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Full text of "Le opere di Bernardo Davanzati"

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LE   OPERE 


BERNARDO  DAVANZATI. 


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PropTÌeta  letteraria. 


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LE    OPERE 

BERNARDO  DAVANZATI 

RIDOTTE    A    CORRETTA    LEZIONE 
COLL^  AIUTO  de'  MANOSCKITTI   E  DELLE  MIGLIORI   STAMPE 

E    ATINOTATE 

PKR    CURA    DI    EKRICO    BINDI. 

VOLUME      PRIMO. 


FIRENZE. 

FELICE    LE  MONNIEH 

1853. 

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■<*J--^      /.      N 


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AL  DISCRETO  LETTORE. 


Fra  molte  edizioni,  anco  eleganti,  delle  opere  di  Ber- 
nardo Davanzali ,  difficilmente  ne  troveresti  una  che  non  sia 
copiata,  più  o  meno  esattamente,  dalle  stampe  del  Cornino; 
buone ,  se  vuoi ,  ma  non  quanto  rìchiedevasi  a  questo  autore. 
11  quale,  per  certe  sue  capestrerie,  rendendosi  singolare  da 
tutti  né  troppo  alla  mano,  voleva  anche  singoiar  cura  per 
farlo  agevole  a' lettori,  senza  torgli  la  nativa  (isonomia.  Questa 
negligenza  avendo  sparso  nelle  sue  opere  non  poche  macchie, 
chi  sa  che  non  abbia  contribuito  a  farlo  giudicare  da  taluno 
meno  rettamente.  Il  certo  è  che  non  sempre  dove  lo  riprendono 
d' oscurità  è  oscuro  ;  ma  sì  guasto  da'  suoi  editori.  Però  richie- 
sto di  vegliare  questa  edizione,  ho  voluto  ben  esaminare  le 
stampe  originali  (intatte  sin  qui)  e  ciò  che  ne  resta  de*  suoi  ma- 
noscritti. Così  ho  potuto  correggere  non  pochi  né  lievi  errori, 
inveterati  in  tutte  1*  edizioni ,  e  restituire  la  propria  lessigrafia , 
trascurata  sempre  per  quel  tristo  vezzo  di  anmiodemare,  e 
di  cancellare  questa  non  ispregevole  parte  del  colorito  antico. 
E  perchè  se  al  Davanzali  non  parea  ragionevole  la  doppia 
zeta,  e  non  la  voleva,  dovrà  darglìsi  a  suo  dispetto?  Non 
parve  così  anche  a  Carlo  Dati  e  a  Udeno  Nisieli?  Perchè, 
se  gli  piacque  scrivere  Adusto,  agurio,  agurCy  non  vorrà 
averglisi  rispetto?  forse  non  facciamo  noi  lo  stesso  in  agosto? 
Così  dicasi  di  giucare  per  giuocare  e  d'altre  singolarità  gra- 


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n  AL  DISCRETO  LETTORE. 

fiche,  comuni  anche  ad  altri,  che  non  m*è  parso  di  do- 
ver mutare.  Dove  poi  egli  non  è  conforme,  ho  creduto, 
suir  esempio  suo ,  d*  usar  libertà  :  però  troverai  dopo  e  doppo; 
publico  e  pubblico;  ognuno,  intrambi,  allora,  e  ognuno,  in- 
trambi,  allora;  co  *l,  no  7,  su  7,  e  col,  noi,  sul;  a  gli,  de  gli, 
con  gli,  e  agli,  degli,  cogli,  ed  anche  alli,  delli  ec.  ;  e  così  in 
altre  parole  dove  non  ebbe  metodo  certo.  Questo  voleva  av- 
vertirsi, perchè  tali  incostanze,  che  trovansi  in  quasi  tutti 
gli  scrittori  di  quel  tempo,  non  si  avessero  a  tórre  per 
errori.  Ben  s'intende  poi,  che  quando  egli  scrive  tempij, 
iddìj,  agV altri,  agrhuomini  ec.  non  era  da  seguire,  perchè 
tali  modi  di  scrivere ,  sebbene  da  alcuni  allora  difesi  (vedi  le 
Lett,  di  Claudio  Tolomei,  Kb.  VII,  pag.  287  e  se^.  Vene- 
zia 1566),  oggi  ben  si  hanno  per  viziosi  e  da  jion  tollerare. 

Rispetto  al  Volgarizzamento  di  Tacito ,  dal  confronto  delle 
stampe  originali,  e  d*una  parte  del  manoscritto  che  serbasi 
nella  Magliabechiana  (vedi  qui  appresso  la  Bibliografia) ,  ho 
raccolto  ricca  messe  di  varianti ,  provenute  da  mutazioni  e 
pentimenti  del  traduttore,  e  utilissime  agli  studi  della  lingua 
e  dello  stile.  Vero  è  che  queste  non  vanno  più  là  de*  primi 
sei  libri  degli  Annali ,  perchè  il  resto  del  volgarizzamento  è 
postumo  e  privo  delle  seconde  cure  ;  né  si  ha  per  esso  al- 
tra guida  che  la  brutta  stampa  del  Nesti.  Tuttavia  non 
lieve  aiuto  m*ha  recato  il  tenermi  sempre  dinanzi  il  testo 
latino ,  usando  la  stupenda  edizione  data  ultimamente  in  Zu- 
rigo, su' manoscritti  Laurenziani,  da  Baitter  e  Creili  (fun- 
ci,  1846-48). 

Dirò  anche  una  parola  delle  noterelle  che  m*  è  parso 
d*  apporvi;  le  quali,  sopra  tutto,  mirano  a  far  leggere  que- 
sto volgarizzamento  senza  doversi  fermare  a  ogni  tratto 
a  cercare  vocabolari  o  altro;  spiegando  esse,  senza  troppi 


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AL  DISCBETO  LETTOBB.  lil 

infrascamenti  filologici ,  parole  e  locuzioni  antiquate  o  fio* 
rentine;  avvertendo  alcune  inesattezze  del  traduttore;  ao« 
cennando  le  parole  del  testo  latino,  dove  o  la  curiosità  o 
il  bisogno  pareva  richiedere;  notando  alcuni  gravi  errori 
delle  altre  stampe;  riferendo,  dove  tornasse  più  opportuno, 
alcune  varianti  o  mutazioni  (le  più  le  abbiamo  relegate  in  fondo 
al  volume)  ;  avvertendo  dove  il  traduttore  ba  s^uito  lezioni 
non  ricevute  da'  migliori  testi  ;  dichiarando  (  ma  di  rado)  qual- 
che erudiiione  storica  più  necessaria  alla  intelligenza  ;  rìtra* 
ducendo,  o  da  me  o  col  Dati  o.col  Politi  o  col  Valerìani  o 
con  un  Ms.  anonimo  del  secolo  XVI ,  qualche  frase  iirantesa, 
o  troppo  bassa  o  troppo  chiusa.  Ne*  primi  sei  libri  le  noterelle 
mie  sono  distinte  coli*  asterisco,  per  non  confonderle  colle  pò* 
stille  del  traduttore. 

Ho  conservato  anche  i  copiosi  Indici  delle  materie ,  si 
perchè  di  gran  comodità  agU  studiosi ,  sì  ancora  perchè  scritti 
dal  Davanzatì  medesimo,  che  vi  usò  voci  elocuzioni  onde  si  può 
vantaggiare  non  poco  la  lingua.  Quello  de*  primi  sei  libri ,  da 
lui  stampato  nell*  Importo  di  Tiberio  Cesare,  l'avrai  in  fine  di 
questo  volume:  quello  generale ,  conforme  leggesi  nell'edi- 
zione del  Nesti ,  chiuderà  il  secondo. 

La  stessa  cura  ho  recato  nelle  opere  minori .  Per  lo  Scisma 
ho  seguito  r  edizione  romana  del  Facciotto,  uscita  vivente 
r  autore ,  tenendo  conto  anche  di  quella  curata  da  Bartolom- 
meo  Gamba,  che  la  condusse  sopra  un  manoscritto  Marciano, 
il  quale  offre  infinite  e,  per  lo  più,  buonissime  varietà,  che  ho 
notate  accuratamente.  Per  la  Coltivazione  toscana  non  occor- 
reva cercare  stampe ,  esistendo  il  manoscritto  originale ,  che 
mi  ha  dato  modo  di  correggere  assai  errori  e  di  notare  al- 
cuni pentimenti  dell*  autore ,  che  tanto  giovano  a  chi  vuole 
addentrarsi  ne*segreti  dell*  arte.  Anche  le  poche  Le/tere  che  ci 


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IV  AL  DISCaETO  LETTORE. 

restano,  furono  collazionate  sugli  autografi.  Questi  mancano 
per  le  altre  scritture;  ma  v' ha  però  molte  copie  manoscritte 
che ,  per  esser  del  tempo ,  non  hanno  piccola  autorità.  Ma  di 
ciò  a  suo  luogo.  Ci  troverai  pure  alcuna  cosa  d' inedito  : 
qualche  sonetto ,  qualche  frammento,  e  poco  altro.  Più  avrei 
dato,  se  le  mie  cure  non  fossero  tornate  vane.  Quel  poco 
è  tolto ,  per  la  maggior  parte ,  da  un  grosso  quaderno  divari 
studi ,  tutto  di  mano  del  Nostro ,  eh'  io  debbo  a  Pietro  Bi- 
gazzi ,  erudito  e  diligente  raccoglitore  d' ogni  rarità  lettera- 
ria. A  lui  pure  sono  obbligato  d'aver  potuto  esaminare  una 
stampa  degli  Opuscoli  di  Plutarco,  appartenuta  al  Davanzati 
e  con  varie  sue  postille  a  penna ,  delle  quali  ho  scelto  le  più 
curiose. 

Se  in  questo  lavoro  mi  sia  meritato  quella  umile  lode , 
che  sola  può  sperarsi ,  di  accuratezza ,  non  so  :  certo  è  che 
me  ne  sono  ingegnato  al  possibile.  Non  presumo  tuttavia 
d'avere  schivato  ogni  fallo;  che  troppo  è  diffidle  in  queste 
cure  minute,  che  la  mente  non  s' in&stidisca  talvolta  e  si 
stanchi.  A  te  sta  di  esser  discreto,  o  Lettore. 


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DELLA   VITA  E   DELLE   OPERE 
DI  BERNARDO  DAVANZÀTI. 


Hanno  propria  ìndole  e  fisonomìa  non  pur  le  nazio- 
ni, ma  e  le  città  e  i  popoli  d' un'  istessa  nazione;  come 
le  famiglie  e  gli  individui  che  le  compongono.  Se  non  che 
in  un  popolo  questi  lineamenti  distintivi  appariscono  più  o 
meno  forti  e  risentiti,  secondo  che  più  o  meno  ha  egli 
potuto  operare  conforme  i  regolati  movimenti  della  pro« 
pria  natura;  cioè,  secondo  proprie  leggi  e  istituti. Impe- 
rocché dov'  esso  abbia  dovuto  piegare  a  leggi  esterne, 
queste  sono  come  letto  di  Procuste,  che  stira  o  mozza,  e 
tutti  i  corpi  riduce  a  un'  istessa  misura  e  languore.  Questo 
si  vede  sopra  tutto  ne' Fiorentini,  i  quali  mentrechè  si 
ressero  da  se,  ed  ebbero  campo  di  tutta  spiegare  la  virtù 
della  propria  natura,  ninno  tra'  popoli  italici  ebbe  fiso- 
nomia  più  scolpita,  più  nobile  e  più  gaia  di  loro.  Spirito 
arguto,ingegno  agile  e  profondo:  poveri  e  modesti  in  casa, 
ricchissimi  e  magnifici  nel  comune;  sollazzevoli  e  severi  ; 
semplici  e  magnanimi;  non  meno  destri  (se  non  leali)  nel- 
la curia,  che  valenti  nell'armi; e,  ciò  che  dà  più  meravi- 
glia, con  animo  mercantesco,  tale  sentimento  del  bello, 
quale  attestano  l' ardimento  romano  de' loro  edifici  e  le 
arti  per  essi  risuscitate.  Il  parlare,  lo  scrivere,  il  con- 
versare, r edificare,  tutto  porta  un'impronta  sì  propria, 
che  cosa  fiorentina  di  quel  tempo  non  potresti  mai  scam- 


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VI  DELLA  VITA  E  DELLE  OPERE 

biare  con  altra  di  altro  popolo  italiano.  Ma  queste  vìve 
e  peculiari  sembianze  cominciano  a  perdersi  dopo  la 
metà  del  sestodecimo  secolo.  Non  in  tutto,  fincbè  i  Fioren- 
tini soggiacquero  a  signoria  domestica  e  recente.  Scom- 
parvero affatto  nel  tempo  dipoi.  Ed  anche  la  lingua  che 
sì  viva  ed  efficace  e 

Pura  vedeasi  neir ultimo  artista, < 

tralignò,  stravolta  da  gerghi  forestieri,  traforativi  per 
moda,  per  negghienza,  per  ismarrita  dignità.Nè  per  certo, 
udendo  oggi  un  fiorentino,  potresti  dire: 
La  tua> loquela  ti  fa  manifesto.' 

Questo  fatto  osservato  e  lamentato  da  molti,  m'è  tot- 
nato  più  incresciosamente  al  pens^'ìro  nel  dovere  scrivere 
queste  povere  parole  su  Bernardo  Davanzali ,  che  tra  gli 
ultimi  fiorentini ,  i  quali,  operando  e  scrivendo,  serbarono 
fiorentina  sembianza,  è  il  più  notevole.  Onde  anche  per  tale 
rispetto  merita  d'essere  avuto  in  considerazione.  Sennon- 
ché, duole  che  troppo  scarse  sieno  le  notizie  della  sua  vita: 
perchè  dividendosi  egli  fra  i  traffici  del  banco  e  gli  studi 
solitari,  lontano  dalle  brighe  letterarie  e  civili,  parco  di 
parole,  di  pochi  amici,  non  cortigiano,  non  ambizioso, 
poco  romore  fece,  e  pochi  di  lui  parlarono,  sebbene  con 
lode  grandissima. 

Nacque  in  Firenze  il  31  agosto  1529,'  Egli  tenevasi 
disceso  da' Boslichi,  *  antica  e  potente  famiglia  guelfa/ 

<  Dante ,  Farad.  XVI,  49.    ^ 

»  Dante,  Inf.  X,  24. 

'  Ecco  il  documento  della  nascita,  estratto  dalK archivio  ^elP Opera  di 
Santa  Maria  del  Fiore  :  «  ^1529,  agosto.  Martedì ,  addì  5^. — Bernardo  Giù- 
»  liane  et  Ro  (Romolo)  di  Ant.  Frane,  di  Giuliano  di  Nicliolaio  Davanzati  ^ 
»  pio  8.  Trinità,  n.  addì  detto,  b.  8.  »  Erra  dunque  il  Rondinelli,  e  ^1i  altri 
dietro  a  lui,  che  pongono  la  sua  nascita  3  50  agosto. 

*  Ne'  libri  suoi ,  stampati  sotto  i  suoi  occhi ,  chiamasi  sempr«  Davanzali- 
Bostichi. 

«  G.  Viflani,  Cren.  VI,  53;  V,  59. 


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DI  BEBNABDO  DAYANZATI.  VII 

già  volta  in  basso  a'  tempi  di  Gaccìagutda)  e  quasi  spenta 
in  quegli  di  Dante  e  del  Villani.  ^  Ma  di  tale  consorteria 
oggi  muovono  dubbio  i  genealogisti.'  Certo  è  che  la  fa- 
miglia dei  Davanzati  fu  d' antica  nobiltà.  Trasse  il  nome 
da  un  Davanzato  che  nel  1260  combattè  pe' Guelfi  a  Mon- 
taperti  :  e  nel  principio  del  secolo  appresso  fu  ammessa 
agli  onori  della  repubblica.'  Ebbe  cittadini  pii  e  benefici  ; 
un  Lottieri  che  fondò  nel  1336  il  monastero  di  santa  Marta 
a  Mohtughi,  e  un  Niccolò,  quel  della  Doccia  sul  monte 
di  Fiesole  nel  1&13:  rimatori  leggiadri,  un  Mariotto,  un 
Francesco,  un  Bartolommeo:  ^  savi  uomini  di  Stato,  un 
Manetto,  che  trattò  nel  1397  la  pace  co'Pisani,  e  un  Giu- 
liano, insigne  nel  XY  secolo  nella  scienza  delle  leggi  e 
per.  molte  onorevoli  ambascerie  sostenute  ;  a  uomo  effi- 
cace e  di  gran  forza  nel  dire  )>,  come  lo  chiama  P  Am- 
mirato.' Uguale  onore  venne  al  nostro  Bernardo  dalla 
madre,  che  fu  Lucrezia  de'  Ginori,  famiglia  nobilissima. 
Suo  padre  Antonfrancesco  Davanzati  è  ricordato  onore- 
volmente dal  Varchi,  tra  coloro  che  ben  provvidero  alla 
patria  libertà  in  quei  supremi  momenti  del  memorabile 
assedio.'  Di  che  raccolse  quel  frutto  che  dovea  aspettarsi 

*  Dante ,  Farad.  XVI,  59,  dove  il  commentatof e  anonimo  detto  V  Otti- 
mo ,  nota  :  «  I  Bostichì  sono  al  presente  di  poco  valore  e  di  poca  dignitade.  • 
Ebbero  torri  e  case  dove  poi  i  Davanzati  edificarono  il  Palazzo ,  che  vedest 
aoe'  oggi  in  Porta  Rossa.  Gio.  Villani,  IV  ,  ^13:  «  Intorno  a  Mercato  nuovo 
erano  grandi  i  Bostichi.  »  Dell'antica  loro  nobiltà  vedasi  Michele  Verino  nel 
poema  De  ilhutratione  wrbi$  FhrenUa!;  Parigi  4790,  lib.  Ili,  pag.  48; 
dove  pareggiando  i  Bostichi  cogli  Spini,  gli  fa  romana  origine  (gemu  tnUiquum, 
rofnana  propago)^  e  venuti  in  Firenze,  dopo  le  guerre  di  Narsete  in  Italia 
contro  i  Goti. 

*  Gamurrim,  Stor^  geneai.y  voi.  Ili,  pag,  256  e  segg. 
'  Vedi  P  Albero  della  famiglia,  a  pag.  L. 

*  Vedi  le  note  all'Albero  della  famiglia. 

9  Vedi  Mamii,  SigUli  eo.  iom.  VII,  pag.  423*^40. 

*  Fece  parte  della  conmùssioae  ordinata  a  fornire  F  occorrente  per  U 
guerra  (Varchi,  Shr.y  lib.  XI,  pag.  442,  ediz.  d'Arbib.  Fir.  4842>.  Trovan- 
dosi i  Fiorentini  stremi  d' ogni  cosa  e  abbandonati,  vollero  tentare  una  fazione 
disperata ,  e  uscire ,  col  gonfaloniere  alla  testa,  sopr^  gP  iivjperiali.  Ma  prima. 


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vili  DELLA  VITA  B  DBLLV  OPBtE 

dalle  larghe  promesse  del  felice  vincitore;  il  quale,  fa- 
cendo d'occhio  a'  nuovi  rettori,  volle  dire  (e  fu  inteso) 
a  che  si  provvedesse  alla  sicurezza  del  nuovo  Stato  con 
gagliarda  proscrizione.'  d  Confinato  prima  in  Sicilia,  poi 
a  Pontremoli,  confiscatogli  i  beni,  bandito  nella  testa, 
non  si  sa  che  di  lui  avvenisse.* 

A  Bernardo,  nato  nelle  agonie  della  repubblica,  man-* 
carono  le  cure  paterne,  ma  non  liberale  educazione,  che 
la  madre  vide  a  lui  tanto  più  necessaria,  quanto  più  vi- 
vace e  acuto  rivelò  per  tempo  l'ingegno:  a  perchè  il 
campo  fertile  non  coltivato  produce  male  erbe  più  rigo- 
gliose  che  non  fa  lo  sterile.*  »  Apprese  il  latino  e  il  gre- 
co egregiamente;  studi  che  in  quella  severa  educazione, 
che  ora  par  barbara,  non  andavano  mài  discompagnati. 
Ma  non  trovo  chi  fossero  i  suoi  istitutori,  e  difilcile  sa- 
rebbe il  congetturarlo,  in  tanta  e  sì  mirabile  copia  d'uo- 
mini dottissimi  che  allora  avea  Firenze,  appellata  con  ra- 
gione dal  Nostro:  «  fior  d'ingegni,  onor  delle  lettere, 
maestra  dell'  arti,  specchio  di  civiltà.*  »  Lo  Studio  fio- 
rentino, scaduto  assai  nei  turbamenti  della  guerra  e  sotto 
il  vituperoso  Alessandro,  risorse  per  Cosimo  poco  meno 
che  allo  splendore  dei  tempi  di  Lorenzo,  quando  vi  leg- 
gevano il  Poliziano,  il  Ficino,  il  Filelfo,  l'Argiropulo;  '  e 
quando  la  gioventù  fiorentina  parlava  greco  si  attica- 

farono  eletti  46  àttadinl  per  ogai  quartiere,  e  aggiunti  à' magistrati  ordinari, 
che  dessero  sopra  ciò  il  loro  roto.  Decisero  che  doveasi  combattere  ;  e  tra 
questi  fu  Anton  Francesco ,  che  il  Varchi  nomina  tra  quegli  non  insigniti  del 
grado  dottorale  (lib.  XI,  pag.  451). 

*  Lorenzo  Strozzi,  Vita  di  Filippo  Stroxxiy  stampata  con  la  tragedia  di 
G.  B.  Niccoliui,  Fir.  4847^  pag.  IX. 

s  Varchi,  Stor.  lih.  XIII,  pag.  579:  «  I  confinati  sperando  dover  esser 
»  rimessi ,  ossenrarono  con  incredibile  disagio  e  spesa  e  pazienza  i  confini.  » 
Ma ,  spirato  il  tempo,  furono  riconfinati  da  capo  in  luoghi  più  disagiati. 

>  Rondinelli,  Ritr.  del  DcmanxaU. 

*  Orazione  in  morte  del  G.  D.  Cosimo  I. 

»  Prezziner,  Stor,  delh  Slud.  fior.  Voi.  I,  Uh.  S.'Fir.  4810. 


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DI  BERNàEDO  DArANZATT.  II 

mente  da  far  credere  Atene  risorta  sulle  rive  dell'Arno.* 
V'insegnava  lettere  amane  Pier  Vettori,  a  cui  nulla  fu 
ignoto  della  classica  antichità,  scrittore  leggiadrissimo 
della  materna  e  delle  dotte  lingue:  teneva  la  cattedra 
d'eloquenza  greca  e  latina  Giovambattista  Adriani, 
storico  elegante  e  degno  erede  della  gloria  letteraria 
di  Marcello;  '  di  filosofia,  il  Verino;  *  e  il  Gelli  e  il  Var- 
chi vi  leggevano  Dante  e  il  Petrarca;  i  classici  greci 
Vincenzio  Borghini,*  dotto  illustratore  delle  antichi- 
tà fiorentine,  e  che  il  Foscolo,  non  amico  a' cinque- 
centisti, chiama  (ed  è  assai)  scrittore  non  pedantesco.  * 

*  «  Prima  nobilitalis  pueri...  ita  sincere  attico  sermone t  ita  facile 
expediteqne  loqwmtikr ,  ut  non  deletm  iam  ÀthenoB  atq%t»  a  harhoHs  oc- 
eupmkBy  $ed  ipsae  tma  fponle  eum  proprio  anulsm  solo ,  ewmque  omwi,  ut 
tic  dixerim^  tua  supellectUe  in  Florentinam  urbem  immigrasse,  eique  te 
totat  penitusque  infuditse  videantwr.  »  Politìanas,  Orat.  in  exposict.  Homeri. 

s  Fa  perciò  nominato  il  Marcellino.  Il  figlio  di  lai ,  Marcello  il  giovane , 
lesse  nelF  Accademia  degli  Alterati  quella  stupenda  tradosione  degli  Opoacoli 
di  Plutarco ,  che  ora  abbiamo  alle  stampe.  Della  qnale  in  una  lettera  a  Belisario 
Balgarìni  (8  giugno  4ìi9A)  così  parla.  «  Io  conoscendomi  poco  atto  ad  imprese 

•  proprie,  e  rincrescendomi  Io  studiare  a  vAto,  e  pure  essendo  inclinato  ad  opera- 
»  re,  ma  non  bene,  impresi  questa  vii  fatica  dell'  opere  morali  di  Plutarco,  veg- 
»  gendo  che  ne  erano  stati  tradotti  picciola  parte,  e  quelli  ancora  pessimamente, 
»  perchè  erano  stratti  da  una  pessima  latinità.  Fa  mio  primo  intendimento 

•  di  rimettermi  alla  lingua  greca  tralaaciat»  da  me  per  molte  occaaioni  :  il 

•  secondo  fu  F ingravidarmi  di  concetti  sparsi  vagamente  per  tutto  il  libro;  e 

•  nel  terzo  luogo  di  trame  questa  scrittura ,  la  quale  non  istimo ,  perchè  non 
»  Tale.  Gommdaine  una  bona ,  e  finiroUa  tutta  fra  due  giorni  ee.  t  —  Con- 
servasi questa  lettera  nella  pubblica  Biblioteca  Senese ,  God.  D.  VI.  9,  e  mo 
ne  debbo  chiamare  obbligato  alla  gentilezza  del  dottor  Gaetano  Milanesi. 

>  Francesco  Vieri,  detto  il  Verino  primo,  mori  nel  A^^.  L'altro  Fran- 
cesco Vieri ,  detto  il  Yerino  secondo ,  così  parla  di  lui  nelle  Conclusioni  pla- 
toniche: «  Messer  Francesco  di  Vieri...  mio  avolo...  in  Pisa  e  in  Firenze  lesso 

•  pubblicamente  tutte  le  parti  della  peripatetica  filosofia  anni  quaranta.  Gli 

•  furon  fatte  dalla  patria  e  dal  serenissimo  granduca  Cosimo ,  in  Santo  Spiri- 
»  io ,  onoratissime  esequie ,  e  V  eccellentìssimo  filosofo  e  nobilissimo  cittadino 
»  messer  Gio.  Strozzi  recitò  una  bella  orazione ,  lodandolo  sommamente ,  • 

•  con  verità ,  di  eccellenza  di  dottrina  e  di  bontà  di  vita.  • 

*  Al  Borghini,  nato  il  29  ottobre  45^15,  fu  compare  un  Pagato  di  Gio- 
vanni Davanxati.  Vedi  Ricordi  di  V.  Borghini  negli  Opuscoli  inediti  o  rari. 
Fir.  +845,  pag.  2. 

*  Foscolo,  Discorsi  sulla  Hngua.  Vw.  VI. 


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X  DELLA  VITA  B  DELLE  OPERE 

Appena  è  da  credere  che  il  giovane  Bernardo  non 
udisse  questi  degni  uomini:  sebbene  in  quella  copia  di 
dottrina  ogni  casa  era  una  scuola,  e  la  gioventù  avea 
agio  d'  apprendere  in  ogni  luogo. 

Ci  dice  il  Rondinelli  che  (c  con  lo  studio  accompagnò 
il  negozio,  che  ne'  primi  anni  esercitò  in  Lione.*  »  Non 
credo  però  a  nome  proprio,  ma  si  per  conto  dei  Cappo- 
ni: e  mi  pare  poterlo  rilevare  da  un  Ricordo  di  Benve- 
nuto Gellini,  dov'egli  è  nominato  espressamente  cassiere 
de' Capponi;^  e  dalla  Lezione  sul  Cambio,  dove  gli  esempi 
onde  illustra  il  suo  soggetto  gii  trae  dal  banco  di  quelli.  ' 

Né  rechi  maraviglia  il  vedere  questo  elettissimo  in- 
gegno togliere  alle  lettere  il  tempo  migliore  per  darlo 
a' negozi.  Imperciocché  nelle  età  vigorose,  dov'è  vita 
pubblica,  non  si  trovano  letterati  di  mestiero;  quivi  gli 
studi  0  sono  mezzo  a  bene  operare  nella  repubblica,  o  nulla. 
Pe' Romani  gli  studi  solitari  non  erano  vita,  ma  ozio;  e  ap- 
pena fu  perdonato  ad  Agricola  d'essersi  dato  alle  specula- 
zioni della  filosofia  con  troppo  più  ardore  che  a  romano  e 
a  senatore  non  si  convenisse.*  E  in  Firenze  i  manifattori  di 
letteratura  cominciano  a  trovarsi  nella  età  del  Davan- 
zati,  quando  non  ci  fu  altro  che  fare  per  gli  uomini  in- 
gegnosi. Ma  innanzi,  a  stento  troveresti  un  dotto  che  non 
fosse  0  uomo  di  Stato  o  guerriero  o  mercante.  Ma  mer- 
cante per  lo  più:  imperocché  i  traffici  furono  la  prima 

*  Kondinellì ,  Ritratto  del  Davanzati. 

s  Opere  di  Benv.  Gellini.  Firenze,  4845;  pag.  369:  a  Sabato  a  dìi  22 
»  di  marzo  4  560.  —  A  dì  detto ,  a  ore  4  2/5  di  notte  nacque  il  bambino  di 
»  messer  Benvenuto ,  figliuolo  della  Piera  di  Sal?adore.  Domenica  a  di  25 
n  detto  si  battezzò,  e  i  compari  furono  questi,  oioè,  Bernardo  di....  Davan- 
»  zati ,  cassiere  de'Capponì ,  e  Andrea  di  Lorenzo  Benivieni ,  cassiere  de'  Sal- 
»  yiati  ec.  »  ' 

'  Ancbe  nelle  Lettere  ricorda  spesso  in  cose  di  traffico  i  Capponi. 

*  Tacito,.  Ki^  Agr.  cap.  4:  a  Memoria  teneo  tolitum  ipsum  twrrare, 
te  in  prima  inventa  ttudvum  philosophio}  acriiu,  ultra  quam  coneeeium 
Romano  ac  seTiatori,  hausisse,  ni  prtbdenlia  matrit  inceruum  ac  flagran- 
lem  animum  coercuitset.  » 


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DI  BBBNA1ID0  DAVANZATI.  II 

fonte  della  potenza  fiorentina,  quando  ì  Bardi  e  i  Peruzzi 
avanzavano  tanto  dal  re  Edoardo  IV  d' Inghilterra  che 
poteasene  comperare  un  regno;*  quando  i  principali  mer- 
cati d'Europa  erano  tenuti  da' Fiorentini,  primi  autori 
dei  credito  e  della  preponderanza  commerciale^  del  cam- 
bio in  grande,  e  di  tutti  quegli  scaltrimenti  onde  il  traf- 
fico fu  possibilmente  difeso  dalie  frodi  e  dalle  violenze 
di  barbari  tempi.*  Vero  è  che  i  Lombardi  e  i  Caorsini 
(così,  fuori,  chiamavansi  i  mercanti  di  Firenze')  furono, 
non  men  degli  ebrei,  in  mala  voce  per  disoneste  usu- 
re, che  mossero  lo  sdegno  di  Dante,  del  Villani^  e  del 

*  G.  Vniani,  Cron.,  XI,  88  :  «  più  d'  uno  milione  e  trecentosessantacla- 
t  q«e  migliaia  di  fiorini  d' oro,  che  yaleva  uno  reame.  »  Gli  ragguaglìaDo  alla 
somma  di  75  milioni  di  franchi.  Pecchie ,  Stor.  MV  eeon.  pubb*  Lugino  , 
4852.  Introd. 

*  Della  potenza  e  ricchezza  dc'Fiorentini  nel  8cc.  XIV,  vedi  Gio.  Villani 
passim j  ma  specialmente  lib.  XI,  e.  88-402.  n  Pecchio  (op.  cit.)  così  racco- 
glie in  breTC queste  notizie.  «  Ottanta  banchi  facevano  le  operazióni,  non  solo 
di  Firenze,  ma  di  tutta  l'Europa.  Al  {fl^iocipio  del  secolo  XIV  la  rendita  della 
repubblica  montava  a  500  mila  fiorini  d'oro,  equivalenti  a  45  milioni  di  franchi 
de'nostrì  tempi.  Questa  rendita  era  maggiore  di  quella  del  re  di  Napoli,  del  re 
di  Aragona,  e  di  quella  che,  tre  secoli  dopo,  l'Irlanda  e  l'Inghilterra  insieme 
producevano  alla  regina  Elisabetta.  La  città  aveva  una  popolazione  di  470  mila 
abitanti  ;  200  manifatture  di  panni  ;  50  mila  lanaiuoli  j  e  vendeva  ogni  anno 
per  più  di  60  milioni  di  franchi  di  panni.  » 

'  Vedi  il  Glossario  del  Dn  Gange  ;  il  quale  crede  che  i  Caortini  fossero 
detti  dalla  famiglia  fiorentina  Corsini,  e  a  questa  opinione  inclina  anche  il 
Troplong  (  Vedi  la  pref .  all'  opera ,  Commentaire  dn  eontrat  de  sodètéy 
pag.  xivii),  che  dice:  «  Je  serais  fori  tenie  de  croire  que  l'appellation 
Caorsius  ou  Corsius ,  donnée  aux  Lombards  qui  exploitaient  la  France  et 
VÀnglelerre^  pourrait  bien  leur  venir,  non  pas  de  Cahors,  qi»e  Dante  au- 
raitj  un  peu  légèrement  peut-étre,  comparée  à  Sodome  (Inf.  e.  X/j,  mais 
des  Corsini,  illustres  marchands  de  Florence ,  non  moins  riches  que  les 
Bardi  et  les  Peruzzi.  » 

*  G.  Villani,  Cron.,  XII,  55:  a  0  maladctta  e  bramosa  lupa  ,  piena  di 
vizio  dell'  avarizia  regnante  ne'  nostri  ciechi  e  matti  cittadini ,  che  per  cnvidi- 
gia  di  guadagnare  da'  signori ,  mettono  la  loro  e  V  altrui  pecunia  in  loro  po- 
tenza e  signoria  !  »  Dante,  Inf.  XVI,  75  : 

i  sabiti  guadagni 

Orgoglio  e  dismisura  Itan  generata , 
Fiorema ,  in  te. 

E  nel  primo  trota  forte  impedimento  dalla  lupa  di  tutte  Orarne.  E  Paolo 


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XII  DELLA  VITA  B  DBLLB  OPBRE 

Savonarola;  il  quale, parlando  dell'edacazione  de'flgliaoli: 
a  La  prima  cosa  (gridava),  li  padri  li  pongono  a  imparar 
))  poesia,  e  dipoi  alli  banchi  a  imparare  cambi  e  usure; 
»  e  cosi  li  mandano  a  casa  del  diavolo/  )i  A  Orazio 
invece  non  parea  possibile  che  con  questa  ruggine  e  cura 
di  peculio  si  potesse  fare  buona  poesia,  degna  del  cedro; 
e  ne  riprendeva  gii  avari  romani.'  Ma  i  fiorentini  però 
seppero:  e  non  solo  la  poesia,  ma  tutte  le  arti  del  bello 
accoppiarono'  col  traffico  egregiamente*  Lo  che  mi  fa 
certo  eh*  e' non  lo -esercitarono  in  modo  servile  e  inuma- 
no; perchè  il  bello  non  si  fa  sentire  in  anima  impietrita 
dal  sordido  guadagno.  E  di  quel  cattivo  nome  d'usurieri, 
in  parte  se  ne  deve  la  cagione  all'  invidia  dei  popoli,  al- 
lora infingardi;  in  parte  alla  necessità  di  premunirsi 
da'  pericoli,  che  grandi  erano,  come  mostrò  il  fallimento 
de' Bardi  e  de' Per  uzzi,  che  fu  disastro  pubblico;'  e  in 
parte  ancora  all'abuso  di  p^chi  che,  come  accade,  insoz- 
zarono tutti. 

Quando  il  Davanzati  si  recò  a  Lione,  era  questa 

dell'Ottonaio  (Canti  Carnescialeschi.  Cosmopoli  4750;  toI.  2,  pag.  550): 

....  assai  ...  ci  duole 
Cbe  molti  oggi  si  dieno , 
Ch'  esser  potrien  mercanti  veri  e  bnonl 
A  voler  oompagnia  fin  to'  trecconi. 
Ognun  tien  magauini  e  casolari  | 
Ognun  compra  e  rivende , 
Onde  il  poTero  poi  che  troppo  spende 
Bestemmia  il  tempo  la  roba  e'  danari  : 
Però  non  tanti  avari 
Sempre  contro  di  noi,  ee. 

*  Sermone  del  lunedì  dopo  la  seconda  domenica  di  quaresima. 

*  EfUi.  ad  PUon.  de  Arte.poet.,  t.  550  : 

^j4t  baie  anùnos  arugo  et  cura  peculi 

Cam  semel  imbuerU,  tperamut  carmina  fingi 
Poste  linenda  cedro  et  levi  senanda  cupresso? 

»  G.  Villani,  Cron,,  XII,  53  :  «  Nel  detto  anno  4345  del  mese  di  gen- 
naio, fallirono  quelli  della  compagnia  de' Bardi  ec.,  t  e  1.  XI,  88:  «Per  que- 
sta diffalta molto  mancò  la  potenza  e  stato  de' mercanti  dì  Firenze  e  di 

tutto  il  comune,  e  la  mercatanzia  e  ogni  arte  n'abbassò  e  Tenne  in  pessimo 
stato.  «  E  di  naoTO,  lib.  XII,  e.  55:  «  Ma  non  senza  cagione  Tengono  ai  co- 
muni e  a' cittadini  gli  occulti  giudicii  di  Dio  per  punire  i  peccati  commessi.  » 


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DI  BBKHÀKDO  DATANZATI.  XIH 

città,  non  meno  di  Montpellier,  di  Nimes,  di  Marsilia,  di 
Tolosa,^ piena  di  mercanti  fiorentini,  de' quali  è  traccia 
ancora  nel  nome  d'una  via  che  si  appella  de' Guadagni, 
potente  famiglia  che  vi  fece  gran  mercatura/  V'ebbero, 
come  da  per  tutto,  e  console  e  proprie  leggi  e  privilegi  lar- 
ghi dal  re.  Sopra  gli  altri  fioriva  il  banco  degli  Strozzi,  che 
qui^  non  meno  che  in  Roma  e  in  Venezia,  avevano  nu- 
merosa e  potente  compagnia.  E  quando  Filippo,  a  cau- 
sarsi da' sospetti  de' piagnoni,  si  ritirò  colà  per  certo 
tempo,  potè,  armando  i  mercanti  fiorentini,  tener  fermo 
contro  la  città  sommossa  talmente,  che  poco  stette  non 
ne  rimanessero  sterminati.' 

Non  so  quanto  Bernardo  si  trattenesse  in  Lione; 
ma,  certo,  non  lungamente.  Perchè  presto  lo  ritrovo  in 
Firenze  e  nelle  accademie  e  a  continuare  i  suoi  trafiDci, 
mettendo  il  suo  in  accomandite  (come  per  lo  più  face- 
vasi  allora),  le  quali  non  sempre  lo  rallegrarono  di  buoni 
guadagni.  E  lo  rilevo  dall'  autografo  delle  Postille  a  Ta- 
cito, dove  ne  trovo  una,  da  lui  cancellata,  ma  pur  leg- 
gìbile, nella  quale  accenna  manifestamente  a  un  brutto 
giuoco  fattogli  in  una  di  queste  compagnie  mercantili. 
((  Non  so  chi  miei  vicini  (racconta)  presero  da  un  amico 
»  somma  notabile  di  ducati  per  trafiQcare  a  compagnia^ 
»  e  in  capo  a  undici  mesi,  senza  disgrazie  o  danni  del 
»  traffico,  si  fuggirono  con  quarantaquattro  mila;  e 
D  hanno  trovato  aiuti,  favori,  amici  e  modi:  onde  pas- 
o  seggiano  con  le  teste  alte,  e  spendono  allegramente. 

*  A.  Combe  et  6.  CharaTay,  Guide  de  VéWanger  à  Lyon.  Paris,  4847, 

pag.  249.  «  jDan«  la  rne  de  Gnadagne Vimmente  et  magnifique  hotel  de 

Guadagne,  offrant  dee  prieteux  détails  de  tculptwre  gothique  éc.  »  E  in 
nota  aggiunge  :  «  La  fomite  de  GiMdagney  d'origine  /torentine,  avait  aeqwit 
dan$  le  eommerce  une  fortune  eontidérable  et  ^  itait  devenue  prover- 
biale à  Lyon.  Elle  était  aimée  de  Frangoit  J"*,  à  qui  elle  oeott  eouoent 
prète  de  f or  tei  ummee  pour  set  guerree  ruineutet.  t 

s  Lorenzo  Strozzi,  op.  cit.,  pag.  LV. 

I.  b 


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XIV  DBLtA  VITA  B  DELLE  OPBBE 

)»  E  quell'amico  ristorano  col  vociferare  d'averlo  soci- 
»  disfatto  innanzi  agli  altri,  contro  a  ogni  verità.  E  que- 
»  sto  sia  suggel  che  ogn'  uno  sganni.  »  A  basse  insidie 
di  emulo  nelle  cose  del  commercio  accennano  anche  le 
seguenti  parole,  pur  da  lui  cancellate  in  queltb  stesso 
autografo,  ma  non  sì  che  non  possano  leggersi  :  «  Un 
i  valentuomo.... perch' io  rovinassi....cercò,  brigò,  mise 
»  su  molti,  scrisse  a  Venezia,  e  libri  squadernò.  Ma  io 
9  avendo  fatto  col  mio,  e  non  mai  debito,  fui  sempre 
»  Ben  tetragono  ai  colpi  di  ventura.^  »  L'aver  cancellato 
questi  brevi  e  giusti  sfoghi  del  suo  risentimento,  mi  dà 
segno  d'animo  buono,  che  dimentica  o  disprezza  le  offese. 
Sebbene  i  più  nobili  ingegni  non  tenessero  a  vile 
le  industrie  del  guadagno,  né  Giovambatista  Gelli  (l'ape 
attica)  non  isdegnasse  l' arte  del  calzettaio,  anzi  l'amas- 
se :  '  né  al  Grazzini ,  detto  il  Lasca ,  paresse  ignobile  quella 
dello  speziale,  come  non  era  parsa  a  Matteo  Palmieri;* 
pure  il  Davanzati,  o  fosse  pe'  disgusti  accennati,  o  fosse 
che  troppo  gli  piacessero  gli  studi,  non  era  contento 
del  tempo  speso  nelle  brighe  del  banco,  e  sentiva  ri- 
morso d' esser  tanto  occupato  nello  arricchire.  Però  a 
Baccio  Valori,  amicissimo,  dolevasi  con  questi  versi 
pieni  di  severa  mestizia: 

D' orò  non  già,  ma  d' infelice  entoma* 
Son  le  Ola  ondMo  sento  e  caldo  e  gelo, 
fi  molto  il  volto  porto  e  1  fianco  anelo» 
Sì  r  avaro  desio  mi  caccia  e  doma. 

*  Vedi  questa  postilla  riferita  interamente  a  pag.  454. 

'  Gli  amici  avrebbono  volato  toglierlo  a  quell'arte  meeeanìea  e  dargli 
Olio  di  attendere  onicamente  agli  stadi  ;  ma  egli  con  rara  modestia  rìcasò,  e 
volle  vivere  delle  sue  faticbe.  Morì  nel  ^1565,  ed  on  calzettaio ,  che  fu  Michelf 
Capri,  gli  recitò  Porazion  funebre.  Vedi  Salv.  Salvini,  Foit.  cont.  all'anno  A  548. 

'  Nato  nel  4455,  morto  nel  4475.  Fu  discepolo  nel  latino  del  Sozzomeno, 
celebre  cronuta  pistoiese. 

*  entama,  automa,  verme.  Vuole  intendere  del  baco  da  seta.  Vedi  que- 
sto sonetto  nel  voi.  III. 


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M  BERNARDO  DAVANZATI.  XV 

Qui  non  può  lauro  dnger  la  mia  chioma, 
Qui  non  virtù  può  sovralzarme  al  cìaIo: 
Ond'  io  sol  di  me  stesso  mi  querelo, 
E  dico:  0  Baccio  mio,  vedrem  mai  Roma? 

Tuttavia  non  credo  eh'  egli  abbandonasse  mai  la  merca- 
tura. Bensì  die  opera  sempre  più  attesamente  agli  studi , 
ne'  quali  quanto  venisse  in  pregio  può  vedersi  anche  da 
questo,  che  nel  15ii<7  (contava  appena  diciotto  anni) 
l'accademia  fiorentina,  detta  la  grande  e  la  sacra,*  lo 
accolse  tra' suoi.*  Di  che,  quando  più  tardi  prese  in  essa 
il  consolato,  si  mostrò  riconoscente  con  queste  parole: 
tt  Primieramente  (  V  accademia  )  mi  ricevette  nel  suo 
»  seno  nella  mia  più  tenera  giovanezza,  e  mi  die  prima 
D  occasione  e  ardimento  di  correre  questo  pubblico  ar- 
»  ringo  e  con  suo' piccioli  onori,  quasi  madre  lusinghe- 
0  vole  con  dolci  pomi,  più  volte  allora  allettandomi,  mi 
T»  accese  di  se  vagheza.  *  »  Ciò  fu  nel  consolato  di  Sei- , 
vaggio  Ghettini,  succeduto  quell'anno  stesso  al  Giam- 
bullari:  e  dice  il  Salvini,*  che  in  quella  occasione  si  pro- 
dusse con  alcuna  lettura;  ma  non  si  sa  su  qual  soggetto. 
Come  pure  lo  stesso  Salvini  lascia  di  notare  un'  altra 
lettura  fatta  da  Bernardo  tre  anni  dopo,  allorché  fu  de- 
putato (conforme  usa  vasi,  allorché  gli  ufficiali  dell'ac- 
cademia uscivano  di  carica)  a  presentare  la  tazza  d' ar- 
gento al  consolo  Fabio  Segni,  e  l' anello  d'oro  ai  censori 


'  «  Da' grandi  nomini  che  yì  creò  e  allevò,  e  da' grandi  sindi  che  di  quelli 
si  conobbero ,  non  inginstamenfe  accademia  grande  fa  appellata.  »  Scip.  Bar- 
gagC,  Orazione  in  lode  deiVÀeead.  —  «  Fu  detta  la  tacra,  cioè  la  maggiore 
e  la  solenne.  »  SaWini,  Faet.  eont.  pref.  pag.  xxv. 

>  Vedi  FoiH  consolari  sotto  l' anno  4547.  Qui  trovasi  per  la  prima  volta 
ricordato  il  Davanzati  j  e  sebbene  non  dicasi  espressamente,  pure,  avuto  ri- 
guardo all'  età  sua  giòTanile ,  non  credo  di  errare  affermando,  che  questo  do- 
vetf  essere  Fanno  del  suo  ricevimento  nell'accademia. 

'  Orazione  nel  prendere  il  Consolato. 

*  Fatti  eontolari. 


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XVI  DELLA  VITA  B  UBILE  OPEBB 

Benedetto  Varchi  e  Francesco  d'  Ambra.  ^  Imperocché 
qui  fece  Bernardo  (dicono  gii  Atti)  una  grata,  accorta 
e  molto  graziosa  orazione.^  La  quale  ceremonia  porse 
al  Lasca  (imbroucito  allora  coli' accademia,  da  cui  per 
sue  dicacità  era  stato  rimosso')  occasione  di  motteggio 
in  questi  versi,  nei  quali  almeno  il  nostro  Bernardo  fa 
gentile  comparsa: 

Quel  garzonetto  non  ba  'n  corpo  fiele  : 
Poi  fa  sì  belle  e  sì  dotte  orazioni. 
Che  chi  noD  Tama  è  ben  goffo  e  crudele. 

Calate  ornai  le  vele, 
0  tutti  voi  dal  maggiore  al  mioore, 
Che  siete  dolci  e  di  mezzo  sapore. 

E  se  bramate  onore, 
Fate  neir  accademia  soprattutto 
Favellar  sempre  e  legger  quel  bei  putto.* 

E  aria  di  putto  dovea  dare  tuttavia  a  Bernardo  la  pie- 
cìola  e  pienotta  statura  e  lo  spirito  vivace. 

L'accademie,  divenute  cosa  di  stato, cominciarono 
a  perdere  molto  tempo  in  queste  gare  e  baie  e  forme 
cortigiane.  Dianzi  erano  brigate  d' amici  che  raccogUe- 
vansi  alla  buona  in  private  paréti  ad  accomunare  e  fe- 
condare liberamente  i  loro  studi,  non  senza  il  condì- 
mento  di  schiette  e  casalinghe  ricreazioni,  come^volea 
lo  spirito  fiorentino.  Tal  fu  quella  dotta  brigata  dei  Pla- 
tonici ,  donde  sorsero  in  Italia  i  primi  albori  della  rin- 
novata filosofia:  tale  quella  degli  Orti  Oricellarì,  dove 
il  Machiavelli  leggeva  le  sue  Storie.  Talvolta  sotto  quelle 
erudizioni  ferveva  nobile  spirito  cittadino,  mirante  a  ser- 
bare inviolati,  contro  ogni  ambizioso  attentato,  gli  or- 

*  Elegante  scrittore  dì  commedie. 

s  Di  questo  fatto,  taciuto  dal  Salvini,  fa  menzione  il  Biscioni  nelle  noto 
alle  Rime  del  Lasca.  Firenze,  MoOke,  4741 ,  voi.  4,  pag.  554,  552. 
'  Biscioni,  Vita  del  Lasca  premessa  alle  Rime. 

•  Lasca,  Rime,  voi.  4,  pag.  443. 


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DI  BBKNAKDO  DAVANZATI.  XVII 

dini  antichi  deUa  patria  ;  come  yidesi  in  quella  compa- 
gnia di  giovani,  che  mentre  attendevano  a  curare  il 
testo  del  Boccaccio,  onde  uscì  poi  la  celebre  edizione 
del  1527,  si  consigliavano  come  sbrattare  Ippolito  e  Ales- 
sandro, minaccianti  la  repubblica;  e  che,  venuta  poi  la 
dura  e  infelice  prova  dell'  assedio,  tutti  vollero  lasciare 
anzi  la  vita  che  l'armi.  Quella  rovina  del  1530  in- 
terruppe ed  infranse  tutti  questi  studi  nobilissimi.  Rap- 
piccaronsi  poi ,  ma  per  pigliar  presto  ben  altro  aspetto. 
£  chi  un  dieci  anni  dopo  fosse  passato  per  via  San 
Gallo,  ognuno  avria  potuto  indicargli  la  modesta  abi- 
tazione di  Giuseppe  Mazzuoli,  cittadino  (a  sentir  lui) 
senza  istato,  soldato  senza  condizione,  profeta  come 
Cassandra.^  Ma  la  fama  il  diceva  ottimo  vecchio  e  sol- 
lazzevole, pieno  di  buone  lettere  come  di  valor  militare, 
provatt)  nelle  Bande  nere,  amico  de'  giovani  studiosi  e 
valenti,  che  col  nome  di  Umidi,  facevano  in  casa  sua 
eruditi  e  allegri  convegni,  appellati  da  loro  le  toma- 
ielle.^  Tutti  lo  amavano  e  gli  erano  intorno  con  mille 
baie,  e  lo  chiamavano  il  Padre  Stradino  (era  nato  nel 
castello  di  Strada),  senza  contare  cento  pazzi  nomi  che 
gli  aveano  dato;  come  il  Consagrata,  il  Bacheca,  il 
Crocchia,  il  Pagamorta^  Pandragone,  Cronaca  scorretta, 
e  va  pur  là.'  Proponevansi  sopra  tutto  lo  studio  della  lin- 

'  Vedi  Biscioni,  note  alle  Rime  del  Lasca  ;  voi.  I,  pag.  292  :  e  il  Codice 
Magliabechiano,  ci.  IX,  42,  di  cni  nella  nota  seguente. 

^  Vedi  V  opera  intitolata  :  Notizie  letterarie  ed  istoriehe  intorno  agli 
uomini  illustri  dell*  Accademia  Fiorentina.  Firenze  ^1700.  Fa  compilata  da 
Iacopo  Rilli,  e  solamente  la  prima  parte  yenne  alla  luce.  La  seconda  è  ms. 
nella  Magliabechiana,  ci.  IX,  42. 

'  Tutte  invenzioni  di  quel  cerve!  bislacco  del  Lasca,  cbe  ben  dipinse  il 
suo  pazzo  ingegno  poetico  in  questi  versi:  (Son.  84,  voi.  A.) 

Le  Mase  spigoUstre  •  coUfesse 

M' ispirano  e  consigliali  tuttavia 

Cb«  compor  debba  e  far  madrigalesse, 
Con  dir  die  questa  è  la  Tentare  mia: 

Ond'lo  Tersacci  e  rimaece  scommesse 

M'aggiro  sempre  per  la  fant«6i«. 

6' 


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XYin  DELLA  VITA  E  DBLLB  OPEHE 

gua,  che,  in  (ante  rovine  della  patria,  volevano  almeno 
serbare  intemerata  e  promuoverne  lo  splendore.  Ma  non 
s' accorsero  che  la  lingua  segue  sempre  le  condizioni  ci- 
vili del  popolo,  e  che  dove  queste  volgono  in  basso,  è 
vano  far  pigliare  a  quella  contrario  movimento.  Che  cosa 
fecero  in  Roma  i  molti  grammatici  nell'età  di  Tiberio? 
Nondimeno  reca  diletto  a  sentire  da  quei  giovani,  che 
a  ancorché  fussino  la  maggior  parte  di  essi  in  esercizi 
»  mercantili  occupati,  pure  si  promettevano  tanta  gra- 
»  zia  dalle  stelle  e  dalla  natura,  che  bastava  lor  l' animo 
»  a  render  conto  de'  casi  loro  in  simil  professione.  *  » 
L'occhio  grifagno  di  Cosimo  vide  subito  che  questi 
Umidi  andavano  protetti.  Detto  fatto.  Si  cominciò  a  dar 
loro  il  nome  più  lauto  di  Accademia  fiorentina;  si  det- 
tarono nuove  leggi;  segnaronsi  larghi  privilegi:  le  po- 
vere tornatene,  nel  palagio  ducale  si  fecero  illustri:  il 
luogotenente  diventò  consolo  e  capo  dello  studio  fioren- 
tino, con  prebenda,  e  perfino  con  privilegio  del  foro.* 
Quanto  il  buon  Padre  Stradino  si  rammaricasse  di  que- 
ste subite  grandigie  della  sua  insignorita  figliuola,  può 
vedersi  nelle  rime  del  Lasca,  che  senza  pietà  solca  met- 

'  Proemio  agli  Statati  dell'  Accademia. 

'  Nella  deliberazione  de' 25  febbraio  4544  si  dice  che  il  duca:  «  Con- 
siderando.,, ed.  e  desiderando  c^  i  fedelittimi  twn  popoli  ancor  ti  fac- 
ciano piò  ricchi  e  ti  onorino  di  quel  bwmo  e  hello  che  Iddio  ottimo  nuu- 
timo  ha  dato  loro,  cioè  V eccellenza  della  propria  lingua  ec...  acciocché  i 
virtuoti  ec...  nella  tua  felicittima  accademia  fiorentina  ec...  postano  piit 
ardentemente  seguitare  i  dotti  loro  esercizi,  interpetrando,  componendOf 
e  da  ogni  altra  lingua  ogni  bella  scienza  in  questa  nostra  riducendo  ec... 
delibera  che  l'autorità  onore  e  privilegi^  gradi  salario  ed  emolumenti  ed 
ogni  e  tutto  che  ha  conseguito  e  si  appartiene  al  Rettore  dello  Studio  di 
FirenzCy  da  ora  innanzi  si  appartenga  e  sia  pienamente  del  magnifico  ' 
consolo  della  già  detta  Accademia  Fiorentina.  »  lì  consolo  poi  ha  un  suo 
tribunale,  e  in  yigore  degli  statuti  e  di  antichissima  consuetudine  esercita  la 
sua  autorità  e  giurisdizione  sulle  cause  e  persone  a  lui  sottoposte,  cioè  dot- 
tori, scolari,  librai,  professori,  acrittori,  e  rende  ragione  cuniulativamente  co- 
gli altri  tribunali  della  città.  Interviene  al  consiglio  da'  Dugento  e  nelle  altre 
pubbliche  comparse  ec.  Vedi  V  opera  citata,  Notizie  ec. 


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M  BEKNAKIK)  DAVAHZATI.  XII 

tere  in  giaoco  il  suo  dolore/  Basta  dire  che  non  ebbe 
più  bene.  Avea  conosciuto  l' umor  di  Cosimo,  che  tutto ^ 
fino  a  questi  innocenti  trattenimenti,  volea  tirare  a  se. 
Ed  invero  non  vi  fu  ordine  antico  eh'  egli  non  distrug* 
gesso,  sotto  apparenza  di  volerlo  conservare.  Da  prima 
lasciò  i  magistrati,  salvando  per  se  la  potestà:  ma  poco 
stette  che  anco  quelli  trasse  in  sua  mano.*  ^*  11  nostro 
Bernardo,  studiando  in  quei  giorni  in  Tacito,  e  notando 
quel  luoghi  più  robusti,  che  il  presente  stato  di  cose 
rendeva  più  fecondi  di  medilazione,  giunto  alle  prime 
pagine  della  Vita  d'Agricola,  segnava  queste  parole:  Ser- 
vitutis  mala  commemorai;  vide  et  nota:  poi  di  contro 
lasciava  questo  ricordo:  «  A  noi  la  campana  del  censi- 
T»  glio  fu  levata,  acciò  che  non  potessimo  sentir  più  il 
»  dolce  suono  della  libertà.*  » 

In  età  di  trentasette  anni  volle  accasarsi:  e  poiché  nel 
suo  Plutarco  avea  notàio^  ceqtuilem  Ubi  uxorem  inquire, 
che,  al  modo  suo  brusco,  tradusse  nel  margine,  moglie 
PARI;  *  la  cercò  di  nobile  sangue,  e  fu  Francesca  di  Carlo 
Federighi,  donna  (come  può  giudicarsi  da  una  carta  di 
sua  mano  ')  certamente  non  letterata  (che  qui  la  parità 
sariasi  volta  in  iscandalo),  ma  attenta  alle  cose  dome- 
stiche e  amorevole.  N'  ebbe  più  figliuoli  ;  tra'  quali  un 
Giuliano,  umor  bizzarro,  dandogli  che  fare  assai,  dovè 
levartosi  di  Firenze.*  Una  figliuola  alluogò  nel  mona- 

*  FÌDgeya  che  Io  Stradino  fosie  stato  à*  accordo^  e  in  persona  d' un  Cami- 
llo si  duole  con  lai  in  nn  sonetto,  che  gli  fece  stizza  grandissima  come  rile- 
vasi da  nna  nota  posta  dallo  Stradino  stesso  sotto  ^ei. versi.  Vedi  il  Biscioni 
nelle  note  alle  Rime  dal  Lasca  ;  voi.  I,  pag.  295. 

s  Vedi  Gallozzi,  Storia  del  Grand^kcato  ee. 
'  Zibaldone  ms.,  presso  il  Bigazzi. 

*  Opuscoli  di  Plutarco  con  postille  mss.,  presso  il  Bigazzi. 

5  Zibaldone  ms.,  presso  il  Bigazzi. 

6  Vedi  nel  voi.  IH  le  Lettere.  Dì  questo  Giuliano  trovaosi  raccontati  alcuni 
aneddoti  e  motti  spiritosi  nelle  schede  manoscritte  di  Girolamo  Da  Sommaia  j  cod. 
Magliab.,  ci.  Vili,  n.  80,  81,  voi.  II,  car.  50.  Chi  sa  che  questo  figlio  sven- 
tata non  facesse  scrivere  a  Bernardo  la  post.  4  a  pag.  5  nel  primo  degli  Annali. 


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»  DELLA  VITA  B  DKLLB  OPIRB 

Stero  di  santa  Marta  a Mootaghi,  forse  per  affetto  alla  me- 
moria dell'  avo  suo  che  ne  fu  fondatore/  Colla  moglie 
visse  in  tanta  concordia  e  amore  che  (attesta  il  Rondi- 
nelli*)  a  morendo  disse  molte  voUe^  niente  più  dolergli 
»  di  lasciare,  quanto  la  sua  cara  consorte,  con  la  quale 
»  era  stato  quarant'  anni.  »  Di  che  si  rimuove  ogni  so- 
spetto che  a  lei  toccasse  la  6era  postilla  contro  la  mo- 
glie ((  strebbiatrice,  borbottona,  salamistra  e  gelosa,  »  che 
leggesi'a  principio  degli  Annali  di  Tacito.' 

Il  citato  scrittore  afferma  pure  che  esercitò  pruden- 
temente i  magistrati,  e  che  il  parer  suo  era  stimatissi- 
mo; «perchè  col  buon  giudìcio  dava  nel  segno,  e  con 
»  parole  brevi  e  significanti  rappresentava  ottimamente 
»  il  suo  concetto.  »  Ciò  stesso  ripetono  gli  altri  biografi 
seguaci  del  Rondinelli.  Ma  questo  non  par  vero.  Peroc- 
ché s'egli  fosse  stato  o  del  consiglio  de'dugento,  o  de' qua- 
rantotto, ossivvero  dei  quattro  che  stavano  a  rappresen- 
tare vanamente  P  antica  signoria;  ne  sarebbe  memoria 
ne' pubblici  archivi:  e  questa  non  si  trova/  Oltreché 
Bernardo,  come  figliuolo  di  ribelle,  aveva  una  macchia 
d' origine,  che  escludevalo  da  ogni  pubblico  ufficio:  es- 
sendo Cosimo  solito  far  portare  ai  figli  V  odio  dei  padri, 
anche  innanzi  che  venisse  fuori  V  infame  legge  polveri- 
na.' Io  non  trovo  che  Bernardo  esercitasse  altre  magi- 


*  Vedi  V  Àlbero  e  le  note. 
'  Ritratto  del  Davanzali. 

>  Pag.  4  di  questo  voi.,  postilla  8. 

*  Il  signor  avr.  Luigi  Passerini,  a  cui  son  tenuto  di  molte  notizie, 
mi  scrìveva  su  questo  proposito  :  «  In  quanto  a  m.  Bernardo  e  a  cariche  da 
lui  iottenute^  nulla  eiiite  m^ nostri  Archivi;  non  a/vendo  mancato  di  fare  le» 
piÌAfi^iwuU  indagini.  • 

1^  Fu  fatta  il  dì  xi  marzo  4S48,  e  stampata  in  Firenze  da  Filippo  Giunti 
nel  4574  ,  e  di  nuovo  tra'  documenti  della  Cronaca  delPUghi  pubblicata  con 
erudite  ed  accorte  illustrazioni  neW Appendice  A^V Archivio  Storico,  n.  25, 
dal  p.  Francesco  Frediani  m.  o.  Questa  legge  che  «  valte  a  distruggere  ogni 
libertà,  e  dirò  anche  ogni  prosperità  in  Toscana,  »  prese  il  nome  dal  suo 


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DI  BEKNABDO  DATAMZATI.  IXI 

strature  che  accademiche.  Infatti  sostenne  più  volte  il 
grado  or  di  consigliere  or  di  censore  nell'accademia  fio* 
rentina;^  e  V  anno  1575  fu  creato  consolo;  volendo  T ac- 
cademia (come  pensa  il  Salvini)  onorare  in  lui  gli  studi 
della  scienza  economica,'  si  necessaria  agli  stati,  e  che 
allora  cominciava  appena  a  germogliare.  «  Anche  quei 
»  virtuosi  (dice  lo  storico  dell'accademia)  che  ehbero 
»  in  questo  seggio  la  carica  di  suoi  consiglieri,  furono 
»  a  lui  somiglianti,  non  meno  nell'intelligenza  delle 
D  private  che  delle  pubbliche  faccende,  quali  erano  la- 
]>  capo  Pitti'  e  Giovanbatista  Adriani,  col  censor  loro 
»  Filippo  Sassetti,  gentiluomo,  non  solo  nella  nobile 
9  mercatura  e  nei  lucrosi  e  splendidi  traffichi  assai  ver-- 
»  sato,  ma  nella  cognizione  della  storia  e  della  geografia, 
»  come  erudito  viaggiatore.^»  Disse*in  questa  occasione 
il  Davanzati  parche  e  savie  parole,  rivolte  a  bene  indiriz- 
zare gli  studi  accademici:  tra  le  quali  non  so  se  suonino 
elogio  0  rimprovero  queste,  riguardo  a  Cosimo:  «  Fu 
))  ella  (l'accademia)  per  voi  principalmente  ordinata  da 
Y>  quel  sapientissimo  che  considerò  la  condizione  de'tempi 
T»  poca  altra  opportunitade  e  luogo  prestarvi  da  potere 
)>  la  sapienza  de' vostri  petti  e  la  dottrina  e  l'eloquenza 

promotore  Iacopo  Polverini  pratese ,  cittadino  fiorentino ,  auditor  fiscale ,  offi- 
àale  delle  Rifonnagioni ,  auditor  militare  e  segretario  della  Pratica  segreta. 
Vedi  le  note  ai  documenti  della  detta  Cronaca. 

*  Nel  consolato  di  Antonio  Albizzi  (4574)  fa  consigliere  con  Pietro  Go- 
Tonì:  in  quello  di  Iacopo  Dani  (4597)  fu  con  Gio.  Ant.  Popoleschi:  alP  istessa 
earìca  fu  chiamato  nel  4584  con  Francesco  Bonciani  sotto  il  cons.  di  Fr.  Mai^ 
telli;  e  nel  4602,  parimente  col  Popoleschi,  nel  oons.  di  Alessandro  Sertini.  Nel 
c<Mi8olato  del  Martelli  PAccademia  fiorentina  fu  dal  granduca  Franceseo  tra* 
sferita  nel  pubblico  Studio ,  e  nella  facciata  furono  scolpiti  i  nomi  dì  coloro  che 
aUora  teneyano  il  seggio  ;  tra'  quali  leggesi  anche  quello  del  Daranzati.  Vedi 
SalTÌnì,  Fatti  eont.,  pagg.  24 9,  537  ee. 

s  FmH  eont.,  pag.  422. 

*  V  autore  delle  Storie  fiorentine  pubblicate  la  prima  Tolta  nel  toI.  I  del- 
VAreh4vÌo  Star.  Italiano. 

«  Op.  a.,  225. 


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XXII  DELLA  Vrrà  B  DXLLB  OPKSR 

0  diffondere./»  Sebbene  distratto  dai  negozi  domestici, 
si  adoperò  che  il  sao  consolato  fiorisse  di  ottime  letture, 
volgendosi  a' migliori.*  Per  lo  più  esse  versavano,  con 
più  pompa  d'ordinario  cke  utile,  sopra  larghe  inter- 
pretazioni de*  classici  nostri.  Toglievasi  un  sonetto  o  una 
canzone  del  Petrarca  o  di  Gino,  od  anche  di  qualche  ac- 
cademico, e  qui  si  concionava  con  eterni  vaniloquii.  Il 
Davanzati  pel  contrario  prese  quasi  sempre  argomenti 
di  pubblica  utilità,  trattandogli  senza  frasche,  e  senza 
(per  usare  una  sua  bella  frase)  iscavessar  la  rettorica 
per  troppo  volerne.^  Solo  una  volta  vedo  che  prese  a  co- 
mentare  la  canzone  del  Petrarca,  Italia  mia  ec:  *  e  tale 
scelta  mi  fa  credere  eh'  e'  non  dicesse  cose  né  accade- 
miche né  vane.  Altre  volte  egli  lesse;  ma  se  ne  ignora 
il  soggetto,  né  tra'  molti  manoscritti  di  quegli  accade- 
mici, sparsi  per  le  biblioteche,  m'é  avvenuto  di  tro- 
varne alcuno  de'  suoi. 

Intanto  un'  altra  accademia  era  sorta  nel  1568,  per 
opera  specialmente  di  Tommaso  del  Nero,*  il  quale  rac- 
colse in  sua  casa  molti  giovani  ingegnosi,  che  dettero 
origine  all'  accademia  degli  Alterati,  ordinata  essa  pure 
agli  studi  della  lingua,  e  che  più  tardi,  cioè  nel  1582^ 
offerse  il  modello  all'  accademia  della  Crusca.^  Ed  anche 

'  Orazione  nel  prendere  il  consolaio. 

s  Vedi  nel  voi.  Ili  la  lettera  a  Lnigi  Alamanni. 

»  Tacito,  in».,  111,65. 

*  Ciò  fa  Fa.  >lo55,  nel  consolato  di  Antonio  Alberti.  Fasti  eontolaH, 
pag.  -1^4.  Vedi  altre  sue  Iettare  ricordate  a  pagg.  7-1,  88,  >I04,  446. 

S  1147  febbraio  4568  «  ad  oggetto  di  esercitarti  privatamente  negli 
studi  pia  belli y  s'unirono  nella  loro  pia  fiorita  età,  pieni  di  bel  fervore 
e  ealdi  di  (morato  desiderio  di  gloria,  dei  genHlwmini,  che  furono  Giulio 
del  Bene....  Tommaso  del  Nero,  il  con.  Renato  de  Pazzi....  e  diedero 
principio  all'Accademia  degli  Alterali,  nella  quale  alzarono  per  impresa 
un  tino  pieno  d'iuve  col  motto  Quid  non  designàt.  »  (Salvini,  Fasti  cons. , 
pag.  205.)  Agostino  del  Nero,  figlio  di  Tommaso,  fa  istitutore  dell'  accademia 
dei  Desiosi. 

'  Vedi  Collezione  d' Opuscoli  scenlifici  e  letterari  ee.  Firenze,  nella 


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DI  BERNARDO  DAVANZATI.  XXm 

in  quella  fu  accolto  11  DayanEatì.  Ognuno  degli  accademi- 
ci, pel  vezzo  che  allora  correva,  ribattezzavasi  con  qual- 
che strano  nome,  e  ìnventavasi  un'arme  e  un  motto, 
che  chiamavano  impresa,  a  Sogliono  (diceva  il  Nostro) 
))  le  modeste  imprese  sotto  una  scorza  umile  d' alcuna 
)>  proprietà  di  colui  che  la  piglia,  una  midolla  gentile 
i>  d' alcuna  sua  virtù  o  fortuna,  con  ingegno  accenna* 
D  re/»  Però  seguendo  suo  concetto  e  natura,  egli  si 
chiamò  il  silente,  e  tolse  per  insegna  un  cerchio  da 
botte  colle  parole  strictius  arctius,  a  significare  che 
il  discorso,  come  volea  Licurgo,  deve  in  brevi  e  sem- 
plici detti  contenere  grande  e  abbondante  sentenza,*  e 
che  quasi  avrebbe  desiderato  farsi  intendere  senza  par- 
lare. Uomo  com'  egli  era  d' operazione  e  di  semplici 
modi,  mirava  sempre  al  principale  intento,  e  se  potea 
giugnervi  pe'  tragetti,  certo  e'  non  pigliava  la  via  regia; 
perchè  la  vita  è  breve,  ed  è  troppo  vero  V  adagio,  che 
le  parole  non  s' infilzano.  Cercando  tra  le  sue  carte  do- 
v'  egli  registrava  le  più  elette  sentenze  de'  buoni  anti- 
chi, vedo  eh'  egli  aveva  notato  queste  di  Plutarco  :  Con- 
cisa Grado  rem  assequitur  et  mentem  ferii;  o  afferra  il 
»  punto,  e  picca:»  cosi  egli.'  Ed  invero  le  idee  che  me- 
glio feriscono  la  mente  sono  quelle  che  le  si  presentano 
con  nulla  più  del  loro  segno  proprio:  ogni  soperchio, 

stamperia  dì  Borgo  Ognissanti,  voi.  VI,  pag.  27;  ove  leggeù  sa  qnesto  propo- 
sito un  discorso  di  Luigi  Clasio.  Tra  V  altre  cose  egli  dice  :  «  Non  pnò  negarsi 
»  che  rAccademia  degli  Alterati  fosse  nn  Liceo,  in  coi  molta  gioventù  nobile  di 
.t  Firenze  s' istruiva  nella  virtù  e  nella  dottrina.  » 

*  Vedi  V  Orazione  in  genere  deliberativo  iopra  i  Provveditori.  Cosi  il 
Sassetti  chiamossi  V  Àtsetato;  Scipione  Ammirato  il  Trae  formato ,  alludendo 
all'  Accademia  de' Trasformati  da  lui  fondata  in  Lecce;  Tommaso  Del  Nero  lo 
Sconcio,  coUa  bellissima  impresa  d'inui  vile  potata  col  motto  E  nel  tardar 
«*  oeamsa.  Vedi  il  codice  magliabechìano,  classe  IX,  n.  434. 

*  Plutarco  t»  Licurgo,  cap.  46. 

'  Zibaldone  ms.,  presso  it  Bigazxi.  Il  passo  di  Plutarco  è  nel  luogo  citato 
della  Vita  di  Licwrgo. 


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XXIT  DELLA  VITA  B  DELLE  OPERE 

quanto  più  bello  è  in  se,  tanto  più  togliendo  di  atten- 
zione air  idea,  fa  si  eh'  ella  passi  o  incompresa  o  fran- 
tesa  0  lenta  troppo,  con  noia  e  dispetto  di  chi  ha  sete  di 
lei.  Però  egli  avrebbe  voluto  strignere  nel  suo  cerchietto 
molti  buoni,  ma  troppo  spanti  libri,  e  cavarne  una  quasi 
stillata  sostanza,  che  con  più  risparmio  di  tempo  nu- 
trisse meglio  la  mente.  E  d'alcuni  lo  fece,  come  vedre^ 
mo:  e  d'altri,  come  dei  Discorsi  di  Vincenzio  Borghini, 
r  avrebbe  fatto,  se  il  tempo  e  la  voglia  non  gli  fosser 
venuti  meno.* 

Tenne  tra  gli  Alterati  il  grado  di  reggente  (che  cosi 
appellavasi  il  capo  dell'accademia),  e  fu  il  decimo,  suc- 
cedendo al  cavalier  Vincenzio  Acciainoli,  detto  il  Trava- 
gliato,' a  cui  fece  la  festevole  accusa,  com'era  richie- 
sto dal  bizzarro  uso  accademico.  Lessevi  discorsi  or  gravi 
or  faceti,  e  sempre  ripieni  di  ottima  dottrina  e  di  forme 
elettissime.  Ma  ben  di  rado  facea  grazia  della  sua  voce, 
si  perchè  era  lento  a  scrivere  (come  tutti  quegli  che 
amano  l' arte  e  che  meditano  molto),  e  sì  ancora  per- 
chè i  suoi  negozi  non  lo  lasciavano  scioperarsi  troppo 
in  cosi  fatte  esercitazioni,  adi  uomini,  diceva,  in  questo 
)>  mondo  son  molto  vari  d' ingegno;  chi  l' ha  fatto  in  un 
))  modo,  e  chi  in  un  altro.  Io  vi  confesso,  che  '1  mio  è 
)>  schizzinoso,  fantastico  e  molto  strano.  Di  nulla  ch'io 
))  faccia,  mai  non  si  contenta,  e  tanto  m' affatica,  che 
»  nuoce  a  mia  sanitade:  la  quale  e  l' etade  e  la  famiglia 
»  e  le  necessarie  cure  molto  mi  ammoniscon  di  guarda- 
»  re:  però  non  posso  studiare,  né  durar  queste  fatiche 
»  accademiche,  né  trovarmi  con  voi  se  non  dirado.'» 
Però  non  vedo  eh'  egli  s' inframmettesse  nelle  qui- 

*■  Lo  affenna  Giuseppe  Pelli  nell'  elogio  che  scrisse  del  Davanxati  j  stam- 
pato nella  Raccolta  d'elogi  d' uomini  ilhutri  Uucani,  tom.  HI,  pag.  290- 
304.  Lucca  4770. 

9  Vedi  VÀccuta  data  dal  Silente  al  Travagliato, 

'  Vedi  VAccuta  ec.  in  fine. 


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DI  BEBNABDO  DAVANZATI.  XIV 

slioni  e  fazioni  accademiche,  delle  quali  dae  sopra  tatto 
fecero  allora  assai  romore.  Nacque  una  neir  accademia 
fiorentina  e  fu  suscitata  dal  GiambuUari,  il  quale,  dotto 
nelle  lingue  orientali,  volendo  troppo  inalzare  la  nobiltà 
della  propria,  la  faceva  discendere  dall'  ebrea  o  caldea 
0  altra  parlata  nella  regione  d'Aram,  con  qualche  mi- 
schianza  di  latino  e  di  teutonico,  per  cagione  delle  do- 
minazioni romane  e  germaniche.  Fondavasi  sul  passag- 
gio di  genti  caldee  nelP  Etruri^i,  attestato  da  Sanconia- 
tone  e  Beroso;  sv  varie  etimologie  e  sull'aspirazione 
o  gorgia  de'Fiorentini,  ignota,  dagli  Spagnoli  in  fuori,  a 
ogni  altro  popolo  d' Italia  e  d' Europa.  Ma  se  questo  ar- 
gomento tenesse,  gl'inglesi  (ben  osserva  il  Foscolo) 
dovrebbonsi  dire  d' origine  greca,  perchè  il  greco  theta 
hanno  nella  loro  pronunzia.^  Nondimeno  il  GiambuUari 
trovò  seguaci,  e  formossi  nell'  accademia  la  fazione  de- 
gli Arameiy  sì  malmenata  e  confitta  da'  versi  mottegge- 
voli  del  Lasca."  —  L' altra  quislione  fu,  più  che  accade- 
mica, nazionale,  e  di  tal  peso,  che  infino  al  Monti  non 
se  ne  tacque,  e  appena  se  ne  tace  ora  per  fastidio.  E  fu 
questa,  che  dall'avere  i  Fiorentini  nel  loro  dialetto 
maggior  copia  della  lingua  comune  d'Italia,  essendo 
sorti  a  pretendere  che  questa  s' avesse  a  dire  fiorentina 
e  non  italiana,  e  che  a  bene  scrivere  bisognasse  esser 
nati  in  Firenze  o  almeno  aver  bevuto  all'Arno;  ne  sen- 
tirono dispetto  le  altre  Provincie,  che,  a  confessione 
dei  Fiorentini  stessi,  poteano  vantare  scrittori  purgatis- 
sìmi,  come  il  Bembo,  l'Ariosto,  lo  Sperone,  il  Tasso  e 
più  altri.  Onde  venuto  a  Firenze  in  questo  tempo  Gero- 
nimo Muzio  giustinopolitano,  non  men  valente  in  gram- 

*  Discorso  I  sulla  lingua,  pagg.  'I56-'I37,  «dizione  di  questa  Biblioteca. 

'  Biscioni ,  Vita  del  Laica.  Le  satire  contro  gli  Arameì  furono  cagione 
che  il  Gra2zinì  fa  cacciato  delP Accademia,  nella  qaale  non  fu  riammesso  se 
non  nel  4566. 


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XXTI  DELLA  VITA  E  DELLE  OPERE 

malica,  che  dotto  ed  elegante  scrittore  di  controversie 
religiose,  e  dettosi  colà,  «  non  poter  egli,  per  esser  fo- 
»  restiere,  scriver  bene  e  lodatamente  nell'idioma  fio- 
]>  rentino'/  »  egli  rispose  molto  a  proposito,  che 

non  i  fiumi  Toschi 

Ma  '1  ciel,  l' arte,  Io  studio  e  '1  santo  amore 
Dan  spirto  e  vita  ai  nomi  ed  alle  carte.' 

Quindi  le  dispute  acerbe  e  i  rinfacciamenti  scambievoli, 
qua  dei  riboboli  e  delle  fiorentinerie,  là  dei  barbarismi 
e  delle  goffezze:  quindi  quel  libro  delle  Battaglie^  dove 
il  Varchi  è  sì  malmenato,  e  il  Machiavelli  detto  scrittore 
poco  meno  che  goffo  e  senza  grammatica  :  '  quindi,  final- 
mente, quelle  sdegnose  parole  del  Nostro  contro  «  quel 
»  Muzio  che  venne  di  Capo  d' Istria  in  Firenze  a  parlare 
»  e  scrivere  di  questa  patria  villanamente,  e  insegnarci 
D  favellare  con  la  sferza  in  mano  di  quelle  sue  pedante- 
»  sche  Battaglie/  » 

Non  per  questo  il  Davanzati  entrò  mai  direttamente 
nel  campo  delle  contese;  che  troppo  stimava  il  tempo, 
e  odiava  il  cicaleccio  pettegolo  della  gente  oziosamente 
letterata.  Sol  contentossi,  allorché  qualche  più  vispa  fio- 
rentineria cadevagli  nel  suo  Tacito,  dire  sogghignando: 
a  Ma  zitti  che  il  Muzio  ci  grida.  »  — E  per  vero,  egli  non 
avea  mestieri  d' apprendere  le  proprietà  della  lingua  dal 
battagliero  di  Capo  d' Istria;  il  quale,  se  fu  pulito  e  terso, 
non  ebbe  peraltro  spiriti  e  nervi,  e  gli  mancò  quella 

<  Varchi  presso  il  Muzio,  Battaglie,  car.  55,  edizione  ài  Vinegia,  4582. 

'  Vedi  il  sonetto  del  Muzio,  a  car.  55  verta  delle  Battaglie. 

>  Vedi  la  lettera  a  M.  Gabriello  Cetano  e  a  M.  Bartolomeo  Caval- 
canti, premessa  alle  Battaglie. 

*  Vedi  la  Postilla  a  pag.  50  di  quésto  Tolume.  L'intero  titolo  dell'Opera 
è  il  seguente  :  Battaglie  di  Hieronimo  Jfulto  Giustinopolitano  per  difeta 
delV  Italica  lingua,  con  alcune  lettere  ee.,  con  un  trattato  intitolato  la 
VaréMna  ec.,  et  akune  bellittime  annotaxioni  topra  U  Petrarca.  In  Vi- 
negiay  appretto  Pietro  Dutinelli,  4582. 


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DI  BERNARDO  DAVANZATI.  XXVII 

gran  virtù  del  parlare,  che  pone  innanzi  agli  occhi,  e 
nella  quale  il  Nostro  non  ha  pari.^ 

La  qual  virtù  egli  ebbe,  parte  da  felice  disposìzion 
di  natura,  parte  dall'  essere  uomo  di  fatti,  e  sopra  tutto 
poi  dal  profondo  studio  eh'  e'  pose  in  Dante  e  in  Orazio, 
unici  maestri  dello  scolpire  i  pensieri.  Oltre  que'due 
sommi,  a  stimò  assai  Virgilio  ;  e  volendo  lodare  la  dol- 
»  cozza  e  soavità  dello  stile,  accompagnata  con  la  gra- 
»  vita  e  maestà,  che  per  tutto  si  ritrova  ugualmente  in 
»  esso,  diceva  che  sempre  quel  signor  deir  altissimo 
»  canto  sonava  la  campana  grossa;  quasi  che  egli  si 
))  facesse  sentire  più  degli  altri,  o,  come  il  basso  nella 
»  musica,  reggesse  il  coro  di  tutti  gli  altri  poeti.*»  Cercò 
con  amore  la  efiicace  semplicità  nei  nostri  scrittori  del 
trecento,  e  amò  di  raccogliere  molti  codici  di  quel  se- 
colo, tra' quali  n'ebbe  carissimo  uno  delie  Cronache  del 
Villani;  cui  avendo  stimato  or  sempre  come  gemma  di 
»  sommo  valore,  per  tale  la  lasciò  agli  eredi  nella  sua 
)i  ultima  volontà,  obbligandoli  con  fortissimi  legami  a 


*  Nel  cap.  V  della  Varchina  dk  queste  notizie  di  se  :  «  Nacqoi  in  Pa- 

•  dova:  e  fra  in  Padova,  in  Vinegia,  in  Capodistria,  in  Dalmaiia  et  in  Ale- 
»  magna  vissi  infino  alla  età  di  trent'  anni.  Appresso  conversai  in  Lombardia, 
»  in  Piemonte ,  in  Francia  et  in  Fiandra  :  et  ne  haveva  forse  quaranta ,  prima 

•  cbe  Fiorenza  mi  vedesse.  Et  a  mettere  insieme  tutto  il  tempo  che  più  volte 
»  stato  vi  sono ,  non  so  se  egli  passasse  on  anno.  Sì  che  né  io  vi  sono  nato 
»  né  da  fanciullo  allevato  :  e  che  in  me  non  sia  indicio  alcuno  di  fiorentinaria 
»  assai  si  mostra  a  chi  mi  sente  favellare.  Laonde  per  la  coloro  ragione  si 
»  viene  a  conchiadere ,  che  io  bene  non  posso  scrìvere.  »  E  in  una  lettera  a 
don  Ferrante  Gonzaga  (Vedi  Tiraboschi,  Storia  della  Lett.,  t.  VII,  par.  I,  p«g. 
554  )  :  «  siccome  io  fui  Bgliuolo  di  povero  padre,  così  sempre  sono  stato  fìglia- 
»  atro  della  fortuna ,  che  non  mi  trovo  al  monido  altra  entrata  che  quella  la 
»  quale  mi  dà  la  servitù  mia.  »  E  così  povero  morì  in  Toscana  nella  villa 
de'  Capponi  chiamata  la  Panerete,  dì  84  anno  nel  4576.  Combattè  con  zelo 
pan  alla  dottrina  V  eresia  luterana ,  che  minacciava  V  Italia  ;  e  scrisse  più 
opere  contro  Pierpaolo  Vergono ,  contro  V  Ochino ,  contro  V  apostata  France- 
sco Betti  romano,  contro  il  Bulengero,  contro  il  Vireto ,  e  più  altri. 

'  Bondìnelli ,  Rilratto  del  Dcmanxati. 


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XXVIU  DELLA  TITA  B  DELLE  OMftB 

»  non  la  poter  mai  alienare/ 1»  Amò  ugualmente  gli  Am- 
maestramenti del  Concordie,  il  Novellino  e  altri,  dove 
alla  grazia  trovasse  congiunta  o  l' evidenza  o  la  forza. 
Sdegnavasi  contro  il  forestierume  infiltratosi  nella  lin- 
gua dal  trafficò  o  dalla  corte;  e  volendo  la  lingua  arric- 
chire, consigliava  «spolverare  i  libri  antichi,  e  servirsi 
))  delle  gioie  nostre  riposte,  che  ci  farebbero  onore.*  »  Di 
Tacito  fieramente  invaghito  (come  dice  il  Rondinelli)  e 
di  quello  eh'  e'  chiamava  compilato  parlare,^  ebbe  a 
noia  il  frascume  di  quei 

Boccacci  gretti  e  magri  Cicerpni,* 

che  empivano  allora  le  accademie  di  affannosi  prosoni, 
de'  cui  poveri  e  smarriti  pensieri  potrebbe  dirsi  come 
de'  naufraghi  di  Virgilio, 

Apparent  rari  nantes  in  gurfjite  vasto,  ' 

Ma  Bernardo  gli  chiamava  cemboli  senza  musica;*  né 
so  che  di  meglio  avesse  potuto  dire.  Non  solo  studiò  ne' li- 
bri morti,  ma  molto  più  nel  libro  vivo  del  popolo,  si 
fecondo  4'  insegnamenti  a  chi  vi  sa  leggere.  Ma  perchè, 
preso  amore  a  una  cosa,  è  quasi  impossibile  che  l' af- 
fetto talvolta  non  vinca  il  giudizio;  così  non  può  negarsi 
che,  a  quando  a  quando,  e'  non  Iscambiasse  i  riboboli  ple- 
bei per  atticismi  gentili:  ma  ben  di  rado:  e  forse  niuno 
sarebbesene  accorto,  o  almeno  non  n'avrebbe  levato  si 
gran  remore,  se  non  gli  fosse  venuto  quella  veramente 
un  po'  strana  fantasia  di  mettergli  in  becca  al  più  rigido 

^  Rondinelli ,  op.  cit.  Ma  in  una  copia  del  testamento,  che  trovasi  nella 
Palatina  di  Firenze ,  non  ò  parola  di  ciò. 
^  Ve^  a  pag.  45  di  questo  volume. 
'  Postilla  alla  pag.  447  di  questo  volume. 
*  Lasca. 

5  ìB».  I. 

6  Vedi  la  Postilla  a  pag.  493  di  questo  volume. 


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DI  BBRNAftDO  DATANZATI.  XXIX 

e  signoresco  scrittore  delP  antichità,  il  quale  non  va 
mai  per  le  vie  battute,  non  eh'  egli  passi  di  piazza.  Cosi 
pure  valicò  alquanto  il  segno  in  quel  suo  buon  pensiero 
dì  rimettere  in  corso  non  pochi  vocaboli,  dimenticati 
per  incuranza  delle  proprie  e  per  vano  desiderio  delle 
altrui  ricchezza  ;  *  traendone  fuori  dal  sepolcro  alcuni 
pochi,  non  consigliati  né  da  bisogno  né  da  vaghezza.  Ma 
ciò  é  ben  lieve  a  paragone  dei  meriti  grandissimi  che 
questo  scrittore  ha  verso  la  lingua  nostra.  Quando  pur 
non  avesse  che  quello  di  essersi,  in  tanto  vaniloquio 
accademico,  fatto  parte  da  se  stesso,  e  d*aver  col  suo 
esempio  richiamato  gP  Italiani  a  quella  forma  del  dire 
nervoso  e  nativo,  insegnata  da  Dante,  e  perduta  nelle 
lautezze  del  Boccaccio;  insegnata  pure  dal  Machiavel-* 
li,  e  di  nuovo  perduta  sotto  gli  strascichi  cortigiane- 
schi di  Giovanni  della  Gasa  e  di  Pietro  Bembo,  monsi- 
gnori ;  pare  a  me  che  basterebbe  a  riporlo  tra  i  primi 
esemplari  nostri.  Non  so  se  questa  virtù  fosse  in  lui  pre« 
giata  da'  suoi  contemporanei.  Certo  essi  erano  i  meno 
idonei  a  sentirla,  dovendone  giudicare  da'  loro  scritti. 
Ed.  in  vero,  mentre  non  v'  ha  uomo  di  molte  o  poche  let- 
tere in  quella  età  che  non  dica  miracoli  del  Varchi  e  del 
cavalier  Salviati,  pochi  trovo  che  ricordino  il  nome  di 
Bernardo  Davanzati;  e  quei  pochi,  lodandolo,  toccano 
più  la  perizia  della  lingua,  comune  a  molti,  che  la  ner- 
vosità dello  stile  in  cui  fu  solo.  Il  Salviati  scrivendo 
a  Giovambatista  Strozzi,  il  cieco,  e  rallegrandosi  che 
tanto  fiorisse  allora  la  lingua:  a  II  Davanzati  e  voi,  gli 
)>  dice,  per  mio  avviso  siete  i  primi  campioni;  e  se  noi 

*  «Molte  voci  che  per  la  raggine  del  tempo  erano  prese  a  schifo, rìpulen- 
»  do  e  nettando  ne  rarriTÒ,  e  molte  che  stimate  plebee  e  basse ,  non  erano 
»  ammesse  nelle  nobili  scritture ,  sciorinandole  e  loro  antica  gentileoa  dimo- 
»  strando ,  quasi  provanze  di  loro  nobiltà  facendo ,  pose  per  entro  alle  suo 
»  opere ,  ove  come  stelle  KtQtillanti  risplendono.  »  Rondinelli. 

e* 


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XXX  DELLA  VITA  E  DELLE  OPERE 

>»  ci  ridurremo  una  volta  a  vivere  in  un  luogo  medesimo, 
»  spererò  che  da  ciascuno  di  noi  possano  darsi  in  consi- 
»  derazione  alcune  cose,  che, fra  tutti,  aggiugneranno  a 
»  squalche  grado  di  bontà:  voglio  dire,  che  voi  avvertl- 
D  rete  me,  et  io  voi,  et  il  Davanzali  V  uno  e  V  altro  di 
»  noi,  d'alcune  cose  assai  leggiere  che,  mullipHcate  im- 
»  portano  qualche  cosa,  e  per  lettera  è  impossibile  il 
»  farlo.*»  Ma  quando  poi  negli  Avvertimenti  mi  dice 
che  ninno  più  del  Davanzali  si  è  nel  piano  stile,  per  pu- 
rità e  semplice  leggiadria,  accostato  al  Casa;'  non  ri- 
trovo il  buon  giudicio  del  cavaliere  :  imperocché  niuno 
è  men  piano  e  più  artificiale  del  Gasa;  e  se  nella  purità 
della  lingua  questi  due  scrittori  si  convengono,  sono 
tanto  lontani  e  ripugnanti  nello  stile,  quanto  può  essere 
Cicerone  da  Tacito. 

Il  valore  del  Davanzati  nella  lingua  giovò  non  poco 
alla  Crusca,  sorta  nel  1582  per  opera  del  Deli,  del  Lasca, 
del  Canigiani,  del  Zanchini  e  del  De  Rossi,  e  sopra  tutto 
di  Lionardo  Salviati  che,  sebbene  entrato  più  tardi,  pure 
die  nome  e  forma  all'accademia  e  può  riguardarsi  come 
il  vero  fondatore  di  essa.  Nel  1591  avendo  tentato  i  Cru- 
scanti di  tirare  a  sé  gli  Alterati,  questi,  sebbene  volessero 
conservare  propria  esistenza ,  né  mescolarsi,  pure  inter- 
vennero alle  adunanze,  ed  alcuni,  tra'  quali  il  Davanzati, 
presero  parte  ai  lavori.  Non  si  condusse  per  altro  a  ve- 
der compiuta  e  pubblicata  l'opera  del  Vocabolario,  della 
quale  tanto  bene  riprometlevasi  e  riguardavala  cr  come 
unica  conservatrice  della  lìngua  toscana.  *  w 

Ma  i  suoi  studi  non  si  ristrinsero  solamente  alla 
lingua  ed  alle  amene  lettere.  Seppe,  quanto  allora  potea 
sapersi,  di  politica  economia,  e  fu  molto  pratico  nel  di- 

*  Vedi  Salvini,  Fasti  consolm^,  pag.  229. 
'  Avvertimenti  della  lingua,  cap.  >I2. 
'  Rondìnelli ,  Ritratto  del  Davanzati. 


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DI  BERNABDO  DAVANZATI.  XtU 

ritto  commerciale.  Ebbe  rett^  senso  nelle  cose  del  go*- 
verno,  e  ne  gittò  pochi  e  rapidi  sì,  ma  bellissimi  lampi 
nelle  Postille  a  Tacito.  Non  gli  furono  ignoti  i  progressi 
che  le  scienze  fisiche  facevano  tillora  per  opera  del  di- 
vino Galileo;  e  ricercò  la  fiIoso6a  degli  antichi,  affine  di 
seguire,  da'  suoi  primi  tentativi,  i  progressi  dello  spirito 
umano.  * 

A  proposito  d' una  lettera  di  quel  gentile  spirito  di 
Gasparo  Gozzi,  dove  questi  parla  d'alcuni  libri  da  lui  stu- 
diati, ben  osserva  il  Tommaseo  che  «  Bel  trattato  sareb- 
»  be:  le  letture  che  formarono  gli  uomini  illustri.*  »  Ed 
invero  come  utile  e  grato  è  conoscere  per  quali  nutri- 
menti crebbe  e  fruttificò  una  pianta  rara  e  bella,  perchè 
non  se  ne  perda  la  stirpe  ;  cosi  giova  e  reca  diletto  co* 
noscere  come  i  grandi  uomini  educarono  se  stessi.  Ben 
è  vero  che  non  ogni  nutrimento  è  buono  per  tutti,  né 
ogni  via  è  spedita  ad  ogni  camminante:  ma  quella  co- 
gnizione non  può  esser  mai  priva  in  tutto  di  utilità:  non 
foss'  altro,  a  conoscer  meglio  V  indole  dell'  uomo;  poten- 
dosi dal  gusto  suo  far  ragione  del  suo  giudizio.  Onde 
a  se  altri  (dice  a  proposito  del  Nostro  il  Rondinelli)  ha 
»  talento  di  conoscere  chichessia,  ponga  mente  quali  au- 
»  tori  li  aggradano,conforme  al  proverbio:  Vuoi  conoscere 
»  uno?  guarda  con  chi  e'  pratica.  »  Delle  letture  del  Da- 
vanzati  già  abbianoo  alcuna  cosa  veduto;  ma  più  può  sa- 
persene da  un  quaderno  che  abbiamo  dinanzi  agli  occhi, 
dov'  egli  le  notava  e  commentava  con  cura  e  metodo. 
Qui  si  vede  che  a  lui  dilettarono  non  solo  Erodoto,  Tito 
Livio,  Tacito,  Platone,  Plutarco,  Aulo  Gelilo,  Stobeo,  tra 
gli  antichi;  e  Dante,  Petrarca,  Machiavelli,  tra' nostri 
(non  trovo  mai  registrato  il  Boccaccio);  ma  ch'e'slu- 

*  Nel  Zibaldone  ms.  presso  il  Bigazzi  si  leggono  Tari  saoi  siudì  salla 
storia  della  filosofia. 

s  Gooì,  Tol.  in,  pag.  242,  edizione  di  questa  Biblioteca. 


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IlXn  DELLA  VITA  K  DELLE  OPERE 

dio  ancora  di  estendere  le  sue  cognizioni  nella  scienza 
della  religione,  che  per  ogni  nomo  rettamente  istituito 
dovrebbe  esser  prima  a  cercarsi.  Anzi  nel  suo  repertorio 
0  prontuario  che  sia,  sotto  la  rubrica  «  Philosophia  et 
cceterce  artes  deserviunt  theologiee,  »  vedo  eh*  egli  rac- 
colse lunga  serie  d' autorità  comprovanti  quel  vero,  che 
oggi  è  cardine  a  chiunque  ha  voluto  negli  studi  teologici 
trovare  la  più  grande  e  più  dialettica  unificazione.  Dei 
Padri  della  Chiesa  vedo  più  spesso  citate  le  sentenze  di 
Clemente  Alessandrino,  forse  perchè  più  copioso  d' eru- 
dizione.^ Con  Dante  cita  spesso  San  Tommaso,  di  cui  nota 
specialmente  le  acute  e  precise  definizioni.  Ma  studi  più 
copiosi  trovo  sulle  divine  Scritture,  di  cui  vedonsi  non  solo 
raccolte  e  ordinate  sotto  certi  capi  le  sentenze,  ma  di- 
scorse pure  alcune  difficoltà  che  gli  occorrevano  tra  la 
lettura.  E  poiché  anche  da  certi  piccoli  segni  si  scopre 
r  indole  dell'  uomo,  così  a  me  par  di  vedere  il  mercante, 
e  fiorentino,  do v' e' registra  con  cura  quel  luogo  della 
Bibbia,  «  fcenerabis  gentibus  multis  et  ipse  a  nullo  fce- 
nus  accipies;  w  *  osservando  egli  che  «  V  usura  non  era 
»  proibita  se  non  con  quelli  della  stirpe  d'Isdrael.  »•  Qual- 
che volta  inframmette  a  queste  note  qualche  applica- 
zione a*  tempi.  Curiosa  mi  par  questa  a  proposito  d' un 
luogo  nel  secondo  de'  Re:  *  ((Non  piaceva  a' Satrapi  pa- 
»  testini  che  Achi  loro  re  avessi  chiamato  nel  suo  eser- 
))  cito  in  aiuto  David,  antico  loro  naturai  nimico,  benché 
»  scacciato  da  Saule  ;  perchè  col  tradirgli  poteva  racqui- 
»  stare  la  grazia  di  Saule.  E'  nostri  Satrapi  non  ebbon 
»  buone  lettere  né  studiorno  questo  testo  quando  eles- 
9  sono  Malatesta  Baglioni  rebelle  di  papa  Clemente,  per- 

*  Spogliò  minutamente  gli  Stromati. 
9  Deuteron.  XXIII. 

3  Zibaldone  ms.,  presso  il  Bigazzi. 

*  Gap.  29. 


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DI  BKRNARDO  DATANZATI.  XXXIII 

»  che  ci  difendesse  contro  di  lui.  Ma  il  buon  uomo  fece 
»  bene  quel  che  dice  il  testo.  »  ^  E  questo  di  mescolare 
alle  sue  note  erudite  alcun  uso  o  fattarello  de'  tempi 
suoi  lo  fa  anco  spogliando  altri  autori.  A  modo  d'esem- 
pio, nelP  estratto  della  vita  di  Licurgo,  dopo  avere  regi- 
strato ciò  che  Plutarco  racconta  di  quel  tale  Leo,  ban- 
ditore di  Agnusio,  che  tradì  i  Pallantidi,  onde  in  Pallene 
non  si  pubblicò  più  cosa  alcuna  con  quella  consueta  for- 
mula Ajcou£T£,  X.£w  (Ascoltate,  o  popolo);  perciocché  que- 
sto nome  Kfu  {leo)  teneasi  per  raalurioso;  soggiunge: 
«  Così  in  Siena  il  Nove^  monte  tirannico:  che,  per  non 
»  lo  ricordare,  quando  numerano  il  nove,  dicon  Chello.n^ 
Era  il  monte  de'  Nove  un  magistrato  che  tirava  all'  oli- 
garchia.* Cosi  altrove  si  sa  che  Venezia  raccettava  ban- 
diti: che  in  Lucca  usava  il  discolato:  che  «  Papa  Lione, 
»  sotto  la  fede,  tagliò  la  testa  a  Paulo  Baglioni,  et  disse:  a 
B  pena  l'ho  io  possuto  avere  così:  »  che  a  Malatestaim- 
»  piccò  uno  che  tagliò  un  pino  di  stupenda  grandeza  a 
»  Rovezano  &  :  che  «  la  natura  fece  un  passerotto*  a  fare 
»  Salimbene  Bartolini  sì  bello  e  sì  sciocco.  »  —  Nel  per- 
correre queste  carte  sentesi  rammarico  che  tali  estratti 
sieno  per  lo  più  in  latino,  tranne  questi  richiami  alla 
storia  contemporanea,  che  son  brevi  e  radi. 

Così ,  fra  i  modesti  traffichi  del  banco  e  gli  studi 
diletti,  vìsse  il  Davanzali  prosperamente  fino  al  29  mar- 
zo 1606,  utile  a  sé  ed  alla  patria,  riverito  dalla  città,  e 
caro  agli  amici.  Pochi  n'  ebbe,  perché  il  cuore  schietto 
non  può  spargersi  in  molte  e  vere  amicizie.  Oltre  al  Var- 
chi e  al  Salviati  ebbe  comunanza  d' affetti  e  di  studi 


^  Zibaldone  nu.,  presso  il  Bigazri. 
s  QqjbUo. 

s  Vedi  il  Vurcliì,  Storia,  lib.  VI,  pagg.  445-4S0,  voi.  I,  edii.  d'Arbib. 
Firenze  484^. 

*  Cno  sproposito. 


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IXXiy  DELLA   VITA   E  DELLE  OPERE 

eoa  Baccio  Valori/  il  giovane,  giureconsalto  e  lettera- 
to, discepolo  Del  greco  di  quel  Chirico  Strozzi  che  seppe 
si  bene  scrivere  la  lingua  di  Aristotile  e  continuarne  i 
pensieri,  da  far  credere  V  anima  del  gran  filosofo  in  lui 
trasmigrata:  con  Antonio  Beni  vieni,*  autore  della  Vita 

*  Nac^e  nel  \  535 ,  e  nel  64  fu  console  delP  Accademia  fiorentina ,  coi 
rayrivò  di  nuova  yita.  Fu  diligente  cultore  della  patria  lingua;  e  il  Salvìati  m*- 
gU  Àfìvertimenti  parlando  d'alcune  buone  copie  d'antichi  testi  a  penna,  dice: 
a  Ed  è  questa  ultima  del  mio  onoratissimo  amico  M.  Baccio  Valori  nobil  ca- 
»  veliere  della  città  nostra ,  e  dottore  dì  leggi  eccellente ,  del  quale  innanzi 
»  ai  troveranno  eziandio  altri  libri  più  nobili  e  più  pregiati.  Percioeehè  non 
»  solamente  sì  diletta  d' averne  assai  de'  cotali ,  ma  in  conoscerli  ed  estimarli 
»  ha  ottimo  e  singoiar  giudicìo  :  e  non  pur  ciò ,  ma  imitarli  sa  ancora  quando 
»  di  farlo  si  prende  cura  :  forse  assai  più  che  molti  che  di  ciò  solamente ,  non 
»  senza  comune  (ode,  fanno  professione ,  comechè  egli  ne'  maestrati  delia  Re- 
ti pubblica  e  nel  suo  studio  più  principale  dell'  awocazione  occupato ,  non  ab- 
»  bia  spazio  d' impiegarvisi ,  se  non  alcuna  volta  per  un  brìeve  diporto.  »  Fu 
.  commissario  a  Pistoia.  Ornò  la  facciata  del  suo  palazzo  (detto  oggi<<}e'fHiiicct 
dal  volgo)  de' ritratti  degli  uomini  celebri,  illustrati  poi  da  Filippo  suo 
figliuolo  nell'opere  Termini  di  mezzo  rilievo  ec.  Fir.,  Marescotti,  ^604. 
L'Ammirato  dice  che  «  la  modestia....  congiunta  ad  una  incomparabil  dol* 
»  cezza  dì  costumi....  il  rendevano  caro  e  benivolo  a  ciascuno.  » 

^  Sono  assai  curiosi  due  documenti  che  sì  trovano  nell'  Archìvio  del- 
l'Opera  di  S.  M.  del  Fiore,  Filza  III  ^«  Suppliche,  rescritti,  ordini  ec. 
{Riforme  ec.  4564-85).  Il  Can.  Antonio  Benivieni  chiedeva  ai  Riformatori 
sopra  1'  Opera ,  che  gli  fosse  conservato  l' uso  della  casa ,  nonostante  che , 
per  suoi  incomodi,  non  potesse  intervenire  a'  mattutini  ec.  :  e  prova  questi 
suoi  incomodi  con  due  fedi ,  una  del  Valori ,  1'  altra  del  Davanzati.  Eccole  : 

«  Adì  42  dì  febbraio  4584. 
»  Fede  per  me  Baccio  dì  Filippo  Valori  come  havendo  da  giovane  usato  sem- 
»  pre  eon  messer  Antonio  Benivieni  ho  haute  occasione  dì  sapere ,  lui  da  xil 
»  anni  in  qna  essere  stato  in  gran  malattìe ,  e  perciò  bavere  più  vol^e  preso 
»  il  legna,  e  fatto  altri  lunghi  e  strani  medicamenti,  ed  io  l'ho  più  volte  visitato 
»  in  Ietto  et  in  casa  infinite;  et  haver  h^o  (hcmto)  e  tenere  luoghi  a  S.  Donato 
»  per  fuggir  l'aria  del  verno  di  Firenze  e  sua  crudezza,  e  cosi  ha  durato  a  far 
»  più  anni,  tanto  che  finalmente  par  che  Fhabbìa  vìnta:  e  per  sapere  così  es- 
»  sere  la  pura  verità  ho  fatto  questa  testimonianza,  anno  e  dì  soprad.^i  in  Firenze 

»  Baccius  Valos  manu  ppa.  scripsi  et  subscripsi.  » 
«  Io  Bernardo  d' Antonfrancesco  Davanzati  fo  la  medesima  fede  eh'  ha  fatto 
»  disopra  il  cav>^  Valor]  havendo,  per  la  molta  familiarità  con  me.  Anto,  saputo 
»  e  visto  le  medesime  cose.  Però  mi  sono  sottoscritto  di  mano  mia  pp>  q^^  dì 
»  42  di  febbraio  4584  ab  Inc.  In  Firenze. 

La  medicina  usata  da  questo  canonico  ci  fa  ben  coi^oscere  i  tristi  costumi 
del  tempo. 


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DI  BBBNARDO  DAVANZATI.  XIXV 

di  Pier  Vettori,  l'antico,  e  nipote  a  quel  Girolamo,  il 
cui  nome  non  può  ricordarsi  senza  che  corrano  alla 
mente  gli  ardenti  sermoni  del  frate  da  Ferrara,  e  i  can< 
tici  e  le  danze  e  i  falò  fieramente  di  voti:  con  Filippo  Sas- 
setti, accorto  mercante ,  viaggiatore  intrepido,  e  gentile 
scrittore:*  con  Bernardo  Buontalenti,  insigne  architetto, 
per  cui  amore  traeva,  dal  greco  di  Erone,  materia  a 
que'  suoi  ghiribizzi  di  fontane  onde  abbellì  i  giardini  di 
Boboli  e  di  Pratolino,  e  che  contribuirono  a  dargli  il  nome 
dì  Bernardo  dalle  girandole.*  Sebbene  austero  e  a  per 
natura  e  per  istudio  di  parole  poco  abbondevole,'  »  pure 
amò  alcuna  volta  le  liete  brigate,  né  sdegnò  piacevoleg- 
giare in  esse  con  iscritture  vispe  anche  troppo ,  secondo  il 
mal  vezzo  del  tempo/  Fu  però  nella  vita  onesto:  sospirò 
l'antica  lealtà:  sdegnossi  del  corrotto  vivere  e  del  lusso 
smodato  della  età  sua.'^Fu  memore  dei  beneficii,e  i  meriti 
di  chi  lo  aveva  servito  con  fede  non  volle  lasciare  a  discre- 
zione degli  obliviosi  eredi.  Perciocché  poco  innanzi  di 
chiudere  per  sempre  gli  occhi ,  fattosi  recare  al  capezzale 
buon  dato  di  moneta  volle  gratificarne  da  sé  i  suoi  servi 
e  ringraziarli.  Fu  schiettamente  religioso  senza  supersti- 
zione, che  in  un  margine  del  suo  Plutarco  avea  a  modo  suo 
definita:  «  superstizione, quasi  schiuma, ruggine,  cispa.))* 

*  Descrìsse  i  suoi  viaggi  in  tante  lettere  agli  amici ,  e  due  assai  lunghe 
se  ne  leggono  anche  al  Dayanzati.  Furono  pubblicate  nelle  Prose  fiorentine, 
e  parte  dal  Garrer  nelle  Belazioni  di  Viaggiatori  (Venezia  484^,  voi.  2.); 
e  finalmente  raccolte  in  un  bel  volumetto  dal  Vieni  (Reggio  4844).  Seb- 
bene scritte  in  gran  fretta  e  senza  ninna  cura ,  pure  elle  si  adomano  di  sì  di- 
sinvolta leggiadria,  che  nulla  è  più  caro  della  loro  lettura,  lì  Garrer  non  du- 
bita di  proporle  come  modello  in  questo  genere.  Peccato  che  non  ve  ne  abbia 
ima  stampa  condotta  con  crìtica  esattezza  ! 

'  Milizia ,  Mem,  degli  Architetti.  Vedi  qui  appresso  la  Bibliografia. 
'  Lezione  sulle  monete. 

*  Vedi  la  Bibliografia. 

S  Vedi  le  Postille  al  lib.  Il  pag.  94  ;  lib.  Ili,  pag.  448. 

*  É  a  proposito  di  queste  parole  di  Plutarco  :  «  Omnii  iuperititio  ian- 
quam  lippiiudo  ex  oculit  amovenda  est. 


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XIXYI  DELLA  VITA  B  OBLU  OPBBB 

E  m'è  earo  riferire  le  parole  onde  il  Rondinelli  descrive 
la  sua  morte:  e  Fece  quest'ultimo  passo  con  somma 
x>  religione  e  pietà  cristiana:  onde  stando  giudicato  nel 
»  letto,  pareva  che  più  non  sentisse  o  intendesse;  ma 
»  quando  i  circostanti  parlavano  di  cose  spirituali  e  con- 
D  cernenti  all'anima  sua,  allora  alzando  il  capo  quanto  po- 
»  te  va,  stava  in  orecchi  raccogliendo  con  grand'  avidità 
»  que'  ricordi  e  discorsi  che  si  facevano:  segno  come  ai- 
fi  lora  si  conosce  quanto  tutte  le  cose  mortali  siano  vane; 
»  però  fa  gran  senno  quei  che, avanti,  soverchio  non  vi 
)>  s'invesca,  usandole  con  quella  moderazione  che  si  con* 
»  viene,  d  Dopo  avere  di  questo  Francesco  Rondinelli^  re- 
cato i  tratti  più  helii  e  più  importanti  che  leggonsi  nella 
breve  notizia,  intitolata  da  lui  Ritratto^  sarebbe  grave 
fallo  non  trascrivere  (prima  di  parlare  delle  opere  del 
Nostro)  la  stupenda  etopeia  ond'  egli  dà  l' ultima  mano 
al  suo  quadro: 

tt  Bernardo  Davanzati  fu  di  corpo,  chi  1  volesse  sa- 
»  pere,  picciolo;  di  color  bruno.  Ebbe  occhi  vivaci,  capelli 
»  neri,  poca  barba  e  rada;  la  fronte,  come  le  guance,  ru- 
))  gosa;  il  volto,  più  tosto  severo  che  no.  Nel  vestire  amò 
»  l'antica  parsimonia  e  l'usanze  civili:,  nel  mangiare  e 
»  nel  bere  fu  sobrio:  nel  favellare  fu  breve,  saporito,  sen- 
»  tenzioso;  perchè  le  parole,non  altrimenti  che  le  monete, 
»  più  si  stimano  quando  in  minor  giro  racchiuggono  mag- 
»  gior  valore.  Ghiamavanlo  alcuni  grano  di  pepe^  indotti 
»  forse  dal  color  bruno  e  rugosità  della  faccia,  ma  molto 
»  più  dalla  sapienza,  acutezza  e  virtù  dell'animo  raccolta 
»  in  picciol  corpo.  Sprezzava  le  lodi  delle  sue  cose^stiman- 
»  dole  sempre  imperfette.  Gli  errori  altrui  più  biasimava 

'  Fa  bibliotecario  del  granduca,  e  gli  saccesse  il  Magliabeclii.  Gli  scrittori 
contemporanei  lodano  la' bontà,  il  buon  gnsto  e  le  molte  lettere  di  Ini  (Vedi 
Notizie  degli  Àeeademici  fiorentini  pag.  548).  Fece  anche  il  Ritratto  del 
Guicciardini ,  che  leggesi  nel  compendio  delle  sne  Storie  di  M.  Manilio  Plan- 
tedio. 


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DI  BERNARDO  DAYANZATI.  XIIVII 

»  col  tacere  che  col  riprendere.  Spesso  si  doleva  che  molte 
))  volte  la  virtù  non  era  accompagnata  da  buona  fortuna; 
»  onde  compativa  agli  uomini  leali,  virtuosi  e  troppo  mo- 
)>  desti,  che  bese  adoperando  e  poco  chiedendo,  non  sono 
»  appregiati;  e  a  certi  prosontuosi,  che  fanno  caro  di  sé, 
»  quantunque  poco  vagliano,  alcune  volte  si  corre  dietro. 
»  Oltre  la  lingua  latina  intese  la  greca;  fu  buono  aritme* 
»  tico,  e  di  giudìcio  in  tutte  le  cose  perfettissimo;  e,  quello 
))  che  è  gran  felicità,  in  vita  sentì  l'applauso  che  dava  il 
»  mondo  alle  sue  opere.  Onde  un  uomo  di  grande  scienza 
»  disse,  che  egli  aveva  raccolto  dalle  frombole  d'Arno  le 
»  gioie  del  parlar  fiorentino ,  per  legarle  nell'oro  di  la* 
»  cito.  Adunque  dalla  presente  immagine  apprendano  i 
))  giovani  a  fuggir  l'ozio;  virtude  e  conoscenza  seguire. 
»  Saranno  i  neghittosi  senza  gloria  e  nome  dimenticati: 
»  verrà  narrato  e  conto  quest'uomo  celebre  agli  avve- 
»  nire.  » 

Ora  diciamo  delle  opere  brevemente.  —  Nel  1579 
Enrico  Stefano,  insigne  grecista  francese,  dopo  aver 
preteso  dimostrare  la  conformità  della  sua  lingua  colla 
greca  ^  die  fuori  un  opuscolo  dove  le  concedeva  a  dirit- 
tura il  primato  sopra  ogni  altra  favella:  '  e  paragonan- 

*  TraieU  de  la  eonfomUté  du  langage  FrariQoit  avee  le  Grec,  divUé 
en  trait  livree ,  dont  lee  deux  premiert  traictent  dei  manieret  de  parler 
conforme»  :  le  troisieme  contieni  plusieur»  mote  frangois  lee  wm  pri$  du 

gree  entierement,  lei  autre»  en  partie  ftc du  quel  l'auteur  ett  Henry 

EsUen/ne.  ParU  ^5G9. 

^  In  qaesto  proposito  promise  im'  opera  con  on  suo  scritto  intitolato  : 
Project  du  Uvre  intitulé  ;  De  la  précellence  du  langage  frantoi».  Par  Henry 
Eitienne.  A  Parit,  par  Mamert  Patision,  Imprimeur  du  Roy,  >lo69  ;  in  8». 
L'ab.  Pietro  Maancchdli  ci  fa  sapere  che:  «  Il  libro  promesso  in  questo  pro~ 
•  getto  poi  non  companre,  non  trovandosi  registrato  né  dal  De  la  Groix  da  Maine 
»  né  dal  Verdier ,  e  nemmeno  dal  Niceron,  t.  XXXVI,pagr.  SlTescgg.  »  (Vedi 
Appendice  alle  Lettere  ed  altre  proso  di  Torquato  Tasso.  Milano,  i  822,  pag.  205 
e  segg.)  Filippo  Pigafetta  Toleva  a  crivellare  o  vagliare  un  po'  meglio  questa 
»  materia  (sono  sue  parole)  e  insieme  rispondere  al  libro  della  Pricellenee 
t  de  la  langue  francoi$e.  »  Ma  non  si  sa  se  eseguisse  quanto  qui  pfomet- 
I.  d 


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XXXVin  DELLA   VITA  E  DELLE  OPEQE 

dola  colP  italiana,  sentenziò  che  quanto  questa  era  flo- 
scia, dilombata,  prolissa,  leggera,  altrettanto  quella  era 
virile,  robusta,  grave,  concisa.  Ed  in  prova  non  raggua- 
gliò già  Dante  con  Marot  o  conMalherbe,nè  il  Machia- 
velli con  Montaigne  o  altri:  ma  tolse  un  discorso  di  Ta- 
cito, *^  e  su  quello  venne  raffrontando  la  traduzione  di 
Giorgio  Dati  (il  quale  allargossi  a  bello  studio  per  far 
piane  a  tutti  le  difficoltà  del  testo)  con  quella  di  Biagio 
di  Vigenere;  e  dopo  aver  contato  le  parole  dell*  uno 
e  dell'  altro,  e  trovatoci  un  divario  di  nove  più  neir  ita- 
liano, senza  pensare  se  ciò  fosse  necessità  o  elezione, 
gridò  che  V  italiano  (qui  est  la  grand'  pitie)  non  avrebbe 
potuto  fare  con  una  di  manco  senza  sciuparsi,  sans  estre 
contrainie.  Questa  iattanza,  e  di  tant'  uomo,  fece  sdegno 
in  Italia,  e  più  che  ad  ogni  altro  ne  venne  il  mosce- 
rino a  messer  Bernardo ,  il  quale  tosto  per  riprovare  col 
fatto  il  mal  detto  d*  Arrigo  Stefani,  *  si  pose  a  lottar 
con  Tacilo,  pel  vanto  della  brevità,  come  a  padrone  as- 
soluto di  quella  onnipotente  lingua  fiorentina:'  )>  eleva- 
tone un  saggio,  lo  mandò  all'  amico  Gianvincenzio  Pi- 
nello  a  Padova  (1591),  da  cui  fu  molto  confortato  a  quel- 
l' erta.''  Ma  essendo  omai  vecchio  e  offeso  della  vista, 
disperò  raggiugnerne  la  cima.  Però  tennesi  contento  a 
pubblicare  il  solo  primo  libro  degli  Annali,  indirizzan- 
dolo a  Baccio  Valori;  a  cui,  dopo  discorso  della  vivezza 
ed  efficacia  della  lingua  fiorentina  sopra  la  comune  ita- 
lica, che,  K  quasi  vino  limosinato  a  uscio  a  uscio,  non 
»  pare  che  brilli  né  frizi;  »  mostra  che  questo  primo  li- 
te. Anche  in  Firenze  pare  che  si  pensasse  a  voler  confutare  qnest'  opera  :  per- 
chè nel  Codice  Magliabechiano,  GÌ.  IX,  425,  si  leggono  estratti  e  appunti  per 
questo  intento.  Meglio  fece  il  Daranzatì  che  confutò  col  fatto. 

^  È  il  discorso  di  Cenale,  Stor.  IV,  75. 

s  Vedi  in  fine  di  questo  volume. 

s  Leopardi,  Studi  giwmiliy  pag.  454,  ediz.  di  questa  BiblioUca, 

«  Vedi  le  LeUere,  nel  voi.  III. 


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DI  BBBNABDO  DAVANZÀTI.  XXXIX 

bro,  ce  con  tutti  i  disavvantaggi  delli  articoli  e  d'altro  n 
torna,  scandagliato,  cinque  migliaia  di  lettere  men  del 
latino,  e  trentasette  men  del  francese:  onde  conchiu- 
de a  puodsi  da  questo  saggio  conoscere,  come  dall'  un- 
))  ghia  il  lione,  la  flereza  del  nostro  volgare.  »  Il  libro 
fu  stampato  nel  1596.  Ma  quattro  anni  appresso,  te- 
mendo quel  breve  saggio  non  fosse  giudicato  più  che 
uno  sforzo  né  sufiiciente,  si  spinse  innanzi  fino  a  tutto 
l'imperio  di  Tiberio  Cesare,  che  termina  col  sesto  degli 
Annali,  e  lo  pubblicò  per  le  stampe  dei  Giunti,  notando 
in  altra  lettera  al  Valori,  a  che  questi  fiorentini  libri 
»  ne'  latini  largheggiano  come  il  nove  nel  dieci,  e  ne'fran- 
D  zesi  passeggiano  come  nel  quindici.  »  Dopo  questi  non 
ne  stampò  altri.  Ma  continuò  peraltro  il  suo  lavoro  per 
tutte  le  opere  di  Tacito,  e  ne  afiidò  il  iminoscritto  agli 
Alterati,  uscito  poi  trentun'anno  dopo  la  sua  morte,  per  le 
stampe  del  Nesti  in  Firenze,  a'conforti  del  senator  Filippo 
Pandolfini  e  per  le  cure  degli  accademici  della  Crusca.  ^ 
Tale  è  la  storia  di  questo  celebre  volgarizzamento: 
il  quale  ottenne  tra' letterati  varia  fama,  perchè  divisi 
dalla  contesa  sul  primato  fiorentino,  non  potevano  esser 
concordi  nel  giudizio  d'  un'opera  che  lo  dimostrava  col 
fatto.  Aggiugnevasi  anche  la  gara  municipale  de' Senesi, 
che  emuli  in  tutto  e  sempre  de'  Fiorentini,  mal  cedevano 
anche  nel  vanto  della  lingua.*  Nondimeno  il  sanese  Belisa- 

*  Vedi  il  Rondinelli  nella  dedicatoria  a  Filippo  Pandolfini ,  premessa  al 
RitraUo. 

*  Neil'  Oraàooe  per  Coaimo  dice  che  Dio  sollevò  quel!'  nomo  a  tanta 
grandezza  perchè  «  due  popoli  governasse  e  due  città  enrale  (Firenze  e  Siena) 

•  e  gareggianti  infin  del  principato  della  lingua ,  e  d'  animi  tanto  avversi  che 

•  (  notabil  cosa  !  )  in  tanta  vicinità  che  ò  tra  loro,  non  si  è  fatto  mai  niun  nobil 
»  parentado.  »  Ma/cello  Adriani^  il  ^ovane,  scrivendo  al  Bulgarini  vorrebbe  che 
questa  volger  gelosia  divenisse  nobÙe  gara  di  opere  stupende  :  «  Mi  era  molto 
»  prima  nota  la  maniera  di  codesta  città ,  nostra  cara ,  amata  sorella ,  la  qnalo 

•  tanto  più  dobbiamo  amare  e  riverire ,  quanto  si  veggono  ogni  giorno  uscire 
»  parti  novelli  di  cotesti  feliebsimi  ingegni ,  i  quali  ci  dimoatrano  quanto  bene 


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XL  DELLA  VITA  E  DELLE  OPBHB 

rio  Bulgariai  lodò  molto  il  Tacito  florenlino.  ^  Non  così 
Adriano  Politi,  il  quale  non  contento  al  biasimo,  volle 
correr  l'arringo  con  un  suo  Tacito  senese,  lodato  al- 
lora e  nel  secolo  appresso,  e  oggi  dimenticato. 'Furon^i 
poi  i  biasimanti ,  per  nulla  conoscersi  di  toscane  eleganze  ; 
e  tra  questi  pongo  quel  Gianvittorlo  Rossi  romano, >^rl- 
battezzato  in  Giano  Nido  Eritreo,  il  quale  nella  sua  Pi- 
nacoteca, '  se  fé  grazia  di  appellare  il  De  Avmsaiis  (cosi 
lo  mette  in  latino)  magno  vir  ingenio  exquisitaque 
erudUione,  non  trovò  peraltro  nulla  di  buono  nel  suo 
Tacito.  E  all'Eritreo  tenne  bordone  Adriano  BaiUet,che, 
sapendo  d'italiano  (dice  il  Menagio)  ma  non  l'italiano,* 
e  forse  non  avendo  mai  letto  questa  traduzicme,  uscì 
con  assai  fronte  a  dire  che  il  Davanzati  a  avoitvoulu  cor- 


•  impiegano  V  ozio  nobile  y  il  quale  si  godono.  Piacesse  a  Dio  che  i  nostri  gio- 
ii vani  non  V  abusassero ,  come  fanno  ;  ma  ad  imitazione  loro ,  fondassero  bella 
»  e  reale  istìtazione ,  per  incamminarsi  con  sentiero  diritto  alla  virtù ,  e  na- 
»  scesse ,  quando  che  sia ,  ira  toì  e  noi ,  amicabile  e  generosa  gara  e  cooteaa 
p  di  lettere ,  per  decidere  un  tratto  e  risolvere  la  maniera  unica  nella  quale 
p  si  dee  scrìvere  e  parlare ,  acciò  gli  stranieri  sappiano  il  modo  vero  ec.  » 

Questa  lettera  del  27  luglio  ^1602  conservasi  nelFa  Biblioteca  di  Siena, 
Cod.  D.  VI ,  9  ;  e  ne  son  debitore  a]  coltissimo  dottor  Gaetano  Milanesi. 

*  Vedi  le  Lettere  nel  voi.  III. 

8  Vedi  la  lettera  del  Politi  a  Niccolò  Sacchetti  nel  libro  intitolato  :  Lettere 
del  iig.  Adriano  Politi  con  wn  breve  discorto  della  vera  denominazione 
della.  lingiM  volgare  usata  da*  buoni  scrittori.  Venezia  4624,  pag.  560. 

'  Jani  Nicii  Eritrcei  Pinacotheca  imaginum  illuslrium  virorum.  Co- 
loniof  ÀgrippincB,  4643,  Parte  5*,  pag.  247-224 .  Riprova  l'uso  de*  vocaboli  anti- 
quati; cosa  (egli  dice)  da  cui  guardaronsi  il  Boccaccio,  il  Petrarca,  il  Gasa, 
il  Bembo ,  il  Guicciardini  ec.  Dice  inoltre  che  né  i  Fiorentini  medesimi  inten- 
dono il  Davanzati ,  e  crede  di  provar  ciò  raccontando  avergli  detto  Francesco 
Niccolini  fiorentino ,  che ,  leggendo  quella  tradazione,  spesso  gli  conveniva  rì- 
4!orrere  al  testo  di  Tacito.  Giova  ricordarsi  il  giudìzio  che  porta  di  lui  Apostolo 
Zeno ,  chiamandolo  :  «  Autore  universalmente  per  molte  falsità  screditato ,  e 
che  ad  esempio  del  Giovio  e  di  qualche  altro  si  compiacque  d'inserir  ne' ri- 
tratti della  sua  Pinacoteca  certe  maochie  e  bruttare ,  le  quali  ora  a  torto  or  a 
diritto  gli  svisano  e  gli  deformano.  »  Note  al  Fontanini.  Voi.  -f ,  pag.  458, 
cdiz.  di  Venezia  4755. 

*  «  Monsiew  Baillet  sait  de  Vitalien,  mais  il  ne  taitpas  Vitalien.  a 
Anti-Baillet,  parte  -1*,  §  8,  pag.  49. 


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DI  BBBMAHDO  BAVANZiTI.  ZU 

rompre  et  (aire  perir  la  pureié  et  l'élégance  de  la  lath 
gue  du  pays,  pour  Vaffermissement  de  laquelle  le$  ati- 
tres  employoietU  tous  leurs  soins  et  leur  industrie.  *  » 
Queste,  sona  facezie  da  non  confutare  ;  se  non  forse  da  un 
francese  per  onor  della  nazione;  al  che  per  avventura 
ebbe  T  animo  Egidio  Menagio.'  Nel  secolo  XVIII  scaduti 
sempre  più  gli  studi  della  lingua,  non  è  maraviglia  se 
del  Taeito  fiorentino  si  tacque,  o  u  parlò  con  biasimo. 
Il  Fontanini  ed  il  Zeno  non  lo  apprezzano  gran  faìtto;* 
il  Tirabosehi  ne  parla  appena;  ed  anche  i  due  Salvini  gli 
si  mostrano  alquanto  severi.  *  Ma  risorto  Dante,  cioè  la 
dignità  del  sentire  e  del  parlare  italiano,  si  raccese  in 
quel  gran  fuoco  anco  la  stella  del  Davanzati;  né  questo 
è  segno  in  lui  di  poco-  valore.  Non  dirò  del  Cesari,  che 
ben  s'intende  com'egli  dovesse  esseme  spasimato;  né 
mi  farò  del  Perticari  che  naturalmente  dovea  biasimarlo. 
Ma  l'Alfieri,  il  Foscolo,  il  Giordani,  il  Leopardi,  il  Tom- 
maseo (che  è  quanto  di  più  virile  hanno  in  questo  se- 
colo le  italiane  lettere)  riconobbero  a  aver  egli  gareg- 
D  giato  con  Tacito  in  quella  forza  del  dire  che  dimostra 
D  chiaro  una  forza  corrispondente  d'animo  e  d'Intel- 
B  letto.  '  »Ma  niuno  il  giudicò  meglio  del  Foscolo,  il  quale 
ben  vide  il  fiorentinismo  del  Davanzati  esser  pura  illu- 
sione sua  e  di  quelli  che  crederono  a  lui,  nata  da  pochi 
riboboli  sparsi  qua  e  là,  che  potrebbono  con  lieve  cura 
levarsi  via,  senza  nulla  scemare,  ansù  con  aggiungere 
assai  alla  forza,  alla  brevità,  alla  bellezza,  e  «  aver  la  tra- 


«  /ugefiMRt  iet  ta»ónt  iw  le$  prineipcmx  ov/vraget  dei  auUwrt,  À 
Petris,  4722.  Pvte  4%  n.  998. 

>  Vedi  P opera  intitolata:  ÀntC-Baillet,  ou  Crilique  du  livre  de 
M.  BaUletj  intiiulé:  Jugemem  dei  tavant:  par  M.  Menage.  Àvee  lei  obiety 
cationi  de  M:  Be  la  Monnoye  eo.  A  Parie,  4730. 

'  Vedi  V  opera  «itata  del  Fontanini  colle  note  del  Zeno. 

*  Vedi  FaiH  eomolari  flotto  l' anno  AS!\  e  il  Fòntanibi. 

s  Tommaseo,  Dixionario  eiteiico. 


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XLII  DELLA  VITA  B  DELLE  OPERE 

»  duzione  più  maravigliosa  che  sia  mai  stata.  »  La  lingua 
in  cui  egli  tradusse  è  quella  intesa  e  scritta  da  ogni  colto 
italiano,  e  a  traducendo  scrisse  in  modo  si  originale 
»  che  non  fu  poscia  né  sarà  mai  imitato  da  alcuno.  ^  b 
Al  Leopardi,  dopo  aver  detto  questa  traduzione  «  nervó- 
sissima, originalissima  »  né  possibile  a  imitare,  parve 
che  non  faccia  fedele  ritratto  dell'  indole  di  Tacito,  ap^ 
punto  per  quelP  arìa  bellissima  (egli  dice)  di  familia- 
rità e  disinvoltura  che  gli  ha  dato  e  che  non  si  trova 
nell'originale,  tutto  austero  e  grave.  '  Ma  se  la  tradu- 
zione è  nervosissima^  ha  (pare  a  me)  il  tratto  più  distia* 
tivo  dello  stil  tacitesco:  e  poniamo  che  alcuna  volta  de- 
tragga alla  gravità  con  qualche  parlar  proverbioso,  que- 
sto, per  essere  non  frequente,  non  può  costituire  l'intero' 
colorito  della  traduzione.  Ma  i  più  per  averci  trovalo 
0  asso  0  sei^  andare  in  orinci^  tuff  in  bulima^  viso  sa* 
fumino^  e  pochi  altri  di  sì  fatti  parlari  plebei,  hanno  to- 
sto gridato,  senza  considerare  più  là:  Et;co  i  romani 
consoli  convertiti  in  Grezie  !  Come  se  tutto  Tacito  fosse 
rinvolto  in  questo  fango,  e  non  ne  avesse  piuttosto  qual- 
che raro  sprazzo,  che  non  può  né  far  mutare  qualità  né 
scemar  pregio  a  ricco  vestimento.  Qui  s*  avverò  la  sen- 
tenza: ((  Quello  che  pochi  intuonano,  gli  altri  cantano.*  » 
Che  se  vero  é  il  detto  di  Quintiliano,  non  esser  parcria 
sì  bassa  che,  a  proposito  collocata,  non  possa  ricevere 
nobiltà;  non  potrà  dirsi  aver  sempre  il  Davanzali  sce- 
mato con  tali  parole  riverenza  a  Tacito,  quando  le  usò 
dove  la  natura  le  voleva.  Vedasi  se  i  sediziosi  soldati 
in  Germania  potevano  parlare  più  convenientemente,  o 
se  un  più  artificioso  e  scelto  discorso  fosse  loro  stato 

'  Foscolo.  Discon»  VI  sulla  lingua,  pag.  25S-256.  Edincoe  di  questa 
Biblioteca. 

>  Studi  giovanili,  Pag.  454.  Edizione  di  questa  Biblioteca. 
»  Tacito,  in»..  IT   12. 


