validamente contrastano le colline
d'Albaro aU'assediatore, cui importa moltissimo possederle
per poter battere con vantaggio i Fronti Bassi, che sono
la parte debole délia grande mura di Genova. — Le opère
fortificatorie délia cinta di mare sono di potenza minore
d'assai délie difese, ora sommariamente descritte, che dalla
parte di terra rendono Genova quasi inespugnabile, se bene
presidiata. Esse consistono in una lunga série di poderose
batterie di cannoni, che dai Fronti bastionati di Cari-
gnano vanne alla Lanterna, le quali devono proteggere
l'sQtrata del porto e terier lontano le navi nimiche per
togliere Genova ai danni d'una bombardata, gravi sempre,
gravissimi poi per quella città, che in se racchiude copia
(1) Questa cresta si chiama del Chiapeto dal nome del viUaggio,
che sta sopra il pendio occidentale di qnella.
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288 CAPiTOiiO VI
grande di ricchezze; ma, cosi corne soao, quelle batterie
ancor non bastano allô scopo di taie difesa, sempre con-
sideraudo le gagliardissime offese di oui le armate vanno
oggidi munite. La batteria délia Strega, la prima délie
difese di mare dopo i FronU di Carignano ; incrocicchiando
a destra i suoi fuochi con quella di San BemardOj che
giace a levante deirarsenale, a sinistra coi faochi di San
Francesco dCAlbaro, impedisce ai nimici d'awicinarsi alla
splaggia del Bisagno. Il luogo più importante per la difesa
délia cinta, che corre tra Tultimo dei Fronti di Carignano
e la estremità del Molo Vecchio, è la batteria délia Cava:
da questa sino al Molo Vecchio la cinta forma un ampio
rientrante, o seno, nelle cui acque potrebbero entrare
navi leggere e spedite del nimico assediatore, se quel
seno di mare non fosse battuto da grosse artiglierie savia-
mente aU'uopo collocate. Le batterie poi délia cinta di
mare dal Molo Nuovo salgono fino a San Benigno; la
prima di esse per la sua altezza difende e appoggia le
altre del Molo Vecchio, e manda i suoi proietti lontan
lontano sul vasto campo di tiro che le sta dinnanzi : onde
le armate nimiche non possono da quella parte appressarsi
ditroppo a Genova, il cui porto è difeso dalle batterie
costrutte lungo la mura bastionata che lo circonda e ne
vietano Tentrata al nimico, quando tentasse irrompervi.
Gli Appennini liguri formano col Méditerranée un assai
ampio e valide trincerone, di cui Genova è il fortissimo
ridotto ; il quale sbarra la grande via, che attraversa in
tutta la sua lunghezza il trincerone e mena dltalia in
Francia, e chiude altresi i passi dei Giovi e del colle
délia Bocchetta, scendenti di Genova sui piani d*Alessandria
e nella valle del Po. Dentro quel campo militare — che
proprio taie vuolsi ritenere Tantica liguria — il oui vallo
Tebbe fatto natura — intendo dire TAppennino, vallo
difficile assai a superarsi, e che non puossi girare sui fianchi,
un esercito, stato sconfltto In aperta campagna, trova re-
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LA GIOBKATA DI KOVABA
fugio securo per rifarsi e uscir quindi a rînnovare la prova
délie armi e muovere a nuove oflTese. Ed è perciô che ia
Senoya volevasi dai cittadini si recassero il Goverao e il
Parlamento ; che vi si portasse Tesercito stato rotto a No-
rara, per accrescerlo e riordinarlo : in fine, che in Genova
ii avesse a raccogliere la guerra, guerra da prima di difesa
~ cui tanto dovevano giovare la natura del sito e le moite
brtificazioni délia città — ed oflTesa di poi e tosto che
)ermeit^rebberlo la restaurata militare disciplina e l'armi
'iafforzate e riordinate. A quel volere, a quel desidèri dei
îenovesi — invero generosi, ma impossibili a compiersi
- i Ministri del Re risposero inviando Alfonso Lamar-
nora col carico di sedarne la ribellione e rimetterli sotto
a potestà regia, che avevano scossa. — Appena arrivato a
^ontedecimo — e fti il mattino del 3 aprile — il générale
.amarmora, che ben conosceva la potenza di Genova,
'eputando impresa troppo ardua impadrônirsi délia città a
iva forza, con le poche armi ch'egli capitanava, intendeva
i chiuderle ogni via ai soccorsi e ai viveri, e averla cosi
•er famé. Se non che, privo di navi da sbarrarne il porto,
ibero rimaneva il mare ai soUevati ; i quali, potendo ri-
îniirsi di vettovaglie, renderebbero vana Tossidione e
iù ostinate dimolto le resistenze: ond'egli volgevasi al
[iiiistro sopra la guerra sollecitandolo a chiamare davanti
Genova la squadra navale, che allora trovavasi nelle
cque di Venezia, Nella ricognizione militare délia valle
i Polcevera sino a Cornigliano fatta al suo giugnere in
•ontedecimo, il générale, awisato che i Genovesi, più che
difendere la cinta e i forti esterni, curavansi difendere
i città, le cui vie avevano chiuse con robusti serragli,
eliberava mandare per San Cipriano e Montobbio in val
1 Bisagno un reggimento di fanti per tentare dalla Pol-
3vera quelli tra i forti che avrebbe veduto meno vigi-
iti e poco custoditi (1). Rieduto il giorno appresso con
(1) La cinta estenia e i forti erano presidiati da poche Guardie nazionalù
10 — Vol. n. Mabiaiii — Storia pol 6 ma.
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290 OAPITOLO VI
due compagnie di bersaglieri e uno squadrone dî cavalli
a Cornigliano, e non avendovi trovata la divisione di De
Asarta , tanto aspettata , Lamarmora portossi a San Pier
d'Arena, grosso e popoloso sobborgo di Genova su la sinistra
délia Polcevera; e, dopo averlo presidiato de'suoi cavallL
sali speditamente alla chiesa di Belvédère. Fatta la cbia-
mata alla Lunetta, che le sta vicinissima, e alla Crocetta.
pur non lontana da quella chiesa, e avutele subito dai
presidi, ai quali aveva promesse salva la vita, andô sopra
il forte délia Tanaglia ; i cui difensori, minacciati di morte
se resistevano, non potendo calare il ponte levatoio, per
mezzo di corde trassero i difensori dentro quello. Quidata
da un contadino, una presa di soldati, per un passe noto
a pocbi, notissimo perô ai contrabbandieri, supera la cinta
non lungi dalla Tanaglia^ indi Voltasi alla vicina porta
degli Angeliy ne caccia le Ouardie nazionali, l'apre e ne
cala il ponte leVatoio: brevi moment! dopo Lamarmora,
entrato nella cinta, corre velocissimo verso San BetUgno,
forte postura che soprasta e protegge la porta délia
Lanterna. Tosto che in Genova seppesi délia perdita del
Belvédère e délia Tana^li4Xy una grossa schiera di sol-
levati, impugnate le armi, saliva a San Benigno, duce il
marchese Lorenzo Pareto, comandante supremo délie
Guardie nazionali, e un'altra ascendeva al contraffortë
dello Sperone verso la porta degli Angeli. Grave pericolo
minaccia allora il générale Lamarmora; se i soUevati
riprendono la porta poco innanzi perduta, egli e le sue
genti sono costretti a darsi prigioni, perô che il prepon-
derare de'nimici renderebbe vano il resistere; molto più
poi che dal bastione o forte del Begatto — che sta non
lontîuio dalla porta degli Angeli tra la Tanaglia e lo
Sperone — era già uscita buona mano del presidio di esso
per ferire aile spalle gli assalitori audacemente fortonati.
In quella che Lamarmora riceveva la risposta délia inti-
mazione di resa fatta all'Avezzana — risposta che suonava
cosî : / Genovesi voler resistere sino a che un d'essi vivra.
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LA OIOSHATA DI KOYABA 291
arrivaya a lui dal campo del Re il fratello Alessandro ; e
glî giugneyano pure gli aiuti fatti venire da Pontedecimo ;
erano una compagnia di bersaglieri e oito battaglioni di
faati. Yedutolo si yalidamente afforzato, i solleyati indie*
treggîaroao : ond'egli campeggiô e presidiô le posture e i
forti conquistati, facendo altresi occupare San Pier d'Arena
— ove troyayasi lo squadrone de' suoi cayalli —, da una
batteria di cannoni e da due battaglioni di fanti ; la rétro-
guardia délia divisione — un battaglione di fanterie —
teneyasi in Pontedecimo con le bagaglie e gli impedimenti.
Non era ancor sorta l'aurora del 5 aprile che il géné-
rale Lamarmora muoyeya all'assalto délia città, ordinato
cosi: Ai battaglioni di fanti di San Pier d'Arena era stato
comandato d'impadronirsi délia 2/antema; a una compagnia
di bersaglieri e a un battaglione di fanti d'ordinanza, di
calare da San Benigno e Insignorirsi dei borgbi di San
Lazzaro e San Teodoro; la quale ojBTesa yerrebbe appog-
giata da una compagnia di bersaglieri e da un battaglione di
fanterie, che dalla porta degli Angeli calerebbero sopra
(renoya; in fine, una compagnia di fanti leggeri e un bat-
taglione di fanti d'ordinanza, yolgendosi a sinistra e salendo
il contraflTorte dello Sperone, doyeyano recarsi in mano la
ciuta sin presse il Begatto; e, se possibile fosse, sorpren-
dere questo forte. Lamarmora, che erasi posto a capo délia
schiera di mezzo, nello scendere da San Benigno mandaya
innanzi i suoi bersaglieri per feriro aile spalle i difensori
délia porta Lanterna; i quali, dallo inaspettato moschet-
tare degli assalitori sgominati, presi da timor panico, pre-
cipitosi lasciarono la porta per rifugiarsi al Moto Nuùw;
e per quella porta incontrastata entrayano allora in Genoya
i due battaglioni che ayeyano serenato in San Pier d'Arena,
preceduti da Lamarmora, già unitosi presse San Lazzaro
alla schiera discesa dal bastione degli Angeli alla città.
Mentre le artiglierie dei forti, délia cinta di ponente e del
porto traeyano furiosamente contra i régi — ma con lieve
danno di questi — yeniyano a Lamarmora i Oonsoli degli
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292 CAPITOLO VI
Stati esteri a chiedergli, in nome di Gostantino Reta, uno
dei triumviri, onorevoli condizioni di pace; e il generalo
Tispondeva di non poter trattare coi ribeîli; chesela
città e i forti gli s'arrendessero a discrezione, concède-
rebbe venttquattro are di tempo ai promovilori e ai ça]^i
délia ribellione per allontanarsi dalla città, Pregato dai
Consoli accordava una sospensione d'armi di treoreperla
risposta, a patto che, nessuna ricevendo, ripiglierebbe 1^
offese. Assaliti, presi e barbaramente messi a fil di spada 1
pochi difensori del palazzo Boria — il quale, per la sua pcn
stura, impodiva ai régi lo avaozare — e munite d'un batta-
glioae di fanti le alture di San Francesco e SanRoccOyà^
signoreggiano il borgo di San Teodoro e la villa Dom
e il giorno già declinando, Lamarmora sospendeva la
pugna ; il trarre dei cannoni durô tuttavia e d'ambe le
parti la intera notte; e anche questa volta con dannoli»^
vissimo dei combattenti. Verso le undici di notte lorJ
Hardwick, comandante la Vendetta — nave da guerra
inglese che sorgeva in su Tàncora entro il porto — veniva
a Lamarmora in nome del Municipio a pregarlo di salure
la città, promettendogli di adoperarsi presse il Maestratoi
dei cittadini per far cessare la ribellione, ricondurre i
soUevati aU'obbedienza del Re e ricomporre le cose scoa»
volte (1). Il di vegnente, poco innanzi il mezzogiorno, giu-
gnevano al Quartiere générale — allora a porta Lanterna
— i deputati dal Municipio a Lamarmora per offrirgli la
sommissione di Genova a patti onorevoli; accompagnavariii ^
i Consoli degli Stati amici. Il générale accettava promet-
tendo salva a tutti la vita, salvi gli averi, e ventiquattro
ore per coloro che volessero lasciare la città, a condizion»
(1) L'ammiraglio inglese, lord Hardwick, aveva già fatto gettm it
mare le munizioni délie difese del MoloNmvo: fu questa unaazine
biasimevolissimal — Si disse allora e si scrisse di poi, avère il gf'^'^
raie Avezzana voluto dare la libertà ai gaJeotti per servirai di <[^^^
nella difesa délia dttà: ci6 ô assolutamente feJso.
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LA OIOBNATA DI KOYABA 293
che questa e i forti gli venissero rimessi con tutte le armi,
tranne quelle che le Guardie nazionali potevano, giusta
la legge, serbarsi; in oltre accordava una sospensione
d'armi di ventiquattro ore, tempo bastevole a una depu-*
tazione di cittadiai di recarsi a Yittorio Emanuele, allora
in Torino, per ottenere dalla sua clemenza perdôno pieno
t' intiero délia ribellione. Meatre le armî stavano d'ambe
le parti sospese, Lamarmora compiva Tossidione di Ge-
iiûva, occupando la valle del Bisaguo, e s'aflTorzava in
quella délia Polcevera con le genti di De Asarta, le quall,
rîfatta la via, erano giunte a San Pier d'Arena, ed eziandio
con una brigata di fanti e una compagnia d*artiglieri, per
comando del Ministro sopra le armi venutegll da Alessandria.
îl riprendersi délie ostilità — che avrebbe dovuto aver
Inogo a mezzogiorno deirs aprile — era stato prorogato
di quarantotto ore per richiesta dei deputati iti al Re
per implorarne la grazia ; la quale, arrivata la sera del
9, senza por tempo in mezzo veniva dal générale notifi-
cata al Municipio e da questo nella sera st^sa ai citta-
fini. Il mattino del di vegnente una nave americana salpava
dal porto di Genova; aveva a bordo Giuseppe Avezzana,
molti Genoyesi, non pochi Italiani d*ogni parte délia peni-
^la e alcuni stranieri; sommavano insieme a quattrocento
cinquanta allô incirca (1); erano essi i promovitori e i
fautori del soUevamento; erano i capi dei soUevati. — In
quel medesimo giorno — il 10 aprile — Lamarmora occu-
pava tiitta la grande cinta e i forti esteriori ; nel di appresso,
ia città; la quale egli poneva sotto l'imperio délie leggi
militari, al solo scopo di réprimera i perturbatori, non
già per molestare i cittadini tranquilli (2). La cosa pub-
plica, stata sconvolta dalla soUevazione, fu prestamente
(1) Coirevano tutti alla difesa di Borna minaociata didle anni di
Fiancia.
(2) Mamfesto del générale Lamannoia ai GenovesL
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294 CAPITOLO Yl
riordinata, e presto la quiète rimessa nella città; la quale
perô ricevette con digaitosa freddezza il vincitore, con
difSdenza e sospetto i suoi soldati: causa di ciô, i deplû-
rabili eccessi, corne ebbe a confermare il générale La-
marmora, da alcunî codardi commessi, mentre i çenerosi
affrontavano i pericoli (1). Se i turpi atti compiuti dai
régi ia Novara dopo l'infausta giornata del 23 marzo sono
altamente da riprovarsi, assai più vituperevoli sono quelli
compiuti in Genova ; avvegnachè là fossero soldati, cul la
sconûtta sofferta avova tolto o almeno rallentato il freno
délia militare disciplina; qui soldati, ai quali una facile
vittoria aveva date in mano una città, levatasi in su l'arme
per difendere la propria libertà, e quella dltalia altresi;
quella libertà, che con grande onore délia patria e con
ammiranda virtù difendevasi da Yenezia e da Ronia! I
Genovesi, soUevandosi, intesero a protestare contra le tregue
di Novara; perô che, già lo dissi e giova ora ripeterlo, si
fosse fatto credere, che in forza di quelle lo Statuto fonda-
mentale del paese s'aveya ad abrogare, e Genova doTea:«i
dare in pegno airAustria sino al totale pagamento del
danaro, che il Governo del Re erasi obbligato di pagare
ad essa: il moto dei Genovesi fu dunque generoso, come
ebbe ad affermarlo lo stesso Lamarmora (2). I Ministri di
Vîttorio Emanuele, nel dare il carico deirimpresa a quel
générale, non avevangli perô comandato di condurla cor
la violenza, bensî con vigore e forza per ridurre pre-
stamente la città rubelle all'obbedienza usata; e ci6 allô
intente di salvarla dai danni di un lungo assedio e più
(1) u Ck>l vostro valoie e oon la vostra fermezza avete reso un vero
servizio alla patria. Yoi liberaste i Genovesi da nn partîto tîrannico,
cagione di tante nostre sciagnre. Mentre i generoH affirontavaao i pe
ricoli, alconi codardi commettevano deplorevoli eccessL.. n Manifesio
di Lamarmora ai soldati,
(2) Lamarhoba, Un ej^odio del risorgimento italiano, cart 112;
Firenze, 1875.
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LA OIOBNATA DI NOTABA 395
ancora dagli orrori di una presa per assalto. Geaova ita-
lianissima, che in un momento di grande entusiasmo erasi
levata in su Tarme per continuare la guerra délia indipen-
denza nazionale, andô allora af9itta dai maltrattamenti di
soldati italiani ! renne il perdôno ai soUeyati, ma non fu
pieno, non fu intero, perô che fossero da quelle esclusi
Avezzana, Reta, Pellegrini, Lazzotti, Acame e altri egregi
cittadini, perché in fama di repubblicani.
Nella guerra del 1849, soprammodo alla giornata anale
di Novara, in molti e gravissîmi errori incorsero î capi-
tani che la governarono; corne nel 1848, cosi yediamo al-
lora nei generali del Re le stesse irresolutezze nel delibe-
rare, le medesime lentezze nel roandare a effetto le militari
operazioni risolute nelle consulte di guerra; essi mostra-
rono sempre di non sapere apprezzare il valore del tempo;
la vittoria sorti al maresciallo, perché seppe quella con-
durre meno dissennatamente. Meglio oprarono i soldati e
i loro officiali, specialmente gll Austriacl ; gli affronti ga-
gliardi, gli assalti d'ambe le parti tante volte rinnovati, il
prendersi e riprendersi délie posture occupate da prima e
perdute di poi, le resistenze ostinate e il più ostinato of-
fendere mostrarono quanto valorosamente si combatte alla
Sforzesca, a Mortara, a Norara. Se neU'esercito impériale
ebbesi grandemente a lamentare la poca esattezza e la poca
chiarezza altresi nei comandamenti di Radetzky, i cui luo-
gotenenti molto fecero d'autorità propria e giusta il loro
modo di vedere; in quelle del Re mancô affatto la unità
del comando ; eserciti governati da generali mediocri hanno-
bene spesso vittoriato ; eserciti governati con potestà su-
prema da più generali, anche valentissimi, vennero il più
délie volte sconfitti. — La fronte délie militari operazioni
dei Sardi, che da Arona correva sino a Parma, sebbene
tra Novara, Trecate e il Ticino si trovasse riunito il grosso
deiresercito loro, era debole assai, causa la sua lunghezza
non in ragione délie armi di cui constava. Di taie capi-
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296 OAPITOLO VI
tâlissimo errore proâtto il maresciallo ; che, sollecitamente
raccolto presse Novara tutto lo sforzo suo di guerra, var-
cato il Ticino, sorprese Durando e lo scoafisse a Mortara,
riescendo, col possesso di questa città, a separare 1 nimici
d'Alessandria e da Genova, rifugi validissimi nel caso di
un disastro in campo aperto ; che se prima di venire alla
prova délie armi Ghrzanowski si fosse assicurato le vie di
ritratta a quelle fortezze, vinto a Novara, avrebbe potuto
tenere alta la bandiera nazionale e salvarne ronore. Alla
audace invasione di Radetzky egli avrebbe dovuto rispon-
dere con eguale audacia (1), portandosi rapidamente cou
quanto piii d'armati sarebbegli stato possibile di rao-
cogliere, su le vie di comunicazione degli Austriaci col
Miucio, lor base délia guorra; ciô opérande Ghrzanowski
avrebbe sconcertati i disegni del maresciallo. Nella qoale
impresa sarebbe stato efficacemente aiutato dai Lombardi,
pronti a soUevarsi contra TAustria alla chiamata del Re,
e da Venezia altresi, già preparata a uscire di sue lagune
con forte mano di armati, per minacciare e prendere aile
spalle il comune nimico; e di non lieve sussidio sarel)-
begli pure stata la divisione di Lamarmora, la quale d&
Parma avrebbe potuto rocare molestie e danni agli impé-
rial! nel loro indietreggiaro verso il Mincio. Ma Ghrza-
nowski mancava di queU'accorgimento e veder presto —
doti e virtii dei grandi capitani — che fanno sempre pi-
gliare forti partit! e piii fort! risoluzioni. Primo a indire
la guerra, toccava a lui essere primo aile offese; al con-
trario lasciavas! sorprendere dal nimico. A tanto errore
teneva dietro Taltro del fare la massa di buona part^
dell'esercito in sul Ticino davanti a Trecate, montre con
tutta la sua potenza a piedi e a cavallo avrebbe dovuto
correre incontro all'avversario invadente; vinti sul Ti-
(1) L*audaeia è una forza che erea, cosi scrisse il générale Clan-
aewitz.
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LA. OIOBKATA DI NOTAS A 297
ciao, gli Àustriaci sarebbersi facilmente rifatti dietro
l'Àdda 0 roglio a tentaryi nuove resistenze ; ma vinti alla
Gara, avrebbero dovuto dietreggiare sino al Mincio, — A
raezzogiorno del 20 marzo Chrzanowski è al ponte di Bof-
falora, presso il quale in ordini serrati sta la divisione
del Duca dr Grenova pronta a irrompere in Lombardia;
lion trovandovi i nimici, il generalissimo, passato il Ticino,
I)ortasi a Magenta in compagnia di Carlo Alberto scortato
(la una compagnia di bersaglieri ; ne pur qui veggendo in-
(Jizio veruno di lor vicinanza, anzi avvertito avère quelli
fatta la massa a Pavia, rivalica il flume, e va sopra Trecate,
proprio in quel mezzo in cui gli Austriaci già minaccia-
vanlo aile spalle; avvegnachè superato il Gravellone —
quasi incontrastato — e respinta su la destra del Po la
debolissima divisione lombarda, avanzassero speditamente
sopra Mortara lasciando esposto al ferire dei régi il loro
fiance destro ; il quale errbre avrebbe dovuto essere for-
temente punito da Chrzanowski, se fosse stato piii attente
e più vigile nello spiare le mosse del maresciallo. Ma che
fece egli allora? invece di andare in cerca dei nimici e
portarsi col grosso di sue forze a Yigevano per corn-
battervi la destra degli imperiali, aspettô in Trecate le
Qorelle di sue mosse; e quando nella sera stessa venue
arvisato che Radetzky con armi poderose procedeva in-
nanzi minacciando il centre dei campi italiani, comandô
al Duca di Savoia e a Durando di recarsi colle loro di-
visioni sopra Mortara; a quelle di Bes, Perrone e Solaroli
di scendere alla Sforzesca, a Gambolô e al ponte di Bof-
falora; e al Duca di Genova di portarsi a Vigevano; da-
raati alla quale e sui piani che corrono sino a Mortara
siveva risoluto di fare la giornata con gli Austriaci. Se
questi erano i disegni di guerra ideati e risoluti dal gé-
nérale polacco, perché innanzi il disdire délie tregue non
fortificô la Cava, chiave délie sue difese, che poteva di-
ventare, come in fatto diventô per lo irrompere da Pavia
dello sforzo di guerra dei nimici, da quella parte capo
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298 CAPiToiiO vi
principale délie militari operazioni? perché non muni i
passaggi del Po a Mezzanacorte e a Casale ? (1) ; perché
non provvide Novâra di un trincerone, cui appoggîare Te-
sercito del Re? — Il 12 marzo, disdette le tregue di Mi-
lano, intirnavasi dal Governo sardo nuova guerra alFAu-
stria, Chrzanowski aveva mostrato desiderio di prorogarla
sino al cadere di quel mese, non percha ritenesse ancora
non compiuti i prowedimenti ad essa necessari, già da
tempo impresl, sibbene porche reputasse il serenare in
quoi giorni pernicioso alla sainte dei soldati ; quasi che il
freddo délia stagione dovesse nuocore ai régi soltanto» non
agli imperiali. Per altre ragioni e di alto momento avreb-
besi dovuto ritardare il rompere délie ostilità ; primissima,
la mancanza di moite cose indispensabili alla guerra; ri-
corderô che, sebbene dalla provveditoria générale dell'e-
sercito si fosse pensato aile riposte délie vettoyaglie, e dal
comando suprême délie armi ai servizi vari dei campi,
nondimeno airuscire alla campagna quelle non erano
pronte, i carri delUospedale non giunti, ne ancora bene
ordinati i servizi dei campi. Deliberazione sennatissima
sarebbe stata di muovere le armi airAustria, quando i
soUerati ungaresi si fossero ayyicinati tanto a Yienna da
riempirne il Governo di confusione e spavento. Adunque
il tempore^iare dell'impresa, mentre assicurava ai régi
una piena vittoria, doveva giovare non poco ai Magiari
e a Venezia; arvegnachè i Ministri deirimperatore non
avrebbero tolto mai soldatesche airesercito di Lombardia,
per afforzare quelle combattente sul Danubio, su la Waag
e su le Lagune; nà certamente sarebbe lor stato pos-
sibile durarla a lungo, se la Sardegna, TUngaria e Venezia
avessero bene armonizzate le loro offese contra l'armi au-
(1) Casale venne saviamente fortiflcata da Lamannora, corne vedremo
nel corso di qneste istorie, qnando leggeva l'officio di ministro sopra
le armL
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LA OIOBNATA DI NOTARA 299
striache. Da si grave perîcolo salvoUi rimprovvido Govemo
di Torino, nel quale siedevano bensi uomini onesti, non
perô all'altezza di quei momenti, dai quali pendeva l'av-
yenire dltalia. Due colpe pesano sui Ministri di Garlo
Alberto; la prima, di non aver licenziati, per debolezzadi
anlmo, i generali che, durante le tregue, eransi chiariti
anersi alla guerra di indipendenza; la seconda, di non
arere adoperate per questa tutte le forze vive del paese : onde
non fu quale avrebbe dovuto essere, cioè una guerra nazi(h
mie (1). Radetzky, valicando il Ticino a Pavia col grosso
deiresercito, ayava mirato alla base di guerra dei regl,
AlmandriOrOenovay dalla quale Chrzanowski con insi-
pienza colpevolissima erasi allontanato per recarsi a No-
vara. Non affermerô, taie mossa essere stata la vera causa
délia disfatta degli Italiani al 23 marzo; ma furono certa-
mente errori assai gravi del générale polacco lasciare la
via di ritratta alla base délia guerra e la linea strategica
che conducevalo su le vie di comunicazione del nimico col
Mincio, per pigliar quella che lo menava contra la fronte
deile militari operazioni del maresciallo. Già lo dissi, e
ridirlo giova sempre, non avère Chrzanowski saputo ri-
spondere alFaudacia degli invasori con altrettanta audacia,
invadendo la Lombardia; ciô facendo avrebbe, in parte
almeno, rimediato all'errore commesso, scostandosi dalla sua
base di guerra; errore sovente cagione di disastri e che
i régi duramente scontarono a Novara. Da questa città e
da Pavia gli eserciti guerreggianti minacciavansi a vicenda
la linea délie loro militari operazioni ; chi dunque doveva
vincere se eguali erano le forze combattenti? quelle invero
che superava Tawersario in ardimento e in tattico sapere :
(1) A Josti — imo dei rappresentanti délia nazione nel Parlamenta
Subalpine — glnnto al campo del Re prima délia giomata di Novara
con lettera dei Ministri per accordarsi con Chrzanowski snl modo di
chiamare aUe armi la Lombardia, il générale polacco diceva di non
<w2er sapere di sollevazione , ne di sollevatû
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300 OAPITOLO VI
6 cosi fa. Gli ordinamenti degli Italiani per la giornata
del 23 marzo furono buoni ; se non che, avendo il genera-
lissimo fatta deliberazione di tenersi aile difese, Tesercito
dovette schierarsi sopra terreno angusto : onde non gli tu
possibile distendersi, corne richiedevanlo il numéro e la
potenza délie sue armi. Da capitano prudente avrebbe
Chpzanowski operato se, risoluto di conservare ad ogni
costo la Bicocca — chiave délie sue posture — memore
del caso di Mortara, si fosse portato piii avanti verso il
nimico con la destra délie sue ordinanze ; e ciô allô intente
di mettere dietro ad esse largo campo per evitare, se co-
strette a indietreggiare, il loro disordinarsi e confondersi;
in oltre, se non avesse esagerate le proporzioni délia ri-
scossa, che compose di due division!, montre sui campi di
Novara i régi ne contarono cinque soltanto. L*assalto di
D'Aspre alla forte postura délia Bicocca — il quale, pii
che ardimentoso, fu temerario — sarebbe tornato esizia-
lissimo agli Austriaci, se il capitano polacco si fosse ga-
gliardamente comportato, quando, stanco del iungo com-
battere e assottigliate sue schiere dal fuoco degli Italiani,
il corpo d'^esercito D'Aspre indietreggiava perdendo il campo
prima conquistato. Ne sarebbe stata difficile Impresa per
Chrzanowski sbaragliare gli altri corpi d'esercito del ni-
mico, i quali, non insieme, ma successivamente giunsero
dinnanzi a Novara per rinfrescare la pugna e sostenere la
fortuna pericolante di D*Aspre; alla cui tenacità e fer-
mezza il maresciallo fu debitore délia vittoria. Questa la
causa che fece perdere ai régi il vantaggio tattico di
quella giornata, che aile tre pomeridiane era tutto par
Ohrzanowski! — « Quesfoggila vittoria sarebbe stata dei
nimici, se comandati da un capitano il quale avesse sa-
puto vincere; » cosi parlô Cesare a' suoi luogotenenti il
giorno in cui, superato da Pompeo, non aveva il vincitore
saputo proflttare délia vittoria, » — « Quest'oggi sarebbe
stata nostra la vittoria, se il générale avesse saputo vin-
cere;» avrebbero gli Italiani potuto dire a Novara, i quali
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LA. OIOBKATA DI KOYABA 301
dopo quattro ore di fiera pugna avevano guadagnato il
mntaggio tattico délia giornata ! — Radetzky seppe allora
bene applicare il principio délie masse. L'ostinata resi-
stenza di D'Aspre ai nimici — con la quale esso rimediô
airerrore di un precipitato assalto — avendo dato tempo
bastevolo a tutti i corpi d'esercito, persino allariscossa, di
correre sul campo, il maresciallo, fattane la massa, andô
con questa sopra i régi e li oppresse col numéro. — Confu-
sione non poca regnô nei campi dei combattenti a Novara:
durante la pugna e nelle varie sue fasi ^idorsireggimenti
e battaglioni, e dalla parte degli Austriaci porsino corpi
d'esercito, operaro con vigore e senno, e governarsi da
se, per la mancanza d*ordini dei lord supremi comandanti.
La confusione e il mancare d'ordini non possono perô
scusare il capitano délia riscossa dei régi, d'aver lasciata
impunita l'imprudente mossa di flanco, fatta quasi a git-
tata délie sue artiglierio, dal corpo d'esercito di Thurn,
quando, valica l'Agogna — corne sopra narraramo — scen-
deva sul canipi di Novara aile spalle délia prima divisione,
quella di Durando, allora cho stava per recarsi in aiuto
ai difensori délia Bicocca, d'ogni parte invasa dai nimici.
Perduta per gli Italiani era la giornata; masarebbe stato
perduto altresi il corpo d'esercito di Thurn, se il Duca dl
Savoia con l'impeto e col valore — che pochi capitani pos-
sedettero corne lui, e forse nessuno in grade maggiore —
avesse assalito quelle che nel suo avanzarsi avevagli pre-
sentato il fianco sinistre al ferire dell'avversario ; e ben
sapeva il Duca non potere essere ordinato mai alla difesa,
colui che cammina per fianco. La sconfitta di Thurn a-
vrebbe forse impedite le tregue, certamente migliorate le
condizioni dei régi, vinti bensi alla Bicocca, ma vincitori
perô su l'Agogna; e qualora fosse stato impossibile conti-
nuare la guerra, a patti meno duri e meno umilianti sa-
i^ebbersi formate la sospensione délie armi da prima e la
pace da poi. Se a Mortara poco si obbedi, non avendo il
générale Durando fedelmente mandate a effetto quanto
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302 OAPITOLO TI
eragli stato con molto senno comandato da Ghrzanowski,
a Novara si obbedi troppo scrupolosamente^ avvegnachè
il Duca dl Genova, richiamato a Castellazzo dal generalisr
simo, lasciasse Olengo, ove vittoriava dei nimici, per do-
vere i prïncîpU com' egli stesso ebbe a dire, dare Vesempio
cCuna obbedienza piena e intiera ai loro capi. — Se
Radetzky fu meritamente censurato per avère, alla vigilia
d'una giornata campale, tolto airesercito dieci mila aomini
par rimpresa di Oasale, censura severissima devesi inflig-
gère a Gbrzanowski, il quale, sin dal cominciare délia
guerra, ebbe dimenticate a Casatisma e a Parma le diyi-
sioni di Ramoriao e di Lamarmora; e lasciata inoperosa
a Trecate la brigata di Solaroli, mentre egli pugnava e
perdeva a Novara^ tutte queste forze armate — da veati-
mila uomini — erano vinte senza aver combattuto. Napo-
leone ci lasciô scritto nelle sue Massime di guerra; =
Allora che vuolsi fare la giornata, essere regola générale
di raccogliere tutte le forze, di non iscordarne nessana.
potendo un solo battaglione dare qualche voltala vittoria.=
Ghrzanowski a Novara ne ebbe dimenticate moltissime!
Il disastro di Novara — tremenda sciagura nazionale, tor-
nata funestissima all'Italia — pose fine alla seconda guem
di indipendenza; guerra di quattro giorni, combattutasi tra
il Po, la Sesia e il Ticino. Possiamo affermare altresl la
sconfitta di Novara essore stata una ben meritata poni-
zione dei gravi errori commessi dai Governi e dai gene-
rali in due anni di sollevazione di popolo e di guerra regia.
Primo dei patti délie tregue di Novara era il licenzia-
mento délia divisione lombarda e délie légion! ungaresee
polacca, militanti sotto le bandiere di Sardegna. Gosa di
poco momento fu disciogliere le ultime, perché picciole assai;
non facile poi disfare quella e rimandarne i soldati aile
loro case. Recatasi da prima a Tortona — ove, corne scri-
vemmo, incontrossi negli oratori genovesi — valicato
TAppennino per Godiasco e Bobbio, la divisione lombarda
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LA OIOBKATA DI KQTABA 303
scese alla Spezîa; e qui fu dai commissari del Governo li-
cenziata. Molli de'suoi soldati — tra cui Maaara e i ber-
saglieri — per la via del mare portatisi a Civitavecchîa,
presero parte alla difesa di Roma, nella quale comporta-
l'ousi Talorosamente e con grande onore del nome lom-
barde; gli altri, che in disagiate barche, poco appresso,
tcnaero dietro alla prima spedizione, raggiunti dalle navi
(la gaerra francesi nelle acque di Toscana furono oon
modi minacciosi ricondotti alla Spezia. Gli artiglieri, 1
quali, rese impraticabili ai loro cannoni le vie dalla pioggia
(iirottissima caduta di quel giorni, non avevano potuto se-
guire le fanterie, vennero licenziati in Tortona; perô a tren-
tuno di essi — imbarcatisi a Genova sopra nave mercatan-
tesca — venne dato d'arrivare felicemente a Oivitavecchia,
da dove si condussero a Roma (1).
(1) In quel tomo di tempo Biccardo Sineo, rappresentante del po-
polo al Parlamento Snbalpino, in nno scritto: Su gli ultimi mesi del
regno di Carlo Alberto , disse cosi: a Le ormi dello straniero hanno
nchjamato in fatto il regno agli antichi snoi limiti, ed anzi alcnne
délie antiche provincle sono occnpate dairAostriaoo. In diiitto esiste
tnltavia il regno dell'alta Italia, sintantochô non è rivocato con un
Atto del Parlamento. Il diiitto deve cedere talvolta al fatto ed è ci6
che è affidato alla pmdenza dei reggitorL.... Prima d'ora si ô sciolta
noa délie più valorose e sicnre divisioni deU'esercito. Si sono licenziati
ed anzi espnlsl in grandissimo numéro eroici soldati, che erano disposti'
t Teisare fino all'altîma goccia il sangne per l'indipendenza del paese,
<&e arevaH ospitatL Si è richiamata la flotta dall'Adriatico..... Tntto
Q^ ai è £atto in esegoimento d'nna pace non ancora conchinsa, e che,
ttclie eonchinsa, non pn5 essere valida e irrevosabile, se non ô accet-
*ita dal potere législative. »
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/^/^AAA^v^/v^A*^/SA/v^A/^A/^A•v^AA•^•^A/vv^^vvv^A^^
CAPITOIO VII.
Venezia e Ungaria.
Moto di Como. — Bergamo; missione di GamozzL — Brescia lemis
sa Tanne; le dieci giomate. — Contentezze dei Lombardo-Yeneû
per lo indirsi délia nuova gnerra. — Tormo dopo il disastro é
Novara. — Venezia, respinta la chiamata di resa, prépara le r^
stenze. Marghera. — Difesa di Marghera. — D ponte su U U-
guna; le sne batterie; la Commissione mil! tare. — Il 27 gîngQ<^
e la batteria Sant'Agostino. — Uscita di Brondolo; la carestia e
il cholerormorbus ; il nimico stringe Tassedio da terra e à&mrt
— Le pratiche délia resa; il 21 agosto Venezia, ridotta allô estremo,
s'arrende; il 27 Manin, Tommaseo e Pepe lasciano la città. — 1
Magiari ripigliano le ofFese; HatTàn, Tapi^-Bieske, Isaszeg, Xasr-
Sarlô. — L'Ungaria grida sua indipendenzadall'imperio; g^ornata
di O'SzQny ; impresa di Buda. — Intenrento armato délia Bn^âa;
il générale Haynau. — Disobbedienza di GKîrgey. — I Kiud >îil •
Dannbio, su la Theîss e in Transilvania ; imprese di Bem. — J"?^'
lachich sconfitto a Hegyes ; ritratta di GQrgey. — Kiss-Becskeret;
Vilàgos e la resa; vittoria di Klapka; fine délia gnerra; renderte
dell'Anstria.
Alla vigilîa del rompersi délia seconda guerra tra la Sar-
degna e l'imperio, Como, libéra di soldatesche austriache (U
senza tumultuare chiedeva e otteneva le armi a tutela del-
(1) Ayeyanla lasciata sin dal 18 marzo.
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YENEZIA B rNOARIA 305
l'ordine interne. I cittadini, già da più giorni preparati a
sollevarsi contra TAustria, avevano ricevuto dal Comîtato
(îi Toriûo (1) le norme opportune a governare il moto, af-
finchè avesse a riescire efficace allô scopo desiderato, di
molestar cioè senza posa il nimico aile spalle, allora che
troverebbesi con tutte le sue forze armate aile prese coi
Sardi sul Ticino. Le novelle délia guerra pervenute in
Como il 22 marzo, incerte e contraddittorie tanto da infer-
marsi Tune l'altre, avevano grandemente commosso il po-
polo; il quale non sarebbesi levato in su l'arme, se non
l'avessero indotto a ciô le parole, quasi imperatorie, d'un
manifeste, parole che suonavan cosi: « Vol siete posti a
< sentinella del racquisto délia nostra libertà ; dunque
« ripuliie le armi e attentl, o fratelli. Al segnale délia
« vicinissima pugna, non prima — tenetela ben fissa nella
< mente questa parola — deponete dagli animi vostri la
« pietà verso i nimici » Gabriele Camozzi — in quel
mezzo arrivato dal Piemonte con armi avute dal Governo
subalpine, ^er essere distribuite aile popolazioni dell'alta
Lombardia in ragione délia militare importanza délie loro
terre — instituiva in Como un Comitato, che avesse a pro-
rauovere la soUevazione e a prowedere sollecitamente aile
'lifese; Comitato il quale agli abitanti délia città e sua pro-
vincia annunciavasi cosi: « L'esercito italiano ha passato il
Ticino. — A voi era stata promessa la guerra, e voi, barba-
ramente spogliati e assassinati dall'Austriaco, con ansia mor-
tale tendevate l'orecchio verso il Piemonte in aspettazione
«iel rimbombare del cannone liberatore, e il nostro cannone
(1) Gi& da tempo esisteva in Torino un Comitato ^ il quale aveva
per intento di preparare nn sollevamento générale délie popolazioni
tombardo-venete per qnando la Saidegna nscirebbe a nnova guerra
contra rAustria. Aiutavanlo nel lavoro preparatorio alcuni Sotto-Co-
miiati istitniti in diverse città di Lombardia, i quali dovevano poi
ingère i mot! giusta gli ordini che lor verrebbero da quel di Torino,
ivente sua sede nelle stesse aule del palazzo del Governo.
«0 — Vol. n. Marianx — l^oria pol. e mH»
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306 CAPITOLO VII
già vi tuona trionfante con la terribile sua voce. H giorno
20 corrente Carlo Alberto, con al fianco il generalisimo
Chrzanowski, aile ore dieci antimeridiane, fra gli applausi
e gli augîiri di quel popolo e di quei soldati, muoveva da
Novara a Trecate, e sîibito dopo il mezzodi, appena spirato
l'armistizio, Tesercito vendicatore metteva il piede sul no-
stro suolo, che se noi saremo uomini divehterà alla fine
sacro e indipendente : la vittoria arrise aile nostre armi.
e il nimico dovette già cedere al valore dell'esercito no-
stro. Abitanti délia città e provincia di Oomo î L'ora fatale
per noi è suonata; il Governo délia violenza, l'abborrito
Austriaco ha lasciato queste terre non sue. Voi avete armi,
condottieri e mezzi d'ogni sorta a perseguirlo e impedire
ch'egli ritorni a insozzare le ridenti vostre contrade ; ma
ricordatevi una volta, che la libertà è dura a conseguirsL
e che nessun popolo è veramente popolo su la terra, se non
sa impugnare e trattare le armi.... » (1). — Queste parole
infiammarono vie piii gli animi dei Comaschi, già ardenti
per la guerra; i quali d'ogni parte délia provincia cor-
sero numerosi alla città, facendovi viva istanza d'essere
condotti sollecitamente contra il nimico; ma Francesco
Giovio — che presiedeva al suprême Maestrato dei citta-
dini — avversissimo a quelle rimostranze bellicose, pur ri-
spettando gli accorsî al supposto Usogno — corne egli stesso
ebbe a dire — rimandoUi aile loro case (2) ; fatto questo
che învalidô gli sforzi dei Comitaio, e spense raolto di quel-
(1) Taie manifesto, sottoscritto da Giorgio Baimonâi e da Pietr*
Nessi, fa pnbblicato in Como il 24 marzo 1849.
(2) n 28 marzo di qneli'anno 1849, dei conte Francesco Giovio, im-
periale e regio deUgato di Como, il maresciallo Radetzky sGrivera
qnanto segue : « non si saprebbe corne fare elogi al coraggk
civile, alla fermezza e prudenza con la qnale ha sempre opeiato 3
conte Giovio nella sua qnalità di présidente délia Commissione mnni-
cipale di qnesta città. » Le qnali parole di elogio ci fanno conoaceie,
essersi il conte Giovio cnrato solamente degli interessi dell'Anstm,
poco 0 nnlla délia libertà patria.
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YENBZIA E UNOABIA 307
l'entusiasmo, di cui tanto abbisognano le guerre naâonali.
Le lettere arrivate il 24 da Gallarate apportavano liete
novelle dal campo. = Gli Austriaci, cosi dicevano, dopo
arere due volte teutato Novara, trovarsi allora in perico-
losecondizioni; ayvegaachè le armi di Sardegnà impedish
ser loro lo indietreggiare verso il Ticino, e a grossa schiera
d'imperiali avessero levata ogni via alla ritratta. = Il Muni-
cipio, che pur deve fare qualche cosa, décréta l'ordina-
raento délie Guardie NazionalU- cm vuole affidata la tu-
kla delVordine jpubUico e délia sicurezza interna délia
cittày che perô nessuno minaccia turbare- Combattuto da
coloro, che aveano il dovere di sostenerlo e aiutarlo nella
sua missione, il Comitato di difesa il 26 di quel mese di
raarzo risegnava il proprio officie. Nello accomiatarsi dai
jiuoi concittadini diceva di essere costretto a ciô fare, per-
ché impedito di liberamente operare; ritenersi perô mal-
levadore degli atti da esso compiuti. — Saputasi taie rinunzia
in sul mezzogiorno del 27, il popolo, raccoltosi numeroso
al Lîceo per provvedere alla bisogna, délibéra doversi chie-
dere al Munîcipio la creazione d'un Governo temporaneo,
il quale, nel prendere la somma délie cose pubUiche délia
città e provinda di Com^, abMa a gagliarda7nente coor
diuvare alla cai^sa per la qiuzle si combatte sul Ticino.
In quella giugne un cittadino ad annunciare il disastro di
Novara e le tregue fermate dai guerreggianti; il popolo,
fortemente commosso da si infausta novella, chiede armi
per difendere se e soccorrere a Bergamo e a Brescia, che
sa minacciate dal nimico. A tali generosi propositi s'op-
pongono i partigiani deirAustria, i quali, fidato aile Ghuardie
Nazionali — composte di probe persone -— il carico di
respingere le bande armate che dalla campagna tentassero
introdursi nella città, consigliano ai Comaschi d'attendere
Tesito délia guerra, che arde sul Ticino, la quale deve ri-
solvere la contrastata sorte délie provincie lombarde, e
di continuare ad essere fedeli osservatori délie leggi che
11 reggono, in pari tempo confidando nello zelo del savio
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308 CAPITOLO VII
lor Maestrato e nel senno de' suoi consiglieri. — È il 29
marzo. La novella, con mala arte sparsa per Gomo, d'una
vittoria délie armi italiane su le imperiali e dello indin-
treggiare di queste al Mincio, caccîa nella massima confii-
sione glî abitanti, perô che molti di essi, certiasimi délia
falsità di taie notizîa, si sforzassero d'impedire una solle-
vazione, già minacciante di prorompere; e alcuni al tri,
che ritenevano vera, perché tanto desiderata, la vittoria
deiresercito régie, si maneggiassero a levare i cittadini in
su rarme : onde questi, da timori e speranze agitati, pieai
di incertezze non sapevano a quai partito appigliarsi; e i
momenti correvano supremi. Montre pochi animosi, dopo
avère corsa la città per chiamarla aile armi, riunivansi a
moltissimi del popolo In su la piazza di porta Torre per
eleggere un Comitato di difesa, arrestavasi un coinmissarîi>
austriaco, certo Mader, dal quale e da alcune lettere pi-
gliate per sorpresa venivansi a conoscere i tristi casi délia
guerra! Tutto era finito! poche ore appresso gli imperiali
rioccupavano Como ; dei cittadini, che avevano avuto part*»
al moto, i piii esularono; non pochi patirono prigîonia;
alcuni, la morte.
n 20 marzo una schiera di cencînquanta armati lombanîi
entrata nel lago Maggiore ad Arona e scesa in brève ora
su la spiaggia d'Angera, camminava sopra Gavirate, ove
giugneva il mattlno del di seguente. Guidavala Gabriel»^
Camozzi; il quale, imbarcati parimenti ad Arona per La-
veno cinquemila e cinquecento schioppi datigli dal Govemo
sardo per li sollevati dell'alta Lombardia, doveva ripigliarli
a Gavirate, e senza por tempo in mezzo recasi a Varese,
a Como, a Lecco, a Bergamo e a Brescia — punto strate-
gico délia sollevazione — instituendo dovunque Comitati
di difesa; e, opérande aile spalle e contra il fianco destro
degli Austriaci, armare le popolazioni délie montagne per
molestare con esse il nimico nel suo avanzarsi verso il
Ticino, divertirne Tattenzione e le forze, montre i régi com-
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YENEZIA S TTNOABIA 309
batterebberlo di fronte : questa la missione di Camozzi, che
a nessuûo migliore di lui potevasi affldare, e che egli as-
sunse in nome délia Sardegna (1). Da Gavirate andô con
sua banda a Varese e, dopo avervi instituito un Comitato
e date a questo da quattrocento scbioppi, portossi a Como ;
ove appena giunto — e fu in sul cadere del 22 marzo —
intese alla costituzione di un Comitato promovitore di sol-
levazione. Fatto accorto, come opéra efficace ad essa si
potesse dare solamente da un Commissario del Governo
sardo, soUecito chiedevalo a Torino. Lasciati in Como du-
gonto schioppi, il 23 entrava in lago con sue genti, armi
e munizioni di guerra, e il mattino del giorno appresso
scendeva a Lecco; ordinatevi le Ouardie Nazionali e prov-
vedutele di cencinquanto schioppi, afTorzata sua schiera
di cento volontari lecchesi e rimessosi in cammino entrava
in quel di Bergamo. Il di vegnente, 25 marzo, occupava
questa città, la cui rôcca munita d*alquanti cannoni e di
mortai, e presidiata da più di trecento imperiali, era stretta
d'assedio dai cittadini; che, poco dopo l'arrivare di Camozzi,
con lo aiuto degli accorsi dalle circostanti valli e dalle
vicine montagne, prendevano a trarre contra i nimici, I
quali rispondevano con le artiglierie. Il giorno appresso,
visto non potere ottener vantaggio veruno senza l'aiuto
di cannoni, Gabriele Camozzi sospese le armi per istringere
piii da vicino la rôcca; al quale intente asserragliô le vie
coaducenti a quella, in pari tempo creando un Comitato
per la difesa e le oflfese; indi mandô a chiedere al Governo
di Torino délie artiglierie per espugnare la rôcca. Le cose
erano bene avviate e l'entusiasmo sempre crescente nei
(1) Gabriele Camozzi fàceva parte délia Commi»9ioi%e dei lavori stch
tistiei, che inuanzi IL cadere del 1848 era stata instituita dal ministro
PîaellL Scopo di essa era di raccogliere i mezzi opportun! a promno-
Tere la soUevazione armata nelle provinde lombardo-venete, e fomire
Ai Ministro sopra le armi le notizie di quelle provincie che potevano
tornare util! ai preparamenti délia nuova guerra.
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310 CAPiTOLo vn
cittadini era promettitore di felici risultamenti, allora che
a mezzo il 27 marzo arrivava lettera d'Arona portatrice
délia notizia délia rotta di Novara (1). Camozzi, il quale
crede potersi la perdita di una giornata vendicare con una
vinta, e che la destra deiresercito italiano puô sul Ticino
e STil Po riparare al maie operato dalla sinistra sotto le
mura di Novara, délibéra di tenersî in Bergamo, da dore
puô promuovere e bene ordiuare la soUevazione deU'alta
Lombardia. Se non che, continuando a ricevere notizie
sconfortanti délie faccende délia guerra, e nella notte del
29 al 30 marzo saputo dello awicinarsi alla città di duemila
e cinquecento Austriaci, nella speranza di poter fare lunga
e valida resistenza in Brescia — cui aveva già spedito aiuto
d'armi o di armati — risolveva recarvisi con quanti ani-
mosi volessero seguirlo. In fatto, il mattino del 30 mosse
con grossa schiera d*armati alla volta di Brescia, e poco
dopo il mezzodi del primo aprile recatisi in mano i passi
del Mella, il ponte délie Grotte e di San Giovanni tenuti
dai nimici, pervenne ai coUi che si alzano presse qnella
città. Awertito poscia, avanzarsi da Ospedaletto, Chiari e
Palazzolo forti prese d' Austriaci, Camozzi riuniva sue genti
nei dintorni di Ponte délie Grotte 9 di Torricella, Quivi a
notte innoltrata era improvvisamente assalito dai nimici,
i quali col favore délie ténèbre avevano potuto, non visti,
awicinarsi a' suoi campi. AU'assalto vigorosamente dato,
i volontari lombard! opposero gagliarda difesa: onde gli
Austriaci furono costretti a dirtreggiare. In sul mattino del
nuovo giorno, veduta sventolare sul castello di Brescia la
(1) Era lettera di ToieUi, U qnale il 25 marzo da Arona scriveya a
Camozzi cosi: u Ora, caro amico, non ci resta piû nolla a fiare, raa
tntto pel fatnro; poichô sono lontano dai dispeiare délia causa ita-
liana..... conviene far rîpassare i conôni agi! schioppi, e mandarli, se
ô possibile, a Cannero, altrimenti andranno nelle mani del nimico.
Addio, mio caro; sono occnpatissimo e non ho tempo di tratteneimi
piû oltre. n
I
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VBNSZIA X UNOABIA 311
bandiera bianca e saputo délia resa délia città, Camozzi,
reputando inutile ogni ulteriore resistenza — molto piîi che
andavano confermandosi le novelle délie tregue di Novara
— toltosi giù dalla impresa, retrocedeva verso Iseo, e qui
giunto licenziava sue genti. Cosi ebbe fine la missione di
Gabriele Camozzi ; e in Lombardia, tutta ritornata sotte il
dominio di casa d'Austria, cosi posô la seconda guerra
délia indipendenza italiana ! Allora gli impeViali, cbe ave-
vano combattuto sul Ticino, portavansi su le lagune ad
oppugnare Venezia, la quale con somme sue onoro e con
onore dell'Italia altresi — perô cbe tra i difensori di quella
strenuissima città si trovassero figli d'ogni parte délia pe-
nisola— resisteva tuttavia e vittoriosamente aile nimiche
armi assediatrici.
All'annunzio del disdire délie tregue di Milano e dello
scendere di Sardegna armata contra l'Austria, Brescia
rlempissi di gioia e preparossi ad aiutare l'impresa del-
Tesercito liberatore, pigliando le armi per minacciare aile
spalle i nimici délia patria. Pieni d'ira per le atrocità e
gli insulti di Appel e del ferocissimo Haynau patiti durante
il yemo^ i Bresciani jsalutarono con entusiasmo il ripren-
dersi délie ostilità, sperando avrebberli condotti a indi-
pendenza e libertà. n 16 marzo, messe a presidiare il
castello da cinquecento soldati, il luogotenente maresciallo
Appel, col reste di sue genti, camminava sopra Milano,
lasciando negli ospedali militari délia città settecento dei
suoi ammalati. Se tutti i Bresciani erano preparati a sol-
levarsi al grido di guerra cbe stava per alzarsi sul Ticino,
discordanti perô erano tra essi su la opportunità del tempo ;
dai più prudenti volendosi cbe si venisse alla presa délie
armi quando si conoscessero le prime mosse e la prima
vittoria dei régi; ma dai piii ardimentosi, cbe senza por
tempo in mezzo si assaltasse e si espugnasse il castello,
minacciante sempre danni e rovine alla loro terra. Dai
subito prorompere li r atténue "Giovanni Zambelli — il capo
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312 CAPITOLO VII
del supremo Maestrato dei cittadinl — cui Appel, partendo,
aveva dato il carico di conserrar Brescia, con raiuto délie
genti d'armi lasciategli, in fede aU'imperio. Già inviso alla
popolazione e allora venutole in odio per le dissennate
parole scritte in un manifeste alla città, Zambelli faceva
rinunzia al suo officio. Surrogavalo l'avvocato SaJeri, la
cui provata onestà e i cui sensi generosi, ai quali erasi
sempre inspirato, e il preclaro ingegno avevanlo fatto
amare daU'universale. A proteggere l'ordine pubblico —
che in quel momenti di forte commozione avrebbe potato
facilmente essere turbato — Saleri chiamava con istanza
al comandante del castello la istituzione d'una goardia
cittadina; e il comandante austriaco gliela concedeva
promettendo per lo armamento di essa quattrocento scia-
bole, ridotte poi a sole quaranta. In questo mezzo il Co
mitato aveva raccolto sui vicini colli signoreggianti la
città da trecento uomini, provveduti d'armi col danaro
pervenutogli da Torino (1). L'apparire di taie banda inco-
raggiô i Bresciani a pronta soUevazione, alla quale vie
piii li spinsero le esorbitanti pretonsioni del comandante
austriaco, che il 23 marzo cMese al Municipio la restante
parte d'una grossa multa — pep tre quarti sborsata già —
nel passato inverno da Haynau stata imposta alla eittà in
punizione dei sentiment! ostili al Governo impériale da essa
francamente e più volte manifestati. Saputa la quale cosa.
il popolo corse tumultuante al Municipio, non solamente a
protestare contra il soddisfarsi di si ingiusta imposizione(2),
ma eziandio a invitare il supremo Maestrato a non fornire piii
di vettovaglie il presidio del castello. Mentre ciô accadeva,
il comandante militare délia città, recatosi al Municipio
(1) La prima banda armata, che apparve sui colli bresciani, era goi-
data dal parroco Pletro Boissava, nel quale al cnlto del Signore Iddio
andava compagno quello délia patria.
(2) Ai ladri pi&mbo, non oro! gridayano i Bresciani minacciosamente
contra gli Anstriaci.
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YENEZIA B UNOABIA 313
per quel danaro, veniva fatto prigioniero dal popolo e tratto
fuor di Brescia, proprio allora in cui una mano di auda-
cissimi cittadiai impadronivasi di alcuai carri di munizioni,
di viveri e di buona parte délia scorta. la quella giugae-
vaiio dal Piemonte Martiaengo, Maffei e Borghetti appor-
tatori di fauste novelle: = La guerra, narravano essî,
volgere a bene; Tesercito Sardo, riunito presso la Gava,
aver sorpreso e fatto strage degli Austriaci usciti di Pavia
— e ciô era falso; — una schiera di régi, superato il
Ticino a Boflfalora tenere Magenta — e cià era vero, ma
appena in parte; — onde essere lecito sperare che il re
Carlo Alberto già campeggiasse Milano; Gabriele Camozzi
trovarsi dinnanzi a Bergamo con moite bande armate; e
il Comitato di Torino avère spediti in Lombardia sette mila
schioppi, dei quali due mila per Brescia. — A tali novelle
crebbe si fattamente lo entusiasmo per la guerra nel po-
polo, che, quando il nimico prese a trarre dal castello con
ie artiglierie — e f u nel mezzo délia notte 23 marzo — î
cittadini, risoluti di rispondere alla offesa con Toffesa, cor-
revano al Municipio in cerca d'armi; non trovandone,
perô che non fossero ancora arrivate quelle attese da
Torino, la mattina vegnente irrompevano negli ospedali
militari e vi pigliavano le poche dei soldati, ivi giacenti
infermi. Intanto il cittadino Sangervasio — surrogato a
Saleri, a letto per una caduta — chiamava a comporre un
Comitato di difesa Tingegnere Oontratti e il dottore Cas-
sola; i quali sollecitamente spedivan fuora dei commissari
a raccogliere armati, e in pari tempo nominavano Gom-
missioni per Tordinamento di guardie cittadine, per la
compera d'armi e munizioni. Il 25^ in un manifesto agli
abitanti, invocato da prima l'aiuto di coloro che avevano
dato chiare prove d'amor patrio, invitavano quelli che
possedevano armi, a scriversî negli ordini délie Guardie
^azionalî. € Nessun privato interesse, cosi diceva il Go-
mitato, nessun timoré poterli trattenere daU'accorrere alla
chiamata; acquisterebbe infamia chi negasse Topera propria
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314 CAPITOLO VII
in momenti tanto decisivi per la salute délia patria. >
Le vie délia città chiudevansi poscia con forti serragli:e
parimenti munîvansi di serragli le porte délia città; i
quali, nel rendere più valida la difesa, accrescevano 0
coraggio nei cittadini per la lotta, chô avevano risoluto
di sostenere sino allô ostremo, lotta tanto disuguale per
numéro e potenza di armi. Il mattino del 26 il Comitato,
avvertito dello avvicinarsi d'una schiera nimica — due
battaglioni di fanti, due cannoni e un drappello di caval-
leggieri — spediva a Nugent, che la capitanava, tre citta-
dini per chiedergli gli intendimenti suoi; eil générale ri-
spondeva: ~ Voler che Brescia, distrutti i serragli chêne
sbarravan le vie, e posate le armi, gli si arrendesse a
discrezione. = Respinta taie ingiuriosa proposta, Nugent
venne sopra la città; allora .cominciô il badaluccare con
le bande scese contra lui dai vicini coUi; le quali pero,
sopraffatte dal numéro degli Austriaci, dopo brève zuffa,
tornavano ai loro campi ad aspettarvi gli aiuti promessi
e impazientemente attesi dal Comitato di Torino. In Brescia
il suonare a stormo délie campane, nello awertire il popolo
dello appressarsi dei nimici e nel chiamarlo aile difese
minacciate, grandemente infiammavalo di nuovo ardore
di guerra.
Erano le due pomeridiane del 27, quando Nugent — che
poco innanzi aveva ricevuto sussidio di genti e di cannoni
— assaltava porta Torrelunga con quattro mila fenti e
cinque artiglierie, e dal castello fulminava la città, pren-
dendo persino di mira e bene imberciando Tospedale; la
quale cosa, contraria agli usi di guerra di nazione civile,
induceva il Comitato di difesa ad awertire il comandante
del castello, che metterebbe a morte dieci soldati — dei
taati che aveva in sua mano — per ogni bomba fosse
ancora per cadere sul nosocomio cittadino; il quale d*allora
fu rispettato. Allô scendere del giorno Nugent riedè a' suoi
campi di Santa Eufemia, ma i Bresciani non per questo
allontanaronsi dalle loro difese per timoré di sorpresa
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YBNEZIA X X7NOABIA 315
nimica o di improvviso assalto. Nel combattimento del 27,
che dupô quattro ore, i difensori patirono lievissime per-
dite; gravi, quelle degli assalitori. Nella sera del di se-
guente un pugiio d'animosi, guidati da Speri, usciva di
porta Torrelunga fiancheggiato a sinistra dalle bande
campeggianti i vicini colli; incontrata presse San Fran-
cesco di Paola una grossa presa d'iraperiali, con grande
impeto l'affrontava. La zuffa, rabblosamente fiera, non potè
durare a lungo; avregnachè i Bresciani, per non venire
a mano del nimico, il quale con forze preponderanti di-
molto tentava accerchiarli, dovessero presto indietreggiaro,
lasciando sul terreno alcuni dei loro morti o feriti, e
cinque prigionieri degli Austriaci. — Il 28 arrivavano in
città le novelle dei tristi casi di Novara, non tutte vere,
non tutte false; dicevano esse, che Carlo Alberto, vinto
non per valore dei nimici, sibbene per tradigione de' suoi,
aveva abdicata la corona in favore del Duca di Savoia,
dal quale era stata siibito fermata una tregua con Radetzky ;
ma il Parlamento Subalpine, gridata la decadenza di casa
Sabauda dal trono, aveva croate Chrzanowski dittatore e
comandante suprême délie armi di Sardegna ; il quale poi,
purgato l'esercito dai traditori, rotte le tregue e tornato
aile oflfese, aveva vittoriosamente combattuto il 25 e 26 di
quel mese di marzo, e costretto il maresciallo a ripararsi
dietro l'Adige. — In quel giorno medesimo, 28 marzo, da
alcune lettere di Radetzky, pigliate per sorpresa, seppesi
dell'abdicazione di Carlo Alberto e délia sospensione d'armi
sottoscritta da Vittorio Emanuele e dal maresciallo. In tanto
contraddirsi di notizie si gravi il Comîtato di dîfesa, pîu
inchino a repubblica che a monarchia, in un manifeste ai
cittadini, pubblicato il giorno appresso, parlava cosi: =
Sine a quel di essersi curato délia guerra sol tanto, nulla
délie quistioni politiche, che agitavano Tltalia; ma i casi
di Novara avendo tolto il vélo del dubbîo e fatta conoscere
la verità, senza esitazione chiamando traditore Carlo Al-
berto acclamava Chrzanowski lîberatore d'Italla. Il quale,
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316 CAPiTOLO vn
ripresa la guerra dal Re posata a Novara, aveva combat-
tuto con vantaggio taie gli Austriaci da costringerli a
ritrarsi alFAdige e a cedergli, in virtù di patti fermati
con lui le fortezze di Mantova e Peschiera. « Bresciani,
cosi il Gomitato, se questa vittoria ci assicura già la indî-
pendenza, nessuno per qualche giorno ci puô salvare dalla
vendetta del Croato, tranne il vostro valore. Probabilmente
saremo presto assaliti dal nimico, perô inferiore a noi di
numéro; e sebbene egli abbia il vantaggio délie bombe,
noi abbiamo quelle del coraggio e délia santità délia nostra
causa. » — Buona parte dei cittadini, cui il mal governo
délia passata guerra aveva spento la fede un di riposta
piena e intiera nel re Carlo Alberto, ritenuto questi tra-
ditore, acclamava la repubblica; da quel giorno i Bresciani
andarono contra i nimici con bandiera rossa, in Italia
simboleggiante Governo di Popolo. Nugent, che il 27 aveva
con suo danno assaggiato il valore dei difenditori di
Brescia, veggendo impossibile ridurre aU'obbedienza la
città rubelle con le armi che teneva, mandava per aiuti;
e, avuti da mille cinquecento uomini e tre cannoni, in su
le ore pomeridiane del 30 muoveva da Santa Eufemia a
nuovo assalto. Ributtate dai colli le bande armate ebe 11
occupavano, faceva impeto contra Torrelunga, mentre le
artiglierie del castello fulminavano la città; per la seconda
volta respinto, Nugent riedeva al suo alloggiamento di
Santa Eufemia, ove nella notte giugneva da Verona il
maresciallo Haynau. Il quaie, appena entrato nel castello
per la porta di Soccorso con un battaglione di fanti e
compiuta Tossidione alla terra coi sussidi seco condotti«
facevane la chiamata, minacciandole saccbeggio e tutti gli
orrori d'una presa per assalto, se si ostinasse nelle resi-
stenze. « Bresciani, diceva egli, voi mi conoscete ; io sono
uso a tenere la parola data, » Il suprême Maestrato, riu-
nitosi allora per discutere su ciô cbe meglio convenisse
operare in quel momento pieno di pericoli, deliberô di
deputare ad Haynau quattro cittadini ; i quali, dopo avergli
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VEXBZIA E UNOABIA 317
riferite le novelle ricevute dei casi délia guerra, dovevano
chiedergli una sospensione d'armi per due giorni allô
scopo di evitare inutile spargimento di sangue ; nel quai
tempo sarebbesi potuto conoscere il vero stato délie cose;
ma niegando Haynau di accordare la tregua domandata,
il popolo, fatta risoluzione di resistere flno allô estremo,
corse numeroso aile difese. — Suonavano le due pome-
ridiaue del 31 marzo, allora che le artiglierie del castello
e i cannoni da campo prendevano a trarre contra la porta
Torrelunga, l'obbietto del primo operare del nimico; cui,
dopo tre ore di combattimento, riesciva a superare da
quella parte le mura e a portarsi ai primi serragli, che
cbiudevano le vie délia città, ed eziandio in sul cadere
del giomo a insignorirsi di quelli che sbarravano le di-
scese dal castello. La notte non poneva fine al combattere,
perô che Haynau, il quale, ad ogni costo, voleva recarsi
in mano la città, facesse conati inauditi per invaderla; e
i fortissimi difenditori di quella, deliberati di salvarla,
gliela contrastassero con valore e virtù superiori ad ognî
elogio. A vendicarsi di tanta ostinata resistenza, i soldati
di quel capitano, che per sua efferatezza fu soprannomato
il tigre, saccheggiarono e incendiarono case, uccisero
non solamente quanti venivano a loro mano con le armi,
ma spensero barbaramente vecchi, fanciuUi e non poche
donne, dopo aver fatto a queste patire il massimo degli
oltraggi. n suprême Maestrato, ritenendo omai impossibile
resistere più alungo aU'assalitore, tanto potente per nu-
méro, mostravasi inchino a dedizione; ma il Comîiato di
difesUy il quale, ponendo tuttavia molta fede aile notizie
nielle vittorie di Ohrzanowski, voleva si resistesse, anche
nella certezza di prossimo aiuto (1), e salvare cosi Brescia
dalVeccidio minacciatole dal générale nimico. Al ferme
(1) Era la schiera di Gabriele Camozzi, che il 80 marzo aveva av-
vertito il ComitcUo del sno partir di Bergamo per Brescia.
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318 CAPITOLO VII
volere del Comitato plaudi il popolo ; il quale, abborrendo
la resa, erasi preparato aile ultime resistenze ; se non che,
quando gli fu noto che una grossa schlera di imperiali,
già campeggiante Chiari, avvicinavasi alla città, disperando
di soccorso, risolvette di seguire il Comitato; che, fatta
allora rinunzia al proprio offlcio, aveva deliberato d'uscire
alla campagna con quanti armati sarebbegli dato di met-
tere assieme, e irrompere contra i nimici per aprirsi nna
via ai monti, a farvi guerra guerreggiata, minuta, sino
al giugnere dell'esercito di Chrzanowski, al quale ai uni-
rebbe; generoso disegno, perô a mandarsi a eflfetto impos-
sibile. Libero d'operare, corne meglio credeva, il Maestrato
dei cittadini inviava al campo nimico dei commissari a
trattare la resa, la quale venue patteggiata cosi: = Cou-
cedere Haynau salve le vite e gli averi dei pacifici citta-
dini; dovere questi posare le armi, rendere i prigionieri,
disfare i serragli e levare tutti gli impedimenti che
chiudevano le vie; in fine, consegnare al générale sei
ostaggi = (1). Tali patti, che il Municipio fermô col nimico.
vennero subito rotti da Haynau; il quale, sprezzatore d'ogni
fede, a vendicarsi délia strenua resistenza dei Bresciani.
permise a' suoi soldati di porre a ruba moite case e
compiere le atrocità più barbare eidelitti piîi turpi:cosi
bruttô se d'infamia incancellabile e contaminô la bandiera
deirAustria (2). Gravi furono i danni dei guerreggianû
• nella giornata del 31 marzo, soprammodo quelli degli impe-
riali. « In questo combattimento, scrisse allora Haynau (3),
(1) Haynau minacciô i Bresciani di incendiare le case, dalle quaîi
avesse ad nscire una moschettata, e mandare a morte Tautore.
(2) Nella relazione délia presa di Brescia al maresciallo Badetzky.
dopo aver fatto l'elogio délia difesa oatinata e persévérante dei citta-
dini, Haynau disse u che, per le gravi perdite soferte, aveva eoman-
dato di non fare prigionieri; n e confessô u che i suot soldati erof^
trascorsi a brutti eccessù »
(3) Belazione d'Haynau a Badetzky. = All'impresa di Brescû forti
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YEKEZIA X UKOABIA 319
ostinato e micîdîale» abbiamo a lamentare considerevoli
perdite. » — Brescia era appena venuta a mano del nimico,
quando non lungi di sue mura vedevasi comparire Gabriele
Camozzi (1) con una schiera di cinquecento armati; il
quale, ignorando la dedizione délia città al nimico, univasî
aile bande che tenevano, come già dissi, i propinqui coUi,
per tentare assieme il campo austriaco. Ei poneva il suo
a Fantasima e a Torricella, e le prime ascolte sul Mella,
presso Ospedaletto; le quali, assalite nella notte dai nimici,
non estante la forte difesa délie poche che vigilavano,
venivano tagliate a pezzi dagli imperiali; cui perô maie
riesciva Tassalto improvviso date nella notte stessa al
grosso délie forze di Camozzi, campeggianti le vicine
alture. Il di vegnente, avvisato délia resa di Brescia e
dello appressarsi di schiera poderosa d'Austriaci, Gabriele
Camozzi dietreggiô verso Iseo; veggendo poscia nulla po-
tersi più tentare a vantaggio délia patria, licenzio le sue
genti. Allora la guerra posô in Lombardia; e TAustria
tornô a imperarvi con l'usata potestà assoluta! — Nei
primi giorni del governo d'Haynau — dei piii feroci che si
conoscano (2) — Brescia vide molti suoi flgli sentenziati
a morte senza essere stati giudicati! tanto strazio cessô
il 5 aprile, nel quale di Appel promise che nessuno più
verrébhe moschettato, se non condannato da regolare
processo.
danni toccarono ai cittadini; maggiori perô agli assalitori, che ebbero
morto il générale Nagent, il colonnello Fayanconr e il luogotenente co-
lonnello MilitsE.
(1) Tardi arrivô Gabriele Camozzi, cansa le grosse pioggie, che ave-
yangli reso penoso e Inngo il camminare.
(2) a Ayeva egli, cosi Anelli scrisse d'Hajnan nella sua Storia d'Ilalia^
minacciato di punir Brescia a ferro e a faoco se resistesse, e tenne la
féroce promessa. Sbranati gll estinti, e gettati i peszi a Indibrio contra
i frantnmi délie barricate (sic) ; braccia di donne, di fancinlli rotolanti
per Taria; i prigionieri in mille barbare gnise straziati su gli occhi délie
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320 CAPITOLO VII
Vincitore alla giornata di Milano del 4 agosto 1848, Ra-
detzky aveva posto le provincie austriache d'Italia sotto il
dominio délie leggi militari, invalidando cosi Topera di pa-
ciflcazione del commissario impériale, il conte Moatecuc-
coli, cui dai Miaistrl di Vienna era stato fidato il carico
di restaurare nel Lombardo-Veneto il governo civile e gli
ordini antichi, sconvolti dalle soUevazioni del marzo e du-
rante la guerra da nuovi ordini stati surrogati. I mm
corsi dalle tregue di Milano allô indirsi délia seconda
guerra d'indipendenza furono per gli Italiani so^ettî al-
TAustria pieni di miserie e trepidanze, di dubbi e spe-
ranze, di timori e desidèri. Dallo abbattimento nel qnale,
non le patite avversità, ma le feroci persecuzioni, ne la
violenta oppressione del despotico reggimento del mare-
sciallo avevanli gettati — persecuzioni e oppressione j
che soprammodo ne ferivano la parte eletta — da quello
abbattimento, io dico, rialzaronsi, quando videro la
bellicosa Sardegna preparare armi e armati per rinno-
vare V impresa di Lombardia. E corne sempre accade,
cosi allora, chi per lo addietro era stato più scoraggito ♦^
piii sfiduciato, rilevossi piii d'ogni altro fidente nelle forze
proprie e in queiresercito, ch'egli Tanno innanzi aveva
gridato lîberatare cCItalia e vedeva di quoi giorni appre-
starsi a nuovi cimenti per la sainte délia patria. — Vit-
loro donne; e intanto il barbaro soldato sghignazzare nelle Ioto cob-
vnlsioni di morte, e t&lora strappame i visceri e cacdarli in bocca ai
morenti per sofTocame i gemiti estremi. » — Il maasimo sâregio che ad
uomo ai poasa fare, aofi^va il générale Haynan Tanno appresso in Los-
dra. Conoaclnto dagli opérai délia fabbiica di birra delli Barekr e
Perkina, qnando la viaitava in compagnia del banchiere Rothschild, ebbe
da qnelli il viso bmttato di apati e achiaffeggiato, e fa talmente tem-
peatato di pngni, che non aarebbe nacito vivo dalle loro manî, se nos
foaser ginnti in ano ainta molti cittadini e la aoldateaca del Magistral
civile.
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VBNSZIA B I7K0ABIA 321
torioso su l'Adige, sul Mincio e a Milano, ma non yinta
Yenezia, nô domata la soUeyazione magiara, Francesco
Ginseppe, in quel torno di tempo salito al trono austriaco
per rabdicazîone di Ferdinando I, a presiedere ai Mînistri
suoi, o più esattamente parlando, a reggere per lui la mo-
narchia cercava un uomo, il quale, bene conoscendo l'in-
dole dei tempi che correvano, i bisogni e le giuste aspi-
razioni dei var( popoli dei diversissimi suoi Siati, sapesse
accontentarli^ salyando perô, in tutta loro integrità e
pîenezza, Tautorità e la dignrtà dello Imperatore; un uomo
di mente grande e atto non solamente a comprendere la
nécessita di nuovi ordini, ma eziandio a concepirli e a
disegnarli; in fine, forte e operoso per mandarli a effetto:
un tanto uomo il Sire austriaco Tebbe nel principe Felice
di Schwarzenberg; il quale, gi& Ministro di Ferdinando,
veaiva da Francesco Giuseppe confermato nell'offlcio suo.
Presi a compagni nel governo délia cosa pubblica Bach,
Stadion e De Bruck — per ingegno e sapienza ammini-
stratira tenuti in grande stima dairuniversale, e che ave-
vano già fatto buona prova nei giorni délie passate popo-
lari commozioni — il principe Ministro tanto adoperossi
da indurre il giovane suo Signore ad assicurare ai sudditi,
nel manifeste dei 0 marzo 1849, quelle leggi che a libero
Stato si convengono: donde dovevano venir loro l'egua-
gllanza deidiritti e il rispettoalle diverse natnralità, tanto
da quelli sospirato (1). Cosi la casa d'Absburgo, la quale sino
a quel giorni aveva imperato sopra genti schiave, sarebbe
per trovarsi, di 11 a poco, in mezzo a popoli liberi ; e la
monarchia, spenta affatto la feudalità e tutta rinnovata da
(1) Alla Dieta dell'impeiio, tenntasi in Krenuddr, il pzineipe Schwar-
zenberg ayava detto, che 0 Governo dello Lnperatore mantenebbe ai
popoli Biioi le loro libertà; aBsicarerebbe ai Comimi, con vna legge li-
bérale, ramministrazione degli interessi locali; e che il Lombardo-Ve-
neto, formata la pace, troverebbe nella sua nidone tâVAuêtria eostUth
zionaU nna secnra goarentigia di sua natoralità.
21 — Vol. Q. MiRUKi -^ Storia poL « mU.
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322 CAPITOLO YII
institazioni iaformate a priacipi in ariuonia al moderno
iacivilimento, non tarderebbe a vivere di vita civile, per
lo passato non vissuta mai, e promettitrice di un'èra pro-
spéra e felice. Le speranze allora concepite dai popoli.
non estante il buon volere del principe Schwarzenberg,
presto svanirono! Nella assoluta impossibilità di rifornire
di danaro Terario esausto con lo accrescere le imposte,
già quasi insopportabili, ne d'altri prestiti aggravare il
debito dello Stato, già énorme, egli sarebbesi appigiiato
airunico espediente che rimanevagli per prowedere allô
imperioso bisogno con sarie économie, primissima quella
di ridurre a giusto numéro l'esercito, consumatore di buona
parte délie rendite pubbliche, se non gli si fossero oppo-
ste le nécessita délia guerra, che ardeva tuttora in Un-
garia e su le venete lagune, e soprammodo poi la fazione
militare. La quale, balda per le vittorie guadagnate l'anno
innanzi sùl Mincio, e che dicevasi secura di rinnoraple
tra brève sul Ticino, era divenuta oltrepotente in Cone
dello Imperatore: onde le riformagioni, lo Statuto e tutto
quanto di libérale era stato conceduto o promesse erano
di 11 a poço abrogati.
I popoli délia Lombardia e délie Venezie appena seppero
che Francia e Inghilterra, disperando di menare a coq-
cordia e a pace Austria e Sardegna, avevano il 16 febbraio
di queU'anno 1849 rotte le conferenze di Bruxelles, indo-
vinando essere vicina Tora délia riscossa, pieni d'entn-
siasmo e fede s*apparecchiarono a levarsi in su Tarme,
per uscire alla campagna contra il nimico dltalia alla
chiamata del Re Sabaudo e al primo romoreggiare del
cannone sul Ticino. Dall'Alpi al Po uomini e cose trova-
ronsi allora in preda alla piîi grande commozioneîcessate I
le dolorose incertezze loro sorrisero le piii liete speranzo:
e il giorno stesso dello spirare délie tregue, insofferenti
di îndugio, destarono nelFalta Lombardia moti di guerra,
alzando in Como, Lecco, Bergamo, Brescia e nelle circo-
stanti valli il vessillo nazionale. Gli strepiti délie armi
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YENBZIA B UNOJIBIA 323
combattenti nel Piemonte invaso accrebbero nei forti Tar-
âire, e la noyella di una grande vittoria, che la fama dî-
ceva gaadagûata dai régi, rincuorô i pochi trépidant! ; ma
la infausta notizia délia sconfitta di Novara, conosciutasi
di li a brevi giorni, faceva svanire le speranze poco prima
conœpite, e gettava in una quiète di morte quel popoli che al
rompersi délia nuova guerra ayeano festanti salutato Tau-
rora del giorno del riscatto, il finire délia dominazione
straniera e il cominciare di loro indipendenza. Tanta
sventura non potè accasciarli, nô avvilirli ; avvegnacliè,
se sovr'essi, per la récente vittoria degli Austriaci^ mi-
nacciosa più che mai pendesse la tirannica spada di
Radetzky — e dal suo luogotenente Haynau a Brescia
mutata in arma di assassine — vedessero perô nelle
strenne resistenze di Yenezia e nelle armi di Roma
repubblicana due àncore di sainte; per queste il do-
lore del disastro di Novara non fu senza conforte; e
securi che il buon diritto e la buona causa avrebbero al
fine vittoriato, e che d'assai più grandi si è nella avrersa
che non nella prospéra fortuna quando non si dispera,
cosi i Lombardi serbarono allora e di poi dinnanzi ai
loro oppressori un contegno dignitosamente severo, che
g:li stessi nimici ebbero ad ammirare. — Il 28 di quel
mese di marzo il maresciallo, dopo dieci giorni di lonta-
aanza, rientraya in Milano alla testa de' suoi granatieri ;
eccettuati i ventimila uomini i quali, in yirtù délie tregue
di Noyara, doyeano occupée il territorio che siendesi tra
il Po, la Sesia e il Ticino, gli Austriaci lasciavano il Pie^
monte. Il terzo corpo d'esercito, quelle di Appel, portayasi
sopra Brescia, la cul soUeyazione e i tristi casi seguiti or
ora narrammo; d'Aspre, col seconde, scendeva a Toscana
a restaurare l'autorità del Granduca, tenendogli dietro
Wratislaw con parte del primo; in fine, due reggimenti
di cayalli camminayano yerso TUngaria, oye le faccende
délia guerra yolgeyano a maie per Timperio.
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324 capitolO VII
In sul cadere del 24 marzo arrivayano ia Torino notizie
yaghe e contraddittorie degli eventi délia guerra, nessonaj
ancora perô délia catastrofe di Novara. I cittadini, da
quelle dolorosameate turbati, correvano allora in foUa ai
Ministri per conoscere la yerità dei casi e togliersi m
alla penosa incertezza in cui si trovayano; ma nolla po-
tendo sapere da quelli» perché nnlla ayeyano ricevutodal
campOy tumultuanti e quasi minacciosi yersayansi nelleyie
imprecando a coloro, che erano stati cagione e capi di
tante royine, di tantissimi lutti. Nella notte i rappresen-
tant! del popolo riuniyansi a Parlamento per discutere e
risolyere su ciô che meglio conyehisse operare; Brofferio
proponeya una sùbita presa d^armi di tutta la nazione per
serrare il nimico inyaditore entre una cerchia di ferro e
fuoco; che si munisse Torino; che si mandassero nelle
proyincie dei Gommessari promoyltori e ordinatori disoi-
leyazioni popolesche contra gli Austriaci; e che i Depatati
siedessero a Parlamento sino a che fosse cessato il peri-
colo allora minacciante il paese» e ciô allô scopo di prov-
yedere con soUecitudine efficace alla salyezza délia patria.
Tardi proyyedimenti questi e non quali ayrebbeli richiesti
la gravita délia bisogna! La maggioro parte dei Depntatf
e i Ministri rigettarono le proposte di BrofiTerio ; innanrf
tuttOy perché suonavano un atto di sflducia al Gtoverno dél
Re; di poi, perché non volevano mutare il Parlamento is
un Gomitato di sainte pubblica^ e il ministre Rattazzi eblie
a dire, che egli e i coUeghi suoi rinunzierebbero al ion»
offlciOy quando si délibérasse di chiamare il popolo aile
armi. Fu paura o filacchezza che fece preferire, quasi senza
discntere» le tregue di Novara airaudace e generoeo dise'
gno d'armare la nazione ? lo penso essere nel vero affer-
mande, in quella poco onorevole deliberazione avère avuto
parte Tuna e Taltra, cui si era accompagnata la sfidacia
nelle forze del paese. Il Parlamento subalpine non mosM
allora quella forte, quella maschia virtù, che sempre, mi
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YXNXZIA X UKOABIA 3S5
soprammodo nei momenti di pericolo, devono possedere i
rappresentaati del popolo. — Il 27 marzo naovi Miaistri
yeaiyaao davanti alla rappresentaoza aazioQale(l); tra
essi» Pier Dioaigi Piaelli; il quale, per awantaggiarsi del«
Taora popolare, di eut godeva tuttavia Viacenzo Gioberti,
Tareva voloto a compagao; Ministro perô aenzA portafoglif
allô scopo di poterselo allontaaare, tosto che il Governo si
fosse afforzato e gli aaimi délie popolazioni avessero ra-
cquistata la tranquillità usata; ciô eh'egli fece dl li a non
molto, inyiandolo oratore sardo presso la repabblioa Cran-
cese. n quale offleio ei teaae brève tempo ; ayyegnaehè,
veggendosi in nessua conto, anzi a belle studio trascnrato
dai coUeghi, presto da quello sô liceoziasse : taie il Pinelli,
tali i Ministri chiamati a reggere lo Stato in quei mo-
menti cosi difâcili ! — Appena entrati in Parlamento il
depatato Lanza chiese loro, corne mai un esercito di een-
treniamila uomini si sia lasciato vincere da cinqikinta'
nUla Croatiy in dir ciô mostrando un foglio arrivatogli dal
campo, sul quale stavano scritte a stampa queste parole :
« Soldati! per chi credete di combattere? Il Re è tradito;
a Torino si è gridata la repubblica. » Di sdegno e confu-
sione riempissi allora TAssemblea; la quale, altamente ri-
provando e condannando i patti délie tregue uditi da
Pinelli, perché offendevano Tonore nazionale, afifermaTa
non potere i Ministri mandarli a effetto senza violare lo
Statuto cke li reggeva; di poi imperiosamente domandava:
- Avesse Cesercito a far la massa dinnanzi ad Aies-
^andria (2); qiMnti fossero atti alVarmi si raccogliessero
(1) Siedeyano allora nel Govemo Pinelli, Demargarita, Morouo dalla
Bocea, Mameli, Nigra, Galvagno; presiedeTa loro il générale De Lavnay,
Hinifltro sopra gli affari estemL
(2) La proposta di far la massa deU'esercito ad Alessandria per
continuare la guerra era stata fatta, corne scriremmo già, dopo No*
vara dal re Carlo Alberto a' saoi generali; generosa proposta ohe fa,
^ questi resplnta.
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326 CAPITOLO vu
in Oenova; e le navi da guerra sarde rimanessero neUe \
CLCque di Venezia. = I Ministri, sebbene altri disegni ai
ayessero, non osarono, in tanta concitazione degli animi,
niegare quanto era stato lor cWesto; ma altresi nulla con-
cessero tranne la nomina di Gommissari col mandato di
scrutare le condizioni deiresercito prima délia guerra e
le cause dei disastri toccati. Se non che, quando in Par-
lamento venne domandata ai Gommissari la pubblicazîonf^
dei risultamenti délie compiute indagini, i Ministri for-
temente a ciô si opposero: onde una volta di piîi al-
lora fu provato, che le Gommissioni scrutatrici tendono
a celare non a rivelare le cause dei fatti, che il paese
ha diritto di conoscere; o almeno a cercarle apter-
titamente ove son certe di non trovarle, — In quel
giorno stesso, 27 marzo, il nuovo re Vittorio Emanuele
pubblicava in Torino il seguente manifesto: « Gittadini!
Fatali avvenimenti e la volontà dei veneratissimo mio
Genitore mi chiamarono assai prima dei tempo al trono
de' miei avi. Le circostanze fra le quali io prendo le re-
dini dei Governo sono tali che, senza il piii efficace con-
corso di tutti, difflcilmente potrei compiere l'unico mio
veto, la sainte délia patria comune. I destini délie nazioni
si maturano nei disegni di Dio; Tuomo ri dere tuttâ
Topera sua; a questo débite noi non abbiamo fallito. On
la nostra impresa deve essere di mantenere salvo e illeso
Tonore, di rimarginare le ferite délia pubblica fortuna, ai
consolidare le nostre istituzionicostituzionali. A quest' im-
presa io scongiuro tutti i miei popoli; io mi appresto adarn<>
solenne giuramento, e attende dalla nazione in ricambio
aiuto, aflfetto e flducia. » — AUora e di poi Vittorio Ema-
nuele tenue religiosamente la parola data, in verità cosa
assai rara nei potentati délia terra! Due giorni dopo, il 29
marzo, egli giurô, in presenza di Dio, di osservare leal-
mente Io Statuto e volgere ogni cura alla prosperità e
aironore délia nazione; e il suo giuramento, cheSenatori
e Deputati raccolsero, serbô sempre con la fade più
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VBKBZIA E UNQABIA 327
scnipolosa, anche nei momenti difflcili in cui trovossi il
picciolo suo Stato, e seppe tenere alta e far rispettata la
bandlera nazionale: onde si ebbe nel tempo quel sopran-
nome che nessun régnante mai si meritô, e col quale lo
si voile chiamato in un giorno di giusto e santo entusiasmo,
il soprannome di Galanticomo, registrato dalla Storîa nelle
sue pagine che non periscono mai. I Ministri, ai quali, con
un Parlamento lor chiaritosi awersissimo, riusciva impos-
sibile di reggere lo Stato, specialmente in quel giorni di
grave commozione per la soUevazione di Genova — che
noi vedemmo già ricondotta alla obbedienza del Re dal
générale Alfonso Lamarmora — licenziavano allora i Dé-
putât!, promettendo perô di convocare, giusta il tempo sta-
bilito dallo Statuto, 1 Comizi elettorali ; in oltre, protestan-
dosi devotissimi alla patria, che intendevano ristorare dei
danni patiti e mantenere sue libère instituzioni; e da ul-
time, dando fede di difenderne l'onore e afTermarne quel
massimo dei béni, in tanti infortuni tuttavia rimastole, che
era la libertà.
Nella sera del 14 marzo giugneva in Venezia la novella
délia nuova guerra inditta dalla Sardegna aU'Austria, che
cittadini e presidio con entusiastiche grida salutavano. Gu-
glielmo Pepe, générale suprême dell'armi repubblicane,
dellberava allora d'uscire dalle lagune con quanto più sa-
rebbegli possibile di soldatesche per unirsi a Mezzacapo —
il quale con otto mila uomini da Bologna per la via di
Rovigo doveva venire a lui — e insieme combattere e ri-
buttare su l'Adige il nimico con poche forze campeggiante
le Venezie ; awegnachè la maggiore parte dell'esercito impé-
riale a grandi giornate camminasse verso il Ticino e sopra
Pavia, intorno a cui fece la massa. Pepe, lasciato aile di-
fese di Marghera il générale Paolucci con una brigata di
fanti — tre mila dugento uomini allô incirca — e imposto
al générale Rizzardi di passare con sua divisione — da cin-
quemila quattrocento uomini — da Ohioggia a Couche sul
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328 CAPITOLO TU
taglio nuoyissimo del Brenta a dodici chilometri daBrondolo,
Pepe» io dico, il 19 marzo recavasi a Ghioggia. Ma appena
arrivatovL riceveva comaado da Gayedalis, Miaistro sopra
le armil di non mettorsi alla campagna; perô che si avesse
solamente a tenere a bada il nimico, per combatterlo poi
quando fossero note le mosse dei Sardi in Lombardia. Non
assaliti, gli AuBtriaci assalirono; e il 22 prendevano Gon-
che, il cui debole presidio — cencinquanta Lombardi e po*
chi Veneziani non proweduti d'artiglierie — non soccorso
a tempo dovette, dopo flero contraste di cinque ore, indie-
treggiare dinnanzi a forze armate otto volte tanto le sue
e mnnite di tre cannoni. Alla difesa di Yenezia molto iin-
portando quella postura, Pepe, il 24, mandava airimpreu
Sirtori; il quale con vigoroso assalto délia sua schiera-
da trecento Lombardi e Romani — riprendeya Gonche» re-
spingendo il nimico fine a Santa Margarita. In quel mede-
simo giorno il capitano Gosenz, cot'rendo il PolesinOi rieo-
nosceva dal grosso degli imperiali campeggiarsi Gavarzone.
n générale Pepe, non veggendo arrivare le genti di Mex-
zacapo, aveva risoluto di star ferme ne* suoi campi in
aspettamento di notizie dal Ticino, quando veniva soUeci-
tamente richiamato a Yenezia, allora in grande agitazioae;
awegnachè aile prime novelle délia guerra — liete, ma
false — giuntevi il mattino del 28 e annuncianti una lu-
minosa y ittoria dei régi, ayessero siibito tenuto le yere del
disastro di Noyara! Il luogotenente maresciallo Haynau -
prima assai del rompere délie ostililà sul Ticino stato so-
stituito a Welden nel comando délie armi ossidionali in-
torno a Mestre — il 27 ayyisato per lettera Daniele Maniû
délia sconâtta di Garlo Alberto» délia sua abdicazioae e
délie tregue formate da Yittorio Emanuele con Radetzky;
in oltre, mostratagli yana impresa il resistere, eccitava il
Dittatore di Yenezia a rendere la città e sommetterla alla
clemenza deirimperatore, assicurandola délia grazia so-
yrana; montre yerrebbe poi seyeramente trattata, e corne
a città rubelle si conyiene, se perdurasse nelle resistenze.
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TXNBZIA M T7KOABIA 329
— Dure le parole del capitano anstriaco e superba la chia-
mata di Yenezia, sino a quel di ylncitrice sempre! la quale
chiamata con nobile flerezza fu respiata, quando Mania —
dopo aver tenuta sécréta per alquanti giorni la lettera di
quel générale ferocemente altero, per non maggiormente
esasperare gli animi de* suoi concittadini — facevala nota
ai rappresentanti del popolo, il 2 aprile raccolti a Parla-
mento. « Venezia non si sommetterà a verun patto al-
TAustria, gridava allora TAssemblea, e durera sino allô
estremo nelle sue resistenze. » Al quale scopo e a âne dl
potere speditamente prov vedere aile nécessita délia guerra,
esaa concedeya la suprema potestà nella repubblica a Da-
niele Manin; che, venuto poscia in su la maggiore piazza
délia città per annunciare al popolo — ivi radunato in gran
numéro — la generosa deliberazione de* suoi rappresen-
tanti, udiva d*ogni intorno gridare con entusiasmo le re-
sistenze a ogni costo (1). In quel giorno stesso davanti al
tempio di San Marco i Yeneziani alzarano la bandiera
rossa; e il Dittatore, dopo avère spedito ad Haynau, in
risposta alla intimazione di resa, il décrète deirAssemblea.
scriveva ai supremi reggitori di Francia e d'Inghiiterra
pregandoli a voler fare Yenezia centre di un Governo ita-
liano; di porla in una conveniente posizione poliUca, per
ottenere la quale aveva già respinta la proposta d*una Co-
stttuefUeI/>mJbarcUhVeneta; in une, di aderire alla Costî"
tuente italianOy che proprio stava nei voti délia parte li-
bérale. — Per ristorare poi Terario, di quei giorni esausto,
Manin toglieva a prestito dai cittadini più danarosi tre mi-
lioai di lire; e quando le nécessita délia guerra diventa-
rono imper iose e gravi, allô invite di nuovi sacriOzi tutti i
(1) In memoria délia strenna deliberazione dell'Assemblea coniosû
allora una medaglia, rappresentante Yenezia che difende Tindipendenza
namonale; e snl lovesoio délia medaglia si scrisse il décrète délie re-
skienie.
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330 CAFITOLO VII
Veneziani largamente risposergli, i poveri col loro obolo, i
picclii col loro oro.
11 générale Pepe, appena conobbe la deliberazione delFAs-
semblea, giudicando di non avère armi bastevoli a tenere
con vantaggio la campagna> raccoglievale entro le lagune,
e sollecito preparavasi a difendere la città e i forti del-
VEstuario contra i nimiçi (1), i quali, cosi ponsava il gé-
nérale, non tarderebbero ad assaltarli; e siccome bene
reputava essere Marghera la chiave piii valida délie resi-
stenze, volgeva tutte sue cure a munirla di grosso presidio
e ad accrescerne le difese. — II forte di Marghera giace
a cavalière del canale di Mestre, che Tattraversa, a due
chilometri da questa terra e a due altresi dalla lagana;
a quel forte mettono capo le principali vie di comunica-
zione délia terraferma con Venezia, dalla quale dista pocc
più di cinque chilometri. Oomponesi di due ointe di forma
pentagonale irregolare; l'interna consiste in una grande
tanaglia, volta verso Mestre, e di due piccioli bastioni uniti
alla tanaglia mediante due cortine, intorno aile quali scorre
un largo fosso con acqua, che entra nel canale di Mestre.
La cinta esteriore — che l'altra tutta circonda e chiude -
è parimenti provveduta di largo fosso con acqua délia la-
guna, corne la prima, e ha una strada coperta difesa da
spalto e palancate. Questa seconda cinta ha tre fronti ba-
stionati, le cui artiglierie battono la campagna aliargan-
tesi davantl a quelli sino oltre Mestre; le loro cortine sono
afforzate da altrettante lunette con fosso, via coperta e
spalto, le quali proteggono Tuscire del presidio contra il campo
assediatore. Ai bastioni estremi seguono due lunghe faccie
formant! angoli salienti diritti, le quali faccie compiono la
cinta esteriore del forte; la cui gola si âpre dalla parte
di Venezia ed è chiusa da una lunetta. Ai lati di questa
<1) I forti e le batterie àeWEatuario erano da settanta; non podù
avrebbersi dovnto distmggere con vero beneficio délia difesa di Vene»
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▼ENBziA E tnreAsiA 331
e davanti ai piccioli bastioni délia cinta interna stanno
due contraggaardie a due faccie ad angolo, le quali, nel
dare un altro ordine di fuoco per le artiglierie e la mo-
schetteria, accrescono dimolto le difese di Marghera (1).
Nella grande plazza — di forma irregolare — racchiusa
dalla tanaglia e dai bastioni délia cinta interna troyansi
due magazzini per le polyeri da guerra e due casematte,
capaci di poco piii di cento uomini : onde la maggiore parte
del presidio fu costretta sempre a serenare. Allô intente di
rendere arduo al nimico lo accostarsi a Marghera, innalza-
ronsi abreve distanza di questo forte alcune opère in terra;
lequali, oltre di validamente flancheggiarla, ne assicuravano
le Tie di comunicazione con Venezia, In un angolo rien-
trante del canale Oselino — che, passando per Mestre,
scende nella laguna sopra Torcello — e quasi a mezzo chi-
lometro a destra di Marghera siede il forte O a stella, dai
Veneziani allora chiamato dai nome di Manin ; esso difende
le chiuse di quel canale per le quali puossi allagare la
campagna circostante (2), In su la sinistra délia via fer-
rata e a cinquecento metri allô incirca di Marghera giace
il picciolo forte Rizzardi, dette cosî dai nome del générale
che Taveva costrutto; scopo suo, assicurare da quella parte
contra i nimici il terreno per lungo tratto coperto dall'ar-
gine, sul quale corre la via ferrata ; argine, che ivl si alza
di molto sopra il livello naturale délia campagna (3). Due
batterie, di quattro cannonl ciascuna, erano state costrutte
dai générale Paolucci nella via coperta, che dai forte Riz-
zardi menava a Marghera; e una terza presse le rovi'ne di
un ponte di cinque archi demolito — donde il nome di
batteria dei Cinque Archi — sopra l'argine stesso délia via
(1) Marghera contava settantaqnattro artiglierie — cannoni, obid,
portai e petrieri — di diametro diverse.
(2) Nel forte Manin stavano dodici caimoiii e an obice.
(3) n fbrte BixMrdi era mmdto di cinque artiglierie di varie calibro»
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832 OAPITOLO TU
ferrata, la quale batteria vaataggiosameate questa batteva
per cortina; in flae, là presse il metter foce del eanale
di Mestre in su la laguaa trovayasi, nella iaoletta di Saa
Giacomo, un picciolo forte, il quale compiva le difese este-
riori di Marghera (1). Il presidio di questa contava allora
duemila quattrocento fanti allô inciroa; da cento soldati
degli ingegneri militari, e quattrocento cinquanta artigUeri,
di cul centrenta délia legione ist^tuita il 3 giugno del-
Tanno innanzi e chiamata dal nome di quoi màrtiri dalla
patria che furono i frâlelli Bandiera e Moro, nome da essa
portato degnamente sempre. — L*importanza strategica di
Marghera è di somme momento per le difese e le offese di
Venezia, contra la quale il nimico nulla puô di efficace
imprendere, per Tossidione o per Tassedio, senza il pos-
sesso di quel forte; e i Veneziani, sapendolo il sussidiopiï
gagliardo aile loro difese e aile uscite contra il campo a»-
sediatore, ebbero allora volta ogni cura ad ammegliorame
lo armamento e rimettere noUe soldatesche del presidio
la militare disciplina, che negli ozi inyernali erasi alquaato
rallentata; ofBcio questo da Pepe affldato al générale Pao-
lucciy e che il Paolucci seppe compiere assai lodeTobnente
per se e con molto vantaggio délia difesa
Radetzky, saputa la deliberazione deirAssemblea di resi'
stère sino agit estremi^ senza por tempo in mezzo comao-
dava ad Haynau di dare sollecitamente mano all'assediodi
Marghera, e airammiraglio Dalhrup di portarsi con la sqna-
dra nelle acque di Yenezia, davanti alla quale il 17 apriie
gettava le àncore (2); impedendo cosi alla città, già asse-
diata per terra, di ricevere sussidi di uomini, di rettora*
(1) La batteria del Cinqtu Archi era anaata di qnattro cannoni e
un obioe; il forte San Ginliano aveya sedici artiglieiie di diametio
différente.
(2) La squadra anstriaca di Dalbrap oompcmevasi alloia di lie fré-
gate, due corrette, dne bricks e qoattro legni a vapore.
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VENXZIA M U170ABIA 333
glie e dl quanto abbisognava alla gaerra, e che per lo ad-
dietro erano arriyati per la via di mare. Da trentamila
soldati contaya il corpo d*esercito assedîatore, poderoso
altresl per numéro e potenza di artiglierie. Hajmaa ave-
valo per Timpresa coUocato sopra due ordinanze ; a destra
délia prima la divisioue Perglas, di cui la brigata Goronini
campeggiava Oriago, Poate délia Rana e Malcontenta; quella
di Kerpan teneya Mestre ; a sinistra le brigate Macchio e
Thum délia diyisione Simbschen occupayano Garpenedo e
Fayaro, mandando grosse prese di soldati a Brîssuola» Gam-
palto e Tessera; la brigata Woeher staya in Altino su la la-
gana; la seconda ordinanza era composta di quattro brigate
di fanti ; stanza d'Haynau e del Quartiere générale delFeser-
cito era la yilla Pappadopoli (1) su la yia di Treyiso e in
Ticinanza di Mestre; in fine, le riposte degli attrezzi, stru-
menti e bisogneyoli ai layori delFassedio troyayansi in
parte a destra nella stazione délia yia ferrata, in parte a
sinistra in Bissuola. Il 25 aprile il luogotenente colonnello
Kautch degli ingegneri militari cominciô i layori d'assedio
di fronte aile lunette délia cinta esteriore di Marghera a
millenoyecento metri di distanza da quelle e yerso Boaria,
Angioletta e Anniero; presse le quali terre aprironsi le
fosse 0 trincee, tirate ayanti da prima in larghi serpeg-
giamenti, e in più stretti man mano che ayyicinayansi al-
Topere nimiche; la trincea di destra corroya lungolayia
ferrata yerso il forte Rizzardi ; quella di sinistra, lungo il
canale di Mestre e proprio su la capitale délia lunetta del
fronte bastionato di contra Marghera; la terza, tra l'argine
deUa yia ferrata e il canale di Mestre. Il 29 al générale
Paolueci -^ che flno a quel di ayeya in modo lodeyolissimo
goyemato Marghera e le sue difese — infermatosi, yeniya
soatituito il colonnello Gerolamo Ulloa già ufflciale nelle
(1) Appena xioidinata in IBlano la cosa pnbblica, Radetsky portossi
all'aBsedio di Venezia per assisteme i layori
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334 OAPITOLO VII
artiglierie napolitane, nel quale alla molta yaleatia nel-
l'arte délia guerra andava compagna una risolntezza non
comune. — Nella notte seguita a quel giorao 20 aprile il
nimico, diunaazi a Mestre e a piii di novecento metri dalle
difese esteriori di Marghera, aperse la prima parallela di
forma semicircolare irregolare e interrotta, causa la na-
tura del luogo molle e faugoso; essa correva da Bottenigo
sin presso la laguna di Oampalto, abbracciando tre fronti
bastionati di quel forte e i forti Rizzardi e Manin, che
di 11 a poco fulminô coi cannoni délie sue batterie ; cui
Haynau fece dar mano nella notte seguente — non estante
il trarre incessante délie artiglierie veneziane — e che in
numéro di sette contaronsi il mattino del quattro maggio(I).
Nel quale giorno il fuoco fu d'ambe le parti vivissimo;
avvegnachè gli Austriaci lanciassero entre Marghera da
cinque mila proietti; e gli assediati, da nove.mila ael
campo nimico ; di quelli, ventidue caddero morti o fe-
riti, ed ebbero scavalcati tre cannoni, guasti i parapetti
e le paliûcate; degli imperiali, da dugento morti o feriti;
e gravi danni toccarono aile loro batterie, di cui una ebbe
smontate quasi tutte le artiglierie. Alla bombardata di Mar-
ghera — che verso le sette pomeridiane diminui d'in-
tensità, per cessare poi in su le nove — eraao presenti
Radetzky e quattro Arciduchi; i quali, tenendosi securi
di intimidire gli assediati con una sAiriata di tiri d*arti-
glierie poderose, avevano creduto riavere subito la cittàper
sommessione volontaria; ma la strenua resistenza deî di-
fensori di Marghera e il loro rispondere aile offese nim^-
che con piîi vigorose offese tolsero al maresciallo e agli
Arciduchi le speranze d'un facile racquisto di Veneaa.
Ciô nondimeno Radetzky il di appresso voile tentare per
la seconda volta Tanimo di Manin e dei Yeneziani, con
(1) In qneste sette batterie stavano qnaraata cannoni, cmqne obici
e qnindici mortai.
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VEICBZIA E UNGABIA 335
lettera eccitandoli a posare le armi e rendersi a discro*
zîone, prometteudo a tutti la sovraaa clemenza, il pdr-
dôno pieno e iatiero ai soldati e sott'ufflciali trafuggi-
tori ai ribelli e accordando, senza eccezione a quanti
il vorrebbero, il permesso di lasciare la città per la via
di terra o di mare. — E Manin a lui : = Corne già i rap-
presentanti del popolo avevano risposto aU'invito di resa
rli Haynau, cosi egli allora, in nome délia stessa Assemblea,
fargli noto essere Venezia ferma nei fatti propositi di re-
sistere fino allô estremo. Avère poi egli il 4 aprile invo-
cati i buonl offlci di Francia e dlnghilterra presso il
Governo aostriaco, allô scopo d*ottenere a Venezia la in-
.dipendenza politica. = E il maresciallo replicavagli : =
L'Imperatore avère risoluto di non piîi toUerare lo inter-
vento di (Joverni stranieri tra lui e i sudditi rubelli ; esser
quindi nulle le speranze concepite dai Yeneziani. Nel cessare
le pratiche, le quali avrebbero potuto condurre i guerreg-
gianti a paciflci accordi, deplorare egli grandemente i
(laani che Tassedio farà soffrire alla città. » Il ô maggio
Radetzky riedeva a Milano scornato da coloro che egli
aveva tenuto a vile!
Orgogliosi, a buon diritto, délia prova sostenuta due
giorni prima a Marghera, i Yeneziani, aile dignitose e
risolute parole di Manin fatto il meritato plauso, vie piii
s'affermarono nel proposito di resistere a ogni costo; e
nella notte stessa, che segui alla partenza da Mestre del
maresciallo, uscirono alla campagna in una bella schiera
di cinquecento armati per rovinare i lavori délia seconda
parallela, aperta dagli assediatori a mezzo chilometro dal
saliente délia lunetta. Dopo avère combattuto per quasi
uQ*ora rimpetto alla testa délia parallela, dovettero indîe-
treggiare per lo accorrervi di grossa presa d'Austriaci.
— Due giorni appresso, e propriamente all'albeggiare del
9, una mano di seicento fanti, d'alcuni artiglieri e di cento
soldati degli ingegneri militari uscirono di Marghera per
esplorare e riconoscere i lavori del nimico; il quale, perché
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336 CAPiTOLO yn
intente a togliere Tacqua dalle trincee, pareva non più
intendesse a quelli con la pristina alacrità. Gli nseiti pro-
cedettero contra il campo degli assedianti ordînati in due
schiere; quella di destra, capitanata da Rosaroll, doveTa,
per Targine del canale di Mestre, prendere a royescio la
seconda parallela; Taltra, guidata da Sirtori e Gosenz, dovera,
camminando a sinistra per la via ferrata, percaotere
quella di fronte e sopravanzarne Testremità destra. L'im-
presa venne ordinatamente condotta e con molta gagliardia
dagli assalitori eseguita; i qnali, superato il yallo, seesero
nella trincea e ne cacciarono i difensori» oui (ta dato ri-
prenderla al giugnere loro di sussidio poderoso; allorale
gentî di RosaroU, Sirtori e Gosenz, protette dal cannone.
di Marghera, si ritrassero combattendo (1) : esse ayevano
ottenuto lo scopo di quella uscita (2). — Nei giomi 11 e 13
maggio due batterie della seconda parallela, innalzate
presse Gampalto, apriyano il fuoco contra il forte San
Ginliano ; e coi loro proietti, battendo la testa del ponte
dellalagana, metteyano in pericolo taie yia di comunicazione
di Marghera con Yenezia. Fu allora che il générale Pepe
adnnô a consulta di guerra i Ministri sopra le armi e la
marineria — Oayedalis e Graziani — e i principal! del-
Tesercito per discutere su ciô che meglio conyenisseï se
cioè tenere Marghera sino allô estremo, o riunire tatte
le forze armato entre le lagune, i confini yeri e natarali
délie difese di Yenezia. Questo disegno da parecchi offl-
ciali del presidio appoggiato, sino dal 5 di quel mese di
maggio messo innanzi da Cayedalis, era stato combattuto
dal colonnello Ulloa con assai buone ragioni : = Col lasciare
(1) La ritratta ta protetta dal capitano liartiiieUi, ohe teneTasiaJla
riscossa con bnona mano di soldati del reggimento Galateo, il (p^
fiaceya parte del presidio di Marghera.
(2) I gnastatori, che ayeyano segnito la schiera di BobhtoII, id^'
diante tagli fàtti presse il canale di Mestre, allagarono nnoTameate
le trincee del nimico.
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TENBZIA S UNOABIA 337
Marghera, affermava egli, mentre accrescerebbesi la bal-
danza nei nimici, getterebbe lo sconforto neiranimo dei
soldati e dei Veneziani» che consideravaao quella fortezza
antemnrale inespugnabile délia loro città; = il disegno di
Cavedalis ponevasi quindi da parte. Nella consulta di
gaerra — cui non era stato chiamato Ulloa, perché sape-
vasr ayyerso allô sgombro di Marghera — molto si discusse,
nulla perô si risolvette; ayvegnachè, prima di deliberare
sopra faccenda di si grave importanza, il générale supremo
repatasse necessario conoscere Topinione dei Dittatore.
Quanta insipienza in quegli uomini invecchiati nelle armi»
i quali in cose di guerra — e dove proprio la politica non
entrava — volevano interpellare un avvocato, Daniele
Manin! -- Sebbene gli imperiali lavorassero con somma
alacrità e vigoria, nonpertai;ito le opère ossidionali pro-
gredivano lentamente, causa lo allagamento délie acque
deirosellino e dei canale di Mestre, fatto ad arte dagli
ingegneri veneziani mediante alcuni tagli, e che le pioggie
primaverili avevano non poco ingrossato: onde Tassedia-
tope, innanzi d'aprire nuove trincee, fosse costretto a to-
gliere le acque dalle parallèle, a deviarle dal terreno cir-
costante aprendo in più luoghi Targine délia via ferrata
6 a costrurre dighe contra le innondazioni, che indubi-
tabilmente ritenterebbersi dagli assediati; nei quali lavori
gli Austriaci ebbero a lamentare, oltre la perdita d'un
tempo preziosissimo, quella di molti dei loro per le fatiche
0 le malattie. — Il 16 maggio assumevasi da Thurn il
governo dell'assedio di Yenezia per la partenza di Haynau,
allora chiamato al comando supremo dell'esercito impé-
riale guerreggiante in Ungaria: dove Windischgr&tz e
Welden avevano fatto malissima prova; ne certamente
Haynau avrebbela fatta migliore, ne parimenti a lui sarebbe
stato possibile vincere la ribellione magiara senza lo in-
tervenire di poderosi aiuti d'armi moscovite. La sera dei
20 un araido di Thurn presentavasi al comandante di
Marghera per annunziargli la novella, giunta allora allora
« — Vol. a Martini — Storia pol- e mil.
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338 OAPITOLO TH
al suo campo, délia volontaria dedizione di Bologna a
Wîmpffen, che avevala assediata; chiedeva Taraldo, se
Venezia volesse seguirne Tesempio; e i Veneziani, alla
chiamata di resa del nimico, rispondevano col cannone di
Marghera. Il di seguente da tre mila stranieri, per invito
dei loro consoli, lasciavano la cîttà, ove le vettovaglie già
scarseggiavano ; ne era possibile fornirla di quante abbi-
sognava, per essere le vie del mare impedite dalle nari
deirammiraglio Dahlrup, le quali sorgevano in su Tàncora
rimpetto ai lidi di Pelestrina e Malamocco ; soltanio a
quelle di Prancia e d'Inghilterra era staia concessa l'en-
trata nelle lagune, a patto che non portassero agli asse-
diati viveri, ne lettere. Nelle uscite di Treporti e Bron-
dolo, felicemente condotte di quel giorni dal générale
Rizzardi allô intente di allargare da quelle parti l'assedio
e prender lingua del nimico, arevano i presîdi raccolto
alquante vettovaglie, da cento buoi neiruscita di Treporti
e da trecento nelFaltra di Brondolo con molto vino e
commestibili ; ma era ben poca cosa e insufficiente aile
nécessita del momento; le quali, da tutti prevedevasi, di-
verrebbero maggiori alla stregua deU'avanzare deirassedio.
La picciola squadra veneziana usci allora dal porto di
Malamocco; ma presto vi rientrô, veggendo impresa im-
possibile tenere con vantaggio il mare contra quella di
Dahlrup. Taie la sciagurata conseguenza délia insipienia
di Graziani; il quale, invece di portare la marineria da
guerra a numéro e potenza da fronteggiare la nimica, aveva
inconsultamente tolto a molti legni le artiglierie per
armarne i forti, e, piii che ad acquistare la preponderanza
sul mare, volto sue cure a difendere l'interno délie lagune
e assicurarne la navlgazione ; egli non aveva saputo com-
prendere che, dopo la caduta délie armi italiane a Novara,
se per Venezia tuttavia esîsteva un'àncora di salute, questa
doveva trovarsî nella sua marineria di guerra.
Erano le cinque antimeridiane del 24 maggio, quando
gli Austriaci prendevano a percuotere Marghera con una
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YBRXZIA X UNOABIA 839
tempesta di palle, di granate e bombe; cencinquantuno
cannonl, obici e mortai, ordinati eatro le due parallèle
gm costrutte in dicianacve batterie, abbracciavano in un
mezzo cerchio di fuoco — il quale correva da Bottenigo
a Caznpalto — quella fortezza e le opère di fortiflcazione,
che ai lati ne accrescevano le difese. A si furioso tempe-
stare délie artiglierie nimiohe, gli assediati, non potendo
rispondere che con sole settantacinque, supplivano alla
scarsezza del numéro con la celerità del tirare; ed essi,
che erano tutti giovani soldati, comportaronsi in quel com-
battimento con taie maestria e coraggio, che di più non
sarebbesi potuto attendere da uomini proyatissimi nelle
armi e da lunga pezza esercitati nel maneggio del cannone:
onde a buon diritto i difensori di Marghera ebbero fama
e prestanza di valorosi. £ l'Ulloa — capitano assai diligente
e perito e sul quale tutta riposavaladifesa délia fortezza —
e Gosenz, Sirtori, Galateo e Rosaroll f urono superiori a ogni
elogio; accorrendo ove la morte flaceva la strage maggiore,
ne sdegnando surrogare anche nei più bassi offici il gre-
gario ucciso o ferito, essi potentemente rinfrancarono le
forze dei loro soldati ; e cosi puossi affermare essere stati,
in qnella difficile prova, gli uni degni degli altri, tutti poi
degni délia causa che difendeyano. Il flioco, vivissimo in
tutta la giornata, dalla parte degli assediati rallentô verso
il tramontare del sole causa la diiTalta di munizioni;
avvegnachè, se copia grande ne aveva consunta il cannone
di Marghera, eziandio non poca fosse stata distrutta dai
proietti nimici caduti su le riposte délie medesime% sopra
due barche cariche di esse. Il fuoco degli Austriaci durô
al contrario in tutta la sua intensità sino a notte fatta ;
durante la quale le artiglierie trassero d'ambe le parti a
lunghi interyalli ; ciô che permise agli assediatori e agli
assediati di riparare ai danni piii gravi toccati aile batterie
nella bombardata di quel giorno. La quale il di appresso
riprese e seguitô con sempre crescente furore da parte
degli Austriaci e da quella dei difensori con intensità
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ZiO OAPITOLO TII
sempre déclinante per lo venir meno non soltanto
munizioni, ma anche délie artiglierie, non arendone in serbn
tante che bastassero a snrrogare le guaste e le scavalcate.
n rovînarsi délie difese di Marghera, in cento luoghi
rotté dai proietti degli Austriaci, e il continue dimimiiro
deirappoggio dei forti Manin e Rizzardt, e délie batterie'
dei dnque Archi si fattamente queste e quelli malconci
da reggersi a mala pena per poco tempo, inducerano il
Goyerno dittatoriale a interpellare il colonnello Ulloa sq
la possibilità di continuare efflcacemente nelle resistenz>^
di Marghera senza metterne a repentaglio il presidio; il
quale, non estante i sussidi venutigli di Venezia — soprara-
modo di artiglieri — andava ogni ora più assottigliandosi;
e ruiloa rispondevagli: = Essere ancora possibile di resi-
stère, se gli si mandassero mnnizioni e buona mano di mar-
rainoli con sacchi di terra e fascine, in copia taie ch^
bastassero a chiudere le rotture dei parapetti. = Ma il
Governo, veggendo di non potere soddisfare a quantn
chîedevagli il colonnello Ulloa; in oltre, informato che il
générale Thurn preparavasi ad aâsaltare la fortezza cel
mattino dei 27 (1), ne decretava lo sgombero, per restrin-
gère le difese di Venezia ne' suoi confini naturali, entro
cui la città ritenevasi veramente inespugnabile. < Le esi-
genze daU'onore militare, cosî Manin nel suo décrète dei
26 maggio, sono ampiamente soddisfatte per le segnalai^
prove di perizia, di coraggio e di perseveranza che dîp-
dero il presidio e l'egregio suo comandante nel ripulsare
replicAi fierissimi assalti, e portando all'inimico gravis-
simi danni; » — AU'albeggiare dei 26 ricomînciô d'ambe
le parti con eguale gagliardia il trarre délie artiglierie
(1) Che nn assalto si dovesse dare a tntta la fortezza nel mattiBo
dei 27 mag^o lo disse lo stesso Thurn nella sua rekizione dell'assedio
di Harghera al Ministro sopra le armi: u Bgli voleva cosi adempiere
al deâderio ardente, da Inngo tempo nutrito da' suoi brari soIdatL '
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VSVBZIA X UVOABIA 341
e dopo qaalche ora di bombardata il coloaaello Ulloa —
che aveva avuto il carico di mandare a effetto lo sgom-
biro délia fortezza — chiamati a sô i comandanti degli inge^
^neri militari, délie artiglierie e délie fanterie del presidio
diede loro gli ordini délia ritratta, la quale doyeva comin-
ciare sul cadere del giorno. Il fuoco dei cannoni di Mar-
ghera e dei forti Manin e Rizzardt, pur rallentando verso
lo imbrunire, aveva a cessare soltanto a notte avanzata,
allô scopo di far credere agli assedianti, che i difensori
pcrdorayano nelle resistenze: e cosi fu. AU'ora fissata —
le nove di notte — ebbe cominciamento lo sgombero. Du-
rante quel giorno erasi già lavorato attorno al trasporto di
due grossi cannoni e due obici, i quali, con una barca
carica di polveri vennero condotti aVenezia; le rimanenti
artiglierie, man mano che terminavano il loro fùoco,
inchiodavansi; e le munizioni di guerra gettavansi nella
laguna. I presidi si ritrassero quasi a scaglioni; primo fu
quello del forte Manin^ che si imbarcô; di esso due com-
pagnie dei cacciatori del Sile dovevano scendere al forte
San Giuliano; le altre a Venezia; indi tennergli dietrogli
artiglieri e le fanterie di Marghera; ultime, in retroguardia,
il presidio del forte Rizzardi e délia batteria dei Ctnque
Archi; e parte sopra barche, parte per la via ferrata e
il ponte su la laguna ripararonsi entre Venezia. La ritratta
compissi in quattro ore, ordinatamente e in taie silenzio,
che il nimico di nulla si accorse; e ciô diciamo non estante
la contraria affermazione di scrittori, in yerità ingiusti
verso quel valorosi che seppero difendere Marghera dopo
ventinove giorni di trincea aperta; i quali si ritrassero
per non vedersi tolta Tunica yia di scampo, che certamente
^vrebbero il giorno appresso perduta, in forza deirassàlto»
che con armi poderose Thurn ayeya risoluto di dare alla
t'^rtezza; assalto preyeduto dal Goyerno dittatoriale e dal
«omando supremo dell'esercito per certe notizie lor giunte
'lai campo assediatore. Quel valorosi — tra cui primissimi
Ulloa, Gosenz, RosaroU, Mezzacapo, Galateo e Sirtori — la-
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842 GAPiTOiiO yn
sciarono Marghera totalmente rovinata, com*ebbe a confes-
sare il aimico stesso, che ayeva fulminato quel forte cou più
di sessantamila proietti, ai quali i difensori aveyano risposto
con ottantamila gettati contra le trincee e le batterie
degli Austriaci. D'altronde nella condizione in cui trova-
yansi le eose una più lunga resistenza in Marghera, anche
se al presidio fosse stato dato di ributtare sempre e coc i
yantaggio gli assalti di Thurn, e ammettendo pare che 1
difensori délia fortezza non corressero il pericolo di
perdere l'unica lor yîa di ritratta — la quale era protetta.
non troppo efiScacemente per6 in quegli ultimi giorni» dal
forte Riszardi e dalla batteria dei Cinque Archi — una |
piii lunga resistenza, io dico, sarebbe stata certamente ai |
danno alla difesa di Yenezia; mentre essa ayyantaggiavasi j
dimolto col raccogliersi di tutte le forze armate entre h
lagune. Verso le due antimeridiane del 27 maggio Marghera
non ayeya più difonsori; del presidio, che in sul comin-
ciare deirassedio contaya due mila e cinquecento uomini
allô incirca, cento yi perdettero la yita; a quattrocenU»
toccarono ferite, e la maggiore parte si grayi, che h.
breye tempo ne spensero da trecento; degli imperiaii poi,
dalla notte in cui diedero mano alla prima parallela sino i
alla caduta di Marghera, quasi mille caddero morti o feriti: |
e più di due yolte tanto fu il numéro dei malati per le j
fatiche e il serenare presse luoghi paludosi. — Sorgeyâ |
Talba del s^, quando una presa di cacciatori austriaci I
ayyicinatasi a Marghera, y^^ndone la yia coperta ài \
guardie afiatto déserta e non udendo yerun romore di
armi, salito il bastione scendeya nella fortezza, che un'orâ ,
dopo yeniya fortemente occupata dal nimico. Alla 'sua si-
curezza moltissimo importando il possesso di San Giuliano
— le cui artiglierie batteyano la gela di Marghera — un
capitano degli ingegneri militari con settanta soldatî lo
tentaya e se ne impadroniya senza contraste ; ayyegnachè
il presidio, dopo lo sgombero di quella fortezza, reputando
impossibile di sosteneryisi anche per poco tempo, nella
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VBNSZIA B UUGABIA 843
notte lo ayesse laaciato libero al nimico> che per brevi
istanti lo teime; perô che» avendo subito preso fuocouna
riposta di polveri, San Giuliano tutto roviaasse» seppel-
lendo in sue rovine due offlciali e diciotto soldati, che in
esso erano entrati (1).
