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Full text of "Eneide [di] Virgilio. Libro 1"

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DELL’ ENEIDE 


DI VIRGILIO 


LIBRO SETTIMO 


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ARGOMENTO 


Giunta a Laurento la Troiana armata 
Dal re Latino ha pace ; e nuove mura 
Disegna. Aleito , di Giunon ministra, 
Sparge di guerra i semi: indi di Troia 
Contra le genii s° arma il Lazio tutto. 


Ed ancor tu, d' Enea fida nudrice 
Caieta, a 1 nostri liti eterna fama 
Desti morendo; ed essi anco a te diero 
Sede onorata, se d’ onore a’ morti 
È d' aver l' ossa consecrate e ’1 nome 5 
Ne la famosa Esperia. Ebbe Caieta 
Dal suo pietoso alunno esequie e lutto, 
E sepoltura alteramente eretta. 


Tu quoque litoribus nostris, aeneia nutrix, 

A ternam moriens famam, Caieta, dedisti; 

Et nunc servat honos sedem tuus, ossaque nomen 

Hesperia in magna, si qua est ea gloria, signat. 

At pius exsequiis /Eneas rite solutis, 5 

Aggere composito tumuli, postquam alta quierunt 

4Equora, tendit iter velis, portumque relinquit. 
Eneide ol. II I 


0 ENEIDE 


Indi, già fatto il mar tranquillo e queto, 
Spiegàr le vele a' venti, e i venti al corso 10 
Eran secondi; e 'n sul calar del sole f 
La luna, che sorgea lucente e piena, 
Chiare l’ onde facea tremole e crespe. 
Uscir del porto; e pria rasero i liti 
Ove Circe del Sol la ricca figlia 19 
Gode felice, e mai sempre cantando 
Soavemente al periglioso varco 
De le sue selve i peregrini invita: 
E da la reggia, ove tessendo stassi 
Le ricche tele, con l’ arguto suono 20 
Che fan le spuole e i pettini e i telari, 
E co’ fuochi de’ cedri e de’ ginepri 
Porge lunge la notte indicio e lume. 

Quinci là verso il di, lontano udissi 
Ruggir lioni, urlar lupi, adirarsi, 25 
E fremere e grugnire orsi e cignali, 


Adspirant aurae in noctem; nec candida cursus 
Luna negat: splendet tremulo sub lumine pontus. 
Proxima circaeae raduntur litora terrae: 10 
Dives inaccessos ubi solis filia lucos | 
Assiduo resonat cantu, tectisque superbis 

Urit odoratam nocturna in lumina cedrum, 
Arguto tenues percurrens pectine telas. 

Hinc exaudiri gemitus iraeque leonum 15 
Vincla recusantum, et sera sub nocte rudentum: 
Saetigerique sues, atque in praesepibus ursi 


LIBRO SETTIMO 7 


Ch’ eran uomini in prima; e ’n queste forme 

Da lei con erbe e con malíe cangjati 

Giacean di ferri e di ferrate sbarre 

Ne le sue stalle incatenati e chiusi. jo 

E perché ció non avvenisse a i Teucri 

Che buoni erano e pii, da cotal porto 

E da spiaggia sì ria Nettuno stesso 

Spinse i lor legni, e diè lor vento e fuga, 

Tal che fuor.d' ogni rischio li condusse. 35 
Già rosseggiava d' Oriente il balzo, 

E nel suo carro d' ostro ornata e d' oro 

L' Aurora si traea de l’ onde fuori, 

Quando subitamente ogni aura, ogni alito 

Cessò del vento, e ne fu'| mare in calma 40 

Sì ch'a forza ne gfan de’ remi appena. 
Qui la terra mirando il padre Enea 


Suevire, ac formae mag norum ululare luporum. 
Quos hominum ex facie Dea saeva potentibus herbis 
Induerat Circe in vultus ac terga ferarum. 20 
Quae ne monstra pii paterentur talia Troes 

Delati in portus, neu litora dira subirent, 
Neptunus ventis implevit vela secundis, 

"tque fugam dedit, et praeter vada fervida vexit. 


Jamque rubescebat radiis mare, et aethere ab alto 25 


Aurora in roseis fulgebat lutea bigis, 

Quum venti posuere, omnisque repente resedit 
Flatus, et in lento luctantur marmore tonsae. 
"tque hic /Eneas ingentem ex aequore lucum 


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8 ENEIDE 


Vede un'ampia foresta, e dentro un fiume - 

Rapido, vorticoso e queto insieme, 

Che per l’ amena selva, e per la bionda 45 

Sua molta arena si devolve al mare. 

Questo era il Tebro, il tanto desiato, 

Il tanto cerco suo Tebro fatale: 

A le cui ripe, a le cui selve intorno, 

E di sopra volando ivan le schiere 50 

Di più canori suoi palustri augelli. 

Allor, Via, dice a' suoi, volgete il corso, 

Itene a riva. E tutti in un momento 

Rivolti e giunti, de l' opaco fiume 

Preser la foce, e lietamente entraro. 55 
Porgimi, Erato, aita a dir quai regi, 

Quai tempi, e quale stato avesse allora 

L’ antico Lazio, quando prima i Teucri 

Con questa armata a’ suoi liti approdaro; 

Ch’ io dirò da principio le cagioni 60 


Prospicit. Hunc inter fluvio Tiberinus amoeno, 30 
Vorticibus rapidis, et multa flavus arena, 
In mare prorumpit. Variae circumque supraque 
Assuetae ripis volucres et fluminis alveo 
ZEthera mulcebant cantu, lucoque volabant. 
Flectere iter sociis, terraeque advertere proras 35 
Imperat, et laetus fluvio succendit opaco. 

Nunc age, qui reges, Erato, quae tempora rerum, 
Quis Latio antiquo fuerit status, advena classem 
Quum primum ausoniis exercitus appulit oris, 


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LIBRO SETTIMO 9 


E gli accidenti, onde con essi a l’ arme 

Si venne in. pria: dirò battaglie orrende, 

Dirò stragi d' eserciti, e duelli 

De' regi stessi, e la Toscana tutta, 

E tutta anco l’ Esperia in arme accolta. 65 
Tu d' Elicona Dea, tu ciò mi detta, 

Ch' altr’ ordine di cose, altro lavoro, 

E maggior opra ordisco. Era signore, 

Quando ciò fu, di Lazio il re latino, 

Un re che véglio e placido gran tempo 70 
Avea il suo regno amministrato in pace. 

Questi nacque di Fauno e di Maríca 

Ninfa di Láurento, e Fauno a Pico 

Era figliuolo, e Pico a te, Saturno, 

Del suo regio legnaggio ultimo autore. 73 
Non avea questo re stirpe virile, 

Com' era il suo destino; e quella ch' ebbe, 


Expediam, et primae revocabo exordia pugnae. 40 

T'u vatem, tu, Diva, mone. Dicam horrida bella; 

Dicam acies, actosque animis in funera reges, 

Tyrrhenamque manum, totamque sub arma coactam 

Hesperiam. Maior rerum mihi nascitur ordo; 

Maius opus moveo, Rex arva Latinus, et urbes ^ 45 

Jam senior longa placidas in pace regebat. 

Hunc Fauno, et nympha genitum Laurente Marica 

Accipimus: Fauno Picus pater: isque parentem 

Te, Saturne, refert; tu sanguinis ultimus auctor. 

Filius huic, fato Divm, prolesque virilis 50 
Eneide Zol. II 2 


10 ENEIDE 


Gli fu nel fior de' suoi verd' anni ancisa. 

Sola d'un sangue tal, d' un tanto regno 

Restava una sua figlia unica erede, 80 

Che già d' anni matura, e di bellezza 

Più d' ogni altra famosa era da molti 

Eroi del Lazio e de l';: Ausonia tutta 

Desiata e ricerca. Avanti a gli altri 

La chiedea Turno, un giovine il più bello, 85 

Il più possente e di più chiara stirpe 

Che gli altri tutti; e più ch'a gli altri a lui, 

Anzi a lui sol la sua regina madre 

Con mirabile affetto era inchinats. 

Ma che sua sposa fosse, avverso fato, 9o 
. Varii portenti e spaventosi augurii 

Facean contesa. Era un cortile in mezzo 

A le stanze reali, ove un gran lauro 

Già di gran tempo consecrato e colto 

Con molta riverenza era serbato. 92 


Nulla fut, primaque oriens erepta iuventa est: 
Sola domum et tantas servabat filia sedes, 

Jam matura viro, iam plenis nubilis annis. 

Multi illam magno e Latio, totaque petebant 

‘ Ausonia: petit ante alios pulcherrimus omnes 55 
Turnus, avis atavisque potens: quem regia comux 
Adiungi generum miro properabat amore: 

Sed variis portenta Dem terroribus obstant. 

Laurus erat tecti medio, in penetralibus altis, 
Sacra comam, multosque metu servata per annos: 60 


LIBRO SETTIMO IT 


Si dicea che Latino esso re stesso 

Nel designare i suoi primi edifizii, 

Là've trovollo, di sua mano a Febo 

L' avea dicato; e ch’ indi il nome diede 

A' suoi Laurenti. À questo lauro in cima 100 
Maravigliosamente di lontano 

Romoreggiando a la sua vetta intorno 

Venne d'api una nugola a posarsi; 

E con l'ali e co’ piè l' una con l'altra, 

E tutte insieme aggraticciate e strette 109 
Stier d’ uva in guisa a le sue frondi appese. 

Ciò l' indovino interpretando, Io veggo, 

Disse, venir da lunge un duce esterno, 

Ed una gente che d' un loco uscita 

In un loco medesmo si raune, 110 
Ed altamente ivi s' alloga e regna. 

Stando un giorno, oltre a ciò, Lavinia virgo 


Quam pater inventam, primas quum conderet arces, 
Ipse ferebatur Phoebo sacrasse Latinus, 
Laurentisque ab ta nomen posuisse colonis. 

Huius apes summum densae (mirabile dictu), 
Stridore ingenti, liquidum trans aethera vectae, 65 
Obsedere apicem; et, pedibus per mutua nexis, 
Examen subitum ramo frondente pependit. | 
Continuo vates: Externum cernimus, inquit, 
Adventare virum, et partes petere agmen easdem, 
Partibus ex í(sdem, et summa dominarier arce. 70 
Praeterea, castis adolet dum altaria taedis, 


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-hiunque il vide. 

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EU fama illustre 125 

lé de portendea; 

zcEmerra a’ popoli. 


t vinia virgo, 

Sendere crinibus ignem, 
pma crepitante cremari, 
accensa Coronam 7 






figna fatisque canebant 
A porcendere bellum. 80 
zoracula Fauni, 


-ASosque sub alta 
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LIBRO SETTIMO 13 


Suo genitor ne l' alta Albunea selva 130 
Per consiglio ricorse. E questa selva 

Immensa, opaca, ove mai sempre suona 

Un sacro fonte, onde mai sempre esala 

Una tetra vorago. Il Lazio tutto 


E tutta Italia in ogni dubbio caso — . 135 | 


Quindi certezza, aita e ’ndrizzo attende. 

E Y oracolo è tale. Il sacerdote 

Nel profondo silenzio de la notte 

Si fa de l' immolate pecorelle 

Sotto un covile, ove s' adagia e dorme. 140 

Nel sonno con mirabili apparenze . 

Si vede intorno i simulacri e l ombre -. ^. 

Di ciò ch’ ivi si chiede, e varie voci 

Ne sente, e con gli Dei parla e con gl’ Inferi. 
In questa guisa il re Latino stesso. -. ...-.: 145 

Al vaticinio del suo padre intento 


Consulit Albunea, nemorum quae maxima sqcro 
Fonte sonat, saevamgue exhalat opaca mephitim. 
Hinc italae gentes, omnisque oenotria tellus . . 85 
In dubiis responsa petunt. Huc dona sacerdos . 
Quum tulit, et caesarum ovium sub nocte silenti 
Pellibus incubuit stratis, somnosque petivit: . 
Multa modis simulacra videt volitantia miris, 

Et varias audit voces, fruiturque Deorum. ^ 9o 
Colloquio, atque imis Acheronta affatur "vernis. 
Hic et tum pater ipse petens responsa Latinus, 
Centum lanigeras mactabat rite bidentes, ‘ 





14 ENEIDE 


Cento pecore ancide, e i velli e i terghi 

Nel suol ne stende, e vi s' involve e corca: 

Ed ecco un’ alta repentina voce 

Che, dc la selva uscendo, intuona e dice: 150 

Invan, figlio, procuri, invan t immagini 

Che tua figlia s' ammogli a sposo ausonio. 

Vane e nulle saran le sponsalizie 

Ch' or le prepari. Di lontano un genero 

Venir ti veggio; per cui sopra a P etera 155 

Salirà il nostro nome; e i nostri posteri 

Ne vedran sotto i piè quanto l’ Oceano 

D' ambi i lati circonda, e ’1 sole illumina. 
Questa risposta e questi avvertimenti, 

Perchè di notte e di secreta parte 160 

Fosser da Fauno usciti, il re non tenne 

In se stesso celati; anzi la fama 

Per le terre d' Ausonia gli spargea, 


"Atque harum effultus tergo stratisque iacebat 
Velleribus. Subita ex alto vox reddita luco est: 95 
Ne pete connubiis natam sociare latinis, 

O mea progenies, thalamis neu crede paratis. 
Externi veniunt generi, qui sanguine nostrum 
Nomen in astra ferent, quorumque a stirpe nepotes 
Omnia sub pedibus, qua sol utrumque recurrens 
Adspicit Oceanum, vertique regique videbunt. 

Haec responsa patris Fauni, monitusque silenti 
Nocte datos , non ipse suo premit ore Latinus; 

Sed circum late volitans iam fama per urbes 


LIBRO SETTIMO 15 


Quando la frigia armata al Tebro aggiunse. 
Enea col figlio e co’ suoi primi duci 165 

A l ombre d' un grand’ albero in disparte 

Da gli altri a prender cibo insieme unissi. 

Eran su l' erba egjati; (e come avviso 

Creder si dee che del gran Giove fosse,) 

Avean poche vivande; e quelle poche 170 

Gran forme di focacce e di farrate 

In vece avean di tavole e di quadre, 

E la terra medesma e i solchi suoi 

Ai pomi agresti eran fiscelle e nappi, 

Altro per avventura allor non v' erà 175 

Di che cibarsi. Onde, finiti i cibi, 

Volser per fame .a quei Jor deschi i denti, 

E motteggiando allora, O, disse Iulo, 

Fino a le mense ancor ne divoriamo: 


dusonias tulerat; quum laomedontia pubes 105 

Gramineo ripae religavit ab aggere classem. 
ZEneas, primique duces, et pulcher Iulus 

Corpora sub ramis deponunt arboris altae, 

Instituuntque dapes, et adorea liba per herbam 

Subüciunt epulis, (sic Iuppiter ipse monebat) — 110 

Et cereale solum pomis agrestibus augent. 

Consumtis hic forte aliis, ut vertere morsus 

Exiguam in Cererem penuria adegit edendi, 

Et violare manu malisque audacibus orbem 

Fatalis crusti, patulis nec paroere quadris: 115 

Heus! etiam mensas consumimus? inquit Iulus. 


16 ENRKIDE i 


E rise e tacque. A questa voce Enea, 180 
Sì come a fin de le fatiche loro, | 
Avverti primamente, e stupefatto 

Del suo misterio, subito inchinando 

Disse: O da’ Fati a me promessa terra, 

Io te devoto adoro: e voi ringrazio, 185 
Santi numi di Troia, amiche e fide 

Scorte de gli error mici. Questa è la patria 
Quest’ è P albergo nostro e questo è ’1 segno 
Che il mio padre lasciommi ( or mi ricordo 

De gli occulti miei fati). Alor, dicendo, —190 
Che saraf, figlio, in peregrina terra 

Da fame a manducar le mense astretto, 

Fia ’1 tuo riposo: allor fonda gli alberghi, 

Allor le mura. Or questa è quella fame, 

Ultimo rischio ad ultimar prescritto 199 


Nec plura alludens. Ea vox audita laborum 

Prima tulit finem; primamque loquentis ab ore 
Eripuit pater, ac stupefactus numine pressit. 
Continuo, Salve, fatis mihi debita tellus, 120 
Vosque, ait, o fidi Troiae, salvete Penates. 

Hic domus, haec patria est. Genitor mihitalia, namque 
(Nunc repeto) Anchises fatorum arcana reliquit: 
Quum te, nate, fames ignota ad litora vectum 
Accisis coget dapibus consumere mensas: 129 
T'um sperare domos defessus, ibique memento 
Prima locare manu, molirique aggere tecta. 

Haec erat illa fames: haec nos suprema manebant 


LIBRO SETTIMO 17 


Tutti i nostri altri perigliosi affanni. 

Or via, dimane a l' apparir del sole 

Per diversi sentier lungi dal porto 

Tutti gioiosamente investighiamo 

Che paese sia questo, da che gente 200 
Sia colto, o dove sian le terre loro. 

Ora a Giove si bea; faccinsi preci 

Al padre Anchise; e sian le mense tutte 

Di vin piene e di tazze. E, ciò dicendo, 
Di frondi s' inghirlanda; e del paese 205 
ll genio, e de la terra il primo nume 
Primieramente inchina, e le sue - Ninfe, 

E ’1 fiume ancor non conto. Indi la Notte, 

E de la Notte le sorgenti stelle, 

E Giove Idéo, e d' Ida la gran madre, 210 
E la madre di lui dal cielo invoca, 





Exitüs positura modum. 
Quare agite, et primo laeti cum lumine solis, 130 
Quae loca, quive habeant homines, ubi moenia gentis, 
Vestigemus, et a portu diversa petamus. 
Nunc pateras libate Iovi, precibusque vocate [ 
Anchisen genitorem, et vina reponite mensis. | 
Sic deinde effatus frondenti tempora ramo 135 
Implicat, et geniumque loci, primamque Deorum 
Tellurem, Nymphasque, et adhuc ignota precatur | 
Flumina: tum Noctem, Noctisque orientia signa, | 
Idaeumque lovem, phrygiamque ex ordine matrem | 
Invocat, et duplices caeloque Ereboque parentes. i 
Eneide 7^ol. II | 
1 
| 
| 
| 
| 


18 ENEIDE 


E da l'Erebo il padre. E qui di lampi 

Cinto, di luce e d' oro, e di sua mano 
Folgorando il gran Giove al ciel sereno 

Tonò tre volte. In ciò repente nacque 215 
Tra le squadre Troiane un lieto grido, 

Cl! era già il tempo di fondar venuto 

Le desiate mura. A tanto annunzio 

Tutti commossi, a rinnovar le mense, 

Ad invitarsi, a coronarsi, a bere 220 


Lietamente si diero. Il dì seguente 
Nel sorger dell’ aurora uscir diversi 


A spiar del paese, che contrade 
E che liti eran quelli, e di che genti. 
Trovàr che di Numico era lo stagno, 225 
E che] fiume era il Tebro, e la cittade 
Da’ feroci Latini era abitata. 
Allor d' Anchise il generoso figlio 


Hic pater omnipotens ter caelo clarus ab alto 
Intonuit, radiisque ardentem lucis et auro 
Ipse manu quatiens ostendit ab aethere nubem. 
Diditur hic subito troiana per agmina rumor, 
Advenisse diem, quo debita moenia condant. 145 
Certatim instaurant epulas, atque omine magno 
Crateras laeti statuunt, et vina coronant. 

Postera quum prima lustrabat lampade terras 
Orta dies; urbem et fines et litora gentis 
Diversi explorant: haec fontis stagna Numici, 150 
JlIunc Thybrim fluvium, hic fortes habitare Latinos. 





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LIBRO SETTIMO 19) 


Cento fra tutti i più scelti oratori 
D’ oliva incoronati al re destina 250 
Con doni, con avvisi e con richieste 
D' amicizia, di comodi e di pace. 
Questi il viaggio lor sollecitando 
Se ne van senza indugio. Ed egli intanto 
Preso nel lito il primo alloggiamento 235 
Di picciol fosso la muraglia insolca; 
E "n sembianza di campo e di fortezza 
D’ argini lo circonda e di steccato. 
Seguon gl’ imbasciatori, € già da presso 
La città, l’ alte torri e i gran palagi 240 
Scoprono de’ Latini. Anzi a le mura 
Veggono il fior de’ giovinetti loro 
Su' cavalli e su’ carri esercitarsi, 
Lotteggiar, tirar d' arco, avventar pali, 


Tum satus Anchisa, delectos ordine ab omni, 
Centum oratores augusta ad moenia regis 

Ire iubet, ramis velatos Palladis omnes, 

Donaque ferre viro, pacemque exposcere Teucris. 
Haud mora; festinant iussi, rapidisque feruntur 
Passibus. Ipse humili designat moenia fossa, 
Moliturque locum; primasque in litore sedes, 
Castrorum in morem, pinnis atque aggere cingit. 
Jamque iter emensi, turres ac tecta Latinorum: 160 
Ardua cernebant iuvenes, muroque subibant: 
Ante urbem pueri, et primaevo flore iuventus .. 
Exercentur equis, domitantque in pulvere currus; 


20 ENEIDE 


E cotali altre oprar contese e prove 249 
Di corso, d’ attitudine e di forza. 

Tosto che compariscono, un messaggio 
Quindi si spicca in fretta, e precorrendo 
Riporta al vecchio re, che nuova gente 
Di gran sembiante e d' abito straniero 250 
Vien dal mare a sua corte. Il re comanda 
Che sieno ammessi; e ne l' antico seggio 
Per ascoltarli in maestà si reca. 

Era la corte un ampio, antico, augusto 
Di più di cento colonnati estrutto ^. 255 
In cima a la città sublime albergo. 
Pico di Laürento il vecchio rege 
L’ avea fondata. Era d' oscure selve, 
Era de’ Numi de’ primi avi suoi i 
Sovra d’‘ogni altra veneranda e sacra. 260 
Qui de’ lor scettri, qui de’ primi fasci 


Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 
Spicula contorquent, cursuque ictuque lacessunt: 
Quum. provectus equo longaevi regis ad aures 
INuntius ingentes ignota in veste reportat 
Advenisse viros. Ille intra tecta vocari 

Imperat, et solio medius consedit avito. 

Tectum augustum, ingens , centum sublime columnis, 
Urbe fuit summa, Laurentis regia Pici, 
Horrendum silvis, et relligione parentum. 

Hic sceptra accipere, et primos attollere fasces 
Regibus omen erat: hoc illis curia templum, 


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LIBRO SETTIMO 2t 


S' investivano i regi. In questo tempio 

Era la curia, eran le sacre cene, 

Eran de' padri i pubblici conviti 

De l’ ucciso ariete. Avea d’ antico 265 
Cedro nel primo entrar l’ un dietro a l’ altro 
De’ suoi grand’ avi simolacri eretti. 

Italo v' era, e il buon padre Sabino, 

Saturno con la vite e con la falce, 

Giano con le due teste, e gli altri regi 270 
Tutti di mano in man, che combattendo 

Non fur di sangue a la lor patria avari. 

‘ Pendean da le pareti e da’ pilastri 

Un gran numero d' armi e d' altre spoglie 
Prese in battaglia. A i portici d’ intorno 275 
Carri, trofei, catene, elmi e cimieri 

E securi e corazze e scudi e lance 

.E rostri di navilii e ferri e sbarre 


Hae sacris sedes epulis: hic ariete caeso 175 
Perpetuis soliti patres considere mensis. 

Quin etiam veterum effigies ex ordine avorum 
Antiqua ex cedro; Italusque, paterque Sabinus, 
Vitisator, curvam servans sub imagine falcem, 
Saturnusque senex, Ianique bifrontis imago, 180 
Vestibulo adstabant, aliique ab origine reges, 
Martia qui ob patriam pugnando vulnera passi: : 
Multaque praeterea sacris in postibus arma, 

Captivi pendent currus, curvaeque secures, 

Et cristae capitum, et portarum ingentia claustra, 


22 ENEIDE 


Di fracassate porte erano affisse. 

In abito succinto, e con la verga 280 
Che fu poi di Quirino, e con l' ancile 
Ne la sinistra esso re Pico assiso 
V' era, pria cavaliero, e poscia augello; 
Ch' in augello il cangió la maga Circe 
Sdegnosa amante; e gli suoi regii fregi 285 
Gli converse in colori, e'l manto in ali. 

In questo tempio sovra al seggio agiato 
De' suoi maggiori, a sé Latino i Teucri 
Chiamar si fece; e dolcemente in prima 
Cosi parló: Dite, Troiani amici, 290 
A che venite? ché venite in luogo 
Ch' ha di Troia e di voi contezza a pieno. 
Siatevi, o per errore o per tempesta 


Spiculaque, clypeique, ereptaque rostra carinis. 

Ipse quirinali lituo, parvaque sedebat 

Succinctus trabea, laevaque ancile gerebat 

Picus equiám domitor: quem capta cupidine coniux 

Aurea percussum virga, versumque venenis, 190 

F'cit avem Circe, sparsitque coloribus alas. 

Tali intus templo Diviim, patriaque Latinus 

Sede sedens T'eucros ad sese in tecta vocavit; 

"Atque haec ingressis placido prior edidit ore: 
Dicite, Dardanidae, ( neque enim nescimus et urbem 195 

Et genus, auditique advertitis aequore cursum ) 

Quid petitis? quae caussa rates, aut cuius egentes 

Litus ad ausonium tot per vada caerula vexit? 


LIBRO SETTIMO 23 


O per bisogno .a questi liti addotti, 

Come a gente di mar sovente avviene, 295 
À buon fiume, a buon porto, a buon ospizio 
Siete arrivati. Da Saturno scesi 

Sono i Latini, ed ospitali e buoni, 

Non per forza o per leggi, ma per uso 

E per natura; e del buon vecchio Dio 300 
Seguitiam l’ orme e de’ suoi tempi d' oro. 

Io mi ricordo ( ancor che questa fama 

Sia per molt anni omai debile e scura ) 

Che per vanto soleano i vecchi Aurunci 

Dir che Dardano vostro in queste parti 305 
Ebbe il suo nascimento; e quinci in Ida 

Passò di Frigia, e ne la tracia Samo, 

Ch’ or Samotracia è detta. Da’ Tirreni, 

E da Corito uscio Dardano vostro, 

Ch’ or fatto è Dio, e tra’ celesti in ‘cielo 310 


Sive errore viae, seu tempestatibus acti 

( Qualia multa mari nautae patiuntur in alto) 200 
Fluminis intrastis ripas, portuque sedetis: 

Ne fugite hospitium, neve ignorate Latinos, 
Saturni gentem, haud vinclo nec legibus aequam, 
Sponte sua, veterisque Dei se more tenentem. 

tque equidem memini (fama est obscurior annis ) 
Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris 
Dardanus idaeas Phrygiae penetrarit ad urbes, 
T'hreiciamque Samum, quae nunc Samothracia fertur. 
Hinc illum Corythi tyrrhena ab sede profectum, 


24 ENEIDE 


D' oro ha la sua magion, di stelle il seggio, 
E qua giù tra’ mortali altari e voti. 

Avea ciò detto, quando a' detti suoi 

Il saggio Ilionéo cosi rispose: 

Alto signor, di Fauno egregio figlio, 315 
Non tempesta di mar, non venti avversi, — 
Non di stelle, o di liti, o di nocchieri 
Error qui n'ave, od ignoranza addotti. 

Noi di nostro voler, di nostro avviso 

Ci siam venuti, discacciati e privi 320 
D'un regno de' maggiori e de’ più chiari, 
Ch'unqua vedesse d’ oriente il sole. 

Da Dardano e da Giove il suo legnaggio 

Ha quella gente, e quel Troiano Enea 

Ch’ a te ne manda. La tempesta, i Fati, 325 


Aurea nunc solio stellantis regia caeli 210 
Accipit, et numerum Divorum altaribus addit. 
Dixerat: et dicta Ilioneus sic ore sequutus: 

Rex, genus egregium Fauni, nec fluctibus actos 
Atra subegit hiems vestris succedere terris, 
Nec sidus regione viae litusve fefellit: 215 
Consilio hanc omnes, animisgue volentibus urbem 
Adferimur, pulsi regnis, quae maxima quondam . 
Extremo veniens sol adspiciebat Olympo. 
Ab Iove principium generis: love dardana pubes 
Gaudet aeo: rex.ipse lovis de gente suprema — 220 
Troius /Eneas tua nos ad limina misit. 
Quanta per idaeos saevis effusa My cenis 


| "AM 
LIBRO SETTIMO 22 


E la ruina che ne' campi Idéi 

Venne di Grecia, onde !' Europa e l'Asia 

E'l mondo tutto sottosopra andonne, 

Cui non è conta? Chi sì-lunge è posto 

Da noi, che non l'udisse? o che da l' acque 330 
De l’estremo Oceáno, o che dal. foco 

De la torrida zona sia diviso 

Da la nostra notizia? Il nostro affanno 

Tal fece intorno a sé diluvio e moto, 

Che scosse ed allagó la terra tutta. 335 
Da indi in qua dispersi e vagabondi 

Per tanti mari, un sol picciol ridotto 

A gli Dei nostri, un lito che n'accolga 

Non da nemici, un poco d’acqua e d’aura 

( Lassi! ) quel ch'ogn' uom'ha, cercando andiamo. 3.{0 
Non disutili, credo, e non indegni 

Sarem del regno vostro: a voi non lieve 

Ne verrà fama; e d'un tal merto tanto 


T'empestas ierit campos; quibus actus uterque 
Europae atque Asiae fatis concurrerit orbis: 
Audiit, et si quem tellus extrema refuso : 225 
Submovet Oceano, et si quem extenta plagarum 
Quatuor in medio dirimit plaga solis iniqui. 
Diluvio ex illo tot vasta per aequora vecti 
Dis sedem exiguam patriis, litusque rogamus 
Innocuum, et cunctis undamque auramque patentem 
Non erimus regno indecores; nec vestra feretur 
Fama levis, tantive abolescet gratia facti: 

Encide Vol. Il 4 


26 ENEIDE 


Vi sarem grati, che l'ausonia terra 

Non mai si pentirà d'aver i figli 349 
De la misera Troia in grembo accolti. 

Io ti giuro, signor, per le fatiche, . 

Per gli Fati d'Enea, per la possente 

Sua destra (già per fede e per valore 

Famosa al mondo) che da molte genti 350 
Molte fiate (e cio vil non ti sembri, 

Che da noi stessi a te ci proferiamo 

E ti preghiamo) siam pregati noi, 

E per compagni desiati e cerchi. 

Ma da i Fati, signor, e da gli Dei 355 
Siam qui mandati. Dardano qui nacque, 

Qua Feho ne richiama. Febo stesso, 

E quel di Delo è ch’ai Tirreni, al Tebro, 

Al fonte di Numico, a voi c'invia. 

Queste, oltre a ciò, poche reliquie, e segni 360 


Nec Troiam Ausonios gremio excepisse pigebit. 
Fata per /Eneae iuro, dextramque potentem, 

Sive fide, seu quis bello est expertus et armis: 235 
Multi nos populi, multae ( ne temne, quod ultro 
Praeferimus manibus vittas ac verba precantia ) 

Et petiere sibi, et voluere adiungere gentes. 

Sed nos fata Dem vestras exquirere terras 
Imperiis egere suis. Hinc Dardanus ortus 24o 
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo 
Tyrrhenum ad T'hy brim,et fontis vada sacra Numici, 
Dat tibi praeterea fortunae parva prioris 


LIBRO SETTIMO 27 


De l'andata fortuna e del suo amore 
Il re nostro ti manda; che dal foco 
Son de la patria ricovrate appena. 
Con questa coppa il suo gran padre Anchise 
Sacrificava. Questo regno in testa, ' 365 
Quando era in soglio, il gran Priamo avea: 
Questo é lo scettro, questa é la tiara, 
Sacro suo portamento; e queste vesti 
Son de le donne d’Ilio opre e fatiche. 

Al dir d'Ilionéo stava Latino 370 
Fisso col volto a terra immoto e saldo, 
Come in astratto, e solo avea le luci 
De gli occhi intese a rimirar, non tanto 
Il dipint' ostro e gli altri regii arnesi, 
Quanto in pensar de la diletta figlia 375 
ll maritaggio, e'l vaticinio uscito 
Dal vecchio Fauno. E'n sé stesso raccolto, 


Munera, relliquias Troia ex ardente receptas. 

Hoc pater Anchises auro libabat ad aras: 245 
Hoc Priami gestamen erat, quum iura vocatis 

More daret populis; sceptrumque, sacerque tiaras, 
Iliadumque labor vestes. 

Talibus Ilionei dictis defixa Latinus 

Obtutu tenet ora, soloque immobilis haeret, 250 
Intentos volvens oculos. Nec purpura regem 

Picta movet, nec sceptra movent priameia tantum, 
Quantum in connubio natae thalamoque moratur; 
Et veteris Fauni volvit sub pectore sortem: °° 


n8 . ENEIDE 


Questi è certo, dicea, quei che da'Fati 

Si denunzia venir di stran paese 

Gencro a me, sposo a Lavinia mia, 380 
Del mio regno partecipe e consorte. 

Questi è da cui verrà l' egregia stirpe, 

Che col valor farassi e con le forze 

Soggetto e tributario il mondo tutto. 

Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, 385 
Secondate voi stessi i vostri augurii, 

E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete 

Tutto che desiate; e 1 vostri doni 

Gradisco e pregio; e mentre re Latino 

Sarà, sarete voi nel regno suo 390 - 
Cortesemente accolti; e’l seggio e 1 campi 
E ciò ch'è d'uopo, come a Troia foste, 
In copia avrete. Or s'ei tanto desía 
L'amistà nostra e’l nostro ospizio, vegua 


Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255 
Portendi generum, paribusque in regna vocari 
"Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram 
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem. 
Tandem laetus ait: Di nostra incepta secundent , 
Auguriumque suuml Dabitur, Troiane, quod optas. 
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino, 

Divitis uber agri, T'roiaeve opulentia deerit. 

Ipse modo Éneas (nostri si tanta cupido est, 

Si iungi hospitio properat, sociusve vocari) 
Adveniat, vultus neve exhorrescat amicos. 265 


LIBRO SETTIMO 29 


Egli in persona, e.-non.abborra omai — | 395 

Il nostro amico aspetto. Arra e certezza 

Ne fia di pace il convenir con lui, 

E di lui stesso aver la fede in pegno. 

Da l’altra parte, a mio nome gli dite 

Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400 

Una mia figlia. A questa il mio paterno: 

Oracolo, e del ciel molti prodigii 

Vietan ch'io dia marito altro ch’ esterno. 

D’ esterna parte, tal d'Italia è’1 Fato, 

Un genero dal ciel mi si promette, 405 

Per la cui stirpe il mio nome e'1 mio sangue 

Ergerassi a le stelle. Or se del vero 

Punto é'| mio cor presago, egli è quel desso, 

Cred’ io, che’l Fato accenna, e’l credo e’l bramo. 
Giò detto, de' trecento, che mai sempre 410 

A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti 

Destrier di fazione e di rispetto, 


Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni. 

Vos contra regi mea nunc mandata referte. 

Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae 
Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo 
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270 
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum 
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata 

Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto. 

Haec effatus, equos numero pater eligit omni. 
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 279 





30 | ENEIDE 


Per gli cento orator cento n'elegge, 
Ch'avean.le lor coverte e i lor girelli , 
Le pettiere e le briglie in varie guise 415 
D'ostro e di seta ricamati e d'oro, 
E d'ór le ghiere, e d'ór le borchie e i freni. 
Al Troian duce assente un carro invia 
Con due corsier ch'eran di quei del Sole 
Generosi bastardi , e vampa e foco 420 
Sbruffavan per le nari. Al Sol suo padre 
La razza ne .furó la scaltra Circe 
Allor ch'a l'incantate sue giumente 
Eto e Piróo furtivamente impose. 
Tali in su tai cavalli alteramente 425 
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre 
Portàr novelle e parentela e pace. 

Ed ecco che di Grecia uscendo e d’ Argo 
L’empia moglie di Giove, alto da terra 


Omnibus extemplo Teucris iubet ordine duci 
Instratos ostro alipedes pictisque tapetis. 

Aurea pectoribus demissa monilia pendent: 

Tecti auro, fulvum mandunt sub dentibus aurum. 
Absenti /Eneae currum geminosque iugales ‘280 
Semine ab aetherio, spirantes naribus ignem, 
Illorum de gente, patri quos daedala Circe 
Supposita de matre nothos furata creavit. 

Talibus Aneadae donis dictisque Latini 

Sublimes in equis redeunt, pacemque reportant. 285 

Ecce autem inachiis sese referebat ab Argis .. 


\ LIBRO SETTIMO 31 


Sospesa , infin dal Sicolo Pachino iti 
Vide i legni Troiani; e vide Enea. 

Con tutti i suoi, che lieto e fuor del mare 

E secur de la terra incominciava 

D'alzar gli alberghi, e di fondar le mura 

Già d'un altr Dio. E, punta il cor di doglia , 435 
Squassando il capo, Ah, disse, a me pur troppo 
Nimica razza! ah troppo a'Fati miei 

Fati de'Frigü avversi! E forse estinti - 

Fur ne’ campi Sigei? Forse potuti 

Si son prender già presi, ed arder arsi? ^ 44o 
Per mezzo de le schiere e de gl' incendii 

Han trovata la via. Stanca fia dunque : 

Questa mia deità, quando ancor sazia 

Non é de l'odio? E già s'é resa, quando 

Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova 445 


Saeva Iovis coniux, aurasque invecta tenebat: 

Et laetum /Enean, classemque ex aetliere longe 
Dardaniam siculo prospexit ab usque Pachyno. 
Moliri iam tecta videt , iam fidere terrae, 290 
Deseruisse rates. Stetitacri fixa dolore: : 
Tum quassans caput, haec effundit pectore dicta: 
Heu. stirpem invisam, et fatis contraria nostris 
Fata Phrygum! Num sigaeis occumbere campis, 
Num capti potuere capi? num incensa cremavit 295 
T'roia viros? medias acies, mediosque per ignes 
Invenere viam. At, credo, mea numina tandem. 
F'essa iacent, odiis aut exsaturata quieyi. 


26 | ENEIDE 


Vi sarem grati, che l'ausonia terra 

Non mai si pentirà d'aver i figli 345 
De la misera Troia in grembo accolti. 

Io ti. giuro, signor, per le fatiche, . 

Per gli Fati d' Enea, per la possente 

Sua destra (già per fede e per valore 

Famosa al mondo) che da molte genti 350 
Molte fiate (e cio vil non ti sembri, 

Che da noi stessi a te ci proferiamo 

E ti preghiamo) siam pregati noi, 

E per compagni desiati e cerchi. 

Ma da i Fati, signor, e da gli Dei 355 
Siam qui mandati. Dardano qui nacque, 

Qua Feho ne richiama. Febo stesso, 

E quel di Delo è ch'ai Tirreni, al Tebro, 

Al fonte di Numico, a voi c'invia. 

Queste, oltre a ciò, poche reliquie, e segni 360 


Nec Troiam Ausonios gremio excepisse pigebit. 
Fata per /Eneae iuro, dextramque potentem, 

Sive fide, seu quis bello est expertus et armis: | 235 
Multi nos populi, multae ( ne temne, quod ultro 
Praeferimus manibus vittas ac verba precantia ) 

Et petiere sibi, et voluere adiungere gentes. 

Sed nos fata Deum vestras exquirere terras 
Imperiis egere suis. Hinc Dardanus ortus 24o 
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo 
Tyrrhenum ad T'hybrim,et fontis vada sacra Numici. 
Dat tibi praeterea fortunae parva prioris 


LIBRO SETTIMO 27 


De l'andata fortuna e del suo amore 
Il re nostro ti manda; che dal foco 
Son de la patria ricovrate appena. 
Con questa coppa il suo gran padre Anchise 
Sacrificava. Questo regno in testa, ' 365 
Quando era in soglio, il gran Priamo avea: 
Questo è lo scettro, questa è la tiara, 
Sacro suo portamento; e queste vesti - 
Son de le donne d'llio opre e fatiche. 

Al dir d’Ilionéo stava Latino 370 
Fisso col volto a terra immoto e saldo, 
Come in astratto, e solo avea le luci 
De gli occhi intese a rimirar, non tanto 
Il dipint' ostro e gli altri regii arnesi, 
Quanto in pensar de la diletta figlia 375 
Il maritaggio, e'l vaticinio uscito 
Dal vecchio Fauno. En sé stesso raccolto, 


Munera, relliquias Troia ex ardente receptas. 

Hoc pater Anchises auro libabat ad aras: 245 
Hoc Priami gestamen erat, quum iura vocatis 

More daret populis; sceptrumque, sacerque tiaras, 
Iliadumque labor vestes. 

Talibus Ilionei dictis defixa Latinus : 

Obtutu tenet ora, soloque immobilis haeret, 250 
Intentos volvens oculos. Nec purpura regem 

Picta movet, nec sceptra movent priameia tantum, 
Quantum in connubio natae thalamoque moratur; 
Et veteris Fauni volvit sub pectore sortem: 


28 ENEIDE 


Questi è certo, dicea, quei che da’ Fati 

Si denunzia venir di stran paese 

Genero a me, sposo a Lavinia mia, 380 
Del mio regno partecipe e consorte. 

Questi è da cui verrà l' egregia stirpe, 

Che col valor farassi e con le forze 

Soggetto e tributario il mondo tutto. 

Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, . 385 
Secondate voi stessi i vostri augurii, 

E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete 

Tutto che desiate; e i vostri doni 

Gradisco e pregio; e mentre re Latino 

Sarà, sarete voi nel regno suo 390 - 
Cortesemente accolti; e’l seggio e i campi 
E ciò ch'è d'uopo, come a Troia foste, 
In copia avrete. Or s'ei tanto desía 
L'amistà nostra e'l nostro ospizio, vegna 


Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255 
Portendi generum, paribusque in regna vocari 
"Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram 
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem. 
Tandem laetus ait: Di nostra incepta secundent , 
Auguriumque suum! Dabitur, Troiane, quod optas. 
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino, 

Divitis uber agri, Troiaeve opulentia deerit. 

Ipse modo /Eneas ( nostri si tanta cupido est, 

$i iungi hospitio properat, sociusve vocari ) 
Adveniat, ultus neve exhorrescat amicos. 265 


LIBRO SETTIMO 29 


Egli in persona, e-non.abborra omai © 395 

Il nostro amico aspetto. Arra e certezza 

Ne fia di pace il convenir con lui, 

E di lui stesso aver la fede in pegno. 

Dà l’altra parte, a mio nome gli dite 

Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400 

Una mia figlia. A questa il mio paterno 

Oracolo, e del ciel molti prodigii 

Vietan ch'io dia marito altro ch' esterno. 

D'esterna parte, tal d'Italia è ’l Fato, 

Un genero dal ciel mi si promette, 405 

Per la cui stirpe il mio nome e’l mio sangue 

Ergerassi a le stelle. Or se del vero 

Punto è’l mio cor presago, egli è quel desso, 

Cred'io, che’l Fato accenna, e!l credo e'l bramo. 
Giò detto, de' trecento, che mai sempre 410 

A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti 

Destrier di fazione e di rispetto, 


Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni, 

Vos contra regi mea nunc mandata referte. 

Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae 

. Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo 
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270 

Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum 

Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata 

Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto. 

Haec effatus, equos numero pater eligit omni. 

Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 279 


30 | ENEIDE 


Per gli cento orator.cento n'elegge, 
Ch’avean le lor coverte e i lor girelli , 
Le pettiere e le briglie in varie guise 415 
D'ostro e di seta ricamati e d'oro, . 
E d'ór le ghiere, e d'ór le borchie e i freni. 
Al Troian duce assente un carro invia 
Con due corsier ch'eran di quei del Sole 
Generosi bastardi , e vampa e foco 420 
Sbruffavan per le nari. Al Sol suo padre 
La razza ne furó la scaltra Circe 

. Allor ch'a l’ incantate sue giumente 
Eto e Piróo furtivamente impose. 
Tali in su tai cavalli alteramente 425 
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre 
Portàr novelle c parentela e pace. 

Ed ecco che di Grecia uscendo e d' Argo 
L' empia moglie di Giove, alto da terra 


Omnibus extemplo Teucris iubet ordine duci 
Instratos ostro alipedes pictisque tapetis. 

Aurea pectoribus demissa monilia pendent: 

Tecti auro, fulvum mandunt sub dentibus aurum. 
Absenti /Eneae currum geminosque iugales —— 280 
Semine ab aetherio, spirantes naribus ignem, 
Allorum de gente, patri quos daedala Circe 
Supposita de matre nothos furata creavit. 

Talibus Asneadae donis dictisque Latini 

Sublimes in equis redeunt, pacemque reportant. 285 

Ecce autem inachiis sese referebat ab Argis . 


\ LIBRO SETTIMO 31 


Sospesa , infin dal Sicolo Pachino fio 
Vide i legni Troiani; e vide Enea 

Con tutti i suoi, che lieto e fuor del mare 

E secur de la terra incominciava 

D'alzar gli alberghi, e di fondar le mura 

Già d'un altr'Iio. E, punta il cor di doglia, 435 
Squassando il capo, Ah, disse, a me pur troppo 
Nimica razza! ah troppo a'Fati miei 

Fati de'Frigü avversi! E forse estinti - 

Fur ne'campi Sigei? Forse potuti 

Si son prender già presi, ed arder arsi? 440 
Per mezzo de le schiere e de gl' incendii 

Han trovata Ja via. Stanca fia dunque : 

Questa mia deità, quando ancor sazia 

Non è de l'odio? E già s'è resa, quando 

Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova 445 


Saeva Iovis coniux, aurasque invecta tenebat: 

Et laetum /Enean, classemque ex aethere longe 
Dardaniam siculo prospexit ab usque Pachyno. 
Moliri iam tecta videt , iam fidere terrae, 290 
Deseruisse rates. Stetit'acri fixa dolore: : | 
T'um quassans caput, haec effundit pectore dicta: 
Heu. stirpem invisam, et fatis contraria nostris 
Fata Phrygum! Num sigaeis occumbere campis, 
Num capti potuere capi? num incensa cremavit 295 
T'roia viros? medias acies, mediosque per. ignes 
Invenere viam. At, credo, mea: numina tandem 
F'essa iacent, odiis aut exsaturata quieyi. 


3a ‘ ENEIDE 


Che sian del regno; e de la patria in bando? 
Che mi val ch'io mi sia con tutto il mare 

A lor opposta? Ah! che del mar già tutte, 

E del ciel contra lor le forze ho logre. 

E: che le Sirti, e che Scilla e Cariddi 450 
A me con lor son valse? Ecco han del Tebro 
La desiata foce; e non han tema 

Del marjpiù, né di me. Marte potéo 

Disfar la gente de Lapiü immane; 

Poté Diana aver da Giove in preda 455 
Del suo disegno i Calidoni antichi , 

Quando de'Calidoni e de’ Lapiti 

Ver le pene era il fallo o nullo o leve: 

Ed io consorte del gran Giove e suora, 

Misera, incontro a lor che non ho mosso? 460 
Che di me non ho fatto? E pur son vinta. 


Quin etiam patria excussos infesta per undas 

"usa sequi, et profugis toto me opponere ponto, 3oo 

Absumtae in Teucros vires caelique marisque. 

Quid Syrtes , aut Scylla mihi , quid vasta Charybdis 

Profuit? optato conduntur T'hybridis alveo, 

Securi pelagi atque mei. Mars perdere gentem 

Immanem Lapithi£m valuit: concessit in iras ‘ 305 

Ipse Dem antiquam genitor Calydona Dianae: 

Quod scelus aut Lapithas tantum, aut Calydona 
merentem? 

Ast ego, magna lovis coniux, nil linquere inausum 

Quae potui infelix, quae memet in omnia verti, 


LIBRO SETTIMO 33 


Enea, Enea mi vince. Ah se con lui 

1l mio nume non può, perchè d’ ognuno, 
Chiunque sin, men ogni aita imploro? 

Se muover contra lui non posso il cielo, — 465 
Muoverò ]' Acheronte. Oh non per questo 

Il Fato si distorna; ed ei non meno 

Di Latino otterrà la figlia e ‘1 regno. 

Che più? Lo tratterrò: gli darò briga: 

Porró, s altro mon posso, in tanto affare 470 
Gara, indugio e scompiglio: a strage, a morte, 
Ad ogni strazio condurrò le genti 

De l'un rege e de l'altro; e questi avanzi - 
Faran primieramente i lor suggetti 

De la lor amistà. Con questo in prima 479 
Si sian suocero e genero. Del sangue 

De’ Troiani e de’ Rutoli dotata 

N'andrai regia donzella , e) tuo marito; 

E del tuo maritaggio e del tuo letto 


Vincor ab /&nea. Quod si mea numina non sunt 
Magna satis, dubitem haud equidem implorare quod 
usquam est. 

Flectere si negueo Superos, Acheronta movebo. 
Non dabitur regnis ( esto ) prohibere latinis; 
4ftque immota. manet fatis Lavinia coniux: 

At trahere, atque: moras tantis licet addere rebus; 
At licet amborum populos exscindere regum. 
Hac gener atque socer coeant mercede suorum. 
Sanguine troiano et rutulo dbtabere, vings 
Eneide Zool. 1I 


LIBRO SETTIMO 43 


Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto — 635 
Con ció ch' avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch'era sacerdotessa e guardiana 6.[o 
Del tempio di Giunone; e"n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e cosi disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch'a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie ; 
E de l’ una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l'alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


4o ENEIDE 


E gli dan co'flagelli animo e forza; 585 
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci 
Suoi popoli vagando, insana andava 
La regina infelice. E quel che poscia 
Fu d'ardire e di scandalo maggiore, - 
Di Bacco simulando il nume e’l coro 590 
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze 
Distornare, o'n dugiare , a’ monti ascesa 
Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero, 
Gridando, Exuoé: questa mia vergine - 
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595 
Ecco per te nel tuo coro s' esercita 
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina, 
A te la chioma sua nodrisce e dedica. 

Divolgasi di ciò la fama intanto 
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600 
Da furor tratte, e d'uno ardore accese 


Saltan fuor de gli alberghi a la foresta. 


Impubesque manus, mirata volubile buxum; 

Dant animos plagae: non cursu segnior illo 

Per medias urbes agitur, populosque feroces. 

Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, 
Evolat, et natam frondosis montibus abdit; 

Quo thalamum eripiat. Teucris, taedasque moretur; 
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, 
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem. 


LIBRO SETTIMO AI 


Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, 
D'irsute pelli involte, e d'aste armate, 

Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605 
Orrende voci e tremoli ululati 

Mandano a l'aura. E la regina in mezzo 

A tutte l'altre una facella in mano | 
Prende di pino ardente, e l'imeneo 

De la figlia e di Turno imita e canta, 610 
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti 

Al cielo ad or ad or la voce alzando, 

Uditemi, dicea, madri di Lazio, 

Quante ne siete in ogni loco, uditemi. 

Se può pietate in voi, se può la grazia 615 
De la misera Amata, e la miseria 

Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio, 
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ; 


Fama volat, furiisque accensas pectore matres 
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. 
Deseruere domos, ventis dant colla comasque. 

Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. 
Jpsa inter medias flagrantem fereida pinum 
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, 
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente 
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae. 
Si qua piis animis manet infelicis Amatae 

Gratia, si iuris materni cura remordet; 

Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. 


Eneide ol. JI G 


CEE c t 


— —— 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch’ assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là've già d’Acrisio il seggio pose 

L'avara figlia ivi dal vento esposta, 

A l'orgoglioso Turno si rivolse . 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torpam faciem, et furialia membra 415 


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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.[o 
Del tempio di Giunone; e"n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e cosi disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch'a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l’ alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


44 ENEIDE 


Va', fa’ strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 655 
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 

Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch’ han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660 
À le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, nè per suo genero, 

Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare . 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Cosi rispose: Io non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de' sensi; e ben sentita 


T'yrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas: 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas T'hybridis alveo 

IVon, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío. 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema: 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Ch’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 
Furia a la Furia questo dire accrebbe, 
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
| Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi 
Stupido ne rimase, e tremò tutto: 
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne, 
Con tanti ne fischiò, tale una faccia 
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

dAmmemor est nostri. 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidquam exercet, et arma 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Diviim effigies et templa tueri: 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


42 ENEIDE 


Edoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là've già d'Acrisio il seggio pose 

L’avara figlia ivi dal vento esposta, 

A lorgoglioso Turno si rivolse . 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415 


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Aen.Lib.w 4r. 


ARDEA. 
Ardea. 


LIBRO SETTIMO 43 


Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto — 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch'era sacerdotessa e guardiana 60 
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti, e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e | tuo regno! il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l’ alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


44 ENEIDE 


Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 655 
La gran saturnia Giuno. Árma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 

Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch' han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal cielti si comanda. E se Latino 660 
A le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, nè per suo genero, 

Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare - 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Così rispose: Io non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita 


Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Ipsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phrygios, qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas:, 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem Turnum experiatur in. armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo 

Non, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblio . 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema: 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Ch’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 

Furia a la Furia questo dire accrebbe, 
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi 
Stupido ne rimase, e tremò tutto: 
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne, 
Con tanti ne fischiò, tale una faccia 
Le si scoverse. Indi le bieche luci — 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

Ammemor est nostri. 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidquam exercet, et arma 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Divám effigies et templa tueri: . 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


46 ENEIDE 


Di foco accesa, la viperea sferza 

Gli girò sopra; e sì com'era immoto 

Per lo stupore, ed a più dire inteso, 

Lo risospinse; e i suoi detti e i suoi scherni 

Così rabbiosamente improverógli: 690 
Or vedrai ben se rimbabita e scema 

Sono entrata in pensier d'armi e di stati, 

Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle. 

Guardami, e riconoscimi ; ch'a questo 

Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 699 

Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli 

Tale una face e con tal fumo un foco, 

Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core. 
Lo spavento del giovine fu tale, 

Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700 

Si trovò per angoscia il corpo tutto: 

E stordito sorgendo, arme d' intorno 


Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura 
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, 450 
F'erberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore: 
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus 

Arma inter regum falsa formidine ludit; 

Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum: 
Bella manu, letumque gero. 455 
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro 

Lumine fumantes fixit. sub pectore taedas. 

Olli somnum ingens rumpit pagor; ossaque et artus 
Perfudit toto proruptus corpore sudor. 


LIBRO SETTIMO 47 


Cercossi, armi gridò, d'ira s’ accese, 

D'empio disío, di scellerata insania 

Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705 
Che con alto bollor risuona e gonfia 

Un gran caldar, quand'ha di verghe a’ fianchi 
Chi gli ministra ognor foco maggiore, 

Quando l'onda più ferve, e gorgogliando 
. Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710 
E'] suo negro vapore a l'aura esala. 

Cosi Turno commosso a muover gli altri 

Si volge incontanente; e de’ suoi primi, 

Altri al re manda con la rotta pace, 

Ad altri l'apparecchio impon de l' arme, 719 
Onde Italia difenda, onde i Troiani 
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta . 

Contra de’ Teucri e contra de’ Latini 

Aver forze a bastanza. E ciò commesso, 


Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit: 
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ; 

Ira super: magno veluti quum flamma sonore 
Virgea suggeritur costis undantis aeni, 
Exsultantque aestu latices: furit intus aquai 
Fumidus, atque alte spumis exuberat amnis: — 465 
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras. 
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum 
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari, 
T'utari Italiam, detrudere finibus hostem: 

Se satis ambobus T'eucrisque venire Latinisque. 


48 ENEIDE 


E ne' suoi voti i suoi Numi invocati, 720 
I Rutuli infra loro a gara armando 
S'esortavan l’ un l'altro; e tutti insieme 
Eran tratti da lui, chi per lui stesso 
(Che giovin era amabile e gentile) 
Chi per la nobiltà de' suoi maggiori, 725 
E chi per la virtute, e per le prove 
Di lui viste altre volte in altre guerre. 

Mentre così de’ suoi Turno dispone 
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto 
Sen vola a’ Teucri, e con nuov'arte apposta 730 
In su la riva un loco, ove in campagna 
Correndo e'nsidiando il bello Iulo 
Seguía le fere fuggitive in caccia. 
Qui di subita rabbia 1 cani accese 
La virgo di Cocíto, e per la traccia 735 
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo 


Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit; 
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma: 
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae: 
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis. 

Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495 
"lecto in Teucros stygüs se concitat alis, 
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher 
Insidiis, cursuque feras agitabat Iulus. 
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo 
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480 
Ut cervum ardentes agerent: quae prima malorum 


LIBRO SETTIMO 49) 


Che fu poi di tumulto, di rottura 
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione. 
Questo era un cervo mansueto e vago, 
Già grande e di gran corna, che divelto 740 
Da la sua madre, era nel gregge addotto 
Di Tirro e de'suoi figli: ed era Tirro 
Il custode maggior de’ regii armenti 
E de'regii poderi; ed egli stesso 
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 749 
Silvia, una giovinetta sua figliuola, 
L'avea per suo trastullo; e con gran cura 
Di fior l' inghirlandava, il pettinava, 
Lo lavava sovente: Era a la mensa 
A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750 
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco. 
Errava per le selve a suo diletto, 
E, da se stesso poi la sera a casa, 


Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes. 
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens, 
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum 
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485 
Armenta, et late custodia credita campi. 

Assuetum imperiis soror omni Silvia cura 

Mollibus intexens ornabat cornua sertis; 
Pectebatque ferum, puroque in fonte lavabat. 

Ille manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490 
Errabat silvis, rursusque ad limina nota 

Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat. 


Eneide 77ol. 11 7 


20 ENEIDE 


Come a proprio covil, se ne tornava. 

Quel di per avventura di lontano 

Lungo il fiume venía tra l'ombre e l' onde , 
Da la sete schermendosi e dal caldo, 
Quando d' Ascanio l' arrabbiate cagne 

Gli s'avventaro, ed esso a farsi inteso 
D'un tale onore e di tal preda acquisto, "0o 
Diede a l'arco di piglio, e saettollo. 

La Furia stessa gli drizzó Ja mano, 

E spinse il dardo sì ch'appieno il colse 

Ne l'un de’ fianchi, e penetrógli a l'epa, 

Ferito, insanguinato, e con lo strale ^63 
Il meschinello ne le coste infisso, ' 

Al consueto albergo entro a i presepi 
Mugghiando e lamentando si ritrasse; 
Ch' un lamentarsi, un dimandar aita 

D' uomo in guisa piü tosto, che di fiera 
Erano i mugghi, onde la casa empiea. 


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Hunc procul errantem rabidae venantis Iuli 
Commovere canes; fluvio quum forte secundo 
Deflueret, ripaque aestus viridante levaret. 495 
Ipse etiam, eximiae laudis succensus amore, 
Ascanius curvo direxit spicula cornu: 

Nec dextrae erranti Deus abfuit: actaque multo 
Perque uterum sonitu perque ilia venit arundo. 
Saucius at quadrupes nota intra tecta refugit; 500 
Successitque gemens stabulis, questuque cruentus, 

. Atque imploranti similis tectum omne replebat. 


LIBRO SETTIMO 51 


Silvia lo vide in prima, e col suo pianto, 

Col batter de le mani, e con le sirida 

Mosse i villani a far turbe e tumulto. 

Sta questa peste per le macchie ascosa, 779 
: Di topi in guisa, a razzolar la terra 

In ogni tempo, si che d' ogni lato 

N’ usciron d'improvviso; altri con pali 

E con forche e con bronchi aguzzi al foco; 

Altri con mazze nodorose e gravi, 780 

E tutti con quell' armi ch'a ciascuno 

Fecer l'ira e la fretta. Era per sorte 

Tirro in quel punto ad una quercia intorno, 

E per forza di cogni e di bipenne - 

L'avea tronca e squarciata: onde affannoso, 785 

Di sudor pieno, fieramente ansando ' 

Con la stessa ch'avea secure in mano 

Corse a le grida, e le masnade accolse. 

L’ infernal Dea, ch'a la veletta stava 

Di tutto che seguía, veduto il tempo 790 


Silvia prima soror, palmis percussa lacertos, 
Auxilium vocat, et duros conclamat agrestes. 
Olli (pestis enim tacitis latet aspera silvis ) 505 
Improvisi adsunt: hic torre armatus obusto, 
Stipitis hic gravidi nodis; quod cuique repertum 
Fümanti, telum ira facit. Vocat agmina T'yrrhus, 
Quadrifidam quercum cuneis ut forte coactis 
Scindebat, rapta spirans immane securi. 510 
At saeva.e speculis tempus Dea nacta nocendi 


5a ENEIDE 


Accomodato al suo pensier malvagio, 
Tosto nel maggior colmo se ne salse 
De la capanna, e con un corna a bocca 
Sonò de l'armi il pastorale accento. 
La spaventosa voce che n'uscío . 795 
Dal tartaro spiccossi. E pria le selve 
Ne tremàr tutte; indi di mano in mano 
Di Nemo udilla e di Diana il lago, 
Udilla de la Nera il bianco fiume, 
E di Velino i fonti, e tal l’ udiro, 800 
Che ne strinser le madri i figli in seno. 
A quella voce, e verso quella parte 
Onde sentissi, 1 contadini armati, 
Comunque ebber tra via d' armi rincontro, 
Subitamente insieme $' adunaro. 805 
Da l' altro lato i giovani Troiani 
Al soccorso d’ Ascanio in campo usciro, 


Ardua tecta petit stabuli; et de culmine summo 
Pastorale canit signum, cornuque recurvo 
Tartaream intendit vocem: qua protenus omne 
Contremutt nemus, et silvae intonuere profundae. 
. Audiit et Triviae longe lacus, audiit amnis 
Sulphurea Nar albus aqua, fontesque Velini: 

Et trepidae matres pressere ad pectora natos. 
Tum vero ud vocers celeres, qua buccina signum 
Dira dedit, reptis concurrunt undique telis 520 
Indomiti agricolae: necnon et troia pubes 

Ascanio auxiltusm castris effimulit apertis. 


‘(LIBRO SETTIMO 53 


Spiegàr Je schiere, misersi in battaglia, 

- Vennero a l’armi; sì che non più zuffa 
Sembrava di villani, e non più pali 810 
Avean per armi, ma forbiti ferri 
Serrati insieme, che dal Sol percossi 
Per le campagne e fin sotto a le nubi 
Ne mandavano i lampi. In quella guisa 
Che lieve al primo vento il mar s' increspa, 815 
Poscia biancheggia, ondeggia e gonfia e frange 
E cresce in tanto, che da l imo fondo 
Sorge fino a le stelle. Almone, il primo 
Figlio di Tirro, primamente cadde 

‘ In questa pugna. Ebbe di strale un colpo 820 
In su la strozza, che la via col sangue 
Gli chiuse e de la -voce e de la vita. 

Caddero intorno a lui molt altri corpi 


Direxere acies. Non iam certamine agresti, 
Stipiubus duris agitur sudibusve praeustis; 

Sed ferro ancipiti decernunt, atraque late 525 
Horrescit strictis seges ensibus, aeraque fulgent 
Sole lacessita, et lucem sub nubila iactant: 

Fluetus uti primo coepit quum albescere vento: 
Paullatim sese tollit mare, et altius undas 

Erigit, inde imo consurgit ad aethera fundo. 530 
Hic iuvenis primam ante aciem stridente sagitta, 
Natorum Tyrrhi fuerat qui maximus, Almo 

. Sternitur: haesit enim sub gutture vulnus, et udae 
Vocis iter, tenuemque inclusit sanguine vitam. 


48 ENEIDE 


E ne'suoi voti i suoi Numi invocati, 720 
I Rutuli infra loro a gara armando 
S'esortavan l’ un l’altro; e tutti insieme 
Eran tratti da lui, chi per lui stesso 
(Che giovin era amabile e gentile) 
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725 
E chi per la virtute, e per le prove 
Di lui viste altre volte in altre guerre. 

Mentre così de’ suoi Turno dispone 
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto 
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 730 
In su la riva un loco, ove in campagna 
Correndo e'nsidiando il bello Iulo 
Seguía le fere fuggitive in caccia. 
Qui di subita rabbia i cani accese 
La virgo di Cocíto, e per la traccia 735 
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo 


Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit; 
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma: 
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae: 
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis. 

Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, | 435 
"lecto in Teucros stygiis se concitat alis, 
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher 
Insidüs, cursuque feras agitabat Iulus. 
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo 
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480 
Ut cervum ardentes agerent: quae prima malorum 


LIBRO SETTIMO 


din 


) 
Che fu poi di tumulto, di rottura 
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione. 
Questo era un cervo mansueto e vago, 
Già grande e di gran corna, che divelto 70 
Da la sua madre, era nel gregge addotto 
Di Tirro e de’suoi figli: ed era Tirro 
Il custode maggior de’ regii armenti 
E de'regii poderi; ed egli stesso 
L’ avea nudrito e fatto umile e manso. 749 
Silvia, una giovinetta sua figliuola, 
L'avea per suo trastullo; e con gran cura 
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava, 
Lo lavava sovente. Era a la mensa 
A lor d’intorno; e da lor tutti amava 750 
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco. 
Errava per le selve a suo diletto, 
E da se stesso poi la sera a casa, 


Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes. 
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens, 
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum 
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485 
Armenta, et late custodia credita campi. 

Assuetum imperiis soror omni Silvia cura 

Mollibus intexens ornabat cornua sertis; 
Pectebatque ferum, puroque in fonte lavabat. 

Jile manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490 
Errabat silvis, rursusque ad limina nota 

Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat. 


Eneide 7^ol. 11 | 7 


56 ENEIDE 


Ch' in questa eterea luce e sopra terra 

Cosi licenziosa te ne vada, 

Torna a'tuoi chiostri; ed io, s'altro in ció resta 
Da finir, finiró. Ció disse appena 800 
La figlia di Saturno, che d' Aletto 

Fischiàr le serpi, e dispiegarsi P ali 

In vér Cocíto. È de l'Italia in mezzo 

E de suoi monti una famosa valle, 

Che d'Amsanto si dice. Ha quinci e quindi 865 
Oscure selve, e tra le selve un fiume 

Che per gran sassi rumoreggia e cade, 

E sì rode le ripe e le scoscende, 

Che fa spelonca orribile e vorago, | 
Onde spira Acheronte, e Dite esala. 870 
In questa buca l' odioso Nume 


Haud pater ipse velit summi regnator Olympi. 

Cede locis. Ego, si qua super fortuna laborum est, 
Ipsa regam. Tales dederat Saturnia voces. 560 
Illa autem attollit stridentes anguibus alas, 
Cocytique petit sedem, supera ardua linquens. 

Est locus Italiae medio sub montibus altis, 

Nobilis, et fama multis memoratus in oris, 
Amsancti valles: densis hunc frondibus atrum 565 
Urget utrimque latus nemoris, medioque fragosus 
Dat sonitum saxis, et torto vertice torrens. 

Jlic specus horrendum, saevi spiracula Ditis, 
Monstratur, ruptoque ingens Acheronte vorago 
Pestiferas aperit fauces: queis condita Erinnys,- 


LIBRO SETTIMO 97 


De la crudele e. spaventosa Eriune 
Gittossi, e dismorbó l’ aura di sopra. 
Non però Giuno di condur la guerra 
Rimansi intanto. Ed ecco dal conflitto 825 
- Venir ne la città la rozza turba 
De' contadini, e riportare i corpi 
Del giovinetto Almone e di Galeso, 
Così com’ eran sanguinosi e sozzi. 
Gli mostrano; ne gridano; n'implorano 83o 
Da gli Dei, da Latino e da le genti 
Testimonio, pietà, sdegno e vendetta. 
Evvi Turno presente, che con essi 
Tumultuando esclama, e'l fatto aggrava, 
E detesta e rimprovera e spaventa. 883 
Questi, questi, dicendo, son chiamati 
A regnar ne l’ Ausonia: a i Frigi, a i Frigi 
Dà Latino il suo sangue e Turno esclude. 
Sopravvengono intanto i furiosi, 


Invisum numen, terras caelumque levabat. 

Nec minus interea extremam saturnia bello 
Imponit regina manum. Ruit omnis in urbem 
Pastorum ex acie numerus, caesosque reportant, 
Almonem puerum, foedatique ora Galaesi: 573 
Implorantque Deos, obtestanturque Latinum. 
T'urnus adest, medioque in crimine caedis et ignis 
T'errorem ingeminat: Teucros in regna vocari, 
Stirpem adinisceri phrygiam; se limine pelli. 
Tum, quorum attonitae Baccho nemora avia matres 


Eneide Zool. JI 8 


58 ENEIDE 


Che, con le donne attonite scorrendo , 890 
Gian con Amata per le selve in tresca; 
Ché grande era d' Amata in tutto il regno 
La stima e’l nome; e d' ogni parte accolti 
Tutti contra gli annunzii, contra i Fati 
L’ armi chiedendo e la non giusta guerra, 895 
Van di Latino a la magione intorno. 
Egli di rupe in guisa immoto stassi , 
^ . Di rupe che, nel mar fondata e salda, 
Nè per venti si crolla , nè per onde 
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli — 9oo 
Son di spuma coverti e d' alga in vano. 
Ma poichè superar non puote il cieco 
Lor malvagio consiglio, e che le cose 
Givan di Turno e di Giunone a voto, 
Molto pria con gli Dei, con le van'aure 903 


Insultant thiasis, (neque enim leve nomen Amatae ) 
Undique collecti coeunt, Martemque fatigant. 
Ilicet infandum cuncti contra omina bellum, 
Contra fata Deiím, perverso numine poscunt ; 
Certatim regis circumstant tecta Latini. 585 
Ille, velut pelagi rupes immota, resistit: 

* Ut pelagi rupes, magno veniente fragore, * 

Quae sese, multis circum latrantibus undis, 

Mole tenet: scopuli nequidquam et spumea circum 
Saxa fremunt, laterique illisa refunditur alga. 590 
Verum, ubi nulla datur caecum exsuperare potestas 
Consilium, et saevae nutu Iunonis eunt res: 


LIBRO SETTIMO 29 


Si protestò ; poscia, dal fato, disse, 
Son vinto, e la tempesta mi trasporta. 
Ma voi per questo sacrilegio vostro 
Il fio ne pagherete . E tu fra gli altri, 
Turno , tu pria n’ avrai supplicio e morte; 910 
E preci e voti a tempo ne farai, 
Ch'a tempo non saranno. lo, quanto a me, 
Già de' miei giorni e della mia quiete 
Son quasi in porto: e da voi sol m'è tolto 
Morir felicemente . E qui si tacque, 915 
E ’1 governo depose, e ritirossi. 

Era in Lazio un costume, che venuto 
È poi di mano in man di Lazio in Alba, 
E d’Alba in Roma, ch'or del mondo è capo; 
Che nel mover de l’ armi ai Geti, a gl’ Indi, 920 
A gli Arabi, a gl'Ircani a qual sia gente 


Multa Deos aurasque pater testatus inanes, 
Frangimur heu fatis, inquit, ferimurque procella! 
Ipsi has sacrilego pendetis sanguine poenas, 599 
O miseri. Te, Turne, nefas, te triste manebit 
Supplicium; votisque Deos venerabere seris. 
Nam mihi parta quies, omnisque in limine portus, 
Funere felici spolior. Nec plura loquutus 
Saepsit se tectis, rerumque reliquit habenas. ^ 6oo 
Mos erat hesperio in. Latio, quem protinus urbes 
Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum 
Roma colit, quum prima movent in praelia Martem; 
Sive Getis inferre manu lacrimabile bellum, 


6o ENEIDE 


Ch' elle sian mosse, sì com’ ora a’ Parti 

Per ricovrar le mal perdute insegne , 

S' apron le porte de la guerra in prima. 
Queste son due, che per la riverenza, 925 

Per la religione e per la tema 

Del fiero Marte, orribili e tremende 

Sono a le genti ; e con ben cento sbarre 

Di rovere, di ferro e di metallo 

Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano . 930 

Ma quando per consiglio e per decreto 

De' Padri si determina e s’ approva 

Che si guerreggi, il Consolo egli stesso, 

Sì come è l’uso, in abito e con pompa 

Ch’ ha da' Gabini origine e da’ Regi, 939 

Solennemente le disferra e l'apre: 

Ed egli stesso al suon de le catene 

E de la rugginosa orrida soglia 

La guerra intuona: guerra dopo lui 


Hyrcanisve Arabisve parant, seu tendere ad Indos, 
Auroranque sequi, Parthosque reposcere signa: 
Sunt geminae Belli portae, (sic nomine dicunt) 
Relligione sacrae, et saevi formidine Martis: 
Centum aerei claudunt vectes, aeternaque ferri 
Robora; nec custos absistit limine Ianus. 610 
Has, ubi certa sedet patribus sententia pugnae, 
Ipse, quirinali trabea cinctuque gabino 

Insignis, reserat stridentia limina consul: 

Ipse vocat pugnas: sequitur tum cetera pubes: 


LIBRO SETTIMO 


Grida la gioventù; guerra e battaglia 
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta. 
In questa guisa era Latino astretto | 
D'annunziarla a i Teucri; a lui quest atto 
D'aprir le triste e spaventose porte 
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre, 
Schivo di si nefando ministero, 
S'astenne di toccarle, e gli occhi indietro 
Volse per non vederle, e si nascose. 
Ma per torre ogni indugio un'altra volta 
Ella stessa Regina de’ Celesti 
Dal ciel discese, e di sua propria mano 
Spinse, disgangherò , ruppe e sconfisse 
De le sbarrate porte ogni ritegno, 
Sì che l'aperse. Allor l’ Ausonia tutta, 
Ch’ era dianzi pacifica e quieta, 
S' accese in ogni parte. E qua pedoni, 
Là cavalieri; a la campagna ognuno, 


A reaque assensu conspirant cornua rauco: 
Hoc et tum /Eneadis indicere bella Latinus 
More iubebatur, tristesque recludere portas. 
Abstinuit tactu pater, aversusque refugit 
F'oeda ministeria, et caecis se condidit umbris. 
Tum regina Deum caelo delupsa morantes 
Impulit ipsa manu portas, et cardine verso 
Belli ferratos rupit Saturnia postes. 

Ardet inexcita Ausonia atque immobilis ante; 
Pars pedes ire parat campis; pars arduus altis 


61 


940 


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995 


620 


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16 ENEIDE 


E rise e tacque. A questa voce Enea, 180 
Sì come a fin de le fatiche loro, | 
Avvertì primamente, e stupefatto 

Del suo misterio, subito inchinando 

Disse: O da’ Fati a me promessa terra, 

Io te devoto adoro: e voi ringrazio, 185 
Santi numi di Troia, amiche e fide 

Scorte de gli error miei. Questa è la patria 
Quest’ è P albergo nostro e questo è '1 segno 
Che il mio padre lasciommi ( or mi ricordo 

De gli occulti miei fati). Allor, dicendo, 190 
Che saraf, figlio, in peregrina terra 

Da fame a manducar le mense astretto, 

Fia ’1 tuo riposo: allor fonda gli alberghi, 

Allor le mura. Or questa è quella fame, 

Ultimo rischio ad ultimar prescritto 199 


Nec plura alludens. Ea vox audita laborum 

Prima tulit finem; primamque loquentis ab ore 
Eripuit pater, ac stupefactus numine pressit. 
Continuo, Salve, fatis mihi debita tellus, 120 
Vosque, ait, o fidi Troiae, salvete Penates. 

Hic domus, haec patria est. Genitor mihitalia, namque 
( Nunc repeto) Anchises fatorum arcana reliquit: 
Quum te, nate, fames ignota ad litora vectum 
Accisis coget dapibus consumere mensas: 125 
Tum sperare domos defessus, ibique memento 
Prima locare manu, molirique aggere tecta. 

Haec erat illa fames: haec nos suprema manebant 


LIBRO SETTIMO 17 


Tutti i nostri altri perigliosi affanni. 

Or via, dimane a l' apparir del sole 

Per diversi sentier lungi dal porto 

Tutti gioiosamente investighiamo 

Che paese sia questo, da che gente 200 
Sia colto, o dove sian le terre loro. 

Ora a Giove si bea; faccinsi preci | 

Al padre Anchise; e sian le mense tutte 

Di vin piene e di tazze. E, ciò dicendo, 

Di frondi s' inghirlanda; e del paese 205 
ll genio, e de la terra il primo nume 
Primieramente inchina, e le sue .Ninfe, 

E ’1 fiume ancor non conto. Indi la Notte, 

E de la Notte le sorgenti stelle, 

E Giove Idéo, e d' Ida la gran madre, 210 
E la madre di lui.dal cielo invoca, 


Exitüis positura modum. 
Quare agite, et primo laeti cum lumine solis, 130 
Quae loca, quive habeant homines ,ubi moenia gentis, 
Vestigemus, et a portu diversa petamus. : 
Nunc pateras libate lovi, precibusque vocate 
Anchisen genitorem, et vina reponite mensis. 
Sic deinde effatus frondenti tempora ramo 135 
Implicat, et geniumque loci, primamque Deorum 
Tellurem, Nymphasque, et adhuc ignota precatur 
Flumina: tum Noctem, Noctisque orientia signa, 
Idaeumque lovem, phrygiamque ex ordine matrem 
Invocat, et duplices caeloque Ereboque parentes. 
Eneide Z°ol. II 


18 ENEIDE 


E da l'Erebo il padre. E qui di lampi 

Cinto, di luce e d' oro, e di sua mano 
Folgorando il gran Giove al ciel sereno 

Tonò tre volte. In ciò repente nacque 215 
Tra le squadre Troiane un lieto grido, 

Ch’ era già il tempo di fondar venuto 

Le desiate mura. A tanto annunzio - 

Tutti commossi, a rinnovar le mense, 

Ad invitarsi, a coronarsi, a bere 220 


Lietamente si diero. Il dì seguente 
Nel sorger dell’ aurora uscir diversi 


A spiar del paese, che contrade 
E che liti eran quelli, e di che genti. 
Trovàr che di Numico era lo stagno, 225 
E che] fiume era il Tebro, e la cittade 
Da’ feroci Latini era abitata. 
Allor d' Anchise il generoso figlio 


Hic pater omnipotens ter caelo clarus ab alto 
Intonuit, radiisque ardentem lucis et auro 
Ipse manu quatiens ostendit ab aethere nubem. 
Diditur hic subito troiana per agmina rumor, 
Advenisse diem, quo debita moenia condant. 149 
Certatim instaurant epulas, atque omine magno 
Crateras laeti statuunt, et vina coronant. 

Postera quum prima lustrabat lampade terras 
Orta dies; urbem et fines et litora gentis 
Diversi explorant: haec fontis stagna Numici, 150 
Jlunc Thybrim fluvium, hic fortes habitare Latinos. 











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LIBRO SETTIMO 19 


Cento fra tutti i piü scelti oratori 
D' oliva incoronati al re destina 230 
Con doni, con avvisi e con richieste 
D' amicizia, di comodi e di pace. 
Questi il viaggio lor sollecitando 
Se ne van senza indugio. Ed egli intanto 
Preso nel lito il primo alloggiamento 235 
Di picciol fosso la muraglia insolca; 
E ’n sembianza di campo e di fortezza 
D' argini lo circonda e di steccato. 
Seguon gl’ imbasciatori, € già da presso 
La città, l'alte torri e i gran palagi 240 
Scoprono de’ Latini. Anzi a le mura 
Veggono il fior de’ giovinetti loro 
Su' cavalli e su’ carri esercitarsi, 
Lotteggiar, tirar d’ arco, avventar pali, 


Tum satus Anchisa, delectos ordine ab omni, 
Centum oratores augusta ad moenia regis 

Ire iubet, ramis velatos Palladis omnes, 

Donaque ferre viro, pacemque exposcere Teucris. 
Haud mora; festinant iussi, rapidisque feruntur 
Passibus. Ipse humili designat moenia fossa, 
Moliturque locum; primasque in litore sedes, 
Castrorum in morem, pinnis alque aggere cingit. 
Jamque iter emensi, turres ac tecta Latinorum: 160 
"Ardua cernebant iuvenes, muroque subibant: 
Ante urbem pueri, et primaevo flore iuventus 
Exercentur equis, domitantque in pulyere currus; 


20 | ENEIDE 


E cotali altre oprar contese e prove 249 
Di corso, d' attitudine e di forza. 

Tosto che compariscono, un messaggio 
Quindi si spicca in fretta, e precorrendo 
Riporta al vecchio re, che nuova gente 
Di gran sembiante e d' abito straniero 220 
Vien dal mare à sua corte. Il re comanda 
Che sieno ammessi; e ne l' antico seggio 
Per ascoltarli in maestà si reca. 

Era la corte un ampio, antico, augusto 
Di più di cento colonnati estrutto ^» a55 
In cima a la città sublime albergo. 
Pico di Laürento il vecchio rege 
L' avea fondata. Era d' oscure selve, 
Era de' Numi de' primi avi suoi 
Sovra d'ogui altra veneranda e sacra. 260 
Qui de’ lor scettri, qui de’ primi fasci 


Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 
Spicula contorguent, cursuque ictugue lacessunt: 
Quum provectus equo longaevi regis ad aures 
Nuntius ingentes ignota in veste reportat 
Advenisse viros. Ille intra tecta vocari 

Imperat, et solio medius consedit avito. 

Tectum augustum, ingens, centum sublime columnis, 
Urbe fuit summa, Laurentis regia Pici, 
Horrendum silvis, et relligione parentum. 

Hic sceptra accipere, et primos attollere fasces 
Regibus omen erat: hoc illis curia templum, 


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LIBRO SETTIMO 21 


S' investivano i regi. In questo tempio 
Era la curia, eran le sacre cene, 
Eran de' padri i pubblici conviti 
De l’ ucciso ariete. Avea d' antico 265 
Cedro nel primo entrar l un dietro a l' altro 
De’ suoi grand’ avi simolacri eretti. 
Italo v' era, e il buon padre Sabino, 
Saturno con la vite e con la falce, 
Giano con le due teste, e gli altri regi 270 
Tutti di mano in man, che combattendo 
Non fur di sangue a la lor patria avari. 

‘ Pendean da le pareti e da’ pilastri 
Un gran numero d' armi e d' altre spoglie 
Prese in battaglia. A i portici d intorno 275 
Carri, trofei, catene, elmi e cimieri 
E securi e corazze e scudi e lance 

. E rostri di navilii e ferri e sbarre 


Hae sacris sedes epulis: hic ariete caeso 179 
Perpetuis soliti patres considere mensis. 

Quin. etiam veterum effigies ex ordine avorum 
Antiqua ex cedro; Italusque, paterque Sabinus, 
Vitisator, curvam servans sub imagine falcem, 
Saturnusque senex, Ianique bifrontis imago, 180 
F'estibulo adstabant, aliique ab origine reges, 
Martia qui ob patriam pugnando vulnera passi: - 
Multaque praeterea sacris in postibus arma, 

Captivi pendent currus, curvaeque secures, 

Et cristae capitum, et portarum ingentia claustra, 


22 ENEIDE 


Di fracassate porte erano affisse. 

In abito succinto, e con la verga 230 
Che fu poi di Quirino, e con l’ ancile 
Ne la sinistra esso re Pico assiso 
V' era, pria cavaliero, e poscia augello; 
Ch' in augello il cangió la maga Circe 
Sdegnosa amante; e gli suoi regii fregi 285 
Gli converse in colori, e’l manto in ali. 

In questo tempio sovra al seggio agiato 
De' suoi maggiori, a sé Latino i Teucri 
Chiamar si fece; e dolcemente in prima 
Così parlò: Dite, Troiani amici, 290 
À che venite? ché venite in luogo 
Ch' ha di Troia e di voi contezza a pieno. 
Siatevi, o per errore o per tempesta 


Spiculaque, clypeique, ereptaque rostra carinis. 

Ipse quirinali lituo, parvaque sedebat 

Succinctus trabea, laevaque ancile gerebat 

Picus equum domitor: quem capta cupidine coniux 

Aurea percussum virga, versumque venenis, 190 

Fecit avem Circe, sparsitque coloribus alas. 

Tali intus templo Divim, patriaque Latinus 

Sede sedens Teucros ad sese in tecta vocavit; 

"Atque haec ingressis placido prior edidit ore: 
Dicite, Dardanidae, ( neque enim nescimus et urbem 195 

Et genus, auditique advertitis aequore cursum ) 

Quid petitis? quae caussa rates, aut cuius egentes 

Litus ad ausonium tot per vada caerula vexit? 


LIBRO SETTIMO 23 


O per bisogno .a questi liti addotti, 

Come a gente di mar sovente avviene, 295 
À buon fiume, a buon porto, a buon ospizio 
Siete arrivati. Da Saturno scesi 

Sono i Latini, ed ospitali e buoni, 

Non per forza o per leggi, ma per uso 

E per natura; e del buon vecchio Dio Joo 
Seguitiam l’ orme e de’ suoi tempi d' oro. 

lo mi ricordo ( ancor che questa fama 

Sia per molt' anni omai debile e scura ) 

Che per vanto soleano i vecchi Aurunci 

Dir che Dardano vostro in queste parti 305 
Ebbe il suo nascimento; e quinci in Ida 

Passò di Frigia, e ne la tracia Samo, 

Ch’ or Samotracia è detta. Da’ Tirreni, 

E da Corito uscio Dardano vostro, 

Ch’ or fatto è Dio, e tra’ celesti in ‘cielo 310 


Sive errore viae, seu tempestatibus acti 

( Qualia multa mari nautae patiuntur in alto) 200 
Fluminis intrastis ripas, portuque sedetis: 

Ne fugite hospitium, neve ignorate Latinos, 
Saturni gentem, haud vinclo nec legibus aequam, 
Sponte sua, veterisque Dei se more tenentem. 

tque equidem memini (fama est obscurior annis ) 
Auruncos ita ferre senes, his ortus ut agris 
Dardanus idaeas Phrygiae penetrarit ad urbes, 
T'hreiciamque Samum quae nune Samothracia fertur. 
Hinc illum Corythi tyrrhena ab sede profectum, 








20 ENEIDE 


E cotali altre oprar contese e prove 249 
Di corso, d' attitudine e di forza. 

Tosto che compariscono, un messaggio 
Quindi si spicca in fretta, e precorrendo 
Riporta al vecchio re, che nuova gente 
Di gran sembiante e d' abito straniero 250 
Vien dal mare a sua corte. Il re comanda 
Che sieno ammessi; e ne l’ antico seggio 
Per ascoltarli in maestà si reca. 

Era la corte un ampio, antico, augusto 
Di più di cento colonnati estrutto ^ 295 
In cima a la città sublime albergo. 
Pico di Laürento il vecchio rege 
L/ avea fondata. Era d' oscure selve, 
Era de’ Numi de’ primi avi suoi , 
Sovra d’'‘ogni altra veneranda e sacra. 260 


Ò 
Qui de’ lor scettri, qui de’ primi fasci 


Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 
Spicula contorquent, cursuque ictugue lacessunt: 
Quum provectus equo longaevi regis ad aures 
Nuntius ingentes ignota in veste reportat 
Advenisse viros. Ille intra tecta vocari 

Imperat, et solio medius consedit avito. 

Tectum augustum, ingens, centum sublime columnis, 
Urbe fuit summa, Laurentis regia Pici, 
Horrendum silvis, et relligione parentum. 

Hic sceptra accipere, et primos attollere fasces 
Regibus omen erat: hoc illis curia templum, 


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LIBRO SETTIMO 2t 


S' investivano i regi. In questo tempio 

Era la curia, eran le sacre cene, 
Eran de' padri i pubblici conviti 
De l ucciso ariete. Avea d' antico 265 
Cedro nel primo entrar l’ un dietro a l' altro 
De’ suoi grand’ avi simolacri eretti. 
Italo v' era, e il buon padre Sabino, 
Saturno con la vite e con la falce, 
Giano con le due teste, e gli altri regi 270 
Tutti di mano in man, che combattendo 
Non fur di sangue a la lor patria avari. 

: Pendean da le pareti e da’ pilastri 
Un gran numero d' armi e d' altre spoglie 
Prese in battaglia. A i portici d’ intorno 275 
Carri, trofei, catene, elmi e cimieri 
E securi e corazze e scudi e lance 

.. E rostri di navilii e ferri e sbarre 


Hae sacris sedes epulis: hic ariete caeso 175 
Perpetuis soliti patres considere mensis. 

Quin etiam veterum effigies ex ordine avorum 
Antiqua ex cedro; Italusque, paterque Sabinus, 
Vitisator, curvam servans sub imagine falcem, 
Saturnusque senex, Janique bifrontis imago, 180 
Vestibulo adstabant, aliique ab origine reges, 
Martia qui ob patriam pugnando vulnera passi: : 
Multaque praeterea sacris in postibus arma, 

Captivi pendent currus, curvaeque secures, 

Et cristae capitum, et portarum ingentia claustra, 


a8 ENEIDE 


Questi è certo, dicea, quei che da’ Fat 

Si denunzia venir di stran paese 

Genero a me, sposo a Lavinia mia, 380 
Del mio regno partecipe e consorte. 

Questi è da cui verrà l egregia stirpe, 

Che col valor farassi e con le forze 

Soggetto e tributario il mondo tutto. 

Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, 385 
Secondate voi stessi i vostri augurii, 

E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete 

Tutto che desiate; e i vostri doni 

Gradisco e pregio; e mentre re Latmo 

Sarà, sarete voi nel regno suo 390 - 
Cortesemente accolti; e’l seggio e i campi 
E ciò ch'è d'uopo, come a Troia foste, 
In copia avrete. Or s'ei tanto desía 
L'amistà nostra e’l nostro ospizio, vegna 


Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255 
Portendi generum, paribusque in regna vocari 
Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram 
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem. 
Tandem laetus ait: Dí nostra incepta secundent , 
Auguriumque suum! Dabitur, Troiane, quod optas. 
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino, 

Divitis uber agri, T'roiaeve opulentia deerit. 

Ipse modo JEneas ( nostri si tanta cupido est, 

Si iungi hospitio properat, sociusve vocari) 
Adveniat, vultus neve exhorrescat amicos. 265 


LIBRO SETTIMO 29 


Egli in persona, e-non:abborra omai 395 

Il nostro amico aspetto. Arra e certezza 

Ne fia di pace il. convenir con lui, 

E di lui stesso aver la fede in pegno. 

Da l'altra parte, a mio nome gli dite 

Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400 

Una mia figlia. A questa il mio paterno 

Oracolo, e del ciel molti prodigii 

Vietan ch'io dia marito altro ch’ esterno. 

D’ esterna parte, tal d'Italia è ’l Fato, 

Un genero dal ciel mi si promette, 405 

Per la cui stirpe il mio nome e’l mio sangue 

Ergerassi a le stelle. Or se del vero 

Punto è’l mio cor presago, egli è quel desso, 

Cred’ io, che’l Fato accenna, e!l credo e’l bramo. 
Ciò detto, de' trecento, che mai sempre 410 

A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti 

Destrier di fazione e di rispetto, 


Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni. 

Vos contra regi mea nunc mandata referte. 

Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae 
Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo 
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270 
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum 
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata 

Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto. 

Haec effatus, equos numero pater eligit omni. 
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 275 


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30 ENEIDE 


Per gli cento orator .cento n'elegge, 
Ch'avean.le lor coverte e i lor girelli, 
Le pettiere e le briglie in varie guise 415 
D'ostro e di seta ricamati e d'oro, 
E d'ór le ghiere, e d'ór le borchie e i freni. 
Al Troian duce assente un carro invia 
Con due corsier ch'eran di quei del Sole 
Generosi bastardi, e vampa e foco 420 
Sbruffavan per le nari. Al Sol suo padre 
La razza ne furó la scaltra Circe 

. Allor ch'a l'incantate sue giumente 
Eto e Piróo furtivamente impose. 
Tali in su tai cavalli alteramente 425 
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre 
Portàr novelle e parentela e pace. 

Ed ecco che di Grecia uscendo e d'Árgo 
L'empia moglie di Giove, alto da terra 


Omnibus extemplo Teucris iubet ordine duci 
Instratos ostro alipedes pictisque tapetis. 

Aurea pectoribus demissa monilia pendent: 

Tecti auro, fulvum mandunt sub dentibus aurum. 
Absenti /Eneae currum geminosque iugales — . 280 


^ Semine ab aetherio, spirantes naribus ignem, 


Illorum de gente, patri quos daedala Circe 
Supposita de matre nothos furata creavit. 

Talibus Aneadae donis dictisque Latini 

Sublimes in equis redeunt, pacemque reportant. 285 


Ecce autem inachiis sese referebat ab Argis 


\ LIBRO SETTIMO 31 


Sospesa , infin dal Sicolo Pachino 430 
Vide i legni Troiani; e vide Enea 

Con tutti 1 suoi, che lieto e fuor del: mare 

E secur de la terra incominciava 

D'alzar gli alberghi, e di fonder le mura 

Già d'un altr Ilio. E, punta il cor di doglia, 435 
Squassando il capo, Ah, disse, a me pur troppo 
Nimica razza! ah troppo a'Fati miei 

Fati de Frigü avversi! E forse estinti 

Fur ne’ campi Sigei? Forse potuti 

Si son prender già presi, ed arder arsi! 440 
Per mezzo de le schiere e de gl' incendii 

Han trovata la via. Stanca fia dunque 

Questa mia deità, quando ancor sazia 

Non è de l'odio? E già s'è resa, quando 

Ha fin qui nulla oprato? E che mi giova 445 


Saeva Iovis coniux, aurasque invecta tenebat: 

Et laetum. /Enean, classemque ex aethere longe 
Dardaniam siculo prospexit ab usque Pachyno. 
Moliri iam tecta videt , iam fidere terrae, 290 
Deseruisse rates. Stetitacri fixa dolore: - 

Tum quassans caput, haec effundit pectore dicta: 
Heu. stirpem invisam, et. fatis contraria nostris 
Fata Phrygum! Num sigaeis occumbere campis, 
Num capti potuere capi? num incensa cremavit 295 
T'roia viros? medias acies, mediosque per ignes 
Invenere viam. At, credo, mea numina tandem 
F'essa iacent, odiis aut exsaturata quieyi. 


26 ENEIDE 


Vi sarem grati, che l’ausonia terra 

Non mai si pentirà d'aver i figli 345 
De la misera Troia in grembo accolti. 

lo ti giuro, signor, per le fatiche, . 

Per gli Fati d'Enea, per la possente 

Sua destra (già per fede e per valore 

Famosa al mondo) che da molte genti 350 
Molte fiate (e cio vil non ti sembri, 

Che da noi stessi a te ci proferiamo 

E ti preghiamo) siam pregati noi, 

E per compagni desiati e cerchi. 

Ma da i Fati, signor, e da gli Dei 355 
Siam qui mandati. Dardano qui nacque, 

Qua Febo ne richiama. Febo stesso, 

E quel di Delo è ch’ai Tirreni, al Tebro, 

Al fonte di Numico, a voi c'invia. 

Queste, oltre a ciò, poche reliquie, e segni 360 


Nec Troiam Ausonios gremio excepisse pigebit. 
Fata per /Eneae iuro, dextramque potentem, 

Sive fide, seu quis bello est expertus et armis: 235 
Multi nos populi, multae ( ne temne, quod ultro 
Praeferimus manibus vittas ac verba precantia ) 

Et petiere sibi, et voluere adiungere gentes. 

Sed nos fata Dem vestras exquirere terras 
Imperiis egere suis. Hinc Dardanus ortus ado 
Huc repetit, iussisque ingentibus urget Apollo 
Tyrrhenum ad Thybrim,et fontis vada sacra Numici, 
Dat tibi praeterea fortunae parva prioris 


LIBRO SETTIMO 27 


De l'andata fortuna e del suo amore 
Il re nostro ti manda; che dal foco 
Son de la patria ricovrate appena. 
Con questa coppa il suo gran padre Anchise 
Sacrificava. Questo regno in testa, ' 365 
Quando era in soglio, il gran Priamo avea: 
Questo è lo scettro, questa è Ja tiara, 
Sacro suo portamento; e queste vesti 
Son de le donne d’Ilio opre e fatiche. 

Al dir d’Ilionéo stava Latino 370 
Fisso col volto a terra immoto e saldo, 
Come in astratto, e solo avea le luci 
De gli occhi intese a rimirar, non tanto 
Il dipint' ostro e gli altri regii arnesi, 
Quanto in pensar de la diletta figlia 335 
Il maritaggio, e'l vaticinio uscito 
Dal vecchio Fauno. E'n sé stesso raccolto, 


Munera, relliquias T'roia ex ardente receptas. 

Hoc pater Anchises auro libabat ad aras: 245 
Hoc Priami gestamen erat, quum iura vocatis 

More daret populis; sceptrumque, sacerque tiaras, 
Iliadumque labor vestes. 

Talibus Ilionei dictis defixa Latinus : 

Obtutu tenet ora, soloque immobilis haeret, 250 
Intentos volvens oculos. Nec purpura regem 

Picta movet, nec sceptra movent priameia tantum, 
Quantum in. connubio natae thalamoque moratur; 
Et veteris Fauni volvit sub pectore sortem: 


a8 ENERAIDE 


Questi è certo, dicea, quei che da’ Fati 

Si denunzia venir di stran pacse 

Genero a me, sposo a Lavinia mia, 380 
Del mio regno partecipe e consorte. 

Questi è da cui verrà l' egregia stirpe, 

Che col valor farassi e con le forze 

Soggetto e tributario il mondo tutto. 

Ed al fin lieto, O, disse, eterni Dei, 385 
Secondate voi stessi 1 vostri augurii, 

E i pensier miei. Da me, Troiani, avrete 

Tutto che desiate; e 1 vostri doni 

Gradisco e pregio; e mentre re Latino 

Sarà, sarete voi nel regno suo 390 : 
Cortesemente accolti; e’l seggio e 1 campi 
E ció ch'é d'uopo, come a Troia foste, 
In copia avrete. Or s'ei tanto desía 
L'amistà nostra e’ nostro ospizio, vegua 


Hunc illum fatis externa ab sede profectum 255 
Portendi generum, paribusque in regna vocari 
Auspiciis; hinc progeniem virtute futuram 
Egregiam, et totum quae viribus occupet orbem. 
Tandem laetus ait: Di nostra incepta secundeni , 
Auguriumque suum! Dabitur, Troiane, quod optas. 
Munera nec sperno. Non vobis, rege Latino, 

Divitis uber agri, Troiaeve opulentia deerit. 

Ipse modo /Eneas ( nostri si tanta cupido est, 

Si iungi hospitio properat, sociusve vocari) 
Adveniat, eultus neve exhorrescat amicos. 265 








LIBRO SETTIMO 29. 


Egli in persona, e.non.abborra omai . | 395 

Il nostro amico aspetto. Arra e certezza 

Ne fia di pace il convenir con lui, 

E di lui stesso aver la fede in pegno. 

Da l'altra perte, a. mio nome gli dite 

Quel ch'io dirovvi. Io senza più mi trovo 400 

Una mia figlia. A questa il mio paterno. 

Oracolo, e del ciel molti prodigii 

Vietan ch'io dia marito altro ch'esterno. 

D'esterna parte, tal d'Italia è ’1 Fato, 

Un genero dal ciel mi si promette, 405 

Per la cui stirpe il mio nome e'1 mio sangue 

Ergerassi a le stelle. Or se del vero 

Punto é'| mio cor presago, egli è quel desso, 

Cred'io, che’l Fato accenna, e'l credo e'1 bramo. 
Ciò detto, de’ trecento, che mai sempre 410 

A’ suoi presepii avea, nitidi e pronti 

Destrier di fazione e di rispetto, 


Pars mihi pacis erit dextram tetigisse tyranni. 

Vos contra regi mea nunc mandata referte. . 

Est mihi nata, viro gentis quam iungere nostrae 
Non patrio ex adyto sortes, non plurima caelo 
.Monstra sinunt: generos externis adfore ab oris, 270 
Hoc Latio restare canunt, qui sanguine nostrum 
Nomen in astra ferant. Hunc illum poscere fata 

Et reor, et, si quid veri mens augurat, opto. 

Haec effatus, equos numero pater eligit omni. 
Stabant ter centum nitidi in praesepibus altis: 279 


36 ENEIDE 


Arme ognun brami, ognun le gridi e prenda. 
Di serpi, e di gorgónei veneni 515 
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima 
Scorrendo, e per Leurento, e per la corte 
De la regina Amata entro la soglia 
Insidiosamente si nascose . 
Era allor la regina, come donna, 520 
E come madre, dal materno affetto, 
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo 
De le nozze di Turno in molte guise 
Afflitta e conturbata, quando Aletto 
Per rivolgerla in furia, e co suoi mostri 525 
Sossopra rivoltar la reggia tutta, 
Da’ suoi cerulei crini un angue in seno 
Le avventò sì che l’entrò poscia al core. 
Ei primamente infra la gonna e'l petto 
Strisciando, e uon mordendo, a poco a poco 530 
Col suo vipereo fiato un non sentito 


Exin gorgoneis Alecto infecta venenis 
Principio Latium, e& Laurentis tecta tyranni 
Celsa petit, tacitumque obsedit limen Amatae, 
Quam super adventu. T'eucrüm, Turnique hymenaeis 
Femineae ardentem curaeque iraeque coquebant.345 
Huic Dea caeruleis unum de crinibus anguem 
Coniicit, inque sinum praecordia ad intima subdit, 
Quo furibunda domum manstro permisceat omnem. 
lile, inter vestes et laevia peotora lapsus, 
Volvitur attactu nullo, fallitque furentem, —— 350 


LIBRO SETTIMO 37 


Furor le spira. Or le si fa monile 
Attortigliato al collo; or lunga benda 
Le pende da le tempie; or quasi un nastro 
L’annoda il crine. Al fin Jubrico errando, 535 
Per ogni membro le s' avvolge e serpe. 
Ma fin che prima andò languido e molle 
Soli i sensi occupando il suo veleno; 
Finchè il suo foco penetrando a l’ ossa 
Non avea tutto ancor l'animo aoceso, 540 
Ella donnescamente lagrimando 
Sovra la figlia e sovra le sue nozze 
Con tal queto rammarco si dolea; 
Adunque si darà Lavinia mia 
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, 549 
Tu così la collóchi? E non t'incresce 
Di lei, di te, di sua madre infelice? 
Ch'al primo vento ch'ai suoi legni spiri, 


Vipeream inspirans animam: fit tortile collo 

Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae, 

Innectitque comas, et membris lubricus errat. 

Ac dum prima lues udo sublapsa veneno 

Pertentat sensus, atque ossibus implicat ignem, 355 

Necdum animus toto percepit pectore flammam; 

Mollius, et solito matrum de more, loguuta est; 

Multa super nata lacrimans,phry giisque hymenaeis: 
Exsulibusne datur ducenda Lavinia Teucris, 

O genitor? nec te miseret nataeque, tuique? 360 

Nec matris miseret, quam primo Aquilone relinquet 


38 ENEIDE 


. Di così caro pegno orba rimasa 
(Come dir si potrà) da questo infido 
Fuggitivo ladrone abbandonata . 
Del mar vedrolla e de'corsari in preda? 
O non così di Sparta anco rapita 
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla. 


550 


Non fu Troiano anch’ egli? Ah! dov'è, sire, 555 


Quella tua santa inviolabil fede ? 

Quella cura de’ tuoi? quella promessa 
Che s'è fatta da te già tante volte 

Al nostro Turno? Se d’ esterna gente 
Genero ne si dee; se fisso e saldo 

È ciò nel tuo pensiero; se di Fauno 
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe; 
Io credo ch’ogni terra, .ch'al tuo scettro 
Non è soggetta, sia straniera a noi. 
Così ragion mi detta, e così penso . 
Che l' Oracolo intenda. Oltre che Turno 


Perfidus, alta petens, abducta virgine, praedo? 


560 


565 


At non sic phrygius penetrat Lacedaemona pastor, 


Ledaeamque Helenam troianas vexit ad urbes. 


Quid tua sancta fides? quid cura antiqua tuorum, 


Et consanguineo toties data dextera Turno? 
Si gener externa petitur de gente Latinis, 


Idque sedet, Faunique premunt te iussa parentis, 
Omnem equidem sceptris terram, quae libera nostris 


Dissidet, externam reor, et sic dicere Divos. 
Et Turno, si prima domus repetatur origo, 


370 


LIBRO SETTIMO 3g 


(Se la sua prima origine si mira) 

Per suoi progenitori Inaco , Acrisio, 

E per patria ha Micene. A questo dire 

Stava nel suo proposito Latino 570 
Ognor più duro. E la regina intanto 

Più dal veleno era del serpe infetta: 

E già tutta compresa, e da gran mostri 

Agitata , sospinta e forsennata, 

Senza ritegno. a correre, a scagliarsi , 575 
A gridar fra le genti e fuor d'ogni uso 

A tempestar per la città si diede. - 

Qual per gli atrii scorrendo e per le sale 

Infra la turba de’ fanciulli a volo 
‘ Va sferzato paléo ch’a salti, a scosse, 580 
Ed a suon di guinzagli roteando 

E ronzando s’ aggira e si travolve, 

Quando con meraviglia e con diletto 

Gli va lo stuol de’ semplicetti intorno, 


Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae. 
His ubi nequidquam dictis experta, Latinum 
Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum 
Serpentis furiale malum, totamque pererrat; | 379 
T'um vero infelix, ingentibus excita monstris, 
Immensam sine more furit lymphata per urbem: 
Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo, 
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum 
Intenti ludo exercent: ille actus habena 38o 
Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra 


34 -- ENEIDE 


Auspice fia Bellona in vece mia. 480 
Cotal non partorì di face pregna 

Ecuba a Troia incendio, qual Ciprigna 

Avrà con questo suo novéllo Pari 

Partorito altro foco, altra ruina 

A quest'altr' Ilio. Ciò dicendo, in terra 485 
Discese irata, e da l'inferne grotte 

A se chiamó la nequitósa Aletto. 

De le tre dire Furie una è costei, 

Cui son l'ire, i dannaggi, i tradimenti, 

Le guerre, le discordie, le ruine, 490 
Ogni empio officio, ogni mal'opra a core. 

E tale un mostro in tanti e così fieri 

Sembiauti si trasmuta, e de’ serpenti 

Sì tetra copia le germoglia intorno, 

Che Pluto e le tartarée sorelle 495 
Sue stesse in odio ed in fastidio l' hanno. 


Et Bellona manet te pronuba. Nec face tantum 

Cisseis praegnans ignes enixa iugales: 320 

Quin idem Veneri partus suus, et Paris alter, 

Funestaeque iterum recidiva in Pergama taedae. 
Haec ubi dicta dedit, terras horrenda petivit. 

Luctificam Alecto dirarum ab sede sororum, 

Infernisque ciet tenebris: cui tristia bella, 325 

Iraeque, insidiaeque, et crimina noxia cordi. 

Odit et ipse pater Pluton, odere sorores 

T'artareae monstrum: tot sese vertit in ora, 

T'am saevae facies, tot pullulat atra colubris. 


LIBRO SETTIMO 35 


Giunon le parla, e via più co’ suoi detti 

In tal guisa l’accende: O de la Notte 

Possente figlia, io per mio proprio affetto , 

Per onor del mio nume, per salvezza 500 
De la mia fama un tuo servigio agogno. 
Adoprati per me, che, mal mio grado, 


Questo Troiano «Enea del re Latino ' 
Genero non divenga, e nel suo regno 
Con gran mio pregiudicio non s'annidi. ^ 505 


Tu puoi, volendo, armar l'un contra l'altro 

I concordi fratelli: odii e zizzanie 

Seminar tra’ congiunti; e per le case 

Con mill'arti nocendo, in mille guise 

Infra’ mortali indur morti e ruine. 510 
Scuoti il fecondo petto ,- e le sue forze 

Tutt'a quest opra accampa. Inferma, annulla 
Questa lor pace; infiamma i cori a l'armi: 


Quam Iuno his acuit verbis, ac talia fatur: 330 
Hunc mihi da proprium, virgo sata Nocte, laborem, 
Hanc operam, ne noster honos, infractave cedat 
Fama loco, neu connubiis ambire Latinum 
4Eneadae possint, italosve obsidere fines. 

T'u potes unanimos armare in praelia fratres, 335 
"tque odiis versare domos; tu verbera tectis, 
F'unereasque inferre faces: tibi nomina mille, 
Mille nocendi artes. Fecundum concute pectus, . 
Disiice compositam pacem, sere crimina belli: 
Arma elit, poscatque simul, rapiatque iuventus. 