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DI  BBRNABDO  DAVANZATi:  XLIII 

meglio  ?  ^  Non  le  usò  già  quando  fece  parlare  Àrminio ,  * 
Seneca,  Nerone;'  quando  descrisse  la  morte  di  Libone/ 
di  Pisone,*  di  Otone/  o  l'incendio  di  Roma;^  quando 
dipinse  Galba  *  e  Poppea  Sabina.  *  Che  v'  ha  qui  e  in 
cento  altri  luoghi  di  fiorentino  ?  o  che  non  v'ha  d' italiano 
illustre?  0,  a  meglio  dire,  di  maestà  consolare  e  imperato- 
ria? Non  ha  dunque  ragione  il  Foscolo?  o  doveva  anche  il 
Giordani  credere  buonamente  al  nostro  Bernardo,  d'aver, 
cioè,  voluto  tradurre  a  non  con  la  più  nobile  favella  de- 
»  gli  scrittori  letterati,  ma  col  parlar  comune  del  popolo 
»  di  Firenie?  »  ^^  Ma  allora  perchè  non  tradusse  l^'acito 
come  il  Zannoni  scrisse  poi  le  Ciane?  questo  sì  sarebbe 
stato  fiorentino  vero,  non  quello.  Ne  con  ciò  intendo  di- 
fenderlo dove  alcuna  volta  non  rende,  per  volere  esser 
troppo  breve,  con  pienezza  il  concetto  latino;  dove  fran- 
tende  (quasi  sempre  per  difetto  del  testo);  ^^  o  dove  usa 
scorci  troppo  violenti,  e  però  scuri;  o  dove  senza  biso- 
gno disseppellisce  troppi  cadaveri  di  vocaboli.  I  quali 
peraltro  si  prese  cura  di  chiarire  non  pur  nelle  Postille, 
ma  e  in  un  Indice,  dove  e  fiorentinismi  e  rancidumi 
scambiò,  per  chi  la  volesse,  in  moneta  corrente.  Cosi 
avesse  avuto  tempo  di  compiere  le  Postille,  sì  acute,  si 
vive,  sì  piene  di  nobili  pensieri,  e  talvolta  nuovi,  sull'este- 
tica, sulla  politica,  sull'economia,  sulla  morale! 

*  Ann.  I,  17. 
«i4«n.  II,  54. 

»  Ann.  XIV,  52-^7. 

*  Ann.  11,51. 
s  Ann.  Ili,  45. 

/     •  Stor.  Il,  46-52. 
'  Ann.  XV,  5a. 
»  Slor.  I,  59. 
«  Ann.  XUI,  45. 

*»  Nel  voi.  SPudi  giovanOi  di  G,  Leopardi,  pag.  457. 
**  Fece  la  traduzione  sol  testo  del  Lipsie ,  aiutandosi  anche  deUe  eoiro' 
sioBÌ  del  Piccheaa.  Di  rado  rìeorse  ai  ma.  Laorenziani,  e  se  ne  pentì.  Vedi  la 
postilla  2%  pag.  485  al  lib.  IV,  degli  Annali. 


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XUV  DELLA  VITA  E  DELLE  OPBRB 

Colla  storia  dello  Scisma  ben  meritò  non  pur  delle 
lettere,  ma  del  cattoliclsmo,  comiociato  anche  in  Italia 
a  insidiare  per  le  novità  del  frate  di  Vittemberga  e  per 
le  violente  libidini  dell'ottavo  Arrigo  d'Inghilterra/  Fi- 
renze, guardata  da' fieri  ordini  di  Cosimo,  poco  ne  fa 
tocca:  pure  alcuni  Fiorentini  si  erano  accostati  alla 
nuova  eresia,  come  il  Carnesecchi;  altri  le  avevano  sco- 
pertamente dato  i]  nome,  come  Pietro  Martire  Vermigli 
e  pochi  altri,  rifuggiti  altrove.  La  vicina  Siena  si  era  com- 
mossa alla  caduta  dell'  Ochìno,  già  in  voce  di  gran  ùoU 
trina  e  santità;  *  e  i  due  Soccini,  Fausto  e  Lelio,  tenta- 
vano nuova  scuola  d'errore.  Il  mostrare  da  che  laide  origini 
sorse  il  funesto  dissidio  inglese,  non  poteva  non  illumi- 
nare anche  sul  conto  degli  altri  nemici  della  verità  cat- 
tolica. E  forse  il  Davanzatl,  uomo  di  fede  sentita  e  fer- 
ma, mirò  più  a  questo  che  a  una  pura  prova  di:  lingua. 
Da  prima  si  stimò  l'opera  sua  originale;  poi  sene  dubitò, 
non  conoscendosi  ancora  la  prefazioncella  premessavi  e 
che  fu  trovata  dal  Gamba  nel  manoscritta  marciano;  nella 
quale  dice  chiaro  d' aver  voluto  tentare  sulla  storia  del 
gesuita  Niccolò  Sandero  la  prova  già  fatta  ne' primi  ctn- 
gue  libri  di  Cornelio  Tacito.  Dal  che  si  vede  eh'  e'  con- 
dusse questa  operetta  come  per  intramessa  e  riposo  al 
grave  la,voro.  sullo  storico  latino.  Anche  qui  l'istessa  ner- 
vosità, purezza  e'  concisione.  Se  non  che  duole  eh' e' fosse 
troppo  severo  nella  sCrondare  l'originale;  avendo  lasciato 
non  solo  ogni  considerazione  morale-  e  politica,  ma  si 
anco  circostanze  di  mollo  rilievo.  Lo  che  rende  la. sua 

<  Vedi  il  Tiraboschi,  Storia  della  letteratura  italiana,  t.  VU,  par.  4, 
pagg.  557  e  segg.,  ediz.  di  Firenze,  4809  ;  e  meglio  Vittoria  del  progretto  » 
dell' ettinxione  della  riforma  in  Italia;  di  Thomat  Macrie.  Parigi  4855. 

>  Tra  le  lettere  di  aandio^Tolomei  (Vinegia,  4566)  havrene  nna  elo- 
^foentissima  e  cordialissima  al  frate  Ochino ,  dove  si  tenta  di  richiamarlo  dai 
«noi  errori ,  d'  esemplo  tanto  pia  peraicioso ,  guanto  maggiore  era  stata  inino 
allora  la  sua  opinione  di  santità. 


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DI  BERNARDO  DAVANZATI.  ILY 

narrazione  forse  troppo  digiuna  e  secca.  Tuttavia,  così 
com'  è,  è  de'  libri  che  oggi  vorrebbero  piCi  esser  letti.* 

*  Volentieri  rechiamo  qai  ona  nota  che  Pab.  Michele  Colombo  pose  in 
{ronte  allo  Stitma  delia  edizione  Cominiana,  -1727}  di  cui  siamo  tenuti  alla 
cortesia  del  eh.  Angelo  Penana ,  bibliotecario  della  Parmense ,  dorè  il  detto 
esemplare  si  conserva.  —  «  Nello  stile  di  Bernardo  Davanzati ,  sia  eh'  egli  tra- 
doca ,  sia  che  diaci  del  proprio ,  è  sempre  nna  originalità  che  ce  lo  fa  distin- 
gaere  da  tutti  gli  altri  Scrittori.  Ninnò  è  più  abile  di  lui  nel  maneggio  della 
lingua  :  ricco  nella  sua  parsimonia ,  sa  racchiudere  molti  sensi  in  pochi  detti  ; 
è  sempre  terso  e  forbito,  s'esprìme,  anche  senza  cercare  ornamenti,  con  gra- 
zia ,  con  brìo ,  e  con  un  garbo  tutto  suo.  Una  sola  parola  uscita  dalla  sua 
penna  yale  talora  una  frase  intera ,  e  n'  ha  più  di  forza  e  di  leggiadria  ;  con 
tanta  finezza  e  con  tanto  ingegno  egli  sa  adoperarla. 

»  Questo  eccellente  scrìltore  non  è  tuttavia  né  pur  egli  senza  qualche  di- 
fetto. Sembrami  eh'  esso  dia  alcuna  volta  al  perìodo  un  giro  troppo  studiato , 
facendogli  perdere  alquanto  di  quella  fluidità  e  scorrevolezza  che  tanto  piace  ; 
come ,  per  esempio ,  dov'  egli  dice  :  Quanto  sarebbe  piU  utile  gli  uomini, 
che  i  fanciulli:  i  capi  de^ Regni ^  che  %  minori  Principi:  le  itette  perMono 
reali y  che  i  figli  loro  far  nozze  iniieme?  (pag.  ^19.')  Talora  usa  costruzioni 
alcun  poco  strane.  Tale  a  me  apparisce  quella  del  seguente  passo  (se  pur  non 
v'ha  errore  e  nella  stampa  de' Massi  e  Laudi  allegata  dagli  Accademici  della 
Crusca  nel  loro  Vocabolario ,  e  in  tutte  due  le  Gominiane ,  del  che  ho  qualche 
sospetto)  :  Un  altro ,  votato  Opperò,  quando  era  cattolico  dicea  mole  della 
troppo  ricchezza  e  morbida  vita  de*  Vescovi  (*)  (pag.  -107).  Più  regolare  sa- 
rebbe stata  la  locuzione  a  questo  modo  :  dicea  male  della  troppo  ricca  e 
morbida  vita,  ec.  (**)  Tale  si  ò  ancora  questa:  V  altre  nazioni  di  fuori  ne 
hanno  sempre  parlato  liberamente  :  e  doltosi  che  la  tua  giovanezza  eia 
stata  ingannata  da' savi  tuoi  (pag.  20).  Non  potendo  quel  participio  dol- 
tosi essere  subordinato  ad  hanno,  come  l'altro  participio  parlato,  U  regolar 
costruzione  rìchiedea  che  si  facesse:  e  si  sono  dolute,  ec. ;  ma  lo  scrittore 
amò  meglio  servire  in  questo  luogo  alla  brevità  dell'espressione,  che  assogget- 
tarsi alla  scrupolosa  regolarìtà  della  locuzione.  In  oltre,  appunto  per  amore 
di  brevità ,  egli  subordina  qualche  fiata  ad  un  verbo  solo  più  cose ,  ad  alcuna 
delle  quali  esso  non  può  con  proprietà  appartenere ,  come  scorgesi  in  questa 
frase  :  IH  quindici  anni  si  lasciò  sverginare  dal  Coppiere,  e  poscia  dal 
Cappellano  di  Tommaso  Boleno  (pag.  25).  Se  non  era  tornata  miracolosa- 
mente pulcella ,  dopo  il  fatto  del  Coppiere  non  poteva  essere  sverginata  ezian- 
dio dal  Cappellano.  Certo  con  minor  brevità ,  ma  con  maggior  proprietà  si  sa- 
rebbe espresso  P  autore  dicendo  :  si  lasciò  sverginare  dal  Coppiere ,  e  poscia 

(*)  Così  leggcsi  sncUe  nell'edisiuno  di  Roma  del  4602,  li  qnala  è  U  prima. 

{Nota  dei  PéiiattM,) 

n  Di  qiMsto  oMtratto  troTtd  on  esempio  anche  nella  Vita  di  Filippo  Strani  icrìtta  da 
LoraiM»  rao  fratello.  A  pag.  e  (Tedi  tt  FUi^^  StmU  del  NiooeUni:  edis.  di  questa  Bmioteea) 
«  legge  :  «  Fa  risolato  cSie  si  espedisse  al  re  oas  persona....  «he  {iostìAcasse  le  passate  anoni 
dà  cardinali  con  Ut  troppo  toro  fedt  e  bontà.  » 


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XLVI  DELLA  VITA  E  DELLE  OPERE 

Le  lezioni  sul  Cambio  e  sulla  Moneta,  vanno  giudi- 
cate con  quello  che  allora  sapevasl  di  pubblica  econo- 
mia ;  e  troverannosi  lodevoli  non  tanto  per  la  proprietà 
e  schiettezza  del  dettato,  quanto  per  le  cose  che  racchiu- 
dono. Nella  prima  restrignesi  a  descrivere  con  bella  per- 
spicuità il  modo  del  giro  cambiario,  senza  entrare  in  più 
alte  considerazioni  su  questo  nuovo  e  potente  impulso 
dato  dai  Fiorentini  al  commercio.  Nella  seconda  discorre 
eruditamente  dei  metalli,  delle  diverse  specie  di  valori, 
e  più  che  altro  lamenta  lo  scadimento  della  moneta  fio- 
rentina a'  suoi  giorni,  sì  dannoso  al  commercio,  e  a  co- 


fece  copia  di  tè  al  Cappellano ,  ec.  Talvolta  egli  passa  da  un  nomina- 
ti?o  ad  un  altro ,  lasciando  che  il  solo  senso  determini  a  qual  di  essi  le  di- 
Terse  azioni j  di  cui  si  fa  cenno,  appartengono.  Eccone  un  esempio:  lo 
ttigò  il  Diavolo  a  spogliare  i  Conventi:  dicendoli  pieni  di  rabbie^  di  lui' 
turie,  d* ignoranza,  d'ambizione,  e  di  tcandoli;  e  teopriensi  l'un  l'altro; 
e  davali  in  commende  a  uomini  di  conto  (pag.  66).  Qmstigò  si  riferisce  al 
Diarolo ,  dicendoli  ad  Arrigo,  icopriensi  a  Conventi ,  donali  di  nuovo  ad  Ar- 
rigo. Questi  balzamenti  improvvisi  da  un  nominativo  ad  un  altro ,  e  da  questo 
ad  un  altro  ancora,  senza  V  aiuto  di  qualche  pronome  che  indichi  a  qual  di  essi 
V  azione  appartenga ,  sogliono  a  prima  giunta  nella  mente  del  leggitore  gene- 
rar confusione  ;  e  però  sono ,  pare  a  me ,  da  schivarsi.  Qualche  fiata  unisce 
alcune  voci  ad  alcune  altre,  senza  che  v'  abbiano  appicco  insieme.  Abbiamo  un 
esempio  di  ciò  nel  seguente  passo:  Moro  era  laico:  gratittimo  all'unioer- 
tale  :  non  produsse  Inghilterra  per  molti  secoli  uomo  fi  grande  :  nato  no- 
bile in  Londra  :  dottissimo  in  greco  e  latino  :  pratico  in  magistrati  e  am- 
bascierie  40  armi  (pag.  62).  Queste  voci  guaranr  anni  sono  appiccate  lìnon 
saprei  dir  come.  Potrebbeglisi  forse  imputare  a  vizio  eziandio  il  gittar  lì,  co- 
m' egli  fa  assai  sovente ,  i  diversi  membri  del  periodo  senza  collegarli  V  uno 
con  l'altro.  Convengo  che  tali  slegamenti  non  sieno  sempre  da  biasimarsi  ;  con- 
fesso di  più  che  possono  in  qualche  caso  meritare  anche  loda ,  come  aUora 
quando  si  fa  parlare  chi  è  agitato  da  qualche  veemente  passione  ;  ma  nel  no- 
stro scrittore  mi  paion  troppo  frequenti  ;  e  non  so  se  possano  tutti  essere  a  ba- 
stanza giustificati.  Finalmente  s'incontra  in  questo  Autore  qualche  voce  o  troppo 
Latina,  come  succedituro,  vocato,  corampopolo,  ec,  o  troppo  antiquata, 
come  di  certamo,  lepiacimenta,  le  peccata y  ammorbidoe ,  morette,  ec,  o 
troppo  bassa  e  popolare ,  come  la  vilia,  far  belli  falò,  ed  altre  simili.  Ma 
queste  taccherelle  sono  quasi  fatte  sparire  dai  sommi  pregi  di  sì  grande  scrit- 
tore. Farmi  per  altro  che  lo  stile  di  lui  sia  piuttosto  da  tenersi  in  gran  conto, 
che  da  imitarsi  ]  sondo  che  troppo  diffidi  sarebbe  il  conseguirne  le  bellezze ,  e 
troppo  fa<»le  il  contrame  i  difetti.   » 


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DI  BERNARDO  DAVANZATt.  ILTH 

loro  stessi  che  improvidamente  se  ne  fanno  cagione.  Se 
si  pensa  che  prima  del  Davanzali  non  ci  fu  che  il  solo 
Gasparo  Scaruffi  che  prelibasse  questa  materia;^  non  ci 
parrà  troppo  discreto  V  ab.  Galiani  che  sì  severamente 
giudicò  le  dottrine  del  Nòstro.'  Il  quale,  come  pratico  e 
colto  mercante,  e  come  piacevole  accademico,  non  intese 
se  non  di  raccogliere  le  osservazioni  della  propria  espe- 
rienza, infiorandole  di  curiose  erudizioni  e  colle  genti- 
lezze della  lingua. 

Poco  mi  stenderò  sulle  due  Orazioni  facete,  dette  agli 
Alterati.  Non  le  chiamo  col  proprio  nome  di  Cicalate, 
per  non  dar  cagione  di  sdegno  a'  severi.  Ma  se  egli  vo- 
lessero paragonarle  colle  altre  che  aggravano  oziosa- 
mente i  volumi  delle  Prose  fiorentine^  son  certo  che  non 
le  troverebbero  senza  sapore  di  attici  sali  e  senza  qual- 
che sostanza  di  buoni  pensieri.  Quello  spirito  fiorentino 
ameno,  vìvo  e  bizzarro,  non  fu  potuto  spegnere  nemmeno 
sotto  il  flagello  delle  terribili  proscrizioni  di  Cosimo.  Anzi 
dal  vedere  come  in  questo  tempo  crebbero  le  allegre  com- 
pagnie, e  fu  più  che  mai  in  voga  questo  perditempo  delle 
cicalate;  '  potrebbe  credersi  che  i  Fiorentini  volessero  in 
tali  baie  dimenticare  se  stessi  e  i  mali  presenti  ;  se  non 
si  sapesse  che  quasi  tutti  coloro  che  erano  potuti  rima- 
nere in  Firenze,  non  erano  siffatti  da  dolersi  troppo  dei 
perduti  ordini  antichi. 

'  Vedi  Pecchio,  Storia  dell'Economia  pubblica  in  Italia.  Lngaao  4852. 

3  Della  Moneta  jWhrì  cinque,  di  Ferdinando  Galiani.  Napoli  4780,  pag.  26, 
o5,  160  e  segg. 

'  Anche  gli  antichi  si  piacq[aero  di  tati  scrittore  giocose ,  dove  accorta- 
mente sapevano  mescolare  qualche  utile  insegnamento.  Tra  le  opere  di  Fron- 
tone leggonsi  le  lodi  della  negligenza ,  della  polvere ,  del  fumo.  E  il  celebre 
discopritore  e  editore  di  questo  e  di  tanti  altri  monumenti  letterari,  card. 
Angelo  Mai ,  difende  V  autore  coli'  esempio  di  Senofonte ,  di  Platone ,  di  Fa- 
vorìno  e  più  altri,  che  non  isdegnarono  cosi  fatti  sollazzi.  Vedi  Marci  Cornelii 
Frontonii  et  M.  Àurelii  imperatorit  epiitolce,  ewante  Angelo  Maio.  JRo- 
imv  4823,  pag.  324. 


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XLYIII  DELLA  VITA  E  DELLE   OPERE 

Come  cede  alle  cicalate,  così  accomodossl  alia  Ora- 
Sion  funebre  per  Cosimo;  non  affatto  vuota  e  ciarliera 
come  quella  del  magnifico  cavaliere  messer  Lionardo  Sai- 
viali  e  di  cento  altri  accademici  e  messeri  ;  ma  certa- 
mente non  degna  del  traduttore  di  Tacito.  Loda  le  corone 
e  gli  scettri  e  gli  ornamenti  regali  da  lui  portati  in 
€ittà  dominante  e  non  suggetta  a  potenza  straniera: 
loda  i  fuochi  fatti  pel  Mugello  infino  al  mar  Adriatico 
nel  suo  nascimento:  loda  lo  splendor  della  casa;  la  bel- 
lezza delia  persona  ;  l' ottenuto  principato,  bene  di  tutti 
gli  umani  il  più  desiderabile  e  soprano:  loda  l'ingegno 
e,  a  prova,  cita  le  liti  eh'  egli  ebbe  con  Lorenzo  di  Pier 
Francesco;  loda  i  nemici  suoi  che  furono  (e  questo  è 
vero)  asce  e  martella  a  fabbricargli  e  conficcargli  il  prin- 
cipato. Come  se,  volendo  lodare,  non  ci  fossero  stati  di 
lui.  (che  non  sol  per  P animo  tirannico  ma  per  la  scaltra 
natura  e  arte  di  regno  fu  detto  il  Tiberio  toscano)  e  gli 
studi  e  gl'ingegni  promossi;  le  storie  commesse  e  la- 
sciate scrivere  lìberamente  al  Varchi;  il  commercio  e 
l'industria  rialzati;  i  collegi  aperti;  V  università  dotate; 
le  leggi  vigorosamente  osservate;  le  paludi  rinsanite; 
l'agricoltura  giovata;  e  altri  lodevoli  fatti,  o  taciuti  o  leg- 
germente sorvolati  dal  nostro  accademico. 

L' arte  agraria,  che  dalla  schietta  e  maestosa  bel- 
lezza dei  campi  trae  un  che  d'ingenuo,  di  nobile  e  di 
poetico,  fu  da  eletti  ingegni  accarezzata  in  Toscana  non 
meno  che  in  Grecia,  di  cui  ben  cinquanta  scrittori  geor- 
gici  si  trovano  citati.  Toscane  sono  le  trecentistiche  tra- 
duzioni del  Palladio  e  del  Crescenzi:  toscani  il  Vettori, 
il  Soderini,  l'Alamanni,  il  Magazzini,  che.vestìrono  di 
tanta  gentilezza  le  cose  della  villa.  Ma  niuno  nella  evi- 
dente  proprietà,  nella  svelta  e  lucida  concisione  va  in- 
nanzi al  Davanzali,  il  cui  Trattato  della  coltivazione  to- 
scana è  gemma  preziosa  e  rara.  Anche  questa  scrittura 


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DI  BERNARDO  DIVANZATI.  XLIK 

è  compendio  di  opera  altrui  ;  buona'sì  nella  sostanza,  ma 
prolissa,  rozza  e  disordinata,  come  dice  egli  stesso  nella 
prima  dettatura  della  lettera  a  M.  Giulio  Del  Caccia.  Onde 
pensò  di  esprimerne  questo  succo  e  di  condirlo  di  alcune 
gentilezze. 

Le  Rime^  se  ne  togli  la  purità  della  lingua,  non 
sono  veramente  un  graii  fatto  ;  né  sentesi  rammarico  che 
sian  poche.  Ben  ci  duole  che  poche  siano  le  Lettere,  belle 
per  sagace  parsimonia  e  per  dignitosa  affabilità.— Altre 
cose  egli  scrisse;  ma  o  l'ingiuria  del  tempo  ce  le  ha 
tolte,  o  nascose  e  ignorate  aspettano  un  felice  discopri- 
tore. * 

A  me  non  più  di  questo  è  avvenuto  di  trovare  in- 
torno  ai  fatti  e  alle  opere  di  quest*  uomo  singolare.  Che 
se  mi  conforta  il  pensiero  d'  avere  raccolto  qualche  più 
copiosa  notizia  che  non  gli  altri  biografii  di  lui,  sento 
vergogna  d' avere  di  tanto  scrittore  parlato  sì  povera- 
mente. 

*  li  Rondinelli  dice  eV  egli  ebbe  in  pensiero  di  scrivere  la  vita  del  £^an 
Micfaelangiolo  ;  ma ,  per  somma  sciagura ,  pare  che  o  il  tempo  o  1'  animo  gli 
fallissero  a  sì  bella  impresa. 


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ti 
BIBLIOGRAFIA 


DILLE  OPERE  DI  BEBIABDO  DAYAIZiTI. 


I.  —  Il  primo  libro  degl' Annali  di  Gaio  Cornelio  Tacito  da  Ber- 
nardo Davanzali  Bostichi  espresso  in  volgare  fiorentino,  per  dimo- 
strare quanto  questo  parlare  sia  breve  e  arguto.  In  Firenze,  presso 
Giorgio  Marescotti,  1596.  ln-8o  piccolo. 

U  prfaM  S  «tite  dM  e«tMgoiD  U  flmitei^o  «U  MAwa  •  lltMio  Valeri,  bmM  «aapffiM 
•dia  MHMmiMWi  pan  aaa  mm  nuMnte.  Ha  laguli  ad  M«giM  i  mimiì  ricfaiuMatt  te 
pMtiUi,  dM  wéadmf  pH(.  78  •  mm  00.  A  pag.  n-T!  è  U  dicbUndoas  M  ìhmi  mnMd 
mmt  4i  dkmm  tmodtnuammii»,  V  «ItkM  pagìB*  Boia  Mi  «mri  4«  wrref fan. 

«UqoMUaAiioMdU,  dia  d  4k  11  priao  nggl»  M  eddm  VoiftrinnMlo  A  TmUì 
fdlo  da  Btmmni»  Dmumtmi»  d  aerriraM  gli  Aaeadanid.  Vaf gad  la  taaa  atinaATa  dw  è 
idte  JaUa  dtettcalatla  ddP  a«loN  a  Bacda  Valari,  a  éha  kggMl  adt>«ltt«a  lÉMa  daUa  <|utt« 
faedaU.  »  (Ouaba.) 

«  U  latta»  Miaatoriaidr  tntava  a  Biado  Valari  tra?  ad  aadia  adi»  Jav^^  di  IVirii 
Cnmit,  Impfafao  òaf  Gioati  ad  IM»,  mk  eoa  «aagiamcati  aoteUli  fìittld  iatt'  aalaca.  E  qaik 
agli  U  riJwaa  la  qwl  Utoo,  tala  H  teppd  ripiaddta  dal  Matti  diatw  a»a  PaatiHa  adk  Oparé 
fi  C&mai»  Tmttto  traéon»  éM  Dmpanaati  a  imprasM  ad  46S7,  la  fogli»,  aa  par  eagioaa  da'  caa« 
giaaMattbMiTi,  la  vaaa  ttfimtMt  la  qaaato  riaUmpaaaa  d  twra  pia.  E  paidè  kggMdadaaaa 
adaaanla  iidl>  adtxiaaa  dd  PHmù  mm  éegtt  AmuM ,  fatU  dd  Haiasaattt  ad  UM,  è  maalfc» 
atadiafa  adapaiate  aaaba^mnaadldaBa  dagU  Aaaadaaid.  »  tCdoabo,  dt«U  dal  ftaaaba.) 

II.  —  L' imperio  di  Tiberio  Cesare  scritto  da  Cornelio  Tacito 
nelli  Annali  espresso  in  lingua  fiorentina  propria  da  Bernardo  Da- 
vanzali Bostfcbi.  In  Firenze,  per  Filippo  Giunti,  1600,  con  licenza  de* 
superiori  e  privilegio.  lo-4. 

ÌA  priflM  ad  carta  aaa  namarcta  aontaagono ,  attia  fl  frontaapiiia ,  4*  la  dadlatloria  a 
Bacdo  Valori,  riamtata  a  compendiata,  com'  è  aaoennato  aopra.  8°  Da'altca  lettera  al  aiada- 
Simo,  aella  qaala  discorre  le  ragioni  del  suo  volgarìizamento,  esteso  fino  a  tatto  il  sesto  libro 
degli  Annali,  acdoechè  la  vittoria  della  lingua  fiorentina  sia  pia  certa  nella  prora  ddla  bre- 
vità. S^  U  desoidone  ddla  Stirpe  d'Afutw ,  divisa  in  dee  Urole  ^  a  ddla  5tf;p«  di  LMm 
moglU  d*  Aguno  in  una  sola  tavola.  La  tradndoaa  oeenpa  400  aagiae  annerata,  raggaagHata 
perfettamente  all'  edixtoaa  Lionese  (1581)  del  testo  latino,  ad  agevolare  il  campato  dalle  paiola 
latine  e  italiane  a  il  confronto  della  loro  somma.  È  da  avvertire  ebe  i  libri  degli  inndi  qal 
tradotti  appariscono  cinane  \  ma  ndl'nltimo  sono  compred  i  frammenti  dd  fninlo  a  tatto  il 
sesto.  Alla  pagina  161  comindano  la  Podille  aba  vanno  fino  alla  pagina  a03 ,  segnata  par  ar- 
fore  e03.  Alcune  di  qnasU  postille  non  d  leggono  adi'  edidoai  posteriori,  paicbè  U  tradattoca 
amtò  0  corresse  I  laoghi  a  coi  d  riferivano;  altre  vi  d  leggono  o  ampliata  o  aorvatta  nella 
elocazioae.  Finalmente,  alcune  e  importanti  postilla  ddla  posteriori  adidoni  aoa  d  laggono  qaL 
]>9po  ona  pagina  bianca  sagaa  la  ravota  d$Ué  «a»  p<à  notabili,  eompiiata  dal  tradottora  slea- 


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in  BIBLIOGBAFIA. 

•o,  U  qsaW  oocapa  IO  eirla  nan  auMrato.  Fioalaaiiia  V  «llina  carta  ha  ad  rwto  la  tavole 
degli  Emrt  oeeoni  per  difetto  del  tipografo,  •  nel  verto  alca*  poeba  ITiiMsìimì.  L'  «UiaM 
carta  ha  Io  ttegma  glnntiao ,  il  registro  o  la  note  tipograflcba ,  ripatala  aoaa  ad  bonlaspii». 
—  Ilibri  non  MB  divifi  a  capitoli. . 

Il  primo  libro  è  riprodotto  con  asaai  eorradoai  e  pcatiaaatl^ntillMlniaeonaldaraia.  Gli 
Aecademici  non  pare  si  sieno  gioTsti  troppo  di  questa  edidone,  sebbene  potesse  loro  fonìra 
▼ocaboli  che  non  riuTcngonsi  nelle  posteriori.  Anclie  gU  editori  non  hanno  fatto  aleon  cento  né 
di  questa  né  della  precedente.  Eppore  essendo  esso  le  oniebe  stampe  condotte  sotto  gli  oodii 
del  tradattore,  potevano  di  là  attingere  molto  lame  per  dare  le  Loro  ediikmi  pii  esatte  <•  pia 
compiate. 

Un  esemplare  gik  esistente  nella  fa  Rinnocisiana ,  ed  ora  presso  il  cb.  conta  Moitan  è 
tatto  postillato  di  mano  del  tradattore.  Noi,  por  ooriesia  del  possessoroi  abbiamo  potato  esa- 
minarlo e  trame  profitto  per  la  nostra  edisione ,  come  pah  vedersi  dallo  VaritoM  registrate  in 
fine  del  .Tolome.  Che  qneste  postille  sieno  di  mano  del  traduttore  non  panni  se  ne  possa  dubi- 
tate, dopo  il  confronto  di  esse  coi  omoscfaiti  aotograH  :  a  se  alarne  poche  sondirano  di  primo 
«ratto  di  aumo  diversa,  dò  deriva  daUa  diversitk  ddP  inchiostro  o  dd  tempo  dio  teeno  aeriti*. 
Ci  sono  da  notare  abnne  carionth  che  danno  sempre  maggior  fedo  di  antentidie  a  queste  posUUe. 
E  la  prima  è ,  che  in  fine  del  secondo  libro  dove  Tacito  ,  facendo  il  carattere  d'  Arminio ,  dico 
proelUt  ambifìou,  traduce:  «  nelle  battaglie  pericoloso /  s  ma  nd  margine  a  destra  tira  facci 
amkiguus,  e  noli'  dtre  nota:  •eifudu  din,  »  Lo  che  mostra  eh*  U  Davantatt  leggsado  la  sa* 
tradottone  a  qudoha  dotto  amico  o  noli'  accademia  stessa  degli  Alterati ,  non  tnvb  approva- 
dono  a  qud  passo.  Ed  infatti  nella  Nestiana  vederi  mutato  cosi:  «  netta  iaaattie-9mr».  »  L* 
seconda  è,  che  per  un  ghiribiiso  di  ritrarre  anche  nella  scrittura  la  prenunri*  popdaira,  e'  trssic* 
nn  gran  nomoro  di  parole,  legandole  inneme,  quasi  coaae  adlo  Ciane  dd  bnnoai.  Ecoone  al- 
cuni oseapi  :  megii*  amava»*  il  pruente  :  't  debol  otefo  :  aioMo  giaaaaett^  at  poatfjUata  :  ogni 
to$'  a  lui  :  mentr*  Agusto  :  mlest'  ami  t  d*aniae  amtaat  «  anutele  :  per  temf.  o  'mridia:  te 
notf  0  la  ser*  a  eontaminare  :  i  pe'  (pdi)  canuti  :  meUeu'  a  ferr*  e  fuo^  e  'n  temr  U  paese  eo.: 
poi  muta  sempre  pooo  in  po';  fece  in  /«;  vaali  in  eoU't  furano  in  /«r/  sarekàe  in  «oi^;  li, 
delti,  olii,  eapéUi  in  gli,  des'',  agli,  eàpeglis  e  cod  sino  in  fondo. 

Il  manoscritto  che  servì  a  questa  ediùone  del  Giunti  eonservad  nella  MagliaboiAiaan 
(d.  XXIU,  450)  Cd  Utoio  «  Postille  agU  Anndi  di  Comdio  TadU  o  11  libro  II,  U!,  IT  e  T 
do'  detti  Annali  tradotti  in  lingua  floraitina  da  Bomaide  Davanuti  BostiehL  Origbulo.  »  Que- 
sto codice  appartenne  d  senator  Carlo  di  Tommaso  Stroid,  1073.  Ma  non  è  già  originde,  ooom 
qui  si  scrivo  e  come  asserisca  anche  Sdvino  Sdvini  (F«ir.  oom.  pag.  aSS)  :  originali  sene 
molte  correàoni  e  le  postille  e  denne  carte  in  principio.  Che  pd  questa  copia  servisse  alle 
stampa  vederi  dalle  approvaiionide'  censori  ecdesiastid,  Cario  Ruoelld,  canodoo  e  accademico 
fiorentino,  Alessandro  Caccia  inquidtore,  e  fra  Maljtoo  Saamattd  canoegUere  (7  e  15  giugno  IS99). 
Manca  il  primo  libro  perchè  forse  le  correrioni  di  esso  le  fece  il  traduttore  sulle  stampe  Ma- 
rescottlana. 

III.  —  Opere  di  Gaio  Tacito  con  la  tradazione  in  volgar  fioren- 
tino del  sig.  Bernardo  Davanzati  posta  rincontro  al  testo  latino  con 
le  postille  del  medesimo  e  la  dichiarazione  di  alcune  voci  meno  in- 
tese, con  la  tavola  copiosissima.  Al  serenissimo  sig.  principe  Leo- 
poldo di  Toscana.  In  Fiorenza,  nella  stamperia  di  Pietro  Nesti,  1657, 
con  licenza  de'  superiori. 

In-foglio.  Seguono  al  frontespizio  24  carte  non  numerate  dia  contengono  la  Dedicatoria, 
FAvveriimento,  la  stirpe  d'  Augusto  e  di  livit,  e  la  Tavola  ddle  materie.  Il  testo  e  la  tradu- 
stone  contano  424  pagine  divise  a  col^onna.  Da  pag.  425  a  461  lo  Posttllot  da  pag.  481  a  465  Io 
due  lèttere  a  Bacdo  Tdori  e  una  terza  agli  Aoòademid  Alterati.  Segno  U  DicihiarazUme  d^tdeuna 
«od  amunemenu  mena  intese  in  otto  pagine  non  numerate  :  ed  in  ultimo  un  mostruose  er- 
rata-ccArrige ,  die  fa  appena  a  una  rad^  dd  bisogno^  coma  dica  il  Volpi  non  senza  esagaradone. 


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•  BIBUOGRAFIA.  Ufi 

E  qmsla  la  primi  eaktaM  iOSf  tetero  Tdgarìsaowrio,  proeortf  a  àt^i  leet^aaid  ddla 
Grasca,  31  aaao  dopo  !a  mori»  ddP  aatore ,  e  citaU  nel  Yoeabolario,  sebbena  rioadiae  aeomt- 
tiwioia.  «  Da  molti  atadlosi  desiderata ,  ma  per  varie  eagtoni  trattenota  e  Impedita  dopo  la 
morte  del  DaTaniatli  il  quale  non  ebbe  tempo  di  ripniirta  e  oorreggeria.  Ma  aleuti  Talentoo- 
n&ai  affcrionati  alla  memoria  di  lui,  e  per  xelo  ancora  del  ben  oommie  e  della  loro  favella  , 
impìeganoD  ogni  afono  e  ogni  memo,  onde  l' opera  si  stampasse  nel  miglior  modo  che  si  fossa 
potato.  9  Zeno,  note  al  Fontaninij  voi.  I,  pag.  296.  Il  Gamba  asserisce  che  in  ipiesta  ediiione 
fu  riprodom  VlTOperi»  dt  Tiberio  Cesare.  Ma  dò  non  istà,  perchè  dal  eonfìronto  apparisce  che 
la  lenone  del  primo  libro,  e  dei  dnqne  che  segoono,  varia  assai,  per  mdte  oorreiioni  e  penti- 
menti, dalle  stampe  MareseotUana  e  Giontina.  Donde  è  manifesto  che  gli  Accademia  (sebbene 
non  ne  faedano  alcun  cenno)  oondossero  lavoro  edidone  sopra  i  manoseritii,  senta  tener  conto 
delle  dne  mentovate  stampe  :  finse  perchè  videro  che  il  traduttore  d  aveva  fatto  molti  cambia- 
menti. Ma  dovevano  almeno  renderd  conto  dd  Ms.  :  se  originale  o  copia ,  e  dove  e  come  lo 
ritrovarono. 

La  lettera  a  Bacdo  Yalori,  già  impreaea  dal  Hareseotti,  è  qui  al  tatto  cambiata  e  eompen- 
diaU.  L'  aH(a  agli  Jeeademiei  alterati,  è  aggionta  di  nvovo.  Quanto  alle  Postille,  vedi  dò  dio 
dicenuno  sopra,  partendo  dell'  Imperio  di  Tiberio  Cesare. 

Conosco  due  notevoli  esemplari  di  questa  edidone.  Uno  sta  presso  fl  mardiese  6.  Capponi, 
ed  è  tatto  corretto  a  penna  da  un  anonimo  di  <pid  tempo ,  che  pare  avesse  in  anime  di  con-  . 
durre  sopra  di  esso  una  nuova  e  più  corretta  e  meglio  ordinata  stampa.  Né  sarei  lontano  dal 
credere  eh'  egli  fosse  uno  degli  stessi  deputati  editori  :  certo  egli  è  uomo  di  lettere  ;  perchè  noa 
ci  limita  solamente  a  correggere  gli  errori  registrati  in  calce  del  libro ,  mt  altre  oorròioni  fti 
di  suo,  ed  aumenta  e  corregge  sì  l' indice  delle  materie  che  la  dlchiaranone  delle  parole  meno 
o<wmnL  — Anche  6.  Poggiali  ne  possedeva  un  legante  e  marginoso  esemplare,  corredato  d' an-- 
tidle  note  marginali  manoteritte  riguardanH  cote  di  lingua.  (Vedi  Serie  de*  testi  dt  lingua,  li- 
Tomo  4813 ,  voi.  I,  pag.  373.) 

L' altro  esemplare  si  trova  nella  Hagliabechiana,  ed  ha  i  margini  pieni  a  ribocco  di  minu- 
tissime postille  a  penna,  altre  filologiche,  altre  erudite  e  riguardanti  d  il  testo  latino  die  la 
tradtanone.  Ba  neUn  guardia  questa  noia  di  mano  dd  Magliabechi  :  •  Le  postate  mamoserttte  a 
fuesto  Tacito,  con  ta  tradu^oM  del  Daeanzati,  seno  del  signor  Pietro  Pietri  Damùeano,  inteUi- 
gentìssimo  della  nostra  lingua  ed  aeeademieo  della  Crusca,  e  seno  scritte  di  sua  mano,  Stet»  in 
Firenze  il  detto  Pietro  Pietri  molto  tempo ,  e  dopo  si  ritirò  a  Padoea,  dove  morì.  »  (Vedi  in- 
tomo a  costui  anche  la  lettera  dd  Bosso  Martini,  qui  a  pag.  i.xv.)  Molti  altri  studi  sopra  il  testo 
di  Tadto  e  sulla  traduione  dd  Davanzati  egli  fece ,  e  si  trovano  in  due  codid  Hagliabechianì, 
segnati  di  nnm.  34, 88,  d.  XXllI.  Pare  che  se  ne  giovasaero  assd  gli  Aceademid  ndla  quarta 
Unpresdane  dd  Tocabdario.  In  generate,  questa  postille  (molte  delle  quali  riguardano  il  testo 
latino)  non  sono  di  gran  pregio.  Di  alcune  più  importanti  abbiamo  dato  saggio  ndla  nostra 
edizione. 

L' edizione  di  Fiorenza,  per  G.  B.  Landini,  1641,  è  copia  della  precedente  sì  nd  sesto  dw 
nd  caratteri  3  ma  non  db  se  non  gli  Annali,  senza  in^ce  e  didiiarazione  dello  vod. 

IV.  —  Opere  di  Gaio  Cornelio  Tacito  con  la  traduzione  in  volgar 
fiorentino  del  stg.  Bernardo  Davanzali  posta  rincontro  al  testo  latino 
con  le  postille  del  medesimo  e  la  dichiarazione  di  alcune  voci  meno 
intese  con  la  tavola  copiosissima.  Novella  edizione,  purgata  dagli  in- 
numerabili errori  di  tutte  le  precedenti,  ciò  che  nella  prefazione  si 
dimostra.  In  Padova  1755  presso  Giuseppe  Gemino,  con  licenza 
de'  superiori.  In-4  gcande. 

Onesta  edióone,  «olia  quale  «ono  stata  fatte  tutta  la  posteriori,  fu  curata  da  Giovanni  An- 
tonio Vdpi ,  il  quale  sebbene  prendesse  a  testo  la  NesUana ,  pure  tolse  via  gran  parto  degli 
errori  die  in  essa  erano  corsi.  Dico  gran  parta,  non  tutti  ;  perchè  alcuni,  e  grossi,  ne  lasciò^ 
ed  altri  vi  tg^ginnsc  di  suo.  Vedi  pia  avanti  le  nota  alta  sua  Prefaàone. 

e* 


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tlV  BIBLIOGRAFE. 

Apptm  aerUtae  d' esien  ricoslAU  Am  •dimmi  Vcaelc  ;  rana  ptr  Fr.  Storti,  48SS,  in-4  ^ 
dove  V  editore  dice  del  DtTaniati  cbe  può  mtdtr  dubbio  ncUm  tnttrpnttaUm»  d^  unti  m  «m 
tta^  U  primo  U  pagare  o  H  Utinot  V  tllra  p»  il  Petumm,  4077,  ÌB-4 }  il  ^lale  dediceadoU  a  . 
f  ielro  Homioi  pnt$nd$t  molto  inaoceatemente,  di  conciari  %  Tacito  eoi  nome  di  lai  «»«<  civ- 
dito  di  pietà  eke  ein  ore  gli  e  monceto. 

V.  —  Le  stesse.  Parigi ,  Vedova  Quillau,  1760,  voi.  2  in-16. 

«  Elegante  ediùone  in  garamoncino,  assistita  da  G.  Conti,  professore  di  lingna  toscana 
nella  R.  Scaola  militare  di  Parigi.  Contiene  il  solo  vidgarlnamenio,  e  non  ha  né  la  tavole  né 
la  dichiaraxione  delle  voci  meno  intese.  Le  postille  sono  collocate  in  fine  di  ciaschedaBo  de'  TI 
libri;  le  tre  lettere  sono  in  principio}  e  V albero  della  stirpe  d' Aognsto  sta  in  fine.  »  (Gamba.) 

E  pretta  riproduione  delia  Cominiaiia ,  salvo  cbe  sono  omesso  le  «ose  sopra  indicate  dal 
Gamba. 

VI. —-Le  stesse.  Bassano,  tipografia  Remondini,  4805,  voi.  5 
in-4. 

Fa  procorata  dall'  abate  Raffaele  Pastore,  ed  è  da  fame  conto  assai  più  di  qaella  data 
dall'  istesso  Bemohdini  nel  t790.'Contiene  anche  i  supplementi  del  Brotier,  tradotti  dal  Pastore. 

VII.  —  Le  stesse.  Milano,  Andrea  Mainardi,  9  toI.  in-8. 

Ha  come  le  precedenti  il  testo  latino  e  i  supplementi.  Qnesta  edizione  merita  d' essere  ri- 
cordata solo  per  un  Saggio  inedito  di  him  prima  traduzione  del  Davaniati  accompagnato  da 
una  sua  lettera  tratta  dal  manoscritto  originale  dello  stesso  Daoansati  che  si  conserva  nella  H- 
blioteea  ambrosiana,  con  un  discorso  preUminare  dell'irte  Don  Cesare  della  Croce  custode 
della  Biblioteca  suddetta.  * 

Vili.  —  Le  slesse.  Parigi,  Fayolle,  1804,  toI.  2  in-8,  per  cura 
di  G.  Biagioli. 

n  Gamba  nella  ginnta  alla  biografia  del  DaTanzati  scritta  dal  Ginguad  nella  BiognifUi 
unioersau,  Venexia,  HissiaglU,  4S»,  citando  qoesU  edizieM  e  qnUa  del  ConU,  le  di«e  ambedoe 
eleganti,  ma  assai  scorrette. 

OPERE  MINORI. 

IX.  — Scisma  d'Inghilterra  sino  alla  morte  della  reina  Maria 
ristretto  in  lingua  propria  fiorentina  da  Bernardo  Davanzati  BosticbI. 
In  Roma  ad  istanza  di  Gio.  Angelo  Ruffinelli,  con  licenza  de'superiori, 
appresso  Guglielmo  Facciolto,  1602. 

Edizione  in-8,  di  pagine  99  compresi  il  frontespizio  e  la  dedicatoria  non  nnmerati.  L'  «I- 
Urna  pagina  contiene  il  fine  dell'opera  e  V  errata:  il  frontespiào  è  fregiato ddl' ancora  aldina. 
La  data  1609  è  sdamente  in  aleoni  esemplari.  È  questa  la  prima  edisione  e  l' mnica  fatta  ti' 
Tento  l' autore ,  il  quale  la  dedicò  all'  illustrissimo  signore  il  sig.  Ciò.  Bardi  conte  di  yemii^ 
luogotenente  generale  dell'  una  e  dell* altra  guardia  di  ÌV..5.,  e  la  lettera  è  data  di  Firenze  ili 
dì  primo  d'aprile  1600.  Ciò  indusse  in  errore  l' Haym,  il  quale  nella  sua  Biblioteca  dii  a  quest». 
e^zione  la  data  del  1000 ,  e  non  del  1002  come  doveva.  Forse  egli  ebbe  a,  mano  uno  di  quegU. 
esemplari  senza  data  nel  frontespizio,  e  In  dedoasé  dalla  lettore,  dedicatoria. 

X.. — Scisma  d' Ingliilterra  con  altre  operette  del  sig.  Bernardo 
Davanzati  al  serenissimo  Ferdinando  Secondo  Gran  Duca  di  Toscana 
con  privilegio  di  sua  altezza  serenissima.  In  Fiorenza»  nella  nuova 
stamperia  de'  Massi  e  Laudi,  1638. 

In-  f,  di  pagine  20i.  Le  prime  12  bob  sono  Bomeraie,  e  It  tredioesima  coniacia  U  Boma-» 


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CIDLIOGBAFIA.  LV 

nnoiiB  od  ««mero  3.  Dietro  il  tiHktmtkà»,  im  «a  piceolo  «tato  è  il  lilntto  delT  ratoro  eol- 
ri9cruioik«  intorno  Bebra&do  Dàyàrzati  cbhtiluomo  fiobemtiro,  e  sotto  baJ' ìndice  delle 
operette  eontenute  nel  Tolame }  che  sono,  oltre  lo  Scisma  d'Inghilterra , 

Notizia  de' CamM. 

LnUmé  delta  Mauta, 

OmiMt  tu  morte  del  Grò*  Duca  Cesimi  L 

Da»  OfOiimU,  o  vero  Jzioai  accademiche. 

CottiMskme  Toeoana. 

La  seeo&da  etrta  reeut  ba  la  dedicatoria  al  Granduca  j  e  nel  i/er$o  eomincia  11  Ritratto  del 
sig,  Bernardo  Davamati,  scrìtto  da  Francesco  di  Raffaello  Roadinelti  e  da  Ini  dedicato  all'  il' 
lustristimo  signor  Filippo  Pando^fini  senator  fiorentino.  Questa  stampa,  sebbene  non  priva  affatto 
di  errori,  i  assai  riputata,  ed  ba  servito  di  testo  alle  successive. 

In  nn  esemplare  di  qnesta  edizione  che  euiservasi  nella  Parmense,  leggesi  (pesta  nota  di 
mano  di  Michele  Colombo  :  «  Questa  impressione  portava  da  principio  un  altro  firontespiiio 
»  alqnaato  diverso  dal  presente  :  a  tergo  non  ^  era  il  ritratto,  e  nel  catalogo  delle  operette  che 
»  il  libro  emtiene,  non  era  mentovata  la  Coltivazione  Toscana.  Ti  sassegnitava  la  stessa  dedi- 
9  catoria  del  Davanzati  che  leggesi  nella  edizione  dello  Scisma  d'Inghilterra  fatta  in  Roma 
»  ad  1803  in-8,  e  dietro  alla  dedicatoria  davasi  immediatamente  principio  all'  opera.  Ma 
»  posda  il  frontespizio  fu  cangiato,  sostituita  alla  dedicatoria  del  Davanzati  quella  che  ora  si 
»  legge,  degli  impressori,  ed  aggimito  con  titolo  di  Ritratto,  va  ristretto  della  vita  delF  autore. 
»  Si  troveranno  inseriti  («  tri  #ono  di  fattc^  al  flne  di  questo  volume  il  primo  firontespirio  ch« 
»  V  opera  aveva  e  la  soprammentovata  dedicatoria  del  DavanzatL  s  Dobbiamo  questa  nota , 
come  altra  che  citerenm  del  Colombo,  alla  cortesia  del  di.  k.  Pezzana,  bibliotecario  della  Par- 


XI. —  Le  medesime  operette.  Padaya,  Cornino»  1737,  ìd-8,  eoa 
ritratto. 

È  ristampa  dell'  edizione  fiorentina.  In  un  esemplare  di  questa  impressiona  esistente  nella 
Parmense,  M.  Colombo  scrisse  in  diverse  parole  la  stessa  avvertenza  che  fece  all'  edizione  dei 
Massi  e  Laadi,  riferita  sopra,  e  in  fine  aggiunge  :  «  Convien  dire  che  la  lettera  {dedicatoria  al 
»  Bardi^  del  Davanzati  non  fosse  nota  a'  signori  Volpi  ;  perciocché  siccome  hanno  ristampata 
»  la  detta  dedicatoria  di  Massi  e  Laudi  (al  Granduca]  ^  cosi  non  avrebbero  lasciato  di  ristampar 
»  qaelU  medesimamente  :  e  certo  ne  valea  ben  la  pena  f)  e  per  essere  cosa  dell'  autore  stesso, 
»  e  molto  pib  perch'  egli  manifesta  ivi  entro  la  cagione  che  l' avea  mosso  a  distendere  la  san 
a  operetta.  » 

Una  ristampa  ne  fece  il  Cornino  nel  1754,  in-8. 

XII.  —  Operette  del  sig.  Bernardo  Davanzati  Bostichi  genti- 
luomo fiorentino  tratte  dall'  edizione  di  Padova  di  Giuseppe  Cornino 
divise  in  due  tomi.  Edizione  III  con  giunta  di  note.  Livorno  1779, 
per  Francesco  Galderini  e  Lorenzo  Faina  all'insegna  di  Pallade.  In-8. 

t  dedicata  al  eanonU»  D.  Gio.  De  Silva.  Anche  qni  è  premessa  aJlo  Scisma  V  anttea  de 
itcaxion^  al  eereHissimt  Ferdinanda  II  e  tralasciata  la  lettera  dell'  autore  a  6.  Bardi:  segue  U 
Ritratto  àA  Rondinelli }  e  dopo  lo  Scisma  viene  l' Elogia  di  Bernardo  DavantaA  che  è  qnel 
^Mdesiimo  che  leggesi  nel  tomo  III,  pagg.  299-3&Ì  della  Aoocolfa  d'elogi  d'uomini  illustri 
toscani,  luca,.  1770,.  e  firmato  G.  P.  (Giuseppe  Pelli).  In  fine  del  tomo  primo  sono  alcune  note 
cbiriche  ape  S^ma  d^  ìnghOterra  ;  •  in  flne  del  seooado  le  note  alla  Uzloaa  dette  Moaete  e 
^'  elogip  per  Cosimo.  Pei  qoali  ornamenti,  e  non  già  per  la  eorreiioae,  questa  stampa  è  da 
tenersi  in  qualche  conto. 

n  «  Qoi  U  Colombo  non  si  addieds  di  essere  inoereo  in  franueitmo  senta  aecenilk.  Ab' 
»  biaow  Falere  il  pregio.  Portare  U  pregi».  Metter  tonto  ac  b  —  Mota  del  Pezxaaa. 


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1.VI  BIBLIOGRAFIA. 

XIII.  —  Del  modo  di  piantare  e  custodire  una  ragnala  e  di  uc- 
cellare a  ragna.  Firenze  per  Giuseppe  Tofani  e  Compagno  1790.  In-8 
Dì  pag.  54,  compresi  frontespizio  e  avvertimento  ai  lettori. 

Qaest'  opnseolo  fa  trovato  d«l  dottor  Targiottl  ndU  librerìa  del  Rosso  Martini  e  gli  pirre 
allo  stile  cosa  del  Davaniati,  •  ia  qoesto  giodiào  si  eonftfmò  quando  in  nn  oodioe  appartenoto 
alla  Palatina  il  vide  nnito  alla  COUvasim»,  Ma  U  Colombo  registrando  questo  libretto  nel  s«o 
Catalogo  di  alcune  open  attinenti  alle  scienze  ec.  ...  le  quali ...  meritano  per  conto  della  lingua 
gualche  coneideraiione  (Vedi  Op.  di  M.  Colombo,  Parma  \  827,  voi.  Ili,  pag.  490  e  seg.),  dimo- 
strò essere  stato  il  Targioni  troppo  corrivo  nel  suo  giadixio.  E  su  qnesto  stesso  proposito  tornii 
in  nna  nota  da  Ini  scritta  in  nn  esemplare  di  quel  libretto  che  conservasi  nella  Parmense.  La 
qnal  nota,  perchè  inedita,  volentieri  qoi  riportiamo.  «  lo  non  so  rinvenire  tra  qnesP  opnseolo 
»  e  le  opere  del  Davanzali  da  noi  conosciate  quella  rassomiglianza  di  stile  ebe  d  ritrova  il 
»  signor  Targioni.  Non  vi  ravviso  né  qnella  spezzatura  di  perìodo,  né  qnella  pregneszu  di  oon- 
»  cetti  incalzantisì  in  certa  goisa  V  on  1'  altro ,  né  qaeUa  somma  parsimonia  di  parole  che  si 
»'  scorgono  in  tatti  gli  scritti  saoi.  Ond'  è  cbe  io  mi  fo  lecito  di  dubitare  se  sia  realmente  di 
»  lui  qoest'  operìcciaola  in  fin  a  tanto  cbe  me  ne  vengano  addotte  più  convincenti  prove.  Cbe 
»  se  nel  codice  allegato  dal  Tofani  essa  è  posta  dietro  al  trattato  della  Coltivaiione  toscana, 
s  quasi  a  foggia  di  capitolo  ultimo,  è  egli  cosa  sicura  cbe  quel  codice  sia  di  mano  dell'  autore 
»  medesimo  ?  E  posto  che  no  ,  non  pub  esservi  stata-aggiunta  dal  copiatore  come  per  via  di 
•  supplemento,  qaantonque  appartenga  a  diverso  autore?  Cib  si  rende  assai  verìsimile  se  si 
»  considera  die  nel  MS.  veduto  dal  signor  Targioni  essa  sta  da  sé  sola  ;  e  noni  da  credersi 
»  che  ivi  si  fosse  scrìtta  questa  sola  particella  senza  1'  altre  che  la  precedono ,  se  fosse  stata 
»  distesa  dal  Davanzati  medesimo,  perché  andasse  congiunta  cogli  altri  articoli  della  sua  Gol- 
ii tivazione.  A  questa  considerazione  aggiungasene  un'  altra  ancora  di  maggior  peso.  Nella 
»  Coltivazione  toscana  ■'  era  di  gib  trattato  così  della  Ragusa  come  dell'  Uccellare  Be'  due  ar- 
»  ticoli  die  precedono  quegli  ammaestramenti  di  ciò  die  mese  per  mese  dee  farsi,  eo'  quali 
»  1'  autor  chiude  l'opera.  Ora,  come  mai  si  può  egli  presuppor  die  uno  scrittore,  qaal  è  il  Da- 
»  vanzati,  stringato,  sobrio  e  d' ogni  ridondanza  capital  nemico,  volesse  trattare  la  medesima 
»  cosa  per  ben  due  volte  nell'  opera  stessa  ?»  A  tutto  qnesto  può  aggiungersi,  che  V  autore 
della  Ragnaia  cita  manifesfamenie  il  Davanzati  in  quelle  parole  cheleggonsi  a  p.229,  v.  13  seg.  ; 
Io  cbe  basta  di  per  se  a  far  chiara  la  cosa.  Ma  v'  è  di  più.  Nella  già  Rinucciniana  esisteva  un 
codice  miscellaneo  dove  questo  opuscolo  porta  il  nome  di  Giovanni  Antonio  Popoleschi,  eoo- 
temporaneo  ed  amico  del  Davanzati,  che  si  vuol  riguardare  come  il  vero  autore  di  quello  scritto. 
Nella  dispersione  d(  quella  ricca  biblioteca  non  si  sa  dove  quel  codice  sia  ito.  Serìveii- 
doae  all'  egregio  signor  6.  Aiaszi,  che  per  molto  tempo  ne  fu  direttore  operoso  e  intelligaite, 
mi  rispondeva  tra  l' altre  eoee  :  iVon  conoscendo  carattere  eerto  del  Popoleschi  per  poter  fare  un 
confronto,  cosi  non  saprei  dii4e  se  questa  copta  sia  di  sua  mona  :  certo  e  che  e  di  quel  ten^o,  • 
faceva  parte  dei  manoscritti  che  dalla  casa  Calori  passarono  in  un  ramo  de'  Gnieciardini  e 
quindi  nei  RinuccUii.  Abbia  però  per  certo  certissimo,  che  lo  scritto  sulla  Ragnaia  non  e  del  Dm-^ 

vanzati jinzi  U  professor  Nesti,  col  quale  una  volta  Munì  proposito  di  quese  oftueolo ,  mi 

mostrò  una  copia  stampata ,  nella  quale  era  una  lunga  nota  a  penna ,  di  mano  del  eeleère 
Ciò.  Fabbro/ni,  ove  confutava  con  ragioni  desunte  daU*  opuscolo  steeeo  l' errore  d' averlo  altri' 
buito  al  Davanzati,  rivendicandolo  al  Ptqfolesdii. 

XIV.  —  Lo  Scisma  d'Inghilterra  e  le  altre  operette  di  Bernardo 
Davanzati  Bosticbi  gentiluomo  fiorentino  con  un  discorso  di  France- 
scantonio  Mori  sopra  la  vita  e  gli  scritti  dell*  autore.  Prima  edizione 
danese  più  compita  di  tutte  le  precedenti.  Siena  dai  torchi  di  Paa^ 
dolfo  Rossi  air  insegna  della  lupa,  Ì8S8.  ln-8. 

OHre  le  operette  stampate  nelle  edizioni  precedenti,  eontiene  died  lettere  a  Baecio  Valori^ 
due  a  Belisario  Bulgarini  colle  risposte,  mi  sonetto  per  la  Sabina  di  Gianbologna,  e  1'  «fwcoli» 


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BIELI06RAFU.  LHI 

Da  modo  il  pttntm  ma  fWfiMte.  Ma  tì  ti  detUtfa  l'OradoiM  Mtanél  pigtim  0  Coaioklc^ 
•  i  wuMtti  ebe  kggonsi  tra  quegli  del  Tarclii,  e  altri.  È  precedala  da  aa  giodiiioio  Dieeono  À 
Fxaaoescantonio  Mori  sulla  Vile  e  sulle  Opere  dell'Aviere. 

Quanto  all'  opuscolo  snlla  Ragnaia  l'editore  noi  crede  del  Davansaii,  ma  Io  riprodooa  astgl 
migliorato  nella  lezione,  col  confronto  di  un  codice  Riccardiano  di  n.  2973,  si  perette  è  prege- 
Tole  scrittura  e  A  ancora  perchè  il  lettore  possa  da  se  coa£rontaria  eoa  qaelle  del  DaTaniati|  , 
essendo  l' edizione  del  Tofani  diTennta  ornai  rara. 

XV.  —  Lo  scisma  d*  Inghilterra  ristretto  da  Bernardo  Davanzali 
e  conferito  con  1*  antografo  esistente  nella  biblioteca  Marciana  di  Ve- 
nezia per  cura  di  Bartolommeo  Gamba.  Si  aggiunge  lo  Scisma  sotto 
il  regno  di  Lisabetta  ristretto  da  Giambatista  Gaspari  ^iniziano.  Ve- 
nezia,  dalla  tipografia  Alvisopoli,  1831. 

In-I6,  di  pag.  xxxii-t68,  con  bratto  ritratto  dell'  aotore  fatto  •  aria. 

Contiene:  4"  Una  lunga  lettera  del  Gamba  ad  Angelo  Sioea,  nella  qoale  rende  eoato  del 
co^ce  Marciano  da  cm  è  tratta  l' edizione,  e  d' on  altro  codice  pare  Marciano  ed  antografo 
(Óasse  TI,  4^  che  contiene  gli  abbozzi  di  quasi  tre  libri  del  Tolgarinamento  di  Tacito  con 
qnnlcbe  postilla  inedita:  2«  il  discorso  della  vita  del  Dayanzatl  scrìtto  dal  Morì  per  l' edizione 
di  Siena  :  3°  l' indice  da'  nomi  propri  osati  dal  DaTanzati,  ridotti  alla  originale  oriogra&a  : 
4*  la  lettera  del  Daraniati  a  Gio.  Bardi:  S*  on  proemietto  scritto  dal  Davaniati,  che  nel  eodice 
Marciano  vedesi  premesse  allo  Scisma  :  6**  lo  Sdsma  d' Inghilterra,  diviso  in  due  libri,  de'  quali 
il  primo  comprende  il  regno  d*  Arrigo  e  il  secondo  1  regni  di  Adoardo  e  di  Maria  :  7**  on  terso 
libro  di  continuazione,  che  comprende  il  regno  di  Lisabetta ,  scritto  da  Eduardo  Ristono  e  ri- 
stretto da  Giambatista  Gaspari  Yiniziano,  che  pose  mano  a  qaesto  laToro  a  petiiione  del  Gam- 
bUj  e  riosd  assai  bene  ndl'  imitare  lo  stUe  del  Davanzati. 

La  lezione  del  eodice  Marciano  offre  un'  infinità  di  Varianti,  non  poche  delle  quali  miglio- 
rano assaissimo  il  testo  delle  edisioni  comuni.  Ha  alcwui  volta  (anche  per  sentenza  del  Gamba) 
4ta  al  di  sotto  della  lezione  eamuiu  già  impressa,  di  maniera  ebe  l'assiduamtnte  adottarlo  nom 
tornerebbe  che  a  discapito  della  pia  retta  locutione. 

Mal  fece  peraltro  il  Gamba  di  anuiodernare  la  grafia,  usando  la  doppia  zeta  a  non  tenendo 
cento  deUe  altre  singolarità  grafiche  proprie  del  nostro  autore. 

XVI.  —  Coltivazione  Toscana. 

Onesta  eperetta  fa  stampata  la  prima  volta  in  Firenze  da  Filippo  Giunti,  4O0O,  in-4,  col 
Tmttato  della  eoUivazione  delle  Fili  di  GioTanvetterio  Sederini  e  colla  Difesa  et  lode  del  popono 
di  Lionaido  Giaoehini.  Il  libro  ò  dedicato  a  Luigi  Alamanni  il  giovane.  Salvino  Salvini  {Fasti 
MMoftfn,  pag.  22^  ci  fa  sapere  che  il  dottor  Francesco  del  Teglia  possedeva  nn  esemplare  di 
qoesta  edizione  «  ove  si  leggevano  di  mano  propria  del  traduttore  non  pochi  pasti  corretti  e  varia 
lesioninole  «putii  appare  per  tutto  il  suo  buon  gusto  e  discernimento  finissimo.9  —  Altre  due  ri- 
•tampe  ne  fece  il  Giunti  j  ona  nel  tOIO,  l'altra  nel  1622,  ed  in  questa  aggiunse  anelie  la  Coltiva- 
sione  degli  Ulivi  di  Pier  Vettori.  Fu  riprodotta  poi  sempre  colle  altre  Operette,  come  vedeai  dalla 
ediàoni  sopra  allegate. 

Non  vogliamo  tacere  della  elegante  ristampa  che  ne  fece  L.  Carrer  nella  Biblioteea  CUu- 
siea  Hatiana  di  sdente  Uttere  ed  arti,  classe  VI,  voi.  Ili  clw  porta  il  titolo  Tre  trattatt  Hguarm 
danti  r  agricoltura.  Venezia,  1840. 

11  manoscritto  originale  di  questa  operetta  conservasi  nella  Magliabechiana ,  Glasse  XIV,  ;^ 
B.  48,  ed  appartenne  già  alla  libreria  del  senator  Carlo  di  Tommaso  Strozzi ,  dov'  ora  segnato  ' 
di  n.  290.  È  in-4,  di  earte  21  nvaerate  da  una  sola  parte,  non  compresa  la  guardia  olie  porta 
il  titolo  «  GolUvazioae  Toscana  di  Bernardo  Davanzati  di  mano  sua  propria.  »  <61i  argomenti 
non  sono  a'  respettivi  capi,  ma  in  fondo  a  modj  d*  indice  col  titolo  di  Tavola  a  questo  trattato. 
Da  qua  e  là  non  poebe  eanceilature  e  pentimenti.  Noi  l' abbiamo  eoi!  azionata  e,>n  ogni  cura. 


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LVIII  BIBLIOGRAFIA. 

XVII.  —  Orazione  nel  prendere  il  consolato  nell* Accademia  Fio- 
rentina. 

Fu  pobblicAta  U  prio»  volta  dal  SalTlni  nei  Fasti  eontolari  deWÀuad.  Fior.  FinDie  4717, 
pag.  222-231  ,  Q  quale  dica  d^  averla  levata  dalV  originale  avuto  da  Giuseppe  BiamMxt  a 
pubblicata  con  tutta  esattesia.  Fa  poi  riprodotta  nel  V(d.  I,  parte  seconda  delle  Prose  FlortnAM; 
Bel  tomo  T,  pag.  115  dell'  Operette  stampata  a  Livorno  4779}  e  nel  voi.  IV,  pag.  165  della 
Setìte  prose  italiame.  Milano,  Fontana,  1826. 

XVIIL— Notizia  de' Cambi. 

Due  Mst.  non  originali  di  «{oest'  opaseolo  sono  nella  Hagliabedtiana  in  dae  Codid  aiaeèU 
lanei,  d.  Yill,  43;  XXY,  339,  che  offrono  varietà  notabilissime.  Te  n'  ba  pare  on  Ma.  ndU 
Riocardiana,n.  2312.  in  oa  Cod.  magliab.  d.  Vili,  73,  intitolato  Excerpta  et  annotata  varia  Ant, 
Fnnàsei  Oarmi,  qaeat'opoMolo  I  dtata  come  esistente  neUa  libreria  di  S.  Maria  Nuova  col  titolo 
«  Notista  della  Mercatura  del  signor  Bernardo  Davansati.  »  Né  poteva  atseve  oa  altro  divoffM 
oposeolo,  pensbè  ne  dà  il  prindpio,  dM  è  questo  :  «  La  mercatara  è  vn  arte  trovata  dagli  no- 
»  mini  per  utile  comune  e  per  supplire  a  quello  die  para  abbia  mancato  alla  natura  ac  • 

XIX.  —  Lezione  della  moneta. 

Trovasi  accuratamente  (dice  il  Gamba)  impressa  nel  voi.  IT,  parta  II  ddla  Prosa  Fiorris- 
tiiie,  1729,  e  di  questa  principalmente  si  valsero  i  vocabdaristi. 

NeUa  Harucelliana  esiste  un  Codice  miscellaneo  sanato  k  456,  dia  contiene  pie  a  divers» 
scritture  di  A.  M.  Salvini.  In  ultimo  ha  inserito  un  quadernetto  di  sesto  più  piccolo,  che  cob- 
tiene  una  copia  accurata  ddla  Lezione  sulle  moneta.  È  interfogliata,  e  n«'  fogli  intramessi  • 
ne'  margini  del  testo  ha  varia  postille,  alcune  dd  Davanzati  ^secondo  almeno  V  indicazione), 
ma  non  di  sua  mano,  ad  altie  scritte  dal  Salvini  j  e  tutta  caasistoBo  iivdtaiioiii  a  anioiità  dia 
confortano  dò  ohe  dioed  nd  tasto. 

XX.  —  Orazione  in  morte  del  Gran  Duca  Cosimo  I. 

Fu  ristampata  nel  voi.  1,  parte  I  delle  Prose  Fiorentina,  Firanae,  1661,  e  ndle  SteHa  pnm 
italiane,  voi.  lY,  MUano,  1826,  pag.  149. 

Molti  Mss.  abbiamo  veduto  per  le  bibUotcdia  fiorentine  di  questa  Orazione  j  ma  nessuna 
autografo.  Gli  accenneremo  qui,  distinguendogli  colle  lettere  ddl'  alfabeto,  par  comodo  dalla 
dtazioni  ohe  occorreranno  nd  riferire  a  suo  luogo  le  varianti. 

A.  Cod.  magliab.  d.  IX,  65. 

B.  Cod.  maglUb.  d.  XXYU,  20. 

In  questo  codice  è  preceduta  dalla  seguente  lettera,  che  non  apparisce  a  ehi  sia  ìadiriBaU: 
Molto  magnifico  signor  mio. 
Ragionando  «'  giorni  passati  con  F.  S.  detta  molta  orazioni  fatta  da  varU  mtmint  dotti  ia- 
«omo  tUle  lodi  del  Gran  Duca  Cosimo  morto,  le  dissi  the  fra  le  bella  nd  pareva  {^tononmfin» 
gannd^  Mlitsima  quella  recitata  agli  Jltaratt  aeeadtmlei  da  matser  Bernardo  Davanaatt,  Onda 
approvando  lei  il  madesimot  mi  parve  fargliene  copia  e  mandargllana  concie  fo  g  dia  auando  Mi^ 
ne  in  tutto  ancor  divulgata,  e  degna  che  sia  appresso  di  lei  :  e  sebbene  tardi,  almeno  par  nam 
mancare  atta  promessa  fatta  a  F.  S.  La  quale  io  prego  du  m*  offerì  e  raccomandi  a  mattar  Ga~ 
leotto  suo  figliuolo,  che  d*  intender  il  ben  esser  tuo  non  ho  voglia  maggiore.  Et  a  lei  proga  dm  Wm 
ogni  contento  e  giusta  voglia.  Di  S.  Cateiano  Udì  9  di  tettanAre  4624. 
Di  r.  S.  motto  Magn^ 

5~ 

MìMia  ddOa  Baeaa^ 

C.  Cod.  magliab.  d.  XXYII,  104:  è  dd  1575. 

D.  Cod.  magUab.  d.  XXYll,  114,  fu  del  senator  Carlo  Tommaso  Strozzi. 

E.  Cod.  magliab.  d.  XXVII,  52,  sec.  XYII  priadpio. 
P.  Cod.  magliab.  d.  XXVII,  5,  sec  XVII. 

C.  Cod.  magUab.  d.  XXYII  4,  sec.  XVH  prindpie. 

H.  Cod.  raagUab.  d.  XXX,  162. 

I.  Cod.  magUab.  d.  XXXYUl,  115.  U  carattere  è  dd  tempo. 

L.  Cod.  magliab.  d.  VI,  155. 


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BIBLIOfiBAFIi.  UX 

Wì,  —  Aoeasa  data  dal  Silenie  al  Travagliato  nel  sua  sindacato 
della  Reggenza  degli  Alterati. 

XXn.  —  Orazione  in  genere  deliberativo  sopra  i  provveditori 
deir Accademia  degli  Aiterati. 

Di  questi  due  diseoni,  pobblicati  dai  Bf  tisi  e  Ltndi  e  nelF  edizbn«  livonieM  delle  Optntttk 
IroTasi  il  maniMcrittOi  ma  non  originale,  in  un  codioe  Riccardiano,  segnato  n.  2478. 

XXIIC.  Alcuni  avvedimenti  civili  e  letterari  di  Bernardo  Davan- 
zali fiorentino  tolti  dalle  sue  postille  a  Tacito  e  da  un  codice  auto- 
grafo della  libreria  Marciana.  Venezia  dalla  tipografia  di  Alviso- 
poli,  1831. 

BartolomiDeo  Gamba  pobbliob  questo  libretto  Per  le  nobili  noz's  Papadopoli-Moseoni  ;  ma 
een  poea  diligenxa,  secondo  il  suo  solito  :  perocché  non  fece  dUliniione  alcuna  tra  le  postille 
inedite  •  le  stampate  j  e  a  qnest'  ultime  non  pose  yemna  indicaxione.  Qualcl)e  Tolta  confose 
Insieme  le  parole  del  testo  con  quelle  delle  postille.  Negli  Avvedimenti  ebtili  le  postille  inedite 
sono  U  5*  la  6"  e  F  H*  :  e  tra  i  Utterari  la  2*  e  l' ultima,  clw  saranno  da  noi  riferite  nellU^»- 
pendice  del  Tol.  li!  di  questa  edizione.  Agli  Arredimenti  aggiunse  un  Frammento  di  tre  diversi 
volgaritxmntnU  di  Tacito,  cIm  puoi  vedere  alla  fln«  di  questo  Tidume. 

XXIV.  — Lettere. 

Dieci  lettere  del  Dayanzati  a  messor  Baccio  Valori  e  due  a  Belisario  Bulgarini,  colle  risposte 
fi  fMsto ,  furono  stampate  con  molte  lacune  nel  yiA.  IH,  parte  IV  delle  Prose  fiorentine,  e 
rìstaorpalè  matefialmento  tra  le  Opareiu  nelP  edizione  di  Siena. 

n  car.  Giuseppe  Manuzzi  ultimamente,  tra  edite  e  inedite,  ne  raccolse  82,  e  le  pubblicò, 
eoa  fuakiM  noterella,  per  illustri  none.  Firenze,  tSSS,  in-8. 

XXV.  —  Rime. 

VI  80«e  a  stampa  pochi  sonetti  e  un  madrigale,  die  non  sono  stati  mai,  per  quanto  sap« 
piamo,  raccolti  insieme  tra  le  epere  di  Bernardo.  . 

a)  Sonetti  di  Benedetto  Varchi.  Fiorenza,  tb55,  Torrentino.  —  Nella  seconda  parte  vi  hanno 
tn  soMttt  del  Davanzati. 

*)  SoneUi  spirituali  di  M.  Benedetto  Varchi.  Fiorenza,  GiunU,  1878.  —  A  pag.  57  v'  è  un 

e)  Un  altro  sonetto  è  tra  le  poesie  pubblicate  dal  Ser  Martelli ,  Firenze  1883,  a  onore  di 
Giambolegna  quando  scopene  il  gruppo  della  Sabina.  Fu  poi  ristampato  neU'  edizione  senese 
delle  operette. 

d)  Saggio  di  Rime  di  diversi  booni  autori  che  florirono  dal  XIV  al  XVin  seeolo.  Firenze, 
limebi,  1825.  —  A  pag.  237  v' è  un  madrigale  che  fu  estratto  da  un  codioe  appartenuto  a  Luigi 
Foirot,  ed  oggi  MagUabediiano. 

«)  Lnpidni  Antonio,  Aroliitettura  militare.  Firenze,  Maresootti,  1882.—  Dopo  la  dedicatoria 
è  un  senotto  di  Bernardo  in  lode  dell'  autore.  Fu  ristampato  da  L.  Carrer  coli'  opera  del  Lupi- 
cim.  Venezia,  4840.  Vedi  la  pref.  deU*  editore,  pag.  vni  in  nota. 

/)  Akoni  sonetti  inediti  sono  nei  Mss.  che  dalla  Einnociniana  passarono  nella  Bf  agliabe- 
chiana,  die  saranno  da  noi  stampati  a  suo  luogo. 

XXVI.  —  Opere  inedite. 

i.  —Vita  di  M'.  Giuliano  Davanzati. 

Se  no  ba  noUzia  da  Antonio  Benivieni,  U  quale  neUa  dedicatoria  deUa  rUa  di  Pino  rettori 
r  antico  (Fiorenza  1888),  dopo  avere  ricordato  varie  Vite  scritte  da  alcuni  suoi  contemporanei, 
prosegue:  «  Intendo  di  più  essere  raccolte,  quella  di  H.  Manno  Donati  da  Filippo  Sassetti,  di 
•  H.  Giuliane  Davanzati  da  Bernardo  suo  discendente,  s  —  Oggi  non  se  ne  ha  pie  traoda. 


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LX  BIBLIOGBAnA. 

2.  —  Dae  discorsi  o  Cicale  in  modo  di  Orazioni  fanerali  reci- 
tate in  Pisa  nel  1592  nella  soppressione  dell'  Ufizio  dell'  Onestà  dì 
guarnigione. 

«  Ms.  aotografo  eartafieo  in-4  piccolo,  di  carta  32.  InooaainciB  :  GrmndUtim*  /■  Mnipm  te 
»  speranta  du  tbbtro  gli  antichi  Bgiii  ee.  *,  a  finisca  :  PiiteoH  Pineoni  novwentotuMKhmo.  Qii»> 
»  sta  graziosa  operetta  è  del  tatto  incognita  3  e  se  si  riesdsse  a  penetrare  il  gergo  ed  il  sog- 
li getto  vero  per  eoi  fa  scritta,  meriterebbe  per  II  brio  •  le  lepideixe,  talvolta  troppo  ardita, 
»  cIm  vi  si  trovano,  tedarela  pobblica  Ince.  » 

Qoesta  notisia  è  tratta  dal  Catalogo  dei  Manoscritti  della  già  fiiavcciniana,  compilato  dal 
cb.  sig.  G.  Aiasii. 

3.  —  Erone  Alessandrino. 

Di  qoeito  icrittore  greco ,  il  Davansatl  tradosÌM ,  e  per  maglio  dire,  ristrinse  a  modo  sao 
quafla  parta  che  rignarda  la  maniera  di  far  salire  I'  acqaa  nei  tabi;  e  dedicò  il  suo  lavoro  al 
celebre  architetto  Bernardo  Bvoatalenti,  a  coi  reijiiisirione  lo  avera  fatto.  Il  manoscritto  sta 
nella  Palatina,  gdosaraente  custodito,  e  aspetta  d*  esser  pabblicato  dal  sig.  Palermo,  bibliot». 
cario.  Ne  diamo  qaesta  inesatta  notizia,  solla  relazione  d'  alconi  amici  cba  poterono  gettarvi 
un'  occhiata. 

È  carioso  die  il  Baontalenti  chiese  la  tradazbne  di  qnesta  stessa  parte  di  Erone  anche  ad 
Oreste  Tannood ,  che  gliela  spedì  da  Roma  il  28  dicembre  4582,  con  lettera  che  si  ha  nel 
Caifegglo  inedito  d' artUti,  pabblicato  dal  dott.  Gio  Gaye.  Tomo  OI,  pag.  449-50. 

4.  — Zibaldone. 

è  nn  grosso  qaademo  con  molti  fogli  volanti,  tutto  di  mano  del  Davansati.  Oltre  molta 
note  ed  appunti,  fratto  delle  sae  Iettare,  contiene  vari  pensieri  e  frammenti,  dal  «(aali  daremo 
nn  saggio  nell'  Appendice  al  terzo  volarne.  Questo  Zibaldone  fii  posseduto  prima  dal  lUaaij 
poi  dal  Morani,  ad  ora  è  aalla  mani  dall'  amico  nostro  Pietro  BigamL 


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Ili 


LETTERA  DEDICATORIA 

AL  PRINCIPE  LEOPOLDO  DI  TOSCANA 

premessa  dai  deputati  dell'  Accademia  della  Crusca 

alla  prima  edizione  dell'intero  rolgarìnamento  fatta  in  Firenze  da  Pietro  Nesti 

Tanno  4637. 


Serenimmo  principe. 
La  tradu%iom  di  Cornelio  Taeitó  del  Mgnor  Bernardo  Davaniati, 
bramata  invano  già  moli* anni  dalla  maggior  parte  degli  studiosi,  im- 
pedita 0  trattenuta  per  varie  cagioni  (come  spesso  avviene  delle  cose 
umane)  era  quasi  ridotta  in  preda  alla  voracità  del  tempo.  Onde  al- 
cimi  affezionati  alla  memoria  dell' autore ,  a*  quali  incresceva  del 
danno  universale  e  spe%ialmente  della  nostra  lingua  se  tal' opera  st 
perdesse;  e  considerando  quanto  ingiustamente  si  defraudava  il  desi- 
derio degli  amatori  delle  buone  lettere;  hanno  procurato  con  ogni 
sfor%o  che  eUa  si  stampi  nel  miglior  modo  che  per  ora  è  stato  possi- 
bile: scusando  l'autore  se  vi  si  trovasse  dentro  qualche  imperfezione, 
perchè  la  morte  non  gliele  *  lasciò  correggere.  Altro  non  le  manca 
per  sostentar  sua  ragione  se  non  un  protettore  simile  all' altezza  vo- 
stra serenissima,  alla  quale  perciò  con  ogni  affetto  la  raccomandiamo 
e  dedichiamo.  Efaciendole  umilissima  reverenza,  le  preghiamo  felicità. 

DiV.A,  Serenissima 

Dmflitsiini  e  deroUtnmi  serri 
I  DEPUTATI. 


4  La  stampa  ha  glie  la.  Ma  neir  esemplare  della  Nestiana  corretto  a  penna,  posseduto 
dal  marchese  G.  Capponi,  leggesi  f  Itele,  né  bo  dubitato  di  accettare  questa  eorreiione. 


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LUI 


AVVERTIMENTO 

AL  DISCRETO  LETTORE 

che  nella  Stampa  del  Hesù  segua  alla  Dedicatoria.^  • 


'Altro  non  parerà  che  mancaMe  ad  onorare  compitamente  Cornelio  Tacito 
e  le  sue  tradazioni  che  di  stamparlo  con  Taccompaipatara  del  testo  latino  e 
Tolgare  insieme.  E  ciò  non  si  poteva  più  acconciamente*  fare  né  forse  con  altro 
Tolgariczamento  di  quello  del  signor  Davanzati  :  avendo  egli  avanzato  ogn' altro 
nella  somiglianza  dello  stile  e  brevità  di  Tacito ,  onde  ha  meritato  d'esser  detto 
piuttosto  nn  Tacito  fiorentino  che  un  semplice  volgarizzatore.  Perchè  dalla  vi- 
veza  del  suo  dire  si  può  cavar  ammaestramento  e  diletto,  oltre  alla  cognirioii 
della  storia  y  lasciando  per  ora  al  giudizio  degF  intendenti  se  egli  abbia  in  alcnn 
luogo  j  se  non  superato  (e  ciò  sia  detto  con  ogni  modestia)  almeno  aggna^afo 
lo  stesso  Tacito.  —  Quanto  al  testo  latino,  per  lo  più'  si  è  adoperato  queìio 
del  signor  Curzio  Picchena,  *  benché  il  Davanzati  in  alcuni  luoghi  abbia  segnilo 
il  Lipsio  0  altre  varie  lezioni  che  più  allora  gli  parvero  acconcie.  <•»  Fece  il 
medesimo  Davanzati  alcune  postille  .dotte  e  curiose  a*  primi  sei  libri,  le  qnaU 
si  son  poste  nel  fine.  I  numeri  in  margine  al  testo  volgare  V  additano  ;  '  e  i  na> 
meri  al  testo  latino  mostrano  le  note  del  signor  Picchena,  le  quali  trovandosi 
anche  stalnpate  separatamente  dall'opera,  per  ora  si  sono  tralasciate. ••—  Se  nel- 
r  esplicazione  de' concetti  si  trovasse,  com' avviene,  qualche  difetto  (il  che  però 
non  si  crede),  sappia  il  lettore  benevolo  che  il  signor  Davanzati,  sopraTenendoB 
la  morte,  non  la  potò  rivedere,  e  noi  fedelmente  ve  la  diamo,  come  V  abbiam 
ricevuta,^  lasciando  campo  a  chi  volesse  pigliar  pensiero  di  più  accuratamente 
illustrarla.  —  Gli  errori  di  stampa^  notati  nell'ultimo  preghiamo  il  lettore  a 
corregger  avanti,  per  non  esser  costretto  ad  interromper  la  lettura  e  pigliare  il 
senso  a  rovescio,  senza  colpa  dell'autore. 

I  Abbiamo  stimato  non  inutile  riprodorre  questo  ÀTTertimento,  perchi  n  salano  le  care 
(sebbene  infelici)  usate  dagli  Accademia  della  Crasca  nella  edizione  prìndpe  dell^  intero  yolfa- 
rizzamento,  citata  anche  nel  Vocabolario. 

S  La  correzione  a  poma  dice  comodamente.  Y.  la  nota  I  alla  Dedicatoria. 

S  per  lo  più:  è  aggiunto  a  penna  dal  correttore. 

4  Non  so  che  giudizio  fosse  questo  di  scegliere  il  testo  del  Picchena,  mentre  il  Davantati 
tradusse  su  quello  deMLipsio. 

5  Così  pure  nelle  due  stampe  del  tfaresootti  4596,  e  del  GinnU  4600,  carata  dal  Davan- 
zati stesso. 

6  Perchè  non  dird  se  cavarono  la  loro  edùtione  da  Mss.  originali  o  da  copie:  e  percbi  ne* 
primi  sei  libri  non  si  curarono  delle  stampe  precedenti? 

7  II  Volpi  si  tolse  la  pazienza  di  contarne  fino  a  700.  Peccalo,  che  la  cura  di  metterà  in 
mostra  gli  errori  altrui  lo  facesse  badar  poco  a' propri! 


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Lxni 

DBDIGATORU  DELL' EDIZIONB  GOIIINUNÀ. 

ALU  FAMOSISSIMA  ACCADEMIA  DELLA  CRUSCA 

SIGHORA    B     MASSTBA     OIL    BIL    PARLAB    TOSCAHO 

GIOVANNI  ANTONIO  VOLPI.  ' 


Bimardo  Dwraiuli,  MrilloM  di  mdto  nMÌto  e  grido,  Ma  tmm  •  voi ,  di> 
fBÌssimo  aràooqsolo,  lìobilMMinì  «eeodonici,  e  vi  pretonia  U  tuo  TolgoriiMmonlo 
di  Tacito,  eolU  mio  dilifawa  e  dal  fratal  mio,*  ridotto  (tieoon'io  apero),  por 
quanto  oi  la  poaaibila,  in  qnaato  novèlla  adìriooo,  a  quél  fino  ripolimanto ,  dio 
V  antoro  potè  per  awantoro  dagl'  impraaaori  aogurarai.  Qvasf  opera,  ano  da'  o»> 
pitali  pia  acalti  dal  voatro  doviiioao  Voaabelario,  ai  giaceva,  par  ecaì  diro,  aff»- 
gaU  nelle  apine  e  ne' bronchi  di  vergognoai  errori  di  atampa:  e  per  Pardimeiito 
di  coloro  che,  offcai  de  ignoreaia,  ai  arriacUano  e  maneggiare  ean  lorde  mam 
l'ero  e  le  gamme  de'bnoni  libri,  amontove  amai  di  ocAera  :  tanta  era  la  palvere, 
aosi  la  ruggine  che  raso  vi  ai  appiastrava.  Longo  ed  increacevol  aarebbe  rieai^ 
tarvi  minatamente  le  fatica  e  U  noia  per  noi  aolferta  in  aacohiare  l'erbe  noeive, 
rinettando  il  iertil  caiqpo mal  eoltivato,  e  in  reatitoire  al  vero  ano  lastre  l'a^ 
baeinato  gioiello:  quanto  perimento  ai  aia  convenuto  agnnar  le  ciglia  per  to- 
glierne via  ogni  macchia,  procedendo  a  rilento  e  oon  attenta  cireoapaBione,  e 
guian  di  viandante  che  per  pecM  aeapetto  e  piano  d'inaidieeemmini.  Voi  da  voi 
stesai,  accorti  ed  esperti  che  sieto,  e  della  dilifenaa  amatori,  acnse  eh' io  spenda 
in  didiiararlovi  moke  perole,  ottimamente  già  l'intandeto.  6e  il  oamnne  degli 

4  UV«l9Ì,p«r4Bastem»Uv«n,ri4kT«ffuMBteli«iipoplkMto«lMB(mgliilcoiivi«a«: 
perch'  egli  in  fondo  n<m  fece  che  pigliare  il  oopioàssime  emuacorrige,  poeto  del  Neeti  in  celco 
déDe  sue  edizione,  e  togliere,  eoe  esso  alla  mano,  gli  errori  di  stampa,  e  non  tatti,  e  aggiongeme 
•aeeÀ  de^  impriy  Mew  ^«mì  per  petit  Mole  por  MoUtg  numtttkam  per  numglmnt  rùMdtan  per  r^ 
dire  e  più  altri,  che  mutano  affatto  'ù  senso,  e  die  si  sono  perpetuati  in  tutte  le  posteriori  edi- 
doni.  Del  retto,  qoeslo  Inrigne  letterate  fti  molto  benemerito  a'  buoni  studi,  per  le  sue  belle  e 
eomtte  ediMni  dielueiailntiai  e  italinnl,  «adte  dalU  edebn  stamperia  padovana  di  fiiaseppe 
Cornino,  e  pe'saoi  eleganti  versi  latini.  Nacque  in  Padova  nel  t68d,  e  morì  nei  t7M. 

a  Questi  è  Gaetano  Volpi  (n.  1689,  m.  4761)  sacerdote  di  molta  dottrina  e  di  rara  pietà,  che 
aasieU  U  fratello  neUa  Upog rala  eeaniniann  e  pdbbUe6  egngle  opere  aseetielie.  Ebbe  anebe  altri 
due  fratelli  letterati,  che  ftiraio  Giuseppe  Rocco,  (n.  4690,  m.  4746)  gesuita,  che  scrisse  con  molta 
lode  di  antichità  ecdesiatticbe }  e  Giunbatiste,  nato  nel  4687,  dw  fti  medico  e  pmAssoiuJi  ana- 
tomia in  Padova. 


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LXIV  DEDIQATOaiÀ  DBLL'  EDIZIONE  COHINUNA. 

eradifi  sia  per  saperci  grado  di  ciò  che  a  lor  Tantaggio  imprendemmo,  io  aon 
posso  bene  accertanni  :  la  maleyolenKa,  la  gannii^,  la  sTO(^iatezza,  la  schifiltà 
e  delicatezza  soTcrchia,  la  dirersità  finalmente  e  straTaganza  delle  opinioni,  ym 
ordinari  degli  nomini,  presti  a  sfatare  V  altrui  cose  anche  di  maggior  prezzo,  mi 
lasciano  in  dubbio  della  buona  riuscita.  Panni  bensì  di  poter  viver  sicuro  che 
l'industria  nostra  a  voi,  accademici  virtuosissimi,  cara  giunga  ed  accettevole; 
tanto  promettendomi  quella  bontà,  con  cui  vi  degnaste  già  d' approvare  ciò  che 
per  noi  si  fece  in  altri  libri  di  lingua ,  de'  quali ,  a  grand'  onore  e  contento  no- 
stro, voleste  far  uso  nell'  ultima  impressione  del  vostro  insigne  vocabolario.  E 
questo  favore  da  voi  prestatoci  benignamente,  avrà  twm  di' consolarci  e  di  so- 
stenere il  nostro  coraggio,  quando  anche  avvenisse  che  mi  popolo  intero  di  de- 
trattori si  sollevasse  contro  di  noi  ;  conciossiachè  mille  censure  e  sofisterìe  non  va- 
gliono  r  approvamento  e  la  sola  buona  grazia  vostra.  L' egregia  dttà  di  Fiorenza, 
oltre  ad  ogni  altra  italica  bellissima,  al  dire  del  Boccaccio,  madre  in  ogni  tempo 
feconda  di  rari  ingegni,  che  ad  alto  grado  di  gloria  con  immortali  scritti  la  su- 
blimarono, nutrice  amorevole  d'ogni  bdl'arte,  ricovero  ed  asilo  di  celebri  lei* 
terati  fug^aschi  per  fortunosi  accidenti  dalle  lor  patrie  ;  fu  sempre  ed  è  tuttavìa 
lo  scopo  dell'invidia  d'altre  nazioni,  che  bieco  la  guardano ,  e  malvolentieri  le 
consentono  il  primato  della  pura  toscana  favella.  I  rossi  loro  parlari,  poveri  di 
vive  espressioni,  sdpiti  per  lo  piò  e  languidi,  nulla  hanno  che  si  fare  col  nerbo, 
coli' efficacia,  colla  gentilezza  ed  abbondanza  del  vostro:  quinci  l' astio  da' fo- 
restieri scrittori  che  bene  spesso  non  volendo  o  sapendo  sceverar  l'oro  dalla 
mondiglia,  e  ricusando  di  sottoporsi  alle  strette  regole  de' migliori,  mettonsi  a 
biasimare  ciò  che  disperano  di  conseguire.  Io  vo  pensando  essere  appunto  questa 
una  d^e  prindpalì  cagioni  ,'per  le  quali  il  Davanzati  non  viene  da  tatti  egual- 
mente lodato*  La  sua  traduzione,  eccellente,  per  quello  che  a  me  ne  paia,  e  ma- 
ravigliosa,  non  può  così  di  leggieri  essere  imitata  :  imperciocché,  quel  mai  ci 
vive  oggidì,  che  oltre  all'intendere  profondamente  l'autore  che  si  volgarizza, 
possa  accoppiare  tanta  brevità  con  sì  fatta  chiaresz»?  Che  quanto  alle  oHeiiom 
che  gli  si  fecero  eziandio  da  scienziati  uomini  ed  autorevoli,  sembrami  ch'egli 
bastevolmente  se  ne  schermisse  nelle  sue  dotte  postille,  e  che  molte  àncora  ne 
prevenisse  e  sodamente  disciogliesse.  Io  però  non  temo  d'essermi  ingannato 
nella  scelta,  e  d'aver  faticato  intorno  ad  autor  dozzinale,  che  il  travaglio  non 
sia  per  pagare  e  la  spesa  ;  e  mi  do  a  credere  che  del  medesimo  sentimento 
ancora  voi  sarete,  accademici  nobilissimi,  all'adunanza  de' quali  ho  ancor  io 
la  rara  fortuna  d'essere  ascritto.  Prego  intonto  colla  dovuto  sommessione  cia- 
scun ^  voi  ad  accettare  con  lieto  fronte  e  cortese  animo  questo  libro,  ch'io 
vi  consacro  in  testimonio  di  quella  stima  e  riconoscenza  che  giustamento  vi 
professo,  desiderandovi  dal  cielo  ogni  compiuta  felicità. 


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LXV 


RISPOSTA  DELL'ACCADEMIA  DELLA  CRUSCA 


AlPilhuiriti.  9ig,  tig.  padr.  eoi.  il  tig.  Gio.  Ànt,  Volpi 
profetiore  di  Mkre  umane  nello  ttudto  di  Padova, 

lUostrìssimo  rig.  si;,  padron  eolendissimo. 
L'umanissima  lettera  di  Y.  S.  illastrissìma,  segnata  ne^  29  di  settembre 
mi  è  perrenota  in  tempo  che  P  Accademia  della  Gmsca  era  chiusa  per  cagione 
delle  eonsnete  antumali  yacanze,  onde  non  è  stato  paranco  possibile  il  presen- 
tare in  piena  adonanxa  della  medesima  la  bellissima  e  diligentissima  ristampa 
del  yolgaiixzamento  di  Cornelio  Tacito  di  Bernardo  Davanzati ,  che  alla  sua 
generosa  bontà  è  piaciuto  non  solo  di  trasmetterle  in  dono,  ma  ancora  di  ono- 
rarla della  dedicazione.  Ayendola  peraltro  data  a  osservare  all'  arciconsolo  ed 
a  Tari  altri  accademici,  che  sì  ritrovano  in  città,  posso  assicurare  V.  S.  illn- 
strìasima,  che  è  piaciuta  l<Hro  sommamente,  onde  io  ne  presa^sco  un  compiuto 
ed  universale  gradimento  di  tutta  P  Accademia.  Perocchò  ^[uesta  ò  stata  sem- 
pre di  sentimento,  che  il  Davanzati  colla  sua  robusta  é  sugosa  maniera  di 
scrivere  nel  toscano  idioma,  che  peraltro  ò  assai  copioso,  s' acquistasse  un  me- 
rito particolare  per  aver  saputo  maravigliosamente  accoppiare  a  una  gran 
brevità  una  singolare  forza  d' espressione.  Ond'  è  che  la  stessa  Accademia  ha 
sempre  tenuto  in  molto  pregio  le  scrittore  4el  medesimo,  e  di  gran  forza  e 
autorità  ha  sempre  riputati  gli  esempli  da  esse  tratti  e  allegati  nelle  passate 
compilazioni  del  nostro  vocabolario:  e  Pietro  Pietri,  letterato  di  Danzica  e 
nostro  illustre  accademico,  allorché  nel  passato  secolo  fece  sua  dimora  in  Fi- 
renze, apparò  la  lingua  toscana  prìncipaUnente  sopra  questo  volgarizzamento, 
come  riferisce  nelle  sue  prose  toscane  il  chiarissimo  nostro  innominato  abate  An- 
tommarìa  Salvìni.  Or  quando  P  Accademia  tutta  vedrà  e  saprà  di  possedere  que- 
sta celebre  traduzione  in  sì  adorna  maniera  ristampata,  e  mediante  P  inimitabile 
accuratezza  diV.  S.  illustrissima,  purgata  da' copiosi  errori  ond' erano  sconcia- 
mente guaste  le  passate  impressioni,  è  da  federe  senza  alcun  fallo  ch'ella  sia 
per  provarne  un  sensibil  piacere,  vedendosi  da  sì  illustre  fatica  posta  in  grado  di 
fame  molto  miglior  uso  in  avvenire.  Al  qual  piacere  succederà  infallibilmente 

I  Qaests  lettera  è  tolU  dall'  opera,  divenuta  ornai  rara,  intitolata  La  libnria  dt'Veifi.  Pa- 
dova, 4786,  pnMO  Ginaeppe  Cornino  ;  a  pag.  503. 

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LXVI  RISPOSTA  dell'  ACCADEMIA  DELLA  CRUSCA. 

anche  una  particolar  compiacenza  della  fortunata  aggregazione  al  ano  corpo,  che 
fino  dalP  anno  scorso  ella  volle  giustamente  fare  della  degnissima  persona  di  V .  S. 
illustrìssima,  da  cui  le  ò  risultato  sì  fatto  accrescimento  di  gloria  e  di  decwo. 
Mentre  adunque  per  commissione  dell' arciconsolo  e  degli  altri  accademici  io 
rendo  a  Y .  S.  illustrissima  le  più  vive  e  distinte  grazie  d' un  dono  sì  pregiato, 
prendo  anche  V  opportunità  di  rammentarle  in  particolare  la  mia  devota  e  n- 
TOrente  servitù ,  e  con  rispettoso  osBetpìo  mi  protesto 
Di  y.  S.  illustrissima 
Firenze,  5  ottobre  4755. 

Devotissimo  servo 
Bosso  Antonio  Mìrtini  detto  il  Rijmrgato, 

TÌoea«gretario  dell' Aocademia  della  Cmaca. 


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txrii 


PREFAZIONE  DELLA  STAMPA  COMINIANA. 


Lo  Scisma  d' loghilterra  e  le  altre  operette  di  Bernardo  Daranzati ,  fatte 
da  noi  ristampare  due  volte  in  questa  Gominiaaa  piacquero  in  sì  fatto  modo 
agli  amatori  della  toscana  favella ,  che  veggendole  bene  accolte  ed  mÙTersal- 
mente  approvate ,  non  potemmo  resistere  ai  frequenti  conforti  degli  amici  che 
ci  esortavano  a  pubblicar  di  bel  nuovo  anche  il  volgarizzamento  di  Tacito, 
fatica  illustre  del  medesimo  autor  fiorentino.  Per  accignerci  alla  non  molto 
agevole  impresa ,  bbognava  trovare  V  edizion  di  Firenze  in  foglio ,  dell'  anno 
4657 ,  appresso  Pier  Nesti,  che  fa  la  prima  intiera,  e  coli'  originale  Ialino  al 
fianco.  Era  questa  già  divenuta  assai  rara  e  di  costo  ;  onde  per  averla  siamo 
ricorsi  al  signor  Guglielmo  Gamposanpiero ,  cavalier  padovano,  accademico 
della  Crusca,  il  quale  altrettanto  cortese  e  condiscendente  alle  oneste  do- 
mande ,  quanto  nobile  e  letterato ,  coli'  usata  sua  benignità  verso  di  noi ,  la 
trasse  dall'  ampia  sua  raccolta,  anzi  tesoro,  di  libri  allegati  nel  vocabolario, 
e  ci  permise  d'  osarla  e  confrontarla  a  nostro  grand'  agio.  Avutala ,  osser- 
vammo subito ,  non  senza  stupore ,  in  fondo  al  volume ,  annoverati  e  corretti 
intomo  a  settecento  errori  di  stampa  ;  e  dopo  un  sì  lungo  catalogo  una  con- 
fessione sincera ,  e  una  richiesta  di  scusa  per  molti  altri  difetti  avvenuti  nello 
stampare.  Enorme  fu  la  fatica  di  emendare  tutti  questi  falli  ai  lor  luoghi, 
affinchè  in  questa  novella  impressione  non  iscappassero  di  bel  nuovo.  La  qua! 
diligenza  fu  trascurata  da  coloro  che  soprantesero  alle  precedenti  ristampe: 
nelle  quali  anzi,  per  giunta  alla  derrata,  si  truova  accresciuto  a  dismisura  il 
numero  degli  errori.  Ci  convenne  andie  ben  osservare  di  non  correggere  cie- 
camente ogni  cosa  a  norma  del  mentovato  catalogo;  poiché  non  di  rado  la 
stessa  emendazione  è  un  fallo  ;  ordinandosi ,  a  cagion  d'  esempio ,  di  guastare 
il  testo ,  che  prima  era  immacolato  e  noi\  doveva  mutarsi  in  conto  veruno.  ' 
Credesi  comunemente,  essere  molto  esatti  quo' libri,  nel  fine  de' quali  vien 
posto  l'errala  corrige:  ma  ciò  si  dee  intendere  d' un  picciol  novero  di  difetti, 

'  Gò  accadde  pia  -volte  anche  allo  stesso  Volpi,  guastando  dove  il  Nesti  diceva  benissimo. 
lafatli  ulto  Storto  lib.  IH,  31,  gvasta  fondi  in  folti  (redi  la  nota  a  qvesto  luogo):  nell'istesso  lib. 
e  29,  intnmata  in  intonata  (vedi  U  nota):  nd  lib.  IV,  2.  aggiunge  on  ma  die  sciapa  ogni  cosa 
(vedi  la  nota):  nell'istesso  lib.  e.  5  (pag.  364  edix.  fior.  t.  42.)  il  Nesti  ha  nn  fallo  di  stampa  dedi- 
dieaao  die  corregge  nell'  errata  in  dedicano.  11  Volpi  nel  Soffio  corregge  dedicano  in  dicono  che 
guasta  ogni  cosa,  e  se  ne  fa  beilo;  mentre  pw  nel  testo  pone  la  correcMne  M  Nesti.  Nella  po- 
stilla 49  del  lib.  1  il  Nesti  stampò  spicciare  e  nell'emita  corresse  spiccicare:  ed  anche  qni  il  Volpi 
prese  la  oorrctione  j^r  fatto  e  ne  fece  romore,  rimettondo  spicciare.  E  quel  che  è  più  strano,  la 
Cmsoa  fece  un  paragrafo  a  posta  per  dar  luogo  al  granchio  del  Volpi.  Vedi  U  neta  a  qoette  Imco. 


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LXTIIK  PREFAZIONE  DELLA  STAMPA  COMINIANA. 

non  già  d'  ano  smoderato.  Ma  che  poi  dirassi ,  ^ando  per  noi  si  affenni , 
senza  dipartirci  ponto  dal  fero,  che  que* settecento  abbagli  sopraccennati, 
sono  una  scarsa  porzione,  e  forse  la  meno  importante,  d'altri  ionomerabili 
della  fiorentina  edizione ,  nel  testo  latino  principalmente ,  cbe  aremmo  la  gran 
flemma  di  collazionare  colla  molto  accurata  di  Mattia  Berneggerò?  Nò  g^à  si 
trattava  dì  lezioni  varie ,  nò  d'  opinioni  opposte  d'  nomini  dotti ,  ma  di  errori 
palpabili  e  grossolani.  Dimodochò,  dopo  V  impressione  di  parecchi  fogli,  ci  parve 
bene  alquanti  raccoglierne  e  mettergli  sotto  gli  occhi  vostri ,  leggitori  discreti, 
come  tin  breve  saggio  d'  altri  moltissimi  che  difformano  e  ricuoprono ,  per 
così  dire ,  di  brutta  lebbra  V  edizione  del  Nesti ,  sparata ,  male  impressa ,  e 
in  coi  s' incontrano  da  chi  legge  con  attenzione ,  tutte  le  mancanze  immagina- 
bili degli  stampatori  più  negligenti.  Gran  compassione ,  a  dir  vero ,  che  nn' opera 
così  famosa ,  degna  di  rispetto  e  di  maraviglia ,  e  fatta  oggimai  superiore  alle 
contraddizioni ,  alle  crìtiche  e  alP  invidia ,  sia  uscita  la  prima  volta  così  mal- 
concia I  Se  V  avesse  rìserbata  il  destino  agli  odierni  torchi  della  inclita  città  di 
Fiorenza ,  soverchia  per  avventura  sarebbe  l' industria  nostra  ;  molto  puliti  e 
perfetti  riuscendo  a'  dì  nostri ,  quanto  alla  correzione ,  i  libri  che  quivi  s' im- 
primono. Tralasceremo  di  fare  molte  parole  delle  orribili  ristampe  di  questo 
volgarizzamento ,  una  copia  delle  quali ,  cioò  della  veneta  di  Francesco  Storti 
del  4658  in  quarto,  n  ò  adoprata  e  stracciata  nelP  officina  del  Cornino;  es- 
sendo noi  pertanto  stati  costretti  ad  inghiottire  U  tedio ,  e  sostener  la  molestia 
di  ripurgare  questo  veramente  $tabulwn  ÀugÌM.  Troverete  la  puntatura  mi- 
gliorata in  luoghi  senza  numero;  la  qual  diligenza  awegnachò  (siccome  awer- 
tisce  il  Salvini  nelle  sue  prose  toscane)  iembri  a  prima  frùnte  gretta  e  mi- 
nuta faccenda ,  si  ò  nondimeno  V  anima  da'  buoni  libri ,  agevolandone  a  chi 
legge  V  inteUigenza ,  levando  le  dubbiezze ,  e  dimostrando  nel  tempo  stesso 
la  cognirione  di  chi  presiede  alla  stampa.  In  quelle  parole  che  sogliono  scri- 
versi con  due  z ,  una  sola  ne  abbiamo  posta ,  uniformandoci  al  costume  e  al- 
l' opinione  del  Davanzati ,  espressa  in  una  sua  Nota  ;  il  che  però  non  abbiamo 
seguito  ne'  primi  fogli ,  non  essendoci  da  principio  accorti  di  tal  singolarità , 
la  quale  nò  meno  nelP  edizion  fiorentina  fu  sempre  in  tutto  rigore  osservata. 
ÀguttOj  non  Àugutto,  si  leggerà  costantemente  in  questa  nostra.  In  qualche 
altro  vocabolo  abbiamo  voluto  secondare  l' instabilità  dell'  ortografia  ;  cosa  le- 
cita e  praticata.  Ci  siamo  valuti  del  carattere  corsivo  in  alcuni  luoghi  oscuri 
che  mal  s' intendono ,  o  che  stimiamo  dover  esser  suppliti  ;  poscia  che  il  Da- 
vanzati non  diede ,  come  apparisce ,  a  questa  sua  beli'  opera  l' ultima  mano. 
Che  se  una  vita  più  lunga ,  o  una  maggiore  abbondanza  d' ozio  letterario  gTi 
somministrava  1'  agio  di  rivederla  e  ritoccarla ,  egli  ò  credibile  che  1'  avrebbe 
davvantaggio  limata ,  emendata  e  migliorata  in  più  d' un  luogo.  Abbiamo  ag- 
giunti ,  dove  bisogno  il  richiedeva ,  numeri  nel  margine ,  e  postille  in  fondo 
alle  facciate.  Anzi  per  comodo  e  sodisf azione  di  chi  niane^a  il  vocabolario 
della  Crusca ,  non  abbiam  tralasciato  di  far  imprimere  in  carattere  alqaanto 


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PREFAZIONE  DELLA  STAMPA  GOMDfUNA.  LXIX 

'più  grosso  il  nmiiero  delie  ptgine  dell'  odinoli  fiorentina  ;  eneado  faette  ap- 
ponto  le  additate  da'  eompilatorì  del  prefato  Tocabolarìo.  Abbiamo  anche 
tolte  via  le  frequenti  abbreviatore  che  disgnstayano  V  occhio  da'  leggitori ,  e 
rìncciTano  loro  di  molestia  e  d'inciampo  :  aT?ertendo  che  ogni  Tocabolo  da  cni 
potesse  nascere  oscorìtà  fcoa  stampato  alla  distesa.  Dopo  una  tanta  fatica  da 
noi  sofferta  yolentierì  a  pubblica  utilità ,  ci  sarà  probabilmente  chi  voglia ,  s^ 
eondo  il  costome  e  P  enestà  corrente  del  secolo ,  rapircene  e  preoccuparcene 
0  frutto,  con  falche  preòpitcsa  ristampa  :  perciò  protestiamo  fin  da  quesf  ora , 
che  non  riconosceremo  mei  per  nostra ,  se  non  la  presente  impressione  del 
Gemino  da  noi  assistita  ;  tenendo  e  dichiarando  questa  sola  sincera  e  legittima  ; 
per  lo  contrario,  tutte  Poltre  che  da  qualunque  luogo  sbucassero,  spurie, 
selvatiche  e  scontraffatte.  Arni  promettiamo,  in  caso  di  ristampa,  di  esami- 
narla e  farla  esaminare  da|^i  amici  ooIF  occhiale  più  severo  e  sottile,  pubbli- 
candone poi  gli  errori  : 

E  questo  sia  saggél  eh'  ogni  nomo  sgumL 

Omfessiamo  mdladimeno  che  per  colpa  dell'  umana  fragilità ,  paò  essere  sfug^ 
gito  am&e  a  noi,  con  tutta  la  nostra  diligenza ,  più  d' un  errore  :  né  siamo  per 
arrogerà  mai  stoltamente  il  vanto  d' infallibili  in  questo  genere.  Penano  bene 
al  fatto  loro  i  compratori  da'  libri  ;  poiché  le  stampe  cominiane  hanno  il  privi- 
legio d' una  poco  imitabile  accuratezza  che  le  rende  singolari  e  da  per  tutto 
ricercate.  E  cift  vogKam  che  s' intenda  non  di  qnesf  opera  sola,  ma  di  tutte 
P  altre  generalmente  che  fin  ora  uscirono  da'  torchi  del  nostro  Cornino  :  ri- 
stan^inle  pure  a  lor  posta  i  fastidiosi  corruttori  delle  cose  corrette.  Se  l'amor 
proprio  non  ci  fa  travedere ,  noi  ci  lusinghiamo  d' aver  qualche  merito  ap- 
presso la  repubblica  delle  lettere  per  questa  nuova  pubblicazione  del  Tacito 
del  Davanzati ,  e  ne  proviamo  diletto  particolare  ;  iq>erando  a  un  tempo  che  il 
favor  vostro  e  V  approvarione,  eruditi  legatori  e  discreti ,  abbia  a  confermarci 
in  questo  nostro  godmiento  e  parere.  Vivete  felici. 


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LXX 


A  MESSER  BACCIO  VALORI 

SSNATOB  riOBBNTUIO 
CAVAintB  B  GiUBBCOatULTO 

BERNARDO    DAVANZATI    BOSTIGHI 
SALUTE.  * 


Della  lìngua  latina  corrotta  da' barbari,  chiarissimo  messer  Baccio, 
nacquero,  come  ognun  sa,  in  diversi  luoglii  diverse  lingue  corrotte, 
e  dal  volgo  che  quelle  usava,  dette  volgari.  Arrecandovisi  poi  ancora 
i  nobili,  e  scrivendo  in  esse  e  poetando,  diedon  loro  regole  e  fonne 
di  lingue  buone.  La  fiorentina  fu  alzata  a  tal  perfezione  da*  suoi  tre 
lumi,  che  tutto  '1  mondo  se  n' è  invaghito;  e  chi  a  quelli,  quasi  alla 
Venere  d^Apelle,  più  s'assomiglia,  più  pregiato  è.  Nondimeno  alcuni 
non  vogliono  che  V  ottima  lingua  volgare  sia  né  si  dica  fiorentina. 
Lodato  sia  il  cavalier  Lionardo  Salviati  che  fece,  con  quella  novella 
in  più  volgari,  del  più  simile  all'ottimo  quella  graziosa  riprova.*  La 
quale  m'ha  fatto  venir  voglia  di  farne  un'  altra  contro  a  un  valentuo- 
mo '  che  corona  e  nùtria  la  sua  lingua  franzese  sopra  all'  altre;  mo- 
strala conforme  alla  greca,  e  dàlie  il  vanto  della  brevità,  e  la  nostra 
dice  lunga  e  languida  e ,  come  la  cornacchia  d' Esopo,  abbellita  delle 
penne  franzesi.  Ma  quelle  greche  conformitadi  che  egli  annovera  le 
abbiamo  anche  noi  quasi  tutte,  e  molte  altre  lasciateci  da'  Greci  che 
la  Cicilia,  la  Magnagrecia  e  altre  parti  d'Italia  abitarono  assai  più 
che  Marsilìa  :  e  le  parole  tra  noi  comuni  vengono  dalla  comune  ma- 
dre e  corruzione  latina.  Basterebbe  adunque  dire  a  lui  come  disse 
Lucio  di  Valbona  a  messer  Rinìeri  da  Galvoli:  e  Messere,  per  cortesia 
acconciate  i  fatti  vostri,  ma  non  isconciate  li  altrui,  e  non  dite  male 
delle  belle  donne  che  voi  non  conoscete.  »  Ma  per  mostrare  coli'  ef- 

i  Questa  lettert  fa  dall'  autore  premessa  al  Tolgarinamento  dd  primo  libro  degU  Annali, 
stampato  dal  Harescotti  in  Firenze,  4596.  L8ggesi  anche  nel  secondo  e  più  ampio  saggio  del- 
l' istesso  Tolgarizzamento,  intitolato  1/  imperio  di  Tiberio  Cesare  «e.  (Fir.,  Giunti,  4600)  ;  ma  al 
tutto  rimutata  nella  locndone  e  nei  pensieri  e  più  concisa  della  metà.  Gli  editori  sonost  poi  at- 
tenuti sempre  a  questa,  dimenticando  la  prima  dettatura.  Noi  le  diamo  ambedue,  s)  perchè  quella 
prima  è  fatta  ornai  rara,  e  si  ancora  perchè  non  è  sansa  ntiUtk  e  diletto  U  vedere  coma  il  Davan- 
lati  castigasse  e  sfrondasse  seyeramente  sé  stesso. 

S  MoToUa  IX  deUa  Giornata  1  del  Decamerone  TolgarisaU  in  direni  volgari  d' Italln.  TaA 
Tol.  Ili  delle  Opere  del  Salyiati.  HUano,  4810. 

S  Chi  fosse  costui  è  detto  nel  Discorso  euUa  viueU  open  del  Mostro. 


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A  MESSER  BACCIO  VALORI.  LXXI 

fello  e  senza  contese  dove  si  posi  quiesto  Tanto  della  brevità,  invitato 
dal  suo  proverbio,  Chaeun  diifay  bon  droit,  mais  la  veve  dacouvre 
le  faiet;^  e  dair  avere  egli  messo  in  campo  Cornelio  Tacito  il  più 
breve  scrittore  forse  che  sia ,  il  quale  io  chiamo  lìsìr  della  prudenza 
civile;  ho  dettato  con  parole  e  proprietà  fiorentine  il  primo  libro 
de'  suoi  Annali ,  e  con  tutti  li  nostri  disavvantaggi  delli  articoli  e  d'al- 
tro, toma  scandagliato  migliaia  di  lettere  sessantatre;  il  latino,  sessan- 
totto; il  franzese  stampato  in  Lione,  più  di  cento.  Onde  le  cento  parole 
nostre  vagliono  e  fruttano  per  centotto  latine  corneliane,  e  per  cen- 
sessanta  franzesi:  e  parmi  aver  pareggiato  Cornelio,  se  non  di  mae- 
stà, di  viveza;  e  superatolo  di  chiareza  e  purità:  tanta  è  la  possanza 
e  la  destreza  e  l'eccellenza  della  favella  fiorentina  che  vive,  e  nel  mare 
della  natura  sceglie ,  chi  punto  vi  bada ,  voci  e  maniere  operantissime 
che  ne'  vocabolari  e  nelle  conserve  de'  morti  autori  non  si  trovano 
tutte  o  non  le  ripeseono  i  non  naturali,  lo  cui  volgare  per  lo  più, 
quantunque  regolato  e  ornato,  quasi  vino  limosinato  a  uscio  a  uscio, 
non  pare  che  brilli  nò  frisi  come  il  rìoolto  in  su  1  suo,  e,  quasi  ar- 
bore che  non  abbia  il  fittone,  non  sia  rigoglioso!  Vedetelo  in  quel 
Muzio  che  da  Capodistria  venne  a  insegnarci  favellare,  e  le  proprietà 
nostre  bello,  dicendole  fiorentinarfe,  con  giodicio  e  vocal>olo  goffo  e 
suo.  Volgarisare  tutto  Tacito  non  pare  che  occorra ,  avendol  fatto 
Giorgio  Dati  con  ampio  stile  e  facile,  credo  per  allargare  e  addolcire 
il  testo  sì  stringato  e  brusco;  e  puossi  da  questo  saggio  conoscere, 
eome  dall'unghia  il  lione,  la  flereza  del  nostro  volgare,  degna  d' es- 
sere adoperata  con  più  gloria  e  libertà  che  non  cape  questa  poca  e 
semplice  dettatura,  soggetta  a  ir  dietro  alla  latina  come  servente  a 
passi  non  suoi,  e  ritenente  i  più  de' nomi  antichi,  per  non  confon- 
dere gl'intendimenti  delle  cose  variate  o  perdute,  con  questi  mo- 
derni che  non  bene  rispondono.  Senza  che  a  quelli,  antichi  i  leggenti 
s'ansano  e  fannoli  nostri,  e  n'arricchisce  la  lingua:  ma  saranno  a 
dietro  posti  con  alcune  postille  al  testo.*  Vi  mando  e  dono  questa 
scrittura  con  desiderio  che  quando  voi  sete  meno  occupato  Tandiate 
un  poco  considerando  e  dicendomi  il  parer  vostro,  il  quale  io  stimo 
per  centomila  ;  e  date  la  colpa  alla  vostra  naturai  cortesia  e  all'  aìTe- 
zSone  che  voi  portate  a  questa  lingua ,  e  alla  nostra  grande  amicizia, 
se  la  briga  è  troppa ,  e  all'  odio  eh'  io  porto  a' moderni  empiei  titoli, 
se  io  vi  paressi  in  questa  lettera ,  come  forse  nel  resto,  troppo  ama- 
dore  dell'  antica  sempliciUl.  State  sano. 
Di  Firenze,  il  dì  15  di  settembre  1595. 

I  Ciascun  dice  i'  d  ho  bnoo  dritto,  ma  la  vista  scopre  il  fatto.  Corrispondente  al  nostro: 
AUa  prova  si  scortica  I'  asino. 
^  Vedili  in  fine  del  volarne. 


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LXTII 

LA  MIDB91HA  tlTTlBA 

A  MESSER  BAGCIO  VALORI 

COXrOJU»  SI  LBGGB  HKI.I.' KDIZIOKI  FIOBBHTUIB  PSL  OlOSTI  S  DU  HB5TI 
1  NELLA  PAOOVAIIA  DSL  COMUIO. 


Della  lingua  corrotta  da' bari>aTì,  cUarissiiiio  messer  Bacdo»  na- 
cquero come  ognun  sa,  in  diversi  luoghi  diverse  lingue  corrotte,  e 
dal  volgo  cke  le  usava,  dette  volgari.  Scrivendo  poi  e  poetando  in 
esse  ancora i  nobili,  diedon  loro  regole  e  forme  di  lingue  buone.  La 
fiorentina  fu  alzata  da'  suoi  tre  lumi  a  tanta  perfezione  che  tutto  1 
mondo  s'è  volto  ad  imitarli  ;  e  chi  a  quelli ,  quasi  alla  Venere  d'Apelle, 
più  s'assomiglia,  più  pregiato  è.  Nondimeno  alcuni  non  vogliono  che 
l'ottima  lingua  volgare  sia  né  si  nomini  fiorentina.  Lodato  sia  il  ca- 
valier  Lionardo  Salvìati,  che  con  quella  novella  in  più  volgari  léce 
del  più  vicino  all'ottimo  quella  graziosa  ripruova.  La  quale  me  n'  ha 
fatto  fare  un'  altra  a  un  valent'uomo  che  corona  e  mitria  la  sua  lin- 
gua franzese  sopr' all' altre:  la  fa  venire  dalla  greca:  dàlie  il  vanto 
della  brevità;  e  la  nostra  dice  lunga  e  languida,  e  quasi  cornacchia 
d' Esopo,  vestita  delle  penne  franzesi.  Ma  de'  grecismi  eh'  egli  anno- 
vera, ne  abbiamo  noi  più,  lasciatici  da' Greci  che  la  Cicilia,  laMa- 
gnagrecia  e  altre  parti  d' Italia  abitarono  più  che  Marsilia.  Le  parote 
comuni  tra  noi  vengono  dalla  comune  madre,  che  fu  la  comniooe 
hlina.  Basterebbe  adunque  dirgli  come  Licio  ^  di  Valbona  a  messer 
Rinieri  da  Galvoli  :  e  Messer,  per  cortesia,  fate  i  fatti  vostri,  ma  non 
isconciate  li  altrui  ;  lodate  la  lingua  vostra,  ma  non  ischernite  ìa  no- 
stra.'» Ma  per  chiarire  col  Catto  la  brevità,  ho  messo  la  lingua  fio- 
rentina a  correre  a  pruova  con  la  latina  e  con  la  franzese  al  dono  della 
brevità  in  questo  aringo  del  primo  libro  di  Cornelio  Tacito  ch'io  vi 
mando.  E  con  tatti  i  disavvantaggi  degli  articoli  e  vicecasi  e  vice- 
tempi che  ci  convengono  replicare  a  ogni  poco,  truovo  più  scrittura 
nel  latino  da  otto  per  centinaio,  e  nel  franzese  stampalo  in  Parigi 

I  Questo  noma  Tuia  nelle  diverte  edizioni,  leggendosi  or»  Lieto,  ora  listo»  ora  Ludo. 

S  Queste  parole  sono  sconciamente  mntUe  e  sensa  senso  nell'  edixionc  del  Nesti  ;  né  U  Volpi 
so  ne  accorse,  come  non  se  ne  accorsero  gli  editori  venati  dipoi.  Michele  Colombo  fa  il  primo  a 
notar  lo  svarione }  poi  il  Gamba.  Vedi  Serie  de'tetti  m.  pag.  'iSS.  Venexia,  4839. 


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À  HBSSBR  BACCIO  VALORI.  LXXIII 

Del  1584  oltre  a  sessanta.  NiuQO  concetto  ho  lasciato.  Dalle  parole  e 
frasi  latine  mi  son  partito^dove  le  nostre  esprìmevano  meglio  ;  avendo 
ogni  lingua  sue  proprie  virtù.  Da  questo  saggio  potrà  conoscersi, 
come  dall'  unghia  il  lione ,  questa  brevità  del  nostro  parlare  :  e  non  oc- 
corre passar  più  avanti ,  avendo  Giorgio  Dati  volgarizzato  tutto  Tacito 
con  ampio  stile  e  largo,  convenevole  al  suo  Gne  di  farlo  chiarissimo. 
Ritengo  molti  vocaboli  antichi  di  cose  oggi  perdute  o  variate,  a  cui 
non  bene  rispondono  i  moderni.  Oltre  a  ciò  avvezandoci  alli  antichi,  li 
tacciamo  nostri;  n'arricchisce  la  lingua;  e  non  mancano  geografi, 
nomenclatori  e  vocabolari  che  li  dichiarano.  Scrivendo,  mi  son  ve- 
nute fatte  certe  postille  al  testo  per  quello  correggere,  dichiarare  o 
confrontare  :  poco  in  vero  necessarie ,  mercè  de'  comentarì  del  Li- 
psio  ;  grande  ingegno ,  e  lume  di  lettere  alla  nostra  età.  Quando  voi 
siate  meno  occupato ,  piacciavi ,  per  amor  mio  e  della  nostra  grande 
amicizia,  considerare  un  poco  tutta  questa  scrittura,e  dirmene  il  parer 
vostro,  il  quale  io  stimo  per  centomila.  State  sano. 


9 

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LlXiV 


AL  MEDESIMO. 


Dioono  che  I>eniostene  copiò  Tucidide  nove  volte  per  inirasani 
nella  mente  quella  sua  brevità.  Io  nella  mia  giovaneia  per  agevolarmi 
Cornelio  Tacito,  n'  espressi  alcuni  libri  in  lingua  propria  per  proprio 
uso,  senz' altro  studio  che  della chiareza.  Vedendo  poi  da  quel  Fran- 
zese  schernita  la  nostra  lingua,  raffinai  alquanto  quel  primo  libro 
mandatovi,  per  mostrare  quanto  egli  errava  intomo  alla  nostra  bre- 
vità. La  quale  intendo  che  da  sì  poca  scrittura  d' un  libro  solo,  che 
può  essere  uno  sforzo,  non  vien  provata;  e  che  quel  libro  troppo  fio- 
rentinamente favella.  Rimandolo  dunque  accompagnato  dalli  altri  li- 
bri che  narrano  il  principato  di  Tiberio  (forse  i  più  utili  per  lo  gran 
sapere  di  quel  principe),  e  tutti  sono,  come  vedete,  160  facce  di  que- 
sta stampa'  fatta  fare  scientemente  di  39  versi  di  55  lettere,  per 
faccia,  come  è  quella  del  Piantino  del  1581 ,  della  quale  i  medesimi 
libri  latini  sono  facce  178:  a  fine  che  a  veggente  occhio  si  chiarisca 
lo  schernidore,  che  questi  fiorentini  libri  ne'  latini  largheggiano  come 
il  nove  nel  dieci  ;  e  ne'franzesi,che  sarieno  facce  di  stampa  simile  266, 
passeggiano  come  nel  quindici.*  Non  dia  ombra  che  quel  primo  foglio 
latino  abbia  le  facce  d' un  verso  meno,  e  quest'ultimo  volgare  d'un 
più;  perchè  questi  piccoli  errori  non  fanno  diversità.  La  fiorentinità 
non  ho  voluto  lasciare;  per  &re  Quest'altra  pruova,  se  allo  scrìvere, 
che  è  pensato  parlare ,  si  può  i  dovuti  artiQcii  aggiungnere,  senza  ta- 
gliare i  nerbi  alla  lingua,  che  sono  le  proprietà,  come  a  me  pare  che 
noi  facciamo  scrivendo  non  in  lìngua  nostra  propria  e  viva,  ma  in 
quella  comune  italiana  che  non  si  favella ,  ma  s' impara  come  le  lin- 
gue morte  in  tre  scrittori  fiorentini,  che  non  hanno  potuto  dire  ogni 

i  Intende  delle  stampa  fiorentina  del  Giunti,  4600. 

S  Nel  manoscritto  Hagliabeehiano  dell'  Imperio  di  Tiberio  Cesare  tvera  U  DavamaU 
notato  qoesto  oose  medesime  in  on  aTrertimento  agli  stampatori  (poi  eaneeOato)  con  ^Mste 
parole  :  Qualunque  Manperà  questi  cinque  libri  (son  sei;  perchè  del  VI  e  dei  frammenti  del  V  fti 
tntt'  un  libro,  come  si  Tede  nelle  antiche  edixioni  di  Tacito)  voltari,  li  metta  eomm  qui  mmo  te 
■160  facce,  ogni  faccia  S9  veni  di  43  lettere,  ratguagliate  Puma,  o  aUrmumie  le  aeeomodi, 
pwrdùs  bi  daseheduna  siano  475S  lettere,  quante  sono  nelle  facce  del  Tadto  latino  etampato 
M  8°  te  Jnversa  dai  Piantino  nel  -ISSf  {se  non  die  quelle  prime  W  sol»  seno  di  32  uersi,  e 
queste  ultime  7  w^iori  seno  di  40  per  errori^:  a  fine  éke  subitamente  t^^^arisea  quanto  questi  ed- 
gart  siane  piit  brevi  de'  latini,  non  che  de*  frantesi.  Poi  in  margine  corregge:  A  fine  che  essendo 
i  latini  478  facce,  e  i  frantesi  uOculati  254  simUi,  apparisca  c/ke  i  nostri  entrano  ne*  latini  cerne 
U^neHOfC  ne'  frantesi  come  nel  quindici. 


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À  1IE99BR  BACCIO  YALORI.  LXX? 

cosa;  e  ciocché  in  quelli  non  è,  o  disusato  è»  rifiutandosi,  ella  si 
rimane  molto  poterà  e  meno  eiìlcace  e  pronta  di  questa  cbe  tolgair- 
mente  si  favella  in  Firenze.  É  vero  cbe  in  quella  italiana  molti  (prandi 
hanno  scritto  mirabilmente;  ma  essi  avrebber  superato  se  stessi',  se 
avessero  scrìtto  in  questa  fiorentina  come  quei  tre:  ne' quali,  né 
ne'  Greci  e  Latini  non  si  vede  tanta  4>aura  della  basseza:  che  non  è 
altro  che  un  poco  di  stumia  che  genera  la  proprietà,  che  quando  è 
spiritosa,  quasi  vino  generoso,  la  rode.  Dal  signore  dell'altissimo- 
canto  hanno  tratto  gli  accademici  della  Crusca  più  lingua  pretta  fio- 
rentina che  da  tutti  gli  altri.  Non  si  parli  del  Boccaccio  novellatore: 
il  Petrarca  sì  terso  e  grate  n'  è  pieno  :  favola  del  popolo.-^  %  miei 
guai  —  restìo  —  le%o  —  ha  colmo  il  sacco  si  che  scoppia  —  al%are,  e 
rompere  le  coma  —  mostrare  à  dito  —  raddoppiar  l'or%o  a'  corsieri — 
awinchiarsi  colle  code  —  queta  queta  —  a  mano  a  mano  — pian  piano 
— passo  passo  —  spennacchiar  V  ali  ad  Amore  —  cameretta  —  Uttio- 
duolo  —  filare  la  vecchierella  —  ben  sai  —  cittadin  di  boschi  —  mia 
salute  era  ita  —  mutar  verso  —  meno  non  ne  voglio  una  —  fuggir  più 
che  di  galoppo  —  lo  fa  stare  a  segno  —  si  fa  tanto  romore  —  menar  la 
spada  a  cerchio  —  saldare  le  nostre  ragioni  —  ramingo  —  in  man  dt 
cani  —  vanno  trescando  —  quella  tresca  —  interi  e  saldi  —  raccoman- 
dami al  tuo  figliuolo  —  e  mill'  altri  idiotismi  pur  vi  sono,  ma  saputi 
collocare;  hoc  opus!  e  non  bandirli  delle  scritture.  Omnia  verba  suis 
lods  optima;  etidm  sordida  dicuntur  proprie,  dice  Quintiliano  ;  e  vuole 
che  per  le  lingue  arricchire  si  piglino  delli  ardiri.  Io  adunque  per 
zelo  della  mia  lingua,  vedendo  quanta  riccheza  e  gloria  noi  le  ac- 
cresceremmo ,  se  scrivessimo  molte  proprìetadi  che  noi  favelliamo,  e 
perdiamole  per  non  le  scrivere:  e  molte  leggiadrìe  antiche  perdute 
ricoverassimo  ;  ho  ardito  non  contrastare  air  uso ,  signor  delle  lingue, 
ma  proporgli  in  questi  libri,  che  ne  voglia  ricevere  alcune,  come 
Orazio  dice  ch*ei  suole.  Elle  non  saranno  molte;  niuno  forzeranno 
ad  usarle:  avrei  saputo  e  potuto  far  senza:  nulla  è  più  agevole  che 
scambiarle  a  voci  e  maniere  comunali  :  a  molti  forse  non  Ga  discaro 
vederle  messe  in  questo  quasi  diposito ,  tanto  che  si  chiarìsca  la  causa 
loro:  una  particella  del  parlar  nostro  che  i  detti  accademici  notano 
senza  esempio  avrò  messo  in  opera,  e  forse  in  esempio:  e  l'aver 
fiatto  della  mia  carissima  lingua  quest'  altra  pruova,  benché  non  rie- 
sca, che  nocerà?  se  niuno  si  fosse  attentato  di  scriver  que' ruvidi 
carmi,  e  quelle  prose  materiali  antichissime,  questa  lingua  or  dove 
sarebbe?  ella  nacque  roza:  il  tempo  che  addimestica  ogni  cosa,  l' ha 
fatta  gentile  :  e  chi  sa  che  molte  di  queste  odierne  basseze  un  di  non 
siano  stelle?  Finalmente  io  crederei  che  come  gli  Eoliani ,  gì'  lonii,  ì 
Dorìesi  e  i  comuni  Greci  non  biasimavano  gli  Ateniesi  de'  loro  atti- 


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tXXn  A  1IE9SBR  BACCIO  YALOBI. 

cismi,  COSA  non  dovessono  i  forestieri  appuntar  nd  de*  nostri  fioren- 
tinismi: informarsene  più  tosto  da'  Fiorentini  in  loro  contrade»  non 
volendo  per  ciò  yenire  a  FirenEe  come  il  Bembo,  l'Ariosto ,  il  Casti- 
glione, il  Caro,  nuovamente  il  Ghiabrera,  e  con  occasione  onoratali 
Guarino  e  altri,  di  questa  inclita  patria  (fondamento  della  volgar  lin- 
gua) illnstri  celebn^ori ,  contrai!  al  Tassino^'  che  si  sbracciò  per  av- 
vilirla. Ma  il  caso  suo  merita  compassione. 