Signori di Marghera, gli Austriaci davansi immediata-
mente e con somma alacrità a innalzare batterie di mortai
neirisola di San Giuliano e alla testa del gran ponte, i oui
primi archi erano stati allora allora distrutti dai Vene-
ziaoi per mezzo di cunlcoli già da tempo preparati; ma le
roYine degli archi abbattutl avendo riempita quella parte
di laguna che correva tra i pilastri di essi, dovovano gio-
vare non poco al nimico nelle sue nuove opère d'assedio.
1 difensori di Venezia, dallo scoraggimento in cui avovali
gettati la perdita di Marghera, presto si riebbero ; e bene
apprezzando in tutta loro giustezza le ragioni che avovano
indotto il Governo a comandarne lo sgombero, ripresa la
lena usata del fare e quella volontà altresi che tutto puô,
iûtesero con animo lieto e gagliardo ad afforzare la se-
conda linea délie difese, nella quale meritamente ponevano
la sainte délia patria. Questa seconda linea di difesa, go*
vernata da Ulloa, consistera in batterie di terra, e in zat-
tere e barche armate di cannoni; le prime costrutte sul
gran ponte, l'altre qua e là sorgenti su la laguna e sul
canali, le quali, più che altrove, trovavansi tra la città e
Marghera, la parte pib da vicino minacciata dal nimico
assediatore. Su la piazza maggiore del ponte — la quale
(1) u Occnpata Maigiiera,i nostri soldati ayanzaronsi verso il ponte
^Ua via f errata; molti di essi sino agli archi rovinati dal nimico;
&itri, gettatisi nella lagnna, nnotarono sino al forte San Ginliano per
impadionirsene. Sgraziatamente nna granata nimica aceese ona riposta
di polveri: onde venti soldati, tra cni dne officiai!, rhnasero vittima
àû loio coraggio. »
Belaàone del Inogotenente maiesdallo Tham al sno Governo.
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844 OAPiTOLO vu
sta a milleciaquecento metri dalla terraferma e ad altret-
taati da Venezia — era stata costrutta una batteria di
sette grossi cannoni e tre mortai; goTernavala Gosenz.
Gentoventi metri a destra e cencinquanta addietro a quello
alzavazi un*altra batteria nell'isoletta di San Seconde, mu-
Qita di quattordici artiglierle, pure di forte calibre, e di
sei mortai : comandavala Sirtori. Tra queste due batterie
sorgevano su Tàncora nel canale marittimo una zattera
con un mortaio e sei navi leggiere, ciascuna armata di
un cannone; al tre sel, tra l'isola di San Giorgio in Alga
e il ponte délia via ferrata: le primo poste sotto gli or-
dini di Sagredo; le altre, sotto quelli di Viscowich; due
capitani di corvetta, che non rare volte avanzaronsi di
giorno sin presso le rovine degli archi abbattuti par fui-
minare i nimici cho vi si nascondevano, e di notte sep-
pero eseguire sbarchi audacissimi; in fine, compivano la
seconda linea di difesa le batterie di Gampalto e di Teâ-
sera a destra del ponte; e di San Giorgio a sinistra di
esso. Altre ancora erano state erette dietro la batteria
délia piazza maggiore del ponte, e neirisola di Murano
e nel campo di Marte; ma queste, più che ad aflEbrzare
le batterie che stavanle rimpetto, costituivano una terza
linea, anzi la difesa estrema di Venezia. — Il mattino
del 28 maggio gli assediatori, dalle batterie costrutte nella
notte alla testa del ponte, dietro gli archi rotti e nel-
Tisola di San Gîuliano, prendevano a trarre bombe e
granate contra San Seconde e la batteria délia piazza mag-
giore del ponte stesso; e da questa lor rispondevano gli
assediati con bombe e palle, e con le artiglierie délie bar-
che cannoniere molestavano il nimico ne' suoi laveri di
assedio. — Nella notte del 2d Ullôa fece tentare San Qiu-
liane con cinque barche cannoniere e cinquanta soldati;
cape dell'impresa Sirtori, il quale, venuto a poce più di
cente passi daU'isola senza esser visto, trasse con sue ar-
tiglierie cariche a scaglia contra la batteria nimica; ma
trovando San Giuliano fortemente presidiato, dope nn'era
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VSNSZIA E rXQABIA 845
di combattimento retrocedette. A qaesta, corne aU'impresa
<lel 6 giugno contra Botteaigo, da dovo gli Anstriaci bat-
tevano le barcho cannoniere ancorate nel canale di San
Giorgio in Alga — imprese che avevano per intento di
distruggere le offese degli imperiali — non sorti esito felicc
per la vigile guardia che vi facera il nimlco, e per easere
State tentate da forzc insufScienti.
Il 31 maggio i rappresentanti del popolo raccoglievansi
a Parlamento per invite di Manin; il quale, dopo aver
fatto conoscore le pratiche tenuto coi Governi amici — di
Prancia ed Inghilterra — allô intento di ottenere, corne
sopra scrivemmo, una conveniente posizione politica in
Italia e in Europa, metteva innanzi per una lega con la
Ungaria le offerte di Kossuth, cioè di un soccorso di ar-
mât], di danaro, di due frégate a vapore a Yenezia, se
aelle resistenze potesse durare sino a luglio; in oltre, Ma-
nia notificava ai congregati una lettera del ministre
De Bruck, chiedente a qvuM patti Venezia si pacifiche-
r^be con VAtistria. £ TAssemblea, posta per base d*ogni
trattativa la indipondenza assoluta délia Venezia, rispon-
deva a De Bruck col seguente décrète : « Le milizie di
terra e di mare col loro valore, il popolo co' suoi sacrifizi
haimo bene meritato délia patria. L'Assemblea, persistendo
nella deliberazione del 2 aprile, fida nel valore dei soldati
e nella perseveranza del popolo. Il présidente del Govemo,
Manin, è abilitato a continuare le trattative iniziate in
via diplomatica, salva sempre la ratificazione deirAssem-
blea. » Questo décrète deirAssemblea venne salutato con
gioia dal popolo; il quale, pieno d'entusiasmo, fecesi per
ogni dove agridare: doversi resistere ad ogni costo. Per
invito del ministre De Bruck il mattlno del 2 giugno Ma-
nia spediva i cittadini Oalucci e Foscolo a lui, giunto al
iora allora in Mestre per negoziare la pace. Alla demanda
(MVindipendenza assoluta di Venezia e di tanto territorio
che bastasse alla esistenza sua, il Ministre impériale ri-
spondeYa: m II Ooverno austriaco avère risoluto di ra
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346 OAPITOLO ▼)!
cquistare la città ; ma essore pronto di dare leggi costitn-
zionali al regno Lombardo-Veneto, separandolo in due.
Sezioni, la lombarda e la yeneta; in oltre, a fare di ^>
nezia una città impériale con reggimento municipale. =
Tali condizioni di pace, o quelle che Tinviato deU'Ausiria
ebbe di poî a oâ*rire ai Veneziani, furono respinte dalVAs-
semblea, corne diremo tra brève. — In questo mezzo la
squadra nimica, avvicinatasi alla spiaggia che corre dal
porto di Chioggia a quel di Brondolo e di Fossone, minac-
ciaya sbarcare gente per rovinarvi le difese. Il 3 glugno
tentava porto Fossone; ributtata, batteva nella notte, in-
fruttuosamente perô, con tre legni a vapore il forte Lom-
bardOy le batterie di Sotto Marina, di San Felice e Ca-
roman, lo quali difendevano Tentrata del porto di Chioggia;
e il giorno appresso fulminava, ma sempre invano, per
mare e per terra quelle che alzavansi, ove la Brenta mett^
foce su l'Adriatico. Due giorni di poi Radetzk}', arrivato a
Mestre il di stesso dello sgombero di Marghera, faceva ssr
saltaro il forte Brondolo — che giace dove insieme con-
fondonsi le acque del Bacchiglione» del canale di Yaiie ^
del Brenta, distante un*ora di cammino da Chioggia -
per divertire le forze armate degli assediati e rirolgerne
altrove Tattenzione. Brondolo — il quale consisteva in un
quadrilatero bastionato — era fiancheggiato a destra dal
picciolo forte di San Michèle; a sinistra era unito al m&^
da una trincea a denti^ che formava dietro ad esso un trio*
cerone, entre cui eleTavansi due forti, cioè il Lombardo^
eretto su la marina per impedire Tawicinarsi del nimico:
e il forte délia MouUmna, che da quella parte proteggeva
la spiaggia di Chioggia. L'assalto fu vigoroso, gagliardis-
sima la difesa di Brondolo; dope dieci ore di combatti-
mente il nimico, veduti tornar vani gli sforzi suoi, toglie-
vasi giù dairimpresa; se quel forte fosse caduto, Chioggia
e il suo lido sarebbero subito venuti a mano degli imperiali.
Correva il 13 giugno, quando gli Austriaci scoprivano
le batterie costrutte nascostamente in quoi giorni a Botte- |
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VEKEZIA B UKGABIA 347
Qjgo, alla testa del ponte su la laguna» neirisola di San
Giuliano e in Campalto ; e prendevano a trarre con furia
contra quelle di San Seconde e délia piazza maggiore del
ponte, davanti alla quale erano stati démolit! otto arclu.
Dalle batterie violentemente percos3e dagli assediatori, gli
assediati risposero con Tusata prodezza al vivissimo fuoco
dei cannoninimici; cui riesci gettare alcnne bombe sino
nella parte esterna délia città e nell'ospedale militare di
Santa Cbiara, sul quale sventolava una bandiera nera. D'al*
lora la grande batteria del ponte ebbe il nome di Sanf An-
tonio, per avère con vantaggio sostenuto poderosa bombar-
data il 13 giugno, sacro a quel santo, in molta venerazione
non solo presso i Padovani, che ne posseggono il corpo,
ma anche presso i Veneziani. D'ambe le parti il fuoco délie
artiglierie dura incessantemente sino a tutto il 15; nella
nette diminuendo d'întensità per poter riparare ai guasti
toccati aile batterie durante il giorno. — A meglio e piîi
soUecitamente provvedere ai bisogni délia guerra — che
andavano sempre crescendo e facevansi ogni di piii im-
periosi — il 16 giugno daU'Assemblea dei rappresentanti
del popolo creavansi Ulloa, Sirtori e Baldisserotto — un
lnogotenente di vascello — Gommessari militari con ampia
e suprema potestà di fare tutto quanto in loro saviezza
reputassero necessario a mantenere vive e in buono stato
e difese délia città. Ne certamente a mani piii vigorose,
ne ad uomini piu audaci, più risoluti e piii fermi di quoi
Commessari potevasi âdare il difficile governo délie resi*
stenze di quel propugnacolo délia libertà italiana, che era
Venezia; i quali, in un manifeste al popolo affermavano
allora: = Avère accettato quel grave obbligo con la in-
tenzione di resistere sino allô estremo, e nella persuasionc
che nei cittadini, nell'esercito e nelle Guardie Nazionali
non sarebbero mai per venir meno quel coraggio e quella
virtù di cui avevano già date luminose prove; in fine, in-
vitavanli a conservarsi uniti sempre e concordi. — Il géné-
rale Pepe, credendo che la Commissione di difesa mirasse
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343 OAPiTOLO vu
alla dittatura militare, onde sarebbe stata diminuita dimolto
la sua autorità, voleva riaunziare al comando supremo délie
armi; ma ciô impedira Manin, chiamandolo a presiedere
a quella Commissione (I); per la quale cosa avvantaggiavasî
aucora plu la difesa. Fu allora che Pepe ai soldati e ma-
rinai e ai difensori délia indipendenza italiana parlo in
queste sentenze: = Ora che il nimico ha posto il piede
nella nostra laguna, essere un dovere per tutti di combat-
terlo con valore più gagliardo di quello mostrato nei ci-
menti di Mestre e neirassedio di Marghera. La base délia
forza trovarsi nella militare disciplina ; il fondamento di
questa, nella obbedienza cieca, soprammodo necessaria ne-
gli alti carichi délia milizia, avvegnachè il buono esempio
venendo daU'alto torni sempre piii efficace. Punirebbe
egli inesorabilmente ogni mancanza, e terrebbe colpeTole
di alto tradimento chi, sotto qualsiasi pretesto, lasciasse
il posto dalla patria fidatogli. Essere perô securo che sa-
pranno meritarsi délie ricompense da lui e dai loro con-
cittadini, ricompense più gloriose di quante mai si pos-
sano raccogliere, perché passerebbero alla posterità. Guar-
darli TEuropa e Tltalia! I fasti di Yenezia di quattordici
secoli essere per ricevere dal loro valore un noyello splen-
dore; dover quindi tutti ope^^are in modo che, oltre le
Alpi, gli uomini di cuore abbiano a invidiarci i patimenti
sofferti e i pericoli corsi per la eroica Yenezia. = Senza
por tempo in mezzo la Commissione militare si accinse
con ardore e alacrità somma aU'opera sua; in brève ora
rimise nella milizia la disciplina di quel giorni svigorita
d*assai; institui un tribunale di guerra per giudicare e
punire i crimini di tradigione; port6 a numéro le com-
pagnie degli artiglieri Bandiera e Moro, le quali avevano,
in Marghera, patito gravi perdite; accrebbe le fortifiea-
zioni di Brondolo, e con nuove difese protesse il basso
(1) Segretario générale délia Commisaione fa Luigi Seismit-Doda.
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VENXZIA. B UHGABIA M9
Brenta, là dovo matte foce in sul mare; restaurô le bat-
terie di San f Antonio e San Secondo e ne aumentô il nu-
méro dei cannoni ; in fine, diede il comando délia divisione
navale a Bacchia, capitano di corvetta, ingiugnendogli in
pari tempo di uscir siibito di Malamocco — nel cui porto
stavasi quella raccolta — per assaltare le* nayi nimiche,
allô scopo di allargare e rompere Tossidione di Venezia,
e poter cosi rifornire la città di vettovaglie, già peïiu-
riante. — Era la notte del 10 giugno, quando la riposta
di polveri deU'isoletta délie Orazie —- la quale sorge dalla
lagana a poco piii d'an chilometro dalla piazzetta di Ve-
nezia — scoppiava con empito spaventoso, riemplendo di
terrore la città, il Lido e il campo impériale ; la cagione
dello scoppio non conobbesi allora, ne di poi. AU orrendo
strepito i Veneziani corsei^o in foUa al palazzo, sede del
Govemo, e, tumultuanti, incolparono di quel disastro la
Gommissione militare. Sdegnato di tanto ingiosta accusa
lanciata contra uomini onorandissiml, Manin, portatosi
dinnanzi al popolo, parl6 fieramente cosi : « Il vostro con-
tegûo è indegno dei cittadini di Venezia; vol non siete il
popolo, Yoi ne siete la feccia; io non modellerô giammai
i miei atti sui capricci d'una accozzaglia di perturbatori;
io non mi regolerô che sul veto dei rappresentanti del
Tero popolo di Venezia. Quanto a voi, io vi dirô la verità,
se anche vedessi gli schioppi e i vostri pugnali appuntati
al mio petto. Ora, che ne siete awertiti, andate. » Il ro-
more cessô all'istante, e la moltitudine dei cittadini in
pochi moment! si disperse gridando: Viva Manin. Due
giomi dopo il Dittatore înviava Giuseppe Calucci e Lodo-
Tieo Pasini, membri deU'Assemblea, al ministre De Bruck,
allora in Verona, per riprendere le pratiche d'accordo,
State sospese a Mestre, e fermare con l'Austria una pace
onorevole, la quale avesse a dare a Venezia la tanto so-
spirata indipendenza. Se non cbe, tornato impossibile ai
negoziatori veneti di ottenore dal Ministre deU'Imperatore
guarentigie valevoli ad dssicurare i diritti délia nazione
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350 CAPiTOLO vn
e famé rispettata la dignità ; in oltre, veggendo çMelli
che Vadempimento délie di lui promesse pendeva dcU ca-
pricdo del Ooverno di Vienna, per essere sprovvedutedi
sanzione; in fine, che le offerte faite alla città racchiu-
devano una dedizione vituperosa, le pratiche furono rotte
0 pubblicate poscia per le stampe, afflnchè VEur&pa gm-
dicasse ira VAustria e Venezia.
Il trarre délie artiglierie contîauava incessante e furioso
d'ambe le parti; se gli assediatori intendevano àiroffesa
con vîgore e forza, con uguale forza e vigore gli assediati
intendevano alla difesa; per la quale cosa Tassedio poco o
nuUa avanzava (1). Thurn, bene preveggendo di non poter
venire a capo deU'impresa sino a quando la batteria
SanVAntonio non fosse compjiutamente distrutta, il 27
giugno con violenza e impeto grandissime la bombardé;
ma non riesci nell'intento suo, avvegnachè, sebbene Tavesse
tutta malconcia e in parte anche rovinata, pure gli arti-
glieri la rifecero nella notte e la misero in istato taie da
tenere, come per lo addietro, validissimamente contra il
tempestare del nimico. Essa ebbe perô a perdere, in sul
cadere di quel giorno, lo strenuîssimo offlciale che la
governava, Cesare RosaroU, napolitano, da Pepe sopran-
nomato YArgante délia laguna. Colpito alla spalla destra
da un proietto di cannone, ai soldati a lui accorrenti
gridô: * Aile vostre artiglierie! aile vostre artiglierie!»
e a Pepe — nelle cui braccia due ore dopo spirava la
grande anima — il quale stringendogli la mano cercaTa
confortarlo: « Non io, che muoio, devo essere l'oggetto
del vostrî pensîeri, sibbene Tltalia nostra » (2). — Il gène-
(1) Vedi TAtlante.
(2) tf GioYÎaetto, cosi Franoesco Ganano nella vita di GogUeliDi)
Pepe, segnendo il padre aveya Eosaroll combattuto per la Hbertà delU
Grecia. Poi fu in Napoli condannato nel capo per congima milltare
contra il Be, ma, graziato, ta messo in ferrL Dopo tre Instri toniato
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YKKSZIA B UKGABLA. 351
raie Pepe, dopo aver fatto conoscere ai soldati la morte di
quel raloroso e ricordato corne i difensorî délie lagune,
^ebbene abbandonati dagli uomini, e dalla Provridenza
sommessi aile ppove più dure, si fossero perô mostrati
sempre all'altezza délia gloria, che Venezia mantenne per
ben quattordici secoli, ordinava che a perpetuare la me-
raoria di Rosaroll, vonlsse dal suo nome chiamata la bat-
toria allora costrutta su la prima piazzetta del ponte,
dietro quella di Sant'Antonio. — Thurn, accortosi di non
poter distruggere con una bombardata la batteria San-
t' Antonio, ne opprimerne i difensorî, deliberava impadro-
uirsene con improwiso assalto. Nella notte del 6 al 7 luglio,
allô elevarsi délia marea il capitano BrûlU con qua-
ranta soldati eletti, calati in due barche, andava airim-
presa; mentre Campalto con un vivo trarre délie sue
artiglierie chiamava da quella parte Tattenzione degli
assediati. L'alba era vicinissima, quando una barca incen-
diaria arrivata presso quella batteria tutta awolgevala in
dense fumo; nel medesimo tempo BrûU ne scalava co'suoi
il parapetto. Sorpresi da quel sîibito apparire del nimico,
i difensorî di quella, colti da timor panico, dopo lieve
a libertà, domandô di andare alla guerra per la indipendenza italiana.
Toccô ferita in Cnrtatone. Alla difesa di Venezia combatte sempre ore
maggiore il perîcolo. Da Marghera usciva spesso con brève drappello
di arditissimi, e tatto impeto e fnria andando inaino ai piè délia trinoea
degli Anstriaci proyocarli a pngna nell'aperto. Sol gran ponte exa al
comando délia batteria Sanf Antonio. Stando in qnesta ai 27 di gingno,
con la febbre addosso, fece prove incredibili di yalore, poichô i nimici
in quel giorno essendosi incapati di atterrarla a tntta forza , tali e
tante offese vi scaglîarono contra, che de' sette cannoni che areya,
<nnqiie faiono scavaleati, saltd in aria nn magazzino ripieno di polyeri
da guerra, si appiccô il ftioco a materie ammassate nell'angnsto apaiio.
^01 la fn salya. E la sera, allora apponto che il Bosaroll potô yedere
tomate yano qnel massimo sforzo degli Anstriaci e goderai del pensiero
di aver tanto operato a sostenere Tonore di Venezia, colpito da palla
di cannone stramazzô. »
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352 OAPITOLO Yll
contrasto âietreggiayano, lasciando la batteria in mano
airaudace assaltatore, il quale, con dissennato consiglio, no
cliiodaya i cannoni, cho avrebbe dovuto volgere contra
San Seconda e le altre difese del ponte; errore che pochi
istanti dopo facevagli perdere sua facile conquista; awe-
gnachè, corsi alla riscossa quci due valorosl, che erano
Perazzi e Gosenz con alquanti soldati il ributtassero dal
ponte: nella quale brève fazione fu morto il capitano
Brûll. Se taie impresa, da prima bene riescita, fosse stata
yalidamente sostenuta da grossa mano di Austriaci e dall»^
artiglierie di San Oîuliano; e se, corne già dissi, i can-
noni délia batteria Sanf Antonio fossero stati volti contra
la batteria Rosaroll e contra la città — onde sarebbe riu-
scito facile superare il canale San Seconda — Venezia
non avrebbe potuto resistere più a lungo. La sorpresa del
7 luglio fece gli assediati più vigilanti; d'allora le batterie
furono più attentamente guardate; a quella di SanV Antonio
e Rosaroll vennero aggiunti due fianchi bassi muniti
d'obici e di cannoni, e fu sbarrato il canale San Seconda.
— Non iscoraggiti dal cattivo esito toccato ai loro tenta-
tivi d'improvvisi assalti, gli Austriaci, che vedevano distrutti
nella notte i lavori d'approccio innalzati durante il giorno
sul ponte, pensarono fulminare Venezia con bombe portato
da palloni areostatici ; una ventina de' quali vidersi il
12 luglio alzarsi da una fregata accostatasi al Lido, c le
bombe scoppiare senza arrecare il più lieve danno alla
città; un pallone discese entre il forte San Nicoldy due
caddero nella laguna. Intanto la popolazione comînciava a
soffrire per famé. La Commissione, che intendeva ail.»
grascie, già da tempo aveva prcso gravi deliberazioni
contra gli incettatori di vettovaglie, razza vilissima d'uo-
mini d'assai lunga peggiore dei ladri ; ma serrata da ogni
parte la laguna dalFesercito assediatore e chiuse le vi»*
del mare dalle navi austrîache, la quotidiana consuma-
zione délie biade era sempre maggiore dimolto di quanto
i contrabbandieri potevano giornalmente fornire a Venezia:
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YENIZIAS X7NOASIA
onde ogni giorno piii aumentava la pcnuria dei viveri. Le
saggie provvidenze délia Commissione annonaria ayerano
bensi dato buoni frutti, ma furono di brève durata ; avve-
gnachè i tristi trovassero presto modi artiflziosi per élu-
dera le leggi piii beaefiche. Il valore del pane essendo
oltremodo cresciuto, la Commissione ordinava, che si
avesse a fare d'una mistianza di farina e segale, nel
tempo stesso determinandone il prezzo; di poi imponeva
ai venditori di commestibili e aile famiglie di notiflcare
con esattezza tutte le provvigioni che possedevano, pena
la confisca ; ma non estante il provredere sennatissimo
dei Commissari alla bisogna pubblica, la carestia^ e con
questa le tristi inevitabili sue conseguenze, avanzavasi a
grandi passi! — Altri tentativi di sbarchi sul ponte, e
altri di assalto contra Brondolo rinnovaronsi dal nimico
8in quasi al cadere di luglio, riesciti perô sempre a vuoto ;
anzi ni di quel mese fu costretto a togliersi giù daU'im-
presa di Brondolo, causa la itisalubrità dell'aria, la quale
infermaya moltissimi soldati; e in oltre a cagione délia
natura paludosa del terreno, che rendeya oltremodo dif-
ficile i layori e il trasporto délie pesanti artiglierie d'as-
sedio. Il ferro e il fuoco del nimico e le malattie avendo
assottigliate .di molio le schiere dei difensori di Yenezia,
la Commissione militare chiedeya la mobilitazione di parte
délie Gimrdie Nazionali ; e TAssembleail 19 luglio decre-
tava pma leva di mille di esse per l'esercito, e il di ve-
gnente quella di quattrocento uomini per la marineria da
guerra.
La notte del 28 al 20 luglio era giunta a mezzo del suo
corso, quando un trarre furioso délie artiglierie austriache
— il cui fuoco aveva da piii giorni diminuito di intensità
— chiamava in su l'arme la popolazione, tutta riempien-
dola di terrore e confusione. Le bombe e i proietti d*ogni
specie, cadendo numerosi nei quartieri di Ganereggio,
San Giacomo, San Samuele e San Barnaba, ne costringevano
23 — VoL n. Xasiaki — Storia pd* t m%L
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354 okVTTOho vn
gli abitatori a cercare salvezza nei lontani tanto dalle bav
terie nimiche, da non potere essere côlti dalle loro offese;
ed essi venivano intorno alla piazza San Marco e alla riva
degli Schiavoni, ove ricevevano ospitalità cordiale e aiuto
veramente fraterno dai ricclii e dai poveri, dal Clero,dal
Municipîo, dal Governo e persino dal soldato; il quale,
oltre all'aprire a quegli infelici la sua stanza, facevasi a
dividere con essi il poco che possedeva. La confusions
in su le prime assai spaventosa, destata nella popolazlone
dal violente fuoco délie armi assediatrici, presto cessô; e
Venezia riprese l'abituale sua tranquillità mercè Jesa-
pienti cure delFAssemblea, che seppe con soUecitadine
prowedere di ricovero, di vitto e di laroro i cittato i
quali per salvare la vita avevano lasciato le loro case.-
Per la molta distanza che correva dal campo impériale
alla città assediata, non potendosi bombardare questa ù
coi mezzi e non nei modi ordinari, Tburn aveva £
costruire neU'isoletta di San Giuliano due batterie di grosâ
cannoni e di paixhans; un'altra dietro il ponte di SaQ
Giuliano; una quarta nelle vicinanze di Campalto, euni
quinta entro Gampalto stesso, tutte poi fornite di groai
cannoni ; i quali, cavalcati a guisa di mortai e poggla^
aUe scarpe interne dei parapetti, trovavansi inclinati sotv
Tangolo di quarantacinque gradi, e ciô per essere stafl
data una taie inclinazione aile scai*pe dei parapetti : oni
con cariche di meta peso dei proietti poteronsi quest
gittare sino alla distanza di quattro e di cinque mil
metri e più dalle batterie, tanto da cadere nei ceatro i
Venezia, e dalla batteria di Campalto fin dentro Tisola d
Murano. La bombardata, che d'allora ùx senza tregaa
sempre furiosissima, destô parecchi incendi, e guastù no!
pochi capolavori di architettura e pittura; ma non î&^s
a rimuovere i Veneziani dal generoso proposîto di resis^r
sino allô estremo; i quali ebbero di quel giorni acomba
tere aU'interno dei nimici, sotto certi rispetti più peria
losi degli assediatori. Erano alcuni arrabbiati agitatoi
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VSNEZIÂ. X ITHOABIA 355
che, mettendo innanzi lo stolto disegno di levare in su
Tarmi quanti erano atti a portarle e Timprudente consiglio
d*ana uscitaditutte le forze armate, gettayano il popolo nella
massima commozione, e la discordia tra governanti e go-
yernati. £ siccome i subornatori erano riusciti a gua-
dagnarsi con artifizi ingannevoli l'animo di qualche gio-
vane soldato, cosi il générale Pepe, in un manifeste del
31 luglio all'esercito, dopo averne lodate le militari virtù,
le quali rendevano lui superbo di comandare a milizie
italiane, inTitavalo a sopportare con coraggio le dure
prove della guerra e le più dure estremità di essa, che
sarebbero per toccargU; in pari tempo Tassicuraya, essere
egli per eccitare, anche nel nimico» un sentimento di
invidia, non mai di pietà. — Se una uscita di tutto l'eser^
cito contra Tassediatore poteva tornare pericolosa e de*
plorevole per une spreco inutile di vite, quella di pochi,
ma di eletti soldati, se gagliardamente condotta, poteva
riescire di grande yantaggio a Venezia. E di gran proâtto
le fu di yiveri Tuscita di Brondolo del primo agosto; nel
quale giorao da milledugento fanti, trenta cavalleggeri e
qaattro artiglierie da campo, duce lo strenuissimo Sirtori»
lauoTevano verso il Brenta e lo varcavano divisi in tre
schiere, procedendo celermente contra i posti avanzati
degli Austriaci, distesi da Gonche a Oalcinara, e valida-
mente asserragliatisi là dove congiungonsi i due argini di
quel fiume: scopo deiruscita, sopravanzare taie posto, la
cui perdita avrebbe costretto il nimico a indietreggiare (I).
La schiera di destra — di quattrocento fanti del reggimento
Oalateo (2), sedici cavalleggeri e due cannoni — per la
(1) Yedi rAtlante.
(2) n reggimento del Galateo — ordinatissîmo per virtû di loi che
lo comandava — quando fu lasciata Marghera agli Austriaci^ andô aile
difese costmtte snl ponte deUa via ferrata; a mezzo giugno portossi a
presidiare i forti del Lido, che stavano sotto il govemo del générale Sc-
iera; un mese di poi Galateo veniva trasferito a Chioggia,oye rimase
mo alla resa di Venezia.
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356 OAPITOLO VII
sinistra del Brenta doveva portarsi sopra .Conche e impa-
dronirsene ; quella di mezzo — dugento veliti e ceato fanti
di ordinanza — per la sinistra del Bacchiglione girando
sul âanco il poste fortificato degli Austriaci, doyeya assal-
tarlo al momento in cui sarebbegli andata sopra la schiera
di destra; in fine, quella di sinistra — che contava sei-
cento fanti, quattordici cavalleggeri e due cannoni — oc-
cupata Brenta dell'Alba aveva a riunirsi con Taltre due su
la Galcinara. Gli imperiali fecero dovunque brève resistenza;
e da Brenta dell'Alba si ritrassero con tanta furia da la-
sciarvi una bandiera, alquanti schioppi e non poco cor-
redo da soldato, e che tutto venue a mano degli usciti con
molto grano, vino e dugento buoi; anni e vettovaglie chu
in sul cadere del giorno portarono in Chioggia; e copia
assai maggiore di viveri avrebbervi potuto recare, se il
Municipio di Chioggia, giusta il comando datogli, avesseli
forniti non di trenta, ma di sessanta barche. Il buon esito
toccato all'impresa del presidio di Brondolo indusse i di-
fensori di Treporti a uscir fuora per vettovagliarsi ; dei
quali, in su la sera del 2 agosto da settecento awiaronsi
verso la Gava Zuccherina; ma la vigile guardia del nimico
mandô a vuoto il loro tentative : onde il di vegnente, rifatta
la via, rientrarono in Treporti.
Quasi che i mali délia guerra e la carestia non bastas-
sero ad affliggere l'eroica Venezia, un terribile morbo, il
choiera, che sine allera era andato serpeggiando per la
cîttà mietendo poche vittime, erasi in quel mezzo allargato
in tutto VEstuariOy dovunque spaventosamente infierendo;
ciô nobpertanto i cittadini mostravansi fermî nei delibe-
rati propositi, avvegnachè le miserie presenti, ne le peg-
giori che prevedevano essore per toccar loro, facessero
venir mené in quel generosi il coraggio e il perseverare
nelle resistenze (1). L'Ungaria, nella quale i Yeneziani
(1) Un bmtto caso , ma ohe prora quanto il popolo yeneziano fosse
risolntissimo a leaistere sino allô estremo, accadde il 3 agosta Attî-
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YENBZIA E UNOARIA 357
âverano riposte tante speranze di validi aiuti di navi, di
soldatesche e di danare — navi, soldatj e danaro più velte
prbmessi — TUngaria, io dico, allagata di poderose armi
moscovite, vedeva allora la sua fortuna declinare; e, seb-
bene rittoriosa in molti cembattimenti e in molto giornate
degli eserciti deli'Austria, nondimeno vedeva i suoi giorni
essere contati: tutte ciô Venezia sapeva, eppure, non di-
sperando délia sainte sua, resisteva da forte! e con onore
d'Italia teneva alta la nazionale bandiera, già da un mese
gloriosamente caduta a Roma! — - L'assedio andava sempre
piii stringendo in un semicerchio di fuoco e ferre la stre-
auissima città, su la quale gli Austriaci facçvano piovere,
senza tregua mai, una mirlade di proietti, oui rispondevano
intrepidamente 1 difensori, costretti perô a trarre con
lentezza per lo scarseggiare délie polveri. Importava som-
mamente agli assediati rompere o almeno allargare l'os-
•'^idione délie navi imperiali; perô che dalla parte di terra
fosse omai impossibile provvedersi di viveri e di quanto
abbisognava alla guerra; e siccome dalla marineria veneta
opérante con audacia e vigore ciô soltanto dipendeva —
onde con vantaggio di Venezîa sarebbei*si prolungate le
resistenze — cosi le si volgeva il Governo délia repub-
Uica, tutto sperando dal suo coraggio, dal sue amor patrie.
Vane speranze ! avvegnachè si trovasse allora in condizioni
deplorevolissime sotto ogni rispetto, soprammodo per la
Quiltare disciplina, di quel giorni allentatasi tante da ve-
dere ribellarsi e disobbedire ai comandi dei loro capi i
marinai, i quali avrebbero dovuto essere prima gloria e
primo décore di Venezia, un di potente e temuta per opéra
e sapienza dei padri loro, che avevano lasciato retaggio
ttto, che presse il Patriarca da alqnanti cittadini discntevasi sn la resa
délia città, tamnltnante corse al sno palazzo, Tinvase e ne gnastô al-
CQne snppellettili; e maggiori danni avrebbe arrecato, se Tommaseo
ftcn li si fosse prontamente recato e con sua éloquente parola non lo
tresse persnaao a cessare da ogni inanlto e a ritirarsi di là.
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358 CAPITOLO vil
ricchissimo di splendide tradizionî di marittime imprese.
Ma la colpa dî maie si. grave, forse rovinoso, era tutta di
coloro, i quali dopo la fortunata soUevazione del marzo
1848 avevano preso a ordinare e a reggere la marineria
da guerra. Vhito Tesercito italiano a Novara, il Governo
veneto, poco o nulla curandosi del mare, toglieva aile
navi gli offlciali e i soldati, per presidlare i forti e le bat-
terie délia terraferma e délia laguna. A tanto errore, il quale
poteva tornare funestisslmo alla difesa, la Commîssione.
appena instituita — e fu, come vedemmo, a mezzo il giugno
— con savîo consiglîo armava soUecitamente una squadra
di piccioli legni, di barche cannoniere e d'un legno a va-
pore, portanti insieme da centoventi artiglierle. Se non
che, quando, tutta raccolta, era in procinto di muovere
contra il nimico, i marinai délia nave a vapore — che
dal nome di Pio IX era stata intitolata — rifiutavansi
d'uscir fuora, tumultuariamonte chiamando il loro antict»
capitano. La severa punizione inflitta ai capi délia ribel-
lione valse bensi a soddisfare alla militare disciplina offesa,
non perô a rimetterla nel dovuto onore e rispetto. Bucchia,
,alla Commissione ita a lui in sul cominciare del luglio
per invitarlo a combattere Tarmata ossidionale, affermava.
essere allora impossibile quell'impresa, fondamento verune
non potendosi fare sui marinai. — E siccome Bucchia di
quanti offlciali contava la squadra veneziana era non sola-
mente il piii abile e il più degno di comandarla, ma quello
altresi che meritamente si aveva la stima e la confideoza
di tutti, i Commissari vidersi costretti di coramettere al
suo senno e al suo amor di patria l'onore délia marineria
e la salvezza di Venezia. — 11 giorno, in cui i viveri —
gi& da tempo scarsi e insalubri — mancherebbero afiatto*
avvicinavasi a grandi passi; e taie giorno era stato sino
dal cominciare di giùgno rivelato al Governo délia repub-
blica dalla Commissione annonaria; la quale, con suo cauto
e diligente indagare aveva trovato nelle riposte di Venezia
0 presse i cittadinl copia di vettovaglie bastevole al loro
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YEKSZIA E UKaABIA 369
manteaimento fino al 24 agosto, che doyeva quindi essere
Tultimo délia resistenza. Che risolvere, e quale cosa ope-
rare in Si dura nécessita? Manin, raccolti segretamente il
6 agosto i rappresentanti del popolo a parlamento, dopo
arer detto délie condizioni in cul troravansi, diceva: =
essere consiglio prudente ripigliare con De Bruck — di
quel giorni iu Milano — le pratiche d'accordo per una
pace onoreyole con TAustria; ogni induglo non migliorare,
bensi peggiorare lo stato loro e i patti délia resa. = I piii
ardent! sostenitori délia resistenza estrema ponevano allora
innanzi il disegno di una grossa e forte uscita del pre-
sidio allô intente di prowedersi di Tireri; ma questa
metteva a repentaglio la difesa di Venezia; ayregnachè
non sarebbe possibile resistere al gagliardo assalto che
Thurn, avrisato di quella uscita, senza por tempo in mezzo^
avrebbe date alla città con sicurezza délia vittoria ; e la
presa per assalto d'un nimico, da parecchi mesi affaticantesi
in assedio tanto sanguinoso, sarebbe tornato a Venezia
dannosissimoy ai cittadini oltremodo micidiale. Anche il
disegno di levare in su le armi quanti poterano portarle,
aveva trovato favore presse la gioventù e Tappoggio di
alcani rappresentanti del popolo, soprattutti di Tommaseo;
il quale, pur di non sommettersi aU'Austria, non avrebbe
rifuggito mai dalle imprese piii arrischiate^ ne dalle deli-
berazioni piii audaci. Ma corne potevasi armare la massa
veneziana, se gli armamentari délia repubblica erano quasi
Tnoti? corne ordinarla e ammaestrarla in tanta ristrettezza
di tempo? e cosa poi veramente di efficace ottenere da un
esercito, forte bensi per numéro e d*animo gagliardo, ma
composto di tumultuari e al quale non sarebbesi potuto
dare ufflciali e sott*ufflciali quanti strettamente abbisogna-
vano per comandarlo e guidarlo in campo aperto? ayve-
gnachè in quel lungo assedio il primo esercito ne avesse
perduti dimolti morti o feriti. In si dolorosa condizione
di cose^ in momenti tanto imperiosi, l'Assemblea, convinta
dover la resistenza avère un termine, e che questo era
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360 CAPITOLO VII
ornai vicinissimo, serbata a se la piena autorità di ratifî-
care ogni e qualsiasi deliberazione d'intéressé politico,
decretava al Dittatope il carico di provvedere nel modo
ch'egli reputasse piii degno aironore e alla salute di Te-
nezia. Il quale decreto veniva da Maoin fatto conoscere al
popolo cou queste parole: < Nelle circostanze solenni in
che ci troviamo, TAssemblea dei vostri rappresentanti ha
gittdicato opportune di fare quanto in simili casi si pratiea
in altri paesi, e affldô a un solo cittadino tutti i poteri;
io sono il prescelto. Voi sapete quanto io ami sinceramente
Venezia ; prestatemi adunque la vostra assistenza, tentiamo
assieme tutto quelle che sarà possibile per salvare Tonore
e la esistenza nazionale; amici miei, comportiamoci da pro-
pugnatori d'una causa santa, e confidiamo in Dio. » Aile
quali parole la sera del 7 agosto una turba di stolti — oui
eransi uniti alcuni soldati — raccoltasi in su la piazza
San Marco, rispondeva gridando una générale levcUa di
armi; e Manin ai tumultuanti: che voleté? domaadara;
vot ben sapete essere i registri tuttavta aperti; chi vuole
conibattere vi si scriva (1). Siccome poi sino dal 28 lugUo
era stato risoluto dairAssemblea, avesse la marineria da
guerra a tentare cou tutte sue navi di rompere o allar-
gare Tossidione, anche solamente quanto bastasse a yetto-
yagliare la città affamata, cosi Bucchia VS agosto usciva
dalle lagune con la squadra; allô avanzarsi délia quale
Taustriaca allontanavasi dalla spiaggia, certamente allô
scopo di attirare a sô in alto mare il nimico; ma due
giorni appresso Bucchia riedeva a* suoi porti, per essere
il choiera comparse su le sue nari (2).
(1) Nel tre giorni nei qnali rimasero ancora aperti i registd , 8oIa-
mente diciotto cittadini yi si scrissero.
(3) La squadra veneta condacera seco nna baica carioa di TÎno:
qnesto tutto il fratto délia spedizione.
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VRNBZIÂ X UNOÂBIA 361
Intanto Topera dévastatrice délie artiglierie assedianti
andava ogni giorno piii spaventosamente orescendo ! A ren-
derla ancor piîi terribile s'aggiungeva Topera, non meno
sterminatrice di quella, del morbo asiatico e dcUa carestla,
che mieteyano vittime innumerevoli e minacciavano mu-
tare Venezia in una stanza di morti: eppure tanti mali
non yalevano a fiaccare gli animi del popolo, anzi pareva
che nel petto dei difensori di quella terra strenuissima
s^anmentasse il coraggio con Taumentare délie rovine, che
intomo intorno ad essi a ogni istante si facevano. Ma Da-
niele Manin — il quale ornai disperava di salvare alla sua
patria la tanto desiderata indipendenza — TU di quel
mese d'agosto scriveva a De Bruck, tuttora in Milano,
d'essere pronto a riprendere le trattative di pace. Pru-
dente e saggio consiglio questo del Dittatore; perô che il
nimico, ancora ignaro del vero stato délie cose, avrebbe
potuto accordare a Venezia onorevoli patti di resa; patti
che non sarebbe possibile a Manin di ottenere il giorno
in cui se, per conservare religiosamente il generoso pro-
posito di resistere fino agit estremi, fosse poi costretto
a rendersi per mancanza di viverù In quel giorno stesso
delTll agosto moltl offlciali e soldati — i quali in una
générale levata d*armi e in una grossa uscita contra il
campo assediatore tutta ponevano la salvezza délia città
— eransi raccolti per ordinare Tuna e mandare Taltra a
effetto. Pepe, saputo ciô, chiamati sollecitamente a se i
principali delTesercito, ingiugneva loro avessero a impe-
dire quegli atti che recherebbero grave offesa alla militare
disciplina. Poche ore dopo recavansi a lui sette offlciali,
delegati dai compagni a pregarlo di riunlre tutte le forze
armate e condurle alla pugna; e il générale rispondeva:
= Essere impossibile soddisfare al loro desiderio; avver-
tirli, che rimanevangli fedeli tanti soldati bastevoli a sven-
tare si biasimevoli intrighi. = UUoa, il quale voleva cono-
scere i disegni degli agitatori, invltava i delegati a mettergli
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362 OAPITOLO YII
innanzi due offlciali, nel cui talento e coraggio avessero
riposta tutta lor fede, allo intento di diacatere insieme
rimpresadeliberata; ed essi designavangli Morandîe Sirtoii,
che perô non voUero accettare discussione veruna sn
quanto era già stato risoluto. La fermezza di Pepe manda
a vuoto rimpresa disegnata; avyegnachè ei facesse siibito
conoscere airesercito, che s*egii era pronto a terminare
con onore la guerra — la quale da piii mesi durava con
somma gloria di Venezia e de* suoi difensori — era pre-
parato altresi a sperderé con la forza qnalsiasi riunione
di soldatesche, ch*6gli considererebbe corne tentativo di
ribellione. — Il di vegnente in su la piazza San Marco
aile otto legioni délie Otuirdie Nazionali raccolte assieme
a moltitudine innumerevole di popolo, Daniele Manin parlô
in queste sentenze: « Soldat! e cittadini! se la nostra
rivoluzione si è mantenuta pura fino a questo giorno, se
il nome di Venezia, tanto Tilipeso sino a ieri, è oggîdi
attorniato délia stima dei nostri stessi nimici, la gloria di
questo cambiamento ô dovuta intera allo zelo costante,
infaticabile, intelligente délia milizia cittadina. Un popolo
che ha fatto e ha sofferto» quanto voi avete fatto e sofferto,
non puô perire. Il future vi riserba la sua ricompensa.
Quando splenderà questo giorno? Iddio lo sa; ma a noi
basta averlo meritato. Sciagure grandi sono imminenti;
se non ô in nostro potere lo scongiurarle, è bene in nostro
potere il conservare intatto flno aU'ultimo l'onore dalla
nostra città. Ora tocca a voi conservarlo come il piii pre-
zioso patrimonîo dei nostri ûgli. Se per un giorno solo
Venezia cessasse d*essere degna di se medesima, tutto
quelle che avete fatto rimarrebbe macchiato, obliato, per-
duto. lo ho invitato la milizia cittadina, logera da tante
fatiche, sûnita da tante sofTerenze, a radunarsi qui intorno
a me, come a consulta di amici e di fratelli ; io la supplice,
la scongiuro a perseverare in quest*opera salutare e su-
blime, di mantenere Tordine e la disciplina, che hanno
fatto sino al présente la sua forza e la sua gloria. L*As*
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TBHEZIA B UNOABIÂ 363
semblea dei rappresentanti del popolo, solo potere legit-
timo, ha voluto conferirmi la malleveria formidabile délia
situazione (sic): io ho accettato, non già per orgoglio, Dio
me ne è testimonio, ma per dovere, e perché ogni altro
ravrebbe ricusata. Tuttavia, se la guardia cittadina non
avesse più nella mia lealtà quella confidenza che mi
ha conservato cosi lungamente, mi sarebbe sonz'essa
impossibile sostenere il peso del governo; allora io pre-
gherei TAssemblea a confidare a mani piii degne dello
mie questo potere, che non ho cercato, ne ambito, e che,
nelle tristi circostanze, in cui siamo, non è certamente da
desiderare. Io demande alla guardia civica e al popolo :
« Avete veramente confidenza in me ?» — A taie domanda
il popolo e le Gttardie NazionalU avendo risposto con un
si fragoroso e prolungato, il Dittatore continué a parlaro
cosi : « La vostra amicizia mi contrista, miei amici ; essa
mi fa sentire piîi vivamente ancora, se possibile, tutti i
vostri mali, tutte le vostre sofferenze. Non è su la mia
forza morale e fisica che voi dovete appoggiarvl, ma su
la mia devozione; questa sola è grande, intima e profonda,
e non finira che con la mia vita. Qualunque cosa accada,
sia ch'io'viva o muoia lontano da voi, direte: qiœsPuomo
si è ingannato; ma non dite mai: QuesVuomo ha voluto
ingannarci, » — No, no! gridarono allora gli astanti. —
< Voi mi renderete questa giustizia, prosegui Manin, o
amici miei; io non ho giammai inspirato agli altri délie
illusioni che io nutrito non abbia; io non ho mai detto
speralCj quando non îsperava io stesso. » E qui, oppresso
da grave commozione, fini il suo dire e svonne: onde fu
via portato dagli amici che stavangli d'attorno. — In questo
mezzo giugneva al Dittatore lettera di De Bruck, nella
quale il Ministre austriaco avvertivalo, che per essere
state respinte dall'Assemblea le antiche sue proposte d*ac-
cordo e pace, Venezia doveva, senza condizione di sorta,
sommettersi; per6 il maresciallo, sempre inspirandosi a
sentimenti d'umanità, accordavale ancora quanto avevale
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364 CAPiTOLO vu
offerte il 4 maggio (1). Perduta ogai speranza d'aiuto
esterno — avvegnachè, sebbene tuttavia si igaorasse la
dedizione di Vilàgos, pure tutti sapessero gli Ungaresi tro-
varsi allô estremo e avère la Sardegna segnata la pace
coa TAustria — che far doveva Venezia di forze esausta,
e col nimico d'ogni parte premente? nuiraltro fuorchè
ai-rendersi e ricevore la legge dal vincitore fortuaato ! —
Nella sera del 16 agosto le sorti e Tavvenire di Venezia
(1) Le conoessioni del 4 maggio venivano affermate da Badetzkj nel
segaente manifesto ai VenezianL u La pace con la Sardegna è cou-
chiosa. Con qnestx) aT7eiiimeiito syaniscono le ultime speranze che al-
cnni fra yoi ancora ripûneyano in nna nuova ripresa délie ostîlità. Poeo
a poco la quiète e l'ordine légale tornano pure a felicitare le altre
parti d'Italia, le oui popolazioni, liberate dai terrori deU'anaicluA, ooa
rinascente fiducia yolgono i loro sguardi a un'éra noyella. Una fiudone,
che yj signoreggia, fa in modo che yoi soli persistiate ancora in una
ingiustificabile resistenza contra un Groyemo, che yi ofire tutte quelle
guarentigie di Ilbertà légale c di assennato progresse, che voi, col sa-
crificio del yostro benessere, indarno cercate consegnire sotto un Go-
yeruo riyoltoso. In questo suprême momento una yolta ancora ai» U
mia yoce che, senza portaryi yerun utile^ senza ofifrind yeruna speranza
di 8ucc€880j non farebbe che aggiugnere nuoye sciagure a. quelle che
yi ha apportato questa causa disperata. A fine pertanto che tali scia-
gure abbiano un termine, sono ancor pronto a concederyi le steaae con-
dizioni oiferteyi il 4 maggio:
1^ Resa piena, intera e assoluta.
2^ Dedizione immediata di tutti i forti, degli arsenali e dell'înten
città, che yerranno occupât! da' miei soldat!, ai quai! saranno puze da
consegnarsi tutte le nayi da guerra, in qualunque epoca coatrutte,
tutte le pubbliche fabbriche, le materie di guerra, e tutti gli oggetti
di proprietà del pubblico erario di qualsiasi sorta.
3" Consegna di tutte le armi appartenent! ailo Stato ed ai priyatL
Accordo oggi, corne già allora accordai, le seguent! concession!: Yieae
data licenza di partire da Venezia a tutte le persone senza diatinzione,
che yogliono lasciare la città per la yia di terra o di mare. Sarà emanato
un perd6no générale per tutti i soldati di terra o di mare. Accettando
queste condizioni yoi farete il primo passe yerso Tunica yia, ohe pu5
portare rimedio ai mal! ayvenuti, e guarentind un migliore e piA fansto
ayyeniie. »»
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VBNEZIA E UNOARIA 365
fermaronsi da Mania, dalla Commissione militare, dal
Maestrato dei cittadini e dai Ministri; i quali, discusse e
stabilité lo basi délia resa, per trattare qui^sta deputarono
a Gorzkowski — allora succeduto a Tburn nel governo
deirassedîo (1) — Priuli, Medin o Calucci rappresentanti
del Municipio, Cavedalls deiresercito e Antonini rappre-
sentante dalla casta mercatantesca. Aile loro dimande il
générale austriaco rispondeva: = Non avère autorità di
sospendere le armi; schiarimento nessuno poter dare su
ci6 che nel manifeste di Radetzky toccava agli esiliati e
al perdôno dei soldati e sott'ufflciali deiresercito impériale,
che allora militavano sotto le insogne délia repubblica;
promettere di scrivere immediatamente al maresciallo per
fargli conoscere i desidèri loro. r= il mattino del 16 la
squadra veneta, uscita dal porto di Malamocco, avvicinavasi
alla nimica; la quale, sebbene d*assai superiore per nu-
méro, potenza di nari e di cannoni, non osando assaltar
quella, tentava sopravanzarla, allô scopo di toglierle la via
alla rîtratta a Malamocco: nel cui porto la squadra dei
Veneziani rientrava in sul cadere délia notte. Il 21 agosto
il trarre dolle artiglierie assediatrici cessava affatto : per-
venuta la risposta di Radetzky, Tarmi sospendevansi d'ambe
le parti (2).
Le ultime ore délia resistenza dovevano essere turbate
da una ribellione soldatesca; e certamente se non fosse
stato délia risolutezza dei capi e del coraggio di Manin —
non ultima délie virtu di questo grande cittadino — Venezia
sarebbesl allora bruttata di sangue italiano per opéra stessa
di coloro, che nel lungo e glorioso assedio avevanla tanto
(1) Thurn era ito in Piemonte a riprendere il comando del sno corpo
d'esercito, che allora campeggiava la contrada stendentegi fra il Tidno
e la Sesia.
(2) La risposta di Radetzky venne portata dal maresciallo Hess, il
quale doveva trattare gli accordi per la rimessione di Venezia aile
armi imperiali e sottoscrivere i patti délia resa.
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366 CAPiTOLO yn
strenuamente difesa. Il Dittatore aveva appena ottenuto dal
Municipio sei milioni di lire (1) allô scopo di sussidiare ai
geaerosi, corsi da ogai parte délia penisola a combattere
per quella città e che allora doveva rimandare a lor case,
quando da grossa mano di soldati, venuta minacciosa al
palazzo ducale, chiedevaasi tre mesi di solde, la ievata in
su rarme di tutti i cittadioi e Tuscita générale délie forze
armate contra il campo nimico. A quietare il tumulto
Manin al popolo — in sul cadere del giorno accalcantesi
su la piazzetta — favellava cosi : = A voi e airAssemblea,
gi& francamente dissi trovarsi Vënezia in condizioni assai
difflcili e gravi; perciô ebbi dai vostri rappresentantila
potestà di trattare d*accordi con Tassediatore ; è dunque
necessario che il negoziare di essi facciasi con dignità e
tranquillità. Difflcili, ma non senza speranza sono le con-
dizioni nostre; ne io sarô mai per fermare una paceTe^
gognosa: onde la gloria di Yenezia andrà salva da ogni
macchia. = Avvertito, clie i sediziosi aveano rivoltoi
cannoni d*una batteria del ponte contra la città per fol-
minarla, qualora il Govorno niegasse soddisfare aile loro
demande, il Dittatore, portatosi in mezzo al popolo, facevasi
a gridare : < Ghi è vero italiano mi segua e mi aiuti a
mantenere Tordine. » Indi, accompagnato da sessanta utS-
ciali, corse per buona parte délia notte la città ; la quale
in sul levarsi del nuovo giorno, il 24 agosto — la batteria
essendo stata tolta ai rivoltosi senza colpo ferire — ripren-
deva l'usata quiète; ma brève ora di poi Venezia tutta
riempivasi di tristezza e d'afflizione! erano preparamenti
al lutto, cui la ria sorte la condannava e che dovera
durar piii di tre lustri! Nelle ore pomeridiane dl quel
giorno Daniele Manin, fermât! col nimico i patti délia
(1) Taie somma era in earta eomunale; con qnesta poitaw >
sessanta milioni quella délie spese fatte da Venezia dal 18 mano ï^
sino al 21 agosto 1849,
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tenez: A. s UNOARIA 867
dedizione e gli accordi per la rimessione délia citta, de* suoi
fortî e deWJS^tuario^ rinuiiziava la potestà dittatoriale al
sapremo Maestrato dei cittadinl; il quale, senza por tempo
ia mezzo, pubblicava il nome di coloro, che, esclusi dal
perdôno, doverano lasciare Yenezia e lo Stato, e faceva
conoscere altresi le condizioni délia resa (1). — Tutto era
finito per quella eroica città! la quale ricadeva nel ser-
vaggio deirAustria dopo una lotta di diciassette mesi, dopo
un assedio sostenuto con coraggio invero straordinario e
a prezzo di sacriâzi immensi ; assedio che sarà sempre una
délie plii splendide, délie plu grandi çlorie délie armi
italiane. Yinta sul Ticino e su la Sesia la picciola Sar-
degna; domata la soUeyazione ungarica, non per virtii
degli eserciti proprii, sibl^ene per quella dei russl, e ridotta,
non con la forza, ma per la famé all'usata obbedienza la
strenuissima Venezia, la guerra posava in Italia e neU'im-
peirio absburghese! — n 27 agosto Manin, Tommaseo e
(1) Gli esclusi dal perdôno fnrono quaranta. — Ecco le condizioni
délia resa: 1° Sonunessione, giusta i precisi tennini dei manifesto di Ba-
detzky, 14 corrente agosto. 2^ Consegna encro qnattio giorni, di qnanto
è compreso nel manifesto stesso, nei modi da concertarsi. A schiarimento
degli articoli quarto e qninto di detto manifesto, si dichiara che le per-
Bone che devono lasciare Venezia sono: P Tutti gli impeiiali régi of-
ficiali , che hanno seryito con le armi contra il loro legittimo Sovrano ;
np tutti gli uomini mUitari esteri; m* le peiaone nominate nell'elenco
che Bar& consegnato ai deputati venetL
Durante l'assedio gli Austriaci scagliarono contra Venezia e le sue
difese da sessantamila paUe, dodici mila granate e trentacinque mila
bomhe; ed ehbero mille soldat! morti e feriti sul campo, e da quattordici
mila mancati di vita negli ospedali o resi inabili aile armi per le fa-
tiche, le malattie e soprammodo per le fehbri palustri. — I difensori
di Venezia lanciarono, nel lungo assedio sostenuto, da ottantamila palle,
granate e bombe; miUe aUo incirca dei loro caddero morti o feriti
combattendo ; e un numéro stragrande, ragion fatta alla forza dell'eser-
cîto, di morti negli ospedali per fatiche e per choiera; la quale malattîa
mieté nelk città e nelle isole e terre dell'Estuario assediato pure gran-
dîssimo numéro di VenesianL
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368 OAPrroLo vu
Pepe con molti dei principali deiresercito e délia città,
saliti sopra una nave francese, uscivano dalle lagune ; e per
Corfîi e Genova andarono a Francîa, andarono a Parigi;
e il 28 pur di quel mese Gorzkowski prendeva possesso di
Yenezia e de* suoi forti, nella quale poi due giorni dopo
entrava solennemente il maresciallo Radetzky.
Vinta la Sardegna a Novara, risoggettate Como, Bergamo
e Brescia, rimaneva ancora aU'Austria a combattere una
grossa guerra sul Tibisco^ sul Danubio e su le lagune adria-
tiche per ridurre aU'obbedienza Magiari e Veneziani : ond<^
essa dal non più miuacclante Ticino trasportava non po-
chi battaglioni nei campi d'Ungaria ad afforzare l'esercito
di Windischgràtz, mal reggentesi contra lo sforzo dei soUe-
vati, e artiglierie poderose davanti a Venezia. — Narrato
il glorioso assedio sostenuto dairantica Signora delFAdria-
tico, diremo ora aommariamente délia guerra ungarica, la
quale molto si lega a questa nostra istoria; guerra che
poco mancô mandasse a rovina rimperio ; ciô che avrebb»^
indubitabilmente mutate le sorti deiritalia.
Deliberati di venir primi aile offese, i Magiari, a mezzo
il marzo dei 1849, dalla Theiss — superata senza contrasto
— avanzaronsi contra il nimico, che aspettavali su la via
di Pesth in forti posture dietro la Zagyva e la Galga, fiumi
dalle rive paludose. Il grosso deiresercito ungarese, var-
cato il Tibisco a Poroszlô, si divise in due schiere ; quella di
sinistra si diresse a Jàszberény a prendervi di rovescio
1 campi austraci su la Galga; e la destra cammino verso
i campi di Hatvàn, presse i quali, il 2 aprile, urtava nelle
genti di Schlick, mossesi a incontraria. La giornata fu
sanguinosa; il peggio toccô agli imperiali, che dovettero
indietreggiare sino a Gôdollô, non lungi di Pesth. La schiera
di sinistra degli Ungaresi, in sul cadere dei 3 aprile arri-
vata presse Jàszberény, avvertita che Jellachich cammi-
nava da Alberti verso Pillis per unirsi a Windischgrâtz,
il mattino dei vegnente andava sopra i Croati e affronta-
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VENSZXA S UNOABIA 369
vali in vicinanza del villaggio di Tàpiô-Bicske. La gior-
nata perduta dalle genti di Klapka yeniva reintegrata e
vinta da quelle di Damjanics; e il nimico, che assalito
da prima erasi fatto di poi assalitore vittorioso, era al fine
costretto a cedere il campo per salvarsi da totale scon-
fitta. Sorgeva il 6 aprile, quando i Croati appiccavano il
fuoco al bosco di Isaszeg allo scopo d*impedire agli Unga-
resî d*avanzarsi attraverso il medesimo per molestare Jel-
lacliicli in suo cammino verso Hatvàn ; ma pervenuto il
Banc alla Zagyra, mutato disegno, retrocedeya per la yia
ili GôdôUô. Non lontano dal bosco di Isaszeg, tuttayia in
fiamme, incontratosi in Klapka o Damjanics, senza por
tempo in mezzo li assale. Non estante il numéro prépon-
dérante dei nimici le batti^lie di destra — capitanate da
Damjanics — resistono strenuamente ; e quelle di sinistra
— governate da Klapka — cedono e lasciano il campo ;
ma di li a poco ricondotto da Gôrgey contra il nimico e
appoggiate dalle genti di Aulîch, chiamatevi dal fVagorc
délie artiglîerie, rinnovano la pugna ; che, ostinata e fiera,
ma yittoriosa per le armi magiare, dura sino al calaro
délia notte. Durante la quale Windischgrâtz, per non cor-
rere il pericolo di trovarsi addosso tutte le forze armate
dei Magiari, porta i suoi campi nei dintornî di Pesth; e Gôr-
ge3% il di vegnente, riunisce in Oôdôllô le genti di Klapka,
di Damjanics, d'Aulich e quelle che, il 4 aprile, sotto il go-
verno di Gaspar avevano vittorîato ad Hatyàn degli Au-
striaci di Schlick. Montre con leggero badaluccare e con
assalti simulati Aulich e Gaspar tengono a bada gli impe-
rîali, coUocati da Windischgràtz su la sinistra del Danubio,
lungo un grande arco di cerchio stendentesi da Palotta a
Keresztur e a Sorohar (1), per difendere Pesth — da nes-
suno perô minacciata — Damjanics e Klapka insignori-
(1) Relazione del principe di Windischgr&tz al Ministro sopra le
armi.
24 — VoL n, Marusî — Storia pol. e mil.
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370 CAPITOLO VII
sconsî di Waitzen, mettendo in fuga due brigate d'Austriaci
cho la presidfano. Padrone di Waitzen, Gôrgey col grosso
delFesercito risale il Danubio e varca la Grau ira K&lna o
Szecse, e a Zsemlér ; scopo di taie mossa è la liberazione
di Komorn» clie 11 nimico stringe d*assedio. 11 10 aprile Da-
mjanics e Klapka sorprendono a Nagy-Sarl6 gli impérial],
corsi alla Gran per impedirne il passaggio agit Ungarest
e li pongono in disordiuatissima fuga. Il giorno dopo la
vittoria di Nagy-Salô due divisioni di Gaspar nel discendere
la Gran urtano in forte schiera d*Austriaci» e la rieac-
ciano al di là del Danubio; o Damjanics e Klapka prose-
guono senza contraste il loro avanzarsi verso Komorn-
Giunti il 22 appo le mura di questa fortezza — dalla quale
airawicinarsi dei Magiari eransl allontanati gli Austriaci
passando su la destra del Danubio — piantano 1 campi
dlnnanzi al ponte délia Waag.
In questo mezzo i Magiari gridavansi indipendenU dal-
rimperio. Messa avanti da Kossuth^ 11 14 aprile in Debreezin.
la loro indipendenza venira acclamata dalFAssemblea na-
zionale, che dichiarava altresi la dinastia àbsburghese
caduta da ogni diritto ereditario al regno ungarico, Noo
estante la deliberazione di non fermare allora la forma del
reggimento da darsi al paese, Szemere, il quale presiedera
ai Ministri, nel manifestarsi favoreggiatore di repubblica,
faceva conoscere alUAssemblea il Governo temporaneo es-
sore democ^^tic(Hr^pva>blicano. L*acclamazione délia indi-
pendenza magiara^ non seguita da quella deiraûratellanza
degli Slavi del mezzogiorno, fu atto ne generoso, ne grande,
e mostrô il poco accorgimento e la molta inesperienza dei
supremi reggitori delVUngaria. In verità, guadagnare alla
causa magiara Groati, Serbi e Valacchi -- 1 capi dei quali
per avère ottenuto dalFAustria alti carichi nelle armi e
in Corte deirimperatore dicevansi a questo devotissimi e
alla monarcliia — era assai difficile impresa, non perd im-
possibile, se i Minîstri, nel bandire Tindipendenza délia
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VBinBZiA X UirOABIA 371
patria, avessero accordato a qnei popoli il pieno soddia-
facimento di lor giuste aspirazioni. — La inettezza di
Windischgrâtz nel conduire la guerra induceva allora il
GOTerno di Vienaa a preporre al comando délie armi au-
striache il maresciallo Welden, che giugneva a Gran il di
stesso In cui il principe laaeiara TUngarla. Yenutovi con
rinomanza di gran capitano e con esercito conquistatore
e baldo per le vittorie di Praga e di Vienna, Welden ne
usciva con fama di condottiero imperltissimo e lasciando
Tesercito avvilito per tante battiture sofferte e in assai
cattire condizioni. — Gorreva la nette del 25 aprile, allora
che il colonnello Knézich, per un ponte di zattere calato
sa la destra del Danubio con una eletta di quattro mila
fantj, Tayanguardia deiresercito ungarese, con assalto im-
provTiso recavasi in mano le trincee nimiche eleyantesi
presso il yillaggio di O* Szôny, rimpetto a Komorn. All*al-
beggiare del nuoyo di Klapka e Damjanics, e non molto
dopo Gôrgey, yalicato il fiume con tutte le loro genti,
afirontayano gli imperiall accorsi con armi poderose al
racquisto délie posture perdute e a difendere i layori di
assedio. Alquanti battaglioni del presidio di Komorn usci-
rono ad appoggiare la pugna, che in breyissima ora fecesi
générale e durô senza posa sin quasi al cadere del giorno.
011 Austriaci, cui il giugnere deU'esercito magiaro di soo-
corso agit assediati ayeya fatto ancor piii ardua Timpresa,
iatorno alla quale da tanto tempo affaticayansi, oppressi
in quella giomata dal yalore dei nimici, dietreggiarono per
la via di Raab portandosi a Wiaelburg, in lor rltratta la-
sciando, preda del yincitore» non poche artiglierie, moite
proyyigioni e munizioni da guerra. Gosi liberayasi Ko-
morn, per natura di sito e per arte fortissima, yalido
propugnacolo deirungaria, nà per potenza d*armi espu-
gnato mai. — Gôrgey, inyece di perseguire con tutto
le sforzo* suo e senza posa il nimioo indietreggiante
verso la frontiera e andar minaccioso sopra Vienna, yol-
tavasi airassedio di Buda, la cui fortezza teneyasi dal ge-
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372 CAPiTOLo vn
nerale Hentzi con buon presidio; risolutodi continaare le
offese contra il grosso deiresercito impériale, quando Buda
fosse venuta a sue mani. Ayyersissimo alla indipendenza
délia patria daU'imperio, che dicemmo proposta da Kossuth
e acclamata dalla Dieta di Diebreczin, Gôrgey aveva re-
spinto il saggio consiglio di portare le armi contra Yieima,
solamente perché messo innanzi da Dembinski e accettato
da Kossuth ! Deliberato in sua mente di riconciliare lllo-
garia airAustria, allô intente di facilitarne gli accordi-
la oui base dovova essere la castituzione del 1848 — spe«
rava guadagnarsi Tanimo del Monarca e de' suoi consi-
glieri rispettando la metropoli deirimperio : Timpresa di
Buda fu pertanto la rovina dei Magiari e la salvezza del-
TAustria. — Fatta occupare Raab dalle due diTisioni di
Pôltenberg e Tisola di Schûtt da grossa mano di soldate-
sche del presidio di Komorn, Gôrgey col rimanente del-
l'esercito andô ad este sopra Buda, attorno alla quale il 4
maggio e lungo un vasto semicerchio appoggiante le e^re-
mita al Danubio pose i suoi campi. Alla chiamata di resa
avendo Hentzi risposto, che difenderebbe la fortezza sino
allô estremo, giusta i principi del daver suo e deWonore,
Gôrgey comandô siibito Tassalto, che fu date, ma senza van-
taggio ; allora, mutata Tossidione in assedio, ne imprese i
lavori e li condusse a fine con alacrità somma, non ostante
il trarre violente délie artiglierie degli assediati, con I'^
quali Hentzi pur fulminô Pesth, che non TolTendeva: ba^
bara opéra di distruzione, che nuUa fruttando alla difesa,
nuUa puô scusarla! — Erano le tre del mattino 21 maggio.
quando gli Ungaresi assaltavano la fortezza là dove le ar
tiglierie dello Spitzbergel — colle che si éleva a occidente
di Buda dinnanzi alla fronte o cinta di Weissenbmf '
ne avevano rotto le mura. Allô impetuoso assalto dei Ma-
giari il presidio, sebbene avesse perduto ogni speranza di
vincere, oppose gagliarda resistenza; ma allora che ride
gli assaltatori, superati i terrapieni, scendere alla città; ^
quando vide Hentzi, che era l'anima délia difesa, cadere
ferito a morte, poso lo armi ë s'arrese a discrezione.
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yjQKSZIA B XTK&ABIA 373
n giorno, in cui i Magiari giagnevano sotto le mura di
Buda, diciassette mila Russi entravaao in Cracovia ; altre
e più nnmerose schiere tenevano lor dietro, le quali, sa-
perai! i confini a Tarnogrod, a Brody, a Wolosezys e Hus-
syatyn per la Gallizia maoveyano a danno deirungaria, in
brève tempo invasa da poderosissimo esercito moscovita,
che contava centosei mila uomini e piu di ventimila ca-
valli, e ayeya a duce supremo il maresciallo principe Pa-
sckiewitch. L'intervenire dello Czar facevasi conoscere agli
Ungaresi dalllmperatore d'Austria in un manifeste, ch'ei
metteva fuora il 12 maggio in Presburg, ov'erasi recato a
visitare i suoi soldati, dal valore dei Magiari vinti a Szol-
nok, Hatvàn, Tapiô-Bicske , Jsaszeg, Waitzen, Nagy-Sarlô
e Komorn. — Presa Buda, Gôrgey mandava il grosso di
sue genti su la sinistra del Danubio e su la bassa Waag,
e la divisione di Kanety al di là délia Raab, presse il lago
di Neusiedel a riprendere le offese contra gli imperiali.
Ck>minciava allora una guerra minuta, la quale, ineffi-
cace a condurre a risultamento finale, doveva assottigliare
quell*esercJto, che sommamente importava di mantenere
aella pienezza di sue forze per le grandi giornate e per
quella 'finale, che dai Russi sarebbe stato costretto a com-
battere. 1 campi magiari dalla bassa Neutra per lo sboccare
liella Waag nel ramo del Danubio di Neuhàusel scendevano
a Raab, e costeggiando il piccioïo flume Raab spingevansi
siao a Marczalto. Rimpetto ad essi stendevansi i campi
austriaci da Silein, su la sinistra délia Waag, a Zsigàrd, e
attraversando le isole del grande e piccioïo Schiitt e il
Rabnitz arrivavano sino a Kapuvàr. — In questo mezzo al
comando supremo deirarmi imperiali veniva chiamato il gé-
nérale Haynau, un barbaro^ il quale, come aveva già insan-
guinata Teroioa Brescia, doveva riempire di lutti e di dolori
tutta rungaria; egli uguagliô allora in ferocia i pib feroci
condottieri di barbari; e per gli atti d*inaudita crudeltà da
lui commessi fu giustamente soprannomato il tigre. —
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374 OAPITOLO VII
Albeggiava appena il 13 giugno, quando forte presa di sol-
dat! magiari, varcata la Rabnitz a Marczalto, muoTeva ad
affrontare la brigata Wyss, clie dal lago di Neusiedel proce*
deva verso Gsoma per appoggiare il maresciallo Sehlick,coD
sue genti avvicinantesi a Raab. L*urto degli a£Eh>Qtatori
fil si improvyiso e impetuoso da rompere in brève ora e
mettere in fiiga quella brigata; délia quale molti caddero
morti o feriti, molti vennera a mano del nimico ; tra questj,
il générale Wyss. — Riusciio vano il tentativo fatto tn»
giorni appresso di caociare gli Austriaci tra la FeketTitz e
la Waag, e tornato pure a vuoto Tassalto lor dato a Schin-
tau, Qôrgey il 20 di quel mese di giugno rinnovaTa la
prova con maggiori forze contra le posture nimiche délia
Waag. Egli vince a Pered; ma a Klapka — allora comaD-
dante di Komorn e di tutte le armi riunite interne a Raab -
uscito dalla fortezza contra gli imperiali occupant! Vasâ-
rut» tocca il peggiore presse Nyàsarad neirisola grande
.di Schûtt. n di appresso Austriaci e Russi — la divisioûe
di Paniutino — primi agli af&onti, assalgono Pered. Per
buena parte délia giomata la fortuna délie armi pende io-
certa; ma in sul finire di essa i Magiai*! sono vintia
Szigrad: onde Qôrgey, costretto a ristare dalle ofTese, causa
il numéro soverchiante dei nimici, e a lasciare la Waag
poco innanzi occupata» penesi a campe dietro questo fiuine.
I nimiei, che da prima pareva mirassero aU'alta Waag,
raecoltisi in un subite alla destra del Danubie, il 28 gingno
muevene contra i campi di Kmety e Pôltenberg su la Raab.
Oppresse dal numéro, dope brève combattimento Pôlten-
berg, non ricevendo gli aiuti chiesti e promessi da Elapka.
indietreggia verso Komorn lasciande agli assalitori la terra
di Raab ; nella quale entra il giovane Imperatore alla testa
deiresercito, da lui guidato alla pugna. Il 2 luglio gli Au-
striaci recansi sepra il campe trincerato di Komorn; ^
lor riesce d*opprimeme î difensori, avranne libère il cam-
mine di Buda; il cenquisto délia metropoli ungarica nei
disegni strategici di Haynau è il primo obbiettivo. OM as-
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TENXZIA B UHGABIA 375
salti ftirono oitre ogni dire impetuosi e âeri; le resistenze,
salde e gagliarde: onde il combattere durô a lungo e fa
sanguinoso, ayendo or Tano or Taltro dei guerreggianti
pîu volte avuto il peggiore; gli imperiali perô soffrlrono
i maggiori danni. A nessuno sorrise la vittoria, sebbene
le due parti si gridassero vincitrici; avregnachè, se gll
Austriaci in sul cominciare délia giornata si impadronis-
sero d*alcune trincee nimiche, in sul ânire di essa lor le
ritogliessero i Magiari.
Di quoi giorni il Governo, eletto Mészàros comandante
supremo dellc forze armate del paese, chiamato a se Gôr-
gey, dava a ciuello la direzione délie faccende délia guerra.
Grorgey, il quale, salito in superbia per le vittorie ripor-
tate» e signoreggiato dalla più sfrenataambizione.tenevasi
a tutti superiore^ sdegnô obbedire a chi per ragione di
ufflcio soprastavagli dimolto; eppure egli dicevasi osser-
vatore rigidissimo délia soldatesca disciplina, che tutta posa
sa la piii assoluta obbedienza ai capi. Nel levare a Gôrgey
il governo deiresercîto principale, i Ministri avevano^or-
dinato, ch*egli senza por tempo in mezzo si portasse a
Szegedin, ove la Maros porta sue acque nella bassa Theiss
formando un angolo saliente. Dietro quoi âumi — in re*
rità buone linee di difesa — voleva Kossuth s'avessero a
raccogliere forze poderose, per muovere poscia alla ricon-
quista deiruugarîa: strano disegno di guerra questo! Se-
curo délie simpatie délie sue genti, tante volte da lui
condotte alla vittoria, e certo délia devozione di Klapka e
délia obbedienza di Nagy-Sàndor, generali strenuissimi e
molto esperti nelle industrie belliche, Gorgey, non curan-
dosi de* comandi del Governo, mantenevasi nelle trincee
di Komorn per continuare la lotta, fosse anche col solo
suo esercito, su la destra del Danubio. Dissennato consi-
glio, che anticipô il termine di quella impresa si grande
e si infelice! Il valore dei Magiari, che tante volte
aveva vittoriato délie armi imperiali, avrebbe flnito a'
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376 CAPiToiiO VII
renderli indipendenti e a opprimere TAustria, se ramica
Russia non fosse accorsa con forte esercito a sostenerne
la fortuna cadente. Le intervenire armato dello Czar toise
la vittoria di mano agli Ungaresi ; i quali perô avrebbero
potuto prosegulre più a lungo e con vantaggio la guem,
se accorde e armonia avessero insieme congiunto chl con
autorità suprema reggeva la nazioue e clii ne gOTernaTa
le armi. Non estante la molta amicizia che legava Gôrgej
a Klapka, questi non approvô i disegni deiramico, del suo
générale; awegnachè a ragione temesse, che avrebbero
divise Tesercito principale dalle altre forze délia nazione
con danno gravissimo délia comune difesa. Egli volera
che, presidiata validamente Komorn, la restante parte del-
l'esercito dell'alto Danubîo si riunisse a quelle che sta-
vasi allora costituendo su la Theiss, e alFaltro campeg*
giante i comitati dell'alta Ungaria. I comandanti délie or-
dinanze di Oorgey — raccoltisi per discutere su quantc'
conveniva operare — essendosi accostati alla proposta di
Klapka, fu Gorgey costretto ad accettarla; ma prima di
maftdarla a eflétto e di portarsi a Szegedin egli chiese e
ottenne di ritentare la prova délia fortuna e délie armi
contra gli Austriaci ; la ritratta da Komorn doveva essere,
giusta il suo modo di ragionare, la conseguenza cCuna
vittoria o d'una scon/ltta. Cosi si perdettero giorni pre-
ziosissimi, durante i quali i Russi avanzaronsi minaccioàl
occupando senza contraste terre e città ; e cosi sacrificossi
il bène suprême délia patria airorgoglio e alla vimità di
un uomo; il quale, pur che quelle e questa aadassero
salvi, osô avventurare le sorti deU'esercito più esperimen-
tato nei maneggi délia guerra che l'Ungaria possede^e.
e sul quale riposavano tutte le speranze délia nazione. —
L'il luglio Gorgey, uscito da Komorn con le sforzo $uo.
assaltava i campi austriaci coUocati in grande semieer-
chio attorno alla fortezza; portarsi aile sbocco del Czonczo
sine a Nagy-Igmànd, questo le intento suo, che non poti*
raggiungere non estante Tabilità sua nel governare la
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VBNSZIA B UNOABIA 377
giornata e il valore dei Magiari nel combatterla. Due
giorni appresso Gôrgey, con le genti di Nagy-Sàndor, di
Leiningen e Pdlteaberg, per la sinistra del Danubio cam-
minava verso Waitzen; a proteggere la quale mossa c
divertire Tattenzione dei nimici Klapka cadeva sovr^essi
cou l*usata prodezza e con taie impeto, che Haynau cre-
detie avère a fare con tutto Tesercito di Gorgey, non col
solo presidio di Komorn. II mattino del 15 l'avanguardia
ungarese respingeva dalle alture di Waitzen le ascolte
del presidio russe, che all*avvicinarsi di quella lasciava la
città. A mezzo il di grosse schiere di nimici, giunte din-
uanzi a Waitzen, venivano aile prese con l'avanguardia
magiara; la quale, non potendo resistere alla piena dei
Rossi che cadevale addosso, dietreggiô sino a che per lo
arrivare di Nagy-Sàndor da prima, e poco di poi di Lei-
ningen potè rintegrare la pugna, che, incerta sempre,
durô sino aU'imbrunare. In sul far délia notte del di se-
guente — che trascorse senza combattere — Gôrgey, per
isfuggire a certa rovina — perô che il grosso dell'esercito
rnsso, raccoltosi tra Szôd e Hartv&n, fosse pronto ad as-
salirlo — si toise da Waitzen, con mossa sapiente portan-
dosi, per la via di Lossoncz e Miskolcz, verso Talta Theiss.
La ritratta di Gôrgey fu protetta or dalle genti di Lei-
ningen, ora da quelle di Pôltenberg e di Nagy-Sàndor, le
quali dovettero di continue combattere per frenare il vivo
incalzare dei nimici.
n 18 giugno Paskiewitch con lo sforzo sue di guerra
^cendeva dai Karpazi al comitato di Saros e, dopo avère
ï*espinte le genti di Wysocky, senza colpo ferire insigno-
rivasi d*£peries e di Kaschau, che Dembinski, allora cam-
P^Sgiante Talta Theiss, non potendo contrastarle con van-
^gio al nimico, gliele aveva lasciate. Il 28 i Russi mossero
<ia Kaschau divisi in due schiere ; quella di destra, capi-
tanata da Riidiger e da Kuprianoff, si volse al Danubio ;
Valtpa, governata da Czeedi^efT, portossi su la Theiss; e
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378 OAPITOLO TU
superatala presso lo sbocco del Bodrog, camminô verso
Debreczin^ che, indifesa, il 3 luglio, aenza trarre spada,
recossi in mano ; dovette perô subito lasciarla e rifare la
via di Tokay, e portarsi a Miskolcz, causa la penuria di vet-
tovaglie e la difficoltà somma di procacciarsene. Mentre
il comandante supremo délie armi russe col grosso di
queste per la valle deirHernath calava al Danubio e alla
Theiss, la divisione di Paniutine univasi agli Austriaci in
Presburg; e l'esercito di Grabbe, la riscossa di Paskie-
witch, che da prima tenevasi in Gracovia, avuto poscla
Tordine di avvicinarsi alla sinistra di Haynau campeg-
giante davaati a Komorn, per le valli delFAxva e délia
Waag tentava i passi délie città montanine; se non che,
vivamente molestato da bande innumerevoli di partîgiani»
che correvano il paese con l'appoggio di Benizki — il
quale con la legione polacca vigilava a quel passi — Grabbe
dovette ritrarsi a Kubin in val deirArva; e ne use! solo
quando Benizki, chiamato dal Governo nazionale su la
Theiss, gli lasciô libéra la via. Per Kremnitz e Schemnits
venuto a mezzo luglio in Kis-Tapolcsan, univasi agli Au-
striaci di Csorich, che vi si trovavano a campo. — n
giorno in cul Gôrgey, innanzi di recarsi a Szegedin, ten-
tava Tultima offesa contra i nimici davanti a Komorn e
faceva l'ultimo sforzo per cacciarli al di là di Presburg —
e fu ril luglio — Buda veniva a mano délia divisione di
Romberg, che Haynau aveva voluto non i Russi, ma gli
Austriaci Toccupassero. — Gli eserciti dello Czar non
avevano invaso riJngaria soltanto, ma la Transilvania al-
tresl dai conflni moldo-valacchi. A mezzo giugno le schiere
di Grotjenhein, di Lûders e d'Engelhardt, varcata la Bi-
stritz e superati i passi di Tônôs e Tôrzburg, impadroni-
vansi di Borgo-Prund, Bistritz, Kersten e Kronstadt Bem,
ito contra Grotjenhein, dopo avergli tolto Bistritz^ il 2
luglio respingevalo sino alla stretta di Borgo ; e gli Szekler,
chiamati aile armi dal loro générale, sbsuragliavano Adler-
berg e Jesanlow, eziandio costringendoli a salvarsi entra
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VBNSZIA ■ UyOABIA 379
Kronstadt A iagrossare i Russi» i quali^ sebbene per nu-
méro e potenza â*armi soverchiassero dimolto le forze av-
versarie, il 15 luglio Clam Gallas condueeYa loro di Va-
lacchia le reliquie délie ordinanze di Puchner, che Bem
avova tante volte sconâtto nel marzo e costretto a cercare
salvezza nei Principati. Il générale polaoco coi valorosi
suoi Szekler cadeva su quelle e le metteva in fuga; indi
minaceiava Kronstadt ed Herrmanstadt; i Russi, che pro-
teggeyano queste città, rotti due volte da Bem, ripara-
yansi a Illyefalya e ad Aldoboly ; e allora il générale per
la stretta di Ojtoz entrava in Moldavia per sollevarla ; ma,
corsala sino a Roman senza trovare simpatia per la sua
causa, riedeva in Transilvania a frenare i nimici, i quali,
ripresa Bistritz e respinti sino a Reusmarkt gli Szekler^
che tenevano Herrmanstadt, miravano ad occupare Klau-
senburg. n 5 agosto combatteva e sbaragliava compiuta-
mente Hasford poco lungi di Salzburg ; indi voltosi contra
Lûders — accorrente in aiuto di Hasford — l'afOrontava
su le alture di Grosscheuem ; se non che, tornati vani gli
sforzi per sopravanzarne i âanchi e romperne le ordinanze,
al cadere del giorno Bem, posato il combattere, dietrèg-
giava per ridursi con sue genti su la destra délia Maros«
Arriyatogli in quel mezzo Tinvito di Kossuth di portarsi
ai campi ungaresi assedianti Temeswar per assumere il
comando suprême dell'armi magiare, fldata al générale
Lazar la difesa délia Transilvania, per la via di Lugos sol-
lecito recavasi al nuovo suo ofûcio.
Âllora che gli Austriaci, dopo la rotta di Isaszeg e la
perdita di Waitzen, lasciata Pesth e presidiata Buda, re-
trocedevano verso Presburg e la Leytha, Jellachich con le
genti croate, per la destra del Danubio sceso alla Drava, ri-
paravasi in Essek. Rifatto Tesercito, quando seppe délia in-
vasione dei Russie usciva ancora alla campagna ; e allargatosi
da prima tra il Danubio e la bassa Theiss, recavasi di poi
a stringere d*ossidione Petervaradino, la Komorn délia
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380 CAPITOLO vu
parte méridionale deirungaria. Il 25 giugno vincitore délia
retroguardia di Perczel, affrontata dinnanzi a O'Becse coa
armi due Tolto tante le ayyersarie, non sapendo corne
profittare délia facile vittoria riportata, indietreggia verso
San Tomaso e Fôldwar. In quel di medesimo, dopo lungu
assedio strenuamente sostenuto, la fortezza di Arad — che
siede su la destra délia Maros — rendevasi ai Magiari :
resisteva perô Temeswar, gagliardamente difesa dal vec-
chio maresciallo Rukowina, cui la fortuna in premio di
sua costanza e virtù serbô Tonore di renderla a cU gliela
avcva fidata, al suo Sovrano. — Già da alquanti gioroi
quietavano le armi nella Bascka, allora che il Bano di
Groazia disegnava d'assaltare di nottetempo il campo di
Guyon ad Eperies ; il quale, avvertito délia impresa deli-
berata dal nimico, preparossi a ricevere Tassalitore. Fa
nella stretta di Hegyes che Jellachich pati asprissima bat-
titura; perô che, entratovi all'albeggiare del 18 luglio
senza precursori che ne cercassero gli aditi e gli sbocchi,
quand' ei trovossi bene addentro venisse d'ogni parte ftil-
minato dalle artiglierie nimiche. Allora che gli fu date di
uscire dalla fatale stretta, tanto precipitosamente fuggi.
da lasciare moltissimi dei suoi in mano agli Ungaresi; aè
arrestossi al Danubio, ma portossi sino alla frontiera
di Servia, pronto a passare in Turchia, se gli si fosse ar-
yicinato il vincitore! in taie impresa, si malamente gover-
nata, il Bano perdette meta del suo esercito. La vittoria
di Guyon liberô la Basca di nimici e fece allargare Tas-
sedio di Petervaradino, la quale fortezza potè allora rl-
fornirsi di vettovaglie e accrescere il presidio di nuove
soldatesche. I Magiari si volsero quindi alla conquista del
vicino altipiano di Tittel; ma dovettero subito togliersi
giii dall'impresa per correre a Szegedin, minacciata da
presse dal grosso degli Austriaci, Il 22 luglio Guyon
giuntovi con le sue genti — da otto mila uomini — po-
nevasl a guardia délie trincee fidate al suo valore.
Costretto a indietreggiare da Kaschau per le armi sover-
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VENBZIA E UNQABIA 381
chianti dei Russi, Dembinski, pcr la valle deirHernath e
per Erlaa sceso verso il Danubio, erasi portato a GyOngyôs
— terra che siede a cavalière délia grande via di Pesth —
ad attendervi Gôrgey per fare insieme la giornata coi ni-
mîci. Avvertito che Paskiewitch, il quale campeggiava
Aszod per difendere la metropoli, aveva divisato d'affiron-
tarlo il 23 luglio dalla parte di Hatvàn, il générale polacco
deliberô di furargli la mossa e venir primo aile offese.
Aile due del mattino di quel giorno — tre ore avanti
(laella fissata da Paskiewitch a muovere Tarmi contra gli
Ungaresi — cadde furiosamente tempestando sui campi
rossi di Hatvàn e li ruppo: trofei di sua vittoria, dodici
cannoni e molti prigionieri. Mentre Dembinski combatteva
pposperamente ad Hatvàn, Gôrgey varcava il Sajô stenden-
(iosi da Sziksz6 a Onod, non lungi dal metter foce di quel
fiame su la Theiss ; e P51tenberg, che dalla stretta del Sajô
proteggeva Tavanzarsi di Gôrgey, ributtava una grossa
presa di Russi per la via di Gyôngyôs venuta sino ai colli
di Gôrômbôly, ove Pôltenberg teneva il suo campo. H di
appresso — 24 luglio — assalito da forze nimiche d'assai
maggiori délie sue, dopo alcune ore di combattimento, per
non trovarsi preso a rovoscio da una grossa schiera di
Russi minacciante la sinistra délie sue battaglie, ritrattosi
a Miskolcz passava il Sajô senza patir molestie dai nimici ;
i quali, il mattino seguente, rinnovavano la pugna, che
dur6 sino a notte con vantaggio degli Ungari. Il 26, Gôrgey,
portatosi su la destra deU'Hernàth, fermossi un giorno a
Cesztely per dare riposo aile sue genti ; e fu questo un assai
grave errore strategico, perô che soprammodo importasse
<i'avvicinarsi a Szegedin e al Banato per impedire agli Au-
stpiaci di soccorrere Temeswar, e varcare la Theiss prima
del Russi, de' quali un nuovo osercito, capltanato da Sacken,
ÎQ quel mezzo calato ad Ungaria per la valle deirHernath
procedeva verso Tokay. Al cadere del 28 luglio e poche
ore dopo una zuffa combattuta vantaggiosamente da Lei*
ûingen contra Grabbe — toltosi dagli Austriaci per unirsi
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382 cAPiTOiiO VII
a Paskiewitch — Gôrgey lovava i suoi campi dallTEemàth
e il 30 a Nyiregyhàza snperava la Theiss: era tempo» awe
gnachè î nimici, che già avoYanla passata presso Tisza-
Fûred, per la sinistra del fiame si fossero portail rimpetto
a Tokay per contrastarne il valico agli UngaresL Dembinski,
non veggendo renire a lai Tesercito di Oôrgey» dopo ia
vittorla di Hatvàn recavasi a Szegedin, lasciando in Ozegled
le genti di Wisocky e di Perczel; i quali, allora che sep-
pero Gôrgey camminare verso Talta Theiss, scesero pur
essi a Szegedin.
Yalicato quel fiume, Oôrgey col grosso deiresercito por
Nagy-Kallô mosse verso il Berettyô, protetto alla sua destra
dalle ordinanze di Nagy-Sàndor, il quale spalleggiavalo
per la via di Hadhàz e Debreczin. Fu presso questa
eittà che Paskiewitch con armi poderose affrontara e
opprimeva Nagy-Sàndor» costringendolo a ripararsi entre
Granvaradino, dove subito raggiugnevalo Gôrgey. Questî.
chiamato soUecitamente ad Arad da Aulich, Ministro aopra
le armi, levati il 5 i campi dal Kôrôs portavali il 0 e il
10 alla Moros intorno ad Arad ; e qui dovevano raccogliersi
le armi magiare per venire poi a giornata campale e farla
finita con gli Austriaci, già su la Theiss, già minaccianti
Szegedin e il Banato, per voltarsi quindi contra i Rassi. —
Era tardi ! la disobbedienza di Gôrgey portava allora i suoi
frutti tristissimi; i giorni dalui perduti in Komorn toma-
rono esiziali alla libertà patria ; per6 che, quand'egli giunse
in Arad, la fortezza di Szegedin, dopo fiero contrasto, fosse
caduta in potere di Haynau, e a Dembinski fosse toccata il
5 agosto grave soon&tta sui campi di Szôregh, non ostante
il valore di cul le sue genti avevano, in quella giornata.
date luminose prove. La ritratta del générale polacco verso
Temeswar ^ che Wecsey teneva tuttavia assodiata — con-
dusse Tesercito suo alla rovina estrema. Gostretto dagli Au-
striaci, che avevanlo segulto da presse^ a far nuova giornata.
veniva compiutamente distrutto a Eis*Becskeret Bem, in
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VENBZIA B UKOARIA 383
quel mezzo arrivato di Transilvania, governô la pugaa (1);
cho prospéra da prima, voltossi in sul finira avversa aile
anni magiare, per la tradigione di Gôrgey (2); il quale, già
ÎQ mente volgendo sua dodîzione ai Russi, non corossi di
.«^occorrere, o forso non voile soccorrere Bem (3). Se con
lo sforzo suc uscito da Arad, occupata Theresiopoli, si fosse
awicinato alla destra délie battaglie di Bem, avrebbe im-
pedlto aglî Anstriaci di ricevere gli aiuti che lor venivano
dalla bassa Maros! Libéra dalFassedio, Temeswar avéra
aperto le porte al vincitore, e Haynau, stretta la mano al
veochio Rukowina. DeU'esercito di Dembinski, parte andô
dispersa, parte si raccolse a Lugos, non lungi dai confini
transilvanL — Il mattino del 10 agosto Gôrgey, non awi-
sato délia disfatta di Bem, manda ad oecupare Vinga —
su la via di Temeswar — le ordlnanze di Nagy-Sàndor, le
quali il giorno appresso devono unirsi a Dembinski ; ma
afirontate e oppresse da prépondérant! armi nimiche retro-
cedoQo ad Arad. Allora Gôrgey, fatta deliberazione di libe-
rare la via di Temeswar e d'avvicinarsi a Wecsey e a
Kmety ^ ch*egli crede strîngano sempre d*assedio quella
fortezsa — preparasi d'assalire il di vegnente gli Austriacl,
elle stanno a campo non lungi di Arad. Uno scritto di Guyon,
gianto nella notte, faceva eonoscere a Kossuth il disastro
(li Kis-Becskeret in tutti i suoi particolari ; dlsperando di
poter eontinuare la guerra con vantaggio, il Dittatore
dUngaria depone allora la suprema autorità: onde il Go-
(1) Dembinski a SzOreg nel cadere di cavallo erasi ferito gravemente
Oûaspalla.
(S) Dobbiamo proprio pariare coai d'im uomo, cbe tanto strennamente
^ Bapientemeate aveya operato per la patiia! Se in GOrgey ramore di
WsU ayene snpeiato Tamore di se stesso; sepiù avesse odiato TAu-
Btria e si fosse levato emolo, non rivale di Eossuth, egli non ayrebbe
^û poste in dimenticanza il proprio dovere, e l'Ungaria sarebbe stata
«alTa.
(3) GK^rgey aveva già tentato pratiche d'accordo ed Bnssi, senza
anertire di ciô U Govenio nadoaale.
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384 OAPITOLO VII
verno elegge Gôrgey généralissime di tutte le forze armate
con facoltà di fermare la pace coi Russie se reputa impos-
sibile salvare la patria con le armi. LU agosto in un
manifeste alla nazione il Governo annunziava di avère
confldato a Oôrgey Valtapotestà civile emilitareaUoscojjO
di assicurare la vita e Vawenire del paese, sicuro che sarà
per adoperarla per la sainte e laprosperità délia patria.
— Al manifeste dei Ministri rinunziatorî del potere, tenne
dietro quelle di Gorgey, nel quale prometteva di operare a
vantaggio di essa quanto sarebbegli possibile con le armi o
gli accordi. — Nella nette in cui Kossuth — lasciata Arad,
lasciata la patria — portavasi in terra d*esilie — e f u qnella
deiril al 12 agosto — Gôrgey inviava a Rûdiger araldi per
trattare délia resa: egli, mentre faceva appelle alla genero-
sità e alla giustizia dello Czar a favore délia nazione e del-
l'esercito, eccettuata perô la sua persona, significavagli
essere per trasportare i suoi campi a Vilàgos, il 13 a Boros-
Jenô e il 14 a Beel, afflnchè Rudiger potesse con sue genti
collocarsi tra i Magiari e gli Austriaci. In quella notte stessa.
uscito (li Arad col grosso dell'esercito, portavasi a Viligos;
e fu qui che Gôrgey parlô a' suoi soldati délia dedizione, dopo
il ritorno degli araldi spediti a Rûdiger e aver ricevnto il
comandante délia schîera mandata dal générale russe a cam-
peggiare la via d'Arad a Vilàgos per separare gli Ungari
dagli Austriaci. La notizia délia resa a discrezione destô si
terribili ire e tal furore nei soldati, che se Gorgey non si
fosse portato sollecitamente ad essi per frenarne gli impetî
generosi, sarebbersi levati a ribellione per togliersi allô
obbrobrioso posare di quelle armi, che tante volte e splendi-
damente avovano vittoriato dei nimici délia patria. Il mat-
tino del 13 agosto sui campi che stendonsi tra Kiss-Jenô e
SzoUôs, non lungi di Vilàgos, stavano schierate le battaglie
di Riidiger ; rimpetto a queste, le ordînanze ungaresî, ven-
tiquattro mila uomini allô incirca ; le bandiere e gli ston-
dardi, poco prima si gelosamente custoditi e strenuamentp
difesi, giacevano dinnanzi a quelle abbandonati e n^letti :
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VBNSZIA K imOA&IA 385
i schioppi erano raecolti in fasci; i cavalieri, accanto ai
ro cavalli, con le sciabole appese al porno délia sella; lo
'tiglierîe, serrate le une presse aile altre senza canno-
ieri (1). Mentre l'esercito di GôPgey recavasi, prigioniero
gaerra, ai campi nissi dî Varkad e Gyula, e il suc sapremo
ipitano con sègaito di pochi ufflciali portavasi ai quartieri
Paskiewitch in Granvaradino, Schlick, arrivato su la
aistra délia Maros dîniianzi ad Arad, faeeva la chîamata
questa fortozza. Ni)gativamente rîspondevagli Damjanics,
quale subito dopo trattava col g(>nerale Buturlin délia
edizione di Arad, a patto cho gli Austriaci non avessero
d assiâtere alla uscita del presidio: ciô che avreniva il 17
i quel mese d'agosto. Alla resa di Vilàgos e di Arad tien
lietro quella dell'altre fortozze e délie schiere carapeggianti
1 mezzogiorno d^Ungaria e la Transilvania, a ciô fare invi-
ate da Oôrgey; il quale, scri vende ai loro comandanti,
ireva parlato di non rendersi a discrezione, ma d*unirsi ai
iussi. Le reliquie deiresercito di Bem e dl Guyon, dopo
a sconfitta di Kiss-Becski^ret raccoltesi interne a Luges,
venute dî poi a Dobra — terra transilvana che siede su
la Mares — trovandosi circondate dagli Austriaci, il giorno
stesso délia dedizionc di Arad disperdonsi tra i menti,
^eiy, apertosi con le poche sue genti il varco tra le
genti austriache, per Mehadia riparasi in Turchia; ma
Wecsey, cui i Rassi son rinsciti a precludere ogni via di
i^alvamento, loro s'arrendi'^ il 19 agosto; ai quali Munkacs
il 26 âpre le porte; e Petervaradino, il 27 agli impérial i.
In Transilvania i Secli, dopo avère sbaragliati gli Austriaci
<li Urban, a Sibo, si danno ai Russi ; e Lazar, a Deva, arren-
<ïesi a Simbschen. — Il 3 agosto, allora che Haynau con
lo sforzo di guerra camminava verso Szegedin, Klapka,
uscito di Komom, ributtava gli assediatori da Mocsa, da
Piissta Herkaly e da Pussta Chem, e, recatasi in mano
(1) ContaTansi cenqiuurantaqiiattro le artiglierie.
85 - VoL n. Maetaxi — Staria pd» ê mil.
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H86 CAPITOLO VII
risola di Schûtt, il di appresso impadronivasi di Raab.
Gravi i danni degli Austriaci e dei Russi, i quali, oltre i
molti morti e feriti rimasti sul campo, îa loro precipitosa
fuga lasciaroao ai vincitori non poche artiglierie e copia
grande di munizioni da guerra e di vettovaglie. Klapka,
rivelando con quella impresa tutta la potenza di sue armi^
gettô nei nimici taie spavento di se e de' suoi, che quaado
caduta a Yilàgos la fortuna dei Magiari, respinse sdegnoso
la cUamata di rendersi a discrezione, TAustria concede-
vagli onorevoli patti di resa; il 27 settembre Komorn apriva
le porte agli imperiali: TUngaria era vinta (1). Posata
la guerra cominciarono le vendette, e furono oltre ognî
dire feroci, brutali! Molti generosi che in campo il ferro
(i il piombo dei nimici avevano in cento pugne rispettati,
caddero allora moscliettati, o per mano dei carnefice per-
dettero la vita sul patibolo. Francesco Giuseppe, che gii
adulatori — di cui pur troppo vanno sempre popolate
le Gorti dei regnanti — voUero chiamato il cavaUeresco
Imperatore, permise si mandassero al supplizio estremo
quanti de' più nobili e grandi contava la sollevazioue ma-
giara. Arad fu il teatro di sanguinosa scena! il 6 ottobre
vi perdevano la vita i generali e gli ufflciali più strenni
deiresercito ungarico. La storia ha scritto nelle sue pagine
— che tirannide veruna potrà distruggere mai — i nomi di
Aulich, di Ernesto Kiss, di Pôltenberg, di Leiningen, di
Tôrok, di Lahner, di Nagy-Sàndor, dl Knezich, di Dessewffy,
di Damjanics e di Wecsey. Ricordano pure le storie quelli
di altri màrtiri dannati a morte da tribunali militari, tra
cui i più illustri Luigi Batthyany (2), Woronieczky, Pietro
(1) Il colrainello Monti, di Biesda, che lappresentava la Sardegna
presao U Govemo magioro, allora che seppe la disfatta di Novan e
rabdicazione di Carlo Alberto, assonto il comando deUa legione italiana,
che militava sotto le insegne d'Ungaria, combatte valorosamente cob
essa per la iudipendenza di qnel nobilissimo paese.
(S) La sposa di Batthyany, corsa alla prigione per abbiacdaze il mm-
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YENSZIA B UNOABIA 387
(Jripon, Carlo Abancourt, Pereny, Enrico Szacsyay, Gsernyas,
Luigi Csany, Giovanni di Jessenak e Luigi Kasinczy. —
Gôrgey, il quale, per intercessione dello Czar, aveya avuto
salva la yita, era relegato a Klagenfurth, in Garinzia; gli
amici e i suoi compagni d'arme venivano morti o condan-
uati a lunghi anni di durissimo earcere (1). — L* Ungaria
era cosi tornata alFimperio e alla signoria absburghese non
per la rirtù délie armi austriache e la sapienza de' suoi ge-
nerali, ma per quelle dei Russi, e per la tradigione di
Gorgey, che, nato magiaro, avéra in comune co' suoi con-
cittadinl il valor personale, non perô il cuore, non l'entu-
siasmo, ne la fede. In guerra, tradimento e disobbedienza
partoriscono sempre i medesimi eifetti e portano gli stessi
tristissimi frutti! la disobbedienza di Gôrgey a Komorn
produsse la catastrofe di Vilàgos» e condusse TUngaria alla
resa di Kiss-Jenô, di ZôUôs.
La pace fermatasi di quel giorni con la Sardegna —
délie cui pratiche parleremo tra brève — la sommessione
dell'Ungaria e la dedizione di Venezia, awenuta poco ap-
presso alla resa di Vilàgos e di Arad, avevano affermata
la monarcbia délia casa d'Absburgo; essa, che l'anno in-
nanzi erasi trovata vicinissima a ruina, trovavasi allora
piU forte che mai per opéra di quelFonor militare che,
confessiamolo in omaggio alla verità, in nessun esercito
d'Europa di quoi tempi — e possiamo dire altresi del-
l'epoca délie gigantesche guerre napoleoniche — non
^ra tanto vivamente sentito, quanto neiresercito austriaco,
sobbene composte d'uomini di nazioni varie e per odi an«
ticU tra loro nimicissime. Senza i poderosi soccorsi di
^toper Vultima volta, veniva lespinta, perô che Haynan aveva niegato
<ti eoncedere tanto conforto al condannato ; e se rinfelice donna riescl
neli'intento suo, qnesto dovette all'amanit& del principe Liechtenstein*
(1) AKossnth, Dembinski, Bem, Perezel, Casimiro Batthyany, Szmere,
^ety, Gnyon, Wisoki, Wetter e a Meszaros venne dato di salvarsi
nella os^tale Tnrchia.
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383 CAPITOLO VII
Russia certo lo armi austriache sarebbero cadute sal Da-
nubio e su la Theiss; ma salyo ne sarebbe stato l*onore
militare, il quale toraô e tomerà sempre efScacissimo a
cementarne gli elementi .piii divers! e persino i piii con-
trari. L*imperio austro-ungarico , costitaito corne è «3
corne fu sempre da aggregazlone di popoli e frazioni di
popoli di naturalith diversissime, ne insieme legati da
vincolo alcuQO, non puô avère un esercito nazUmale;
ma sino a che i soldati di esso — Italiani e Magiari,
Slavi e Tedeschi — rispetteranno nel Monarca il rappre*
sentante délia grande nnità militare deirimperio, rAastria
potrjt modificarsi, eziandio trasformarsi, perire non mai.
« Ouardate quesix> campo, » cosi Radetzky nello additare
a un de* suoi, che temeva deirawenire deirAustria, un
campo sul quale poche ore prima avevano combattuto
Sardi e imperiali, e tuttavîa coperto di morti todeschi,
italiani, ungaresi, boemi e croati, tutti soldati délia casa
d'Absburgo. Di quoi giorni la casta militare — che gloria-
vasi di aver salvata la monarchia — era venuta in tanta
potenza da imporre la volontà propria al giovane Sorrano,
e, affermando le armi soltanto poter dare saldezza al trono,
usurpata la suprema autorité, prendeva a spadroneggiart»
dovunque, fino sotto gli occhi delllmperatore. La siessa
Vienna — un di levatasi vittoriosamente contra gli ordi-
natori délie stragi di Gallizia e di Milano e i cai moti
liberali avevano date Tultima spinta alla soUevazione di
Lombardia e délie Venezie — giaceva allora oppressa
dal piii dèspotico dei governi, il govemo délia spadal
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CAPITOLO VIII.
Kozna.
FranciA délibéra di fur Timpresa di Borna. ~ Bibellione dei montanari
ascolitani; la compagnia infernale in Ancooa. — Sbarco dei Fran-
cesi a CiTitayecchia. I Franced soonfitti il 30 aprile sotto le mma
di Borna. — I Napolitaoi a Palestrina e a Velletri; ftiga dei re
Ferdinando. — Spedizione spagnnola. — Gli Anstriaci fanno l'im-
presa di Bologna e d'Ancona. — Ite a ynoto le pratiche di con<
ciliazione, Ondinot disdice le tregne. — La giomatii dei 8 giugno.
— Lettere di Ondinot all'Assemblea e all'esercito romano; risposta
dell'Assemblea. — Missione di Coreelleeu I Francesi tentano Borna
nella notte dei 21 gingno. — Ultime reabtenze; Medici e Manara;
il 80 gingno. — I Triamyin risegnano Tofficio loio; i Francesi
in Borna. Garibaldi; ospitalitA Sanunarinese. — Lettera di Lnigi
Bnonaparte a Edgardo Ney. — Pio IX toma a Borna; cattivo
reggimento degli Stati délia Chiesa; nei 1857 il Pontefice visita
le sne provincie; visita Modena, Panna e Toscana. — H 1858.
Roma, la quale ayeva tanto festeggiato lo.intimar délia
imova guerra airÀostria, quando seppe dei disastro di
Novara, tutta riempissi di lutto e d'afflizione; ma se il do-
lore di quella sventura nazionale Toppressc, non gianse
porô a proâtrare gli animi dei popolo. In quel moment!
diflaclli e pericolosi sôprammodo împortando raccogliere
in poche mani il reggimento della cosa pubUica, a fine
'li provredere soUecitamente ai bisogni della patria, che
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390 CAPITOLO VIII
facevansi ogni giorno più imperiosi, l'Assemblea Costituenle
instituiva un triumvirato con potestà illimitata, al quale
oflicio chiamava Giuseppe Mazzini, Aurello Saffl e Carlo
Armellini. La elozione di questi uomini tanto benemeriti
deiritalia — i quali, con la riverenza del nome e col loro
governo rigido, ma civile e netto dCogni proscrizione e
di sangiœ, fermarono in tempo Vinsolenza délie voltabili
plebi e le ire délie fraterne discordie (1) — venno accolta
col massimo entusiasmo dalla parte libérale; avTegnacb-
sapesse corne i Triumviri avrebbero mantenuta semprc e
preservata la repubblica a ogni patto da qualunque péri-
colo si affacciasse e la rappresenterebbero degnamcnt/^
nella guerra di indipendenza (2). Il lungo indugiare «li
Guerrazzi — di quel giorni reggente la Toscana con au-
torité dittatoria — a riconoscere la repubblica e soprai-
tutto i tristi casi di Firenze e, conseguenza di questi, Tin-
vasione austriaca, rattristarono Roma, che vedeva maii-
care alla causa délia libertà Tappoggio di quella gente, la
quale l'anno innanzi aveva valorosamente combattuto a
Gurtatone e a Montanara. La novella, giunta in quel mezzo
del suo riconoscimento da parte délia Sicilia, leni alquant^»
il suo dolore; e sebbene da quella terra, che in Italia
prima erasl levata contra la tirannide, non potesse sperar**
aiuto di armi, pure l'accomunare che essa voile fare del
suo avvenire con quel délia repubblica, tornô di graniU*
conforto ai Romani, allora in gravi pensieri per l*ostile
contegno di Francia^ che gi& chiariva la intenzione di
intervenire armata mano nelle faccende loro. Sino dal
febbraio gli oratori di Francla, d'Austria, di Spagna e Na-
poli presse Pio IX in Gaeta (3) discutevano con Anto-
(1) LuiGi A^rniLi, Storia (Fltalia, vol. n, cart 371 ; lOlano, 18H4.
(9) Parole dei Triumviri ai Romani.
(3) Erano per la Francia d'Harcourt e Bayneval; Esterhai^ per
TAustria; Hartinez de la Rosa per la Spagna; e Ludolf per NaiM>li.
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BOMA 391
nelli e i cardinali délia Gorte pontiâcia su la restaura-
zione délia potestà papale. Se tutti erano d'accordo sopra
la nécessita d'un intervento d'armi straniere, discordavano
perô nella scelta dello Stato che doveva far Timpresa;
Napoli e Spagna volevano bensi aiutarla, ma da sole
non potevano compierla (1): taie scelta pendeva quindi
su TAustria e la Francia. D'Harcourt, a ragione temendo
che, se l'onore di ricondurre il PonteSce a Roma toccasse
aile armi austriache, Timperio acquisterebbe soverchia
preponderanza in Italia; e veggendo il cardinale Antonelii
apertamente inclinare verso l'Austria, metteva innanzl:
avesse Pio IX a recuperare lo Stato non per forza di
armi, l^ensi in virtu délia parte cosUtuzionale e di moti
popolari; alla quale sua proposta Toratore di Francia te-
nevasi certissimo, accosterebbesi lo stesso Ponteflce, che,
persuûso i nuovi ordini di Roma essere stati Topera di
pochissimi, riteneva quella parte a lui affezionata. — lu
Corte di Gaeta non yolevasi saper di Francesi ; i cardinali,
pochi eccettuati, erano contrari a D'Harcourt; il quale,
irritato dai modi violenti di combattere la proposta sua,
minacciô di rompere le pratiche dellMutervento. Antonelii,
richiesto di far conoscere le concessioni che Pio IX, ri-
salito al trono, accorderebbe ai sudditi, astutamente rispon-
deva a D'Harcourt : « Dite al pubblico, che la Francia
spegnerà la romana repubblica per restaurare il potere
temporale, e allora il Ponteflce si pîegherà ai desldèri
vostri; se niegate fare taie dichiarazione, laseiate l'impresa
airAustria, che nuUa patteggia per essa. » ^ Indubitabil-
mente aU'invito di Pio IX l'Austria sarebbe corsa a op-
(1) Napoli, yinta ma non domata dal Borbone, sarebbesi nnoyamente
sollevata alla prima sconfitta dell|esercito di Ferdinando, o se avesse
vedato awicmarsi le armi romane. Una spedizione armata negli Ab-
bnuzi e una pnnta di essa a Napoli erano state due yolte saggiamente
Gongigliate dal générale Pepe al Govemo di BomÀ; il sollevarsi del
rearne avrebbe al certo ricondotta la bnona fortnna allltalia.
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392 CÂPiTor.o viii
primere la libertà romana, perô che tenesse allora la poco
conto il giudizio dei popoli (1). — Odillon Barrot, uii dei
Miaistri di Francia, appena venne avTisato délia delibe-
razione presa dai rappreseiitauti degli Stati cattolici in
Gaeta, cioè che la Francia avesse a intervenire con sue
armi nelle faccende di Roma, recatosi airAssemblea aa-
zionale per otterne Tassenso^ prendeva a dire cosi: < Noi
non andiamo in Italia a imporvi con le armi nessun si-
stema di governo, ma ad afferinarvi i dlritti délia libertà
0 a oonservarvi un legittimo ingerimento nelle cose délia
penisola. » A Ledru-RoUin, il quale lamentava come Fran-
cia, dopo aver lasciate a loro stesse Sardegna e Yeneàa.
Firenze e Messina, s*unisse allora all'Austria e a Napoli
per restaurare la potostà poniificia, il générale Lamori-
ciôre rispondeva : < Se la Francia doTesse operare ia Italia
giufita le mire deirAastria, io non mi farei ad appoggian^
Timpresa. Invitata con gli altri Stati dei Papa ad aiutarlo
alla recuperazione di Roma, Francia spediva a Gaeta un
orator auo per conoscere ciô che meglio convenisse fare.
Yinto a Noyara Tesercito dell'indipendenza italiana, TAq-
stria, cui la repubblica romana ha ora inditta la guerra,
sta per valersi dei diritto di romperla; se le armi sue ri-
ponessero il Ponteflce sul trono, con la repubblica romana
perderebbersi le libertà d'Italia e il crédite nostro altresi
nella penisola. 01 sia dunque concesso di occupare Ciri-
tavecchia e di portarci a Roma, quando l'Austria si aran-
zasse per ricondurvi il Ponteflce.» Il Buonaparte, che
il 2 dioembre deiranno innanzi erasi mostrato contrario
airimpresa di Roma, facevasi allora a caldeggiarla per li
suoi fini ambiziosi e ravvenir suo, ch'egli già andava pre-
parando; difendendo il Papato — un giorno da lui com-
(1) n 20 aprile il Sommo Ponteflce proniinsiô nna alheumi^ adli
quale mostrossi bénerolissimo all'Anstria e al Be di Napoli che h
4>spitaYa.
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ROUX
))âttuto — intendeva eonquistarsi il favore del Yatioano e
del elero francese. Egli, che aveva segretamente conve-
nato col Qoyerno di Yienna d'impadronirsi di Oivitayec-
chia, mentre gli imperiali invaderebbero le Legazioni,
cercô onestare la spedizione spargendo voce nelle plebi,
che la repubblica romana — opéra di alcuni amatori di
notyità — era awersata da pachif invisa ai piU : che il Pan-
tefice ffodeva del favore universale; e che essOy nel desi-
derare il ritomo al seggio apostolico^mirava alla restau-
razione degli anttchi ordini di govemo ; onde un intervento
reintegratore di quesH doveva essere bene accolto. Men-
zognera afifermazione, con cui Napoleone ingannava la
Francia e i suoi rappresentanti ; i quali approvando l*im-
presa, credevano togliere Roma alla tirannide di gente
faâosa e salvare i diritti e la volontà del suo popolo. A capo
délia spedizione veniva posto il générale Oudinot, cui Odil-
Ion Barrot dava, sul governo di essa, istruzioni contrarie
anzi ripugnanti aile parole da lui pronunciate neirAsaem-
blea (1). Corne eseguisse Oudinot i comandi di Napoleone e
(1) a L'ingresso in CiTitaveochia non yl sart certamente nie-
^to; taUo c'induce a eredere che, Inngi dall'incontraie resistenxa, sa-
rete accolto ansiosamente dagli uni quai liberatore , dagli altri qnal
inedktoTe contra i pericoli minacciati alla repubblica dai nimici di
qaesta. Qoalora poi si yolesse impediryi Tentrare in Civitayecchia, yoi
son ti anesterete alla resistenza oppostavi in nome d'nn Goyemo non
rieaaoscinto in Eniopa e che mantiensi contra la yolontA dei più. Fer-
mato il piede snl tenitorio délia Chiesa invierete a Borna nn dei
rostri nfficiali per far conoscere ai capi del Goyemo la yostra missione
^ ayyertirliy non dover yoi appoggiare Tordine di cose da essi rappre-
"«ntato..... Yoi gindicherete se le resistenze sono tali da potervi recare '
il Roma, non solamente con la certeiza di non incontrare opposizione,
loa d'esserri bene aocetto, e qnando nell'entrarvi possiate lispondere a
nn appelle deUe popolazioni OTnnqne ▼! troyerete, sino al momento
in cid on Goyemo regolare saiA sostitaito a qnello che ora si aggraya
^ gli Stati délia Ohiesa, potrete, se yi pana necessario o conyeniente,
naatenem in offido le auUmià ciTili, qnando non snscitino pericoli o
imbarazzi; o yeiamente favoreggiare il ristabilimento di qnelle che già
^'-wrcitaTano offioi amministiatiTi, o creame di nnoTe..... »
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394 CAPITOLO VIII
del suo Ministro diremo tra brève; ed eziandio vedremo
con quanta rabbia quel générale d'una repubblica combat-
tesse a danno di un'altra repubblica; ne di ciô maraviglb
nessuna, quando si saprà, Oudinot, non avère servitOj ma
essere stato sefvo di dinastie l'une aile altre avversissime;
perô che egli abbia militato fedelmente sempre sotto le
bandiere del primo dei Napoleonidi (1), di poi sotto quelk
dei Borboni, degli Orléans, e allora militasse sotto le in-
segne di Fraucia repubblicana. Lasciato il comaado dello
esercito délie Alpi — raccolto Tanno innanzi presso la
frontiera délia Sardegna allô scoppiare dei mot! popolari
d'Italia — Oudinot, appena eletto capo délia spedizione di
Roma, portavasi a Marsiglia, ove imbarcavansi le soldate-
sche designate a quella. Erano poche allora, avvegnachè
i Francesi, dimenttchi délie tante imprese audaci e stre-
nuissime operate dagli Italiani sotto il governo del piii
grande Italiano, del più sapiente capitano deirevo moderne,
Napoleone Buonaparte, credessero che gli Italiani non
avrebbero combattuto, e che Roma al primo apparire délie
insegne di Francia poserebbe le armi e loro aprirebbe h
porte: ma davanti alla città etema dovevano i Francesi
fare assai dura prova del valore italîco. Il 22 aprile Oudi-
not entrava in mare co* suoi soldati, portati da sei fregaù\
due corvette e due legni minori a vapore. « Essi erano
superbi e felici, scrisseBalleydier (2);essiandavanoacoD]-
battere per la più giusta e piii santa delle cause ; esai anda-
vano a Roma a rovesciare Tidra deiranarchia... » Essi erano
al contrario dei poveri illusi, perô che fosse quella unaguerni
fraterna; fosse la restaurazione d'una signoria avversata
(1) Alfonso Balleydier mette a grande onore di Oadinot l'esseiâ Na-
poleone primo, la notte che precedette la gioniata di WagnuOt app^?'
giato al suo braocio, nell'ora in cni assisteva al passagfgio del D^
nubio dell'esercito francese.
(2; Histoire de la révolution de Bome^ voL n, cart 64; Qinem, 1851.
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BOMA 395
daU'universale; in fine, fosse Tabbattimento â*un Gk)V6rno
legalmente creato da libéra gente, con libero soffragio.