36 ENEIDE 


Arme ognuu brami, ognun le gridi e prenda. 
Di serpi, e di gorgònei veneni 515 
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima 
Scorrendo, e per Laurento, e per la corte 
De la regina Amata entro la soglia 
Insidiosamente si nascose . 
Era allor la regina, come donna, 520 
E come madre, dal materno affetto, 
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo 
De le nozze di Turno in molte guise 
Afflitta e conturbata, quando Aletto 
Per rivolgerla in furia, e co'suoi mostri 525 
Sossopra rivoltar la reggia tutta, 
Da'suoi cerulei crini un angue in seno 
Le avventò sì che l'entró poscia al core. 
Ei primamente infra la gonna el petto 
Strisciando, e uon mordendo, a poco a paco 530 
Col suo vipereo fiato un non sentito 


Exin gorgoneis Alecto infecta venenis 
Principio Latium, et Laurentis tecta tyranni 
Celsa petit, tacitumque obsedit limen Amatae. 
Quam super adventu, Teucrüm, Turnique hymenaeis 
F'emineae ardentem curaeque iraeque coquebant. 345 
Huic Dea caeruleis unum de crinibus anguem 
Coniicit, inque sinum praecordia ad intima subdit, 
Quo furibunda domum manstro permisceat omnem. 
lile, inter vestes et laevia pectora lapsus, 
Volvitur attaotu nullo, fallitque furentem, —— 350 





LIBRO SETTIMO 39 


Furor le spira. Or le si fa monile 
Attortigliato al collo; or lunga benda 
Le pende da le tempie; or quasi un nastro 
L'annoda il crine. Al fia lubrico errando, 535 
Per ogni membro le s avvolge e serpe. 
Ma fin che prima andò languido e molle 
Soli i sensi occupando il suo veleno; 
Finchè il suo foco penetrando a l' ossa 
Non avea tutto ancor l'animo acceso, 540 
Ella donnescamente lagrimando 
Sovra la figlia e sovra le sue nozze 
Con tal queto rammarco si dolea: 
Adunque si darà Lavinia mia 
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, 545 
Tu così la collóchi? E non t’incresce 
Di lei, di te, di sua madre infelice? 
Ch’ al primo vento ch'ai suoi legni spiri, 


Vipeream inspirans animam: fit tortile collo 

Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae, 

Innectitque comas, et membris lubricus errat. 

Ac dum prima lues udo sublapsa veneno 

Pertentat sensus, atque ossibus implicat ignem, 355 

Necdum animus toto percepit pectore flammam; 

Mollius, et solito matrum de more, loquuta est; 

Multa super nata lacrimans,phrygiisque hymenaeis: 
Exsulibusne datur ducenda Lavinia Teucris, 

O genitor? nec te miseret nataeque, tuique? 360 

Nec matris miseret, quam primo Aquilone relinquet 


38 ENEIDE 


. Di così caro pegno orba rimasa 
( Come dir si potrà) da questo infido 
Fuggitivo ladrone abbandonata . 
Del mar vedrolla e de'corsari in preda? 
O non cosi di Sparta anco rapita 
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla 


550 


Non fu Troiano anch’ egli? Ah! dov'è , sire, 555 


Quella tua santa inviolabil fede? 

Quella cura de’ tuoi? quella promessa 
Che s'é fatta da te già tante volte 

Àl nostro Turno? Se d' esterna gente 
Genero ne si dee; se fisso e saldo 

E ció nel tuo pensiero; se di Fauno 
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe; 
Io credo ch'ogni terra, .ch'al tuo scettro 
Non è soggetta, sia straniera a noi. 
Così ragion mi detta, e così penso . 
Che l’ Oracolo intenda. Oltre che Turno 


Perfidus, alta petens, abducta virgine, praedo? 


560 


565 


At non sic phrygius penetrat Lacedaemona pastor, 


Ledaeamque Helenam troianas vexit ad urbes. 


Quid tua sancta fides? quid cura antiqua tuorum, 


Et consanguineo toties data dextera Turno? 
Si gener externa petitur de gente Latinis, 


Idque sedet, Faunique premunt te iussa parentis, 
Omnem equidem sceptris terram, quae libera nostris 


Dissidet, externam reor, et sic dicere Divos. 
Et Turno, si prima domus repetatur origo, 


370 


LIBRO SETTIMO 39 


(Se la sua prima origine si mira) 

Per suoi progenitori Inaco, Acrisio, 

E per patria ha Micene. A questo dire 

Stava nel suo proposito Latino 570 
Ognor più duro. E la regina intanto 

Più dal veleno era del serpe infetta:. 

E già tutta compresa, e da gran mostri 
Agitata, sospinta e forsennata, 

Senza ritegno. a correre, a scagliarsi, 575 
A gridar fra le genti e fuor d’ogni uso 

A tempestar per la città si diede. : 

Qual per gli atrii scorrendo e per le sale 

Infra la turba de’ fanciulli a volo 

‘ Va sferzato paléo ch’a salti, a scosse, 580 
Ed a suon di guinzagli roteando 

E ronzando s'aggira e si travolve, 

Quando con meraviglia e con diletto 

Gli va lo stuol de’ semplicetti intorno ,. 


Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae. 
His ubi nequidquam dictis experta, Latinum 

Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum 
Serpentis furiale malum, totamque pererrat; © 375 
T'um vero infelix, ingentibus excita monstris, 
Immensam sine more furit lymphata per urbem: 
Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo, 
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum 
Intenti ludo exercent: ille actus habena 380 
Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra 


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.* 


4o ENEIDE 


E gli dan co'flagelli animo e forza; 585 
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci 
Suoi popoli vagando, insana andava 
La regina infelice. E quel che poscia 
Fu d'ardire e di scandalo maggiore, 
Di Bacco simulando il nume e’l coro 590 
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze 
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa 
Ne le selve l’ascose: O Bacco, o Libero, 
Gridando, Eüoé: questa mia vergine - 
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595 
Ecco per te nel tuo coro s' esercita 
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina, 
À te la chioma sua nodrisce e dedica. 

Divolgasi di ciò la fama intanto 
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600 
Da furor tratte, e d'uno ardore accese 
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta. 


Impubesque manus, mirata volubile buxum; 

Dant animos plagae: non cursu segnior illo 

Per medias urbes agitur, populosque feroces. 

Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, 
Evolat, et natam frondosis montibus abdit; 

Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur; 
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, 
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem. 


LIBRO SETTIMO 41 


Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, 
D'irsute pelli involte, e d'aste armate, 

Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605 
Orrende voci e tremoli ululati 

Mandano a l'aura. E la regina in mezzo 

A tutte l'altre una facella in mano 

Prende di pino ardente, e l'imeneo 

De la figlia e di Turno imita e canta, Gio 
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti 

Al cielo ad or ad or la voce alzando, 

Uditemi, dicea, madri di Lazio, 

Quante ne siete in ogni loco, uditemi. 

Se può pietate in voi, se può la grazia 615 
De la misera Amata, e la miseria 

Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio, 
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ; 


Fama volat, furiisque accensas pectore matres 
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. 
Deseruere domos, ventis dant colla comasque. 
Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. 
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum 
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, 
Sanguineam torquens aciem; torvumque repente 
Clamat; lo matres, audite, ubi quaeque, latinae. 
Si qua piis animis manet infelicis Amatae 
Gratia, si iuris materni cura remordet; 
Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. 

Eneide Yol. II G 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là've già d'Acrisio il seggio pose 

L’avara figlia ivi dal vento esposta, 

A l'orgoglioso Turno si rivolse. 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 


Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 

Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 

Alecto torvam faciem, et furialia membra [15 


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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto (635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch'era sacerdotessa e guardiana 6.{0 
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti, e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche , e questi Frigii avranno 
La tua sposa e ’l tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ cosi deluso, 650 
E per ingrati la persona e l'alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe lunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


4o ENEIDE 


E gli dan co'flagelli animo e forza; 585 
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci 
Suoi popoli vagando, insana andava 
La regina infelice. E quel che poscia 
Fu d'ardire e di scandalo maggiore, 
Di Bacco simulando il nume el coro 590 
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze 
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa 
Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero, 
Gridando, Eüoé: questa mia vergine 
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595 
Ecco per te nel tuo coro s esercita 
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina, 
À te la chioma sua nodrisce e dedica. 

Divolgasi di ciò la fama intanto 
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600 
Da furor tratte, e d'uno ardore accese 


Saltan fuor de gli alberghi a la foresta. 


Impubesque manus, mirata volubile buxum; 

Dant animos plagae: non cursu segnior illo 

Per medias urbes agitur, populosque feroces. 

Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, 
Evolat, et natam frondosis montibus abdit; 

Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur; 
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, 
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem. 


LIBRO SETTIMO 44 


Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, 
D'irsute pelli involte, e d'aste armate, 

Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605 
Orrende voci e tremoli ululati 

Mandano a l'aura. E la regina in mezzo 

A tutte l'altre una facella in mano 

Prende di pino ardente, e l’imeneo 

De Ja figlia e di Turno imita e canta, 610 
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti 

Al cielo ad or ad or la voce alzando, 

Uditemi, dicea, madri di Lazio, 

Quante ne siete in ogni loco, uditemi. 

Se può pietate in voi, se può la grazia 615 
De la misera Amata, e la miseria 

Di lei, ch'ad ogni madre è d'infortunio, 
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ; 


Fama volat, furiisque accensas pectore matres 
Idem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. 
Deseruere domos, ventis dant colla comasque. 

Ast aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. 
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum 
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, 
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente 
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae. 
Si qua piis animis manet infelicis Amatae 

Gratia, si iuris materni cura remordet; 

Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. 


Eneide 77o/. LI G 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già. disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l’aura alzossi; ; 

E là've già d'Acrisio il seggio pose 

L’avara figlia ivi dal vento esposta, 

A lorgoglioso Turno si rivolse . 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum manet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415 


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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 60 
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e| tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch'a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l’ una e de l’ altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l’ alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


44 ENEIDE 


Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 655 
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 

Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch' han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660 
À le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, né per suo genero, 

Provi qual sia ne r armi, e quel ch' importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare - 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Così rispose: Io non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita 


Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas:. 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo 

Non, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío. 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema' 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Ch'a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 
Furia a la Furia questo dire accrebbe, 

ì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi 
Stupido ne rimase, .e tremó tutto: 

Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne, 
Con tanti ne fischió, tale una faccia 
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

Ammemor est nostri. 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidquam exercet, et arma 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Divim effigies et templa tueri: . 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Cosi da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali-a l'aura alzossi; 

E là've già d’Acrisio il seggio pose 

L'avara figlia ivi dal vento esposta, 

A Vorgoglioso Turno si rivolse. 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415 


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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.{0 
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l’ alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


Né rece mia. 480 


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rimina noxia cordi. 

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LIBRO SETTIMO 35 


Giunon le parla, e via più co’ suoi detti 

In tal guisa l’accende: O de la Notte 

Possente figlia , io per mio proprio affetto , 

Per onor del mio nume, per salvezza 500 
De la mia fama un tuo servigio agogno. 
Adoprati per me, che, mal mio grado, 

Questo Troiano «Enea del re Latino 

Genero non divenga, e nel suo regno 

Con gran mio pregiudicio non s'annidi. ^ 505 
Tu puoi, volendo, armar l'un contra l'altro 

I concordi fratelli: odii e zizzanie 

Seminar tra'congiunti; e per le case 

Con mill'arti nocendo, in mille guise 

Infra' mortali indur morti e ruine. 510 
Scuoti il fecondo petto ,- e le sue forze 

Tutt'a quest’ opra accampa. Inferma, annulla 
Questa lor pace; infiamma i cori a l'armi: 


Quam Iuno his acuit verbis, ac talia fatur: 330 
Hunc mihi da proprium, virgo sata Nocte, laborem, 
Hanc operam, ne noster honos, infractave cedat 
Fama loco, neu connubiis ambire Latinum 

HE neadae possint, italosve obsidere fines. 

d'u potes unanimos armare in praelia fratres, 335 
"tque odiis versare domos; tu verbera tectis, 
F'unereasque inferre faces: tibi nomina mille, 
Mille nocendi artes. Fecundum concute pectus, . 
Disiice compositam pacem, sere crimina belli: 

Arma velit, poscatque simul, rapiatque iuventus. 


36 ENEIDE 


Arme ognun brami, ognun le gridi e prenda. 
Di serpi, e di gorgònei veneni 515 
Guarnissi Aletto; e per lo Lazio in prima 
Scorrendo, e per Laurento, e per la corte 
De la regina Amata entro la soglia 
Insidiosamente si nascose. 
Era allor la regina, come douna, 520 
E come madre, dal materno affetto, 
Da lo scorno de’ Teucri, dal disturbo 
De le nozze di Turno in molte guise 
Afflitta e conturbata, quando Aletto 
Per rivolgerla in furia, e co'suoi mostri 525 
Sossopra rivoltar la reggia tutta, 
Da' suoi cerulei crini un angue in seno 
Le avventò sì che l’entrò poscia al core. 
Ei primamente infra la gonna e'l petto 
Strisciando, e uon mordendo, a poco a paco 530 


Col suo vipereo fiato un non sentito 


Exin gorgoneis Alecto infecta venenis 
Principio Latium, et Laurentis tecta tyranni 
Celsa petit, tacitumque obsedit limen Amatae. 
Quam super adventu, Teucrüm, Turnique hymenueis 
F'emineae ardentem curaeque iraeque coguelrant.345 
Huic Dea caeruleis unum de crinibus anguem 
Coniicit, inque sinum praecordia ad intima subdit, 
Quo furibunda domum monstro permisceat omnem. 
Ille, inter vestes et laevia pectora lapsus, 
Volvitur attactu nullo, fallitque furentem, —350 


LIBRO SETTIMO 37 


Furor le spira. Or le si fa monile 
Attortigliato al collo; or lunga benda 
Le pende da le tempie; or quasi un nastro 
L’annoda il crine. Al fin ]ubrico errando, 535 
Per ogni membro le s avvolge e serpe. 
Ma fin che prima andò languido e molle 
Soli i sensi occupando il suo veleno; 
Finchè il suo foco penetrando a l’ ossa 
Non avea tutto ancor l'animo aoceso, 540 
Ella donnescamente lagrimando 
Sovra la figlia e sovra le sue nozze 
Con tal queto rammarco si dolea; 
Adunque si darà Lavinia mia 
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, 545 
Tu cosi la collóchi? E non t' incresce 
Di lei, di te, di sua madre infelice? 
Ch'al primo vento ch'ai suoi legni spiri, 


Vipeream inspirans animam: fit tortile collo 

Aurum ingens coluber, fit longae taenia vittae, 

Innectitque comas, et membris lubricus errat. 

Ac dum prima lues udo sublapsa veneno 

Pertentat sensus, atque ossibus implicat ignem, 355 

Necdum animus toto percepit pectore flammam; 

Mollius, et solito matrum de more, loguuta est; 

Multa super nata lacrimans,phry giisque hymenaeis: 
Exsulibusne datur ducenda Lavinia Teucris, 

O genitor? nec te miseret nataeque, tuique? 360 

Nec matris miseret, quam primo Aquilone relinquet 


38 ENEIDE 


. Di così caro pegno orba rimasa 
( Come dir si potrà) da questo infido 
Fuggitivo ladrone abbandonata 
Del mar vedrolla e de'corsari in preda ? 
O non cosi di Sparta anco rapita 
Fu la figlia di Leda? E chi rapilla. 


550 


Non fu Troiano anch’ egli? Ah! dov'è, sire, 555 


Quella tua santa inviolabil fede ? 

Quella cura de’ tuoi? quella promessa 
Che s'è fatta da te già tante volte 

Al nostro Turno? Se d'esterna gente 
Genero ne si dee; se fisso e saldo 

È ciò nel tuo pensiero; se di Fauno 
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe; 
Io credo ch'ogni terra, -ch’al tuo scettro 
Non è soggetta, sia straniera a noi. 
Così ragion mi detta, e così penso . 
Che l’ Oracolo intenda. Oltre che Turno 


Perfidus, alta petens, abducta virgine, praedo? 


560 


565 


At non sic phrygius penetrat Lacedaemona pastor, 


Ledaeamque Helenam troianas vexit ad urbes. 


Quid tua sancta fides? quid cura antiqua tuorum, 


Et consanguineo toties data dextera T'urno? 
Si gener externa petitur de gente Latinis, 


Idque sedet, Faunique premunt te iussa parentis, 
Omnem equidem sceptris terram, quae libera nostris 


Dissidet, externam reor, et sic dicere Divos. 
Et Turno, si prima domus repetatur origo, 


370 


LIBRO SETTIMO 39 


(Se la sua prima origine si mira) 

Per suoi progenitori Inaco, Acrisio, 

E per patria ha Micene. A questo dire 

Stava nel suo proposito Latino” 570 
Ognor più duro. E la regina intanto 

Più dal veleno era del serpe infetta:. 

E già tutta compresa, e da gran niostri 

Agitata , sospinta e forsennata, 

Senza ritegno. a correre, a scagliarsi, 575 
A gridar fra le genti e fuor d’ogni uso 

A tempestar per la città si diede. : 

Qual per gli atrii scorrendo e per le sale 

Infra la turba de’ fanciulli a volo 

‘ Va sferzato paléo ch'a salti,.a scosse, 380 
Ed a suon di guinzagli roteando 

E ronzando s'aggira e si travolve, 

Quando con meraviglia e con diletto 

Gli va lo stuol.de' semplicetti intorno , 


Inachus Acrisiusque patres, mediaeque Mycenae. 
His ubi nequidquam dictis experta, Latinum 
Contra stare videt, penitusque in viscera lapsum 
Serpentis furiale malum, totamque pererrat; © 379 
T'um vero infelix, ingentibus excita monstris, 
Immensam sine more furit lymphata per urbem: 
Ceu quondam torto volitans sub verbere turbo, 
Quem pueri magno in gyro vacua atria circum 
Intenti ludo exercent: ille actus habena 380 
Curvatis fertur spatiis; stupet inscia supra 


4o ENEIDE 


E gli dan oo flagelli animo e forza; 585 
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci 
Suoi popoli vagando, insana andava 
La regina infelice. E quel che poscia 
Fu d'ardire e di scandalo maggiore, 
Di Bacco simulando il nume e’l coro 590 
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze 
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa 
Ne le selve l'ascose: O Bacco, o Libero, 
Gridando, Euoé: questa mia vergme - 
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595 
Ecco per te nel tuo coro s'esercita 
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina, 
A. te la chioma sua nodrisce e dedica. 

Divolgasi di ció la fama intanto 
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600 
Da furor tratte, e d'uno ardore accese 
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta. 


Impubesque manus, mirata volubile buxum; 

Dant animos plagae: non cursu segnior illo 

Per medias urbes agitur, populosque feroces. 

Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, 
Evolat, et natam frondosis montibus abdit; 

Quo thalamum eripiat. Teucris, taedasque moretur; 
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, 
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem. 


LIBRO SETTIMO 4a 


Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, 
D'irsute pelli involte, e d'aste armate, 

Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605 
Orrende voci e tremoli ululati 

Mandano a l'aura. E la regina in mezzo 

A tutte l'altre una facella in mano | 
Prende di pino ardente, e l'imeneo 

De la figlia e di Turno imita e canta, 610 
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti 

Al cielo ad or ad or la voce alzando, 

Uditemi, dicea, madri di Lazio, 

Quante ne siete in ogni loco, uditemi. 

Se può pietate in voi, se può la grazia 615 
De la misera Amata, e la miseria 

Di lei, ch' ad ogni madre è d'infortunio, 
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ; 


Fama volat, furiisque accensas pectore matres 
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. 
Deseruere domos, ventis dant colla comasque. 

"st aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. 
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum 
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, 
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente 
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae. 
Si qua piis animis manet infelicis 4matae 

Gratia, si iuris materni cura remordet; 


Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. 
Eneide Zol. II 6 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio . 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là’ve già d'Acrisio il seggio pose 

L'avara figlia ivi dal vento esposta, 

A lorgoglioso Turno si rivolse. 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam lecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415 





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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto — 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.{0 
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti, e così disse: 

Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno | 
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l'alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 
| 4 nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


4o ENEIDE 


E gli dan co'flagelli animo e forza; 585 
Tal per mezzo del Lazio e de' feroci 
Suoi popoli vagando, insana andava 
La regina infelice. E quel che poscia 
Fu d'ardire e di scandalo maggiore , 
Di Bacco simulando il nume el coro 590 
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze 
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa 
Ne le selve l’ascose: O Bacco, o Libero, 
Gridando, Eüoé: questa mia vergine 
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595 
Ecco per te nel tuo coro s' esercita 
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impempina, 
À. te la chioma sua nodrisce e dedica. 

Divolgasi di ciò la fama intanto 
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600 
Da furor tratte, e d'uno ardore accese 
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta. 


Impubesque manus, mirata volubile buxum; 

Dant animos plagae: non cursu segnior illo 

Per medias urbes agitur, populosque feroces. 

Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, 
Evolat, et natam frondosis montibus abdit; 

Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur; 
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, 
Vociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem. 


LIBRO SETTIMO Ai 


Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, 
D'irsute pelli involte, e d'aste armate, 

Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605 
Orrende voci e tremoli ululati 

Mandano a l'aura. E la regina in mezzo 

A tutte l'altre una facella in mano | 
Prende di pino ardente, e l'imeneo 

De la figlia e di Turno imita e canta, 610 
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti 

Al cielo ad or ad or la voce alzando, 

Uditemi, dicea, madri di Lazio, 

Quante ne siete in ogni loco, uditemi. 

Se puó pietate jn voi, se puó la grazia 615 
De la misera Amata, e la miseria 

Di lei, ch' ad ogni madre è d' infortunio, 
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ; 


Fama volat, furiisque accensas pectore matres 
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. 
Deseruere domos, ventis dant colla comasque. 

44st aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. 
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum 
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, 
Sanguineam torquens aciem; toreumque repente 
Clamat; lo matres, audite, ubi quaeque, latinae. 
Si qua piis animis manet infelicis Amatae 

Gratia, si iuris materni cura remordet; 

Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. 


Eneide Jol. II G 


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42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là've già d'Acrisio il seggio pose 

L'avara figlia ivi dal vento esposta, 

A lorgoglioso Turno si rivolse. 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torvam faciem, et furialia membra 415 





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Terran ene : "uh V 79-9 


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ARDEA. 


Aen.Lib.w 41. 


Ardea. 


LIBRO SETTIMO 43 


Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto — 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 60 
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e così disse: 

Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno | 
La tua sposa e 1 tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch’ a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l’ altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, |. — 65o 
E per ingrati la persona e l'alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


44 ENEIDE 


Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 659 
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch’ han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660 
A. le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, né per suo genero, 

Provi qual sia ne l’ armi, e quel ch’ importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare - 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Così rispose: Io non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita 


Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Ipsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phry gios,qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas: 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo 

Non, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío. 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema' 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Ch'a te non tocca. Quel ch' é tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 

Furia a la Furia questo dire accrebbe, 
Si che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi 
Stupido ne rimase, .e tremò tutto: 
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne, 
Con tanti ne fischió, tale una faccia 
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

Immemor est nostri. 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidquam exercet, et arma : 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Divm effigies et templa tueri: . 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là've già d’Acrisio il seggio pose 

L'avara figlia ivi dal vento esposta, 

A lorgoglioso Turno si rivolse . 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d' Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch’ Aletto 


Talem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 409 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum manet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto toryam faciem, et furialia membra 419 


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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto 635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.0 
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e 1 tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ cosi deluso, 650 
E per ingrati la persona e l’ alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 420 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


4o ENEIDE 


E gli dan co'flagelli animo e forza; 585 
Tal per mezzo del Lazio e de’ feroci 
Suoi popoli vagando, insana andava 
La regina infelice. E quel che poscia 
Fu d'ardire e di scandalo maggiore, 
Di Bacco simulando il nume el coro 590 
Per tor la figlia a i Teucri, e le sue nozze 
Distornare, o'ndugiare , a’ monti ascesa 
Ne le selve l’ascose: O Bacco, o Libero, 
Gridando, Exoé: questa mia vergine 
Sola a te si convien, solo a te serbasi. 595 
Ecco per te nel tuo coro Ss esercita 
Per te prende i tuoi tirsi, a te s'impampina , 
À te la chioma sua nodrisce e dedica. 

Divolgasi di ciò la fama intanto 
Fra le donne di Lazio, e tutte insieme 600 
Da furor tratte, e d'uno ardore accese 
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta. 


Impubesque manus, mirata volubile buxum; 

Dant animos plagae: non cursu segnior illo 

Per medias urbes agitur, populosque feroces. 

Quin etiam in silvas, simulato numine Bacchi, 385 
Maius adorta nefas, maioremque orsa furorem, 
Evolat, et natam frondosis montibus abdit; 

Quo thalamum eripiat Teucris, taedasque moretur; 
Euoe Bacche, fremens, solum te virgine dignum, 
F'ociferans; etenim molles tibi sumere thyrsos, 390 
Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem. 


LIBRO SETTIMO AI 


Ed altre ignude i colli e sciolte i crini, 
D'irsute pelli involte, e d'aste armate, 

Di tralci avviticchiate e di corimbi, 605 
Orrende voci e iremoli ululati 

Mandano a l'aura. E la regina in mezzo 

A tutte l'altre una facella in mano | 
Prende di pino ardente, e l'imeneo 

De la figlia e di Turno imita e canta, 610 
E con gli occhi di sangue e d'ira infetti 

Al cielo ad or ad or la voce alzando, 

Uditemi, dicea, madri di Lazio, 

Quante ne siete in ogni loco, uditemi. 

Se può pietate in voi, se può la grazia 615 
De la misera Amata, e la miseria 

Di lei, ch'ad ogni madre è d'infortunio, 
Disvelatevi tutte e scapigliatevi ; 


Fama volat, furüsque accensas pectore matres 
Jdem omnes simul ardor agit, nova quaerere tecta. 
Deseruere domos, ventis dant colla comasque. 

"st aliae tremulis ululatibus aethera complent, 395 
Pampineasque gerunt incinctae pellibus hastas. 
Jpsa inter medias flagrantem fervida pinum 
Sustinet, ac natae Turnique canit hymenaeos, 
Sanguineam torquens aciem; torvumque repente 
Clamat; lo matres, audite , ubi quaeque, latinae. 
Si qua piis animis manet infelicis Amatae 

Gratia, si iuris materni cura remordet; 


Solvite crinales vittas, capite orgia mecum. 
Eneide ol. II G 


42 ENEIDE 


Eüoé; a questo sacrificio 

Ne venite con me, meco ululatene. 620 
Così da Bacco e da le furie spinta 

Ne gia per selve e per deserti alpestri 

La regina infelice, quando Aletto, 

Ch' assai già disturbato avea il consiglio 

Di re Latino e la sua reggia tutta, 625 

Ratto su le fosc'ali a l'aura alzossi; 

E là've già d'Acrisio il seggio pose 

L’avara figlia ivi dal vento esposta, 

A l'orgoglioso Turno si rivolse. 

Ardéa fu quella terra allor nomata, 630 

E d'Ardéa il nome insino ad or le resta, 

Ma non già la fortuna. In questo loco 

Entro al suo gran palagio a mezza notte 

Prendea Turno riposo, allor ch' Aletto 


T'alem inter silvas, inter deserta ferarum, 
Reginam Alecto stimulis agit undique Bacchi. 405 
Postquam visa satis primos acuisse furores, 
Consiliumque omnemque domum vertisse Latini: 
Protenus hinc fuscis tristis Dea tollitur alis 
Audacis Rutuli ad muros: quam dicitur urbem 
Acrisioneis Danae fundasse colonis, 410 
Praecipiti delata noto. Locus Ardea quondam 
Dictus avis: et nunc magnum munet Ardea nomen. 
Sed fortuna fuit. Tectis hic Turnus in altis 
Jam mediam nigra carpebat nocte quietem. 
Alecto torvam faciem, et furialia membra 419 


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LIBRO SETTIMO 43 


Vi giunse, e il torvo suo maligno aspetto (635 
Con ciò ch’ avea di Furia, in senil forma 
iando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch’ era sacerdotessa e guardiana 6.{0 
Del tempio di Giunone; e ’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti, e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche, e questi Frigii avranno 
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l' una e de l’ altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l'alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 4ao 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardaniis transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


44 ENEIDE 


Va', fa' strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 655 
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 

Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch' han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660 
À le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, nè per suo genero, 

Provi qual sia ne l’ armi, e quel ch’ importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Così rispose: Io non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita 


Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas:, 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem T'urnum experiatur in armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo 

Non, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio en tale obblio . 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema: 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Ch’ a te non tocca. Quel ch' è tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 

Furia a la Furia questo dire accrebbe, 
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi 
Stupido ne rimase, e tremó tutto: 
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne, 
Con tanti ne fischiò, tale una faccia 


Le si scoverse. Indi le bieche luci 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

Ammemor est nostri. | 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidquam exercet, et arma - 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Divum effigies et templa tueri: . 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


A 


46 ENEIDE 


Di foco accesa, la viperea sferza 

Gli girò sopra; e sì com' era immoto 

Per lo stupore, ed a più dire inteso, 

Lo risospinse; e i suoi detti e i suoi scherni 

Così rabbiosamente improverógli: 690 
Or vedrai ben se rimbabita e scema 

Sono entrata in pensier d'armi e di stati, 

Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle. 

Guardami, e riconoscimi ; ch' a questo 

Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 695 

Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli 

Tale una face e con tal fumo un foco, 

Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core. 
Lo spavento del giovine fu tale, 

Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700 

Si trovò per angoscia il corpo tutto: 

E stordito sorgendo, arme d' intorno 


Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura 
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, 450 
Verberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore: 
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus 

Arma inter regum falsa formidine ludit; 

Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum: 
Bella manu, letumque gero. 455 
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro 

Lumine fumantes fixit- sub pectore taedas. 

Olli somnum ingens rumpit pavor; ossaque et artus 
Perfudit toto proruptus corpore sudor. 


LIBRO SETTIMO 47 


Cercossi, armi gridò, d'ira s'accese, 

D'empio disío, di scellerata insania 

Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705 
Che con alto bollor risuona e gonfia 

Un gran caldar, quand'ha di verghe a’ fianchi 
| Chi gli ministra ognor foco maggiore, 

Quando l'onda più ferve, e gorgogliando 

Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710 
E'l suo negro vapore a l'aura esala. 

Così Turno commosso a muover gli altri 

Si volge incontanente; e de’ suoi primi, 

Altri al re manda con la rotta pace, 

Ad altri l'apparecchio impon de l' arme, — 715 
Onde Italia difenda, onde i Troiani 

Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta . 

Contra de’ Teucri e contra de’ Latini 

Aver forze a bastanza. E ciò commesso, 


Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit: 
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ; 

Ira super: magno veluti quum flamma sonore 
Virgea suggeritur costis undantis aeni, 
Exsultantque aestu. latices: furit intus aquai 
F'umidus, atque alte spumis exuberat amnis: 465 
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras. 
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum 
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari, 
Tutari Italiam, detrudere finibus hostem: 

Se satis ambobus T'eucrisque venire Latinisque. 


—— — 


48 ENEIDE 


E ne' suoi voti i suoi Numi invocati, 720 
I Rutuli infra loro a gara armando 
S'esortavan l’ un l'altro; e tutti insieme 
Eran tratti da lui, chi per lui stesso 
(Che giovin era amabile e gentile) 
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725 
E chi per la virtute, e per le prove 
Di lui viste altre volte in altre guerre. 

Mentre cosi de' suoi Turno dispone 
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto 
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 73o 
In su la riva un loco, ove in campagna 
Correndo e'nsidiando il bello Iulo 
Seguía le fere fuggitive in caccia. 
Qui di subita rabbia i cani accese 
La virgo di Cocíto, e per la traccia 735 
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo 


Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit; 
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma: 
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae: 
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis. 

Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495 
"lecto in Teucros stygiis se concitat alis, 
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher 
Insidiis, cursuque feras agitabat Iulus. 
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo 
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480 
Ut cervum ardentes agerent: quae prima malorum 


LIBRO SETTIMO 49) 

Che fu poi di tumulto, di rottura 

Di guerra, e d' ogni mal prima cagione. 
Questo era un cervo mansueto e vago, 


Già grande e di gran corna, che divelto 740 


Da la sua madre, era nel gregge addotto 
Di Tirro e de’ suoi figli: ed era Tirro 
Il custode maggior de’ regii armenti 


E de'regi poderi; ed egli stesso 


L’ avea nudrito e fatto umile e manso. 745 


Silvia, una giovinetta sua figliuola, 
L'avea per suo trastullo; e con gran cura 
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava, 

Lo lavava sovente: Era a la mensa 


A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750 


Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco. 
Errava per le selve a suo diletto, 
E da se stesso poi la sera a casa, 


Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes. 
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens, 
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum 


Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485 


Armenta, et late custodia credita campi. 
Assuetum imperiis soror omni Silvia cura 
Mollibus intexens ornabat cornua sertis; 


Pectebatque ferum, purogue in fonte lavabat. 


Ille manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490 


Errabat silvis, rursusque ad limina nota 


Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat. 


Eneide 7/7ol. 11 7 


LIBRO SETTIMO 43 


Vi giünse, e il torvo suo maligno aspetto 635 
Con ció ch' avea di Furia, in senil forma 
Cangiando, raggruppossi, incanutissi, 
E di bende e d' olivo il crin velossi: 
Calibe in tutto fessi, una vecchiona 
Ch'era sacerdotessa e guardiana 60 
Del tempio di Giunone; e’n cotal guisa 
Si pose a lui davanti , e così disse: 
Turno, adunque avrai tu sofferte indarno 
Tante fatiche , e questi Frigii avranno 
La tua sposa e | tuo regno? il re, la figlia 645 
E la dote, ch' a te per gli tuoi merti, 
Per lo sparso tuo sangue era dovuta, 
E già da lui promessa, or ti ritoglie; 
E de l’ una e de l' altro erede e sposo 
Fassi un esterno. O va’ così deluso, 650 
E per ingrati la persona e l'alma 
Inutilmente a tanti rischii esponi . 


Exsuit, in vultus sese transformat aniles, 

Et frontem obscoenam rugis arat: induit albos 

Cum vitta crines: tum ramum innectit olivae: 

Fit Chalybe Iunonis anus, templique sacerdos; 

Et iuveni ante oculos his se cum vocibus offert: 4ao 
Turne, tot incassum fusos patiere labores, 

Et tua dardanüs transcribi sceptra colonis? 

Rex tibi coniugium et quaesitas sanguine dotes 

Abnegat, externusque in regnum quaeritur heres: 

I nunc, ingratis offer te, irrise, periclis: 425 


44 ENEIDE 


Va’, fa’ strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 655 
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 
Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch’ han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal ciel ti si comanda. E se Latino 660 
A. le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, nè per suo genero, 

Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare . 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Cosi rispose: Jo non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de' sensi; e ben sentita 


Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Ipsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phrygios,qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas:. 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas T'hybridis alveo 

JVon, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblío. 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Cl’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 

Furia a la Furia questo dire accrebbe, 
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
Riprese è rincagnossi: ed i ne gli occhi 
Stupido ne rimase,.e tremò tutto: 
Con tanti serpi s' arruffò l’ Erinne, 
Con tanti ne fischiò, tale una faccia 
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

Ammemor est nostri. 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidquam exercet, et arma | 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Divim effigies et templa tueri: . 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


46 ENEIDE 


Di foco accesa, la viperea sferza 
. Gli girò sopra; e sì com'era immoto 

Per lo stupore, ed a più dire inteso, 

Lo risospinse; e i suoi detti e i suoi scherni 

Così rabbiosamente improverdgli: 690 
Or vedrai ben se rimbabita e scema 

Sono entrata in pensier d'armi e di stati, 

Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle. 

Guardami, e riconoscimi ; ch’ a questo 

Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 695 

Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli 

Tale una face e con tal fumo un foco, 

Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core. 
Lo spavento del giovine fu tale, 

Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700 

Si trovò per angoscia il corpo tutto: 

E stordito sorgendo, arme d' intorno 


Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura 
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, — 45o 
F'erberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore: 
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus 

Arma inter regum falsa formidine ludit; 

Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum: 
Bella manu, letumque gero. 455 
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro 

Lumine fumantes fixit-sub pectore taedas. 

Olli somnum ingens rumpit pavor; ossaque et artus 
Perfudit toto proruptus corpore sudor. 


LIBRO SETTIMO 47 


Cercossi, armi gridò , d'ira s’ accese, 

D'empio disío, di scellerata insania 

Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705 
Che con alto bollor risuona e gonfia 

Un gran caldar, quand'ha di verghe a fianchi 
Chi gli ministra ognor foco maggiore, 

Quando l'onda più ferve, e gorgogliando 
. Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710 
E'l suo negro vapore a l'aura esala. 

Così Turno commosso a muover gli altri 

Si volge incontanente; e de’ suoi primi, 

Altri al re manda con la rotta pace, 

Ad altri l'apparecchio impon de l’ arme, 719 
Onde Italia difenda, onde i Troiani 
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta . 

Contra de’ Teucri e contra de’ Latini 

Aver forze a bastanza. E ciò commesso, 


Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit: 
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ; 

Ira super: magno veluti quum flamma sonore 
Virgea suggeritur costis undantis aeni, 
Exsultantque aestu latices: furit intus aquai 
Fumidus, atque alte spumis exuberat amnis: 465 
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras. 
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum 
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari, 
Tutari Italiam, detrudere finibus hostem: 

Se satis ambobus Teucrisque venire Latinisque. 


48 ENEIDE 


E ne'suoi voti i suoi Numi invocati, 720 
I Rutuli infra loro a gara armando 
S'esortavan l’ un l'altro; e tutti insieme 
Eran tratti da lui, chi per lui stesso 
(Che giovin era amabile e gentile) 
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725 
E chi per la virtute, e per le prove 
Di lui viste altre volte in altre guerre. 

Mentre così de’ suoi Turno dispone 
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto 
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 730 
In su la riva un loco, ove in campagna 
Correndo e'nsidiando il bello Iulo 
Seguía le fere fuggitive in caccia. 
Qui di subita rabbia i cani accese 
La virgo di Cocito, e per la traccia 735 
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo 


Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit; 
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma: 
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae: 
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis. 

Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495 
"lecto in Teucros stygiis se concitat alis, 
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher 
Insidiis, cursuque feras agitabat Iulus. 
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo 
Obiicit, et noto nares contingit odore, 480 
Ut cereum ardentes agerent: quae prima malorum 


LIBRO SETTIMO 49) 


Che fu poi di tumulto, di rottura 
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione. 
Questo era un cervo mansueto e vago, 
Già grande e di gran corna, che divelto 740 
Da la sua madre, era nel gregge addotto 
Di Tirro e de’ suoi figli: ed era Tirro 
Il custode maggior de’ regii armenti 
E de'regii poderi; ed egli stesso 
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 749 
Silvia, una giovinetta sua figliuola, 
L'avea per suo trastullo; e con gran cura 
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava, 
Lo lavava sovente: Era a la mensa 
A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750 
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco. 
Errava per le selve a suo diletto, 
E da se stesso poi la sera a casa, 


Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes. 
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens, 
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum 
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485 
Armenta, et late custodia credita campi. 

Assuetum imperiis soror omni Silvia cura 

Mollibus intexens ornabat cornua sertis; 
Pectebatque ferum, puroque in fonte lavabat. 

Jile manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490 
Errabat silvis, rursusque ad limina nota 

Ipse domum sera quamwis se nocte ferebat. 


Eneide 7^ol. 11 7 


44 ENEIDE 


Va', fa’ strage de’ Toschi. Va’; difendi 

I tuoi Latini, e in pace li mantieni. 

Questo mi manda apertamente a dirti 655 
La gran saturnia Giuno. Arma, arma i tuoi; 
Preparati a la guerra; esci in campagna; 

Assagli i Frigii, e snidagli dal fiume 

Ch' han di già preso, e i lor navili incendi. 

Dal cielti si comanda. E se Latino 660 
A le promission non corrisponde , 

Se Turno non accetta e non gradisce 

Né per suo difensor, nè per suo genero, 

Provi qual sia ne l' armi, e quel ch’ importi 
Averlo per nimico. Al cui parlare . 665 
Il giovine con beffe e con rampogne 

Così rispose: Io non son, vecchia, ancora 
Come te fuor de’ sensi; e ben sentita 


Tyrrhenas, i, sterne acies, tege pace Latinos. 

Haec adeo tibi me, placida quum nocte iaceres, 

Jpsa palam fari omnipotens Saturnia iussit. 

Quare age, et armari pubem, portisque moveri 

Laetus in arma para; et phrygios, qui flumine pulcro 

Consedere, duces pictasque exure carinas:, 

Caelestum vis magna iubet. Rex ipse Latinus 

Ni dare coniugium, et dicto parere fatetur, 

Sentiat, et tandem Turnum experiatur in armis. 
Hic iuvenis, vatem irridens, sic orsa vicissim 435 

Ore refert: Classes invectas Thybridis alveo 

Non, ut rere, meas effugit nuntius aures: 


LIBRO SETTIMO 45 


Ho la nuova de’ Teucri, e me ne cale 
Più che non credi. Non però ne temo 670 
Quel che tu ne vaneggi; e non m' ha Giuno 
(Penso) in tanto dispregio e ’n tale obblio . 
Ma tu da gli anni rimbambita e scema: 
Entri folle in pensier d' armi e di stati, 
Ch’ a te non tocca. Quel ch’ è tuo mestiero 675 
Governa i templi, attendi a i simolacri, 
E di pace pensar lascia e di guerra 
A chi di guerreggiar la cura è data. 

Furia a la Furia questo dire accrebbe, 
Sì che d' ira avvampando, ella il suo volto 680 
Riprese è rincagnossi: ed ei ne gli occhi 
Stupido ne rimase, e tremó tutto: 
Con tanti serpi s' arruffò ]' Erinne, 
Con tanti ne fischiò, tale una faccia 
Le si scoverse. Indi le bieche luci 685 


Ne tantos mihi finge metus: nec regia Iuno 

Ammemor est nostri. 

Sed te victa situ, verique effoeta senectus, 440 

O mater, curis nequidguam exercet, et arma 

Regum inter falsa vatem formidine ludit. 

Cura tibi, Divám effigies et templa tueri: 

Bella viri pacemque gerant, * queis bella gerenda. * 
Talibus Alecto dictis exarsit in iras. 445 

At iuveni oranti subitus tremor occupat artus: 

Diriguere oculi: tot Erinnys sibilat hydris, 

Tantaque se facies aperit: tum flammea torquens 


46 ENEIDE 


Di foco accesa, la viperea sferza 

Gli girò sopra; e sì com'era immoto 

Per lo stupore, ed a più dire inteso, 

Lo risospinse; e 1 suoi detti e i suoi scherni 

Così rabbiosamente improverógli: 690 
Or vedrai ben se rimbabita e scema 

Sono entrata in pensier d'armi e di stati, 

Ch'a me non tocchi; e se son vecchia e folle. 

Guardami, e riconoscimi ; ch’ a questo 

Son dal Tartaro uscita. E guerra e morte 695 

Meco ne porto. E, ciò detto; avventogli 

Tale una face e con tal fumo un foco, 

Che fe’ tenebre a*gli occhi e fiamme al core. 
Lo spavento del giovine fu tale, 

Che rotto il sonno, di sudor bagnato 700 

Si trovò per angoscia il corpo tutto: 

E stordito sorgendo, arme d' intorno 


Lumina, cunctantem et quaerentem dicere plura 
Reppulit, et geminos erexit crinibus angues, 450 
Verberaque insonuit, rabidoque haec addidit ore: 
En, ego victa situ, quam veri effoeta senectus 

Arma inter regum falsa formidine ludit; 

Respice ad haec: adsum dirarum ab sede sororum: 
Bella manu, letumque gero. 495 
Sic effata, facem iuveni coniecit, et atro 

Lumine fumantes fixit-sub pectore taedas. 

Olli somnum ingens rumpit pavor; ossaque et artus 
Perfudit toto proruptus corpore sudor. 


LIBRO SETTIMO 47 


Cercossi, armi gridò, d'ira s'accese, 

D'empio disío, di scellerata insania 

Di scompigli e di guerra. In quella guisa — 705 
Che con alto bollor risuona e gonfia 

Un gran caldar, quand'ha di verghe a'fianchi 
Chi gli ministra ognor foco maggiore, 

Quando l'onda più ferve, e gorgogliando 

Più rompe, più si volve e spuma e versa, 710 
E'l suo negro vapore a l'aura esala. 

Cosi Turno commosso a muover gli altri 

Si volge incontanente; e de'suoi primi, 

Altri al re manda con la rotta pace, 

Ad altri l'apparecchio impon de l’ arme, 719 
Onde Italia difenda, onde i Troiani 
Sian d' Italia cacciati, ed ei si vanta 

Contra de’ Teucri e contra de' Latini 

Aver forze a bastanza. E ciò commesso, 


Arma amens fremit, arma toro tectisque requirit: 
Saevit amor ferri, et scelerata insania belli ; 

dra super: magno veluti quum flamma sonore 
Virgea suggeritur costis unduntis aeni, 
Exsultantque aestu. latices: furit intus aquai 
Fumidus, atque alte spumis exuberat amnis: 405 
Nec iam se capit unda; volat vapor ater ad auras. 
Ergo iter ad regem, polluta pace, Latinum 
Indicit primis iuvenum, et iubet arma parari, 
Tutari Italiam, detrudere finibus hostem: 

Se satis ambobus Teucrisque venire Latinisque. 


48 ENEIDE 


E ne' suoi voti i suoi Numi invocati, 720 
I Rutuli infra loro a gara armando 
S'esortavan l’ un l’altro; e tutti insieme 
Eran tratti da lui, chi per lui stesso 
(Che giovin era amabile e gentile) 
Chi per la nobiltà de’ suoi maggiori, 725 
E chi per la virtute, e per le prove 
Di lui viste altre volte in altre guerre. 

Mentre così de’ suoi Turno dispone 
Gli animi e l'armi, in altra parte Aletto 
Sen vola a' Teucri, e con nuov'arte apposta 730 
In su la riva un loco, ove in campagna 
Correndo e ’nsidiando il bello Iulo 
Segufa le fere fuggitive in caccia. 
Qui di subita rabbia i cani accese 
La virgo di Cocito, e per la traccia 735 
Gli mise tutti; onde scopriro un cervo 


Haec ubi dicta dedit, Divosque in vota vocavit; 
Certatim sese Rutuli exhortantur in arma: 
Hunc decus egregium formae movet atque iuventae: 
Hunc atavi reges, hunc claris dextera factis. 

Dum Turnus Rutulos animis audacibus implet, 495 
Alecto in Teucros stygiis se concitat alis, 
Arte nova speculata locum, quo litore pulcher 
Insidüs, cursuque feras agitabat Iulus. 
Hic subitam canibus rabiem cocytia virgo 
Obücit, et noto nares contingit odore, 480 
Ut cereum ardentes agerent: quae prima malorum 


LIBRO SETTIMO 49 


Che fu poi di tumulto, di rottura 
Di guerra, e d' ogni mal prima cagione. 
Questo era un cervo mansueto e vago, 
Già grande e di gran corna, che divelto 740 
Da la sua madre, era nel gregge addotto 
Di Tirro e de’ suoi figli: ed era Tirro 
Il custode maggior de’ regii armenti 
E de'regii poderi; ed egli stesso 
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 745 
Silvia, una giovinetta sua figliuola, 
L’avea per suo trastullo; e con gran cura 
Di fior l’ inghirlandava, il pettinava, 
Lo lavava sovente: Era a la mensa 
A lor d’intorno; e da lor tutti amava 750 
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco. 
Errava per le selve a suo diletto, 
E da se stesso poi la sera a casa, 


Caussa fuit, belloque animos accendit agrestes. 
Cervus erat forma praestanti, et cornibus ingens, 
Tyrrhidae pueri quem matris ab ubere raptum 
Nutribant, Tyrrhusque pater, cui regia parent 485 
Armenta, et late custodia credita campi. 

Assuetum imperiis soror omni Silvia cura 

Mollibus intexens ornabat cornua sertis; 
Pectebatque ferum, purogue in fonte lavabat. 

Jile manum patiens, mensaeque assuetus herili, 490 
Errabat silvis, rursusque ad limina nota 

Ipse domum sera quamvis se nocte ferebat. 


Eneide 77ol. 11 7 





50 ENEIDE 


Come a proprio covil, se ne tornava. 

Quel dì per avventura di lontano 

Lungo il fiume venía tra l'ombre e I onde , 
Da la sete schermendosi e dal caldo, 
Quando d' Ascanio l' arrabbiate cagne 

Gli s'avventaro, ed esso a farsi inteso 
D'un tale onore e di tal preda acquisto, "Go 
Diede a l'arco di piglio, e saettollo. 

La Furia stessa gli drizzò ]a mano, 

E spinse il dardo si ch'appieno il colse 

Ne l'un de’ fianchi, e penetrògli a l'epa, 

Ferito, insanguinato, e con lo strale 763 
Il meschinello ne le coste infisso, ‘ 

Al consueto albergo entro a i presepi 
Mugghiando e lamentando si ritrasse; 
Ch' un lamentarsi, un dimandar aita 

D' uomo in guisa più tosto, che di fiera 
Erano i mugghi, onde la casa empiea. 


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Hunc procul errantem rabidae venantis Iuli 
Commovere canes; fluvio quum forie secundo 
Deflueret, ripaque aestus viridante levaret. 495 
Ipse etiam, eximiae laudis succensus amore, 
Ascanius curvo direxit spicula cornu: 

Nec dextrae erranti Deus abfuit: actaque multo 
Perque uterum sonitu perque ilia venit arundo. 
Saucius at quadrupes nota intra tecta refugit; 500 
Successitque gemens stabulis, questuque cruentus , 

| "(tque imploranti similis tectum omne replebat. 


LIBRO SETTIMO 51 


Silvia lo vide in prima, e col suo pianto, 

Col batter de le mani, e con le strida 

Mosse i villani a far turbe e tumulto. 

Sta questa peste per le macchie ascosa, 779 
: Di topi in guisa, a razzolar la terra 

In ogni tempo, sì che d' ogni lato 

N’ usciron d'improvviso; altri con pali 

E con forche e con bronchi aguzzi al foco ; 

Altri con mazze nodorose e gravi , 780 

E tutti con quell' armi ch'a ciascuno 

Fecer l'ira e la fretta. Era per sorte 

Tirro in quel punto ad una quercia intorno, 

E per forza di cogni e di bipeune 

L'avea tronca e squarciata: onde affannoso, 785 

Di sudor pieno, fieramente ansando 

Con la stessa ch'avea secure in mano 

Corse a le grida, e le masnade accolse. 

L'infernal Dea, ch'a la veletta stava 

Di tutto che seguía, veduto il tempo 790 


Silvia prima soror, palmis percussa lacertos, 
Auxilium vocat, et duros conclamat agrestes. 
Olli (pestis enim tacitis latet aspera silvis) 505 
Improvisi adsunt: hic torre armatus obusto, 

Stipitis hic gravidi nodis; quod cuique repertum 
Rimanti, telum ira facit. Vocat agmina Tyrrhus, 
Quadrifidam quercum cuneis ut forte coactis 
Scindebat, rapta spirans immane securi. 510 
At saeva.e speculis tempus Dea nacta nocendi 


5a ENEIDE 


Accomodato al suo pensier malvagio, 
Tosto nel maggior colmo se ne salse 
De la capanna, e con un corna a bocca 
Sonò de l’armi il pastorale accento. 
La spaventosa voce che n’ uscio . 795 
Dal tartaro spiccossi. E pria le selve 
Ne tremàr tutte; indi di mano in mano 
Di Nemo udilla e di Diana il lago, 
Udilla de la Nera il bianco fiume, 
E di Velino i fonti, e tal I' udiro, 800 
Che ne strinser le madri i figli in seno. 
A quella voce, e verso quella parte 
Onde sentissi, i contadini armati, 
Comunque ebber tra via d' armi rincontro, 
Subitamente insieme $' adunaro. 805 
Da l’ altro lato i giovani Troiani 
Al soccorso d' Ascanio in campo usciro, 


Ardua tecta petit stabuli; et de culmine summo 
Pastorale canit signum, cornuque recurvo 
Tartaream interdit vocem: qua protenus omne 
Contremutt nemus, et silvae intonuere profundae. 
Adudiit et T'riviae longe lacus, audiit amnis 
Sulphurea Nar albus aqua, fontesque Velini: 

Et trepidac matres pressere ad pectora natos. 
T'um vero ad vocem celeres, qua buocina signum 
Dira dedit, raptis concurrunt undique telis 520 
Indomiti agricolae: necnon et troia pubes 

Ascanio auxiltum castris effumdit apertis. 


‘LIBRO SETTIMO 53 


Spiegàr Je schiere, misersi in battaglia, 

- Vennero a l'armi; sì che non più zuffa 
Sembrava di villani, e non più pali 810 
Avean per armi, ma forbiti ferri 
Serrati insieme, che dal Sol percossi 
Per le campagne e fin sotto a le nubi 
Ne mandavano i lampi. In quella guisa 
Che lieve al primo vento il mar s' increspa, 815 
Poscia biancheggia, ondeggia e gonfia e frange 
E cresce in tanto, che da l' imo fondo 
Sorge fino a le stelle. Almone, il primo 
Figlio di Tirro, primamente cadde 

‘ In questa pugna. Ebbe di strale un colpo 820 
In su la strozza, che la via col sangue 
Gli chiuse e de la-voce e de la vita. 

Caddero intorno a lui molt altri corpi 


Direxere acies. Non iam certamine agresti, 
Stipiubus duris agitur sudibusve praeustis; 

Sed ferro ancipiti decernunt, atraque late 525 
Horrescit strictis seges ensibus, aeraque fulgent 
Sole lacessita, et lucem sub nubila iactant: 
Fluctus uti primo coepit quum albescere vento: 
Paullatim sese tollit mare, et altius undas 

Erigit, inde imo consurgit ad aethera fundo. — 530 
Hic iuvenis primam ante aciem stridente sagitta, 
Natorum Tyrrhi fuerat qui maximus, Almo 

+. Sternitur: haesit enim sub gutture eulnus, et udae 
Vocis iter, tenuemque inclusit sanguine vitam. 


56 ENEIDE 


Ch' in questa eterea luce e sopra terra 

Così licenziosa te ne vada, 

Torna a'tuoi chiostri; ed io, s'altro in ciò resta 
Da finir, finirò. Ciò disse appena 860 
La figlia di Saturno, che d' Aletto 

Fischiàr le serpi, e dispiegarsi l’ ali 

In vér Cocíto. È de l'Italia in mezzo 

E de’ suoi monti una famosa valle, 

Che d'Amsanto si dice. Ha quinci e quindi 865 
Oscure selve, e tra le selve un fiume 

Che per gran sassi rumoreggia e cade, 

E sì rode le ripe e le scoscende, 

Che fa spelonca orribile e vorago, 

Onde spira Acheronte, e Dite esala. 870 
In questa buca l' odioso Nume 


Haud pater ipse velit summi regnator Olympi. 
Cede locis. Ego, si qua super fortuna laborum est, 
Ipsa regam. Tales dederat Saturnia voces. 560 
Illa autem attollit stridentes anguibus alas, 
Cocytique petit sedem, supera ardua linquens. 

Est locus Italiae medio sub montibus altis, 

Nobilis, et fama multis memoratus in oris, 
Amsancti valles: densis hunc frondibus atrum 565 
Urget utrimque latus nemoris, medioque fragosus 
Dat sonitum saxis, et torto vertice torrens. 

Hic specus horrendum, saevi spiracula Ditis, 
Monstratur, ruptoque ingens Acheronte vorago . 
Pestiferas aperit fauces: queis condita Erinnys,- 


LIBRO SETTIMO 37 


De la crudele e. spaventosa Eriune 
Gittossi, e dismorbó l’ aura di sopra. 
Non peró Giuno di condur la guerra 
Rimansi intanto. Ed ecco dal contlitto 875 
- Venir ne la città la rozza turba 
De’ contadini, e riportare i corpi 
Del giovinetto Almone e di Galeso, 
Cosi com' eran sanguinosi e sozzi. 
Gli mostrano; ne gridano; n'implorano 83o 
Da gli Dei, da Latino e da le genti 
Testimonio, pietà, sdegno e vendetta. 
Evvi Turno presente, che con essi 
Tumultuando esclama, e’l fatto aggrava, 
E detesta e rimprovera e spaventa. 885 
Questi, questi, dicendo, son chiamati 
A regnar ne l' Ausonia: a i Frigi, a i Frigì 
Dà Latino il suo sangue e Turno esclude, 
Sopravvengono intanto i furiosi, 


Invisum numen, terras caelumque levabat. 

Nec minus interea extremam saturnia bello 
Imponit regina manum. Ruit omnis in urbem 
Pastorum ex acie numerus, caesosque reportant, 
Almonem puerum, foedatigue ora Galaesi: 573 
Implorantque Deos, obtestanturque Latinum. 
T'urnus adest, medioque in crimine caedis et ignis 
T'errorem ingeminat: T'eucros in regna vocari, 
Stirpem admisceri phrygiam; se limine pelli. 
Tum, quorum attonitae Baccho nemora avia. matres 


Eneide 77ol. 11 8 


58 ENEIDE 


Che, con le donne attonite scorrendo, 890 
Gian con Amata per le selve in tresca; 
Ché grande era d' Amata in tutto il regno 
La stima e’l nome; e d' ogni parte accolti 
Tutti contra gli annunzii, contra i Fati 
L' armi chiedendo e la non giusta guerra, 895 
Van di Latino a la magione intorno. 
Egli di rupe in guisa immoto stassi , 
‘Di rupe che, nel mar fondata e salda, 
Né per venti si crolla , né per onde 
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli — 9oo 
Son di spuma coverti e d' alga in vano. 
Ma poiché superar non puote il cieco 
Lor malvagio consiglio, e che le cose 
Givan di Turno e di Giunone a voto, 
Molto pria con gli Dei, con le van'aure — 9o3 


Insultant thiasis, (neque enim leve nomen Amatae ) 
Undique collecti coeunt, Martemque fatigant. 
Jlicet infandum cuncti contra omina bellum, 
Contra fata Deum, perverso numine poscunt ; 
Certatim regis circumstant tecta Latini. 585 
Ille, velut pelagi rupes immota, resistit: 

* Ut pelagi rupes, magno veniente fragore, * 

Quae sese, multis circum latrantibus undis, 

Mole tenet: scopuli nequidquam et spumea circum 
Saxa fremunt, laterique illisa refunditur alga. 590 
Verum, ubi nulla datur caecum exsuperare potestas 
Consilium, et saevae nutu Iunonis eunt res: 


LIBRO SETTIMO 59 


Si protestò; poscia, dal fato, disse, 
Son vinto, e la tempesta mi trasporta. 
Ma voi per questo sacrilegio vostro 
Il fio ne pagherete . E tu fra gli altri, 
Turno , tu pria n’ avrai supplicio e morte; 910 
E preci e voti a tempo ne farai, 
Ch'a tempo non saranno. lo, quanto a me, 
Già de' miei giorni e della mia quiete 
Son quasi in porto: e da voi sol m'é tolto 
Morir felicemente . E qui si tacque, - 913 
E ’1 governo depose, e ritirossi. 

Era in Lazio un costume, che venuto 
È poi di mano in man di Lazio in Alba, 
E d’Alba in Roma, ch'or del mondo é capo; 
Che nel mover de l'armi ai Geti, a gl’ Indi, 920 
A gli Arabi, a gl'Ircani a qual sia gente 


Multa Deos aurasque pater testatus inanes, | 
Frangimur heu fatis, inquit, ferimurque procella! 
Ipsi has sacrilego pendetis sanguine poenas, — 595 
O miseri. Te, Turne, nefas, te triste manebit 
Supplicium; votisque Deos venerabere seris. 
Nam mihi parta quies, omnisque in limine portus, 
F'unere felici spolior. Nec plura loquutus 
Saepsit se tectis, rerumque reliquit habenas. — 6oo 
Mos erat hesperio in Latio, quem protinus urbes 
Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum 
Roma colit, quum prima movent in praelia Martem; 
Sive Getis inferre manu lacrimabile bellum, 


54 ENEIDE 


Di buona gente. Cadde tra' migliori, 

Mentre l’ armi detesta, e per la pace 835 

Or con questi, or con quelli si travaglia, 

Galeso il vecchio, il più giusto e ’l più ricco 

De la contrada. Cinque greggi avea 

Con cinque armenti; e con ben cento aratri 

Coltivava e pascea l' ausonia terra. 830 
Mentre così ne’ campi si combatte 

Con egual marte, Aletto già compita 

La sua promessa; poich'a l’ armi, al sangue, 

Ed a le stragi era la guerra addotta, 

Uscì del Lazio, e baldanzosa a l'aura 835 

Levossi, ed a Giunon superba disse: | 

Eccoti l'arme e la discordia in campo, 

E la guerra già rotta. Or di' ch'amici, 

Di’ che confederati, e che parenti 


Corpora multa viri£m circa, seniorque Galaesus , 535 
Dum paci medium se offert, iustissimus unus 

Qui fuit, ausoniisque olim ditissimus arvis: 
Quinque greges illi balantum, quina redibant 
Armenta, et terram centum vertebat aratris. 

"tque ea per campos aequo dum Marte geruntur, 540 
Promissi Dea facta potens, ubi sanguine bellum 
Imbuit, et primae commisit funera pugnae, 

Deserit Hesperiam, et, caeli convexa per auras 
Iunonem victrix affatur voce superba: 

En perfecta tibi bello discordia tristi : 545 
Dic, in amicitiam coeant, et foedera iungant: 


LIBRO SETTIMO ' 29 


Si sieno omai, poiché d'ausonio: sangue 840 
Già sono i Teucri aspersi. Io, se più vuoi, 
Più farò. Di rumori e di sospetti 
Empierò questi popoli vicini; 
Condurrogli in aiuto; andrò per tutto 
Destando amor di guerra; andrò spargendo 845 
Per le campagne orror, furore ed armi. 

Assai, Giuno rispose, hai di terrore 
E di frode commesso: ha già la guerra 
Le sue cagioni; hanno (comunque in prima 
La sorte le si regga) ambe le parti 850 
Le genti in campo, e l’armi in mano, e l’armi 
Son già di sangue tinte, e ’l sangue è fresco. 
Or queste sponsalizie e queste nozze 
Comincino a godersi il re Latino, 
E questo di Ciprigna egregio figlio. 835 
Tu, perché non consente il Padre eterno 


Quandoquidem ausonio respersi sanguine Teucros. 
Hoc etiam his addam, tua si mihi certa voluntas, 
Finitimas in bella feram rumoribus urbes, 
Accendamgue animos insani Martis amore, 550 
Undique ut auxilio veniant; spargam arma per agros. 
Tum contra Iuno: Terrorum, et fraudis abunde est: 
Stant belli caussae: pugnatur cominus armis. 

Quae fors prima dedit, sanguis novus imbuit arma. 
Talia connubia, et tales celebrent hymenaeos 555 
Egregium Veneris genus, et rex ipse Latinus. 

Te super aetherias errare licentius auras, . 


6a ENEIDE 


Ognuno a l'arme, a maneggiar destrieri, 
A fornirsi di scudi, a provar elmi, 
‘ * A far, chi con la cote, e chi con l'unto, 960 
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi. 
Altri s'addestra a sventolar l'insegne, 
Altri a spiegar le schiere, e con diletto 
S' ode annitrir cavalli e sonar tube. 
Cinque grosse città con mille incudi 965 
A fabbricare, a risarcir si danno 
D' ogni sorte armi. La possente Atina, 
Ardéa l’ antica, Tivoli il superbo, 
E Crustumerio, e la torrita Antenna. 
Qui si vede cavar elmi e celate; . 970 
Là torcere e covrir targhe e pavesi; 
Per tutto. riforbire, aguzzar ferri, 
Annestar maglie, rinterzar corazze, 
E per fregiar più nobili armature, 
Tirar lame d'acciar, fila d'argento. 975 


Pulverulentus equis furit: omnes arma requirunt. 
Pars laeves clypeos, et spicula lucida tergunt 
Arvina pingui, subiguntque in cote secures: 
Signaque ferre iuvat, sonitusque audire tubarum. 
Quinque adeo magnae positis incudibus urbes 

Tela novant, Atina potens, Tiburque superbum, 
Ardea, Crustumerique, et turrigerae Antemnae. 
Tegmina tuta cavant capitum, flectuntque salignas 
Umbonum crates: alii thoracas aenos, 

dut laeves ocreas lento ducunt argento. 


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58 ENEIDE 


Che, con le donne attonite scorrendo , 890 
Gian con Amata per le selve in tresca; 
Ché grande era d' Amata in tutto il regno 
La stima e’l nome; e d' ogni parte accolti 
Tutti contra gli annunzii, contra i Fati 
L' armi chiedendo e la non giusta guerra, 895 
Van di Latino a la magione intorno. 
Egli di rupe in guisa immoto stassi ,- 
^ A Di rupe che, nel mar fondata e salda, 
Né per venti si crolla , né per onde 
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli — 9oo 
Son di spuma coverti e d' alga in vano. 
Ma poiché superar non puote il cieco 
Lor malvagio consiglio, e che le cose 
Givan di Turno e di Giunone a voto, 
Molto pria con gli Dei, con le van’'aure 905 


Insultant thiasis, (neque enim leve nomen Amatae ) 
Undique collecti coeunt, Martemque fatigant. 
Ilicet infandum cuncti contra omina bellum, 
Contra fata Dem, perverso numine poscunt ; 
Certatim regis circumstant tecta Latini. 585 
Ille, velut pelagi rupes immota, resistit: 

* Ut pelagi rupes, magno veniente fragore, * 

Quae sese, multis circum latrantibus undis, 

Mole tenet: scopuli nequidquam et spumea circum 
Saxa fremunt, laterique illisa refunditur alga. 590 
Verum, ubi nulla datur caecum exsuperare potestas 
Consilium, et saevae nutu Iunonis eunt res: 


LIBRO SETTIMO 29 


Si protestó ; poscia, dal fato, disse, 
Son vinto, e la tempesta mi trasporta. 
Ma voi per questo sacrilegio vostro 
Il fio ne pagherete. E tu fra gli altri, 
Turno, tu pria n’ avrai supplicio e morte; 910 
E preci e voti a tempo ne farai, 
Ch'a tempo non saranno. lo, quanto a me, 
Già de’ miei giorni e della mia quiete 
Son quasi in porto: e da voi sol m'è tolto 
Morir felicemente . E qui sì tacque, 915 
E 1 governo depose, e ritirossi. 

Era in Lazio un costume, che venuto 
È poi di mano in man di Lazio in Alba, 
E d' Alba in Roma, ch'or del mondo è capo; 
Che nel mover de l'armi ai Geti, a gl’ Indi, 920 
A gli Arabi, a gl'Ircani a qual sia gente 


Multa Deos aurasque pater testatus inanes, 
Frangimur heu fatis, inquit, ferimurque procella! 
Ipsi has sacrilego pendetis sanguine poenas, 595 
O miseri. Te, T'urne, nefas, te triste manebit 
Supplicium; votisque Deos venerabere seris. 
Nam mihi parta quies, omnisque in limine portus, 
Funere felici spolior. Nec plura loquutus 
Saepsit se tectis, rerumque reliquit habenas. (600 
Mos erat hesperio in Latio, quem protinus urbes 
Albanae coluere sacrum, nunc maxima rerum 
Roma colit, quum prima movent in praelia Martem; 
Sive Getis inferre manu lacrimabile bellum, 


60 ENEIDE 


Ch' elle sian mosse, sì com’ ora a’ Parti 

Per ricovrar le mal perdute insegne, 

S' apron le porte de la guerra in prima. 
Queste son due, che per la riverenza, 925 

Per la religione e per la tema 

Del fiero Marte, orribili e tremende 

Sono a le genti ; e con ben cento sbarre 

Di rovere, di ferro e di metallo 

Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano . 930 

Ma quando per consiglio e per decreto 

De’ Padri si determina e s' approva 

Che si guerreggi , il Consolo egli stesso, 

Sì come è l’uso, in abito e con pompa 

Ch’ ha da’ Gabini origine e da’ Regi, 933 

Solennemente le disferra e l'apre: 

Ed egli stesso al suon de le catene 

E de la rugginosa orrida soglia 

La guerra intuona: guerra dopo lui 


Hyrcanisve Arabisve parant, seu tendere ad Indos, 
Auroranque sequi, Parthosque reposcere signa: 
Sunt geminae Belli portae, (sic nomine dicunt) 
Relligione sacrae, et saevi formidine Martis: 
Centum aerei claudunt vectes, aeternaque ferri 
Robora; nec custos absistit limine Ianus. 610 
Has, ubi certa sedet patribus sententia pugnae, 
Ipse, quirinali trabea cinctuque gabino 

Insignis, reserat stridentia limina consul: 

Ipse vocat pugnas: sequitur tum cetera pubes: 


LIBRO SETTIMO 


Grida la gioventù; guerra e battaglia 
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta. 
In questa guisa era Latino astretto 
D' annunziarla a i Teucri; a lui quest atto 
D'aprir le triste e spaventose porte 
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre, 
Schivo di si nefando ministero, 
S'astenne di toccarle, e gli occhi indietro 
Volse per non vederle, e si nascose. 
Ma per torre ogni indugio un'altra volta 
Ella stessa Regina de' Celesti 
Dal ciel discese, e di sua propria mano 
Spinse, disgangherò , ruppe e sconfisse 
De le sbarrate porte ogni ritegno, 
Sì che l'aperse. Allor l’ Ausonia tutta, 
Ch’ era dianzi pacifica e quieta, 
S' accese in ogni parte. E qua pedoni, 
Là cavalieri; a la campagna ognuno, 


Hi reaque assensu conspirant cornua rauco: 
Hoc et tum /Eneadis indicere bella Latinus 
More iubebatur, tristesque recludere portas. 
Abstinuit tactu pater, aversusque refugit 
F'oeda ministeria, et caecis se condidit umbris. 
T'um regina Deum caelo delapsa morantes 
Impulit ipsa manu portas, et cardine verso 
Belli ferratos rupit Saturnia postes. 

Ardet inexcita Ausonia atque immobilis ante; 
Pars pedes ire parat campis; pars arduus altis 


61 


940 


615 


620 





6a ENEIDE 


Ognuno a l'arme, a maneggiar destrieri, 
A fornirsi di scudi, a provar. elmi, 
* A far, chi con la cote, e chi con l'unto, — 960 
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi. 
Altri s'addestra a sventolar l'insegne, 
Altri a spiegar le schiere, e con diletto 
S'ode annitrir cavalli e sonar tube. 
Cinque grosse città con mille incudi 965 
A fabbricare, a risarcir si danno 
D' ogni sorte armi. La possente Atina, 
Ardéa l’ antica, Tivoli il. superbo, 
E Crustamerio, e la torrita Antenna. 
Qui si vede cavar elmi e celate; | 970 
Là torcere e covrir targhe e pavesi; 
Per tutto. riforbire, aguzzar ferri, 
Annestar maglie, rinterzar corazze, 
E per fregiar più nobili armature, 
Tirar lame d'acciar, fila d’argento. 973 


Pulverulentus equis furit: omnes arma requirunt. 
Pars laeves clypeos, et spicula lucida tergunt 
Arvina pingui, subiguntque in cote secures: 
Signaque ferre iuvat, sonitusque audire tubarum. 
Quinque adeo magnae positis incudibus urbes 

Tela novant, Atina potens, Tiburque superbum, 
Ardea, Crustumerique, et.turrigerae Antemnae. 
Tegmina tuta cavant capitum, flectuntque salignas 
Umbonum crates: alii thoracas aenos, 

Aut laeves ocreas lento ducunt argento. 


LIBRO SETTIMO 603. 


Ogni bosco fa lance , ogni fucina 
Disfa vomeri e marre; e spiedi e spade 
Si forman da i bidenti e da le falci. 
Suonan le trombe, dassi il contrassegno, 
Gridasi a l'armi: e chi cavalli accoppia, 980 
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo. 
Questi ha la piastra, e quei la maglia indosso, 
E la sua fida spada ognuno a canto. 

Or m' aprite Elicona, e di concerto 
Meco il canto movete, alme Sorelle, 985 
A dir quai regi e quai genti e qual armi 
Militassero allora, e di che forze, 
E di quanto valore era in que’ tempi 
La milizia d’Italia. A voi conviensi 
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo 990 
De le cose e de’ tempi è dato eterno: 
A noi per tanti secoli rimasa 


Vomeris huc, et falcis honos, huc omnis aratri 635 

Cessit amor: recoquunt patrios fornacibus enses. 

Classica iamque sonant; it bello tessera signum. 

Hic galeam. tectis trepidus rapit: ille frementes 

Ad iuga cogit equos; clypeumque auroque trilicem 

Loricam induitur, fidoque accingitur ense. 649 
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete, 

Qui bello exciti reges, quae quemque sequutae 

Complerint campos acies; quibus itala iam tum 

Floruerit terra alma viris, quibus arserit armis. 

Et meministis enum; Divae, et memorare potestis; 


Go ENEIDE 


Ch' elle sian mosse, sì com’ ora a’ Parti 

Per ricovrar le mal perdute insegne, 

S' apron le porte de la guerra in prima. 
Queste son due, che per la riverenza, 925 

Per la religione e per la tema 

Del fiero Marte, orribili e tremende 

Sono a le genti ; e con ben cento sbarre 

Di rovere, di ferro e di metallo 

Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano . 930 

Ma quando per consiglio e per decreto 

De’ Padri si determina e s' approva 

Che si guerreggi, il Consolo egli stesso, 

Sì come è l’uso, in abito e con pompa 

Ch’ ha da’ Gabini origine e da’ Regi, 939 

Solennemente le disferra e l'apre: 

Ed egli stesso al suon de le catene 

E de la rugginosa orrida soglia 

La guerra intuona: guerra dopo lui 


Hyrcanisve Arabisve parant, seu tendere ad Indos, 
Auroranque sequi, Parthosque reposcere signa: 
Sunt geminae Belli portae, (sic nomine dicunt) 
Relligione sacrae, et saevi formidine Martis: 
Centum aerei claudunt vectes, aeternaque ferri 
Robora; nec custos absistit limine lanus. 610 
Has, ubi certa sedet patribus sententia pugnae, 
Ipse, quirinali trabea cinctugue gabino 

Insignis, reserat stridentia limina consul: 

Ipse vocat pugnas: sequitur tum cetera pubes: 


LIBRO SETTIMO 61 


Grida la gioventù; guerra e battaglia 940 
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta. 

In questa guisa era Latino astretto 
D' annunziarla a i Teucri; a lui quest atto 
D'aprir le triste e spaventose porte 
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre, 945 
Schivo di si nefando ministero, 
S' astenne di toccarle, e gli occhi indietro 
Volse per non vederle, e si nascose. 

Ma per torre ogni indugio un'altra volta 
Ella stessa Regina de’ Celesti 920 
Dal ciel discese, e di sua propria mano 
Spinse, disgangheró , ruppe e sconfisse 
De le sbarrate porte ogni ritegno, 
Si che l'aperse. Allor l' Ausonia tutta, 
Ch'era dianzi pacifica e quieta, 929 
S'accese in ogni parte. E qua pedoni, 


Là cavalieri; a la campagna ognuno, 


"Ereaque assensu. conspirant cornua rauco: 615 
Hoc et tum /Eneadis indicere bella Latinus 

More iubebatur, tristesque recludere portas. 
Abstinuit tactu pater, aversusque refugit 

Foeda ministeria, et caecis se condidit umbris. 

Tum regina Deum caelo delupsa morantes 620 
Impulit ipsa manu portas, et cardine verso 

Belli ferratos rupit Saturnia postes. 

Ardet inexcita Ausonia atque immobilis ante; 

Pars pedes ire parat campis; pars arduus altis 


62 ENEIDE 


Ognuno a l'arme, a maneggiar destrieri, 
A fornirsi di scudi , a provar. elmi, 
‘ * A far, chi con la cote, e chi con l'unto, 960 
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersi. 
Altri s'addestra a sventolar l'insegne, 
Altri a spiegar le schiere, e con diletto 
S'ode annitrir cavalli e sonar tube. 
Cinque grosse città con mille incudi 965 
A fabbricare, a risarcir si danno 
D' ogni sorte armi. La possente Atina, 
Ardéa l’ antica, Tivoli il. superbo, 
E Crustumerio, e la torrita Antenna. 
Qui si vede cavar elmi e celate; . - 970 
Là torcere e covrir targhe e pavesi; 
Per tutto. riforbire, aguzzar ferri, 
Annestar maglie, rinterzar corazze, 
E per fregiar più nobili armature, 
Tirar lame d'acciar, fila d' argento. 975 


Pulverulentus equis furit: omnes arma requirunt. 
Pars laeves clypeos, et spicula lucida tergunt 
Arvina pingui, subiguntque in cote secures: 
Signaque ferre iuvat, sonitusque audire tubarum. 
Quinque adeo magnae positis incudibus urbes 

Tela novant, Atina potens, Tiburque superbum, 
Ardea, Crustumerique, et.turrigerae Antemnae. 
Tegmina tuta cavant capitum, flectuntque salignas 
Umbonum crates: alii thoracas aenos, 

Aut laeves ocreas lento ducunt argento. 


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LIBRO SETTIMO 63 


Ogni bosco fa lance, ogni fucina 
Disfa vomeri e marre; e spiedi e spade 
Si forman da i bidenti e da le falci. 
Suonan le trombe, dassi il contrassegno, 
Gridasi a l'armi: e chi cavalli accoppia, — 98o 
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo. 
Questi ba la piastra, e quei la maglia indosso, 
E la sua fida spada oguuno a canto. 

Or m' aprite Elicona, e di concerto 
Meco il canto movete, alme Sorelle, 985 
A dir quai regi e quai genti e qual armi 
Militassero allora, e di che forze, 
E di quanto valore era in que’ tempi 
La milizia d’Italia. A voi conviensi 
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo 090 
De le cose e de' tempi é dato eterno: 
À noi per tanti secoli rimasa 


Vomeris huc, et falcis honos, huc omnis aratri 635 

Cessit amor: recoquunt patrios fornacibus enses. 

Classica iamque sonant; it bello tessera signum. 

Hic galeam tectis trepidus rapit: ille frementes 

Ad iuga cogit equos; clypeumque auroque trilicem 

Loricam induitur, fidoqgue accingitur ense. 649 
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete, 

Qui bello exciti reges, quae quemque sequutae 

Complerint campos acies; quibus itala iam tum 

Floruerit terra alma viris, quibus arserit armis. 

Et meministis enim; Divae, et memorare potestis; 


64 ENEIDE 


N'é di picciola fama un'aura a pena. 
Il primo, che le genti a questa guerra 
Ponesse in campo, fu Mezenzio, il fiero 992 
Del ciel dispregiatore e de gli Dei. 
D' Etruria era signore ,.e di Tirreni 
Conducea molte squadre. Avea suo figlio 
Lauso con esso, un giovine il più bello, 
Da Turno in fuori, che l' Ausonia avesse. 1000 
Gran cavaliero, egregio cacciatore 
Fino allor si mostrava; e mille armati 
Avea la schiera sua, che seco uscita 
Fuor d' Agillina, ne l'esiglio ancora 
Indarno lo seguía; degno che fosse 1009 
Ne l'imperio del padre. À questi dopo 
Segue Aventino, de l' invitto Alcide 
Leggiadro figlio. Questi col suo carra 


Ad nos vix tenuis famae perlabitur aura. 

Primus init bellum tyrrhenis asper ab oris 
Contemtor Divum Mezentius, agminaque armat. 
Filius huic iuxta Lausus, quo pulcrior alter ' 
Non fuit, excepto laurentis corpore Turni. — 650 
Lausus, equim domitor, debellatorque ferarum, 
Ducit agyllina nequidquam ex urbe sequutos 
Mille viros; dignus patriis qui laetior esset 
Imperüs, et cui pater haud Mezentius esset. 
Post hos insignem palma per gramina currum, 655 
Victoresque ostentat equos satus Hercule pulcro 
Pulcher Aventinus, clypeoque insigne paternum 


LIBRO SETTIMO 65 


Di palme adorno, e co’ vittoriosi 

Suoi corridori in campo appresentossi . 1010 
Avea nel suo cimiero e nel suo scudo, 

In memoria del padre, un'idra cinta 

Da cento serpi. D'Ercole, e di Rea 
Sacerdotessa ascosamente nato 

Nel bosco d'Aventino era costui; 1012 
Ché con la madre' il poderoso Iddio 

Quivi si mescolò, quando di Spagna, 

Estinto Gerione, a i campi venne 

Di Laürento, e nel Tirreno fiume 

Lavó d'Ibéro il conquistato .armento. 1020 
Eran di mazzafrusti, di spuntoni , 

Di chiavarine , e di savelli spiedi 

Armate le sue schiere. Ed egli a piedi 

D' un cuoio di leon velluto ed irto 

Vestia gli omeri e l' dorso, e del suo ceffo, 1025 
Che quasi digrignando ignudi e bianchi 


Centumangues ,cinctamque geritserpentibus hydram: 

Collis Aventini silva quem Rhea sacerdos 

Furtivum partu sub luminis edidit oras, 660 

Mixta, Deo mulier, postquam laurentia victor, 

Geryone exstincto, Tirynthius attigit arva, 

Tyrrhenoque boves in flumine lavit iberas. 

Pila manu saevosque gerunt in bella dolones, 

Et tereti pugnant mucrone veruque sabello. —— 665 

Ipse pedes, tegumen torquens immane leonis, 

Terribili impexum saeta, cum dentibus albis, 
Eneide 77o/. Il | 0 


66 ENEIDE 


. Mostrava i denti, e l'una e l'altra gota 
Si copria il capo. E con tal fiera mostra , 
D' Ercole in guisa, a corte si condusse . 
Vennero appresso i due fratelli argivi 1030 
Catillo e Cora, e di Tiburte il terzo 
Guidàr le genti, che da lui nomate 
Fur Tiburtine. Da i lor colli entrambi 
Calando avanti a l’ ordinate schiere 
Due Centauri sembravano a vedergli, 1033 
Che giù correndo da’ nevosi gioghi 
D'Omole e d’Otri, risonando fansi 
Dar la via da’ virgulti e da le selve. 
Cecolo, di Preneste il fondatore, 
Comparve anch'egli: un re che da bambino 10 (o 


Fu tra l'agresti belve appo d'un foco 


Indutus capiti, sic regia tecta subibat 

Horridus, herculeoque humeros innexus amictu. 
T'um gemini fratres tiburtia moenia linquunt, 670 

Fratris Tiburti dictam cognomine gentem, 

Catillusque, acerque Coras, argiva iuventus; 

Et primam ante aciem densa inter tela feruntur: 

Ceu duo nubigenae quum vertice montis ab alto 

Descendunt Centauri, Homolen, Othrynque nivalem 

Linquentes cursu rapido: dat euntibus ingens 

Silva locum, et magno cedunt virgulta fragore. 
Nec praenestinae fundator defuit urbis, 

Vulcano genitum pecora inter agrestia regem, 

Inventumque focis omnis quem credidit aetas, 680 


LIBRO SETTIMO 67 


Trovato esposto ; onde di foco nato 
Si credé poscia, e di Vulcano figlio . 
Avea costui di rustici d' intorno 
Una gran compagnia, ch' eran de l'alta 1015 
Preneste de'sassosi ernici monti, 
De la Gabina Giuno e d' Aniene, 
. E d' Amaseno e de la ricca Anagni 
Abitanti e cultori: e come gli altri , 
Non erano in su'carri, o d'aste armati, 1050 
O di scudi coverti. Una gran parte 
Eran frombolatori, e spargean ghiande 
Di grave piombo, e parte avean due dardi 
Ne la sinistra, e cappelletti in testa 
D' orridi lupi: il manco pié discalzo, 1022 
Il destro o d' uosa o di corteccia involto . 
Messapo venne poscia , de’ cavalli 
> Il domatore, e di Nettuno il figlio, 


Caeculus. Hunc legio late comitatur agrestis: 
Quique altum Praeneste viri, quique arva gabinae 
Junonis, gelidumque Anienem, et roscida rivis 
Hernica saxa colunt: quos, dives Anagnia, pascis, 
Quos, Amasene pater. Non illis omnibus arma, 685 
Nec clypei currusve sonant: pars maxima glandes 
Liventis plumbi spargit: pars spicula gestat 
Bina manu, fulvosque lupi de pelle galeros 
T'egmen habent capiti: vestigia nuda sinistri 
Instituere pedis; crudus tegit altera pero. 69o 
At Messapus equim domitor, neptunia proles, 


LIBRO SETTIMO 63 


Ogni bosco fa lance , ogni fucina 
Disfa vomeri e marre; e spiedi e spade 
Si forman da i bidenti e da le falci. 
Suonan le trombe, dassi il contrassegno, 
Gridasi a l'armi: e chi cavalli accoppia, 980 
E chi prende elmo, e chi picca, e chi scudo. 
Questi ha la piastra, e quei la maglia indosso, 
E la sua fida spada ognuno a canto. 

Or m'aprite Elicona, e di concerto 
Meco il canto movete, alme Sorelle, 985 
A dir quai regi e quai genti e qual armi 
Militassero allora, e di che forze, 
E di quanto valore era in que’ tempi 
La milizia d’Italia. A voi conviensi 
Di raccontarlo, a cui conto e ricordo 990 
De le cose e de’ tempi è dato eterno: 
A noi per tanti secoli rimasa 


Vomeris huc, et falcis honos, huc omnis aratri 635 
Cessit amor: recoquunt patrios fornacibus enses. 
Classica iamque sonant; it bello tessera signum. 
Hic galeam tectis trepidus rapit: ille frementes 


Ad iuga cogit equos; clypeumque auroque trilicem 


Loricam induitur, fidogue accingitur ense. 
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete, 

Qui bello exciti reges, quae quemque sequutae 

Complerint campos acies; quibus itala iam tum 


Floruerit terra alma viris, quibus arserit armis. 


649 


Et meministis enim; Divae, et memorare potestis; 


LIBRO SETTIMO 69 


Da la sua fila, in ciò lo stuol sembrando 1075 
De’ rochi augelli allor che di passaggio 
Vien d'alto mare, e come intera nube 
A terra unitamente se ne cala. 

Ecco di poi venir Clauso il Sabino, 
Di quel vero sabino antico sangue, 1080 
Ch'avea gran gente, e la sua gente tutta 
Pareggiava sol egli. Il nome suo 
Fece Claudia nomare e la famiglia 
E la tribü romana allor che Roma 
Diessi a'Sabini in parte. Era con lui - 1085 
La schiera d'Amiterno e de’ Quiriti 
Di quegli antichi. Eravi il popol tutto 
D'Ereto, di Mutisca, di Nomento — 
E di Velino, e quei, che da l'alpestra 
Tetrica, da Severo, da Casperia, 1090 
Da Foruli e d'Imella eran venuti; ° 


Misceri putet: aeriam sed gurgite ab alto ' 
Urgeri volucrum raucarum ad litora nubem. ‘705 
Ecce Sabinorum prisco de sanguine magnum 

Agmen agens Clausus, magnique ipse agminis instar, 
Claudia nunc a quo diffunditur et tribus et gens 
Per Latium, postquam in partem data Roma Sabinis. 
Una ingens amiterna cohors, priscique Quirites,710 
Ereti manus omnis, oliviferaeque Mutuscae: 

Qui Nomentum urbem, qui rosea rura Velini, 

Qui Tetricae horrentes rupes, mantemque Severum, 
‘ Casperiamque colunt,Forulosque,etflumen Himellae: 





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79 ENEIDE 


Quei che bevean del Fabari e del Tebro; 
Che da la fredda Norcia eran mandati ; 
Le squadre de gli Ortini, il Lazio tutto, 
E tutti al fin, che nel calarsi al mare 1095 
Bagna d'ambe le sponde Allia infelice . 
Tanti flutti non fa di Libia il golfo 
Quando cade Orion ne l'onde il verno; 
Né tante spiche hanno, dal sole aduste 
La state o d'Ermo o de la Licia i campi, 1100 
Quante eran genti. Arme sonare e scudi 
S'udian per tutto, e tutta al suon de’ piedi 
. Trepidar si vedea l’ Ausonia terra. 
Quindi ne vien l’ Agamennonio auriga 
Aleso, del Troian nome nimico; 1109 
Che di mille feroci nazioni 
In aita di Turno un gran miscuglio 
Dietro al suo carro avea di montanari. 


Qui Thybrim Fabarimque bibunt,quos frigida misit 
Nursia, et hortinae classes, populique latini: 
Quosque secans infaustum interluit Allia nomen: 
Quam multi libyco volvuntur marmore fluctus, 
Saevus ubi Orion hibernis conditur undis; 
Vel, quum sole novo densae torrentur aristae, 720 
Aut Hermi campo, aut Lyciae flaventibus arvis: 
Scuta sonant, pulsuque pedum tremit excita tellus. 
Hinc agamemnonius, troiani nominis hostis, 
Curru iungit Halesus equos, Turnoque feroces 
Mille rapit populos: vertunt felicia Baccho 725 


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LIBRO SETTIMO 7! 


Parte de’ pampinosi a Bacco amici 
Massici colli, e parte de gli Aurunci, 1110 
De’ Sedicini liti, di Volturno, 
Di Cale, de’ Saticoli, e degli Osci. 
Questi per arme avean mazze e lanciotti 
Irti di molte punte, e di soatto 
Scudisci al braccio, onde erano i lor colpi, 1115 
Traendo e ritraendo, in molti modi 
Continuati e doppi. E pur con essi 
Aveano e per ferire e per coprirsi 
Targhe ne la sinistra, e storte al fianco. 
Nè tu senza il tuo nome a questa impresa, 1120 
Ebalo, te n'andrai, del gran Telone 
E de la bella Ninfa di Sebeto. 
Figlio onorato. Di costui si dice 
Che, non contento del paterno regno, 
Capri al vecchio lasciando e i Teleboi, 1125 


Massica qui rastris, et quos de collibus altis — : 
Aurunci misere patres, sidicinaque iuxta . 
Mquora, quique Cales linquunt, amnisque vadosi 
Accola Vulturni, pariterque Saticulus asper 
Oscorumque manus. Teretes sunt aclydes illis 730 
Tela; sed haec lento mos est aptare flagello: 
Laevas cetra tegit, falcati cominus enses. 

Nec tu carminibus nostris indictus abibis, 
OEbale, quem generasse Telon Sebethide nympha 
Fertur, Teleboum Capreas quum regna teneret 735 
lam senior: patriis sed non et filius arvis 


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72 ENEIDE 


Fe’ d’ esterni paesi ampio conquisto, 
E fu re de'Sarrasti e de le genti 
Che Sarno irriga. Insignorissi appresso 
Di Batulo, di Rufra, di Celenne 
E de campi fruttiferi d’ Avella. 1130 
Mezze picche avean questi a la tedesca 
Per avventarle, e per celate in capo 
Suveri scortecciati, e di metallo 
Brocchieri a la sinistra, e stocchi a lato. 
Calò di Nursa e de’ suoi monti alpestri 1135 
Ufente, un condottier ch’ era in quei tempi 
Di molta: fama e fortunato in arme. 
Equicoli avea seco la piü parte, 
Orrida gente, per le selve avvezza | 
Cacciar le fere, adoperar la marra, 1140 


Contentus, late iam tum ditione premebat 
Sarrastes populos, et quae rigat aequora Sarnus, 
Quique Rufras, Batulumque tenent, atque arva 
Celennae, 

Et quos maliferae despectant moenia Abellae: ‘740 
T'eutonico ritu soliti torquere cateias; 
l'egmina queis capitum raptus de subere cortex, 
4Erataeque micant peltae, micat aereus ensis. 

Et te montosae misere in praelia Nersae, 
Ufens, insignem fama et felicibus armis: 749 
Horrida praecipue cui gens, assuetaque multo 
Venatu nemorum, duris /Equicola glebis 
Armati terram exercent, semperque recentes 


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LIBRO SETTIMO 73 


Arar con l'armi indosso, e tutti insieme 
Viver di cacciagioni e di rapine. 
De la gente marrubia un sacerdote 
Venne fra gli altri; sacerdote insieme 
E capitan di genti ardito e forte. 1145 
Umbrone era il suo nome; Archippo, il rege 
Che lo mandava. Di felice oliva 
Avea il cimiero e l'elmo intorno avvolto . 
Era gran ciurmatore, e con gl’ incanti 
E col tatto ogni serpe addormentava: 1150 
De gl'idri, de le vipere, e de gli aspi 
Placava l'ira, raddolciva il tósco, 
E risanava i morsi. E non per tanto 
Poté nè con.incanti, né con erbe 
De’ Marsi monti risanare il colpo 1155 
De la dardania spada: onde il meschino 
Ne fu da le foreste de l' Angizia, 


Convectare iuvat praedas, et vivere rapto. 

Quin et marrubia venit de gente sacerdos, 720 

Fronde super galeam, et felici comtus oliva, 

Archippi regis missu, fortissimus Umbro: 

Vipereo generi, et graviter spirantibus hydris 

Spargere qui somnos cantuque manuque solebat, 

Mulcebatque iras, et morsus arte levabat. 722 

Sed non dardaniae medicari cuspidis ictum 

Evaluit; neque eum iuvere in vulnera cantus 

Somniferi, et marsis quaesitae montibus herbae. 

T'e nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda, 
Eneide 7o. II 10 





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LINCE ne mebili ara Dianae. 
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È Am Eva surgere vitae, 


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LIBRO SETTIMO 7? 


Di cotal arte , che d' Apollo nacque, 
Fulminando mandó ne’ regni bui. 1175 
Ippolito da Trivia in parte occulta, 
Scevro da tutti, a cura fu mandato 
D' Egeria Ninfa, e ne la selva ascoso, 
Là've solingo, e col cangiato nome 
Di Virbio, sconosciuto 1 giorni mena 1180 
D' un’ altra vita. E quinci è che dal tempio 
E da le selve a Trivia consecrate 
I cavalli han divieto; chè lor colpa 
Fu l’suo carro e ’1 suo corpo al marin mostro, 
E poscia a morte iudegnamente esposto. 1185 
Il figlio, che pur Virbio era nomato, 
Non men di lui feroce, i suoi destrieri 
Esercitava , e 'n su '| paterno carro 
Arditamente a questa guerra uscio. 

Turno infra’ primi, di persona e d'armi 1190 


Ipse repertorem medicinae talis et artis | 
Fulmine phoebigenam stygias detrusit in undas. 
At Trivia Hippolytum secretis alma recondit 
Sedibus, et nymphae Egeriae, nemorique relegat: 
Solus ubi in silvis italis ignobilis aevum : 
Exigeret, versoque ubi nomine Virbius esset. 
Unde etiam templo Triviae, lucisque sacratis 
Cornipedes arcentur equi; quod litore currum, 
Et iuvenem monstris pavidi effudere marinis. 780 
Filius ardentes haud secius aequore campi 
Exercebat equos, curruque in bella ruebat. 

Ipse inter primos praestanti corpore Turnus 


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72 ENEIDE 


Fe’ d’esterni paesi ampio conquisto , 
E fu re de'Sarrasti e de le genti 
Che Sarno irriga. Insignorissi appresso 
Di Batulo, di Rufra, di Celenne 
E de campi fruttiferi d’ Avella. 1130 
Mezze picche avean questi a la tedesca 
Per avventarle, e per celate in capo 
Suveri scortecciati, e di metallo 
Brocchieri a la sinistra, e stocchi a lato. 
Calò di Nursa e de’ suoi monti alpestri 1135 
Ufente, un condottier ch'era in quei tempi 
Di molta: fama e fortunato in arme. 
Equicoli avea seco la piü parte, 
Orrida gente, per le selve avvezza 
Cacciar le fere, adoperar la marra, 1 140 


Contentus, late iam tum ditione premebat 
Sarrastes populos, et quae rigat aequora Sarnus, 
Quique Rufras, Batulumque tenent, atque arva 
Celennae, 

Et quos maliferae despectant moenia Abellae: 740 
T'eutonico ritu soliti torquere cateias; 
l'egmina queis capitum raptus de subere cortex, 
ZErataeque micant peltae, micat aereus ensis. 

Et te montosae misere in praelia Nersae, 
Ufens, insignem fama et felicibus armis: ^49 
Horrida praecipue cui gens, assuetaque multo 
Venatu nemorum, duris /Equicola glebis 
Armati terram exercent, semperque recentes 


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LIBRO SETTIMO 73 


Arar con l'armi indosso, e tutti insieme 
Viver di cacciagioni e di rapine. 

De la gente marrubia un sacerdote 
Venne fra gli altri; sacerdote insieme 
E capitan di genti ardito e forte. 1145 
Umbrone era il suo nome; Archippo, il rege 
Che lo mandava. Di felice oliva 
Avea il cimiero e l'elmo intorno avvolto. 
Era gran ciurmatore, e con gl'incanti 
E col tatto ogni serpe addormentava: 1150 
De glidri, de le vipere, e de gli aspi 
Placava l'ira, raddolciva il tósco, 
E risanava i morsi. E non per tanto 
Poté né con incanti, né con erbe 
De' Marsi monti risanare il colpo 11 
De la dardania spada: onde il meschino 


Ne fu da le foreste de l' Angizia, 


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Convectare iuvat praedas, et vivere rapto. 

Quin et marrubia venit de gente sacerdos, 790 

Fronde super galeam, et felici comtus oliva, 

Archippi regis missu, fortissimus Umbro: 

F'ipereo generi, et graviter spirantibus hydris 

Spargere qui somnos cantuque manuque solebat, 

Mulcebatque iras, et morsus arte levabat. 792 

Sed non dardaniae medicari cuspidis ictum 

Evaluit; neque eum iuvere in vulnera cantus 

Somniferi, et marsis quaesitae montibus herbae. 

Te nemus Angitiae, vitrea te Fucinus unda, 
Eneide Vol. II 10 


78 ENEIDE 


Tanto, che, quasi un vento sopra | erba 
Correndo, non avrebbe anco de’ fiori 

Tocco, nè de l’ariste il sommo appena. 

Non avrebbe per l'onde e per gli flutti 

Del gonfio mar , non che le piante immerse, 1230 
Ma né pur tinte. Per veder costei 

Uscian de’ tetti, empiean le strade e i campi 
Le genti tutte; e i giovani e le donne 

Stavan con meraviglia e con diletto 

Mirando e vagheggiando quale andava, 1235 
E qual sembrava; come regiamente 

D' ostro ornato avea ’l tergo, e '1 capo d'oro; 
E con che disprezzata leggiadria : 

Portava un pastoral nodoso mirto 

Con picciol ferro in punta; e con che grazia 1240 
Se ne gía d'arco e di faretra armata. 


Dura pati, cursuque pedum praevertere ventos. 

Illa vel intactae segetis per summa volaret 
Gramina, nec teneras cursu laesisset aristas; 

Vel mare per medium, fluctu suspensa tumenti, 810 
Ferret iter, celeres nec tingeret aequore plantas. 
lllam omnis tectis, agrisque effusa iuventus, 
Turbaque miratur matrum, et prospectat euntem, 
Attonitis inhians animis; ut regius ostro 

Velet honos leves humeros ut fibula crinem 815 
Auro internectat, lyciam ut gerat ipsa pharetram, 
Et pastoralem praefixa cuspide myrtum. 


Fine del Libro settimo. 


ILLUSTRAZIONI 


AL LIBRO SETTIMO 


GAIETA (Molo di Gaeta.) 


Veduta del Sinus Caietanus, chiamato pure Formianus, 
oggi golfo di Gaeta. Sul davanti scorgonsi l'antica sostru- 
zione ed i fondamenti con l’opus reticulatum per un nuovo 
edifizio; nel mezzo in fondo, una parte della moderna città 
Molo di Gaeta, e lo sfondo è circoscritto dalle colline della 
catena montuosa del Massico, tanto celebri aì tempi di Ora- 
zio e di Augusto pei loro eccellenti vini. Tali montagne de- 
clinano verso il mare dalla parte meridionale del grande e 
bellissimo golfo. 


ENEID. L. VII, v. 2. 


GAIETAE ARX. ( Gaeta ) 


Veduta della città propriamente detta e della fortezza di 
Gaeta, che una volta si disse Gaieta. Sul davanti vedesi la 
parte settentrionale dello stesso golfo, del quale si é veduta 
la meridionale nel numero antecedente. Veggonsi pure alcu- 
ne antiche sostruzioni sulla riva del mare non lontano dal 
villaggio di Castiglione, che è posto in parte nel luogo del- 
l'antica città di Formia. In quei dintorni eravi il celebre 
Proedium Formianum di Cicerone, del quale trovasi tutt'ora 
una bella sala da bagno con altri avanzi nella villa moderna 
di Marsana. Sul di dietro, nella più alta cima del monte, 
su cui in oggi v'è la fortezza, havvi la tomba di Minuzio 
Planco, molto grande, sì bene conservata e sì forte che 
i Francesi se ne servirono nell’ ultima guerra per polverie- 
ra, resisteva alle bombe come se fosse stata fatta a prova di 


bomba. ENEID. L. vil, v. 2. 


CIRC/EA TERRA ( Monte Circello.) 


Veduta del monte Circello, rappresentato dagli antichi 
poeti greci siccome un'isola circondata dal mare, benché 
sia unito alla terra ferma vicino alle paludi Pontine da una 
lingua strettissima di terra, e bassa in modo che spesso, 
quando il mare ingrossa, rimane coperta dalle onde. Esso 
forma una specie di promontorio, e perchè veduto dal mare 
rassembra un'isola di spiagge alte molto, la tradizione pres- 
so i Latini, seguendo Omero ed Esiodo, ne fece la dimora 
di Circe. Vi si mostrava adunque la tomba di Elpenore e 
la grotta di Circe. Tarquinio Superbo stabilì sulla monta- 
gna la colonia Circéa per antemurale contro i Volsci; si 
chiama oggi San Felice. Virgilio si giovò della tradizione 
popolare, e chiamò la punta di terra col nome Circaea Terra. 
Il dinanzi mostra alcune sostruzioni ed altri avanzi della 
villa già sì magnifica del triumviro Lepido sulla terraferma 
opposta alla montagna, e che con essa forma una baia. 

ENEID. L. vil, v. 6. 


TIBERIS ( Tevere.) 

Veduta del Tevere, vicino alla sua foce nel mare, dise- 
gnato dalla parte occidentale dell'isola Santa, o isola d'Apol- 
lo, che divide il fiume in due rami. La vegetazione delle sue 
sponde è presentemente poverissima in confronto di cià che 
ne dice Virgilio. Gli è però ancora applicabile ciò ch'egli dice 
de’ suoi vortici, e del suo colore giallastro. 

&NEID, L. vi v. 30. 


ALBUNEA (Lago d'acqua dolce. ) 

Veduta del lago d’acqua dolce distante sedici miglia da 
Roma verso Tivoli, ove trovasi la sacra sorgente che Virgi- 
lio rese immortale. Presso altri scrittori è mentovata col nome 
di 4guae Albulae. Tale sorgente ricevette senza dubbio il 
suo nome dalla bianchezza dell’acqua stessa che ha un odore 
fortissimo di zolfo, ed ha in sè molte virtù medicinali, non 
che pel tufo calcareo che vi si trova nel fondo, e che si ag- 





glomera ai vegctabili. Per questa ragione si dà pure al lago 
vicino, da essa sorgente formato, il nome di Lago de' Tarta- 
ri. Vedesi in fondo a destra la montagna d'Alba, ed a sini- 
stra quella di Tuscolo. In mezzo a destra il villaggio di Ma- 


rino, ed a manca quello di Frascati. 
ENEID. L. vu, v, 83. 


NUMICUS 


Veduta di Numicio (fiume) che lentamente si avanza verso 
il mare a traverso di paduli e canneti , del quale spesse 
volte è fatta menzione dagli autori romani nella favola della 
venuta d' Enea nel Lazio, e della sua guerra contro il re Turno 
di Ardea. Sulla riva di questo fiume, dicesi, morì Enea, e qui- 
vi fu sepolto sotto quel tumulo che si chiama di Giove Indi- 
gete. Fu Enea divinizzato con tale nome ( Indigete ) che 
vogliono derivi da in diis ago, io sono fra gli dei. Oggi 
pure si vede come un fiumicello, che riceve una porzione delle 
sue acque dal lago di Nemi, consacrato a Diana (ciò che gli 
fe'da Virgilio dare anche il nome di « sacrum » ), dove sbocca 
nella valle d'Aricia; riceve il rimanente dal moderno Fosso Rc 
di Tavole; scorre fra Ardea e Lavinium, il Pratica de'mo- 
derni. Il fondo della veduta è circoscritto dalle montagne 
d'Alba. 

ENEID. L. vit, v. 450, 241, 797, 


OSTIA 


Veduta del braccio sinistro del Tevere dalla parte meridio+ 
nale dell’isola sacra, di cui si scorge una porzione, sulla quale 
passano dei bufali. A destra sul davanti vedesi una parte del 
luogo ov'era l'antica Ostia che fu distrutta principalmente 
dalle inondazioni, e che è coperta da fango e da macerie. 
I rottami che scorgonsi a traverso alle boscaglie furono se- 
condo alcuni un tempio di Nettuno, e secondo altri un tem- 
pio di Giove Patuleio. Nel mezzo trovansi alcune fabbriche 
d'Ostia moderna che fu edificata più presso a Roma dai papi 
Sisto IV, e Giulio II perché servisse da baluardo contro i pi- 





rati. Si pone ordinariamente la scena descritta da Virgilio nel 
luogo poco lontano dalla sponda sinistra del fiume, dove Auco 
Marzio fondò l’antica Ostia. 


. ENEID. L. vit, v. 152-457. 


LAURENTUM ( Torre Paterno.) 


Veduta degli avanzi che sono tutt' ora sopra terra dell an- 
tica residenza del re mitico Latino, la quale oggi ha il nome 
di Torre Paterno, e che, secondo la Tavola Peutingeriana, era 
posta non lontano dalla riva del mare, a sedici miglia da 
Ostia. Dicesi che gli Aborigeni sotto Fauno loro re fabbricas- 
sero tale città, e la denominassero Laurentum dai molti al- 
lori che il suolo ivi produceva . Laurento fu per lungo tempo, 
anche sotto la repubblica romana, una città importante, ma 
fu quasi interamente devastata da una irruzione dei Sanniti, 
e finalmente unita a Lavinio dall'Imperatore Antonino Pio. 

ENEID. L. vit, v. 174. 


ARDEA (drdea.) 


Veduta meridionale della capitale dei Rutuli, residenza 
di Turno, disegnata dalla parte sud-ovest, dove un ponte 
traversa il Numicio. Il mare Tirreno trovasi dietro allo spet- 
tatore, ma egli vede in lontananza, sulla sinistra, le monta- 
gne d'Alba. Si annovera essa fra le più vetuste città del La- 
zio, e, secondo la tradizione, è assai più antica di Roma, 
che ivi stabilì poi una colonia. Benchè fosse talmente deva- 
stata nella guerra dei Sanniti da non ricovrare mai più il suo 
antico splendore, ella ha tuttavia conservato inalterato il suo 
nome, e ne rimangono tutt’ ora molte sostruzioni. È situata 
ad una lega e mezza dal mare, ed a sei da Roma, in un paese 
amenissimo, ed atto per le sue praterie a nudrire molto be- 
stiame. Appartiene in oggi, in un col territorio dei Rutuli, 
al duca romano Cesarini. 


ENEID. L. vir, v. did. 


TYBUR ( Tivoli.) 


Veduta da nord-ovest di alcuni edifizii della moderna Ti- 
voli, situati appié della montagna di Tivoli, e sul luogo 
dell’antico Tibur superbum, la superba Tivoli: vedesi quivi 
in lontananza la vallata stretta e racchiusa fra balze, nella 
quale si precipita per diverse parti l’Anio, oggi Teverone, 
formando quattordici cateratte, celebri per l'altezza e bellez- 
za loro. Vedonsi parecchie di tali cascate, conosciute col nome 
di Cascatelle. A qualche distanza, sul davanti a destra, scorgesi 
nell’ edifizio in forma di portico magnifiche sostruzioni del- 
l'antica e superba villa, Mecene, e in mezzo a sinistra alcuni 
avanzi della parte inferiore della casa che Orazio, secondo 
Svetonio, possedeva nei sobborghi di Tivoli. Sono essiin un 
giardino appartenente al convento di S. Antonio. Il monte 
Santa Croce, una volta Mons Catillus, forma il fondo di si 
fatta valle deliziosa, ricca di tante rimembranze. Lungo le balze 
che racchiudono l'Anio, o Aniene, si estendeva per tutta la 
vallata il bosco sacro a Tiburno (*). 

ENEID. L. vit, v. 630, et 670. 


SORATTE (Monte di Sant Oreste.) 


Veduta di tale montagna isolata, la quale s'inalza 2000 
piedi sopra il livello del mare. È notabile per essere in tempo 
d' inverno la prima ad essere coperta di neve. Quest'erta mon- 
tagna è posta presso all’antica strada Flaminia, vicinissima 
alla riva destra del Tevere nell’antica Etruria. Sulla sommità 
eravi al tempo dell'autore dell’ Eneide un tempio di Apollo 
in molta venèrazione. Sul pendio sud-est, volto verso Roma, 
e che qui si vede, Carlomagno fratello di Pipino d’ Heristall 
costrusse il monastero di S. Silvestro. Più basso sono posti il 
castello ed il villaggio Sant'Oreste, ma non si può vederli. Scor- 
gesi a destra nel mezzo della scena il famoso bosco di Fe- 
ronia. BNEID. L. vm, v. 696. 