EI1«  8'  è  glorioM,  e  db  noD  ode. 

State  sano. 

Di  Firenze,  il  dì  90  di  maggio,  i!(99. 


I  Taubio.  Omì  l' c^oM  del  Giunti,  rìTedatt  del  trednttore,  e  quelle  del  NertL  O  Volpi 
nellA  Cominiene  eonegge  Trtuino.  De  prime  dobitei  ebe  le  oorredone  fone  e  sproporito ,  e 
ebe  il  nostro  eTeue  Tolnto  toocere  il  Tesso ,  che  epponto,  per  distingnerlo  del  pedre,  fii 
cliiemeto  pel  dinainntiTo.  Me  poi  non  trovendo  che  U  Tesso  si  sbrecciesse  per  eTvillN  le  Un- 
goe  florentine,  e  vedendo  die  il  Trissino  ebbe  per  qoesto  coito  forti  bettibcedd  co'  Fiorenti- 
ni,  ho  dorato  credere  gioste  le  oonresione}  sebbene,  per  rispetto  elU  Giontiae,  non  abbia  oeate 
metterle  nd  testo. 


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LtXVIl 


AGLI  ACCADEMICI  ALTERATI 
BERNARDO  DAVANZATI. 


Lo  scriver  semplice,  proprio  e  naturale,  quasi  come  si  favella, 
m'è  sempre  piaciuto  ;  parendomi  cii'egli  esprima  il  concetto  più  breve 
e  vivo  e  chiaro  che  il  compilato  con  molt'  arte.  Ma  perchè  questo 
limato  secolo,  e  la  maestà  della  storia  romana  pare  che  vogliano  alto 
stile,  io  vi  mando ,  giudiziosissimi  accademici ,  il  mio  Cornelio  Tacito 
fiorentino,  perchè  voi,  dove  m'avesse  traportato  T amore,  lo  cor- 
reggiate; che  lo  potete  ben  fere.  Toma  più  breve  del  latino,  non 
perchè  quella  lingua  non  sia,  per  gli  articoli  ed  altro ,  più  breve  della 
greca  e  della  comune  volgare;  ma  '  perchè  la  fiorentina  propria  che 
si  favella  è  ricca  di  partiti,  voci  e  modi  spiritosi  d' abbreviare,  che 
quasi  tragetti  di  strade  o  scorci  di  pittura,  esprìmono  accennando: 
de' quali  ce  ne  troverrete  di  molti.  Riesce  anche  a'miei  Fiorentini, 
per  i  quali  ho  preso  questa  fatica ,  più  chiaro,  per  le  usate  proprietà 
naturali:  e  a  me  è  stato  più  agevole  il  distendere,  e  molto  piacevole 
il  far  vive  alcune  di  esse  proprietà,  che  si  perdono  per  non  essere 
chi  le  ardisca  scrivere,  per  paura  della  basseza.  Intorno  alla  quale 
m' occorre  dire  che  ogni  città  si  piglia  le  proprietà  sue,  or  una  or 
altra,  secondo  che  vengon  dette  dagl'  ingegnosi  :  la  plebe  subito  le 
raccoglie,  e  se  la  nobiltà  le  riceve,  passano  in  uso,  e  non  son  più 
plebee ,  ma  proprie  di  quella  città ,  e  degne  d' entrare  nella  regia  delle 
scritture  nobili,  come  nelle  camere  de* gran  signori  i  gran  ministri, 
benché  nati  vili;  perchè  la  virtù  gli  ha  fatti  nobilissimi.  Laonde  una 
città  può  bene  (poiché  natura  vuole  che  ogn'una  parli  a  suo  modo) 
rifiutar  le  proprietà  d'un' altra,  benché  vicina;  ma  se  ella  le  bia- 
simasse, sarebbe  come  se  V  Affncano  e  Y  Etiope  con  V  Inghilese  o 
Frauzese  gareggiassero  di  lor  carnagioni  fatte  dalla  natura  necessa- 
riamente diverse.  Non  sono  adunque  basseze  le  proprietà  da'  nobili 
e  dall'  uso  approvate ,  ma  forze  e  nervi  :  né  Omero  e  Dante  le  sebi- 
fxao  ne'  lor  poemi  altissimi ,  ne'  luoghi  ove  operano  gagliardamente. 

i  Non  ho  dnbiUto  d' aggiungere  questo  ma,  sdìbcne  nelle  steope  non  «i  trovi,  perAè  mi- 
s^  eiao  la  stntaesi  non  oorat. 


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LXXVni  AGLI  ACCADEMICI  DEGLI  ALTEBATI 

A'  luoghi  dunque  bisogna  aver  gli  occhi  :  così  ebbe  Donatello  nel  fa- 
moso Zuccone  del  nostro  campanile  del  Duomo,  nel  fargli  gli  occhi  :  ' 
che  di  lassù  paion  cavati  colla  vanga:  che  se  gli  scolpiva,  di  terra  la 
figura  parrebbe  cieca:  perchè  la  lontananza  si  mangia  la  diligenza. 
E  una  sprezatura  magnanima  avviva  il  concetto,  e  non  r  abbassa ,  ri- 
traendo, per  esempio,  una  grand' ira,  disonestà,  sedizione,  o  furia 
con  parole  non  misurate  ma  versate.  Né  anche  ki  rusticheza  de'bozi 
ne'gran  palagi  scema,  anzi  accresce  la  maestà.  Considero  ancora,  che, 
se  il  volgar  fiorentino  già  era  sì  basso  e  vile ,  che  Dante  si  scusa  tanto 
del  dare  nel  suo  Convivio  del  pan  d'orzo;  il  Boccaccio  dice,  per 
fuggire  invidia, s  se  ne  va  per  le  profondissime  valli,  e  scrive  Novelle 
in  volgar  fiorentino  e  stile  umilissimo  e  rimesso  quanto  più  si  può;  e 
nondimeno  i  loro  scrìtti,  e  del  Petrarca,  pìacquer  sì,  che  ogn'  uno  è 
corso  a  volergli  imitare;  perchè  debbo  io  scagliar  via  ogni  speranza 
che  de' presenti  fiorentinismi,  nati  sotto  il  medesimo  cielo,  non  ve 
n'abbia  alcuni  degni  delle  buone  scritture;  quantunque  non  si  tro- 
vassero in  quei  tre,  per  non  esser  loro  occorsi,  o  allora  non  nati? 
non  essendo  impossibile  che  una  lingua  vivente  non  trovi  delle  cose 
buone  come  l'antiche.  Ogni  novità  nel  principio  par  dura,  è  vero: 
ma  poi  chi  vi  s'ausa,  scuopre  la  sua  virtù  e  l'abbraccia.  Odo  che 
fuor  di  qui  n'apparisce  qualche  segno:  e  voi  udiste  dire  da  persona 
gravissima,  nobilissima  e  piena  di  bontà  e  scienze  umane  e  divine, 
che  <  lo  ho  ricolte  tra  le  frambole  d'Amo  le  gioie  del  parìar  fioren- 
tino, e  legatele  noli'  oro  di  Tàcito.  »  Come  io  non  ho  lasciato  alcun 
concetto,  così  non  ho  giurato  l'osservanza  delle  parole;  ma  detto  il 
medesimo  con  le  mie,  quando  è  tornato  meglio  per  la  diversità  delle 
lingue.  Ritengo  i  nomi  antichi  de' luoghi  e  termini ,  quando  non  ben 
rispondono  1  moderni;  rimettendomi  all'Ortelio,  al  Giunio  e  altri  che 
li  dichiarano.  Sarannoci  poche  postille  nuove,  perchè  io  da  prima 
non  le  notai.  Que'  concetti  se  ne  son  volati ,  e  vorrebbed  il  felcone 
della  gioventù  a  ripigliarli.  Quando  lascio  il  testo  ordinario ,  piglio 
delle  correzioni  di  più  valentissimi  uomini  quella  cbe  per  ora  mi  piace 
più;  e,  non  che  difettarne  nessuna,  celebro  quel  vago  motto  d'Ari- 
stofane nelle  Rane  : 

le  fonitie  son  um 

ProTerbiani ,  e  non  I«  sacre  Muse. 

4  È  la  stata»  del  re  David ,  calva,  però  detta  da  Ini  il  Znccone.  «  La  quale  (dice  il  Va> 
»  sari)  per  essere  tenaU  cosa  rarissima  e  bella  qaanto  nessuna  che  facesse  mai,  soleva  Donato, 
»  quando  voleva  giurare  sì  che  si  gli  credesse,  dire:  Alla  fé'  ch>  io  porto  al  mio  Znccone:  e, 
»  mentre  che  lo  lavorava,  guardandolo,  tuttavia  gli  diceva:  favella,  favella,  che  ti  venga  il  ca- 
»  eas«ngue!  » 

5  ptr  fuggire  invidia.  U  postillatore  dell'  esemplare  Nestiano  di  Gino  Capponi  corregge 
«  che  per  fuggire  invidia.  » 


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LXXIX 


STIRPE  D' AGUSTO  E  DI  LIVIA 


DA     BBBIVABDQ     DA¥ANSATI. 


Af  tniTiMBiiTO.  —  Le  citazioni  che  V  Autore  pone  in  yarì  Inoglii  di  qnetta 
descrizione  genealogica  rimandano  alle  pagine  della  edizione  del  Giunti  y 
Firenze  4600 ,  e  della  Plantiniana  pel  testo  latino.  Qui ,  tra  parenteaiy  a'ò 
aggiunto  la  oorrbpondente  citazione  secondo  i  libri  e  capitoli. 


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txxx 


STffiPE    D' AGUSTO. 


Ottàyu  hao- 
'  GiORE.  Ebbe  del 

Kimo  marito  6. 
uoeUo 


H.  Marcello. 
Della  pnma  moglie 
Pompeia  4i  Sesto,  né 
della  seconda,  Giu- 
lia d'Arasto,  non 
ebbe  figliaoU.  Mori 
giovane  a  Baia. 

Marcella  iia«- 
GIORE.  Del  primo 
marito  Yipsamo  A- 
grippa  ebbe  figlinoli, 
[dice  Sretonio.  Non 
ili  ritrovo:  perehè 
Vipsania,  moglie  di 
jTiBerio,  nacqne  di 
[Pomponia   d'Attico. 

Del  secondo  mari-  /  /    Sesto  Artokio 

)  Gioliantonio  Afri-  (  Lrcio  Autonio  I  Africano  ,  deUa 
■vano,  figlinolo  del  )  AFRiCARO.moriin  1  cni  nobiltà,  234. 
|trìnnvirD,dicniPlii-  -  Marsilia  (A.  I V.  44)  /  274  dei  testo  latino 
ftarco  e  Tacito  no-  i  Di  Ini  o  d'alcnno  i  del  Piantino  (Vedi 
/atro  (A.  IT,  44)  ebbe  f  sao  fratello  nacqne  I  la  nostra  edix.  iL 
'  ^  \  XIU,  19.  XIV,  40} 


Gaio 
DI  Gaio 
Ottavio 
obe  resse  la 
-  Macedonia  ; 
ebbe  deUa\ 
prima  n 
glie  Anca- 
ria 


Marcella  mino- 
re. Scrittori  non  ne 
parlano. 


DoMiziA  moglie 
di  Crìspo  Passiono. . 
(QuiiitaianoVl,2). 

DoMiKiA  LEPi-  I  Valeria  Mbs- 
DA.Delprimoma-  )  salina  MogUe  di 
n*o  «•  ^Valerio  Claudio  Imp«ra- 
Baibato  ebbe  J  dorè. 


L.  Silano  pro- 
messo a  Ottavia: 
199,  latino,  Pian- 
tino, 4S8t,V  «L 
A ,  'XII,  a!  4.  8.) 


Antoniàmaogio- 
RE  di   L.   Domizio  ^ 
'  Enobarboebbe 


Ì    Antonia  minore, 
moglie  di  Draso  fra-  j 
tr"~  j:  •»'=•— =-  "  '•  ' 


.  Del  secondo  ma- 
rito, Appio  Ginnio 
Isilano,  ebbe 


e  del  sectmdo  ma- „.  .^.„„«  „.- 

rito,   M.   Antonio  {teUo  di  Tiberio.  Vedi  i 
tnnnviro  ebbe        J  loro  stirpe  nella  Ta-  i 
(_  vola  tena* 


M.  Silano,  vi- 
'      lAsia: 


,236,  Piantino  1381 
te.  edis.  A.  lUh 
ir  33.) 


GlQNIA  CàLVlNA, 

nuora  di  Vitellio: 
,  499.  (n.  edii.  A. 
\  XII,  4.  8.) 


Gn.  DoMino, 
1  marito  d'Agrip^i- 
^  na  di  Germanico 


Nebonk 
Imperadora. 


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LXXXI 


SEGUE  LA  STIRPE  D'  AGUSTO. 


OTTÌTIA  Mino- 

KE.  Di  no  marito 
e  stirpe  bob  ho 
l«tto. 


Oiio  Guam, 
multo    di   UtU 
/  mmUa  di  Otniia* 
I  nieo:  H6. 

'        LtCIO    CUABB. 

Destinato  a  EmUia 
Lepida, daU  poi» 
P.  Qnirinio:    81. 

(A.  Ili  aa,i 

AorippaPostd- 
MO.  Gonfbato  d* 
Acuto,  ueoiao  da 
merio:  2.  8.  fn. 
edii.  A.  1, 8.  4.  «. 
0.  58.  Ili  80). 


Gaio 

DI  6aio 

OnATio, 
ehe  resse  la 

Huedonìa.  |  Gaio  Ottavio,^ 
DdU  se-  Ipoi,  Gaio  GinUo 
eondan».  Cesare  Ottariano 
^S'.A**'*)  /Aotsio,  Impera- 

%W*  (dow.  DlSeribonia 

d'Accio     \  DrimA  niAsli«  Mm 


GiOUA.I>eIpri- 
momarito,M.Har- 
oello,  nò  del  tento, 
Til>erioImpendo^ 
re ,  non  oUm  A- 
gUnoU: 


Balbo. 
•  di  Giulia 
tonila   di 
Giulio  Ce-  I 
sueDetta- 
Un,ehbe 


prima  moglie  ebbe  J      delseoondo 


I  Tipeanio  Agrippa. 


Emuo  Lbhdo 
marito  di  DmsiUa. 

figlinolo  del  Gen-  J  sposata   a  Claodio 
\  SOM,  di  ni  I  (  JTet.28),fone  aael.< 

'lacbefndataaW 
so  di  Germaako. 


Di  Uria  tflUa  a 
Nerone  non  ebbe 
flglinolL 


AaRippiNA,  mo- 
glie di  Germt---  ' 
Cesare  «cni 


;     NEBon.   marito 

1  di  Giulia  di  Dmso, 

/  <«  in.  edii.  A.  II! 

48.  IV  4.111,29,1? 

8.  V,  S.  4.)  '    '     ' 

I      Drqso,  marito  di 

EmUia  Lepida  4SG 

(n.  edis.  A.  VI,  40) 

Gaio  Galioolav 
Vedi  in  Svetonio  i 
,sBoi  matrimoni. 

Agrippina,  mo- 
Jglie  di  Gneo  Domi- 
Itio,  di  Crispo  Pas- 
siono ,di  Claudio  im- 
'peradore. 

Drusilla,  moglie 
L  di  L.  Cassio:  444^^. 
\ed.  A.  VI,  15)  poi  dì 
IM.  Emilio  Lepido. 
I  LnriA  0  LiviLLA. 
(DioneeTadtoladi- 
conGiolia)  moglie  di 
M.  Vinicio:  444  (n. 
edù.  A.  VI,  45.)  E 
prima  (se  non  fo  ona 
sna  sorella)  diQain- 
tilio  Varo,  dicendol 
Seneca  genero  di 
Germanico.  [Contron 
3.  del  2°)  E  il  no- 
stro raccenna:  -188 
(n.  edb.  A.  IV.) 


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LXXXII 


STIRPE  DI  LIVU  MOGLIE  D'  AGUSTO. 


/    Tiberio  Nero-  ( 
NE,  poi  IntMTado-  I 
re.   Di   Yipsania,  ' 
nata  di  Vipsanio 
Agrippa  e  di  Pom-* 
ponlo  attico  ebbe 


Tiberio  binato, 
bocìm  da  Galigola 
(Svet.  44). 
\  ALTRObfauito.Non 
I  si  sa  il  nome.  Tacito 
Ito  (n.  ed.  A.  II,  84): 
Imori  di  4  mesi  406 
1(n.  edu.  A.  IV.  45). 


Drqso.  Sua  n 
.  glie  Livia  o  Livil-  ) 
0  J  la,  sorella  di  Ger-  j 
*  f  manico,  di  coi 

0  ^ 


Giulia,  rimarita- 
ta a  RobellioBlando 
449  (n.  ed.  A.  VI, 
I  27.)  Irebbe  ' 


EobbllioPlav- 
TO.SnamogUePol- 
lozia.  Uociso  dn 
Nerone:  324.Plan- 
tino{n.ed.A.XIV, 
59).  ' 


Tiberio 
Claudio 
Nerone. 
Di  saa  mo- 
glie Uvia, 
poi  Agvsta 


Gebmanico  Cesare.  8tta 

moglie  Agrippina:  saa  stirpe 
nella  tavola  antecedente. 

LiviLLA.  Sqo  marito,  G. 
Cesare:  poi  Druse,  cugino 
carnale.  Poi  si  promise  a  Sc- 
iano: 408  (n.  ed.  A.  IV,  8). 


Davso,  fatto  genero  di  8e- 
iano  (Svet.  in  Glaud.  71):  No- 
stro, 83  (tt.  ed.  A.  Ili,  29). 


I    Claudio  Imperadore.  Sua  < 
I  prima  moffliePIanxia  Urgnla-  J 


DRU80  Nerone  / P|?,°5i™f """""' "^'^"  i  ,     •       ... 

fiArmanfi».      /niUadicol  I     CiJiUDU.  U  rimandò  i|pn«- 

^     f  da  alla  madre.  8vet.  in  CUnd. 
I  27. 


Germanico. 
i  Sua  moglie,  Anto- 
\  nia  minore,  di  cui 


Antonia.  Suo  primo  marito 


,      Terza,  Valeria  Messalina, 
1  di  cui 


Ottavia,  promessa  a  Silano, 
data  a  Nerone  Impertdore. 


Claddio  Britannieo  avvele- 
nato da  Nerone. 


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VOLGARIZZAMENTO 


CORNELIO    TACITO. 


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IL  LIBRO  PRIMO  DEGLI  ANNALI 

01 

GAIO  CORNELIO  TACITO.  ' 


SOUMARIO. 

I.  Stato  di  Roma  dalla  tiu  foodaiioDe  alla  morta  d' Aogatto.  —  V.  Ti- 
berio iodaipa  a  prender  l'impero,  facendo  lo  tTOfj^iato.—  Roma  in  serTag- 
gio.  —  XVI.  Grave  ammotinaoMoto  di  tra  paonooieho  legioiii ,  sedato  a  iteoto 
da  Dmao  €§lio  di  Tiberio  là  mandato.  —  XXXI.  Simil  gìoeo  nella  Gennania 
disottona  non  sema  sangue  e  strage  obetoto.  —  L.  Germanico  Cesare  dà  con- 
tro al  nemico:  per  soa  mano  Mansi,  Tnbanti,  Rruttorì,  Usipeti  messi  a  sacco 
o  in  peni.  —  LIIl.  Giulia  figlia  d' Angusto  muore  a  Reggio. —  LIY .  Sacerdoti 
istitaiti  in  onor  d*  Augusto,  e  feste  augustalì.  —  LV.  Germanico  Taroa  di  quoto 
il  Reno  contro  i  Catti  :  a  ferro  e  foco  lor  campagne,  case,  persone.  Scioglie 
Segeato  dalF  assedio  d'Arminio;  quindi  gridato  ìmperadore.  —  LIX.  Guerra 
a'  Cherusd  :  raccolti  gli  avanzi  di  Varo  e  de'  soldati ,  sì  fa  loro  l' esequie.  — 
LXIII.  Perìglio  de'  Romant  al  ritorno  sotto  Cecina  :  pur  rotto  e  fugato  per  fé- 
lice  sortita  il  oemteo.  —  LXXII.  Rinnofata  la  legge  del  erimenlese,  e  a  rigore 
ossenrato.  —  LXXVI.  Sbocca  il  Tevere.  —  LXXVII.  Licensa  del  teatro  ;  indi 
espreaei  decreti  da' Padri  a  frenar  gli  strioni.  •»  LXXIX.  Trattasi  in  fine  di  tor- 
cere altrova  l'acqua  del  Tevere:  ricorsi  contro,  e  ambasciato  dalle-  città 
d'Italia. 

Cono  di  Hrea  dm  mmi, 

«.  n  /«•  ^  . ,.    •  .i       «      ..I  Sisto  Pohpio. 

An.  di  Roma  DCCLifii.  (di  Cnsto  44).  —  Conaofc.  j  g^^  Apulbjo. 

ÌDbuso  Cisabb. 
e.  NOIBiNO  FUCOO. 

*  Gaio  Cornelio  Tacito.  Il  nome  proprio  di  questo  autore  si  diceTS  Pub- 
blio; il  Lipsio  ha  ritrovato  che  fu  Gaio.  Cornelio  fu  il  casato,  Tacito  il 
cognome.  I  nomi  propi  romani  erano  intorno  a  trenta  :  vedi  il  Sigonio.  Scri?e- 
vanli  abbreviati,  come  notiuimi,  con  una,  due  o  tre  prime  lettere ,  come  noi 
V.  S.,  V.  A.  (Fostra  Signoria,  Vostra  Mtezza)  e  liiiiiK.  Erano  i  più  frequenti 
li  appresso  ;  e  cosi  abbreviati  li  scriveremo  : 

A.  Jido,  D.  Decimo.     .  Q.  Quinto. 

Ap.  Jppio,  L.  Lucio.  Sp.  Spurio. 

K.  Cesane.  M.  Marco.  Sex.  Sesto. 

C.  Gaio.    I  Cosi  aie»  il  8i-  m'.  Manio.  Ser.  Servio. 

Cu.  Gneo.  \fi^  i^^"^  Mam.  ilfomerco.  X.  Tito. 

e.  7,  die  DoUvano  e  divtml  N.  Numerio.  Ti.  Tiberio, 

mmU  prooauiaTano  questi  Op.   Opiterio.  Tul.  Tulio. 

due  nemi  e  cognomi.  V.  PMUo. 

*  Abbiamo  restituito  questa  postilla  nella  sua  integrità,  siccome  leggesi  nella 
Giuntina  del  1600.  * 

I.  1 


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2  IL  LIBEO  PUMO  DIGLI  ANKALI. 

I.  Roma  \  da  prineipio  ebbe  i  re:*  da  Lucio  Bruto  la  li- 
bertà e  '1  consolato:  le  dettature  erano  a  tempo:'  la  podestà 
de' dieci*  non  resse  oltre  due  anni,  né  molto  raotorità  di 
consoli  ne' tribuni  de' soldati:  non  Ginna  non  Siila  signoreg- 
giò lungamente:  la  potenza  di  Pompeo  e  di  Grasso  tosto  in 
Cesare,  e  l'armi  di  Lepido  e  d'Antonio  caddero  in  A  gusto, 
il  quale,  trovato  ogn'uno  stracco  per  le  discordie  civili,  con 
titolo  di  principale*  si  prese  il  tutto.  Hanno  dell'antico  po- 
pol  romano  chiari  scrittori  memorato  il  bene  e  '1  male,  né  a 
narrare  i  tempi  d' Agusto  mancarono  ingegni  onorati,  men- 
tre l'adulazione  crescendo  non  gli  guastò.^  Le  còse  di  Tibe- 

*  Moma.  QmmIo  rUttetto  de'  Biiitaimnli  dello  stato  di  Rena  p«r  ler*to  di 
peto  da  une  diceria  di  Claudio  impcradore  tegiatnta  dalLipsio  «opra  f  ittdecMio 
di  questi  ▲mali  per  la  propria.  Bello  h  parigonarla  eoa  là  composta  da  Tacito 
in  esso  KbTo,  per  conoscere  dalla  diSérenia  il  neAo  e  la  f^nnàtuz  di  questo 
scrittore. 

'  ebbe  i  re.  La  morbidesa  della  lingua  volgare  non  pativa  questa  dureia 
latina,  Boma  ire  ebbero.  Però  rivoltai  l'attivo  nel  passivo  parlare, che  dice  il 
medesimo ,  alla  guisa  di  que'  panni  e  drappi  che  sono  il  medesimo  da  ritto  e  da 
rovescio;  de  veggo  che  sia  frase  imprcfiria  il  dire  che  una  città  e  naaiove  avesse 
re.  Non  habemus  regem,  nùi  Cwsmr^mj  traduale  lan  Girolimo  il  tetto  greco 
di  san  Giovanni. 

s  a  tempo.  Mon  perpetue ,  come  le  si  presero  Siila  ft  Oesate^mt  mi  casi  «r* 
genti.  Eia  chiamato  anticamente  maestro  del  popolo,  dice  Setieoa  a  lAieillo,  per 
sei  mesi  il  più;  non  fuori  d'Italia.  Vedi  Dione  nel  libro  36,  nella  dicerìa  di  €«ta3o. 

^  de*  dieci.  Forse  è  nàe^o  dir  de*  decèmviri,  é  i  nomi ,  cosi  propri  come 
de' termini,  lasciare  ne^r  termini.  Vedi  Eliano  nel  principio  delle  Greche  ordi- 
nanze. 

'  con  titolo  di  principale.  Cioè  d' imperadore^  che  si  dava  al  generale , 
principal  comandatore  dell'esercito,  quando  per  qualche  fatto  egregio  o  felicità, 
i  soldati  gridavano  Io  loj  che  oggi  diciamo  *<  Viva  Vivm  il  nostro  impera  dorè  *» 
cioè  comandatore.  Agusto,  fattosi  padrone  di  Roma,  prese  questo  modesto  titolo 
per  fuggire  invidia,  e  usava  dire  che  era  padrone  de'servi,  imperadore  de' soldati 
e  principale  di  tutti;  e  cagionò  che  questi  nomi  addieltivi  di  grado,  imperator, 
duo;,  princeps  diventarono  sustantivi  e  di  signoria  e  assoluta  potenza.  Tacito 
poco  disotto  dice  che  Agusto  fu  gridato  imperadore  ventuna  volta,  e  nel  terao 
dice:  Duces,  re  bene  gesta,  gaudio  et  impeta  victoriai  imperatores  saluta- 
bantj  erantque  plttres  simul  imperatores,  nec  super  aeterorum  asqualita- 
tem  concessit  guibasdam  et  jtugustus  id  vocabulum  j  at  tane  Tiberius  Blusso 
postremitm.  ÌÀvio  nel  primo:  Principes  utrinqua  pugnam  ciebani,  ab  Sabinis 
Metius  Curius,  ab  Romanis  Bostus  Hoatiiius.  Vedi  Dione  nel  hi  in  fine. 

0  non  gli  guastò,  leggendo  detererentur :  leggendo  deUrrereUtar ,  Non 
gli  spaventò.  (*)  —  Però  Orazio ,  a  cui  fu  commessa  la  storia  d' Agusto ,  ia 
quello  scambio   scrisse  ode ,  per  poterlo  lodare. 

{*]  lì  codice  Mediceolaarenziano  ha  deterrergntur.  Coli'  altra  lotione,  osserva  1'  OreUi|  ne 
verrebbe  questa  inetta  sentenss:  extìumat  ingtnia  d$€ora,  domM  fisrmt  deUilom. 


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IL  uno  milO  DMil  AMIIiU*  3 

ria,  di  Gàio,  di  Claudio  e  di  Nerone  furono  compilate  false; 
vivesti  essi,  per  paara;  e  di  poi,  per  li  freschi  rancori.  Onde 
io  intendo  riferire  alcuni  aitimi  fatti  d'Agnato,  il  principato 
di  Tiberio  e  altro,  senia  tenere  ira  nò  parte,  come  lontano 
dalle  cagioni.  ^ 

II.  Posate,'  morti  Bnito  e  Cassio,'  latte  Tarmi  pabbli- 
che,  disfatto  Pompeo  in  Cicilia,  né  rimase  a  parte  giolia, 
spogliato  Lepido  e  occiso  Antonio,*  altro  capo  ohe  Cesare; 
egli  chiamandosi  non  più  trimnviro  ma  consolo  e  dei  tribn^ 
nato  contento  per  la  plebe  difendere,  gnadagnatosi  co'dona- 
tÌYt  i  soldati,  cot  pane  il  popolo,  e  ogn-ono  col  dolce  riposo, 
inoominciò  pian  piano  a  salire,  e  gli  affici  far  dei  senato, 
de' magistrati  e  delle  leggi,  ninno  conljrastante,''easendo  i 
pia  feroci  morti  nelle  battaglie  o  come  ribelli;  e  gli  altri  no* 
bili  (  quanto  pia  pronti  al  servire  più  arricchiti  e  onorati  e 
per  Io  nuovo  stato'  crescioti)  meglio  amavano  il  presente 
aicBro  che  il  passato  pericoloso.  Né  tale  stato  dispiaceva 
a' vassalli,'  sospettanti  dell' imperio  del  senato  e  del  popò* 
lo,  per  le  gare  de' polenti,  Tavarizia  de'magistrati  e  lo  spos- 
sato aiuto  delle  leggi,  stravolte  da  forza  da  pratiche  da  mo- 
neta. 

III.  Agosto  per  suo' rinforzi  nello  stato  alzò  Claudio 
Marcello  nipote  di  sorella^  giovanetto  al  pontificato  e  alla  cu- 
rale edilità,  e  Marco  Agrippa  ignobile,  buon  soldato,  com- 
pagno nella  vittoria,  a  due  consolati  alla  6Ia,'  e,  morto  Mar- 

*  €pme  ImnUmo  tUdU  cagioni.  Perchè  Agufto  e  gU  altri  «puttro  erano 
mirti  molto  prima. 

S  *  Posate, tutu  i'armi  ec.  JUH  Saggio  di  tradmlone  indirimato 

al  Pindli  (Tedilo  ia  ine  dal  voliima)  il  Davaiuati  acrissa  numcvU  j  ad  è  mig liorc 
e  pi&  conforme  al  testo,  che  ha:  «  nuUa  iam  pubUca  arma:  »  e  vuol  dire  che 
le  armi  non  forono  pia,  come  per  innanii ,  della  repubblica ,  ma  di  pochi  ambi- 
aioii  cittaiim.  Posate,  porterebbe  forse  altro  senso. 

S  *  morti  Bruto  è  Cassio  :  ciò  fìx  a  Filippi  l' anno  di  R.  7i9. 

^  *  e  ucciso  Antonio.  Più  esattamente  il  Dati  ;  m  e  Antonio  ammassatosi.  *» 

B  *  0  per  lo  nuovo  stato.  Segne  la  lezione  volgata  oc  novità  Ma  THorkel, 
seguito  dall' Orelli,  legge  ni  novis  ec,  e  il  concetto  ci  goadagna'  assai ,  rivelando 
Tosata  arudi  regno,  di  gettare,  ciob,  l'oSà  a  Cerbero. 

^  *  Lat.  «  proi>inciie.  m 

^  *  di  Ottavia.  Mori  essendo  edile  l'a.  di  R.  731  in  età  di  SO  anni.  (Virg. 
JEa.  VI,  860.  Propert  III,  18.) 

«*L*a.  di  R.  716  e  717. 


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4  IL  LIBIO  Pi^lMO  DBGLl  ANNALI. 

cello,  il  si  fé' genero.*  A  Tiberio  Nerone  e  Claodio  Droso 
figliastri' aggiunse  titoli  d'imperadori»' quando  ancora  erano 
in  casa  soa  Gaio  e  Lucio  nati  d' Agrippa,  da  lui  fatti  de'€e- 
sari,  e,  in  vista  di  recosare,  ardentemente  desiati  dirsi  prin- 
cipi della  gioventù,*  e  destinarsi  consoli  cosi  fancialli  in  pre- 
testa. Morto  Agrìppa,*  Lucio  Cesare  andando  agli  «sorci  ti  di 
Spagna,  e  Gaio  tornando  ferito  d'Armenia  furono  da  movie 
acerba,  o  trama  di  Livia  lor  matrigna,*  rapiti:  e  prima  era 
morto  Druse:  ^  cosi  de' figliastri  restò  solamente  Nerone.  Ogni 
cosa  a  lui  si  rivolgea;  egli  fu  fatto  figlinolo,  compagno  del- 
l' imperio  e  del  tribunato,  e  mostrato  agli  eserciti  tutti,  non 
come  già  per  artifici  della  madre,  ma  con  sollecitarne  alla 
libera  il  veccbio  Agusto ,  di  lei  si  perduto'  cbe  nell'isola  della 
Pianosa  cacciò  Agrippa  Postumo  nipote  unico,  idiota  si,  for- 

'  *  Dandogli  la  6g1ia  Giulia ,  stata  seconda  moglie  del  morto  Marcello. 
'  *  Nascevano  di  Livia,  sua  tersa  moglie,  e  da  Tiberio  Nerone. 
S  titoli  d*  imperadori.  Nel  proprio  significato  di  degnità ,  non  di  domi- 
nio: imperadori  d'esercito,  non  di  Roma. 

*  principi  della  gioyentà.  In  Roma  dinansi  alla  chiesa  de' santi  Apostoli 
è  questo  epitaffio  : 

OSSA 

e.   CAKSABI8  .  ATOTSTI  .  t.  FBIIICIFIS 

lYYSllTVTlSl 

S  *  L*a.  di  R.  74S,  di  H  anno,  in  tormenti^  aduUeriorwn  cmiugis,  to' 
cgrique  prmgrwi  servino.  (Plin.  U.  N.  VII,  8.) 

0  *  matrigna ,  perchè  Augusto  gli  aveva  adottati.  Lucio  morì  in  Marsilia 
l*a.  di  R.  7d5,  e  Caio  in  Limiri  nella  Licia  l'a.  757. 

'  *  Dodici  anni  innansi  in  Germania,  per  una  caduta  da  cavallo,  l'a.  746. 

*  di  lei  si  perduto.  Livia  domandata  con  che  arte  ella  avesse  si  preso  Agn- 
sto ,  rispose  ;  «  Con  l' osservare  una  squisitissima  onesta  ;  fare  ogni  voler  suo 
lietissimamente;  non  voler  sapere  tutti  i  suoi  fatti;  non  vedere,  n^  sconciare  isuoi 
unorasi.  *»  Impara  qualunque  se',  moglie  strebbiatrice,  (*)borbottona,  talamistra 
e  gelosa:  questa  postilla  tocca  a  te. 

n  stnkbrtatriM.  La  Gram spiega «iraftèitorfer  per  Celd  du$tnèUa,  eitand»  qwst'  «aia» 
«■empio  d«l  Davansett.  B  andendo  al  verbo  strtHlan  trovasi  defiaiko  «  St/vptMUn,  ^kUn,  td  * 
proprio  fuélto  du fanno  U  donnt  in  tisttandott.»  E  qvl  cita dae  «sempi,  nao  del  Lab.  d' amore,  l' al- 
tro del  Lasca,  nei  qaall  a  ttrebbian  mi  par  dato  U  sento  di  pulire,  aeconetort,  Ittetan,  ma  per 
modo  dispregiativo  e  direi  antifrastioo;  oome  qoando  dieiamo  tmpiastrie^Mmi  o  imèomimarst  il 
otto  di  Mitilo:  dove  non  si  direbbe  mai  che  toplMtrfMteiv  e  (mtesslmaiv  aignlfiéliimi  Usoiare, 
ornare  o  simili.  Certo  è  elie  eolie  difiniiioai  della  Cmaca  non  paò  qai  btendeni  questo  vocabolo 
in  modo  che  stia  bene  in  compagnia  degli  altri  ebe  segoooo.  La  gente  del  contado  toscano  dico 
trebbiar»,  itrtbbiare  e  più  spesso  strubbiar»  per  guastar»,  calpestar»,  e  chiama  slrubbiomo  na  ra- 
gano  che  rovina  ogni  eosa.  Credo  danqne  ebe  il  Davauati,  si  attento  racaogltton  del  parlari 
del  popolo,  abbia  qni  osato  strsbbiatrie»  nel  sento  stetto  di  strabbioma,  tempetlooa  o  slmili;  e 
obe  negli  esempi  allegati  dalla  Croscè  strebbtare  signiBebi  nel  proprio  gualslr»,  ttiupar»  ee.,  e 
nelIUntifrastieo  «eooMìare,  putire  ec. 


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IL  LIBIO  PIIHO  DEGLI  ANNALI.  5 

zato  e  faribondo,*  ma  innocente.  Fece  Germanico  nalo  dì 
Droso  generale  delle  olio  legioni  in  sul  Reno,  e  adottarlo  da 
Tiberio  che  pure  aveva  un  figliuolo  già  grande:  ma  si  volle 
senza  dubbio  rincalzare  da  più  lati.'  In.  quel  tempo  non  ci 
restava  guerra  che  coi  Germani,  più  per  iscancellare  la  ver- 
gogna del  perduto  esercito  sotto  Quintilio  Varo' che  per  im- 
perio allargare  o  altro  degno  prò.  La  città  era  quieta,  riteneva 
de* magistrati  i  nomi,  i  giovani  erano  nati  dopo  la  vittoria 
d'Azio,  *  i  più  de' vecchi  per  le  guerre  civili  ;  e  chi  v'era 
più,  che  avesse  veduto  repubblica? 

*  Juribondo.  Lìtio  nel  principio  del  settimo  dice  del  Bgliuol  di  Manlio  il 
medesimo  appunto ,  Nullius  probri  comperUim,  et  ttolide  Jerocem.  Aristotile 
nel  secondo  della  Rettorica  dice,  che  i  Bgliuoli  di  padri  •  coraggiosi  tralignano  in 
«▼▼entati  ;  di  quieti ,  in  freddi.  Cosi  nel  campo  stracco  nasce  di  grano  vena  o  lo- 
glio ;  erbe  non  diversissime  :  e  Dante  : 

Rade  Tolte  riwrge  per  H  remi 
'  L' omana  pmbitate;  «  qmsto  vaole 
Qaei  eb«  la  dk,  perchè  da  lai  si  cbiami. 

S  *  Lat.  :  M  sed  quo  plurihus  mttnintentis  insisterei.  » 
B  *  Uz.  76S.  Velleio,  II,  ii7;  e  Tacito  stesso  più  avanti,  55,  65,  71,  e 
Ub.  II,  45. 

«  *  dopo  la  vittoria  d'Azio:  avvenuta  l'a.  di  R.  7S3.  *  —  Azio.  Gli 
antichi  nostri,  meno  di  noi  del  corretto  scrivere  curiosi,  avrebbono  scritto 
AcUo  alla  latiiu;  pochi  de*  moderni,  Auioj  molti,  Axzio.  A.  me  pare,  che 
come  la  lingua  latina  in  gaza,  oxymel  e  altro  non  raddoppia  le  doppie; 
cosi  la  volgar  nostra  non  possa  né  l'una  né  1*  altra  nostra  zeta  mai  raddop- 
piare O;  perché  essendo  doppie  per  natura,  composte  o  di  TS  come  zazera, 
o  DS  come  zizania,  ciascuna  ha  il  suono  suo  doppio,  che  TeTrebbe,  rad- 
doppiandola, rinquartato  con  quattro  lettere  consonanti  insieme ,  che  non  le  sof- 
ferà la  nostra  dolce  pronuncia.  In  dette  due  voci  non  ha  maggior  suono  né  più 
fonato  la  Z  seconda,  benché  tra  due  vocali,  che  la  prima,  chi  non  vuole  cattivar 
1*  orecchio  e  dargli  ad  intendere  ch*ei  pur  senta  quel  eh'  ei  non  sente.  La  cagione 
è  che  la  lingua,  tra  i  denti  e  '1  palato  s'acconcia ,  e  fa  organo  all'uscente  6ato 

(^  Il  Yolpi  nella  saa  Cominiana  pone  a  questo  luogo  la  seguente  nota;  «  Per  tutta  la  tra- 
»  duiione  di  Tacito  nella  llorentiaa  ediiione  [quella  del  Nestl  del  37) ,  spesso  si  vede  trasgredita 
»  una  tal  regola.  Nella  Cominiana  ne*  soli  primi  fogli;  e  ciò  per  non  averla  innanzi  di  stam- 
»  pare  avvertita.  »  E  ben  fece  il  Yelpi  a  non  partirei,  almeno  quando  potè,  dal  metodo  grafico, 
quel  ei  si  fosse ,  del  nostro  autore.  Ma  R.  Pastore  nella  Bemondiniana  credè  dover  fare  altri- 
noeti ,  facendosi  scudo  della  seguente  nota  :  a  Non  si  è  omessa  questa  postilla  per  non  derogare 
»  all'  integrità  dell'  opera.  Peraltro  le  ragioni  addotte  dal  Davanzali  poco  vagliono  in  se  stes- 
»  se,  e  meno  a  fronte  dell'uso,  a  cui  cedono  le  medesime  leggi  snl  comune  dettato:  eotuuetudo 
»  optbna  legum  interpret.  Si  è  seguita  dunque  in  questa  nuova  edizione  un'  ortografia  che  mentre 
»  alle  leggi  grammaticali  del  corretto  scrìvere  non  s'  oppone,  non  offende  1'  ooeiiio,  né  disgusta 
»  ehi  legge  pel  frivolissimo  oggetto  di  seguir  l'  auticliitk.  »  —  Nelle  stampe  fatte  sotto  gli  oeclù 
dell'  autore,  quali  sono  la  Marescoltiana  e  la  Giuntina,  la  regola  è  osservata,  salvo  in  alcuni 
poebi  luoghi  per  inavvertenza.  E  noi  pure  non  ci  siamo  fatto  lecito  di  mutarla  per  le  ragioni 
dette  nell>  Jpvertimento.  Quanto  poi  alia  sua  bouth  è  un  altro  conto.  Vedi  ciò  dio  ne  dice  il  Sai- 
Tini  nel  CCXXX  dei  suoi  Discorsi  accademici. 

i* 


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6  IL  LIBRO  PBIMO  DEGLI  ANNALI. 

IV.  [^.  di  R.  767,  di  Cr.  14.]  Rivolta  lo  adonqae  ogni  cosa, 
non  vi  si  rivedeva  costarne  baono  antico:  ogp'ano  abbassato 
aspettava  che  il  principe  comandasse  senza  darsi  pensiero, 
mentre  Agosto,  di  baona  età,  sé  e  la  casa  e  la  pace  sosteo- 

nella  stessa  guisa  al  pronunziar  la  Z  prima  che  la  seconda.  Or  st  la  pronunzia 
la  scrittura  Segue,  come  *l  maestro  fa  il  discente ,  il  ballo  il  suono ,  il  canto 
le  note  ;  bisognerà,  per  legger  correttamente  maezera  o  eàztania,  metter  quadru- 
plicato €ato,  rompersi  una  vena  del  petto  e  scoppiare,  o  leggerle  scorrettamente. 
Lodovico  Martelli  nella  sua  lettera  al  cardinale  RidolB,  ov'  egli  delle  aggiunte 
lettere  alla  lingua  italiana  trassina  male  il  Trissino ,  non  consente  che  si  rad- 
doppi mai  questa  lettera,  per  le  ragioni  quivi  addotte.  Prìsciano  di  aimil  cose 
biasima  i  Romani,  che  essendo  doppio  il  loro  J  consonante,  lo  raddoppiavano 
quando  era  tra  due  vocali-  Majiiu,  Pompejirts,  ed  eran  fonati  nel  genitivo  a 
scrivere  Majii,  Pompejiis  e  piaceva  tale  errore  a  Cesare  e  altri,  come  spesso  a 
chi  si  diletta  j  per  sostener  sottiglieza,' contrastare  a  natura.  Ma  senza  dubbio, 
come  le  parole  deono  esser  ritratti  e  non  scorbi  de'  concetti  dell'animo;  cosi  le 
lettere,  delle  parole.  Ma  se  il  ritratto  non  somiglia,  che  vale?  I  Franzesi  parlano 
in  un  modo,  scrivono  in  un  altro,  perchè  quella  lingua  (dice  il  Perionio)  ha  ori- 
gine dalla  greca ,  conservatasi  più  nella  loro  scrittura  che  nella  favella.  Cosi  ri- 
tenevano i  nostri. antichi  molta  scrittura  latina,  Philosophia,  actione,  letitia, 
optimo,  pectoj  annimtip*  Me^o  secondo  la  pronunzia  scriviamo  noi  /Hosofia, 
OMone^  letizia,  ottimo,  pettOy  annunzio  :  perchè  questa  lingua,  se  ben  nata  della 
latina,  è  oggi  allevata  e  si  regge  e  va  senza  il  carruccio  o  appo|^o  di  quelle  let^ 
t^e  che,  non  si  pronunziando  più,  sono  imbarazo  fla  levi^  via;  cp^ne  le  centine  e 
l'armadura,  quando  la  tolta  ha  fatto  presa.  Finalmente  la  lingua  volgare  è  la- 
tina scorretta  :  la  scorrezion  sua  passata  in  uso  s'è  convex^ta.,  in  sua  naturale  es- 
senza., contr'alla  quale  il  semidotto,  che  troppo  vuole  ortografizare ,  caco^prafiza; 
come  mettendo  TH  dove  ella  non  si  pronunzia,  non  ci  jserve,  e  possiamo  fare 
senz'  ella;  e  come  scrivendo  alo,  de  lo,  fa  mi,  de  la  bella,  de  la  casa,  d^ Avan- 
zati (*),  jfaallo,  dello,  fammi,  della  bella,  della  casa,  DavanzaU  e  simili  di- 
videndo quello  che  in  nn  sol  corpo  ha  composto  Y  uso,  che  è  fabbricata  natura. 
Né  anche  è  bene  rompersi  (come  alcuni)  i  denti  per  profferire  alla  dotta  la  lingua 
.  gr^ca;  ma  l'uso  della  patria  seguitare.  Potrebbonai  i  due  suoni  delle  nostre  zete 
figurare  con  due  lettere  variate  Z,  e  s.  Ma  poiché  il  Trissino  e  altri  con  ottime  ra- 
gioni tentarono  in  vano  di  compiere  il  nostro  manchevole  Abbicci,  che^pos- 
siamo  noi  dire,  se  non  che  Contro  deW uso  la  ragione  ha  corte  Pali?  Ma 
que'  valentuomini  si  possono  consolare ,  poiché  a  Claudio  imperadore  non 
riusci  d' aiitare  di  tre  lettere  il  romano:  anzi  furono  si  scacciate  che  non  ci  ri- 
mane notizia  se  non  del  digamma  eolico  in  alcune  tavole.  Maraviglia  è  bene  die 
quest'uso,  questo  padrone  del  fiivellare  e  scrivere,  abbia  accettato  molte  lettere 
da'  maestri  di  scrivere ,  stranamente  variate  per  ghiribizoso  tratteggiare,  e  non  le 
necessita  da' grandi  e  scenziati  uomini  ritrovate  o  aggiunte  «Ila  nostra  scrittura 
manchevole.  Io  per  me  ci  aggiugnerei  gli  accenti  alla  greca,  per  aiuto  della  pro- 
nunzia a  chi  legge.  Ma  quis  ausit  feti  alligare  tìntìnnabulum^  poiché  que'  va- 
lentuomini ne  furon  uccellati  ? 

(*)  d'jiwMiati.  Cosi  trovasi  in  «leaai  menoserifti  di  quel  tempo  od  anche  In  aloMO  ttaai- 
pe ,  come  nella  CottivazUnu  del  Maganini ,  Ftortnia,  4684. 


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IL   LIBRO  PfilMO  DEGLI  ANNALI.  7 

ne.  Vena  lane  la  vecchiaia  grande  le  infermità  fastidiose  la 
morte  alle  spalle  e  le  nuove  speranze,  discorrevano  indarno 
alcuni  quanto  bella  cosa  era  la  libertà:  molti  temeano  di 
guerra,  altri  la  bramavano,  moltissimi  sparlavano  de'soprav- 
vegnènli  padroni:  «  Agrippa  essere  un  bestione  dall'onta  ac- 
canito, non  di  età,*  non  di  sperienza  da  tanto  pondo:  Tiberio 
Nerone  maturo  d'anni,'  sperto  in  guerra  ma  ingenerato  di 
quella  superbia  claudiesca,  scoppiare,'  benché  rattenuti,  molti 
segnali  di  sua  crudeltà;  aver  beuto  il  latte  dì  casa  regnatrice; 
quasi  con  esso  in  bocca  esserglisi  consolali  e  trionfi  gittati  a 
masse;  non  avere,  pure  in  quegli  anni  ch'egli  slette  al  conGno 
(alla  quiete  dicev'  egli)  di  Rodi,^  altro  mai  che  ire,  infinte,'^ 
e  soppiatte  libidini  mulinato;  esservi  quella  madre  insopporta- 
bile più  che  donna;  doversi  servire  a  una  femmina  e  due  fan- 
ciulli,' che  ora  questo  stato  premano,  e  un  di  lo  si  sbranino.» 
y.  In  si  falli  ragionari  Agusto  aggravò:  bucinossi'' 
per  malvagità^  della  moglie,  per  voce  uscita  che  Agusto  di 
que'mesi  s'era  traghettato  nella  Pianosa  a  vedere  Agrippa^ 
conferitolo  a  certi,  e  da  Fabio  Massimo  solo  accompagnato: 
tenereze  vistesi  grandi  da  ogni  banda  e  segni  d'amore, 
perciò  aspettarsi  tosto  il  giovane  a  casa  l' avolo.  Massimo  lo 
rivelò  alla  moglie,  ella  a  Livia,  Cesare  il  riseppe.''  Massimo 
tosto  mori,  forse  di  sua  mano,  poiché  nel  mortoro  udita  fu 

<  *  non  4i  età,  manca  in  tutte  le  moderne  edizioni  j  ma  lo  abbiamo  rìpotio 
soli'  autorità  del  testo  latino ,  e  dell*  edizioni  Giuntina  e  Marescottiana. 

'  *  maturo  d'anni.  Ne  aveva  56. 

S  *  scoppiare:  in  senso  transitivo,  per:  mandar  fuori  a  guisa  di  scintille. 

*  al  confino...  di  Rodi.  Otto  anni  vi  dimorò,  e  Io  diceano,  il  Confinato.  — 
*  al  confino  {alla  quiete  dicev'  egli)  di  Rodi,  Così  l'ediziooi  Giuntina  e  Marescot- 
tiana: le  altre,  più  lànguidamente  :  al  conino  di  Rodi  {alla  quiete  dicev*  eglVj. 

S  *  infinte,  infingimenti ,  finzioni.  L*  edizioni  moderne  leggono,  con  errore 
assai  specioso  »  ire  infinite. 

A  *  due  fanciulli  tXytxxso  e  Germanico. 

^  bucinossi,  fissesi  con  voce  piccina,  come  uomo  fa  della  cosa  che  non  si 
può  dire  senza  pericolo. 

S  per  malvagità.  Livia  avvelenò  e  contrassegnò  certi  fichi  in  su  l'arbore; 
onde  ella  e  1  marito  per  diletto  insieme  ne  colsero  e  mangiaro,  non  sapendo  egli 
de'  contrassegnati. 

9  Cesare  il  riseppe.  Leggo  come  il  Lipsio ,  gnarum  id  Ccesari,  non  na- 
vum.  Ma  «e  al  codice  mirandolano,  che  dice  Liviam  id  Ccesari,  &i  potesse 
prestar  fède  (il  che  il  Lipsio  nega),  mi  piacerebbe  molto  più,  perchè  Livia^ 
come  il  seppe,  ne  fece  rimore  a  Cesare,  come  dice  Plutarco. 


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8  IL  LIBBO  PRIMO  DEGLI  ANNALI. 

Marzia,  sé  sciagurata  incolpare  della  morte  del  sao  marito. 
Che  che  si  fasse,  Tiberio  entrato  appena  nella  Schiavonia, 
fu  richiamato  per  lettere  dalla  madre  in  diligenza,*  e  trovò 
Agusto  in  Nola,  se  vivo  o  morto  non  si  seppe:  perchè  Livia 
tenne  strette  guardie  al  palazzo  e  a' passi,  e  talora  uscivan 
voci  di  miglioramento;  tanto  che,  provveduto  il  bisogno,  un 
medesimo  grido  andò  d' Agusto  morto  e  di  Nerone  in  possesso. 
VI.  La  prima  opera*  del  nuovo  principato  fu  l'uccidere 
Agrippa  Postumo,  cui  sprovveduto  e  senz'arme,  il  centurione 
por  coraggioso  appena  fini.  Tiberio  in  senato  non  ne  fiatò. 
Fìngeva  che  il  padre  al  tribuno,  sua  guardia,'  comandalo 
avesse  che,  tosto  che  egli  morto  fosse,  lui  ammazasse.  *  È 
vero  che  Agusto  nel  farlo  a'  padri  confinare  disse  de'  modi 
del  giovane  sconcie  cose,  ma  di  far  morire  alcuno  de'suoi 
non  gli  patì  mai  l'animo,  né  da  credere  è  che  lo  nipote 
uccidesse  per  lo  figliastro  assicurare,  ma  che  Tiberio  per 
paura  e  Livia  per  odio  di  matrigna,  la  morte  di  si  sospetto 
e  noioso  giovane^  affrettassero.  Al  centurione  venuto  a  dirgli, 
secondo  il  costume,  aver  fatto  quanto  comandò,  rispose: 
a  Ciò  non  fec'  io;  rendera'ne  pur  ragione  al  senato.  »  Inteso 
ciò  Grìspo  Salustio*  che  sapeva  i  segreti  e  ne  avea  man- 
dato al  tribuno  il  biglietto,''  temendo  d'esamina  pericolo- 

*  *  fu  richiamato in   diligenza,  cioè,   in   fretta.  Così  anche  nello 

Scisma:  «  Spedi  al  ponte6ce  il  protonotario  Gambara  in  diligenza.  » 

'  La  prima  opera  :  tratta  da  Salustio,  imitato  molto  da  Tacito,  Jugurtha 
imprimis  Jdherbalem  excruciatum  necat. 

'  *  sua  guardia:  intendi  «  guardia  di  Agrippa,  m 

*  *  tosto  che  egli  morto /osse,  lui  ammazasse.  Cosi  restituisco  sulla  fede 
della  Giuntina  e  Marescottiana.  L'edisioni  comuni  hanno:  «  comandato  avesse 
che  subito  T  ammalasse.  «*  Ma  quell*  aggiunta  è  voluta  dal  testo  che  dice  : 
«  quandocunque  ipse  (  Augustus)  supremum  diem  explevisset.  » 

S  sospetto  e  noioso  giovane.  Nel  primo  delle  Storie  dice  questo  autore, 
Suspectum  semper  invisumque  dominantibus  qui  proximtis  destinaretur,  £ 
nel  quarto,  che  Munaiio  ammasò  il  figliuolo  di  Vitellio  per  ispegner  semema  di 
guerra.  Il  nuovo  Turco  ammaita  i  fratelli  a  prima  giunta. 

0  *  Crispo  Salustio,  nipote  dello  storico.  Vedi  più  avanti,  jinn.  IH,  30. 

7  al  tribuno  il  biglietto.  Usano  i  tiranni  (dice  nel  terto  Erodiano)  quando 
voglion  far  morire  uno  sema  processo ,  dame  commissione  per  poliza  a  un  tri- 
buno che  la  possa  mostrare  :  con  questa  Saturnino  chiari  la  congiura  di  Plau- 
ziano,  e  Pisone  voleva  mostrare  in  senato  la  commission  datagli  da  Tiberio  d'av- 
velenar Germanico,  come  si  dice  nel  terso.  Oggi  si  fatte  commissioni  non  si 
meltcrebbono  in  carta. 


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It  LIBIO  PIIKO  M€L1  ANNALI.  9 

sa  non  meno  *  a  dir  vero  che  falso,  avverti  Livia  «  Non  si  ban- 
dissero i  sef^eti  di  casa,  i  consigli  degli  amici,  i  servigi  de'sol- 
dati:  non  tagliasse  Tiberio  i  nerbi  al  principato,  rimettendo 
a'  padri  ogni  cosa;  in  ragion  di  stato,  il  coQto  non  tornar  mai 
se  non  si  fa  con  an  Solo.  » 

VII.  In  Roma  a  rovina  correvano  al  servire  consoli, 
padri,  cavalieri;  i  più  ilinstri  con  più  calca;  e  falsati  visaggi, 
da  non  parere  nò  troppo  lieti  per  la  morte  dell'oDO  nò  troppo 
tristi  per  l'entrata  dell'altro  principe,  lagrime  con  allegreia, 
lamenti  con  adulazióni  mescolavano.  Sesto  Pompeo  e  Sesto 
Apnleo  consoli  furono  primi  a  giarare  a  Tiberio  Cesare  fe- 
deltà; dipoi  Seio  Strabene  capitano  della  guardia  e  Gaio 
Turranio  abbondanziere;  seguitarono  il  senato,  lalbilizia  e  '1 
popolo;  facendo  Tiberio  d'ogni  cosa  capo  a' consoli,  quasi  la 
repnblica  stesse  in  piedi,  ed  egli  in  forse  di  dominare:  il 
perché  con  breve  e  modestissimo  bando,  ove  s'intitolò  sola- 
mente tribuno  fatto  da  Agusto,  pregò  i  padri  chele  venissero 
a  consigliare  dell'onoranze  del  padre,  il  cui  corpo  voleva 
accompagnare'  nò  altra  pubblica  cura.  Morto  Agusto  diede 
come  ìmperadore  il  nome'  alle  guardie,  teneva  scolle,  armi 
e  corte  formala:  soldati  in  piaza  in  senato  l'accompagna- 

*  pericolosa  non  meno.  H  vero  svergognata  Tiberio:  il  falso  iDgan- 
naTa  SI  senato,  ut  simil  cattivo  partito  (  scrìve  Plinio  Secondo  a  Voco- 
nio  )  mi  trovai  quando  qttel  ribaldo  di  Mesto  Modesto  mi  domandò 
—  Che  te  ne  pare  del  nostro  Jtustico  Artdeno  f  —  il  qutde  era  conjlnato  da 
Domiziano:  perchè  il  dir  vero  era  pericolo,  il  mentire  scelertUeaaj 
gr  iddìi  m'  aiutarono,  e  risposi:  Io  lo  dirò  al  magistrato  de*  Cento, 
se  bisognerà.  Replicò  :  Dimmi ,  ti  dico ,  quello  che  tu  ne  senti.  I  testi- 
moni ,  diss*  io ,  s*  esaminano  conUro  a*  rei ,  non  contro  ai  condannatì. 
Canzone  I  diss*  egli  ;  io  vo'  sapere  come  tu  credi  che  egli  t  intenda  col 
principe.  E  io  risposi:  Contro  a  un  condannato  non  è  lecito  esaminare. 
Egli  ammutolì s  e  io  ne  fui  benedetto,  e  uscii  di  quel  laccio  che  Modesto 
mi  tendeél. 

'  il  corpo.,.,  accompagnare.  Nel  principio  del  teno  libro  dice  come  Agu- 
sto accompagnò  il  corpo  di  Drnso  da  Pavia  a  Roma;  e  Dione  nel  57,  che  Ti- 
berio fa  dell'  aver  toccato  ipiel  cadavero ,  che  vietato  era  a  chi  teneva  poh- 
bliea  maestà,  assolato  e  accompagnato. 

S  diede....  il  nome.  Sono  i  contrassegni  o  nomi ,  come  palma,  stella  e  al- 
tri :  o  snoni ,  come  trombe^  corni  e  simili  che  s' odono  :  o  bandiere  inca- 
miciate ,  polverìo,  fuochi,  lumiere  e  altre  cose  che  si  veggono.  —■*  il  nome,  lat. 
signum  ,  cioè  qacUo  che  nella  moderna  milisia  si  chiama  le  mot  d*ordre  o  sem- 
pUcemeoto  «rrfrf,  cht  è  (  come  lo  chiama  un  antico)  il  segno  delt intendersi. 


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10  II  L»«0  PJNHO  MM.1  AMALI/ 

vano:  scrisse  a  gli  esereiii  come  biiovo  principe»  «è  mai 
andò  a  rilenle  se  non  favellando  in  senato,  per  gelosia  prin- 
oipalmenle  che  Germanico  con  tante  legioni,  ainti  olive 
numero,  favor  di  popolo  maraTiglioso,  non  Temesse  anzi  lo 
imperio  che  la  speranza.'  Quelle  lustre  faceva*  per  aver  fama 
d'essere  stato  allo  imperio  dalla  republica  eletto  e  pregalo, 
e  non  traforatovi  per  lusinghe  di  moglie  e  per  barbogia  ado- 
zione.' Face  vale  ancora  (che  .poi  si  conobbe)  per  penetrare  i 
cuori  de'  grandi ,  i  cui  motti  e  visi  ^  al  peggio  tirava  e 
serbava. 

.  Vili.  Il  primo  di  del  senato  non  volle  si  trattasse  che 
d' onorare*  Agusto.  Le  vergini  di  Vesta  presentarono  il  testa- 
mento: (amssL  eredi  Tiberio  e  Livia;  Livia  di  casa  ginlia, 
di  titolo  Agusla  dichiarava;  T aspettativa  seconda  veniva 
a' nipoti  e  bisnipoti;  la  terza  a' primi  della  città,  odiati  da 
lui  la  maggior  parte,  ma  volle  questa  burbanza  e  boria  ne'  po- 
steri. I  lasci  furono  da  privato,  eocette  che  ai  popolo  e  alla 
plebe  donò  un  milione'  e  otlansette  mila  fiorini  d'oro, 

^  aiui  io  imperio  che  la  speranza.  Tratto  da  Livio  nel  primio.  Solle- 
citava perchè  Germanico  non  gli  forasse  le  mosse,  e  per  addormentare  lui  o 
altri,  tanto  che  s' assodasse.  Dione  57. 

S  Quelle  lustre  Jaceva.  Per  un'  altra  ragione  volpina,  dice  Dione  lib.  67  ; 
cioè  perchè  Garnyanico  o  altri  che  volesse  oocupar  l' imperio^  si  trattenesse 
con  q^ualche  speransa;  in  tanto  esso  Tiberio  vi  si  assodasse.  —  *  lustre,  infingi- 
menti. 

'  *  per  barbogia  adozione,  cioè  per  adosione  del  vecchio  Augusto. 

*  motti  e  visi,  —  Che  men  seguon  voler  ne* pia  veraci:  {*)  ne  possiamo 
a  certe  stravaganze  tenerci  di  non  le  motteggiare,  come  colui  che  dice:  Gli 
altri  prima  accettano  e  poi  pigliano  ;  costui  ha  preso  l' imperio ,  e  non  l' ac- 
cetta. 

5  *  d'onorare.  Il  lat.  ha  m  de  supremisj  *»  e  non  vuol  significare  solamente 
i  funebri  onori,  ma  si  tutto  quanto  alla  morte  di  Augusto  s* apparteneva t 
come  spiega  il  Dati. 

6  un  milione.  Il  testo  ha:  ccccxxxv.  Queste  figure  dicono  quadringen^ 
ties  triciesquinquies ,  che  volevano  con  abbreviatura  romana  dire  435  volte 
centomila  sesterzi.  Ciò  erano  un  milione  e  ottantaselte  migliaia  e  cinquecento 
fiorini  d'  oro  de'  i^ostri  gigliati  antichi  ;  il  che  cosi  si  dimostra.  Jls ,  o  vero 
aes  fu  la  prima  moneta  romana ,  che  pesava  una  libbra  di  rame.  Libella  era 
un'  altra  moneta  equivalente  che  pesava  un  decimo  di  libbra  d'  ariento.  Se» 
stertìtis  nummus»  era  un'altra  che  pesava  un  quarto  di  dramma  d'ariento, 
e  valeva  assi  o  libelle  due  e  meco  ,  e  lo  segnavano  cosi  Ì7-.S'.  Sestertium , 
cranio  mille  sesterzi  nummi  j  valeva  fiorini  25,  come  si  dirà.  Denarius  pesava 


n  Daata,  Purg.  XX1T. 


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IL  LIMO  PmiO  MEGLI  AKNALI.  li 

a' soldati  di  guardia  TénHciiiqoe  per  testa,  %' legionari  ro- 
mani seti'e  mezo.  Vennesi  agli  onori.  Propesero  i  pia  nota- 
bìN,*  Asinio  GaHo  che  reBeqaìei'  passassero  per  la  porta 
trionfale,  L.  Aronaio  ebe  i  titoli  delle  leggi  fatte  e  i  nomi 
delle  genti  vinte  da  Ini  andassero  innanzi.  Valerio  Messala 
aggiogiMTa  cfae  ogn'  amM»  al  rlnfiovasse  il  giuramento  a 
Tiberio,  il  qpàle  a  Ini  voltosi  dlsses  «  Che  dlceatiriiolti  fatto 


nna  dramma  d' arìento ,  cioè  un  ottavo  d'oncia;  valeva  quattro  i7-«f  nummi, 
0  va<M,  dieci  ani  o  dinei  libere.  Mommo  d'oro  pesava  una  dramma  d'oro 
fine ,  come  iì  nostro  fiorino  gigliato  ;  valeva  dicei  denari ,  quaranta  Jff^S.  100 
aui  :  100  libelle.  Tenevano  i  conti  a  sesterzi  nummi ,  e  annoveravano  inaino 
a  centomila.  PoìNdicevano,  Due  volte  centomila,  tre  volte,  4,  10,  20,  iOO, 
1000,  SOOO,  e.  sino  a  centomtlavolte  centomila:  e  tanti  JffmS  nummi  inten- 
devano *  ia  qual  somma  di  ff^S  importa  %0  milion  d'oro,  che  nel  com* 
mersio  umano  non  posson  forse  capere.  Se  bene  Svetonio  vo9le  al  cap.  16 
che  Vespasiano  dicesse,  che  la  repuhlica  ne  voleva  avere  mille  milioni;  che 
forse  e  scorretto  quel  testo ,  e  vuol  dire ,  quadragies,  cioè  cento  milioni ,  e 
non  quadringentìes:  lo  disse  Vespasiano  per  aggrandire  con  iperbole  lo  alato 
di  Roma.  Adunque  le  435  volte  furono  B'S,  43,600,000;  che  a  quattro  al 
denario,  denari  10,875,000;  che  a  dieci  al  fiorino,  fiorini  l,OS7,500,  come 
detto  è.  E  li  mille  ff-^S  per  testa  a' soldati  di  guardia ,  fiorini  35  ;  e  li  300 
a' legionari,  fiorini  sette  e  meio.  Ora  essendo  quel  nummo  d'Mo  il  mede- 
simo che  il  nostro  fiorino  »  cioè  t^na  dramma ,  o  vero  un  ottavo  d'onci^ 
d*  oro  obrixo,  cioè  fine  e  sensa  mondiglia,  che  vale  il  presente  anno  1599  in 
Firenze  lire  dieci ,  quel  denario  romano  ci  viene  a  valere  oggi  una  lira  ;  quel 
sestensio  nummo,  cinque  soldi  piccioli;  quello  asse,  o  libella^  due  soldi. 
Due  corollari  aggiugnerò.  L'  uno  che  Firense  cominciò  a  battere  il  fiorino 
Fanno  1SÓ2  per  una  lira  di  moneta;  si  buona  era!  L'anno  1530  valeva 
sette  lire  ;  si  peggiorate  erano .'  Oggi  ne  vale  dieci.  A  questo  avveoante  (*)  la 
moneta  si  condurrà  tosto  a  que' cappelli  d'aguti  che  dovettero  essere  la  mo- 
neta di  ferro  delli  Spartani,  con  grand'  errore  de*  principi  che  di  tanto  peg- 
giorano l'entrate  loro,  e  li  antichi  livelli,  lasci,  censi  e  crediti  de' privati; 
e  disturbano  il  commercio ,  non  meno  a  non  tener  ferma  la  moneta  ,  che  è 
misura  del  valore  delle  cose  contrattabili ,  che  se  mutassero  stadera ,  staio , 
barile  e  braccio ,  che  son  misure  della  loro  quantità.  L'  altro  corollario  è , 
che  sì  come  il  Faro  da  Tolomeo  Filadelfo  edificato  sopra  qtiattro  basi  di 
vetro,  coni*  arte  di  Sostrato  da  Guido  architetto,  mosse,  per  la  sua  utilità 
e  innraviglia ,  ogni  città  a  fare  nel  porto  suo  anch'  ella  un  Faro  per  la  salute 
de'  naviganti  ;  similmente  il  nostro  fiorino  per  la  sua  bellesa  e  bontà  fu  rice- 
vuto con  tanto  applauso ,  che  ogni  potentato  volle  battere  e  nominare  fiorini. 
Oggi  in  meccbini ,  scadi ,  pia|tre  e  ducatoni  se  n'  h  ita  la  gloria  di  sì  bel 
nome  (**). 

*  *  Proposero  i  pia  notabili,  cioà,  come  i  più  noUbili  onori.  Lat.:  «  ea: 
quis  (honoribus)  maxime  insignes  visi  ec.  » 

(*)  «  qtuMto  av99nant€,  a  questo  raggnaglio ,  andando  di  qaesto  passo. 
(**)  Yedi  la  Lnione sulla  moneta,  dove  ripete  qacste  stesse  osservazioni. 


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12  IL  Limo  rauio  mqu  annali. 

dire  io?  »  Rispose:  «  Di  mio  capo  l'ho  detto,  e  nelle  cose 
della  repablica  non  vorrò  mai  consiglio  d'uomo,  quando 
anco  io  credessi  d'inimicarmiti.  »  Questa  fine  adulazione  sol 
vi  mancava  I  Gridando  i  senatori,  «  Portiamolo  sopra  i  no- 
stri omeri,  »  lo  arrogante  Cesare  chinò  il  capo:^  e  per  bando 
il  popolo  ammoni,  non  queste  esequie  come  l'altre  del  divino 
Giulio  scompigliassono  con  lo  stravolere*  che  Agnsto  nel  fòro 
della  ragione  più  che  nel  solito'  campo  di  Marte  a  ciò  depa- 
lato* s'ardesse:  e  vi  tenne  il  di  dell'esequie  soldati  per 
guardia,  ridendosene  molto  coloro  che  (avendo  vedoto  o  odilo 
da'  padri  che  l' altro  di  dello  spettacolo  del  morto  Cesare 
dettatore,  per  esser  parato*  a  chi  bellissimo  e  a  chi  pessimo, 
non  rinscl  ripigliare  la  libertà,  quando  non  era  a  pena  in- 
ghiottita la  servitù),  «  Grande  uopo,  diceano,  di  soldati  oggi 
ci  ha,  che  lascino  sepppellire  in  pace  un  vecchio  principe  di 
lunga  potenza,  che  lascia  eredi  con  valenti  artigli  fitti  nella 
republica!  » 

IX.  Qoinei  di  esso  Agusto  molto  si  ragionò,*  facendosi  il 
volgo  di  cose  vane  le  maraviglie:^  In  tal  di  che  l'imperio  prese 
mori:''  in  Nola,  in  casa,  in  camera  dove  Ottavio  suo  padre: 
tredici  consolati  ebbe  egli  solo,  quanti  Valerio  Corvo  e  Gaio 
Mario  intr'ambi:  *  trentasette  anni  continai  la  podestà  tribune- 

'  *  Il  Lat.  ha  :   m  remisit,  w  si  lasciò  ite  ;  quasi  dicesse  :  Fate  voi. 

3  *  Il  Lat.  :  M  nimiis  sUidiis.  » 

'  *  solito  potea  risparmiarsi,  e  nelle  prime  elisioni  non  v*  è.  Vedi  le  Va- 
rianti, 

^  *  a  ciò  deputata  non  era  il  campo  di  Marte ,  ma  si  quel  luogo  {sedes) 
di  esso,  dove  Augusto  si  era  fatto  costruire  il  Mausoleo. 

'  *  per  esser  parato....  non  riuscì  ec.  Pare  che  queste  parole  rechino 
un  concetto  alquanto  diverso  da  quello  di  Tacito ,  la  cui  sentenza,  se  non  erro, 
è  questa  :  Che  i  funerali  di  G.  Cesare  fossero  turbali  non  è  maraviglia,  perchè  a 
cagione  della  non  digerita  servitù  e  della  mal  ripigliata  libertà ,  parve  quel  fatto 
a  chi  pessimo  a  chi  bellissimo,  e  quindi  scoppiarono  passioni  violente.  Ma  il  fare 
ora  quella  mostra  di  guardie  ,  quasi  potesse  accadere  lo  stesso  per  la  morte  d'un 
principe  che  aveva  tanto  e  si  finamente  regnato  e  che  lasciava  si  potenti  eredi  ,  in 
verità  era  cosa  proprio  da  ridere. 

'  molto  si  ragionò.  Il  di  del  mortoro  e  lo  stratto  (*)  di  tutta  la  vita  del 
morto;  poi  non  se  ne  parla  più. 

'  * morìj  cioè,  a*i9  d'agosto. 

^  *  quanti  Valerio  ec.  Talerio  n'ebbe  6,  Mario  7 ,  che  fanno  13  consolati , 
quanti  appunto  n'ebbe  il  solo  Angusto. 

(*)  lo  stratta,  il  e 


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IL  LIBHO  PBIMO  DSQLl  ANNALI.  13 

sca  :  ventttna  volta  fu  gridato  imperadore,  e  pia  altri  onori 
iterati  o  nuovi.  »  Ma  i  prudenti  chi  in  cielo  chi  in  terra  met- 
teano  la  sua  vita,  or  Avere  (dìceano  quelli}  la  pietà  verso  il 
padre  e  'I  bisogno  della  republica  dove  le  leggi  non  avien 
loogo ,  tiratolo  pe'  capelli  all'  armi  civili  :  le  quali  né  procac- 
ciar si  possono  né  tenere  per  buone  vie.  Per  vendicarsi  delli  * 
ucciditori  del  padre i» molte  cose  passato  ad  Antonio,  molte 
a  Lepido;  poscia  che  questi  marci  di  pigrizia,  e  quegli  di  sue 
libidini  pagò  il  fio,  che  altro  rimedio  alla  discordante  patria 
che  reggerla  uno?  non  re,  non  dettatore,  ma  principale  nella 
republica:  T  imperio  terminato  con  V  oceano  o  lontanissimi 
fiumi:  legioni,  vassalli, armate  e  lutto  bene  concatenato:  fatto 
ragione  a'  cittadini ,  cortesia  a'  collegati;  la  Città  bella  e  ma- 
gnifica: qualche  cosetta  per  forza,  per  quiete  del  resto.» 

X.  Dicevasi  voltando  carta:  «  La  paterna  pietà  ,  le  mi- 
serie della  republica  erano  le  belle  scuse:  la  cupidigia  del  do- 
minare dessa  fu  che  lo  stig^  giovinetto  privato  a  sollevar  con 
doni  i  soldati  vecchi,  fare  uno  esercito,'  corrompere  al  con- 
solo le  legioni:'  infintosi  pompeiano:  e ,  strappato  con  decreto 
de'padri  fasci  e  pretura,  *  ammazare  Irzio  e  Pausa  (fussesi  a 
buona  guerra  o  pure  Panza  d'avvelenata  ferita  e  Irzio  da'pro- 
pri  soldati  d'  ordine  di  quello)  e  i  loro  eserciti  occupare:  a 
dispetto  del  senato  farsi  consolo,  e  Tarmi  contr' Antonio  pre- 
se, contr'  alla  republica  volgere:  fare  ì  cittadini  ribelli,'^  con 
tante  spartìgioni  de'  lor  beni,  incresciutone  eziandio  a  chi  gli 
ebbe:*  le  morti  di  Bruto  ^  e  di  Cassio  vadano  con  dio;  erano 
nimici  del  padre  ;  benché  si  deano  per  lo  ben  pubblico  i  pri- 

'  *  delli.  Cosi  la  Giuntina.  Ma  in  un  esemplare  di  questa  edic  posseduto 
dalC.  Mortara,  tra  l*aUre  curiose  correzioni  ortogTa6cbe  fattevi  di  mano  del 
«  traduttore,  vedesi  corretto  sempre  delli  in  degli  j  alliin  agli  j  li  in  gli  te. 

'  '  *fare  uno  esercito.  D'anni  19  raccolse  di  propria  autorità  e  a  proprie 
spese  un  esercito.  Vedi  Montan.  Ancir, 

^  *  le  legioni,  cioè ,  quarta  e  quinta  ,  le  quali  con  doni  trasse  a  se. 

*  *  pretura.  Non  il  titolo  di  pretore ,  ma  il  diritto  di  proferire  in  senato  la 
propria  senteiwa  in  luogo  del  pretore.  Vedi  Ci  e.  Phil.Y,Vl. 

•  *fare  i  cittadini  rtAe///^  cioè ,  giudicarli.  H  Lat.  hi  u  proscriptionem 
civium  (kcìsst).  » 

'  *  Segue  la  congettura  cepere:  ma  i  Mss.  leggono /érere,  e  vuol  dire  che 
quelle  proscrisioni  e  confische  sapevano  reo  anche  a  chi  le  fece  fare. 

^  *  di  Bruto.  Cosi  le  stampe  originali:  ma  il  testo  ha  Brutorum,  de'Bru- 
t>)  cioè,  di  Marco  e  Decio. 


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14  tL  LIBHO  PRIMO  OBOLI  ANNALI. 

vati  odi  lasciare;  ma  Pompeo  sotto  spezie  di  pace,  e  Lepido 
d'  amicizia  iagannò  egli  pure;  e  Antonio,  per  li  accordi  di 
Taranto  e  di  Brindisi  e  dalle  ingannevoli  noze  della  siroc- 
chia  allettato ,  n'  ebbe  in  dota  la  morte.  Abbiamo  poi  avuto 
pace  si,  ma  sanguinosa;  le  sconfitte  di  LoUio  e  di  Varo,  i 
macelli  fatti  in  Roma  de'  Yarroni,  Egnazi  e  Giuli.»  Sinda- 
cavanlo  ancora  de'  fatti  di  casa,  a  A  Nerone  menò  via  la  mo- 
glie, e  domandò  per  ischerno  i  pontefici  se  ella  col  bambino 
in  corpo  n'andrebbe  a  marito  con  gli  ordini:  ^  le  morbideze  * 
di  Tedio  e  Yedio  Pollione.'  Finalmente  quella  Livia  è  una 
mala  madre  per  la  republìca,  peggior  matrigna  per  casa  Ce- 
sari. Volle  essere  celebrato  ne'tempii  e  nelle  immagini  da'fla- 
mini  e  da' sacerdoti  alla  divina.*  Or  che  ci  resta  a  fare  agi'  id- 
di i?  Né  scelse  mica  Tiberio  a  successore  per  bene  che  gli 
volesse  o  per  cura  della  republica;  ma  vobe,  scortolo  d'animo 
arrogante  e  crudele,  a  petto  a  lui  sembrare  un  oro.^  E  già 
gli  aveva  Agusto,  nel  chiedergli  a' padri  la  rafferma  della 
balia  di  tribuno,  sue  fogge,  vita  e  costumi  pur  con  rispetto, 
quasi  scusandolo,  rinfacciato.  »  Finita  la  cirimonia  della  se- 
poltura, gli  si  ordinò  tempio  e  divini  ufici. 

XI.  Voltaronsi  poi  le  preghiere  a  Tiberio.  Egli  parla- 
mentaya  della  grandeza  dell'imperio  con  la  modestia  sua: 

*  •  con  gli  ordini.  Lat.  :  «  rite  ,  *»  debitamente. 

^  *  le  morbideze  ec.  :  sottintendi  «  gli  rinfacciavano.  »  Tedio  o,  com'altrì 
vogliono,  Atedio  è  uomo  ignoto;  Vedio  poi  è  ^egli  cbe  gettava  i  servi  alle  morene. 
V.  Plin.  H.  N.  IX,2d.  Il  Davanzali  sospettò  qui  una  lacuna.  Vedi  le  Varianti, 

S  Vedio  Pollione.  Yedio  Pollione  era  lancia  d'  A  gusto ,  arricchito  da 
lui  oltre  al  convenevole ,  onde  il  popol  si  lamentava  :  e  si  bestiale,  che  quando 
uno  schiavo  suo  faceva  qualche  errore ,  lo  gittava  in  un  vivaio  che  teneva  di 
murene  e  altri  pesci,  i  quali  così  nutriva  di  carne  umana.  Agusto  mangiando 
seco,  e  avendo  uno  schiavo  rotto  un  bicchier  di  cristallo  di  gran  preso,  e  rac- 
comandandosegli ,  Io  lasciò  e  fecesi  portare  e  ruppe  quanti  cristalli  Pollione 
aveva.  Morendo  lasciò  ad  Agusto  la  villa  di  Posilipo  tra  JHapoli  e  Pozuolo ,  con 
la  maggior  parte  della  sua  gran  rìccheza,  con  carico  di  fare  alcuna  c^era  nota- 
bile in  sna  memoria.  Agusto  lo  servi  :  spianògli  le  case  e  fecevila  loggia  di  Livia. 

^  nelle  immagini....  alla  divina-  Co*  razi  dello  splendore  e  altri  segnali 
appropriati  agi' iddìi ,  folgore,  caduceo,  cbva,  tirso  e  simili. 

*  sembrare  un  oro.  Da  lui  Tiberio  imparò  che  si  lasciò  succedere  Gaio 
figliuolo  di  Germanico,  anzi  che  Tiberio  di  Dmso,  suo  sangue;  perchè  le 
orribilità  di  lui  le  sue  oscurassono,  per  uccider  con  la  mano  di  lui,  e  non 
con  la  sua,  tutti  gli  ottimi  senatori,  e  spegnere  ogni  bonlade:  avendo  usato 
dire,  Morto  io,  arda  il  monào. 


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IL  LIBRO  PRIMO  DEGLI  ANNALI.  15 

a  Qaella  mente  sola  del  divino  Agnslo  essere  stata  capace  di 
tanta  mole,  avergli  con  la  parte  de' carichi  impostagli  inse- 
gnato quanto  arduo  e  zaroso  ^  sìa  reggere  il  tutto;  non  des- 
sero tutte  ad  uno  le  cure  d' una  città  fondata  di  tanti  uomini 
illustri;  più  compagni  aiutantisi  compierebbono  gli  affari  pn- 
blici  più  di  leggiere.»  Scorgevasi  in  questo  parlare  di  Tiberio 
più  pompa  che  lealtà,  le  cui  parole  per  natura  e  usanza  dop- 
pie '  e  cupe  quando  s'apriva, ora,  che  a  più  potere  si  nascon- 
deva, erano  in  cotante  più  dubbieze  e  tenebre  inviluppate. 
Ma  i  padri  per  non  parere  d'intenderlo  (che  orala  lor  paura) 
si  davano  a  piagnere,  a  lamentarsi,  raccomandarsi  con  le 
braccia  tese  agl'iddìi  all'immagine  d' Agusto  alle  ginocchia 
di  lui,  quando  egli  fece  venire  a  leggere  uno  specchietto  di 
tutto  lo  stato  pubblico:  tf  tanti  soldati  nostrali;  tanti  d'amici; 
tante  armate;  regni,  vassalli,  tributi,  rendite,  spese,  dona- 
tivi, »  tutto  di  mano  d^  Agusto,  aggiuntovi  suo  consiglio  (per 
tema  o  invidia)  che  maggior  imperio  non  si  cercasse. 

XII.  Or  qui  chinandosi  insino  in  terra  i  padri  a  scon- 
giurar Tiberio,  gli  venne  detto  che  a  tutta  la  republica  non 
era  sufficiente,  ma  una  parte,'  qaal  volessero,  ne  reggerebbe. 
«E  qual  parte  (disse  Asinio  Gallò)  ne  vorrestù?»  A  tale 
non  aspettata  domanda  stordi:  poi  rinvenutosi  rispose  :  «  Non 
convenire  alla  modestia  sua  scerre  o  rifiutare  alcuna  parte, 
del  cui  tutto  vorrebbe  più  tosto  scusarsi.  i>  Gallo  vedutol 
tinto,  *  replicò  :  «  aver  detto  qual  parte,  non  per  fargli  divi- 

*  *  zaroso,  rischioso  :  derivato  da  zara,  giuoco  di  sorte. 

S  le  Citi  parole..,,  doppie.  Gli  antichi  capitani  portavano  per  insegna  il 
IMinotaaro,  mostrando  dover  tenere  i  secreti  nel  profondo  de' loro  animi  im*- 
penetrabile,  come  il  mexo  del  laherinto;  e  Tiberio  usava  dire:  «  Quando  il 
principe  non  s' è  lasciato  intendere  ,  esser  a  tempo  a  far  molti  beni,  e  schi- 
far molti  mali:  ».ma  egli  voleva  fare  il  male,  e  non  si  scoprire;  però  noi 
comandava  chiaro ,  ma  1'  accennava  infruscato ,  e  gastigava  cosi  chi  l' aveva 
per  grosso  intendere  disubbidito,  come  chi  per  sottil  penetrare  s(H>perto  e 
offeso.  Volendo ,  col  tener  1'  unghie  dentro  e  gli  occhi  chiusi ,  non  esser  eo- 
nosciuto  gattone.  Onde  conveniva  a' poveri  senatori  arare  molto  diritto. 

'  ma  una  parte.  Altri  dicono  che  Tiberio  aveva  gi^  fatto  del  governo 
tre  parti:  Italia,  eserciti,  vassalli:  e  rispose.  Se  io  ho  fatto  le  parti,  come 
posso  pigliare  f 

*  *  vedutol  tinto,  cioè ,  come  traduce  il  Dati ,  avendo  conosciuto  a'  segni 
del  volto  ch'egli  aveva  preso  a  male  quelle  parole.  Il  Lat.  ha  :  «  vultu  offen-- 
sionem  coniectaveraU  »  Cosi  pure  nelle  Storie,  lib.  Ili,  88. 


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16  IL  LIBBO  PRIMO  DEGÙ  ANNALI. 

der  quello  che  non  si  paò,  ma  confessare  che  la  republìea  è 
un  sol  corpo,  e  la  dee  reggere  un  sol  animo.  »  Entrò  nelle 
laudi  d' Agusto,  e  contò  a  Tiberio  stesso  le  sue  yittorì&ele 
sue  valentie  di  tanti  anni  in  toga.  Né  per  tanto  il  placò,  che 
r  odiava  di  già  come  di  concetti  più  che  cittadineschi ,  per 
moglie  avendo  Yipsania,  stata  prima  di  Tiberio,  e  figliuola 
d'Agrippa,  e  ritenendo  V  alterigia  di  Pollione  suo  padre. 

XIII.  Dietro  a  costui  L.  Arunzìo  quasi  altresì  disse,  *  e 
offese  Tiberio,  benché  seco  non  avesse  ruggine  prima;  *  ma 
come  ricco,  '  scienziato  e  rinomato,  ne  sospettava,  avendo 
massimamente  Agusto  nelli  ultimi  ragionamenti  de'sacces- 
soi'i  detto  *  a  che  Manio  Lepido  sarebbe  capace,  ma  non  cu- 
rante: Asinio  Gallo  avido,  ma  non  da  tanto:  Lucio  Arunzio  il 
caso  ^  e  ardilo,  vedendo  il  bello.»  De' primi,  tutti  convengono: 
in  luogo  d'Arunzio  pongono  alcuni  GneoiPisone;  e  tutti,  da 
Lepido  in  fuori ,  ne'  lacci  di  varie  colpe  che  loro  tese  Tibe- 
rio, incapparono.  Punse  aticora  quel  sospettoso  animo  il  dire 
Quinto  Aterio:  «  Quanto  Vuoi  tu,  o  Cesare,  che  la  republìea 
stea  senza  capo  ?»  e  '1  dire  Mamerco  Scauro:  <c  II  senato 
spera,  poiché  a'  consoli  non  hai  contraddetto  come  tribuno, 
che  tu  gli  farai  la  grazia.  »  Contro  Aterio  si  versò  ®  imman- 
tenente :  a  Scauro ,  più  inviperato ,  non  rispose.  Stracco , 
ch'ognuno  sclamava,  ciascun  si  doleva,  calò,  non  a  confes- 
sar d'accettare,  ma  a  dire:  <c  Orsù  finiscasi  tanto  negare 
e  tanto  pregare.  »''  Aterio  andò  per  iscusarsi  a  palagio,  e  fa 


*  *  quasi  altresì  disse,  parlò  quasi  nell*  istessa  sentenza  d'Asinio  Gallo. 
'  *  non  avesse  rtiggine  prima ,  benché  Tiberio  non  avesse  contro  di  lui 

alcan  veccbio  rancore. 

'  *  ricco  :  aggiungi  animoso,  conforme  al  testo  che  ha  :  «  divitem,  prom- 
ptum.  » 

*  *  avendo detto.  Ho  seguito  la  lezione  dell'  edistcmi  Marescottiana  e 

Giuntina ,  invece  della  volgata  che  reca  :  ••  e  per  avere  Augusto  nelli  ultimi  ragio- 
namenti de'  successori  discorso  «e.  ••  Ma  avverti  che  qui  il  Dàvaniati  ha  dimen- 
ticato non  poche  parole  del  testo,  che  tradurremo  col  Politi  :  «  Trattando  Aìign- 
sto....  di  quelli  che ,  potendo ,  non  fussono  per  aspirare  all'  imperio ,  o  che  non 
atti ,  ardissero  ,  o  di  quelli  che  potessero  e  volessero,  aveva  detto  ec.  »» 

9  *  il  caso  :  sottintendi  era.  Ed  essere  il  caso  vale  essere  idoneo.  Il  Dati 
nelle  Lepidezze,  pubblicate  dal  Moreni ,  usa  anche  essere  il  casissimo, 
^  *  si  versò.  Lat.  ;  «  invectus  est.  «•  Il  Politi  :  «  si  sfogò.  • 
^  tanto  negare   e  tanto  pregare.    Altri   dicono  che  egli  accettò  l' im- 


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IL  LIBRO  PBIHO  DBALI  ANNALI.  17 

per  esservi  morto  dalla  guardia ,  perchè  neir  abbracciar  le 
ginocchia  a  Tiberio  che  passeggiava,  il  fé',  a  caso  o  in  <iaelle 
mani  incespicato,  cadere;  né  lo  placò  il  pericolo  dì  tanto 
nomo,  si  fd*  da  importuni  preghi  d' Agusta,  ove  ricorse,  difeso. 
XIV.  Stucchevoli  ancora  erano  i  padri  nel  piaggiare 
Agasta:  chi  genitrice ,  chi  madre  della  patria  la  voleva  appel- 
lare:, molti,  «  doppo  il  nome  di  Cesare,  si  scrivesse  Figliuolo 
di  Giulia,  »  Egli  dicendo  gli  onori  delle  donne  doversi  tempe- 
rare (e  lo  farebbe  de*  suoi),*  ma  invidiando  Falteza  di  lei 
come  la  saa  adoggiasse,  non  le  concedette  pare  un  littore, 
e  l' altare  dell'  adozione  '  e  altre  cose  cotali  le  tolse.  Fece  far 
Germanico  viceconsolo:  ambasciadori  andare  a  portargli  il 
grado,  e  consolarlo  della  morte  d'Agosto.  A  Drnso,  che  già 
consolo  eletto  e  presente  era,  ciò  non  occorse.  Dovendosi 
fare  i  pretori,  ne  nominò  dodici,  nomerò  posto  da  Agosto, 
li  senato  voleva  por  eh'  ei  lo  crescesse,  ed  ei  giorò  di  noi 
passare. 

XV.  Gli  squittinì  si  ridossero  allora  dal  campo  marzio  al 
senato:  perchè  gli  uficisino  a  quel  di  s'erano  dati  per  favori 
delle  tribù,  benché  i  migliori  dal  principe.  Il  popolo  di  tale 
preminenza  levatagli  non  fece  che  on  po' di  scalpore:  al  se- 
nato fo  ella  cara  ,  per  non  avere  a  donare  e  con  indegnità 
dichinarsi:  e  Tiberio  s' aonestò  di  proporne  qoattco  e  non 
piò  :  ma  vincessero  senza  pratiche.  I  triboni  della  plebe  chie- 
derono  di  fare  ogni  anno  a  spese  loro  una  festa ,  da  dirsi , 

peno  si  veramente  che  i  p aJri  si  conlentassero  di  tosto  ripigliarlosi  per  dare 
aDa  sua  ▼ecchiesa  riposo. 

*  *  sì  Jtt,  sintanlo  che  fu.  Lat.  :  «  donee.  » 

*  e  lo  farebbe  de*  suoi.  Della  non  finta  modestia  e  delle  buone  ope^e 
di  Tibwio,  massimamente  mentre  visse  Germanico,  grandi  cose  si  leggono; 
ricusò  il  tempio ,  il  nome  d'Agusto ,  di  padre  della  patria ,  ed  il  giuramento 
annuale.  Non  tenne  stabili;  non  vita  splendida;  riveriva  i  magistrati;  vo-  , 
leva  nelle  sue  cause  giustisia;  donava  a' nobili  poveri.  Molti  edifici  e  tempii 
di  privati  cominciati  o  rovinati,  forni  e  riparò,  ritenendovi  i  nomi  loro. 
Urbanitli  usata  dal  granduca  Cosimo,  che  al  palagio  de' Pitti,  comperato  e 
reale  fatto ,  non  voUe  mutar  nome  ne  metter  sua  arme. 

'  *  Usarono  i  Romani  di  erigere  o  un'ara  o  un  tempio  a  memoria  d'un 
qualche  fatto  insigne.  Cosi  Livia,  essendo  per  testamento  di  Augusto  (  vedi  sop. 
e.  8 }  stata  adottata  nella  famiglia  dei  Cesari  e  dichiarata  con  istrano  esempio  fi- 
glia del  suo  marito ,  fu  a  memoria  di  ciò  inalsata  quest'  ara  ,  che  poi  dovea  dar 
ombra  a  Tiberio. 

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18  IL  LIBRO  MIMO  DBALI  AMMALI. 

dal  nome  d'Agosto,  AgnsUle,  e  aggìogneni  al  calendario.^ 
Fu  coiicedata  a  spese  del  pabblico:  andasaero  per  lo  Cerchio 
in  vesle  trionfale,  ma  non  in  carro  5  q«el  giudice  de'  citta- 
dini e  de'  forestieri,  ne  avesse  l*  annaal  cura.' 

XYI.  In  tale  stato  erano  le  cose  della  città,  quando  le 
legioni  di  Pannonia  romoreggiarono,  per  ciò  solamente  che 
la  mutazione  del  principe  mostrava  licenza  d'ìngarbo^iare,' 
e  la  guerra  civile  speranza  di  guadagnare.  Tre  legioni  sta- 
vano insieme  negli  alloggiamenti  della  state  sotto  Giunto 
Bleso,  *  il  quale,  udita  la  finte  d'Agusto  e  '1  principato  di  Ti- 
berio, aveva  tra  per  lo  duolo*  e  per  la  letizia  trasandato 
l' esercitarle.  Quinci  presero  i  soldati  a  svagarsi,  «  quistio- 
nare,  dar  orecchi  alternale  lingue;  finalmente  cercare  i  pia- 
ceri e  l'agio;  e  l' ubbidienza  e  la  fòtica  fuggire.  Eravi  un 
Percennio  stato  capo  di  commedianti,  poi  siMatello  linguac- 
ciuto ,  e  per  appiccar  mischie ,  avvezo  già  tra*  partigiani 
de'  recitanti,  valea  tant'  oro.  Costui  cominciò  la  notte  o  la 
sera  a  contaminare''  i  deboli,  dubitanti  come  sariàno  trat- 
tati i  soldati  or  che  Agusto  non  e'  era:  ritiratisi  1  buoni,  ra- 
gunata  la  schiama,  e  preparati  altri  rei  strumenti,  quasi  in 
parlamento  gr  interrogava: 

XYII.  «  Che  tanto  ubbidire,  come  schiavi,  a  quattro 
scalzi  centurioni  e  meno  tribuni?  Quando  aremo  noi  cuore 


t  *  Dove  era  notaU  cosi  :  «  IV.  eìd.  Octob.  AUGUST.  »  Ella  fàcevasi  anco 
prima,  ma  i  tribuni  chiesero  di  continuarla  anche  dopo  la  morte  di  Augusto ,  co- 
me a  un  dio.  Ma  non  fu  loro  permesso  di  farla  a  proprie  spese,  perchè  non  si 
acquistassero  troppo  favore  nel  popolo. 

i  "  Il  testo  h  qui  corrotto ,  e  il  Davanzali  fu  incerto  nel  tradurre  :  vedi  le 
Varianti.  Invece  di  celebrano  annum  ad  pratorem  (  com'ba  il  cod.  Mediceo  e 
che  correggono  celebratìo  annua),  rOrcUi  con  facile  mutazione  proporrebbe 
celebrano  eum  ad  prcetoremj  dove,  anco  qui,  scorgerebbesi  la  bassa  gelosia  di 
Tiberio  che  die  quell'  incarco  non  a  un  magistrato  principale ,  ma  secondario. 

5  *Lat.:  licentiam  turbarum....  ostendebat  » 
*  *  Zio  di  Seiano. 

s  *  dtiolo.  Il  Lat.  ha  :  «  iustittum,  »  che  veramente  è  il  feriaio. 

6  *  Il  Lat.  :  m  lascivire,  » 

f  *  contaminare  (Lat.  impellere)  vale  in  questo  luogo  tentare  o  spingere  ' 
altri  a  fare  alcuna  co&a.  Cosi  anche  V.  Borghini,  JVof,  Alleg,  »  Vi  povero  padre, 
contaminato  da*prieghi  e  sforzato  datt'affeùone ,  gli  donò  tatti  i  suoi  tesori.  *• 
(  Vedi,  Opuscoli  inediti  o  rarir  Fir.  1845.  > 


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A  LlBftO  PBI1I0  DEGLI  ANNALI.  19 

di  rìmedirci,*  se  non  affrontiamo  il  principe  co'  preghi  o  con 
Tarmi  ora  che  egli  è  nuovo  e  balena?  Dappochi  siamo  noi 
stali  a  tollerare  trent'  anni  e  quaranta  di  soldo;  trovarci  vec- 
chi e  smozieati  dalle  ferite;  non  giovarci  V  essere  licenziati, 
da  che  siamo  ritenoti  alle  'nsegne ,  e  sotto  altro  vocabolo  i 
medesimi  stenti  patiamo.  E  se  alcuno  avanza  a  tante  fortune, 
ci  strascinano  in  dileguo,  e  dannociin  nome  di  poderi,  pan- 
tani e  grillale.*  Eirè  pur  tribolata  e  scarsa  questa  nostr'arlel 
dieci  assi  il  giorno  ci  vale  anima  e  corpo!  con  questi  abbia- 
mo a  comperar  vitto  ,  vestito,  armi ,  tende  ,  misericordia 
da' centurioni,  e  un  po' di  risqnitto.  '  Sempiterne  si  sono  le 
mazate,  le  ferite,  i  verni  crudi ,  le  stati  rangolose,  ^  la  guerra 
atroce,  la  pace  tapina.  E' bisogna  sgravarci  con  patti  chiari; 
che  ogni  di  ci  venga  un  denaio  intero;  '  servasi  sedici  anni; 
non  si  passi;  non  si  resti  all'insegne;  il  ben  servito  ci  si  snoc- 
cioli di  contanti  *  In  su  '1  bello  del  campo.  ''  I  soldati  di  guar- 
dia, che  toccano  duo  danari,  e  dopo  sedici  anni  se  ne  tor- 
nano, portan  forse  pericoli  più  di  noi  ?  non  si  biasimano  le 
guarnigioni  della  città;  pure  tra  genti  orribili  stiamo  noi,  e 
veggìamo  dalle  tende  il  nemico  in  viso.  » 

XVIII.  Fremevano  i  soldati  e  s'accendevano,  rimprove- 
rando i  lividi,"  ipeli  canuti, i  panni  logori,  i  corpi  ignudi. E 
vennero  in  furia  tale,  che  vollon  fare  delle  tre  legioni,  una  ; 
ma  l'onore  del  nome,  che  ciascun  volea  dare  alla  sua ,  guasta. 

'  *  rimedirci,  rbcattarci.La  Nestiana,  rimediarci:  errore  passato  nella  Co- 
mimana  e  in  tutte  le  altre,  sebbene  h  Hestiana  lo  conreggeM*  nel  copioso  ErraU, 

'  *  grillaU,  toee  viva  aneora  ael  contado  toscano ,  a  aipiificare  terre  ari> 
3e,  sassose  e  infeconde. 

'  *  risquUto  j  riposo ,  respiro  dalle  fatiche ,  vacaua.  Il  Lat.  ha  «  vacationes 
munerum.  »  Sull'origine  e  sig;nificato  di  questa  parob  vedi  Sahini  Disc.  accM- 
demicis  tomo  Vili,  disc.  8,  edia.  di  Venexia  1834. 

♦  *  rangolose,  traTagliose ,  affannose.  Lat.  m  exercitas  »  (laborum  plenas). 
»  im  denaio  intero.  Il  deàarìo  per   le  guerre   fu  alaato  da*  dieci   assi 

a'  sedici.  E  pure  i  soldati  toccavano  i  soliti  dieci  assi  per  un  denario  il 
giorno:  ed  erano  einqoe  ottavi  di  denario  all'effetto,  ciob  al  comperarne  le 
cose  che  a  propofaione  eran  salite  di  pregio. 

•  ci  si  snoccioli  di  contanti  Si  fatte  voci  e  maniere  proverbiose,  in  bocca 
a  persone  basse  alterale,  molto  convengono  e  più  esprimono  :  mettono  innansi 
agli  occhi ,  e  fanno  la  cosa  presente. 

'•fa  su 'l  bello  del  campo.  Cosi  la  MarescolUana.  Le  altre,  *i  sul  bel; 
che  vale ,  nel  mesto  del  campo  ;  sul  campo  stesso. 
^  *  i  lividi.  Il  Lat.  :  m  verberum  notas.  *• 


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20  IL  LIBRO  PBIHO  DEGLI  ANNALI. 

Mutalo  pensiero,  piaotano  insieme  le  tre  Aquile*  con  loro 
insegne,  e  rizano  di  piote  un  tribonale  '  alto,  perchè  me' si 
vedesse.  Sollecitandosi  V  opera,  Bleso  vi  corse,  e  riprendeva, 
riteneva  e  gridava:  «  Imbrattatevi  anzi  del  mio  sangue: minor 
male  fia  il  legato  uccidere,  che  dall'  imperador  ribellarvi:  o 
vivo  vi  terrò  in  fede,  o  scannato  v'affretterò  il  pentimento.» 

XIX.  E  pure  le  piote  crescevano ,  e  già  erano  a  petto 
d'  uomo,  quando  al  fine  vinti  da  pertinacia  lasciarono  stare. 
Bleso  con  parole  destre  mostrò:  €  Non  dovere  essi  con  sedi- 
zioni e  scandoli  fare  intendere  a  Cesare  i  loro  desìderii:  non 
avere  gli  antichi  a'  loro  imperadori ,  ned  eglino  ad  Agosto 
fatto  domande  si  nuove.  Male  avere  ^elto  il  tempo  a  cari- 
care di  pensieri  il  principe  a  prima  giunta.  Se  pur  tentavano 
nella  pace  cose  né  pur  sognate  nelle  vittorie  civili;  perché 
volerle  per  forza  contr'  all'usata  ubbidienza,  contr'alla  legge 
della  milizia?  Facessono  ambasciadori,e  loro  dessonole  com- 
messioni  in  sua  presenza.  »  —  «  Sia  sia  il  figliuolo  di  Bleso, 
gridarono,  e  chiegga  la  licenza  dopo  i  sedici  anni:  '  avuta 
questa,  commetterìeno  il  rimanente.» Il  giovane  andò, e  que- 
tarsi  alquanto:  ma  insuperbiti,  che  il  figliuolo  del  legato,  trot- 
tato a  difenderli,  chiariva  bene  essersi  avuto  per  filo^  quello, 
che  con  le  buone  non  si  sarebbe  ottenuto. 

XX.  In  questo  tempo  le  masnade  innanzi  al  sollevamento 
mandale  a  Nauporto  per  acconciare  strade,  ponti  e  altro, 
udendo  il  tumulto  del  campo,  danno  di  piglio  alle  'nsegne , 
saccheggiano  que'  villaggi  e  Nauporto  slesso,  eh'  era  come 
una  buona  terra.  Volendo  i  centurioni  ratlenergli,te  li  pa- 
gano di  risale, d'oltraggi,  di  bastone,  adirosissimi  contr' Au- 
fidìeno  Rufo  maestro  del  campo,  cui  tiran  fuora  della  carretta, 
carican  di  fardelli,  e  innanzi  cacciatolsi,  gli  domandone  '  per 

*  *  Cosi  abbiamo  restituito  coli*  ediz.  Marescottiaoa.  La  Gominiana  e  le 
altre  hanno:  le  Aqtdle* 

S  rizano un  tribunale.  Rizare  un  altro  tribunale  voleva  dire ,  fare  un 

altro  imperadore ,  dove  egli  parlasse  all'  esercito  e  rendesse  ragione. 

S  *  «  Gridarono  allora  tutti  :  eh'  e'  si  mandasse  il  figliuolo  di  Bleso,  per  do- 
mandare in  nome  loro  a  Cesare  che  a  ipielli  che  sedici  anni  avevano  militato ,  si 
desse  licenza  di  tornarsene  a  casa  lóro.  »  G.  Dati. 

*  *  perdio,  per  fotza  :  modo  vivo  in  Toscana. 

^  *  domandono.  Cosi  l' edizioni  originali  :  le  adtre,  domandano.  Cosi  pure, 
più  sotto,  abbracciono  per  abbracciano» 


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IL  UBBO  PBIMO  DEGLI  ANNALI.  21 

ìsirazio,  cfaenti  ^  paressero  a  lai  qoe' pesi*  bestiali  e  langhi 
cammini?  Gonciossiachè  Rufo,  stato  assai  tempo  fantaccino,' 
poscia  centarione,indi  maestro  del  campo,  rinnovava  la  darà 
milìzia  antica:  da'iavorii  e  fatiche  non  rifinava,*  e,  per  averle 
dorate  egli,  più  crado  era. 

XXI.  Per  lo  costoro  ritorno  la  sedizion  rifiorisce,  e ,  sba- 
ragliati, saccheggiano  qae'  contorni.  Bleso  ubbidito  per  an- 
cora da'  capitani  e  da'  migliori  soldati,  a  terrore  degli  altri, 
alcuni  più  di  preda  carichi,  ne  frusta  e  'ncarcera.  Fannosi 
strascinare  ,  abbracciono  le  ginocchia  de'  circostanti ,  chia- 
manli  per  nome,  gridano,  «  Io  sono  il  tale ,  della  centuria , 
coorte,  legione  cotale:  sarà  fatto  cosi  a  voi.»  Dicono  ogni 
brobbio  al  legato,  invocano  il  cielo,  gl'iddìi,  ogni  cosa  fanno 
per  muovere  odio,  misericordia,  ira  e  paura.  Accorron  tutti; 
spezzano  le  prigioni;  scatenano  e  tra  loro  mescolano!  truf- 
fatori ,  i  sentenziati  a  morte.  Il  che  raccese  la  rabbia ,  e  fece 
scoprire  molli  capi. 

XXII.  Un  certo  Yìbuleno  soldato  di  dozina  dinanzi  al 
tribunal  di  Bleso,  salito  sopra  le  spalle  d' alcuni,  fece  gente 
correre,  e  disse  :  a  Ben  aggiate  voi,  che  renduto  avete  la  vita 
a  questi  cattivelli  innocenti  :  ma  chi  la  rende  al  fratel  mio?  il 
fratel  mio  chi  lo  rende  a  me?  che'l  vi  mandava  l'esercito  di 
Germania  per  li  comuni  commodi;  e  costui  l'ha  fatto  stanotte' 

<  *  ehenU,  «pali.  Voce  antiquata. 

'  *  pesi.  Il  Volpi  die  nelle  sua  Gominiaoa  fa  tanto  scalpore  dei  700  errori 
dell'ediz.  fiorentina  del  Mesti,  poteva  almeno  non  couTertire  questi  pesi  in  patsi» 
con  iscandolo  di  tutte  le  posteriori  edizioni  che  Iianno  copiato  questo  errore. 

'  *  fantaccino.  Il  Lat.  :  «  manipularis.  » 

*  da*latfoni  e  fatiche  non  rifnava  :  Invictus  operis  ac  laboris.  Il  te- 
sto ,  onde  tutti  gli  altri  derivano,  di  questi  cinque  libti,  trovato  nel  1516  in  un 
convento  in  su  '1  Visurgo,  <^gi  Vesero,  in  Germania,  e  da  papa  Lione  messo 
nella  Libreria  de'M edici ,  scritto  da  mano  non  troppo  accurata,  dice ,  intus  ope^ 
ris.  Onde  il  signor  Curzio  Picchena  ,  secretano ,  ottimo  tacilista,  trae  una  inge- 
gnosa correzione ,  veitts  operis  (  notata  poi  dal  Lipsio  in  curis  secimdis),  locu- 
zione propria  di  questo  autore  ,'Come  veUis  regnandi,  scientìof,  ceremoniarum 
e  altre;  perchè  molto  più  agevolmente  quel  copiatore  avrà  errato  a  scrivere  inttis 
per  ifetust  che  per  invictus.  (*)  A  me  pare  avere  espresso  in  virtù  l'uno  e  l'altro 
vocabolo  :  perchè  t^etus  operis  vuol  dire  praticato ,  anticato ,  usato ,  «  Ingegno 
usato  alle  qtùsiion  profonde  j  »  e  invictusj  che  mai  non  si  vedea  stracco. 

s  *  stanotte,  manca  nella  Nestiana,  nella  Gominiana  e  nell'  altre.  Ma  1*  ab- 

(1  Anehe  l' Ordii,  tra  1«  non  poche  congettore  trovate  per  sanare  qaesto  laogo ,  non  sa 
dbapprovare  questa  del  Picebena ,  ohe  egli  altriboisee  assolatamente  al  Ltpvio. 


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22  IL   LIBRO  PRIMO  DEGLI  ANNALI. 

scannare  dalli  scherani  saoi ,  che  per  far  morire  i  soldati 
tiene  e  arma.  Rispondi,  Bleso,  dove  hai  ta  il  corpo  gittato  ? 
i  nimicì  stessi  non  niegano  sepoltura.  Lascialmi  baciare , 
bagnar  di  lagrime,  sfogare  il  duolo,  e  poi  anche  me  squarta: 
parche  costoro  noi  seppeliscano  ammazati,non  per  misfare, 
ma  per  procearare  ì*  utile  delle  legioni.  » 

XXIII.  Aiutava  le  parole  col  piagnere,  col  darsi  delle 
mani  nel  viso  e  nel  petto.  Allargatisi  qùe'  che  '1  reggeano, 
cadde;  e,  voltandosi  tra' piedi  alla  gente,  mise^  tanto  spa- 
vento e  odio,  che  i  soldati  si  difilarono  chi  a  legare  li  sche- 
rani e  r  altra  famiglia  di  Bleso,  chi  alla  cerca  del  corpo.  E 
se  tosto  non  si  chiariva,  né  corpo  morto  trovarsi,  né  i  servi 
collati  confessare  V  uccisione,  né  colui  aver  mai  avuto  fra- 
tello, poco  stavano  a  uccidere  il  legato.  Cacciaron  via  bene 
i  tribuni  e  '1  maestro  del  campo,  a'  quali  nella  fuga  tolsero  le 
bagaglio,  e  vi  mori  Lucillio  centurione  detto  per  facezia  sol- 
datesca il  Quallaltra,  perchè  rotta  in  su  '1  dosso  al  soldato 
Vuna  vite,'  gridava,  «Qua  l'altra,  »  e  poi  «Qua  l'altra.  » 
Gli  altri  furon  trafugati,  ritenuto  solo  Clemente  Giulio,  per- 
chè portava  bene  r  ambasciate  de'  soldati  per  lo  pronto  in- 
gegno.Erano  ancora  per  azuffarsi  la  legione  ottava  chiedente 
Sirpico  centurione  per  ammazarlo,  e  la  quindicesima  lui  sal- 
vante; se  la  nona  non  vi  si  frammetteva  co'  preghi  e,  non 
giovando,  con  le  minacce. 

XXIV.  Mossero  questi  avvisi  Tiberio,  benché  coperto  e 
i  maggior  dispiaceri  dissimulante,  a  mandarvi  Druso  suo 
figliuolo  co' primi  della  città,  con  due  coorti  rinforzate,  fiore 
della  guardia,  senz' altra  commissione,  che  di  fare  secondo 
vedesse'  il  bisogno.  Aggiunsevi  gran  parte  de'  cava'  *  di  guar- 
dia, col  nerbo  de*  Germani,'^  che  allora  la  persona  guarda- 

Liamo  restituito  sulla  fede  della  stampa  6oreiitina  del  Marescotii,  e  del  testo  la- 
tino cbe  ha  :  «  nocte  proxima  ittgulavit,  «• 

'  *  mise.  Cosi  la  Marescottiana :  l'altre,  messe. 

'  /'  una  vite.  Con  la  scure  e  eoo  le  verghe  si  punivano  i  delitti  gravi  per 
mano  del  littore  :  i  leggieri  con  una  vite  per  mano  onorata  del  centurione.  Però 
dice  Plinio:  m  La  vite  onora  le  pene.  »  L.  XIV,  cap.  I,  nel  fine. 

'  ^  vedesse.  La  Marescottiana ,  volesse. 

♦  *  cava\  cavalli. 

S  Germani.  Di  questa  nasione,  fidatissima  goardia  delle  penone  de'prin- 
cipi ,  Agusto  per  la  rotta  di  Varo  insospettì  ;  Tiberio  la  riprese. 


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IL  LIBRO  PRIMO  DEGLI  ANNALI.  23 

vano  dello  imperadore.  Elio  Seìano  capitano  della  guardia, 
gran  favorito  di  Tiberio,  e  Strabonesao  padre  dati  furono  al 
giovane  per  tener  Iqi  ammaestrato,  e  gli  altri  in  timore  e  spe- 
ranza. A  Druse  già  vicino  andare  incontro  quasi  a  far  ri- 
verenza le  legioni,  non  gaie  al  solito,  né  con  le  'nsegne  fol- 
goranti, ma  lorde,  e  con  visi,  benché  acconci  a  mestizia,  più 
veramente  cagneschi.^ 

XXV.  Quando  e' fu  entro  allo  steccato,  metton  guardie 
alle  porte,  armati  alle  póste,  gli  altri  in  gran  numero  accer- 
cbiano  il  tribunale.  Stava  ritto  Druse  ,  e  con  la  mano  chie- 
deva silenzio.'  Essi  quando  giravan  l'occhio  alla  loro  moltitu- 
dinelevavano  mugghio  efferato;  quando  a  Cesare,  allibbivano.' 
Un  bisbigliare  non  inteso,  stridere  atroce,chetarsi  a  un  tratto 
(movimenti  contrari  d'animo)  li  mostravano  tremorosi  o  tre* 
mendi.  Allentato  il  tumulto,  lesse  la  lettera  del  padre,  che 
diceva ,  «  Essergli  più  di  tutte  a  cuore  quelle  fortissime  le- 
gioni, con  cui  sostenuto  avea  tante  gqerre:  posato  che  avesse 
l'animo  dal  dolore,  tratterebbe  co' padri  le  loro  domande: 
intanto  mandava  il  figliuolo  a  consolarle  di  quanto  allora  si 
potesse.Il  rimanente  serbava  al  senato,  non  si  potendo  torgli 
la  sua  ragione  delle  grazie  e  de'  gastighi.  » 

XXYI.  La  turba  rispose:  «  che  Clemente  centurione  spor- 
rebbe l'animo  loro.  »  Egli  disse  «della  licenza  doppo  i  sedici 
anni;  del  ben  servito;  dell'un  denaio  il  di;  del  non  rimanere 
all'insegne.  »DicendoDruso,<(che  a  queste  cose  ci  voleva  l'or- 
dine del  senato  e  del  padre,»  fu  dalle  grida  interrotto.  «A  che 
venirci  senza  poterci  crescer  paghe,  scemar  fatiche,  far  ben 
veruno?  flagellare  si  e  uccidere  ci  puote  ognuno.  Già  soleva 
Tiberio,  con  allegare  Agusto,  far  ire  in  fumo  i  desideri  l  delle 
legioni:  or  ci  vien  Druse  con  la  medesima  ragia.* Haccis'egli 
sempre  a  mandar  pupilli?  Che  è  ciò  che  l' imperadore,  ap- 

<  *  cagneschi,  arroganti  :  Lat.  m  contumaciie  propiores.  **  La  tradnxioné 
àéì  Dati  è  comento  :  «  e  sebbene  elle  parevano  in  volto  piene  di  tristezsa  e  di  ma- 
nioconia,  nondimeno  si  scorgeva  più  in  loro  una  certa  mala  disposizione  di 
voler  perseverare  in  quella  ostinazione  e  contumacia.  » 

*  *  e  con  la  mano  chiedeva  silenzio.  Dante,  Purg,^  Vili. 

....cbe  1'  ascoltar  chiedea  con  mano. 
'  *  allibbivffno.  Il  Dati  :  tremavano  di  paura. 

♦  *  ragia,  tristizia,  frode,  inganno. 


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24  IL  LIBBO   PRIMO  DEGLI  ANNALI. 

panto  ì  commodi  de'soldati  rimetta  al  senato?  quando  ci  man- 
dano a  giustizia  o  a  combattere,  perchè  non  sen'aspètt'egli 
il  compito^  àlsì'  dal  senato?  hannocisi  a  dare  ì  premi  passati 
per  le  filiere  de' consigli,  e  i  gastighi  alla  cieca?» 

XXVn.  Partonsi  dal  seggio:  ad  ogni  soldato  di  guardia 
0  amico  di  Cesare,  ch'ei  s'avvengano,  vanno  con  le  pugna  in 
sul  viso  per  cagionar  quistìoni,  origini  di  venire  all'  arme, 
niquitosissimi  centra  Gneo  Lentulo,  creduto  più  degli  altri , 
per  r  età  e  gloria  dell'  armi,  governar  Drusb,  e  tanto  disor- 
dine di  milìzia  abborrire.  Yistol  fuori  con  Cesare,  e  avviato 
per  fuggire  il  pericolo  agli  alloggiamenti  del  verno,  l'accer- 
chiano e  dimandano,  a  Ove  si  va?  all'imperadore  oa'padri? 
a  guastare  anche  quivi  i  commodi  delle  legioni!  »  Yannogli 
addosso  co'  sassi,  e  già  era  sanguinoso  e  spacciato ,  se  gente 
di  Druso  noi  soccorreva. 

XXYIII.  Minacciava  quella  notte  di  molto  male,  cui  la 
sorte  addolci.  La  luna^  '  facendosi  il  cielo  quasi  più  chiaro  di 
lei,  pareva  venir  meno.  I  soldati,  che  la  ragione  non  ne  sa- 
pevano, la  presero  per  loro  agurio,  credendo  mancare  il  pia- 
neta per  le  loro  tra  vaglie,  e  dover  bene  riuscire,  se  laiddea 
ralluminasse.  Dato  adunque  nelle  trombe,  cembali  e  corni  ; 
secondo  che  ella  più  chiara  o  più  scura,  essi  lieti  o  tristi  fa- 

'  *  compilo,  prescrisione..  Vedilo  in  questo  stesso  senso  al  lib.  XIV,  182. 

S  *alsì,  altresì. 

'  La  luna j  facendosi  il  cielo  quasi  pia  chiaro  di  lei,  pareva  venir  meno, 
'  Nam  luna  clartore  ptene  ccelo  visa  languesoere,  (*)  Cosi  leggiamo  col  testo  vul- 
gato, senta  mutare  o  alterar  cosa  nessuna.  Quando  il  cielo  per  alcuna  cagione  si 
fa  luminoso ,  ognun  sa  che  le  stelle  perdono  del  loro  splendore.  Avviene  qualche 
volta  la  notte  che  V  esalasioni  terrestri  o  simili  materie ,  alsandosi  sopra  il  cono 
dell'  ombra  della  terra ,  sendo  illuminate  dal  sole ,  fanno  quasi  un'alba  notturna , 
e  massime  nelle  parti  settentrionali.  Onde  alcuni  1*  hanno  detto  aurore  boreali, 
le  quali  imbiancando  il  cielo ,  fanno  svanire  alla  luna  il  suo  bel  colore.  Che  ciò 
avvenga,  l'attesta  ancor  Plinio  nel  secondo  libro  al  cap.  38:  Zumen  de  cesio  noeta 
visum  est  C.  Ccecilio  et  Gn.  Papyrio  coss.  et  sape  alias,  ut  diei  species 
noctu  lucerei.  La  dimostrasione  ed  e£Fetti  di  questo  accidente  è  stata  moderna- 
mente osservata  e  insegnata  dal  signor  Galileo  Galilei ,  il  quale  riferisce  essersi 
tra  1*  altre  abbattuto  una  notte  in  Venesia  a  vedere  due  ore  dopo  il  tramontar  del 
sole  schiarirsi  il  cielo  tutto ,  e  in  particolare  oltre  al  Zenit ,  verso  greco  e  tra- 
montana, talmente  che  tutte  le  stelle  erano  sparite.  S  benché  l'albore  fosse  gran- 
dissimo, nulladimeno  le  ombre  delle  fabbriche  erano  talmente  dilavate,  che  poco  si 
distìnguevano.  E  questo  derivava  dall'immensitSi  dello  spazio  onde  veniva  il  lume. 

n  11  Testo  dell'  Orelli  leggo:  «  nam  luna  clan  repcnf  eailo  visa  languesecn,  » 


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IL  UBBO  PBIIIO  DEGLI  ANNALI.  25 

ciensi.  Tornò  il  nagolato,^  e  la  coperse:  e  qae' pensarono 
(come  fa  la  paara  correre  alla  religione)  per  essersi  riposta 
nelle  tenebre,  dovere  essi  travagliar  sempre,  dolenti  d'avere 
gr  iddii  sdegnati  per  loro  misfare.  Parve  a  Cesare  da  valersi 
di  tal  rimòrso,  e  fare  della  sorte  savìeza.  Manda  gente  alle 
tende,  Clemente  e  altri  baoni  e  grati,  a  tramettersi  tra  le 
scolte,  tra  le  pòste,  tra  le  gaardie  delle  porte,  a  impaurire  e 
innanimire:  «  Quanto  terremo  noi  il  figlinolo  dell' impera» 
dorè  assediato?  che  fine  aranno  le  contese?  giureremo  noi 
ubbidienza  a  Percennio  e  Vibuleno?  daranno  questi  le  pa- 
ghe a' soldati,  i  terreni  a' licenziati?  reggeranno  in  vece  di 
Neroni  e  Drusi  V  imperio  del  popol  romano?  Chieggiamo  più 
tosto  perdono,  non  insieme,  ma  quelli  i  primi,  che  colpammo 
1  sezi.'  Le  grazie  chieste  in  comune  vengono  a  pie  zoppo: 
ciascun  di  per  se ,  non  prima  la  merita ,  eh'  egli  V  ha.  »  Da 
colali  parole  punti  e  insospettili  tra  loro,  sceverano  i  vecchi 
da' novelli,  legione  da  legione:  torna  là  voglia  dell'  ubbidire, 
lascjan  le  porte;  riportano  ai  lor  luoghi  le  male  accozate  in- 
segne. 

XXIX.  Druse, la  dimane  chiamò  a  parlamento:  e  cosi 
senz'arte  con  generosità  naturale,  biasima  i  primi  fatti, 
loda  i  presenti;  niega  potere  in  lui  spauracchi:  se  saran 
savi,  se  chiederanno  mercè,  scriverà  a  suo  padre  che  si 
plachi,  e  le  sue  legioni  esaudisca.  A'  lor  preghi  si  mandare 
a  Tiberio  quel  medesimo  Bleso,  L.  Apronio  romano  cava^ 
liere  della  coorte  di  Druse,  e  giusto  Catonio  centurione  di 
primo  ordine.  Disputossi  assai,  volendo  chi  tenere  addol- 
cili i  soldati  sino  al  ritorno  de'  messaggi,  chi  fòrti  ripari 
usare.  «  Il  popolazo,  ò  asso  o  sei:'  è  tremendo  al  di  so- 

<  *  Temè  il  nugolato.  Meli'  esemplare  della  Ifestiana  posseduto  da  Gino 
Capponi  è  corretto  a  penna  cosi  :  Fènue  il  nugolato,  ec. 

s  *  cA«  eolpammo  i  stai,  che  fnmmo  aitimi  r  peccare. 

'  o  asso  o  sei.  Prorerbio  che  sifj^ifica  non  aver  meao.  Ne  tratta  Eustasio, 
interpreto  d'Omero,  e  Platone  nelle  leggL  Vedi  Flos  Italica^  lingua ,  118.  E 
che  noi  lo  rifiatiamo?  Non  piaccia  alle  Muse. — *  Ilpopolago,  o  asso  o  sei;  cioè, 
il  volgo  dk  sempre  negli  eccessi.  Lat.:  «  nil  in  vulgo  modicnm.»  Il  sei  è  il  ponto 
più  alto ,  e  l'asso  il  ponto  piò  basso  di  on  dado.  Qoesto  proverbio  dispiacqoe  al 
Costa  ,  perchè  di  viUssùna  condizione ,  e  tolto  da  un  giuoco  che  potrebbe 
essere  sconosciuto  a  molti,  (Vedi  Elocu».,  pag.  SI,  Fir.  1S39.)  Nel  secondo 
delle  Storie,  e.  S9,  la  conforme  sentcnia  «  est  vulgo  idroqne  immodieum  »  tradusse 
I.  3 


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26  IL  LIBBO  PRIMO  DBQLI  ANNALI. 

pra,'  ridicelo  impaarìto.  Or  che  gli  fraga  la  paora  del  cielo, 
crescala  chi  comanda,  con  T  uccidere  i  capi.  »  Druse  cbe 
penderà  nel  crudele,  fece  Viboleno  e  Percennio  a  se  ve- 
nire e  ammazare;  e  i  corpi,  i  più  dicono  sotterrare  n^  pàdi- 
glion  suo,  altri  gtttar  fciora  del  palancato  a  mostra. 

XXX.  Ritrovati  foron  i  più  scandolosi,  e  parte  da' cen- 
turioni e  soldati  di  guardia  foor  del  campo  alla  spicciolata 
tagliati  a  pezi;  e  parte  dalle  proprie  compagnie  dati,  per 
mostrar  fede.  Accrebbe  l' angoscio  de' soldati  il  verno  pri- 
maticcio, con  piogge  continove  e  tal*  rovinose,  che  né 
uscir  delie  tende  poteasi  né  ragunarsi;  affatica  le  insegne 
campare  dalle  folate  del  vento  e  dell^  acqua:  e  durava  quel 
timore  dell'ira  del  cielo.  «  Non  accaso,  dioeano,  abbacinarsi 
le  stelle^  rovesciar  le  tempeste  sovra  loro  empi:  a  tanti  mali 
altro  rimedio  non  essere  che  uscir  di  qu^  campo  maladelto, 
e  tornar  ciascuno  ribenedetto  alle  stanze.  »  Tornaronvi  prima 
l'ottava  legione,  poi  la  quindicesima.  La  nona  (che  gridava 
«  Aspettinsi  le  lettere  di  Tiberio  »),  lasciata  in  Nasse,  fece 
della  necessità  virtù;  e  Druse  senz'aspettare  i  mandati»  es- 
sendo le  cose  posate,  a  Roma  se  ne  tornò. 

XXXI.  Quasi  ne'  medesimi  giorni  per  le  medesime  ca- 
gioni le  legioni  di  Germania  s' abbottinarono:  più  violente 
per  esser  più ,  e  sperar  che  Germanico  Cesare  non  patirebbe 
superiore,  '  e  datosi  a  loro  si  trarrebbe  dietro  ogni  cosa. 
Erano  a  riva  di  Reno  due  eserciti:  governati,  l'uno  detto 
disopra,*  da  G.  Silio"  legato;  l'altro,  disotto,  da  A.  Cecina; 
tutti  sottp  Germanico,  intento  allora  a  catastar*  le  Gallio.  I 

più  nobilmente  :  «  va  il  popolato  àz  estremo  a  estremo.  »  Del  resto,  sa  qael 
proverbio  vedi  0  Honosini  Flos  ita!,  fing,  I.  3,  pag.  iiS;  e  il  Diti  nel- 
1*  Etimologie  toscane  riferite  dal  Moreni  nella  pref.  alle  Lepidezze,,  pag.  XXV. 
Fir.  i839. 

*  *  oidi  sopra,  cio^,  quando  esso  h  *\  di  sopì»,  è  sopcriore.  —  rùUùoh. 
Il  Lat  ha  :  impune  eonfemni:  »  si  può  beffare  sensa  petieolo. 

s  *  fai,  talmente. 

'  *  M  Con  grande  sperama  eh*  Germnieo  non  fosse  per  poter  ioUerve 
J'imp«Tio  in  un  altro,  e  però  fosse  per  lasciarsi  maneggiar  da'aotdatì  pei  dover 
poi  con  fona  governar  ogni  cosa.  •  G.  Dati. 

*  *  detU>  dt  sopra,  sopr«no,  Lat.  :  m  eoi  nemen  sapertori.  m 

*  *  6.  Sliió.  Della  morte  di  costai  vedi  più  avanti,  lib.  IV.  18. 

*  *  a  catastar,  cioè ,  a  fare  o  a  imporre  il  catasto,  o  (come  dict  più  avanti, 
e.  XXUllì)  a  pigltaf  PésUmo,  Machiivem,  Tsiar,,  IV,  14:  «  E  percU  «d  dìatrì- 


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IL  UBRO  PUMO  DBALI  ANMALL  27 

soldati  di  Silio  slavano .  sospesi  a  veder  V  esito  dell'  altrui 
sollevamento:  ne'  disottani. entrò  la  rabbia,  e  cominciò  dalle 
legioni  ventunesima*  e  qinnta,  cbe  seco  trassero  la  prima  e 
la  ventesima  a*  confini  degli  Ubii  insieme  alloggiate,  e  poco 
0  niente  affaticate.  Or  quando  s' intese  la  fipe  d'  Agosto , 
una  onarmaglìa,  ragonaticcia'  poco  ia  in  Roma,  da  buon 
tempo  non  da  fatica^'  incominciò  i  men  pratichi  a  sommoo* 
vere:  «  Tempo  esser  venuto  da  farsi  dare  i  vecchi  presta 
licenza,  i  giovani  miglior  paga,  tulli  meno  angherie,  e  pan 
per  focaccia*  rendere  a  questi  cani  centurioni.  x>  Non  un  solo 
Percennio,  come  in  Pannonia,  né  a  soldati'  veggentisi  più 
forti  eserciti  a  ridosso,  ma  molti  a  viso  aperto  alzavan  le 
voci:  a  Essere  lo  stato  di  Roma  in  man  loro:  crescere  la 
republica  per  le  vittorie  loro,  e  gl'imperadori  cognominarsi 
da  loro.  » 

^XXIL  Né  il  legato  vi  riparava,  perchè  la  follia  di  tanti 
lo  sbigottiva.*  Con  le  spade  ignudo,  come  pazi  s'avventano 
a'  centurioni  che  sempre  furono  berzaglio  e  primo  sfogo  degli 
odii  soldateschi,  e  per  terra  te  gli  sbatacchiano:  sessanta  ad- 
dosso a  uno,  che  tanti  centurioni  vanno  per  legione,  e  quelli 
storpiati  sbranati  o  morti,  scaglion  fuori  del  palancato  o  in 
Reno.Settimio,  fuggito  al  tribunale  fra' pie  di  Cecina,  si  chiesto 

bairla  (ia  gravezza)  si  aggregarano  i  beni  di  ciascuno ,  il  che  i  Fiorentini  dicono 
aecataseare,  si  chiamò  questa  gravena  Catasto.  >» 

^  peMiiatMima.  UndepictsimimU  *  dicono  i  testi  male ,  perche  quel 
de' Medici,  loro  originale,  dice  uneMcesimanis j  poco  di  sotte,  quintani  tmetvi' 
cesimanìque  j  t  a^^Ttsio ,  unètvigesimof  ;  e  altrove,  unetvicesimani.  Il  Lipsio 
legge,  unaeMcesimmtis ,  e  dice  perchè  legione  diciannoTCìima  in  quel  tempo 
non  v'era.  ' 

3  marmaglia»  ragunaticcia,  Jn  Roma  fatta  in  furia  per  la  rptta  ^  Varo. 

S  *  «  aweni  alla  lascivia  a  non  atti  all«  fatiche.  »  G.  Dati. 

*  *  pan  per  focaccia  rendere,  vendicarsi  a  buona  misura  d*  un  torlo  rice- 
vuto. Varchi,  £rca/.  «  Dicesi  ancora....  Egli  ha  risposto  alle  rime,  o  per  le 
rime ,  e  più  boccacce vokneute  :  Rendere.....  pane  per  focaccia ,  o  frasche  per 
foglie.  *» 

^  *  ne  a  soldati,  cioè,  né  tra  soldati  ec.  * 

^  lo  sbigottita.  Senofonte,  nel  secondo  delle  Storie,  dice  che  cominciando 
il  presidio  di  Scio  lasciatovi  da'Lacedemonii  forte  a  patire,  molti  di  que'soldatì 
congiurarono  di  saccheggiar  T  isola ,  e  portavano  per  riconoscersi  una  canna. 
Eteonico  lor  capitano,  inteso  il  gran  numero  de' congiurati ,  con  prudentissimo 
avvedimento,  con  quindici  soldati  soli  usci  fuori  ;  e  il  primo  che  trovò  con  la 
canna  uccise;  tutti  la  posarono  sena* altro  romore. 


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28  IL  LIBBO  PRIMO  DEGLI  ANNALI. 

fu  che  bisognò  darlo  alla  morte.  Cassio  Gherea,  famoso  poi 
per  r  uccisione  di  G.  Cesare,  allora  giovinetto  e  fiero,  si  fece 
tra  le  punte  degli  armati  la  via  col  ferro.  Né  tribuno,  uè  il 
maestro  del  campo,  vi  ebbero  più  potere.  Le  guardie  le  scolte 
e  se  altro  ordine  v'  era  ,^  si  spartì van  da  loro.  Segno  di  grande 
e  non  placabile  movimento  agli  alti^  intenditori  de'  militari 
animi  fu  il  vederli  non  isbrancati,  né  sligati  da  pocjii,'  ma 
uniti  accendersi,  uniti  chetarsi,  si  eguali  e  fermi,  che  pa- 
reano  aver  capo. 