In quel mezzo in alcune terre délia repubblica romana
Tordine andava sconvolto da tumulti, promossi dalla setta
che prendeva sue ispirazioni in Gorte di Gaeta, iuspira-
zioni le qaali aveyano per iscopo di eccitare le popolazioni
alla guerra civile. Altre terre poi venivano funestate da
orrendi assassin! o da barbare vendette! una compagnia
d'uomini — che erasi intitolata infemaley e in verità pa-
reva proprio che Tinferno Tavesse mandata fuora — ucci-
ileva chi non possedeva principi repubblicani, o che sa-
pera nimico alla repubblica; e in taie maniera bruttava
la causa délia libertà. — I montanari deirAscolitano, alzata
la bandiera délia ribellione, levavansi in su Tarmo pro-
tetti da grossa mano di soldatesche napolitane e da gente
di scarriera raccoltesi su quel di Teramo, consenzienti il
Borbone e la Corte di Gaeta, la quale aveva fidato a mon-
signor Savelli il carico di governare il moto, suscitato in
nome délia religione e nello interesse délia potestà tem-
[iorale del Ponteflce (1). Preti e frati, incitando a ribellione
quegli uomini rozzi e ignoranti (2), preparavano la via aile
(1) I Napolitani , nello inyadere U territorio della repubblica, ai^ri-
lOQo le carceri a molti ladri; ai quali il cardinale Antonelli diede nu
passaporto, affinchô potessero eorrerlo Uberamente; egli agginnse eosi
agli orrori della guerra i delitti che non avrebber lasciato di commet-
tere i prosciolti dal carcere. Erano qnesti i principi eristiani profes-
sât! da quel cardinale.
(2) A far conoscere ai leggitori noatri la carità cristiana, di cni eran
pieni i consiglieri del Ponteflce, trascrivo la lettera drcolare che essi
il 15 febbraio mandavano da Gaeta ai parrochi della città e campagna
6 ai priori dei conventi degli Stati romani.
u Alfii f Amatî fratelli,
u Iddio délie misericordie, prima di concedere a' snoi fedeli le glorie
del Païadiso, ama che essi gnadagnino la pabna del martirio. Le oa-
lamitose vicende che sovrastanno all'mnanità e alla religione, esigono
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396 CAPITOLO TllI
gcnti di Savelli ; le quali, guidate da certo Tagliani — un
sacerdote, un antico capo dei centurioni ai tempi del pon-
tefice Gregorio XVI — procedevano innaazi, e con le în-
segne di lui, che, dopo aver gridata la libertà, tnorHco
perdonando, uccidovano e rubavano in nome di Pio IX e
dol re Ferdinando (!)• Ugo Calandri, Prefetto d'Ascoli, tosto
che gli fu nota la sollevazione dei montanari, il 12 aprlle
che voi| amati fratelli, nsiate tutti i inezzi che sono al vostxo poteie
da aoi affidatoyi, per gingnere a racquÎBtare i noatri infranti diiitti e
a dispeidere le trame dei nostri nimici I liherali, i giacobini, i carbo-
nari, i repnbblicani non sono che un sinonimo. Essi yogliono disperdere
la religione e tutti i Ministri; noi doyremo invece disperdere sino U
eeneri délia laro razza, Proseguite col vostro zelo a coltiTare oodesd
religioH e gli abitanti di coteste campagne, corne avete fatto ê&ajxe
per lo passato. Dite loro che al euono délia campaaa non manehino al
santo convegno, ove ognuno di noi dovrà vibrare senza pietà le sue
armi nel petto dei profanatori délia nostra santissima religione. Eiflet-
tete a! TOti che slnnalzano da noi all'Altissimo : sono queUi di disper-
dere sino alFultimo i nostri nimici, non eccettuati i bambini, per evi-
tare le vendette che questi un giorno potrebbero esercitare rai nostri
allievi; procurate in somma, ohe quando noi manderemo il grido di
rioperare, ognuno di voi senza timoré ci imitL Si ô già pensato a pie-
miaryi. n
u A1& t P. C. B. Gaeta, 15 febbraio 1849. v
Dimentichi del precetto divine u non oceidere », i tristi consiglieri
di Pio IX invitayano allora i Mmistri dell'altare, loro fratelli, in nome
del Dio délie miserieordie a farsi ucciditoii di gente batteuata, bm
eccettuati i bambini! Eppure Cristo ayera insegnato il peidèno délie
offese, e dalla croce ne avova date un esempio iuminoso!
(1) Cristo avéra gridato la libertà, e monsignor Savelli gridava al-
lora la schîavitù regia e le sue masnade cantavan cosi:
« Non saran schiave le genti
Dei ribaldi, ma dei Re. »
Cristo aveva bandito la pace agli uomini di buona volontà^ e le
masnade capitanate da quel ministro di Dio volevano la pace sul volto
e la guerra nel seno; e uccidendo cantavano:
« Yi sorrida la pace sul volto,
Ma vi firema la guerra nel sen. -?
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BOMA 397
uaadaya a combatterli il colonnello Rosselll con picciola
Mîhiera di fanti d*ordina]iza e guardie cittadîne; il quale,
^viamente e con gagliardia operândo, vinse in brève e in
nolti scontri 1 ribolli c tanto li perseguitô da costringerli
i ripararsi nei monti d*Abbruzzo: allora l'Ascolano riebbe
)ace e tranquillità. Nella Mai*ca anconitana infuriô in modo
)rribile a dirsi la compagnia infernale; in Ancona ucci-
leva impunemente di pien giorno nelle vie, su le piazze
3 ncUe botteghc non solamente chi era in fama di nimieo
^l nuovo ordine di cose, ma eziandio nomini di costumi
corrotti e moralmente perduti; e ciô facendo quella com-
pagnia credeva di giovare agli intoressi civili e moi^Ii
lella repubbiica. Felice Orsiiii, venuto per comandamento
ilel Governo in Ancona a restituirvi Tordine aconvolto,
messa la città aotto Timpcrio dolle leggi militari, faeeva
arrestare gli assassin! e condurli dinnanzi ai tribunali, in
cui siedevano giudici gli ufliciali délia milizia; e cosi in
pochi giorni tornava la città alla primiera sicurezza.
Mentre Francîa od Austria preparavano le armi, che do-
vevano opprimere Roma e restaurarvi la potestà temporale
pontificia, i Triumviri davano opéra sollecita alFordinamento
civile e militare délia repubbiica; raccoglievano soldatesch()
in Bologna, un campo a Treviri; coi béni ecclesiastici, poco
prima uniti al patrimonio dello Stato, dotavano il dero
povero, decretando altresi di ripartire porzione délie terre
<ia coltivarsi tra le famiglie popolane, le quali dovevano
riceverle in enflteusi libéra e perpétua, gravate da leggero
canone redimlbile a lor boneplacito; e con moite altn^
prowlde leggi, che tendevano a rendero più efficace
il lavoro e soUevare gli indigent], proponevano di por-
^^ Tesercito a quarantamila uomini (1). Il disegno del
nuovo Statuto fondamentale délia repubbiica il 17 aprile
(1) HAZzm, Seritti politieij vol. vu, eart 18 e aeg.; Milâno, 1S64.
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3d8 CAPiTOLo Vin
veniva mosso iananzi airAssemblea da discutera ; coq esso
creavaasi due Gonsoli — un dei quali doveya lasciare Tuf-
ficio ogni anno — e dodîci Tribuni, eletti per cinque anni,
la cui missione era di vegliare su le deliberazioni del-
TAssemblea e, nel caso d'una Dittatura, di raccogliere i
rapprescntanti délia nazione al cessare dei pericoli che
avevano minacciata la repubblica. Il popolo creaTa i Gon-
soli, i Tribuni e rAssemblea, la quale non poteira essere
licenziata mai; la Consulta di Stato doveya comporsi di
quindici cittadini di tutte le provincie. — I Tciumviri, al
ricevere la novella deU'intenrento armato di Prancia, spe-
divano un battag;lione di fanti leggîeri, capitanati da Hel-
lara, ad afforzare il presidio di Givitayecchia ; davanti alla
quale il 24 aprile arrivava Tavanguardia délia spedizione
franeese ; di cui la fregata Panama metteva subito a terra
il segretario di legazione Latour d'Auvergne e i capitani
Espivent e Durand, che venuti al Préside délia provincia,
Michèle Manucci, chiedevangli in nome dei générale Oudi-
not libero lo sbarco aile genti di Francia, aff6rmando:=:
Essere i soldati di Francia amici, non nimicî a Roma;
missione loro, difenderne le liberté non combattorle; non
volere restaurare Tantico reggimento, sibbene stabilité un
governo che fosse nei voti délie popolazioni e lontano
dalla tirannide passata quanto dalVanarchia, già minac-
ciante la repubblica. = Manucci, mentre inviava un sue
messo a Roma a chiedere ciô che far dovesse, col Mae-
strato dei cittadini e il comandante délia fortezza riuni-
vasi a consulta per discutere e risolvere su quauto con-
venisse operare in si stringente nécessita. Chiesti poscia
agli inviati di Oudinot gli intendimenti dei loro générale,
Espivent diehiarava per iscritto, che la repubblica fraur
cese, rispettando le aspirazioni deipopoli délie Romagne,
non imporrebbe loro forma veruna di governo ; e che
essa interveniva in Italia per mantenervi il crédite, l^
gitttm^mente e da lunga pezza goduto dalla Francia* Su
la fede di tali promesse — confermate di poi da Oudinot
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BOMA 309
on parole piene di benevolenza per Roma — M aiiucci per-
Qise ai Franeesi di sceadere a terra, i quali entravano in
Uvitayecchia gridando Viva la Fran:ia, al quale grido
cittadini rispondevano acclamando alla repubblica: lo
he âccadeva il 25 di quel mese di aprile. Oudinot appena
ceso a terra pubblicaya un manifeste ai Romani, in oui,
lopo avère affermato, che Franeia interveniva nelle fac*
ende loro, non per difendere un Governo da essa non
icoQosciuto, sibbene per allontanare da Roma gravi sven-
are, diceva: « Non intende la Franeia di attribuirsi il
tirïtto di ordinare gli interessi che sono, innanzi tutto,
inelli délie popolazioni romane e in ciô che hanno di pih
j'enerale toccano l*Europa intera e il monde cristiano. »
je quali parole ricevevano pienissima conferma dairope-
'ato del capitano francese^ che con una slealtà e perâ-
lia, che nome non hanno, non curandosi délia fede data
aceva prigioniero Mellara col suo battaglione, spogliava
a città délie armi e la poneva sotto l'imperio délia spada;
ndi, avuta in sua mano la fortezza, impediva lo sbarco a
ma schiera di Lombard! — mille allô incirca — la quale,
ieenziata dal Governo sardo dopo la giornata.di Novara,
^ra venuta a Givitavecchia, per recarsi poscia aile difese
11 Roma; duce suo, Luciano Manara. L*A8semblea romana,
illa novella dell'invasione stranlera, da essa non provo-
;ata e che il Governo di Franeia, dimentico degli usi dei
)opoli clvili, non aveva fatto precedere da intimazione
remna, mandava deputati al générale Oudinot portatori
li protesta contra queU'atto eccitatore (fanarchia in un
yiese, che ardinato e tranquillo ripasava su la cosdenza
M propri dirittt e nella concordia dei cittadini, e che vUh
ava a un tempo il diritto dette gentil gli obblighi m-
^nti dalla nazione franoese nella stm Costituzione (1)
(1) La CoêtUuzione fraacese del 1848 stabiliva, che la Franeia non
ivesse mai a mnovere gnerra contra la libertÀ di nessnn popolo; ma
lell'anno appresso il suo Governo, eonsentendolo l'Âssemblea nazionale,
nandava gne armi in Italia a spegnere la libertà romana.
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400 CAPITOLO VIII
e i nincoli di fratellanza, che avrebàero domio riimm
le due repubbliche; essa diehiarava altresi il fermo propo-
sito di reâistere o rendere la Francia mallevadrice di tatt'.
le consegucuze di t^uella invasione. — Letta la quale pro-
testa Oadinot favellava cosi agli inviati romani: = E$-
sere veauto, non a invadere, ma a salvare la loro patrie
dalle sciagure che la minacciavano. Le geste dei Francesi
nella peaisola c le guerre da essi combattut^} in compa-
gnia degli Italiani ai tempi délia prima repubblica e del-
Timperio doverlî assicurare, la spedizione avère per in-
tento di proteggere i diritti délia geate romana e dWer-
mare sempre piii i fratellevoli affetti, che da lunga pezza
legavano Francia airitalia. — E i Depatati rispondevangli:
= I modi di interveniro del suo Governo farli gr«i-
démente temere deiramicizia che esso diceva nutrire per
Roma; lo iuframmettersi, non domandato» nelle faccende
loro, non essere certamente una prova di affetto fraterna -
Richiesto dei motivi che avevano indotto la Francia a vio-
lare il territorio romano, il générale soggiungeva: - Es-
sere slato impossibile porsi d'accordo su Timpresa per non
avère il Governo di Parigi ancora riconosciuto quel <li
Roma ; assicurarli pero che Francia, montre desiderava ve-
dere le popolazioni libcramente manifestare le aspirazionl
loro, non intendeva metter mano nella forma del reggi-
mento che sarobbero per darai; esortarli a tranquiUare gli
animi agitati e a far che il popolo romano, accolte frate^
namente le soldatesche di Francia, avesse a trovare su!
Gampidoglio insieme congiunti i vessilli délie due repub-
bliche — come già uniii sventolavano già su le mui'a di Citi-
tavecchia — a securezza e difesa délia città eterna. ^ M
protestare che i Francesi facevano di essere ccUaU a Italia
came amici — cio che avrebbe pubblicameate affermato in
un manifeste che stava per mandare al Governo di Roni'^
— Oudinot invocava in testimonio délia verità del suo dire
la memoria del padre, Tonore délia Francia, deireseroitoe
il suo ; e in segno degli amichevoli suoi intendimenti con-
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BOMA 401
^edeva ai Lombardi di Manara di scendere a terra a Porto
TAnzio, perô non prima del 4 maggio (1). Montre ei parlava
;osi ai messi deirAssemblea nazionale, il colonnello Leblanc
- portatosi a Roma con Espivent e Ferrand per esplorare
jli animi del cittadini — faceva noto ai Triumviri che, deli-
)eratosi dagli Statî cattolici di restaurare Tàutorità pon-
ificia, Prancia erasi assnnta taie impresa per impedire
iirAustria di invaderelo Stato délia Ghiesa; in oltre, Le-
t)lanc intimava loro di diehiarare, se Roma riceverebbe
imichevolmente o da nimici i soldat! francesi. L'Assem-
blea^ consultata da Mazzini, alVinnato di Oudinot rispon-
leva decretando le resistenze. Poche ore dopo, e propria-
mente a mezzo la notte del 26 aprile, Saffl significava a
quella, che il capitano Fabart — giunto allora di Giyitayec-
shia coi messi romani portatori délia protesta contra l'in-
tervento straniero — aveva in nome del suo générale assi-
curato i Triumviri delle benevoli intenzioni di Oudinot,
la coi missione^diceva Fabart, non era di ristabilire il pa-
pato temporale, ma di riconciliare i Romani al Pontefice,
salva sempre la libertà ; se li accogliessero come amici, i
Ftancesi li difenderebbero dalle armi di Napoli e d^Austria,
che minacciose già s'avanzavano. — Le gravi contraddizioni,
che trovavansi nelle cose riferite da Leblanc e da Fabart,
destarono neiruniversale forti sospetti su gli intendimenti
del Governo di Parigi: onde le passioni, già molto eccitate,
divamparono allora di terribile fuoco; e TAssemblea, con-
fermata la deliberazione presa poco innanzi, decretô cosi:
J>opo le comunicazioni ricevute dai Triumviri, corn-
mettere a qtiestt di salvare la repubblica e di respingere
^ forza con la forza. Da alcuni fu dette, taie délibéra-
zione essere stata presa anzi tempo; ma, domanderemo
i^oi, erano forse possibili gli accordi tra Roma, pronta
(1) Oudinot tenevasi secuio d'impadrDnirsi di Roma prima di quel
gionio.
M — Vol. n. HisUMi — Storia poL « mO.
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402 CAPITOLO YIII
bonsl ad accogliere in se il capo supremo délia cattolicità,
non perô un PaporRe^ e Francia, sostituitasi airAustria
nella impresa restauratrice délia temporale signoria per
mantenere 11 proprio crédite in Italia, e gratificarsi il Pon-
teâce e i cardinali per le future sue mire? Laguerra,che
due nazioni sorelle apprestavansi a combattere, era viia-
mente desiderata dalla parte nimica a libertà ; avTegDacliè,
sia che trionfassero le armi romane o vincessero le fran-
cesi , dovesse tornare esizialissima alla democrazia. E a
maggiormente inasprire gli animi dei Romani — ondearera
a farsi più fiera la lotta — un orgoglioso soldato di Fran-
cia, airudiro le resistenze docretate dairAssemblea, pro-
nunziava parole insultanti aU'onore di quelli : « I RomaQi
non si battono ! » Prove assai sanguinose egli doTeva so-
stenere di li a brevî giorni del valore italiano. la verità
dolorosissima cosa, vedere due popoli civili — iqualiuniti
sempre dovrebbero correre le vie del progresso — spin-
gersi Tuno contra Taltro armati» causa Tambizione di po-
chissimi tristi! |
Fabart, di ritorno a Oivitavecchia, assicurava Oudinot, |
che, allô apparire délie insigne di Prancia, Roma aprirebbe |
loro le porte e festosamente le accoglierebbe entro sa^ |
mura: ond'egli il 28 aprile muoveva il campo verso la cittî i
eterna per combattere non la popolazione ne le milizie ro- 1
mane» ma i fuorusciti di tutte le nazioni che la opprime*
vano (1). L*Assemblea, deliberate le resistenze, volse soi
cure ad accrescere le difese di Roma;e, raccolto in qoestl
quanto più potè di armati, preparossi a ricevere degn»
(1) u Soldati !..... andiamo su Boxoa. Noi non troveremo vmàt ^
le popolazioni, ne le soldatesclie zomane , Tone e Taltre ci consderaDi
quali liberatori. Noi avremo a combattere dei faomsciti di tatte le a»
zioni, i qnali opprimono qnesto paese dopo aver confnso nella loio cai^^
qnella délia libertà. n
Parole del générale Oudinot aU'esârcito alla vigilia di Usdaie ^
ntavecchia.
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fiOMA 403
mente Toste nimica. Le mura délia città, non ugualmente
divise dal Tevere, misurano ventiquattro chilometri allô
incirca; hanno forma, per la maggiore parte, irregolare,
m sono proYvedute di fossi, di spalti e d'opere fortiâcatorie
esteriori; erette quelle daU'imperatore Aureliano iiel terzo
secolo deirevo cristiano, erano statc di poi aumentate da
alcani Ponteûci. La ciata che elevasi su la sinlstra del
tlume, oltre essere maie fiancheggiata da torri^ poste lungo
(li qaella a intervalli disuguali, troyavasi allora in assai
cattivo stato, non estante i restauramenti eseguiti. In mi-
ifliore condizione erano le mura, che su la destra del Tevere,
girano per plu di seite chilometri, chiudendo in se Gastel
Sant* Angiolo, il Vaticano e il Transtevere. Papa Urbano VIII
A'ce costruiro la cinta bastionata, che da porta Cavalleg-
jriori sale al 0-ianicolo — colle signoreggiante la città —
indi Ta alla porta San Pancrazio, per discendere poscia a
IM)rta Portese, la quale sta presse il Tevere. Era questa la
parte piii regolare e me^io fortiâcata délia cinta di Roma;
a tatte poi erano stati allora aggiunti dei merli fatti con
sacchi pieni di terra, i quali di tratto in tratto lasciayano
larghe aperture per le artiglierie; validi serragli chiude-
v&QO le porte e le vie délia città, soprammodo quelle di
Transtevere. Airesercito, i oui soldat! contavansi diciassette
mila — in verità pochi assai per uno Stato di tre milioni
d'abitamti ^ sino a quel giorno negletto, volgevansi allora
(mre solerti dai supremi reggitori délia repubblica, sopram-
modo da Avezzana, Ministre délie armi, per accrescerlo e
disciplinarlo alla guerra. — In sul cadere d'aprile Roma
trovavasi presidiata da circa nove mila uomini, ordinati in
quattro legioni, poste sotto il comando dei generali Gari-
baldi e Masi, e dei colonnelli Savini e Bartolomeo Oalletti.
Da pochi giorni l'eroe di Montevideo vi si era portato con
tmaschiera di settecento armati; gente valorosa e cappata,
non già uomini di scarriera, come da qualche scrittore fu
affermato per essere venuti una volta tra loro a contesa e
al sangue : erano essi gli avanzi gloriosi di Luino é Moraz»
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404 oAPiTOLO vin
zone; erano Lombardi e Bolognesi. Le guardie. nazionali,
chiamate il 28 aprile a rassegna su la piazza degli Apostoli,
giuravaiio difendere sino allô estremo la repubblica e la
libertà loro : onde per esse duplicavasi la forza del presidio
di Roma. I Triumviri, non volendo lasciare întentata nes-
sana via che potesse menare a concordia i Francesi coi
Romani e impedire quella guerra di fratelli, la sera del 28
spedivano messl a Givitavecchia per esortare Oudinot a
differire d'alcun poco Timpresa» per la quale egli non pos-
sedeva forze bastevoli; e invitarlo a far pratiche per nna
composizione amicheyole délie faccende romane ; lasciando
a carico suo le dolorose consegaenze di quella impresa» se
si fosse ostinato in essa. Se non che gli inviati dei Trium-
viri, non troVando in Givitaveccliia il générale, in quel di
medesimo poriatosi con sue genti a Gastel Guido, ed essendo
lor vietato dal comandante francese délia fortezza di recarsi
al campo di Oudinot, facevano conoscere a questi per lettera»
quanto avrebbero dovuto signiâcargli a voce. Ma il géné-
rale, assicurato dai nimici délia repubblica, che Roma Tac-
coglierebbe quale suo liberatore da un governo odiato,
molto innanzi Talbeggiare del 90 erasi avanzato verso la
città dalla destra del Tevere, per assaltarne la parte più
fortiflcata con sette mila soldaii e dodici artiglierie da
campo. Awertiti del suo appressarsi i Romani corsero aile
difese; Garibaldi coUocô la sua ordinanza — la prima bri-
gâta 0 legione — fuor délie mura distendendola da porta
Portese a quella di San Pancrazio; Masi con la seconda
postossi su la mura,, che da porta Gavalleggieri va a porta
Angelica; Savini con la terza, tuttadi cavalli, tennesi per
la riscossa su la piazza Navona; Galletti con la quarta,
parimenti corne schiera di sovvenimento, schierossi presse
la Ghiesa Nuova e su la piazza Gesarini ; in fine, tennersi
pronti a soccorrere quelle battaglie, che il nimico perve-
nisse a opprimere, il générale Galletti co* suoi carabinieri
e il maggiore Manara coi bersaglieri lombardi ; i quali, non
il 4 maggio, corne avrebbe voluto Oudinot, ma il 27 aprile
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BOMA 405
^rano scesi a terra a Porto d'Anzlo e in due alloggiamenti
renuti a Roma.
la su le undici ore del mattino 30 aprile il générale
rancese, arrivato presse le mura délia città con sue genti
iivise in due schiere e occupate con buone forze due case
Il villa Pamfili, assaltava al medesimo tempo porta Caval-
eggieri e porta Angelica. Montre i difensori di queste
nspondevano vigorosamente al fuoco deU'oste nimica, Gari-
)aldi muoveva da porta San Pancrazio contr'essa per sopra-
vanzarne la destra e percuoterla a tergo. Tornatogli vano
Tassalto e rinnovatolo poi con forze maggiori, riescivagli
di fugare i Francesi; i quali, pur superati in vicinanza dei
^iardini del Vaticano e davanti a porta Cavalleggieri, toglie-
vansi giti dairimpresa, lasciando prigionieri in mano al
vincitore molti dei loro, coi morti e coi feriti perdendo da
seicento soldati ; e avrebbero sofferto danni assai più grari
se la cavalleria romana, che troyavasi a porta San Pan-
crazio, avesseli incalzati nella ritratta. Garibaldi avrebbe
voluto seguire la vittoria, ma ne fu rattenuto da Mazzini,
il quale, sperando acquistare con modi generosi e tempe-
rati vantaggi più grandi che non potessero venirne alla
patria dalFintera distruzione délie genti d'Oudinot, fece
sospendere le armi per non ferîre maggiormente l'amor
proprio d'una nazione, che dovrebbe essere arnica sempre,
noa inimica mai airitalia. — La strenua resistenza del pre-
sidio di Roma e il mancare dello appoggio dei cittadini
iicoQcertarono grandemente il générale francese, che tene-
vasi certo d'insignorirsi di quella, non tanto per virtù
délie armi, quanto per gli aiuti del popolo, ch'egli crodeva,
«^ebbesi allô apparire délie insegne di Prancia levato
contra il Qoverno de' Triumviri (1), — La giornata del
(1) Balleydier, a carte 92 del secondo Yolnme délia oitata sua stoxiAt
'^gistra le segaenti parole del capitano Fabart a Oadinot: « Mio ge-
iierale; io ho riconosciato ieri Taltro nna yia la quale conduce — senaa
^^re espoBta al fiioco dei teiragU — a porta Angelica, ore deye il po*
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406 CAPITOLO VIII
30 aprile, nella quale i soldati di Francia vecchi e prc»-
vati in guerra furono vinti dai giovani soldati di Roma, ia
maggiore parte poco esercitati negli ordiui délia miliziii.
ne esperti nelle industrie belliche, quella giornata, io dico,
maravigliô tutta Europa, e suscité gravi rumori neirAs-
semblea francese, che allora s^avride essere stata ingannati
dal Buonaparte e da' suoi Ministri. Oudinot, che non avéra
potuto vincere, nel riferire al suo Qoverno la rotta patita
sotte le mura deiralma città, chiamavasi vittima d'nna
tradigione ; se già da tempo egli erasi fatto conoscere insi-
piente nel governare la guerra, a Givitavecchia erasi chia-
polo manifestarsi in nostro favore. » Balleydier rifeiisce quindi, che il
comandante supremo, riconoscendo che, non ostante gU sforzi inanditi
e i prodigi di incredibile valore, un piû lungo résister e sarebbe siûif*
inuHïe sensa Vainto d'un movimento popolare contrario al O&oemo...
diede il segnale délia ritratta. Qnesta confessione del générale nimîeo ê
la più splendida conferma del valore italiano; e lo aver lasciato su la via
di porta Angelica due cannoni ô la prova più évidente del precipitosi»
indietreggiare del Francesi. La storia di Balleydier ô tntta piena di fslse
afférmazioni; ç alcnne pagine lo sono délie piû vitaperevoli calnmtl?;
ciô ehe mostra la parzialità dello scrittore. — Egli mentiiva scrireadr.
che i soldati di Franeia avevano il 80 aprile eombattuto eotitra %»
nimico dieei volte piik numeroso di loro e nascosto dietro forti wl-
raglie; mentre ben sapeva qnanti nomini il presidio di Roma contaT.i
allora; che non tntti avevano preso parte a quella giomata; e che all«*
QiMrdie nazioTiali non exa stata fatta la chiamata: e siccome 1 Franoe^i
eraao vennti in sette mila ad aasaltare la eittà (*), oosi i gnetreggiapri
avevano oon ugnali foize eombattuto a porta Cavalleggieri e a porta
Angelica. Garibaldi non pngnô dietro le mura, ma affronté gli assalitari
in campo aperto ; ne fa fede lo stesso BaUeydier, 11 qnale nella sua storia
scrisse cosi: u I Romani, in numéro di quattro o cînque mila, escon»
dalla dtt& sotto il comando di GaribaldL.. Questa uscita ha per intenta
di sopravanzare le posture dei Francesi... » In contraddizioni ai grosse
cade sovente lo storico firancese, che esagera sempre, raramente pariit
sineero e piû raramente ancora narra cou anîmo tnmquiUo e sent^nsu
cou giustizia.
r*) OneUiot 8re?a lasciato parte df sue g«ntl a prHidfan OritaTeodii».
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BOMA 407
rito soldato sleale e fraudolento, e il 30 aprile, giorno di
sua Tergognosa sconfltta, erasi mostrato mentitore. E con
lui pur mentiva Odillon Barrot» qaando in mezzo all'As-
semblea dayasi a calunniare e scagliare yitupèri contra
il popolo di Roma, perché, tenutosi fedele alla patria, in
luogo d'aprire le porte délia città aile armi invaditrici,
aveya con la forza respinta la forza e rintuzzato Torgoglio
6 la iattanza del duce nrancese. Ma Giulio Fayre, cui erano
noti i sensi generosi délia demoerazia romana, fatto ap-
pelle all'onore délia Francia e alla dignltà deirAssemblea,
proponeya di richiamare d'italia il générale; e, consi-
gliaado ai Ministri di mantenersi nei limiti del mandato
nceTuto, inyitayali a sospendere le offese contra Roma,
sino a che >enisse fatta la lace su le condizioni délia
repubblica. Fu allora che i Ministri, in omaggio ai desi-
dèrl dei rappresentanti délia nazione, mandayano al campo
di Ciyitayecchia commessario straordinario Ferdinando
Lesseps, col carico di dare alla spedizione l'andamento
assegnatole e dal quale ayeya fuonriato, e accordarsi con
Oudinot per la buona riescita deirimpresa; in fine, di ten-
tare con Roma quelle yie che yalessero a condurre
a un componimento amicheyole. — Yinto e ributtato dalle
mura dell'alma città^ Oudinot riedeya a Gastel Guido a
rifaryi sue schiere e,ad aspettanri gli aiuti, che doyeyano
giugnerglî di Francia; indi spediya buona presa di soldati
ad occupare Fiumicino per assicurarsi lo sbocco del Teyere,
e un'altra ad Ostia, nella quale terra faceya la riposta
d*ogni cosa necessaria alla guerra e aU'assedio, che ben
prevedeya lungo e faticoso.
In questo mezzo Napoli, Austria e Spagna mandayano,
giusta i patti fermât! a Gaeta, armi e armati a dar mano
ai Francesi nella brutta impresa d*opprimere la romana
repubblica. No'tempi andati molti Papi eransi fatti chia-
matori di stranieri a difesa di lor temporale signoria; ma
ûessuno d'essi ne ebbe chiamati tanti insieme, quanti
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408 CAPITOLO VIII
Pio IX in quell'aano 1849. Lo strepito d'armi si numerose
e potenti — sempre rispetto aile forze che la repub-
blica poteva opporre aile straniere — e le minaccie degll
invaditori non valsero a sgomentare Roma, ne a rimuo-
verla da* suoî fleri propositi di resisiere sino allô estremo.
In fatto, ayyertita dello appressarsi dei NapoUtani — dodicl
mila secondo alcuni^ sedici mila seconde altri, guidati da
Casella — i quali il 29 aprile avovano superata la frontiera
del reame, spediva a combatterli il générale Garibaldi con
la sua brigata di due mila cinquecento uomini e coi bersa-
glieri lombardi di Manara, che insieme costituirano la
ayanguardia di Rosselli, il quale di li a poco doyea uscire
alla campagna con buona mano d'armati per farla finita
col Borbone, montre tra Roma e Oudinot erano sospese le
armi. La notte del 4 maggio Garibaldi, uscito dalla città,
per ingannare il nimico su lo scopo délia sua spedizione,
prendoya da prima la yia Plaminia simulando d'ire
contra 1 Francesi campeggianii Palo ; indi yoltosi a sinistra
metteyasi su quella che mena a Palestrina; influe dirige-
yasi a Tiyoli, a una lega dalla quale città poneva il campa
Il mattino del di appresso» il 6 maggio, per la stretta di
San Veterno camminaya sopra Palestrina, oye giugaeva
alcune ore innanzi Talbeggiare del di seguente. Il re Ferdi-
nando, che per la yia Consolare erasi portato tra Velletri
e Yalmontone, quando seppe Tayyicinarsi deiroste gari-
baldlna, spediyale contra il générale Lanza con cinque
mila uomini per assaltarla oyunque la troyasse; assalto che
Winspeare doyeya, dalla parte di Montecompatn, appog-
giare, ed anche aiutare Lanza a togliere al nimico la m
alla ritratta. Il Borbone, che passando su quel délia repab-
blica, avea creduto di vedersi venire incontro i Francesi
per fare insieme Timpresa di Roma, non essendosi trorato
con essi, mandaya per aiuto e per consiglio a Oudinot; il
quale, yolendo a se e a* suoi serbata tutta la gloria della
restaurazione pontiflcia in Roma, lasciô che il Borbone da
solo ayesse a leyarsi da quella bisogna; in yerità facile
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BOMA 409
cosa per chi aveva quattro volte tanto le armi deiravver-
sario. Molestato per via dai corridori garibaldini, Winspeare
riedeya al suo campo di Frascati; ma Lanza prooedeva
avanti, e il mattino del 9 maggio assaggiavasi col nimico a
Palestrina. Giace questa terra sul pendio d'un colle, sovra
il quale ergesi una rôcca antichissima quanto la terra
stessa, fondata molto tempo innanzi Roma. Grossi borghi
siedono su le colline circostanti a Palestrina, che da tre
lati è chiusa da mura rovinaia dai secoli (1). Nel lato che
guarda Yalmontone apronsi due porte, la Eomana e del
SolCj e a quest'ultima mettono capo due vie, che ascendono
alla città tra folti alberi, siepi e vigaeti. Garibaldi, uscito
contra i nimici, i quali, divisi in due schiere, avanzavansi
per quelle due vie, dopo brève combattimento li sbara-
gliava e 11 voltava in fuga; i vincitori avrebberli perse-
guiti, se il générale Garibaldi, temendo una imboscata
nimica, non avesseli trattenuti. Taie vittoria, per se stessa
di lieve momento, fu di grande vantaggio morale; awe-
gnachè rinfrancasse non poco i giovani soldati di Roma,
che due volte affrontatisi coi nimici nel période di brevi
giomi, due volte avevano vittoriato; primamente, davanti a
Roma, dei Francesi; poscia, sotto Palestrina, dei Napolitani;
la cui fuga disordinata e precipitosa s'arrestava solamente
ad Albano, ove trovavasi il grosso délie armi borboniche.
— Nella notte dell'll maggio, Garibaldi, levato spedita-
mente il campo, dirigevasi a Roma, chiamatovi dai Trium-
riri, venuti in sospetto di un assalto francese a Monte
Mario; entrava in essa il mattino del 12. In quella notte
egli aveva percorso ventotto miglia, passando in prossi-
mità degli alloggiamenti dei Napolitani, senza che questi
si awedessero di lui e délie sue genti.
(1) Palestrina — arx Prcerhestrina — fti la principale citt& degli
Equi; la sna rôcca diyenne ûunosa ai tempi di Mario e Silla, e dei
tempi altreà délie faadoni dei Colonnesi, che fnrono nel secolo decimo-
qninto.
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410 OAPITOLO VllI
Correva il 7 maggio, quando i Trîumviri, non f)Olendv
tener mallevadore degli atti if un Oovemo ingannaio /
soldait, che, pugnandOy avevano obbedito, mandavanoliberi
al campo di Oudinot, senza condizione di sorta, i Franeesi
fattl prigionieri al combattimento del 30 aprile. Pochi
giorni dopo Oudinot rendeva a libertà il battaglione di
Meilara, che, per impadronirsi di Givitavecchia, egli ayeva
a tradigione disarmato e tenuto prigione di guerra;e'i
egli Toffriva quale scambio de* suoi, ma che came scambù'
i Triumvlri niegaroao ricevere; perô chelegenti di Meilara
fossero state, contra la fede data, slealmente imprigionate.
e i soldat! di Francia, che essi prima aveyano reao al
générale, fossero yenuti a lor mano combaitendo. Il 14
maggio giugneva al qnartiere di Oudinot il commessario
Ferdinando Lesseps, ii quale, dopo accordi presi conesso
lui, recavasi sollecitamente a Roma (1); e siibito fermata
tregua coi Triumviri, che aveva a durare aintanto si ne-
goziasse di pace. La tregua fu bene accetta ai guerr^-
gianti; essa daya agio al générale francese di compierei
preparamentl per Tassedio délia città e tempo bastevol»^
alla Francia di portare a numéro l'esercito per la conquista
di Roma; e ai Romani concedeya di condurre a fine 1^
loro difese e Topportunità di yoltarsi con tutto lo sror2>
di guerra contra il Borbone di Napoli; alla quale impresa
(1) Lesseps portava a Oudinot ona lettera di Napoleoae BaonBpait<^
neUa quale il Présidente délia repubblica firancese, dopo esseisi Uu&es-
tato dei Romani, che non avevano ricevuto u con premura un esercit*)
venuto a eotnpiere pressa loro una azione benevola e disinteressaU, -
soggingneva : « 1 vosM soldati sono stati rieevttii quali ninUci, ora w
va del nostro onore militare; io non soffrirh eh'esso abbia a faiif
ingiuria veruna; i sussîdi non vi maneheranno, n — Le parole di
Luigi Napoleone erano manifestamente in contraddizione .all'offieio ami*
chevole di Lesseps, che doveva tentaro coi Bomani le vie degli accordi.
mentre il Présidente della repubblica firancese voleva vendicata la seoo-
fitta de' suoi soldati sotto Borna.
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BOMA 411
soUeciti si accinsero. Nella sera del 16 maggio Toste re-
pubblicaaa, duce supremo il générale Rosselli, usciva di
Roma; contava dieci mila fanti, mille cavalli allô incirca
e dodici cannoni; Tantiguardia era guidata da Marocchetti;
la battaglia, da Garibaldi ; Galletti toneva il comando délia
retrogaardia e délie riscosse. Deliberatosi di sopravanzare la
4estra dei campi nimlci — che stendevansi da Albano a
Frascati e a Yalmontone — e minacciare ai Napolitani la
via di ritratta al reame, Rosselli per Zagarolo dirigeva sue
^ti contra Palestrina; ma avyertito poscia, che il Re
alla notizia di quella spedizione aveva raccolto i suoi campi
intorno a Yelletri, mandava sue schiere a occupare Mon-
tefortino, per volgersi quindi contra la stessa Yelletri. Al
cadere del 18 maggio Tavanguardia romana insignorivasi
senza eontrasto di Montefortino; la battaglia accampavasi
tra questo e Yalmontone, dietro la quale ponevansi le
riscosse ; la cavalleria e le artiglierie. Ferdinando Borbone,
coayinto di non poter resistere> senza Taiuto de' Francesi,
»lle armi repubblicane, sebbene le sue superassero quelle
in numéro, soprammodo in cannoni, aveya il mattino del
10 ayviato sue genti yerso le frontière del reame, allora
che, yisto apparire Tayanguardia romana — con la quale
troyayasi Garibaldi, portatosi innanzi per riconoscere le po-
sture nimichc — richiamato a sa Tesercito, spediya ad
affi*ontar quella il générale Lanza con un rcggimento di
fanti, tre squadroni di cayalli e dieciotto artiglierie. La
cayalleria napolitana, rotta con assàlto impetuoso la prima
ordiuanza dei repubblicani, lasciayasi trasportare troppo
innanzi dalla foga dei cayalli ; caduta perci6 in mezzo ai le*
gionari romani, nascostisi tra i yigneti, era costretta a rifSar
la yia, perdendo nella ritratta non pochi de' suoi morti o
feriti. Garibaldi, che yoleya assalire con grosse forze il
nimico per tentare poscia la città, mandaya per aiuti a
Rosselli ; ma tardando questi ad arriyare, spingeyasi auda-
cemente ayanti con l'ayanguardia; e quando giugneya
RossoUi con la battaglia, i Borbonici stayano già sotto la
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412 CAPITOLO TUI
protezione dei cannoni di Yelletri, i quali dalla forte postura
dei Oappncciiii impedivano ai nimici d'awicinarsi alla
città; il momento propîzio ad assaltarla era quindi passato,
trorandosi i Napolitani in buon numéro aile difese e traendo
già coi moschetti e con le artiglierie. Garibaldi, yisto di
nuUa poter fare contra Velletri, proponeva a Rosselli di
trattenere di fronte i nimici con parte deiresercito, o con
la restante parte, attraversando a sinistra i campi, correre
sopra il Re, il qusle, con grossa mano d*armati indietr^-
giara dalla città. Rosselli, approvando il disegno di Gari-
baldi, diceva: farebbe; se non che, entrato in sos petto che
i Borbonici non si ritirassero, sibbene si allargassero per so-
pravanzare le battaglie romane e ferirle ai fianchi e a tergo,
mantennesi dinnanzi a Yelletri, combattendo inutile pugna
coi difensori délia città sino al cadere délia notte. Per as-
sicurarsi d*ogni sorpresa aile spalle, chiuse ai nimici le
vie d*Agnani e di Cisterna, facendo occupare da una mano
di sue soldatesche Montefortino e Giuliano; e nella per-
suasione che i Napolitani sarebbero yenuti il giomo dope
aile offese, deliberava d'assaltare, al sorgere dei nuoTO di.
la postura dei Oappuccîni. Ma nella notte il Re fuggiva
turpemente da Velletri e per la via di Terracina rientrava
negli Stati suoi: onde i Romani senza colpo ferire impa-
droniyansi di Velletri. Borbonici e repubblicani attribui-
ronsi Tonore dei combattimento; nessun d*essî perô potè
a diritto vantarsi vincitore. Se Garibaldi riesci a ricac-
ciare i nimici nella città, dalla quale erano usciti U 4nat-
tino per affrontarlo, a Lanza riesci di mandare a vuoto i
tentatiyi dello strenuo awersario contra Velletri, per la
quale cosa fa oltremodo yituperevole la fuga di Ferdinando,
che, non yinto, lasciaya un campo ben munito di difesa e
per natura di sito fortissimo, e yolgeya le spalle aile armi
romane per numéro e potenza inferiori aile sue. Eppure
egli non yergognossi di cantare nel maggior tempio di
Gaeta il Te Deum! forse intose con questo render grazie
a Dio d*ayerlo scampato da totale royina, che certamento
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BOMA 413
sarobbegli toccata, se fosse rimasto in Yelletri, e se i re-
pubblicani, perseguendolo in sua ritratta, Tavessero rag^
giunto e costretto a far la giornata; e ciô sarebbe avve-
nnto, se si fosse segaito il consiglio di Mazzini, d'avanzarsî
nel reame per dare appoggio agli Abruzzi, che dicevansi
pronti a sollevarsi al primo apparire délie insegne romane.
Rosselli, per ragione, non tanto di strategia, qnanto d^esa-
gerata pmdenza — la quale maie addicevasi a loi che aveva
sperimentato il valore de' suoi soldati — respinse il sennato
consiglio del Triumviro; e cosi andava perduta Toccasione
favorevole a levare i Napolitani a ribellione contra il Re
e il suo Gk)yerno; ciô che ayrebbe allargata la gaerra e
impresso a questa nn carattere eminentemente nazionale.
Pur non volendo contraddire in tutto a Mazzini, il géné-
rale Rosselli mandava Garibaldi con sua brigata a tentare
novita su quel di Napoli; il quale, dopo avère disperse i
Pontifici capltanati da Zucchi, che infestavano il territorio
ai Frosinone, superata la frontiera napolitana, recayasi in
mano Rocca d'Arce, lasciata dai Borbonici al suo avvi-
cinarsi. Ma non gli fu possibile di proseguire più oitre;
perô che i Triumviri, non avendo potuto venire agli
accordi con Tinviato francese, corne or ora narrercmo,
reputando vicinissimo il disdirsi délia tregua con Oudinot,
solleciti il richiamassero a Roma, ove già raccoglievano
il grosso délie loro armi. Errore grave, anzi esizialissimo
alla repubblica, che l'ebbe più presto condotta a rovina,
anegnachè Roma dovesse tutto trascinare in sua caduta ;
mentpe, se parte dell'esercito regolare si fosse tenuto fuor
délia città, venuta questa a mano del nimico, avrebbe
quella potuto combattere una guerra sparsa e minuta,
nella quale, indubitabilmente, il vantaggio sarebbe toccato
aile genti repubblicane.
La Spagna, prima a gridare la crociata contra Roma
per la restaurazione del trono pontificio e prima a chia-
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414 OAPITOLO VIU
mare a Gongresso gli Stati cattolici per accordarsi su
rimpresa» ultima e con pochissime armi yeniva in Italia.
non a rompere guerra, ma a bandire manifesti di superk
parole e d'insolente disfida ai popoli romani, o rimanersi
inoperosa sempre ne* suoi campi, mentre i confederati face-
vano prove sanguinose del valore dei repubblicani ; c in
yerità quei manifesti ayrebbero mosso il riso, se non aves-
sero destato lo sdegno per le calunnio cho contenevano.
Il giorno in cui le genti del Borbone invadevano le terre
délia repubblica — e fu il 29 aprile — la squadra spa-
gnuola giugneya nelle acque di Terracina e vi sbarcara
i soldati che la regina Isabeila ayeya mandate a danno di
Roma per gratificarsi il Ponteflce e ottenere da lui Vap-
proyazione e la sanatoria dei béni ecclesiastici usurpatie
yendnti poco innanzi dal suo Ooyei*no. Rialzata in Terra-
cina la bandiera di Pio IX, gli Spagnuoli ayanzaron^i
lungo la marina, occnpando per yia le terre che siedevano
soyr'essa; e il 6 maggio gianti a Fiumicino — poTen'
paesello di pescatori — il comandante délia spedizione. |
mandate a famé la chiamata, pubblicaya un maoifesto ai
popoli di quella terricciuola, col quale inyitayali « a ren-
dere omaggio al Ponteflce e a separarsi dal Gorerno ri-
belle di Roma, già agonizzante per gli assalti di quMro
nazioni confederate per dîstruggerlo. » L'esercito spagnuolo ,
— allora di otto mila soldati, accrescinto di poi d'altritre
mila — portatosi a Gaeta era rassegnato c benedetto (1& |
Pio IX. Perdinando di Oordoya, suo générale supremo, il |
3 giugno venne a campeggiare Fondi ; il di appresso recossi
a Terracina; -e quando i Francesi insignorironsi dlRoma
procedette innanzi; e, dopoaver corso Nar ni, Terni, Spih
leto e Rieti, fece ritorno ai patrii lidi. Alla causa del Pon-
teflce e délia religione, alla cui difesa era yenuto di Spagoa,
non solamente fu di nessun gioyamento — ay vegnachè si
fosse tenuto lontan lontano sempre dal nimico — ma recè
al contrario graye danno per li mali portamenti de* sol-
dât! suoi, che offesero la morale pubblica e i sentimenti
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BOMA 415
religiosi del popolo italiano (1): tali le geste délia spedi-
zioQe spagnuola nella impresa di Roma.
n 7 maggio la dlvisione austriaca del générale Wimpffen
passava dal Modenese su quel di Bologna e poneva il campo
a Castelfranco; mentre il générale Thurn Taxis con buona
presa d*imperiali entrava in Ferrara, e, dopo avère resti-
tuito a libertà gli ostaggi fattivi da Haynau nel febbraio
di queiranno 1849, invitava il Maestrato suprême dei cit-
tadini a deputare suoi rappresentanti a Wimpffen e a
monsignor Bedini, commessario pontificlo al campo au-
striaco, i quali avessero a dar fede d'obbedienza aU'auto-
rità papale in nome di tutta Ferrara. I Municipali riuni-
yaiisi allora a consulta per deliberare su la forma di
governo che potesse riescire meglio accetta ai cittadini;
raccolti i suflfragi trovossi avère la repubblica vinto il
partito; questa la risposta dei Ferraresi al générale nimico,
che, appena vennegli fatta conoscerey lasCiô oon sue genti
la citta. — Wimpffen e Bedini, awertiti del disprezzoool
quale erano stati ricevuti i manlfosti, che da Castelfranco
avevano rivolto ai popoli délie Romagne per aveme aiuto
e cooperazione aU'impresa restauratrice délia potestà pa-
pale, rovesciata, dicevano quelli, da fazione perversa (2),
rs maggio portavansi sopra Bologna; la quale, animosa,
(1) « In Terni gli Spagnnoli nscivano moite volte ignudi, e anda-
vano coBi a layare i loro panni aile fontane. Tacciavano d*inetti i ri-
Toltosi italiani che non aveano sapnto bruciare i conventi, com'essi
dicevano di aver fatto in Ispagna. Eidevano dei misteri piû angnsti
delk leligione e dicevano — parole testaali — che la soverchia quan-
tité dalle ostie avea fàtto crescere il prezzo del pane, n
Carlo Ruscoki, La BepiMliea Eamana, Doetimenti délia guerra
Santa j cart. 208; Capolago, 1851.
(2) « Vengo a ricondurre fra voi, scrivevano Wimpffen e il commes-
sario Bedini, il legittimo governo del Sommo Pontefice Pio IX, abbat-
tato da nna fazione pervenui, e per ristabilire la pnbblica e privata
sicnrezza.» »
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416 CAPITOLO VIU
erasi preparata coraggiosamente a riceverll. Aveva picciolo
presidlo — circa due mila soldat! — perô che la divisione
Mezzacapo fosse stata poco prima chiamata aile difese di
Roma; ma afforzaronlo le Ouardie nazionali e soprammodo
il popolo ; il quale, se avesse avuto capi degni di comandarlo
e se al governo délia cosa pubblica si fossero trovati uo
mini di mente e cuore, avrebbe rinnovata allora l'eroica
resistenza delFagosto 1848: onde Bologna non sarebbe ca-
duta, ne Ancona yenuta a mano del nimico inyaditore.
Wimpffen, senza por tempo in mezzo, assaltô la città; re-
spinto, provossi di ottenere per via di militare scaltrimentû
quanto non eragli stato possibile per impeto aperto.Neilo
indietreggiare egli lasciava sul campo due cannoni carichi
a scaglia, nella certezza cbe i Bolognesi, credendo sue
genii pienamente rotte e in fuga» uscirebbero dalla città a
predarli: e fu cosi. Da quella facile vittoria fatti impni-
dentemente audaci e di veruna insidia temendo, davans^ a
incsdzare gli Aùstriaci; ma giunti presso le artiglierie
lasciate da Wimpffen, da queste fulminate di fronte e di
Qanco dai tiratori Tirolesî imboscati li vicino, dovevano
retrbcedere, non senza patire gravi perdite. Nella qoaie
fazione fu morto il colonnello Boldrini, che aveva sorro-
gato Marescotti, tristo consigliatore di vergogne e di viltà:
awegnachè non soltanto egli rifiutasse di combattere, ma
volesse che il presidio posasse le armi. — Per risolvere
su ciô che convenisse fare, il Municipio raccoglieva presso
di se i principali délia milizia; non riescendo ad accordarsi
per lo inchinare del primo alla resa, dei più degli altri
alla resistenza, il Maestrato dei cittadini, allo intente di
conoscere la volontà del popolo, alzava bandiera bianca;
e popoli e soldati rispondevano: gicerraf gtserra! Il Mu-
nicipio perô, che non voleva saper di guerra, deputava a
Wimpflfen i cittadini Albert e Aldovrandi per chiedere una
tregua ; rimasto l'Aldovrandi in ostaggio al campo nimico,
TAlberi tomava al Municipio apportatore di non liete no-
velle; perô che Wimpffen avesse conceduto una sospen-
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BOMA 417
sione d'armi brevissimay cioè sino al mezzogiorno del 9,
mlnacciando di fulminare Bologna con sue artiglierie, se
non gli si arrendesse; e l'Alberi aananziava altresi pros-
simo Tarrivo di sedici mila Austriaci con piii di trenta
cannoni d*assedio; le quali novelle non valsero a scorag-
gire il popolo; che anzi il crescere del pericolo aumentô
in esso l'ardore del combattere e l'alacrità deiroperare. A
mezzodi del 9 Wimpffen prendeva a trarre con le artiglierie
contra la città, e 11 popolo a rispondergli con quelle pian-
taie sa le mura e su la Montagnola; ma non riesci a questo
d'impedire ai nimici d'impadronirsi del colle San Michèle
e del convento deirAnnunziata» che stava non lungi di
porta San Manaolo. Il quale convento, per essere un buon
posto ayanzato del campo impériale» veniva subito assaltato
e preso dai soldati del quarto reggimento di fanti ; cosi
aveva fine quella giornata bella per le armi délia repub-
blica, gloriosa per Bologna. — U Municipio — oui il pré-
side Biancoli, poco Qdando nel prineipto popolare, avova
il giorno innanzi rassegnato l'officio suo — commetteva
allora a cinque Gommessari tolti dal proprio seno il go-
vemo délia cosa pubblica, che inetto reputavasi a reg^erlo
io qaei momenti difflcili, e i Gommessari a insaputa del
popolo domandarano e ottenevano da Wimpffen una seconda
tregaa di ventiquattro ore, cioô sino al mezzodi del 10. —
L'Assemblea romana, quando seppe dei pericoli sorrastanti
a Bologna, mandava ordine al colonnello Zambeccari, reg-
gente Ancona e la fortezza sua, di spedire soUecito in aiuto
alla città minacciata il baitaglione dei Cacdatori del basse
Reno, il quale, con le bande dei volontari romagnoli, capi-
tanate da Pianciani, arrebbe dovuto tenere a bàda e badar
laccare col nimico per renire poi con questo a giornata,
allora che sarebbero arrlvati sussidi bastevoli a tentarla
con certezza di buona riescita. Ma di quelle bande, che
Pianciani non ayeva saputo militarmente ordinare, la
iiuiggiore parte discioglievasi prima deirarrivare dei soc-
corsi d*Aucona. AUo squillare de' sacri bronzi, i quali^ con
27 - Vol. II. MABiAin — Stima pol. e mU-
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418 CAPITOIiO TIII
lo annunciare che il 10 maggio era giunto a mezzo il m
corso, avrertivano lo spirare délia tregua, presidio e cit-
tadiai correyaao aile difese; ma il aimico non yeniie agli
• assalti; ayyegnachô, fatto piii cauto dal maie esito sortito
ai già tentati, avesse risoluto d^aspettare a rinnoyarli,
quando fosse arrivato Gorzgowsky, che coa buon nerbo
di soldatesche e grosse artiglierie correva ad aiutarlo
nella impresa; e intanto le genti di Wimpifen andaTaao
predando le terre yicine di tutto che lor potesse abbiso-
gnare. 11 14 maggio alquante compagnie di milizia bolo-
gnese muoyeyano yerso Gastel San Pietro incoatro ana
schiera di volontari romagnoli, condncenti ad esse tre
cannoni. Avvertiti di ciô da certo Palomba, un traditore,
gli Austriaci assaliyano e poneyano in fuga al ponte dalle
Sirène i Bolognesi, mentre tornayano di loro spedizione;
i quali tutti sarebbero stati tagliati a pezzi, se le artiglierie
délia città non ayessero frenato lo incalzare degli assalitori.
Giunto in quel mezzo al campo impériale Gorzgowsky cod
buon polso di soldati, Wimpffen aU'albeggiare del 15 preo-
deya a fulminare Bologna con sue artiglierie, destandoin
moite parti dl essa assai grayi incendi, il oui lugubre
chiarore doyeya nella notte illuminare la misera eittà.1
Gommessari, yisto di non poter più oltre continuarele
resistenze, inyiayano messi al générale nimico a pregarlo
di sospendere le armi per trattare di resa. A meta délia
notte il cannone austriaco taceya e Bologna al^aya bandiers
bianca; se non che Wimpffen, non riceyendo i deputati per
discutere su la dedizione, verso le undici del di suce6ssi^<>
ripigliaya Topera dévastatrice poco prima lasciata. Tre ore
dopo facevala nuovamente cessare per l'arrivare di quelli«
alla cui uscita dalla città il popolo aveva tentato d*opporsi;
ma gli inviati a lui non gradendo al générale per essere,
sebbene onorevolissimi, di parte popolana, Wimpffen ii
respingeva chiedendo che gli si mandassero cittadiui di
quella parte che Bologna ben sapeva potere essergU ac-
cetta. Andarono allora al campo austriaco rarcivescoTo
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BOMA 419
Opizzoni, il senatore Zanolini, i conservatori Aldiai, Gan-
dolfi, Marsili, Pizzardi, Silvani ; in oltre Marescotti, colon-
aello nelle fanterie, Malrezzi, colonnello nelle (huirdte
nazionali e Nicoletti, comandaate dei carabinieri. I patti
délia resa, appena fermati, venivano rotti dagli Austriaei,
i qaali, con la occupazione di porta Galliera e San Felice
e délia Montagnola potendo facilmente opprimere il popolo
se tentasse ancora ribellarsi e tumultuare, mettevano la
citta sotto l'imperio delle leggi militari; condannavano alla
morte, all'esilio e alla prigionla i principali délia parte
libérale; e mandavano a niba e a guasto i diatorni di
Bologaa(l); e tali nefandità commettevansi dai soldati
deirAustria in nome del Ponteflce, che avovali chiamati
alla restaurazione di sua mondana potestà, tanto contraria
ai reri interessi délia Ghiesa di Oristo.
Vinta Bolojgna, Wimpflén muOTeva alFacquisto d'Ancona
con dodici mila uomini, due batterie da campo e alquante
artiglierie d'assedio; le quali armi dovevano accrescersi
durante Timpresa per Tarrivo di nuovi sussidi. Girca a
mezzo la yia che da Bologna per Rimini conduce a Roma
e soTra il pendio di piooiol colle» ultima appendice dello
Appennino clie scende airAdriatioo, siede Ancona, terra
forte per natura di ûto e per arte. Nello assumere il go-
verno délie operazioni di guerra nelle Marche il colon-
nello Zambeccari avéra date mano ad accrescerne le for-
tificazioni, che perô non gli fu possibile di condurre a
compimento; e airappressarsi dei nimici vi raccoglieva i
presidi di Pesaro, Sinigaglia e Osimo: onde saliva aquair
tro mila soldati quel d'Ancona, le cui mura erano state
(1) A San Michèle in Bosco gli Austriaci guastarono i dipinti dei
Car&cci; nella villa Barozzi rovinarono alcnne opère insigni di Canova;
in quelle di Pepoli e Poggi distmsseto non pochi oggetti d'arte. A
tali atti degni di gente barbara, non di nazione ciTile, essi agginnseio
tmpissime violenze; in borgo Panigale naa giovane donna per quelle
Perdette la vita.
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420 CAPITOLO YIII
opportunamento munite d^artiglierie, centoventi allô în-
circa. WimpflTen mandava da Gastelfraaco agli Aacoaitani
il noto minaccioso maaifesto, cui rispondeva il préside
Mattiolî cosi: = Rappresentante d'au Goyemo costîtuito
nella forma piu legittima, protestare ^li soleanemente
contra Tobbrobriosa calannia d'anarchia, onde il générale
austriaco tacciô un Gk>yerno basato su Tordine, la fratel-
lanza e la libertà; essere preparato ad opporsi a lui che
veniva a violare ogni più sacro diritto. = n 24 maggio
Wimpffen cingeva co'suoi campi la cittadella e i forti di
Ancona, e poco di poi con sue navi il porto, per esser-
sene allontanato l'ammiraglio francese irato a cagione del
rifluto di sua protezione contra l'ofiTesa austriaca, prote-
zione offerta a patto che gli Anconitani avessero ad alzarè
su la fortezza la bandiera di Prancia(l). Respinta la chia-
mata di resa il 25 maggio gli Austriaci cominclavano a
battere Ancona da terra e da mare, cui i difensori rispon-
devano colpo per colpo, eziandio ributtando le navi nimi-
che, tutte le volte che avanzayansi per superare Tentrata I
del porto. I nimici, nel restringere Tassedio^ si fanno a
tentare la cittadella, i forti e le mura per conoscerne la
parte piii debole; ributtati sempre yittoriosamente dagli
assediati, gettano entre la città bombe, granate e razzi
incendiari, che destano il ftioco in molti luoghi di essa;
ne rispettando quelli sacri alla sventurUy indicati da ban-
diera nera, TArclyescoyo d* Ancona invia a Wîmpflfen
monsignor Barili e il cittadino Fazioli a pregarlo, in nome
dell'uiAanità, abbia a yolgere le ofTese contra i forti; e il
générale austriaco rispondeya: = Non ayer comandato
d*offendere quei luoghi ; essere impossibile impedire il ca-
deryi délie bombe. = Dopo un combattere e un badalue-
(1) Alla propoBta dell'ammiraglio finmcese Ancona rispondeya: = Non
potere aoeettare a difensori snoi i Franced, che di qnei giomi offende-
yano Borna.
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BOMA 4ai
care di parecchi giorni ira gli assediati e gli assediatori
-• arvegnachè quelli uscissero di soveate in picciole prose
(iai loro forti contra le ascolte dei campi nimici e contra
i âoldati che stavano alla goardia dei lavori di approccio
— gli Austriaci, il 15 giugno, assaltavano furiosamente la
cittadella e il suo trincerone; da quel di il fulminare
deile artiglierie durô incessante sino alla resa, la quale
aweane il 10 giugno dopo ventisette giorni di assedio, e non
fu per virtii délie armi assalltrici, bensi per diffalta di vet-
tovaglie e per trovarsi la difesa ridotta allô estremo di
sue forze. 11 presidio use! con gli onori di guerra dalla
cittadella e dai forti, che gli Austriaci occuparono nelle
ore pomeridiane dei 19 e nel mattino dei 20* Signore di
Ancona, Wimpffen ponevala sotto Timperio délie leggi mi-
litari ; e, restauratovl il dominio papale» a reggerla in nome
di Pio IX eleggeva una Giunta di Governo in accordo con
moQsignor Savelli, Gommessario pontiâcio, lo stesso che
vedemmo levare a ribellione 1 montanari ascoUtani e di-
rigerne il moto. Tolta la libertà alla stampa, il générale
aostriaco licenziava le guardie ctitadine, comandando nel
medesimo tempo gli si consegnassero tutte le armi e ma-
aizioni da guerra, pena la morte a chi disobbedisse. Caduta
Ancona, le città e terre délie Marche, rialzate le in-
segne dei Pontefice, ne restituirono Tautorità; eccettuata
Penigia, la quale, seguendo Tesempio di Ferrara, agli
Austriaci che imponevanle quella instaurazione rispon-
deya cosi : = Mano cittadina non essere per rialzare le
û^ne, che areva poco innanzi abbattute ; il facessero essi
per la forza che tenevano.
Le pratiche di conciliazione tra Roma e Francia, che
stava allora tentando Lesseps, non doTovano a nuUa ap-
prodare, non per difetto di buon volere e d*onestà nel
Gcmimessario francese, bensi per la mala volontà dei Buo-
Qaparte e de*suoi Ministri; i quali avovano deliberato di
spegnere la repubblica non estante le informazioni dei loro
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422 GAPITOLO YIU
inviato, che affermava: = Essere lealissimo il governodei
Triumviri ; i Romani rispettare la religione ; la ragioQ
deirodio alla potestà temporale dei Pontefici sempre cre-
scente troyarsi tutta nei malvagi consigli degli aderenti
al Papa, i quali per vituperare la repubblica comperavano
i delitti. = Poco dopo il suo arrivo in Roma Lesseps man-
dava ai Triumviri la segaente proposta d*accomodamento:
€ I. Gli Stati romani chiedono la protezione fratema délia
repubblica ft*ance3e. II. Le popolazioni romane hanno il
diritto di darsi liberamente la forma di governo che de-
siderano. III. Roma accoglierà l'esercito firancese, corne un
esercito amico. I soldati romani e francesi faranno iusieme
la guardia délia città. Gli offlciali pubblici romani eserci-
teranno i loro offlci giusta le legali facoltà che essi ten-
gono glà. » — L'Assemblea non aderi alla proposta di
Lesseps: primamente, perché avendo scorto in essa a bello
studio evitarsi le parole repubblica romanOy credeva, a
buon diritto, scorgervi intendimento sfavorevole a questa;
e in seconde luogo, perché nella proposta di Lesseps non
trovayansi buone guarentigie per la conservazione délia
repubblica. € Roma non ha bisogno di protezione, scrivo-
vano i Triumviri al Commessario francese; in essa non si
combatte ; se il nimico si présentasse davanti aile sue mura,
saprebbe resistergli con le proprie forze. È alla flrontiera
toscana, è a Bologna che oggi difendesi Roma. Nella vostra
proposta awi un pensiero politioo, ai quale TAssembleanoQ
puô accostarsi, per essersi l'Assemblea di Francia chiarita
awersa a una occupazione non provocata. Contraria-
mente ai patti délie tregue voi faceste oggi stesso passare
il Tevere a un nodo dei vostri soldati per allargare il
campo délie militari operazioni. » Rigettati quegli accordi,
Lesseps, ferme in suo intente di conciliare gli interessi
délia romana repubblica aU'onore délia Francia, altri ao-
oordi cercô che valessero a rag^iugnere lo scopo deside-
rato di sua mediazione di paoe. Gonservati in loro inté-
grité 1 primi due articoli délia sua proposta, mntava il
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BOMA 423
terzo cosi: = Roma accoglierà corne amico Tesercito fran-
cese, il quale prenderà le stanzeper se piu salubri e per
la difesa délia città più convenienti, e non s'immischierà
neiramminlstrazione del paese. = A questi articoli Lesseps
aggiugneva un quarto concepito cosi: = La repubblica firan-
cese guarantirà da qualsiasi invasione stranlera il territoiio
occapato da* suoi soldati; = e conchindeva: = D'accordo
col générale Oudinot far noto, che qualora taie convenzione
non venisse immediatamente accettata, ei terrebbe ânita la
suamissione e Tesercito francese sarebbe libero di ripigliare
le armi, che il negoziare di pace aveva fatto sospendere. —
Alla quale dichiarazione del Gommessario di Francia, spedita
il 29 maggio aU'Assemblea romana, il di appresso i Trium-
viri replicavano in questi iermini: = Accettare lanuova
proposta coa modiScazioni toccanti più la forma che la
sostanza di essa; Roma aver diritto d'essere intesa dalla
Francia e di trovare in questa un appoggio, non uno Stato
nimico; délia fratellanza, non délia protezione, la cui de-
manda oggl si interpreterebbe dall'Europa corne una con-
fessione d'impotenza, e con rawilirla ai propri occhi la
renderebbe indegna deiramicizia di Francia, su la quale
fece sempre fondamento. Questo grido di perlcolo non es-
sere per Roma; avregnachè non sia impotente mai un po-
polo che sa morire ; ingenerosa poi sarebbe la Francia —
oazione grande e fiera — se disconoscesse questo nobile
sentimento che inspira il popolo. Essere necessario che
taie condizione di cose abbia a finire; necessario altresl
che la fratellanza non sia per le due repubbliche una sem-
plice parola; bisogna che i corrieri e le armi romane pos-
^ano, per la difesa dello Stato, liberamente correrne il
territorio; bisogna che Roma non abbia più a sospettare
di coloro che era avvezza a tenere corne amici, a fine di
poter volgere tutte le sue forze armate contra gli Austriaci
inyadenti. Necessitare eziandio che non abbiansi più a
(lisconoscere in alcuna parte le intenzioni buone e leali
délia Prancia, e che TEuropa non possa dire, che essa
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424 CAPITOLO VIII
oggi ci toglie ogni cosa allo scopo d'imporci più tardi la
sua protezione ; la quale, mentre salverebbe Tintegrità del
territorio délia repubblica, farebbe perderle qaanto ha di
più caro, Vonore e la liberté. Gon ciô si raffermeraano i
legami di simpatia, oggidi indeboliti, verso la Francia; I3
quale acquisterà il diritto di coasigliarci in modo più ef*
ficace ai comuni interessi, che coq lo stato apparente di
ostllità che oggi ci mostra. L'esercito poi troverà qnar-
tieri saluberrimi nella campagna, che corre da Pra-|
scati a Yelletri. = Il 31 maggio i Triumviri, portatisi al
campo francese, fermavano con Lesseps la convenzione se-
guente : € I. L*appoggio délia Francia è assicorato aile po-
polazioni degli Stati romani; le quali considerano Tesercito
francese come un esercito amico, venuto per concorrere
alla difesa del loro territorio. II. D'accordo col Govemo !
romano, e senza immischiarsi per nuUa neiramministra-
zione del paese, Tesercito di Francia prenderà gli accam-
pamenti esterni tanto per la difesa dello Stato, quanto per
la sainte dei soldati; libère saranno le vie di comunica-
zîone. III. La repabblica francese assicura da qualunqae
invasione straniera i territori occupati dal suo esercito.
lY. La présente convenzione dovrà essere sommessa alla
ratiScazione délia repabblica francese. Y. In nessun caso
gli effetti délia présente convenzione non potranno ces-
sare che quindici giorni dopo la comunicazione ufBciale
délia non ratiflcazione. » Taie convenzione, discassa e ac-
cettata il 31 maggio, aile otto délia sera, al Quartier prin-
cipale deiresercito francese, veniva sottoscritta da Carlo
Armellini, Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffl per la re-
pubblica romana, e da Ferdinando Lesseps quale Ministro
délia repubblica francese. — Pareva rimosso ogni ostacolo
per giugnere alla sospirata concordia, di cui Roma tanto
abbisognava per la salvezza sua e la Francia per Tonor
suo, quando più terribili, che mai non erano stati per lo
avanti, gridi di guerra levavansi nei campi dei combat-
tenti. n générale Oudinot, niegando ratificare quella con-
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BOHA 425
venzione, dichiarata rotta ogni pratica d*accordo, disdiceva
le tregue, da lui perô già yiolate ; av vegnachè, nulla cu-
randosi délia fede data, avesse, durante la sospensione
(lelle armi, allargato il suo campo sia presso la basilica di
SâQ Paolo, ed avrebbe anche assaltata Roma di sorpresa,
se tanta slealtà e tanta offesa al soldatesco onore non gli
fossero state impedito daironesto Lesseps. € Allora che voi
giadicherete del caso di prendere, cosi il Gommessario di
Francia a Oudinot, militari posture nello interno di Roma
0 in prossimità délia sua cinta senz* essersi accordato con
me^ io credo di dover rendere voi solo mallevadore di
tutte le conseguenze politiche che ne yerrebbero. Sino al
giagnere degli ordini del QoTerno nostro, sia per biasi-
mare o approvare il mio operato, la missione mia non
comporta che TOi rimaniate solo a prendere détermina*
zioni 0 partiti militari che potrebbero esporre a pericolo
il crédite dei Governo francese e trascinare il nostro paese
âopra una via, che io credo la più funesta > (1). Dure pa-
role, con le quali Lesseps chiamava al proprio dovere
il générale Oudinot; che se suonano per tutti gravissimo
rimproYoro» Io sono ancor piu per un soldato, cui l'osser-
vaaza délia fede data è e sarà sempre una legge severis-
slma d'onor militare. Ma taie legge pareva proprio intie-
rameute sconosciuta a Oudinot; perô che, non pago di
avero per la seconda volta yiolate le tregue occupando
prima dello albeggiare del 31 maggio Monte Mario — im-
portante postura strategica, signoreggiante le yie di co-
municazione deU'alto Teyere e di Viterbo, e dalla quale
potevansi yedere le mosse dei Romani neirinterno délia
città — assaltasse Roma di sorpresa e innanzi Io spirare
dello tregue ! Chi avrebbe potuto impedirgli di commettere
offesa si grave al diritto délie genti — offesa che gli fruttô
(1) A. Balletdiib, Bévolution de Bame, tom. n, cart. 136; Gi-
WTO, 1851.
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436 GAPITOLO YUI
vituperio e vergogna — aveva laseiato il campo: intendo
dire di Ferdinando Lesseps (1). Saldo sempre negli accordi
délia convenzione sottoscrltta coi Triumviri, il Commes-
sario stara il primo giugno per recarsi in Francia allô
scopo di ottenerne lo ratiftcamento dal suo Governo, dal
quale avoYa avuto le istruzioni necessarie a fermarla, allora
che in quel giorno stesso giugneya di Parigi ordine del Mi-
nistro sopra gli affari esterni al générale d'assaltare senza
por tempo in mezzo Roma, ritenendo finita la missionedi
Lesseps: onde il générale Oudinot, nel rispondere a Ros-
selli — capo suprême délie armi romane — che ayeragli
chiesto una tregua illimitata, da disdirsi quindici giorni
innanzi il riprendersi délie ofTese, allô intente di poter
condurre tutto lo sforzo di guerra contra gli Austriaci -
che pareva mirassero a unirsi ai Napolitani per la via de-
gli Abruzzi — Oudinot, io dico, scriveva a Rosselli in queste
sentenze: = Il suo Ctoverno avergli imposte d*entrare in
Roma il più presto possibile; le tregue essere state già
disdette aU'Assemblea; differire perô Tassalto alla cita
sino al 4 giugno almeno^ per dare tempo ai Francesi, che
l'abitavano, di lasciarla. = Perduta ogni speranza di ac-
corde i Romani prepararonsi aile resistenze ; essi conta-
vansi in su le armi diciassette mila allô incirca (2), io
(1) tt In taie stato di cose, ebbe allora a dire Lesseps, un assalto
deU'eseroito francese sarebbe oonsiderato da tatta FEuropa %na for*
presa incompatibile eon le regole del éHritto délie getUi, »
(2) Tra le tante volgari ealunnie d^anarehia, di terrore e di »tia
gettate contra la repubblica romana dai Ministri del Baonaparte, e tu
le basse menzogne sparse per tatta Enropa a danno di essa, trorad
pur qnella che ventimila stranieri militassero nelVesercito di Bom^
montre da treoento soltânto si contasseio, fira qnali dngento Polacehi
Da millednqneoento nomid appartenevano aile varie proYinoîe d'Italii;
tatti gli altri, agli Stati romani. Mazzini, nella lettera scritta a Falloai
e Tocqneville dopo la cadnta délia repnbblica , osserva non ayere Ba-
detzky chiamato mai stranieri i Lombardi, i Toscan! , i Bomani e i
XapoUtani, che sotto le insegne di Sardegna combatterono contra loi
nel 1848 e 1849 snl Mincio e a Novara.
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BOMA 427
due diyisioni ordinati e in una schiera di recuperazione.
Alla destra del Tevere stava a guardia il générale Oari-
b&ldi con la sua divisione (1); alla sinistra del flume, Barto-
lucci con Taltra; la riscossa, entro la città. L'esercito
francese, portato a numéro durante le tregue, aveya da
trenta mila uomini; de'quali, due mila artiglieri, mille de-
gli ingegneri militari, da settecento a ottocento cavalieri.
L'esercito componerasi di tre divisioni: la prima, costi-
tuita dalla brigata MoUière — sette battaglioni di fanti di
ordinanza — e da quella di cavalleria di Morin — otto
squadroni — comandavasi dal générale Regnault de Saint-
Jean d*Angély; la seconda, capitanata dal générale Rosto-
lan, constava délie brigate Ohadeysson e Carlo Le vaillant
— dodici battaglioni di fanti d'ordinanza e due di veliti,
0 cacciatorî; — la terza divisione, governata dal générale
Guesviller, contava le brigate Sauvan e Giovanni Levail-
lant — quindici battaglioni di fanti di ordinanza e uno di
veliti; — oltre le quattro batterie da campo vennero di Fran-
ciaper l'assedio grossi cannoni, obici e molti mortai. Al ri-
prendersldelleostilltà la prima e la secondadivisione distesero
i loro campi da Santa Passera sino al di là di villa Pamfili, te-
nendoalquante compagnie di fanti nel tempio e nel convento
di San Paolo ; délia terza divisione, la brigata Levaillant stette
alla villa Mattei a cavalière délia via di Givitavecchia; e
la brigata Sauvan, all'Acqua Traversa su quella di Fi-
renze; il Quartiere générale di Oudinot si pose alla villa
Santucci, luogo eminente dond'egli poteva vedere ed essere
veduto dall'esercito, dirigere Tassedio e tutte le militari
operazioni. Non estante la preponderanza del numéro e
la potenza délie armi, non estante il valore dei soldati e
la perizia dei capi, Oudinot non ardi passare con Tesercito
8u la sinistra del Tevere, per tema d'essere assalito a
tergo 0 al fianco dai Romani; ne fuor di questa non sa-
(1) Vedi l'Atlante.
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428 OAPITOLO YIU
prebbesi troyare altra ragione che possa giastiflcare la
scelta fatta dal générale francese di offeadero il lato più
forte délia città, cioè la cinta che corre attorao a Roma
su la destra di quel fiume, da questa parte validissima,
che misura soltanto otto chilometri ia lunghezza e la cui
difesa era assai favoreggiata dalle tante ville che le stanno
di fronte, forti esse pure perché circondate da solidi mun.
Oudinot e i suoi generali tentarono da prima provare la
giustezza di quella scelta con la nécessita di assicurarsi
le vie di comunicazione con Givitavecchia, base délia
guerra; ma veggendo la ragione addotta non accettarsi da
nessuno — per essere proprio speciosa e non vera, aTve-
gnachè padroni del Tevere non potossero pericolare di Te-
dersi separati dal nimico dalla loro sedia di guerra — af-
fermarono di poi: = Avère essi deliberato d'assaltare la
parte occidentale di Roma allô scopo di togliere, piii che
possibile fosse, ai danni délie artiglierie assediatrici i mo-
numenti délia città etema. = I generali francesi per6
non ignoravano, che i più preziosi di quelli erano anche
i più vicini alla cinta di mura che dovevano battere. La
giomata del 30 aprile, col fiaccare la iattanza di Oudinot,
avevalo reso molto prudente eavevagli insegnatô altresi» che
se non devesi mai temere i nimici, non devonsi perô di-
sprezzare mai.
Innanzi Talbeggiare del 3 giugno Oudinot, vlolando per
la terza volta le tregue, che dovevano spirare il giorno
appresso, risoluto d*impadronirsi délie alture sovra cui
siedono le ville Pam&li, Yalentini e Gorsini — quest*ultima
nota sotto il nome di Quattro Venti — mandava a ùx l'im-
presagrossa mano di sue genti (1). Due schiere d^armati mos-
sero contra^ villa Pamfili; la più forte di esse guidata dal
générale MoUière e composta di due battaglioni di fanti,
(1) Vedi l'Atlante.
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BOMA 429
quattro compagnie di yeliti, due canaonî da campo, cin-
quanta cacciatori a cavallo e ana compagnia di soldai!
àegli ingegneri militari l'assaltava dalla via délia Nocetta,
mentre Taltra di due battaglioni di fanti e due artiglierie,
capitanata dal générale Guesviller, avanzavasi alla sinistra
di qiiella per divertire Tattenzione del presidio, che con*
tara quattrocentocinquanta uomini; il quale, côlto airim*
proTviso e non preparato alla difesa, perô che riposasse
su la fede dei Francesi, non potè opporre lunga resistenza.
Oppresse dal numéro dei nimici — entrati nella villa per
li rotti délia cinta di muro — il presidio la lasciava e,
combattendo sempre, riparavasi nella villa Corsini, dalla
qnale ritrattosi dopo brève difesa raccoglievasi entro 11
VasceUo, edlflcio saldisslmo posto a dugento metri dalla
porta San Pancrazio e tenuio allora dalla legione di Me-
dici (1). In questo mezzo il générale Sauvan, sceso di Monte
Mario con la sua brigata, tentava il ponte Molle o ponte
Milvio; ma essendo un arco di esso rovinato, Sauvan spin-
geva nel fiume una mano de' suoi, i quali, non potendo
superare la corrente, tomavano presto addietro. n fragore
deila moschetteria di villa Pamflli aveva chiamato il pre-
sidio di Roma In su l'arme ; e Garibaldi, raccolti i legio-
nari suoi, soUecito usciva dalla città contra il nimico, per
ripigliare quelle posture che sole potevano impedire ai
Franoesi d'imprendere i lavori d'assedio: ne segui allora
una lotta accanitissima. La legione garibaldina corse prima
ad assaltare la villa Gorsini; e fu sopra a questa con im-
(1) Nel febbraio di qaell'anno 1849 in Firenze, Medici aveya assai
heaie orâmata ima compagnia di voloniari lombaidi: erano centodiecî
allo Indica. Matatesi le cose in qnella dttà, Medici portavad a Borna,
facendOy in sno cammino, d'antigoardo alla grosaa scMera del colonnello
Mezzacapo. Oinnto a mezzo aprile in Boma, egli prese stanza nel Ca-
$ino dei Quattro Venti, ove la sna compagnia s'ingrossô di dugento
stndenti lombard!; e accresciutasi poscia di dngento voîontari toscanî
la eompagnia di Medici ebbe nome e ordinamento di legione.
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430 OAPITOLO TIII
peto si farioso e si veloce, clie senza trar colpo di mo-
schetto riesciyale di cacciarne i difensori e di insignorir-
sene; ma i Francesi, iagrossati d'aiati poderosi, che ad
ogni istante giugnevano sul campo, tornavano all^assalto
per recuperare quanto innanzi averano perduto. Viato di
non potere resistere alla moltitudine di nimici che veniTa
loro addosso» i legionari di Garibaldi indietreggiarono ; se
non che ricevuti alcuni sussidi nuoyamente assaltavano la
villa e la riprendevano, per lasciarla perô poco di poi a
cagione del numéro sempre crescente dei FrancesL Per
Tarrivare di Manara coi bersaglieri lombardi riaccende-
vasi la pugna, una yera pugna d'eroi, la quaie doTera
durare lunghe ore ed essere oitre ogni dire sangroinosa.
Senza por tempo in mezzo i Lombardi, oorsi sopra la villa
e dope sforzi strenuissimi scalatane la terrazza, atarano
per invadere la casa, quando un ierribil fuoco di moschet-
teria ferivali di fronte e di fianco ; intrepidi per6 resi-
stevano; ne di là sarebbersi tolti — ben sapendo quanto
alla difesa di Roma importasse il possesso di quella postora
— se non avesseli chiamati addietro il suonare a raccolta
di Garibaldi; il quale, reputando impossibile far qaell*im-
presa con un pugno d'uomini, sebbene di valore singola-
rissimo, facevali venire a se per rinnovare gli assaltl
allora che gli giugnessero gli aiuti richiesti ; e in fatto,
ricevuto ch*egli ebbe alquante compagnie di fanti e stu-
denti, e alcuni nodi di milizie diverse, con passe risolnto
avanzossi conti*a la villa Corsini. Arrivato quivi, parte
di sue genti, superata la cinta, scese nel giardino, e Taltra
parte, allargatasi ai ôanchi, chiuse la villa entro una cer-
chia di fuoco» eziandio occupando la casa Yalentini, dalla
quale una presa di nimici molestava le mosse dei Garibal-
dini, che di quella impadronivansL L*impetuoso assalto di
quoi coraggiosi abbatteva in un subito i difensori délia
villa Corsini e costringevali altresi a ripararsi entro la
casa; teneva lor dietro Masina, capitano straordinariamente
animoso, col suo manipolo di cavalli, i lancieri garibaldini;
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B09CA 431
il quale, nella furia dello incalzare, salita la scala, sul pia-
nerottolo dl essa cadeva ferito a morte. Manara, che ave-
valo seguito da presso coi bersaglieri lombardi, inarcate
le armi aryentavasi allora contra i Fraacesi ; i quaii, non
reggendo airurto, davanst a fuga disordinatissima; ma ri-
fattisi 6 afforzatisi di grosse schiere portatesi innanzi per
riafrescare la pugna, riedevano aile offese, riconquistando
villa Gorsini, la tanto contrastata postura. La piena inrero
soverchiante dei nimici, d*ogni parte allagante il terreno»
costrinse Garibaldi a togliersi giù daU'impresa: onde rac-
cogrli6Ta sue genti al VasceUo. Il giorno stava per cadere,
quando ona compagnia di bersaglieri lombardi chiedeva
di fare nuova prova délie armi; e € Fatela pure^ » rispon-
deva loro GaribaldL Gondotti da Ooffredo Mameli e da
Emilio Dandolo corsero pieni d*ardimento a rinnovare
gli assalti, che perô tornarono vani. Di cento che al par-
tire per Taffronto contavansi, solamente la meta torna-
rano! Tra i morti fa Ooffredo Mameli; tra i feriti, Emilio
Dandolo.
La giornata del 3 giugno costô cara ai vincitori e ai
Finti ; il combattere, che durô senza riposo dairalba al car
lare délia notte e fu più volte ristorata per l'arrivare
di nnove armi sul campo, fu sanguinosissima, sempre ri-
spetto al numéro dei soldati che prese parte a quella ;
ciascuna délie parti moite âate si rifece, essendo quando
all'una e quando all'altra toccato il peggiore. La vittoria^
dnbbia per lunghe ore, alla fine sorrise ai grossi batta-
glioni, a chi aveva maggiore potenza d'armi; ciô non
estante quelle posture — per la cui signoria si sparse tanto
saague — non sarebbero andate a mano dei Francesi, se
Oudinot non fosse ito aile offese con la tradigione e Tin-
ganno ; se gli Italiani fossero stati piii ordinati negli as-
sàlti ; e se Rosselli avesse tratto fuor délia città, ad appog-
giare la divlsione dl Garibaldi, con tutte le riscosse anche
bnona parte délie genti di Bartolucci; e ciô far poteva
senza correre pericolo di vedere Roma assaltata su la si-
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432 cAPiTOiiO viii
nistra del Tevere, idlora che quasi tntto lo sforzo armato
di Oudinot combatteva a villa Pamfili e al casino dei Otuii-
tro Venti. Nello spazio di poche ore queste posture furono
quattro volte perdute, altrettante volte racquistate; da
prima caddero per sorpresa, di poi per la moltitudine dei
soldati con cui il nimico le aveva assaltate, moltitudine
che superava d'assai le forze di quelli che le presidia-
vano : onde puossi a buon diritto afifermare, che dagli Ita-
liani si prendessero per virtù, dai Francesi per numéro
d*armi. Questi pure strenuamente comportaronsi uella pu-
gna, non perô da par^giare gli Italiani, i quaU compirono
prodigi di yalore si straordinario, che avrebbero mosao
ammirazione e stupore in una soldaiesca per lunga e forte
disciplina esercitata in belliche imprese, ed era al contrario
una giovanissima milizia; pareva in quel giorno che gli
Italiani, nulla di loro stessi curanti, pensassero soltanto a
dar morte o a morire (1). Gorsi pieni d*entusiasmo a of-
frire la vita per la libertà délia patria, spirando alzayano
(1) H 3 giagno cadeva morta snl campo o mortftlmente forita ima schiera
elettlBdma d'uffidali e di doldati italiani ; tra i qnali licorda la Storia nelle
sue pagine, che non periscono mai, Masina, il Murât italiano^ Hellaia,
PoUini, Peralta, Enrico Dandolo, Dayerio, Sivori, Ramorino, Canepa,
Scaroni, Folgari, Rasori, Borelli e Mameli, il Tirteo italiano, Troppo
longo assai sarebbe numerare tntti i yalorosi yennti a morte in qnella
memoranda giomata; corne pure troppo longo sazebbe descriyere i fiitd
compinti dagli eroi che la comhatterono; impossibile poi dire tntte le
angosde da Borna soflferte in quel di per si grayi peidite! le qnali fo-
rono accrescinte dimolto dalla poca pietà dei soldati di Francia rerso
i prigionierî feriti. Narra il Baroni che u dei soldati délia legione ita-
liana grayemente feriti la più parte morlrono per lo innmano tratta-
mento riceynto dai Francesi nel trasportarli a Civitayecchia »(*).—
È forza dirlo: la cansa inginsta, a sostenere la qnale Lnigi Napoleone
e i snoi Ministri ebbero allora impngnate le armi per gneneggiare
Borna, ayeya reso i soldati di Francia yeramente innmani, da incmde-
lire persino coi prigionieri!
(*) / Lomhcardi ndU guerre iiaiiane.
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BOMA 433
m grido, non di dolore, ma di amore airitalia! quai grido
Dai potevano, morendo, alzare i Fraiicesi venuti al bel
Paese per nccidere gente, che non ayeTali offesi ? a op-
Drimere nna repubblica e restaurare una potestà assoluta
ii re, essi figli d*una repubblica e di una nazione, che da
é appellossi grande f — Oltremodo funesto a Roma fu il
^ giagno! Pn6 dirsi da quel di cominciata la rovina délia
!ittà e contati i suoi giomi ! Se i Romani avessero potuto
(nantenersi in possesso della villa Pamâli e del Casino dei
Qmttro VefMj e rotti e ributtati gli assalitori, la repub-
blica sarebbesi sostenuta lungo tempo ancora, forse assi-
curata la sua sorte; avTegnachè una nuova sconQtta del
(limico ayrebbe suscitato in Francia Todio e Tira contra
Oudinot^ violatore di tregue e della fede data, e mossa TAs-
semblea a romore contra i supremi reggitori, per costrin-
gerli a porsi su la via dell'onore, dalla quale eransi allon-
tanati per servire agli interessi di un ambizioso.
Âl calare délie ténèbre ogui strepito d'armi cessô. La
notte fu trîstissima in Roma ; le vie illuminate — e furonlo
tarante tutto il tempo deU'assedio — erano percorse dai
clttadini silenziosi, sul cui volto leggevansi il dolore più
cupo 6 la mestizia più profonda; piangevano i loro morti
iQa ancora più la rovina della patria, che prevedevano non
lontana! Ma, quasi che della sainte di essa non disperas-
sero, COQ novello ardore apparecchiavansi a nuovi cimenti
i suoi difensori, i quali, con tanta gloria e grandezza, ave-
vano il giorno innanzi sostenuto Vonore di Roma, Vonore
iltaliay e cornbattuto per dire quattordici ore corne vec-
<^hi soldait; che sebbene côltt aWimpensala dai tradimento
e da una violazione di proTnessa formale e soUoscritta,
(nceano conteso palmo a palme il terreno e respinte le
Mizieptù valorose dCEuropa (1). — Nella persuasione che
G) Parole dei Txiumvîii all'esercito. — Balleydier, a carte 156 de
seconde yolnme della citata sua opéra, scusa cosi la tradigione del ge-
28 — Toi. II. Mabtaiîi — Storia poh e mtl.
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434 GAPITOLO VIII
i vincitori senza por tempo in mezzo verrebbero a nuoro
assalto sdlo intento' di approflttarsl dello abbatUmento ioj
cui credevano di trovare il presidio di Roma, Garibaldil
intese subito a riordinare le difese; le quali, faor della cittaj
e dalla parte del campo nimico, erano poche ; avvegnachè|
i Romani vi tenessero soltanto alcune casuccie di lieve im-
portanza e il Vascello, ohe dicemmo occupato dalla legione
Medici. Ma i Francesi non uscirono dai loro campi, fnor-
chë nella notte del 4 al 5 giugno per aprire la prima p&-
rallela, che condussero a trecento metri dalFangolo s»-
gliente piu avanzato della cinta di mura, cbe dalla porta
San Pancrazio va a porta Portese, appoggiandone la sinl-
stra alla chiesa di San Pancrazio, poco addietro della Tîllâ
Corsini e la destra aile alture del vicino Tevere, Aile estre-
mità della parallela costrussero due batterie di cannoni e
d'obici per contrabattere le artiglierie dei bastioni e dei
Testaccio, monte che si éleva su la sinistra del fiume e da-
vanti a porta Ostiense. Il mattino del 5 giugno ebbe co-
minciamento quella lotta, la quale dovette farsi ogni giorno
piii aspra e sanguinosa e durare incessante sino al cadere
di Roma; ai Francesi, che senza posa fulminarono la città
nerale Ondinot: u II rimprovero dato al comandante sapiemo d'arere
assaltata la città prima che spirasse il termine convennto per le ire^e.
è privo di fbndamento. H générale cominciô il sac movimento verso h
villa Pamfili, se non dopo avMme awertiti i posti avanzati d^ Bosiani;
egli non fece traire contra Borna f^rcliô nel giorno di maitedi H S
giugno Ondinot non rispose nemmeno con nn solo colpo di cannoneal
faoco délie artiglierie nimiche, che dalle mnra traevano a scaglia. ^
Le parole di Balleydier confermano e non iscnsano la violasione delle
tregne di Ondinot; il qnale, scrivendo al capo supremo dell^eseroito rk
mano, avevalo aasienrato che diferirMe le offest ttno a luneâl mtMm
— il 4 gingno — per lo meno. Egli, che aveva fissato il termine délie
tregne, assaltava, prima dello spirare di eese, le difése nimiche! e di
qnesto sno vitnperevole operato cercô ginstificarei dicendo d'aveie ar-
vertito del rao assalire i posti avanzati dei Romani; non a qnesti, nu
al générale Bosselli era débite sno di volgeni
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BOMA 435
con le artiglierie^ risposero i Romani uscendo alla cam-
pagna per rovinare i lavori d'assedio e molestarne i di-
fensori. — Fatta deliberazione Ai riprendere villa PamÛli,
Rosselli disegnô per la notte del 10 una incamiciata d*otto
mlla uomîni allô incirca (IX tra cul le genti del eolon-
nello Masi arrivato due giorni iunanzi. Garibaldi, che do-
veva governare Timpresa, ordinato ai soldati dl sopram-
mettere la camicia aile vesti a fine di riconoscersi nella
oscurità délia notte, aile ore dieci per porta Gavalleggieri
usciva di Roma. La spedizione in buon ordine e silenziosa
camminava per la notte tacita all'obbietto suo promet-
titrice d'esito felice, allora che l'avanguardia — composta
délia legione polacca, circa dugento uomini — per uno
strepito improvriso, come di pugna manesca e lo scari-
carsi délie armi, volgevasi alla fuga. n brutto accidente
avveniva cosî. Stavano i Polacchi in prossimità del vallo
nimicoy quando udivano vicino ad essi un tempestare di
sassi ; onde credendosi côlti dai Francesi, rotti gli ordini,
indietreggiarono; erano al contrario le genti di Sacchi
sboccanti da nn canneto per portarsi contra San Pancrazio.
Un altro malaugurato accidente aggiunse confusione a con-
fusione, e fa questo. Alcuni soldati, allô intente di assieu-
rarsi che insidia verona si nascondesse entre una casa,
presse la quale passayano e che pareva déserta, appog-
giata a una finestra unascala salivan sopra. Il rompersi di
un piuolo Cacera cadere a terra i soldati e in loro caduta
scaricare due schioppL Lo strepito dei Aiggenti e il romore
délie armi nel dare lo alFarme ai campi nimici resero
impossibile la sorpresa bene disegnata: onde Garibaldi,
toltosi giù dall'impresa, rientrava con sue genti in Roma.
Di questi giorni, e precisamente il 7 giugno, erano
giunti al Quartiere générale di Oudinot i colonnelli Bue-
(1) Dicesi che taie stratagemma di guerra sia stato inrentato dal
capitano Alfonso Dayalos, marchese di Pescara, nel 1534.
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436 CAPITOLO YUI
naga e D'Agostino a offrirgli i soccorsi dl Spagna e dî
Napoli; e il générale francese accettava dal Borbone al-
quante artiglierie d*assedio, ma rifiatava glî aiuti di sol-
dat!, dei quali affermaya averne di troppo (1). « Aspetta
alla Francia, figlia primogenita délia Chiesa, diceva egli
ai messi di Spagna e Napoli, la iniziativa délia restaura-
zione in Roma délia sovranità temporale del Papa, intima-
mente legata all'autorità spirituale. » Dopo ayer parlato di
quanto aveya fatto per lo acquisto délia città eterna, s<^
giugneva: « Ebbene! allora che una grande nazioae, corne
la Francia, ha già compiuto tali cose, e fatti sacrifizi e
sopportate spese si enormi, quando ha soflTerto una offesa,
le abbisogna una riparazione splendida; e deve ottenerla da
sola e senza soccorso straniero.Nelle presenti circostanzela
Francia non puô permettere che altre nazioni vengano a
toglierle quella gloria che tutta esclusivamente le appar-
tiene, e che non le puô sfuggire di mano. » In verita assai
strano linguaggio questo di Oudinot, che parlava di ripa^
razione di offesa patita! In che mai i Romani ayeyano
offeso la Francia? forse nel non aocogliere entre la loro
città Tarmi mandate per opprimere la repubblica? o forse
nello sbaragliarle nella giornata del 30 aprile? Francia
aveva invaso il territorio di Roma; erasi împadronita di
Givitavecchia con l'inganno; e poco di poi tentata la città
con un assalto; e perché i suoi soldati venivano ributtati,
gridavasi allora offesa e chiedeva riparazione? Oudinot
non accettava gli aiuti di Spagna e Napoli, perché la patria
sua avesse ad acquistare tutta la gloria deirimpresa! —
Francia avrebbe bene provveduto al proprio onore, se, non
a combattere qi^el picciolo Stato — che poche armi e maie
ordinate possedeva — lo avesse difeso dagli assalti di
(1) u lo amo rendeie al mio Gk)venio questa giustîzia, ch'egli mi
inyiè forze armate superiori a quelle che mi sono rigorosamente indî-
spensabilL »
Parole di Oadinot agli inviati di Napoli e Spagna.
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Napoli, d'Austria e di Spagna, che stringevanio in una
cerchia di fuoco e di ferro. Inframmettendosi in contesa
non sua — perô che la quistione romana non toccasse la
religione, ma solamente il potere temporale pontiflcio, che
non è istituzione di Oristo, ma degli nomini — e spegnendo
la libertà di Roma, Francia acquistava yitaperio e non
gloria-
Come sempre avviene neî grandi rivolgimenti politici,
le passioni umane, se non sono fortemente e saviamente
conteante, prorompono con Timpeto lopo naturale : cosi fu
in Roma. Il parroco délia Minerva, che, devotissimo alla
Oorte papale, instancabile maneggiavasi a far proseliti per
essa e a danno délia repubblica, condotto con la violenza
nei sotterranei di san Galisto veniavi barbaramente ucciso
da quel tristi, i quali approQttano délie popolari commo-
zioni per compiere le piii turpi vendette e le scellerag-
gini piii sanguinose. Altri sacerdoti, in fama di nimici alla
repubblica, seguivano poco di poi quel parroco infelice, il
quale non avrebbe certamente perduta allora la vita, se,
come amava i poTerelli, avesse pure amata la patria. La
stampa francese, avrorsa a Roma, disse complice di quel
delitti il Governo; essa non affermé il vero, anzi vergo-
gnosamente menti, sapendo proprio di mentire, avvegnachè
le fosse noto, che i Triumviri aveyano siibito posto fine a
tali yiolenze e messo faora un bando, col quale, nello in-
vitare il popolo a mantenere illesa e pura dCogni benchè
menoma macchia la bandiera repubhlicana, Vebhe altresi
avvertito che al Oovemo soltanto spettava il diritto di
punire. — Nel mattino del 12 giugno il colonnello Amedei
degli ingegneri militari, a finirla con gli assediatori, i quali
senza posa molestavanlo nei lavori di contrapproccio ch'egli
atava costruendo dinnanzi alla villa Gorsini, mandava una
buona presa d'armati contra il vallo, dal quale uscivano
i nimici per guastare i suoi lavori. Al gagliardo assalto
dei Romani teneva subito dietro rabbiosa pugnamanesca;
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438 CAPITOLO VIII
le guardie del vallo cedevano da prima del campe, che
riprendevano di poi aU'arrivare di grossi battaglioni di
soccorso; gli assalitori, soprafGsttti dal numéro, lasciato il
vallo tornavano ai loro lavori senza patir molestie dai
Francesi. In sul cadere di quel giorno giugneTano ai
Triumviri, al comandante supremo deiresercito e a quello
délie Ouardie nazionali, lettore dal générale Oudinot;di
esse, uno solo 11 concetto; eguali i sensi; suonavano uns
superba intlmazione di posare le armi e di arrendersi, da
quel generosi respinta con disprezzo. = Gli eventi délia
guerra, cosi il générale francese, aver portato sinpresso
le porte di Roma le armi vincitrici di Francia ; qualora
la città perdurasse nelle resistenze^ essere egli per usare
tutte stiùe forze^ allô intento di costringerla alla dedizione.
Prima di venire a tanta e si terribile nécessita fx>lçer^
ancora una volta al popolo, il quale non pua nutrire
sentim^ntt osttli alla Francia. Sperare che Vesercito vorrà,
al pari di lui, risparmiare sançuinose rovine alla me-
tropoli del m^ndo cristiano. = Oudinot chiudeva quindi
il suo dire minacciando d'assaltare la città con tutto lo
sforzo suo armato, se dodici ore dopo la consegna délia
sua lettera non gli pervenisse riposta, giusta gli inten-
dimenti e Vonore délia Francia. — Agli abitanti poi di
Roma cosi parlava: = Non essere venuto a portar Iopj
la guerra, ma ad appoggiare ira essi Vordine con la
liberté. Awidnarsi Vulttmo momento in cui le nécessita
délia guerra scoppieranno in tremende nécessita; essere
in lor mano salvare Roma dai disastri, che un più
osttnato resistere indiMtabilmente le arrecherà. = In vero
il popolo romano non era nimico ai Francesi, sibbene ai
supremi loro reggitori; i quali avevano da prima adope-
rato Vinganno e allora usavano la violenza per togliere
libertà e indipendenza alla patria e rimetterla sotto la
potestà assoluta del Papi. In quella lettera circolare Oudinot
mostravasi dolente di dover portare rovine alla metropoli
del monde cristiano; dicendo ciô egli non afiermara la
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BOMA 439
verità, ayvegaaclxè avesse già guaatato e dimolto alcune
opère insigni deirarte italiana col vandalico fulminare
délie sue artiglierie; le quali avrebbe dovuto rivolgere sol-
tanto contra le mura, che impedivangli l'entrata nella
citt& e contra la parte faziosa che le difendeva strenua-
mente; la quaUj corne egli stesso ebbe scritto in un ma-
nifesto all'esercito, strania a Roma^ vi si era armata
aironibra délia lîbertà. < Noi non troveremo nimiche ne
le popolazioni, ne la milizia romana; quelle e questa ci
coasiderano corne liberatori. Noi avremo a combattere
de' rifugiati d'ogni nazione» che opprimono il paese, dopo
averlo avrenturato nella loro la causa délia liberté » (1).
Qaante contraddizioni ueiroperato di Oudinot; il quale,
mentre asseverava non essere il popolo romane nimico
alla Francia» percuoteva co* suoi cannoni lui e i monu-
menti della sua città! — L*Assemblea, raccoltasi nella
notte a consulta, rispondeva al générale in questi termini :
= La conyenzione, formata il 31 maggio col signore
Lesseps, essere obbligatoria par le due parti e posta sotto
la salvaguardia del diritto délie genti sino a che il Go-
yemo di Francia Tabbia ratificata o respinta; perciô do-
yersi ritenere corne una violazione di essa le ostilità, che
da quel giorno Oudinot aveya ripreso ed eziandio quelle
che fosse per rinnovare prima dello spirare délie tregue
patteggiate e del notiâcarsi di quanto stavasi allora deli-
berando dai Ministri francesi. Agli intendimenti e aU'onore
deUa Francia bene rispondere il subito cessare della vio-
lazione del diritto délie genti. Dei tristi effetti di taie vio-
lazione non potersi chiamare mallevadore il popolo; il
quale, forte de' suoi diritti, ha lisoluto di mantenere la
convenzione che lo legano a Francia, ma nel medesimo
tempo di respingere per sua difesa ogni ingiusta aggres-
(1) Maaifesto di Oudinot aU'esereito, pnbblicato in Ciyitaveocliia il
27 apiile 1849.
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440 CApiïOLO VIII
sione. = Non meiio fieramente rispondevano i comandanti
supremi délie forze armate: = La convenzione, dicevano
essi, guarantire la città da ogui disastro; le guardie nazio-
nali — cui soprattutto staiino a cuore la dignità propria e
l'onore di Roma — secondare le risoluzionl deirAssemblea;
ogni infortunio alla città monumentale doversi attribuiiv
agli aggressori, non ai cittadlni costretti a difenderla. Una
fatalità dolorosa spingere a guerreggiarsi i soldati di dae
nazioni repubblicane, che dorrebbero al contrario com-
battere, insieme uniti, i comuni nimici; ayvegnachè i
nimici deU'una sieno pur quelli delfaltra. Essore pronti
a difendere le loro libère istituzioni ; prima la morte, che
vodere le interminabili oppression! e miserie délia patria.
= Ributtata Tintimazione di resa, Oudinot spingera col
massimo ardore i lavori d'approccio. Condotta nella notie
del 14 giugno la terza parallela con gabbioni fascinatî v
costruite subito dopo altre batterie, prendeva a trarre
ancor piii furiosamente che mai contra la città» gaastando
l'antico tempio délia Fortuna Virile^ gli edifici di Miche-
langiolo e Bramante, e alcune dipinture del Dominichino,
di Guido Reni e del Pinturicchio. Il quai modo vitupere-
vole di guerreggiare del générale francese, proprio degno
di gente barbara, non di nazione incivilita e che i tempi
non pi il consentivano, induceva poco di poi il Senatore di
Roma^ Sturbinetti, a volgersi ai rappresentanti degli Stati
stranieri amici, pregandoli dei loro buoni offlci presse
Oudinot, per salvare da rovina le sublimi creazioni de\
genio italiano ed eziandio a far che quella guerra, dai
Romani non provocata, non avesse a prorompere in quegli
eccessi ripugnanti aile condizioni délie nazioni civili di
Ëuropa. Tutti i Gonsoli, allora in Roma, unanimi protestarono
vivamente contra il barbare operare di Oudinot, che metteva
in pericolo, non solamente le vite degli abitanti neutrali
e paciâci, ma ancora quella dei fanciuUi inoffensivi e
délie donne. < Noi ci permettiamo, scriveyano essi, signor
générale, di farvi conoscere, che la bombardata di già
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BOMA ^ 441
uccise molti innocent! e distrusse non poclii capolavori di
belle arti, chc non potranno essere surrogati mai. Noi
confidiamo in voi, che in nome délia umanità e délie
nazioni civili voi cesserete d'una bombardata ulteriore,
per salvare dalla distrozione la città dei grandi monu-
raentty considerata sotto la protezione morale di tutti i
paesi inciviliti del mondo » (1). Oudinot, che avéra il
cuore chiuso a ogni sentimento d^umanità — nel cui
nome i Gonsoli aveyano parlato — e che il bello non
poteva commuovere, senza darsi pensiero veruno continuô
uella yandalica opéra di distruzione! Il suo Governoave-
vagli comandato di muovere contra Roma con tutto lo
sforzo armato e d'impadronirsene a ogni costo; ma dai
Ministri di Francia non gli sarà stata certamente imposta
la rovina dei monumenti, che nessuno mai potrebbe rifare.
Noi sappiamo per esperienza, nelle città assediate spargersi
soreate sangue innocente, avVegnachè non sia possiblle
sempre ben governare il traire délie artiglierie; ma il
générale francese fulminô Roma airimpazzata ; ne diremo
troppo di lui, afiermando non avesse allora intero il suo
«etwo morale.
Mentre cosi camminavano le faccende deirassedio, fatti
di grare momento compivansi in Parigl. I Ministri del
Buonaparte, dopo avère respinta la convenzione di Les-
seps con TAssemblea CosUttcente romana — che già di-
cemmo formata dall'oratore francese in virtii délie istru-
zioûi ricevute da quelli — mandavano al générale Oudinot
ua altro Gommessario, il Corcelles, il quale in appa-
renza aveva missione di tentare nuovi accordi con Roma,
in Terità poi di soUecitare Timpresa, che sommamente
(1) Taie protesta era sottoscritta dai rappresentanti d'Inghilterra,
di Prossia, dei Paesi Bassi, di Danîmarca, di Svizzera, del Wurtemberg,
Ma repubblica di San Salratore, degli Stati Uniti d' America e di
Sardegna; la protesta porta va la data 24 çiugno 1849.
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442 CAPITOLO VIII
importava condurre a fine, inaaazi che la parte libérale,
già romoreggiante, avesse a levarsi contra il GoTemo délia
repubblica e chi lo presiedeva, i quali aTevano mosso le
armi a danno délia romaaa repubblica e minacciaFano op-
primere le libertà délia Francia. La soUevazioae scoppiô;
ril, il 12 e il 13 giugno Parigi fu piena di tumnlti e di
sangue ! L'Assemblea legislativa levatasi a riprendere, se-
veramente ma con giustizia, i Ministri e gli atti di loro
sleale politica, soccombette nella lotta, e con essa anche
la parte libérale: ogni speranza di sainte per Roma andi
allora perdnta. — Nella notte del 12 al 13 Gernuschi por-
tavasi al campe nimico chiamato da Oudinot» il quale pro-
ponevagli, che i guerreggianti avessero a ventre a gior-
nata, ma per combattere una fînta e non una verapugna;
salvato in tal modo Vonore di site armi, Roma aprirebhe
le porte alVesercito assediatore. A proposta, che in veriià
dir non saprebbesi se piu vile o piii infâme, perô che nei
giuoclii di Marte la posta sia sempre di vite omane, ri-
spondeva con nobile flerezza il deputato alla CosHtuente:
« Roma non flngere mai: sebbene sappia di dover presto
soccombere, nondimeno farà quanto Tonor sue e gli oh-
blighi suoi le impongono d'operare, difendersi cioè slno
allô estremo. > Corcelles, il. quale partito il 6 giugno di
Parigi era arrivato allora allora agli alloggiamenti di Oo-
dinot, per lettera al cancelliere deU'ambasceria di Francia
faceva conoscere gli intendimenti del suo Qoverno su la
quistione romana (1). Dopo aver parlato délia convenzione
sottoscrltta da Lesseps e dai Triumviri, affermavaâ in
quella lettera dal Commessario francese: = Roma ingan-
narsi se, sotto il pretesto di attendere la ratificazione del-
Toperato di Lesseps, si ostinasse nelle resisteiuse tante
contrarie alla libertà propria e agli interessi che UAs-
(1) La lettera di Corcelles, scritta alla villa Santncd, Btanxa del
générale Oudinot, portava la data del Id* giugno 1849.
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KOMA 443
semblea credeva dlfendere. « Uno solo essere lo scopo che
Francia mira di raggiungere in questa guerra veramente
dolorosa, cosi concMudeva Corcelles; iatendo pârlare
délia IJbertà del Poateâce, quella degli Stati romani e la
pace del mondo. > — Egli sarebbe stato nel vero dicendo,
che intenta unico del suo Oofoerno era la restaurazione
delpotere temporale dei Papi; amegnachè Pio IX fosse
liberissimo di tomare a Roma a esercitarvi in tutta sua
pienezza Vautorità spirituale, la sola venutagli dal fon-
datore délia religions^ oui egli stava a capo, ed eziandio
la SOLA autorità, che nei primi secoli del Cristianesimo
gli antecessori moi avevano tenuto con tanto onorepro-
pria e tante splendore per la Chiesa. Asseriva in oltre
Corcelles, clie la Francia voleva la lihertà di Roma;
ma non aveya forse essa mandato sue armi a spegnere la
romana repubblica, dal popolo gridata con libero suflfra-
gio? Francia voleva altresî assicurare la pace universale;
ma erasi torse VEuropa commossa quando la città eterna^
lasciata a se stessa da quel Ponteflce che nessuno aveva
minacciato ne oflfeso mai, erasi data un reggimento re-
pubblicano ? — Il 15 giugno alla lettera di Corcelles no-
tiQcata alla Costituente dal cancelliere deirambasceria
îrancese rispondeva Giuseppe Mazzini; il quale, nel difen-
dere l'operato di Lesseps, metteva in piena luce la mala
fede, gli inganni e le tradigioni di Oudinot e dei Ministri
âel Buonaparte negli intenti e nel governo délia spedi-
zione di Roma (1). Il 19 giugno gli assediatori prendevano
(1) È pregio dell'opera portar qui in tatta sua interezza la lettera
sopn citata di Giuseppe Mazzini, nella qnale il fiero Trinmviro rivela
le slealtA e î tradimenti del générale Ondinot.
<< SiGNo&E. La lettera che il signer di Coroelles vi scrive in data
del 13 e che vol avete volnto comnnicarmi non ci spetta m nesanna
parte; Toi dovete averlo vednto a prima ginnta il senso dell'Assemblea
Costituente romana. Poco importa la data di taie o tal dispaccio f rau-
cese, poco importa che il signor De Lesseps fosse o non fosse revocato,
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444 CAPITOLO VIII '
a battere furiosameiite e con artiglierie poderose i ba-
stioni più avanzati rerso il loro eampo; il fuoco sospeso
durante la notto, ricomlnciava allô albeggiare del nuovo
giorao e continuava poscia incessante; nelle ore pomeri-
diane del 21 quel bastioni croUavano aile fulminate palle.
le quali in brève ora eziandio spianavano le aperture fatte
qnando egli apponeya il buo nome alla convenzione del 31 maggio. Yi
ô una parola che a tntto risponde. L'Assemblea non ha saputo niante :
ella non ha gianunai avuto comonicazione officiale di qaesti dispaccL
La qnistione officiale viene cosi da noi stabilita. Il signor Leasepsera
Hinistro plenipotenziario di Francia in missione a Borna. £g^ era taie
per noi il 31 maggio corne per lo avanti. Nulla ci era penrennto ad ar-
▼ertirci il contrario. Noi trattavamo dnnqne in plena buona fede con Ici,
come se noi trattassimo cou la Francia. E questa bnona fede ci é ct-
atata la occupazione di Monte Mario nella notte del 28 al 29 maggio.
Impegnati in una discussione interamente pacifica col signor Lessep?.
avendo a cnore d'evitare tntto ciô che avrobbe potnto precipitare gli
animi in nna soluzione contraria ai nostri voti, e non potendo noi de-
ciderci a credere che la Francia vedesse iniziare la sua misaione pivr
tettrice con Tassedio di Borna, noi sostammo. A ciascun movimento di
soldatesche, a ciascnna operazione più minuta, tendente a restringere
il circuito militare e ad avricinarsi pasdo pasao a posizioni che noi
avremmo molto bene potnto difendere, il signore Lesseps ci diceva, cbo
non si trattava per parte dei Francesi, fuorchô dare soddÎBfazione al
fiero eccitamento délie milizie stancate dalla loro immobilità. Ci suppli-
caya in nome délie due nazioni e dell'umanità d'eyitare ogni incontro
ostile, di porre ogni fiducia in lui e di niente temere per le conseguense.
Noi cedeyamo di buon grado. lo ne sento rammarico oggi per mia parte.
Ne ho rammarico, non perché tema per Borna, poichô vi sono dei petti
di prodi che difendono ciô che délie buone posizieni ayrebbero potnto
difenderci. n 81 maggio aile ore otto délia sera la convenzione fia il
signore Lesseps e noi fn sottoscritta. Egli la recd al campo, dicendoci
che riguardava la prma, del générale Oudinot come una semplice for-
malità, su la quale non poteva darsi il minimo dubbio. Eravamo tutti
nella gioia. Le cose andavano a riprendere tra la Francia e noi il loto
corso natniale. Il dispaccio del générale Oudinot contenente il rifinto
di aderire al trattato ed asseverante la sua conyinzione, che 0 signor
Lesseps, sottoscrivendolo, aveva oltrepassato i suoi poteri, ci airivd, io
credo, nella notte. Un secondo dispaccio, in data del primo giugno, a
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BOMA 445
— erano tre — per modo da reuderne facile il salire.
Nella sera del di innaozi, montre le artiglierie rovinavano
le difese délia città, due compagnie di granatieri francesi
eransi awicinate tacite fra le vigne d'una casa posta rim-
petto alla yilla Corsini per recarsela in mano con assalto
improYTiso e togliere cosi .aile molestie del presidio di
tre ore e meuo dopo il meszogiomo e sottoscritto dal detto générale,
ci dichiarè da sua parte che » raYTenimento avea giostiflcato la sua
determinasioiie, e che in dne dispacoi emanatî dal Ministro délia gnerra
e da quello degli affari esteri , con la data 28 e 29 maggio , il Go-
Terno francese gU dichiaraya che la missione del signor Lesseps era
terminata. n Ventiqaattro ore ci erano accordate per accettare VuL
timattm del 29 maggio. Lo steeso giorno, voi lo sapete, il signor Le8-
seps c'inviava ana partecipazione nella qoale diceva: c lo mantengo
il concordato sottoeciitto ieri, e parte per Parigi per farlo ratificare.
Qnesto concordato é stato coachinso in Tirtù deUe mie istmzioni, che
nii abilitavano a eonsacrarmi esclnsivamente aile negonasdoni e ai rap-
port! da stabilirsi con le aatorit& e il popolo romano. » Lo stesso
giorno, più tardi, il générale Oudinot ci dichiaraya che le ostitità
avrebbero di nnovo cominciamento, ma che « sn la dimanda del can-
celliere dell'ambasceria di Francia.... Tassalto délia piazza sarebbe
differito fine a lonedi mattina almeno. n La domenica l'assalto ayeya
Ivogo, e la consegnenza di qnesta mancanza di fede era per nd
l'occupazîone di yiUa Pamfili e il rapimento di due compagnie ta-
gliate fiiori, la cni eifra sta senza dnbbio nel bollettino délia gior-
n&ta del 3. Qnesti dngento nomini, sorpresi nel loro sonno, litro*
vaiBi tnttora, nnitamente ai yentiqnattro prigionieri fatti nello Btesso
giorno a Bastia in Gorsica. Ora coea d gioya, ye lo dimando, signore,
il dispaedo del 26 maggio dtato per la prima yolta nella lettera del
%iior Corcellee ? Goea yalgono al Goyemo romano i dlspacci citati dal
générale Ondinot? Noi non abbiamo mai yednti qud dispacoi , il loro
<^at6nnto ci è del tatto ignoto, non essendoci stato offidalmente coma-
lûcato. Abbiamo da on lato le affermazioni dd générale Ondinot, dal-
l'altro qaelle del Ministro plenipotenziario francese: le qnali sono in
piena contraddizione. Licombe alla Francia Tordinarle in modo, che il
800 onore sia salyo. Fra nn Ministro plenipotenziario e il générale di
^ corpo d'eserdto la nostra Assemblea ha crednto doyere riportarsi
alla tradizione dd fatti stabillti dal plenipotenziario. lo credo che abbia
operato bene, e yi faccio osseryare, Signore, che non prima di qnest'oggi
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446 CAPITOLO YZII
essa — un pugno di trentacinque uomini — le guardie
délie trincee da quella parte senza posa ferite dai Romani.
Quel presidio, che attento vegliava, non isgomentato dal
numéro dei nimici quasi dieci volte tanto le sue forzi^.
quando ride gli assalitori giunti alla porta délia casa,
oadde loro addosso con taie impeto .da mandarli via in
— dedmo giomo dell'assedio di Borna — ci fo officialmente, benehé
indirettamente, nota la presenza del signor di Corcelles al campo in
qualité di Miniatro inviato. ConaideTate le date délie note offieiali, p^*-
netele a fronte la data dalla oconpazione di Honte Mario e delle opi-
Taâoni dell'esercito franceae; e ditemi, Signore, se nell'esamiiuTe fred-
damente la qnistione diplomatica potrà TEnropa non essere cosmttft &
dire: -* u II Govemo francese non ha pieteso che dileggiare il GoTenj
romano. Il générale Ondinot ha alealmente proflttato délia baona Mt
degli nomioi che il compongono per restringere il cerehio dell'assair .
per occnpare favoreyoli posizioni e per avère la possibilîtà di sorpreL-
dere la città. » — Ne yiene di consegnenza che, o il dispaocio del 2^
non esiste, oyyero non ô stato comnnicato in tempo al signor Lessepf.
A dÎT Tero il dispaccio del 29 maggio era noto al campo francese il
mattino del primo giogno; poteva pereiô troyarsi nelle mani del géné-
rale Ondinot fino dal 29 maggio il dispaccio del 26. Se il geaenJt in
capo non lo prodnsse a qnell'epoca per sospendere ogni negoziazione e
il negoriatore stesso, si potrebbe pensaie che egli abbia yolnto preTï-
lersi di cotesta spede di negczianone, che inyalidava la sorye^iaiua
e la forza del popolo romano, a fine di impadronirsi, senza ineontrare
resîJBtenza, poco a pooo délie migliori posizioni ; sicnro com'era, che nel
prodnrre il dispaccio del 26 ayrebbe fatto cessare a sno ariûtrio ogsl
negoziazione che a Ini non piaoesse, e ogni armistizio nel momenfeo che
sarebbe pronto a operare. Permettete che io ye lo dica, Signore, con
la franchezza che dîstingae nn aomo di cnore; il contegno del Ooverao
romano, donnte le negoziazioni, non ha giammai deyiato d'mta Unes
dalla yia dell'onore. Il Govemo firancese non pud dime altrettanto.
Délia Franda, grade a Dio, non y'ô qnistione: brava e geuetwa ni-
zione, essa ô vittima d'nn vile intrigo, egnalmente che noL Oggi i vo-
stri cannoni tnonano oontra le nostre mura; le bombe vostre piovono
sopra la dttà santa; la Frauda ha avnto La fi^oria, qnesta notte, di
uccidere nna povera giovane di TranêUvere, che doirniva al ianeo di
sna sorella. I nostri giovani nffidali, i nostri impravtitoH soldati. î
nostri nomini del popolo cadono sotto il vostro faoco gridando: Vira îa
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BOMA 447
t
pochi momenti pesti e malconci. — La notte del 21 al 22
ora innoltrata dimolto, le artiglierie assediatrici aveyano
cessato di trarre e silenziosi erano i campi, quando tre
scblere di nimici, in capo aile quali camminavanp drap-
pelli di soldati Côrsi, appressavansi ai rotti dei bastion!,
e, non udite, non yiste 11 salivano fermandovi il piede con
rtpubhlica! I valorosi soldati di Francia cadono sotto il nostro senza
grido, senza monnorio, corne nomini disonorati. Sono sicnio che non
hayrene nno che morendo non dica ciô che ono dei yostri disertori ci
diceya qnest'oggi: « Noi proTiamo in noi stessi qnalche cosa, corne se
combattessimo contra fratellL » £ percha qnesto? né io, né voi lo sap-
piamo. La Francia costi non ha bandiera; essa combatte nomini che
l'amano e che ieri ancora fidarano in essa. Cerca incendiare nna città
che nnlla le fece, senza programma politieo, senza scopo manifesto,.
senza dnitto a reclamare, senza missione ad adempiere. Essa rappresenta,
per mezzo de' snoi generali, la parte dell'Aostria, meno il triste co-
raggio che non ha di confessarlo. Essa imbratta la sna bandiera nel
fango dei concîUaboli di Gaeta, e si ritrae alla vista di nna dichiara-
zione franca e netta di ristanrazione cléricale. Il signor di Gorcelles
non parla pin d'anarehia e di fazioni: non l'osa, ma scrive, corne xm
uomo imbarazzato, qnesta inooncepibîle firase: « La Francia ha per
iscope la liberté del capo yenerato délia Chiesa, la libertà degli Stati
romani e la pace del monde, n Noi almeno sappiamo il perché combat-
tiamo; ed é perciô che siamo fortL Se la Francia rappresentasse costi
an principio, nna di quelle idée che formano la grandezza délie nazioni
e che fbrmarono la sna, il yalore de' snoi figli non resterebbe schiacciato
contra il petto délie nostre gioTani reelnte. Oh! qnanto é triste, Si-
gnore, la pagina che si traccia in qnesto pnnto dalla mano del vostro
Ooremo nella stoiia di Francia! qnesto é nn colpo micidiale scagliato
al papato che, volendo sostenere, affogate nel sangne: nn abisso senza
fonde che approfondisce in mezzo due nazioni, ehiamate a camminare
onite per la sainte del monde, e che da secoli si porgono la mano a
fine d'intendersi: è nna profonda percossa alla moralité dei rappiesen-
tanti tn popoli e popoli, alla oredenza comnne che deye gnidarli, alla
santa caasa deUa libertà, che vive nella fidncia dell'aTrenire, non del-
l'Italia — i patimenti sono per essa nn battesimo di progresse — ma
non délia Francia, che non pn6 mantenersi al primo ordine, se abdica
^e maschie virtù délia credenza e all'intelligenza délia liberté. »
QïUêta Uttera di Mcutini portava la data del 15 giugno 1849.