(*) Tiburno o Tiburio figliuolo d'Ercole e secondo altri d' Anfiarao fondatore 
della citta di Tivoli. l 


SEBETO ( Fiume della Maddalena. ) 


Veduta del ruscello Sebeto col suo ponte, oggi fiume della 
Maddalena, tra Napoli e Portici, cioè dalia perte est della 
città e del porto dell’antica Neapolis; in lontano, e a sini- 
stra, vedesi il monte Somma, e a destra il Vesuvio. 

ERNEID. L. vij, v. 734. 


CAPREE (Capri) 


Veduta dell'isola Caprea oggi Capri, formata da rocce, ed 
alta 18 piedi sopra il livello del mare. Sonovi in essa dei luo- 
ghi piacevoli, e da ogni parte si godono viste deliziosissime 
dei tre golfi bellissimi di Salerno, di Napoli e di Baia, ma 
principalmente dei liti rivali fra loro in amenità e bel- 
lezza. Gli abitanti i più anticamente conoseiuti erano Greci, 
che Tacito chiama Te/eboi. Augusto, cui piacevane il sog- 
giorno, la comprò dai Napoletani, e ne fece un patrimonio 
della sua famiglia imperiale. Il suo successore Tiberio vi stanzò 
di continuo gli ultimi sette anni della sua vita, ed i soli suoi 
favoriti osavano porvi il piede. Vi costrusse egli dodici ville 
magnificamente abbellite; primeggiava fra queste la Villa Io- 
vis sul più alto dell'isola. Ivi egli davasi interamente alle 
sue dissolutezze sì ben conosciute, e che furono fin anche rese 
immortali da apposite medaglie. Veggonsi tuttora alcune ve- 
stigia di quelle case di piaceri. 

mme. L. vit, v. 735. 


SABNUS (Sarna; 

Questa veduta pone sott'occhio varii puoti i più distinti 
della parte orientale del vasto golfo di Napoli. Vedesi da pri- 
ina sul davanti il lato più settentrionale dell’antico Sorren- 
tum, oggi Sorrento; più lontano, vicinissima al mare, la 
piccola città di Castello a Mare di Stabia, col porto dello 
stesso nome; quindi il piccolo fiume Sarnus oggi Sarno, sulla 
sponda del quale era l’antica città di Pompeia: essa città di 
non poca importanza, che rimase sepolta l’anno 832 di Roma 
(79 di G. C.) sotto il regno dell’imperatore Tito, e messa 


in parte allo scoperto da quasi un secolo, vedesi qui nel suo 
stato attuale in mezzo alla catena di colline al di là di Sar- 
no, dal pendio orientale della montagna, dalla quale era al- 
trevolte coperta, fino ai pini che sono sul davanti del quadro. 
Scorgonsi nel fondo i due luoghi di Torre dei? Annunziata, 
e Torre del Greco, e più a sinistra, verso Napoli, il sito che 
copre la parte orientale dell’ Antica Ercolano: è chiusa final- 
mente questa veduta in lontano dalle pendici orientali del 
Vesuvio e del monte Somma. 
ENEID. L. vu, v. 738. 


TERRACINA, O ANXUR (Terracina) 
" Veduta da nord-ovest degli scogli sui quali era costrutta 
l' antica città dei Volsci, Anxur o Terracina, ma di cui in 
oggi non .vedesì sopra terra nessun avanzo di qualche impor- 
tanza oltre alle sostruzioni del tempio d' Apollo, sotto la cat- 
tedrale della moderna città: nello stesso sito, e sulla punta più 
meridionale della montagna, occupata altre volte dal tempio 
di Giove, periscono di giorno in giorno gli avanzi dell’antico 
palazzo di Teodorico re dei Goti. Nello scoglio isolato sono 
scolpiti alcuni nomi romani, e cifre di miglia indicanti la 
distanza da Roma. (*) Fra questa città e Veletri trovansi 
le paludi Pontine. 
ENEID . L. vit, v. 799. 


(*) Tale Scoglio isolato che chiamasi Pisca Marina (P. la Martiniere) è alto 
all'incirca 120 piedi, ed essendo le antiche cifre numeriche segnate a dieci per 
dieci ( V. Misson ) sul prospetto di esso scoglio , che è tagliato perpendicolarmente, 
ed arrivando esse al numero CXX., sembra che siasi voluto lasciare con ciò una 
memoria della sua altezza . 


Vol. II 


DELL’ ENEIDE 


DI VIRGILIO 


LIBRO OTTAVO 


Cene — [o 


ARGOMENTO 


A difesa d' Enea s" unisce Evandro 
C^! suoi Arcadi ín lega. Citerea 
Con donnesche fusinghe al figlio impetra 
L' armi fatali , in cui '1 Fabro Divino 
De" futuri Romani i gesti imprime. 


Poscia che di Laurento in su la rócca 
Fe' Turno inalberar di guerra il segno, 
E che guerra sonàr le roche trombe, 
Spinti i carri e i destrieri, e l' armi scosse: 
Di Marte al tempio, incontanente i cuori 
Si turbàr tutti, e tutto il Lazio insieme 
Con subito tumulto si restrinse. 
Fremessi, congiurossi, rassettossi 
Ognun ne l arme. I tre gran condottieri 


Ut belli signum Laurenti Turnus ab arce 
Extulit, et rauco strepuerunt cornua cantu, 
Utque acres concussit equos, utque impulit arma; 
Extemplo turbati animi: simul omne tumultu 
Coniurat trepido Latium, saevitque iuventus 


8o ENEIDE 


Messapo , Ufente, e l'empio de'celesti 10 
Dispregiator Mezenzio, usciro in prima. 
Accolsero i sussidii; armàr gli agresti ; 
Spogliàr d' agricoltor le ville e i campi. 
In Arpi a Diomede si destina 
Venulo imbasciatore: e gli s'impone 19 
Che soccorso gli chiegga, e che gli esponga 
Quanto ció de l'Italia e del suo stato 
Torni a grand'uopo; con che gente Enea, . 
Con quale armata v'ha già posto il piede, 
E fermo il seggio, e rintegrato il culto 20 
A i suol vinti Penati; come aspira 
A questo regno, e come anco per fato, 
E per retaggio del dardanio seme, 
Lo si promette. Che perció da molti 
E già seguito, e ch'ogni giorno avanza, 25 
E di forze e di nome. Indi soggiunga: 
Quel che ’1 Duce de’ Teucri in ciò disegni 
E che miri e che tenti ( se fortuna 


Effera. Ductores primi Messapus et Ufens, 
Contemtorque Deum Mezentius, undique cogunt 
Auxilia, et latos vastant cultoribus agros. 
Mittitur et magni Venulus Diomedis ad urbem, 
Qui petat auxilium, et, Latio consistere Teucros , 
Advectum /Enean classi, victosque Penates 
Inferre, et fatis regem se dicere posci, 

Edoceat, multasque viro se adiungere gentes 
Dardanio, et late Latio increbrescere nomen. 


LIBRO OTTAVO 81 


Gli va seconda ) a te via più ch'a Turno 

, Esser può manifesto, e ch'a Latino. 30 

Questi andamenti e queste trame allora 
Correan per Lazio, e lo scaltrito Eroe 
Le sapea tutte, onde in un mare entrato 
Di gran pensieri, or la sua mente a questo, 
Or a quel rivolgendo in varie parti, 35 
D’ ogni cosa avea tema e speme e cura. 
Così di chiaro umor pieno un gran vaso 
Dal sol percosso un tremolo splendore 
Vibra ondeggiando, e rinfrangendo a volo 
Manda i suoi raggi, e le pareti e i palchi 40 
E l'aura d’ogni intorno empie di luce. 

Era la notte, e già per ogni parte 

Del mondo ogni animal d' aria e di terra 


Quid struat his coeptis, quem, si fortuna sequatur, 

Eventum pugnae cupiat, manifestius ipsi, 

Quam Turno regi, aut regi apparere Latino. 

T'alia per Latium: quae laomedontius heros 

Cuncta videns, magno curarum fluctuat aestu: 

"Atque animum nunc huccelerem,nuncdividitilluc,20 

In partesque rapit varias, perque omnia versat. 

Sicut aquae tremulum labris ubi lumen aenis 

Sole repercussum, aut radiantis imagine lunae, 

Omnia pervolitat late loca, iamque sub auras 

Erigitur, summique ferit laquearia tecti. 23 

Nox erat, et terras animalia fessa per omnes 

Alituum pecudumque genus sopor altus habebat: 
Eneide /ol. 11 | 11 


8a 


ENEIDE 


Altamente giacea nel sonno immerso, 

Allor che ’1 padre Enea così com’ era 45 
Dal pensier de la guerra in ripa al Tebro 

Già stanco e travagliato , addormentossi . 

Ed ecco Tiberino, il dio del loco 

Veder:gli parve, un che già vecchio al volto 
Sembrava. Ávea di pioppe ombra d'intorno; 5o 
Di sottil velo e trasparente in dosso 

Ceruleo ammanto, ei crini e 1 fronte avvolto 
D'ombrosa canna. E de l'ameno fiume 

Placido uscendo, a consolar lo prese 

In cotal guisa: Enea, stirpe divina, 55 
Che Troia da'nemici ne riporti 

E la ravvivi e la conservi eterna; 

O da me, da' Laurenti e da' Latini 

Già tanto tempo a tanta speme atteso, 

Questa è la. casa tua, questo è secura- 6o 


Quum pater in ripa, gelidique sub aetheris axe 
"Eneas tristi turbatus pectora bello 


Procubuit, seramque dedit per membra quietem. 30 


Huic Deus ipse loci fluvio Tiberinus amoeno 
Populeas inter senior se attollere frondes 

Visus: eum tenuis glauco velabat amictu 
Carbasus, et crines umbrosa tegebat arundo. 

T'um sic affari, et curas his demere dictis: 35 


O 


sate gente Deum, troianam ex hostibus urbem 


Qui revehis nobis, aeternaque Pergama servas, 
Exspectate solo Laurenti, arvisque latinis; 


LIBRO OTTAVO 83 


mente, non t'arrestare, il fatal seggio 

Che t'é promesso. Le minacce o ’l1 grido 

Non temer de la guerra. Ogni odio, ogn' ira 
Cessàr già de’ celesti. E perché ’1 sonno 
Credenza non ti scemi, ecco a la riva 65 
Sei già del fiume, u'sotto a l'elce accolta 

Sta la candida treia con quei trenta 

Candidi figli a le sue poppe intorno. 

Questo fia dunque il segno e’l tempo e'l loco 
Da fermar la tua sede. E questo é'l fine 70 
De' tuoi travagli; onde il tuo figlio Ascanio, 
Dopo trent'anni, il memorabil regno 

Fonderà d'Alba, che così nomata 

Fia dal candore e dal felice incontro 

Di questa fera. E tutto adempirassi, 79 
Ch'io ti predico, e t'é predetto avanti. 

Or brevemente quel ch'oprar convienti, 


Hic tibi certa domus, certi (ne absiste) Penates: 
Neu belli terrere minis. T'umor omnis, et irae — £o 
Concessere Deum, 

Jamque tibi (ne vana putes haec fingere somnum) 
Litoreis ingens inventa sub ilicibus sus 

Triginta capitum foetus enixa iacebit; 

Alba solo recubans, albi circum ubera nati. 49 
Hic locus urbis erit, requies ea certa laborum: 

Ex quo ter denis urbem redeuntibus annis 
Ascanius clari condet cognominis Albam. 

Haud incerta cano. Nunc qua ratione, quod instat, 


84 ENEIDE 


Per uscir glorioso e vincitore 

Di questa guerra , ascolta. È di qui lunge 

Non molto Evandro, un re che de l' Arcadia 80 
È qua venuto; e sopra a questi monti 

Ha de gli Arcadi suoi locato il seggio. 

Il loco, da Pallante suo bisavo , 

È stato Pallantéo da lui nomato; 

Ed essi, perchè son nel Lazio esterni, 85 
Son nemici a' Latini, ed han con loro 

Perpetua guerra. A te-fa di mestiero 

Con: lor confederarti, e per ‘compagni 

A questa impresa avergli. Io fra le ripe 

Mie stesse incontro a l’acqua a la magione 090 
D' Evandro agevolmente condurrotti . 

Destati, de la Dea pregiato figlio; 

E come pria cader vedrai le stelle, 

Porgi solennemente a la gran Giuno 


Expedias victor, paucis, adverte, docebo. 5o 
. "Arcades his oris, genus a Pallante profectum, 

Qui regem Evandrum comites, qui signa sequuti, 
Delegere locum, et posuere in montibus urbem, 
Pallantis proavi de nomine Pallanteum. 

: Hi bellum assidue ducunt cum gente latina; 55 
. Hos castris adhibe socios, et foedera iunge. 

Ipse ego te ripis et recto flumine ducam, 

Adversum remis superes subvectus ut amnem. 
Surge, age, nate Dea; primisque cadentibus astris 

' Junoni fer rite preces, iramque minasque 6o 


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LIBRO OTTAVO 85 


Preghiere e voti; e supplicando vinci 95 
De l'inimica Dea l’ ira e !' orgoglio; 

Ed a me, poi che vincitor sarai, 

Paga il dovuto onore. Io sono il Tebro 

Cerco da te, che, qual tu vedi, ondoso 

Rado queste mie rive, e fendo i campi 100 
De la fertile Ausonia, al ciel amico 

Sovr' ogni fiume. Quel che qui m'è dato, 

È’1 mio seggio maggiore; e fia che poscia 

Sovr ogni altra cittade il capo estolla . 

Così disse, e tuffossi. Enea dal sonno 105 
Si scosse; il giorno aprissi, ed ei col sole 
Sorgendo insieme , al suo nascente raggio 
Si volse umíle; e con le cave palme 
De l'onda si spruzzó del fiume, e disse: | 
Ninfe laurenti, Ninfe, ond' hanno i fiumi 110 


Supplicibus supera votis. Mihi victor honorem 

Persolves. Ego sum, pleno quem flumine cernis 

Stringentem ripas, et pinguia culta secantem, 

Caeruleus T'hybris, caelo gratissimus amnis. 

Hic mihi magna domus, celsis caput urbibus, exit. 
Dixit: deinde lacu fluvius se condidit alto, 

Ima petens. Nox: /Enean somnusque reliquit. 

Surgit, et, aetherii spectans orientia solis 

Lumina, rite cavis undam de flumine palmis 

Sustulit, ac tales effundit ad aethera voces: 70 


Nymphae, laurentes Nymphae, genus amnibus unde 
est, 


80 ENEIDE 


L' umore e ’l corso; e tu con l’onde tue, 

Padre Tebro sacrato, al vostro Enea 

Date ricetto, e da’ perigli omai 

Lo liberate. E io da qual sia fonte, 

Che sgorghi, in qual sii riva, in qual sii foce 115 

( Poichè tanta di me pietà ti stringe ) 

Sempre t'onoreró, sempre di doni 

Ti sarò largo. O de l'esperid' onde 

Superbo regnatore , amico: e mite 

Ne sia il tuo nume, e i tuoi detti non vani. 120 
Così dicendo, de’ suoi legni elegge 

I due migliori, e gli correda e gli arma 

Di tutto punto. Ed ecco d'improvviso 

( Mirabil mostro!) de la selva uscita 

Una candida scrofa, col suo parto 125 

Di candor.pari, sopra l'erba verde 

Ne la riva accosciata gli si mostra. 


Tugue, o Thybri, tuo genitor cum flumine sancto 
Accipite Aînean, et tandem arcete periclis. 
Quo te cumque lacus, miserantem incommoda nostra, 
Fonte tenet, quocumque solo pulcherrimus exis, 75 
Semper honore meo, semper celebrabere donis. 
Corniger Hesperidum fluvius regnator aquarum, 
“Adsis o tantum, et propius tua numina firmes. 
Sic memorat, geminasque legit de classe biremes, 
Remigioque aptat; socios simul instruit armis. 80 
Ecce autem, subitum atque oculis mirabile monstrum, 
Candida per silvam cum foetu concolor albo 


LIBRO OTTAVO 87 


Tosto il pietoso Eroe col gregge tutto 

A l'altar la condusse; e poichè sacra 

L'ebbe al gran nume tuo, massima Giuno, 130 
A te l’uccise. Il Tebro quella notte 

Quanto fu lunga, di turbato e gonfio 

Ch’egli era, si rendè tranquillo e queto 

Sì, che senza rumore e quasi in dietro 
Tornando, come stagno, o come piana 135 
Palude adeguò l'onde, e tolse a' remi 

Ogni contesa. Accelerando adunque 

Il cammin preso, i ben unti e spalmati 

Lor legni se ne vanno incontro al fiume 

Com'a seconda; sì che l’ onde stesse 140 
Stavan meravigliose, e i boschi intorno, 

Non soliti a veder l'armi e gli scudi, 

E i dipinti navilii , che da Junge 

Facean novella e peregrina mostra. 


Procubuit, viridique in litore conspicitur sus: 
Quam pius Eneas tibi enim, tibi, maxima Iuno, 
Mactat, sacra ferens, et cum grege sistit ad aram.85 
T'hybris ea fluvium, quam longa est, nocte tumentem 
Leniit, et tacita refluens ita substitit unda, 

Mitis ut in morem stagni placidaeque paludis 
Sterneret aequor aquis, remo ut luctamen abesset. 
Ergo iter inceptum celerant; rumore secundo 9o 
Labitur uncta vadis abies: mirantur et undae, 
Miratur nemus insuetum fulgentia longe 

Scuta virum, fluvio pictasque innare carinas. 


68 ENEIDE 


Se ne van notte e giorno remigando 145 
Di tutta forza, e i seni e le rivolte 

Varcan di mano in mano, ora a l'aperto, 

Or tra le macchie occulti, e via volando 

Segan l'onde e le selve. Era il Sol giunto 

A mezzo il giorno , quando incominciaro 150 
Da lunge a discovrir la rócca e '1 cerchio, 

E i rari allor del poverello Evandro 

Umili alberghi, ch'ora al cielo adegua 

La romana potenza. Immantinente 

Volser le prore a terra, ed appressàrsi 159 
Là ’ve per avventura il re quel giorno 
Solennemente in un sacrato bosco 

Avanti a la città stava onorando 

Il grande Alcide. Avea Pallante seco 

Suo figlio, e del suo povero Senato, 160 


Olli remigio noctemque diemque fatigant, 

Et longos superant flexus, variisque teguntur 95 

Arboribus, viridesque secant placido aequore silvas. 

Sol medium caeli conscenderat igneus orbem, 

Quum muros arcemque procul ac rara domorum 

Tecta vident; quae nunc romana potentia caelo 

Aquavit; tum res inopes Evandrus habebat: 100 

Ocius advertunt proras, urbique propinquant. 
Forte die solemnem illo rex Arcas honorem 

Amphitryoniadae magno, divisque ferebat 

Ante urbem in luco. Pallas huic filius una, 

Una omnes iuvenum primi, pauperque senatus 10 





LIBRO OTTAVO 89 


E de’ suoi primi giovani un: drappello, 

Che d'incensi, di vittime e di fumo 

Di caldo sangue empiean l’are e gli altari. 
Tosto che di lontan vider le gaggie, . 

E per entro de’ boschi occulte e chete 165 

Gir navi esterne, insospettiti in prima 

Si levàr da le mense. Ma Pallante 

Arditamente. Non movete , disse, 

Seguite il sacrificio. E tosto a l'armt 

Dato di piglio, incontro a lor si spinse. 170 

Giunto, gridó da l'argine: O compagni , 

Qual fin vadduce, o qual v' intrica errore 

Per cosi torta e disusata via? 

Ov andate? chi siete? onde venite ? 

Che ne recate voi? La pace, o l'armi? 175 
Enea di su la poppa un ramo alzando 

Di pacifera oliva, Amici, disse, 


Tura dabant; tepidusque cruor fumabat ad aras. 

Ut celsas videre rates, atque inter opacum 

Allabi nemus, et tacitis incumbere remis; 
Terrentur visu subito, cunctique relictis 
Consurgunt mensis. Audax quos rumpere Pallas 
Sacra vetat, raptoque volat telo obvius ipse; 

Et procul e tumulo, Iuvenes, quae caussa subegit. 
Ignotas tentare vias? quo tenditis? inquit, 

Qui genus? unde domo? pacemne huc fertis, an arma? 
Tum pater /Eneas puppi sic fatur ab alta, 155 
Paciferaeque manu ramum praetendit olivae; 


Eneide Z'ol. II 12 


90 EL ENEIDE 


Vi siamo, e siam Troiani, e coi Latini 

Questi superbamente il nostro esiglio 180 

Perseguitando, ne fan guerra ed onta, | 

Ricorremo ad Evandro. A lui porgete 

Da nostra parte, che de' Teucri alcuni 

Son qui venuti condottieri eletti 

Per sussidii impetrarne, e lega d'arme. 185 
Stupì primieramente a sì gran nome 

Pallante, indi vér lui rivolto umile, 

Signor, qual che tu sii, scendi, e tu stesso 

Parla, disse, al mio padre, e nosco alloggia. 

E lo prese per mano, ed abbracciollo. 190 

Lasciato il fiume e ne la selva entrati, 

Enea dinanzi al re comparve, e disse: 
Signor, che di bontà sovr’ogni Greco, 

E di fortuna sovra me ten vai 


Troiugenas ac tela vides inimica Latinis, 

Quos illi bello profugos egere superbo. 

Evandrum petimus. Ferte haec, et dicite lectos- 

Dardaniae venisse duces, socia arma rogantes. 120 

Obstupuit tanto percussus nomine Pallas: 

Egredere o, quicumque es,ait, coramque parentem 

"loquere, ac nostris succede penatibus hospes: 

Excepitque manu, dextramque amplexus inhaesit: 

Progressi subeunt luco, flusiumque relinquunt. 125 
T'um regem /Eineas dictis affatur amicis: 

Uptime Graiugenim, cui me fortuna precari, 


LIBRO OTTAVO 9t 


Tanto, che supplichevole, e co' rami 195 
Di benda avvolti a tua magion ne vengo: 

lo, perché sia Troiano, e .tu di Troia 

Per nazion nimico e per legnaggio 

A gli Atridi congiunto, or non pavento 

Venirti avanti, ché'l mio puro affetto, 200 
Gli oracoli divini, il sangue antico 

De maggior nostri, il tuo famoso grido, 

E'l Fato e’l mio voler m’han teco unito. 
Dardano de’ Troiani il primo autore 

Nacque d'Elettra, come i Greci han detto; 205 
E d'Elettra fu padre il grande Atlante, 

Che con gli omeri suoi. folce le stelle. 

Vostro progenitor Mercurio fue, 

Che nel gelido monte di Cillene . | 

De la candida Maia al mondo nacque; 210 


E Maia ancor, se questa fama è vera, 


Et vitta comtos voluit praetendere ramos; 

Non equidem extimui, Danatim quod ductor, et arcas , 
Quodque a stirpe fores geminis coniunctus Atridis; 
Sed mea me virtus, et sancta oracula: Divum, 
Cognatique patres, tua terris didita fama, 
Coniunxere tibi, et fatis egere volentem. 
Dardanus, iliacae primus pater urbis et auctor, 
Electra (ut Graii perhibent) atlantide cretus, 135 
Advehitur Teucros: Electram maximus Atlas 
Edidit, aetherios humero qui. sustinet orbes. 

Vobis Mercurius pater est, quem candida Maia 


92 ENEIDE 


Venne d' Atlante, e da lo stesso Atlante 

Che fa con le sue spalle al ciel sostegno. 

Così d'un fonte lo tuo sangue e ’l mio 

Traggon principio. E quinci è che securo 215 
Senza opra di messaggi e senza scritti, 

Pria ch'io ti tenti, e pria che tu m' efhdi, 
Posto ho me stesso e la mia vita a rischio, 

E supplichevolmente a la tua casa 
Ne son venuto. I Rutuli ch’ infesti 220 
Sono anco a te, se de l'Italia fuori 

Cacceran noi, già de l’ Italia tutta 

L' imperio si promettono, e di quanto 

Bagna l'un mare e l’altro. Or la tua fede 

Mi porgi, e la mia prendi; ch'ancor noi — 225 
Siamo usi a guerra, e cor ne’ petti avemo. 


Cyllenae gelido conceptum vertice fudit; 

At Maiam, auditis si quidquam credimus, Atlas, 140 
Idem Atlas generat, caeli qui sidera tollit. 

Sic genus amborum scindit se sanguine ab uno. 

His fretus, non legatos, neque prima per artem 
Tentamenta tui pepigi: me, me ipse, meumque 
Obieci caput, et supplex ad limina veni. 149 
Gens eadem, quae te, crudeli daunia bello 
Insequitur: nos si pellant, nihil abfore credunt, 
Quin omnem Hesperiam penitus sua sub iuga mittant: 
Et mare, quod supra, teneant, quodque alluit infra. 
Accipe, daque fidem. Sunt nobis fortia bello 150 
Pectora, sunt animi, et rebus spectata iuventus. . 


LIBRO OTTAVO 93 


Il re, mentre ch' Enea parlando stette, - 
ll volto e gli occhi e la persona tutta 
Gli andò squadrando ; e brevemente al fine 
Così rispose: Valoroso eroe, 230 
Come lieto io t'accolgo, e come certo . 
Raffigurar mi sembra il volto e i gesti 
E la favella di quel grande Anchise 
Tuo genitore! Io mi ricordo quando 
Priamo per riveder la sua sorella ! 2359 — 
Esione e '| suo regno, in un passaggio. 
Che perciò fe’ da Troia a Salamina ,. 
Toccò d'Arcadia i gelidi confini.. 
De le prime lanugini fiorito 
Era il mio mento.a. pena allor ch*io vidi 240 
Quei gran. dud di Troia, e de’ Troiani 
Lo stesso re. Con molto mio diletto 
Gli mirai, gli ammirai, notai di tutti 


Dixerat /Eneas. Ille os oculosque loquentis 
Jamdudum, et totum lustrabat lumine corpus . 
T'um sic pauca refert: Ut te; fortissime Teucrüm, 
Accipio agnoscoque libens! ut verba parentis, — 155 
Ut vocem Anchisae magni vultumque recordor! 
Nan: memini Hesionae visentem regna sororis, 
Laomedontiaden Priamum, Salamina petentem, 
Protenus Arcadiae gelidos invisere fines. 
Tum mihi prima genas vestibat flore iuventa: 160 
Mirabarque duces teucros, mirabar et ipsum 


Laomedontiaden: sed cunctis altior ibat 


94 ENEIDE 


Gli abiti e le fattezze , e sopra tutti 
Leggiadro , riguardevole ed altero 245 
Sembrommi Anchise. Un desiderio ardente 
Mi prese allor d' offrirmi, e d' esser conto 
A quel signore. Il visitai, gli porsi 
La destra, ospite il fei, nel mio Feneo 
Meco l'addussi. Ond' ei poscia partendo, 250 
Un arco, una faretra e molti strali 
Di Licia presentommi, e d’oro appresso 
Una ricca intessuta sopravvesta 
Con due freni indorati, ch’ ancor oggi 
Son di Pallante mio: sì che già ferma > 355 
È tra noi quella fede e quella lega 

‘ Ch' or ne chiedete. E non fia il Sol dimane 
Dal balcon d' Oriente uscito a pena, 
Che le mie genti e i miei sussidii avrete. 
Intanto a questa festa, che solenne 260 
Facciamo ogni anno, e tralasciar non lece, 


Anchises. Mihi mens iuvenali ardebat amore 


Compellare virum, et dextrae coniungere dextram. - 


Accessi, et cupidus Phenei sub moenia duxi. 165 
Ille mihi insignem pharetram lyciasque sagittas 
Discedens, chlamydemque auro dedit intertextam, 
Frenaque bina, meus quae nunc habet, aurea, Pallas. 
Ergo et, quam petitis , iuncta est mihi foedere dextra: 
Et, lux quum primum terris se orastina reddet, 170 
"Auxilio laetos dimittam, opibusque iuvabo. 

Interea sacra haec, quando huc venistis amici, 


LIBRO OTTAVO ‘99 


(Già che venuti siete amici nostri ) 
Nosco restate, e come di compagni 
Queste mense onorate. Avea ciò detto, 
Allor che nuovi cibi e nuove tazze 265 
Ripor vi fece, e lor tutti nel prato 
A seder pose; e sopra tutti Enea 
(Di villoso leon disteso un tergo) 
Seco al suo deseo ed al suo seggio accolse. 
Per man de' sacerdoti e de' ministri | 270 
Del sacrificio, d'arrostite carni 
De' tori, di yin puro, di focacce 
Gran piatti, gran canestri e gran tazzoni 
N'andaro a torno; e co'suoi Teucri tutti 
Enea fu de le viscere pasciuto 27 
Del sagginato a Dio devoto bue. 
Tolte le mense, e ’l desiderio estinto 


(Di | 


Annua, quae differre nefas, celebrate faventes 

Nobiscum, et iam nunc sociorum assuescite mensis. 

. Haec ubi dicta, dapes iubet et sublata reponi 1739 

Pocula, gramineoque viros locat ipse sedili; 
Praecipuumque taro et villosi pelle leonis 
Accipit /Enean, soliogue invitat acerno. 
Tum lecti iuvenes certatim, araeque sacerdos 
Viscera tosta ferunt taurorum, onerantque canistris 
Dona laboratae Cereris, Bacchumque ministrant. 
Vescitur /Eneas, simul et troiana iuventus : 
Perpetui tergo bovis et lustralibus extis. 

Postquam exemta fames, et amor compressus edendi, 


96 ENEIDE 


De le vivande, a ragiomar rivolti 

Evandro incominciò: Troiano amico, 
Questo convito e questo sacrificio 

Così solenne, e questo a tanto nume 
Sacrato altare, instituiti e posti 

Non sono a caso; chè del vero culto 

E de gli antichi Dei notizia avemo. 

Per memoria, per merito e per voto 
D'un gran periglio sua mercè scampato, 
Son questi onori a questo Dio dovuti. 
Mira colà quella scoscesa rupe, 

E quei rotti macigni, e di quel colle 
Quell'alpestra ruina, e quel deserto. 

Ivi era già remota e dentro al monte 
Cavata una spelonca, ov’ unqua il sole 
Non penetrava. Abitatore un ladro 

N’ era, Caco chiamato, un mostro orrendo 
Mezzo fera e mezz' uomo, e d'uman sangue 


Rex Evandrus ait: Non haec solemnia nobis, 
Has ex more dapes, hanc tanti numinis aram 
Vana superstitio, veterumque ignara Deorum 
Imposuit: saevis, hospes troiane, periclis 
Servati facimus, meritosque novamus honores. 


280 


285 


290 


Jam primum saxis suspensam hanc adspice rupem: 


Disiectae procul ut moles, desertague montis 


Stat domus, et scopuli ingentem traxere ruinam. 


Hic spelunca fuit, vasto submota recessu , 
Semihominis Caci facies quam dira tenebat 


LIBRO OTTAVO 97 


Avido sì, che'l suol n'avea mai sempre 
Tepido. Ne grommavan le pareti, 
Ne pendevano i teschi intorno affissi, 
Di pallor, di squallor luridi e marci. 
Vulcano era suo padre; e de'suoi fochi 300 
Per la bocca spirando atri vapori, 
Gia d'un colosso e d'una torre in guisa 
Contra sì diro mostro, dopo molti 
Dannaggi e molte morti, il tempo al fine 
Ne diede e questo Dio soccorso e scampo. 309 
Egli di Spagna vincitor ne venne 
In queste parti, de le spoglie altero 
Di Gerione, in. cui tre volte estinse . 
In tre corpi una vita, e ne condusse 
Tal qui d' Ibero un copioso armento, 310 
Ch'avea pien questo fiume e questa valle. 
Caco ladron feroce e furioso, 


Solis inaccessam radiis: semperque recenti 195 

Caede tepebat humus, foribusque affixa superbis 

Ora virum tristi pendebant pallida tabo. 

Huic monstro Vulcanus erat pater: illius atros 

Ore vomens ignes, magna se mole ferebat. 

Attulit et nobis aliquando optantibus aetas 200 

Auxilium, adventumque Dei. Nam maximus ultor, 

Tergemini nece Geryonae spoliisque superbus , 

Alcides aderat, taurosque hac victor agebat 

Ingentes, vallemque boves amnemque tenebant. 

dt furiis Caci mens effera, ne quid inausum, 205 
Eneide Vol. 11 13 


98 ENEIDE 


D'ogni misfatto e d'ogni scelleranza- 

Ardito e frodolente esecutore , 

Quattro tori involonne e quattro vacche, 315 
Ch’ eran fior de l'armento. E perchè l' orme 
Indizio non ne dessero, a rovescio 

Per la coda gli trasse; e ne la grotta 

Gli condusse, e celógli. Eran l' impronte 

De’ lor piè volte al campo, e verso l' antro 320 
Segno non si vedea ch'a la spelonca 

Il cercator drizzasse. Avea già molti 

Giorni d' Anfitrion tenuto il figlio 

Qui le sue mandre, e ben pasciuto e grasso 
Era il suo armento; sì che nel partire 325 
Tutte queste foreste e questi colli 

Bi querimonie e di muggiti empiero. 

Mugghiò da l'altro canto, e’l vasto speco 


Aut intractatum scelerisve dolive fuisset, 

Quatuor a stabulis praestanti corpore tauros 
Avertit, totidem forma superante iuvencas. 

Atque hos, ne qua forent pedibus vestigia rectis, 
Cauda in speluncam tractos, versisque viarum 210 
Indiciis raptos, saxo occultabat opaco. 

Quaerenti nulla ad speluncam signa ferebant. 
Interea, quum iam stabulis saturata moveret 
Amphitryoniades armenta, abitumque pararet; 
Discessu mugire boves, atque omne querelis 215 
Impleri nemus, et colles clamore relinqui. 

Reddidit una boum vocem, vastoque sub antro 


LIBRO OTTAVO 09 


Da lunge rintonar fece una vacca 

De le rinchiuse: onde schernita e vana 330 

Restò di Caco la custodia el furto, 

Ch' udilla Alcide, e d' ira e di furorc 

In un subito acceso, a la sua mazza, 

Ch' era di quercia nodorosa e grave, 

Dié di piglio, e correndo al monte ascese. 335 

Quel di da' nostri primamente Caco 

Temer fu visto. Si smarri ne gli occhi, 

Si mise in fuga, e fu la fuga un volo: 

Tal gli aggiunse un timor le penne a' piedi. 
Tosto che ne la grotta si rinchiuse, 340 

Allentò le catene, e di quel monte 

Una gran falda a la sua bocca oppose; 

Ch'a la bocca de l'antro un sasso immane 

Avea con ferri e con paterni ordigni 

Di cateratta accomodato in guisa 3 

Con puntelli per entro e stanghe e sbarre. 


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Mugiit, et Caci spem custodita fefellit. 

Hic vero Alcidae furiis exarserat atro 

F'elle dolor: rapit arma manu, nodisque gravatum 
Robur, et aetherii cursu petit ardua montis. 

T'um primum nostri Cacum videre timentem, 
Turbatumque oculis. Fugit ilicet ocior Euro, 
Speluncamque petit: pedibus timor addidit alas. 

Ut sese inclusit, ruptisque immane catenis 225 
Deiecit saxum, ferro quod et arte paterna 
Pendebat, fultosque emuniit obiice postes: 


100 ENEIDE 


Ecco Tirinzio arriva, e come è spinto 

Da la sua furia, va per tutto in volta 

Fremendo, ora a i vestigii, ora ai muggiti,. 

Ora a l’entrata de la grotta intento. 350 

E portato da l'impeto, tre volte 

Scorse de l' Aventino ogni pendice; 

Tre: volte al sasso de la soglia intorno 

Si mise indarno; e tre volte affannato 

Ritornó ne la valle a riposarsi. 355 
Era de la spelonca al dorso in cima 

Di selce d'ogn' intorno dirupata 

Un cucuzzolo altissimo ed alpestro, 

Ch'a i nidi d’avoltoi e di tali altri 

Augelli di rapina e di carogna 3 Go 

Era opportuno albergo. A questo intorno 

Alfin si. mise; e siccoin' era al fiume 

Da sinistra inchinato, egli a rincontro 


Lo spinse da la destra, lo di velse, 


Ecce furens animis aderat T'rynthius , omnemque 

Accessum lustrans, huc ora ferebat et illuc, 

Dentibus infrendens. Ter totum fervidus ira 230 

Lustrat Aventini montem: ter saxea tentat 

Limina nequidquam: ter fessus valle resedit. 

Stabat acuta silex, praecisis . undique saxis, 
Speluncae dorso insurgens, altissima visu, 
Dirarum nidis domus opportuna volucrum. 235 
Hanc, ut prona iugo laevum incumbebat ad amnem. 
Dexter in adversum nitens concussit, et imis 


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LIBRO OTTÁVO 101 


Col calce de la mazza a leva il pose, 365 
E gli dié volta. À quel fracasso il cielo 
Rintonó tutto, si crollàr le ripe, 
E'l fiume impaurito si ritrasse. 

Allor di Caco fu lo speco aperto: 
Scoprissi la sua reggia, e le sue dentro 370 
Ombrose e formidabili caverne.» 
Come chi de la terra il globo aprisse 
A viva forza, e de l' inferno il centro 
Discovrisse in un tempo, e che di sopra 
De l'abisso vedesse quelle oscure 375 
Dal cielo abbominate orride bolge; 
Vedesse Pluto a l'improvviso lume 
Restar del sole attonito e confuso; 
Cotal Gaco da subito splendore | 
Ne la sua tomba abbarbagliato e chiuso 38o 
Digrignar qual mastino Ercole vide; 


Avulsam solvit radicibus: inde repente 

Impulit. Impulsu quo maximus insonat aether: 
Dissultant ripae, refluitque exterritus amnis. 240 
At specus, et Caci detecta apparuit ingens 
Regia, et umbrosae penitus patuere cavernae: 
Von secus ac si qua penitus vi terra dehiscens 
Infernas reseret sedes, et regna recludat 

Pallida, Diis invisa, superque immane barathrum 
Cernatur, trepidentque immisso lumine manes. 
Ergo insperata deprensum in luce repente, 
Inclusumque cavo saxo, atque insueta rudentem, 


102 . ENEIDE 


E non più tosto il vide, che di sopra 

Sassi, travi, tronconi, ogni arme addosso 
Folgorando avventógli. Ei che né fuga 

Avea, né schermo al suo periglio altronde, 385 
Da le sue fauci ( meraviglia a dirlo!) 

Vapori e nubi a vomitar si diede 

Di fumo, dj caligine e di vampa, 

Tal che miste le tenebre col foco 

Toglican la vista a gli occhi, e ’l lume a l' antro. 390 
Non però si contenne il forte Alcide, 

Che d'un salto in quel baratro gittossi 

Per lo spiraglio, e là 'v' era del fumo 

La nebbia e l' ondeggiar più denso, e ’1 foco 
Più roggio, a lui che '1 vaporava indarno, 345 
S' addusse, e lo ghermì; gli fece un nodo 

De le sue braccia, e sì la gola e ’l fianco 


Desuper Alcides telis premit, omniaque arma 
Advocat, et ramis vastisque molaribus instat. 250 
Iile autem (neque enim fuga iam super ulla pericli) 
Faucibus ingentem fumum, mirabile dictu, 

Evomit, involvitque domum caligine caeca, 
Prospectum eripiens oculis; glomeratque sub antro 
F'umiferam noctem, commixtis igne tenebris. 255 
Non tulit Alcides animis, seque ipse per ignem 
Praecipiti iniecit saltu, qua plurimus undam 
Fumus agit, nebulaque ingens specus aestuat atra. 
Hic Cacum in tenebris, incendia vana vomentem 
Corripit in nodum complexus, et angit. inhaerens 





LIBRO OTTAVO 103 


Gli strinse, che scoppiar gli fece il petto, 
E schizzar gli occhi; e ’1 foco e "1 fiato e l' alma 
In un tempo gli estinse. Indi la bocca 400 
Aprì de l' antro, e la frodata preda, 
E del suo frodatore il sozzo corpo 
Fuor per un pié ne trasse, a cui dintorno 
Corser le genti a meraviglia, ingorde 
Di veder gli occhi biechi, il volto atroce, 405 
L'ispido petto, e l'ammorzato foco. 

Da indi in qua questo di santo ogni auno 
Da’ nostri è lietamente celebrato, 
E ne sono 1 Potizii i primi autori, 
E i Pinarii ministri. Allor quest' ara, 410 
Che massima si disse, e che mai sempre | 
Massima ne sarà, fu consecrata 
In questo bosco. Or via dunque, figliuoli, 


Elisos oculos, et siccum sanguine guttur. 

Panditur extemplo foribus domus atra revulsis: 
Abstractaeque boves, abiurataeque rapinae 

Caelo ostenduntur: pedibusque informe cadaver 
Protrahitur. Nequeunt expleri corda tuendo — 265 
Terribiles oculos , vultum , villosaque saetis 

Pectora semiferi , atque exstinctos faucibus ignes, 
Ex illo celeb ratus honos , laetique minores 
Servavere diem: primusque Potitius auctor , 

Et domus herculei custos Pinaria sacri. 270 
* Hanc aram luco statuit, quae maxima semper * 

* Dicetur nobis , et erit quae maxima semper. * 


104 ENEIDE 


Per celebrar tant onorata festa, 
Co i rami in fronte e con le tazze in mano 415 
Jl comun Dio chiamate, e lietamente 
L' un con l’altro invitatevi, e beete. 
Ciò detto, il divisato Erculeo pioppo 
Tesséro altri in ghirlande , altri in festoni, 
Altri i Mai ne piantaro. E di già pieno 410 
Di sacrato liquore il gran catino, 
Tutti a mensa gioiosi s' adagiaro, 
E spargendo e beendo, a i santi numi 
Porser preghiere e voti. Espero intanto 
Era a l'occidental lito vicino 425 
Già per tuffarsi, quando i sacerdoti 
Un’ altra volta, e '| buon Potizio avanti 
Con pelli indosso e con facelle in mano, 
Com' é costume, a convivar tornaro, 
E le seconde mense e l'are sante 430 


Quare agite , o iuvenes, tantarum in munere laudum 
Cingite fronde comas , et pocula porgite dextris , 
Communemque vocate Deum,et date vinavolentes. 275 
Dixerat : herculea bicolor quum populus umbra 
Velavitque comas , folüsque innexa pependit : 
Et sacer implevit dextram scyphus. Ocius omnes 
In mensam laeti libant, Divosque precantur . 
Devexo interea propior fit vesper Olympo ; 280 
Jamque sacerdotes , primusque Potitius , ibant , 
Pellibus in morem cincti , flammasque ferebant : 
* Instaurant epulas , et mensae grata secundae * 


- 


LIBRO OTTAVO 105 


Di grati doni e di gran piatti empiero. 

I Salii intorno a i luminosi altari 

Givano in tresca, e di populea fronde 

Cingean le tempie. I vecchi da l'un coro 

Le prodezze cantavano e le lodi | 439 
Del grande Alcide. I giovani da l’altro 
N'atteggiavano i fatti: come prima 

Fanciul da la matrigna insidiato 

I due serpenti strangolasse in culla; 

Come al suolo adeguasse Ecalia e Troia, 440 
Città famose; come superasse 

Mill’ altre insuperabili fatiche 

Sotto al duro tiranno, e contro a i fati - 

De ! empia Dea. Tu sei, dicean cantando, 
Invitto Iddio, che de le nubi i figli 445 
Niléo e Folo uccidi; tu che ’1 mostro 

Domi di Creta; tu che vinci il fiero 


* Dona ferunt, cumulantque oneratis lancibus aras. * 
Tum Salii ad cantus , incensa altaria circum 285 
Populeis adsunt evincti tempora ramis. 

Hic iuvenum chorus, ille senum, qui carmine laudes 
Herculeas et facta ferunt : ut prima novercae 
Monstra manu, geminosque premens eliserit angues: 
Ut bello egregias idem disiecerit urbes , 290 
T'roiamque OEchaliamque : ut duros mille labores 
Rege sub Eurystheo , fatis Iunonis iniquae , 
Pertulerit. Tu nubigenas , invicte , bimembres , 
Hylaeumque Pholumque manu , tu cresia mactas 


Eneide 7ol. LI 14 


__ 


100 | ENEIDE 


Neméo Leone; te gl' inferni laghi, 
Te l'inferno custode ebbe in orrore 
Ne l'orrendo suo stesso e diro speco, 490 
Là 've tra ’l sangue e le corrose membra 
Ha de la morta gente il suo covile. 
Cosa non é si spaventosa al mondo, 
Che te spaventi, non lo stesso armato 
Incontr' al ciel Tiféo, né quel di Lerna 453 
Con tanti e tanti capi orribil angue 
Senza avviso ti vide o senza ardire. 
A te, vera di Giove inclita prole, 
Umilmente inehiniamo , a te del cielo 
Nuovo aggiunto ornamento. E tu benigno 460 
Mira 1 cor nostri e i sacrificii tuoi. 
Cosi pregando e celebrando, in versi 
Cantavan le sue prove. E sopra tutto 
Dicean di Caco, e de la sua spelonca 
E de'suoi fochi; e i boschi e i colli intorno 465 


Prodigia , et vastum nemea sub rupe leonem. 295 
Te stygii tremuere lacus, te ianitor Orci , 

' Ossa super recubans antro semesa cruento : 

Nec te ullae facies, non terruit ipse Thyphoeus 
Arduus , arma tenens , non te rationis egentem 
Lernaeus turba capitum circumstetit anguis. 300 
Salve , vera Iovis proles , decus addite Divis : 

Et nos, et tua dexter adi pede sacra secundo. 
Talia carminibus celebrant : super omnia Caci 
Speluncam adiciunt , spirantemque ignibus ipsum. 


LIBRO OTTAVO 107 


Rispondean rintonando. Eran finiti 
I sacrificii, quando il vecchio Evandro 
Mosse per la cittade; e seco a pari 
Da l'un de’ lati Enea, da l'altro il figlio 
Avea, cui s' appoggiava; e ragionando 470 
Di varie cose; agevolava il calle. 
Enea, meravigliando , in ogni parte 
Volgea le luci, desioso e lieto 
Di veder quel paese; e di saperne 
I siti, i luoghi e le memorie antiche. 475 
Di che spiando, il primo fondatore 
De la romana rócca in eotal guisa 
A dir gli cominciò : Questi contorni 
Eran pria selve; e gli abitanti loro 
Eran qui nati, ed eran Fauni e Ninfe, 480 
E genti che di roveri e di tronchi 
Nate, nè di costumi, né di culto; 


Consonat omne nemus strepitu, collesque resultant. 
Exin se cuncti divinis rebus ad urbem 

Perfectis referunt. Ibat rex obsitus aevo, 

Et comitem /Enean iuxta , natumque tenebat 
Ingrediens , varioque viam sermone levabat. 
Miratur , facilesque oculos fert omnia circum 310 
4Eneas , capiturque locis ; et singula laetus 
Exquiritque auditque virim monumenta priorum: 
Tum rex Evandrus romanae conditor arcis: 
 Haecnemoraindigenae Fauni, N ymphaequetenebant, 
Gensque virém truncis et duro robore nata: — 313 


108 ENEIDE 


Né di tori accoppiar, né di por viti, 

Né d'altr' arti o d'acquisto, o di risparmio 
Avcan notizia o cura: e] vitto loro 485 
Era di cacciagion, d'erbe e di pomi; 

E la lor vita, aspra, innocente e pura. 

Saturno il primo fu che in queste parti 

Venne , dal ciel cacciato, e vi s' ascose. 

E quelle rozze genti, che disperse 490 
Eran per questi monti, insieme accolse, 

E dié lor leggi; onde il paese poi 

Da le latebre sue Lazio nomossi. 

Dicon che sotto il suo placido impero 

Con giustizia, con pace c con amore 495 
Si visse.un secol d'oro, in fin che poscia 
L'età, degenerando, a poco a poco 

Si fe d'altro colore e d'altra lega. 


Queis neque mos , neque cultus erat: nec iungere 
tauros, 

Aut componere opes norant , aut parcere parto: 

Sed rami , atque asper victu venatus alebat. 

Primus ab aetherio venit Saturnus Olympo , 

Arma Iovis fugiens, et regnis exsul ademtis. 320 
| Ts genus indocile , ac dispersum montibus altis 

| Composuit , legesque dedit , Latiumque vocari 

Maluit , his quoniam latuisset tutus in oris : 

Aurea quae perhibent , illo sub rege fuerunt 

Saecula : sic placida populos in pace regebat. 325 

Deterior donec paullatim ac decolor aetas, 


LIBRO OTTAVO 109 


Quinci di guerreggiar venne il furore, 
L'ingordigia d'avere, e le' mischianze 500 
De Y' altre genti. L assalir gli Ausoni ; 

L' inondàr i Sicani; onde più volte 

Questa, che pria Saturnia era nomata, 

Ha con la signoria cangiato il nome, 

E co’ signori. E quinci è che da Tebro ; 505 
Che ne fu re terribile ed immane, 

Tebro fu detto questo fiume ancora, 

Ch' Albula si dicea ne'tempi antichi. 

Ed ancor me de la mia patria in bando | 
Dopo: molti perigli e molti affanni 510 
Del mar sofferti, ha qui l’ onnipotente 

Fortuna, e l'invincibil mio destino 

Portato al fine; e qui posar mi féro 

Gli oracoli tremendi e spaventosi 

Di Carmenta mia madre, e Febo stesso 515 
Che mia madre inspirava. E fin qui detto 


Et belli rabies , et amor successit habendi. 

Tum manus Ausonia , et gentes venere sicanae : 
Saepius et nomen posuit saturnia tellus. 

T'um reges , asperque immani corpore T'hybris, 330 
A quo post Itali fluvium cognomine Thybrim 
Diximus : amisit verum vetus Albula nomen. 

Me pulsum patria , pelagique extrema sequentem 
Fortuna omnipotens , et ineluctabile fatum 

His posuere locis , matrisque egere tremenda 335 
Carmentis Nymphae monita, et Deus auctor Apollo. 


110 EREIDE 


Si spiuse avanti; e quell'ara mostrógli; 

E quella porta, che fu poi di Roma 

Carmental detta, onore e ricordanza 

De la Ninfa indovina, ch'anzi a tutti 520 
Del Pallantèo predisse, e de' Romani 

La futura grandezza. Indi seguendo 

Un gran bosco gli mostra; ove l’ Asilo 

Romolo contraffece; e'1 Lupercale , 

Che quale era in Arcadia a Pan Liceo, 525 
Sotto una fredda rupe era dicato. 

Poscia de Y Argileto gli dimostra 

La sacra selva; e d’Argo ospite il caso 

Gli conta, e se ne purga e se ne scusa. 

A la Tarpeia Rupe, al Campidoglio 530 
Poseia l'addusse; al Campidoglio or d'oro , 


Vix ea dicta: dehinc progressus monstrat et aram , 

Et carmentalem romano nomine portam, 

Quam memorant nymphae priscum Carmentis hono- 
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Vatis fatidicae , cecinit quae prima futuros — 34o 

4Eneadas magnos et nobile Pullanteum. 

Hinc lucum ingentem, quem Romulus. acer Asylum 

Rettulit ; et gelida monstrat sub rupe Lupercal, 

Parrhasio dictum Panos de more lycaei. © 

Necnon et sacri monstrat nemus' Argileti , 345 

Testaturgue locum , et letum docet hospitis Argi. 

Hinc ad tarpeiam sedem , et Capitolia ducit, 

" Aurea nunc, olim silvestribus horrida dumis. 





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LIBRO OTTAVO III 


Che di spini in quel tempo era coverto, 
Un ermo colle da i vicini agresti 
Per la religion del loco stesso 
Insino allor temuto e riverito ; 535 
Ch'a veder sol quel sasso e quella selva 
Si paventava. E qui soggiunse Evandro: 
In questo bosco, e là've questo monte 
È più frondoso, un Dio, non si sa quale, 
Ma certo abita un Dio. Queste mie genti —540 
D'Arcadia han ferma fede aver veduto 
Qui Giove stesso balenar sovente; 
E far di nembi accolta. Oltre a ciò vedi 
Qui su quelle ruine e quei vestigi 
Di quei due cerchi antichi. Una di queste 545 - 
Città fondò Saturno, e l' altra Giano, 
Che Saturnia, e Gianicolo fur dette. 
In cotal guisa ragionando Evandro, 


lam tuin relligio pavidos terrebat agrestes 

Dira loci : iam tum silvam saxumque tremebant. 
Hoc nemus , hunc , inquit, frondoso vertice collem , 
(Quis Deus incertum est) habitat Deus: Arcades ipsum 
Credunt se vidisse lovem , quum saepe nigrantem 
/Egida concuteret dextra, nimbosque cieret. 

Haec duo praeterea disiectis oppida muris, 355 
Relliquias, veterumque vides monumenta virorum. 
Hanc lanus pater, kanc Saturnus condidit arcem; 
Janiculum huic, illi fuerat Saturnia nomen. 
Talibus inter se dictis ad tecta subibant 


112 ENEIDE 


Se ne gian verso il suo picciolo ostello. 
E ne l'andar, là^v' or di Roma è il Foro, 550 
Ov'é quella più florida contrada 
De le Carine, ad ogni passo intorno 
Udian greggi belar, mugghiare armenti. 
Giunti che furo: In questo umile albergo 
Alloggió , disse , il vincitore Alcide. 959 
Questa fu la sua reggia. E tu v'alloggia. 
E tu’l gradisci, e le delizie e gli agi 
Spregiando , imita in ciò Tirinzio e Dio, 
E del tugurio mio meco t'appaga. 
Cosi dicendo, il grand'ospite accolse 5 6o 
Ne l'angusta magione; e collocollo | 
Là dove era di frondi e d'irta pelle - 
Di libic' orsa attapezzato un seggio. 

Venne la notte, e le fosc' ali stese 
Avea di già sovra la terra, quando 565 


Pauperis Evandri, passimque armenta videbant, 360 
Romanoque foro, et lautis mugire Carinis. 
' Ut ventum ad sedes, Haec, inquit, limina victor 
"Mlcides subiit: haec illum regia cepit. 
"lude, hospes, contemnere opes, et te quoque dignum 
Finge Deo, rebusque veni non asper egenis. —— 365 
Dixit, et angusti subter fastigia tecti 
Ingentem /Enean duxit, stratisque locavit 
Effultum foliis, et pelle libystidis ursae. 
Nox.ruit, et fuscis tellurem amplectitur alis. 
At Venus haud animo nequidquam exterrita mater, 370 





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LIBRO OTTAVO . 113 


Venere come madre, e non in vano 

Del suo figlio gelosa , il gran tumulto 

Veggendo e le minacce de’ Laurenti, 

Con Vulcan suo marito si ristrinse 

Con gran dolcezza; e nel suo letto d’oro, 570 
Amor spirando, in tal guisa gli ‘disse: 

Caro consorte, infinchè i regi argivi 

Furo a’ danni di Troia, che per Fato 

Cader dovea, nullo da te soccorso 

Volli, o da l’arte tua; né ti richiesi 573 
D'armi allor, né di macchine, né d'altro 

Per iscampo de' miseri Troiani. 

Le man, l'ingegno tuo , le tue fatiche 

Oprar non volli indarno, ancor che molto 

Con Priamo e co' figli obbligo avessi , 580 
E molto mi premesse il duro affanno 

D'Enea mio figlio. Qr per imperio espresso 


Laurentumque minis, et duro mota tumultu, 

Fulcanumalloquitur,thalamoquehaecconiugis aureo 

Incipit, et dictis divinum adspirat amorem: 

Dum bello argolici vastabant Pergama reges 

Debita, casurasque inimicis ignibus arces; 379 

Non ullum auxilium miseris, non arma rogavi 

Artis opisque tuae: nec te, carissime coniux, 

Incassumve tuos volui exercere labores: 

Quamvis et Priami deberem plurima natis, 

Et durum /Eneae flevissem saepe laborem. 380 

Nunc Jovis imperio Rutulorum consütit oris. 
Eueide Yol. IL 19 





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118 ENEIDE 


Del grand’ Enea. Stavan ne l’ antro allora 
Sterope e Bronte e. Piracmone ignudi 

A. rinfrescar l’ aspre saette a Giove. 65 
Ed una allor n’ avean parte polita, 

Parte abbozzata, con tre raggi attorti 

Di grandinoso nembo, tre di nube 

Pregna di pioggia, tre d' acceso foco, 

E tre di vento ‘impetuoso e fiero. | 660 
I tuoni v' aggiungevano ei baleni, 

E di fiamme e di furia e di spavento 

Un cotal misto. Altrove erano intorno 

Di Marte al carro, e le veloci ruote - 
Áccozzavano insieme, ond' egli armato 665 
Le genti e le città scuote e commove. 

Lo scudo, la corazza e l'elmo e l’ asta 

Avean da l'altra parte incominciati 


tl 


Ferrum exercebant vasto Cyclopes in antro, 
Brontesque Steropesque et nudus membra Pyracmon. 
His informatum manibus iam parte polita 

F'ulmen erat; toto genitor quae plurima coelo 
Deticit in terras, pars imperfecta manebat. 

T'res imbris torti radios, tres nubis aquosae 
Addiderant, rutili tres ignis, et alitis Austri. 430 
Fulgores nunc horrificos, sonitumque metumque 
Miscebant operi, flammisque sequacibus iras. 

Parte alia Marti currumque rotasque volucres 
Instabant; quibus ille viros, quibus excitat urbes: 
"Egidaque horriferam, turbatae Palladis arma, 435 


LIBRO OTTAYO NU (119 


De l’ armigera Palla, e di commesso 
La fregiavano a gara. Erano i fregi \ 670 
Nel petto de la Dea gruppi di serpi 
Che d'oro avean le scaglie, e cento intrichi 
Facean guizzando di Medusa intorno 
Al fiero teschio, che così com’ era 
Disanimato e tronco, lè sue luci 675 
Volgea dintorno minacciose e torve. 
Tosto che giunse, Via, disse a’ Ciclopi, 
Sgombratevi davanti ogni lavoro, - 
E qui meco a guarnir d’ arme attendete 
Un gran campione. E s’ unqua fu mestiero 680 
D'arte, di sperienza e di prestezza, 
È questa volta. Or v'accingete a l’ opra 
Senz altro indugio. E fu ciò detto a pena, 
Che divise le veci e 1 magisteri, 
A fondere, a bollire, a martellare 685 
Chi qua chi là si diede. Il bronzo e l' oro 


Certatim squamis serpentum auroque polibant; 
Connexosque angues , ipsamque in pectore Divae 
Gorgona , desecto vertentem lumina collo. 

Tollite cuncta , inquit , coeptosque auferte labores 
Atnaei Cyclopes , et huc advertite mentem. 440 
. Arma acri facienda viro. Nunc viribus usus, 
Nunc manibus rapidis , omni nunc arte magistra: 
Praecipitate moras. Nec plura effatus : et illi 
Ocius incubuere omnes, pariterque laborem 
Sortiti : fluit aes rivis , aurique metallum : 449 


120 ENKIDE 


Corrono a rivi: 8° ammassiccia il ferro, 
Si raffina l' acciaio; e tempre e leghe 
In più guise si fan d’ogni metallo. 

Di sette falde in sette doppi unite 
Ricotte al foco e ribattute e salde 

Si forma un saldo e smisurato scudo, 
Da poter solo incontro a l'armi tutte 
Star de' Latini. Il fremito del vento 


Che spira da’ gran mantici, e le strida 693 


Che ne’ laghi attuffati, e su l’ incudi 

Battuti fanno i ferri, in un sol tuono 

Ne l' antro uniti, di tenore in guisa 

Corrispondono a’ colpi de’ Ciclopi , 

Ch’ al moto de le braccia or alte or basse 

Con le tanaglie e co’ martelli, a tempo 

Fan concerto, armonia, numero e metro. 
Mentre in Eolia era a quest opra intento 

Di Lenno il padre, ecco, sorgendo il sole, : 


Vulnificusque chalybs vasta fornace liquescit. 
Ingentem clypeum informant, unum omnia contra 
T'ela Latinorum ; septenosque arbibus orbes 
Impediunt. Alii ventosis follibus auras 


Accipiunt redduntque: alii stridentia tingunt 450 


ra lacu. Gemit impositis incudibus antrum. 

Illi inter sese multa vi brachia tollunt 

In numerum, versantque tenaci forcipe massam. 
Haec pater aeoliis properat dum lemnius oris : 


Evandrum ex humili tecto lux suscitat alma, 453 


LIBRO OTTAVO 121 


Surse al cantar dei mattutini augelli 705 
Il vecchio Evandro; e fuori uscfo vestito 

Di giubba con le guiggie a' piedi avvolte, 

Com'è tirrena usanza. Avea dal destro 

Omero a la Tegèa nel manco Jato 

Una sua greca scimitarra appesa. 710 
Avea da la sinistra di pantera 

Una picchiata pelle, che d’un tergo 

Gli sì volgea su l’altro; e da la ròcca 
Scendendo, gli venian due cani avanti, 

Come custodi, i suoi passi osservando. 715 
In questa guisa il generoso eroe, 
Come quei che tenea memoria e cura 
Di compir quanto avea la sera avanti 
Ragionato e promesso, a le secrete 
Stanze del padre Enea si ricondusse. 
Enea da l'altra parte assai per tempo 
S'era levato; e solo in compagnia 


720 


Et matutini volucrum sub culmine cantus. 
Consurgit senior , tunicaque inducitur artus , 
+ Et tyrrhena pedum circumdat vincula plantis . 
T'um lateri atque humeris tegeaeum subligat ensem, 
Demissa ab laeva pantherae terga retorquens. 460 
Necnon et gemini custodes limine ab alto 
Praecedunt , gressumque canes comitantur herilem. 
Hospitis /Eneae sedem et secreta petebat , 
Sermonum memor , et promissi muneris heros. 
Nec minus ./Eneas se matutinus agebat; 465 
Eneide Zol. II 16 





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assisi, i... 725 


















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LIBRO OTTAVO 123 


. Ti porge amica e non pensata sorte. 

E non lunge di qui, su questi monti 740 
D' Etruria, una famosa e nobil. terra 
Ch'é sopra un sasso anticamente estrutta. 
Agillina si dice, ove lor seggio 
Posero (é già gran tempo) i bellicosi 
E chiari Lidu; e floridi e felici 745 
Vi fur gran tempo ancora. Or sotto il giogo 
Son di Mezenzio capitati al fine. 
À che di lui contar le scelleranze ? 
A che la ferità? Dio le riservi 
Per suo castigo e de’ seguaci suoi. 750 
Questo crudele insino a’ corpi morti 
Mescolava co’ vivi (odi tormento) 
Che giunte mani a mani, e bocca a bocca, 
In così miserando abbracciamento 
Gli facea di putredine e di lezzo 7535 


Haud procul hinc saxo incolitur fundata vetusto 
Urbis agyllinae sedes: ubi lydia quondam 

Gens, bello praeclara , iugis insedit etruscis. 480 
Hanc multos florentem annos rex deinde superbo 
Imperio , et saevis tenuit Mezentius armis. 

Quid memorem infandas caedes? quid facta tyranni 
Effera ? Dí capiti ipsius , generique reservent. 
Mortua quin etiam iungebat corpora vivis , 485 
Componens manibusque manus , atque oribus ora , 
T'ormenti genus , et sanie taboque fluentes 
Complexu in misero longa sic morte necabat. 


124 - ENEIDE 


Vivi di lunga morte al fin morire. 
I cittadini afflitti e disperati, 
E fatti per paura al fin securi, 
Tesero insidie a lui, fecero strage 
De’ suoi, posero assedio, avventàr foco 760 
A. le sue case. Ei de le mani uscito 
De gli uccisori, ebbe rifugio a Turno 
Ch'or l'accoglie e ’l difende. Onde commossa 
E per giusta cagione in furia volta 
L’ Etruria tutta incontro al suo tiranno 765 
Grida che muoia, e già con l'armi in mano 
A. morte lo persegue. A questa gente 
Di molte mila condottiero e capo 
Aggiungerotti. E già d'armate navi 
Son pieni i liti: ognun freme, ognun chiede 770 
Che si spieghin l'insegne. Un vecchio solo 
Aruspice e'ndovino è, che sospesi 
Gli tiene infino a qui: Gente meonia, 


Ai fessi tandem cives infanda furentem 

Armati circumsistunt , ipsumque domumque: 490 
Obtruncant socios, ignem ad fastigia iactant. 

Ille inter caedes Rutulorum elapsus in agros 
Confugere , et Turni defendier hospitis arinis. 
Ergo omnis furiis surrexit Etruria iustis: 

Regem ad supplicium praesenti Marte reposcunt. 
His ego te, Ainea, ductorem millibus addam: 

Toto namque fremunt condensae litore puppes, 
Signaque ferre iubent: retinet longaevus haruspex 


LIBRO OTTAVO | 125 


Dicendo, fior di gente antica e nobile, 

Benchè giusto dolor contro a Mezenzio, 779 
E degn'ira v'incenda, incontro a Lazio 

Non movete voi già; ch'a nessun Italo 

Domar d'Italia una tal gente è lecito, 

S' esterno duce a tant’ uopo non prendesi. 

Cosi parato, e per timor confuso 780 
Del vaticinio stassi il campo etrusco ; 

E già Tarconte stesso a questa impresa 
M'invita, e già mandato a presentarmi 

Ha la sedia e lo scettro e l' altre insegne 

Del tosco regno, perch'io re ne sia, 795 
Ed a l'oste ne vada. Ma la tarda 

E fredda mia vecchiezza, e le mie forze 
Debili, smunte e diseguali al peso 

Fan ch'io rifiuti. Esorterei Pallante 

Mio figlio a questo impero, se non fosse ^ 790 


Fata canens: O Maeoniae delecta iuventus, 

Flos veterum virtusque virüm, quos iustus in hostem 
Fert dolor , et merita accendit Mezentius ira: 

Nulli fas Italo tantam subiungere gentem: 
Externos optate duces. T'um etrusca resedit 

Hoc acies campo, monitis exterrita Divum. 

Ipse oratores ad me, regnique coronam 505 
.Cum sceptro misit , mandatque insignia Tarcho, 
Succedam castris, tyrrhenaque regna capessam. 
Sed mihi tarda gelu , saeclisque effoeta senectus 
Invidet imperium , seraeque ad fortia vires. 


126 ENEIDE 


Che nato di Sabella, Italo anch'egli 

È per materna razza. Or questo incarco 

Da gli anni, da la gente, dal destino, 

Dal tuo stesso valore a te si deve. 

E tu il prendi, Signor, ch'abile e forte ^ 795 
Sei più d'ogni Troian, d'ogni Latino 

A sostenerlo. Ed io, Pallante mio, 

La mia speranza e'] mio sommo conforto 
Manderò teco; che ’1 mestier de l' arme, 

Che le fatiche del gravoso Marte 800 
Ne la tua scuola a tollerare impari: 

E te da'suoi prim'anni, e i gesti tuoi 
Meravigliando ad imitar s'avvezzi. 

Dugento cavalieri, il nervo e ’l fiore 

De' miei d' Arcadia, spedirò con lui, 805 
E dugento altri il mio Pallante stesso 

In suo nome daratti. Avea ciò detto 


Natum exhortarer ni mixtus matre sabella 510 
Hinc partem patriae traheret. Tu, cuius et annis, 
Et generi fata indulgent, quem numina poscunt, 
Ingredere, o Teucrüm atque Jtalüm fortissime du- 
ctor. 
Hunc tibi praeterea , spes et solatia nostri, 
Pallanta adiungam : sub te tolerare magistro 515 
Militiam , et grave Martis opus , tua cernere facta 
Assuescat , primis et te miretur ab annis. 
" Arcades huic equites bis centum , robora pubis 
Lecta , dabo ; totidemque suo tibi nomine Pallas. 


LIBRO OTTAVO 127 


Evandro a pena , che d' Anchise il figlio 

E ’l fido Acate ster co’ volti a terra , 
Chinati. E da pensier gravi e molesti 810 
Fóran oppressi, se dal ciel sereno 

La madre Citerea segno non dava, 

Siccome diè. Che tal per !' aria un lume 
Vibrossi d'improvviso e con tal suono, 

Che parve di repente il mondo tutto 815 
Come scoppiando e ruinando ardesse; 

Ed in un tempo di tirrene tube 

Squillar ne l'aura alto concento udissi. 

Alzaron gli occhi; e la seconda volta, 

E la terza iterar sentiro il tuono; 820 
E vider la ’ve il cielo. era più scarco 

E più tranquillo, una dorata nube, 

E d'armi un nembo, che tra lor percosse 
Scintillando facean fremiti e lampi. 


Fix ea fatus erat; defixique ora tenebant 520 

4Eneas anchisiades, et fidus Achates, 

Multaque dura suo tristi cum corde putabant: 

Ni signum caelo Cytherea dedisset aperto. 

Namque improviso vibratus ab aethere fulgor 

Cum sonitu venit, et ruere omnia visa repente, 525 

Tyrrhenusque tubae mugire per aethera clangor. 

Suspiciunt: iterum atque iterum fragor increpat 
ingens. 

Arma inter nubem, caeli in regione serena 

Per sudum rutilare vident, et pulsa tonare. 


128 YNFE!DE 


ci 


Stupiron gli altri. Ma il Troiano eroe 8 
Che il cenno riconobbe e la promessa 
De la diva sua madre. Ospite, disse, 
Di saver non ti caglia quel ch’ importi 
Questo prodigio; basta ch’ ammonito 
Son io dal cielo, e questo é’l segno, e'] tempo 830 
Che la mia genitrice mi predisse; 
Che quandunque di guerra incontro avessi , 
Allora ella dal ciel presta sarebbe 
Con l’ armi di Vulcano a darmi aita. 
Oh quanta di voi strage mi prometto, 835 
Infelici Laurenti? e qual castigo, 
Turno, da me n'avrai! quant armi, quanti 
Corpi volgere al mar, Tebro, ti veggio! 
Via, patto e guerra mi si rompa omai. 

Cosi detto, dal soglio alto levossi: 8ío 


Obstupuere animis alii: sed troius heros 930 

Agnovit sonitum, et divae promissa parentis. 

J'um memorat: Ne vero, hospes, ne quaere profecto, 

Quem casum portenta ferant: ego poscor Olympo. 

Jloc signum cecinit missuram diva creatrix, 

Si bellum ingrueret, vulcaniaque arma per auras 

Laturam auxilio. 

Heu quantae miseris caedes Laurentibus instant! 

Quaspoenas mihi , Turne ,dabislquammulta sub undas 

Scuta virum, galeasque et fortia corpora volves, 

T'hybri pater! poscant acies,et foedera rumpant.540 
IIaec ubi dicta dedit, solio se tollit ab alto, 


LIBRO OTTAVO 129 


E con Evandro e co’ suoi Teucri in prima 
D' Ercole visitando i santi altari, 
Il sopito carbon del giorno avanti 
Lieto desta e raccende: i Lari inchina ; 
I pargoletti suoi Penati adora, 845 
E di più scelte agnelle il sangue offrisce. 
Indi torna a le navi, e de’ compagni 
Fatte due parti, la più forte elegge 
Per seco addurre a preparar la guerra; 
L'altra a seconda per lo fiume invia, 850 
Che pianamente e senz'alcun contrasto 
Si rivolga ad Ascanio, e dia novelle 
De le cose e del padre. A quei che seco 
In Etruria adducea, tosto provisti 
Furo i cavalli. A lui venne in disparte 855 
Da tutti gli altri un palafreno eletto 
Di pelle di leon tutto coverto 


Et primum herculeis sopitas ignibus aras 

Excitat: hesternumque Larem, parvosque Penates 
Laetus adit: mactant lectas de more bidentes 
Evandrus pariter, pariter troiana iuventus. 545 
Post hinc ad naves graditur, sociosque revisit: 
Quorum de numero, qui sese in bella sequantur, 
Praestantes virtute legit: pars caetera prona 
Fertur aqua, segnisque secundo defluit amni, 
Nuntia ventura Ascanio rerumque patrisque. 550 
Dantur equi Teucris tyrrhena petentibus arva: 
Ducunt exsortem /Eneae, quem fulva leonis 


Eneide Vol. Il 17 


130 ENEIDE 


Che i velli avea di seta e l’ugna d'oro. 

Per la piccola terra in un momento 
Si sparge il grido ch’a i tirreni liti 860 
Ne va lo stuol de’ cavalieri in fretta. 
Le madri paventose a i tempii intorno 
Rinovellano i voti; e già per tema 
Più vicino il periglio, e più l’ aspetto | 
Sembra di Marte atroce. Evandro il figlio 865 
Nel dipartir teneramente abbraccia ; 
Né divelto da lui nè sazio ancora 
Di lagrimar gli dice: O se da Giove 
Mi fosse, figlio, di tornar concesso 
Ora in quegli anni e'n quelle forze, ond'io 870 
Sotto Preneste il primo incontro fei 
Co' miei nemici, e vincitore i monti 
Arsi de'scudi; allor ch'Erilo stesso, 
Lo stesso re con queste mani ancisi, 


Pellis obit totum, praefulgens unguibus aureis. 
Fama volat parvam subito vulgata per urbem, 

Ocius ire equites tyrrheni ad limina regis. 555. 

Vota metu duplicant matres, propiusque periclo 

It timor, et maior Martis iam apparet imago. 

Tum pater Evandrus dextram complexus euntis 

Haeret, inexpletum lacrymans, ac talia fatur: 

O mihi praeteritos referat si Iuppiter annos! — 560 

Qualis eram, quum primam aciem Praeneste sub ipsa 

Stravi, scutorumque incendi victor acervos; 

Et regem hac Herilum dextra sub Tartara misi, . 


LIBRO OTTAVO idr 


A cui nascendo avea Feronia madre 8-5 
Date tre vite e tre corpi, e tre volte 
(Meraviglia a contarlo! ) era mestiero 
Combatterlo e domarlo; ed io tre volte 

Lo combattei, lo vinsi, e lo spogliai 

D'armi e di vita; se tal, dico, io fossi, 880 
Mai non sarei da te, figlio, diviso; 

Mai non fóra Mezenzio oso d'opporsi 

À questa barba; né per tal vicino 

Vedova resterebbe or la mia terra 

Di tanti cittadimi. O Dii superni, 885 
O de'superni Dii nume maggiore, 

Pietà d'un re servo e devoto a voi, 

E d'un padre che padre é sol d'un figlio 
Unicamente amato. E se da’ Fati, 

Se da voi m'è Pallante preservato, 890 


Nascenti cui tres animas Feronia mater, 
Horrendum dictu, dederat, terna arma movenda; 565 
Ter leto sternendus erat: cui tunc tamen, omnes 
Abstulit haec animas dextra, et totidem exsuit armis. 
Non ego nunc dulci amplexu divellerer usquam, 

. Nate, tuo; neque finitimus Mezentius usquam, 

Huic capiti insultans, tot ferro saeva dedisset — 570 
Funera, tam multis viduasset civibus urbem. 

At vos, o Superi, et Divim tu maxime rector, 
luppiter, arcadii, quaeso, miserescite regis, 

Et patrias audite preces: si numina vestra 
Incolumem Pallanta mihi, si fata reservant; — 573 


132 ENEIDE 


E s'io vivo or per rivederlo mai, 
Questa mia vita preservate ancora 
Con quanti unqua soffrir potessi affanni. 
Ma se Fortuna ad infortunio il tragge, 


Ch'io dir non oso, or or, prego, rompete 895 


Questa misera vita, or ch'é la tema, 
Or ch'è la speme del futuro incerta; 
E che te, figlio mio, mio sol diletto 
E da me desiato in braccio io tengo, 
Anzi ch'altra novella me ne venga 


Che ’1 cor pria che gli orecchi mi percuota. 


Così ’1 padre ne l'ultima partita 
Disse al suo figlio; e da l' ambascia vinto 
Fu da’ sergenti riportato a braccio. 
A la campagna i cavalieri intanto 
Erano usciti. Enea col fido Acate, 
E co suoi primi era nel primo stuolo. 


Si visurus eum vivo, et venturus in unum; 
F'itam oro: patiar quemvis durare laborem. 


Sin aliquem infandum casum, fortuna, minaris, 


900 


905 


Nunc, o nunc liceat crudelem abrumpere vitam, 
Dum curae ambiguae, dum spes incerta futuri, 580 


Dum te, care puer, mea sera et sola voluptas, 


Complexu teneo: gravior ne nuntius aures 


Vulneret. Haec genitor digressu dicta supremo 
Fundebat: famuli collapsum in tecta ferebant. 


lamque adeo exierat portis equitatus apertis: 
4Eneas inter primos et fidus Achates: 


585 


LIBRO OTTAVO 133 


Pallante in mezzo risplendea ne l armi 
Commesse d'oro, risplendea ne l'ostro 
Che l'arme avean per sopravvesta intorno; 9to 
Ma via più risplendea ne suoi sembianti 
Ch' eran di fiero e di leggiadro insieme. 
Tale é quando Lucifero, il pià caro 
Lume di Citerea, da l'Oceàno | 
Quasi da l'onde riforbito estolle 915 
ll sacro volto, e l'aura fosca inalba. 

Stan le timide madri in su le mura 
Pallide attentamente rimirando 
Quanto puon lunge il polveroso nembo 
De l' armate caterve; e i lustri e i lampi 920 
Che facean l'armi, tra i virgulti e i duni 
Lungo le vie. Va per la schiera il grido 

. Che si cavalchi: e lo squadron già mosso 
Al calpitar de la ferrata torma 
Fa'l campo risonar tremante e trito. | 925 


Inde alii Troiae proceres: ipse agmine Pallas 

In medio, chlamyde et pictis conspectus in armis. 
Qualis, ubi Oceani perfusus Lucifer unda, . 

Quem Venus ante alios astrorum diligit ignes, 590 
Extulit os sacrum caelo, tenebrasque resolvit. 

Stant pavidae in muris matres, oculisque sequuntur 
Pulveream nubem, et fulgentes aere catervas. 

Olli per dumos, qua proxima meta viarum, 

Armati tendunt. It clamor, et agmine facto 595 
Quadrupedante putrem sonitu quaiitungula campum. 








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.che i Pelasgi, 930 




















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ne 609 B 100 71. giorno. 
St XS iSiarTarconte 935 
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«iaia PezAn alto colle 
SieygseSo primi suoi 


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"n Tyrrheni tuta tenebant 
5 de colle videri 

SAartendebat in arvis. 605 
= pio lecta iuventus 


LIBRO OTTAVO 135 


Sovr’ un etereo nembo apparsa intanto 

Con l'armi di Vulcano; e visto il figlio 

Cl’ oltre al gelido rio per erma valle 

Sen gia da gli altri solitario e scevro, 949 

Apertamente gli s'offerse , e disse: 

Eccoti |] don che da me, figlio, attendi 

Di man del mio consorte. Or fancamente 

Gli orgogliosi Laurenti e’l fiero Turno 

Sfida a battaglia, e gli combatti e vinci. —— 95o 

E, ciò detto, l' abbraccia. Indi gli addita 

D'armi quasi un trofeo, ch'appo una quercia 

Dianzi da lei deposte, incontro a gli occhi 

Facean barbaglio, e’ncontro al Sol più Soli. 
D'un tanto dono Enea, d'un tal onore 922 

Lieto, e non sazio di vederlo, il mira, 

L'ammira el tratta. Or l'elmo in man si prende 

E l’orribil cimier contempla e '1 foco 


Dona ferens aderat: natumque in valle reducta 

Ut procul e gelido secretum, flumine vidit: 610 
Talibus affata est dictis, seque obtulit ultro: 

En, perfecta mei promissa coniugis arte 
Munera ; ne mox aut Laurentes , nate , superbos , 
Aut acrem dubites in praelia poscere Turnum. 
Dixit, et amplexus nati Cytherea petivit: 615 
Arma sub adversa posuit radiantia quercu. 

Ille, Deae donis et tanto laetus honore , 

Expleri nequit , atque oculos per singula volvit : 
Miraturque , interque manus et brachia versat 


130 ENEIDE 


Che d'ogni parte avventa: or vibra il brando 
Fatale; or ponsi la corazza avanti g6a 
Di fino acciaio e di gravoso pondo, 
Che di sanguigna luce e di colori 
Diversamente accesi era splendente: 
Qual sembra di lontan cerulea nube 
Arder col sole e variar col moto. . 965 
Brandisce l' asta; gli stinier vagheggia 
Nitidi e lievi, che fregiati e fusi 
Son di fin oro e di forbito elettro. 
Maravigliando al fin sopra lo scudo 
Si ferma, e l'indicibile artificio, 970 
Ond'era intesto , l'argomento esplora. 

In questo di commesso e di rilievo 
Avea fatto de’ fochi il gran Maestro 
( Come de’ vaticinii e del futuro 
Presago anch'egli) con mirabil arte 979 
Le battaglie, i trionfi e i fatti egregi 
D' Italia, de' Romani e de la stirpe 


Terribilem cristis galeam, flammasque vomentem, 
Fatiferumque ensem, loricam ex aere rigentem , 
Sanguineam, ingentem; qualis , quum caerula nubes 
Solis inardescit radüs , longeque refulget. 

{um laeves ocreas electro auroque recocto , 
Hastamque , et clypei. non enarrabile textum. 625 
Illic res italas , Romanorumque triumphos , 

Haud vatum ignarus , venturique inscius aevi , 
F'ecerat ignipotens : illic genus omne futurae 


| 


LIBRO OTTAVO 137 


Che poi scese da lui. Dal figlio Ascanio 
Incominciando, i discendenti tutti 

E le guerre che fér di mano in mano. 980 
V'avea del Tebro in su la verde riva 

Finta la marzial nudrice Lupa 

In un antro accosciata, e i due gemelli 

Che da le poppe di sì fiera madre. 

Lascivetti pendean, senza paura 985 
Seco scherzando. Ed ella umile e blanda 

Stava col collo in giro, or l'uno or l’altro 
Con la lingua forbendo e con la coda. 

V'era poco lontan Roma novella 

Con una pompa, e con un circo avanti 990 
Pien di tumulto, ov'era un'insolente 

Rapina di donzelle, un darsi a l’ arme 

Infra Romolo e Tazio, e Roma e Curi. 

E poscia infra gli stessi regi armati 


Stirpis ab Ascanio , pugnataque in ordine bella. 
Fecerat et viridi foetam Mavortis in antro 630 
Procubuisse lupam ; geminos huic ubera circum 
Ludere pendentes pueros , et lambere matrem 
Impavidos ; illam tereti cervice reflexam 
Mulcere alternos , et corpora fingere lingua . 
Nec procul hinc Romam, et raptas sine more Sabinas 
Consessu caveae, magnis Circensibus actis, 
Addiderat , subitoque novum consurgere bellum 
Romulidis , Tatioque seni , Curibusque severis. 
Post ídem , inter se posito certamine , reges 

Eneide 7^ol. II 18 


138 ENEIDE 


Di Giove anzi a l’altare un tener tazze 095 
In vece d'armi in mano, un ferir d' ambe 
Le parti un porco, e far connubii e pace. 

Né di qui lunge, erano a quattro a quattro 
Giunti a due carri otto destrier feroci, 
Che qual Tullo imponea( stato non fossi 1000 
Tu si mendace e traditore, Albano) 
In due parti traean di Mezio il corpo; 
E sì com'era tratto, i brani e] sangue 

+ Ne mostravan le siepi, i carri e'] suolo. 

V'era, oltre a ciò, Porsenna, il Tosco rege 1005 
Ch’ imperiosamente da l’ esiglio 
Rivocava i Tarquinii, e "n duro assedio 
Ne tenea Roma, che del giogo schiva 
S'avventava nel ferro. Avea nel volto 
Scolpito questo re sdegno e minacce, 1010 
E meraviglia, che sol Cocle osasse 


Armati lovis ante aram , paterasque tenentes , 6G4o 
Stabant , et caesa iungebant foedera porca . 

Haud procul inde , citae Metium in diversa quadrigae 
Distulerant , (at tu dictis , 4lbane , maneres!) 
Raptabatque viri mendacis viscera Tullus 

Per silvam , et sparsi rorabant sanguine vepres. 645 
Necnon Tarquinium eiectum Porsenna iubebat 
Accipere , ingentique urbem obsidione premebat : 
Aneadae in ferrum pro libertate ruebant. 

Jilum indignanti similem , similemque minanti 

"4 dspiceres ; pontem auderet quod vellere Cocles , 


LIBRO OTTAVO 139 


Tener il ponte; e Clelia, una donzella, 
Varcar il Tebro, e scior la patria e lei. 
In cima de lo scudo il Campidoglio 
Era formato, e la Tarpeia rupe, 1015 
E Manlio che del tempio e de la ròcca 
Stava a difesa; e la romulea reggia 
‘Che ’1 comignolo avea di stoppia ancora. 
Tra portici dorati iva d' argento 
. L'ali sbattendo e schiamazzando un’ oca 1020 
Ch’ apria de’ Galli il periglioso agguato: 
E i Galli per le macchie e per le balze 
De l'erta ripa, da la buia notte 
Difesi, quatti quatti erano in cima 
Già de la ròcca ascesi. Avean le chiome, 1025 
Avean le barbe d’oro: aveano i sai 
Di lucid'ostri divisati a liste, 
E d'ór monili a i bianchi colli avvolti. 


Et fluvium vinclis innaret Cloelia ruptis. 

In summo custos tarpeiae Manlius arcis 

Stabat pro templo , et Capitolia celsa tenebat , 

* Romuleoque recens horrebat regia culmo . * 
Atque hic auratis volitans argenteus anser 655 
Porticibus Gallos in limine adesse canebat : 

Galli per dumos aderant , arcemque tenebant , 
Defensi tenebris et dono noctis opacae . 

Aurea caesaries ollis atque aurea vestis ; 

F'irgatis lucent sagulis : tum lactea colla 660 
duro innectuntur ; duo quisque alpina coruscant 


140 ENEIDE 


Di forti alpini dardi avea ciascuno 

Da la destra una coppia, e ne’ pavesi 1030 

Stavan co i corpi rannicchiati e chiusi. | 
Quinci de’ Salii e de' Luperci ignudi, 

E de’ greggi de’ Flamini scolpito 

V' avea le tresche e i cantici e i tripudi, 

Ed essi tutti o co 1 lor fiocchi in testa, 1035 

O con gli ancili, o con le tibie in mano: 

Cui le sacre carrette ivano appresso 

Co i santi simolacri e con gli ‘arredi, 

Che traean per le vie le madri in pompa. 

E più lunge nel fondo era la bocca 1040 

De la tartarea tomba, e del gran Dite 

La reggia aperta: ov anco eran le pene 

E i castighi de gli empi. E quivi appeso 

Stavi tu, scellerato Catilina, 

Sopra d’un ruinoso acuto scoglio 1045 

A gli spaventi de le Furie esposto. 

E scevri eran da questi i fortunati 


Gaesa mani, , scutis protecti corpora longis. 

Hic exsultantes Salios , nudosque Lupercos , 
Lanigerosque apices , et lapsa ancilia caelo 
Extuderat : castae ducebant sacra per urbem 665 
Pilentis matres in mollibus . Hinc procul adit 
Tartareas etiam sedes , alta ostia Ditis; 

Et scelerum poenas, et te, Catilina, minaci 
Pendentem scopulo, Furiarumque ora trementem; 
Secretosque pios; his dantem iura Catonem. —— 670 


LIBRO OTTAVO 14t 


Luoghi de’ buoni, a cui ' buon Cato è duce. 
Gonfiava in mezzo una marina d'oro 

Con la spuma d'argento, e con delfini 1050 

D' argentino color, che con le code 

Givan guizzando , e con le schiene in arco 

Gli aurati flutti a loco a loco aprendo. 

E i liti e'| mare e’l promontorio tutto. 

Si vedea di Leucate a l’Azzia pugna 1059 

Star preparati; e d'una parte Augusto 

Sovra d'un'alta poppa aver d'intorno 

Europa, Italia, Roma e i suoi Quiriti, 

E "1 Senato e i Penati e i grandi Iddii. 

Di tre stelle il suo volto era lucente. 1060 

Due ne facea con gli occhi, ed una sempre 

Del divo padre ne portava in fronte. 

Ne l’altro corno Agrippa era con lui, 


Haec inter tumidi late maris ibat imago 

Aurea; sed fluctu spumabant caerula cano: 

Et circum argento clari Delphines in orbem 

di quora verrebant caudis, aestumque secabant. 

In medio classes aeratas, actia bella 675 
Cernere erat: totumque instructo Marte videres 
Fervere Leucaten, auroque effulgere fluctus. 

Hinc Augustus agens Italos in praelia Caesar 
Cum patribus populoque, Penatibus et magnis Diis, 
Stans celsa in puppi: geminas cui tempora flammas 
Laeta vomunt, patriumque aperitur vertice sidus. 
Parte alia ventis, et Diis Agrippa secundis 


14a |^ ENEIDE 


Del marittimo stuolo invitto duce, 
Ch'altero, e ’l capo alteramente adorno — 1065 
De la rostrata sua naval corona, 
I venti e i numi avea fausti e secondi. 
Da l'altra parte vincitore Antonio 
Di vér l'aurora e di vér l'onde rubre 
Barbari aiuti, esterne nazioni 1070 
E diverse armi dal Cataio al Nilo 
Tutto avea seco l'Oriente addotto: 
E la zingara moglie era con lui, 
Milizia infame. Ambe le parti mosse 
Se ne gían per urtarsi, e d'ambe il mare 1075 
Scisso da’ remi e da’ stridenti rostri 
Lacero si vedea, spumoso e gonfio. 
Prendean de l’alto i legni in tanta altezza 
Che Cicladi con Cicladi divelte 


Parean nel mar gir a incontrarsi o'n terra 1080 


Arduus, agmen agens: cui belli insigne superbum, 
Tempora navali fulgent rostrata corona. 

Hinc ope barbarica, variisque Antonius armis, +685 
^ Fictor ab Aurorae populis et litore rubro, 
4Egyptum, viresque Orientis et ultima secum 
Bactra vehit; sequiturque (nefas) aegyptia coniux 
Una omnes ruere, ac totum spumare reductis 
Convulsum remis, rostrisque stridentibus aequor. 690 
Alta petunt: pelago credas innare revulsas 
Cycladas, aut montes concurrere montibus altos: 
T'anta mole viri turritis puppibus instant. 


LIBRO OTTAVO 143 


Monti con monti: di sì fatte moli 
Avventavan le genti e foco e ferro, 
Onde il mar tutto era sanguigno e roggio. 
Stava qual Isi la regina in mezzo 
Col patrio sistro, e co’ suoi cenni il moto 1085 
. Dava a la pugna; e non vedea (meschina!) 
Quai due colübri le venian da tergo. 
L'abbaiatore Anubi e i mostri tutti, 
Ch'eran suoi dii, contra Nettuno e contra 
Venere e Palla armati eran con lei. 1090 
E Marte in mezzo che nel campo d'oro 
Di ferro era scolpito, or questi or quelli 
À la zuffa infiammava: e l'empie Furie 
Co' lor serpenti, la Discordia pazza 
Col suo squarciato ammanto , con la sferza 1095 
Di sangue tinta la crudel Bellona 
Sgominavan le genti; e l' Azzio Apollo 


Stuppea flamma manu, telisque volatile ferrum 
Spargitur; arva nova neptunia caede rubescunt. 695 
Regina in mediis patrio vocat agmina sistro: © 
Necdum etiam geminos a tergo respicit angues. 
Omnigenumque Dem monstra, et latrator Anubis, 
Contra Neptunum et Venerem, contraque Minervam . 
Tela tenent. Saevit medio in certamine Mavors, 700 
Caelatus ferro, tristesque ex aethere Dirae; 

Et scissa gaudens vadit Discordia palla: 

Quam cum sanguineo sequitur Bellona flagello. 
Actius haec cernens arcum intendebat Apollo 





144 ENEIDE 


Saettava di sopra: a gli cui strali 

L' Egitto e gl Indi e gli Arabi e i Sabei 

Davan le spalle. E già chiamare i venti, 1100 
Scioglier le funi, inalberar le vele 

Si vedea la regina a fuggir volta. 

Già del pallor de la futura morte, 

Ond' era dal gran fabbro il volto aspersa, 
In abbandono a l'onde, e de la Puglia 1105 
Ne giva al vento. Avea d'incontro il Nilo 

Un vasto corpo, che smarrito e mesto 

A' vinti aperto il seno e steso il manto, 

I latebrosi suoi ridotti offriva. 

Cesare vera alfin, che trionfando 1110 
Tre volte in Roma entrava ; e per trecento 
Gran tempii a'nostri dii voti immortali 
Si vedean consecrati. Eran le strade 


Desuper: omnis eo terrore /Egyptus, et Indi, — 705 
Omnis Arabs, omnes vertebant terga Sabaei. 

Ipsa videbatur eentis regina vocatis 

Vela dare, et laxos iam iamque immittere funes. 
Illam inter caedes pallentem morte futura 

l'ecerat ignipotens undis, et lapy ge ferri: 710 
Contra autem magno moerentem corpore Nilum, 
Pandentemque sinus, et tota veste vocantem 
Caeruleum in gremium, latebrosaque flumina victos. 
At Caesar, triplici invectus romana triumpho 
Moenia, Diis italis, votum immortale sacrabat, 715 


LIBRO OTTAVO 149 


Piene tutte di plauso, di letizia, 

E di feste e di giuochi. Ad ogni tempio 1115 
Concorso di matrone , ad ogni altare 

Vittime, incensi e fiori. Egli di Febo 
. Anzi al delubro in maestade assiso 

Riconoscea de' popoli i tributi, 

E la candida soglia e le superbe © 1120 
Sue porte ne fregiava. Iva la pompa 

De le genti da lui domate intanto 

Varie di gonne, d'idiomi e d' armi. 

Qui di. Nomadi e d' Afri era una schiera 

In abito discinta; ivi un dreppello 1123 
Di Lelegi, di Cari e di Geloni 

Con archi e strali. Infin da i liti estremi 

n .Morini condotti erano al giogo 


5105 
E gl'indomiti Dai. Con meno orgoglio | 
Giva l’ Eufrate: ambe le corna fiacche 1130 


Maxima tercentum totam delubra per urbem. 
Laetitia ludisque viae plausuque fremebant: 
Omnibus in templis matrum chorus, omnibus arae: 
Ante aras terram caesi stravere iuvenci. 
Ipse, sedens niveo candentis limine Phoebi, 720 
Dona recognoscit populorum, aptatque superbis 
Postibus: incedunt victae longo ordine gentes, 
Quam variae linguis, habitu t tam vestis: et armis. 
Hic Nomadum genus, et discinctos Mulciber Afros , 
Hic Lelegas, Carasque, sagittiferosque Gelonos 729 
Finxerat. Euphrates ibat iam mollior undis, 

Eneide 77ol. H 19 


146 ENEIDE 


Portava il Reno: disdegnoso il ponte 
Nel dorso si seotea l'armenio Arasse. 
A tal, da tanta madre avuto dono, 
E d'un tanto maestro, Enea mirando, 
Benchè il velame del futuro occulte 1135 
Gli tenesse le, cose, ardire e speme 
‘Prese e gioia.a vederle; e de’ nepoti 
La gloria e i. Pati agli omeri s'impose. 


Extremique hominum Morini, Rhenusque bicornis; 

* Indomitique Dahae, et: pontem indignatus Araxes. 
Talia, per clypeum Vulcani; dona parentis, 
Miratur, rerumque ignarus imagine gaudet; ‘730 
Attollens humero famamque et fata nepotum. 


Fine del Libro ottavo. 


ILLUSTRAZIONI 


AL LIBRO OTTAVO 


—— T (Pla 


PALLANTEUM (Monte Palatino. ) 


Veduta sud-est del monte Palatino in Roma. Il davanti 
della scena rappresenta una parte della china del monte Aven- 
tino. Il mezzo parte del famoso Circo Massimo, ove i giar- 
dinieri coltivano attualmente i broccoli ed altri erbaggi. La 
terminano nel fondo i ruderi ed i considerevoli avanzi del 
palazzo imperiale, il più vasto cd il più celebre di Roma, nel 
sito medesimo dove il favoloso Evandro d' Arcadia fondò, di- 
cesì, la prima città sulla riva sinistra del Tevere, prima an- 
cora che Enea giungesse nel Lazio, e per conseguenza quat- 
tro secoli prima che Romolo edificasse Roma. In quegli avan- 
zi alcuni antiquar) di Roma pretendono di riconoscere ancora 
alcune parti della città d’oro di Nerone. 

ANEID. L. VIH, Y. 94. 


AVENTINUS (Monte Aventino ) 


Sul prospetto di questo disegno scorgesi per primo il Te- 
vere, dove passando per Roma ha maggiore larghezza, e pre- 
senta gradevoli vedute. Il punto di vista è preso al di sopra 
dell'isola Tiberina (l’antica isola d'Esculapio ), e al Ponte 
Quattro Capi. Vedesi a destra il Ponte-Rotto, fabbricato sul 
luogo del celebre ed antico Ponte Sublicio che conduceva al 
Gianicolo sulla riva etrusca. Mirasi a sinistra una parte delle 
colonne della graziosa rotonda del tempio di Vesta, e sopra 
di questo , vicinissimo al fiume, nell’ apertura di un arco, lo 
sbocco della famosa Cloaca Massima; vedesi più lontano il 
Monte Aventino ancor più celebre, il più meridionale dei set- 
te o nove colli dell'antica Roma, sul quale scorgesi prima 


- 


la chiesa di Santa Sabina, piü lungi poi la chiesa ed il con- 
vento Sant'Alessio, e sull'estrema punta del monte, scen- 
dendo il fiume, vedesi il Priorato di Malta. La maggior parte 
del rialto di tale montagna era già occupato dall'antico e 
principal tempio di Diana a Roma. (*) Ponesi ordinariamente 
l'antro di Caco nella parte opposta della montagna, al sud-est. 
Il muro a sinistra che forma angolo con una torricella, se- 
gna la costa di nord-ovest; volta verso il Circo Massimo cir- 
conda qui una vigna appartenente ultimamente a Federico IV 
duca di Sassonia Gota, e quindi al famoso incisore Gmelin. 
ANEID. L. vin, v. 234. 


CAPITOLIUM ( Campidoglio. ) 


Rappresenta questa veduta molta parte dell’ antico Foro Ro- 
mano, chiamato oggi Campo Vaccino, con l'antico Campido- 
glio, nella sua forma attuale. Alcuni meschini avanzi soltanto 
sorgono sopra l'antico pavimento, o furono scoperti dalle ma- 
cerie che giungono talvolta a venti piedi di altezza; accen- 
nano essi la sede di una grandezza da molto tempo distrut- 
ta, e di un'attività che faceva crollare l’ universo, Nel dinan- 
zi s'innalzano tre colonne d'ordine corintio resto dell’edfi- 
cio degli antichi Comizj. A destra in mezzo stassi quale 
fantasima Y arco trionfale di Settimio Severo, la colonna 
commemorativa dell' imperatore Foca, con due o tre altre co- 
lonne del tempio di Giove Tonante, e gli avanzi del Tempio 
della Concordia. Nel mezzo affatto vedesi il mal costrutto pa- 
lazzo del senatore di Roma che nasconde l'antico Intermon- 
tium. Aldi sopra dell'arco trionfale di Settimo Severo scorgesi 
l’ antico Campidoglio , sul quale stanno presentemente la 
chiesa ed il convento di Ara-Caeli. A traverso le colonne dei 
Comizj vedonsi alcune miserabili costruzioni, le quali , non 
adornano certo il dinanzi della rupe Tarpeja, laddove, secondo 


(*) Dev’ essere la Diana Aventina , il di cui tempio fu fabbricato, e a tale 
dea dedicato sotto Servio Tullio, a spesa comune dei Romani, e dei Latini co- 
me pegno d' amicisia tra i due popoli. 


la tradizione, prima di Evandro e di Enea brillava l' antica 
Saturnia. © ENEID. L. vil, v. 347. 


FORUM ROMANUM (Campo Vaccino.) 


Le due precedenti vedute hanno mostrato il Forum Roma- 
num dall' est verso l'ovest, e questa lo mostra in tutta la 
sua estensione dall'ovest all'est, in vista del pendio del monte 
Capitolino. Vedesi dunque a manca sul davanti una parte 
dell’ arco trionfale di Settimio Severo, in seguito, dalla stessa 
parte nel mezzo, il tempio di Faustina e della Pace: quindi 
totalmente in fondo il Colosseo, o l'anfiteatro di Vespasiano. 
A destra sul davanti, scorgonsì le tre colonne del Tempio 
di Giove 'Tonante, e vicino ad esse le otto o dieci colonne 
del tempio della Concordia; seguono poscia, dalla stessa par- 
te nel mezzo, le tre colonne degli antichi Comizj, e sopra 
a queste i ruderi delle sostruzioni del monte Palatino. In 
mezzo alla piazza s innalza la colonna isolata, eretta in onore 
dell’imperatore Foca di Bisanzio, e dietro questa in fondo ve- 
desi ancora una parte dell’arco trionfale di Tito. L'insieme 
della veduta di questo luogo memorabile, nello stato attua- 
le, richiama pur troppo alla memoria il passo profetico di 
Virgilio:..... Passimgue armenta videbant, 

Romanorum Foro, et lautis mugire carinis. 

Ciò che tradizioni mitologiche e finzioni poetiche dicevano 
dei tempi del favoloso Evandro, si è letteralmente effettuato 
a'tempi nostri. Là dove un tempo sfolgorava la romana elo- 
quenza, rumina e mugge di presente il bue, ed è in tal mo- 
do che il nome di Campo Vaccino sottentrò sulle labbra de'mo- 
derni abitanti della città eterna al nome antico e riverito di 
Foro Romano. ANEID. L. vir, v. 364. 


FORUM ROMANUM (Campo Vaccino.) 


Egualmente che l’ altra, mostra questa veduta sul davanti 
il Campo Vaccino, e nel fondo il Campidoglio: dunque le 
prefate due tavole presentano il lato orientale di esso celebre 
colle. Ma l’ attuale veduta rappresenta il Foro ed il Campi- 





doglio ipoteticamente ristaurati da Cockerell archittetto in- 
glese, noto per aver ritrovato alcune statue notabili di Zeus 
Panthellenios nell' isola di Egira. Sul davanti a destra vedesi 
la via sacra che conduce da un’arco trionfale all’altro: in fon- 
do a destra s'innalza il Campidoglio col tempio di Giove, a 
sinistra la rupe Tarpea col tempio di Giunone-Moneta ec. Fra 
queste due eminenze presentasi /Intermontium, con l'Asilo (*). 
I templi del sole, della luna, della pace, di Romolo, di An- 
tonino, di Faustina, di Saturno, di Giove Tonante, della Con- 
cordia, della Terra, di Vesta ec. che noveravansi fra gli edi- 
fiz] sacri i più insigni di Roma. —anmem.L. vm, v. 364. 


CARINX (I Pantani.) 


Veduta di una parte molto frequentata nel mezzo di Roma 
antica la quale empieva le sue convalli fra i monti Celio, 
Esquilino, Capitolino e Palatino, con esclusione del Foro, e 
che, secondo la più probabile congettura degli antichi scritto- 
ri, prese il suo nome di Carinae (sentina di vascello ) dalla 
sua forma locale. Tale spazio era molto esteso, ed ai tempi 
di Evandro, quando Enea lo visitò, secondo la descrizione di 
Virgilio, non era altro che un pascolo dove a gara muggivano 
ibuoi; ai tempi però d'Augusto formava uno dei quartieri più 
magnifici della Città. Presentemente ha quasi ripreso intera- 
mente lo stesso stato in cui era sotto Evandro. Veggonsi an- 
cora alcune ruine delle mura di recinto del Forum Nervae, 
che era contiguo alle Carinae. ENEID. L. viu, v. 364. 


TARPEIA SEDES (Rupe Tarpea.) 


Parte meridionale della celebre rupe Tarpea formata dalla 
parte piü vicina al mare del monte Capitolino. L'elevazione 
di questa rupe è anche in oggi di quasi 70 piedi al di sopra 
del selciato della moderna via. É noto che i traditori della 
patria erano precipitati dall'alto di tale rupe. 

ENEID. L. vin, v. 347. 


(*) Era questo un luogo sacro , che Romolo volle fosse considerato come un 
asilo pei colpevoli, 


. DELL’ ENEIDE 


DI VIRGILIO 


LIBRO NONO 


= a 
ARGOMENTO 


Giunone istigg Turno. Bgli-4 Troiani 
Rinchiusl assale, e le lor navi accende: 
Nito ed Eurialo , per notturna strage, 
E per rara amicizia illustri e conti, l 
Cadono al fine , e Turno a’ suoi sen’ riede. 


Mentre così da’ suoi scevro e lontano, 
Enea fa d' armi e di sussidii acquisto, 
Giuno di concitar la furia e l’ira 
Di Turno unqua non resta. Erasi Turno 
Col pensier de la guerra al sacro bosco 5 
Di Pilunno suo padre allor ridotto, 
Che mandata da lei di Taümante 
Gli fu la figlia in cotal guisa a dire: 
Ecco, quel che tu mai chiedere a lingua, 


4tgue ea diversa penitus dum parte geruntur, 
Jrim de caelo misit saturnia Juno 
Audacem ad Turnum. Luco tum forte parentis 
Pilumni Turnus sacrata valle sedebat. 
Ad quem sic roseo Thaumantias ore loquuta est: 
Turne, quod optanti Divum promittere nemo 


148 ENEIDE 


O ’mpetrar da gli Dei, Turno, potessi, 10 

Per sè l'occasion ti porge e ’l tempo. 

Enea, mentre da gli altri implora aita , 

Le sue mura, i suoi legni e le sue genti 

Lascia ora a te, se tu] conosci, in preda. 

Ei co i migliori al palatino Evandro 15 

Se n'é passato, e quindi è ne l'estremo 

Penetrato d'Etruria. Ora è nel campo 

De’ Toschi, e favvi indugio, ed arma agresti. 

E tu qui badi, or che di carri e d' armi 

E di prestezza è d'uopo? E che non prendi 20 

I suoi steccati, che son or di tanto 

Per l'assenza di lui turbati e scemi? 

Poscia che così disse, alto su l’ali 

La Dea levossi; e tra l' opache nubi 

Per entro al suo grand'arco ascese, e sparve. 25 
Turno che la conobbe, ambe a le stelle 

Alza le palme; e nel fuggir con gli occhi 


Aideret, volvenda dies en attulit ultro. 

"Eneas, urbe et sociis et classe relicta, 

Sceptra palatini sedemque petit Evandri. 

Nec satis: extremas Corythi penetravit ad urbes: 
Lydorumque manum, collectos armat agrestes. 

Quid dubitas? nunc tempus equos ,nuncposcerecurrus 
Rumpe moras ones, et turbata arripe castra. 

Dixit, et in caelum paribus se sustulit alis; 
Ingentemque fuga secuit sub nubibus arcum. 15 
Agnovit iuvenis , duplicesque ad sidera palmas 


LIBRO NONO 149 


Seguilla e con la voce, Iri, dicendo, 

Lume e fregio del cielo, e chi ti spiega | 
Or da le nubi? E chi qua già ti manda? 3o 
Ond' è l'aér sì chiaro e sì tranquillo 

Così repente? lo veggio aprirsi il cielo, 

Vagar le stelle. O qual tu de’ celesti 

Sii, ch'a l'armi m' inviti; io lieto accetto 

Un tanto augurio, e lo gradisco e'l seguo. 35 
Così dicendo, al fiume si rivolse; 


N'attinse; se ne sparse; e preci e voti 
Molte fiate al ciel porse .e riporse. 


. Eran già le sue genti a la campagna, 
E de' cavalli il condottier Messápo 4o 
Di ricca sopravvesta ornato e d'oro 
Movea davanti. I giovani di Tirro | 
Tenean l'ultime squadre, e Turno in mezzo 


Sustulit, et tali fugientem est voce sequutus: 

Iri, decus caeli, quis te mihi nubibus actam 

Detulit in terras? unde haec tam clara repente 

T'empestas? medium video discedere caelum, 20 

Palantesque polo stellas: sequor omina tanta, 

Quisquis in arma vocas. Et sic effatus ad undam 

Processit, summoque hausit de gurgite lymphas, 

Multa Deos orans, oneravitque aethera votis. 
Jamque omnis campis exercitus ibat apertis, 25 

Dives equi&m, dives pictai vestis et auri. 

Messapus primas acies, postrema coercent 

Tyrrhidae iupenes: medio dux agmine Turnus. 


150 ENEIDE 


Con tutto il capo a tutta la battaglia 
Sopravanzando , armato cavalcava 45 
Per l'ordinanza. In cotal guisa i campi 
Primieramente inonda il Gange, o'1 Nilo 
Con sette fiumi; indi ristretto e queto 
Correndo, entro al suo letto si raccoglie. 