XXXin.  In  questo  mezo  Germanico,  che  pigliava  l'esti- 
mo delle  Gallio,  com'è  detto,  ebbe  la  nuova  della  morte 
d' Agusto,  la  cui  nipote  Agrippina  avea  per  moglie,  e  di  lei 
più  figliuoli:  di  Druse  fratel  di  Tiberio  nato  era  e  nipóte 
d' Agusta,  nondimeno  travagliatissimo,  perchè  questi,  avola 
e  zio,  in  segreto  per  cagioni  inique,  perciò  più  crudelmente, 
l'odiavano:  queste^ erano,  che  il  popolo  romano  adorava  la 
memoria  di  Druse ,  credendosi  che  se  avesse  regnato  egli , 
arebbe  renduto  la  libertà.^  Quinci  era  la  medesima  grazia  e 
speranza  dì  Germanico,  bonario  giovane,  affabile,  rovescio 
di  quel  burbero  viso  e  scuro  parlare  di  Tiberio.  Eranci  poi 
r  ize  donnesche.^  Livia  si  sarebbe  rosa  Agrippina:  questa  era 
sensitiva;'  ma  la  castità  e  l' amore  al  marito  la  medicavano 
della  troppo  alta  testa. 

XXXIV.  Ma  Germanico  quanto  più  alla  somma  speranza 
vicino,  tanto  più  a  Tiberio  infervorato,  gli  fece  da' vicini 
Sequani  e  da' Belgi  giurare  omaggio;  e  udito  che  le  legioni 


*  *  e  se  -altro  ordine  v'era.  Lat.  :  •>  et  si  qua  aliaprtesens  usus  indisct' 
rat  m  Onde  pare  che  il  Davansati  abbia  qui  tolto  ordine  per  occorrenza. 

^  stigati  da  pochi.  1  pochi  sollievaDO ,  perche  vogliono  in  compagnia  di 
molti  peccare  per  pena  fuggire  :  perchè  dove  molti  peccano,  ninno  si  gastiga. 

'  arebbe  rendilo  la  libertà.  Droso  scrisse  a  Tiberio  suo  fratello  di  •for*' 
lare  Àgusto  a  render  la  libertà j  il  buon  Tiberio  ad  Agu&to  mostrò  la  lettera;  il 
mio  Druso  n'  andò  al  Criatore.  Però  è  detto  nel  secondo  libro,  che  il  popolo, 
mentre  che  Germanico  trionfava ,  di  lui  increscendogli  e  male  agurandogli,  dì- 
cava:  Ahimlche  a  Druso  suo  padre  e  Marcello  suo  zio  la  popolare  aura 
fu  infelice  i  Brevi  e  sventurati  sono  questi  universali  emorì. 

*  *  ize  donnesche.  Lat.  :  m  muliebres  offensiones.  »  Isia  :  irritamento , 
indignaaione,  dispetto. 

S  *  sensitiva,  Lat.  :  «  paiUo  eommotior  :  »  alquanto  risentita. 


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IL  LIBBO  PBIHO  DEGÙ  ANNALI.  29 

tnmaitaavano,  tì  corse  battendo.^  Ferglìsi  incontro  faor  del 
campo  quasi  ripentite  con  gli  occhi  bassi.  Quando  ei  fa  den- 
tro alle  trincee ,  usci  un  suono  di  lamenti  scordato.  Chi  la 
mano  presogli,  quasi  per  baciare,  si  metteva  quelle  dita  in 
bocca,  per  fargli  tastare  le  gengie  senza  denti;  altri  gli  mo- 
strava le  schiene  gobbe  per  vecchiaia.  Standoli  intorno  rin- 
fasi,  comandò  che  ciascuno  rientrasse  nella  sua  compagnia, 
con  loro  insegne  innanzi,  per  meglio  esser  udito  e  le  coorti 
discernere.  Penarono  a  ubbidire.  Egli,  venerato  prima  Àgu- 
sto,  venne  alle  vittorie  e  trionfi  dì  Tiberio:  celebrò  con  istu- 
pore  le  gesto  di  lui  in  Germania  con  quelle  legioni:  alzò  ai 
cielo  il  consentir  delF  Italia;  la  fedeltà  delle  Gallio;  il  non 
essersi  altrove  sentito  un  disparere,  un  zitto. 

XXXV.  Con  silenzio  o  poco  mormorio  udirono  insin  qui. 
Venuto  alla  sedizione,  «  Dov'  è  la  modestia  de'  buon  soldati? 
dov'  è  r  onore  dell'antica  milizia?  che  avete  voi  fatto  de'  tri- 
buni? che  de' centurioni?  »  Si  spogliano  ignudi,  rimprove- 
rano le  margini  delle  ferite,  i  lividi  delle  bastonate.  Dicea  un 
tuono  di  varie  voci:  «  Male  aggiano  le  compere  de' risquit- 
tì,* le  paghe  scarse,  il  lavorare  arrangolalo  a  trincee,. fossi, 
fieni,  legnami,  materie,  bastioni,  e  che  altro  vuole  biso- 
gno 0  esercìzio.  »  Atrocissime  grida  uscivano  da' vecchi,  i 
quali  allegando  trent'anni  di  servito  e  più,  chiedevano  riposo 
per  mercè,  e  di  non  morire  in  quelle  fatiche,  ma  finire,  con 
.  un  poco  da  vivere,  si  duro  soldo.  Ebbevi  chi  domandò  il  la- 
scio d' Agusto  a  Germanico,  agurandogli  e  offerendogli,  s'ei 
lo  volesse,  l' imperio.  A  questo,  come"  tentato  di  fellonia,  si 
scagliò  dal  tribunale,  e  andandosi  via,  gli  voltaron  le  ponte 
con  minacciarlo,  s'ei  non  tornava^  Ma  egli  sclamando, 
«  Prima  morire  che  romper  fede,  »  sguainato  lo  stocco, 
r  alzò  e  ficcavalosi  nel  petto,  se  non  gli  era  tenuto  il  brac- 
cio. I  diretani  uditori  adunati,  e  alcuni  soli  passati  innanzi, 
e  accostatiglìsi  (non  si  può  quasi  credere)  diceano,  «  Ficca, 
ficca,  d'  e  un  soldato  detto  Galusidio  gli  porse  il  coltel  suo, 

^  *  battendo.  Lat.:  «  raptim,*»  Così  nellib.  Ili  delle  Storie  :  «Intorno  ali*  ora 
quinta  del  giorno  vennero  cavalli,  battendo^  a  dire  che  i  nìmici  erano  presso.  • 

*  *  risquitU arrangolato.  Intorno  a  questi  vocaboli  vedi  sopra  le  note 

al  cap.  XVIL 

'  Ficca,  fcca.  Se  io  uscirò  di  mìa  natura  di  non  riprendere  mai  alcuno, 

3* 


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30  IL  LIBIO  PiniO  OlfiLI   ANNALI. 

dicendo,  «  Qaesto  è  più  agnzo.  »  Atto  barbaro  e  di  pesBìmo 
esempio  parato  insino  a  quelli  slessi  arrabbiati,  che  diero  agli 
amici  di  Cesare  agio  a  dargli  di  piglio  e  portarlo  nel  padi- 
glione. 

XXXYI.  Qnivi  si  fece  consiglio,  intendendosi*  «  che 
mandavano  messaggi  air  esercito  disopra  per  tirarlo  dalla 
loro;  voleano  spianar  la  terra  degli  Ubii,  e,  arricchiti,  rom- 
per nelle  Gallie  a  predare.  »  Abbandonata  la  riva  che  era  il 
peggio,*  perchè  il  nimico,  di  tal  disordine  nostro  avvisato, 
Foccnperebbe:  andandosi  con  forze  forestiere  a  rattenerli, 
eccoti  ona  gran  guerra  civile.  Pericoloso  il  rigore,  bruita  la 
pacienza:  lutto  o  nulla  concedere,  ripentaglio  della  republi- 

tiami  qui  perdonato.  Quel  Motio  che  venne  di  Capo  d'Istria  in  Firense  a  par- 
lare e  scrivere  di  questa  patria  villanamente,  e  insegnarci  favellare  con  la  sfersa 
in  mano  di  quelle  sue  pedantesche  Battaglie ,  farebbe  ceffo  a  questayforenfinorìa 
(che  cosi  le  proprietk  nostre  appella  con  barbarismo  goffo  e  suo), censurerebbe 
cosi,  ConfoHavanlù  che  si  /eriste.  Sapevamcelo  :  ma  quel  porre  innanù  agli 
occhi  è  gran  virtù  di  parlare;  per  la  quale  Dante,  altro  che  lucerna  del  mondo, 
nel  suo  poema  non  pur  grave  ma  sacro,  usò  con  ragione.  E  lascia  dire  chi  quindi 
tra  le  tante  bellene  eterne  lo  dice  indegno.  Ghente  sono  e  quali  le  basseae  d'Ome- 
ro T  il  dire  a  Giunone  Occhi  di  bue,  a  Bfinerra  di  civaia,  e  niente.  Il  nostro 
Tacito,  si  severo,  si  lasciò  ire  per  dipigner  l'imprudenaa  di  Cotta  Messalino  a  quel 
Tiberiolus  meus.  Ad  altri  non  è  paroto  indegnità  della  storia  contare  che  Do- 
mixiano  imperadore  infilava  le  mosche  negli  spilletti  :  che  Gommodo  tracannava 
vino  nel  teatro,  e  1  popolo  gridava:  Pro*,  prò':  ed  ei  lo  frecciava  quasi  Ercole 
gli  Stinfalidi.  E  teneva  un  capo  di  strusolo  aliato  nella  sinistra,  e  la  spada  san- 
guinosa nella  destra ,  e  scotendo  la  testa  feroce,  voleva  che  ognuno  spiritasse  : 
onde  alcuni  che  non  potean  tener  le  risa ,  mangiaron  foglie  della  loro  grillanda 
dello  alloro  per  vomitere  e  parer  di  rìdere  del  vomito:  che  l'esercito  di  Severo 
in  Arabia  non  poteva  nella  bocca  riarsa  spiccicare  (*)  altra  parola ,  che  acqua 
aequa  :  che  Geta  s'  avventò  al  collo  a  Giulia  gridando  Mamma  mamma.  Se 
dunque  i  sì  fatti,  per  forte  rappresentare,  scendono  a  bassese  si  fatte ,  ben  posso 
io  errar  con  loro,  e  qui  dire  Ficca, ficca:  che  risponde  a  quel  ficcarsi  il  pugnale 
nel  petto ,  detto  poco  di  sopra  (**). 

'  *  intendendoti:  poiché  s'intese. 
•      '  *  abbandonata  la  riva  che  era  il  peggio  :  cosi  tutte  l' edisioni.  Ka  la 
sintassi  h  men  chiara  che  se  dicesse  :  «  Abbandonando  la  rifa,  era  il  peggio,  per- 
chè ee.  » 

n  tfietken.  U  NeaU  tìvmtòépleHan;  poi  nAV  Streta  corresse  tpUtlaan,  Ha  U  Velpi  sti- 
mando  errore  la  correzione,  ripose  tpiceianz  e  fn  troppo  lesto.  Perchè  il  popol  toscano  dice 
freqoentenente  anc'oggi  e  con  bel  traslato!  Non  saptre  aptedear  paròla,  per  non  saper  prò- 
nMHiiantproferinw,  La  Cmsea,  troppo  osseqnenta  in  qnoslo  al  Volpi,  registrò  spietiar»  in 
senso  di  mandar  fuori,  citando  questo  raoeoneiato,  o  guastato,  esempio. 

(**)  Neil'  esemplare  giontino,  proveniente  dalla  Rtnneeiniana,  ed  ora  presso  il  Conte  Mor- 
tara,  leggesi  qui  questa  postula  di  mano  del  Davanxati:  «  He' stava:  Sgòuati:  »  scritto  «on 


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IL  LIBaO  PBmO  OBGLI  ANNALI.  3i 

ca.*  Bilanciato  il  tatto,  si  fecero  lettere  ìd  nome  del  princi- 
pe, «  che  chi  avesse  servito  vent'anni,  se  n'andasse;  chi 
sedici,  benemerito  fosse,  ma  rimanesse  alle  'nsegne  sola- 
mente a  difesa;  il  lascio  si  pagasse  a  doppio.  »  ' 

XXXYII.  Conobbe  il  soldato  che  ciò  era  pasto  per  trat- 
tenere, e  chiedeane  spedizione.  I  tribuni  spacciavano  le  li- 
cenze, il  contante  si  prolongava  al  ritorno  loro  nelle  guarni- 
gioni. Non  fu  vero  che  della  quinta  né  della  ventunesima  si 
volesse  alcuno  muovere,'  si  fu^  quivi  la  moneta  contala,  rag- 
granellata da  Cesare  delle  spese  per  suo  vivere,  e  degli  amici. 
Cecina  ridusse  negli  Ubii  la  legion  prima  e  la  ventesima ,  con 
brutto  vedere  tra  V  insegne  e  tra  V  aquile  sacre  portarsi  i  co- 
fani di  quella  moneta  rapita  airimperadore.  Germanico  andò 
all'esercito  di  sopra,  e  fece  giurare  le  legioni  seconda,  tre- 
dicesima e  sedicesima  incontanente;  la.  quattordicesima  nic- 
chiò.'^ Fu  offerto,  benché  non  chiesto,  il  denaio  e  la  licenza. 

XXXVIII.  I  soldati  d'insegna  delle  due  legioni  scre- 
denti/ stanziati  ne'  Cauci  cominciarono  a  levare  in  capo;'' 
gli  attutò  alquanto  il  subitaneo  supplizio  che  Blennio  maestro 
del  campo  a  due  soldati  diede,  con  più  buono  esempio  che 
autorità;  onde  la  furia  riscaldò:  fuggissi;  fu  trovato,  e  falli- 
toli il  nascondere  si  salvò  con  l' ardire,^  eclisse,  che  tal  vio< 

<  *  ripentaglia  della  repftblicaj  cioè,  la  repubblica  avrebbe  cono  u^pial 
pericolo.  Il  Lat.  ha  :  m  in  ancipiti  respublica.  » 

3  (/  lascio  si  pagasse  a  doppio.  Allri  narrano  questo  pagamento  esser  se- 
guito cosi.  Sotterrandosi  un  morto,  un  soldato,  nuovo  pesce ,  accostatosi  gli  bi- 
sbif^iò  nell'orecchio.  Domandato,  Che  gli  hai  tu  detto?  rispose,  Che  dica  ad 
Agusto  che  di  quel  stio  lascio  non  s*  è  veduto  un  quattrino.  Tiberio  lo  fece 
ammalare ,  con  dirgli  ^  ya  e  dilloli  tu.  E  pagò  quel  lascio  de*  fiorini  sette  e 
meco  per  testa,  cioè  sestersi  trecento,  come  sopra. 

'  *  Non  fu  vero  che....  si  volesse  alcuno  muovere;  cioè  ,  niuno  si  volle 
muovere. 

*  *  sìjìij  cioè ,  sintanto  che  non  fu.  Nelle  prime  stampe  trovasi  sempre  sì 
non  per  sintantoché  non, 

S  *  niccAid ,  stette  alq[uanto  in.  forse.  Questo  significato  è  un  poco  diverso 
da  quegli  notati  dal  Vocabolario. 

^  *  scredeiUif  discordi. 

^  *  cominciarono  a  levare  in  capo.  Lat.  :  «  cofptavere  sediUonem.  *»  La 
metafora  è  tolta  dal  vino,  che  nel  bolUre  levasi  in  capo  (  cioè,  manda  su  a  galla  ) 
la  vinaccia. 

8  si  salvò  con  l'ardire.  Mancata  la  sperania,  la  paura  ripiglia  Tarme.  Nulla 
è  più  forte  die  la  disperaxione.  Una  salus  victis. 


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32  IL  LIBRO  PEWO  DBCLl  ANNALI. 

lenza  non  si  faceva  al  maestro  del  campo,  ma  a  Germanico 
lo  generale,  a  Tiberio  lo  imperadore.  E  spaventandosi  i  re- 
sistenti, arrappò  l'insegna,  e  trasse  verso  la  riva  gridando: 
a  Chi  uscirà  d' ordinanza  abbiasi  per  faggitivo.  x>  Cosi  gli  ri- 
dusse alle  stanze  turbati  e  qnatti. 

XXXIX.  Gli  ambasciadori  del  senato^  a  Germanico,  lo 
trovarono  già  tornato  air  altare  degli  Ubii,  ove  le  due  legioni, 
prima  e  ventesima,  e  i  veccbi  nuovamente  messi  alle  'nsegne 
svernavano.  Il  peccato  e  la  paura  lor  fece  pensare,  ì  padri 
avergli  mandati  a  frastornare  quanto  s' era  tirato*  per  là  som- 
mossa; e  come  è  vago  il  popolo  di  coglier  cagioni,  benché 
false,'  trovano  a  dire,  che  Munazio  Plance,  seduto  consolo, 
capo  deir ambasceria,  esso  fu  che  ne  fé' fare  il  partito.  E  la 
notte  in  sul  primo  sonno  cominciano  a  chiedere  il  confa- 
tone ,*  che  stava  in  casa  Germanico.  E  corsi  alla  porta,  V  ab- 
battono, e  lui  del  letto  tratto,  minacciandogli  morte, lo  si  fan 
dare  ;  e  scorrendo  per  le  vie,  s'intoppano  negli  ambasciadori 
che,  udito  il  frangente  di  Germanico,  a  lui  traevano;  e  svil- 
laneggianli;  metton  mano  a  ucciderli;  e  Plance  spezial- 
mente, cui  fuggir  non  lasciò  la  sua  degnila:  ma  ritirossi  in 
franchigia"  alle  'nsegne  e  all'aquila  della  legion  prima:  le 
quali  abbracciando,^  si  difendeva  con  la  religione:  e  se  Gal- 

<  Gli  ambasciadori  del  senato,  lì  testo  de' Medici  dice  regressum  (non 
regressi)  con  ottimo  senso  cioè ,  Gli  ambasciadori  abboccaron  Germanico  a 
un  luogo  sagrato  ad  Àgusto,  lontano  dalli  Ubii,  colonia  d'Agrippina,  che  tornato 
era  dal  far  giurare  l' esercito  disopra,  come  quindici  versi  innanzi  è  detto. 

'  *  tirtOo,  avuto  a  forza. 

'  *  di  coglier  cagioni,  benché  false.  Veramente  le  parole  del  testo  vof^on 
dire  ;  suole  il  volgo  trovare  il  reo  anche  delle  colpe  non  vere.  Il  Politi  tradu- 
ce :  M  è  costume  del  volgo  d' incolpare  altrui  falsamente,  w  II  Lat.  ha  :  «  mos 
vulgo  qwunvis  falsis  reum  subdere.  *» 

4  con/alone.  Labarum,  simile  a  una  camicia ,  ricchissimo  d' oro  e  gioie.  Il 
generale  lo  presentava,  quando  voleva  combattere.  Andava  innanzi  alla  sua  per- 
sona, adoravanlo  i  soldati.  Gostantino  lo  mutò  in  una  croce. 

^  *  IR  franchigia,  in  salvamento. 

*  le  quali  abbracciando.  L'aquile  e  l'altre  insegne  erano  gli  iddii  che  ado- 
rava l' esercito.  Il  loro  luogo  era  tempio  e  franchigia.  Vedi  la  postilla  settima  (*) 
del  secondo  libro.  A  Tivoli  in  un  marmo,  tra  gli  altri  fatti  di  T.  Plauzio  Silvano, 
ti  legge  : 

IGNOTOS   .    AHTB  .   ATT   .  IVFKHSOS  .   r.   B.   BBOBS 

SIOHA    .    BOMAHA   .   AOOBATYBOS 

fn    .   BIPAM    .   QTAH    .   TYBBATYB   .    PBBDYZlT 

(*)  In  questa  edisione ,  pag.  69,  nota  I. 


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IL   LIBRO  paino  DEGLI  ANNALI.  33 

parniOy  alfier  delP  aquila,  non  sosteneva  nna  estrema  carica ,  ' 
arebbe  [cosa  rara  eziandio  tra'  nimici)  V  ambasciador  romano 
nel  campo  romano  coi  sangue  suo  imbrattato  i  divini  altari. 
Al  di  chiaro,  quando  il  generale,  i  soldati  e  i  fatti  si  scor- 
geano,  Germanico  entrò  nel  campo,  e  fatto  Fianco  a  se  ve- 
nire e  seder  allato  nei  tribunale,  maladisse  quella  rabbia  fa- 
tale, che  rimontava,'  non  per  ira  de' soldati,  ma  degl' iddìi; 
disse  perché  venuti  erano  gli  ambasciadori  :  1-  ambascieria  vio  • 
lata,  il  grave  caso  indegno  di  Fianco,  Tonta  fattasi  quella 
legione  con  facondia  compianse.  E  lasciatigli  attoniti  più  che 
quetati,  ne  rimandò  gii  ambasciadori  con.iscorta  di  cavalli 
stranieri. 

XL.  In  tanto  periglio  ognuno  biasimava  Germanico  clie 
non  tornasse  ali'  esercito  disopra  ubbidiente,  e  aiuto  con- 
tr"  a' ribelli:  «  Essersi  pur  troppo  errato  con  tante  licenze, 
paghe  e  fregagioni:'  se  di  sé  non  cura,  perchè  tener  il  piccol 
figliuolo  e  la  moglie  gravida  tra  quelle  furie  d' ogni  ragione 
violatrici?  renda  all'avolo  e  alla  republica  questi  almeno.  9 
Egli  doppo  mólto  pensare,  con  molte  lagrime  abbracciando 
quei  figlio  e  '1  ventre  di  lei  ricusante  e  ricordante  che  nata 
era  d' Agnato  e  ne'  pericoli  non  tralignava,  la  svolse  final- 
mente a  partire.  Fuggivasi,  miserabile  donnesco  stuolo,  la 
moglie  del  generale  col  figliuolido  in  collo,  piangendole  in- 
torno le  donne  de' cari  amici  lei  seguitanti,  e  non  meno  le 
rìmagnentì.* 

XLI.  Non  di  possente  Cesare,  né  del  proprio  esercito, 
ma  di  sforzata  città  era  ivi  faccia,  stridore  e  pianto,  che  gli 
occhi  e  gli  orecchi  attrasse  ancora  de'  soldati.  Escono  de'  padi- 
glioni; che  piagnistèo,  che  si  dolente  spettacolo!  donne  illu- 
stri senza  guardia  di  centurioni  0  soldati,  senza  corte,  senz'ar- 

'  *  una  estrema  carica,  Lat  :  «  vim  eitiremam.  m 
S  *  che  rimoniava ,  risorgeva ,  riacceodevaii. 

•  *  fregagioni.  Lat.  :  «  mollibus  consultis.  n  11  Politi  :  «  piacevoli  ri«o- 
Inaioni.  *•  H  Dati:  «  beDÌgne  e  dolci  deliberaiioni.  »  Il  Valerìani;  m  vigliacchi 
partiti,  w  II  Davansati  dipinge. 

*  *  /e  rimaglienti:  traduce  secondo  la  non  ricavata  congettura  del  Lipsio, 
cb«  legge  guof  manebant.  Ma  dee  sUrsi  al  Cod.  mediceo  che  ba  gtiij  e  s' ha  da 
intendere ,  non  le  donne  rimanenti,  ma  Germanico  e  gli  amici  suoi  che  restavano 
divisi  dalle  lor  mogli. 


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34  IL  LIBIO  FUMO  DEGLI  AMMALI. 

redo  da  ìmperadrice,  marciano  a' Treviri ,  agli  strani.  La 
vergogna,  la  pielà,  ia  rimembranza  dell'essere  stato  Agrippa 
padre,  Agosto  avolo,  Druso  soocero;  si  bella  prole,  tanta 
onestà;  e  quel  figlioletto  nel  loro  esercito  nato,  e  tra  loro  al- 
levato, e  con  vocabolo  soldatesco  detto  Caligola,  cioè  Calza- 
ri no,  portando  egli  per  aggradnirsi  i  soldati  menomi  i  loro 
calzari;^  ma  sopra  (atto  V  invidia  verso  i  Treveri  gli  rimorse. 
La  pregano,  rattengono,  torni,  ristèa;*  corrono  a  lei,  tor- 
nano a  Germanico,  il  qaale  da  loro  circondato,  di  fresca  do- 
lore e  d'ira  pieno,  cosi  cominciò: 

XLII.  «  La  moglie  e  '1  figlinolo  non  mi  sono  più  del  pa- 
dre o  della  republìca  a  cuore:  lai  la  saa  maestà;  l'imperio 
romano,  gli  altri  eserciti  difenderanno.  Loro  vi  darei  volen- 
tieri, se  r  ammazargli  vi  fasse  gloria.  Ma  io  li  canso'  del  vo- 
stro farore,  acciocché  se  altro  male  a  far  vi  resta,  lo  lavi  il 
mio  sangue  solo:  né  V  uccidere  il  nipote  d' Agusto  e  la  nuora 
di  Tiberio  vi  facci  più  rei.  E  che  ardito  o  corrotto  a  questi 
giorni  non  avete  voi?  Come  vi  chiamerò  io?^  soldati?  che 
avete  di  steccato  e  d' armi  attorniato  il  figliuolo  del  vostro 
iinperadore?  Cittadini?  eh'  avete  calpesta  V  autorità  del  se- 
nato, e  rotto  quel  che  s'  osserva  a'  nemici, '^  la  santa  ambasce- 
ria e  la  ragione  delle  genti?  Il  divino  Giulio  rinfuzò  la  sedi- 
zion  del  suo  esercito  col  dir  solo,  «  Ah  Quiriti I  d^  a  coloro 
che  non  gli  davano  il  giuramento.  Il  divino  Agusto  col  pi- 

*  i  loro  calzari.  Erano  suola  allacciate  al  piede  ignudo.  I  nobili  portavano 
calcari  ornati  sino  a  meza  ganil>a.  Scipione  in  Cicilia  e  Germanico  in  Egitto,  • 
Gaio  suo  Bglioletto  neir  esercito ,  per  farsi  da' soldati  privati  amare,  portarono 
le  semplici  snoia  allacciate. 

3  *  ristèa,  ristia.  Lat.  :  «  mantrtt.  » 

3  *  li  canso  del  ec.  ;  cioè ,  gli  sottraggo  dal  vostro  ec. 

*  Come  vi  chiamerò  io  T  Pare  levato  di  peso  dalla  diceria  di  Scipione  in 
TitoLivio^lib.  8. 

B  *  e  rotto  quel  che  s'osserva  ec:  m  Avete  rotto  quelle  I<ggi  aneova,  che 
V uno  all'altro  osservano  i  nemici.  »  Dati. 

<  jih  Quiriti  t  Gures  era  la  metropoli  de'Sabihi,  dalla  quale  per  soddisfaxion 
loro,  quando  vcmuro  a  Roma  e  fccesi  di  due  genti  una,  furono  i  Romani  e  i  Sa* 
bini  detti  Quiriti.  Non  chiamò  adunque  Giulio  Cesare  que'  soldati,  Romani,  ma 
Quiriti.  Severo  similmente,  quando  cassavate  legioni  intere,  dava  loro  di  Quiriti* 
come  dice  Lampridio ,  quasi  non  meritassero  nome  di  Romani ,  ma  tenessero  an- 
cor del  Sabino.  Così  dice  ser  Brunetto  Latini,  che  i  nimici  di  Dante,  diaceli  di 
Fiesole  ab  antico ,  Teneano  ancor  del  monte  e  dei  macigno. 


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IL   LIBRO  PBmO  OBGLI  AmiALI.  3K 

glio  e  coD  lo  Sguardo  atterri  ad  Azio  le  legioni.  Noi  non  siamo 
ancor  qnelli  ma  nati  di  quelli,  e  se  il  soldato  spagnnolo  o  so- 
riano ci  schifasse,  sarebbe  strano  e  indegno:  ma  paò  egli  es- 
sere che  la  legion  prima  creata  da  Tiberio ,  e  ta  ventesima 
meco  stata  in  tante  battaglie  tanto  guiderdonata,  rendiate 
questo  bel  merito  al  vostro  capitano? Ho  io  a  dar  qaesta  nuova 
a  mìo  padre  che  da  tutte  altre  bande  V  ha  buone,  che  i  suoi 
nnovi,  che  i  suoi  vecchi  soldati,  non  di  licenze,  non  di  mo- 
neta son  sazi?  Che  qui  non  si  fa  che  uccider  centurioni,  cac- 
ciar via  tribuni,  racchiuder  ambasciadori?  Son  tinti  di  san- 
gue gli  alloggiamenti ,  i  fiumi  ;  e  io  tra'  nimici  ho  la  vita 
per  Dio? 

XLIII.  »Deh  perchè  '1  primo  di  che  io  aringa!  mi  stor- 
ceste voi  di  mano  quel  ferro  che  io  mi  ficcava  nel  petto ,  o 
impradenli  amici?  meglio  e  più  caramente  fece  colui  che  mi 
porse  il  suo  :  io  moriva  senza  sapere  del  mio  esercito  tanti 
misfatti  :  voi  areste  eletto  un  altro  capitano  a  vendicare,  se 
non  la  mia,  la  morte  di  Varo  e  delle  tre  legioni.  Che  a  Dio 
non  piaccia  che  i  Belgi,  quantunque  offerentisi,  abbiano  vanto 
e  splendore  d'aver  soccorso  il  nome  romano,  e  fatto  i  po- 
poli di  Germania  sottostare.  La  mente  tua,  o  divino  A  gu- 
sto, accolta  in  cielo,  Y  imagine  tua  e  la  memoria  di  te ,  o 
padre  Druse,  insieme  con  questi  soldati,  ne'  quali  già  entra 
vergogna  e  gloria,  lavino  questa  macchia,  e  facciano  le  ci- 
vili ire  sfogare  in  ispegnere  i  nimici.  Voi  cut  ora  veggio 
altre  facete,  altri  cuori ,  se  volete  rendere  al  senato  gli  am- 
basciadori ,  air  imperadore  V  ubbidienza»  a  me  la  moglie 
e  '1  figliuolo,  non  toccate  gì'  infètti,  e  separatevi  dagli  scan- 
dolosi.  Questo  vi  terrà  fermi  nel  pentimento,  legati  nella 
fede*  » 

XLIV.  €on  le  mani  alzate  confessando  troppo  veri  i 
suoi  rimproveri,  supplicavano  «che  punisse  i  malvagi,  perdo- 
nasse agli  erranti,  conducesseli  contro  '1  nemico ,  richiamasse 
la  moglie ,  rendesse  alle  legioni  il  lofo  sHievo»  né  si  desse 
per  ostaggio  ai  Galli.»  Rispose  «che  Agrippina  si  scusasse  per 
lo  vicino  parto  e  per  lo  verno  ;  tornerebbe  il  figlinolo:  d  il 
resto  rimise  in  loro.  Tutti  rimutati  scorrono,  e  i  pi&  scan- 
dolosi  legano,  e  tirano  a  Getronio  della  legion  prima  luogo- 


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36  IL  LIBRO  PllMO  DB6U  ANNALI. 

tenente»  il  quale  gli  giudicò  e  pani  in  cotal  guisa.  Stavano 
le  legioni  con  le  spade  ignnde  a  adire  :  il  tribuno  mostrava 
il  cattivo  in  un  rialto:  se  que'  gridavano  «  Egli  è  reo,  »  era 
pinto  giù  e  smembrato.^  E  '1  soldato  ne  godeva ,  quasi  con 
l'uccidere  altrui,  sé  prosctogliesse:  e  Cesare  gli  lasciava 
fare  ;  perchè  non  essendosene  imbrattato,  la  rabbia  rimaneva 
tra' cani. '  Seguitarono  i  soldati  vecchi  l'esempio,  e  poco 
appresso  furon  mandati  in  Rezia  sott'  ómbra  di  difendere  la 
provincia  da'  soprastanti  Suevi,  ma  in  fatto  per  isbarbarli  di 
quegli  alloggiamenti, dove  ancora  stavano  intorati' per  l'aspro 
gastigo  e  per  la  rea  coscienza.  Germanico  rassegnò  i  centu- 
rioni in  questa  maniera:  vemvagli  dinanzi  il  chiamato,  e 
dicea  suo  nome, grado,  patria,  anni  di  milizia,  prove  fatte, 
doni  avuti.  Se  i  tribuni  d'accordo  co' soldati  lo  dicevano 
prode  e  buono,  era  raffermato;  se  avaro  e  crudo,  cassato. 

XLY.  Quietate  cosi  le  cose  ,  ci  restava  non  meno  da 
fare,  con  le  due  feroci  legioni,  quinta  e  ventunesima  sver- 
nanti alle  Vecchie,  *  luogo  indi  lontano  sessanta  miglia,  le 
prime  a  levare  in  capo,  '  de' maggiori  eccessi  commetti trici, 
bizarre  ancora,  né  spaventate  per  la  pena,  né  ricredute  per 
lo  pentere  *  delle  compagne.  Cesare  adunque  mette  a  ordine 


^  smembrato.  Usano  «ncor  oggi  i  Tedeschi  far  passar  tra  lè  picche  i  ]oro 
soldati  degni  di  morte. 

^  *  la  rabbia  rimaneva  tra*  cani.  Il  Lat.  ha  :  «  penes  eosdem  savitiafacd 
et  invidia  erat.  w  «  La  crudeltà  di  questo  fatto  e  tutto  il  carico  che  ne  poterà 
seguire....  appresso  di  loro  si  rimaneva.  »  Dati.  «  Di  loro  era  la  crudeltà  del 
fatto  e  V  invidia,  w  Politi,  a  Su  loro  stessi  l'atrocità  del  fatto  ed  il  carico  rica- 
devane.  *•  Valeriani.  m  Appresso  di  loro  rimaneva  la  crudeltà  et  odio  del  fatto.  » 
Trad.  ined.  del  sec.  SVI  ;  ms.  presso  di  me.  futti  più  nobilmente,  niuno  con 
più  efficacia  del  Nostro. 

3  *  intorati.  Come  da  serpente  si  forma  serpentoso  e  serpenUtre,  usati 
più  volte  dal  Nostro;  e  da  vipera,  inviperito  j  di  cane,  accanito  j  da  falcone,  ria- 
falconirsiit  (come  in  Dante,  Par.,  XY,  115)  da  draco  ,  inarcarsi  (  awentani- 
come  draco);  cosi  da  toro  il  Nostro  forma  intorato  a  significare  acceso  d'ira  capa, 
truce  e  profonda,  quale  suol  concepirsi  dal  tòro^  La  Crusca  l'ha  con  queato  solo 
esempio.  Il  Lat.  dice  :  trucibus  adhue,  *» 

*  *  alle  Vecchie,  Lat.  :  «  Vetera,  »  cioè ,  castra,  che  il  Valeriani  traduce 
Campo  Vecchio sog^i  Feftera,  o  piuttosto,  secondo  altri,  Xanten  nel  ducato 
di  Cleves. 

S  *  levare  in  capo.  Vedi  sop.  la  nota  7  alla  pag.  31. 

^  *  pentere ,  pentire ,  pentimento. 


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IL  LIBBO  PKIMO  DB6L1  AMIALI.  37 

aime,  legni,  aiotì  per  iscendere  per  io  Reno  a  combatterle, 
non  volendo  '  ubbidire.- 

XLYI.  Tutta  Roma  sentendo ,  innanzi  al  pesamento 
d'niiria,  il  movimento  di  Germania,  andò  sozopra,  levando 
i  pezi  di  Tiberio,'  che  mentre  con  quella  sua  canzone  del 
non  accettare  beffava  i  padri  fieboli  e  la  plebe  disarmata , 
gli  eserciti  intanto  si  ribellavano,  e.  credeva  correggerli  con 
duo'  scurisci  teneri  di  duo'  fanciulli  :  >  «  In  persona  doveva 
ire,  e  affacciarsi  con  la  maestà  imperiale  :  avrebbon  ceduto 
alla  vista  del  principe  sommamente  sporto,  rigido  e  rimune- 
rante. Ben  potò  Agosto,  vecchio  e  stracco ,  tante  volte  ire 
in  Germania;  costui  fresco,  prò,  si  siede  in  senato  a  stirac- 
chiare le  parole  de'  padri.  La  città  ò  tale  *  imbrigliata,  ch'ei 
può  andare  a  dar  pasto*  agli  animi  militari,  per  farli  stare 
nella  pace  alle  mosse.  »  " 

XLYII.  Contro  a  si  fatti  parlari  Tiberio  più  si  ostinò  di 
non  volere,  lasciando  il  capo  dell'  imperio,  so  e  quello  arri- 
schiare. Molti  contrari  lo  combattevano  :  «  L'esercito  di  Ger- 
mania è  più  possente,  quel  di  Pannonia  più  vicino  :  quegli 
è  fatto  forte  dalle  Gallie,  questi  a  cavaliere  all'  Italia.  A  quale, 
andrò,  che  l'altro  disfavorito  non  s'accenda?  co' figliuoli 
visiterò  l'uno  e  1' altro,  salva  la  maestà,  da  lontano  più 
riverenda.''  I  giovani  rimettendo  alcune  cose  al  padre,  sa- 

*  *  non  volendo  j  cio^  :  quando  esse  non  volessero  ec. 

'  *  levando  i  pezi  di  Tiberio.  Levare  i  pewi  eli  uoo,  vale  propriamenle 
hcerarlo  a  brano  a  brano  j  ed  in  senso  traslato  signiSca,  sparlare  o  dir  naale  di 
alcuno;  lacerarne  la  fama:  è  proprio  V aliqtiem  proseindere  dei  Latini.  Ma  il 
testo  di  Tacito  ha:  -inctisare  Tiberium.»  Vedi  anche  Jnn.  IH,  59;  XIV,  486. 

5  *  con  duo!*  scurisci  teneri  di  duo' fanciulli  ;  cioè,  coli' autorità  non 
per  anco  matura  di  due  fanciulli.  Lat.  :  m  duorum  adolescentium  nondum  adulta 
tatcioritate.  **  Come  il  bastone  si  piglia  per  segno  dell'  autorità  e  del  comando , 
cosi  il  Davanzati,  dovendo  qui  esprimere  un'  autorità  puerile ,  piglia  il  traslato 
non  dal  bastone ,  ma  dallo  scudiscio  che  è  proprio  cosa  da  ragatzi. 

^  *  è  talcj  e  talmente  ec.  Il  trad.  ined.  :  «  Assai  s' era  provisto  alla  servitù 
della  città  di  Roma,  che  e'  si  doveva  fare  rimedii  a  gli  animi  de'soldati  aciocchè 
e'  voglino  sopportare  la  pace.  *» 

B  *  a  dar  pasto.  Varchi,  JEWro/.  86  :  m  Dar  pasto  è  il  medesimo  che  dar 
panune  e  paroline  per  trattenere  chichessia.  • 

*  *  stare..»,  alle  mosse 3  cioè ,  in  freno,  in  dovere. 

f  Da  lontano  pia  riverenda.  Frate  Bartolomeo  Cavalca  neUi  Jmmae» 
stranienti  dice  a  questo  proposito  con  antica  leggiadria:  a  Giocch'è  in  alto  pò- 
*»  sto,  acciò  sia  in  più  riverenza ,  dee  esser  levato  dalla  comune  usanza.  Ciocché 

I.  4 


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38  IL  LIMO  PBIIIO  DMLI  ANNALf. 

raimo  scasati  :  potrà  egli,  chi  contrastasse  a  Germanico  o  a 
Draso,  mitigare  o  abbattere  :  sprecato  i'imperadore,  ove  ri- 
correremo?» Nondimeno  come  fosse  in  sol  partire,*  fece 
sua  corte,  provvide  salmerfa,  e  legni  armò;  ma  ora  alle- 
gando il  v«*no,  ora  i  negoii ;  poco  i  saggi, '  pia  il  volgo,  t 
dilungo  le  provincie  ingannò. 

XLVIII.  Germanico  era  con  V  esercito  in  punto  per  ga- 
stigare  i  ribelli:  nondimeno  per  dar  loro  ancora  spazio  di 
rinsavire  col  fresco  esempio,  scrisse  a  Cecina  che. veni  va  po- 
deroso; «  se  nonaranno  gastigato  i  ribaldi,  girerà  la  spada  a 
tondo.  B^  Cecina  mostrò  la  lettera  segretamente  agli  alfieri  e 
a'  pia  netti,  pregandoli  a  liberare  ogn'  ono  dall' Infamia,  e 
se  stessi  dalla  morte,  che  nella  pace  si  dà  a  chi  la  mwita, 
ma  nella  guerra  muoiono  buoni  e  rei.  Costoro ,  trovando  ben 
vólti  i  più,  indettato  chiunque  parve  più  atto;  dì  v<^ontà 
del  legato  ordinano  contro  a'  pia  audaci  felloni  un  vespro 
ciciliane,*  e,  datosi  il  segno,  saltano  ne' padiglioni  e  ta- 

M  dUiuato  ^  quello  nella  moltitudine  mirabile  è.  Lo  puleggio  appo  queUi  del- 
»  \*  India  è  più  caro  che  il  pepe.  Ogni  cosa  spessa  diventa  vile  per  mollo  uso. 
M  Sono  dispregiate  esiandio  le  cose  ottime,  quando  non  rade  vengono.  E  le 
w  m<dto  famigliari,  perche  sono  sempre  prette ,  perdono  la  rivcrensai  Per  questa 
»  ragione  l' ottimo  profeta  non  è  accetto  in  sua  patria.  E  piace  più  il  vino  del- 
»  l' oste,  benché  falsato  e  caro,  che  il  puro  di  casa,  i*  (*) 

'  come  fosse  in  sul  partire.  Tiberio  non  volle  mai  discostarsi  da  Roma, 
e  ogn'  anno  faceva  le  viste  di  voler  visitare  li  eserciti  e  le  provincie.  Mettevasi  a 
ordine ,  movevasi,  fermavasi,  tornava  in  dietro  ratto  ratto  come  fa  il  gallo  i  onde 
il  diceano  Gallopie. 

*  *  llLat.  ha:  «  primo pnidentes ,  dein  vulgum,  ditUissime  provincias 
fefellit.  Donde  parrebbe  chiaro  che  invece  di  più  dovesse  leggersi  poi.  Ma  così 
recando  l'edizioni  originali,  e  cosi  chiedendo  la  progressione  usata  dal  traduttore, 
non  l' abbiamo  mutato. 

'  *  girerà  la  spada  a  tondo.  Lat.  :  ««  usuriun  promiscua  ctede:  m  w  voler 
ucciderli  tutti  indifferentemente.  «  Politi.  «  Menerà  strage  indistinta.  »  Vale* 
riani. 

*  itn  vespro  ciciliaho.  Concedasi  alla  somigliansa  del  fatto  l'anacronismo, 
come  a'  pittori  i  santi  di  vari  secoli  insieme  ragionare  o  la  Vergine  adorare.  Quel 
fatto  e  passato  a  noi  in  proverbio ,  e  come  proverbio  e  qui  usato,  e  non  come 
stoi^ia.  Mitridate  fece  a  tutti  i  Romani  un  simil  giuoco  ;  ma  non  h  a  noi  passato 

n  Qaeste  parole  sono  acoonamento  di  varie  sentense  di  Val.  Massimo,  di  Seneca,  di  S.  Gi- 
rolamo, d'Arrìgbetto  da  86tttmdto«e.,  kivafto,  non  seiMa  qaatehe  varieih,  dagli  Ammaegtnonmiti 
di  frate  Bartolommee  da  S.  Coneordio,  DUt.  V ,  e.  4  (?«di  1'  «diz^  di  Firwte,  l&MH;  aè  et  ba 
che  far  onlU  fra  Domeaico  Cavdca,  cadalo  qai  al  Davanzali  per  inavvertenza.  —  In  principio, 
dove  l' altre  edizioni  leggono  mUtrabile,  abbiamo  corretto  a  dirittnra  mirabile;  ma  il  Concordio 
scrisse  notoNU,  te  aKÌne  parole ,  E  piace  più  ec.  dobtt»  sieno  aggiwite  d^l  Bavaanfi. 


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IL  LIBRO  PIIUIO  DB6LI  ANNALI.  39 

glianli  a  pesi  senza  sapere ,  se  non  gì'  indettali ,  perchè.  ^ 
XLIX.  In  quante  civili  arme  far  mai  non  si  vide  tal 
cosa;  oscire  non  a  battaglia^  non  da  nimica  oste,  ma  de'me- 
desimi  letti,  ove  aveano  insieme  il  di  mangiato,  *  la  notte 
dormito;  recarsi  in  parte,  tirarsi  colpi:  quivi  strida,  ferite, 
sangae  manifesto,  cagione  occnlta;  giocava  la  sorte  ;  e  vi 
periron  de'bnoni.  Poiché,  visto  chi  si  voleva, '  anco  i  pessimi 
presero  TarrnL  Né  legato,  né  tribuno  disse,  «Non  più;»  ma 
lasciarli  Tun  l'altro  gastigarsi,  saziarsi.  Germanico  entrò  nel 
campo,  e  con  molte  lagrime  appellando  quella  non  medicina 
ma  sconfitta,  fece  ardere  i  corpi.  In  quelli  ancora  accaniti 
animi  entrò  smania  d' andare  addosso  a*nimici;  vera  purga, 
dieeano,  di  lor  pazia;  né  potersi  l' anime  de' compagni  morti 
placare ,  se  non  ricevendo  negli  empi  petti  gloriose  ferite. 
Cesare  secondando  T  ardore,  gittò  un  ponte,  e  passò  dodici- 
mila fanti  nostrali,  venzei  coorti  d' aiuti,  otto  bande  di  ca- 
valli, state  modestissime  in  qne'romori. 

L.  Poco  lontano  erano  i  Germani  tutti  allegri ,  veden- 
doci prima  nelle  ferie  d'Agusto,  *  poi  nelle  discordie  impa- 
niati. Ma  i  Romani  a  gran  passi  attraversata  la  selva  Cesia, 
in  sul  termine  *  da  Tiberio  cominciato  accampano  e  fortifi- 
cano la  fronte  e  le  spalle  di  steccato,  i  fianchi  di  tagliate 
d' alberi.  Iodi  passano  la  buia  foresta ,  e  consultano  tra  le 
due  vie,,  quale  da  tener  fosse,  la  corta  e  usata,  o  l' impedita 

in  proverbio.  Oltre  a  ciò  ben  posso  io  nsare  tale  anacronismo  poiché  anche  Tito 
livio  rasò,  facendo  nei  secondo  libro  lamentarsi  uno  tenuto  per  delitto  in  certa 
dnra  aoiru  dì  prigione ,  chiamaU  Ergastuii^  naati  al  tempo  di  livio,  ma  non  di 
^el  prigione.  Vedi  il  Lipsie  negli  Eletti  «  lìb.  2,  cap.  15.  (*) 

*  *  perchè.  Questo  perchè  non  rende  per  verità  tutto  intero  il  concetto  di 
Tacito,  che  dice  :  «•  nullo.,.,  nascente  quod  cadis  initium,  tjuisjmis.  » 

*  letti,  ove...,  mangiato.  Come  i  Romani  nel  letto  mangiaaaero,  e  come  stes- 
sero i  loro  triclini,  vedi  l'Agostini,  Messer  Fulvio,  il  Liptio  e  altri  moderni. 

*  *  visto  chi  si  voleva  j  cioè,  vistosi  da'  cattivi  che  i  cercati  a  morte  erano 
essi  9  presero  essi  pure  le  armi ,  e  cosi  furono  spenti  anche  de'buoni. 

*  *  nelle  ferie  d*Jgtisto$  cioè,  per  la  morte  d'Augnato. 

'  *  termine  era  nn  argine  che,  in  difetto  d' altro  limite  naturale ,  segnava 
il  conSne  dell'impero  e  serviva  a  fronteggiare  i  barbari.  Esso  fu  non  solo  cornine 
ciato  ma  compiuto  da  Tiberio;  giacché  il  ctpptum  del  testo  equivale  t  factum. 

n  mm  99spr9  eieiliano,  cioè  ana  strage  generale ,  qoal  fa  quella  che  si  fece  dei  Fraaeesl 
in  SeUia  il  80  mano  I2B3.  Sebbene  ti  Davaoiati  nella  soperiore  postilla,  e  dopo  Ini  il  Cesari 
(pret  a  Tef«asio>,  ti  ffenino  di  gtvslilean  simitt  aeacreaisal  nel  tradwia  gU  anlieU,  pen 
e*  MB  potranno  mai  salvarsi  dal  ridicolo. 


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40  IL  LIBRO  MIMO  DSCLI   ANNALI. 

e  dismessa  e  perciò  non  guardata  da'  nimici.  Presero  la  longa 
con  affrettare  ii  restante;  perchè  gli  spiatori  riferivano,  quella 
notte  i  Germani  essere  in  solenne  feHa,  conviti  e  giuochi. 
Cecina  fu  mandato  innanzi  con  gente  leggiera  a  diboscare  il 
cammino:  seguitavano  poco  addietro  le  legioni  favorite  dal 
sereno  della  notte:  arrivati  a' borghi  de'Marsi,  accerchiano 
le  poste:  trovangli  per  le  letta  e  lungo  le  mense  spensierati, 
senza  sentinelle,  né  ordini  di  guerra,  in  una  sciocca  pace 
ancora  avvinazati  poltrire. 

LI.  Cesare,  perchè  le  avide  legioni  predassero  più  pae- 
se, le  sparti  in  quattro  punte:  *  cinquanta  miglia  d'intorno 
misero  a  ferro  e  fuoco:  non  si  guardò  a  sesso,  età,  sagro  o 
profano ,  e  quel  Tanfana  loro  famosissimo  tempio  fu  disolato  : 
de' nostri  ninno  ferito,  avendogli  tagliati  come  pecore  son- 
nacchiosi, disarmati  e  sfilati.  A  tanta  strage  si  levare  i  Brut- 
teri,  Tubanti  e  Usipeti,  e  presero  i  boschi ,  onde  l'esercito 
poteva  tornarsene.  Del  che  avvisato  il  capitano,  marciò  in 
battaglia,  parte  della  cavalleria,  con  la  fanteria  d'  aiuto  in- 
nanzi: seguitava  la  legion  prima:  a  sinistra, con  le  bagagiie 
in  mezzo ,  la  ventunesima  ;  a  destra  la  quinta,  e  la  ventesima 
alle  spalle:  il  resto  de' forestieri  alla  coda.  I  nimici  fermi, 
gli  lasciarono  imboscare:  poi  bezicata  la  fronte  e  i  fianchi, 
corsero  con  tutto  lo  sforzo  alla  coda,  e  con  serrate  frotte 
rompevano  i  fanti  leggieri  ;  quando  Cesare  spronò  a'  vente- 
simani  e  gridò:  «Ora  è  ii  tempo  di  scancellar  la  sedizione: 
su  via,  convertite  la  colpa  in  gloria.  »  Avventansi  afibcati 
al  nimico,  e  quello  incontanente  rotto  e  pinto  nell'  aperto , 
ammazano.  La  vanguardia  subitamente  usci  del  bosco  e 
afforzossi.  Il  cammino  fu  poi  quieto;  e  i  soldati  affidati 
ne'  fatti  ultimi  ,  con  dimenticanza  de'  primi  furono  rimessi 
alle  stanze.  ' 

LII.  Tali  avvisi  diedero  a  Tiberio  allegreza  e  pensiero. 
Rallegravasi  della  sedizione  spenta:  ma  l'essersi  Germanico 
sbraciando  '  danari  e  licenze  procacciato  il  favor  de'soldati, 
e  la  cotanta  sua  gloria  d'arme,  lo  trafiggevano;  pure  in  se- 

'  *  pwnìe*  Punfa  yale  schiera ,  branco  j  ma  forse  il  Davamatì  ha  voluto 
esprimere  la  forma  de'  cunei  del  testo,  che  sono  schiere  appuntate. 
'  *  sbraciando,  prodigando. 


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IL  LIBRO  PRIMO  DR6LI  ANNALI.  Ai 

nato  contò  le  cose  seguite,  e  molto  disse  della  virtù  di  lai 
con  parlare  stimato  più  beilo  che  di  caore.  Lodò  Druse  e  la 
fine  del  movimento  d' Illiria  con  meno  pardo,  ma  più  calde 
e  vere  :  e  qoantanqoe  fu  largheggiato  da  Germanico,  *•  ancora 
in  Pannonia,  mantenne. 

LUI.  Nel  detto  anno  mori  Ginlia,  confinata  per  sue  di- 
sonestà da  Agosto  neir  Isola  Pandateria,  poi  a  Reggio  in  su 
lo  stretto  del  mare  di  Cicilia.  Fu  moglie  di  Tiberio ,  viventi 
Gaio  e  Lucio  Cesari,  e  lo  sfatava' come  da  meuQ:  cagione  la 
più  intrinseca  del  ritirarsi  a  Rodi  :  com'  ei  fu  imperadore , 
lei  scacciata,  svergognata,  e,  morto  Agrippa  Postumo,  dispe- 
ratissima, fece  marcire  di  lungo  slento:  parendole  '  nascon- 
dere *  nel  lungo  tenerla  viva  '  T  uccisione.  Crudeltà  usata  per 
simil  cagione  a  Sempronio  Gracco  di  casa  grande,  ingegno 
destro,  eloquenza  dannosa,  il  quale  con  detta  Giulia  si  gia- 
cca, quando  era  moglie  di  Agrippa:  e  poiché  di  Tiberio  fu, 
lo  pertinace  adultero  Taizava  a  disubbidire  e  imperversar 
col  marito;  e  si  tennero  da  lui  dettate  le  lettere  che  ella  scrisse 
ad  Agusto  suo  padre  velenose  contro  a  Tiberio.  Sostenuto 
adunque  in  Cercina,  '  isola  del  mar  d'  Affrica,  quattordici 
anni,  fu  allora  dagli  ammazatori  trovato  a  una  vedetta  di 
mare,  che  fiere  novelle  aspettava.  Ottenuto  spazio  di  scri- 
vere alla  moglie  AUiarìa  sue  ultime  volontà,  porse  la  testa: 
non  indegno  nei  costante  morire  del  nome  Sempronio ,  che 
nel  vivere  avea  macchiato.  Scrive  alcuno  che  que'  soldati 

'  *  qtumUmquMfu  largheggiato  ec,  tutte  le  largisioai  fatte  da  Germa- 
nico mantenne. 

'  *tfaiava,  dispregiava. 

'  *  parandoU  j  cioè,  |iarendo  a  Tiberio.  È  corioio  quest'  uso  del  pronome 
ìe  pel  mascolino.  Frequentissimo  è  nelle  stampe  Marescoltiana  e  Giuntina.  Vedi 
le  Varianti  in  fine  lib.  I,  e.  i6.  Dipoi  corresse ,  tranne  in  questo  e  in  pochi  altri 
luoghi,  forse  per  dimenticiwa.  Trovasi  qualche  rara  volta  anche  nelle  lettere  di 
Torquato  Tasso. 

A  nascandere....  l'tiecisiona.  Così  trattò  ancora  Asinio  Gallo ,  mettendogli 
(si  come  altri  dicono  )  per  forse  tanto  cibo  che  non  lo  lasciasse  morire.  E  pregato 
di  trar  d' affanni  on  altro ,  disse  ;  AdagiOt  io  non  gli  ho  ancor  perdonato  :  come 
colai  che  dava  la  vita  per  pena  e  la  morte  per  grazia. 

B  *  nel  litngo  tenerla  viva.  Si  scosta  dal  testo ,  che  ha  longinquitate 
exsilii.  Neil'  esemplare  Nestiano  di  Gino  Capponi  è  corretto  a  penna  cosi  :  «  pa- 
rendoli nascondere  nella  lontananu  dell'esilio  l'uccisione.  » 

«  •  Kerheni. 

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42  IL  LIBRO  PRIMO  DBOLI  ANNALI. 

non  venner  da  Roma,  ma  da  L.  Asprenate  vlceconsolo  in 
AflVica,  per  ordine  di  Tiberio  che  vanamente  credette  ad- 
dossargli la  voce  di  cotal  morte. 

LTV,  Nel  medesimo  anno  cominciò  la  nuova  religione 
de' sacerdoti  agustali,  ad  esempio  dì  Tito  Tazio  che  i  Tazi 
ordinò  per  mantenere  V  uflciatura  Sabina.  ^  Tiberio,  Druso , 
Claudio,  Germanico  furo  eletti:  e  ventuno  de' primi  della 
città  tratti  per  sorta.  Cominciò  ancora  la  festa  agustale  a 
guastarsi  per  le  gare  degli  strioni.  Agusto  l'aveva  compia- 
ciuta a  Mecenate  spasimato  di  Batillo:  né  anche  tali  feste 
fuggiva,  parendoli  umanità  frammettersi  ne'  diletti  del  volgo. 
Tiberio  non  la  'ntendeva  cosi  ;  ma  non  ardiva  quef  popolo 
tanti  anni  vezeggiato  per  ancora  aspreggiare. 

LV.  (A.  di  R.  768.  di  Gr.  15.)  Nel  seguente  consolato  di 
Druse  Cesare  e  Gaio  Nerbano  fu  stabilito  a  Germanico  11  trion- 
fo, pendente  la  guerra  la  quale  ordinava  con  ogni  sforzo  per 
la  vegnente  state;  ma  egli  anticipò,  e  corse  all'  entrar  di  pri- 
mavera ne'  Gatti,  sentendo  i  ni  mici  In  parte,'  seguitando  chi 
Arminlo  chi  Segeste ,  a  noi  sommamente  1'  un  perfido,  l'al- 
tro fedele.  Arminlo  ci  ribellava  la  Germania  :  Segeste  più 
volte  ce  ne  avverti;  e  nell'ultimo  convito,  avanti  la  guerra 
rotta,  consigliò  Taro  a  farvi  prigioni  lui  e  Arìnlnio  e  gli  al- 
tri capi,  perchè,  levati  quelli,  la  plebe  nulla  oserebbe,  e  ri- 
conoscerlensi  poscia  ì  complici  dagli  amici.  Ma  il  fato  e  la 
forza  d' Arminlo  ci  tolse  Varo.  '  Segeste  fu  a  quella  guerra 
tirato  dagli  altri;  ma  non  convenivano ,  per  lor  privali  odii 
rinciprìgnili.*  Arminìo  gli  aveva  rapito  la  figliuola  fidanzata 
a  un  altro  ;  odioso  genero  di  nimico  suocero  ;  e  que'  che 
tra' benevoli  son  legami  d'amore,  erano  mantici  alle  loro  ire. 

LVI.  Diede  adunque  Germanico  a  Cecina  quattro  legio- 
ni, cinquemila  fanti  d'aiuto,  e  li  Germani  racoogliticei  di 
qua  dal  Reno:  altrellanle  legioni  e  doppi  aiuti  guidò  egli:  e 

'  *  Puficiatur a  Sabina^  i  riti  sacri  dei  Sabini. 

'  *  fn  parte s  cioè,  esser  divisi  ip  parte;  ^arteggiantL 
•  8  *  Il  iat.  ha:  «  sed  F'arasfato  et  vi  Arminii  cecidit  -  E  fato  ci  pare  me- 
glio tradotto  dal  Dati:  «  Ma  Varo,  come  volse  Iddio,  e  per   violema  d'Ar- 
minio  mori.  » 

*  *  «  Segeste ,  ancorché  tirato  alla  guerra  dall'unione  di  quella  gente,  stava 
nondimeno  coiranimo  alienato,  m  Politi. 


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IL  LIBRO  PttlMO  DBQLI  ANNALI.  43 

piantalo  an  castello  sopra  le  moricce  *  di  on  forte,  che  fece 
il  padre  nel  monte  Tanno,  menò  volando  l' esercito  spedito 
ne' Catti  per  istrade  asciutte,  e  fiomane  basse:  perchè  quel- 
r  anno  (miracol'  in  quel  paese  )  non  piovre.  E  perché  al  ri- 
torno s'aspettava  il  rovescio,  lasciò  L.  Apronio  a  rassettare 
strade  e  ponti.  Giunse  a'  Catti  si  repentino  che  tutti  i  deboli 
per  età  o  sesso  prese  o  uccise.  La  gioventù  passò  a  nuoto 
r  Adrana,  e  impediva  i  Romani  farvi  un  ponte.  Cacciati  con 
manganelle  e  quadrella,  invano  chiedevano  accordo.  Parte 
rifuggi  a  Germanico:  gli  altri,  lasciati  i  borghi  e'viliaggi,  si 
dispersero  per  le  selve.  Cesare  arse  Mattio  lor  metropoli , 
saccheggiò  la  campagna  e  trasse  al  Reno,  senza  dargli  il  ni- 
mico alla  coda,  com'ei  fa  quando  fugge  per  astuzia  e  non 
per  paura.  Volevano  i  Cheruscì  aiutare  i  Catti ,  ma  Cecina 
qua  e  là  sopraccorrendo  gli  sbigotti;  e  i  Marsi,  che  ardirò 
attaccarsi,  vinse  e  rincacciò. 

LYII.  Da  Segaste  vennero  tosto  ambasciadori  a  chiedere 
aiuto  contra  i  popoli  suoi,  *  che  V  assediavano,  pregiando  più 
Arminio  che  consigliava  la  guerra:  conciosstachè  que'barbari 
lo  più  ardito  tengono  più  reale  e  ne'  travagli  migliore  ;  con 
essi  ambasciadori  venne  Segimondo  figliuolo  di  Segeste  a 
malincorpo:  perchè  l'anno  delle  rivoltate  Germanie,  fatto 
sacerdote  all'  altare  degli  Ubii  stracciò  le  bende  e  fuggissi 
a'  ribelli.  Ma  dicendo  il  padre  che  sperasse  nella  clemenza 
romana,  ubbidì  :  fu  accollo  benignamente  e  mandato  con 
guardia  alla  riva  della  Gallia.  A  Germanico  mise  conto  vol- 
tare: abbattè  gli  assedianli,  e  Segeste  cavò  con  molti  pa- 
renti e  seguaci  e  nobili  donne;  tra  l'altre  la  moglie  d'Armi- 
nio,  figliuola  di  Segeste,  '  partigiana  non  sua  ma  del  marito, 
non  piangeva ,  benché  vinta,  non  chiedea  mercé,  ma  con  le 
mani  strette  al  petto  affisava  il  suo  gravido  corpo.  Eran  por- 
tate spoglie  della  rotta  di  Varo  già  date  in  preda  a  molti  di 

*  *  moricce.  Moriccia  o  murìccia  h  dimiDutivo  di  mora,  macchio  di  saisi: 
qui,  per  moricce,  intende  le  mura  scauinate  e  rotte  di  qnel  castello. 

*  *  contra  i  popoli  giioi.  U  Lat  ha  :  «  adversus  vim  popuiarium  j  »  cioè , 
de'raol  compaesani;  o  se  non  si  tnol  questa  voce,  che  non  h  ad  Vocabolario, 
diciamo  compatriotti ,  che  il  Davanxati  usa  più  volte  in  questo  Tolgarìna- 
mento. 

'  *  Chiamavasi  Tontvdda.  (Strab.  VII,  ì,  A.) 


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44  IL  LiBKO  ramo  dbgli  annali. 

qaei  medesimi  che  allora  venieno  prigioni.  Venne  lo  stesso 
Segeste  di  gran  presenza,  e^  dalla  buona  sua  colleganza  fallo 
sicuro,  disse  : 

LYIfl.  f  Non  è  questo  il  primo  giorno  che  io  mostro  al 
popolo  romano  ferma  fede..  JDa  che  il  divo  Aguslo  mi  fece 
cittadino,  non  ho  voluto  né  amico  né  nimico,  se  non  utile  a 
voi;  non  per  odio  della  patria,  perchè  i  traditori  dispiacciono 
ancora  a  cui  servono;  *  ma  per  conoscer  ciò  utile  a  voi  e  noi , 
e  amava  la  pace  più  che  la  guerra.  Perciò  Arminio ,  che  a 
me  rubò  la  figliuola,  a  voi  ruppe  la  lega,  accusai  a  Varo 
vostra  capitano.  Trattenuto  dalla  sua  lenteza,*e  poco  spe- 
rando dalle  leggi ,  il  pregai  che  legasse  Arminio,  i  congiu- 
rali e  me:  sa^losi  quella  notte:  fossemi  ella  slata  ultima  I  ' 
Il  seguilo  dappoi  posso  piangere  più  che  difendere:  ho  messo 
le  catene  ad  Arminio  e  Tho  patite  dalla  sua  fazione.  Ora  che 
tu  me  ne  dai  prima  il  potere,  ripiglio  f  antica  fede  e  voglia 
di  quiete,  non  per  mio  prò  ma  per  iscarico  di  lradigione;-*e 
perchè  io  sarò  buono  a  rappaciarvi  con  la  gente  germana, 
ov'  ella  voglia  anzi  penlersi  che  sprofondare.  Del  giovenile 
errore  di  mio  figliuolo  li  chieggo  perdono:  la  mia  figliuola  è 
qui  per  for^a,  io  io  confesso,  ma  vedi  quel  che  più  vaglia,  o 
r  essere,  incinta  *  d' Arminio,  o  nata  di  me.  »  Cesare  beni- 

'  *  perchè  i  traditori  ec.  m  Notabile  è  l' esempio  del  daca  di  Medina  Si- 
donia,  al  tempo  di  Carlo  V  e  '1  duca  Carlo  di  Borbone,  che  recusò  a  dare  il  suo 
palano  ad  un  traditore ,  dicendo  che  sua  maestà  era  padrona,  ma  subito  rhe  il 
duca  di  Borbone  ne  foste  uscito ,  egli  v'avrebbe  appiccalo  il  fuoco.  Boccone 
amaro  anche  al  presente  principe  di  Condè.  »  P.  Pietri»  Post.  mss. 

S  *  G.Dati;  «  temporeggiato  dalla  sua  leoteua  e  tardità.  *»  Adr.  Politi: 
M  perdutasi  quell'occasione  per  dappocaggine  del  capitano.  » 

S  *  Vedi  cap.  LV. 

*  per  iscarico  di  tradigione.  Lat.:  «  ut  meper^dia  exsoham.  »  La  trad. 
del  Dati  può  esser  comento  a  questo  luogo  :  «  Nondimeno ,  tosto  che  io  ho  pos- 
suto  del  braccio  tuo  valermi ,  lasciato  le  novità  e  i  tmnulti ,  son  tornato  all'osata 
mia  quiete  :  e  questo,  non  per  premio  alcuno  ch'tó  speri  di  conseguire ,  ma  per 
purgarmi  d'ogni  difetto  e  mancamento ,  e  poter  essere  ancora  buon  menano  a 
impetrar  venia  e  pace  a  tutta  la  naiion  de'Germani  ec.  w 

S  Incinta.  Inoientes,  da  cieo  cies,  dicevano  i  Latini  antichi  le  donne  gravide 
quando  hanno  le  doglie.  I  nostri  dicevano  incinte  le  gravide  generalmente.  Non 
rincingaf-àìct  il  maestro  Aldobrandino;  perciocché  femmina  incinta  quando  allatta, 
uccide  il  fanciullo.  Giovacchino  Perionio  fa  derivare  questa  voce  dal  greco  cv)]uo(  : 
e  nòbile,  h  generosa,  è  una  di  quelle  che  dalle  molte  nuove  o  straniere  condotteci 
dal  traffico  e  dalla  corte ,  sono  state  sopraffatte  e  quasi  erbe  ottime  affogate  tra  le 


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IL   LIBRO  PRUO  DEGLI  ANNALI.  45 

gnamente  promise  perdonare  a'  suoi  figlinoli  e  parenti,  e  lui 
rimellere  nei  sao  stalo  antico.  Ricondusse  T esercito,  e,  per 
ordine  di  Tiberio,  fa  gridalo  imperadore.  La  moglie  d'Armi- 
nio  partorì  un  figliuolo,  il  quale  allevato  in  Ravenna,  che 
strazio  di  fortuna  fusse ,  dirò  al  suo  tempo. 

LIX.  Le  novelle  dì  Segeste  datosi  e  accarezato,  diedono 
speranza  o  dolore  a  chi  fuggiva  o  bramava  la  guerra.  Armi- 
nio,  violento  per  natura,  or  vedendosi  la  moglie  tolta,  e 
schiava  la  sua  creatura  prima  che  nata,  correva  per  li  Che- 
rosei  qua  e  là  forsennato,  arme  contr'  a  Cesare,  arme  contr'  a 
Segeste  chiedendo,  né  temperava  la  lingua:  «  Valente  padre, 
magno  imperadore,  possente  esercito,  che  hanno  fatto  con 
tanta  gente  di  una  donnicciuola  conquisto  I  Tre  legioni  e 
tre  legati  atterrai  io,  che  non  guerreggio  con  tradigióni  né 
con  donne  pregne,  ma  a  viso  aperto  con  cavalieri  e  armati. 
Ancor  si  veggono  .ne' germani  boschi  le  insegne  romane  che 
io  appesi  a'  nostri  iddìi.  Steasi  Segeste  in  quella  sua  vinta 
ìriva  :  rimetta  le  bende  al  figliuolo:  non  sia  Germano  che  glìel 
perdoni  di  aver  fallo  vedere  Ira  1'  Albi  e  il  Reno  verghe , 
scuri  e  toga.  '  L' altre  nazioni  che  non  conoscono  imperio 
romaDo,.non  hanno  provato  supplizi,  non  sanno  ragionar  di 
tributi.  Or  noi  che  gli  abbiamo  scossi,  e  rimandatone  scor- 
nato quello  indiato  Agusto,  '  quello  eletto  Tiberio^  non  te- 
miamo di  un  giovanastro  novello  o  di  un  esercito  abbottì- 
nato.  Se  la  patria,  il  sangue,  i  riti  antichi  vi  son  più  cari  che 
i  padroni  e  le  nuove  colonie,  seguitate  più  tosto  Arminio  dì 
gloria  e  di  libertà,  che  Segeste  di  brutta  servitù  capitano.  » 

LX.  Mossero  tali  spronate  non  pure  i  Cherusci  ma  i  vi- 
cini, e  seco  trassero  Inguiomero  zio  paterno  di  Arminio,  di 
antica  autorità  co'  i  Romani.  Onde  Cesare ,  più  dubitando , 
per  fuggire  la  carica  di  tutta  la  guerra,  insieme  mandò  Ce- 
cina con  quaranta  coorti  romane  per  li  Brutteri  al  fiume 
Amisìa,  per  tener  disgiunti  i  nimicì:  Pedone  capitano  vi  con- 

malvagie,  le  qnali  si  vorrebber  larchiarci  quando  spuntano ,  e  più  tosto,  volendo 
la  lingua  anriccfaire,  spolverare  i  libri  antichi ,  e  servirsi  delle  gioie  nostre  ripo- 
•te  ;  che  ci  farebbero  onore. 

'  *  Accenna  al  tribunale  da  Varo  quivi  eretto  e  procacemente  tenuto. 

'  indiato  jé gusto,  transumanato;  parole  formate  da  Dante.  Qui  conve»* 
gono  molto  ad  Arminio  feroce ,  irato,  gloriante  se^  e  deridente  Agusto. 


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46  IL  LIBHO  PRIMO  DEGÙ  ANNALI. 

dosae  i  cavalli  per  la  Frisia:  egli  con  quattro  legioni  vi  na- 
vigò per  li  laghi:  cosi  a  quel  fiume  fecero  massa  fanti,  Ca- 
valli e  legni.  I  Ganci  si  offersero,  e  foron  ricevuti  in  aiuto. 
I  BrutteH,  che  il  paese  proprio  abbruciavano,  Airon  rotti  da 
Stertinio,  mandatovi  con  gente  leggiera  da  Germanico.  Nel 
predare  ed  uccidere,  trovò  l'aquila  della  legione  diciannove- 
sima che  Varo  perde:  l'esercito  n'  andò  al  fine  de'  Bratteri, 
e  quanto  paese  è  tra  V  Amisla  e  la  Luppia  guastò,  non  lungi 
dal  bosco  di  Teubergo,^  dove  si  diceva  essere  allo  scoperto 
Tossa  dì  Varo  e  delle  legioni. 

LXI.  Onde  a  Cesare  venne  desio  di  seppellirle  :  tutto 
l'esercito  ivi  compianse  i  parenti,  gli  amici,  i  casi  della 
guerra,  la  sorte  umana.  Mandò  Cecina  a  riconoscere  il  bosco 
a  dentro,  e  far  ponti  e  ghiaiate'  a'  pantani  e  a' fanghi. Vanno 
per  que' luoghi  dolenti  di  soza  vista  e  ricordanza.  Ricono- 
scovasi  il  primo  alloggiamento  dì  Varo  dal  circuito  largo ,  e 
dalle  disegnate  principia  *  per  tre  legioni.  Inoltre  nel  guasto 
steccato  e  piccol  fosso  si  argomentavano  ricoverate  le  rotte 
reliquie:  biancheggiavano  per  la  campagna  Tossa  ammonti- 
celiate  o  sparse,  secondo  fuggili  si  èrano  o  arrestati  :  per 
terra  erano  pezi  d'arme,  membra  di  cavalli,  e  a'tronconidi 
alberi  teste  infilzate;  e  per  le  selve  orrendi  altari,  ove  furon 
sacrificali  i  tribuni  e'  centurioni  de'  primi  ordini.  Gli  scam- 
pati dalla  rotta  o  di  prigionia  contavano  :  «  Qui  caddero  i  le- 
gati, qua  furon  V  aquile  tolte,  là  Varo  ebbe  la  prima  ferita, 
colà  si  fini  con  la  sua  infelice  destra:  in  quel  seggio  Arminìo 
orò:  quante  croci ,  quali  fòsse  per  li  prigioni:  che  schemi  al- 
T aquile  e  alT insegne  feo  T  orgoglioso!» 

LXII.  E  cosi  Tanno  sesto  della  sconfitta^  il  romano  eser- 
cito seppelliva  T  ossa  deHe  tre  legioni,  ninno  riconoscente  le 
cui  :  tutte  come  di  parenti ,  come  di  congiunti  (con  tanta  più 
ira  e  duolo)  le  rìcoprieno.  Cesare  gittò  la  prima  zolla  per  lo 

*  *  TenbergOj  Teutoburgo. 

S  *  ghiaiate.  Il  Lat.  ha  ;  «  aggeres,  »  argini  o  texrapicni. 
S  principia.  Vedi  la  postilla  settima  del  cecondo  libro,  C)  per  la  dichiara* 
zione  di  questa  voce. 

*  *  Era  accaduta  il  settembre  del  763 ,  e  questo  avveniva  nella  primavera 
del  768. 

n  Di  questa  edicionei  pag.  69,  n«ta  1. 

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IL  LIBBO  PBlllO  DEGLI  ANNALI.  47 

sepolcro,  gratiAshna  piota  a' defunti,  e  ai  rivi  affratellanza 
Bel  duolo.  Qoeito  a  Tiberio  non  piacque ,  o  perchè  egH  ciò 
che.faoeva  G^manlco,  tirasse  ai  peggiore,  o  gli  paresse  la 
rimembranza  de' compagni  rivedati  in  pezi  o  avanzati  alle 
fiere  aver  l'esercito  scorato  del  combattere  e  spaventato  de'ni- 
mici:  nò  aver  dovuto  l'imperadore,  eon  l'agorato  e'sacri  or- 
dini antichisBimi  addosso,  brancicar  morti. 

JLXIII.  Ritirandosi  Arminio  per  istrane  vie,  Germanico 
gli.  tenne  dietro,  e,  quanto  prima  potè,  spinse  i  cavalli  a  cac- 
ciarlo d'un  piano  ove  si  era  posto.  Arminio  fatti i  suoi  ristri- 
gnere  e  accostare  alle  selve,  voltd  subito  faccia,  e,  dato  il 
segno,  l'agguato  postovi  saltò  fuore.  Ruppe  questa  nuova  bat- 
taglia i  cavalli;  fanti  si  mandare  a  soccorrerli  che ,  traporlati 
dai  foggenti,  crebbero  lo  spavento:  ed  erano  pinti  '  in  un  pan- 
tano a'  vincitori  usato,  per  li  nostri  doloroso ,  se  Cesare  non 
si  presentava  con  le  legioni.  Ciò  diede  terrore  al  nimico  e 
ardimento  a'  nostri,  e  ritirossi  ciascuno  del  pari.  Poi  ricon- 
dotto r  esercito  airAmisia,  riportò  per  acqua,  come  vennero, 
le  legioni,  e  parte  de' cavalli  lungo  il  lite  dell'oceano  andò 
al  Reno.  Cecina,  che  coi  suoi  tornava  per  la  usata  via,  ebbe 
ordine  di  spacciare  il  cammino  per  Pontilunghi.  Questo  è  un 
sentiero,  che  L.  Domizio  fabbricò  sopra  larghe  paludi  e  mem- 
me  e  fitte  tenaci  o  fiumicelli  sfondanti,  con  dolci  colline  bo- 
scate  intomo,  le  quali  Arminio  empiè  di  gente ,  corsa  per 
tragetti  innanzi  a' nostri  carichi  d'arme  e  di  bagaglio* Cecina 
per  rifare  i  ponti  rotti  dal  tempo,  e  discosto  tenere  il  nimico, 
ivi  pose  il  campo,  parte  a  combattere  e  parte  a  lavorare. 

LXIV.  I  barbari  per  isforzar  le  guardie,  e  passare  a'ia- 
voranti ,  badaluccano,  '  accerchiano,  affrontano,  con  grido  di 
lavoranti  e  combattenti,'  e  ogni  cosa  contro  a' Romani:  fango 
profondo ,  terreo  tenero  e  sdrucciolante,  corpi  gravi  di  co- 
raze,  né  fra  l'acque  poteano  i  dardi  lanciare:  làdovei  Che- 
rusci  avevan  pratica  di  combatter  ne'  paludi,  stature  alte, 
aste  lunghe  da  ferire  da  discosto.  La  notte  alla  fine  ritrasse 

<  *  erano  pinti  j  cioè|  fitarano  per  esser  piati. 
3  *  badaluccano.  Lai.  :  «  lacessunt.  » 

'  *  con  grido  ec.  ;  cioè,  come  traduce  il  Dati,  «  mescolandosi  le  grida 
de'  lavoranti  col  romor  de'  combattitori.  » 


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n 


48  IL   LIBRO  PRIMO  OVOLI   ANNALI. 

da  infelice  mischia'  le  legioni  che  già  piegavano.  I  Germani 
per  tal  prosperità  non  curando  straccheza  né  sonno,  totte  le 
acque  de'  circondanti  colli  voltarono  a  basso,  le  quali  coper- 
sero il  terreno:  rovinò  il  lavorio  fatto,  e  la  fatica  raddoppiò 
a'  soldati.  Qaarant'anni  alla  guerra  aveva  Cecina  tra  ubbidito 
e  comandato;  e  come  a^vezo  a  fortune  e  bonacce,  senza  per- 
dersi, pensando  allo  innanzi ,  ^  non  trovò  meglio  che  ratte- 
nere  il  nimico  ne' boschi  tanto  che  i  feriti  e  gli  altri  impacci 
avviati  Bgombrassono  quel  piano,  tra  i  colli  e  le  paludi ,  che 
non  capea  battaglia  grossa.  Toccò  alla  legion  quinta  il  destro 
lato,  alla  ventunesima  '  il  sinistro,  e  alla  prima  e  alla  vente- 
sima capo  e  coda.  '. 

.  LXy.  La  notte  non  si  dormi  per  cagioni  contrarie:  i 
barbari  in  festa  e  stravizi,  con  allegri  canti,  o  urli  atroci 
rintronavano  le  valli  e'  boschi.  I  Romani  con  fuochi  piccini, 
voci  interrotte,  giaceano  sotto  i  ripari  o  s'aggiravano  intorno 
alle  tènde  con  gli  occhi  aperti  anzi  che  desti; e  per  un  sogno 
orrido  s' arricciarono  al  capitano  i  capelli.  Parevagli  vedere 
Quintino  Varo  uscir  su  di  quelle  paludi*  grondante  di  sangue 
e  dire,  «Vienne;»  ma  non  aver  voluto,  e  la  man  portali, 
risospinto.  A  giorno  le  legioni  poste  alle  latora  per  codardia 
o  miscredenza,  *  lasciato  il  luogo,  corsero  all'  asciutto.  Armi- 
nio  non  le  investi,  come  poteya  in  quel  ponto,  ma  ristette 
si  vide  '^  il  bagaglio  nel  fango  e  ne'  fossi  impaniato,  i  soldati 
intorno  rinfnsi,  ninno  riconoscer  insegna,  ciascuno,  come 
in  casi  simili,  di  sé  sollecito  e  all'  ubbidire  Bordo:  allora  fece 
dar  dentro  e  gridò:  ce  Ecco  Varo  e  le  legioni  di  nuovo  vinte 
per  lo  medesimo  fato.  »  Cosi  detto,  co  '1  fior  de'ìsuoi,  sdruci 
ne' nostri,  ferendo  massimamente  i  cavalli:  i  quali  in  quel 
terreno,  di  sangue  loro  e  di  loto  molliccico,  davano  strama- 


'  *  pensando  alia  innanzi.  Lat  :  m  futura  volvens.  *» 

'  *  Cosi  ho  corretto  addirittora  invece  di  diciannovesima,  percU  il  tetto 
ba  unaetvigesima,  che  forse  il  Davaniali  per  ioavvertenia  leue  umdevig^simm. 

'  *  capo  e  coda  j  cioè,  la  prima  per  aotiguardia,  la  veotetima  per  retro- 
guardta. 

*  *  miscredenza  per  disobbedienza,  indisciplinatezza  (lat.  contumacia) 
e  citata  nella  Crusca  del  Manuni  con  qaesto  solo  esempio. 

^  *  sì  pide  il  bagaglio  ec;  cioè,  si  tenne  fermo  6otantochè  non  vide  il 
bagaglio  ec. 


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vlL  LIBRO  PRIMO  DEGLI  ANNALI.  40 

Rate  o  sprangayan  calci,  scavakayan  l'aomo,  Rbaragliavaoo 
i  circostanti,  calpestavano  1  cadati.  Intorno  all'  aquile  fa  il 
travaglio,  le  qaali  né  portare  si  poteano  contro  alle  voltate 
ponte,  né  nel  suolo  acquidoso  ficcare.  Cecina  nel  sostener  la 
battaglia,  mortogli  il  cavai  sotto,  cadde,  ed  era  prigione,^ 
se  la  legion  prima  noi  soccorreva.  La  ingordigia  de'nimici 
che  lasciaron  l'uccìdere  per  lo  predare,  n'aiutò:  perchè  in 
tanto  le  legioni  tal  brigarono  '  che  la  sera  furono  al  largo  e 
nel  sodo.  Né  qui  finirono  i  guai:  conveniva  fare  steccati,  ar- 
gini, cavare,  tagliare,  ed  erano  in  gran  parte  perdoti  gli 
ordigni:  non  da  medicare  i  feriti,  non  tende  per  li  soldati. 
Compartivansi  cibi  fangosi  o  sanguinosi:  lamentavansi  di 
quella  funesta  notte,  e  che  tante  migliaia  di  persone  avessero 
a  vivere  un  sol  di. 

LXYI.  Un  cavallo,  rotta  la  caveza,  spaurito  dalle  grida, 
correndo  si  avvenne  in  certi  e  sbaraglioili.  Tale  spavento 
diedono,  pensandosi  essere  i  Germani  entrati  nel  campo, 
che  ogn'un  corse  alle  porte,  e  spezialmente  alla  decumana, 
opposta  al  nimico,  '  e  più  sicura  a  fuggire.  Cecina  trovato  la 
paura  vana,  non  potendo  tenergli  con  Tautorità  né  co'  pre- 
ghi né  coD  mano,  si  distese  rovescione  in  su  la  soglia  ;  onde 
la  pietà  del  non  passar  sopra  il  corpo  del  legato  chiuse  la 
via;  e  prestamente  i  tribuni  e'  centurioni  cbiariron  falso  il 
timore. 

LXYII.  Allora  ragunatigli  nelle  principia,  imposto  si- 
lenzio, mostrò  loro  a  che  stremo  erano  :  «  V  armi  sole 
poterli  salvare,  adoperate  con  senno;  ciò  era  starsi  dentro 
alle  trincee  per  dar  animo  al  nimico  d'accostarsi  a  spugnar- 

'  *  era  prigione,  era  per  esser  fatto  prigione. 

s  *  te/ ^r^orofio^  talmente  si  adoperarono. 

S  *  opposta  al  nimico,  Adriano  Politi  nella  lettera  a  N.  Sacchetti  (  Leti. 
Vcneaia,  16S4»  pag.  364)  accasa  il  Nostro  di  avere  franteso  atwsa  per  adverta. 
Ma  certo  il  Davanaati  per  opposta  al  nimica  non  ,intese  di  contro ,  di  faccia  al 
nimico  (  che  sarebbe  stato  errore ,  perche  la  porta  di  contro  al  nemico  era  la  pre- 
toria) ,  ma  si  nel  lato  opposto  a  quello  che  guarda  il  nemico.  Ed  opposto  in  que- 
sto senso  h  registrato  anche  ùella  Crusca  del  Manuali.  Il  Politi  a  fuggir  V  equi- 
voco dovette  allargarsi  cosi  :  «  alla  porU  maggiore  e  più  coperU  dal  nemico.  » 
E  molto  più  il  Dati:  «  la  quale....  è  posta  dalla  parte  di  dietro  del  riparo  e  più 
discosto  da'nemici.  »  11  Yalerìani ,  piuttosto  che  strascicarsi  in  tante  parole ,  ha 
tradotto  come  il  Nostro;  «  al  nemico  o)>posla.  » 

I.  5 


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50  IL  LIBRO  PRIMO  DEGLI  ANNALI. 

le,  e  allora  da  tatto  bando  uscire  :  quella  sortita  gli  oondor- 
rebbe  al  Reno:  fuggendo,  aspettassonsi  più  bosehi  più  pan- 
tani più  crudi  nimici  :  vincendo ,  ornamento  e  gloria.  »  Le 
cose  a  casa  care,  alla  guerra  onorate  ricordò  loro,  e  le  avverse 
tacette.  Indi  diede  i  cavalli,  prima  i  suoi,  poi  que'  de'  legati 
e  tribuni,  senza  precedenze,  a'  più  forti,  i  quali  prima,  e  lì 
pedoni  poscia  investissero  il  nemico  tenuto  in  agonia  non 
minore  dalla  speranza,  cupidìgia  e  dispareri  de'  capi. 

LXYIII.  Arminio  diceva:  «  Lasciategli  uscire,  e  di 
nuovo  in  quelle  memme  accerchiateli.  «  Inguiomero,  più  fe- 
roce e  grato  a' barbari,^  prometteva,  assaltando  il  campo, 
presa  certa,  più  prigioni,  preda  netla.  All'alba  scassano  i 
fossi,  rìempiongli  di  fascine,  innarpicano  su  lo  steccato,  di- 
fendìtori  vi  trovan  pochi  e  quasi  per  paura  attoniti.  Quando 
furon  bene  accosto,  i  nostri ,  dato  il  segno,  sonarono  i  comi 
e  le  trombe,  e  con  grida  e  impeto  cinsero  alle  spalle  i  Ger- 
mani, rimproverando  loro:  «  Qui  non  boschi,  non  marosi, 
non  luoghi  vantaggiosi,  non  iddi!  parziali.  »  Al  nimico,  cre- 
dutosi poca  gente  e  svaligiata  inghiottire,  il  rumor  delle  trom- 
be, il  luccicar  dell'armi,  quanto  meno  aspettata  cosa,  gli 
usci  addosso  maggiore:  e  quo' feroci  nella  bonaccia,  abbio- 
sciati' nella  tempesta  morìeno.  Arminio  sano,  Inguiomero 
doppo  grave  ferita  uscìron  dello  stormo:  la  gente  andò  a  61 
di  spada  quanto  ne  volle  V  Ira  e  il  giorno.  Di  notte  final- 
mente le  legioni  si  ritornarono  aflOitte  dalla  fame  medesima, 
e  più  ferite:  tuttavìa  la  vittoria  dava  loro  forza,  vivande, 
sanità  e  ogni  cosa. 

LXIX.  Novelle  andare  che  l'esercito  era  assediato  e 
venivano  I  Germani  a' danni  delle  Gallio  :  e  se  Agrippina 
non  teneva  '  che  il  ponte  in  sul  Reno  non  si  tagliasse,  fu  chi 
ebbe  di  cotanta  cattività,  per  paura,  ardimento.  Ma  quella  ma- 
gnanima, in  quel  di  fece  uficio  di  capitano,  e  donò  a'  soldati 

'  *  grato  a^  barbari.  H  testo  non  vaol  dire  che  costui  fosse  pia  grato  ai 
barbari  di  Arminio ,  ma  che  le  sue  paròle ,  per  essere  più  ardite ,  suonavano  più 
grate  alle  loro  orecchie. 

'  *  abbiosciati,  avviliti,  scorati.  Cosi  nel  III  delle  Storie:  m  E  se  Titeglio 
agevolmente  disponeva  i  suoi ,  com*  egli  »*  abbiosciò ,  1*  esercito  di   Vespasiano 
entrava  in  Roma  senza  sangue.  » 
'  '  *  non  teneva,  non  impediva. 


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IL  UBKO  PUHO  DBCLI  ANNALI.  51 

slraccialie  feriti,  veste  e  medicamento.  Conta  Gaio  Plinio, 
scrittore  delie  guerre  di  Germania,  che  ella  stette  alla  bocca 
del  ponte  a  lodare  e  ringraziar  le  legioni  che  tornavano.  Or 
questo  si  che  toccò  Tiberio  nel  vivo:  «r  Non  si  piglia  ella  tali 
pensieri  alla  semplice:  non  si  travaglia  de' soldati  per  far 
guerra  agli  strani  :  che  accade  più  imperadori  ?  poiché  una 
donna  rivede  le  compagnie,  riconosce  le  insegne,  dona  assol- 
dati, fi  forse  poca  V  ambixione  del  menare  attorno  il  figlinolo 
del  capitano  in  vile  abito,  e  dirlo  Cesare  Caligola?  Gii  eser- 
citi oggimai  stanno  più  con  Agrippina  che  co' legati,  co' ca- 
pitani. Have  nna  donna  attutato  un  sollevamento ,  che  non  ò 
stato  dattanlo  l'imperadore.  »  Seiano  aggravava  questi  odii 
e  ne  rinfocolava  Tiberio,  perchè,  al  solito  lungamente  in 
lui  avvampanti,  ne  uscissero  saette  più  rovinose.  ^ 

LXX.  Germanico  perchè  l' armala  quel  basso  mare  più 
leggiera  solcasse,  e  nel  riflusso  sedesse,  sbarcò  la  seconda  e 
la  quattordicesima  legione,  accomandandole  a  P.  Vitellio  che 
le  riconducesse  per  terra.  Il  primo  cammino  fu  asciutto  o  con 
poco  sprazo  di  marea:  l'oceano  poscia  gonfiò  per  un  rovaio 
forzato  e  per  l'equinozio,  com'ei  suole,  e  traportavane  l'or- 
dinanze e  l'aggirava.  Il  terreno  andò  sotto:  mare,  liti,  cam- 
pi, tutr era  acqua;  bassa  o  profonda,  sodo  o  sfondato,  non 
si  poteva  discernere:  ondate  capolevano,  gorghi  inghiotti- 
scono bestie  e  salme:  altra versansi,  urtano  corpi  afibgali: 
mescolansi  le  compagnie,  con  l'acqua  ora  a  petto  ora  a 
gola;  perduto  il  fondo,  sbaragliansi,  anniegano.  Non  giova 
gridare,  non  confortarsi,  perchè  quando  il  fiotto  batteva, 
dappoco  o  valente,  nuovo  o  pratico,  sorte  o  consìglio  tanto 
si  era,  '  facendo  quella  gran  violenza  d'ogni  cosa  un  viluppo. 
Vitellio,  fatto  forza,  tirò  l'esercito  all'alto.  Assiderarono 
tutta  notte,  senza  panni  da  rasciugarsi,  senza  fuoco,  ignudi, 
infranti,  e  peggio  che  in  mezoa'nimici,ove  si  può  pur  mo- 
rire con  qualche  gloria,  ma  quivi  con  esso  ninna.  Il  giorno 
scoperse  la  terra,  e  passarono  al  fiume  Yìsurgo,  ov'era  ve- 

<  4tifpanqMmti,  ne  uscissero  saette  pia  rovinose.  Con  questa  mtUfora  m'è 
pano  aggio^cre,  secondo  Demetrio,  bcUcia  e  magoifieeiBa  a  questo  luogo.  Vada 
per  qucUi  che  io  avrò  a  questo  scrittor  nobilissiino  peggiorati. 

S  *  tanto  si  erùf  yalevano  lo  stesso. 


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52  IL  LIBRO  PRIMO  DHaiI  ANNALI. 

nuto  Cesare  eoo  Tarmata,  e  imbarcò  quelle  legioni  per  fama 
affogate  nò  mai  credute  salve,  sk  veduto  fa  '  egli,  e  Tesercito 
ricondotto. 

LXXI.  Già  Stertìnio  mandato  a  ricevere  a  discrezione 
Segimero,  frate!  di  Segeste,  aveva  Ini  e  il  figlinolo  condotto 
nella  città  degli  Ubii,  e  perdonato  a  Segimero  agevolmente, 
al  giovane  più  rattennto,'  per  avere,  come  si  diceva, scher- 
nito il  corpo  di  Varo.  Gareggiavano  a  rifare  i  danni  delTeser- 
cito,  le  Gallio,  le  Spagne  e  l'Italia,  offerendo  arme,  cavalli 
e  oro,  ciascuna  il  più  destro.'  Germanico  lodata  lor  pronteza, 
prese  arme  e  cavalli  per  la  guerra  :  i  soldati  sovvenne  de'da- 
nari  suoi,  e  per  confortare  con  le  piace voleze  "  la  trista  ri- 
cordazione  della  sconfitta,  visitava  i  feriti,  magnificava  lor 
prodeze,  guardava  le  piaghe,  chi  con  la  speranza,  chi  con 
la  gloria,  tatti  con  parole  e  fatti  innamorava  di  se  e  della 
guerra. 

LXXII.  Il  senato  quest'  anno  onorò  di  trionfali  insegne 
Aulo  Cecina,  L.  Apronio  e  Gaio  Silio  per  le  cose  con  Ger- 
manico fatte.  Tiberio  rifiutò  il  nome  di  padre  d^Ila  patria, 
più  volte  dal  popolo  soffregatolì,  nò  sì  lasciò,  come  il  senato 
voleva,  giurare  l'approvazione  de' fatti: *  le  cose  de'mortali 
predicando  incerte,  e  quanto  più  su  salisse,  più  in  bilico  la 
caduta.  Non  perciò  era  credoto  di  civile  animo,  avendo  ri- 
messo su  la  legge  della  danneggiata  maestà,  detta  ben  cosi 
dagli  antichi,  ma  altre  cose  venivano  in  giudizio.  Chi,  col 
tradire  un  esercito,  sollevar  la  plebe,  mal  governar  le  cose 
pubbliche,  avesse  menomato  la  maestà  del  popol  romano, 
accasato  era  del  fatto ,  le  parole  non  si  punivano.  Agusto  fu 

*  *  sì  veduto  Ju,  sÌDtanto  che  qod  fu  veduto.  Nella  Giuntina  trovasi  quasi 
sempre  sì  non  per  sintanto  che  non.  Ma  poi ,  forse  per  certa  dubbiessa  di  senso , 
lo  ha  sempre  corretto  come  qui. 

3  *  pia  raUenutù,  con  più  ritegno ,  con  maggior  diIBcoItk. 
'  *  ciasctma  il  pia  destro,  ciò  che  aveva  più  alla  mano.  Lat  :  «  quod 
cniqtte  promptum.  » 

*  *  piaceifoleze,  degnevolesse. 

^  *  né  si  lasciò.,.,  giurare  l* approvazione  de* /atti,  Lat:  «  neque  in 

aéta  stia  iitrari permisiU  Giurare  gli  atti  del  principe  voleva  dire,  come 

spiega  Dione  Cassio, 47,i8:^s^ata  vo/uLitttf  iravrara  wtt'  cxsivouyivo/ACva; 
cioè ,  fermare  per  legge  la  stalnlitk  di  tutta  le  cose  da  lui  fatte.  Specie  di  adula- 
zione trovata  dai  triumviri  per  G.  Cesare  l'a  713. 


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IL  LIBBO  TBIMO  DBdLI  ANNALI.  tf3 

l'I  primo  che  fece  caso  di  stato  e  maestà  i  cartelli,  mosso 
dalla  malignità  di  Cassio  Severo  che  con  e^i  aveva  infamato 
uòmini  e  donne  di  conto.  Tiberio  poscia  domandato  da  Pom- 
peo Macro  pretore  se  dovesse  accettare  le  caase  di  maestà, 
disse:  «  Osseryinsi  le  léggi,  »  inasprito  anche  egli  da  certe 
poesie  senz'autore,  che  s  verta  vano  ^  le  sae  crudeltà  e  arro- 
ganze e  traversie  *  con  la  madre. 

LXXIII.  Io  dirò  poro  di  che  peccati  far  poste  querele 
a  Falanio  e  Rubrio  cavalieri  di  mezza  taglia,  acciò  si  sappia 
da  qua' principi,  con  quant*  arte  di  Tiberio  un  crudelissimo 
fuoco  SI  appiccò,  ammorzò,  poi  levò  fiamma  che  arse  ogn'uno. 
Diceva  1'  accusatore  che  Falanio  aveva  messo  tra'  sacer- 
doti d'Agusto  (che  n' era  in  ogni  casa  come  un  collegio)  un 
certo  Cassio  strione,  disonesto  del  corpo,  e  vendè  la  statua 
di  Agusto,  insieme  col  giardin  suo.  Rubrio  era  incolpato  di 
spergiuro  per  lo  nome  di  Agusto.  Quando  Tiberio  il  seppe, 
scrisse  a' consoli:  «  Non  essere  stato  dichiarato  suo  padre 
celeste  per  rovinare  i  cittadini.  Cassio  essere  un  recitante 
come  gli  altri  alla  festa  che  sua  madre  fa  per  memoria  di 
Agusto:  né  la  religione  danneggiarsi,  se  con  le  vendite 
delle  case  e  giardini  vanno  i  simulacri  di  lui  come  quelli 
degli  altri  iddìi  :  quello  spergiuro  essere  come  se  V  avesse 
attaccato  a  Giove:  alle  ingiurie  degl'iddìi.,  gì' iddii  pen- 
sare. » 

LXXIY.  Non  passò  guari  che  a  Granio  Marcello  pretore 
in  Bitinta  fu  da  Copione  Crispino  questor  suo  dato  querela  di 
maestà,  raggravata  da  Ispone  romano,  uomo  che  prese  un 
mestiere  che  poi  venne  in  gran  credito  per  le  miserie  de'tem- 
pi,  e  per  le  sfacciateze  degli  uomini:  costui  povero,  scono- 
sciuto, inquieto,  col  far  lo  spione  segreto,  trapelò  nella  gra- 
zia del  crudel  principe,  tendendo  trabocchetti  a'  più  chiari; 


'  *  ivertàvano.  Verta  fa  il  fondo  della  rete  peschereccia,  onde  %*  è  formato 
il  yttiio  avertare  per  rovesciar  fuori ,  e  per  traslato  rivelare  cose  occulte. 
Varchi,  Ercol. :  m  Di  coloro  i  quali  confessano  il  cacio,  ciofa  dicono  tutto 
qoanto  qneBo  che  hanno  detto  e  fatto....  s'usano  questi  verbi,  svertare,  sbor- 
rare ec.  *» 

3  'fyaperWtf:  qui  per  cose  traverse,  contrarietà,  discordie.  In  questo  si- 
gnificato manca  il  Vocabolario. 

5* 


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54  IL  LUBO  n«0  DIGLI  ANKALI. 

e  direnato  potente  appresso  uno,  odioso  a  tutti,  lo  stendardo 
alzò  '  a  coloro  che,  seguitandolo,  di  poveri  fatti  ricchi,  di  ab- 
bietti tremendi,  trovarono  lo  altrui  e  al  fine  il  loro  precipizio. 
La  querela  voleva  che  Marcello  avesse  sparlato  di  Tiberio;  e 
non  vi  era  difesa,  perchè  il  prod'nomo  scelse  le  cose  di  lui 
più  laide,  le  quali,  perchè  eran  vere,  si  credevano  anche 
dette.  Ispone  aggiugneva,  aver  Marcello  la  status^  sua  messa 
più  alla  di  quelle  de'  Cesari,  e  ad  un'  altra  di  Agusto  levalo 
il  capo  f  messolvi  di  Tiberio.  Di  questo  montò  in  tanta  col- 
lera che  non  potendo  più  stare  taciturno,  gridò  che  voleva 
in  questa  causa  dire  anch'egli  il  suo  parere  aperto  e  giurar- 
lo, perchè  gli  altri  non  avessero  ardire  di  contraddirgli.  Ri- 
maneva pure  alla  boccheggiante  liberiade  alcuno  spìrito. 
Onde  Gn.  Pisone  disse:  «  E  quando  il  dirai ,  o  Cesare?  se  il 
primo,  io  ti  potrò  seguitare:  se  il  sezo,  io  ti  potrei,  non  vo- 
lendo, dir  contro.  »  Ravvedutosi  della  scappata,  chinò  le 
spalle  ad  assolvere  il  reo  della  querela,  stando  però  a  sinda- 
cato della  pretura. 

LXXV.  Non  gr incresceva,  oltre  al  senato,  sedere  an- 
cora ne'  giudizi  da  un  canto  del  tribunale,  per  non  cavare  il 
pretore  della  sedia  sua.  Questa  presenza  cagionò  di  buoni 
ordini  con tr' alle  pratiche  e  favori  de' potenti;  ma  nel  rac- 
conciare la  giustizia  si  guastava  la  libertà.  '  Tra  r  altre  cose 
Aurelio  Pio  senatore,  cui  fu  rovinata  la  casa  per  fare  una  via 
e  un  acquidoccio,  chiedendo  a'  padri  d' esser  rifatto,  e  con- 
traddicendo i  fiscali;  Tiberio  la  li  pagò,  come  vago  di  fare 
spese  onorate;  la  quale  virtù,  e  non  altra,  si  mantenne.  A 
Properzio  Celere,  stato  de' pretori,  supplicante  di  lasciare 
il  grado  per  povertà,'  trovatolo  meschino  di  patrimonio,  donò 


*  *  lo  stendardo  alzò.  Lat  :  «  dedit  exemplum,  » 

^  *  ma  nel  racconciare  te.  Vuol  dire  che  mentre  Tiberio  voleva  colla  aaa 
presensa  provvedere  che  fosse  amministrata  severtmente  la  gtostisia,  vincolava 
la  libertk  dei  giédici,  cui  btiognava  pigliar  norma  dalla  sentonsa  del  principe. 

*  lasciar  il  grado  per  povertà:  per  non  avvilire  il  grado  «eutorio,  cln 
non  potea  tenerlo  con  l'osata  magnificenaa ,  era  modestia  lasciarlo.  Dice  quatto 
autore  nel  dodicesimo  :  «  Laudata  dehine  oratktne  pHmeipi*  qui  ob  angngtUu 
familiares  ordine  senatorio  sponte  cederent:  motique  qui  remanenth,  im- 
pttdentiant  paupertatt  adiicerent.  •  Arinio  Gallo  diee  per  At  ngièite  aia  ne- 
cessaria a' maggior  gradi  maggiore  magnificenaa  e  spesa. 


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lE  UBttO  PlUfO  DBOU  AtHtiàf^U  89 

Yentkinqae  mila  fiorini  d'oro.'  Ad  aUri  die  tentarono  il  me- 
desimo, riscrisse:  «  Pruovino  la  povertà  al  senato,  »  come 
quegli  olle  per  severità  mantenere,  eziandìo  i  benefici!  por- 
geva *  con  aeerbeza. E  quei  volliono  anzi  patire chemostrare 
al  popolo  lor  vergogne. 

LXXVI.  Nel  detto  anno  il  Tevere  per  lo  lango  piovere 
aHagò  il  piano  della  città,  e  nel  ealare,  grande  strage  fé' di 
case  e  persone.  Aainio  Gallo  consigliò,  si  vedesse  qnel  ne 
dicesse  la  Sibilla.  Tiberio  non  volle  per  tepere  gli  uomini  al 
boio  '  dello  cose  divine  come  dell'  umane;  ma  furon  depu- 
tati Aterio  Capitone  e  L.  Arunzio  a'  ripari  del  fiume.  DoleA- 
dosi  TAcaia  e  la  Macedonia  delle  troppe  graveze;  pjacijfue 
d'alleggerirle  per  allora  del  viceconsole  e  metterle  tra'governi 
di  Cesare.  Druso  celebrò  lo  spettacolo,  già  promesso  in  nome 
suo  e  di  Germanico,  delli  accoMellatori,  e  troppo  di  quel  san- 
gue benehò  vile  godeva.  Onde  il  popolo  ne  impanrio  e  il 
padre  ne  lo  sgridò.  Non  volle  egli  celebrarlo,  chi  diceva  per 
aver  a  noia  le  ragunate,  *  chi  per  fantasticheria  e  per  non 

'  dtmà  ventìcinque  mila^orinù  l^anti  sono  dieci  volte  centomila^  eiob  un 
milione  di  sesteni.  Tanti  ne  donò  Àgiuto  a  Orlalo,  nipote  d'Ortensio  l'Oratore, 
acciò  potere  tor  moglie  e  rifare  quella  chiara  famiglia  ;  e  altri  ventimila  il  se* 
nato  a  quattro  suoi  ^liuoH;  iS5  mila  fa  proposto  dame  al  figliuol  di  Pisonè, 
e  cacciarlo  via.  Tanto  conto  si  teneva  de' nobili;  con  a)  fatta  liberalità  s'aiuta- 
vano; tanta  era  d'un  cittadino  romano  la  grandeca  e  la  necessaria  spesa. 

'  i  benefica  porgeva.  Il  bene6cio  si  vuol  fare  con  faccia  lieta,  non 
villana  ne  dispettosa.  Perchè  ingiuria  con  cortesia  non  si  mescola;  ma  la 
guasta  e  caccia  dalla  memoria  e  rimanvi  essa.  Onde  al  beneficio  ingiurioso  bi 
soddisfatto  chi  l' ha  perdonato. 

5  per  tenere  gli  nomini  al  buio.  Tiberio  voleva  spegnere  ogni  sapere , 
odiava  gli  fccenxiati  o  valenti,  temendone.  E  a' inganiiava ,  secondo  Aristotile, 
che  dice,  i  dottici  savi  congiurare  conrro  a' principi  meno  degli  altri,  per- 
chè veggono  maggiormente  i  pericoli ,  e  che  la  '  cittSi  si  rovina  :  sono  pochi , 
e  pochi  gti  segnitano  e  aintano;  dove  gl'ignoranti  son  molli  e  scontidérati, 
guardano  a  poche  cose,  hanno  più  impeto  che  consiglio.  IVc' pericoli  il  pen- 
sare appo  loro  è  viltà;  il  dar  entro,  atto  reale;  come  de' Parti  si  ^ice.  Oggi 
osano  gli  Uscocchi  quando  vanno  a  combattere  imbriacarsi  pasamcnte  con 
l'acqua  vite,  per  andarvi  cosi  riscaldati  con  temerità  e  furore,  e  non  pensare  a 
pericolo.  L'ignoransa  veramente  è  madre  della  ingiasiÌBÌa;  questa  è  tutto  '1 
male  della  città.  Ma  perchè  nell'  acqua  chiara  i  pesci  fuggono  la  réte>  )p^er- 
chè  la  veggono ,  la  tiìrbida  fa  per  chi  li  vuol  pigliare  e  mangiare. 

^  per  aver  a  noia  le  naganate.  Volendo  Tiberio  cibare  una  serpe  eh'  ei 
teneva  per  delnia,  la  trovò  mangiata  dalla  formiche.  Ol'indoi^iin  ^  dàssero 
che  si|guardasse  dalla  moltitudine  ;  però  la  fuggiva. 


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86  IL  LIBBO  PillK)  DKGLI  ANNALI. 

far  paragone  con  quel  ano  viso  satamiBO*  a  quel  gioviale  che 
vi  portava  Agosto  :  altri  (  ma  noo  lo  posso  credere)  per  fare 
il  figliQolo  dal  popolo  per  crudele  *  scorgere  e  odiare. 

LXXVII.  Le  misdiie  de'  teatri ,  «omÌBciate  rairoo  in- 
nanzi, vennero  a  peggio,  e  vi  ftiron  morii  non  por  de'  ple- 
bei ma  de' soldati  e  on  centurione,  e  ferito  nn  tribuno  di 
guardia  per  voler  tenere  il  popolo  che  non  s'azqffasse  e  spar- 
lasse de' magistrati.  Di  tale  scandolo  si  trattò  in  senato  :  i  pa- 
reri erano  che  i  pretori  potessero  vergheggiare  gli  strioni. 
Aterio  Agrippa,  tribuno  della  plebe  disse  che  no.  Asinio  Gallo 
n'ebbe  seco  parole,  e  Tiberio  taceva  per  lasciare  al  senato  in 
cotali  deboleze  apparenza  di  libertà.  Valse  il  no,  perchè  già 
aveva  il  divino  Agusto  (  le  cui  sentenze  Tiberio  non  poteva 
toccare)  esentati  gli  strioni  dalla  verga.  Fu  loro  la  mercede 
tassata,  e  al  troppo  corso  che  aveana,  '  próveduto:  Che  in 
casa  commedianti  ^  senatore  non  entrasse  :  codazo  o  cerchio 
intorno  a  loro,  uscenti  in  pubHco,  romano  cavaliere  non  fa- 
cesse: nulla  fuori  di  teatro  si  recitasse:  gli  spettatori  fasti- 
diosi il  pretore  potesse  punire  d'  esigilo. 

LXXVIII.  Alli  Spagnnoli  chiedenti  di  poter  fare  un  tem- 
pio ad  A  gusto  nella  colonia  tarraconese  fu  conceduto ,  e 
all'  altre  provìncie  dato  esempio.  Chiedendo  il  popolo  che 
l'un  per  cento  delle  vendite,  posto  al  fine  delle  guerre  civili, 
si  levasse;  Tiberio  bandi  che  questo  era  l'assegnamento  delle 
guerre,  e  che  la  republìca  non  poteva  reggere  a  dare  i  ben 
serviti'^  innanzi  a'venti  anni;  però  rivocava  la  mal  consigliata 
licenza  de'  sedici  nella  passata  sollevazione.  * 

'  *  viso  saturnino,  barbero  e  scoro.  Machiavelli,  Comm.  in  tws.  A.  I, 
1.4.2: 

Ma  chi  è  qoel  die  tìoh  d  satomiao? 
Il  popolo  dice  anche  saturno,  e  lo  trovo  in  un  Necrologio  ma.  del  sec.  XYI  fin., 
presao  di  me:  «  Costai  era  boono  6gliaolo,  ma  di  poche  parole;  piattosto  sa- 
turno che  altro.  » 

'  per  crudele.  Da  questo  Druso  chiamavano  drusiane  le  spade  ben  af- 
filate e  crudelmente  taglienti. 

*  *  al  tròppo  eorso  che  aveano  ec.  Lat;  «  adversus  lastiviam  /tuUorum 
multa  decemuntur ,  »  contro  l'insolenca  de' loro  fautori  ec. 

^  *  in  casa  commedianti,  di  Commedianti. 

8  a  dare  i  ben  serviti.  Quando  uno  moriva  innansi  a'venti  anni  di  soldo , 
non  aveva  guadagnato  con  la  republicail  ben  servito.-**!  ben  serviti,  le  licerne. 
.     •  *  Vedi  cap.  XVI  e  segg. 


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IL  UBBO  PBIMO  DK«LI  ANMALI.  67 

LXXIX.  IdepaCati  del  Tevere  propesero  in  senato,  se 
per  ovviare  alle  piene  fusse  da  voltare  altrove  i  Gami  e'iaghi 
onde  egli  ingrossa.  Udironsi  l'ambascierie  delle  terre  e  colo- 
nie: pregavano  i  Fiorentini  non  si  voltasse  la  Chiana  dal  suo 
letto  jn  Arno,  che  sarebbe  la  lor  rovina.  Simil  cose  dicevano 
qne'  da  Terni,  che  il  più  grasso  terreno  d'Italia  andrebbe 
male,  se  la  Nera  si  spartisse,  come  si  disegnava,  in  più  rii, 
e  qnìvi  si  lasciasse  stagnare.  Gridavano  i  Rietini  non  si  ta- 
rasse la  bocca  del  lago  Velino  che  sgorga  nella  Nera,  perchè 
traboccherebbe  in  qae'  piani  :  «  Avere  la  natura  provveduto  ^ 
alle  cose  de' mortali  ottimamente,  e  a' fiumi  dato  i  loro  con- 
venevoli fonti,  corsi,  letti  e  foci:  doversi  anco  rispettar  le 
religioni  de' confederati  che  consagrato  hanno  a' fiumi  delle 
lor  patrie  lor  boschi ,  altari  e  santità:  lo  stesso  Tevere  non 
vorrebbe  senza  la  corte  de' suoi  tributari  fiumi  correre  meno 
altiero.  »  Fusse  il  pregar  delle  colonie  o  Topera  malagevole 
0  la  religione,  vinse  il  parer  di  Pisene,  che  niente  si  mutasse. 

LXXX.  A  Poppeo  Sabino  fa  raffermato  la  Mesia  e  ag- 
giunto r  Acaia  e  la  Macedonia,  usando  Tiberio  non  mutar 
ministri;  'e  molti  in  un  esercito,  in  un  reggimento  ne  tenne 
a  vita;  chi  dice  perchè  chi  gli  era  piaciuto  una  volta  volle 
sempre,  per  levarsi  pensiero  ;  altri  per  invidia,  '  acciò  quel 

*  Attere  la  nmtura  provveduto.  Come  le  ▼ene  per  li  corpi  degli  ani- 
mali e  per  le  foglie  delle  piante  «  cosi  per  la  terra  i  fiumi  si  ipargono  eoa* 
volte  e  storte ,  secondo  il  bisogno  ben  conosciuto  dalla  natura ,  vera  capomae- 
stra  e  ingegnerà;  nò  possono  ritoccarsi  sema  violenza,  errore,  danno  e  gra- 
vesa  de'  popoli  e  bottega  de' ministri. 

S  usando  Tiberio  non  mutar  ministri,  Facevalo  (dice  losefo ,  nel  iS 
cap.  dell'Antichità)  per  non  cacciare  dalle  gamberaccie  de' poveri  cittadini  le 
mosche  già  ripiene  e  satolle  >  per  rimettervi  le  vote  affamale.  Tanta  carità 
non  poteva  muovere  Tiberio  che  si  serviva  de'  ministri ,  come  dicono  gli 
scrittori ,  per  sue  spugne  a  cavar  il  sangue  (  col  vender  le  grazie,  la  giustizia, 
e  con  le  iniquità)  da' popoli;  e  poi  gastigandoli ,  le  premeva.  (*)  Cosi  arricchi- 
va,  e  il  popolo  Io  benediva.  Gonciossiachè  egli  avre])be  guasta  la  sua  propria 
arte.  Più  sode  ragioni  ne  adduce  Cornelio  qui. 

'  per  invidia.  Della  natura  invidiosa  di  Tiberio  si  trovano  grandi  cose. 
Notevole  è  che  avendo  in  Roma  la  loggia  grande  piegato  da  una  banda  «  un 
architetto  la  dirizò.  Tiberio  ammirò  l'arte  e  donolli  largamente  ;  ma  per 
astio  non  volle  che  al  libro  de'  conti  si  scrivesse  il  nome ,  e  cacciollo  via 
fuori  di  Roma.  Tomolli  innanxi  per  racquistar  la  grazia  con  altra  prnova;  e 


n  teprtmna,  cioè  le  spugne. 


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58  IL  LIBRO  PBIMO  DMLl  AMMALI. 

bene  toccasse  a  pochi  :  ad  alcuni  quanto  pareva  d*  ingegno 
sottile,  tanto  nel  risolvere  impacciato;  non  voleva  troppo  va- 
lenti, temendone;  odiava  i  molto  inetti,  come  vergogna  pa- 
blica.  Da  queste  dabiese  fìi  condotto  infino  a  dar  Provincie 
a  chi  e'  non  era  per  lasciare  uscir  di  Roma. 

LXXXI.  Il  modo  del  fare  i  consoli  tenuto  prima  da  que- 
sto principe  e  poi  seguitato,  non  saprei  dire:  tanfo  diverso  si 
trova  non  pure  negli  scrittori  ma  nelle  sue  orazioni.  Averli 
ora  descrìtti  dal  casato,  vita  e  soldo,  senza  nomi,  perché 
s' intendesse  di  cui:  ora  senza  descrivere ,  confortato  i  chie- 
ditori  a  non  conquider  co'  preghi  lo  sqoittino ,  ma  promesso 
aiutargli.^  Molte  volte  detto,  fuori  de'  nominati  da  luì  a  con- 
soli, ninno  aver  chiesto  :  chi  volesse  cimentar  suo'  favori  o 
meriti  facessesi  innanzi.  Paroloni  a  vuoto  per  ingannare,  e 
false  mostre  di  gran  libertà,  per  dovere  in  cotante  pia  era- 
del  servitù  riuscire. 


giltò  in  terra  una  tasa  di  vetro:  ricolse  i  pesi  e  quivi  li  rappiccò  come  prima 
mirabilmente  s  perciò  Tiberio  lo  fece  morire. 

'  *  a  non  conquider  co*  preghi  ec.  G.  Dati  ;  «  a  non  voler  per  via  di 
doni  o  di  corruiioni  o  di  altri  gimiglianti  meszi  turbare  la  elezione ,  promettendo 
di  procarare  egli  per  loro.  » 


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59 

NCHIÀRAZIONE   DEI   NOMI  ANTICHI 

COKE  SI  DICONO  KODERNÀMENTE , 

posta  dil  DiTaonti  io  fine  delli  tridiuione  del  Libro  primo  dtgli  Annali,  ee. 
Firenie,  Marescottì,  4596. 


Acaia  nel  Peloponneso,  doV  è  Napoli  di  Romania. 

Aetium,  Previza,  capo  di  mare  in  Albania,  dov*è  Nicopoli,  vicino 
airEchihade,  dette  le  Gorzolari»  o?e  fu  rotto  Tanno  lS7i  il 
Turco. 

Ami9ia ,  fiume  che  sbocca  in  mare  tra  '1  Reno  e  1*  Albi  in  Frisia  lungo 
r  Emdam,  detto  Ems. 

Baiavi,  Olandesi,  in  su  T Oceano  tra  la  Mosa  e*l  Reno. 

Cerànna,  isola  nel  mar  d' AfiMca.  Carcami. 

Coiti,  popoli  di  Essìa  in  Germania. 

Cauci,  parte  di  Sassonia  e  di  Brunsrich. 

Cherusà,  forse  Zelandi. 

Edili  curuli,  nfidali  in  Roma  sopra  gli  edifizi,  fiumi,  feste  ec. 

Edili  cereali .  sopra  Y  abbondanza  e  grascie. 

Germani,  Tedeschi,  Alamanni. 

Gallia  togata,  fra  1*  Alpi  e  1  RuUcone ,  perchè  era  pacifica  e  usava 
la  romana  toga. 

GalUa  bracata,  perchè  usava  certe  pelliccio  :  Nerbonese ,  Linguadoca. 

GaUia  cornata  dalli  biondi  capelli,  oltre  1*  Alpi;  divisa  da  Cesare  in 
Celtìa,  Belgia,  Aquitania,  oggi  Francia ,  Fiandra,  Guascogna. 

Legati  neW  esercito ,  Commessarii  mandati  dalla  republica  o  dal  prin- 
cipe. 

Legione,  scelta  di  gente  romana,  contenente,  senza  gli  aiuti,  se- 
condo Yegezio,  dieci  coorti ,  cioè:  La  prima  di  1105  fiinti  e  130 
cavalli;  Y altre  nove,  ciascuna  di  555  fonti  e  66  cavalli, 
fanti  ctTalli 

La  prima 1105 130 

L'altre  nove 4995 594 

6100 TU 

La  coorte  era  £visa  in  cinque  centurioni:  il  centurione  in  dieci 


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60  IL   LIBBO  PBIMO  DEGLI  ANNALI. 

manipoli  oyyero  contubernii  di  dieci  soldati  1*  uno  in  circa,  che 

Tivevano  in  nn  paglione,  con  un  caporale  detto  decurione. 
Luppia,  fiume  :  mette  in  Reno  lungo  Vesalia  in  Gleves. 
ifa//io,  Maspurg  in  Essia. 
Mesia  alta,  Bossnia  o  Serbia. 
Mesia  bassa,  Bolgaria  e  Yallacchia. 
Nauporto,  Labato  castello  in  Istria. 
Pontefici,  curano  le  cose  sagre,  come  oggi  i  vescovi. 
Pannonia  alta,  Ungheria;  —  bassa,  Austria. 
Pretùri,  Podestà  di  Roma  e  di  Provincie  a  render  ragione. 
Pretoriani  soldati,  guardia  del  pretore  e  del  principe. 
Pandataria,  isola  nel  seno  di  Pozuolo.  Palmarola. 
Rjketia  superior,  Rezia ;  —  tn/erior,  Baviera,  in  parte. 
Svevi,  popoli  di  Sassonia. 
Sequani,  Borgognoni. 

Tubanti,  confini  a*  Frisoni ,  tra*  Germani  e  Olandesi. 
Teuteberg,  bosco  in  Wesfalia  detto  Winfeld,  &moso  per  la  sconfitta 

di  Varo. 
Treviri,  ritengono  il  nome,  vicino  a  Loreno,  dove  Cesare  fece  il 

ponte. 
Tribuni  celerum.  Colonnelli  di  cavalli;— mt/t^«m,  di  fuktì;-^plebis, 

magistrato  sagrosanto  difenditor  della  plebe;  — ararti,  tesorieri; 

— armamentarii,  generali  dell'arme. 
Usipeti,  Francofort. 
Ubii,  Colonia. 
Visurgis,  Montone,  fiume  che  passa  per  Brunsvìch  sotto  Brema, 

sbocca  in  mare  vicino  all'Albi. 


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IL  LIBRO  SECONDO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 


SOMMÀRIO. 

I.  L' oriente  in  qualche  (omolto.  —  III.  Voaone  re  de^  Parti  )  da  Arta- 
Bcacciato,  ricoverasi  dasli  Armeni;  da  essi  preso  pe 
A  per  tema  e  mioacce  d'Artabaoo.  — V.  Tiberio  a  pretesto 


baoo  scacciato ,  ricoverasi  dasli  Armeni  ;  da  essi  preso  per  re ,  rifiutato  poco 

Sei  per  tema  e  minacce  d'Artabano.  —V.  Tiberio  a  pretesto  de'romori  d'oriente 
alle  germaniche  legioni  avella  Germanico,  che  ubbidisce  a  pie  loppo.  Poi' 


eh'  entra  in  Germania ,  in  gran  giornata  Chernsci  e  Arminio  vince.  Soffre  tem- 
pesta in  mare  ;  e  tutto  compensa  con  prospera  spedizione  contro  i  Marsi*  — 
XXVII.  Libone  Dmso  accasato  di  novità.  A  terra  i  preghi  di  M.  Ortalo.  — 
XXXIV.  Clemente  sotto  mentito  nome  di  Postumo  Agrippa  tumultua.  Con  arte 
il  prende  Sallustio  Crispo ,  e  a  Roma  il  mena.  —  XLl.  Trionfa  Germanico 
de' Gatti ^  Ghemsci  e  altro  nasionì  aino  all'Albi.—- XLll.  Archelao  re  de' Gap* 
padoei ,  d' insidia  chiamato  a  Roma  e  malmenato,  muore.  Suo  regno  fatto  prò- 
vincia.  — XLIII.  Dato  V  oriente  a  Germanico,  la  Scria  a  Pisene  con  segrete 
istruzioni  contro  Germanico,  a  quel  che  si  erede. -^ILIV.  Vandaai  Dmso 
nelP  Illirico  contro  i  Germani  che  per  sue  discordie  fan  sicuro  e  ozioso  il  Ro- 
mano. — XLV.  I  Chernsci  sotto  Arminio  in  gran  battaglia  sanguinosa  vincono 
il  potente  e  antico  re  Maroboduo.  — XLVII.  Dodici  città  d'Asia  rovesciate  da 
tremnoto.  Liberalità  di  Tiberio. — L.  La  legge  di  stato  allunga  le  njani.  — 
LII.  Tacfarìnate  all'  armi  in  Africa:  tosto  da  Furio  Camillo  represso.  — LUI.  Ger- 
manico di  nuovo  console,  passa  in  Armenia:  di  lor  volere  vi  fa  re  Zenone, 
rìmoaso  Vonone :  poi  in  Egitto.  —  LXII.  Druse  semina  linania  ne' Germani. 
Maroboduo  da  Catnalda  scacciato  di  regno  viene  in  Italia,  fermato  anni  iS 
in  Ravenna.  Calnalda  avuto  pariglia  è  mandato  in  Fregius.  —  LXIV.  Rescnpore, 
re  trace,  d'opera  di  Pomponio  Fiacco,  in  ferri  è  tratto  a  Roma.' — LXVIII.  Vo- 
none ucciso.  —  LXIX.  Germanico  torna  d'Egitto*,  suoi  ordini  da  Pisone  abo- 
liti o  fatti  a  rovescio  vi  trova,  semi  tra  lor  di  discordie.  Non  guari  dopo  am- 
malatosi, a  gran  lutto  da' popoli  muore  in  Antiochia.  —  LXXIV.  A  Pisone, 
sospetto  di  veleno  dato,  vietasi  il  ritorno  in  Siria.  —  LXXXIII.  Grandi  onori 
al  morto  Germanico  da  Roma.  —  LXXXV.  Leggi  contro  la  donnesca  impudi- 
cizia.— LXXXVI.  Scelta  di  Vestale:  prezzo  tassato  a' grani.  — LXXXVIII.  Ar- 
minio ucciso  in  Germania  per  tradigìon  da' popolani. 

Corto  di  qwtttr*  anni. 

.      ,.-.  /j.  ^    i4,x        ^       ..I  T.  Statilio  SiSENNA  Taubo. 

An.  a. R. oca,l«. (a,  e.  i6).  -  Con,oU.  \  ^  s^.,^„„  i,^„ 

.      ,.  „  ,«  ^    ,„.       „       ,.    I  C.  CiciLio  Rufo. 

An.  a.  E.  Bcciix.  (d.  C.  ÌT).  -  C«««.K.  |  ^  p„.^„^  Flìcco Cecino. 

A  j*  »  ..  .  /j*/^  lo^  ^  f.  )  TiBBBio  Cmahb  Augusto  III. 
An.  a,  R.  DCCLKi.  (d,  C.  >I8).  -  Comoh.  |  g„«ìnico  Cbsìbb  II. 

.      -.  „  /v  r,  .«X       ^       ..    i  M.  loHio  Silano. 

An.  a,  R.  DCCLKii.  (di  C.  49).  -  Comoh.  \  ^  ^^^^^^  p^^ 

I.  6 


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6^  IL   LIBRO  SECONDO  DBGLl  ANNALI, 

I.  [A.  di  R.  709,  di  Gr.  16.]  I  reami  d^F^riente  e  le  pro- 
vìDcie  romaDe  ,  essendo  consoli  Sisenna  Slatilio  Tauro  e 
L.  Libone,  fecero  movimento,  incominciato  da'Parti  che  lo  re 
cliiesto  e  ricevuto  da  Roma,  benché  del  sangue  arsacido,* 
schiftivano  come  straniero.  Questi  fu  Vonone  dato  ad  Agusto 
per  ostaggio  da  Fraate,  il  quale,  quantunque  scacciato  avesse 
i  romani  eserciti  e'  capitani,  '  s' era  rivolto  a  venerare  pei 
Agusto,  e  mandògli  parte  de' figliuoli  per  pegno  d'amicizia, 
temendo  non  tanto  di  noi  quanto  della  fede  de'  suoi. 

IL  Morto  Fraate,  e  tra  loro  ammazzatisi  i  i^  succeduti, 
i  grandi  mandarono  a  Roma  ambasciadori  per  rimenarne 
Vonone  primogenito.  Recandolsi  Cesare  a  grande  onore ,  lo 
rimandò  con  ricchi  doni,  e  lo  accolsero  ì  barbari  con  la  fe- 
sta usata  a'  nuovi  re.  Venne  poscia  loro  vergogna  d' avere, 
come  Parti  imbastarditi,  chiamato  re  d'un  altro  mondo,  in- 
fetto de'  costumi  de'  lor  nimici.  «  Già  il  seggio  arsacido  per 
vassallaggio  dtRoma*  stimarsi  e  darsi:  dove  essere  que'glo- 
riosi  che  tagliaron  a  pezi  Grasso,  «he  cacciu-on  Antonio,  se 
chi  soffèrto  aveva  tanti  anni  d'essere  schiavo  di  Cesare,  do- 
veva lor  comandare?»  Stomacavali  anch' egli  co' suoi  modi 
diversi  dagli  antichi;  cacciar  di  rado,  non  si  dilettar  di  ca- 
valli; ire  per  le  città  in  lettiga;  fargli  afa  ^  i  cibi  della  patria: 
ridevansi  del  codazo  grechesco,  del  serrare  e  bollare  ogni 
cencio;  ^  le  larghe  udienze  le  liete  accoglienze,  virtù  nuove, 
ai  Parti  erano  vizi  nuovi;  e  ciò  che  antico  non  era,  odia- 
vano buono  e  rio. 

III.  Misono  adunque  in  campo  Artabano  arsacido  alle- 
vato ne' Dai:  *  nella  prima  battaglia  fu  rotto  :  rìfeosi,  e  prese  il 
reame.  Vonone  vinto  rifuggì  in  Armenia,  allora  vota,''  e,  tra 

^  *  del  sangtte  arsacido.  Gli  Arsacidi  erano  i  discendenti  di  quell'  Ar- 
sace  che  liberò  il  paese  dei  Parti  dalla  signoria  de'  successori  di  Alessandro ,  e 
ne  fece  un  ampio  e  potente  reame. 

>  *  e-*  capitani.  Oppio  Staziano  e  Antonio,  Ta.  di  R.  71  S<  Vedi  PhiUrco 
in  Ant.  38. 

'  *  per  vassallaggio  di  Roma,  come  se  fosse  provincia  romana. 

*  *f'*^^i  "/'*  >  avere  a  schifo.  Lat.  :  ««  fasUujue  erga  patrias  epttlas.  » 

5  *  bollare  ogni  cencio.  Lat.  :  «  vilissima  uiensilium  anulo  clautai  - 

6  •  iw* Ihti,  sul  Caspio:  oggi  Dàhistan, 

'  *  vota,  u  seoca  signore.:  ed  essendo  in  qfiezsp  tra  il  dominio  de* Parti  e 
quello  ilo*  Jtomanr,  air iin.i  c  all'altra  pn» le  si  rontlc\ a   po.o  f«tlile   »»  Duli 


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IL  LIBBO  SSGONDO  DSfiLI  ANMAU.  63 

le  forze  romane  e  de'  Parti  trameio,  ^  non  fedele,  per  la  cai* 
(ivilà  d' Antonio  *  che  Artavasde  re  di  qoella  come  amico 
chiamò ,  incatenò  e  uccise.  Onde  Artassia  suo  flgUnolo,  '  con 
le  forze  degli  Arsacidi,  sé  e  il  regno  difese  contra  di  noi. 
Essendo  tradito  e  morto  da'  suoi ,  Cesare  investi  di  quél  re- 
gno Tigrane,  e  Tiberio  Nerone  lo  vi  condusse.  Corto  impe» 
rio  vi  tenne  esso  e' figliuoli,  benché  con  loro  sorelle,  di  re- 
gno e  matrimonio  congiunti,  alla  barbara.  Agusto  vi  mise 
Artavasde  ;  fonne  non  senza  nostra  sconfitta  cacciato. 

IV.  Gaio  Cesare  ^  mandalo  a  rassettar  1'  Armenia ,  die 
loro  Ariobarzane  mede.  Era  bello,  era  fiero  ;  T  ebbero  caro. 
Morto  per  isciagura ,  miscontenli  de'  suoi  figlinoli,  assaggia- 
ron  la  signoria  d' ona  donna  delta  Erato ,  e  quella  cacciata 
ben  tosto,  confusi  e  sciolti,  senza  signore  anzi  che  liberiate 
rifoggìto  Vonone  fanno  re*  Ma  perché  Artabano  il  minaccia- 
va; gli  Armeni  poco  il  potevano  aiutare,  e  noi  difendendolo, 
rompavàmo  guerra  co' Parti;  Cretico  Silano,  governatore  in 
Seria,  chiamatolo,  il  fé'  prigione,  pompa  e  nome  reale  man- 
tenendogli. Questa  indegnità  come  egli  tentasse  fuggire,  dirò 
a  suo  luogo. 

y.  Tale  scompiglio  dell'  oriente  non  dispiacque  a  Tibe- 
rio, per  diveller  Germanico  dalle  legioni  troppo  sue,  e  man- 
darlo con  la  scusa  di  nuovi  governi  forse  a  smaltire^  per  froda 
o  fortuna.  Ma  la  pronteza  de'  soldati  e  la  malignità  del  zio 
gli  erano  pungoli  allo  affrettare  la  vittoria  :  e  seco  divisava 
le  maniere  del  combattere;  quel  che  gli  era  in  tre  anni  di 

*  *  trameno,  dopo  il  fra  •  pleonatmo ,  non  opportuno  a  chi  contava  le 
parole. 

3  cattìvilà  et  Antetào.  Artavasde,  amico  e  aiirto  de' Romani,  aveva  la- 
sciato tagliare  a  pesi  Oppio  Stasiano  (Dione,  49).  Antonio  lo  gsstigò  con  questo 
tradimento.  Oggi  [non)  si  direbbe  [cattivitb,  ma]  f)  saper  di  guerra  o  ragion 
di  sUto,  cbe  fa  Lecito  ciocche  'k  utile.  Il  popol  basso  la  direbbe y<iRfmeri«.  (**) 

'  *  suo  Jìgliuolo,  Aggiungi  :  «  per  la  memoria  del  padre  divenutoci  nemi- 
co. *•  Cosi  vude  il  testo  :  «•  ^ti9  JrtMeias,  memoria  patria  nobis  infensus,  *» 

A  *  Gaio  Cesare,  bastardo  d*  Agrippa,  adottivo  d'Angusto:  mori  nel 
ritorno  Fa.  757.  Vedi  sopra,  1-,  3. 

'  *  a  smaltire,  a  morire.  Il  lat.  bat  «  novisque  jirwlnciis  impositum 
doio  simtU  et  casihts  obieeiarat.  » 

n  l'è  parole  ehiase  tra  qaesti  segni  (  ]  si  leggono  solamente  nella  Giuntina. 
(*^  famtùuria,  tristisia,  malvagttk.  Il  popol  toscano  die* /aurino  ad  nomo  tristo,  andacee 
malitiose.  Egli  è  fantino  da  far  questo  «  altro  :  «gli  è  «n  Isntino  ehe  il  tisi  m  soampi ,  «e. 