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448 CAPITOLO VIII
militare scaltrimento: ed ecco in quai modo. Una senti-
nella presso la quale eransi accostate, stava per chîamare
a Tarme, allora che i Côrsi facevansi a gridare: Viva la
Repubblica romana. A queste parole, dette con accento ita-
ianOjlasentinellae le guardie,cheinquelmezzo si raccoglie-
vano,rimanevanoalquantoin torse; equando si avvîdero dello
inganno^ ogni resistenza era diventata impossibUe; tante
che, scambiati alcuni colpi di moschetto col nimico, con-
fusamente ripararonsi dietro le seconde difese. A divertire
Tattenzione degli assediati, montre assaltavansi i rotti dei
bastioni, il générale Gaesviller tentava le posture romane
di ponte Molle, e il luogotenente colonnello Espinasse ap-
pressavasi aile mura délia città dalla parte délia basilica
di San Paolo. Al ponte Molle Guesviller combatte uaa fa-
zione, hella quale fu pari il valore dei guerreggianti, dub-
bio perô l'esito di essa; ma su la sinistra dei Tevere Espi-
nasse scambiô poche moschettate appena con le genti dei
presidîo, che dalla porta di San Paolo eransi recate verso
quelle dei Popolo e di San Sebastiano. Oudinot avéra cosi
raggiunto Tintento suo, d'allontanare dal luogo dei vero
assalto buona parte délie forze dei presidio ; e soi bastioni
conquistati si tortificô, costruendovi una batteria di can-
noni, non estante il fuoco délie artiglierie nimiche, e as-
serragliando villa Barberini occupata da'suoi soldatî. Desti
dalla campana dei Gampidoglio, i cittadini scesero soUe-
citamente nelle vie, chiedendo di essere condotti contra
i Prancesi. Rosselli avrebbe volute ributtarli giù daJie
mura con un subito assalto, impresa questa non difficile
se fosse stata bene ordinata e fatta innanzi il tortificarvisi
dei nimici; ma gli si oppose Garibaldi, per tema che la
confusione, facile a nascere nelle imprese notturne, avesse
a portare mali maggiori; e reputando egli ornai essere
Roma perduta, voile col suo diniego alla proposta dî Ros-
selli salvare quattro o cinque mila difensori devoti, corne
scrisse di poi, che il conoscevano e ch'ei pur conosceva,
e che avrebbero risposto alla 5wa prima chiamata. Quel
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BOMA 449
riûuto fu causa di discordia tra i due generali e Mazzini,
il quale in una lettera al colonnello Manara censurô con
qualche asprezza Toperato di Garibaldi. In verità la deli-
berazione di Rosselli d*assaltare senza por tempo in mezzo
i Francesi era proprio quale le circostanze deirassedio esi-
gevano; racquistare col valore délie armi le posture ve-
nute a mano dei nimici per inganno avrebbe accresciuto
forza non poca alla difesa ; con lo allontanare dalle mura
gli assalitori, già minaccianti invadere la città, sarebbersi
rialzati gli animi di tutti e date nuova lena ai difensori.
Fu scritto, che in quella notte i Francesi vincessero per
tradigione d'un uomo del presidio; ma quali le prove?
nessuna. « Gon Taiuto délie ténèbre, corne un traditore, il
nimico fermô il piede su le mura, » cosi i Triumviri nel
loro manifeste ai Romani. Gertamente il grido dei Gôrsi
di : Viva la repubUica romana fu un militare scaltrimento;
ma il far ciô è da capitano accorto e astuto, non già di
soldato ti^ditore. Noi già provammo la slealtà e le viola-
zioni délie tregue di Oudinot; parlammo il vero, quando,
nel narrare Tassalto del 3 giugno, cbiamammo traditore
il générale francese, ma nell'assalto del 21 Oudinot mo-
strossi avreduto e destro, perô che avesse trovato il modo
di compiere con poco suo danno l'impresa deliberata.
Montre gli assediatori, lavorando con somma alacrità
agli approcci, awicinavansi ogni ora più a Roma e costrui-
vano nuove batterie, che dovevano gettare su quella una
tempesta di proietti, gli assediati afforzavano Tantica cinta
di mura Aureliana e preparavansi aile ultime resistenze.
Unica difesa estema loro rimasta era il VasceUOf situato a
dugento passi da porta San Pancrazio; presidiavanlo, come
già scrivemmo, i legionari di Medici, valorosi tutti e in-
trepidi quanto il loro capo ; i quali^ sebbene accerchiati
d'ogni parte da forro e da fuoco e non estante il malo
stato cui queirediflcio era stato ridotto dalle artiglierie
francesi, che minaccîavano trarlo presto alla rovina estrema,
29 — VoL n, Maeuki — Sioria poL ê mO,
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450 CAPITOLO Yin
pure alla chiamata di resa rispondevano niegativamente.
Il 26 giugno parte del Vascello aile palle fulminate croUara
con orreudo firacasso, sotto le sue rovine seppellendo molti
de* suoi difensori ; ne per ci6, ne per lo assottigliarsi délia
schiera legionaria Medici si indusse a lasciarlo ; che anzl
volto ranime a oflfondere gli assediatori, lavorava a cao-
ciarsi, per un acquedotto, sino alla yilla Corsini allô scopo
di abbattervi la batteria costruita daî Francesi; il quale
disegno non gli fti possibile menare a compimento per a-
vere i nimlci ridata la via aile acque di quello, che poeo
innanzi avean levata con danno degli assediati (1). Termi-
nata la quarta parallela — e Ai il 27 giugno — gli ass»-
diatori andavano con grosso nerbo di armati airassalto,
montre il générale Sauvan, portatosi a Tivoli, vi distrug-
geva la grande riposta délie polveri dei Romani, i mulini
e quanto serviva alla loro fabbricazione. Tutto il giorno
si combatte sotto la città; gravi i danni d*ambe le parti;
il fuoco degli assedianti ebbe solamente brevi intervalli di
riposo per impedire Bi presidio di Roma di riparare ai
guastt toccati aile loro artiglierie. Garibaldi, reputando ornai
impossibile di tenere più a lungo il Vascello, chiamô Me-
dici entre le mura délia città con le gloriose reliquie ddla
sua legione; perduto il quale, i giorni délie resistenze ftiron
contati (2). — Erano da poco suonate le due del mattîno
30 giugno, allora che tre colpi di cannone ndivansi
dal campo flrancese, già tutto in su Tarme; al quai
(1) Medici avea fàtto pone dei barili di polvere dentro l'acqnedotto
e propiio sotto la batteria dei Francesi; la miccia, che dorera dar
ftioeo a quella, anirava sin piesso il Vascello.
(2) Medici, qaalche giomo prima di lasciaro il Vascello^ era aadato
alla rilla Sarorelli con bnona mano de' snoi, ad appoggiame il pie-
sidio, dai Francesi con grosse forze assalito. Ritiratosi poi dal Vascello,
qnando era proprio impossibile di tenerlo, Medici con forte ed eletu
mano de' snoi portossi sopra la sommità di Porta San Pancrazio, ails
ditea deUa'qnale péri la maggiore parte dei legionari.
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SOMA 451
segnale quattro schiere di fanti eletti — ciascuna di
tre compagnie — muoyevano ad assaltare il bastione
che sta a sinistra di clii esce di porta San Pancrazio, cui
le artiglierie nimiche aveyano due giorni innanzi rotto il
fianco sinistro e il 29 spianatane l'apertura; la qaale, dopo
lotta sangainosa, veniva a mano degli assalitori. Al primo
romoreggiaFe deirarmi Garibaldi accorse alla pugna pro-
rompendo impetuoso sopra i Francesi, che tentavano im-
padronirsi del recinto Aureliano, già rotto in più luoghi
e che egli seppe per lunghe ore lor contrastare. Al le-
varsi del giorno il combattere s'allargô e fecesi générale.
Manara, chiusosi entre villa Spada con un pugno di ra-
lorosi, sebbene d*ogni parte (ùriosamente percosso dal can-
none dei Francesi e tutto da questi circondato, emulando
Medici nella difesa del Vascello, ha risoluto di seppel-
lirsi sotto le rovine délia postura fidata alla sua guardia,
piuttosto che arrendersi. A liberarlo da quella stretta ao-
corre Garibaldi con alquante compagnie di soldat!, i quali,
armate le baionette e spianatele, avrentansi con impeto
terribile contra il nimico ; e quando tra gli assalitori e gli
assaliti sparisce il terreno, i Garibaldini feriscono con
ior corte daghe, cui nello andare sopra i Francesi ave-
vano posto mano; spaventati da quella féroce zuffa ma-
nesca i soldati di Francia riparansi entre i loro campi:
allora prendono a fulminare le mura e la città con for-
midabili artiglierie, aile quali le batterie romane rispon-
doQo con languido ftaoco e a rari intervalli, per esserne
stati i cannoni quasi tutti scavalcati e guasti, e gli arti-
glieri uccisi. La lotta. continua tuttavia ostinata per buona
parte délia giornata, non estante la disuguaglianza del
numéro e délia potenza délie armi. Ammirabile in verità
li valore e la fermezza del romane esercîto, che, lacero e
stanco per le notti vegliate, e stremato di forze per le
tante pugne combattute in un mese di stretto assedio,
tiene tuttavia alta la bandiera délia repubblica — che ô
pur quella délia nazione, la bandiera dei tre colori — e
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452 CAPiTOLO vni
combatte con daghe e mosclietti Tôsercito di Francia, per
numéro e militare disciplina fortissimo, comandato da nf-
ficiali esperti e provati in guerra e che pugna con mo-
schetti e cannoni ! — AUora che dopo conati sangoinosi i
Francesl riescono a piantar ferme il piede su Testremiti
délia cinta Aureliana — da dove signoreggiasi il campe degli
assediati — e a cdllocare sovr' essa alquante artiglierie,
ruppersi gli ordini délie battaglie romane; ma non per
questo i soldati délia repubblica pensano a ritirarsi; che
anzi mutano la grande pugna in cento piccioli combattî-
menti » nei quali fanno più che mai rifulgere la prestanza
individua; e resistono sino a che, disperando di ripren-
dere la postura perduta e oppressi dalla fatica, indietreg*
giano non per posare le armi, sibbene per chiudere con
serragli le vie délia città ai Francesi invadenti, e far die-
tro a quelli Tultimo sforzo e la difesa estrema. Non li mo-
lesta in lor ritratta il vincitore, il quale, pago délia po-
stura conquistata, intende a fortiflcarvisi per assicurarsene
U possesso. — Il 30 giugno 1849 scrisse una pagina glorio-
sissima negli annali militari délia patria ; i soldati italiani
che la combatterono, non per la sainte délia repubblica —
perô che ben la sapessero già ferita a morte — ma per lo
onore d'Italia nostra con Teroico valore che ci venne da
Roma e che fece degli avi nostrii prlmi soldati del monda
La quale giornata fu la più sanguinosa di quelle innanzi
combattute, e fa altresi la più solenne deUe tante mentite
date nei giorni dell'assedio dai difensori di Roma all'or-
goglioso ufficiàle francese, che poco prima aveva affer-
mato — non saprei se per ignoranza o mala fede, e forse
per Tuna e Taltra — in faccia ai Triumviri: Gli Italiani
non battersi; le quali parole provano chiaramente, come
egli non conoscesse la storia délia prima repubblica e del
primo imperio di Francia per la cui gloria, non per qnella
d'Italia, i padri nostri tanto e strenuamente hanno com-
battuto sotto le insegne del gran capitano. La resistenza
gagliarda e ostinata di Roma mostrô quanto i Ministri di
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soMA 458
Fraûcia a Gaeta si ingannassero asserendo, che i soldati
della repubblica romana non avrebbero osato di cimentarsi
coi Francesi, il eut giugnere subito e non atteso aveva
atterrito le popolazioni (1). — Di morti e feriti fu, nella
giomata del 30 giugno, assai grave la perdita d'ambe le
parti ; Roma ebbe a deplorare quella d'nno dei più valorosi
saol difensorl, il colonnello Luciano Manara, cittadino di
Mîlano, caduto a rilla Spada (2). « Eroe, cosi si scrisse di
lui, che segnô, meteora splendida ma troppo fugace, una
âtriscia luminosa nelle rivoluzioni e nelle guerre del 1848
e 1840. »
Montre i Romani combattevano su le mura e una tem-
pesta rovinosa di bombe e palle cadeva sopra la misera
città, i rappresentanti del popolo stavano raocolti in as-
semblea aspettando con ansia affannosa Tesito di quella
pugna, dalla quale tutte pendevano le sorti della patria
tanto amata; e quando lor giugneva la novella che i
Prancesi eransi impadroniti del recinto Aureliano un si-
lenzio di morte prendeva a regnare neirAssemblea. Lo
ruppe Mazzini> il quale, dopo avère consultât! i principali
dell*esercito, portossi a quella a parlar parole di conforto
e di speranza. = Roma poter tuttavia continuare le resi-
stenze, diceva egli, avvegnachè nuUa siasi mutato nelle
condizioni sue, che da trenta giorni con poche e maie
ordinate forze combatte con tanto onore contra nimico
(1) K I Ministri di Fraacia a Borna e a Gaeta ayeyano motivo di
credeie che la maggiore parte dei soldati romani non sarebbero per nd-
smare le loro spade con le spade dei soldati franceai; e qnelli spingevano
Ondinot ad aiirettare il sno moTimento. 7- « Aoanti^ générale^ serive-
vagli il dnca d'Haiooiurt il S6 aprile; importa aasai ehe vi affrettiate
ad andare sopra Borna; il Mito e non atteso vostro arrivare ha
fatto stupire e spaventare le popolazUmù n
Ballstoisb, Révolution de Rome; voL n, cart 78; Qmevra, 1851.
(2) Mori pnre Smilio Morosini, miianese, giovane diciottenne, splen-
dore dei bersaglieri lombardi di oui faceva parte.
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454 CÂPiTOLO vni
par copia d'armi 9 d*armati potentissimo. Mettere egli
innanzi tre partiti, i soli clie in quelle difflcili circostanze
rimanessero: arrendersi; difendere la città, contrastan-
done ai Francesi invaditart palmo a palmo il terreno;
in fine, ttsdr di Rotna VAssemblea e il Oaverno can
Vesercito per correre leproiHncie délia repubUica, riste-
gliandone Ventusic^smo délie papolazioni, e continuare la
guerra in campo aperto, mantenendo cosi incolume il
palladio délia Ubertà. n partito délia resa, conchiadeva
Mazzini, non potersi onorevolmente accettare; la sctita
deirAssemblea dover quindi cadere su quel délia difesa
interna a oltranza, 0 délia guerra guerreggiata e minuta,
aile qusJi dicevasi inchinevole. — AUora che il TriumTiro
pose fine al suo dire» levossi a parlare il générale Bar-
tolucci, che, la propria autorit& ayvalorando con quelia
di Garibaldi, prese a chiarire la impossibilità di prolun-
gare le resistenze, corne le intendeva Mazzini. 1 rappre-
sentanti del popolo, che nutrivano poca fede nei due par-
titi messi lor dinnanzi a deliberare con senno e proTve-
dere con efflcacia aile dure nécessita che li incalzavano,
mandarono soUeciti per Garibaldi dX\o scopo di conoscere
da lui il vero stato délie cose; il quale, venuto ad essî^
parlôin queste sentenze: = Essere possibile resistere alcuni
giorni ancora, se il popolo di Transtevere si trasportasse
immediatamente su la sinisira del fiume, di questo rom-
pendo i ponti. = In verità TAssemblea non sarebbe siata
in forse un solo istante ad accogliere taie partito, se questo
Tavesse potuta salrare dall* inrasione straniera; ma lo
respinse, reputando inutile il sacriflcio di quelia parte
délia città per una resistenza di brevi giorni. — « Se toî,
prosegui a dire Garibaldi, credete di poter yantaggiosa-
mente difendervi dietro i serragli che devono impedire
l'avanzarsi ai nimici, già invadenti, vi ingannate dimcrtto
perô che questi, potendo percuotere la città dalle alture
che la signoreggiano, non sieno per venire mai a pugna
manesca, nella quale, assai più délia potenza délie armi.
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&01IA 456
vale il eoraggio personale, e la cui sorte è troppo dubbia,
e la yittoria san^inosa sempre; il miglior partito» anù
roûico che porga speranza di buon esito essere quello
deiriscita di Roma. » Dopo una discnssione agitata e calo-
rosa, non ostante la parola éloquente di Mazzini, rAssem^
blea, ritenendo che Tesercito repubblicano, in miserrime
condizioni ridotto daU'assedio sostenuto, sarebbe stato in
brève ora oppresso dalle genti di Napoli, d'Austria e di
Spagna campeggianti le provincie; ritenendo eziandio che
l'entosiasmo délie popolazioni sarebbe inefficace o di lieve
aiato airimpresa, perché la guerra ne avova stremate le
forze e impoverito Terario, TÀssemblea, respinto il partito^
décrété di cessare una difesa dtvenuta ornai impossibile (1).
Allora i Triumviri risegnarono l'ufficio e pnbblicarono il
seguente manifeste ai Romani: — « Il Triumvirato si ô
Yoloûtariamente disciolto. L'Assemblea Costituente vi comu-
nicherà i nomi dei nostri successori. L'Assemblea, com-
mossa, dopo il vantag^io ottenuto ieri dal nimico, dal desi-
derio di sottrarre Roma agli estremi pericoli e d'impediro
che si mietessero senza frutto per la difesa altre vite pre-
ziose, decretava la cessazione délia resistenza. Gli uomini che
avevano retto mentre durava la lotta, mal potevano segaire
a reggere nei naovi tempi che &i preparavano. Il mandate
ad essi affidato cessava di fiitto, ed essi s'affrettarono a
rassegnarlo nelle mani dell'Assemblea. Romani! Fratelli!
Voi avete segnata una pagina, che rimarrà nella storia
documente délia potenza di vlgore che dormiva in yoi, e
dei Tostri fatti futuri, che nessuna forza potrà rapirri.
Voi avete dato battesimo di gloria e di consecrazione di
(1) BlPUBBLTOA BOXANA. Ih NOXB DI DiO B DIL POPOLO. — L'Afl-
aemblea Costituente romana cessa ima difesa divennta ornai impossibile..
H TriuniTirato ô incaricato délia esecmâone dei présente decretp.
Borna, 80 gingno 1849.
B Présidente I segretari
ASaliobti. Fennaeehi, Fabrettij Zanbianehi^ Coeehi^
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456 GAPiToiiO Yin
sangue generoso alla niiova vita che albeggia allltalia
vita coUettiva, vita di popolo che vuol essere e che saja.
Yoi avete, raccolti sotto il vessillo repubblicano, red«ato
Tonore délia patria comune, contaminaio àltroye dagL atti
dei tristi, e scaduto per impotenza monarchica. I vostri
Triumviri, tornando semplici cittadini fra voi, tniggoao
con sô conforto supremo nella coscienza di pure inceiizioai
6 Tonore d'ayere il loro nome consociato coi rortri fortis-
simî fattî. Una nube sorge tra il vostro awenire e toL
É nube di un*ora. Durate costaiiti nella coscienza del vostro
diritto e nella fede per la quale morirono, apostoli armati,
molti dei migliori fira voi. Dio vuole che Roma sia libéra
e grande, e sariu La vostra non è di9fatta; è vittoria dei
màrtiri, ai quali il sepolcro ô scala di cielo. Qoando il cielo
splenderà raggiante di risurrezione per yoi — quaado^ tra
brève ora» il prezzo del sacrificio che incontraste lieta-
mente per Tonore, yi sarà pagato — possiate allora ricor-
daryi degli uomini che yissero per mesi délia vostra vita,
soffrono oggi dei yostri dolori, e combatteranno, occorrendo,
domani, misti nelle yostre file, le nuoye yostre battaglie. »
— Nel lasciare TufOcio Mazzini rimetteya alVAssemblea
una sua protesta; in essa^ dopo ayere lamentato il posare
délia difesa e dette che per lui non sarebbesi e9^;uita
rimproyeraya i rappresentanti del popolo dCessere venuti
mena al loro mandato, se non per colpa, certamente per
debolezza. L'Assemblea, accettata la rinunzia dei Triumyiri
che gridô benemeriti délia patria, e quella eziandio dei
llinistri, conferiya a Saliceti, a Galandrelli e a Mariani la
suprema potestà esecutiya; e il générale Rosselli signifi-
^aya per lettera al générale Oudinot: = Ayere eglî fatto
sospendere le armi, in yirtù di un décrète deirAsaemblea;
portatori del quale essere per yenire al campo francese i
messi del supremo Maestrato dei cittadini. = 1 patti délia
conyenzione di resa proposti dal Municipio non essendo stati
accettati da Gorcelles, perché contrari agli intendimenti
del Goyerno di Francia; e il Municipio ayendo respinta la
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BOUA. 457
conyenzioQe messa innanzi dal plenipotenziario francese,
perché offendeva la dignità del popolo romano, del cui
valore lo stesso Oudinot avea parlato parole d*ammirazione»
non fa possibile yenire ad accomodamento onorevole ira i
guerreggianti. L'Assemblea Costttt^entey risoluta di lasciare
entrare nella città i nimici da conquistatorij piuttosto che
fermare con gli oppressori della patria un accordo umi-
liante, ordinô aU'esercito di uscir di Roma; cedendo alla
violenza e alla forza, rAssemblea salyava i diritti del suo
popolo gloriosamente caduto cou le armi alla mano (1).
Degli ultimi decreti della CosUtuenle yogliamo a onor suo
ricordare quello dei sussidi aile famiglie poyere dei citta-
dini uecisi combattendo per la repubblica e dei funerali
solenni celebrati in San Pietro per le anime dei morti in
difesa della patria; e il décrète dello scolpirsi della nuoya
Costituzione sopra due tayole di marmo da coUooarsi in
Oampidoglio.
A mezzo il giorno 3 luglio, e proprio nell*ora in cui 1
primi soldati di Oudinot — i precursori del grosso dell'e-
sercito suo — percorreyano le città a specularne le yie,
il Présidente dell'Assemblea» cui faceyano corona i rap-
presentanti del popolo, promulgaya dal Oampidoglio la C(h
sHtuzUme della repubMica romana; tu. questo Tultimo atto
c certamente il più solenne della yita politica di quella.
(1) « La città di Borna si pone Botto la protedone dell'onore e sott^
i priacipi liberali della repnbblica tencese.
1* L'esercito fîrancese entrera nella citta, occnpandone poi le po-
stule militari che credera conyenientL
2« Tntte le yie di comimioazione della città, ora impedite dall'e-
seidto fraaceseï tomeranno libère.
&» Le difese costmtte dentro la città, non ayendo piû ragione di
e&Bteie, yenanno distratte.
4^ Le Boldatescbe regolari romane prenderanno i quartier!, che
Terraimo loro fissati; le straniere saranno licendate; a qneste si âge-
voleH il fitomo in patria. n
Tali i patti della conyonnone di Corcelles.
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458 CAf ITOLO TIII
Alla lettara d*ogiii articolo délia naova legge alzayansi al
cielo gridi pieni di entusiasmo di fHva la reptMlica da
moltitudine innumereyole di popolo, accalcaatesi iatorno
a quel colle sacro ai Romani. Gompiuta quella ceremonia,
i cittadini si riirassero ai propri focolart, dignitosameote
tranquilli, corne beae addicerasi alla natorale loro fîerezzâ,
ad essi che, dopo avère sopportati i più duri sacrifizl e
sparso il sangue per la libertà délia patria, vedevansi al-
lora condanoati ad assisterne alla rovioa; e i rappreseo-
tanti del popolo riederono alla loro residenza, aspettando
d'esserne cacciati dalle baionette del yincitore; e furonlo
il di appressoy Carlo Buonaparte vivameate protestando
contra la violenta invasione di lor sede dalle armi fran-
cesi (1). Oudinot» il quale nella sera del giorno innanzi
aveva fatto occupare le porte Portese, San Pancrario e
Gavalleggieri, il mattino di quel di 3 luglio mandava, forse
per tema d*insidie corne or ora scrivemmo, alcune prese
di soldati a esplorare le vie di Roma e spiare gli anda-
menti del presidio. Aile cinque pomeridiane egli entrara
in Transtevere alla testa deiresercito; in luogo délie spe-
rate festose accoglienze aveva ricevimento di malediziooi,
clie bene stavano a lui violatore di fede data; amari^
sima delusione per li soldati suoi, i quali tenevansi certi
di trovare amico il popolo, per6 che Oudinot avesse fatto
lor credere su la parola sua, che quel rivolgimenti di Roma
(l) K In nome di Dio, in nome del popolo degli Statî romani che Benr
mente, con snffragio nnivenale, ha eletto i snoi lappreaentanti; is son»
deU'articolo qninto délia coâtituxione fiancese, FAssemblea Ckfstitfi^
romana in faceia al monde indTilito contra la violenta inmone deOa
sna sede operata dalle forze firancesi il giomo 4 luglio, aile m ^o
pomeridiane. »
Borna, nel Campidoglio, 4 la|^o 1840.
Per Tintera Assemblea
Il FresideiUe di sezione C. Buonipàbtb. Il SegreUuri^
QUIBICO PlLOPAÏÎI-
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BOMA 469
9rano stati Vopera di pochi faziosi (1); solamente in su
Tentrare in città Oudinot vcnne da alcuni cittadini salu-
tato restauratore del Oovemo pontiflcio^ cui erano qaelli
legati per interesse o fini ambiziosi, pochissimi per affetto.
U loro passare i Francesi yedono chiudersi le finestre,
farsi quasi déserte le vie e odono gridi di viva la repub-
)lica, viva VltaliOj ftiori gli straniert, e di morte al car-
^nale Oudinot; il qnale, arrivato dX caflS delle belle arti
evedutaYi sventolare una bandiera dai tre colori italiani,
comanda ai cittadini, raccolti innanzi ad essa, abbiano a
rimnoverla di là: levatela voi, rispondongli fieramente; e
queU'orgoglioso, pieno d*ira e di superba stizza, spinto il
cavallo aotto la bandiera, Tafferra e l'attira a se; ma non
rinscendo a strapparla, la lascia a quel del suc sègaito, che
di \k ginngono a toglierla in mezzo agli scherni e aile
beffe del popolo. Oudinot, a vendicare Tinsulto patito — in
sua stoltezza da lui provocato — stava per assalire con le
balonette i gridatori, quando arrivava Gemusclii a impe-
dirgU la codarda impresa; la quale avrebbe partorito or-
renda strage di cittadini e di Francesi, e gettato nuovo
vitaperio su lui, che nel governo délia spedizione e del-
l*assedio erasi mostrato capitano însipiente, dinessuna fede
e di molta snperbia. Per le minaccie dei nimici non ces-
s^u^no i romori e i fischi delle moltitudini, che anzi ac-
crebbersi tanto da costringere a tacersi il suono dei reg-
gimenti firancesi, che menavano i loro trionfi in Roma (2).
(1) Hanifbato del générale Oudinot a' snoi soldatl al partira per Tim-
Tf^^ di Borna»
(2) Ad aasai caro presse la Franda pag6 la gloria d'ayere spenta la
liberU di Borna! langninosissime ftirono le yittorie gnadagnate sotto
le mont délia città etema! — t Da certe note, scriase Gnerraszi,
^'^BiBttsemi da prode offidale che intende non essere nominato, ricavo :
che dai 8 gingno al primo loglio 1849 per la râ d'acqoa Ai-
^^ tiasportati a CiTitaTeechia qnattordici mila feriti aU'indrca. » Il
'^^'^fi^re Payant del cinquantedmo reggimento di &nti, stando di pre-
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460 CAPiTOLo yiii
— Nella sera di quel giorno si nefasto Oudinot pubblicaTa
un manifesto ai Romani, che noi mettiamo innanzi ai leg-
gitori nostri in tutta sua integrità, afflncliè conoscano le
menzogne con le quali il Governo di Francia e il suo gé-
nérale procedettero sempre in quella brutta impresa. -
« Abitanti di Roma! — L'esercito mandate sul vostro te^
ritorio dalla repubblica flrancese ha per missione di re*
staurare Tordine, giusta i voti délie popolazionL Un partito
di pochi faziosi o di traviati ci ha costretti a dare Tassalto
aile Tostre mura; noi siamo padroni della città; noi adem-
piremo la nostra missione. In mezzo aile testimonianze di
simpatia che ci hanno accolti, là soprattutto ove i senti-
menti del vero popolo romano non erano contestabili, al-
cuni clamori ostili si alzarono e ci hanno obbligati a una
immediata repressîone; che gli onesti e i veri amici della
libertà riprendino conâdenza, e i nimici deirordine e délia
società sappiano, che se alcune rimostranze oppressive,
provocate da una fazione straniera, si rinnoyassero, Te^
rebbero rigorosamente punite. Per dare alla slcureca
pubblica délie guarentigie, io ordino quanto segue: Tutti
i poteri sono temporaneamente raccolti noile mani dell'as-
torità militare; la quale farà subito appello al concorso
del Municipio. L'Assemblea, il Governo, il cui regno yio-
lento e oppressive cominciô con Tingratitudine e fini con
una chiamata empia alla guerra contra una nazione arnica
délie popolazioni romane, cessano d'eslstere (1). I c^^^
sidio a ^terbo, accertava, Tassedio di Borna essere costato alla Fran-
cia dioiassette mila nomini; dai quali Toglionsi perô escladere (flf^
tarasportati all'ospedale di Gastelgoido: donde résulta meniogaeio
quanto affermô in propoaito il Vaillant nell'opera: Siège de Borne,
(1) u L'accusa di yiolenza, di teirore eretto a aistema, gittata contra
il Governo repubbUcano, é accnaa oggimai smentita solennam^^^ ^
fatti della difësa. Non si comanda col terrore l'entosiasmo a tatto u
popolo armato; e voi siete, Signori, nel bivio di calunniare il ^^
délie armi franeeai o di confatarvi da voi ateasi — di ^aààmi^ clie
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BOXA 461
) le associazioni politiche sono chiusi ; ogni pubblicazione
àtta per la stampa, ogni awiso messo Aiora senza il con-
enso délia potestà militare^ sono temporaneamente inteiv
lette. I delitti contra le persone e le proprietà sono gin-
licati dai tribnnali militari, n générale Rostolan è eletto
^yematore di Roma; il générale di brlgata Sauvan è no-
ninato comandante délia piazza forte; e il colonnello Sol,
naggiore di piazza (sic). » — Xi manifeste di Oudinot — che
per essere compreso non abbisogna di comment! e chiose, e
ael quale chiarissimi appariscono gli intendimenti e Tanimo
di chi aveyalo dettato — yeniva subito lacerato dal popolo :
onde dovettesi al dimani nuovamente afflggerlo ai mûri délie
case, n générale francese cominciava la sua missione pacifi-
catrice cacciando con la violenza, coma dicemmo già, FAs-
semblea Costftuente dal Gampidoglio, ponendo la città sotto
rimperio délie leggi militari; di poi, chiudeva i circoli po-
litici, licenziava le guardie cittadine, in pari tempo ordi-
nando loro la consegnazione délie armi e munizioni di
gaerra, e minacciando tradurre ai tribunali militari chi ne
tenesse presso di se. Alla bandiera nazionale e al berretto
rosso, che Oudinot chiamava insegne di anarcMa e di ter-
n>re, aostituiva gli stemmi di Pio IX, al quale area man-
dato, il giorno stesso délia occupazione di Roma, il colon-
Voehi &dosi, costretti a comprîmere mia popolazione di cenaessaiit»-
nôla anime, valsero per dae mesi a combattere, a yincere soyente, Te-
Bercîto vogtro, o di confessare, a salvarvi dalla taccia d'imbedllità e
codudia, che Govemo, popolo,' Goardia nazionale ed eaercito erano in
Soma aAratellati in nn solo pensiero di libertà e di gnerra ai nimici
della repnbblica. Pnr giova parlarne, tanto almeno che Toi non possiate
lipetere la Btolta accnsa senza che altri possa dirvi: la Tostra ô men-
^gna premeditata. b — Cosi scriTOva Ginseppe Mazzini ai Ministri
fn&ceai Tocqueville e Fallonx, vittoriosamente combattendo raccnsadi
^olenza e di oppressione data da Ondinot, dal Govemo di Lnigi
^«poleone Bnonaparte e da qnanti in Francia erano nimici aile libertA
â'Italia e al Govemo délia repnbblica lomana.
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462 CAPITOLO VUI
nello Niel a portare la nuova délia restaurazione del potere
temporale pontificio. Era in tal modo ch'egli adempiva alla
promessa fatta pubblicamente di non attribuirsi mai il di-
ritto di ordinare gli interessi délie popolazioni romane,
ne importe a queste un reggimento contrario ai loro Toti,
aile loro aspirazioni! E quanto fossero quelle avrerse alla
sovranità politica del Papa provaronlo allora e di poi le
moite condanne di morte e le innumerevoli sentenze di
prigionia e d'esilio per cittadini colpevoli d*amare la pa-
tria e la libertà (1). Allô invite fatto dal générale Oudinot
aile soldatesche romane di passare agli stipendi del Go-
verno pontificio, soltanto pochissimi risposero affermatira-
mente (2); i più ricusarono, protestando in modo soknne
contra la violenza, che avea abbattuta la repubblica nain
per libero voto dél popolo e deponendo la spada conse-
crata alla patria, piuttosto che servire a reggimento
despotico imposto dalle armi francesi. L'esercito repub-
blicano disfecesi di per sô ; molti di esso riederono ai
domestici focolari (3); altri, e non furon pochi, sdegnando
^ommettersi a potestà restaurata da soldatesca straniera,
esularono; in fine, grossa schiera d*armati, già uscitadi
Roma sino dalla sera del 2 luglio, correva a combattere
una guerra di tratteaimento e minuta, duce il generalô
Garibaldi; il quale, fatta deliberazione di soccorrere Ve-
nezia — che tuttavia strenuamente resisteva aile arzni as-
(1) Più di cinquanta sacerdoti patiiono prigionia in castel Santangdo
per avère prestato lor cnre ai feriti dell'eserdto repnbblicano di Bon»!
anche la carit& cristiana era da Oadinot e da' snoi Inogotenenti asedtta
a deUtto!
(2) Fnrono da settecento, aedotti dal colonnello De Pasqnali, nooo
di dnbbia fede.
(3) Le reliqnie délia legione Medici si disoiolsero; parte di essa andi)
con lo strenniflsimo sno dnce a Malta; a Genova l'aitara parte abordo
del Lombardo, legno a vapore che serri a Garibaldi nella spedisoa^'
veramente leggendaria, dei JUtlU,
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BOMA 463
A
sediatrici delFAustria, — avea chiamato a quella impresa
si ardna e piena di pericoli, coloro che non disperavano
della fortuna dltalia, promettendo ad essi, in ricompensa
di lor devozione alla patria, famé e sete, camminar lungo
e fatîeoso, disagi, priyazioni e stenti d'ogni sorta, e un
pugnare senza posa. Più di tre mila soldati, tra cni quat-
trocento a cavallo, soguirono Taudace condottiero, che pos-
sedeva straordinaria potenza di risolozione e d*azione ; egli
areva poche armi e scarse munizioni, ottanta cartuccie
ver ogni fante ! Arrivato il mattino del 3 a Tivoli, prov-
veduto che si ebbe di vettovaglie, allô intento d*ingannare
su Vimpresa disegnata il générale Regnaalt che lo incal-
zara con la sua divisione, dopo avère corso lungo cam-
mino verso il reame di Napoli, tornossene addietro ; e
venuto a Monte Rotonde per la valle del Tevere TS lu-
glio sali a Terni, ove gli si unirono da seicento legionari
di Forbes, un inglese, che amor di libertà aveva tratto a
combattere per Tltalia. La notte del di vegnente porto il
campe a Cesi, indf a Todi non lungi dal confine di To*
scana; nella quale sarebbe disceso, se securo di trovare
î^ppoggio e aiuti nelle popolazioni. Awertito che gli Au-
striaci tenovano Poligno, mandô fuor di Todi tre compa-
goie e alquanti cavalli a esplorare le vie di Perugia, di
Orvieto e di Poligno, e a spiare altresi i movimenti del
nimico. Innanzi lo albeggiare del 13 luglio levato il campo
da Todi, Garibaldi recossi da prima a Bordo, indi a Or-
vieto; ma awertito dello awlcinarsi dei Francesl e degli
^Qstriaci, al cadere del 15 lasciata Orvieto — che poche
ore dopo veniva occupata dai Francesi — portossi a cam-
P^iare FicuUe, e il di appresso per aspri sentieri di
iQontagna cal6 a Getona in Toscana. Montepulciano lo ac-
<^l3e festante; Arezzo, presidiata da Austriaci, gli chiuse
Id porte; alcuni de*suoi avrebbero voluto assaltarla; ma
%U) oui sopra ogni cosa desiderava raggiungere presto
l& marina adriatica, si volse aU'Appennino. n 24 pose il
<^ampo a Monterchi, presse il confine di Romagna; a San
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464 GAPiTOLO vm
SepolcrOy su Talto Reno, badalnccô con gli Austriaci;e
coprendo le sue mosse di drappellidi soldat! seppe cosi de-
stramente dirertire Tattenzione dei nimiei, da passare senza
contrasto» nella notte del 25» su la sinistra del Tevere a
Borgo San Sepolcro. Per San Giustino portossi al monte
Luna; sceso a Mercatello venue a Sant*Angelo in Yado
nella valle del Metauro; dalla quale passô in quelladel
Foglia; il 30 luglio tenue per brevi ore il campo a Gar-
peguo; superata nella notte Talta valle del Gonca, presea
camminare verso San Marine. Ai Capitani Reggenti qae-
sta antichissima repubblica — la quale siede sul Titano,
monte posto presse i confini delVEmilia e délie Marcbe a
quindici chilometri daU'Adriatico (1) — Garibaldi chiese
licenza di attraversare con sue genti il territorlo sanm^
rinese e di prowedersi di vittovaglie» di cui molto abbi-
sognava. Risposergli i Reggenti: = Non potergli concedere
il passe domandato per non dare proteste agli Austriaci
dMnvadere con loro armi le terre délia repubblica ; gli fo^
nirebbero perô quanti viveri gli occorrevano. = Era tardi:
awegnacbè i legionari di Garibaldi — allora poco più di
due mila — da ogni parte premutl dalle armi poderose dei
nimici, valiche le frontière délia repubblica, fossero gli
arrivati aile mura di San Marine, dalla cui ospitalità ri-
cevevano, corne esuli, pane e riposo. Il Governo délia re-
pubblica, richiesto dal générale Garibaldi, interponeva i
suoi buoni offlci per ottenere dai comandanti gli imperiali
onesti patti di resa; e fa convenuto cosi: = I legionari,
posate le armi, verrebbero in piccioli drappelli condotti
sotte buona scorta aile provincie cui appartenevano e man-
dat! poscia aile loro case; Garibaldi e la sua famiglia si
imbarcherebbero in un porto del Méditerranée per le Ame-
Ci) n Titano elevasi settecentotrenta metrisopraillivellodelinare;
tre rôcohe, costrutte da tempo iimnemorabOe, stanno ra le vette di quel
montei e son chiamate Fenne.
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ROMA 465
riche; sino a che taie convenzione non fosse sottoscritta
(la Gorzkowsky nessuno dei legionari uscirebbe dal ter-
ritorio délia repubblica, e d*ambe le parti sospendereb-
bersi le offese. = Nella notte del 31 luglio Garibaldi, dopo
aver fatto conoscere ai Capitani Reggenti di non accet-
tare le condizloni impostegll dagli Austriaci, per la via
délia Marecchia e di Sogliano riparavasi a Cesenatico con
dugento de' suoi — i più audaci, 1 più fidi — ai qualî egli
areva promesso combattimenti, sacriflzi e patimenti senza
fine. Gli altri legionari, tosto che seppero délia subita-
nea partenza del loro duce — e fu al levarsi del nuovo
giorno— diedersi a cercarela via per la quale egli si era
messe per unirsi a lui; non riescendo trovare traccia
del suo passaggio tumultuanti riederono a San Marine ;
che avrebbero occupata per farvi l'ultima resistenza allô
scopo di ottenere dal nimico migliori patti di resa, se il
contegno dei cittadini, deliberati di contrastare loro la
città, e la molta vicinanza degli Austriaci non li avessero
siibito condotti a piii savio. consiglio. Deposte le armi, in-
drappellatisi a dieci portavansi a Rimini, indi ai domestici
lari. — n mattino del 2 agosto tredici barche di pescatori
di Chioggia entrate in mare da Cesenatico facevano vêla
verso Venezia, che sola in Italia di quoi giorni teneva
alta con onore la banûiera nazionale; quelle barche porta-
vaao Qaribaldi, sua moglîe e alcuni compagni deireroe
di Montevideo. In sul cadere di quel di erano arrivate già
presse la Punta délia Maestra^ allora che innanzi ad esse
comparivano quattro navi austriache ; otto di quelle barche,
tomato vano ogni tentative di fuga, arrendevansi al ni-
lûico; aile altre cinque riesciva di ridursi a terra alla Me-
sola; su queste trovavansi Garibaldi, la moglie sua, Cîce-
ruacchio con un flgliuolo, il frate Ugo Bassi e alquanti
^fflciali. Dopo avère per ben quarantotto ore errato di
inacchia in macchia, Garibaldi giugneva a ripararsi in una
^upola contadinesca non lungi di Ravenna, ove la mo-
glie del générale, consunta dai patimenti e dalle fatiche,
30 — Vol. n, Mariasi — Siwria pol* e mil.
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465 CAPITOLO VIII
siibito rendeya il sospiro estremo (1). Venuto per la To-
scaaa al mare e sopra nave mercatantesca a Ghiavari,
Garibaldi eravi fatto prigione e fu il 6 settembre; e pochi
giorni dopo liberato di sua prigionia portavasi aU'isoletta
(1) Il générale Garibaldi, in nna lettera del 25 ottobre 1876 scritu
da Caprera al signor Dobélli — nella qnale risponde Tittoriosament^
agli insulti lanciati da un diario austriaco all'Italia — naira cosi U
miseranda fine dl Angelo Bronetti Ciceruaeehio, del figlinol sno Lo-
renzo e de' snoi compagnl. — < Nel 1849 , persegoitato in nna barca
nell'Adriatico, sbarcai in compagnia di Ciceroacchio , di Ugo Basa e
vari altri militi, e siccome era pericoloso che qnelli rimanessero ore io
mi troTava , dissi loro d'incamminarsi alla spicciolata per sottrani ai
segugi che ci persegnivano. Ugo Bassi e nn sno compagne, LiTraghi,
furono presi a Bologna e moschettati corne cani. Cicernacchio e il figlio
sno, di tredici anni, con sei compagni, fra cui tre de' miei nfficiali di
Montevideo, caddero in potere d'un capitano austriaco , d'nn corpo co-
mandato da un principe austriaco : ed ecco in che modo furono trattati.
Si chiamarono nove contadini e si ordinô loro di scavare otto fosse, dô
che si esegui in preseuza dei prigionieri legati; quindi fece yenire alcuii
soldat!; e il venerando, onesto, incomparabile popolano romane cadde
co' suoi sette compagni e figlio, e tutti fnrono sepolti dagli stesai coq-
tadini. U giovane figlio, essendo caduto non morto, fa finito colcalcio
dello schioppo. Si osservi che Cicernacchio e i compagni erano tutti
vestiti da borghesi e senz'armi, le quali gianunai aveva usato il Tri-
buno di Roma. Di più avendo io licenziata la gente a San Maiino, i
miei militi, yestiti da borghesi , si recavano a casa , e qnando erano
incontrati dai valorosi soldat! deirAustria, erano bastonati sensa pieti;
probabilmente alcuni portano le traccie di cotesti insulti di soldatesche
ubbriache, e a ciô allude senza dubbio il diario austriaco, corne a
nna gloria nazionale. — Fra i bastonati ricordo il prode maggioreDe
Maistre, gravemente ferito in un braccio, che gli venue poi ampntato,
e che era coperto di onorevoli fente americane. » — L'assaasinio di
que! màrtiri délia libertà italiana compissi il 10 agosto poco lungi di
Ca di Tiepolo, sni confini veneti del Polesine in su la riva simstra del
Po, e rimpetto alla chiesa parrocchiale posta a Cfr-Venier; essi rennero
sepolti nel luogo stesso dove per comando di Bokawina, nn capitano
austriaco, erano stati moschettati. Gli avanzi di quattro di qnegli in^
felici, rimasti scopert! per alcuni anni, prima del 1859, dagli abitanti
di Ca di Tiepolo farono seppellit! di nottetempo nel oimitero di Ca-Venier.
Nel 1866 un barcaiuolo scoverse lungo la riva del Po teschî e oss»
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BOMA 467
délia Maddalena presso l'isola di Sardegaa, indi a Tangeri
e poscia nelle Americhe (1). A Lima ebbe il goverao di un
bastimento, il quale, per ragioa di trafflco, condusse in
China. Nel 1855 tornô aU'isola di Sardegna; di poi recossi
coi figliuoli ad abitare la vicina Gaprera, ore, novello Cin^
cinnatOj diedesi a coltivare i campi; e fatto eziandio lo
acquisto di picciol legno corso il Mediterraneo in cerca
d'onesti gnadagni. Nel yerno del 1859 lasciô la sua predi-
letta Caprera per recarsi a Torino, chiamatovi da Oavour
a ordinare le legioni di rolontari per la guerra che la
Sardegna stava per rompere contra l'Austria (2).
nnume, daUe acqae del fiome smossi daUa terra: erano gli ayanzi di
C'cemacchio e degli altri tre suoi compagnL Composti in nna cassa, con
qaelli innanzi collocati nel cimitero, vennero deposïtati neUa cbiesa
di Ca-Yenier, presse il battistero ; ove si pose tma lapide, che i nomi
degli uccisi dal piombo anstriaco ricorda cosi : « Ferehè — Eroi di
GarU)aldi — Angeîo Brunetti Cieeruaeehio — Lorenzo di lui figlio
tredieenne — Qaetano Fratemaîi — PaoU) Bragigalussa — Fran-
ceseo Laudadio — Luigi Bossi — Bomani — Stefano Bamorino e
Lormzo Parodi — Genovesi — per famé di oro ^ Da Bokawina mi-
lite austriaeo — nelîa noite 10 agosto 1849 ^ 8u le terre di Ca-Tie-
polo — Inermi assassinati — Queato monumento — A gloHa dei
wwrttVi Italiani — A vitupero del eodardo eamefiee — L*anno 1866
^ H Comune di 8, Nieolà d'Ariano — poneva.
(1) Garibaldl cercô anche rifngio a Tunisi e a Gibilterra; a Tnnisi
^ Bey gli vietô di prendere terra, é fama, per comando del console
^cese; a Gibilterra glielo fa impedito diJ consolo spagnaolo.
(2) Importa assaissimo dir qui alcime parole del frate Ugo Bassi,
uno dei màrtiri più glorîosi délia libertÀ italiana ; di lui che mostrô
lominosamente, corne l'amore deUa patria possa andare conginnto a
qnello deUa religione di Oristo. — CHuseppe Bassi nacque in Cento
correodo Tagosto del 1801. Anima piena di fede e di ferrore religioso
6iitr6, diciassettenne appena, neUa Congregazione di San Paolo; com-
pinto il noTiziato ne vesti l'abito, e fa frate Ugo. Apostolo ardente del
V&ngelo, corse predicandolo le primarie città d'Italia; e Napoli, Bo-
^?Qa, Oesena, Palermo, Milano, Qenoya, Piacenza, Trapani, Marsala e
^^tania ndironlo esaltare con eloqaenza insnperabile le glorie délia re«
^one cristiana e bandîme i precetti dlTini; e montre dal pergamo
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468 CAPITOLO TIII
Il governo di Oudinot in Roma fu tutto militare, non
despotico, corne a torto da molti si scrisse ; venno perô
data colpa a quel générale d'essersi mostrato troppo ligio
ai Cardinali'Ministriy e questo è vero; ond'essi, protett:
dalla bandiera francese, poterono commettere basse per-
secuzioni, che costrinsero cittadini onestissimi a esulare
di Roma, e a cercare sainte e pace nella ospitale Sardegna
folminaya i yizi, dava ai caduti in colpa i piû santi consigli per rial-
zarsL La saa parola franca e seyera gli soscitô contra penecozioni fie-
rissime, soprâmmodo dai GFesniti, persecozioni che egli sopportd cm
rassegnazione tntta cristiana. Grande ammiratore e caldo sostenitore
di Pio IX, qaando qaesti, dopo il più largo dei perdoni che sia stato
concesso mai dai régnant! ai sndditi, erasi mostrato propngnatore délia
liberté patria e inangnratore di nn'êra felice perFItalia, Ugo Bassi fecesi
a spargere nel popolo le speranse del più lieto ayrenire. Allora predicô in
Alessandiia, in Torino, citt& questa per lo innand contrastatagli dai Lojo-
lesohi, e doye ebbe da Carlo Alberto festose accoglienze. Nel 1848 pie-
dicaya in Ancona, allora che, sapnto del passare dei volonicari romasi
accorrenti alla gaerra di Lombardia, lasciaya il pnlpito per andare ccd
essi all'impresa in compagnia del padre Gayazzi, che di Borna avéra
condotto qnei volontari. Il 12 maggio Ugo Bassi toccaya, daranti %
TreyiBO, grayi fente al braccio smistro e al costato presso U cnore.
Dopo malattia longa e dolorosa recnperata la sainte , yolgendo giâ a
maie le faccende délia gnerra su TAdige e sol Hincio, IJgo portossi i
Venezla; oye diyise coi difensori di qaella strennissima città gli stenti'
le fatiche e le glorie del memorando assedio, e yi stette sino a qiiu^o
richiamate a Borna, per la fùga del Pontefice a Gaeta, le romane l^
gioni, nel dicembre di qnell'anno 1848 lasdaya Venezia; portatosi &
Bologna, yi si fermaya quasi due mesi; a meszo il febbraio del 1849 re-
cayasi alla città éternel Eietto da Mazzini cappeUano délia legione di
Garibaldî, il 3 marzo andaya a Rieti , allora campeggiata dall'eioe di
Monteyideo, cui fu da quel giorno compagno indiyisibile nelle pagne
del glorioso assedio e nella ritratta di Roma. In sul finire del combat-
timento del 30 aprile Ugo Bassi yeniya a mano dei nimici, mentrenell^ ■
yilla Pamfili confortayaalla suprema dipartita un soldato ferito a morte. >
NeUo andar prigioniero al campo francese ebbe a sofi&îre gnvi io^^'
dai soldati di Oudinot, ehe troHaranlo quale brigantCf come scrisse egli |
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ROMA 469
e in terre straniere (1). H signor di Gorcelles volse bensi
tutte le sue cure al Gorerno pontiflcio, per dargli un in-
dirizzo saggio e temperato e rispondente altresi agli in-
tendimenti del Buonaparte e aile promesse fatte ai Ro-
mani; ma gli sforzi del Gommissario di Francia caddero
a vuoto, causa il mal volere di chi allora stava attorno
al Ponteflce. Ne esito migliore sorti ai buoni ofûci del si-
gnore di Rayneval, Toratore di Prancia in Gorte di Gaeta;
stesso alla madré. H mattino del primo Inglio portayasi a Borna con
lettera del comando deU'esercito nimico al Govemo délia repabblica;
nella sera riedeya con la risposta al générale Ondinot, che il di appresso
rimandayalo libero. Caduta Borna in potere dei Francesi, Ugo Basai
segd Gaiibaldi, il quale, corne scriyemmo qni sopra, aveya risolnto di
condone in soccorso di Venezia bnona schiera de' snoi legionari; in
verità generosa impresa, cni la sorte serbato ayeya miserando fine.
Bopo ayere inrano tentato il mare, Garibaldi, il figliaol sno, e alcnni
pochi nfficiali snoi yolgeyano il passe a Bayenna ; Ugo Bassi e il capi-
tano lâyragM — un Lombardo, nn disertore dalle bandiere anstriache
— camminayano yerso Gomacchio a cercaryi Tainto d'nn amico; ma
sorpiesi per yia dai carabinieri pontifici, legati mani e piedi quasi fos-
sero dd malfattori, yeniyaiio condotti a Bologna; oye 1*8 agosto incon-
tT&Yano con animo inyitto il snpplizio estremo. Sotto la terra, che mo-
rendo bagnô col sao sangne, yenne Ugo Bassi sepolto; ma presto era
tr&tto di là e deposto in Inogo ignoto.al popolo per comandamento di
moQsignor Bedini, al qnale non poco infastidiya il pellegrinare inces-
sante dei Bologmesi alla tomba di qnel martire. Dieci anni appresso,
6 piopiiamente il 7 agosto 1869, le spoglie mortali di frate Ugo
tr^iuportayansi al cimitero deUa Certosa, e sopra il sepolcro, che le
cMudeya, scriyeyasi cosi: « Uoo Babsi — Nuovo Arehetipo — Dei
^^ Testamenti — inoB — billa yiTA tbbbina i oilisti —
VABTxu — DiLLO AMOB PATBio S BILIOI080 — MemoTOte, OnoraU,
(1) « E qni deyesi ricordare come, essendosi yennti all'atto délia
^^^^i^giui deUe casse e dei portafogli del Tesoro, gli stessi commissari
^^ feceio délie regolarità e délia probità Inminosa degli ammini-
^toii tepubblicani amplissima testimonianza. »
BitYioLiiiii, Storia âHioMa dal 1804 al 1866, yoL ly, cart. 227;
^Glauo, 1867.
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470 cApiTOLO vni
il quale, non riescendo a inspirare ai Cardinali miti consi-
gli, aveva cercato d'indurre Pio IX ad affrettare il ritorno
a Roma (1), per condurre i Ministri suoi a giusta mode-
razione, e cosi metter fine ai dolori che opprimevano il
popolo suo. — Al supremo Maestrato dei cittadiai, che
sempre e soprammodo nell'avversa fortuna, àvea tanto
dignitosamente rappresentato la romana grandezza, era
aucceduto uno, più che devoto, servile a quella autorité,
che un giorno abbattuta dal popolo veniva allora restau-
rata dalle armi straniere. Ne certo saprebbesi affermare
se negli uomini del nuovo Magistrato délia città fosso
maggiore l'abbiettezza dei sentiment! o la viltà dell'a-
nimo, leggendo la lettera scrîtta dai membri di quello
a Oudinoty nella quale con parole adulatorie sforzaronsi
di pascere la yanità del capitano francese, e, ben si com-
prende, a scopo indegno (2). = Ogni romano, dicevano
essî, amico délia patria sente gratitudine profonda per lui
che degnamente compi la missione di rîstabilire Tordine
e la sovranità temporale del Ponteflce nella metropoli del
monde cristiano. Moderato nella pugna, dolce dopo la vit-
toria, le sue virtù diminuirono i mali che la guerra tra-
scina dietro a se ; onde furono salvi i monumenti deU'arte
antica e moderna, gloria di Roma e che appartengono al
monde civile. = n 15 luglio Oudinot assisteva nella ba-
silica Vaticana a un solenne Te Deum^ cantato in ria-
graziamento délia vittoria francese e délia restaurata po-
testa pontificia; tutto il presidio in su Tarme trovarasi
(1) Al générale Ondinot, ito a Gaeta per soUecitare il ritomo del
Pontefice all'apostolica sua sedia, Pio IX aveva dato parola di Toletsi
recare presto a Castel Gandolfo.
(2) Del nnovo Maestrato dei cittadini, presieduto dal principe Pietio
Odescalchi, erano membri: Bianchini e Pericoli, i profeasori Carpi «
Pieri; gli awocati Balli, Scaramncchi e Massani, i dottori Tayani, Belli,
Alibrandi e Spagna, i marchesi Capranica, Qaglielmi, Sacchetti e Cam-
pana.
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ROMA 471
schierato dalla piazza di san Pietro a Castel Saatangelo,
sul quale e sul Campidoglio alzavasî nel medesîmo istante
la bandiera papale saluiata da cento colpi di cannone. Due
giorni dopo la restaurazione del potere temporale Pio IX
mandava da Gaeta ai sudditi diletU un manifeste, già da:
molti giorni atteso, annunziante Tinvio a Roma di Gom-
messari pontiflci, i quali con Taiuto dei Ministri dovevanp
riordinare il governo dello Stato. — In sul cadere di lu-
glio yennero in Roma Commessari del Papa 1 cardinali
Délia Genga, Altieri e Vannicelli: offlcio si importante e
si arduo, quale era il riordinamento délia cosa pubblica
in quel tempo in cui le passioni più ardenti e più diverse
commuoveyano e agitavano le popolazioni, non poteva darsi
ad ttomini piii inetti e anche più tristi; parle cosi di essi
corne reggitori di popoli, non come ecclesiastici, ne cit-
tadlni privati. In fatto, nimico apertissimo ad ogni libertà
poteva il cardinale Délia Genga condurre a buon fine sua
missione di pace, egli, dei piii fanatici della setta atcstro-
sanfedista e stato avverso alla elezione di Pio IX al Somme
Pontificato ? come adempire quella missione Tantico nun-
zio papale in Corte di Vienna, il cardinale Altieri, un de-
gli amici più devotl del principe Metternich? e potevala
forse compiere degnamente Yannicelli, tolto già da Pio IX
alla legazione di Bologna, a cagione del féroce suo avver-
sare la parte libérale? — Il mal governo di questi por-
porati — che il popolo con terribile allusione, ma giusta,
designô col nome di triumvirato rosso — innaspri tutti
gli ordini dei cittadini ; avvegnachè si perseguitassero al-
lora non solamente i fautori e i difensori della repubblica,
ma eziandio chi Taveva osteggiata, e dei rappresentanti
delFAssemblea colore altresi che eransi mostrati favorevoli
al restauramento papale. Le accuse lanciate contra i Car^
dinali'triumvîri suscitarono gli sdegni nei supremi reg-
gitori di Francia e nello stesso Buonaparte. — Odillon
Barrot, che aveva già aflfermato: = Dallo intervenire délie
anni francesi dover scaturire guarentîgie larghe e secure
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472 • OAriTOLO viii
alla causa délia libertà ; il Governo délia repubblica mn
poter permettere mai una restaurazione papale coûtraria
ai principi da essa professati, ne imporre agli Italiani nes-
sun reggimento politico; = Odillon Barrot, io dico, sapato
dello sgoveraare del triumvirato-rosso ebbe a condannare
rimpresadi Roma, che era opéra sua; e il principe Na-
poleone, ayvertito délia troppa condiscendenza di Oudinot
verso i Cardinali-triumviri (1), sdegnato altresi contra
questi che abusavano non poco délia protezione di Fran-
cia, cbiamato a se quel générale, dava il comando deiïe-
sercito francese a Roâtolan, oui deputava il luogotenente
colonnello Edgardo Ney con lettera sua, la quale importa
assai qui riferire. — « La Repubblica francese non ha
inviato un esercito a Roma per soffbcarvi la libertà ita-
liana, ma sibbene per regolarla, togliendola a' suoi propri
eccessi, e per darle una solida base, rimettendo sul tronc
pontiflcio il principe che primo erasî posto arditamente
alla testa di tutte le utili riforme. Apprendo con dolore,
che gli intendimenti benevoli del Santo Padre e la nostra
opéra rimangono sterili dayanti a passioni e a superiorità
o pressioni nimiche. Vorrebbesi dare base del ritorno del
Ponteûce la proscrizione e la tirannia; dite da mia parte
al générale Rostolan, ch' egli non deve permettere, che al-
Tombra délia bandiera francese si commettano atti, 1 quali
possano snaturare il carattere del nostro interrento. Io
riassumo cosi il potere temporale del Papa: perdàno g^
nerale, secolarizzazione delVamministraziotie, cadicena'
poleontco, e governo libérale, Io sono stato personalmente
ferito, leggendo il manifeste dei tre Oardinali, di non re-
dore fatta menzione del nome délia Francia, nô délie sof-
ferenze dei uostri valorosi soldati. Ogni insulte reeato
alla nostra bandiera o airesercito nostro va diritto al
(1) Innanzi di riedere a Francia il générale Oadinot yintaya il Poa-
tefice in Gaeta e il re Ferdinando in Napoli; il primo settembret ^
trato in mare, ylaggiava yerso Maraiglia.
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BOMÀ 473
cuore, e io vi prego di far bene conoscere che se Francia
non veade i suoi servigi, essa esige almeno délia gratitu-
dine de' suoi sacriûzi e délia sua abnegazione. AUora che
le nostre armi fecero il giro deirEuropa, dovunque esse
lasciarono, corne traccia del suo passaggio, la distruzione
degii abusi délia feodalità e i germi délia libertà. Non sarà
mai detto che nel 1849 ua esercito francese abbia potuto
operare in altro senso e dare altri risultamenti. Dite al
générale di ringraziare, in mio nome, l'esercito del suo
nobile contegno. Gon dolore io seppi che anche fisicamente
i nostri soldati non furono trattati, corne dovevano esserlo.
Nulla deve essere negletto per piantare conrenevolmente
i qnartieri dell'esercito nostro. Ricevete, mio caro Edgardo
Ney, Tassicurazione délia mia sincera amicizia. — Luigi
Napoleone Buonaparte. »
Da questa lettera di chi presiedeva ai destini délia Fran-
cia chiaramente rilevasi: = L'impresa di Roma avère avuto
per primo intente la restaurazione del potere temporale
del Pontefice, e ciô contrariamente a quanto era stato affer-
mato dal générale Oudinot nel manifeste 26 aprile ai Romani,
cioè: che la Francia non intendeva attribuirsi il diritto
di ordinare gli inieressi délie popolazioni romane; e anche
dai Ministri alFAssemblea nazionale francese : che Vesercito
^epubblicano aveva per iscopo di proteggere Roma conr
^^d le armi austriache; le quali, invase le Legazioni,
<ivanzavan$i minacciose contra la città etema; in oltre,
<îon quella spedizione aver voluto assicurare un Imon
Q(mrno ai popoli délie Romane, e una Imona libertà. =
Nella lettera a Edgardo Ney il principe-présidente lagna-
vasi che a base del ritorno di Pio IX si volessero dare
proscrizione e tirannia; vano lamente, avvegnachè, bene
^uoscendo gli intendimenti dei consiglierx del Pontefice,
aresse dovuto per sentimento di umanità e giustizia im-
Porre loro condizioni oneste ed eque per la restaurazione
^6Ua potestà temporale; in tal modo non sarebbesi veduta
la bandiera repubblicana di Francia coprire atti, che mu-
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474 OAPITOLO VIII
tavano il carattere dello intervento armato francese. Do-
levasi in ultimo Napoleone Buonaparte délia ingratitadine
dei Gardinali-triumviri, i quali, in un manifesto ai Romani,
nuUa avevano dette dei gravi sacriflzi sopportati dalla
Francia e dei patimenti sofferti dai soldait in queUa im-
presa, ora malamente trattati. Non dei Cardinali, ma dei
générale Oudinot doveva querelarsi il Présidente; di Ou-
dinot, il quale, troppo condiscendente verso la Corte di
Gaeta, non biasimava, ma anzi quasi scusava il xïibïq ope-
rare dei triumviratCHTOSSO, e assai poco curavasi dell'o-
nore délia Francia e meno ancora poi dei benessere del-
Tesercito fidato aile sue cure. — 11 générale Rostolan, che
era pur grandemente inchino ai voleri délia Corte di
Gaeta, aflfermando essere la lettera dei Présidente affàtt)
privata e tutta intima, e pretessendo altresi che, se si
facesse conoscere per le stampe potrebbe fortemente corn-
muovere le popolazioni e turbare le politiche faccende già
avviate a buon compimento, riûutossi di pubblicarla; ma
il luogotenente colonnello Ney, non estante il vivo opporsi
di Rostolan, la metteva fuora. Di li le ire dei Cardinali-
triumviri ; i quali, se non fosse stato dei générale Rostolan,
che confortavali dei suo appoggio, avrebbero risegnato il
proprio offlcio e laaciata Roma; di li eziandio gli sdegni
dei Ponteflce che, posta in non cale la promessa fatta a
Oudinot di presto recarsi a Castel Gandolfo in mezzo ai
soldati di Francia, sul cominciare dei settembre partira
di Gaeta per recarsi con la sua Corte a Portici (U Ire e
sdegni suscitava parimenti la pubblicazione di quella let-
tera neirAssemblea francese e nel principe-présidente délia
repubblica. Il tirannico governo dei trium'oiratxy'TO^ ^
la sconoscenza dei beneflzi ricevuti indussero Napoleone
a domandare una riparazione alla sua dignità offesa 6 a
quella altresi délia Francia; e TAssemblea nazionale poi
(1) Pic IX dimorô in Gaeta nove mes! e nove gioini.
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fiOMA 475
fecesi a dire cosi : = Se la lettera del Présidente ferisse
la cosUhùzione, lo si ponesse dai Ministri in accusa; se a
ragione egli si fosse lagnato, i Ministri approTassero quella
lettera e proprio nel modo che meglio convenisse all'im-
portanza délia cosa.
Mentre a Parigi cosi si discutera, arrivava in Roma un
moturproprio di Pio IX ai sudditi suoi — pubblicato in
Portici il 12 settembre — nel quale, dopo avère reso il
dovuto omaggio al valore délie armi degli Stati cattolici,
che avevanlo rimesso nel domini temporali délia Santa
Sede e liberati i popoli suoi dalla tirannide che in mille
guise 11 opprimeva; e dopo avère altresi ricordata la sol-
lecitudine sua nello stabillre le bas! délie istituzioni atte
ad assicurare convenienti larghezze e la comune indipen-
denza, annunziava il costitulrsi in Roma di un Consiglio e
di una Consulta di Stato (1); il confermai*si dei Gonsigli
provinciali; il regolarsi délie rappresentanze e ammini-
strazioni comunali con ampie franchigie; in fine, le rifor-
magioni e i miglioramenti airordine giudiziario, alla legis-
lazione civile, criminale e amministrativa che erano vohiti
dai tempi e il perdôno a quel tramatt, stati trascinati
alla felkmia e alla ribellione dalla seduzione, dalVincer-
tezza e forse ancora dalVinerzia altrui. — In verità le
riformagioni cui accennava il Ponteflce nel mott^-proprio,
non potevano soddisfare ai bisogni dei sudditi suoi, ne aile
giuste esigenze di Luigi Napoleone e de' suoi Ministri, i
quali anzitutto avevano chiesto per li popoli délie Roma-
gne la secolarizzazione amministrativa, il codice napoleo-
nico, un perdôno générale e un reggimento informato a
(1) « n Consiglio di Stato — eosi il motthproprio del Pontefice —
daià il sno parère sopra i progetti di legge prima che siano sottoposti
alla sanzione soyrana; esaminerà tutte le qtdstioiii più grayi d'ogni
nu&o délia puhhlîca amministrazione..... La Consulta di Stato per la
Finanza (sic) sarà intesa snl préventive dello Stato e ne esaminerà i con-
simtiYi, pronnnciando sni medesimi le relative sentenze sindacatorie...:. n
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476 OAPITOLO TUI
princîpi liberali (1). Pio IX aveva promesso quanto egli
ben sapeva di non poter mantenere; ayy.egnachè col pa-
pato temporale la libertà dei Gomuni non accordlsi mai;
e con l'autorità ecclesiastica — despotica quando sta sopra
le cose terrene — sieno Impossibili le riforme agi! ordi-
namenti civili, e che nel motu^roprio del Pontefice erano
state solennemente annunciate. Il perdôno ai tratfiaU
dalla seduzione, che avrebbe dovuto essere pieno e intiero
con grande beneflzio délie popolazioni e, oso proprio af-
fermare, con grandissimo vantaggio del papato, conteneva
tante e tali eccezioni, le quali, oltre dar luogo agli arbi-
trî più disonesti, facevano si che la maggiore parte di quel
traviati trovavansi esclusi àalla grazia papale (2). H lavoro
dei Cardinalî-triumviri non fu di restaurazione, sibbene
di distruzione, perô che il triumvirata^osso avesse riem-
piuto le prigioni d'uomini rei d'avere obbedito a chi reg-
geva, sotto la repubblica, la somma délia cosa pubblica;
mandate al supplizio estremo uomini colpeyoli d'arere ri-
tenuto délie armi non estante il divieto délie leggi, ed
esiliato persino coloro che ayevano date opéra efficace al
rîstabilimento délia autorità pontiflcia (3); onde è facile
cosa immaginare di quanti dolori e afâizioni foasero piene
la metropoli e le provincie» nelle quali non rare volte si
Yidero gli Austriaci difendere i perseguitati dai Goinmes-
(1) Yedi la lettera citata di Lnigi Napoleone Bnonaparte al Imgo-
tenente colonnello Edgardo Ney.
(2) Yennero esclusi dalla grazia pontificia 1 membri del Gorenio
temporaneo di Roma, qaelli del Trinmyirato, del Governo délia repnb-
blica e dell'Assemblea Costituente romana e i principali dell'eseieito
con tutti i già perdonati nel 1848. Quanta differenza tra l'amnistia data
da Pi« IX al suo ascepdere alla sedia apostolica e quella del 18491
(3) A far meglio conoscere il modo di govemo dei piimi tempi délia
restaurata autorità temporale del Papa basta riferire clô che il conte di
Bayneyal ebbe a raocomandare al générale Oudinot, cioé: «fÛNpedtre
a ogni eosto gli arresti arhitrari per delitti poliHci; coei BaOejdier
nella sua storia délia rivoluzione di Roma.
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KOMA 477
sajri del Papa. Per si fatto sgoverno indignati, alcunî del-
l^Ajssemblea francese protestarono contra le spese délia spe-
dizione di Roma; la quale aveva avuto per intento, non
di cissicurare aile popolazioni romane un buon reggi-
rrtenio e una buona libertà^ corne era stato promesse dai
Ministri del Buonaparte aU'Assemblea stessa, ma di ricon-
durre quelle sotto la potestà assoluta del Pontefica Tre
^oroi dararono le discussioni e le dispute (1); nellequali
dalla parte moderata lanciaronsi le più basse ingiurie
contra la rivoluzione italiana; e î supremi reggitori di
Francia non vergognaronsi d'accusarla d'avere cominciata
la repubblica romana con la violenza e Tassassinlo, e per-
sino d'aflTermare che la restaurazione deirautorità ponti-
ficia era stata compiuta senza spargimento di sangue
umano, senza la perdita dei béni e délia libertà di chic-
chessia. Menzogna qunsta! avyegnachè ben sapessero,le
carceri dello Stato essere piene tanto da non poter più
capire prigionîerî; non pochi cittadini avère perduta la
vita 8ul patibolo per sentcnza dei tribunall, nei quali Tar*
bitrio, non la legge, regnava; che moltissimi erano stati
cacciati in esilio e molti altri avevano volontariamente
esulato dalla patria terra per salvare la vita. Monta-
lembert con eloquenza, in verità degna di migliore causa,
sostenne che Tonore délia bandiera francese non aveva
corso pericolo veruno nella impresa di Roma, per distrug-
gervi la repubblica e restituirvi Tautorità papale. « La
storia lo dira, gridô egli allora; pîeno di confldenza io
ne invoco il giudizî'o e la cbiamo a far fede délie mie
parole. > E la storia già pronunziô il giudizio suo, severo
ma imparziale, condannando quella impresa, condotta con
la menzogna, e vittoriosa, ma con gli inganni e i tradi-
menti del générale Oudinot ! — Il 31 gennaio 1848 Odil-
lon Barrot ebbe aflTermato il diritto assoluto degli Stati
(1) Gi6 awenne circa a mezzo l'ottobre del 1849.
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478 CAPiTOLO vin
italiani alla libertà e alla indipendonza ; e di poi, che la
Francia non distruggerebbe mai la repubblica romanau..;
che le armi délia repubblica non interverrebbero initalia
per imporre verun governo, ne a difenderne in Roma
nessuna forma. — Il 23 maggio di queiranno stesso La-
martine, dopo avcr fatto conoscere aU'Assemblea nazionale,
che la Francia aiuterebbe gli Italiani nella guerra di in-
dipendenza, che essi combattevano sul Mincio e su l'A-
dlge, la assicurava, che in verun caso mai l'Italia cadrebbe
sotte il giogo si gloriosamente scosso e abbattuto; in fine,
che lo Statuto fondamentale délia Francia diceva : non do-
vere questa usare mai le forze proprie contra la libertà
dei popoli. — Non estante le affermazioni e le assicura-
zioni date da Odillon Barrot e da Lamartine la repubblica
romana venue abbattuta daU'esercito francese per restau-
rare la sovranità temporale del Pontofice, duce il fedifrago
Oudinot, il quale, corne sopra notammo, fece l'impresa e
vinse piii con maie arti che col senno suo e col valore
délie armi da lui capitanate. Con eloquenza, certamente
non inferiore a quella di Montalembert^ parlarono Arago,
Vittore Ugo e Mathieu per censurare Toperato del Groverno
di Francia e difendere la rivoluzione italiana contra i
tristi che avevanla calunniata e vilipesa. — Messa a par-
tito la legge su le spese per la spedizione di Roma, unitisi
nel suflfragio i fautori e gli aderenti alla monarchia, agU
amici e sostenitori di Napoleone Buonaparte, gli orleani-
sti ai legittimisti, quella legge vinse la prova. — In quel
mezzo — fallite le pratiche con Oudinot per indurlo a ri-
prendere il comando militare di Roma e fargli eziandio
accettare l'ufflcio di ambasciatore straordinario in Corte
del Pontefice — il Governo délia repubblica surrogava a
Rostolan il générale Baraguey d'Hilliers ; il quale tenne
per brève tempo il comando suprême délie armi francesi
in Roma; avvegnachè, poco dopo il ritorno di Pio IX, ve-
nisse richiamato a Parigi e surrogato dal générale Geman
nel comando di quelle.
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ROMA 479
Correva il 4 aprile 1850 quando Pio IX, assicurato dal
Segretario di Stato, il cardinale Antonelli, essere compiu-
tamente vinta la ribellione, che aveva sconvolto gli or-
dini e turhato i sudditi suoi, lasciata Porfcici, per la via
di Capua e Gaeta awiavasi a Roma. A Valmontone egli
prendeva commiato dal Re di Napoli e dal principe di
Calabria, ivi portatisi per rendere l'ultimo omaggio al-
Tospite illustre. A Terracina — la prima città délia Chiesa
che il Pontefice trovô in suo cammino — egli fu ricevuto
dai principali délia magistratura e dagli inviati délie terre
circonvicine e da quelli di Roma altresi, venutigli incon-
tro pep ossequiarlo. Nelle ore pomeridiane del 12 aprile
il Somme Pontefice rientrava nella città eterna al trarre
fragoroso délie artiglierie, al suonare délie campane, délie
trombe e dei tamburi, i quali, piîi che strepito d'allegrezza,
facevano gazzarra spaventosa a udirsi (1). FoUa înnume-
revole di clttadini accalcavasi nelle vie, che Pio IX do-
veva correre per recarsi a San Giovanni Laterano ; tutti
plaudivano a lui, certamente nella speranza che — memore
M primi giorni di sua esaltazione al seggio apostolico
-*- avrebbe nuovamente volto sue cure alla prosperità mo-
rale e materiale dei sudditi. Vana speranza! awegnachè
6gli> che aveva lasciato Roma da principe indipendente e
Ubero, vi facesse ritorno schiavo délie armi straniere da
lui stesso chiamate ; Innanzi la sua fuga a Gaeta il papato
temporale era tuttavia accettàbiley i suoi giorni non
(1) Nel gennaio del 1849 era corsa la fama che Pio IX volesge la-
^iar Qaeta per recarsi in Francia o in Ispagna; ma la cattiva stagione
^^''ip^gli di mandare a efietto taie sno disegno. — « Ammesse anche
tQtte le eyentnalità &vorevoli, il Papa non farà sollecito ritorno a
^oioa, Egli dice che ora ô Papa dawero, perché aile sole cose spiri-
^h pensa, al regno temporale poco... » (*). Cosi avesse fatto sempre.
(*) OiuBippB Pabouki, Memor%9 raecolte dasuofiglio, cart. 162; Imola, 1880.
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480 CAPITOLO VUI
erano ancora contati ; ma la fuga del Pontefice e il pnmo
colpo del cannone ft*ancese contra le mura deirahna città
segnarono il finire di quello. — Le numerose baionetto
straniere, le quali, dopo avère restaurato il trono pontifi-
cio, eransi fatte suo sostegno e puntello, rivelarono tutta
la debolezza di quella istituzione umana, che nello inte-
resse délia religione non avrebbesi dovuto creare mai.-
Dopo il rendimento di grazie a Dio per la recuperata po-
testa temporale, Pio IX, dalla basilica lateranense, porta-
vasi a san Pietro, di poi aile sue stanze del Yaticano in
mezzo aile armi di Francia, che egli — sebbene Ministro
di Lui, che ebbe gridata la fratellanza universale e bandita
la pace agli uomini — aveva chiamato a strazio dei sud-
diti suoi e per recuperargli quella sovranità tutta mon-
dana, che i Ministri di Cristo in terra non avrebbero
dovuto possedere mai (1). — Oome i Francesi in Roma,
cosi gli Spagnuoli nelle provincie vicine alla metropolie
gli Austriaci neirUmbria, nelle Marche e nelle Legazioni
mantenevansi da padroni e reggevano la cosa pubblica
con potere militare e civile, lasciando ai delegatidiPioLX
di rappresentarvi Tautorità pontiflcia. Sopra tutti e su
tutto poi imperava despoticamente la compagnia di Lo-
jola, in quel mezzo tornata negli Stati délia Chiesa; com-
pagnia che avrebbe eziandio signoreggiata la Corte ro-
mana, se non Tavesse frenata in sua ambizione e tenuta
proprio a dovere il cardinale Antonelli, allora potentis-
simo non solamente per lo appoggio dei Governi strani^i
ma altresi per la illimitata confidenza del Papa, che egli
aveva saputo guadagnarsi (2).
(1) Nel gennaio del 1850 Pio IX scriveva al vescovo d'Imola, che
alla Beata Vergine, non alVesereito franeeae, dovevasi la restaura-
zione papale.
(2) Il cardinale Antonelli, che voleva imperare da solo e con potesti
piena e intiera, licenziô di U a poco il tritêmvircao rossOf mandando
Vannicelli aUa sedia arcîvescovile di Perrara, dando aU'Altieri la pr^
gidenza di Borna e Comarca , e mettendo da parte il cardinale délia
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BOMA 481
Quali fossero in quel giorni i modi di reggimento, quale
Tordine e anche il benessere degli Stati délia Chiesa, che
tanto esaltavansi e venivano portati a cielo dai partigiani
délia restaurata potestà temporale, qui brevemente de-
scriveremo, — Dovunqae oondannavansi a morte, a pri-
gioaia e a battiture quanti tenevano armi e profferivano
parole ingiuriose ai soldati stranieri; si dissotterravano i
corpi degli Italiani periti combattendo per la libertà délia
patria sotte le mura di Roma» e lasciavansi in pasto ai
cani; aocrescevansi a dismisura le imposte; dal Vescovo
di Gabbio richiamayasi a vita lo editto di Faolo lY contra
i bestemmlatori ; a chi cadease in eresia doyevasi cucire
la bocca e dare la punizione del fiioco (1); in fine, licen^
Genga. -- A far conoscere in qnale stima fosse teniito Antonelli dai
coUeghi del Sacro Collegio, ricorderù le parole di schemo a lui rivolte,
in presenjsa del Pontefice, dal cardinale Altieri. In nna disputa ool Se-
gretario di Stato ayendo l' Altieri yednto Pio IX dare ragione ad An»
touelli, quel Cardinale faceyasi ad esclanuure: = Non marayigliarsi piû
se le faccende pubbliche andayano a maie, da che il Sonuno Pontefice
non metteva différenza nessona tra le parole d'an principe romano e
quelle d'un eioeeiaro di Sonnino. = Di loi e di sna famiglia fù scritto
cœi: c Uflcito da nna famiglia di malyiyenti dl Sonnino, Antonelli ha
tra i BQoi antenati dei ladri di strada. Egli col latte materno sncchiO i
principi di morale priyata, insegnati nelle cayeme di Sonnino..... Con
luia facilita, che costitnisce il più grande onore alla sua inteUigensa,
comprese che doyeya la vita sua consecrare ad acquistand ricchezce...
l^opo un esamfi profondo Antonelli scoyerse che la carriera piû lu-
ciosa doyeya esser quella che conduce ai più alti uffici ecclesiastici; e
^po matura riflessione risolyette di non diyentar prête, ma prelato^
egH non ha riceyuto gli ordini, non la ordinazione e non ha celebrato
la messa mai da un pensiero tutto profane egli fti inspirato; il Ca^
^ûiale preferi amministrare le rendite dello Stato pontificio alla recita-
^tte degli oreim». §
(1) ^ Paolo IV a di 15 febbraio 1549 pubblicô una fulminante boUa
contra de' cattoM, che cadessero iu eresia, confermando le pêne gi^
imposte da altri, con la giunta d'altre maggiori, stendendola a qual-
^^<)gUa grado di persone, e neppure esentando gli stessi Sommi Pon-
^^ci^ > cogl £,. A^nroNio Huratobi ne* suoi Annali d^Jtalia,
51 -~ yoL IL IfABiAia — Staria pol* • mO,
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482 CAPiTOLO vin
ziavansi, senza motivo alcuno, pubblici officia^i e ponevan^i
a dura penitenza nei conventi molti sacerdoti, rei d'arere
servito alla repubblica, quasi çhe governo repubblicano
fosse governo di gente reproba. Si feroci pepsecuzioni fatte
in nome di Pio IX dal triumvirato cardinalizio disgusta-
pono non solamente gli onesti, ma i più temperati altresl
tanto dallo allontanarli dalFamore per la potestà papale e
dalla devozione al Pontefice (1). Eppure Pio VI il 10 feb-
braio 1797 ai cattolici di Francia aveva fatto conoscere:
= Insegnare il Vangelo, che ogni autorità viene dal cielc^
e in conseguenza anche quella délia repubblica; Gristonon
avère predicata la intoUeranza, che sovente fece macchiare
gli altari di sangue umano ; avère egli vietato al Ministri
suoi il desiderio délie ricchezze, le quali rendono gli uomini
(1) Ë bene riportare qui una sentenza prontmciata dalla Consnlu
romana contra Alessandro Calandrelli, sentenza la qnale rivela tnm
la turpitndine dell'animo del cardinale AntoneUi. — AUssandro Càbn-
drelli , ufficiale nelle artiglierie , Ministre sopra le arini e TriamTiro
délia repubblica, nomo di tali virtù da essere posto tra gli uomiai in-
signi di Plntarco, allora che Borna venne a mano dei Francesi, limet-
teva a qnesti danaro, carte e qnanto di prezioso teneva in cnstodia e
che apparteneva allô Stato; nel medesimo tempo faceva noto eaister?
presso di se alcnni Tolomi deU'Accademia Ecclesiastica, alla qnale con-
segnerebbe qnei libri appena li avesse raccoltL Montre a ciô davs open
sollecita, vedevasi arrestato e tradotto davanti ai tribnnali acctisato di
fdrto di libri di grandissimo pregio e valore; ribalda accusa messa
faora con arte infâme dal (Governo pontificio, il qnale, con lo infainare
il nome di quell'aomo veramente intemerato, intendeva iofamare anche
il Triumvirato della romana repubblica. Assolto dal tribimaie, il ^
vemo, risolutissimo di perdere Calandrelli, incolpavalo di estoisione di
danaro ai Torlonia e di appropriazione d'armidei Barberini; madi^
dagli stessi Torlonia e Barberini , che provarono bogiarda l'accusa e
innocente Taccusato, la Sacra Consulta, giudicatolo in segroto, eondaii-
navale al supplizio estremo per crimine di lésa Maestà e a Tentianai
di galera per furto. Il Pontefice, graziato il Calandrelli della rita, ia-
sdiava perô che avesse a scontare nel carcere la pena di un non com.
messo delitto! Taie condanna — tanto iniquamente ingiusta, la <l^^^^
vituperava coloro che pronunciata Tavevano, non Calandrelli che dorer»
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BOMA 483
superbi; quello del dominare, che li fanno vendicativi e
turbolenti; avère egli affermato solennemeute , moite
gaerre, micidiali e funeste alla umanità, essere state eo-
citate da dispute sacerdotal! ; moite carnificine, da contese
teologiche; e molti essere stati sacriûcati e trucidati per
la pretesa causa del cielo. = Tali savi consigli e ad evan-
gelica carità informât! di quel Ponteflce erano da tempi
caduti neiroblio ! — I Governi militari, che reggevano il
paese con legg! di guerra, e perseguitavano e oondanna-
vano quanti erano in fama d! libéral!, lasciavano andar
quelle sossopra da masnadieri; i quali, riuniti in grosse
bande, ne percorrevano le contrade, mettendone a ruba le
terre e taglieggiandole. Nel reame di Napoli, ove parimenti
quelle bande infierivano, soprammodo nelle Oalabrie, venue
patirla — rnosse a sdegno e a pieU rinUera Eoropa; aUora gli onesti
d'ogni parte politica gituliearono, corne ben meiitaya, il Oovemo pa-
pale^ ayvegnachô nel campo délia giostizia e délia onestà tntte le opi-
nion! 81 accordino. — Il re Federico Gaglielmo di Prnssia, già amico
del padre di queU'innocente vitUma , fecesi subito a richiedere il car-
dinale Antonelli délie ragioni di si dura condanna; ma il féroce segre-
taiio di Stato niegô fargli conoscere il processo. Indoyinata la perfidia
che in questo celavasi, il Be pregô che si avesse a mutare la pena
in peipetao esilio, offirendo di tenere il Oalandrelli nel regno suo; ma
il cardinale respinse la preghiera del Monarca pmssiano; il qnale perè
non iscoraggito da quel dinieghi si volse al Papa, e tanto insistette
da ottenere, in su la meta del 1853, a patto di perpétue esilio, la grazia
tanto desiderata. Alessandro Oalandrelli, sdegnando di acoettare la
grazia del crimine di fnrto da' suoi nimici addebitatogli , non voleva
lasciare il carcere se non dopo an naoyo processo e nn nnovo giudizio.
Allora il cardinale Antonelli, temendo non fosse da quelle a nscire grave
8candalo a danno suo e del papato , di nottetempo fece trarre di ga
lera il prigioniero e trasportare sopra nave anstriaca; sbarcato a Trieste
venne condotto a Berlino, ove ricevette accoglienza onorevole e festosa
dal Ee e dagli nomini piû insigni délia città. Il processo e la con-
danna di Alessandro Oalandrelli provarono chiaramente il turpe modo
col qnale in quel giomi amministrayasi la giustizia nello Stato pon-
tificio, e palesarono altresi la tiistizia d' Antonelli e délia Oonsulta
lomana.
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484 OAPITOXiO YIII
màndato a oombatterle il marescialloNunziaate; che, opé-
rande cou severità e vigore dopo moite fatiche e gravi
steiiti> se non giunse compiatamente a diatruggerle, riesci
perô a stremarle ai fattamente di forze da renderle qaasi
impotent! a far maie. Non cosi negli Stati della Ghiesa;
nei quali, sebbene plene d*armi straniere» non curandosi
queste di frenare gU assassini, si ridero sovente preseû-
tarsene grosse bande aile porte délie più popolose citti e
della stessa Roma. A tanto danno s'aggiunsero Yillanie e
ingiorie; perô che nonpotendolepopolazioni difendersi-
ogni arma essendo stata lor tolta — il commissario Bedini
le dicesse complici di quelle — che, saccheggiando, deva-
stavano — e mettessero a lor carico le taglie imposte ai
ladri. Ne yogliamo tacere della banda rendutasi famosa
per l'ardimento del suo capo, certo Stefano Pelloni, so-
prannomato il Passatore; la quale, forte d'un centinaio
d*uomini e quasi militarmente ordinata, correva, in varie
schiere divisa, Talta Romagna, portando dovunque désola-
zione e terrore. A far conoscere Taudacia di quei masna-
dieri basti dire, che nel gennaio 1851 due squadre di
essi, entrate al cadere della notte in Forlimpopoli, ne chiu-
devano le porte; indi raccoltesi aile otto nel teatro, affol-
lato di spettatori, toglievano le armî aile guardie e dal
palco scenico gridatesi padroni della terra, minacciavano
di porla a ruba e a sacco, se i cittadini non le fornissero
di danaro; e i masnadieri ebbero oro, spogliarono molti
di quanto possedevano di prezioso, e saccheggiarono alcune
case ; nessuno perô ebbe nella persona a patire danno o
insulte ; messo assieme grosso bottine, uscîvano dalla citti,
tenuta in lor mano per ben tre ore. A farla finita col Pas-
satore e con la sua banda gli Austriaci mossero numerosi
dai loro presîdi ; e dopo mischie ostinatissime e feroci la
distrussero; moltî uccisero combattendo; molti, fatH pri-
gioni, mandarono al supplizio estremo; a pechi fti dato
salvarsi con la fuga; il térribile e temuto Passatore ^^^^
a Russi. Compiuta taie impresa gli Austriaci riederono aile
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BOMA 486
loro stanze, ne si presero pensiero délie altre bande, che
affliggevano il paese e che per lunga pezza ancora do-
vevano funestarlo con le rapine» le violenze e con gli as-
sassinamenti. Non poche vendette fecersi per odio politlco»
le quali insangninarono Roma e le piii cospicue città délia
Ghiesa; ricorderô il ferocissimo Nardoni (1) e il Dandini fe^
rito di pugnale e ruccisione deirEvangelisti, un cancelliere
délia Sacra Consulta; e dlrô eziandio, non avère i sudditi
del Pontefice cessato mai dal cospirare contra chi li go-
vernava, non estante il loro trovarsi sotto Timperio délie
leggi militari di Prancia e d'Anstria, di cui molti soldati
in Roma, In Bologna e in Ancona furono morti dal citta-
dini^ i quali seguivano siibito nella tomba quelle vittime
deirira di un popolo oppresso ! — Nel 1854 i Ministri di
Pic IX con Tusato arbitrio e la solita violenza governando,
molti al supplizio estremo mandavano, molti a prigionia
perpétua o a tempo; erano repubblicani e monarchici, i
quali, dopo il tentative mazziniano del 6 febbraio delFanno
innanzi a Milano, avevano date opéra a levare in su Tarme
le Romagne; erano altresi gli ucciditori di Pellegrino
Rossi ! (2). Tra supplizi, condanne e torture; tra ferocissime
(1) Filippo Nardoni, giovasissinio, era stato condannato alla galera
per ftarto. Graziato, alla restanxasioiie délia potestà temporale pontificia
nel 1814, entrava nella gente d'arme, nella qnale miliziail ladroper-
donato gingneva al aommo grado; e il cardinale Antonelli preponeralo
alla Folizia segreta. Di ri1)aldi si ûttti servissi per lunga pezza quel
£ui08o Segretaiio di Stato I
(2) B 17 marzo 1854 pronnnziavasi sentenza di morte contra Lnigi
Gnindoni e Santé Costantini, e di galera a yita o a tempo altri gin*
dicati colpevoli per mandata rieevuto délia nccisione di Pelligrino Bosai,
In sol cadere di qaell'anno la Sacra Consulta dannara alla galera a
vita dnque cittadini, a pêne minori altri trentaqnattro colpevoli di teth
tata soUevazione mazziniana — che ayrebbe doTUto aver Inogo il 15
agosto — contra il Govemo papale. Per associazione di Carbonari ve-
uiTano, nel processo di Ck)rinaldi, condaanati sette cittadini alla pena
capitale; un sacerdote, a prigionia perpétua. — Lnigi Maraviglia, che
reggeva Faenza, dopo aveme visitate le carceri nel 1858, al Ck)mme8o
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486 OAPITOLO VIII
vendette, ira assassinii e ferimenti; ira mille dolori in fine,
e in mezzo aile armi straniere, opprimenti sempre, passa-
rono alcuni an ni, senza perô mai che gli animi di quella
gente nobilmente fiera si lasciassero abbattere^ pronta a i
sollevarsi àppena si présentasse occasioae favorevole (1). -
Negli anni che corsero dalla restaurazione al 1859 — aani
ai raccoglimento e di preparazione — il Governo délia
Ghieea oompi moite opère in verità a lodarsi; e furonogli
studi per la bonificazione délie paludi Pontine e alcani
trattati per li trafflci con gli Stati stranieri; fu la insti-
tuzione del Consiglio di Stato, d*una Consulta par le éco-
nomie nella amministrazione del paese; furono i l&vori
compiuti di San Paolo, basilica fuor délie mura di Roma,
distrutta da un incendie sino ai tempi del pontificato di
Pio VII; in fine, fu — dopo il congresso di Parigi del 18o6
— la concessione délie vie ferrate — niegata sempre da
prima — e che Pio IX accordô, indotto dalle gravi cen-
sure mosse dai rappresentanti di alcuni Stati in quel con-
gresso su le miserrime condizioni del regno poatificio, e
fors'anche costretto dal manifestarsl, se non mioaccioso,
sario straordinario del Pontefice in Bologna scriveTa oosi: = Strin-
gergli il cnore, per ci6 che senza contare parecchi sostenuti in altre
prigioni, in qnelle sole ne riscontrasse novantnno, qnali in dipendens
dell'Anstriaco, qnali délia Sacra Consulta, 11 più per precanzione sen»
esame, senza processo, forse anche senza sospetti; taluni langairri da
mesi, da anni, da lusfcri; taluni manifestamente innocenti; piùdi quat-
trocencinquanta processi criminali pendere da quattroa cmqneaiuii-"
(1) Troppo lungo, e ai leggitori miei doloroso troppo, sarebbenar-
rare tntte le sevizie commesse dagli Austriaei nelle Legazioni durante
la militare lor signoria; impossibile dire U modo, yeramente baitot)<
col quale condussero i processi politici! Gli uomini di quel Gorerno,
ehe^ corne scrisse Gaetano IJngarelli (*), a^arroga il titolo di ^W*'
ftoono in tutto degni di quell'altro, che ^arroga il titolo di wnto.
(*) Gaetano UngaréUi, lettera di Torino del primo dicembre 1858 a Ga«pire Rb^*
nella quale narra le brataUtà e vli imolti &ttt«li eoffiriie in sua prisieaia <l<i 1^'
più che floldati Teri manigoldi austriaei.
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AOiftA 487
certamente solenne délia opinione pubblica. Vennero di poi
î concordati con Toscana, Austria e Napoli; i quali, se
erano desideratissimi dai regnanti, sommamente bisognosl
deirappoggio chiesastico per combattere i principi che ten-
devano a scemare rautorîtà regia e già dovunque inva-
denti, tornavano perô quel concordati assai invisi ai po-
poli, perché di danno alla loro libertà e a tutto vantaggio
degli inteati mondani del clero. L'Austria, dopo aver tolto,
per istanza del granduca di Toscana, i presidi di sue genti
da Flrenze e Livorno — e fti nel maggio del 1855 — chia-
mava a se quelil délie Marche e délie Legazioni, eccetto
i presidi di Bologna e Ancona ; sottile arte di suo governo
ciuesta! perô che, mentre fingeva di lasciare a libertà quelle
proYincie, ne tenesse in sua mano le due città, dopo Roma
le più importantl degli Stati papali. Le parole di Gavour,
Ministro di Sardegna, al Gongresso di Parigi neiraprile
1856 su le tristissime condizioni dltalia, soprammodo di
Napoli e Roma, ed eziandio quelle di Glarendon, ora-
tore dlnghilterra, che affermava essere il Oovemo ponr
tiflcio una vergogna per VEuropCy commossero profon-
damente Pio IX (1); il quale, per conoscere i mali, di cui
dicevansi afflitti i sndditi suoi, e allô intênto di poter dare
a quelli un rimedio proprio efficace, fatta risoluzione di
visitare le sue provincie, nel 1857 faceva precedere quel
vla^o dal perdôno ad alcuni esuli, e nel maggio di quel-
Tanno stesso toglieva Bologna allô imperio délie leggi mi-
litari austriache per rimetterla sotto quelle délie leggi
(1) Cayonr areva messo innanzi û disegno di fare con le Bomagn»
un prineipato apostolico con amministrazione e leggi proprie e con
esercito paesano, perô sotto Talta sovranità del Papa; disegno appro-
vato da Clarendon, oratore d'Inghilterra, il qnale Toleva si ayesse a
mataie il reggimento ecclesiastico in laicale, affermando anche essere
onud tempo di fàr cessare il bratto officie di Francia e d'Aostria, cha
da sette anni pnntellayano con le loro armi il Governo pontUlcio.
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488 CAPITOLO VllI
oivlll dello Stato suo (1). Dopo arere corse le primarie
cîttà dei domini suoi, visitato il santuario di Loreto, por-
tossi a Bologna e lungamente vi stette; e îvi ricerêtte
gli omaggi dei principi di Modena, Parma, Toscana e dei
rappresentanti deli'Auâtria e délia Sardegna; e cedendo
ai pregiii di Prancesoo IV di Modena e di Leopoldo n di
Toscana, visitô Modena e Pirenze, doruaque festeggiato
dai regnanti, e accolto e salutato dai popoli oon segni di
rîspetto, ma senza entasiasmo; perô che Toleasero redere
iû lui soltanto il capo délia Gristianità e dei Gattolicesimo,
non un tiranno coronato. Se il Somme Pontefice avesse aynto
allora al âanco suo consiglieri onesti e savi, certamente
avrebbero potuto salire sino a lui i gridi di dolore dei
sudditi per lo malo reggimento dei Ministri, e por quella
pressione e prepotenza d'armi straniere» che tanto li of-
fendevano e li strazlavano; e PioIX avrebbe potuto cono-
seere altresi i loro bisogni e i prorvedimenti che alta-
mente imploravano. Ma i consiglieri che stavangli attomo,
tutti ligi al cardinale Antonelli, giugnendo quasi sempre
a impedire che la roce di cittadini probi e leali avesse a
parlare al suo cuore» fecero si che il Papa riedesse a Roma
convinto essere il popolo suo felicissimo (2X ne di nuori
(1) Pio IX mosse di Borna il 4 maggio; per Tend e Spoleto reeoasi
a Peragia; indi yiaggiô le Marche fino ad Ascoli Piceao; risitô An-
cona e Loreto; il 9 gingao entrô in Bologna, oye t^inesi per ben due
mesL Portossi qnindi a Modena e a Ferrara; e per la seconda Tolta a
Bologna, che il 17 agosto lasciô per discendere a Toecana; Q di ap-
presso ginnse a Firenze. Dopo ayer corso le principal! città dei Gran-
dncato, per Orvieto e Viterbo fece ritomo a Borna, oye entrô 0 5 set*
tembre.
(3) Il cardinale Antonelli a impedire alla popolazione di ftr gin-
gnere al Papa i lamenti dei sno mal goyemo, scriase ai GonMaderi
délie città, che non ayessero a presentare al S<muno Pontefice la pro-
teste e i richîami dei sudditi e le dimande di rifirame e liberta. Non
estante taie diyieto, a qnalche Gonfaloniere fil date di far penrenixe a
Pio IX rimostranse e suppliche di cittadini implorant! sùbiti e sostan-
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BOMA 489
progressi bisognevole, ne di novità desideroso. Il viaggio
di Pio IX, se noa peggiorô, certamente non toise i sudditi
suoi aile infelici condizioni nelle quali si trovavano; anzi
il loro malcontento crebbe dimolto e crebbero altresi i
loro mali umori, quando seppero avère il Papa respinto
il saggio consiglio del Duea di Grammont — in quel torno
di tempo venuto oratore di Francia in Gorte di Roma in
surrogazione di Rayneval — consiglio messo avanti in nome
fieirimperatore Napoleone sul riformare lo Stato e il go-
verno délia cosa pubblica; soddisbcendo in tal modo aile
gîQste aspirazloni dei soggetti al Ponteflce sarebbesi potuto
Ueenziare le armi austriache presidianti le legazioni, e
Roeo di poi i Francesi presidianti Roma.
Appena seppesi del ritorno di Pio IX (1), alcuni cittadini
romani inviavano al Municipio il segnente memoriale: € H
viaggio del Somme Ponteflce nelle provincie ha date oo-
casione ai cittadini délie più cospicue città dello Stato di
^argli porgere per mezzo délie Magistrature Municipali pe-
tizioai sottoscritte e chiedenti miglioramenti nella ammi-
nistrazione e nella legislazione del paese. Questo esempio di
civile franchezza e moderazione intendono i qui sottoseritti
cittadini di Roma imitare. Ghe le condizioni dello Stato
romano, da lungo tempo non prospère, sieno ora più che
mai tristi, non puô negarsi se non chiudendo gli occhi al
vero; per6 che da parecchi mesi siasi di fatto perduta la
indipendenza dello Stato col perpetuarsi degli interventi,
e mentre farono scontentati i popoli per li aggravi e ri-
gori cresciuti, d'altra parte Tamministrazione, la legisla-
ziali pioyyedimeiiti allô Stato; che perô non approdarono a baon porto,
^^Kiido il Papa risolnto di non mettere la Ghiesa a nnovi pericoli : =
n 1848, diceya egli allora, essergli présente alla memoria.
(1) H ritorno del Ponteflce yenne fatto conoscere ai Bomoni il primo
wttembre da Luigi Antonelli — frateUo al cardinale — che, mancante
u Senatore, presiedeva al Municipio. In quel giorno stesso i cittadini
QiviaTano 11 memoriale sopra dtato al snpremo Maestrato di Borna.
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490 CAPITOI^O VIII
zione e la prosperità materiale dello Stato non fecero che
picciolissimi passi, se si^considera il grande interyailo di
oui siamo lontani dalle piii civili nazioni. Non è qui luogo
di ppoporre sistemi di ordinamento politico; sono desti i
sospetti e vivi i rancori che impedirebbero un retto giudizio
su tali proposte ; ma vi sono pure bisogni e desidèri tantonni-
versalmente sentiti e onesti, che possono senza vélo esporsi,
e che quando giungono al trono dol Pontefice, quasi nonpuô
dubitarsi non vengano ascoltati. Se il Municipio chiederàal
Papa che una amnistia consôli le numerose famiglie degli
esuli e dei prigionleri per causa politica; che lo Stato venga
liberato dal peso e dal disdoro délie occupazioni frances<^
austriaca, ordinando in pari tempo un esercito del paese
sufflciente e non inferiore per istituzioni militari ai buoni
d'Europa; se chiederà che venga finalmente promulgato
un codice, che dalla procedura civile si tolgano le lun-
gaggini, le eccessive spese, e dalla procedura criminale
le brutte anomalie dei tribunal! eccezionali, e le con-
suetudini di lentezza; se chiederà che le imposizionl ab-
biano un più equo riparto, sicchè siano veramente seconde
la ricchezza, e vengano d'altronde alleviate quelle che pe-
sano troppo sui poveri ; se chiederà che in pari tempo
venga date aiuto e impulso ai traffici, all'industria e al-
Fagricoltura, e questo con Tabbassare i diritti doganali su
le materie prime, col rendere libero lo scambio dei cereali,
col togliere l'impaccio dei passaporti tra provincia e pro-
vincia dello Stato, con gli istituti di credito, cou le nuove
vie, con le scuole tecniche per li commercianti e gli a^
tefici, con l'adozione del sistema metrico di pesi e misure.
Se queste e altre simili cose chiederà il Municipio di
Roma, chi dubiterà che esso non abbia parlato seconde il
veto di Roma e di tutto il paese? I cittadini qui sotto-
scritti tengono per certo che di gravissimo momento sa-
rebbe nei consigli del Principe una demanda solenne del
Municipio romano. Essi confidano pure che questo Muni-
cipio, chiamato a rappresentare nelle pompe il P^P^^^
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BOMA 491
Romano, noa si ristarà per qualsiasi riguardo dallo espri-
merne i voti. » Questo memoriale — sottoscritto da gran-
dissime numéro di cittadinl — sebbene dettato con forma
temperatissima e accennasse soltanto a provvedimenti am-
ministrativi» non a rinnovamento politico dello Stato, im-
paori si fattamente i supremi reggitori da spingerli a
cercarne i promovitori, coloro che avevanlo scritto, e per-
seguitarne persiiio i sottoscrittori. Avvertiti di ciô quelli
che erano stati deputati di presentare il memorialo al
VannnteUi, segretario del Municipio, protestarono cosi:
« Quando noi, portatori della petizione dei cittadini ro-
mani al Municipio, avemmo Tonore d*essere ricevuti ia
vostra casa, fu stabilito che saremmo ritornati per inten-
dere dalla Signoria Vostra la risposta deireccellentissima
Magistratura alla preghiera sportale di presentare al Pon-
te&ce Tindirizzo. Era nostra intenzione di consegnare,
tornando, alla Signoria Vostra il documente e le sotto-
scrizioni originali che convalidassero le nostre parole. Perô
quasi contemporaneamente a pochi passi della vostra casa
veniva perquislto e tratto prigione il maestro di musica
signer Filippo Bemia, non di altro accusate che di avère
apposte il proprie nome alla petizione. Poste che la PolU
zia intende di procedere contra i sottoscrittori dell'indirizze
e disconescere cosi la innocenza e la legalità di queU'atto»
non possiamo più consegnare le sottoscrizioni affidate al-
Tonor nostre senza mettere a pericolo la libertà di onere-
voli persene e padri di famiglia, e porre nello stesso tempe
la Signoria Vostra nella dura alternativa di seffrire una
persecuzione o di tradire la nostra fiducia. D'altrende la
nostra petizione è a quest*era conesciuta dalla maggiore
parte dei Censiglieri Municipal! ; e se questi la giudiche-
ranno seconde la propria cescienza e dignità, non v'ha
<lubbio che la faranne cosa prepria e la presenteranne al
Ponteflce. Ove ciô non avvenga, nei, eltre il rammarice
^i veder persistere il Governe in una politica improwida
6 ingiusta, avremo pur quelle di vedervi per peritanza
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499 GAPIT0I.0 YIU
e timidezza associato ronorevolô Municipio romane. Pre-
ghiamo la Signoria Yostra di comunicare alla eccellentis-
sima Magistratura la présente lettera » (1). — Ghe Cacera
allora il Sommo Pontefiee, cui appena di ritomo a Roma
era stato noti&cato quel memoriale? nuUa; e ai ginsti ri-
chiami di prorridenze amministrative, da' suoi popoli tanto
desiderate, rispose convocando, in sul cadere del settem-
bre, un concistoro segreto; nel quale, dopo a^er -pariato
a lungo délie rimostranze d*affetto e devozione ricevute da
quelli nel suo viaggio, degli otnaggi dei principi vennti da
lui 0 visitati nei loro domini, tacendo délie condizioni
politiche ed economiche dello Stato délia Ghiesa, aecennô
aile domande dei fedeli e religiosissimi suoi sudditi» le
qucUi miravano soltanto cUlo soddisfaGimento dei àisogni
particolari dei luoghi e ad accrescere la prosperità dei
traffici; e pose fine al suo dire con lo annunciare a tutte
le genti del mondo cattolico indulgenza plenaria in forma
di giubileo straordinario.
Nell'anno appresso, il 1858, per le superbe pretensioni
dell*orgoglioso Guyon, généralissime dell'armi firancesi pre-
sidianti Roma, poco mancô non si rompesse la buona ami-
cizia che legava il Vaticane alla Gorte impériale di Parigi.
Quel générale» pretessende le sanguinose risse che non di
rade ayrenirano tra i soldati del Papa e quoi di Prancia,
erasi arrogato il cemando suprême délie genti pontificie ;
usurpazione di potere che, ferendo Tautorità del cardinale
Antonelli — allora Ministre sopra la guerra — spingevalo
a protestare a Grammont e agli oratori degli Stati aoiici
in Gorte di Pie IX^ dicendosl deliberato di portare la sedia
papale e il Goveme suo in Ancona sotto la protezione délia
bandiera austriaca, piuttosto che soppertare più oltre le
(1) Qnesta lettera di protesta fil scritta a Yanxintelli il 4 settem-
bre 1857.
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BQJCA 493
eâorbitanze oltraggiose del générale fraacese. I buoni ofQci
del dnca di Grammont, conducendo Guyon a coosigli sayi
e l^mperati, valsoro a distogliere il cardinale-ministro dal
fatto proposlto; che perô avrebbe assai voloatieri mandato
a effetto, allô scopo di promuovere uno scandale, il quale
sarebbe certamente tornato di danno al Cristianissimo di
Franoia. Era questo uno sfogo di rabbiacardinalesea! av-
ve^^nacliè Antonelli mirasse con taie scandale a vendicarsi
deile sollecitazioni incessanti che il Governo di Lnigi Na-
poleone facevagli di riformare lo Stato. — Un atto di
violenza inaudita commettevasi di quel giorni dalla Sacra
Congregazione, atto il quale, ofifendendo la libertà indivi-
duale e la coscienza pubblica, inaspriva vie più le popo-
lazioni romane contra i supremi lor reggitori e ne ac*
cresceva H malcontento. Il 24 giugno di quelFanno 1858
in Bologna i tavolaccini del Santo Offlcio toglievano a
forza dalla casa di Salomone Mortara — un israelita — il
figliuolo Edgardo, appena settenne, perché aei anni in-
nanzi graveniente infermatosi era stato dalla serpente
battezzato. I genitori infelîci, trovando sordi aile loro pre-
gMere e insensibili aile loro lacrime il Legato pontificio
e rArcivescoYO délia città, correyano a Roma a domandare
giustizîa ai tribunali. Il buon diritto era per essi , per essi
naolti statut! e moltissime provvisionl di Governi civili, e
non poche decretali e parecchie bolle di Pontefici ; ma
siccome la giustizia era allora proprio messa in non cale
da coloro che reggevano lo Stato in nome del Papa, cosl
a Roma» corne prima a Bologna, le supplichevoli richieste
^ei Mortara venivano crudelmente respinte* Non è a dirsi
quanto dolorosa suonasse la sentenza ai genitori del ra-
pito fanciullo, che essi non riavrebbero mai il flgliuolo se
^ou allora che, abiùrata la fede ebraica, la cristiana ab-
bracciassero ; niegando apostataro, non ebbero piii il loro
Edgardo. La Corte romana, risoluta a mantenere il vitu-
perevole suo proposlto, oppose sempre il tradizionale
^^^ possumi^9 con una fermezza in verità degna di causa
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494 CAPITOLO VIII
migliore, aile vive istanze degli oratori degli Stati stra-
nieri, e dello stesso Grammont, il rappreseatanie di quella
nazione cattolicissima, cul il Papato andava allora debitore
non solamente délia restaurazlone, ma délia protezione di
sue armi altresi, senza le quali sarebbe nuovamente caduto.
Gregorio Magno, Pontefice per giustizia e prudenza am-
mirando sempre, ci lasciô scritto : le esortazioni e Vesm-
pio délia carità essere mezzi efflcacissimi a gwsMgnan
gli infedeli alla religione cristiana, non le minaccie e U
terrore che li allontanano (1); quanto mai Pio IX, che
pure ebbe animo buono e dolce, fu diverse da quel Papsu
tra i piii grandi santi nella chiesa di Cristo! — Se iltra-
fugamento del fanciullo Mortara commosse l'Europa civile,
la giustizia tanto sfacciatamente niegata dai tribanali ro
manir e piu ancora il rifluto di Pio IX — délia cui mitezza
e umanità di sentire correva dovunque la fama — ne sb-
scitô gli sdegni. Taie atto di violenza — che invano ten-
tossi onestare col fine di non avventurare più tra le ténè-
bre e le insidie del giudaesimo qu^l fanciullo rigenerato
e santi/îcato dal battesimo (2), — taie atto, io dico, chiari,
che nuUa di inviolabile esisteva di quel giorni negli Stati
romani, e che nuUa rispettavasi ; in oltre, che il di-
ritto paterne non aveva agli occhi dei Gesuiti verun va-
lore, di essi che non conosoono quanto vi ha di piu sacre
al monde, intendo parlare degli affetti di famiglia e del-
Tamor del padre e délia madré verso i loro figliuoli!
La potestà dei genitori, che i Barbari sempre rispettarono
e i popeli civili protessero con leggi spécial!, venue allora
calpestata in Rema, dove la suprema auterità reliposa e
temporale trovavasi nelle mani di una sola persona Crrare
(1) Letteia di Gregorio Magno al Vescovo di Cagliari. Anertito
quel Pontefice che un ebreo oonvertito al cristianesimo avéra tolto
agli antichi suoi correligionari la sinagoga per mutarla in tempio ca^
tolico, coiuandô di restituire la chiesa al culto ebraico.
(2) Civiltà eattoltea, diario délia Oompagnia gesnitiea.
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BOHA 495
errore questa riunione di due autorità tanto diverse,
riunione che in ognî tempo partori molti controssensi
morali, quale fu nel 1858 il rapimento del fanciuUo
Mortara. — Tali fatti e non pochi altri di simile specie,
le condanne a morte, cuî già accennammo, le dure pri-
gionie, le torture e in fine i molti esilii volontari o for-
zati erano conseguenze logiche délia violenta restaura-
zione délia temporale potestà certamente poco in armonia
con la religiosa. Perô il governo del cardinale Anto-
uelli fu di vantaggio, non di danno, alla causa d*Italia;
avvegnachè, lo strazio ch*egli fece dei popoli soggetti,
ne accrescesse il malcontento e Todio contra coloro che
li reggevano con potestà assoluta ; ne dir rfaprebbesi
se nei Ministri di Pio IX fosse maggiore la perfidia o
la stoltezza. Invero non sarebbesi Tltalia si presto uni-
ficata senza lo incocciarsi dei cardinali che stavano al-
lora presso il Pontefice, soprammodo d'Antonelli; i quali
tutti poi, volendo che il papato fosse come era, o non fosse
— in ciô proprio uguali ai Gesuiti — risolutissimi a nulla
coacedere e a lasciaro insoddisfatte sempre le piîi oneste
^ piii giuste aspîrazioni dei sudditî, rovinarono la potestà
temporale dei Pontefici, i quali, nello intéresse délia reli-
gione di Cristo, non avrebbero dovuto possederla mai. È
dunque storicamente vero, che non ultimi tra i fattori
«iella unificazione italiana sono stati i cardinali consi-
glieri di Pio IX ; Dio, volendoli perdere, confuse le loro
wienti ; e questo per la buona ventura dellltalia.
H 1858 era presso al suo termine, quando gravissime in-
quietudini destavansi nella Corte di Roma per li mali u-
ïûori nati allora allora nel Governo di Parigi verso quel
<li Vienna, causa lo atteggiarsi a offesa deirAustria contra
la Sardegna, e il mirare apertamente dei Ministri del Sire
absburghese a far deiritalia una vassalla aU'imperio suo.
I quali cattivi umori maggiormente inasprendosi e minac-
ciando condurre a guerra quel due grandi Stati — Prancia
^ Austria — malgrado délie assicurazioni di pace dei diari
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496 CAPITOLO VIII
piii autorevoli d'Europa, montre gettayaao il turbamento
e lo sconforto nella Gorte pontiâcla, ne incuoravaEo i po-
poli soggetti 0 davano loro anime a bene sperare delFav-
venire. E come era notissimo, che la belUcosa Sardegaa
da lunga pezza preparavasi alla terza riscossa, cosi la gio-
ventii più ardimentosa délie Romagne, sQdando latliB pe-
ricoli, ardentissima dî combattere per la iadipendenza pa-
tria, oorreva a porsi sotto la bandiera italiaaa, tenuta i»
alto con fortezza ammiranda da lui che, prostrata a No-
vara, Tavova raccolta e rialzata, e che doveva presto tor-
narla airusato onore. Il Papa e il cardi^e Antonelli sta-
vansi allora in assai gravi pensieri; awegnachè bene a
ragione temessero, che la guerra di Francia e Sardegnâ
confederate contra l'Austria — omai d^ tutti ritenuta in-
evitabile —guerra la quale non poteva aver luogochesDJ
Mincio e su TAdige, sommuoverebbe indubitabilment^ le
Legazioni contra la signoria pontîflcia^ non estante la pre-
senza deiresercite austriaco che le presidiava. É più facile
imaginai'si, che dirsi, in quale e quanta trepidazione ve-
nisse la Corte papale, quande seppe ci6 che airuniversale
da moite tempo era note, che la Socîetà Nazionale Ita-
liana — di cui parleremo più avanti — per opéra de'suoi
Comitati sparsi nelle terre degli Stati délia Chiesa, lavo-
rava a tutt'uomo nelle Romagne, nelle Marche e neirum-
bria a preparare una levata in su l'arme dei più animosi,
pep allora che la guerra romperebbeei in Lembardia. Clie
far doveva il Governo papale per frenare in suc lavoro
quella Società su la cui bandiera stava scritto: IHunione
dèlVItalia sotto lo scettro costituzioncUe di casa Savciaf
in quai modo combattere vittoriosamente le idée di indi-
pendenza e di uni/îcazione nazionale dalla Società ovun-
que predicate, idée che allagavano già tutto il paese, coii-
ducendone le popolazioni a fratellevole concordia, e allora
rinate a nuova vita, a vita operosa e forte? Pio IX, P^^^
sua natura incerto sempre nel deliberare; Antonelli, poco
innanzi audace e allora timidamente irresoluto; e i Ca^
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BOMA 497
inali, che goyernayano la cosa. pubblica, dubbiosi su
nanto meglio conyenisse fare, nessuna forte deliberazîone
eppero prenâere. Riconosciutisi impotent! ad arrestare
a soli il moto procedente con legge uniforme — ond'era
ecuro di gîugnere a buon porto — diedersi in braccio
lia Proyyidenza, e attesero gli eyenti délia yicinissima
uerra. Il papato temporale, un di rispettato e temuto, dî
uel tempo inetto a reggersî con le forze proprie, declinava
céleri passi; i suoi giorni erano contati! ciô staya nei
lestini delFumanità.
38 — YoL n. Mabiahi — Storia poh « mH
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CAPITOLO K.
Toscana. Parma, Modena, NapolL
Domenico Gnerrazzi e la Dittatuîa. — Conflitti tra Fiorentini e Li-
vomesi; restaurazione délia monarchia in FireiLze. — Livonio;
sue resisteuze aile armi austriache; sua cadnta. — Leopoldo II
rientra in Toscana; bandisce il perdôno dei crimini politici. — H
concordato tra Roma e Toscana. n Oranduca trasfonna la ToscaD;si !
in provincia anstriaca. — I Ministri di Toscana e CaTonr. — H
1859; Leopoldo II lascia la Toscana. — I casi di Parma e M'>
dena. — I Napolitani fanno l'impresa di Catania; loro atti di di&-
solntezza e ferocia. — Palermo apparecchia le resistenze. — Ten-
tativo d'accordo pacifico. — Combattimento del 7, 8 e 9 magd-
1849 presso Palermo; sommessione délia Sicilia. — Gladstone rive'j
all*Enropa le nequizie del Goyerno borbonico. — Bentivegna tenta
novità in Sicilia. Attentato di Agesilao Milano contra il re Ferdi-
nando. — Pisacane, Picotera e la spedizione di SaprL Morte de]
re Ferdinando II.
Correva la notte del 27 al 28 marzo 1849, quando i Triuni-
viri toscani convocavano a Parlamento i Deputati, per co-
municar loro Tinfausta novella del disastro di Novara e
délia rlnunzia di Carlo Alberto al trono; in oitre per di-
scutere e deliberare soUecitamente su quanto convenisse
operare in quel momenti solenni e pieni di pericoli. Do-
menico Guerrazzi, reputando essere propizia Toccasione a
compiere la meditata restaurazione monarchica, prendeva
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T08CANA, FABMA, MODENA, NAPOLI 499
a discorrere délie condizioni in cui trovavansi le cose ci-
Yili e militari del paese; e le dipinse coa si neri colori,
che l'Assemblea rimase grandemente impaurita; in verità
esse erano deplorevoli, non perô quali le aveva per li suoî
fini rappresentate lo scaltro Ministre. Riconosciuta da tutti
la nécessita di un Governo munito dei piii larghi poteri,
il quaie valesse a provvedere con la massima prestezza e
forza ai bisogni délia guerra e alla sainte délia patria,
Guerrazzi metteva innanzi la creazione di una dittatura
limitata, che dovesse stare in offlcio sino al ânire délie
ostiiità. La scelta del Dittatore cadde naturalmente «u Do-
menico G-uerrazzi, il quale, dopo fiera lotta sostenuta con
gli avversari suoi — i fautori più ardenti d'un governo
dî popolo — ottenne quanto era nei voti suoi. Da prima
mostrossi ritroso ad accettare quell'onorevole, ma arduo
incarico, non volendo sapere d'una autorità, i cui strettis-
simi confini potevanla rendero non molto efficace ; e la
ritenne di poi, quando l'Assemblea gliela offerse pîena e
intiera, e ch'egli promise di adoperarla non per offendere
la libertà, sibbene per difendere il paese. — La patria era
in pericolo! che faceva allora il Dittatore per salvarla?
Geloso di Montanelli, il quale godeva di molta aura popo-
lare, lo inviava ambasciatore straordinario presse il Go-
verno di Francia e la Corte d'Inghilterra; cosî allontanava
da se queU'uomo intemerato, che avrebbe potuto giovarlo
di sayi consigli. In luogo di gridare la immediata unione
con Roma e levare in su l'arme i popoli di Toscana e délie
Romagne per la comune difesa, Guerrazzi accontentossi di
volgersi agli amanti délia patria, chiamandoli ad aflTorzare
Tesercito, che tra brève tempo doveva recarsi ai confini
contra gli Austriaci, già minaccianti invasione. Il suo poco
fervido appelle ebbe tiepidissima risposta; awegnachô pic-
ciola schiera di Toscani si scrivesse nei ruoli délia milizia,
pochissimi poi entrassero in essa. Fu in taie chiamata
aile armi, che il Dittatore chiari i suoi disegni di rifaci-
mento del trono granducale, e che, parlando di Leopoldo II,
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500 OAPITOLO IX
esprimesse, in favore del principe, i suoi sentimenti cosi :
« Se yi ha anclie taluno che negli ultimi precordi faccia
Yoti per la restaurazione, si rammenti che il suo principe
non difendesse la frontiera, ma spingesse i Toscani alla
guerra di Lombardia ; che dove il voto del suo cnore i^i
compisse, il suo principe gli direbbe: perché hai consen-
tito che mi venissero tolte la Lunigiana e Massa e Gar-
rara? Di queste frontière ha bisogno la Toscana, se non
intende rimanere esposta al primo invasore; io lasciai pih
vasto lo Stato, per la tua codardia lo trovo diminuito; va.
tu non sei un servo fedele; tu mi stai addosso corne Tin-
setto sopra la planta. » L'Arcivescovo di Firenze — il quale,
temendo insulti dal popolo per essersi riâutato di cantare
un Te Deum per la elezione délia nuova Assemblea, avea
di quel giomi lasciata la città — tornava allora alla sua
sedia, a patto perô che gli venissero consegnati due sacer-
doti propugnatori coraggiosi di libertà; vilissimo patto che
gettô il vituperio su chi l'aveva proposto e su chî Taveva
accettato; il quale turpe fatto mosse a sdegno i cittadini. Il I
Dittatore flnse di non addarsene e tirô yia, ch*egli temp<> I
non aveva a perdere in cose di si lieve importanza ; la re- I
staurazione signoreggiava tutti i pensieri suoi e ad easa sol- I
tanto intendeva ogni cura. Partigiani del Granduca e co- I
siituzionaH, che senza stringersi in lega trovayansi allora '
uniti dal comune desiderio di riporre sul trono il prin- '
cipe transfuga, prendevano a commuoyere le popolazioni '
non già per ispingerle a magnanima impresa, sibbene per '
prepararle a yergognosa mutazione di Stato. La patria
àbbisogna di pace e sicurezza^ gridayano essi; la sita in- :
dipendenza, le me libertà sono minacciate dagli Aur
striad; per allontanare dal paese le armi straniere^ già
qwisi prementi, Vunico ed efficace espediente consiste nel
tomare alla devozione di Leopoldo. — I faccendieri délia
restaurazione accordatisi insieme, senza curarsi délie aspi-
razioni del paese, inyiavano a Gaeta il conte Seriistorî.
amicissimo del Granduca, per indurlo a volgere alla To-
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TOSCANA, PABMA, MOOENA, NAPOLI 501
scaaa parole di conciliazione e pace; atto questo di ono-
revole franchezza, il quale, mentre avrebbe posto in bella
Luce la benignità deiranimo suo, avrebbe rimesso il pria^
cipe aeiramore dei sudditi, e resogli facile il racquisto
dei trono paterno. Alla missione di Serristori non sorti Te-
sito sperato. Leopoldo, che voleva riprehdere lo Stato oon
la forza soltanto, fatto ornai securo daU'appoggio délie armi
austriache — a Novara vincitrici deiremulo suo — riman-
dava rinviato toscane senza nuUa promottere; il principe,
la cul clemenza e bontà di cuore erano state tanto cele-
brate in tutta Italia, agognava allora a yendette di sangue.