Qui d'improvviso d'un oscuro nembo 5o 
Di polve il ciel ravvilupparsi i Teucri 
Scorgon da lunge, e'ntorbidarsi i campi, 
Caíco il primo da l’ avversa mole 
Gridando, O, disse, cittadini, un gruppo 
Vér noi di polverío ne l' aura ondeggia. 55 
Ognuno a l'armi; ognuno a la muraglia: 
Ecco i nemici. Di ciò corre il grido 
Per tutta la città: chiuggon le porte: 
Empion le mura. Tale avea partendo 


* Vertitur arma tenens, et toto vertice supra est. * 
Ceu septem surgens sedatis amnibus altus Jo 
Per tacitum Ganges, aut pingui flumine Nilus, 
Quum refluit campis, et iam se condidit alveo. 

Hic subitam nigro glomerari pulvere nubem 
Prospiciunt. Teucri, ac tenebras insurgere campis. 
Primus ab adversa conclamat mole Caicus: 35 
Quis globus, o cives, caligine volvitur atra? : 

Ferte citi ferrum, date tela, et scandite muros: 
Hostis adest, eia. Ingenti clamore per omnes 
Condunt se Teucri portas, et moenia complent. 
Namque ita discedens praeceperat optimus armis. 4o 


LIBRO NONO. II 


Dato il sagace Enea precetto e norma, 60 

Ch*in caso di rottura a campo aperto 

Senza lui non s'ardisse o spiegar schiere, 

O. far conflitto; e solo a la difesa 

S'attendesse del cerchio. Ira e vergogna 

Gli apimava a la zuffa; editto e tema - 65 

Gli ritenea del duce. Ond' entro armati 

Ne le torri, in su’ merli e ne’ ripari 

Aspettaro i nimici. A lento passo 

Procedea l’ ordinanza; e Turno a volo . 

Con venti eletti cavalieri avanti 70 

Si spinse, e d'improvviso appresentossi. 

Cavalcava di Tracia un gran corsiero, 

Di bianche macchie il vario tergo asperso, 

E ’1 suo dorato e luminoso elmetto 

D'alto cimier copria cresta vermiglia. 75 
Qui fermo: Chi di voi, giovani, disse, 


4Eneas: si qua interea fortuna fuisset, 

Neu struere auderent aciem, neu credere campo: 
Castra modo, et tutos servarent aggere muros. 
Ergo, etsi conferre manum pudor iraque monstrat, 
Obiiciunt portas tamen, et praecepta facessunt; | 45 
Armatique cavis exspectant turribus hostem. 
Turnus, ut ante volans tardum praecesserat agmen, 
Viginti lectis equitum comitatus, et urbi 
Improvisus adest: maculis quem thracius albis 
Portat equus, cristaque tegit galea aurea rubra. 5o 
Ecquis erit mecum, iuvenes, qui primus in hostem? 


153 0. ENEIDE 


Meco sarà contra i nimici il primo? 

E quel ch'era di pugna indizio e segno, 

L' asta a l'aura avventando, alteramente 

Trascorse il campo, ed ingaggiò battaglia. — 8o 

Con alte grida e con orribil voci 

Fremendo lo seguiro i suoi compagni, 

Non senza meraviglia che si vili 

Fossero i Teucri a non osar del pari 

Uscirgli a fronte, non mostrarsi in campo, 85 

Ferir da lunge, e di muraglia armarsi. 

Turno di qua di là turbato e fiero 

Si spinge, e scorre il piano, e cerchia il muro, 

E d'entrar s argomenta ov’ anche è chiuso. 
Come rabbioso ed affamato lupo 9o 

Al pieno ovile insidiando, freme 

La notte, al vento ed a la pioggia esposto; 

Quando sotto le madri i puri agnelli 


En, ait: et iaculum adtorquens emittit in auras, 
Principium pugnae, et campo sese arduus infert. 
Clamore excipiunt socii, fremituque sequuntur 
Horrisono: Teucrum mirantur inertia corda; 92 
Non aequo dare se campo, non obvia ferre 

Arma viros, sed castra fovere. Huc turbidus atque huc 
Lustrat equo muros, aditumque per avia quaerit. 
Ac veluti pleno lupus insidiatus ovili, 

Quum fremit ad caulas, ventos perpessus et imbres, 60 
Nocte super media; tuti sub matribus agni 

.. Balatum exercent: ille, asper et improbus, ira 


LIBRO NONO 153 


Belan securi, ed ei la fame e l’ira 
Incontro a lor che gli' son lunge, accoglie; 99 
Così gli occhi di foco e ’1 cor di sdegno 
ll Rutulo infiammato, anelo e fiero 
Va de’ nimici agli steccati intorno, 
Ogni loco, ogni astuzia, ogni sentiero 
Investigando , onde o co’ suoi vi salga, 100 
O lor ne sbuchi, e ne gli tiri al piano. 
Al fin l’armata assaglie, ch' a' ripari 
Da l'un canto congiunta, entro un canale 
D' onde e d' argini cinta, era nascosta. 
Qui foco esclama, e foco di sua mano . 103 
Con un ardente pino a' suoi seguaci 
Dispensa, e lor con la presenza accende: 
Onde tosto e le faci e i legni appresi, 


Saevit in absentes: collecta fatigat edendi 

Ex longo rabies, et siccae sanguine fauces. 

Haud aliter Rutulo, muros et castra tuenti, 65 

Ignescunt irae; duris dolor ossibus ardet; 

Qua tentet ratione aditus, et qua via clausos 

Excutiat Teucros vallo, atque effundat in aequor. 

Classem, quae lateri castrorum adiuncta latebat, 

Aggeribus septam circum et fluvialibus undis 70 

Invadit, sociosque incendia poscit ovantes; 

Atque manum pinu flagranti fervidus implet. 

Tum vero incumbunt: urget praesentia Turni, 

"tque amnis facibus pubes accingitur atris. 

Diripuere focos; piceum fert fumida lumen 25 
Eneide /ol. II 20 


154 ENEIDE 


Fumo, fiamme, faville e vampi e nubi 

E volumi di pece al ciel n'andaro. 110 
Muse, ditene or voi qual nume allora 

Scampò de’ Teucri i legni, e come un tanto 

De la novella Troia incendio estinse. 

Fama di tempo in tempo e prisca fede 

N'avvera il fatto, e voi conto ne’l fate. 115 
Dicon che quando a navigar costretto . 

Enea primieramente i suoi navili 

A formar cominciò nel bosco Idéo; 

D' Ida di Berecinto e de gli Dei 

La madre, al sommo Giove orando, disse: 120 

Figlio, che sei per me de l'universo 

Monarca eterno, a me tua cara madre 

Fa' quel ch'io chieggio, e tu mi devi, onore. 

E nel Gargaro giogo un bosco in cima 

Da me diletto , ed al mio nume additto 125 


T'aeda, et commixtam Vulcanus ad astra favillam. 
Quis Deus, o Musae, tam saeva incendia Teucris 

Avertit? tantos ratibus quis depulit ignes? 

Dicite. Prisca fides facto, sed fama perennis. 

Tempore quo primum phrygia formabat in Ida 80 

"Eneas classem, et pelagi petere alta parabat ; 

Ipsa Deüm fertur genitrix Berecynthia magnum 

Vocibus his affata Iovem: Da, nate, petenti, 

Quod tua cara parens domito te poscit Olympo. 

Pinea silva mihi, multos dilecta per annos, 85 

* Lucus in arce fuit summa, quo sacra ferebant, * 


LIBRO NONO 155 


Già di gran tempo. Era d'abeti e d' aceri 

E di pini e di peci ombroso e denso; 

Ma quando de l'armata ebbe uopo in prima 

Il giovine Troiano, al magistero 

Volentier de' suoi legni il concedei. 130 

Quinci uscir le sue navi; e come figlie 

Di quella selva, a me son sacre e care 

Sì ch'or ne temo; e del timor che n'aggio 

Priego che m' assicuri; e 1 priego mio 

Questo possa appo a te, che tanto puoi, 135 

Che nè da corso mai, nè da fortuna 

Sian di venti, o di flutti, e di tempeste 

Squassate o vinte: e lor vaglia che nate 

Son ne’ miei monti. A cui Giove rispose: 
Madre, a che stringi i Fati? E qual, per cui 140 

Cerchi tu privilegio? A mortal cosa 

Farò dono immortale? E mortal uomo 


Non sarà sottoposto a’ rischi umani? 


* Nigranti picea trabibusque obscurus acernis: * 
Has ego dardanio iuveni, quum classis egeret, 
Laeta dedi: nunc sollicitam timor anxius angit. — 
Salve metus , atque hoc precibus sine posse parentem , 
Neu cursu quassatae ullo, neu turbine venti 
Vincantur: prosit nostris in montibus ortas. 

Filius huic contra, torquet qui sidera mundi: 

O genitrix, quo fata vocas? aut quid petis istis? 
Mortaline manu factae immortale carinae 95 
Fas habeant? certusque incerta pericula lustret 


pre Ce ge gg —_ ge VE — Lilo -.. 


156 ENEIDE 


Ed a qual de gli Dei tanto è permesso? 

Più tosto allor che saran giunte al fine, 145 

E che in porto saranno, a quelle tutte 

Che scampate da l'onde il Teucro duce 

Avran ne' campi di Laurento esposto, 

Torró la mortal forma, e Dee farolle, 

Che qual di Néreo e Doto e Galatea 150 

Fendan co' petti e con le braccia il mare. 

Cosi detto, il torrente e la vorago 

E la squallida ripa e l' atra pece 

D' Acheronte giurando, abbassò | ciglio, 

E fe' tutto tremar col cenno il mondo. 155 
Or questo era quel di, quest' era il fine 

Da le Parche dovuto ‘a i Teucri legni: 

Onde la madre Idéa contra l'oltraggio 


AEneas? cui tanta Deo permissa potestas? 
Immo, ubi defunctae finem, portusque tenebunt | 
Ausonios, olim quaecumque evaserit undis, 
Dardaniumque ducem laurentia vexerit arva, 100 
Mortalém eripiam formam, magnique iubebo 
4I quoris esse Deas: qualis nereia Doto, 
Et Galatea secant spumantem pectore pontum. . 
Dixerat: idque ratum stygii per flumina fratris, 
Per pice torrentes atraque voragine ripas 102 
Annuit, et totum nutu tremefecit Olympum. 

Ergo aderat promissa dies, et tempora Parcae 
Debita complerant, quum Turni iniuria matrem 
Admonuit ratibus sacris depellere taedas. 


LIBRO NONO 197 


Si fe' di Turno, e gli sottrasse al foco. 
Primieramente inusitata luce 160 
Balenando rifulse. Indi un gran nembo 

Di Coribanti per lo ciel trascorse 

Di vér l' Aurora; ed una voce udissi 

Ch' empié di meraviglia e di spavento 

L' un esercito e l'altro: O miei Troiani, 16) 
Dicendo, non vi caglia a' miei navili 

Porger soccorso; né perció nel campo 

Uscite a rischio. Árderà Turno il mare 

Pria che le sacre a me dilette navi. 

E voi, mie navi, itene sciolte; e Dee 170 
Siate del mare. Io genitrice vostra 

Lo vi comando. A questa voce in quanto 

Udissi a pena, s'allentàár le funi 

De'lor ritegni; e di delfini in guisa 

Co i rostri si tuffaro. Indi sorgendo 179 


Hic primum nova lux oculis offulsit, et ingens 110 
Visus ab aurora caelum transcurrere nimbus, 
Idaeique chori: tum vox horrenda per auras 
Excidit, et Troum Rutulorumque agmina complet: 
Ne trepidate meas, Teucri, defendere naves, 

Neve armate manus: maria ante exurere Turno, 
Quam sacras dabitur pinus. Vos ite solutae, 

Ite, Deae pelagi; genitrix iubet. Et sua quaeque 
Continuo puppes abrumpunt vincula ripis; 
Delphinumque modo demersis aequore rostris 

Ima petunt: hinc virgineae (mirabile monstrum) 120 


158 ENEIDE 


(Mirabil mostro!) quante a riva in prima 

Eran le navi, tante di donzelle 

Si vider per lo mar sereni aspetti. 
Sgomentaronsi i Rutuli; e Messápo 

Co' suoi cavalli attonito fermossi . 180 
Il padre Tiberin roco mugghiando 

Dal mar fuggissi. Né perciò di Turno 

Cessò l’audacia, anzi via più feroce, 

Gli altri esortando e riprendendo, Ah, disse, 
Di che temete? Incontro a i Teucri stessi 185 
Vengon questi prodigii; e loro ha Giove 

De le lor forze esausti. Il ferro e ’1 fuoco 

Non aspettan de’ Rutuli: han del mare 

Perduta e de la fuga ogni speranza. 

Essi del mare infino a qui son privi; 190 
E la terra è per noi: tante son genti 


* Quot prius aeratae steterant ad litora prorae, * 
Reddunt se totidem facies, pontoque feruntur. 
Obstupuere animis Rutuli: conterritus ipse 
Turbatis Messapus equis: cunctatur et amnis 
- Rauca sonans ,revocatquepedem T'iberinusabalto. 1235 
At non audaci cessit fiducia Turno; 
Ultro animos tollit dictis, atque increpat ultro: 
T'roianos haec monstra petunt: his luppiter ipse 
Auxilium solitum eripuit; non tela, nec ignes 
Exspectant Rutulos. Ergo maria invia Teucris, 130 
Nec spes ulla fugae: rerum pars altera ademta est: 
Terra autem in nostris manibus: tot millia gentes 





LIBRO NONO 159 


D'Italia in arme. Né tem’ io de’ vanti 

Che de’ lor vaticinii e de’ lor fati 

Da lor si danno. Assai de’ fati, assai 

È l'intento di Venere adempito, 195 
Che son nel Lazio. E ’ncontro a i fati. loro 

Son anco i miei, che tor del Lazio io deggia, 
Anzi del mondo questi scellerati, 

De l’altrui donne usurpatori e drudi: 

Ché non soli gli Atridi, e non sola Argo 200 
N° han duolo e sdegno. Ob! basta ch’ una volta 
Ne son periti. Sì, se lor bastasse 

D’ aver in ciò sol una volta errato. 

Nuovo error, nuova pena. Or non aranno 

Omai quest infelici in odio affatto 202 
Le donne tutte, a tal di già condotti, 

Che non han de la vita altra fidanza, 

Che questo poco e debile steccato, 

Che da lor ne divide? E tanto a pena 


Arma ferunt italae. Nil me fatalia terrent, 

Si qua Phryges prae se iactant, responsa Deorum. 
Sat fatis Venerique datum, tetigere quod arva 135 
Fertilis Ausoniae T'róes. Sunt et mea contra 

F'ata mihi, ferro sceleratam exscindere gentem, 
Coniuge praerepta: nec solos tangit Atridas 

Iste dolor, solisque licet capere arma Mycenis. 

Sed periisse semel satis est: peccare fuisset i {0 
Ante satis, penitus modo non genus omne perosos 
Femineum. Quibus haec medii fiducia valli, 


--— = —- 


160 ENEIDE 


| Son lunge dal morir, quanto s' indugia 210 
A varcar questa fossa. In ció riposto 

Haa la speme e l' ardire. O non han visto 

Le mura anco di Troia, che costrutte 

Fur per man di Nettuno, a terra sparse 

E'n cenere converse? Ma chi meco 212 
Di voi, guerrieri eletti, è che s' accinga 

D' assalir queste mura e queste genti 

Già di paura offese? A me lor contra 

D' uopo non son nè l' armi di Vulcano, 

Nè mille navi. E vengane pur tutta 220 
L' Etruria insieme. E non furtivamente 

E non di notte, come fanno i vili, 

Il Palladio involando, e de la rócca 

I custodi uccidendo, assalirògli; 

Né del cavallo ne l’ oscuro ventre 223 
Mi appiatterò. Di giorno apertamente 


Fossarumque morae, leti discrimina parva, 

Dant animos. At non viderunt moenia Troiae, 
Neptuni fabricata manu considere in ignes? — 145 
Sed vos, o lecti, ferro qui scindere vallum 
Apparat, et mecum invadit trepidantia castra? 

Non armis mihi Vulcani, non mille carinis 

Est opus in T'eucros. Addant se protenus omnes 
Etrusci socios. Tenebras et inertia furta 150 
^ Palladii, caesis summae custodibus arcis, * 

Ne timeant; nec equi caeca condemur in alvo: 

Luce palam, certum est igni circumdare muros. . 


LIBRO NONO 161 


D' armi e di foco cingerógli in guisa 

Ch’ altro lor sembri, che garzoni e cerne 

Aver di Greci e di Pelasgi intorno, 

Di cui l’ assedio infino al decim' anno 23a 
Ettor sostenne. Or poscia che del giorno 

S' è buona parte insino a qui passata 
Felicemente, il resto che n' avanza 

Attendete a posarvi, a ristorarvi , 

À disporvi a l'assalto; e ne sperate 335 
Lieto successo. Indi a Messápo incarco 

Si dà, che sentinelle e guardie e fochi 
Disponga anzi a le porte e'ntorno al muro. 

Ei sette e sette capitani egregi , 

Rutuli tutti, a quest' impresa elesse, 20 
Con cento che n'avea ciascuno appresso 

Di purpurei cimieri ornati e d'oro. 

Questi, le mute variando e l’ore, 


Haud sibi cum Danais rem faxo et pube pelasga 
Esse putent, decimum quos distulit Hector in annum. 
Nunc adeo, melior quoniam pars acta diei, 

Quod superest, laeti bene gestis corpora rebus 
Procurate, viri, et pugnam sperate parati. 

Interea vigilum excubiis obsidere portas, 

Cura datur Messapo, et moenia cingere flammis. 

Bis septem, rutulo muros qui milite servent, 
Delecti: ast illos centeni quemque sequuntur 
Purpurei cristis iuvenes auroque corusci. 


Discurrunt, variantque v vices, fusique per herbam 
Eneide Z'ol. II 21 


16a ENEIDE 


Scorrevano a vicenda; e ’ntorno a’ fochi' 

Desti in su l’ erba, infra le tazze e l' urne 243 

Traean la notte in gozzoviglie e'n giuochi. 
Stavano i Teucri il campo rimirando 

Da la muraglia; e per timore armati 

Visitavan le porte, e ’n su’ ripari 

Facean bertesche e sferratoie e ponti. 250 

Era Memmo lor sopra e ’1 buon Sergesto, 

Che fur dal padre Enea nel suo partire 

A guerreggiar, se guerra si rompesse, 

Per condottieri e per maestri eletti. 

Già sulle mura, ovunque o da periglio, ^ 255 

O da la vece eran disposti, ognuno 

Tenea il suo luogo. Un de’ più fieri in arme, 

Niso d'lrtaco il figlio, ad una porta 

Era proposto. Da le cacce d'Ida: 


I 


Indulgent vino, et vertunt crateras aenos. 16 
Collucent ignes: noctem custodia ducit 
Insomnem ludo. 
Haec super e vallo prospectant Troes, et armis 
Alta tenent: nec nan trepidi formidine portas 
Explorant, pontesque et propugnacula iungunt; 170 
Tela gerunt. Instant Mnestheus acerque Serestus: 
Quos pater /neas, si quando adversa vocarent, 
Rectores iuvenum, et rerum dedit esse magistros. 
Omnis per muros legio, sortita periclum, 
Excubat, exercetque vices, quod cuiquetuendum est. 
Nisus erat portae custas, acerrimus armis, 


Li 


LIBRO NONO 163 


Venne costui mandato al Troian duce, 260 
Gran feritor di dardo e di saette. | 
Eurialo era seco, un giovinetto 
Il più bello, il più gaio e’l più leggiadro, 

Che nel campo Troiano arme vestisse; 

Ch'a pena avea la rugiadosa guancia 265 
Del primo fior di gioventute aspersa. 

Era tra questi due solo un amore 

Ed un volere; e nel mestier de l' armi 

L/ un sempre era con l’ altro ed ambi insieme 
Stavano allor vegghiando a la difesa 270 
Di quella porta. Disse Niso in prima: 

Eurialo, io non so se Dio mi sforza 
A seguir quel ch'io penso, o se ’l pensiero 
Stesso di noi fassi a noi forza e Dio. 

Un desiderio ardente il cor m' invoglia 275 
D' uscire a campo, e far contra i nemici 
Un qualche degno e memorabil fatto: 


Hyrtacides, comitem /Eneae quem miserat Ida 
V'enatrix, iaculo celerem levibusque sagittis; 

Et iuxta comes Euryalus, quo pulcrior alter 

Non fuit Éneadum, troiana neque induit arma; 
Ora puer prima signans intonsa iuventa. 

His amor unus erat, pariterque in bella ruebant: 
Tum quoque communi portam statione tenebant. 
Nisus ait: Diine hunc ardorem mentibus addunt, 
Euryale? an sua cuique Deus fit dira cupido? 185 
Aut pugnam;aut aliquid iamduduminvadere magnum 


104 ENEIDE 


Sì di star pigro e neghittoso abborro. 

Tu vedi là come securi ed ebbri 

E sonnacchiosi i Rutuli si stanno 280 

Con rari fochi e gran silenzio intorno. 

L'occasione è bella, ed io son fermo 

Di porla in uso: or in qual modo, ascolta. 
Ascanio, i consiglieri e ’l popol tutto, 

Per richiamare Enea, per avvisarlo, 285 

E per avvisi riportar da lui, 

Cercan messaggi. lo, quando a te promesso 

Premio ne sia (ch’a me la fama sola 

Basta del fatto ) di poter m'affido 

Lungo a quel colle investigar sentiero , 290 

Onde a Pallanto a ritrovarlo io vada 

Securamente. Eurialo a tal dire 

Stupissi in prima; indi d' amore acceso 


Mens agitat mihi: nec placida contenta quiete est. 
Cernis, quae Rutulos habeat fiducia rerum. 
Lumina rara micant; somno vinoque sepulti 
Procubuere: silent late loca. Percipe porro, 199 
Quid dubitem, et quae nunc animo sententia surgat. 
4Einean acciri omnes populusque patresque 
Exposcunt; mittique viros, qui certa reportent. 

Si tibi, quae posco, promittunt, nam mihi facti 
Fama sat est, tumulo videor reperire sub illo 195 
Posse viam ad muros et moenia pallantea. 

Obstupuit magno laudum percussus amore 
Euryalus; simul his ardentem affatur amicum: 


LIBRO NONO 165 


Di tanta lode, al suo diletto amico. 
Così rispose: Adunque ne l’ imprese 299 
Di momento e d'onore io da te, Niso, 
Son così rifiutato? E te poss’ io 
Lassar sì solo a sì gran rischio andare? 
A me non diè questa creanza Ofelte 
Mio genitore, il cui valor mostrossi 300 
Ne gli affanni di Troia, e nel terrore 
De l'argolica guerra. Ed io tal saggio 
Non t' ho dato di me, teco seguendo 
Il duro fato e la fortuna avversa 
Del magnanimo Enea. Questo mio core 305 
È spregiatore, è spregiatore anch’ egli 
Di questa vita, e degnamente spesa . 
La tiene allor che gloria se ne merchi, 
E quel che cerchi ed a me nieghi, onore. 
Soggiunse Niso: Altro di te concetto 310 
Non ebbi io mai, né tal sei tu ch'io deggia 


Mene igitur socium summis adiungere rebus, 

Nise, fugis? solum te in tanta pericula mittam? 200 
Non ita me genitor, bellis assuetus, Opheltes 
Argolicum terrorem inter T'roiaeque labores 
Sublatum erudiit: nec tecum talia gessi, 
Magnanimum /Enean et fata extrema sequutus. 
Est hic, est animus lucis contemtor, et istum 205 
Qui vita bene credat emi, quo tendis, honorem. 
Nisus ad haec: Equidem de te nil tale verebar: 

Nec fas, non. Ita me referat tibi magnus ovantem 


166 ' ENEIDEÉ 


Averlo in altra guisa. Così Giove 

Vittorioso mi ti renda e lieto 

Da questa impresa, o qual altro sia nume 

Che propizio e benigno ne si mostri. 315 
Ma se per caso o per destino avverso 

( Come sovente in questi rischi avviene ) 

Io vi perissi, il mio contento in questo - 

È che tu viva, sì perchè di vita 

Son più degni i tuoi giorni, e sì perch'io 320 
Aggia chi dopo me, se non con l’arme, 

Almen con l’ oro il mio corpo ricovre, 

E lo ricopra. E s' ancor ciò .m' è tolto, 

Alfin sia chi d' esequie e di sepolcro 

Lontan m' onori. Oltre di ciò, cagione 325 
Esser non deggio a tua madre infelice 

D'un dolor tanto: a tua madre che sola 

Di tante donne ha di seguirti osato, 

I comodi spregiando e la quiete 


luppiter, aut quicumque oculis haec adspicit aequis. 
Sed si quis, (quae multa vides discrimine tali) 210 
Si quis in adversum rapiat casusve Deusve, 

Te superesse velim: tua vita dignior aetas. 

Sit, qui me raptum pugna, pretiove redemtum 
Mandet humo solita; aut, si qua id fortuna vetabit, 
Absenti ferat inferias, decoretque sepulcro. 215 
Neu matri miserae tanti sim caussa doloris; 

Quae te sola, puer, multis e matribus ausa 
Prosequitur, magni nec moenia curat Acestae. 


LIBRO NONO 167 


De la città d' Aceste. A ciò di nuovo 330 
Eurialo rispose: Indarno adduci 
Sì vane scuse; ed io già fermo e saldo 
Nel proposito mio pensier non muto. 
Affrettiamci a l'impresa. E, così detto, 
Destò le sentinelle, e le ripose 339 
In vece loro; e l' uno e l’altro insieme 
Se ne partiro, e ne la reggia andaro. 

Tutti gli altri animali avean, dormendo, 
Sovra la terra oblío, tregua e riposo 
Da le fatiche e dagli affanni loro. 340 
I Teucri condottieri e gli altri eletti, 
Che de la guerra avean l' imperio e ’l carco, 
S' erano e de la guerra e de la somma 
Di tutto | regno a consigliar ristretti; 
E nel mezzo del campo altri a gli scudi, 345 
Altri a l'aste appoggiati, avean consulta 


lile autem: Caussas nequidquam nectis inanes; 

Nec mea iam mutata loco sententia cedit. 220 

Acceleremus, ait. Vigiles simul excitat. Illi 

Succedunt, servantque vices: statione relicta, 

Ipse comes Niso graditur, regemque requirunt. 
Cetera per terras omnes animalia somno 

Laxabant curas et corda oblita laborum. 225 

Ductores Teucrum primi, delecta iuventus, 

Consilium summis regni de rebus habebant, 

Quid facerent, quisve /Eneae iam nuntius esset: 

Stant longis annixi hastis, et scuta tenentes 


(0 RS 


168 ENEIDE 


Di che far si dovésse, e chi per messo 

Ad Enea si mandasse. I due compagni 

D’ essere ammessi e ’ncontanente uditi 

Fecer gran ressa, e di portar sembiante 350 
Cosa di gran momento, e di gran danno 

Se s'indugiasse. A questa fretta il primo 

Si fece Ascanio avanti; e vólto a Niso 

Comandò che dicesse. Egli altamente 

Parlando incominciò : Troiani, udite 355 
Discretamente: e quel che si propone 

E si dice da noi, non misurate 

Da gli anni nostri. I Rutuli sepolti 

Se ne stan da la crapula e dal souno; 

E noi stessi appostato avemo un loco 360 
Da quella porta che riguarda al mare, 

Atto a le nostre insidie, ove la strada 

Più larga in due si parte. Intorno ‘al campo 
Sono i fochi interrotti: il fumo oscuro‘ 


Castrorum et campi medio. Tum Nisus et una 230 
Euryalus confestim alacres admittier orant: 

Rem magnam, pretiumque morae fore. Primus Iulus 
Accepit trepidos, ao Nisum dicere iussit. 

Tunc sic Hyrtacides: Audite o mentibus aequis, 
/Eneadae, neve haec nostris spectentur ab annis, 
Quae ferimus. Rutuli somno vinoque sepulti 
Conticuere; locum insidiis conspeximus ipsi, 

Qui patet in bivio portae, quae proxima ponto. 
Interrupti ignes, aterque ad sidera fumus 


LIBRO NONO 169 


Sorge a le stelle. Se da voi n’ è dato - 365 
D' usar questa fortuna, e quest’ onore 
Ne si fa di mandarne al nostro duce; 
Al Pallantéo n’ andremo, e ne vedrete 
Assai tosto tornar carchi di spoglie 
De gli avversari nostri, e tutti aspersi 370 
Del sangue loro. E non fia che la strada 
Ne gabbi: ché più volte qui d' intorno 
Cacciando, avemo e tutta questa valle - 
E tutto il fiume attraversato e scorso. 

Qui d'anni grave e di pensier maturo 379 
Alete al ciel rivolto, O patrii Dii, 
Disse esclamando, il cui nume fu sempre 
Propizio a Troia, pur del tutto spenta 
Non volete che sia mercè di voi, 
Poscia che questo ardire e questi cori 380 
Ne' petti a' nostá giovani ponete, 


Erigitur; si fortuna permittitis uti, 24a 
Quaesitum "nean ad moenia pallantea, 

Mox hic cum spoliis, ingenti caede peracta, 

Adfore cernetis. Nec nos via fallit euntes: 

Vidimus obscuris primam sub vallibus urbem, 
Venatu assiduo, et totum cognovimus amnem. 245 
Hic annis gravis, atque animi maturus Aletes: 

Di patrii, quorum semper sub numine Troia est; 
Non tamen omnino T'eucros delere paratis, 

Quum tales animos iuvenum, et tam certa tulistis 
Pectora. Sic memorans, humeros dextrasque tenebat 


Eneide 7ol. II 22 


70 ' ENEIDE 


E stringendo le man, gli omeri e '1 collo 
Or de l' uno or de l’altro, ambi onorava, 
Di dolcezza piangendo. E qual, dicea, 
Qual, generosi figli, a voi darassi 

Di voi degna mercede? Iddio, ch’ è primo 
De gli uomini e supremo guiderdone, 

E la vostra virtü premio a se stessa 

Sia primamente. Enea poscia, userayvi 

Sua largitate, e questo giovinetto 

Che d'un tal vostro -merto avrà mai sempre 
Dolce ricordo. Anzi io, soggiunse lulo, 
Che, senza il padre mio, la mia salute 
Veggio in periglio, per gli dei Penati, 

Per la casa d' Assàraco, per quanto 

Dovete al sacro e venerabil nume 

De la gran Vesta (ogni fortuna mia 
Ponendo, ogni mio affare in: grembo a voi) 


Amborum, et vultum lacrimis atque ora rigabat: 
Quae vobis, quae digna, viri, pro laudibus istis, 
Praemia posse rear solvi? pulcáerrima primum 
Di, moresque dabunt vestri: tum cetera reddet 
Actutum pius /Eneas, atque integer aevi 
Ascanius, meriti tanti non immemor umquam. 
Immo ego vos, cui sola salus genitore reducto, 
Excipit Ascanius, per magnos, Nise, Penates, 
Assaracique Larem, et canae penetralia Vestae, 
Obtestor (quaecumque mihi fortuna fidesque est, 


In vestris pono gremiis): revocate parentem, 


385 


390 


399 


255 


260 


LIBRO NONO 17t 


Vi prego a rivocare il padre mio. 

Fate ch'io lo riveggia; e nulla poi 400 
Sarà di ch'io più tema. E già vi dono 

Due gran vasi d' argento, che scolpiti 

Sono a figure; un de più ricchi arnesi 

Che del sacco d' Arisba in preda avesse 

Il padre mio; due tripodi; due d' oro 405 
Maggior talenti, ed un tazzone antico 

De la sidonia Dido. E se n'é dato 

Tener d'Italia il desiato regno, 

E che preda sortirne unqua mi tocchi, 


Quello stesso destrier, quelle stesse armi — 410 


Guarnite d' oro, onde va Turno altero, 

E, quel suo scudo, e quel cimier sanguigno 
Sottrarró da la sorte; e di già, Niso, 

Gli ti consegno; e ti prometto in nome 

Del padre mio, che largiratti ancora 415 


Reddite conspectum: nihil illo triste recepto. 

Bina dabo argento perfecta, atque aspera signis 
Pocula, devicta genitor quae cepit Arisba; 

Et tripodas geminos; auri duo magna talenta, 265 
Cratera antiquum, quem dat sidonia Dido. 

Si vero capere Italiam, sceptrisque potiri 
Contigerit victori, et praedae ducere sortem: 

. F'idisti quo Turnus equo, quibus ibat in armis 
Aureus: ipsum illum clypeum, cristasque rubentes 
Excipiam sorti, iam nunc tua praemia, Nise. 
Praeterea bis sex genitor lectissima matrum 


172 ENEIDE 


Dodici fra mill’ altri eletti corpi 

Di bellissime donne, e dodici altri 

Di giovani prigioni, e l' armi loro 

Con essi insieme , e di Latino stesso | 

La regia villa. Or te, mio venerando 420 

Fanciullo, abbraccio, a gli cui giorni i miei 

Van più vicini. Io te cou tutto il core 

Accetto per compagno e per fratello 

In ogni caso; e nulla o gloria o gioia 

Procurerommi in pace unqua od in guerra, 425 

Che non sii meco d’ ogni mio pensiero, 

E d'ogni ben partecipe e consorte ; 

E ne le tue parole e ne’ tuoi fatti 

Somma speme avrò sempre e somma fede. 
Eurîalo rispose: O fera, o mite 430 

Che fortuna mi sia, non sarà mai 

Ch' io discordi da me: mai non uguale 

Lo mio cor non vedrassi a questa impresa: 


Corpora, captivosque dabit, suaque omnibus arma: 
Insuper his, campi quod rex habet ipse Latinus. 

J'e vero, mea quem spatiis propioribus aetas 279 
Insequitur, venerande puer, iam pectore toto 
Accipio, et comitem casus cemplector in omnes. 
Nulla meis sine te quaeretur gloria rebus; 

Seu pacem, seu bella geram: tibi maxima rerum, 
F'erborumque fides. Contra quem talia fatur 280 
Euryalus: Me nulla dies tam fortibus ausis 
Dissimilem arguerit: tantum, fortuna secunda, 


LIBRO NONO 173 


Ma sopra a gli altri tuoi promessi doni 

Questo solo bram'io. La. madre mia 435 
Che dal ceppo di Priamo è discesa, 

E che per me seguire ha la meschina 

Non pur di Troia abbandonato il nido, : 

Ma '1 ricovro d' Aceste, e la sua vita 

Stessa (a tanti per me l'ha rischi esposta) 440 
Di questo mio periglio, qual che e' sia, 
Nulla ha notizia; ed io da lei mi parto 
Senza che la saluti, e che la veggia. 

Per questa man, per questa notte io giuro, 
Signor, che né vederla, né la pieta 

Soffrir de le sue lagrime non posso. 

Tu questa derelitta poverella 

Consola, te ne priego, e la sovvieni 

In vece mia. Se tu di ciò m' affidi, 

Andrò con questa speme ad ogni rischio 450 
Con più baldanza. Si commosser tutti 


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Aut adversa, cadat. Sed.te super omnia dona 

Unum oro: genitrix Priami de gente vetusta 

Est mihi, quam miseram tenuit non ilia tellus 285 
Mecum excedentem, non moenia regis Acestae. 
Hancego nuncignaram huius quodcumque pericli est, 
Inque salutatam linquoj nox, et tua testis 

Dextera, quod nequeam lacrimas perferre parentis. 
At tu, oro, solare inopem, et succurre relictae. 290 
Hanc sine me spem ferre tui: audentior ibo 

In. casus omnes. Percussa mente dederunt 


174 ENEIDE 


A tai parole, e lagrimaro i Teucri; 
E più di tutti Ascanio, a cui sovvenne 
De la pietà ch'ebbe suo padre al padre; 
E disse al giovinetto: Io mi ti lego 455 
Per fede a tutto cio che la grandezza 
Di questa impresa e ’l tuo valor richiede. 
E perché mia sia la tua madre, il nome 
Sol di Creüsa, e null' altro le manca. 
Né di picciolo merto é ch'un tal figlio 460 
N'aggia prodotto: segua che che sia 
Di questo fatto. Ed io: per lo mio capo 
Ti giuro, per lo qual solea pur dianzi 
Giurar mio padre, ch'a la madre tua, 
A tutta la tua stirpe si daranno 40» 
I doni stessi che serbar mi giova 
Pur a te nel felice tuo ritorno. 
Cosi disse piangendo; e la sua spada, 


Dardanidae lacrimas, ante omnes pulcher Iulus: 
Atque animum patriae strinxit pietatis imago. 

T'um sic effatur: 295 
Spondeo digna tuis ingentibus omnia coeptis. 
Namque erit ista mihi genitrix, nomenque Creusae 
Solum defuerit; nec partum gratia talem 

Parva manet. Casus factum quicumque sequuntur: 
Per caput hoc iuro, per quod pater ante solebat: 300 
Quae tibi polliceor reduci, rebusque secundis, 

Haec eadem matrique tuae, generique manebunt. 
Sic ait illacrimans; humero simul exsuit ensem 


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LIBRO NONO | 17 


Che di man di Licàone: guarnito 

‘ Avea d' avorio il fodro , e l'elsa d'oro, 470 
Distaccossi dal fianco, e lui ne cinse. 
Memmo al tergo di Niso un tergo impose 
Di villoso leone; e'1 fido Alete 
Gli scambiò l’ elmo. Così tosto armati 
Se n'uscir de la reggia; e 1 primi tutti 479 
Giovani e vecchi in vece d' onoranza 
Fino a la porta con preconii e voti 
Gli accompagnaro. Il giovinetto Iulo 
Con viril cura e con pensier maturi 
Innanzi agli anni, ragionando in mezzo . 480 
Giva d’ entrambi: ed or l’ uno ed or l' altro 
Molto avvertendo, molte cose a dire 
Mandava al padre: le quai tutte al vento 
Furon commesse, e dissipate a I aura. 

Escono al fine. E già varcato il fosso, 485 


Auratum, mira quem fecerat arte Lycaon 
Gnossius, atque habilem vagina aptarat eburna. 305 
Dat Niso Mnestheus pellem, horrentisque leonis 
Exsuvias; galeam fidus permutat Aletes. 
Protenus armati incedunt; quos omnis euntes 
Primorum manus ad portas iueenumque senumque 
Prosequitur votis. Necnon et pulcher Julus 310 
Ante annos animumque gerens curamque virilem, 
Multa patri portanda dabat mandata. Sed.aurae 
Omnia discerpunt, et nubibus irrita donant. 
Egressi superant fossas, noctisque per umbram 


176 ENEIDE 


Da le notturne tenebre coverti 
Si metton per la via che gli conduce 
Al campo de’ nemici, anzi a la morte. 
Ma non morranno, ché macello e strage 
Faran di molti in prima. Ovunque vanno — 49o 
Veggion corpi di genti, che sepolti 
Son dal sonno e dal vino. I carri vóti 
Con ruote e briglie intorno, uomini ed otri 
E tazze e scudi in un miscuglio avvolti. 
Disse d’Irtaco il figlio: Or qui bisogua, 49) 
Eurialo, aver core, oprar le mani, 
E conoscere il tempo. Il cammin nostro 
È per di qua. Tu qui ti ferma, e l’ occhio 
Gira per tutto, che non sia da tergo 
Chi n' impedisca; ed io tosto col ferro 500 
Sgombreró ’1 passo, e t' aprirò ’l sentiero . 


Ciò cheto disse. Indi Rannete assalse, 


Castra inimica petunt, multis tamen ante futuri 
Exitio. Passim somno vinoque per herbam 
Corpora fusa vident, arrectos litore currus, 

Inter lora rotasque viros, simul arma, iacere, 
Fina simul. Prior Hyrtacides sic ore loquutus: 
Euryale , audendum dextra. Nunc ipsa vocat res . 
Hac iter est. Tu, ne qua manus se attollere nobis 
A tergo possit , custodi , et consule longe. 

Haec ego vasta dabo , et lato te limite ducam. 

Sic memorat , vocemque premit ; simul ense superbum 
Rhamnetem aggreditur , qui forte tapetibus altis 


LIBRO NONO 177 


Il Superbo Rannete, che per sorte 

Entro una sua trabacca avanti a lui 

In su’ tappeti a grand’ agio dormia, 503 
E russava altamente. Era costui 

A re Turno gratissimo, ed anch’ egli 

Rege e ’ndovino; ma non seppe il folle 
Indovinar quel ch'a lui stesso avvenne, 

Tre suoi famigli, che dormendo appresso — 51o 
Giacean fra l|' armi rovesciati a caso, 

Tutti in un mucchio uccise, ed un valletto 

Ch’ era di Remo, e sotto i suoi cavalli 

Lo stesso auriga. A costui trasse un colpo 

Che gli mandò giù ciendoloni il colla: 515 
Indi al padron di netto lo ricise 

Sì, che | sangue spicciando d' ogni vena, 

La terra, lo stramazzo e 1 desco intrise, 

Tamiro estinse dopo questi e Lamo, 

E ’l giovine Sarrano. Un bel garzone 520 


Exstructus toto proflabat pectore somnum ; 

Rex idem, et regi T'urno gratissimus augur : 

Sed non augurio potuit depellere pestem. 

Tres iuxta famulos temere inter tela iacentes , 
Armigerumque Remi premit , aurigamque sub ipsis 
Nactus equis; ferroque secat pendentia colla . 

Tum caput ipsi aufert domino, truncumque reliquit 
Sanguine singultantem ; atro tepefacta cruore 
Terra torique madent . Necnon. Lamyrumque La- 
munque, 


Eneide Zol. II 23 


178 ENEIDE 


Era costui, gran giocatore, e n gioco 

Insino allora avea sempre vegliato. 

Felice lui per lo suo vizio stesso, 

Se giocato e perduto ancora avesse 

Tutta la notte! Era a veder tra loro 525 

Il fiero Niso, qual, da fame spinto, 

Non pasciuto leone, un pieno ovile 

Imbelle e per timor già muto assaglie, 

Che d' unghie armato, e sanguinoso il dente 

Traendo e divorando ancide e rugge. 530 
Ne fe’ strage minor da l'altro canto 

Eurialo, ch' acceso e furioso 

Tra molta plebe molti senza nome, 

E quasi senza vita a morte trasse; 

Sì dal sonno eran vinti: e de’ nomati 535 

Uccise Ebeso, Fado, Abari e Reto. 

Questo Reto era desto : onde veggendo 


Et iuvenem Sarranum , illa qui plurima nocte 335 
Luserat , insignis facie , multoque iacebat 

Membra. Deo victus: felix, si protenus illum 
4Equasset nocti ludum , in lucemque tulisset. 
Impastus ceu plena leo per ovilia turbans , 

Suadet enim vesana fames , manditque trahitque 
Molle pecus, mutumque metu: fremit ore cruento. 
Nec minor Euryali caedes : incensus et ipse 
Perfurit , ac multam in medio sine nomine plebem , 


Fadumque Herbesumque subit, Rhoetumque Aba- 
rimque , 


LIBRO NONO 174) 


Con la morte de gli altri il suo periglio, 

Per la paura. appo d' un’ urna ascoso 

Quatto e queto si stava. Indi sorgendo 540 

Gli fu '] giovine sopra, e ’l ferro tutto 

Entro al petto gl immerse, e con gran parte 

De la sua vita indietro lo ritrasse; 

Sì che tra | vino e'l sangue, ond' era involta, 

Gli usci l'alma di purpura vestita. 545 
Con questa occision di buia notte 

E di furtivo agguato, il buon garzone 

Fervidamente instava. E già rivolto 

S' era contro a la schiera di Messàpo, 

Là've'l foco vedea del tutto estinto, 550 

E là've i suoi cavalli a la campagna 

Pascean legati; allor che Niso il vide 

Che da l’ occision e da l' ardore 

Trasportar si lasciava. E brevemente: 

Non più, gli disse, chè il nimico sole 555 


Ignaros; Rhoetum vigilantem et cuncta videntem ; 
Sed magnum metuens se post cratera tegebat : 
Pectore in adverso totum cui cominus ensem 
Condidit assurgenti , et multa morte recepit. 
Purpuream vomit ille animam;et cumsanguine mixta 
Fina refert moriens. Hic furto fervidus instat . 350 
lamque ad Messapi socios tendebat, ubi ignem 
Deficere extremum, et religatos rite videbat 
Carpere gramen equos: breviter quum talia Nisus , 
( Sensit enim nimia caede atque cupidine ferri ) 


180 ENEIDE 


Ne sorge incontra. Ássai di sangue ostile 

Fin qui s' é sparso: assai di largo avemo. 

Molt' armi, molt' argenti e molt arnesi 

Lasciaro in dietro. I guarnimenti soli 

Del caval di Rannete e le sue borchie 560 
Eurialo si prese, con un cinto 

Bollato d’oro, un prezioso dono 

Che Cedico, un ricchissimo tiranno 

A Remolo Tiburte ospite assente 

Fece in quel tempo. Remolo al nipote . 565 
Lo lasciò per retaggio: e questi in guerra 

Ne fu poscia da’ Rutuli spogliato : 

Quinci gli ebbe Rannete, e quinci preda 

Fur d'Eurialo al fine. Egli gravonne 

I forti omeri indarno. Appresso in capo 570 
S' adattò di Messàpo un lucid' elmo 

D' alto cimiero adorno; e 'n questa guisa 


Absistamus, ait: nam lux inimica propinquat. 355 
Poenarum exhaustum satis est: via facta per hostes. 
Multa virum solido argento perfecta relinquunt 
Armaque, craterasque simul, pulcrosque tapetas. 

E uryalus phaleras Rhamnetis , et aurea bullis 
Cingula; tiburti Remulo ditissimus olim 360 
Quae mittit dona , hospitio quum iungeret absens, 
Caedicus: ille suo moriens dat habere nepoti: 

Post mortem bello Rutuli pugnaque potiti; 

Haec rapit , atque humeris nequidquam fortibusaptat. 
Tum galeam Messapi habilem , cristisque decoram 


LIBRO NONO 18t 


$e ne partian vittoriosi e salvi. 
Intanto di Laurento eran le schiere 
Uscite a campo, e i lor cavalli avanti 575 
Precorrean l' ordinanza, ed al re Turno 
Ne portavano avviso. Eran trecento 
Tutti di scudo armati; e capo e guida 
N'era Volscente. Già vicini al campo 
Scorgean le mura; quando fuor di strada 580 
Videro da man manca i due compagni 
Tener sentiero obliquo. Era un barlume 
La 'v' era l'ombra, e là ’vera la luna, 
A gli avversi suoi raggi la celata 
Del mal accorto Eurialo rifulse. 585 
Di cotal vista insospettì Volscente, 
E gridò da la squadra: O là fermate. 
Chi viva? A che venite? Ove n’ andate? 
Chi siete voi? La lor risposta incontro 


Induit. Excedunt castris , et tuta capessunt. 
Interea praemissi equites ex urbe latina, 
Cetera dum legio campis instructa moratur, 
Ibant, et Turno regi responsa ferebant , 
T'ercentum , scutati omnes , Volscente magistro. 
Jamque propinquabani castris , murosque subibant : 
Quum procul hos laevo flectentes limite cernunt ; 
Et galea Euryalum sublustri noctis in umbra 
Prodidit immemorem , rad iisque adversa refulsit. 
Haud temereestvisum.Conclamatabagmine Volscens: 
State, viri: quae caussa viae? quive estis in armis? 


182 ENEIDE 


Fu sol di porsi in fuga, e prevalersi 590 
De la selva e del buio. I cavalieri 

Ratto chi qua chi là corsero. a’ passi, 
Circondarono il bosco; ad ogni uscita 

Posero assedio. Era la selva un'ampia 

Macchia d'elci e di pruni orrida e folta, — 595 
Ch’ avea rari i sentieri, occulti e stretti. 

E gl intrichi de’ rami e de la preda 

Ch’ era pur grave, e ’1 dubbio de la strada 
Tenean sovente Eurialo impedito. 

Niso disciolto e lieve, e del compagno Goo 
Non s'accorgendo ch’ era in dietro assai, 

Oltre si spinse. E già fuor de’ nemici 

Era ne campi che dal nome d' Alba 

Si son poi detti Albani. Allor le razze 

E le stalle v' avea de'suoi cavalli 605 


Quove tenetis iter ? Nihil illi tendere contra: 

Sed celerare fugam in silvas , et fidere nocti: 
Obiiciunt equites sese ad divortia nota , . 
Hinc atque hinc, omnemque abitum custode coronant. 
Silva fuit , late dumis atque ilice nigra 

Horrida , quam densi complerant undique sentes : 

^ Rara per occultos lucebat semita calles . 

Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda 
Impediunt , fallitque timor regione viarum. 385 
Nisus abit: iamque imprudens evaserat hostes , 
Atque lacus, qui post Albae de nomine dicti 
Albani: tum rex stabula alta Latinus habebat. 


LIBRO NONO 183 


II re Latino. E qui poscia ch' un poco 

Ebbe il suo caro amico indarno atteso, 
Gridando, Ah disse, Eurialo infelice, 

U' sei rimaso? U' più (lasso) ti trovo 

Per questo labirinto? E tosto in dietro 610 
Rivolto, per le vie, per l' orme stesse 

Di tornar ricercando, si rimbosca. 

Erra pria lungamente, e nulla sente: 

Poscia sente di trombe e di cavalli 

E di voci un tumulto; e vede appresso 615 
Eurialo fra mezzo a quelle genti, 

Qual cacciato leone. E già dal loco 

E da la notte oppresso si travaglia, 

E si difende il poverello in vano. 

Che farà? Con che forze, e con qual armi 620 
Fia che lo scampi? Avventerassi in mezzo 


Ut stetit, et frustra absentem respexit amicum: 
Euryale, infelix qua te regione reliqui? 390 
Quave sequar? Rursus perplexum iter omnerevolvens 
Fallacis silvae, simul et vestigia retro 

Observata legit, dumisque silentibus errat: 

Audit equos, audit strepitus et signa sequentum. 
Nec longum in medio tempus; quum clamorad aures 
Pervenit, ac videt Euryalum, quem iam manusomnis, 
F'raude loci et noctis, subito turbante tumultu, 
Oppressum rapit et conantem plurima frustra. 

Quid faciat? qua vi iuvenem, quibus audeat armis 
Eripere? an sese medios moriturus in enses 400 


184 ENEIDE 


De' nemici a morir morte onorata ? 

Così risolve: e prestamente un dardo 

S’ adatta in mano; e volto in vér la Luna, 

Ch'allora alto splendea , così la prega: 625 
Tu, Dea, tu de la notte eterno lume, 

Tu regina de’ boschi, in tanto rischio 

Ne porgi aita. E s' Irtaco mio padre 

Per me de le sue cacce, io de le mie 

Il dritto unqua t'offrimmo; e se t'appesi, 630 

E se t'affissi mai teschio nè spoglia 

Di fera belva, or mi concedi ch’ io 

Questa gente scompigli , e la mia mano 

Reggi e i miei colpi. E, ciò dicendo, il dardo 

Vibrò di tutta forza. Egli volando 635 

Fende la notte, e giunse ove a rincontro 

Era Sulmone, e l'investi nel tergo 

Là 've pendea la targa; e ’] ferro e l'asta 

Passogli al petto, e gli trafisse il core. 


Faferat, et pulcram properet per vulnera mortem? 
Ocius adducto torquens hastile lacerto, 

Suspiciens altam Lunam, et sic voce precatur: 
Tu, Dea, tu praesens nostro succurre labori, 
Astrorum decus , et nemorum Latonia custos; 405 
Si qua tuis umquam pro. me pater Hyrtacus aris 
Dona tulit,si qua ipse meis venatibus auxi, 
Suspendive tholo , aut sacra ad fastigia fixi; 

Hunc sine me. turbare globum, et rege tela per auras. 
Dixerat: et toto connixus corpore ferrum 4ia 


LIBRO NONO 185 


Cadde freddo il meschino; e con un caldo 64o 

Fiume di sangue, che gli uscío davanti, 

Finì la vita, e col singhiozzo il fiato. 
Guardansi l’ uno a l'altro; e tutti insieme 

Miran d'intorno di stupor confusi 

E di timor d'insidie. E Niso intanto 645 

Via più si stadia; ed ecco un altro fiero 

Colpo, ch’ avea di già librato, e dritto 

Di sopra gli si spicca da l’orecchio, 

E per laura ronzando in una tempia 

Si conficca di Tago, e passa a l'altra. 650 

Volscente acceso d’ira, non veggendo 

Con chi sfogarla; al giovine rivolto, 

Tu me ne pagherai per ambi il fio, 

Disse, e strinse la spada, e ver lui corse. 


Coniicit : hasta volans noctis diverberat umbras , 

Et venit adversi in tergum Sulmonis, ibique 
Frangitur, ac fisso transit praecordia ligno. 
Volvitur ille vomens calidum de pectore flumen 
Frigidus, et longis singultibus ilia pulsat. 415 
Diversi circumspiciunt. Hoc acrior idem 

Ecce aliud summa telum librabat ab aure. 

Dum trepidant, iit hasta Tago per tempus utrumque 
Stridens, traiectoque haesit tepefacta cerebro. 
Saevit atrox Volscens, nec teli conspicit usquam 
Auctorem, nec quo se ardens immittere possit. 

Tu tamen interea calido mihi sanguine poenas 
Persolves amborum, inquit: simul ense recluso 


Encide Pol. 11 24 


180 ENEIDE 


Ne sorge incontra. Assai di sangue ostile 

Fin qui s' è sparso: assai di largo avemo. 

Molt' armi, molt' argenti e molt arnesi 

Lasciaro in dietro. I guarnimenti soli 

Del caval di Rannete e le sue borchie 560 
Eurialo si prese, con un cinto 

Bollato d’oro, un prezioso dono 

Che Cedico, un ricchissimo tiranno 

A Remolo Tiburte ospite assente 

Fece in quel tempo. Remolo al nipote . 565 
Lo lasciò per retaggio: e questi in guerra 

Ne fu poscia da’ Rutuli spogliato: 

Quinci gli ebbe Rannete, e quinci preda 

Fur d'Eurialo al fine. Egli gravonne 

I forti omeri indarno. Appresso in capo 520 
S' adattò di Messàpo un lucid’ elmo 

D' alto cimiero adorno; e 'n questa guisa 


Absistamus, ait: nam lux inimica propinquat. 355 
Poenarum exhaustum satis est: via facta per hostes. 
Multa virum solido argento perfecta relinquunt 
4rmaque, craterasque simul , pulcrosque tapetas. 

E uryalus phaleras Rhamnetis , et aurea bullis 
Cingula; tiburti Remulo ditissimus olim 360 
Quae mittit dona, hospitio quum iungeret absens, 
Caedicus: ille suo moriens dat habere nepoti: 

Post mortem bello Rutuli pugnaque potiti; 

Haec rapit , atque humeris nequidquam fortibus aptat. 
Tum galeam Messapi habilem , cristisque decoram 


LIBRO NONO 181 


Se ne partian vittoriosi e salvi. 
Intanto di Laurento eran le schiere 
Uscite a campo, e i lor cavalli avanti 575 
Precorrean l'ordinanza, ed al re Turno 
Ne portavano avviso. Eran trecento 
Tutti di scudo armati; e capo e guida 
N’ era Volscente. Già vicini al campo 
Scorgean le mura; quando fuor di strada ^ 580 
Videro da man manca i due compagni 
Tener sentiero obliquo. Era un barlume 
La 'v' era l'ombra, e là ’vera la luna, 
A gli avversi suoi raggi la celata 
Del mal accorto Eurialo rifulse. 585 
Di cotal vista insospetti Volscente, 
E gridò da la squadra: O là fermate, 
Chi viva? A che venite? Ove n’ andate? 
Chi siete voi? La lor risposta incontro 


Induit. Excedunt castris , et tuta capessunt. 
Interea praemissi equites ex urbe latina, 
Cetera dum legio campis instructa moratur, 
Ibant, et Turno regi responsa ferebant , 
T'ercentum , scutati omnes , Volscente magistro. 
lamque propinquabant castris , murosque subibant : 
Quum procul hos laevo flectentes limite cernunt ; 
Et galea Euryalum sublustri noctis in umbra 
Prodidit immemorem , rad iisque adversa refulsit. 
Haud temereestvisum.Conclamatabagmine Volscens: 
State, viri: quae caussa viae? quiye estis in armis? 


182 ENEIDE 


Fu sol di porsi in fuga, e prevalersi 590 
De la selva e del buio. I cavalieri 

Ratto chi qua chi là corsero- a’ passi, 
Circondarono il bosco; ad ogni uscita 

Posero assedio. Era la selva un'ampia 

Macchia d'elci e di pruni orrida e folta, — 595 
Ch’ avea rari i sentieri, occulti e stretti. 

E gl’ intrichi de rami e de la preda 

Ch' era pur grave, e '| dubbio de la strada 
Tenean sovente Eurialo impedito. 

Niso disciolto e lieve, e del compagno Goo 
Non s'accorgendo ch’ era in dietro assai, 

Oltre si spinse. E già fuor de' nemici 

Era ne campi che dal nome d' Alba 

Si son poi detti Albani. Allor le razze 

E le stalle v' avea de'suoi cavalli 605 


Quove tenetis iter ? Nihil illi tendere contra: 

Sed celerare fugam in silvas , et fidere nocti: 
Obiiciunt equites sese ad divortia nota , . 
Hinc atque hinc, omnemque abitum custode coronant. 
Silva fuit , late dumis atque ilice nigra 

Horrida , quam densi complerant undique sentes : 
Rara per occultos lucebat semita calles . 

Euryalum tenebrae ramorum onerosaque praeda 
Impediunt , fallitque timor regione viarum. 385 
Nisus abit: iamque imprudens evaserat hostes , 
Atque lacus, qui post Albae de nomine dicti 
Albani: tum rex stabula alta Latinus habebat. 





LIBRO NONO 183 


I re Latino. E qui poscia ch’ un poco 

Ebhe il suo caro amico indarno atteso, 
Gridando, Ah disse, Eurialo infelice, - 

U' sei rimaso? U' più (lasso) ti trovo 

Per questo labirinto? E tosto in dietro 610 
Rivolto, per le vie, per l' orme stesse 

Di tornar ricercando, si rimbosca. 

Erra pria lungamente, e nulla sente: 

Poscia sente di trombe e di cavalli 

E di voci un tumulto; e vede appresso 615 
Eurialo fra mezzo a quelle genti, 

Qual cacciato leone. E già dal loco 

E da Ja notte oppresso si travaglia, 

E si difende il poverello in vano. 

Che farà? Con che forze, e con qual armi 620 
Fia che lo scampi? Avventerassi in mezzo 


Ut stetit, et frustra absentem respexit amicum: 
Euryale, infelix qua te regione reliqui? 390 
Quave sequar? Rursus perplexum iter omnerevolvens 
Fallacis silvae, simul et vestigia retro 

Observata legit, dumisque silentibus errat: 

Audit equos, audit strepitus et signa sequentum. 
Nec longum in medio tempus; quum clamorad aures 
Pervenit, ac videt Euryalum, quem iam manusomnis, 
F'raude loci et noctis, subito turbante tumultu, 
Oppressum rapit et conantem plurima frustra. 
Quid faciat? qua vi iuvenem, quibus audeat armis 
Eripere? an sese medios moriturus in enses 400 


190 ENEIDE 


Da la sinistra incontra si mostraro; 

Ché la destra dal fiume era difesa. 

E chi dalle trincee, chi da le torri 725 
Stavan dolenti rimirando i teschi 

Ne l’ aste affissi polverosi e lordi, 

Ch' ancor sangue gocciando eran pur troppo 

Così lunge da’ miseri compagni 

Raffigurati a le fattezze conte. 730 
Spiegò la fama le sue penne intanto, 

E la trista novella in ogni parte 

Sparse per la città, sì ch' a gli orecchi 

De la madre d' Eurialo pervenne. 

Corse subitamente un gel per l’ ossa 73 
A la meschina; e de le man le usciro 

Le sue tele e i suoi fili. Indi, rapita 

Dal duolo e da la furia, forsennata 

E scapigliata ne la strada uscío; 

E per mezzo de larmi e de le genti 7o 


Qt 


ZEneadae duri murorum in parte sinistra 
Opposuere aciem; nam dextera cingitur amni, 
Ingentesque tenent fossas, et turribus altis 470 
Stant moesti: simul ora virum praefixa movebant, 
Nota nimis miseris, atroque fluentia tabo. 

Interea pavidam volitans pennata per urbem 
Nuntia Fama ruit, matrisque allabitur aures 

. Euryali. At subitus miserae calor ossa reliquit. 475 
Excussi manibus radii, revolutaque pensa. 

Evolat infelix, et, femineo ululatu, 





LIBRO NONO 19t 


Correndo, e mugolando, senza tema 

Di periglio e di biasmo , andò gridando , 

E di questi lamenti il cielo empiendo : 

Ahi così concio, Eurialo, mi torni? i 
Eurialo sei tu? Tu sei 1 mio figlio, 745 
Ch’ eri la mia speranza e '| mio riposo 

Ne l'estreme giornate di mia vita ! 

Ahi come così sola mi lasciasti , 

Crudele? E come a così gran periglio 

N' andasti , anzi a la morte, che tua madre 750 
Non ti parlasse, oimé! l'ultima volta, 

Né che pur ti vedesse? Ah! ch'or ti veggio 

In peregrina terra esca di cani, 

D' avoltoi e di corvi. Ed io tua madre, 

Io cui l'esequie eran dovute e "| duolo 722 
D'un cotal figlio, non t ho chiusi gli occhi, 
Nè lavate le piaghe, né coperte 

Con quella veste che con tanto studio 


Scissa comam, muros amens atque agmina cursu 
Prima petit, non illa virum, non illa pericli, 
Telorumque memor; caelum dehinc questibus implet: 
Hunc ego te, Euryale, adspicio? tune illa senectae 
Sera meae requies potuisti linquere solum, 
Crudelis? nec te, sub tanta pericula missum, 

Affari extremum miserae data copia matri? 

Heu, terra ignota canibus data praeda latinis, 485 
Alitibusque iaces! nec te tua funera mater 
Produxi, pressive oculos, aut vulnera lavi, 


192 ENEIDE 


T ho per trastullo de la mia vecchiezza 

Tessuta io stessa e ricamata in vano. 760 
Figlio, dove ti cerco? Ove ti trovo 

Sì diviso da te? come raccozzo 

Le tue così sbranate e sparse membra ? 

Sol questa parle del tuo corpo rendi 


A la tua madre, che per esser teco 765 
T'ha per terra e per mar tanto seguito, 

E seguiratü dopo morte ancora? 

In me, Rutuli, in me tutti volgete 

I vostri ferri, se pur regna in voi 

Pietade alcuna. A me la morte date 770 


Pria ch'a null'altro. O tu, Padre celeste, 

Miserere di me. Tu col tuo télo 

Mi trabocca nel Tartaro e m'ancidi, 

Poiché romper non posso in altra guisa 

Questa crudele e disperata vita. 773 
Da questo pianto una mestizia, un duolo 


Veste tegens, tibi quam noctes festina diesque 
Urgebam, et tela curas solabar aniles. 

Quo sequar? aut quae nunc artus avulsaque membra 
Et funus lacerum tellus habet? hoc mihi de te, 
Nate, refers? hoc sum terraque marique sequuta? 
F'igite me, si qua est pietas, in me omnia tela 
Coniicite, o Rutuli: me primam absumite ferro. 
Aut tu, magne pater Diviém, miserere, tuoque 495 
Invisum hoc detrude caput sub Tartara telo, 
Quando aliter nequeo crudelem abrumpere vitam. 


LIBRO NONO 193 


Nacque ne’ Teucri, e tale anco ne l' armi 

Un languore, un timore, una desidia, 

Che grami, addolorati e di già vinti 

Sembravan tutti. Onde Attore ed Idéo, 780 
Con quel di lei togliendo il pianto altrui, 

Per consiglio del saggio Ilionéo, 

E per compassion del buono lülo 

Che molto amaramente ne piangea, 

Tosto a braccia prendendola, ambedue ^ 785 
La portaro a l'albergo. Ed ecco intanto 
Squillar s'ode da lunge un suon di trombe, 

Un dare a l'arme, ed un gridar di genti 

Tal, che ne tuona e ne rimugghia il cielo . 

E veggonsi in un tempo i Volsci tutti 790 
Sotto pavesi consertati e stretti 

In guisa di testuggine appressarsi , 

Empier le fosse, dirupare il vallo, 

E tentar la salita, e por le scale 


Hoc fletu concussi animi, moestusque per omnes 

It gemitus: torpent infractae ad praelia vires. 

Illam incendentem luctus Idaeus, et Actor, 500 
Ilionei monitu, et multum lacrimantis Iuli, 
Corripiunt, interque manus sub tecta reponunt. 

At tuba terribilem sonitum procul aere canoro 
Increpuit: sequitur clamor, caelumque remugit. 
Accelerant acta pariter testudine Volsci, 505 
Et fossas implere parant, ac vellere vallum. 
Quaerunt pars aditum, et scalis adscendere muros, 

Eneide 77ol. II 25 


194 ENEÍDE 


Là dove la muraglia era di sopra 795 
Con minor guardia, e là 've raro id cerchio 
Tralucea de la gente. Incontro a loro 

I Teucri i sassi, i travi ed ozni télo 
Avventaron dal muro; e con le picche 
Risospingendo , come it lungo assedio 800 
Insegnò lor di Troia, a la difesa 

Si fermàr de’ ripari; e le pareti 

E i pilastri e le torti addosso a loro 

E sopra a la testuggine gittando, 

Gli scudi dissiparono e le genti, 805 
Sì che più di combattere al coverto 

Non si curaro. Ma d’ogni arme un nembo 
Lanciando a la scoperta, i bastioni 

Offendean de’ Troiani. E d'una parte 


Qua rara est acies, interlucetque corona 

Non tam spissa viris. Telorum effundere contra 
Omne genus Teucri, ac duris detrudere contis, 510 
Assueti longo muros defendere belio. 

Saxa quoque infesto volvebant pondere, si qua 
Possent tectam aotem perrumpere , quum tamenomnes 
Ferre iuvat subter densa testudine casus. 

Nec iam sufficiunt: nam, qua globus imminet ingens, 
Immanem Teucri molem volvuntque ruunigue, 
Quae stravit Rutulos late armorumque resolvit 
Tegmina. Nec curant caeco contendere Marte 
Amplius audaces Rutuli, sed pellere vallo 
Missilibus certant. 520 


LIBRO NONO 195 


Mezenzio, formidabile a vedere, 810 
Sen gia con un gran pino acceso in mano 
Lo steccato infogando. Iva da l’altro 
Il fier Messápo , di Nettuno il figlio , 
Domator de’ corsieri ; e scisso il vallo, 
Scale, scale gridava, e per lo muro 815 
Rampicando saliva. Or qui m'è d'uopo, 
Calliope , il tuo canto a dir le prowe, 
A dir l’oecision, che di sua mano 
Fece Turno in quel dì; chi, quali, e quanti 
A lOrco ne mandasse. Ogni successo 820 
Spiega di questa guerra in queste carte. 
Tutto a voi, Muse, è conto; e voi la possa 
E l’arte evete di contarlo altrui. . 

Era una torre di sublime altezza 
Con bertesche e con ponti an sopra l'altro, 825 
Loco opportuno. À questa eran d' intorno 


Parte alia horrendus visu guassabat etruscam 
Pinum, et fumiferos infert Mezentius ignes. 
At Messapus equum domitor, neptunia proles, 
Rescindit vallum, et scalas in moenia poscit. 

Vos, o Calliope, precor, adspirate canenti, 525 
Quas ibi tunc ferro strages, quae funera Turnus 
Ediderit; quem quisque virum demiserit Orco: 

Et mecum ingentes oras evolvite belli. 
* Et meministis enim, Divae, et memorare potestis * . 

Turris erat vasto suspectu, et pontibus altis, 530 
Opportuna loco: summis quam viribus omnes 


190 ENEIDE 


Di fuor gl'Italiani, e dentro i Teucri ; 

E quei facean per espugnarla ogni opra, 

E questi per tenerla. Avanti a tutti 

Si spinse Turno; ed una face ardente - 830 
Lanciovvi da l'un fianco, ove s' apprese 

Con molta fiamma; così fiero il vento, 

Così secchi e disposti erano 1 legni. 

Ardea la torre da quel canto, e dentro 

La gente per timor cercava indarno 835 
Di ritrarsi dal foco: onde a la parte 

Da l' incendio remota in un sol mucchio 

Si ristrinsero insieme; e da quel peso 

Da quel lato in un subito la torre 

Quasi spinta inchinossi, aprissi e cadde. . 840 
Il ciel ne ritonò; la gente infranta, 

Storpiata, sfracellata, infra i suoi legni 

Da larmi proprie infissa, e fin ne l'aura 


Expugnare Itali, summaque evertere opum vi 
Certabant: T'roes contra defendere saxis, 

Perque cavas densi tela intorquere fenestras. 
Princeps ardentem coniecit lampada Turnus, | 535 
« Et flammam affixit lateri; quae plurima vento 
Corripuit tabulas, et postibus haesit adesis. 
T'urbati trepidare intus, frustraque malorum 

Velle fugam. Dum se glomerant, retroque residunt 
In partem, quae peste caret, tum pondere turris 540 
Procubuit subito, et caelum tonat omne fragore. 
Semineces ad terram, immani mole sequuta, 


LIBRO NONO 197 


Morta e sepolta a terra se ne venne. 

Soli due vivi; e per ventura intatti 845 
Dal nembo de la polvere, e dal fumo 
Uscir nel campo: Elenore fu l’ uno, 
Lico fu l'altro. Elenore un garzone 
Di prima barba, di Licinia serva 
E di Meonio re nato di furto, 850 
E sotto Troia. a militar mandato 
Furtivamente. E'si trovò com’ era 
Pria nella terra lievemente armato 
Col brando ignudo, e con la targa al collo 
Bianca del tutto, come non dipinta 855 
D'alcun suo fatto glorioso ancora. . 
Questi, vistosi in mezzo a tante genti 
Di Turno e de Latini, come fera 
Ch'aggia di cacciatori un cerchio intorno, 
Muove contro a gli spiedi, incontr' a l’ armi; 860 


Confixique suis telis, et pectora duro 

T'ransfossi ligno veniunt. Vix unus Helenor, 

Et Lycus elapsi: quorum primaevus Helenor, 545 
Maeonio regi quem serva Licymnia furtim 
Sustulerat, vetitisque ad T'roiam miserat armis, 
Ense levis nudo, parmaque inglorius alba. 

Isque, ubi se T'urni media inter millia vidit; 

Hinc acies , atque hino acies adstare latinas: 550 
. Ut fera , quae, densa venantum septa corona , 
Contra tela furit, seseque haud nescia morti 
Iniicit, et saltu supra venabula fertur: 


198 ENEIDE 


Mosse là 've più folte eran le schiere, 
E certo di morire a morte corse. 

Ma Lico in su le ‘gambe assai più destro 
Infra l'armi e i nemici a fuggir vólto, 
Giunse a le mura, ed aggrappossi un guisa 865 
Che stendea già le mani a’ suoì compagni. 
Quando Turno e co’ piedi e con la spada 
Lo sopraggiunse, e come vincitore 
Rampognando gli disse: E che? pensasti, 
Folle, uscirmi di mano? E le man tosto 870 
Gli pose addosso, e siccome dal muro 
Pendea, col muro insieme a terra il trasse. 
In quella guisa che gli adunchi ugnoni 
Contra uma lepre, o contra un bianco cigno 
Stende l’augel di Giove, o ’1 marzio lupo 875 
Da de reti rapisce un agnelletto , 


Haud aliter iuvenis medios moriturus in hostes 
Irruit ; et, qua tela vidit densissimu, tendit. 555 
At pedibus longe melior Lycus, inter et hostes, 
Inter et arma fuga muros tenet, altague certat 
Prendere tecta manu, sociwmque attingere desctras. 
Quem 'nmus, pariter cursu telogue seguutus, 
Increpat his victor; Nostrasne evadere, demens, 
Sperasti te posse manus? simul arripit ipsum 
Pendentem, et magna muri cum parte revellit. 
Qualis ubi autleporem aut candenti corpore cy cum, 
Sustulit alta petens pedibus lovis armiger mnucis ; 
Quaesitum aut vnatri mulis balatibus agnum 565 


LIBRO NONO 199 


Che dalla madre sia belato invano. 

Si rinnovàr le grida, e tutti msieme 
O le faci avventando , o '1 fosso empiendo, 
Rinforzavan l’ assalto . Ilionéo 880 
Con un perzo di monte, a cui la pinta 
Dié giù da' merli, sopra al ponte infranse 
Lutezio ch’ a la porta era col foco. 
Ligero uccise Emazione; Agila 
Uccise Corinto, buon feritori . 885 
L' uno. di dardo, e l'altro di saette. 
Ortigio da Centa trafitto gincque ; 
Cenée da Turno: ammazzò Turno ancora 
Iti e Prezaolo e Clonio e Diosippo, 
E Sagari con Ida: Ida che in alto 890 
Stava d’un torrione a la difesa. 
Capi ancise Priverno. Awea costui 


Martius a. stabulis rapuit lupus. Undique clamor 
Tollitur; invadunt, et fossas aggere complent. 
Ardentes taedas alii ad fastigia iactant. 

Hioneus saxo atque ingenti fragmine montis 
Lucetium portae subeuntem, ignesque ferentem,570 
Emathiona Liger, Corynaeum sternit Asylas, 

Hic iaculo barsus, hic longe fallante sagitta. 
Ortygium Caeneus, victorem Caenea Turnus, 
Turnus Itym,Cloniumque, Diorippwn, Promolum- 


que, | | 
Et Sagarim, et summis stantem pre turribus Idan. 
Priveraum Capys. Hunc primo lapis hasta Temillae 


200 PNEIDE 


Pria nel fianco una picciola ferita, 

Anzi una graffiatura, che passando 

Fe l'asta di Temilla: e ’1 male accorto, 895 
Per su porvi la mano, abbandonato 

Avea lo scudo; quando ecco volando 

Venne una freccia che la mano e !] fianco 
Insieme gli confisse; e via passando 

Penetrógli al polmone. Il mortal colpo 900 
Sì lo spirar de l’ anima gli tolse, 

Che non mai più spiró. Stavasi Arcente, 
D'Arcente il figlio, in su’ ripari ardito 
Egregiamente armato, e - sopra l’ arme 

D' una purpurea cotta era addobbato 905 
Di ferrigno color, di drappo Ibero; 

Un giovine leggiadro., che dal padre 

Fu nel bosco di Marte a l'armi avvezzo 

Lungo al Simeto, u'l'ara di Palíco 

Tinta non come pria di sangue umano, gio 
Più pingue e più placabile si mostra . 


Strinxerat; ille manum proiecto tegmine demens 
Ad vulnus tulit: ergo aliis allapsa sagitta, 

Et laevo infixa est lateri manus, abditague intus 
Spiramenta animae letali vulnere rumpit. 580 
Stabat in egregiis Arcentis filius armis, 

Pictus acu chlamydem, et ferrugine clarus hibera, 
Insignis facie; genitor quem miserat Arcens, 
Eductum Martis luco, symaethia circum 

Flumina, pinguis ubi et placabilis ara Palici. 585 


LIBRO NONO 201 | 


, Mezenzio il vide; e l' altre armi deposte, 
Prese la fromba, e con tre giri intorno 
Se l' avvolse a la testa. Indi scoppiando - 
Allentó ’1 piombo, che dal moto acceso 915 
Squagliossi, e con gran rombo in una tempia 
Il garzon percotendo, ne l'arena 
Morto quanto era lungo lo distese. 

Ascanio che fin qui solo a la caccia 
Avea l' arco adoprato, or primamente 910 
Oprollo in guerra, e col primiero colpo 
Il feroce Numáno a terra stese. 
Remolo era costui per soprannome 
Chiamato; e poco avanti avea per moglie 
Presa di Turno una minor sorella. 925 
Ei di questo favor, di questo nuovo 
Suo regno insuperbito , altero e gonfio 
Stava ne l' antiguardia , e con le grida 


Stridentem fundam, positis Mezentius hastis, 
Ipse ter adducta circum caput egit habena; 
Et media adversi liquefacto tempora plumbo 
Diffidit, ac multa porrectum extendit arena. 
T'um primum bello celerem intendisse sagittam 
Dicitur , ante feras solitus terrere fugaces, 
Ascanius, fortemque manu fudisse Numanum; 
Cui Remulo cognomen erat; Turnique minorem 
Germanam nuper thalamo sociatus habebat. 
Is primam ante aciem digna atque indigna relatu 
Vociferans, tumidusque novo praecordia regno 
Eneide Vol. II 26 


202 d ENEIDE 


Si ringrandiva; e di lontano i Teucri 
Schernendo, in cotal guisa alto dicea: 930 
Questo è l’ onor che voi, Frigi, vi fate 
D' un altro assedio? Un’ altra volta in gabbia 
Vi riponete? E pur col vostro muro, 
‘ E co i vostri ripari or. da la morte 
Vi riparate? e voi, voi fate guerra 935 
Per usurpare a noi le donne nostre ? 
Qual Dio, qual infortunio, qual follia 
V' ha condotti in Italia? E chi pensate 
Di trovar qui? Quei profumati Atridi, 
O "1 ben parlante Ulisse? In una gente. 940 
Avete dato che da stirpe è dura. 
I nostri figli non son nati a pena, 
Che si tuffan ne fiumi. A l’onde, al gelo 
Noi gl’ induriamo, e gl’ incallimo in prima; - 
Poscia per le montagne e per le selve 949 
Fanciulli se ne van la notte e '1 giorno. 
Il lor studio è la caccia; e '1 lor diletto 


Ibat, et ingentem sese clamore ferebat: 

Non pudet obsidione iterum valloque teneri, 
Bis capti Phryges, et Marti praetendere muros? 
En, qui nostra sibi bello connubia poscunt! 600 
Quis Deus Italiam, quae vos dementia adegit? 
Non hic Atridae, nec fandi fictor Ulixes. 
Durum ab stirpe genus, natos ad flumina primum 
Deferimus, saevoque gelu duramus et undis: 
Venatu invigilant pueri, silvasque fatigant: —— 605 


LIBRO NONO 203 


El cavalcare, e'l trar di fromba e d' arco. 

La gioventù ne le fatiche avvezza, 

E contenta del poco, o col bidente 990 
Doma la terra, o con l' aratro i buoi, 

O col ferro i nemici. Il ferro sempre 

Avemo per le mani. Una sol’ asta 

Ne fa picca e pungetto. A noi vecchiezza 

Non toglie ardire, e de. le forze ancora. — 955. 
Non ci fa, come voi, debili e scemi. 

Per canute che sian le nostre teste, 

Veston celate, e nuove prede ogn' ora 

Quando da' boschi e quando da' nemici 

Addur ne giova, e viver di rapina. 960 
Voi con l' ostro e co’ fregi e co’ ricami, 

Con le cotte a divisa e con le giubbe 
Immanicate e co i fiocchetti in testa 

A che valete? a gir così dipinti. 


Flectere ludus equos, et spicula tendere cornu. 

At patiens operum, parvoque assueta iuventus, 

‘ Aut rastris terram domat, aut quatit oppida bello. 
Omne aevum ferro teritur, versaque iuvencum 
Terga fatigamus hasta: nec tarda senectus 610 
Debilitat vires animi, mutatque vigorem: 

Canitiem galea premimus; semperque recentes 
Comportare iuvat praedas, et vivere rapto. 

Vobis picta croco, et fulgenti murice, vestis; 
Desidiae cordi; iuvat indulgere choreis: 615 
Et tunicae manicas, et habent redimicula mitrae. 


204 , ENEIDE 


E così neghittosi? A far balletti 965 
Da donnicciuole. O Frigi, o Frigiesse 
Più tosto! in questa guisa si guerreggia ? 
Via ne Dindimi monti, ove la piva 
Vi chiama e ’l tamburino el zufoletto . 
E con quei vostri galli, anzi galline 979 
Di Berecinto , ite saltando in tresca; 
E larmi e 1 ferro, che non fan per voi, 
Lasciate a quei che son prodi e guerrieri. 

Non poté tanto orgoglio e tanto oltraggio 
Soffrir d'un folle il generoso Iulo, 975 
E teso l'arco con la cocca al nervo, 
Rimirò ’l cielo, e disse: Onnipotente 
Giove, tu l'ardir mio, tu la mia mano 
Fomenta e reggi. Ed io sacri e solenni 
Ti farò doni: io condurrotti a l'ara 980 
Un candido giovenco che la fronte 


O vere Phrygiae, neque enim Phryges, ite per alta 

Dindyma, ubi assuetis biforem dat tibia cantum. 

Tympana vos buxusque vocant berecynthia matris 

Idacae. Sinite arma viris, et cedite ferro. 620 
Talia iactantem dictis, ac dira canentem 

Non tulit Ascanius; nervoque obversus equino 

Intendit telum; diversaque brachia ducens 

Constitit, ante Iovem supplex per vota precatus: 

Juppiter omnipotens, audacibus annue coeptis. 625 

Ipse tibi ad tua templa feram solemnia dona, 

Et statuam ante aras aurata fronte iuvencum 


LIBRO NONO 205 


Aggia indorata, e de la madre al pari 
Erga la testa, e già scherzi e già coazi 
Con le corna, e co piè sparga l' arena. 
Giove, mentre dicea, tonò dal manco 985 
Sinistro lato; e col suo tuono insieme 
Scoccò l'arco mortifero di Iulo. 
Volò I orribil télo, e per le tempie 
Di Remolo passando, le trafisse. 
Or va’, t' insuperbisci; or va’, deridi, 090 
Scempio, l'altrui virtù. Queste risposte 
Mandano i Frigi che son chiusi in gabbia 
A i Rutuli signor dela campagna. 
Questo sol disse Ascanio; ed al suo colpo 
Le grida i Teucri e gli animi in un tempo 995 
Al cielo alzaro. Era il crinito Apollo, 
Quando ciò fu, ne la celeste piaggia 
Sovra una nube assiso; e d'alto. il campo . 


Candentem, pariterque caput cum matre ferentem, 
Jam cornu petat, et pedibus qui spargat arenam. 
Audiit, et caeli genitor de parte serena 650 
Intonuit laesum. Sonat una fatifer arcus. 

Effugit horrendum stridens adducta sagitta, 
Perque caput Remuli venit, et cava tempora ferro 
Traiicit. I, verbis virtutem illude superbis. 

Bis capti Phryges haec Rutulis responsa remittunt. 
Hoc tantum Ascanius. Teucri clamore sequuntur, 
Laetitiaque fremunt, animosque ad sidera tollunt. 
4theria tum forte plaga orinitus Apollo 


206 ENEIDE 


Scorgendo de Troiani e de gli Ausoni, 

Come vede ogni cosa, visto il colpo 1000 
Del vincitore arciero, in vér lui disse: 

Ahi buon fanciullo, in cui virtü s' avanza! 

Così vassi a le stelle. Or ben tu mostri 

Che da gli Dii sei nato, e ch'altri Dü 
Nasceranmo da te. Tu sei ben degno 1005 
Ch’ ogni guerra, che '| Fato ancor minacci 

A la casa d' Ássáraco, s acqueti 

Per tua grandezza, a cui Troia è minore, 

Sì che già non ti cape. E, così detto, 

Si fendè l'aura avanti, e vér la terra 1010 
Calossi, trasmutossi, e come fosse 

Il vecchio Bute, al giovine accostossi . 

Fu Bute in. prima del Dardanio Anchise 
Valletto d'arme e cameriero e paggio, 


E poscia per custode e per compagno : 1015 


Desuper ausonias acies, urbemque videbat 

Nube sedens, atque his victorem affatur Iulum: 
Macte nova virtute, puer. Sic itur ad astra, 

Dis genite, et geniture Deos. Iure omnia bella 
Gente sub Assaraci fato ventura resident: 

Nec te Troia capit. Simul, haec effatus, ab alto 
4Ethere se mittit, spirantes dimovet auras, 645 
Ascaniumque petit. Forma tum vertitur oris 
Antiquum in Buten. Hic dardanio Anchisae 

. Armiger ante fuit, fidusque ad limina custos: 
Tum comitem Ascanio pater addidit. Ibat Apollo 


LIBRO NONO 207 


L’ ebbe Ascanio dal padre. A questo vecchio 
Mostrossi Apollo di color, di voce, 

.D' andar, di canutezza e. d armatura 

Simile in tutto;.ed a l’andente Iulo | 
Fatto vicino, in tal guisa gli disse: 1020 
Bastiti aver , d' Enea preclaro figlio, 

Senza alcun rischio tuo Numano ucciso. 

Di questa prima lode il grande Apollo 

Ti privilegia, e non t' invidia il colpo, 

Né 'l.paraggio de !' arco. Or da la pugna 1025 
Ritraggiti . E, ció detto, da la vista 

De’ circostanti si ritrasse anch’ egli, 

E sormontando dissipossi e sparve. 
Rassembrarono in Bute i Teucri Apollo, 

E riconobber la faretra e l’ arco, - 1030 
Che fuggendo sonar anco s' udiro. 


E fér si con le preci e col precetto 


Omnia longaevo similis, vocemque coloremque, 650 
Et crines albos et saeva sonoribus arma: 

Atque his ardentem dictis affatur Iulum: 

Sit satis, /Eineada, telis impune Numanum 
Oppetiisse tuis: primam hanc tibi magnus Apallo 
Concedit laudem, et paribus non invidet armis: 655 
Cetera parce, puer, bello. Sic orsus Apollo 
Mortales medio adspectus sermone reliquit, . 

Et procul in tenuem ex oculis evanuit auram. 
Agnovere Deum proceres divinaque tela : 
Dardanidae, pharetramque fuga sénsere sonantem. 


208 ENEIDE 


D'un tanto Iddio, ch’ Ascanio ancor che vago 
Fosse di pugna, se ne tolse al fine; 
Ed essi apertamente a ripentaglio 1035 
Misero in vece sua le vite loro. 
Spargesi un grido per le mura in tanto 
Per tutte le difese; e tutti a gli archi 
Tutti a tirar, tutti a lanciar si diero 
D'ogni sorte arme, e d'ogni parte il suolo 1040 
N'era coverto , quando altro conflitto 
Cominciossi di scudi e di celate, 
Una mischia di picche, una battaglia 
Che crescea tutta volta, rinforzando 
Con quella furia che di pioggia un nembo 1045 
Vien da l’occaso, allor che d' oriente 
Fan sorgendo i Capretti a noi tempesta: 
O quando orrido e torbo e d' austri cinto 
E "n grandine converso irato Giove, 
D' alto precipitando , si devolve 1050 


Ergo avidum pugnae, dictis ac numine Phoebi, 
Ascanium prohibent: ipsi in certamina rursus 
Succedunt, animasque in aperta pericula mittunt. 
It clamor totis per propugnacula muris: 

Intendunt acres arcus, amentaque torquent. — 665 
Sternitur omne solum telis: tum scuta cavueque 
Dant sonitum flictu galeae: pugna aspera surgit: 
Quantus ab occasu veniens pluvialibus Hoedis 
Verberat imber humum: quam multa grandine nimbi 
In vada praecipitant quum Jupiter horridus Austris 


LIBRO NONO 200 


Sopra la terra, e ’l ciel rompendo intuona . 
Pandaro e Bizia d' Alcanóro Ideo, 

E d'Iéra salvatica sua moglie 

Figli, in Ida acquistati, e d'Ida usciti 

L' uno a l' altro simile, ed ambidue 1055 

A quegli abeti ed a quei monti uguali 

Ond’ eran nati, avean dal teucro duce 

Una porta in custodia. E confidati - | 

Ne le forze e ne l' armi, a bello studio 

La lasciarono aperta, ed a’ nimici 1000 

Fér da le mura marziale invito. 

Essi armati di ferro, un da la destra, 

L/ altro da la sinistra, a due pilastri 

Sembianti, anzi a due torri che nel mezzo 

Tengan la porta, con le teste in alto 1065 

E co raggi de gli elmi i campi intorno 

Folgorando, squassavano i cimieri 

Fin sovr' a’ merli. In cotal guisa nate 


T'orquet aquosam hiemem, et caelo cava nubila rum- 
pit. | | 

Pandarus et Bitias, idaeo Alcanore creti, 
Quos lovis eduxit luco silvestris Iaera, 
Abietibus iuvenes patriis et montibus aequos, 
Portam, quae ducis imperio commissa, recludunt 
Freti armis, ultroque invitant moenibus hostem. 
Ipsi intus dextra ac laeva pro turribus adstant 
Armati ferro, et cristis capita alta corusci: 
Quales aeriae liquentia flumina circum, 


Eneide Z’ol. II 27 


210 ENEIDE 


Ne le ripe si veggon di Liquezio, 
De l Adice, o del Pò due querce altere — 1070 
Sorgere al cielo, e sventolarsi & l'aura. 

Visto l' adito aperto , incontanente 

, Vi si spinsero i Rutuli. E Quercente 

Ed Equicolo i primi armati e fieri, 

. L'ardito Omaro e '1 bellicoso Emone 1075 
Tutti co' lor compagni impeto féro; 
E tutti o fur da' Teucri in fuga vòlti, 
O ne l' entrar di quella porta ancisi. 
Giunto a gli animi infesti il sangue sparso, 
S' accrebber l’ ire; e de Troiani in tanto 1080 
Tale un numero altronde vi concorse, 
Che prender zuffa, e tener campo osaro. 

Turno sfogava il suo furore altrove 
Contra i nemici; quando un messo avanti 


Sive Padi ripis, Athesim seu propter amoenum 680 

Consurgunt geminae quercus, intonsaque caelo 

Attollunt capita, et sublimi vertice nutant: 

Irrumpunt, aditus Rutuli ut videre patentes. 

Continuo Quercens, et pulcher Aquicolus armis, 

Et praeceps animi Tmarus, et mavortius Haemon , 

Agminibus totis aut versi terga dedere, 

Aut ipso portae posuere in limine vitam. 

T'um magis increscunt animis discordibus irae: 

Et iam collecti Troes glomerantur eodem, 

Et conferre manum, et procurrere longius audent. 
Ductori Turno, diversa in parte furenti, 


LIBRO NONO 21! 


Gli comparve dicendo, che di Troia 1095 
Erano usciti , e stavan con le porte, 
Quanto eran larghe, a far strage e macello 
De le sue genti. Ei tosto da quel canto 
Lasciò l impresa; e contro i due fratelli 
A la dardania porta irato accorse. 1090 
E primamente Antifate, che primo 
' Gli venne avanti, un giovine bastardo 
Di Sarpedonte, e di tebana madre, 
Con un colpo di dardo a terra stese. 
Colpillo ne lo stomaco, e passogli 1095 
Oltre al polmone, onde di caldo sangue , 
Quasi d' un antro, dilagossi un fonte. 
Merope, Afidno ed Erimanto appresso 
Uccise con la spada, un dopo l’altro 


Come a caso incontrógli. Atterro Bizia 1100 


Turbantique viros, perfertur nuntius, hostem 
Fervere caede nova, et portas praebere patentes. 
Deserit inceptum, atque immani concitus ira 
Dardaniam ruit ad portam, fratresque superbos: 695 
Et primum Antiphaten, is enim se primus agebat, 
T'hebana de matre nothum Sarpedonis alti, 
Coniecto sternit iaculo: volat itala cornus 

"era per tenerum, stomachoque infixa sub altum 
Pectus abit: reddit specus atri vulneris undam 700 
Spumantem, et fixo ferrum in pulmone tepescit. 
Tum Meropem, atque Erymantha manu,tum sternit 


Aphidnum; 


212 ENEIDE 


Dopo costoro, ma non già col dardo, 

E men col brando; ch’ altro colpo er’ uopo 

A sì gran corpo. À costui, mentre infuria, 
Mentre stizza per gli occhi avventa e foco , 
Infocato , impiombato e grave un télo 1105 
Scaricò di. falarica, che in guisa 

Di fulmine stridendo e percotendo 

Lo giunse sì che né lo scudo avvolto 

Di due bovine terga, né la fida 

Lorica.di due squame e d'ór contesta 1110 
Non lo sostenne. Barcollando cadde 

La smisurata mole, e tal dié crollo 

Che 1 terren se ne scosse, e '| gran suo scudo 
Gli tonó sopra. In tal guisa di Baia 

Su l' eüboica riva il grave sasso, 1115 
Ch'é sopra l' onde a fermar l’ opre eretto, 

Da l'alto ordigno ov’ era dianzi appeso, 

Si spicca e piomba, e fin ne l’imo fondo 


Tum Bitian ardentem oculis, animisque frementem, 
Non iaculo: ( neque enim iaculo vitam ille dedisset) 
Sed magnum stridens contorta phalarica venit, 705 
Fulminis acta modo, quam nec duo taurea terga , 
Nec duplici squama lorica fidelis et auro 

Sustinuit. Collapsa ruunt immania membra: 

Dat tellus gemitum, et clypeum super intonat ingens. 
Qualis in euboico Baiarum litore quondam 710 
Saxea pila cadit, magnis quam molibus ante 
Constructam ponto iaciunt: sic illa ruinam . 


LIBRO NONO 213 - 


Ruinando si tuffa, e frange il mare, 
E disperge l'arena: onde ne trema 1120 
Procida ed Ischia, e '| gran Tiféo se n' ange, 
Cui sì duro covile ha Giove imposto. 
Qui Marte il suo potere e '| suo favore 
Volse verso i Latini. Animi e forze 
Aggiunse loro, gl'incitó, gli accese; 1125 
E di tema e di fuga e di scompiglio 
Diè cagione a’ Troiani. E già ch'a pugna 
S'era venuto, e de la pugna il nume 
Era con loro; accolti d'ogni parte 
Si ristringono i Rutuli, e fan testa. 1130 
Pandaro, poi che '| suo fratello estinto 
Si vide avanti, e la fortuna avversa, 
A la porta con gli omeri appuntossi: 
E sì com'era poderoso e grande, 


Prona trahit, penitusque vadis illisa recumbit: 
Miscent se maria, et nigrae attolluntur arenae. 
T'um sonitu Prochyta alta tremit, durumque cubile 
Inarime lovis imperiis imposta T'yphoeo. 

Hic Mars armipotens animum viresque Latinis 
Addidit, et stimulos acres sub pectore vertit; 
Immisitque fugam Teucris, atrumque timorem. 
Undique conveniunt; quoniam data copia pugnae, 
Bellatorque animos Deus incidit. 

Pandarus, ut fuso germanum corpore cernit, 

Et quo sit fortuna loco, qui casus agat res, 
Portam vi multa converso cardine torquet, 


è r_——u—++——____——__m_ em. 


2:54 ENEIDE 


Con molta forza la respinse e chiuse, 1135 
Molti esclusi de'suoi, che per la fretta 
Rimaser ne le peste, e molti inclusi 
Ch'eran nimici: e non s'avvide il folle, 
Che de' nimici in quella calca ancora 
Era lo stesso re da lui raccolto 1140 
À far de'suoi, qual tra le greggi imbelli 
Ircana tigre immane. Ei non. più tosto 
Fu dentro, che raggiò da gli occhi un lume 
Spaventevole e fiero; e l'armi sue 
Fieramente sonaro. Il suo cimiero 1145 
Ne l'aura. ondeggiò sangue, e dal suo scudo 
Uscir folgori e lampi. Incontanente 
La sua faccia odiata e l'suo gran fusto 
.  Raffigurando, i Teucri si turbaro. 

Pandaro allor de la fraterna morte 1190 


Obnixus latis humeris, multosque suorum 725 
Moenibus exclusos duro in certamine linquit; 

Ast alios secum includit recipitque ruentes, 
Demens! qui rutulum in medio non agmine regem 
Viderit irrumpentem, ultroque incluserit urbi: 
Immanem veluti pectora inter inertia tigrim. 730 
Continuo nova lux oculis offulsit, et arma 
Horrendum sonuere: tremunt in vertice cristae 
Sanguineae, clypeoque micantia fulmina mittunt. 
«Agnoscunt faciem invisam atque immania membra 
Turbati subito /Eneadae. Tum Pandarus ingens 
Emicat, et mortis fraternae fervidus ira, 


LIBRO NONO 215 


Fervidamente irato, avanti a tutü 
Gli si fe ’ncontro, e disse: E non è, Turno, 
Questa la reggia che t’ assegna in dote 
La tua regina; e non hai d' Ardea intorno 
Le patrie mura. Ne le forze entrato 1159 
Sei de’ nimici, onde scampar non puoi. 

Or via, Turno ghignando gli rispose 
Placidamente , via se tanto ardisci, 
Meco ti prova; che ben tostamente 
A Priamo dirai ch'in questa Troia, 1160 
Come ancor ne la sua, trovossi Achille. 
Ciò detto, gli avventó Pandaro un dardo 
Di tutta forza nodoroso e grave, 
E di ruvida ancor corteccia involto. 
L'aura lo prese, e la saturnia Giuno 1163 
Deviò ’1 colpo sì che da la mira 
Si torse, e ne la porta si confisse. 


Effatur: Non haec dotalis regia Amatae; 

Nec muris cohibet patriis media Ardea Turnum. 
Castra inimica vides: nulla hinc exire potestas. 

Olli subridens sedato pectore Turnus: 74o 
Incipe, si qua animo virtus, et consere dextram: 

Ilic etiam inventum Priamo narrabis Achillem. 
Dixerat. Ille rudem nodis et cortice crudo 
Intorquet summis annixus viribus hastam. 
Excepere aurae vulnus: saturnia Iuno 749 
Detorsit veniens; portaeque infigitur hasta. 

At non hoc telum, mea quod vi dextera versat, 


216 ENEIDE 


Non si cadrà questa mia spada in fallo, 
Disse allor Turno; tale è chi la vibra, 
E tal fa colpo. Ed a ferire alzato 1170 
L'inves ne la fronte, e gli divise 
Le tempie, le mascelle e ’1 mento ignudo 
Ancor di barba, infin là ’ve s'appicca 
Il collo al petto. Al suon de la percossa, 
Al fracasso de l'armi, a la ruina, 1175 
Che fer cadendo quelle membra immani, 
Tremó la terra, e ne fu d'atro sangue 
E di cervella aspersa. Egli morendo 
Giacque rovescio, e dechinó la testa 
Parte a l’ omero destro, e parte al manco. 1180 
AJ cader di costui tal prese i Teucri 
Tema e spavento, che dispersi in fuga 
Sen giro. E s'era il vincitore accorto 
D'’ aprir la porta e di por dentro i suoi, 


Effugies; neque enim is teli nec vulneris auctor. 
Sic ait, et sublatum alte consurgit in ensem, 

Et mediam ferro gemina inter tempora frontem 750 
Dividit, impubesque immani vulnere malas. 

Fit sonus: ingenti concussa est pondere tellus. 
Collapsos artus atque arma cruenta cerebro 
Sternit humi moriens: atque illi partibus aequis 
Huc caput atque illuc humero ex utroque pependit. 
| Diffugiunt versi trepida formidine Troes. 

Et, si contínuo victorem ea cura subisset, 

Rumpere claustra manu, sociosque immittere portis, 


LIBRO NONO 217 


Fóra stato quel giorno e de la guerra 1185 
E de' Troiani il fine. Ma la furia 

E Pardor di combattere e l’ insana 

Ingordigia di sangue ne '| distolse. 

Onde seguendo, in Falari ed in Gige 

S'abbatté prima. A l'uno il petto aperse; 1190 
Sgherrettò l'altro. A quei ch'erano in fuga 
Con l’ aste di color ch’ eran caduti, 

Feria le terga; e nuova occasione 

Gli ponea tuttavia nuov armi in mano; 

Siccome ancor Giunon nuovo ardimento — 1199 
Gli dava e nuove forze. Ali tra questi 

Mandó per terra, e Fégea confisse 

Con lo suo scudo. Uecise in su le mura, 
Mentre a’ nemici eran di fuori intenti, 

Alio ed Alcadro e Pritane e Nomone. 1200 
A Lincéo, ch'osò di stargli a fronte 


Ultimus ille dies bello gentique fuisset. 
Sed furor ardentem, caedisque insana cupido 760 


Egit in adversos. 


Principio Phalerim, et succiso poplite Gygen 
Excipit: hinc raptas fugientibus ingerit hastas — 

In tergus: Iuno vires animumque ministrat. 

Addit Halym comitem, et confixa Phegea parma; 
Ignaros deinde in muris, Martemque cientes, 
Alcandrumque Haliumque Noemonaque Prytanim- 
que; 

Lyncea tendentem contra, sociosque vocantem 
Eneide /ol. II 28 


218 ENEIDE 


E chiamare i compagni, con un colpo, 
Che di rovescio con gran forza diegli, 
Recise il capo, e l’avventò con l'elmo 
Lunge dal busto. Dopo questi ancise 1205 
Amico, un cacciator ch'era in campagna 
Gran distruttor di fere,e gran maestro 
D'armar di tosco le saette e ’l ferro: 
E Clizio ancise d' Eólo il buon figlio, 
E Cretéo de le Muse il caro amico 1210 
E ’1 diletto compagno, che di versi 
E di cetre e di numeri e di corde 
Era sol vago, e di cantar mai sempre 
O d'armi, o di cavalli, o di battaglie. 
I condottier de’ Teucri udita al fine 1215 
De' suoi la strage, insieme s'adunaro 
Memmo e Seresto. E visti i lor compagni 


Vibranti gladio connixus ab aggere dexter 

Occupat: huic uno deiectum cominus ictu 770 

Cum galea longe iacuit caput. Inde ferarum 

Vastatorem Amycum, quo non felicior alter, 

Ungere tela manu, ferrumque armare veneno: 

Et Clytium aeoliden, et amicum Crethea Musis, 

Crethea Musarum comitem, cui carmina semper 

Et citharae cordi, numerosque intendere nervis: 

Semper equos atque arma virum pugnasque canebat, 
Tandem ductores, audita caede suorum, 

. Conveniunt Teucri, Mnestheus acerque Serestus, 
Palantesque vident socios, hostemque receptum. 780 





LIBRO NONO 219 


Dispersi, e già '| nimico in salvo addursi, 
Gridando, Oh, disse Memmo, ove fuggite ? 
Ove n' andate? e qual ridotto avete 1220 
O di mura o di sito altro che questo? 
Dunque un sol uomo; e d'ogni parte chiuso 
In poter vostro, avrà, miei cittadini , 
Senza alcun danno suo fatto di noi 
Ne la nostra città sì gran macello? 1225 
Tanti de’ nostri giovani sotterra . 
Avrà mandati? E noi, noi non avremo 
(Si codardi saremo) o de la nostra 
Infortunata patria, o de gli antichi 
Nostri Penati, o del gran nostro Enea 123o 
Né pietà , né rispetto, né vergogna? 

Da questo dire accesi e rincorati — 
. Si ristrinsero insieme. E Turno intanto 
Da la pugna allentando in vér la parte 


Et Mnestheus: Quo deinde fugam, quo tenditis? in- 
quit. 

Quos alios muros, quae iam ultra moenia habetis? 
Unus homo, et vestris, o cives, undique saeptus 

 4ggeribus, tantas strages impune per urbem 

Ediderit? iuvenum primos tot miserit Orco? 785 

Non infelicis patriae, veterumque Deorum, 

Et magni /Eneae segnes miseretque pudetque? 

Talibus accensi firmantur, et agmine denso 

Consistunt. Turnus paullatim excedere pugna, 

Et fluvium petere, ac partem, quae cingitur amni. 


220 ENEIDE 


Che dal fiume era cinta, a poco a poco 1235 
Appressossi a la riva: onde i Troiani 

Con impeto maggior, con maggior grida 

Gli furon sopra. E qual fiero leone 

Che da la moltitudine e da l’ armi 

Si vede oppresso, tra fierezza e tema 1240 
Torvamente mirando, si ritira; 

Ché né ’1 valor, nè l'ira gli consente 

Volgere il tergo, né de’ cacciatori, 

Nè di spiedi spuntar puote il rincontro: 

Così Turno dubbioso o di ritrarsi, 1245 
O di spingersi avanti, irato e lento, 

Guardingo e minaccioso se n’ andava: 

E due volte avventandosi nel mezzo 

Si cacciò de’ nemici; ed altrettante 

Gli ruppe, e salvo in dietro si ritrasse. — 1250 
Al fine in un drappello insieme accolte 


Acrius hoc Teucri clamore incumbere magno, 

Et glomerare manum: ceu saevum turba leonem 
Quum telis premit infensis : at territus ille, 

"Asper, acerba tuens, retro redit: et neque terga 

Ira dare aut virtus patitur; nec tendere contra 795 
Ille quidem hoc cupiens, potis est per tela virosque. 
Haud aliter retro dubius vestigia T'urnus 
Improperata refert, et mens exaestuat ira. 

Quin etiam bis tum medios invaserat hostes: 

Bis confusa fuga per muros agmina vertit. 800 
Sed manus e castris propere coit omnis in unum. 





LIBRO NONO 22 


Le Teucre genti incontro gli si féro 

E di Saturno non osò la figlia 

Di più forza prestargli; chè dal cielo 

Giove a la sua sorella avea mandato 1255 
Iri a farne richiamo, e minacciarle, 

Se Turno immantinente da le mura 

Non uscia de' Troiani. Or non potendo 

Più ’1 giovine supplire o con la destra, 

Ch' era a ferir già stanca, o con lo scudo, 1260 
Che di dardi e.di frecce era coverto; 

L'elmo già spennacchiato, e l'armi tutte 
Smagliate e fesse, con un nembo addosso 

Di sassi per le tempie , e d' aste a' fianchi, 

Già da Memmo incalzato, alfin cedette. 1265 
E come di sudor colava, ansava, 

E quasi rifiatar più non potea, 


Nec contra vires audet saturnia Iuno 

Sufficere; aeriam caelo nam luppiter Irim 
Demisit, germanae haud mollia iussa ferentem, 

Ni Turnus cedat Teucrorum moenibus altis. 805 
Ergo nec clypeo iuvenis subsistere tantum, 

Nec dextra valet: iniectis sic undique telis 
Obruitur. Strepit assiduo cava tempora circum 
Tinnitu galea, et saxis solida aera fatiscunt; 
Discussaeque iubae capiti: nec sufficit umbo 810 
Ictibus: ingeminant hastis et Troes et ipse 
Fulmineus Mnestheus. T'um toto corpore sudor 
Liquitur et piceum (nec respirare potestas) 


222 ENEIDE 


Con tutte l’armi in dosso un salto prese, 

E nel Tebro avventossi. Il biondo Tebro 
Placido lo raccolse; e salvo e lieto, 1270 
E da l' occision purgato e mondo, 

Su l'altra riva a’ suoi lo ricondusse. 


Flumen agit: fessos quatit acer anhelitus artus. 
Tum demum praeceps saltu sese omnibus armis 815 
In fluvium dedit. Ille suo cum gurgite flavo 

"ccepit venientem, ac mollibus extulit undis, 

Et laetum sociis abluta caede remisit. 


Fine del Libro nono. 


DELL’ ENEIDE 


DI VIRGILIO 


LIBRO DECIMO 


c—ÜÓÓün m 


ARGOMENTO 


Di Gino , e Citerea P alte contese 
Giove tenta placare . Enea ritorna 
Cinto d" aiuti , a cui nel lido fanno 
Duro incontro i Latin: per man di Turno 
Cade Pallante , e poi d? Enea Mezenzio . 


Aprissi la magion celeste intanto, 
E del cielo il gran Padre in cima ascese 
Del suo cerchio stellato. Indi mirando 
La terra, e de’ Troiani e de’ Latini 
Visto il conflitto, a sé de gli altri Dei 9 
Chiamò 1 consiglio. E com' era da l'orto 
E. da l'occaso la sua reggia aperta, 
Ratto tutti adunati, assisi e cheti, 
Disse egli in prima: Cittadini eterni, 


Panditur interea domus omnipotentis Olympi, 
Conciliumque vocat Divum pater atque hominum rex 
Sideream in sedem: terras unde arduus omnes, 
Castraque Dardanidím adspectat , populosque la- 

tinos. 
Considunt tectis bipatentibus. Incipit ipse: 5 

Caelicolae magni, quia nam sententia vobis 


224 ENEIDE 


Qual v' ha cagione a distornar rivolti 10 

Quel ch'é già stabilito? A che tra voi 

Con tanta iniquità tanto contrasto ? 

Non s'è da me già proibito e fermo 

Che non deggian gli Ausoni incontro a’ Teucri 

Sorgere a l' armi? Che discordia è questa 15 

Contro al divieto mio? Qual ha timore 

A la guerra incitati o questi o quelli? 

Tempo vi si darà ben degno allora 

Di guerreggiar (non l' affrettate or voi ) 

Che la fera Cartago aprirà l'alpi, 20 

Grave a Roma portando esizio e strage. 

Allora a gli odii, al sangue, a le rapine 

Larga vi si darà licenza e campo. 

Or lietamente la tenzone e l' armi 

Fermate; e sia tra voi concordia e pace. 25 
Tal fece ragionando il gran monarca 

Breve proposta. Ma non brevemente 


Versa retro, tantum que animis certatis iniquis? 

Abnueram bello Italiam concurrere T'eucris. 