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64  IL  LIBIO  SBCONDO  DMU  ANNALI. 

qaella  guerra  rioscito  bene  o  male  :  «  Giornate  ^  e  pianure 
esser  la  morte  de' Germani:  boschi  e  palodi,  state  corta, 
verno  tostano'  a  loro  giovare:  i  soldati  suoi  meno  delle  ferite 
che  de*  lunghi  cammini  e  delle  pesanti  armi  patire:  aver  le 
Gallio'  monte  di  cavalli:  gran  bagagliume, ésca  al  predare, 
noia  a  difenderlo.  S' io  vo  per  mare,  ne  son  padrone:  il  ni- 
mico non  l'usa:  guerreggerò  prima:  gente  e  vivanda  insie- 
me porterò:  per  le  bocche  e  letti  delle  riviere  metterò  nel 
cuore  della  Germania  i  cavalli  e  gli  uomini  riposati.  » 

VI.  Gittatosi  a  questo,  mandò  P.  Vitellio  e  Ganzio  *  a 
riscuotere  le  decime  '  delle  Gallie;  e  a  Siilo,  Anteioe  Cecina 
die  cura  di  fabbricar  le  navi.  '  Mille  parvero  bastevoU ,  e 
prestamente  furon  in  punto  :  parte  corte  e  strette  di  poppa  e 
prua  e  largo  ventre,  per  meglio  reggere  a'  fiotti:  altre  in 
fondo  piatte,  per  ben  posare:''  le  più  col  timone  a  ogni  punta,' 
per  approdar  da  ogni  banda  a  un  rivolger  di  remi:  molte 
acconce'  a  pprtar  macchine,  cavalli  e  viveri;  destre  a  vela; 
sparvierate  '^  a  remo:  e  la  baldanza  dé'soldati  le  mostrava  di 
più  numero  e  terrore.  A  ppuntossi  che  facessero  massa  ^*  Del- 
l'isola  de'  Batavi,  d'  agevole  sbarco,  comoda  a  mandare  le 
bisogne  alla  guerra  per  lo  Reno,  ^'  che  per  un  letto  solo  che 
fa  alcune  isolette,  giunto  a'  Batavi,  si  divide  come  in  due 
fiumi:  l'uno  col  suo  nome  e  rapido  corso  passa  per  la  Ger- 

*  *  Giornate,  LalUglie  ordinate  e  regolari,  campali. 

S  *  tostano,  sollecito,  prima  del  tempo. 

'  ie  Gaiiie.  Quel  che  oggi  si  chiama  Francia  è  parte  delle  Gallie;  però 
ritengo  il  nome  antico. 

4  *  Canzio,  per  Caio  Jnzioj  come  Jgellio  per  Aulo  Gellio. 

>  *  ie  decime.  Vedi  Ann.  I,  3t . 

B  le  navi.  Nel  terso  delle  Storie ,  nella  guerra  d'Aniceto ,  descrive  m^io 
questo  Autore  loro  forma ,  nome^  uso. 

^  *  per  ben  posare.  Il  lat.;  «  ut  sine  noaea  siderentj  n  cioè,  affinchè 
ne' luoghi  dove  l'acqua  è  bassa,  o  pei  gaudi  o  pel  riflusso  della  marea,  po- 
tessero calare  senza  pericolo. 

**  a  ogni  punta.  Il  lat.  :  «  tUrinqué,  n  cioè  da  prora  e  da  poppa. 

'  *  acconce:  Il  lat.  ha  :  «  poniibus  stratat  j  »  fomite  di  ponti. 
*^  *  sparvierate ,  veloci  come  sparviero.  Lat.  :  «  cita  remis.  n 

"  *  facessero  massa.  Lat.:  «  convenirenL  » 

«  *  comoda  a  mandare  le  bisogne  alia  ^itarra  per  lo  Remo.  Non  è 
chiaro.  Il  lat.  ha:  «  transmilUndum  ad  bellum  opportuna,  *»  che  il  Yale- 
riani  traduce:  «  atta...  a  trasmetter  la  guerra;  »  e  più  chiaramente  il  Boarnouf: 
m  polir  envojrer  la  guerre  sur  un  autre  rivage.  » 


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IL  LIBRO  SECONDO  DBGLl  ANNAU.  65 

manìa  neir oceano;  T altro,  che  nell'orlo  della  Gallia  corre 
pia  largo  e  dolce,  mata  nome ,  e  lo  dicono  i  paesani  Vaale , 
e,  poco  oltre ,  Mesa,  che  per  ampissima  foce  si  versa  nel 
medesimo  oceano. 

VII.  Mentre  V  armata  s'adana,  Cesare  manda  Silio  le- 
gato con  gente  spedita  a'  danni  de'  Gatti:  esso,  sentendo  es- 
ser ana  forteza  in 'su  la  Lappia  assediata,  y'  andò  con  sei 
legioni.  Silio,  per  le  repenti  piogge,  poco  altro  fé' che  pre- 
dare la  moglie  e  la  figlinola  d'Arpi  signore  de'  Gatti.  Nò  Ce- 
sare combatto  gli  assedianti,  perchò  al  grido  del  soo  venire 
sbandarono,  spiantato  nondimeno  il  nuovo  sepolcro  delle  le- 
gioni dì  Varo,  e  l'aitar  vecchio  di  Druse.*  Rifece  l'altare,  e 
con  le  legioni  dietro,  per  onoranza  del  padre  vi  torneò.'  Il 
sepolcro  non  parve  da  rinnovare;  etra  la  forteza  e  l' Alise- 
ne '  e  '1  Reno  tutto  di  nuovi  termini  e  bastioni  afforzò. 

Vili.  Giunta  l' armata,  avviò  i  viveri;  scompartì  per  le 
navi  le  legioni  e  gli  aiuti;  e  nella  fossa  detta  Drusiana  en- 
trato, orò  al  padre  Druse,  che  favorisse  lieto  lo  suo  ardi- 
mento alla  medesima  impresa,  mostrasse  i  fatti,  ricordasseli 
T  modi  suoi.  Navigò  per  li  laghi  e  per  l' oceano  felicemente 
sino  a  foce  d' Amistà.  Quivi  lasciò  le  navi  a  sinistra  del  fiu- 
me, e  fu  errore  a  non  isbarcar  le  genti  più  su;  che  dovendo 
andare  per  quelle  terre  a  destra ,  ebbe  a  perder  parecchi  di 
a  far  ponti  sopra  que'  marosi,  che  dalle  legioni  e  cavalli  fu- 
rono passati  francamente  innanzi  al  tornar  della  marea:  ma 
gli  aiuti  diretani ,  volendovi  sgarar  V  acque  *  e  mostrar  va- 

'  *  di  Driiso;  cioè,  eretto  dove  morì  Dnuo  1'  a.  745. 

S  per  onoranza  del  padre  vi  torneò.  Di  questo  costume  antichissimo 
detto  decursio,  vedi  Senofonte  nel  sesto  diXUro^  Dione,  ^5;  Svetonio,  in  He- 
rone.  Il Lipsio  cita  Omero,  Virgilio,  Livio, Lucano  e  Stazio.  Postilla  5$  di  qnt- 
sto  libro.  (*)  — *  con  le  legioni...  vi  torneò;  cioè,  fu  egli  il  ptimo,  e  dietro  di  lui 
tornearono  le  legioni.  Il  lat.  ha  :  «  princeps  ipse  cttm  legionibus  decucurrit  m 

^  *  tra  la  forteza  el*  Alisone.  Legge  il  testo  cosi:  «  eastellum,  Aliso- 
nem  ae  Hhenum.  »  Ma  le  migliori  edisicni  leggono  :  «  castellum  AUso^ 
nem  ac  Bhenum ,  n  cioè  :  tra  la  fortessa  Alisone  e  il  Reno.  —  Alisone  è  il 
nome  della  fortessa,  posta  sulla  confluenza  della  Lupia  e  del  fiume  Alisone, 
come  attesU  Dione  54,  38.  Vedi  il  Tacito  dell'  Creili  a  questo  luogo. 

*  * vólatdovi  sgarar  l* aeque j  cioè,  volendo  in  esso  fiume,  con  certa 
Laldanxa,  vincer  la  prova  contro  l' impeto  delle  acque  :  ossia,  volendo  mostrare 
cbe  le  acque  non  facevano  loro  paura  ec.  Il  lat.  ha:  «  dum  insuUant  aquis.  *» 

n  Di  svesta  «Visione,  pag.  400,  nota  3. 

6' 


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66  IL  LIBRO  SECONDO  OBOLI  ANIULI. 

lentie  di  notare,  si  disordinarono,  e  vo  ne  annegò.  Ponendo 
Cesare  il  campo,  intese  esserglisi  alle  spalle  ribellati  gli  An- 
grivari.Slertinìp  prestamente  mandatovi  con  cavalli  e  fanti 
leggieri,  a  ferro  e  fooco  li  gastigò. 

IX.  Correva  tra'  Romani  e'Chernsci  il  Visargo.  Anninìo 
co' suoi  primi  fattosi  alla  riva,  domandò  se  Cesare  v'era: 
udito  che  si,  pregò  di  parlare  a  Flavio  sao  fratello.  Questi 
era  nel  nostro  esercito  in  grande  stima  per  sua  fedeltà,  e 
per  avere  in  una  battaglia  sotto  Tiberio  perduto  un  occhio. 
Affacciatosi,  Arminio  lo  salutò,  e,  levati  dalla  riva  gli  arcieri 
suoi,  chiedeo  i  nostri  levarsi.  Ciò  fatto,  al  fralel  disse:  «Che 
occhio  è  quello?  »  —  a  Lo  perdei  nel  tal  luogo,  neUa  tal  bat- 
taglia. »  —  a  Che  ne  guadagnasti?  »  Soldo  cresciuto,  colla- 
na, corona  e  altri  doni  militari  contò.  Arminio  si  rideva 
che  a  si  buon  mercato  servisse. 

X.  Mostrando  poi,  l'uno,  la  grandeza  romana,  la  potenza 
di  Cesare,  le  crude  pene  a'  vinti,  la  pronta  misericordia  alli 
arresi,  lo  amichevole  trattamento  a  sua  moglie  e  figliuolo; 
r  altro,  ricordando  l' obbligo  alla  patria,  l'antica  libertà,  la 
loro  religione,  '  le  lagrime  delia  madre  ;  non  volesse  il  suo 
sangue,  i  parenti,  i  compatriotti  lasciare  e  tradire,  anziché 
comandare;  Tuna  parola  tirò  l'altra  sino  agli  oltraggi:  né 
gli  arebbe  il  fiume  divisi ,  se  Stertinio  non  correva  a  ralte- 
ner  Flavio  infuriato,  chiedente  arme  e  cavallo:  e  vedevasi 
Arminio  di  là  minacciare  e  sfidare  a  battaglia  mezo  in  la- 
tino, perchè  già  ebbe  compagnie  di  Germani  nel  campo 
romano. 

XI.  L' altro  giorno  1  Germani  sì  presentarono  schierati 
oltre  al  Visurgo.  Cesare,  non  gli  parendo  da  calcitano  avven- 
turare la  fanteria  senza  ponti  e  guardie,  passò  a  gnazo  i  ca- 
valli. Stertinio  ed  £milio,  capo  di  prima  fila,  li  guidarono 
tra  se  lontani  per  dividere  il  nimico.  Cariovalda,  capo  de'Ba- 
tavi,  guadò  dov'  era  maggior  la  corrente.  Mostrando  i  Che- 
rnsci  di  fuggire,  il  tirano  in  un  piano  cinto  di  boschi ,  onde 
gli  piovono  addosso  per  tutto  :  rispiogono  i  combattenti,  se" 
gallano  i  fuggenti  ;  o  con  mani  o  con  tiri  sbaragliano  gli  at- 

'  *  la  loro  religione.  LaU  :   ••  j^mUraUs  Gtrmaniat  dtMi  «  i  PcmU 

della  Germania. 


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IL  LIBBO  SBC9ND0  tm»U  ANNALI.  67 

leslatì  in  giro.  Gariovalda  doppo  moUo  r0ggere  la  fìirìa  ni* 
mica,  disse  a*  suoi  :  a  Serratevi  e  sdraeUeti:  »  '  e  ne'  pia  folti 
lanciatosi  y  di  dardi^saricato,  e  mortogli  sotto  il  cavallo^  cadde 
con  molti  nobili  intorno.  Gli  altri  salvò  la  virtù  loro,  o  41 
soccorso  de'  cavalli  di  Stertioio  e  d'Emilio. 

XU.  Cesare,  passato  il  Visargo,  intese  da  un  fuggilo, 
dove  Arminio  voleva  far  giornata:  altre  nazioni  essere  nella 
selva  d' Ercole,  e  voler  dt  notte  assalire  gli  alloggiamenti. 
Gredettegli;  e  Vedevansi  i  fuochi  :  e  riferirono  gli  andati  a 
riconoscere,  aver  sentito  d' appresso  grande  anitriq  di  cavalli 
e  borboglio  di  turba  infinita.  Stando  adnnqfrai  la  cocca  in  sa 
la  corda,'  gli  parve  da  spiare  il  eoraggio  de'  soldati;  '  e  pen- 
sando a  modo  monroi  perchè  i  tribani  e'  centariopi  rile^ri- 
Bcon  cose  piacenti  più  tosto  che  vere;  i  liberti  ritengono 
dello  schiavo;  gli  amici  adulano;  in  parlamento,  quello  che 
pochi  intnonano,  gli  altri  cantano;  risolvette,  quando  mai»- 
giano  e  come  non  uditi*  tra  loro  si  discredono,  '^  origliarli. 

XIIL  Esce,  fattosi  buio,  della  porta  agurale,'  con  no 
compagno;  impelliciato, ^  non  appostato  va  per  le  vie  del 
campo;  accostasi  a'  padiglioni,  e  gli  giova  udir  di  $e  dire  a 
diversi  :  «  Oh  che  nobile  capitano  !  oh  che  beli'  uomo  I  pa- 
siente,  piacevole,  in  ogni  azione  grave  o  giocosa  tutto  amo* 
ne:  ben  doverlo  tutti  riconoscere  ^  in  questa  battaglia,  e  sa<- 

*  *  sdruciteli.  Il  lat.  :  «  eatervas  Jrangerent.  »  Cosi  sopra ,  liB.  I  :  «  col 
fot  de'  suoi  sdruci  ne'  nortri.  »  H  lat  t  «»  sddit  agmtm.  • 

>  *  Skmda...  id  p«cc4  »  4«  /a  atnU^  te  11  lat.:  «  pr^pim/mo  ntmmtt  rm 
discrimine,  »  n  Appressandosi  il  tempo  eh'  e'  si  dovea  metteie  a  rischio  tutto 
l'esercito,   n  Dati.  «  Approssimandosi  il  cimento  estremo,  n  Valerìani. 

'  *  8^  P"^^  ^  spiare  il  coraggio  dei*soldaU,  Vegesio  nel  terso,  cap.  iS, 
diccf  m  Avanti «1  c^nhatter* ,  l'^mm*  de' soldati  dilSgentcmènla  si  dee  cercare. 
La  Sdama  e  la  paura  per  lo  Toito ,  ptf  le  parole  •  per  li  gesti  e  nioviineiiti  s^ 


A  *  non  uditL  Uiealo  hai  ■  secratt  et  incustoditi j  »  soli  •  non  guardati. 

'  *  si  diseredano.  Disfimdefesi  con  alcuno ,  vale  aprirgli  l' anmo  coiiS- 
dentenaenlQ  a  aUa  bhetai  seavicani  di  fuakha  paso  del  enore;  spassionarsi; 
sfogarsi.  Cosi  anche  lib.  IV  :  «  parendo  di'  vara  amistà  degno  il  disaedersi  di 
cosa  si  gelose.  *• 

'  *  por^a  agurale  era  alla  destra  della  tenda  pretoria,  a  qui  il  capitano 
pigliava  gli  anguiii  da'poUi. 

T  imp^ieeiato»  Par  parerà  uno  de' soldati  d^ainto  Garmani  ehe  portano 
assai  palli. 

^  *  doverlo  tutti  riconoscere i  cioè,  tutti  dovergli  aifava  licbooacenti. 


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68  a  LIBIO  8BG0N1K>  DietI  ANNALI. 

crificar  questi  cani  roinpitori  della  pace  alla  saa  yendetU  e 
gloria.  »  Aecostossi  allo  steccato  ano  de'  nimici  a  cavallo,  e 
con  voce  alta  in  lingua  latina  da  parte  d'Arminio  offerse  mo- 
glie, terreni  e  fiorini  dae  e  mezo  d*oro  il  di,  durante  la 
guerra,  a  chi  passasse  in  suo  campo.  Tale  affronto  raccese 
l'ira  assoldati:  e  Venga  il  giorno;  entro  deasi;  buono  agu- 
rio;  ^  sisi  prederemo  i  terreni,  le  mogli  e' danari  de'Ger^ 
mani.  »  Su  la  terza  guardia'  assalirono  il  campo  senza  colpo 
tirare ,  non  V  avendo  trovato  a  dormire. 

XIV.  Germanico  quella  notte  sognò  di  sagrificare;  schi^ 
zargli  di  quel  sagro  sangue  nel  vestono,  '  e  Agusta  sua  avola 
porgernegli  altro  pia  beilo.  Con  questo  e  con  gli  agàri  rispo- , 
sti  bene,  aringo,  mostrando  ì  savi  provvedimenti  fatti ,  e 
quello  che  essi  doveano  fare  nella  presente  battaglia  :  «  Il 
soldato  romano  combattere  non  pure  in  pianure,  ma  in  bo- 
schi e  burróni,  se  mestier  fa:  quelle  targhe  e  pertiche  sconce 
de'  barbari  tra  le  macchie  e  gli  alberi  non  valere,  come  i  lan- 
ciotti e  le  spade  e  l'assettata  armadura.*  Tirassero  di  punta 
spesso  al  viso:  non  aver  quei  coraza,  non  celata  né  scudi  di 
ferro  o  di  nerbi,  ma  di  graticci  ò  tinte  assicelle  :  aste  (chenti* 
elle  si  sono]  nelle  prime  file;  nel  resto,  moziconi  di  pali  ar- 
sicciati. Esser  terribili  d'aspe'tto,  rovinosi  a  prima  furia,  ma 
non  sopportare  le  ferite:  voltare^  fuggire:  non  vergogna,  non 
ubbidienza  conoscere:  nelle  rotte  codardi  :  nelle  bonacce,  né 
d'  uomini  nò  d' Iddio  ricordevoli.  Se  bramano  finire  *  il  tedio 
de'  viaggi  e  del  mare,  in  questa  giornata  consistere.  Essere 
pia  airAlbi  che  al  Reno  vicini  :  finita  ^  ogni  guerra,  se  lui  cal- 

'  *  entro  deasi,  s'attacchi  la  pugna.  —  6r«oiio  agurioi  cioè,  preadiamo 
per  boono  augurio  l' averci  il  nemico  steuo  offerto  terreni,  m<^1i  e  danari. 

*  *  Sala  tersa  guardia,  v^pìih:  preiso  a  giorno.  Vegesio,  III,  S;  trad.  di 
B.  Giamboni  :  «  E  perchè  impossibile  cosa  parca  che  tutti  quelli  che  guardano, 
veggbino  tutu  la  notte,  per  ciò  i  ▼egghiamentt  {vigiiUe)  in  quattro  parti  sono 
divisi,  che  non  più  che  tre  ore  della  notte  faccia  bisogno  di  vegf^re.  »    > 

'  *  vegtone.  Il  lat.:  «  pnetextd.  » 

^  *  assettata  armadura.  Lat.  :  «  heerentia  carpari  tegmima,  »  Dati  : 
m  armadure  assettale  a  lor  dorso.  • 

'  *  astej  cioè,  i  barbari  umno  le  aste ,  ec.  —  chetiti,  quali. 

^  *  Se  bramano  fatù^,  eo.  Più  chiaro  la  Giontina:  «  se  il  6ne  brama- 
vano  de'  cammini  e  del  mare,  ec.  w.^.  con^ùtere:  sottintendi, infine  de'viaggi,  ce 

'  */}iite,strk  finita. 


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IL   LIBBO  SECONDO  DB6LI  AMMALI.  69 

canto  r  orme  del  padre  e  del  zio  fermeranno  in  quelle  terre 
vittorioso.  »  Il  dire  del  capitano  infocò  i  soldati,  e  diedesi  il 
segno  alla  battaglia. 

XV.  Né  Arminio  e  gli  altri  capi  mancavano  d' incorare 
i  Germani  :  «  Quelli  essere  Romanastri  dell'  esercito  di  Varo, 
abbottinaU  per  non  aver  a  combattere;  che  disperati  tornano 
con  lor  malanno  a  pasturare  le  spade  germane  delle  loro 
membra  sforacchiate  di  dietro  o  macinate  dalle  tempeste  : 
esser  venuti  quatti  quatti  per  tragetto  di  mare  per  non  dare 
in  chi  gli  pettoreggi,  cacci  e  prema:  ma  quando  saremo  alle 
mani  vittoriosi ,  non  varrà  loro  venti  e  remi.  Con  gente  si 
taccagna,  c^fudele  e  superba,  puoss'egli  altro  che  mantener 
libertà  o  morire?  » 

XVI.  €osl  riscaldati  e  chiedenti  battaglia,  li  conducono 
nel  piano  d' Idistaviso,  che  tra  '1  Visurgo  e  i  colli  serpeggia , 
secondo  che  quelli  sportanp,  o  acqua  rode.  Dietro  sale  una 
selva,  con  alte  ramerà  e  suolo  netto.  I  barbari  presero  il 
piano  e  le  radici  del  bosco:  i  Gherusci  soli  le  cime,  per  piom- 
bare, appiccata  la  zuffa,  sopra  i  Romani.  L'esercito  nostro 
ebbe  in  fronte  i  Galli  e' Germani  aiuti;  poscia  gli  arcieri 
a  piedi.  Seguitavano  quattro  legioni  con  Cesare  in  mezo  a 
due  pretoriane  coorti  e  cavalli  scelti  ;  appresso  altrettante  le- 
gioni, i  fanti  spediti ,  gli  arcieri  a  cavallo  e  gii  altri  aiuti. 
Stando  tutti  presti  e  al  combattere  in  lesi. 

XVII.  Vedendo  Cesare  caterve  di  Cherusci,  con  ferocità 
calate,  sdrucire  per  fianco  la  cavalleria  migliore,  mandò  Ster- 
tinio  con  la  restante  a  circondargli  di  dietro  e  batterli  :  esso 
a  tempo  andrebbe  a  soccorrerlo.  Allora  ad  un  bellissimo 
agnro  d' otto  aquile,  viste  volare  entro  la  selva,  voltò  il  ca- 
pitano e  gridò:  a  Via  seguitate  i  romani  uccelli,  propri  vo- 
stri iddii.  ^  »  Entrò  la  fanteria,  e  li  già  mandati  cavalli  sfor- 

'  rumarli  ucceiiit  propri  VMtri  iddii.  L'aquile,  il  Ubaro,  1* immagini  e 
l'altre  insegne  ttavaoo  nel  campo  in  un  tabernacolo  o  (come  noi  diremmo.)  cap- 
pella, e  questi  erano  gì' iddii  dell'esercito  che  quivi  s'adoravano.  Questi  Taber- 
nacoli dùamavano  Principia.  Stasio  gli  circonscrive  nel  X  libro  : 

renlum  ad  coneUii  perutrait  domumqut  PtrtndMt 
Signomm,  etc. 

Eravi  franchigia ,«  si  giurava  per  quelle.  Quivi  s' appiccavano  gir  editti ,  si  leg- 
gevano le  lettere ,  si  facevano  i  parlamenti ,  si  poneva  il  segno  dell'  aver  a  com- 


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70  IL  LIBBO  SBCONDO  DftGU  ^«AU. 

zaroQo  i  flanchì  e  la  coda.  £  dae  schiere  di  dìhùcì  (mirabil 
eosai)  a  fiaccacoUo  della  selva  nel  piano,  e  del  piano  nella 
selva  si  fuggivano  incontra.  I  Gherasci  in  qael  mezo,  erano 
traboccali  giù  da  que' colli:  tra'  quali  Arminio  si  focea  vedere 
con  mani,  con  voce,  con  ferite  sostenente  battaglia; e  pon- 
lava  nelli  arcieri  *  per  indi  uscire:  ma  le  'nsegne  de' Reti, 
Yindelìci  e  Galli  gli  fecero  parapetto«£  nondimeno  per  isforzo 
suo  e  del  cavallo  scappò,  col  viso  tinto  di  suo  sangue  per  non 
essere  conosciuto.  Alcun  dice,  i  Ganci  tra'  Romani  aiuti  averlo 
raffigurato  e  datogli  la  via.  Per  simil  virtù  o  froda,  faggi  In- 
guiomero.  Gli  altri  furon  per  tutto  tagliati  a  pezi,  o  rimase- 
ro, passando  il  fiume,  annegati,  lanciottati  sella  foga  de*  fug- 
genti, nel  franar  delle  ripe  affogati:  alcuni  con  laida  fuga 
inalberati,'  s'appiattarono  tra'  rami,  che  scoscendentlosi,  o 
bolzonati  per  giuoco ,  tombolavan  giù  e  storpiavansi. 

XYIIl.  Grande  e  senza  nostro  sangue  fu  la  vittoria. 
Dall'ora  quinta  del  dì  ^  sino  a  notte  durò  l'ammazare: 
dieci  miglia  era  pieno  di  cadaveri  e  d' armi.  Trovaroosì 

battere,  e  vi  se^ivaDo  le  maggiori  azioni.  Mario  trovò  l'aquila:  ogni  legicme 
aveva  la  sua.  Non  era  molto  grande;  svolazzante;  con  l*un  piede  teneva  la  fol- 
gore d'oro,  con  1*  altro  posava  in  su  l'asta,  che  con  la  gorbia  del  ferro  si  fic- 
cava in  terra.  Di  queste  cose  vedi  le  autonUi  nel  Lipsio  sopra  questo  luogo ,  e 
sopra  il  lib.  15.  (*) 

*  *  pontava  nelli  arcierù  «  Fece  tutto  lo  sforzo  dove  erano  gli  ar- 
cieri :  raccolse  quasi  in  un  punto  tutte  le  forze  del  suo  corpo  per  passare  gTi 
squadroni  degli  arcieri.  ~  Dante,  Pwg.  20  :  E  qttetta  (la  lancia)  ponU  sì  eh' a 
Fiortnxa  fa  scoppiar  la  pancia,  Pontare  i  piedi  al  muro  :  pontar  col  capo 
nel  coperchio,  dice  il  Bocc.  nov.  2$.  Questo  pontare  esprime  maravigliosa- 
mente Vincumbere  di  Tacito.  »  P.  Pietri,  Post.  Mss. 

^  *  inalberati,  montati  sugli  alberi. 

^  DaU*  ora  quinta  del  dì.  Germanico  tre  anni  aveva  combattuto  co'  Ges- 
mani  per  vendicar  la  rotta  di  Varo.  In  su  '1  buono  del  soggiogarli,  Tiberio  inge- 
losito della  sua  grandeza,  lo  richiamava.  Egli  per  non  perder  tanta  gloria ,  sol- 
lecitò d*  uscire  in  campagna,  e  fece  qucst'  anno  769  due  grosse  giornate.  Questa 
prima  ali*  entrar  di  primavera ,  quando  per  esser  i  giorni  per  tutto  dodici  ore 
eguali ,  la  quinta  ora  del  giorno ,  cominciandosi  in  quel  paese  a  contare  quando 
si  leva  il  Sole,  fu  alle  diciassette  ore ,  secondo  noi  che  comiaciamo  quando  tra- 
monta. La  seconda  giornata,  dicendo  di  sotto  che  la  state  era  adulta,  venne  a 
essere  a  mena  state  ;  cbiamandesi  in  latino  le  stagioni  nepat  mdulia  etprteeeps. 

(*)  Questa  postilla  è  più  ampia  di  quella  che  leggesi  nella  GinDtina ,  la  qaale  inveos  di  uh 
tabgrnaeotoo  (come  noidireinmo)  cappella,  ha  semplioentente,  una  {eomt  noi  dinmmtH  ^PptUai 
e  dopo  adornano  ba  ia  dUùone ,  coma  a  463 ,  che  rimanda  al  principio  del  lib.  4.  -^  Per  fo^ 
bla  dtlfmo  s>  intende  na  boodaiOo  di  forro  di  ilgora  conica,  dove  imboccavasi  ii  piò  dell'  astf . 


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IL   LIBRO  SECONDO  DEGLI   ANNALI.  71 

tra  le  spoglie  le  catene  per  legare  ì  Bomani ,  come  si- 
cori  del  vincere.  L' esercito  nel  luogo  della  battaglia  gridò  : 
Viva  Tiberio  Ihperadore  ;  e  sopra  un  monticello,  a  ciò  fatto, 
rizò  come  an  trofeo  di  queir  armi,  e  sotto  vi  scrisse  1  nomi 
delle  vinte  nazioni. 

XIX.  Cosse  pia  a'Germàni  questo  spettacolo  *^  che  le  fe- 
rite, le  lagrime,  Io  sperperamento.:  e  que'che  pensavano  al 
ritirarsi  oltre  Albi,  voglion  ora  quivi  stare  e  combattere:  ple- 
be, grandi,  giovani,  vecchi  carpano  l'arme,*  e  le  romane 
schiere  investono,  travagliano:  indi  scelgono  un  piano  stretto 
e  motoso,  cinto  da  fiume  e  da  boschi ,  cinti  da  profonda  pa- 
lude, se  non  che  da  un  lato  gli  Angrivari  per  dividersi  da' 
Gherusci  aveano  fatto  grosso  argine.  Quivi  si  posero  i  fan- 
ti, e  ne'  vicini  boschi  cavalli  in  agguato  per  uscir  di  dietro 
a'  nostri,  quando  vi  fossero  entrati. 

XX.  Sapeva  Cesare  tutti  loro  disegni ,  luoghi,  fatti  se- 
greti e  pubblici,  e  l'astuzie  del  nimico  in  capo  lor  rivolgeva. 
A  Seio  Tuberone  legato  assegnò  i  cavalli  e  '1  piano:  i  fanti 
ordinò  parte  entrassero  per  lo  piano  ne' boschi,  parte  guada- 
gnassero l'argine.  Il  più  forte  '  lasciò  a  se,  il  rimanente  a'  le- 
gati. Que'  del  piano  entrarono  agevolmente:  gli  scalatori 
dell'  argine  come  sotto  muraglia  eran  di  sopra  percussati  du- 
ramente. Vide  il  capitano  che  dappresso  non  si  combatteva 
del  pari ,  e  fece  ritirare  alquanto  le  legioni,  e,  da'  tiratori 
dì  mano  e  di  fionda  balestre  e  màngani,  spazar  di  nimici 
l'argine,  per  cui  difendere  chi  s'  affacciava ,  cadeva.  Cesare 
co'  pretoriani  suoi  fu  primo  a  pigliar  lo  steccato  e  sforzare  il 
bosco.  Quivi  si  venne  alle  mani.  ^  Chiusi  erano  i  nimici  die- 
tro dalla  palude,  i  nostri  dal  fiume  e  da' monti.  A  ciascuno 
dava  il  silo  necessità,  la  virtù  speranza,  la  vittòria  salute. 

^  Cosse...  questo  spettacolo,  li  danno,  perchè  può  venire  dalla  fortuna,  si 
sopporta  ;  lo  scherno,  perchè  mostra  viltà ,  (*)  mette  in  disperazione.  Basta  vin- 
cere, e  non  sidee  stravolere.  Quanto  costa  la  statua  del  duca  dr'Alva  posta  in 
Anversa! 

•  *  carpano  l'arme.  Il  lat.:  «  arma  rapUmt.  *» 
»  •  TI  più  forte  f  il  più  diflficile. 

•  *  si  venne  alle  mani.  Il  testo  ha:  «  conlato  grada  certattim  j  *»  cioè, 
si  attaccò  la  mischia  alle  strette;  a  corpo  a  corpo;  a  ferro  corto. 

e)  mostra  villa.  Neil'  c.«craplorc  giunUno  con  postilln  antograr»*,  posscflnto  «lai  conte.  M'H'- 


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72  IL  LIBRO  8BG0ND0  DBALI  AHMALI. 

XXL  Non  erano  i  Germani  inferiori  d'ardire,  ma  dì  ma- 
niera di  combaltere  e  d'armi  :  non  potendo  quella  gran  gente 
in  laogo  stretto  le  lunghe  aste  maneggiare,  nò  destri  saltare , 
né  correre,  ma  combattevan  piantati:  dove  i  nostri  con  iscudo 
a  petto  e  spada  in  pegno  stoccheggiavano  quelle  membrona 
e  facce  scoperte,  e  faciensi  con  la  strage  la  via.  Né  Arminio 
era  più  si  fiero  per  li  continovi  pericoli  o  per  nnova  ferita; 
Inguiomero  volava  per  tutto,  e  manca  vagli  ajizi  fortuna  che 
virtù.  Germanico,  in  capelli,^  per  esser  me' conosciuto,  gri- 
dava: «Ammaza,  ammaza:  non  prigioni;  il  solo  spegnerli 
tutti  finirà  questa  guerra.  »  Verso  sera  levò  di  battaglia  una 
legione  per  fare  gli  alloggi:  l'altre  sino  a  notte  si  satollaron 
del  sangue  nimico.  Le  cavallerie  combatteron  del  pari. 

XXIL  Cesare  chiamò  e  lodò  i  vincitori,  e  rizò  un  trofeo 
d' armi  con  superbo  titolo  :  Avere  l'  esercito  *  di  Tiberio  Ce- 
sare QUELLA  memoria  DELLE  SOGGIOGATE  NAZIONI  TRA  'l  RbNO  E 

l''  Albi  consagrato  a  Marte,  a  Giove,  ad  Agusto.  Nulla  disse 
di  se,  temendo  d' invidia  o  bastandogli  1'  aver  fatto.  Mandò 
subitamente  Stertinio  a  combattere  gli  Angrivari,  ma  furon 
a  darsi  a  ogni  patto  solleciti  e  ribenedetti. 

XXIIL  E  già  essendo  meza  state,  rimandò  alle  stanze 
alcune  legioni  per  terra,  e  l'altre  imbarcò  e  condusse  per 
r  Amisia  nell'oceano.  Solcando  le  mille  navi  a,  vela  o  remi 
prima  quieto  il  mare,  eccoti  d'un  nero  nugolatoun  rovescio 
di  gragnuola  con  più  venti  e  gran  cavalloni  che  toglievan 
vista  e  governo.  I  soldati  spauriti  e  nuovi  a'  casi  del  mare, 
affannosi  davano  impacci  o  mali  aiuti  a' buoni  ufficii  de' ma- 
rinai. Risolvessi  tutto  '1  turbo  del  mare  e  del  cielo  in  un  vio- 
lento mezodi,  che  dalle  montuose  terre  e  profonde  riviere 

'  *  in  capelli.  Cosi  la  Giuntina.  L'  edizioni  Nestiana ,  Gominiana  e  le 
altre  posteriori  hanno  :  u  come  sotto  muraglia  ;  **  ma  è  manifesto  errore ,  di- 
cendo il  testo  latino:  m  detraxerat  tegimen  capiti,  n  Quelle  parole  come 
sotto  muraglia  furono  per  inavvertenza  tipografica  ripetute  dal  cap.  prece- 
dente. In  un  esemplare  della  Nestiana  ,  corretto  a  penna ,  nei  tempi  (  per  • 
quanto  può  giudicarsi  dalla  scrittura)  del  Davanzali,  leggesi  a  questo  luogo 
questa  correzione  :  <•  trattosi  V  elmo.  *»  Ma  non  sappiamo  se  essa  parta  dagli 
autografi  del  traduttore,  o  se  dalla  mente  del  correttore.  Il  mentovato  esem- 
plare trovasi  nella  privala  biblioteca  del  marchese  Gino  Capponi. 

3  AvBBB  l'  xsbrcito.  Anche  lo  volgar  nostro ,  quando  bisogna ,  come  qui , 
gonfia;  avvenga  che  egli,  per  natura,  tenda  più  tosto  al  gentile. 


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IL  UBRO  SISCONDO  DBGU  ANNALI.  73 

germane  e  da  langhissimp  tratto  di  nugoli  rinforzato  *  e  dal 
gelalo  vicino  seitentrione  incrudelito,  rapi  e  sbaragliò  le  navi 
in  alto  mare,  o  in  secche  o  scogli  ;  *  onde  alcfuanto  con  pena 
allargatesi,  la  marea  tornò  e  traportàvanele  dove  il  vento  : 
non  potevano  star  su  l'ancore  né  aggottare 'la  tanta  acqua, 
che  per  forza  entrava.  Feeesi  getto  di  cavalli,  ginmenti ,  sal- 
me e  arme,*  per  alleggierire  i  gusci*^  che  andavano  alla  banda, 
e  di  sopra  gli  aitnffavano  i  cavalloni. 

XXIV.  Qaanto  è  più  spaventevole  l'oceano  degli  altri 
mari,  e  più  crudo  il  germano  degli  altri  cieli,  fu  tanto  la 
sconfitta  più^  nuova  e  dura,  in  mezo  a'  lili  nimìci,  in  infinito 
mare,  creduto  senza  fondo  o  riva.  Parte  delle  navi  fur  tran- 
ghiottite,  le  più  dileguate  in  lontane  isole  disabitate ,  ove 
mori  di  fame  qualunque  non  sofier^e*  manicare  le  carogne 
de' cavalli  approdatevi.  Spia  ^urse''  ne' Ganci  la  capitana  di 
Germanico;  il  quale  per  quelli  scogli  o  punte  di  terra,  di  e 
notte  incolpante  sé  di  tanta  rovina,  appena  gli  amici  tennero 
non  si  scagliasse  ne)  medesimo  pare.  Rivolto  al  fine  il  flusso 
e  '1  vento,  cominciarono  le  navi  a  tornare  ;Sdrucite  o  zoppe 
e  senza  remi,  o  fatto  delle  vesti  vele,  o  rimorchiate:  le  quali 
a  Caria  rassettò  e  man4ò  alla  cerca  per  queir  isole.  Molti  ne 
raccolse  tal  diligenza,  e  ne  ricattarono  gli  Angrivari  nuovi 


*  *  rinforzato.  Cosi  la  Giunlina,  e  bene.  Il  Lat.  ba  ;  «  vaiidus*  »  Le  altre  : 
rinforzati  riferito  a  nugoli. 

S  in  secche  ó  seogH.  «  fn  insuias  saaris- abruptas .{^abrupUs  ba  il  testo 
cle'Medici)>0//i0r  occidtavada  frifestiis.  »  Con  queste  due  parole  abbiamo  detto 
più  e  meglio  che  Cornelio  con  queste  molte.  «*  Humida  paludum  et  aipera  m<m- 
tiam,»  disse  nd  primo;  e  noi:  pantani  e  grillaie,  h  JYibil  tntertnissa  naviga- 
tiififè  hibemi  maris,  Corciram  applicuitj  »  e  noi  :  Navigò  di  verno  a  golfo 
lanciato  a  Corfù.  E  cosi  spesse  volte  è  più  breve  questa  lingua  fiorentina  prO' 
pria  cfae  la  latina.  La  comune  italiana  non  ha  quest*  sì  vive  vóci  (*). 

'  .*  aggottare,  lai.  «  èxhaitrire.  « 

*  *  salme  e  arme:  anonanta  studiata,  a  ingrandire  la  cosa. 
S  *  /  gttéd.  Lat.:  «  alvei}  »  il  fondo  delle. navi;  le  carene. 

*  *  non  soj^rse,  non  consenti.  Dante:  «  sofferto  Fu  per  ciascun  di 
tórre  via  Fiorensa.  m  Forse  non  era  necessaria  questa  nota.  Ma  mi  vi  ha 
indotto  Pietro  Pietri  (Postille  Mas.)  che  qui  non  ha  inteso  niente. 

'  *  surse,  prete  porto. 

n  NellafotUlla  dtUa  6i«atina  manca  il  seeondo  esempM  IfikU  inttrmUta  ce.,  e  adi'  oU 
Uno  periodo  ha:  «  8e  la  Gomone  italiana  paò  tanto ,  io  mi  rimetto  alla  prova.  » 

I.  7 


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74  IL  Limo  SeCONlK)  DBQLI  AMMALI. 

fedeli:  *  e  sino  in  Britànnfa  ne  for  (raporfati,  e  rimandali  da 
qne'  baroni.*  Contavano  i  tornati  pi  A  di  lontano  miracoloni  di 
bufere,  novfisìmi  nccelli,  mostri  marini,  nomhif  mezi  be- 
stie, e  altri  àtapori  di  veduta,  o  sofgnatFfn  qoèlle  paure. 

XXV.  La  fama  delTa  pterdota  arninfta  rìnvdglfò  l  Ger- 
mani a  rteòmbattèré,  è  Germaiftté^  a  risgara^:  '  é  mandò 
Siilo  con  tréiita  tAtgliaia  di  faikti  e  Uè  di  cavali»  ne^  Catti. 
Egli  con  più  forze  entrò  ne^  Varsi.  MalòveÀdo  loir  capitano 
poco  fa  datosi,  insegnò  ona  délfa^lle  di  Tarò  vicina,  sot- 
terrata *  è  poco  guardata.  Mandò  parte  di  diietrb  a  ràvarla , 
parte  a  fronte  a  far  nsclre  il  nimico:  a  éiasconó  riiisei.  Co- 
tanto più  ardito  Cesare  penetrò,  saccheggiò,  squarciò  il  ni- 
mico che  noft  ardi  affrontare,  e  rotto  fo  alla  prima  dove  s*  era 
fermato,  non  mai  (come  i  prigioni  diserò)  sì  spaurito  ;  in- 
vincibili dicendo  i  Romàfrì  cui  nulla  fortuna  vincéa.  e  Fra- 
cassata Tarmata,  perdute  l'armi,  gremite  le  litora  di  cada- 
veri de'  lor  cavalli  e  uomini;  con  più  virtù  e  fiereza  che 
mal,  quasi  cresciuti  di  numero,  ci  sono  entrati  nel  q[oore.» 

XXVI.  Ridusse  alle  stanze  i  soldati  lieti  d*ayer  con  que- 
sta prospera  fazione  ristorato  i  dannaggi  del  mare:  e  Cesare 
si  liberale  Al  che  a  ciascuno,  quantunque  "^  aver  pèrduto  disse, 
pagò.  Era  senza  dubbio  il  nimico  in  volta  e  pensava  alIT  ac- 
cordi e  fornivasi  *  la  vegnente  state  la  guerra.  Ma  Tiberio 
per  ogni  lettera  lo  chiamava  ^  al  trionfo  apparecchiatogli  : 

*  *  kiàrixa&  Politi:  «  Molti  anco  da'kioghi  più  meditcfraiiei  ne  fbroDO 
riscattati  dagli  Aogriyati,  venuti  di  fresco  all' ubkediènaa,  e  restiluitL  m 

*  *  da  qm*  baroni.  Il  Lat.  :  «  a  regulis.  » 

'  *  risgararU.  Intorno  a  parare  vedi  la  nota  4,  pag.  65.  Qui  risg»- 
rare  vale:  Tettar  di  nuovo  la  provi  dell' armi  per  tenere  a  legao  il  noni' 
co.  Il  Lat.  ba:  m  ad  coercendam.  » 

*  *  NeDa  Giuntina  aveva  tradotto  il  defìtsstun  dissotterrata  ;  di  che  molto 
strepitò  fece  Adr.  Politi  (Vedi  Lett.  a  N.  Sacchetti  neH'Bpistolario  atainpato  a 
Venetia  10S4,pag^  3Si).  Poi,  ne'Bfss.  che  servirono  aU'edis.  del  Nesti,  e  dei 
quali  non  si  ha  più  vestigio ,  dovette  correggere  come  sta'  nel  testo. 

^  *  quoHtttiUfue,  qualunque  col*. 

B  *f ométtasi ,  satebbest  fornita. 

7  per  ogni  lettera  lo  chiamava.  Per  torgli  la  gloria  deUa  gncna  vinti; 
per  gelosia  della  troppa  grandeiia.  Cosi  richiamato  fii  da  MapoU  il  Gran  Gapitano  : 
cosi  molti  altri. 

Agrippa,  in  Dione  49,  discorre  che  la  fiitica  e  gli  errori  deUrt  il  capiUno 
attribuire  a  se  (perche  il  prmcipe  non  vnde  «ver  mai  etnlìo),  e  a  lai  tutta  la 


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IL  LIMBO  SRCONipO  DBaU  ANIIAII.  75 

«Aver  fatto  e  arrisci^to  assai:  battaglie  grosse  e  felici:  ri- 
cordassest  anco  de'  danni  senza  colpa  ma  atroci ,  patiti  dal 
mare.  Nove  volte  che  Agosto  mandò  in  Germania  lui ,  aver 
più  fatto  co  '1  consiglio  che  con  la  forza:  cosi  ricevuto  a  patti 
i  Sicambri,  i  Snevi;  legato  il  re  Marabodao  con  la  pace.  Po- 
tere i  Romani,  ora  che  hanno  gastigato  i  Gheruscie  gli  altri 
ribelli,  lanciarli  accapigliarsi  tra  loro.  »  Germanico  chiedeva 
nn  anno  per  finire  ogni  cosa,  e  Tiberio  affrontò  con  più  forza 
laana  modestia,  dicendo,  «(  che  l' aveva  rilatlo  consolo:  ve- 
nisse a  snaoficiq,  e  lasciasse  ancora  ,^  nulla  vi  rimanesse  da 
fare,  qualche  materia  di  gloria  a  Drùso  suo  fratello,  che, 
fuori  di  Germania,  non  ci  essendo  altra  guerra»  non  poteva 
conseguir  nome  d' imperadòre  nò  corona  d'alloro.  »  Germa- 
nico non  aspettò  più,  benché  conoscesse  questi  esser  trovati 
d' invidia  per  isbarbarlo  dal  già  acquistato  splendore. 

XXYII.  In  questo  tempo  Libone  Druse  eli  casa  Scribo- 
Illa  fu  accusato  di  ip^cchinare  novità.  Dirò  il  fatto  da  capo  a 
pie  con  diligenza,  per  essersi  trovato  allora  cosa,  che  per 
tanti  anni  divorò  la  repubblica.  Firmio  Gate  senatoje^  anima 
e  corpo  di  Libone,  giovane  semplice  e  vano,  gonfiandolo  del- 
l'aver bisavol  Pompeo;  ziaScribonia,  prima  moglie  d'Agosto; 
i  Cesari  cugini;  la  casa  piena  d' imn^agini;  lo  ii^dusse  a  cre- 
dere a  gran  promesse  di  strolaghi  negromanti^  e  disfinitori 
di  sogni,  a  far  gran  céra,  *  ^an  debiti;  gli  era  compagno 
alle  #pese  p  a'  piaceri,  per  ic^vvìlopparlo  in  più  riscontri  di  te- 
stimoni e  servi,  che  vedevano  gH  andamenti. 

XXVIII.  E  quando  n'ebbe  assai,  diede  di  questo  caso 
notizia,  e  domandò  udienza  per  Fiacco  Vescularìo  cavalìer 
intimo  di  Tiberip:  il  quale  ailp  notizia  porse  orecphi,  l'udienza 
negò,  potendo  il  medesimo  Fiacco  portare  i  ragionamenti.  In 
tanto  onora  Libone  di  pretoria;  convitalo;  cuopre  con  viso  e 

felicitk  o  pntdensa  :  perche  gloriandosi  della  sua  rèra  virtù  il  capitano,  viene  in 
soapetto  ^  troppa  ^nde«a  e  di  pensare  al  valersi  delle  forse  clie  spno  in  sna 
mano:  il  che  gli  è  agevole;  perchè  i  soldati  fanno  come  i  cavalli  che  annilrifcono 
a  ehi  li  goyema  e  tiran  de'  calci  al  padrone  (*). 

*  ^r  eran  cita.  Dal  greco  ^^aipsiv. — *  a  far  gran  céra;  «  ad  It^Xfim  «  • 
die  significa  ogni  disordinamenlo  di  mollezza  si  nel  yitto  come  nel  vestilo  ;  laddove 
la  frase  «  far  gran  céra  »  riferiscesi  solamente  al  vitto,  e  vale  :  pascersi  lautamente. 

(*)  lM^  C?'^^  gisatina  maiieaiio  le  parole  ii  troppa  fratta,  e. 


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76  IL  LIBHO  SECONDO  DEGLI  AIUTALI. 

parole  saa  ira;  per  sapere,  anzi  che  troncare  come  poteva,* 
ciocché  trescasse  e  dicesse  '  il  giovane  :  il  quale  ricercò  un 
certo  Gìunio  di  far  per  incanti  venir  diavoli.'  Costui  lo  disse  a 
Fulcinio  Trione  che  spìa  poblica  era,  e  se  ne  pregiava.  Tosto 
pone  la  querela,  prolesta  a' consoli  che  il  senato  la  vegga,chia- 
mansi  a  furia  i  padri  per  gran  caso  atroce. 

XXIX.  Libone  in  vesta  lorda  accompa|nato  da  nobili 
donne  picchia  gli  usci  de'  parenti ,  pregali  che  lo  difendano. 
Tutti ,  per  non  s' intrigare ,  si  ristringono  nelle  spalle,  *  con 
varie  scuse.  Egli  cascante  di  dolore  e  paura,  o  fintosi  ma- 
Iato,  come  alcun  vuole,  il  di  del  senato  v'  andò  in  lettica»  e 
alla  porta  retto  dal  fratello,  con  mani  e  voce  chiedeva  a  Ti- 
berio niercè;  il  quale  non  gli  fé'  viso  chiaro  né  brusco:  lesse 
i  peccati ,  né  leva  né  poni ,  ^  e  i  nomi  di  Trione  e  Gato  accir- 
santi ,  a' quali  s' aggiunsero  Fonteio  Agrippa  e  Gaio  Yibio;  ^  e 
contrastando  chi  fare  dovesse  la  diceria  distesa,^  e  niuno  ce- 
dendo e  trovandosi  Libone  senza  avvocato ,  Yibio  prese  a 
trattare  d' un  peccato  per  volta. 

XXX.  Lesse  come  Libone  aveva  fatto  gettar  l' arte,  ^ 

'  arui  che  troncare  come  poteva.  Chi  vede  il  cieco  andare  a  cadere  nella 
fossa  e  non  lo  raltieoe ,  vel  pigne.  Chi  può  tenere  non  si  pecchi ,  e  per  suo  utile 
chiude  gli  occhi,  il  comanda  (*)*  Aarcmne,  sommo  sacerdote,  per  risparmiar  ga- 
stigo,  fu  gastigato. 

s  *  per  sapere ciocche  trescasse  e  dicesse.  Il  Lat.  :  •  cimetaque  eisu 

dieta  Jactaqae.  «  Trescare  pigliasi  alcuna  volta  per  JarCj  ma  in  senso  dispre- 
giativo e  anche  odioso,  come  qui;  ed  è  frequente  nell'uso  del  popolo. Àll'iatesso 
modo  Dante,  Inf.f  XIV,  ▼.  40,  usò  tresca ^x  faccenda: 

Bvùxt  riposo  m^  era  la  toesea 
Delle  misere  mani. 

'  *  diavoli.  Il  jLat.  >  «•  infemas  umhras.  » 

*  *  si  ristringono  nelle  spalle,  Nel  Bis.  èhe  servì  all'edisione  giantina 
(Ifagliab.,  d.  XXIII,  150)  vedeti  scritto.  «  fanno  spallacce  j  t  poi  cancellato ,  e 
corretto  come  sta  qui.  E  si  che  quello  h  bel  modo  e  vivo  ;  e  per  volgarità  ce  n*  ha 
de*  peggio  ! 

^  *  ne  leva  ne  poni  :  senxa  ne  levare  n^  aggiugnere.  Il  Lat.  :  «  ita  moderams 
(libellos),  ne  lenire  neve  aspemare  crimìna  videretur,  » 

^  *  Fibio.  Cosi  ho  restituito  dietro  il  testo  dell*0re11i.  Il  Davanaati  scrisse 
G.  Livio, 

'  *  chi  far  dovesse  ec.  Il  Lat.  :  «  cui  ius  perorandi  in  reum  daretur.  » 

'  *  gettar  l*  arte  s  cioè ,  fare  incantesimi  e  sortilegi.  Vedi  la  Crusca  dal  Ma- 
nusci  in  jirte  e  in  Gettare,  dove  si  recano  molti  esempi.  Nella  Giuntina  invece 
di  gettar  l'arte  leggesi  squadrare. 

n  Nella  GioAlina  :  ehi  può  ttntn  che  non  si  ptechi  e  tbìedé  $tt  occhi,  U  comanda. 


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IL   LIBBO  SECONDO  BEGLI  ANNALI.  77 

s'egli  arebbe  mai  tanlì  danari  cbe  coprissero  la  via  appia  fino 
a  Brindisi:  e  colali  scempìeze  e  vanità  da  increscer  buona- 
mente  di  Ini.'  Una  scrittura  vi  fa  con  postille  atroci  o  scure, 
a'nomi  de' Cesari  o  Senatori,  di  mano  (dicea  T accusatore]  di 
Libone.  Negando  egli,  parve  di  farle  riconoscere  dagli  schiavi. 
E  non  potendosi  per  legge  antica  martoriarli  cóntro  alla  vita 
del  padrone,  Tiberio,  dottor  sottile,'  fece  venderli  al  fat- 
tor  pubblico:'  e  cosi  salvata  la  legge,  foron  celiali  contro  a  Li- 
bone,  il  quale  chiedeo  di  tornare  l'altro  giorno.  Giunto  a 
casa,  mandò  per  P.  Qoirinio  suo  parente  a  Tiberio  gli  ul- 
timi preghi.  «  Preghi  il  senato,  »  rispos*  egli. 

.kXXI.  Intanto  i  soldati  gli  accerchian  la  casa;  giù  in 
terreno  fanao  rombazo,  perchè  gli  oda  e  vegga.  Mettesi  il 
cattivello  per  ultimo  piacere  a  mangiare;  gusta  tanto  tos^ 
sico;  chiama  chi  l'uccida;  prende  questo  servo  e  quello  per  lo 
braccio:  <(  Te' questo  ferro;*  ficcai  qui.»  Fuggono  a  spa- 
vento, danno  nel  lume,  cade  in  terra:  rimase  al  buio  oggi- 
mai  della  morte,  ^  con  due  colpi  si  sventra.  Allo  strido  cor- 
rono ì  liberti:  i  soldati,  vedutol  disteso,  s'acquetano.  Ma  i 
padri  spediscon  la  causa  più  severi  ;  "  e  Tiberio  giurò  che  vo- 
leva lor  chieder  la  vita  di  lui,  benché  colpevole,  s'  e'  non 
aveva  tanta  fretta. 

XXXII.  Gli  accusatori  sì  divisero  i  beni:  senatori,  eb- 
bero contrattempo  le  pretorie.*^  Propose  Gotta  Messaline  che 

*  *  da  increscer  btwnamente  ec.  Da  prima  aveva  scritto  «*  da  increscer  di 
lui,  pigliandola  buonamente.  »  Poi,  con  più  concisione  ma  forse  men  chiaramente, 
corresse  come  qui  si  vede.  II  Dati  traduce  cosi  :  m  Eranvi  oitr'  a  ciò  molte  altre 
cose  scempie  e  vane  da  avergliene  compassione,  per  chi  l'avesse  presa  nn  poco 
men  calda.  » 

S  *  doUor  sottile.  Il  Lat.  :  ••  caUidus  et  novi  iuris  repertor.  » 
'  fattor  publico,  Actor  ptibiicué  si  può  intendere  il  cancelliere  che  seri* 
veva  gli  atti,  e  il  Fiscale  che  maneggiava  le  facoltà.  Questa  malisia  del  vender  li 
schiavi ,  per  poterli  in  fraude  della  legge  tormentare  contro  al  padrone ,  fu  tro- 
vata  da  Agnato  (Dione  55.  Plutarco,  in  Antonio),  e  non  da  Tiberio. 

*  Te'  questo  ferro.  Mette  innansi  agli  occhi,  quasi  in  tragica  scena,  questa 
morte  miseranda. 

S  *  rimaso  al  baio  oggimai  della  morte.  Lat:  n  feralibus  iam  etiti  te* 
nebris.  » 

^  *  spediscon  la  eausa  pia  severi.  Non  istà  al  testo  che  dice:  mAccu- 
satio  tamen  apudpaires  asseveratione  e4don  peracta:  »  Nondimeno  si  prose- 
gui dinaui  a' padri  F  accusa  coU'istesso  accanimento. 

7  *  senatori,  ebbero  ec.    Vuol  dire  che  quegli  accusatori  i  quali  erano 

7* 


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78  IL  LIBBO  flBCONDO  DBQLI  ANNAU. 

mai  in  esequie  niana  T  immagine  di  Libone  noD  si  porfi^se  : 
Gn.  Lentulo,  che  Scribonio  dIuqo  il  cognome  diDraso  pren- 
desse: Pomponio  Fiacco,  che  in  certi  giorni  a  pricessione 
s' andasse  :  ^  Lucio  Pubblio  e  Gallo  Asinio  e  Papio  Mutilo  e 
L.^pronio,  che  s'andasse  a  offerta  '  a  Giove  a  Marte  alla  Gon- 
cordia,  e  che  il  di  tredici  di  settembre,  che  Libone  s'uccise, 
fusse  di  di  festa.  Ho  voluto  dire  i  nomi  e  l'adulazioni  di 
tanti,  perchè  si  sappia  che  questo  nella  republica  è  mal  vec- 
chio. Fatti  furono  decreti  di  cacciar  d' Italia  strolagbi  e 
negromanti,  tra  quali  L.  Pituanio  fu  gittato  dal  sasso;'  e 
P.  Marzio  da'  consoli  ebbe  il  supf^izio  antico  *  fuor  della  porta 
esquilina,  con  la  strombazata.'^  , 

XXXIII.  La  seguente  tornata  Q.  Aterìo  e  Ottavio  Fron- 
tone, stati  consolo  e  pretore,  molto  dissero  del  disonesto 
spendere  della  città,  e  ordinossi  non  si  mangiasse  in  oro  mas- 
siccio né  uomo  s'infemminisse  vestendo  di  seta.  Frontone  tra- 
passò a  moderare  argenterìa ,  arredo,  servitù;  usando  assai 
per  ancora  ^  i  senatori,  se  scorgevano  qualche  ben  pubblico 
non  proposto,  salire  in  bigoncia  "^  e  pronunziarne  il  loro  pa- 

dell'ordiae  fenatorìo,  ebbero  le  pretorie,  ma  non  contrattempo  (fuori  di  tempo) , 
si  bene  dì  soprannumero  («*  pratturai  extra  ordinem  «•).  Le  ordinarie  erano  13  : 
le  istituite  da  Tiberio  sopra  questo  numero  si  dissero  Ar<ra  ordinem,  t  con  queste 
furono  ricompensati  quei  tristi. 

'  *a  pricessione  <sf*  andasse  j  Cìoèj  ù  facessero  pubbliche  supplicasioni  a. 
ringraziare  gli  Dei  della  morte  di  Libone. 

^  *  s'andasse  a  offerta  ce,  a  far  doni  toIitì  nel  tempio   di  Giove  ec 

S  *  dal  sasso:  dalia  rupe  Tarpca. 

*  sttpplizio  antico.  Strangolava  il  carnefice  a  suoa  di  trombe  fuor  della 
porta  esquilina ,  per  non  turbare  di  spettacolo  tristo  e  orrendo  la  bella  libertà  (*). 

^  *  ia  strombazata.  Plutarco  in  Gracc.  XXI:  «*  Antica  usanM  dia  «ra 
della  patria  nostra  che  »  se  alcuno  accusato  venisse  di  delitto  capitale ,  e  non 
avesse  voluto  presentarsi  in  gindicio,  se  ne  andasse  il  banditore  di  buon  mattino 
alle  di  lui  porte,  e  chiamasselo  a  suono  di  tromba.  « 

^  *  per  mncora,  Lat.:  «  adhue,  n  tuttavia. 

'  in  bigóncia.  Arìogavano  i  nostri  antichi  al  popolo  |  in  piassa ,  in  rio- 
l^era  ;  ne*  consigli,  in  bigoncia,  che  era  un  pergamo  in  terra  a  foggia  di  bigon- 
cia. Parere,  a  noi  oggi  significa  quel  discorso  che  ciascheduno  che  siede  in  mar 
gistrato,  fa  della  cosa  proposta.  SentewM,  quel  partito  o  decreto  che  si  vince  e 
si  distende  dal  cancelliere.  Ma  i  Romani  dicevano  Sentenza  il  detto  discorso, 
cio^  quanto  il  senator  ne  sentiva  e  pronunciava.  Proposto  era  il  consolo.  La  de- 
liberasione  si  diceva  Senatuseonsufto,  Plebiscito  o  Decreto.  Non  parlava  chi 
non  era  richiesto  dal  consolo.  Ma  quando  uno  scorgeva  un  pubblico  bene  non 

n  Nella  GionUaa  manca  «  la  beUa  Uberik.  » 


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IL   LIBBO  SECONDO  DB6U  ANMAU.  79 

rere,  non  domandati.  Asinio  Gallo  disse  contro:  «Le  focnltà 
private  essere  secondo  T  imperio  cresciute;  non  pure  oggidì» 
ma  per  antico.^  Altro  danaio  ayer  avuto  i  Fabrìzi,  altro  gli 
Seipioni  :  tatto  ire  all'  avvenente  *  della  republlca.  Quando 
ella  era  poca,  i  cittadini  aver  Catto  col  poco;  or  ch'eli'  ò  ma- 
gna, ciascuno  magnificarsi.  Arnese,  ariento,  famiglia  ninno 
tener  troppo  né  poco,  se  non  rispetto  al  suo  stato.  Maggiore 
slato  darsi  a'  senatori  che  a'  cavalieri,  non  perchè  diversi 
siano  per  natura;  ma  perchè  come  essi  hanno  luoghi,  gradi 
e  dignità  degli  altri  maggiori;  cosi  s'adagino  per  contento 
dell'animo  e  sanità  del  corpo  di  cose  maggiori;  *  se  già  noi 
non  volessimo  chi  maggiore  è,  maggior  pensieri  e  pericoli 
sostenere,  e  mancare  de'  loro  dicevoli  ricriamentì.  »  Piacque 
Gallo  agevolmente  a  coloro  che  udivano  i  lor  vizi  difendere, 
e  ehiamare  per  nomi  onesti.  Anche  Tiberio  disse,  non  esser 
lempo  allora  di  riforme,  né  mancherebbe  chi  le  facesse,  se 
scorso  *  di  costumi  vi  fusse. 

XXXIV.  In  questo  mentre  L.  Pisene  cominciò  a  scla- 
mare: «Ogn'  un  vuole  magistrati,  la  giustizia  è  corrotta,  le 
spie  e  gli  oratori  ci  minacciano:  io  yo  con  Dio;  lascio  la 
città  per  ficcarmi  in  qualche  catapecchia  lontana.  »"  E  usci- 
vasi  di  senato.  Tiberio  se  ne  sconturbò:  addolcino  con  parole, 
e  anche  fece  che  i  parenti  gli  faro  addosso,  e  con  l'autorità 
e  co'  preghi  non  lo  lasciaron  partire.  Con  libertà  non  minore 
poscia  si  richiamò  di  Urgulania,gran  favorita  d'Agusta;  perciò 
delle  leggi  superchiatrice:  e  ritirossi'  in  casa  Cesare  beffandosi 

Proposte,  lo  poteva  dire  in  luogo  di  seoteMi  e  tal  forai  evea.  Potevano  propor- 
re, che  non  era  loro  uScio,  e  sopra  di  ciò ,  non  richietti,  conciliare.  E  da  ve- 
dere ilLipsio  fopra  il  ]ib^  i5  di  questi  Annali  {*). 

'  *per  miUeo.  Lat.:  «  e  vettuUstimis  moribus.» 

'  *  mU'wvenmiU»  a  raggoaglio,  in  proponione.  Lat:  «  cimcta  ad  rem- 
pnblieam  refirri.  » 

'  M'adagino...  di  cose  maggiori,  Leggi  senza  dnbLio^  ef  atiis  <fum s 
percbiè  taltsquB  turbava  troppo  il  sentirocifto.  —  *  s' adagino  ec.  ;  cioè ,  ab- 
biano maggiori  comodi,  come  hanno  maggior  dignità. 

*  *  scorso  $  trascorso ,  sregolatessa ,  licenxa. 

'  *  in  qualche  catapttehia  ioniana.  Ill.at.!  «  in  aliquo  abdito  et  /on- 
ginquo  rare,  » 

*  *  e  ritìroeei  ec.,  cioè  Urgnlania. 

n  Ndlt  Givnttoa  manca,  in  prlnelpU»,  la  delnitleM  di  MfOMte,  e  nsl  flaala  eilaiioae. 

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80  IL  LIBRO  8BG0RD0  DMLI  ANNALI. 

di  comparire.  Né  Pisone  ristette,  benché  Agusta  offesa  se  ne 
tenesse  emenomata.  Tìberio,non  parendogli  poter  civilmente 
fare  alla  madre  altro  servìgio,  tolse  a  comparire  in  persona  al 
pretore,  e  difendere  Urgnlania.  Usci  di  palagio,  alquanto  lon- 
tano' dalla  guardia.Il  popolo  corse  a  vederlo:  eoo  volto  mode- 
rato e  vari  ragionamenti  consumò  tempo,e  camminò  tantoché 
non  essendo  niente  chei  parenti  spontasser  Pisene,' Agusla 
gli  mandò  i  suo'  danari,  e  fu  finita  la  qaistione:  ove  Pisene 
acquistò  alcuna  gloria,  e  Tiberio  miglior  fama.  Essendo'  la 
potènza  d'  Urgnlania  venuta  a  tale  che  dovendo  sopr*  una 
causa  esaminarsi  in  senato,  non  degnò  andarvi,  e  s -ebbe  a 
mandarle  a  casa  messere  la  podestà  I  ^  E  pure  le  vergini  di 

*  *  alquanto  lontano j  cioè,  tenendosi  alquanto  lontano  dai  soldati  di 
guardia  che  Io  accompagnavano. 

'  *  ehe  non  essendo  niente  ec.  :  che  invano  avendo  i  parenti  .tentato  di 
persuader  Pisone  che  volesse  desistere  ec  Costui  appena  udì  che  Urgnlania  erasi 
ricovrata  in  palano ,  con  molto  coraggio  la  persegui  fin  colà  dentro ,  a  fine  di 
tirarla  in  tribunale  pigliando,  secondo  la  legge,  i  testimoni.  Avanzava  da  lei  una 
somma  di  danaro  ch'ella,  col  favore  d'Augusta,  gli  vol^nra  frodare. 

3  *  Essendo.  La urammatica  vorrebbe  era,  acciocché  il  perìodo  non. si 
resti  per  aria. 

*  messere  la  podestà.  Potevasi  dire,  lo  pretore j  ina  e'm*è  piiaeinto, 
non  per  usarla  ma  per  isciorìnarla  un  tratto,  trarre  questa  voce  del  suppe* 
diano  dell'antichità  (*).  Oggi  diciamo  il  podestà,  e  facciamo  discordanxa  in 
genere.  Gli  antichi,  perchè  nel  pretore  era  tutta  la  somma  podestà  della  giustizia, 
il  chiamavano  la  podestà,  come  noi  (^gi  i  principi ,  la  santità,  la  maestà y  per- 
chè in  loro  queste  qualità  sono  in  sommo  grado  e  quasi  l'istessa  cosa  (**).  BAa 
perchè  la  città  nostra  era  cresciuta  di  stato  e  di  riochesze  e  di  negosi  mercantili, 
che  non  si  fanno  tuttavia  col  notaio  a  cintola ,  ma  con  fede  e  lealtà  di  semplice 
parola ,  e  questi  negosi  da'  legisti  erano  giudicati  con  troppo  rigore ,  sottilità 
e  Innghessa  ;  fu  creato  il  magistrato  de*  sei  mercatanti ,  ohe  li  dicidessero  petto- 
ralmente d'equità  e  Verità,  secondo  l'uso  del  negosiare.  j^  perchè  delle  ìtìHtp 
sentente  que'savi  in  giure  spesse  volte  si  ridevano,  le  annullavano,  il  con- 
trario giudicavano  ;  que'  nostri  savi  in  governo ,  fecero  contra  li  oSeaditoci 
delle  sentenxe  de'  Sei  quella  legge  severa  detta  del  Noli  me  tangere. 

n  11  Volpi  pone  in  fondo  alla  soa  ediciono  qawto  avvertimento  ;  «  Poteva  aggiagnere 
il  Davansati  alla  postilla  30  del  secondo  libro,  che  Giovenale  nella  decima  salirà,  al  vano  100, 
si  valse  di  qneeto  vocabolo  in  significato  di  Pretore,  o  altro  Magbtrato  municipale,  parlando 
della  caduta  d' Elio  Seiano. 

HukUt  qui  trahitur,  pnetestam  sumere  mavì*, 

An  Fidenarum,  Gabiorumque  esse  Potestas? 

Bt  de  tnensura  ius  dieere ,  vaso  minor» 

Frangere  pannosus  paeuis  AedUis  Utubris  ? 
Vedi  anche  Svotonio  nella  vita  di  Clavdio  Cesare ,  al  cap.  28.  » 

n  In  Dna  scrittura  del  secolo  XIY  (Vedi  Rieordi  fliotogici,  pag.  294)  ai  legge:  «  Essendo 
laPodestade  di  Lucca  con  molta  gente  venuta  d'  intomo  al  ditto  castello  oc.  »  In  Toscana  si 
diee  ano'  oggi  indifferentemente  il  guardia  e  la  guardia» 


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IL  Limo  8IC0ND0  DMLI  àNNALI.  81 

Vésta  vengono  abantieo  ne'  magistrati  a  diporre  verità.  ' 
XXXY.  Non  direi  del  prorogato  *  in  quell'anno,  se  non 
fnsse  bello  intendere  le  batoste*  fattone  da  G.  Pisene  e  Asi- 
nio  Gallo.  Pisene,  avendo  Cesare  detto  «  Io  non  ci  sarò,  » 
voleva  che  tanto  più  i  padri  e  i  cavalieri  segnitassero  lor 
nficìo,  come  che  ciò  fosse  onore  delia  republica.  Gallo , 
perchè  ciò  sapeva  di  libertà,  disse,  nulla  essere  illastre  o 
degno  del  popol  romano,  fatto  fnor  deirocchio  del  principe. 
Però  a  lui  doversi  la  dieta  d'Italia  e  tanto  corso  di  provincie 
riserbare.  Tiberio  gli  stav'  a  udire  e  taceva.  Molto  si  dibatte- 
rò, ma  la  spedizione*  si  riserbò. 

XXXYI.  Gallo  la  prese  anche  con  Cesare,  volendo,  che 
gli  ufici  si  dessero  per  cinque  anni,  e  che  ogni  legato  di  le- 
gione s' intendesse  allora  fatto  pretore ,  e  che  il  principe  ne 
nominasse  dodici  duraturi  cinque  anni.'  Sporgevasi  in  questo 
parere  misterio  sotto:  che  a  Cesare  toccherebbe  a  dare  meno 
ufici:  il  quale,  quasi  non  gli  paresse*  scemare  ma  crescere 
podestà,  sermoneggiava  :  «  Grave  essere  alla  modestia  sua^ 
tanti  eleggerne  ,  tanti  mandarne  in  lungo.  Se  d'un  anno 
s' adirano  ora  che  sperano  nel  vegnente ,  quanto  l'odiereb- 
bono  a  farli  storiare  *  oltre  a  cinque  ?  come  potersi  tanto 
tèmpo  antivedere,  che  mente,  famiglia,  fortuna  uno  ara  ?  in- 
superbiscono a  tenére  un  anno  V  onore,  che  farieno  in  cin- 
que ?  incinqueriensi  i  magistrati,  '  manderiensi  sozopra  le 

*  *  a  diporre  verità:  a  fare,  dove  occorra,  testimoniaiisa  del  vero. 

9  *  del  prorogato;  cioè,  della  questione  sulla  proroga.  Il  Lat.;  «  respro- 
Utas.  » 

*  *  /e  batoste  ec,  ;  le  contese  occorse  tra  Pisone  e  Gallo  su  questo  pro- 
posito. 

^  *  la  spedizione s  cioè,  degli  afl&ri:  la  prorogasione  fu  decretata. 
S  duraturi  cinque   anni.   Leggo   quinosj   perchè    singttlos    non    può 
stare. 

*  *  quasi  non  gli  paresse  ec.  ;  mostrando  di  credere  che  Gallo  con  quella 
proposta  non  gli  volesse  scemare,  ma  crescere  autoritli  ec. 

^  Grave  essere  alia  modestia  sua.  Con  questo  medesimo.  Gallo  fece 
similmente  il  modesto  nel  primo  libro.  % 

9  *  a  farli  storiare,  a  fargli  languire  aspettando.  È  modo  ancora  vivo 
nel  popol  toscano. 

'  incinqueriensi  i  magistrati.  Omero,  Dante  e  tutti  i  grandi  formano 
nomi  dalle  cose.  Quintiliano  e  tutti  i  gramatici  l'approvano,  quando  calcino 
appunto ,  come  qui ,  dove  Tiberio  schernisce  la  cinquannaggine  che  Gallo  vo- 
leva de' magistrati. 


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82  II.  LIBIO  8BC0MD0  PBCIU  AIWALI. 

leggi»  cbe  hanno  assegnato  a'  |rogUoloai  li  spazi  ragiono? oli 
a  chieder  gli  nfici  e  goderli.  » 

XXXyiI.  Con  qnesta  senUiianza  di  carilevole  parlare 
ritenne  la  sua  podestà,  e  a' senatori  poveri  giovò.  Tanto  (mù 
fece. maravigliare  la  sua  superba  risposta  a'  preghi  di  M.  Or- 
lalo giovane  nobile,  venuto  in  calamità  evidente.  .Fa  c^iiesti 
nipote  di  Ortensio  l'oratore.  Agusto  gli  donò  venticinque 
mila  fiorini  d' oro  perch'.ei  togliesse  moglie,  avesse  figlinoli, 
e  questa  chiarissima  famiglia  non  si  spegnesse.  Venne  adun- 
que in  senato,  che  si  tenne  ip  palagio,  con  quattro  figliuoli 
alla  porta;  e  voltandosi  all'  imagine  ora  d'Ortensio  che  v'era 
tra  glji  altri  oratori,  ora  d' Agusto,  quasi  per  cosa  di  ben  pn- 
blico,*  incominciò:  «  Padri  coscritti,  io  mi  trovo  questi  figliuoli 
dell'età  e  numero  che  vedete,  non  di  volontà  mia,  ma  del 
principe,  e  per  avere  i  maggiori  miei  meritato  succeditori. 
Io  non  avendo  potuto  per  li  tempi  sinistri  acquietar  danari, 
non  séguito  di  popolo,  non  eloquenza  (proprio  dono  fli  casa 
nostra),  mi  contentava  di  stentare  cq|^  |}uel  po'xh'  io  aveva 
onestamente  senza  dar  noia  a  persona;  ubbidii  allo  impera- 
dore  e  amn^qglia'mi:  ecco  la  stirpe  e  I4  progenie  di  tanti 
condoli,  di  tanti  detlatori.  Né  ciò  mi  procacci  invidia,* ma 
misericordia  maggiore.  Vivendo  tu ,  0  Cesare ,  darai  dell! 
onori  a' bisnipoti  di  Q.  Ortensio,  agli  alUevi  d'Agosto:  Lj 
tanto  assicurali  dalla  fame.  » 

XXXVIII.  La  gran  volontà  del  senato  di  consolarlo  la 
fece  qscire  a  Tiberio,  '  e  disse  :  «  Se  tutti  i  ppveri  q'  avvìe- 

*  *  quasi  per  cosa  di  ben  public^.  U  Lat.  s  «  loco  seiifpiti<e»  »  Il  Dati  trad. 
«  in  luogo  di  suo  parere.  «*  Il  Politi  :  «  senza  aspettare  che  se  ne  faceste  propo- 
sta. «* — Il  console  faceva  la  proposisione,  e  i  padri  dicevano  sy  di  essa  la  propria 
scnteota.  Ma  se  alcun  di  essi  avesse  conosciuto  qualche  cosa  di  ben  pabUico» 
poteva  alsarsi  e  tenerne  proposito  anche  sema  la  proposta  del  magistrato.  Oode 
In  frase  n  dire  alcuna  cof a  in  luogo  del  parere  «*  significava  «  parlare  di  cosa  im- 
portante alla  repubblica,  non  proposta  dal  magistrato.  »  Òjrtalo  si  prevalse  di 
^esto  diritto  t  servigio ,  nc^  della  repubblica ,  ma  della  propria  povertà. 

'  *  invidia.  Farmi  più  coerente  al  lesto  il  dire  t  «(  J!fe  ^ues^  iq  dico  per 
accattare  odio  altrui,  ma  a  me  compassione,  m 

'  la  fece  uscire  a  Tiberio.  I  principi  per  esser  mai^gri  degli  altri 
nomini ,  come  non  posson  esser  comandati ,  cosi  fi  sdegnapo  d' esser  ammo- 
niti ;  però  mancano  di  chi  dica  loro  il  vero.  Perchè  chi  s^  OS^^^^  ^^  ^^'^ 
mente,  pare  ch9  gli  scemi  di  maggioransa;  e  per  non  la  c^de{;e,  s'ostinano 
nell'erróre.  Nerone  a  dispetto  di  mare  e  di  vento  volle  mjjndar  l'orinata  in 


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IL  LnàO  BBCOKDO  DEGLI  ARlfALI.  83 

ranno  qua  a  chieder  limosina  peMor  figlinoli,  ninno  di  vedrà 
pieno,  e  la  repnblica  fallirà.  Concederon  gli  antichi  il  dire 
ttff  volta  il  ben  eomnne,*  e  non  il  fare  qna  enlro  i  fatti  nostri 
privati  e  bottega  del  senato  con  carico  di  esso  e  del  princi- 
pe, largheggisi  ono.  Perciocché  non  preghiera  ò ,  ma  richie- 
sta a  sproposito  e  sprowedota,*  quando  i  padri  son  ragnnati 
per  altro,  rizarsl  sn,  mostrare  on  branco  di  figlinolt,  violen- 
tare la  modestia  del  senato  e  nle ,  e  qnasi  sconficcare  la  te- 
soreria; la  qnale  se  noi  voteremo  per  vanità,  1'  aremo  a 
riempiere  per  ingiustizie.  Agosto,  o  Orlalo,  ti  donò;  ma  per 
sentenza  contro,*  né  con  obbligo  di  sempre  donarti.  Man- 
cherà V  industria  e  crescerà  la  pigrizia,  se  timore  ò  speranza 
non  ci  governa:  ogni  dappoco  con  Mostro  danno  aspetterà 
sicnro  ^  che  noi  Y  imbocchiamo.  »  Parve  a'  lodatori  di  tutte 
le  cose  de'  principi,  oneste  e  disoneste ,  che  egli  avesse  di- 
pinto!* Dia  i  prò  ammutolirono  o  bisbigliavano  di  nascoso.  Ei 
se  ne  accorse,  e,  taciuto  alquanto ,  disse  avere  risposto  a  Or- 
lalo: tuttavia  se  a' padri  paresse,  darebbe  a  ciascuno  de'  fi- 
gliuo'  maschi  cinque  mila  fiorini.  Essi  lo  ringraziarono  :  Or- 
lalo niente  disse,  o  per  paura  o  per  antica  nobiltà  d' animo 
albergante  ancora  in  qulslla  miseria.  Onde  a  Tiberio  non  ne 

campafiM,  come  si  dice  nel  libro  ^indici  di'<|oeiti  Aonili.  Seppiamo  quel 
cl>e  avreDoe  in  A]gteri  e  a  Meta  a  Carlo  Quinto.  Dice  il  pratico  al  principe, 
Non  far,  non  fare  j  t*  h.  Qui  nota  una  gran  brevità  di  nostro  parlare  (poi- 
cbè  ad  altro  fine  non  tende  la  presente  nostra  fatica).  Quello,  ^fa,  importa, 
ut  tìU  tane  eo  magisfaeiii  tutto  <{aetlò  comprende  e  significa  ;  e  ben  lo 
sente  chi  h  fiwentino. 

^  *  il  ben  comune.  Vedi  la  nota  1 ,  pag.  83. 

'  *  sprovveduta,  imprevista,  improvvisa.       , 

^  *nia  j^  sentènza  contro.  La  Giantina  ba:  •  ibH  noti  per  senUnsa 
contro.  M  Nbl'una  lA  l'altra  leidoné  mi  pA-  cbiara.  Il  Latino  dke  :  u  sednon 
eompelUtusj  •  cfo^,  ma  mia  fbrsato.  E  qiiadca  benissimo*. 

*  *  #lcitiSo  non  h  il  latino  eecttìm»  cbé  qni  vale  Une  cura,  spensierato. 
NeHa  Glunlina  traÀdniie  cosh  «  Kotrani^  \é  api  e  regneranno  i  calabroni  se  deUe 
proprie  opere  n^  bene  n^  male  colali  emetteranno  ;  ma  cbe  noi  de'  nostri  indMi , 
poltroneggiando  essi,  gì' imbocchiamo  e  aBcbe  meniamo  loro  le  mascella.» 

^  che  egH  Offèsse  dipinto,  fa  dosso  aDe  persone  dipinte,  i  panni  non 
sono  larghi  nh  stretti  uh  corti  uh  lunghi.  Con  questa  metafora  e  somma  bre* 
irkÙL  dieiamo,  mio  éh^er  <l^firt!»'/chè  detto  o  fatto  ha  cosa  caìsaiite  per  l'ap- 
pai, chirMii  pdteta  sur  me'gUot  quadra,  entèa,  rieiripie  tutti  i'ventficoli  del 
cervello  e  dell'animo  (*). 

n  Nella  Ghnliaa  maneaiio  le  persie:  quadra,  mira  ce. 


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84  IL  LIBRO  SBCOMIO  DMLI  ANNALI* 

iDcrebbe  mai  più,  ^  quantanqoe  la  casa  d'Orlalo  '  cadesse  in 
povertà  vergognosa. 

XXXIX.  Ne!  detto  anno  l'ardir  d'an  verme'  fo  per 
mettere  la  repablica,  se  tosto  non  s'ovviava,  in  discordie 
e  armi  civili.  A  Clemente  schiave  di  Agrippa  Posiamo,  adita 
la  fine  d'Agosto,  venne  concetto  non  da  schiavo ,  d' andare 
nella  Pianosa,  e,  per  forza  o  inganno,  rubare  Agrippa  e 
presentarlo  agli  eserciti  di  Gerniania.  Una  nave  mercantile 
penò  tanto  che  lo  trovò. ammazato.  Onde  si- mise  a  sbaraglio 
maggiore:  rubò  je  ceneri  e  passò  a  Cosa,  *  capo  di  mare  in 
Toscana,  ove  stette  nascoso  tanto  che  rimesso  barbai  chio- 
ma, somigliando  per  eia  e  fatteze  il  padrone ,  sparse  voce 
per  idonei  suoi  che  Agrippa  era  vivo:  prima  di  sottecchi,  ' 
come  si  fa  delle  cose  di  pericolo;  poi  ne  riempio  ogni  gente, 
spezialmente  ignoranti,  curiosi  e  ma'  fattori,  bisognosi  di  no- 
vità. Andava  egli  per  le  jerre  al  barlume:  in  pubblico  non 
s'affacciava.  Giunto  in  un  luogo,  spariva  via:  lasciava  di  se 
fama,  o  avanti  lei  compariva;  perchè  occhio  e  dimora  aiutano 
il  vero;  fretta  e  dubieza  il  falso, 

XL.  Già  si  spargea  per  Italia  che  Agrippa  era  salvo, 
bontà  dellì  iddìi  ;  in  Roma  si  credeva.  Giunto  a  Ostia,  molla 
gente,  in  Roma  i  conventicoli  lo  celebravano.  '  Tiberio  stava 
sospeso,  se  centra  un  suo  schiavo  convenisse  andare  arnaato 
o  lasciare  co  '1  tempo  svanire  la  credenza  :  ora  niente  doversi 
sprezare  ,  ora  non  d' ogni  cosa  temere  gli  dettavano  vergo- 
gna e  paura.  Finalmente  di  suo  ordine  Crispo  Saluslio  induce 
due  cappati''  suoi  (alcuni  dicon  soldati)  a  trovar  l'uomo, e 

^  *  non  ne  increbbe  mai  più.  Don  sovvenne  mai  più  alle  mùerìe  di  Orlalo. 

^  *  la  casa  d*  Orlalo.  Il  testo  ha  :  «  domus  HortensU.  » 

^  *  d'un  verme.  Forse  tanta,  viltà  noii  è  secondo  la  mente  di  Tacito,  il 

quale  semplicemente  dice:  m  mancipii  unius  audacia»  »  OUrecbè  la  risposta 

arguU  data  da  costui  a  Tilierio,  e  la  fine  che  fece,  lo  mostrano  d'animo  non 

ignobile. 

*  *  Cosa:  oggi  Monte  jàrgentaro, 

f^  *  di  sottecchi,  soUo  sotto;  di  sotto  mano.  Lat.  «  occulUs  primum  ser^ 
monibus.  «* 

*  *  lo  celebravano,  ha,  come  il  celebrabant  del  testo,  doppio  senso:  nd 
primo  memhretto  significa  corteggiare,  esser  d* attorno i  nel  s€QOImIo> ./odiire^ 
esaltare  ec. 

'  •  cappati,  scelti. 


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IL  LIMO  filCONOO  DKCLI  ANNALI.  h6 

dirgli  di  venire'  a  servirlo»  offerirgli  danari,  fedeltà  e  la  vita. 
Ciò  fatto  l'appostano  ana  notte  sema  guardia<ye  con  buona 
compagnia  lo  legano  e  tirano  con  la  bocca  tarata  in  palagio. 
Tiberio  il  dimandò,  «  Come  ti  se'  ta  fatto  Agrlppa?  j»*  rispose 
«  Come  to  Cesare.  »  Bi  fargli  dire  i  compagni  non  fa  verso: 
nò  Tiberio  ardi  giostiziarlo  in  pobblieo,  ma  in  parte  segreta 
del  palazo  il  fe'  accidere  e  portar  via;  e  bencbò  molti  corti- 
giani, cavalieri  e  senatori  si  dicessono  avergli  porto  aioti  e 
consìgli,  non  fa  rimestato.' 

XLL  CoBsagrossi  al  fine  dell'  anno,  per  le  insegne  che 
Varo  perdo,  da  Germanico  a  Tiberio  racqoistate, l'arco  presso 
al  tempio  di  Saturno;  il  tempio  di  Sortefor tona  lungo  il  Te- 
vere, negli  orti  che  Cesare  dettatore  lasciò  al  popol  romano; 
una  cappella  a  casa  Giulia,  e  una  statua  al  divino  Agustojn 
Boville. 

[A.  di  R.  770,  di  Cr.  17.]  Nel  consolato  di  Gaio  Ce- 
cilie *  e  L.  Pomponio ,  il  di  ^6  di  maggio  Germanico  Cesare 
trionfò  de'  Cherusci,  Catti,  Angrivari  e  altre  nazioni  infino 
air  Albi.  Eranvi  portate  le  spoglie,  i  prigioni,!  ritratti  de'mon- 
ti,  fiumi  e  fatti  d' arme.  Per  finita  tennesi  quella  guerra  che 
non  fu  lasciala  finire.  Non  si  saziavano  di  guatare  la  sua  gran 
belleza  e  i  cinque  figliuoli  sul  carro;  con  segreto  batticuore, 
considerando  essere  a  Druse  suo  padre  il  favor  del  popolo 
stato  infelice;  Marcello  suo  zio,  perché  la  plebe  ne  folleggia- 
va, ^  rubato  anzi  tempo:  questi  amori  del  popolo  romano  brevi 
e  malaurosi. 

XLII.  A  nome  di  Germanico,  Tiberio  donò  alla  plebe 
fiorini  selle  e  mezo  per  testa,  e  sé  e  lui  elesse  consoli.  Non 
perciò  diede  ad  intender  di  voler  bene  al  giovane,  ma  trovò 


'  *  <fi  venire,  die  venivano. 

>  Come  a  se*  tu  fatto  Agrippat  Buia  capo  di  secento  assassini,  fatto 
prigione  e  da  Papiniano  domandato ,  Perchè  rubi  t  rispose,  Perche  giudichi  f 
(  Sifilino ,  in  Severo.  ) 

S  non  /ti  rimesteto.  Perchè  lo  spettacolo  d*  Agrippa  falso  avrebbe  ri- 
cordato al  popolo  la  morte  d'Agrippa  vero,  e  non  era  bene  rinfrancescarla  (*). 

^  *  Cecilio.  In  alcuni  testi  leggesi  Coflins  invece  di  Ceecilus. 

^  *  la  plebe  iw  folleggiava.  Il  I.at.*.  ujlagrantìbus  plebis  studiis,  m 

(*)  Hnfraneetearta,  II  Davsntati  ba  raccolto  questo  modo  di  parlare  dalla  bocca  d«l  popolo 
dov'  è  tnltavia  vivo ,  e  significa  :  rttorean  sopra  uaa  cosa.  Credo  sia  cvrrBàone  di  rinfreseare, 

I.  8 


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86  IL  LIBRO  MCOMM  Mi}U  ANNALI. 

o  seppe  prender  vìa  da  po4er1o  smaltire  ^  sotto  spezie  d'ono- 
re. Godeva  già  cinquaot'  anni  la  Gappadocia  il  re  Arehelao, 
odiato  da  Tiberio  perché  in  Rodi  non  l' onorò;  [non  per  sn- 
perbia,  ma  per  essere  avvertito  da  intimi  d*  Agosto,  che  vi- 
vendo Gaio  Cesare  e  governando  Torìente,  la  pratica  di  Ti- 
berio non  parea  sicura.*  Stirpali  i  Cesari,  e  fatto  imperadore, 
fece  dalla  madre  scriver  ad  Arclieiao,  che  sapeva  i  disgusti 
di  suo  figliuolo  e  gli  offeriva  perdono,  s' ei  venkse  a  suppli- 
care. Il  buono  uomo  '  che  lo  inganno  non  intendeva  o,  sco- 
prendosi d'intenderlo,  forza  aspettava,^  eorse  a  Roma,  ove 
dal  crudo  principe  male  accolto  e  tosto  querelato  in  senato; 
non  per  le  apposte  cagioni  Bia  per  la  f«cohiala,  per  l'ango- 
scia, e  pereh'a're  non  par  giuoco'  patire  le  cose  giuste, 
non  che  gli  smacchi,  *  forni  per  volontà  o  natura  la  vita  sua. 
11  regno  fu  Jatto  vassallaggio,  e  Tiberio  per  quelF  entrala 

*  •  smalUre,  Vedi  lib.  H,  6. 

.    ^  non  parea  sicura.  Nel   fine   del  quinto  si  dice  clie  Gaio  urtava  Ti- 
berio. 

'  //  buono  uomo.  Ben  fosti  arcolaio  aggirato  (*).  Diooe  67 }  dice  che  Ti- 
Leno  lo  voleva  dicoUare  ,  benché  decrepito,  gottoso  e  bavoso  (**).  Ma  udendo  che 
egli  avea  detto:  S'  io  tomo  nel  mio  regno ^  io  mostrerò  a  Tiberio  il  mio 
nerbo:  il  riso  spense  l'ira.  Akri  dice  che  Archelao  per  BTer  detto  questa 
scempiesa,  ti  morì  di  dolore.  Tacito  la  conta  più  gravtmente. 

*  *  forza  aspettava,  temeva  di  violenia. 

\  *  non  par  giuoco.  Se  dovessimo ,  a  interpretar  questa  frase ,  pigliare  a 
guida  il  lesto  latino  (  «  regibus  eequa,  nedum  infima  ^  insolita  sunt  »  ) ,  bisogne- 
rebbe dargli  un  senso  molto  nuovo.  Lasciato  dunque  il  testo,  oaaervo  dbt  il  pò- 
'  polo  toscano  usa  spesso  la  frase /àr  giuoco  per  esser  comodo,  opporUùtoj  p.  e. 
Qttesta  cosa  mi  Ja  giuoco.  Potrebbe  dunque  credersi  che  andie  qui  giuoco 
stesse  per  cosa  comoda,  buona ,  opportuna  ec. ,  e  quadrerebbe  heuissimo  alla 
seotensa  di  Tacito:  «  Ai  te  non  par  buono  patire  ec.  »  Se  ho  colto  nel  veroi 
potrebbe  questo  significato  aggii;^nersi  al  Vocabolario. 

fi  non  che  gli  smacchi.  I  grandi  non  vogliono  essere  spacciati  per  l' or- 
dinario. A  Scipione  non  parve  dovere  comparire  a  difendersi,  e  Sempronio 
Gracco,  nimico  suo,  disse:  «  Gli  iddii  e  gli  nomini  l'hanno  fatto  si  glo- 
rioso ,  che  il  metterlo  come  gli  adtri  sotto  la  ringhiera  a  sentirsi  leggere  in 
capo  l'acouM,  e  malmenare  «  sfiorire  {***),  era.vergc^^na  del  popol  romano.  «• 
( Livio, 48.  Appiano  nella  Sirìaca.)  Similmente  Lucio  suo  fratello  tornato  d'Aaia, 
quantunque  ndn  trovasse  mallevadori  per  la  somma  bisognevole  al  «uo  sinda, 
cato ,  non  fa  lasciato  incaroerere. 

(*)  arcolaio.  Bistiecia  sol  nome  d' Archelao  :  e  arcolaio  aggirato  vale  nomo  ravviloppato  in 
OD  inganno. 

(**)  boioao,  stupido:  di  qui  bo/tirei  onde  U  Nostro  :  «  basì  di  paura;  »  obè,  divenne  stu- 
pido. Cassi  anche  per  morlrt. 

r**)  La  Ginntina  :  «  a  sentirsi  coIF  aecose  milmeaare  e  iftortre.  » 


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IL  LIBRO  SECONDO  DBQLI  ANIIALI.  87 

Sgravò  l' QH  per  cento,  *  e  lo  ridosso  a  mezo.  *  AbbaUeronsi 
ancora  i  Gomageni  e  i  Cilici  per  la  morte  d'Antioco  e  di  Fi- 
lopatore  loro  regi,  a  travagliare,  volendo  chi  re  chi  Roma 
ubbidire;  e  la  Seria  e  la  Giodea  stracche  daUe  angherìe , 
chiedevano  alleggerirsi  il  triboto. 

XLIII.  Tutte  qneste  cose  adonqae,  e  V  altre  delle  del- 
l'Armenia,  ^  Tiberio  contò  a'  padri,  e  conchiase  non  poter 
l'oriente  se  non  la  sainenza  di  Germanico  acquetare:  es- 
sendo egli  oggimai  vecchio,  e  Braso  non  ancor  fatto.* Allo- 
ra, per  lor  decreto,  Germanico  ebbe  il  governo  d'oltre  mare, 
e,  ovnnqne  anda8se,80vrano  a  qualunque  reggesse  o  per  tratta 
o  a  mano.''  Ma  Tiberio  levò  di  Seria  Cretico  Silano  che  aveva 
impalmata  una  figliuola  a  Nerone  primo  figlinolo  di  Germa- 
nico, e  misevi  Gn.  Pisene,  uomo  rotto,  soprastante^  e  fe- 
roce come  il  padre,  che  nella  guerra  civile  aiutò  valorosa- 
mente le  parti  risorgenti  in  Affrica  contra  Cesare;  poi  seguitò 
Bruto  e  Cassio  ;  ebbe  grazia  di  tornare  a  Roma;  e  non  si  di- 
chinando a  chieder  «mori,  Agosto  l'ebbe  infine  a  pregare 
che  accettasse  il  consolato.  Ma  oltre  a'  paterni  spiriti ,  la  no- 
biltà e  le  riccheze  di  Plancina  sua  moglie  lo  ringrandivano. 
A  Tiberio  appena  cedeva:  i  snoi  figliuoli,  come  molto  da 
meno,  spregiava.  Conoscevasi  piantalo  in  Scria  per  tener 
basso  Germanico.  E  alcuni  vogliono,  che  Tiberio  gli  desse 


*  sgravò  i*  tm  per  cento.  Questo  era  di  tutte  le  cose  cbe  si  Tendevano  (*)■ 
E  parea  grave  al  pòpolo  ;  dal  quale  pregato  Tiberio  .di  levarlo ,  lo  negò  {**) ,  e 
qui  lo  ridusse  a  meao  per  cento. 

^  *  lo  ridusse  a  mezo.  Intendi  :  la  Gappadocia  fu  ridotta  a  provincia  roma- 
oa  ;  di  che  essendo  cresciute  le  rendite  dello  stato^  Tiberio  vide  che  potevasi  senza 
danno  sminuire  la  gravezza  dell'  un  per  cento  (  centesima  veetigat)  posta  gik  da 
Angusto  (a.  di R.  768)  su  tutto  ciò  che  si  vendesse  all'  incanto;  e  la  ridusse 
all'  un  per  dncento  {ducentesimam  statidt),  ossia  alla  metk. 

*  *  Vedi  sopra,  cap.  3. 

*  nom  ancor /atto.  Non  matwo  a  tanto  governo  :  metafora  nostra. 

^  *  o  a  mano.  Intendi:  dovunque  andasse,  aveva  autoriUi  superiore  a  quella 
dei  governatori  delle  proviacie ,  si  di  quelli  che  mandava  il  senato  traendoli  a 
sorte ,  si  di  quelli  che  erano  spediti  ad  arbitrio  del  principe ,  ehe  il  Nostro  chiama 
JiUti  a  mano, 

*  *  uom^  rotto  9  soprastante.  Il  Lat.  :  «  ingenio  nofentum  et  obsequii 
ignarum.  «» 

n  I.a  Giontinat  «  Questo  era  delle  cose  ebe  si  vendevano  allo  'acanto.  » 
r)V«éiHbr«I,  telile. 


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88  IL  LIBBO  8B€0ND0  DBOtI  ANNALI. 

commessìoni  occalte:  Agnsta  senza  dubbio  inìzò  Plancina  a 
fare  alle  peggiori  con  Agrippina;*  parteggiando  la  corte  in 
segreto,  chi  conDrnao  chi  con  Germanico:  Tiberio  carezava 
Braso  soo  naturai  sangue:  Germanico  era  più  amato  dagli 
altri,  perchè  il  zio  F  odiava,'  e  più  chiaro  di  sangue  da  lato 
della  madre,  nata  di  Marcantonio  e  d' Ottavia  sorella  d'Agu- 
sto:  '  dove  il  bisavolo  di  Dmso  Pomponio  Attico,  cavaliere, 
male  tra  le  imagini  de'Glaudii  campeggiava.  E  Agrippina 
moglie  di  Germanico  a  Livia  di  Druse  SQprastava  per  fecon- 
dità e  netta  fama.  Ma  questi  fratelli  erano  forte  uniti,  né  da 
tempestare  di  lor  brigate  scrollati.  * 

XLIY.  Non  v'  andò  guari  che  Tiberio  mandò  Dmso  in 
llliria,  per  milizia  apprendere  e  per  farsi  dall'esercito  ama- 
re: star  meglio  in  campo  che  a  sviarsi  ne' piaceri  della  città,* 
e  più  sicure  le  forze  sue  ne'  due  figliuoli  sparlile.*  Ma  finse 

•  *  inizò  Plancina  a  fare  alle  peggiori  con  Agrippina.  G.  Dati  :  «  Ne  si 
dvbita  pnntd  che  AugtuU  non  mettesse  su  Planeioa  a  peneguiUre  Agtippitia 
moglie  di  Germanico^  con  quelle  emulasioni  che  s*  usano  tra  le  donne.  «  Vedi 
nel  lib.  I,  3,  M  le  ise  donnesche.  » 

^perchè  il  zio  l^  odiava.  Chiama  Tiberio  quando  zio,  quMào  padre 
di  Germanico.  L'uno  era  per  natura,  come  nato  di  Druso  suo  fWitello,  l'al- 
tro per  adoiione  di,  lui  fatta  per  volontà  d'Augusto ,  come  nel  primo  libro. 
Cosi  Germanico  e  Dmso  eran  fratelli  cugini  per  natura ,  e  carnali  per  ado- 
zione. 

^  e  d'  Ottavia  sorella  d*  Agusto.  Questa  era  madre  d' Antom'a  mi- 
nore,  madre  di  Germanico.  Come  adunque  dice  il  latino  che  Germanico ,  fé- 
rebat  avunculum  Augustum?  avuncidus  è  il  fratcl  della  madre,  non  del- 
l' avola.  Forse  si  dee  leggere  proamincuhùn,  magnum  avunctdttm.  Per  fug- 
gir questa  difficoltà,  e  con  più  brevità,  ho  detto  come  si  vede.  Il  seguente 
albero  mostra,  come  la  nobiltà  materna  di  Germanico  fusse  più  chiara  di 
quella  di  Druso. 

I  Ottaviano  Agusto.  i  Antonia  minore  ,  > 

Ottavia  maggiore,  mo-    j    moglie  di  Druso  |  Germanico, 
glie  di  Marcantonio.  '    il  Germanico.      \ 

Pomponio  Attico,       |  Pomponia  ,  mogUe  di  J  ^.^^"oguf  d"^^^^  j  Druso. 
cavaUere.  f     V.psamo  Agnppa.     J  b„io  impe^^ore.  ' 

^  *nhda  tempestare  ec.  G.  Dati  :  *«  Nò  s' erano  mossi  per  discordia  che 
fusse  tra'  loro  parenti.  » 

8  sviarsi  n^  piaceri  della  città.  Dice  bene  quel  nobile  poeta  iranaese 
nella  sua  Settimana,  che  i  piaceri  sono  monti  di  diaccio, dove  i  gidrani  corrono 
alla  china  ;  aggiungovi,  in  trampoli. 

'  pia  sicure  le  forze..,  spartite.  Commodo  avendo  scoperto  e  ucciso  Pe- 
rennio ,  diede  a'  soldati  pretoriani  due  generali.  (Erodiano  nel  primo.  ) 


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n  LIBIO  8IC0IID0  DEGLI  ANNALI.  89 

mandarlo  per  aiuto  chiesto  da'Soevi  contro  a'Gherusci.  Ay- 
vengachò  costoro  liberati  per  la  partita  de'  Romani  da  fore- 
stiero timore;  e  per  natia  usanza  e  per  contesa  di  gloria,  si 
voi  tessono  l'armi  centra.  Pari  di  forze  e  di  valore  de' capi. 
Ma  qnel  nome  di  re  in  Maraboduo  non  piaceya  a' popoli:  Ar- 
minio,  che  per  la  libertà  combatteva,  era  il  favorito. 

XLV.  A  lui  rifuggirò  del  regno  di  Maraboduo,  Suevi, 
Sennoni  e  Longobardi,  co' quali  aggiunti  a'Cherusci  e  loro 
allegati ,  antichi  soldati  suoi ,  era  più  forte ,  se  Inguiomero 
co'l  suo  seguito,  non  s'accostava  a  Maraboduo;  perciò  sola- 
mente che  si  sdegnava  ubbidire,  essendo  zio  e  vecchio,  al 
giovane  nipote.  Ordinaronsi  le  battaglie  con  pari  speranze. 
Non  più  i  Germani  divisi  in  frotte,  in  qua  e  là  scorrenti , 
come  solevano,  avendo  per  lungo  guerreggiar  co' Romani 
appreso  a  seguitare  le  'nsegne ,  soccorrersi ,  ubbidire  i  capi- 
tani. Arminio  per  tutto  l' esercito  cavalcando  a  ogn'  uno  ri- 
cordava «  la  riavuta  libertà,  le  squarciate  legioni;  mostrava 
in  mano  a  molti  di  loro  ancor  le  spoglie  e  l' armi  tolte  a'Ro- 
mani  ;  chiamava  Maraboduo  fuggitore  codardo  ,  intanato 
nella  selva  ^  Ercinia ,  chiedi tor  d'  accordi  con  ambascerie  e 
presenti,  traditor  della  patria,  cagnotto  di  Cesare,  degno  di 
esser  con  più  rabbia  spiantato  che  Varo  non  fu  ucciso,  se  si 
ricordassero  delle  tante  battaglie,  i  coi  fini,  '  con  la  cacciata 
finalmente  de'  Romani ,  chiarire  chi  riportasse  l'onor  della 
.guerra.  ;» 

XLVI.  Né  taceva  Maraboduo  i  suoi  millanti  e  le  vergo- 
gne d' Arminio;  ma  dando  ad  Inguiomero  della  mano  in  su 
la  spalla,  diceva:  «  Ecco  qui  la  gloria  de'Gherusci.  Per  li 
costui  consigli  s' è  fatto  ogni  bene,  e  non  di  queir  animale 
d' Arminio y  che  se  ne  fa  bello ,  per  aver  tradito  le  (re  le- 
gioni smembrate  e  il  capitano  che  dormiva ,  con  gran  mor- 
talità de'  Germani  e  sua  ignominia ,  avendo  ancora  schiavi  la 
moglie  e  il  figliuolo.  Ma  io  assalito  da  legioni  ben  dodici, 
capitanate  da  un  Tiberio,  mantenni  alla  gloria  germana  il 

'  intanato  nella  selva.  Maraboduo  era  stato  in  Roma  da  giovane ,  e  ca- 
reuto  da  Aguato.  Portò  a  casa  le  romane  arti  e  auggiogò  molti  popoli ,  da'  qvaXi 
odiato  I  si  ritirò  in  quella  selva  per  fortesa.  (Strabone,  lib.  i7.)    ' 

S  *  ieuijini,  l'esito  delle  quali  battaglie. 

8' 


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90  IL  LIBftO  SECONDO  OBOLI  ANNALI. 

soo  fiore.  Fecesi  accordo  orrevole,  nò  ci  ha  ripitfo,  ^  poscia- 
cbò  a  noi  sta  se  yogiiamo  di  bel  nuovo  combattere  o  senza 
sangue  vivere  in  pace.  »  Pugnevano  l' ano  e  l'altro  esercito, 
oltre  alle  dette,  altre  cagioni  proprie,  che  i  Gherasci  e' Lon- 
gobardi combattevano  per  la  gloria  e  per  la  libertà  nnova  ; 
quegli  altri  per  accrescer  dominio.  Affronto  non  fu  mai  si 
possente  e  dubbio;  perciocché  l'uno  e  l'altro  destro  corno 
fu  rotto:  e  rappiccavansi ,  se  Marabodoo  non  si  ritirava  alle 
colline  :  segno ,  che  impauri  :  onde  i  rifuggiti  alla  sfilata  il 
piantarono.  Se  n'  andò  ne'  Marcomanni  e  domandò  per  am- 
basciadori  a  Tiberio  aiuto.  Rispose,  non  poter  aiuto  contro 
a'  Gherosci  chiedere  a'  Romani ,  chi  loro  già  contro  a'  me- 
desimi lo  negò.  Nondimeno  fu  mandato  Druse,  come  dicem- 
mo ,  a  rappaciarli. 

XLYIL  Rovinarono  in  queir  anno  dodici  xittà  nobili 
dell'Asia  per  tremuoti  venuti  di  notte,  per  più  irprovveduto 
e  grave  scempio.'  Non  giovava,  come  in  tali  casi,  fuggire 
air  aperto ,  perchè  la  terrà  s' apriva  e  inghiottiva.  Gontano 
di  montagne  nabissate ;  piani  rimasi  in  altura,  lampi  nel  fra- 
cassio usciti.  Ne'Sardiani  fu  la  maggiore  scurità:  onde  Cesare 
loro  promise  dogencinquantamila  fiorini,  e  di  quanto  pa- 
gavano al  fisco  e  alla  camera  gli  esentò  per  anni  cinque. 
A'  Magnesi  di  Sipilo  toccò  il  secondo  ristoro  e  danno.  I 
Temnii,  Filadelfii,  JSgeati,  Apolloniesi,  Mosconi,  Macedoni,' 
detti  Ircani ,  Gerocesarea,  Mirina ,  Gimene  e  Tmolo  piacque 
per  detto  tempo  sgravar  dé'tributi  e  mandare  a  visitarli  e 
provvederli  un  senator  pretorio ,  non  consolare,  tome  il  go- 
verna tor  dell'Asia  era,  acciò  non  competessero  come  parie 
s' impedissero ,  e  fu  eletto  M.  Aleto. 

XLYIII.  Questa  magnifica  liberalità  pubblica  fu  rifiorita 
da  Gesare  con  due  altre  private  non  meno  care.  Diede  la 

*  *  nk  d  ha  ripido ,  "ró  ci  ha  luogo  •  peBtifii«Dto ,  a  rammarieo  ce. 
Latt  «  n^ue  pmnitere.  » 

>  *  per  pik  sprovveduto  e  grave  scempio  j  cioè,  coma  traduce  il  Dati, 
«  e  con  tanto  nuggior  danno ,  quanto  che  egli  ecdse  all'improvista.  *• 

^  *  Moseeni,  Macedoni  ec.  VL  Lat:  «  qtUque  Moscéni  aut  Maeedomes 
Byreani  vocantar.  m  L'  esemplare  nestiano  di  Gino  Capponi  porta  oomtt»  a 
penna;  m  I  Temnii,  Fihdelfi,  Egeati,  Apolloniesi,  e  qne"  Momcbì  o  Kmadoni 
detti  ircani.» 


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IL  LIBBO  SECONDO  DEGÙ  ANNALI.  91 

ricca  redìtà  d' Emilia  Musa,  morta  senza  testare,  che  andava 
nel  fisco ,  ad  Eipilio  Lepido  che  di  tal  famiglia  parca  ;  e 
quella  di  Pataleio  ricco  cavalier  romano  (  benché  a  lai  ne 
lasciasse  una  parte  )  a  M.  Servilio  chiamato  nel  testamento 
primo  e  non  sospetto  ;  e  disse  che  qoe'  genliloomini  riarsi  ' 
meritavano  cotali  rìnfrescamenti.  Né  accettava  reditadi ,  se 
non  se  meritate  per  amicizia:  quelle  di  sconoscinti,  o  che  in 
dispetto  d'altrui  lasciavano  al  prìncipe,  ributtava.*  Ma  come 
egli  sollevò  V  onorata  povertà  di  questi  buoni ,  cosi  privò  del 
grado  senatorio,  o  permise  lasciarlo,'  Vibidio  Varrone,  Ma- 
rio Nipote ,  Appio  Appiano ,  Cornelio  Solla  e  Q.  Yitellio , 
impoveriti  per  mal  vivere.^ 

'  *  riarsi,  poverìuimi.  Coli'  iitessa  metafora  il  nostro  popolo  osa  bruciare 
per  non  aver  danari, 

S  *  ributtava.  Nella  Giuntina  :  «  cacciava  via.  ** 

'  aprivo...,  0  permise  lasciarlo.  La  Giuntina:  «  scavalcò  o  fece  scen- 
dere. » 

*  impoveriti  per  mal  vivere.  Interesse  pubblico  è  che  ninno  disperda  le 
sac  facoltà,  ma  le  conservi  a' suoi  per  mantenere  le  famiglie  nobili  e  gU  no- 
mini buoni»  e  questi  fanno  la  repubica  felice.  Avvengacbè  colui  che  di  ricco 
e  nobile  cade  in  necessità ,  che  legge  non  teme,  non  si  voglia  dichinare  a  fare 
ignobili  esercisi  per  campare,  ma  diasi  a  rubare,  giocare ,  tradire ,  spiare ,  falso 
testimoniare,  Ruffian^  baratti  e  simili  lordure j  e  questi  fanno  la  repu- 
blica  infelice.  Quindi  sono  le  tante  leggi  suntuarie  che  ogni  di  si  fanno  e 
ninna  se  n'osserva.  E  dannosi  curatori  a' prodighi  non  meno  che  a' furiosi. 
n  ch«  faceva  in  Roma  il  magistrato  con  queste  bellissime  parole  ;  qvahoo  tva 

BOBA  PATXBKA  AVITAQTB  KBQVITIA  TTA  DlSPBBDlS,  LIBBBOSQVB  TVOS  AD  EGB- 
BTATBM   PBBOTCIS;   OB  BAM   BBV   TIBI    BA    BB  COMMBBClOQVB   IHTBBDICO.  Gosi   fu 

nesso  (diciamo  noi)  ne' pupilli  il  Sglinolo  di  Fabio  Massimo;  non  potendo  Roma 
sopportare  che  la  roba  che  doveva  mantenere  il  grande  splendore  de'Fabii,  si  bi- 
goasasse.  E  tentò  il  figliuolo  di  Sofocle  di  metterlovi ,  straccurando  le  facoltadi, 
per  attendere  alle  tragedie  :  ma  leggendo  egli  a'giudici  TEdipo  Goloneo,  che 
cg)i  componeva  allora,  mostrò  loro  quanto  era  in  cervello.  Santa  fu  ancora 
l'ordinansa  di  Solone,  tratta,  dice  Erodoto,  dalli  Egiiii,  e  parmi  intendere 
che  s'osservi  nella  China,  di  dare  ogn'anno  ciascheduno  la  portata  della  sua 
entraU  e  spesa.  Per  la  quale  furon  ciuti  Cleante,  Menedemo  e  Asclepiade,a 
dar  conto  come  fosse  che  nulla  possedendo  e  tutto  '1  di  a  filosofia  attendendo , 
attesero  cosi  gai  e  prò.  lia  udito  l' areopago  da  un  mugnaio  e  da  un  ortolano, 
dM  ogni  notte  a  voltar  la  ruota  e  attigner  aequa  si  guadagnavano  due  dramme 
d'ariento  per  uno,  ne  donò  loro  dugento.  In  Corinto  a  chi  teneva  più  spesa 
che  non  avea  entrata^  era  comandato  che  la  scemasse;  e  chi  ninna  entrata 
avea,  e  tenea  vita  larga,  era  giustisiato  sena' altro  processo,  convenendo  che 
vivesse  di  seeleritadi.  Ma  Tiberio  solamente  tolse  la  degnila  senatoria  a  questi 
quattro  acepigliati;  per  chiamare  i  fonditori  della  loro  facoltà  con  questo  nuovo 
vocabolo  »  che  la  nostra  tWÙk  ha  trovilo  al  nuMo  lusso  itrabocehevolè  entra- 


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92  IL  LIBBO  SECONDO  DBfiLI  ANNALI, 

XLIX.  Dedicò  a  Bacco,  Proserpina  e  Cerere  il  tempio^ 
per  boto  d' A.  Poslumio  dettatore,  cqminoiaio  da  Agusto^, 
guasto  da  tempo  o  fooco,  accanto  al  cerchio  maggior^;  e 
quivi  pure,  quel  di  Flora  ordinato  da  Lucio  e  Marco  Publicii 
edili  :  e  quel  di  lano  dal  mercato  degli  erbaggi ,  che  Gaio 
Duillio  edificò  per  la  riportata  prima  vittoria  romana  in 
mare ,  e  navale  trionfo  de'  Cartaginesi.  E  Germanico  dedicò 
alla  iSperanza  quello  che  Atilio  nella  medesima  guerra  bo- 
tato avea. 

L.  La  legge  di  stato  allungava  1  denti,  '  e  fu  accusata 
Apuleia  Yarilia,  nipote  d'una  sorella  d'Aguslo  ,  d'avere  bef- 
feggiato lui ,  Tiberio  e  la  madre ,  e  commesso  adultero'  cosi 
parente  dì  Cesare.  ^  Di  questo  fu  rimesso  alla  legge  giulia.  ^ 


toci:  pretto  veleop  alla  vita  .di  lei,  foodata  nella  panimonia  e  industria;  a 
lei  più  che  mai  necessarie  ora ,  che  non  più  che  il  quarto  de*  beni  stabili  ri- 
mane a'  privati  laici  ;  come  mostra  il  catasto ,  e  camminasi  oltre ,  e  nutrì- 
sconsi  i  mendicanti  ;  che  provvide  san  Silvestro  Papa  toccare  a*  conventi  ric- 
chi. Il  che  si  legge  nella  leeionp  sesta  del  suo  Mattutino.  Quindi  pacane  la 
leggjB  .agraria,  e  gli  scismi  in  Germania  e  Inghilterra ,  e  la  storia  de'sacerdoti  di 
Bel  in  Daniello  a'  14 ,  e  T  ira  delli  Icenì  contro  a'  sacerdoti  del  tempio  di 
Claudio  in  questi  Annali  nel  libro  i4.  (*)      . 

*  *  il  tempio:  non  fu  un  solo.  Il  Lat.:  ««  tedes,  »  Il  Dati  più  chiaramente: 
u  Rifece  e  consagrò  quei  tempii  divini  che  per  incendii  o  per  vecchiessa 
erano  rovinati ,  o  finì  quelli  che  da  Augusto  erano  stati  cominciati;  e  'ntra  gli 
altri  quello  dello  iddio  Libero  e  della  iddea  Libera  e  di  Cerere  lor  madre  ac- 
canto al  Circo  Massimo  ec.  ** 

s  *  allungava  i  denU.  U  Lat  :  m  adolescebatj  m  ingagliardiva  e  facevasi 
sentire. 

S  commesso  adultero.  Alle  antiche  pene  dell'adùltero  raccolte  dal  Lipsio 
nel  4  sopra  quello  di  Aquilia  con  Vario  Ligure,  aggiugni  questa  che  jaarra  Vo- 
pisco  d'Aureliano  imperadore-  Fece  chinare  le  vette  a  due  vicini  arbori,  le- 
gare a  ciascuna  un  pie  del  reo ,  e  lasciarle  andare.  Sbranossi  in  due  pesi,  e  ri- 
masevi  suso  a  mostra  per  esenbpio  della  strettissima  congiuniione  di  marito  e 
moglie  disgiunta. 

*  *  così  parente  di  Cesare,  cioè  «  sensa  aver  riguardo  al  parentado 
eh'  ella  avea  con  Cesare.  **  G.  Dati. 

^  *  lì  Nostro  va  qui  nn  po'  troppo  per  le  corte  ;  perù  non  sark  inutile 
di  ricorrere ,  al  solito ,  al  Dati ,  che  traouce  cosi  :  «  Quanto  aU'  adulterio , 
parve  a  Cesare  eh' e' fosse  per  la  legge  giulia  provveduto  assai,  e  a  quella 
si  rimetteva.  Dello  avere  con  parole  offéso  la  maestà,  domandò  chft  in  questo 
si  facesse  distinzione ,  e  se  alcuna  cosa  aveva  detto  irreligiosamente  contro  ad 
Augusto  ella  fnsse  punita  ;  e  di  ciò  che  di  lui  proprio  aveva  detto,  non  voleva 
se  ne  facesse  inquisizione.  » 

(*)  N«Ua  Giaatina  manca  tntto  ciò  ohe  segoa  alle  parole  e  umninmi  off/v. 


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U  LOBO  ncONDO  DC«U  ANNAU.  OH 

Dello  sparlato  d' Agosto  volle  si  condannasse:  di  se  non  se 
ne  ricercasse:  della  madre  non  ne  rispose  al  consolo;  ma 
l' altra  tornata  pregò  il  senato  da  parie  dì  lei  ancora,  cbe  di 
parole  dette  coiitra  lei,  ninno  fosse  reo.  Assol velia  adnnqne 
del  caso  di  siato,  e  per  lo  adoliòro  persuase  i  suoi,  che  ba- 
stasse la  pena  antica  del  discostarla  da  loro  dogenio  miglia. 
Manlio,  lo  bertone,  ^  fo  cacciato  d'Italia  e  d'Affrica. 

U.  Nel  rifare  il  pretore  per  la  morte  di  Vipsiano  Gallo 
T'ebbe  contesa.  Germanico  e  Droso  (che  erano  ancora  in 
Roma)  volevano  Aterio  Agrippa  parente  di  Germanico:  pon- 
tavano'  i  più  per  lo  più  carico  di  figlinoli ,  secondo  la  leg- 
ge.* Tiberio  avea  piacere  che  il  senato  disputasse  chi  poteva 
più,  o  i  snoi  figliuoli  0  le  leggi.  La  legge  (chi  noi  si  sapea?) 
fo  vinta;  ma  tardi,  e  arranda;*  a  uso  di  quando  elio  va- 
levano. 

Lll.  Quest'anno  nacque  guerra  in  Affrica  con  Tacfari- 
nate.  Costui  fo  di  Nnmidia;  militò  in  campo  romano  tra  li 
aiuti;  truffò;  si  fece  capo  di  malandrini;  ^  ordinoUì  sotto  in- 
segne, bande  e  buona  milizia;  e  finalmente  di  capo  di  sche- 
rani ,  duca  de'  Musulani  '  divenne  ;  gente  forte,  confine  ai 
diserti,  ancor  niente  incivilita.  Fece  lega  co'  vicini  Mori  e 
loro  duca  Mazippa,  con  patto,  che  Tacfarinate  in  campo  il 
fior  de'  soldati  armati  alla  romana  ammaestrasse,  e  Mazippa 
con  gente  leggiera  mettesse  a  ferro  e  fuoco  e  in  terrore  il 
paese:  e  trassero  dalla  loro  i  Ginizii,  nazione  di  conto.  Al- 
lora Furio  Gammillo  viceconsolo  in  Affrica  andò  a  trovar  il 
nimico  con  la  legione  e  lutti  gli  aiuti;  gente  poca  a  tanti 

*  *  lo  bertone  ,  il  drudo ,  l' adultero. 

S  *  pontavano.  Il  Lat.:  «  nUebanùtr ,  m' facevano  pressa  o  premura. 
'  secondo  la  legge  papia  poppea  che  dava  i  magistrati  prima  a  chi  era 
più  carico  di  Bgliuoli.  (Dione  56.) 

*  *arranda,  appunto,  a  mala  pena,  a  stento.  Neil' edisione  originale 
sta  cosi  arranda  in  una  sola  parola  ;  ma  le  altre  cplb  Crusca  pongono  a  randa. 

B  capo  di  malandrini.  Qà.  e  capo  di  malandrini ,  già  non  fa  altro  che 
vagot  et  latrociniis  sitetos  ad  pradam  et  rapttis  congregare.  Le  due  pa- 
role Sorentine  comprendono  tutte  queste ,  per  propria  virtù  di  questa  lingua  :  il 
dirle  sarebbe  replicare  il  detto,  però  le  lascio.  Cosi  avviene  molte  volte,  e  non  k 
mancamento.  (*) 

*  *  Léggi  :  «  Musulami.  » 

n  QMta  poctiUa  nan«a  neUa  QlantUia. 


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94  IL  unto  SKCmiDO  DMU  AUSALI. 

Namìdi  e  Morì:  ^  ma  dorè  sopra  totto  si  procoraTason  ìsfag- 
gir  la  guerra  per  paura;  per  sicarexa  di  vincere  faron  vinti. 
Presentossi  la  legione  in  mezo;  fanti  leggieri  e  due  alio  di 
cavalli  ne' comi.  Tacferinaie  non  rifiatò;  fv  sbaragliato:  e 
Fnrio  per  molti  anniracqoistò  il  vanto  della  milizia;  che  da 
quel  Cammino  che  salvò  Roma  e  sno  figlinolo  in  qua ,  era 
stalo  in  altre  famiglie.  Fattostà'  che  tal  nomo  non  era  tenuto 
da  guerra:'  tanto  più  celebrò  Tiberio  sae  gesto  in  senato.  I 
padri  gli  ordinarono  le  trionfali:  ^  e  non  gli  nocquero,  *■  per 
la  tanto  sua  vita  rimessa.* 

LUI.  [A.  di  R.  T71,  di  Cr.  18.]  Il  seguente  anno  foron 
consoli  Tiberio  la  terza  volta  e  Germanico  la  seconda ,  che 
prese  l'onore  in  Nìcopoli  città  d'Acaia,  dove  era  per  Illiria 
venato  da  visitare  il  fratello  in  Dalmazia  con  mala  naviga- 
zione ne'  mari  Adriatico  e  Ionio.  Onde  vi  badò''  pochi  giorni 
a  risarcir  V  armata  e,  in  tanto,  vedere  quel  famoso  Azio  per 
la  vittoria,  e'rizati  trofei  d' Agusto  e  lo  campo  d'Antonio; 
ricordazioni  a  lui  (perchè  Agusto  gli  fu  zio  e  Antonio  avolo, 
com'  è  detto)  e  grandi  spettacoli  d' allegreza  e  dolore.  Entrò 
in  Atene  con  un  solo  littore,  rispettando  l'antica  città  col- 
legata. Qoe'  Greci  Io  accolsero  con  onori  squisitissimi  e  con 
eroico  adulare  «gli  portavano  innanzi  i  chiari  detti  e  fatti 
de' suoi  maggiori. 

LIY.  Andò  in  Eubea,  passò  in  Lesbo,  dove  Agrippina 
fece  il  sno  ultimo  parto  di  Giulia.  Vide  nel  fine  dell'Asia  Pe- 
rinto  e  Bizanzio,  città  di  Tracia;  lo  stretto  della  Propontide 

*  gente  poca  a  tanti  Nttmidi  te.  Però  tì  fu  mandata  d' Ungheria  la  le- 
gione nona.  Cosi  erano  due  legioni  in  Affrica ,  come  dice  l'autore,  quando  fa 
la  rassegna  di  tutte  le  forte  romane  nel  4  libro»  e  non  una,  come  dice  qui.  Forse 
vi  fu  mandata  poi  per  lo  corso  perìcolo. 

'  *  Fattostà  :  cosi  la  Giuntina ,  in  una  sola  parola..  Altri  usano  stacca- 
tamente Fatto  sta,  lo  stesso  che  Fatto  èj  modo  familiare ,  che  vale  :«  La  cosa 
è  in  questi  termini.  » 

'  *  <fa  guerra  j  idoneo'  alla  guerra ,  alle  armi. 

*  *  ie  trionfali,  sottintendiyèjte  o  insegne. 

S  non  gli  nocquero.  Seppe  usar  1'  arte ,  o  modestia  d'  Agrìppa,  detta 
nella  postilla  12  di  questo  libro (*). —  *  non  gU  nocqiuro ;  cioè,  non  gli  susci- 
tarono Pinvidia  di  Tiberio  ,  che  soleva  astiare  chi  per  virtù  veniste  in  fama. 

^  per  la  tanto  ec,  per  la  molta  inodestia  della  stia  vita. 

'  *  vi  badò,  vi  si  trattenne,  vi  spese  pochi  giorni. 

(*)  Di  qaesta  ediiione,  nota  T,  pag.  74. 


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IL   LIBRO  SBGONDO  DEfiLI  ANNALI.  1>5 

e  bocca  del  Poaio,  per  Tagheza  ^  di  riconoscere  qaeU'anUche 
famose  contrade:  e  insieme  ristorava  quelle  Provincie  stratte 
per  loro  discordie  e  nostre  angherie.  Volendo  nel  ritorno  vi- 
sitare le  divozioni  di  Samotrace,  '  ripìato  da'  tramontani  y 
ricosteggiò  l'Asia  e  quo'  luoghi  '  per  variata  fortuna  e  nostra 
origine  venerandi  ;  e  sorse  ^  in  Colofone  per  intender  di  se 
da  qoeli'  oracolo  d'AppoUioe  ciarlo.  Non  donna  v'è,  come  in 
D^o  y  ma  sacerdote  di  certe  famiglie,  le  più  di  Mileto,  il 
quale  piglia  solamente  i  nomi  e  il  numero  de'domandanti;  en- 
tra in  una  grotta;  bee  a  una  fonte  sagrata;  "  non  sa  leggere 
per  lo  più  né  poetare,  '  e  rende  in  versi  alle  domande  cogi- 
tate i  rispoBsi.E  dice  vasi  aver  cantato  a  Germanico  morte 
vicina,  con  parole  scure  d'oracoli.'^ 

LV.  Ma  Pisone  per  tosto  cominciar  sua  opera,  entra  fo^ 
rioso  in  Atene  e  la  riprende  agramente,  dicendo:  a  Troppi 
convenevoli ,  non  degni  del  nome  romano,  essersi  fatti,  (e 
pngneva  per  fianco  Germanico)  non  alli  Ateniesi,  che  n'  è 
spento  il  seme,  ma  a  questo  goazabuglio  di  nazioni.  Essi  es- 
sere que'  buon  compagni  di  Mitridate  contro  a  Siila ,  d'An- 
tonio contro  al  divino  Agosto*  »  Rinfacciò  loro  T  antiche 
percosse  da' Macedoni,  le  violenze  aiioro:  volendo  male  per 
altro^  a  quella  città  che  non  gli  aveva  fatto  grazia  d'un  Teofilo 

'  *  vagherà:  e  con  doppio  s  nella  Giuntina  ;  ma  certa  per  inavvertenza  : 
perchè  in  quei  pochi  luoghi  dove  la  Giuntina  reca  la  doppia  i  ^  il  Ms.  l*  ha 
scempia. 

*  Smmctntee,  Yemit  di  quella  isola  Dardano  col  Palladio  in  Frigia, 
ove  fa  Troia,  oùde  usci  Roma ,  la  quale  di  si  piccola  origine  sali  in  si  ampia 
fortuna.  Molte  parole  del  latino  traspone  il  Lipsio  correggendo  questo  luogo  ; 
una  sola  con  bello  avvedimento  il  Picchena  ;  «  Igitur  Asitun  aliaque  ibi  vo- 
rietaie  foritmae  et  nostri  origine  veneranda  rehgii ,  appeUitque  Colophon 
nas»^  tatto  toma  benissimo.^^* U  divwdoia.  Il  Lat. ;  «  sacrai  *•  U  memorie  e 
i  monamenti  reUgiosi. 

'  *  rioosteggié  l^Aski  £  que*  hiogki  %c.  Legge  <  «  igUmr  aHo  quaque 
ibi  ce.  »  dove  il  testo  corrotto  fu  restituito  cosi:  <*  igUur  mtUo'/liQ  iqum- 
que  ibi  ee.  :  «  «ieofteggiò  l'Asia ,  visitò  Ilio  e  qua'  luoghi  ec.  « 

*  *  surset  approdò. 

'"*  bee  «  WMjbnte  sagrata:  aveva  scritto  «  bee  acqua  santa t  »  pvi 
coiressa, 

^  *  ne  poetare  :  nel  Ms.  «  nò  comporre  i  •  ma  cancellò. 

V  **  cM-^orofc  scure  d'ùraeoli:  la  Giastioa  :  m  con  parola  d'oracoli  da 
indovinarle.  » 

^  '  per  altro  U  Lat.  :  «  offensus  urbi  fwpriS  quoque  irà»  »  per  suo  pri- 


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96  IL  LIBRO  SBGONDO  DEGLI  ANNALI. 

condannato  dall'  areopago  per  falsario.  Quindi  navigando  a 
fretta  per  le  Gicladé  e  per  tragetti  di  mare,  raggiunse  in  Rodi 
Germanico,  avvisato  di  tanto  perségnito;^  ma  bI  bonario  che 
battendo  Pisene  per  burrasca  In  iscogli,  ove  poteva  alla  for- 
tuna attribuirsi  sua  morte,  gli  mandò  galee  e  salvoUo.  Non 
perciò  mitigato  Pisene ,  stato  con  Germanico  appena  un  dì, 
gli  passò  innanzi  e,  giunto  alle  legioni  in  Sorta,  con  donare, 
praticare ,  tirar  su  infimi  fantaccini, cassar  vecchi  capitani  e 
severi  tribuni  e  mettervi  suoi  cagnotti  o  cerne,  ^  e  lasciarli 
nel  campo  senz'  esercitamento,  nelle  città  senza  freno,  fuori 
scorrere  e  rubare,  scapestrò  «i  ogni  cosa  che  il  volgo  il  dicea 
padre  delle  legioni:  e  Plancina,  fuori  del  dicevole  a  femmi- 
na; interveniva  al  rassegnare,  ali' addestrare  cavalli  e  fanti: 
d' Agrippina  e  di  Germanico  diceva  ree  parole;  e  alcuni  sol- 
dati, e  de' buoni,  le  si  efiérivano  a  più  rei  fatti;  bisbiglian- 
dosi che  r  imperadore  cosi  volesse. 

LVI.  Germanico  sapea  tutto ,  ma  volle  attender  prima 
alli  Armeni.  Di  questi  non  fu  mai  da  fidarsi  per  lor  natura  e 
per  lo  sito,  in  corpo' a  nostre  provincie,  che  s'estende  sino 
a' Medi,  e  tramezando  due  grandissimi  imperì,  or  combat- 
tono co' Romani  per  odio,  or  co' Parti  per  invidia.  Erano  al- 
lora senza  rè,  rimosso  Yonone:  ma  vòlti ^  a  Zenone  figliuolo 
di  Polemone  re  di  Ponto;  il  quale  sin  da  fanciullo  usando 
caccia,  vestire,  vita,  costumi,  e  ciò  che  li  Armeni  amano, 
s' era  guadagnato  i  grandi  e  la  plebe.  Là  onde  da  Germanico 
nella  città  d'Artassata  ,  con  piacer  de'  nobili ,  a  pien  popolo 
fu  incoronato,  e  da  tutti  gridato  re,  e  dal  nome  della  città 
detto  Artassia.  A'  Gappadocì  fatti  vassalli  fu  dato  per  legato 

vaio  sdegno.  Il  Ms.  aveva:  «  crucciato  eoa  quella  città  in  ìspeaic  per  non 
gli  aver  liberato  ec.  »  Poi  cattcellò  e  corresse  come  qui  si  vede. 

<  *  avvisato  di  tanto  perseguito,  ài  tanla  pertccusioae.  Cosi  anche  nello 
Scisma  :  «  Rinnovò  il  perseguito  de'  Cattolici.  » 

^  *  o  cerne.  Le  cerne ,   dicono  i  Deputati  alla  corc«iione  del  DecauM- 

rone,  erano    specie   di    soldati    che   per   li    rei  portamenti divennero 

odiósi t  ed  oggi  sono  infami,  e  a  pena  si  sa  cosa  alcuna  deUa  loro  gita- 
lità  primiera.  Qui  è  per  uomini  vili  e  da  nulla.  Nel  Ms.  «  cagnotti  e  naa- 
rame  ;  »  poi  corretto  :  «  cagnotti  e  cerne.  » 

'  *  in  eoifto.  Il  Lat.  ha  :  «  nostris  provinciis  late  prmteniai  cioè ,  che 
cinge  per  lungo  tratto  i  confini  delle  nostre  province. 

*  *  vólti:  erano  vólti;  faTorivano. 


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IL   LlBftO  SBCONOO  DBGU  ANNALI.  97 

Q.  Yeranio,  e  sgravato  alcono  de'lributi  del  re,  per  inlo- 
nare  ^  il  romano  giogo  più  soave.  A'  Comageni  fu  primo  pre- 
tore dato  Q.  Serveo. 