Mentre Guerrazzi studiavasi di ricondurre il Granduca
a Firenze mediante il suffragio deirÂssemblea Costituente,
che dovea riunirsi il 15 aprile, la parte moderata maneg-
glavasi a suscitare nei contadi nuoye ribellioni contra il
Governo dittatoriale. I favoreggiatori dei principe e la
parte avrersa a libertà doyeyano essere yalidamente aiu-
tati nella brutta impresa dagli odi, che un di aveano
divise due nobilissime città, Firenze e Livorno, allora ri-
destatisi, se dai tristi o dal caso non saprei affermare. Go-
munque sla stata la cosa, la parte moderata profittô délie
iuiinicizie antiche per far nascere nuove ire, e diedesi con
ogQi sua possa a sofflare nel fuoco délia discordia. — Di
quei giorni trovavansi in Firenze grosse bande di Livor-
nesi, venutevi a prendere armi, assisa, militare ordina-
mento e ammaestramento, brève per6» awegnachô impe-
rioso fosse il bisogno d*afforzare l'esercito campeggiante i
confini dello Stato, aile cui difese intendeva allora il gé-
nérale D'Apice, capo suprême délie milizle toscane (1). I
Fiorentini, i quali vedevano di maie occhio quella gente,
per vendicarsi délie ruberie commesse e degli oltraggi fatti
(1) Gnenazzi aveva oïdinato al générale D'Apice , che al premere
^^gli Anstiiaci alla firontiera indietreggiasse protestando contra la vio-
laxicme dei territorio toscane.
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502 OAPITOLO IX
aile loro donne d'alcuni di essa — uomiai di scarriera che
del soldato possedevano soltanto l'assisa — più e piîi volte
avevano assalito i Livornesi con la peggiore di questi.
Il Dittatore, saputo dello atteggiarsl minaccevole dei citr
tadini e avvisato che le genti di Livorno apprestavansi a
vendlcare le battiture sofferte, credendo di rimettere ogni
cosa nella quiète usata con lo allontanare da Firenze parti,
délia milizia livornese, comandava alla schiera di Goar-
ducci di condursi a Prato. — Era 111 aprile; il iwpolo
eccitato a tumulte da alcuni cagnotti di Baldasseroni — i
quali, corne corse allora la fama, da quel vecchio Ministro
di Leopoldo erano stati travestiti da guardîe municipali
di Livorno — insultava e assaliva il battaglione di Guar-
ducci nello attraversare che faceva la città per recarsi al
nuoTO presidîo assegnatogli da Guerrazzi. Alla saaguinosa
disfida gli assaliti rispondevano con le armi, che volge-
vano altresi contra i Veliti (1), i quali avevano preso ad
appoggiare il popolo. La pugna, che diventô furiosa in su
la piazza di Santa Maria Novella, sarebbe indubitabihnent^
tornata micidialissima aile genti di Guarducci — awegna-
chè i cittadini dalle loro case e i frati dal campanile délia
chiesa traessero vivamente contra quelle — se il Dittatore,
soUecito recatosi in mezzo ai combattitori, con parole di
concordia e pace non avesseli indotti a mettere giii le armi
parricide. Non gli riesci perô di far loro posare le ire e gli
sdegni; avvognachè, appena cessata la pugna, Veliti e po-
polo ponessero a morte alcuni Livornesi venuti a lor rnano,.
e ferissero con pietra Domenico Guerrazzi; il quale, non
giunto in tempo a salvare quel miseri, avea mosso acerbo
rimprovero agli ucciditorf. La parte moderata, giudicando
essere quelle il momento opportune a soUeyare le popola-
zioni del contado, da lunga pezza preparate a levarsi con-
tra il Governo, chiamavanle aile armi per mezzo di fuochi
(1) Con tal nome chiarnavaiisi allora gli antichi carabinieri.
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TOSCANA, PABMA, MODENA, NAPOLI 503
accesi sui campanili, cui subito rispondevano altri accesi
su le colline. Al nuovo giorno — il 12 aprile — bande nu-
merose di contadini armati di schioppi e di rural! attrezzi
invadono la città, ne corrono le vie assierao al popolo e,
con le insegne del Granduca alla mano, atterrano gli al-
beri délia libertà gridando : Viva Leopoldo, morte a Guer-
razzi ; in verità, barbare grido, ma degno di colore che lo
innalzavano, e del principe cui era dedicato! A frenare i
sollevati, che per eccitamento dei partigiani del Granduca
e délia parte moderata minacciavano rovina aile case di
quanti erano in voce di liberali, quali provvedixnenti da-
vansi dal Dittatore, daU'Assemblea Costituente e dal su-
prême Maestrato di Firenze? Su le guardie cittadine — che
(la sole avrehbero bastato a restaurare Tordine sconvolto —
non potevasi fare fondamento veruno; perô che avessero
udito con indiflferenza vergognosa i gridi di morte di una
gente piîi che briaca, féroce; e veduto con impassibilità
vituperevole abbattere da essa gli alberi délia libertèu Non
potevano essere di presidio securo al Governo quoi soldati,
che avevano rivolto contra i propri fratelli le armi loro
affldate dalla patria per combattere i nimici. I suoi disegni
di restaurazione monarchica avevano allontanato da Guer-
razzi quanti parteggiavano per la repubblica ed erano ama-
tori di libère reggimento ; e i modi di governo del Ditta-
tore avevangli reso nimicissimi i monarchici, non estante
il sue trovarsi d'accordo su la ricostituzione del principato
civile. Abbandonato da tutti, nulla egli potô operare in quoi
momenti solennemente difflcili. Il suprême Maestrato délia
città, cui per malattia del gonfaloniere Ubaldino Peruzzi
allora presiedeva Orazio Ricasoli primo prière, deliberava
di eleggere nel sue seno una Commissione, la quale avesse
ad assumere in nome del Granduca la direzione délie fac-
cende dello Stato sino al restaurarsi délia monarchia co-
stituzionale. La parte moderata, smaniosa di avère il ma-
ûôggio degli aflTari per metterli su la via che piii le con-
^enisse, obbligava la Commissione ad associarsi cinque dei
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504 CAPITOLO IX
suoi, Gino Capponi, Bettino Ricasoli, Luigi Serristori, Carlo
Torrigiani e Gesare Gapoquadri (1). In un maoifesto ai cit-
tadini la Gommissione faceva conoscere gli intenti suoi
con le seguenti parole: = Avère assunto il reggimento délia
cosa pubblica per assecondare al veto espresso dalla in-
tiera popolazione ; attendere da questa e dalle guardie cit-
tadine la conservazione dell'ordine; volere che alla monar-
chia costituzionale, al cui ristabilimento egli intendeTa,
andassero compagne le istituzioni liberali. = latanto i Dé-
putât!, che troyavansi in Firenze, eransi riuniti a parlar
mento per prowedere col Dittatore e coi Ministri aile
imperiose bisogne del momento, soprattutto al modo di af-
fermare la sicurezza del paese fortemente minacciata dai
nimici interni e dal vicino premere degli Austriaci. Mossi
a sdegno contra il Maestrato dei cittadini, che aveva offeso
Tautorità deirAssemblea e usurpatine i poteri col creare
una Giunta di Goyerno, essi stavano per protestare, allora
che una moltitudine innumerevole di popolo, dope avère
per alquanto tempo furiosamente ondeggiato dinnanzi al
palazzo di quella, irrompeva in mezzo ai Deputati con
ferocissime grida di morte al Dittatore; presi da spavento,
cercarono salvezza nella fùga. Guerrazzi, che non s*era
mosso di là, veniva allora tradotto da Ricasoli e da Dignj
nella fortezza di San Giorgio; in apparenza, per sottrarlo
all'ira popolare; in realtà poi, per tenerlo prigionîero in
lor mano; perô che, pretessendo avère egli in alcuni scritti
offeso il Granduca, non lo rimettessero più in libertà. —
Alla Dittatura succedette una Gommissione govem&tiva,
che Orazio Ricasoli annunciô a Firenze composta dal co-
(1) La Coxuinissione yenne composta cosi: Oiamo Cesaie Ricasoli,
primo Priore^ Guglielmo Cambray Bignj, Filippo Brocchî, Gînseppe
Ulivi, Giuseppe Martelli, Luigi CantagalU, Carlo Buonainti, Giuseppe
Bonini, Gnstavo Galletti, Filippo Rossi, Gino Capponi, Bettino Ricasoli,
Luigi Serristori, Carlo Torrigiani, Cesare Capoqoadri, Ferdinando Za-
netti, générale délia Ghtardia nazionaU, e Lnigi Pavolini, caneeUimt.
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T08CANA, PABMA, HODENA, NAFOLI 505
lonnello Belluomini, da Fornetti, AUegretti, Martini, Du-
choqué e Tabarrini; allora acclamossi la restaurazione
del principato costituzionale di Leopoldo d*Austria.
Nel Lacchese la soUevazione in favore della monarchia
ebbe luogo il 12 aprile; e primi a ribellarsi al Governo
dittatoriale furono gli abitatori délie campagne circostanti
a Lucca. Il suonare a stormo dei sacri bronzi chîamava in
quel giorno aile armi i terrazzani di Picciorana, Porcari,
Lammari e San Pilippo. Il presidio della città — nel quale
contavansi da novecento volontari — ito per comanda-
meato del Prefetto a combattere 1 sollevati, in brève ora
mettevali in pezzi. La novella dei casi di Firenze e della
piena vittoria ivi riportata dai fautori della monarchia,
pervenuta ai Luccbesi il mattino del 13, turbô gravemente
la città, già commossa per la ribellione armata dei cam-
pagQuoli; i quali, sbaragliati il di innanzi, udito lo scam-
pauare festevole di Lucca, vi si recavano in foUa da ogni
terra; e in compagnia délie guardie cittadine ne correrano
le vie innalzando dovunque le insegne del Granduca, e
abbattendo gli alberi della libertà ira gridi feroci di morte,
quasi che il massimo dei dont di Dio, e che i potenti della
terra d'ogni età e d'ogni luogo tentarono soventissimo, ma
sempre indarno di spegnere, potesse cadere al solo gridare
d'un pugno di gente, cbe dir non saprebbesi se piii stoltà
0 Tituperevole. Il somme Maestrato lasciava allora Tofflcio
suo ad uomini devoti airantico reggimento e a Leopoldo II,
e ai quali Antonio Mazzarosa, eletto Gonfaloniere di Lucca,
veniva chiamato a presiedere. Il giorno appresso, i volon-
tari fiorentini erano rimandati alla loro città, e aile guardie
municipali tolte le armi. Presto e senza contraste compi-
^asi la restaurazione granducale ; e la Commissione creata
* reggere Lucca siibito annunziava, e Testante come per
vittoria acquistata, che le soldatesche Austro-Estensi eransi
iinpadronite di Massa e Garrara in nome del Duca di Mo-
dena, e di Pontremoli per quel di Parma, senza spargi-
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506 CAPITOLO IX
mento di sangue, perô che non fosse possibile al générale
D'Apice d'impedir loro quella impresa; in oltre la Com-
missione assicurava i cittadini, che l'armi impérial! non
calerebbero a Toscana, se tornata alla obbedienza deî
legittimo principe. — *Airudire i mutamenti di Firenze,
Siona, devotissima a Leopoldo, rostaurava il principato del
Lorenese, senza incontrare opposizione di sorta; Pisa, di
nottetempo e per sorpresa occupata per comandamento
délia Gommissione âorentina da una schiera di soldati del
générale D'Apice, rifacevasi monarchica; e siibito dopo
Pistoia veniva, con Tinganno, in potere délia parte mode-
rata. Guarducci, che la teneva con un grosso battaglione
di fanti, tratto fraudolentemente in errore dai Commfôsari
mandatigli dal Maestrato pisano — i quali avevanlo assi-
curato che il contado erasi levato a romore, e che milizie
numerose e dévote al Granduca stavano raccolte in Pisa
— lasciava Pistoia e riducevasi a Livorno. Tutte lô altre
terre di Toscana tornarono allora alla obbedienza délia
signoria antica, eccetto Livorno, il cui popolo, ricordando
d*essere italiano, mantenne alta, con grande sua gloria, la
bandiera délia patria, sino a che, oppresse dal numéro,
non superato dal valore degli stranieri invaditori, cadeva,
corne aveva combattuto, da forte: per lui fu salvo Tonore
del nome toscane. I Livornesi, airannunzio deU'eccidio dei
loro concittadini in Firenze e délia restauraziono délia
monarchia in tutto lo Stato, levavansi a tumulto ; e non
volendo saper di governo granducale davansi a prowedere
armi, a ordinare soldatesche, ad accrescere le difese contra
gli Austriaci, già prementi sui conflni ; la loro resistenza,
se non valse a risvegliare nei Toscani quell'ardore di
guerra, e riaccendere in essi quella virtîi, di cui avevano
date splendide prove a Curtatone e a Montanara, onde
sarebbersi avvantaggiate le sorti dell'Italia, servi almeno
di coraggiosa protesta airinvasione nimica. Chi mai voile
questa ? chi a danno délia patria fu chiamatore dello stra-
niero, se non Leopoldo? — Agli Inviati dai restauratori di
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TOSGANA, FABMA, MODENA, NAPOLI 507
sua soyranità, supplicanti di riedere presto in mezzo ai
sudditi per salvarli dalla signoria deirimperio absburghese
e conservare loro le libertà nazionali, già da lui largite e
giurate, egli rispondeva mandando a reggere la Toscana
in suer nome e con piena autorità il conte Luigi Serristori,
tristissimo strumento di tirannide e in tutto degno del
principe che doveva rappresentare. — Il 4 maggio l'alto
Commissario metteva fuora un manifesto di Leopoldo, nel
quale, taciuto lo intervenire armato deirAustria, diceva di
voler ricondurre il paese alla osservanza délie leggi; di
assicurare il risiàbilimento delVordine e preparare la più
solida restaurazione del reggimento costituzionale, Per
ottenere da Vienna aiuti valevoli al racqulsto délia corona
il Granduca aveva, non soltanto promesso di fare tutto
quanto sarebbe piaciuto al Governo delVlmperatore, ma
erasi persino scusato di ciô che aveva operato a favore
délia libertà italiana — addebitatogli a colpa dal Sire
austriaco — con lo aflfermare, che i bisogni dei nuovi tempi
e lo atteggiarsi minaccioso dei sudditi aveanlo, suo mal-
grado, costretto a concedere riforme e franchigie costitu-
ziouali ed eziandio a mandare sue genti alla impresa di
Lombardia. — Egli, che aveva respinto il sussidio del-
l'armi sabaude e che le proprie non bastavano a racqui-
stargli il trono, erasi trovato nella nécessita d'implorare
il soccorso deirimperio (1). Troppo vile per riedere da solo
(1) n 80CC0TS0 d'anni fa chiesto e richiesto da Leopoldo n al Go-
verno anstriaco; ciô ô provato da iina lettera scritta il 25 maggio di
queU'aimo 1849 dal maresciallo Eadetzky — allora in Milano — al
coûte Serristori. In qnella cosi si esprime il yecehio mareaciallo:
'^ Tassistenza militare che, ginsta gli ordini del mio augosto
"ignore, ho date alla Toscana, venne accordata dairimperatore , non
8olamente in virtù dei diritti incontestabili di S. A. 1. e R. il Granduca,
^ anche per la demanda reiterata del Granduca stesso » La Com-
nussione govematÎTa, temendo che i soldati délia divisione lombarda
"* licenziati dal Governo sardo dopo il disastro di Novara — imbar-
<^ti8i alla Spezia avessero a prender terra a Livomo ad affbrzarvi i
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508 CAPITOLO IX
e con lealtà a quel paese da lui lasciato nella speranza
che avesse a cadere neiranarchia, ei voleva rieutrare
ne' suoi dominl con grande accompagnatura di soldatesehe
austriache, la cui missione era di opprimere la parte
libérale, ritornargli in potestà la ribelle Livorno e assicu-
rargli la corona.
Correva il 30 aprile, quando TAssemblea livornese costi-
tuitasi, poco appresso il compiersi dei casi di Firenze, coi
piii notevoli cittadini d'ogni ordine e di ogni condizione,
riunivasi per discutere su le difese piii efflcaci a prendersi
contra gli Austriaci, i quali, duce il luogotenente mare-
sciallo D*Aspre (1), giunti a Pietrasanta, pareva miras36ro
a Lucca. I membri di quella eleggeyano un Gomitato di
pubblica sicurezza, cui preponevano Guarducci, uomo ani-
mo3o, soldato risoluto e délia patria amantisslmo; per
opéra sua mettevansi in istato di résistera il forte di
Marzocco e le mura; munivansi d'artiglierie le porte délia
città, e di questa asserragliavansi le vie. Intanto D'Aspre
portatosi a Lucca — e fu il 5 maggio — con una grida
invitava i Toscani ad accogliere lui e i suoi soldati quali
amici e fratelli, venuti a tutelare i diritti del legittimo
solieyati, erasi riyolta u aile Legazioni di Francia e d'Inghiltem, che
ofifriTano cortesi l'appoggio loro, a fine di otteuere ivi nno abarco che
togliesse qaell'infelice paese aUe agitazioni âeli'anarchia; e ofliifise
occasione alla tnaggioranza intimidita degli abitauti, di acuotere ûaat
mente il giogo dei faziosL » — H conte Walewski, Ministro di Fiaocit
a Firenze, scriveTa allora airanuniraglio Bandin, eseere necenario oeat-
pare Livorno^ per impedire airAustria é^intervenire in To9eaM; e
Baudin, che con Tarmata francese troYaYasi di que' gionii nelle acqoe
di Gaeta — ore stava pore il Grandaca — andd a qnesti e gli oi&i ^
portarlo a Toscana; nel tempo stesso lo sconginiô di non ehianwre
gli Austriaci nel auo Stato, la loro présenta potendo aUontanaft da
lui gli animi dei stMiti,
(1) L'esercito d'occupazione contara diciottomila nomini allô indicA'
Erano col maresciallo D' Aspre rarddaca Alberto e il Dnoa di ïodena
con nna picciola mano di soldatesehe estensL
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TOSCAXÂ, PARHA, HODENA, NAPOLI 509
signore; a dar loro sicurezza e quiète, e a rimettere la
cosUluzione di governo civile; affermava poi che Tesepcito
suo — mantenitore severo deU'ordine e délia militare di-
sciplina — arrecherebbe al paeae nuova êra di pace e di
ricchezza. — Aile belle parole del capitano austriaco se-
goirono tristi fatti, perô ch*egli subito licenziasse le guardie
cittadine e si impadronisse di tutte le armi che trovavaiisi
in Lncca. L*opera codarda del maresciallo D*Aspre com-
macve e agita i Florentini; allora il sapremo Maestrato
délia città, interprète dei loro voti, scrive a Serristori,
biasimando gli atti di celui che si fa lecito di trattare
quale terra di conquista quella che poco prima averalo
accolto corne amico. Le guardie cittadine protestano contra
ianto vituperio ; ma il Gommessario del Granduca, che
ionanzi lo inyadere degli Austriaci erasi indettato col
capitano degli imperiali sui modi di condurre Timpresa,
non si dà pensiero dei reggitori municipali, e meno ancora
del protestare délie guardie cittadine. — Il 6 di quel mese
di maggio i nimici invaditorï portavano i loro alloggia-
menti a Pisa; e due giorni appresso recatisi ad este
sopra Livorno, e posti i campi intorno a questa città pre-
paravano gli assaltl. Primi aile ofiTese corrono i bersaglieri
del capitano Piva fuor di porta al mare, i quali valoro-
samente rispondono con le armi a chi aveva fatto la chia-
mata alla città e concessole ventiquattro ore por darglisi
a discrezione. — D'Aspre, venuto 111 maggio con tuttolo
sforzo di guerra — ventimila allô incirca Austro-Estensi
— a tentare Livomo, la quale contava appena due mila
cinquecento difensori, dopo essere stato tre yolte ributtato
riusciva al fine a recarsl in mano il forte Marzocco. Ca-
dnta porta al mare in potere degli assalitori, Emilie Demi,
nno délia Gommissione governativa, allô intente di salvare
Livorno dagli orrori d'una presa per assalto, riconosciuto
impossibile resistere piii a lungo, alzava su la cattedrale
bandiera bianca. A taie vista il popolo infuria, protestando
di voler continuare le resistenze sine allô estremo; ma
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510 CAPITOLO IX
tra i suoi geaerosi gridi di guerra, e i gridi di pace dei
partigiani del Granduca, gli Austriacientrano in Livonio.Al
giugnere in su la maggiore piazza alcuni d'essi cadono
feriti da una moschettata traita lop contra dai cittadiai
nascosti nelle case vicine alla piazza. D'Aspre, oui la
natura era stata avarissima di sensi umani e nobili, vie
piii inferocito da quella offesa, fa allora spietatamente
crudele e le sue genti mostraronsi degne di nazione bar-
bara, non di nazione incivilita. Per comandamento del loro
duce suprême mandarono a morte molti cittadini; misero
a fuoco e a sacco parecchie case; e se non fosse statodel
Console americano, il quale interpose i suoi buoni offici
presse il générale austriaco, la città sarebbe andata a ru-
bamento e a guasto. Posta sotto il governo delle leggi
militari, Livorno vede allora la bandiera dei tre colori
surrogata daU'imperiale e licenziarsi le sue guardie citta-
dine ; costretta a rimettere le armi al vincitore, la misera
città viene tutta in balia d'un soldato, la cui spada erasi
già mutata in ferro di assassino: la tirannide coalarapi-
dità del fulmine allaga quindi la Toscana. Fu dette che il
Granduca altamente disapprovasse le feroci uccisioni, le
violenze e i rubamenti del générale D'Aspro; ma poteva
muovere lamenti egli, chiamatore dello straniero ? Erangli
ben noti i modi che dal Governo di Vienna adoperavaasi
per ridurre alla obbedienza i popoli ribellatisi alla sua
autorità e che avevano scosso il suo giogo; ed eragli no*^
altresi corne restaurava gli ordini sconvolti. Leopoldo U, sa-
pendo essere costumanza antica di quel Gorerno di spegnere
nel sangue le sedizioni dei sudditi, doveva bene aspettarsi
di vedere dai Ministri deU'Austria trattata la Toscana -
che essi considerayano q}xaleStaiodellHmperio(l)'-<^^^
già aveano trattato Milano, la Gallizia, l'Ungaria e la stessa
Vienna, sino a quoi giorni mantenutasi religiosamente m
(1) Parole dette, nel 1816, dal principe di Mettemich a Neri Coisini,
il quale rappresentava al congresso di Vienna il Granduca FerdinandO'
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TOSCAN A, FABUA, MODENA, KAFOLI 511
fede agli Absburghesi e allora piena di tumulti. A torto
dunque il Granduca lagnossi del capitano austriaco ; a torto
deplorô le miserie e le sciagure che affliggevano lo Stato
suc, tristissime conseguenze deirinvasione da lui voluta e
replicatamente richiesta. Il 25 maggio D'Aspre, con grossa
schiera di imperiali occupô Firenze (1), il cui popolo, non
estante il maneggiarsi dei partigiani del principe e délia
parte moderata — i quali tutti avevano desiderato di festeg-
giarne l'entrata in modo solenne — accolse con manifesti
segni d'odio e di sprezzo lo invaditore straniero, che ebbe
soltanto pochi applausi dalla più spregevole plebaglia. Gome
a Livorno, a Lucca, a Pistoia e in tutte le terre di Toscana,
cosi nella metropoli vennero, senza por tempo in mezzo,
licenziate le guardie cittadine, ricercate e sequestrate le
armi e abbattuta la bandiera nazionale, dovunque poi per-
seguitata la parte libérale e riempita di lutti e di dolori con
le morti e le piii flere violenze.
In quel torno giugnevano in Firenze Giovanni Baldas-
seponi, Leonida Landucci, Gesare Gapoquadri, il duca di
(1) lyAspre aveva fatto precedere l'occupazione di Firenze da un
loanifesto ai cittadini pnbblicato in Empoli il 24 maggio 1849, mani-
feste elle mettiamo innanzi ai nostri leggitori. u I yincoli di sangne
cbe Tudficono il vostro Sovrano alla casa impériale del mio Monarca, i
moltiplici trattati che a Sna Maestà l'Imperatore e Re mio Signore
impongono il dovere di proteggere la integrità délia Toscana e di di-
fendere i diritti del yostro Principe, hanno determinata l'Aostria a ce-
^ere al desiderio di S. A. L e B. il Granduca , e a porre un termine
ftlio stato di anarchiai sotto U qnale già da Inngo tempo gemeva il
vostro bel paese. La fazione che opprimera Livorno, fa dalle mie armi
^trutta; e quella popolazione, liberata dal giogo di orde ribelli, si
sottomise al suo legittimo Sovrano. Chiamato ora dal Principe vengo
<^ii le mie soldatesche nella vostra città come amico, come vostro al-
leato. Unitevi a noi, per vie meglio consolidare la quiète, la pace e Tor-
^6i e ricondnrre stabilmente tra voi la concordia, l'imperio délie leggi,
e quei giomi di félicita , che già un tempo TEoropa vi invidiava. n
"^Hmanifesto del générale austriaco ebbe raccoglienza che si meritava.
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512 GAPITOLO IX
Casigliano, Jacopo Mazzei, Cesare Boccella e il générale De
Laugier, Ministri eletti da Leopoldo a reggere il paese; i
quali nel manifesto del 5 giugno al popolo affermavano,
che il Oovemo di Toscana sarebbe stato di monarchia
temperata da costîtuzione ; e qtùesta consistere nelloSta-
tuto fondamentale concesso il 15 febbraio 1848 dal Gran-
di/tcOy il quale, sempre fedele aile me promesse, voleva
mantenerlo, sebbene da altri violato, e che essi avetano
deliberato di difendere dagli assalH d'ogni partito e di
conservare quale base délie oneste libertà civili e di ele-
mento (fordine. — Queste parole gridavansi dai Ministri
in nome di Leopoldo II; che, offeso da prima lo Statuto
con la chiamata dello straniero (1), restringeva di li a non
molto la libertà délia stampa e aboliva Tofflcio dei giurati
di gitcdizio; e tornato poco di poi a Toscana e a Firenze
— ove entrava il 28 luglio festosamente ricevutodal popolo,
che lusingavasi di veder partire glî Austriaci il giorno
stesso del giugnere di Leopoldo — spediva suo oratore
alla Corte di Vîenna Ottavio Lenzoni, allô scopo di otto-
nere dairimperatore un esercito ausiliare di dodici mila
uomini a presidio délia Toscana per tempo. indeterminato;
con l'aiuto del quale egli sperava di dare stabilità e sicu-
rezza al proprio trono, e tenere in freno la parte libérale,
che indubitabilmente ritenterebbe, al presentarsi di occa-
sione favorevole, di abbattere quelle e sconvolgere nnova-
mente gli ordini dello Stato, quando perô gli Austriaci
non occupassero più la Toscana. Taie demanda venne ac-
colta con molto favore dalla Corte impériale di Vienna,
che pienamente esaudivala allô scopo di estendere la sua
autorità nella penisola. Recatosi poscia alla metropoli au-
striaca, Leopoldo riconciliavasi con lo Imperatore, che
serbavagli rancore per avère Tanno innanzi moss^li con-
(1) L'articolo sedicesimo dello Statuto diceva cod: « Nessnna miliDA
Btraniera potr& essore chiamata a servizio dello Stato, se non in virtû
di legge. »
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TOSCANA, F ARMA, MODENA, NAPOLI 513
tra le armi (1). Fu allora che il Granduca con Vaugi^to
suo parente e alleato indettossi intorno ai modi di gover-
nare lo Stato e aU'abolizione délie libertà costituzionali,
non vergognandosi di nuovamente spergiurare cosi din-
nanzi a Dio e a' sudditi suoi. — Fatto ritorno a Pirenze egli
prese a reggere la Toscana con moderazione e con Tusata
mitezza, che un tempo avevangli valso Tamore dei popoli
soggetti e par le quali era in tutta Europa venuto in
ppido di principe clémente e libérale. A racquistare la
rinomanza di un giorno il Granduca migliorava Tammini-
strazione pubblica ; manteneva il Parlamento in onope, in
apparenza perô; metteva fuora buone leggî di sicurezza
e ordinava quella municipale. L'astuto principe intendeva
(1) L'Imperatore d'Anstria il 27 marzo 1849 al Granduca scriyeva
in qnesti termini: « Le due lettere da lei direttemi da Porto San Ste-
fano e da Mola di Gaeta, mi sono pervenute. Biceva l'espiessione délia
sincera mia gratitndine per gli amichevoli aagnri che Ella mi ha of-
terti in occasione del mio avYenimento al trono..... È da annoverarsi
^ i casi piû tristi del nostro tempo, grave di eventi, che Ella, dopo
l^uigo silenzio, si troyl costretto a rannodare da una terra straniera le
relaâoni con la noatra fiimiglla. Ella mi ha espresso il desiderio che
'^ia tirato on yelo di ohhlio sa gli avrenimenti che hanno cagionato
peste tristi complicazioni; non posso che diyidere taie desiderio, in
qiianto che gli sgoardi sol passato non potrebbero destare in me che
^ensi dolorosi. Si grande che mai potesse essere U complesso dei doveri
elle si cercayano di dedorre dalla di lei posizione corne Soyrano di nno
^^U> italiano, mai ayrebbe doynto essere dimenticato che il sno diritto
^i sovranitÀ staya unicamente nella sna qnalità di membre délia nostra
^*»ûgUa. Doyeya perciô afiliggermi che le esigenze dei tempi potessero
<^iidiirre nn Arddnca d'Anstria a rinnegare qnasi i oolori e persino il
Ironie délia gloriosa nostra Casa, a prendere le armi contra la medesima
^) nell'ora del pericolo, a cercare prima ainto presso il dichiarato ni-
^^ di essa, anzichè là oye i yîncoli del sangne, le piû yenerate me-
°^^e, i costnmi, i diritti e i trattati ayrebbero doynto goidare nn
l^cipe délia nostra Casa. Ma comnnqne dô sia, Ella mi ha reso gin-
^^ nel mostrarsi anticipatamente persnaso, che io non sarei per ne-
^le di prendere sinceramente parte alla dolorosa sorte che ha colpito
^* A. I. e la sna famîglia... »
^ - Vol. IL Mabujti - Storia pal. e ma.
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514 CAPITOLO IX
COU ciô addormentare i sudditi suoi e far loro i>orre in
dimeaticanza le libertà un tempo largite, e che di spe-
gnere aveva promesso airimperatore, in ricompensa degli
aiuti datigli per la recuperazione del trono avito, elecui
baionette dovevano appoggiarlo nella impresa parricida (1).
E quale fosse la generosità di Leopoldo II e quanta la cle-
menza sua le vediamo nel perdôno accordato, al suo rîe-
dere in Toscana, ai colpeyoli di lésa maestà; a,Y\egnschè
fossero in quello tante e tante le esclusioni da non inan-
dare assolto e libero nessuno degli incolpati ! fu dunque
un perdôno per gli innocenti. La beniffnità e la pietà del
principe a prova conoscendo, avevano quelli, innanzi il
ritorno del Granduca, lasciata la Toscana; ma le colpeë
tutti vennero espiate da Domenico Guerrazzi; il quale.
come sopra scrivemmo, fidando se stesso alla lealtà il
Ricasoll e Digny, scontô lungo tempo in careere il delitt--
d'avere molto amato la patria. Dalle bugiarde accuse, onde
i nimici non solamente di parte moderata, ma oziandio di
parte repubblicana, aveanlo fatto segno, Guerrazzi si difesc
con molta sapienza e grande forza di argomentazione. Seh-
bene gli riescisse di mettere in piena luce la falsità deile
accuse, stette quattro anni in dura prigionia, nel cot>}
dei quali ebbe a soffrire non poche torture morali. I gu-
(1) Ecco cosa scrivea il primo maggio 1848 da Mola di Gaeta Leo-
poldo n ai Toscam: u n Principe che per venticinqae anni tî ha r^
vemato con cura ed affetto di padre, che vi fece ricchi di îstituziùii
liberali e seppe conservare fede aile medeaimei anche quando rim^>
bità di faziosi osô conyertirla a suo danno, e non dubitè di antep^rre
i suoi doveri alla propria corona, e l'esiglio onorato ad un sogiio cq^
taminato dalla licenza e malignità soTerchiante; quel Principe tcit^i
ora a dirigere a toI la sua yoce. Vol l'ayete invocata: roi stanoi
délie yiolenze di pochi oppressori, ammaestrati da breye ma penio^
eqperienza, rayyivati ai sensi di antica deyozione dalFabuso iayereco^'
dei più cari nomi e délie cose più santé, ascoltate ora e sempre qu&a
yoce. £ la Toscana, questa gentile porzione d'italia, tomerà, Dio sv^*
correndOi in breye aUa inyidiata sua prosperità. »
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TOSCANA, PABHA, HODEKA, NAPOLI 515
<Ilci, troppo ligi alla potesta suprema, inspirât! da odio di
parte, non da amor di giustizia, condannaronlo a quindici
anni di galera; piu umano fu il Oranduca; il quale, repu-
tando taie pena sproporzionata aile colpe addebitate a
(ruerrazzi, mutavala poi in esilio. Turpissimo fu il processo,
perô che svelasse vergogne, che carità di patria avrebbe
(lOTuto consigliare di nascondere agli occhi di tutti. La
fama del fîero Dittatore non usci dal processo proprio
immaculata ; quella dei nimici suoi, non senza infamia.
Nel maggio del vegnente anno, il 1850, tra il (Joverno
âustriaco e il toscane fermossi un trattato per le milizie
ausUlarie concedute daU'Imperatore d'Austria al Granduca.
In virtù degli accordi in esso patteggiatî, Toscana obbli-
gossi di fornire, a proprie spese, ai presidi imperiali tutto
quanto fossero per abbisognare, tranne il solde e il mill-
tare corredo; grave fatto, che nel période di brevi anni
costô al paese da trenta milioni di lire! — Contra taie
convenzione, fatta sîibito conoscere a tutti i Governi di
Europa, la sola Sardegna protesté, come quella conven-
zione che accordando airAustria il diritto di tenere campi
<W sue armi nel cuore d'Italia, ne mettesse in pericolo la
indipendenza (1). Credutosi omai pienamente securo dagli
assalti délia parte libérale per le appoggio délie baionette
straniere, Leopoldo II si toise la maschera, mostrandosi
quale veramente egli era. Ai Piorentini, chiedenti licenze
(li celebrare offlci per li caduti a Montanara e a Curtatone
-^ come avevano già fatto Tanne innanzi — rispondeva :
— Non voler ciô concedere per tema di offendere le sol-
<iatesche austriachê presidianti la città. = Ma il principe
<ii Liechtenstein, duce suprême di queste, a togliere ogni
(l) L'occnpazioue austriaca costô parecchi milioni alla Toscana; la
quale, per soppeiire alla nnova spesa, fa costretta ad anmentare le
^poste, e togliere persino a prestanza da Bastogi, ricco banchiere di
Livomo, la aomma di dodid milioni di lire.
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516 OAPITOLO IX
ostacolo al sacro rito, soUecito al générale De Laugier,
Mioistro sopra le armi, scriveva in queste sentenze : < Sa-
rebbe dolentissimo se, per cagion sua, non avesse luogo la
religiosa funèbre commemorazione per coloro checombafc-
terono e perirono da forti Egli, che già ne aveva in
campo ammirato il valore, terrebbe a onore, corne soldats
d'assiatere a quella ; astenersene soltanto per non porgere
occasione agli stolti di dare senso diverse al vero senti-
mento militare. » — Il rifluto del Granduca oflTese gran-
démente i Toscani ; i qnali, indovinato Tintento oui mirava,
presero ad awersarne il Governo e non lasciarono più
passare occasione veruna per fare palesemente conoscere
la loro awersione al principe e alla sua casa- — Era il
maggio del 1851 quando i Fiorentini, non ostante il di-
vieto dei Ministri, numerosi raccoglievansi in Santa Croc»»
per Tanniversaria commemorazione dei caduti nella guerra
di Lombardia. Montre alcuni di quelli stavano per ap-
pondère corone aile tavole portant! i nomi dei morti
combattendo per la indipendenza patria, tentava strapparle
lor di mano un uomo di quel Magistrato civile, che, invece
di vigilare alla sîcurezza pubblica, si fa tal âata promovi-
tore di disordini: onde non di rado è malvisto dalle po-
polazioni in tutti i reggimenti despotici, costituzionali o
repubblicani. L'atto oltraggioso del birro provoca lo sdo-
gno e la resistenza dei cittadini congregati nel tempio
per la pietosa ceremonia; allora sovr'e^si precipitansi
molti carabinieri, che stavansi nascosti in Santa Croce.
Al gridar del popolo, per volontà del religioso LeopoMo
assasslnato nella casa del Dio délia pàce, accorrouo gli
Austriaci, di stanza nel vicino convento ; e questi, che du»»
anni innanzi hanno fatto strazio di Livorno, frenano in
quel di gli sgherri del Granduca, che hanno tratto le armi
contra i fratelli. Il Governo, pigliando il proteste da quella
resistenza con arte malvagia da lui stesso suscitata, si
dà a perseguitare quanti erano in fama di liberali, allô
scopo di far nascere più gravi tumulti, che dôvono pre-
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T08CANA, FABHA, MODENA, KAFOLI 517
parargli la yia alla abolizione dello Statuto, che già sol-
tanto di nome esisteva.
Uq mese dopo la sanguinosa scena di Santa Groce, e
precisamente il 30 giugno di queU'anno 1851» promulgavasi
in Firenze il Concordato conchiuso e sottoscritto il 25
aprile in Roma dal cardinale Antonelli e dal ministro Gio-
vanni Baldasseroni — che presiedeva al Governo grandu-
cale — e dallo stesso Sommo Pontefice vivamente soUeci-
tato (1). Il Concordato accrebbe il malcontento universale
6 turbè persino le coscienze timorate, causa le esorbitanze
délia Guria romana, la quale, per allargare Tautorità pro-
pria in Toscana, aveva di questa offeso la legislazione
giurisdizîonale : ciô che faceva nascere non molto di poi
gravi contrasti ira i Governi dei due Stati. Il Bargagli,
orator di Toscana in Gorte di Roma, lamentossi in nome
del suo principe délie eccessive pretensioni dei Guriali;
allora questi, che non volevano scontentare chi era stato
con loro si prodigo nel concéderez fecero atto d'umiltà
scusandosi col dire» che monsignor Massoni, legato ponti-
ficia in Gorte del Granduca, nel protestare contra le let-
tere circolari messe fuora dal Governo di Firenze su lo
(1) n 90 giugno da Borna il Sommo Ponteiice scriTea al Grandaca
cosi: tt Ginnsero m piena regola li articoli sottoscritti da Y. A«, ed ô
stata per me una vera consolazione di ayer yeduto condotto a tenmne
qoesta iniziatiTa di Concordato. Spero che il Signore vorrà spargeie
anche per qaesto nnoye misericordie su la Toscana, e yorrà benedire
l'A. V. per la rettitndine di sue intenzioni e per li sentiment! délia
sua religiosa pietà. Qui acchiusa troyerà la lettera che ho gi& sotto-
aeritta a tutti i YescoTl de' snoi Stati e che sarà diffusa subito che la
présente sarà giunta in Firenze. Nella prima parte degli articoli con-
cordat! e nella seconda parte insinuo le massime da adottarsi dal coipo
ep^pale. Piaccia al Signore di confermare e dare la opportuna effi-
cacia aile mie parole, come io di cuore lo prego a yolerlo fare. Biceya
l'Apostolica benedizione, che con sempre maggiore effosione di cnore
comparto a V. A. e a tutta l'impériale e reale fanûglia. n
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518 OAPITOLO IX
exequatur regio e sopra le af/îssioni esteme, aveva ope-
rato di suo talento. — Leopoldo, a mostrare quanto fosse
soddisfatto di taie riparazione, fece altre concessioni al
Vaticano ; délie quali la romana Curia subito abusô ; av-
vegnachè, non solamente si facesse lecito di pubblicare
nella Toscana le sentenze deU'Inquisizione di Roma, ma
dèsse persino ai tribunali del granducato il carico di man-
dare a effetto quelle che toccavano i sudditi del principe.
— Nel Concordato fu convenuto e fermato: = La potestà
ecclesiastica, pienamente libéra nel suo ministerio, deve
essere protetta dalla potestà civile; alla quale corre pur
l'obbligo di impédire e rimuovere gli scandali che offen-
dono il culto e la religione, e di dare lo appoggio suo alla
Ohiesa per lo esercizio délia potestà episcopale. I Vescovi
sono liberi nel pubblicare tutto ciô che spetta al loro mi-
nisterio. È riserbata agli Ordinari la censura preyentiva
délie opère e degli scritti che trattano di materie religiose;
rimanendo perô libéra ai Vescovi Tautorità di premunire
e allontanare i fedeli dalla lettura di libri perniciosi alla
religione e alla morale. È concesso ai Vescovi e ai fedeli
di comunicare con la Santa Sede; la quale acconsente
che vengano portate ai tribunali laici le cause civili délie
persone e dei béni degli ecclesiastici, o toccanti il patri-
monio délia Chiesa ; e quelle appartenenti alla Fede e ai
Sacramenti, aile sacre funzioni e ai diritti annessi al sacro
ministerio e le cause di lor natura spirituali o ecclesiar
stiche spettano esclusivamente al giudizio deU'autorità
chiesastica a norma dei sacri canoni. La Santa Sede con-
sente altresî, che ove trattisi di Gius patronato laicale, i
tribunali laici conoscano le quistioni su la successione al
patronato medesimo. I tribunali ecclesiastici giudicano
délie cause matrimoniali giusta il canone del Sacro Oon-
cillo di Trente. Rispetto agli sponsali, giusta il decreto
tridentlno e la BoUa < Ai^torem /îdei » la potestà ee-
clesiastica giudica délia loro esistenza e valore aU'effetto
del vincolo che ne dériva e degli impedimenti che po-
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TOSCANA, PARMA, HOBENA, NAPOLI 519
trebberonascere; e per gli eflfetti civili i tribunali laici
coaosceranno in separato giudizio le cause degli sponsali.
La Santa Sede lascia che le cause criminali degli Eccle-
siastici, per tutti i delltti estranei alla Rellgione sieno
xx>rtate ai tribunali laici, che devono dar le pêne pre-
scritte dalle leggi dello Stato (1). Nellrf contravvenzioni
aile leggi i tribunali laici puniranno con pena pecuniaria
gli ecclesiastici, non mai con altra corporale ; i quali poî
deggiono essere trattati come conviensi al loro sacro ca-
rattere quando sono sotto processo. I béni ecclesiastici
sono liberamente amministrati dai Vescovi e daî Rettori
délie Parrocchie e Benefizi durante il possesso dei mede-
sîmi ; 6 nel case di vacanza vengono amministrati sotto la
protezione e assistenza del Governo, da una Gommissione
di ecclesiastici e laici presieduta dal Vescovo. Quando
trattasi di Legati pii e di permutare lo impiego dei béni
ecclesiastici, le due potestà civile ed ecciesiastica si ac-
corderanno, e, se abbisôgna^ impetreranno Tassenso dalla
Santa Sede. = Questi patti del Ck)ncordato, sebbene stati
gîà discussi dal Pontefice, dai Gardinali e dal Granduca
sino dal 1849 nel ritrovo di Gaeta, pure non appagarono
pienamente la Guria romana, che avrebbe yoluto ancor
piu larghe concessioni alla potestà chiesastica; ne sod-
disfecero al Governo di Pirenze, il quale, dalle esorbitanze
délia setta cléricale (2), vedeva minacciata la propria le-
gislazione giurisdizionale, la più bella gloria di Toscana;
(1) Delittî estranei alla Rellgione e meramente ecclesiastici sono:
l'apostasia, Teresia, la simonia, lo scisma, la profànazione dei Sacra-
menti e ogni yiolazione degli offici ehe toccano al Ministerio ecclesia*
stieo e al cnlto di Dio.
(2) Vaolsi distingnere la setta cléricale dalla eaeta sacerdotale;
perô che la prima sia nimica sempre a liberté e a civile progresse,
Faltra no. Esempi di sacerdoti generosamente sacriâcatisi per la sainte
6 la libertà délia patria, e di sacerdoti che a viso aperto combatterono
la tirannide regia contansi nnmerosi nelle storie profane.
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520 OAPITOLO IX
e temeva altresi, avessero quelle ad accrescere il malcon-
tento destatosi nei popoll al negoziarsi del Coacordato.
Correva il maggio del 1852. Gravi mutameati erano in
quel tempo avvenuti in Europa: vinta dovunque la parto
libérale — perché poco concorde negli intenti suoi e meoo
ancora nei mez^ di raggiugnerli — i régnant! ayeyano
ripreso Tusata potestà assoluta, cul quattro anni innanzi
una dura nécessita ayeva costretti ad abdicare, e facevano
altresi ogni sforzo per ricondurre i popoli aile idée di un
passato» morto per sempre, e per impedlre Tavanzarsi délia
nuova civiltà. < da una parte la menzogna e la pre-
potenza monarchica, cosi Emilio Yisconti Yenosta (1), dal-
l'altra il diritto e il sacrificio repubblicano ; questo lo
spettacolo che allora offriva TEuropa. » — In Francia la
libertà agonizzava; ivi il nepote del gran capitano prepa-
ravasi, non a rinnovare il primo imperio — ch'egli potenza
di genio non possedeva per si grande impresa — sibbene
a creare un seconde col più nero tradimento. In Ger-
mania l'ordine e la tranquillità erano state ristabilite
con la forza délie armi, e con questa i principi tedesehi
aveano assicurato la legitttmità del loro potere e i diritU
sacri délie loro corone. L'Austria, domata la sollevazione
magiara con gli eserciti poderosi di Russia e rifatte le
catene poco prima spezzate dai popoli soggetti, areya
abolito la CosUtuzione ; in fine, nella penisola italiana
Pontefice e Borbone signoreggiavano Roma e Napoli con
autorità despotica; la Sardegna reggevasi a governo co-
stituzionale; e il suo Re, che aveva dato prove luminose
di molta fermezza, mostrava chiaramente di voler man-
tenuto con lealtà e in tutta sua pienezza lo Statulo giurato
al salire sul trono avito; e Leopoldo di Toscanaî già
spergiuro una volta, non volendo essere principe italiano,
(1) Parole di Visconti Venoata su « Lts révolutioni d'ItalU " di
Ed. Quinst.
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TOSCANA, PABMA, MODENA, KAPOLI 521
ma solamente Arcidtica austriaco, rompeva nuoyamente
fede ai sudditi suoi; e dal Vaticano prosciolto dal giura-
mento fatto a Dio» il 6 di quel mese di maggio revocava
lo Statuto fondamentale deilo Stato, già da tempo sospeso.
— « Quando in mezzo agli straordinari avvenimenti, scri-
veva il Granduca nello editto d*abolizione, che in Italia e
fuor si compievano, noi deliberammo di concédera alla
dilotta nostra Toscana più larghe istituzioni politiche,
promulgando il 15 febbraio 1848 lo Statuto fondamentale,
non altro desiderio ci mosse se non quelle di preservare
il paese dalle commozioni onde era minacciato, di confer-
mare la nostra maniera di governo con quella, che in
altri Stati vicini al tempo stesso adottavasi, e di contribuire
col nuovo sistema alla maggiore prosperità dei nostri
amatissimi sudditi.. Ma Tesito non rispose ai desidèri co-
muûi. I benefizi sperati non si raccolsero; i mali temuti
non si sfuggirono; e Tautorità nostra, disconosciuta da
prima, e resa inabile a operare il bene, dovette poi ce-
dere aile violenze di una rivoluzione, la quale abbattè
lo Statuto, e gittô la Toscana in mezzo aile più deplora-
bili calamità. Ristabilito indi a poco dal coraggio dei
Toscani rimasti a noi fedeli il governo legittimo, noi rin-
graziando la Provvidenza, che consolava cosi le amarezze
dei nostro esilio, accettammo il generoso fatto, riserban-
doci a restaurare, non estante la dolorosa esperienza, l'or-'
dinamento politico da noi fondato nel febbraio 1848, in
guisa per altro che non avesse a temersi la rinnovazione
^ei passati disordini. A raflfrenare nondimeno le macchi-
nazioni dei faziosi, sconcertate si, ma non dôme dal felice
ifucc€«so dei 12 aprile 1849, fu necessario assicurare la
quiète dello Stato conr mezzi straordinari ; e a proyvedere
^^ poi in modo spedito ed efficace alla migliore ammini-
âtrazione dei paese, noi dovemmo riprendere l'esercizio di
ogûi potere, fine a tanto che le circostanze generali d'Eu-
^opa e le condizioni particolari di Toscana e dltalia non
^ûsentissero di restaurare quel sistema di gorerno co-
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522 OAPITOLO IX
stituzionale. Frattanto gravissimi avvenimenti si sono
succeduti in Europa. La società, ove più, ove meno mi-
nacciata nelle sue basi, ha cercato e cerca la propria
salvezza nel rlpararsi sotto il principio délia autorità
libéra e forte. E mentre già nella più grande parte d'Italia
non resta ornai traccia dî governi costituzionaM, noi
possiamo andar persuasi che la maggioranza stessa dei
Toscani, ricorditrice délia quiète e délia prosperita limga-
mente godute, e ammaestrata dairinfelice esempio, senta
più presto il bisogno di sperare nel consolidamento délia
potestà e dell'ordine lo svolgersi d'ogni benessere dei
paese, di quelle che desideri di veder risorgere forme di
governo, le quali non consuonano ne con le patrie istitu-
zioni, ne con le abitudini dei nostro popolo, e feoero di
se mala prova nel brève période di loro esistenza. Ora,
poichè il vero bene dei paese esige e le condizioni gene-
rali richiedono, che il Governo dello Stato si costituisca
sopra le basi stesse, su le quali procédé fine al 1848, noi,
venuti perciô con animo tranquille nella determinazione
di promulgare le seguenti disposizioni, assicuriamo i Toscani
che continuera ad essere, fin che la vita ci basti, la prima
e più dolce cura per noi quella di promuovere nel nostro
diletto paese ogni maniera di morali e civili vantaggi-
Gosi Iddio ci soccorra e ci afforzi ogni di più la concorde
âducia dei nostri amatissimi popoli, mentre siamo consa-
pevoli che col nuovo ordinamento politico délia Toscans
tornando ad ampliarsi le prérogative dei potere, viene a
farsi più grave il peso dei nostri doveri. » — AUo editto
d'abolizione délia legge fondamentale dello Stato — e nel
quale il Grranduca aveva invocato il soccorso di quel Dio,
innanzi cui erasi fatto spergiuro — segui rabolizione délie
guardie civiche, il restrignersi délia libertà délia stampa,
per guarenttre efUcaicemente il rispetto dovuto alla reU-
gione, alla morale e alVordine pubbUco; si diminuirono
le franchigie comunali: e d'allora i Ministri resero conto
dei loro operato al principe soltanto. Cosi a poco a poco
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TOSCANA, PABMA, MOBENA, NAPOLI 523
a Toscana andava mutando i politici suoi ordinamenti per
;rasformarsi in provincia austriaca, e che Leopoldo II
)r6nd6ya a reggerla, non da régnante indipendente, ma
la luogotenente deirimperatore, gli interessi del quale
^gli non erasi vergognato di mettere innanzi agli interessi
lei sudditi suoi. A compiere taie brutta trasformazione il
ïrandnca dava aile milizie toscane Tassisa dei soldati del-
'Austria; e per ammaestrarle negli ordini e negli armeg-
jiamenti di questi, la Corte di Vienna mandavagli un
îolonnello suo, Ferrari da Grado, che Leopoldo creava
générale e comandante supremo di tutte le forze armate
dello Stato ; le quali, scritte nei ruoli, contavano dodici
mila uomini ; numéro che perô non fn raggiunto mai. Da
quel tempo le soldatesche di Toscana vennero considerate
proprio corne una divisione deiresercito austriaco; ciô che
feri al viyo il sentimento nazionale del paese. — Sicuri
dello appoggio e délia âducia del loro principe, i Minlstri,
più che a goyernare, diedersi a spadroneggiare ; essi cac*
ciarono dallo Stato gli usciti di Napoli e di Roma; perse-
guitarono e imprigionarono chi, fatta rinunzia al cristia-
nesimo, erasi ascritto alla comunità dei riformati; e
costrinsero persino il Granduca a ristabilire la pena di
ïûorte; la quale, abolita nell'anno 1786 da Pietro Leopoldo;
rimessa nel 1705; nuoyamente canceUata nel 1848 dal
codice pénale da Leopoldo II, il 12 novembre 1852 veniva
da questi ancora ristabilita per delitto di pubblica violenza
contra il Governo e contra la religione, di lésa Maestà,
di omicidio premeditato e di furto violente.
Il tentativo di Mazzini del 6 febbraio 1853 commosse vi-
vamente le popolazioni délia Toscana, ma non ne turbô la
^Tûete, avvegnachè a bene mantenerla vigilassero atten-
*^eate i presidi imperiali. Livorno era bensi preparata
^ levarsi a guerra nazionale; ma, giusta il comando di lui,
che aveva ordito la congiura, dovendo aspettare Tesito
^^Wa soUevazione di Milano, e questa essendo stata spenta
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524 GAFITOLO IX
in sul nascere, stette tranquilla. — La signoria straaiera.
che durava da quasi sei anni, era divenuta iasopportabile;
oltre recare forte offesa alla indipendenza dei Toscani e
al loro sentimento nazionalOi gravando quella dimolto su
Terario pubblico, dava origiae a nuovo malconteato : onde
il Granduca, credendo ornai assicurato il trono per se e
per la sua casa^ ristabilito Tordine e la tranquillità del
paese e allontanate le cause, che un tempo aveyano scon-
volto lo Stato, per mezzo di Lenzoni, orator di Toscana in
Corte di Vienna, pregava lo Imperatore a richiamare dal
granducato Tarmi austriache che lo presidiavano, promet-
tendogli di conservare l'usata amicizia e di accordarsi col
suo Governo in tutto quanto poteva œntribuire a man-
tenere la quiète nelVItalia e antivenire a qualunque scon-
volgimento politico nella medesima. L'Austria, soUecltata
da Francia e da Inghilterra, le quali vedevano di maie
occhio, avesse a durare piii a lungo il padron^giar del-
rimperio suo nella Toscana; in oltre, impensierita délia
guerra di Grimea, che aveva già messo sossopra tutta
TËuropa, faceva sgombrare il granducato dalle sue solda-
tesche; sgombramento che pienamente compivasi nel mag-
gio del 1855. — Nell'anno appresso Leopoldo II venira in
gravi timori per le audaci parole del gran Ministro del
Re di Sardegna, il conte Gavour, il quale, con somma
eloquenza e fine accorgimento, avea, nel Gongresso di
Parigi, chiamata Tattenzione dei rappresentanti dei grandi
Stati d*Europa, in quelle siedenti, su le miserrime condi-
zioni deiritalia, e yivamente censurato il contegno del-
TAustria verso quella; deirAustria, che sino dal 1849 oc-
cupando Parma e le Legazloni, spadroneggiava nella
penisola, corne fosse dominio suo. A dissipare i timori del
principe e le apprensioni de* suoi consiglieri, il conte
Buol, nel maggio di quell'anno 1856, scriveva di Vienna
al barone Hugel, oratore austriaco in Firenze, per far
conoscere a quelli gli intendimenti e i propositi del suo
Sovrano; il quale aveva risoluto di proseguire nella peni-
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TOSCAXÂy PABMA, MODEXA, NAPOLI 525
K>la Tusata politica, seaza darsi pensiero délie accuse
nosse nel Congresso parigino al Governo deirimperatore
lai rappresentante di Sardegna, Camillo Cavour, cui eglî
liegava il diritto di parlare in nome di tutta l'Italia e di
evarsi in censore privilegiato di quanto operavano gli
Stati indipendenti di essa. « Noi stessi, affermava il conte
3uol, abbiamo consigliato savie riforme ai Goyerni délia
^onisola nei limiti di una sana pratica e con tutti i rispetti
illa loro dignità e indipendenza giustamente dovuti Ma
ûamo convinti che i distruggltori deU'ordine non cesse-
ranno di drizzare lor macchine di guerra contra i Governi
Legittimi deU'Italia sino a quando vi saranno paesi che li
^PPOggiano e li proteggono, e uomini di Stato» i quali non
temoao di fare appelle aile passioni e agli sforzi, che
hanno per iscopo di abbattere l'ordine nella penisola.
Noi non vogliamo lascinrci sviare dalla direzione del nostro
contegno e aspettiamo risoluti gli avvenimenti, convinti
che lo atteggiamento dei Governi, stati come noi Toggetto
degli assalti del conte Gavour, non differirà dal nostro.
Pronti ad approvare le riforme bene intese, a incoraggiare
ogni miglioramento utile, emanato dalla volontà libéra e
illuminata dei Governi italiani, a offrir loro la nostra
cooperazione morale per lo svolgimenjx) délia loro prospe-
rità, TAustria è deliberata di adoperare tutte le sue forze
per respingere gli ingiusti assalti da qualsiasi parte essi
vengano, e a render vani, dove puô, i conati di coloro
che vorranno turbare il paese e favorire Tanarchia » (1).
— Rassicurati dalle parole del Ministre impériale, il Gran-
duca e i suoi consiglieri a Cavour — il quale, per togliere
al vassallaggio delUAustria la Toscana, avea proposto di
(1) Qnesta lettera-circolare del conte Buol, Ministro per gli aflari
estenii deil'Anstria — scritta il 18 maggio di queiranno 1856 -^
Tenne mandata aile Legazioni impérial! di Firenze, Borna, Napoli e
Modena.
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526 GAPITOLO IX
avvicinar questa alla Sardegna — non soltanto superba-
mente rimandarono Tonorevole proposta sua, ma fecersi
ad accusarlo di voler turbare Vordine e la tranquillità,
che allora godevansi dallltalia, A respingere le maligne
insinuazioni di quel consiglieri dissennati, Cavour soUecito,
in uno scritto da lui fatto di pubblica ragione, rispondeva
loro : = Non da ragionevole e temperato esercizio di una
liberté moderata pigliare nascimento le sollevazioni e i
perturbamenti ; la storia délia Sardegna di quegli ultimi
anni chiaramente provarlo. Il Governo granducale sapera
per prova avère, in moite circostanze, la Sardegna assai
efflcacemente cooperato a impedire torbidi nello interne e
fuora, e non essere certamente nel momento in cui esce
da una guerra cruenta e dispendiosa, impresa per la causa
deirordine, che possa accusarsi di fomentare il disordine
interne a se. Il Governo del ^Re, conoscendo gli obbligbi
che lo legano agll Stati vicini, li compie scrupolosa-
mente.
Le concessioni e le riforme introdotte nelle amministra-
zioni governative del Lombardo-Veneto daU' imperatorc
Francesco Giuseppe, quando dimorava in Milano — e f u
correndo il 1857 — costringevano a temperare i modi di
governo i principi d'Italia, che seguivano la politica del-
l'Austria; la quale, a compensare la loro servilità, accor-
dava ad essi la sua protezione — che doveva poi perderli
— e, alla bisogna, lo aiuto di sue armi. I miglioramenti
portati nel civile reggimento degli Stati essendo di assai
lieve importanza, e non sincera la moderazione dei regnanti,
non valsero ad accontentare i popoli, nei quali ogni di più
il sentimento nazionale andava affermandosi e cresceva a po-
tenza. Sperô il Granduca ricevere manifestazioni di affetto dai
sudditi, quando in compagnia del Pontefice percorse le
terre dello Stato; ma Leopoldo e Pio IX ebbero fredda
accoglienza dalle popolazioni toscane; le quali, se recaronsi
numerosi sul loro passaggio, fu solamente per vederli da
vicino, non per festeggiarli. * La memoria lasciata allora
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TOSCAN A, PARMA, HODBNA, NAPOLI 527
dâl Papa in Toscana, scrisse Antonio Zobi (IX fu quella
deile spese dal suo viaggio cagionate alla Corte e àllo
Stato. » — Dopo la restaurazione il Granduca fece ogni
possa per alienarsi l'amore dei sudditi ; nel tempo corso
dal ritorno di Gaeta al secondo lasciar la corona — che
non dovea più ripîgliare — il contegno suo e il suo go-
verno furono tali da rendere per sempre impossibile il
racqoisto del trono alla dinastia austro-lorenese, la quale
avea per centoventidue anni regnato sopra Toscana (2).
— La spedizione del colonnello Pisacane contra Napoli e
Tattentato di Felice Orsini su Napoleone Buonaparte ave-
Ci) Memorie ecanomico-politiehe, ecc.; voL i, cart. 306; Firenze, 1860.
Fa allora che i principali del clero tentarono indorre il Granduca a
togiiere la Chiesa di Toscana agli antichi ordinamenti leopoldini, i qnali
impedivano a quello di abnsare di sua potestà. Ha il principe, cni i
Ministri ayevano minaeciato di rinnnziare all'officio loro s'egli accondi-
scendesse alla demanda dei maggiorenti del clero toscane, pretessendo
la importanza délia cosa, prese tempo a deliberare, e fini per nnlla ac-
cordare.
(2) Nel 1718 la casa Medici, imperante sopra Toscana, contaya dne
principi, Cosimo m, già innanzd negli anni, e Giovanni Gastone, gio-
vane, ma la cui malferma sainte faceva temere non lontano lo spegnersi
di qnella famiglia, che teneva la signoria deU'antica gloriosa repnb-
blica di Firenze da un popolo indipendente e libero. Carlo VI d'Austria
chiedeya allora a fàvore d'uno di sua casa ai rappresentanti dei grandi
Stati d'Europa, raccolti a congresso in Londra, la Toscana quai fendo
impériale; ingiusta pretensione, che ebbe perô yalido sostenitore nel
Monarca francese, il quaie da lunga pezza ayeya inyaso oon sue armi la
Iiorena, principato degli Absburghesi. L'imperatore d'Austria, prefe-
rendo la ricca e bella Toscana a quello Stato poyero e minaeciato
sempie dalla vicina Francia, ceduta a questa la Lorena, nel 1736 fa-
(^eva gridare erede di Toscana Francesco délia impériale sua casa; il
qoale, senza por tempo in mezzo, recavasi a Firenze per yegliare su
rinfermo Giovanni Gastone; alla cui morte, awenuta nel 1737, Fran-
cesco di Lorena saliva al trono di Toscana. Délia dinastia d'Absburgo
~- che su quella regnd sino al 1859 — quattro principi tennero il
^tanducato: Francesco II, Pietro Leopoldo I, Ferdinando m e Léo-
poldo n.
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528 CAPIT0I.0 IX
vano chiarito quaata passione bollisse di quei gioriii in
Italia. Avvertiti dal Govemo di Prancia délia congiura
ordita da Mazzini, quei délia penisola poterono coq lieve
sforzo opprimere, in sul nascore, le soUevazioni di Genova
e Livorno — délie quali diremo nel corso di queste
istorie (1) — e mandare a vuoto il tentative del colonnello
Pisacane. Il Granduca, sempre pieno di paura e di sospetti,
toise occasione dal moto di Livorno per tornare agli antichi
rigori, che, corne poco sopra scrivemmo, era stato dal-
TAustria non molto innanzi costretto di allentare: onde
allora il malcontento délie moltitudini mutossi in ira, e
crebbe l'odio verso lui, verso sua casa nella parte libérale,
al quale odio il Granduca con pari odio rispose.
Il 1858 avvicinavasi al suo fine, quando il raffreddarsi
deiramicizia, che per lo addietro aveva legato insieme i
Governi di Napoleone Buonaparte e di Francesco Giuseppe
e il crescere altresi dei mali umori delFAustria verso
la Sardegna facevano nascere nel cuore degli Italiani la
speranza di prossima guerra tra quei due potentissimi in
Europa. Dei popoli délia penisola ultimi non furono i To-
scani a commuoversi e ad accostarsi alla Società Nazionak.
la quale, costituitasi sotto gli auspici e per opéra di Da-
niele Manin, Giorgio Pallavicino e Giuseppe La Farina —
ferventi apostoli di libertà — andava allora allargandosi
in tutta Italia gridando la îndipendenza e la unificazîone
délia patria con libero reggimento e con la casa di Savoia.
I Ministri di Leopoldo, appena si awidero del maneg-
giarsi di quella Società e dello agitarsi del popolo, credet-
tero di potere allontanare la tempesta — già romoreggiante
sul trono del Granduca — temperando alquanto lor modi
di govemo; ma era tardi, awegnachè, se alcuni, teneris-
simi deirautonomia toscana e devoti al principe, tenessero
(1) Vedi il capitolo iv del terzo volnme di queste istorie.
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T080ANA, PABMA, MODBNA, NAPOLI 589
per la monarchia del Lorenese — da rinnovarsi perd
costitnzionalmente e civilmente corne volevano i nuovi
tempi — la parte maggiore délie popolazioni, seguendo la
bandiera délia Società NazionalSy mirasse alla Sardegna e
al suo Re, che soli potevano raggiugiiere lo scopo uni*
versalmente desiderato. E quando Napoleone Buonaparie
all'oratore austrlaco nel solenne ricevimento del primo
gennaio 1850 parl6 con severa giustizia del 6K)verno di
Yienna, e pochi giorni dopo Yittorio Emanuele, inauga-
rando la sessione parlamentare, ai rappresentanti délia
nazioue e ai senatori raccolti in Assemblea, nel dire dei
gridi di dolore che alzavano a lui gli Italiani oppressi da
tirannici reggimeati, pronunciô animose e forti parole, i
ptii generosi di quella nobilissima terra, che fu sempre la
Toscana, corsero a scriversi nello esercito sardo, allora
tutto intente a ordinarsi per la terza riscossa. Il conte
di Cayour, il quale attentissimo vigilava per cogliere qual-
siasi occasione che potesse aiutarlo nella impresa diae-
gnata e risoluta contra TAustria, accortosi dei gravi timori
lu ctti di quoi giorni erano venuti i t&nidi consiglieri del
^^randuca, causa il manifestarsi minaccioso délia opinione
pubblica, diedesi a tentarne gli animi ; e per Carlo Bon-
compagni, oratore regio presse il Governo di Pirenze, posti
inuanzi a quelli i pericoli che il loro principe correrebbe
se nel caso di guerra si mantenesse neutrale — guerra che
reputayasi proprio inevitabile contra la signoria straniera
~~ e i vantaggi che Leopoldo potrebbe trarre da una lega
coa la Sardegna, studiossi di indurli a far causa comune
<^ntra il comune nimico. Oonsigliavali anche a ciô il Go-
verno francese ; il quale, sebbene credesse che la Toscana,
^w avendo in animo di prender parte alla guerra, si
^^f'omsse tra quegli Stati, che il diritto pubUico considéra
^^ralmente neutri (IX pure, desiderando esso arden-
(1) Lettera del 26 aprile 1859 dello incaricato di aifori délia To-
*^^*ûa in CoTte di Parigi al Goyemo di Francia.
^ -- VoL n. MàRUJKl — Storia pcl. • mîZ.
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630 OAPITOLO IX
temente il bene di quel paese e délia famiglia graaducale,
desiderava si accordasse con Prancia (1). Ne dello invito di
Oavour (2), ne dei consigli, che in nome deirimperatore Na-
poleone aveva lor dato Walewski, curaronsi i Ministri del
Granduca; 1 quali, sia che non reputassero vicinissimo il
rompersi délia guerra sul Ticino, sia che ponessero fede
illimitata nella mediazione inglese e nella neutridità che
di serbare scrupolosamente affermavano, non soltanto 1^
sciarono liberamente passare in Sardegna fX>lontari d'ogni
condizioue e classe di cittadini, ma concederono anche a
Yincenzo Malenchini di ordinarne una grossa compagnia
in Livorno e, ammaestrata ch'ei Tebbe nel maneggio délie
armi, di condurla a Genova.
Appena Garlo Boncompagni seppe dal suo Goyerno délia
superba intimazione deirAustria alla Sardegna, senza por
tempo in mezzo domandô, per lettere, ai Ministri del Gran-
duca, avesse questi a stringersi in lega con Vittorio Ema-
nuele per combattere insieme agli eserciti di Francia Top-
pressore dltalia ; assicurandoli che dal Re « rispettavasi
Vautonomia degli Stati, aventi lor ragione di essere nella
configurazione del territorio, nelle tradizioni délia sto-
(1) Nella lettera su citata deirorator di Toscana, Nerll, in Cortedi
Francia, sta scritto cosi: « Walewski confidenzialmente mi disse,
essere due le vie aperte a noi : lo statu quo , nentralitil dichiarata o
no, 0 raccorde con Francia. Nel primo caso non si mette più in dnbbio
che, trattandosi di gnerra nazionale, il Govemo nostro sarebbe per lo
meno soperchiato ; nel secondo, Tlmperatore, mosso unicamente da con-
siderazione di stima, riconoscenza e affetto per la nostant dinastia, si
obbligherebbe a gnarentibrle, aile condizioni meno onerose, la corona di
di Toscana... »
(2) u £ perché Cayonr avrebbe volnto, cosi Nicomede Bîanchi, ehe
ne' campi di gnerra le milizie regolari italiane si fossero trorate ad-
dirittnra maggiori o almeno ngnali in numéro aile francesi, cm egli
non ayeva ristato dal fare nnoyi tentativi per indnrre i GoTerai di
Napoli e di Firenze alla compartecipazione deU'impresa nazionale » (*).
(*) n conte OamOlo di Oaoomr, cart 09; Torino, 186S.
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T080AHA, PABMA, MODBNA, HAPOLI 531
fia, negli interessi dei popoli italiani. Che nello accinr
gersi alVitnpresa — la quale, se riescisse, sarébbe la piû
grande di quante la storia (Tltalia serba ricordanza —
la Sardegna non ambisce la propria preponderanza, sib-
hene il vantaggio comune dei principati e dei popoli délia
penisola; che se poi gli altri Stati erano in condizioni
tali da non dare speranza veruna di lor coqperazione,
la Sardegna amava conservare la /îducia che la Toscana
trovavasi in condizioni migliori » (1). Il ministro Lenzoni^
cui almeno per ragione di urbanità correva obbligo di ri-
spondere a Boncompagni, si tacque forse per tema di met-
tere, scrivendogli, il nome e il credito suo a repentaglio;
e nemmeno Leopoldo diedesi per inteso di quel soUecitar
^i lega deiroratore di Sardegna, torse per la sicurezza
piena e intiera da lui riposta nella fedeltà e devozione dei
soldati suoi; ne per quanto i principali dei Fiorentini lo
pregassero a cedere aile nécessita dei tempi, e, col far
paghi i Yoti dei popolo, sàlvare a se la corona e al paese
la tranquillità e la pace, egli non solamente stette fermo
ne* suoi propositi di resistenza, ma chiarissi pronto a ri-
corre aile armi per punire gli amatori di novità, quando
tentassero offendere i suoi diritti di principe. Il Granduca
e i Ministri eransi cosi stupidamente incaponiti nelle fatte
<)eliberazioni ritenendosi forti tanto da piegare le cose alla
loro volontà — montre essi stessi avrebbero dovuto pie-
rre lanimo aile esigenze veramente imperiose dei mo-
mento — da non pigliarsi pensiero dello affratellarsi dei
soldati coi cittadini allora pubblicamente awenuto. Dio,
che voleva perderli, aveali accecati sul pericolo, al quale
per la insensata loro ostinazione andavano incontro: non
i giorni, ma le ore per la casa di Lorena erano contate!
^ Il 27 aprile Alessandro Danzini, maggiore noUe arti-
^0 Qnesta nota yenne mandata da Boncompagni al ministro Lenzoni
^^ mattino dei 24 aprile.
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532 OAPITOLO IX
glierie, e Alessandro Capellim, comandante délia cavalleria,
portavansi di buon maitino al -Granduca per ayyertirlo
délia forte agitazione in cul trovavasi allora la milizia, sa
la cul devozione alla dinastla, affermayano essi, non pot^
yasi fare fondamento yeruno. Leopoldo, che non ayeva vo-
lato yenisser quelli in sua presenza» per mezzo del gene^
raie Ferrari da Grado comandô loro di fare soUecitamente
noto ai soldati: essere egli pronto a operare qttanto dai
tempi eragli richiesto. Danzini e Gapellini, tornati di li a
poco con altri offlciali al palazzo granducale» a Leopoldo
— che ayeya doyuto a suo dispetto riceyerli — fattogli con
franche parole conoscere il yero stato délie cose, sfor-
zaronsi di indurlo a soddisfare ai desidèri del popolo; il
quale, risoluto di leyarsi a tumulte, raccoltosi numerosis-
simo in su la piazza di Barbano , già fortemente romo-
reggiaya. Stretto dalla nécessita del momento il Granduca
tutto concédé al popolo, che allô apparire délia bandiera
dei tre colori posô ogni minaccia. L*arcidaca Carlo -
secondogenito di Leopoldo — il quale poco prima avova
condotto la granduchessa e i fratelli minori in Belvédère (1)
— - fortezza ben munita, dalla quale poteyasi fùlminare Fi-
renze — chiamati a se gli offlciali del presidio, faceva lor
leggere uno scritto del comandante suprême, Ferrari da
Grade, in cui questo antiveggente générale aveva det-
tato, sine daU'anno innanzi, le norme per bombardare ein-
cacemente la città nel caso di ribellione popolesca. Ter-
minata la lettura, il luogotenente nelle artiglierie Dario
Angelini aU'Arciduca, che ingiugneyagli di tenersi pronto
con sue artiglierie, con la piii lodevole franchezza rispon-
deya: = Impossibile compiere quanto era stato dettatodal
générale, essendo tutti i soldati fermissimi a non trarre
contra il popolo, col quale diyideyano lo entusiasmo per
(1) L'arcidnca Ferdinando, il primogenito, era rimasto ool padrenel
palaszo Pitti.
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T080ANA, PAIUCA, MODBNA, KAPOLI 533
la guerra nazionale, e che essi desideravano ardente-
mente di combattere; il Sovrano e la famiglia sua essere
stati ingannati da chi aveya fatto lor credere il contrario.
= Pochi istanti dopo la bandiera italiana innalzossi su la
fortezza di Belvédère, salutata del presidio con gridi di
gioia; e salda vi stette, non ostante il protestare deirAr-
ciduca e il comando suo di toglierla di là: erano allora
le undici antlmeridiane. Non paga délie concessioni di Leo-
poldo, la parte libérale domandava Tabdicazione del prin-
cipe in favore del flgliuolo Ferdinando; la rimozione dei
Ministri, del générale e degli offlciali chiaritisi awersi alla
Tolontà délia nazione ; l'alleanza con la Sardegna; la pronta
cooperazione alla guerra di tutte le forze armate délia
Toscana sotte il comando di Gerolamo Ulloa e Tordina-
mento délie libertà costituzionali. — Leopoldo II, affermando
che Tabdicazione alla corona eragli vietata dalla coscienza
e dalConar suo, e dichiarando irriti e nulli gli ordini che
àa qualsiasi potestà venissero sino da quel momento emor
iML% disse di volersi subito allontanare dallo Stato con
tutta la famiglia sua; e in fatto, poche ore dopo lasciô
Pirenze, lasciô Toscana, ch'ei non doveva più rivedere(l).
Perla sua partenza venue in grande allegrezza il popolo,
che ito al palazzo délia legazione sarda acclamô a Yittorio
Emanuele e alla Sardegna, scendenti in campo contra l'op-
pressore d*Italia. E Boncompagni dal balcone di sua stanza
in nome del Re e délia Sardegna, fatto plauso al noMle
« civile contegno dei Fiorentini, invitoUi a osservare le
^Qgi; a rispettare le persone e le proprietà pubbliche e
pivate; a mantenere la quiète, e i soldait anche la mir
litare disciplina; e dopo aver dette che a quanti deside-
(l) << Leopoldo n e i snoi consiglieri, cosi Nicomede Blanchi, voUero
'^iiuinere anstriaci e presero la via di Yienna nella stolta credenza di
CBsere in brève ricondotti a Firenze dalle armi impérial! » (*).
nu
«ONte OohmUo di Oammr, cart 71 ; Torino, 1863.
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&B4 CAPITOIiO IX
ravano combattere per la patria era loro aperto il campe,
eonchiadeva il suo concionare con queste sentenze: « 11 Re,
eui stanao sommamente a cuore le sorti délia Toscana,
provrederebbe alla sicurezza dello Stato e aile nécessita
délia guerra, senza preoccupare il deflaitivo assettamento
del paese, perô che la Sardegna muovesse le armi per la
indipendenza patria, non per ambiziosa conqnista; si ricor-
dassero, che la indipendenza e la libertà ottengonsi per
Tirtù di sacriflzi, di concordia e disciplina. » — A reggere
lo Stato, avendo tutti i Ministri lasciato Tofficio loro, il Ma-
gistrato dei Priori aile sei pomeridiane di quel giorno 27
aprile creô un triumvirato, chiamando a comporlo Ubal-
dino Peruzzi, l'avvocato Vincenzo Malenchini e il maggiore
nelle artiglierie Alessandro Danzini (1); i quali, in un ma-
nifeste pubblicato nella sera, parlarono cosi ai Toscani:
« Il Granduca e il suo Ck)verno, anzichè soddisfare ai giusii
desidèri in tanti modi e da tanto tempo manifestati dal
paese, lo hanno lasciato a se stesso. In questi frangenti û
Municipio di Firenze, solo elemento di autorità qui ri-
masto, adunatosi straordinariamente, volendo proTvedere
(!) Fn per coiudglio di Boncompagni che il Magiâtrato dei Pziczi
elesse qaenti tre cittadini al govemo délia cosa pnbblica. « H Magi-
strato dei Priori in Firenze, considerando che aebbene alla Hagiâtratnra
non consti officialmente che S. A. B. il Grandaca sia per lasdare il It^
ritorio toscano dirigendosi yerso Bologna : considerando che dalle lEdor-
mazioni prese dalla Magistratora e ^lla lettera di questo giomo «ii-
letta dal Ministre sardo a qnesto nostro Qbnfaloniere , non che dalk
lettera del ministro Baldasseroni diretta al Ministro francese resold
la yerità di questo fatto : considerando che non apparisce avère il Pzin-
oipe emessa vemna disposizione relativa a chi deye rappresentarlo nella
di Ini assenza e assnmere le ingerenze govemative: considerando che a
eyitare le grayissime calamità che potrebbero yerificarsi nella initnfaBy.i,
anche momentanea, dell' opéra govematiya iôb, di nécessita che il Mrt
nicipio venga a nn proyvedîmento atto a prevenirle : per qnesti motivi
la Magistratura aderisce alla nomina di nn Goyemo temporaneo, e-l
elegge a comporlo i signori cayaliere IJbaldino Peruzzi, ayyocato Ti>
cenzo Halenchini e il maggiore cavalière Alessandro DanzinL **
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TOSOANA, PABMA, MODENA, NAPOLI 535
alla suprema nécessita di non lasciare la Toscana senza
aoyerno, ha nominato i sottoscritti a reggerla temporanea-
mente. Toscani! Noi abbiamo assunto questo grave incar
rico pel solo tempo necessario a S. M. il Re Vittorio Ema-
nnele di provredere tosto, e durante il tempo délia guerra,
a reggere la Toscana in modo che essa concorra efflca-
cemente al riscatto nazionale. Gonâdiamo neiramore délia
patria italiana che anima il nostro paese, afflnchè Tordine
e la tranquillità vengano mantenuti ; con Tordine e la di-
sciplina soltanto si giugne a rigenerare le nazioni e a
vincere in guerra. »
Uscito di Firenze, Leopoldo prese la via di Bologna,
scortato da molti offlciali di ogni grade e da una presa di
gente d'arme, e seguito dalle carrozze délie legazioni stra-
niere entre cui stavano i segretari di quelle. Da Bologna
il Granduca portossi a Ferrara, ove di moto proprio scrisse
una vivissima protesta, nella quale, dopo avère accusata
la Sardegna di eccitazione alla ribellione délia Toscana,
disse délie violenze usategli, che avevano per iscopo
di obUigarlo a consentire ad atti contrari alla sua vo-
lonté, al decoro délia sua persona corne Sovrano e a
dichiarare la guerra alVAusiria, offendendo cosi il primo
diritto di sua sovranità: onde avea dovuto lasciare la
Toscana amata e cercare asilo in uno Stato amico, H
mattino del 27 aprile avère egli già protesiato solenne-
mente in Firenze, dinnanzi a rappresentanti dei Oo-
f^rni amici, contra tali violenze, e dichiaraii irriti e
mlli gli atti stessi (sic); protestare nuovamente in quel
giorno, primo maggio, contra le violenze usategli e
confermare la nullité di quegli atti, tendenti ad aMattere
lo stato délie cose, sanzionato dal trattato di Vienna del
1815 e guarentito dagli Statt d'Europa. — Il giorno ap-
presso a quel délia partenza di Leopoldo II, i Triumviri
scrivevano al conte di Oavour pregandolo di far si, che
il re Vittorio Emanuele avesse ad assumere la dittatura
délia Toscana durante la guerra. « Il sentimento délia in-
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536 CAPITOLO
dipendenza nazionaie, diceyaao easi, e l'ardente desîderio
di concorrere a riscattarla nella lotta che si sta prepa-
rando, hanno dato luogo a un movimento irresistibile, oui
tutte le classi dei cittadini con entusiasmo presero parte...
La grande mutazione di cose ayvenuta nel loro paese ha
dunque proceduto da un solo movente ; il desiderîo di con-
correre alla guerra deirindipendenza italiana e dî parte-
cipare ai sacrifizi di essa e alla gloria del nazionale rï-
scatto. Questo essendo stato il carattere esclosivo del
movimento compiutosi in Toscana, a chi meglio potreb-
bero temporaneamente affldarne i destini, se non al Go-
yerno del Re di Sardegna, che a si nobile causa tante
prove ha già dato di sua lealtà?... La Toscana conserve-
rebbe frattanto, anche in questo période transitorio, la sua
autonomia, una amministrazione indipendente da quella
délia Sardegna e il suo assetto définitive dovrebbe aver
luogo a guerra finita, e quando si sarà proceduto all'or-
dinamento générale d'Italia. É una specie di tutela che si
Invoca non solamente nello interesse délia Toscana, ma
délia causa comune,.. > — Alla lettera dei Triumviri sol-
lecito rispose il gran Ministre di Sardegna (1) ; il quale —
chiaramente veggendo come i Toscani volessero bensi la
indipendenza délia patria italiana e intendessero coo-
perare con le armi allô acquisto di essa, senza perô
rinunciare alla propria autonomia — signiûcô a quelli:
non potere il Re, per ragiane dCalta convenienza polidca,
accettare la dittatura offertagli nella forma messaçli
innanzi. Per dare unità al govemo délia guetta assur
mère egli il comando supremo délia milizia toscana e
Vautorità necessaria a bene ordinarla e a prowedere cià
che necessario fosse per condurre a biMn fine Vimpresa.
Assumere eziandio la protezione del Govemo toscane, a
taie iu>po delegando la necessaria potestà al sîm) rappre-
sentante in Firenze, il ministre Boncompagni, il quale
(1) La risposta fa scritta da Cavour il 30 aprile.
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TO80A.NA, PA&MA, KODBNA., KAPOLI 537
sarebbe âCallora anche Commissario straordinario del Re
per la guerra di indipendenza. Ed ecco corne il conte di
Gayour con Tosata sua sottilissima arte alla dittatura con-
dizionata seppe surrogare un protettorato diplomatico. In
\rerità questo non sarebbesi voluto dai Triumviri, cui so-
prastava Ubaldino Peruzzi; il quale» per essere di parte
moderata e fautore caldissimo délia autonomia toscana,
dovanque gli tornô possibile fece prevalere le idée délia
sua parte. Una délie prime cure del Triumvirato fu quella
deirordinamento e accrescimento délia milizia, il comando
délia quale conferi a Gerolamo UUoa, proprio di quel
giorni chiamato dal Governo sardo a capitanare la legione
dei Cacciatori degli Appentiinij che allora mettevasi as-
sieme per la imminente guerra. Ma il lavoro di quel gé-
nérale fu si lento, che parte nessuna aile militari opera-
zioQi di Lombardia venue presa dalla milizia stanziale di
Toscana, ne dai yolontari, schieratisi sotto le insegne na-
zionali in numéro si grande, da far credere ai Triumviri
non necessario levar nuoyi soldati; la quale cosa chiari
la insipienza somma del Governo nelle faccende délia
guerra. Ne questo fu Tultimo de' suoi atti insipienti, av-
Tegoai^hè poco appresso, per togliere di prigionia e ri-
cUamare dairesilio in patria coloro che dalla passata
dominazione erano stati condannati a quella o a questo,
concédasse piena amnistia ; la quale parola solamente si
usa da Sovrano che abbia patito ingiuria o offesa! — In
snl cominciare di maggio i Triumviri lasciarono l'offlcio
d'accordo col commessario regio Boncompagni ; che ebbe
^ affermare : il Governo temporaneo, avendo compiuto sua
iQissione, dover trasferire in lui i poteri tenuti sino allora,
« che egli eserciterebbe in virtù délia autorità conferi-
^Qli dal Re, in modo perd da serbare alla Toscana tutta
^ sua indipendenza (1). Giô fatto Boncompagni, a com-
(1)
^posta alla domanda dei Triumviri su la potestà che spettaya
LcomnafiniL
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538 OAPITOLO IX
porre il nuovo reggimento, chiamô Bettino Ricasoli al go-
verno délie cose interne; Cosimo Ridolfi a quelle délia
istruzione pubblica e, temporaneamente, anche degli affari
eeteriori ; voile Ministre sopra le rendite dello Stato lUf-
faele Busacca; sopra la giustizia Enrico Poggi; sopra le
armi Vincenzo Malenchini, e su le faccende del Culto
Vincenzo Salvagnoli. Alli 11 maggio poi in un manifesto
aile popolazioni fece conoscere d'avere decreiata la insti-
tuzione di una Consulta di Govemo, la quale d&ma
riunirsi in assemiblea ogni mese per esaminare le cose
più importanti delVamministrazione e convocarsi anche
dal Governo, quando lo repuiasse opportuno (1). — Qui
sospendiamo il racconto dei casi di Toscana per narrare
quelli dei Ducati padani.
Parma e Piacenza, Modena e Reggio — divenute perla
fuga dei loro prîncipi libère e padrone dei propri destin!
— quando videro il re Carlo Alberto intendere alla co-
stituzione di un forte regno nell'alta Italia, univansi alla
Sardegna; al cui esercito sin già dal cominciare délia
guerra di Lombardia avevano congiunto lor soldatesche,
Oaduta neU'agosto del 1848 la fortuna délie armi sabaude
presse Milano, Radetzky faveva invadere da sue genti i
Ducati del Po; e, rimessivi gli antichi ordini, tornavali in
potesta di Garlo III di Borbone e dello estense France-
sco V, la signoria dei quali veniva, pochi mesi di poi, af-
fermata dalla vittoria degli Austriaci a Novara. — Tristis-
simi per Parma e Piacenza corsero i primi anni délia
(1) La Camulta toscana era composta di qaarantadne onorandissini
cittadini, dei quali molti in grande ripatazione e credito, tutti poi
presiednti da Gino Capponi; e yogliamo ricordare i nomi di Bartolommei,
Qonfaloniere di Firenze; di Neri Corsini di Laiatico, Lmg:i Pigny»
Lambraschini BAfFaele, e i professori Atto Vannucci e Zannetti Ferdî-
nando. Tutti i membri délia Consulta e il suo présidente vennero eletti
dallo stesso Boncompagni.
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T080AKA, FABMA, MODXKA, NAFOLI 539
restaurazione borbonica. Carlo III (1), principe dissoluto e
malyagio, in brève tempo riempi lo Stato di sue brut-
ture e di guai ; inchineyole per natura a disonestà, ei non
vergognossi di fomentarla negli altri ; tiranneggiô sempre,
non goyernô mai; il suo volere tenne in conto di legge;
le cause politiche fece trattare non da tribunali civili, sib*
bene da tribunali militari, nei quali siedettero giudici i
soldati deirAustria. Un dei primi atti del suo governo fu
la chlusura délie scuole universitarle, che sotto il regno
suo non yennero riaperte mai. Per vie più assicurarsi il
trono — non bastandogli lo appoggio délie baionette au-
striache — pose lo Stato sotto lo imperio délie leggi mi-
litari, non estante la tranquillità del paese, il buon con-
tegno délie popolazioni e la promessa data solennemente
nel manifeste ai sudditi, del 18 maggio 1840, di volermeir
tere con cura sollecita le hasi per uno Staûuto consentor
neo aile esigenze di una sana polîtica. Bene egli concédé
libero il ritorno ne'domini suoi agli usciti per gli ultimi
rivolgimenti politici (2), dando fede che non avrebbero a
soffrire molestia di sorta; ma siibito dopo aver bandito
il perdôno il Duca inferoci con le persecuzioni e le spo-
gliazioni a danno di cittadinî onestissimi; e giunse persino
a punire col bastone e con le verghe — seguendo in ciô
Tesempio inumano dell'Austria — uomini di ogni età e
(1) Carlo n aTOTa abdicato alla signoria di Parma e Piacenza il 14
marzo 1849 in Weisstrop, terra di Sassonia, a fayore del flglio, che fa
Carlo ni; il quale prese possesso del dacato il 18 maggio di quel-
l'anno, giorno del Bolenne suo ingresso in Parma sotto la protezione
délie armi austriache.
(2) n laogotenente maresciallo Di Stnrmer, Goyematore snpremo
civile e militare degli Stati parmensi, con nn suo bando dell'8 ago^
Bto 1849 annnnzift aile popolazioni il perdôno del Dnca, dal quale fa-
rono esclnsi il conte Lnigi Sanvitale, ravrocato Pietro Gioia, il conte
Gregorio di Castagnola coi due suoi figlinoli, il dottore Pietro Pelle-
grini, il capitano Engenio Leonardi, il laogotonente Angelo Grossardi,
il calzolaio Enrico Azzoni e il fratello suo Ginseppe.
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540 OApITOLO DC
condizione, che infami delatori, per sete di oro e privata
vendetta, aveyano incolpato di atti di disprezzo alFautorità
ducale, di censure al Governo, e d'avere risposto con beffe
ai soldati e agli officiali (1) che a bello studio aveYanli con
le piii triviali insolenze provocati. Ne il Duca rispettô la
casta ecclesiastica, avregnachè nel settembre 1849 non
più iollerasse Tordine religioso dei Benedettini, e pochi
mesi dopo chiudesse il ricchissimo collegio Alberoniano di
San Lazzaro presso Piacenza dei Padri Missionari, e i béni
di questi e dei Benedettini egli dèsse da amministrare allô
Stato: ne di ci6 la Gorte papale fece proteste o mosse la-
menti. A rendere vie più odioso un goyerno tanto aspro e
ingiusto, Carlo III nel 1851 creava una Giunta sindaca-
trice délia vita morale e politica dei pubblici officiali, me-
dici, notai e degli avYOcati ed anche dal comportarsi nello
esercizio dei loro doveri e délia loro professione. A rifor-
nire poi lo erario impoverito dalle insensate sue dilapida-
zioni accresceya il prezzo annualmente pagato dai fit-
taiuoli per li poderi che erano patrimonio dello Stato; e
nell'anno appresso — il 1852 — sentenziando essere tutte
le minière dei ducato proprietà dello Stato, serbavasi il
diritto di accordarle, per le escayazioni, a chi meglio gli
(1) n 24 settembre 1849 un di Parma ebbe yenticinque bastonate
per eanti e sehiamazzi noUumi; il 28 pni di quel mese otto terrazzani
di Gainago ftuono poniti col bastone, il più colpeyole con qnannta
colpi; sei, con yenti; nno, oon dodid soltanto per essere graeiUemor
laticeio; il 3 ottobre, di tre terrazzaid di Soragna imo ebbesi tieata
colpi, il seconde yenti e il teraso qnindici colpi di bastone per eamani
aediziose e mali sentimenti; il 6 ottobre, in Pontremoli, tre oontadini
di Argenzio yennero pnniti oon yenticinqne bastonate ciascnno, |i«r es-
sere disturbatori délia pubbliea tranquillità ; ne ebbe pur yenticinqne
il 18 ottobre nn di Parma per aivere indotto un aoldato austriaeo ad
ubbriaearai; il 22 ottobre a nn contadino di Gastelnnoyo di Tern too-
carono qnindici bastonate per parole di sprezzo alh stemma reaie; nn
di San Donnino pati qnindici nerbate per tenere in sua easa due medor
glie con V effigie di Pio IX; eco.
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TOSOAJVAy PABUA, MODBNA, KAPOLI 541
piacesse, a patto d*anauo tributo. A vantaggio délie indu-
strie austriache, ma a grayissimo danno délie paesane,
Carlo m, per comandamento del Goyerno di Vienna, strin-
geva nel medesimo aano con Timperio una lega doganale,
già messa innanzi da quel Gk)yerno sino dal 1840. — Le
yiolenze e le continue ingiurie ai cittadini, la dissolu-
tezza dei costumi e le disoneste azioni del principe furono
punite dal ferro di un assassino; il quale, per yendicare
an oltraggio da lui riceyuto, il 26 marzo 1854 in Parma
scontratolo per yia a tradigione Tuccise (1). La vedoya
sua, Luisa di Borbone (2), prese allora le redini del go-
verno per Roberto, suo primogenito, che contaya sei anni
appena, subito yolgendo tutte sue cure a sanare le piaghe
arrecate allô Stato dalla cattiya amministrazione ; impresa
assai ardua, ayyegnachô fossero gli ordini tutti pieni di
confusione o sconyolti. I saggi proyyedimenti délia Reg-
gente, sebbene non basteyoli a compiutamente rimediare
ai mali onde erano afditti i popoli soggetti, meritarongli
Iode non poca; e ayrebbe ayuto Iode maggiore e con ef-
ficacia proyyeduto alla félicita dei sudditi, se — allonta-
nati i tristi consiglieri inyiati a lei da quella Gorte, che
mirara farla odiosa al paese — ayesse impedito, corne fa-
eiimente poteya, la ribellione la quale nel luglio 1854
turbô Parma; essa al contrario preferi attenderne lo scop-
pio, allô intente di spegnerla poscia nel sangue (3). La
(1) Se il Daca ayesse avato cura di ciicondarsi d'aornini onesti, cer-
tamente sarebbe stato temperato ne' snoi godimenti; ma per sua syen-
tnra e danno dei sudditi, egli non ebbe che eortigiani^ la cni bocca si
âpre soltanto per la menzogna e Tadulazione.
(2) Lnisa di Borbone era figlinola di Carlo Ferdinando d'Artois, morto
£ pngnale in Parigi il 14 febbraio 1820.
(3) n primo Inglio 1854 Piaoenza tnmnltnô per la carezza dei yiyeri;
nta prestissimo qmetossi. n 22 di qnel mese stesso in Parma , essen-
doTisi sparsa la yoce di moti repnbblioani a Genoya, da dnecento dt*
tadini leyayansi in su Tarme per tentare noyità; se non che assaliti
^Ue soldatesohe dncali, prépondérant! d'aseai per numéro, ftarono con
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542 OAPITOLO IX
Duchessa, resa crudele dai timori di nuovi soUevamenti,
dei ribelli venuti a sua mano condannaya a morte
i capi, gli altri mandava aile carceri dl Mantova, e met-
teva il dominio suo sotto lo imperio délie leggi militari.
Vinto il debole tentativo di sollevazione e tornata la quiète
allô Stato, Luisa di Borbone temperô alquanto i modi di
governo, senza perô racquistare lo affetto dei sudditi, av-
regnachè si fosse chiarita nimicissima persino alla liberté
più moderata e mostratasi, piU ohe alleata, vassalla dei-
l'Austria. — Nel giugno dei 1855 nuove condanne di morte
e prigionia funestarono Parma, e furono di cittadini in-
nocenti di un tentativo d'omicidio loro attribuito dal sce]-
leratissimo Anviti, che il castigo di sua malvagità di li a
non molto scontô con la yita : ed ecco il rio caso. Nello
aprile di queiranno al luogotenente colonnello conte Luigi
Anviti — già amico e compagno di Garlo III nelle sue
tristizie, ond'era da tutti odiato — veniva tratto un colpo
di pistola, che perô falli. Su le deposizioni o testimonianze
d*Anviti alcuni cittadini furono imprigionati e condotti
dinnanzi ai tribunali militari ; i quali, montre ne condan-
navano due al supplizio estremo — Andréa Garini e Fran-
cesco Panizza — e un terzo a venti anni di carcere —
Giuseppe Isola — mancando le prove legali e persino gli
indizi deirassassinio loro ascritto, caldamerUe raccoTnan-
davarUi per una commutazione di pena alla clemenza e
al cuore magnanimo delta Reggente; la quale rispondeva
confermando la sentenza di morte per Garini e mandaodo
Panizza in perpetuo alla galera. Un altro incolpato fu
rinvenuto strangolato in carcere, e si disse per mano de-
gli sgberri dei conte Anviti; e da moltissimi aflTermossi
altresi che quelVucmo nefando, allô scopo di creacere nel
lieve sforzo disfatti. Baldi di quella yittoria, conquÎBtata non col valore
ma col numéro, officiaU e soldati corsero Parma ammazzando o ferendo
cittadini inermi e che non offendeyano; tra i morti contaioiui mi sa-
ceidote, tre yecchi settua^ifenari, nna donna e nn fancinllo.
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TOSOAKA, PABUA, MODBKA, NAPOLI 543
favore délia Oorte e farsi credere personaggio d'alto affare,
avesse ordito quel flnto attentato alla sua vita. — Poco
dopo i tristissimi casi ora narrati Luisa di Borbone ri-
pose lo Stato sotto il dominio délie leggi civili; e tolti
gli eccessi e i rigori del governo militare straniero stu-
diossi di firenare le esorbitanze dei luogotenenti imperiali.
Se ne offese Grenaeville, comandante suprême délie armi
austriache presidianti il ducato: il qualë, côlta Toccasione
di una contenzione levatasi sui diritti del tribunale di
guerra — che pretendera devoluto a sua potestà il giu-
dicare gli ucciditori di Carlo III — la ruppe con la Reg-
gente; ne il buono accorde tornô se non quando inter-
Tenne lo imperatore Francesco Giuseppe. Fu allora che
la Duchessa, deliberata di togliersi alla tutela deU'Austria,
diedesi a reggere con maggiore mitezza lo Stato e acco-
stossi a Napoleone Buonaparte per avère nella Francia un
valido appoggio; che perô non ottenne mai: onde nel
1850 essa cadde nella rovina che incolse tutti i principi
despotici dltalia. Luisa di Borbone avrebbe amato starsi
neutrale nella guerra inditta daU'Austria contra la Sarde-
gna e la Francia insieme fédéra tesi; ma parecchi offlciali
délie armi parmensi, fatta risoluzione di unirsi alla Lega,
chiesero alla Reggente licenza di recarsi al campo sardo-
francese; la quale, spayentatasl per si audace demanda, fldato
ai Ministri suoi il reggimento dello Stato, si ridusse coi
figliuoli a Mantova Di sua partenza esultarono i Parmi-
giani, che subito fecersi ad acclamare airitalia e a Vit-
torio Ëmanuelc: onde i Ministri délia Duchessa, temendo
insulti dalle popolazioni, cui ben sapevano d*essere in
odio, rinunciarono airofflcio loro; che cittadini spettabilis-
siml, costituitisi in Giunta di Governo, raccolsero affer-
mando di tenerlo sino al giugnere del Gommessario del
Re di Sardegna, al quale scopo soUeciti spedirono degli
oratori al conte di Gavour, che festosamente 11 ricevette.
Mentre gli inviati di Parma recavansi a Torino, la mili-
zia, per istigazione dei partigiani di Luisa di Borbone, tu-
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544 GAPITOLO IX
multuô e gridando la Reggente ne restauré l'autorità; al-
lora la Giunta di Governo, minacciata dal colonnello Ba
Vico^ si sciolse; e gli antichi Ministri délia Duchessa ri-
presero l'usato officie : le che accadde il 3 maggio. Il giorno
appresso Luisa di Borbone rientrô in Parma, e il 5 di quel
mese diede fuora un manifesto ai sudditi, nel quale, dopo aver
dette d'essere ritomata in mezzo a loro per lo ardente
voto espressole dal Municipio, dai più notabili del paese
e dalla fedele sua milizia, parlô in queste sentenze : « Qui
mi ferme coraggiosa e fldente nella lealtà dei soldati e
délia popolazione, in queirattitudine di aspettamento, che
è per noi di assoluta nécessita. Poichè, mentre mi è
permesso dal vero spirito dei trattati, debb'essere la mi-
gliore salvaguardia del paese ; non potendo l'alta giustizis
e civiltà degli Stati guerregglanti oflTendere chi non of-
fende, e compie intanto il proprio dovere mantenendo
l'ordine sino a quelle risoluzioni con cui la sapienza del-
l'Europa saprà ricondurre e stabillre in modo permanente
la pace. » Pochi giorni dopo voltasi a tutti i regnanti in
Europa lor signiflcava: = Trovarsi essa legata alfAth
stria da un trattato d'alleanza di difesa, da' suot prede-
cessori fermato con Vimperio sino dal 1848. Non volere
ne iHolare la fede data, ne ricorrere al trattato . a fine
di impedire maggiori complicazioni di cose tra i due
Stati vicini a'suoi domlni; onde avère risoluto di man-
tenersi neutrale nella guerra prossima a rompersi sul
Ticino. = Perô, quando s'awide non potere la neutraliti
salvarla dalla rovina, che le correva incontro, chiesepre-
sidio d'armi ai Ministri di Francesco Giuseppe ; ma questi
le risposero: = Sarebbe essa al certo costretta a lasciare
momentaneamente la Stato, del qtmle ritornerébbe più
tardi in possesso. = La tempesta che la minacciaya, e
dalla Reggente tanto temuta, di li a non molto scoppiava.
Le novelle délie vittorie riportate dai Franco-Sardi a
Montebello e due volte a Palestre aveyano vivamente com-
mosso i Parmigiani e riempito di spavento la Duchessa;
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TOSOANAy PAKMA, MOBBNA, NAPOLl 545
la qual^ allora che seppe gli Austriaci, sbaragliati in una
grande giornata a Magenta, iadietreggiare verso il Mincio,
e Napoleone e Vittorio Emanuele tenere Milano coi vit-
toriosi loro eserciti, venuta in grave timoré di un soUe-
vamento popolesco, in su l'albeggiare del 9 giugno fuggi
di Parma, non senza perô aver raccomandato al Municipio
la fwmina di una Commissione di Oavemo per tutela
delCordiney délie persane e délie cose, per Vamministra-
zione pubblica, per un congruo prowedimento alla mi-
lizia ducale e per quelle altre prowidenze che venissero
camandate dalle circostanze (l). A reggereil Dacato sino
all'arrivare del Gommessario che Vittorio Emanuele invie-
rebbe loro, furono eletti dal Municipio Pietro Bruni, un
ma^strato onestissimo, ringegnere Evaristo Armani e il
conte Gerolamo Gantelli, già familiare dei Borboni, ma dai
quali negli ultimi tempi erasi allontanato. Il mattîno del
14 giugno venne a Parma il générale Ribotti alla testa
délia picciola legione dei Gacciatori délia Magra e una presa
di fanti délia reale marineria sarda; e tre giorni di poi il
conte Diodato Pallieri assunse il governo dello Stato in
nome del Re, al quale oratori di Parma e Piacenza erano
iti a rinnovare la dedizione délie loro città e del Ducato
alla casa sabauda, già fatta sino dal 17 marzo 1848: cosi
aveva fine la signoria borbonica negli Stati parmensi.
Corne a Parma, cosi a Modena la dinastia régnante al
prosperare délia fortuna dltalia aveva perduto lo Stato:
era naturale ciô, awegnacbè le stesse cause partoriscano
sempre i medesimi eflTetti. Francesco V, riavuto il principato
dopo le infauste tregue di Milano, fece ai popoli suoi larghe
promesse di riforme civili e di libère istituzioni; e ven-
nero le une e le altre; i pesi, ond'erano tanto gravati i
sudditi furono allora alquanto diminuiti ; riordinate le leggi
(1) Cod la Duchessa nel suo m^J^ifesto del 9 giaguo ai sadditi quaado
lasciaya lo Stato per recarsi in IsTizzera , doye aveva glÀ mandato i
snoi figlinoli con qaanto essa possède va di più prezioso.
35 — Vol. n. Mabiani — Storia poL e miL
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• 546 OAPITOLO IX
del paese; e ciô, che fcce tutti altamente maravigliare, il
Duca con nessuna vendetta funestô lo Stato. Grande e uni-
yersale fu la contentezza al primo apparire di quelle ; ma
d'assai maggiore fu la scontentezza dei popoli, quando si
avvidero che le riformagioni accordate nulla aveano mu-
tato di sostanziale negli antichi ordinamenti di governo.
Consignera al Duca di liberali promesse per rendersi be-
nevoli i popoli era stata^ neil'autunno del 1848, la paora :
perô che le armi guerreggianti fossero non posate, ma
sospese^ e il re Carlo Alberto attendesse con somma ope-
rosità a rifare Tesercito e ad accrescerlo per uscire poscia
alla riscossa contra TAustria, e le sorti délia seconda guerra
potessero eziandio tornare avverse all'imperio. Ma vinta
nuovamente la Sardegna, la paura svani neirEstense; il
quaie, rifattosi dèspota, diedesi a tiranneggiare i popoli,
rinnovando nello Stato suo i tempi infelici délia signoria
di Francesco TV, suo padre, da meno di lui per ingegao
e accortezza, ma eguale per la ferocia d'animo (1). Pre-
cursore del suo ritorno a Modena, dopo Tinfausta giornata
di Novara, fu un manifeste ai sudditi» bandito da Brescello
il 29 marzo 1849, nel quale parlô délia pace onorevole e dura-
tura che, tra brève fermata, toglierebbe lo Stato allapenosa
incertezza in cui trovavasi da un anno; invitô gli amici
deU'ordine e del legittimo go ver no a deporre ogni Umore
e a dare opéra efficace al mantenimento délia tranquil-
lità pubblica e privata. Disse di una Oommissione militare
da eleggersi per giudicare chi commise o eccitô a com-
(1) Francesco V attese nel forte di Breacello — presidiato da sue
soldatesche — Tesito délia seconda guerra ; egli aveva mandate a Han-
tova la moglie coi figlinoli; il 30 marzo 1849 rientrô in Modena. Nella
notte del 13 al 14 aprile egli passava gli Appennini anitod con sue
genti alla brigata austriaca del générale EoUowrath, il qnale per h
via di Beggio portavasi a Toscana ; il di appresso egli entrara in Fi-
vizzano e Kollowrath di poi in Pontremoli; cosi riaveva qneste terre,
niegategli gi& dal Govemo toscano.
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TOSCANA, PABMA, MODENA, KAPOLI 547
mettere atti di ribellione contra la stâa autorità legittima
e chi violô le proprietà altrui, o che oflTese le persane.
Espresse la ricoaoscenza sua aile popolazioni campagnuole
e a coloro che in tempi cosi difficili eransi a lui mante-
nuH in fede; in fine, lodô il contegno délia milizia du-
cale, sul coraggio délia qitale era certo di poter fare
fondamento securo in ogni evento. — Nello aprile di quel-
Tanno cou parte de*suoi soldati e coa gli Austriaci capi-
tanati dal générale D'Aspre — che, passato TAppennino,
scendeva a Toscana per restaurarri la potestà del Gran-
duca — Francesco V riprendevasi Massa e Garrara, e le
proYlncie délia Garfagnana e délia Lunigiana estense, i
cui popoli neiranno innanzi eransi dati spontaneamente
e con voce unanime alla vicina Toscana. La Gommissione
di governo, la quale allora reggeva in nome di Leopoldo II
il Granducato, vivamente protestô contra la ingiusta oc-
cupazione di quel territori; ma il duca di Modena non
curossi di taie protesta, e rimise quelle città e provincie
sotto la propria autorità e signoria. Neiranno appresso,
il 1850, Francesco V richiamava ne' suoi domini i Gesuiti
— che il Governo temporaneo del 1848 aveva espulsi dal
ducato — concedendo di riaprire i loro antichi coUegi e
le scuole in Modena, Reggio e Massa, nel medesimo tempo
rimettendoli in possesso dei béni già posseduti ; e i Gesuiti
negli Stati estensi, corne altrove e per lo addietro sempre
areyano fatto, arrogaronsi padronanza quasi assoluta su
gli uomini e su le cose per li âni loro, non religiosi, ma
tutti mondani.
La lega doganale, con cui il Governo austriaco aveva
mirato a maggiormente rendersi vassalli i signori di Mo-
dena e Parma — se possibile fosse più di quelle che erano
già — e ad awantaggiare i trafflci e le industrie délia mo-
narchia, tornô assai dura a Francesco Y, avvegnachè da
quella lega sapesse venire nocumento non poco a se e allô
Stato suo. Bene egli aveva tentato di non accettare si
dannosa imposizione — che taie era veramente — o almeno
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54S OAPITOLO IX
di ottenere patti meno gravosi, ma inyano: onde allora al-
l'inviato modenese, il quale in nome sno doveya soserivere
la convenzione, comandô che nello accettarla protestasse
di cedere per alte considerazioni e allô sœpo di etHtare a
se stesso disturM e allô Stato suo maçffiori danni. Nem-
meno taie protesta gli fu conceduta d*inserire nel trattata,
il principe di Schwarzenberg — che allora presiedeva ai
Ministri deirimperatore — essendosi opposto a che venisse
scritta in quelle, perché oflTendeva la dignità del Governo
austriaco e deirestense. — Correva il 1854, qnando i ten-
tativi di Mazzlni sopra Sarzana e la Spezia, e i disegni
suoi di soUevare la Lunigiana — di cui diremo più innanzi —
commuovevano i cittadini di Oarrara ; ma falllti quei ten-
tativi, Francesco V mise sotto Timperio délia spada quella
città, soltanto perché avea sperato di potersi togliere ai
suo giogo aborrito. Per la guerra d'Orienté, venuta poco
di poi, impensierissi il principe e soprammodo quando
vide rimperatore d'Austria stringersi in amicizia col Sire
dei Franceii, che il Duca menava yanto d^essere solo in
Europa a non aver riconosciuto, e ch'egli chiamava &rt-
gante, e baracca btionapartista Timperio napoleonico;
e rassicarossi allora soltanto che seppe délia pace fermata
a Parigi; la quale se fece posare le armi, lasciô perô in-
soluta la quistione d'Orienté. Credutosi securo sopra il
trono, Francesco V diedesi a inflerire contra i sudditi,
crebbe gli usati rigori e sotto il governo militare ripose
i Carraresi, per vendicarsi di loro che nutrivano sensi
italianisslmi. E a ministre di sue scellerate vendette ebbe
daU'Austria certo Leopoldo Wiederkhern, maggiore nel-
l'esercito impériale; uomo bestialmento crudele e indegno
di capitanare soldati, degnissimo perô di comandare a car-
nefici, anzi carneSce egli stesso dei più brutali; il quale,
bene indovinati i desidèri del principe tiranno, in mille
guise torturô l'infelice Oarrara. — Non molto di poi ve-
nuto in gravi timori délia Sardegna — la quale al Con-
gresso di Parigi aveva altamente parlato del governo ti-
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TOSGANA, PABMAy MODKNA, KAPOLI 549
rannico de' suoi principl e délie afflizioai che l'Italia pativa
— yedendo il re Vittorio Emanuele prepararsi alla guerra
contra l'Àustria, securo degli aiuti validissimi di Francia,
Francesco Y diedesi a visitare le Ck>rti délia penisola allô
scopo di stringerne in lega i regnanti per la comune di-
fesa del trono. In verità a ciô fare egli fa proprio indotto
dalla Gorte di Vienna, che sarebbesi certamente mesaa a
capo délia lega per governarla a tutto suo vantaggio. Se
non che il Ponteâce, il Borbone di Napoli e il Granduca
di Toscana, indovinate le secrète mire del Governo au-
striaco e non dividende essi con Francesco di Modena il
timoré che tanto l'agitava, respinsero i disegni dello e-
stense. Visitato da prima il Sire d'Absburgo nella sua impé-
riale Yienna, il Duca, in sul cominciare del 1850, fece ri-
torno a* suoi domini, che trovà in grande commozione per
le novelle giunte allora allora di Parigi e di Torino. Mon-
tato per ciô in furore, prese a perseguitare quanti erano
in fama di libérait; e siccome di tutti sospettava, cosi per
tema che un giorno si tentasse di liberare i condannati
per crimine di lésa maestà, gementi nelle prigioni del
ducato, mandoUi alla fortezza di Mantova: cosi llmpera-
tore d'Austria facevasi carceriere dei condannati politici di
Francesco di Modena! Espediva pure di li a poco a Mantova
non solamente quanto di suo possedeva, ma quanto di più
prezioso trovavasi nel ducale palazzo, e che suo non era,
6d anche i lini e gli arazzi; in oltre toise per se alla bi-
blioteca Palatina codici e autograâ di molto valore, e dal
gabinetto numismatico tutte le monete e medaglie d*oro e
d'argento; in fine, veggendo prossimo il rompersi délia
guerra di Sardegna e Francia contra TAustria, comandô
di riscuotere anticipatamente le imposte di maggio e to-
gliere a prestanza un miiione di lire. — Massa e Carrara,
quando seppero délie ostilità cominciate su Talto Po e su la
Sesia, levaronsi a tumulte, e fu il 28 maggio; e siccome
le milizie estensi — che per lo addietro avevanle presi-
diate -— raccoltesi a Fivizzano al primo romoreggiare délia
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550 OAPITOLO IX
guerra, minacciavano calare sopra quelle città, cosî a loro
difesa ordinaronsi i volontari del paese ; i quali poi, aflTor-
zatisi délie Ouardie Nazionali ivi accorse da Sarzana e sin
da Genova, occuparono le alture di Ceserano e Fosdinovo
diananzi al campo délie soldatesche ducali capitaaate d&l
colonnello Casoni. Il quale, dopo qualche badaluccare coi
volontari, fatta deliberazione d'assaltare Oarrara e riunite
a taie scopo tutte le sue forze armate e le sue artiglierie,
mandava innanzi alquanti soldati a speculare la contrada;
ma avvertito che dal générale Ignazio Ribotti — un vecchio
soldato délia libertà — tenevasi Oarrara con grossa schiera
di volontari — i Cacciatori délia Magra — il colonnello
Casoni, dopo avère tratto contra il nimico pochi colpi di
moschetto, tornava a' suoi campi. — Non molto innanzi il
compiersi di tali fatti era giunto a Massa e Oarrara Vin-
cenzo Giusti (1), quale Commessario del Governo sardo, con
ufflcio di reggerle in nome di Vittorio Emanuele; e con
lo aiuto di Enrico Brizzolari, egreglo cittadino carrarese,
bene ricompose la cosa pubblica. Prancesco V, irritato per
lo intervenire délia Sardegna nelle faccende sue, interven-
zione ch'ei diceva violare e usurpare i territorî estensi,
protesté, nel tempo stesso movendo acerbo rimprovero al
Governo del Re cbe, non offeso, offendeva. Vennegli ri-
sposto : = Massa e Oarrara, levatesi spontaneamente per
la causa nazionale, avère gridata la dittatura di Vittorio
Emanuele; e il Governo, ritenendosi in guerra col Duca
di Modena, avère inviato sue armi a proteggervi le popo-
lazioni minacciate da soldatescbe estensi. = Il passaggio
del Ticino di poderosissimo esercito austriaco e lo allar-
garsi di questo nelle provincie oriental! del regno subal-
pine avevano destato nel Duca di Modena gli ardori di
guerra, tanto che con sue genti e una brigata di fanti
imperiali avanzossi verso TAppennino in cerca del nimico
(1) Vincenzo Giusti ayeva esulato da Massa nel 1848.
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T08GANA, PABHA, MODENA, NAFOIiI 551
cb'egli ben sapeva non avrebbe mai incontrato. Ma quando
seppe délie dlsfatte patite da Giulay — il généralissime
délie armi austriache in Italia — due volte a Palestre, e di
quella sanguinosissima di Magenta — ond'era statocostrettoa
indietreggiare verso il Mincie — Francesco V soUecito con-
dusse i suoi a Brescello e a Guastalla; unendosi a lui, in
Brescello, il générale Grotti con le milizie parmensi man-
tenutesi in fede alla duchessa reggente di Parma (1); le
quali poi andavano a campeggiare Gualtieri. Nel lasciare
Modena — e fu il mattino deiril giugno — il Duca, in un
editto bandito dal sue palazzo, nominô una Reggenzay la
quale doveva in st«a lontananza governare lo Stato in
nonie suo ; a tutelare vie più la sicurezza pitbblica e pri-
vata istitul una Guardia Urbana sotto il comando del
maggiore Stanzani; edichiarà sin d'allora nulli gli atti
e gli ordini, che poiessero emanare da qualsiasi Governo
usurpatore, chiamando mallevadori, anche in futuro,
quelli che si facessero autqri, isb^umentt o complici di
atU illegali e lesivi de' suoi diritti, o a danno e offesa
dé suoi sudditi fedeli {2). Le sconfltte di Magenta e Mele-
gnano costringendo Giulay a portarsi al Mincie e a rac-
cogliervi tutte le sue forze armate, il battaglione di
fanti, che ancora teneva Modena, ripassava speditamente
il Pc: onde Francesco V, fatte venire a se le milizie
estensi, portavasi con queste a Mantova; e, dope averle
poste sotto il comando di Liechtenstein — il quale stava
a capo del seconde corpo d'esercito austriaco — egli andô
a Verona presse Timperatore Francesco Giuseppe, sceso
(1) I Modenesi conta vansi tremila e seicento, avevano da ottanta
cavalli e una batteria di cannoni; i Parmensi erano da mille ottocento,
con settanta cayalli e dieci cannoni da campo.
(2) Francesco V a comporre la reggenza ehiamô il conte Luigi Gi»-
cobazzi, Ministro sopra le faccende interne, il conte Giovanni Gkilyani,
il dottore Gioaeppe Coppi, il conte Pietro Gandini e il dottore Tomaso
Borsari.
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562 CAPITOLO IX
in quel mezzo a Italia per assumere la direzione suprema
délia guerra. — I Modenesi, appena seppero délia partenza
degli Austriaci dalla loro città — e fu il mattiao del 13
giugno — chiamapono a governare lo Stato Pietro Mura-
tori, Giuseppe Tirelli, Egidio Boni, Emilie Nardi e Gio-
vanni Montanari; i quali due gîorni di poi risegnarone
l'ofScio, temporaneamente assunto, airavTOcato Luigi Zini
— un loro concittadino esule sin dal 1848 — Commessario
per Vittorio Emanuele, deputato a reggere la cosa pubblica
nel ducato, fino al vero ordinamento di esso. Nel bre-
yissimo tempo di sua reggenza fece molto e bene; aTve-
gnachè, armata la gi$ardia dttadina, licenziasse la milùda
di campagna, devota agli Estons! ; comandasse ai Gesuiti
di lasciare le provincie modenesi, e i béni che tenevano
dal Duca consecrasse alla pubblica istruzione; e, a goa-
rentire i crediti dello Stato, séquestrasse il patrimonio di
Prancesco V. — Il 21 giugno Oarlo Luigi Farini — un esule
romagnuolo, già Ministre sopra Tistnizione pubblica nel
regno subalpine — dal re Vittorio Emanuele deputato a
governare in sue nome le provincie modenesi, in un bando,
che importa qui riportare in tutta interezza, al popoli di
quelle provincie parlava cosî : « Voi avete rinnovato il voto
deirunione col regno di Sardegna ; Vittorio Emanuele mi
manda a governarvi. L'esempio del primo soldato deirin-
dipendenza insegna a me e a voi la via del dovere. Primo
dovere di tutti gli Italiani è oggi quelle di esser larghi
alla patria dell'avere e del sangue: primo dovere di un
governo nazionale il mantenere severamente Tordine ci-
vile, e il rifornire l'esercito d'uomini e di danaro. lo fera
il mio, voi non mancherete al dover vostro. In queste pro-
vincie furon sempre ingegni elevati e animi forti, che per
egregie qualità e fatti preclari salirono in fama. Voi con-
tinuerete a far prova di quel senne civile che è necessario
a fondare libère reggimento, e di quella costanza che nei
duri partiti délia guerra non abbandona gli animi robusti.