Quae contra vetitum discordia? quis metus aut hos, 

Aut hos arma sequi, ferrumque lacessere suasit? 10 

Adveniet iustum pugnae, ne accersite, tempus, 

Quum fera Carthago romanis arcibus olim © 

Exitium magnum, atque Alpes immittet apertas: 

Tum certare odüs, tum res rapuisse licebit. 

Nunc sinite, et placidum laeti componite foedus. 
luppiter haec paucis: at non Venus aurea contra 


o 


LIBRO DECIMO 225 


Venere in questa guisa gli rispose: 
Padre e re de’ celesti, e de’ mortali 
Eterna possa (e qual altra maggiore Jo 
S' implora altronde?) ecco tu stesso vedi 
L'arroganza de' Rutuli, e quel fasto 
Con che Turno cavalca; e vedi il vampo 
E la ruina che si mena avanti, 
Da la sua tracotanza e dal successo 3 
Di questa pugna insuperbito e gonfio. 
Vedi i Teucri infelici, ch’ ancor chiusi 
Non son securi; e ’nfin dentro a le porte 
E "n su'ripari e ’n su le lor difese 
Son combattuti; e la lor propria fossa 4o 
E di lor sangue un lago. Di ciò nulla 
Il mio figlio non sa: tanto n' é lunge. 
Or non fia ch' una volta esca d'assedio 
Questa misera gente? Ecco han le mura 


Pauca refert. 


O pater, o hominum Divimque aeterna potestas! 
(Namque aliud quid sit, quod iam implorare quea- 
mus?) 
Cernis, ut insultent Rutuli; Turnusque feratur 20 
Per medios insignis equis, tumidusque secundo 
Marte ruat? Non clausa tegunt iam moenia T'eucros: 
Quin intra portas atque ipsis praelia miscent 
Aggeribus murorum, et inundant sanguine fossae. 
4Eneas ignarus abest. Numquamne levari . a9 
Obsidione sines? Muris iterum imminet hostis 


Eneide 7"ol. II 29 





226 ENEIDE 


De l'altra Troia altri nimici attorno; 45 
Altro esercito in campo; un'altra volta 

D' Arpi vien Diomede a’ danni suoi. 

Resta, cred’ io, ch’ un’ altra volta ancora 

Io sia da lui ferita, e che di nuovo 

Sia la tua figlia a mortal ferro esposta. 50 
Signor, se contra ]a tua voglia i Teucri 

Son venuti in Italia, è ben ragione 

Che sian puniti, e del tuo aiuto indegai : 

Ma se tratti vi sono, e s'è lor dato 

Da gli oracoli tutti e de’ celesti 92 
E de' gl' inferni, qual puó senno o forza 

A Giove opporsi, e far nuovo destino ? 

Ch' io non vo'dir de le combuste navi 

Su la spiaggia Ericina, né de' venti 

Che ’1 re spinse d' Eólia a tempestarlo, 6o 


Nascentis Troiae, nec non exercitus alter: 

"tque iterum in Teucros aetolis surgit ab Arpis 

T'ydides. Equidem, credo, mea eulnera restant: 

Et tua progenies mortalia demoror arma. Jo 

Si sine pace tua atque invito numine T'roes 

Italiam petiere; luant peccata, neque illos 

Juveris auxilio. Sin tot responsa sequuti, 

Quae Superi Manesque dabant; cur nunc tua quis- 
quam 

Vertere iussa potest? aut cur nova condere fata? 35 

Quid repetam exustas erycino in litore classes? 

Quid tempestatum regem, ventosque furentes, 





LIBRO DECIMO . 227 


Nè d'Iri che di qui fu già mandata 

Per darle al foco. Infin da l’ Acheronte 
Tratte ha le Furie (questa sol mancava 
Parte de l' universo non tentata 

A loro offesa ) d' Acheronte, dico, 

Ha tratta Aletto a suscitar l'Italia 
Incontr' a loro. Or, Signor mio, non curo 
Più d' altro imperio. lo lo sperava allora 
Gh' era più fortunata. Imperi e vinca 

Or chi t'aggrada. E s' anco non è loco 
Nel mondo, ove a la tua dura consorte 
Piaccia che sian quest’ infelici accolti, 
Per l’ incendio, Signor, per la ruina, 

E per la solitudine ti prego 

De la mia Troia, che ritrar mi lasci 
Salvo da questa guerra Ascanio almeno . 
Lasciami, Padre mio, questo nipote 
Mantener vivo; e se ne vada Enea 


4Eolia excitos? aut actam nubibus I im? 

Nunc etiam Manes (haec intentata 14anebat 
Sors rerum) movet, et Superis imm«ssa repente 
Alecto, medias Italum bacchata per urbes. 
INil super imperio moveor: speravimus ista, 

Dum fortuna fuit: vincant, quos vincere mavis. 
Si nulla est regio, Teucris quam det tua coniux 
Dura; per eversae, genitor, fumantia Troiae 
Excidia obtestor, liceat dimittere ab armis 
Incolumen Ascanium, liceat superesse nepotem: 


c 
Ct 


79 


40 


45 


228 i ENEIDE 


Ramingo , ovunque il mare o la fortuna 

Lo si tramandi. Io lo terrò da !' armi 80 
Remoto ne’ miei lochi,o d' Amatunta, 

O d'Idalio, o di Pafo, o di Citéra 

A menar. vita ignobile e privata, 

Pur che sicura. E tu, come a te piace, 
Comanda ch'a l Ausonia il giogo imposto — 85 
Sia da Cartago, sì che più non l'osti 

In alcun tempo. Or che, padre, ne giova 

Che da l' occisioni e da gl’ incendi 

De la lor patria e da tant’ altri rischi 

Sian già del mare e de la terra usciti? 90 
E che val che da te sia lor promessa, 

Da lor tanto ricerca, e già trovata 

Questa Troia novella , se di nuovo 

Convien che caggia? Assai meglio sarebbe 


ZEneas sane ignotis iactetur in undis; 

Et, quamcumque viam dederit fortuna, sequatur. 
Hunc tegere, et dirae valeam subducere pugnae. 50 
Est Amathus, est celsa mihi Paphus atque Cythera 
Idaliaeque domus: positis inglorius armis 

Exigat hic aevum. Magna ditione iubeto 

Carthago premat Ausoniam: nihil urbibus inde 
Obstabit tyriis. Quid pestem evadere belli 95 
luvit, et argolicos medium fugisse per ignes? 
Totque maris vastaeque exhausta pericula terrae, — 
Dum Latium Teucri,recidivaque Pergama quaerunt? 
Non satius cineres patriae insedisse supremos, 


LIBRO DECIMO 229 


Che fosser tra le ceneri e nel guasto, 93 
Dove fu l'altra, A Xanto, a Simóenta 

Fa’, ti prego, Signor, che si radduca 

Questa gente infelice, e che ritorni 

À passar d’ Ilio i guai. Giunone allora 

Infuriata, A che, disse, mi tenti, 100 
Perch'io rompa il silenzio, e mostri il duolo 
Ch'ho portato nel cor gran tempo ascoso? 

Qual è mai per tua fé stato uomo, o Dio 

Ch’ Enea sforzasse a cercar briga? a farsi 
Nemico il re Latino? Oh ’1 fato addotto 105 
L' ha ne l'Italia! Sì, ma da le furie 

C'è spinto di Cassandra. E chi gli ha dato 
Consiglio? io forse, ch’ abbandoni i suoi? 

Io che dia la sua vita in preda a’ venti? 

Io, che la cura e ’l carco de la guerra 110 
Lasci in man d' un fanciullo? e che sollevi 


Atque solum, guo Troia fuit? Xanthum et Simoenta 
Redde, oro, miseris: iterumque revolvere casus 

Da, pater, iliacos Teucris. Tum regia Iuno 

Acta furore gravi: Quid me alta silentia cogis 
Rumpere, et obductum verbis vulgare dolorem? 
"Enean hominum quisquam Divumque subegit 65 
Bella sequi, aut hostem regi se inferre Latino? 
Italiam fatis petiit auctoribus: esto: 

Cassandrae impulsus furiis. Num linquere castra 
Hortati sumus, aut vitam committere ventis? 

Num puero summam belli, num credere muros? 70 








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sive nubibus Iris? 

Xu. circumdare flammis 
‘um consistere terra: — 55 
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m ferre Latinis? 

E "atque avertere praedas? 
iS zülergmiis abducere pactas? 
rat Ta nere puppibus arma? 80 


si 
uc Eicgvioion abducere Graium, 
Sp... 















LIBRO DECIMO 231 


Di lui la nebbia e ?] vento; tu la forma 
Cangiar delle sue navi in altrettante 130 
Ninfe di mare; ed io cosa nefanda 

Farò se porgo a’ Rutuli un aiuto, 

Per minimo che sia? Non v'è tuo figlio 
Presente ; non vi sia: non sa; non sappia. 

Sei regina di Pafo, d' Amatunta, 135 
Di Citéra e d' ldalio: e che vai dunque 
Provocando con l'armi una contrada 

Non tua, pregna di guerre? e stuzzicando 

Si bellicosa gente? Ed io son quella, 

Io, che l'afflitte lor fortune agogno 140 
Di porre al fondo? E perchè non più tosto 

Chi de’ Greci a le man gli pose in prima? 

Chi prima fu cagion ch'a guerra addusse 

L' Europa e l'Asia) Chi commise il furto 

Che fu de la rottura il primo seme? 145 
lo condussi l’ adultero Pastore 


Proque viro nebulam, et ventos obtendere inanes: 
Et potes in totidem classem convertere Nymphas. 
Nos aliquid Rutulos contra iuvisse, nefandum est? 
"Eneas ignarus abest: ignarus et absit. 85 
Est Paphus Idaliumque tibi, sunt alta Cythera. 
Quid gravidam bellis urbem et corda aspera tentas? 
Nosne tibi fluxas Phrygiae res vertere fundo 
Conamur? nos? an miseros qui Troas Achivis 
Obiecit? quae caussa fuit consurgere in arma — 9o 
Europamque 4siamque, et foedera solvere furto? 


232 ENEIDE 


A l'impresa di Sparta? Io fui ch'a l'armi, 
Jo ch'a l'amor l'accesi? Allora il tempo 
Fu d'aver tema e gelosia de' tuoi, 
Non or che le querele e le rampogue 150 
Che ne fai, sono ingiuste e tarde e vane. 
Cosi Giuno dicea; quando fremendo 
Gli Dei tutti mostràr, che chi con questa 
Consentian , chi con quella. In guisa tale 
S' odono i primi vénti entro una selva 150 
Mormorar lunge, e non veduti ancora 
Porgere a'marinari indizio e tema 
Di propinqua tempesta. Allor del cielo 
Il sommo, eterno, onnipotente Padre 
‘ Riprese a dire. Al suo parlar chetossi 160 
La celeste magion; chetàrsi i venti, 
E l'aria e l'onde; e sola infino al centro 


Me duce dardanius Spartam expugnavit adulter? 

Aut ego tela dedi, fovive Cupidine bella? 

Tunc decuit metuisse tuis: nunc sera querelis 

Haud iustis assurgis, et irrita iurgia iactas.. 99 
Talibus orabat Iuno; cunctique fremebant 

Caelicolae assensu vario: ceu flamina prima, 

Quum deprensa fremunt silvis, et caeca volutant 

Murmura, venturos nautis prudentia ventos. 

T'um pater omnipotens, rerum cui summa potestas, 

Infit: eo dicente Deum domus alta silescit, 

Et tremefacta solo tellus; silet arduus aether: 

Tum Zephyri posuere; premitplacidaaequorapontus. 


LIBRO DECIMO 233 


Tremò la terra. Ei disse: Or che gli Ausoni 
" Confederar co Teucri ne si toglie , 
E voi tra voi non v' accordate, udite 165 
Quel ch’ io vi dico, e i miei detti avvertite, 
Quella stessa fortuna e quella speme, 
Qual ch' ella sia, chei Ratuli o i Troiani 
Oggi da lor faransi, io vi prometto 
Aver per rata, e non punto inchinarmi 170 
Più da quei che da questi: e sia l’ assedio 
De’ Teucri o per destino, o per errore, 
O per false risposte. E ciò dico anco 
De’ Rutuli . Il successo e buono e rio 
Fia d'una parte e d'altra qual ciascuna 175 
Per sé lo s' ordirà. Giove con ambi 
Si starà parimente , e '| Fato in mezzo. 
Cosi detto, il torrente e la vorago 
E la squallida ripa e l'atra pece 


"Accipite ergo, animis atque haec mea figite dicta. 
Quandoquidem Ausonios coniungi foedere Teucris 
Haud licitum ; nec vestra capit discordia finem: 
Quae cuique est fortuna hodie , quam quisque secat 
spem , 
Tros Rutulusve fuat , nullo discrimine habebo: 
Seu fatis Italum castra obsidione tenentur , 
Sive errore malo T'roiae , monitisque sinistris. 110 
Nec Rutulos solvo: sua cuique exorsa laborem 
Fortunamque ferent. Rex luppiter omnibus idem. 
Fata viam invenient. Stygü per lumina fratris ; 
Eneide 7. II 3o 


I oct d 


234 ENEIDE 


D' Acheronte giurando , abbassò ’ ciglio, 180 
E tremar fe’ col cenno il mondo tutto . 

Finito il ragionar , suso levossi 

Del seggio d'oro; e gli fer tutti intorno 

Corona e compagnia fino a l'albergo . 

L' esercito de’ Rutuli stringendo 185 
L'assedio intanto , in su le porte e "ntorno 
Facea de la muraglia incendii e stragi; 

E i Teucri assediati, entro a i ripari 

E sopra a i torrioni a la difesa 

Stavan, miseri! indarno; e senza speme 190 
Di fuga un raro cerchio avean disteso 

Su per le mura. Era de’ primi Iaso 

D' Imbrasio il figlio, e l’ figlio d' Icetóne 

Detto Timete, e '1 buon Castore insieme 

Col vecchio Tebro, ed ambi dopo questi 195 


Per pice torrentes atraque voragine ripas 

Annuit , et totum nutu tremefecit Olympum. 115 

Hic finis fandi. Solio tum luppiter aureo 

Surgit , caelicolae medium quem ad limina ducunt . 
Interea Rutuli portis circum omnibus instant 

Sternere caede viros , et moenia cingere flammis. 

At legio /Eneadum vallis obsessa tenetur: 120 

Nec spes ulla fugae . Miseri stant turribus altis 

Nequidqguam , et rara muros cinxere corona: 

Asius Imbrasides , hicetaoniusque Thymoetes , 

Assaracique duo , et senior cum Castore Thymbris , 

Prima acies. Hos germani Sarpedonis ambo, — 135 


LIBRO DECIMO 235 


Di Sarpedonte i frati: e Chiaro, ed Emo 
Onor di Licia, e di Lirnesso Ammone. 
Questi con un gran sasso era venuto 
Su la muraglia, che-’l1 maggior catollo 
Era d’ un monte; ed egli era non punto 200 
Minor del padre Clizio e di Menesto 
Suo famoso fratello. Altri con Sassi, 
Altri con dardi, e chi con le saette, 
E chi col foco a guardia eran del muro. 
In mezzo de le schiere il vago Iulo , 202 
Gran: nipote di Dardano e gran cura 
De la bella Ciprigna, il volto e ’1 capo 
Ignudo, risplendea qual chiara gemma 
Che in ór legata altrui raggi dal petto 
O da la fronte; o qual da dotta mano 210 
In ebano commesso, o in terebinto 
Caudido avorio a gli occhi s' appresenta. 


Et Clarus et Themon, Lycia comitantur ab alta . 
Fert ingens toto connixus corpore saxum , 

Haud partem exiguam montis , lyrnessius Acmon , 
Nec Clytio genitore minor , nec fratre Menestheo. 
Hi iaculis , illi certant defendere saxis , 130 
Molirique ignem , nervoque aptare sagittas . 

Ipse inter medios , Veneris iustissima cura , 
Dardanius caput ecce puer detectus honestum , 
Qualis gemma , micat , fulvum quae dividit aurum, 
Aut collo decus , aut capiti ; vel quale per artem 
Inclusum buxo , aut oricia terebintho, 


236 ENEIDE 


Sovra al collo di latte il biondo crine 
Avea disteso, e d’ oro un lento nastro 
Cli facea sotto e fregio insieme e nodo. 215 
Ismaro , e tu fra sì famosa gente 
Con l’ arco saettar ferite e tosco 
Fosti veduto, generosa pianta 
Del Meonio paese, ove fecondi 
Sono i campi di biade, e i fiumi d’oro. 220 
Memmo v'era ancor egli, a cui la fuga 
Dianzi di. Turno avea gloria acquistata, 
Ond' era fino al ciel sublime e chiaro. 
Eravi Capi, onde poi Capua il nome 
E l origine ha presa. Avean costoro 225 
Tra lor diviso il carico e ’l periglio 
Di sì dura battaglia. E ’n questo mentre 
Solcava Enea di mezza notte il mare. 
Egli, poiché d’ Evandro ebbe lasciato 


Lucet ebur; fusos cervix cui lactea crines 

Accipit; et molli subnectens circulus auro. 

Te quoque magnanimae viderunt , Ismare, gentes È 

Vulnera dirigere , et calamos armare veneno, 140f 

Maeonia generose domo : ubi pinguia culta : 

Exercentque viri , Pactolusque irrigat auro. 

Adfuit et Mnestheus , quem pulsi pristina Turni 

Aggere murorum sublimem gloria tollit ; 

Et Capys : hinc nomen campana e ducitur urbi . 14 
Jlli inter sese duri certamina belli 

Contulerant: media /Eneas freta nocte secabat ;. 







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LIBRO DECIMO 235 


L' amico albergo, e che nel campo giunse 230 

De' Toschi, al tosco rege appresentossi . 

E con lui ristringendosi il suo nome, 

Il suo legnaggio, la sua patria, in somma 

Chi fosse, che chiedesse, che portasse 

Gli espose; e qual-Mezenzio appoggio avesse, 235 

E l'orgoglio di Turno, e l'apparecchio 

E l'incostanza de l’ umane cose 

Gli pose avanti. A le ragioni aggiunse 

Esempi e preci sì, ch’ immantinente 

Tarconte acconsentì. Strinser la lega, 240 

Unir le forze, ed apprestàr le genti 

In un momento. Di straniero duce 

Provvisti i Lidi, e già dal Fato sciolti 

Salir sovra l’armata. E pria di tutti 

Uscio d' Enea la capitana avanti. 249 
Questa avea: sotto al suo rostro dipinti, 

Quai sotto al carro de la madre Idea, 


Namque , ut ab Evandro castris ingressus etruscis, 
Regem adit, et regi memorat nomenque genusque ; 
Quidve petat , quidee ipse ferat ; Mezentius arma 
Quae sibi conciliet , violentaque pectora Turni 
Edocet ; humanis quae sit fiducia rebus 

Admonet, immiscetque preces. Haud fit mora; Tarcho 
. Iungit opes, foedusque ferit : tum libera fati 
Classem conscendit iussis gens lydia Divim, 155 
Externo commissa duci. /Eneia puppis 

Prima tenet, rostro phrygios subiuncta leones: 


238 ENEIDE 


Due che '1 legno traean frigii leoni, 

E d'Ida gli pendea di sopra il monte, 

Amaro suo disio, dolce ricordo 250 

Del patrio nido. In su la poppa assiso 

Stava il Duce Troiano; e da sinistra 

Avea d'Evandro il figlio, che tra via 

L/ interrogava or del viaggio stesso 

E de le stelle, ed or de glialtri suoi 255 

O per terra o per mar passati affanni. 
Apritemi Elicona, alme Sorelle, 

E cantate con me che gente e quanta 

D'Etruria Enea seguisse, e di che parte, 

E con qual’ armi, e come il mar solcasse. 260 
Massico il primo in su la Tigre imposto 

Avea di mille giovani un drappello, 

Che di Chiusi e di Cosa eran venuti 

Con l'arco in mano e con saette a’ fianchi . 


Imminet Ida super, profugis gratissima Teucris. 

Hic magnus sedet /Eeneas, secumque volutat 

Eventus belli varios; Pallasque sinistro 160 

A4ffxus lateri iam quaerit sidera, opacae 

Noctis iter , iam quae passus terraque marique . 
Pandite nunc Helicona, Deae, cantusque movete; 

Quae manus interea tuscis comitetur ab oris 

4Enean , armetque rates, pelagoque vehatur. 165 
Massicus aerata princeps secat aequora Tigri, 

Sub quo mille manus iuvenum, qui moenia Clusi, 

Quique urbem liquere Cosas, queis tela, sagittae, 








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LIBRO DECIMO 239 


Appresso a lui seguendo il torvo Abante 265 
Sotto l'insegna del dorato Apollo 

Seicento n’ imbarcò di Populonia , 

Trecento d' Elba , in cui ferrigna vena 

Abbonda sì che n'erano ancor essi 

Dal capo a i piè tutti di ferro armati. 270 
Asila il terzo, sacerdote e mago 

Che di fibre e di fulmini e d' uccegli 

E di stelle era interprete e ’ndovino, 

Mille ne conducea, ch’ un’ ordinanza 
Facean tutta di picche; e tutti a Pisa 279 
Eran soggetti, a la novella Pisa 

Che, già figlia d’ Alféo, d’ Arno ora è sposa. 
Asture, ardito cavaliero e- bello , 
. E con bell armi di color diverse , 


Corytique leves humeris, et letifer arcus. 

Una torvus Abas: huic totum insignibus armis 170 
Agmen, et aurato fulgebat Apolline puppis . | 
Sexcentos illi dederat Populonia mater 

Expertos belli iuvenes: ast Ilva trecentos 

Insula, inexhaustis Chalybum generosa metallis . 
Tertius, ille hominum Divimque interpres Asylas, 
Cui pecudum fibrae, caeli cui sidera parent, 

Et linguae volucrum , et praesagi fulminis ignes , 
Mille rapit densos acie atque horrentibus hastis. 
Hos parere iubent alpheae ab origine Pisae : 

Urbs etrusca solo. Sequitur pulcherrimus Astur, 
dstur equo fidens et versicoloribus armis. 


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249 ENEIDE 


Vien. dopo questi con trecento appresso 280 
Di varii lochi, ma d'un solo amore - 
Accesi a seguitarlo. Eran mandati 

Da Cerete e da i campi di Mignone, 
Da i Pirgi antichi e da l' aperte spiagge 
De la non salutifera Gravisca. 285 
Di te non taceró , Cigno gentile, 

Di Cupavo dicendo, ancor che poche 

Fosser le genti sue. Questi di Cigno 

Era figliuolo, onde ne l’ elmo avea 

De le sue penne un candido cimiero 290 
In memoria del padre, e de la nuova 

Forma in ch'ei si cangiò, tua colpa, Amore. 
Ché de l’ amor di Faetonte acceso, 

Come si dice, mentre che piangendo 

Stava la morte sua, mentre ch’ a l'ombra 299 
De le pioppe, che pria gli eran sorelle, 
Sfogava con la Musa il suo dolore; 


Tercentum adiciunt , mens omnibus una sequendi, 
Qui Caerete domo, qui sunt Minionis in arvis, 
Et Pyrgi veteres, intempestaeque Graviscae . 

Non ego te, Ligurum ductor fortissime bello, 185 

T'ransierim, Cinyra, et paucis comitate Cupavo, 
Cuius olorinae surgunt de vertice pennae: 
(Crimen amor vestrum, formaeque insigne paternae. ) 
Namque ferunt, luctu Cycnum Phaethontis amati, 
Populeas inter frondes, umbramque sororum 199 
Dum canit, et inoestiun Musa solatur amorem, 


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LIBRO DECIMO 24t 


Fatto cantando già canuto e véglio 
Iu augel si converse, e con la voce 
E con l'ali da terra al cielo alzossi. 300 
Il suo figlio co' suoi portava un legno 
A cui sotto la prora e sopra l onde 
Stava un centauro minaccioso e torvo, 
Che con le braccia e con un sasso in alto. 
Sembrava di ferirle, e via correndo  . — 305 
Col petto le facea spumose e bianche. . 
Ocno poscia venia, del tosco. fiume 
E di Manto indovina il chiaro figlio, 
Che te, mia patria, ‘eresse,.e che del nome 
De la gran madre sua Mantua ti disse; 310 
Mantua d' alto legnaggio, illustre e ricca, 
E non d'un sangue. Tre le genti sono, 
E de le tre ciascuna a quattro impera, 
Di cui tutte ella è capo, e tutte insieme 


Canentem molli pluma duxisse senectam, 
Linquentem terras, et sidera voce sequentem. 
| Filius, aequales comitatus classe catervas, 


Ingentem remis Centaurum promovet: ille 195 
Instat aquae, saxumque undis immane minatur 
Arduus, et longa sulcat maria alta carina. 


lile etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris, 


Fatidicae Mantus, et tusci filius amnis, 
Qui Muros, matr isque dedit tibi, Mantua, nomen, 


Mantua «lives avis: sed non genus omnibus unum. 
Gens illi triplex, populi sub gente quaterni: 
Eneide 7o. 11 | Ji 


242 ENEIDE 


Son con le forze de l Etruria unite. 315 
Quinci ne fur coutro Mezenzio armati 
Cinquecento altri; e Mincio un figlio altero 
Del gran Bénaco fu che gli condusse 
Di verdi canne inghirlandato il fronte. 
Giva il superbo Aulete con un legno 320 
Di cento travi il mar solcando in guisa 
Che spumante il facea, sonoro e crespo. 
Premea le spalle d'un Tritone immane 
Che con la cava sua cerulea conca 
Tremar si facea l' acqua e i liti intorno. 325 
Dal mezzo in su, la fronte ispido e | mento 
Sembra d' umana forma; e ’1 ventre in pesce 
Gli si ristringe, e col ferino petto 
Fende il mar sì che rumoreggia e spuma. 
Da questi eletti eroi con queste genti 330 
Eran | onde tirrene allor solcate 


Ipsa caput populis; tusco de sanguine vires. 

Hinc quoque quingentos in se Mezentius armat, 
Quos patre Benaco velatus arundine glauca 20) 
Mincius infesta ducebat in aequora pinu. 

It gravis Auletes, centenaque arbore fluctum 
Verberat assurgens: spumant vada marmore verso. 
Hunc vehit immanis Triton , et caerula concha 
Exterrens freta: cui laterum tenus hispida nanti 
Frons hominem praefert, in pristim desinit alvus; 
Spumea semifero sub pectore murmurat unda. 
Tot lecti proceres ter denis navibus ibant 


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LIBRO DECIMO 243 


In sussidio di Troia. E già dal cielo 

Caduto il giorno, era de l' erta in cima 

La vaga Luna, quando il Frigio Duce 

Or al timone, or a la vela intento 33 
Co suoi pensier vegliava. Ed ecco avanti 
Nuotando gli si fa di Ninfe un coro, 

Di lui prima compagne, e quelle stesse 

Che, già sue navi, da Cibele in Ninfe 

Furon converse, e Dee fatte del mare. 3 {0 
Tante in frotta ne gian per l’ onde a nuoto 
Quante eran navi in prima. li di lontano 
Riconosciuto il re, danzando in cerchio 

Gli si strinsero intorno. Una fra l altre 

La più di tutte accorta parlatrice, 349 
Cimodocèa , la sua nave seguendo, 

Con la destra a la poppa, e con la manca 


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Subsidio Troiae, et campos salis aere secabant. 
Jamque dies caelo concesserat, almaque curru 215 
Noctivago Phoebe medium pulsabat Olympum. 
neas ( neque enim membris dat cura quietem ) 
Ipse sedens, clavumque regit, velisque ministrat. 
4tque illi medio in spatio chorus ecce suarum 
Occurrit comitum: Nymphae, quas alma Cybele 220 
Numen habere maris, Nymphasque e navibus esse 
Jusserat, innabant pariter, fluctusque secabant, 
Quot prius aeratae steterant ad litora prorae. 
Agnoscunt longe regem, lustrantque choreis. 
Quarum, quae fandi doctissima, Cymodocea, ^ 235 


244 ENEIDE 


Tacita remigando, il capo e ’1 dorso 
Solo a galla tenendo, d’ improvviso 
Così gli disse: Enea stirpe divina, 350 
Vegli ta ? Veglia: il fune allenta, e ’1 seno 
Apri a le vele tue. De la tua classe 
Noi fummo i legni e de la selva Idea, 
E siamo or Ninfe. I Rutuli col foco 
N' hanno e col ferro dipartite e spinte 355 
Da' tuoi nostro mal grado. Or te cercando 
Siam qui venute. Per pietà di noi 
La Berecinzia Madre in questa forma 
N° ha del mar fatte abitatrici e Dee. 
Ma "1 tuo fanciullo Iulo in mezzo a l' armi 360 
Si sta cinto di fossa e di muraglia 
Da' feroci Latini assediato. 
I tuoi cavalli e gli Arcadi e gli Etrusci 


Pone sequens dextra puppim tenet, ipsaque dorso 
Eminet, ac laeya tacitis subremigat undis. 

Tum sic ignarum alloquitur: Vigilasne Dem gens, 
nea? vigila, et velis immitte rudentes. 

Nos sumus idaeae sacro de vertice pinus, 230 
Nunc pelagi Nymphae, classis tua. Perfidus ut nos 
Praecipites ferro Rutulus flammaque premebat; 
Rupimus invitae tua vincula, teque per aequor 
Quaerimus: hanc genitrix faciem miserata refecit, 
Et dedit esse Deas, aevumque agitare sub undis. 235 
At puer Ascanius muro fossisque tenetur 

Tela inter media atque horrentes Marte Latinos, 


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LIBRO DECIMO . 2] 


Unitamente han di già preso il loco 
Comandato da te. Turno disegna 365 
Co’ suoi d' attraversarli, e porsi in mezzo 
Tra'] campo e loro. Or via naviga, approda; 
Sorgi tu pria che '] sole, e sii tu '1 primo 
Ad ordinar le tue genti a battaglia. 
Prendi l’invitto e luminoso scudo 370 
Da Vulcan fabbricato e d' àr commesso, 
Ché diman, se mi eredi, alta e famosa 
Farai tu strage de’ nemici tuoi 

Ciò disse, e come esperta al legna in poppa. 
"Tal dié pinta al partir, che più veloce 375 
Corse che dardo. © stral che "| vento adegwi. 
Dietro gli altri affrettàr sì che stupore 
N’ebbe d' Anchise il Figlio. E rineorato 


Jam loca iussa tenent forti permixtus Etrusco 
Arcas eques. Medias illis opponere turmas, 

Ne castris iungant, certa est sententia Turno. 240 
Surge age, et aurora socios veniente vocari 

Primus in arma iube, et clypeumcape, quem dedit ipse 
Invictum ignipotens, atque oras ambüt auro. 
Crastina lux, mea si non irrita dicta putaris 
Ingentes rutulae spectabit caedis acervos. 245 
Dixerat: et dextra discedens impulit altam, 

Haud ignara modi, puppim. Fugit illa per undas 
Ocior et iaculo et ventos aequante sagitta. 

Inde aliae celerant cursus. Stupet inscius ipse 

. Tros anchisiades: animos tamen omine tollit. 250 


4 


246 ENEIDE 


Da sì felice annunzio, al cielo orando 
Divotamente si rivolse, e disse: 38o 
Alma Dea de gli Dei gran genitrice , 
Di Dindimo regina, che di torri 
Vai coronata e "n su leoni assisa, 
Te per mia duce a questa pugna invoco. 
Tu rendi questo augurio e questo giorno, — 385 - 
Ti priego, a i Frigi tuoi propizio e lieto. 
Questo sol disse; e luminoso intanto 
Si fece il mondo. Ei primamente impose 
Che ratto al segno suo ciascun ne gisse, 
Ch' ognun s'armasse , ognuno a la battaglia 390 
Si disponesse. E già venuto a vista 
De' Rutuli e de' Teucri, alto levossi 
In su la poppa; s' imbracció lo scudo, 
E lo vibró si ch' ambedue raggiando 
‘ Empié di luce e di baleni i campi 395 


T'um breviter supera adspectans convexa precatur: 
Alma parens idaea Dem, cui Dindyma cordi, 
Turrigeraeque urbes, biiug ique ad frena leones; 
Tu mihi nunc pugnae princeps, tu rite propinques 
Augurium,Phrygibusque adsis pede, Diva, secundo. 
Tantum effatus: et interea revoluta ruebat 256 
Matura iam luce dies, noctemque fugarat. 

Principio sociis edicit, signa sequantur, 
Atque animos aptent armis, pugnaeque parent se. 

Jamque in conspectu T'eucros habet, et sua castra, 
Stans celsa in puppi: clypeum quum deinde sinistra 


LIBRO DECIMO 247 


Di su le mura la dardania gente 

Gioiosa infino al ciel le grida alzaro; 

E sopraggiunta la speranza a l' ira: 

A trar di nuovo e saettar si diero 

Con un rumor, qual sotto l' atre nubi 4oo 

Nel dar segno di nembi e nel fuggirli 

Fan le strimonie gru schiamazzo e rombo. 
Mentre ció Turno e gli altri Ausonii duci 

Stavan meravigliando, ecco a la riva 

Si fa pien d' armi e di navilii il mare, 405 

Enea di cima al capo e de la cresta 

Del fin elmo spargea lampi e scintille 

D' ardente fiamma; e gran lustri e gran fochi 

Raggiava de lo scudo il colmo e l' oro, 

Come ne la serena umida notte 410 

La lugubre e mortifera cometa 

Sembra che sangue avventi; o ’l sirio cane, 


Extulit ardentem. Clamorem ad sidera tollunt 
Dardanidae e muris: spes addita suscitat iras. 

Tela manu iaciunt: quales sub nubibus atris 
Strymoniae dant signa grues, atque aethera tranant 
Cum sonitu, fugiuntque Notos clamore secundo. 

At rutulo regi, ducibusque ea mira videri 

Ausoniis; donec versas ad litora puppes 

Respiciunt, totumque allabi classibus aequor. 

Ardet apex capiti, cristisque a vertice flamma 270 
Funditur, et vastos umbo vomit aureus ignes: 

Non secus ac liquida si quando nocte cometae 


248 ENEIDE 


Quando nascendo a’ miseri mortali 

Ardore e sete e pestilenza apporta, 

E col funesto lume il ciel contrista. 415 
Non men per questo ba Turno ardire, e speme 

D' occupar prima il lito, e da la terra 

Ributtare i nemici. Egli, animando 

E riprendendo la sua gente, avanti 

Si spinge a tutti, e grida: Ecco adempito 420 

Vostro maggior disío. Più non vi sono 

Le mura in mezzo. In voi, ne le man vostre 

La pugna e Marte e la vittoria è posta. 

Or qui de la sua donna, de' suoi figli, 

De la sua casa si rammenti ognuno : 425 

Ognun d’avanti si proponga i fatti 

E le lodi de’ padri. Andiam noi prima 

A rincontrargli, infin che l'onda e ’1 moto 

Ce gli rende del mar non fermi ancora. 


Sanguinei lugubre rubent, aut sirius ardor: 

Ille sitim morbosque ferens mortalibus aegris 
Nascitur, et laevo contristat lumine caelum. — 275 
Haud tamen audaci Turno fiducia cessit 

Litora praecipere , et. venientes pellere terra. 

* Ultro ani mos tollit dictis, atque increpat ultro. * 
Quod votis optastis, adest, perfringere dextra: 

In manibus Mars ipse , viri. Nunc coniugis esto 280 
Quisque suae tect ique memor: nunc magna referto 
Facta patrum, laudes. Ultro occurramus ad undam, 
Dum trepidi, egressisque labant vestigia prima. 


LIBRO DECIMO 249 


Via, ch’ agli arditi è la Fortuna amica. 430 
Detto così, va divisando come 
Parte lor contra ue conduca, e parte 
A Y assedio ne lasci. Intanto Enea 
Per disbarcare i suoi, le scafe e i ponti 
Avea già presti. E.di lor molti attenti 435 
Al ritorno de’ flutti con un salto 
. Si Janciarono in secco; e chi co' remi 
Chi con le travi ne l' arena usciro. 
Tarconte, poi ch'ebbe la riva tutta 
Ben adocchiata , non là dove il vado 410 
Disperava del tutto, o: dove l’onda 
Mormorando frangea , ma dove cheta 
E senza intoppo avea corso e ricorso , 
Voltó le prore; e, Via, disse, compagni, 
Via, gente eletta, ite con tutti i remi 419 
Di tutta forza, e sì pingete i legni 


Audentes fortuna iuvat. 

Haec ait, et secum versat, quos ducere contra, 285 

Vel quibus obsessos possit concredere muros. 
Interea Eneas socios de puppibus altis 

Pontibus exponit. Multi servare recursus 

Languentis pelagi, et brevibus se credere saltu: 

Per remos alii. Speculatus litora Tarchon, 200 

Qua vada non spirant, nec fracta remurmurat unda, 

Sed mare inoffensum crescenti allabitur aestu: 

Advertit subito proras, sociosque precatur; 

Nune, o lecta manus, validis incumbite remis; 


Eneide 77ol. II 3a 


250 ENEIDE 


Che si faccian da lor canale e stazzo: 
Dividete co'rostri e con le prore 
Questa nemica terra; in questa terra 
Mi gittate una volta, e che che sia 450 
Segua poi del navile. A questo pregio 
Non curo del suo danno: afferri, e pera. 
Al detto di Tarconte alto in su’ remi 
Levàrsi; e si co'rostri a'liti urtaro, 
Ch’ empiér di spuma il mar, di sabbia i campi; 455 
E i legni tutti ne l'asciutto infissi 
Fermàrsi interi. Ma non già, Tarconte, 
Il legno tuo, che d' una ascosa falda 
Ebbe di sasso in approdando intoppo; 
Dal cui dorso inchinato, e dal mareggio 460 
Lungamente battuto, al fin del tutto 
Aperto e sconquassato, in mezzo a l’ onde 
Le genti espose; e ’1 peso e l'imbarazzo 


Tollite, ferte rates; inimicam findite rostris — 295 
Hanc terram, sulcumque sibi premat ipsa carina. 
F'rangere nec tali puppim statione recuso; 
Arrepta tellure semel. Quae talia postquam 

Effatus Tarchon , socii consurgere tonsis , 
Spumantesque rates arvis inferre latinis: 300 
Donec rostra tenent siccum , et sedere carinae 
Omnes innocuae. Sed non puppis tua, Tarchon: 
Namque inflicta vadis, dorso dum pendet iniquo, 
Anceps, sustentata diu, fluctusque fatigat, 
Solvitur, atque viros mediis exponit in undis: 305 


LIBRO DECIMO 251 


De l' armi, e gli armamenti infranti e sparsi 
Del rotto, legno, e’l flutto che rediva 465 
Le tennero impedite e risospinte. 

Turno le schiere sue rapidamente 
Al mar condusse, e tutte in ordinanza 
Su ’l lito incontro a’ Teucri le dispose. 
Dieron le trombe il segno. Il Troian Duce 470 
Fu che prima assalì le torme agresti , 
E si fe’ con la strage de’ Latini 
E con la morte di Terone in prima 
Augurio a la vittoria. Era. Terone 
Un di corpo maggior de gli altri tutti; 479 
E tanto ebbe d'ardir che da sé stesso 
Incontr Enea si mosse. Enea col brando 
Tal un colpo gli trasse, che lo scudo, 
Benchè ferrato , e la corazza e l fianco — 
Forògli insieme. Indi avventossi a Lica 430 
Che da l'aperte viscere fu tratto 


Fragmina remorum quos et fluitantia transtra 

Impediunt, retrahitque pedem simul unda relabens. 
Nec Turnum segnis retinet mora; sed rapit acer 

Totam aciem in Teucros, et contra in litore sistit. 

Signa canunt. Primus turmas invasit agrestes 310 

"Eneas, omen pugnae, stravitque Latinos, 

Occiso T'herone, virum qui maximus ultro 

4Eneam petit: huic gladio perque aerea scuta, 

Per tunicam squalentem auro, latus haurit apertum. 

Inde Lychan ferit, exsectum iam matre peremta, 315 


nba ENEIDE 


De la già morta madre, e pargoletto, 
Preservato dal ferro, a te fu sacro,. 
Febo, padre di luce; ed or morendo 
Vittima cadde a Marte. Uccise appresso 485 
Cisso feroce , e Gia di corpo immane, 
Ch’ ambi di mazze armati ivan le schiere 
De’ suoi Teucri atterrando. E lor non. valse 
Né d' Ercole aver l’armi né le braccia 
D' erculea forza, né che già Melampo 490 
Lor padre in compagnia d' Ercole fosse 
Allor che de la terra a soffrir ebbe 
I duri affanni. A Faro un dardo trasse 
Mentre gridando e millantando incontra 
Gli si facea. Colpillo in bocca a punto, 499 
Sì che la chiuse e l’acchetò per sempre. 
E tu, Cidon, per le sue mani estinto 
Misero! giaceresti a Clizio appresso 


Et tibi, Phoebe, sacrum, casus evadere ferri 
Quod licuit parvo. Nec longe, Cissea durum, 
Immanemque Gyan, sternentes agmina clava, 
Deiecit leto: nihil illos Herculis arma, 

Nec validae iuvere manus, genitorque Melampus, 
Alcidae comes, usque graves quum terra labores 
Praebuit. Ecce Pharo, voces dum iactat inertes, 
Intorquens iaculum clamanti sistit in ore. 

Tu quoque, flaventem prima lanugine malas 
Dum sequeris Clytium infelix, nova gaudia, Cydon; 
Dardania stratus dextra, securus amorum, 


LIBRO DECIMO 253 


Tuo novo ‘amore, a cui de’ primi fiori | 
Eran le guance colorite a pena; 900 
Né piü stato saresti esca a gli amori 

De’ suoi simfli, onde mai sempre ardevi; 

Se non che de’ fratelli ebbe una schiera 
Subitamente addosso. Eran costoro 

Sette figli di Forco, e sette dardi 505 
Gli avventaro in un tempo. Altri de’ quali 

Da l' elmo e da lo scudo risospinti, 

Altri furon da Venere sbattuti 

Sì ch'o vani, o leggeri il corpo a pena 

Leccàr passando. In questa Enea rivolto, 510 
Dammi, disse ad Acate, de' gl’ intrisi 

Nel sangue greco, e sotto Ilio provati; 

E non fia colpo in fallo. Una grand’ asta 

Gli porse Acate in prima, ed ei la trasse 

Sì che volando ne lo scudo aggiunse 515 
Di Méone, e la piastra ond’ era cinto 


Qui iuvenum tibi semper erant, miserande, iaceres: 
Ni fratrum stipata cohors foret obvia, Phorci 
Progenies, septem numero, septenaque tela 
Coniiciunt: partim galea clypeoque resultant — 330 
Irrita; deflexit partim stringentia corpus 

Alma Venus. Fidum Eneas affatur Achaten: 
Suggere tela mihi, non ullum dextera frustra 

+ Torserit in Rutulos,steterunt quaein corpore Graium 
Iliacis campis. Tum magnam corripit hastam, 335 
Et iacit. Illa volans clypei transverberat aera 


254 ENEIDE 


E la corazza e ’l petto gli trafisse. 
Alcanor suo fratello nel cadere, 
Mentre le braccia al tergo gli puntella, 
L'asta nel trapassare, il suo tenore 
Continuando , insanguinata e calda 
La destra gli confisse; e da le spalle 
Pendé del frate, infin che l'un già morto, 
E l’altro moribondo, a terra stesi 
Giacquero entrambi. Numitóre il terzo 525 
Da questo sconficcandola e da quello, 
Lanciolla incontro Enea. Di ferir Jui 
Non gli successe, ma del grande Acate 
Graffiò la coscia lievemente, e scorse. 

Clauso, il Sabino, ardito e poderoso 530 
Qui si mostrò con una picca in mano 
E Driope investì nel primo incontro. 
Glie n’ appuntò nel gorgozzule, e pinse 


Ct 


‘420 


Maeonis, et thoraca simul cum pectore rumpit. 
Huic frater subit Alcanor, fratremque ruentem 
Sustentat dextra: traiecto missa lacerto 

Protinus hasta fugit, servatque cruenta tenorem; 
Dexteraque ex humero nervis moribunda pependit. 
Tum Numitor, iaculo fratris de corpore rapto, 
"Enean petiit; sed non et figere contra 

Est licitum; magnique femur perstrinxit Achatae. 
Hic Curibus, fidens primaevo corpore, Clausus 349 
Advenit, et rigida Dryopen ferit eminus hasta 
Sub mentum, graviter pressa; pariterque loquentis 


LIBRO DECIMO 255 


Tanto che la parola e ’l fiato e l’ alma 

In un gli tolse. Ed ei cadde boccone, 535 
E per bocca gitió di sangue un fiume. 

Cacciossi avanti, e tre di Tracia appresso 

De la gente di Borea, e tre de’ figli 

D’ Idante, alunni d’Ismara e di Troia, 

In variate guise a terra stese. 540 
Venne a rincontro Aleso, e de gli Aurunci 

Un' ordinanza. Di Nettuno il figlio 

Messapo i suoi cavalli avanti spinse, 

Ed or questi sforzandosi, ed or quelli 

Di cacciare i nemici, in su l' entrata 545 
Si combattea d’Italia. E quai tra loro 

S' azzuffano a le volte avversi, e pari 

Di contesa e di forza in aria i vénti, 

Che né lor, né le nugole, né | mare , 
Ceder si vede, e lungamente incerta 550 


Vocem animamque rapit, traiecto gutture: at ille 
Fronte ferit terram, et crassum vomit ore cruorem. 
T'res quoque threicios Boreae de gente suprema, 350 
Et tres, quos Idas pater, et patria Ismara mitgit, 

Per varios sternit casus. Accurrit Halesus, | 
Auruncaeque manus: subit et neptunia proles, 
Insignis Messapus equis. Expellere tendunt 

Nunc hi, nunc illi: certatur limine in ipso 355 
Ausoniae. Magno discordes aethere venti 

Praelia ceu tollunt, animis et viribus aequis: 

Non ipsi inter se, non nubila, non mare cedunt: 


256 ENEIDE 


Sì la mischia travaglia, ch’ ogni cosa 
. D' ogni parte tumultua e contrasta ; 
Tale appunto de’ Rutuli e de’ Teucri 
Era la pugua, e sì fiera e si stretta 
Che giunte si vedean l' armi con l'armi, — 555 
E le man con le mani, e i pie co' piedi. 
D'altra parte ove rapido e torrente 
Avea il fiume travolti arbori e sassi, 
Da loco malagevole impediti 
Gli arcadi cavalieri a pié smontaro. 560 
E ne' pedestri assalti ancor non usi, 
Da' Latini incalzati , avean le terga 
Già volte a Lazio, quando ( quel che s' usa 
In sì duri partiti) a lor rivolto 
Pallante, or con preghiere, or con rampogne, 565 
Ah compagni, ah fratelli, iva gridando, 
Dove fuggite? Per onor di vai, 


Anceps pugna diu; stant obnixi omnia contra. 
Haud aliter troianae acies, aciesque latinae 360 
° Concurrunt: haeret pede pes, densusque viro vir. 
At partegex alia, qua saxa rotantia late 
Impulerat torrens arbustaque diruta ripis, 
Arcadas, insuetos acies inferre pedestres, 
Ut vidit Pallas Latio dare terga sequaci; 365 
Aspera queis natura loci dimittere quando 
Suasit equos; unum quod rebus restat eg enis, 
Nunc prece, nunc dictis virtutem accendit amaris: 
Quo fugitis, socii? per vos et fortia facta, 


LIBRO DECIMO 257 


Per la memoria di tant’ altri vostri 
Egregi fatti, per l’ egregia fama, 


Per le vittorie del gran duce. Evandro, 970 


E per la speme che di me concetta 
A la paterna lode emula avete, 

Non ponete ne’ piè vostra fidanza. 
Col ferro aprir la strada ne conviene 


Per mezzo di color che là vedete, 555 


Che più folti n'incalzano e più feri. 
Per là comanda l' alta patria nostra 
Che voi meco n'andiate. E di lor nullo 
È che sia Dio: son uomini ancor essi 


Come siam noi; e noi.com'essi avemo 580 


Il cor, le mani e l'armi. E dove, dove 
Vi salverete? Non vedete il mare 

Che v'é d'avanti, e che la terra manca 
Al fuggir vostro? E se per l'onde ancora 


Fuggiste, alfin dove n'andrete? a Troia? 58 


Qt 


Per ducis Evandri nomen, devictaque bella, 370 
Spemque meam, patriae quae nuncsubitaemula laudi, 


Fidite ne pedibus. Ferro rumpenda per hostes 
Est via, qua globus ille virum densissimus urget: 
Hac vos et Pallanta ducem patria alta reposcit. 
Numina nulla premunt: mortali urgemur ab hoste 
Mortales : totidem nobis animaeque manusque. 
Ecce maris magna claudit nos obiice pontus, 
Deest iam terra fugae:pelagus Troiamne petemus? 
Haec ait, et medius densos prorumpit in hostes. 
Eneide /ol. 74 33 





258 ENEIDE 


E, così detto, in mezzo de più densi 
E de’ più formidabili nemici 
Anzi a tutti avventossi. E Lago il primo 
Per sua disavventura gli s° oppose. 
Stava costui chinato, e per ferirlo 590 
Divelto avea di terra un gran macigno, 
Quando lo sopraggiunse, e ne la schiena 
Tra costa e costa il suo dardo piantógli ; 
Si che tirando e dimenando a pena 
Ne lo ritrasse. Isbon , di Lago amico, 599 
Mentr' egli in ciò s'occüpa, ebbe speranza 
Di vendicarlo, e 'ncontra gli si mosse. 
Ma non gli riuscì; ché mentre incauto, 
Dal dolor trasportato e da lo sdegno 
Del suo morto compagno, infuriava, Goo 
Ne la spada del giovine infilzossi 
Da l'un de' fianchi: onde trafitto e smunto 
Ne fu di sangue il cor, d'ira il polmone. 
Poscia Stenelo uccise; uccise appresso 


Obvius huic primum, fatis adductus iniquis, —— 380 
F'it Lagus; hunc, magno vellit dum pondere saxum, 
Intorto figit telo, discrimina costis 

Per medium qua spina dedit, hastamque receptat 
Ossibus haerentem. Quem non super occupat Hisbo, 
Ille quidem hoc sperans; nam Pallas ante ruentem, 
Dum furit, incautum crudeli morte sodalis, 
Excipit, atque ensem tumido in pulmone recondit. 
Hinc Sthenelum petit, et Rhoeti de gente vetusta 


LIBRO DECIMO 220 


Anchemolo. Costui fu de l’ antica 605 
Stirpe di Reto, incestuoso amante 

Di sua matrigna. E voi, Laride e Timbro, 
Figli di Dauco, ambi d'un parto nati, 

Per le sue man cadeste. Eran costoro 

Sì l'un del tutto a l’altro somigliante, Gio 
Che dal padre indistinti e da la madre 

Facean lor grato errore e dolce inganno. 

Sol or Pallante (ahi! troppo duramente) 

Vi fe’ diversi: ch’ a te ’l capo netto, 

Timbro, recise; a te, Laride, in terra 615 
Mandò la destra. E questa anche guizzando 

Te per suo riconobbe, e con le dita 

Strinse il tuo ferro, e’l brancicò più volte. 

Gli Arcadi da’ conforti e da le prove 

Accesi di Pallante, e per dolore 620 
E per vergogna di furor s'armaro 

Contra i nemici. Seguitò Pallante; 


Anchemolum, thalamos ausum incestare novercae. 
Vos etiam gemini rutulis cecidistis in arvis, 390 
Daucia, Laride Thymberque, simillima proles, 
Indiscreta suis, gratusque parentibus error; 

At nunc dura dedit vobis discrimina Pallas: 

Nam tibi, Thymbre, caput evandrius abstulit ensis: 
Te decisa suum, Laride, dextera quaerit, 395 
Semanimesque micant digiti, ferrumqueretractant. 

Arcadas accensos monitu, et praeclara tuentes 
F'acta viri, mixtus dolor et pudor armat in hostes. 


260 ENEIDE 


Ed a Retéo ch'era fuggendo in volta 
Sopra una biga, nel passargli a canto 
Trasse d' un' asta: e tanto Ilo d' indugio 625 
Ebbe a la morte sua, ch’ ad Ilo indritto 
Era quel colpo in prima. Ma Retéo 
Venne di mezzo, e ricevello in vece 
D'altri colpi, che dietro minacciando 
Gli venian Teucro e Tiro i duo buon frati, 630 
Che gli eran sopra. Traboccó dal carro 
Mezzo tra vivo: e morto, e calcitrando 
De’ Rutuli batté l’ amica terra. 
Come il pastor ne’ dolci estivi giorni 
A lo spirar de' venti il foco accende 635 
In qualche selva: che diversamente 
Lo sparge in prima; e con diversi incendi 
Subito di Vulcan ne va la schiera 
Ciò ch’ è di mezzo divorando in guisa 


Tum Pallas biiugis fugientem Rhoetea praeter 
T'raücit. Hoc spatium tantumque morae fuit Ilo: 
llo namque procul validam direxerat hastam: 
Quam medius Rhoeteus intercipit, optime Teuthra, 
Te fugiens, fratremque T'yren: curruque volutus 
Caedit semanimis Rutulorum calcibus arva. 

"fc velut optato ventis uestate coortis, 405 
Dispersa immittit silvis incendia pastor; 

Correptis subito mediis, extenditur una 

Horrida per latos acies vulcania campos: 

Jlle sedens victor flammas despectat ovantes. 


LIBRO DECIMO 2061 


Cl’ un sol diventa; ed ei stassi in disparte 640 
De] fatto altero, e. di veder gioioso 

La vincitrice fiamma, e l'arso bosco: 

Cosi "1 valor de gli Arcadi ristretto 

Per soccorrer Pallante insieme unissi. 

Ma ’1 bellicoso Alèso incontro a loro 645 
Si ristrinse ancor ei con l'armi sue, 

E Ladone e Demódoco e Fereto 

Uccise in prima. Indi a Strimonio un colpo 
Trasse di spada che la destra mano, 

Mentre con un pugnal gli era a la gola, 650 
Gli recise di netto. E sì d'un sasso 

Feri Toante in volto, che gl'infranse 

Il teschio tutto, e ne schizzàr col sangue 

L/ ossa e '1 cervello. Era d' Aléso il padre 

Mago e ’ndovino; e del suo figlio il fato — 655 
Avea previsto ; onde gran tempo ascoso 

In una selva il tenne. E non per questo 

Franse il destino; chè già véglio a pena 


Non aliter socium virtus coit omnis in unum, 410 
T'eque iuvat, Palla. Sed bellis acer Halesus 

T'endit in adversos, seque in sua colligit arma. 

Ilic mactat Ladona, Pheretaque, Demodocumque: 
Strymonio dextram fulgenti deripit ense 

Elatam in iugulum; saxo ferit ora Thoantis, 415 
Ossaque dispersit cerebro permixta cruento. 

Fata canens silvis genitor celarat Halesum: 

Ut senior leto canentia lumina solvit, 


262 ENEIDE 


Chiusi ebbe gli occhi, che le Parche addosso 

Gli dier di mano: onde a morir devoto 660 

Fu per l'armi d' Evandro. Incontro a lui 

Mosse Pallante in cotal guisa orando: 

Da’, padre Tebro, a questo dardo indrizzo , 

Fortuna e strada; ond'io nel petto il pianti 

Del duro Aléso: e '1 dardo e le sue spoglie 665 

A te fian poscia in questa quercia appese. 

Udillo il Tebro; e mentre Aléso, aita 

Porgendo ad Imion, lo scudo stende 

Per coprir lui, se stesso discoverse 

Al colpo di Pallante, e morto cadde . 670 
Lauso, che de la pugna era gran parte, 

Visto al cader d'un si degno campione 

Caduta la contesa e l’ ardimento 

De le schiere latine, egli in sua vece 

Tosto avanti si spinse e rinfrancolle. 675 

E prima di sua mano Abante ancise, 

Ch' era di quella zuffa un duro intoppo, 


Iniecere manum Parcae, telisque sacrarunt 
Evandri. Quem sic Pallas petit ante precatus: 420 
Da nunc, Thybri pater, ferro quod missile libro, 
l'ortunam atque viam duri per pectus Halesi. 

Haec arma exsuviasque viri tua quercus habebit. 
Audiit illa Deus: dum texit Imaona Halesus, 
Arcadio infelix telo dat pectus inermum. 425 
At non caede viri tanta perterrita Lausus, 

Pars ingens belli, sinit agmina: primus Abantem 


LIBRO DECIMO 203 


E de nemici il più saldo sostegno. 

Or qui strage si fa d' Arcadi insieme, 

‘E de’ Toschi, e di voi, Troiani intatti 680 
Ancor da’ Greci. E qui d'ambe le parti 
Tutti con tutti ad affrontar si vanno. 
Pari le forze e pari i capitani 
Son d° ambi i lati; e quinci e quindi ardenti 
Si ristringono in guisa che gli estremi 685 
Fanno ancor calca e ’mpedimento a’ primi. 

Da questa parte sta Pallante, e Lauso 
Da quella, i suoi ciascuno inanimando, 
Spingendo e combattendo. E l' un diverso 
Non è molto da l’ altro nè d' etate 690 
Né di bellezza; e parimente il fato 
A ciascuno ha di lor tolto il ritorno 
Ne la sua patria. E non peró tra loro 
S' affrontàr mai; ché "|l Regnator celeste 
Riserbava la morte d' ambedue 695 


Oppositum interimit, pugnae nodumque moramque. 
Sternitur Arcadiae proles; sternuntur Etrusci; 

Et vos, o Graiis imperdita corpora, Teucri. 430 
Agmina concurrunt ducibusque et viribus aequis. 
Extremi addensent acies: nec turba moveri 

Tela manusque sinit. Hinc Pallas instat et urget, 
Hinc contra Lausus, nec multum discrepat aetas, 
Egregü formae, sed queis fortuna negarat 435 
In patriam reditus. Ipsos concurrere passus 

Haud tamen inter se magni regnator Olympi: 


264 ENEIDE 


À nemici maggiori. In questo mezzo 

La Ninfa, che di Turno era sorella, 

Il suo frate avvertisce, che soccorso 

Procuri a Lauso. Ond' ei tosto col carro 

Le schiere attraversando, a’ suoi compagni 700 

Giunto che fu, Via, disse, or non è tempo 

Che voi più combattiate. Io sol ne vado 

Contra Pallante: a me solo è dovuta 

La morte sua: così il suo padre stesso 

V' intervenisse, e spettator ne fosse. 792 
Detto ch' egli ebbe, incontanente i suoi, 

Siccome imposto avea, del campo usciro. 

Pallante , visti i Rutuli ritrarsi, 

E lui sentendo, che con tanto orgoglio 

Lor comandava; poscia che '| conobbe 710 

Lo squadró tutto, e stupido fermossi 

À veder si gran corpo. Indi feroce 


Mox illos sua fata manent maiore sub hoste. 
Interea soror alma monet succurrere Lauso 
Turnum; qui volucri curro medium secat agmen. 
Ut vidit socios: Tempus desistere pugnae: 
Solus ego in Pallanta feror; soli mihi Pallas 
Debetur: cuperem ipse parens spectator adesset. 
Haec ait: et socii cesserunt aequore iusso. 
At, Rutulum abscessu, iuvenis tum iussa superba 
Miratus, stupet in Turno, corpusque per ingens 
Lumina volvit, obitque truci procul omnia visu. 
Talibus et dictis it contra dicta tyranni: 


LIBRO DECIMO 265 


Gli occhi intorno girando, a i detti suoi 

Così rispose: Oggi o d’opime spoglie, 

O di morte onorata il pregio acquisto . q19 
E "| padre mio (tal è d' animo invitto 

Incontr ogni fortuna, o buona o rea. 

Che sia la mia ) ne porrà "1 core in pace. 

Via, che d' altro é mestier che di minacce. 

E, ciò detto, si mosse, e fiero in mezzo 720 
Presentossi del campo . Un gel per l’ossa 

E per le vene a gli Arcadi ne corse, 

E Turno dalla biga con un salto . 

Lanciossi a terra; oh’ assalirlo a piedi ! 
Prese consiglio. E qual fiero leone 72à 
Che, veduto nel. pian da lunge un tora 

Con le corna a battaglia esercitarsi, 

Dal monte si dirupa e rugge e vola, 

Tal fu di Turno la sembianza a punto 

Nel girgli incontro. Il giovine, che meno — 73o 
Avea di forze, s'avvisó di tempo 


"ut spoliis ego iam raptis laudabor opimis, 
Aut leto insigni. Sorti pater aequus utrique est: 450 
T'olle minas. Fatus medium procedit in aequor: 
Frigidus Arcadibus coit in praecordia sanguis. 
Desiluit Turnus biiugis, pedes apparat ire 
Cominus. Utque leo, specula quum vidit ab alta 
Stare procul campis meditantem in praelia taurum, 
Advolat: haud alia est Turni venientis imago. 
Hunc ubi contiguum missae fore credidit hastae, . 
Eneide /ol. II 34 





206 ENEIDE 


Prender vantaggio, e di provare osando 
S'-aver potesse in alcun modo amica 
Almen fortuna; e già ch’ a tiro d' asta 
S' eran vicini, al ciel rivolto dis se: 735 
Ercole, se ti fu del padre mio 
L/ospizio accetto , e la sua mensa a grado, 
Allor che peregrin seco albergasti, 
Dammi, ti prego, a tanta impresa aita 
Sì che Turno egli stesso in chiuder gli occhi 740 
Veggia, e senta morendo ch'a me tocca 
Vincere e spogliar lui d' armi e di vita. 
Udillo Alcide, e per pietà che n’ ebbe 
Nel suo cor se ne dolse e lagrimonne, 
Quantunque indarno. E Giove per conforto 745 
Del figlio suo, così seco ne disse: 
Destinato a ciascuno è ’l giorno suo; 
E breve in tutti e lubrica e fugace 
E non mai reparabile se ’n vola 


Ire prior Pallas, si qua sors adiuvet ausum 

Viribus imparibus; magnumque ita ad aethera fatur : 
. Perpatrishospitium,et mensas quas advena adisti,460 
Te precor, Alcide, coeptis ingentibus adsis: 

Cernat semineci sibi me rapere arma cruenta, 
Victoremque ferant morientia lumina Turni. 
Audiit Alcides iuvenem, magnumque sub imo 

Corde premit gemitum, lacrimasque effudit inanes. 
Tum genitor natum dictis affatur amicis: 

Stat sua cuique dies: breve et irreparabile tempus 


LIBRO DECIMO 267 


L’ umana vita. Sol per fama è dato 790 
A gli uomini, che sian vivaci e chiari | 
Pià lungamente. Ma virtute é quella 
Che gli fa tali. E non per questo alcuno 
E che non muoia. E quanti ne moriro 
Sotto il grand’ Ilio, ch’ eran nati in terra — 255 
Di voi.celesti? E Sarpedonte è morto 
‘Ch’ era mio figlio; e Turno anco mottrà; 
E già de la sua vita è giunto al fine. 

Così disse, e da’ rutuli confini | 
Torse la vista. Allor Pallante trasse 760 
Con gran forza il suo dardo, e ’l brando strinse 
Incontro a Turno. Investì |] dardo a punto 
Là ’ve | braccial su l’ omero s' affibbia, 
E tra ’l1 suo groppo e l'orlo de lo scudo 
Come strisciando , di sì vasto corpo 765 
Lievemente afferrò la pelle a pena. 


Omnibus est vitae: sed famam extendere factis, 
Hoc virtutis opus. Troiae sub moenibus altis 

, Tot nati cecidere Deum: quin occidit una 470 
Sarpedon, mea progenies. Etiam sua Turnum 
Fata vocant, metasque dati pervenit ad aevi. 

Sic ait, atque oculos Rutulorum reiicit arvis. 

At Pallas magnis emittit viribus hastam, 

* Faginaque cava fulgentem deripit ensem.* - 475 
Illa volans, humeris surgunt qua tegmina summa, 
Incidit, atque viam clypei molita per oras, 

Tandem etiam magno strinxit de corpore Turni. 








268 . ENKIDE 


Turno, poiché ’1 nodoso -e ben ferrato 
Suo frassino brandito e bilanciato 
Ebbe più volte , Or prova tu, gli disse, 
Se 'l mio va dritto, e se colpisce e fora 770 
Più del tuo ferro: e trasse. Andò ronzando 
, Per l'aura, e con la punta a punto in mezzo 
Si piantò de lo scudo. E tante piastre 
Di metallo e d' acciaio, e tante cuoia 
Ond' era cinto, e la corazza e’l petto 775 
Passogli insieme. Il giovine ferito 
‘ Tosto fuor si cavò di corpo il télo; 
Ma non gli valse, che con esso il sangue 
E la vita n'uscío. Cadde boccone 
In su Ja piaga, e tal diè d' armi un crollo, 780 
Che, ancor morendo, la nimica terra 
Trepida ne divenne e sanguinosa. 
Turno sopra il cadavero fermossi 


Hic Turnus ferro praefixum robur acuto —— 

In Pallanta diu librans iacit, atque ita fatur: 480 
Adspice, num mage sit nostrum penetrabile telum. , 
Dixerat: at clypeum, tot ferri terga, tot aeris, 
Quum pellis toties obeat circumdata tauri, 
Vibranti medium cusnis transverberat ictu, 
Loricaegue moras, et pectus perforat ingens. 485 
Iile rapit calidum frustra de vulnere telum: 

Una eademque via sanguis animusque sequuntur. 
Corruit in vulnus; sonitum super arma dedere; 

Et terram hostilem moriens petit ore cruento. 


LIBRO DECIMO 269 


Alteramente , e disse : Arcadi, udite, 

E per me riportate al vostro Evandro, 785 

Che qual di rivedere ha meritato 

Il suo Pallante , “tal glie ne rimando; 

E gli fo. grazia, che d’esequie ancora 

E di sepolcro e di qual altro fregio, 

Che conforto gli sia , l'orni, e l' onori; 799 

Ch' assai ben caro infino a qui gli costa 

L'amicizia d' Enea. Così dicendo, 

Col manco pié calcó l'estinto corpo; 

E d’oro un cinto ne rapi di pondo, 

D'artificio e di pregio, ove per mano 795 

Era del buon Eurizio istoriata 

La fiera notte, e i sanguinosi letti 

Di quell’ empie fanciulle, in grembo a cui 

Fur già tanti iu un tempo e frati e sposi 

Sotto fé d’ Imeneo giovani ancisi. 800 
Di questa spoglia altero e baldanzoso 


Quem Turnus super assistens, 

Arcades, haec, inquit, memores mea dicta referte 
Evandro: Qualem meruit, Pallanta remitto. — 
Quisquis honostumuli ,quidquidsolamen humandi est, 
‘ Largior: haud illi stabunt aeneia parvo 

Hospitia. Et laevo pressit pede, talia fatus, 495 
Exanimem, rapiens immania pondera baitei, 
Impressumque nefas: una sub nocte iugali 

Caesa manus iuvenum foede, thalamique cruenti: 

. Quae Clonus Eurytides multo caelaverat auro, 





270 ENEIDE 


Vassene or Turno. O cieche umane menti, 
Come siete de’ fati e del futuro 
Poco avvedute! E come oltra ogni modo 
Ne’ felici successi insuperbite ! 805 
Tempo a Turno verrà .ch' ogni gran cosa 
Ricompreria di non aver pur tocco | 
Pallante; e le sue spoglie e '1 di che l'ebbe 
In odio gli cadranno. Il morto corpo 
Nel suo scudo composto i suoi. compagni 810 
Levàr dal campo, e con solenne pompa 
E con molti lamenti, e molto pianto 
Lo riportaro al padre. Oh qual, Pallante, 
Tornasti al padre tuo gloria e dolore! 
Ch’ una stessa giornata , ch'a la guerra 815 
Ti diede, a lui ti tolse. Oh pur gran monti 
Lasciasti pria di tuoi nemici estinti! 

Corse la fama, anzi il verace avviso 


Quo nunc Turnus ovat spolio gaudetque potitus.500 
Nescia mens hominum fati sortisque futurae, 

Et servare modum, rebus sublata secundis! 

T'urno tempus erit, magno quum optaverit emtum 
Intactum Pallanta, et quum spolia ista diemque 
Oderit. At socii multo gemitu lacrimisque 505 
Impositum scuto referunt Pallanta frequentes. 

O dolor atque decus magnum rediture parentil 
Haec te prima dies bello dedit, haec eadem aufert, 
Quum tamen ingentes Rutulorum linquis acervos! 
Nec iam fama mali tanti, sed certior auctor 510 


n | 
- 


LIBRO DECIMO 271 


A lorecchie d'Enea d'um danno tale 

E d'un tanto periglio, che già volto 1 820 
Era il suo campo in fuga. Incontanente 

Si fa col ferro una spianata intorno; 

Poscia s'apre una via, di te cercando, 

Turno, e’l tuo rintuzzar cresciuto orgoglio 

Per la vittoria di. Pallante ucciso. 825 
Pallante, Evandro e l’accoglienze loro 

E le lor mense, ove con tanto amore 

Forestier fu raccolto, e la contratta 

Già tra loro amistà d'avanti a gli occhi 

Si vedea sempre. E per onore a l'ombra 830 
De l’amico, e per vittima al grand’ Orco 

Molti giovani avea già destinati 

Vivi sacrificar sopra al suo rogo; 

E di già ne facea quattro d' Ufente 

Addur legati, e quattro di Sulmona. 835 


Advolat /Eineae, tenui discrimine leti 

Esse suos: tempus, versis succurrere T'eucris. 
Proxima quaeque metit gladio, latumque per agmen 
Ardens limitem agit ferro; te, Turne, superbum 
Caede nova quaerens. Pallas, Evander, in ipsis 515 
Omnia sunt oculis; mensae, quas advena primas 
T'unc adiit, dextraeque datae. Sulmone creatos 
Quatuor hic iuvenes; totidem quos educat Ufens, 
F'iventes rapit, inferias quos immolet umbris, . 
Captivoque rogi perfundat sanguine flammas. 520 
Inde Mago procul infensam conténderat hastam; 


— . © zzxc=—=————mm6m6&mPmm———_— my reco 





272 ENEIDE - 


E tra via combattendo, incontr' a Mago 
Tirò d' un'asta, a cui sotto chinossi 
L'astuto a tempo sì che sopra al capo 
Gli trapassò divincolando il colpo; 
E ratto risorgendo, umilemente 8,40 
Gli abbracciò le ginocchia, e così disse: 
Per tuo padre e tuo figlio, Enea, ti prego, 
A mio padre, a mio figlio mi conserva. 
Di gran legnaggio io sono, gran tesori 
Tenga d'argento sotterrati e d'oro 815 
In massa e 'n conio. La vittoria vostra 
Solo in me non consiste. Una sol' alma 
In così grave e grande affar che monta? 
Rispose Enea: Le tue conserve d'oro 
E d' argento conserva a'figli tuoi. 850 
Questi mercati ha Turno primamente 
Tolti fra noi, poi ch’ ha Pallante ucciso . 


Jlle astu subit; at tremebunda supervolat hasta. 
Et genua anìplectens effatur talia supplex: 

Per patrios manes, per spes surgentis Iuli, 

T'e precor, hanc animam serves natoque patrique. 
Est domus alta: iacent penitus defossa talenta 
Caelati argenti; sunt auri pondera facti 
Infectique mihi. Non hic victoria Teucrm 
Vertitur: haud anima una dabit discrimina tanta. 
Dixerat. /Eneas contra cui talia reddit: 530 
Argenti atque auri memoras quae multa talenta, 
Gnatis parce tuis: belli commercia Turnus 


LIBRO DECIMO 273 


Ed al mio padre ed al mio figlio in grado 

Fia la tua morte. Ciò dicendo, a l' elmo. 
La man gli stese;. e poichè gli ebbe il collo 855 
Chinato al colpo, insino a l'elsa il ferro 

Ne. la gola gl’ immerse. Indi non lunge : 
Emonide incontrando , un sacerdote 

Di Febo e di. Diana, il fronte adorno 

Di sacra benda, e tutto rilucente 860 
Di vesti e d' armi, addosso gli si scaglia . 

Fugge Emonide, e cade. Enea gli è sopra, 

Lo sacrifica a l' ombra, e d' ombra il copre. 
Poscia.de l’ armi, che ’1 meschino a pompa 
Portò più ch’ a difesa, il buon Seresto 865 
Lo spoglia, e per trofeo le appende in campo 
A te, gran Marte. Ecco di nuovo intanto 
Cecolo , di Vulcan 1’ ardente figlio, 


Sustulit ista prior iam tum Pallante peremto. 

Hoc patris Anchisae manes, hoc sentit Iulus. 

Sic fatus, galeam laeva tenet, atque reflexa 535 
Cervice orantis capulo tenus applicat eusem. 

Nec procul Haemonides, Phoebi Triviaeque sacerdos, 
Infula cui sacra redimibat tempora vitta, 

Totus collucens veste atque insignibus armis: 
Quem congressus agit campo, lapsumque superstans 
Ammolat, ingentique umbra tegit; arma Serestus 
Lecta refert humeris, tibi, rex Gradive, trophaeum. 
Instaurant acies Vulcani stirpe creatus 

Caeculus, et veniens Marsorum montibus Umbro. 


Eneide 7l. JI | 35 





274 ENÉIDE 


E '1 Marso Onibton né Í4 battaglia entrando, 

E rimetterido le lor genti insfetie, — 870 

Spingonsi avahti. Eneà da Y altra pátté 

Infuriava. Ad Ansuré avventossi , 

E ’1 manco braccio con la spadà în tetra 

Gittógli e de lo scudo fl cerclifo intero. 

Gran cose avea costui ciànciate in pfirnà 875 

E conceputé; e d Adempirfe áneorà 

S'era promesso. Avea forsé anco in cielo 

Riposti i suoi ‘pensieri, e $° augurava 

Lunga vita e felice. E pur qui cadde. 
Poscia Tarquito ardente, e d’atmi cihto 880 

Fulgenti e ricche, ihcontro gli si fece. 

Era costui di Fauno rirontanaro 

E de la ninfa Driope creato, 

Giovine fiero. Enea pàrossi avanti 

A la sua furia, e pinse l' asta in guisa 885 

Che lo scudo impedigli e la corazza. 

Allora indarno il misero a pregarlo 


Dardanides contra furit. 4niüris ense sinistrim 
Et totum clypei ferro deiecerat orber. 

Dixerat ille aliquid magnum, vimque adfore verbo 
Crediderat, caeloque animuin fortasse ferebat, 
Canitiemque sibi, et lóngos promiserat annos. 
Tarquitus exsultans contra fulgentibus armis, 550 
Silvicolae Fauno Dryope queri nympha crearat, 
Obvius ardenti sese obtulit: ille reducta 

Loricam clypeique ingens onus impedit hasta. 


LIBRO DECIMO 272 


Si diede. E mentre a dir molto s' affanna, 
Per lo suo scampo, ei con gun colpo a terra 
Gittógli il capo; e travo]gendo il tronco 890 
Tiepido ancor sopra gli stette, e disse: 
Qui con la tua bravura te ne stai, 
Tremendo e formidabile guerriero . 
Nè dj terra tua madre ti ricopra, 
Né di tomba t' onori. A i lupi, a i coryi 895 
Ti lascio, o che la piena in alcun fosso 
Ti tragga, o che nel fiume, o che nel mare 
Ai famelid pesci esca ti mandi. 
Indi muove in un tempo incontro a Lica, 
E segue Antéo, che ne Je prime schiere 900 
Eran di Turno. Assaglie il forte Numa, 
Fere il biondo Camerte. Era Camerte 
Figlio a Volscente, generoso germe 
Del magnanimo padre, e de’ più ricchi 


Tum caput orantis nequidquam, et malta parantis 

Dicere, detürbat terrae; truncumque tepentem 555 

Provolvens, super haec inimico pectore fatur: 

Istic nunc, ractuende, iace: non te optima mater 

, Condet humi, patriove enerabit membra sepulcro: 

Alitibus linquere feris: aut gurgite mersum 

Unda feret, piscesque impasti vulnera lambent. 560 

Protenus Antacum et Lucan, prima agmina Turni, 

Parsequitur, fortemque Numam, fulyumque Ca- 
mertem | 

Magnanimo Folscente satum: ditissimus agri 


—— — -—— 





276 ENEIDE 


D' Ausonia tutta: in quel tempo reggea ' 905 
La taciturna Amicla. In quella guisa : 

Che si dice Egeón con cento braccia 

E cento mani, da cinquanta bocche 

Fiamme spirando e da cinquanta petti, 

Esser già stato col gran Giove a fronte, 910 
Quando contra i suoi folgori e'i suoi tuoni 

Con altrettante spade ed ‘altrettanti 

Scudi tonava e folgorava anch'egli; 

In quella stessa Enea per tutto ’l campo, 

Poich' una volta il suo ferro fu caldo . 915 
Contra tutti vincendo  infuriossi . 

Ecco Niféo su quattro corridori 

Si vede avanti; e contra gli si spinge 

Sì ruinoso, e tal: fa lor fremendo 

Tema e spavento, che i destrier rivolti 920 
Lui dal carro traboccano, e disciolti 


Qui fuit Ausonidum, et tacitis regnavit 4myclis. — 
4Egaeon qualis, centum cui brachia dicunt, | 565 
Centenasque manus, quinquaginta oribus ignem 
Pectoribusque arsisse, lovis quum fulmina contra 
Tot paribus streperet clypeis, tot stringeret enses. 
Sic toto /Eineas desaevit in aequore victor, 

Ut semel intepuit mucro. Quin ecce Niphaei — 570 
Quadriiuges in equos adversaque pectora tendit: 
"tque illi, longe gradientem et dira frementem . 
Ut videre, metu versi retroque ruentes. 
Effunduntque ducem, rapiuntque ad litora currus. 


LIBRO DUODECIMO — 397 


E ’1 difetto di tutti io solo ammendo; Jo 
(Stiansi pure a vedere i tuoi Latini) 
O ch' ei vincendo fia padrone a voi, 
E marito.a Lavinia. A cui Latino 
Col cor sedato in tal guisa rispose: 
Giovine valoroso, al tuo valore,  . 35 
A la ferocia tua, che tanto eccede 
Ne l’ armi, io deferisco. E tu dovrai 
Appegarti di me, s' io, d’ ogni cosa 
Temendo, con ragione e con maturo 
Consiglio in tutti.i casi inveglio, e curo 40 
Che ‘’1 mio stato si salvi e la tua vita. 
A te, del vecchio Dauno erede e figlio, 
Seggio e regno non manca, oltre a le terre 
Di cui tu fatto hai da te stesso acquisto 
Per forza d' armi. Oro, favori e gradi 49 
Da Latino avrai sempre; e maritaggi 
E donne d'alto affar son per lo Lazio, 
E per le terre di Laurento assai. 


Et solus ferro crimen commune refellam; - 

Aut habeat victos; cedat Lavinia coniux. . T_—_ 
Olli sedato respondit corde Latinus: 

O praestans animi iuvenis, quantum ipse feroci — 

Frtute exsuperas, tanto me impensius aequum est 

Consulere, atque omnes metuentem expendere casus. 

Sunt tibi regna patris Dauni, sunt oppida capta 

Multa manu: necnon aurumque animusque Latinoest. 

Sunt aliae innuptae Latio et laurentibus agris, 


278 ENEIDE 


Si sta chinato, e col piè manco jn atto 

Di ferir lui, la sua lancia a lo scudo 940 
Entrò sotte di Lieago, e nel manon 

Lato ne l' inguinaia il colse a punto, 

E giù del carro moribondo il trasse. 

Indi ancor egli motteggiolle, e disse: 

A te né paventosi, né restii 949 
Son già, Lücago, stati i tuoi cawalli. 

Tu da te stesso un eì hel salto hai preso 

Fuor del tue carro. E, ciò detto, a i destrieri 
Diè di piglio. Il suo frate uscito intante 

Dal carro stesso, nuafle e disarmato 950 
Stendea le palme in tel guisa pregando: 

Del per lo tuo valore e per coloro 

Che ti fer tale, abbi di me, Signore, 

Pietà, che supplicando in don ti chieggie 


Lucagus ut pronus pendens in verbera telo 
Admonuit büugos; praiecto dun pede laevo 
Aptat se pugnae, subit oras hasta per Quas 
Fulgentis clypei: tum laevum perforat inguen. 
Excussus curru moribundus uolvitur arvis. 590 
Quem pius JE neas diotis affatur amaris: 

Lucage, nulla tuos currus fuga segnis eguarum 

Prodidit, aut vanae vertere ex hostibus umbrae: 
Ipse rotis saliens iuga deseris. Haec ita fatus 
Arripuit biiugos: frater tendebat inermes 595 
Infelia: palmas, aurru delapsus eodem. 

Per te, per qui te talem genuere parentes, 


LIBRO DBECIMO 979 


Questa misera via. È segiitando 955 

La sta preghiera; a léi rispose Enea: 

Tu nen hai già così dianzi abbaixto . 

Muori; e morerdo il tao frate accompagna . 

E con queste parole il ffro spinse, 

E gli apri "1 petto, e l'alma ne disciolee. 960 
Mentre così per la campagna Enea 

Strage facendo , e di torrente in guisa 

E di tempesta infurfando soorre , 

Ascaniò € la TroiaBa gioventate 

Indarno entró a le mara assediati 965 

Saltano iù campo. Ed a Giunone intanto - 

Così Giove favella: O mia diletta 

Sorella e sposa, ‘ecco 'testé si vede 

Corn' ha là tua credenza e ’1 tuo pensiero - 

Verace incontro, e come Citerea 970 

Sostentà i Teueti stoi. Vedi com" essi 


Vir troiane, sine Mate animam, et miserére precantis. 

Pluribus oranti AEneas: Haud talia dedum 

Bicta dabas: morere, et fratrem ne desere frater. 

Tum latebras animue, pectus, mucrone recludit. 

Talia per campos edebat Yunera üuctor 

Dardanius, torrentis-aguae , vel'turbinis atri 

More furens. Tandem erumpunt ;etcastrarelinquunt 

Ascanits puer, et nequidquam obsessa iuventus. 605 
Iuhonem interea compellàt Fuppiter ultro: 

O germana ‘mihi atque cadem gratissima: coniuz, 

Ut rebare, Penus (nec te sententia fait) 


280 ENEIDE 


Non son nè valorosi, nè. guerrieri, 

E i cor non hanno a i lor perigli eguali. 

A cui Giunon tutta rimessa, Ah, disse, 

Caro consorte, a che mi strazi e pugni, — 975 
Quando è pur troppo il mio dolor pungente, 
E. pur troppo tem’ io le tue punture? 

Ma se qual era, e qual esser potrebbe, 

Fosse or teco il poter de l' amor mio, 

Teco che tanto puoi, da te negato 980 
Non mi fóra, Signor, ch' oggi il mio Turno 
Fosse da la battaglia e da la morte 

Per me: sotfratto e conservato al vecchio 

Dauno suo padre. Or péra, e col suo sangue, 
Che pur è pio, la cupidigia estingua 985 
De' suoi nemici. E pur anch'egli é nato 

Dal nostro sangue: e pur Pilunno è quarto 
Padre di lui: da lui pur largamente 


T'roianas sustentat opes: non vivida bello 

Dextra viris, animusque ferox, patiensque pericli. 
Cui Iuno submissa: Quid, o pulcherrime coniux, 
Sollicitas aegram et tua tristia dicta timentem? 

Si mihi, quae quondam fuerat, quamque esse decebat , 
Vis in amore foret; non hoc mihi namque negares, 
Omnipotens, quin et pugnae subducere Turnum, 
Et Dauno possem incolumem servare parenti. 
Nunc pereat, Teucrisque pio det sanguine poenas. 
Ille tamen nostra deducit origine nomen, 
Pilumnusque illi quartus pater; et tua larga. 


LIBRO DEGIMO 281 


Gli altar molte fiate e 1 tempii tuoi 

Son de’ suoi molti doni ornati e carchi . 990 
Cui del ciel brevemente il gran Motore 

Così rispose: Se indugiar la morte, 

Ch’ è già presente, e prolungare i giorni 

A] già caduco giovine t' aggrada 

Per alcun tempo, e tu con questo inteso 0995 

L’ accetti, va'tu stessa, e da la pugna 

Sottrallo e dal destino. A tuo contento 

Fin qui mi lece. Ma se in ció presumi 

Ancor più di sua vita, o de la guerra, 

Che del tutto si mute o si distorni, 1000 

In van lo speri. A cui Giuno piangendo 

Soggiunse: E che saria, se quel che in voce 

Ti gravi a darmi, almen nel tuo secreto 

Mi concedessi.! E questa vita a Turno 

Si stabilisse? già che indegna e cruda 1005 


Saepe manu multisque oneravit limina donis. 620 
Cui rex aetherü breviter sic fatur Olympi: 

Si mora praesentis leti, tempusque caduco 

Oratur iuveni, meque hoc ita ponere sentis; 

Tolle fuga Turnum, atque instantibus eripe fatis. 
Hacterius indulsisse vacat. Sin altior istis 625 
Sub precibus venia ulla latet, totumque moveri, 
Mutarive putas bellum; spes pascis inanes. 

Cui Iuno illacrimans: Quid si, quod voce gravaris, 
Mente dares? atque haec Turno rata vita maneret? 
Nunc manet insontem gravis exitus: aut ego veri 


Eneide 7ol. 11 30 


Li 


282 ENEIDE 


Morte gli s' avvicina , o ch'io del vero 

Mi gabbo. Tu che puoi, Signor, rivolgi 

La mia paura e i tuoi pensieri in meglio. 
Poscia che cosi disse, incontanente 

Dal ciel discese, e con un nembo avanti 1010 

E nubi intorno, occulta infra i due campi 

Sopra terra calossi. Ivi di nebbia, 

Di colori e di vento una figura 

Formò (cosa mirabile a vedere! ) 

In sembianza d' Enea; d' Enea lo scudo, — 1015 

La corazza, il cimicro e l’ armi tutte 

Gli finse intorno, e gli dié il suono e '1 moto 

Propri di lui , ma vani, e senza forze 

E senza mente; in quella stessa guisa 

Che si dice di notte ir vagabonde 1020 

L'ombre de' morti, e che i sopiti sensi 

Son da' sogni delusi e da fantasme. 


Vana feror. Quod ut o potius formidine falsa 
Ludar, et in melius tua, qui potes, orsa reflectas! 
Haec ubi dicta dedit, caelo se protenus alto 

Misit, agens hiemem nimbo succincta per auras: 
Iliacamque aciem, et laurentia castra petivit. 635 
Tum Dea nube cava tenuem sine viribus umbram 
In faciem /Eneae (visu mirabile monstrum) 
Dardaniis ornat telis, clypeumque iubasque 
Divini assimulat capitis; dat inania verba; 

Dat sine mente sonum, gressusque effingit euntis. 
Morte obita quales fama est volitare figuras, 


LIBRO DECIMO 282 


Questa mentita imago anzi a le schiere 
Lieta insultando, a Turno s' appresenta, 
Lo provoca e lo sfida. E Turno incontra 1025 
Le si spinge e l' affronta: e pria da lunge 
Il suo dardo le avventa, al cui stridore 
Volg' ella il tergo e fugge. Ed ei sospinto 
Da la vana credenza, e da la folle. 
Sua speme insuperbito, la persegue 1030 
Con la spada impugnata: e, Dove, e dove, 
Dicendo , Enea, ten fuggi? ove abbandoni 
La tua sposa novella? Io di mia mano 
De la terra fatale or or t'investo, 
Che tanto per lo mar cercando andavi. 1035 
E gridando l’ incalza, e non s' avvede 
Che quel che segue e di ferir agogna, 
Non é che nebbia che dal vento é spinta. 
Era per.sorte in su la riva un sasso 


Aut quae sopitos deludunt somnia sensus. 

At primas laeta ante acies exsultat imago, 
Irritatque virum telis, et voce lacessit. 

Instat cui Turnus, stridentemque eminus hastam 
Coniicit; illa dato vertit vestigia tergo. 

Tum vero /Enean aversum ut cedere Turnus 
Credidit, atque animo spem turbidus hausit inanem: 
Quo fugis, /Enea? thalamos ne desere pactos: 

Hac dabitur dextra. tellus quaesita per undas. 650 
T'alia vociferans sequitur, strictumque coruscat 
Mucronem, nec ferre videt sua gaudia ventos. 


284 ENEIDE 


Di molo in guisa; ed un navile a canto 1040 

Gli-era legato, che la scala e ’l ponte 

Avea su '] lito, onde ne fu pur dianzi 

Osinio il re di Chiusi in terra esposto. 

In questo legno, di fuggir mostrando, 

Ricovrossi d' Enea la finta imago, 1045 

E vi s'ascose. A cui dietro correndo 

Turno senza dimora infuriato 

]| ponte ascese. Era a la prora a pena, 

Che Giunon ruppe il fune, e diede al leguo 

Per lo travolto mare impeto e fuga. 1050 
Intanto Enea, di Turno ricercando, 

A battaglia il chiamava. Ed or di questo 

Ed or di quello e di molti anco insieme 

Facea strage e scompiglio; e la sua larva, 

Poiché di più celarsi uopo non ebbe, 1055 

Fuor de la nave uscendo alto: levossi, - 

E con l'atra sua nube unissi, e sparve. 


Forte ratis celsi coniuncta crepidine saxi 

Expositis stabat scalis, et ponte parato, 

Qua rex clusinis advectus Osinius oris. 655 
Huc sese trepida /Eneae fugientis imago 

Coniicit in latebras; nec Turnus segnior instat, 
Exsuperatque moras, et pontes transilit altos. 

Vix proram attigerat: rumpit Saturnia funem, 
"foulsamque rapit revoluta per aequora navem. 660 
Jilum autem 4Eneas absentem in praelia poscit: 
Obvia multa virum demittit corpora morti. 


LIBRO DECIMO 285 


Turno cosi schernito: e già nel mezzo 
Del mar sospinto, indietro rimirando 
Come del fatto ignaro, e del suo scampo 1060 
Sconoscente e superbo, al ciel gridando 
Alzó le palme, e disse: Ah dunque io sono 
D'un tanto scorno, onnipotente padre , 
‘ Da te degno tenuto? A tanta pena 
M' hai riservato? Ove son io rapito? 1065 
Onde mi parto? Chi così mi caccia? 
Chi mi rimena ? E fia ch’un' altra volta 
Io ritorni a Laurento? e ch’ io riveggia 
L' oste. più con quest’ occhi? E che diranno 
I miei seguaci, e quei che m'han per capo 1070 
Di questa guerra, che da me son tutti 
( Ahi vitupéro! ) abbandonati a morte? 
E già rotti gli veggio, e già gli sento 


T'um levis haud ultra latebras iam quaerit imago, 
Sed sublime volans nubi se immiscuit atrae: — 
Quum Turnum medio interea fert aequore turbo. 
Respicit ignarus rerum, ingratusque salutis, 

Et duplices cum voce manus ad sidera tendit: 
Omnipotens genitor, tanton’ me crimine dignum 
Duxisti, et tales voluisti expendere poenas? 

Quo feror? unde abii? quae me fuga,quemve reducet? 
Laurentesne iterum muros aut castra videbo? 

Quid manus illa viruim, qui me,meaque arma sequuti? 
Quosne (nefas) omnes infanda in morte reliqui? 
Et nunc palantes video, gemitumque cadentum 


286 ENEIDE 


Gridar cadendo. O me lasso! che faccio ? 
Qual è del mar la più profonda terra 1079 
Che mi s'apra e m' ingoi? A voi più tosto, 
Venti, incresca di me. Voi questo legno 
Fiaccate in qualche scoglio, in qualche rupe, 
Ch’ io stesso lo vi chieggio: o ne le Sirti 
Mi seppellite, ove mai più non giunga 1030 
Rutulo che mi veggia, o mi rinfacci 
Questa vergogna e questa infamia, ond' io 
Sono a me consapevole e nimico. 

Così dicendo, un tanto disonore 
In sè sdegnando, e di sè stesso fuori 1085 
Strani, diversi e torbidi pensieri 
Si volgea per la mente, o con la spada 
Passarsi il petto, o traboccarsi in mezzo, 
Sì com'era , del mare, e far, notando, 
Prova o di ricondursi ond' era tolto , 1099 
O d'affogarsi. E l'una e l'altra via 


Accipio. Quid ago? aut quae iam satis ima dehiscat 
Terra mihi? vos o potius miserescite, venti, 

In rupes, in saxa (volens vos Turnus adoro) 
F'erte ratem, saevisque vadis immittite syrtes, 

Quo neque me Rutuli, neque conscia fama sequatur. 
Haec memorans animo nunc huc, nunc fluctuat illuc; 
An sese mucrone ob tantum dedecus amens 

Induat, et crudum per costas exigat ensem: 
Fluctibus an iaciat mediis, et litora nando 

Curva petat, Teucrumque iterum se reddat in. arma. 


LIBRO DECIMO 287 


Tentò tre volte; e tre volte la Dea, 
Di lui mossa a pietà, ne la distolse. 
Dal turbine e dal mar cacciato. intanto 
Si scorse il legno, che del padre Dauno — 1095 
A l’antica magion per forza il trasse. 

| Mezenzio in questo mentre che da l' ira 
Era spinto di Giove, ardente e fiero 
Entrò nella battaglia, e 1 Teucri assalse 
Che già ’1 campo tenean superbi e lieti. — 1100 
Da l’altro canto le tirrene schiere 
Mossero incontro a lui. Contra lui solo 
S' unir tutti de’ Toschi e gli odii e l'armi; 
Ed egli, a tutti opposto, alpestro scoglio 
Sembrava, che nel mar si sporga, ei flutti, 1105 
E i vénti minacciar sì senta intorno, 
E non punto si crolli. Ognun ch’ avanti 
O l’ardir gli mandava o la fortuna 


E 


lati 


Ter conatus utramque viam; ter maxima Iuno 685 
Continuit, iuvenemque animi miseraia repressit. 
Labitur alta secans fluctuque aestuque secundo: 
Et patris antiquam Dauni defertur ad urbem. 

At Iovis interea monitis Mezentius ardens 
Succedit pugnae, Teucrosque invadit ovantes. 690 
Concurrunt tyrrhenae acies, atque omnibus uni , 
Uni odiisque viro telisque frequentibus instant. 
Jile, velut rupes, vastum quae prodit in aequor, 
Obvia ventorum furiis, expostaque ponto, 

. F'im cunctam atque minas perfert caelique marisque, 


288 ENEIDE 


A’ piè s distendea. Nel primo incontro 

Ebro di Dolicào, Làtago e Palmo 1110 
Tolse di mezzo. Ebro passó fuor fuori 

Con un colpo di lancia: il volto e ’1 teschio, 
Un gran macigno a Làtago avventando, 

Infranse tutto, ambi i garetti a Palmo 

Ch' avanti gli fuggia, tronchi di netto, 1115 
Lascio che rampicando a morir lunge 

A suo bell'agio andasse; ma de l'armi 
Spogliollo in prima, e la corazza in collo 

E l'elmo in testa al suo Lauso ne pose. 

Uccise dopo questi il frigio Evante; 1120 
Poscia Mimante ch’ era pari a Pari 

Di nascimento, e d’amor seco unito. 

D' Amico nacque, e ne la stessa notte 

Teana la sua madre in luce il diede, 


Che dié Paride al mondo Ecuba pregna 1125 


Ipsa immota manens: prolem Dolichaonis Hebrum 

Sternit humi, cum quo Latagum Palmumque fuga- 
cem: 

Sed Latagum saxo, atque ingenti fragmine montis 

Occupat os faciemque adversam; poplite Palmum 

Succiso volvi segnem sinit: armaque Lauso 700 

Donat habere humeris, et vertice figere cristas. 

Nec non Evanthen phrygium, Paridisque Mimanta 

A qualem comitemque, una quem nocte T'heano 

In lucem genitori Amyco dedit; eL face praegnans 

Cisseis regina Parin creat : urbe paterna 703 


LIBRO DEE€EIMO 289 


Di fatal fiamma. E pur l' un d' essi ucciso 

Fu ne la patria, e l’altro sconosciuto 

Qui cadde. Era a veder Mezenzio in campo 
Qual orrido, sannuto , irto cignale 

In mezzo a' cani allor che da’ pineti 1130 
Di Vesolo, o da’ boschi :0 da’ pantani 

Di Laurento è cacciato, ove molt anni 

Si sia difeso; ch'a le reti aggiunto 

Si ferma, arruffa gli omeri, e fremisce 

Co’ denti in guisa che non è. chi presso 1135 
Osi affrontarlo , ma co’ dardi solo, 

E con le grida a man salva dintorno 

Gli fan tempesta. Così contro a lui 

Non s'arrischiando le nimiche squadre 

Stringere i ferri, le minacce e l’ armi 1140 
Gli avventavan da lunge; ed ei fremendo 


Occubat: ignarum Laurens habet ora Mimanta. 
Ac velut ille canum morsu de montibus altis 
Actus aper, multos F'esulus quem pinifer annos 
Defendit, multosve palus laurentia, silva 
Pastus arundinea; postquam inter retia ventum est, 
Substitit, infremuitque ferox, et inhorruit armos: 
Nec cuiquam irasci, propiusve accedere virtus: 
Sed iaculis tutisque procul clamoribus instant. . 
Haud aliter, iustae quibus est Mezentius irae, 
Non ulli est animus stricto concurrere ferro: — 715 
Missilibus longe et vasto clamore lacessunt. 
Ille autem impavidus partes cunctatur in omnes, 
Eneide 7l. I 37 


290 ENEIDE 


Stava intrepido e saldo, e con lo scudo 
Sbattea de l'aste il tempestoso nembo . 
Di Córito venuto a questa guerra 
Era un Greco bandito, Acron chiamato, 1145 
Novello sposo che, non giunto ancora 
Con la sua donna, a le sue nozze il folle 
Avea l armi anteposte. E in quella mischia 
D' ostro e d' ór riguardevole e di penne, 
Sponsali arnesi e doni, ovunque andava 1150 
Per le schiere, facea strage e baruffa. 
Mezenzio il vide; e qual digiuno e fiero 
Leon da fame stimolato , errando 
Si sta talor sotto la mandra, e rugge; 
Se poi fugace damma, o di ramose 1155 
Corna gli si discopre ‘un cervo avanti, 
S' allegra, apre le canne, arruffa il dorso, 
Si scaglia, ancide e sbrana; e '1 ceffo e l' ugne 
D' atro sangue s'intride, in tal sembiante 


Dentibus infrendens, et tergo decutit hastas. 
Venerat antiquis Corythi de finibus Acron, 

Graius homo, infectos linquens profugus hymenaeos. 
Hunc ubi miscentem longe media agmina vidit, 
Purpureum pennis, et pactae coniugis ostro: 
Impastus stabula alta leo ceu saepe peragrans 

( Suadet enim vesana fames ) si forte fugacem 
Conspexit capream, aut surgentem incornua cereum , 
Gaudet, hians immane, comasque arrexit, et haeret 
Visceribus super incumbens: lavit improba teter . 
Ora cruor: 


LIBRO DECIMO 291 


Per mezzo de lo stuol Mezenzio altero. 1160 
S' avventa. Acron per terra al primo incontro 
Ne va rovescio; e l armi e ’1 petto infranto, 
Sangue versando, e calcitrando spira. 

Morto Acrone, ecco Oróde, che davanti 
Gli si tolle. Ei lo segue; e non degnando 1165 
Ferirlo in fuga, o che fuggendo occulto 
Gli fosse il feritor, lo giunge e "| passa, 
L/ incontra, lo provóca, a corpo a corpo 
Con lui s' ezzuffa, che di forze e d' armi 


Più valéa che di furto. Al fin l’ atterra, 1170 


E l'asta e ’l piè sopra gl’ imprime e dice : 
Ecco Oróde è caduto. Una gran parte 

Giace de la battaglia. A questa voce 

Lieti alzaro i compagni al ciel le grida: 

Ed ei mentre spirava, Oh, disse a lui, — 1175 
Qual che tu sii, non fia senza vendetta 


Sic ruit in densos alacer Mezentius hostes. 
Sternitur infelix Acron, et calcibus atram 730 
Tundit humum exspirans, infractaque tela cruentat. 
dtque idem fugientem haud est dignatus Oroden 
Sternere, nec iacta caecum dare cuspide vulnus. 
Obvius adversoque occurrit, seque viro vir 

Contulit, haud furto melior, sed fortibus armis. 735 
Tum super abiectum posito pede nixus et hasta, 
Pars belli haud teninenda, viri, iacet altus Orodes. 
Conclamant socii laetum Paeana sequuti. 

llle autem exspirans: Non me, quicumque es, inulto, 








- rompa o 





202 ENEIDE 


. La morle mia: né lungamente altero 

N’ andrai; ché dietro a me nel campo. stesso 

Cader convienti. A cui Mezenzio un riso 

Tratto con ira, Or sii tu morto intanto, 1180 

Rispose, e quel che può, Giove. disponga 

Poscia di me. Così dicendo, il télo 

Gli divelse dal corpo, ed ei le luci 

Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno. - 
Cedico uccise Alcàto . Socratóre 1185 

Uccise Idaspe. A due la vita tolse 

Rapo; a Partenio ed al gagliardo Orsone. 

Messapo anch'egli a due la morte diede: 

A Clonio da cavallo ; ad Ericate, | 

Ch’ era pedone, a piede. Agi di Licia 1190 

Movendo incontro a lui, fu da. Valero 


Victor, nec longum laetabere: te quoque fata ‘740 

Prospectaut paria, atque eadem mox arva tenebis. 

Ad quem subridens mixta Mezentius ira; 

Nunc morere: ast de me Diem pater atque hominum 
rex 

Viderit. Hoc dicens eduxit corpore telum. 

Olli dura quies oculos et ferreus urget 749 

Somnus, in aeternam clauduntur lumina noctem. 

Caedicus Alcathoum obtruncat, Sacrator Hydaspen, 

Partheniumque Rapo, et praedurum viribus Orsen; 

Messapus Cloniumque, lycaoniumque Ericeten: 

Illum infrenis equi lapsu tellure iacentem, 750 

Hunc peditem pedes. Et lycius processerat Agis: 


LIBRO DECIMO 293 


Valoroso, e de’ suoi. degno campione , 
A terra steso: Atron da Salio anciso; 
E Salio- da Nealce, che di dardo . 


Era gran feritore e grande arciero. 1199 


D' ambe le parti erano Morte, e Marte 
Del pari; e parimente i vincitori 
E i vinti ora cadendo, ora incalzando , 
Seguian la zuffa; né viltà, né fuga 
Né di qua, né di là vedeasi ancora. 


1200 
L’ ira, la pertinacia e le fatiche 
Erano e quinci e quindi ardenti e vane. 
E di questi.e di quelli avean gli Dei, 
Che dal ciel gli vedean , pietà e cordoglio. 
. Btava. di qua Ciprigna e di là Giuno 1205 


À rimirarli; e pallida fra mezzo 
‘ Di molte mila infuriando andava 
La nequitosa Erinni. Una grand’ asta 


Quero tamen haud expers Valerus virtutis avitae 
Deiicit: At Thronium Salius, Saliumque Nealces, 


Insignis iaculo et longe fallente sagitta. 
Jam gravis aequabat luctus et mutua Mavors 
F'unera: caedebant pariter pariterque ruebant 


7929 


Fictores victique: neque his fuga nota, neque illis. 


Df Iovis in tectis iram miserantur inanem 
Amborum, et tantos mortalibus esse labores: 

. Hinc Venus, hinc contra spectat saturnia Juno; 
Pallida Tisiphone media inter millia saevit. 
4t vero ingentem quatiens Mezentius hastam 


294 ENEIDE 


Prese Mezenzio un'altra volta in mano 

E turbato squassandola, del campo 1210 
Piantossi in mezzo , ad Orion simile 

Quando co’ piè calca di Néreo i flutti, 

E sega l' onde, con le spalle sopra 

A l'onde tutte; o qual da’ monti a l' aura 

Si spicca annoso cerro, e ’l capo asconde 1215 
Infra le nubi. In tal sembianza armato 

Stava Mezenzio . Enea tosto che ’l vede 

Ratto incontro gli muove. Ed egli immoto 

Di coraggio e di corpo, ad aspettarlo 

Sta qual pilastro in sè fondato e saldo. 1220 
Poscia ch’ a tiro d'asta avvicinato 

Gli fu d’avanti, O mia destra, o mio dardo, 
Disse, che Dii mi siete, il vostro nume 

A questo colpo imploro: ed a te, Lauso, 


Turbidus ingreditur campo: quam magnus Orion, 
Quum pedes incedit medii per maxima Nerei 
Stagna viam scindens , humero supereminet undas; 
Aut, summis referens annosam montibus ornum, 
Ingrediturque solo, et caput inter nubila condit: 
T'alis se vastis infert Mezentius armis. 

Huic contra /Eneas, speculatus in agmine longo, 
Obvius ire parat. Manet imperterritus ille, 770 
Hostem magnanimum opperiens, et mole sua stat; 
Atque oculis spatium emensus, quantum satis hastae: 
Dextra, mihi Deus, et telum, quod missile libro, 
Nunc adsint: voveo praedonis corpore raptis . 


LIBRO DECIMO 295 


Già di questo ladron le spoglie e l'armi 1225 
Per mio trofeo consacro. E, così detto , 
Trasse. Stridendo andò per l’ aura il télo ; 

Ma giunto, e da lo scudo in altra parte 
Sbattuto, di lontan percosse Antore 

Fra le costole e ’1 fianco, Antor d' Alcide 1230 
Onorato compagno. Era venuto . 

D' Argo ad Evandro: e qui cadde il meschino 
D'altrui ferita. Nel cader le luci 

Al ciel rivolse , e d' Argo il dolce nome 
Sospirando, le chiuse. Enea con l’ asta 1235 
Ben tosto a lui rispose. E lo suo scudo 
Percosse anch' egli, e l'interzate piastre . 

Di ferro e le tre cuoia e le tre falde 

Di tela, ond' era cinto, infino al vivo 

Gli passò de la coscia..Ivi fermossi, 1240 


Indutum spoliis ipsum te, Lause, trophaeum 775 
/Eneae. Dixit, stridentemque eminus hastam 
Inücit; illa volans clypeo est excussa, proculque 
Egregium Antoren latus inter et ilia figit: 
Herculis Antoren comitem, qui missus ab Argis 
Haeserat Evandro, atque itala consederat urbe. 480 
Sternitur infelix alieno vulnere, caelumque 
Adspicit, et dulces moriens reminiscitur Argos. 
Tum pius /Eneas hastam iacit: illa per orbem 

Hire cavum triplici, per linea terga, tribusque 
Transüt intextum tauris opus, imaque sedit ‘785 
Inguine; sed vires haud pertulit. Ocius ensem 


296 ENEIDE 


Ché più forza non ebbe. Ma ben tosto’ 

Ricovrò con la spada. e fiero e lieto, 

Visto già del nimico il sangue in terra 

E "| terror re la fronte , a lui si strinse.‘ 
Lauso, che im-tanto rischio il cato padre 1245 

Si vide avanti, amor, tema e dolore 

Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse. 

E qui, giovine illustre, il caso indegno 

De la tua morte e '1 tuo zelo e ’l tuo fato 

Non taeeró; se pur tanta pietate - 1250 

Fia chi creda de’ posteri, e d' un figlio 

D'un empio padre. Il padre a si gran colpo - 

Si trasse in dietro, ché di già ferito, 

Benchè non gravemente, e da ]' intrico 

De !' asta imbarazzato , era ala pugna 1255 

Fatto inutile e tardo. Or mentre cede, 

Mentre che de lo scudo il dardo ostile 

Di sferrar s' argomenta, il buon garzone 


Hineas, viso Tyrrheni sanguine laetus, 

Eripit a:femine, et trepidanti fervidus instat. 
Ingemuit cari graviter genitoris amore, | 

Ut vidit, Lausus, lacrimaeque per ora eolutae; 290 
Hic mortis durae casum, tuaque optima facta, 

Si qua fidem tanto est operi latura vetustas, 

Non equidem nec te, iuvenis memorande, silebo. 
Ille pedem referens, et inutilis, inque ligatus 
Cedebat, olypeoque inimicum hastile trahebat. 799 
Prorupit iuvenis, seseque immiscuit armis: 


LIBRO DECIMO 207 


Succede ne la pugna, e del già mosso 

Braccio e del brando che stridente e grave 1260 
Calava per ferirlo, il mortal colpo 

Ricevé con lo scudo e lo sostenne. 

E perch’ agio a ritrarsi il padre avesse 

Riparato dal figlio; i suoi compagni 

Secondàr con le grida; e con un nembo 1265 
D' armi, che gli avventàr tutti in un tempo, 
Lo ributtaro. Enea via piü feroce 

Infuciendo, sotto al grau pavese 

Si tenea ricoverto. E qual, cadendo 

Grandine a nembi, il viator talora, 1270 
Che in sicuro a l' albergo è già ridotto, 

Ogni agricola vede , ogni aratore 

Fuggir da la campagna; o qual d' un greppo 

D' una ripa, o d' un antro il zappatore, 
Piovendo , si fa schermo, e '1 sole aspetta 1275 


Jamque assurgentis dextra, plagamque ferentis 

ZEneae subiit mucronem, ipsumque morando 

Sustinuit: socii magno clamore sequuntur, 

Dum genitor nati parma protectus abiret; 800 

Telaque coniiciunt, proturbantque eminus hostem 

Missilibus. Furit /Eneas, tectusque tenet se. 