L  VII.  A  Germanico  i  si  ben  composti  collegati  *  non  fa- 
cean  prò  per  la  superbia  di  Pisene,  al  quale  avendo  coman- 
dato che  venisse  egli  o  il  figliuolo,  con  parte  delle  legioni, 
se  ne  beffò.  Pure  in  Girra,  dove  alloggiava  la  legion  decima , 
s'abboccarono  con  visaggi,  Tono  di  non  temere,  l'altro  di 
non  minacciare.  Germanico  era  benigno,  come  s'*ò  detto;  ma 
molti  commetteano  male,  veri  accrescendo  e  falsi  aggiungendo 
centra  Pisene  e  Plancina  e' figliuoli.  All'ultimo,  Cesare,  pre- 
senti alcuni  di  casa ,  gli  parlò  con  ira  rattenuta  :  quei  fece 
scuse  altiere:  partirsi  con  odi!  concentrati.'  Pisene  poche  al- 
tre volte  entrò  nel  tribunale  di  Cesare ,  e  sempre  aspro  e 
contradio.  In  un  convito  del  re  de'  Nabatei ,  essendo  portate 
corone  grandi  d' oro  a  Germanico  e  Agrippina,  e  a  lui  pic- 
cola, come  agli  altri;  disse  forte,  che  quel  pasto  si  faceva  ai 
figlinolo  del  principe  di  Roma  e  non  del  re  de'  Parti  :  gittò 
viaria  corona,  e  molto  biasimò  quella  spesa:  cose  da  Germa- 
nico strasentite,*  ma  sopportate. 

LYIIL  In  questo  vennero  arabasciadori  da  Artabano  re 
de'  Parti,  che- ricordava  la  loro  amicizia  e  lega  ;  desiderava 
rinnovarla  con  le  destre:  onorerebbe  Germanico  di  venire  a 
riva  d' Eufrate:  pregavate  intanto  non  tenesse  Yonone  in  Se- 
ria a  sollevargli  i  grandi  co'  vicini  messaggi.  Risp<Me  all'  ami- 
cizia de'  Romani  co'  Parti  parole  pompose;  al  venire  per  ono- 
rarlo, belle  e  modeste  :  causò  Yonone  in  Pompeiopoli  città 
di  mare  in  Cilicia,  In  grazia  d' Artabano  e  dispetto  di  Pisene, 
a  cui  era  gratissimo  per  la  gran  servitù  e  presenti  eh'  ei  fa- 
ceva a  Plancina.* 

*  *  per  inumare  »  per  dare  nn  cenno  che  il  romano  giogo  sarebbe  più 
soave.  Anch'odi  il  popol  toscano  dice  nell'istesso  senso:  Dare  un^  intona^ 
zUme  ec. 

^  *  i  sì  ben  composti  eollegaU,  le  cose  dei  confederati  da  lui  si  l>cn 
composte  e  ordinate. 

'  con  oda  eoncentratL  Leggo  operUs,  non  apertìs. 

*  *  cose  da  Germanico  siraseniUe,  cose  acerbissime  a  Germanico. 

'  presenti»,.,  a  Plancina.  Chi  vuoi  corrompere  il  giudice ,  presenta  U 
moglie. 

I.  9 


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9S  IL  LliWO  8BC0M00  DEGLI  ANNALI. 

LIX.  [A.  di  R.  772,  di  €r.  19].  Nel  consolato  di  M.  Silano 
e  L.  Norbano,  Germanico  andò  in  Egitto  per  vedere  qaelle 
antichità,  dicendo  per  visitar  la  provincia.  Aperse  i  granai  e 
i  viveri  rinvilio,  e  molte  graiitadini  al  popolo  fece  :  andar 
senza  guardia,  col  pie  scoperto,*  vestire  alla  greca,  cooie 
già  Scipione  in  Cicilia ,  benché  nell*  arder  della  goerra  car- 
taginese. Tiberio  lo  gridò  nn  poco'  del  vestire,  ma  agramente 
deir  essere  entralo  in  Alessandria  senza  suo  ordine ,  contro 
a'  ricordi  di  stato  che  Agusto  lasciò,  e  tra  gli  altri,  che  niono 
senatore  né  cavaliere  di  conto  entrasse  senza  patente  in 
Egitto;  perché  uno  potrebbe  con  poca  gente  centra  grossi 
eserciti  in  quella  chiave  della  terra  e  del  mare  tenersi,  e  af- 
famare Italia. 

LX.  Ma  Germanico  non  sapendo  ancora  che  quella  gita 
dispiacesse,  se  n'  andava  per  lo  Nilo  veggendo,  e  prima  Ca- 
nopo. Edificaronla  gli  Spartani  per  sepoltura  di  Canopo  loro 
nocchiere,  quando  Mei^elao  tornando  in  Grecia  fu  traportato 
in  diverso  mare  e  in  Libia.  Passò  indi  alla  seconda  foce,  che 
quei  della  contrada  dicono  di  Ercole  lo  antico'  ivi  nato:i(li 

'  col  pie  scoperto.  Vedi  la  postilla  55  del  primo  libro.  (*) 

^*  h  gridò  UH  poco.  Nel  Ms.  ;  filo  gridò  dolcemente  :  »  pei  cancellato. 

'  Ercole  lo  mtico.  Fu  ne' primi  secoli  che  il  mondo  era  roto  e  pieno  di 
giganti  poco  doppo  Nino,  che  fu  innanzi  alla  rovina  di  Troia  più  d*  800  anni. 
Nacque  in  Egitto,  in  Tebe,  d'Osiridi  e  di  Cerere.  Ebbe  nome  Libico ,  che  vuol 
dire  portajiamma ,  soprannome  Ercole,  che  significa  vestito  ttttto  di  pelli j 
statura  di  gigante  ^  muscoloso,  nerboruto ,  forte  e  ardito.  Sutura  «piattro  gomiti 
e  un  piede  più  alta  che  comunal  uomo, proporzione  trovata  da  Pittagora,  che 
raisucò  quanto  ij  corridoio  olimpico  di  Pisa  di  secento  piedi  d'Ercole ,  che 
correva  tutto  a  un  fiato ,  era  più  lungo  degli  altri  corridoi,  di  secento  piedi 
comunali ,  che  erano  lo  stadio ,  cio^  un  ottavo  di  miglio.  Chiamaronlo  jilexi' 
caco,  cioè  Scacciamoli s  perchè  quasi  di  tutto  il  mondo  giganti  e  tiranni» 
che  si  mangiavano  i  popoli,  scacciò  o  uccise.  Gerione  di  Spagna,  Busiride 
di  Fenicia,  Tifone  di  Frigia,  Erice  di  Cicilia,  i  Lestrigoni  d*  Italia  (  di  cui 
lasciò  re  Tusco  suo  figliuolo).  Anteo  di  Libia ,  cui  pose  il  suo  nome ,  e 
ritovvi  una  colonna  in  memoria  delle  sue  glorie.  B'  fu  il  primo  de*  mortali 
adorato  in  vita  per  iddio  e  fattogli  tempii  e  alUri.  Morì  di  200  anni  ne' Celti- 
beri  di  Spagna.  Qualunque  era  poscia  robusto  e  valoroso  si  diceva  Ercole» 
Quarantatre  ne  nomina  Yarrpne,  sei  Cicerone.  Confessa  Diodoio  che  i  Greci  che 
millantano  le  cose  loro,  attribuiscono  il  nome  e  i  fatti  d'Ercole  antico  ad 
Alceo  nato  poco  innanzi  alla  rovina  di  Troia, di  Alcmena  moglie  d'Anfitrione, 
concubina  di  Giove ,  perciò  odiatissimo  di  Giunone  ehe  lo  aecessitò  a  combat- 
lere  con  Unti  mostri  per  ispegneilo ,  e  lo  fece  più  chiaro.  Non  ebbe  questo 

(*)  Di  qiMsUadisiene,noU  4,  pag.  84. 


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IL  UBBO  SBCONDO  MBGU  ANNALI.  99 

altri  Ercoli  avere  acquistato  per  simil  yìrtù  simil  nome.  Vi- 
sita l'anticaglie  di  Tebe,  la  grande,  dov'erano  ancora  le 
agdglie,  con  lettere  egizie/  che  mostravano  l' antica  possan- 
la;  le  quali  fatte  disporre  '  da  un  vecchio  sacerdote,  diceva- 
no: e  esservi  abitati  settecentomila  da  portar  arme,  e  con  tale 
esereito  aver  il  re  Ransenne  conquistato  la  Libia,  l' Etiopia, 
i  Medi,  i  Persi,  il  Baltro  e  la  Seizia^  e  quanto  tengono  i 
Soriani,  gli  Armeni,  i  Gappadoci  lor  confini  :  e  sino  a'  mari 
di  qua  dì  Bitinia ,  di  là  di  Licia  avere  signoreggiato,  t»  Vi  si 
leggevano  i  tributi  dell'oro,  ariento,  arme,  cavalli,  avorio  e 
odori  per  li  tempii,  grano,  e  d'ogni  sorte  arnesi  che  por- 
geva ciascuna  nazione ,  niente  scadenti  da  que'  che  oggi  la 
violenza  de'  Parti  o  la  romana  grandeza  risqoote. 

LXI.  Volle  vedere  ancora  le  principali  maraviglie;  la 
statua  del  sasso  di  Mennone,  che  battuta  dal  sole,  rende  vo- 
«e  ;  le  piramidi  come  montagne  condotte  al  cielo  co'  tesori 
de'  principi  gareggianti  e  sparser  per  le  appena  valicabili 
arene  ;  e  gli  ampi  laghi  cavati  per  ricelti  dell'  acque  traboc- 
canti dal  Nilo;  e  altrove  le  strette  voragini  senza  fondo.  Indi 
venne  a  Elefantina  e  a  Siene,  termine  ailora  del  romano 
imperia,  che  oggi  si  stende  al  Mar  Rosso. 

LXIL  Mentre  Germanico  quella  state  consumava  in 
veder  paesi  ,'^  Druso  acquistò  non  poca  gloria  col  metter 
tra' Germani  discordie,  e  fisr  Maraboduo,  già  scassinato, 
cadere.  Era  fra  i  Gotoni  un  nobile  giovane  detto  Gatualda, 
cacciato  già  dalla  forza  di  Maraboduo,  ne' cui  frangenti  al- 
lora ardi  vendicarci.  Entrò  ne'  Marcomanni  con  buone  forze, 
e  con  intendimento  de'  principali  sforzò  la  città  reale  e  la 
cittadella  accanto.  Trovaronvi  le  antiche  prede  de'  Suevi^  vi- 
vandieri e  mercatanti  nostri  paesani  per  le  francheze  del  traf- 
fico e  per  lo  guadagno  obblìata  la  patria  fermatisi  tra'  nimici. 

Greco 9  imperio,  ne  giovò  al  mondo,  come  Tegiào  antico,  anzi  fu  corsale 
co' gli  altri  argonauti  sotto  Euristeo,  e  mori  nel  faoco  rabbiosamente  pei  la 
camicia  avvelenata  da  Nesso. 

^  *  fatte  disporre,  esporre,  spiegare. 

^  quelia  state  consumava  in  veder  paesi»  I  gran  fatti  non  vogliono 
perdimenti  di  tempo.  Cicerone  nella  legge  Manilia  dice  che  Pompeo  gli  fuggiva; 
però  fece  la  maraviglia  del  pigliare  tutta  la  Gilicia, e  nettare  limare  di  corsali, 
in  quarantanove  di,  dal  partir,  suo  da  Brindisi. 


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100  IL  LIBRO  SBCONDO  DBflLI  ANNALI^ 

LXIII.  Màrabodao  abbandonato  da  tutti  non  ebbe  altro 
rifugio  che  alla  misericordia  di  Cesare.  In  Baviera  passò  il 
Danubio,  e  scrisse  a  Tiberio,  non  da  fuoruscito  o  supplican- 
te, ma  da  chi  e'  solev'  essere  :  ^  «  Molte  nazioni  chiamarlo, 
come  stalo  gran  re,  ma  non  volere  altra  amicizia  che  la  ro- 
mana. »  Cesare  gli  rispose,  offerendogli  in  Italia  stanza  sicura 
e  onorala,  e  partenza  sempre  lìbera,  con  la  Tenuta'  sotto  la 
medésima  fede.  Ma  in  senato  disse:  «  Non  Filippo  alli  Ate- 
niesi, non  Pirro  né  Antioco  al  popol  romano  essere  stati  da 
temer  tanto.  »  Hacci  quella  diceria,  ove  egli  magnifica  la 
grandeza  di  costui,  la  fiereza  de' suoi  popoli,  la  vicinanza 
(V  un  (auto  nimico  air  Italia  e  l' arte  sua  nello  spegnerlo. 
Marabodoo  tenuto  fu  in  Ravenna,  quasi  per  mostrarlo  comodo 
a  rimetter  nel  regno,  se  i  Suevi  armeggiassero.  Ma  egli  non 
usci  d*  Italia  :  v'  invecchiò  diciotl'  anni,  e  per  troppa  voglia 
di  vivere,  molta  sua  chiareza  scurò.  Dì  Catualda  fu  il  mede- 
simo caso  e  rifugio.  Vibilio  capitano  delti  Ermunduri  non 
guari  doppo  il  cacciò:  ricevessi  nel  Foro  giulio,  colonia  della 
Gallia  nerbonese.  Que'  barbari  che  accompagnaron  V  uno  e 
l'altro,  per  non  metter  simil  raza  nelle  provincie  quiete, 
for  posti  oltre  al  Danubio,  tra'!  fiume  Maro^e  '1  Guso,  e  dato 
loro  Vannio  di  nazion  Qoado  che  li  reggesse. 

LXIV.  Per  tali  avvisi,  e  per  lo  re  Artassia,  dato  da 
Germanico  alli  Armeni,  ordinarono  i  padri  che  egli  e  Druse 
entrassero  in  Roma  ovanti;  '  e  si  fecero  archi  alle  la  torà  del 

*  *  da  ehi  e'  solev*  esurej  cioè  colla  dignità  che  si  convenÌTa  alla 
sua  antica  fortuna. 

*  *e  partenza  sempre  libera,  con  la  venuta  ec.  Il  testo  reca  questo 
senso  :  «  se  poi  altro  volesse  l' util  suo,  con  quella  istessa  fede  onde  fosse  te- 
nato,  se  ne  poteva  andare.  » 

'  entrassero  in  Roma  oyanti.  Nel  trionfo  maggiore  lo  generale  vitto- 
rioso entrava  in  Roma  coronato  d'alloro,  in  carro  tirato  da  quattro  cavalli, 
sagri6cava  tori.  Nel  secondo ,  con  corona  di  mortine,  (*)  più  venerea  che  mar- 
nale; a  piede  col  popol  dietro  gridante  per  letizia  6u,  òu.  Con  voce  for- 
mata da  tali  grida  si  diceva  questo  trionfo  o&a*ione,  e  oaaret  per  u,  vocale, 
sillabico ,  non  consonante ,  e  per  agevol  pronuncia  ouare  o  vero  ovare  per  v 
consonapte:  (**)  benché  Plutarco  dica  ab  ove,  cioè  dalla  pecora,  che  in  que- 

(*)  morfiJttf:  dal  greeo  ttuparcvv]  (i^rrr««),  ed  è  Dom.  liogoUre.  Vedi  Nanavcd,  Taorica 

n  Q«Mto  pasM  leggasi  ooti  nella  Nestiaiia:  «  gridante  per  leUila  d  ft  è  0/  però  si  diceva 
questo  trionfo  óòaihM,  e  ooart,  e  per  agevol  piononria  oùart,  o  vara  ovent  por  ■  eenonaele. 


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IL  LIBRO  SBCOlfOO  BBOLI  ANNALI.  101 

f empio  di  Marte  yendicatore  co'  ritraili  de'  Cesari.  E  Tiberio 
gioiva  d' aver  fermato  la  pace  co  '1  sapere,  anzi  che  vinto  la 
guerra  con  le  battaglie.  Onde  pensò  di  carpire  alsi^  con 
Tastazie  Rescapori  re  di  Tracia.  Tenne  lotto  quel  paese 
Remelatoe,  alla  cai  morte  Agosto  divise  la  Tracia  tra  Re- 
scapori fratello  e  Coti  figlinolo  di  quello.  Le  città,  il  colti- 
vato e  '1  vicino  alla  Grecia,  toccò  a  Coti:  lo  sterile,  aspro  e 
confine  a'nimicì,  a  Rescapori  ;  secondo  loro  nature,  quegli 
benigno  e  lieto,  questi  atroce  avido  e  non  pativa  compagno. 
Dapprima  s'infinse  contento,'  e  poi  passava  in  quel  di  Coti, 
face  valsi  suo,  e  se  gli  era  conteso,  usava  la  forza;  destreg- 
giando,' vivente  Agusto,  per  paura  di  lui,  lo  cui  lodo  spre- 
giava :  morto  lui,  vi  mandava  masnadieri  a  rubare,  rovinava^ 
castella  per  guerra  altizare. 

LXy.  Tiberio,  la  cui  maggior  cura  era  che  le  cose  ac- 
concie non  si  guastassero,  mandò  un  centurione  a  dir  loro, 
che  non  disputassero  con  l' armi.  Coti  licenziò  tosto  sua  gen- 
te: Rescupori  tutto  modesto  disse,  «  Abbocchiamoci,  che 
potremmo  accordarci.  »  Del  tempo,  luogo  e  modo  non  fu  di^ 
sputa,  concedendo  e  accettando  V  un  dolce,  l'altro  fello^  ogni 
cosa.  Rescupori  per  solennizare  (dicev'egli)  l'accordo^  fece 
un  bel  convito,  ove  a  meza  notte  nell'allegreza  delle  vivande 
e  del  vino,  incatenò  Coti,  invocante,  quando  intese  lo  in- 
ganno,  il  sagro  regno,  i  loro  avvocati  iddìi,  le  mense  sicure. 
Avuta  tutta  la  Tracia,  scrisse  a  Tiberio,  essersi  allo  insidia- 
tore levato  innanzi  :  in  tanto  s'  afforzava  dì  nuovi  cavalli  e 
fanti,  e  diceva  per  far  guerra  a' Bastami  e  Sciti. 

sto  triQofo  si  sacrificava  t  come  nel  madore  »  il  toro.  O  vero  esprime- 
vano la  parola  Greca  òuav/AOV^  che  sigoifica  grido.  Onde  le  Baccanti,  che 
gridavano  Evoh,  si  dicevano  Evanii.  Il  teno  trionfo  erano  le  Insegne  Trion- 
fali. (Tedi  frate  Noferi  Panvini,  Delt  uto  e  ordine  di^  trionfi',  e  in  Agellio 
le  cagioni  loro,  Lk^ cap.  6. ) 

«  *  ahi,  altresì. 

^  *  X*  injinse  contento.  Il  Ms.:  «  parve  contento:  »  poi  cancellato. 

'  *  destreggiando  te.  Udiamo  il  Datrt  «  Ma  in  mentre  visse  Augusto, 
andò  a  queste  cose  a  rilento,  dubitando  che  Augusto,  perch'era  stato  que- 
gli che  divisi  gli  aveva ,  e  a  ciascun  di  loro  assegnato  il  suo  dominio ,  sen- 
tendo alterare  gli  ordini  suoi ,  non  si  risentisse  e  vendicasse.  » 

*  *  ^  ftìj  dolce,  l'altro  feUùj  l'uno  per  soverchia  facUità,  l'altro  per 
frode  e  fellonia ,  ec. 

9* 


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102  IL  LIMO  nCONDO  DMU  ANIIAU. 

LXYI.  Tiberio  riscrisse  dolcemente  :  «  Se  fraudo  non 
v'era,  stesse  di  buona  voglia;  ma  non  poter  egli  né  il  senato 
discernere,  senza  conoscer  la  causa,  chi  s'abbia  torto  o 
Tagione:  desse  il  prigione,  e  venisse  a  scolparsi.  »  Latinio 
Pando  vicereggente  della  Mesia  mandò  quésta  lettera  con 
soldati  per  menarne  Goti.  Rescupori  stato  alquanto  tra  la 
paura  e  l' ira,  voli'  essere  reo  di  peccato  anzi  fatto  che  di 
cominciato:  uccise  Goti;  e  lui  essersi  dassè  ucciso  falsamente 
affermò.  Cesare  non  lasciò  su' arte;  e,  morto  Pando,  cai 
Rescupori  allegava  per  nimico,  mandò  a  quel  governo  ap- 
posta Pomponio  Fiacco,  soldato  vecchio,  amico  stretto  del 
re;  perciò  più  atto  a  giugnerlo.^ 

LXVII.  Fiacco  si  trasferi  in  Tracia,  e,  bellamente  con 
parole  ampissime,  lui  sé  riconoscente  *  e  scontorcente  car- 
rucolò '  nelle  forze  romane.  Forte  banda  lo  cinse  quasi  per 
onorarlo  :  tribuni,  centurioni  gli  pur  diceano  venisse,  non 
dubitasse;  e  con  guardia,  quanto  più  andava  oltre,  più  ma- 
nifesta, e  con^  forza,  finalmente  da  lui  intesa,  lo  portarono 
a  Roma.  La  moglie  di  Goti  l' accusò  in  senato  ;  fu  dannato  a 
prigionia  fuori  del  regno,  e  divisa  la  Tracia  tra  Remetalce 
suo  figliuolo  che  si  sapeva  essersi  contrapposto  al  padre,  e  li 
figlinoli  di  Coti  pupilli,  e  a  loro  dato  per  tutore  e  governa- 
tore del  regno  Trebellieno  Rufo  stato  pretore  ;  come  già 
Marco  Lepido  a'  figliuoli  di  Tolomeo  in  Egitto.  Rescupori  si 
mandò  in  Alessandria  dove,  per  fuga  tentata  o  appostagli, 
fu  ucciso. 

LXVIII,  E  nel  tempo  medesimo  Vonone  causato,  come 
dissi,  in  Gìlicia,  corroppe  le  guardie  per  fuggirsene  (soli'  om- 
bra di  cacciare)  per  li  Armeni  nelli  Albani  e  nelli  Eniochi, 
aire  di  Scizia  suo  parente.  Lasciata  la  maremma,  s' imboscò 
e  corse  a  tutta  briglia  al  fiume  Piramo.  I  paesani  udita  la 
foga  del  re,  avevano  rotto  il  ponte;  né  potendol  gnazare, 
Yibio  Frontone  capitano  di  cavalli,  in  su  la  riva  lo  riprese: 
e  Remmio  evocato/ sua  prima  guardia,  incontanente  distoc- 

*  *a giugmerlo.  Il  Itt. :  «  adfaltendum,  n 

^  *  sh  riconoscente  i  cioèj  ch«  sentivasi  re». 
'  *  carrucolò.  U  Ut.  :  «  perpalit.  • 

*  *  evocalo.  ChiamaTansi  etfocati  coloro  che ,  sebbene  avcaacro  ffniti  i  loro 


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IL  LIBBO  6BC0ND0  DB6LI  ANNALI.  103 

cala  r  accise  quasi  per  ira  :  ma  si  crede  perchè  e'  non  ridi- 
cesse eh'  ei  lo  corruppe. 

LXIX.  Germanico,  lornato  d'EgiUo,  trovò  gli  ordini  la- 
sciali nelle  legioni  e  ciltà  levali  o  guasti.  Agre  parole  ne  disse 
contra  Pisene,  il  qnale  non  meno  acerbi  falli  contr'  a  lai  or- 
diva. E  vollesi  partire  di  Seria:  ma  rislelte  sentendo  Germa- 
nico ammalato.  E  quando  seppe  ch'ei  migliorava  e  se  ne 
scioglievano  i  boti,  fece  mandar  da*  lìtlori  sozopra  le  vitti- 
me e  gli  apparati  della  plebe  festeggianle,  perch'  ei  guariva, 
in  Antiochia.  Andossene  dipoi  in  Seleucia  per  attender  la  (ine 
dellaxicadota  di  Germanico,  il  quale  s' accresceva  il  maligno 
male  col  tenersi  da  Pisene  aflattarato:  trovandosi  sotto  il 
suolo  e  nelle  mura  ossa  di  morti,  versi,  scongioramenli,  pia- 
stre di  piombo  scrittovi  Germanico,  ceneri  arsicciale,  impia- 
stricciate di  sangue  e  altre  malie,  onde  si  crede  Tanime  darsi 
alle  dimonia^  E  incollorivasi  de'  messaggi  che  mandava  ora 
per  ora  Pisene  a  spiare  come  egli  stesse. 

LXX.  E  mettevangli  tali  cose,  oltre  all'ira,  paura:  a  Sono 
assediato  in  casa,  muoio  in  su  gli  occhi  a' miei  nimici:  che 
sarà  di  questa  povera  donna  e  pargoli  figliuoli?  la  fattura  *■ 
non  lavora  tanto  presto.  Ei  non  vede  l' ora  di  tener  solo  la 
provincia,  le  legioni:  ma  io  sono  ancora  vivo:  la  mia  morte 
gH  costerà.  »  Detta  una  lettera,  e  gli  disdice  l'amicizia,'  e  co- 
manda (dicono  alcuni)  che  sgomberi  la  provincia.  Senza  in- 
dngio  Pisene y  imbarcò,  e  aliava  d' intorno  Soria,"  per  rien- 
trarvi tosto  che  Germanico  fosse  spirato,  il  quale  prese  un 
poco  di  speranza. 

LXXI.  Indi  mancate  le  forze,  e  giunta  l'ora,  disse  a'  cir- 
costanti :  «  Se  io  morissi  naturalmente,  mi  potrei  dolere  con 
glMddii  che  mi  togliessero  a' parenti,  a' figliuoli,  alla  patria 

stipendii ,  pure  noo  ricouvano  di  ripigliare  la  militia  qaando  fossero  in?itati 
dal  capitano  con  promesse  o  con  premii.^ 

*  *  la  fattura.  Il  lat.  :  «  veneficia,  »  la  malia. 

'  disdice  V  amicizia.  O  antica  bontà  I  Chi  non  voleva  uno  più  gcr  amico, 
lo  li  faceva  intendere  ;  e  che  non  gli  capitasse  più  a  casa.  Non  avcano  doppio 
carne  ;  non  voleano  ingannare. 

»  *  aliava  d*  intorno  Sorta.  G.  Dati  :  «  sema  andare  molto  di  lungi,  andava 
volteggiando  e  temporeggiandosi  per  esser  presto  a  ritornare  in  provincia ,  se  la 
morte  di  Germanico  succedeva.*» 


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104  IL  LIBRO  SECONDO  DBdU  ANNALI. 

si  giovane,  si  tosto  :  ma  essendo  rapito  dalla  scelerateza  dì 
Pisene  e  di  Plancina,  lascio  qaesti  aitimi  preghi  ne'vostrì  petti, 
che  Yoi  riferiate  a  mio  padre  e  fratello,  con  qnali  acerbità 
lacerato,  con  quanti  inganni  tradito,  io  sia  trapassato  di  vita 
miserissima  a  morte  pessima.  Se  alcnni,^  o  per  le  mie  spe- 
ranze 0  per  essermi  di  sangae  congiunti  (e  di  quegli  ancora 
che  m' invidiavan  vivo)  lagrimeranno,  che  io  in  tanto  fiore, 
scampato  da  tante  guerre,  per  frode  d'una  malvagia  sia  spen- 
to ;  voi  allora  potrete  lamentarvene  in  senato,  invocare  le 
leggi.  Non  è  proprio  uficio  dell'  amico  il  piangerlo  senza  prò, 
ma  r  avere  in  memoria  ed  effettuare  le  sue  volontadi.  Pian- 
geranno Germanico  ancora  gli  strani  :  *  vendicalel  voi ,  se 
amaste  me  e  non  la  mia  fortuna.  Presentate  al  popol  romano 
la  nipote  d'Agusto  e  moglie  mia:  annoverategli  sei  figliuoli: 
la  pietà  moverete  voi  accusanti:  e  se  i  traditori  allegheranno 
qualche  scelerata  commessióne,  o  non  saranno  credati  o  non 
perciò  assolati.  »  Giurarono  gli  amici,  stringendogli  la  de- 
stra, di  lasciare  anzi  la  vita  che  la  veiidetta. 

LXXII.  Voltatosi  alla  moglie  la  pregò,  che  per  amor  suo, 
per  li  comuni  figliuoli  ponesse  giù  l'alterigia;  cedesse  alla 
fortuna  crudele,  né  in  Roma  competendo  inasprisse  chi  ne 
può  più  di  lei.  Queste  cose  le  disse  in  palese,  e  altro  nell'orec- 
chio: credesi  quel  ch'ei  temea  di  Tiberio;  e  ìndi  a  poco 
passò.  La  provincia  e  li  vicini  popoli  ne  fecero  gran  corrotto, 
e  se  ne  dolsero  gli  stranieri  e  i  re  ;  si  era  piacevole  a'  com- 
pagni, mansueto  a'  nimici,  nelle  parole  e  nell'aspetto  vene- 
rando, e  senia  invidia  o  arroganza  riteneva  sua  gravità  e 
grandeza. 

LXXIII.  L'esequie  furono,  senza  immagini  o  pompa, 
splendentissime  per  le  sue  laudi  e  ricordate  virtù.  Assomi- 
gliavanlo  alcuni  ad  Alessandro  magno,  perchè  ambi  furon 
belli  di  corpo,  d'alto  legnaggio,  morirono  poco  oltre  Irent'anni, 
in  luoghi  vicini,  tra  genti  straniere  traditi  dai  loro.  Ma  que- 
sti fu  dolce  alli  amici,  temperalo  ne'  piaceri,  contento  d' una 

^  *  Se  alcuni  ec  La  Giuolina  ha  :  «  Se  quelle  sperante  mie,  se  il  sangue 
congiunto ,  moveranno  voi  e  molti  ancora  che  m*  invidiarono ,  a  lagrimare ,  che 
io  in  tanto  fiore  ce.  » 

'  *  gli  strani:  il  Ms.  «  i  non  conoscenti  :  w  poi  cancellato. 


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IL  LIBRO  BSGONDO  DEGLI  ANNALI.  106 

moglie»  certo  de' suoi  figliuoli.  Gombatlò  niente  meno/  e 
senza  temer4tà.  £  nel  mettere  il  giogo  alle  Germanie,  che 
già  per  tante  vittorie  lo  si  accollavano,  fa  impedito.  Che  se 
egli  poteva  far  solo,  se  egli  era  re,  come  Alessandro;  tanto 
riportava  il  pregio  dell'  armi  meglio  di  lui,  quanto  l' avanzò 
di  clemenza,  di  temperanza  e  d' altre  bontà.  Il  corpo,  prima 
che  arso,  fu  posto  ignudo  in  piazza  d' Antiochia,  ove  dovea 
seppellirsi.  Non  è  chiaro  se  mostrò  segni  di  veleno:  chi  di- 
ceva «  Ei  sono,  »  chi  «  £i  non  sono:  »  secóndo  strìngeva  la 
compassion  di  Germanico  e  il  preso  sospetto ,  o  il  favore  di 


LXXIV.  I  legati  e  i  senatori  che  v'erano,  consultarono* 
chi  lasciare  al  governo. della  Seria.  Poca  rèssa'  ne  fecero  al- 
tri che  Vibio  Marso  e  Gn.  Senzio.  Vibio  alla  fine  cede  all'età 
e  più  voglia^  di  Senzio.  Questi,  a  richiesta  di  Vitellio,  Ve- 
ranio  e  altri  che  formavano  il  processo  centra  i  rei,  quasi 
già  accettati,''  prese  una  Martina  maliarda  famosa  in  quella 
eHtà,  r  occhio  di  Plancina,'  e  mandoUa  a  Roma. 

LXXV.  Agrippina  ammalata  e  dal  pianger  vinta,  ni- 
mica d' indugio  alla  vendetta ,  s' imbarcò  con  le  ceneri  di 
Germanico  e  co'  figliuoli,  piagnendo  le  pietre  che  si  alta  don- 
na, dianzi  in  si  bel  matrimonio  congiunta,  festeggiata,  ado- 
rata, portasse  allora  quelle  morte  reliquie  in  seno,  non  si- 
cura di  vendetta,  in  pericol  di  se,  e  per  tanti  infelici  figliuoli, 
tante  volte  berzaglio  della  fortuna.  Pisene  raggiunto  da  un 
suo  fante  nell'  isola  di  Goo  con  la  morte  di  Germanico,  am- 
maza  vittime,  corre  ai  tempii,  folleggia  per  allegreza;  e 
Plancina  insolentisce,  scaglia  via  il  bruno  per  la  sorella,  am- 
mantasi drappi  gai. 

LXXYI.  Affoltavansi  centurioni  a  dirgli,  che  le  legioni 
lo  disiavano,  ripigliasse  la  provincia  vota,  toltagli  a  torto. 
Consigliandosi  quel  fosse  da.  fare,  M.  Pisene  suo  figliuolo 

*  *  niente  meno  :  sottinteodi ,  di  Alessandro. 

>  *  emsultoHmo  ec.  Il  Ms.:  «  fecer  consiglio  di  chi  lasciare  in  Scria  :  »  poi 
cancellato ,  e  corretto  come  sta  qoi. 
S  *  rèssa,  pressa ,  istansa. 

*  *  e  più  vogiia  ee.;  cioè  «  e  alla  ina§g;ior  voglia  che  Senslo  ne  avea.  » 
^  *  aceetiaU  come  rei  :  dichi^ti. 

0  *  /'  occhio  di  Plancina,  mcJto  accetta  a  PlancÌDa. 


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106  IL  UBRO  SacOMM  MMU  ANNAU. 

voleva  solleoitasse  d'andare  a  Roma:^  «  Nen  enersi  ancor 
fatto  cosa  da  nen  potersi  purgare:  novelle  e  sospetti*  deboli 
non  doversi  temere:  meritare  la  discordia  con  Germanico 
odio  forse y  ma  non  pena:  sfogherebbonsi  i  nimici  per  la  pro- 
vincia toltagli:  comincierebbesi,  tornando  per  cacciarne  Sen- 
210,  guerra  civile  :  non  gli  terrebbono  il  fermo'  ì  capitani  e  i 
soldati,  cbe  hanno  fresca  la  memoria  del  loro  imperadore  e 
confitto  nel  cuore  V  amore  ai  Cesari.  » 

LXXYIL  Id  contrario  Domiiio  Celere  suo  sviscerato 
disse:  «  Non  si  perda  V  occasione:  Pisene  e.  non  Senzio  fu 
posto  in  Seria  al  governo  civile,  criminale  e  militare.  Se 
(orza  r  assalirà,  qual  arme  più  giuste,  che  di  chi  tiene  auto- 
rità di  legato  e  proprie  commessioni?  Lascinsi  anco  allentare 
ì  romori;  egli  odiì  freschi  non  resistono  gì'  innocenti.  Quando 
aremo  r esercito  e  forze  maggiori,  tal  cosa  verrà  ben  fatta 
che  non  si  pensa.  Che  vuoi  correre  a  smontare  al  pari  delle 
ceneri  di  Germanico,  acciocché  al  primo  strido  d'Agrippina 
il  popolaccio  t' affoghi?  Àgusta  ci  ò  inlinta,*  Cesare  in  segreto 
é  per  te:  e  della  morte  di  Germanico  più  schiamaza  chi  più 
r  ha  cara.  » 

LXXVIII.  Venne  agevolmente  Pisone,  atroce  per  na- 
tura, in  questa  sentenza,  e  a  Tiberio  scrìsse:  «  Germanico 
fu  sparnazatore^  e  supeibo,  e  mi  cacciò  per  poter  fare  novità. 
Ho  ripreso  la  cura  dell'  esercito,  con  la  fedeltà  medesima  che 
lo  tenni.  »  A  Domtzio  comanda,  che  con  una.  galea,  largo 
da  terra  e  isole,  per  alto  mare  vada  in  Seria.  Quanti  trufià- 
tori  e  bagaglioni''  a  lui  corrono,  acciarpa^  e  arma:  giunte  le 
navi  a  terra,  sorprende  una  insegna  di  bisogni^  che  in  Scria 

'  voleva  sollecitasse  d'andare  a  Roma.  Per  sei  ragioni  notalnls,perk 
pmdenia  del  giovane  e  brevità  dello  scrittore. 

'  *  sospetti.  Il  Ms.  t  «  sospecciari  :  »  poi  cancellato. 

'  *  n»n  gli  terrebbono  il  fermo ,  non  sarebbono  costanti  nel  tenere  il 
suo  partito.  Lat.:  «  nec  duraittros  in  partìbas  centarienet  eie,  » 

^  *  ciò  intinta,  vi  ha  pur  essa  una  parte  di  colpa. 

^  *  spamazatore ,  dissipatore  delle  pr(^rie  &ooltk. 

'  *  bagaglioni.  Lat.  «  lixas  :  «  aon  caIofo  die  ngttvno  g^  eserciti ,  ven- 
dendo e  facendo  da  mangiare  assoldati,  fuori  d'ofpùerdine  di  milimia. 

'  *  acciarpa,  piglia  alla  rinfusa  e  sensa  alcona  ooadisione. 

8  *  bisogni.  Lat.  n  tìrones,»  Segni,  Stor,,  lib.  2  :  «  Vcnnono  in  quel  Umpo 

a  Genova due  mila  Spagnoli,  di  quelli  cbe  si  cbiamaBo  bisogni,  che  vengooo 

qua  scalsi ,  ignudi  e  sema  alcun  l»ene.  « 


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IL  LIBKO  BBGONDO  DK«LI  ANNALI.  107 

andavano:  chiede  aiuti  a' baroni  di  Cilìcia;  amminìslrando 
con  valore  il  giovane  Pisone  la  guerra,  benché  da  Ini  eon-< 
traddelta. 

LXXIX.  Costeggiando  adnnqne  la  Licia  e  la  Panfilia, 
riscoftlrarono  P  armata  che  portava  Agrippina.  Come  nimiei 
si  misonoin  arme:  la  paura  fn  divìsa;  ringhiossi  e  non  altro.* 
M.  Yibìo  intimò  a  Pisone  che  venisse  a  Roma  a  difendersi. 
Rii^Mise  motteggiandolo,  che  vi  sarel^  quando  il  giudice 
delle  malie  avesse  citato  le  parlL  Intanto  D<Mnizio  giunto  a 
Laodioea  città  di  Seria,  s' avviò  alli  alloggiamenti  della  legion 
sesta,  ia  più  atta  a  novità;  ma  Pacuvio  legato  v'  entrò  prima. 
Senzio  per  lettere  se  ne  dolse  een  Pisone,  avvertendolo  a  non 
mettere  sollevatori  nel  campo  e  guerra  nella  provincia.  E  tutti 
i  divoti  di  Germanico  e  nimiei  de' suoi  nimiei  adunò:  e  mo- 
straado  loro  quanto  IMmperadore  era  grande,  e  che  ia  re* 
publica  era  assalita  con  l' arme,  fece  una  buona  oste  e  pronta 
a  combattere. 

LXXX.  Pisone,  a  cui  le  cose  non  riuscivano,  per  lo  mi- 
glior partito,  prese  Celendri,'  forte-castello  in  Cilicia;  e  aven- 
do,tra  dì  truffatori  e  gentame  dianzi  sorpresa,  e  servidorame 
di  Planeina  e  suo ,  e  d' aiuti  di  que'  Cilici,  racimolato  il  no* 
vero  d' una  legione,  dieea  loro:  «  Sé  essere  il  legato  di  Ce* 
sare:  cacciato  delia  provincia  eh'  eì  gli  dio,  non  dalle  legioni 
che  '1  chiamavano,  ma  da  Senzio  per  odio  privato,  colorito 
di  publicbe  accuse  false.  Bastare  presentarsi  alU  battaglia: 
perchè  que'  soldati  viste  Pinone,  già  appettato  lor  padre,  su* 
periore  di  ragione,  di  forze  non  debole,  non  combatterieno.  » 
Presentagli  poi  fuor  delle  mura  del  castello  in  un  colle  alto  e 
scosceso ,  essendo  cinto  il  resto  dal  mare.  Avevano  a  petto 
soldati  vecchi,  ben  ordinati  e  provveduti.  Qua  era  forteza 
di  uomini,  di  là  di  sito;  ma  poco  animo,  poca  speranza,  armi 
rusticane ,  prese  in  furia  per  soccorso.  Vennero  alle  mani,  nò 
vi  fu  dubbio,  se  non  quanto  penaro  i  Romani  a  salir  su.  Al- 
lora ì  Cilici,  voltate  le  spalle,  intanano  nel  castello. 

LXXXI.  Pisone  tentò  in  vano  di  combatter  V  armata 

*  *  ringhiossi  e  non  altro.  Il  Ms.  «  non  si  venne  che  •  parole  ringhiose  :  *• 
poi  cancellato ,  «  riscrìtto  come  sopra. 
'  *  Celendrif  oggi  CeUndro. 


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108  IL  LlBaO  SECONDO  DBALI  àMIULI. 

che  Don  lungi  aspeltava.  Tornò,  e  sa  le  mora  trafelando,  per 
nomi  chiamando  e  promettendo,  avea  cominciato  a  solleva* 
re,  e  tal  commosso*  che  an  alfiere  della  legìon  sesta  li  portò 
r  insegna.  Allora  Senzio  fece  dar  ne' comi,  nelle  trombe, 
piantare  scale,  salire  al  bastione,  i  più  fieri  snecedere,  aste, 
sassi,  faochi  con  ingegni  lanciare.  Ricredalo  finalmente  Pi- 
sono,  pregò  di  render  V  armi  e  nel  castello  dimorare,  si  Ce- 
sare* dicesse  cai  volesse  in  Seria.  Non  piacque,  ma  dielsi' 
nave  e  sicurtà  sino  a  Roma. 

LXXXII.  Dove  le  nuove  della  malattia  di  Germanico 
rinfrescando,  e,  come  lontane,  crescendo,  scoppiava  il  dolore, 
r  ira  e  la  lingua.'  «r  Ecco  perchè  lo  strabalzare  in  orinci;* 
perciò  ebbe  Pisene  lo  provincia;  ciò  tramavano  i  bisbigli 
d' Agusta  con  Plancina:  ^  bene  di  Druse  dicevano  i  nostri  vec- 
chi, che  i  principi  non  voglion  figlino'  cittadini:  trattavano  di 
render  la  libertà,  e  ugualarsi*  al  popol  romano;  perciò  gli 
hanno  levati  via.  x>  L' avviso  della  morte  riscaldò  si  queste 
voci  del  popolo,  che  senza  decreto  nò  bando,  fu  feriate,  ser- 
rato porte,  botteghe,  finestre:  tutto  era  orrore,  silenzio, 
pianto,  e  da  profondo  quore,  oltre  a  tutte  le  dimostrazioni 
usate  ne' mortòri.  Certi  mercatanti  usciti  di  Seria  quando 
Germanico  migliorò,  portarono  questa  nuova:  incontanente 
fu  creduta,  fu  sparsa:  questi  a  quelli,  essi  a  molt' altri,  non 
bene  intesa,  sempre  aggrandita,  festosi  la  riferivano.  Corrono 
per  le  vie,  abbatton  le  porte  de' tempii:  la  notte  aiutava  il 
credere;  il  buio  l' affermare.  Tiberio  non  s' oppose  all'  errore, 
ma  lasciollo  dal  tempo  svanire.  Ripianselo  il  popolo  più  di- 
speratamente, quasi  toltogli  un'  altra  volta. 

LXXXIII.  Trovati  e  ordinati  gli  furono  onori  quanti 

*  *  e  tal  commosso,  ed  aveva  talmente  commosso  quelle  genti  ec. 
^  *  sì  Cesare,  siataatochè  Cesare  ec. 

5  *  dielsi  ,  diegllsi. 

*  in  orinci  {Tn  oras  hnginquas).  Di  tutte  queste ,  questa  popolar  voce  e 
composta,  e  appunto  esprìme  il  latino  testo,  che  dice  in  eartremas  terras, 

'  *  i  bisbiglia' A  gusta  con  Plancina.  Volentieri  atei  detto  ipissipissij 
voce  formata  dallo  strepito  che  fanno  le  labbra  di  chi  favella  piano,  perchè  altri 
noi  senta.  Ma  io  ebbi  paura  de'Muzii;e  me  ne  pento.  Ripigli  questa  voce  di  qui 
suo  vigore.  {*) 

^  *  tigualarsi  :  nella  Crusca  h  con  questo  solo  esempio. 

n  Nella  Giantina  semplicemente  :  Ma  io  ho  avuto  paknt  de'Mutii. 


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IL  LIBAO  SK£ON1)0  DB6LI  AMNAII.  109 

seppe  ingegno  e  amore.  Forse  il  nome  suo  da' Salii  salmeg- 
giato: postogli  ne'  teatri  sedie  curnli  incoronate  di  quercia: 
ne'looghi  de'sacerdoti  d'Agosto,  ne'  giuochi  dei  cerchio  por- 
tata innanzi  l'effigie  sua  d'avorio:  non  agore  né  flamine  ri- 
fatto in  suo  iaogo,  se  non  di  casa  gralia.  Fatto  gli  archi  in 
Roma,  in  riva  di  Reno  e  in  Sorta  nel  monte  Amano,  con 
epitaffi  delle  snegeste,  e  come  morto  per  la  repnblica:  sepol- 
cro in  Antiochia  dove  arso  fu:  trlbanale  in  Epidafne  ove  spi- 
rò. Delle  immagini  e  luoghi  per  luì  adorare  non  si  rmicorrebbe 
il  novero.  Fu  proposto  porgli  il  ritratto  tra  gli  eloquenti  in 
maggiore  scodo ,^  e  d'oro.  Tiberio  lo  concedo  come  gli  altri,* 
dicendo, che  maggior  fortuna  non  fa  maggior  eloquenza:  as- 
sai era  porlo  tra  gli  antichi  scrittori.  L' ordine  de*  cavalieri, 
la  punta  de' cavalli,  nomata  de'Giunii,*  nomò  di  Germanico, 
e  ^bili  che  nell' armeggeria  di  mezo  luglio'  si  portasse  la 
sua  immagine  per  bandiera.  Di  questi  onori  se  n'  osservano 
molti  :  alcuni  furon  lasciati  subito  o  col  tempo. 

LXXXIY.  In  questo  dolore^  Livia  sorella  di  Germanico, 
moglie  di  Druse,  partorì  due  ma^bi.  DeUa  qual  cosa  rara  e 
lieta,  eziandio  a' pever' uomini,  Tiberio  fece  tanto  giubbilo, 
che  in  senato  scappò  a  vantarsi,  ninno  altro  Romano  di  sua 
grandeza,  aver  avuto  due  nipotini  a  im  corpo:  recandosi  le 
cose  ancor  di  fortuna  a  gloria.  Ma  il  popola  anche  di  questo 
in  tal  congiuntura  s'addolorò,  vedendo  che  la  casa  aperta^ 
di  Druse  serrava  quella  di  Germanico. 

*  *  come  gli  akri  j  cio^,  dell'  isfessa  grandena  cka  cfa  stato  posto  agli 
altri  oratori. 

2  *rfon  de*  Giunii ,  mi  dt* giovani  (iuniorum).  Tutto  questo  luogo  ri- 
traduci cosi:  «  l'ordine  de' cavalieri  appellò  cuneo  di  Germanico  quello  che  in- 
nansi  dicevasi  dei 'gióvani.  »  E  per  cunei  intendi  gli  spartimenti  formati  dalle 
scale  cfae  s'intersecano  su  per  gli  ordini  de'  sedili  nel  teatro  e  an6teatro.  I  quali 
spaTtimeùti  avevano  Sgura  di  cunei.  (  Vedi  MaflPei ,  Veruna  illttsir,,  parte  lY , 
lib.  II,  cap.  8.)  Nei  quattordici  gradi  vicini  all' orchestra  ^  destinati  ai  cavalieri, 
uno  di  questi  spartimenti  era  chiamato  dei  giovani,  perchè  quivi  ^edi^vano  i 
cavalieri  che  non  ancora  avevano  toccato  l' anno  -45.  Germanico  essendo  morto 
di  34  anni  appatteneva  a  quest'  ordine.  Di  qui  quella  onoriBca  appellasione. 

'  neW  armeggeria  di  meto  luglio.  Dionigi  d'Alicarnasso ,  nel  sesto,  scrive 
per  lo  minuto  questo  annoval  giuoco,  in  memoria  della  vittoria  contro  a'Latini  al 
lago  Regillo,  dóve  apparsero  in  aiuto  Castore  e  Polluce.  Post.  4  di  questo  libroO. 

4  *  che  la  casa  aperta  ec.  G.  Dati  :  «  parendogli  che  accrescendo  di  figliuoli 
la  casa  di  Druso ,  venisse  quella  di  Germam'co  a  restare  più  al  di  sotto.  » 

(*)  Di  questa  ediiiooc,  nota  2,  pag.  65. 

I.  10 


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110  IL  LlUO  SBG01I]IO.,I««U  ANNALI. 

LXXXV.  Nel  (tetto  anno  il  sewilo  fece  gravi  ordini 
contri  alla  disonestà  dette  femmine ,  e  che  BÌona  èhe  avesse 
avnto  padre»  avolo  o  marito  cavalier  romano,^  si  mettesse 
a  ^adagno;  veduto  che  Yestìlia,  di  famiglia  pretoria,  s'era 
matricolala  agli  edili:  e  concedevanlo  gli  anticbi,  assai  pena 
stimando  a  donna  gentile  il  pnbliear  se  stessa  impodiea.  Fa 
citalo  Titidio  Labeòne  9no  marito  a  dire  perchè  non  avesse 
proecnrato  il  gastigo  legittimo  alfa  rea  moglie*  e  pnbliea;  e 
cavillando  non  esser  passati^  li  sessanta  giorni  dati  a  risol- 
verai, parve  bastare  (tal  fosse  di  hii)  gindtcar  lei:  e  fo  rao- 
chiaia  in  Serifo'  isola.  Trattossi  di  cacciar  via  le  ragioni 
degli  Egizi  e  de* Giudei:  e  decretarono  i  padri  che  ^mltro- 
mila  liberti  di  tali  sette,  di  bnona  età,  si  portassero  in  Sar^ 
digna  a  spegner  ladri;  e  morendo  in  quell'aria  pessima, 
poco  danno;  gli  altri  tra  tanti  di  avessero  rmegalo  o  sgom- 
berato d' Italia. 

LXXXYI.  Cesare  ricordò  eleverai  eleggere  sna  vergine 
nel  liu^o  d'Oceia  stala  cin^anaette  anni  con  sonana  san- 
tità reggitriee  de'  saeri  ordini  di  Verta.  Fonteio  Agrippa  e 
Bomiaio  PoUione  offersero  le  figliaote,  e  fnrono  del  gareg- 
giare per  la  repnblica  da  Cesare  ringraziali*.  La  PolUona 
piaeifne  più,  perciò  solan^enle  che  la  madre  ancor  si  vivea 
col  primo  marito,  e  Agrippa  avea  per  discordie  menomata 
la  casa  soa.  Ma  Cesale  consolò  l'altra  con  veniicittqQemifai 
fiorini  di  dote. 

LXXXVII.  Lamentandosi  la  plebe  del  troppo  caro,,  pose 
al  grano  il  pregio,  e  donò  venzoldi  dello  staio*  a  chi  a  ven- 

^  eawUer  romano.  Il  primo  grado  di  dig^itìi  .%vtWL^  i  senatori  ;  il  «e- 
eoudo  )>  cavalieri  romani.  E  qn«sti,  quando  riapjeodevano  per  virtù  o  ricchesa, 
«ntravano  in  senato,  rendevano  il  voto  »  poco  scadevano  da'Senatori,  e  vergfVgna 
p«]>ltca  era  lasciarti  macchiare  dì  tanta  disonestà. 

*■  alla  rea  moglie.  Quando  il  marito  non  -pensava  al  castigare  la  moglie 
disonesta  y  vi  metteva  mano  il  magistrato.   ' 

'  *  Ser\fi>i  oggi  Servino,  o , cmat  altn  vo^^ono,  «Sìsi^»  Sei^anio,  \$ài 
ancbe  Ann.  lY,  21. 

*  venzoldi  dello  staio.  Era  quel  modio  la  nostra  mina ,  o  vnot  «Kre ,  nMi o 
staio:  il  sestertio  un  quarto  di  denario:  U  denario  un  decimo  di  dramma  d' oro 
fine  :  una  dramma  il  nostro  fiorino ,  che  vale  o§^  dieci  lire*  Tihario  adunque 
donò  due  sestsrn  per  m'odio,  che  son  quattro  pei  istaio»  che  sono  un  denario , 
che  è  un  decimo  di  fiorino,  che  h  una  lira,  o  vuoi  dire  ven^tal^i  luccioli.  Tedi  la 


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IL  LIBRO  SECONDO  DBGLl  ANNALI.  Ili 

dere  ne  recasse.  Né  per  tanto  accettò  il  nome  di  padre  della 
patria,  altre  volte  offertogli,  e  sgridò  certi  che  appellarono 
divine  le  sue  occupazioni  e  lui  signore:^  talché  poco  e  male 
si  poteva  aprir  bocca  sotto  quel  principe  che  aveva  il  parlar 
libero  a  sospetto  e  T  adulazione  in  odio. 

LXXXYIII.  Vecchi  e  scrittori  di  qne'  tempi  dicono  es-^ 
sersi  letto  in  senato  lettere  di  Adgandestrio  principe  de'Gatti 
che  prometteva  la  morte  d'Arminio,  mandandogli  veleno;  e 
risposto,  il  popol  romano  vendicarsi  de'  suoi  nimici  con  aperte  ^ 
armi,  e  non  con  inganni;'  neUa  qual  gloria  Tiberio  si  pa- 
reggiava a  quegli  antichi  che  l'avvelenatore  a  Pirro  sco- 
persero e  Io  scacciarono.  Arminio,  partiti  i  Bomani,  e  cac- 
ciato Marabodoo,  cercò  di  regnare:  ma  que' popoli  per  la 
libertà  lo  combatterono  con  varia  fortuna;  e  per  tradigione 
di  suoi  parenti  morK  Liberatore  senza  dubbio  della  Germa- 
nia; disfidatore  non  di  quel  primo  popolo  romano,  come  al- 
tri guerrieri  e  re,  ma  dell'imperio  potentissimo.  Nelle  batta- 
glie vario,  nella  guerra  non  vinto;  trentasett'anhi  visse,  do- 
dici comandò:  i  barbari  ancor  ne  cantano;  ì  Greci  non  lo 
con  timo  ne' loro  annali,  perchè  Rolo  millantano  le  cose  loro. 
Né  da' Romani  celebrato  è  quanto  merita;  perchè  noi  ma- 
gniicfariàmo  le  cose  antiche  e  ne  cale  poco  dell^  presenti.  * 

Post.  27  del  primo  libro  (*).  Leggi  nel  Villani  le  belle  ordinanse  e  grosse  perdile 
che  fece  il  nostro  Comune  per  pietli  dri  nostro  popolo,  e  dell'altrui,  nelle  care- 
ilie  dd  ms,  S9,  46. Tuttoché  certi  nficiali  (die* egli)  ne  facessero  baiaUcria, 
condanmDdo  gl'iiHUtcenti,  e  lasciando  i  possenti  far  le  grandi  endicbe  (**). 

*  sgridò  certi  che  appellarono....  lui  signore.  Oggi  diamo  a' privatissimi 
non  pore  di  Signore,  ma  d'  Tltustre,  mollo  lìltutre,  e  pltu  ultra.  E  chi  più 
basso  è ,  piò  empire  i  titoli  vuole  ^**}. 

>  non  con  inganni.  Davitte  fece  uccider  colui  che  venne  a  dirgli  aver  uc- 
ciso Saul  suo  nimico  :  e  mour  nuni  e  piedi  a  Baana  e  Reca ,  che  gli  portaron  la 
testa  d' Isboset  figliuolo  di  esso  Saul.  Cesare  pianse 

...«fOMido  il  tndiUtr  d' Bfitto 

GU  fece  fi  4«d  de  V  onoraU  tetta. 
E  qui  Tiberio,  per  non  aver  accetuto  il  tradimento  contro  ad  Arminio,  si  pareg- 
gia agli  antichi,  quando  salvarono  Pirro. 

S  ne  cab  poco  delle  presenti.  Nella  Vita  d'Agrìcola,  nel  principio,  dice 
il  onedesimo  (•***). 

n  « 4aMto  «diiiMie,  Mts«,  psg.  IO. 

n  «ntfUk*.  iaoM».  So^neeU  parala  v«di  lelitien  del  Gioidaiii  al  Monti,  ribriUneUa 
Proposta,  e  rUUnpeta  aelVolome  primo  delle  Opere  di  P.  Giordani,  edixione  di  questa  Biblioteca. 
<(***)'  Ndla  Giontine  manea  :  E  dUptii  basto,  h  ee. 
(****)  Manca  nella  Giantipt. 


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112 

IL  LIBRO  TERZO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  AgrippÌB«  colle  ceoari  di  Oennaoico  a  BrÌBdifi ,  poi  a  Roma.'  Chiù- 
donsi  quelle  nella  tomba  d'Augusto:  funerali.  — VII.  Druse  da  capo  oell'  Illi- 
rico.-.-Vili.  6n.  Pisone  reso  a  Roma  è  accusato  di  Teleiìo  e  dì  stato.  Arìn- 
gato  e  veduto  andargli  tutto  male  si  dh  morte.  —  XX.  Raccende  Tatefaf  ioatè 
in  Africa  la  guerra ,  soffocata  da  L.  Apronio  proconsole.  —  XXII.  Lepida  Emi- 
lia d'  adulterio  e  veleno  accusata  e  condaniSata.  —  XXV.  La  legge  Papia  Pop- 
pea  sin  là  in  rigore,  da  Tiberio  è  addolcita;  suoi  nodi  sciolti:  origiue  «  yì- 
cende  delle  leggi.  —  XXX.  Muoion  gP  insigni  L.  Volusio  e  Sallustio  Crispo.— 
XXXI.  Tiberio  in  Campagna. — XXXII.  Di  nuovo  P  Africa  investe  Tacf annate. 
Scelto  a  guardarla  Giunio  Bleeo. — XXXVII.  Dannati  per  maestà  alcuni  eque- 
stri. —  XXXVIII.  Traci  ia  discordia.  —  XL.  Ribellanai  a  ninn  prò  le  città 
galle,  duci  Giulio  Sacroviro  e  Giulio  Floro:  lor  oste  dalle  germane  legioni 
battuta ,  torna  al  giogo.  — ^  XLIX.  G.  Lutorio  cavaliere  dannato  per  fellone  è 
mortjk  in  carcere. — LII.  Impreodesi  a  moderare  il  Ineto  e  si  desiste.-— 
LVI.Druso  tribuno. — LVIII.  A  flamine  di  Giove  si  vieta  dimandar  provincia.-* 
LX.  I  greci  asili  visitati  e  purgati.  -^LXVl.  G.  Silano  per  mal  tolto  e  màe- 
sta ,  dannato. . —  LXXIII.  Ginnìo  Bleso  dà  guai  a  Tacfannate,  prenda  un  suo 
fratello.  — LXXV.  Morti  illustri  e  mortori. 

Corto  di  ire  anni, 

An.diRomaDCCLWiii.  (di  Cristo  20).  —  Coniolì.  |  M.  V ambiò  MlSSALà. 
^  ^  I  G.AuBBMO  Cotta. 

An.  di  Roma  DCCUiiy.  (di  Cristo  21). -CoiiioK.  \  Tibbuo  Aogusto  IV. 
^  '  I  Droso  Cbsarb  II. 

An.  di  Roma  dcclxiv.  (di  Cristo  57).  —  Contoli,   \  ^ •/'*■'<>  AoaiPPA. 
^  '  1  G.SulpibioGalba. 

I.  Navigò  Agrippina  di  verno  a  golfo  lanciato  ^  in  Corfù, 
isola  dirimpeUo  Calabria.  Ove  vinta  da  disperato  dolore 

*  a  golfo  lanciato.  Lat.  :  «  nil  intermissa  navigatione ,  n  che  non  bene 
spiega  la  Crusca  :  «f  per  linea  retta.  »  Nelle  postille  Mss.  di  Pietro  Pietri  si  legge  : 
«  Golfo  ed  ingolfare  si  dice  dal  greco  xoX^ro;,  e  P  andare  o  navigare  a  golfo 
lanciato  vale ,  andare  in  alto  mare  a  diriUura,  con  diligensa,  sema  trattenersi  o 
per  tempesta  o  altro  intoppo)  ed  ^  il  contrario  di  andare  terra  terra,  o  come  gentil- 
mente dice  il  Boccaccio,  nov.  ik, marina  marina: — «Passò  a  Brindisi,  e  di  quindi 
marina  marina  si  condusse  infino  a  Trani.  m 


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IL  LIBRO  TBRZO  D^GLI  ANNALI.  113 

pochi  di  rifiieUe  a  moderarsi.*  Qaan4o  sua  venula  ^'intese, 
griulimi,  i  soldati  già  di  Germanico,  ancora  i  non  cono- 
scenti dalie  terre  vicine»  chi  parendo  lor  obbligo  verso  il 
principe,  chi  quei  seguitando,  pioveano  al  porto  di  Brindisi, 
pia  vicino  e  sicuro.  Alla  vista  dell' armata,  il  porto  e  la  ma- 
rina e  mura  e  tetta  e  le  più  alte  vedette  fur  piene  di  turba 
mesta,  domandantesi,  se  quando  ella  sbarcava  da  tacere  era 
o  che  dirle  o  che  fare.  L'armata  s'accostò  co' rematori  at- 
toniti, senza  il  solito  festeggiare.  Ella  usci  di  nave  con  due 
figliuoli  e  col  vaso  lagrimevole'  in  mano  ove  affisò.'  Levossi 
un  compianto  di  donne  e  d'uomini  suoi  e  d'altri,  non  di- 
stinto; se  non  che  quel  della  corte  di  lei  per  lo  durato  tribcrfo 
era  più  stanco. ^ 

II.  [A.  di  R.  773,  di  Gr.  20.  |  Cesare  le  mandò  due  coorti 
di  guardia,  Qon  ordine  che  in  Calabria,  Puglia  e  Campagna, 
i  magistrati  facessero  V  ossequio  al  figliuolo.  Tribuni  e  capi- 
tani adunque  sopra  gli  omeri  por tavan  le  ceneri,  con  le  in- 
segne lorde  ^.innanzi  e  i  fasci  capovolti.  La  plebe  delle  colonie 
onde  passavano,  era  a  bruno;  i  cavalieri  in  gramaglie:  arde- 
vano, secondo  il  potere,  veste,  profumi,  con  altre  solennità 
de'  mortori.  Dalle  terre  ancor  fuor  del  cammino  venieno  le 
genti  ad  incontrare,. a  far  sacrifici  a  quell'anilina,  a  mostrare 
con  pianti  e  strida  il  dolore.  Druso  con  Claudio  fratello  e  i 
figlinoli  che  in  Roma  erano  di  Germanico,  vennero  sino  a 
Terracina.  Marco  Valerio  e  Marco  Aurelio  nuovi  consoli,  il 
senato  e  gran  parte  del  popolo  tutti  in  bulima  '  calcaron  la 
strada,  e  piagnevano  non  ostante  l'allegreza  di  Tiberio  mal 
celata,  a  tutti  nota,  della  morte  di  Germanico,  non  poten- 
dola adulare. 

IIL  Egli  e  A  gusta, non  uscir  fuori,  per  fuggire  in  pnb- 

'  *  a  moderarsij  a  pigliare  un  po'  dì  calma.  Lat.  :  «  componendo  animò.  » 
Il  Ms.  :  M  a  temperarsi  ;  m  poi  cancellato  e  riscritto  come  sopra. 

J  *  L'urna  mortuaria. 

'  *  ove  affisò:  non  affisò  l'urna;  ma  dejtxit  octdos  (in  terram);  «  at- 
terrò il  guardo,  »  com'  è  proprio  de' mesti. 

•  *  pih.  stanco.  Il  Ms.  :  «  più  lapgnido  ;  »»  poi  corretto  —  tribolo*  Lat.  : 
M  meeror.  *» 

•  •  lorde  h  troppo.  Il  lat.;  «  incomptaj  »  disadorne. 

•  •  ttaii  in  hnlimaf  tulli  in  frolU  ,  in  folla., 

10* 


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114  IL  LIBRO  TERZO  DHQLI  ANNALI. 

bitco  i  piagDÌ^ei  disdicevoli  a  maestà,  d  fare  scorgere  '  a 
tatti  gli  occhi  ne'lor  visi  la  loro  aliegreza.  Annale  non  trovo 
nò  giornale  che  dica,  se  Antonia  sua  madre  ci  fece  atto  no- 
tabile alcano:  e  pure,  oltre  ad  Agrippina  e  Drnso  e  Claudio, 
veggo  nominati  gli  altri  congitinti:  forse  era  malata,  o  non 
le  pali  l'animo  vedere  con  gli  occhi  il  suo  gran  male.  Credo 
io  che  Tiberio  e  Agosla  la  tenessero  in  casa,  per  mostrare 
esservisi  madre,  avola  e  zio  serrati  per  pari  dolore. 

IV.  Il  di  che  le  ceneri  si  riponevano  nel  sepolcro  d'Ago- 
sto, pareva  Roma^  ora  per  lo  silenzio  ona  spelonca,  ora  per 
lo  pianto  on  inferno.  Correvano  per  le  vie;  ardeva  campo 
marzio  pieno  dì  doppieri.  Qnivi  soldati  armati,  magistrali 
senza  insegne,  popolo  per  le  sue  tribù  gridavano  esser  la 
repnbliea  sprofondala:*  cosi  arditi  e  scoperti,  come  scorda- 
tisi eh'  ei  v'  era  padrone.  Ma  nnlla  punse  Tiberio  quanto 
r  arder  del  popolo  verso  Agrippina.  Chi  la  diceva  ornamento 
della  patria,  reliquia  sola  del  sangue  d'Agosto,  specchio 
unico  d' antichitade  ;  e,  volto  al  cielo  e  agl'iddii,  pregava 
salvassero  quo' figliuoli,  sopravvivessero  agl'iniqui. 

V.  Desideravano  aleuiiì  in  queste  ossequio  la  pompa 
publica,  allegando  gli  ampi  onori  che. Agusto  fece  a  Druso 
padre  di  Germanico  :  «  IncontroUo  di  crudo  verno  sino  a 
Pavia:  da  quel  corpo  non  si  parti,  si  fu  seco'  entrato  in  Ro- 
ma: fu  d'immagini  di  Claudi  e  di  Livìi  *  accerchiata  la  bara; 
pianto  nel  foro;  lodato  in  ringhiera;  fatto  quanto  invennero 
mai  antichi  e  moderni:  e  a  Germanico  non  è  toccata  por 
r  usata  e  ad  ogni  nobile  dovuta  onoranza.  Siasi  per  lo  lungo 
viaggio  il  corpo  arso,  come  s'è  potuto,  in  terra  lontana  e 
straniera;  cotanti  più  onori  gli  si  doveano  qnanti  ne  gli 
avea  la  sorte  negati:  ma  il  fratello  non  l'ha  incontralo  ap- 

*  *  e /are  scorgere:  cioè,  o  forse  per  non  fare  scorgere  ec. 

'  *  esser  la  repubUca  sprofondata.  Non  ha  tradotto  il  nil  spei  reliquian 
che  segue  a  concidisse  rempttblicam,  forse  perchè  ha  creduto  esserci  in  quella 
frase  ogni  cosa.  Ma  da  sprofondare  in  un  modo  piuttosto  che  in  un  altro  ci  corre. 

*  *  sì  fu  sec6y  sintanto  che  noA  fu  seco  ec. 

*  di  Claudi  e  di  Livii:  non  di  Giùlii ,  |>erchè  questo  Dmso,  fratello 
di  Tiberio,  non  entrò  mai, in  casa  giulia,  né  gli  convenivano  rimmagtni giù- 
lie,  ma  le  claudie  e  livic  del  paSre  e  della  madre  ^*), 

n  Uvionun  èeorreàone  delMoielo,  non  aecetUU  dalF  OKllieht  riliene  XvfterwM,  pei- 
ehè  i  iolenoi  fanerali  oraavansi  amila  colle  immaglai  degli  alBal, 


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IL  UBEO  TBIZO  DBeU  ANNALI.  1(5 

pena  una  giornata;  il  ciò  non  pare  alla  porta.  Dove  sono  gli 
ordini  antichi?  l'effigie  sopra  il  cataletto?  i  versi  composti 
per  memoria  deUe  virtù?  le  lagrime?  i  triboli?  »  * 

VI.'Tiberlo  sapeva  qneste  grida  del  popolo,  e  per  am* 
morzarle ,  lo  ammoni  per  bando  :  «  Essere  molti  Romani 
illoatri  per  la  repoblica  morti ,  ma  ninno  stato  cetebrato 
eon  tanto  ardore,  onorevole  a  se  e  a  tetti,  par  cbe  si  mode- 
ri; non  convenendo  a' principi  e  popolo  imperlante  le  cose 
medesime  che  alle  case  e  piccole  città.'  Essersi  dovuto  al 
fresco  dolore  il  pianto,  e  quindi  il  conforto:  doversi  ora  fer- 
mar Tanimo  e  scacciare  la  inaninconia,  come  fecero  i  divini 
Giulio  e  AgAsto,  nel  perder  quegli  la  figliuola  unica,  questi 
i  nipoti:  per  non  contare  quante  volte  il  popol  romano  fran- 
eamente  soiérse  eserciti  sconfitti,  generali  morti,  famiglie 
nobili  spènte.  I  princìpi  essere  mortali,  la  repoblica  eterna. 
Però  ripigliassero  le  loro  faccende,  e  ne' vegnenti  giuochi 
megalesi,  anche  i  piaceri.  » 

YIL  Allora  fini  il  feriate.  Druse  se  n'  andò  agli  eserciti 
di  Schiavonia.  Ogn'  uno  a  orecchi  tesi  aspettava  il  gastigo  di 
Pisene  me  si  potevan  dar  pace  ch'ei  si  stesse  pe' giardini 
dell'Asia  e  delP  Aeaia  a'sollazi,  per  ispegnere  con  si  arro- 
gante e  maliziosa  dimora  le  provante  delle  sue  sceleritadi; 
essendosi  divolgato  che  quella  Martina  maliarda  che  Gn.  Sen- 
zlo  mandava  a  Roma,  presa  come  dissi,  s'era  in  Brindisi 

<  h  iaertmet  i  triboli  f  Aneor  oggi  nd  regao  di  MapoU  si  dicon  far»  il 
trìbolo  certe  donnicciaole  che  «opra  1  corpo  ^el  morto  prcsolate  piangono , 
strìdono,  fi  graffiano  il  viso,  stracciano  i  capelli,  contano  le  sue  virtù  e  la 
perdita ,  che  fatta  di  lai  ha  quella  casa  amara.  Questo  forse  vnol  dire,  doloris 


*  non  couvenmidù  tt  pritic^.^.  le  cose  medesime.  Ciò  sono  quelle 
lagrime  e  triboli  e  altro.  Gentilissimamente  il  signor  Curaio  Picchena  segretario, 
atudiosissimo  di  questo  autore,  corregge  cosi  :  Non  enim  eadem  decora  princi- 
pibue  ririe  et  impertitori  popmle,  qum  modici^  domibue  atU  eivitattìms.  So- 
lamette  dittonga  e  rdatiriia  la  copula  ^Ȏ,  la  quale  il  lipsio  leva:  e  leva  i 
bei  contrarii,  principibus  viris  e  modicis  domibtu  j  hnperateH  pcfmlo  e 
Hi^UmtAus.  E  Tuole  efae  Tiberi»',  pHiteipibm  piris,  inttad»  di  se,  che  quelle 
indegnitik non  faceva,  mai  le  rìpreodeva.  Nd  testo  de'Mediei  l'è  vist*  poi 
•critto,  ifum. — *noH  convenendo  ec.  Il  Ms.  ha  :  «perciocché  tal  cosa  si  eoftviene  al 
principe  che  non  al  capitano  n^  al  popolo;  alla  àt£k  chenon  aUa  casa.  »  Poi  cor- 
rq^ge  cosi:  «non  convenendo  a  voi  grandi  e  popolo  imperìante  le  cose  medesime 
che  alle  case  e  eittà  piccole.  »  Quindi  di  nuovo  corregge  come  sta  nel  testo. 


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116  IL  UBRO  TERZO  DBGU  ANNALI. 

trovala  morta,  con  veleno  nelle  trecce,^ senza  segno,  nel 
corpo  d' essersi  ammazata. 

Vili.  Pisene  manda  a  Roma  il  figlioolo  ammaestrato 
per  mitigare  il  principe,  e  vassene  a  Braso,  sperandolo  non 
tanto  incrodelilo  per  lo  fratello  mortogli,  qoanto  addolcito 
per  tanto  concorrente  levatogli.  Tiberio,  per  mostrare  che  il 
giudizio  andrebbe  retto,  accolse  il  giovane  e  donògli^  come 
affiglinoli  de' nobili  usava.  Druse  a  Pisene  disse  in  publico: 
a  Se  vero  fosse  quanto  si  dice,  mi  cocerebbe  più  che  a  tutti: 
dielvoglia  siano  favole,  e  che  la  morte  di  Germanico  non 
rovini  chi  che  sia.  »  '  Riconoscevansì  queste  parole  erba  di 
Tiberio,'  con  le  cui  vecchie,  arti  il  giovane  *  dolce  e  non 
astato  si  governava. 

IX.  Pisene  navigò  in  Dalmazia,  in  Ancona,  ove  lasciò 
le  navi,  e  per  la  Marca,  e  poi.  per  la  Flaminia  raggiunse 
una  legione  che  andava  d'Ungheria  a  Roma,  per  passare  in 
AfTrìca'  a  quella  guardia;  e  dissesi  che  nel  camnuno  spesso  si 
presentò  assoldati  tra  V  ordinanze.  Onde  per  sospetto,  levare, 
o  perchè  la  paura  sbalordisce,  fattosi  da  Narnì  portare  per  la 
Nera  nel  Tevere,  raccese  l'ira  del  popolo,  ond'erano  le  ripe 
piene  quel  di  solenne,  vedendolo  sbarcare  al  sepolcro  de' Ce- 
sari, con  grancodazo,  ei  di  seguaci  e  Plancina  di  damigelle, 
con  le  teste  alte:  stomacò  soprattutto  la  casa  in  piata,  parata  a 
festa.  Io  spanto  convito,  a  porte  spalancate  e  corte  bandita. 

X.  Il  di  seguente  Fulcihìo  Trione  chiamò  Pisene  a'eon^ 
soli.  Vitellio,  Yeranio  e  gli  altri,  stati  con  Germanico,  dice- 
vano, che  Trione  non  aveva  che  farci;  e  volevano  essi  non 
accusare,  ma  testimoniare  e  sporre  le  commessioni  di  Ger- 
manico. Ottenne  d'accusarlo  almeno  d' altri  peccali  vecchi. 
Di  questa  causa  fu  pregato  il  principe  d'esser  giudice:  né  al 

'  *  Lascia  di  tradurre:  «f  Hac  paUan  et  vitato  anuù  secreto,  «*  «timando 
astai  l'aver  dettò  sopra  «  Draso  a  Pisone  disse  in  puLlico,»  dove  il  testo  ha 
semplicemente  Drusus  Pisoni. 

S  *  Miconoseeuan»  queste  jtaroU  erba  di  Tiberio  j  cioè  sobbillate ,  iosi- 
Doate  a  Druso  da  Tiberio.  Il  Lat.  ha  :  «  neque  dubitabantur  pnescripta  ei.  a 
Tiberio.  *» 

S  una  iegione  che  andava,.».^  Rama,  per  passare  in  Affrica  j  :ptt  la 
guerra  di  Tacfarinate ,  ove  ne  sUva  una  sola  per  l'ordinario  (  richiamata  poi), 
nominala  la  nona. 


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IL  UBaO  TERZO  DEGLI  ANMALL  117 

reo  dispiacque;  temendo  di  quell'amor  -del  popolo  è  de' padri: 
dove  Tiberio  del  dire  del  popolo  si  facea  gran  beffe:  (ceraci  in- 
teressato egli  e  la  madre:  meglio  un  giudice  solo  il  fatto  dal 
creduto  discerne;  òdio  e  invidia  ì  molti  accecare*  »  Sapendo 
Tiberio  quanto  questo  giudizio  importava,  e  i  pezi  che  di  lui 
si  levava;*  in  presenza  d'alcuni  di  corte  udì  le  minacce  e 
difese  delle  parti,  e  le  rimise  al  senato. 

XI.  In  questo  tornò  Druso  d' lUiria,  e  volevano  i  padri 
che  per  lo  ricevuto  Maraboduo  e  altri  fatti  di  quella  state , 
egli  entrasse  in  Roma  col  trionfo  minore  di  gridare  «  Où, 
où;  »*  ma  quest'onore  si  prolungò.  Pisene  ricercò  T.  Arunzio, 
Fulcinio,  Asinio  Gallo,  Esernìno,  Marcello,  Sesto  Pompeo, 
d'essergli  avvocati;  e  tutti  diverse  scuse  allegando,  M.  Lepi* 
do,  L.  Pisene  e  Liveneio  Regulo  accettarono.  Stava  tutta  la 
città  in  orecchi,  come^  fosser  fedeli  gli  amici  a  Germanico  ; 
in  che  si  fidasse  il  reo;  se  Tiberio  si  scopriva  o  no.'  Né  fu 
unque  il  popolo  tanto  curioso,  o  contro  al-  principe  bisbigliò, 
o  tacendo  sospicò. 

XII.  Onde  Cesare  fece  a'  padri  questo  compilato  ^  e  bi- 
lanciato parlare  :  ce  Pisone  fu  legato  e.  amico  di  mio  padre  : 
d'ordine  vostro  il  dfedi  per  aiuto  a  Germanico y  a  reggere  '^ 
l'oriente.  Se  quivi  egli  ha  co  '1  disubbidire  o  contendere  ina- 
sprito il  giovane,  e  della  sua  morte  s' è  rallegrato  o  pur  l' ha 
fatto  reamente  morire;  or  si  dee  senz'animosità. giudicare. 
Quando  egli  sia*  uscito  dì  ubbidienza  di  legato  a  suo  impera- 

*  *  e  ipezi  che  di  Itti  si  levava.  Vedi  la  nota. al  cap.  46 ,  lib.  I. 

'  *  dì  gridare  **  Où  oh.  »  Nella  Giuntina  scrìve  Oil  oà.  Il  Xat.  ha:  «  ut 
offans  iniret  j  »  cioè ,  eh'  egli  entrasse  coli*  onore  del  trionfo. 

9  se  Tiberio  si  scopriva  a  no.  Meglio  è  leggere  come  il  testo  de'  Me- 
dici, Satin*  céhiberet  ac  promeret  sensus  sjtos  Tiberìus,  is  haud  alias 
intentior:  Populus  plus  siti,  etc.  E  dire:  «  Se  Tiberio  sapeva  nascondere 
quello  che  fatto  avea  (*),  che  mai  non  vi- durò  più  fatica:  ne  più  il- popolo  del 
principe  bisbigliò,  o  tacendo ,  ne  sospicò  ;  »  cioè  d' aver  commesso  a  Pisone 
che  avvelenasse  Germanico.  Quel  promeret,  era  contrario ,  supercfaìo ,  cosa 
Ikoa  da  Tacito,  e  sens»graùa. 

*  compilato  parlare',  di  stupenda  prudensa ,  da  notare  sommamente. 
'  *  ^^gg^""^'  Il  Ms  :  M  governare;  »  poi  corretto  come  sopra. 

^  *  Quando  egli  sia  fec.  ;  cioè,  qnanao  sia  provato  eh' e' disubbidì  ec,  e 
che  si  rallegrò  ec.  —  La  Nestiana ,  invece  di  a  suo,  legge  al  suo. 

(*)  che  fatto  avea.  L'esemplare  glantìno  con  postille  aatografe  posseduto  dal  Conte  Mor- 
tara,  corregge:  «  che  in  corpo  avea.  » 


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118  IL   LIBRO  TBBZO  OieU  ANMALf. 

dorè;  rdlegratosi  delia  morte  di  lai  e  del  pianto  mio;  io  lo 
disamerò  e  sbandirò  di  mia  casa,  e  gastigherò  ìa  ]>rivii(a 
nimicizia  mia ,  e  non  da  prinèipe,  eon  la  forza*  '  Ma  troran» 
doci  peccato  capitale  in  qualsivoglia^  date  affiglinoli  «  a  noi 
padre  e  avola  dì  Germanico  giusto  confoHo.  Chiaritevi  an- 
cora se  Pisene  ha  l'esercito  sMlexato  e  turbato;  guadagnatosi 
con  arte  i  soldati;  ritentata  la  provincia  con  Tarme;  o  se  pure 
queste  son  falsitadi  sparse  e  aggrandite  dagli  accusatori  per 
troppo  affètto,  del  quale  io  ho  da  dolermi.  Che  indegnità  fu 
quella,  spogliare  ignudo  quel  corpo,  forlo  dagli  occhi  del  po- 
polo quasi  malmenare?  empiere  il  mondo  ch'ei  sia  stato  av-^ 
velenato,  se  ancora  non  si  sa  e  s!  cerca?  Io  piango  il  figliuol 
mio  e  piangerollo  sempre  mai  :  non  perdo  al  reo  vieto  il  pro- 
durre ogni  provanza  dì  sua  innocenza  o  torto  da  Germanico 
ricevuto.  É  voi  prego  che  il  mìo  dolore  non  vi  faccia  pigliar 
le  querele  date,  per  provate.  Se  parenti  o  confidenti  ci  ha  per 
difenderlo ,  con  tutta  l'eloquenza  e  diligenza  aiutatelo;  e  atei* 
per  lo  contrario  s'aguzìno  gli  accusanti.  Basti  Germanico  pri- 
vilegiare che  in  consìglio  dal  senato,  non  in  corte  da  giudice 
si  conosca  della  sua  morte:  nel  rèsto  vada  del  pari.  Ninno 
guardi  alle  lagrime  di  Druse ,  ninno  at  mio  dolore,  né  a  cosa 
che  forse  si  mentisse  di  noi.  i» 

XIII.  Dati  furon  per  termini  due  giorni  a  dirgli  centra; 
sei  ad  armarsi  ;  '  tre  a  difendersi.  Fukino  disse  che  egli 
aveva  con  ambizione  e  avarizia  retto  la  Spagna;  peccati  vec- 
chi e  frivoli  che,  provati,  non  gli  nocevano  (purgando*  i 
nuovi),  né,  difesi,  lo  gcioglievano  da  i  più  gravi.  Dopo  costui, 
Servèo  e  Yeranio  e  Vitellio  con  paricaldeza,'ma  YitelUo^con 
piii  eloquenza,  incolparon  Pisone  d'avere  per  rovinar  Ger- 

'  ia  pripota  nimicizia  mia,  e  non  dm  frùuiipe  ce.  Li^msmì,  movi 
principis,  male;  (a  ÌEScconcio , ' no»  pHne^^,  non  nate;  oca  «tggo,  nem  vi 
,  principis  j  benif Mmo  ;  e  covreggomi  ^  ma»  da  principe  ccm  la  form.  «^  *  con  Ut 
fùraa,  H  testo  ha  t  «  e<  pripata*  mimicitias  non  pi  principis  Miidscmrf  » 
che  r  Orelli  interpreta  :  «  Non  iitar  potestate^  ^uam  princeps  ktéetj  td 
noscas  mihi  iilaUis  ut  prùtatas  idcisear.  » 

s  *  àlsiy  altcesì.  Cosi  pare  lìh.  l,  e.  36 1  II,  e.  64. 

S  *a(/«rmam' /cioè, sei  fioGBt  aoeordava  al  leo  per  «itmdMre  e  ordinare 
la  sua  difesa ,  e  tre*  per  pronunciarla  dinanai  ai  gindi^i.Laddove  agli  accosafeort 
furono  dati,  in  tutto,  due  soli  giorni.  Anche  di  qui  si  vede  dove  pendeva  Tiberio. 

*  *  purgando,  quando  fosse  riuscito  a  purgare. 


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IL  UBRO  TERZO  DEGLI  ANNALI.  i19 

manica  e  riv^aUar  lo  stato,  la  feccia  de' soldati  con  licenze  e 
insolenze  a' confederati,^  corrotta  in  gnisa,  che  padre  delle 
legioni  lo  dicevano  i  peggiori,  u^ato  per  lo  contrario  ogni 
cmd^tade  a'  migliori  e  spextalipente  agli  amici  e  segnaci  di 
Germanico;  e  Ini  per  ultimo  avvelenato,  stregato,  sagrifica- 
fò,  egli  e  PUncinaj  a'  dimoni:  assalito  con  arme  la  repuUi- 
ca  »  e  per  poterlo  accasare  r  esser  convenuto  combatterlo  e 
vioc^rk». 

Xiy.  Non  ebbe  difesa  l'aversi  guadagnato  i  soldati,  dato 
la  prevÌBCìa  in  mano  a  pessimi,  detto  male  del  generale:  il 
velen  solo  parve  purgato;  perchè  dicendo  gli  accusatori  che 
Pìsotte,  cenando  con  Germanico  e  standogli  di  sopra,'  gli 
avvelenò  la  vivanda  con  le  sue  mani;  non  parve  verisimile 
che  tra  1  servi  altrui,  con  tanti  occhi  addosso  e  dello  stesso 
Germanico,  cotanto  ardisse:  e  chiedeva  Pisene  tormentarsi 
i  servi  suoi  e  di  Germanico.  Ma  i  gindicl  gU  erano  avversi 
per  cagion  diverse;  Cesare  per  l'aver  fatto  guerra  alla  pro- 
vincia; il  senato,  non  potendo  mai  credere  che  Germanico 
morisse  senza,  inganno  ^...  Il  che  non  meno  Tiberio  che  Pi- 
sene negarono.  Di  fiiorì  gridava  il  popolo,  «  Se  i  padri  l'as- 
solveranno, egli  non  ci  uscirà  delle  mani,  »  e  spezavano  le 
sue  immagini  strascicate  alle  Gemonìe,  se  il  principe  non  le 
faceva  salvare  e  rimellere.  Fu  messo  in  lettiga  e  ricondotto 
a  casa  da  nn  Uribono  di  coorte  pretoria  :  chi  diceva  per  sal- 
varlo,  chi  per  finirlo. 

XY.  Plancina  era  non  meno  odiata,  ma  più  favorita: 
onde  non  si  sapeva  quanto  Cesare  ne  potrebbe  disporre.  Essa 
mentre  di  Pisene  fu  qualche  speranza,  prometea  correre  una 
fortuna,  e,  bisognando,  seco  morire.  Ottenuta,  per  segreti 
preghi  d' Agusta,  perdono,  s'allargò  dal  marito  e  divise  la 

*  *  e  insoknxe  tt  confederati  j  cioè,  pennetUndo  loro  d'iiuolentire  contro 
i  confederati. 

*  standogli  di  sopra,  u  Cam  super  eitm  Fiso  discitmbereL  »  Come  può 
essere  essendo  inferiore  ?  erano  tre  >  e  Germanico  in  meso,  dice  il  Lipsie.  Non 
pmova,  non  mi  quieta. 

S  wm  potendo  mai  creder^.  Sema  k   parole ,  scripsissent   expostw 
laates^  toma  benissimo  il  sentimento.  Io  le  ho  lasciate:  o  elle  vi  sono  tram- 
miaa*  per  eriore>.  o  altre  parole  ?i  mancano  che   con  quelle  faceano  senti- 
mento. Il  Mercati  legge  sàbmisu  éé^stuiétnUt.  Il  sentinunto  torna  bene;  . 
ma  il  motaneoto  è  ardito» 


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120  IL  LIBRO  TBEZO  DEGLI  ANNALf. 

causa  soa.  Qui  si  tenne  spacciato;  pure  confortato  da' figlinoli 
a  ricimentarsi,  fatto  cuore,  rientra  in  senato,  e  trova  rinfor- 
zate l'accuse,  i  padri  sbuffare,  contrario  e  terrìbile  ogni  cosa. 
Più  di  tutto  Tatterrì  il  veder  Tiberio,  saldo,  coperto,  bendi 
misericordia,  non  d'ira  far  segno.  Riportato  a  casa^  scrisse 
alquanto  quasi  nuova  difesa,  e  suggellato  dìedelo  ad  un  li- 
berto, e  attese  alla  usata  cura  dèi  corpo.  La  notte  la  moglie 
usci  di  camera:  ei  fece  chiuder  l'uscio,  e  al  far  del  giorno  si 
trovò  sgozato,  e  il  coltello  in  terra. 

XVI.  Ricordomi  aver  udito  da' vecchi,  che  à  Pisene  fa 
veduta  più  volte  in  mano  una  lettera,  la  quale  egli  non  mo- 
strò, ma  dissero  gli  amici  che  era  la  commession  di  Tiberio 
del  fallo  contro  a  Germanico;evolevalali  squadernare  dinanzi 
a' padri;  ma  Sciano  con  vane  promesse  l'aggirò:  e  che  egli 
non  mori  per  mano  sua,  ma  gli  fu  mandato  ramazatòre. 
Nò  r  uno  né  l'altro  affermerei  :  ma  da  celar  non  era  il  detto 
di  coloro  che  vissero  insino  a  mia  giovaneza.  Cesare  manin- 
conoso*  domandava  al  senato,  se  tal  morte  s'attribuiva  a  lui: 
e  all'apportator  dello  scritto  di  Pisene ,  quel  ch'ei  fece  il  di  e 
la  flotte  ultima.  Il  quale  avendogli  risposto  parte  à  proposito 
e  parte  no,  lesse  lo  scritto  che  diceva:  '  «  Poiché  la  setta  de'ni- 
mici  e  l'odio  del  falso  apposto  m'oprimono,  e  la  verità  e  l'in- 
nocenza mia  non  s'accettano;  gl'iddii  immortali  mi  siano 
testiinoni  che  io  sempre  fui  a  te,  Cesare,  fedele,  e  a  tua  ma- 
dre pietoso.  Raccomandoti  i  miei  figliuoli.  Gneo,  stato  sem- 
pre in  Roma,  non  Ha  parte  nelle  mìe  fortune:  Marco  non 
voleva  ch'io  tornassi  in  Seria.  Fatto  avess'io  a  senno  del 
giovane  figliuolo,  e  non  egli  del  vecchio  padre  I  tanto  pia  ca- 
ramente ti  prego  che  l'innocente  non  porti  pena  delle  mie 


'  *  maninconoso.  Il  Ms.  :  «  con  viso  amaro  ;  •>  poi  cancella  e  riscrìve  h  con 
manìnconoso  sembiante,  »  come  si  legge  nella  Giuntina,  e  che  tpA  dì  nuovo  ha 
corretto  come  sopra  si  vede. 

'  *Il  testo  latino  di  questi  due  ultimi  periodi  è  manco.  11  Davansati  ba 
tirato  a  indovinare ,  e  nelle  Postille  della  Giuntina  l' avverti  con  queste  parele  r 
«  Questo  luogo  h  guasto  :  io  gl'iiidovino  questo  sentimento.  *•  La  traduiione  poi 
nella  ridetta  Giuntina  vana  cosi  :  m  Cesare  domandava  con  maninconoso  sem- 
biante il  senato ,  se  ul  morte  s'attribuiva  a  lui  ;  e  il  figliuol  di  Fifone  quel  ch'ei 
fece  il  di  e  la  notte  ultima.  Essendogli  risposto  dal  giovane  con  prudenia  e  dal 
senato  con  adulasione ,  lesse  quello  scritto  di  Pisone  che  diceva  ce.  m 


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IL  LIBRO  TBSZO  DEGLI  ANNALL  121 

colpe.  Per  la  servitù  mìa  dì  quarantacinque  anni;  per  la 
compagnia  del  consolato»  onde  fui  accetto  ad  Agusto  tuo 
padre,  amico  a  te,  fammi  qoesta  grazia  ultima  che  io  ti 
debbo  chiedere;  perdona  al  mio  figliuolo  infelice.  •  Plancina 
non  mentovò. 

XVII.  Tiberio  scusò  il  giovane  della  guerra  civile  co- 
mandata dal  padre,  come  forzato  a  ubbidirgli,  e  increbbegli 
della  Dobil  famiglia  e  del  grave  caso  del  morto,  che  che  me- 
ritasse. PeV  assolvere  Plancina  allegò  con  ingiustizia  e  ver- 
gogna i  preghi  di  sua  madre ,  la  quale  i  migliori  bestemmia- 
vano piano:  «  Che  avola  è  qoesta,  che  puote  vedersi  innanzi 
r  ucciditrice  di  suo  nipote?  le  favella,  la  ruba  al  senato,  alla 
giustizia,  che  non  si  negherebbe  sé  non  a  Germanico.  ^  Yi- 
tellio  e  Yeranio  V  bau  pianto:  lo  ìmperadore  e  Agusta  difen- 
don  Plancina.  Dacchò  ì  veleni  e  le  negromanzie  riescon  si 
bene,  adoprinli  in  Agrippina  e  ne' figliuoli;  saztnsì  li  prodi, 
avola  e  zio,  del  sangue  dì  quella  casa  miserìssima.  »  Si  fece 
vista  di  tritare'  questa  causa  ben  due  giorni,  e  Cesare  sti- 
molò i  figliuoli  di  Pisene  a  difendere  lor  madre.  Affannan- 
dosi gli  accusanti  e  le  prove  a  chi  più  conficcarli,  '  rispon- 
dente ninno  ;  fecero  di  lei  più  increscere  che  incrudelire. 
Aurelio  Cotta  consolo  fu  il  primo  a  parlare  (perchè  quando 
Cesare  proponeva,  il  consolo  diceva  la  prima  sentenza],  e 
disse  che  il  nome  di  Pisone  si  radesse  del  calendario:  la  metà 
de'beni  andasse  in  comune,  V  altra  si  concedesse  a  Gneo,  il 
quale  si  mutasse  il  nome  proprio.  A  Marco  si  togliesse  il 
grado  di  senatore,  con  dargli  cento  venlicinqoe  mila  fiorini 
d' oro,  e  mandarlo  via  *  per  dieci  anni:  Plancina  s'assolvesse 
in  grazia  d' Agusta. 

i  *se  non  a  Germanico.  Il  Lai.  bar  «  quod  prò  omnibus  civibtis  leges 
obiineant,  uni  Germanico  non  eontigitse.  »  Sentiamo  il  Dati:  «  E  4oleTansi 
che  a  Germanico  «olo  fosse  tocco  il  non  poter  conseguire  quel  èbe  a  tutti  gli  altri 
citudini  permellei^n  le  leggi;  »  cioè  ,  che  fosse  degnamenU  gastigato  chi  era 
reo  verso  di  loro. 

'    1  *  tritare,  trattare  tritameate ,  ininutamente ,  scmpoloiamente. 

»  •  confcearli,  eonvincetli  (cioè  i  figliuoli  di  Pisone  difendenti  la  madre) 
con  accuse  e  con  prove.  La  Giuntina  ha  t  «•  a  chi  più  configgerla,  »  cioè  Plancioa. 

*  dargli  cento  .  venticinque  mila  fiorini  d'  oro ,  ^  mandarlo  via.  Di 
colpa  si  grave,  da  principe  si  crudo  fu  scusato ,  e  datogli  da  vivere  da  ro- 
mano; tanto  rispettata  era  la  nobiltkf 

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122  IL   LIBRO  tBRZO  DS6LI   ANNALI. 

XYIIL  Di  qaesta  sentenza  il  prìncipe  moderò  molte 
cose:  che  il  nome  di  Pisone  non  sì  radeése,  poiché  pur  vi 
erano  quelli  di  Marcantonio  che  fece  guerra  alla  patria,  e  di 
Ginliantonio  che  violò  la  casa  d'Agosto:  che  Marco  non  ri- 
cevesse quel  frego,*  e  godesse  suo  patrimonio;  perchè  Ti* 
berio,  come  ho  dello,  non  fu  avaro,  e  la  vergogna  della  pro- 
sciolta Plancìna  lo  fece  men  crudo.  Né  volle  che  a  Marte 
vendicatore  si  consegrasse  nel  suo  tempio  statua  d' oro,  co- 
me voleva  Valerio  Messaiino;  né  altre  alla  Vendetta,  come 
Cecina  Severo  ;  dicendo,  tali  cose  farsi  per  le  vittorie  di 
fuori:  i  mali  di  casa  seppellirsi  nel  dispiacere.*  Avendo  Mes- 
saline aggiuntò  che  della  vendetta  di  Germanico  s'andasse 
a  ringraziare  Tiberio,  Agusta,  Antonia,  Agrippina  e  Druso; 
L.  Asprenate  presente  il  senato  gli  disse:  «  E  Claudio?  lasci! 
tu  a  sciente?  »  '  allora  si  scrìsse  «  e  Claudio.  •  ^  Quanto  io 
più  le  memorie  antiche  e  nuove  rivolgo,  più  trovo  da  ridere 
de'  fatti  de'  mortali  pgn'  altri  per  futuro  principe  s' intona- 
va, •  sperava,  venerava,  che  costui,  che  la  fortuna  teneva  in 
petto. 

XIX.  Indi  a  pochi  giorni  Cesare  fece  dare  dal  senato  a- 
Vitellìo,  a  Veranio,  a  Servèo  certi  sacerdozi.  A  Pulci nio  pro- 
mise favorirlo,  chiedendo  •  onori,  e  l'avverti  a  non  isca- 
vezar  la  retorica  per  troppo  volerne.  '  Qui  fini  la  vendetta 

*  *y^o^»fr*gH>,  ignominii. 

S  imali  di  xasa  seppellirsi  nel  dispiacere.  Agusto  le  divalgò  (*),  e 
n'  ebbe  biasimo.  Domiziano ,  Aminta ,  Filippo ,  e  altri  con  loda  le  tennero  in 
seno.  Lorenzo  de' Medici  a. uno  che  Toleva  dar  nel  sangue,  ricordò  che  gli  agia- 
menti  a  Firenze  si  votano  di  notte. 

*  a  sciente?  Vi  s'intende,  animo j  cosi  dicevano  gli  antichi  gentil* 
mente  j  noi  diciamo  «rppo^ta,  impruova,  sgraziatamente. 

^  *  Claudio  t  fratello  di  Germanico ,  uomo  inetto  da  essere  £icilmeote  di- 
menticato anche  dagli  adulatori ,  «  che  tuttavia  fu  il  solo  deUa  famiglia  che  per- 
venisse alif  impero. 

S  *  «^  inlMMM.  V«di  lib.  II,  56. 

B  *  chiedendo  t  qtlando  e' chiedesse. 

^  non  i«MMMr  Al  retoricm.  Contai  per  tfappo  ««iificcar  Pisone  e 
mancina  (*^>  «mnt  poca  dieopra  k  deUo,  gli  tnisa  in  compassione  e  liberò. — 
*  per  tréppo  vohme.  Il  Ma.  t  «e  V  avverti  a  non  fava  alla  reUorica ,  per 

(*)  f«  dtvulgò,  «  sotto,  le  umtro  im  seno,  elo«  i  malil  Cosi  tatto  lo  migliori  staaipo,  n* 
mi  foao  arrisebiato  di  eomgf ero  qai  it  in  li»  avoa4o  vwlato  altro  voHo  «ho  il  MMiro  osa  par 
corta  sua  strayagoBsa  il  pronomo  fommiailo  invoco  dol  maschilo. 

n  lA  Gioatina:  «  por  troppo  oonBgger  Pianoìna....  la  miso;  »  e  manca  «  e  Uber6.  » 


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IL  LIBRO  TSaZO  DBfiLI  ANNALI.  123 

della  morto  di  Germanico,  narrata  da  que'ch'eran  vivi,  di- 
versa da'  segnenti  :  *  si  mal  si  sanno  le  cose  grandissime  : 
tenendo  alenai  ciocobò  odono  per  sicurissimo,  altri  travolgono 
la  verità,  e  V  nao  e  V  altro,  chi  doppo  viene,  accresce.  Droso 
per  ripigliare  il  soo  grado,  osci  di  Roma  e  rientrò  '  ovante. 
Pochi  giorni  appresso  Vipsania  sua  madre  mori,  solade'nati 
d' Agrippa ,  di  buona  morte;  gli  altri,  o  si  seppe  di  ferro,  o  si 
tenne  di  veleno  o  di  feme. 

XK.  Nel  detto  anno  Tacfarinate,  che  la  state  dinanzi 
fu  rotto  dà  CammiUo,  come  s' è  detto,  '  in  Affrica  rifece 
guerra:  e  prima  guastò  molto  paese  a  man  salva  per  la  pro- 
stesa; rovinò  casali,  fece  gran  prede;  poscia  assediò  presso 
al  fiume  Pagìda  una  coorte  romana  in  un  castello,  tenuto  da 
Decrìo  soldato  bravo  e  pratico,  a  cui  parve  vergogna  patire 
assedio:  e  confortali  i  suoi,  si  presentò  fuori  a  (combattere: 
piegarono  al  primo  assalto.  Entra  egli  tra  Tarmi;  para  chi 
fugge;  sgrida  gli  alfieri,  che  i  soldati  romani  voltino  le  spalle 
a  truffatori,  a  canaglia.  Pien  di  ferite,  perduto  un  occhio»  a 
viso  innanzi  s'avventa  tra  le  punte»  e.da'snoi  abbandonato 
sempre  combatte,  si  cade.  * 

XXI.  A  tal  nuova  Lucio  Aprooio  succeduto  a  Cammillo, 
più  per  vergogna  de'  suoi  che  per  gloria  de'  nimici,  de'dieci 
l' uno  della  ontosa  coorte  tratti  alla  ventura  (gastigo  in  quei 
tempi  raro)  vituperosamente  uccide.  ^  Giovò  tanto  questa  se- 
verità, che  un  colonnello  di  non  più  che  cinquecento  fanti 
vecchi,  ruppe  que' medesimi  di  Tacfarinate,  che  Tela,  for- 


troppo  cacrìare ,  rompere  il  collo  ;  ■•  poi  cancella  e  riaerive  :  «  a  l'avrertì  •  non 
iacavcsar  la  rcttorica  per  troppo  cacciare  i  «  e  di  nuovo  corregge  :  «  per  troppo 
volerne.  »  Ma  vedi  com'  è  detto  egregiamente ,  che  scavezzano  la  rcttorica  coloro 
che  troppo  rettoncbeggieiido >  ottengono  il  rovescio  di  ciò  che  si  propongono! 
Questo  è  ben  altro  che  ìXfacundiam  violentid  precipitare  del  te<to. 

<  *  dipersm  da'teguemti.  Non  pare  esatto.  Più  cbiaraineote  il  Dati:  •  della 
quale  varianente  si  parlò ,  non  solo  appresso  di  qneUi  che  viveaoo  a  ipiel  tempo, 
ma  Be' tempi  ancora  segniti  di  poi.  f 

*  uscì  di  Bontà  e  rientrò.  All'  entrare  in  Roma ,  forniva  il  grado ,  e 
scasa  grado  non  si  trionfkvn. 

S  come  s*  i  detto,  sopra,  lib.  II,  53. 

*  *  sì  cade,  sinCftntochè  p«n  cada.  Vedi  alUi  esempi  di  questa  particella , 
lib.  I,  6d,  70,  e  lib.  II,  8J. 

B  *  vituperosamente  uccide.  Il  Lat.  ha:  m/usU  necat,  •  a  colpi  di  bastone. 


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124  IL  LIBSO  TBBZO  DEGLI  ANNAU. 

te^a  nostra,  battevano.  Ove  Elvio  Rofo  fantaccino  meritò 
corona  di  cittadino  salvato.^  Cesare  gliela  donò, e  con  Apronio 
si  dolse,  senza  però  spiacerglì,  che  come  viceconsole  non  gli 
donasse  anco  questa,  come  le  collane  e  V  asta.  *  Tacfarinate, 
essendo  ì  Namidi  spaventati,  né  volendo  più  assedi,  si  spar- 
geva per  la  campagna:  affrontato,  sgaizava  e  rigirava  alle 
spalle,  e  mentre  tenne  questo  modo  il  barbaro,  beffò  franco 
e  straccò  i  Romani.  Calalo  alle  maremme,  e  standosi  nel 
campo  a  covare  le  see  prede  ;  Apronio  Cesiano  mandato  dal 
padre  co'cavalli  e  fanti  d'aiuto,  e  co'  più  veloci  delle  legioni, 
felicemente  il  combattè  e  cacciò  ne'  deserti. 

XX IL  In  Roma  Emilia  Lepida,  cai  oltre  allo  splendor 
della  casa  far  bisavoli  L.  Siila  e  Gn.  Pompeo,  fa  accasata  di 
falso  parto  di  Pubblio  Quirinio,  ricco  e  senza  figliuoli;  e  di 
adulterii  e  di  veleni  e  di  pronostichi'  fatti  fare  da' caldei^ 
della  casa  di  Cesare.  Manìe  Lepido  suo  fratello  la  difendeva. 
Quirinio  ne  la  rimandò,  e  anche  perseguitandola-,  fece  in- 
créscer  di  lei,  quantunque  rea  e  infame.  Male  si  vide  come 
il  principe  la  intendesse;  tanto  variò  e  tramescolò  ira  e  cle- 
menza. Prima  pregò  il  senato  non  trattasse  di  maestà:  poi 
incita  Marco  Servilio,  stato  consolo,  e  altri  testimoni  a  dir 
su  cose  che  prima  accennò  le  tacessero.  Allargò  dall'  altra 
banda  i  servi  dì  Lepida  dalla  prigionia  de'  soldati  a  quella 
de' consoli,'  e  non  volle  che  fosser  martoriati  sopra  le  cose 
di  casa  sua:  e  che  Druse,  consolo  disegnato,  lasciasse  dire  a 
un  altro  il  parere.  Chi  l' attribuiva  a  civiltà  di  non  necessi- 
tare gli  altri  a  seguitarlo,  chi  lui  diceva  si  crudele  che  non 
arebbe  ceduto  il  suo  uficio,  se  non  per  dannarla. 

XXIII.  Facendosi  ne'  giorni  di  quel  giudizio  una  festa, 

*  *  corona  di  citiadino  saldato,  la  corona  destinata  a  chi  salva  xkù.  eìt- 
tadino. 

'  *  corno  le  collane  e  l'asta^  come  gli  aveva  donato  le  eollane  ec. 

'  pronostichi.......  della  casa  di  Cesare.  Non  ai  cerca  la  ventura  de' prin- 
cipi per  ben  nessuno.  —-* pronostichi.  U  Ms.  :  «  indovinamenti  ;  »  poi  cancellato 
e  riscritto  come  sopra.  « 

*  *  caldei ,  astrologhi,  indovini  ;  cosi  detti  perehè  la  loro  arte  vane  venne 
in  prima  della  Caldea. 

^  J Horgan..,  dalla  prigionia  de* soldati  a  quella  de* consoli,  più  larga. 
Vedi  la  postilla  3  del  sesto  libro.  —  * Vedi,  cio^,  lib.  VI,  cap.  3,  la  postilla  alle 
parole  «  prigionia  de' magistrati  ec.  » 


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IL  uno  TBftZO  MOLI  ANNALI.  135 

Lepida  enirò  nel  teatro  con  una  nobiltà  di  donne,  e  con 
pianti  e  strida  invocando  i  suoi  maggiori  e  Pompeo  (cai  era 
quella  fabbrica  e  vedeanvisi  le  sue  immagini),  commosse  tal 
pietà  e  pianto  cbe  maladivano  crudamente  Qairinio  e  chi 
aveva,  la  destinata  già.  per  moglìere  di  L.  Cesare  e  per  nuora 
d'Agosto,  affogata  a  cotal  vecchio  senza  roda,  contadino.^ 
Avendo  poscia  i  servi  tormentati  confessalo  V  enormeze  da 
lei;  le  fa  tolto  acqua  e  fuoco,  come  pronunziò  Rubellio  Blando 
seguitato  da  Druse;  se  bene  altri  volevano  meno  rigore. I  beni 
per  amor  di  Scauro,  che  n'  avea  una  figliuola,  non  andare 
in  comune.  Allora  finalmente  Tiberio  palesò,  che  sapeva 
da'  servi  di  Qairinio,  c<»ne  Lepida  il  volle  anche  avvelenare. 
XXIY.  Avendo  in  poco  tempo  perduto,  i  Calpurnii,  Pi- 
sene, e  gli  Emilii,  Lepida;  '  Decio  Silano,  rendulo  a'Giunii, 
racconsolò  l'avversità  di  tre  gran  case:  lo  cui  caso  dirò 
breve.  Agusto  fu  nelle  cose  publiche  felice  :  in  quelle  dì  casa 
sgraziato  per  la  figliuola  e  nipote  disoneste  :  le  quali  cacciò 
di  Roma,  e  fece  i  drudi  morire  o  fuggire,  facendo  tali  colpe 
divolgate  casi  di  stato  e  di  resia  ;'  faori  della  clemenza  delle 
antiche  e  delle  sue  stesse  leggi.  Ma  io  lesserò  la  fine  degli 
altri,  con  l'altre  cose  di  quella  età,  se  tanto  viverò  che  io 
riempia  le  ordite.  Decio  Silano,  giaciutosi  con  la  nipote  d'Ago- 
sto, se  ben  Cesare  non  fece  che  disdirgli  V  amicìzia,  lo  in* 
tese  e  si  prese  V  esilio  :  né  osò  chiederne  grazia  se  non  al 
tempo  di  Tiberio  col  caldo*  di  Marco  Silano  suo  fratello, 
potente  per  grande  facondia  e  nobiltà:  dal  quale  Tiberio  rin- 
graziatone in  senato,  rispose  rallegrarsi  anch'  egli  che  il  fra- 
tei  di  lui  fosse  di  lungo  pellegrinaggio  tornato  :  e  con  ragio- 
ne, poiché  né  senato,  né  legge  il  cacciò;  ma  terrebbe  ferma 

<  *  contadino  i  qui  per  nomo  ignobile. 

Se  gli  Emilii,  Lepida»  Vist»  la  correcione  del  Mercert ,  mi  correggo 
coti  :  «  Beoio  Siboo  reodato  t'  Giunii  ristorò  le  odiose  perdite  fatte  in  poco 
tempo,  i  Calpurnii  di  Pisone  ,  e  gK  Emilii  di  Lepida.  »  {*) 

i  '  edi  rMM.  La  tradmìone  del  Dati  sarà  conmienlo.  «  Imperocché  quando 
egli  arveni^a  che  tali  colpe  intra  gli  n<miini  e  le  donne  commesse  venivano  di- 
vorate ,  egli  allora  allegando  di  venirne  offéso  la  religione  e  violato  le  leggi  della 
maestà,  si  discoatava  dalla  clemenaa  de*  nostri  antichi  e  dalle  kggi  sue  mede- 

*  *  col  caldo.  Il  Lat.:  •  potentid.  » 

(*)  Postula  detta  «ioaUna,  nansaBle  nelle  altre  edbkmi. 

li* 


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126  IL  LIBBO  TBB80  DBGLI  AMICALI. 

r  offesa  e  disposizione  di  suo  padre  contro  di  lui.  Cosi  po- 
scia visse  in  Roma  sicoro,  ma  esoso.  *■ 

XXV.  Propesesi  di  moderare  la  legge  papia  peppea^olie 
Agnslo  già  vecchio,  dopo  le  gialie,  fece' por  muovere  gli 
smogliati  con  le  pene  '  e  per  ingrassare  il  fisco:  '  né  perciò 
crescevano  (mellendo  più  conte  V  essere  scapolo)  i  mogliazi 
nò  i  figlinoli, ma  i  rovinati:  sovvertendo  i  cavilli  de' cerca- 
lori  ^  ogni  casa.  E  dove  priaui  per  le  peccata,  allora  per  le 
leggi  si  tribolava.  Il  che  m' invita  a  dire  pia  da  alto  l' ori- 
gine della  ginsiiaia,  e  come  le  leggi  siano  a  questa  infinità 
e  varietà  pervenute. 

XXYI.  Yiveano  i  primi  mortali*  senza  reo  appetito. 


*  sicttrOf  ma.  esoso.  Pronuiniasi  l'una  e  l'altra  s  come  esito,  uso, 
esilio,  esulo s  e  sigBÌ6ca  esoso  propriannanaate  un  ciltodìno  mal  mto  e 
in  disgrafia  dello  aUto  che  regge ,  che  noo  ha  cagioni  di  panùlo  ;  ma  oon  Io 
può  vedere ,  e  non  gli  da  onori. 

*  fer  muovere  gU  smogliati  con  le  pene  :  —  «  Incitandis  coflibum  pte- 
nis:  -  è  un  tacitismo;  aeèoodo  il  quale  ai  pnò  dire,  per  aecrescere  agii  smo' 
gitati  le  pene.  E  forse  ci  ha  scorrezione.  Morirono  nella  guena  civile  ottanta- 
mila da  portar  arme.  Giulio  Cesare  fece  forte  leggi  perchè  la  gente  sLmaritaase. 
Agusto  tutte  le  ridusse  a  una,  e  li  fece  dire,  non  sua,  ma  papia  poppea, 
da' nomi  de' consoli  di  quell'anno  763,  p«T  li  mobi  lacci  e  oncini  aggiuntivi 
alle  facoltà  de' privati;  tali,  che  Severo  imperadofc  e  li  fcgoenti  gi«reéoMtiUi 
tutte  (jueste  e  simili  ipique  leggi  papié  annullarono. 

5  e  per  ingrassare  il  Jisco.  Questa  era  Tintenzion  principale  e  l'anima 
della  legge.  Andavano  dottoretti  storcileggi  (*),  messi  al  teno  o  alla  metk  del 
gvadaf^o ,  a  cercar  le  case  e  levar  le  scritture ,  per  trovare  clu  godesM  lasci 
o  redità  contro  alla  legge  ;  la  quale  storcendo  per  modi  iniquissimi  erano  con 
loro  sicarie  armi  legali,  delli  stati  d'ogn'uno  ammasatori. 

*  *  eU^  cercatori.  Il  Lat.:  «  delatorum,  n 

B  Viveano  i  primi  mortali.  GonUno  gli  scrittori  del  Mondo  Nuovo 
come  nella  costa  a  mezo  dì  dell'isola  Spagnuola  viveano  gli  uomini  in  que- 
ato  vero  secolo  d'oro  (**).  Non  v'  era  mio  ne  tuo ,  cagione  di  tutti  i  mali  j  non 
fòssi ,  non  mura  o  siepe  gli  divideva  j  U  terra  eia  «ornane  come  l' acqua  e  il 
sole,  f  ogni  cosa  (di  ai  poco  creo  contenti)  Iobo  avaiMUiva;  e  amando  il  giusto 
pernatura, e  gl'ipg»miosi cornei  canibali  od^do,  nb  leggi  dà  giu^à  cpno- 
secano  ne  signorie.  Quinci  si  può  argiwMQtare  vedendo  i  paesi  vw  e  salvali* 
chi,  per  la  veputa  de' forestieri,  perdere  la  loro  htàU  semplicitade ,  e  acqui- 
stare lumie  splendori  di  nuove. arti,  sAiAose  e  ooatami,  ma  con  ea«i  misera 
servitù,  g9err«,  desolaaioni,  e  ritprnare  la  primaia  lalvatièlieMa   dopo  lungo 

n  MoniUit*  m«M«  neUa  Siurtina.  Ma  nsU'eseflBplan  postìUcto  del  Conto  Mwrtart  v>è 

aggionto  a  penna. 

n  Nella  Giuntina  oomincU  éoù:  «  Pietro  Martire  d' A^gier»  milaoeae,  dal  consiglio 
dell'Indie  presso  il  re  cattolico,  nel  fine  del  teno  del  Mondo  nuovo»  eonta  come  nella  eosta  a 
ineio  dì  dell'isola  Spagniuola  viveano  .gli  wmini  in  qoeat»  vera  laeolo  4^ et».  » 


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IL   LIBRO  TERZO  DEGLI  ANNALI.  137 

lordara  p  scelleraggine  alcana,  e  perciò  senza  Creai  o  pene. 
Non  vi  occorrevano  premi,  volendosi  per  natura  ti  bene;  non 
minacce  di  pene,  non  usandosi  il  male.  Tenutane  la  disu- 
gualità, e  in  luogo  della  modestia  e  vergogna,  V  ambizione  e 
]fl  forza  ;  le  signorie  montaron  su ,  e  molti  popoli  le  banno 
patite  eterne.  Alcuni  da  principio,  o  quando  stuccati  furoo 
de'  re,  vollero  anzi  le  leggi.  Queste  ne'  primi  animi  rozi  for 
semplici  :  le  pia  famose  diedero  Mìnos  a'  Candiaai,  Licurgo 
atli  Spartani  :  poscia  Solone  più  squisite  e  numerose  alli  Ate- 
niesi. Noi  resse  Rcmiolo  a  suo  senno.  *  Noma  acconciò  il  po- 
polo a  religione*  e  divinità. Qualche  cosa  trovarono  Tulio  e 
Anco  ;  ma  Servio  Tullio  fu  sovrano  datore  di  leggi  da  ubbi- 
dirsi ancora  dai  re» 

XKVIL  Cacciato  Tarqoinio,  il  popolo  contro  a' discor- 
danti padri  molto  provvide  per  difender  libertà,  e  pace  fer- 
mare, e  si  creare  i  dieci:  e  raccolto  ovunque  fasse  il  miglio- 
re, ne  foron  compilate  le  dodici  tavole,  ov'  è  tutta  la  buona 
ragìone.PercJiè  le  leggi  dipoi,  se  bene  alcune  contro  a'ma'fat- 
tori,  le  più  furono  violente  per  discordie  de'  nobili  con  la 
plebe;  per  acquistare  onori  non  leciti,  cacciare  ì  grandi  e 
altri  mali.  Cosi  i  Gracchi,  i  Saturnini  soUevaron  la  plebe: 
e  Druse  non  meno,  in  nome  del  senato'  donando.  Così  fu- 
rono i  collegati  nostri  con  isperanze  allettati,  o  per  contra- 
sti *  beffati.  Né  nella  guerra  d' Italia,  e  poi  civile  si  lasciò  di 
far  leggi  assai  e  contrarie  :  le  quali  avendo  L.  Siila  dettatore 
annullate,  racconce  e  molte  più  arroto,'  la  cosa  fermò:  ma 
per  poco, per  li  scandolosi  ordini  di  Lepido, e  poco  appresso 
per  la  fenduta  licenza  a'  tribuni  di  fare  il  popolo  a  lor  modo 
ondeggiare.  E  già  si  facevano  leggi,  non  pure  in  generale, 


giro  di  secoli.  Che  se  il  mondo  dorasse  tanto ,  tutta  la  terra  partecip«reU»e 
egualmente  di  tutte  le  um»B«  oscurità ,  e  di  tutti  gli  splendori  a  vioetda^  come 
delle  tenebre  e  della  luce  del  sole. 

*  *  a  suo  senno.  Il  Ms.  x  «•  a  modo  sno|  m  poi  corretto^ 

*  *  a  religione,  fl  Lat.:  m  religionihtés.....  devkunt,»  colle  saer«  «erimooi^ 
'  *  in  nome  del  senato.  Il  Lat«:  ttnomine,  *•  sotto  pietesto.  Questo  M.  làvio 

Dmso  seppe  cosi  bene  coprire  i  suoi  fiati  ohe  Cicerone  {pito  MiL  7 )  lo  cbiavM 
«  propugnatore  e  quasi  patrono  del  senato.  » 

*  *  per  contrasti:  e  riscritto  sopra,  per  apposizioni.  Vedi  Ms. 

*  •  arrote,  aggiunte. 


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12S  IL  LIBftO  TBIZO  DBGLI  ANNALI. 

ma  eontra  particolari  :  e  nella  repnblica  corrottissima ^  leggi 
assaìssimo.  ^ 

XXVIII.  Allora  Gneo  Pompeo  nel  terzo  suo  consolato 
fatto  riformator  de' tostami,  e  più  che  i  peccali  i  rimedi 
saoi  nocendo,'  e  le  sne  leggi  egli  stesso  guastando;  quello 
ch'egli  con  Tarmi  difendeva,  con  l'armi  perde.  Dipoi  per 
Tenti  anni  fa  discordia  :  non  costume,  non  giustizia  :  franco 
il  mal  fare,  il  bene  spesse  volta  rovina.  Agusto  finalmente 
nel  sesto  consolato,  assicuratosi  nello  stato,  le  iniquità  co- 
mandate nel  triumvirato  annullò,  e  ci  die  leggi  da  pace, 
sotto  principe,  il  quale  poi  ne  ristrinse,^  e  miseci  cercatori 
a  rifrustare  chi,  senza  poter  esser  padre,  tenesse  lasci,  per 
la  legge  papia  poppea  ricadenti  al  popolo  romano  comune 
padre.  Ma  essi  per  agonia  dà  loro  stregue  *  passavano  i  ter- 
mini, e  rapinavano  le  città  e  V  Italia,  e  ciò  eh'  era  di  cil^ta- 
dini.  Molti  rimasero  ignudi,  e  gli  altri  lo  si  aspettavano.  Ma 
Tiberio  trasse  per  sorte  cinque  consolari,  cinque  preterii  e 
cinque  semplici  senatori  che  dichiararon  di  quella,  legge  i 
sani^  intendimenti,  e  per  allora  un  poco  si  rispirò. 

XXIX.  In  quel  tempo  Tiberio  pregò  ì  padri  che  faces- 
sero Nerone,^  figliuòl  maggiore  di  Germanico,  già  fatto  gar- 
zone, abile  alla  questura  senza  esser  seduto  de' venti,  ^  e 


'  nella  republica  eorrotUssima  »  leggi  assaissime.  la  camen  del* 
r infermo,  qiundo  peggiora,  gli  alberelli  e  l'ampolle  moltiplicano  e  l'appa- 
iano, e  Ini  aggravano  e  6niscono..(*) 

'  *  nocendo.  Aveva  scrilto  «  danneggiando;  »  quindi  corresse.  Vedi  Ms. 

'  *  il  quale  poi  ne  ristrinse  ec.  Non  è  chiaro.  Cosi  il  Valeriani  :  «  Egli  i 
iociali  vincoli  rinforsò  ;  pose  spie ,  e  per  la  legge  papia  poppea  le  anioaò  co'  pre- 
pù ,  perchè  a  chiunque  mancasse  ragion  di  padre,  qual  padre  comune  il  popolo 
nelle  vote  ereditai  succedesse.  » 

*  *  per  agonia  di  loro  stregua ,  per  aviditli  dello  scotto  che  ne  guada- 


^*i  sani»  Nel  Ks.  :  «  i  puri  ;  »  poi  è  corretto. 

>  *  Lo  fece  poi  uccidere  nell' isola  Pomia  (Svet.  in  Tib.  6A). 

^  *  Il  magistrato  de'  Venlunviri  era  1'  adito  alla  questura  e  agli  altri  onori 
della  repubblica.  Gomponevaai  di  tre  giudici  delle  cause  capitali  (triumviri  capi- 
tales)  j  di  tre  depuUti  a  contare  il  danaro  (  triumviri  monetales  )  j  di  quattro  a 
earare  le  vie  urbane  {tfuatuor  viarum  curatore*  )  t  e  ^  <lùci  a  giudicare  le  liti 
{decemviri  litibus  iudicandis). 

o  eseniplare  del  Conta  Moitara  :  «  s'e'non  aggra- 

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IL  LIBRO  TBRZO  DEGLI  ANNALI.  129 

aom  €inqae  avanti  le  leggi,  non  senza  ri8o  de'  pregati.  * 
Tanto  (diceva  egli)  fu  concedalo  a  Ini  e  al  fratello  a*  preghi 
d'Agosto.  Che  se  ne  dovcitton  sogghignare  '  ancora  allora  :  ma 
r  alteza  de'  Cesari  era  novella  ;  gli  antichi  modi  più  in  su 
gli  ocelli;  e  meno  strignevano  quo'  figliastri  al  patrigno,  che 
questo  nÌ4>ote  all'  avolo.  Fatto  fu  adunque  e  questore  e  pon- 
tefice ;  e  un  donativo,  quel  di  eh'  ei  prese  il  grado^  alla  plebe 
allegrissrma  per  vedere  a  un  figliuolo  di  Germanico  già  le 
caluggini;  e  più. poi  per  le  noze  sue  con  Giulia  figlinola  di 
Druso.  Dispiacque  bene  che  Seiano  si  destinasse  suocero  del 
figliuolo  di  Claudio;  parendo  ch'ei  macchiasse  si  nobil  fa- 
miglia, e  s' innalzasse  uno,  già  sospetto  di  troppo  aspirare. 
XXX.  Nel  fine  di  queir  anno  morirono  due  grand'  uo- 
mini, L.  Volusio  di  famiglia  antica,  ma  non  più  che.  proto- 
ria  :  egli  vi  mise  il  consolato  ;  fu  censore  a  fare  de'  cava- 
lieri  ;  e  delle  smisurate  riccheze  di  quella  famiglia  primo 
ammassatore:  e  Crispo  Salustio,  nato  cavaliere,  nipote  della 
sorella  di  quel  Gaio  Crispo  Salustio  fioritissimo  scrittore  di 
storie  romane,  che  lo  fete  di  quella  famiglia.  £  poteva  aver 
tutti  gli  onori  ;  ma  imitò  Mecenate  :  e  senza  esser  senatore 
fu  più  potente  che  molti  consoli  e  trionfatori.  Tenne  vita 
contraria  all'antica:  ricca,  dilicata,  splendida  e  quasi  pro- 
diga: fu  di  animo  vigoroso;  da  gran  negozi,  e,  per  fare  l'ad- 
dormentato e  il  freddo,  di  cotanto  più  vivo.<?  In  vita  di  Me- 
cenate, secondo,  poi  primo  fu  nel  consiglio  di  quei  principi: 
trattò  la  morte  d' Agrippa  Postumo  :  invecchiato,  mantenne 
anzi  r  apparenza  che  la  grazia  del  principe ,  come  altresì 

*  *  non  sema  riso  de*  pregati.  Era  da  riclere  che  Tiberio  chiedesse  ciò  che 
il  senato  non  poteva  ornai  negargli.  Ben  è  vero-  che  Augusto  fece  già  una  simil 
domanda  a  favore  di  Tiberio  e  del  fratel  di  lui  Druso.  Ma  sebbene ,  dice  Tacito, 
anche  allora  dovettero  riderne  alquanto  i  padri,  pure  ve  n'era  minor  motivo  che 
mcm  adesso;  pfima,  perche  l*usansa  repubblicana  di  consultare  il  senato  era  più 
recente ,  e  voleva,  almeno  in  apparenza,  rispettarsi  ;  secondo,  perchè  trattandosi 
allora  di  figliastri  e  non  d'un  nipote  come  ora,  i  padri  potevano  credersi  più 
liberi  di  andare  contro  la-  volontà  del  principe. 

^  *  sogghignare.  Aveva  scritto  ,«  sorridere  ;  m  ma  corresse.  Vedi  il  Ms. 

'  e,  per  fare  V addormentalo  e  il  freddo,  di  cotanto  più  vivo.  Tale 
era  Zanobi  Bartolini  potente  e  savio  nostro  cittadino,  e  molto  grasso ,  il  quale 
dando  a  un  beccaio  udienza  con  gli  occbi  chiusi,  quei  disse,  Dormite  foif 
rispose,  Sì,  e  sognava  di  farti  mozar  gli  Qrecchi  :  dì  su. 


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130  IL  LIBAO  TBKZO  DB6LI  ANNALI. 

Mecenale;  0  sìa  fatale  della  pQteo.ia,  *■  manlenersi  di  rado 
insìno  air  oUimo;*  o  perchè  quando  non  rimane  più  a  quelli 
£he  dare  né  a  questi  che  chiedere^.si  vengono  a  noia. 

XXXI.  [A.  di  R.  774,  di  Cr.  21.]  Viene  il  consolato  quarto 
di  Tiberio,  e  secondo  di  Proso,  notevole  per  tale  compagnia 
di  padre  e  figliuolo.  La  medesima,  due  anni  fa,  con  Germa- 
nico nipote,  non  fu  tanto  stretta  per  natura  né  grata  a  Tibe- 
rio. Il  quale  nel  principio  di  quest'  anno  se  n'  andò  quasi 
a  pigliare  aria  in  Terra  di  Lavoro,  pensando  voler  fare 
stanza  lunga  e  continua  fuor  di  Roma,  o  per  lasciare  a  Druse 
solo  governare  il  consolato.  E  per  ventura  d*  una  eosa  picco- 
la, venuta  in  gran  contesa,  s' acquietò  grazia  il  giovane.  Do- 
mizio  Corbulone  stato  pretore  si  dolse  in  senato  che  L.  Siila 
nobile  donzello,  allo  spettacolo  degli  accoltellanti,  non  gli 
aveva  ceduto  il  luogo.  L'età,  l'usanza,  i  vecchi  erano  per 
Corbulone:  per  Siila,  parenti  suoi,  e  Mamerco -Scauro  e 
L.  ArunziOk  Di  qua  e  di  là  dicerìe:  '  esempi  di  gran  pene  an- 
tiche date  a' giovani  non  riverenti.  Druse  parlò  molto  accon- 
cio al. quietargli,  e  Mamerco  zìo  e  patrigno  di  Siila,  e  di 
quella  età  facondissimo  oratore,  quotò*  Corbulone.  Il  quale 
facendo  remore  che  molle  strade  d' Italia  eran  rotte  e  non 
abilevoli  ^  per  misleanza  de' conducenti  e  tracuranza  de' ma- 
gistrati, le  prese  a  rassettare.  Poco  giovò  al  publico  e  rovinò 
molti,  a  cui,  condannando  e  incantando,'  tolse  crudamente 
beni  e  onore. 

XXXII.  Tiberio  appresso  scrisse  al  senato  che  Tacfari- 
nate  metteva  di  nuovo  sozopra  l'Affrica:  scegliessero  un  vi- 
ceconsolo soldato,  robusto,il  caso''  a  queslaguerra.  Sesto Pom-' 


*  della  potenxa,  mantenersi.  Nel  qutarto  dice  eh«  por  h  mmt«Dii«M.  Le- 
pido, e  discorre  tra  ìì  fato  e  la  prudensa ,  quale  ba  più  potere. 

*  *  insino  all'ultimo.  Nel  ì/b.:  «  essendo  faUle  alla  poteou  di  rado  raggera 
insino  alla  fine;  «  poi  corregge  :  «  mantenersi  inaino  alla  fine  di  radoj  »  e  di 
nuovo  ricorregge  come  sopra. 

>  *  dicerie.  Aveva  scritto  «  orasiom  ;  *•  poi  corresse.  V«di  il  Ma. 

*  *  quetà.  Nel  Ms  ;  «  fermò  ;  **  corretto  «  acquetò  ;  «  e  finalmente  «<  qoetò.» 
B  *  non  abiteuoli.  11  Lat.  t  «  impervia.  »  Detto  delle  strade,  in  senso  d' im- 

praticqbilit  manca  nel  Vocabolario. 

B  *  incantando ,  mettendone  i  beni  all'asta. 
^  *  il  caso.  Vedi  la  nota  6  a  pag.  iS. 


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a  UBaO  TBKXO  DB«LI  ANNALI.  431 

peio,  con  qaesta  presa*  di  nìmÌGare  Mareo  Let>ido,  lo  diase  da 
niente»  morto  di  fame,  vergogna  di  casa  saa:  perciò  non  si 
mandasse  in  Asia,  benché  toccali  per  tratta.  Il  senato  per  lo 
contrario  lo  dieef  a  benigno  e  non  dappoco  :  povertade  che 
non  macchia  gentilexa,  loda  essere,  non  vergogna:  cosi  fa 
mandato  in  Asia,  e  rimesso  in  Cesare  a  cui  dar  T  Affrica. 

XXXIII.  Allora  Severo  Cecina  disse  per  sentenza  che 
in  reggimento  non  s'andasse  con  traino  dì  moglie,  avendo 
molto  replicato  che  qaesto  sno  volere  per  lo  pnblico  V  aveva 
per  se  osservato,  e  quaranta  volte  che  egli  era  andato  (bori 
alla  goerra,  tennto  in  Italia  la  donna  sna  pacefica  e  m^dre 
di  sei  figlinoli.  «  Non  a  caso  già  essere  stato  vietato  lo  'mpa- 
nio  *  delie  donne  per  li  paesi  amici  o  stranieri;  perchè  arreca 
nella  j>ace  spesa,  e  nella  gnerra  paara;  e  nel  marciare  assem- 
bra il  romano  campo  al  barbaro.  Essere  le  donne  di  briga,' 
fieboli  alle  fatiche,  e,  se  ta  le  lasci  fare,  crudeli,  ambiziose, 
comandatrici:  mettersi  in  fila  tra' soldati,  fare  le  maestresse 
co'  centurioni;  Aver  fatto  una  donna  *  pur  testé  le  compagni^ 
addestrare,  le  legioni  torneare.  Trovarsi  ne' sindacali,  delle 
sei  malefatte  '  le  cinque  venire  dalle  mogli.  I  peggiori  delle 
Provincie  far  capo  ad  esse:  esse  pigliare,  esse  finire  i  nego- 
zi: due  personaggi  corteggiarsi:  a  due  ragion  chiedersi.- A'su- 
perbi  e  perfidi  comandari  donneschi  essere  state  già  dalle 
leggi  oppio  o  altre,  legate  le  mani  ;  ora  che  sciolte  i'  hanno, 
regger  le  case,  i  tribunali  e  gli  eserciti  oggimai.  » 

XXXIV.  A  pochi  piacque  questo  parlare,  e  mòlli  lo  in- 
terrompevano dicendo  che  la  cosa  non  era  siala,  proposta, 
né  Cecina  di  tanto  negozio  degno  riformatóre^  A  cui  A^alerio 

*  *  con  questa  presa,  con  quésto  appiglio  ,  con  questa  opportunità.  Nel 
Ms.!  «  Sesto  Pompeo,  presa  questa  maniera  di  nimicare  M.  Lepido  ec.;»  poi  cor- 
resse come  sopra. 

^  *  lo  *mpanio ,  l' impaccio ,  1'  ÌRgom1)ro. 

'  *  Essere  le  donne  di  briga*  Aveva  scritto  <*  sconce  ;  »  poi  corresse  «  di 
Lriga.  «Vedi  il  Ms. 

*  *  una  donna  j  ciofe,  Plancina. 

'  *  malefatte.  Malefatta  pare  che  qui  sìgnificlii  ciò  che  con  vocaholo  in- 
franciosato dicesi  ritalversaxSone  »  cioè  gi^ave  fallo  commesso  nel  reggere  qualche 
pubblico  ufficio.  Alla  Crusca  manca.  Il  testo  latino  dice  ;  «  quoties  repetunda' 
rum  aliqui  arguerehtur,  plura  uxoribus  obieciari;  »  cidè,  ogni  volta  che 
cadesse  processo  di  concussione,  di  molte  cose  se  ne  dava  colpa  alle  mogK. 