Dope lunghi secoli di dolore l'Italia ha una occasione
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T08CANA, PABMAi HODENA, NAPOLI 5S3
naoYissima di liberarsi dalla domiaazione straniera. Il re
Vittorio Emanuele scioglie il voto fatto su la tomba del
suo magnanimo Padre, esponendo la vita ovo maggiore è
il pericolo délie battaglie. L'Imperatore délia più forte fra
le nazioni latine, combattendo i nostri nimici con genero-
sità maravigliosa, accresce lo splendore di un nome, al
qnale pareva che ne il genio, ne la fortuna potessero ag-
giugnere gloria. Italiani délie provincie modenesi î lo ho
îatto sicurtà per voi al Governo del Re, che mostrerete
riconoscenza all'Imperatore e aU'eroica Nazione francese,
gar^giando di yirtii coi popoli subalpin! ; i quali, provati
da moite sventure, non perdonarono a fatiche ne a sacri-
fizi per assecondare Vittorio Emanuele nel disegno di con-
durre a buon fine la grande impresa. Aiutatemi voi del
consiglio e deiropera; siate uniti e concordi; chè per vin-
cere i nimici dltalia bisogna vincere le nostre passioni,
levar via gli sdegni, por giû le borie municipali, avère in
eima dei pensieri Tindipendenza, l'unione e la grandezza
délia patria, délia quale vogliamo essere liberi cittadini. »
— Aile parole dell'onesto Farini risposero largamente
e sapientemente le opère; perô che egli siibito prov-
vedesse allô ordinamento délia milizia cittadina; accor-
dasse liber ta alla stampa; abolisse le pêne corporali ehe
dal Magistrato civile potevansi infliggere (1); rendesse ai
Comuni le franchigie un di godute, e décrétasse il riapri-
mento delFantica scuola degli ingegneri militari, istituita
in Modena dal grande Napoleone, la quale aveva dato al-
Tesercito italico offlciali illustri nelle scienze belliche (2).
— Questo il fine délia mala signoria di Prancesco V d'Esté ;
(1) Tra le pêne che il Suprême Magistrato civile — la Polizia —
poteva infliggere eravi qnella dei colpi di verga per le donne e i gio-
Tanetti che non avevano compinto il diciottesimo anno di età ; e i colpi
di bastone per gli nomini.
(2) Non estante il decreto di Farini, la scuola di Modena per gli in-
gegneri militari non venne riaperta.
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554 CAPITOLO IX
che, soltanto de* suoi soldati amante — alla cui fedeltà
aveva fidato se e il trono — trattô sempre con superbo
disprezzo tutti gli ordini dei cittadini, tenendoli in coato
di servi, non di sudditi. Il timoré che, stanchi del giogo
loro imposte, avessero un giorno a ribellarglisi, le rese
oltremodo sospettoso, e lo spinse a sempre nuove crudeltà ;
e giunse persino ad annuUare pareccMe sentenze dei tri-
bunali civili, se troppo miti : onde ebbe sovente a rimpro-
verare i giudici delpoco uso che facevano délia pena di
morte, tanto opportuna e salutare; ciô che molto onora
la magistratura estense. Sotto la domînazione sua perdet-
tero la vita sul patibolo giovanetti non ancora diciottenni,
per avère quel principe disumano fatto grazia di anai a
chi, in virtii délie leggi, sarebbe stato salvo dal supplido
estremo. Persecutore ôerissimo di quanti erano in fama
di liberali, il Duca giunse persino a decretare la peaa di
morte a celui che avesse osato discutere i diritti di saa
potestà assoluta; la prigionia, i digiuni e il bastone, queste
le pêne per le colpe minori ! Il sue governo di terrore gli
fruttô la perdita del trono.
Il Parlamento siciliano, poco innanzi il disdirsi délie
tregue con Napoli, decretava lo spartimento deirisola ia
due comandi militari, il primo componendo con le pro-
vincie di Palermo, Trapani, Girgenti e Caltanisetta Taltro
con quelle di Messina, Gatania e Siracusa; quelle da go-
vernarsi da De Trobriand, il seconde da Mieroslawski.
Ambizioso di primeggiare, il générale polacco otteneTa,
mediante bassi intrighi e prepotenti istanze, d'essere pre-
posto all'emulo per potersi affrontare col nimico al subito
rompersi délia guerra. Sicilia, con piccolo esercito, pos-
sedeva due capitani supremi, tra loro indipendentissimi ;
onde non esisteva unità di comando, indispensabile al
buono andamento d'ogni militare impresa ; obbedivano perô
al Ministre sopra le armi; se non che Mariano Stabile,
che allora teneva quell'alto officie, era aflTatto ignaro di
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TOBOAHA, PA&MA, MODENA, KAPOLI 555
scienza bellica! Le milizie regolari, le quali sotto il go-
verno di Mieroslawski stavansi sul cadere di marzo rao-
colte in Catania e nelle provincie a sua autorità soggette,
contayano settemila settecento uomini con undici artiglie-
rie. Presidiavano Gatania ire battaglioni di fanti leggeri,
nno di cacciatori, due compagnie di guardie municipali e
cinque cannoni ; trovayansi in Siracusa due battaglioni di
fanti leggeri e una brigata d'artlglieri; tenevano Taor-
mina due battaglioni di volontari; e Augusta, due com-
pagnie di Canti leggeri con una batteria d'artiglierie da
campo; la quale per colpa di chi la comandaya, il luogo-
tenente colonnello Médina, non prese parte alla guerra (1).
In aiuto a queste forze armate il Goyerno aveya spedito
da Palermo una bella schiera di soldati, capitanata dal
colonnello di Santa Rosalia (2), che yeniva creato coman-
dante générale délia provincia messinese. Ayeyano i Mini-
stri risoluto di far l'impresa di Messina ; disegno audace
messo innanzi da Mieroslawski, combattuto da molti, ma
da quelli accettato. Fu grayissimo errore lo assaltare con
pocîie e non ordinate genti una città yalidamente fortifi-
cata e munita di presidio numeroso ; fu pure graye errore
del générale polacco far base di guerra Catania, le cui
difese consisteyano in pochi asserragliamenti, nel campo
trincerato di Misterbianco e in quattro batterie, ciascuna
di quindici cannoni, che proteggeyanla dalla parte del
mare; e fu non mono graye errore lo scegliere a linea
délie militari operazioni la yia che corre la marina da
(t) u il Inogotenente colonnello Médina ebbe il merito di for-
maria, non il coraggio di comandarla rimpetto al nimico. »
GiusvppB La Farina, Bivoluziane Siciliana, yol. ii, cart. 254; Ca-
polago, 1850.
(2) Era composta di dne battaglioni di licenziati dall'esercito borbonico,
dal battaglione dei cacciatori francesi, da mezzo battaglione di guasta-
tori degli ingegneri militari, da nno squadrone di cavalleria e da sel
artiglierie da montagna.
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556 GAPIXOLO IX
Gatania airobbietto dell*impresa; pero che si trovasse
esposta aile offese dell^armata aapolitaaa. — Se i Siciliani
aveyaao deliberato di togliere Messina al nimico, Filangeri
aveva risoluto di insignorirsi di Gatania ; al quale intento,
presidiata Messina, sua base di guerra, con qnattro mila
soldati muoveva airimpresa col grosso deiresercito — se-
dici mila uomini allo incirca — composto di sette reggi-
menti di fanti napolitani e due di svizzeri^ di cinque bat-
taglioni di cacciatori, due reggimenti di cavalleria, un
battaglione di guastaton, tre batterie di artiglierie da
campo e tre da montagna; esso correva la via del litorale
per avvantaggiarsi delFarmata regia, la quale contara
diciotto navi a vapore — frégate e corvette — tre fré-
gate a yela e moite barche cannoniere. — 11 30 marzo di
quell'anno 1849 Mieroslawski e Filangeri avanzarono Ton
contra l'altro i loro campi per la marina di Gatania e di
Messina. Gontra questa città alcnne compagnie di fanti
siciliani con tre cannoni, duce il colonnello Sant* Antonio,
muovevano da Patti lungo il litorale per volgersi quindi
a Gastroreale, montre due battaglioni di volontari, guidati
dal colonnello Pracanica, procedevano innanzi per impa-
dronirsi del capo Santo Alessio e di Scaletta che siedono
su la marina del mar Jonio. Queste schiere di armati do-
vevano poscia avanzarsi da Gastroreale e da Scaletta verso
l'obbietto deirimpresa, percorrendo i versanti del monti,
e, per sostenersi a vicenda, assicurarsi dei passi di quelli.
Ad appoggiare tali mosse Mieroslawski prometteva di cou-
durre in Taormina cinque battaglioni di fanti, uno squa-
drone di cavalleria e cinque cannoni. Pracanica non potè
compiere gli ordini avuti; avvegnachè le poche sue sol-
datesche fossero state costrette a indietreggiare da grossa
mano di régi, che con armi preponderanti dimolto aile sue
da Scaletta erasi avanzata verso capo Santo Alessio, so-
stenuta a sinistra in suo cammino dalle navi napolitane.
le quali ne avevano seguite le mosse con soldatesche da
sbarco, e a destra appoggiata da tre battaglioni di cac-
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T08CAKA, PABMA, MODENA, NAPOLI 557
ciatori, percorrenti i monti che signoreggiano la spiaggia
ionica. Offesi dai cannoni di una nave borbonioa e op-
pressi dal numéro soverchiaate dei nimici, i battaglioni di
Pracanica e parte délia gente del colonnello Santa Rosalia
corsa in loro aiato, dovettero cedere il campo e cacciarsi
tra i monti : lo che avvenne il primo aprile di quell'anno
1849. Il di appresso i régi assaltavano Taormina; ma di-
fesa da scarsissimo presidio, dopo brevi ore di contrasto
cadeva in potere dei nimici ; i quali, usando la vittoria
giusta i modi loro consueti, mettevano quella terra a
ruba e a fuoco. Il générale polacco, appena seppe délia
perdita di Taormina, indietreggiô verso Botteghelle; di
poi recossi a campeggiare Piedimonte, ove il raggiansero
parte delle sue genti; quelle di Pracanica, per comando
SQO, portaronsi a Randazzo. Se non che, bene a ragione
reputando essere quelle posture troppo perlcolose e te-
mendo di yedersi levata dai Napolitani la ritratta sopra
Gatania, siibito si toise da quei campi, e corse a difendere
la sua base di guerra; ch' egli perô sapeva di non potervi
fare lunga resistenza allô sforzo dei régi per essere tutta
aperta e debolmente presidiata. Non estante lo speditis-
simo suo camminare, avendo preso la via di Randazzo,
Bronte e Adernô — via che gira attorno ai piedi deU'Etna
— per agevolare Tunirsi a lui de' suoi che stavano tra i
monti, non gli fu date di condurre a Oatania fuorchè due
battaglioni di fanti, uno squadrone di cavalli e cinque ar-
tiglierie da montagna, nella quale città entravano il cin-
que aprile (1). Il mattino di questo stesso giorno la re-
stante parte dell'esercito di Mieroslawski — ch'erasi rac-
colta entre Randazzo — muoveva alla volta di Oatania
^tto il comando di Santa Rosalia. In questo mezzo i régi,
i quali avevano fatto l'impresa di Taormina, congiuntisi
(1) Mieroslawski lasciava Randazzo la sera del 3 aprile, e yiaggiando
^ le poste giogneva a Catania il mattino del giorno appresso.
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558 OAPITOLO IX
a quelli messi a terra dairarmata borbonica su la marioâ
di Riposto — che insieme sommayano a dodici mila con
trentadue artiglierie — il 5 di quel mese recavansi in
mano Acireale. Al loro avvlcinarsi il battaglione di cac-
ciatori siciliani, che vi stava a guardia, pitraevasi a Ca-
tauia ; la quale in quel giorno si vigorosamente rispondeya
al fulminare di quattro navi a vapore napolitane da ri-
mandarne dal combattimento due assai malconcie.
Era sorto da poco il 6 aprile, quando le campane di
Oatania suonavano a martello per chiamare i cittadlni in
su l'arme contra i nimici, clie per la via di Aci avanza-
yansi a grandi passi ; i quali, senza colpo ferire, recavansi
in mano le belle posture elevantisi non lungi dalle mura
catanesi, da Mieroslawski non occupate: fatale inconside-
ratezza, che précipité la royina di quella città animosa.
Lo strepito délie armi l'ha ayvertita, avère da quella parte
i régi cominciati gli assalti ; allora i cittadini corrono aile
difese; e cinque compagnie di vecchi soldati — i licen-
ziati dairesercito borbonico — seguite da mezza batteria
di cannoni da campo, insofferenti di indugio — perô che
gli ordini del générale tardassero a giugnere — corrono
ad affrontare i nimici, che con impeto furioso assalgono tra
Battiati e San Giovanni la Punta, combattendolo con co-
raggio straordinario. Oppressi dal numéro, avvegnachè i
régi sieno sei volte tanto, indietreggiano verso Battiati;
ove, trovati in ordinanza gli aiuti condottivi da Mieros-
lawski — due battaglioni di fanti e uno squadrone di
cavalli — voltano nuovamente la faccia ai nimici; allora
la pugna rinnovasi piii féroce di prima, e per otto ore
continue e senza riposo la si combatte. Le perdite sono
gravissime dalla parte dei Siciliani, ma nonliscoraggiano,
e, facendo prove di sempre nuovo valore, resistono nello
aspettamento délia schiera di Santa Rosalia, cui il géné-
rale aveva spedito l'ordine di aflfrettare sua venuta a Ca-
tania. Svanita la speranza di quel soccorso, dope aver
visto cadere la terza parte de' suoi, Mieroslawski indie-
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TOSGAKA, PABMA, MODBNA, NAPOLI 559
treggia (ino aile mura délia città. Incalzati da presso dai
Borboni, i Siciliani riappiccano audacemente la pugna; ma
affranti dalla fatica e dal numéro soverchiante del nimici
minacciati di totale eccidio, sono di li a poco costretti a
ripararsi entre Gatania e con essi quanti cittadini erano
corsi aile difese. Rotte le ordinanze, la confusione è in
ogni parte; fulminate dal cannone dei régi, moite case
sono preda délie ûamme: onde il générale comanda aile
sue genti, abbiano a raccogllersi sollecite nel trince-
rone; le quali vi si recano a drappelli; ma non trovan-
dovi chi le rannodi e le riordini, siibito ne escono — po-
chissime eccettuate — e pigliano la via di Palermo. AUora
i Napolitani per la porta di Aci invadono Gatania; ma
dopo brève avanzare veggonsi impedito il passe dal popolo
e dal battaglione di fanti leggeri, in quel mezzo rientrato
in città dopo essersi tutto il giorno sostenuto a Lognina
contra l'armata borbonica, la quale co'suoi grossie nume-
rosi cannoni aveva distrutto le batterie, che difendevano
Catania dalla parte del mare, e distrutto pure il trince-
ramento di Lognina. Assaliti gagliardamente di fronte e
aile spalle, i Napolitani cedono il campo e sono ributtati
fuor délia porta ; furiosamente perseguiti, indietreggiano
fin quasi al piano di Gioeni lasciando due cannoni in po-
tere dei Siciliani. Anche dalla via di San Giovanni i régi
vengono aspramente respinti da picciola schiera di solda-
tesche sicule. Se tutte le genti di Mieroslawski si fossero
trovate in quel momento raccolte attorno a Gatania; se
in queU'ora, che favorevolissima correva aile armi sici-
liane, Santa Rosalia fosse caduto sul fiance destro delFe-
sercito napolitano, questo sarebbe stato rotto e cacciato in
mare. Ma Santa Rosalia — il quale, per avère indovinati
i disegni dei nimici, levato il campo da Randazzo erasi
poste per via il 5, giorno innanzi a quelle fissatogli dal
générale — non potè giugnere perô in tempo a salvare Ga-
tania. Ricevuto al suo arrivare in Adernô — e fu nella
sera del 5 stesso — l'ordine di Mieroslawski di scendere
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560 OAPiTOLO rz
soUecito sopra Gravina contra i régi, accordate poche ore
di riposo ai soldati, che in quel di ayeyano percorso Yen-
tiquattro miglia, si rimise in cammino, e per Belpasso e
Gamporotondo venuto in sul cadere del 6 aprile a Maia-
cusia vi pose il campo. AU*albeggiare del ^orno appresso
prese la via di Gravina; ma giunto a brève distanza da
questa terra, avvisato deî tristi casi sortiti a Gatania
volse i passi al trincerone. I Borboni, i quali, dopo es-
sersi sui piani di Gioeni rifatti e afforzati d*altre armi, in
sul cadere délia notte erano tornati agli assalti, superate
le porte délia città, nuovamente vi entravano conquistan-
dola palmo a palmo, perô che il popolo e i pochi sol-
dati rimastivi loro la contendessero combattendo sino al
mattino del 7 aprile. Santa Rosalia, non avendo trovato
nel campo di Misterbianco Mieroslawski con le sue genti,
recossi a Paternô, su la via di Palermo, contra il desi-
derio de' suoi, i quali avrebbero amato scendere sopra
Gatania per tentarne la impresa ; ma il générale polaceo,
ferito nelle ultime difese délia città, erasi recato a Pa-
lermo, e il suo picclolo esercito a Gastrogiovanni, ove spe-
rava far buona resistenza ai nimici, se vi si fossero portati
ad assalirlo, Gatania non sarebbe venuta in potere dei
Borboni, o avrebbe certamente a questi potuto résistera
piu a lungo, se Mieroslawski fosse stato capitano esperto>
diligente, operoso; egli possedeva il coraggio del soldato,
non le virtii d'un capo d'esercitoc Grave errore commise
il Governo nel porre la somma délia guerra in chi non
conosceva a pieno; ebbe pur torto il générale polacco di
assumere [quel carico, che ingegno bastevole non avea
per conlpierne gli obblighi, difflcili sempre, più difiScili
poi nelle condizioni in cui allora trovavasi la Sicilia Po-
che e maie esperimentate aile armi erano le milizie del-
risola rimpetto aile napolitane; pure, se Mieroslawski
avesse saputo combattere i nimici con tutto lo sforzo délie
sue genti; se, piii prudente e accorto, avesse in sua ri-
tratta da Taormina su la base délia guerra difeso le mi-
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TOSGANA, FABMA, MODENA, NAPOLI 561
litari posture, che stanno dinnanzi a Gatania, buona for-
tuna sarebbe toccata aile sue armi, valorosissime e piene
d*entusiasmo. Ma, avendole tenute sempre sparse, egli non
potè presentare una giornata al nimico, dinnanzi al quale
non condnsse mai più di tre battaglioni.
Corne a Messina, cosi a Gatania i Napolitani e chi li
capitanava — il générale Pilangeri, principe di Satriano
— mostraronsi in tutto degni del re Ferdinando. Non
pagki d'aver mandate la città a ferro, a fuoco e a ruba,
essi commisero atti di taie dissolutezza e tanta ferocia,
che il capitano inglese Key ebbe ad affermare : le età più
barbare e le nazioni più selvagge non offrire esempi cosi
orribiii e ributtanti. Egli scrisse a Filangeri : non essersi
»wi vedute simili scène in una terra senza fortificazioniy
senza difese; appellarsi alla sua umanità! Vana pre-
ghiera, inutile appelle! ai venduti alla tirannide Yumanità
è virtù sconosciuta. Il principe di Satriano non frenô il
saccheggio, non fece cessare Topera di distruzione; che
anzi quelle e questa continuarono vandalicamente sotto
gli occhi degli offlciali napolitani, indifferenti a tanto
strazio e a tanta rovina: testimoni di ciô furono gli In-
«lesi délia nave il Bulldog.
L'eroica resistenza di Gatania non fu imitata da Siracusa ;
îuella cadde con onore, questa con vituperio per gli in-
^righi di alcuni cittadini di parte borbonica ; i quali, teste
cbe seppero avère i régi espugnata Gatania, fecersi a
Picordare ai Siracusani le stragi, i saccheggi e gli incendi
^i Messina, e i recenti atti di eflferatezza compiuti dal ni-
^ico nello impadronirsi di quella terra, che aveva osato
resistergli; in oltre dissero loro essere impossibile resistere
^ll'esercito napolitano potente per numéro d'uomini e per
^ïûi, e per essere debolissime le difese délia città e scarso
" presidio : onde gli animi di tutti riempironsi di tanto
'^rrore, che popolo e soldati — i quali poco innanzi ave-
^ano giurato di combattere sine allô estremo — allô scopo
^ - Vol. n. MiBiiin - Storia pol. « mU.
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662 CAPITOLO IX
di risparmiare inutile spargimento di sangue chiesero di
rendere la terra alla chiamata dei régi. E questi la fecerc
e Tottennero, e seaza colpo ferire entrarono in Siracuâa
nel momento in cui ne usciva il presidio, serbato8i in fede
alla patria, per recarsi al campo di Gastrogiovanni ; vers-j
il qnale erasi pur diretto quello d'Augusta — due com-
pagnie di fanti — che aU'avricinarsi dei Borboni avevanû
lasciato la città. AU'udire i tristi casi di Gatania e la
brutta dedizione di Siracusa, molti tra i piii noteToli di
Palermo caddero in taie abbattimento d'animo, che, dispe-
rando ornai délia libertà e délia indipendenza, per togliere
la metropoli e le altre terre deirisola al ferro, al fuoco e
aile brutalità délie soldatesche napolitane, mostraronsi in-
clinare agli accordi col nimico e fecero intendere parok
di pace. Ma il popolo, magnanime sempre, piii grande nel-
Tora dei pericolo e quando il tradimento minaccia di
danni la patria, alzatosi animoso gridô : voler piuttosto în
morte che i Borboni; generoso proposito che doveva essere
combattuto e vinto con le arti di Giuda dai partigiani de!
Re. I quali, con lo accettare i buoni offici di Baudio, am-
miraglio francese, per lo accomodamento delli affari di
SiciUOy forzavano i Ministri a rinunziare al loro officia
<« Noi eravamo Ministri per fare la guerra, diceva il prin-
cipe di Butera il 14 aprile aU'Assemblea dei Deputati
sebbene le condizioni non sieno state felici per noi, la sola
cosa cbe avremmo potuto fare sarebbe stata di riferirla
alla Oamera > E il Ministre sopra le armi, Mariano
Stabile, cosi parlava: « A quelli che ci lessero la lettera
con la quale ci si offrira la mediazione, abbiamo soggiunto
che, accettandosi questa, i mediatori arrebbero a trattare
con altre persone. » In fatto, accolta la interrenzione di
Francia, ai Ministri rinunziatori succedevano i baroni
Orasso e Ganalotti e Salvatore Vigo, uomini prontiâsimi
a ricevere le condizioni, anche le più umîlianti, che il re
Ferdinando sarebbesi compiaciuto di imporre alla Sicilia.
Essi presero da soli a reggere la cosa pubblica, non essendo
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TOSCANA, PABHAy HODBNA, NAPOLI 563
stato possibile trovare altri che yolessero associarsi a
Orasso e a Canalotti, troppo sfacciatamente favoreggiatori
del Borbone, e a Vigo, cittadino bensi onesto, ma di natura
timido, 6 di carattere debole. Soccorrevanli di consiglio il
barone Riso e il marchese Spaccaforno; il primo, per li
interessi suoi particolari, « avvegnachè, corne scrisse La
Farina (1), vedendo pericolare le sorti délia rivoluzione,
altra cura e altro intento non avesse che salvare se e il
danaro oflferto alla Sicilia, quando offrirlo era gloria e yan-
taggio sicuro; » e il secondo, per ambizione congiurava in
favore del Re; e i cittadini suoi, reputandolo uomo onesto,
creavanlo Pretore di Palermo. — Prima che venisse posta
innanzi la mediazione di Francia, lo atteggiarsi minaccioso
dei Palermitani — i quali, non volendo più saper di si-
gnoria borbonica, andavano per le vie gridando ferro e
fuoco — avevano costretto i Mlnistri a prowedere soUe-
citi airordinamento délie Guardie nazionali délia valle di
Palermo, che tutte dovevano raccogliersi nella metropoli
o in Termini, e avère a capitani quegli uomini sopram-
modo segnalatisi nella sollevazione del 12 gennaio e nei
rivolgimenti politici che la seguirono. I cittadini di Palermo,
veggendo per taie deliberazione il Governo a preparare
nuova resistenza e la guerra di popolo, e affldare a questo
le armi salvatrici délia patria, pieni di speranze per lo
awenire, si quietarono; aller a i timidi presero coraggio;
gli abbattuti, forza e lena per operare ; negli animosi crebbe
Tardire; in tutti poi, Talacrità del fare. Allô invite dei
supremi reggitori, nelle campagne e. sui monti numerosi
ievavansi in su l'arme i Siciliani; ma vedevansi poscia
dalle Guardie nazionali di Palermo impedito lo entrare
nella città, nella quale dovevano ordinarsi per la sua di-
fesa. Ingannate o sedotte dai loro capi, segnatamente dal
barone Riso, le Guardie nazionali erano divenute strumento
(1) BtvoZun'one Sidliana, vol. u, cart. 290; Oapolago, 1860.
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564 GAPITOLO IX
délia tirannîde borbonica prima che questa venisse restan-
rata neirisola. Esse, allô scopo di condurre il popolo alla
loro parte, spargevano per la città le più impudenti men-
zogne; chiamavano traditori i Ministri passati, al cui go-
verno attribuivano il deplorevole stato délia Sicilia; dice-
vano, Gatania e Siracusa perdute per tradigione dei soldaii;
affermavano essere ornai impossibile la guerra; se le armi
siciliane avessero superate le borboniche, non daraturi
sarebbero per essere 1 vantaggi délia yittoria, perô che
l'Austria, di quoi giorni vincitrice délia Sardegna a No
vara, non tarderebbe a spedire aiuto di sue genti a Fer-
dinando; ogni spargimento di sangue tornar quindi di
danno, non di vantaggio alla patria; miglior consiglio
venire, per opéra dei buoni offici di Francia, a pace col
Re, il quale, assicuravano, essere pronto a concedere alla
Sicilia onorevoli patti. — I traditori in fatto esistevano,
ma tra i Deputati e 1 Pari; trovavansi nelle file délie
Guardie nazionali, che niegavano di combattere il aimico
già minaccioso soprastante a Palermo, corne asserivasi
allora dal barone Riso, loro sùpremo comandante ; non
vergognavansi di correre con le arml le vie délia città,
quasi fosse sotto Timperio délie leggi militari; in fine,
respingevano i contadini e i montanari recantisi alla
metropoli per iscriversi soldat! sotto le patrie insegne.
Non tutte perô furono vili; avvegnachè se ne vedessero
moltissime svestire quella assisa, la quale, poco innanzi
nobile e onorata, erasi di quoi giorni, per Topera turpis-
sima di alcuni pochj. yenduti alla tirannide, d'immenso
yituperio bruttata. — I Ministri, i quali capitanavano la
parte borbonica, non più frenati dal Parlamento, che il
17 aprile avova prorogato le sue riunioni, maneggiaronsi
a tutta possa allô scopo d'agevolare il ritorno délia signoria
di Ferdinando. Non chiesti, mandarono passaporti a quelli
che, godendo il favore dei popolo, e avendo crédite e su-
periorità sovr'esso, avrebbero potuto muoverlo a romore
e levarlo in su l'arme contra la loro autorità e il loro
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TOSOANA, PABMA, MODENA, KAPOLI 565
potere. Non osando licenziare l'esepcito, ne dispersero i
soldati, e spedirono lettera-circolare ai Comuni deirisola
per sospendere lo invio délie Guardie nazionali a Palermo (1).
Rifiutarono di ricevere la polvere da fuoco e le armi giunte
in quel mezzo a Trapani, dai loro antecessori comperate
per la gnerra; in fine, la legione universitaria, la quale,
duce La Farina, in sul cadere del marzo erasi portata aile
stanze di Misilmeri, subito lasciate per recarsi a Gatania,
da prima richiamarono, poscia ordinarono a La Farina di
dare licenza ai legionari di tornare aile loro case; i quali,
al comando del ministre Grosso, rispondevano recandosi
a Palermo e ponendovisi a quartiere nel palazzo dell'U-
versità.
Correva la sera del 20 aprlle, allora che il Présidente
del Ocverno, Ruggero Settimo, chiamava a se i Ministri,
molti Pari e rappresentanti del popolo, il comandante su-
prême e gli ufflciali piu alti in grado délie Guardie nazio-
nali, e i capi délie milizie presidianti Palermo, per far
loro conoscere le concessioni promesse da Ferdinando alla
Sicilia, quando spontaneamente posasse le armi, e per de-
liberare su l'accettazione o il rifiuto di esse. Accordavasi
dal Re ai Siciliani : « Una costituzione in conformità del-
l'atto di Gaeta del 28 febbraio; il flglio primogenito, o
altro principe reale, e in mancanza, un grande personaggio
l>er Vicerè; Guardia nazionale per Palermo con una legge
che ne stabilirebbe Tordinamento; liberazione dei prigio-
(1) (<Signore. Il Parlamento générale ayendo accettato i bnonioffici
offert! dali'anuniTaglio Bandin per comporre la vertenza ira la Sicilia
^ il Re di Napoli, si rende pel momento non necessaria la presenza
della Gnardia nazionale mobilitata e délie sqnadre che vorrebbero ac-
correre in difesa di Palermo, e quindi mi rivolgo a lei perché per ora
&e sospenda la partenza.
Palermo, 16 aprUe 1849.
Barone Gbasso. »
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566 CAPITOLO IX
nieri siculi, fatti negli awenimenti di Calabria» eccetto i
capi, che manderebbersi in esilio per un tempo determi-
nato; amnistia générale, esclusi perô i capi e li autori
délia rivoluzione ; riconoscimento del debito pubblico fatto
dal Governo délia rivoluzione » (1). I più dei rioniti a
consulta, inclinando a pace, affermavano: = Il popolo,
stanco di rivolgimenti, desiderare un governo stabile; le
Guardie nazionali di Palermo, oui principalmente spettava
la difesa délia città, avère risoluto di non combattere più ;
le forze armate essere per la guerra troppo scarse e disa-
nimate; se queste volessero continuare le resistenze, toc-
cherebbero alla città le sorti dolorose di Messina e Gatania;
= conchiudevano in fine, che potevansi accettare le con-
dizioni offerte dal Re, perché onorevoli. — Rispondevano
loro gli ofBciali dell'esercito in questi termini: = I sol-
daki essere desiderosi di far nuove prove deU'armî ; se le
Guardie nazionali di Palermo rifiutavansi di combattere,
la patria poteva far sicuro fondamento su quelle délie
altre città deU'isola, che allô invite del Governo aveano
generosamente risposto ; non dover quindi disperare délia
causa di Sicilia, awegnachè impresa non difficile fosse il
rimetterla in buono stato. := Queste generose parole, che
provavano la falsita délia parte avversa a libertà, sgomen-
tarono i Ministri; i quali, temendo che i partigiani del
Borbone, per vergogna di comparire traditori non osas-
sero opporsi al riprendersi délia guerra, rinunziarono al
loro offlcio. NuUa fu deliberato in quella sera. Il dimani,
i più animosi délia parte libérale, i volenti la continua-
zione délie resistenze sino allô estremo, raccoglievansi
intorno a Ruggero Settimo ; cui La Farina, neiroffrire la
Dittatura, proponeva il licenziamento délie Guardie nazio-
nali di Palermo e la chiamata aile armî del popolo di
(2) Qneste concessioni per la Sicilia erano state ûitte àal Be ai rap-
presentanti deUa repnbblica firancese.
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TOSGAKA, PABMA, MODENA, KAPOLI 567
ijueâta città e délie genti del contado e dei monti. Il capo
del Goyerno non accettô tali proposte» nella tema ayessero
a spingere i Siciliani a combattersî in lotta ciyile : « lo
sono pronto a tutto, disse egli a La Farina, per la sainte
délia patria ; qnalunque sacrificio non mi è graye ; quar
lunque periglio non mi sgomenta; ma non proponetemi di
versare sangue cittadino; io yoglio ad ogni costo eyitare
la guerra ciyile. » Innanzi di abdicare airautorità suprema,
egli tentô ancora nna yolta gli animi délie Guardie nazie-
nali ; ma ayendo troyato moltissimi inchinare a pace, pochi
aile resistenze, deposto il potere suprême nelle mani del
Municipio, il 25 aprile — tredici giomi dopo la prima
riunione del Parlamento siciliano — lasciaya Tisola e ri-
fugiavasi a Malta (1). — Appena il suprême Maestrato délia
città ebbe assunto il goyerno délia Sicilia, unà députa-
zioûe di clnque cittadini, nella notte salita sul Palermo,
nave a yapore da guerra, recayasi a Gatania presse il
principe di Satriano a porgergli Vatto di sommessione del
comune di Palermo ; portaya bandiera parlamentaria e per
guarentigia propria erasi fatta accompagnare da un offl-
ciale francese. Non troyato in Gatania il générale Filangeri
— il quale ayeya mosso Tesercito yerso la metropoli — la
deputazione recayasi a Galtanisetta, oye il capitano dei
Borboni teaeya il campo; consegnatogli Tatto di cui era
portatrice, e.riceyuta da lui la promessa di un pieno perdôno
faceva ritorno a Palermo. Montre tanta yitupereyole mis-
sione si compiya, la squadra napolitana — sei frégate a
^ela e cinque legni a yapore — il mattino del 26 aprile
niluacciosa appariya nelle acque di Palermo. Alla yista
délie nayi nimiche e alla noyella giunta poco appresso
dell'avyicinarsi di Filangeri con tutta la sua potenza a
(l) La prima rinnione del Parlamento générale di Sicilia ebbe Inogo
il 25 marzo 1848; il potere suprême venne allora temporaneamente
affidato a Ruggero Settimo, chiamato a presiedere al Govemo con fa-
coltà d'eleggeme i Ministri.
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568 CAPITOLO IX
piedi 6 a cavallo» scoverti gli inganni di cui era stata
vittima, levossi a romore gridando morte ai traditori;
côlti da spayento i membri délia Commissione digoverno
si nascondeyano ; e il marchese Spaccaforno fuggiya, cer-
cando salvezza a bordo di una naye ft*ancese. Il giorno
<lopo, il 30 aprile, la consulta dei cittadini, raccoltasi nel
palazzo del Pretorlo, eleggeva il nuoyo Magistrato; e il
popolo, chieste e ottenute le armi , dayasi a restaurare e a
munire le difese. Gli si uaiyano neU'opera e prendevano
À far causa con esso moite Guardie nazionali, intendendo
con ciô riparare, in parte almeno, al brutto contegno che
ayeyano tenuto nei giorni addietro. Nella nette del 30
:aprile e nel mattino del primo maggio le artiglierie del forte
Mondello e di quelli di Castellamare tirayano contra i
legni napolitani, accostatisi alla rada di Paiermo, con in-
tendimento ostile, e obbligayanli ad allontanarsene. Nel
inedesimo giorno il barone Riso, che presiedeya alla nuoTa
Oommissione di goyerno, coi cittadini Turrisi, Raffaele,
€angemi e con un offlciale francese, saliya a bordo del
Tancredi, entrato allora in porto, per conferire col luo-
gotenente colonnello Nunzîante, inviato da Filangeri allô
scopo di ordinare col Pretore le stanze deU'esercito repo
fuora délia città in modo da impedire qualsiasi ostilità tra
i soldati e le popolazioni. Ai Deputati, che faceyano cono-
scere la nécessita d'ottenere, anzi tutto un perdôno géné-
rale, il parlamentario borbonico rispondeya: = Non avère
facoltà d'accordarlo; metterebbe perô tutta Topera sua par
lo esaudimento di taie demanda; assicurarli, cbe fra tre
o quattro giorni giugnerebbe la risposta, che auguravasi
fayoreyole. = Montre i reggitori di Palermo con arti in-
gannatrici apparecchiayansi ad aprire le porte ai régi, il
popolo intendeva con somma alacrità alla guerra; e quando
seppe, ayere i Napolitani portato il campo a Misilmeri, a
mezza giomata dalla città — e fu il 5 maggio — non ostante
la promessa del principe di Satriano di non affrettare il
movimento delVesercito sopra Palermo, allô intento di
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T08CANA, PABMA, HODSNA, NAPOLI 569
cancorrere per qitanto fosse in poter suo alla pacificor
zione di Sicilia^ alzata bandiera rossa, segnale di lotta a
tutta oltranza, gridô : gvcerra ai nimici, marie ai traditori !
Il supremo Maestrato dei cittadini, a rattenere il popolo
dal commettere atti che potessero mettere a repentaglio
i poco onesti suoi disegni, volgevagli queste parole: « Si at-
tende il legno a vapore da Napoli con la risposta. Popolo
generoso mostra al solito la tua sobrietà; risolverai dopo
avère consigliato bene sul tuo interesse. I tuoi rappresen-
tanti non saranno che Teco délia tua toco. » Ma il popolo,
non avendo più fede ne* suoi rappresentanti e, sapendo
riposare in sua mano i destini délia patria, rispondeva a
queirinyito consecrandosi tutto e con mirablle ardore ai
preparamenti di difesa e d'oflTesa. Spaventata dal suo terri-
bile atteggiarsi, e veggendo di non poterlo più signoreg-
giare, la Commissione di governo lasciô Tofflcio, eccetto
Turrisi e Raffaele, i quali vi si mantennero saldi.
Erano le due pomeridiane del 7 maggio, allora che il
toccare deirarma chiamava cittadini e soldat! a combattere
il nimico; il quale da*suoi campi di Misilmeri erasi mosso
ad assaltare Palermo; e i Palermitani, impazienti di affron-
tarlo» non Tattesero di piè fermo, ma, usciti alla campagna.
glicorsero incontro pieni di entusiasmo, gridando: guerra^
guerra^ guerral Poco innanzi il cadere del giorno i Sici-
liani assalgono i régi, ordinati su le alture di Gibilrossa; il
subito sopravvenire délia notte ponendo fine alla pugna, fa
che di lieve momento sieno le perdite dei combattenti ; i
quali raccolgonsi sui luoghi occupati innanzi il cominciare
délia zuffa; che il mattino del dimani si riprende per durare
senza posa e fierissima tutto il giorno. Stanno dalla parte
dei Borboni i buoni ordiui, la militare disciplina, armi nu-
merose e capitani esperti e provati in guerra: e dalla parte
dei Siciliani sta il coraggio individuale soltanto; eppure
Tesito délia pugna tornô favorevole non a quelli, ma a
questi ; i quali avrebbero compiutamente debellato il nimico
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570 CAPITOLO IX
se bene condotti e se unità di comando avesse presiedato al
governo délia giornata. AUo albeggiare del 9 il combattere
si riaccese con l'usato furore. Satriano, reputando impresa
difficile assai domare il nimico, che faceva strenuissima
resistenza e andava sempre pib ingroasando per gli aiuti
che giugnevangli dalle terre vicine^ raccolse Tesercito, il
quale, durante la notte, erasi allargato sino ai Tîllaggi di
Mezzagno e Villabate; poscia tentava gli animi dei Sici-
liani, mettendo fuora, per mezzo del Console di Francia
« la spontanea e magnanima determinazione del Re di
concedere il perdôno a tutti i reati comuni di qualunque
natura commessi sino a quel giorno; esclusi perô dalla
sovrana beneficenza coloro che avevano architettata la
rivoluzione. > Nuovo inganno e nuova perfidia celavasi
neiratto di Ferdinando Borbone ; avvegnachè col tacere in
quel perdôno i nomi degli architettori dei rivolgimenti di
Sicilia egli potesse allora e sempre, sonza rompere la fede
data, infierire a suo arbitrio contra i sudditi e disporne
délia vita e degli averi a suo talento. Ma il popolo, indo-
vinata l'artifiziosa insidia, prosegui la pugna sin quasi al
cadere del giorno, e giurô eziandio di riprenderla al di se-
guente, se i régi non si riducessero ai campi tenuti il 7
di quel mese di maggio, e Filangeri non pubblicasse i nomi
degli esclusi dalla regia generosa amnistia. Il Maestrato
suprême di Palermo, che ad ogni costo voleva metter fine
alla guerra, spediva una deputazione di cittadini al géné-
rale Satriano in Misilmeri per fargli conoscere le domande
del popolo; e le appagô subito il Filangeri; il quale, se non
disperava délia vittoria, la prevedeva perô ancor lontana e
moltosanguinosa. Fatto indietreggiare Tesercito da Palermo,
il principe di Satriano consegnava ai deputati a lui spe-
diti dal Municipio un foglio, su cui stavano scritti i nomi
délie persone non ammesse al reale perdôno; erano qua-
rantatrè. Il popolo, rassicurato dai partigiani del Borbone,
che un combattere di due giorni tanto onorevolmente so-
stenuto coi nimici, e il pieno soddisfacimento date da questi
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T08CANA, PABMA, MOBENA, NAPOLI 571
a quanto esso aveva richiesto, facevano salvo l'onore e lo
awenire suo politico, si quietô; ma dépose le armi sol-
tanto allora che ottenae libéra la uscita dairisola agit
stranieri e ai Napolitani — i quali, disertati dalle bandiere
borboniche, erano passati sotto quelle di Sicilia — ed ebbe
promessa dal générale Satriano che i régi avrebbero pre-
sidiato i forti di Castellamare e presa stanza fuor di Pa-
lermo, la cui sicurezza interna doTeva affldarsi aile Guardie
nazionali. — Il 15 maggio 1849 Tantica bandiera dei Bor-
bon.i veniva alzata sui forti e su le mura di Palermo;
Sicilia vedeva allora la sua libertà cadere per opéra di
quei soldati che un anno innanzi in Napoli aveanla spenta
nel sangue di tant! cittadini. Corne a Messina e a Catania,
cosi a Mezzagno, a Villabate le milizie di Ferdinando II,
interpreti fedeli délia volontà del loro padrone, commisero
orribili atti di barbarie, segnando i loro passi con gli in-
cendi e le ruberie, e compiendo la nefanda impresa con
uccisioni di yecchi e di infermi, di donne e di fanciulli.
Dei quali turpissimi fatti addussero a scusa la gagliarda
resîstenza incontrata nello insignorirsi di quei villaggi ;
ma i régi mandarono a ruba anche la terra di Misilmeri,
recatasi in mano senza colpo ferire!(l). Il re Ferdinando,
riaffermata la propria signoria neU'isola piii col terrore,
che per virtii di sue armi, non curandosi délia fede data
ai Siciliani di un générale perdôno e délia conservazione
dei loro diritti, prese a opprimere quanti erano in fama
di liberali ; per la quale cosa, non essendovi piii sicurezza
di vita e libertk, moltissimi esularono. I patti, fermati
il 14 maggio dal barone Riso e dal générale Filangeri,
guarentivano ai Palermitani la inviolabilità délia loro città
(1) « Non gingne potenza di parola ad esprimere il yalore spiegato
dalla nostra soldatesca in respingere le orde armate, snidandole da
tntte le rôcche e balze di Mezzagno e di Abate, villaggi che, nel calor
délia mischia, vennero bmciati, facendone eccidio. »
Diario offieiale di Napoli del 12 maggio 1849.
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572 OAPITOLO IX
— patto che Tammiraglio Baudiii ayea già messo iananzi
in nome del Re — e la conservazione délie Guardie nazio-
nali. Ma cinque giorni dopo il fermarsi della convenzione di
Misilmeri, il principe di Satriano invadeva Palermo con
sue genti, e dieci giorni appresso licenziava le Guardie
nazionali, costringendole a consegnare le armi; pena la
morte il disobbedire; eppure Filangeri, nel suo manifeste
del 22 di quel mese di maggio ai Siciliani, ne aveya enco-
miata la libertà. Il Governo borbonico peso allora con
mano di ferro su quella terra generosa; la quale, prima,
non solamente in Italia, ma in Europa tutta, avea alzata
la bandiera della libertà, e prima eziandio a bandire la
guerra contra la tirannide ; gli iniquissimi Ministri di Fer-
dinando II diedersi a perseguitare i popoli e a torturarli in
mille guise. Era in quelli incessante lo affannarsi per tro-
vare motivi d'imprigionare, di condannare; e, mancando
tali motivi, i tristi satelliti del Borbone li creavano, e con
le arti più vili ne preparavano le occasioni. Il Re, tor-
mentato sempre dai dubbi di nuove cospirazioni e sospet-
toso di tutti, non rare volte indicô le vittime; e i giudici,
non troyandole colpeyoli, le punirono per la parte avuta
nella passata sollevazione e persino per la intenzione di
congiurare a danno della monarchia: onde chiaro appariva,
essere stata Tamnistia di Ferdinando la più vituperevole
délie insidie. Dovunque la giustizla venue, da chi Tammini-
strava, apertamente violata; eppure il Borbone, a un infelice
che supplicavalo di clemenza, os6 rispondere : « La giustizia
deve seguire il suo corso; raccomandatevi allaMadonna. »
Sommessa la Sicilia e paciflcata (1) — in quale turpis-
simo modo fu or ora da noi narrato — il Borbone, temendo
(1) n governo dell'isola fa dato con pieni poteri al générale Filan-
geri, che Ferdinando creô Duca di Taormina con l'annua rendita di
eessanta mila lire per avère riassoggettata alla sua antoiit la Sicilia
ribelle.
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TOSCANA, PABMA, MODBNA, NAPOLI 573
che la libertà romana non avesse a destare nuovi incendi
nel suo reame, a vendicarsi délie vergogne toccategli a
Palestrina e a Velletri (1), davasi a inflerire contra l'as-
sociazione délia Unità Italiana^ la quale avéra il doppio
îateato, di combattere la tirannide e di riunire le mem-
bra sparse délia patria. Sorta dopo gli eccidi di Napoli
dell'anno innanzi per opéra d*alcuni rappresentanti del
popolo, in brève tempo erasi diffusa in moite parti délia
penisola. Dividevasi essa in Circoliy i cui capi chiamavansi
unitari; unitiy i semplici soci; Tobbedienza a chi li go-
Ternava era assoluta e cieca; tutti giuravano il secreto
délia loro istituzione ; al traditore davasi la morte, la quale
pena potevasi mandare a effetto da qualunque dei soci. 11
Magistrato civile di Napoli, venuto in sospetto dell'esi-
stenza di taie associazione, tanto e si abilmente maneg-
giossi da fare ascrivere a quella alcuni degli sgherri suol,
che dovevano, non solamente denunziarne le opère, ma
eziandio spingerla a moti inconsulti: disonesto scopo che
egli con tali disonestissimi mezzi non tardô a raggiugnere.
Le delazioni degli sgherri aveano già mandate aile prigioni
alcuni membri dell'associazione, allora che lo accendersi
di poca polvere (2) forni Toccasione a quel Magistrato di
imprigionarne degli altri. Il processo di questi infelici fu,
oltre ogni dire, inique quanto i giudici eletti a comporre
il tribunale, i quali, violando ogni principio di giustizia,
non ostante la mancanza assoluta di prove, sentenziaronli
colpevoli di attentato alla vita del Re eagli ordini dello Stato.
Se nessunodiessi venue mandate al supplizioestremo, ebbero
perô tutti a patire durissima prigionia. Il processo —
lungo e pieno di strazi morali e fisici — e le feroci con-
danne emanate dal tribunale commossero non solamente
il reame ma tutta l'Europa, e si fattamente che i Go-
(1) Vedi il capitolo viii.
(2) Fa la polvere di im salterello gettato in mezzo al popolo rianito
davanti la reggia per ricevere la benedizione di Pio IX.
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574 OAPiToiiO IX
Terni d'Inghilterra e di Fraacia vidersi costretti a muo-
vere aspri rimproveri al Re Borbone; il quale, noa po-
tendo niegare gli atti vituperevoli commessi da* saoi
Ministri — cui perô di crudeità e d*infamia egii era mae-
stro — scusossi dicendo di nulla sapeme; e allô invito
di riparare al suo maie operato Ferdinando rispose col
licenziare alcuai dei consiglieri suoi, ma senza restitniiv
a libertà gli innoceati, che gemevano in carcere. E fu
soltanto dopo sofferenze infinité e lunga prigionia ch'egli
ruppe ad alcuni di essl le catene ridonandoli aile loro fa-
miglie, e ad altri mutô il carcere in esilio (1). Il mal go-
verno che il Borbone faceva délia Sîcilia, a lui sot-
tomessasi a patti — quasi al tempo stesso fermati e
infranti — induceva a vive rimostranze e a protesta Tln-
ghilterra; = i Palermitani essersi assoggettati alla s%ui
signoridj cosi parlava Toratore britanno in Gorte di Napoli
il 16 settembre 1849, su la fede lor data dal Re di uni-
versale perdôno ; sperar quindi di non vedere violata la
reale parola. Avère essi diritto alla Costituzione del 1812;
ricordargliy che la sospensione continuata di taie antic^
(1) Gladstone, nelle sue lettere a lord Aberdeen, svelè a tutta En-
ropa le iniquità commesse nel processo delL' Unità Italiana dal OoTerno
borbonico, che l'onorevole scrittore chiamô la negazione di Dio ereata
in sistema. Per ottenere confessioni dai prigionieri adoperaronai da quel
Oovemo le torture, degne degli autichi tribunali inqtùsitoTiali, non di
gindici di nazione dyile. A danno di quegli infeiici fece testimonianza
nna gente perduta, tra cui un iadro e un offîciale del Hagistrato cirile.
False deposizioni vennero dagli avvocati avrertite, ma non respinte dtl
tribunale. Ferdinando Carafifa ~ un accusato — il quale, preso da spa-
yento alla minaccia délie torture aveya in carcere sottosciitto nna ac-
cusa contra amici suoi, venuto innanzi alla Corte snprema riparara al
mal fatto confessando il suo torto. « lo fui sempre uomo d'onore ; prora
di ci6 il trovarmi in questo processo e prova altresi la testimonianza
d'uomini egregL In mia vita M non onesto una sola volta, e fîi qaando
scrissi queUa bngiarda accusa. Ai giudici, al pubblico e agli amici, che
offesi, chiedo perdôno del fallo mio. n
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T080AKA, 7ABHA, MODENA, NAPOLI 675
e incontrastahile diritto, oltre mantenere nelVisola un
malcontento dannoso agli interessi comuni, spingerébbe
i Siciliani a nuova guerra contra Napolù = Stizzito deilo
inframmettersi di Bretagaa in sue faccende, Ferdiaando II,
per mezzo del ministre Fortunato siibito rispondeva : « Tutti
i provvedimenti con saggezza adottati dal principe di Sa-
triano, sin dopo la sommessione di Palermo, sono stati
sempre dettati da sentimenti di umanità e dal compiuto
oblio del passato. Nessuna idea di vendetta è vonuta nel-
Tanimo del Governo del Re in quell'isola. V. E. deve cono-
scere che fino ad oggi nessuna sentenza di morte ha avuto
luogo per delitti politici, e che la legge non ha usato rigori
fuorcbè verso gli assassinie i perturbatori deU'ordine pubbli-
co. Sebbene il Re insista pienamente sul principio che niun
Governo straniero abbia il diritto d'intervenire neirammini-
strazione interna d'un altro paese, pure io non posso pri-
varmi del piacere di far noto al Governo di uno Stato amico
e alleato, che la Sicilia in questo momento gode di una
perfetta tranquillità ; che gli abitanti sono lieti d'essere
tornati sotto la protezione del loro legittimo Sovrano; e
che se alcuno agente esterno non tenta turbare la pace
che attualmente régna nelVisola, il Re è sicuro che tutti
i suoi sudditi saranno uniti in un legame indissolubile di
affetto e fedeltà al loro Sovrano legittimo. > — Con quanta
saviezza e moderazione il principe di Satriano reggesse
la Sicilia e corne egli avesse rispettato i patti délia con-
venzione di Misilmeri e il perdôno promesse a quelli che
avevano preso parte ai moti dell'isola, il dicemmo piii so-
pra. Le parole del Ministre borbonico erano quindi bu-
giarde; e la perfetta tranquillità, nella quale, come fran-
camente asseriva, trovavansi di quoi giorni i Siciliani^
non provava il loro contente d'essere rieduti sotto la si-
gnoria borbonica; ma era un morale abbattimente, con-
seguenza délie passate sventure, dei dolori e délie per-
secuzioni che tuttavia soffrivano. In fatto, appena gli iso-
lani riavuti gli spiriti d'un tempo, si rialzarone, ripresere
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576 CAPITOLO IX
a tentare novità: ciô che accadde in Palermo in sul co-
mînciamento del 1850. Il Governo, pigliando pretesto da
quel moto popolare — che combattuto in sul suo nascere
facilmente fu vinto — diedesi di bel nuovo a perseguitare
e imprjgionare i cittadini più onorevoli; e il Re colse sol-
lecito quell'occasione, tanto favorevole, quanto desiderata,
per togliere ai popoli suoi lo Statuto, e senza darsi pen-
siepo del giuramento dato, tornare il reame alfusato de-
spotico reggimento. Ed egli che avea abolito il privilégia
del pubblico insegnamento, sino a quei giorni goduto dagli
ecclesiastici, fermava allora con Roma un concordato par
ristabilire i principi di sua regale autorita, profondameme
scossi dai passati rivolgimenti e avère nel Ponteûce e nel
Glero un forte sussidio nei tempi di perturbazione e di
tumulto, che prevedeva non lontani. E Pio IX premiava
Ferdinando II di sua tanta sommessione e riverenza a lai
e a Roma, sciogliendolo dal legame feudale verso la Ghiesa
e dal tributo délia chinea dovuto ad essa, contra il quale
legame e vincolo la Oorte di Napoli sino da Carlo Borbone
aveva protestato nella festività di San Pietro (1),
(1) u Usavano i Re di NapoU..... presentare al Papa in ogni anno h
chinea — cavallo bianco riccamente bardato — e settemila dncati d'oro.
La cerimonia era pomposa, perciocchô un ambasciatore nel 29 di giugno,
giomo di San Pietro, ofieriva quel dono in nome del Be al Pontefice,
che negli atrii deUa basilica vaticana ricevendolo diceva: tsêcre il
eenso a lui dovuto per diretto dominio sul regno délie due Sieilie. »
GoLLBTTA, Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825, cart 78;
Milano, 1861.
Una disputa di precedenza tra i servi dell'ambasciatore di Spagna e
del Govematore di Borna, disputa avvenuta nel 1776, indusse Carlo
Borbone, Be di Napoli, a far cessare quelPatto di sua devozùme verso i
santi Apostoli. u Gli esempi, scriveva egli a Borna nel luglio di quel-
Tanno 1776, la ragione, le riflessioni, le cautele, la umanità, la retti-
tudine, hanno concorso a muovere il régie animo a taie deliberaâone,
da quell'atto dipendendo unicamente la forma della sovrana volontà e
dall'impulso di sua pietà e dalla religiosa compiaoenza. n
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TOBCiLNA, PABMA, MODENA, XAPOLI 577
Gli anni, che dalla sommessioûe di Sicilia corsero slno
ailo aprirsi délie conferenze di Parigi nella primavera del
1855, furono di regQo tranquillo per Ferdinando II; il
quale, sempre irridendosi délie rimostranze e dei consiglî
di Bretagna e Francia, che avrebbero voluto inchinevole
a governo mite e onesto, ostinossi in suo perseguitare la
parte libérale, credendo di assicurare cosi il trono a se
e alla sua casa, e mantenere gli ordini e la quiète nel
reame. Ma da quella sicurezza in cui egli tanto si cullava
lo tolsero il rompersi délia guerra di Russia contra Tur-
chia per la quistione d'Orienté e la Lega degli Occidentali ;
e soprammodo turbaronlo le parole di Oavour su le con-
dizioni politiche dltalia ai rappresentanti dei grandi Stati,
siedenti a Parigi in quel Oongresso che da prima fece so-
spendere le armi combattenti nella Tauride e diede poscia
la pace aU'Europa ; e grandemente impensierirono il Bor-
bone le buone accoglienze fatte dagli oratori d'Inghilterra
^ di Francia aile proposte del Ministre sardo, su la néces-
sita di provvedere con sollecitudine all'Italia, allora piena
di pericoli per lo mal governo de' suoi principi, in ispecie
del Pontefice e del Re napolitano (1), Lord Clarendon,
ûello appoggiare le parole di Oavour, aflfermava : = Essere
necessario occuparsi di Napoli. = Le quali proposte e af-
fermazioni inducevano i Ministri del Re a protestare din-
nanzi aile Corti di Vienna, di Parigi, di Londra e di Pie-
troborgo contra lo inframmettersi del Oongresso nelle
(1) Il re Ferdinando, invitato a unirai alla Lega franco-inglese e a
Piendere parte alla guerra d'Orienté, rispose di volerai tenere neutrale
i^ella contesa, chiarendosi perô amico aUa Russia. E siccome gli Ita-
liani mostravansi favorevoli a quella Lega e plaudivano alla Sardegna
iillora che mandava a Crimea schiere elettissime di sue armi , il Bor-
bone, temendo che in quella universale commozione degli animi la parte
libérale avesse a sommuovere il reame, crebbe i rigori nel governo
^ello Stato.
^ — Vol. n. Mabiaw — Storia pcL e mO.
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578 CAPITOLO IX
faccende interne délia penisola, specialmente dello Stato
di Ferdinando II, loro signore; in pari tempo accusavano
la Sardegna di turbare Tltalia con sue mire ambiziose. £
siccome essi facevano grande fondamento su TAustrla, cosi
al ministre Walewski — che reputavano il meno cattivo
délia canaglia componente la Corte e il Oovemo di Na-
poleone (1) — il quale avvertivali, che le condizioni in cui
di quei giorni trovavansi Napoli e Sicilia, costitnivano
un serio pericolo per la tranquillità d*Italia e par la pace
d'Europa, superbamente rispondevano : «La clemenza e
generosità usate sempre dal Re verso i ribelli alla sua au-
torità, essendo rimaste senza efflcacia, egli aveva allora
dovuto servirsi di mezzi severi bensî, ma giusti, per tute-
lare gli ordini dello Stato e la quiète de' suoi popoli ; in
oltre, essendo il loro Signore solo giudice dei bisognî dei
sudditi, egli avrebbe sempre respinto qualunque intervento
straniero. > — Aile parole dei Ministri borbonici, altiere e
fermissime, Francia e Inghilterra, non volendo romperla
con Napoli, facevano moderatissima replica; che cioè sa-
rebbersi tenute paghe se il Re accordasse il perdôno a
chi glielo chiedesse. Ma avendo ricevuto dal Borbone un
assoluto diniego e avvertite ch'egli di nuove difese affor-
zava le coste, Oapua e Gaeta; e che, pretessendo i mali
umori in quel mezzo destatisi in Sicilia, portava a numéro
i reggimenti dei mercenari svizzeri e riordinava Tesercito.
6sse da prima richiamavano da Napoli i loro ambasciatori,
di poi licenziavano quei di Ferdinando, che stavano in Corte
di Parigi e di Londra. Le rimostranze di simpatia degli
Stati occidentali verso l'Italia, e lo atteggiarsi di essi ostile
al Borbone incoraggiarono alcuni Siciliani a tentare no-
(1) n 13 maggio 1856 il principe Oarini scrivea da Londia ai Mi-
nistri di Napoli: u Non iscnserô Walewski, ma egli ô il meno cattiro
délia canaglia innnmerevole che compone la Corte e il Gk>vemo dei-
rimperatore, dalla cui cnpa mente soltanto dipende la politica deUa
Francia. «
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TOSOANA, PABMA, MODBNA, NAPOLI 579
Tità aeirisola; i quali, in numéro di dugento allô incirca,
duce il barone Francesco Bentivegna da Corleone, giovane
audacissimo (1), il 22 novembre di quelFanno 1856 alza-
rano la bandîBra italiana dei tre colori gridando : Viva la
liber^tà, viva la costUuzîone del 1812; e da Mezzojuso cor-
revano a Villafrate, Ciminna e Vontimiglia su quel di Ter-
mini, mettendo in fuga la gente d'arme e le guardie up-
bane ite loro incontro per combatterli. La schiera di Fran-
cesco Guarneri nella sera del 26 impadronissi di Cefalîi e
subito aperse le prigioni ai condannati politici che là si
trovavano. Ma l'impresa, non assecondata dalle popolazioni,
cadde a vuoto; e i sollevati vennero in parte dispersi, in
parte fatti prigionieri, ira questi il barone Bentivegna per
tradimento di certo Milone, un giorno amico suo. Condotto
a Palermo, egli fu da un tribunale militare condannato al
suppUzio Gstremo, cbe sopportô con animo forte in Mez-
zojuso il 23 dicembre di quelFanno; come certo Spinuzza,
un dei capi dell'impresa, perdette la vita in Cefalù; ai loro
compagni toccarono le galère. — Pochi giorni dopo il moto
<ii Sicilia, spento in sul suo nascere, un giovane soldato,
Aj^esilao Milano, attentava alla vita di Ferdinando, allora che
sui carapo di Marte passava in rassegna il presidio di Na-
poli. Era VS dicembre, giorno délia Immacolata Concezione,
Mentre il terzo battaglione dei cacciatori — fanti leggeri —
giugneva dinnanzi al Re, Agesilao Milano, uscito dalle flle, con
la baionetta innastata scagliavasi contra il Borbone, il quale
perô ebbe a patire soltanto una leggera scalfittura, per
avère la sella sviata da lui l'arma omicida; il feritore
avrebbe rînnovato il colpo, se non fosse stato gottato a
terra da un colonnello degli ussari. Tratto davanti al tri-
bunale confessô avère da molto tempo risoluto di uccidere
il Re, contra al quale, perché fedifrago, nel 1848 avea com-
(1) n barone Bentivegna nel 1848 ave va siednto nel Parlamento
si^îUiano.
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580 OAPITOLO IX
battuto ; dannato nel capo, sopportô coraggiosamente la pena
inflittagli (1). Non ostante la affermazione del tribunale
non essersi trovati complici nelVattentato di AgesUao
Milano, pure il Maestrato civile délia città, sempre in
sospetto di cospirazioni e di congiure, fece ricerche dili-
gentissime, ma tutte invano, per trovarne i correi : ondi^
le prigioui riempironsi di nuove vittîme. Sgraziatamente
confermayanlo ne* suoi sospetti il comporsi di bande ar-
mate nelle Oalabrie e il minacciar che queste facev^ano di
ribellare il paese tutto contra Tautorità regia ; in oltre, lo
accendersi délie polveri da guerra, avvenuto a mezzo il
giorno 17 dicembre, mentre toglievansi da una nave (2),
e lo scoppiare délia Santa Barbara d*una ft*egata a vapor^
— il Carlo III (3) — allora che stava per trasportare armi
a Palermo ; del prender fuoco di quelle polveri — che
molti spense e moltissimi feri — il Governo aflTermô essere
opéra délia parte libérale, non del casa. Il Borbone, che
poco prima avea sdegnosamente niegato d'avvicinarsi alla
Sardegna — proposta fatta da Cavour a Canofari, oratorv
di Ferdinando II in Corte di Torino (4) — venuto allora
(1) Agesilao MUano di San Benedetto, terra del Cosentâno, per com-
piere il disegno tanto meditato erasi scritto neU'esercito, nel qnale
comportossi sempre lodevolmente. Nel confessare la tentata uccisione
del Re, disse non aver mai confidato a nessuno il disegno sno: onde
non poteva aver complici.
(2) Le polveri dovevansi portare nel magazzino del Holo mtlitare,
che corre dinnanzi al palazzo reale.
(3) Lo scoppio avYenne nella notte del 4 al 5 gennaio 1857. Sn la
fregata trovavasi copia grandissima di moschetti e di mnnizioni da
guerra.
(4) Nel novembre del 1856 OaToar, parlando con Canofari dei tenta-
tivi fîGitti da Lnciano Mnrat e dai partigiani saoi allô scopo di traire
a loro vantaggio lepessinu eondizioni in ehe erasi posto Ferdinando 11^
dopo avère lodato il Be per avère saputo seiogliere a 8uo profitto ial
nodo aasai intricato^ soggiungeva: « H vostro Sovrano dovrebbe ora
vendicarsi degli Stati che lo hanno annoiato, corne di qnelli che lo
hanno moUemente assistito, e ravricinarsi al Piemonte. Dico ci6 come
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T08CAKA, PABMA^ MOBBNA, NAPOLI 581
in gravi timori per lo abbandono di Fraacia e d'Inghil-
terra, cercava i buoni offlci délia Prussia per rinnovare
COQ la Bretagna le antiche amichevoli relazioni, rotte poco
innanzi del superbo suo contegno. Se non che il Governo
di Londra chiedendogli la riparazione â*lngiurie sofierte (1)
e nel reggimento dei popoli quella moderazione, che in
principi onesti sempre s'accompagna alla giustizia, e non
volendo il re Ferdinando ottemperare ai savi consigU
di quel Governo, del cui appoggio tanto abbisognava, ne
codere aile sue eque demande, non fu possibile stabi-
lire il desiderato accorde. Il Borbone vedevasi allora la-
sciato tutto a se stesso, perô che fondamento veruno egli
potesse fare su la Russia, la cui grande lontananza rende-
vano inefficace Talleanza; e pochissimo su l'Austria, la
quale non passerebbe il Po con sue armi se non quando
un générale sollevamento minacciasse la Lombardia e le
Venezie. A provvedere alla sicurezza interna del reame,
Ferdinando II accostossi maggiormente al Clero, certo di
trovare in esso un valide appoggio nelle perturbazioni
popolari. A taie intente fecegli concessioni di somma im-
portanza, tra le quali ricorderemo lo aflfrancamento délia
Chiesa dalla potestà civile, la secrêtezza nei processi degli
ecclesiastici e la mutazione délia pena se richiesta dai ve-
scovi; a questi lo invigilare su le scuole pubbliche e pri-
mate, la censura preventiva (sic); in fine libero accordô al
Clero il diritto di raccogliersi a concilie e di pubblicare
i loro atti.
ui'iividuo privato. Non è il MiniBtro degli affari ester! che parla: Na-
P^U e Piemonte bene nniti darebbero la legge all'Italia. » Nel dicembre
il Hinistro sopia le faccende esteme délie Dne Sicilie scriveva a Ca-
iiofari in nome del suo Signore: « H Governo del Re non demanda di.
Anlcinarsi ad alcono Stato ; egli mette ogni studio'per istare bene con
l^tti, a condizione per6 che nessnno s'ingerisca negli affari délia sua
^terna amministrazione. »
(1) In Napoli erano state messe faora per le stampe parole inginriose
alVlngbilterra.
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582 CAPITOLO IX
la quel mezzo Giuseppe Mazzini ordiva nuove cospira-
zioni per soUevare l'Italia. Asaicurato dagli usciti napoli-
tani che le Due Sicilie avrebbero geiierosamente rispo.sto
al suo appelle, egli deliberava di tentare prima quel reame;
impresa ardua assai e piena di pericoli, che egli fidava
a Carlo Pisacane, soldato intrépide, quanto iatelligent^. 11
quale, con veaticinque compagni al pari di lui audacis-
simi, il 25 giugno saliva a borde del Cagliari, legno mer-
catantesco a vapore délia Società Rubattino, meiitre stava
per imprendere Tordinario suo viaggio da Genova a Tu-
nisi; poco lontano dal porto da sessanta armati, avvici-
natisigli sopra barche leggiere, salivano su quello, indi
Pisacane costringeva il comandante del legno a volgere
la prua all'isola di Ponza. Appena arrivatovi liberava<li
prigionia trecentoventisette condannati — la maggiore
parte per crimine di Stato — e dopo aver dato loro le
armi, seco portate da Genova, rientrava sollecito in mare
con la sua banda, facendo cammino verso Sapri, picciola
terra che siede sul golfg di Policastro. Pervenuto a quelle
spiaggie Pisacane vi scendeva coi suoi; e, gridando vim
alVltalia e alla repubMica, chiamavane aU'impresa gli
abitatori; ma pochi d'essi fecero eco a quoi gridi, po-
chissimi corsero a ingrossare Tardimentosa schiera, la quale
con armi tanto impari aU'audace impresa osava sfidare
tutta la potenza borbonica, Assalita dai régi, fu forza
gettarsi sui vicini monti, ove credeva potersi difendere
con vantaggio sine al ricevere degli aiuti, che le Galabi le
non avrebbero tardato a inviarle. Vivaraente perseguita
da presse, dovette sostenere nuovi affronti; e il 2 luglio.
sui piani di Sanza, toccô piena battitura e scoufitta; molti
di essa furono uccisi o feriti; tra quelli, il Pisacane,
e tra i secondi, Giovanni Nicotera da Nicastro, giovane
di nobile sangue e intrépide quanto Tamico, che gover-
nava la spedizione, Alcuni dei loro, caduti in potei'e dei
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TOSCANA, PABMA, MOBENA, NAPOLI 583
Borboni, vennero subito mandati a morte (1); la rima-
nentt parte di quella schiera ando dispersa o riparossi
sul Cagliari, che, fuggito con buona fortuna dai lidi na-
politani, era ia alto mare catturato dalle régie frégate
Tancredi ed Ettore Fîeramosca, le quali lo trassero a
Napoli. — Questo il fine délia spedizione di Sapri, che
alla patria costô tante nobilissime vite, senza che si av-
yantaggiasse la causa sua e il principio nazionale (2). la
(1) Carlo Pisacane — figliuolo a Gennaro duca di San Giovanni —
naaceva in Napoli addi 21 agosto 1818. Compinti gU stadi nel collegio
délia Nunziatella entrava nel corpo degli Ingegneri militari. Lasciato
nel febbraio del 1847 l'esercito borbonico, recossi a Parigi; messosi
al soldo di Francia, militù in Algeria nella legione estera, allora capi-
tanata dal colonnello Mellinet, che nell'aprile 1848 lasciava per riedere
in patria. Tomato il reame di Napoli sotto l'antica tirannide del Bor-
lH)ne, Carlo Pisacane portossi a Roma, e fa de' snoi più strenni difen-
sori nel memorando assedio del 1849. Yenata qnella a mauo dei Fran-
cesi assediatori, egli rifngiavasi a Londra, ove stringevasi in amicizia
con Giuseppe Mazzini; il quale, conosciutolo per nomo arditissimo e
nelle cose délia gnerra bene istratto, fidavagli la difficile impresa di
Napoli
Giovanni Nicotera da Nicastro nel 1847 cospirô e nel 1848 combatte
in Calabria contra la signoria di Ferdinando II, il Re fedifrago ; e nel
^eguente anno, pngnando con l'nsato valore contra i soldati di Francia
assalitori di Koma, toccô assai grave ferîta alla giomata del 30 aprile
di qaell'anno 1849 ; esule, non lasciô mai di agitarsi e d'agitare a bene-
fiiio dellltalia.
Fq detto allora, ma non confermato poi, che Kattazzi, Ministre di Sar-
degna, avesse di nascosto appoggiato Timpresa di Mazzini; e che, ita a
ttiale, l'abbia di poi rinnegata.
(2) Xella notte che segui alla fazione di Sanza, combattatasi il primo
i^glio, ona gnardia del campo borbonico rinvenlva in mezzo ai morti
^ de' soUevati, il quale dava segni di vita : era Giovanni Nicotera, ivi
giacente per tre ferite alla testa e nna alla mano destra, e che per via
^ftl campo a Sanza ne riceveva un'altra gravissima al ventre da nna donna
inibestialita contra i briganti che avevano voluto ammazzare lo Re;
6 avrebbelo ncciso se la gnardia borbonica non l' avesse difeso daUe
^^ di quella donna. Al generoso guardiano — svelatosi carbonaro a
Picotera — qnesti chiedeva sollecito che, sceso al campo e fatta ricerca
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584 CAPITOLO IX
verità, se la parte moderata giudicô troppo severameite
il tentative di Mazzini di levare in su l'arme al medesimo
tempo Genova, Livorno e il Napolitano con un pu^no di
gente e pochissime armi, è perô molto da censararsi il
d'un uomo basse e biondo speuto nella pugna — C»rlo Pisacane —
prendesse le carte ch'egli tioverebbe certamente in nna borsa del mono.
E il guardiano cercô e rinvenne YiMmo indicatogli, e prese le cane
e le distrusse; non tutte perô, ayvegnachô i predoni del campo, spo-
gliato già Pisacane, ne ayessero gettate non poche al vento, che le
disperse tra i caduti: in quelle carte troyavasi la nota dei contnn-
rati. Condotto dinnanzi ai giudici Nicotera generosamente accusaT.i $é
per salvare i compagni; interrogato, rispoudeva: = Avère conoscinto
Carlo Pisacane soltanto; Tarmi per l'impresa essere state trovate snl
Cagliari, = Tratto poscia dinnanzi al tribunale di Salemo, Nicotera
vedeva sul tavolo dei giudici alcune carte di Pisacane sfoggite, couit
dicemmo già, aile ricerche del guardiano carbonaro ; tra quelle un fc*-
glio, sul quale stavano scritti alcuni nomi di merci e commestibili.
accanto a quel nomi moite eifre; in queste trovavasi tutto il segreto
délia congiura. Interpellato, Nicotera afferma va: = Quel foglio avère
appartenuto, non a Pisacane, ma a uno dei compagni suoi, che per ra-
gione dei traffici recavasi in Sardegna. = Più volte interrogato sa !•»
<n/re, fermamente rispoudeva : = Impossibile a spiegarle senza il libr>>
a riscontro, ch'egli sape va posseduto da Pisacane. = Pu allora che iJ
Govemo sardo, richiesto dal borbonico, spedi a Salemo i libri di Pisacane
trovati nella sua casa in Genova ; tra quelli Nicotera non seppe rinvt-
nire il l\bro a riscontro^ tanto desiderato dal tribunale, ma soltanto nu
foglio, sul quale stava scritto il nome di De Mata, un amico di Spa-
venta, un cappellaio di Napoli, che Nicotera salvô asseverando: avtrt
Pisacane notatone il nome^ per un cappello comperato in sua bottega :
De Mata veniva quindi tomato a libertà. A furia di ricerche Vinten-
dente Ajossa giunse a leggere nelle cifre, già tanto studiate, i nomi
di molti congiurati; se non che Nicotera, protestando di non avare co-
nosciuto complici e quel nomi dicendo inventati per punire degli inno-
cent!, salvava gli amici suoi. Due di questi, per trarre lui pure a sainte.
affermarono avère egli sconsigliata la spedizione ; onde Nicotera allora
esclamô: := Mentire essi; s' egli non fosse caduto ferito, non sarebbesi
parlato mai di resa. = Dannato a morte, Nicotera ebbe, per U buoni offici
d'Inghilterra, mutata la pena capitale in prigionia perpétua nelle car-
ceri di Favignana ; dalle quali usci allora che Giuseppe Garibaldi spense
in Napoli la tirannide borbonica.
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TOSCANA, PABMA, MODBNA, NAPOLI 585
modo col quale il grande agitatore procedette nella dise-
gnata impresa. Con troppa leggerezza egli presto fede aile
parole degli usciti di Sicilia e di Napoli, che affermavano
essere il loro paese impaziente di togliersi di dosso il giogo
borbonico e aspettare con ansia febbrile Tora propizia a
sollevarsi contr'esso: onde Mazzini, nella certezza che
picciola favilla basterebbe ad accendere il fuoco in tutta
ritalia, mandô Pisacane con un pugno di coraggiosi a
chiamare in su l'arme i popoli del mezzogiorno dltalia;
il cospiratore genovese non erasi avveduto i tempi non
correre favorevoli aU'irapresa. Il moto di Sicilia del Ben-
tivegna, l'attentato d'Agesilao Milano e lo accendersi délie
polveri di due navi da guerra, confermando i sospetti
concepiti dal Re su lo agitarsi délia parte libérale, in-
ducevano i suoi Ministri a crescere di vigilanza per la
sicurezza dello Stato. La Sardegna aveva allora bisogno
délia massima quiète per potere combattere con vantaggio'
la politica subdola e provocatrice dell'Austria; e il tenta-
tive mazziniano contra Napoli non solamente spinse i nimici
suoi a muoverle accusa di debolezza inconciliabile con gli
obblighi verso Taltre nazioni (1), ma eziandio la pose in lite
col Governo borbonico per la cattura del Caglîari. Le de-
posizioni di testimoni avendo provato essere questa avve-
nuta in alto mare, la Sardegna, nel protestare contra quel-
Tatto violatore del diritto délie genti, domandô a Napoli
la immediata rostituzione del legno catturato e la libertà
délie persone prese con esso (2). Niegatole dal Ministri di
Ferdinando il soddisfacimento di sue giuste richieste, la
Sardegna fece rimettere agli Stati amici un mémorandum,
nel quale dimostrô, che quella cattura fatta in alto mare
(1) NicoKBDE BiANCHi. // conte Camillo di Cavour, cart. 50; To-
rino, 1863.
(2) Dei prigionieri del Cagliari due erano inglesi, i qaaU dirige vano
le macchine di quel legno a vapore. Richiesti dal loro Governo, veni-
vano presto restitiiiti a libertà.
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586 CAPITOLO IX
offendeva i princîpi del diritto pubblico, in tempo di pace
legittima soltanto contra i pirati, Siccome nel Congresso
di Parigi era stato sancito il princîpio, che la bandiera
copre la merce in pace e in guerra^ cosi Francia e Bre-
tagna dovettero in taie contesa sostonere la Sardegna:
ciô che fecero vigorosamente da prima, debolznente dl
poi : onde la quistione andô molto a lungo. Venne perô
risoluta secondo giustizia; il Cagliari fu restituito dopo
due anni dalla sua presa, e quando il re Ferdiaando era
passato di vita (1). — Se per la cattura del Cagliari eransi
non poco rallentate le relazioni tra Napoli e Torino, l'osti-
narsi del Borbone nel malo reggimento dello Stato avea
vie piîi raflfreddata la sua amicizia con le Gorti di Parigi e
di Londra. Fu allora che la Prussia, temendo la parte
libérale avesse da quel disaccordi a prendere animo per
ritentare novità, mise innanzi gli offici suoi aU'intento
di ravvicinare Napoli alla Bretagna; ma gli sforzi suoi
caddero a vuoto, niegandosi da Ferdinando II il perdôno
ai condannati e agli usciti politici; ad ottenere il quale
Francia e Inghilterra avevano fatto, presse il Governo
del Re, le piii vive istanze. Il Borbone, che voleva sgom-
brare le prigioni per rinchiicdervi altre viUimej corne
ebbe poi ad aflfermare lord Palmerston alla Caméra dei
Comuni, propose alla repubblica Argentina di consegnarle
i condannati; ma questa, che assai volontieri avrebbeli
ricevuti quali coloni se consenzienti e pienamente liben.
ricusô accettarli, quando si avvide che il Re intendeva
fare délia repubblica una casa di pena per quegli iafelici.
— Ferdinando II, trovatosi omai a se stesso lasciato, senza
amici ne alleati, pieno di timori e di tutti sospettoso, cre-
sceva ogni di piîi nei rigori e nelle persecuzioni; e quasi
fosse minacciato d'armi nimiche, nel 1858 scriveva nello
esercito un numéro di soldati maggiore dell'usato. — Gor-
(1) Délia quistione del Cagliari riparleremo nel corso di queste istorie.
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TOSOANA, PABMA, MOBBNA, NAPOLI 587
reva queiranao verso il suo fine, allora che le prigioni
dello Stato aprivansi a novantasei condannati per crimini
politici (1), cui il Re ia sua grande clemenza aveva com-
mutata la pena in esilio perpetuo dal reame. Con taie atto
di grazia sovrana Ferdinando II intese festeggiare le nozze
fortunate di Francesco duca di Calabria, suo primogenito,
con Maria Sofia, flgliuola al duca Massimiliano délia casa
di Baviera, e sorella aU'Imperatrice d'Austria; avveni-
mento questo annunciato ai popoli délie Due Sicilie il
4 gennaio 1859. L'esilio ai graziati dal Re venne dai Mi-
nistri cambiato in dolorosissima relegazione nell* America
settentrionale (2). Su lo StrornbolU scortato dal Fieramo-
sca — che Enrico Brocchetti governava — in sul cadere
di quel mese di gennaio giugnevano a Oadice; ove il 19
febbraio passavano sul David Stewart, leguo americano
mercatantesco noleggiato per Nuova York dal barone
Brocchetti, il quale, dopo averlo con la regia fregata con-
dotto al capo San Vincenzo, rifaceva il cammino alla volta
del reame. Gli esuli, i quali invanamente avevano in Na-
poli protestato contra la violenza dei Ministri, che oflfen-
deva la grazia sovrana, e altresi invano protestato in Ca-
dice, quando videro allontanato il jFYeramo5ca, tanto fecero
e minacciarono da indurre il capitano délia nave ameri-
cana a volgere le antenne alla Irlanda; e dopo quindici
giorni di cammino scesero a Gork, terra di quell'isola. —
Il 27 dicembre 1858 — in cui il Re dava in Oaserta la
grazia ai condannati politici — allô intente di tutelare
sempre più in awenire la tranquillità interna dello
Stato decretava: i tribunali militari suMtanei avessero
a giudicare coloro che venissero côlti neiratto di atten-
tare alla vita del Sovrano o agli ordini dello Stato ; il quale
(1) Erano ventisei condannati all'ergastolo, settantadue ai ferri; di
questi nltind, dne già passati di vita. H decreto della commntazione
délia pena aye» il Re sottoscritto in Caserta il 27 dicembre 1858.
(2) Ad alconi, per grazia spéciale, fu conceduto di rîmanere in Enropa.
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588 OAPITOLO IX
decreto pubblicavasi il 13 genuaio deiranno appresao e
quando il reame trovavasi in festa per le fauste nozze
dello erede al trono. — Il 3 febbraio 1859 da Trieste, per
TAdriatico e sopra navi napolitane da guerra, Maria Sofia
di Baviera arrivava a Bari, salutata dal Re, dalla Regina,
dallo sposo e dai principi venutivi a incontrarla. Benedette
daU'Arcivescovo délia città, le nozze celebraronsi con
grande pompa, ma le feste che le accompagnarono non
furono liete; avvegnachè il bando perpétue deî graziati
politici, la loro relegazione nelle lontane Americhe e lo
editto che dava ai tribunali militari il giudizio dei crimini
di Stato avessero imraalinconito il popolo; e la malattia,
che da tempo consumava Ferdinando Borbone, di quei
giorni fattasi piîi torraentosa, avesse chiuso Tanima délia
famiglia reale e dei cortigiani alla serenità délia gioia.—
La malattia dei Borbone ogni di piii aggravandosi, deli-
berossi di trasportarlo a Caserta. Lasciata Bari il 7 marzo
Taugusto infermo entrava in mare a bordo dei Ruggero
— una fregata da guerra — e due giorni dopo, sceso alla
Famritdy presse Napoli, senza por tempo in mezzo per la
via ferrata recavasi alla sua Caserta. Ad accrescere le
tristezze délia Oorte e ad amareggiare l'anima dei Re —
che létal morbo andava disfacendo — giugnevano le no-
velle délia Lega di Francia con la Sardegna contra l'Au-
stria, e délia guerra, che, già inditta dall'imperio alla ri-
vale, era vicinissima a combattersi. Il maie, che nei primi
giorni dei ritorno di Ferdinando alla prediletta sua reggia
aveva scemato alquanto di intensità, riprese allora violen-
tissimo e si fattamente che il 12 aprile gli si amministrô
il viatico; dal quale giorno sempre progredi da trarre lo
infermo alla tomba. Il 22 maggio Ferdinando II Borbone, so-
prannomato il Bombardatore, si spense (1); egli aveacon-
(1) Brevi giorni dopo la morte di Ferdinando di Na^li paasara di
vita Clémente Vinceslao principe di Metternich. In verità non sapreb-
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TOSGANA, PABMA, HOBBNA, NAPOLl 589
tato cinquantanove anni di vita, ventotto di regno. Prima
di scendere nella eternità udi il romoreggiare di quella
guerra, che dovea riveadicare il bel Paese alla libertà da
lui sempre osteggiata; e indovinandone le vittorie consi-
gliô al flgliuolo, successore suo, moderazione nel goverao
dei popoli, virtù che egli aon aveva posseduto mai. I cor-
tigiani piansero allora la perdita di un Monarca grande
e pio e di meritt tanto suMimi da non potersi celébrare
abbastanza; ma tutta Eupopa — cui poco iananzi Glads-
tone avealo fatto segno a giusta esecrazione — rallegrossi
di vedere per quella morte liberato dalla piîi barbara ti-
rannide un popolo civile-
besi affennare quai dei due sia stato più infesto all'Italia, se il fedifrago
Borbone, che tante volte riempi di sangue e di lutti il reame suo, o
il gran cancelliere délia monarchia absburghese; il quale, mentre a
torto chiamaya la patria nostra una espressione geografica, non vedeya,
m sm molta sapienza^ non essere l'Austria che un neaso politicol
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CÀPITOLOX.
Francia e Orimea.
I Baonapartisti. Carlo Luigi Napoleone Baonaparte. Le officine nazio-
nali. — n 22, 23 e 24 giagno. — Laigi Napoleone ô chiamato daJ
Buffiragio nniyersale a presiedere alla repubblica. — Trama di Stato
del 2 dicembre 1851. I complici di Baonaparte. — H 2 dicembre
1852 e rimperio. — Russia e Turchia. Quistione dei Lnogbi Santl
— I primi affronti sul Danubio. Sinope e Citate. — L'armata anglo-
francese nel Baltico. — SolleTazione del Greci; i Francesl al Pireo
e in Atene. — Anstria e Prnssia; Svezia e Danimarca. — Ba-
zardschik e Silistrîa; Timperatore Napoleone disegna l'impresa di
Orimea. — Bomarsond; i confederati scendono a Ciimea; Aima.
Balaklava e Inkermann. — Napoleone visita in Londra la regina
Vittoria. La grande mostra délie arti e délie industrie in Parigl
La regina d'Inghilterra yisita Timperatore in ParigL — Felke
Orsinî attenta alla vita di Napoleone. — Plombières; il primo
d'anno 1859 ; l'Imperatore ya con sne armi in ainto alla Sardegna.
I moti sediziosi del 15 maggio 1848 a Parigi arevano
scoperti i subdoli intrighi dei partigiani d'Enrico V, dei
Napoleonidi e loro amici. Ingannato da essi — che per inté-
resse proprio e per la propria ambizione volevano restau-
rare la sovranità regia o l'impériale — il popolo erasi la-
sciato condurre ad attentare contra la repubblica; ed
eziandio fùorviato da coloro i quali, pure avendo fede re-
pubblicana, professa vano principi, che non potevano porsi
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FBANOIA E ORIMEA 591
in essere, perché non basati sul vero, e, diciamolo franca-
mente, poco onesti. Inconscio di quel che faceva, il popolo
avea allora cercato distruggere quanto, a prezzo del suo
sangae e di tanti sacrifizi» poco innanzi aveva ediâcato, ad
abbattere cioè la sovrana sua autorità. Quietati gli animi,
non perô spente le passioni, sempre minaccianti di allagare
del loro luoco tutta la Francia, la Gommissione del potere
esecutivo (1) proponeva aU'Assemblea nazionale di soccor-
rere allltalia, la quale, per la fuga del Pontefice e la tradi-
gione di Perdinando di Napoli, volgeva allora in miserrime
condizioni. « Il momento è venuto, cosi Lamartine ai rap-
presentanti délia nazione, d'ordinare airesercito délie Alpi
d'avanzarsi; bisogna salvare Tltalia e rendere la sicurezza
alla Francia con una àiYersione patriottica (sic) oflferta aile
passioni ostili. » Ma siccome lo intervenire armato per la
indipendenza del bel Passe avrebbe potuto dai regnanti in
Europa interpretarsi quale pretesto di conquista, onde
risveglierebbersi a danno délia Francia le antiche gelosie,
sopite, ma non dimenticate, cosi l'Assemblea deliberava di
usclre alla guerra contra l'Austria, quando l'esercito di
Carlo Alberto fosse stato vinto su TAdige e sul Mincio, e
elle dairitalia le fosse giunto il grido d'aiuto. Intanto i
Buonapartisti tentavano tutte le vie per ottenere lo scopo
tante desiderato, il corapimento dei loro ardenti voti; e
ricordando le vittorie e i trionfi del primo imperio, le cui
anni avevano corsa gloriosamente tutta l'Europa; memo-
rando la potenza e la grandezza, cui il genio del vincitore
di Marengo, d'Austerlitz e di Jena aveva soUevata la Francia,
facevano ogni sforzo per risvegliare nel popolo l'antico
entusiasmo per la famiglia del prigioniero di Sant'Elena.
Rlmessi in patria dalFAssemblea nazionale, i membri di
quella, mentre protestavansi devoti alla repubblica e pronti
(I) Taie Gommissione era stata eletta il 10 maggio dall'Assemblea
nazionale costituente ; e componevasi dei cittadini Arago, Garnier-Pagés,
Marie, Lamartine e Ledrn-Bollin.
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592 CAPITOLO X
a servirla, cercavano con finissime arti di fare in tutti i
parti ti dei proseliti alla loro causa; in oltre, simulando
avère soltanto di mira la salute e il bene délia patria e
parlando délia possibilità di un seconde imperio, mettevano
innanzi se stessi. Soprammodo poi Luigi Napoleone, effi-
cacemente secondato da amici al par di lui audaci e intri-
ganti, maneggiavasi per avère aderenti neiresercito, nel
quale tuttavia mantenevasi vivissima la memoria deirerœ
leggendario e di sue vittoriose imprese. In brève tempo i
segreti raggiri dei Buonapartisti mutaronsi in aperta cospi-
razione contra la repubblica ; e siccome il primo passo di
Luigi Napoleone all'imperio doveva essere l'ascendere airof-
ficio di présidente dei Governo, cosi allora tutti i loro
sforzi si volsero a conquistargli quell'alto carico. I parti-
giani di Enrico V, degli Orléans e dei Buonaparte e i
socialisti, nello afiaticarsi alla buona riuscita délia loro
causa, pareva si fossero data la mano per opprimere la
parte repubblicana — che sola poteva condurre la patria
alla grandezza — e per trarre il paese a guerra civile.
Assai più fortunato dei legittiraisti e dei fautori degli Or-
léans fu Luigi Napoleone; perô che moltissimi, sincera-
mente repubblicani, nella credenza che il di lui nome
associato a quelle délia repubblica, darebbe stabilità e
fermezza al governo di popolo, che allora reggeva la
Francia, avessero preso a parteggiare per quel principe;
il quale poi dal canto suo afferraava di nutrire fede e sea-
timenti repubblicani. Posta innanzi la sua candidatura a
rappresentante délia nazione nell'Assemblea patria, il suo
nome venue gridato nei Comizi délia Senna, deirYonne,
deU'Aube e délia Charente inferiore; e fu questa la prima
vittoria di lui, che pochi mesi appresso ebbe a tenere in
sua mano la suprema autorità, e non molto di poi a impa-
dronirsi dei potere assoluto e délia impériale dignità in
Francia. Era chiaro, che nella elezione dei Buonaparte non
dovevasi vedere quella di un semplice rappresentante dei
popolo; e siccome i tentativi di Strasbourg e Boulogne
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FSANOIA S CBIMBA 593
aveano rivelate le mire ambiziose di quel principe, cosi la
Commissione délia potestà esecutivay indovinato il pericolo
che soprastava alla repubblica, vigilô attenta su gli amici
e i partigiani di Luigi Napoleone; e quando seppe bandire
essi apertamente i diritti di lui, che allora mettevasi in-
nanzi quale erede del grande Imperatore e délie tradizioni
imperiali, ordinô ai Prefetti dei dipartimenti marittimi di
arrestare il pretendente al suo scendere sul territorio
francese. — Reputiamo necessario spendere alcune parole,
che facciano conoscere Vuomo, il quale tenne per molti
anni in sua mano le sorti d'Europa.
Luigi Napoleone Buonaparte ebbe i natali in Parigi il
20 aprile 1808 dalla regina Ortensia Beauharnais. Luigi,
Re d'Olanda, fratello al primo dei Napoleonidi e marito a
Ortensia non fu il padre del prigioniero di Ham, awe-
gnachè egli sia nato da illegittimi amori. Nel 1816 costretto
a lasciare la Francia, ove i tempi allora correvano awersi
alla sua famiglia, riparossi con la madré da prima in Baviera,
di poi nella Svizzera, indl a Roma. Vinta dalle armi au-
striache la sollevazione délie Romagne nel 1831, alla quale
Luigi Napoleone aveva preso parte, recossi a Parigi ; che
subito lasciô per essergli stato niegato da Luigi Pilippo
d'entrare, semplice gregario, neU'esercito francese ; e dopo
aver passato alcuni mesi in Inghilterra, fece ritorno in
Isvizzera, ponendo stabile dimora nel castello di Arnenberg.
Volontario frequentatore délia scuola militare di Thun,
dedicossi in modo spéciale agli studi deU'artiglieria, délia
quale mise fuora per le stampe un manuale per gli ofla-
ciali délia repubblica, che meritogli dal Ooverno di Berna
il gpado di capitano nelle artigllerie. Sempre desideroso
<li servire la Francia come cittadino e come soldato, e flsso
^^ suo pensiero d'abbattere il Ooverno di luglio — il quale,
giustale sue aflfermazioni nelle sue Meditazioni politiche (l),
(1) Luigi Napoleone Buonaparte pnbblicô in Jarizzera le BêverieB
P^^itiques nel 1882; nell'anno appresso, le Considérations politiques
^ - VoL n. Habuxi — Siwria poL û mO.
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584 GAPITOLO X
allontand dal suo scopo legittimo la rivoluzione del 1830
e ne tradi la causa per sostenere il solo reggimento atto
a porre in effetto i grandi prindpi del 1789 — il 29 ot-
tobre 1836 tentava l'impresa a Strasbourg con lo appoggio
d'alcuni amici, ch'egli contava nell'esercito. AUe sei del
mattino di quel giorno il Buonaparte recayasi al quartiere
d'Austerlitz, ove stanziava un reggimento d'artigliert i
quali salutavanlo Imperatore; ito poscia con essi al quar-
tiere Finkematt, sede di un reggimento di fanti, veniva
da questi arrestato, e dopo alquanti giorni tradotto a Pa-
rigi ; la clemenza di Luigi Filippo, implorata dalla regina
Ortensia, esiliavalo agli Stati Uniti- Dopo brève soggîorno
lasciava l'America per riedere al suo castello di Arnenberg.
dal quale presto allontanavasi per impedire la guerra ira
Francia e Svizzera; perô che quella, reputando la
vicinanza del principe pericolosa alla tranquillità sna,
chiestone al Governo délia repubblica la cacciata dal sao
territorio e ottenuto un diniego, avesse raccolto grosso
nerbo di armati presso i confini elvetici; e la Svizzera, a
buon diritto altiera di sua indipendenza, alla provocazione
fpancese rispondesse inviando ventimila de' siioi aile fron-
tière minacciate. — Il 4 agosto 1840 Luigi Buonaparte,
Imbarcatosi a Londra, muoveva verso Boulogne, e due
giorni appresso con sessanta de' suoi fldi scendeva su la
marina di Wimereux, a quattro chilometri da quella citti
A Boulogne, corne a Strasbourg, egli affermava di venîre
non già ad abbattere un Governo ch'erasi imposto alla
et militairts sur la Suisse; nel 1884, il Manuale d'artiglieria; nel ld39.
in Inghiltena; le Idées napoléoniennes; in sna prigionia nel castellc
di Ham scrisse i Fragments historiques, pnbblicati nel 1841; e nel
1842 diede alla lace la Analyse de la question des sucres: nel 1843,
il Prqjet de loi sur le recrutement de Varmée; e nel 1844, la Extinctùm
du paupérisme, Dopo la faga di Ham mise fnora in Londra, cotrendo
il 1847, il primo volume dell'opera: Etudes sur le passé etVacenirdt
rartillerie.
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FBANCIA X OBIMSA 595
Francia e che non godeva del favor popolare, sibbene a
chiedere per se l'autorità impériale. « Queste imprese, cosi
Gialio Favre, erano criminose, avregnachè tendessero a
destare^ in nome di un uomo, la guerra civile in un paese
libero > (1). Portatosi con la picciola sua schiera a Bou-
logne, Napoleone tentava da prima guadaguare alla sua
causa alquante compagnie di fanti, che la presidiavano (2);
respinto, cercava di impadronirsi délia città; ma tornatogli
vano lo assalto, per essersi le Guardie nazionali chiaritesi
a lui awerse, lasciata l'impresa, riedeva a Wimereux
per risalire a sua nave ; se non che, essendosi di essa insi-
gnorito il capitano del porto, il Buonaparte cadeva con sue
genti prigioniero. Appena condotto a Parigi, convocavasi
la Corte dei Pari, la quale condannavalo a prigionia per-
pétua nel castello di Ham, ove veniva portato il 7 ottobre
di queiranno 1840. La cattivita di Ham muté, non in realtà,
ma in apparenza, le opinioni e le speranze politiche di
Luigi Napoleone. Lasciati gli amici e i complici di Strasbourg
e di Boulogne — adoratori délie tradizioni imperiali —
cerconne altri nella democrazia; egli avea compreso o simu-
lava di comprendere, che i tempi d'allora andavano pieni di
idée democratiche. I repubblicani, cui egli orasi accostato,
volontieri lo ascrissero alla loro parte, persuasi che il nome
suo — il quale, non estante gli errori commessi per lo
addietro, godeva tuttavia molto favore nel popolo — gio-
verebbe certamente alla loro causa. < Sia il nome del
Buonaparte la bandiera délia repubblica, null'altrb fuorchè
nna bandiera; se voi voleté essere di piii, non fate su me
fondamento veruno; » cosi aveagli parlato Peauger, une
(1) Parole pronnnziate il 13 giagno 1848 nell'Aâsemblea nazionale.
(2) Sia Qon lui il compagno d'esilio di Napoleone I a Sant'Elena, il
générale di Montholon; il quale a Boulogne teneva in una mano una
^Tsa d'oro, nell'altra una bottiglia d'acquavita; erano queste le armi
<^Q le quali cercava, non di vincere, ma di guadagnare i soldati al
principe, invitandoli a gridare: viva VImperatore,
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596 GAPITOLO X
de'capi délia parte repubblicana, venuto a troYarlo al
castello Ai Ham. E il principe rispondevagli : = Non essere
in lui ambizione di persona; desiderare di consecrarsi nnî-
camente alla causa popolare. = Bugiarda affermazione^
perô che di 11 a poco chiarisse sua libidine d'imperio nel
discutere con Luigi Blanc su la parte che verrebbegli as-
segnata nella repubblica, non volendo egli» capo del potere
esecûtivo, sommettersi all'autorità dei Gomitati o delFÂs-
semblea nazionale. — • Nel febbraio 1846, avvisato che i
giorni del padre suo erano minacciati da grave malattia,
il principe chiedeva istantemente al Governo di recarsi in
Italia per assisterlo neirora estrema; promettendo riedere
a sua prigionia, appena fosse quegli passato di yita. Ma
esigendosi da lui parole di guarentigia, ch'egli dar non
voleva per non mettere a rischio rawenir suo, lasciô che
il padre morisse, senza il conforte degli abbracci suoi;
l'ambizione aveva soflfocato in cuore del venturiero di
Strasbourg e di Boulogne gli affetti figliali! D*allora non
pensô più che alla fuga, mandata, pochi mesi di poi, feli-
cémente a effetto, con la sola cooperazione di un serve e
del medico Conneau (1); i quali, sebbene avessero già com-
piuto il tempo di loro prigionia, pure non avevano voluto
allontanarsi dal padrone e dall'amico che molto amavano.
— Era il 25 maggio di queU'anno 1846, quando Luigi Na-
poleone, travestito da muratore, fuggiva dal castello di
Ham, e per la via del Belgio portavasi a Londra, ove, ap-
pena giunto, a Saint-Aulair, oratore di Francia presso il
Governo britannico, scriveva cosî : « lo vengo a dichiarare
con franchezza airuomo che fu l'amico délia madré mia,
che nel fuggire di mia prigionia, io non ho ceduto a vemn
disegno di rinnovare contra il Governo francese tentativi,
(1) Oonnean era stato da prima medico d'Ortensia Beanhamaû; di
poi fd tra gli amici e confident! più intimi di qnella troppo feymbile
regina; di 11 la sna amicizia al principe Luigi, figlio di on altro amante
d'Ortensia.
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FBANGIA B OBIMBA 597
che ci sono stati assai disastrosi, ma al solo pensiero di
rivedere il mio vecchio padre. Prima di risolvermi allô
estremo partito délia (ngh, ho esaurito tutti i mezzi di sol-
lecitazione per ottenere la permissione di recarmi a Fi-
renze, offrendo le guarentigie compatibili coa Tonor mio.
Respinte quelle, io feci ciô che fecero già i duchi di Guise
e di Nemours, sotto il reguo di Eurico IV in circostanze
simili. Io ri prego, o signore, di far couoscere al Governo
francese gli iatendimenti miei paciâci, e spero che taie
spoQtanea dichiarazione servira ad abbreviare la cattività
degli amici miei che trovansi ancora in prigione. »
Alla notizia délia soUevazione di Parigi del febbraio 1848
Luigi Napoleone recavasi in Francia. Il Governo tem-
poraneo, temendo potesse la sua presenza commuovere o
agitare il paese, invitavalo a tornare in Inghilterra e a
rimanervi sino a che la repubblica fosse bene costituita;
ai quale invita il principe soUecito ottemperava. La sua
elezione a rappresentante del popolo gli apriva non molto
di poi le porte délia Francia ; questo fu per lui il primo
passe airimperio; per la repubblica, il primo verso la
rovina. — Preso animo da quella vittoria, i Buonapartisti
diedersi apertamente a combattere il Governo e la Gom-
missione del potere esecuUvo, e fecero ciô con armi sleali
e in modo proprio degno délia causa che sostenevano. Pro-
fittando del malcontento délie classi operaie — dalla man-
canza di lavoro gettate nella miseria — le spinsero alla
ribellione. II 6 giugno a Rennes esse abbattevano Talbero
della liberté ; a Rognonas — terra délie Bocche del Rodano
— alzavano la bandiera bianca acclamando Enrico Y; nel
%artimento di Vaucluse gridavano: Enrico Vo la morte.
n 9 giugno i cittadini di Gharleville venivano chiamati
aile armi per abbattere la nuova tirannia — dai Buona-
partisti detta più infâme e più ipocrita délia passata,
perché nascosta sotto il vélo délia democrazia — e per
elevare all'autorità suprema Luigi Napoleone, che saluta-
vano Imperatore. Ciô parimenti accadeva il 10 a Nancy.
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598 OAPITOLO X
A San Giovanni d'Angely essi spargevano scritti sediziosi
a danno délia repubblica e in favore del principe pretenr
dente; il 15 a Nimes aile grida di iHva Enrico V i Buo-
napartisti rispondevano acclamando Luigi Napoleone ; iadi
con le armi alla mano portavansi mi'nacciosi alla dimora
del Prefetto, il quale a fatica riconducevali alla quîete * a
Rouen tentavano guadagnar con l'oro i soldati a fayore
deU'imperio. Dovunque i nimici alla repubblica sofflavano
nel fuoco délie passioni che in modo diverse agitavanola
Francia; e seminando odio e predicando la ribellioae chla-
mavano i popoli in su l'arme contra il Governo. Quali
mezzi adottavansi allora dalla Oommissione del potere ese-
cuttvo per reprimere tante congiure? Veggendo impossi-
bile ogni conciliazione con le fazioni — che, sebbene per
fini diversissimi, osteggiavano il nuovo ordine di cose —
i rappresentanti délia nazione a quella consigliavano d'o-
perare con vigore, audacia e forza; ma essa, che era pur
risoluta a difendere la repubblica flno allô estremo, re-
spingeva ogni consiglio violente, deliberata di rispettare
e far rispettate la lïbertày Veguaglianza e la frateUanza
poco innanzi acclamate da tutta la Francia. Per sosteatare
le classi operaie, ridotte in cattive condizioni, causa la
sospensione délie industrie e dei trafflci, il Governo aveva
istituite délie grandi officine nazionali (1); ma costando
somme enôrmi, ne ottenendosi da esse i risultamenti spe-
rati; in oltre, piii che a bene ordinare i lavori dell'indu
stria privata tendendo quelle a disordinarli, TAssemblea con
suffragio quasi unanime deliberô di disfarle, a gradi a
gradi perô, inviando gli opérai nei dipartimenti, ove sa-
rebbersi subito ripresi i lavori da darsi loro in cottimo,
non a giornata; al quale scopo il Governo ricomprerebbe
le strade ferrate.
(1) Le officine nazionali accoglievano più di cento mila opérai; eraao
State istituite per qnelli che non avevano lavoro.
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7BAN0IA B OBIMSA 599
Era il 22 giugno, allora che numerose schiere d'operai
correvano tumultuanti le vie di Parigi ; i quali, mentre
acclamayano Luigi Napoleone^ protestavano di non voler
lasciare le loro officine, nô la città: i Buonapartisti e i
nimici alla repubblica avevanli mossi a romore in nome
del diritto cCesistenza (1). Siccome tutte le cure del Oo-
verno erano intese alla ricerca del mezzi efflcaci ad assi-
curar loro un sostentamento onesto, cosi gli agitatori,
risoluto di impedire a ogni costo aU'Assemblea Tapprovar
zione délia legge del racquisto délie vie ferrate, facevano
prendere le armi al popolo il giorno âssato alla discusslone
di essa. ih sol cadere délia notte lo atteggiamento dei sol-
levati erasl fatto oltremodo minaccioso; sebbene paresse
imminente lo scoppiare délia tempesta, non essendovi stata
provocazione veruna, la notte passô, bensi piena di tre-
pidazione, ma senza atti ostili. Aile sei del mattino del di
appresso grossa moltitudine di opérai délie officine na-
zionali invadeva la piazza del Panthéon; trovavansi tra
essi alcune guardie mobilitate in asslsa militare e non
pochi Buonapartisti veduti il giorno innanzi alla testa dei
tumultuanti. In su le prime queirassembramento non mo-
strô intendimenti d'oflTendere; ma dopo brevi ore una voce
alzossi in mezzo ad esso, la quale, gridata la ribellione al
Governo, chiamô il popolo aile armi per abbatterlo; e gli
opérai risposero a quelle invite asserragliando le vie e
prendendo le armi. Poco prima del mezzogiorno cominciô
il combattere tra i soUevati e le Guardie nazionali, le quali.
(1) u Nelle officine dicevasi altamente che non si partirebbe da Parigi.
Lasciare la città, era darla in mano agli aristocratici ; sapevasi fonte
in qnali Inoghi sarebbero stati gettati i figli del lavoro ? In palndi insa-
Inbri, e fra le nécessita d'ogni specie: la febbre e la morte; TAssemblea
nazionale voleva sacrificarli. »
Gapetigui, La Société et les Gouvernements de VEw^ope, tom. m,
cart. 233; Bmxelles, 1849.
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600 OAPIXOLO X
senza Tappoggio deiresercito, royinarono serragli, gaadâ-
gnando cosi del campo. n popolo, che ha indovinato le
mené degli agitatori, mostrasi awerso alla sollevazione,
la quale subito si chiarisce tutta politica e fatta aello in-
téresse di un pretendente — orleanista, legittimista o buo-
napartista — non già per quello piii nobile del lavoro:
dietro alla bandiera délia ribellione il popolo ha veduto
schierarsi quanti sono contrari alla repubblica. — Mentre
la sollevazione va allagando la città, i rappresentanti délia
nazione, raccolti a parlamento, discutono sul pacifico scio-
glimento délie officine nazionali ; che da alcuni vorrebbesi
fatto senza por tempo in mezzo ; e da altri, quando la tran-
quillità fosse tornata a Parigi e alla Francia. « Sciogliere
le officine quando il paese è sconvolto, cosi Garnier-Pagès,
sarebbe dar ragione ai raggiratori e giustiflcore piii che
mai i lamenti legittimi, il grido délia ribellione; sarebbe
gettare la massa degli opérai nelia miseria e spingerli aile
resistenze » (1). La discussione fu lunga, fu viva ; pero
nessuna deliberazione venue presa su lo scioglimento délie
officine, che tutti ritenevano necessario, ma che discordar
vano nei modi e nel tempo di mandarlo a efietto. — Lo
intervenire deiresercito fece la lotta più sanguinosa; as-
saliti vigorosamente, i sollevati âeramente difendevansi;
e se costretti a lasciare i loro serragli, indietreggiavano
pugnando sempre e facendo pagar caro al vincitore il ter-
reno conquistato. La notte rallentô il combattere, ma non
fece posare le armi ; che anzi i sollevati profittarono di
^ssa per apprestare nuove resistenze.
Il mattino del 24 TAssemblea nazionale, fatta persuasa che
per flnirla con la sollevazione, restaurare Tordine e assicu-
rare la repubblica da ulteriori offese abbisognava conferire
a un capo militare ampia potestà e mettere Parigi sotto
(1) Gabniib-Pagès, La rêvoluHande 1848, vol. x, cart 160; Pa-
rigi, 1872.
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FBANGIA B GBIMBA 601
Timperio délie leggi di guerra, delegava al générale Ca-
vaignac i sommi poteri; il quale, se al cominciare délia
ribellione avesse usato di quella sapiente operosità e gar
gUardia» délie quali erasi servito quando ebbe in sua mano
piena autorità di fare, la sollevazione sarebbe stata spenta
in sul suo nascere. La sorte délia pugna allora era varia;
perô che mentre in una parte délia città l'armi délia re-
pubblica felicemente combattessero, neiraltra prospéras-
sero l'armi dei rlbelli, i cui sforzi erano soprammodo rivolti
contra il. palazzo municipale. Ma il buon andamento dato
airimpresa dal générale Gavaignac e il giugnere délie
Guardie nazionali délie yicine terre volsero di li a poco
le sorti délia pugna in favore dei repubblicani e assicu-
rarono a questi la vittoria finale. La lotta, sospesa per lo
sceadere délia notte, il mattino dei 25 riaccendesi d'ambe
le parti con Tusata ferocia. L*Assemblea, che non vuol
lasciare intentata nessuna via per condurro a concordia
e a pace i concittadini suoi, fa gettare in mezzo ai soUe-
vati un suo manifeste^ tutto inspirato a sentimenti di con-
ciliazione; col quale, mentre li invita a sottomettersi aile
leggi, li assicui*a che le braccia delta repubhlica sono
aperte per riceoerli; in oltre promette loro di aiutarechi,
vivendo dei lavoro giornaliero, trovasi in bisogno di sus-
sidio (1). — In quel mezzo monsignor Aspre, Arcivescovo di
Parigi, che» come già scrivemmo^ avea fatto piena adesione
alla repubblica, recavasi in mezzo ai combattenti per chia-
lûarli a pace. Sacerdote giusta lo spirito di Dio, ei sentiva
il dovere di quella missione di carità cristiana; huon por
^tore ei voleva dare la vita per le site pecorelle, cosi
rispondea il pio prelato al colonnello Bertrand, che, al
^^ giugnere in su la piazza dell'arsenale, avevalo avver-
tito dei pericoli cui andava incontro. Preceduto da un po-
(I) L'Assemblea avea deliberato di distribnire tre milioni di liie agli
op«Tai bisognosi di sussidio.
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602 OAPITOLO X
polano portante un ramo verde, simbolo di pace, e accom-
pagnato da due Vicari, rArci^rescovo, attraversata la piazza
délia Bastiglia, viene al primo serraglio del sobborgo
Sant*Antonio e lo sale; al suo appressarsi la lotta si so-
spende. Ha il pietoso sacerdote appena cominciato a par-
lare, che, mortalmente ferito, cade nelle braccia di chi
gli sta a ôanco; la palla omicida eragli stata tirata dauna
casa délia vicina piazza délia Bastiglia. Ricoverato nel
presbiterio délia chiesa di Sant' Antonio, riceveva i conforti
di quella religione di cui era ministro degnissimo ; tras-
portato poco di poi nel palazzo arcivesco^ile, il di ap-
presso spirava l'anima immortale! Fu una perdita irrepa-
rabile che immerse nel lutto tutta Parigi (1). A questo
doloroso episodio délia guerra civile succedeva poche ore
dopo un atto di barbarie inaudita, l'assassinio del générale
Brea. Spinto da carità patria, allô scopo di impedire opn
ulteriore spargimento di sangue, egli erasi coraggiosameate
gettato in mezzo ai soUevati per legger loro il manifesto
dell'Assemblea e in vitarli a concordia, La sua parola franca
e soprammodo . la conâdenza clxe mostraya porre nella
lealtà e neironore dei nimici, venendo a mettersi in loro
mano, avevano vinte le resistenze délie difese di San Gia-
como, délia Salute e deirinferno; ma a quelle di Fontai-
nebleau fatto prigione, dopo avère sofferto con anime ia-
vitto gli insulti 1 più atroci, fù barbaramente ucciso dai
ribelli col capitano Mangin, il quale non erasi tolto mai
dal flanco del suo générale (2). — Verso le tre pomeri-
(1) Allora ch'egli seppe trovarsi in pericolo di morte, esclamô: » Che
Dio sia benedetto, e che accetti qnesto sacrificio ch'io gli offiro per
qnesto popolo fhorviato ! che la mia morte serra a espiare le colpe che
ho potnto commettere dorante il mio episcopato. »
(2) tt L' episodio più sangoinoso fa la morte o, per dire più esattar
mente, Tassassinio del générale di Brea e del suo aintante di campo,
aile difese di Fontaineblean. Taie era Tazione perversa délia stampa e
dei circoli, ch' erasi pervenuto a gettare odii profondi nel cnore del po-
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FBANCIA E CBIMBA
diane di quel giorno 25 giugno Gayaignac con tutto lo
sforzo di sue soldatesche e grosse schiere di Guardie nar
zionali mosse vigorosamente ad assalire i soUevati ; i quali,
sopraffatti non dal numéro ma dalla potenza délie armi
repubblicane, dovettero indietreggiare da ogni parte; la
anita di comando, la perizia di chi governava Timpresa e
la ferma volontà di farla presto finita, venuta nel générale
allora che teneva Tautorità suprema, portarono buoni
frutti. Le speranze dei ribelli stavano tutte nel sobborgo
di Sant* Antonio; il quale, per la copia grande dei difen-
sori e per li validi serragli di cui era stato munito, poteva
considerarsi formidabile rôcca. Gavaignac, alla chiamata
di rendersi a discrezione avendogli i soUevati risposto nie-
gativamente, e l'Assemblea non volendo scendere a pat-
teggiare con chi a buon diritto riteneva ribelli alla sua
autorità, imprese ad assediarli. La lotta, che il calare délia
nette avea fatto sospendere, ricominciô il mattino dei giorno
ap presse, il 26; e gli assalti deirarmi repubblicane fùrono
si bene ordinati, si armonicamente condotti e con tanta
forza eseguiti, che i soUevati, reputando vano il resi-
stere più oltre, lasciate le difese, o si sottomisero, o
fuggirono e con questi i capi e i promovitori délia soUe-
vazione. Disfatti i serragli e levato ogni impedimento da-
gli stessi abitatori dei sobborgo, i soldati délia repubblica
vi entrarono e l'occuparono. Innanzi il cadere dei giorno
tutta Parigi era paciflcata, ma durô lunga fatica a ripren-
dere la quiète usata; avvegnachè il prolungarsi dell'im-
perio délie leggi di guerra sovr'essa, se servlva a dare
sicurezza ai cittadini, ne irritasse perô gli animi, e in ve-
rità non potevano riconciliarli al Governo gli appresta-
polo e a rendere fanatica l'anima onesta degli opérai; scena onibile che
rirelô Fombile edncazione fatta aile moltitndini e lo abbratimeiito nel
quale erano stati cacciati. »
Gapbhoub, La Société et les Gouvernements de VEurope, vol. iv,
cart 12; Bruxelles, 1849.
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604 CAPITOL O X
menti militari ch*egli andava facendo, onde la città mu-
tavasi in un campo soldatesco. — Finito il combattere
cominciarono i processi e, conseguenza di questi, le rele-
gazioni in lontane terre; la Gommissione, eletta per h-
cercare le cause deirattentato del 15 maggio e délia ri-
bellione del giugno, lasciossi trasportare a private e bass^
vendette ; scoprire le ragioni di quelle e di questo, trovart
i veri colpevoli, taie doveva essere Topera sua. — Dopoi
danni délia guerra civile, Parigi ebbe a soffrire l'onta di
vergognose vendette ; e pure il Governo col suo manifesto
del 25 ^iugno aveva affermato: « la repubblica starsi con
le braccia aperte per accogliere i âgli che aile sue leggi
si sommetterebbero ; » il perdôno promesse fu dunque un
inganno dei supremi reggitori (1).
Vint! i nimici délia repubblica, non perô posate le armi
che aveanli combattuti, Gavaignac rendeva ail' Assembler
il potere dittatoriale, che essa neU'ora del pericolo aveagli
conferito; ma i rappresentanti délia nazione, riconoscenti
a lui salvatore délia patria, confermavanlo nella suprema
autorità e posto in sua forte mano il potere chiamavanlo
a presiedere ai Ministri. Brevi giorni dopo, il 3 luglio,
il Ooverno decretava lo scioglimento délie officine na-
zionali, cause di tanti disordini, e ritirava la legge, messa
poco prima innanzi, del racquisto délie vie ferrate;
provvedendo perô nel medesimo tempo ai bisogni degli
opérai — cui il chiudere di quelle officine avea tolto ogni
lavoro — col dar loro pane e brodo, e fornir danaro al-
Tindustrie nazionali. Degli avversari alla repubblica —
orleanisti, legittimisti e buonapartisti — quelli che non
ismarrironsi d'animo per la sconôtta allora toccata furono
(1) u Fn on vero colpo di pugnale cacciato nel caore degli nomini dei
febbraio il proseguirsi délia inchiesta con istinto malevole... ^
Capbfigub, La Société et les Gùwoememenls de V Europe, toI. iv,
cart. 147; Braxelles, 1849.
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FBANCIA E CBIMSA 605
partigiani di Luigi Napoleone; i quali anzi, traendo da
^ssa novello ardore per la riscossa, che speravano vicino
1 giorno di vendicare la battitura sofferta, diedersi a co-
ipirare con tutte le loro forze, non più apertamente^ ma
n segreto, e a far proseliti alla causa del principe in
ntte le classi dei cittadini, soprammodo nel clero e tra
fli opérai. Nella quale impresa lavorô eziandio con ope-
*ositk somma il pretendente, quando chiamato dai comizi
lel settembre a siedere nell*Assemblea nazionale rientrava
in Francia, contento di accettare Vonorevole ufficio di
'rappresentante del popolo, essendo allora stato ad eoidenza
iimostrato, la sim elezione nondoversi a hrogli, ne a brighe
politiche, cui erasi tenuto affàtto estraneo (1). Non lo rat-
tennero dal congiurare a suo vantaggio e a danno délia
repubblica — per la cui félicita egli faceva ardenti voti (2)
— le dure leggi di guerra con le quali reggevasi allora
Parigi, ne la dittatura di un soldato, che con autorità as-
soluta governaya la Francia. Il 26 settembre Napoleone
Buonaparte venue per la prima volta all'Assemblea, e vi
disse parole generose e piene d'amor patrio. Di li a pochi
giorni ponevasi innanzi la quistione su la nomina del su-
premo maestrato nella repubblica, se ciô far si dovesse dai
rappresentanti délia nazione, o da questa stessa con suf-
fpagio universale ; dopo essere stato luminosamente pro-
vato da Lamartine non potersi tenere quell'alto offlcio da
Luigi Napoleone, ne da alcuno dei principi délie espulse
dinastie borboniche, posti a partito quel due modi di ele-
àone, vinse quello del suflfragio universale. Quando poi un
ï^appresentante del popolo — il quale bene prevedeva a
<iuauti pericoli andrebbero incontro le libertà repubbli-
cane, se l'ambizioso nepote del grande Imperatore salisse
al seggio presidenziale — instava caldamente che verun
(1) Lettera al générale Fiat.
(2) Lettera al présidente dell'Assemblea nasdonale.
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606 OAPITOLO X
membro délie famiglie, le quali aveano regnato in FYanr
cia, potesse venir chiamato alla presidenza o vice-presi-
denza délia repubblica (1), il Buoaaparte parlô cosi: =
Molto dolergli di dover dire ancora di se, moltissimo di Te-
dere rAssemblea mettere in un canto i gravi interessi dalla
patria per trattare quistioni personali. Venire egli accu-
sato d*accettare una candidatura che» non cercata, eragli
offerta dal sentimento popolare; essere per accoglierla,
perché onoriâca; perché tre volte chiamato nei comizi
elettorali a rappresentare la nazione ; in fine, perché il
décrète unanime dell'Assemblea contra la proscrizione
délia sua famiglia facevagli credere, tenere la Francia il
nome ch'egli portava atto a rimettere in buono stato la
società, che l'ultime perturbazioni aveano scossa dai fon-
damenti, ed eziandîo a dare stabilità e prosperità alla re-
pubblica. Ghi lo incolpava d'ambizione mostrare di non
conoscere il suo cuore. Il paese aver bisogno d'un governo
ferme, intelligente e saggio, non vendicatore, ma salva-
tore; di un governo il quale abbia a combattere le teori-
che non basate su la esperienza e la ragione. Essere egli
deliberato a seguire il cammino tracciatosi, senza arre-
starsi mai ; nulla poter fargli scordare gli obblighi del suo
offlcio; volersi mantenere irremovibile contra gli assalti
de'suoi nimici, e impassibile aile loro calunnie. = Finito
il suo parlare l'Assemblea decretava: Velezione del Prési-
dente doversi fare il 10 dicembre. Il solo che potesse con-
tendere a Luigi Napoleone il seggio presidenziale délia
repubblica era il générale Oavaignac, che godeva del favore
dell'Assemblea e di tutti i partigiani del Governo ; e forse
l'avrebbe vinta sul principe, se a questo non si fossero
accostati gli orleanisti e i legittimisti ; i quali, per odio
alla repubblica, avevano risoluto di sostenerlo nella lotta
elettorale: onde certa divenne la vittoria del Buonaparte.
(1) Parole prontmciate nell'Asseinblea il 26 ottobre.