Ac velut, effusa si quando grandine nimbi 

Praecipitant, omnis campis diffugit arator, 

Omnis et agricola, et tuta latet arce viator, ^ 805 

Aut amnis ripis, aut alti fornice saxi, 

Dum pluit in terris; ut possint, sole reducto, 
Eneide /ol. II 38 


298 ENEIDE 


Per compir l'opra, in quella stessa guisa , 
Tempestato da l'armi Enea la nube 
Sostenea de la pugna; e Lauso intanto 
Minacciando garría: Dove ne vai, 


Meschinello, a la morte? A che pur osi 1380 


Più che non puoi? la tua pietà t'inganna, 
E sei giovine e soro. Ei non per questo, 
Folle, meno insultava ; onde più crebbe 
L' ira del Teucro Duce. E già la Parca, 
Vota la rocca e non pien anco il fuso, 1285 
Il suo nitido filo avea reciso. 

Trasse Enea de la spada, e ne lo scudo, 
Che liev' era e non pari a tanta forza, 
Lo colpì, lo passò, passógli insieme 

La veste che di seta e d' òr contesta 1290 
Gli avea la stessa madre; e lui per mezzo 


Exercere diem: sic obrutus undique telis 

"Eneas nubem belli, dum detonet, omnem 
Sustinet, et Lausum increpitat, Lausoque minatur: 
Quo moriture ruis? maioraque viribus audes? 
Fallit te incautum pietas tua. Nec minus ille 
Exsultat demens: saevae iamque altius irae 
Dardanio surgunt ductori; extremaque Lauso 
Parcae fila legunt: validum namque exigit ensem 
Per medium ;/Eneas iuvenem, totumque recondit; 
T'ransiit et parmam mucro, levia arma minacis, 
Et tunicam, molli mater quam neverat auro, 
Implevitque sinum sanguis: tum vita per auras 


LIBRO DECIMO 200 


Trafisse, e moribondo a terra il trasse. 
Ma poscia che di sangue e di pallore 
Lo vide asperso e della morte in preda, 
Ne gl’ increbbe e ne pianse; e di paterna 1299 
Pietà quasi una imago avanti a gli occhi 
Veder gli parve, e ’ntenerito ile core, 
Stese la ‘destra e sollevollo , e disse : 
Miserabil fariciullo ! e quale aita , 
Quale il pietoso Enea può farti onore 1300 
Degno de le tue lodi e del presagio 
Che n° hai dato di te? L' armi che tanto 
Ti son piaciute, a te lascio, e | tuo corpo 
À la cura de’ tuoi, se di ciò cura 
Ha pur l'empio tuo padre, acciò di tomba — 1305 
E d' esequie t' onori. E tu, meschino, 
Poiché dal grand’ Enea morte ricevi, 
Di morir ti consola. Indi assecura, 


Concessit moesta ad manes, corpusque reliquit. 820 
At vero, ut vultum vidit morientis et ora, 

Ora modis Anchisiades pallentia miris, 

Ingemuit miserans graviter, dextramque tetendit, - 
Et mentem patriae strinxit pietatis imago. 

Quid tibi nunc, miserande puer, pro laudibus istis, 
Quid pius /Eneas tanta dabit indole dignum? 
Arma, quibus laetatus, habe tua: teque parentum 
Manibus, et cineri (si qua est ea cura) remitto. 
Hoc tamen infelix miseram solabere mortem; 
4Eneae magni dextra cadis. Increpat ultro 830 


294 . ENEIDE 


Prese Mezenzio un' altra volta in mano 

E turbato squassandola, del campo 1210 
Piantossi in mezzo , ad Orion simíle 

Quando co’ piè calca di Néreo i flutti, 

E sega l' onde, con le spalle sopra 

A l'onde tutte; o qual da’ monti a l’ aura 

Si spicca annoso cerro, e ’l capo asconde 1215 
Infra le nubi. In tal sembianza armato 

Stava Mezenzio . Enea tosto che ’1 vede 

Ratto incontro gli muove. Ed egli immoto 

Di coraggio e di corpo, ad aspettarlo 

Sta qual pilastro in sé fondato e saldo. 1220 
Poscia ch'a tiro d'asta avvicinato 

Gli fu d’avanti, O mia destra, o mio dardo, 
Disse, che Dii mi siete, il vostro nume 

A questo colpo imploro: ed a te, Lauso, 


Turbidus ingreditur campo: quam magnus Orion, 
Quum pedes incedit medii per maxima Nerei 
Stagna viam scindens , humero supereminet undas; 
Aut, summis referens annosam montibus ornum, 
Ingrediturque solo, et caput inter nubila condit: 
Talis se vastis infert Mezentius armis. 

Huic contra /Eneas, speculatus in agmine longo, 
Obvius ire parat. Manet imperterritus ille, 779 
Hostem magnanimum opperiens, et mole sua stat ; 
"tque oculis spatium emensus, quantum satis hastae: 
Dextra, mihi Deus, et telum, quod missile libro, 
Nunc adsint: voveo praedonis corpore raptis . 


LIBRO DECIMO 295 


Già di questo ladron le spoglie e l’ armi: 1225 
Per mio trofeo consacro. E, così detto , 
Trasse. Stridendo andò per l’ aura il télo ; 

Ma giunto, e da lo scudo in altra parte 
Sbattuto, di lontan percosse Antore 

Fra le costole e ’1 fianco, Antor d' Alcide 1230 
Onorato compagno. Era venuto 

D' Argo ad Evandro: e qui cadde il meschino 
D'altrui ferita. Nel cader le luci 

Al ciel rivolse , e d' Argo il dolce nome 
Sospirando, le chiuse. Enea con l' asta 1235 
Ben tosto a lui rispose. E lo suo scudo 
Percosse anch' egli, e l'interzate piastre 

Di ferro e le tre cuoia e le tre falde 

Di tela, ond' era cinto, infino al vivo 

Gli passò de la coscia..Ivi fermossi, 1240 


Indutum spoliis ipsum te, Lause, trophaeum 779 
4Eneae. Dixit, stridentemque eminus hastam 
Iniicit; illa volans clypeo est excussa, proculque 
Egregium Antoren latus inter et ilia figit: 
Herculis Antoren comitem, qui missus ab Argis 
Haeserat Evandro, atque itala consederat urbe. 480 
Sternitur infelix alieno vulnere; caelumque 
Adspicit, et dulces moriens reminiscitur Argos. 
T'um pius /Eneas hastam iacit: illa per orbem 

Here cavum triplici, per linea terga, tribusque 
Transiit intextum tauris opus, imaque sedit 785 
Inguine; sed vires haud pertulit. Ocius ensem 





296 ENEIDE 


Ché più forza non ebbe. Ma ben tosto’ 
Ricovrò con la spada, e fiero e lieto, 
Visto già del nimico il sangue in terra 
E "| terror re la fronte , a lui si strinse. 


Lauso, che m tanto rischio ‘il cato padre 1245 


Si vide avanti, amor, tema e dolore 

Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse. 

E qui, giovine illustre, il caso indegno 

De la tua morte e ’1 tuo zelo e ’1 tuo fato 


Non taeeró; se pur tanta pietate - 1250 


Fia chi creda de’ posteri, e d' un figlio 


D'ur empio padre. Il padre a sì gran colpo - 


Si trasse in dietro, chè di già ferito, 
Benchè non gravemente, e da l’ intrico 


De l asta imbarazzato , era a la pugna 1222 


Fatto inutile e tardo. Or mentre cede, 
Mentre che de lo scudo il dardo ostile 
Di sferrar s' argomenta, il buon garzone 


4Eneas, viso Tyrrheni sanguine laetus, — 
Eripit a;femine, et trepidanti fervidus instat. 
Ingemuit cari graviter genitoris amore, 

Ut vidit, Lausus, lacrimaegue per ora veblutae: 
Hic mortis durae casum, tuaque optima facta, 
Si qua fidem tanto est operi latura vetustas, 
Non equidem nec te, iuvenis memorande, silebo. 
Ille pedem referens, et inutilis, inque ligatus 
Cedebat, olypeoque inimicum hastile trahebat. 
Prorupit iuvenis, seseque immiscuit armis: 


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LIBRO DECIMO 207 


Succede ne la pugna, e del già mosso 

Braccio e del brando che stridente e grave 1260 
Calava per ferirlo, il mortal colpo 

Ricevé con lo scudo e lo sostenne. 

E perch’ agio a ritrarsi il padre avesse 

Riparato dal figlio, i suoi compagni 

Secondàr con le grida; e con un nembo 1265 
D' armi, che gli avventàr tutti in un tempo, 
Lo ributtaro. Enea via piü feroce 

Infuriando, sotto al grau pavese 

Si tenea ricoverto. E qual, cadendo 

Grandine a nembi, il viator talora, 1270 
Che in sicuro a l’ albergo è già ridotto, 

Ogni agricola vede , ogni aratore 

Fuggir da la campagna; o qual d' un greppo 

D' una ripa, o d' un antro il zappatore, 
Piovendo , si fa schermo, e 1 sole aspetta 1275 


Jamque assurgentis dextra, plagamque ferentis 

"Eneae subiit mucronem, ipsumque morando 

Sustinuit: socii magno clamore sequuntur, 

Dum genitor nati parma protectus abiret; 800 

T'elaque coniciunt, proturbantque eminus hostem 

Missilibus. Furit /Eneas, tectusque tenet se. 

Ac velut, effusa si quando grandine nimbi 

Praecipitant, omnis campis diffugit arator, 

Omnis et agricola, et tuta latet arce viator, | 805 

Aut amnis ripis, aut alti fornice saxi, 

Dum pluit in terris; ut possint, sole reducto, 
Eneide /ol. II 38 


— ———— ————  —— —_— ——- —.. - 
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296 ENEIDE 


Ché più forza non ebbe. Ma ben tosto’ 

Ricovró con la spada, e fiero e lieto, 

Visto già del nimico il sangue in terra 

E ’1 terror re la fronte ,. a lui si strinse. 
Lauso, che m tanto rischio il cato padre 1245 

Si vide avanti, amor, tema e dolore 

Se ne sentì, ne sospirò, ne pianse. 

E qui, giovine illustre, il caso indegno 

De la tua morte e ’1 tuo zelo e ’1 tuo fato 

Non taeeró; se pur tanta pietate 1250 

Fia chi creda de’ posteri, e d' un figlio 

D' un empio padre. Il padre a sì gran colpo : 

Si trasse in dietro, chè di già ferito, 

Benchè non gravemente, e da l' intrico 

De l' asta imbarazzato , era ala pugna 1292 

Fatto inutile e tardo. Or mentre cede, 

Mentre che de lo scudo il dardo ostile 

Di sferrar s' argomenta, il buon garzone 


Mineas, viso T'yrrheni sanguine laetus, 

Eripit a femine, et trepidanti fervidus instat. 
Ingemuit cari graviter genitoris amore, 

Ut vidit, Lausus, lacrimaeque per ora volutae. 90 
Hic mortis durae casum, tuaque optima facta, ' 

Si qua fidem tanto est operi latura vetustas, 

Non equidem nec te, iuvenis memorande, silebo. 
Ille pedem referens, et inutilis, inque ligatus 
Cedebat, olypeoque inimicum hastile trahebat. 799 
Prorupit iuvenis, seseque immiscuit armis: 


LIBRO DECIMO 207 


Succede ne la pugna, e del già mosso 

Braccio e del brando che stridente e grave 1260 
Calava per ferirlo, il mortal colpo 

Ricevé con lo scudo e lo sostenne. 

E perch’ agio a ritrarsi il padre avesse 

Riparato dal figlio, i suoi compagni 

Seeondár con le grida; e con un nembo 1265 
D' armi, che gli avventàr tutti in un tempo, 
Lo ributtaro. Enea via piü feroce 

Infuciando, sotto al gran pavese 

Si tenea ricoverto. E qual, cadendo 

Grandine a nembi, il viator talora, 1270 
Che in sicuro a 1’ albergo è già ridotto, 

Ogni agricola vede, ogni aratore 

Fuggir da la campagna; o qual d’ un greppo 

D' una ripa, o d' un antro il zappatore, 
Piovendo , si fa schermo, e '1 sole aspetta 1275 


Jamque assurgentis dextra, plagamque ferentis 

ZEneae subiit mucronem, ipsumque morando 

Sustinuit: socii magno clamore sequuntur, 

Dum genitor nati parma protectus abiret; 800 

Telaque coniciunt, proturbantque eminus hostem 

Missilibus. Furit /Eneas, tectusque tenet se. 

Ac velut, effusa si quando grandine nimbi 

Praecipitant, omnis campis diffugit arator, 

Omnis et agricola, et tuta latet arce viator, 805 

Aut amnis ripis, aut alti fornice saxi, 

Dum pluit in terris; ut possint, sole reducto, 
Eneide /ol. II 38 


. 422 ENEIDE 


E gli altri, come tutti eran feroci, 

Dal dolore infiammati, incontanente 

Chi la spada impugnó, chi prese il dardo; 470 
E contra il feritor tutti in un tempo, 

Come ciechi, avventàrsi. Incontro a loro 

‘Si mosser de’ Laurenti e de’ Latini 

Le genti a schiere, e d' altro lato a schiere 
Spinsero i Teucri e gli Arcadi e gli Etrusci. 475 
Così d'armi e di sangue uguale ardore 

Surse d' ambe le parti; e l' are e ’l foco, 
Ch'eran di mezzo, e l'ostie e le patene 

N'andàr sossopra; e tal di ferri e d'aste 

Denso levossi e procelloso un nembo, 430 
Che '] Sol se n'oscuró, sangue ne piovve. 

Grida e fugge Latino, e i numi offesi 

Se ne riporta, e detestando abborre 

Il violato accordo. Armasi intanto 


T'ransadigit costas, fulvaque effundit arena. 

At fratres, animosa phalanx , accensaque luctu, 
Pars gladios stringunt manibus, pars missile ferrum 
Corripiunt, caecique ruunt: quos agmina contra 
Procurrunt Laurentum. Hinc densirursus inundant 
Troes Agyllinique, et pictis Arcades armis. 

Sic omnes amor unus habet decernere ferro. 
Diripuere aras; it toto turbida caelo 

Tempestas telorum, ac ferreus ingruit imber; 
Craterasque focosque ferunt. Fugit ipse Latinus 
Pulsatos referens infecto foedere Divos. 


LIBRO DUODECIMO 423 


Il campo tutto; e chi frena i destrieri, 485 

Chi ’1 carro appresta; e già con l'aste basse, 

E con le spade ad investir si vanno. 
Messapo desioso che l’accordo 
Si disturbasse, incontro al tosco Auleste 
Che, come re, di real fregi adorno 490 
E d'ostro, al sacrifizio era assistente, 
Spinse il cavallo, e spaventollo in guisa 
Che mentre si ritragge infra gli altari 
Ch'avea da tergo, urtando, si travolse. 
Messapo con la lancia incontanente 495 
Gli si fe'sopra, e si com'era in atto 
Di supplicarlo, il petto gli trafisse. 
Cosi ben va, dicendo: or a'gran numi 
Porco piü grato e miglior ostia cadi. 
Cadde il meschino, e fu spirante e caldo oo 
Sovraggiunto da gl'Itali, e spogliato. 


Infrenant alti currus, aut corpora saltu 
Subiiciunt in equos, et strictis ensibus adsunt. 
Messapus regem, regisque insigne gerentem, 
Tyrrhenum Aulesten, avidus confundere foedus , 
Adverso proterret equo: ruit ille recedens, 

Et miser oppositis a tergo involvitur aris 

In caput, inque humeros: at fervidus advolat hasta 
Messapus, teloque orantem multa trabali 

Desuper altus equo graviter ferit, atque ita fatur: 
Hoc habet, haec melior magnis data victima Divis. 
Concurrunt Itali, spoliantque calentia membra. 


424 ENEIDE 


Diè Corinéo per un gran tizzo a l’ara 
Di piglio; e sì com'era ardente e grave, 
Ad Ebuso che incontro gli venia, 
Nel volto il fulminò. Schizzonne insieme 505 
Il foco e ’1 sangue; e di baleno in guisa 
Un lampo ne la barba gli refulse 
Che diè d'arsiccio odore. Indi gli corse 
Sopra senza ritegno; e qual trovollo 
Da la percossa abbarbagliato e fermo, 510 
L'afferró per la chioma, a terra il trasse, 
Col ginocchio lo strinse, e col trafiere 
Gli passò ’1 fianco. Podalirio ad Also 
Pastor, che fra le schiere infuriava, 
S'affiló dietro; e già col brando ignudo 515 
Gli soprastava, allor ch'Also rivolto 
La gravosa bipenne, ond’ era armato, 
Gli piantò ne la fronte, e ’nsino al mento 
Il teschio gli spartì, l’armi gli sparse 


Obvius ambustum torrem Corynaeus ab ara 
Corripit, et venienti Ebuso, plagamque ferenti 
Occupat os flammis: olli ingens barba reluxit, 300 
Nidoremque ambusta dedit; super ipse sequutus 
Caesariem laeva turbati corripit hostis, 
Impressoque genu nitens terrae applicat ipsum: 

Sic rigido latus ense ferit. Podalirius Alsum 
Pastorem, primaque acie per tela ruentem, —305 
Ense sequens nudo super imminet : ille securi 
Adversi frontem mediam mentumque reducta 


LIBRO DUODECIMO 429 


Tutte di sangue: ond'ei cadde, e le luci 520 
Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno. 

Enea senz’ elmo in testa, infra le genti 
La disarmata destra alto levando, 
E discorrendo, e richiamando 1 suoi , 
Dove, dove ne gite? che tumulto, 525 
Dicea, che furia, che discordia è questa 
Così repente? Oh trattenete l'ire; 
Oh non rompete. Il patto é stabilito: 
L'accordo è fatto. Solo a me concesso 
È ch'io combatta. A me sol ne lasciate 53o 
La cura e ’1 carco. Io, non temete, io solo 
Il patto vi ratifico e vi fermo 
Con questa sola destra; e Turno a morte 
Di già mi si promette, e mi si deve 
Da questi sacrificii. In questa guisa 
Gridava il Teucro Duce; ed ecco intanto 


Ct 
(I 
uw 


Disücit, et sparso late rigat arma cruore. 

Olli dura quies oculos et ferreus urget 

Somnus, in aeternam clauduntur lumina noctem. 
At pius /Eneas dextram tendebat inermem 

Nudato capite, atque suos clamore vocabat: 

Quo ruitis? quaeve ista repens discordia surgit? 

O cohibete iras! ictum iam foedus ,.et omnes 

Compositae leges: mihi ius concurrere soli: — 315 

Me sinite, atque auferte metus: ego foedera faxo 

Firma manu: Turnum iam debent haec mihi sacra . 

Has inter voces, media inter talia verba, 


Eneide 7l. I 54 





426 ENKIDE 


Venir d’ alto stridendo una saetta; 
Non si sa da qual mano, o da qual arco 
Si dipartisse. O caso, o Dio che fosse 
Che tanta lode a’ Rutuli prestasse , 540 
L'onor se ne celó, né mai s' intese 
Chi del ferito Enea vanto si desse. 
Turno, poiché dal campo Enea fu tratto, 
E turbar vide i suoi, di nuova speme 
S'accese, e gridó l'armi, e sopra al carro 545 
D'un salto si lanciò, spinse i cavalli 
Infra’ nemici, e molti a morte dienne, 
Molti nè sgominò , molti n’ infranse, 
E con l'aste, fuggendo, ne percosse. 
Qual è de l' Ebro in su la fredda riva 920 
Il sanguinoso Marte allor, ch'entrando 


Ecce viro stridens alis alla psa sagitta est, 

Incertum qua pulsa manu, quo turbine adacta; 320 

Quis tantam Rutulis laudem casusne, Deusne 

Attulerit. Pressa est insignis gloria facti: 

Nec sese /Enneae iactavit vulnere quisquam. 
Turnus, ut /Enean cedentem ex agmine vidit, 

T'urbatosque duces, subita spe fervidus ardet; 325 

Poscit equos atque arma simul, saltuque superbus 

Emicat in currum, et manibus molitur habenas. 

Multa virim volitans dat fortia corpora leto: 

Semineces volvit multos, aut agmina curru 

Proterit, aut raptas fugientibus ingerit hastas. 330 

Qualis apud gelidi quum flumina concitus Hebri 


LIBRO DUODECIMO 427 


* Ne la battaglia, o con lo scudo intuona, 
O fulmina con l'asta, e i suoi cavalli 
Da la furia e da lui cacciati e spinti 
Ne van co’ venti a gara, urtando i vivi, 5 
E calpestando i morti; e fan col suono 
De’ piè fino a gli estremi suoi confini 
Tremar la Tracia tutta, e van con essi 
Lo spavento, il timor, l’insidie e l'ire, 
Del bellicoso Iddio seguaci etevni: 560 
In così fiera e spaventosa vista 
Se ne gía Turno, la campagna aprendo, 
Uccidendo, insultando, e di nemici 
Miserabil ruina e strage e strazio 
Or con l'armi facendo, or co' destrieri, 505 
Che sudanti, fumanti e polverosi, 
Spargean di sangue e di sanguigna arena 
Con le zampe, e con l'ugne un nembo intorno. 
Sténelo, ne l'entrar, Tamiro e Polo 


Ct 
Qt 


Sanguineus Mavors clypeo increpat, atque furentes, 
Bella movens, immittit equos: illi aequore aperto 
Ante Notos Zephyrumque volant: gemit ultima pulsu 
T'hraca pedum, circumque atrae formidinis ora, 335 
Iraeque, Insidiaeque, Dei comitatus, aguntur. 
T'alis equos alacer media inter praelia Turnus 
Fumantes sudore quatit, miserabile caesis 
Hostibus insultans : spargit rapida ungula rores 
Sanguineos, mixtague cruor calcatur arena. 340 
Jamque neci Sthenelumque dedit, Thamirimque Pho- 
lumque, 


428 ENEIDE 


Condusse a morte; i due primi da presso, ‘570 
L’ultimo da lontano. E da lunge anco 

Glauco percosse e Lado; i due famosi 

Figli d'Imbràso , ne la Licia nati, 

Da lui stesso nutriti, e parimente 

A cavalcare e guerreggiare instrutti . 575 
Da l’altra parte Eumede, il chiaro germe 

De l’antico Dolone. Il nome avea 

Costui de l'avo, e l'ardimento e i fatti 

Seguia del padre, che de’ Greci il campo 

Spiare osando, osò d’ Achille ancora 580 

In premio de l'ardir chiedere il carro. 

Ma d'altro che di carro premiollo 

l| figlio di Tidéo; nè però degno 

D' un tanto guiderdone unqua si tenne. 


Hunc congress us et hunc; illum eminus: eminus ambo 

Imbrasidas Glaucum atque Laden, quos Imbrasus 
ipse 

Nutrierat Lycia , paribusque ornaverat armis; 

Vel conferre manum, vel equo praevertere ventos. 

. Parte alia media Eumedes in praelia fertur, 

Antiqui proles bello praeclara Dolonis, 

Nomine avum referens,animo manibusque parentem; 

Qui quondam, castra ut Danatim speculator adiret , 

Ausus Pelidae pretium sibi poscere currus: —— 350 

Illum Tydides alio pro talibus ausis 

4 ffecit pretio: nec equis adspirat Achillis. 

Hunc procul ut campo Turnus prospexit aperto, 


LIBRO DUODECIMO 429 


Turno, poscia che | vide (che da lunge 585 
Lo scorse) con un dardo il giunse in prima: 
Indi a terra gittossi : e qual trovollo . 

Di già caduto e moribondo, il piede^ 

Sopr'al collo gl'impresse , e ne la strozza 

Lo suo stesso pugnal cacciógli, e disse: 590 
T roiano , ecco l'Italia, ecco i suoi campi, 

Che tanto desiasti: or gli misura 

Costi giacendo. I5 questo si guadagna 

Chi contra a Turno ardisce; e'n questa guisa 
Si fondan le città. Dietro a costui 595 
Bute, e di mano in mau Darete e Cloro 

E Sibari e Tersiloco e Timete, 

Lanciando , uccise. Ma Timete in terra 

Feri, che per sinistro, o per difetto 

D' un suo restío cavallo era caduto. Goo 


Ante levi iaculo longum per inane sequutus, 
Sistit equos biiugis, et curru desilit, atque 355 
Semianimi lapsoque supervenit, et, pede collo 
Impresso, dextrae mucronem extorquet, et alto 
Fulgentem tingit iugulo, atque haec insuper addit: 
En agros, et quam bello, Troiane, petisti, 
Hesperiam metire iacens: haec praemia, qui me 360 
Ferro ausi tentare, ferunt: sic moenia condunt. 
Huic comitem Asbuten coniecta cuspide mittit, 
Chloreaque, Sybarimque, Daretaque, Thersilochum- 
que, | 
Et sternacis egui lapsum cervice Thymoeten. 


430 ENEIDE 


Qual sopra al grande Egéo sonando scorre 
Il tracio Borea, che le nubi e i flutti 
Si sgombra avanti; e questi a i lidi, e quelle 
A l'orizzonte in fuga se ne vanno; 
Tal per lo campo, ovunque si rivolge, 605 
Fa Turno sgominar l armi e le schiere; 
E tal seco ne va furia e spavento, 
Che fin anco al cimier morte minaccia. 
Fegéo, tanta fierezza e tanto orgoglio 
Non sofferendo, al concitato carro 610 
Parossi avanti; e lievemente un salto 
Spiccando, con la destra al fren s'appese 
Del sinistro corsiero. E sì com'era 
Da la fuga rapito e da la forza 
Di tutti insieme, insiememente a. tutti 615 
( Dal sentier divertendoli, e dal corso ) 
Facea storpio e disturbo. Ed ecco al fianco 
Che da la destra parte era scoperto, 


Ac velut edoni Boreae quum spiritus alto 365 
Insonat /Egaeo, sequiturque ad litora fluctus. 

Qua venti incubuere; fugam dant nubila caelo: 

Sic Turno, quacumque viam secat, agmina cedunt, 
Conversaeque ruunt acies: fert impetus ipsum, 

Et cristam adverso curru quatit aura volantem. 370 
Non tulit instantem Phegeus, animisque frementem: 
Obiecit sese ad currum, et spumantia frenis 

Ora citatorum dextra detorsit equorum. 

Dum trahitur , pendetque iugis , hunc lata retectum 


LIBRO DUODECIMO 431 


Cotal sentissi de la lancia un colpo, 

Che la corazza , ancor che doppia e forte, 620 

Stracciògli, e ’n fino al vivo lo trafisse; 

Ma di lieve puntura. Ond' ei rivolto , 

E ’mbracciato lo scudo e stretto il brando, 

Contra gli s'affilava, e per soccorso 

Gridava intanto. Ma le ruote e l' asse, 625 

Ch’ erano in moto, urtandolo, a rovescio 

Gittàrlo; e Turno immantinente addosso 

Sagliendogli , infra l’ elmo e la gorgiera 

Il collo gli recise, e dal suo busto 

Tronco il capo lasciógli in su l'arena. 630 
Mentre così vincendo, e d’ogni parte 

Con tanta strage il campo trascorrendo 

Se ne va Turno; Enea dal fido Acate, 

Da Memmo e dal suo figlio accompagnato , 

( Come da la saetta era ferito ) 635 


Lancea consequitur, rumpitque infixa bilicem 375 
Loricam, et summum degustat vulnere corpus. 

Ille tamen clypeo obiecto conversus in hostem 

Ibat, et auxilium ducto mucrone petebat : 

Quum rota praecipitem, et procursu concitus axis 
Impulit, effuditque solo; Turnusque sequutus, 330 
Imam inter galeam summi thoracis et oras, 
Abstulit ense caput, truncumque reliquit arenae, 
dique ea dum campis victor dat funera Turnus, 
Interea /Enean Mnestheus, et fidus Achates, 
4scaniusque comes castris statuere cruentum, 385 


432 ENEIDE 


Sovr un'asta appoggiato a lento passo 

Verso gli alloggiamenti si ritragge. 

Ivi contro a lo stral, contro a sé stesso 

S' inaspra, e. frange il télo, e di sua mano 
Ripesca il ferro. E poiché indarno il tenta, 64o 
Comanda che la piaga gli s' allarghi 

Con altro ferro, e d' ognintorno s'apra, 

Si che tosto dal corpo gli si svelga, 

E tosto a la battaglia se ne torni. 

Comparso intanto era a la cura lüpi 645 
D' Iáso il figlio, sovr' ogn altro amato 

Da Febo. E Febo stesso , allor ch'acceso 

Era da l'amor suo, la cetra e l'arco 

E ’1 vaticinio, e qual de l'arti sue 

Più gli aggradasse, a sua scelta gli offerse. 65o 
Ei che del vecchio infermo e già caduco 

Suo padre la salute e gh anni amava, 


"ternos longa nitentem cuspide gressus. 

Saevit, et infracta luctatur arundine telum 
Eripere, auxiliogue viam, quae proxima, poscit: 
Ense secent lato vulnus, telique latebram 
Rescindant penitus, seseque in bella remittant. 390 
Jamque aderat Phoebo ante alios dilectus lápyx 
Jasides; acri quondam cui captus amore 

Ipse suas artes, sua munera, laetus Apollo 
Augurium citharamque dabat celeresque sagittas. 
Ille, ut depositi proferret fata parentis, 393 
Scire potestates herbarum, usumque medendi 


LIBRO DUODECIMO 433 


Saper de l'erbe la possanza, e l'uso 
Di medicare elesse, e senza lingua 
E senza lode e del futuro ignaro 655 
Mostrarsi in pria, che non ritorre a morte 
Chi gli dié vita. A la sua lancia Enea 
Stava appoggiato, e fieramente acceso 
Fremendo, avea di giovani un gran cerchio 
Col figlio intorno , al cui tenero pianto 6 60 
Punto non si movea. Sbracciato intanto 
E con la veste a la cintura avvolta, 
Qual de’ medici è l'uso, il vecchio lüpi 
Gli era d'intorno; e con diverse prove 
Di man, di ferri, di liquori e d' erbe 665 
In van s'affaticava, invano ogni opra, 
Ogni arte , ogni rimedio, e i preghi c i voti 
Al suo maestro Apollo eran tentati. 
De la battaglia rinforzava intanto 
Lo scompiglio e l'orrore; e già'l periglio 670 


Maluit, et mutas agitare inglorius artes. 

Stabat acerba fremens, ingentem nixus in hastam 
/Eneas, magno iuvenum et moerentis Iuli 
Concursu, lacrimis immobilis: ille retorto 400 
Paeonium in morem senior succinctus amictu, 
Multa manu medica, Phoebique potentibus herbis 
Nequidquam trepidat, nequidquam spicula dextra 
Sollicitat, prensatque tenaci forcipe ferrum. . 
Nulla viam fortuna regit: nihil auctor Apollo 409 
Subvenit: et saevus campis magis ac magis horror 


Eneide Vol. II 55 


302 ENEIDE 


Ch' ho macchiato il tuo nome, ch'ho sommerso 1345 
La tua fortuna e | mio stato felice 

Co’ demeriti miei. Dal mio furore 

Son dal seggio deposto. Io son che debbo 

Ogni grave supplizio ed ogni morte 

A la mia patria, al grand’ odio de miei. 1350 
E pur son vivo, e gli uomini non fuggo? 

E uon fuggo la luce? Ah fuggirolla 

Pur una volta. E, così detto, alzossi 

Su la ferita coscia. E benchè tardo 

Per la piaga ne fosse e per l’ angoscia, 1355 
Non per questo .avvilito, un suo cavallo 

Cl’ era quanto diletto e quanta speme 

Avea ne l’armi, e quel che in ogni guerra 
Salvo. mai sempre e vincitor lo rese, 

Addur si fece. E poi che addolorato 1360 
Se ’1 vide avanti, in tal guisa gli disse: 


Idem ego, nate, tuum maculavi crimine nomen, 
Pulsus ob invidiam solio, sceptrisque paternis. 
Debueram patriae poenas, odiisque meorum: 
Omnes per mortes animam sontem ipse dedissem! 
Nunc vivo! neque adhuc homines lucemque relinquo ! 
Sed linquam. Simul hoc dicens attollit in aegrum 
Se femur: et, quamquam vis alto vulnere tardat, 
Haud deiectus, equum duci iubet. Hoc decus illi, 
Hoc solamen erat: bellis hoc victor abibat 
Omnibus. Alloquitur moerentem, et talibus infit: 
Rhoebe, diu, res si qua diu mortalibus ulla est, 


LIBRO DECIMO 303 


Rebo, noi siam fia qui vissuti assai, 
Se pur assai di vita ha mortal cosa. 
Oggi è quel dì che o vincitori il capo 
Riporterem d' Enea con quelle spoglie 1365 
Che son de l’ armi (*) del mio figlio infette, 
E che tu del mio duolo -e de la morte 
Di lui. vendicator meco sarai; 
O che meco, se vano è ’l poter nostro, 
Finirai parimente i giorni tuoi; — — 1370 
Ché la tua fé, cred' io, la tua fortezza 
Sdegnoso ti farà d'esser soggetto 
À' miel nemici, e di servire altrui. 
Così dicendo, il consueto. dorso 
Per sè medesmo il buon Rebo gli offerse. 1375 
Ed ei l elmo ripreso, il cui cimiero 
Era pur di cavallo un' irta coda, 
Suvvi, come potè, comodamente 


Viximus: aut hodie victor spolia illa cruenta, 

Et caput /Eneae referes, Lausique dolorum 
Ultor eris mecum: aut, aperit si nulla viam vis, 
Occumbes pariter: neque enim, fortissime, credo, 
Iussa aliena pati, et dominos dignabere T'eucros. 
Dixit, et exceptus tergo consueta locavit 
Membra, manusque ambas iaculis oneravit acutis, 
Are caput fulgens, cristaque hirsutus equina. 


(*) Tutte l' edizioni hanno armi, ma stando al testo 
sicuramente apparisce che dovrebbe dire sangue. JI lettore 
giudichi di questa osservasione. 


304 ENEIDE 


Vi s adagió. Poscia d' acuti strali 

Ambe carche le mani, infra le schiere 4 

Lanciossi. Amor, vergogua, insania e lutto 

E dolore e furore e conscienza 

Del suo stesso valore accolti in umo 

‘ Gli arsero il core e gli avvamparo il volto. 
Qui tre volte a gran voce Enea sfidando “i 

Chiamò: che tosto udillo, e baldanzoso, 

Così piaccia al gran Padre , gli rispose, 

Cosi t'inspiri Apollo. Or vien pur via, 

Soggiunge. E ratto incontro gli si mosse . 


380 


385 


Ed egli: Ah dispietato! a che minacci, 1390 


Già che morto è’ mio figlio? In ciò potevi 
Darmi tu morte. Or nè la morte io tenio, 
Nè gli tuoi Dei. Non più spaventi. Io vengo 
Di morir desioso; e questi doni 


Sic cursum in medios rapidus dedit. /Estuat ingens 


Uno in corde pudor, mixtoque insania luctu, 
* Et furiis agitatus amor, et conscia virtus: * 
Atque hic /Enean, magna ter voce vocavit. 
4Eneas agnovit enim, laetusque precatur: 

Sic pater ille Deum faciat, sic altus Apollo, 
Incipias conferre manum. 

Tantum effatus, et infesta subit obvius hasta. 
Ille autem: Quid me erepto, saevissime, nato 
Terres? haec via sola fuit, qua perdere posses: 


875 


Nec mortem horremus, nec Divám parcimus ulli. 


Desine: iam venio moriturus, et haec tibi porta 


LIBRO DESGIMO 305 


Ti porto in prima. E] primo dardo trasse : 1395 
Poi l’altro e l’altro appresso; e via traendo 

Gli diseorrea d'intorno. A i colpi tutti 

Resse il dorato scudo. E già tre volte 

I/ un girato il cavallo, e l'altro il bosco 

Avea de dardi nel suo scudo infissi, 1400 
Quando il figlio d' Anchise, impaziente 

Di tanto indugio e di sferrar tant' aste, 

Visto ’l suo disvantaggio, a molte cose 

Andò pensando. A) fin di guardia uscito 
Addosso se gli spinse, e trasse il télo, 1405 
Sì che del corridore il teschio infisse 

In mezzo de la fronte. Inalberossi 

A quel colpo il feroce, e calci a l'aura 

Traendo , scalpitando, el collo e ’1 telo 
Scotendo , s' intricò : cadde con l’asta, 1410 


Dona prius. Dixit, telumque intorsit in hostem: .- 

Inde aliud super atque aliud figitque, volatque 

Ingenti gyro: sed sustinet aureus umbo. 

Ter circum adstantem laevos equitavit in orbes, 885 

T'ela manu iaciens: ter secum troius heros 

Immanem aerato circumfert tegmine silvam. 

Inde, ubi tot traxisse moras, tot spicula taedet 

Vellere, et urgetur pugna congressus iniqua; 

Multa movens animo, iam tandem erumpit, et inter 

Bellatoris equi cava tempora coniicit hastam. 

Tollit se arrectum quadrupes, et calcibus auras 

Verberat, effusumque equitem super ipse sequutus 
Eneide 7^oi. II 39 


306 ENEIDE 


Con l'armi, col campione a capo chino 

Tutti in un mucchio. Andàr le grida al cielo 
De Latini e de’ Teucri. E tosto Enea 

Col brando ignudo gli fu sopra e disse: 

Or dov'è quel sì fiero e sì tremendo 1415 
Merzenzio? Ov' è la sua tanta bravura ? 

E | Tosco a lui, poiché l'aflitte luci 

Al ciel rivolse, e seco si ristrinse: 

Crudele, a che m' insulti? A me di biasmo 

Non è ch’ io muoia. Né per vincer teco . 1420 
Venni a battaglia. Il mio Lauso morendo 

Fe’ con te patto che morissi anch'io. 

Solo ti prego (se di grazia alcuna 

Son degni i vinti) che 1 mio corpo lasci 

Coprir di terra. Io so gli odii immortali 1425 
Che mi portano i miei. Dal furor loro 


Implicat, eiectoque incumbit cernuus armo. 
Clamore incendunt caelum Troesque Latinique.895 
Advolat Aneas, vaginaque eripit ensem, 

Et super haec: Ubi nunc Mezentius acer, et illa 
Effera vis animi? Contra Tyrrhenus, ut auras 
Suspiciens hausit caelum, mentemque recepit: 
Hostis amare, quid increpitas, mortemque minaris? 
Nullum in caede nefas: nec sic ad praelia veni : 
Nec tecum meus haec pepigit mihi foedera Lausus. 
Unum hoc, per, si qua est victis venia hostibus, oro; 
Corpus humo patiare tegi. Scio acerba meorum 
Circumstare odia: hunc, oro, defende furorem, 9o5 


LIBRO DECIMO 307 


Ti supplico a sottrarmi, e col mio figlio 
Consentir ch'io mi giaccia. E, ciò dicendo, 

La gola per sè stesso al ferro offerse; 

E con un fiume che di sangue sparse 1430 
Sopra l’ armi versò l' anima e ’l fiato. 


Et me consortem nati concede sepulcro. 
Haec loquitur, iuguloque haud inscius accipit ensem, 
Undantique animam diffundit in arma cruore. 


Fine del Libro decimo. 


ILLUSTRAZIONI 


AL LIBRO DECIMO 





. ® CAPUA (Capua Vecchia.) 


Veduta degli avanzi dell’antica capitale della Campania, 
che dicesi fabbricata dai Tirreni 50 anni prima della fonda- 
zione di Roma. Queste ruine sono lontane circa una lega 
dalla moderna Capua. Affermasi che l'antica città ricevesse 
il suo nome da Capys, duce dei Tirreni che la fondarono. 
Vedesi a sinistra il Campidoglio dell'antica città; s'innalza a 
destra dietro a questa al nord il monte Tifata, notabile per 
essere il luogo in cui i Sanniti disfecero l’ armata di Capua, 
perchè su di esso accampò Ahnibale, e perché dalla sua sommità’ 
Silla battè il proconsole Norbano. 

. &NEID. L. x, v. 145. 


ILVA ( Elba) 

Veduta dell’ Isola d' Z/va chiamata pure Acthalia situata 
presso i liti d' Etruria, e cognita fin dai tempi d' Aristotile. 
Dovette la sua antica celebrità alle miniere di ferro e di ra- 
me, ed alle sue officine che fornivano ogni sorte di strumenti, 
aratorj e di utensili domestici, de'quali faceva essa fuori 
un commercio molto esteso. La sua capitale chiamavasi Argus 
( oggi Porto Ferrajo ) nome che dicesi provenisse dall’ 4rgo 
, di Giasone. 

BNEID. L. x, v. 173. — 174. 


MANTUA (Mantova) 
Veduta della parte orientale di Mantova, sul lago formato 
dal fiume Mincio. Era secondo Plinio dessa città di origine 
etrusca, e la sola fra tutte le altre della medesima deriva- 


Vol. II 


UOS ey eed e Po. Secondo Virgil 
o A GRA M aie Tusi, Om- 
BleniBLou Euganei. 
amem. 1. x, v. 201. 





amp. t. x, v. 205. 


E 
E 


DELL’ ENEIDE 


DI VIRGILIO 


LIBRO UNDECIMO 


—— D 


ARGOMENTO 


Dassi Il supremo onor di sepoliura 
A corpi estinti ; piagne il vecchio Padre 
Dei gibvine Pallante il fato acerbo . 
Sun contrari i parer di Turno e Drance. 
La Vergine Camilla a morte è spinta. 


Passò la notte intanto, e già dal mare 
Sorgea l’ aurora. Enea, quantunque il tempo, 
L' officio e la pietà più lo stringesse 
A seppellire i suoi, quantunque offeso 
Da tante morti il cor funesto avesse, 5 
Tosto che 1 sole apparve, il voto sciolse 
De la vittoria. E sovra un piccol colle 
Tronca de’ rami una gran quercia eresse ; 
De ? armi la rinvolse, e de le spoglie 
L’ adornò di Mezenzio, e per trofeo 10 


Oceanum interea surgens aurora reliquit. 
"Eneas (quamquam et sociis dare tempus humandis 
Praecipitant curae, turbataque funere mens est) 
Vota Deum primo victor solvebat Eoo. 
Ingentem quercum, decisis undique ramis, 5 
Constituit tumulo, fulgentiaque induit arma, 


310 ENEIDE 


A te, gran Marte, dedicolla. In cima 

L' elmo vi pose, e'n su l'elmo il cimiero, 
Ancor di polve e d' atro sangue aspersò. 

L’ aste d’ intorno attraversate e rotte 

Stavan quai secchi rami; e'l tronco in mezzo 15 
Sostenea la corazza, che smagliata 

E da dodici colpi era trafitta . 

Dal manco lato gli pendea lo scudo; 

Al destr' omero il brando era attaccato, 

Che ’1 fodro avea d’ avorio e l’ else d' oro. 20 
Indi i suoi duci e le sue genti accolte, 

Che liete gli gridàr vittoria intorno, 

In cotal.guisa a confortar si diede: 

Compagni, il più s' é fatto. A quel che resta 
Nulla temete. Ecco Mezenzio è morto 25 
Per le mie mani, e queste che vedete, 

L' opime spoglie e le primizie sono 
Del superbo tiranno. Ora a le mura 


Mezentí ducis exsuvias; tibi, magne, trophaeum, 
Bellipotens: aptat rorantes sanguine cristas, 
T'elaque trunca viri, et bis sex thoraca petitum 
Perfossumque locis: clypeumque ex aere sinistrae 
Subligat, atque ensem collo suspendit eburnum. 
.Tum socios (namque omnis eum stipata tegebat 
Turba ducum) sic incipiens hortatur ovantes: . 
Maxima res effecta, viri: timor omnis abesto, : 
Quod superest; haec sunt spolia, et de rege superbo 
Primitiae; manibusque meis Mezentius hic est. 


LIBRO UNDECIMO 3rt 


Ce n' andrem di Latino. Ognuno a.l' armi 

S' accinga : ognun s' affidi, e si prometta Jo 
Guerra e vittoria. In: ponto vi mettete ,. 

Ché quando da gli augurii ne. s' accenne . 

Di muover campo, e: che mestier ne sia 

D' inalberar l’ insegne, indugio alcuno 

Non c impedisca, -0 ’1 dubbio o la paura 35 
Non ci ritardi. In questo mezzo, a’ morti 

Diam sepoltura, e quel che lor dovuto 

È sol dopo la morte, eterno onore. 

Itene adunque, e quell’ anime chiare 

Che n° han col proprio sangue e con la vita 4o 
Questa patria acquistata e questo impero, 

D ultimi doni ornate. E primamente 

Al mesto Evandro il figlio si rimandi, 

Che, di virtù maturo e d' anni acerbo, 

Così n’ ha morte indegnamente estinto . 45 


Nunc iter ad regem nobis, murosque latinos. 

Arma parate, animis et spe praesumite bellum: 

Ne qua mora ignaros, ubi primum vellere signa . 
Annuerint Superi, pubemque educere castris, 20 
Impediat, segnesve metu sententia tardet. | 
Interea socios inhumataque corpora terrae 
Mandemus: qui solus honos Acheronte sub imo est. 
Jte, ait, egregias animas, quae sanguine nobis 
Hanc patriam peperere suo, decorate supremis .25 
Muneribus: moestamque Evandri primus ad urbem 
Mittatur Pallas, quem non virtutis egentem - 


312 ENEIDE 


Ciò detta, lagrimando il passo valse 
Ver la magione; u' di Pallante il corp» 
Dal vecchierello Acete era guardato . 
Era costui già del parrasio Evandro 
Donzello d’ armi; e poscia per compagno 50 
Fu (ma non già con sì lieta fortuna) 
Dato al suo caro alunno. Avea can lui 
D' Arcadi suoi vassalli e di Troiani 
Una gran turba. Scapigliate e meste 
Le donne d' Ilio, sì com’ era usanza, 55 
Gli piangevano intorno; e non fu prima 
Enea comparso, che le strida e i pianti 
Si rinnovaro . Il batter de le mani, 
Il suon de’ petti, e de l'albergo i mugghi 
N° andàr fino a le stelle. Ei poiché vide Go 
Il suo corpo disteso, e ’1 bianco volto, 


Abstulit atra dies, et funere mersit acerbo. 

Sic ait illacrimans, recipitque ad limina gressum, 
Corpus ubi exanimi positum Pallantis Acoetes 30 
Servabat senior: qui parrhasio Evandro 
Armiger ante fuit; sed non felicibus aeque 
Tum comes auspiciis caro datus ibat alumno. 
Circum omnis famulimque manus ,troianaque turba, 
Et moestum Iliades crinem de more solutae. 33 
Ut vero /Eneas foribus sese intulit altis: 

Ingentem gemitum tunsis ad sidera tollunt 
Pectoribus, moestogue immugit regia luctu. 
Ipse caput nivei fultum Pallantis et ora 


LIBRO UNDECIMO 313 


E ]' aperta ferita che nel petto 

Di man di Turno avea larga e profonda, 
Lagrimando proruppe: O miserando 

Fanciullo, e che mi val s' amica e destra 65 
Mi si mostra fortuna ? E che .m' ha dato, 

Se te m' ha tolto? Or che vincendo ho fatto? 
Che regnando faró, se tu non godi 

De la vittoria mia, né del mio regno? 

Ah! non fec' io queste promesse allora . ^ 7o 
Al buon Evandro, ch’ a l’ acquisto venni 

Di questo impero. E ben temette il saggio, 

E ben ne ricordò che duro intoppo, 

E d’ aspra gente avremmo. E forse ancora 

Il meschino or fa voti e preci e doni . 7 
Per la nostra salute, e vanamente 

Vittoria s' impromette. E noi con vana 

Pompa gli riportiam questo infelice 


[9T 


Ut vidit, laevique patens in pectore vulnus 
Cuspidis Ausoniae, lacrimis ita fatur obortis: 
Tene, inquit, miserande puer, quum laeta veniret, 
Invidit fortuna mihi, ne regna videres 

Nostra, neque ad sedes victor veherere paternas? 
Non haec Evandro de te promissa parenti 43 
Discedens dederam, quum me complexus euntem : 
Mitteret in magnum imperium, metuensque moneret 
Acres esse viros, cum dura praelia gente. — 

Et nunc ille quidem spe multum captus inani 

Fors et vota facit, cumulatque altaría donis. — 5o 


Eneide Vol. II 4o 





314 ' ENEIDE 


Giovine di già morto, e di già nulla 
Più tenuto a’ Celesti. Ahi sconsolato 80 
Padre! vedrai tu dunque una sì cruda 

Morte del figlio tuo ? Questo ritorno , 

Questo trionfo: ( oimé! ) d' ambi aspettavi ? 

E da me questa fede ? O pur, Evandro, 

No ’l vedrai già di vergognose piaghe 85 
l'erito il tergo; e non gli arai tu stesso 

(Se con infamia a te vivo tornasse) 

A desiar la morte, Ahi quanto manca 

Al sussidio d' Italia, e quanto perdi , 

Mio figlio Iulo! E, posto al pianto fine, 90 
Ordine diè che'l miserabil corpo 

Via si togliesse; e del suo campo tutto 

Scelse di mille una pregiata schiera 

Che scorta gli facesse e pompa intorno, 

E d'Evandro a le lagrime assistesse , 95 


Nos iuvenem exanimum, ei nil iam caelestibus ullis 

Debentem, vano moesti comitamur honore. 

Infelix! nati funus crudele videbis? 

Hi nostri reditus, exspectatique triumphi? 

Haec mea magna fides? 4t non, Evandre, pudendis 

Vulneribus pulsum adspicies: néc sospite dirum 

Optabis nato funus pater. Hei mihi, quantum 

Praesidium, Ausonia, et quantum tu perdis, Iule! 
Haec ubi deflevit, tolli miserabile corpus 

Imperat, et toto lectos ex agmine mittit Go 

Mille viros, qui supremum comitentur honorem, 


. LIBRO UNDECIMO 315 


E le sue gli mostrasse: a tanto lutto 

Assai debil conforto , e pur dovuto 

Al suo misero padre. Altri al suo corpo, 

Altri a la bara intenti avean di quercia, 

D' arbuto e di tali altri agresti rami 100 

Fatto un ferétro di virgulti intesto, 

E di frondi coperto, ove altamente 

Del giovinetto il delicato busto 

Composto si giacea qual di viola, 

O di giacinto un languidetto fiore |^ 102 

Colto per man di vergine, e serbato 

Tra le sue stesse foglie allor che scemo 

Non è del tutto il suo natío colore, 

Né la sua forma; e pur da la sua madre 

Punto di cibo e di vigor non ave. 110 
Enea due preziose vesti intanto | 

L' una d' ór fino e l’altra di scarlatto 


Intersintque patris lacrimis: solatia luctus 

Exigua ingentis, misero sed debita patri. 

Haud segnes alii crates, et molle feretrum 
Arbuteis texunt virgis et vimine querno, 65 
Exstructosque toros obtentu frondis inumbrant. 
Hic iuvenem agresti sublimem stramine ponunt: 
Qualem virgineo demessum pollice florem, 

Seu mollis violae, seu languentis hyacinthi, 

Cui neque fulgor adhuc, necdum sua forma recessit; 
Non iam mater alit tellus, viresque ministrat. | 
T'um geminus vestes, auroque ostroque rigentes 


316 ENEIDE . 


Addur si fece: ambe ornamenti e doni 
De la sidonia Dido, e da lei stessa 
Con dolce studio e con mirabil arte 115 
Ricamate e distinte. E l'una in dosso 
Gli pose, e l’ altra in capo, ultimo onore 
Con che dolente la dorata chioma 
Allor velógli, ch’ era additta al foco. 
° De le prede oltre a ciò di Laürento 120 
Gli fa gran parte. Fagli in ordinanza 
Spiegar l armi, i cavalli e l'altre spoglie 
Tolte a’ nimici. Gli fa gir legati 
Con le man dietro i destinati a morte 
Per onoranza del funereo rogo. - 125 
Portar gli fa d’ avanti a i duci loro 
L' armi a i tronchi sospese, e i nomi scritti 
De gli uccisi e de vinti. Il vecchio Acete 


Extulit Aneas, quas illi, laeta laborum, 

Ipsa suis quondam manibus sidonia Dido 

F'ecerat, et tenui telas discreverat auro. )5 
Harum unam iuveni, supremum moestus konorem 
Induit, arsurasque comas obnubit amictu; 
Multaque praeterea Laurentis praemia pugnae 
Aggerat, et longo praedam iubet ordine duci: 

"Addit equos et tela, quibus spoliaverat hostem. 80 
Vinxerat et post terga manus, quos mitteret umbris 
Inferias, caeso sparsuros sanguine flammam; 
Indutosque iubet truncos hostilibus armis 

Ipsos ferre duces, inimicaque nomina figi. 


LIBRO UNDECIMO 317 


Che, sì com'era afflitto e d’anni grave, 
Gli era appresso condotto, or con le pugna 130 
Si battea "| petto, ed or con l' ugna il volto 
Si lacerava, e tra la polve e ’l fango 
Si volgea tutto. Ivano i carri aspersi 
Del sangue de’Latini. Iva lugùbre, 
E d' ornamenti ignudo Eto, il più fido 135 
Suo caval da battaglia, che gemendo 
In guisa umana e lagrimando andava. 
Seguian le meste squadre i Teucri, i Toschi 
E gli Arcadi, con l'armi e con l' insegne 
Rivolte a terra. Or poi ch' oltrepassata 140 
Con quest' ordine fu la pompa tutta, 
Enea fermossi, e verso il morto amico 
Ad alta voce sospirando disse : 
Noi quinci ad altre lagrime chiamati 


Ducitur infelix aevo confectus Acoetes, 85 

Pectora nunc foedans pugnis, nunc unguibus ora: 

Sternitur et toto proiectus corpore terrae. 

Ducunt et rutulo perfusos sanguine currus. 

Post bellator equus, positis insignibus, /Ethon 

It lacrimans, guttisque humectat grandibus ora. 9o 

Hastam alii galeamque ferunt; nam cetera Turnus 

Victor habet. Tum moesta phalanx, Teucrique 
sequuntur, 

Tyrrhenique duces, et versis Arcades armis. 

Postquam omnis longe comitum processerat ordo, 

Substitit Eneas, gemituque haec addidit alto: — 95 


318 ENEIDE 


Dal medesimo fato, altre battaglie 145 
Imprenderemo. E tu, magno Pallante, 
Vattene in pace, e con eterna gloria 
Godi eterno riposo. Indi partendo 
Ver l'alte mura, al campo si ritrasse. 

Eran nel campo già co rami avanti 150 
Di pacifera oliva ambasciadori 
De la città latina a lui venuti, 
Che tregua a’ vivi e sepoltura a’ morti 
Pregando, gli mostràr che più co’ vinti 
Ne co’ morti è contrasto , e che Latino 155 
Gli era d’ospizio amico, e che chiamato 
L’ avea genero in prima. Il buon Troiano 
A le giuste preghiere, a i lor quesiti, 
Che di grazia eran degni, incontanente 
Grazioso mostrossi; e da vantaggio 160 


Nos alias hinc ad lacrimas eadem horrida belli 
Fata vocant. Salve aeternum mihi, maxime Palla, 
4Eternumque vale. Nec plura effatus, ad altos 
T'endebat muros, gressumque in castra ferebat. 
Jamque oratores aderant ex urbe latina,  - 100 
Velati ramis oleae, veniamque rogantes: 
Corpora, per campos ferro quae fusa iacebant, 
Redderet, ac tumulo sineret succedere terrae: 
Nullum cum victis certamen, et aethere cassis: 
Parceret hospitibus quondam socerisque vocatis. 105 
Quos bonus /Eneas, haud aspernanda precantes, 
Prosequitur venia, et verbis haec insuper addit: 


LIBRO UNDECIMO 319 


Così lor disse: E qual’ indegna sorte 

Contra me, miei Latini, in tanta guerra 

Cosi v'intrica? che pur vostro amico 

Son qui venuto; nè venuto ancora 

Vi sarei, se da'Fati e da gli Dei 165 
Mandato io non vi fossi. E non pur pace, 
Siccome voi chiedete, io vi concedo 

Per color che son morti, ma co' vivi 

Ve l' offro, e la vi chieggo. E la mia guerra 
Non è con voi: mal vostro re s' è tolto 170 
Da l'amicizia mia; s' è confidato 

Più ne l'armi di Turno. E Turno ancora 
Meglio e più giustamente in ciò farebbe, 

S'a questa guerra sol con suo periglio 

Ponesse fine. E poiché si dispose 175 
Di cacciarmi d'Italia, il suo dovere 

Fóra stato che meco, e con quest armi 

Difinita l'avesse. E saria visso 


Quaenam vos tanto fortuna indigna, Latini, 
Implicuit bello, qui nos fugiatis amicos? 

Pacem me exanimis et Martis sorte peremtis — 110 
Oratis? equidem et vivis concedere vellem. 

Nec veni, nisi fata locum sedemque dedissent; 

Nec bellum cum gente gero: rex nostra reliquit, 
Hospitia, et T'urni potius se credidit armis. 

4Equius huic Turnum fuerat se opponere morti, 

Si bellum finire manu, si pellere Teucros 

Apparat; his mecum decuit concurrere telis: 


320 ENEIDE 


Cui la sua propria destra, e Dio concesso 
Più vita avesse; e i vostri cittadini 180 
Non sarian morti. Or poiché morti sono, 
Io me ne dolgo, e voi gli seppellite . 

Restaro al dir d' Enea stupidi e cheti 
I latini oratori, e l' un con P altro 
Si guardarono in volto. Indi il più vecchio, 185 
Drance nomato , a cui Turno fu sempre 
Per sua natura e per sua colpa in ira, 
Rotto il silenzio in tal guisa rispose: 
O di fama e più d' arme eccelso e grande 
Troiano Eroe, qual mai fia nostra lode 190 
Che ’1 tuo gran merto agguagli? E di che prima 
Ti loderemo ? ch' io non veggio quale 
In te maggior si mostri, o la giustizia, 
O la gloria de l'armi. A questa tanta 
Grazia, che tu ne fai, grati saremo: 199 
Rapporto ne faremo; e s'al consiglio 


Vixet, cui vitam Deus, aut sua dextra dedisset. 
Nunc ite, et miseris supponite civibus ignem. 
Dixérat /Eneas. Olli obstupuere silentes: 120 
Conversique oculos inten se atque ora tenebant. 
T'um senior, semperque odiis et crimine Drances 
Infensus iuveni Turno, sic ore vicissim 

Orsa refert: O fama ingens, ingentior armis, 

Fir troiane, quibus caelo te laudibus aequem? 125 
lustitiaene prius mirer, belline laborum? 

Nos vero haec patriam grati referemus ad urbem: 


LIBRO UNDECIMO 321 


Nostro è fortuna amica, amico ancora’ 
Ti fia Latino. E cerchisi d'altronde 
Turno altra lega. A noi co'sassi in collo 
Gioverà di trovarne a fondar vosco 200 
Questa vostra fatal novella Troia . 
Poiché Drance ebbe detto, a i detti suoi 
Tutti gli altri fremendo acconsentiro , 
E per dodici dì commercio e pace 
Fu tra l’un oste e l’altro. E senza offesa 205 
Entrambi si mischiaro, e per gli monti 
E per le selve a lor diletto andaro. 
Allor sonare accette, e strider carri 
Per tutto udissi. In ogni parte a terra 
Ne giro i cerri e gli ovni e gli alti pini 210 
E gli odorati cedri al funebre uso 
Svelti, squarciati e tronchi. E già la fama, 


Et te, si qua viam dederit fortuna, Latino 
lungemus regi. Quaerat sibi foedera Turnus. 
Quin et fatales murorum attollere moles, 130 
Saxaque subvectare humeris troiana iuvabit. 
Dixerat haec, unoque omnes eadem ore fremebant. 
Bis senos pepigere. dies, et pace sequestra 
Per silvas Teucri, mixtique impune Latini , 
Erravere iugis: ferro sonat icta bipenni 135 
F'raxinus: evertunt actas ad sidera pinus: 
Robora nec cuneis, et olentem scindere cedrum, 
Nec plaustris cessant vectare gementibus ornos. 

Et iam fama volans, tanti praenuntia luctus, 


Eneide Vol. Il 41 





322 ENEIDE 


Che di Pallante e Pallantèo volata 
Dicea pria le sue prove, e vincitore 
L' avea gridato, or d' ogni parte grida 215 
Che morto si riporta. In ció commossa 
La città tutta, in vedovile aspetto 
Di funeste facelle, e d'atri panni 
Si vide piena; e vér le porte ognuno 
Gli usciro incontro. $i vedea di lumi 220 
E. di genti una fila che le strade 
E i campi in lunga pompa attraversava . 
I Frigii e gli altri col suo corpo intanto 
Piangendo ne venian da l'altra parte, 
E con pianto incontràrsi. Indi rivolti 225 
Tutti vér la città, non pria fur giunti 
Che di pianti di donne e d" ululati 
Risonar d’ ognintorno il cielo udissi. 
Né forza, nè consiglio, nè decoro 
Fu ch’ Evandro tenesse. Uscì nel mezzo 230 


Evandrum, E vandrique domos, et moenia complet, 
Quae modo victorem Latio Pallanta ferebat. 
Arcades ad portas ruere, et de more vetusto 
F'unereas rapuere faces. Lucet via longo 

Ordine flammarum, et late discriminat agros. 
Contra turba Phrygum veniens plangentia iungit 
Agmina. Quae postquam matres succedere tectis 
F. iderunt, moestam incendunt clamoribus urbem. 
4t non Evandrum potis est vis ulla tenere, 

Sed venit in medios: feretro Pallanta reposto 


LIBRO UNDECIMO | 323 


Di tutta gente; e la funerea. bara 

Fermando, addosso al figlio in abbandono 

Si gittó, l'abbracció , stretto lo tenne 

Lunga fiata, e da l’ angoscia oppresso 

Pria lagrimando, e sospirando tacque . 235 
Poscia la strada al gran dolore aperta 

Cosi proruppe: O mio Pallante, e queste 

Fur le promesse tue, quando partendo 

Il tuo padre lasciasti? In questa guisa 

D' esser guardingo e cauto mi dicesti 240 
Ne' perigli di Marte? Ah! ben sapeva, 

Ben sapev' io quanto ne l' armi prime 
‘ Fosse in cor generoso, ardente e dolce 

Il desio de la gloria e de l'onore. 

Primizie infauste, infausti fondamenti 245 
De la tua gioventù! Vane preghiere, 

Voti miei non accetti e non. intesi 

Da niun Dio! Santissima consorte, 


Procubuit super, atque haeret lacrimansquegemens- 
que, 190 

Et via vix tandem voci laxata dolore est: 

Non haec, o Palla, dederas promissa parenti, 

Cautius ut saevo velles te credere Marti! 

Haud ignarus eram, quantum nova gloria in armis, 

Et praedulce decus primo certamine posset. 199 

Primitiae iuvenis miserae, bellique propinqui 

Dura rudimenta, et nulli exaudita Deorum 

Vota precesque meae! tuque, o sanctissima coniux, 


324 ENEIDE 


Che, morendo, fuggisti un dolor tale, 

Quanto sei tu di tua morte felice! 250 
Quanto infelice e misero son io, 

Che vecchio e padre al mio diletto figlio 
Sopravvivendo, i miei fati e i miei giorni 
Prolungo a mio tormento! Ah! foss'io stesso 
Uscito co' Troiani a questa guerra: 255 
Ch' io sarei morto; e questa pompa avrebbe 

Me cosi riportato, e non Pallante. 

Né per questo di voi, né de la lega, 

Né de l'ospizio vostro io mi rammarco, 
Troiani amici. Era a la mia vecchiezza 260 
Questa sorte dovuta. E se dovea 
Cader mio figlio, perché tanta strage 

lo vedessi de' Volsci, e perche Lazio 

Fosse a' Teucri soggetto , in pace io soffro 

Che sia caduto. É più compito onore 265 


Felix morte tua, neque in hunc servata dolorem! 
Contra ego vivendo vici mea fata, superstes 160 
Restarem ut genitor. Troum socia arma sequutum 
Obruerent Rutuli telis! animam ipse dedissem, 
"tque haec pompa domum me, non Pallanta referret ! 
Nec vos arguerim, Teucri, nec foedera, nec, quas 
lunximus hospitio, dextras: sors ista senectae — 165 
Debita erat nostrae. Quod si immatura manebat 
Mors natum, caesis Volscorum millibus ante, 
Ducentem in Latium Teucros cecidisse iuvabit. 
Quin ego non alio digner te funere, Palla, 


LIBRO UNDECIMO 325 


Non aresti da me, Pallante mio, 

Di questo che ’] pietoso e magno Enea 

E i suoi magni Troiani e i Toschi duci 

E tutte insieme le toscane genti 

T' ha procurato. Con si gran trofei 

Del tuo valor sì chiara mostra han fatto, 
E de'vinti da te. Né fóra meno 

Tra questi il tuo gran tronco, s'a te fosse, 
Turno, stato d'età pari il mio figlio, 

E par de la persona e de le forze 275 
Che ne dan gli anni. Ma che più trattengo 
Quest’ armi a’ Teucri? Andate, e da mia parte 
Riferite ad Enea, che quel ch'io vivo 

Dopo Pallante, è sol perchè l'invitta 

Sua destra, come vede, al figlio mio 250 
Ed a me deve Turno, E questo solo 

Gli manca per colmar la sua fortuna 

E 'l suo gran merto; ché per mio contento 


SÌ 
-d 
©) 


Quam pius /Eneas, et quam magni Phryges, et quam 
Tyrrhenique duces, Tyrrhenum exercitus omnis. 
Magna trophaea- ferunt, quos dat tua dextera leto; 
Tu quoque nunc stares immanis truncus in arvis, 
Esset par aetas, et idem si robur ab annis, 

Turne. Sed infelix Teucros quid demoror armis? 
Vadite, et haec memores regi mandata referte. 
Quod vitam moror invisam, Pallante peremto, 
Dextera caussa tua est; Turnum gnatoque patrique 
Quam debere vides. Meritis vacat hic tibi solus 


326 ENEIDE 


No | curo; e contentezza altra non deggio 
Sperare io più, che di portare io stesso 285 
Questa novella di Pallante a l ombra. 

Avea l’ Aurora col suo lume intanto 
Il giorno e l' opre e le fatiche insieme 
Ricondotte a’ mortali. Il padre Enea 
E 1 buon Tarconte, ambi, in su ’l curvo lito 290 
I cadaveri addotti, a’ suoi ciascuno, 
Com’ era l' uso, un’ alta pira eresse, 
La compose e l'incese. E mentre il foco 
Di fumo e di caligine coverto 
Tenea l'aére intorno, in ordinanza 295 
Tre volte armati a piè la circondaro, 
E tre volte a cavallo, in mesta guisa 
Ululando , piangendo , e l'armi e] suolo 


Di lagrime spargendo. Infino al cielo 


Fortunaeque locus. Non vitae gaudia quaero: 180 
Nec fas: sed gnato manes perferre sub imos. 
Aurora interea miseris mortalibus almam 
Extulerat lucem, referens opera atque labores. 
Jam pater /Eneas, iam curvo in litore Tarchon 
Constituere pyras. Huc corpora quisque suorum 
More tulere patrum: subiectisque ignibus atris 
Conditur in tenebras altum caligine caelum. 
T'er circum accensos, cincti fulgentibus armis, 
Decurrere rogos: ter moestum funeris ignem 
Lustravere in equis, ululatusque ore dedere. 190 
Spargitur et tellus lacrimis, sparguntur et arma. 


LIBRO UNDECIMO 327 


Penetràr de le genti e de le tube 300 
I dolorosi accenti. Altri gridando 

Le pire intorno, elmi, corazze e dardi 

E ben guarnite spade e freni e ruote 
Avventaron nel foco, e de’ nemici 

Armi d’ogni maniera, arnesi e spoglie; 305 
Altri i lor propri doni, e de gli uccisi 

Medesmi vi gittàr l’ aste infelici, 

E gl'infelici scudi, ond essi in vano 

S' eran difesi. A le cataste intorno 


Molti gran buoi, molti setosi porci, 310 


Molte fur pecorelle uccise ed arse. 

A sì mesto spettacolo in su ’l lito 

Stavan altri piangendo, altri osservando 
Ciascuno i suoi più cari, infin che "| foco 

Gli consumasse. E questi l’ ossa, e quelli 315 
Le ceneri accogliendo , il giorno tutto 

In sì pietoso officio trapassaro: 


It caelo clamorque virum, clangorque tubarum. 
Hinc alii spolia occisis derepta Latinis 
Coniiciunt igni, galeas, ensesque decoros 
F'renaque, ferventesque rotas: pars munera nota, 
Ipsorum clypeos, et non felicia tela. 

Multa boum circa mactantur corpora Morti: 
. Saetigerosque sues, raptasque ex omnibus agris 
In flammam iugulant pecudes. Tum litore toto 
Ardentes spectant socios, semiustaque servant 200 
Busta: neque avelli possunt, nox humida donec 





328 ENEIDE 


Nè se ne tolser finchè, spenti i fochi, 
Non s'acceser le stelle. In altra parte 
I miseri Latini a i corpi loro 320 
Fér cataste infinite. Altri sotterra 
Ne seppelliro; altri a le ville intorno, 
Ed altri a la città ne trasportaro . 
E quei che senza numero confusi 
Giacean nel campo, senza onore a mucchi 3a 
Furon combusti; onde i villaggi insieme 
E le campagne di funesti incendi 
Lucean per tutto. E tre luci, e tre notù 
Duràr gli afflitti amici e i dolorosi 
Parenti a ricercar le tiepid’ ossa, 330 
E ne l'urne riporle e ne’ sepolcri. 
Ma la confusione e ’1 pianto e'1 duolo 
Era ne la città per la più parte, 


Ut 


Invertit caelum stellis fulgentibus aptum. 

Nec minus et m iseri diversa in parte Latini 
Innumeras struxere pyras, et corpora partim 
Multa virim terrae infodiunt, avectaque partim 205 
F'initimos tollunt in agros, urbique remittunt. 
Cetera, confusaeque ingentem caedis acervum, 

Nec numero nec honore cremant: tunc undique vasti 
Certatim crebris collucent ignibus agri. 

Tertia lux gelidam caelo dimoverat umbram: | 210 
Moerentes altum cinerem et confusa ruebant 

Ossa focis, tepidoque onerabant aggere terrae. 

Jam vero in tectis, praedivitis urbe Latini, 


LIBRO DUODECIMO 403 


Ed essi urtando, con le corna intanto 
Si dan ferite, che le spalle e i fianchi 
. Ne grondan sangue , e ne rimugghia il bosco: 1170 
Tal del Troiano e dell’ Ausonio duce 
Era la pugna, e tal de le percosse 
E de gli scudi il suono. À questo assalto 
Il gran Giove nel ciel librate e pari 
Tenne le sue bilance, e d'ambi il fato 1179 
Contrappesando , attese a qual di loro 
Desse la sua fatica e '1 suo valore 
De la vittoria o de la morte il crollo. 
Qui Turno a tempo, ché sicuro e destro 
Gli parve, alto levossi, e con la spada 1180 
Di tutta forza a l'avversario trasse, 
E ne l'elmo il feri. Gridaro i Teucri, 
Trepidaro i Latini, e sgomentàrsi 
Tutte d'ambi gli eserciti le schiere. 


Cornuaque obnixi infigunt, et sanguine largo 
Colla armosque lavant; gemitu nemus omne remugit. 
Haud aliter tros Eneas, et daunius heros 
Concurrunt clypeis. Ingens fragor aethera complet 
Juppiter ipse duas aequato examine lances 725 
Sustinet, et fata imponit diversa duorum, 

Quem damnet labor, et quo vergat pondere letum. 
Emicat hic, impune putans, et corpore toto 

Alte sublatum consurgit Turnus in ensem, | 
Et ferit. Exclamant T'roes trepidique Latini, ‘730 
Arrectaeque amborum acies. At perfidus ensis 


330 | ENEIDE 


Con la fama de’ suoi tanti trofei 
Sostenean la sua causa. Ed ecco, intanto 
Che così si tumultua e si travaglia, 
Mesti sopravvenir gl’ imbasciadori 355 
Che in Arpi a Diomede avean mandati; 
E riportàr, che le fatiche e i passi 
Avean perduti: che nè dono alcuno, 
Né promesse, né preci, né ragioni 
Furon bastanti ad impetrar soccorso 360 
Né da lui, nè da’ suoi. Cl’ era d' altronde 
Di mestiero a’ Latini avere altr’ armi, 
O trattar co’ nimici accordo e pace. 
Gran cordoglio sentinne, e gran rammarco 
Ne fece il re Latino. E ben conobbe . 369 
Che manifestamente Enea da’ Fati 
Era portato; e via più manifesta . 
Si vedea de gli Dei !' ira davanti 
In tanta che de’ suoi ne gli: occhi avea 


Multa virum meritis sustentat fama trophaeis. 

Hos inter motus medio in flagrante tumultu 225 
Ecce super moesti magna Diomedis ab urbe 
Legati responsa ferunt: nihil omnibus actum 
Tantorum impensis operum; nil dona, neque aurum, 
Nec magnas valuisse preces; alia arma Latinis 
Quaerenda, aut pacem troiano ab rege petendam. 
Deficit ingenti luctu rex ipse Latinus. 
F'atalem Éinean manifesto numine ferri 
Admonet ira Deum, tumulique ante ora recentes. 


- ———Ruamgr——— I ay-— n 


LIBRO DUODECIMO 465 


Qual di ghiaocio, si franse, e ne la sabbia 

Ne rifulsero i pezzi. E così Turno 1 202 
Fuggendo, or quinci or quindi per lo campo 
Qual forsennato indarno s' aggirava, 

D'ogni parte rinchiuso; chè da l una 

Lo serravano i Frigii e la palude, 

E ’1 fosso e la muraglia era da l’altra. 1210 
E non men ch'ei fuggisse, il Teucro duce 

( Come che da la piaga ancor tardato 

Fosse de la saetta, e le ginocchia 

Si sentisse ancor fiacche ) il seguitava. 
L'ardente voglia, e la speranza eguale 1215 
A la tema di lui, sì lo spingea, 

Che già già gli era sopra, e già ’l fería. 

Così cervo fugace o da le ripe 

Cliiuso d'un alto fiume, o circondato : 

Da le vermiglie abbominate penne, 1220 


Dissiluit: fulva resplendent fragmina arena. 
Ergo amens diversa fuga petit aequora T'urnus: 
Et nunc huc, inde huc incertos implicat orbes. 
Undique enim densa T'eucri inclusere corona : 
"tque hinc vasta palus, hinc ardua moenia cingunt 
Nec minus /Eneas (quamquam tardata sagitta 
Interdum genua impediunt, cursumque recusant) 
Insequitur, trepidique pedem pede fervidus urget. 
Inclusum veluti si quando flumine nactus 
Cervum, aut puniceae septum formidine pennae, 750 
F'enator cursu canis et latratibus instat: 

Eneide /ol. II 59 


332 ENEIDE 


Vedemmo al fine; e quell’ invitta destra 
Toccammo, ond' è "| grand’ Ilio arso e distrutto. 
In Iapigia il trovammo a le radici 
Del gran monte Gargàno, ove fondava, 390 
Già vincitore, Argiripa, una terra 
Ghe dal patrio Argirippo ha nominata. 
Intromessi che fummo, il presentammo; 
Gli esponemmo la patria, il nome e'l fine 
De la nostra imbasciata, e la cagione 399 
Onde a lui venivámo. ll tutto udito, 
Cosi benignamente ne rispose: 

0 fortunate genti, o di Saturno 
Felice regno, e de gli antichi Ausóni 
Famosa terra! E quale iniqua sorte 400 
Da la vostra quiete or vi sottragge ? 
Qual consiglio, qual forza vi costringe 
Di nemicarvi, e guerreggiar con gente 
Che non v'è nota? Noi quanti già fummo 


Contigimusque manum, qua concidit ilia tellus. 345 
Jlle urbem Argyripam, patriae cognomine gentis, 
Victor Gargani condebat iapygis arvis. 

Postquam introgressi, et corum data copia fandi, 
Munera praeferimus, nomen patriamque docemus; 
Qui bellum intulerint, quae causa attraxerit Arpos. 
Auditis ille haec placido sic reddidit ore: 

O | fortunatae gentes, saturnia regna, 

Antiqui Ausonii, quae vos fortuna quietos 
Sollicitat, suadetque ignota lacessere bella? 


LIBRO DUODECIMO 467 


Di sovvenirlo e d'appressarlo osasse, 1240 
Che faria de le genti occisione 
Senza pietà, ch'a sacco, a ferro, a foco - 
Metteria la cittade e ’1 regno tutto, 
Sì com'era ferito il seguitava. | 

Cinque volte girando il campo tutto, 1245 
E cinque rigirando, e molte e molte 
Di qua, di là correndo, imperversaro : 
Chè non per gioco, non per lieve acquisto 
D' onor, ma per l'impero, per lo sangue, 
Per la vita di Turno era il contrasto. 12 
Per sorte in questo loco anticamente 
Era a Fauno sacrato un oleastro 
D'amare foglie, venerabil legno 
A° naviganti che dal mare usciti 
A salvamento, al tronco, a i rami suoi 1259 
Lasciavano i lor voti e le lor vesti 
A questo Dio de'Laürenti appese. 


Ct 
eo 


Exitium, si quisquam adeat: terretque trementes , 
Excisurum urbem minitans, et saucius instat. 
Quinque orbes explent cursu, totidemque retexunt 
Huc illuc: neque enim levia aut ludicra petuntur 
Praemia; sed Turni de vita et sanguine certant. 765 
Forte sacer l'auno foliis oleaster amaris : 

Hic steterat, nautis olim venerabile lignum; 

Servati ex undis ubi figere dona solebant 

Laurenti Divo, et votas suspendere vestes. 

Sed stirpem T'eucri nullo discrimine sacrum 430 


334 ENEIDE 


. Ne lasciò Pirro. Idomenéèo cacciato 
Ne fu dal patrio seggio. Esso re stesso, 
Condottier de gli Achivi, il piede a pena 425 
Nel suo regno ripose, che del regno, 
Del letto e de la vita anco privato 
Fu da la scelerata sua consorte. 
Né gli giovó che doma l’ Asia e spento 
L'uno adultero avesse, che de l' altro 430 
Scherno e preda rimase. A me l’ invidia 
Ha de gli Dei di più veder disdetto 
La mia bella città di Calidona, 
E la mia cara e desiata donna. 
Né di cià sazii , orribili spaventi $35 
Mi danno ancora. E pur dianzi in augelli 
Conversi i miei compagni (0 miseranda 
Lor pena!) van per l'aura e per gli scogli 
Di lagrimosi accenti il cielo empiendo . 
Questi sono i profitti e le speranze 440 


Idomenei? libycone habitantes litore Locros? 2065 
Ipse mycenaeus magnorum ductor Achivum 
Coniugis infandae prima intra limina dextra 
Oppetiit: devictam Asiam subsedit adulter. 

Invidisse Deos, patriis ut redditus aris 

Coniugium optatum et pulcram Calydona viderem? 
Nunc etiam horribili visu portenta sequuntur: 

Et socii amissi petierunt aethera pennis, 
Fluminibusque vagantur aves, (heu dira meorum 
Supplicia!) et scopulos lacrimosis vocibus implent. 


LIBRO UNDECIMO 335 


Ch’ io fin qui ne ritraggo, da che, folle! 
Stringer contro a’ Celesti il ferro osai, 

E che di Citeréa la destra offesi. 

Or ch’ io di nuovo una tal pugna imprenda 
Testé con voi? no, no, ch'io co' Troiani, 445 
Dopo Troia espugnata, altra cagione 

Non ho di guerra; e de’ passati mali 

Volentier . mi dimentico, e dolore 

Ancor ne sento. E, quanto a’ doni, andate , 
Riportateli vosco, e ’© magno: Enea 430 
Ne presentate. E solo a me credete 

Del valor suo, che fui con esso a fronte 

Con l' armi in mano; e so di scudo e d' asta 
Qual mi rese buon conto, e quanto vaglia. 

Se due tali altri avea la terra Idéa, 459 
D' Ida fòra più tosto ita la gente 


Haec adeo ex illo mihi iam speranda fuerunt 279 
Tempore, quum ferro caelestia corpora demens 
Appetii, et Veneris violavi vulnere dextram. 

Ne vero, ne me ad tales impellite pugnas. 

Nec. mihi cum T'eucris ullum. post eruta bellum 
Pergama, nec eeterum memini laetorve malorum. 
Munera, quae patriis ad me portatis ab oris, 
Fertite ad /Enean. Stetimus tela aspera contra, 
Contulimusque manus: experto credite, quantus . 
In clypeum assurgat, quo turbine torqueat hastam. 
St duo praeterea tales idaea tulisset 285. 
T'erra viros, ultro inachias venisset ad urbes 


336 ENEIDE 


Ai danni de la Grecia; e'] Troian fato 
‘Piangerebb’ ella. Enea sol con Ettorre 

Fu la cagion che tanto s' indugiasse 

La ruina di Troia, e che diece anni 460 
Durammo a conquistarla. Ambedue questi 

Eran di cor, di forze e d' arme eguali, 

Ma ben fu di pietate Enea maggiore . 

Io vi consiglio che, comunque sia, 

Lega seco, amicizia e pace aggiate , 465 
E l’incontro fuggiate e l' armi sue. 

Questa è la sua risposta; e quinci avete, 

Ottimo re, qual sia di questa guerra 

Il suo parere e 1 nostro. A pena uditi 

Furo i Legati, che bisbiglio e fremito 470 
Infra i turbati Ausonii udissi, in guisa 

Che di rapido fiume un chiuso gorgo 

Mormora allor, che fra gli opposti sassi 


Dardanus, et eersis lugeret Graecia fatis. 

Quidquid apud durae cessatum est moenia Troiae, 

Hectoris /Eneaeque manu victoria Graiùm 

Haesit, et in decimum vestigia rettulit annum. 290 

Ambo animis, ambo insignes praestantibus armis; 

Hic pietate prior. Coeant in foedera dextrae, 

Qua datur: ast, armis concurrant arma, cavete. 

Et responsa simul quae sint, rex optime, regis 

Audisti, et quae sit magno sententia bello. 295 
F'ix ea legati: variusque per ora cucurrit 

Ausonidiim turbata fremor: ceu saxa morantuc 


LIBRO UNDECIMO 337 


S' apre la strada, e gorgogliando cade, 
E frange e rugghia e le vicine ripe 479 
Ne risonan d’ intorno. Or poiché un poco 
Restò '| tumulto , e gli animi acquetàrsi, 
Gli Dei prima invocando, un'altra volta 
Il re da l'alto seggio a dir riprese: 
Latini miei, lo mio parere e | meglio 480 
Sarebbe stato, che d'un tanto affare 
Si fosse prima consultato, e fermo 
Il nostro avviso; e non chiamar consiglio , 
Quando il nimico in su le porte avemo. 
Una importuna e perigliosa guerra 482 
S'é, cittadini, impresa, e per nimica 
Tolta una gente, che dal ciel discesa 
Da' Celesti e da' Fati é qui mandata; 
Feroce, insuperabile, indefessa, 
Ne l'armi invitta, che né vinta ancora 490 
Cessa dal ferro. Se speranza alcuna 


Quum rapidos amnes, fit clauso gurgite murmur, 
F'icinaeque fremunt ripae crepitantibus undis. 
Ut primum placati animi, et trepida ora quierunt; 
Praefatus Divos solio rex infit ab alto: 

Ante equidem summa de re statuisse, Latini, 
Et vellem, et fuerat melius; non tempore tali 
Cogere concilium, quum muros assidet hostis. 
Bellum importunum, cives, cum gente Deorum 305 
Invictisque viris gerimus, quos nulla fatigant 
Praelia, nec victi possunt absistere ferro. 


Eneide /ol. II 43 


338 EXEIDE 
Negli esterni soccorsi e ne l' aita 
Aveste de gli Eléli, ora del tutto 
La deponete; e sia speme a sè stesso 
Ciascun per sé. Ma noi per noi, che speme 495 
E che possanza avemo? Ecco davanti 
A gli occhi vostri, e fra le vostre mani 
Vedete la strettezza e la ruina 
In che noi siamo. Né però ne ’ncolpo 
Alcun di voi. Tutto ’1 valor s è mostro 500 
Che mostrar si potea; con tutto ] corpo, 
E con quanto ha di forza il nostro regno 
S'è combattuto. Or quale in tanto dubbio 
Sia la mia mente, udite. È nel mio stato 
Vicino al Tebro un territorio antico, 509 
Che in vér l’ occaso per lunghezza attinge 
Fin dove de’ Sicani era il confine. 
Da gli Rutuli è colto e da gli Aurunci, 


Spem, si quam accitis /Etolum habuistis in armis, 
Ponite. Spes sibi quisque. Sed, haec quam angusta, 
videtis. 
Cetera qua rerum iaceant perculsa ruina, 310 
Ante oculos interque manus sunt omnia vestras. 
Nec quemquam incuso. Potuit quae plurima virtus 
Esse, fuit: toto certatum est corpore regni. 
Nunc adeo, quae sit dubiae sententia menti, 
Expediam, et paucis (animos adhibete) docebo. 315 
Est antiquus ager, tusco mihi proximus amni, 
Longus, in occasum, fines super usque sicanos: 


LIBRO UXDECIMO 339 


Che i duri colli e i più deserti paschi 

Ne tengon da l’ un canto. A questo aggiungo 510 
Quella piaggia di pini e quella costa 

De la montagna. E tutto è mio disegno 

Che si ceda a' Trotani, e ch' amicizia, 

Accordo e patti e lega e leggi eguali 

Abbiam con essi. E qui, 6 a qui fermarsi 515 
Sono o da’ Fati o dal desire indotti, 

Ferminsi; e i loro alberghi e le lor mura 
Fondino a lor diletto. E s' altra parte 

Cercano ed altre genti (se pur ponno 

Torsi da noi) quando di venti nawi, 520 
O di più sovvenir ne gli bisogni, 

Su la stessa marina apparecchiata 

È la materia. Essi de’ legni il modo, 

E'l] numero diranno; e noi le selve, 

La meestranza, i ferramenti, e tutto 529 


Aurunci Rutulique serunt, et vomere duros 
Exercent colles, atque horum asperrima pascunt. 
Haec omnis regio, et celsi plaga pinea montis 320 
Cedat amicitiae T'eucrorum, et foederis aequas 
Dicamus leges, sociosque in regna vocemus: 
Considant, si tantus amor, et moenia condant. 

Sin alios fines, aliamque capessere gentem 

Est animus, poscuntque solo decedere nostro: — 3a5 
Bis denas italo tezxamus robore naves, 

«Seu plures complere valent: iacet omnis ad undam 
Materies; ipsi numerumque modumque carinis 


340 ENEIDE 


Che fia lor di mestiero , appresteremo . 
Con questa offerta io manderei de primi 
De la nostra città cento oratori 

Co' rami de la pace, col mandato 

Di contrattarla, co' presenti appresso 


53o 


D' avorio e d'oro, e col seggio e col manto 


Del nostro regno. Consultate or voi, 
Ed a l'afflitte e mal condotte cose 
D'aita provvedete e di soccorso. 

Surse allor Drance, quei che già s'é detto 
Avversario di Turno. Era costui 
Del regno de’ Latini un de’ più ricchi 
E de’ più riputati cittadini, 
Di fazion, di seguito e di lingua 
Possente assai; ne le consulte avuto 
Di qualche stima; nel mestier de l’ armi 
Codardo, anzi che no. La sua chiarezza 


Praecipiant: nos aera, manus, navalia demus. 


935 


540 


Praeterea, qui dicta ferant, et foedera firment, 330 


Centum oratores prima de gente latinos 

Ire placet, pacisque manu praetendere ramos, 
Munera portantes aurique eborisque talenta, 
Et sellam regni trabeamque insignia nostri. 


Consulite in medium, et rebus suocurrite fessis. 


Tum Drances idem infensus, quem gloria Turni 
Obliqua invidia, stimulisque agitabat amaris, 


335 


Largus opum, et lingua melior, sed frigida bell 


Dextera, consiliis habitus non futilis auctor, 


LIBRO UNDECIMO 341 


E ’1 suo fasto venía da la sua madre 

Ch' era d' alto legnaggio. Il padre a pena 

Era noto a le genti. Or questi infesto 545 
A la gloria di Turno, asperso il core 

D' amarezza e d' invidia, in questa guisa 

Il suo fatto aggravando, e l’ ire altrui 

Irritando parló: Chiaro, evidente 

E necessario, ottimo re, n’ è tanto 550 
Quel che tu ne consigli, che bisogno . 

D' altro non ha che di comune assenso . 

Ognun vede, ognun sa quel che conviene 

In si dura fortuna; e nullo ardisce 

Pur d'aprir bocca. Libertate almeno 555 
Di parlar ne si dia. Scemi una volta 

Tanta sua tracotanza e tanto orgoglio 

Chi co'suoi male avventurosi auspíci, 

Co' sinistri suoi modi (io pur dirollo, 

Benché d'armi e di morte mi minacci) 560 
N° ha qui condotti, e per cui tanti duci, 


Seditione potens (genus huic materna superbum 

Nobilitas dabat, incertum de patre ferebat) 

Surgit, et his onerat dictis, atque aggerat iras: 
Rem nulli obscuram, nostrae nec vocis egentem, 

Consulis, o bone rex. Cuncti se scire fatentur, 

Quid fortuna ferat populi; sed dicere mussant. 345 

Det libertatem fandi, flatusque remittat, 

Cuius ob auspicium infaustum, moresque sinistros 

( Dicamequidem, licet arma mihi mortemque minetur) 


342 ENEIDE 


Tanta gente è perita, e tutta in pianto 
Questa cittade e questo regno è vélto; 
Mentre ne la sua furia, o ne la fuga 
Confidando più tosto, il Troian campo 565 
Ha d’ assalire osato, e fin nel Cielo 

Posto ha con l' armi sue tema e scompiglio . 
Solo un dono, signor, fra tanti doni 

Che si mandano a’ Teucri, un sol n' aggiungi ; 
Né consentir che violenza altrui 570 
Te | proibisca. Da’, buon padre, ancora 
Questa tua figlia a genero sì degno, 

E con sì degno maritaggio eterna 

Fa' questa pace. E se "|l. terrore è tanto 
Che s' ha di lui, da lui stesso impetriamo 575 
Grazia e licenza che la patria sua, 

Che ’1 suo re prevaler si possa almeno 

Del suo sangue a suo modo. E tu cagione, 


Lumina tot cecidisse ducum, totamque videmus 


Consedisse urbem luctu: dum troia tentat 350 


Castra, fugae fidens, et caelum territat armis. 
Unum etiam donis istis, quae plurima mitti 

^ Dardanidis, dicique iubes, unum, optime regum, 
Adiicias: nec te ullius violentia vincat, 

Quin natam egregio genero dignisque hy menaeis 
Des, pater, et pacem hanc aeterno foedere iungas. 
Quod sí tantus habet mentes et pectora terror, 
Jpsum obtestemur, veniamque oremus ab ipso; 
Cedat, ius proprium regi patriaeque remittat. 


LILRO UNDECIMO 343 


Tu di tanta ruina autore e capo 
A che pur tante volte a tanti strazi, 580 
A tanti rischi, a manifesta morte 
Questi tuoi meschinelli cittadini 
Esponi indarno? E qual'è ne la guerra 
Più salute, o speranza? A te noi tutti 
Pace, Turno, chiedemo, e de la pace 985 
Quel ch’ è sol fermo e ’nviolabil pegno. 
.Ed io prima di tutti, io cui tu fingi 
Che nimico ti sia ( né tal mi curo 
Che tu mi tenga) a supplicar ti vegno 
Umilemente. Abbi pietà de' tuoi: 590 
Pon giü la stizza; e poiché sei cacciato, 
Vattene. Ássai di strage, assai di morti 

"è visto; assai ne son le genti afflitte, 
Vedovi i tetti, e desolati i campi. 
Ma se l' onor ti muove, e se concepi 599 
Di te tanto in te stesso, e tanto agogni 


Quid miseros toties in aperta pericula cives 360 
Proiicis? o Latio caput horum et caussa malorum! 
Nulla salus bello: pacem te poscimus omnes, 

T'urne; simul pacis solum inviolabile pignus. 
l’rimus ego, invisum quem tu tibi fingis, et esse 
Nil moror, en supplex venio: miserere tuorum, 365 
Pone animos, et pulsus abi. Sat funera fusi 
Vidimus, ingentes et desolavimus agros. 

Aut, si fama movet, si tantum pectore robur 
Concipis, et si adeo dotalis regia cordi est: 


344 ENEIDE 


O la donna, o la dote, a che non osi 

Contro a chi te ne priva? A Turno adunque 

Regno col nostro sangue e regia moglie 

Procureremo: e noi vili alme, e turba 600 

Non sepolta e non pianta, a'cani in preda 

Giaceremo in su' campi? Or tu, tu stesso, 

Se tanto hai d'ardimento e di valore 

Dal paterno legnaggio, a lui rispondi, 

A lui ti volgi, che ti sfida e chiama. 605 
Turno, ch’ impetuoso e violento 

Era da sè, questo parlare udito, 

Alto un gemito trasse, e d’ ira acceso 

Così proruppe: Usanza tua fu sempre, 

Drauce, allor che di mani è più bisogno — 610 

Oprar la lingua, essere in corte il primo, 

L' ultimo in campo. Ma non più parole 

In questo loco, che già pieno troppo 


Aude, atque adversum fidens fer pectus in hostem. 

Scilicet, ut Turno contingat regia coniux, 

Nos, animae viles, inhumata infletaque turba, 

Sternamur campis. Et iam tu, si qua tibi vis, 

Si patrii quid Martis habes, illum adspice contra, 

Qui vocat. 379 
Talibus exarsit dictis violentia Turni, 

Dat gemitum, rumpitque has imo pectore voces: 

Larga quidem, Drance, semper, tibi copia fandi, 

T'um quum bella manus poscunt; patribusque vocatis 

Primus ades. Sed non replenda est curia verbis, 380 


LIBRO UNDECIMO 345 


Ne l'hai; pur troppo grandi e troppo gonfie 
L'avventi, e senza rischio or che i nemici 615 
Son lunge, e ‘buone fosse e buone mura 

Ci son di mezzo, e non c' inonda il sangue. 
Apri qui bocca al solito, e rintuona 

Con la facondia tua. Tu, che sei Drance, 

Me, che son Turno, imbelle e vile appella; 620 
Tu la cui dianzi sanguinosa destra 

Pieni i campi di morti, e pieni i colli 

Ha di trofei. Ma che non provi ancora 

Questa tua gran virtù? Forse ch’ avemo 

A cercar de’ nemici? Ecco d' intorno 635 
Ci sono, e ’n su le porte. Andrem lor contra? 
Che badi: Ov'é la tua tanta prodezza?, 
Sempre è nel vento; sempre è ne la fuga 

De la lingua e de’ piè? Tu mi rinfacci 


Quae tuto tibi magna volant, dum distinet hostem 
Agger murorum, nec inundant sanguine fossae. 
Proinde tona eloquio, solitum tibi; meque timoris 
Argu® tu, Drance; quando tot stragis acervos 
Teucrorum tua dextra dedit, passimque trophaeis 
Insignis agros. Possit quid vivida virtus, 
Experiare licet: nec longe scilicet hostes 
Quaerendi nobis: circumstant undique muros. 

Imus in adversos? quid cessas? an tibi Mavors 
Ventosa in lingua, pedibusque fugacibus istis 390 
Semper erit? 

Pulsus ego? aut quisquam, merito , foedissime, pulsum 


Eneide Vol. Il 44 





346 ENEIDE 


Ch' io sia cacciato? Tu, vituperoso, ‘630 
Di. dirlo osasti? E chi meritamente 

Sarà che ’l dica? Oh! non s' è visto il Tebro 
Fatto gonfio da me del frigio sangue? 

Non s' è vista la casa e ’l seme tutto 

Spento d' Evandro? e gli Arcadi spogliati 635 
D'armi e di vita? Io non fui già da Pandaro 
Cacciato , né da Bizia, né da mille 

Che in un di vincitore a morte io diedi , 
Circondato da loro e cinto e chiuso 

Da le lor mura. Nulla é ne la guerra Gío 
Più salute, o speranza. Al Teucro Duce, 

A te, folle, al tuo capo, a le tue cose 

Fa' questo annunzio. E, non tutto in soqquadro 
Por con tanta paura, e tanta stima 

Che fai de la prodezza e de le forze 645 
D' una gente, che già due volte é vinta; 

E non tanto avvilir da l’ altro canto 


Arguet, iliaco tumidum qui crescere Thybrim 
Sanguine , et Evandri totam cum stirpe vtdebit 
Procubuisse domum, atque exsutos Arcadas armis? 
Haud ita me experti Bitias et Pandarus ingens, 
Et quos mille die victor sub Tartara misi, 

Inclusus muris, hostilique aggere septus . 

Nulla salus bello: capiti cane talia demens 
Dardanio, rebusque tuis. Proinde omnia magno 4oo 
Ve cessa turbare metu, atque extollere vires 

Gentis bis victae, contra premere arma Latini. 


LIBRO UNDECIMO 347 


L' armi del re Latino. A i Mirmidoni 

Son ora, al gran Diomede, al grande Achille 

I Teucri formidabili e tremendi : 650 
E dal mar se ne torna per paura 

L' Aufido indietro. E forse che non finge 
Temer di me, perchè il mio fallo aggravi? 
Malvagia astuzia | Ma non più per nulla 

Vo’ che ne tema. Un' anima sì vile 655 
Non ti torrà la mia destra giammai. 

Stiesi pur teco, e nel tuo petto alloggi, 

Di lei ben degno albergo. Or a te vegno, 

. Gran padre, e'l tuo parer discorro, e dico. 

Se tu più non t'affidi, e più non credi 660 
Ne l’ armi tue; s' abbandonati affatto 

Siam d'ogni parte; s' una volta rotti 

Siam per sempre perduti; e se fortuna, 


Nunc et Myrmidonum proceres phrygia arma tremi- 
scunt, 

Nunc et Tydides, et larissaeus Achilles: 

Amnis et hadriacas retro fugit Aufidus undas; 405 

Vel quum se pavidum contra mea iurgia fingit 

Artificis scelus, et formidine crimen acerbat. 

: Numquam animam talem dextra hac (absiste moveri) 

"mittes: habitet tecum, et sit pectore in isto. 

Nunc ad te, et tua, magne pater, consulta revertor. 

Si nullam nostris ultra spem ponis in armis; 

Si tam deserti sumus, et semel agmine verso 

F'unditus occidimus, nec habet fortuna regressum, 


348 ENEIDE 


Variando le veci, unqua non cangia, 

Signor, pace imploriamo; e l' armi in terra 665 
Gittando, a giunte mani accordo e venia 
Impetriam da' nemici. Ancorché, quando 

Oh! del nostro valor punto in noi fosse, 

Sopra tutt felice, riposato, 

E glorioso spirito sarebbe 670 
Chi, per ció non veder, morto si fosse. 

Ma se le nostre forze ancor son verdi, 

La nostra gioventù florida, intatta, 

Disposta e pronta a l' armi, e per sussidio 

I popoli d'Italia e le cittadi 675 
Son con noi tutte; e s' a’ nemici ancora 
Sanguinosa, dannosa e poco lieta 

È questa gloria; ed han de' morti anch’ essi 

La parte loro; e la tempesta è pari 

D' ambe le parti; a che nel primo intoppo 680 
Con tanto scorno, a noi stessi mancando, 


Oremus pacem, et dextras tendamus inertes. 
Quamquam o, si solitae quidquam virtutis adesset, 
lile mihi ante alios, fortunatusque laborum, 
Egregiusque animi, qui, ne quid tale videret, 
Procubuit moriens, et humum semel ore momordit. 
Sin et opes nobis, et adhuc intacta iuventus, 
Auxilioque urbes italae, populique supersunt; 420 
Sin et Troianis cum multo gloria venit 

Sanguine; sunt illis sua funera, parque per omnes 
Tempestas; cur indecores in limine primo 


LIBRO UNDECIMO 349 


Gittarne a terra? A che tremare avanti 
Che la tromba si senta? A la giornata 
Il tempo stesso, il variar de’ casi, 
L’ industria, le vicende, il moto e ’1 gioco 685 
Potria de la fortuna in molte guise, 
Come suol l' altre cose, ancor le nostre, 
Cangiando , risarcire, e porre in saldo. 
Non avrem Diomede in nostro aiuto: 
Avrem Messápo; avremo il fortunato 690 - 
Tolunnio; avrem tant’ altri incliti. duci - 
Di tant altre città. Né di men gloria, 
Né di minor virtù saranno i nostri 
Di Laurento e di Lazio. Avrem Camilla, 
La gran volsca virago, che n’ addusse 695 
Di cavalieri e di caterve armate 
Si bella gente. E se me solo appella 
. Il nemico a battaglia, e se v' aggrada 


Deficimus? cur ante tubam tremor occupat artus? 
Multa dies, variique labor mutabilis aevi 429 
Rettulit in melius: multos alterna revisens 

Lusit, et in solido rursus fortuna locavit. 

Non erit auxilio nobis /Etolus, et Arpi: 

At Messapus erit, felixque Tolumnius, et quos 

Tot populi misere duces: nec tarda sequetur 430 
Gloria delectos Latio, et laurentibus agris. 

Est et Volscorum egregia de gente Camilla, 
Agmen agens equitum, et florentes aere catervas. 
Quod si me solum Teucri in certamina poscunt, 





350 ENEIDE 


Che sol io gli risponda, ed io sol osto 
Al ben comune, io solamente assumo 700 
Sopra me questa impresa. E già non credo 
Che le mie man sì la vittoria abborra, 
Che per tanta, ch'io n’ aggio, e speme e gioia 
Accettar non la deggia. Andrógh incontro 
Con } animo, se fosse anco maggiore 705 
Del magno Achille, e come Achille anch’ egli 
L' armi di Mongibello indosso avesse. 

Jo Turno, io che non punto a qual si fosse 
Mai de gli antichi di valor non cedo, 

Questa mia vita stessa a voi, Latini, 710 
Ed a Latin mio suocero consacro 
Solennemente. Enea me solo invita. 
L' accetto, il bramo e"! prego, anzi che Drance, 
S'ira è questa di Dio, con la sua morte 
La purghi, o che la gloria me ne tolga, — 715 
S'é pur gloria e virtute. In cotal guisa 


Idque placet, tantumque bonis communibus obsto: 
Non adeo has exosa manus victoria fugit, 

Ut tanta quidquam pro spe tentare recusem. 

Ibo animis contra: vel magnum praestet Achillem, 
lactaque Vulcani manibus paria induat arma 
llle licet. Vobis animam hanc, soceroque Latino 
Turnus ego, haud ulli veterum virtute secundus, 
Devovi. Solum /Eneas vocat; et vocet, oro. 

Nec Drances potius, sive est haec ira Deorum, 
Morte luat: sive est virtus et gloria, tollat. 


LIBRO UNDECIMO 351 


Consultando i Latini, avean tra loro 
Dispareri e tenzoni. Usciti a campo 
Erano i Teucri intanto. Ed ecco un messo 
Venir volando, che la reggia tutta 720 
E tutta la città pose in tumulto, 
Annunziando che dal tosco fiume 
Già mosso de’ Troiani e de’ Tirreni 
Se ne venía l’ esercito in battaglia 
In vér Laurento; e che di genti e d' armi 725 
Si vedean piene le campagne e i colli. 
Gli animi incoutanente si turbaro ; 
. Sgomentossene i] volgo; a i valorosi 
S' acceser l' ire. Trepidando ognuno 
Discorrea per le strade: arme fremea 730 
La gioventù: dolenti e lagrimosi 
. I padri discordando, e chi per Turno 
‘ Sentendo e chi per Drance, avean tra loro, 
Vari bisbigli. E tutto il corpo insieme 


Ct 


Illi haec inter se dubiis de rebus agebant 44 
Certantes: castra /Eneas aciemque movebat. 
Nuntius ingenti per regia tecta tumultu 
Ecce ruit, magnisque urbem terroribus implet: 
Instructos acie tiberino a flumine Teucros, 
Tyrrhenamque manum totis descendere campis. 450 
Extemplo turbati animi, concussaque vulgi 
Pectora, et arrectae stimulis haud mollibus irae. 
Arma manu trepidi poscunt: fremit arma inventus. 
F'lent moesti mussantque patres. Hic undique clamor 


352 . ENEIDE 


Facea de la città tale un trambusto, 735 
E tal ne l’ aura unitamente un suono, 

Qual è se spaventata esce d'un bosco 

Torma di rochi augelli, o qual talora 

Da Je pescose rive di Padusa 

Van per gli stagni schiamazzando a schiere 740 
.Turbati i cigni. In tale occasione 

Gridava Turno: Or questo è, Padri, il tempo 
Di sedere a consiglio: or consigliate 
Agiatamente : aggiate sopra tutto 

Cura a la pace or che i nemici armati 745 
Ne son già sopra. E, cosi detto a pena, 

Saltò fuor de la reggia; e vólto a torno, 

Arma, disse, tu, Vóluso, i tuoi Volsci; 

E tu, Messápo, i rutuli cavalli. 

Tu, Catillo, e tu, Cora, uscite a campo: 750 
Va’ tu con la tua gente a la muraglia 


Dissensu vario magnus se tollit in auras. 455 
Haud secus atque alto in luco quum forte catervae 
Consedere avium, piscosove amne Padusae 

Dant sonitum rauci per stagna loquacia cycni. 
Immo, ait, o cives, arrepto tempore, T'urnus, 
Cogite concilium, et pacem laudate sedentes: 460 
Illi armis in regna ruant. Nec plura loquutus, 
Corripuit sese, et tectis citus extulit altis. 

Tu, Voluse, armari Volscorum edice maniplis: 
Duc, ait, et Rutulos: equitem Messapus in armis, 
Et cum fratre Coras, latis diffundite campis. $65 


LIBRO UNDECIMO 353 


Incontanente ; e tu dispensa i luoi 
Fra le porte e le torri. Ite voi meco, 
Che rimanete; e ciascun arini 1 suoi. 
Per tutta la città si va scorrendo 759 
A le mura. A l' insegne, a i capitani 
Ognun s adduce. I Padri irresoluti 
Se n' escon dal Consiglio. Il re turbato 
Si ritira, e si pente che non aggia 
Per sè, senza consulta, il frigio duce 700 
Per amico e per genero acceltato. 
Dansi lutti a munire, a cavar fosse, 
Tutti a somministrar chi sassi e travi, 
E chi dardi, e chi strali. E già la roca 
Tromba ne va per la città squillando 765 
De la battaglia il sanguinoso accento . 
Le matrone, i fanciulli, i vecchi; ognuno 
D' ogni età, d' ogni sesso e d' ogni grado 


Pars aditus urbis firment, turresque capessant: 
Cetera, qua iusso, mecum manus inferat arma. 
Jlicet in muros tota discurritur urbe. 
Concilium ipse pater, et magna incepta Latinus . 
Deserit, ac tristi turbatus tempore differt: 479 
Multaque se incusat, qui non acceperit ultro 
Dardanium Anean, generumque adsciverit urbi. 
Praefodiunt alii porias, aut saxa sudesque 
Subvectant: bello dut signum rauca cruentum 
Buccina. T'unc muros varia cinxere corona 479 
Matronae puerique: vocat labor ultimus omnes. 
Eneide /”ol. IL 49 


354 ENEIDE 


A l’ultimo periglio, al gran bisogno 
Corrono a la muraglia. E d' altra parte 779 
Da gran cortéo di donne accompagnata 
Con doni e preci di Minerva al tempio 
Va la regina, ed ha Lavinia seco, 
La vergine sua figlia, onde venuta 
Era tanta ruina; e, di ció mesta, 
Porta i begli occhi lagrimosi e chini. 
Seguon le madri, e d' odorati incensi 
Vaporando il delubro in flebil voce 
Pregano in su la soglia: Ármipotente 
Tritonia, tu che puoi, la possa e l'armi — 780 
Frangi al frigio ladrone, e di tua mano 
Anciso in su la porta ne lo stendi. 