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i32  IL  LOWO  TBKZO  DBGU  ANMALI, 

Messalino,  riiraeoie  4alla  facondia  di  Messala  sao  padre  ri- 
spose: ce  Molte  dareze  degli  antichi  sono  ammollite  e  miglio- 
rate; perchè  non  avendo  noi  pia  Roma  da  guerre  assediata^ 
né  provincia  nimiche,  possiamo  far  delie  spese  proprie  per 
le  donne, che  non  gravano  le  case  de'  mariti,  nftn  che  i  vas- 
salli: l- altre  cose  opposte  esser  comuni  co  'I  marito,  e  non 
da  sollevare.  *  Al  combattere  si  vuol  bene  uscire  spedito,  ma 
nel  ritorno  dalle  fatiche  qual  conjorto  più  onesto  che  la  mo^ 
glie?  Alcune  sono  state  ambiziose  e  avare  si,  m»  gli  stessi 
reggitori  son  eglino  tutti  Fabbrili?  E  pure  se  ne  manda  a 
regger  provincie.  Hanno  molte  mogli  guasto  i  mariti  :  adun- 
que tutti  gli  smogliati  son  santi? Le  leggi  oppie  fersi  perchè 
quei  tempi  le  richiedevano  ;  fur  poscia  allargate  e  mitigate, 
perchè  fu  spediente.  Se  la  donna  esce  de'  termini,  questo  è 
(chiamiamola  per  lo^ome  suo)  dappocaggine  del  marito.  Non 
si  dee  a  posta  d' alcuni  milensi  levare  a'  mariti  le  loro  con- 
sorti '  de'  beni  e  de'  mali^  e  lasciare  questo,  frale  se^so  scom- 
pagnato in  preda  alle  vanità  sue  e  alle  voglie  aliene.  Appena 
si  campano  con  gli  occhi  addosso:  che  farebbero  sdimenticate 
gli  annii,'  e  quasi  rimandate?  Rimediate  a' minori  disordini 
difuori  :  ma  pensate  anco  a'  maggiori  della  città.  )»  *  Sog- 
giunse DrnsOf  che  aveva  moglie  anch'  egli  ;  «  Convenire  a 
chi  è  principe  rivedere  spesso  le  parti  lontane  dell'imperio. 
Quante  volte  essere  lì  divino  A  gusto  con  Livia  ito  in  levante 
e  in  ponente?  ed  egli  in  lUiria?  e  altrove  andrà,  bisognan- 
do, ma  non  di  buone  gambe,  dovendo  ogni- volta  schiantarsi 
dalla  sua  dolcissima  moglie,  onde  ha  tanti  figliuoli*  »  Cosi  fu 
scartata  la  setltenza  di  Cecina. 


*  *  e  non  da  solievare,  e  non  tali  da  guastare  la  pubblica  tnoqmllità. 

^  *  le  loro  consorti  te.  Lat  «  «  consorlia  rerum  secundarum  adyerta- 
rumque.  »  G.  Dati  ;  «  Era  certo  coia  iniqua  il  volere ,  apposta  d*  uno  o  di  due 
che  peccavano  per  fiacchena,  tórre  a  tutti  gli  altri  le  mogli  le  quali ,  o  bene  o 
male  che  cuccedesser  le  cose,  eran  sempre  compagne,  refrigerio  e  conforto  delor 
mariti.  ** 

'  *  sdimenticate  gli  «nnij  lasciate  sole  per  molti  anni; 

*  *  Questi  due  discorsi  di  Cecina  e  di  Valerio  Messalino  si  vogliono  con- 
frontare con  i  due  di  M.  P.  Catone  e  di  L.  Valerio,  sopra  conforme  soggetto,  che 
si  leggono  in  T.  Livio  nel  principio  del  lib.  XXXIV.  Di  qua  e  di  là  V  eaito  fu 
uguale:  la  vinsero  le  donne. 


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IL   LIBftO  TUZO  DE6LI  ANNALI,  133 

XXXV.  1/ altro  dk  di  senato  Tiberio  per  lettera,  fian- 
cheggiati li  padri  *  del  sempre  a  Ini  rimettere,'  nominò  per 
viceconsole  in  Affrica  Marco  Lepido  o  Giunio  Bleso.  Farono 
aditi.  Lepido  faceva  grandi  scase  di  cagionevole;  figlino'  pic- 
coli; una  fancialla  a  maritare;  e,  intendevasi  senxa  dirlo,  che 
Bleso  (che  fratello  era  della  madre  di  Seiano)  io  scavallava.' 
Bleso  fece  cìrìmoniosa  ricosa,  e  latte  le  voci  ebbe  per  adu- 
lazione. 

XXXVL  Un  rattennto  dispiacere  di  molli  allora  scop- 
piò. Ogni  ribaldo,  ritirandosi  ad  una  immagine  di  Cesare , 
poteva  dire  a  ogni  nomo  da  bene  ogni  brottnra:  schiavi,  li- 
berti con  voce  e  mani  spaventavano  il  padrone.  Gn.  Cestio 
senatore  disse:  «  Essere  i  principi  come  gl'iddìi:  ma  gl'id- 
dii  non  ascoltare  i  preghi  tnginsti;  e  ninno  in  campidoglio  o 
altro  tempio  fnggire  per  aiate  a  far  male.  Essere  annullate, 
sprofondate  le  leggi,  da  che  nel  foro,  in  sa  la  porta  del  se- 
nato, Annia  Rnlfilla,  per  averla  egli  fatta  dannare  dal  giu- 
dice per  falsarda,  gli  dicea  vitapèri  con  minacce:  né  ardiva 
chiederne  ragione,  stando  ella  sotto  la  statua  dell' imperado^ 
re.»  Altri  di  simili  cose  e  piò  atroci  romoreggiavano  intorno 
a  DrÌEiso,  pregandolo  a  farne  dimostranza.  Finché  ei  la  fece 
prendere,  e,  convinta,  incarcerare. 

XXXYIL  Gonsidio  Equo  e  Celio  Cursore  cavalieri,  per 
ordine  del  principe  e  partito  del  senato,  fnron  puniti  di  falsa 
querela  di  maestà,  data  a  Magio  Ceciliano  pretore.  Dell'uno 
e  dell'altro  giudizio  Druse  ebbe  loda,  e  col  mescolarsi  e  ra- 
gionare con  la  gente,  mitigava  la  tanta  ritirateza  del  padre, 
e  piaceva  più  vederlo  spendere  il  giorno  in  ispettacoli,*  la 
notte  in  cene,  che  rinchiuso  fantasticare  di  cose  rematiche^ 


*  *JlatteheggiaUli padri,  Anto  nc'fiancbi  a* padri;  cioè  pungendogli  di 
fianco ,  obli({namente.  Il  lat.  ;  «  eatUgatis  oblique  patribtts.  *» 

'  *  rimettere:  sottintendi  gli  affari. 

'  *  /o  scavallava,  lo  getUva  giù  da  cavallo;  cioè,  ne  poteva  più  di  lui,  e 
perciò  sarebbe  stato  inutile  il  concorrer  con  esso. 

♦  in  ispettacùli.  Leggo,  come  il  Lipsio,  ediUonibtts ,  idest  ludorum. 

»  cose  rematicke.  Berna  dicevano  i  nostri  antichi  con  grpco  vccaliolo 
la  scesa  che  cade  del  celabro.  Vedi  il  maestro  Aldobrandino.  A  noi  e  rimasa 
la  voce  aeriraU.  E  diciamo  rematicke  le  cose  malagevoli  e  fastidiose ,  che  per 

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134  IL  LIMO  TSKEO  MOLI  AMNAU. 

e  odiose,  che  Tiberio  e  le  «pie  gli  pergeTano  lotto  di  senza 
vernno  sollazo  o  risqoitto.  * 

XXXYIII.  Ancario  Prisco  accasò  Cesio  Cordo  vicecon- 
séko  di  Candia  di  ladroneccio  e  di  maestà;  suggello  allora 
d'ogni  aecQsa.  E  Tiberio  volle  che  Anlislio  Yetere  de' grandi 
di  Macedonia,  assoluto  d'adulterio  (che  i  giudici  ne  rabbuf- 
fò)» tornasse  a  difendersi  di  maestà,  come  soUeTatore  e  con- 
sigliere di  Rescppori,  quando  egli  ammazò  Coti  e  ci  volle 
far  guerra.  Onde  fu  condennato  a  prigionia  senz'  aequa  né 
fuoco,  in  isola  lungi  da  Tracia  e  Macedonia:  per  cagione  che 
la  Tracia,  divisa  tra  Remetake  e  i  pupilli  di  Coti,  al  nuovo 
nostro  governo  e  di  TrebelUeno  Rufo  lor  tutore  calcitrava,  e 
non  meno  che  lui  maladiva  Remetake  che  cosi  laeciasse  i 
loro  popoli  divorare.  Presero  Tarmi  Celaleti,  Odruai  e  altri; 
nazioni  forti  con  capi  discordi,  egualmente  mal  pratichi, che 
non  seppero  unirsi  e  far  guerra  da  vero.  Chi  diede  il  guasto 
al  paese,  chi  passò  il  monte  Emoa  condueer  gente  lontana: 
i  più  e  meglio  ordinati  assediaro  il  re  e  la  città  di  Filippopo- 
li,  posta  già  da  FiHj^  di  Macedonia. 

XXXIX.  Qnando  tali  cose  intese  P.  VeUèo  generale  del 
vicino  esercito,  spinse  i  più  spediti  cavalli  e  pedoni  addosso 
a  quelli  sparsi  che  andavano  predando  o  caendo*  aiuti.  Egli 
co'i  forte  della  fanteria  andò  a  levare  l'assedio,  e  tutto  ven- 
ne bene.  I  predatori  furono  4iecisi:  tra  gli  assedienti  nacque 
discordia:  il  re  usci  fuori,  appunto  arrivata  la  legione,  e  fe- 
cesi  (non  merita  dirsi  giornata)  macello  di  male  armati,  sa- 
lati, e  senza  nostro  sangue. 

XL.  Nel  detto  anno  cominciarono  le  città  galliche,  affo- 

fiaM  pensau  smnovon  rema  e  catarro  dalla  testa  afiticaU  (*).  Non  viene  da  aro- 
moti,  che  sono  atili  e  noa  dispìaceroli  (**). 

*  *  risqtiiUo.  Vedi  la  nota  3  alla  pag.  19. 

'  *  coendu  ^  cercando  :  verbo  difettivo  antitioato. 

0  Nel  Ma.  magUabflchiano  qaesia  postilla  ò  più  langa;  ma  quel  cb«  v»è  ai  più  è  oaa- 
cenalo,  ed  eoeo  quel  che  dice:  «  Pigliarsi  una  faccenda  per  iscesa  di  testa  diciamo  qaando  in 
essa  non  vogliamo  pensare  ad  altro;  come,  non  lia  molto,  dine  in  publlco  nn  vaìentaonwdi 
!  V*  r?*  T*!*  *"  ^•^  '  •  «>«e  «eli  àis9»  eoel  fece.  Cereo»  brfgb,  niee  en  molti,  acrisie 
a  Yenezta,  e  Ubri  squadernò.  Ma  io  avendo  fatte  eoi  no  e  i«n  mai  debito^  fai  aempN 

Ben  tetragono  al  colpi  di  voilnra.  » 

n  Da»  Ms.  si  vede  che  da  prima  pendeva  per  qoesta  opinione;  peroecbè  vi  si  legge: 
«  Pare  che  rematlelae  forse  venga  da  aromatiche,  ebe  soglioop  dispiacere  al  gnsto.  »  OdBA  can- 
cella e  «scrive:  «Ma  gU  aremati  non  sene  da  esser  tacili,  ansi  Mtatlfeti.»  «"^""^ 

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IL  UBBO  TJUZO  MMLI  AMMALI.  lg{S 

gale  iie'debitU  a  ribellarsi/  forte  stimolate  da  Oiolio  Floro 
ne'Treviri,  e  da  Sacroviro  nelli  £dqi,  pad  di  nobiltà  e  me- 
riti de'loro  antichi,  perciò  fatti  cittadini  Romani:  raro  do- 
no, e  per  virtù.  Costoro  segretamente  tirano  a  se  i  più  fero- 
ci, rovinati  e  necessitati  a  mìsfare'  per  gastighi. fuggire:  e 
convenjfono  che  Floro  sollievi  i  Belgi,  e  Sacroviro  i  vicini 
Galli.  Parlano  dunque  in  brigata  e  ne' cerchi  scandolosamente 
de'contìnui  tcibuti,  delle  enormi  usure,  de' crudeli  e  superbi 
governantL  «  I  soldati,  morto  Germanico,  discordare;  vero 
tempo  dà  ripigliar  libertà,  se  essi  nel  fiorire  delie  forze,  con- 
sidereranno quanto  '  è  povera  F Italia,  vile  la  plebe  romana, 
e  che  in  quelli  eserciti,  se  nerbo  è,  sono  i  forestieri.  » 

XLI.  Quasi  ogni  città  fu  sommossa.  Ma  i  primi  a  saltar 
fuori  furono  gli  Angioini  e  i  Torsigiani.  *  Oppresse  Acilio 
Aviola  legato  quelli  col  presidio  tratto  di  Lione;  questi  co* le- 
gionari che  Yiseliìo  Varrone,  legato  nella  Germania  bassa, 
gli  mandò:  e  eoo  baroni  franzesi  venuti  in  aiuto,  per  fellonia 
coprire,  e  serbarla  a  tempo  migliore.  £  fecesì  veder  Sacro- 
viro comballere  per  li  Romani  in  zucca  ,^  per  mostrare  più 
valore,  diceva  egli,  ma  i  prigioni,  per  farsi  conoscere  e  ri- 
guardare. Tiberio  avvertitone,  se  ne  fe'beffe,  e  co  '1  non  ri- 
solvere, nutri  la  guerra. 

XLII.  Gonciosia  che  Floro  seguitando  l'impresa,  tentò 
una  banda  di  cavalli  Treviri  militanti  per  noi  al  mcdo  no^ 
stro,  che  con  V  ammazarvi  ì  mercatanti  romani  rompesse? 
la  guerra.  Pochi  ne  corruppe,  gli  altri  stettero  in  fede.  Un'al- 
tra schiera  di  falliti  e  cagnotti  s'armò],  e  andavano  verso  la 
selva  Ardenna:  ma  due  legioni  de' due  eserciti  di  Yesellio  e 
di  Silio,  attraversatole  il  sentiero,'  chiusero  il  passo.  £  Giu- 

*  •  cominciarono ,  affogate  nt^  debiti,  a  ribellarsi.  Nel  Ms.  t  u  comin- 

daroao  per  grandi  debiti  a  hbellani,  slimolate  acutamente  da  GiaUo  Floro.» 
Poi  cancella  e  Tiacrire  come  sopra, 

*  *  a  mis/are.  Aveva  scritto:  «  al  peggio  farej  **  poi  corresse.  V.  il  Ks. 

*  *  se  ^ssi  nel  ferire  delle  forze  »  considereranno  quanto  ec.  Nel  Ms. 
Icggesi,  caacdlato:  «  se  essi  considereranno  le  fone  loro  è  guanto  ec.  » 

*  *  gli  Angioini  e  i  Torsigiani:  qoegli  di  Anjou  e  di  2Vw^>  capitale 
della  ^areoft.  I  nomi  antichi  sono  Andecavi  ae  Turani. 

9  *  A»  ztioca»  n  lat.:  «  inteeto  capite.  » 

8  *  aUraversMeU  il  sentiero.  Nel  Bis.  vedasi  cencellatoc  «  attraveimido 
il  cammino.  *• 


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136  a  unto  raizo  umle  amnau. 

Ho  Indo,  di  Floro  nimico  e  compatriotto,  perciò  all'  opera 
più  intento,  mandatoTi  con  gente  scelta ,  sbaragliò  quella 
turba  ancora  disordinata.  Floro  s'ammacchiò:*  vedendo  poi 
presi  i  passi  dell'uscita,  s'uccise  e  Ai  finito  il  movimento 
de' Treviri. 

XLIII.  Con  gli  Edui  ci  fu  più  che  fare*  quanto  erano 
più  potenti,  e  le  forze  per  attutarli  lontane.  Sacroviro  prese 
per  forza  Autun  lor  città  principale ,  e  la  nobiltà  de'  giovani 
franzesi  che  v'era  a  studio,  per  guadagnarsi  con  tal  pegno  i 
lor  padri  e  parenti.  Fabbricò  armi  segretamente  e  diele  alia 
gioventù.  Furono  quarantamila,  la  quinta  parie  con  armi  da 
legione,  e  '1  rimanente  con  ispiedi,  coltelli  e  altro -da  caccia; 
dtre  certi  schiavi  destina  ti  per  accoHellatori,  coperti  d'unpezo 
di  ferro  a  loro  usanza ,  chiamati  crupellai'che  tirar  colpi  non 
posson  né  li  passano  i  tirati.  Aggiugnevasi  a  queste  forze  gli 
animi  delle  vicine  città,  se  non  in  publico  scoperti,  pronti  in 
privato;  e  la  gara  de' capitani  nostri,  volendo  questa  guerra 
ciascuno  fare:  pure  Yarrone,  per  Vecchiezza  debole,  la  lasciò 
a  Silio  vigoroso. 

XLIY.  In  Roma  si  diceva  non  pure  i  Treviri  e  gli  Edui, 
ma  sessantaquattro  città  delle  Gallio  essersi  rivoltate  e  col- 
legale co' Germani;  le  Spagne  tentennare;  ogni  cosa^  come 
si  fa  delle  male  nuove,  si  credeva  maggiore:  a' buoni  incre- 
scova  del  publico:  molti,  per  odio  dello  stato  presente  e  de- 
siderio di  mutarlo,  si  rallegravano  de' loro  stessi  pericoli,  e 
maladi vano  Tiberio  che,  quando  ardeva  il  mondo,  badasse 
a  postillare  i  processi  degli  accusati.  «  Domin  se  *  i  p^dri  ci- 

^  *  s*  tnnmacchià ,  si  nascose  nella  macchia. 

3  *  ci  fu  più  che  fare.  Nel  Ms.  leggesi ,  cancellato:  «  Con  gli  Edai  nacque 
più  briga,  n 

'  crupelUi»  Anni  poco  menò  ridicole  usava  la  nùlisia  sfoncsea ,  Inaocc* 
sca  e  di  Niccolò  Piccinino >  nella  cui  rotta  d'Anghiari  mori  uno  nella  calca. 
Nel  primo  delle  Storie  simile  armadura  dice  usare  i  Sarmati. 

*  Domin  se.  Tutto  questo  sdegnoso  parlare  di  popolo  irato-  h  secondo 
Aristotile  nel  terso  della  Rettorica.  Troppo  fiorentino  pareva  a  qualcuno.  Io 
non  1*  bo  saputo  moderare  ;  ma  ci  ho  aggiunto  la  cagione  di  qnel^  che  il  testo 
dice  miseram  pacem  vel  beilo  bene  miOari.  Forse  quinci  tcatta  da  Seneca 
nelle  Controversie:  An  non  pratsUtt  cercicem  semei  incitii,  quam  semper 
premi t  Quis  tum  iimidus  est,  ut  malit  semper  pendette ,  tfuam  semel 
cadere?— *  Domin  sé:  particella  che  significa  dubiUtiooe  ironica. 


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Il  UBaO  TBKZO  DBaLI  ANNALI.  137 

leranno  Sa€roviro  a  comparire  per  qoesto  caso  di  sialo?.  Ve* 
dive'  ^  che  par  ci  ha  chi  sappia  con  l'armi  scampanare  *  que- 
sti pistolotti  scritti  col  sangoe.  Tronchi  la  guerra  di  colpo  alla 
repoblica  jl  collo  anzi  che  pace  si  sciagurata  lo  le  cinci- 
schi.»' Tanto  più  saldo  e  sicuro,  senza  cangiar  volto  né  luo- 
go, Tiberio  qqe' giorni  passò  al  solito,  per  grandeza  d'animo 
o  per  sapere  tanti  finimondi  non  ci  essere. 

XLV.  Silio,  camminando  con  le  due  legioni,  manda  in- 
nanzi una  mano  d'aiuti,  e  guasta  il  paese  de'Sequani  confi- 
nanti e  collegati  con  gli  Edui  che  in  arme  erano:  e  vanne  ad 
Antan  a  gran  passo,  gareggiandone  gli  alfieri  e  i  fanti  gri- 
dando, che  non  volevon  riposo  né  di  né  notte:  vedere  il  ni- 
mico; mostrarli  il  viso;  bastar  questo  per  vincere.  Dodici  mi- 
glia lontano  in  una  pianura  si  vide  Sacroviro  in  battaglia 
co' ferrati  *  in  fronte;  ne'corni  la  fanteria;  dietro  i  male  ar- 
mati: esso  co' principali  bene  a  cavallo  scorreva;  ricordava 
l'antiche  glorie  de' Galli,  le  rotte  date  a' Romani:  quanto  sa- 
rebbe, vincendo,  gloriosa  la  libertà;  e  perdendo,  più  dure 
le  rimesse  catene. 

XLYI.  Poco  disse  a  poco  lietr,*^  perche  le  legioni  com- 
parivano. Essi  terrazani,  non  ordinati,  non  saldi,  nò  occhio 
né  orecchio  sapevano  adoperare.  Per  lo  contrario  Silio,  ben- 
ché tanta  pronteza  non  chiedeva  sprone,  sclamava:  «  A  voi 
vincitori  delle  Germanie  é  vergogna  apprezare  i  Galli  come 

*  *  Fedine*.  Nella  Giuntina  età  cosi  in  una  sola  parola:  la  Crusca  ha  F^edi 
ptf*,  citando  questo  luogo  alla  voce  stampanarej  ma  poi  noi  registra  tra  i  molti 
tipificati  del  verbo  Fiedére.  È  modo  enfatico  di  richiainaTe  Patteniione,  come 
sta  a  vedere  che.  Il  lat.  ha:  «  eartitìsse  tandem  viros,  qui  cment/u  epistdas 
armis  cohiberent*  m 

'  "  stantpanare  e  stampare  vale  lacerare,  sforacchiare,  stracciare  ec.  Nei 
Ricordi  di  Francesco  Ricciardi  si  legge  :  «  Essendo  al  campo  de* Fiorentini  colla 
loro'artigliana  dirimpetto  a  una  forteasa  di  Pisa,  eio^  una  torre  che  h  in  sulle 
mora  chiamata  Istampace,  che  si  chiamerà  per  l' avvenire  Stampata ,  perche  il  di 
di  nauti  fùe  istampata  e  fracassata  ec.  ••  <Vedi  Bicordi JìlologicL  Pistoia ,  1847  ; 
pag.  67.) 

^  *  lo  le  cimciseht.  Qui  per  amore  de'  modi  popolari  ha  dovuto  aHargarsi. 
Il  ht.  ha  :  «  Hiseram  pacem  vel  bello  bene  mutari,  »  Di  una  pa^e  sciagurata 
tal  meglio  anche  la  guerra. 

*  *  ea'/'erratij  cìck,  co*  crupellai  ricordali  sopra. 

B  *  Poco  disse  a  poco  lieti.  G.  Dati:  «Questa  csortaiione  non  durò  molto, 
n^  meno  con  lieti  volti  fu  accettata.  *• 

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138  IL  tlBftO  TKftlO  BEALI  ▲NflALf. 

nimicì.  Di  questo  esercito  dianzi  ona  coorte  sbaragliò  il  Tor- 
sigiano  ribellato:  ana  banda  il  Tréviro:  pocbi  cavagli  ì  Se- 
qoani.  Ora  questi  Edoi ,  quanto  più  danarosi  sono  e  pia  mor- 
bidi, tanto  meno  da  guerra.  Che  guerra?  legateli,  e  addosso 
a'Tnggentt  lanciatevi/  »  LeVossi  alto  grido.  La  cavalleria  gli 
attorneò;  fanti  investiron  la  fronte;  a'fianchi  non  s'ebbe  a 
badare;  co' ferrati  si  ebbe;  perché  spade  e  lanciotti  non  fo^ 
ravano  quelle  piastre:  onde  i  nostri  con  accette  e  beccastri- 
ni, come  avessono  a  mandar  già  torri,  quelle  ferramenta  e 
membra  squarciavano,  o  con  pali  e  forconi  atterravano  quelle 
massacce;  e  non  potendosi  cosi  intlrizati  rizare,  gli  lascia^ 
vano  per  morti.  Ritirossi  Sacroviro,  prima  in  Autun,  poi 
(temendo  non  s'arrendesse)  in  una  villa  vicino,  co' più  fidati 
suoi.  Quivi  egli  sé  di  sua  mano,  gli  altri  Tun  l'altro  s'ucci- 
sero ;  fitto  fuoco  nella  villa  che  arse  ogn'  uno. 

XLVIL  Allora,  e  non  prima,  scrisse  Tiberro  al  senato 
il  principio  e. la  fine  di  questa  guerra  veraceniente,*  come  ! 
legali  con  la  fede  e  virtù,  ei  col  consiglio  l'avevano  condot- 
ta :  e  che  non  v'era  andato  egli  né  Druso  per  maestà;  disdi- 
cendosi a  prìncipe,  se  questa  città  o  quella  scapestra,  uscir 
del  centro  di  tutto  il  governo.  Ofa  che  per  paura  noi  fa. 
T'andrebbe  per  veder  tutto  con  l'occhio,  e  stabilire; I padri 
ordinarono  per  lo  suo  ritorno  boti,  prlcissioni  e  altre  coée. 
Cornelio  Dolabella,  adulatore  più  saccente  degli  altri,  pro- 
nunziò che  da  Capua  in  Roma  egli  venisse  ovante.'  Eccoti 
lettera  di  Cesare,  che  non  era  si  mendico  di  gloria,  che  doppo 
tante  ferocissime  genti  domate,  tanti  trionfi  avuti  e  rifiutati 
in  giovaneza,  si  volesse  ora  in  sua  vecchiaia  pagoneggiare 
d' un  pellegrinaggio  d' intorno  alle  porte  di  Roma. 

XLVIII.  Io  questo  tempo  ai  senato  domandò  che  a  Sul- 
pizio  Qttirlnio  ai  facessero  esequie  poMiche.  Non  era  de*  Sul» 
pizii  antichi  senatori:  nacque  in  Lannvio:  fu  soldato  feroce.^ 

*  tanciatevL  Arei  detto  scaraventatevi:  ma  cappita  f  il  Mario  ci  gridv.  (*) 

*  *  veNuemmU.  ti  Ms.  reei,  caiMdlito!  «  leou  hmtt  nfè  pórre.  » 

'  *  orante.  MclMs.  vedeai  emceUalo;  *e  eoU'oo  oo  dÌ«Cro.  Écéoti  una  let- 
tera ec.  M  i 

*  */m  soldato  ferace.  Il  Mi.t  «  fi»  valoroao  ioldMd;  w  «atteeUa  e  riscrive  t 
«»  «tUata  fiei^>  »  di  awMro  cmcellar  ♦  aerivc  f  *  fero««y  » 

(*)  Delle  batUglie  fliologiehe  tra  il  DaTauati  «  n  «ozio  è  partalo  naf  DiaeorM  ralla  tÌU. 


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IL  LIBRO  TÈRZO  DEGLI  ANNALI.  139 

Agttsto  l'adoperò  in  forti  affari,  e, fatto  consolo ,  prese  te  ca- 
stella degli  Omonadesi  in  Cilicia,  e  n'ebbe  le  trionfali.  Go- 
yernò  Gaio  Cesare  quando  tenne  l' Armenia.  In  Rodi  fece 
servitù  a  Tiberio  clie  se  ne  lodò  in  senato;  e  dolsesì  di 
M.  Lollio  che  avesse  messo  Gaio  Cesare  In  su  le  cattitità  e 
risse.  Ma  il  popolo  odiava  Qnirinio,  per  aver,  com'è  detto, 
rovinato  Lepida,  e  per  essere  vecchio  sordido  e  strapotente. 

XLIX.  Allo  scorcio  dell'anno  Gaio  Lntorio  Prisco,  ca- 
valier  romano,  dopo  Favergli  Cesare  donato,  per  aver  pianto 
con  ona  lodata  canzone  la  morte  dì  Germanico,  fd  accusato 
d'averla  composta  prima,  Quando  Druso  ammalò,  e  detto 
battendosi  l'anca:  «Domine  fallo  tristo  quel  Druso,  che  non 
crepò,  che  n'avrei  buscato  altra  mancia.  »  Léssela  per  vanità 
in  casa  Petronio  a  Titellia  sua  suocera,  e  altre  gentil  donne, 
le  quali  confessarono  per  paura.  Titellia  sola  disse  scopre, 
non  aver  udito  niente;^  ma  fu  creduto  più  a  quelle.  Aterio 
Agrippa  eletto  consolo,  dannava  il  reo  al  sommo  supplizio.* 

L.  M.  Lepido  contraddisse  cosi:  «  Se  noi  guardiamo  so- 
lamente, padri  coscrittf,  con  che  nefanda  voce  Lutòrfo  Pri- 
sco ha  sporcato  la  sua  mente  e  gli  orecchi  degli  uomini;  né 
carcere  né  laccio  né  servile  strazio  gli  è  tanto.  Ma  se  il  di- 
screto principe,  se  gli  antichi,  se  voi,  date  pure  ali i  smode- 
rati peccati,  moderati' supplizi  o  rimedi;  e  divario  è  da  va- 
nità a  malizia,  da  detto  a  fatto;  e^si  può  dare  una  sentenza, 
per  là  quale  costui  si  gastighi,  e  noi  facciamo  equità.  Io  ho 
udito  più  volte  il  principe  nostro  dolersi  del  non  aver  potuto 
graziare  alcuni  ammazatisi  troppo  presto.'  Lutorio  è  vivo,  e 
non  fisi  di  pericolo  il  mantenerlo,  né  d'esempio  l'ucciderlo. 
Attende  a  frottole  e  deboleze  che  svaniscono:  e  poco  male 
vuol  farci  chi  s' accusa jd asse,  e  piglia  gli  animi  non  degli 
uomini  ma  delle  donne.  Caccisi  nondimeno  fuor  di  Roma, 
perda  i  beni  e  acqua  e  fuoco,  come  fusse  caso  di  stato.  » 

LI.  Rubellio  Blando  solo,  uomo  consolare,  seguitò  Lepi- 

'  niente:  neente  dicevano  gli  «ntichi  più  accosto  al  né  mtf  latino,  e  in 
qudche  acconèio  loògo  non  \  da  schifare. 

S  qI  sommo  snppUzIo'.  Qutd  fosse,  vedi  k  postilla  i7  àA  libro  II.  C) 
S  *  Come  fece  di  Stribonio  Libeiiéi  Vedi  sopra  lib.  fi,  M. 

(*)  Di  qaesta  cdisioMf  n«ta  4,  a  pag.  78. 

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140  IL  LIBBO  TBHZO  DBjGU  ANNALI. 

do;  tutti  altri  Agrippa.  Prisco  fa  incarceralo^  ^e,  caldo  caldo^^ 
ucciso.  Tiberio  a' padri  ne  fece  richiamo  co'sao'an^rivieni; 
lodò  al  cielo  la  lor  santa  mente  in  punire  ogni  lieve  offésa 
del  principe;  pregò  non  fulminassero  pene  alle  parole;  lodò 
Lepido ,  e  Agrippa  non  biasimò.  Là  onde  i  padri  ordinaro 
che  i  loro  decreti  per  dieci  di  non  andassero  in  camera,"  per 
dare  a' giudicati  questo  spazio  di  vita.  Ma  né  il  senato  av^va 
libertà  di  ritoccarli»'  nò  Tiberio  per  indugio  si  mitigava. 

Lll.  [A.  di  R.  775,  di  Gr.  22.]  Seguita  il  consolato  di  Gaio 
Sulpizio  e  Decio  Aterio.  Anno,  fuori,  quieto;  in  Roma,  so- 
spetto di  severa  riforma  alle  pompe  e  scialacquìi  di  danari, 
a  dismisurata  trascorsi.  Molte  spese,  benché  grandissime^ 
spesso  si  nascondevano  nel  frodare  i  pregi:  ma  le  ricche  im- 
bandigioni e  apparecchi  della  gola,  tutto  di  favellandosene, 
miser  pensiero  non  gli  volesse  quel  principe  parco  airantica, 
ritirar  duramente.  Prima  G.  Bìbulo,  e  poi  gli  altri  Edili  scla- 
mando, «  La  legge  dello  spendere  si  sprez^;  i  ricchi  arredi 
vietati  ogni  di  crescono;  rimedi  mezani  non  servono:  ohe  da 
fare  ò?»  i  padri  la  rimisene  in  tutto  a  Tiberio.  Egli  un  pezo 
pensò  se  rattenere  tanta  sfrenateza  di  voglie  sarebbe  possi- 
bile, se  più  dannoso  alla  republica:  che  indegnità  por  mano 
a  cosa  che  forse  non  passasse,  o,  passata,  i  grandi  disono- 
rasse I  Finalmente  compilò  questa  lettera  al  senato. 

LIIL  «  Nell'altre  proposte,  padri  coscritti,  forse  ò  bene 
che  io  sia  domandato  e  dica  in  voce  il  mio  avviso:  questa  è 
slata  meglio  sottratta  dagli  occhi  miei,  acciocché  quei  ver- 
gognosi scipatori*  che  voi  vedete  arrossare  e  temere,  anch'io 
non  vegga  e  quasi  colga  in  peccato.  £  se  qne'  prodi  edili  me 
ne  domandavano,  io  forse  li  consigliava  a  lasciare  anzi  correre 
i  vizi  abbarbicati  e  cresciuti,  che  altro  non  fare  che  scoprire 
come  noi  non  bastiamo  a  stirparli.  Essi  hanno  ben  fato  l'ufi- 
cio  loro  e  come  io  vorrei  che  ogn'  altro  magistrato  facesse* 
ma  a  me  non  ò  onesto  tacere,  e  non  so  che  mi  dire:  perché 

'  *  caldo  ealdo.  Lat.:  m  siatìm.  » 

*.*  in  cwnera.  Lat;;  m  ad  terarùuk,  m  ' 

^  *  di  ritoccarli.  Il  Lat.:  «  non  sfatai  liberta*  tid panHoidum  etùt:  » 
non  aveva  fiicoltk  ài  rivocare  tiò  che  avene  una  volu  delibaralo. 

*  *  sciptUori,  diasipatori,  diJapidaWri.  Pasiavanti:  «  I  beni  del  corpo  aeipa 
e  guasta.  » 


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IL  UBIO  TBBZO  DBGLI  ANNALI.  141 

io  non  ho  a  far  Tedile  né  '1  pretore  né  '1  consolo:  maggiori 
cose  e  più  alte  s'aspettano  a  principe:  e  dove,  se  an  solo  fa 
bene 9  ne  li  é  ogn'uno  tenuto;^  se  tatti  fanno  male,  egli  solo 
n'è  lacerato.  Ma  che  comincierò  io  prima  a  vietare,  o  riti- 
rare al  modo  antico?  le  ampissime  ville?  i  tanti  schiavi  di 
tante  lingue?  le  masse  dell'  oro  e  ariento?  i  bronzi  e  le  pit- 
tare di  miracolo?  il  vestir  di  seta  gli  uomini  come  le  donne? 
e. per  le  gioie  loro  lo  spandere  i  nostri  tesori  per  le  moodora 
strane  o  nimiche?  ' 

LIV.  »  Io  so  che  qaesti  abusi  nelle  cene  e  ne'  cerchi  son 
biasimati  e  si  vorrebbon  levare:  ma  come  e'  si  venga  al  farne 
leggi  e  porvi  pena,  qae'  medesimi  metteranno  Roma  a  romo- 
re,'  dicendo:  e'  si  gltta  il  giaccio*  sopra  i  più  ricchi  ;  e  coprirà 
ogn'ano.  Ma  come  i  vecchi  malori  impigliati  nel  corpo  si  gua- 
rificon  co  *ì  ferro  e  co  '1  fuoco;  cosi  Tanimo  quando  è  infettato 
e  infetta,  e  di  focose  libidini  arde  e  languisce,  con  altrettali 
rimedi  si  vuole  attutare.  Il  disuso  delle  tante  leggi  antiche, 
il  dispregio,  che  peggio  è,  delle  tante  del  divino  Agusto  banno 
as«carato  lo  scialacquare.  Perchè  chi  vuol  fare  la  cosa  ancor 
non  vietata,  la  fa  con  timore*  non  ella  si  vieti:  chi  senza 
pena  può  fare  la  proibita,  né  più  timore  ha  nò  vergogna.  Per- 
chè regnava  la  masserizia  già?  perchè  ciascuno  si  temperava; 
perchè  noi  eravamo  cittadini  tutti  di  Roma^  e,  non  avendo 

*  *ne  Uè  ogt^  uno  tenuto.  Ifel Bfs  vedesi  cancellato:  «  ogn*uno  glien'ht 

^  *  per  le  mondora  strane  o  nimiche  1  II  lat.  :  «  ad  extemas  aut  hostilee 
gentes.  *» 

S  *  mtUeranno  Roma  a  romore.  Nel  Ma.  è  cancellato  f  «  metteranno  so- 
sopra  Roma.  » 

*  *  e*  sigitta  il  giaccio.  Da  prima  sospettai  che  dovesse  leggersi  ^laccA/Oj 
che  è  una  rete  tonda  da  pigliar  pesci  ;  e  dicesi  gittare  il  giacchio  a  tondo  per  : 
pigliare,  cogliere  tatti  senu  distinsìone.  Ma  vedendo  e  nell'edisione  originale  e 
nel  Ms.  «  giaccio,  »  credei  che  poteue  stare  per  diaccio  o  ghiaccio  s  e  che  getta- 
re il  ghiaccio  sopra  uno  fosse  lo  stesso  che  agghiadarlo»  agghiacciarlo^ uc- 
ciderlo o  rovinarlo.  Ed  infatti  il  testo  dice;  «  splendidissimo  eitiqiu  exi' 
tium  paraH.  »  Mia  quesU  disione  manca  al  Vocabolario.  Oltreché,  ciò  che  se- 
gue (e  coprirà  ognuno)  mi  riconduce  nella  prima  opinione;  parendomi  che  il 
Davanuti  abbia  voluto  dire:  m  II  giacchio  che  si  vnol  gittare  sopra  i  ricchi  co> 
gUera  tutti ,  e  sarà  come  un  gittare  il  giacchio  a  tondo.  «  È  credibile  poi  che  al 
Nostro  sia  piaciato  meglio  giaccio  che  giacchio,  come  più  vicino  ti  latino  iacio 
che  e  la  sua  origine. 

S  *  timore.  Nel  Ms.  vedesi  qui  e  di  sotto  cancellalo  rispetto. 


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142  IL  LIBAO  TBHSeO  DEGÙ  AllMAU. 

sigDoria  faori  d'Italia,  non  ci  veniTano  al  fat(e  veglie.  Le 
TÌtlorie  di  faori  ci  hanno  insegnato  scipare  la  roba  degli  al4ri; 
e  le  civili  anche  la  nostra.  Che  cosellina  verso  i'  altre  mi 
ricordano  gli  edili  I  Ninno  ricorda  che  l'Italia  vuol  soccorso 
di  fuori:  che  la  vita  del  popolo  romano  sta  a  dìserezion  del 
mare  e  delle  tempeste:  e  senza  le  vettovaglie  di  fuori  chi  nu- 
trirebbe noi,  i  servi,  i  contadi?  i  bei  boschettlforse e  le  vUle? 
Onesti  sona,  padri  coscritti,  i  pesi  del  principe;  questi,  lan 
sciati,  metterebbono  la  repnblica  in  fondo:  dell'altre  cose  cia- 
scuno ha  nell'animo  la  medicina.  Riformi  noi  la  modestia;  i 
poveri  la  nicistà;  i  ricchi  la  satoUanza.^  Se  a  qualche  magi- 
strato dà  il  cuore  con  bastevole  arte  o  severità  ripararci;  lo 
lodo,  e  confesso  che  mi  terrà  gran  fatica.  Ma  se  e'voglioao 
far  belli  sé  dello  sgridar  i.vizi,  e  muover  odii  per  addossarli 
a  me;  crediate,  padri  coscritti,  che  anch'io  non  godo  di  far 
nimicizie.  E  se  io  ne  piglio  per  la  repnblica  nelle  cose  mag- 
giori, e  spesso  a  torto,  disgrazia,  delle  minori  e  senaa  effetto 
né  prò  vostro  né  mio,  non  mi  vogliate  gravare.  » 

LY.  Letta  la  lettera  di  Cesare ,  questa  cura  fu  rimessa,  a 
gli  edili:  e  le  superbe  mense  durate  cento  anni,  dal  fine  delia 
guerra  d'Azio  a  quell'armi  che  dierno  l'imperio  a  Sergio 
Galba,  a  poco  a  poco  mancarono.*  Della  qual  mutazione  mi 
piace  cercar  le  cagioni.  Già  le  famiglie  nobili,  ricche  e  chiare 
disordinavano  in  magnlficenzai  potendosi  anche  trattenere 
all'ora  la  plebe,'  i  collegali,  i  regni,  ed  essere  trattenute:  e 
qual  èra  la  più  appariscente  di  riccheza,  palagio,  arredo;  più 
avea  rinomo  e  séguito.  Poiché  si  diede  nel  sangue,*  e  che  la 
noìninanza  era  rovina,  s' attese  a  cose  più  saggìe.  E  gli  uo- 
mini nuovi  di  varie  terre,  colonie  e  Provincie  fatti,  eh' è  ch'ò,' 

*  Ut  satoUatua.  Nd  Ms.  «  caneeUato  :  «  ripienest.  m 

'  *  mancM^ono,  Nel  Ms.  «  vennero  al  sottile  :  »  poi  corregge  «  auottigUa* 
rano,  »  come  leggesi  nella  Giuntina. 

'  *  potendosi  anche  trattenere  aW  ora  la  plebe  ec.  TrMaiere  sta  qui  in 
senso  di  corteggiare,  lat.  colere  j  e  vuol  dire  ciie  allora  metteva  conto  di  fare 
quelle  prof«i8Ìoni,  quando  essendo  tuttavia  in  uso  di  corteggiare  non  aolo  il  po- 
polo, ma  anche  i  re  e  le  naiioni  Slustri ,  stringevaosi  cosi  vicendevoli  «lieiAcb, 
le  quali  erano  stromento  di  potenaa. 

*  *  ei  diede  nel  sangue.  Il  ht.:  «  ecedibtis  sofvitum  est,  m  DanU;  «  cba 
dier  nel  sangue  e  nell*  aver  di  p^lio.  » 

^  *ch*è  eh'  è  (e  dieesi  anche  :  che  è  che  non  è)  vale  spesto.  Late  «  crebro.  » 


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a  UBBO  TBAZO  DEGLI  AMMALI.  143 

senatori,  ci  portaron  la  parsimonia  da  casa  loro;  e  per  grosso 
GÌvanzo^  ohe  facessero  per  induslriao  fortuna,  la  sì  manten- 
nero. Ma  più  di  tutti  ristrìnse  Vespasiano  co  'i  suo  vivere  e 
vestire  antico.  Onde  il  piacere  al  principe  e  V  imitarlo  più 
valse  che  pena  o  paura  di  leggi.  E  forse  ogni  cosa  fa  sua  girata, 
e  tornano,  come  le  stagioni,  ì  costumi.  Né  tutte  le  cose  anti- 
che sono  le  migliori:  anche  l' età  nostra  ha  prodotto  arti  e 
glorie  che  saranno  imitate.  Prendiamo  pure  con  gli  antichi 
le  gare  oneste.* 

LYI.  Essendosi  Tiberio,  per  questa  pasciona*  lolla  allo 
sorgenti  spie,  acquistalo  grido  dì  moderato,*  scrisse  a' padri, 
chiedendo  per  Druse  la  podestà  tribunesca.*^  Agusto  si  trovò 
questo  vocabolo  dì  sovranità,  per  non  darsi  di  re,  né  di  det- 
tatore, e  pur  mostrarsi  con  qualche  nome  il  maggiore.  Fecedi 
compagno  in  tal  podestà  M.  Agrippa,  e,  morto  luì,  Tiberio 
Nerone,  per  lasciar  chi  succedere:  e  parvegli  cosi  levare  ad 
altri  le  male  speranze,  confidatosi  ancora  nella  modestia  di 
Nerone  e  nella  propria  grandeza.  Con  questo  esempio  Tibe-^ 
rio  investi  Druse  del  sommo  grado,  che,  vivente  Germanico, 
a  ninno  de'due  lo  dichiarò.  La  lettera,  invocato  prima  gl'id- 
dii,  che  prosperassero  alla  republica  i  suoi  disegni,  diceva  le 
boone  qualità  del  giovane,  moderate  né  oltre  al  vero:  «  Es* 
sere  ammogliato  con  tre  figlinoli:  dell'  età  che  era  egli  quando 
assunto  vi  fu  da  Agusto.  Chiedeva  alle  fatiche  questo  compa^ 
gna  non  soro,^  ma  otto  anni  esercitato  a  quietare  sedizioni, 
finir  guerre,  trionfòre  e  governare  due  consolati.  » 


'  ^titwnzo,  rìsparmio. 

'  *  Qui  il  tetto  è  mutilo:  m  periun  hoc  nobis maiores  eertamina  ear 

honesto  maneant,  *»  Ma  il  Nostro  ha  seguito  la  congettura  del  Lipsio,  che  facile 
mente  ha  riempiuto  la  lacuna  con  un  semplice  in.  Ma  ad  altri  pare  che  manchi 
troppo  più. 

'  * pa^ciona^ pasto ,  pastura:  e  vuole  intendere  del  guadagno  che  facevano 
le  spi*. 

*  acqtiistato  grido  di  moderato.  Scelse  il  tempo  di  si  gran  cosa  duAder* 
a'  ptdriy'qnafedo  gli  aveva  addolcgltt  col  non  fiire  ^nesia  legge  suntuaria;  perchè 
ogni  legge  h  un  podere  «bl  principe,  e  pasciona  dette  spie. 

S  podestà  tribunesca,  Davasi  allo  eletto  imperadore.  L'  eleggere  ìnMiiai 
il  snccesaore,  e  darli  il  governo»  è  pTud«ntiasimo  consiglio.  L'uno  s'assicura 
eagnvat  l'altro  impAra,  goveroA  co»  rispetto.:  soeoed*  alma  alttnniAnto. 

*  *  non  ^oro,  non  inesperto. 


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144  IL  LIBAO  TBBZO  DEGLI  ANNALI. 

LVII.  I  padri  s'erano  acconcie  le  parole  in  bocca:  ^  di 
tanto  pit  sqQisito  fa  l'adulare.  Non  però  altro  invennero  che 
immagini,  altari,  tempii,  archi  e  altre  cose  solite:  se  non  che 
H.  Silano  tolse  onore  al  consolato  per  darlo  a' principi,  sen* 
tenziando  senza  proposta,  che  negli  atti  poblici  e  privati,  a 
memoria  de' tempi,  si  scrivesse:  «  Dominanti  i  tali  sacri  Iri^ 
boni  »  e  non  più  «  i  tali  consoli.»  Q.  A  teorie  avendo  detto  che 
quanto  s'era  deliberato  qael  giorno  in  senato,  vi  s'intagliasse 
a  letteroni  d'oro,  fece  rìder  di  se,  che  si  vecchio  di  si  sozo 
adulare  aspettasse  altro  che  infamia. 

LVIII.  Ginnio  Bleso  fu  raffermato  in  Affrica,  e  Servio 
Maluginese  chiedeo  l'Asia,  benché  flamine  di  Giove,  dicen- 
do: «  Non  esser  vero  il  detto  volgato,  che  flamine  non  esca 
d'Italia;  né  il  suo  flaminato  diverso  da'marziali  e  quirinali. 
Se  que' tengono  le  Provincie,  perchè  vietarle  a' gioviali?  legge 
di  popolo  non  ce  n'ha;  in  cirimoniale  non  si  trova.  Nelle 
mancanze  de'  gioviali  per  malattie  o  cure  pnbliche ,  hanno 
uficiato  i  pontéfici.  Doppo  che  Corn.  Morula  fu  ucciso,  questo 
flaminato  vacò  anni  settantadua,epur  non  mancò  mai  d'ufi- 
ciarsi.  Se  per  tanti  anni  si  può,  senza  rifarlo «uficiare,  ben  si 
potrà  un  anno  star  fuori  viceconsolo.  L'andare  ne'  governi  fu 
lor  tolto  già  da' pontefici  per  private  malivoglienze  :  ora,  per 
grazia  degl'iddìi,  il  sommo  pontefice  è  il  sommo  nomo:  non 
ha  gare  9  non  odii,  non  passioni.  » 

LIX.  Lentnlo  agure  e  altri  contraddissero  variamente, 
e  si  ricorse  al  pontefice  Tiberio  che  ne  desse  sentenza.  Egli 
la  differì'  e  passò  a  temperarele  cirimonie  ordinate  per  l'alza- 
mento di  Druso  alla  podestà  tribunesca,  e  nominatamente 
abboni  l'arrogante  proposta  e  quei  nuovi  letteroni  d'oro.' 
Si  lesse  una  lettera  di  Druso  al  senato,  che  pareva  modesta; 
ma  fu  presa  per  trasuperba.  «  Poveri  a  noi  I  ^  non  ha  rascinlli 

*  ^s*  erimo  acconcie  le  parole  in  bocca.  Il  lat.;  «  prteceperant  animii 
orationem  patres.  *• 

3  la  differì.  La  decise  poi  contro  al  Maluginese ,  che  il  flamine  risedesse. 
'  *  qtiei  muwi  letteroni  d*  oro.  Meglio  la  Giuntina:  «  quei  letteroni  d'oro 
insolenti.  » 

*  *  Poveri  a  ftoii  esdaipanone ,  qui,  di  maraviglia;  perchè  con  essa  ha 
inteso  rèndere  il  latino  «  hue  decidisee  caneta:  m  le  cose  sopo  anitate  e  questo 
segno  !  siamo  a  questo  !  e  simili. 


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IL  UUO  TBEZO  DB«U  ▲9mALI.#  UH 

gli  occhi,  ^  e  non  s' è  degnato  venire  a  fare  di  tanto  onore 
uno  incbino  agl'iddii  della  città;  motto  al  senato;  né  darle 
principio  *  in  baon'  ora  dov'  ei  nacqae.  Forse  che  gli  è  alla 
gaérra  o  lontano:*  trastallarsi  pe' giardini,  pe'iaghi  di  Capna  I 
il  tempo  è  ora  J  ^  cosi  s' allieva  il  reggitore  del  genere  umano  I 
Bel  precetto  per  lo  primo  ha  preso  dal  padre  !  al  quale,  orsù 
sia  parato  grave,  come  a  vecchio  affaticato,  il  venirci  a  dare 
un'occhiata;  ^  ma  Druse,  che'l  tiene,  se  non  arroganza?  » 
LX.  Ma  Tiberio  co^  puntellatosi  nello  sialo,  per  dare  al 
senato  un  po'd'  ombra  dell'  antico,'  rimise  a  quello  le  doman- 
de delle  Provincie,  di  mantenere  le  (cancbigie,  cresciute  per 
le  città  della  Grecia  In  troppa  licenza;  lasciando  ne' tempii 
rifuggire  schiavi  pessimi,  falliti,  scappati  dalla  giustizia.  Né 
avrebbero  le  catene  tenuto  il  popolo,^  che  non  si  levasse  per 
difendere  le  scelerateze  mnan^,  come  religione  divina.  Fu 
detto  adunque  che  le  città  mandassero  ambasciatori  con  tutte 
loro  ragioni.  Alcune,  che  le  franchigie  si  avieno  usurpate,  le 
lasciarono^ Molte  sì  fidarono  nella  divozione  antica,  o  ne' ser- 
vigi fatti  al  popolo  romano.  Magnifico  giorno  al  senato  fu 
quello,  ch'ei  riconobbe  i  beneficii  de' nostri  antichi;  le  leghe; 
le  ordinanze  de' re  grandi  innanzi  alla  forza  romana;  e  le 
religioni  degl'iddii,  con  la  primaia  libertà  di  confermàije  e 
riformare.  • 

*  *  non  ha  ^asciutti  gli  oe^t  j  cioè ,  dal  piagnucolare  come  faiino  i  bam- 
bini :  ha  tuttavia  il  latte  in  sulle  labbra  :  non  è  ancora  fuor  de' pupilli ,  o  fuor  di 
dentini  ec.  Tutti  modi  cbé  significano  l' età  tenera  e  inesperta  di  alcuno.  Boccac- 
cio: «  Credi  tu  sapere  più  di  me  tu,  cbe  non  hai  ancora  i;asciutti  gli  occhi  t  *» 

S  *  m  darle  principio  j  cioè,  nò  dar  principio  a  quest'onore,  o  inangn- 
rarlo  f  e.  Quel  pronome  femminino  le  si  riferisce  »  onore ,  per  una  stramberìa  ^ 
grammaticale  solita  al  Davanxati,  e  da  noi  più  volte  avvertita. 

'  *  Forse  che  gli  è  aUa  guerra  o  lontano:  trastullarsi  ec  ;  cioè,  se  fosse 
alla  guerra  o  lontano,  sarebbe  scusabile;  ma  e' si  trastulla  ec.  Nel  Ms.  vedesi 
cancellato:  «  Forte  che  gli  è  alla  guetra  o  in  capo  del  mondo.  «  Questo /òr je 
che  rende  benissimo  lo  MUicei  ironico  dei  Latini. 

«  * 4raakUUirsi,.,.  pe* laghi  di  Capuai  U  tempo  iora/NelMs.:  «tra- 
stullarsi....  pe'  laghi  di  Gapua  in  su  quest'  otta  I  m  poi  corregge  c<une  sopra. 

S  *  a  dawe  un'  ocàhéàta»  Il  Ms.  reca  cancellato  :  «  a  rivedere.  » 

'  *per  dare  al  senato  uh  po' d'ombra  dell'  antico.  Il  Bis.  reca  cancella^  : 
«  Volle  dare  al  senato,  quasi  polvere  negli  occhi,  un  poco  d'ombra  dell'antico.  «• 

^  *  Ni  avrebbero  le  tatene  ec.  Nel  Ms.:  «  ne  avrebbe  imperio  alcuno  tenuto 
il  popolo  ;  w  corregge  :  •*  né  avrebbe  fona  umana;  w  fioalmenle  ricorregge  :  «  nò 
avrebbero  le  catene  ec.  » 

I.  15 


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146  IL  usto  tUZO  PMLI  àtmAhU 

LXI.  Primieramenle  ^M  Efésii  dissero  «lie  ApoUine  e- 
Diana  non  nacquero  in  Dek»,  come  erede  il  Tolgo,  ma 
pariorilH  Latona  appiè  d' on  dHto  die  ancor  v'  è  In  jn  i 
fiume  Cenerio,  nel  boaèo  loro  detto  Ortigia,  sagralo  per  di- 
vino ammonimento;  ove  ApoUtne,  per  li  iiecisi  Ciclopi,  foggi 
r  ira  di  Giove;  e  Bacco  perdonò  alle  Amacene  vinte  che  ab- 
bracciarono queir  aliare.  Fa  poi  la  divozione  di  qnel  tempio^ 
di  licensa  d'Ercole  padrone  allora  della  Lidia,  accrescinla  e 
mantenuta  da' Persi,  da' Macedoni;  finalmente  da  noi. 

LXII.  Seguitarono  1  Magneti,  e  dissero  che  avendo 
L.  Scipione  cacciato  Antioco,  e  L.  Siila  Mitridate,  per  la 
loro  fedeltà  e  virtù  diedono  ìnviolabil  franchigia  nel  tempio 
di  Diana  Leocofrina.  Difendevano  appresso  i  tempii  loro;  di 
Venere,  gli  Afrodiesi;  e  dì  Giove  e  di  Diana,  que'di  Stra- 
tonico,  producendo  un  novello  privilegio  d'Agosto,  e  uno 
più  aqtico  di  Cesare  dettatore,  conceduto  per  >aver  seguito 
quelle  fazioni.  Lodati  della  mantenuta  fede  al  popol  Tornano 
nelle  scorrerie,  de'  Parti.  Mostravano  i  Gerocesarei  più  anti- 
chità :  che  il  lor  tempio  di  Diana  di  Persia  fu  dedicato  da 
Ciro;  e  Perpenna-,  Isaurico  e  moli' altri  imperadori  con  due 
miglia  ^  intorno  il  sagrare.  I  Cipriotti  tre  tempii  raccoman- 
davano: lo  più  antico.  Venere  in  Pafo  fatto  da  Aeria;  *  Ve- 
nere in  Amatunia,  dal  ano  figliuolo  Amato;  Giove  in  Sala- 
mina,  da  Teucro  quando  scansò  l'ira  di  Telamone  suo 
padre; 

L^in.  E  tante  altre  ambascerìe  udirono  i  padri  che, 
per  essere  stracchi  e  parteggiare  ne'  favori,  commisero  a' con- 
soli che,  veduto  le  ragioni  di  ciascuno,  e  se  incanna  v'  era, 
riferissono  al  senato.  Riferirono,  le  dette  franchile  esser 

*  *e€H  due  migUu  ee.  Il  testo tqoI  dira,  eh*  costoro^ mettevano  iBBami 
i  nomi  Mi  Perpenna,  d'Isaurìco  edl  pin  sltrì  inaftecadoii,  i  quali  non  wAo  rico- 
nobbero la  santità  di  q«èl  tempio  y  ma  vollero  di  più  elie  due  miglia'  di  tetreno 
all'intorno  tìi  avesse  come  sacro. 

9  fatta  «fa  An»im.  U  Bembo  nel  Cnliec  con  l'aoloritìi  di  questo  luogo  cor- 
regge quel  verso  di  Catullo,  Qua  sanOum  Idmlium,  Jmimuqae  apertas, 
cioè  qnei  di  Pafo  in  Cipri  in  su  '1  mare  aprico ,  detti  da  questo  Aeria  fondatore. 
LcggevHsi  Uriosqu»,  che  non  si  sa  che  tali  popoli  al  mondo  fosiooo  $  non  che 
Venere  adorassono.  DeU' origine  di  questo  tempio  nana  Tacito  nd  stfiMldo 
delle  Storie  la  corrente  fama  e  l' antica. 


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IL  LIBtCr  TMZO  MALI  AKNAU.  147 

^tfere,  e  di  pia  quella^  deli'  Kscolapia  di  Pergamo:  le  origioi 
dell'  altre  per  l' anliohità  non  vedersi;  perchè  que'  di  Smirna 
dicevano  aver  sagralo  il  tempio  di  Venere  di  Stralonice;  e  i 
Tenii  il  tempio  e  V  immagine  a  Neitannoy  comandati  dal- 
l'oracolo e  versi  di  ApolUae.  Cose  più  moderne  allegavano  i 
Sardittii:  che  Alessandro  vittorioso,  e  i  Milesii,  che  il  re 
Itario  iciò  donar  loro  ne'  tempii  di  Diana  e  d' Apolline  che 
essi  adorano.  I  Gandiani  anco  franchigia  chiedevano  all'  im- 
magine d'Agosto.  Fatti  ne  furono  i  privilegi*  a  grande  ono- 
re: porteesi  però  regola,  e  comandalo  in  essi  tempii  affigerne 
in  breoai  sagrata  memoria,*  accie  hi  religione  non  trascor- 
resse in  ambizione. 

LXIV.  In  questo  tempo  a  Giulia  Agnsta  venne  male 

**  B  di  più  quetta  et.  ti  testo  vuol  dire  ;  I  consoli,  oltre  le  città  ricorda- 
te, ri&rìXDno  eiscr  vero  l' asilo  di  Bscnlapio  in  Pergamo. 

'  FéUii  ne  furono  i  privilegi.  Non  ci  maravigliamo  che  gli  storici  di 
tutti  tempi  scrìvan  delle  cose  contrarie.  Saetonio,  di  Cornelio  amicissimo,  dice 
deDa  qualitii  del  corpo  di  Tiberio  cose  dirìttaraente  eonùrarie  a  quelle  che  diee 
Tacito.  E  nel  cap.  87  diee  cfaa  Tiberio  levò  via  per  t«Uo  il  mondo  questa  fran- 
chigie, dette  ^siU.  Trovaronle  prima  i  nipoti  d' Ercole ,  i  quali  per  difendersi 
da'nimici  dell'avolo,  consagrarono  altare  alla  misericordia  in  Atene;  ove  ninno 
potesse  esser  preso,  come  suona  la  voce  greca  ecau^of.  Ogni  ribaldo  poscia  si 
salvava  in  qualche  asilo.  Onde  troppo  crebbero  di  numero  :  e  con  ta^ta  reli- 
gione erano  riguardati ,  che  alcuni  fuggitisi  alla  statua  di  Minerva,  ardirono  con 
un  filo  in  mano  appiccato  a  quella  comparire  ingiudisio  a  difendersi.  Ma  il  filo 
per  isciagura  si  ruppe. 

S  sagrata  memoria.  Il  testo  de' Medici  dice^^ere  tgre.  Il  Beroaldo, 
che  prima  lo  stampò  ,  i^cconciò ,  Jaeere  aras.  Con  altra  accortessa  il  segretario 
Picchena  con' una  letterata  trasmessa  legge ,  ^gere  <rr«j*  essendo  antico  co- 
stume scrìvere  memorie  e  leggi  in  tavole  di  bromo  affisse  \n  luoghi  pubblici, 
come  dice  Tacito  nostro  nell'undecimo.  «  Et  forma  titeris  latinis^qtue  ve- 
terrimis  CrtBcerttmj  sed  nohis  qttoque  pauca  primum  fttere:  deinde  oA- 
ditte  stati.  Quo  exemplo  Clauditu  tres  literas  adjecit,  qtiat  usui  impé- 
rltante  eof  post  obliteratof,  aspicitmtur  etiam  mine  in  cere  pttblicandis 
plebiscitis  per  fora  oc  tempia  fxo.  »  Correggo  adunque  il  mio  volgale  cosi  • 
m  Fatti  ne  furono  i  privilegi  a  grande  onore  :  postovi  però  regola,  e  comandato 
in  essi  tempii  affiggerne  in  bromo  sagrata  memoria  ;  acciò  la  religione  non  tras- 
corresse in  ambiaion«.  •  Una  delle  tre  lettere  di  Claudio  si  vede  in  questo 
marmo  in  Roma: 

Ti.  Gla^tbits.  Dirtt.F.  Gmiae.  At».  GmnAiiictrs  vomt.^xax.  tmb.  ror." ntu. 

iMnRATOl.  XVl4  G0t.lUl.   CSlfSOB.  F.  V.  AVCT16.  VOPTU.  ROMANI  rillIBTS.  VOMS.- 
BlTM.   AMVUATIT.  TBRMUIATITQ.  E  ÌU   quest'altro:   AnTOillÀl.  .AtATSTÀI.IHiVWI 

sAcsnnoTi.  diti  Atgtsti.  Ti.  Clatoii  Cbsaris.  Ato.  r.  w. 

Quando  e  dove  le  lettere  si  trovassero,  vedi  Tacito  nel  soprallegato  luogo. 

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148  IL  LlimO  TERZO  DBfiLl  ANNALI. 

repentino  che  sforzò  il  principe  a  correre  a  Ronda:  essendo 
per  ancora  tra  madre  e  figliuolo  concordia,  o  coperto  l' odio 
della  da  lei  dianzi  po9ta  immagine  al  divino  Agosto,  vicino 
al  teatro  di  Marcello,  ^  col  nome  di  Tiberio  dietro  al  suo:  la 
quale  benché  non  dimostrata  offésa,  per  grave  e.ìndegna 
della  maesté  del  principe,  si  credette  ch'èi  riponesse  nel 
profondo  dell'  animo.  Il  senato  adanqòe  ordinò  le  pricissiòni 
e  i  giochi  magni  da  celebrarsi  da' pontefici,  dagli  agarl, 
da' quindici,  da' sette  e  dagli  agustali  insieme.  L.  Apronio 
aggiugneva  «i  e  dalli  araldi!  »  Ma  Cesare  disse  contro,  es- 
serci più  sacerdozi,  né  mai  datosi  ad  araldi  tal  maestà.  Il 
collegio  d' Agusto  starvi  bene,  come  proprio  di  questa  casa 
per  cui  si  pregava. 

LXV.  Riferisco  soli  ì  pareri  di  notabile  latide  o  vergo- 
gna, stimando  uficio  principale  d'annalista,  non  tacere  le 
virtù,  e  da' rei  fatti  e  detti,  per  l'infamia  perpetua,  ritirar 
gli  uomini.  Que'  tempi  furono  si  fetidi  d' adulazione  che  non 
pure  i  grandi,  forzati  andare  a' versi*  per  sostenersi,  ma 
tutti  i  consolari,  parte  de'  preterii  e  molti  senatori  di  piede  ' 

'  vicino  al  teatro  di  Marcello.  Intendendo  io  aver  Xjvia  dedicalo  ad 
Agusto  la  immagine  di  lui  presso  al  teatro  di  Marcello ,  e  non  la  immagine  di 
Marcello  ad  Agusto  :  perchè  ali)  iddii  si  cousagravano  le  immagini  loro  (al  divino 
Agusto  in  BoviUe)  e  non  le  altrui,  come  dice  il  Lipsio,  con  l'autorità  sola  d'nn 
marmo,  non  so  se  bastevole. 

'  Sforzati  andare  a*  versi.  Nel  Ms.;  «  cui  conveniva  piaggiare  |«  poi 
cancellò.  , 

*  senatori  di  piede  j  di  minqr  qualità:  dal  consolo  npn  riclìiesti_di  par- 
lare. Così  detti  (  dice  Agellio  )  non  dal  rizarsi  e  accostarsi  a  chi  gli  paresse  aver 
meglio  parlato  ;  perchè  si  ricavano  anche  tutti,  e  andavano  in  altra  parte,  quando 
si  deliberava  per  discessione,  quasi  come  quakido  i  pontefici  si  creano  per  adora- 
sione:  ma  perchè  andavano  in  senato  a  piedi,  e  noq  in  carro  ,  come  i  seduti  di 
magistrati  maggiori,  e  per  ciò  detti  Citndi,  Non  poteva  più  anticamente ,  dice 
Cornelio  nel  i2  ,  andare  in  campidoglio  in  carretta ,  se  non  i  sacerdoti  e  le  cose 
sante.  Agrippina  madre  di  Nerone  per  gran  superbia  v'  andò.  Le  donne  nostre 
oggi  son  più  che  Agrippine  e  Senatoresse ,  non  mica  pedàrie,  ma  curttli,  e 
trionfanti  della  scacciata  modestia  e  cura  della  famiglia ,  che  già  teneano  le  vene- 
rande antiche  celebrate  da  Dante  nel  quindicesimo  del  Paradiso  ;  che  dopo  l'averle 
dipinte  con  maravigliosa  evidensa ,  esclama  ;  Ofortatiatè  eci(*) — *  molti  sena- 
tori di  piede.  Nel  Ms.  è  cancellato  ;  «  molti  che  pronunuavan  co' piedi,  m  Lai.; 
«t  pedarii  senatores.  » 

(*)  Melama:  0  fortontte.  ~  Questa  postula  leggesi  con  «[otlche  varietà  negli  Jvvtdi- 
menu  pubblicati  dal  Gamba  ,pag.  45.  Cosi  invece  di  tenaton$f  legge  $acerdouu9f  ma  dubito 
per  errore. 


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IL  LIBRO  TERZO  DB4LI  AMMALI.  149 

ftl  rizataii  su  e  dicevano  a  chi  più  alte  cose  e  soze  scagliare. 
Trovo  scritto  che  Tiberio  neli'  uscire  di  senato  osava  dire  in 
greco:  O  OENTB  mata  a  sbrvirb!  stomacando  sì  abbietta^  ser- 
vìrtù  colo!  che  non  voleva  la  pablica  li^iertài 

LXYI.  Passavano  poi  dallo  'ndegno  al  maligno.  Onde 
essendo  Gaio  Silano  viceconsolo  in  Asia,  chiamalo  da  qae' col- 
legati a  sindacato,  Mamerco  Scaoro  consolare,  Gianio  Otone 
pretore,  Braiidìo  Nero  edile  di  bella  compagnia'  lo  querela* 
reno'  d'oflesa  deità  d' Agosto  e  spregiata  maestà  di  Tiberio. 
Mamerco  infilzava  esempi,  che  Scipione  A ffricano  aveva  ac- 
casato L.  Gotta,  e  Catone  il  censore  Sergio  Galba,  e  Marco 
Scanro  bisavol  sao ,  P.  Retilio  :  come  se  tal  sorte  di  deità  e  , 
maestà  difendessero  Scipio  e  Cato^  e  quello  Scaoro,  coi  que- 
sto Mamerco,  obbrobrio  de'  suoi,  svergognava  con  tale  ope- 
raggio.  Olone  insegnava  gramalica,  pinto  per  forza  di  Sciano 
nell'ordine  de' senatori ^  sua  vile  basseza  d'ardite  sfaccia- 
teze  fregiava.  Brutidio  dim<rita  scienza  ornato,  poteva  per 
la  diritta  salire  in  cielo,  ma  ebbe  troppa  -fretta  di  passare 
innanzi  a  gli  eguali,  a'  superiori  e  a  se  medesimo.  Errore  di 
molti  savi 9  che  per  non  aspettare  il  dolce  fico  con  la  goccio- 
la, lo  schiantano  col  lattificcio.  ' 

'  *.stomaetmdo  gì  mbbitUa  ec.  Nel  Ib.  cancella  t  «  tanto  si  abielta  pa* 
cicDsa  stomacava  coIi|i  cbe  non  voleva  la  pubblica  libertà!  » 

S  *  di  bella  compagnia  :  modo  ironico ,  che  vale ,  tutt*  insieme  e  à*  ac- 
cordo. 

*  *  /•  tfuetelarcno.  Il  Ma.  cancella  t  «  lo  spiarono.  » 
A  Scipio  €  Caio,  Della  libertà  della  patria ,  e  non  della  deità  e  maestà  ti- 
numesca  erano  difenditorì  ferocissimi. 

B  col  lattijiccio.  Poichà  Dante  dice  : 

Tra  li  Itisi  soiM 
81  disoonvUn  fmttara  U  dolca  Hm. 
E  altrove: 

.    E  l' nn'  e  l'altra  parla  avraono  funa 
Di  te;  ma  langi  fla  dal  Iweco  l'erba. 

E  altri  altrove  di  questi  detti  popolari.  Io  non  mi  posso  astenere  dalla  sua  imita- 
sione  in  qnesU  materia,  grave  si,  ma  non  sacra,  come  la  sua ,  la  cui  autorid 
ogni  baaseaa  ha  innahaU.  (*) 

n  H»i  b*M9%a  ka  Umattata.  Qfiasta  poitiUa  è  al  totl^  variaU  sai  eodiea  Mareiaao, 
cone  rilevati  dagli  JvwdUiunH  poUttei  «  IttuntH  pobblicatì  dal  Gamba,  Yeneiia  1834.  Dica 
ceti:  «  Tacito  non  osa  mai  tinonimi  por  brevità  e  rari  artìBoii  di  figarall  parlari,  forse  gladi- 

•  eandoU  più  da  oratori  •  poeti  obo  da  ainalisUv«K  eooM  di«e  l' aoter  <f«*eM«i4oi%iioW.  nar- 

•  rano  senplieeoMiite.  Ma  la  Uogva  nostra  più  aUegra,  eaprieeleBa  a  tratteaa  U  ama.  PerA  io 
»  qni  qaeeta  allegoria ,  e  altrove  direni  ornamenti  e  proverbi  e  aianse  nostre  bo  volentieri  ag- 
»  glmito ,  per  onore  della  patria  a  dalla  lingua ,  e  ooma  io  eraderei  eha  Cornelio  stesso ,  §•  flo- 
»  reatino fasaa,  iserivaasa.  » 

13* 


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150^  a  LtBftO  TlttZ^  IIB6LI  AlfN^Lf. 

LXYII.  Aoeasarooe  Silano  aneora  Gelilo  Pablieola  qoe* 
8tor  800  e  Mareo  Paoonio  legato.  Grodelo  e  rapace  fa  egli  ; 
ma  gii  eran  contro  più  cose,  pericolose  ad  ogni  innocente  : 
nimicato  da  tanti  senatori,  accusato  da' maggiori  oratori  di 
tntta  l'Asia;  solo  a  rispondere;  senta  rettorica;  in  caosa 
propria;  da  fare  smarrire  ogni  liscondia.  E  Tiberio  Io  conie- 
cava  con  ma*  visi,  boci  strane,  domande  spesse,  da  non  po- 
tertene schermir  né  difendere:^  anzi  spesso  bisognaya  con* 
fessarle,  acciò  non  avesse  mal  domandato:  e  per  potergli 
contro  collare*  i  servi  saoi,  il  fóttor  pnblico  gli  comperò:  e 
perchè  parente  ninno  Y  aiutasse,  gli  fecero  casini  stato,  the 
non  se  ne  può  favellare.  Silano  adunque  chiedeo  tempo  po« 
chi  di,  poi  lasciò  la  difesa  e  ardi  scrivere  a  Tiberio,  pa« 
gnèndolo  e  raccomandandosi  insieme. 

LXVIII.  Egli  per  mostrare  con  esempi  che  a  Silano  vo- 
leva fare  il  dovere,  fece  leggere  un  processo  d'Agust^  con 
la  sentenza  del  senato,  contr'  a  Yelesò  Messala,  pur  d' Asia 
viceconsoto.  Poi  voltosi  a  L.  Pisene  disse:  «  Di  su.  »  Esso* 
fatto  lungo  preambolo  della  gran  clemenza  di  Cesare,  disse: 
«  Confinerei  Silano  privato  d' acqua  e  fuoco  nella  Giara.  » 
Cosi  gli  altri:  salvo  che  Gnee  Lentulo  avverti  che,  per  es- 
sere Silano  nato  d' altra  madre,  ì  beni  materni  si  scorporas- 
sero pe  '1  figliuolo.  Il  che  a  Tiberio  piacque. 

LXIX.  Cornelio  Dolabella,  con  più  lunga  adulazione, 
detto  molto  male  di  Silano,  inferi,  «  Che  ninno  infame  e  mal 
vissuto  governasse  provincia,  e  tocchi  al  principe  il  dichia- 
rarlo; perchè  le  leggi  puniscono  i  peccati  fatti:  or  quanto 
minor  male  per  quelli ,  e  ben  per  le  provincìe  provvedere  al 
non  farne?  »  Tiberio  dis^  contro,  «  Che  sapeva  quel  che  di- 
ceva il  popolo  di  Silano,  mt  non  si  doveva  far  legge  alle 
grida.  Chi  è  riuscito  nel  governare  meglio,  chi  peggio  di 
quel  ch'era  creduto.  Nelle  gran  faccende,  chi  si  risveglia, 
chi  stupidisce:  il  Principe  non  può  saper  tutto,  né  dee  la- 
sciarsi menare  a  voglia  d' alcuno.  Le  leggi  géstigano  i  ftec- 

'  *  da  non  potersene  echermir  nò  difendere,  U  Bis.  cin«eUa  :  •  éà  bob 
poterti  ribattere  nb  beffiire.  m 

'  *  collare,  mettere  alla  tortura.  Era  vietato  per  legge  di  collare  i  serri 
contro  il  padrone:  però  il  ripiego  fu  accorto. 


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IL  UNO  imUEO  DMLI  ANNALI*  181 

mU  fatti  9  noB  i  fatori  ehe  non  si  sanno.  Cosi  ordiiiaro  ì  so» 
stri  antichi)  ehe  dietro  a' peccati  ^eguisser  le  pene:  non  fate 
Il  contrario  delle  cose  saviamente  trovale  e  setnpre  piaciiite. 
I  prinoipi  hanno  pur  troppo  carico  e  potere:^  che  quando 
cresce,  le  leggi  scemano.  £  non  è  hene  nsarrimperio,  dove 
si  poò  far  con  le  leggL  ii  Qwnto  più  rade  soddisfazioni  dava 
Tiberio  al  popolo,  tòoto  più  l' allegrò  con  questo  parlare.  E 
soggiunse  lo  discreto  moderatore  (ove  ira  noi  vincea),  che 
Giara  era  isola  disabitata  e  aspra:  mandasserlo  per  aiMr 
della  famiglia  Glonia  e  dell'esser  por  senatore,  nella  Citerà, 
come  Torquata  sua  sorella,  vergine  di  antica  santifà,  do» 
mandava.  Cosi  fh  approvato. 

LXX.  Udironsi  poi  li  Cirenesi:  e  Cesio  Cordo,  orante 
Ancario  Prisco,  tu  condannato  d'iniquo  reggimento.  A  Lu- 
cio Ennio  fu  fatto  caso  di  stalo  V  aversi  fatto  vasellamento 
d' ona  statua  d' ariento  del  principe.  Non  volle  ne  fosse  reo: 
«  Maisl,.»  disse  Aleio  Capitone  quasi  per  libertà  d'animo:  «  i 
padri  hanno  a  potw  deliberare;  si  gran  maleficio  non  si  può 
perdonare:  sia  dolce  quanto  vuole  per  se:  delle  ingiurie  della 
republica  non  sia  largo.  »  Intese  Tiberio  l' adolasiooe,  e  se- 
gnilo non  volere.  E  Capitone,  per  essere  in  ragion  civile  e 
divina  gran  savio,  tanto  più  scorno  ebbe  della  sporcata  de- 
gnila pid;>Uoa,  e  privata  eceellensa. 

LXXI.  Nacque  scrupolo  in  qnal  tempio  doversi  appen- 
dere il  boto  per  la  sanità  d' Agustà  da'  cavalieri  romani  fatto 
alia  Fortuna  equestre;  perchè  niuno  de'moltrin  Roma  di 
quella  iddea  avea  tal  titolo:  trovossene  uno  in  Anzio,  e  quivi 
s'appese;  perchè  tulle  le  immagini,  tempii  e  santità  che 
BeUe  terre  d' Italia  sono,*  sono  dell'  imperio  di  Roma.  Trat- 
tandosi di  religiotii^  Cesare  diede  la  sentenza  dianzi  differita 
contro  a, Servio  Malnginese  flamine  di  Giove,  conforme  allo 
statato  de'  pontefici,  fatto  sotto  Agusto,  che  si  lesse,  cioè, 
«  Ammalando  il  flamine  di  Giove  '  possa  star  fuori  più  d^ 

*  *  emif  «  potere*  U  Mb,  cancella:  m  di  fare  »  Anche  potere;  » 
S  sono.  Dovrelibesi  nel  plurale  dir  soimo  a  differénia  del  singolare  t  mt 
l' me  fugge  Pequiroeo  di  iomtutsg  e  più  totto  vaoift  quello  di  sttm,  E  non  follo 
aceottare  il  buon  rimedio  delTrikaiao  a  queste  diflicoltli  ddl'  o  pioeolo,  e  dell'  o 
grand** 

^Jlamine  di  Giot^e.  Volerà  a  popol  roiiiaiM  che  ftlla  «aerra  d'AriatoBÌco 


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15S  IL  LIMÒ  fBRKO  DB6LI  AIIM4L1. 

due  notti  '  quanto  pmrk,  al  pontefice  inas^mo;  ma  non  in 
giorni  di  pobblieo. sacrificio,  né  più  di  doe  Volte  l'anno.  » 
Che  mostrò  chiaro  l'assenza  d'an  anno  e  l'andare  in  pro^ 
vincie,  a  flamine  non  si  concedere:  e  s'allegò  Lucio  Metello 
pontefice  massimo  che  ritenne  Aolo  Postomio.  Cosi  fa  data 
r  Asia  al  più  anziano  consolare  dopo  il  Malaginese. 

LXXII.  In  que' giorni  Lepido  domandò  al  senato  di  po- 
tere a  sue  spese  racconciare  e  ornare  la  basilica  di  Paolo, 
memoria  di  casa  emilia':  osandosi  per  ancora  la  magnificenza 
pubblica  ne' privati.  Né  Agnsto  vietò  a  Tanro,  Filippo  e 
Balbo  lo  spender  le  spoglie  de'nimici  e  le  soverchie  riccbeze 
in  ornamenti  della  città  e  memorie  gloriose.  Col  qaal  esempio 
Lepido,  benché  scarso  dì  moneta,  ravvivò  lo  splendore  de' suoi 
maggiori.  E  Tiberio  prese  a  rifare  il  teatro  *  di  Pompeo  per 
caso  arso,  non  essendo  in  quella  famiglia  chi  avesse  il  mo- 
do, mantenendogli  il  nome  di  Pompeo:  e  celebrò  Seianó,  ' 
che  per  sua  fatica  e  diligenza  cotanto  fuoco  non  fece  danno 
maggiore.  Laonde  i  padri  posero  in  esso  la  statua  di  Seiano. 
£  in  onore  di  Seiano^  nato  d'una  sorella  dì  Bleso,  disse 
Cesare  che  alzava  alle  trionfali  esso  Bleso  viceconsolo  in 
Affrica. 

LXXIIL  Ma  egli  le  si  era  meritate  nelle  cose  di  Tacfa- 
rinate.  Il  quale,  benché  più  volte  rotto,  rifatto  con  aioli  dal 

andasse  L.  Valerio  Fiacco  consolo  e  flamine  ancora  di  Marte  :  M.  Licinio  Grasso 
l'altro  consolo,  e  ancora  pontefice, noi  permise  {Cic,  Filippica  seconda).  Simil- 
mente Metello  pontefice  qon  lasciò  ire  in  Affrica  Postamio  cowolo  «  flanùae 
(  Val.  Mass.,  1.  l,cap.  1  ).  Cedette  il  sommo  imperio  de' consoli  a' pontefici, 
che  volevano  anche  allora  la  risidenza.  Così  Tiberio  pronunziò  contro  alMalu- 
ginese. 

*,  più  di  due  nota.  Il  testo  de' Medici,  che^  si  può  dire  originale,  non  ha 
quel  dum  ne,  che  dava  nelli  stampati  fastidio.  E  veramente  i  malati  dovevano 
per  due  notti  potere  star  fuori  senza  licenza. 

S  prese  a  ri/are  Jl  teatro.  Vespasiano  fu  meno  liberale ,  quando  ristaniò 
con  qu^  d'altri  la  città  disfatta  per  le  passate  ariioni  e  rovine.  Donò  i  casolari  a 
chi  volesse  murarvi,  mancandone  i  padroni ,  a'  quali  volle  anzi  lire  inginstisia 
che  potersi  domandare  in  Boma,  Dot>*  h  Romaì 

'  celebrò  Seiano.  Per  lo  contrario  accusati  furono  e  dannati  M.  Miliaio , 
Gneo  LoUo  e  L.  Sestilio,  i  tre  Ufficiali  di  notte ,  perchè  non  coirsero  a  tempo 
con  li  strumenti  a  spegnere  il  fuoco  in'  via  sacra.  {Valerio  Mass.,  1.  8,  eap.  i.  ) 

*  *  JSin  onore  di  Seiano  ec.  Il  Ms.  «ancelle  :  «  E  di  poi  non  guari  Cesare 
alzò  alle  trionfali  insegne  Ginnio  Bleso  viceconsolo  in  Affrica  ,  e  disse  farlo  in 
onor-e  di  Seiano,  nato  d'nna  eorella  di  Pieso.  •• 


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IL  LIBIIO  TBEZO  MOLI  AHNALI.  li^S 

«entro  dell' Affrica ,  prosimse  chiedere»  per  ambasciadori  a 
Tit^erio,  paese  per  se  e  sao  esercito,  o  gli  farebbe  guerra  im- 
mortale. Dicono  che  Tiberio  non  si  scandalezò  '  u&qae  d' in- 
ginria  fatta  a  lai  o  al  popolo  romano ,  quanto  che  questo  truf- 
fatore e  assassino  procedesse  da  nimico.  «  Non  volemmo  a 
patti  Spartaco,  che  datoci  tante  grosso  sconfitte,  correva  per 
sua  e  abbruciava  l'Italia,  quando  nelle  gran  guerre  di  Ser- 
lorio  e  di  Mitridate  affogavamo;  e  ora  in  tanto  fiore  com>- 
porremo,' se  tu  lo  credi,  con  pace  e  terreni  un  ladroncello?  » 
Ordina  a  Bleso  che  induca  gli  altri,  col  perdonare,  a  posar 
l'armi,  e  vegga  d* aver  vivo  o  morto  Tacfarinate. 

LXXIV.  Molti  se  n'  aoquistaron  per  questa  via,  e  guer- 
reggiossi  seco  con  le  sue  arti.  Poiché  essendo  egli  di  esercito 
inferiore ,  ma  più  destro  a  rubare,  scorrere  in  masnade,  dar 
gangheri  "  e  porre  agguati;  tre  schiere  si  fecero  per  tre  ban- 
de. Andarono,  con  una,  Compio  Scipione  legato  a  impe- 
dirgli le  prede  ne'  Leptini  e  la  ritirata  ne'  Garamantì;  con 
la  soa  propria.  Bleso  il  giovane  a  difender  dall'  altra  banda  i 
villaggi  di  Cirta:  nel  mezo  esso  Bleso  co' migliori,  ponendo 
forti  e  guardie  ove  era  uopo,  dava  in  ogni  cosa  storpi  e  danni 
al  nimico  che  si  trovava,  dovunque  si  volgesse.  Romani  a 
fronte  a  lato  a  tergo.  Cosi  essendosene  molti  morti  e  presi, 
ridivise  le  tre  schiere  in  più  masnade  sotto  centurioni  di 
prova.  ^  £  finita  la  state,  non  le  ritirò  alle  stanze  solite  per 
la  provincia,  ma  come  in  principio  di  guerra  provveduti  i 
luoghi  forti,  con  cavaleggìeri  e  pratichi  in  quo' deserti,  dava 
la  caccia  a  Tacfarinate  che  or  qua  or  là  s' attendava.  Final- 
mente ebbe  prigione  il  fratello,  e  tornossene  prima  che  a' no- 
stri confederati  non  bisQgoava ,  lasciandovi  chi  rifar  guerra. 
Ma  Tiberio  tenendola  per  finita,  anche  volle  che  le  legioni 

*  si  scandalezò.  Questo  scandalexaraeiito  di  Tiberio  par  dello  con  più 
eoergia  qui ,  che  nel  latino.  ■ 

'  *  comperremo ,  compreremo  —  Politi  :  «  e  che  ora  in  tempi  cosi  flpridi, 
an ladro  Tac&rinate  ahbia  da  esser  ricomprato  con  la  pace  e  col  dargli  terreno?  •* 

S  *  dar  gangheri.  Ganghero  dicesi  quello  sguiuo  in  dietro  che  fa  la  lepre 
sopra0àtta  dai  cani  ;  e  qui  per  similitudine ,  il  repentino  rivolgersi  delle  schiere. 
Con  questo  modo  popolaresco  ha  espresso  mirabilmente  la  forxa  de'  due  verbi 
latini  incurstwe  et  eludere. 

*  *  di  prova.  Il  lai.  :  «  virtutis  experta.  *» 


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«tf4  V.  LtBaO  TBftZO  MttLI  AimAtl. 

gridassero  Bleso  imperadore;  onere  aniìeoeli^  T  esercito  fa- 
ceva al  generale  comandatore,  per  qualche  fatto  egregio  nel- 
r  impeto  deir  allegreza:  e  più  imperadori  in  «a  tempo  erano 
privati,  come  gli  altri.  Agosto  concedette  qaeato  tìtolo  a.  po- 
chi, e  allora  Tiberio  a  Bleso  per  V  ultimo.  ^ 

LXXY.  In  qneir  anno  morirono  dne  grandi;  Asìnio  Sa- 
lonino,  nipote  di  M.  Agrippa  e  d' Asinio  PoUione,  fratrie  di 
Draso,  destinato  marito  d'ana  nipote  di  Cesare:  e  Ateio  Ca- 
pitone lo  primo  gimrista  di  JRoma,  come  dissi.  Saltano  avpl 
SQO  fu  centnrione,  il  padre  pretore.  Agusto  il  fece  testo  con- 
solo per  farlo,  per  tal  dignità  sovrastare  a  Labeoae  Antistio 
Ibon  meno  ei^celleote,  avendo  prodotto  quella  età  questi. due 
lumi  dellJ|.pace.  Ma  Labeonefu  schietto  e  libero,'  e  perciò 
più  celebrate:  Capitone  cortigiano,  e  piaceva  (hù  a'  padroni. 
Quegli  che  non  passò  la  pretura,  fu  per  lo  torto  ricevuto, 
4«^ià  stimato:  questi,  che ^. consce,  per  invidia  odiato. 

LXXVLQuest'  anno,  dessantaquattresimo  doppo  la  rotta 
filippica,  mori  anche  Giunia,  nata  d' una  sorella  di  Catone, 
moglie  di  Gaio  Cassio  e  soi^dla  di  Bruto.  U  suo  testamento 
die  molto  da  dve,  avendo  onorato  di  sua  gran  faeol^de  quasi 
tutti  i  principali,  e  lasciato  Cesaro.  il  quale  la  prese  civil- 
mente, e  lasciò  lodarla  in  ringhiera  e  le  sue  ess^quie  d' ogni 
solennità  onorare.  Eranvi  portato  te  immagini  di  venti  fami- 
glie chiarissime;  Manli!,  Qiiinzii,e  si  fatti  nomi  sublimi:  ma 
quelle  di  Bruto  e  di  Cassio  più  di  tutte  vi  lampeggiavano' 
col  non  v'essere. 

*  a  Bleso  per  V  ultimo.  Dottamente  considera  il  Lipsio,  e  punta  così, 
Btmso  postremum.  Obiere  eo  annoi  e  che  dopo  Bleso  niiute.pià  conseguisse 
titolo  d' imperadore  d'eserciti;  fosse  aon  piaciuto  alli  segoenti  inpcradorì  di 
Roma. 

'  Labeone  fu  schietto  e  libero.  Non  voleva  che  Agusto  ne  Tiberio  si 
pigliassero  pia  autorità  di  quella  che  gli  davano  le  parole  della  legge  regia,  fatu 
quando  Agusto  si  prese  il  tutto^;  e  spesse  volte  n'  ebbe  con  loro  di  gran  que- 
stioni ;  onde  era  tenuto  paco  «  come  mostra  Oraaio  rZo^eoite  btsanior  intér  M- 
nos  éieatnr  (*). 

>  *  vi  lampeggiapono.  Il  Ms.  cancella  «  vi  folgonvano;  «  e  corregge  come 
sopra. 

(*)  Qautft  iiMtaia  nane*  imUs  Giontios. 


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183 

IL  LIBRO  QUARTO  DEGLI  ANNAU 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOHHARIO. 

I.  Orìgkia  6  «ortnaù  4'Bio  8M«iia.<-*II.  Cattìfiil  toiatCi  •  Mnatori  ; 
coli'  occhio  al  trono.  —  III.  la  cfaa  stato  trori  la  trappa  e  la  rapobUica.  — 
Vili.  D^  accordo  eoo  Livia  moglie  di  Dmto  P  aTvelena  ,  primo  scalino  a  8oa 
spamia  di  regoara.  Matto  di  lat  moH*  il  sanato  rineora  Tiberio,  e  di  Germa- 
nico ì  figli ,  come  eredi  dell'  impero,  gli  accoaunda.  -»  XII.  De'  figli  di  Ger^: 
manico  e  d' Agrippina  madre  la  rovina  trama  Seiano ,  fiero  da  non  risparmiar 
delitto. — XflI.  Ambasciato  e  aoense  di  protincie.  Cacciati  d'Italia  gl'istrioni. 
—  XV.  Tempio  dalle  città  d'Asia  decretato  a  Tiberio ,  a  Livia ,  al  senato.  — 
XVI.  Nuora  legge  sai  flamine  di  Gioye>  •—  XVII.  Daolsi  Tiberio  che  per  Ne- 
rone e  Drnso  figli  di  Germanico  orassero  i  pootafici.  Di  U  i  più  franchi  amici 
di  Garananieo  atterra  Saiano.  Altri  accasati  a  sanlennaCi.  —XXIII.  La  goerta 
d'Africa  chiude  Dolabella  ucciso  Tacfarìnata.  —  XX VII.  Semi  di  gnerra  schia- 
vesca in  Italia,  tosto  stiacciati,  -i-  XXVIII.  Vibio  Sereno  accasato  dal  figlio. 
Dannati  P.  Soilia,  Gremngio  Cordo,  a  altri.  —XXXVI.  A'Gifficeoi  toka  fibertè. 
—XXXVII.  Spregia  Tiberio  il  tempio  dagl'  Ispani  offertoli.  —  XXXIX.  Seiano 
da  troppa  fortuna  cieco  chiede  Livia  in  moglie.  —  XLI.  Caduto  di  tale 
speme,  il  prìncipe  spigoe  a  starsi  foocdi  Roma.  —  XLIII.  Legazioni  de'Greci  sul 
diritto  degli  asili.  «-XLIV.  Morte  dìGo.  Lentulo  e  L.  Domuio.— XLV.  L.  Pi- 
sone  ucciso  in  Ispagna. — XLVI.  Trionfali  data  a  Poppeo  Sabino  domator  de'Tra- 
ci. —  LII.  Accusa  e  condanna  di  Claudia  Pnlcra  per  adolters.  —  LUI.  Agrip- 

Sina  chieda  marita ,  indarno.  —  LV.  Undici  oìttk  d' Asia  in  gara ,  in  qaal 
'  esse  ergasi  tempio  a  Tiberio.  Vince  Smirne.  —  LVII.  Tiberio  in  Campagna. 
In  periglio  per  subito  franar  di  pietre  gli  fa  scudo  del  suo  corpo  Seiano;  in- 
grandito quinci ,  e  contro  al  germe  di  Germanico  più  aadaoe."— LX.  Addenta 
Nerone. —  LXII.  Cada  l'anfiteatro  a  Fidane  ;  pesti  o  fracassati  cin4|uanta  mila. 
— LXIV.  Arso  monte  Celio.  —  LXVII.  Ascondesi  in  Capri  Tibeno.  Sfacciate 
insidie  di  Seiano  contro  Acrippina  e  Nerone.  —  LXVIII.  Tisio  Sabino  a  capo 
d'anno  punite  per  amico  di  Germanico. -.* LXXL  Muore  Giulia  d' Agusto  ni- 
pote.— LXXII.  Frisoni  ribelli  a  stento  repressi.  — LXXV.  Agrippina  di  Ger- 
manico figlia  sposate  a  Gn.  Dpmixio. 

Cono  di  circa  sei  anm. 

.       ,.  „  ,..  o     «*»       r^         ..    ^  C.  Astino  POUUOIIB. 

An.  di  Berna  DCCLlifi.  (di  Cr.25).-CwiaoIt.  {  ^   ^^^^  y^^ 

An.diRomaDCCLXXYil.(diCr.24).-Coiiiolt.  j  l.  Vimuo  VàBWW. 


An.diRomaDCCLXX¥Ui.(diGr.25).— Coniofi.  | 


M.  Asiino  AmuppA. 

C.G08SOGoillBIJOLSinOI.O. 


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156  IL  LIBBO  QUARTO  DEGLI  AKNiLI. 

Cu.  COBNBUO  LBUTOLO  Gb- 
Aa .  di  Roma  DGCLXiix .  (di  Gr .  26) .  ^  Cotmli.  |         tolioO. 

'  G.  GiLTisio  Sabino. 
/ ,.  «    «wv      ^       ..I  M.  Liamo  Grasso. 
An.  d.  Romt  dcclxxx.  (di  Cr.  27).-Confo<i.  j   ^  calpomio  Pisore.        ' 

*     ..  «  ii'r*   A»Y      ^       fl^  I  Ap.Gihrio  Silano. 

Ad.  diRoiiiaD0CLXXXi.(diGr.28).-— CoMolt.  |  p  gm^  [^^f  A 

I.  Era  il  consolato  di  Gaio  Asinio  e  Gaio  Anlistio,  il 
nono  anno  che  la  repnblica  in  mano  di  Tiberio  quietava,  e 
la  sua  casa  fioriva,  ponendo  egli  la  morte  di  Germanico  Ira 
le  felicità;  quando  la  fortuna  cominciò  repente  a  voltare;  egli 
a  incrudelire  o  darne  animo  altrui;  e  tutto  nacque  da  Elio 
Sciano  generale  de' soldati  di  guardia,  della  cqi  potenza  di 
sopra  toccai:  *■  ora  dirò  sua  origine  e  costumi,  e  con  che  ar^ 
dimento  tentò  signoria.*  Nacque  in  Bolsena  di  Seio  Strabene 
cavalier  romano:  fu  paggio  di  Gaio  Cesare  nipote  d' Agusto: 
non  senza  nóme  d' aver  venduto  ad  Apizio  ricco  e  prodigo 
r  onestà.  Guadagnerai  poi  con  varie  arti  Tiberio  si  che  lui  a 
tutti  altri  cupo,  rendè  a  se  solo  aperto  e  confidente:  non 
tanto  per  suo  sapere'  (perchè  con  questo  fu  vinto)  ma  per 
ira  degl'iddìi:  onde  con  pari  danno  di  Roma  crebbe  e  cad' 
de.^  Fu  faticante  dì  corpo,  ardito  d'animo:^  sé  copriva,  al- 
tri infamava:  adulatore-e  superbo  insieme  era  :  di  fuori  con** 
legnoso,  entro  avidissimo,  e,  per  avere,  donava  e  spandeva: 
e  spesse  industrie  usava  e  vigilanze  che  troppo  costano/ 
quando  sono  a  fin  di  regnare. 

IL  II  generalato  delia  guardia  non  era  gran  cosa  :  il  fece 
egli  col  ridurre  in  un  sol  campo  i  soldati  che  alloggiavano 
sparsi  per  Roma,  dicendo,  uniti  poter  meglio  ubbidire  :  ve- 

*  *  di  sopra  totcai.  I,  24;  III,  29,  27. 

'  tentò  signorim.  Leggo  cceptat^nt,  non  captaveriK  Non  Irebbe,  per- 
chè Tiberio  lo  estinse,  ma  la  cominciò,  e  a  tal  grandexa  vemie,  cbe  già  era  chia- 
mato imperadore  ;  e  Tiberio  podestà  (*)  di  quell*  isole. 

'  *  sapere.  Il  Ms.  cancella  :  «  scaltrìmento.  *»  L*  esemplare  nestiaao  di 
Gino  Capponi  reca  corretto  a  penna  :  «  sottigliessa.  » 

*  *  cadde.  Il  Ms.  cancella  :  «  rovinò.  » 

^  *  Fu  faticante  di  corpo,  ardito  d*  animo.  Il  Ms.  cancella  i  «  corpo  ebbe 
faticante ,  animo  ardito.  «• 

'  *  che  troppo  costano»  Il  Ms.  cancella  :  «  dannose  ooH  meno.  *• 


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IL  LIBBO  QUARTO  DEGLI  ANRiLI.  197 

dendosi  in  viso  e  di 'tanto  namero  e  forze,  più  confidare  e 
altrui  atterrire;  in  caso  snbitano,  più  pronti  aiatarsi  :  sceve- 
rati corrompersi;  viverieno  più  severi,  piantandosi!  campo 
faorì  delle  lascivie  della  città.  Fatto  questo,  prese  a  poco  a 
poco  gli  animi  de'  soldati,  co  '1  visitare,  chiamar  per  nome  » 
fare  ì  centorioni  e  i  tribuni.  Né  mancava  di  acquistarsi  se- 
natori, onorando  i  suoi  partigiani  di  magistrati  e  reggimen- 
ti, essendogli  Tiberio  largo  e  tale  affezionato ,  che  non  pure 
nel  confabulare ,  ma  nel  parlare  a'  padri  e  al  popolo  lui  cele- 
brava per  suo  utile  compagno  alle  fatiche,  e  lasciava  vene- 
rare le  sue  statue  ne'  teatri,  ne'jjnagistrati  e  tra  gl'iddìi  del 
campo.  ^ 

III.  Ma  l'essere  in  quella  casa  tanti  Cesari,  un  figliuolo, 
nipoti  grandi,  lo  ritardava.  Ammazarne  tanti  insieme  non  sì 
poteva:  i  tradimenti  volevan  tempo.  Questi  elesse:  e  farsi* 
da  Druso  per  fresca  ira.  Perchè  Druso ,  che  non  volea  con- 
corrente ed  era  rotto,  bisticciando  a  sorte  con  Sciano,  gli 
andò  con  le  pugna  in  su  '1  viso,  e  volendosi  ei  rivoltare,  lo 
li  battè.  Adunque  tutto  pensato,  '  parve  da  servirsi  di  Livia 
moglie  di  Pruso,  sorella  di  Germanico;  di  brutta  fanciulla, 
bellissima  donna.  Finse  amarla  d'amore:  e  conseguitolo,  non 
essendo  cosa  che  donna  privatasi  d'onestà  non  facesse, 
la  'ndusse  a  dar  veleno  al  marito,  per  lui  pretendere  e  in- 
sieme regnare.  Cosi  colei ,  cui  erano  Agusto  zio ,  Tiberio 
suocero,  di  Druso  figliuoli,  vituperava  se,  i  passati  e  i  futuri 
suoi ,  giacendosi  con  un  castellano,^  per  aspettar  cose  incerte 
escelerate,  in  vece  delle  presentì  oneste.  Chiamano  nella 
congiura  Eudemo  medico  e  amico  di  Livia,  e  ne  trattano 
spesso  sott' ombra  dell'arte.  Sciano  ne  rimanda  la  moglie 
Apicata,  che  n'avea  tre  figliuoli,  per  levar  sospetti  all'adul- 


*  ira  gV iddìi  del  campo,  AI  pari  dell' ai^oile  e  cUU' insegne,  nel  loogo 
detto  Principias  dove  era  franchigia  e  adorasiooe,  come  lib.  1 ,  39,  II ,  17.  (*)   ■ 

*  *  €  farti,  e  conkinciare. 

5  *  Adunque  titUo  pensato  ec.  Il  Mi.  cancella  t  «  Adunque,  penMto  t  tatti 
i  modi,  lo  più  vivo  parve  servirsi  di  Livia.  » 

*  *  catUllano  ,  provinciale. 

n  L' altre  eabUmi  hano  eopialo  pMoraseaawiila  la  eitadoM  Mia  Gintiaa  tama  ripor- 
laila  alla  proprie  pagine.  Cosi  par»  in  qaalctie  altra  Inogo. 

I.  14 


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IttS  IL  LIBRO  QUARTO  DEGLI  ANNALI. 

tera.lla  si  gran  fatto  portava  seco  paure,  indugi  e  variare 
di  consigli. 

IV.  Nel  principio  di  qaest'  anno  Drnso  di  Germanieo 
prese  la  toga  virile:  e  in  ini  voltarono  i  padri  tatti  gli  onori 
già  decretati  a  Nerone  suo  fratello  :  '  e  Cesare  con  bella  di- 
ceria lodò  il  figliuolo,  che  i  nipoti  amasse  da  padre.  Perchè 
Druse  (benché  signoria  non  voglia  compagni)  era  amorevo- 
le, 0  certamente  non  avverso  a  que'  giovanetti.  Indi  propose 
lo  imperadore  la  sua  vecchia  e  spessa  novella  del  riveder  le 
Provincie,  dicendo  aver  gran  bisogno  gli  eserciti  d'  essere 
svecchiati  e  riforniti.  Soldati  di  buona  voglia  esservi  pochi, 
e  poco  buoni  o  modesti,'  non  pigliando  soldo  volontario  se 
non  fracassati  o  vagabondi.  £  quante  legioni,'  e  quali  Pro- 
vincie guardavano  riandò.  Il  che  invita  me  ancora  a  dire 
quanta  gente  romana  era  in  arme;^  quali  re  collegati,  quanto 
minore  V  imperio. 

y.  Guardavano  Italia  due  armate,  nell'un  mare  sotto 
Miseno,  e  neir  altro  a  Ravenna:  e  la  vicina  costa  di  Gallia 
le  galee  con  forte  ciurma,  che  Agusto  prese  ad  Azio  e  mandò 
a  Fregius.  Otto  legioni  (il  nerbo  delle  forze)  stavano  in  su'l 
Reno  a  ridosso  a'  Germani  e  a'  Galli:  tre  neUe  dianzi  domate 
Spagne.  D  regno  de' Mori  dalpopol  romano  teneva  in  dono 
Juba:  due  legioni  frenavano  il  rimagnen  te  deir  Affrica;^  due 

•  *  Vedi  Jib.  111,29. 

3*0  modesti  j  o  poco  modesti. 

'  *  E  quante  legioni  ec.  Il  Ms.caBeeUa:  «e  fec«  del  pumero  delle  legioni  e 
di  quali  provincie  guardavano  breve  rassegna.  » 

*  invita  me  ancora  a  dire  quanta  gente  romana  era  in  arme.  Da  por- 
tar arme  al  tempo  di  Claudio  fu  fatto  rassegna  in  Roma  d'un  milione  e  settecen- 
tonovansette  mila ,  dice  il  Marmo  antico  descritto  cosi  nel  libro  degli  Epigruami 
antichi,  sUmpato  dall' accademia  di  Roma  nel  1521  a  24.  (*)  tekporibts  cuv- 

DII    TIBERII   VACTA    BOMINVM     ARMIGBROBVM    OSTBNTATIOMB  ROMJB   SXPTISS    DB- 

cixs  CBHTBKA  HiLLiA  Lxxxx.  xvii.  MiL.  —  il  qual  Marmo  il  Lipsio  a  carte  S09 
dispregia  molto  nel  libro  XI  di  questi  Annali,  dove  si  pone  la  descrisione  di  tatti 
i  cittadini  rMoani  ascendente  a  sette  milioni  e  quarantaquattro  aula. 

^  dué  legumi  frenavano  il  rimagnente  dell'  AfHea.  Vedi  la  Postilla  42 
del  secondo  libro.  (**)  —  *  la  ripa  del  Danubio  due  legioni  in  Ungheria. 
L' eacmplan  Nestiano  di  O.  Capponi  corregge  •  penna  t  w  erano  due  legioni  in 
Ungheria;  due  in  Mesia  alla  ripa  del  Danubio.  » 

n  I<a  Ginnttn»  dice  :  «  Da  portar  arme  al  tempo  di  Clandió  furono  rassegnati  in  Eoms 
qvantt dice  qMilo mavao aitfae^ewrllt»  omI  dal Manoobia 8«.« 
(**)  Di  qoeata  edizione  «  nota  i  %  Vai.  (M. 


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IL   LIBtO  QOARTO  DBCSLI  ANNALI.  1(S9 

l'Egitto:  e  quattro  tutto '1  gìroBe  di  terra  dalla  Sorìa  alVEo- 
frate,  confinato  dall' Ibero,  dall'Albano  e  altri  re,  cai  la  no- 
stra grandeza  difende  dall'altre  potenze.  Tenevano  la  Tracia 
Remetalce  e  i  figlinoli  di  Coti  :  la  ripa  del  Danabio  dae  le- 
gioni in  Ungheria,  due  in  Mesia;  e  dae  eran  poste  in  Dal- 
mazia alle  spalle  di  qaelle,  e  comode  ad  ogni  repentino  soc- 
corso d'Italia:  ancora  che  la  città  tenesse  in  corpo  per  saa 
propria  guardia  tre  coorti  di  Romaneschi ,  e  nove  pretoriane 
scelte  quasi  di  tutta  Toscana,  Umbria,  Lazio  e  romane  co- 
lonie antiche.  E  ne'  luoghi  opportuni  delle  provincie  nostre, 
stavano  armate  de'  collegati,  fanti  e  cavalli  d' aiuti ,  di  poco 
minori  forze:  l'appunto  non  si  può  dire,  essendo  messe  qui 
e  qua;  più  e  meno,^  secondo  i  tempii 

VI.  Farmi  anco  da  dar  conto  '  come  l' altre  membra 
della  republica  stessero  sino  allora:  poiché  in  queir  anno 
c(»nÌBciò  Tiberio  a  peggiorare  il  principato.  Primieramente 
te  cose  publiche  e  le  maggiori  private  trattavano  i  padri.  I 
principali  ne  dicevano  i  pareri:  dava  egli  a'  troppo  adulanti 
in  su  la  boce  :  gli  onori  senza  dubbio  a'  migliori  per  antica 
nobiltà,  virtù  ciyik  e  gloria  d'armi.  Tenevano  i  consoli  e 
pretori  V  apparenza  :  i  minori  magìatrati  esercitavano  la  loro 
podestà.  Le  leggi ,  fuor  de'  casi  di  maestà,  bene  usate.  Grani, 
tributi  e  altre  entrate  publiche  maneggiate  da  compagnie  di 
cavalieri  romani.  Le  cose  sue  faceva  Cesare  ministrare  a 
cima  d'uomini,  di  prova  o  di  nome:  tenevali  tanto  che  molti 
invecchiavano  in  uno  uficio.  La  plebe  pativa  del  caro  :  ma 
che  colpa  del  principe?  anzi  egli  accrebbe  il  coltivare  e  '1  na- 
vigare con  ogni  possibile  spesa  e  industria*?  Graveza  nuova 
non  pose:  le  vecchie  faceva  senza  avarizia  e  crudeltà  de'mi- 
nistri  tollerare.  Non  le  persone  atfliggere ,  non  de'  beni  pri- 
varle. 

VII.  Pochi  stabili  per  l'Italia  teneva:  non  turbe  di  schia- 
vi: pochi  liberti  in  famiglia.  Se  litigava  con  privati,  chie- 
deva giudice  e  ragione.  E  tutte  queste  benignità  per  modi 

*  *  pia  e  meno,  fi  Ms.  eaaceUa  :  «  cresciate  e  scemate.  *» 
'  *  Pormi  anco  da  dar  conto  ec.  Il  Ms.  canceUs  :  «  Farmi  bene  sproposito 
dar  conto  ce.  • 

'  *  e  industria,  li  Bis.  «  e  diligenza.  *» 


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160  IL  LIBRO  QUARTO  DEGLI  ANNALI. 

non  benigni,  ma  villani  o  spaventosi  ^  ritenne,  insino  alla 
morte  di  Druso  :  perchè  Seiano  nel  cominciare  a  crescere, 
voleva  nome  di  consigliare  il  bene,  e  temeva  di  Droso ,  ni- 
mico già  scoperto  e  sbuffante*  che  dov'era  il  figlinolo,  si  chia- 
masse air  imperio  altro  aiuto,  a  Che  gli  manca  a  farsi  com- 
pagno? Doro  è  tentar  signoria:  se  vi  metti  una  branca, 
partigiani  e  ministri  ti  corron  dietro.  S' è  fatto  '1  campo  a  suo 
modo:  datogli  in  mano  la  milizia:  vedesi  bielle  fabbriche  di 
Pompeo  la  sua  bella  figura:  mescolerassì  questa  raza  col  san- 
gue de'  Drusi  :  botianci  alla  Modestia ,  eh'  ei  fermi  qui.  »'  So- 
vente e  in  publico  tali  cose  dicea,  e  la  rea  moglie  ridicea  le 
segrete. 

Vili.  Seiano  adunque  parendogli  da  sollecitare  ,  scelse 
veleno  lento,  che  mostrasse  altro  male:  e  diélo  a  Druso  Ligdo 
eunuco;  il  che  si  seppe  otto  anni  doppo.  Tiberio,mentre  durò 
il  male,  ebbe  o  finse  fermo  cuore:  e  quando  era  morto  e  non 
seppellito,  entrò  in  senato:  e  a'  consoli  che  per  duolo  nio- 
strare  erano  *  in  sedia  vile,  ricordò  V  onor  loro  e  del  luogo: 
e  cop  gli  occhi  asciutti  e  parlar  non  rotto  confortò  il  senato , 
che  dirottamente  piangeva,  "  dicendo:  «  Che  del  venir  quivi 

*  viUani  o  spavmtosi.  Traeva,  diciamo  poi,  il  pane  con  Ut,  balestra. 
Vedi  la  postilla  69  del  primo  libro.  (*)  —  *  per  modi  non  benigni  ec.  Il  Mt. 
cancella  :  «  con  aspro  TÌsaggio  e  per  Io  più  spaventevole.  » 

'  *  e  sbuffante  ec.  Dolevasi  che  Tiberio  avesse  posposto  lai  a  Seiano  nel- 
r  aiuto  dell'impero. 

B  *  botiix^ci  alla  Modestia,  eh* ei  fermi  qui-  Lat.:  m  precandum  post 
haec  modestiam ,  ut  contentus  esset,  *»  Dopo  tutto  ijuesto  non  restava  se  noo 
di  raccomandarsi  alla  sua  modestia ,  eh'  e'  volesse  esser  contento,  e  non  brigasse 
di  salire  più  alto. 

*  *  per  duolo  mostrare  erano  ec.  Il  Ms.  cancella:  «  per  duolo  sedevano  in 
sedia  vile  ;  »  e  riscrìve  :  «  sedevano  basso  ;  »  ricancella,  e  torna  al  primo  modo  : 
«  in  sedia  vile.  » 

'  *  il  senato,  che  dirottamente  piangeva.  Aveva  scritto;  «  che  dirotto 
piangeva;  «  poi  cancellò  e  riscrisse:  «  il  dirotto  piangere  del  senato:  <•  e  questa 
lesione  trovasi  nella  Giuntina.  Ma  nelle  nuove  cure  corresse  come  sopra.  Cosi  nel 
periodo  che  segue  vedonsi  più  pentimenti.  La  prima  dettatura  è  questa:  «dicendo 
sapere  che  del  venire  in  cotanto  dolore  a  farsi  vedere  in  senato  potea  aver  biasi- 
mo: appena  avallare  a' congiunti,  appena  guardare  la  luce  solere  i  dolenti,  e 
non  imputarsi  a  debolessa.  »  Poi  corresse  :  «  diceftdo  che  del  venir  quivi  in  co- 
tanto dolore  a  farsi  vedere  sapeva  aver  biuimo  :  appena  udire  i  parenti,  fuggir  la 
luce  solere  gli  aflUtti  s^osa  parer  deboli.  »  Finalmente  corresse  come  ai  vede  nel 
lesto. 

(*;  Diqaesta  ediiione,  nota  1 ,  pig.  58. 


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IL  LIBBO  QUARTO  DSGLI  ANNALI.  161 

in  cotanto  dolore  a  farsi  vedere,  sapeva  poter  aver  biasimo; 
solendo  gli  afflitti  per  lo  più  fuggire  i  conforti  de'  parenti  e 
la  lace  senza  nota  di  deboleza:  ma  esso  nell'  abbracciare  la 
republica  aver  cercato  i  veri  conforti.»  E  compiantosi  del- 
l' età  d' Agosta  decrepita  y  e  della  sna  mancante ,  con  due 
nipotini  '  col  gnscio  in  capo,  '  domandò  condorsi  qoivi  i 
figlino'  di  Germanico  conforti  unichi  de'  presenti  mali.  An- 
dare i  consoli  per  qne' giovanetti,  e  fatte  lor  le  parole,  '  li 
presentare.  Abbracciolli,*  e  disse:  «  Padri  coscritti,  io  con- 
segnai questi  orfiani  al  zio;  e  pregailo  che  quantunque  figliuoli 
avesse,  gli  carezasse  o  come  suo  sangue  allevasse  per  soste- 
gno suo  e  de'  suoi  avvenire.  Ora  che  Druse  n'  è  tolto,  prego, 
e  presenti  gli  iddii  e  la  patria ,  scongiuro  voi  che  questi 
d' Agusto  bisnipoti,  di  chiarissimo  sangue  nati,  prendiate, 
reggiate  e  '1  debito  vostro  e  '1  mio  adempiate.  Questi,  o  Ne- 
rone 0  Druso,  sono  i  vostri  genitori:  e  voi  siete  nati  tali  che 
i  beni  e  i  mali  vostri  sono  della  republica.  » 

IX.  Fece  cader  le  lagrime,  e  pregare  felicità.  E  se  egli 
finiva  qui,  aveva  di  compassione  e  gloria  sua  ognun  ripieno. 
Tornato  a  sue  novelle  tante  volle  derise ,  del  lasciar  la  repu- 
blica, del  prenderne  i  consoli  o  qualcuno  il  governo;  non  gli 
fu  creduto  anche  il  vero  e  V  onesto.  Alla  memoria  di  Druso 

*  *  con  due  nipotini.  E  qui  pare  appariscono  nel  Ms. molti  pentimenti  che 
non  Usceremo  di  notare  a  beneflsio  di  chi  ama  ne'  grandi  scrittori  discoprire  i 
segreti  dell'  arte  :  «  sensa  nipotini  in  etk  (corr.  con  due  nipoti  aitanti:  corr.  non 
àbili)  domandò  condursi  quivi  i  figlino'  di  Germanico  unichi  alleggiamenti 
de' presenti  mali.  ** 

'  col  guscio  in  capo.  Le  metafore  nei  favellare  sono  stelle  che  seintillano. 
Il  nostro  Tolgare  n'è  pieno  e  felice.  E  perchè  chiuder  loro  la  porta  a  entrare  nelle 
nobili  scritture,  per  dire,  la  fabbrica  non  le  ha  trovate  nelli  scrittori?  Aprasi 
a  questa  de' pulcini ,  che  pone  innansi  agli  occhi  1'  età  non  capace  di  regnare  di 
qoe' binati  di  quattro  anni;  d'altra  maniera  che  qoel  rudem  adhuc  nepotum, cìoh 
habentem  nepotes  rudes  regnandi.  Uno  di  qne' taciturni  che  l' Alciato  nella  pi- 
stola della  storia  del  Giovio  chiama  senticela.  Prunaie  veramente  che  s'attaccano 
a' panni  e  rattengonò  e  afiàticano  il  leggitore.  (*)  Con  questa  metafora  il  parlare 
e  più  affettuoso, breve  e  chiaro;  e  non  so  che  la  metafc^ra  faccia bassetsa,  ami  mo- 
stra destreesa  d'ingegno  in  trovare  il  simile  nel  dissimile. 

'  *  e  fatte  lor  le  parole  i  cioè,  e  rincoratili  con  benigne  paiole.  Lat.r  w^r- 
mant  tdloquio  adoleseentulos. 

*  Abbraceiolli.  Ahi  gattona  1  tanto  io  odio  la  casa  di  Germanico  hai ,  e 
queste  lustre  mi  fai } 

n  Ciò  eb«  segue  non  è  nella  Ginntina. 

14* 


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162  IL  LIBRO  QUABTO  DfiQLI  ANNALI. 

s'ordinaro  gli  onori  di  Germanico  e  più  altri  ^  come  TQole 
adulazion  seconda.  L' esequie  foron  pomposissìme  ^  d'imma- 
gini. Enea  orìgine  de' Giuli,  (otti  i  re  albani  e  Romolo  fon- 
dator  di  Roma,  la  nobiltà  de'  Sabini,  Appio  e  gli  altri  Glandii 
seguiano  in  lunga  fila. 

X.  Ho  tratto  la  morte  di  Druse  da'  più  e  più  fedeli  scrit- 
tori. Ma  io  non  tacerò  la  voce  andata  in  quei  tempi  che  an- 
cor dura,  che  Sciano  corrotta  Livia,  si  guadagnò  con  la  me- 
desima disonestà  l' animo  di  Ligdo  eunuco,  donzello  '  vago 
e  caro  al  signor  suo,  e  de'  primi  ministri.  E  fermato  tra  i 
congiurati  che  egli  desse  il  veleno,  e  dove  e  quando;  '  ardi 
variar  l'ordine;  e  disse  piano  a  Tiberio,  cenante  con  Druse: 
ce  Druse  t'avvelena  nella  prima  taza,  non  la  bere.  »  Il  vec- 
chio per  tale  inganno  la  prese,  e  porse  al  figliuolo,  il  quale 
come  giovane  la  tracannò  ;  e  tanto  più  fece  credere  d'  es- 
sersi per  paura  e  vergogna  ingoiata  la  morte  che  al  padre 
mescea. 

XI.  Questa  è  boce  di  popolo:  storici  non  la  conferma- 
no, né  è  da  credere:  perchè  quale  uomo  di  prudenza  niezana, 
Aon  che  Tiberio  di  cotanta,  arebbe  cosi  alla  cieca  porlo  la 
morte  al  figliuolo  di  sua  mano,  da  non  poterla  ritirare?*  mar- 
toriato anzi  il  coppiere;  ^  cercato  chi  '1  fece  fare  ;  andato  a 
beir  agio,  come  vuol  natura  contro  alli  strani,  non  che  a  un 
figliuolo  nnico,  stato  sempre  buono.  Ma  per  esser  Seìano  ca- 
mera d'ogniendrmeza,  troppo  atnato  da  Cesare,  ambi  odia- 
tissimi,  ogni  disorbitante  favola  se  ne  credeva:  e  nelle  morii 
de' padroni*  le  lingue  flfrtDgiiellaBo.L'ordine  di  questo  fatto  fu 
rivelato  da  Apicata  di  Seiano:  chiarito  per  tormenti  d' Eu- 

*  *  L*  esequie  furon  pcmpogissime.  Il  Ms.  reca  cancellato  ;  «  Nell'esegoir 
fu  grandissima  pompa  ce.  » 

S  *  donzello.  Il  Ms.  cancella  :  «  valletto.  » 

'  *  e  dove  e  quando,  11  Ma.  cancella  :  «  fennato  poi  tra  i  congiurati  tempo 
e  luogo  di  dare  il  veleno.  *t 

^  *  da  non  poterla  ritirare  te.  U  testo  vuol  dire:  come  mai  avrebbe  dato 
morte  al  figliuolo ,  senia  udir  sue  discolpe  ;  e  di  sua  mano  stessa,  sema  poter  tor- 
nare in  dietro  t 

S  *  martoriato  anai  il  coppiere,  cioè  :  avrebbe  piuttosto  martoriato  il  cop- 
piere  ec. 

S  *  e  neUe  morti  de*  padroni  ce.  Il  Lat.  ha  :  «  atrociore  semperfamd  erga 
dominantìum  exttus,  » 


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IL  LIBBO  QUABTO  DBCILI  ANNALI.  163 

demo  e  di  Ligdo.  Scrittore  non  è  si  nimico  di  Tiberio ,  che 
gli  dea  tal  carico,  e  pur  gii  ritrovano  l'altre  cose,  e  l'accre- 
scono. Ho  Yoloto  dire  e  riprovare  questa  ciancia,  per  isban- 
dirle  *  con  si  chiaro  esempio  :  pregando  chi  leggerà  queste  no- 
stre fotiche  a  non  anteporre  le  sconce  cose*  che  il  volgo 
troppo  accetta,  e  sparge,  innanzi  alle  vere  e  non  stravaganti. 

XII.  Lodando  Tiberio  il  figliuolo  in  ringhiera,  il  sena- 
to e'I  popolo  avevano  panni  e  voci  da  duolo,'  ma  dentro 
gioia,  che  la  casa  di  Germanico  si  ravvivasse.  Il  quale  inco- 
minciato favore ,  co  '1  non  sapere  la  madre  Agrippina  coprir 
la  speranza ,  afiRrettarono  la  rovina.  Perchè  Sciano  veduta  la 
morte  di  Druse  riuscita  franca,  e  al  publico  non  doluta; 
come  fiera  insanguinala  del  primo  ratto;  *  pensava  come  le- 
var via  i  figliuoli  di  Germanico,  certi  succeditori.  Avvele- 
nare tre  non  poteasi,  essendo  troppo  fidati  i  custodi,  e  can- 
dida Agrippina.  Diedesi  dunque  a  sparlare  deir alterigia  di 
lei  :  •  sollecitare  Agusta  per  l'antico  odio,e  Livia  per  lo  nuovo 
peccato,  che  mostrassero  a  €esare  che  questa  superba,  fon- 
data ne'  tanti  figliuoli,  nel  favor  del  popolo,  spasimava  di  re- 
gnare; e  per  mezo  di  Giulio  Postumo,  adultero  di  Mulilia 
Prisca,  cameriera  cara  d' Agusta,  faceva  tutto  di  punzec- 
chiare questa  vecchia,  per  natura  avida  di  potenza ,  a  levarsi 
dinanzi  questa  nuora,  questa  padrona;  e  mandava  ad  Agrip- 
pina a  darle  consigli  a  rovescio,  e  quelli  accesi  spiriti  rin- 
fiammare. * 

XIII.  Ma  Tiberio  niente  smagato,  ^  pigliandosi  per  con- 
forto 1  negozi,  faceva  ragione  a'  cittadini,^  sentiva  le  diman- 
do de'  collegati,  e  voùe  che  Cibira  in  Asia,  Egira  in  Acaia , 

'  *  per  isboHdirle,  per  {sbandirla. 

^  *  le  sconce  cose.  II  Ms.  cancella  ;  «  le  cose  mostruose  ;  ■*  e  di  nuovo  cor- 
regge :  M  le  cose  non  credibili ,  »  come  sta  nella  Giuntina. 
S  *  da  duolo.  Il  Ms.  cancella:  «  da  cì^oglio.  » 

*  come^era  insanguinata  del  primo  ratto.  Quanto  meglio  del  latino! 

S  *  Diedesi....  a  sparlare  te,  Ù  Ms.  cancella  :  «  gittossi  a  servirsi  dell'alteri- 
gia di  lei  ;  »  e  di  nuovo  corregge:  «  servendosi  dell'alterìgia  ec.  » 

*  *  rinfiammai^e.  Nel  Ms.  vedesi  cancellato:  «  e  que' gonfiati  spiriti  rigon. 
fiare.  * 

f  *  smagato,  smarrito  o  venuto  meno. 

*  *Jaceva  ragione  a*  eittadini  ec.  Il  Ms.  cancella;  «  spediva  le  cause  idei 
cittadini,  l'ambascerìe  de' collegati,  e  fece  decretare  che  Cibira  ec  » 


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164  IL  LIBRO  QUARTO  DBCILI  ANNALI. 

fracassate  da'  tremuoti,  si  sgravassero  per  (re  anni  di  triba- 
to  :  che  Vibio  Sereno  viceconsoio  della  Spagna  di  là,  dan- 
nato di  pnbliche  storsioni,  fosse  confinato  per  li  suoi  modi 
atroci  '  nell'isola  d'  Amorgo  :  che  Garsio  sacerdote  e  Gaio 
Gracco,'  accagionati  di  data  vettovaglia  a  Tacfarinate ,  fos- 
sero assoluti.  Gracco  fu  portato  in  fasce  da.  Sempronio  suo 
padre  nell'isola  di  Cercinnasecoin  esigilo.  £  quivi  tra  sban- 
diti e  rusticani  allevato,  andò  ramingo  per  l'Affrica  e  per  la 
Cicilia,  facendo  per  vivere  il  ferravecchio.  '  £  nondimeno 
corse  pericolo  da  grande.  £  se  £lio  Lamia  e  L.  Apronio,  che 
l'Affrica  governavano,  non  difendevano  lo  innocente;  era 
per  lo  sventurato  gran  sangue,  *  e  per  l'avversità  del  padre, 
levato  via.' 

XIV.  Anche  questo  anno  vennero  di  Grecia  ambasciadori 
per  la  conferma  dell'antiche  franchigie  de' templi:  i  Samii, 
di  Giunone,  e  ne  mostravano  decreto  delli  Anfizioni,  foro 
comune  delle  città  edificate  nell'Asia  da'  Greci,  già  padroni 
di  quelle  marine:  i  Coi,  d'  £sculapio,  e  ne  avevano  antichilà 
non  minore  e  proprio  merito,  per  aver  in  essa  franchigia  sal- 
vato i  cittadini  romani,  quando  il  re  Mitridate  gli  faceva  per 
tutte  l'isole  e  «ittà  dell'Asia  ammazare.  Finalmente  Cesare 
propose  le  spesse  e  non  attese  querele  de'  pretori,  dell'inso- 
lenze de'  commedianti,  scandolosi  in  publico  e  disonesti  per 
le  case.  Questi,  già  mattaccini^  per  fare  un  poco  ridere  il 
popolo ,  esser  venuti  a  tali  scelerateze  e  insolenze  che  biso- 


'  per  li  suoi  modi  atroci.  Leggo  atrocitatem  morum.  Può^  stare  ancora 
temponon»  per  mitigare  Tiiuolense  de'wceconsoli. 

>  Gaio  Gracco.  Cosi  nel  Boccaccio  il  conte  d' Anguersa  per  non  esser  co- 
nosciato  e  ammasato ,  per  la  taglia  della  reina  di  Francia,  Upinò  per^  lo  mondo 
.a  guisa  di  paltoniere,  ta  crudel  prigionia  e  morte  di  Sempronio,  padre  di  qatsto 
Gracco ,  si  narra  nel  primo  libro. 

'  *  ferravecchi»,  riveiidugliolo  di  sferre  vecchie.  Lat.:  m  mutando  sordida* 
merces.  » 

•  *  gran  sangue,  sangue  nobilissimo. 

S  era..,  levato  via.  Come  tutti  i  grandi ,  gli  altri  non  portavan  pericolo  sì 
al  sicuro. 

*  mattaccini  s  o  sanni  o  ciccantoni ,  che  come  gli  antichi  Osci  e  Atellani, 
ancora  oggi  con  gofibsima  lingua  bergamasca  o  norcina ,  e  con  detti  e  gesti  spor- 
*chi  e  novissimi ,  fanno  arte  del  far  ridere  e  corrompere  la  gioventù ,  e  non  sono 

da' cristiani  come  allora  da' gentili  cacciati  via. 


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IL   LIBBO  QUABTO  DB6U  ANNALI.  ^6tf 

gnavano  i  padri  a  correggerli  ;  onde  furono  cacciati  d'Italia. 

XV.  In  questo  anno  Cesare  ebbe  nuovo  dolore  per  la 
morte  di  un  di  que' binati  di  Druse:  nò  minore  per  quella  di 
Lucilio  Longo  amico  suo,  partecipe  d'ogni  suo  dispiacere  e 
allegreza,  né  altro  senatore  gli  tenne  compagnia  nella  ritirata 
di  Rodi.  Laonde  esequie  da  ceasore,  benché  ^omo  nuovo,  e 
statua  nel  foro  d' Agnsto  a  spese  publiche  gli  ordinare  i  pa- 
dri: per  mano  de' quali  per  ancora  faceva  ogni  cosa:  onde 
fecero  comparire  a  difendersi  e  condannarono  Lucilio  Capi- 
tone proccoralore  dell'  Asia,  accusato  dalla  provincia  d'aver 
fatto  uficio  di  governatore»  e  adoperato  soldati;  molto  avve- 
rando' Cesare  non  avergli,  oltre  a' suoi  schiavi  e  danari, 
autorìlà  data.  Se  soprusata  l'avesse,  facessono  alla  provincia 
ragione.  Per  questa  e  per  altra  ragion  fatta  l'anno  innanzi 
contro  a  Xiaio  Silano,  le  città  dell'  Asia  deliberaron  fare  a 
Tiberio,  alla  madre  e  al  senato  un  tempio.  Fu  conceduto  e 
fatto.  E  Nerone  fece  le  parole  del  ringraziamento  a'  padri  e 
all'avolo:  imbambolato  quegli  uditori  *■  sviscerati  della  memo- 
ria di  Germanico,  a' quali  parea  veder  lui,  udir  lui:  e  nel 
giovane  erano  modestia  e  belleza  da  principe,  e  per  lo  noto 
odio  e  pericolo  di  Sciano,  più  graziose. 

XYL  Nel  medesimo  tempo  Cesare  parlò  di  rifare  il  fla- 
mine di  Giove,'  in  luogo  del  morto  Servio  Maluginese,  e  ri- 
formarlo; usandosi  per  antico  eleggerne  uno  di  tre  nominati 
patrizi ,  e  di  padre  e  madre  confarrati;  *  che  si  durava  fatica 
a  trovargli,  ^  per  esser  dismessa  o  poco  ritenuta  la  cirimonia 
del  confarrare:  perché  né  uomo  né  donna  se  ne  curava,  per 
le  molte  difiQcultà  che  v'aveva;  e  per  fuggirle,  si  emancep- 

'  *  molto  avverando.  Il  Lat  :  «  magna  cum  asseveraUone,  n 

*  *  imban^olato  quegli  udiiortj  cioè,  avendo  egli  commosso  e  quasi  fatto 
piangere  di  tenerena  quegli  uditori  ec. 

^  JlaminB  di  Giove.  Di  questa  antichità  vedi  Boccio  nella  Topica  di  Cice- 
rone ,  e  il  Lipsio  sopra  questo  lu(^ ,  al  solito  diligente  e  dotto. 

*  *  eonfarraU  :  sposati ,  cioè,  c<d]a  cerimonia  delk  confarraaione,  così  detta 
perchè  od  sacrifisio  niuiale  si  usava  il  farro.  Questa  sob,  tra  le  varie  specie  di 
cerimonie  nuxiali,  rendeva  il  matrimonio  indissolubile. 

8  *  €ha  si  durava  fatica  a  trovargli.  Ho  seguito  la  lesione  della  Giuntina, 
come  più  chiara  e  più  elegante.  La  volgata  dice  :  «  di.  padre  e  di  madre  confar- 
rati: per  esser  cosa  faticosa ,  diceva  egli,  a  trovargli,  per  esser  dismetsa  o  poco 
ritenuta  ec.  » 


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166  II  LIBRO  OOAKTO  DMU  ANNALI. 

pava  *  colai  che  pigliava  il  flaminato ,  e  colei  che  a  flamine 
s'impalmava.  <c  Perciò  rimediasaeci  eoa  decreto  o  legge  il 
senato;  siccome  anco  Agosto  ammodernava  certe  ruvide  an- 
tlchitadi.  »  Studiata  tale  diviniti,  *  piacque  non  toccare  gli 
ordini  de'  flamini  :  ma  si  fece  legge  che  la  flamina  di  Giove 
fosse  in  podestà  del  marito  nelle  cose  dei  flaminato;  nel  resto, 
come  V  altre  donne.  E  in  rifatto  il  figlinolo  del  morto.  E  per 
dare  repntazioneal  sacerdozio,  e  animo  a  pigliare  gli  ordini,' 
si  donò  a  Gornelia,*  rifatta  in  luogo  di  Scansia,  cinquecento 
fiorini^  e  stabilissi  che  ne'  teatri  Agnsta  sedesse  tra  leYestali. 
XVII.  [A.  di  R.  T77,  di  G.  Gr.  24.]  Entrali  consoli  Cor- 
nelio Getego  e  Visellio  Varrone,  i  pontefici,  e  con  loro  gli 
altri  sacerdoti,  pregaron  gì'  iddìi  per  la  vita  del  principe,  e 
anche  di  Nerone  e  Druse:  non  per  carità  verso  que' giovani, 
ma  per  adulazione,  nella  quale  il  popolo  corrotto  erra  nel 
troppo,  come  nel  poco.  Laonde  Tiberio  alla  casa  di  Germa- 
nico non  mai  benigno,  qui  si  versò  che,  pari  di  lui  vecchio^* 
si  pregasse  per  que'  fanciulli*  Mandò  pe'  pontefici,  e  domao- 
dolli  se  il  fecero  per  preghi  o  minacce  d'Agrippina;  e  negan- 
do,^ li  garrì  deslramente;  essendoli  parenti  o  principali  delle 
città: ma  in  senato  avverti  che  un'  altra  volta  non  levassono 
i  lievi  animi  de' giovanetti  in  queste  superbie  di  acerbi  onori. 
Perchè  Sciano  non  finava  di  dire:  «La  città  è  in  parti,  come 
in  guerra  civile  :  alcuni  si  chiamano  di  que'  d' Agnppina:  e 
cresceranno,  lasciandogli  fare.  Alla  crescente  discordia  altro 
rimedio  non  ci  ha,  che  scapezare^  uno  o  dna  di  questi  fe- 
roci. A  • 


'  *  si  emanceppava»  Il  Ms.  cancella  :  «  dalla  podestà  del  padre  usciva.  » 

*  *  divinità  i  rito,  cerìmoBÌa. 