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FBAKCIA S GBIliBA 607
A vie più assicurargliela valse non poco la pubblicazione dei
suoi lavori ; ira cni quelle su.la estinzione délia mendicitày
da lui scritto In sua prigionia di Ham» servi potentemeate
a rendere popolare il nome suo (1). Cavaignac, per gua-
dagnarsi Tappoggio del clero» ordinava al comandante lo
esercito dalle Alpi di spedire soUecitamente a Roma, per
la via di mare, una brigata di fanti in difesa délia vita e
délia libertà del Sommo Pontefice, cui inviava altresi il
signor De Corcelles per oflfrirgli onorevole asilo in Fran-
cia; in oltre, per tenersi arnica la parte repubblicana il
générale areva risoluto di mandare alcuni legni da guerra
e mille soldati in aiuto a Yenezia. Ma ne Tuna ne l'altra
délie designate spedizioni ebbe luogo; awegnachè Tim-
presa di Roma venisse rivocata, allora che le navi appor-
tatrici dei soccorsi al Papa apprestavansi a entrare in
mare, causa la fuga di Pio IX a Gaeta; e la spedizione di
Venezia non fosse mandata a effetto, a motivo délie gravi
rimostranze del Governo inglese, che a Gavaignac avea
scritto in questi termini : « Su taie via Tlnghilterra non
pa6 seguire la Francia, nô assecondarla, awegnachè da
affare di poco momento e tutto accessorio potrebbe venire
una guerra universale e lo intervenire armato délia Russia
nelle quistioni d*Occidente. » Dal canto loro, Luigi Napo-
leone e i partigiani suoi lavoravano con operosità instanca-
bile per raggiugnere il primo intente prefissosi, che doveva
poi condurli alla desiderata restaurazione deirimperio. In-
tanto che i Buonapartisti, col rammentare al popolo i
tempi gloriosi del Gonsolato e gli splendidi del grande im-
(1) La Estinzione délia mendieità venue messa fùora per le stampe
&el 1844, qnando Luigi Blanc pnbblicava il suo Ordinamento del lav&ro,
"- « La classe operaia, scriveva il Buonaparte, noUa possiede, bisogna
ïBnderla proprietaria. Essa non ha altra ricchezza fnorchô le sue braccia,
bisogna dare a queste braccia un impiego utile a tutti. Essa ô corne un
popolo d'Ilotî in mezzo a un popolo di Sibariti. Bisogna darle un posto
iiella società, e congiungere gli interessi suoi a quelli del suolo. »
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608 CAPITOLO X
perio napoleonico, risyegliayano in esso Tentusiasmo per
l'erede del vincitore di Marengo e d'Austerlitz, U preten-
dente metteva se iniianzi aU'offlcio presidenziale délia re-
pubblica; in oltre, per ingrazlarsi il clero facevasi a bia-
simare, in una lettera al Nunzio apostolico^ il contegno
del cugino Carlo Buonaparte, principe di Ganino, che di
corteggiatore délia romana Caria erasi allora mutato in
suo acerrimo nimico, nelmedesimo tempo protestando di non
essere complice del suo maie operare ; in fine, scrivea al Co-
stituzionalef diario di Parigi, gravi parole di censura alla
spedizione di Roma ordinata da Cavaignac, nella quale egli
vedeva non già una protezione disinteressata del Pontefice,
sibbene un brutto intrigo elettorale. Mentre Luigi Napoleone
afifermaya di volere tutto quanto valesse a guarentire
la libertà e Tautorità del Papa, affermaya altresi es-
sere queir impresa a un tempo pericolosa ai scuri in-
teressi che yoleyansi difendere e alla pace di Europa.
— Il 10 dicembre sette milioni trecentoyentisei mila
trecentottanta Francesi yeniyano chiamati a deliberare
su la sorte loro ayvenire, che proprio tutta dipendeva
dalla nomina del capo délia repubblica. Raccolti i suf-
fragi troyossi che Napoleone Buonaparte ayeva yinto il
partito; egli era stato eletto Présidente da cinque milioni
trecentotrentaquattro mila dugentoyentisei suoi concitta-
dini; questo fu il seconde passe di Luigi Napoleone allô
imperio, che nessuno, emulo o rivale, avrebbe ornai potuto
contrastargli; e questa elezione pienamente chiari la po-
polarità del suo nome (1), che politicamente rappresentaya
tutto un sistema. Il 20 dicembre Armando Marrast nella
Assemblea cosUtuente, cui presiedeva, gridava, in nome
(1) n générale Cavaignac ottenne nn milione quattrocentoquanatar
qnattro mila centosette siiffiagi; Ledru-Bollin ne ebbe trecentosettanta
mila centodiciannove; Baspail, trentasei mila novecentoventi ; hBLOBJ-
tine, diciassette mila dngentodiciannove; e il générale Ohanganiîer, qaat*
tromila seicentonovanta.
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FBANOIA B CBIMEA 609
del popolo francese e in virtù degli articoli 47 e 48 délia
Costituzionet il cittadino Carlo Luigi Napoleone Buona-
parte, nato a Parigi, Présidente délia repubblica da quel
giorno sino alla seconda domenica di maggio del 1852. Sa-
lito alla tribuna — su la quale stavano scritte le mémo-
rande date: 22, 23, 24 fébbraio, e le non mono memorabili
parole; libertà, uguaglianza, fratellanza — lo eletto dalla
nazione alla suprema potestà con voce forte e ferma giu-
rava innaozi a Dio e innanzi al popolo francese fedeltà
alla repubblica democratica una e indivisibile, e di adem-
piere tutti i doveri impostigli dalla Costituzione. Il prin-
cipe, non pago d'aver dato sua fede aile istituzioni del
paese, faceva conoscere i sentimenti di conciliazione, di
ordine e di pace dalui nutriti parlando airAssemblea cosi:
^ Volere egli rimettere la società su le sue basi e af-
fermare le istituzioni democratiche ; intenti suoi, soUevare
il popolo, che aveagli dato prova luminosa di fiducia,
dalle miserie che lo affliggono e sanare le ferite, che i
passati rivolgimenti aveano recato alla patria. Ritenere ni-
niico a questa chi tentasse mutare con mezzi illégal! quanto
dalla Francia tutta era stato allora stabilité. Essere molto a
lodarsi nel générale Gavaignac la lealtà di carattere e di
quel sentimento del dovere, che costituisce la prima qicalità
del capo di uuo Stato. = Quando il Présidente ebbe posto
fine al suo dire, i rappresentanti délia nazione, levatisi corne
un sol uomo, gridarono: Viva la repubblica/ n giuramento
di fedeltà dato dal principe alla patria venue dalla parte
sinceramente repubblicana accolto con palese diffldenza;
dagli amicî di lui, con piena fiducia ; Boulay, il quale cono-
8ceva Luigi Napoleone sino dall'infanzia, aveva affermato,
^^e, da onesto uomo quale era, il manterrebbe; quanta fede
serbô il Buonaparte alla repubblica, quanta aile promesse
&tte in luogo e in modo si solenne lo disse il 2 dicembre 1851.
Per lo acclamarsi délia repubblica romana piii vive eransi
fatte in Parigi le anticho simpatie per la indipendenza e
* — Vol. U. MiJUAin — Storia pol, e mil.
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610 CAPITOLO X
la libertà d'Italia; ma se gli iaviati di quella trovavano
grazia e favore presse il popolo francese, venivano perô
assai freddamente ricevuti dal Présidente e da* suoi Mi-
nistri; i quali niegavano riconoscere e appoggiare il nuoTo
ordine di cose stabilitosi, seconde giustizia, in Roma, per
tema d'uscire a guerra, che di li a poco combatterono per
restaurare una potestà, la quale, sotto la protezione délia
bandiera di Prancia, dovea non governare, ma tiranneg-
giare i popoli soggetti. Oorreva allora il febbraio del 1849.
Già da qualche tempo l'opinione pubblica, per la mala
opéra di Luigi Buonaparte e degli amici suoi, andava ma-
nifestando idée ostili a quelle délia rivoluzione del febbraio
e alla democrazia; il 10 dicembre, dicevano essi, ha tornato
il paese aU'ordine e alla tranquillité; ora è d'uopo assicu-
rargli stabile pace ; per questa racquisterà in Europa quella
preponderanza di cui in epoca non lontana ave va goduta;
Vimperio doveva essere la pace. — Ricondurre la Francia
all'antica sua potenza e prosperità era offlcio nobilissimo:
grande Timpresa d'affermare quella repubblica banditrice
di libertà, d'uguaglianza e di fratellanza ai popoli ; offîcio
e impresa che avrebbero potuto soddisfare aU'uGmo piii
ambizioso, ma che non bastarono a luiy chë ardentemente
agognava a potestà despotica. — La giornata di Novara,
nella quale cadde, ma per poco, la fortuna d'Italia, com-
mosse la nazione, e riempi di dolore la parte sincerament^
repubblicana, ma non destô in cuore del Présidente e dei
suoi Ministri verun sentimento generoso per gli Italîani,
che, con occhio indifférente videro perdersi da questi le li-
bertà poco innanzi comprate a prezzo di tanto sangue e ai
gravi sacrifizi. La Lombardia e la terraferma veneta erano
allora ricadute in potere dell'Austria; Parma e Modena,To-
scana e Sicilia, sotto la signoria dei loro antichl tiranni;
solo reggevansi indipendenti e libère Venezia e Roma ; a quella
aveva la Francia già niegato lo aiuto implorato délie sue
armi, a questa, sotto colore di protezione, doveva, di li a
brevi giorni, mandare i suoi eserciti per rimetterla nella
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FBANCIA X GBIMEA 611
ervitù antica. — Le voci che in quel mezzo correvano
lello intervenire armato deirAustria nelle faccende délia
îhiesa, le quali voci venivano ogni di piîi a confermarsi
lallo ingrossare degli imperiali sul basso Po, indiùcevano
1 Buonaparte — cosi egli ebbe ad affermare — a fare
'impresa di Roma per conservare alla Francia quel crédite,
inzi, quella superiorità ch*essa da lungo tempo, ma sovente
per fini diversissimi, teneva nella patria nostra, Dimenti-
cando le forti censure lanciate nel dicembre contra quella
impresa, allora che l'aveva risoluta il générale Oavaignac,
Luigi Napoleone erasi segretamente accordato con la Corte
'U Vienna d'invadere da Civitavecchia gli Stati délia Chiesa
e poscia reoarsi in mano Roma per ristabilirvi l'autorità
del Pontefice, mentre gli Austriaci occuperebbero le Legar
zioni e le Marche. La spedizione trovô nell'Assemblea fieri
oppositori. Gonsentita dai legittimisti e dagli orleanisti per
odio alla repubblica, e dagli amici del Buonaparte, che
non volevano s'avesae a stabilire in terra italiana Tordine
di cose, che già apprestavansi ad abbattere nella loro patria,
quella spedizione veniva avversata dai repubblicani, per lî
quali il vittoriare délia romana repubblica doveva essere
pegno di certa vittoria a Venezia e alla parte libérale di
Oermanîa e dlJngaria, di quel giorni in su l'arme contra
gli oppressori suoi, e che avrebbe aflermata altresi su la
Senna la libertà, al cui danno allora si congiurava ; man-
data a partito, l'impresa di Roma vinse la prova. Con lo
acquisto délia città eterna e la restituzione délia potestà
papale avrebbe dovuto aver fine lo scopo délia spedizione
francesé negli Stati pontiflci; ma non fu cosi ; avvegnachè
Luigi Napoleone mantenesse in Roma, e per lunghi anni,
la militare signoria délia Francia, sotto proteste di difen-
dere Pio IX, il quale, lasciato aile sole sue forze, sarebbe
stato presto riassalito dai repubblicani italiani; ed eziandio
Por concedere tempo ai Ministri suoi di riordinare le am-
ininistrazioni pubbliche e riformarle, giusta i nuovi bîsogni
^6i popoli. D'armi straniere videsi allora allagata l'Italia;
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612 OAPITOLO X
quelle deirAustria campeggiavano Lombardia e le Yeaezie,
Toscana e i Ducati, le Legazioni e la Marca Anconitana ;
quelle di Prancia tenevano Roma e il patrimonio di San
Pietro.
Il 1851 volgeva al suo fine, quando dal Buonaparte com-
pivasi una vituperevolissima trama di Stato, che veaiva
approvata dai principi e dal Govemi despotici e da quanti
odiavano la libertà; ma alla quale trama imprecarono tutti
quelli che per la libertà avevano una religione e un culto.
I partigiani del Duca di Bordeaux e del Conte di Parigî
— i legittimisti e gli orleanisti — i quali, perché odiatori
délia repubblica avevano favoreggiata la elezione di Luigi
Napoleone alla suprema magistratura, indovinati gli in-
trighi dell*ambizioso principe, diedersi apertamente a com-
batterlo, e apparecchiaronsi a contendergli la potestà su-
prema, il cui termine scadeva nel magglo deiranno appresso.
Di fronte a quelli stavano gli amici del Buonaparte, pronti
a sostenerlo anche con armi sleali e con arti poco oneste;
intendo dire le arti délia seduzione, per prolungargli quei
poteri che dovevano condurlo aU'imperio ; e siccome a cio
ostava la Costituzionej messa innanzi la nécessita di mo-
di&carla a loro vantaggio, ne facevano la proposta alla
Assemblea nazionale. Il respingersi di essa non disanim6
il principe présidente; il quale, risoluto di raggiungere a
ogni costo lo intente desiderato, délibéré di non aspettare
Tesito délia nuova elezione per ajQTermare in sua mano il
potere, che i nimici volevano togliergli. Egli non attese
che gli si intimasse la guerra, ma fu primo aile offese
contra la parte avversaria, non preparata a sostenere lo
assalto improvviso. Il Buonaparte riportô facilmente la vit^
toria; avvegnachè lo spergiuro, gli assassin! avessero al-
Topera parricida appianata la via. Strasbourg e Boulogne
aveangli flruttato l'esilio e la prigionia; il 2 dicembre do-
veva guadagnargli un trono ; là era stato un volgare cospi-
ratore o un awenturiere ; a Parigi doveva essere un tra-
ditore, un fellone! Per assicurare buona riescita alla
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PBANCIA B OBIMBA 613
impresa, da lungo tempo meditata e disegnata, nulla era
stato ommesso dal principe che valesse ad accrescergli lo
amore dei soldati e il favore del popolo, il quale aveva lui
levato al più alto offlcio délia repubblica; sommamente poi
col mostrarsi curantissimo del benessere di quelli e sol-
lecito di migliorare le condizioni délie classi operaie. n suo
ordire trame a danno délia repubblica chiaro appalesossi
quando, in sul cominciare dell'aatunno, chiamô presso di
se i generali a lui piu devoti, e accrebbe il presidio di
Parigi dei reggimenti, nei quali vivissima tuttavia mante-
nevasi la memoria del grande capitano (1). Rivelavano la
meute del Buonaparte e accennavano anche a prossime
mutazioni negli ordini dello Stato, le parole da esso rirolte
ai premiati délia mostra mondiale, d*arti, mestieri e in-
dustrla di Londra. « Yeggonsi oggidi uomini, diceva egii,
un tempo promovitori délie prérogative régie, farsi con-
tmzionali per abbattere il potere creato dal suffragio
popolare; veggonsi altresi coloro, che tanto patirono per
li passati rivolgimenti politici, provocarne altri allô scopo
di sottrarsi alla volontà délia nazione e d'impedire al moto
trasformatore délia società di seguire un paciûco corso
(1) Al 2 dicembre 1851 il presidio di Parigi contava ottantamila no-
mim allô incirca. Vi si troyaya il 42^ reggimento di fanti, il qaale nel
1840 aveva arrestato a Boulogne Loigi Napoleone, il eospircUorCj ma
che allora difendeva Napoleone Buonaparte che spegneva la repttb-
hlica. Qnel reggimento, comandato dal colonneUo Espinasse, U mattino
di qnel giorno nefasto invadeva l'Assemblea nazionale. v Al romore
de' 8Qoi passi, cosl Vittore Hugo nella Storia di un Delitto, il co-
mandante Meunier acoorse. = Comandante, gli gridô Espinasse, io
venge a dare lo scambio al vostro battaglione. = H comandante im-
pallidi: il suo occhio rimase nn istante fisso a terra; poi d'un tratto porto
lapidamente la mano allé sue spaUe e ne strappô gli omamenti; trasse la
spada dal fodero, la mppe sul suo ginoccbio, gettd i troneoni a terra e
tutto tremante di disperazione, d'una voce tenibile gridogli : = Colou-
nello, voi disonorate il reggimento ! = Va bene! va bene! disse Espi-
nasse. r>
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614 OAPITOLO X
Prima di separarmi da voi, permettete che io vi incoraggi
a nuovi lavori; ponetevi aU'opera, senza temere di nulla;
non prendetevi pensiero dell'avvenire; qualunque cosa
awenga, la quiète sarà mantenuta ; perô che un Groverno
il quale si appoggia alla nazione tutta, che non ha altro
motore fuor del bene pubbllco ed è animato da fede ardente
— guida secura anche attraverso gli spazi, ove non esiste
traccia di via — compirà la propria missione, avendo in
se quel diritto che viene dal popolo, e quella forza che
viene da Dio. » — Il dire del principe avrebbe dovuto
rendere avvertiti i repubblicani del pericolo che lor sopra-
stava; ma: sia che non temessero il venturiere cospiratore
di Strasbourg e di Boulogne, o che reputassero ancora
lontan lontano il giorno délia lotta, continuarono a tenersi
in quella sicurezza, nella quale assai imprudentçmente
cullavansi sino dalla elezione del Buonaparte a cape dello
Stato (1).
(1) Parmi porti il pregio di queste istorie far conoscere con brevi
parole gli amici di Luigi Napoleone, che ebbero la parte primissima
nella trama di Stato del 2 dicembre di qaeU'aimo 1851.
n conte di Momy era nno dei figli illegittimi délia donna, che non
conobbe mai freno di pndore, délia regina Ortensia. A diciott'anni egli
combatteva in AMca; poco di poi lasoiava le armi; indnstrioso, s'ar-
ricchiva; onde gli elettori di Clermont-Ferrant mandayanlo loro rappie-
sentante all'Assemblea nazionale. Con lo avanzare negli anni, iaXiaû
dissolnto, scese in basse stato. Datosi a corteggiare Tamante del Dna
d'Orléans, conoscendo per essa i segreti délia diplomazia, specnl6 sol
erescere e snl diminnire dei vaîori del débite pnbblico, ciô che in poco
tempo restanrogli il patrimonio. Biednto in Francia Lnigi Napoleone
Buonaparte, i due fratelli s'ayyicinarono , si intesero e s'accordaroDo:
era cosa qnesta ben natnrale! Andacemente intrigante, il conte di Momj
più di tutti cooperô da prima alla elezione di Napoleone alla presidenza
délia repubblica; di poi alla buona riescîta del 2 dicembre e aUa ae-
clamazione delFImperatore dei Francesi nel venturiero di Strasbourg e
di Boulogne.
Qiovanni Qilberto Fialin — chiamatosi poscia visconte di Fersigny
— nel 1828 col grade di sottuffiziale passava dalla scuola di cayalleria di
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PBANGIA E GBIMEA 615
Era appena sorta l'alba del 2 dicembre — anniversario
délia gloriosa giornata d'Austerlitz e délia consecrazione
a Imperatore del gran capitano — quando il nepote suo,
Luigi Napoleone, faceva arrestare i priacipali délia parte
Sanmur in an reggimento di nssari; cassato tre anni appresso per mala
Tita, lasciava la milizia per trovarsi perô a Strasbourg e a Boulogne con
l'assisa di capo squadrone. AUora si diede un grado militare, più tardi
appiopriossi un titolo di nobiltà, quello di visconte di Persigny, ch'egli
afferma già posseduto da un antenato suo. Un giorno fn di parte le-
gittimiata^ poi orUanista^ e nel 1848 di parte repubblicana ; ambizione
d'onori e libidine di oro mutaronlo da ultimo in buonapartisia ; e l'im-
peratore Napoleone m, riconoscente alla servile sua devozione, creollo
Dnca.
Il générale Magnan fece le prime sue armi nel 1810 e 1811 in Ispagna;
poscia prese parte alla guerra del 1814, forse la più sapiente, certa-
mente la più gloriosa del gran Capitano ; dopo Fontainebleau lasci6
la milizia per Tufficio modestissimo d'amanuense presso un notaio. Ki-
disceso Napoleone nell'anno appresso sui lidi di Francia, Magnan, ri-
fattosi soldato, combatte alla giomata di Waterloo quale capitano nella
Quardia impériale. Caduta per sempre la fortuna del Buonaparte, Ha-
gnan milité sotto le bandiere régie e per lo zelo suo sali agli alti
gradL Egli fa alla guerra del 1823 nella penisola iberica, di poi alla
spedizione d'Algeri. Nel 1831, colonnello, trovossi col reggimento suo
a Monbrison, quando Roguet chiamollo a se per andare insieme sopra
Lione; la quale, sollevatasi nel novembre di quell'anno, cacciato da
prima il presidio, costringeva di poi il Roguet a indietreggiare ; se non
che, invece di seguire il suo générale ; Magnan awicinossi alla città
ribelle, e, accordatosi coi ^ollevati, vi entrava. La sua disobbedienza e
i manifesti legittimisti da lui pubblicati lo nûsero giustamente in so-
spetto al Govemo, il quale comandô d'arrestarlo ; ayyertito in tempo,
egli riparossi a Bruxelles. Âmmesso nell'esercito belga col grado di ma-
resciallo di campo, tre anni dopo rientrd nell'esercito francese con quel
suo grado. Tentato dal faccendiere buonapartisia Mésonan con oro e
promessa del bastone di maresciallo a seguire le parti di Luigi Napo-
leone, respinse Tofferta, non per mantenersi in fede al Be, sibbene per^
chè credeva che il pretendente — il quale aveva fatto si mala prova
a Strasbourg — non potesse riescire felicemente in un altro tentativo
di cospirazione e di sollevazione. Nel 1848 fattosi repubblicano ebbe il
govemo délia Corsica; e poco di poi, il comando délia terza divisione
dell'esercito délie Alpi, la quale presidiava Lione. Nel giugno corse
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616 CAPITOLO X
a lui nimica, corne quelli che avrebbero potuto mandare
a vuoto i suoi tentativi contra la repubblica; tra essi, i più
celebrati generali di Prancia, Cavaignac, Cliaagamier,
Leflô, Lamoricière e Bedeau, il colonaello Charras e lo
Bopra Parigi soUeyata; e dopo la elezione del 10 dicembre il Présidents
rimandoUo a Lione, U cni sollevamento del 15 giagno egli soffocè nel
sangue. Passato quindi a Strasbourg, nel Inglio del 1851 riceveUe 0
comando supremo delFesercito di Parigi dalle mani del Bnonaparte, che
ordendo allora le prime file délia trama di Stato chiamô intomo a se
quanti per sete d'oro o libidine di onore egli teneya per certo gli si
sarebbero associati nell'opera parricida.
Leroy, dette di Saint Arnaud, nel 1816 era costretto a lascîare l'e-
sercito a cagione di sua yita scostumata; dissîpatore, cadde in poTerci
stato. Recatosi a Londra per tentare la fbrtuna, doyette presto fùggire
di \k per togliersi a prigionia, meritatasi per poco ledti guadagni
Tomato a Parigi non tardô molto ad essere incarcerato per debiti; oon-
dannato a due anni di carcere in Santa Pelagia, la nyolimone déî
1830 tomoUo a libertà. Nel febbraio del yegnente anno entrô nel 64*^
reggimento di fanti col grade di sottotenente; combatte in Vandea la
solleyazione legittimista; poi fu carceriere délia Dnchessa di Berrj,
yerso la quale comportossi in modo si odioso da diyentare oggetto di
sprezzo de' suoi compagni d'arme; onde doyette lasciare il reggimento:
allora entrd nella leginne straniera. In AMca fti, con Pelissier, un dei
soffbcatori degli Arabi nelle grotte di Dehara. Nel 1837, fatto capitana
ebbe il comando d'una compagma; che ayrebbe presto perdnto per azione
indelicata commessa, se di lui non si fosse mosso a pietà il colonnello
Bedeau, i cui buoni offici salyaronlo dal disonore. Protetto dal générale
Bugeaud, Saint Arnaud — il capo dei carcerieri délia Dnchessa di
Berry al castello di Blaye — progredî rapidamente nella milîxia ; creato
nel 1847 maresciallo di campo per la dedizione spontanea di Bon Maza,
riedè a Parigi. Nella solleyazione del febbraio 1848 cedette, dopo lieye
contraste, il palazzo délia prefettura di Poîizia — ch'egli ayrebbe po-
tuto facibnente difendere a lungo — per offîrire la sua spada al Gk>yenM)
délia repubblica; il quale mandoUo in Africa, oye resse da prima Or-
léansyille, di poi Costantina ; e qui yennero a troyarlo gli oratori del
Buonaparte, cui allora tutto si diede. Dopo ayere goyemata una spe-
dizione contra i Kabily — alla quale toGc6 esito infelice — reeosai a
Parigi; poco dopo fu creato Ministre sopra le armi ; e corne taie oondnsse
la brutta guerra, combattutasi, come or ora narreremo, quattro giorai
in Parigi nel dicembre del 1851, auspice Luigi Napoleone Buonaparte.
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FBANGIA E GSIHEA 617
illustre storico del Consolato e delVlmperio, l'orleanista
Adolfo Thiers (1). Nel medesimo tempo il Présidente ban-
diva à^lYEliseo un decreto, col quale licenziava l'Assemblea
nazionale e la Consulta dl Stato (2); convocava Ll popolo nei
suoi Oomizi e metteva Parigi sotto il governo délie leggi mili-
tari. Fer onestare Tatto che uccideva la libertà délia patria,
Napoleone Buonaparte accompagnarane il decreto con un
manifesto alla nazione, nel quale afTermava essere stato
costretto a far ciô dal contegno turbolento deU'Assemblea,
che soffiava nel fuoco di passioni pericolose alla quiète
délia Francia; e siccome erasi essa mutata in un focolare
di congiure e di guerra civile, e fatta assalitrice del potere
venutogli dal popolo, cosi Taveva licenziata, e in pari
tempo chiamato il paese a giudice deiroperar suo, e del-
l'operare di quella. = Scopo délia Costtiuzione, diceva il
principe-présidente nel suo manifesto, essere di indebolire
(1) Furono da dogencinqnanta i rappresentanti délia nazione arrestati;
qaelli délia destra dell'Assemblea, condotti a VincenneSf vennero trattati
coi maggiori rignardi; quel délia sinistra, rinchiusi a Mazas, con la
massimadurezza; dei cinqoantatrô portati al Monte YalerianOii tredici
délia Hnistra forono tennti prigionieri, agli altri venne subito data la
Ubertà.
(3) Nel suo appellarsi al popolo Napoleone disse: u GU nomini che
lianno perdnto due monarchie vogliono legarmi le mani allô scopo di ro-
Tesciare la repnbblica; il dover mio ô di sventare i loro disegni e man-
tenere la repnbblica... n qnale menzogna ! — Dopo avère messo innanzi
le basi fondamental! d'nna Costituzione scrivea : « Qnesto sistema, creato
dal primo Consolo al cominciare del secolo, ha gift dato alla Francia il
riposo e la prosperità, che egli le gnarentirebbe ancora. » Lnigi Napo-
leone mentiva affermando ciô ; awegnachô il sistema del primo Consolo
avesse dato alla Francia qnattordici anni di gnerra e dne invasioni d'armi
straniere ; e qnel sistema rimesso in onore dal terzo Bnonaparte dovesse
dare alla Francia nna guerra disastrosa e vergognosa e îngloriosa e
un'altra invasione d'armi straniere. Nel sno manifesto ai soldati Lmgi
Napoleone invitavali a fare rispettata la prima legge del paese, la so-
vranità nazionale, montre ei faceva arrestare i rappresentanti délia
nazione, che devono essere inviolabili, e licenziava TAssemblea e la Con-
Boltadi Stato!
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618 OAPITOLO X
il potere che la Francia stava per affldargli; la quale aveia
già con suffragio splendidissimo protestato contra YA^
semblea stessa. Avère egli sempre fedelmente rispettatoil
patto fondamentale, di continue invocato da chi sfacciata-
mente lo violava. Colore che avevano mandate a ruina due
monarchie volergli ora legare le mani per abbattere la
repubblica; essere quindi dover sue sventarne le perfide
mire, mantenere quella e salvare il paese, invocando
il giudizio del popolo, il solo sovrano ch'egli riconosceva
in Francia. Se il popolo vuole conservare questo stato di
malessere, che mette a repentaglio il nostro avvenire,
scelga a suo cape un altro uomo, perô che io non possa
accettare una autorità impotente a fare il bene, impotente
a condurre a salvamento la nave dello Stato, la quale
corre verso Tabisso; ma se ha fede in me, mi accordii
mezzi di compiere la grande missione già affidatamî, che
deve chiudere Têra délie rivoluzioni, appagare i legittimi
bisogni del popolo e proteggerlo contra le passioni scoa-
volgitrici deirordine, fondare istituzioni che abbiauo a
soprawivere agli uomini e sieno basi saldissime a opère
durature. Proporre egli a basi fondamentali d'una Cosii-
tuzione la creazione d'un capo suprême — nominato per
dieci anni e mallevadore del proprio operare — con Mi-
nistri soggetti al solo potere esecutivo ; in oltre, una Con-
sulta di Stato, cui spetti preparare le leggi e sostenerle
dàvanti aU'Assemblea nazionale, eletta dal suffragio uni-
versale, il cui primo dovere sia di discuterle, approvarle
0 respingerle; in fine, una seconda Assemblea, composta
dagli uomini piii illustri del paese, la quale abbia a custo-
dire il patto fondamentale e le libertà pubbliche. Taie
sistema, creato dal primo Console in sul cominciare del
secolo nostro, poter dare, come aveva già dato alloraalla
patria, la quiète e la prosperità. Di ciô essere egli profon-
damente convinto ; se i Francesi lo fossero del pari, proras-
serlo coi loro suffragi ; se poi preferissero un governo senza
forza — monarchico o repubblicano — rispondessero nie-
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FBANGIA E OBIMEA 619
gativamente. Qualora egli non venisse confermato nel potere,
raccoglierebbe una nuova Assemblea, cui rimetterebbe il
mandate ricevuto dal popolo; ma se questo reputasse la
causa — délia quale il suo nome è simbolo — quella délia
patria comune, vale a dire la Francia rigenerata dalla riro-
luzione deirottantanove e ordinata dal grande Imperaiore,
lui acclamasse, consecrando la potestà, che ad esso chie-
deva; in tal modo TEuropa sarebbe salva dairanarchia, e
tutti rispetterebbero nella sentenza del popolo i decreti délia
Provvidenza. = Al manifeste rivolto alla nazione, il Buona-
parte faceva tener dietro un appelle ai soldati: « Siate su-
perbi, diceva loro, délia vostra missione ! (1). Voi salverete
la patria; forte deirappoggio vostro io faro rispettata la
sovranità nazionale, di cui sono legittimo rappresentante.
Nel 1830, come nel 1848, foste trattati da vinti, eppure
siete la parte eletta del paese ; ma oggi, ma in questo mé-
mento solenne, voi farete udire la vostra voce. Oeme liberi
cittadini darete liberamente il vostro suflfragie; ma, come
soldati, obbedirete al cape del Governo ; a me solo, malle-
Tadore del mie operare in faccia al popolo, spetta il diritto
(1) I soldati di Napoleone Baonaparte — intendo pTopiio dire del
Buonaparte, non délia Francia — mostraronsi allora più insolenti dei
Pretoriani di Roma impériale, più sfrenatamente violenti dei Giannizzeri
dei Soldani di Costantinopoli! Dopo avère inyasa l' Assemblea scaglia-
Tonsi sopra i rappresentanti délia nazione strappandoli a viva forza e
con modi bmtali dai loro seggL H colonnello Garderens a nno d'esai,
che lagnavaai ii tanta in<^aria, gridô: u Tacete! nna parola di più e
io Ti faccio battere col calcio degli schioppi! » parole queste indegne
d'mi gentilnomo, più indegne auoora di un soldato. — Luigi Napoleone
ayoTa fatto awinazzare i soldati: u Si aveva dato da bere a qnesti,
eosi Yittore Hugo nella sua 8toria di un Delitto; essi obbedivano pn-
ramente e semplicemente ai loro snperiori e, giusta la espressione di
un testimonio oculare, sembravano instupiditù — I rappresentanti del
popolo li interpellavano e loro dicevano: = Ma qnesto ô un delitto!
= ed essi rispondevano : = Noi non sappiamo nnlla. — Si udi nn sol-
dato chiamare a nn altro: = Che bai fatto de' tnoi dieci franchi di
questa mattina? »
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620 CAPITOLO X
di adoperare quei mezzi, che reputerô necessari al bene
pubblico. » — Se le parole iadirizzate alla nazione vale-
vano a rassicurare gli animi dei più timorosi, quelle dirette
airesercito dovevano certamente turbare anche i più fidenti
nel principe: il quale, col ricordare ai soldati la militare
disciplina, tendeva a far d'essi une strumento di sua am-
bizione e tirannide, mentre dovrebberlo essere in ogni
tempo di indipendenza e libertiu La metropoli e molti di-
partimenti délia Prancia, levaronsi a romore, protestando
contra Tatto del 2 dicembre e contra lo imprigionamento
dei loro rappresentanti ; ma Tesercito represse conlayio-
lenza il manifestarsi deiropinione popolare, bruttando, con
suo -vituperio, di sangue cittadino le armi, che la patria
aveagli dato per difenderla dai nimici esterni.
Intanto che alcuni rappresentanti del popolo recayansi
presse Luigi Napoleone a offrirgli il loro appoggio nell'im-
presa parricida, moltissimi altri, gridato il Buonaparte de-
caduto dairofflcio di Présidente in forza délia stessa Co-
stituzione (l), correvano Parigi, eccitandone gli abitanti
a levarsi contra queirambizioso, che mirava a impadronirsi
délia potestà assoluta, e Talta Oorte di giustizia, soUecitâ-
mente riunitasi, dichiarava colpevole del delitto d'alto tra-
dimento Luigi Napoleone, Présidente délia repubblica. La
parte dei cittadini tennesi tranquilla— sia perché reputasse
impossibile di resistere con vantaggio aile forze armate del
Présidente, sia che di buon grade accettasse il nuovo sistema
di politico reggimento che esso roleva inaugurare — Taltra
(1) L'artÂcolo 68 deUa Costituzione diceya cosi: « Ogni proTredimento
col qnale il Présidente délia repubblica licenzia l'Assemblea, la piorog»
0 mette ostacolo allô esercizio del suo mandate, é un dditto di oMo tro-
dimento, Per questo solo fatto il Présidente ô decaduto dal suo officio:
i cittadini sono obbligati a niegargli obbedienza; il potere eseevtko
passa di pieno diritto alFAssemblea Nazionale ; i giudici dell'alta Cort^
di giustizia si riunisoono immediatamente, pena di preyaricazione; esd
couYOcano i giurati nel luogo cbe designano per procedere al gindizio
del Présidente e de' suoi complici. »
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FBANCIA B CBIMEA 621
parte di quelli ordinossi alla lotta, clie dovea governarsi
da un Gomiiato di resistenza formatosi nella sera stessa
del 2 dicembre dai rappresentanti del popolo Carnot, de
Flotte, Giulio Favre, Madier de Montjau, Michèle di Bour-
ges, Schœlclier e Vittore Hugo. I difenditori délia repub-
blica combatterono per due giorni, da prima con prospéra,
da ultimo con avversa fortuna; sopraffatti dal numéro, al
cadere del 4 luglio posavano le armi. — Durante il com-
battimento le soldatesche del Buonaparte commisero atti
d'orrenda barbarie ; essi uccisero vecchi e giovanetti, donne
e bambini, gente tutta impotente a difendersi del pari che
a offendere (1). Corse allora fama, e fu altresi scritto di
poî, che il principe avesse mandate alla pugna i soldati
ebbri di vino! Alcuni cadaveri giacquero tutto il dimani
su le vie délia città; moltissimi vennero seppelliti nei cimi-
teri con la testa fuor délia terra, e non pochi là deposti
gli uni accanto agli altri; orribile spettacolo certamente
ordito ad arte da Luigi Napoleone a' suoi concittadini per
incutere un salutare spavento di sua potenza e farli
avvertiti d'essere egli a tutto preparato e da nuUa rifug-
gire per raggiugnere gli intenti suoi. Non seppesi mai il
numéro dei caduti a Parigi e nelle Provincie — ma fu
assai considerevole — per quella trama di Stato, che la
storia registre in sue pagine tra le piii basse tradigioni e
i delitti più vituperevoli che siansi compiuti da' reggitori
di popoli. « Buonaparte gettô le ténèbre sul numéro dei
morti, cosi scrisse Vittore Hugo; taie è Tabitudine degli
ucciditori di uomini. » Agli assassinî, avvenuti nei giorni
délia lotta, tenue dietro il moschettarsi dei prigionieri,
eseguito segretamente e nella oscurità délie notti ; vennero
quindi le carcerazioni e le proscrizioni ; poscia lo esilio e
la relegazione perpétua in terre lontane lontane dalla pa-
(1) In nno scritto del GtoyemOf pnbblicato di qnei giorni, si parla di
iQolti cittadini assassinati nelle proprie case ; ciô induce a credere che i
soldati iieeidessero solamente per uccidere t
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CAPITOLO X
tria; per ultimo i sequestri e i conflscamenti dei béni (1).
€ Ohi résiste, abbia il supplizio estremo in nome délia so-
cietà in legittima difesa ; » cosi scriveva il générale Saint
Arnaud, allora Ministro sopra le armi, ai proconsoli mili-
tari nelle provincie sollevate, che mandavano a morte
quanti con le armi alla mano venivano in lor potere; con
mezzi cotali restauravasi Tordine sconvolto da chi aveva
avuto la missione di tutelarlo (2). Nella sua brutta impresa
(1) Se Lnigi Napoleone fosse stato yinto e fatto prigioniero, ceita-
mente non avrebbe perduto la yita ; yincitore, non perdonô, non usô la
Tittoria con clemenza, egli, il cospiratore di Strasbourg e di Boulogne!
Sette mesi dopo il 2 dicembre, a Belley saliva U patibolo nn operaie di
Bougez, di nome Charlet, stato preso nella solleyazione del dipartimento
dell'Ain e perciè condannato a morte. Dimenticato nel carcere, la sua
sentenza yeniva dal Buonaparte trovata nel gingno del 185S in mezzo
ad altre carte; e quel clémente affrettayasi di sottosdiyerla ! è giu9to,
la legge dev'easere eseguitaJ e il 29 gingno Charlet perdeya la yita.
(2) n diario la Patrie narrando i casi di Parigi, scrisse allora cosi :
u Un faoco di feritori yenne d'un tratto riyolto contra le case; le fine-
stre e le facciate furono in parte distrutte; poi quelli entrarono in esse
nccidendo quanti yi si troyayano nascosfci; tra cui sei, scoperti dietro tap-
peti ammonticchiati per difendersi dalle palle, yennero moschettati su
la scala del palazzo Lannes... n II diario la Patrie essendo partigiano
del Buonaparte e tra gli apologisti del 2 dicembre, la sua narrazione
ê in tutto degnissima di fede. — Dopo la trama di Stato quasi cento
mila repubblicani furono condannati aU'esilio, portati in AMca o rele-
gati in perpetuo a Cajenne; la ferocia del Buonaparte giunse sino a
far moechettare i prigionieri ; la quale cosa ai giomi nostii si fa sola-
mente dai Turchi, che noi a buon diritto chiamlamo barhari. Da tre-
centotrentasei presi nella notte del 4 dicembre, quando la pugna era
posata, neUe case e per le yie, poche ore dopo sul campo di Marte per-
dettero la yita ; e tali moscbettamenti rinnoyaronsi [allora in pubblioo;
e secretamente poi, per molto tempo. Luigi Buonaparte faceya uccidere
non per giusta sua difesa, ma per libidine di sangue o a sfogo di sue
turpissime yendette; e come lui furono assassini i suoi complici; e
quelle che ô peggio, che per lui andd aUora yituperata Tassisa mi-
litare; i soldati ammazzayano in nome suo. H luogotenente colonnello
CaiUaud, dell'antica guardia repubblicana, yeduto prender di mira dei
passeggeri, gridô: u Voi disonorate la yostra assisa! » — Nella via del
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FSANCIA E CBIMBA 623
Luigi Napolôone ebbe complici dimolti ; promettendo onori,
alti offlci e ricchezze ne trovô in tutte le classi dei citta-
dini ; e tutti gli si mantennero fedeli, perché egli aveva
saputo assai astutamente legarli al carro délia sua for-
tuna (1). — Il 20 dicembre di queiranno 1851 il popolo,
riunito nei Gomlzi, accettava il mantenimenio delVauto-
rità del Bitonaparte e delegavagli i poteri necessari a
fare una Costituzione su le basi messe innanzi nel ma-
nifesto del 2 dicembre. Raccolti i suflfragi trovossi che
sette milioni quattrocentotrentanove mila e dugento sedici
aveano risposto affermativamente a quella domanda; sei-
centoquaraatamila settecento trentasette, niegativamente.
-Ne libero, ne spontaneo fu quel sufifragio, perô che avesse
sofferto violenze non poche ; in alcuni villaggi arrestaronsi
quanti sospettavansi contrari a Luigi Napoleone; in altri,
le genti d'arme minacciarono chi voleva niegare il suf-
fragio al principe ; e si videro anche noti faccendieri dare
ai contadini il cartellino col si ; corne poi corresse la cosa
neiresercito, è più facile indovinare che dire (2). Il 31 di-
cembre i Commessari incarlcati délia veriâcazione dei suf-
Statkr udissi un officiale degli Spahis dire ai suoi soldati: u Tirate
aile donne! » e allora caddero donne e bambini. — In nome del Bno-
naparte, il 3 dicembre, il notissimo Reri, offri a Giacomo CriBcelli, un
CÔT80, yenticinque mila lire per uccidere Vittore Hugo.
(1) A difesa del féroce govemo de' suoi proconsoli nelle provincie
Lnigi Napoleone fece spargere voci menzognere di atti orribili compiuti
dai sollevati ; nella quale opéra ingannatrice ebbe Tainto di Froissard,
il quale nel suo diario, la Patrie, non yergognossi di calunniare i con-
cittadini suoi per amicarsi il principe. Fu scritto aUora di spose di Pre-
fetti, che ammogliati non erano; di uccisione del Sindaco, di genti
d'arme e del Sotto-Prefetto di Joigny, oye non una goccia di sangue era
statayersata; di rnbamento al castello di Cormatin, di saccheggio e di
incendio a quelle di Saint Pont; e i signori di essi, Lacretelle e La-
martine; confessarono di poi non ayer patito danno yeruno dai soUeyati.
(2) La yittoria fu guadagnata dal Buonaparte non solamente con la
Tiolenza, ma anche con Finganno. « H Si, disse allora il Sindaco d'un
^illaggio ai contadini, ô la repubblica; il No, contra questa. »
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624 GAPITOLO X
fpagi — erano Baroche, Rouher, Pieri, Maupas e Troplong
— annanziavano al principe la sua rielezione al supremo
oflaicio; il quale ai loro auguri rispondeva: = I Francesi,
bene indovinando essere egli uscito dalle vie legcUi^ se non
per entrare in quelle del diritto, averlo assolto e giustîfi-
cato di queU'atto, che dovea risparmiare alla patria, forse
anche aU'Europa, molti anni di perturbamento e di guai
Oomprendere egli tutta la grandezza délia sua nuova mis-
sione; tenersi sicuro di superare i gravi ostacoli, che quella
attraversavano, con la rettitudine del suo cuore, Taiuto
degli uomini onesti, la fedeltà deiresercito e la protezione
del cielo. Volere assicurare le sorti délia Francia mediaate
istituzioni rispondenti aile aspirazioni democratiche deJla
nazione e al desiderio universalmente espresso d'un go-
verno forte e rispettato. = Se il 2 dicembre 1851 aveva
chiarito essere il Buonaparte per nulla coscienzloso in fatto
di onestà, il^ 2 dicembre deU'anno appresso dorea provare,
corne ei fosse per nulla scrupoloso mantenitore délia fede
e délie promesse date! — Il primo del 1852 Luigi Napoleone
recavasi al maggior tempio délia metropoli, ove veniva so-
lennemente cantate il Te Deum in ringraziamento al Si-
gnore Iddio di sua rielezione al seggio presidenziale. A
mezzo gennaio pubblicavasi la rncova Costituzione, lavoro
del Présidente; il quale, affermando che da cinquante
anni in poi la Francia non era progredita se non merd
gli antichi ordinamenti amministrattvi del Consolato e
delVimperio, aveva tratto quella dalla Costituzione del-
Tanno ottavo ; ma nel rendere omaggio e nel confermare
i grandi principi acclamati dalla rivoluzione del 1789 egli
chiudeva in limiti assai angusti la libertà individaale e
quella altresi délia stampa.
Dal giorno in cui Luigi Napoleone ricevette dal suffra-
gio popolare la suprema potestà nella repubblica, palesô
con audacia — che oflfendeva ogni convenienza — i suoi
disegni alla restaurazione dell'imperio; ne lasciando occa-
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FSANCIA B GSUCBA 625
sione mai di ricordame le memorie gloriose e i benefizi»
ridestava a suo vantaggio le simpatie un tempo vivamente
sentite per quel Grande, che aveva fatto la Francia forte,
rispettata, temuta. « lo chiederô alla nazione, per la quiète
délia patria, un ntMvo iitolo, che abbia a fissare irrevoca-
l>ilmente sul mio capo il potere da essa già concedutomi,
qnando i nimici al mio Governo mettesaero a repentaglio
l*aTTenire del paese... » parole queste piene di minaccia
che il 29 marzo 1852 rivolse ai Senatori e Deputati rac-
colti la prima yolta in assemblea. Il 10 maggio diede al-
Tesercito le antiche insegne deiraquila impériale— che
sotte il primo Napoleone aveano corso vittoriosamente
TEuropa — e allora dal principe chiamate simbolo cCauto-
rità e di gloria. Neirestate di queU'anno 1852, recatosi
a yisitare le provincie del mezzogiorno allô scopo di atti-
rarne a se le popolazioni e decidere Topinione pubblîca
in favore deirimperio» ei faceva ritorno a Parigi già salu-
tato Imperatore. A Lione dinnanzi alla statua équestre
del gran Capitano — che, lui présente, inauguravasi — par-
lando di se ai cittadini, nomossi Verede di Napoleone;
e poco di poi a quelli di Bordeaux diceva: = LMmperîo
essere la pace, perché la Francia lo desidera; essa sod-
disfatta, nessuna guerra poter turbare il monde; eletto
Imperatore, molto conquisterebbe ; ma le sue conquiste sa-
rebbero tutte morali. — Sventuratamente per la Francia
e per lui Timperio fu proprio la guerra; ce lo alOTermano
il Messico e Sedan, due vergogne che di maggiori, ne di
eguali non toccarono mai a popolo civile ! Timperio fu al-
treei Tinvasione straniera, il vituperio di Metz, il disastro
di Parigi ! — Era il 4 novembre 1852, quando il Présidente
faceva conoscere ai Senatori : = La volontà délia nazione
essersi chiarita per la restaurazione deirimperio ; sempre
rispettando la costiiuzione, il mutarsi degli ordini repub-
blicani in monarchici toccare la forma, non le basi fon-
damentali di quella. Il popolo troverebbe neirimperio una
guarentigia secura agli interessi suoi e una soddisfazione
40 — VoL n. Mariahi — Storia pol- e mH
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626 CAPTTOLO X
al suo giusto orgoglio ; in oltre, nel conservare le conquiste
gloriose del 1789, chiuderebbe Têra délie rivoluziom po-
litiche. = Tre giorni dopo 11 Senato deliberava di proporre
alla nazione il ristabilimento délia diçnità imperiaie
nella persona di Luigi Napoleone, con la eredità nella
sua discendenza diretta, legittima o adotttoa. n 21 e 22
novembre i Francesi, chiamatl ai loro comizi per Taccet-
tazione di taie proposta, rispondeano con quasi otto milioni
di vocl favorevoli, con dugencinquantamila contrarie. La
sera del primo annunziossi al principe la sua nuova vit-
torla ; il quale subito, con la corona, prese il nome di Na-
poleone m, in omaggio a quel grande^ che col genio sue
avea scritto le pagine più belle délia storia modema. D
dimane, dopo essere stato acclamato davanti aile Guardie
nazionali e al presidio di Parigi Imperatore dei Francesi
per la grazia di Dio e volontà délia nazione, lasciô l*Eli-
seo per recarsi aile stanze imperiali délie Tuileries. Questa
la fine, in verità ingloriosa, délia repubblica del febbraio
1848! Di sua caduta molto addoloraronsi i popolî, molto
rallegraronsi i dèspoti d*Europa; i quall, sebbene non ve-
dessero di buon occhio la dinastia napoleonica signoreg-
giare in quella regia, dalla quale un di erano usciti i
fulmini di Jena, di Friedland e d*Austerlitz, non tardu-ono
perô a riconoscere il novello imperio levatosi su le ruine
di quella tribuna, che rieordava le tante sconfitte toccate
ai loro eserciti sul Danubio, a Marengo e su TAdige!
La pace d'Europa, che allora parve per lunga pezza as- I
sicurata, fu di li a poco turbata dalle ambizioni di Niccolô,
lo Gzar di Russia; che reputando esser quello momento
opportune ai disegni vasti e audaci di Pietro il Grande,
preparava le armî per assaltare Timperio musulmano; pre-
testo délia guerra — che arder dovea terribile e sangui-
nosa sul Danubio e nella Tauride — diceva lo Czar essere
VôbUigo suo di proteggere in Oriente gli interessi dei
Ored; ma in realtà era la smania irrefrenabile di signo-
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FBA.NOIA E OBIMBA. 627
reggiare sul Bosforo; era altresi il desiderio, in vero one-
sio, di rimandare là, donde eran venuti, i ûgli deirislam
— negazione di ogai civile progresse — da secoli campeg-
gianti uaa délie contrade piii belle d'Europa, con vituperio
dei principi cristiaui e délia stessa cristianità per lo ad-
dietro piii volte dai seguaci di Maometto minacciata di
distruzione (1). « Avvicinarsi a Costantinopoli e aile Indie...;
chi régnera su queste sarà il vero Sovrano deiruniverso...
Smembrata la Svezia, vinta la Persia, sommessa la Polonia,
conquistata la Turctaja, riuniti gli eserciti russi da navi
russe, corse le acque del Baltico e del mar Nero, bisognerà
tentare segretamente da prima Versailles, di poi Vienna
per lo spartimento delFimperio del monde;... » cosi testava
il fondatore deirimperio moscovita, Pietro il Grande; e a
compiere la vastissima opéra da lui si bene disegnata e
tanto felicemente cominciata avevano rivolti tutti gli sforzi
loro i successori suoi — Nel 1828 lo czar Niccolô, veduti
riuscire vani i tentativi di Mahmoud per infondere nuova
Tita nella razza degli Osmanli (2), un di forte e gagliarda,
allora molto inûacchita, apparecchiossi al conquisto di
Costantinopoli; al quale scopo richiese a Francia Tappog-
gio suo, promettendole le desiderate frontière del Reno.
(1) Oltre le tante e grosse guerre imprese dai Tmchi per abbattere
quel formididabile antemnrale deUa Cristianità, che nei passati tempi
fa rAustria, Selim I e Morad IV, in efferatezza certo snperiori a Ne-
Tone, ayevano proposto al Divano di mandare a morte quanti cristiani
trovayansi nel loro imperio.
(â) Voler condnrre a ciyiltà i Mnsnlmanl ô impresa al di sopra d'ogni
forza nmana; ritenere ciô possibile ô stoltezza; il Tnrco per incivilirsi
deye gettare Inngi da sô il Corano, e qoando esso non crederà più al
suo CoranOj non sar& più Tnrco. Nessnn Soldano fù tanto desideroso
di riformare l'imperio qnanto Mahmoud n ; ma, a poca cosa gli sford"
suoi approdarono; ei distmsse qnèi feroci e tnrbolenti pretoriani, che
fnrono sempre i Giannizzeri — il 15 giagno 1826 — nn tempo sostegno
saldissimo dello Stato, ma diyenuti poi inetti a difenderlo, perché dege-
nerati dall'antico yalore.
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638 GAPITOLO X
n respingersi da Carlo X Tofferta dello Czar — il cni sta-
bilirsi a cavalière del Bosforo riteneva grave pericolo al-
Tindipendenza d'Europa — salvô da certa rovina il vacil-
lante imperio turchesco (l\ e costrinse Tambizioso despota
di Russia a rinunziare aU'impresa da luaga pezza riso-
luta. n disputare, che da tempo immemorabile facevasi da
Greci e da LatiDi intorno il pdssesso de* Luoghi Santi di
Gerusalemme, di Bethlem e di Nazareth, di que' giorni rin-
fooolatosi piu che mai, forniva al vigile Czar occasione
favorevole a inft*ammettersi nelle faccende d'Orienté per
sostenere i diritti dei Greci, sui quali suoi correligionari,
sebbene soggetti alla Sublime Porta, ei voleva estendere
sua autorità di Ponteâce supremo délia Chiesa ortodossa.
Ai tempi di Francesco I e di Solimano il Magnifiée era
stato da Prancia e da Turchia convenuto di riconsegnare
i Luoghi Santi ai Latini, come quelli che prima avevanli
tenuti. Verso la meta del secolo passato per differenze sorte
tra cattolici e scismatici — differenze suscitate da passioni
di due caste nimiche, e non da vero interesse di religione
— dovettesi addivenire a nuove concessioni e fermare un
nuovo trattato ; ma non essendosi nemmeno allora potuto
determinare in modo assoluto a chi proprio per diritto
spettasse il possedimento de' Luoghi Santi, ridestavansi non
molto di poi le mal sopite contese. Nel 1848 il furto corn-
messo dai Greci d'una Stella d'argento, stata posta dai La-
tini nella grotta di Bethlem, inaspri gli animi di questi.
e agli odi antichi altri e di maggiori allora s'aggiunsero.
Non potendo essi ottenere giustizia dai Governo turco,
volgevansi a Francia ; la quale, per Toratore suo in Corte
di Costantinopoli, chiedeva al Soldano, facesse rendere dai
Greci la stella rubata e quanto per lo innanzi avevano
(1) Di quel giorni la Bussia era piena di vita nnova e operosa; tntto
faoeva sperare che a civiltÀ si awlasse ; mentre Timperio masnlmano
aadava ogni di più decadendo ; esso era yecchio, non per gli anni, mA
per le istitazioni barbare con le quali tuttayia si reggeva.
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FBANOIA B GBXMBA 629
tolto al clero cattolico; in oltre, si restitulsse al culto del
cattolicesimo la grande chiesa di Bethlem e il Sepolcro délia
Vergine. Contra tali pretensioni i scismatici protestarono
avanti alla Sublime Porta ; la quale, non osando respingere
le giuste domande di Francia, ne condannare i Greci pro-
tetti dallo Gzar, lasciava di buon grado a una Gommissione
mista di Latini e Greci 11 'carico d*esaminare e deânire i
diritti dei contendenti. Il giudizio dei Commessari non
accontentô i primi e venne compiutamente rigettato dai
secondi, perché securi deU'appoggio di Niccolô ;. il quale,
mentre nel febbraio 1853 per difendere gli interessi e i di-
ritti dei Greci, inviava al Soldano Tammiraglio principe
di Menschlkoff, raccoglieva nella Bessarabia grosso nerbo
di soldatesche e riuniva nelle acque di Sebastopoli tutta
la marineria di guerra del Mar Nero; apparecchi questi,
che cliiariYano gli intendimenti guerreschi délia Russia.
Menscbikoff, in nome del suo Signore, faceva proposte al
Soldano, le quali non solo ne offendevano la dignità, ma
ne mettevano in pèricolo l'indipendenza. Voleva Toratore
ni3S0 che la Sublime Porta, allontanandosi dairamicizia
di Francia e d*Inghilterra, fermasse un trattato con la
Russia; in virtù del quale lo Czar manderebbe eserciti e
armate in aiuto alla sua alleata, quando venisse assaltata
dagli Stati occidentall ; in compense di taie aiuto la Chiesa
ortodossa d'Orienté e i Greci soggetti alla Turchia ver-
rebbero sotto la protezione sua (1). Niccolô, con obbligare
il Soldano a ricorrere a lui in tutte le sue contese con
gli Stati d'Europa, mirava a renderselo soggetto, per po-
scia far suo queU'imperio, ch'egli, già da tempo ritenen-
dolo gravemente malato, affermava non lontana la sua
caduta. Resplnte le domande del Governo moscovita, la
Sublime Porta, in sul ânire di maggio, volgevasi ai rappre-
sentanti di Francia, di Bretagna, d*Austria e di Prussia
(1) Dodici milioni di cristiani di rito greco abitano Fimperio ottomano.
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630 CAPITOLO X
per far loro conoscere le esigenze, veramente oltraggiose
a sua dignità, e le minaccie di guerra dello Czar; in oitre,
li ayvertiya délia deliberazione presa d^apprestare, senza por
tempo in mezzo, le resistenze su terra e su mare, avregnachè
la Russia fosse pronta già ad assalire, a offendere. — Men-
scliikoflfaveva giàda parecchi giorni abbandonata Costan-
tinopoli coi principali délia legazione russa, allora che, il
9 giugno, Rechid Pachà — luogotenente deirimperio tnr-
chesco — riceveva da Nesselrode un ultimatum ; col quale
il gran Oancelliere di Russia Tawisava, che se il Soldano
si ostinasse a rigettare le demande, inspirate a moderazione
e a giustizia, di Niccolô, tra brevi settimane gli eserciti
moscoviti invaderebbero la Turchia, non per rompere
guerra, ma per ottenere da essa guarentigie secure in fa-
vore del culto ortodosso d'Orienté. Con nobile fermezza
rispondeva Rechid Pachà di non poter soddisfare ai desi-
dèri dello Czar, perché ledevano i diritti dell'autorita so-
vrana del suo Signore.
Mentre le armate di Francia e d'Inghilterra, lasciate le
acque del Méditerranée, navigavano verso la baia di Besika,
che giace presse Tentrata dei Dardanelli, ove dovevaao
arrivare a mezzo il giugno, i Ministri di Francia, di Bre-
tagna, d'Austria e di Prussia eransi riuniti a consulta in
Vienna per trovare modo di comporre quella contesa, che
poteva far divampare di fuoco e di guerra tutta Europa.
Se non che la Russia, la quale per li suoi fini voleva de-
finire la quistione con le armi, il 3 luglio, superato il
Pruth con gli eserciti suoi, invadeva i principati Danu-
biani, Moldavia e Valacchia (1). — Il Goyerno musulmano
(1) Qaesti principati faceyano parte dell'antico regno di Dacia.
Trè^ano, nello annetterli all'imperio suo, stabiliya in easi alcnne colonie
latine e greche ; d'allora gli abitatori di quelle provincie prendevano il
nome di Bumeni. Nel 1848 i contadini leyayansi in an Tarme per to-
gliersi al servaggio e liberarai dalle imposizioni fendali, che dnramente
pesayano su loro; ed eransi levati gridando : Viva la swranità del Sol-
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7&AKC1A. B GBIILBA 631
siibito protestô contra quella violazione del suo territorlo,
ma con assai moderazione, che in vero tornô a suo grande
elogio; ne voile fare di essa un casus beUi, nella speranza
che gli Stati mediatori potessero condurre lo Gzar a sensi
più miti, a consigli più saggi ; e solo quando seppe re-
spinte dalla Gorte di Pietroborgo le proposte dl paciâco
componimento messe innanzi dal congresso di Yienna, in-
timaya la guerra airinvaditore, nel medesimo tempo vol-
gendosi per aiuti a'suoi potenti alleati; lo che accadeya il
25 settembre. Al suo inyito Prancia e Inghilterra doye-
vano presto rispondere con armi poderose, e più tardi
anche la bellicosa Sardegna; ma gliele niegayano allora
e sempre Austria e Prussia. — 11 3 ottobre in Varsayia
conyenlyano per rinnoyare e fermare insieme intimissimo
accordo lo Gzar, llmperatore d' Austria e il Re di Prussia;
di quanto yenne da essi discusso e deliberato, nuUa si
seppe allora ne di poi; parlarono forse di pace ? no, per6
che la guerra di li a poco scoppiasse terribile e grossa;
trattarono forse di coUegare lor forze armate contra Bre-
tagna e Francia ? no, ayyegnachè la Russia non abbia
avuto mai nella lotta, che fu lunga e disastrosa, soccorso
veruno d'alleati. A difendere sua politicay yeramente in-
fida, l'Austria diceya: = Essere stata sempre conserya-
trice e ciô per la sua postura geograâca in Europa, i cui
interessi ebbe ognora tutelati e difesi. Amicissima di Russia
— phe consideraya come argine saldissimo contra le se-
dizioni e le popolari soUeyazioni — se non aveya potuto
impedire Toccupazione militare dei principati Danubiani,
dano, Mentre 1 Turchi entravano nella Yalacchia per sedarn la soUeva-
zione, i Bnssi invadeyano la Moldayia. Contra taie intervenzione armata
il Diyano protestava; ma di ciô lo Czar non cnrandosi, le armi sne non
nscivano di Moldayia. Il trattato di Balta Liman dell'aprile 1848 met-
teya d'accordo qne' due Stati, ch'erano in procinto di gneneggiarsi; in
forza di esso la Enssia poteya interrenire ne' principati, quando gravi
eîicostanze il richiedessero.
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6B2 OAPITOLO X
studiavasi perô sempre di condurla a moderazione; consi-
gnera di pace, essa non doveva aggiugaere fuoco a fuaco
entrando con sue armi nella contesa. Nella quale sua de-
liberazione di neutralità assoluta... coufortayala la parola
dello Czar, di non volere far guerra di conquista: onde
il felice coatrappeso degli Stati d'Europa non correva pe-
ricolo d'essere turbato. = A provare poi corne l'Austria
non sarebbe per aiutare mai con le armi Tuna parte o l'al-
tra, il Governo di Vienna riduceva di numéro Tesercito
suo ; e mentre con taie provvedimento intendeva rassicu-
rare i Governi amici sul procedere suo in quoi momenti,
in yerità difâcilissimi, mirava eziandio al soddisfacimento
dei bisogni economici deirimperio. — Il giorno 8 di otto-
bre Orner Pachà, généralissime dell*armi musulmane, dai
suoi alloggiamenti di Choumla scriveva a Gortschakoff,
comandante suprême deU'esercito russe che teneva stanza
in Bukarest, invitandolo a lasciare i principati infra quin-
dici di ; taie invite era l'ultima espressioné dei sentiment]
paciflci délia Sublime Porta. Il 12 rispondevagli il prin-
cipe Gortschakoff di non avère avuto dalllmperatore, suo
Signore, la potestà di trattare délia pace, délia guerra o
dello sgombramento délie provincie Moldo-Valacche, — Le
forze armate délia Turchia, allora campeggianti la Bulga-
ria, sommavano a centrentacinque mila uomini e quaranta
batterie di cannoni, ed erano divise in quattro corpi di
esercito. Il primo di essi, di cinquantamila uomini, trora-
vasi a Ohoumla sotte il comando diretto di Omer Pachà;
il seconde, di venticinque mila, stava a BabarDagh nella
Dobrutscha sul basse Danubio, e aveva a cape Alim Pachà;
capitanavasi il terzo, di trenta mila uomini, da Mustapha
Pachà, il quale teneva i suoi campi da Roustchouk a Sistow;
11 quarto, di trenta mila, sottolil governo d'Ismail Pachà, sten-
deasi daSistow a Widdin;inoltre, grossi presidi di soldatesche
stavano in Varna, Pravardin, Tirnova e nei forti costrutti
a difesa de* passi dei Balkan ; in âne, la riscossa^ cinquanta
mila uomini airincirca, comandata da Rifaat Pachà cam«
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FBANCIA E GAIMEA 633
peggiava nei dintorni di Sofia, dove la grande strada di
Gostaatiûopoli a Belgrado viene attraversata da quella che
da Bukarest conduce al regno di Grecia (1). NelFAsia la
Turchia teneva ia su Tarme cencinquanta mila uomini
lungo le spiaggie del Mar Nero e le frontière del Gaucaso,
ordinati in due corpi d'esercito, il primo comandato da
Abdi Pachà, il secoado da Selim Pachà. Le forze armate
délia Russia, che trovavansi nei principati sotto il governo
suprême di Gortschakoff, componevansi del corpo d*eser-
cito di Dannenberg, di parte del corpo di Luders — i
quali ueirordinamento militare deU'imperio numeravansi
quarto e quinto — e da quattordici reggimenti di Cosacchi
del Don con le loro batterie di cannoni; in tutto, cen-
venti mila uomini, seguiti da grosse artiglierie per gli as-
sedi; la riscossa, il corpo d'esercito d'Osten-Saken, trova-
Tasi in Bessarabia dietro il Pruth. Woronzoflf capitanava
nei Caucase cencinquantamila Russi ; con questo esercito
egli aveva a combattere non solamente le soldatesche mu-
sulmane deirAsia, ma eziandio le popolazioni di quella
contrada non domata mai, e che allora, sotto Schamyl,
preparayansi ad uscire alla campagna con forze poderose
per dar mano ai Turchi nelle militari operazioni contra
il comune nimico.
I primi affronti, che furono di lieve momento, ebbero
luogo a Isatcha, non lungi dalla foce del Pruth nei Danubio,
e presse Turtukoi dinnanzi a Oltenitza. Rotta la guerra,
Orner Pachà risolveva di costringere i Russi a sgombrare
le provincie occupate dal nimico. Il 27 ottobre egli entra
nella picciola Valacchia; il primo novembre tenta passare
(1) La base délie militari operazioni scelta da Orner Pachà era estesa
ditroppo; essa correva da qnasi trecento miglia lungo il Danubio. Pochi
8«no i Talichi di questo fiume in Turchia, avyegnachô le sue rive vi
siano quasi tutte dirupate e paludose; nei 1828 i Bussi Tayeano supe-
rato a Silistria.
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634 GAFITOLO X
il Danubio a Rustciuk, invano perô ; due giorni dopo riesce
a superarlo con poco più di nove mila uornini a Oltenitza;
il di seguente va sopra i Russi, di lui piii forti in numéro;
i quali, dopo aver patite gravi perdite, indietreggiano verso
Bukarest II vincitore non li insegue ; pago di taie vittoria
si raccoglie in Oltenitza ad aspettarvi il nimico» clie tiene
per certo abbia a venire a lui per vendicare la sconfitta
sofferta; attesolo invano alquanti giorni, torna con sue
genti su la destra del Danubio; lo che eseguisce il di 11
novembre. In Asia, come in Europa, la guerra cominciaTa
felicemente per le armi musulmane; le quali» il 28 ottobre
impadronivansi del forte Ghekvetil, chiamato dai Russi San
Niccolô, che siede sul Mar Nero a difesa del confine di
Georgia, e il 18 novembre combattevano vittoriosamente la
squadra russa, venuta al racquisto di quel forte ; ma dopo
dieci ore di combattimento dovevano togliersi giù dall'im-
presa; e a mezzo novembre i Turchi stringevano Alessan-
dropoli, fortezza che giace a cavalière délia via di Tiflis.
Ma pochi giorni di poi, costretti a lasciar quell'assedio, il
26 novembre ad Akhalzick e il due dicembre a Basch-
Radisck-Lar erano messi in rotta per causa del tumultuario
assalire délie milizie irregolari, le quali, respinte, avevano,
nello indietreggiare, disordinato il campo; ciô che diede
ai Russi la vittoria. — Gli infelici successi allora sortiti
aile armi moscovite sul Danubio e nella Georgia, se non
avevano queste scoraggiate, avevano perô negli animi loro
prodotto assai triste impressioni ; a cancellar le quali, la
Czar ordinava a Nakimoff, vice-ammiraglio délia squadra
russa nel Mar Nero, distruggesse la nimica, che in quel
mare aveva il carico di tener libère le comunicazioni tra
Costantinopoli e l'esercito turchesco dell'Asia. Osman Pacha,
che la comandava, prestando fede alla parola di Niccolô,
c?ie non avrébhe rotte le osttlità sino a che gli Stati medior
tori trattassero di pace, tenevasi in imprudente sicurezza
nella rada di Sinope, città posta sa la marina dell'Asia
Minore rimpetto alla Grimea. Era il 30 novembre, quando
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FRANOIA E CRIMEA 635
Nakimoff giugneva innanzi a quella coa la suasquadra; e
appena s'ebbe ordinato alla pugna, intimava a Osman
Pachà di abbassare la bandiera e di rendersi a lui; alla
oltraggiante chiamata, rammiraglio turco rispondeva con
le artiglierie délia sua fregata; in meno che non balena,
d*ambe le parti le navi vomitavano fuoco e ferro. Dopo
tre ore di combattimento, la squadra ottomana più non
esisteva! due frégate, allora che trovaronsi li li per venire
a mano dei Russi, dato fuoco aile polveri, con orrendo
scoppio saltavano in aria; lealtre, squarciati i âanchi dal
cannone nimico, si sommergevano e con esse circa tre
mila marinai; centoventi di questi con Osman Pachà
cadevano prigionieri dei Russi; quattrocento, gettatisi in
mare, salvavaMsi a nuoto. Nakimoff, oltre il tradimento
commesso per comando dei suo Signore, compiva allora
un atto di fiera barbarie : fu Tincendio di Sinope, i cui
abitatori, come ebbe egli stesso a confessare, non avevangli
recato offesa veruna (1), La giornata di Sinope, che proprio
non tornô a gloria dell'armi moscovite, scrisse allora una
pagina splendidissima nella storia militare di Turchia;
ayvegnachè per Tonore délia nazionale bandiera migliaia
di Musulmani andassero incontro a certa morte, accettando
la pugna offerta da un nimico dimolto prépondérante
in forze aile loro (2). Il disastro di Sinope — la cui novella
(1) Nakimoff, prima di lasciare le acqne di Sinope scriyeva al Consolo
austriaco di Sinope stesso per iscolparsi di qneirincendio : = la
ostinata difesa délie navi nimiche e soprammodo il faoco délie batterie
dei cannonî di costa ayerio obbligato a fare uso délie bombe; ma il mag-
gioT danno cagionato alla città essere proyenuto dai frammenti incen-
diât! dei legni tnrcheschi... ; gli ordini datigli dal sno Goyemo toccar
solo le nayi di gnerra; la sqnadra impériale non ayere aynto intendimenti
ostili contra la città e il sno porto. .:= Non estante il comando dato di
rispettare Sinope, Nakimoff la mandaya a royina !
(2) La sqnadra rossa, cke oombattè a Sinope, componevasi di sei grossi
vascelli, di due frégate e di tre minori nayi a yapore con settecentosessanta
cannoni; altre qnattro frégate stayano in crociera dinnanzi il cape Indjeh
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636 OAPITOLO X
veniva il 3 dicembre portata a Gostantinopoli dal Taif,
legno a vapore spedito al Soldano da Osman durante il
combattimento stesso — non iscoraggi i Musnlmani, ma
accrebbe anzi in essi forza e lena di operare, e Tenta-
siasmo per la g^erra; e destô eziandio in tutta Europa
dolore misto a sdegno. L*eccidio di Sinope ebbe grande
importanza, perô che a Francia e a Bretagna facesse corn-
prendere essere giunto il momento di soccorrere a quel-
rimperio, alla rovina del quale lo Czar aveva mosso armi
poderose, e i cui modi di guerreggiare, mostravanlo di poco
umani sentimenti; vuolsi perô avvertire, in omaggio alla
verità, che Tassalto di Sinope non ara contrario aile leggi
délia guerra. Il 3 gennaio 1854 le squadre dlnghilterra e
di Francia — la prima comandata dair^ynmiraglio Ha-
melin (1) — lasciate le acque di Besika e di Therapia en-
travano nel Bosfoto e tre giorni di poi nel Mar Nero,
seguîte da alcune navi turchesche, portanti soldati, armi
e vettovaglie ai presidi di Trebisonda, di Batoum e del
forte di Chekvetil. Dopo avère percorso quel mare senza
incontrare Tarmata nimica e senza toccare i porti délie
spiaggie russe, le squadre coUegate gettavano Tàncora nella
rada di Sinope ; se non che, reputandola poco secura, il
22 gennaio facevano ritorno al Bosforo. Il loro entrare nel
e nelle acqne di Amastrah per impedire la via ai soccorsi che da Costan-
tinopoli potessero ginugere alla sqnadra di Sinope; la qnale conUva
soltanto sette frégate, tre coryette e nu picciolo legno a vapore cc&
quattrocentosei cannoni.
(1) La sqnadra inglese conta va venti legni — vascelli, frégate, cor-
vette, ecc. — con millecentoventi cannoni; la francese era di quindici
— pure di vascelli, frégate, corvette, ecc — con novecentotrentadue
cannoni. L'armata rnssa del Mar Nero componevasi di qoaranta legni —
vascelli, frégate, steamers e corvette — con due mila cannoni all'inciic*.
L'ambasciatore d'InghUterra a Costantinopoli nello annnnziare la pa^
tenza délie squadre confederate diceva: == Passare esse nel Mai Neiv
a proteggervi gli interessi délia Turchia; ci6 che non poteva ron^re
la buona amicizia, che leg^va la Russia ai due grandi Stati d'occidente.
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FBÂNCIA K CBIMEA 637
Mar Nero non fu riteauto dallo Gzar corne un caso di
çuerra; ei disse perô che ial fatto, rompendo la fede dei
trattati, lui scioglieva da ogni obbligo verso i medesimi.
Agli schiarimenti su quello intervenire armati chiesti a
Parigi e a Londra, essendo stato risposto in modo poco
amichevole, gli ambasciatori russi lasciavano quelle me-
tropoli: lo che avveniva il 6 febbrâio di quell'anno 1854.
Fu allora che TAustria davasi a raccogliere armi numerose
nella Voivodina e nel banato di Ternes, e ciô per ragion
diprudenza, aflfermava essa, essendosi la guerra ingros-
sata presso le sue frontière, e la vicina Serbia, minac-
ciando di levarsi a romore per Topera di agitatori russi
e musulmani, che volevano trarla a lor parte.
In questo mezzo i Russi facevano deliberazione d'impa-
dronirsi di Kalafat, la prima guardia del campo turchesco
di Widin, su la sinistra del Danubio, ctoe lor chiudeva il
passe nella Servia. Indovinati i disegni del nimico, Ismail
Pachà con tredici battaglioni di fanti, tre reggimenti di
caralli e venti cannoni — undici mila uomini aU'incirca
— al cadere del 5 gennaio portavasi da Kalafat a Citate,
villaggio posto su la via di Bukarest a Widin, presse il
quale troyavasi a campo grossa schiera di Russi. AlFal-
beggiare del nuovo giorno i Turchi mossero aile oflfese;
e dopo contraste estinatissimo, insignoritisi di Citate sta-
vane per assaltare il ridotto alzato dal nimico sopra un^
poggio signoreggiante quella via, quando, a rimettere la
fertuna dell'armi, giugnevano ai Russi aiuti poderosi di
fanti, di cavalli e di cannoni, che il romore délia pugna
aveva tratto a quel luogo dai vicini alloggiamenti di Boi-
lechti e di Motzetzel (1). Non isgomentati dal numéro délie
forze nimiche — per quel seccorsi accresciute del doppio
— anzi, prendendo consiglio dal proprio ardire, i Mu-
(1) Erano noyé battaglioni di fanti, due reggimenti di cayalleria é
sedici cannoni ; in tntto ciica otto mila uominL
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638 cAPiTOiiO X
sulmani voltaronsi contra le sorvegnenti battaglie; e si
vigorosamente le affrontarono da costringerle in brève ora
a cercare salvezza nel ridotto; dal quale si tolsero nella
notte, per tema di vedersi dal vincitore impedito il ritorno
ai loro alloggiamentl. In quella giornata i Russi perdet-
tero da tre mila uomini morti o feriti, moite armi e mu-
nizioni di guerra; i Tilrchi, poco più dl mille: Kalafat e
Oitate, avevano, in parte almeno, vendicato il tradimento
di Sinope!
Riuscite a vuoto le pratiche dei plenipotenziari dei
grandi Stati d'Occidente por ricondurre a concordia e a
pace Russia e Turchia, il Signor de' Francesi, innanzi di
uscire alla guerra con l'arnica Bretagna per difendere
l'imperio Ottomano, alla eut integrità lo Czar attentava
con tutta la poteaza délie sue armi, il 29 gennaio scriTera
al Sire moscovita, invitandolo ad abbandonare quell'im-
presa — dall'opinione pubblica condannata perché contra
giustizia — la quale minacciava il riposo d'Europa (1). Le
parole di Napoleone erano piene di dignità e al tempo
stesso severe ; nel mostrarsi inspirato a sentimenti di con-
ciliazione, egli francamente chiarivasi pronto aile armi,
qualora si respingessero sue proposte d'accordo. « n can-
none di Sinope, cosi nella sua lettera, risuonô dolorosa-
mente nel cuore di quanti in Inghilterra e in Prancia
sentono vivamente la dignità nazionale, e con voce una-
nime si gridô: Sin dove i nostri cannoni possono ferira
i nostri alleati devono essere rispettati. » — n 9 febbraio
(1) In sol cominclare dei 1854 seicentomila Basai campeggiaTaiio 1<
frontière dell'imperio moscovita. L'ala destra di qnesta stenninata bat-
taglia appoggiavasi al Baltico, stendendosi longo i confini pmssîani e
anstriaci ; la parte di mezzo correva lungo qnei délia Polonia e della
Transilyania sino al basse Danubio; e l'ala sinistra correva dal basso
Dannbio lango le spiagge dell'Ensino settentrionale, e dei mar d'Âzof
sino alla Georgia.
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FRAKCIA. B CBIMEA 639
Timperatore Niccolô rispondeva cosi: = Per la cooserva-
zione délia pace avère egli faite tutte le concessioai per-
messegli dal suo onore. I dirittl e i privilegi de* suoi cor-
religionari in Turcliia — un giorno lor confermati a prezzo
di sangae msso — yenire ad essi da trattati antichi. Se
si fosse lasciata la Porta a se stessa, la quistione de' Luoghi
Santi sarebbe già stata deSnita. L*inyio ai Dardanelli délia
squadra flranco-inglese avère incoraggiati i Turchi alla
gaerra e invalidato altresi il negoziare dei plenipotenziari
congregati in Vienna. Francia e Bretagna, se fossero state
amanti di pace, avrebbero dovuto impedire al Governo
ottomano d*intimargli la guerra; o, se rotta, fermame le
ostilità sul Danubio. Il fatto d'arme di Sinope essere stato
la conseguenza dello assalire dei Turchi il suo territorio
asiatico e dei contegno mlnaccioso dei due grandi Statl
alleatl. Se il cannone di Sinope in Francia e in Inghilterra
feri il sentimento délia dignità nazionale, Tentrare nel
Bosforo e neirEusino delFarmata franco-britanna, offese
quelle délia nazione russa, délia quale ei difende Tonore:
non accettare quindi le proposte d'accordo messegli in-
nanzi. == Perduta Tultima speranza d'un pacifico compo-
nimento, che tutta riposava nella arrendevolezza dei
Governo di Pietroborgo e nei sentimenti di moderazione
dello Gzar, ai quali Napoleone aveva fatto un sincero ap-
pello, Francia e Bretagna diedersi soUecite a raccogliere
armi e armati per soccorrere a queirimperio, che Niccolô,
più che opprimere, tendeva mandare a rovina per famé
sue le ricche spoglie, pur sempre protestando di non avère
fatti suoi i disegni e i sogni di Caterina, ne di volere insir
gnorirsi di Costantinopoli (1). — Montre dai grandi Stati
d'Occidente preparavansi le armi per la guerra in aiuto
délia minacciata Turchia, l'imperatore Napoleone ritentava
(1) Lettera dei 33 gexmaio 1868 dell'oratore d'Inghilterra in Corte di
Pietroborgo a lord BusseL
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640 CAPITOLO X
ranimo del Sire Absburghese, promettendogli di tener con-
giunte le sue bandiere a quelle delVAustria in Greda e su
le Alpiy se allora si fossero unité sul LanuMo e sut Mat
Nero; le quali parole mostrano cliiaramente i sentimenti
del Napoleoûide per la Grecia e lltalia, e le simpatie di
que' giorni da lui nutrite per la libertà!! (1). — L'imperatore
d'Austria — che poco innanzi, a chi soUecitayalo d'entrar
nella lega di Francia e d'Inghilterra, aveva risposto di non
poter concedere a questi Stati quanto aveva niegato alla
Russia (2) — di 11 a poco faceva conoscere aU'Europa, cbe
la iategritii deirimperio turchesco e rindipendenza sua
essendo necessarie al mantenimento degli Stati, l'Austria,
quale avanguardia délia Germania dalla parte deirOriente,
doveva tenersi pronta a tutti gli eventi, e armarsi per la
conservazione dell'ordine délie cose esistenti. — Egli, che
non molto prima aveva protestato di conservarsi neutrale
nolla contesa, allora apertamente affermava : = Non rite-
nere ancora necessario il suo intervento per tutelare gli
interessi deirimperio; dover perô apparecchiare le armi
per osservarey se fosse del ca^Oj i precetU di stm tradizio-
nale politica, d'opporsi cioè altingrandimento territoriaXe
délia Russia di qua del Pruth. = Questa la gratitudine sua
(1) Nella memorabile soilevazione délia Grecia de! 1821 i grandi
Stati d'Occideute ayevano fatto délia cansa di essa nna qoistioiie en-
Topea, allô scopo di non lasciare tntto alla Rnssia il protettorato dà
Greci; e avovano volnto mostrare altresi con lo iateryeniie armato
quanto stesse loro a cnore il benessere dei cristiani d'Orienté : la civtk-
zione del regno di Grecia fa la prova dei loro benevoli sentimentL Nel
1854 corne la pensasse la Francia cel dicono le parole del Buonaparte
all'Aastria, minacdanti invasione di sue armi in qnel regno, se avesse
soccorso ai generosi dell'Epiro; i qnali, levatisi per l'acquisto dell'indi-
pendenza patria, eombattevano vittoriosamente su le piannre di Peta, a
Bucovitz, e campeggiavano intomo ad Arta e a Prevesa.
(2) Con tali parole alladeva alla missione del conte Orloff, inmto
dallo Czar a Ini per invitarlo ad essergli compagne nell'impresa di
Oriente.
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PBANGIA E OBIMSA 641
a lui che nel 1849 avevalo salvato in Ungaria! -> L*eser-
cito di Francia designato aU'impresa, e al cui govemo
era stato preposto il maresciallo Saint-Arnaud, contava
quarantamila uomini; trentamila, duce lord Raglan, quello
dlnghilterra; la quale mandava altresi nelle acque del
Baltico una forte squadra sotto il comando deirammiraglio
Napier, per chiudere aile navî russe Tuscita dai canal! di
quel mare che menano aU'Atlantico. Molti altri legni
raggiungevanla per via, portandola cosi a numéro ; e quando
presentossi ai nimici erasi fatta un'armata formidabile;
perô che avesse a bordo ventiduemila uomini e duemila
quattrocento cannoni airincirca. Superato il Cattegat, il
26 marzo entrava nel Gran Belt; due giornl dopo mette-
vasi aU'àncora davanti a Kiel; il vegnente awiavasi a
Kioge, porto deirisola Seeland, che il 5 aprile lasciava
per recarsi aU'isola di Bornholm, la quale sorge dal Bal-
tico tra Testrema terra délia Svezla méridionale e la spiaggia
prussiana di Kolberg. Napier, venuto il 15 aprile al golfo
di Finlandia, volgevasi da prima contra Helsingfors, e di
poi contra Revel per combattervi le navi nimiche, che
dicevasi trovarsi riunite in quel porti ; ma sendo dai ghlacci
sbarrata la via, tornossene addietro. Divisa allora Tarmata
in tre squadre, Napier mandava la prima a incrociare
nelle acque di Curlandia da Windau a Liban ; ordinava
alla seconda di portarsi nel golfo di Livonia e porsi all'àn-
cora dinnanzi a Riga; ed ei teneva la terza all'entrata del
golfo di Finlandia. Àl didiacciarsi del mare le navi inglesi
Teoivano a raccogliersi nelle acque di Gottskasandon, a
settentrione dell'isola di Gothland — terra dei Goti — che
glace airaltezza del golfo di Livonia. Il 13 ma^io Tarmata
britanna, tutta riunita, aspettava il giugnere di quella di
Prancia per muovere insieme contra le squadre nimiche,
indi assaltare Kronstad — forte antemurale di Pietroborgo
— obbietto primo deU'impresa del Baltico. Esplorando il
goljCo di Finlandia, nel quale era stato fatto tutto quanto
il genio délia difesa aveva potuto inventare, Napier rico-
41 — VoL n. Marlahi — Storia pol. • mU.
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642 OAPITOLO z
nosceva l'impossibilità di tentare Kronstad, senza battelli
piatti per correre i bassi fondi, che circondano quella
fortezza, pieni altresi di scogli sottomarini, e d'espugnarla
senza raiuto di grossa schiera di soidati da mettere a terr&.
Mentre a ciô provvedevasi dagli Stati alleati e nello aspdt-
tamento deirarmata di Francia, l'ammiraglio inglese spe-
diva sue navi a correre le spiaggie di Hangoe ; le qaaii,
con le loro artiglierie recarono danni gravissimi ai forti che
la difendevano (1). Il 13 giugno, Tarmata francese — duce
rammiraglio Parseval-Deschesnes — uscita di Brest il 20
aprile, univasi alla britaana presse Barœsund a poche
leghe di Sweaborg, per la sua forza soprannomata OiMl-
terra del seltentrione. Insieme congiunte le armate con-
federate contavano settanta legni aU'incirca; ira i quali
diciotto vascelli inglesi e nove francesi ; nel golfo di Fin-
landia le navi russe sommavano a quarantaquattro, tra cai
venti vascelli.
Mentre cosi avevano cominciamento le nimistà nelBal-
tico, più grossa facevasi la guerra sul Danubio. Innanzi
di narrarne le militari operazioni, è necessario dire brevi
parole intorno la soUevazione greca e il contegno che
Prussia ed Austria presero rimpetto agli Stati délia Lega
e allô Ozar. — I Monténégrin! (2), nimicissimi sempre alla
Turchia, e i Greci délie provincie soggette a questa, tosto
che seppero dello invadere dei Russi nei principati danu-
biani^ davano mano aile armi per togliersi alla signoria stra-
(1) I forti d'Hangoe stanno a cavalière dell'entrata dei dae golfi ^
Finlandia e di Botnia.
(2) Il Yladica del Monténégro, Danilo Petrovich} aveva messe faoïa
nn manifesto, nel qoale ecdtava alla guerra contra la Toichia ehipo9-
sedeva un cuore forte e non di donna; e ricordando ai MonteDegrioi
d'essere i figli dei vincitori délia Cemagola, che nn di avevano domat4?
tre Visir e preso d'assalto le fortezze del Soldano, diceva cosi: a Se
non disprezziamo la patria, se non rinneghiamo la gloria degli anticbi
nostri eroi, rioniamoci e combattiamo in nome di Dio. »
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FBANOIA E OBIMSA 643
niera. Dai messi di Niccolô fatti secari dello appoggio di
Russia ed eziandio deiraiuto d'Ottone di Grecia — il quale
avevaaccordato, non palesemente perô, ad alcuni offlciali del-
Tesercito suo di capitanare i sollevati — assalivano i presidi
turcheschi d'Epiro, di Tessaglia, di Macedonia e d'Albania.
I Greci dei reame, pieni d'entusiasmo per Timpresa di
indipendenza, raccolgono danari e armi per aiutarla; e
veggendo Francia e Inghilterra» un giorno ad essi ami-
cissime e allora avverse, volgonsi a Germania, che sebbene
neutrale nella contesa russo-turca, sanno perô arnica
sempre ailo Czar. Invero era vana speranza lo attendere
la libertà da quei principi che opprimono i loro 8(^getti!
— I Governi di Parigi e di Londra fanno vive proteste
contra il procedere del Sire ellenico ; il quale, sognando la
restaurazione deirantico imperio bisantino, naentre lascia-
vasi dal popolo suo acclamare Imperaiore (fOrientSy ri-
spondeva a quei Governi di non potere respingere le
rimostranze d'aflfetto de' sudditi suoi, ne vietar loro un
soccorso ai fratelli combattenti per la propria religione e
per Tindipendenza patria. — A impedire il congiungersi
dei Greci sollevati coi Montenegrini, la Sublime Porta, nel
febbraio 1854, spediva contra questi una grossa schiera di
sue genti, la quale veniva sconfltta a Vassœva. Vincitori
ad Arta e a Giannina, il 28 marzo i sollevati patiscono
grave battitura neirËpiro; non perô cedono le armi, che
anzi ogni di piii la soUevazione si allarga, si afiBorza (1).
11 giorno 8 aprile i consoli di Francia e d'Inghilterra in
(1) II 6 aprile festeggiavari in Atene Tanniversario délia gloriosa
solleTazione di Grecia del 1821. Alla ceremonia religiosa, aUa quale
erano soliti piender parte i rappresentanti di tutti i grandi Stati d'Eu-
^pa, intervenue aUora quel di Russia soltanto; il cannone délie navi
di Frauda e d'Inghilterra, che sorgevano su Fàncore nel porto del Pireo,
st«tte muto contra Tusanza degli anni antécédent! ; e cou lo astenersi
da taie festa eminentemente nazionale i Governi di Parigi e di Londra
AveYano inteso riprovare i generosi entusiasmi di quel popoli d'eroi!
procedere in verità non degno di quei Governi di libère nazioni.
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644 GAPITOLO X
Prevesa pubblicavano un manifesto ai crîstiani ribelli;nt\
qaale, dopo avère confessato, che le enormità commesse
in Paramita, MargariU e Phanaris dalla soldalesca otUh
mana, bestiale e sfrenata, erano state , con giusta inAir
gnazione udite non solo dal Ooverno del Soldano, ma
altresl da lutta VEuropa, invitavanli a posare la guerra,
avvegnachè Prancia e Bretagaa dovesserOy in virtù dei
trattati fermati con la Sablime Porta, difendere i diritU di
sovranità del Soldano e la integrità delVimperio suo. —
Ed ecco due nazioni civilissime farsi sostegno di un Go-
verno, i cui soldati, giusta la loro confessîone, eram
besttalmente e sfrenatamente inumaniîvji Governo che
allora allora aveva condannato al supplizio del palo, senza
processo, in Cavaja d'Albania, tre Greci, venutiri par ecci-
tare i cristiani alla impresa di indipendenza. — A far finita
quella guerra, che combattesi con varia fortana» ma coq
pari ferocia, Francia e Bretagna risolvono di costringere
con le armi il re Ottone a togliere Tappoggio, che segre-
tamente da prima, e allora apertamente concedeva ai sol-
levati. A taie scopo comandano al vice-ammiraglio Bniat
il quale con la sua squadra portava a Gallipoli la quarta
divisione deiresercito francese d'Orienté, capitanata da
Forey, e un reggimento inglese, di recarsi al Pireo. Il
mattino del 25 maggio il générale Forey scende a terra
con parte di sue genti e si impadronisce di quel porto ;6
il di vegnente da un drappello de* suoi fa scortare gli
oratori di Francia e di Bretagna recantisî alla vicina
Atene presse il re Ottone per imporgli la volontà dei loro
Sovrani ; il quale, non avendo forza bastevole da résistera a
si fatta violenza, deve dar fede di tenersi in avvenire nelia
assoluta e più stretta neutralità verso la Turchia; il quale
atto, che dir non saprebbesi se piii ingiusto o insensato,
obbligava i Ministri di Ottone a rinunziare ai loro offlci (\\
(1) Appena assnnti all'aatorit& saprema i nnovi IGnistri di Gracia,
in on baado ai popoli del regno, avyertiyaiio qnesti: = Eiaero stata
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PBi^KOIA B GBIMEA 645
Lasciato al Pireo un buon presidio d*armi francesi, il 28
di quel mese di maggio, Forey col rimanente délia sua
divisione entrato in mare continuava la via verso Galli-
poli (1). Ridotta cosi aile sole sue forze la soUevazione
epirota non potô reggersi a lungo; il numéro assai pré-
pondérante dei nimici, non il valore di essi, faceva ai
generosi ribelli posare le gloriose loro armi.
La quistione de*Luoghi Santi, primo pretesto délie ni-
mistà di Russia contra Turchia, avcva a poco a poco dato
luogo ad altra» invero assai grave; perô che allora si
traitasse deirimperio musulmane sul Bosforo, dalla oui
esistenza o caduta dipendeva la conservazione o il rom-
persi del contrappeso politîco d*£uropa, formate nel 1815
dal Congresso viennese. La guerra, accesasi sul Danubio,
doveva allargare sua sede per lo intervenire armato di
Francia e di Bretagna; i quali Stati, chiamati dal cannone
di Sinope, che aveva chiariti gli intendimenti dello Czar,
nel coUegarsi per difendere la Turchia, aflTermarne la po-
teoza e risolvere in modo assoluto le faccende d'Orienté,
da Ottone promessa a Francia e ad Inghilterra la neutralità assolnta
nella contesa rnsso-tBrca; stimare essi pare le loro nobili simpatie per
li fratelli che stavano tuttavia sotto la dominazione mnsulmana; Tav-
Tenire délia patria trovarsi perô nelle niani délia ProTvidenza... onde
^si dovevano distingaere il possibile dairimpossibile, = Poco appresso
l'oratore di Bussia in Corte di Grecia lasciava Atene per comandamento
dello Czar; il qnale, scrivendo al Re, significavagli di voler farsi rap-
presentare soltanto nelle Corti indipendenti.
(1) A Patrasso, a Negroponte, a Vanitza e a Stilide e iongo le coste
di Grecia stavano nayi di guerra di Francia e di Bretagna per im-
pedire aile elleniche di portare armi e armati ai campi di Tessaglia e
d'Epiro ; nô paghe di ci6 esse comandavano ai loro ammiragli che get-
tassero al mare le mnnizioni di guerra dei legni che avrebbero cattu-
^ti e di consegnare ai Turchi i soldati greci che si trovassero su
qnelli: e cosi fecero. Barbier de Tinan, ammiraglio di Francia, minacciô
di consegnare ai tribnnali militari chi tentasse passare nelle provinde
ribellate: Barbier de Tinan voleva far la guerra da barbarof
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646 OAPITOLO X
eransi data fede reciproca di fare Timpresa senza mirs
alcuna dlngraiidimento territoriale (1). Innansi d*uscire
alla campagna i due grandi Stati d*Occidente tentavano
trarre, corne già accennammo, nella loro lega TAustria e
la Prussia ; le quali venivano nel medesimo tempo soUe-
citate da Niccolô d^unîrsi a lui. Berlino mostrossi da prima
inchinare ai desidèri dello Czar; ma quando seppe avère il
Qoverno di Vienna risoluto di tenersi neutrale in quella
contesa, si accostô aU'Austria ; e ordinati gli eserciti lungo
le frontière de' loro Stati per impedire ai guerreggianti
di violarne le terre, i regnanti di Berlino e di Vienna
gridarono la neutralité in armi, — Le provincie orien-
tali deU'Austria e i conflni prussiani délia Polonia e del
Reno mutaronsi allora in formidabili campi di guerra.
Contra si potenti apprestamenti di forze armate, che pa-
revano, più che a difesa, mirare a offesa, quali guarentigie
avoyano domandato i Governi di Parigi e di Londra?
nessuna ; a quali condizioni averano essi accettata la neu-
tralità in armi d'Austria e di Prussia, oui siibito accosta-
ronsi gli Stati minori délia Germania? a nessuna. Se a
Francia, se a Bretagna fosse sortita contraria la fortuna
délia guerra, gli eserciti austro-prussiani insieme coUegai:
avrebbero indubitabilmente imposta lor volontà a tut:â
Europa e levata la Germania ad alto grade di potenza e
di autorità. In omaggio alla verità dobbiamo dire, che la
diplomazia tedesca e Taustriaca mostraronsi alloni in ac-
cortezza e sagacità superiori dimolto alla francese e alla
britanna. — Svezia e Danimarca, le cui squadre dalle loro
forti posture del Gattegat e del Sund avrebbero facilmente
potuto chiudere i passi del Baltico aile armate di Russia
(1) u Animati dal desiderio di mantenere il contrappeso degli Sut!
in Eniopa, e non avendo scopo interessato, le alte parti contiaeDâ
rinnnziano a qnalsiasi vantaggio particolare che gli awenîmenti po-
trebbero produire. » — Articolo iv del trattato conchinso tra Franci»
e Inghilterra il 10 aprile 1854;
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FBAKOIA E OBIMXA 647
e degli Stati délia Lega, bandirono pur esse la più as-
soluta neutralità, non ostante 11 vivissimo soUecitare dei
guerreggianti per averle ausiliarie nella lotta; i quali
Stati assai volontieri sarebbero entrati nella Lega occi-
dentale, se Francia e Inghilterra avessero assicurato alla
Danimarca i suoi possedimenti germanici e, al posare
délie armi in Oriente, avessero aiutata la Svezia a riven-
dlcarsi le antiche provincie di Finlandia, délie quali in
tempi non lontani era stata spogliata dalla Russia. Ma i
Goyerni di Parigi e di Londra intendevano solamente a
salvare Timperio maomettano minacciato nella sua inte-
grità dalla Russia invadente, non già a mutare confini
territoriali di qualsiasi Stato, o a far restituire terre in-
giustamente tolte ai legittimi loro Signori; ne ciô per ri-
spetto ai trattati del 1815 tante volte violati, sibbene per
noQ rendere più grave la già difficile situazione politica
deirEuropa. Francia e Bretagna assunsero quindi da sole
l'ardua impresa di tutelare gli interessi di tutti gli Stati
d'Ëuropa; i quali^ dicendosi svisceratissimi per la pace,
avevano niegato alla Lega lo aiuto di quegli eserciti che
stavano poderosi lungo le loro frontière.
Gortschakoflf — il cui esercito avea, durante il verno,
ricevuto forti sussidi — col grosso di esso avvicinatosi
nel marzo al basse Danubio, il 22 di quel mese tentava
valicarlo a Ibraila e ad Ismail ; respinto, con maggiori
forze rinnovava il di arppresso la prova. Protetti dalle bat-
terie costrutte nelle isole del fiume — il quale poco in-
nanzi di metter foce in sul mare dividesi in sette bracci
— e appoggiati altresi da alcune barche cannoniere, i
Russi giugnevano a superare quel passi, non ostante il
fiero contrastare dei Turchi. Padrone délia destra del Da-
nubio nella Dobrutscha, Gortschakoff deliberava di recarsi
in mano Silistria, per fare poscia di questa fortezza la
base di sue militari operazioni. Mentre il générale Krou-
lofif tutto airintorno di Silistria innalzava valli e batterie.
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648 . CAUTOLO X
e la fulminava con trarre incessante di numerosi cannonL
Gortschakoff con settantamila uomini portavasi sul vaste
piano di Rassova, stendendo la destra de* suoi campi vera)
la fortezza assediata e la sinistra sin presse Bazardschi^
terra situata ai piedi dei Balcani, su la via di Ohoumla e
d*Andrinopoli. Di Trente al générale russo e con armi
quasi eguali aile russe trovavasi Orner Pachà; che bramosis-
simo d'assaggiarsi coi nimici in campo aperto, siibito con
essi si azzuffava. Da prima egli ebbe awersa la fortuna;
ma rifattosi con le genti délia riscossa e tornato alla pu-
gna recuperô il terreno poco innanzi perduto e costrinse
i Russi a indietreggiare. Dalla giornata di Bazardschik del
19 aprile — che fu assai sanguinosa — nessuno dei com-
battent! usci vittorioso; cessata la pugna tutti riprende-
vano le posture dianzi occupate. U maresciallo Paskiewitcb
— di quel giorni assunto al governo suprême délia guerra,
al quale sommamente premeva di valicare i Balcani avanti
il giugnere délie genti délia Lega — deliberava allora di
stringere da vicino Silistria, il cui possesso doveva ren-
dergli meno difficile il passe di quel menti. A taie scopo
ragunava interne ad essa armi poderose e ravvicinava i
corpi d*esercito, che i pochi saggi suoi luogotenenti aveano
sparso in larga contrada e in luoghi poco opportuni alla
impresa; il quale grave errore impedi ai Russi di racco-
gliere sui campi di Bazardschik forze maggiori, che non
fu ad essi possibile il giorno délia pugna. Ma i disegni di
Paskiewitch dovevano essere rotti- dalla strenuissima re-
sistenza del presidio di Silistria; il quale, aile offese ga-
gliarde degli assediatori, oppose sempre vigorose difese;
onde gli toccô la vittoria. — Mentre l'armata franco-bri-
tanna del Mar Nero, dope avère bombardata Odessa —
e fu il 22 aprile — per punirla di un insulte fatto alla
bandiera parlamentaria d*una nave inglese (1) correva le
(1) I BoBsi ayevano tirato alcnni colpi di cannone contara la nave a
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FRANCIA E CBIM£A 649
eoste di quel mare» senza perô incontrare mai la nimica,
la quale tenevasi sotto la protezione délie batterie di Se-
bastopoli, o nello stretto di Kaffa, glieserciti délia Lega pi-
gliavano terra a Gallipoli, città posta alla estremità setten-
trionale deiDardanelli.il 21 maggio Saint-Arnaud e Raglan,
Hamelin e Dundas,RizaPachà,Minifitro soprale armi musul-
mane, e Omer Pachà riunivansi a consulta di guerra in Varna
par discutere su quanto conveniva operare per liberar
Silistria dairassedio e difendere i passi dei Balcani (1).
Pochi giorni dopo Tesercito anglo-francese, in virtù délie
deliberazioni prese in quella consulta, portava i suoi campi
di Gallipoli a Varna. Al loro avvicinarsi i Russi toglievansi
giù dairimpresa di Silistria; ma prima di levare Tassedio
da quella fortezza, per tre giorni e tre notti fulminaronla
cou tutta la potenza délie artiglierie piantate dkinanzi ad
essa. Fu questa proprio una brutta vendetta sopra una
città, che aveva saputo valorosamente resistere quasi due
mesi a un assaltare senza tregua del nimico ; non fu una
guerra, ma un'opera di vandalica distruzione> che comin-
ciata a Silistria prosi^uirono i Russi nella loro ritratta;
fuoco, saccheggio e sangue segnarono le vie ch'essi per-
corsero! Seguironli da presse i Turchi, che li combatte-
rono e li sbaragliarono tre volte, a Giurgevo, a Kama, a
Tcbernawoda; le quali vittorie ricondussero a Bukarest
Orner Pachà, proprio in quella che TAustria occupava con
sue armi la Valacchia e la Moldavia. Nuovamente soUeci-
tato da Francia e da Bretagna, il Governo di Vienna ac-
costavasi alla Lega ; di poi fermava un trattato con la Su-
blime Porta (2)^ in virtù del quale TAustria mandava gli
eserciti suoi nei Principati a surrogare quoi di Turchia e
Tapore Furious, portatasi a Odessa per imbarcare i consoli di Francia
e d'Inghilterra.
(1) Il 20 maggio Hamelin e Dnndas troyavansi con le loro sqnadre
neUe acqne di Baltchik, porto délia spiaggia bolgara.
(2) n trattato del 20 gingno 1854.
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650 OAPITOLO X
dei confederati (1). Gon la quale sottile politica, ma ia-
gannevole politica, i Ministri di Francesco Giuseppe, men-
tre col loro intervenire armato nella contesa — senza
perô voler prendere parte alla guerra — facevansi cre-
dere amici a Francia e a Bretagna e alla causa altresi che
quegli Stati avevano impreso a proteggere, servivano asaai
efflcacemente agli interessi dello Gzar; avregoacliè gli
Austriaci, ponendosi a campo sal.basso Danubio e sal
Pruth, più che a guardia, si mettessero a difesa d^le
frontière di Rassia. Il ritrarsi del nimico dai Principati e
Toccupazione di questi fatta dagli eserciti delFAastria do-
yeano di nécessita mutare i disegni di guerra discnssi e
risoluti nella consulta di guerra tenuta a Varna, e dalla po-
stura deirarmi del Sire Absburghese nella Moldavia e Valac-
chia mutarsi aifatto la condizione délie faccende militari
in Turchia. Un'altra impresa mettevasi allora innanzi da
Napoleone, la quale, giusta rayviso suo, avrebbe indul>ita-
bilmente affrettato il finire délia lotta: era il conquisto
di Sebastopoli e délia Orimea; era la distruzione dell'ar^
mata russa nel Mar Nero. Il Signore di Francia, prima
di deliberare quella impresa -^ per la quale la guerra
di difesa sarebbesi mutata in guerra d'offesa — avova egli
considerato tutti gli ostacoli che potevansi incontrare in
quella spedizione di oltremare? aveva egli preso a disa-
mina tutte le combinazioni strategiche di queirinvasione
di contrada nimica? è quanto apparirà dalla narrazion^^
che noi faremo délia gigantesca lotta che fu combattuta
sui campi délia penisola Taurica, ed è quanto noi ver-
remo esponendo tra brève. Fu concepimento audace il suo,
ma non commendevole; perô che l'esercito confederato
avrebbe potuto, per fortune di mare, trovarsi separato
(1) Per le vie di Hermanstadt e di Kronstadt Tesercito aiutriaco en-
trava, il 20 agosto, in Valacchia, e il 6 agosto in Bokarest; gnidaYab
il Inogotenente maresciallo Ooronini, il qiule era nativo di Romenia.
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FBAJ70IA E OBIHBA 651
dalla sua prima base délia guerra, la penisola di Gallipoli.
Gertamente Tlmperatore si sarà ricordato, allora che stu-
diava Timpresa, il modo di gu^rreggiare dei Russi, i quali
usano devastare il paese che il nimico ha da correre e da
campeggiare. Provvide egli ai casi, non difficili ad avve-
rarsi, in cul tempeste e torbini avessero a far perdere o
impedire per lungo tempo Tapprodo a Crimea délie navi
portant! vettovaglie all'esercito? no. — La spedizione délia
Tauride, che aveva per iscopo la distruzione délia ar-
mata russa nell'Eusino, incontrô il favore degli Inglesi
e dei Turchi; dei primi, per ragione do*loro trafflci; dei
secondi, per la sicurezza di Gostantinopoli; e piacque
eziandio al Governo Austriaco, per quella jspedizione al-
lontanandosi da' suoi confini d'Ungaria e di Polonia la
bandiera francese; e il motivo è facile a indovinarsi. —
Ricevuto il comando d'apprestare Timpresa, Saint-Arnaud
in sul cominciare d'agosto riuniva a consulta di guerra
in Varna i primari ufflclali délie armate e degli eserciti
délia Lega, allô intente di discutere intorno ai modi di
governarla. « £ necessario, cosi parlava il maresciallo in
nome dell'Imperatore, conoscere con esattezza le forze ar-
mate di Russia nella Orimea; se poco numerose, prende-
remo terra a Kaffa, adatta a servire di base aile nostre
nailitari operazioni nella penisola, e la cul vasta e comoda
rada offre un asilo securo aile squadre confederate. Padroni
di Kaffa, ci recheremo poscia in mano Simferopoli, centre
sirategico délia Tauride; indi ci avanzeremo verso Tog-
getto deirimpresa, S'^bastopoli. Assai probabilmente in-
nanzi di giugnere a questa fortezza faremo la giornata col
nimico ; vinti, retrocederemo a Kaffa per rifarci ; vincitori,
stringeremo Sebastopoli, che necessariame^ite (sic) ci si
arrenderà dopo brève assedio. » L'impresa ideata e propo-
sta da Napoleone ebbe in quella consulta vivissima opposi-
zione; Raglan e Hamelin reputavanla arrischiata ditroppo,
non conoscendosi le strade, il corso e la natura dei âumi
e gli ostacoli che presenterebbe la contrada, su la quale
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652 OAPITOLO X
ayevasi a guerreggiare. « Gli eserciti prenderanno terra,
diceva rammiraglio francese, protetti dairarmata ; ma qne-
sta dovrà di li a poco abbandonarli a loro stessi per cer-
carsi in qualche rada secura un rifugio contra i non lon-
tani venti equinoziali, che soUevano nel Mar Nero tempeste
furiosissime. » — Il più ardente oppositore alla spedizione
fu il principe Napoleone, il quale dopo aver fatto cono-
scere i gravi pericoli che Taccompagnavano — ond* era
costretto a condannarla nel suo principio e nei modi di
condurla e di reggerla — proponeva di portare la guerra
sul Pruth e in Bessarabia. Non ostante le sennate osse^
yazioni degli oppositori, Timpresa, mandata a partito, tId-
ceva la prova; Tavevano respinta il Buonaparte eilDuca
di Cambridge, Hamelin e Dundas.
In questo mezzo il générale Baraguey d'Hilliers erasi
unito con la sua divisione — diecimila no mini aU'incirca
— airarmata anglo-francese del Baltico, la quale, corne
sopra scrivemmo, abbisognava di soldatesche per tentare
la formidabile Kronstad. Prima d*innoltrarsi nel golfo di
Finlandia, gli ammiragli Napier e Parseval-Deschênes de-
liberavano d*impadronirsi di Bomarsund, fortezza délie isole
Aland, per fare di essa un appoggio aile loro guerresche
operazioni in quel golfo (1). Otto giorni bastarono a taie
impresa, n giorno 8 di agosto le genti di Baraguey-d'Hil-
liers scendevano nell'isola; il 12 aprivano le trincere con-
tra Bomarsund; la quale fulminata da terra e da mare
quattro giorni dopo rendevasi a discrezione; il presidio
suo andava prigioniero a Bretagna e a Francia (2). L*ap-
pressarsi del verno e soprammodo l'infuriare dei venti
(1) La fortezza di Bomarsund signoreggia lo atretto che sepan la
maggiore dell'isola di Aland da quella di Presto.
(2) Era di duemila quattrocento soldat! , comandati dal vecchio gé-
nérale Bodisco. Non potendo tenerai dai confederati, Bomarsund vesne
diatmtta il 2 settembre.
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FBANGIA E CBIMBA 658
d'equinozio che readevano pericolosa la navigazione del
Baltico, soprattutto de' suoi golfi, forzavano le squadre con-
federate a rinunziare a qualunque operazione di guerra ;
onde, distrutte le fortificazioni di Bomarsund e quante di-
fese trovayansi neU'isole d'Aland, faceyano ritomo ai loro
porti. — NeirAsia Minore la guerra combattevasi con varia
fortana. I Turchi, dopo avère perdato Bajazid, pativano
aspra battitura a Karsh ; ma rifattisi, di 11 a poco sbara-
gliavano presse Alessandropoli i Russi ; i quali, saputo dello
scendere di Sciamyl dal Gaucaso, precipitosamente ritrae-
yansi da Bajazid. — Gli eserciti délia Lega, dal loro pren-
dere terra a Gallipoli sino al giorno in cui risalivano le
navi per recarsi a Orimea, s'erano assottigliati dimolto ;
non il fuoco, non il ferro dei nimici, coi quali non eransi
ancora assaggiati, ne avevano stremate le file, sibbene il
choléra, le tante privazioni sofferte nei campi di Varna e
Tinfellce spedizione del générale Espinasse nella Dobruts-
cha, ordinata da Saint-Arnaud per accontentare i suoi
soldati, oltreogni dire impazienti di cimentarsi coi Russi (1).
La notizia deirimpresa di Grimea venue daU'universale
dei soldati accolta con gioia indicibile: era tempo! per6
che i lunghi ozi castrensi e più ancora il patire senza
gloria avessero rallentata la militare disciplina: era dun-
que tempo di operare. AUora gli animi abbattuti si rial-
zarono; tornô la lena, tornô la forza del fare; e i campi,
che un fiero morbo pareva avesse mutati in cimiterl, ri-
presero Tusata gaiezza e risuonarono di canti guerrieri ;
(1) tf Deggionsi troyare ancora dei Bussi nella Dobratscha; &te dar
loro la caccia e riportate qnalche yantaggio, del qnale si possa fare da
noi nna vittoria da offrire aU'ImpeTatore per le feste nazionali del 15
agoflto. Espinaase sarebbe forse il migliore dei yoatri generali per nn
assalto improyyiflo di qnesto génère, n Gosi scriyeya Saint-Amand a
Canrobert In quella spedizione la divisione d'Espinasse perdette sei
mila nomini; cansa di d graye perdita, le mortifère esalazioni délie
paladi di quel paese.
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654 GAPITOLO X
a tutti sorrise la speranza délia vittoria (1). — Ai primi
giorni del settembre Tesercito anglo-francese e una divi-
sione ottomana, che insieme contayano sessantadue mila
uomiai (2), da Varna e da Baltschik entravano in mare;
e la sera del 13 giugneyano dinnanzi ad Eupatoria (3X su
la cui spiaggia incontrastata e non lungi dal capo Baba
scendevano il mattino del di seguente (4). Menschikoff, il
quale comandava le forze russe nella penisola, con quanta
gente poteva tener la campagna -— trentacinque mila uo-
mini aU'incirca ^ erasi posto aile difese sopra le alture
délia sinistra deirAlma, non lungi dal suo mettere foce in
sul mare. Il 20 faceva la giornata coi nimici. Ghagliarda-
mente assalito e sopravanzato alla sinistra délie sue bat-
(1) Saint-Amand, nello aringare in Gktllipoli i soldati snoi, lor par-
lava queste parole: u Noi siamo qui renati per proteggere i nostri
alleati contra gli assalti dello Czar. Grande è la nostra miasione... Il
nostro Imperatore altro non vede in essa fùorchô la gloria e la pn>-
sperità délia Francia; egli attende da vol che nella lotta, la quale do-
▼rete presto combattere contra i barbari dtl aettentrione , abbiate a
oomportarri da valorosi e ad accrescere Tincomparabile gloria délia
Francia. n ~ Strana cosa in yerità ndire un générale franceae chia-
mare barbari gli abitatori délia Buasia, proprio allora che gnidava
eserciti a difesa délia barbarie tiM-eheaea e di qnel Govemo che avcTa
Boldati bestialmente e sfrenatamente inumanij dô che era stato poeo
innanzi confessato dai consoll di Francia e diBretagna in Prevesa nei loro
manifesti ai cristiani deirEpiro!
(2) Ventottomila contavanai i Francefd^ ventisei mila gli Ingiesi, ot-
tomila i Tnrchi.
(3) Eupatoria, o Koslofy trovasi a dieciotto leghe a settentrione di
SebastopolL II nome à' Eupatoria le venne dal g^rande Mitridate Eoptr
tore, al qnale Tebbero toita i Komani per unirla alla loro signorîa;
allora fa città ricca e potente; oggidi ô vuota d'abitatoii e poTera;
picciolo ô il sno porto, ma securo. I confederati con la occnpazione di
Eupatoria minacclayano la via di comunicazione di Sebastopoli con
Perekop. — Vedi l'Atlante.
(4) Le coste d'Enpatoria e di Sebastopoli erano state esplorate e ri-
conoBciute da Oanrobert sino dal giugno con tre nayl a yapore délie
sqnadre confederate.
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VBANGIA B OBIMBA 655
taglie — i cui âanchi erano minacciati aitresi dai cannoni
deirarmata anglo-francese aacorata presso la spiaggia —
per non esporsi al pericolo di perdere la via di comuni-
cazione con Sebastopoli, abbandonava le fort! posture del-
TAlma, coperte di quasi sei mila de*suoi morti o feriti;
non incalzato dai vincitori, i quali ayevano parimenti sof-
ferto gravi danni — di tre mila uomini (1) — portavasi
dietro la Tschernaia ponendo i suoi campi non lungi di
Sebastopoli; dl poi, rivalicato questo ûume a Traktir, an-
dava sopra Mackensie per assicurare la grande via di Bak-
chi*Sarai ai soccorsi , che per Tistmo di Perekop dalle
provincie calavano a grandi gîornate nella penisola. Due
giorni appresso la vittoria deirAlma Saint Arnaud reca-
vasi sul Belbek, la cui riva sinistra era stata dai Russi
già munita di valide difese; indi scendeva a Balaklava
per tentare da questa parte Sebastopoli, di cui lusin-
gavasi impadronirsi con assalto improvviso. La quale
impresa non potè compiere; perô che, vinto da crudel
morbo, che da lunga pezza il tormentava e sempre da lui
sopportato con forza d*animo straordlnaria, fatta rinunzia
al comando suprême deiresercito, il 27 di quel mese di
settembre abbandonasse la Grimea per tornare a Gostan-
tinopoli ; e due giorni dopo morisse a bordo del Berthollet,
che trasportava poscia in Francia le mortali sue spoglie.
Canrobert — cui lo stesso Saint-Arnaud aveva commesso
il governo deirarmi francesi (2) — credendo impossibile e
vano ogni tentative per terra e per mare contra Sebasto-
poli, awegnachè Menschikoff campeggi sul Belbek non
lungi da essa con l'esercito, il quale ogni di più s'afforza
dl nuovi aiuti che gli vengono da Odessa e abbia mandate
(1) I Toxchi non preseio parte alla giomata dell'Alma.
(2) L'impeiatore Napoleone, preveggendo che il maresciallo Saint-
Ainand non avrebbe potato resistere ai disagi délia guerra, aveva dato
a Cuirobert, innanzi ch'ei partisse per l'Oriente, il decreto di nomina
al comando snpremo dell'esercito nel caso che Saint-Axnaud infermasse.
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656 OAPITOLO X
a fondo sette navi aU'entrata délia rada per chiuderla aile
squadre nimiche, Ganrobert, io dlco, muta il dsegno di
guerra di Saint-Arnaud; e, assicurati i suoi eampi, al co-
minciare deirottobre, pianta l'assedio intorno a quella cittk
dal genio di Totleben presto mutata in fortezza formt-
dabilissima, e il 17 di quel mese prende a traire contra
essa con artiglierie numerose, continuando senza posa il
fuoco sino al 24 (1). Se portare la guerra in Grimea —
che avrebbe dovuto combattersi sul Pruth — era stato un
grave errore militare, il modo di governarla del générale
Oanrobert faceva quell'errore gravissimo; capitano valo-
roso, Ganrobert fu allora più che médiocre comandante
suprême. AU'albeggiare del di seguente ventldue mila Russi
usciti d'improvviso dalla valle di Kadikoi, duce il générale
Liprandi, assaltavano gagliardamente la destra del campe
inglese a Balaklava e recavansi in mano i quattro lidotti
che li difendevano ; respinti di li a brève ora conducevan
seco, in loro ritratta, i cannoni che li munivano. Un co-
mando di Raglan, tanto assoluto, quanto insensato, împo-
neya alla sua cavalleria leggera, comandata dal générale
Lucan, d*inyestire tutto ei6 che stavagli davanti : erano
numerose batterie d'artiglierie ! la quale valorosa e intre-
pida gente con impeto si rapide e violento cadeva sa
quelle da costringerle a indietreggiare precipitosamente:
ma folminata poscia da ogni parte, la cavalleria inglese
veniva quasi distrutta; a pochi cavalieri fu dato di sal-
varsi da quella strage ; alla quale Raglan e Ganrobert assi-
(1) I campi dei confederati stendevansi dal Capo Chersoneso al Til-
laggio di Kadikoi, che giace a brève distanza di Balaklava e dove si
incontrano le vie di Sebastopoli e Simferopoli; i campi francesi sta-
vano a destra, gli inglesi a sinistra, i turèhi dietro a qnesti nltîim.
Alla bombardata del 17 presero parte le squadre dei confederati; quella
{hcncese aveva già dato a Oanrobert, per Tassedio, trenta artigEerie,
qipmuita offidali e mille marinai, sotto U comando del capitano di vi-
sceUo Rigaolt de Genonilly.
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7BANGIA. B OBIMEA 657
stevano, impotenti a impedirla. La cayalleria francese,
che trovavasi a sinistra deirordinanza inglese, ben s'avaozô
per appoggiarae la ritratta; ma di poco aiuto fu ad essa,
elle in nessun modo potè riordinarsi. Dal combattimento
di Balaklava nessuao de' guerreggianti usci vittorioso o
vinto; Raglan, sebbene assai malconcio, mantennesi nei
suoi campi ; e Liprandi, ito a yuoto il tentativo di cacciar-
neli per liberare da quella parte la fortezza assediata, ri-
passô la Tschernaia ; e da quel di piii nulla dai Russi s'im-
prese contra Balaklava. — Menschikoff, che attente vigi-
lava le mosse dei nimici, ayyertito délia deliberazione presa
da essi d'assaltare Sebastopoli con tutto lo sforzo di guerra
siibito dopo averla ben bene battuta con le grosse arti-
glierie dello loro navi, con le quali artiglierie erano state
munite le opère d*offesa costruite attorno attorno alla città,
dal burrone délia Quarantena sinô al monte Sapoun, e
yisti eziandio gli Inglesi far mala guardia nei loro campi,
il 5 novembre calato dalle alture, che da Inkermann co-
steggiano la Tschernaia sino e Tchorgoun, muoveva ad
assalirli con armi poderose (1). Quella giornata, ch'ebbe il
nome dlnkermann, è délie piu gloriose che abbiano com-
battuto mai i soldat! d'Inghilterra ; essi la sostennero per
lunghe ore contra forze tre volte tanto piii numerose délie
loro, e mostraronsi fortissimi d'animo e di coraggio vera-
mente singolare. Quando tutta Teste nimica si serrô so-
vr'essi, vennero con gli assalitori a pugna manesca, la
quale fu piena di rabbiae di ferocia; rotte le baionette si
difesero coi calci degli schioppi e persino coi sassi; e sa-
rebbero lor toccate perdite rovinosisaime — avvegnachè
quel forti di cuore e di mano avessero deliberato di morire
(1) I Francesi campeggiavano il terreno che corre tra il buirone
délia ÇtMrantena e qnello del Laboratario ; gli Inglesi, qnello che tro-
yasi tia quest'ultimo e il monte Saponn; i Tnrohi stavano presse Ba-
laklava. Menschikoff, lasciata Bakchi-Sarai, eiasi posto sn Falture délia
Tschernaia da Inkennann a Tchorgonn.