Esso re Turno da la furia spinto 
Ricorre a l’ armi; e di squamoso acciaio 


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Nec non ad templum, summasque ad Palladis arces 
Subvehitur magna matrum regina caterva, 

Dona ferens, iuxtiaque comes Lavinia virgo, 
Caussa mali tanti, oculos deiecte decoros. 480 
Succedunt matres, et templum ture vaporant, 

Et moestas alto fundunt de limine voces: 
Armipotens, praeses belli, tritonia virgo, 

Frange manu telum phrygii praedonis, et ipsum 
Pronum sterne solo, portisque effunde sub altis. 
Cingitur ipse furens certatim in praelia Turnus: 
Jamque adeo rutulum thoraca indutus, aenis 
Horrebat squamis, surasque incluserat auro; 


LIBRO UNDECIMO 355 


E d'ór già tutto orribile e splendente , 785 

Cinto di brando, e sol del capo ignudo 

Lieto mostrossi, e di speranza altero 

Di vedere il nemico. E "n quella guisa 

Da Ja rocca scendea che da’ presepi 

Sciolto destriero esce ruzzando in campo, 790 

O ch' amor di giumente, o che vaghezza 

Di verde prato, o pur desio lo tragga 

Del noto fiume; che sbuffando freme, 

E ringhia e drizza il collo e squassa il crine. 
A l' uscir de la porta ecco davanti 799 

Gli si fa co’ suoi volsci cavalieri 

La vergine Camilla. E sì com’ cra 

Non men gentil che valorosa e bella, 

Tosto che l’ incontrò , con tutti i suoi 

Dismontò da cavallo, e vér lui disse: 800 


Tempora nudus adhuc, laterique accinxerat ensem; 
Fulgebatque alta decurrens aureus arce; 490 
Exsultatque animis, et spe iam praecipit hostem. 
Qualis, ubi abruptis fugit praesepia vinclis 
Tandem liber equus, campoque potitus aperto, 

Aut ille in pastus armentaque tendit equarum, 
Aut, assuetus aquae perfundi flumine noto, 495 
Emicat, arrectisque fremit cervicibus alte 
Luxurians, luduntque iubae per colla, per armos. 
Obvia cui, Volscorum acie comitante, Camilla 
Occurrit, portisque ab equo regina sub ipsis | 
Desiluit: quam tota cohors imitata relictis 500 


356 ENEIDE 


Turno, se degnamente vom forte ardisce, 

lo mi rincoro, e ti prometto io sola 

Di gire a i cavalier toscani incontro. 

Lascia me col mio stuolo assalir prima 

La Troiana oste, e che primiera io tragga 805 
Di questa pugna e de' suoi rischi un saggio. 

E tu qui co' pedoni a pié rimanti 

A guardia de la terra. A tal proposta 

Turno ne la terribile virago 

Gli occhi fissando, O de l'Italia, disse, — 810 
Ornamento e sostegno, e di che lode, 

E di che premio al tuo gran merto eguale 
Ristorar ti poss' io? Ma (poiché cosa 

Non è che la pareggi) abbi, famosa 

Guerriera , in grado ch’ io con te. comparta 815 
Questa fatica. Enea, come dal grido 

Avemo e da le spie fin qui ritratto, 


Ad terram defluxit equis. Tum talia fatur: 

Turne, sui merito si qua est fiducia forti, 

Audeo, et /Eneadum promitto occurrere turmae, 
Solaque tyrrhenos equites ire obvia contra. 

Me sine prima manu tentare pericula belli; 502 
J'u pedes ad muros subsiste, et moenia serva. 
T'urnus ad haec, oculos horrenda in virgine fixus, 
O decus Italiae, virgo, quas dicere grates, 

Quasve referre parem? sed nunc (est omnia quando 
Iste animus supra) mecum partire laborem. 510 
4Eneas, ut fama fidem missique reportant 


LIBRO UNDECIMO 327 


Spinte ha le schiere de' cavalli avanti 

Per batter la campagna; ed egli altronde 

Presa la via del monte, per alpestro 820 
Sentiero a la città di sopra al giogo 

Vien con l’ altre sue genti. Il mio disegno 

E fargli agguato, e collocarmi appresso 

Là've sopra la foce il doppio bosco 

Del curvo monte ambe le strade accoglie. 825 
Tu, raünati i tuoi con gli altri tutti 

Nostri cavalli, i suoi nel piano assagli 

A spiegate bandiere. Il fier Messàpo 

Sarà con te: saranvi de' Latini, 

Vi saran di Coràce e di Catillo 83o 
Le squadre tutte; e tu con essi il carco 

Prendi di comandarle. Indi esortando 
Parimente Messàpo e gli altri duci 

A la lor fazione, egli a la sua 

Tostamente si volse. È tra due branche 835 


Exploratores, equitum levia improbus arma 
Praemisit, quaterent campos: ipse ardua montis ' 
Per deserta iugo superans adventat ad urbem. 
F'urta paro belli convexo in tramite silvae, 519 
Ut bivias armato obsidam milite fauces. 

T'u tyrrhenum equitem collatis excipe signis; 
Tecum acer Messapus erit, turmaeque latinae, 
Tiburnique manus: ducis et tu concipe curam. 

Sic ait, et paribus Messapum in praelia dictis 520 
Hortatur , sociosque duces , et pergit in hostem. 


350 E > 
Turno, se degna: ambi i lati 
Jo mi rincoro. ti e chiusi, 
Di gire a ic. ati. 
Lascia me teza0 
La Troia 1 
Di que: offe 
E tu 
A < ui 
"Y . ,ortuni 


«stro 0 dal sinisti. 
4 rincontri o che s' aspetti 

.1cà gente, o pur che di gran sassi 
Si tempesti di sopra. A questo loco, 
Di cui ben era pratico, in agguato 
Turno si pose, e i suoi nemici attese. 850 

Diana intanto timorosa e mesta 

Favellando con Opi, una del coro 


Est curvo anfractu valles, accommoda fraudi 
Armorumque dolis, quam densis frondibus atrum 
Urget utrimque latus; tenuis quo semita ducit , 
Angustaeque ferunt fauces aditusque maligni. 525 
Hanc super in speculis, summoque in vertice montis 
Planities ignota iacet, tutique receptus; 

Seu dextra laevaque velis occurrere pugnae; 

Sive instare iugis, et grandia volvere saxa. 


Huc iuvenis nota fertur regione viarum, 53) 


Arripuitque locum, et silvis insedit iniquis. 
Velocem interea superis in sedibus Opim, 


mum net 


? UNDECIMO 361 
-— le 


Qum edi Si rivolse, e disse: 


j Sitatrice 


^ >| i ,i, io padre stesso 


' ’glioletta 


P 4 4) 


- : Der. serva. ‘890 
- - rmi tue 
"e prima 
. * sperando 
Da tua 
Che g. sempre. — 895 
Nel suo n.. lo, 
Questa sola ba. l vento 
Di Casmilla sua ni. nbo. 
Fu Camilla nomata. A. 
Con essa in braccio per gu 900 


Unam ex virginibus sociis sacraque cater 
Compellabat, et has tristis Latonia voces 

Ore dabat: Graditur bellum ad crudele Camilla, 
O virgo, et nostris nequidquam cingitur armis, 
Cara mihi ante alias: neque enim novus iste Dianae 
Venit amor, subitaque animum dulcedine movit. . 
Pulsus ob invidiam regno viresque superbas, 
Priverno antiqua Metabus quum excederet urbe, 
Infantem, fugiens media inter praelia belli, 
Sustulit exsilio comitem, matrisque vocavit 
Nomine Casmillae, mutata parte, Camillam. 
Ipse, sinu prae se portans, iuga longa. petebat 


360 ENEIDE 


E per le selve, e de’ nemici Volsci 


Sempre d’ intorno avea l’ insidie e l' armi. 


Ecco un giorno assalito con la caccia 
Dietro, fuggendo a l' Amaseno arriva. 
Per pioggia questo fiume era cresciuto , 
E rapido spumando infino al sommo 
Se ne gia de le ripe ondoso e gonfio; 
Tal che, per tema de l’ amato peso 
Non s' arrischiando di passarlo a nuoto, 


Fermossi; e poiché a tutto ebbe pensato, 


Con un subito avviso entro una scorza 
Di salvatico suvero rinchiuse 

La pargoletta figlia. E poscia in mezzo 
D' un suo nodoso, inarsicciato e sodo 
Telo, ch' avea per avventura in mano, 
Legolla acconciamente ; e l' asta e lei 
Con la sua destra poderosa in alto 


83o 


885 


Solorum nemorum: tela undique saeva premebant, 


Et circumfuso volitabant milite Volsci. 


Ecce fugae medio summis Amasenus abundans 


Spumabat ripis: tantus se nubibus imber 
Ruperat. Ille, innare parans, infantis amore 
T'ardatur, caroque oneri timet. Omnia secum 
Versanti subito vix haec sententia sedit. 


550 


Telum immane, manu valida quod forte. gerebat 


Bellator, solidum nodis et robore cocto; 


Huic natam, libro et silvestri subere clausam, 


Implicat, atque habilem mediae circumligat hastae; 


LIBRO UNDECIMO 361 


Librando, a l'aura si rivolse, e. disse: 

+ Alma Latonia virgo, abitatrice. 
De le selve e de’ monti, io padre stesso 
Questa -mia sfortunata figlioletta 
Per ministra ti dedico e per. serva. 
Ecco ch’ a te. devota, a l’ armi tue 
Accomandata, dal nimico in prima. 
Sol per te la sottraggo. In te sperando 
A VP aura.la commetto; e tu. per tua 
Prendila, te ne prego, e tua sia sempre. 

Ciò detto, il braccio in dietro ritraendo, 

. Oltre il fiume lanciolla: e ’1 fiume e ’1 vento 
E 1 dardo ne fér suono e fischio e rombo. 
Metabo da la turba sovraggiunto 
De' suoi nemici a nuoto al fin gittossi 
E salvo a P altra riva st condusse. 

Ivi d un verde cespo, ove piantato 
Avea Trivia il suo dono, il dardo e lei 


890 


895 


900 


Quam dextra ingenti librans ita ad aethera fatur: 
Alma, tibi hanc, nemorum cultrix, Latonia virgo, 


Jpse pater famulam voveo: tua prima per auras 


Tela tenens supplex hostem fugit: accipe, testor , 


Diva, tuam, quae nunc dubiis committitur auris. 
Dixit, et adducto contortum hastile lacerto 
Immittit: sonuere undae: rapidum super amnem 
Infelix fugit in iaculo stridente Camilla. 


560 


"4t Metabus, magna propius iam urgente caterva , 


Dat sese.fluvio, atque hastam cum. virgine victor 
Eneide 7/ol. II 46 


565 


362 ENEIDE 
Divelse, e via fuggissi; e più mai poscia 
Non fu da tetti, o da cittadi accolto: 905 
Ché per natía fierezza a legge altrui 
Non si fora unqua additto. Il tempo tutto 
De la sua vita, di pastore in guisa, 
Menò per monti solitari ed ermi ; 
E per grotte e per dumi e per orrende — 910 
Selve e tane di fere ebbe ricetto 
Con la fanciulla, a cui fu cibo un tempo 
Ferino latte, e balia una d' armento 
Ancor non doma e pavida giumenta. 
Ne le tenere labbra il padre stesso 915 
De la fera premea l’ orride mamme. 
Né pria tenne de’ piè salde le piante, 
Che d' arco, di faretra e di nodosi 
Dardi le mani e gli omeri gravolle. 
Non d'ór le chiome, o di monile il collo, 920 


Gramineo donum Triviae de cespite vellit. 

Non illum tectis ullae, non moenibus urbes 
Accepere; neque ipse manus feritate dedisset: 
Pastorum et solis exegit montibus aevum. 

Hic natam, in dumis interque horrentia lustra, 570 
Armentalis equae mammis et lacte ferino 
Nutribat, teneris immulgens ubera labris. 

Utque pedum primis infans vestigia plantis 
Institerat, iaculo palmas oneravit acuto, 
Spiculaque ex humero parvae suspendit et arcum. 
Pro crinali auro, pro longae tegmine pallae, 


LIBRO UNDECIMO 303 


Né men di lunga, o di fregiata gonna 

La ricoverse; ma di tigre un cuoio 

Le facea veste intorno, e cuflia in capo. 

Il fanciullesco suo primo diletto 

E ’1 primo studio fa lanciar di palo, 925 
E trar d' arco e di fromba; en fin d' allora 
Facea strage di gru ,. d' oche e di cigni. 

Molte la desiàr tirrene madri 

Per nuora indarno. Ed ella di me sola 
Contenta, intemerata e pura e casta 93o 
La sua verginità, l' amor de l’ armi 

Sol ebbe in cale. Or mio fóra disío 

Che di questa milizia e de la pugna, 

Che presa ha co’ Troiani e co’ Tirreni, 

Fosse digiuna; per sì cara io l’ aggio, 935 
E tale or mi saria grata compagna. 

Ma poiché acerbo fato la persegue , 


T'igridis exsuviae per dorsum a vertice pendent. 
Tela manu iam tum tenera puerilia torsit, 

Et fundam tereti circum caput egit habena, 
Strymoniamque gruem, aut album deiecit olorem. 
Multae illam frustra tyrrhena per oppida matres 
Optavere nurum: sola contenta Diana 

Aternum telorum et virginitatis amorem 
Intemerata colit. Vellem haud correpta fuisset 
Militia tali, conata lacessere Teucros: 585 
Cara mihi, comitumque foret nunc una mearum. 
Verum age, quandoquidem fatis urgetur acerbis, 





364 _.. ENEIDE 
Scendi, Ninfa, dal cielo, e nel paese 
Va’ de’ Latini. Ivi al conflitto assisti, 
Che per Lazio e per lei mal s' apparecchia . 940 
Prendi quest' arco, e prendi questa mia 
Stessa faretra, e di qui traggi il télo 
Per vendicarmi di qualunque ardito 
Sarà di violar quest' a me sacra 
E devota virago: Italo, o Teucro 945 
Che sia. Poscia io verrò di nube involta 
A provveder che ’l miserabil corpo 
Non sia d’ armi spogliato, e che raccolto 
Sia ne la patria, e seppellito e pianto. 
Così dicendo, entro un sonoro nembo, 990 
Da' molti occhi non veduta a terra 
Lievemente calossi. I Teucri intanto, 
E i Toschi duci le lor genti avanti 
Spingendo , a la città s' avvicinaro. 


Labere, Nympha, polo, finesque invise latinos, | 
Tristis ubi infausto comittitur omine pugna. 
Haec cape, et ultricem pharetra deprome sagittam. 
Hac, quicumque sacrum violarit vulnere corpus, . 
T'ros Italusve, mihi pariter det sanguine poenas. 
Post ego nube cava miserandae corpus et arma 
Inspoliata feram tumulo, patriaeque reponam. 
Dixit: at illa leves caeli demissa per auras 595 
Insonuit, nigro circumdata turbine corpus. 

4t manus interea muris troiana propinquat, 
Etruscique duces, equitumque exercitus omnis, 


LIBRO UNDECIMO 365 


Piena d' armi, d' insegne, di cavalli 955 
E di schierati fanti e di squadroni 
‘ Si vedea la campagna. Eran per tutto 
Gualdane, giramenti, scorribande 
Di cavalieri: in secche selve i colli 
Parean conversi: ardea la terra e ’l cielo — 960 
Di ferrigni splendori; d’ ogni parte 
S' udía fremer cavalli, e squillar trombe. 
Incontro a lor da l’ altra parte usciro 
Il fier Messápo, i cavalier latini, 
Corace col suo frate, e di Camilla 965 
La bellicosa banda. Era il concorso 
Tuttavia de le genti, e de’ cavalli 
Il fremito maggiore. E già la massa 
Ristretta, e ‘già vicine ambe le parti 
A tiro d' asta, a fronte si fermaro 979 
L' una de l'altra; e con le lance in resta, 
Con saette e con dardi incominciaro 


Compositi numero in turmas. Fremit aequore toto 
Insultans sonipes, et pressis pugnat habenis —6oo 
Huc obversus et huc: tum late ferreus hastis 
Horret ager, campique armis sublimibus ardent. 
Necnon Messapus contra, celeresque Latini, 

Et cum fratre Coras, et virginis ala Camillae, 
Adversi campo apparent; hastasque reductis 605 
Protendunt longe dextris, et spicula vibrant: 
Adventusque virim, fremitusque ardescit equorum. 
lamque intra iactum teli progressus uterque 





366 ENEIDE 


Primamente da lunge a salutarsi . 
Poi di subite grida udito un tuono 
Al ciel levossi; e due contrari nembi 975 
De la terra sorgendo, armi fioccaro 
Di neve in guisa, e coprir d' ombra il sole. 
Alfin da ciascun lato i destrier punti 
Andar tutli con tutti a rincontrarsi . 
Era Tirreno al fiero Aconte opposto 980 
Ne la battaglia; e questi primamente 
S' urtaro, e per la furia e per la forza 
De l' urto ambe le lance, ambi i cavalli, 
Ed ambi i corpi infrauti, stramazzati, 
L' un da l’altro disgiunti, quai percossi 985 
Da fulmine o da macchine avventati, 
Caddero a terra. E pria ne l' aura Aconte 
Lasció la vita. Conturbate e sparse 
Le schiere de' Latini, incontanente 
Con le targhe rivolte, a tutta briglia 990 


Substiterat: subito erumpunt clamore, frementesque 
Exhortantur equos: fundunt simul undique tela 610 
Crebra, nivis ritu: caelumque obtexitur umbra. 
Continuo adversis T'yrrhenus, et acer Aconteus 
Connixi incurrunt hastis; primique ruinam 

Dant sonitu ingenti; perfractaque quadrupedantum 
Pectora pectoribus rumpunt. Excussus Aconteus, 
Fulminis in morem, aut tormento, ponderis acti, 
Praecipitat longe, et vitam dispergit in auras. 
Extemplo turbatae acies, versique Latini 


LIBRO UNPECIMO 364 


Vér le mura spronando, in fuga andaro. 

Gli seguiro i Troiani; e prima Asila 

Gli assalse, e gli cacciò fin su le porte. 

Qui fermi e rincorati alzan le grida , 

Volgon le teste, e si rifan lor sopra, 999 
Ch’ eran lor contra. Cosi quando questi, 

E quando quelli or cacciano, or cacciati 
Tornano; in quella guisa ch' a vicenda 

Il mare or d' alto a riva i flutti increspa, 

E ne l| ultima arena ondeggia e spuma; 1000 
Or da Ja riva indietro se ne torna, 

E le stess’ onde, e la commossa ghiara 
Sorbendo e voltolando, si ritragge. 

Due volte i Toschi i Rutuli incalzaro 

Fino a le mura; e i Rutuli due volte 1005 
Risospinsero i Toschi. Al terzo assalto 


Reiiciunt parmas, et equos ad moenia vertunt. 

T'roes agunt, princeps turmas inducit Asylas. 620 
Jamque propinquabant portis, rursusque Latini 

. Clamorem tollunt, et mollia colla reflectunt. 

Hi fugiunt, penitusque datis referuntur habenis. 
Qualis ubi alterno procurrens gurgite pontus 
Nunc ruit ad terras, scopulosque superiacit undam 
. Spumeus, extremamque sinu perfundit arenam: 
Nune rapidus retro, atque aestu revoluta resorbens 
Saxa fugit, litusque vado labente relinquit. 

Bis Tusci Rutulos egere ad moenia versos: 
Bis reiecti armis respectant terga tegentes. 63o 


368 ENEIDE 


Mischiàrsi ambe le schiere, e l’ un cen l’ altro 
Vennero a zuffa. Allor le grida e i magghi 

Si sentir de’ cadenti: allor si vide 

Il pian tutto di sangue, e tutto d'armi 1010 
E d' uomini coverto e di cavalli 

Feriti e morti. Orsiloco a rincontro 

Di Remolo trovossi; e non osando 

Di star seco a le mani, al suo cavallo 

Trasse del dardo, e’n su l' orecchio il colse. 1015 
Del colpo impaziente e per se fiero 

Si scosse, s' avventò, col petto in alto 

E con le zampe il corridor levossi, 

E ’n su l’arena il cavalier distese. : 
Catillo Tola e '| grande Erminio uccise; 1020 
Erminio che di corpo e d' armi e d' animo 

Era de’ più robusti, de’ più chiari 

E de’ più riguardevoli guerrieri 


Tertia sed postquam congressi in praelia totas 
Implicuere inter se acies, legitque virum vir; 

Tum vero et gemitus morientum, et sanguine in alto 
Armaque corporaque, et permixti caede virorum 
Semianimes volvuntur equi: pugna aspera surgit. 

‘ Orsilochus Remuli, quando ipsum horrebat adire, 
Hastam intorsit equo, ferrumque sub aure reliquit. 
Quo sonipes ictu furit arduus, altaque iactat 
Vulneris impatiens arrecto pectore crura: ! 
Volvitur ille excussus humi. Catillus Iolan, ^ 640 

'' Ingentemque animis, ingentem corpore et armis 


INDICE DELLE MATERIE 501 


Remulo Tiburte 180. 
Reno, fiume 146. 
Rufra, oggi Ruvo 72. 


Sabine rapite 437. 

Sabino, Re dell’ Italia 24. 

Sacrani, popoli 77. 

Saliiî , "sacerdoti 405. 140. 

Samotracia, isola 23. 

Sarno, fiume 72. 

Sarrano 477. 

Sarrasti, popoli 72. 

Saticola, oggi Caserta, città 74. 

Satura , palude 77. 

Saturno, Re del Lazio 23. 

— è cacciato da Creta 408. 

Sedia curule 340. 

Secondar l' augurio 127. 

Severo , monte 69. 

Sicani, popoli 77. 409. 

Sidicine, campagne 74. 

Sila, monte 462. 

Silvia, pastorella 54. 

Simeto, fiume 200. 

Simoente, fiume 333. 

Similitudine del paleo 39. 

— dell’ acqua, che bollendo trabocca 47. 

— del mare, che comincia a sollevarsi -in tempe- 
sta 53. 

— dello scoglio battuto dall’ onde agitate 58. 

— de’ Centauri, che scendono dal monte 66. 

— de’ Cigni, che volan cantando 68. 

— de’ flutti che si agitan nella tempesta, e delle spighe 
mature nel campo 70. 








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s. agmina peltis. 

AS bostremum, aspera virgo, 


6&iientia corpora fundis? 











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LIBRO UNDECIMO 371 


Di Clizio il figlio, da costei trafitto. 

Fu d' un colpo: di lancia in mezzo al petto. 
Cadde il meschino, e fe' di sangue un rivo, 
Sopra cui voltolandosi, e mordendo í 

Il sanguigno terren, di vita uscio. 1060 
Indi va sopra a Liri e sopra a Pègaso 

Quasi in un tempo, a l'un mentre, inciampando 
Il suo destriero, il fren raccoglie; a l’altro 
Mentre a lui, che trabocca ,.il braccio stende 
Per sostenerlo: onde in un gruppo entrambi 1065 
Precipitaro. A cui d' Ippóta il figlio 

Amastro aggiunse, e via seguendo, . Arpatico, 

E Téreo e Cromi e Demofonte uccise. 

Quanti dardi.lanció, tanti Troiani 

Gittò per terra. Ornito, un cacciatore, . 1070 


Eunaeum Clytio primum patre, cuius apertum 
Adversi longa transverberat abiete pectus. 
Sanguinis ille vomens rivos cadit, atque cruentam 
Mandit humum, moriensque suo se in vulnere versat 
Tum Lirim , Pagasumque super: quorum alter ha- 
benas 670 
Suffosso revolutus equo dum colligit, alter. 
Dum subit, ac dextram labenti tendit inermem, 
Praecipites pariterque ruunt. His addit 4mastrum 
Hippotaden: sequiturque incumbens eminus hasta 
Tereaque Harpalycumque et Demophoonta : Chro- 
mimque; 675 
Quotque emissa. manu contorsit spicula virgo, 


372 ENELDE 


Gli gia davanti, e stranamente armato 
Cavalcava di Puglia un gran destriero: 
Per sua corazza.avea d'ispido toro 
Un duro tergo; per celata un teschio 

. Di lupo, che dal capo insino al mento 1075 
Sbarrava le mascelle, e digrignando 
Mostrava i denti. In man portava, ad uso 
:Dì contadini, un nodoroso palo 

‘ Di grave ronca. armato. Egli nel mezzo 

. De gli. altri suoi con le due teste andava 1080 
Sovrano a tutti; e le ferine orecchie 
Ergea di cresta e di: pennacchi in vece . 
Camilla il giunse, lo fermò, l’ uccise 
Senza contrasto; già che volta .in fuga 
Era la schiera sua. Sovra al suo corpo 1085 
Disse rimproverando. E che pensasti, 
Tosco insolente ? Di venire a caccia 


In qualche selve, e seguir dammie imbelli? | 


Tot phrygii cecidere viri. Prooul Ornytus armis 
. Ignotis, et equo. venator iapyge fertur; 
Cui pellis latos humeros erepta iuvenco 
Pugnatori operit: caput ingens oris hiatus, . 680 
Et malae texere lupicuin dentibus albis , 
Agrestisque manus armat sparus: ipse catervis 
Fertitur in mediis, et loto vertice supra est. 
Hunc illa exceptum (neque enim labor agmine verso) 
Traiicit, et super haec inimico pectore fatur: 685 
Silvis te, T'yrrhene, feras agitare putasti? 


LIBRO UNDECIMO 373 


Venuto sei là 've una dama armata 
Col ferro amaramente vi rintuzza 1090 
La superbia e la lingua. Oh pur non poco 
Ti fia di vanto, riferendo a l’ ombre 
De’ tuoi: Per man fui di Camilla ucciso . 
Iudi Orsiloco assalse, e Bute appresso, 
Due corpi de’ maggiori e de’ più forti 1095 
Del Troian oste. A Bute un colpo trasse 
Che '] giunse ove tra l’ elmo e la corazza 
Si scopre il collo, onde. lo scudo appeso 
Sta da sinistra. Orsiloco, fuggendo 
E gridando, gabbò; ch’ al giro interno 1100 
S' attenne e strinse; e là v era seguita, 
Seguitò lui. Gli fa sopra in un tempo. 
A colpi di secure, e l' armi e Possa © 
Gli pestò sì che per suo scampo a’ prieghi 
Si volse. Al fine un tal sopra la testa 1105 


"Advenit qui vestra dies muliebribus armis 

Verba redarguerit: nomen tamen haud leve patrum 
Manibus hoc referes, telo cecidisse Camillae. 

| ProtenusOrsilochum et Buten, duo maxima T'eucrum 
. Corpora: sed Buten aversum cuspide fixit 

Loricam galeamque inter, qua. colla sedentis 
Lucent, et laeva dependet. parma lacerto: © 
Orsilochum, fugiens magnumque agitata per orbem 
Eludit gyro interior, sequiturque sequentem. 6095 
T'um validam perque arma viro, perque ossa securim 
Altior exsurgens, oranti et multa precanti 


374 ENEIDE 


Ne gli piantò, che le cervella infrante 

Gli schizzàr da la fronte e da le tempie. 
D’Aino montanar de l' Appennino 

Il bellicoso figlio a l’ improvviso 

Fu da lei colto: un Ligure scaltrito, I110 

Che per ordire inganni (infinché 1 fato 

Gliel concede) non de gli estremi avuto 

Era tra' suoi. Costui nel primo incontro 

Sbigottito fermossi. E poiché vide 

Non poter con la fuga a lei sottrarsi, 1115 

Che gli era sopra, a la malizia usata 

Ricorrendo , Oh! gran prova, a dir comincia, 

Sarà la tua, se ben femina sei, 

Di sfidar me, quando un caval t' affidi 

Sì fugace e sì forte. Or al vantaggio 1120 

Rinuncia de la fuga, e meco a piede 


Prendi zuffe del pari; e poi vedrassi 


Congeminat: vulnus calido rigat ora cerebro. 
Incidit huic, subitoque adspectu territus haesit 
Apenninicolae bellator filius Auni, 700 
Haud Ligurum extremus, dum fallere fata sinebant. 
Isque, ubi se nullo iam cursu evadere pugnae 
Posse, neque instantem reginam avertere cernit; 
Consilio versare dolos ingressus et astu, 

Incipit haec: Quid tam egregium, si femina forti 
Fidis equo? dimitte fugam, et te cominus aequo 
Mecum crede solo, pugnaeque accinge pede stri: 
Iam nosces, ventosa ferat cui gloria laudem. 


al 


LIBRO UNDECIMO 379 


A cui questa ventosa tua bravura 

Onore acquisti. A cotal dir Camilla 

Di furia , di dolor, di sdegno ardendo, 1125 
Ratto dismonta ; e }’ corridor deposto 

In ‘man de la compagna, a piè si pianta. 
Stringe la spada, imbracciasi lo scudo, 

E con pari armi intrepida l’ attende. 

Il giovine, che ‘vinto si credette 1130 
Aver con quello avviso, incontanente 

La groppa le mostró del suo cavallo, 

E via spronando a tutta briglia il pinse. 

Ligure vano, vano orgoglio in prima 

Ti mosse; or vana astuzia e vana fuga 1135 
Sarà la tua; ché l’arte del fallace 

Tuo padre, o di tua patria, a far non basta 
Che vivo da le man mi ti ritolga. 

Disse la virgo, e qual da cocca strale 

Dietro gli si spiccó: ratto l’ aggiunse, ‘1140 


Dixit: At illa furens, acrique accensa dolore, 
Tradit equum comiti, paribusque resistit in armis 
Ense pedes nudo, puraque interrita parma. 

At iuvenis, vicisse dolo ratus, avolat ipse, 

Haud mora, conversisque fugax aufertur habenis, 
Quadrupedemque citum ferrata calce fatigat. 

Vane Ligur, frustraque animis elate superbis, 715 
Nequidquam patrias tentasti lubricus artes, 

Nec fraus te incolumem fallaci perferet Auno. 
Haec fatur virgo, et pernicibus ignea plantis 


376 ENEIDE 


Passollo , attraversollo , al fren di piglio 
Diedegli; lo feri, l' ancise al fine. 
Così d’ un alto sasso agevolmente 
Sparvier grifagno al timido colombo 
S' avventa , e lo ghermisce ; onde in un tempo 1145 
Sangue e piuma dal ciel nevica e piove. 
In questa de’ mortali e de’ Celesti 
L' eterno Regnator, che pur talvolta 
Alcun de’ raggi suoi vér noi rivolge, 
Non con lieve disdegno, o picciol ira 1150 
Mosse Tarconte a sovvenir le schiere 
De’ suoi ch’ erano in volta. Egli per mezzo 
Va de l’ occisioni e de le mischie, 
Or il destrier contra i nemici urtando, 
Or le sue squadre inanimando, insieme — 1155 
Le ristringe, le instiga, le garrisce , 


T'ransit equum curso, frenisque adversa prehensis 
Congreditur, poenasque inimico a sanguine sumit. 
Quam facile accipiter saxo sacer ales ab alto 
Consequitur pennis sublimem in nube columbam, 
Comprensamque tenet, pedibusque eviscerat uncis; 
T'um cruor et vulsae labuntur ab aethere plumae. 
At non haec nullis hominum sator atque Deorum 
Observans oculis summo sedet altus Olympo. 
Tyrrhenum genitor Tarchonem in praelia saeva 
Suscitat, et stimulis haud mollibus inücit iras. 
Ergo inter caedes cedentiaque agmina T'archon 
Fertur equo, variisque instigat vocibus alas, 730 


LIBRO UNDECIMO 377 


E per nome ciascun chiamando ,, Ah, disse, 
Tirreni, e che timore e che spaverito 

È '1 vostro? che viltà, che codardia 

V' ha presi? e quando mai fia che vi panga: 4 160 
O dolore , q vergogna? Adunque in fuga 

Gite per una femmina 1 una femmina 

Vi disperge, e v' aneide? A che di ferro 

In van cosi le destre € i petti armate? — 

De le donne temete? E pur di loro 1165 
Si timidi di notte, .né sì fiacchi | 


Ne gli assalti di Venere non siete, 


Ne quando a suon di pifferi intimati 

Vi sqno i Baccanali. Or via, campioni, 

Da letti e da bottiglie, a nozze, a pasti, 1170 
A sacrificu allor che ne le sacre 

Foreste è da l’ Aruspice intonato 

Che la vittima è grassa: itene tutti 

Seco a goder del saginato bue 


Nomine quemque vocans, reficitque in praelia pulsos. 
Quis metus, o numquam dolituri, o semper inertes 
Tyrrheni, quae (anta animis ignavia venit? 

, ,F'emina palantes agit, atque haec agmina vertit? 
Quo ferrum? quidve haec gerimus tela irrita dextris? 
dt non in. Venerem segnes, nocturnaque bella; 
Aut, ubi curea choros indixit tibia Bacchi, 
Exspectare dapes, et plenae pocula mensae. 

Hic amor, hoc studium; dum sacra secundus haruspea: 
Nuntiet, ac lucos vocet hostia pinguis in altos. 7 4o 


Eneide 7l. II 


378 ENEIDE 


A piena pancia, ché nnll' altro amore 1175 

Null altro studio è "1 vostro. E, ciò dicendo, 

Ne va come devoto a morte anclr egli. 

Con Venolo s' affronta; e sì com’ era 

Turbato, l' aggavigna, e fuor lo tragge 

Del suo cavallo. Alto levossi un grido. 1180 

Tal, che tutti a veder le ciglia alzaro 

I Latini e i Tirreni. Iva Tarconte 

Per la campagna con la preda in grembo 

Del nimico e de Y armi; e n° mezzo al corso 

Svelle da l’ asta sua medesma il ferro, 1185 

E cerca ove è di piastra il corpo ignudo 

Per dargli morte. E mentre ne la gola 

Tenta ferirlo, ei con le braccia in alto 

Si scherma, regge il colpo, e da Ja forza 

Quanto può con la forza si districa. 1190 
Come ne l’ aria insieme avviticchiati 


Haec effatus, equum in medios moriturus et ipse 
Concitat, et Venulo adversum se turbidus infert, 
Dereptumque ab equo dextra complectitur hostem, 
Et gremium ante suum multa vi concitus aufert. 
Tollitur in caelum clamor: cunctique Latini — 445 
Convertere oculos. Volat igneus aequore Tarchon, 
Arma virumque ferens; tum summa ipsius ab hasta 
Defringit ferrum, et partes rimatur apertas, 

Qua vulnus letale ferat: contra ille repugnans 
Sustinet a iugulo dextram, et vim viribus exit. 450 
Utque volans alte raptum quum fulva draconem 


LIBRO UNDECIMO 379 


Si son visti talor l’ aquila e ’l1 serpe 

Pagnar volando, e l' una aver con l' ugne. 

E col becco ghermito e morso l’ altro; 

E ’ altro co' suoi giri e co’ suoi nodi 1195 

Farle vincigli a’. piè, volumi a l' ali; 

E questo con la testa alto fischiando, 

E quella schiamazzando e dibattendo , 

Ambedue voltolarsi, ambedue stretti 

Far di squame e di piume un sol viluppo; 1200 

Cosi Tarconte per lo campo a volo, ‘’ 

Vincitor de le schiere di Tiburte , 

Venolo sen portava. E questo esempio 

Del suo duce seguendo, e del successo 

Assecurata, la meonia torma 1205 
. Tutta contra i Latini impeto fece. 

Tra questi Arunte, un che di già dovuto 

Era al suo fato, con un dardo in mano 

Camilla astutamente insidiando, 

Si diede a seguitarla, a circuirla; 1210 


Fert aquila,implicuitquepedes atque unguibus haesit: 
Saucius at serpens sinuosa volumina versat, 
"rrectisque horret squamis, et sibilat ore, . 
Arduus insurgens: illa haud minus urget obunco 

. Luctantem rostro, simul aethera verberat alis: 
Haud aliter praedam T'iburtum ex agmine Tarchon 
Portat ovans. Ducis exemplum, eventumque sequuti 
Maeonidae incurrunt. Tum fatis debitus Arruns 
Velocem iaculo et multa prior arte Camillam ‘760 





380 ENEIDE 


A cercar destra e comoda fortuna 

Di darle ‘morte. Ovunque ella, o per mezzo 
Fendea le schiere, o vincitrice in dietro 

Si ritraca, l' era vicino Arunte; 

E tutti i moti suoi, tutte le vie 1215 
Osservando, attendea che netto il colpo. 

Gli riuscisse, e da fellone intanto 

Avea l' asta a ferir librata e pronta. 

Giva per avventura a lei davanti | 
Cloro, un giovine idéo; che sacerdote 1220 
Era già di Cibele. I Frigü tutti 
Non avean chi di lui fosse ne l’ armi 
Più riccamente adorno. Un suo cotsiet'o 
Per lo campo spingea, di spuma asperso, ' 
Cinto di barde e d' acciarine lame 1235 
Come di scaglie, e ‘di leggiadre piume 
Leggiadramente inteste. Un arco ‘dl’ oto 


Circuit, et, quae sit fortuna facillima, tentat. 
Qua se cumque furens medio tulit agmine virgo, 
Hac Arruns subit, et tacitus vestigia lustrat. 
Qua victrix redit illa, pedemque ex hoste reportat: 
Hac iuvenis furtim celeres detorquet habenas. ‘765 
Hos aditus, iamque hos aditus, omnemque pererrat 
Undique circuitum,et certam quatit improbus hastam. 
Forte sacer Cybelae Chloreus, olimque sacerdos, 

' Insignis longe phrygiis fulgebat in armis, 
Spumantemque agitabat equum, quem pellis aenis 
In plumam squamis, auro conserta tegebat. 


LIBERO UNDECIMO 381 


Gli pendea da le spalle, una faretra 
A la cretese. In testa, in gargbe, in dosso 
D' armi e d’ arnesi in barbara sembianze, , 1230 - 
Di peregrina porpora e di seta, 
Di bisso, di teletta e d' ostro e d" oro 
Tutto coverto , tutto ricamato, | 
Tutto trinciato ; e saettando andava. 
Costui veduto, ogni altra impresa indietto — 1235 
Lasciando , a lui si volse o per vaglregza 
Di consecrar le sue bell armi al tempio, 
O pur che di sì vago ostile atmese 
Di gir pomposa cacciutrice amasse. 
Basta che per le schiere incauta, ardente, ‘1240 
E come donna vogliolosa e folte 
De l amor de la preda e de le spoglie 
Contro a lui se ne giva; allor ch' Arunte, 


‘Ipse, peregrina ferrugine clarus et ostro, 

Spicula torquebat lycio gortynia cornu: 

Aureus ex humeris sonat arcus, et aurea vati 

Cassida: tum croceam chlamydemque, sinusque cre- 
pantes 779 

Carbaseos fulvo in nodum collegerat auro, 

Pictus acu tunicas, et barbara tegmina crurum. 

Hunc virgo, sive ut templis praefigeret arma 

Troia, captivo sive ut se ferret in auro, 

Venatrix unum ex omni certamine pugnae ‘980 

Caeca sequebatur; totumque incauta per agmen - 

F'emineo praedae et spoliorum ardebat amore: 


392a ENEIDE 


Dopo molto appostarla, alfin le trasse, 

In tal guisa pregando: O di Soratte 1245 
Sommo custode Apollo, a cui devoti 

Noi fummo in prima, a cui di sacri pini 
Nutrimmo il foco, e per cui nudi e scalzi 

Tra le fiamme saltando e per le brage 
Securamente e senza offesa andiamo; 1250 
Dammi, chè tutto puoi, Padre benigno, 

Che questa infamia per mia man si tolga 

De ) armi nostre. Io di costei non bramo 
Armi, spoglie o trofeo. Gli altri miei fatti 

Mi sian di lode, e pur che questo mostro 1255 
Caggia spento da me, ne la mia patria 

Senza più gloria andrò, di questa guerra 

Pago e contento. Udì Febo del voto 

Parte, e parte per l’aura ne disperse. 


Telum ex insidiis quum tandem tempore capto 
Concitat, et Superos Arruns sic voce precatur: 
Summe Deum, sancti custos Soractis Apollo, ‘785 
Quem primi colimus, cui pineus ardor acervo 
Pascitur; et medium freti pietate per ignem 
Cultores multa premimus vestigia pruna; 

Da, pater, hoc nostris aboleri dedecus armis, 
Omnipotens. Non exsuvias, pulsaeve trophaeum 790 
Virginis, aut spolia ulla peto: mihi cetera laudem 

. Facta ferent: haec dira meo dum vulnere pestis 
Pulsa cadat, patrias remeabo inglorius urbes. 
Audiit, et voti Phoebus succedere partem 





LIBRO UNDECIMO 383. 


Udì che morta da quel colpo fosse 1260 
La vergine Camilla; e non udío 
Di lui, ch' ei vivo in patria -ne tornasse, 
Che ciò per l’ aura ne portaro i venti. 
Tosto che da le man l' asta ronzando 
Gli uscío, fur gli occhi e glianimie le grida 1265 
De’ Volsci tutti a la regina intenti. 
Ed ella né del télo, né de } aura 
Moto o fischio senti; né vide il colpo, 
Mentre già discendea, finché non giunse. 
Giunsele a punto ove divelta e nuda 1270 
Era la poppa; e del vergineo sangue, 
Non già di latte, sitibonda scese 
Sì che '| petto l’ apri. Le sue compagne 
Le fur trepide intorno; e già che morta 
Cadea , la sostentaro. Árunte in fuga 1275 


Mente dedit; partem volucres dispersit in auras. 
Sterneret ut subita turbatam morte Camillam, 
Annuit oranti: reducem ut patria alta videret, 

Non dedit, inque Notos vocem vertere procellae. 
Ergo, ut missa manu sonitum dedit hasta per auras, 
Convertere animos acres, oculosque tulere. 800 
Cuncti ad reginam Volsci. Nihil ipsa neque auras 
Nec sonitus memor, aut venientis ab aethere teli; 
Hasta sub exsertam donec perlata papillam 

Haesit, virgineumque alte bibit acta cruorem. 
Concurrunt trepidae comites, dominamque ruentem 
Suscipiunt: fugit ante omnes exterritus. Arruns, 


384 ENEIDE 


Ratto si volge, di paura insieme 

Turbato e dj letizia; ché ne l’ asta 

Più non confida, e più di star non osa 

Incontro a lei. Qual affamato lupo 

Che, ucciso de l’ armento un gran giovenco, 1280 
O lo stesso pastore, in sè confuso 

Di tanta audacia, anzi che da' villaggi 

Gli si levin le grida, infra le gambe 

Si rimette la coda, e ratto a’ monti 

Fuggendo, si rinselva: ia cotal guisa 1285 
Arunte dopo ’l tratto impaürito, 

Solo a salvarsi inteso, in mezzo a l armi 

Si mischiò tra le schiere, Ella morendo, 

Di sua man fuor del petto il crudo ferro 

Tentò svellersi indarno; ché la punta 1290 
S' era altamente ne le coste infissa: 

Onde languendo abbandonossi, e fredda 


Laetitia mixtoque metu: nec iam amplius hastae 
Credere, nec telis occurrere virginis audet. 

Ac velut ille, prius quam tela inimica sequantur, 
Continuo in montes sese avius abdidit altos, 810 
Occiso pastore, lupus, magnove iuvenco, 

Conscius audacis facti, caudamque remulcens 
Subiecit pavitantem utero, silvasque petivit. 

Haud secus ex oculis se turbidus abstulit Arruns; 
Contentusque fuga mediis se immiscuit armis. 813 
Illa manu moriens telum trahit: ossa sed inter 
F'erreus ad castas alto stat vulnere mucro. 


LIBRO UNDECIMO 385 


Giacque supina: e gli occhi, che pur dianzi 
Scintillavano ardor, grazia e fierezza, 

Si fer torbidi e gravi. Il volto, in prima 1295 
Di rose e d' ostro, di pallor di morte 

Tutto si tinse. In tal guisa spirando, 

Acca a sé chiama, una tra l' altre sue 

La più fida di tutte e la più cara; 

E dice: Acca sorella, i giorni miei 1300 
Son qui finiti: questa acerba piaga | 

M' adduce a morte, e già nero mi sembra 
Tutto che veggio. Or vola, e da mia parte 

Di per l’ ultimo a Turno, che succeda 

A questa pugna, e la città soccorra: 1303 
E tu rimanti in pace. À pena detto 

Ebbe cosi, che abbandonando il freno 

E l' arme e sé medesma, a capo chino 
Traboccó da cavallo. Allora il freddo 


Labitur exsanguis: labuntur frigida leto 
Lumina: purpureus quondam color ora reliquit. 
Tum sic exspirans Accam, ex aequalibus unam, 
Alloquitur; fida ante alias quae sola Camillae, 
Quicum partiri curas; atque haec ita fatur: 
Hactenus, 4cca soror, potui: nunc vulnus acerbum 
Conficit, et tenebris nigrescunt omnia circum. 
Effuge, et haec Turno mandata novissima perfer, 
Succedat pugnae, Troianosque arceat urbe . 
lamque vale. Simul his dictis linquebat habenas, 
Ad terram non sponte fluens. Tum frigida toto 
Eneide Zol. II 49 


386 ENEIDE 


Le occupò de la morte a poco a poco 1310 
Le membra tutte. E dechinato il collo 
Sopra un verde cespuglio, alfin di vita 
Sdegnosamente sospirando uscío. 

Camilla estinta, per lo campo un grido 
Levossi che n'andó fino a le stelle , 1315 
E surse al cader suo zuffa maggiore ; ; 
Ché i Teucri e i Toschi e gli Arcadi in un tempo 
Pinsero avanti . Opi, ministra intanto 
Di Trivia, che nel monte era discesa 
Vicino alla battaglia, indi il conflitto 1320 
Stava mirando intrepida e sicura, 
E visto di lontan tra molte genti 
Nascer nuovo tumulto e nuove grida, 
Poscia in mezzo di lor caduta e morta 
La vergine Camilla, Ah, sospirando 1325 


Paullatim exsolvit se corpore, lentaque colla, 
Et captum leto posuit caput, arma relinquens: 830 
Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. 
Tum vero immensus surgens ferit aurea clamor : 
Sidera: deiecta crudescit pugna Camilla. | 
Incurrunt densi, simul omnis copia Teucrum, 
Thyrrhenique duces, Evandrique arcades alae. 835 
At, Triviae custos iamdudum in montibus Opis 
Alta sedet summis, spectatque interrita pugnas: 
Utque procul medio iuvenum in clamore furentum 
Prospexit tristi mulctatam morte Camillam, . 
Ingemuitque, deditque has imo pectore voces: 840 


LIBRO UNDECIMO 387 


Disse, virgo infelice! troppo, troppo 

Crudel supplizio hai de l' ardir soflerto, 

Se d’ irritar l’ armi Troiane osasti. 

E di che pro t é stato a viver nosco 

Solinga vita, armar de l' armi nostre, 1330 
Gradire i boschi, e venerar Diana? 

Ma te non lascerà la tua regina 

Giacer disonorata in questa fine 

De la tua vita; e la tua morte oscura 

Non sarà tra le genti; e non dirassi 133) 
Che non è chi di te vendetta faccia; 

Chè chiunque di ferro avrà ferito 

Il corpo tuo, sarà meritamente 

Di ferro anciso. Era a Dercenno, antico 

Re de’ Laurenti, un gran sepolcro eretto, 1340 
Cui sopra era di terra un monte imposto 

E d' elci annosi e folti un bosco opaco. 


Heu nimium, virgo, nimium crudele luisti 
Supplicium, Teucros conata lacessere bello ! 

Nec tibi desertae in dumis coluisse Dianam 
Profuit, aut nostras humero gessisse pharetras: 
Non tamen indecorem tua te regina reliquit — 845 
Extrema iam in morte: neque hoc sine nomine letum 
Per gentes erit; aut famam patieris inultae. 

Nam, quicumque tuum violavit eulnere corpus, 
Morte luet merita. Fuit ingens monte sub alto 
Regis Dercenni terreno ex aggere bustum 850 
Antiqui Laurentis, opacaque ilice tectum: 


388 ENEIDE 


Qui la veloce Dea dal ciel calossi 

Al primo volo; e di qui visto Arunte 

Splender ne l’ armi, e gir di sua follía 1345 
Superbo e gonfio, Ove ne vai? diss' ella, 

Qui convien che ti fermi, e qui morendo 

De la morta Camilla il premio avrai 

Degno di te, se di perir sei degno 

De l’ armi di Diana. E, ciò dicendo, 1350 
La buona arciera del turcasso aurato 

Trasse un acuto strale, e l' arco tese, 

E tirò sì ch’ ambe le corna estreme 

Vennero al mezzo, ed ambe parimente 

Le mani, una tirata e l’ altra spinta, 1355 
Quella toccò la poppa e questa il ferro. 

L' arco, l’ aura, lo stral sonare udfo, 

E ferir e morir sentissi Árunte 


Hic Dea se primum rapido pulcherrima nisu 
Sistit, et Arruntem tumulo speculatur ab alto. 
Ut vidit fulgentem armis, ac vana tumentem; 
Cur, inquit, diversus abis? huc dirige gressum. 
Huc periture veni, capias ut digna Camillae 
Praemia. Tune etiam telis moriere Dianae ? 
Dixit, et aurata volucrem Threissa sagittam 
Depromsit pharetra, cornuque infensa tetendit, 
Et duxit longe, donec curvata coirent 860 
Inter se capita, et manibus iam tangeret aequis, 
Laeva aciem ferri, dextra nervoque papillam. 
Extemplo teli stridorem, aurasque sonantes 


LIBRO UNDECIMO 389 


Tutto in un tempo. I suoi quasi in oblfo 
Cosi, come spirava, in mezzo al campo 1360 
Lo lasciàr fra la polve in abbandono: 
Ed Opi al ciel tornando a volo alzossi. 
Caduta lei, la schiera di Camilla 
Primieramente in fuga si rivolse: 
Indi turbàrsi i Rutuli, e dier volta. 1365 
Diè volta il fiero Atina; e i duci tutti, 
E tutte fur le insegne abbandonate . 
Cerca ognun di salvarsi, e vér le mura 
Ne vanno a tutta briglia, e più nel campo 
Alcun non è che di far testa ardisca 1370 
Contra la strage e contra la ruina 
Che fanno i Teucri. Se ne van con gli archi 
Scarichi in su le terga e spenzoloni; . 
E più che di galoppo invér Laurento 


Audiit una Arruns, haesitque in corpore ferrum. 
Illum exspirantem socii atque extrema gementem , 
Obliti ignoto camporum in pulvere linquunt: 
Opis ad aetherium pennis aufertur Olympum. 
Prima fugit, domina amissa, levis ala Camillae : 
Turbati fugiunt Rutuli: fugit acer Atinas: 
Disiectique duces, desolatique manipli 870 
Tuta petunt, et equis aversi ad moenia tendunt. 
Nec quisquam instantes Teucros, letumque ferentes 
Sustentare valet telis, aut sistere contra: 
Sed laxos referunt humeris languentibus arcus: 
Quadrupedumque putrem cursu quatit ungula cam- 
pum. | 875 


390 ENEIDE 


Battono il campo, e fan nubi di polve. 1375 
Le madri da’ balconi e da’ torrazzi , 

Percossi i petti, alzano al ciel le grida 

Con femineo ululato. E quei che primi 

Giunti trovàr le porte ancor non chiuse 
Mischiati co’ nemici, ove più salvi 1380 
Si credean, ne l' entrata e fra le mura 

De la stessa lor patria, anzi a gli alberghi 

Lor propri e da’ nemici e da la morte 

Fur sopraggiunti. In cotal guisa in prima 

Stette la porta a gli avversari aperta. 1385 
Poi chiusa, escluse i suoi, che fuori in preda 
Restando de' nemici, a i lor piü cari, 

Che morir gli vedean, perché s'aprisse 
Supplicavano indarno. E qui tra quelli 

Che n’ erano a difesa, e quei ch' a forza, 1390 
Anzi a furia, a ruina incontro a loro 

S' avventavan ne l’ armi, orrenda strage 


Volvitur ad muros caligine turbidus atra 

Pulvis, et e speculis pe rcussae pectora matres 
Femineum clamorem ad caeli sidera tollunt. 

Qui cursu portas primi irrupere patentes, 

Hos inimica super mixto premit agmine turba: 880 
Nec miseram effugiunt mortem, sed limine in ipso, 
Moenibus in patriis, atque inter tuta domorum, 
Confixi exspirant animas. Pars claudere portas , 
Nec sociis aperire viam, nec moenibus audent 
Accipere orantes: oriturque miserrima caedes 885 


LIBRO UNDECIMO 391: 


Si fece e miseranda. E de gli esclusi 

Altri in cospetto de gli stessi padri, | 

E de le madri che dogliose grida 1395 
Ne facean da le torri e da le mura, 

Da l’impeto cacciati o da la calca- 

Precipitàr ne’ fossi, e giù da’ ponti 

Cadder sospinti; ed altri ne la fuga 

Da’ sfrenati cavalli e da la cieca 1400 
Lor furia trasportati, a dar di cozzo 

Gir ne le chiuse porte. In su’ ripari 

Ancor le donne (chè le donne ancora 

Il vero de la patria amore infiamma) 

Come giunte a l’ estremo, allor che morta 1405 
Vider Camilla, il femminil timore 

Volgono in sicurezza; e sassi e dardi 
Lanciando, e con aguzzi inarsicciati 

Pali il ferro imitando, osano anch’ elle 

Per la difesa de le patrie mura 1410 


Defendentum armis aditus, inque arma ruentum. 
Exclusi ante oculos lacrimantumque ora parentum, 
Pars in praecipites fossas, urgente ruina, 

Volvitur: immissis pars caeca et concita frenis 
Arietat in portas, et duros obiice postes. . . 890 
Ipsae de muris summo certamine matres, 

(Monstrat amor verus patriae) ut videre Camillam, 
Tela manu trepidae iaciunt, ac robore duro 
Stipitibus ferrum, sudibusque imitantur obustis 
Praecipites, primaeque mori pro moenibus audent. 


392 ENEIDE 


Gir le prime a morir morte onorata. 

A Turno intanto ne le selve arriva 
Acca, la già spedita messaggiera 
Con l’ amara novella, un gran tumulto 
Portando, che l' esercito è sconfitto, 1415 
Morta Camilla, annichilati i Volsci, 
E i Teucri d' ogni cosa impadroniti 
Stanno in campagna col favor che porta 
Seco de la vittoria il corso e ’l1 nome; 
Spingonsi avanti; e già pianto e paura 1420 
Assalgon la città. D' ira, di sdegno, 
E di furore il giovine infiammato, 
(Ché tale era il voler empio di Giove) 
Da l' insidie si toglie, esce de’ boschi 
Ov' era ascoso, e giù scende da' colli. 1425 
Smarriti non gli avea di vista a pena, 
A pena era nel piano, allor ch' Enea 
Prese del monte; e là 'v' era l’ agguato, 
Trovando aperto, senz’ offesa anch’ egli 


Interea Turnum in silvis saevissimus implet 
Nuntius, et iuveni ingentem fert Acca tumultum: 
Deletas Volscorum acies, cecidisse Camillam, 
Ingruere infensos hostes, et Marte secundo 
Omnia corripuisse: metum iam ad moenia ferri. 
Ille furens (et saeva Iovis sic numina poscunt ) 
Deserit obsessos colles, nemora aspera linquit. 
Vix e conspectu exierat, campumque tenebat, 
Quum pater Aeneas, saltus ingressus apertos, 


LIBRO UNDECIMO 


Superò | giogo, e de la selva uscío . 

. Cosi con passi frettolosi entrambi 
Con tutte le lor genti, e l’ un da l’altro 
Poco lontani a la città sen vanno. 
E 'nsiememente da l’ un canto Enea 
Vide di polverfo fumare i campi, 
E di Laurento sventolar l’ insegne; 
Turno da l' altro Enea scoperse, udendo 
L' annitrir de’ cavalli e| calpestio 
Crescer di mano in mano. Eran vicini 
Sì che venuto a zuffa ed a battaglia 
Si fóra anco quel di, se non che Febo 
Fatto vermiglio , i suoi stanchi destrieri 
Stava già per tuffar ne l’ onde Ibere. 
Onde avanti a le mura ambi accampati 
Di trincee si muniro e di ripari. 


E xsuperatque iugum, sileaque evadit opaca. 
Sic ambo ad muros rapidi totoque feruntur 
Agmine, nec longis inter se passibus absunt. 
Ac simul /Eneas fumantes pulvere campos 
Prospexit longe, laurentiaque agmina vidit; 


393 
1430 


1435 


14 19 


902 


Et saevum /Enean agnovit Turnus in armis, 910 
Adventumque pedum, flatusque audivit equorum: 
Continuoque ineant pugnas, et praelia tentent, 


Ni roseus fessos iam gurgite Phoebus Hibero 


Tingat equos, noctemque die labente reducat. 


Considunt castris ante urbem , et moenia vallant. 


Fine del Libro undecimo, 


Fol. II 50 


DELL’ ENEIDE 


DI VIRGILIO 


LIBRO DUODECIMO 


— per 


ARGOMENTO 


L' esercito Latino , i sacri paitt 
Rompendo , perde la giornata: Enea 
Ferito, col Ditammo è risanato ; 

Poi con Turno s° abbatte , e lul di vita 
Privando, fine alle fatiche impone. 


Turno, poscia che vede afflitti e domi 
Già due volte i Latini, e non pur scemi 
Di forze, ma di speme e di baldanza , 
Da lui farsi rubelli, e che a lui solo 
Ognun rivolto in tanto affare attende 
Le prove, le promesse e i vanti suoi, 
Furioso, implacabile , inquieto 
Arde, s' inanimisce, e si rinfranca 
Prima in sè stesso. Qual massila fera 
Ch' allor d' insanguinar gli artigli e il ceffo 
Disponsi, allor s'adira , allor si scaglia 


T'urnus ut infractos adverso Marte Latinos 
Defecisse videt, sua nunc promissa reposci, 
Se signari oculis; ultro implacabilis ardet, 
Attollitque animos. Poenorum qualis in arvis, 
Saucius ille gravi venantum vulnere pectus, 


IO 





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Pia & «Ze 
Re sa» 
KSETT TEEN lui si sente 
BHE godendo 


#bsa e fiera 
ih con le rampe 15 
E) graflia e rugge; 


‘urno 


ec i&5;entossi 
3) Pigindugio, o scusa 20 


o e stabilito, 
zxirarsi omai. 


WU Padre, che ’1 patto 25 
seo; e i sacrifici 
n. Oggi, Signore, 


mie mani a morte 


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m3 violentia T'urno. 

s 4Bque ita turbidus infit: 10 

eges est quod dicta retractent 

diu Arne pepigere, recusent. 
idrsliplter, et concipe foedus. 

Lp c Tartara mittam, 


PETERE esee Lab) 15 





ems ame uas qne 


LIBRO DUODECIMO . 397 


E 1 difetto di tutti io solo ammendo; Jo 
(Stiansi pure a vedere i tuoi Latini) 
O ch' ei vincendo fia padrone a voi, 
E marito a Lavinia. A cui Latino 
Col cor sedato in tal guisa rispose: 
Giovine valoroso, al tuo valore, . 35 
A la ferocia tua, che tanto eccede 
Ne l’ armi, io deferisco. E tu dovrai 
Appegarti di me, s io, d' ogni cosa 
Temendo, con ragione e con maturo 
Consiglio in tutti.i casi inveglio, e curo 40 
Che ’1 mio stato si salvi e la tua vita. 
A te, del vecchio Dauno erede e figlio, 
Seggio e regno non manca, oltre a le terre 
Di cui tu fatto bai da te stesso acquisto 
Per forza d' armi. Oro, favori e gradi 49 
Da Latino avrai sempre; e maritaggi 
E donne d'alto affar son per lo Lazio, 
E per le terre di Laurento assai. 


Et solus ferro crimen commune refellam; 
Aut habeat victos; cedat Lavinia coniux. 

Olli sedato respondit corde Latinus: 
O praestans animi iuvenis, quantum ipse feroci — 
F'irtute exsuperas, tanto me impensius aequum est 
Consulere, atque omnes metuentem expendere casus. 
Sunt tibi regna patris Dauni, sunt. oppida capta 
Multa manu: necnon aurumque animusque Latino est. 
Sunt aliae innuptae Latio et laurentibus agris, 


398 ENEIDE 


Ma soffri ch'io ti parli, e senti, e nota 
Poscia quel ch' io diró; che diró vero, 50 
Ben che noia ti sia. Fatal divieto 
Mi proibiva, e gli uomihi e gli Dei 
M' avean: vaticinando in molte guise 
Denunciato , che mia figlia a nullo 
Io maritassi di color che chiesta 55 
Me l'avean prima. E pur dall'amor vinto 
Che ti port'io, dal parentado astretto 
C' ho con la casa tua, mosso dal pianto 
E da le preci de la donna mia, 
Dandola a te mi sono al fato opposto; 6o 
Ho rotto fede al genero; ho con lui 
‘Presa non giusta e non sicura guerra. 
Da indi in qua tu stesso, tu che primo 
Soffri tante fatiche e tanti affanni, 
Hai veduto in che rischi, in che travagli 65 
Siam noi caduti; chè due volte rotti 


Nec genus indecores. Sine me haec haud mollia fatu 
Sublatis aperire delis; simul hoc animo hauri. 

Me natam nulli veterum sociare procorum 

Fas erat, idque omnes Divique hominesque canebant. 
Victus amore tui, cognato sanguine victus, 
Coniugis et moestae lacrimis, vinola omnia rupi; 30 
Promissam eripui genero, arma impia sumsi. 

Ex illo qui me casus, quae, Turne, sequantur 
Bella, vides; quantos primus patiare labores. 

Bis magna «icti pugna, vix urbe tuemur 


LIBRO DUODECIMO 399 


In due sì gran battaglie, in questo cerchio 

Ne siam rinchiusi a sostentare a pena 

La speranze d’Italia. Il Tebro è caldo 

Del nostro sangue. I campi son già bianchi 70 
De le nostr’ ossa. Ed io, folle, a che torno 
Taute fiate al precipizio mio? 

Chi così da me stesso mi sottragge ? 

Se, Turno estinto, io nel mio regno deggio 

I Troiani accettar , ché non gli accetto 75 
Or ch'egli è vivo e salva? E ché non pongo 
Fine a la guerra, a la ruina espressa 

Del mio regno e de' miei? Che ne diranno 

I Rutuli parenti? Che diranne 

Italia tutta, quando a morte io lasci 80 
(Voglia Dio che non sia) gir un che tanto 

Ama la parentela e'] sangue mio? 

Rimira de la guerra come vana 

Sia la fortuna. Abbi pietà del vecchio 


Spes italas: recalent nostro tiberina fluenta 35 
Sanguine adhuc, campique ingentes ossibus albent. 
Quo referor toties? quae mentem insania mutat? 

Si Turno exstincto socios sum accire paratus, 

Cur non incolumi potius certamina tollo? 

Quid consanguinei Rutuli, quid cetera dicet 4o 
Jtalia? ad mortem si te (fors dicta refutet!) 
Prodiderim, natam et connubia nostra petentem? 
Respice res bello varias; miserere parentis 
Longaevi, quem nunc moestum patria Ardéa longe 


400 ENEIDE 


Dauno tuo padre, che, da te lontano, 85 
In Ardea se ne sta mesto e dolente. 
Turno a questo parlar nulla si mosse 
De la ferocia sua: crebbe più tosto 
Il suo furore; e lo rimedio stesso 
Gli aggravò | male. Ei, come pria poteo 90 
Formar parola, in tal guisa rispose : 
Nulla per conto mio di me ti caglia’, 
Signor benigno: anzi, ti prego, in grado 
Prendi ch'io per la lode e per l'onore 
Patteggi con la morte. Ed anch’ io, Padré, 93 
Ho le mie mani; ed anco il ferro mio 
Ha taglio e punta, e fa ferita e sangue. 
Non sempre avrà, cred'io, la madre a canto, 
Che di nube lo copra e lo trafugga 
Come vil femminella, e di van' ombre 100 
Seco s'involva. E, ciò detto, si tacque, 

Ma la regina de l'audace impresa 


Dividit. Haudquaquam dictis violentia Turni — 45 
Flectitur: exsuperat magis, aegrescitque medendo. 
Ut primum fari potuit, sic institit ore: 
Quam pro me curam geris, hanc precor ,optime,pro me 
Deponas, letumque sinas pro laude pacisci. 
Et nos tela, pater, ferrumque haud debile dextra 
Spargimus, et nostro sequitur de vulnere sanguis. 
Longe illi Dea mater erit, quae nube fugacem 
F'eminea tegat, et vanis sese occulat umbris, 

At regina, nova pugnae conterrita sorte, 


LIBRO DUODECIMO 401 


Del genero dolente e spaventata, 

Piangendo, e per angoscia a morte giunta, 

Lo tenea, lo pregava, e gli dicea: 105 
Turno, per queste lagrime, per quanto 

T'é, se pur t'è, de l'infelice Amata 

L’onor, l' amore e la salute in pregio; 

(Già che tu sola speme, e sol riposo 

Sei de la mia vecchiezza: a te s' appoggia, 110 
In te si fonda di Latino il regno, 

E la sua dignitade, e la sua casa 

Che ruina minaccia) in don ti chieggio, 

Astienti di venir co’ Teucri a l’ arme; 

Chè qualunque ne segua avverso caso 115 
Sopra me cade. Ch' io teco di vita 

Uscirò pria che mai suocera o serva 

Io mi veggia d'Enea. Queste parole 

De la madre sentì Lavinia virgo, 

Di rugiadose ‘lagrime e d' un foco 120 


Flebat, et ardentem generum moritura tenebat: 55 
Turne, per has ego te lacrimas, per si quis Amatae 
Tangit honos animum: (spes tu nunc una, senectae 
Tu requies miserae; decus imperiumque Latini 
Te penes; in te omnis domus inclinata recumbit) 
Unum oro, desiste manum committere Teucris. 6o 
Qui te cumque inanent isto certamine casus, 
Et me, Turne, manent: simul haec invisa relinquam 
Lumina, nec generum /Enean captiva videbo. 
"ccepit vocem lacrimis Lavinia matris, 

Eneide Vol. II DI 


402 ENEIDE 


Di vergineo rossor le guance aspersa, 

Qual fóra se di porpora macchiato 

Fosse un candido avorio, o che di rose 

Si spargessero i gigli. In lei mirando 

Il giovine, d' amor non men che d' ira 125 
Acceso, a la regina brevemente 

Così rispose: Ah! madre mia, ti prego, 

In così perigliosa e dura impresa 

Non mi far col tuo pianto e col tuo duolo 
Sinistro annunzio. Ché s' a Turno è dato 130 
Che muoia , in suo poter più non è posto 

Che di morire indugi. Indi a l’ araldo 

Rivolto, Va’, gli disse, e da mia parte 

Quest’ ingrata e spiacevole imbasciata 

Porta al frigio tiranno , che dimsne 135 
Tosto che fia la ruhiconda Aurora 


Flagrantes perfusa genas, cui plurimus ignem 65 
Subiecit rubor, et calefacta per ora cucurrit. 
Indum sanguineo veluti violaverit ostro 

Si quis ebur, aut mixta rubent ubi lilia multa 
Alba rosa: tales virgo dabat ore colores. 

Illum turbat amor, figitque in virgine vultus; 70 
Ardet in arma magis, paucisque affatur Amatam: 
Ne, quaeso, ne me lacrimis, neve omine tanto 
Prosequere in duri certamina Martis euntem, 

O mater: neque enim T'urno mora libera mortis. 
Nuntius haec Idmon phrygio mea dicta tyranno 45 
Haud placitura refer: Quum primum crastina caelo 


LIBRO DUODECIMO 403 


A l' oriente apparsa, i Teucri suoi 
Contr' a Rutuli addur più non s! affanni. 
Stiensi l’ armi de’ Rutuli e de’ Teucri 
Per mio conto in riposo. Chè tra noi . 140 
Col nostro sangue a difinir la guerra, 
E di Lavinia le bramate nozze 
In su quel campo a procurarci avemo. 
Detto così, vér la magion s' invia 
Rapidamente; addur si face avanti 145 
I suoi cavalli, e le fattezze e ’l fremito 
Notando, se ne gode, e ne concepe 
Speme e vittoria; ché di razza usciti 
Eran già d' Orizía, da cui Pilunno , 
Ebbe giumente e corridori in dono, 150 
Che di candor la neve, e di prestezza 
Superavano il vento. Avean d' intorno 
I valletti e gli aurighi che palpando, 
Forbendo e vezzeggiando, in varie guise 


Puniceis invecta rotis Aurora rubescit; 
Non Teucros agat in Rutulos. Teucrim arma 
quiescant, 

Et Rutul m: nostro dirimatur sanguine bellum: 

Illo quaeratur coniux Lavinia campo. . 8o 
Haec ubi dicta dedit, rapidusque-in tecta recessit, 

Poscit equos, gaudetque tuens ante ora frementes; 

Pilumno quos ipsa decus dedit Orithyia, 

Qui candore nives anteirent, cursibus auras. 

Circumstant properi aurigae, manibusque lacessunt 


404 0 ENEIDE 


Gli facean lieti, baldanzosi e fieri. 155 
Fatte poscia venir l' armi, si veste 
La sua corazza d' oricalco e d' oro, 
E dentro vi s' adatta e vi si vibra 
Con la persona. Imbracciasi lo scudo, 
Provasi l’ elmo; e la vermiglia cresta 160 
Squassando , il brando impugna, il fido brando 
Da lo stesso Vulcano al padre Dauno 
Temprato in Mongibello a tutte prove. 
Al fine un' asta poderosa e grave, 
Cl’ appo un’ alta colonna era appoggiata — 165 
In mezzo de la casa, in man si pianta, 
Spoglio d' Attóre Aurunco. E poichè l’ ebbe 
‘  Brandita e scossa, Asta, gridando disse, 
Ch’ a le mie fazioni unqua non fosti 
Chiamata indarno, ora al maggior bisogno 170 
Da te soccorso imploro. Il grande Attóre 


Pectora plausa cavis, et colla comantia pectunt. 
Ipse dehinc auro squalentem, alboque orichalco 
Circumdat loricam humeris : simul aptat habendo 
Ensemque clypeumque et rubrae cornua cristae; 
Ensem, quem Dauno ignipotens Deus ipse parenti 
' Fecerat, et stygia candentem tinxerat unda. 
Exin, quae mediis ingenti annixa columnae 
JEdibus adstabat, validam vi corripit hastam, 
Actoris aurunci spolium; quassatque trementem, 
Vociferans: Nunc, o numquam frustrata vocatus 
Hasta meos, nunc tempus adest: te maximus Actor, 


LIBRO DUODECIMO 405 


Armasti in prima, or sei di Turno in mano. 
Dammi che ’l corpo atterri , e la corazza 
Dischiodi, e ’l petto laceri e trapassi 
Di questo frigio effeminato eunuco . 175 
Dammi che ’Î profumato, inanellato , 
Col ferro attorcigliato zazzerino 
Gli scompigli una volta, e ne la polve 
Lo travolga e nel sangue. In cotal guisa 
Dicendo, infuriava, ardea nel volto, 180 
Scintillava ne gli occhi, orribilmente 
Fremea, qual mugghia il toro allor che irato 
Si prepara a battaglia, e l' ira in cima 
Si reca de le corna: indi !' arruota 
A qualche tronco, e’l tronco e l' aura in prima 185 
Ferendo, alto co’ piè sparge l’ arena, 
E del futuro assalto i colpi impara. 

Da l’altro canto Enea, non men feroce 


Te Turni nunc dextra gerit. Da sternere corpus, 
Loricamque manu valida lacerare revulsam 
Semiviri phrygis, et foedare in pulvere crines 
V'ibratos calido ferro myrrhaque madentes. 100 
His agitur furiis: totoque ardentis ab ore 
Scintillae absistunt: oculis micat acribus ignis. 
Mugitus veluti quum prima in praelia taurus 
Terrificos ciet, atque irasci in cornua tentat, 
Arboris obnixus trunco, ventosque lacessit 105 
Ictibus, et sparsa ad pugnam proludit arena. 

Nec minus interea maternis saevus in armis 


406 ENEIDE 


Ne } armi di sua madre, al fiero Marte 

S' inanima e s' accinge, e del partito 190 

Che gli era per compor la guerra offerto, 

Si rallegra, l' accetta; e i suoi compagni 

E ’lsuo figlio assicura , or di sé stesso 

La franchezza mostrando, or le venture 

De' fati raminentando e le promesse . 199 
Indi con la risposta al re Latino 

Manda chi la disfida e'l patto accetti, 

E del patto i capitoli e le leggi 

Stabilisca e confermi. Era de’ monti 

In su la cimaa pena il sole apparso 200 

De l'altro giorno, allot che i suoi destrieri 

Sorgon da l' onde, e con le nari in alto 

Fiamme anelando , il mondo empion di luce; 

Quando nel campo i Rutuli discesi 

E i Teucri insieme, sotto a l' alte mura 205 

Fabbricàr lo steccato, a cui nel mezzo 


Eneas acuit Martem, et se suscitat ira, 
Oblato gaudens componi foedere bellum. 
T'um socios, moestique metum solatur Iuli, 110 
Fata docens; regique iubet responsa Latino 
Certa referre viros, et pacis dicere leges. ' 

Postera vix summos spargebat lumine montes 
Orta dies, quum primum alto se gurgite tollunt 
Solis equi, lucemque elatis naribus efflant: 115 
Campum ad certamen magnae sub moenibus urbis 
Dimensi rutulique iri, teucrique parabant; 


LIBRO DUODECIMO 407 


I fochi e l' are di gramigna asperse 

Furo a gli Dei d' ambe le parti eretti 
Comunemente ; e d’ ambi i sacerdoti 

Di bianco lino involti, e di verbena 210 
Cinti le tempie, andaro altri con.l’ acqua, 
Altri con le facelle intorno accese . 

Poscia ecco de gli Ausoni da l’ un canto 

A piene porte l’ ordinate schiere 

Uscir da la città di picche armate; 215 
Da l'altro de Troiani e de’ Tirreni 

Gir l’ esercito tutto in varie guise 

D' abiti e d' armi; e questi incontro a quelli 
Non altramente ch’ a battaglia instrutti. 

Fra mezzo a tante mila i condottieri 220 
Ciascun da la sua parte si vedea 

Gir d’ oro e d’ ostro alteramente adorni. 

E'l gran Memmo con questi e ’l forte Asila, 

E Messapo con quelli, de’ cavalli 


In medioque focos, et Dis communibus aras 
Gramineas: alii fontemque ignemque ferebant, 
Velati lino, et verbena tempora vincti. 120 
Procedit legio Ausonidim, pilataque plenis 
"Agmina se fundunt portis. Hinc troius omnis, 
T'yrrhenusque ruit variis exercitus armis; 

Haud secus instructi ferro, quam si aspera Martis 
Pugna vocet. Nec non mediis in millibus ipsi 125 
Ductores auro volitant ostroque decori, 

Et genus Assaraci Mnestheus, et fortis Asylas, 


408 ENEIDE 


Il domatore e di Nettuno il figlio . 225 
Poscia che, dato il segno, ebbe ciascuno 

Chi di qua chi di là preso il suo loco, 

Piantàr le lance, dechinàr gli scudi. 

Le donne, i vecchi, i putti e ’l volgo inerme 

Di veder desiosi, altri in su’ tetti, — 230 

Altri in-.su’rivellini. e'n su le torri 

Stavan mirando. E. non dal campo lunge 

Sedea Giuno in un colle, Albano or detto, 

Ch' allor :né. d' Alba .il nome avea, né "l pregio, 

Né 1 sacrifici. In questo monte assisa 235 

Vedea de' Láurenti e de’ Troiani 

L/ accolte: genti, e: di Latino il seggio. 

Ivi la Dea di Turno -a la sirocchia, 

Che Dea de’ laghi era e de’ fiumi anch’ ella, 


Et Messapus equum domitor, neptunia proles. 
Utque dato signo spatia in sua quisque recessit, 
Defigunt tellure hastas, et scuta reclinant. 130 
Tum studio effusae matres, et vulgus inermum, 
Invalidique senes, turres et tecta domorum 
Obsedere; alii portis sublimibus adstant. 

At Iuno e summo (qui nunc albanus habetur, 
T'um neque nomen erat, nec honos, aut gloria monti) 
Prospiciens tumulo, campum adspectabat, et ambas 
Laurentum Troumque acies, urbemque Latini. 
Extemplo: Turni sic est affata sororem, 
Diva Deam, stagnis quae fluminibusque sonoris 
Praesidet; hunc illi rex aetheris altus honorem 140 


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LIBRO DUODECIMO 409 


(Privilegio che Giove allor le diede 240 
Che de la pudicizia il fior le tolse) 
Disse così: Ninfa, de' fiumi onore, 
Sovr' ogni Ninfa a me gioconda e cara, 
Tu sai come te sola ho preferita 

A tutte l’altre, che di Giove in Lazio 245 
L’ ingrato letto han di salire osato; 

E come volentier del cielo a parte 
Meco t ho posta. Ascolta i tuoi dolori, 
Perchè di me dolerti unqua non possa. 
Finchè di Lazio la fortuna e ’l fato 250 
Me l han concesso, io prontamente e Turno 
E la tua terra e i tuoi sempre ho difeso. 

Or veggio questo giovine a duello 

Con disegual destino esser chiamato : 

Veggio il dì de la Parca e la nemica 25 
Forza che gli è vicina. Io questo accordo, 
Questa pugna veder con gli occhi miei 


Juppiter erepta pro virginitate sacravit: 
Nympha, deous fluviorum, animo gratissima nostro, 
Scis, ut te cunctis unam, quaecumque latinae 
Magnanimi Iovis ingratum adscendére cubile, 
Praetulerim, caelique libens in parte locarim: 145 
Disce tuum, ne me incuses, Iuturna, dolorem. 

Qua visa est fortuna pati, Parcaeque sinebant 

Cedere res Latio, Turnum et tua moenia texi. 

Nunc iuvenem imparibus video concurrere fatis, 
Parcarumque dies, et yis inimica propinquat, — 150 


Eneide Zool. I 52 















cosa' ardisci 
cx. ora è mestiero 


TN si percosse. 
[i h:non è tempo — 265 


91a; e da la morte 


, e te n'affido. 270 


yr trafitta . 
"Xiegi intanto; 





"S 


TI oculis, non foedera 


if aesentius audes, 
Ts meliora sequentur. 


iplis Iuturna profudit, 
fetus percussit honestum. 


|i mentis. 160 


UT EE 


LIBRO DUODECIMO 401 


Latino il primo, alto in un carro assiso, 

Che da quattro suoi nitidi corsieri 275 
Di gran macchina in guisa era tirato, 

E, di dodici raggi il fronte adorno, 

Del Sole, avo di lui, sembianza avea. 

Turno traean due candidi destrieri, 

Con due suoi dardi in mano, agili e forti. 280 
Enea, de la romana stirpe autore, 

Con l’armi sue celesti e con lo scudo 

Che dianzi da le stelle era venuto, 

Uscio da l' altro canto, e seco a pari 

Ascanio il figlio suo, de la gran Roma 28: 
La seconda speranza. A mano a mano 

Il sacerdote in pura veste involto 

Anzi a gli accesi altari il nuovo parto 

D' una setosa porca, ed una agnella 

Ancor non tosa al sacrificio addusse ; 200 
E vólti a l' oriente, in atto umile 


wt 


Quadriiugo vehitur curru, cui tempora circum 
Aurati bis sex radii fulgentia cingunt, 

»-olis avi specimen: bigis it Turnus in albis, 

Dina manu lato crispans hastilia ferro. 165 
Hinc pater /Eneas, romanae stirpis origo, 

Sidereo flagrans clypeo et caelestibus armis, 

. Et iuxta Ascanius, magnae spes altera Romae) 
Procedunt castris, puraque in veste sacerdos 
Setigerae fetum suis, intonsamque bidentem 170 
Attulit, admopitque pecus flagrantibus aris. 


412 ENEIDE 


S' inchinàr tutti; e vino e farro e sale 

Sparser d' ambe le parti; ambe col ferro, 

Sì com’ era uso, a le devote belve 

Segnàr le tempie. Allor il padre Enea 295 
Strinse la spada, e, gli occhi al ciel rivolti, 
Così disse pregando: Io questo Sole 

Per testimone invoco e questa terra, 

Per cui tanti ho fin qui sofferti affanni: 

Invoco te, celeste, onnipotente , 300 
Eterno Padre, e te, Saturnia Giuno, 

Già vér me più benigna, e ben ti prego 

Che mi sii tale, e te gran Marte invoco, 

Ch’ a l'armi imperi; e voi fonti, e voi fiumi, 
E voi tutti del mar, tutti del cielo 305 
Numi possenti; e vi prometto e giuro 

Che se Turno per sorte è vincitore 


Jlli ad surgentem conversi lumina solem 

Dant fruges manibus salsas, et tempora ferro 
Summa notant pecudum, paterisque altaria libant. 
Tum pius "Eneas stricto sic ense precatur: 179 
Esto nunc Sol testis, et haec mihi T'erra vocanti, 
Quam propter tantos potui perferre labores: 

Et pater omnipotens, et tu, saturnia Iuno, 

Jam melior , iam, Diva, precor; tuque, inclyte Mavors, 
Cuncta tuo qui bella, pater, sub numine torques ; 
Fontesque, l'lueiosque voco, quaeque JEtheris alti 
Religio, et quae caeruleo sunt Numina ponto: 
Cesserit ausonio si fors victoria Turno; 








LIBRO DUODECIMO 413 


Di questa pugna, il successor del vinto 

Gli cederà; ch’ a la città d' Evandro 

Si ritrarrà; che mai poscia ribelle 310 
Non gli sarà: che guerra, o lite o sturbo 
Alcun altro più mai non gli farà. 

Ma se piuttosto, come io prego, e come 

Spero che mi succeda, al nostro Marte 

La dovuta vittoria non sifroda;  — 319 
Io non vo' già che gl’ Itali soggetti 

Siano a’ miei Teucri, né d' Italia io solo 

Tener l’ impero: io vo’ ch’ ambi del pari 

Questi popoli invitti aggian tra loro 

Governo, e leggi eguali, e pace eterna. — 320 
A me basta ch'io dia ricetto e culto 

A' miei Numi, a' miei Teucri, e sia Latino 
Suocero mio, del suo regno e de l' armi 
Signor, rettore, e donno; lo poscia altrove 
Altre mura ergerommi, e de’ miei stessi — 325 


Convenit, Evandri victos discedere ad urbem: 
Cedet Iulus agris; nec post arma ulla rebelles 185 
ZEneadae referent, ferrove haec regna lacessent. 
Sin nostrum annuerit nobis victoria Martem, 

Ut potius reor, et potius Di numine firment, 

Non ego nec Teucris Italos parere iubebo, 

Nec mihi regna peto: paribus se legibus ambae 190 
Invictae gentes aeterna in foedera mittant. 

Sacra Deosque dabo: socer arma Latinus habeto, 
Imperium solemne socer: mihi moenia Teucri 


415 RNEIDE 


Fien le fatiche, e di Lavinia il nome. 
Cosi pria disse Enea: cosi Latino 
Seguitó poi con gli occhi e con la destra 
Al ciel rivolto, Ed io giuro, dicendo, 
Le stesse Deità, la terra, il mare, 33o 


. Le stelle, di Latona ambi i Gemelli, 


Di Giano ambe le fronti , il chiuso centro, 

E la gran possa degl inferni Dii. 

Odami di là su l’ eterno Padre, 

Che fulminando stabilisce e ferma 333 
Le promesse e gli accordi. I Numi tutti 
Chiamo per testimoni: e tocco l' ara, 

E tocco il foco, e questa pace approvo 

Dal canto mio. Nè mai, che che si sia 

Di questa pugna, nè per forza alcuna, 3 {o 
Né per tempo sarà ch’ ella si rompa 

Di voler mio, non se la terra in acqua 


Constituent, urbique dabit Lavinia nomen. 

Sic prior /Eneas; sequitur sic deinde Latinus, 195 
Suspiciens caelum, tenditque ad sidera dextram: 
Haec eadem, /Enea, Terram, Mare, Sidera, iuro, 
Latonaeque genus duplex, lanumque bifrontem, 
Vimque Dem infernam, et duri sacraria Ditis: 
Audiat haec genitor, qui foedera fulmine sancit; 
Tango aras; medios ignes et Numina testor: 
Nulla dies pacem hanc ftalis, nec foedera rumpet, 
Quo res cumque cadent: nec me vis ulla volentem 
Avertet; non, si tellurem effundat in. undas, 


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LIBRO DUODECIMO 415 


Si dileguasse , non se "l ciel cadesse 

Ne l' imo abisso : così come ancora 

Questo mio scettro (chè lo scettro in mano 345 
Avea per sorte) più nè frorida mai 

Né virgulto farà, poichè reciso 

Dal vivo tronco, o:da radice svelto 

Mancó di madre, e già d' arbore ch'era, 
Sfrondato, diramato e secco legno 350 
Di già venuto, e d'oricalco adorno, © 

E per man de l’ artefice ridotto 

In questa forma, e per quest’ uso in mano 

De i re Latini è posto. In cotal guisa 

Fermati i patti, e l' ostie in mezzo addotte, 355 
Tra i più famosi, anzi a l’accese fiamme 

Le svenàr, le smembràr, le svisceraro. 

E sì com'eran palpitanti e vive, 

Le fibre ne spiàr, le diero al foco, 


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Diluvio miscens, caelumve in Tartara solvat: — 205 
Ut sceptrum hoc (dextra sceptrum nam forte gerebat) 
Numquam fronde levi fundet virgulta, nec umbras, 
Quum semel in silvis imo de stirpe recisum 

Matre caret, posuitque comas et brachia ferro; 
Olim arbos, nunc artificis manus aere decoro — 210 
Inclusit, patribusque dedit gestare latinis. —— 
Talibus inter se firmabant foedera dictis, 
Conspectu in medio procerum. Tum rite sacratas 
In flammam iugulant pecudes, et viscera vivis 
Eripiunt, cumulantque oneratis lancibus aras. 215 


416 ENEKIDE 


N’ empiér le quadre, e ne colmár gli altari. 360 
Di già disvantaggioso e diseguale 

Questo duello a’ Rutuli sembrava; 

E già vari bisbigli, e vari moti 

N' eran tra loro; e com’ più sanamente 

Si rimirava, più di forze impàri 365 

Si vedea Turno; ed egli stesso indizio 

Ne dié, che lento e tacito e sospeso 

Entrò nel campo. E come ancor di pelo 

Avea le guance lievemente asperse, 

Orando anzi a l' altar pallido il volto 370 

Mostrossi , e chino il fronte, e grave il ciglio. 
Tale una languidezza rimirando, 

E tal del volgo un susurrare udendo 

Giuturna sua sorella, infra le schiere 

Gittossi, e di Camerte il volto prese. 375 

D' alto legnaggio, di valor paterno, 

E di propria virtute era Camerte 


ift vero Rutulis impar ea pugna videri 
Jamdudum, et vario misceri pectora motu: 
Tum magis, ut propius cernunt, non viribus aequis. 
Adiuvat incessu tacito progressus, et aram 
Suppliciter venerans, demisso lumine, Turnus, 220 
Tabentesque genae, et iuvenali in corpore pallor. 
Quem simul ac Iuturna soror crebrescere vidit 
Sermonem, et vulgi variare labantia corda, 
In medias acies formam assimulata Camerti; 
Cui genus a proavis ingens, clarumque paternae 


LIBRO DUODECIMO 417 


Famoso infra la gente. E tal sembrando, 

Già de gli animi accorta, iva Giuturna 

Rumor diversi e tai voci spatgendo: 380 
Ahi! che vergogna, che follia , che fallo, 
Rutuli, è '] nostro, che per tanti e tali 

Sola un alma s' arrischi? Or siam noi forse 

Di numero a’ nemici inferiori, 

O d'ardir o di forze ? Ecco qui tutti ‘380 
Accolti i Teucri e gli Arcadi e gli Etruschi 

Che sono anco per fato a Turno infensi. 

A due di noi contra un di loro a mischia 

Che si venisse, di soverchio ancora 

Fórano i nostri. Ei che per noi combatte, 390 
Ne sarà fra gli Dei, cui s' è devoto, 

In ciel riposto; e qui tra noi famoso 

Viverà sempre. Ma di noi che fia, 

Ch' or ce ne stiam si neghittosi a bada ? 


Nomen erat virtutis, et ipse acerrimus armis; 

In medias dat sese acies, haud nescia rerum, 
Rumoresque serit varios, ac talia fatur: 

Non pudet, o Rutuli, pro cunctis talibus unam 
Obiectare animam? numerone, an viribus aequi 230 
Non sumus? En, omnes et (Troes et Arcades hi sunt, 
* Fatalisque manus, infensa Etruria Turno. * 

Vix hostem, alterni si congrediamur, habemus. 

Ille quidem ad Superos, quorum se devovet aris, 
Succedet fama, vivusque per ora feretur: 235 
Nos, patria amissa, dominis parere superbis 


Eneide 7^ol. II 53 


418 ENEIDE 


La patria perderemo? e da stranieri, 395 
E da superbi in servitute addotti, 
Preda e scherno d' altrui sempre saremo? 

Da questo dir la gioventù commossa 
Via più s' accende, e ’l mormorio serpendo 
Più cresce per le squadre. Onde i Latini — 4oo 
E gli stessi Laurenti, che pur dianzi 
Di pace eran sì vaghi e di quiete, 
Pensier cangiando e voglie, or l’ arme tutti 
Gridano, tutti pregan, che l’ accordo 
Sia per non fatto; e tutti han de l' iniqua 405 
Sorte di Turno ira, pietate e sdegno. 

In questa ecco apparir ne l' aria un mostro 
Per opra di Giuturna, onde turbati 
E dal primo proposito distolti 
Fur da vantaggio de’ Latini i cuori. 410 
Videsi per lo lito e per lo cielo 


Cogemur, qui nunc lenti consedimus arvis. 

Talibus incensa est iuvenum sententia dictis, 

Jam magisatquemagis; serpitqueper agminamurmur. 
Ipsi Laurentes mutati, ipsique Latini, 240 
Qui sibi iam requiem pugnae, rebusque salutem 
Sperabant, nunc arma volunt, foedusque precantur 
Infectum, et Turni sortem miserantur iniquam. 
His aliud maius Iuturna adiungit, et alto 

Dat signum caelo; quo non praesentius ullum 245 
Turbavit mentes italas, monstroque fefellit. 
Iamque yolans rubra fulvus Iovis ales in aethra 


LIBRO DUODECIMO 419 


Di roggio asperso un di palustri augelli 
Impaürito e strepitoso stuolo. 

Dietro un’ aquila avea, ch’ a mano a mano 
Giuntolo de lo stagno in su la riva, 415 
Un cigno ne ghermì ch'era di tutti 

Il maggiore e ’1 più bello. A cotal vista 

Gli occhi e gli animi alzàr Y itale squadre; 

E gli augei, che pur dianzi erano in fuga, 
(Mirabile, a vedere!) in un momento 420 
Stridendo si rivolsero, e ristretti 

In densa nube, ond’ era il ciel velato, 

La nimica assaliro. E sì d' intorno 

La cinser, l' aggiràr, l' attraversaro, 

Ch’ a cielo aperto, u' dianzi erano in fuga, 425 
Le fér gabbia, ritegno e forza, al fine 

Che, gravata dal peso e stretta e vinta, 

De la lena mancasse e de la preda. 

Il cigno dibattendosi, da l' ugne 

Sovra l' onde gli cadde; ed ella scarca, 430 


Litoreas agitabat aves, turbamque sonantem 
Agminis aligeri; subito quum lapsus ad undas 
Cycnum excellentem pedibus rapit improbus uncis. 
Arrexere animos Itali, cunctaeque volucres 
Convertunt clamore fugam, (mirabile visu) 
4Etheraque obscurant pennis, hostemque per auras 
F'acta nube premunt: donec vi victus, et ipso 
Pondere defecit, praedamque ex unguibus ales 255 
Proiecit fluvio, penitusque in nubila fugit. 


420 ENEIDE 


Da la turba fuggendo, al cielo, alzossi. 
I Rutuli a tal vista con le grida 
Salutàr pria l’ augurio; indi a la pugna 
Si prepararo. E fu Tolunnio il primo, 
Ch’ augure, incontro al patto anzi a le schiere 435 
Si spinse armato, e disse: Or questo è, questo 
Ch’ io desiava; e questo è quel ch’ io cerco 
Ho ne’ mici voti. Accetto e riconosco 
Il favor de gli Dei. Me, me seguite, 
Rutuli miei. Con me l'armi prendete 440 
Contro al malvagio che di strana parte 
Venuto con la guerra a spaventarci, 
Ha voi per vili augelli, e i vostri lidi 
Così scorre e depreda. Ma ritolto 
Questo cigno gli fia; di nuovo al mare 445 
In fuga se n' andrà. Voi combattendo 
In guisa de la pria fugace torma, 
Ristringetevi insieme, e riponete 
Il vostro re, che v'è rapito, in salvo. 


Tum vero augurium Rutuli clamore salutant, 
Expediuntque manus: primusque Tolumnius augur, 
Hoc erat, hoc votis, inquit, quod saepe petivi; 
Accipio, agnoscoque Deos; me, me duce ferrum 260 
Corripite, o miseri, quos improbus advena bello 
Territat, invalidas ut aves, et litora vestra 

Vi populat: petet ille fugam, penitusque profundo 
Vela dabit. Vos unanimi densate catervas, 

Et regem vobis pugna defendite raptum. 265 


LIBRO DUO DECIMO 421 


Detto così, spinse il destriero, e trasse 450 
Contro a’ nemici. Andò stridendo e dritto 
L' aura secando il fulminato dardo; 

E insieme udissi col suo rombo un grido, 
Che insino al ciel, de’ Rutuli, sentissi. 
Insieme scompigliossi il campo tutto, 
Turbàrsi i petti, ed infiammàrsi i cuori. 
L' asta volando giunse ove a rincontro 
Nove fratelli eran per sorte accolti , 

Che tutti d'una sola etrusca moglie 

Da Y arcadio Gilippo eran creati. | 460 
Un di lor ne colpì là ’ve per mezzo 

Il cinto s' attraversa, e con la fibbia 

S' afferra al fianco. lvi tra costa e costa 
Penetrando, altamente lo trafisse, 

E morto in su l' arena lo distese. 465 
Questi il più riguardevole ne l' armi 

Era degli altri, e ’] più bello el più forte. 


a 
Ct 
Qt 


Dixit, et adversos telum contorsit in hostes 
Procurrens: sonitum dat stridula cornus, et auras 
Certa secat: simul hoc, simul ingens clamor, et omnes 
Turbati cunei, calefactaque corda tumultu. 

Hasta volans, ut forte novem pulcherrima fratrum 
Corpora constiterant contra , quos fida crearat 

Una tot arcadio coniux tyrrhena Gylippo; 

Horum unum, ad medium, teritur qua sutilis alvo 
Balteus, et laterum iuncturas fibula mordet, 
Egregium forma iuyenem, et fulgentibus armis, 


422 ENEIDE 


E gli altri, come tutti eran feroci, 

Dal dolore infiammati, incontanente 

Chi la spada impugnó, chi prese il dardo; 470 
E contra il feritor tutti in un tempo, 

Come ciechi, avventàrsi. Incontro a loro 

Si mosser de’ Laurenti e de’ Latini 

Le genti a schiere, e d' altro lato a schiere 
Spinsero i Teucri e gli Arcadi e gli Etrusci. 475 
Così d'armi e di sangue uguale ardore 

Surse d' ambe le parti; e l' are e 1 foco, 
Ch'eran di mezzo, e l'ostie e le patene 
N'andàr sossopra; e tal di ferri e d'aste 

Denso levossi e procelloso un nembo, 430 
Che ’] Sol se n'oscuró, sangue ne piovve. 
Grida e fugge Latino, e i numi offesi 

Se ne riporta, e detestando abborre 

Il violato accordo. Armasi intanto 


Transadigit costas, fulvaque effundit arena. 

At fratres, animosa phalanx, accensaque luc tu, 
Pars gladios stringunt manibus, pars missile ferrum 
Corripiunt, caecique ruunt: quos agmina contra 
Procurrunt Laurentum. Hinc densirursus inundant 
Troes Agyllinique, et pictis Arcades armis. 

Sic omnes amor unus habet decernere ferro. 
Diripuere aras; it toto turbida caelo 

Tempestas telorum, ac ferreus ingruit imber; 
Craterasque focosque ferunt. Fugit ipse Latinus 
Pulsatos referens infecto foedere Divos. 


LIBRO DUODECIMO 423 


Il campo tutto; e chi frena i destrieri, 485 

Chi ’1 carro appresta; e già con l'aste basse, 

E con le spade ad investir si vanno. 
Messapo desioso che l’accordo 
Si disturbasse, incontro al tosco Auleste 
Che, come re, di real fregi adorno 490 
E d'ostro, al sacrifizio era assistente, 
Spinse il cavallo, e spaventollo in guisa 
Che mentre si ritragge infra gli altari 
Ch'avea da tergo, urtando, si travolse. 
Messapo con la lancia incontanente 495 
Gli si fe'sopra, e si com'era in atto 
Di supplicarlo, il petto gli trafisse. 
Cosi ben va, dicendo: or a'gran numi 
Porco piü grato e miglior ostia cadi. 
Cadde il meschino, e fu spirante e caldo ^ 5oo 
Sovraggiunto da gl'Itali, e spogliato. 


Infrenant alii currus, aut corpora saltu 
Subiiciunt in equos, et strictis ensibus adsunt. 
Messapus regem, regisque insigne gerentem, 
Tyrrhenum Aulesten, avidus confundere foedus , 
Adverso proterret equo: ruit ille recedens, 

Et miser oppositis a tergo involvitur aris 

In caput, inque humeros: at fervidus advolat hasta 
Messapus, teloque orantem multa trabali 

Desuper altus equo graviter ferit, atque ita fatur: 
Hoc habet, haec melior magnis data victima Divis. 
Concurrunt Itali, spoliantque calentia membra. 


424 ENEIDE 


Die Corinéo per un gran tizzo a l’ara 
Di piglio; e si com'era ardente e grave, 
Ad Ebuso che incontro gli venía, 
Nel volto il fulminó. Schizzonne insieme 
Il foco e ’1 sangue; e di baleno in guisa 
Un lampo ne la barba gli refulse 
Che dié d'arsiccio odore. Indi gli corse 
Sopra senza ritegno; e qual trovollo 
Da la percossa abbarbagliato e fermo, 
L'afferró per la chioma, a terra il trasse, 
Col ginocchio lo strinse, e col trafiere 
Gli passò "| fianco. Podalirio ad Also 
Pastor, che fra le schiere infuriava, 
S'aflilò dietro; e già col brando ignudo 
Gli soprastava, aller ch’Also rivolto 
La gravosa bipenne, ond' era armato, 
Gli piantò ne la fronte, e ’nsino al mento 
Il teschio gli spartì, l'armi gli sparse 


Obvius ambustum torrem Corynaeus ab ara 
Corripit, et venienti Ebuso, plagamque ferenti 
Occupat os flammis: olli ingens barba reluxit, 
Nidoremque ambusta dedit; super ipse sequutus 
Caesariem laeva turbati corripit hostis, 
Impressoque genu nitens terrae applicat ipsum: 
Sic rigido latus ense ferit. Podalirius Alsum 
Pastorem, primaque acie per tela ruentem, 
Ense sequens nudo super imminet : ille securi 
Adversi frontem mediam mentumque reducta 


510 


300 


305 


LIBRO DUODECIMO 429 


Tutte di sangue: ond'ei cadde, e le luci 520 
Chiuse al gran buio ed al perpetuo sonno. 

Enea senz’ elmo in testa, infra le genti 
La disarmata destra alto levando, 
E discorrendo, e richiamando 1 suoi , 
Dove, dove ne gite? che tumulto, 525 
Dicea, che furia, che discordia è questa 
Così repente? Oh trattenete l'ire; 
Oh non rompete. Il patto è stabilito: 
L'accordo è fatto. Solo a me concesso 
È ch'io combatta. A me sol ne lasciate 530 
La cura e] carco. Io, non temete, io solo 
Il patto vi ratifico e vi fermo 
Con questa sola destra; e Turno a morte 
Di già mi sì promette, e mi si deve 
Da questi sacrificii. In questa guisa 53 
Gridava il Teucro Duce; ed ecco intanto 


wt 


Disticit, et sparso late rigat arma cruore. 

Olli dura quies oculos et ferreus urget 

Somnus, in aeternam clauduntur lumina noctem. 
At pius /Eneas dextram tendebat inermem 

Nudato capite, atque suos clamore vocabat: 

Quo ruitis? quaeve ista repens discordia surgit? 

O cohibete iras! ictum iam foedus ,.et omnes 

Compositae leges: mihi ius concurrere soli: — 315 

Me sinite, atque auferte metus: ego foedera faxo 

Firma manu: Turnum iam debent haec mihi sacra . 

Has inter voces, media inter talia verba, 


Eneide 77ol. Il 54 


426 ENEIDE 


Venir d' alto stridendo saetta; 
Non si sa da qual mano, o da qual arco 
Si dipartisse. O caso, o Dio che fosse 
Che tanta lode a' Rutali prestasse , 540 
L'onor se ne celò, né mai s' intese 
Chi del ferito Enea vanto si desse. 
Turno, poichè dal campo Enea fu tratto, 
E turbar vide i suoi, di nuova speme 
S'accese, e gridò l'armi, e sopra al carro 545 
D'un salto si lanció, spinse i cavalli 
Infra' nemici, e molti a morte dienne , 
Molti né sgominó, molti n'infranse, 
E con l'aste, fuggendo, ne percosse. 
Qual é de l'Ebro in su la fredda riva 550 
Il sanguinoso Marte allor, ch’ entrando 


Ecce viro stridens alis alla psa sagitta est, 

Incertum qua pulsa manu, quo turbine adacta; 320 

Quis tantam Rutulis laudem casusne, Deusne 

Attulerit. Pressa est insignis gloria facti: 

Nec sese /Eneae iactavit vulnere quisquam. 
Turnus, ut /Enean cedentem ex agmine vidit, 

T'urbatosque duces, subita spe fervidus ardet; 325 

Poscit equos atque arma simul, saltuque superbus 

Emicat in currum, et manibus molitur habenas. 

Multa virum volitans dat fortia corpora leto: 

Semineces volvit multos, aut agmina curru 

Proterit, aut raptas fugientibus ingerit hastas. 330 

Qualis apud gelidi quum lumina concitus Iebri 


LIBRO DUODECIMO 427 


* Ne la battaglia, o con lo scudo intuona, 
O fulmina con l'asta, e 1 suoi cavalli 
Da la furia e da lui cacciati e spinti 
Ne van co' venti a gara, urtando i vivi, 55 
E calpestando i morti; e fan col suono 
De piè fino a gli estremi suoi confini 
Tremar la Tracia tutta, e van cou essi 
Lo spavento, il timor, l’insidie e l'ire, 
Del bellicoso Iddio seguaci eterni: 560 
In cosi fiera e spaventosa vista 
Se ne gía Turno, la campagna aprendo, 
Uccidendo, insultando, e di nemici 
Miserabil ruina e strage e strazio 
Or con l'armi facendo, or co destrieri, 565 
Che sudanti, fumanti e polverosi, 
Spargean di sangue e di sanguigna arena 
Con le zampe, e con l’ugne un nembo intorno. 
Sténelo, ne l'entrar, Tamiro e Polo 


GI 


Sanguineus Mavors clypeo increpat, atque furentes, 
Bella movens, immittit equos: illi aequore aperto 
Ante Notos Zephyrumque volant: gemit ultima pulsu 
T'hraca pedum, circumque atrae formidinis ora, 335 
Jraeque, Insidiaeque, Dei comitatus, aguntur. 
J'alis equos alacer media inter praelia Turnus 
Fumantes sudore quatit, miserabile caesis 
Hostibus insultans : spargit rapida ungula rores 
Sanguineos, mixtaque cruor calcatur arena. 340 
Jamque neci Sthenelumque dedit, T'hamirimque Pho- 
lumque, 


- 


rc MÀ n ——À—À— 








428 ESEIDE 


Condusse a morte; i due primi da presso, 570 

L'ultimo da lontano. E da lunge anco 

Glauco percosse e Lado; i due famosi 

Figli d'Imbràso , ne la Licia nati, 

Da lui stesso nutriti, e parimente 

A cavalcare e guerreggiare instrutti. 575 
Da l’altra parte Eumede, il chiaro germe 

De l'anüco Dolone. Il nome avea 

Costui de l'avo, e l'ardimento e i fatti 

Seguía del padre, che de’ Greci il campo 

Spiare osando, osò d'Achille ancora 580 

In premio de l'ardir chiedere il carro. 

Ma d'altro che di carro premiollo 

ll figlio di Tidéo; né però degno 

D' un tanto guiderdone unqua si tenne. 


Hunc congress us et hunc; illum eminus: eminus ambo 

Imbrasidas Glaucum atque Laden, quos Imbrasus 
ipse 

Nutrierat Lycia, paribusque ornaverat armis; 

Vel conferre manum, vel equo praevertere ventos. 

Parte alia media Eumedes in praelia fertur, 

Antiqui proles bello praeclara Dolonis, 

Nomine avum referens animo manibusque parentem; 

Qui quondam, castra ut Danam speculator adiret , 

"Ausus Pelidae pretium sibi poscere currus: | 350 

Illum Tydides alio pro talibus ausis 

44 ffecit pretio: nec equis adspirat Achillis. 

Hunc procul ut campo Turnus prospexit aperto, 


LIBRO DUODECIMO 429 


Turno, poscia che '| vide (che da lunge — 585 
Lo scorse ) con un dardo il giunse in prima: 
Indi a terra gittossi : e qual trovollo 

Di già caduto e moribondo, il piede^ 

Sopr'al collo gl’impresse, e ne la strozza 

Lo suo stesso pugnal cacciògli , € disse: 590 
Troiano ,. ecco l'Italia, ecco i suoi campi, 

Che tanto desiasti: or gli misura 

Costi giacendo. E questo si guadagna 

Chi contra a Turno ardisce; e ’n questa guisa 
Si fondan le città. Dietro a costui 592 
Bute, e di mano in man Darete. e Cloro 

E Sibari e Tersiloco e Timete, 

Lanciando, uccise. Ma Timete in terra 

Feri, che per sinistro, o per difetto 

D' un suo restío cavallo era caduto. Goo 


Ante levi iaculo longum per inane sequutus, 
Sistit equos biiugis, et curru desilit, atque 359 
Semianimi lapsoque supervenit, et, pede collo 
Impresso, dextrae mucronem extorquet, et alto 
Fulgentem tingit iugulo, atque haec insuper addit: 
En agros, et quam bello, Troiane, petisti, 
Hesperiam metire iacens: haec praemia, qui me 360 
Ferro ausi tentare, ferunt: sic moenia condunt. 
Huic comitem Asbuten coniecta cuspide mittit, 
Chloreaque, Sybarimque, Daretaque, T'hersilochum- 
que, 
Et sternacis equi lapsum cervice T'hymoeten. 


430 ENEIDE 


Qual sopra al grande Egéo sonando scorre 
Il tracio Borea, che le nubi e i flutti 
Si sgombra avanti; e questi a i lidi, e quelle 
A l'orizzonte in fuga se ne vanno; 
Tal per lo campo, ovunque si rivolge, Go5 
Fa Turno sgominar l' armi e le schiere; 
E tal seco ne va furia e spavento, 
Che fin anco al cimier morte minaccia . 
Fegéo, tanta fierezza e tanto orgoglio 
Non sofferendo, al concitato carro Gio 
Parossi avanti; e lievemente un salto 
Spiccando , con la destra al fren s' appese 
Del sinistro corsiero. E sì com'era 
Da la fuga rapito e da la forza 
Di tutti insieme, insiememente a. tutti 615 
( Dal sentier divertendoli, e dal corso) 
Facea storpio e disturbo. Ed ecco al fianco 
Che da la destra parte era scoperto, 


Ac velut edoni Boreae quum spiritus alto 365 


Insonat /Egaeo, sequiturque ad litora fluctus. 

Qua venti incubuere; fugam dant nubila caelo: 

Sic Turno, quacum que viam secat, agmina cedunt, 
Conversaeque ruunt acies: fert impetus ipsum, 

Et cristam adverso curru quatit aura volantem. 370 
Non tulit instantem Phegeus, animisque frementem: 
Obiecit sese ad currum, et spumantia frenis 

Ora citatorum dextra detorsit equorum. 

Dum trahitur , pendetque iugis , hunc lata retectum 


LIBRO DUODECIMO 431 


Cotal sentissi de la lancia un colpo, 

Che la: corazza, ancor che doppia e forte, 620 

Stracciógli , e ’n fino al vivo lo trafisse; 

Ma di lieve puntura. Ond' ei rivolto , 

E 'mbracciato lo scudo e stretto il brando, 

Contra gli s'affilava, e per soccorso 

Gridava intanto. Ma le ruote e l’ asse, 625 

Ch’ erano in moto, urtandolo, a rovescio 

Gittàrlo; e Turno immantinente addosso 

Sagliendogli , infra l' elmo e la gorgiera 

Il collo gli recise, e dal suo busto 

Tronco il capo lasciógli in su l'arena. 630 
Mentre cosi vincendo, e d'ogni parte 

Con tanta strage il campo trascorrendo 

Se ne va Turno; Enea dal fido Acate, 

Da Memmo e dal suo figlio accompagnato , 

( Come da la saetta era ferito ) 635 


Lancea consequitur, rumpitque infixa bilicem 375 
Loricam, et summum degustat vulnere corpus. 