42 — Vol. U. ILABiAin — St4Mr%a pd, e mil-
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068 . OAPITOLO X
ptttttoBtè obe • loeiiere il tet*ridBqy non pensando essi a ri-
'tïlai'si/mafÀole â^oomiiaitteroi^ae i Francesi non fossero
•èorsi-ad âppoggiarll (l)i; eieon:FLDQpeto usato spingendosi
^^bUra i Aussi, i non ili «resseino eoatretti a indietreggiare:
^riyalitîfttlv da TBchernaia ailakerlnann, Menschikoff si ri-
'dusse pr«6B0i*6ebaBtopolL û'amibe le parti, assai gravi i
^atinjf résdrc^ confedemtoxonit&.piii disei mila de'suoi
tHorti' 0 fertti^^llniinioô, -Otto, mila .all*tncirca. Due giorni
~d<ypo ht i^ornatBt' d'Inkjermani^ iigenerali délia Lega rio-
-HlVaûsi a • eoosuita per: disciitepe intorno . quanto meglio
^^ollveQisdé opérais; etrioonoseiata >da tutti Timpossibiliti
'<fàt^t[*é la*for(e£sia peu aesalta ; Tiolento e improvviso fine
^ ^e^MeiifôchilQoff ten^âse^la caôipagna^ risolveyano di dif-
(Idk^irlO'Biïtoal ghignerë diBgH aiutl promesâi dai loro Go-
y^iai^ ë airaprîtBre di JBtâgâone prepizia -^ cho il verno
già' Ya)Gôyali"80ffirire oo^fiuoi^ tègori ^ e iixtanto.4are opéra
M!'ttOcrei^l*6 lediK^se dëii canpi e a proseguire i lavori
dWWiftfleiiiO/ *'!.■':■ > •- •
* • MMtre «osi gaerreggiàvasi'fnellapenfdQla'Tauriea^ Tarmi
^Èttubtilmane^ pavane «ml Daiiubioi A togliere aiie genti. dagli
iMi vepgogtlosi del €«m{i9 e per àiutareieffloaceaieate Tim-
'^è^ df) Oi^ifitea; Orner Pachà ideàVa.d'invadereisla Besst-
l^a; BaviO'disegno, eol 4vale ei mirava raggiangere il
-éôpi^io ffitétito <li allaflrgare la sede deUa guerm e di ri-
^hiaimiare !sul' PratH b%ioil numéro alm^o délie moite soir
^a<^e(|]fèi'dhé'lo CzAr,''teUèiadosi idarquella fArte.aeeuro
'd*o^ai nili^cat offBsa|)!^><)'oc!cu^azion«aiisilriaeaiAi Moldam
ê'^VktsiCGfaia^'aviei^ra ^tolto ialVes^citâ già oomtettente stl
MTrîTTT '■ "1'' " (' '.'. M- •■;•.... .', [.-, .[. . ..•
(1) Al romoreggiare del cannone corse il générale Oanrobert a BagUn
a offiîrgli Tainto di sne genti ; non' Taccettô il générale inglese nella
ipMiîzà di= *^«6f da «élo ieostê testa ' al 'nimio»; ma qmHd ainiD li-
-^Besë'piÀ ttedi^^^'ebibe sûM-td MstebâcisÉimo; pevèx^haiii geiMtelf
'9ib8)ttrée"biAiidâaf boiklil&iiâdre déUli^i^«<«l fosse arrioÉdato icoft lasw
'iih98fldtiéi«Lfiai"sî!<iifltta'd€(lle 4MtClig^i»iaglèai>».iaiiee86.]Nir iégli «rftartp
il sno appoggio ai generali Cath(wrt«'>Bibwni' •
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FBANCIA S GBIHEA 659
Danubio per afforzare il presidio di Sebastopoli. Ma TAu-
stria afTermaado che, se i Principati fossero divenuti base
délie militari operazioni dei Turchi contra la Bessarabia»
la Russia ayrebbela certamente assaltata, si oppose a quella
invasione; avvertiva perô Omer Pachà, che se essa era
risoluta a contrastargli con la forza il Sereth, non sarebbe
per impedirgli mai di valicare il basse Danubio ; col re-
stringere in limiti assai angusti il campo di sue belliche
operazioni, il Governo di Vienna intese a rendere impos-
sibile il disegno del générale musulmane (1). Fu allora che
il Soldano, dai confederati richiesto d'aiuti, comandava a
Orner Pachà di recarsi nella Tauride con quanto piîi po-
teva di sue genti; ond'egli soUecito nel gennaio del nuovo
anno, il 1855^ entrava in mare; e senza patire molestie
dal nimico in sul cadere di quel mese prendeva terra a
Eupatoria con quasi trenta mila de' suoi, gli eletti dell'e-
sercito, che sul Danubio aveva fatto prove mirabili di va-
lore e di fermezza. Da prima i Russi accontentavansi di
spiare le mosse del campo turchesco e cercavano di chiu-
<^ergli la via a quoi délia Lega; ma di poi, avuto coman-
damento dallo Czar di combatterlo, nella notte del 16 al
17 febbraio accostavansi a Eupatoria; e col favore délie
tenebre aperta una parallela e piantatevi alcune batterie,
il mattino del vegnente procedevano arditamente all'as-
(1) « L'Anstria — cosi Droiiyn de Lhtiy, allora Hinistro sopra le
faccende estenie, in sua lettera del 6 dicembre 1854 alla Legazione
francese in Torino — si obbliga a ppotegjçere i Principa i contra ogni
offesa deiresercito rnsso, ma l'occapazione di qneste proyincie non met*
^rebbe ostacolo Terono aU'azione deU'esercito torco e dei gnerreggianti
^^ti alla ToTchia. In nna parola, le file degli Anstriaci dovrebbero
*Prir8i davanti aile schiere francesi, inglesi e tnrche dirette per la Va-
lacchia e la Moldavia contra i Russi e il loro territorio. » — Se l'Au-
ra avea ciô promesse aUa Prancia — come proverebberlo le parole
^ Diouyn de Lhuy — perché quella opponevasi aUora al passaggio dei
-1-^irchi per li Principati? non era dunque questa la solita fede del Gk>-
▼emo di Vienna?
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660 CAPITOLO X
salto. Un ostacolo — il fosso cVera pieno d'acqua— la
mandô a vuoto; arrestatî dal non previsto impedimento, gli
assaMtori mostraronsi alquanto incerti e irrésolu ti sul da
fare; taie esitazione li perdetteî i Turchi, già usciti in
forte schiera alla campagna, veggendoli turbati e tenten-
nanti, fatto Impeto in loro, ributtaronli iontan lontano dalle
mura con grande uccisione; e i Russi, fallito quel tenta-
tive di sorpresa, partironsi di là. — Un avvenimento, tanto
grande quanto inaspettato, apriva allora i cuori^ a spe-
ranze di pace; la morte di Niccolô I, ayvenuta il mattino
del 2 marzo — per la oui ambizione erasi accesa in Oriente
asprissima guerra — e l'esaltamento al trono d'Alessandro II,
che dicevasi nutrire sensi di moderazione, avrebbero po-
tuto ricondurre a concordia l'Europa, se la diplomazia fosse
stata piîi accorta, piii leale e, diciamolo francamente, anche
piii onesta. Ma la guerra doveva farsi sempre piii sangui-
nosa per Taccrescersi délie forze dei combattenti; perft
che di Russia scendessero di continue a Orimea grosse
schiere d'àrmati, e Francia e Bretagna ai propri sussidi
aggiugnessero quel di Sardegna ; la quale, entrata in quel
mezzo nella Lega, mandava di li a poco nella Tauride più
di quindici mila de' suol soldati, duce Alfonso Lamarmorai
Ben trattavano allora di pace — nelle conferenze di Vienna,
da tempo aperte — i plenipotenziari d' Au stria, d'Inghil-
terra e di Francia, che pieni di fervore per essa sforza-
vansi di fare accettare allô inviato di Russia le tanw
famose gtmrentigie, messe innanzi sino dal dicembre del-
Tanno innanzi. Se non che lo Ozar, il quale tenevasi certa
non essere le conferenze per approdare abuon porto, affret-
tava Tordinamento , già decretato dal padre suo, délia
milizia générale delVimperio, con cui Niccolô, in sua giusta
flerezza, aveva inteso rispondere aile pretensioni — per
loro esorbitanza offensive — dei grandi Stati d'Occidente (1)-
(1) Alla milizia générale delVimperio venivano chiainati cittadini di
tntte le classi, di tatte le condizioni. — Se gli apprestamenti gaer-
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FBA.irCIA B OBIMBA 661
— Il 20 marzo arrivava a Sebastopoli il maresciallo Gort-
schakofi^ cui Menschikoff rimetteva il comaado supremo
<leiresercito russo, da lui lasciato a cagione di sua malferma
salute. Due mesi dopo anche Tesercito francese mutava il
suo capo, il générale Canrobert;il quale, veggendo i suoi
disegni di guerra maie accolti da Raglan e da Orner Pachà,
giustamente avvisando corne in tanta e si imperiosa néces-
sita di cose soprammodo importasse la concordia tra i co-
mandanti delFarmi confederate, offriva da prima l'autorità
suprema al générale inglese ; e non avendola questi accet-
tata, il 19 maggio la cedeva, col consentimento pieno e
intero di Napoleone, a Pelissier, che stava al governo del
primo corpo d'esercito (1); cosi Talta capitananza délia
guerra, dalle mani d*un générale prudente troppo, veniva
a quelle di un générale sempre impetuosamente audace (2).
— Dalla giornata d'inkermann sino a mezzo il maggio del
1855 fu continue il trarre délie artiglierie dei forti di Se-
bastopoli contra i campi dei nimici per impedirne lo avan-
zarsi; fu incessante il badaluccare; e furono senza tregua
le uscite notturne dei Russi per guastare i lavori dell'as-
sedio e scavalcare i cannoni délie batterie. Nelle quali
fazioni non di rado accadde di trovarsi assalitori e assa-
liti si fattamente stretti insieme da non poter fare uso del-
l'armi ; ohd'essi s'accapigliavano e manescamente combatte-
reschi dello Gzar palesavano gli intendimenti suoi di continaare la lotta,
la festa piena di eatnsiasmo , con la qnale il 31 marzo i Rnssi cele-
bravano nella antica metropoli délia signoria moscovita Tanniversario
délia presa di Pari^ del 1814, mostrava qnanto odio nutrissero contra
gli invaditori stranieri.
(1) u La mia persona, cosi scriveva Oanrobert a Pelissier, in sègtdto
ad ayyenimenti imprevedati, sembra creare serii ostacoli alla effettaa-
zione dei disegni dei dne Govemi; è pertanto dovere mio, e per lo
servizio dell'Imperatore e verso il mio paese, di ritirarmi, e ho soUeci-
tato da Sua Maestà il permesso di danri il comando snpremo dell'eseroitOi
permettendomi di riprendere quello délia mia antica divisione. n
(2) Canrobert era solito dire : u Non si pnô fare tntto in nna volta. n
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662 OAPITOLO X
vano; e certo non saprebbesi dire se allora fosse mag^giore
la ferocia di chi assaliva, o la rabbia di chi si difendCTa (1).
E qui sospendiamo la narrazione sommaria délia guerra
di Grimea, per riprenderla e narrarla con maggiore lar-
ghezza, allora che dorremo dire délia Sardegna, deU'en-
trare di essa nella lega dei grandi Stati d*Occidente e délia
parte che ebbero in quella i soldati di Vittorio Emanueie.
In sul cominciare del 1855 era corsa voce per tutti
Europa, che Timperatore Napoleone, poco soddisfatto deho
avyiamento date alla guerra dai generali délia Lega e del
poco vigore col quale la conducevano, fosse per recarsi iu
Orimea allô aprirsi délia stagione primaverile, per assu-
mervi il comando supremo del valoroso suo esercito, che
egli, testimonio degli eroici suoi sforzi, sarebbe stato su-
perbo di capitanare. Ma quando gli vennero saputi i mali
umori destatisi in Corte di Londra e le gelosie nate negli
uomini militari inglesi per quella deliberazione sua — che
in vero avrebbe fatto prendere alla Bretagna una parte
secondaria nella guerra — rinunziô, sebbene a malincuore,
al disegno suo già bandito al paese. E di taie rinunzia
giustificossi poi innanzi ai rappresentanti délia nazione
con lo addurre le gravi questioni che agitavansi allô
esterno, irresolute sempre, e la naiura délie circosùanze, le
quali allô interno domandavano ntcovi e importanti proïh
vedimenti (2). Fu allora che il Buonaparte fece délibéra-
(1) Bicorderô Tassalto dei Francesi nella notte del 2B febbraio aile
difese rosse, innalzate allora da Totleben presse la baia del Carenaggio;
assalto vigoroso ma fallito, per esservisi il nimico — di qnell'assalu}
avreTtito — trovato forte di numéro e di armi. Bicorderô l'nscita not-
tuma del 17 marzo da Malakoff ; Taltra pore de' Rossi, del S3 di quel
mese stesso, contra gli approcci del poggio Yerde ; Fassalto fortuiato
de' Francesi, nella notte del 12 aprile, aile posture occapate dal nimico
dinnanzi a Malakoff; e Tassalto del Oimitero felicemente compiato <b
qnelli nella notte del primo maggio.
(2) Discorso del 3 Inglio 1855.
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FBANOIA E OBIMEA 66^)
zione di visitare la regina Yittoria, allô scapo d ^itiingeiieîj
Tie più i legami strettisi ira Fraacia e Bratagaa (j^rl^
faccende d'Orienté, ed eziandio per togliere ruitirùie' difflt'
denze e, diremo anche, l'ultime restigie delle< geloâie.che
un tempo erano esistite tra i Governi di qne'Mdnei.Steti.
Il 15 aprile Napoleone, poche ore innanzi di làseliarerfBarf»
rigi, ai rappresentanti délia nazione, venuti insuaiOorto»
a porgergli le leggi allora approvate, parlava iïi que«tî>
termini: « lo sarô l'interprète de' vostri sentimem/ti' itettsO'
i Ministri di Sua Maestà Britannica, e li assicurerô> teMir
voi in grandissime pregio l'amicizia inglese. Noi iuttiovcH
gliamo la pace, ma soltanto a condlzioni onorevdti^t r^^
doyremo continuare la guei'ra, io m'appoggerô a voij. »iL&
sera di quel giorno Tlmperatore e l'Impératrice glugnis^
vano a Calais; il mattino del vegnente entravano in mare^>
e in sul mezzodi prendevano terra a Douvres, accolti dal
principe Alberto, lo sposo de] la Regina; aile sei del po**
meriggio entravano in Londra; brève ora di poi scende**
vano al palazzo di Windsor, sempre con entusiasmo salu-
tati dal popolo accorso numeroso sul loro passaggio. Splen-
didissime feste vennero date in onore degli ospiti augusti ;
la città di Londra offri un banchetto a Napoleone; il quale^
al lord Sindaco (1), che avevagli indirizzate parole corte-
sissime, parlô cosi : « lo conservai sul trono per la nazione
inglese i sentimenti di stima e simpatia da me professati
neiresilio, allora che qui godeva délia ospitalità délia Re-
gina..... e porterô in Francia Fimpressione profonda, che
lascia nelle anime fatte per comprenderlo lo spettacolo
ammirando che offre l'Inghilterra, ove la virtù sul trono
regge le sorti del paese sotto l'imperio d'una libertà senza
pericolo per la sua grandezza. » Il mattino del 21 aprile
rimperatore e l'Impératrice lasciavano Londra, accompa-
(1) Il Bnpremo Magistrato dei cittadini a Londra viene chiamato^
^d Mayor,
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664 OAFXTOLO X
gnati in lor viaggio sino a Douvres dal principe Alberto;
quando uscivan dal porto^ Tarmata inglese, tutta parata a
festa, salutayali con tutti i suoi caimoni; la sera del 23
erano di ritorno a Parigi.
Se la buona riescita deirimpresa di Crimea stava a capo
dei pensieri del Buonaparte, stavagli pur sommameate a
cuore la grande Mostra di Parigi deirarti e délie industrie,
che, studiata e risoluta nel 1853, quando l'Europa godeva be-
nefiche aure di pace, inauguravasi da lui il 15 maggio ; nella
quale solenne occasione egli ebbe a parlare cosi: « Con
yero piacere io apro questo tempio délia pace, che invita tutti
i popoli alla concordia. » Con tali parole, piene di conforto
e di speranze, Tlmperatore intese non soltanto a tranquil-
lare gli animi de' sudditi suoi e dei moltissimi accorsi da
ogni parte del mondo alla metropoli di Francia ad ammi-
rarvi le produzioni delFumano ingegno, ma altresi a far
credere essere le conferenze di Yienna non lontane dal
raggiugnere lo scopo desiderato. Ma quelle conferenze,
come vedremo piîi innanzi, non dovevano risolvere la
quistione d'Orienté, ne metter âne alla guerra disastro-
sissima che si combatteva neirestrema Europa; anzi il
rompersi di esse ebbe a creare nuove difflcoltà al conse-
guimento délia pace, e il contegno tenuto allora dal Sire
Absburgbese rallentô d*assai i legami d'amicizia, che il
patto del 2 dicembre avea stretti tra TAustria, la Francia
e la Bretagna (1). Riusciti inefBcaci gli sforzi délia diplo-
mazia a condurre i guerreggianti alla concordia, la qui-
stione turco-russa non poteva piii venire risoluta se non
dalle armi; e siccome per continuare la guerra Francia
abbisognava ancora d'uomini e di danaro, cosi llmperatore
chiedevali ai due Parlamenti da lui convocati il 2 luglio.
< Le conferenze di Vienna, diceva loro — state impotenti
(1) Chinse le conferenze, Tlmperatore d'Anstria licenziava parte del-
l'esercito sno.
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FBANGIA S OBIMEA 665
di menare a pace — hanno messo in piena luce gli inten-
dimenti ambiziosi délia Corte di Pietroburgo ; per condurre
la gnerra a onore noi dobbiamo opporre aile nuove e
gagliarde resistenze, che dalla Russia or si preparano,
ancora più gagliarde oflTese; ma per ciô fare occorrono
altri sacrifizl, ch'io domando al vostro amore di patria » (1).
I due Parlamenti rispondevangli accordando nuove levé e
un prestito di settecentocinquanta milioni di lire. — AUora
che tutta la Francia era piena di gioia per la vittoria
délia Tscbernaia, la Regina d'Inghilterra recavasi a Parigi
per visitare gli augusti suoi ospiti di Windsor e dar prova
di fiducia e stima alla nazione francese. Imbarcatasi a
Osborne il 17 agosto col principe Alberto, suo sposo, col
principe e la principessa di Galles, il mattino del 18 scen-
deva a Boulogne, ove Tlmperatore era corso a riceverla; la
sera stessa giugneva a Parigi e poco dopo a Saint Cloud. Il
27 faceva ritorno alla sua Inghilterra, dalllmperatore e dal
principe Napoleone accompagnata sino al mare. Se le feste
civili — le quali furono oltre ogni dire sontuose — ebbero
fine in Parigi, le feste militari seguirono la regina Vittoria
fino a Boulogne; e Tultima ebbe luogo su quelle spiaggie,
cînquant'anni innanzi. allô incirca campeggiate da esercito
formidabile, raccoltovi dal gran capitano contra Bretagna.
(1) Nel SQO discorso a' due Parlamenti Tlmperatore parlô cosi del-
r Anstria : « Noi aspettiamo da essa il pieno adempimento di qnanto ci
pTomise al sno entrare in lega con noi, di appoggiarci cioè con le sne
armi, qaalora il negoziare con Bnssia non ci condncesse a pace. È bensi
Tero che TAnstria alloia ci propose di gnarentire Tindipendenza délia
Tnrchia mediante xxd trattato e di ritenere altresi qnale casus belli lo
accrescersi nel Mar Nero délie navi russe esistenti innanzi il romper
délia gnerra ; ma taie proposta non potevasi accettare... » — Il tacere
di Napoleone in quel discorso de' snoi alleati, che al pari di Francia
sopportavano dnri sacrifizi nello interesse délia pace enropea, spinse il
marchese di Villamarina e lord Clowley, oratori di Sardegna e di Bre-
tagna in Corte di Parigi, a mnovere lamenti al Govemo impériale: e
in verità tanta dimenticanza era imperdonabile !
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666 CAPITOLO X
Brevi giorni dopo la vittoria di Traktir, altra e d'assai
piii gloriosa guadagnavasi dai soldati di Francia, i quali,
il di 8 settembre espugnavano la fortissima torre di Ma-
lakoflf, onde veniva a mano de' confederati la parte méri-
dionale di Sebastopoli; e di li a non molto anche la for-
tezza di Kinburn, che giace non lungi dalla foce del Dnieper
nel Mar Nero. Mentre si fattamente prosperavano in Grimea
le armi délia Lega, l'imperatore Napoleone il 16 novembre
cliiudeya con grande solennità nella sua Parigi quella
Mostra, che aveva rivelato al monde le maraviglie del
layoro umano nelle arti e nelle indastrie. Nel discorso
allora da lui pronunziato parlô del Msogno cCuna pace
pronta e durevole; « per essere pronta, deve risolvere
chiaramente e francamente la quistione, che diede origine
alla guerra d'Orienté; e per essere durevole bisogna che
l'Europa faccia conoscere il proprio modo di pensare su
quella quistione ; senza ciô la lotta, che or si combatte tra
i grandi Stati, minaccia di prolungarsi. Nei tempi civili,
in cui viviamo, la vittoria guadagnata con le armi, seb-
bene splendidissima, è sempre passaggera; è Topinione
pubblica che vince la vittoria finale La Mostra deirarii
e délie industrie, che sta per chiudersi, ha date une spet-
tacolo veramente grande; avvegnachè, mentre combattevasi
e tuttavia si combatte una guerra sanguinosissima, d'ogni
parte del monde sieno qui accorsi gli uomini piii chiari
nelle scienze, nelle arti e nelle industrie; onde io penso
essere universale il convincimento, che la guerra attuale
minacci solo chi la provocô, e l'Europa, ben lungi dal
vedere in essa un pericolo alla sua indipendenza e securtà,
vi trovi un pegno di quella e di questa. » Le quaii savie
parole — salutate con entusiasmo dalla moltitudine dei
cittadini venuti alla festa — rivelarono tutta la mente di
lui^ che avevale pronunciate. Alla solenne ceremonia délia
chiusura délia Mostra artistica e industriale tennero dietro
le feste date in onore del re Yittorio Emanuele di Sardegna,
venuto a visitare nella sua metropoli l'illustre suo alleato,
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FBANCIA E CBIMSA 667
allo inteato di stringere vie più Tamicizia che a lui già
il legarano, la quale, in uu vicino avvenire, doveva tor-
nare tanto vantaggiosa airitalia nostra. In sul cadere del-
l'anno (1) tornavano di Crimea a Parigi la Guardia impé-
riale e alcuni reggimenti di fanti d'ordinanza, quelli che
nella guerra avevano sofferto i maggiori danni, di là chia-
mati dairimperatore per rifarli délie perdite patite. Mosso
a incontrarli, Napoleone dava loro il buon ritorno cosi:
« Soldati, io vengo a voi, corne un tempo il Senato romano
muoveva aile porte delFalma città a incontrarvi le vitto-
riose sue legioni; io vengo a dirvi, che voi avete bene
meritato délia patria. » — Le condizioni d'Europa eransi
in quel mezzo cambîate dimolto. Non ostante il nuovo e
poderoso armarsi di Russia e degli Stati délia Lega — ciô
che induceva a credere volere essi continuare la guerra
sino allo estremo — pure voci di pace correvano per ogni
dove. Caduta la cittadella deirimperio moscovita nel Mar
Nero, sommersa o distrutta dal fuoco quelVarmata, di cui
a ragione la Russia andava superba, la diplomazia poteva
rinnovare Topera sua e riprendere le pratiche di accorde
rotte a Vienna; e in fatto, quella rinnovô, e queste riprese,
auspice TAustria; la quale, attenta a cogliere la buona
occasione per far finita la guerra — il cui romoreggiare,
sebbene lontano di sue provincie, turbavale perô sempre i
sonni — aveva già tentato l'animo del Sire francese. Na-
poleone, che era pur desideroso di pace, avvertito non
essere Io Ozar aliène da essa, invitollo agli accordi; e
avendo questi acconscuitito di trattarli, sospese l'armi in
Crimea, il Buonaparte chiamava a congresso in Parigi i
rappresentanti degli Stati guerreggianti , cui univansi
quelli d'Austria e di Prussia. Il negoziare di pace — che
ebbe cominciamento il 25 febbraio 1856 — questa volta
approdava a buon porto; il trattato del 20 marzo faceva
(1) Fq il 29 dicembre.
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668 CAPITOLO X
posare la guerra in Oriente, assicurava airEnropa il po-
litico suo contrappeso e alla Turchia la propria indipen-
denza.
Dal bandirsi délia pace aU'attentato di Felice Orsini alla
vita di Napoleone passarono due anni, senza che nuUa av-
venisse di notevole in Francia. L'imperio pareva ornai as-
sicurato ai Buonaparte; i sentimenti di moderazione mo-
strati dallo Imperatore nella contesa turco-russa e duraate
la guerra d'Orienté, e il leale suo trattare di pace ave-
rangli guadagnata la stima delfuniversale; e le parole da
lui pronunciate nel 1854 innanzi a' due Parlamenti dello
Stato : il tempo délie conquiste essere passato per semprt,
avevangli valsa Tamicizia de' regnanti in Europa (I). A
vie più aflfermare la dinastia de' Napoleonidi sul trono,
l'Impératrice nella notte del 15 al 16 marzo dava alla
luce un flglio, che Troplong, Présidente del Senato, salu-
tava /îglio délia Francia: il cui battesimo venne celebrato
nel maggior tempio della città il 14 giugno ; e in nome
di Pio IX — che voile esserne il padrino — fu levatodal
sacro fonte dal cardinale Patrizi, Vescovo d'Albano e Le-
gato del Pontefice. L'impresa fortunata di Crimea, la pace
che la segui — in virtîi della quale le mire ambiziose
della Russia nel Bosforo venivano rafitenate, e contenute
ne'limiti âssati dagli antichi trattatile forze navali di essa
— in fine, la nascita dell'erede aU'imperio inducevano a
credere, sarebbe per perpetuarsi in Francia il sistema
nazionale del terzo Napoleone, che ritenevoM la guaren-
ttgia più secura degli interessi del paese (2) ; ma non ào-
(1) Napoleone, dopo aver detto che la Francia non aveTa alcnna min
di ingrandimento , sogginngeva: u Essa ynole solamente resistere a
nsnrpazioni pericolose. Cosi io amo affermarlo altamente, essere onuû il
tempo délie conqniste passato per sempre. »
(2) Parole dell'Imperatore al conte di Momy, Présidente dell'As*
semblea legislativa.
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FBANGIA E GBiaCBA 669
veva essere cosi. — Correra la notte del 14 gennaio 1858,
quando seguiva in Parigi un aspro caso, una congiura che
dir non saprei se più audace o più insensatamente teme-
raria! se ad essa fosse sortito Tesito voluto dai cospira-
tori, Francia sarebbesi riempita di tumulti, fors' anche di
guerra civile; fu l'attentato d'Orsini, che destô in Europa
sensi diversi, muovendo a un tempo ira, pietà e orrore;
ne certo andiamo errati afltermando avère eccitato ezian-
dio seasi d'ammirazione per Tardimentoso capo délia co-
spirazione, invero uomo non volgare, anzi degno di sorte
migliore che non gli toccô. Ohi egli fosse, quale la vita,
dirô brevemente. Police Orsini ebbe nel dicembre 1819 i
natali in Meldola, terra del forlivese. Il padre — che aveva
militato sotto le bandiere del gran capitano — caduto il
regno italico davasi a congiurare contra i tiranni délia
patria; tornate a maie le soUevazioni e le trame ordite
par levare in su l'arme la penisola, cercato a morte, sal-
vavasi con la fuga; come il padre, cosi fu il flgliuolo fermo
sempre nell'odio allô straniero e nell'amore aU'Italiâ. Nel
1835 cospirando in Romagna contra la signoria papale,
che le baionette dell'Austria proteggevano e sostenevano,
egli è preso e dannato a prigionia perpétua, Schiusogli
Tergastolo dall'amnistia di Pio IX, recasi a Firenze ; venuto
iu sospetto al Governo granducale, da prima vien posto in
carcere, di poi cacciato di Toscana. La guerra di Lom-
bardia del 1848 trova in lui un soldato valoroso e istrutto
aell'arte bellica, alla quale da giovane aveva rivolto gli
studi suoi. Posate le armi régie sul Ticino, Felice Orsini
portasi a Roma, ove quelle délia repubblica si ordinano
alla difesa e aU'ofTesa. Dopo avère quietate le cose nelle
provincie d'Imola e d'Ascoli — dai nimici alla libertà con
mala arte messe sossopra — egli entra nella Costituente.
Restaurata la potestà pontiflcia, Orsini va a Nizza da
prima, di poi a Sarzana per muoverla a romore; ma fal-
litagli l'impresa viene a mano del magistrato civile, che
il caccia dai reame. In Londra, ove si è rifugiato, dise-
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670 OAPITOLO X
gna con Mazzini di sollevare tuttaltalia; primo obbietto suo.
la Lunigiana; qui deve principiar la ribellione; qui, la
guerra per bande, la quale ha da allagare con la celerità
massima la penisola intera e Testrema Sicilia. Nel 1854 Fe-
llce Orslni, venuto con la solita audacia all'impresa, scende
aile foci délia Magra con pochi araici e alquanti compa-
gni; ma non efficacemente assecondato da questi e dalle
genti del paese, è costretto a togliersi giii da quella e a
ripararsi a Francia, indi a Ginevra. Non iscoraggiato dal
mal successo délia Lunigiana, tenta di li a poco la Val-
tellina; ma gli Austriaci, che la presidiano e vi fanno
buona guardia, avvertiti délia trama, raddoppiando di vi-
gilanza riescono a rompere i disegni dei congîuratori.
L'anno vegnento Felice Orsini sotto nome mentito recasi
a Vienna allô scopo di entrare nell'esepcito austriaco, e,
militando nei reggimenti italiani, spargervi i semi di ri-
bellione; ma non potendo raggiungere Tintento suo por-
tarasi a Hermanstad ; ove preso e riconosciuto è tradotto
aile prigioni di Mantova, dalle quali gli vien date di fug-
gire calandosi di nottetempo da una finestra coi leozuoli
del suo letto — proprio allora che sta per essere tratto
al supplizlo estremo — e riparasl nuovamente a Loadra.
Persuaso, non poter l'Italia tornare padrona di se fîno a
che imperasse su Francia il Buonaparte — ch'egli crede
nimico alla libertà e alla indipendenza délia sua patria e
sostenitore délia potestà temporale dei Pontefici — fatta
deliberazione di spegnerlo, recasi a Parigi. Con. Andréa
Pieri di Lucca, Carlo Rudio veneto, Antonio Gomez napo-
litano e Simone Francesco Bernard francese, soci nella
cospirazione disegnata, in sul cadere del 14 gennaîo 1858
portatosi innanzi il vestibolo del teatro, aU'arrivarri del-
rimperatore lancia verso la carrozza sua tre bombe, le
quali al battere contra la terra scoppiano con orrendo
fracasse (1) e uccidono e feriscono molti cittadini e alcani
(1) Qnelle bombe son conoscinte sotto il nome di bombe airOrnnû
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FBANOIÂ E CBIBfBA 671
del sèguito di Napoleone, il quale, rimasto illeso, entra in
teatro con passo franco e volto tranquillo, ma certamente
con animo agitato ; perô che il tristissimo caso non possa a
meno d'averlo profonrfamente commosso e accorato. È
ornai noto a tutti essere egli stato maestro sempre nel-
l'arte di simulare e abilissimo a nascondere le ragioni
suprême del suo operare. I cospiratori caddero subito in
mano del Magistrato civile, eccetto il Bernard. Non estante
la difesa eloquentissima di Giulio Favre, il quale, dopo
aver lamentato corne la fatale illusione di poter salvare la
patria col togliere di vita Tlmperatore avesse tratto que-
gli uomini, più infelici che colpevoli, al sanguinoso at-
tentato, ebbe respinto l'accusa délie vittime di esso — av-
vegnacbè non siavi delitto ove manca la volontà di de-
linquere — Orsini, Pieri e Rudio venivano condannati al
supplizio estremo, Gomez a prigionia perpétua. Orsini parlô
ai giudici parole dignitose e franche, le quali misero in
chiara luce tutta Televatezza del carattere e la fortezza
deiranimo suo. Disse délie cospirazioni aile quali aveva
preso parte ; e narrando i casi di Roma favellô cosi : « Al-
lora che le soldatesche di Francia, che la democrazia di
ïtalia reputava amiche alla sua causa, scesero a Civita-
vecchia, noi porgemmo ad esse la mano; ma esse ci ri-
sposero col ferro e col ftioco. Gredendo fossero state con-
dotte a combatterci contra Tanimo loro, noi rendemmo a
libertà i prigionieri fatti nei primi assalti, e nel lasclarli
li salutammo gridando: Viva la Francia/ Vîva V ïtalia!
Che fecero allora i soldati di Francia? in quai modo ri-
sposero alla nostra generosità ? sospese le armi per lunghi
giorni allô scopo di rifarsi da una sconfitta soflferta, rie-
derono allé offese, quando Oudinot ebbe l'esercito aflforzato
dai sussidi d'uomini e di macchine per Tassedio in copia
grande mandatigli dal suo Çoverno; allora i difensori di
Roma furono giuridicamente assassinats Posata la guerra
sul Tevere, cercai soUevare Sarzana; riescita vana la prova,
disegnai e délibérai con Giuseppe Mazzini Timpresa di
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672 OAPITOLO X
Lunigiana da prima, di poi quella di Yaltelliaa, che pari-
menti tornarono a maie. Fermo sempre iieila persuasione
mia di non lasciare nulla d*intentato per levare armi con-
tra TAustria, fui in Ungaria e a Vienna allô scopo di ac-
cordarmi con la democrazia magiara e tedesca intorno a
quanto doveyasi operare per raggiungere il compimento
dei desidèri nostri, la libertà. Son note la mia cattura e
la mia fuga dalle prigioni di Mantova ; è noto altresi corne
io, in Londra, la rompessi con Mazzini, disapprovando i
suoi modi d'operare e d'agitare i popoli. Studiando le con-
dizioni politiche dei Governi d'Europa, vidi in Napoleone,
divenuto oltrapotente, il solo uomo che potesse aiutare
ritalia al racquisto di sua indipendenza e libertà; se non
che convinto, o almeno persuaso dal suo passato, cb'egii
non solamente sarebbe mai per fare impresa si generosa
e grande, ma osteggerebbe certamente,gli Italiani, qaaodo
si levassero in su l'arme a far novelle prove délia fortuna
— tante volte tentata già — risolvetti di toglier viaTIm-
peratore. A taie intente, associatimi alcuni uomini, coi
erano conosciuti i disegni miei, venni a Parigi. > — Dal
carcere di Mazas, ove quel forte piangeva, non su la sorte
che l'aspettava, sibbene su le miserie délia patria tanto
amata, il 21 febbraio Felice Orsini scriveva a Napoleone
cosi: € Quanto io dissi ai giudici deU'attentato politico
dei 14 gennaio basta per farmi condannare alla morte,
che sopporterô senza supplicare grazia per non umiliarmi
innanzi a voi, che avete spento la nascente libertà d*ltalia.
Giunto al fine di mia mortale carriera, voglio ancor ten-
tare un ultime sforzo per la patria mia, per la cui indi-
pendenza andai incontro a mille pericoli; per essa, che
formô sempre l'oggétto d'ogni mio aflTetto. A mantenere il
présente contrappeso europeo abbisogna rendere Tltalia
indipendente o stringere maggiormente le catene dei ser-
vaggio austriaco. Io non chieggo, abbia la Francia a ver-
sare per la sua redenzione il sangue dei propri figli;
ritalia demanda che essa non abbia a interyenire a suo
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FBANCIA B GBIUEA 673
danno, ne che Allemagna soccorra con le sue armi airAu-
stria nella guerra, forse non lontana a rompersi. E taie
cosa puô farsi dalla Maestà vostra; da ciô pende la fé-
licita o la sventura délia mia patria, la vita o la morte
d'una nazione, cul l'Europa deve moltissima parte di sua
civiltà. Questa è la preghiera che dal mio carcere a voi
soUevo, non disperando ch'essa abbia ad essere esaudita.
lo vi scongiuro di rendere airitalia l'indipendenza perduta
da' suoi flgli nel 1849 per colpa del Ooverno francese.
Ricordatevi che gli Italiani, tra' quali il padre mio, diedero
con gioia il loro sangue per Napoleone il Grande, dovun-
que gli piacque condurli; rammentatevi, che essi gli ri-
masero fedeli sino alla sua caduta; non dimenticate che
la tranquillità d'Europa e la vostra correranno sempre
gravi pericoli sino a che l'Italia non avrà acquistata la
indipendenza. Non respingete la voce suprema di chi sta
per salire il patibolo ! liberate la mia patria, e le bene-
dizioni di venticinque milioni di cittadini vi accompagne-
ranno nella posterità. » — Le quali nobili parole d'un
uomo vicino a morte, rivelando tutta la generosità e,
siami lecito dire, la virtù degli intendimenti suoi, face-
vano nascere negli animi di quanti nutrivano sensi
di umanità la speranza di vedere graziato V Orsini
délia vita (1); ma il cuore delllmperatore rimase chiuso
a ogni sentimento di clemenza; bene scrisse TAnelli,
che i Re possono sopportare i ladri e gli scellerati, non
chi attenta alla loro vita pet^ amor di patria (2). Francia
(1) H Moniteur col pnbblicare la coraggiosa difesa di Giolio Fayre
e la lettera d' Orsini aU'Imperatore aveya fatto fatto nascere nell'animo
di tutti la speranza di veder mntata la pena di morte in qnella di
prigionia aperpetnità; ma la grazia aspettata, e certo desiderata dai
bnoni, non venne.
(2) Storia d^Italia, vol. iv, cart 18; Milano 1864.
Questa a£fermazione deirAnelli, giostissima nella maggior parte degli
attentati alla vita dei Sovrani , ebbedi qnesti tempi in Italia nna solenne
43 — Vol. n. Màbiani — Storia pcU e mtZ.
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674 OAPITOLO X
godeva allora délia massima tranquillità allô interno; in
oltre, essa era rispettata e temuta al di fuora: onde la
morte di Felice Orsini non poteva esser richiesta da ra-
gione di Stato, sovente invocata dai principi per onestare
le loro opère poco leali e scusare i piîi neri delitti, quando
V ombra del trono non basta a coprirli, — La paura, sem-
pre vilissima consignera, spinse Napoleone a segnare la
sentenza di morte di lui che amor di patria, grande tanto
da toccare il delirio, aveva trascinato ad attentare ai giorni
deirimperatore ; di lui, che irrefrenabile impazlenza per
la libertà aveva indotto a mal fare; in fine, di lui che,
dopo essersi rimproverata l'oATesa arrecata al principio
morale, erasi pieno di fede rivolto a chi aveva volutouc-
cidere per implorare grazia a favor deiritalia. Il 13 marzo
Felice Orsini perde sul patibolo la vita, che sin da fan-
ciuUo ebbe tutta consecrata alla patria, e che allora darâ
in espiazione del suo misfatto; spirando egli gridô: Vim
Vltalia! viva la Francia! Con lui venne morte Andréa
Pieri; a Rudio la clemenza impériale mutava la pena di
morte in quella délie galère in vita. Alcuni scrittori fran-
cesi, certo poco benevoli all'Italia, dissero di questo nostn»
paese — tanto grande, quanto infelice — tutto il maie
che poterono; quasi che esso soltanto partorisca gli ucci-
ditori di principi, e il caso del loro nascere abbia a get-
tare luce sinistra su tutta una nazione! La storia di tntti
i popoli pur troppo è piena d'assassinî politici ! Quegli
scrittori francesi avevano dimenticato — scrivendo di
noi — l'ucciditore d'Enrico IV, Ravaillac; avevano pari-
menti scordato che dei tanti assassini, i quali attentarono
alla vita di Luigi Filippo, uno solo era italiano, il côrso
Fieschi; gli altri tutti erano nativi di Francia !(1). È forza
smentita; il giovane re Umberto I lasciava la vita al Passanante, che
in Napoli ayeva tentato toglierla a Ini; il qnale atto generoso tonaa
«omma gloria del Monarca e a onore délia dyiltà d'Italia nosisii.
(1) Alla vita di Luigi Filippo si attentô il 19 novembre 1882; O ^
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FBA.NGIA E CRIME A 675
convincerci, che tali delitti noa fecero progredire mai la
sociotà ma sempre indietreggiaronla ; ciô che sarebbe av-
venuto, se Napoleone fosse rimasto vittima di queiratten-
tato. — Pieno di paure e sospettando altre insidie e mac-
chinazioni, Tlmperatore facevasi ailora a domandare alla
Inghilterra, al Belgio, alla Svizzera e alla Sardegna leggi
e provvedimenti che valessero a impedire nuove congiure
a suo danno e a turbare la tranquillità délia Francia. Pal-
merston, che stava a capo del Governo britanno, mostrossi
favorevole alla richiesta dei Ministri imperiali, da lui ri-
tenuta seconde giustizia ; ma quando furoa noti gli inten-
dimenti degli amici al Buonaparte, i quali Yolevano si pu-
nissero con le armi gli Stati che osassero ancor dare
ricbvero ai macchinatori di congiura contra 1 principi,il
Parlamento inglese, reputando da quelle minaccie offeso il
sentimento nazionale, mosse grave censura a Palmerston
per essersi piegato aile esorbitanti pretensioni del Buona-
parte: ond'egli eracostretto a lasciare Tufficio, che veniva
ailora assuntô da lord Derby. Agli schiarimenti con dignità
richiesti dal ministre inglese, degnamente rispose quelle
deirimperatore, il Walewski; e siccome ne Francia, ne
Inghilterra volevano rompere le relazioni di lor buona
amicizia, tanto lealmente cementata sui campi di Grimea,
oosi i Governi di Parigi e di Londra mettevan âne alla
controversia (1). Dal Belgio e dalla Svizzera ottenne il
Buonaparte l'adempimento pieno e intiero délia sua vo-
lonté; per lui il Belgio bandi una legge spéciale contra
li^Iio 1885 — e fa da Fieschi; — il 25 gingno 1836; il 27 dicembre
pure del 1836; il 15 ottobre 1840.
(1) Ai fhornsciti politici Flnghilterra concède ospitalit& che non ha
limiti. Santo è il diritto di asilo ; ma Tospitalità non deve giugnere sino
a dax protenone agli assassini. In Londra fa gridato nuxrtire il Pianori,
che aveva in Parigi perdata la vita sol patibolo per avère, il 28 aprile
1854, attentato a qaella dello Imperatore; e a conunemorare il saoatto
di coraggio glilnglesi coniarono ona medaglia.
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676 OAPITOLO X
le offese faite per la stampa al capo di uno Stato stra-
niero; e la Svizzera allontanô dai confini deirimperio gli
usciti di Francia e dltalia, soprammodo da Ginevra, ove
trovavansi i più audaci e i più violenti. Gavour, primo
de*consiglieri di Vittorio Emanuele, accolse seiiza mostrare
sdegno, ne ira Tinvito, in verità temperato nelle parole,
del ministre francese; e seppe cosi maestrevolmentedestreg-
giarsi da peter di li a brevi giorni ottemperare ai desidèri
di Napoleone, senza effendere la dignità del sue Re e délia
nazione, quando rinnovata la demanda dal Governo di
Versailles, ebbe essa la forma più d*una preghiera che di
un comando (1).
Era il luglio di quell'anno 1858, quando il conte di Ga-
vour recavasi al casiello di Plombières, chiamatovi daU'im-
peratore Napoleone. Se nuUa trapelô di quanto venne di-
scusso e deliberato in quel convegno dal Buonaparte e dal
grande Ministre del re Vittorio Emanuele, molto perô si
potè indovinare; avvegnachè gli intendimenti del Sire di
Francia a favore dell'Italia avessero cominciato a chiarirsi
nel Gongresso di Parigi, che diede la pace aU'Europa. Dal
convegno di Plombières usci una nuova lega deirimperio
con la Sardegna, di li a brevi mesi maggiormente affer-
mata dalle nozze del principe Napoleone, cugino airim-
peratore, con la principessa Glotilde, figliuola di Vittorio
Emanuele ; conseguenza di quella lega, la fortunata guerra
di Lombardia. Si disse che a Plombières tra il negoziator^»
(1) Poco dope l'attentato d'Orsini l'Imperatore parlava cosi all'As-
semblea legislativa : « Se io soccombessi, rimperio sa rebbe ancora ^ù
assodato dalla mia morte, perchô l'indegnazione del popolo e dell'eserciti>
foimerebbe un valido sostegno al trono del figliuol mio. » Fu allora
che iatitoi on oonsiglio di Beggenza, preveggendo il caso che egli
avesse a mancare prima che dal figHo suo fosse stata ragginnta la mag-
giore età. L'istitazione délia Beggenza incontrô il favore universale,
awegnachô con essa si reputassero assicorati Tawenire deirimperio e la
tranquillità del paese.
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FKÀKOIA E CBIMEÂ. 677
regio e il Monarca francese si stipulasse : = Ghe la Sar-
degna, posate le armi e fatta la pace, si aggregherebbe il
Lombardo-Veneto, i Ducati padanl e il Trentino, e cede-
rebbe a Francia la Savoia; che formerebbesi il regno di
Etruria con Toscana e le Legazioni pontiflcie per Napo-
leone, il flgliuolo del vecchio re Girolamo; che darebbesi
Napoli a Murât, e Sicilia a un principe di casa Savoia; in
fine, che gli Stati italiani unirebbersi in federazione, pre-
sieduta dal romano Ponteflce. = Si scrisse allora altresi :
^= Avère Tlmperatorc consigliato al Ministre del Re di
costringere VAustria a romper guerra alla Sardegna;
ne la verità di tali parole puô mettersi in dubbio, se si
osserva il contegno assai provocante tenuto da Gavour,
dopo il coUoquio di Plombières, verso il Governo di Vienna
per ispingerlo ad atti ostili e a offese, che dovevano servire
di pretesto alla Francia per intervenire con sue armi in
aiuto alla Sardegna minacciata nella sua indipendenza dal-
rinvasione degli eserciti austriaci. = L'amicizia tra i G-o-
verni di Versailles e di Vienna andava di que' giorni no-
tevolmente scemando : tre principalissime le cause. Prima,
la quistione dei Principati Danubiani, il cui ricostituirsi
era stato condotto a termine con gravissime difflcoltà e
senza che pienamente si rispondesse aile legittime aspira-
zioni dei Moldo-Valacchi, aspirazioni vivamente sostenute
da Francia e da Sardegna e ostinatamente dal Governo
di Vienna combattute. — Seconda causa era il movimento
de' Serbi, contra i quali TAustria, in accorde con la Tur-
chia, apprestava armi e armati per rimettere sul trono il
principe Alessandro — una creatura del Sire Absburghese
— da quelli deposto per innalzare alla potestà suprema
Milosch, che soprammodo predileggevano. — In fine la terza
causa, e certo la piii grave, era il brutale spadroneggiare
dei generali austriaci in Lombardia e nelle Venezie, che,
mentre accresceva a dismisura nelle popolazioni Todio alla
signoria straniera, facevasi promovitore di tumultl e di
congiure. Il dure reggimento de' Ministri pontifici — di
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678 CAPITOLO X
tutti ^ il più esoso agit Italiani — minacciando turbare non
solo la pace dei soggetti all'autorità papale, ma quella
eziandio délia intiera penisola, impensieriva non poco il
Buonaparte; il quale, risoluto di condurre i consiglieri di
Pio IX a modi di governo piii savi, più prudenti, e, dicia-
molo francamente, anche più umani, chiaraava TAustria a
compagna neirimpresa. Ma l'Austria, che aveva coi regnanti
in Roma, in Napoli e in Firenze comuni gli interessi e
gli intenti, e yedeva di buon occhio maltrattare i sudditi
più che da essa non facevasi, niegava aderire aU'invito
del Sire di Francia: onde maggiormente raffreddavansi
tra i due Governi le relazioni di buona amicizia. E allora
che il primo giorno del 1859 gli oratori degli Stati stranieri
in Corte di Parigi vennero all'Imperatore per gli usati
omaggi e auguri di prosperità, Napoleone airambascia-
tore austrlaco, il barone Hiibner, parlô cosl: « Duolmi
che le nostre relazioni col vostro Governo non siono buone
come per lo passato; vi prego perô di slgnificare airim-
peratore, che i miei sentimenti personali verso di lui non
si sono mutati. » Le quali parole, piene di minaccie di
guerra, variamente commossero le Corti, i Governi e i
popoli d'Ëuropa. L*Italia e quanti amavano la libertà si rai-
legrarono di quel dire, che loro prometteva aiuto validis-
simo di armi a difesa délia più santa délie cause umane;
Francia da prima impensierissi per Timminenza di nuoTi
pericoli, chè essa credevasi non preparata ad aflfrontare;
ma di poi, fidando nella saviezza di chi la reggeva, accettc>
il carico di quelFimpresa con vero entusiasmo, e proprio
degno di nazione grande e generosa ; e l'Austria, oui quelle*
parole erano state rivolte, venuta in timoré per le sue pro-
vincie di Lombardia e délie Venezie, senza por tempo in
mezzo mandô grosse schiere di sue genti ad accrescerne
i già forti presidi. — Napoleone, nella tema di vedere rom-
persi le nimistà innanzi Fora in sua mente formata, cerca
allora di ingannare i Governi d'Europa intorno gli inten-
dimenti suoi, e soprammodo di acchetare la Corte di Vienna,
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FBANCIA E GBIUEA 679
tutta piena d'ire e di sdôgni contra lui, mitigando il si-
gniflcato délie sue parole al barone Hûbner con queste
ch'egli pronunziô il 7 febbraio alla solenne inaugurazione
(iella nuova sessione deirAssemblea legislativa: « La com-
mozione che testé succedeva seuza rimminenza apparente
di pericoli, invero a buon diritto ci sorprende ; perô che
essa dia se^o di troppa diffldenza e al tempo stesso di
troppo sgomento. Pare che da una parte si dubiti di quella
moderazione, di cui diedi già tante prove ; e dall'altra, non
si abbia molta fede nella potenza délia Francia; fortuna-
tamente la maggior parte del popolo non dubita di me,
ne délie sue forze... Il Governo di Vienna e il mio, spia-
cemi dirlo, si trovarono spesso dissenzienti interne gravi
quistioni politiche... Già da qualche tempo lo. stato dell'I-
talia e le condizioni sue, in cui Tordine non puô essere
mantenuto fuorchè da soldatesche straniere, inquietano
giustamente tutti i Governi; ma questo non è motivo da-
stevole per far credere alla guerra. Sia che gli uni la
invochino senza legittime ragioni; sia che gli altri con
paure esagerate vogliano mostrare alla Francia 1 pericoli
d'una nuova Lega a noi nimica, io rimarrô ferme nella
via del diritto, délia giustizia, deU'onore nazionale; e il
raie Governo non si lascerà strascinare, ne impaurire: av-
vegnachè la mia politica non sia per essere mai pusilla-
nime, ne provocatrice. » — A far meglio conoscere la mente
del Sire di Francia il Laguerronière pubblicava in quel
torno une scritto picciolo di mole, ma grande di pregio e
d'importanza — Napoleone III e Vltalia ; — il quale, per es-
sere apparso anonimo fu in sulle prime creduto dello stesso
Imperatore; e seppesi solo molto tempo di poi averlo egli
inspirato, non dettato. Nello scioglimento délia quistione
italiana — scioglimento stato già da tempo trovato e tante
volte posto innanzi dal senso comune — affermavasi, in
qiieiropuscolo, tutta riposare la tranquillità d'Europa; per
ottenerlo, doversi ordinare a federazione gli Stati délia
penisola — escluso perô lo straniero; — préside di essa il
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680 CA.PITOLO X
sommo Pontefice; e ciô, non per guerre o popolari sale-
vazioni, sibbene per quegli accordi, che Topinione pubolica
aveva chiarito di volere ; a raggiungere i quali dovavano
tutti i Governi prestare i lor buoni ufflci. I grandi Stati
d'Europa, bensî desiderosi di vedere ammigliorat^ le con-
dizioni degli Italiani, riconosciute tristissime, mi nel me-
desimo tempo gelosi délia preponderanza che Napoleone
andava allora acquistando nella penisola, de' cui interessi
erasi fatto propugnatore caldissimo, i grandi Stati, io dico.
deliberavano di definire la quistione italiana non con la
forza délie armi, ma per accordi pacifici; al quale intemo
proponevano un nuovo Congresso. L'Austria acconsenti. a
patto che non vi intervenisse la Sardegna e avesse questa
a licenziare subito le levé di que' giorni chiamate aireser-
cito. Il Ministre di Vittorio Emanuele protesté con forie
ragionare contra le ingiuste pretensioni del Governo di
Vienna; il quale, non veggendosi appoggiato dai grandi
Stati, fecesi a çhiedere il disamnamento simultaneo e géné-
rale. Russia, Bretagna e Francia accettarono taie proposta
la quale perô non era senza pericoli ; e accettoUa pure la
Sardegna, a condizione d'intervenire al Congresso, e sem-
pre che il licenziare quelle levé e Tordinarsi deiresercito
a pace non avessero a incoraggire i noti agitatori a ten-
tare novità in Italia, già tanto facile a commuoversi. L'Au-
stria rimanendo irreraovibile in sue deliberazioni, i grandi
Stati, per non lasciare intentata nessuna via che potosse
condurre a buono acpordo, proponevano d'ammettere al
Congresso i rappresentanti di tutti quelli d'Italia. Già stava
esso per raccogliersi, quando l'imperatore Francesco Giu-
seppe, mutata opinione, mandava a intimare al Governo
di Torino il disarmamento immediato o la gnerra; iempo
a deliberare concedevagli tre giorni; e guerra rispon-
deva Cavour il 26 aprile. Bretagna voile tentare ancora
uno sforzo per impedirla; accordatasi con Russia e Prussia,
montre protestava contra le deliberazioni délia Corte di
Vienna — le quali potevano sconvolgere tutta TEuropa -
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FRANCIA E CBIHBA 681
spediva un orator suo a Giulay, comandante supremo degli
eserciti imperiali in Lombardia, a pregarlo di non muovere
i campi sino al ricevere di nuovi ordini dal suo Governo ;
ma siccome il buon esito délia guerra tutto dipendeva da
un celere e vigoroso operare, e quegli ordini tardando di
troppo a giugnere, cosi il maresciallo venue con sue genti
al Ticino, che superô senza contraste.
Napoleone, appena seppe délia intimazione di guerra,
corse in aiuto del suo nobile alleate; e Francia, poco in-
nanzi a quella apertameute contraria, alla chiamata del
suo capo, rispose con entusiasmo. Per rialzare la patria e
cercare di tornarla alla grandezza del primo imperio —
toltale dalle paci umilianti impostele dalla Santa AUeanza
e dal tante famoso trattato di Vienna del 1814 e 1815 —
ilmperatere aveva da un pezzo designate in sua mente di
porre freno alla preponderanza deU'Austria, ognora piii
invadente l'italia, su la quale padroneggiava con potestà
assoluta. Le esorbitanze délia Gorte austriaca offersero al
Monarca francese occasione favorevole di muoverle con
giustizia la guerra, per la quale soltanto ei poteva man-
dare a efietto i disegni meditati ; guerra, che prima d*allora
non gli era stato possibile di rompere senza ingelosire i
potentati d'Europa e di ridestare in essi i sospetti di mire
conqulstatrici. Rappresentanti délia nazione neirÂssemblea
e pubblicisti illustri — tra' quali primissimi Favre e Legouvé,
nomi cari all'Italia — con loro parola éloquente appoggiando
rimperatore, concorserosommamente arendere in Francia
popolare la guerra. « La politica del Governo, cosi Giulio
Favre al Parlamento nazionale, deve essere quella tradi-
zionale délia patria nostra; questa sarà potente, allora che
ritalia avrà racquistate le sue libertà. Spezzare le catene
aile genti schiave, cacciare le signorie straniere che le
opprimono, ecco la nostra missione. > — « Da quattro mesi,
scriveva Legouvé al Siècle^ noi, Italiani di pensiero e
d'anima, teniamo la mano sul cuore per impedire che
scoppi in grido di esecrazione contra l'Austria e di sim-
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682 CAPITOLO X
patia ardente per Tltalia Oggi che la nimica etenia
dalla Francia esce alla guerra, e che a sue malvagità
unisce la provocazione sôdando TEuropa a strappargli la
sua conquista, ci sia concesso di mettere, per un momentoT
davanti al carnefice la sua vittima. Dolorosa cosa è là
conquista; ma la usurpazione dei diritti- di un popolo è
sempre un delitto; esse non si possono giustificare, ma
solamente spiegare, quando difendono la causa délia civiltà
e allontanano dalla barbarie Dove è qui la barbarie,
dove la civilta? Chi rappresenta dinnanzi a Dio e agii
uomini gli elettî délia intelligenza, il popolo œnquistatore
0 il conquistaix) ? Chi fece maggior bene al monde, Vienna
o Roma, Venezia, Genova, Milano e Firenze? Chi osera
mai porre a confronte i barbari del secolo decimonono,
i quali nel 1859 scrissero nel loro codice la fUigellazione
délia donna, con un popolo scelto da Dio, al quale noi
andiamo debitori di ciô che siamo? lo lascio da parte
l'antichità che ci ha nutriti, e che è pure italiana, per
dire dell'età nostra. Guardate ! non è forse l'Italia che âpre
al monde la via délie cose grandi? italiano è il primo
poeta epico-moderno, Dante; il primo poeta lirico, Pe-
trarca; il primo poeta cavalleresco, Tasso; il primo poeta
di immaginazione, Ariosto; il primo narratore, Boccaccio:
il primo pittore, Raffaello; il primo statuario, Michelanr
giolo; il primo storico politico, Machiavellt; il primo
storico fllosofo, Vico; il primo conquistatore del nuovo
monde, Colombo; il primo dimostratore délie leggi del
cielo, Galileo. Su tutti i gradini del tempto del genio dal
dodicesimo secolo a noi vedesi sempre un figlio d'Italia.
Nell'età a noi vicine, montre le altre nazioni lavorano per
continuare questa série d'uomini immortali, Tltalia di tempo
in tempo getta in mezzo al monde un colosse che supera
tutti. Oggi, il più grande artista vivente non è forse JRossini^
Non è forse figlio d'Italia il gigante dominatore del secolo,
che di sua luce tutto lo illumina, Napoleone? In verità,
pare, che quando la Prowidenza vuol dare alla umaniti
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FRANCIA B CBIMEA 683
una guida o un capo, è da questa terra privilegiata che
trae un grand'uomo. Ma ciô che in Italia troviamo più
sublime del suo genio è la sua sventura, dirô meglio, la
sua disperazione e il suo furore per liberarsi. Fu chiamata
terra dei morti si, perô corne il suolo délia favola, che
mette va fuora incessantemente nuovi combattitori per
vederli inghiottiti sempre. Da quarant'anni la rivoluzione
corre sotto quella contrada vulcanica, aprendo dovunque
uuovi crateri. Gli Italiani, non iscoraggiati dalle disfatte,
dai supplizi, dagli esili e dalle confische, dopo quarant'anni
di lotte e di rovesci levansi oggi più risoluti che mai a
racquistare con le armi il titolo di nazione, che nessuno
ha il diritto di niegar loro. Si diceva un tempo che lltalia
non era degna di libertà per non avère il coraggio di
conseguirla, la costanza di mantenerla se ottenuta, la saviezza
di governarla; a ciô Milano rispose nel 1848 togliendo le
armi agli Austriaci e cacciandoli dalle sue mura; rispose
Venezia nel 1849 sostenendo un assedio di diciannove mesi ;
risponde in fine la Sardegna da dieci anni, mostrando al-
TEuropa il modello di un ordinamento libero e moderato,
démocratie© e costituzionale. Nulla più si puô dire contra
ritalia; il Governo nostro stendendole la mano fa il debito
suo, e paga il debito di tutta Europa. A noi, Francesi,
nazione e individui, spetta fare il dover nostro, la difesa
délia più santa delle cause, la indipendenza d'Italia. Non è
una guerra, ma una crociata. >
Russia, Inghilterra e Prussia, dopo avère francamente
condannato il contegno dell'Austria, la sua politica per-
turbatrice di pace, e la ingiusta mossa d*armi contra la
Sardegna, gridarono la loro neutralità, e con esse la Sviz-
zera, ed ebbero ragione; gridaronla parimenti i regnanti
in Italia, e questi ebbero torto; avvegnachè, ciô facendo,
se e lo Stato perdessero; abbandonata da tutti, TAustria
trovossi scia nella lotta contra Francia e Sardegna. Vide
essa altresi ingrossarsi dimolto i presidi russi aile frontière
sue; perô che lo Czar, non estante la fede data di non
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684 CAPITOLO X
immischiarsi in quella contesa, vi facesse forte ragunata
di armi, per tenere a freao gli Stati minori délia Ger-
mania, i quali avevano preso un contegno, se non minac-
cioso, certamente perô poco amichevole verso la Francia (1).
— Risoluta la guerra, il 2 maggio di queiranno 1859.
Hiibner e Bonneville lasciavano i loro offici di oratori,
quello in Oorte di Parigi, l'altro in Oorte di Vienna; il di
appresso Napoleone parlava ai Francesi in queste sen-
tenze: « L'Austria, con lo invadere de'suoi eserciti il
territorio del Re sardo, nostro alleato, indice a noi la
guerra; minacciando le nostre frontière, viola i trattatie
la giustizia. Tutti i grandi Stati protestaronp contra taie
repentina invasione. La Sardegna, che ebbe accettate le
condizioni, le quali dovevano assicurare la pace, chiede
ragione di quella; essa consiste in ciô, che TAustria con-
dusse le cose a taie estremità da dover signoreggiare sino
all'Alpi, 0 da far Tltalia libéra sino aU'Adriatico. Finora
la moderazione fu norma al mio governo; adesso è mio
dovere operare vigorosamente. Ghe la Francia si armi e
dica airEuropa di non voler conquiste, ma soltanto inten-
dere a conservare la sua politica nazionale e tradizionale:
d'essere pronta a osservare i trattati, a patto che non
siano violati a suo danno ; di rispettare i territori e i
diritti degli altri Stati, ma d'avere simpatia per un popolo,
la cui storia confondesi con la sua, e che geme sotto
Toppressione straniera. Francia odia Tanarchia ; essa voile
già darmi potere bastevolmente forte a frenare i fautori
di disordine e le fazioni che parteggiano coi nimici nostri:
non per questo rinunziava alla sua missione incivilitrice.
AUeati suoi furono sempre quanti vogliono il perfeziona-
mento délia umanità; e quando essa pon mano alla spada.
(1) Correva allora la fama che Russia e Francia si fossero legate
per nna reciproca difesa; davano credito a quella fama le simpatie.
che vicendevolmente mostravansi di possedere, Napoleone e Alessandro
di Rnssia.
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TBANCIA K CBIMEA 685
non è per signoreggiare, ma per liberare. Scopo di questa
guerra è restituire l'Italia a se stessa, non già mutarle
padrone; e noi avremo ai nostri conflni un popolo amico,
che andrà debitore sempre di sua indipendenza alla Francia.
Noi non andiamo in Italia a promuovervi disordini, o a
scuotervi la potestà papale, che un di restaurammo ; bensi
per toglierla alla signoria straniera, che si aggrava su
tiitta la penisola, e aiutare a rimettere Tordine sopra in-
teressi legittimi e soddisfatti. Andiamo in fine in quella
classica terra, illustre per tante vittorie, a ritrovare le
orme dei nostri padri; ci faccia Dio degni di loro. Tra
brève io mi porrô a capo del mio eserclto, lasciando in
Francia l'Impératrice e mio flglio; secondata dal senno e
dalla ésperienza deU'ultimo fratello dell'Imperatore, essa
saprà porsi aU'altezza délia sua missione. Io li affldo al
valore deU'esercito che lascio in Francia a custodia délie
nostre frontière ; li affldo aile Guardie nazionali e al popolo
tutto, che avranno per essi quell'amore che nutrono per
nae. Coraggio e concordia! il nostro paese sta per mostrare
al monde di non avère degenerato. La Provvidenza bene-
dirà gli sforzi nostri, perô che santa sia la causa che
poggia su la giustizia, su la umanità, su l'amore délia
patria. » — Le quali generose parole di Napoleone, mentre
levavano in tutta la Francia il più grande entusiasmo per
la guerra che doveva rendere V Italia a se stessoy faceva
svanire i molti timori che Talleanza franco-sarda aveva
destati nelle Corti e nei Governi d'Europa.
L'armi designate aU'irapresa d'Italia portavansi allora
rapidamente aile Alpi, e, valicatele, correvano al Po per
mettere argine aU'lnvasione austriaca — con forze pode-
rose già allagante la contrada che stendesi tra il Ticino,
la Sesia e la Scrivia — e impedire a quella d'opprimere
Tesercito sardo, che da solo non avrebbe potuto resistere
a lungo alla piena dei nimici. 11 10 maggio Tlmperatore
lasciava Parigi, salutato da moltitudine innumerevole di
cittadini plaudenti a lui, che aveva impugnato la spada
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686 CAPiTOiiO X
per la indipeadeuza e la libertà di una nazione sorella.
Anche le popolazioni délie campagne portaronsi in folla
al suo passare per festeggiarlo; tutta la Francia accom-
pagnollo co' suoi voti alla grande impresa. A mezzo del
seguente giorno Napoleone giugneva a Mai-siglia ; e due
ore dopo sul yacht impériale la Regina Ortensia entrava
in mare — scortato dalla fregata da guerra il Vauban
— drizzando le antenne verso Genova; ove, sceso il di
appresso — 12 maggio — riceveva accoglimento degno di
lui, degno del popolo che egli veniva ad aiutare nella
impresa di sua indipendenza. Assunto siibito il governo
suprême degli eserciti coUegati — governo da esso tante
ambito — ai soldati, che allora doveva guidare alla Vic-
toria, in un suo manifeste di guerra, pubblicato prima di
muovere il campo, parlava cosi: « lo vengo a pormi alla
vostra testa per condurvi alla pugna. Noi andiamo ad ap-
poggiare la lotta d'un popolo rivendicante sua indipen-
denza e toglierlo alla oppressione straniera; questa è una
causa santa, la quale ha le simpatie del mondo civile. îo
non ho bisogno di stimolare il vostro ardore; ogni giorno
di cammino vi ricorderà una vittoria. Nella via Sacra di
Roma antica le inscrizioni ponevansi sul marmo per ram-
mentare al popolo le alte sue geste; lo stesso oggidi, pas-
sando per Mondovi, Marengo, Lodi, Castiglione, Arcole»
Rivoli, voi percorrerete un'altra via Sacra, in mezzo a
ricordi gloriosi. Conservate la militare disciplina, che e
l'onore deU'esercito. Non dimenticate che qui altri nimici
non sono, tranne quelli che combattono contra voi. Nella
pugna rimanete compatti e non lasciate le file vostre per
correre avanti (1). DifBdate di un troppo grande impeto e
(1) u Non saprebbesi dire sino a quai pnnto il soldato fi^ancese
spinga l'industria e Vardimento sno ; » cosi il mareseiallo di Sassonia.
Colonnello Edoardo De La Babbe Dupabcq, Biographie et Maxi-
mes de Maurice de Saxe, cart. 144; Farigi, 1851.
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FBANCIA B OBnCEA 687
di troppa foga, è la sola cosa che io temo. Le nuove armi
di precisione non sono pericolose, ftiorchè di lontano ; esse
non impediranno alla baionetta d*essere, corne già altre
Tolte, l'arma terribile délie fanterie francesi. Soldati ! fac-
ciamo tutti il dovere nostro, e riponiamo in Dio la nostra
confidenza, La patria molto aspetta da voi. Di già da una
estremità airaltra délia Francia suona un felice augurio:
Il nuovo esercito d'Italia sarà degno del primogenito suo,
11 grand*esercito ! »
In quale modo degnissimo i soldati di Francia rispon-
dessero allô invite del loro Imperatore e duce, il vedremo
tra brève.
FINE DEL SECONDO VOLUME.
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INDICE
CAPITOLO L
L'Àssemblea reneta.
L'Estaario veneto, sue difese, snoi difensori Cart 5
Gayanella d'Adige e Mestre » 13
I Commessari régi e TU agosto in Venezia n 17
n Circolo italiano. Nnovo ordinamento dell'esercito n 24
La mediazione anglo-firancese. Parole alla Francia di Niccolô
Tommaseo ...» 30
n Circolo italiano ; Révère, Mordini e Dall'Ongaro » 36
lianin e l'Assemblea veneta » 42
Fazione di Cayallino del 22 ottobre » 43
Assalto di Mestre del 27 ottobre » 45
Ck>nslderazioni sn l'assalto di Mestre » 52
Venezia e la Costituente italiana n 54
L'Assemblea veneta e il 5 marzo 1849 » 57
Disegni di gnerra di Gnglielmo Pepe » 63
CAPITOLO n.
La Repnbbliea romana.
Gli Aastriaci invadono Ferrara » 69
L'8 agosto a Bologna; disfatta di Welden » 74
Conyenzione di Boyigo del 15 agosto » 81
Pellegrino Bossi e la Lega italica » 85
44 — Vol. n. Màsum — Storia pol, e mO.
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690 INDICE
Garibaldi entra nelle Legazioni Cart, 9â
Uccisione del mixiistro Bossi , n 95
FugadiPio IX a Gaeta; sua protesta » lOS
La Costituente romana; il 9 febbraio 1849 viene in Campido-
glio gridata la Eepnbblica romana » 107
Haynau a Ferrara » 118
Manifeste del Governo repubblicano ai popoli d'Enropa . . . «* lli^
Mazzini in Borna; la Costituente manda ainto d'aimi alla Sar-
degna per l'impresa di Lombaidia ^ 123
CAPITOLO m.
Toseana; faga dl Leopoldo IL
Il bamabita Gavazzi a Livomo » 1S9
Tomulto del 2 settembre in Livomo , - "^ ^^^
Montanelli grida la Costituente italiana » 13d
Fuga di Leopoldo II ; sue lettere a Montanelli. Il Triumvirato n 144
SoUeyazioni del contado di Firenze e di Empoli *) 151
Spedi^one contra il générale De Langîer n 154
Domenico Guerrazzi e rnnificazione di Toscana e Borna ...» 156
CAPITOLO IV.
La Sicilla e il Borbone.
I Siciliani gridano ^e il Dnca di Genova. Incertezze del Dnca
di Genova an V accettazione délia corona offertagli ... n 159
Spedizione dei Napolitani in Sicilia; Messina ricade sotto la ti-
rannide borbonica » 164
Preparamenti del Govemo sicolo per la gnerra » 172
n Parlamento napolitano prorogato al 30 novembre ; le tregue » 176
L'ultimatum del re Ferdinando ; si disdicono le tregue di Mes-
sina Ȕ 179
Sicilia prépara le resistenze; il Borbone licenzia il Parlamento n 186
CAPITOLO V.
La Sardegna preparasl a nnova gnerra contra PAnstrla.
n ministre PineUi; tnmnlto in Genova; Gioberti e la federa-
zione italiana. Nnove gravezze deirAustria sul Lombardo-
Veneto n IdO
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INDICE
691
Gioberti creato Ministro. Respinti i snoi disegni d'intervento
armatoin Toscana e in Borna, Gioberti rinnncia aU'of-
ficio Buo Cart 198
Il GoTemo sardo prépara la gnerra contra l'Aostria ; Chrza-
nowski " 203
Li'Ânstria, l'Ungaria e la Groazia ; solleyazione di Yienna ; Fer-
dinando rinimzia alla corona; Francesco Ginseppe gridato
Iiuperatore n 207
Oaerra anstro-nngarica. Moto popolare a Berlino n 212
La conferenza d'Alessandria n 219
CAPITOLO VI.
La griomata di Norara*
H Goyemo sardo disdice le tregne r? 223
Forze armate dei gneireggianti n 226
Condizioni moral! dell'esereito sardo e deU'imperiale . . . . n 284
Bompesi la gnerra; gli Anstriaci inyadono il Piemonte . . » 236
n re Carlo Alberto e Chrzanowski al ponte di Bofialora;Ba^
morino al ponte di Mezzanacorte n 242
Fazione di San Siro e délia Sforzesca n 245
Oombattimento di Mortara; canse délia sconfitta di Mortara n 249
Giomata finale di Noyara del 28 marzo n 260
Binnnzia di Carlo Alberto; le tregne di Noyara; Casale . . » 271
Solleyazione di Genoya. Descrizione délie sne fortificazioni . » 278
Besistenze e sommessione dei solleyati n 288
Considerazioni sn la giomata di Noyara e sn la gnerra del 1849 n 295
Licenziamento délia diyisione lombarda » 302
CAPITOLO VII.
Assedio di Yeneiia. — Gnerra d'Ungaria.
Moto di Como n 804
Bergamo; missione di Camozzi » 808
Brescia leyasi in sn l'arme ; le dieci giomate » 811
Contentezza dei Lombardo-Veneti per Tindirsi délia nnoya
gnerra » 320
Torino dopo il disastro di Noyara n 824
Venezia, respinta la chiamata di resa, prépara le resistenze.
Marghera » 327
Difesa di Marghera n 832
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692 INBIOB
n ponte su la lagftina; le gne batterie ; la Commissione militare Cart. 343
n 27 giogno e la batteria Sant'Agostiiio i 350
Uscita di Brondolo; la carestia e il cholera-morbiiA ; il nimico
stringe Tassedio da terra e da mare » 353
Le pratiche délia resa; il SI agosto Venezia, ridotta ailo
estremo, s'arrende; il 27 Manin, Tommaseo e Pepe la-
sciano la oittà >» 360
I Magiari ripigliano le offese; Hatv&n, Tapiù-Bieske, Isasseg,
Nagy-Sariô >. 368
L'Ungaria grida sua indipendenza dall'imperio ; giomata di
(ySz^ny; impresa di Buda » 370
Intervento armato délia Bnssia; il générale Haynan ...» 373
Disobbedienza di GOrgey » 375
I Rusai sul Dannbio, sn la Theiss e in TransilYania ; imprese
di Bem i 377
Jellachich sconfitto a Hegyes ; ritratta di GOrgey .... » 379
Eics^Becskeret; Vil&gos e la resa; yittoria di Klapka ; fine
délia gnerra; vendette dell'Anstria » 382
CAPiTOLO vm.
ÀBgedio di Borna.
Francia délibéra far Timpresa di Roma » ^9
Bibellione de' montanari ascolitani ; la eompagnia infernale in
Ancona » 395
Sbarco de' Francesi a Civitavecchia. I Francesi soonfitti il 30
aprile sotto le mnra di Borna » 397
I Napolitani a Palestrina e a Velletri; foga del re Ferdinando » 407
Spedizione spagnnola n 413
Gli Anstriad fanno l'impresa di Bologna e di Ancona . . n 415
Ite a Yuoto le pratiche di concUiazione, Ondinot disdice le tregne n 42I
La giomata del 3 gingno » 429
Lettere di Ondinot ail' Assemblea e all'esercito romano ; risposta
dell'Assemblea >, 437
Missione di Corcelles; i Francesi tentano Borna nella notte
del 21 gingno » 441
Ultime resistenze; Medici e Hanara; U 30 gingno .... » 449
I Trinmyiri risegnano l'nfficio loro; i Francesi in Boma; Oa-
ribaldi; ospitalità sanmarinese » 453
Lettera di Lnigi Bnonaparte a Edgardo Ney n 468
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nn>ics 693
Pio ÏX. toma a Borna; cattÎTo reggimento degli Stati délia
Chiesa. Nel 1857 il Pontefice visita le sue Proyincie; yi-
aita Modena, Panna e Toscana Cart, 479
n 1868 « 492
CAPITOLO EL
Toseanj^ Parma, Modena e NapolL
Domenioo Gnerrazzi e la Dittatnra n 498
Conflitti tra Fioientini e Livomesi; restaonudone délia mo-
narchia in Firenze n 501
Livomo; sue resistenze aU'anni aiutriache; sua cadnta . . n 505
Leopoldo n lientra in Toscana; bandisce Famnistia ai con-
dannati per crimini politici .......... n 511
Il concordato tra Borna e Toscana. H Grandnca trasformala
Toscana in provincia anstriaca » 517
I Ministii di Toscana e Cayonr n 523
n 1859; Leopoldo II lascia la Toscana n 528
I casi di Parma e Modena n 538
I Napolîtani fiinno l'impiesa di Catania; loio atti di dissolu-
tezza e ferocia » 554
Palermo apparecchia le resistenze » 561
Tentative d'accordo pacifico » 565
Ck)mbattimentl del 7, 8 e 9 maggio presse Palermo ; sommes-
sione délia Sicilia » 569
Gladstone rivela all'Eiuopa le neqoizie del Govemo borbonico n 572
n Bentivegna tenta novit& in Sicilia ; Agesilao Milano . . » 577
Pisacane, Nicotera e la spedizione di SaprL Morte di Ferdi-
nando ET » 582
CAPITOLO X.
Francia e Crimea.
I Bnonapartisti. Carlo Lnigi Napoleone Bnonaparte. Le offi-
cine nazionali » 590
H 22, 23 e 24 gingno «599
Lnigi Napoleone è chiamato dal snffragio nniversale a presie-
dere alla Bepubblica » 604
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694 INDICE
Trama di Stato del 2 dicembre 1851 ; i complid del Bnona-
parte Cari. 609
n s dicembre 1852 e Timperio » 624
Bnssia e Tnrchia; quistione dei Luoghi Santi » 626
I primi a&onti sul Danabio; Sinope e Citate n 633
L'armata anglo-francese nel Baltico » 63â
Solleyazione dei Greci; i Francesi al Pireo e in Atene . . n 642
Anatria e Prossia; Svezia e Danimarca » 645
Bazardschik e Siiistria; limperatore Napoleojie disegna Tim-
presa di Crimea n 647
Bomarsond; i confederati scendono a Crimea; Aima, Balaklaya
e Inkermann « 652
Napoleone visita in Londra la regina Vittoria. La grande mo-
stra délie arti e délie industrie. La regina Vittoria vi-
sita il Bnonaparte in Parigi n 662
Felice Orsini attenta alla yita di Napoleone •? 668
Plombières; il primo d'anno 1859; l'Imperatore va con sue
armi in aiuto alla Sardegna r 676
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INDICE DEI NOMI PKOPKI
Âbancourt Carlo, 387.
Abdi Padià, 633.
Abercromby, 1Ô8.
Âberdeen, 574.
Acame, 295.
Adlerberç, générale, 378-
Affre, arciyescoTO. 601.
Agostino (D'), colonnello, 436^
Ajosaa, 584.
Alberi, 416, 417.
Alberto dlDfhllterra, 663, 664.
Albini, amnuraglio, 13, 25, 221, 222.
Aldini, 419.
Aldobrandini, cardinale, 81.
Aldoyrandi, 416.
Alemann, générale, 267.
Aleseandro, czar di RnsBia, 660, 684.
Alessandro, principe, 677.
Alibrandi, 470.
Ameri, 191.
AUegretti, 505.
Altieri, cardinale, 471, 481.
Amari Emerico, 162.
Amat, cardinale, 85.
Amigo (D'), luogotenente colonnello, 44,
47, 48, 50, 51.
Anelli Laigi, 673.
Angelini I^iclnogotenente, 532-
Ansaldi. générale, 227.
Antonelli, cardinale, 99, 103, 104, 106, 152,
391, 395, 479, 480, 481, 482, 483, 488, 489,
402, 493,495, 496, 517.
Antonini, générale, 12, 13, 15. 179, 180.
Anviti, Inogotenente colonnello, 542.
Apice (D'), générale. 151, 154, 155, 501, 500.
Appel, maresciallo, 230, 246, 259, 264, 269,
270, 311, 312, 319.
Arago, 478, 591.
Armandi, générale, 13.
Armani ËTaristo, 545.
Armellini Carlo, 10& 110, 111, 115, 390, 424.
Asarta (De), générale, 278, 279; 280, 281,
293.
Aspre (D*), maresciallo, 230, 238, 241, 252,
253, 256, 257, 259, 261, 262, 263, 264, 265,
266, 267, 268, 260, 270, 276, 300, 301, 323,
508, &09, 510, 511.
Andinot Rodolfo, 113, 126.
Aaersperg, maresciallo, 210.
Aalicb, générale, 369, 382, 386.
Aureliano, imperatore, 403.
Ayola (D') Mariano, 140.
Arezzana, générale, 200, 279, 290, 292, 295,
403.
Azzoni Enrioo, 539.
Azzoni GÎQseppe, 539.
Bacb, 321.
Balbi PiOTera, 192.
Baldasseroni Giovanni, 502, 511,517,534.
Baldisserotto, luogotenente di vascello,
347.
Balleydier Alfonso, 92, 394, 405, 406, 433,
434, 476.
Bandiera. fratelll, 332.
Bandini Stefano, 154.
Baragoey d'Hilliers, générale, 478, 652.
Barberini, 105, 482.
Barbier de Tinan, ammiraglio, 615.
Barclay, 320.
Bargagli, 152, 517.
Barge (o il re Carlo Alberto), colonnello,
273, 274.
Barile, monsignore. 420.
Bartolacci, générale, 427, 431, 454.
Bartolommei Paolo, 538.
Bassetti, 35,
Basai Ugo, 45, 465, 466, 467, 468, 469.
Bastide, 58.
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696
INDICE BEI NOMI PBOPBI
Batthyany Gasimiio, 387.
Batthyany Luin, 386.
Bandin, ammizagUo, 161, 178, 184, 185,
508, 566, 572.
Baya, générale, £04, 205.
Bedeau, geoerale, 616.
Bedini, monsignore, 415, 469.
Belli, 470.
Belli, maniore, I&
Bellnomim, maggiore, poi oolonnello, 181,
505.
Bellozzi, oolonnello, 76.
Beltrami Pietro, 119.
BeWedere, coloonello, 227, 281.
Bem, générale, 215, 378, 379, 383, 385, 387.
BeDodek, oolonnello, 253, 208.
Benizki, générale, 378.
BentiTogna Franoesco, 579, 585.
Bernard Simone Franoeeoo, 670, 671.
Berry (dachessa di), 616.
Bertrand, oolonnello, 601.
Bee, générale, 227, 229, 236, 241, 246, 247,
248, 240, 258, 261, 266, 267, 268, 270, 297.
BeTilaoqua, 105.
Bianchetti Gesare, 75, 77, 78, 70, 80.
Bianchi Nicomede, 530, 533.
Bianchini, 470.
Biancoli, 417.
Bignami, oolonnello, 48, 49.
Bonella Geeare, 512.
Bodisoo, générale, 662.
Boissaya Pietro, saoerdote, 312.
Boldoni. luogotenente, 23.
Boldrini, oolonnello, 416.
Bomba Gennaro, 88.
Bonoompagni Carlo, 529, 530, 531, 533, 534,
536, 537, 538.
BonTEridio, 552.
Boni (De) BlUppo, 192.
Bonini Gmseppe, 504.
Bonnevilie. 684.
BoreUi, 432.
Borghetti, 313.
Bomia. 491.
Borsari Tomaso. 551.
Bosquet, générale, 658.
Bonlay, 609.
Boorgee Michèle, 621.
Boyl, générale, 227.
Booelli Francesco Paolo, 117,
Bragigalttsea Paolo, 467.
Brandebourg, 219.
Brea, senerale. 602.
BriaBOlari Ennoo, 560.
Broochetti Enrico, capitano, 587.
Brocchi Filippo, 504.
BrofTerio Angelo, 196, 202, 203, 204.
Brow, générale, 658.
Broat, vice-ammiraglio, 644.
Bmck (De) 321, 345, 349, 359, 361, 368.
Bran, capitano, 351, 352-
Brunetti Ângelo, Oieemacekio, 465, 466,
467.
Brunetti Oiovanni, 78.
Brunetti Lorenao, 467.
Bruni Pietro, 545.
Bua, oontrammiraglio, 13, 2A,
Bncchia, capitano di coryetta, 349, 358,
360.
Buenaga, oolonnello, 436.
Builk, 126, 199, 200.
Bnol, 524, 526.
Baonaiuti Carlo, 504.
Buonaparte Carlo, di Cannino, 107. 45-)
60&
Busaeca, générale, 165.
Busaoca Kaflàele, 538.
Boseetti, générale, 228.
Butera. 185, 189.
Buturlm, générale, 385.
Cadolini, arciyeeooyo, 119.
Gadoma Carlo, 198, 210, 271.
Cadoma RaffiMle, maggiore, 223.
Cailland, luogotenente oolonnello, 6C2.
Calandrelli Aleesandro, 123, 450, 482, 4S3.
Galandri Ugo, 396.
Calncd Qiuseppe, 3«^ 349, 805.
Gambray Digny Guglielmc ~"
Cambridge, générale, 652-
Gamerata Fuipi
106.
Gambray Digny Guglielmo, 504, 514.
nera'
ppoi
GamoBi Gabriele, 305, 308, 309, SiO. 311
313, 317, 319.
Campana, 470.
Campanello Pompeo, 94, 108, US, Ht.
Ganalotti, 562, 563.
Ganessa, 432.
Gangeni, 568.
Cano&n, 580, 581.
Ganrobert, générale, 653, 654, 655. 656.
658, 661.
Gantagalli, 512.
Oentelli Gerolamo, 545-
Gapellini AlesBandro, 532.
Gapoquadri Gesare, 504, 51 1.
Gapponi Gino, 131, 504, 538.
Gapranica. 470.
Garbonelli Vincenzo, 88.
Garini, 578.
Garini Andréa, 542.
Carlo Alberto, re di Sazdegna, 11, 12, 11
19, 20, 21, 30, 31, 82, 63, 65, 6a, 67. 68.
69, 72, 88, 89, 90, 91, 92, 109, 125, 126.
130, 139, 151, 152, 156, 157, 158^ 160, 1«1,
162, 163, 165, 190, 191, 191, 195, 198. IS».
201, 203, 204, 205,206, 207,220, 822,224.
225, 23 1 , 235, 242, 243, 240, 247, 250, 263L
266, 271, 272, 274, 275, 277, ^8, 897, »$,
306, 313, 31^ 316, 325, 328, 380, 468, 48Û,
538, 546. 591.
Carlo Borbone di Napoli, 570.
Carlo Ferdinando d'Artois, 541.
Carlo m Borbone, 538, 539, 540, 541. 5i£.
543.
Carlo V, imperatore, 274.
Carlo Yi, imneratore, 527,
Carlo X, re ai Francia, 628.
Carlo Hagno, imperatore^ 818.
Camaiza, 162.
Camot, 621.
Carpi. 470.
CasigUano, 512.
Gasslbile, 171.
Cassola Carlo, 313.
Castagnola Gregorio, 539.
GasteUi, 18, 20, 21, 22.
Castracane. cardinale, 105, 107.
Caterina di Bussia« 639.
Cathcart, générale, 658.
Gattabeni, capitano, 44.
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INDIOX DBI NOMI PBOPBI
697
Caraignac, générale, 34, 601, 603, 604,606,
607, 608, 611, 6IA.
CaTOor Gamillo, 467, 487, &M, 5S^ 586, 5S9,
530, 535, 543, 577, 580, 676, 677, 680-
GaTTJani, générale, 277.
Cbarras, colonnello, 616.
CeoUialLa) Gioranni, 153.
Cemneciil Ébrioo, 186, 442, 456.
ChadsyBson, générale, 427.
Cfaarl6t,6S2.
Chiodo, générale, 228.
Chnanowski Alberto, générale, 804, 205,
206, 820, 281, 884, 885, 886, 888, 836, 837,
230, 840, 841, 848,843,844,845,846,847,
248,840, 850,855,256,857,258,850,860,
261, 865, 866, 267, 868, 809, 871, 881, 806,
297,208, 899, 300, 308, 305, 315, 317, 318.
Cibrario, 80, 81, 85.
Cioognara, 86.
Cipriani Lionetto, colonnello, 134, 135, 136.
Clam Gallas, générale, 379.
Clarendon. 487, 577.
Clotilde, ai Sa^oia, 676.
Coccfai, 455.
Colli, générale, 80, 81, 82, 85.
Connean,50&
Contratti Loigi, 313.
Coppi Qiuseppe, 551.
Corcellet (De), 441, 448, 443, 445, 446, 447,
456, 4W, 469, 607.
Cordora (Di), générale, 414.
Coronini, maresdallo, 660.
CorrentI Ceeare, 65, 198.
Corsini, 130.
Corsini, senatore di Borna, 88, 106, 806.
Cortassa, capitano, 80.
Coeenz, capitano, poi loogotenenie colon-
neUo, 83, 388, 336, 338, 341, 344, 358.
CoBimo m di Toecana, 527.
Gossato. générale, 271.
Costantini Santé, 485,
Cowlej, 665.
Creonerille, générale, 543.
Criscelli Giacomo, 623.
Crotti, générale, 551.
Csany lÂigi, 3S7.
Csemjns, 386.
Csoricn, générale, 378-
Culoz, maresoiallo, 830.
Czartoryski, 205.
Czeodajeff, générale, 377.
Dabormlda, générale, 191.
I>alhmp, ammiraglio, 338, 338.
I>airOngaro Franceeoo, 40, 41.
Damiano, générale, 360, 370, 371, 385, 386.
Dandini, 485.
Dandolo Emilio, 431.
Dandolo Enrioo, 432.
Danneberg, 633.
Danzini, magfjfiore, 531, 532, 534-
Daan. maresciallo, 257.
DaTalos Alfonso, 435.
DaTorio, 432.
Délia Genffa, cardinale, 471, 481.
Demarganta, 325.
Dembinski, générale, 215, 216, 217, 377,
381, 382, 883, 387.
Demi Emilio, 509.
Derby, 675.
Deesewffy, 386.
Dias, capitano, 23, 49.
DiTersi, fenerale, 165.
Dronyn de Lhnya, 669.
DochoqQ4, 505.
Dufoor, générale, 204.
Dondas, Tioe-ammiraglio, 649, 651
Doparoq (De la Barre), colonnello, 6â6.
Durand, capitano, 396.
Durando GiOTanni, 18, 193. 827, 836, 241,
844, 845, 849, 850, 851, 858, 853, 855, 857,
858. 860, 261, 262, 266, 266, 270, 272, 297,
301.
Engelhardt, générale, 378.
Enrico IV, 597, 674,
Enrico Y, 590, 598, 597, 508.
Eepinasse, colonnello, poi générale, 478,
613, 653.
Eepirant, capitano, 396, 401.
EB&orhâzT. 158, 808, 390.
Erangelisu, 485.
Fabart, capitano, 401, 4U2, 405.
Fabbri Edoardo, 72, 84, 87.
Fabretti, 455.
FaUoDx, 426, 461.
Fanti, générale, 227, 280.
Farcito, 279-
Farina (La) Gioseppe, 528, 563, 1565, 566,
667.
Farini Garlo Luigi, 552, 55a
FaTa Angelo, 206.
FaTanoonr, colonnello, 310.
Fayant, maggiore, 459!.
FaTre Gii**
Uolio, 407, 505, 621, 671, 673, 681,
Farioli. 42a
Federico U di Pmaaia, 233, 236, 258,860,
867.
Federico Gngliélmo di Prussia, 483.
Ferdinando T, imperatore, 32, 140, 808, 810,
811, 381.
Ferdinando Borbone di Napoli, 88, 103,
108, 139, 158, 168, 164, 165, 171, 172, 178,
179, 180, 181, 182, 184, 185, 188, 193, 800,
391,396, 408, 411,418,478,561,562,564,
570, 671, 572, 574, 575, 576, 577, 578, 579,
580, 581, 583, 585, 586, 587, 588, 591-
Ferdinando di Savoia, duca di Genora,
130, 161, 227, 289, 248, 843, 845, 248, 258,
261, 265, 266, 269, 276, 897.
Ferrand, capitano, 401.
Ferrara, 168.
Ferrari da Grado, générale, 583, 538.
Ferrari (De), 89-
Ferrari, générale, 16, 64.
Ferretti, générale, 278, 279.
Fieschi, 675.
Filangeri, maresciallo, 165, 167, 168, 170,
J71, 174, 176, 178, 187, 566, 561, 567,
570, 572.
Filopanti Qoirico, 456.
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INDICE DBI NOMI PBOPBI
Final! Gaspare, 486.
Flotte (De) 621.
Fofflia, 23.
Folnri, 432.
Forbes, 463.
Forey, générale, 644.
Fornetti, 506.
Fortini, oolonnello, IM.
FosGOlo, 345.
Francesco I di Francia, 628.
Francesco Ginseppe, imperatore, 211, 212,
217, 321, 386, 526, 528, 543, 544, 551,
650, 680.
Fnncesco lY di Modena, 488, 546.
Francesco V di Modena, 538, 545, 546, 547,
548, 551, 552, 553.
Francbini Francesco, 140.
Fratemali Gaetano, 467.
Fusconi, 09, 106.
Galateo, colonnello, 12, 336, 339, 341, 355.
Galletti Bartolomeo, colonnello, 403, 404,
411.
Galletti Giuseppe, 98, 99, 100, 102.
Galletti Gustayo, 504.
Galvagno, 325.
GalTaui Giuseppe, 551.
Gandini Pietro, 551.
Gandolfl, 419.
Garderens, colonnello, 6 9.
Garibaldi, générale, 93, 94, 196, 403, 404,
406, 408, 409, 411, 412, 427, 429, 430, 431,
434, 435, 448, 449, 450, 451, 454, 462, 463,
464, 465, 466, 467, 468, 469, 584.
Gamiers Pages. 591, 600.
Gaspar, générale, 370.
Gastone Giovanni, 527.
GaTazzi, barnabita, 85, 93, 94, 131, 468.
GazzoUi, cardinale, 97.
Ghilardi, maggiore, 136.
Giacobazzi Lnigi, 551.
Gianotti, générale, 227.
Gioberti Vincenzo, 109, 110, 111, 122, 151,
152, 193, 194, 198, 200, 201, 202, 203.
229, 325.
Gioja Pietro, 539.
Giorgini Gaetano, 131.
Gioranni, arcidaca d'Austria, 208.
Giorannini Melchiorre, 222.
GiOTio Francesco. 306.
Giulay, maresciallo, 551, 681.
Gialio Gesare, 300.
Ginsti Vincenzo, 550.
Gladstone, 574.
Goltz, générale, 64.
Gomez Antonio, 670, 671.
G^rgey, générale, 213, 214, 216, 217, 231,
241, 248, 369, 370, 371, 372, 374,375, 376,
377, 378, 381, 382, 383, 384, 385, 387.
Gorkowski, générale, 365, 368, 418, 465.
Gortschakoff, maresciallo, 632, 633, 647,
648.
Grabbe, générale, 878, 381.
Grammant, générale, 217.
Grammont^ 489, 492, 493, 494.
Grandoni Lnigi, 485.
Grasse, 562, 563, 565.
Graziani, contrammiraglio, 23, 24, 25, 39,
42, 67, 63, 836, 337, 338.
Gregorio Blagno, papa, 494.
Gregorio XVl, papa, 396.
Grossardi Angelo, luogotenente, 539.
Grotjenhelm, générale, 378.
Goardnoci, 502, 506.
Goarini, 83, 86.
Guameri Francesco, 579.
GnerrazziDomenico, 122, 136, 138, 140, U2,
143, 144, 149, 160, 154, 155, 156, 157, 15fi,
390, 459, 498, 499, 501, 502, 503, liûl,
514 515.
GnesTlUer, générale, 427, 429, US.
Goglielmi, 470.
Guiccioli Ignazio, 115, 123.
Guinigi Leîio, 131, 133.
Guizot, 87.
Goyon, générale, 214, 380, 383, 385, 3^7,
492,493.
Haller. maresciallo. 290i
Hamelin, ammiragllo, 636, 649, 651, 65^
Harconrt (D'), 82, 87, 100, 103, 390, 3»1,453.
Hardwick, ammiragUo, 292.
Hasford, générale, 379.
Haynau, maresciallo, 118, 119, m, 230.
311, 312, 316, 317, 318, 319, 320, 323. S£?,
329, 332, 333, 334, 335, 337, 373, 374,3:9.
382, 383, 385, 387, 415.
flentzi, générale, 372.
Hess, maresdallo, 21, 272, 365.
Hugo Vittore, 478, 613, 619, 621, Qfô.
Hûbner, 678, 679, 684.
Httgel, 524.
Isabella di Spagna, 414.
Isola Giuseppe, 542.
Jellachich, générale^ 208, 209, 210, 235, 3^
369. 379, 38a
Jesanlow, ffenerale, 378.
Jessenak GioYanni, 387.
Jomini, générale, 243.
JOBti, 299.
Kanety, générale, 373.
Kasinczy Luicri, 387.
Kantcfa, Inogotenente colonnello, 33a
Kerpan, générale, 333.
Key, capitano, 561.
Kielmansegge, colonnello, 283, 9M.
Kiss £me8to, 386.
Klapka, générale, 214, 215, 216, 217, »».
370, 371, 374, 376, 377, 886.
Kmety, générale, 374, 383, 385, 387.
Knézich, colonnello, 371, 386.
Kollowrath, générale, 252, 264,266,266 544
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INDICE DEI NOMI PROFRI
699
KosSDtb, 212, 213, 215, 345. 370, 372; 375,
379, 383, 384, 367.
Kronloff, rtnerale* 647.
Koprianon, générale, 377.
Lacretelle, 623.
LaffuerroDÎère, 679.
Lahner, 386.
Lamarmora Alberto, eenerale, 11. 25, 26.
Lamarmora Alessandro, générale, 228,
250, 254, 291.
Lamarmora Alfonso, générale, 126, 191,
2U2, 205, 225, 229, 231, 237, 259, 262,
278, 280, 281, 289, 290, 292, 294, 296,
298, 302, 327, 660.
Lamartine, 30. 139. 478, 591, 023.
La Masa, colonnello, 169, 174, 175.
Lambmschini Baffaele, 538.
T Amenais, 126.
Lamoricière, générale, 204, 392, 616.
lADdshowne, 81, 170-
Landncci Leonida, 131, 511.
Langobardi, 177.
Lanza, générale, 165, 167, 408, 411,412.
Lanza Gioranni. 325.
lADzotta, loogotenente colonnello, 15.
L&scy. maresciallo, 257.
Latonr d'Auvergne, 308.
Latoar, maresciallo, 210.
Langier (De), générale, 152, 153, 154, 155,
512, 216.
Lannay (De), générale. 325.
Lazar, générale, 397, 385.
Lazzotti. 295.
Leblanc, colonnello, 401.
Ledra Kollin, 392, 501.
LeflO. 616.
Le^onvé, 681.
Leiningen, générale. 377. 381, 386.
Lemberg, maresciallo, i09.
Lenzoni OttaTÎq, 512, 524, 530. 531-
Leopoldo II di Toscana. 134, 137, 138, 139,
140, 141, 142, 144, 145, 146, 151, 15'i,
153, IW, 160, 200, 201. 202, 488, 499,
501, 502, 50.^ 505, 506, 507, 510, 512,
514, 515, 516, 518, 520, 523, 524, 526,
529, 531, 532, 533, 53-1. 547.
Lesseps Ferdiiiando, 407, 410, 421, 422,
423. 4SU, 426, 442, 443, 444, 445, 446.
Levaillant Carlo, générale, 427.
Levaillant Giovanni, générale, 427-
Liechtenstein Edoardo, générale, 71, 241,
214, 259, 515, 551.
Lichnowski, générale, 267.
Liprandi, générale, 656, 657.
Lisio, 163.
Livragbi, capitano, 466, 469-
LoTatelli, 71.
Lovera, générale. 227.
Lacan, générale, 656.
LQders, générale, 378, 379, 633.
Lodolf. 390.
Loigi d' Glanda, 593.
Loigi Filippo di Francia, 593, 594, 674.
Luisa Maria di Borbone. 541, 542, 543.
Lunati Giuseppe, 100.
M
Macchio, générale, 333.
MachiaveUi Niccolè, 71.
Mader, 308.
BCadier de Montjau, 021.
ICaestri Pietro, 24, 157.
Maffei, 313.
Magnan, générale, 615-
Kanmoad II, C27.
Mainardi, capitano, 20.
Malenchini Vinœnzo, 530, 534, 538.
Malvezzi, colonnello, 419.
Mameli Goffredo. 325, 431, 432.
Mamiani Terenzio, 69, 73, 99, 100, 101,
107, 108, 113.
Maaara Luciano, maggiore, poi colonnello,
35, 239, 303, 399, 401, 408, 430, 431, 449,
I 451, 453.
I Bfangin, capitano, C02.
' Manm Daniele, 22, 23, 24, 25, 29, 34, 36,
39, 40, 41, 42, 43, 52, 56, 57, 58, 61, 62,
63, 67, 68, 222, 328, 329, 334, 335, 337
3-15, 348, 360, 361, 362,363,360,367,528.
Bfanacci Michèle, 380, 399.
Maraviglia Luigi, 485.
Marescotti, colonnello, 416, 419.
Maria Antonietta di Napoli, 145.
Mariani, 456.
Marie, 591.
Marini, cardinale, 77. 83.
■ Marrochetti, colonnello, 411.
I Marrast Armando, 608.
I Marsich, contr'ammiraglio, 15, 29>
! Marsili, 419.
' Martel, monsignore, 106.
' Martelli Giaseppe, 504.
1 Martinolli, avvocato, 78.
Martinelli, capitano, 336.
, Martinengo, 313-
' Martinez de la Rosa, 100, 103, 390.
Martini, 505.
Marzocchi Celso, 131.
Masi, colonnello, poi générale, 403,404, 431-
MasBoni, monsignore, 517.
Mata (De), 584.
Materazzo, 23.
Mathieu, 478.
Mattioli, 420.
Mazzarosa Antonio, 505.
Mazzei Jacopo, 131, 512.
Mazzini Giuseppe, 114, 125, 126, 153, 390,
401, 405, 413, 'J24, 426, 443, 419, 453,
454, 455, 456, 461, 468, 523, 528, 548,
582, 583, 585, 670, 671, 672.
Mazzoni Giuseppe, 122, 123, 149, 150.
Maurer, générale, 267, 268.
Maurizio, maresciallo di Sassonia, 686.
Biayr Carlo, 119-
Mazzuchelli Ippolito, capitano, 40.
Medici Giacomo, colonnello, 429, 449, 450,
451, 462.
Medin, 365.
Médina, luogotenente colonnello, 555-
Mellara, colonnello, 309, 410, 432.
Meloni, abate e pnore, 134.
Mcngaido, générale, 29.
Menschikoff, maresciallo. 629, 654, 655,
657, 658, 661.
Merlo, 19.
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700
INDICE DEI NOMI PBOPBI
Mésoiuui, 615.
Ménàros, générale, 87& 387.
Metternich Clémente Vinceslao, 208, 471,
510, 588.
Meonier, maggiore, 613.
Meziacapo Carlo, capitano, poi maggiore,
83, 341.
Measacapo Lolgi, maggiore, poi luogote-
nente colonnello, 66, 67, 187, 387, 416, 489.
Michèle, grandaca di Kossia, 805
Mieroslawski, générale, 179, 554, 555, 556,
557, 558. 550, 56a
Milani, colonnello, 86.
Milano Âgesilao, 579, 580, 585.
HilitE, laogotonente colonnello, 319.
Milone, 579.
Hiloro Yinoenzo, 165.
Milosch, 677.
Mins^etti ICarco, 97.
Mi tis, générale, 46, 50, 51, 53, 63.
Mitridate Euoatore, 654.
M6ffa, ffeneraJe, 818, 8i3.
Mollard, générale, 887.
Mollière, générale, 487, 488.
Mentale, 888.
Montalembert, 477, 478.
Montanari. 97, 99.
MontaneUi Gioseppe, 99, 188, 137, 138.
139, 140, 148, 144, 145, 146, 148, 149,
150, 156, 158, 499.
Montecchi Mattia, 115, 183.
Montecuccoli, maresdallo, 380-
Montevemolo, 109.
Monti, colonnello, 386.
Montonlon, générale, 505-
Morandi, colonnello, 47, 48, 49, 50 51, 368.
Morchio Davide, 879.
Mordini. 81, 88, 38, 39, 149.
Morin, générale, 487.
Momy, 614, 668.
Moro, 338.
Morosini Emilie, 453.
M'^-— --' "- 8S0.
M : ...-.■ I* générale, 385.
ÏHcutiim Kagurdu. i93.
Mûrtara SiLlomaoe, 49X
Munid IV. rt2fî.
Murât Lurinno, l^ù, 677.
ÎHurfltori Pi^tro» T^t2.
Mu£ta|}bu Ffi''^" '-
Masto, 83.
Mozzarelli, monsignore, 99, 100, 101, 108,
111, 114, 115.
N
Nagy Kallù, 388.
NagiSa
_ _„. Sandor, générale, 377, 388, 383, 386.
Nakimoff, vice ammiraglio, 658, 665.
Napoleone I, il Grande, 833, 836, 837, 843,
857. 858, 859j 863, 308, 443, 595, 685, 673.
Napoleone Luigi, présidente e poi impe-
ratore, 118, Ul, 186, 184, 185,804, 393,
394, 406, 410, 438, 461, 469, 471, 478, 473,
474, 475, 476, 477, 478, 489, 493, 587, S88,
589, 530, 543, 544, 553, 598, 503, 594,595,
596, 597, 598, 599, 605, 607, 608, 609, 610,
611, 618, 618, 614, 615, 616, 617, 619, 680,
688, 683, 684, 685, 638, 639, 640, 650, 658,
655, 661, 668, 663, 664, 665, 666, 667, 668,
670, 671, 678, «74, 675, 676, 678, 680, «l.
684. 687.
Napdeone, prindpe, 658, 665, 676. 67;.
Napier, ammiraglio, 175, 178, 641.
Nardi Emilio, 558.
Nardoni Filippo, colonnello, 485.
Natoli Giaeeppe, 168.
Neri Corsini, 510, 538.
Nerli, 802, 530.
Nesaelrode, 63a
Nessi Pietro, 306.
Ney Edgardo, luogotenente colonnello, 4ït
473, 474, 47a
Niel, colonnello, 461.
Niocolè, CBU- di Bossia, 686, 687,629.63:'.
643, 646, 660.
Niooletti, maggiore, 410.
Nicotera GioTanni, 588, 583, 564.
Nigra, 385.
Nogent, maresciallo, 18, 314, 316, 319.
Nonziante, loogotenente colonnello, 588.
Nonziante, mareadaUo, 166, 167, 169, no,
174,484.
Odeecalchi Pietro, 470.
Odillon Barrot, 398, 393, 407, 471. 4ïl
477, 478.
Olira, 83.
OliTieri, générale, 66.
Olper, 68, 63.
Omer Pachà, 638, 633, 636, 648, 668, (Ifi«, <)61.
OpiBoni. arciyesooYO, 419.
Orsini Felice, 165, 175, 997, 587, d6& a»
671, 678, 073, 674, 67a
Ortenaia, regina, 593. 504, 506, 614.
Osman Pachà, 634, 635, 636, 649.
Osten Saken, 381, 63a
Ostrowski Ladislao, 805.
Ottinger, générale, 817.
Ottone I, di Greda, 644, 645.
Oodinot, générale, 393, 394. 398, 389, 40î.
401, 408, 404, 405, 406, 407, 408, 410, 4S3.
484,485, 486, 487,488,431,438.433,434.
435, 43a 437, 438, 430, 44a 441, 448, 441
444, 445, 44a 448, 449, 453, 45a 457, 45ts
459, 46a 461, 468, 468, 469, 47a 47t. 474.
477, 671.
<Ï7.
PidiaTÎâno afoigioi, 18a 528.
Fnili^î T^icHinto, &45.
Piilma^ inoosigaor^, lOa
PftlmerïtoTi, 3U HU 181, 18a 675^
Piiloîiiba, 114J»
Pt^nizza FmûCâsco, 54&
Piu]LutJii6^ C^naraU^ 374.
Pautalwni, Iû7,
Tnoh ]\\ papa, 4SL
Paofo V, papa. 488»
Paolm^i, c^ioriEeMo, poi générale, I3,)0o>
Ya T^to L-i . : 2, 163, 191, 198, 193. «»
Tatktir, SLSoiikUtt^kkih, 161, na 134.
Parseval Descbesues, ammiraglia 6IS.
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INDICE DEl KOMI PBOPBI
701
Fasini LodoTÏoo, 345.
Pasini Yalentino, 57.
Paskiewitchf maresdallo, 373, 377, 378,
381, 382, 885, 648.
Pasolini Gioaeppe. 88, 95, 97, 98, 90.
Pasqualis (De), colonnello, 4ô£.
Paaàdaoqna, générale, £27, 205, 27a
Passanante, 674.
PaTOlini LQigi, 504, 538.
Pelissier, mareeciallo, 616, 661.
Pelle^ni, 295.
Pelloni Stefimo, il Ai#«ator«, 484.
Pennacchi, 455-
Pepe Gaglielmo, générale, 5, 11. 15, 16^ 17,
S6, 34, 36, 43, 45, 46, 47, 48, 49, 51, 53,
64, 66, 67, 126, 327, 828, 330, 332, 347,
348, 350, 351, 355, 361, 262, 368, 391.
Peratta, 432.
Perazzi, 352.
Perczel, générale, 380, 382, 387.
Pereny, 387.
Perrlass, générale, 51, 64, 66, 70, 333.
Polcoli, 470.
Perktns, 320.
Perrone, générale, 191, 227, 229, 236,
243, 246, 258, 261, 265, 267, 269, 270, 297.
PersignTi GioT. Gilberto Fialin, 614, 615.
Pemaâ Ubaldino. 503, 534, 537.
Pncantini Fedenoo, 119.
PetrofTich Danilo, 642.
Piandani, 417.
Pianori, 675.
Pieri, 623. 624.
I^eri Andréa di Locca, 670, 671, 674.
Pieri, profeesore, 470.
Pietro il Grande di Russia, 627.
Pietro Leopoldo di Toscana, 528.
Pigli, 153.
PineUi Pier Dionigi, 191, 192, 193, 195,
196. 200, 309, 325.
Pio VU, papa, 486.
Pio IX, papa, 70, 71, 72, 73, 76, 77, 81, 83,
S5, 86, 87, 89, 91, 92, 98, 99, 100, 101,
106, 107, 109, 113, 114, 118, 142, 152,
SOO, 201, 390, 301, 396, 408, 414, 421,
443, 461, 468, 470, 471, 473, 475, 476,
478, 470, 480, 482, 485, 486, 487, 488,
489, 402, 494, 405, 406, 526, 573, 576,
607, 611, 661, 660, 678.
Piiaino, 168, 174.
Pisacane, colonnello, 527, 582, 583, 584, 685.
Pisani, 162.
Pizzardi, 410.
Pleaa^ 110, 200.
Pocgi fiirico, 538.
Pomni, colonnello. 432.
Poltenberv, générale, 372, 374, 377, 881, 386.
Pompeo, 300.
Potenziani, 102.
Pracanica Antonio, 165, 175.
Priuli, 365.
Pronio, maresdaUo, 165, 167, 168, 160,
170, 174.
Paclmer, générale, 370.
Radetzky, niaresciallo, 12, 64, 65, 66, 67,
71, 145, 195, 107, 201, 221, 223,224,225,
226, 220, 830, 231, 233, 234, 235, 287,
238, 241, 242, 243, 246, 247, 256, 258,
250, 281, 262, 268, 260, 270, 275, 276,
277, 280, 206, 207, 200, 301, 302, 306,
315, 318, 323, 328, 332, 333, 334, 835,
346, 364, 865, 367, 368, 388, 426, 507, 538.
Kaeli, 186.
Raflaele, 568, 560.
Baglan, générale, 641, 640, 651, 666, 657,
658,661.
Baimondi Giorgio, 306.
Balli, 470.
Ramorino, générale, 225, 227, 220, 237,
230, 240, 241, 243, 244, 245, 280, 302-
Rasori, 432.
Rath, maresdallo, 230.
Rattazzi Urbano, 108, 324, 588.
Ravaillac 647.
Ramno, 105.
RaynoTal, 175, 181, 185, 300, 460. 476, 480.
Regnaolt de Saint Jean d'Angély, géné-
rale, 427, 463.
Reschid Pachà, 630.
Reta GoBtantino, 270, 202, 29&
Révère Ginseppe, 24, 36, 30.
Ribotti, générale, 345, 550.
Ricasoli Bettino, 131, 503,504, 514,588.
RicasoU Orazio, 504.
RicaodT, contr'ammira^iio, 33. 34, 43.
Riccaroi, toscovo, 100.
Ricci, 105, 101, 108.
Ridolfl Gosioio, 538.
Rilkat Pachà, 632.
Rlgaolt de Oenooilly, eapitano di ya-
Bcello. 666.
Righetd Pietro, 07.
Rignano, 86^ 102.
Rignano (Dachessa di;, 9&
Riso, 162, 563, 564, 568.
Riza PactiÀ, générale, 640.
Riznurdi, générale, 15, 53, 327, 388.
Roberti, monsignore, 105. '
Rocca (La), générale, 227.
Roffoet, générale, 615.
Rokawina, eapitano, 466, 407.
Rombert, générale, 378.
Ronzelli, Inogotenente colonnello, 87.
Rosellim, 100, 200.
Rosmini Antonio, abate, 89, 100, 101.
Rossaroll Gesare, eapitano, poi Inogote-
nente colonnello, 26, 386, 339, 341, 350,
351.
Bosselli, colonnello, poi générale, 397. 408,
411, 412, 413, 431, 485, 448, 449.
Roisi, abate, 106.
RoBSi Filippo, 504.
Rossi, générale, 228.
Rossi Pellegrino, 86, 87, 88, 90, 92, 96,96,
^97,98,102, 142, 194, 197,485.
Rostolan, générale, 461, 472, 474, 478.
Rota, 109.
Rothschild, 320.
Rttdiger, générale, 377, 384.
Radio Carlo, 67û, 671. 674.
Rnkowioa, maresdallo, 380, 888.
Rnsconi Carlo, 115, 124.
Rossel, 639.
Saccbetti, 104, 470.
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702
INDICE DBI KOMI PBOPBI
Saffi Aorelio, 123, 1^. 126. 900. 124.
Safredo, capitano di cor>etta, 344.
Saint Arnaud Leroy, maresciallo, 616. 622,
041, 649, 661, 653. 654. 6^ 666.
Salasoo, générale. 21.
Saleri. 312.
Saliceti Aorelio, 115, 456, 456.
Salomone. 23.
SalTa^oli Vinoenzo, 63&
Samminiatelli Donato. 131.
Sanfermo. générale. 15.
Sangenrasio Gîrolamo, 213.
San Martino, 23.
Sanmicbele. 9.
Santarosa Teodoro. 274
Santa Rosalia, oolonnello ^5 557. 658
560. 560.
SaoTitale Loigi, 539.
Satriano, 561, 567, 568. 670, 572, 576.
SaTelli, monsignore, 395, 396, 411.
SaTÎni, colonne Uo, 401, 403.
SaoTant, nperale, 427, 429, 450, 461.
Scanunncdiî, 47a
ScaronJ, 432.
Scbal^tsche, maresciaUo, 230 252, 261,
266.
Schamyl,663.
Schanz, générale, 247.
Schlick, générale, 214, 215, 36d, 360, 374,
385.
Schmid, générale, 166.
Scfawanenberg, 54S.
Scbwarzenberg Felke, générale 211, 217.
Schoelcber. 621.
Seumit Dooa, Inogotenenteoolonnetto, 318.
Selim I, 627.
SeUm Pachà, 633.
Serani, loa
Seirittori Loigi, 500, SOI, 504, 507.
Settimo Roggero, 566, 566, 567.
Simbechen, générale, 333, 385.
Siltani, 419.
Sineo Riccarda 191, 196, 303.
Sirtori Gioseppe, capitano e poi loogo-
tenente cokimello, 21, 22, 39, 58. 62,
63, 328, 336, 339, 311, 344, 347,356,362.
SiTori. 432.
Solerii générale. 356*
Solimano I, il MagmUieo. 628.
Sofia, arddncliessa d^Aostria, 211.
Sofia Maria di Napoli. 587, 588-
So^lia. cardinale, 84, 86, 99, 100.
Solaro générale, 277.
Solaroli, générale. 225. 229, 236, 246, 268,
261, 260, 297. 302.
Sonnaz (De) Rttore, générale, 198, 206-
Spagna. 470.
Spaiir, 103-
Speri Tito, 315l
Spinusa, 579-
Splenj, 199.
Stabile Mariaiio, 160, 564.
Stadion, générale, 262, 321.
Sterbini Pietro, 100, 108, 113, 115, 123.
Strassoldo, générale, 247, 259.
Stnrbinetti Fnuaœsoo, 97. 99.
Stnmer, maresciaUo, 51, 539.
Snsan, genera]^ 64, 66.
Sacsnty fiuioo. 387.
Snnere, 370, 387.
Tabarrini 505.
Tavani, 470.
Tecchio Sebastiano. 68, 198< tlif.
Temple, 181.
Teoli, 35.
Thiemann. renerale, 205.
Tbiers AdoUo. 204, 617.
Thom genertie, 333, 415-
Thom, mareedalkx. 12. S30, dld. 25d. ^c.
264, 268, 270, 273. 274, 276l S77. 3l^
377, 339. 311, 312, 35a 351. 35», 305.
Tirelli Giuseppe, 562.
TooqneTille. 426, 461.
, Toffoli. 23.
Tommaseo Nieoold, 23, 32, ^, 31, 57. 5i^
' 61, 63. 357, 367.
Torelli Loiin, 310-
Torkmia, 482.
. 'HJrQk, 38a
, Torre Federico, 99.
I Torrifiani Garto, 504.
I Totleben, générale. 662.
I Trobiand (De), mareedaUo, lâa 551.
Tropkmg, 668.
Trotti, générale, 227.
XJ
Ulivi Gineeppe, 504.
UUoa, oolonnello, e poi générale, 23. 4v
333,336 337,339,340,341,342 343.34:.
361. 533. 537.
Umberto I, re dltilia. 674.
Urban, générale, 385.
t'rbano vn, papa, 403.
Ungarellî Gaetano, 486.
Taoearo, 23.
Taillant, générale, 40a
Yakrio Loreoao, 126, 127, S03.
Yannicelli, cardinale, <71, 4Sa
Yanoocd Atto, 638.
Vannntelli, 491, 492.
Valent», générale. 212.
Vico Salnttore, 562, 563.
Tillamarina, générale, 231.
Yirgili,23.
Visoonti Tenosta Emilio 52a
Yisoowich, capitano di corretta^ 344.
Tittoria, regina d^Inshilterra, 633.
Tittorio Emanuele, diioa di SaToia, e poi
re d'Italia, il Oalaaiwmo, 228, 229, 236l
241, Sia 249, 250, 251, 252, 258. 255 25&
257, 258, 261, 862, 267, 278, 275^ 278, 2S:.
203, 294, 297, 801, 315, 886. 328, as, 530.
633,534, 643, 541, 648, 650, 658, 563, d6«.
666, €7a68a
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INDICE BEI NOMI PBOPBI
703
Walewski, 508, 530, 578, 675.
Wecsey, générale, 382. 383, 385.
Weldon^ 13, U, 16, 19, 21, 25, 43, 51. 72,
74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 83, 328,
337. 371.
Wettér, générale, 217, 387.
Wiederkhem LeoDoldo, maggiore, 548.
Wimpffen, générale, 24L 277.
Wimi»iFen, maresciallo, 276, 277, 415, 417.
418, 419, 420, 421.
Windiflchgifttz, maresciallo, 210, 213, 214,
215, 216, 237, 388, 369, 370.
Winspeare, générale, 408, 409.
Wîsocky, générale, 371, 382, 387.
Wocher, maresciallo, 230, 247, 259, 262,
264, 267, 269, 270, 333.
Wohlgemutb, marescial)o> 230, 231, 241,
248.
Woroniecsky, 386.
Woronzoïr, 633.
Wratislaw, générale, 230, 241, 246. 247,
248, 252, 250, 262, 264,267, 868, 270, 323.
Wyss, générale, 374.
Zaccbi, abate, 134.
Zambeccari, colonnello< 49. 50, 51i 417,
419.
Zambelli GioTanni, 311, 312.
Zambianchi, 455.
Zanetti, 158, 504.
Zanolini, 419.
Zendrino Bemardino, 7.
Zini Loigi, 552.
Zobi Antonio, 527.
Zacchi, générale, 87. 88, 94, 104, 105, 109,
413.
Zucchini Gaetano, 78, 79, 108.
r/f//o
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TOBDTO — EOUX X FAVAIiE — tobuto
OJLRL,0 MAKIAKI
Le km dell'lDlipdeDza ItaliaDa
dal 1848 al 1870
STORIA POLITICA E' MILITARE
VOLUME PRIMO.
Introduzione (Vicende dell'Italia e delPEuropa dalla
caduta del primo Napoleone fino alla esaltazione di Pio IX)
— Carlo Alberto e Pio IX — L'agitazione Lombarda e
la guerra del Sonderbund — Le Costituzioni — La Re-
pabblica in Francia e la sollevazione lombardo-veneta —
Lltalia levasi a guerra contro TAustria — Le armi guer-
reggianti — La sede délia guerra — Primi fatti d'arme
— L'esercito pontificio nelle Venezie ; sue imprese — Il
15 maggio a Napoli — Santa Lucia — Annessione délia
Lombardia al Regao Sardo — Dedizione di Venezia alla
Sardegna — Sommacampagna e Custoza — Milano e le
tregue. — Indice dei nomi propri.
Un vol. di oltre 650 pag. in-8o gr. — L. S,
Si spedisce in porto aifrancato contro vaglia postale
0 lettera r&ccomandata.
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TOBiHO — ROUX B FAVALE — tomno
CORRISPONDENZA
EDITA ED INEDITA
DEL ooirrE
CAMILLO CAVOUR
(1821-1861)
Quest'opera importantissima, che contieae circa 900
lettere deirillustre uomo di Stato, délie quali la maggior
parte inédite, uscirà corredata da interessanti note sto-
piche, in tre volumi, in-8<», il primo dei quali sarà pub-
blicato verso la âne del prossimo giugno.
Oiascun volume comprenderà un période spéciale délia
vita di Camillo Cavour, e la materia verra ripartita corne
segue:
VoL I (18âl-52) - DaU'ioeademia militait aUa Preddema iû Ctin^
V n (1852-58) - AlleaRza di Crimea - Congresso di Parigi - Pteakièm.
« m (1858-61).
Si spedisce in porto &ûrancâto contro vaglia postale
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ToaiHO — BOTJX X PAVALE — toeino
O. DI PBRSAITO
CAMPAGNA NAVALE DEGLI ANNI 1860 E 1X61
DIAUO PUfATO-fOUTICOllIUmB
OUARTA ■DHIONK
sccnratameiite rivedots, ed accnadnta di Tuie pieùose lettere inédite
del Conte di Cavouk e di note dello scrittore
Un volume in 8° grande di pagine 470 — L. 6.
roLim mm mluna
(1863-1870)
Vittorio Emanuele e Giuseppe Mazzini — Progetto di
spedizione in Gallizia — Viaggio di Garibaldi in Inghil-
terra — Garibaldi ad Ischia — Paure e sospetti dopo la
convenzîone del 15 settembre — La Permanente di Torino
e Gius. Mazzini — Il ministre Ricasoli e Napoleone III
— L'art. V del trattato di Praga — Dopo Montana —
Mazzini e Bismark — Mené di Mazzini in Piemonte —
Primo tentative di conciliazione fra il Ministère Lanza e
la Corte Pontificia. — Indice alfabetico dei Personaggi
citati nelPopera.
Un vol. in-8o gr. di pag. 450 — Xj. B,
Si spedisoe in porto attrancato contra vâglia postale
0 lettera raccomandata.
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Toanro — ROUX k PAVALE — tobino
OAJEir.0 DIONISOTTI
StORI4 DELIA lÀGimATURÂ PlEMONTESE
VOLUm PRIMO.
I Primordi del Piemonte — Le prime annessioni —
Gli Statuti di Amedeo VIII — Il Senato in Piemonte —
La decadenza del Piemonte — Emanuele Filiberto — Le
giurisdizioni speciali — L'interinazione délie leggi e re-
scritti sovrani — Le reggenze — La Sicilia e la Sardegna
— Le Régie Costituzioni — Lo Stato e la Ghiesa — L'or-
dinamento giudiziario seconde le Régie costituzioni — l
Tribunali Ecclesiastîci — L' occupazione francese ~
Unione del Piemonte alla Francia
La ristorazione — Il Senato dî Genova — I moti libe-
rali — I Codici — Preminenze, prérogative, usi e costumi
dei Magistrat! — Lo Statuto — Epilogo — Appendice
(contenente oltre mille biografie di magistrati) — Indice
alfabetico — Indice dei magistrati.
Ogni volume L. 6.
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^-'?*'
HARVARD LAW LIBRARY
FROM THE LIBRARY
OF
RAMON DE DAI-MAU Y DE OIJVART
MARQUÉS DE OLIVART
Received December 31, 191 r