Jile tamen clypeo obiecto conversus in hostem 

Ibat, et auxilium ducto mucrone petebat : 

Quum rota praecipitem, et procursu concitus axis 
Impulit, effuditque solo; Turnusque sequutus, 330 
Imam inter galeam summi thoracis et oras, 

Abstulit ense caput, truncumque reliquit arenae, 
dtque ea dum campis victor dat funera Turnus, 
Interea /Enean Mnestheus, et fidus Achates, 
dscaniusque comes castris statuere cruentum, — 385 


432 ENEIDE 


Sovr' un'asta appoggiato a lento passo 

Verso gli alloggiamenti si ritragge . 

Ivi contro a lo stral, contro a sè stesso 

S' inaspra , e frange il télo, e di sua mano 
Ripesca il ferro. E poiché indarno il tenta, 6jo 
Comanda che la piaga gli s' allarghi 

Con altro ferro, e d' ognintorno s' apra, 

Si che tosto dal corpo gli si svelga, 

E tosto a la battaglia se ne torni. 

Comparso intanto era a la cura làüpi 645 
D' Iáso il figlio , sovr' ogn' altro amato 

Da Febo. E Febo stesso , allor ch' acceso 

Era da l'amor suo, la cetra e l'arco 

E ’l vaticinio, e qual de l'arti sue 

Più gli aggradasse, a sua scelta gli offerse. 650 
Ei che del vecchio infermo e già caduco 

Suo padre la salute e gh anni amava, 


Alternos longa nitentem cuspide gressus. 

Saevit, et infracta luctatur arundine telum 
Eripere, auxilioque viam, quae proxima, poscit: 
Ense secent lato vulnus, telique latebram 
Rescindant penitus, seseque in bella remittant. 390 
Jamque aderat Phoebo ante alios dilectus lápyx 
Jasides; acri quondam cui captus amore 

Ipse suas artes, sua munera, laetus Apollo 
Augurium citharamque dabat celeresque sagittas. 
Ille, ut depositi proferret fata parentis, 

Scire potestates herbarum, usumque medendi 


LIBRO DUODECIMO 433 


Saper de l'erbe la possanza, e l'uso 
Di medicare elesse, e senza lingua 
E senza lode e del futuro ignaro 655 
Mostrarsi in pria, che non ritorre a morle 
Chi gli dié vita. A la sua lancia Enea 
Stava appoggiato, e fieramente acceso 
Fremendo, avea di giovani un gran cerchio 
Col figlio intorno , al cui tenero pianto 6 60 
Punto non si movea. Sbracciato intanto 
E, con la veste a la cintura avvolta, 
Qual de' medici è l'uso, il vecchio Iipi 
Gli era d’intorno; e con diverse prove 
Di man, di ferri, di liquori e d' erbe 665 
In van s'affaticava, invano ogni opra, 
Ogni arte, ogni rimedio, e i preghi e i voti 
Al suo maestro Apollo eran tentati. 
De la battaglia rinforzava intanto 
Lo scompiglio e l'orrore; e già'l periglio 670 


Maluit, et mutas agitare inglorius artes. 

Stabat acerba fremens, ingentem nixus in hastam 
"Eneas, magno iuvenum et moerentis Iuli 
Concursu, lacrimis immobilis: ille retorto 400 
Paeonium in morem senior succinctus amictu, 
Multa manu medica, Phoebique potentibus herbis 
Nequidquam trepidat, nequidquam spicula dextra 
Sollicitat, prensatque tenaci forcipe ferrum. . 
Nulla viam fortuna regit: nihil auctor Apollo 409 
Subvenit: et saevus campis magis ac magis horror 


Eneide /ol. JI 99 


434 ENEIDE 


S' avvicinava; già di polve il cielo, 

Di cavalieri il campo era coverto ; 

Ché fin dentro a'ripari e fra le tende 

Ne cadevano i dardi; e già da presso 

S' udian de’ combattenti e de’ caduti 675 
I lamenti e le grida. Il caso indegno 

D' Enea suo figlio, e ’l suo stesso dolore 

In sè Ciprigna e nel suo cor sentendo, 

Ratto v'accorse, e fin di Creta addusse 

Di dittamo un cespuglio , che recente 680 
Di sua man colto, era di verde il gambo, 

Di tenero le foglie, e d' ostro i fiori 
Tutto.cosperso e rugiadoso ancora. 

Quest erba per natura a i capri e nota, 

E da lor cerca allor che 1 tergo, o ’l fianco 685 
Ne van di dardo o di saetta infissi. 

Con questa Citerea per entro un nembo 

Ne venne ascosa, e col salubre sugo 


Crebrescit,propiusque malum est. lam pulvere coelum 
Stare vident: subeuntque equites, et spicula castris 
Densa cadunt mediis: it tristis ad aethera clamor 
Bellantum iuvenum, et duro sub Marte cadentum. 
Hic Venus, indigno nati concussa dolore, 
Dictamnum genitrix cretaea carpit ab Ida, 
Puberibus caulem foliis et flore comantem 
Purpureo: non illa feris incognita capris 

Gramina, quum tergo volucres haesere sagittae . 415 
Hoc Venus, obscuro faciem circumdata nimbo , 


LIBRO DUODECIMO 435 


D' ambrosia e d' odorata panacea 

Mischiolla ; e poscia. i tepidi liquori 690 
Ch’ eran già presti in tal guisa ne sparse 

Che niun se n° avvide. E n’ ebbe a pena 

La piaga infusa, che l angoscia e ’1 duolo 

Cessó repente: il sangue d' ogni parte 

De la ferita in fondo si raccolse; 695 
E seguendo la mano, il ferro stesso 

Come da sé n'uscío. Spedito e forte, 

E nel pristino suo vigor ridotto, 

Enea dritto levossi. Iipi il primo, 

A che, disse, badate? e perchè l' arme 700 
Tosto non gli adducete? Indi a lui vólto, 
Contro a’ nemici in tal guisa infiammollo: 
Enea, non è, non è per possa umana, 

O per umano avviso, o per mia cura 


Detulit: hoc fusum labris splendentibus amnem 
Inficit, occulte medicans: spargitque salubris 
Ambrosiae succos, et odoriferam panaceam. 

Fovit ea vulnus lympha longaevus Iapyx 420 
Ignorans, subitoque omnis de corpore fugit 

Quippe dolor; omnis stetit imo vulnere sanguis. 
lamque sequuta manum, nullo cogente, sagitta 
Excidit, atque novae rediere in pristina vires. 

: Arma citi properate viro! quid statis? lapyx 425 
Conclamat, primusque animos accendit in hostem. 
Non haec humanis opibus, non arte magistra 
Proyeniunt. Neque te, /Enea, mea dextera seryat: 


436 ENEIDE 


Questo avvenuto, Un Dio certo, un gran Dio 705 
A gran cose ti serba. In questo mezzo 

Ei già di pugna desioso, entrambi 

S' avea gli stinchi di dorata piastra, 

Il dorso di lorica, e la sinistra 

Di scudo armata. E già l' asta squassando , 710 
D'indugio impaziente in su la soglia 

Tanto sol de la tenda si ritenne, 

Che, si com'era di tutt' armi involto, 

Il caro Iulo caramente accolse , 

E con le labbia a pena entro l’elmetto 715 
Baciollo, e disse: Figlio mio, da me 

La sofferenza e la virtute impara; 

La fortuna da gli altri. Io, quel che posso, 

Or con questa mia destra ti difendo: 

Onor, grandezza e signoria t'acquisto 720 
Col sangue mio. Tu poi, quando maturi 


Maior agit Deus, atque opera ad maiora remittit. 
Ille avidus pu gnae suras incluserat auro 430 
Hinc atque hinc, oditque moras, hastamque coruscat. 
Postquam habilis lateri clypeus, loricaque tergo est, 
Ascanium fusis circum complectitur armis, 
Summaque per galeam delibans oscula fatur: 

Disce, puer , virtutem ex me, verumque laborem; 
Fortunam ex aliis. Nunc te mea dextera bello 
Defensum dabit, et magna inter praemia ducet. 

Tu facito, mox quum natura adoleverit aetas, 

Sis memor, et te,animo repetentem exempla tuorum, 


LIBRO DUODECIMO 437 


Fian gli anni tuoi, fa’ che d' Enea tuo padre 
E d'Ettore tuo zio sì ti rammenti, 
Che ti sian le fatiche e i gesti loro 
A gloria, ed a virtute esempi e sproni. 725 
Detto così, fuor de le porte uscendo 
Brandì la lancia, e tutti in un drappello 
Ristrinse i suoi. Memmo ed Antèo con esso, 
E quanti altri del vallo erano in prima 
Lasciati a guardia, il vallo abbandonando, 730 
Dietro gli s inviaro. Allor di polve 
Levossi un nembo, e d’ognintorno scossa 
Al calpitar de’ piè tremò la terra. 
Turno di sopra un argine mirando , 
Questa gente venir si vide incontro. 735 
Viderla, e ne temero e ne tremaro 
Gli Ausonii tutti. Udinne il suon da lunge 
Iuturna in prima, e per timore indietro 
Se ne ritrasse. Enea volando, al campo 


. Et pater /E neas, et avunculus excitet Hector. 440 
Haec ubi dicta dedit, portis sese extulit ingens, 
T'elum immane manu quatiens: simul agmine denso 
Antheusque Mnestheusque ruunt, omnisque relictis 
T'urba fluit castris: tum caeco pulvere campus 
Miscetur, pulsugue pedum tremit excita tellus. 445 
Vidit ab adverso venientes aggere Turnus, 
Videre Ausonii, gelidusque per ima cucurrit 
Ossa tremor. Prima ante omnes Iuturna Latinos 
Audiit, agnoyitque sonum, et tremefacta refugit. 


438 ENEIDE 


Spinse lo stuol, che polveroso e scuro -jo 
Tal se n'andó qual d'alto mare a terra 
Squarciato nembo, quando, ohimeé! che segno 
E che spavento, e che ruina apporta 

A i miseri coloni; e quanta strage 

A gli alberi, a le biade, a la vendemmia 75 
Se ne prepara; e qual se n’ode intanto 

Sonar procella, e venir vento a riva! 

Cotal contro a’ nemici il Teucro Duce 

Co' suoi, come in un gruppo insieme uniti, 
Entrò ne la battaglia. Al primo incontro — 750 
Osiri, Archezio, Ufente ed Epulone 

Ne gir per terra. Ácate e Memmo e Gia 

E Timbréo gli affrontaro: e ciascun d' essi 
Atterró "| suo. Cadde Tolunnio appresso, 
L'augure che primiero il dardo trasse 75 


et 


Ille volat, campoque atrum rapit agmen aperto. 
Qualis, ubi ad terras abrupto sidere nimbus 

Jt mare per medium: miseris heu ! praescia longe 
Horrescunt corda agricolis: dabit ille ruinas 
"Arboribus, stragemque satis: ruet omnia late: 

Ante volant, sonitumque ferunt ad litora venti. 
Talis in adversos ductor rhoeteius hostes 

Agmen agit: densi cuneis se quisque coactis 
Agglomerant. Ferit ense gravem Thymbraeus Osirim, 
Archetium Mnestheus, Epulonem obtruncat Achates, 
Ufentemque Gyas: cadit ipse Tolumnius augur, 460 
Primus in adversos telum qui torserat hostes. 


LIBRO DUODECIMO 439 


Nel turbar de l'accordo. Al suo cadere 

Tutto in un tempo empiessi il ciel di grida , 
La campagna di polve; e vólti in fuga 

Se ne giro i Latini. Enea sdegnando 

E di seguire e d' incontrar qual fosse 760 
Pedone o cavalier, che o lunge o presso 

Di provocarlo e di ferirlo osasse, 

Sol di Turno cercando iva per entro 

Quella densa caligine , e ’l suo nome 

Solamente gridando, a la battaglia 765 
Lo disfidava. Impaürita e mesta 

Di ció Iuturna, la virago ardita, 

Tosto di Turno al carro appropinquossi , 

E giù Metisco il suo fedele auriga 

Subito trabocconne. Ed ella in vece 770 
En sembianza di lui, lui stesso al corpo, 

A l'armi, a la favella, ad ogni moto 
Rassomigliando , in seggio vi si pose, 


l'ollitur in caelum clamor, versique vicissim 
Pulverulenta fuga Rutuli dant terga per agros. 
Ipse neque adversos dignatur sternere morti, 

Nec pede congressos aequo, nec tela ferentes 465 
Insequitur: solum densa in caligine Turnum 
Vestigat lustrans: solum in certamina poscit. 

Hoc concussa metu mentem Iuturna virago 
Aurigam Turni media inter lora Metiscum 
Excutit, et longe lapsum temone relinquit. 470 
Ipsa subit, manibusque undantes flectit habenas, 


446 ENEIDE 


E l’ ancisero al fine. Ilo, che fiero 

E minaccioso avanti gli si fece, 880 
Seguì Turno a ferir di dardo, in guisa 

Che de l’ elmetto la dorata piastra 

E le tempie e ’l cerébro gli trafisse. 

Né tu, Cretèo, di man di Turno uscisti , 
Perchè de’ più robusti e de’ più forti 885 
Fosti de’ Greci. Nè di man d' Enea 

Scampàr Cupento i suoi numi invocati: 

Ché nel petto ferillo, e non gli valse 

Lo scudo che di bronzo era coverto . 

E tu che contro a tante argive schiere, 890 
E contro al domator di Troia Achille, 

Eólo, non cadesti; in questi campi 

Fosti, qual gran colosso, a terra steso. 

Ma che? Quest’ era il fin de giorni tuoi: 


Ille ruenti Hyllo, animisque immane frementi 535 
Occurrit, telumque aurata ad tempora torquet : 

Olli per galeam fixo stetit hasta cerebro. 

Dextera nec tua te, Graium fortissime Creteu, 
Eripuit Turno: nec Di texere Cupencum, 

Enea veniente, sui: dedit obvia ferro 540 
Pectora, nec misero clypei mora profuit aerei. 

Te quoque laurentes viderunt, /Eole, campi 
Oppetere, et late terram consternere tergo. 

Occidis, argivae quem non potuere phalanges 
Sternere, nec Priami regnorum eversor Achilles. 
Hic tibi mortis erant metae: domus alta sub Ida, 


LIBRO DUODECIMO 44t 


Così com'eran dissipate e sparse , 

Indarno ricercandolo , 11 chiamava 

Ad alta voce. E mai gli occhi non torse 

Ov'ei si fusse, e dietro non gli mosse, 792 
Ch' ella co'suoi corsieri m più diversa 

E più lontana parte non fuggisse. 

Or che farà, ch'ogni pensiero, ogni opra, 
Ogni disegno gli riesce invano? 

E i pensier son diversi? Ecco Messàpo, 800 
Che per lo campo discorrendo intanto 

D' improvviso l' incontra. E sì com' era 

D'una coppia di dardi a la leggiera 

Ne la sinistra armato, un ne gli trasse 

Dritto sì che ferfa, se non ch’ Enea 805 
Gli fece schermo, e rannicchiato e stretto 
Chinossi alquanto. E pur ne l'elmo il colse, 


Vestigatque virum, et disiecta per agmina magna 

Voce vocat. Quoties oculos coniecit in hostem, 

Alipedumque fugam cursu tentavit equorum: 

Aversos toties currus Iuturna retorsit. 485 

Heul! quid agat? vario nequidquam fluctuat aestu, 

Diversaeque vocant animum in contraria curae. 

Huic Messapus, uti laeva duo forte gerebat 

Lenta, levis cursu, praefixa hastilia ferro, 

Horum unum certo contorquens dirigit ictu. — 49o 

Substitit Eneas, et se collegit in arma; 

Poplite subsidens; apicem tamen incita summum 

Hasta tulit, summasque excussit vertice cristas, 
Eneide /ol. I1 56 


442 ENEIDE 


E | cimier ne divelse. Irato surse ; 
E poichè da’ nemici attorneggiato 
Si vide, e che i cavalli eran di Turno 810 
Di già spariti, a Giove, ai sacri altari 
Del violato accordo e de l' insidie 
Molto si protestò: poscia tra loro 
Gittossi impetuoso , e strazio e strage 
Prosperamente , ovunque si rivolse , 815 
Ne fece a tutto corso; e senza freno 
Si diede a l'ira ed a la furia in preda. 

Or qual nume sarà ch'a dir m' aiti 

° Le tante uccisioni e sì diverse 

Che di duci e di schiere e di falangi 820 
Fecer quel giorno, Enea da l’una parte, 
Turno da l’ altra? Ah Giove! sì crudele, 
Sì sanguinosa guerra infra due genti 
Che saran poscia eternamente in pace ? 


T'um vero assurgunt irae, insidiisque subactus, 
Diversos ubi sensit equos currumque referri, 495 
Multa Iovem, et laesi testatus foederis aras, 

lam tandem invadit medios et Marte secundo 
Terribilis, saevam nullo discrimine caedem 
Suscitat, Irarumque omnes effundit habenas. 

Quis mihi nunc tot acerba Deus, quis carmine caedes 
Diversas, obitumque ducum, quos aequore toto 
Inque vicem nunc T'urnus agit, nunc troius heros, 
Expediat? tanton’placuit concurrere motu, 
luppiter, aeterna gentes in pace futuras? 


LIBRO DUODECIMO 443 


Enea Sucrone, un de’ più forti Ausonii, 825 
Uccise in prima, e primamente i Teucri 
Fermò, ch' eran da lui rivolti in fuga. 

L’ incontrò , lo e , senza dimora 
Morto a terra il gittó; che in un de’ fianchi 
Con la spada lo colse, e ne le coste 830 
E ne la vita stessa ne gl’ immerse. 
Turno a piè dismontsto, Amico in terra, 
Che da cavallo era caduto, infisse; 
E seco il frate suo Dioro estinse. 
L' un di lancia ferì, l'altro di brando; 835 
E d'ambi i capi da i lor tronchi avulsi, 
| com' eren di polvere e di sangue 
Stillanti e lordi, per le chiome appesi 
Anzi al carro si pose. E via seguendo 
Quegli Talone e Tanai e Cetégo 840 
Tre feroci Latini ad uno assalto 
Si stese avanti, e ’l1 mesto Onite appresso, 


Aneas Rutulum Sucronem, (ea prima ruentes 505 
Pugna loco statuit Teucros) haud multa moratus, 
Excipit in latus, et, qua fata celerrima, crudum 
T'ransadigit costas et crates pectoris ensem. 

Turnus equo deiectum Amycum, fratremque Diorem 
Congressus pedes; hunc venientem cuspide longa, 
Hunc mucrone ferit; curruque abscisa duorum 
Suspendit cápita, et rorantia sanguine portat. 

Ille Talon, Tanaimque,neci, fortemque Cethegum, 
T'res uno congressu, et moestum mittit Onyten, 





441 ENCIDE 


Figlio di Peritia, gloria di Tebe. 
E tre dal canto suo questi n ancise 
Ch' eran fratelli de la Licia usciti 
E de campi d' Apollo; a cui per quarto 
Menete aggiunse. Ah come il fato indarno 
Si fugge! Infin d' Arcadia fu costui 
Qui condotto a morire. E "n su la riva 
Era nato di Lerna, ove pescando 
Da l armi, da le corti e da’ pelagi 
Si tenea lunge; e solo il suo tugurio 
Avea per reggia , e per signore il padre, 
Povero agricoltor de’ campi altrui. 

Come due fochi in due diverse parù 
D' un secco bosco accesi ardon sonando 
Le querce e i lauri; o due rapidi e gonfi 
Torrenti che nel mar da gli alti monti 
Precipitando , se ne va ciascuno 
Il suo cammino aprendo, e ciò che trova 


Nomen Echionium, matrisque genus Peridiae: 


Hic fratres Lycia missos, et Apollinis agris, 


85 


850 


855 


515 


Et iuvenem exosum nequidquam bella Menoeten 


«rcada, piscosae cui circum flumina. Lernae 


Ars fuerat, pauperque domus; nec nota potentum 


Limina, conductaque pater tellure serebat. 
Ac velut immissi diversis partibus ignes 


Arentem in silvam, et virgulta sonantia lauro; 


Aut ubi decursu rapido de montibus altis 


520 


Dant sonitum spumosi amnes, et in aequora currunt, 





LIBRO DUODECIMO 445 


Sì caccia avanti, e rumoreggia e spuma; 

Così per la campagna, ambi fremendo, 

Le schiere sgominando , e questi e quelli 
Atterrando ne gian, da l' una parte | 
Enea, Turno da l’altra. Or si che d'ira, 865 
Or sì che di furor si bolle e scoppia, 

E con tutte le forze a ferir vassi; 

Che 1’ esser vinto, e non la morte è morte. 

E qui Murrano (un che superbo e gonfio 

Del nome e de l' origine vantando 870 
Se ne gia de gli antichi avi e bisavi 

Latini regi) fu d'un balzo a terra 

Da la furia d' Enea spinto e travolto; 

Sì che di lui, del carro e de le ruote 

Fatto: un viluppo, i suoi stessi cavalli, 875 
Il signore obliando, incradelirsi, 

E sotto al giogo e sotto a i calci accolto 

L/ infranser, lo piagàr, lo strascinaro 


Quisque suum populatus iter: non segnius ambo 
Aneas T'urnusque ruunt per praelia. Nunc, nunc 
Fluctuat ira intus: rumpuntur nescia vinci 
Pectora: nunc totis in vulnera viribus itur. 
Murranum hic, atavos et avorum antiqua sonantem 
Nomina, per regesque actum genus omne latinos, 
Praecipitem scopulo, atque ingentis turbine saxi 
Excutit, effunditque solo: hunc lora et iuga subter 
Provolvere rotae; crebro super ungula pulsu 
Incita, nec domini memorum, proculcat equorum. 


446 ENEIDE 


E l’ ancisero al fine. Ilo, che fiero 

E minaccioso avanti gli si fece, 880 
Seguì Turno a ferir di dardo, in guisa 

Che de l’ elmetto la dorata piastra 

E le tempie e ’l cerèbro gli trafisse. 

Né tu, Cretéo, di man di Turno uscisti , 
Perchè de’ più robusti e de’ più forti 885 
Fosti de’ Greci. Nè di man d’ Enea 

Scampàr Cupento i suoi numi invocati: 

Ché nel petto ferillo, e non gli valse 

Lo scudo che di bronzo era coverto . 

E tu che contro a tante argive schiere, 890 
E contro al domator di Troia Achille, 

Eólo, non cadesti; in questi campi 

Fosti, qual gran colosso, a terra steso. 

Ma che? Quest’ era il fin de' giorni tuoi: 


Ille ruenti Hyllo, animisque immane frementi 535 
Occurrit, telumque aurata ad tempora torquet : 

Oili per galeam fixo stetit hasta cerebro. 

Dextera nec tua te, Graium fortissime Creteu, : 
Eripuit T'urno: nec Dí texere Cupencum, 

Enea veniente, sui: dedit obvia ferro 940 
Pectora, nec misero clypei mora profuit aerei. 

Te quoque laurentes viderunt, Atole, campi 
Oppetere, et late terram consternere tergo. 

Occidis, argivae quem non potuere phalanges 
Sternere, nec Priami regnorum eversor Achilles. 
Hic tibi mortis erant metae: domus alta sub Ida, 


LIBRO DUODECIMO 447 


Qui cader t’ era dato. Appo Lirnesso 895 
Altamente nascesti: appo Laurento 
Umil sepolcro avesti. Eran già tutti 
Quinci i Latini e quindi i Teucri a fronte, 
E tra lor mescolati Asila e Memmo, 
E Seresto e Messàpo, e le falangi , 900 
De gli Arcadi e de' Toschi, oguun per sé, 
E tutti insieme con estrema possa, 
Con estremo valor, senza riposo 
Facean mortale e sanguinosa mischia . 
Qui nel pensiero al travagliato figlio 905 
Pose Ciprigna di voltar le schiere 
Subitamente a le nemiche mura, 
E con quel nuovo inopinato avviso 
Assalir , disturbare, e l’ oste insieme 
E la città por de’ Latini in forse. 910 
E si come, di Turno investigando , 


Lyrnessi domus alta; solo laurente sepulcrum. 

T'otae adeo conversae acies, omnesque Latini, 

Omnes Dardanidae: Mnestheus, acerque Serestus, 

Et Messapus equiím domitor, et fortis Asylas, 550 

Tuscorumque phalanx, Evandrique arcadis alae , 

Pro se quisque viri summa nituntur opum vi. 

iVec mora, nec requies; vasto certamine tendunt. 
Hic mentem /Eneae genitrix pulcherrima misit, 

Iret ut ad muros, urbique adverteret agmen 559 

Ocius, et subita turbaret clade Latinos. 

lile, ut vestigans diversa per agmina Turnum, 


448 ENEIDE 


Volgea le luci in questa parte e ’n quella, 

Vide Laurento che non tocco ancora 

Stava da tanta guerra immune e scevro. 

E da l’ occasion subitamente 915 
Preso consiglio, a sé Memmo, Seresto 

E Sergesto chiamando, indi vicino 

Sovr' un colle si trasse, ove de’ Teucri 

À mano a mau si raünar le schiere . 

E sì come raccolti, armati e stretti 920 
S' eran già fermi, in mezzo alto levossi 

E cosi disse: Udite , e senza indugio 

Fate quel ch'io dirò. Giove è con noi. 

E perché sì repente io mi risolva 

A questa impresa, non però di voi 925 
Alcun sia che men pronto vi si mostri. 

Oggi o che re Latino al nostro impero 
Converrà ch'obhedisca, e freno accetti; 


Huo atque huc acies circumtulit, adspicit urbem 
Immunem tanti belli , atque impune quietam. 
Continuo pugnae accendit maioris imago: —— 560 
Mnesthea Sergestumque vocat fortemque Serestum, 
Ductores , tumulumque capit : quo cetera Teucrüm 
Concurrit legio ; nec scuta aut spicula densi 
Deponunt. Celso medius stans aggere fatur : 

Ne qua meis esto dictis mora: Iuppiter hac stat : 
Neu quis ob inceptum subitum mihi segnior ito. 
Urbem hodie , caussam belli , regna ipsa Latini , 
Ni frenum accipere , et victi parere fatentur , 


LIBRO DUODECIMO 449 


O che questa città, seme e cagione 
Di questa guerra, e questa regno tutto 930 
A foco, a ferro ed a ruina andraune. 
E che deggio aspettar? Che non più Turno 
Fugga, siccome fà , la pugna mia? 
E che vinto una volta , si contenti 
Di combattere un'altra? Il capo e ’l fine, | 935 
Cittadin miei, di questa guerra è questo. 
Via, cal foco a le mura e con le fiamme 
Ne vendichiam del violato accordo. 
Avea ciò detto, quando ognuno a gara 
E tutti insieme inanimati e stretti 940 
Di conio in guisa, qual intera massa, 
Appressàr la città. Vi furon preste 
Le scale e| foco. Altri assalir le porte, 
E questi e quelli uccisero e cacciaro, 
Come pria s' abbattero. Altri lanciando 443 
Oppugnàr la muraglia; onde levossi 


Eruam , et aequa solo fumantia culmina ponam. 
Scilicet exspectem, libeat dum praelia Turno 570 
Nostra pati; rursusque velit concurrere victus ? 
Hoc caput, o cives, haec belli summa nefandi. 
Ferte faces propere, foedusque reposcite flammis. 
Dixerat: atque animis pariter certantibus omnes 
Dant cuneum, densaque ad muros mole feruntur. 
Scalae improviso , subitusque apparuit ignis. 
Discurrunt alii ad portas , primosque trucidant : 
Ferrum alii torquent, et obumbrant aethera telis. 
Eneide 7ol. II | 97 


444 ! ENEIDE 


Figlio di Peritia, gloria di Tebe. 
E tre dal canto suo questi n° ancise 
Ch’ eran fratelli de la Licia -usciti 
E de campi d' Apollo; a cui per quarto 
Menete aggiunse. Ah come il fato indarno 
Si fugge! Infin d' Arcadia fu costui 
Qui condotto a morire. E 'n su la riva 
Era nato di Lerna, ove pescando 
Da l’ armi, da le corti e da’ palagi 
Si tenea lunge; e solo il suo tugurio 
Avea per reggia, e per signore il padre, 
Povero agricoltor de’ campi altrui. 

Come due fochi in due diverse parti 
D' un: secco bosco accesi ardon sonando 
Le querce e i lauri; o due rapidi e gonfi 
Torrenti che nel mar da gli alti monti 
Precipitando, se ne va ciascuno 
Il suo cammino aprendo, e ció che trova 


Nomen Echionium, matrisque genus Peridiae: 


Hic fratres Lycia missos, et "Apollinis agris, 


845 


850 


855 


860 


515 


Et iuvenem exosum nequidquam bella Menoeten 


"frcada, piscosae cui circum flumina Lernae 


Ars fuerat, pauperque domus; nec nota potentum 


Limina, conductaque pater tellure serebat. 
Ac velut immissi diversis partibus ignes 


Arentem in. silvam, et virgulta sonantia lauro; 


Aut ubi decursu rapido de montibus altis 


520 


Dant sonitum spumosi amnes, et in aequora currunt, 


LIBRO DUODECIMO 445 


Si caccia avanti, e rumoreggia e spuma; 

Così per la campagna, ambi fremendo , 

Le schiere sgominando , e questi e quelli 
Atterrando ne gían, da l' una parte 

Enea, Turno da l’altra. Or sì che d' ira, 865 
Or sì che di furor si bolle e scoppia, 

E, con tutte le forze a ferir vassi; 

Ché l’ esser vinto, e non la morte è morte. 

E qui Murrano (un che superbo e gonfio 

Del nome e de l' origine vantando 870 
Se ne gía de gli antichi avi e bisavi 

Latini regi) fu d' un balzo a terra 

Da la furia d' Enea spinto e travolto; 

Sì che di lui, del carro e de le ruote 

Fatto un viluppo, 1 suoi stessi cavalli, 875 
Il signore obliando, incrudelirsi , 

E sotto al giogo e sotto a i calci accolto 

L/ infranser , lo piagàr, lo slrascinaro 


Quisque suum populatus iter: non segnius ambo 
Aneas Turnusque ruunt per praelia. Nunc, nunc 
F'luctuat ira intus: rumpuntur nescia vinci 
Pectora: nunc totis in vulnera viribus itur. 
Murranum hic, atavos et avorum antiqua sonantem 
Nomina, per regesque actum genus omne latinos, 
Praecipitem scopulo, atque ingentis turbine saxi 
Excutit, effunditque solo: hunc lora et iuga subter 
Provolvere rotae; crebro super ungula pulsu 
Incita, nec domini memorum, proculcat equorum. 





452 ENEIDE 


Jo l'origine son di tanto male. 
E dopo molto affliggersi e dolersi , 
Già furiosa e di morir disposta 
Il petto aprissi, e la parpurea vesta 
Si squarció, si percosse, e dell’ infame 985 
Nodo il collo s avvinse, e strangolossi. 
Udito il caso, la diletta figlia 
I biondi crini e le rosate guance 
Prima si lacerò, poscia la turba 
V'accorse de le donne, e di tumulto 990 
Di pianti, di stridori e d' ululati 
La reggia tutta e la cittade empiessi. 
Ognun si sgomentó. Latino, afflitto 
De la morte d' Amata e del periglio 
Del regno tutto , laniossi il manto, 995 
Bruttossi il bianco e venerabil crine 
D'immonda polve; amaramente pianse 


Multaque per moestum demens effata furorem , 
Purpureos moritura manu discindit amictus , 

Et nodum informis leti trabe nectit ab alta. 
Quam cladem miserae postquam accepere Latinae, 
Filia prima manu flavos Lavinia crines , 605 
Et roseas laniata genas; tum cetera circum 
Turba furit : resonant latae plangoribus aedes. 
Hinc totam infelix vulgatur fama per urbem: 
Demittunt mentes. It scissa veste Latinus 
Coniugis attonitus fatis , urbisque ruina, — 610 
Canitiem immundo perfusam pulvere turpans: 


LIBRO DUODECIMO 453 


Che per suocero dianzi e per amico 
Non si confederò col Frigio duce. 
Turno, che in questo mezzo combattendo 1000 
Rimaso. era del campo in su l'estremo 
Incontro a pochi, e quelli anco dispersi, 
Già scemo di vigore, e trasportato 
Da’ suoi cavalli, che ritrosi e stanchi 
Ognor più se n'andavano e lontani, 1005 
In sé confuso e dubbio se ne stava. 
Quando ecco di Laurento ode le grida 
Con un terror che, non compreso ancora, 
Gli avea da quella parte il vento addotto. 
Porse l'orecchie, e '| mormorío sentendo 1010 
De la città, che tuttavia più chiaro 
Di tumulto sembrava e di travaglio, 
Oh, disse, che sent' io? che novitate 
E che rumore e che trambusto é questo 
Che di dentro mi fere? E, quasi uscito — 1015 


* Multaque se incusat , qui non acceperit ante * 
* Dardanium /Enean, generumque adsciverit ultro. * 
Interea extremo bellator in aequore Turnus 
Palantes sequitur paucos, iam segnior , atque 615 
Iam minus atque minus successu. laetus equorum. 
Attulit hunc illi caecis terroribus aura 
Commixtum clamorem , arrectasque impulit aures 
Confusae sonus urbis , et illaetabile murmur. 
Hei mihi! quid tanto turbantur moenia luctu? 620 
Quisve ruit tantus diversa clamor ab urbe ? 


4ok ENEIDE 
Di sé, mirando ed ascoltando stette. 


Cui la sorella ( come già conversa 

Era in Metisco, e come i suoi cavalli 

Stava reggendo } si rivolse, e disse: 

Di qua, Turno, di qua Quinci la strada 1020 
Ne s'apre a la vittoria. Altri a difesa 

Saran de la città. Se d’altra parte 

Enea de’ tuoi fa strage, e tu da questa 
Distruggi i suoi; chè non men gloria aremo, 

E più sangue faremo. E Turno a lei: 1025 
O mia sorella! ( ché mia suora certo 

Sei tu ) ben ti conobbi infin da l'ora 

Che turbasti l'accordo, e che poi meco 

Ne la battaglia entrasti Or, benchè Dea, 
Indarno mi t'ascondi. E chi dal cielo 1030 


Sic ait, adductisque amens subsistit habenis. 
Atque huic, in faciem soror ut conversa Metisci 
urigae , currumque et equos et lora regebat, 
Talibus occurrit dictis: Hac , Turne , sequamur 

Troiugenas , qua prima viam victoria pandit: 
Sunt alit, qui tecta manu defendere possint. 
Ingruit /Eneas Italis , et praelia miscet; 

Et nos saeva manu mittamus funera Teucris. 
Nec numero inferior, pugnae nec honore recedes. 
Turnus ad haec : 

O soror, et dudum agnovi, quum prima per artem 
Foedera turbasti , teque haec in bella dedisti : 
Et nunc nequidquam fallis Dea: sed quis Olympo 


LIBRO DUODECIMO 455 


Così qua giù ti manda a soffrir meco 

Tante fatiche? A veder forse a morte 

Gir tuo fratello ? E che, misero! deggio 

Far altro omai? qual mi si mostra altronde 

O salute o.speranza? Io stesso ho visto 1035 
Con gli occhi miei, lo mio nome chiamando, 
Cadere. il gran Murrano. E chi mi resta 

Di lui più fido e. più caro -compagno ? 

E ’1 magnanimo Ufente anco è perito, 

Credo, per non veder.le mie vergogne; 1040 
E'l corpo e l'armi sue, lasso! in potere 

Son de’ nemici. E soffrirò ( ché questo 

Sol ci mancava ) di vedermi avanti 

Aprir le mura, e ruinare i tetti 

De la nostra città? Né fia che Drance 1049 
Menta de la mia fuga? E fia che Turno 

Volga le spalle, e quella terra il vegga ? 


Demissam tantos voluit te ferre labores? | 635 
An fratris miseri letum ut crudele videres ? 
Nam quid ago?aut quae iam spondet fortuna salutem? 
Vidi oculos ante ipse meos, me voce vocantem, 
Murranum , quo non superat mihi carior alter, 
Oppetere ingentem, atque ingenti vulnere victum. 
Occidit infelix , ne nostrum dedecus Ufens 
Adspiceret: Teucri potiuntur corpore et armis. 
Exscindine domos ( id rebus defuit unum.) 
Perpetiar ? dextra nec Drancis dicta refellam ? 
Terga dabo ? et Turnum fugientem haec terra vi- 
debit ? 645 








456 ENEIDE 
Si gran male è morire? Inferni Dii! 
Accoglietemi voi, poiché i superni 
Mi sono infesti. À voi di questa colpa 1050 
Scenderó spirto intemerato e santo, 
E non sarò de' miei grand' avi indegno. 
Ciò disse a pena, ed ecco a tutta briglia 
Venir per mezzo a le nemiche schiere 
Un cavalier che Sage era nomato. 1055 
Di spuma e di sudore il suo cavallo, 
Fi di sangue era sparso. In volto infissa 
Portava una saeita, e con gran furia 
Turno chiamando e ricercando andava. 
Poscia che '"| vide, In te, disse, è riposta 1060 
Ogni speranza; abbi pietà de’ tuoi. 
Enea va come folgore atterrando 
Tutto ciò che davanti gli si para; 
E le mura e le torri e | regno tutto 


Usque adeone mori miserum est? vos o mihi Manes 

Este boni; quoniam Superis aversa voluntas. 

Sancta ad vos anima , atque istius inscia culpae 

Descendam, magnorum haud unquam indignus avo- 
rum. 

Fix ea fatus erat ; medios volat ecce per hostes 650 
Vectus equo spumante Saces , adversa sagitta 
Saucius ora, ruitque implorans nomine Turnum: 
Turne , in te suprema salus; miserere tuorum . 
Fulminat JE neas armis, summasque minatur 
Deiecturum arces Italuim , excidioque daturum ; 


LIBRO DUODECIMO 457 


Di ruinar minaccia; e già le faci 1065 

Volano a i tetti. A te gli occhi rivolti 

Son de’ Latini. E già Latino stesso 

Vacilla, e fra due stassi a qual di voi 

S'attenga, e di cui suocero s appelli. 

La regina, che solo era sostegno 1070 

De la tua parte, di sua propria mano, 

Per timore e per odio de la vita, 

S'è strangolata. Solamente Atina 

E Messapo a difesa de le porte 

Fan testa; ma gli vanno i Teucri a schiere 1075 

Con tant'aste a rincontro e tante spade 

Serrati insieme, quante a pena in campo 

Non son le biade. E tu per questa vóta 

E deserta campagna il carro: indarno 

Spingendo e volteggiando te ne stai ! 1080 
Turno da tante orribili novelle 


Jamque faces ad tecta volant. In te ora Latini , 
In te oculos referunt ; mussat rex ipse Latinus , 
Quos generos vocet, aut quae sese ad foedera flectat. 
Praeterea regina , tui fidissima , dextra 
Occidit ipsa sua , lucemque exterrita fugit. 660 
Soli pro portis Messapus , et acer Atinas 
Sustentant aciem. Circum hos utrimque phalanges 
Stant densae, strictisque seges mucronibus horret 
F'errea : tu currum deserto in gramine versas. 
Obstupuit varia confusus imagine rerum 665 
T'urnus, et obtutu tacito stetit. /Estuat ingens 
Eneide 7/ol. II 98 


458 ENEIDE 


Sopraggiunto in un tempo e spaventato, 
Si smagò, s'ammuti , col viso a terra 
Chinossi. Amor, vergogna, insania e lutto 
E dolore e furore e conscienza 1085 
Del suo stesso valore accolti m uno, 
Gli arsero il core e gli avvamparo il volto. 
Ma poscia che gli fu la nebbia e l’ ombra 
De la mente sparita, e che la luce 
Gli si scoprì de la ragione in parte; 1090 
Così com'era ancor turbato e fero, 
Di sopra al carro a la città rivolse 
L'ardente vista. Ed ecco in su le mura 
Vede ch’una gran fiamma al cielo ondeggia, 
Gli assiti, i ponti e le bertesche ardendo 1095 
D' una torre ch'a guardia era da lui 
De la muraglia in su le ruote eretta. 
E disse: Già, sorella, già son vinto 
Dal mio destino. A che più m'attraversi ? 


Uno in corde pudor, mixtogque insania luctu, 

Et Furiis agitatus amor, et conscia virtus. 

Ut primum discussae umbrae, et lux: reddita menti, 
Ardentes oculorum orbes ad moenia torsit G70 
Turbidus, eque rotis magnam respexit ad urbem. 
Ecce autem flammis inter tabulata volutus 

Ad caelum undabat vortex, turrimque tenebat: 
T'urrim, compactis trabibus quam eduxerat ipse, 
Subdideratque rotas, pontesque instraverat altos. 
Jam iam fata, soror, superant; absiste morari; 


LIBRO DUODECIMO 459 


Via, dove la fortuna e Dio ue chiama. 1100 
Fermo son di venir col Teucro a l'armi, 
E soffrir de la pugna e de la morte 
Ogni acerbezza, anzi che tu mi vegga 
De la gloria de' miei, sorella , indegno. 
Or al fato mi lascia; e sostien ch'io 1105 
Disfoghi infuriando il mio furore. 
Così dicendo, fuor del carro a terra 
Gittossi incontanente, e la sirocchia 
Lasciando afflitta, via per mezzo a l'armi 
E'per mezzo a’ nemici a correr diessi. 1110 
Qual di cima d' un monte in precipizio 
Rotolando si volge un sasso alpestro, 
Che dal vento o da gli anni o da la pioggia 
Divelto, per le piagge a scosse, a balzi 
Vada senza ritegno, e de le selve 1112 
E de gli armenti e de' pastori insieme 


Quo Deus, et guo dura vocat fortuna, sequamur. 
Stat conferremanum /Eneae; stat, quidquidacerbiest, 
Morte pati; nec me indecorem, germana, videbis 
"Amplius. Hunc, oro, sine me furere ante furorem. 
Dixit, et e curru saltum dedit ocius arvis: 

Perque hostes, per tela ruit, moestamque sororem 
Deserit, ac rapido cursu media agmina rumpit. 

Ac veluti, montis saxum de vertice praeceps 

Quum ruit, avulsum vento, seu turbidus imber 685 
Proluit, aut annis solvit sublapsa vetustas, 

Fertur in abruptum magno mons improbus actu, 


460 ENEIDE 
Meni guasto, ruina e strage avanti; 
Tal per l'opposte e sbaragliate schiere 
Se ne gia Turno. E giunto ove in conspetto 
De la città di molto sangue il campo 1120 
Era già sparso, e pien di dardi il cielo; 
Alzò la mano, e con gran voce disse: 
State, Rutuli, a dietro; e voi, Latini, 
Toglietevi da l’armi Ogni fortuna, 
Qual ch’ ella sia di questa pugna, è mia. 1125 
A me la colpa, a mesi dee la pena 
Del violato accordo; a me per tutt 
Pugnar debitamente si conviene. 
À questo dir di mezzo ognun si tolse, 
Ognun si ritirò. Di Turno il nome 1130 
Enea sentendo, il cominciato assalto 
Dismesse , e da le mura e da le torri 
E da tutte l’imprese si ritrasse. 


Exsultatque solo; silvas, armenta , virosque 
Involvens secum: disiecta per agmina Turnus 
Sic urbis ruit ad muros, ubi plurima fuso 690 
Sanguine terra madet, striduntque hastilibus aurae; 
Significatque manu, et magno simul incipit ore: 
Parcite iam, Rutuli; et vos tela inhibete, Latini; 
Quaecumque est fortuna, mea est: me verius unum 
Pro vobis foedus luere, et decernere ferro. 695 
Discessere omnes medii, spatiumque dedere. 

At pater /Eneas, audito nomine Turni, 
Deserit et muros, et summas deserit arces, 








LIBRO DUODECIMO 461 


Per letizia esulto, terribilmente 

Fremè, si rassettó , si vibró tutto 1135 
Ne l'armi, e ’n sé medesmo si raccolse ; 
Quanto il grand'Ato, o | grand'Erice a l'aura 
Non sorge a pena, o ’l gran padre Appennino, 
Allor che d’elci la fronzuta chioma 

Per vento gli si crolla, e che di neve 1140 
Gioioso alteramente s' incappella. 

I Rutuli, i Latini, i Teucri, e tutti 

O ch'a la guardia o ch'a l'offesa in prima 
Fosser dela muraglia, ognuno a gara 

L'armi deposte, a rimirar si diero. 1145 
Latino esso re stesso spettatore 

Ne fu con meraviglia ch’ anzi a lui 

Altri due re sì grandi, e di due parti 

Del mondo sì diverse e sì remote, 

Fosser de l'armi al paragon venuti. 1150 


Praecipitatque moras omnes; opera omnia rumpit, 
Laetitia exsultans, horrendumque intonat armis: 
Quantus Athos, aut quantus Eryx, aut ipse coruscis 
Quum. fremit ilicibus quantus, gaudetque nivali 
Vertice se attollens pater Apenninus ad auras. 

Jam vero et Rutuli certatim et Troes et omnes 
Convertere oculos Itali; quique alta tenebant — 505 
Moenia, quique imos pulsabant ariete muros: 
Armaque deposuere humeris. Stupet ipse Latinus, 
Ingentes, genitos diversis partibus orbis, 

Inter se coiisse viros, et cernere ferro. 





462 ENEIDE 


Eglino, poiché largo e sgombro il campo 
Ebber davanti, non si fur da lunge 
Veduti a pena, che correndo entrambi 
Mosser l'un contra l'altro. I dardi in prima 
S'avventàr di lontano, indi $' urtaro; 1155 
E ’l tonar de gli scudi e 1 suon de gli elmi 
Fe' la terra tremare, e l'aura a i colpi 
Fischiò de’ brandi. La fortuna insieme 
Si mischiò col valore. In cota] guisa 
Sopra al gran Sila o del Taburno in cima 1160 
D'amore accesi , con le fronti avverse 
Van due tori animosi a rincontrarsi; 
Che pavidi in disparte se ne stanno 
I lor maestri, s' ammutisce e guarda 
La torma tutta, e le giovenche intanto 1165 
Stan dubbie a cui di lor marito e donno 
Sia de l'armento a divenir concesso; 


Atque illi, ut vacuo patuerunt aequore campi, 710 
Procursu rapido, coniectis eminus hastis, 

Invadunt Martem clypeis atque aere sonoro. 

Dat gemitum tellus: tum crebros ensibus ictus 
Congeminant. Fors et virtus miscentur in unum. 
Ac velut ingenti Sila, summove Taburno, 719 
Quum duo conversis inimica in praelia tauri 
Frontibus incurrunt, pavidi cessere magistri: 

Stat pecus omne metu mutum, mussantque iuvencae, 
Quis nemori imperitet, quem tota armenta sequantur: 
llli inter sese multa vi vulnera miscent, 720 


LIBRO DUODECIMO 463 


Ed essi urtando, con le corna intanto 
Si dan ferite, che le spalle e i fianchi 
. Ne grondan sangue , e ne rimugghia il bosco: 1170 
Tal del Troiano e dell' Ausonio duce 
Era la pugna, e tal de le percosse 
E de gli scudi il suono. A questo assalto 
Il gran Giove nel ciel librate e pari 
Tenne le sue bilance, e d'ambi il fato 1175 
Contrappesando , attese a qual di loro 
Desse la sua fatica e ’1 suo valore 
De la vittoria o de la morte il crollo. 
Qui Turno a tempo, chè sicuro e destro 
Gli parve, alto levossi, e con la spada 1180 
Di tutta forza a l’avversario trasse, 
E ne l'elmo il ferì. Gridaro i Teucri, 
Trepidaro i Latini, e sgomentàrsi 
Tutte d'ambi gli eserciti le schiere. 


Cornuaque obnixi infigunt, et sanguine largo 
Colla armosque lavant; gemitu nemus omne remugit. 
Haud aliter tros AEneas, et daunius heros 
Concurrunt clypeis. Ingens fragor aethera complet 
Juppiter ipse duas aequato examine lances 725 
Sustinet, et fata imponit diversa duorum, 

Quem damnet labor, et quo vergat pondere letum. 
Emicat hic, impune putans, et corpore toto 

Alte sublatum consurgit Turnus in ensem, 

Et ferit. Exclamant Troes trepidique Latini, ‘730 
Arrectaeque amborum acies. At perfidus ensis 


464 ENEIDE 


Ma la perfida spada in mezzo al colpo 1185 

Si ruppe, e'n sul fervore abbandonollo , 

Sì, che la fuga in sua vece gli valse: 

Ch'a fuggir diessi , tosto che la destra 

Disarmata si vide, e che da l’else 

L'arme conobbe che la sua non era. 1190 
È fama, che da l'impeto accecato, 

Allor che prima a la battaglia uscendo 

Giunse Turno i cavalli, e "| carro ascese, 

Per la confusione e per la fretta 

Lasciato il patrio brando, a quel di piglio 1195 

Diè per disavventura, che davanti 

Gli s'abbatté del suo Metisco in prima. 

I questo, fin che dissipati e rotti 

N’ andaro i Teucri, assai fedele e saldo 

Lungamente gli resse. Ma venuto 1200 

Con l'armi di Vulcano a paragone 

( Come quel che di mano era costrutto 

Di mortal fabro ) mal temprato e frale, 


Frangitur, in medioque ardentem deserit ictu, 

Ni fuga subsidio subeat. Fugit ocior Euro, 

Ut capulum ignotum, dextramque adspexit inermem. 
Fama est, praecipitem, quum primain praeliaiunctos 
Conscendebat equos, patrio mucrone relicto, 

Dum trepidat, ferrum aurigae rapuisse Metisci, 
Idque diu, dum terga dabant palantia Teucri, 
Suffecit; postquam arma Dei ad vulcania ventum, 
Mortalis mucro, glacies ceu futilis, ictu 740 


LIBRO DUODECIMO 405 


Qual di ghiaocio, si franse , e ne la sabbia 

Ne rifulsero i pezzi. E così Turno 1205 
Fuggendo, or quinci or quindi per lo campo 
Qual forsennato indarno s'aggirava, 

D'ogni parte rinchiuso; ché da l'una 

Lo serravano i Frigii e la palude, 

E ’l1 fosso e la muraglia era da l'altra. 1210 
E non men ch'ei fuggisse, il Teucro duce 

( Come che da la piaga ancor tardato 

Fosse de la saetta, e le ginocchia 

Si sentisse ancor fiacche ) il seguitava. 
L'ardente voglia, e la speranza eguale 1219 
A la tema di lui, sì lo spingea, 

Che già già gli era sopra, e già ’l feria. 

Così cervo fugace o da le ripe 

Chiuso d'un alto fiume, o circondato : 

Da le vermiglie abbominate penne, 1220 


Dissiluit: fulva resplendent fragmina arena. 
Ergo amens diversa fuga petit aequora T'urnus: 
Et nunc huc, inde huc incertos implicat orbes. 
Undique enim densa T'eucri inclusere corona : 
"tque hinc vasta palus, hinc ardua moenia cingunt 
Nec minus /Eneas (quamquam tardata sagitta 
Interdum genua impediunt, cursumque recusant) 
Insequitur, trepidique pedem pede fervidus urget. 
Inclusum veluti si quando flumine nactus 
Cervum, aut puniceae septum formidine pennae, 750 
F'enator cursu canis et latratibus instat: 

Eneide 7o. II 59 





466 ENEIDE 


Se da veltro è cacciato o da molosso 

Che correndo e latrando lo persegua, 

Di qua di lui, di là del precipizio 

Temendo e de gli strali e de gli agguati, 

Fugge, rifugge, si travolge, e torna 1225 

Per mille vie; nè dal feroce Alano 

È però meno atteso e men seguito, 

Che mai non l' abbandona; e già gli è presso 

A bocca aperta, e già par che l’aggiumga, 

E 'l prenda e'l tenga, e come se '| tenesse, 1230 

Schiattisce, e'1 vento morde e i denti inciocca. 
Allor le grida alzarsi, a cui le rupi 

De' monti e ilaghi intorno rispondendo, 

L' aria e'] ciel tutto di tumulto empiero. 

Mentre cosi fuggia Turno, gridando 1235 

E rampognando i suoi, del proprio nome 

Ciascun chiamava, e "| suo brando chiedea. 
Enea da l'altra parte, minacciando 

A tutti unitamente ed a qualunque 


Ille autem insidüs, et ripa territus alta, 

Mille fugit refugitque vias: at vividus Umber 
Haeret hians, iam iamque tenet, similisque tenenti 
Increpuit malis, morsuque elusus inani est. 755 
T'um vero exoritur clamor; ripaeque lacusque 
Responsant circa, et caelum tonat omne tumultu. 
Ille simul fugiens, Rutulos simul increpat omnes, 
Nominequemque vocans, notumque efflagitat ensem. 
Aneas mortem contra, praesensque minatur 760 


LIBRO DUODECÌMO 467 


Di sovvenirlo e d'appressarlo osasse, 1240 
Che faria de le genti occisione 
Senza pietà, ch'a sacco, a ferro, a foco 
Metteria la cittade e '| regno tutto, 
Si com'era ferito il seguitava. 
Cinque volte girando il campo tutto, 1245 
E cinque rigirando, e molte e molte 
Di qua, di là correndo, imperversaro: 
Chè non per gioco, non per lieve acquisto 
D' onor, ma per l'impero, per lo sangue, 
Per la vita di Turno era il contrasto. 1250 
Per sorte in questo loco anticamente 
Era a Fauno sacrato un oleastro 
D'amare foglie, venerabil legno 
A” naviganti che dal mare usciti 
A salvamento, al tronco, a i rami suoi 1259 
Lasciavano i lor voti e le lor vesti 
A questo Dio de’ Lairenti appese. 


Exitium, si quisquam adeat: terretque trementes, 
Excisurum urbem minitans, et saucius instat. 
Quinque orbes explent cursu, totidemque retexunt 
Huc illuc: neque enim levia aut ludicra petuntur 
Praemia; sed T'urni de vita et sanguine certant. 765 
Forte sacer l'auno foliis oléaster amaris : 

Hic steterat, nautis olim venerabile lignum; 

Servati ex undis ubi figere dona solebant 

Laurenti Divo, et votas suspendere vestes. 

Sed stirpem Teucri nullo discrimine sacrum — 430 


408 ENEIDE 


Non ebbero i Troiani a questo sacro 
Più ch'a gli altri profani arbori o sterpi 
Alcun riguardo; onde con gli altri tutti 1260 
Lo distirpàr, perchè netto e spedito 
Restasse il campo al marziale incontro. 
De l' oleastro in loco era caduta 
L/ asta d' Enea: qui l'impeto la trasse; 
Qui si tenea tra le sue barbe infissa. 1 265 
E. qui per ricovrarla il Teucro duce 
Chinossi, e per far prova se con essa 
Lanciando lo fermasse almen da lunge, 
Poich' appressar correndo no ’l potea. 
Allor per tema in sé Turno confuso, 1270 
Abbi, Fauno, di me cura e pietate, 
Disse pregando, e tu benigna terra, 
Sii del suo ferro a mio scampo tenace, 
Se i vostri sacrificii e i vostri onori 
lo mai sempre curai, che pur da’ Frigii 1275 
Son così vilipesi e profanati. 


Sustulerant, puro ut possent concurrere campo. 

Hic hasta /Eeneae stabat: huc impetus illam 
Detulerat fixam, et lenta in radice tenebat. 
Incubuit, voluitque manu convellere ferrum 
Dardanides, teloque sequi, quem prendere cursu 775 
Non poterat. Tum vero amens formidine Turnus, 
Faune ,precor miserere ,inquit:tugue optima ferrum 
Terra tene; colui. vestros si semper honores, 

Quos contra /Eeneadae bello fecere profanos. 


LIBRO DUODECIMO 469 


Ciò disse, e non fu’l detto e’l voto in vano: 
Ch’ Enea molta fatica e molto indugio 
Mise intorno al suo télo, nè con forza 
Né con industria alcuna ebbe possanza 1280 
Mai di sferrarlo. Or mentre vi s' affanna 
E vi studia e vi suda, ecco Giuturna 
Un' altra volta ne lo stesso auriga 
Mutata gli si mostra, e la sua spada 
Al fratello appresenta. E d' altra parte 1285 
Venere, disdegnando che la Ninfa 
Cotanto osasse, incontanente anch’ ella 
Accorse al figlio, e l’ asta gli divelse. 
Così d' arme, di speme e d' ardimento 
Ambidue rinforzati, e l'un del brando, 1290 
L' altro de l'asta altero, un'altra volta 
À vittoria anelando s' azzuffaro . 
Stava Giuno a mirar questa battaglia 


Dixit, opemque Dei non cassa in vota vocavit. ‘780 
Namque diu. luctans, lentoque in stirpe moratus, 
Viribus haud ullis valuit discludere morsus 

Roboris /Eneas. Dum nititur acer, et instat, 

Rursus in aurigae faciem mutata Metisci 
Procurrit, fratrique ensem Dea daunia reddit. 785 
Quod Venus audaci Nymphae indignata licere, 
Accessit, telumque alta ab radice revellit. 

Olli sublimes armis, animisque refecti, 

Hic gladio fidens, hic acer et arduus hasta, 
Assistunt contra certamina Martis anheli. 790 








470 ENEIDE 


Sovr un nembo dorato, allor che Giove 
Così le disse: E che faremo al fine, 1295 
Donna? E che far ci resta? Io so che sai, 

E tu l’ affermi, che da’ fati Enea 

Si deve al cielo, e che tra noi s' aspetta. 

Che agogni più? Che macchini , e che speri? 

A che tra queste nubi or ti ravvolgi? 1300 
Convenevol ti sembra e degna cosa 

Che mortal ferro a violar presuma 

Un che fia Divo? E ti par degno e giusto 

Ch’ a Turno in man la spada si riponga 
Quando egli stesso la si tolse, e ruppe? 1305 
E lavria senza te Giuturna osato, 

Non che potuto, crescer forza a’ vinti ? 

Togliti giù da questa impresa omai, 

Togliti; e me, che te ne prego, ascolta: 

Né soffrir che '1 dolor, ch’ entro ti rode, 1310 


Iunonem interea rex omnipotentis Olympi 
Alloquitur, fulva pugnas de nube tuentem: 

Quae iam finis erit, coniux? quid denique restat? 
Indigetem /£nean scis ipsa, et scire fateris, 
Deberi caelo, fatisque ad sidera tolli. 795 
Quid struis? aut qua spe gelidis in nubibus haer es? 
Mortalin’ decuit violari eulnere Divum? 

Aut ensem (quid enim sine te Iuturna valeret?) 
Ereptum reddi T'urno, et vim crescere victis? 
Desine iam tandem, precibusque inflectere nostris: 
Nec te tantus edat tacitam dolor, et mihi curae 


LIBRO DUODECIMO 471 


Cangiando il dolce tuo sereno aspetto, 

Sì ti conturbi, e sì spesso cagione 

Mi sia d’ amaritudine e di noia. 

Quest è l' ultima fine. Assai per mare, 

Assai per terra hai tu fin qui potuto 1315 

A vessare i Troiani, a muover guerra 

Così nefanda, a scompigliar la casa 

Del re Latino, e’ntorbidar le nozze, 

Si come hai fatto. Or più tentar non lece ; 

Ed io te'l vieto. E qui Giove si tacque. 1320 
Abbassó ’1 volto, ed umilmente a lui 

Così Giuno rispose : Jo, perchè noto 

M'è, Signor mio, questo tuo gran volere, 

Ancor contra mia voglia abbandonata 

Ho l' aita di Turno , e qui da terra 1325 

Mi son levata. Che se ciò non fosse, 

Me così solitaria non vedresti , 

Com’ or mi vedi, in queste nubi ascosa, 


Saepe tuo dulci tristes ex ore recursent. 

Ventum ad supremum est. Terris agitare vel undis 
T'roianos potuisti, infandum accendere bellum, 
Deformare domum, et luctu miscere hymenaeos. 805 
Ulterius tentare veto. Sic Iuppiter orsus, 

Sic Dea submisso contra saturnia vultu: 

Ista quidem quia nota mihi tua, magne, voluntas , 
luppiter, et Turnum et terras invita reliqui. 

Nec tu me aeria solam nunc sede videres 810 
Digna indigna pati; sed flammis cincta sub ipsa 


72 EEEIPE 
E disposta a soffrir tutto ch' io soffro 

Degno e non degno; ma di fiamme cinta 133o 
Mi rimescolerei per la battaglia 

A danno de’ Troiani. Io solo in questo, 

Te 1 confesso, a Giuturna bo persuaso 

Ch’ al suo misero frate in sì grand uopo 

Non manchi di soccorso, e ch’ ogni cosa 1335 
Tenti per la salute e per lo scampo 

De la sua vita. E non però le dissi 

Giammai che l' arco e le saette oprasse 

Incontr' Enea. Te | giuro per la fonte 

Di Stige, quel ch' a noi celesti nomi 13 fo 
Solo è nume implacabile e tremendo . 

Ora per obbedirti, e perchè stanca 

Di questa guerra e fastidita io sono, 

Cedo , e più non contendo. E sol di questo 
Desio che mi compiaccia (e questo al fato 1345 
Non è soggetto ) che per mio contento, 

Per onor de’ Latini, per grandezza 


Starem acie, traheremque inimica in praelia Teucros - 
Iuturnam misero (fateor) succurrere fratri 

Suasi, et pro vita maiora audere probavi: 

Non ut tela tamen, non ut contenderet arcum, 815 
Adiuro stygii caput implacabile fontis, 

Una superstitio superis quae reddita Divis. 

Et nunc cedo equidem, pugnasque exosa relinquo. 
Illud te, nulla fati quod lege tenetur, 

Pro Latio obtestor, pro maiestate tuorum: 820 


LIBRO DUODECIMO 473 


E maestà de’ tuoi, quando la pace, 
‘ L/ accordo e'1 maritaggio fia conchiuso 
( Che sia felicemente ) il nome antico 1350 
Di Lazio e de le sue native genti, 
L’ abito e la favella non si mute: 
Né mai Teucri si chiamino, o Troiani. 
‘Sempre Lazio sia Lazio, e sempre. Albani 
Sian d' Alba i regi, e la romana stirpe — 1355 
D' italica virtù possente e chiara. 
Poiché Troia peri, lascia che péra 
Anco il suo nome. À ció Giove sorrise, 
E così le rispose: Ah! sei pur nata 
Ancor tu di Saturno, e mia sorella. 1360 
E consenti che l’ira e l' acerbezza 
Così ti vinca? or come follemente 
Le concepisti, il cor te ne disgombra 


Quum iam connubiis pacem felicibus (esto) 

Component, quum iam leges et foedera iungent, 

Ne vetus indigenas nomen mutare Latinos, 

Neu Troas fieri iubeas, Teucrosque vocari; 

Aut vocem mutare viros, aut vertere vestes. 825 

Sit Latium; sint albani per saecula reges; 

Sit romana potens itala virtute propago . 

Occidit, occideritque, sinas, cum nomine Troia. 

Olli subridens hominum rerumque repertor: 

Et germana lovis, Saturnique altera proles, 830 

Jrarum tantos volvis sub pectore fluctus? 

Verum age, et inceptum frustra submitte furorem. 
Eneide Zool. II Go 


474 ENEIDE 


Omai del tutto. E tutto io ti concedo 
Che tu domandi, e vinto mi ti rendo. 1365 
La favella, il costume e ’1 nome lore 
Ritengansi gli Ausoni, e solo i corpi 
Abbian con essi i Teucri uniti e misti. 
D' ambedue questi popoli i costumi, 
I riti, i sacrificii in uno accolti, 1370 
Una gente farò ch’ ad una voce 
Latini si diranno. E quei che d' ambi 
Nasceran poi, sovr' a l' umana gente 
Si vedran di possanza e di pietade 
Girne a’ Celesti uguali; e non mai tanto 1375 
Sarai tu colta e riverita altrove. 
Di ciò Giuno appagossi, e lieta e mite 
Già verso i Teucri, al ciel fece ritorno. 
Giove poscia Giuturna da l' aita 


Do, quod vis, et me victusque volensque remitto . 
Sermonem Ausonii patrium moresque tenebunt. 
Utque est, nomen erit: commixti corpore tanto 835 
Subsident Teucri. Morem ritusque sacrorum 
Adiiciam, faciamque omnes uno ore Latinos. 
Hinc genus, ausonio mixtum quod sanguine surget , 
Supra homines, supra ire Deos pietate videbis: 
Nec gens ulla tuos aeque celebrabit honores. 840 
Annuit his Iuno, et mentem laetata retorsit: 
Interea excedit caelo, nubemque reliquit. 

His actis, aliud genitor secum ipse volutat, 
Iuturnamque parat fratris dimittere ab armis. 


LIBRO DUODECIMO 479 


Distor pensò di suo fratello, e ’1 fece 1380 
In questa guisa. Due le pesti sono, 
Che son Dire chiamate , al mondo uscite 
Gon Megera ad un parto, a lei sorelle, 
Fighe a la Notte, e di Cocito alunne, 
Che d'aspi han parimente irte le chiome, 1385 
E di ventose bucce i dorsi alati. 
Queste di Giove al tribunale intorno, 
E de la sua gran reggia anzi a la soglia 
Si presentano allor che pena e pesti 
E morti a noi mortali, e guerre a'luoghi 1390 
Che ne son meritevoli apparecchia. 
Una di loro a terra im mantinente 
Spinse il Padre celeste , onde Giuturna 
De la fraterna morte augurio avesse. 
Mosse la Dira, e di tempesta in guisa 1395 
Ch' impetuosamente trascorresse , 


Dicuntur geminae pestes, cognomine Dirae, . 845 
Quas, et tartaream Nox intempesta Megaeram, 

Uno eodemque tulit partu, paribusque revinxit 
Serpentum spiris, ventosasque addidit alas. 

Hae Iovis ad solium, saevique in limine regis 
Apparent, acuuntque metum mortalibus aegris, 850 
Si quando letum horrificum morbosque Deum rex 
Molitur, meritas aut bello territat urbes. 

Harum unam celerem demisit ab aethere summo 
Juppiter, inque omen Iuturnae occurrere iussit. 
Illa volat, celerique ad terram turbine fertur: 855 


476 ENEIDE 


Voló come saetta che da Parto, 

O da Cidone avvelenata uscisse, 

E non vista, ronzando e !' ombre aprendo, 

Ferita immedicabile portasse . I {00 
Giunta là ’ve di Turno e de’ Troiani 

Vide le schiere, in forma si ristrinse 

Subitamente di minore augello, 

Ed in quel si cangiò che da’ sepolcri 

E da gli antichi e solitari alberghi 1 {05 

Funesto canta, e sol di notte vola . 
Tal divenuta, a Turno s' appresenta , 

Gli ulula, gli svolazza, gli s' aggira 

Molte volte d' intorno; e fin con V'ali 

Lo scudo gli percuote, e gli fa vento. t {10 
Stupì, sì raggricciò, muto divenne 


Non secus ac nervo per nubem impulsa sagitta, 
Armatam saevi Parthus quam felle veneni, 
Parthus, sive Cydon, telum immedicabile, torsit; 
Stridens et celeres incognita transilit umbras. 

Talis se sata Nocte tulit, terrasque petivit. 860 
Postquam acies videt Iliacas, atque agmina Turni, 
Alitis in parvae subitam collecta figuram, 

Quae quondam in bustis, aut culminibus desertis 
Nocte sedens, serum canit importuna per umbras: 
Hanc versa in faciem, Turni se pestis ob ora 865 
Fertque refertque sonans, clypeumque everberat alis. 
Illi membra novus solvit formidine torpor, 
Arrectaeque horrore comae, et vox faucibus haesit. 





LIBRO DUODECIMO 477 


Turno per la paura. E la sorella, 

Tosto che lo stridor sentinne e l' ali, 

Le chiome si stracció, graffiossi il volto, 

E con le pugna il petto si percosse. 1415 
Or che, dicendo, omai, Turno, più puote 
Per te la tua germana? E che più resta 

A far per lo tuo scampo, o per l' indugio 

De la tua morte ? E come a cotal mostro 
Oppor mi posso io più? Già già mi tolgo 1420 
Di qui lontano. A che più spaventarmi ? 

Assai di tema, sventurato augello, 

Nel tuo venir mi desti. E ben conosco 

A i segni del tuo canto e del tuo volo 

Quel che m' apporti. E non punto m' inganna 
Il severo precetto e ’1 voler empio 

Del superbo Tonante. E questo è ’l pregio 
De la verginità che m' ha rapita? 

E perchè vita mi concesse eterna ? 


e 


At, procul ut Dirae stridorem agnovit et alas, 
Infelix crines scindit Iuturna solutos, 870 
Unguibus ora soror foedans, et pectora pugnis: 
Quid nunc te tua, T'urne, potest germana iuvare? 
Aut quid iam durae superat mihi? qua tibi: lucem 
Arte morer? talin’ possim me opponere monstro? 

Jam iam linquo acies. Ne me terrete timentem, 875 
Obscenae volucres: alarum verbera nosco, 
Letalemque sonum: nec fallunt iussa superba 
Magnanimi Iovis. Haec pro virginitate reponit? 


478 ENEIDE 


Perchè ’1 morir mi tolse? Acciò morendo 1430 
Non finissi il mio duolo? acciò com 
Gir non potessi al misero fratello? 
Immortal io? Che valmi? E che mi puote 
Ne l’ immortalità parer soave 
Senza il mio Turno? Or qual mi s' apre terra 
Che seco mi riceva e mi rinchiugga 
Tra l’ ombre inferne; e non più Ninfa e Dea 
Ma sia mortale e morta ? E così detto, 
Grama e dolente di ceruleo ammanto 
Il capo si coverse. Indi correndo 1440 
Nel suo fiume gittossi , ove s' immerse 
Infino al fondo, e ne mandò gemendo 
In vece di sospir gorgogli a l’ aura. 

Intanto il suo gran télo Enea vibrando 
Col nimico s' azzuffa, e fieramente 1445 
Lo rampogna, e gli dice: Or qual più, Turno, 


* 


Quo vitam dedit aeternam? cur mortis ademta est 
Conditio? possem tantos finire dolores 880 
Nunc certe, et misero fratri comes ire per umbras. 
Immortalis ego, aut quidquam mihi dulce meorum 
Te sine, frater, erit? O quae satis alta dehiscat 
Terra mihi, manesque Deam demittat ad imos? 
Tantum effata, caput glauco contexit amictu, 885 
Multa gemens, et se fluvio Dea condidit alto. 
"Eneas instat contra, telumque coruscat 
Ingens arboreum, et saevo sic pectore fatur: 
Quae nunc deinde mora est? aut quid iam, Turne, 
retractas ? 





LIBRO DUODECIMO 479 


Farai tu mora, o sotterfugio , o schermo? 
Con !' armi, con le man, Turno, e da presso, 
Non co' pié si combatte e di lontano. 
Ma fuggi pur, diléguati, trasmütati, 1490 
Unisci le tue forze e '] tuo valore, 
Vola per l’aria, appiàttati sotterra, 
Quanto puoi t' argomenta, e quanto sai, 
Che pur giunto vi sei. Turno, squassando 
Il capo, Ah, gli rispose, che per fiero 1455 
Che mi ti mostri, io de la tua fierezza, 
Orgoglioso campion, punto non temo, 
Né di te: de gli Dei temo, e di Giove, 
Che nimici mi sono e meco irati. 
Nulla pià disse; ma rivolto, appresso 1460 
Si vide un sasso, un sasso antico e grande 
Ch’ ivi a sorte per limite era posto 
A spartir campi e tor lite ai vicini. 
Era sì smisurato e di tal peso, 


Non cursu, saevis certandum est cominus armis. 
Verte omnes te te in facies; et contrahe, quidquid 
Sive animis, sive arte vales: opta ardua pennis 
Astra sequi, clausumve cava te condere terra. 

Ille caput quassans: iVon me tua fervida terrent 
Dicta, ferox: Di me terrent et Iuppiter hostis. 895 
Nec plura effatus, saxum circumspicit ingens, 
Saxum antiquum, ingens, campo quod forte iacebat 
Limes agro positus, litem ut discerneret arvis. 

Fix illud lecti bis sex cervice subirent, 


480 ENEIDE 
Che dodici di quei, ch' oggi produce 1463 
1l secol nostro, e de’ più forti ancora, 
Non l’ avrebbon di terra alzato a pena. 
Turno diegli di piglio, e con esso alto 
Correndo se ne gia verso il nimico, 
Senza veder né come indi il togliesse, 1470 
Né come lo levasse, né se gisse, 
Ne se corresse. Disnervate e fiacche 
Gii vacillàr le gambe, e freddo e stretto 
Gli si fe ’1 sangue. Il sasso andò per l' aura, 
Sì che ’1 colpo non giunse, e non percosse. 1475 
Come di notte, allor che ’1 sonno chiude 
I languid’ occhi a l’ affannata gente, 
Ne sembra alcuna volta essere al corso 
Ardenti in prima, e poi freddi in su’l mezzo 
Manchiam di lena sì che i piè, la lingua, 1480 


Qualia nunc hominum producit corpora tellus. 9oo 
Ille manu raptum trepida torquebat in hostem, 
Altior insurgens, et cursu concitus heros. 

Sed neque currentem se, nec cognoscit euntem, 
Tollentemve manu, saxumque immane moventem. 
Genua labant, gelidus concrevit frigore sanguis. 
Tum lapis ipse viri, vacuum per inane volutus, 

Nec spatium evasit totum, nec pertulit ictum. 

dc velut in somnis, oculos ubi languida pressit 
Nocte quies, nequidquam avidos extendere cursus 
Velle videmur, et in mediis conatibus aegri 910 
Succidimus; non lingua valet, non corpore notae 


LIBRO DUODECIMO 481 


La voce, ogni potenza ne si toglie 
Quasi in un tempo; così Turno invano 
Tutte del suo valor le forze oprava 
Da la Dira impedito. Allora in dubbio 
Fu di sé stesso, e molti per la mente 1.435 
Gli andaro e vari torbidi pensieri . 
Tórse gli occhi a' suoi Rutuli, e le mura 
Miró de la città: poscia sospeso 
Fermossi, e pauroso; e sopra il télo 
Vistosi del gran Teucro, orror ne prese , 1490 
Non più sapendo o dove per suo scampo 
Si ricovrasse, o quel che per suo schermo, 
O per offesa del nimico oprasse. 
Mentre cosi confuso e forsennato 
Si sta, la fatal asta Enea vibrando, 1499 
Apposta ove colpisca , e con la forza 
Del corpo tutto gli l' avventa e fere. 
Macchina con tant' impeto non pinse 


Sufficiunt vires, nec vox, aut verba sequuntur: 
Sic Turno, quacumque viam virtute petivit, 
Successum Dea dira negat. Tum pectore sensus 
Vertuntur varii. Rutulos aspectat et urbem, — 915 
Cunctaturque metu, telumque instare trenuscit: 
Nec quo se eripiat, nec qua vi tendat in hostem, 
Nec currus usquam videt, aurigamve sororem. 
Cunctanti telum. AEneas fatale coruscat, 
Sortitus fortunam oculis; et corpore toto 920 
Eminus intorquet. Murali concita numquam 

Eneide 7l. II 6: 


482 ENEIDE 


Mai sasso, e mai non fu squarciata nube 

Che sì tonasse. Andò di turbo in guisa 1300 
Stridendo , e con la morte in su la punta 
Furiosa passó di sette doppi 

Lo rinforzato scudo; e la corazza 

Aprendo, ne la coscia gli s' infisse. 

Diè del ginocchio a questo colpo in terra 1505 
Turno ferito. I Rutuli gridaro; 

E tal surse fra lor tumulto e pianto, 

Che 1 monte tutto e le foreste intorno 

Ne rintonaro. Allor gli occhi e la destra 
Alzando in atto umilmente rimesso , 1510 
E supplicante: Io, disse, ho meritato 

Questa fortuna; e tu segui la tua; 

Ché né vita, né venia ti dimando. 

Ma se pietà de’ padri il cor ti tange, 


Tormento sic saxa fremunt, nec fulmine tanti 
Dissultant crepitus. Volat atri turbinis instar, 
Exitium dirum hasta ferens, orasque recludit 
Loricae, et clypei extremos septemplicis orbes; 925 
Per medium stridens transit femur. Incidit ictus 
Ingens ad terram duplicato poplite Turnus. 
Consurgunt gemitu. Rutuli, totusque remugit 

Mons circum, et vocem late nemora alta remittunt. 
lile humilis supplexqueoculosdextramqueprecantem 
Protendens, Equidem merui, nec deprecor, inquit: 
Utere sorte tua. Miseri te si qua parentis 

Tangere cura potest, oro, (fuit et tibi talis 





LIBRO DUODECIMO 483 


( Ché ancor tu padre avesti, e padre sei) 1515 

Del mio vecchio parente or ti sovvenga. 

E se morto mi vuoi, morto ch'io sia 

Rendi il mio corpo a' miei. Tu vincitore, 

Ed io son vinto. E già gli Ausoni tutti 

Mi ti veggiono a’ piè, che supplicando 1520 

Mercè ti chieggio. E già Lavinia ‘è tua. 

A che più contro un morto odio e tenzone ? 
Enea ferocemente altero e torvo 

Stette ne l’ arme, e vólti gli occhi a torno, 

Frenó la destra; e con l’ indugio ognora 1525 

Più mite, al suo pregar si raddolciva ; 

Quando di cima a l' omero il fermaglio 

Del cinto infortunato di Pallante 

Ne gli occhi gli rifulse. E ben conobbe 

A le note sue bolle esser quel desso, 1530 

Di che Turno quel di l' avea spogliato, 


Anchises genitor) Dauni miserere senectae. 

Et me, seu corpus spoliatum lumine mavis, 935 
Redde meis: vicisti, et victum tendere palmas 
Ausonii videre: tua est Lavinia coniux: 

Ulterius ne tende odiis. Stetit acer in armis 
4Eneas, volvens oculos, dextramque repressit. 

Et iam iamque magis cunctantem flectere sermo g4o 
Coeperat; infelix humero quum apparuit alto 
Balteus, et notis fulserunt cingula bullis 

Pallantis pueri: victum quem vulnere Turnus 
Straverat, atque humeris inimicum insigne gerebat. 


434 ENEIDE 


Che gli dié morte; e che per vanto poscia 
Come nimica e gloriosa spoglia 

Lo portò sempre al petto attraversato . 

Tosto che | vide, amara rimembranza 1535 
Gli fu di quel, ch' ei n' ebbe, affanno e doglia ; 
E. d' ira e di furore il petto acceso, 

E terribile il volto, Ah, disse, adunque 

Tu de le spoglie d' un mio tanto amico 
Adorno, oggi di man presumi uscirmi 1540 
Si che non muoia? Muori. E questo colpo 

Ti dà Pallante , e da Pallante il prendi. 

A lui, per mia vendetta e per sua vittima, 
Te, la tua pena, el tuo sangue consacro. 

E, ciò dicendo, il petto gli trafisse. 1545 
Allor da mortal gelo il corpo appreso 
Abbandonossi ; e l’ anima di vita 

Sdegnosamente sospirando useio . 


lile, oculis postquam saevi monumenta doloris, 945 
Exsuviasque hausit, furüs accensus, et ira 
Terribilis: Tune hinc spolüs indute meorum 
Eripiare mihi? Pallas te hoc vulnere, Pallas 
Immolat, et poenam scelerato ex sanguine sumit. 
Hoc dicens, ferrum adverso sub pectore condit. 950 
F'ervidus. dst illi solvuntur frigore membra, 
Vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras. 


FINE 


ILLUSTRAZIONI 


AL LIBRO DUODECIMO 





MONS ALBANUS ( Monte Albano. ) 


Veduta nord-ovest di tale celebre montagna presa dalla 
parte della Porta Latina nell'antica Roma. Il dinanzi mostra 
prima la Porta Latina fra una parte delle antiche mura di 
Roma, nell’ attuale suo stato, ed il mezzo a sinistra una 
parte dell'acquedotto Claudio, ed a destra un tratto della 
celebre pianura detta per eccellenza Latium antiquissimum. 
Nel contorno del monte presentato colla massima precisione, 
si affacciano in fondo dalla destra alla sinistra i seguenti pun- 
ti: monte Savelli, Gandolfo, monte Gentili, Palazzuola, la 
cima del monte Cavo, Rocca di Papa, ed a sinistra finalmente 
sì veggono i monti Toscolani sui quali sorge Frascati. 

ENEID. L. xn, v. 434 — 137. 


BENACUS ( Lago di Garda.) 


Veduta settentrionale dell'ampio lago si noto pel cantor 
dell' Eneide e delle Georgiche, da cui nasce il Mincio, ed in 
vicinanza del quale stavano Mantova ed Andes. Plinio il vecchio 
lo colloca nel territorio veronese. E assai profondo e soggetto a 
burrasche , non meno forti delle marine, le quali mettono 
sossopra le sue onde. 

ENEID. L. Xu v. 159. 


LAVINIUM ( Pratica ) 

Veduta dell' antica città di Lavinio, nell' antico Lazio sulla 
spiaggia del mare, tra Laurento ed Ardea, che Enea secondo 
la tradizione deve aver fondata in onere della moglie sua La- 
vinia, figlia del re Latino. Entro alle sue mura v'era un fa- 


RA-— "A 


moso tempio coi Penati del popolo Romano, che a’ tempi della 
repubblica furono portati a Roma, e là collocati nel Foro. 
Ergevasi pure ne'suoi dintorni un tempio di Venere non meno 
rinomato a cui tutte le genti o tribù del Lazio soleano re- 
care abbondanti olocausti. 

AENEID. L. xi, v. 194. 


INDICE 


DEI LIBRI 


CONTENUTI NEL PRESENTE VOLUME 


Libro VII 


Libro VIII. 


Libro IX. 
Libro X. 

Libro XL 
Libro XII. 


— RECON 


Ct 


79 
147 
223 
309 
395 





INDICE 


DELLE COSE PIÙ NOTABILI 


CONTENUTE IN QUESTO SECONDO VOLUME 





A 


Abella, oggi Avellino città 72. 

Acca, compagna di Camilla 385. 

— porta a Turno l' avviso della morte di Camilla 392. 

"cesta, città 167. 

Accettare gli augurii 420. 

Achille, detto Larisseo 347. 

Acrisio, Re d' Argo 39. 

Accordo convenuto tra i Troiani, e i Latini rotto da 
Giuturna 418. 

Adige, fiume 210. 

Agamennone, Re di Micene ucciso dopo la vittoria di 
Troia 334. 

Agillina,con altro nome Cere, oggi Cerveteri 64. 4123. 

Agrippa, genero di Augusto 444. 

Alba, predetta da Apollo 206. 

Albano, monte, ora Monte Cavo 408. 

+ Albula, oggi Tevere 109. 

Albunea, selva 43. 

Aleso, fondatore di Falisco 70. 

Aletto, chiamata da Giunone 34. 

— accende Amata al furore 36. 

— comparisce nel sonno a Turno 42. 

— passa a sollevare i Troiani 48. 

— chiama i contadini a soccorrere Tirro 51. 

— è da Giunone rimandata all Inferno 56. 

Alfeo, fiume 239. 


488 INDICE DELLE MATERIE 


Allia, oggi rio di Mossò, fiume 70. 

Almone, figliuolo di Tirro 53. 

Amata, viene inspirata da Aletto del suo furore 36. 

— nasconde Lavinia ne’ boschi, fingendo i baccanali 40. 

— sconsiglia Turno dal duello con Enea 450. 

— si uccide appiccandosi 452. 

— con Lavinia al Tempio di Pallade 354. 

Amaseno, oggi la Toppia, fiume 67. 360. 

Amazzoni 370. 

Amicla, città 276. 

Amiterno, città 69. 

Amsanto, valle, oggi detta Mufiti 56. 

Anagni, città 67. 

Anchise, venerato qual nume 47. 

Ancile, specie di scudo 22. 140. 

Angizia, selva 73. 

Aniene, oggi Teverone 67. 

Anima, dagli Epicurei riposta nel sangue 179. 

Antemna, città 62. . 

Anubi, Dio degli Egizii 143. 

Api, predicono la venuta de’ Troiani nell’ Italia 14. 

Apollo, parla ad Ascanio 206. 

— venerato nel monte Soratte 382. 

Appennini, monti 374. 

Ara Massima, in Roma 103. 

Arabi, vinti da Augustg 59. 

Arasse, fiume 4146. 

Ardea, città 42. 62. 

Argileto, in Roma 110. . 

Argiripa, città con altro nome Arpo 332. 

Argo, città 30. 

Aricia, oggi la Riccia, il di cui lago era sacro a Dia- 
na 52. 

Arisba, città 471. 

Arunte, uocide Camilla .383. 

— è ucciso da Opi 388. 


INDICE DELLE MATERIE - 489 


Aruspice, ossia quegli, che dal mirare le viscere della 
vittima predicea l’ avvenire 124. 

Ascanio, regna in Alba 83. 

— accetta l'offerta di Niso e d' Eurialo 170. 

— uccide Numano cognominato Remulo 205. 

— sì fa vedere tra’ combattenti col capo disarmato 235. 

Asia, palude 68. 

Asila, augure e indovino 239. 

Asilo, in Roma 110. 

Assaraco 470. 

Atina, città 62. 

Atlante, padre di Elettra 91. 

Ato, monte 461. 

Aufido, fiume 347. 

Augurio, preso dall’ Aquila, che perseguita i Cigni 119. 

Augurii, donde prendevansi 239. 
accettati 420. | 

Augusto, trionfa. per tre giorni in Roma 141. 

— intima la supplicazione dopo la vittoria ad Azio, e 
finisce il tempio di Apollo nel Palatino 115. 

— pácificatore del mondo 206. 

Aurora, chiede l' armi per Mennone 114. 

Aurunci, popoli del Lazio 23. 74. 77. 

Ausonii, popoli dell’ Italia 109. 

Aventino, figliuolo di Ercole 64. 
colle di Roma 65. 

— ov era lo speco del Ladrone Caco 104. 

4zzio, promontorio nel golfo di Leucate famoso per 
la vittoria di Augusto 1414. 


B 


Baccanali, ec. 40. 
Baia 212. 
Batulo, paese 72. 
Bellona 143. 


Eneide ol. II 62 


— ams > 


490 INDICE DELLE MATERIE 


Benaco, oggi Lago di Garda 242. 
Bianore, detto ancora Ocno 241. 
Borea, e sua discendenza 255. 


C 


Caco, Ladrone 96. 
— ruba i buoi ad Ercole, e da lui è ucciso 97, € seg. 
Cadaveri, dagli Antichi mettevansi alla porta 312. 
Cale, oggi Calvi, terra 74. 

Calibe, Sacerdotessa 43. 

Calibi, popoli 147. 

Calidonii, popoli 32. 

Calzari, Tirreni 424. 

Camilla, Regina de’ Volsci 77. 

— storia della sua vita 359, e seg. 

— è uccisa da Arunte 383. 

Campidoglio, prima detto Rupe Tarpea 139. 

— ne è custode Manlio Capitolino ivi. 

Capena, città 68. 

Capretti, costellazioni 208. 

Capua, trasse il nome da Capi 236. 

Capri, isola 71. 

Cari, popoli 145. 

Carine, strada principale di Roma 412. 
Carmenta , detta Nicostrata, ninfa 110. 

Cartagine, nemica di Roma 224. 

— voluta signora del mondo da Giunone 228. 
Casperia, città 69. 

Catilina, ribelle alla patria 440. 

Catillo 66. 

Catone , il minore 140. 

Cecolo, fondatore di Preneste 66. 130. 

Celenne, paese 72. 

Cere, o Agillina, oggi Cerveteri 64. 123. 434. 
Cervo, inseguito da’ cani di Ascanio 49, e seg. 


INDICE DELLE MATERIE 491 


Chiusi, città 284. 

Cibele 246. 380. 

— chiede a Giove sicurezza per le navi fabbricate 
con gli alberi a se consacrati 155. 

Ciclopi, servono nella fucina a Vulcano 118. 

Cidone, città 476. 

Cigno, Re de’ Liguri 240. 

Cimino, Lago 68. 

Cinto di Pallante tolto da Turno 269. 

Circe, figliuola del Sole 6. 

— ruba i cavalli al Sole 30. 

Circello , monte 6. 77. 

Circensi, giuochi 437. 

Citera, oggi Cerigo, isola 228. 

Città nuove; segnavano gli Antichi le mura di esse col- 
l'aratro 19. 

Clauso , Sabino, capo della famiglia Claudia 69. 

Clelia, Romana, fugge da Porseuna 139. 

Cleopatra, moglie di M. Antonio 142. 

Cocìto, fiume infernale 56. 

Compagni di Diomede mutati in uccelli 334. 

Consiglio degli Dei 223. 

Cora 66. 

Corito, patria di Dardano 23. 

Crustumerio, città 62. 


D 


Dai, popoli della Gallia Belgica 1 15. 
Dardano, vato in Corito nell'Italia 23. 
Dei, giurano per la Palude Stigia 156. 
Dei, comuni alle genti 407. 

Dercenno, Re 387. 

Diana, distrugge Calidona 32. 

— detta Trivia 75. 

— detta Latonia 358. 


492 INDICE DELLE MATERIE 


Diomede, figliuolo di Tidéo fondatore di Arpi 80. 

— è invitato a venire contro i Troiani nel Lazio 226. 

— ricusa di venire contro di Enea 330. 

— non potè tornare alla patria dopo l’ assedio di 
Troia 334. 

— ferisce Venere, e perde i compagni trasformati in 
uccelli 334. e seg. 

Dire, sono le Furie nel Cielo 34. 143. 

Discordia 443. 

Dittamo, Cretéo 134. 

Dolone, 'Troiano ucciso da Ulisse 428. 

Drance, nel consiglio parla contro di Turno 340. 


E 


Ecuba, figliuola di Cisseo 34. 

Egeone, gigante 276. 

Egeria, ninfa 75. 

Elba, isola 239. 

Elettra, madre di Dardano 91. 

Elena, rapita da Paride 38. 

Enea, seppellisce Gaeta 5. 

— entra nel Tevere 8. 

— descrive la nuova città 49. 

— manda ambasciatori a Latino 49, e seg. 

— discendente da Giove 24. 

— il Tevere gli parla nel sonno 82. 

— incontra la porca bianca 86. 

— scende dalle navi per parlare ad Evandro 90. 

— si dice consanguineo di Evandro 914. 

— ha da Venere un segno , onde accettare le proposte 
di Evandro 127. 

— parte da Evandro in compagnia di Pallante 132. 

— riceve dalla madre le armi lavorate da Vulcano 135. 

— suo scudo in cui sono scolpiti molti fatti della 
Storia Romana 436, e seg. 


INDICE DELLE MATERIE 493 


Enea, alza sulle spalle lo scudo scolpito da Vulca- 
no 146. 

— essendo egli lontano, Turno assedia la nuova Troia 
154, e seg. 

— per formare le navi, con cui parti da Troia, ebbe 
da Cibele in dono piante a lei consacrate 154, e seg. 

— le sue navi si cambiano iu Ninfe marine 157, e seg. 

— torna col soccorso degli Etrusci navigando il ma- 
re 237. 

— è incontrato dalle Ninfe marine, in cui furon cam- 
biate le navi 244. 

— giunge col soccorso di Tarconte al lido 249. 

— è avvisato della morte di Pallante 274. 

— ferisce la prima volta Mezenzio 294, e aeg. 

— uccide Lauso 298. e seg. 

— combatte la seconda volta con Mezenzio e l'ucci- 
de 305. 

— alza l'armi di Mezenzio in trofeo 309. | 

— va a trovare il cadavere di Pallante per rimandarlo 
al padre 344. 

— s' invia alla città di Latino 351. 

— sale per la montagna per attaccare Laurento 393. 

— va agli altari per fare il giuramento, e poi combat- 
tere con Turno solo a solo 414. 

— giura di osservare tali patti 412. 

— procura di fermare i suoi dal combattere perchè non 
rompasi l' accordo , ed è ferito da una sactta 125, 
e seg. 

— Venere accorre, e non veduta porta rimedio alla 
di lui ferita 434. 

— medicato dalla madre torna alla battaglia 436. 

— risolve improvvisamente di assaltare Laurento 4:18. 

— comincia a combattere solo a solo con Turno 163. 

— ricupera l’ asta confitta in una pianta 469, 

— è destinato per salire tra gli Dei 470. 

— ferisce Turno coll'asta 481. 


494 INDICE DELLE MATERIE 


Enea, uccide Turno 484. 

Episodio, di Eurialo e Niso 162. 163. 

Erato, invocata 8. 

Ercole, figliuolo di Giove e di Alcmena 266. 

— detto Anfitrioniade 88. 

— detto Tirintio 65. 

— uccide Caco 401. e seg. 

— sue fatiche 105. 

Ereto, paese 69. 

Erice, monte 464. 

Erilo, fondatore di Preneste 130. 

Ermo , fiume 70. 

Esione, sorella di Anchise 93. 

Esculapio, inventore della medicina 74. 75. 

Etruria 64. 

Etrusci, si uniscono ad Enea, e lo seguitano colle lor 
navi 237. 

Evandro, detto Palatino 148. 

— consegna ad Enea il figliuolo Pallante 434. 

Eufrate, fiume 145. 

Eurialo, sì offre compagno a Niso per andare ad E- 
nea 164. 465. 

— raccomanda la madre ad Ascanio 473. 

— esce con Niso dalle mura 175. 

— perde Niso 182, e seg. 

— è ucciso da Volscente 486. 

— la notizia della sua morte arriva alla madre 490. 


F 


Fabari , oggi la Farfa, fiume 70. 

Falisci, popoli di Faleria o Falisco città 68. 
Fame, sofferta da' Troiani, fine de’ loro viaggi 16. 
Fatiche d' Ercole 105. 

Fauno, re del Lazio 9. 

Feneo, città 94. 


INDICE DELLE MATERIE 495 


Feronia, Dea 77. 134. 

Fescennini, popoli di Fescennia castello presso il Te- 
vere 68. 

Fetonte, cangiato in augello 240, e seg. 

Flamini, sacerdoti 4140. 

Flavinio, paese 68. 

Foro romano 112. 

Foruli, paese 69. 

Fucino, lago, oggi Lago di Celano 74. 

Fulmine, formato da Virgilio 119, e seg. 

Funerali, degli Antichi 326, e seg. 

Furie 34. 


G 


Gabinii , e loro costume nel sacrificare 60. 

Gaeta, nutrice d' Enea 5. 

Galeso, pastore 54. 

Galli , e loro armatura 139. 

Gange, fiume 150. 

Gargano, oggi Monte di S. Angelo 332. 

Gerione , Re della Spagna 65. 97. 

Geti, popoli 59. 

Gianicolo, monte, e città fabbricatavi da Giano 111. 

Giano, e suo Tempio 60. 

Giove, detto Ansuro 77. 

— promette a Cibele di cambiare in ninfe le navi di 
Enea 156. 

— chiama gli Dei a consiglio 223. 

— decide del fato d' Enea e di Turno 470. 

Giunone , detta Gabina 67. 

— nemica a’ Troiani 30. 217. 

— chiama Aletto dall' Inferno 34. 

— apre il Tempio di Giano 61. 

— nel consiglio de’ Numi risponde a Venere 229. 

— domanda a Giove la vita di Turno 280. 


496 | INDICE DELLE MATERIE 


Giunone, forma una fantasma per salvar la vita a Tur- 
no 282. 

— domanda che duri la lingua, il nome, i costumi del 
Lazio ec. 472, e seg. 

Giuturna, sorella di Turno 264. 

— fingendo esser Camerte solleva i Latini e' Rutuli a 
romper l’ accordo 416, e seg. 

— Dea de’ fonti 408. 

— porta la spada a Turno 469. 

Guerra , come intimavasi da' Romani 59, e seg. 

Gravisca , città 240. 


I 


lapi, medica Enea della ferita 432. 

Ida, monte nella Troade, sacro a Giove e Cibe- 
le 454. 209. 

Imella , fiume 69. 

Inaco, Re d' Argo 39. 

Inarime, oggi Ischia, isola 213. 

Indi, sono forse gli Etiopi 144. 

Insepolti , stimavansi miseri presso gli Antichi 341. 

Io, figliuola d’ Inaco 76. 

Ippolite, Amazzone 370. 

Ippolito, figliuolo di Teseo 74. 

Ircani, popoli 59. 

Iride, mandata a Turno 141. 

— mandata a Giunone 224. 

Ismaro, monte 255. 

Italia, cambiò molti nomi 409. 

Italo, Re d' Italia 24. 


L 


Labico, oggi Zagarolo 77. 
Lapiti, popoli 32. 


INDICE DELLE MATERIE 497 
I 


Latino, Re del Lazio 9. 

— rinfaccia a Turno la sua follia 59. 

—- sente in Consiglio le risposte di Diomede 184. 

— offre un terreno da donarsi a’ Troiani, e qual sia 
questo terreno 338. e seg. 

— interrompe il consiglio essendo la città attaccata da 
Enea 354. 

—sconsiglia Turno di venire a duello con Enea 397.e seg. 

— va all'altare per fare il giuramento in riguardo d’ E- 
nea e di Turno 411. 

— giura ec. 414. 

Lavinia, figliuola di Latino 44. 

— le si accendono le chiome 12. 

Laurento, città 44. 

Lauso, figliuolo di Mezenzio 64. 

— entra nella battaglia 262. 

— ripara il padre dalla spada di Enea, che poi l' ucci - 
de 296. 

— è riportato sullo scudo 304. 

Lelegi, popoli dell’ Asia minore 145. 

Lerna, palude 444. 

Leucate, golfo 144. 

Licia, provincia 70. 444. 

Lipari , una delle Isole Vulcanie 117. 

Lirnesso , città 235. 

Lituo , augurale 22. 

Locresi, venuti in Italia 334* 

Lupa, allatta Romolo e Remo 137. 

Lupercale in Roma 440. 

Luperci, sacerdoti 140. 


M 


M. Antonio 142. 


Manlio, detto Capitolino per esser custode del Campi- 
doglio 139. 


Eneide 7/ol. II 63 





3= 


498 INDICE DELLE MATERIE 


Mantua, città 2414. 

Marica , ninfa 9. 

Marrubi, oggi Marsi 73. 

Marte, distrugge i Lapiti 32. 

Massico , monte 74. 

Medusa, nello scudo di Pallade 4149. 

Menelao , disperso dopo Troia distrutta 333. 

Meonia, provincia 125. 

Mercurio, nato nel M. Cillene 94. 

Messapo 67. 149. 195. 

— incontra Enea nella zuffa, e contro i patti tenta fe- 
rirlo 441. 

Metabo , padre di Camilla 359. 

Mezenzio 64. 195. 

— sua crudeltà 123. 

— entra in battaglia 287. 

— è ferito da Enea 296. 

— udita la morte del figliuolo torna alla battaglia ed 
é ucciso da Enea 304. e seg. 

— suo trofeo alzato da Enea 310. 

Mezio, albanese 138. 

Micene, città 39.. 

Mignone, oggi Mugnone fiume 240. 

Mnesteo 162. 

— discendente d’ Assaraco 407. 

Morini, popoli 145. 

Morire, per mano illustre stimata consolazione tra gli 
‘Antichi 265. 299. 

Morti, sono soggetti agli Dii Infernali 344. 

Muse, invocate 63. 238. 

Mutusca, paese 69. 


N 


Navi Tirrene in soccorso di Enea 238. e seg. 
Nemici, fatti prigionieri svenati dagli Antichi al se- 
polcro de’ vincitori 271. 


INDICE DELLE MATERIE 499 


Nera, fiume 52. 

Nilo, fiume 150. 

Niso, determina di portarsi ad Enea 163. 
— va con Eurialo al consiglio 469. 

— esce con Eurialo dalle mura 175. 

— si accorge di aver perduto Eurialo 483. 
— tenta soccorrere Eurialo 183. e seg. 
— muore dopo vendicato l’amico 187. 
Nomento, oggi Lamentana 69. 

Numano, ucciso da Ascanio 205. 
Numico, fiume 48. 
Nursa, città 72. 

Nursia, oggi Norcia 70. 


0 


Ocno, detto ancora Bianore 244. 

Ofelte, padre di Eurialo 163. 

Omole, monte altissimo della Tessaglia 66. 

Opi, ninfa seguace di Diana 358. 

— scende in terra per vendicare la morte di Cammil- 
la 364. 

— uccide Arunte 388. 

Orazio Coclite 138. 

Orgie, o Baccanali 44. 

Orione, costellazione 70. 294. 

Orizia 403. 

Ortini , popoli di Orta, città dell' Etruria 70. 

Osci , popoli 74. 

Otri , monte altissimo della Tessaglia 66. 


P 


Pachino, oggi Capo Passaro 31. 
Palico , tempio degli Dei Palici 200. 
Pallade, detta Tritonia 354. 





5oo INDICE DELLE MATERIE 


Pallante, figliuolo di Evandro 88. 

— naviga con Enea 238. 

— entra nella battaglia 258. 

— muore per mano di Turno 268. 

— è riportato nello scudo 270. 

— è riportato morto ad Evandro 322. e seg. 
Pallanteo, città 84. 169. 

Panacea, erba 435. 

Pandaro, ucciso da Turno 246. 

Paride, rapisce Elena 38. 

Parti, popoli 476. 

Pattolo, fiume 236. 

Pentesilea, Amazzone 370. 

Pico, Re del Lazio 22. 

Pilumno, Re 4147. 280. 

Pinaria, famiglia ebbe cura de'sacrifizii di Ercole 103. 
Pioppo, sacro ad Ercole 104. 

Pirgi, popoli di Pirgo, castello prossimo a Cerete 240. 
Pisa, nella Toscana 239. 

Piume , usate dagli Antichi sull' elmo 154. 

Po, fiume 210. 

Populonia , oggi Piombino città 239. 

Porco , ucciso in sacrifizio 138. 

Porsenna , Re degli Etrusci ivi. 

Porta Carmentale in Roma 110. 

Potizia, famiglia, ebbe in cura i sacrifizii d' Ercole 103. 
Preneste, oggi Palestrina 66. 

Priamo , compra il corpo d' Ettore 166. 

Procida , isola 213. 


R 


Rami d'ulivo segni di pace 89. 
Rannete, Re 176. 480. 
Rea. Silvia vestale 65. 
Rebo, cavallo di Mezenzio 303. 


INDICE DELLE MATERIE 


Remulo Tiburte 180. 
Reno, fiume 446. 
Rufra, oggi Ruvo 72. 


Sabine rapite 437. 
Sabino, Re dell’ Italia 24. 
Sacrani, popoli 77. 

Salii ,'sacerdoti 405. 140. 
Samotracia, isola 23. 
Sarno, fiume 72. 

Sarrano 477. 

Sarrasti, popoli 72. 

. Saticola , oggi Caserta, città 74. 
Satura , palude 77. 
Saturno, Re del Lazio 23. 
— è cacciato da Creta 408. 
Sedia curule 340. 
Secondar Y augurio 127. 
Severo , monte 69. 
Sicani, popoli 77. 409. 
Sidicine, campagne 74. 
Sila, monte 462. 

Silvia, pastorella 54. 
Simeto, fiume 200. 
Simoente, fiume 333. 
Similitudine del paleo 39. 


— dell’ acqua, che bollendo trabocca 47. 


bor 


— del mare, che comincia a sollevarsi in tempe- 


sta 53. 


— dello scoglio battuto dall’ onde agitate 58. 
— de’ Centauri, che scendono dal monte 66. 


— de'Cigni, che volan cantando 68. 


— de’ flutti che si agitan nella tempesta, e delle spighc 


mature nel campo 70. 


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| Luna , che riflette da un 


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e notte al lavoro 146. 


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INDICE DELLE MATERIE 503 


Similitudine del Toro, che si prepara alla pugna 405. 
— del ramo reciso, che non rinverdisce 415. 

—. di Marte infuriato sul carro 426. 

— delle nuvole che fuggono innanzi alla tramontana 430. 
— del turbine di mare che si accosta alla terra 438. 
— della RondineHa 440. 

— di due fuochi accesi alla campagna 444. 

— delle Api perseguitate dal fumo 450. 

— del masso che rovina dal monte 459. 

— de' due Tori che combattono insieme 462. 

—. del cervo inseguito dal cane 465. 

— della saetta scagliata 476. 

— del sogno 480. 

Soratte , monte, oggi S. Silvestro 68. 382. 

Spoglie opime 265. 

Stella, veduta nella morte di G. Cesare 444. 

Stigia, palude, per cui giuravano gli Dei 233. 


T 


Taburno, monte 462. 

Tarpeia rupe 140. 

Tarconte , Re Tirreno 130. 

— unitosi ad Enea lo seguita colle sue genti 237. 
— arriva alle sponde del Tevere 250. 

— entra nella battaglia 376. 

— leva da cavallo Venulo e se lo porta in braccio 378. 
Tarquinio  Superbo, Re 138. 

Tazio, Re de’ Sabini 137. 

Tebro ,'o Tevere Re dell’ Etruria 409. 

Tegea, città dell’ Arcadia 424. 

Telone , signore de’ Capri 74. . 
Termodonte', fiume 370. 

Testuggine', fatta da' soldati 193. 

Teti, chiese l' armi per Achille 144. 

Tevere, fiume 8. 122. 


504 | —INDICE DELLE MATERIE 


Tevere, (Dio del) parla ad Enea, che vi si era addor- 
mentato 82. 

Tiara, usata da’ Re Orientali 27. 

Tibure, oggi Tivoli 62. 

Tibie, specie di flauti 204. 

Tiburno , o Tiburto, fondatore di Tivoli € 66. 

Tifeo, gigante 243. 

Tirreni, popoli 44. 

Tirro, pastore 49. 

Titone, sposo dell’ Aurora 189. 

Tolunnio augure s inganna nel prender l' augurio 420. 

— muore nella battaglia 438. 

Tripode 474. 

Trofeo di Mezenzio alzato da Enea 309. 

Tullio Ostilio fa morire Mezio 138. 

Turno 40. 

— nipote di Amata 38. 

— giunge a Laurento, e accresce la confusione 57. 

— in mezzo alle sue schiere 75. . 

— avvisato da Iride s'incammina contro i Troiani 149. 

— si assicura di vincere i Troiani vedute la navi cam- 
biarsi in ninfe 458. 

— uccide Lico 4198. 

— è chiuso dentro la nuova Troia 243. e seg. 

— è obbligato a ritirarsi, e finalmente si getta nel fid- 
me 224. e seg. 

— va incontro alle navi sulle quali tornava Enea col 
soccorso 248. e seg. 

— uccide Pallante, e sua superbia in quell’atto 268. e seg. 

— credendosi inseguire Enea sale sopra la nave, ed è 
trasportato in Ardea 284. 

— nel consiglio risponde a Drance 344. 

— dati gli ordini di opporsi a' nemici si mette in un’im- 
boscata 357. 

— esce dall' imboscata all’ udire la morte di Camilla 392. 

— si offerisce a venire a duello con Enea 396. 


an mu Ls TO 


INDICE DELLE MATERIE 505 


Turno manda la disfida ad Enea 402. 

— va all'altare per fare il suo giuramento e poi com- 
battere con Enea 411. | 

— accostandosi per fare il giuramento comparisce tur- 
bato 446. 

— prende animo vedendo Enea ferito ritirarsi 426. 

— smonta dal carro, abbandona la sorella, e corre a 
difendere la città 459. 

— si batte solo a solo con Enea 463. 

— racquista la spada portatagli da Giuturna 469. 

— è ferito da Enea e cade 482. 


V 


Velino, lago, oggi lago di piè di Luco 52. 69. 

Venulo, mandato a Diomede 80. 

— ritorna da Diomede 330. 

Venere, chiede a Vulcano l' armi per Enea 225. 

Verbena, erba usata nei sacrifizii 407. 

Vesta, Dea 170. 

Vesulo, monte 289. 

Ufente , fiume 77. 

Virbio, figliuolo d'Ippolito 75. 

Firgilio, prendendo a numerare le genti venute al cam- 
po di Turno comincia con l’invocazione alle Mu- 
se 63. 

—. invoca di nuovo le Muse 154. 

—. invoca la terza volta le Muse 195. 

— numerando le genti etrusche unite ad Enea invoca 
di nuovo le Muse 238. 

— mirabilmente fa informare Enea dell’ avvenuto nella 
sua lontananza 244. 

Ulisse, errante dopo Troia vinta 333. 

Ulivo salvatico consacrato a Fauno 467. 

Umbrone , capitano 73. 


Eneide /ol, II . 64 


506 INDICE DELLE MATERIE 


Volturno, fiume 74. 

Volsci, popoli 77. 

Volscente 184. 

Uomini creduti nati dagli alberi 407. 

Vulcano , promette a Venere l’ armi per Enea 115. 
e seg.