'  *  a  pigliare  gii  ùrdini»  Lat.:  «  ad  eapessmtbu  ettremomia^.  » 

*  *  a  Cornelia,  Tergine  vestale. 

'  *  (ftd  si  versò  che,  pari  di  lui  veeebia  ee.  :  «  ebbe  molto  per  male,  e  te 
ne  dolse,  che  li  due  giovani  Auserò  stati  coma  agallati  a  Ini  cke  era  vecchio. « 
G.  Dati.  Versarsifin  senso  di  adiiaisi  (beotamente,  lo  abbiamo  gik  veduto  anche 
nel  Ub.  I,  la.  Mei  Ms.  vedesi  casicellato  s  «  aUora  si  seandalaaò  che  al  pari  della 
sua  vecchiesa  ec.  » 

^  *  e  negando^  ciok:  sebbene  ani  nq;UBero,  para  gli  gani^  nooderata- 
mente,  essendo  parenti  ec.  * 

1  *  seapeMore,  dic^»itare. 

B  *  di  questi  feroci,  di  questi  più  caldi  parteggiatori  di  Agrippina. 


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IL  LIBBO  QUARTO  DB6LI  ANNALI.  167 

XVIII.  Cogliesi  innanzi^  Gaio  Sìlio  e  Tizio  Sabinoi, 
d' ambo  i  quali  V  amicizia  di  Germanico  fa  la  rovina;  e  di  Si- 
lio pia;  che  avendo  governato  nn  grosso  esercito  sette  anni , 
acquistato  le  trionfali  in  Germania,  vinto  Sacroviro;  quanto 
maggior  machina  era,  con  più  spavento  degli  altri  cadeva. 
Offese  Tiberio  ancor  più  lo  suo  tanto  vantarsi  dell'  essere 
stati  i  soldati  suoi  sempre  ubbidienti,  quando  gli  altrui  sedi- 
ziosi; e  che  egli  *  non  sarebbe  imperadore,  ogni  po' che  ave^ 
sero  scherzato  '  anche  le  sue  legioni.  «  Adunque,  diceva  Ti- 
berio, io  sono  niente;  non  lo  potrò  mai  ristorare.  »  Perchè 
i  beneficii  rallegrano  in  quanto  si  posson  rendere  :  gli  ecces- 
sivi si  pagano  d' ingratitudine  e  d'odio.* 

XIX.  Era  moglie  di  Silio  Sosia  Galla,  odiata  dal  prin- 
cipe, perché  Agrippina  l'amava.  Questi  due  risolvè  assidire, 
e  Sabino  prolungare.  Varrone  consolo  non  si  vergognò  ub- 
bidire a  Seiano  in  dar  la  querela  con  la  sentenza,  che  i  pa- 
dri loro  eran  nimici.  Chiedendo  il  reo  tempo  breve,  che  l' ac- 
cusatore uscisse  di  consolo.  Cesare  disse  «  Che  l' aggiornare 
le  parti  stava  a'  magistrati,  '  né  si  poleva  menomare  la  balta 
del  consolo,  nella  cui  vigilanza  consiste  che  la  repnblica  non 
riceva  dannaggio.»  Era  proprio  di  Tiberio  con  simiglianti 
parole  prische  ricoprire  le  malvagità  sue  nuove.  Fece  dun- 
que gran  ressa  dì  ragunare  i  padri  quasi  a  giudicar  s'avesse 
Silio  con  le  leggi,  o  faase  Varrone  consolo,  *  o  caso  publico 
quello.  L'aver  saputo  o  tenuto  mano  alla  guerra,  chiuso  gli 

*  *  Cogkesi  innanzi  ec.  I  piìoii  di  ^e'parUggiatori  cai  fosser  poste  le 
mani  addoMo  furono  G.  Silio  e  Tisio  SaLioo. 

4  *  eehe  egli,  Tiberio. 

'  *  avessero  schermato,  avessero  volato  far  novità. 

*  i  benefcii^.  eccessivi  si  pagano  d'  ingratitudine  e  d'odio.  Perciò  fo^ge 
il  fallito ,  benché  accordato ,  la  faccia  del  creditore  :  e  lo  scampato  dallo  affidare 
non  può  vedere  lo  scampatore ,  per  primo  moto  e  impeto  di  natura.  (*)  Ne  il  mi- 
Distro  del  proprio  male6cio  si  può  patir  di  vedere  :  perchè  Io  ricorda,  rin^rovera, 
come  Anieelo  a  Nerone  la  morte  della  madre. 

8  *  Che  P  aggiornare  le  parti  stava  «''  magistrati  ec.  G.  Dati  :  *  esser  cosa 
solita  de'  magistrati  di  chiamare  in  giudicio  le  persone  private.  »  Il  Davansati  ha 
qui  usato  aggiornare  per  assegnare  il  giorno  ad  alcuno  per  comparire  in 
giudizio  (««  diem  dicere  »  ). 

0  *  ofusse  Varrone  consolo,  e  non  ami  sgherro  di  Tiberio. 

(*)  Ciò  cbe  isgae  non  si  legge  nella  Giwitiua. 

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168  IL  LIBBO  QUARTO  DBGtI  ANNALL 

occhi  alla  fellonia  di  Sacroviro,  ^  guasto  la  vittoria  con  l' ava- 
rizia, e  Sosia  saa  moglie  erano  i  peccati.  «L'ira  di  Cesare 
è  il  mio  peccato  »  disse  sempre  né  mai  altro  per  soa  difesa. 
Al  governo  non  potevano  apporre  :  ma  all'accose  di  stato  non 
si  poteva  rispondere.  Silio  non  aspettò  la  sentenza,  e  s' am- 
mazò. 

XX.  E  nondimeno  si  corse  a* beni,'  non  per  restitnlr 
tributi,  come  dicevano,  mal  presi;  che  ninno  sì  risentiva  : 
ma  per  torgli  il  dono  fattogli  da  Agusto ,  del  soo  debito:  ri- 
scosselo il  fisco  sino  ad  nn  picciolo.  E  fo  questa  la  prima  di- 
ligenza di  Tiberio  contro  alla  roba  d'altri.'  Sosia  fu  sbandita 
per  parere  d'Asinio  Gallo,  che  parte  de'beni  dava  affiglinoli, 
il  resto  al  fisco.  Manie  Lepido  disse,  «  Il  quarto  àgli  accusa- 
tori per  forza  della  legge,  il  resto  affiglinoli.  »  Trovo  che 
questo  Lepido  fu  grave  e  savio  uomo  di  que'  tempi ,  perchè 
molte  crudeltà  trovate  da  gli  adulatori  temperò,  e  poteo  farlo 

*  mUafenonia  di  Sacroviro.  Usata  come  nel  IO».  Ili,  43*47 ,  della  qaale 
Tiberio ,  domandato  tuo  parere,  non  teme  coiito  e  nutrì  la  guerra. 

^  *  n  corse  ambenti  i  quali  doTeano  per  legge  rispettarsi  come  di  accuMto 
che  s' era  tolto  da  se  la  vita. 

'  la  prima  diligenza  di  Tiberio  contro  alla  roba  t^  altri.  La  seconda  do- 
vette essere  quando  fece  accusar  di  giacimento  con  la  figlinola  Sesto  BCarìo  qpa- 
gnnolo,  adocchiando  la  sua  sfondolata  ricchesa,  e  quelle  cave  dell*  oro,  come  nel 
lib.  VI ,  i9.  La  terza  un  poco  Ligerognola,  (*)  quando  raschiò  il  testamento  di  sua 
madre  che  lasciava  a  Sergio  Galba,  che  poi  fu  imperadore,^MÌitgenfiej  J7'<*«S'.  che 
voleva  dire  Milione  uno  e  un  quarto  d'oro.  La  qual  somma  colui  che  rog6 ,  non 
compitò  ;  ma  scrìsse  per  loro  abbaco,  D  j  e  Tiberìo  gli  raschiò  il  corpo,  e  fecene 
un  L,  che  diceva  quinquagies  :  levonne ,  a  modo  nostro ,  un  cero  (  Suetonio  in 
Gatba, al  quinto).  Altri  dicono  che  lo  scritto  era  quin.  H»Ss  che  potendo  dire 
quinquagies  come  quingenties ,  Tiberìo  lo  intese  a  suo  vantaggio  per  quinqua- 
gies, cioè  cento  venticinque  mila  fiorini;  legato  meschino  alla  grandesa  d'Agusta 
e  di  Galba  ;  e  anche  non  l'ebbe.  La  quarU  diligenza  era  forse](**)  il  lasciare  empire  le 
spugne  de*suoi  ministri  per  premerle,  come  dice  la  Postilla  76  del  primo  libro  (***). 

(*)  Mf«roffiote,6aUivo6eia:  è  per  fig.  d'  estcaoasione,  «  vuol  dire,  pessima. 

n  U  Giuntina  dice  :  «  era  forM  il  laseisre  i  ministri  vender  le  grazie  e  legiutizie, 
per  gattigarli  quando  eran pieni ,  e  premerli;  onde  gli  ebiamava  le  ine  spugne.  Coeì  arriediiva, 
e  il  popolo  lo  benediceva.  »  Qai  nel  Ms.  Magiiabediiano  Mgne  altro,  che  è  eanoeUato,  e  dica 
tmà:  «Ma  TiberÌD  era  pidncipe  e  poteva  fare  qaaite  oeee  agevolmente.  Il  bello  fa  veleni  della 
roba  di  altri,  come  non  so  ehi  qsiei  vieini,  ebe  preaero  da  un  amico  somma  notabile  di  du- 
cati per  ttafficere  a  compagnia,  e  in  capo  a  undici  mesi  senza  disgrazie  o  danni  del  trallco 
si  faggirono  con  44  mila;  e  hanno  trovato  aiuti,  favori,  amici  e  modi;  onde  paseeggiano  «oa 
le  teste  alte  e  spendono  allegramente.  E  quelP  amico  ristorano  eoi  vedferave  di  averlo  sod- 
disfistto  innanzi  agli  altri ,  contro  a  ogni  verità. 

E  qaeale  sia  saggel  che  oga'  uno  sganni.  » 

e**)  Di  qnesU  edistoBe,  noU  a,  pag.  ST. 


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IL   LIBIO  QUARTO  DB6LI  ANNILI.  I69 

per  raatorità  e  grazia  *  che  ebbe  sempre  con  Tiberio.  Cosa 
cbc  mi  fa  dnbiUre,  se  l'avere  r  principi  chi  a  grado  chi  a 
noia,  venga  come  V  altre  cose  dal  fato  e  riscontro  di  nasci- 
te :  '  o  par  possiamo  alcana  cosa'  noi  destreggiando,  e  senza 
nò  sempre  adulare  né  sempre  dir  contro,  scansare  pef  icoli  e 
viltà,  tenendo  mezzana  vìa.  Ma  Cotta  Messaline  non  meno  di 
legnaggio  chiaro,  ma  di  mente  diversa,  disse  doversi  decre- 
tare che  degli  aggiravi  che  fanno  alle  provincie  le  mogli,  si 
punissero  ì  mariti,  benché  nescienti,  *  come  de'  propri  loro. 
XXI.  Trattossi  poi  di  Calpornio  Pisene,  nobile  e  feroce, 
che  fece  quel  remore  in  senato  de'  tanti  accusatori,  e  che 
s' andrebbe  condio;'  e  ardi  a  dispetto  d'Agusta  trarre  in  giù* 
dizio,  e  di  casa  il  principe,  Urgnlania.^  Le  quali  cose  Tiberio 
prese  civilmente  allora,  ma  l'ira  dell'inghiottita  offesa  in 
queir  animo  rngumante  ^  ribolli  :  e  fece  da  Oranio  accusar 
Pisone  d'aver  tenuto  ragionamenti  secreti  contro  allo  stato; 
veleno  in  casa  ;  arme  sotto  in  senato.  Questa  accusa  ultima 
fu  sprezata  come  atroce  oltre  al  vero.  Tutte  l' altre  che  gli 
piovevano,  accettate  e  non  ispedite,  perchè  egli  si  morì  a 
buona  stagione.^  Ancora  si  trattò  di  Cassio  Severo  confinato. 
Costai  di  brutta  origine,  mala  vita,  ma  eloquentissimo,  si  fé 
tanti  nimici,  che  per  giurato  giudizio  '  il  senato  il  cacciò  in 

'  autorità  e  grafia.  Mecenate  e  Salnstio  non  si  mantenDero,  ( Vedi  lib.  Ili, 
30)  (*)e  Agricola  ancora.  E  Dione,liL.  49,  mostra  come  sia  da  procedere  co'Pria. 
cipi. 

3  *  riscontro  di  nascite.  Lat.  :  «  sorte  nascendi,  » 

'  *  o  pur  possiamo  alcuna  cosa  ec.  G.  Dati  :  «  o  se  pure  egli  è  posto  nel- 
l' industria  nostra ,  mediante  la  quale  ne  sia  conceduto  camminare  per  una  via  di 
mezzo,  onde  noi  troppo  ostinatamente  non  ci  opponghiamo  a  cui  ci  domina  e  si- 
gnoreggia :  e  tuttavia  ancora  non  ci  lasciamo  precipitare  in  ima  vergognosa  adu- 
lazione e  servitù ,  ma  procediamo  di  maniera ,  che  ne  da  ambizione  ne  da  troppa 
cupidità  di  gloria  vinti  ci  rendiamo,  e  perciò  con  maggior  sicurezza  meniamo  la 
vita  nostra  e  a  manco  pericoli  ci  facciamo  soggetti.  ** 

*  *  nescienti.  Mei  Ms.  è  cancellato  •«  ignoranti.  ** 

S  *  condìo  :  cosi ,  in  una  sola  parola ,  per  con  dio. 

•  •  Urgulania.  Vedi  liU.  II,  34. 

7  *  rugumante.  Buti,  Annot.  alPurg.  16:  m  Bugttmare  e  rinfrangere  Io 
cibo  preso.  *»  Qui  rugumante  o  ruminante  e  colui  che  ripensa  le  cose  passate. 

8  *  a  buona  stagione.  Il  Ms.  cancella  t*  a  tempo.  >• 

9  giurato  gittdizio.  Quando  un  senatore  aveva  dello  la  sua  sentenza ,  se 

(*)  Ciò  che  segno  manca  nella  Giaotiaa. 

I.  15 


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170  IL  UBEO  QUARTO  DEftf'I  ANNiLI. 

Caodia;  dove  avendo*  cielo  e  non  vezo'  mutato,  e  rimbottato^ 
nuove  cagioni,  toltogli  beni,  acqua  e  fuoco»  invecchiò  nel 
sasso  di  Serifo. 

XXIL  Nel  detto  tempo  Plauzio  Silvano  pretore  gittò  da 
alto  Apronia  sua  moglie.  Non  si  sa  la  cagione.  Tratto  da 
L.  Apronio  suocero  dinanzi  a  Cesare,  rispose  barbugliando 
che  dormiva  profondo  :  non  potea  sapere  :  gUtossi  dassè.  Ti- 
berio tosto  ne  va  alla  casa  :  vede  in  camera  *  le  tracce  delle 
(atte  forze  e  difese:  riferisce  al  senato  ;  e  dati  i  giudici,  Ur- 
gulania  avola  di  Silvano  gli  mandò  il  ferro.  ^  Gredesi  di  con- 
siglio del  principe  per  ramicizia  d'Agusta  con  lei.  Al  reo  la 
mano  tremò,  ^  e  fecesi  segar  le  veni.  Numantina  sua  prima 
moglie  fu  d' averlo  con  malie  fatto  stolido  accusata  e  as- 
soluta. 

XXIII.  QuesV  anno  liberò  finalmente  il  popolo  romano 
della  lunga  guerra  di  Tacfarinata  numide  :  perchè  i  passali 
eapitani  quando  si  vedevano  aver  meritate  le  ttionSali,  ti  la- 
sciavano il  nimico.  Già  erano  in  Roma  tre  statue,  con  l'allo- 
ro, e  Tacfarinata  rubacchiava^  ancor  V  Affrica,  rinfrescato 


olire  alle  ragioni  ginrava  che  cosi  credeva  esser  utile  alla  repoblica,  questo  si  cliìa- 
mava  giadixio  giurato  :  era  creduto,  (*)  e  ginravasi  ia  questa  forma  :  Se  io  così 
credo,  vengami  ogni  benej  se  sciente  /aito,  ogni  male:  (**)  si  scikks  fau.o, 

TTU  ME  OIESPITXR  BONIS  DXIiaAT  VT  EGO  HVNC  LAPIDEU  DBIICIO.  GOD  tal  giura- 
mento cominciò  poi  tutto  il  senato  a  fare  alcuni  decreti,  per  dare  loro  più  forca. 
Tito  Livio  nel  libro  40  dice  che  L.  Petilio  libraio  divegliendo  un  suo  campo,  vi 
trovò  libri  di  Numa ,  dove  si  disputava  dell'autorità  del  ponteGce.  Il  govemator 
di  Roma  gli  lesse ,  e  giurò  giudicarli  di  scandolo  alla  religione.  Onde  furono  in 
publico  arsi;  ma  prima  stimati  e  pagati  a  Petilio. 

'  doffe  afendo.  Questo  concetto,  per  queste  fiorentinità,  num  nam  meliiis 
che  il  latino  che  e  alla  comune? 

*  *  pezo,  costume. 

'  *  rimbottato,  raccolto,  messo  insieme  :  essendosi  fatto  reo  di  nuove  ca- 
gioni di  odio. 

*  *  yede  in  camera.  Nel  Ms.  cancella:  «  nel  Ietto  rabbaruffato;  »  poi  corregge 
««scompigliato;**  e  così  stampa  nella  Triuntina. 

S  *  il  ferro.  Il  Ms.  reca:  ««  pugnale;  «*  cancellato. 
^  *  al  reo  la  mano  tremò.  Il  Ms.:  «<  il  reo  volle  ferirsi;  non  potè  :  •»  can- 
cellato. 

'  *  ruBacchiava.  Il  Ms.:  «  scorranava;  »  caUcellato. 

(*)  La  Giuntina  «  «{aesvasi.  » 

(**)  s9seUnta  eo.  Qaeste  parole,  per  errore,  mancano  nelle  altre  ediiionì.La  foramU  Ic- 
tina  non  riferiscesi  nell'  edix.  del  Gionti. 


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IL   LIBRO  QOABTO  DEGLI  ANNALI.  171 

d'aioli  di  Mori  che,  per  foggir  V  iiMolente  imperio  servile  di 
liberti  del  re  Torlomeo  figliaol  di  laba  giovane  che  non  ci 
badava,  andavano  alla  gaerra.  Il  re  de'  Garamanti  era  com- 
pagno al  rabare ,  e  riponeva  te  prede  :  non  v'  andava  con 
esercito,  ma  vi  mandava  poca  gente  con  grido  di  molta.  B 
d'Affrica  a  questa  gaerra  ogni  mal'  andato  e  scapestrato  più 
correva  :  ^  perchè  Cesare,  dopo  le  cose  da  Bleso  fatte ,  come 
non  vi  restassero  pia  nimici ,  avea  richiamato  la  nona  legio- 
ne:* né  P.Dolabella  viceconsolo  di  quell'anno  ardi  ritenerla, 
lemeodo  il  comandamento  del  principe,  più  che  il  pericolo 
deUa  goerra. 

XXIV.  Tacferinata  adànqne  sparge  fama  che  i  Romani 
da  altre  nazioni  erano  tartassati,'  però  s'uscivano  d'Affrica 
a  poco  a  poco:  polrebbesi  disfare  ogni  resto,  se  gli  amadori 
più  di  libertà  che  di  servalo,  ci  si  mettessono.  Ingrossa,  *  e 
assedia  la  terra  di  Tobusco.  Dolahella  messi  insieme  tutti  i 
suoi,  co  '1  terrore  del  nome  romano,  e  perchè  i  Numidi  alla 
fanteria  non  resistono;  alla  prima  levò  l'assedio:  i  luoghi 
importanti  fortificò,  e  i  capi  de'Musolani  soUevantisi  decol- 
lò. E  veduto  per  lungo  guerreggiare  con  Tacfarinata  non  si 
vincere  questo  nimico  scorridore  con  uno  affronto  solo  e 
grosso;  tratto  in  campagna  Tolommeo  re  co' suoi  paesani,  ne 
fece  quattro  squadre,  e  le  die  a' legati  e  tribuni;  e  la  gente 
da.  scorrerie  a'  capitani  moreschi.  Esso  aveva  l' occhio  a 
tutti. 

XXV.  Non  guari  dopo  venne  avviso  che  i  Numidi  s'erano 

*  *  ogni  mal  andato  e  scapestrato  più  correva.  Il  Ms.:  «  i  più  spallati  e 
malandati  correvano  j»  poi  corregge  :  «  se  nessuno  malandato  e  scapestrato  v'era, 
correva;  *»  e  così  leggesi  nella  Giuntina. 

S  ia  nona  legione:  mandatavi  d'Ungheria ,  come  nel  lìb.  Ili,  9.  (') 
5  tartassati.  Dal  greco  Tapoc<xffw.  Teocrito  ne'  Diosciiri  dice  che  Amico 
TC  de'Behrici  facendo  con  Polluce  alle  pugna  col  cesto,  te  lo  tarUssava,  tonfana- 
va,  Bombava ,  (**)  conciava  male  :  tov  /asv  c£va|  èroc/pa^ev ,  secondo  che  legge 
lo  Stefani  C**)- 

♦  *  Ingrossa.  Il  Ms.:  «  Accresce  le  fonie  e  pone  il  campo  attorno  alla  terra 
'    di  Tubusco  :  **  cancellato. 

n  QaMta^postUla  è  tralasciata  nelte  «itnediiioiiitiMr  non  fi  darla  pena  M  riseortrare 
U  citaxione  della  Giantina. 

(•*)  zombava  maoca  nella  Giontina. 

p)  Lo  Stefani.iivA  Arrigo  Stefano, che  è  quel  Francew, a  ebagiardare  il  quale  il  Daran- 
tali  pose  mano  a  qoetta  tradviione.  Vedi  il  Discorso  salta  vita  del  traduttore. 


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173  IL  LIBRO  QUABTO  DIGLI  lllfULI. 

atleodati  sotto  Aozea.castello  rovi^aticcio,  che  già  l' abbru- 
ciarono, fidatisi  nel  sito  cinto  d'immenso  tosco.  Allora  spinti 
a  corsa  .senza  saper  dove  i  nostri  fanti  e  cavalleggieri  bene 
schierati,  disposti  e  provveduti,  con  trombe  e  grida  orrende, 
all'alba  furo  addosso  a  que' barbari,  che  sonnacchiosi,  co'ca- 
valli  alle  pasture  o  in  opere,  senza  avvisi,  arme,  ordini  o 
consigli,  erano  come  pecore  presi,  sgozati,  strascinati  da' no- 
stri,, che  ricordandosi  delle  fatiche  durate  per  venire  a  questa 
bramata  e  tante  volte  loro  sebi ppita^  pugna,  si  saziavano  di 
vendetta  e  di  sangue.  Per  le  squadre  andò  grida:  «  Ciascun 
si  difili  a  Tacfarinata:  per  tante  battaglie  lo  conosce  ogn'nno: 
la  guerra  non  ara  fine,  se  non  le  si  tronca  questo  capo.  » 
Egli,  mortagli  tutta  la  suaf  uardia,*  veduto  prigione  il  figliuo- 
lo, e  sé  di  Romani  per  tutto  einto,  s'avventò  nel  mezo  del- 
l'armi, e  con  morte  ben  vendicata  fuggi  prigionia,  e  fu  finita 
la  guerra.  ^^ 

XXVI.  Dolabella  domandò  le  insegne  trionfali.  Tiberio, 
perchè  non  iscurasse  la  gloria  di  Bleso ,  zio  di  Seiano,  le  li 
negò.  Ma  Bleso  non  ne  acquistò  :  ebbene  Dolabella  maggior 
rinomo,  per  avere  con  minore  esercito  fatto  gran  prigioni, 
morto  il  capitano,  finita  la  guerra:  vedersi  in  Roma*  gli 
ambasctadori  de'Garamantì  (cosa  rara),  morto  Tacfarinata, 
sbattuti  scolparsi  col  popol  romano.  A  Tolommeo  per  ricono- 
scenza de'  suoi  meriti  in  questa  guerra,  i  padri  rinovando 
l'antico  costume  mandarono  un  senatore  a  presentargli  il 
bastone  deli'  avorio*  e  la  toga  dipinta,  e  chiamarlo  re,  com- 
pagno e  amico. 

XXYII.  In  qdella  state  nacquero  semi  di  guerra  servile 
in  Italia,  e  gli  spense  la  sorte.  Mosse  il  tumulto  Tito  Gurlisio 

*  *  schippita,  schivata  con  astuzia,  con  accorgimento.  Il  lat.  :  «  adversns 
'eludentes  optatte  toties  pugncg.  »    , 

S  mortagli  tiUta  la  sua  guardia.  Leggo  d^etis,  non  delectis,  o  diltctis, 
S  *  vedersi  in  Bontà  ec.  Il  Ms.:  «  vedersi  in  Roma  ambasciadori  (visti  di 
ndo)  mandati,  morto  Tacfarinata, «la'GaTamanti  sbattuti  (corr.  con  la  correggia 
al  collo  )  a  scusarsi  al  popolo  romano.  »  Cancella  tutto,  e  riscrive  :  «  vedersi  in 
Roma  gli  ambasciadori  de'Garamanti  (cosa  rara)  chieder  merc^ ,  morto  Tacfari- 
nata ,  al  popol  romano.  **  Cosi  Uf^esi  nella  Giuntina. 

*  il  bastone  dell'  avorio.  I  doni  piccioli  de'principi  grandi ,  come  questi 
(e  oggi  rosa,  tosone ,  geretliera  e  simQi),  son  grandi  onon  e  favorì. 


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IL  uno  QQAKTO  DIQU  ANNiU.  Ì^Z 

stato  soldato  di  guardia,  chiamando  a  libertà ,  prima,*  con 
ragnnanze  segrete  in  Brindisi  e  per  quelle  terre;  poi,  con 
pnblici  cartelli,  schiavi  rozi  e  feroci  dei  boschi  lontani. 
Qoando  quasi  per  grazia  divina  v'  arrivarono  tre  galee  fatte 
per  li  passeggieri  di  quel  mare.  Bravi  Curzio  Lupo  tratto, 
come  s' usa,  questore  della  provincia  di  Calle  :  il  quale  pose 
la  gente  di  quelle  galee  in  vari  luoghi,  e  sbrancò  la  congiura 
in  su  '1  cominciare.  E  Cesare  vi  mandò  prestamente  Staio 
tribuno  con  buone  forze,  che  ne  menò  il  capo  e  i  principali 
a  Roma,  già  impaurita  per  lo  gran  crescere  dell!  schiavi, 
scemando  la  plebe  libera. 

XXVIII.  In  questo  consolato  nacque  esempio  miserando 
e  atroce:  un  figliuolo  accusò  il  padre:  fu  Vibio  Sereno  d'ambi 
il  nome.  Tratto  lo  infelice  d' esigilo,  e  sucido,  spunto,^  in 
catena,  condotto  in  senato  appetto  al  figliuolo,  che  lindo  e 
gioiante  testimonio  e  spia  insieme,  diceva,  «  aver  suo  padre 
teso  insidie  al  principe  :  mandato  in  Gallia  sommovilori  a 
guerra  ;  e  Cecilie  Cornuto  stato  pretore  trovalo  i  danari  :  il 
quale  per  lo  dispiacere ,  e  perchè  allora  il  pericol  di  morte 
era  certeza,  la  si  avacciò.  »  Ma  il  reo  niente  perduto  d'ani- 
mo, scoteva  verso  il  figliuolo  le  catone,  chiedeva  vendetta 
agi'  Iddii,  «  rimetiesserlo  nel  suo  esigilo,  '  lontano  da  modi 
tali  :  *  seguisse  mai  più  il  supplizio  di  cotal  mostro.  »  Sagra- 
mentava,*  Cornuto  esser  innocento,  fattosi  paura  dell'ombra: 
«  che  più  bello  che  far  venire  i  compagni?  non  potendo  già 

*  *  spunto.  L'anonimo  tradutlore  dei  Morali  di  san  Gregorio,  I,  i8: 
«  co' vestimenti  squarciati,  tutti  squallidi,  cioè  spunti  ovvero  scoloriti.  »  Vedi 
anche  Ann.  Yl,  43. 

'  *  rimeitesserlo  nel  suo  esigilo  ec.  .11  Bfs.  :  «  rimettfiuerlo  nel  suo  esilio 
per  non  vedere  tanta  perfidia  di  figliuolo;  gastigasserlo  mai  più  :  »  e  di  nuovo  cor* 
regS*  *  "  P''  °^°  vedere  la  faccia  né  il  supplisio  di  mostro  cotale.  »  E  cosi  legge 
la  Giuntina. 

S  *  lontano  da  modi  taÙ.  G.  Dati  :  «  per  viversi  lontano  da  così  fatta  per- 
venitk  di  costumi.  » 

A  *  Sagramentava  ,  giurava.  Udiamo  il  Dati  che  commenta  :  «  Afiermava 
inoltre  che  Gecilio  Cornuto  era  innocente ,  e  che  s*  era  spaventalo  di  quello  che 
falsamente  gli  era  stato  apposto ,  e  che  ciò  agevolmente  si  potrebbe  conoscere,  se 
degli  altri  se  ne  scoprissero  che  di  queste  cose  fossero  consapevoli,  dicendo,  eh *ei 
si  doveva  considerare ,  che  s' egli  avesse  avuto  pensiero  d' ammassare  il  principe 
o  di  far  novità,  non  avrebbe  con  un  solo  compagno  messo  mano  ad  impresa  cosi 
grande.  • 

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174  IL  LURO  QUAtTO  DMil  AMIIALI. 

egli  aver  tolto  a  uccidere  *  il  priBcipe,  e  riamlare  lo  stato 
coli  costui  solo.  » 

XXIX.  Allora  l'accusatore  nominò  Gn.  Lentnlo  e  Seio 
Toberone,  a  grande  onta  di  Cesare,  che  due  più  cari  amici 
saoì,  i  primi  della  città*  Lentolo  decrepito^  Toberose  infet- 
to» '  fesaei:o  accosati  di  tamoUi,  guerra  e  congiora  controgti. 
Però  di  questi  non  si  parlò.  I  servi  esaminati  contro  al  pa- 
dre ,  dissero  contro  al  figlinolo  ;  il  quale  sbalordito  per  lo 
peccato,  e  per  lo  popolo  che  gli  gridava  dietro  «  RoTere, 
Sasso,  Otre,'  »  si  fuggi  a  Ravenna;  fanne  rimenato, e  fatto 
seguitar  la  querela.  Tanto  rancore  mostrò  Tiberio  contro  a 
Sereno  vecchio,  per  avergli  scritto  sin  quando  fìi  dannato 
Libone,  solo  esso  averlo  servito  senta  fratto,  e  altre  parole 
risentite,  non  da  orecchi  superbi  e  sdegnosi.  Otto  amii  le  li 
serbò,  nel  qoal  tempo  gli  tese  più  trappole  ;  ma  i  servi  ressero 
a*  tormenti. 

XXX.  I  t)areri  gli  davano  il  supplizio  antico;  Egli,  per 
iscemarsi  carico,  contraddisse.  Gallo  Asinio  lo  confinava  in 
Giare  o  Donnsa,  isole.  Non  gli  piacque:  dicendo  in  ninna  es- 
ser acqua.  Dovere  chi  vuole  ehe  altri  viva,  si  foro  ch'ei  pos- 
sa. Onde  fu  riportato  in  Amorgo.  E  per  essersi  Cornuto  ucciso, 
fu  proposto,  che  quando  il  reo  di  maestà  s'uccidesse  innanzi 
al  giudìzio,  le  spie  non  guadagnassero:  e  vincevasi,  se  Ce» 
sare  non  sì  fusse  per  quelle,  fuori  di  sua  usanza,  alla  scoperta 
opposto:  e  doluto  «  guastarsi  gli  ordini:  la  repubblica  precipi** 
tare:  levasson  via  le  leggi,  anzi  che  i  conservadori  di  esse.  » 
Cosile  spie,  gente  trovata  per  rovinar  ogn'  uno,  non  mai  a 
bastanza  rattenute  con  pene,  eran  allettate  co'  premi. 

XXXI.  Tra  cotanti,  e  si  continovi  amari,  entrò  un  poco 
di  dolce,  che  Cesare  a  Gaio  Cominio  cavalìer  romano,  con- 


**  *  non  potendo  già  egH  aver  tolto  a  uccidere  ec.  n  Ms.:  m  non  potendo 
giìi  egli  aver  pensato  d' ammanare  il  principe  :  »  cancellato. 

*  *  infetto,  malaticcio. 

'  Rovere,  Sasso,  Otre.  In  carcere,  in  cassa  di  rovere,  lasciavan  morire  i 
bmtti  scelerati,  o  li  precipitavano  dal  Sasso  tarpeo  :  e  li  parricidi  cucivano  inotro 
con  serpe ,  scimia  e  gallo ,  e  gittavano  in  0ume  o  in  mare.  Vedi  la  postilla  3  del 
sesto  libro.  (*) 

(*)  èia  nota  al  eap.  8,  eoi  richiamo:  Prigionia  di  magittnui. 


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IL  LIVBO  QOAftTO  DE6U  ANNALI.  §JB 

vìnto  d'averlo  con  versi  infamato,  perdonò  a'  pregfaì  del  fì^- 
tello  senatore.  Tanto  più  maraviglia  è,  che  vedendo  il  meglio, 
e  quanto  si  celebrava  la  clemenza,^  ei  s'appigliasse  al  peggio» 
re.  Non  è  didire,  *  e'  peccava  per  ignoranza.E  ben  sì  conosce 
quando  nno  esalta  nn  fatto  del  principe  con  vera  lode ,  e 
quando  con  orpellata.  Tiberio  stesso  favellatore  a  sptzico  ; 
quando  giovava,  era  largo  e  pronto.  Ma  egli,  essendo JP.  Sui-* 
lio  tesoriere  già  di  Germanico  cacciato  fuor  d'Italia  per  mo- 
neta presa  per  dare  certa  sentenza,  lo  confinò  in  isola,  di  si 
gran  volontà  che  egli  giurò  ciò  essere  utile  della  repubblica. 
Cosa  che  parve  allora  cruda,  ma  ne  lo  benedisse  l'età  se- 
guente, che  vide  Suilio  tornato  potente,  vendereccio  usar  la 
grazia  di  Claudio  lungamente  con  felicità,  e  sempre  senza 
bontà.  La  medesima  pena  ebbe  Calo  Firmio  senatore ,  per 
querela  falsa  di  maestà  data  alla  sorella.  Costui,  com'è  detto, 
aveva  carrucolato,  *  e  poi  accusato  Lìbone.  Tiberio  di  questa 
buon'opera  ricordevole,  sott' altro  colore  gli  campò  l'esilio; 
pure  lo  lasciò  radere  del  senato. 

XXXII.  Minute  e  poco  memorevoli  ^  veggo  io  che  par- 
ranno le  piA  deUe  cose  ch'io  ho  detto  e  dirò.  Ma  non  sia  chi 


*  ^  si  celebrala  la  clemenza.  Lo  re  dell'api  e  sema  pungiglione,  perche 
Baftnia  naa  ToUe  che  foste  eradele.  C)  Trìbimi  di  soldati  si  oignevano  il  paranoni^, 
che  era  spada  sema  punta  j  perchè  non  aramaaassino  ma  contggesseroilovo  sol- 
dati. 

'  *  Non  è  didire  ec,  ne  può  dirsi  eh'  e' peccasse  ec.  Nel  lis.  si  vedono  molte 
CMcdlatnre  e  penthnenCi  a  questo  hxogo.  Eccone  un  saggio  :  «  Non  è  di  dire,  ei 
pecca  (cmrr.  peccava)  per  ignorama,  e  non  Tede  (con.  vedeva)  la  pmita  del  tirso 
tra  le  foglie  (corr.yra  le  foglie  la  punta  del  tirso  :  corr.  del  tirso  la  punta  tra 
le  foglie);  conoscendosi  troppo  bene  quando  i  fatti  de' principi  sono  esaltati 
(  corr.  quando  tato  esalta  i  fatti  dt^  principi  fintamente  )  e  quando  con  verace 
baldansa  e  quando  con  falsitade  (corr.  e  quando  di  cuore  allegro  e  verace), 
Tiberio  stesso  parlava  nel  danneggiare  limbiccato  e  a  stento;  e  per  giovare,  sciolto 
e  pronto  (corr.  Dallo  stesso  Tiberio  uscivano  le  parole  per  nuocere  limbic- 
cate  e  quasi  per  forza).  »  Poi  cancella  tatto  e  corregge  come  sopra. 

'  *  aveva  carrucolato,  lì  lat.  :  «  inlexerat  insidiis.  *» 

*  Minute  e  poco  memorevoli.  L'  autore  nel  sedicesimo  di  questi  Annali  del 
sno  contare  troppo  spesso  rovine  di  grandi  ne' medesimi  modi,  con  loro  vilt^ 
stomachevoli ,  fa  scusa  piacevole  :  che  questa  memione  del  fatto  loro,  era  l'ono- 
ranxa  e  la  pompa  dell'esequie  che  loro  si  venivano,  come  a  grandi,  delle  quali  si 
vantaggiano  dagli  altri  uomini. 

(*)  Ciò  dw  S0«w  ouuMa  nolla  OiuttBa. 


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179  IL  UBHO  QUABTO  DMLI  AHHAU. 

agguagli  qoesli  nostri  annali  alle  storie  antiche  di  Roma.  Gli 
scrittori  di  quelle  narravano  guerre  grosse,  città  sforzate,  re 
presi  e  sconfitti  :  e  dentro,  discordie  di  consoli  con  tribuni, 
leggi  a'  terreni,  a'  frumenti,  zuffe  della  plebe  co'grandi:  lar- 
ghissimi campi.  Il  nostro  è  stretto  e  scarso  di  lode:  pace  fer- 
ma, o  poco  turbata:  Roma  attonita:  principe  di  crescere  im- 
perio non  curante.  Ma  non  fia  disutile  notomizzare  cotali 
membretti  di  storia,  che  da  prima  niente  paiono,  ma  ci  sono 
alla  vita  grandissimi  insegnamenti.  *■ 

XXXIII.  Avvenga  che  le  nazioni  e  città  si  reggano  o 
dal  popolo  o  da'  grandi  o  da  uno;  forma  di  repubblica  quindi 
tratta  ^  si  può  più  lodare  che  trovare  o  durare.  Come  adun- 
que, quando  la  plebe  o  quando  i  padri  potevano,  conveniva 
sapere  la  natura  del  popolo,  e  come  temperarlosi  ;  e  chi  in- 
tendeva r  andar  del  senato  e  de'  grandi,  si  diceva  saputo  e 
scaltrito  navigatore  a  quei  venti;  cosi  ora  che  lo  stato  è  ri- 
volto e  comandalo  un  solo ,  queste  minuzie  ci  bisogna  spe- 
colare  e  notare:  perchè  pochi  sono  i  prudenti  che  discernano 
le  cose  utili  e  le  oneste  dalle  contrarie:  gli  altri  le  apparano 
dagli  altrui  avvenimenti.  Queste  arrecano,  benché  utili,  poco 
piacere.  Perchè  descrizion  di  paesi,  battaglie  varie,  morti  di 
gran  capitani,  invogliano  e  tengono  i  leggitori:  a  noi  toccano 
comandari  atroci,  accuse  continove,  precipizi  d'innocenti, 
ingannevoli  amicizie  e  loro  cagioni,  riuscite  spesso  le  me- 
desime e  tediose.  Oltre  a  ciò  gli  scrittori  antichi  non  sono  la- 
cerati :  '  a  ninno  rilevando ,  se  tu  le  schiere  romane  o  le 
cartaginesi  vantaggi:  ma  regnante  Tiberio  furon  puniti  o 


'  grandissimi  insegnamenti.  Leggo  monitus ,  noo  motus.  Aristotile  nel  1 
delle  parti  degli  animali,  cap.  5«  dice  che  nella  natura  non  h  coca  ci  vile  che  noa 
▼i  siano  maraviglie  da  specolare  :  e  condisce  questa  sua  massima  eoa  un  bel  detto 
d'Eraclito,  il  quale  ad  alcuni  che  l'aspetUvano  fuori  del  fornaio  ,  dove  egli  si 
scaldava,  disse:  Passate s  non  vi  peritate:  perche  anche  qui  abitano  gi' iddiL 
Similmente  nelle  Storie ,  anche  ne'  minuti  particolari  sono  insegnamenti.  — 
*  insegnamenti.  Legge  monUus.  Ma  la  vera  lesione  è  motus ,  come  vedcsi  dal 
codice  Mediceo;  e  conforme  ad  essa  dee  tradursi:  «  ma  da  cui  sovente  nascono 
grandi  rivolgimenti.  » 

3  *  quindi  tratta ^  cioè,  formata  da  tutto  ciò  che  ha  di  buono  ciascuna  di 
queste  diverse  forme  di  governo. 

9  *  non  sono  iactratL  H  Ms.  cancelhi  :  «  non  t'i 


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IL  LIBBO  QUABtO  DEGLI  ANNALI.  177 

svergognati  molti ,  li  coi  posteri  vivono.  *  E  quando  fossero 
spenti,  tale  lègge  il  peccato  d'altri,  che  l'ha, è  credelsi  rm- 
facciato  :  anche  la  virtA  e  la  gloria  ha  de'  nimici ,  quasi  ri- 
prendenti troppo  da  vicino  i  loro  contrari.  Ma  torniamo  a 
nostra  materia. 

XXXIV.  [A.  di  R.  778,  di  Cr.2!S.]  Essendo  consoli  Corne- 
lio Cosso  e  Asinio  A  grippa,  Cremnzio  Cordo  ebbe  nna  novis- 
sima accusa  d'avere  in  suoi  pubblicati  annali  lodato  M.  Bru- 
to, e  chiamato  Gaio  Cassio  l' ultimo  romano.  Accusavanlo 
Satrio  Secondo  e  Pinarìo  Natta,  lance*  di  Seiano.  Questo  gli 
dava  lo  scacco:  >^  il  viso  dell'arme  che  faceva  Cesare  alla  dife- 
sa: la  quale  Cireinnzio,  certo  di  morire,  cosi  cominciò:  «  Io  sonò, 
padri  coscritti,  si  di  fatti  innocente  che  costoro  mi  appuntano 
in  parole;  non  dette  contro  al  principe  o  sua  madre,  com- 
presi nella  legge  di  maestà  ;  ma  lode  *  di  Bruto  e  dì  Cassio,  i 
cui  fatti  scrissero  molti ,  e  ninno  li  ricordò  senza  onore.  Tito 
Livio,  sovrano  in  eloquenza  e  verità,  loda  tanto  Gneo  Pom- 
peo, che  Agusto  il  dicea  pompeiano,  e  pur  se  lo  ritenne  ami- 
co: chiama  Scipione,  Afranio,  questo  Cassio,  questo  Bruto 
segnalati  uomini,  e  non  mai  ladroni,  traditori  della  patria, 
come  oggi  odo.  Gli  scritti  d' Asinio  PoUione,  di  essi  fanno 
eccelsa  memoria.  Messala  Corvino  appellava  Cassio  il  suo  im- 
peradore  ;  e  i'  uno  e  1'  altro  gran  potenza  e  onori  ebbe.  Ai 
lil»ro  dì  Marco  Cicerone  che  mette  Catone  in  cielo,  che  altro 
fé*  Cesare  dettatore,  che  contrascrivere,  e  quasi  rispondere 
alle  civili?*  Lettere  d'Antonio,  dicerie  di  Bruto,  dicono 
d' Agusto  lordure  false,  ma  velenose.  Versi  di  Bibacolo  e  di 
Catullo  trafiggono  *  gl'imperadori.  E  pure  essi  Giulio  e  Agn- 

<  *  ma  regnante  Tiberio  furon  puniti  ec.  Il  Ms.:  «  ma  del  tempo  di  Ti- 
berio furono  molti  scrittori  puniti  o  svergognati,  le  cui  famiglie  restano  :  e  quando 
Doo  ne  restasse ,  tale  ec.  :  w  e  di  nuovo  corregge  :  «  ma  regnante  Tiberio  furon 
puniti  e  ivergognati  molti ,  U  cui  disceti  vivono.  »  Cancella  e  ricorregge  come 
sopra. 

*  *  lance.  Lat.  :  «  eiientes.  » 

*  *  Questo  gli  dava  lo  scacco.  Lat.  :  «r  id  pemiciabile  reo.  »  G.  Dati  : 
«  la  qoal  cosa  noceva  molto  al  reo,  e  anche  Cesare  aspro  e  inclemente  si  rendeva 
contro  alla  difesa,  n 

*  *  lode ,  cioè,  dette  a  lode. 

S  *  quasi^..  alle  civili.  Lat.  •  velai  apud  iudiees.  » 

*  *  trajlggono.  Il  Ms.  cancella  :  «  sfenano.  » 

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178  IL  LIBRO  QUARTO  DEGLI  ANNALI. 

sto,  i  divini,  gli  patirono  e  lasciarono  leggere;  dire  non  saprei, 
con  qoal  maggiore  o  modestia  o  sapienza  :  perchè  qaeste  co- 
se sprecate  svaniscono;  adirandoti,  le  confessi.  ^ 

XXXV.  tf  Lascio,  che  i  Greci  potevano  parlare,  non 
par  libero,  ma  sbarbazato.*  Al  più,  vendicavano  detti  con 
detti.  Ma  lo  scrivere  de'  morti,  che  non  s' odiano  né  amano 
più,  né  vietato  né  biasimato  fa  unqoe.  Vo  io  forse,  con  Cas- 
sio e  Bruto  armali,  ne'Filippi  a  infiammare  il  popolo  a  guerra 
civile?  Settantanni  fa  morirò, e  par  son  lasciate  riconoscere 
le  loro  effigie  nelle  statue  salvate,  eziandio  dal  vincitore ,  e 
parte  de'  loro  fatti  nelle  memorie  delli  scrittori.  L*  età  che 
saccede ,  rende  a  ciascuno  il  suo  onore.  Né  perché  io  sia  con- 
dannato, mancherà  chi  ricordi  e  Bruto  e  Cassio  e  me  anco- 
ra. »  Usci  di  senato,  e  mori  per  digiuno.  I  padri  ordinare 
che  gli  edili  ardessero  i  libri.  Ma  foron  salvati,  nascosi  e 
poi  dati  fuore.  Onde  mi  rido  del  poco  accorgere  '  di  chi 
crede  che  i  principi  possan  levar  le  memorie  a'  posteri  col 
punire  gringegni:  anzi  dan  loro  più  credito.  Né  altro  hanno 
i  re  stranieri  o  altri  per  tal  severità  partorito^  che  a  se  ver- 
gogna e  a  quei  gloria. 

XXXVI.  Fioccarono  in  questo  anno  tante  le  cause,  che 
fatto  Druse  di  Roma  governatore,  venato  per  le  ferie  latine 
in  tribunale,  per  dare  in  buon  ponto  principio,  Calpornio 
Salviano  gli  venne  innanzi  contro  a  Sesto  Mario,  ma,  biasi- 
matone in  publico  da  Cesare,  fu  mandato  in  esilio.  I  Cizi- 
ceni  imputati  d'aver  tracurata  l'uficiatura  del  divino  Agnsto, 
e  soperchiato  cittadini  romani,  ne  perderò  la  libertà  guada- 
gnata nell'assedio  di  Mitridate,  cacciato  non  meno  per  loro 
sofferenza,*  che  per  soccorso  di  LucuUo.  Fonteio  Capitone, 

*  adirandoti,  le  confessi.  È  come  tagliare  l'erbe  maligne  tra  le  due  terre, 
che  rimettono  più  rigogliose.  Il  vero  ci  ammenda:  il  falso  non  fa  vergogna;  la  fa 
il  magistrato,  in  publico,  per  esempio ,  e  non  un  poeta  in  maschera  per  furore  o 
per  odio.  Nevio  che  punse  i  grandi  di  Roma ,  ne  fu  carcerato.  Si  ridiafe  con  belli 
v^si,  e  fu  liberato.  Un  altro,  che  con  infamia  nominò  Lucilio  in  copimedia,  ne  fu 
assoluto  da  Gaio  Celio  giudice,  con  dire:  E*  si  roseeelUmta  ira  lor  poetaui. 
(L'Autor  a  Erennio.) 

'  *  sbarbazato^  sensa  barbasale  ,  senaa  freno. 

'  del  poco  accorgere.  11  Ma.  cancella:  •  del  poco  gindicio.  » 

*  "  sofferenza,  costanza. 


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IL   LlBftO  QUARTO  DNLI  INNAU.  t79 

siato  Yiceeonsolo  in  Asia,  fu  assolato  dalle  accaso  riascile 
false  di  Yibìa  Sereno,  il  quale  non  pati ,  '  perchè  ogn'  un 
l'odiava,  e  perchè  le  spie  grosse  erano  sagresante,  e  la 
pena  era  fatta  *  per  le  minute.  * 

XXXYII.  In  questo  tempo  la  Spagna  di  là,  mandò  am- 
basciadori  al  senato  a  chieder  licenza  di  fare,  come  l'Asia, 
temfHo  a  Tiberio  e  alla  madre.  Egli  non  si  carava  di  questi 
onori:  e  per  rispondere  a  certi  che  '1  diceano  diventato  vano, 
cosi  cominciò:  e  Io  so,  padri  coscritti,*  che  molti  mi  ten- 
gono di  poca  fermeza,  perchè  io  alle  città  dell'Asia  dianzi 
questo  medesimo  domandanti ,  non  contraddissi.  Dirovvì  la 
cagione  perchè  tacqui  allora ,  e  l' animo  mio  per  l'avvenire. 
Non  avendo  il  divino  Agosto  disdetto  il  rizar  tempio  in 
Pergamo  a  lui  e  alla  città  di  Roma  ;  io  perchè  ogni  suo  detto 
e  fatto  m'è  legge,''  aejguitai  l'esempio  e  volentieri:  perchè 
al  mio  divino  onore  era  congiunta  la  venerazion  del  senato. 
L' averlo  accettato  una  volta  mi  si  può  perdonare:  ma  il 
farmi  per  ogni  provincia  sagrare  immagini  e  adorare,  sa- 
rebbe ambizione  e  superbia;  e  1'  onore  d' Agosto  avvilirà»  se 
adulazione  il  divolga. 

XXXYIII.  a  Io  sono  uomo,  e  fo  e  vivo  come  gli  altri 
uomini:  e  '1  soddisfore  al  grado  in  ch'io  sono,  mi  basta. Sia- 
temene testimoni  voi,  padri  /coscritti,  e  sappianlo  le  genti 
avvenire  ;  le  quali  onoreranno  pure  assai  la  mia  memoria , 
se  crederranno  che  io  sia  stato  degno  de'miei  maggiori  ;  alle 
cose  vostrd^ben  provvedente;  ne' pericoli  forte;  e  d'offender 
chi  si  sia,  per  lo  ben  publico,  non  curante.  Questi  saranno 
i  miei  tempii  negli  animi  vostri ,  questi  l'effigie  bellissime  e 
da  durare.  Le  opere  di  sasso,  se  chi  vien  doppo  le  guarda 
con  occhi  torli,  son  sepolture  che  fetono.  Piaccia  a  tutti  i  no- 

*  *  non  paù,  non  ebbe  danno  della  calagna. 

S  *  era  fatta.  Il  Ms.  cancella  :  «  s'intendeva.  » 

'  la  pena  era  fatta  per  le  minute.  Ho  visto  una  bella  impresa  francese , 
che  ha  un  ragnatela  dove  i  moscherini  rimangono ,  e  i  mosconi  lo  sfondano  j  e 
dice:  Zea?  exlex. 

*  Io  so,  padri  coscritti,  Puoss'egli  mai  «rrivare  alla  grandesa  e  sapienza 
di  questo  parlare  di  Tiberio  7 

^  *  m'è  legge.  Il  S9s.  cancella  :  «  m'è  stella  ;  »  e  pone  :  w  m' è  tramontana,  «• 
come  leggesi  nella  Giuntina. 


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180  IL  LIBBO  QUARTO  0B6U  ANNALI. 

Siri  allegali  *■  e  cUUdini  e  dii;  a  questi,  mentre  avrò  Tila, 
concedermi  quiete  e  intendimento  di  ragione  umana  e  divi- 
na ;  a  quelli, doppo  mia  morte,  con  laudi  e  benigne  ricorda- 
ziont  favorire  i  fatti  e  la  fama  del  nome  mio.  »  Seguitò  ne* 
suoi  privati  ragionari  ancora  d^  rifiutare  Bimili  adoramenti. 
Chi  diceva  per  modestia;  molti  per  disfidare  della  durata; 
altri  per  viltà.  Aspirano  i  mortali  generosissimi  alle  cose  al- 
tissime. Cosi  Ercole  e  Bacco  appo  i  Greci,  Quirino  appo  noi 
furono  fatti  iddìi.  Meglio  fe'Agusto  che  lo  sperò.  Avanzano 
a' principi  tutte  le  cose:  una  non  deon  mai'  vedersi  sazi  di 
procacciarsi;  la  memoria  l>uona  di  se:  perchè  spregiando 
fama ,  si  spregia  virtù. 

XXXIX.  Sciano  accecato  da  troppa  fortuna  e  riscaldato 
da  Livia  del  maritaggio  promesso,  scrisse  al  principe,  ben- 
ché presente,  come  s'usava,  una  lettera  cosi  compilata:  «  La 
benivolenza  d'Agusto  e  li  molti  favori  di  Tiberio  averlo  av- 
vezato  k  dire  i  suoi  desiderii  a' suoi  signori  si  tosto,  come 
agriddii;  non  aver  mai  ambito  abbagliamento  di  onori:  ve- 
gliato, anzi  e  faticato  per  l'imperadore,  come  uno  degli  al- 
tri soldati ,  e  nondimeno  conseguito  gran  cosa,  d'esser  parente 
di  Cesare.  Quinci  venirgli  speranza:  esappiendo  che  Agusto 
nel  rimaritarla  figliuola,  ebbe  animo  a' cavalieri  ranani; 
caso  che  Livia  si  dovesse  rimaritare,  ricordassesi  dell'amico. 
£  basterebbegli  senza  lasciar  suo  grado  né  uficio,  la  gloria 
del  parentado  :  e  dalle  inique  malevoglienze  d'Agrippina  as- 
sicurare i  figliuoli  :  che,  quanto  a  se,  gli  sarà  d'avanzo  aver 
terminato  la  vita  al  servigio  d' un  tanto  principe.  x> 

XL.  Tiberio  gli  rispose  :  lodò  4a  sua  divozione  :  toccò 
dé'beneficii  fattigli  ;  e  prese  tempo  a  pensarvi  :  il  che  fatto, 
riscrisse:  '  «  Gli  aHri  uomini  guardare  a  quello  che  fa  per 
loro:  a' principi  non  convenire:  ma  il  primo  occhio  avere 


*  *  allegati,  alleati. 

*  *  una  non  deon  mai  ec.  Il  Ms.  cancella  :  «  da  aoa  io  fuoTt,  che  mai  non 
se  ne  deono  veder  aasi,  cìo^  di  lasciar  memoria  buona  di  se.  «  Riscrive  :  «•  che  cer- 
car la  deono  sensa  misura  ;  la  memoria  ec .  :  w  ricancella. 

*  *  riscrisse.  Il  Ms.  cancella  :  «  soggiunse:  Bastare  agli  altri  nomini  &re  il 
meglio  loro  i  »  ricancella  :  «  pensare  quel  che  faccia  per  loro.  ** 


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IL  LIBRO  QUAITO  DEGLI  ANNALI.  181 

alla  fama;  però  seco  non  se  ne  spaccierebbe *  di  leggieri, 
come  potria  riscrivendo:  —  poter  essa  Livia  risolvere,  se  ma- 
ritarsi doppo  Draso  le  par  meglio  che  vedova  nella  medesi- 
ma casa  quietare.  —  Aver  madre  e  avola  proprie  consiglie- 
re. Ma  gli  direbbe  sinceramente;  prima,  «he  la  nlmicizia 
'd'Agrippina  leverebbe  pia  fiamma^  se  Li  via.  maritandosi, 
qaasi  dividesse  la  casa  de*  Cesari.  Scoppiar  le  gare  tra  queste 
donne  por  cosi:  dimembrare  queste  discordie  i  suoi  nipoti  : 
che  sarebbe,  se  questo  matrimonio  appiccasse  maggiore  zuf- 
fa? Perchè,  Sciano,  tu  l'erri,  se  credi  poterti. star  ne' tuoi 
panni,  e  che  Livia  stata  moglie  d' un  Gaio  Cesare  e  poi  d'un 
Braso,  voglia  invecchiare  cavalieressa  romana.  Quando  io  il 
passi,  credi  tu  che  stian  forti  quei  che  hanno  veduto  \l  fratel 
di  lei  e  '1  padre  e  i  nostri  passati-  ne'  sommi  imperi?  Tu  lo 
di' tu,  che  vi  ti  starai;  ma  que' magistrati,  que' grandi  che 
enirono  contro  tua  voglia  e  d' ogni  cosa  dicon  la  loro;  sanno 
molto  ben  dire,  che  egli  è  un  pezo,  che  tu  uscisti  di  cava- 
liere, e  che  ipio  padre  non  alzò  mai  uno  tanto,  e  me  ne  bia- 
simano p^r  invidia.  Agusto  ebbe  concetto  di  dar  sua  figliuola 
a  cavaliere,  è  vero;  perch'  ei  pensava  a. ogni  cosa:  e  vedendo 
quanto  chi  la  togliesse  s'alzasse,  ragionò  di  Procoleìo  e 
d' altri  quieti  e  non  curanti  di  Mato;'  Ma  guardisi  quel  che 
ei  fece:  la  diede  a  Marco  Agrippa,  e  poi  a  me.  Mi  ti  sono 
aperto,  come  amico,  né  mi  opporrò  a'  disegni  tuoi  e  di  Li- 
via. Quello  che  ho  pensato  io,  di  come  ancor  più  stretto  ìnte- 
ressarmiti,  per  ora  non  dico:  bastiti  che  alteza  non  è  che  da 
cotesto  virtù  e  animo  verso  di  me,  non  sia  meritata:  e  con 
r  occasioni  in  senato  e  al  popolo  ne  farò  fede. 

XLL  Seiano  non  più  del  matrimonio,"  ma  (  più  allo  te- 


'  *  però  seco  non  se  ne  sptiecierebbe  ec.  Valerìaai  ;  «  Perciò  mi  guarderò 
dì  risponderti ,  come  potrei  prontamente,  che  poò  ben  Livia,  mortole  Druao,  de- 
cidersi ad  altre  nosze,  o  durare  nella  famiglia  medeaima  :  che  meglio  può  eoa  la 
madre  e  1*  avola  consigliarsi.  »  , 

'  *  non  curanti  di  stato.  Il  Ma.  cancella  :  «•  non  mai  nello  stato  ingeriti,  «* 
'  *  Seiano  non  pia  del  matrimonio  ec.  Il  Ms.  «  Tornò  Seiano  a  racco- 
non  tanto  del  matrimonio,  quanto  de' sospetti  «  del  grido  del  popolo 
e  della  invidia sopravvegniente.  »  Cancella,  e  di  nuovo:  «  Seiano  lo  ripregò  non 
tanto  del  matrimonio,  ma  che  lo  difendesse  da*  sospetti  e  dal  grido  ec.  *»  Final- 
mente, accortosi  della  falsa  leiione  «  non  tam  de  matrimonio,  n  e  che  dovea  leg- 
I.  16 


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182  IL  L|^RO  QOABTO  BMI.1  AMHALL 

mando)  de* aospeUi,  del  grido  del  popplo  e  deUa  invidia,  si 
raeeoraandò.  E  perchò  serrando  la  porta  a  Unti,  che  veni- 
vano  a  corteggiarlo,  si  toglieva  la  potenia;  e  aprendola, 
dava  alle  lingue  che  dire  :  prese  a  persuadere  Tiberio  ohe 
vivesse  foori  di  Roma  in  luoghi  ameni,  vedendovi  molti 
vantaggi  per  se:  «  Sarebbe  padrone  dell'  ndiensa  e  delle  let- 
tere, portandole  i  soldati.  Cesare  già  vecchio,  in  quella  riti- 
rata impigrito,  lascierebbe  fare  a  hii  ogni  cosa;  scemerebbe 
la  invidia  diianta. torba  salatatrice;  manchere))be  vanità,  ^ 
e  crescerebbe  vera  potenza*  »  Cominciò  adonqne  a  dire, 
«  Che  si  levasse  tanti  negozi  della  città,  tanta  calca  e.  tem- 
pesta di  popolo:  a  celebrare  la  quiete  e  la  solitadìne,  ove 
farebbe  senza  fastìdi  e  dispetti  le  cose  pia  .importanti.  » 

XLII.  Abbattessi  inique' dì  il  giudizio  di  Yotieno  Monta* 
no,  uomo  di  grand'  ingegno,  a  fiir  risolvere  Tiberio  già  pie- 
gato, a  non  voler  più  veder  padri,  nò  sentirsi  rinfacciare 
sue  vergogne>e  veri  vituperi.  Yotieno  ebbe  querela  di  satira 
fotta  contr'a  Cestire.  Emilio  soldati^  testinfioniava  tutte  quelle 
brutture  di  gran  volontà^  Eragli  dato  in  so  la  voce,  ed  ei  le 
pur  forai.  Cosi  Tiberio  udì  sue  vergogne,  con  tale  scanda- 
lezo  che  gridò  volerle  purgi^re  allora  in  giudizio:'  e  a  pena 
gli  amici  pregando,  tutti  adulando,  l'acquetarono.  Yotieno 
ebbe  pena  di  lesa  maestà.  E  sentendo  Cesare  dirsi  troppo 
crudo  nel  punire,  più  s'accani.  E  avendo  Lentulo  Getalico, 
disegnato  qoqsoIo,  dannato  Aqnilia  adultera  con  Yario  Li- 
gure, nella  legge  ginlia;'  nell'esUio  la  dannò.  E  rase  del 
senato  Apidio  Merula,.per  giuramento  non  dato  ad  Agusto. 

XLIII.  Udirsi  gli  ambasciadori  de' Lacedemoni  e  de'Mes- 
seniì,  che  litigavano  il  tempio  di  Diana  Lineate.^  I  Lacede- 
moni lo  provavano  per  storici  e  poeti  fatto  da'  lor  maggiori 

gcffsi  •  non  iam ,  -  correne  :  «  Sciano  non  più  del  nutriiiioBio  «o.  »  U  pregar 
nnonunente  dd  matrimonio  non  sarebbe  stata  da  Seiano. 

*  *  mtmcherebbe  vaniti  ec.  :  e  per  qnalcbe  tana  tppareim  «bt  gli  omo» 
caaso  M^nistirebbo  soda  potenaa. 

S  *  gridò  volerle  purgare  allora  in  gùtdiaio.  Veramente  il  testo  dice  «  vel 
slatim,  pel  in  eognitione:  »  o  sabito  allon,  o  qnando  se  ne  facesse  il  ptocesso. 

*  *  La  legge  giolia  condannava  gli  adulteri  a  senplioerilegaeiooeipena 
minore  assai  dell'  esilio. 

*  Diana  Linmato,  o  LitmtUg  vedi  il  Pipaio;  non  LimenaOdo, 


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IL  LIMO  i^kVfO  »B«LI  AMMALI.  183 

nella  lor  terra  :  ma  toUo  in  ^nen^a  da  Filippo  di  Macedonia; 
e  per  sentenze  di  Gaio  Cesare  e  di  Maròanionio  riavute.  In 
contrario  i  Messenii  mostraron  carta  antica  dei  Peloponneso, 
diviso  Ira  i  discesi  d' Ercole,  come  il  tenitorio  d*£lea,  dove 
il  tempio  era,  toccò  a  Pentilio  re  loro,  e  ce  n'  erano  memo- 
rie in  marmi  e  bronzi  antichi.  Volendo  testimoni  di  storie  e 
versi;  a  loro  n'avanzarono;  averlo  Filippo,  non  di  potenza, 
ma  di  ragione,  aggiudicato:  Antigono  re  e  Mnmmio  gene- 
rale confetmato:  cosi  i  Milesi  per  pubblico  compromesso  lo- 
dato :  in  ultimo  Atidio  Gemino  pretore  in  Acj^ia  decretato. 
Giudicossl  in  favore  de'Messeni.  Chiederò  i  Segestani,ché  '1 
tempio  di  Venere  nel  monte  Erico  per  antichità  rovinato, 
si  rassettasse, -ricordando  le  sue  note  origini:  e  Tiberio  ne 
prese  lieto  (come  di  quel  sangue)  *■  la  cura.  A' preghi  de'Mar- 
sitiesi  fu  approvato  che  Volcazio  Mosco,  di  Roma  bandito, 
e  fatto  cittadino  di  Marsiglia,  potesse  come  sua  patria  la- 
sciarla reda  :^  si  come  Pubblio  Rotilio,  alsl*  bandite  per  tegge, 
ricevuto  da  Smirna,  lei  lasciò. 

XLiV.  Morirono  in  quest'  anno  due  chiari  cittadini; 
Gn.  Lentttlo  perla  ben  tollerate  povertà,  e  poscia  lealmente 
fatta  e  parcamente  usate  riccheza^  oltre  al  consolate^  e  le 
trionfali  acquistate  de'Getuli;  e  L.  Domizio  per  Io  padre 
nelle  guerre  civili  potente  in  mare,;  accostato  poi  ad  Anto- 
nio, indi  a  Cesare.  L'avolo  mori  per  li  ottimati  in  Farsaglia: 
egli  ta  eletto  a  marito  d' Antonia  minore  nata  d' Oitevia, 
poscia  con  esercito  passò  l'Albi,  e  più  entro  di  tutti  pebetrò 
la  Germania,  e  n'ebbe  le  trionfali.  Mori  ancora  L.Antenio 
di  gran  chìareza  di  sangue,  ma  sveinturata:  perchè  Agusto 
punì  di  morte  Giulio  Antonio  suo  padre  adultero  di  Giulia, 
e  lui  nipote  d' Ottevia  mandò  giovanetto  in  Marsiglia,  ove 
sott'  ombra  di  studio  stesse  in  esilio.  Il  senato  nondimeno 
gli  decretò  esequie,  e  V  ossa  ripose  tra  gli  Ottevi. 

XLV.  In  quest'  anno  nella  Spagna  di  qua  segui  co^a 


*  come  di  quel  sangue,  I  Scgettam  ti  dicerano  discesi  da  Troia»  come  i 
Romani. 

S  *  polene ,  cioè ,  lawiare  i  luoi  beni  alla  cittk  di  Marsiglia»  divenuta  come 
taa|Mtria. 

S  *  aUl  Vedi  sopra  I ,  SO;  li,  64;  III,  i3. 


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184  IL  UBfiO  QUARTO  DKQLI  AMNALI. 

atroce.  Un  villano  da  Termeste  asei  addosso  per  cammino  a 
L.  Pisone  governatore,  che  per  la  pace  non  si  guardava,  e 
diagli  ferita  mortale.  Spronò  al  bosco,  ove  lasciato  il  cavallo, 
per  macchie  e  burroni  usci  d'occhio  a'perseguentr.Poco  gli 
valse,  perchè  il  cavallo  fu  ripigliato,  e  fatto  per  quei  villaggi 
riconoscere  essere  il  suo:  fu  preso  *■  e  collato  terribilmente, 
per  dire  i  consapevoli.  Con  voce  alta  disse  in  sua.lingna,  «  che 
e' perdevano  il  tempo;  fussero  pur  eglino''  quivi  presenti; 
che  per  quantunque  spasimi  noi  direbbe.  »^  U altro  di  ri- 
messo in  disamina,  si  scote  da' fanti  di  si  gran  forza,  e  sfira- 
cellossi  in  uno  stipite  il  capo ,  che  quivi  spirò.  Gredesi  faces- 
sero ammazar  Pisene  i  Termestini,  perchè  gli  scannava  con 
le  graveze. 

XLYI.  [A.  di  R.  779,  di  Cr.  26.]  Nel  seguente  anno,  con- 
solato di  Lentulo  Getulico  e  Gaio  Galvisio,  furon  date  le  trion- 
fali a  Poppeo  Sabino,  per  avere  rintuzati  i  Traci  di  quelle 
alte  ed  aspre  montagne,  però  feróci.  Levare  in  capo^  per  lor 
natura,  e  per  non  dare  il  fiore  della  loro  gioventù  alla  nostra 
milizia:  avvezi  a  disubbidire  anche  i  re,  o  mandare  aiuti  a 

'  Ripreso.  Quasi  per  sùnil  modo  s'aggirò  quel  Pohrot  che  ammtcò  il 
duca  di  Guisa. 

S  *  fussero  pur  eglino  ec:  cioè,  non  fuggissero:  stessero  pure  anche  qdi 
presenti  alla  tortura;  egli  non  gli  scoprirebbe. 

8  noi  direbbe.  Gredesi  per  moHi  saTi  e  dotti  uomini  che  Q.  trarre  co'  tor- 
menti la  verità  sia  cosa  non  umana,  non  sicura,  e  dannosa  alla  republica:  per- 
chè noi  laceriamo  i  corpi  vivi,  come  le  fiere;  e  bene  spesso  liberiamo  il  colpevole 
che  può  sopportare  e  niega  la  veritk,  e  l'innocente  danniamo  che  mentisce  per 
duolo.  Dice  Ulpiabo  che  la  tortura  è  prova  fallace  e  pericolosa.  E  Cicerone  in 
Siila,  che  in  quell'agonia  la  verità  non' ha. luogo.  Perciò  i  Bomani  non  esamina- 
vano con  tormenti  le  persone  libere,  ma  i  loro  schiavi  :  perchè  questi  erano  dalle 
leggi  riputati  per  niente,  e  come  cadaveri.  E  noi  cristiani  facciamo  di  noi  questo 
strasio  f  eiiandio^  dandolo  a  buon  mercato,  e  alcune  volte  per  cause  non  degne, 
non  criminali,  peconiarie  solamente.  Itene  il  Boccaccio  fece  a  Tedaldo  degli  Elisei 
considerare  la  cieca  severità  delle  leggi  e  de'  rettori ,  i  quali  assai  volte,  quasi 
solleciti  investigatori  del  vero,  incrudelendo,  fanno  il  falso  provare ,  e  se  ministri 
dicono  della  gicistisia  e  d'Iddio,  dove  sono  deUa  iniqui^  e  del  diavolo  esecutori. 
Vedi  AnneoBoberto,  libro  primo,  capit.  4  delle  Decisioni  di  Parigi:  e  la  costania 
dell'ancilla  esaminata  contro  la  falsa  accusa  d'Ottavia  nel  quattordicesimo  di  que- 
sti Annali.  (*) 

^  *  Levaro  in  capo.  Vedi  sopra  1 ,  38  e  45. 

(*)  Questa  bellissima  postilla,  nella  qaale  il  Davanstti  prevenne  le  idee  del  eelabnlee- 
caria ,  non  si  legge  nella  Ginntioa. 

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IL  UBRO  OUARTO  DBGLI  ANNALI.  185 

lor  posta,*  sotto  lor  capitani,  e  in  guerre  vicine.  E  allora  df- 
eevanoche  sarieno  in  capo  del  mondo  strascinati,  sbranca- 
ti, mescolati  tra  varie  genti.  Ma  prima  che  pigliar  V  àrmev 
ricordarono  per  ambasciadori  la  loro  amicizia  e  osservanza 
per  mantenerle,  non  gli  stnzicando  con  carichi  naovi;  ma 
se  gli  volessero  per  ischiavi  o  vìnti,  aver  ferro  e  gioventù  e 
eaore  da  viver  liberi  o  morire:  e  mostrando  in  alti  greppi 
loro  bicocche  ove  messo  aveano  lor  vecchi  e  mogliere  ;  mi- 
nacciavan  guerra  fastidiosa,  darà,  sanguinósa. 

XLVII.  Sabino  die  buone  parole,  sino  arrivasse  Pom* 
pomo  Labeone  con  la  legione  di  Mesia,  e  Remetalce  co'Traci 
suoi  rimasi  in  fede.  Con  questo  rinforzo  n'andò  a  trovare  ii 
nimico  già  postosi  a'  passi  della  boscaglia  :  alcuni  pia  arditi 
si  vedevano  nelle  colline  scoperte,  lì  capitanò  romano  le  sali 
e  caccionneli  agevolmente  con  poco  lor  sangue ,  per  la  riti- 
rata vicina.  Quivi  s' accampò,  e  con  ottima  gente  prese  la 
schiena  d'un  monte,  piana  sino  a  un  castello  difeso  da  molti 
armati  senz'ordine.  Contro  a' più  fieri,  che  innanzi  alle  trin- 
cee con  suoni  e  canti  danzavano  a  loro  usanza,  mandò  va- 
lenti arcadori,  che  da  discosto  dledon  molte  ferite  e  franche: 
appressatisi,  furon  da  subita  uscita  de' castellani  disordinati: 
ma  soccorsi  dadla  coorte  sicambra,  la  quale  il  capitano  acco- 
stò: pronta,  né  meno,  per  strepito  di  canti  e  d'armi,  terribile. 

XLVIII.  Il  campo  si  pose  accanto  al  nimico,  lasciati 
ne' vecchi  ripari  que'  suddetti  Traci  nostri  aiuti,  con  licenza 
di  guastare,  ardere,  rubare  sino  a  sera  :  ma  la  notte  stessonvi 
desti  e  in  guardia.  Così  federo  dapprima  :  poi  datisi  ai  pia- 
ceri* e  di  preda  arricchiti,  lascian  lor  poste,  toffansi  nelle  vi- 
vande, nel  vino  e  nel  sonno.  I  nemici  veduta  lor  tracutag- 
gine,  fanno  due  schiere,  per  assalire  una  i  saccheggianti,  e 
r  altra  il  campo  romano,  non  per  pigliare ,  ma  perchè  cia- 
scuno per  le  grida  e  armi  al  pericolo  suo  badando,  non  sen- 
tisse dell'  altra  zuffa  il  romore  :  e  andaron  di  notte  per  più 

*  *  mandare  aiuti  a  lor  posta.  Il  Ms.  cancella  :  «  mandare  aiuti  qodcfae 
volta;  »  e  diìniovo;  «  quando  vien  lor  bene.  *» 

'  datisi  ai  piaceri.  «  Capti  opulentia:  »  ho  visto  poi  che  il  testo  de'  Me- 
diò dice ,  raptis  opulenti.  Ogn'an  vede  quanto  meglio.  Di  non  aver  dorato  a 
riscontrarlo  ogni  fatica ,  mi  pento  :  e  così  mi  racconcio  :  Datisi  al  piacere  a  di 
prede  arricchiti. 

16* 


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i9ù  IL  U9IIO  QOAftTO  DBOU  AHNALI. 

Spavento.  Gli  assaliti  Romani  gli  scaeciarono  di  leggiere:  gli 
alati  Traci  spaventati  dal  Sabito  assalto,  e  trovati  chi  dentro 
a  poltrire,  chi  faori  a  rubare,  farono  ammaasati  con  rabbia  e 
rimproccio di  fuggitivi,  traditori,  prenditori  d'arme  per  Care 
schiavi  sé  e  la  patria. 

XLIX.  L'altro  giorno  Sabino  si  presentò  ia  un  piano 
con  l'esercito,  se  forse  i  barbari  per  T  orgoglio  di  quella  notte 
li  annasassero.  *  Non  ascendo  essi  del  castello  e  suoi  congionti 
monti,  cominciò  assediarli  con  bertesche'ben  monite,  e  qnatr 
tro  migKa  intorno  gli  aSbssò  e  trinceò  :  e  per  tor  loro  acqua  e 
pastora,  a  poco  a  poco  il  chiuso  ristrinse,  e  un  battifolle'  rizò 
già  vicino  al  nimico  per  batterlo  con  sassi,  dardi  e  fuochi. 
Ma  sopra  tutto  gli  consumava  la  sete.  Essendo  a  tanta  gente 
utile  e  disutile  una  sola  fonte  rimasa:  i  cavalli  e  gli  armenti 
con  loro<a  loro  usanza,  rinchiusi  senza  pasciona,  morieno: 
giacieno  i  corpi  degli  uomini  morti  di  ferite  o  di  sete.  Di 
sangue^  puzoe  morbo  ogni  cosa  fetea.  E  v'  entrò  la  discòr- 
dia, nelle  avversitadi. suggello  di  tatti  i  mali;  volendo  chi 
darsi,  chi  Tun  l'altro  uccidersi:  i  migliori  (benché  diversi 
nel  modo)  uscir  fuòri  e  morir  vendicali. 

L.  Ma  Dinis  capitano  vecchio  per  lunga  pratica  della 
romana  forza  e  clemenza,  consigliavi  posar  l'armi,  solo  ri- 
medio ;  e  innanzi  a  tutti  s' arrese  con  la  moglie  e  figliuoli.  I 
deboli  per  età  o  sesso,  e  i  più  vaghi  di  vita  che  di  gloria, 
segnìtaron  lìii  :  ma  la  gioventù,  Tarsa  e  Toresi;  *  deliberati 
ambo  di  morir  liberi.  Ma  Tarsa  gridando  doversi  finir  la  vita, 
le  speranze  e  le  paure,  a  un  tratto  si  passò  col  ferro  il  petto, 
né  mancò  chi '1  seguitasse.  Turesi  disegnò  co' soci  uscir  fuori 
la  notte.  Il  nostro  capitano  il  seppe,  e  raddoppiò  le  guardie. 
La  notte  tempestosa  terribilmente;  e  loto  grida  atroci  o  si- 
lenzio orrendo,  tennero  gli  assedianti  sospesi»  Sabino  alterno 

*  *  li  annasassero,  Lat.  :  «  praUum  €uuierent,  *» 

'  *  bertesche;  ripari  che  sulle  toni  o  sulle  mura  si  fanno  per  comodo  e  si- 
cureasa  dei  eombatteoti.  ' 

'  *  battìfolle:  trinciera^bastioiie,  bastata,  propafaa«olo»terrapieiio  e  sinùli. 

*  *  ma  ia  gioventù,  Tarsa  e  Turesi s  cioè,  seguitò.  Il  corretlora  del- 
l' esemplare  JKestiano  di  G.  Capponi ,  non  intendendo  la  forte  ellissi ,  agfiu^e 
in  margine  :  «  ma  la  gioventù  era  divisa  fra  Taraa  e  Turesi;  «  conforme  d  testo 
latino  che  dice  :  «  At  iuventtts  Tarsam  inter  et  Turresim  distrahebatur.  •» 


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IL  UBHO  QfJAn»  WMLI  ANNALI.  1^7 

andava  ricordando,  «  li«ii  |>er  incerte  grida,  non  per  finta 
quiete  si  torbanero:  non  dessero  occasione,  agi'  inganni  ; 
stesse  saldo  «iascmio  a  suo  uficio  :  non  lasciassero  4  voto.  » 

LI.  fecoti  a  corsa  frotte  di  barbari  con  gran,  sassi,  pali 
abbromaii  e  pedali  di  querce,  dare  nello  steccato;  riempiere 
i  foisi  di  fascine,  di  vinchi,  di  cadaveri;  ponti,  e  acale  ag- 
jfiistate,^  appoggiare  a'  ripari:  qaelli  prendere,  giù  tirare,  so 
lalire,  i  difenditorispignere.  Essi  per  centra  lì  ripignevano, 
ammazavano,  precipitavano,  con  targate,  l^nciottate, sassi 
e  cantoni.  Accendeva  questi  la  vittoria  in  pugno,  e  la  vergo- 
gna che  sarebbe  di  tanto  maggiore  :  quelli,  la  loro  ultima  sa« 
Iole  '  e  là  presenza  e  ì  pianti  di  loro  madri  e  ii|ogli.Iia  nòtte 
dava  a  chi  com-e  a  chi  timore.  Colpi  sprovveduti  venivano  e 
andavano,  senza  sapersi  onde  né  dove,  nò  amici  da  nemici 
discernere.  I  monti  faceano  eco  alle  grida  de'  nimicl  a  di- 
rimpetto, che  parendo  alle,  spalle  comparsi,  spavi^ntarono  in 
Koisa  che  alcuni  romani  abbandonarono  le  trincee,  creden- 
dole sforzate.  Pochi  de'  nimici  v'  entrarono  ;  gli  altri  morti , 
0  feriti  i migliori:  all'  alba^furon  ripinti  suso  al  castello  ^  che 
8'  ebbe  a  forza;  e  i  suoi  contomi  d'accordo:  il  difese  da  sforzo 
0  assedio  r  avacciato  e  crudo  gielo  del  monte  Emo. 

Lll.  In  Roma, essendo  la  casa  del  principe  j^  trambu- 
sto, per  ordire  ad  Agrippina  la  morte,  Claudia  Pulcra  sua 
cogina  da  Bomizio  Afro  (di  fresco  stato  pretore,  ^  poco  nolo 
e  frettoloso  di  farsi  per  ogni  via'^)  fu  accusata  d' adulterio  con 
Fnrnio,  di  veleno  contr'  al  principe  e  d' incantesimi.  Agrip- 
pina sempre  feroce,  e  allora  infocata  '  per  lo  pericolo  della 
cogina,  ne  va  a  Tiberio  che  appunto  sagrificava  al  padre. 
Quinci  mordendolo  disse:  ^  Che  vale  offerir  sangue  di  bestie 
ad  Agusio,  chi  perseguita  il  sangue  di  Ini?  Quella  celeste 
anima  non  è  scesa  in  cotesto  immagini  mutole;  ma  V  imma- 

'  *  aggùtétaU.  Vi  Ms.  cancella  :  ■  a  poeta  fatte.  «• 

'  *  /a  loro  ultima  MiUae.  H  Ifs.  cancella:  «  la  già  disperata  salate.  ** 

'  *  stuo  al  casUllo.  lì  Ms.  cancella  :  «r  in  cima  del  castello.  *• 

*  *  dlfruco  tutto  pretore.  Il  Ms.  canedla  ;  «  uscito  allora  di  pretore.  » 

^  *  di /arsi  per  ogni  via:  intendi,  di  farsi  noto.  L'eseifaplare  Nestiano  di 
Gino  Capponi  corregge:  «  farsi  grande.  *»  H  latino  ba:  «  clarescerej  »  farsi 
cliiaro. 

*  *  infocaia.  U  Ms.  cancella  i  m  ardente.  »       « 


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188  IL   LIMO  QOABTO  DC6L1  INIULI. 

gjóe  vera,  naia  di  celeste  sangue,  vede  i  pericoli  e  sente  gli 
smacchi.  Lascia  star  la  Palerà,  che  altro  peccato  non  ha  che 
r  essermi  dirota;  né  si  ricorda  la  milensa  che  Sosia  non 
per  altro  capitò  male.  »^  Tali  parole  fecero  uscir  Tiberio  tanto 
capo;  e  ripresela  con  quel  verso  greco  «  P  adiri  che  non  re- 
gni.»' La  Polcra  e  Farnio  fnron  dannati,  e  Afro  n'ebbe  ri- 
nomea tra'  primi  oratori,  e  Tiberio  con  1'  autorità  il  confer- 
mò. Seguitando  l'arte  dell'accusare  e  difendere,  acquistò 
fama  di  più  eloquenza  che  bontà:  e  anche  di  quella  molto 
perde  nell'ultiraa  vecchiaia,  che  l'acciaio  era  logorato,'  e  noo 
sapea  rimanersene. 

LIIL  Agrippina  rodendosi,  ammalata  e  visitata  da  Ce- 
sare, doppo  lungo  piagnere  *  e  non  parlare,  lo  punse  e  io- 
sieme  pregò:  cr  Soccorresse  di  marito  t'abbandonata.  Essere 
ancor  fresca  donna:  le  oneste  non  aver  altro  conforto:  es- 
ser nella  città  '  chi  iarebbe  di  grazia  ricevere  la  moglie  e  i 
figliuoli  di  Germanico.  »  Ma  Cesare  che  intese  quanto  im- 
portassero quelle  dimando,  '  per  non  mostrar  paura  né  ira, 
si  parti  senza  risposta,  benché  molto  richiesta.  Questo  parti- 
colare non  è  negli  annali.  Io  l' ho  trovato  nelle  memorie  che 
Agrippina  sua  figlinola,  madre  di  Nerone  imperadore,  lasciò 
dì  se  e  de'  suoi. 

*  Sosia  non  per  altro  capitò  male.  Come  sopra,  cap.  19.  Tutte  queste 
parole  d'Agrippina  paion  più  piccanti  che  le  latine. 

3  *  T'adiri  che  non  regni.  Il  Ms.  mostra  vari  pentimenti  :  1**  «  Tua  rabbia 
h  che  ta  non  regni  ;  m  S®  «  T' adiri  cbe  tu  non  regni  ;  *•  3* .«  Tua  itiia  e  che  non 
regni.  » 

'  *  P acciaio  era  logorato  ec.  Adr.  Politi:  «  con  la  mente  infiacchita  non 
seppe  aver  pazienza  di  tacere.  ** 

*  *  doppo  lungo  piagnere.  Il  Ms.  cancella  :  •  doppo  longo  piangere  sena 
parlare,  lo  punse  e  pregò  insieme,  che  desse  all' abbandonata  soccorso,  m 

8  esser  nella  città.  Di  questo  luogo  disperato  traggo  per  disperazione 
questo  sentimento  sino  a  che  meglio  si  corregga.  Il  chieder  marito  Agrippina,  era 
un  chiedere  la  successione  :  perchè  un  marito  di  si  gran  donna  non  poteva  non 
essere  imperadore.  Però  Tiberio  scrite,  sopra,  a  Sciano  che  Agnato  ebbe  animo 
di  maritar  Giulia  a  Proculeio,  giovane  posato,  da  non  vi  aspirare.  (*> 

*  *  che  intese  qtumto  importassero  quelle  dimande.  Il  Ms.  cancella  : 
«  che  intese  che  era  un  chiedergli  lo  stato  :  »  e  di  nuovo  :  «era  un  chieder  di  suc- 
cedergli, m 

(*)  La  difiicoltk  d«l  Ipogo  nasce  da  una  piccola  lacuna  dia  è  n«l  tatto  dopo  A»  eivitatt  ; 
la  quale  faeUoiente  si  rtaoipie,  o  con  tan  semplice  fui  o  con  ^hì  Juputl  neptsm,  come  vuole  il 
CroUio. 


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IL'  LIBRO  QUARTO  DBGLI  ANNALI.  189 

LIY.  Ma  Seiano  tra6fise  V  addolorata  e  poco  accorta,  di 
spina  più  velenosa.  Mandò  chi  l'avverti  qaasi  per  carità,  es- 
serle ordinato  veleno:  non  mangiasse  col  suocero.  Ella  che 
fingere  non  sapea,  cenandogli  allato ,  nnlla  per  cenni  o  pa- 
role ^  pigliava.  Tiberio^  che  se  n'  avvide  o  gli  fa  detto,  per 
chiarirsene,  lodando  certe  belle  frutte ,  le  porfifiB  dì  sna  mano 
alla  nuora.  La  quale  tanto  pia  insospettila ,  le  dio  senz'as- 
saggiare a' servi.  Tiberio  a  lei  niente:  ^Ua  madre  voltatosi 
disse  :  «  Dacché  ella  m'ha  per  avvelenatore,  non  si  maravi- 
gli, se  io  le  farò  qualche  schermo,  t»  Quindi  si  sparse  che 
lo  'mperadore  cercava  farla  morire  per  modo  segreto:  non 
ardiva  in  aperto. 

LY.  Cesare  per  divertire  questa  voce,  era  sempre  in  se- 
nato e  molte  udienze  diede  agli  oratori  dell'Asia  che  dispo- 
tavano qoal  città  dovergli  edificare  il  tempioxonceduto.  Un- 
dici ne  gareggiavano  con  pari  ambizione  e  forze  dispari. 
Allegavano  quasi  eguali  antichità  di  loro  nazioni ,  e  servigi 
fatti  al  popolo  romano  nelle  guerre  di  Perse,  d'Aristonieo  e 
d'altri  re:  ma  gì'  Ipepeni,  Tralliani,  Laodiceni  e  Magnesi  ne 
furono  rimandati,  avendoci  poca  ragione.  *  Gl'Iliesi  la  gloria 
sola  dell'  antichità,  essendo  Troia  madre  di  Roma.  Dubitossi 
alquanto  sopra  gli  AUcarnassini,  che  da  mille  dugentó  anni 
in  qua,  tremuoto  non  avea  scosso  lòr  terreno,  e  fondavano 
in  sasso  vivo.  A'  Pergameni,  l'aver  un  tempio  d'Agusto  (che 
era  la  loro  ragione),  parve  che  dovesse  bastare.  '  £  che  por 

*  *  per  cenni  o  parole  j  cioè,  itebLeae  Tiberio  le  facesse  cenno  di  prendere 
e  ne  la  pregasse. 

'  *'poca  ragione.  Il  Ms.  cancella:  «  poca  parte.  *» 

'  dovesse  bastare.  E  che  pur  troppo  occupassero.  Perciò  ha  confermato 
santamente  il  Concilio  di  Trento  le  residenze  de'  curati  alle  lor  chiese.  Di  sopra 
ne]  3  lib.  %*  h  detto  de'  flamini.  In  su  Paltare  consagrato  ad  Agasto  in  Aragona  es- 
tendo nata  una  palma,  gli  Aragonesi  gli  mandarono  ambasciadori  a  rallegrarsi  di 
questo  segnale  che  le  sue  vittorie  erano  eterne.  Questo  è  segnale ,  diss'  egli ,  di 
guanto  voi  mi  siate  divotij  poiché  nel  mio  altare,  per  non  veder  mai  fuoco 
me  cenere,  nasce  lapalma. 

L«  mora  che  mUmio  «Mar  badia, 
Fatta  sono  tpelonolie;  «  le  òocoUe 
Sacca  son  piene  di  ferina  ria. 

E  il  DOsDro  Poeta  piacevole  primo,  e  sommo  in  piacevolcca  : 

Non  «he  tovaglia,  •'non  t> è  por  aMare.  H 

(*)  Onesta  postilla  bob  si  legge  nella  Giantina. 

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190  IL  LUBO  QOAATO  DEQLI  AMNAU. 

troppdeeeapMserorafieialiiTe  d'ApoUìiu»  i  Milesi,  di  Diana 
gli  Efesii.  ^  Il  giodixio  batteva  tra'  Sardiani  e  gli  SmirnesL 
Qoei  lessero  aa  decreto  di  Etmria  che  gU  provava  di  nostro 
aaogoe.  Che  .Tirreno  e  Lido,  figliaoli  del  re  Ati ,  si  sparti- 
rono la  genie  moltiplicata.  Lido  rimase  in  soa  terra:  a  Tir- 
reno toccò  a  procacciarsi  paese;  e  V  ano  e  T  altro  pose  a  soa 
gente,  suo  nome:  quegli  in  Asia,  qnesti  in  Italia.  Creseioti 
di  noovo  i  Lidi,  mandarono  uno  sciamo  in  Grecia,  dal  nome 
di  Pelope  appellato.  Mostravano  àncora  lettere  d'tmperado- 
ri  ;  leghe  fette  con  esso  noi  nella  gnecra  de'  Macedoni;  lor 
fiumi  fertili,  aria  ottima,  ricche  torre  vicine. 

LVI.  Gli  Smimesi,  ricordata  loro  antica  origine  da  Tan- 
talo Qglinolo  di  Giove,  o  da  Teseo  divina  stirpe  anch'  egli,  o 
da  una  Amazona;  passarono  alle  importante  de'  meriti  col 
popolo  romano:  mandatogli  armate,  non  pare  a  guerre  fatte 
attrai,  ma  patite  in  Italia:  fatto  tempio  alla  città  di  Roma 
prima  degli  altri,  nel  consolato  di  M.  Perciò,  quando  il  po- 
polo romano  era  grande  si,  ma  ndn  in  questo  colmo,  stando 
in  pie  Cartagine,  e^in  Asia  possenti  re:  sovvenuto  l' esercito 
di  L.  Siila:  egli  il  sa  in  che  periglio;  quando,  di  fitto  verno, 
rimaso  brullo  di  vestimenta;  avutone  l'avviso  gli  Smirnesi  in 
consiglio,  ciascuno  si  spogliò  le  sue  e  nrandaronsi  alle  legioni 
abbrividate.  Richiesti  adunque  di  sentenza,  i  padri  antipo- 
aero  gli  Smirnesi:  e  Vibio  Marso  disse  che  M.  Lepido,  coi 
toccò  quella  provincia,  s'  eleggesse'  un  operàio  a  fare  qael 
tempio;  e  ricusandolo  per  modestia,  li  si  mandò  Valerio  Naso 
pretorio  per  sorte  tratto. 

LYII.  Allora  finalmente  Ceraredopo  lungo  consiglio  e 
indugio  andò  in  Campagna,  in  nome  di  edificar  tempii  in 
Capua  a  Giove,  in  Nola  ad  Agusto;  ma  risoluto  di  viversi 

*  *  Vedi  sopra;  m,  61,02. 

s  s'eleggesse.  Non  leggo  /«;g«refr<r>* perche  sarebbe  contro  alla  storia,  cbe 
il  govemator  dell'Asia  fusse  detto  operaio  d'un  tempio  {*)  :  ma  hgéteta  tkk  die 
egli  lo  eleggesse. — *  s'eleggesse.  Rigettando,  per  le  ragionai  esposte  nella  postilla, 
b  Tolgata  lesione  legeretur,  legge  legeret  (M.  Lepidus).  Ma  la  yen  lesione  è 
iegaretttr,  come  porta  il  codice  Mediceo  :  e  conforme  ad  essa  va  tradotto  col  Va* 
leriani  :  «  Vibio  Marso  propose ,  che  a  M.  Lepido,  a  ori  tale  provincia  anemie* 
si ,  si  deputasse  un  compagno  che  avesse  curai  del  tempio.  » 

n  La  Oiontioa  :  «  soprantendente  alH  «parai  d>  un  tMipi».  » 

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IL  LIBftO  QOABTO  DB6U  ANMALI.  191 

faor  di  Roiva.  Dìsbì  con  moUi  autori ,  ohe  questa  fa  arte,  di 
Seiano;  ma  veduto  che,  ucciso  lui,  egli  stette  sei  anni  in 
quella  solitudine,  vo  pensando,  se  e'fu  pare  suo  coneeUo  per 
nascondere  con  le  luqgora  le  crudeltà  e  sporcizie  ch'ai  pu- 
blicava  co  '1  farle.  Altri  credevano  per  vergognarsi,  ancor 
vecchio,  del  suo  brutto  corpo  lungo^  sottile,  chinato,  calvo  ; 
viso  ehiazato  di  margini  e  spesse  stianze  o  piastrelli.  E  an- 
che in  Rodi  sfuggiva  la  brigata  e  i  piaceri  nascondeva.  Altri 
dicono  per  levarsi  dinanzi  alia  madre  insopportabile ,  che 
per  compagna  nel  dominare  non  la  voleva,  e.  cacciare  non 
la  poteva,  avendo  lo  imperio  da  lei,  avvengaehè  Agusto  vo- 
lesse darlo  a  Germanico,  nipote  di  sua  sorella,  ^  che  piaceva 
a  ogn'uno:  ma  vinto  dalle  moine  della  mogUe,  adottò  a  se 
Tiberio,  e  a  lui  Germanico:  il  che  A  gusta  gli  rimproverava 
e  se  ne  valeva. 

LVIII.-  Partissi  con  poca  corte.  Di  senatori  vi  fu  solo 
CoGceo  Nerva  stato  consolo,  in  giure  ammaestrato  :  di  cava- 
lieri romani  di  conto,  Seiano  e  Curzio  Attico,  e  altri  scien- 
ziati: li  più  greci,  per  trattenerlo  co  '1  ragionare.  DLceanlo  gli 
strolaghi  partito  in  punto  da  non  tornare  in  Roma.  Che  fu 
rovina  di  molti,  che  intendevano  e  cicalavano,  che  e' mor- 
rebbe tosto,  non  potendo  antiveder  caso  si  da  non  credere, 
che  egli  avesse  a  star  fuori  a  difetto  undici  anni.  Yidesi  poi 
quanto  l'arte  *  rasenti  Terrore,  e  sia  scura  la  yerità.  Che  in 
Roma  non  tornerebbe,  fu  detto  bene:  ma  non  veduto  che 
egli  per  te  ville  presso,  o  lungo  il  mare,  e  spesso  in  su  le 
mure  *  della  città  iuvecchierebbe  tanto. 

LIX.  Un  pericolo  corse  in  que'dì,  che  aggiunse  al  po- 
polo che  dire  ;  e  a  Tiberio  fede  di  un  grande  e  fermo  amore 
di  Seiano.  Mangiando  alla  Spelonca,  villa  tra  '1  mare  d'Amu- 
cta  e  i  monti  di  Fondi ,  in  una  naturai  grotta,  là  sua  bocca 
franò  con  molti  sassi  addosso  a  certi  serventi.  ^  Fuggirono 
tutti  a  spavento.  Seììano  appuntò  ginocchia,  capo  e  mani,  e 

'  nipote  di  sua  sorella.  Gennanico  d'Antonia  minore,  d'Ottavia  mag- 
giore, d'Agosto  sorella. 

s  *  torte.  Intendi ,  l' arte  degli  astrologi. 

^  *  le  nutre.  Cosi  la  Giuntina.  Le-altre  :  le  mura, 

*  *  serventi.  Il  Ms.  cancella  :  «  ministri  ;  »  e  di  nuovo  :  w  sinisdlcfai.  » 


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J02  IL  Lino  QUARTO  DSGLI  AKNjkLI. 

fece  sopr'  a  Cesare,  di  se  arco  e  riparo  *  alla  cadente  mate- 
ria; cosi  sospeso  il  trovarono  i  soldati  corsi  in  aiuto.  Questo 
caso  lo  fece  maggiore ,  e  ogni  rea  cosa  eh'  ei  proponesse , 
gli  era  credala,  come  non  curante  di  se.  Facevasi  arbitro 
delle  accuse  c|ie  egli  medesimo,  sotto  altri  nomi,  alla  casa 
di  Germanico  dava:  massimamente  a  Nerone,  primo  a  su^^ 
cedere,  giovane  modesto,  ma  non  sapea  navigare;  *  e  li  suoi 
liberti  e  partigiani,  che  non  vedevan  V  ora  di  farsi  grandi, 
r alzavano  a  fersi  vivo,  mostrare  il  dente:  cosi  voleva  ìlpo- 
pol  romano,  disideravano  gli  eserciti:  né  ardirebbe  Sciano 
guatarlo,  che  ora  della  pacienza  dei  vecchio  e  della  freddeza 
del  giovane  si  facea  giuoco. 

LX.  Questi 4^urrì'. non  lo  inducevano  a  mali  pensieri, 
ma  a  parole  superbe,  mal  pesate  «  le  quali  essendo  da'racco- 
gli  lori  a  ciò  tenuti  riportale  maggiori,  e  Nerone  non  lasciato 
scasarsene  ;  partorivano  vari  fastidi.  Chi  lo  scantonava,  *  chi 
rendalo  il  salolo  fuggiva,  chi  tagliava  1  ragionamenti  :  fer- 
mandosene, per  contro,  in  faccia,  '  e  ridendosene  i  seianesi. 
Tacesse  o  parlasse  il  giovane,  facea  male:  Tiberio  sempre  il 
guardava  con  cipiglio  o  ghigno  falso.  Non  era  sicuro  anco 
la  notte:  perchè  la  moglie  rificcava  a  Livia  sua  madre,  quanto 
egli  avea  dormilo,  veggheggiato,  sospiralo,  ed  ella  a  Scia- 
no :  11  quale  tirò  dal  suo  anche  Bruso  fratel  di  Nerone,  con 
la  speranza  del  primo  Inogo,  se  a  costai  che  gli  era  innanzi 
e  già  barcollava,  desse  la  pinta:  Taltereza  di  Druse,  oltre 
alla  cupidìgia  del  regnare  e  V  odio  solito  tra'  fratelli ,  era 

*  fece  sópr^  a  Cesare ,  di  se  arco  e  riparo.  Se  qaesta  grotta  faceva  come 
quella  di  Polidamaate,  era  sepoltura  d'ambidue.  (*) 

3  *  navigare ,  barcameoarsi. 

'  *  curri:  cilindri  che  si  pongono  sotto  a  grandi  pesi  per  muoverli.  Qai 
per  eccitamenti. 

*  *  io  scantonava:  vedutolo  per  via,  voltava  alla  prima  cantonata,  per 
non  trattenersi  a  discorso  con  lui  e  non  dar  sospetto. 

S  *  fermandosene,  per  contro,  in  faccia.  £.*esemp1are  Nestiano  di  G.  Cap- 
poni ba  questa  postilla  ms.  in  una  scheda  volante .  «  Non  intendo  :  forse  vuol 
òìxt,fermandosegli  in  faccia,  andandogli  sul  viso.  Lo  stampato  dei  cinque  li- 
bri {la  Giuntina)  dice  così;  eh  fermate!  eh  seguite!  dicendo  e  ridendosene  i 
seianesi.  Il  Sànese  (Adr.  Politi):  facendo  istanza  del  contrario  e  burlan- 
dosene, n 


(*)  Postula  aggimita. 


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IL  LIBBO  QUARTO  DBQLl  ANNALI.  193 

riacceso  da  invidia,  che  Agrippina  voleva  meglio  a  Nerone. 
Né  Seiano  aialava  si  Droso  eh'  ei  non  tendesse  rete  anco  a 
lui,  atto  a  fervi  maggior  scacco,  *  come  bestiale. 

LXI.  Al  fine  dell'  anno  morirono  doe  segnalati  nomini: 
Asinip  Agrippa,  d'antinati  più  chiari  che  antichi,  e  di  vita 
non  tralignante:  e  Quinto  Aterio  senatore  e  dicitor  celebrato 
In  vita.  Gli  scritti  non  so.no  di  qaella  slima,  perchè  aveva 
pia  vena  ohe  diligenza.  Ma  dove  sqoisiteza  e  fatica  agli  al* 
tri  dà  vita,  quel  sno  risonante  fiame  '  fini  seco. 

LXII.  [A.  di  R  780,  di  Gr.  27.]  Nel  consolato  di  M.  Lici- 
nio e  L.  Galparnio  avvenne  caso  repentino,  pari  alle  scon- 
fitte delle  gran  guerre:  ebbe  insieme  principio  e  fine.  AFì- 
dene,  un  certo  Alilio  libertino  prese  a  celebrare  lo  spettacolo 
degli  accoltellanti ,  e  fece  di  legname  V  anfiteatro  male  fon- 
dato di  sotto  e  peggio  incatenato  di  sopra,  come  colui  che  tal 


*  *  atto  a  farvi  maggior  scacco.  Lat.:  «  insidiis  magit  opportiotum.  m 
—  Far  sacco,  o  //  sacco,  h  quanto  commettete  un  qualche  errore.  Vedi  Stor., 

*  quel  suo  risonante ^ume.  Uccella  similmente  niel  6ne  del  1  dell*  Istorie 
Galerio  Tracalo,  che  per  empiere  gli  orecchi  del  popol  valeva  un  castello.  I  cem- 
bòli  senza  musica  non  dovevano  gran  fatto  piacere  a  Cornelio ,  che'  tanto  strio- 
gavà  i  suoi  scritti  per  aver  vita.  Dubitasi  qoal  vaglia  più,  o  la  natura  o  la  dot- 
trina. Quando  si  dessero  scompagnate  del  tutto,  la  natura  per  se  varrebbe  qual- 
cosa :  la  dottrina,  niente.  Il  campo  grasso  non  cultivato,  produce  cose  selvagge  : 
il  sasso,  (*)  niente,  e  non  riceve  coltura.  La  natura  porge  la  materia  roia  :  la  dot* 
trina  o  l'arte  le  òk  la  forma.  Ma  nulla  porgendolesi,  non  ha  che  formare.  E  se 
Ja  natura  non  comparisce  sul  campo,  l' arie  non  la  può  vincere.  Unite  insieme  ; 
vince  la  più  eccellente.  Ambo  perfette  ;  fanno  perfetta  l*opera.  Ma  nel  perfetto  di- 
citore quale  ha  più  parte  7  In  voce,  la  natura:  in  carta,  la  dottrina.  La  voceconle 
ragioni  aperte^  riscaldate  dal  porgere,  muove  il  popolo ,  a  cui  le  dotte  e  sottili 
sarebbon  perdute  o  sospette  ;  sì  come  la  somma  diligensa  nel  finire  le  statue  o 
pitture  ,  che  veder  si  deono  da  lontano ,  riesce  stento  e  seccfaesa.  La  scrittura  che 

.  si  tiene  in  mano  e  si  esamina  sottilmente  dalli  scemiati ,  riesce  volgare  e  non 
vive ,  se  non  vi  ha  dottrina  squisita  e  fatta,  quasi  oro  brunito ,  risplendere  dalla 
dilìgeoia  e  fatica.  Queste  trnovo  essere  state  grandi  ne'  grandi  scrittori  e  artisti 
nobili ,  avidi  e  non  mai  sasi  dell'  eccellensa  e  gloria.  Lodovico  Cardi,  detto  il 
Cigoli,  giovane  innamoratissimo  della  pittura,  mi  pare  che  li  vada  molto  bene 
imitando.  —  *  quel  suo  risonante  Jiame  fra  seco.  Il  Bis.  cancelk  :  «  quella  sua 
tanto  fiera  soprabbondansa  n'andò  eoa  elio  alla  fossa;  >•  e  di  nuovo:  «  quella 
sua  sdrucciolante  rispnansa  mori  seco  ;  «  ed  ancora  :  «  quel  suo  sdrucciolio  e  rim- 
bombo mori  seco.  » 

n  U  sasso.  i;aieaiplare  Nestiaoo  di  Ciao  Capponi,  eorrsggs  iaopportaaaaMnte  // 
I.  17 

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194  IL  LIMO  tJOAATO  MflLI  AMHALI. 

negozio  cercò,  non  per  grasseca  di  danari,  né  per  boria  ca- 
stellana, ma  per  bottega.  Roma  era  vicina,  e  Tiberio  non 
la  festeggiava:  per  ciò  vi  corse  popolo  infiBdto,  d' ogni  età  e 
sesso,  avido  di  vedere.  Onde  fa  maggiore  il  flagello.  La  mac- 
china caricata  si  spaccò,  e  rovinando  fuori  e  dentro,  gì-  in- 
finiti spettatori  seco  trasse  e  i  circostanti  schiacciò.  Morirono 
qnesti  almeno  senza  martire:  più  miserandi  erano  gH  stor- 
piali, che  di  di  vedevano  e  di  notte  ndivan  *■  lor  mogli  e 
figliuoli  orlare  e  piagnere.  Corse  chionqne  potè  al  romore. 
Chi  padre  o  madre,  chi  fratello  o  parente  o  amico  piangea: 
e  di  qualunque  per  altro  *  non  si  rivedeva,  st  stava  con  tre- 
mito tanto  maggiore,  quanto  più  incerto,  sia  fu  chiaro  cui 
la  rovina  togliesse. 

LXIII.  Scoprendosi  quelle  rovine,  oiascim  correva  a  i>a- 
eiare,  abbra^cciare  i  morti  suoi:  e  bene  spesso,  se  per  viso 
infranto  ,  età  o  falleze  nel  riconoscerli  erravano,  ne  combal- 
tieno.  Cinquantamila  persone  vi  fqrono  che  sfragellate,che 
guaste.  Il  senato  proibì  tal  festa  farsi  per  innanzi  da  chi 
avesse  meno  di  diecimila  fiorini  d'oro.  Né  teatro  fondarsi,.se 
non  in  ben  tastato  suolp.  Atìlio  fu  mandato  in  esigilo.'  Ten- 
nero i  grandi  ne'  primi  giorni  le  case  aperte  piene  di  medici 
e  d'unguenti.  La  città  mesta  pareva  quella  de' tempi  antichi 
doppo  le  grosse  giornate ,  quando  erano  i  feriti  con  gran  ca- 
rità e  sollecitudine  governati. 

LXIY.  Non  erano  asciutte  le  lagrime,  ohe  monte  Celio 
arse,  e  alterò  piò  che  mai  la  città,  a  Pistolente  anno,  diceva- 
no, questo  essere,  e  dal  prìncipe  in  mal  punto  preso  consì- 
glio di  star  fuòri  della  città:  »  de' casi  di  fortuna,  come  fa  il 
volgo,  incolpandolo.  Ma  egli  valutò  e  pagò  i  danni  :  e  con 
tal  pasto giltaloin  gola^  a  Cerbero,  lo  racchetò,  I  grandi  in 

<  *€hé  -di  dì  pMfewDio  e  di  noUB  udivtm  te.  Il  Mk.  ctncdkt  «  che  di  e 
na«te  orlavano  e  strìdeusno;  m  poi  coingge  :  «  Inn^hiavano ,  ••  tome  leggwt 
Mila  Gi«iMtioa. 

*  *  per  altro ,  per  qoalthe  altra  regioM,  divena  dalla  runaa. 

'  fu  nMmdmto  in  esigue.  Poca  pena  a  questo  ttnwio  di  ciaqoanlB  mila 
perftone. 

*  e  con  tal  pasto  gittato  in  gola.  Con  questo  ingoffo,  era  detto  più  bre- 
ve e  proprio  :  voce  fiorentina  non  goÌEi,  ma  composU  (coujrara  nel  (T)  vdgare  ) 

0  N«Ua  NetUana,  im. 


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IL  LIBBO  QOABTO  BB«U  ANNALI.  195 

senato^  il  popélo  a  una  boce  lo  ringraziarono  di  tanta  ca- 
rità, senza  ambiiiéne,  nezi  o  preghi,  nsata  eziandìo  a  i 
non  eonoscinli  e  mandati  a  chiamare.  Forono  i  pareri  che 
monte  Celio  per  iimanzi  si  dicesae  Agvsto,  poiché  quando 
in  casa  Giunfo  senaitore  ogni  cosa  d' intorno  ardea ,  V  im- 
magine di  Tiberio  sola  non  fo  tocca:  cosi  doe  volte  av- 
venne già  a  qnella  di  Claodia  Qainsia,  perciò  consagrata 
da'  nostri  antichi  nel  tempio  della  madre  degl'  iddìi.  Santi  e 
dagr  iddìi  amati  dicevano  i  Glandi  essere  :  doversi  quel  luo- 
go, ove  gì*  iddìi  tanto  onorarono  il  principe,  solennizzare. 

LXV.  Qnel  monte  (poiché  ci  viene  a  proposito^)  si  disse 
per  antico  Qoeroetolano;  perchè  di  querce  pieno  era  e  fertile. 
Fa  poi  detto  Celio  da  Cele  Vibenna  capitano  delli  Etruschi 
ohe,  venuto  in  aiuto  di  Tarqninio  Prisco  o  d'altro  re  (nel  che 
solo  discordano  gli  scrittori),  qoivi  con  la  sua  molta  gente 
s'accasò,  e  nel  piano  ancora  e  presso  al  foro.  E  fu  dal  voca- 
bolo forestiero  detto  quel  borgo.  Toscano. 

LXYI.  Se  Famorevoleze  de' grandi  e  la  liberalità  del 
principe  diedono  a  quei  casi  conforto;  la  pestilenza  dell'ac- 
cuse ogni  di  pia,  senza  alléviamenio  fioccava  e  incrudeliva. 
Domizio  Afh),  condanna  toro  di  Claudia  Palerà,  madre  di 
Varo  Quintìlio,  ricco  e  parente  di  Cesare,  investi  anche  luì. 
Che  costui,  morto  gran  tempo  di  fame,  e  testò  di  quest'arte 
arricchito  e  scialacquante  la  seguitasse,  non  fu  miracolo:  ben 
fu  che  compagno  alla  spiagione  gli  fosse  Publio  Dolabella  di 
chiara  famiglia,  parente  stretto  di  Varo;  disperdesse  la  sua 

di  tre  in  guUm  offa.  Ma  l'amoie  di  OsqU  m'ha  £itto  queUt  sua  bella  ùmilita- 
dtiMoi»l»rcf;giara: 

Qiay  è  qnal  eaaa  cV  •lib«l«a4o  agagoa  \ 

E  ai  rM4|ii«te  poi  eh«  '1  pMto  morde, 

Che  solo  a  divorarlo  intende  e  pogaa  ; 
Colai  li  feear  quelle  faeee  lorde 

Dello  dlmoaio  Cerbero,  eh' iatf«eii» 

V  aoine  A  cb'  eaMr  ?  orrebboo  sorde. 

E  non  credo  di  errare  adaggìngner  di  mio  ornamenti  o  forse  a'concetti  di  Cornelio 
alenne  volte.  Vada  per  qaando  io  lo  peggioro.  (*)  —  *  e  con  tal  pasto.  Il  Ms. 
cancella:  «  e  con  tale  ingoffo.»  Ingoffo  trovasi  usato  per  ceffata,  sgntgnone',  ed 
anche,  come  qui,  per  boccone  dato  a  far  tacere  altrui.  Vedi  il  Manuzxi  che 
cita  il  Cesari. 

^  *  a  proposito.  Il  Ms.  cancella  t  a  io  taglio.  » 

n  Ia  posUlla  Giaotina  finisce  al  primo  terzetto  di  Dante. 


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196  IL  UBHO  QDABTO  DBOLI  ANUAU. 

nobiltà,  il  sao  sangue  II  senato  volle  che  si  appettassi  rim- 
peradore ,  anico  soprattieni  agli  urgenti  mali. 

LXVII.  Avendo  Cesare  dedicato  in  Campagna  ì  tempii, 
e  bandito  che  ninno  gli  rompesse  la  sua  quiete,  e  posto  le 
guardie  che  non  lasciasson  passare  chi  venia,  odiando  e  terre 
e  colonie  e  ciò  eh'  è  in  terra  ferma;  si  rinchiuse  nel!'  isola  di 
Capri,  tre  miglia  oltre  al  capo  di  Sorrento.  Dovette  piacergli, 
per  essere  solitaria  e  senza  porti  :  appena  potèrvisi  accostare 
navili  piccoli,  né  alcuno  di  nascosto  approdarvi:  d'aria  il 
verno  dolce,  per  lo  monte  che  le  ripara- i  venti  crudi;  volta 
per  la  state  a  ponente,  con  amena  vista  del  mare  aperto  e 
della  costa  bellissima,  non  ancora  diformata  da' fuochi  del 
Vesuvio.  Dicesi  che  la  tennero  i  Greci,  e  Capri  i  .Teleboi. 
Stavasi  allora  Tiberio  intorno  '  a  gli  edi6z4  e  a'  nomi  di  do- 
dici ville:  '  e  quanto  già  alle  cure  pubbliche  inteso,  tanto.ivi 
in  tristo  ozio  e  libidini  occulte  invasato:  e  nella  folle  credenza 
de'sospettì  che  Seiano  in  Roma  faceva  ,  attìzando ,  avvam- 
pare, e  qui  levar  fiamma  con  insidie  già  scoperte  contro  a 
Nerone  e  Agrippina.  Tenendo  soldati  a  scrivere  quasi  in  an- 
nali ogni  lor  andamento,  fatto  e  detto;  aperto  e  segreto:  e 
falsi  consigliatori  a  fuggirsene  in  Germania  agli  esercii! ,  o 
alla  statua  d' Agusto,  a  piaza  piena,  e  abbracciarla  e  gridar 
re:  «  Accorrete  buona  gente,  accorri  senato,  aiutateci.»  E 
tali  cose  da  loro  abborrite,  rapportavano  per  ordinate. 

LXYIII.  [A.  di  R.  781,  di  Cr.  28.]  Brutto  capo  d'anno 
fece  il  consolato  di  Giunio  Silano  e  Silio  Nerva,  avendo  slra- 

i  *  Stavàsi  allora  Tiberio  intorno  ec.  Con  buona  pace  del  Nostro,  questo 
h  un  senticeto,  rincarato  nella  Postilla.  Il  Valeriani  traduce:  «Ma  Tiberio  allora 
occupava  il  fondo  e  la  vastità  di  dodici  ville.  »  L'isola  di  Capri  era  nobile  per 
dodici  ampie  ville,  che  s'intitolavano,  credesi,  a  dodici  Dei.  Tiberio  occupò  eoa 
nuovi  edi6zi  lo  spaiio  di  esse ,  distruggendone  anche  i  nomi.  Ciò  vuol  dire  Tacito 
colle  parole  «  duodecim  villarum  nominibus  et  molibus  insederai.  » 

S  a  gli  edijizi  e  «r*  nomi  di  dodici  ville.  Forse  è  meglio  dire  :  «  Si  pose 
intorno  a  dodici  ville  di  bei  nomi  e  palaci  :  •*  insederai  nominibus  et  molibus 
ifillarum^  id  est:  villis  habentìbus  nomina  et  moles  ,  come  usa  dir  questo  au- 
tore :  humida  paludum  et  aspera  montium,  invece  di  i  paludes  habentes  umi- 
ditatem  et  montes  asperitatem,  e  molti  altri  simili  senticetì,  come  li  chiama  lo 
Alciato.  Vedi  la  postula  6.  (*) 

n  Postilla  della  Giantina,  tralaseiaU  nelle  edìiionl  posteriori.  -  La  postula  6  è  la 
■ola  2,  pag.  161  di  qaesta  ediiiono. 


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IL  LIBRO  QVABTO  DB6LI  ANNALL  107 

seìnato  in  carcere  Tixio  Sabino,  illostre  cavalìer  romano , 
perchè  fu  amico  di  Germanico,  e  seguitava  di  esser  divoto 
alla  moglie  e  figliuoli  ;  e  far  loro  corte  foorj,  servigi  in  casa, 
solo  tra  tanti  obbligali:  però,  lodato  da' buoni,  odioso  a' con- 
trari. Lo  assalsero  Latino  Laziare,  Perciò  Catone,  Petilio 
Buffo  e  M.  Opsio  stati  pretori  e  bramosi  del  consolato^  al 
quale  non  si  entrava  se  non  per  la  porta  di  Sciano,  che  non 
s' apriva  per  bontadu  Gdnvennero  che  Laziare,  basica  *  di 
Sabino,  fosse  lo  schiamazo,  *  e  gli  altri  il  vischio.  Eì  ragionò 
seco  di  varie  cose:  poi  cadde  in  lodarlo  di  fermo  animo,  che 
non  aveva  come  gli  altri  servita  quella  casa  nelle  felicità,  e 
piantata  nelle  miserie:  e  in  onore  di  Germanico  e  compianto 
d' Agrippina  mollo  disse.  Le  lagrime  a  Sabino  (come  i  miseri 
inteneriscono)  grondarono  con  lamentile  già  preso  animo, 
la  crudeltà,  la  superbia,  i  disegni  dr  Sciano  proverbiò:  nòia 
risparmiò  a  Tiberio;  parendo  di  vera  amistà  segno,  il  discre- 
dersi '  di  cose  si  gelose;  Onde  Sabino  già  da  se  stesso  cercava 
di  Laziare;  trovavalo  a  casa,  aprivagli  come  a  suo  cuore, 
ì  suoi  guai., 

LXIX.  I  prod'  uomini  consultano, ^ome  e  dove  potergli 
far  dire  tali  Cose  a  qoattr' ocelli  e  più  orecchi;  e  perchè  die- 
tro air  uscio  potevano  esser  per  isciagura  scoperti  o  far  re- 
more 0  dar  sospetto,  sofficeansi  1  tre  senatori,  con  laido  non 
meno  che  traditore  nascondiglio ,  tra  '1  tetto  e  '1  soppalco,^  e 
pongon  r  orecchio  a'  buchi,  a'  fessi.  Laziare  esce  fuori,  trova 
Sabino,  dicegli  avergli  da  dire,  menalo  in  casa,  tiralo  in  ca- 

'  *  basica,  fiunilìare,  domestico,  confidente. 

3  *  schitutuuo:  chiemaù  Tuccello  che,  fatto  ichiimanare,  tira  i  tordi  alla 
pania. 

'  *  il  discreflersi.  Vedi  sopra,  II,  13. 

*  nascondiglio,  tra  *l  Utto  e  *l  soppalco.  Di  limili  tratti  si  trovano  in  Ta- 
cidide,  1. 1  :  Probo,  {*)  iti  Temistocle  j  o  Pausania:  Diodoro,  l.  %  ;  Plutarco  in 
Temirtocle:  Giustino,  l,  S.  Piero  de' Medici  nascose  dietro  al  cortinaggio, l'am- 
basciador  di  Carlo  Vili  re  di  Francia,  perchè  udisse  quanto  gli  diceva  l'amba- 
sciador  di  Lodovico  Sfona  del  suo  perfido  animo  contra  esso  r«.  Non  averlo  chia- 
mato in  Italia  per  sottoporla  ai  Franxesi ,  perpetui  nimici,  ma  perclù  contro  alli 
Aragonesi  lui  aiutasse.  Il  che  fatto ,  arebbe  modo  a  fàrloci.  rimanere.  Cosi  dice  la 
Storia  di  Bernardo  Rucellai  latina,  da  Erasmo  veduta,  e  lodata  di  molta  elegante  ; 
e  di  poi  il  Giovio  nel  1  libro  delle  Storie. 


•n  fnbo:  Eirflio  PNiw,  tetto  tt  evi  àeme  tndanM  «a  «Mopo  le  vite  di  OetMlie  WpM«. 

17* 


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198  IL  LIBKO  QQkVtQ  JMietI  AMMALI. 

mera,  ricordagli  cose  passate  e  preseli^; che  troppe  ve  n'avea, 
e  meltegli  paure  nuove.  Esso  ridice  le  medesime  «  pia:  nop 
sapendo,  ohi  entra  ne' suoi  affanni,  fioare.  GorroDo  a  metter 
la  cpierela;  scrivono  a  Cesare  l'ordine  dello  infjaoBO^  e  lor 
vituperio.  Roma  non  fa  mai  si  asaia^  spaventala,  gnardin-r 
ga,^  eziandio  da'  anoi  medesin4:  fuggivanoiritruovi, Ricer- 
chi, e  Qualunque  orecchio:  le  cose  ancor  senza  lióg«a  esoa-' 
z'  anima ,  tetta  e  mura  e  lasitre  eraa  guardale  iatorno,  se  vi 
dormisse  lo  scarpione. 

LXX.  Cesare  neUe  calende  di  gennaio,  per  «na  lettera 
a'  padri,  dato  prima  il  buon  capo,  d' aouip,  disseti  che  Sabino 
aveva  corrotto  certi  liberti  ocmtro  a^saa  j)erBon»:'Che  voleva 
dire,  «  Sentenziatelo  -a  morte  :  a  ^  «ori  fa  'ineontaiientB.  Mer 
nato  a  morire, '  gridava  foanlo n'aveva  oella  gola,  jbencbò 
Hnbavagfiato:  «  Cori  si  celebra>cii^D  d'anno:  qoeste  vittime 
s' ammalano  a  Solano.  »  Ovmnqae  dirizava  occhio  olitola, 
faceva  spnlezarot,^  sparire,  votar  le  vie,  le  piaze^  e  tale  tor- 
nava a  farsi  rivedere  per  tema  d' a^er  tei9ato.>f(  Tiberio  non 
ha  inteso  tirarsi  tant' odio  addosso;  '^  ben  ciba  chi  ha  volato 
mostrare,  che  i  magistrati  naovi  si  posaom  ooiaiaoiare  dalle 
carceri,  come  dai  tempii  e  altari.  E  qoal  giorno,  dicevano, 
fia  scioperato  il  carnefice,  se  oggi  tra  isagrifìd  e  rorasioni, 
che  non  si  saol  dire  parola  mondana,  s'adoperano  le  ma- 
nette e  i  capestri?»  Per  altra  lettera  ringraziò  dèM'aj^ere 

*  guardinga.  Leggo  tegetiA,  oon  egen^,  ne  pavens.  (*) 

^  fi^givano  iritruovL  SpiritavstaQ  anche  al^empo  d'Agosto  di  questo  me- 
desimo. Valerio  Largo  accasò  e  rovinò  Cornelio  Gallo,  suo'  dimesticissimo ,  per 
aver  detto  male  di  esso  Agosto.  Onde  Proci:deio,  ottimo  gioFvene,  ràcontratolo, 
si  tarò  il  naso  n  )a  bócca  dicendo  :  Dò%^e  eoMui  èynm  n  può  éUuire.  Un  altro 
l' affrontò  con  testimoni  e  notaio,  e  disse,  Conoscimi  tu?  rispose,  iVb^*  od  ei 
soggiunse  :  Notaio,  roga  s  e  voi  siate  testìmohi' xvme  Félerio  man  mi  cono- 
sce: adtmqiee  non  mi  potrà  spiare. 

'  *  a  morire.  H  Ms.  tancella  :  «  a  goaitare;  >» 

*  àpahìktre:  vokr  via  come  lap^a^lTealo.'E  ■oa<T^èt»  che  «sì 'Mia-me- 
tafora popolare'  entri  nelle  scritture  ? 

^  *  Tiberio  non  ha  inteso  Urani  imtfvtiio  adihsso.  lì  !Ms.  «aaceUe: 
m  Non  il  h  tirato  Tiberio  cotanto  «arico  a  caso;  »  «  di  nnovo^:  «  Sa  ben  saputo 
Tiberio  che  farsi  a  tirarsi  taqta  mllvvoglienaa.  i» 

(*)  Il  oo4.  Mediceo  legge  così  :  «  mm  aUat  m^gi*  JOtaia  et  pavwu  Civita^,  égau  advemtm 
proximes.  »  Il  goaio  è  la  egent,  ohe  fa  variamente  corretto  dai  eriUci.  Il  Lipsio  (seguito  dal 
N«itco)oM«attar«if«fiiM/U  ¥ertraiio,4«ikv«Ma'Aeidalto,M»faM/il  Xnntoyvai^  «tifar. 


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It  intO  QOAKTO  DK6LI  ANNàLI.  190 

Spento  quél  ninico  della  tepnìAica:  e  soggiunse  clìe  viveva 
eoo  perieole  :  doMtava  à'  «iggaatl  éi  saoi  nimìci ,  senza  nomi- 
narli. M«  s' iiÀendera  Nerone  e  Agrippina. 

LXXI.  fie  io  non  avéeni  deliberato  dì  narrare  ciascbe- 
dima  cosa  nel  ano  anno,  volentieri  qni  direi  la  fine  di  Lati- 
nio  e  d'^'Otfyéio,  e  dì  quegli  altri  ricalili,  non  pnre  imperante 
Gaio  Cesare,  ma  Tibeno  niedei}ÌBMi;  il  quale  non  volle  mai 
ebe  nioBO  toacasse  i  ministri  deHe  sse  scelerità,  ma  sempre 
ch'^i  ne  fa  staccò,  49i  servi  de' nuovi,  e  i  veeebi  noiosi  si 
tolse  dinanzi.  BìreflM  &d«nqne  ìBt*  lor  lifogbi  le  lor  pene.  Al- 
lora Asinio  Gatto,  biMiebè  cognato  d' Agrippina,'  pronunzi 
doversi  cbiedere  a  Tiberio  cbe  cbiarisse  di  cbi  egli  lemeta, 
e  lasciasse  fiire  a  loro.  Nos/ebbe  Tiberio  vìrtA  (secondo lai) si 
àrnica,  cóme  r>infitkgere:  però  gii  seppe* agro  quel  cb'éi  co- 
prìva,  scoprirai.  'Ma-Seiano  il  mitigò^  non  per  giovare  a  Gallo, 
ma  pevclié  il  priiicipe  desse  faoriqaai  pia  *qae'  nomr, sapen- 
do con  òbe  tooni^e  folgori  dì  parole  «  falli,  da  quel  nogoloso 
petto  scoppièrebbe  la  sobbollita  ira.  Io  questo  tempo  mori 
Gialla  nipote  d' Agosto,  da  lui  per  4dolièro'  dannata  all'isola 
di  Tremili,  vicino  ^lla  coata  di -Puglia,  doveinenli  aanìivisse 
alla  mercè  d' Agasta,  la  quale  spense  in  :Oìocalio  i  'figliastri 
felici:  e  mostrò  io  poblicó  a'  mìseri  misericordiaw 

LXXIf.  9¥el  medesimo  anno  ì  Ftìsohì,  popoli  oltre  al 
Reno,  ruppero  ^là  'pacè,  più  per  -nostra  avari  aia  cbe  per  loro 
tracotanza.  Dmso  pose  loroun  trilwto  piccolo,  secondo  loro 
povertà,  di  cooiabovine per  bisogno  de' soldati.  A grosdeza  o 
mianra  non  91  guardava.  Olennio  soldato  pria^ipilo  loro  go- 
vernatore ,  scelse  alcune  pelli  d'  >Uri/  e  vòlevale  a  quel  rag- 

^  Asinió  Gallo,  benché  e9jpuAo-éijigrippiiui.l\  tetto  dice  :  Df'cuifglitu>li 
Agrippina  tra  zia:  «  Idem  per  diversa.  »  Ma  cognato  e  più  corto  e  chiaro  ; 
perchè  zia  signiBca  a  nói  cosi  amila  sorella  del  padre ,  come  matertera  della 
madre.  Vipsanta  fuoglie  di< 'Gallo  e  àg;rippina  ^rano  sorelle  nate  di  Vip^iano 
Agrippa  e  di  Giulia  figliuola  d'j^oatp.  —  *  AMmo  GaUop»-»  prommuà  te.  H 
Ms.  cancella  :  «  Àsinio  Gallo....  disse  suo  parere,  che  a  Tiberio  si  chiedesse  chia- 
resa  de* suoi  timori  e  licenza  di  liberamelo.  •» 

'*  *  mai  pia.  n  Ms.  canoélla  :  «  oggimii.  » 

'  *  inda/laro, ftdnlterio.  VediKannucoi^T^eorM  dèi  nomi  ec.,  tomo I^pag*  649. 

*  pelli  d* Ciri,  Buoi  salvàtichi  poco  minori  di  liofanti,  ireloci,  terri1>ili,  de* 
scritti  da  Cesare  nel  sesto  della^  Guerra  Gallica  :  detti  da  òpitaif,  cioè  da'monli , 
ove  stavano. 


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200  IL  Limo  QOkUrO  desìi  AMNALt. 

goaglio.  Era  darò  a  taite  nazioni;  ma  pia. a'  Germani  die 
grandi  bestie  hanno  ne' loro  boschi,  ma  pochi  armenti  alle 
case.  Davano  dapprima  «sai  bdop:  poscia  i^ campi:  indi  le 
mogli  e  figlinoli  al  servigio.  Quindi  le  dogtienzé'e  le  gridai  e , 
non  giovando,  la  goerra.  Fnrono  i  rìsjCoUtori  rapiti  e  <;roci- 
fissi.  Olennió  si  rifoggio  nella. forteza  tUFlevo,  guadando 
nostra  gente  non  poca  qnelle  marine. 

LXXni:  A  tale  avvisò  L.  Apronio  vicepreìtore  della 
Germania  bassa,  chiamò ^air  alta  pia  compagnie  di  legioni^ 
un  fior^  di  fanti  e  cavalli  d' aiuto:  e  r  uno  e  V  altro  esercito 
per  Ip  Reno  messe  in  Frisia.  Lasciatjot  quelFa^Odio,  i  ribelli 
andaro  a  difèndere  casa  loro.  Sopra  i  primi  stagni'  Aprónio 
fOiòe  argini  e  ponti  per  passare  gli  armati:  o  trovato  il  guado, 
mandò /la  banda  de' cavalli  Ganinefati,  e  tutta  la  fanteria 
germana  che  serviva  noi,  alle  spalle  de*nimici:  i  quali  già 
ordinati,  ruppero  que' cavalli  e  li  nostrali  mandati  a  soccor- 
rerli. Allora  Ti  spinale  tre  coorti  leggiere,  e  poi  due;  indi  a 
poco  più  cavalli:  che  tutti  insie;me  avrién  vinto;  ma  i  pòchi 
per  volta  non  giovavano  a'  fuggenti  che  se  ne  li  traportava- 
no. U  restò  degli  aiuti  ebbe  Cetego  Labeone,  legato  della 
legion  quinta,  il  quale  vedutigli  a  mal  termine,  e  dtibitàndo, 
mandò  a  chiedere  aiuto  di  legioni.  Ayventansi  primieri  ì 
quintani  e  con  fiera  battaglia  rompono  il  nimico,  e  riscuo- 
tono le  coorti  e  bande  piene  di  ferite.  Il  capitan  romano  non 
ne  fé'  vendetta,  né  i  morti  seppelli^,  quantunque  molti  ve  ne 
fosser  tribuni,  luogotenenti  e  segnalati  capitaci.  Poscia  s'in- 
tese da'  fuggiti,  esser  morti  novecento  Romani  nella  selva 
Badnenna,  combat  tendo  sino  all'altro  di:  e  quattrocento  riti* 
rati  in  una  villa  di  Gruttorice ,  già  nostro  soldato ,  per  tema 
dì  tradigione  essersi  ammazati  l'  un  1'  altro. 

LXXIY.  I  Frisoni  ne  salirò  in  gran  fama  tra' Germani. 
Tiberio  frodava^  il  male,  per  non  commettere  questa  guerra 
ad  alcuno;  e'I  senato  non  si  curava  che  Torlo  dell*  imperio 
patisse  vergogna.  Paura  interna  ^li  tribolava,  a  cui  si  cer- 
cava rimedio  con  1' adulare.  Per  ogni  cosa  che  si  trattassi, 
deliberavano  altari  alla  Gleinenza^  altari  all'Amicizia ,  imma- 
gini a  Cesare  e  Seiano,  supplicandoli  che  si  lasciassero  ve- 

*  '/rodava,  dissimulava. 


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IL  LIBRO  QOàBTO  DEGLI  ANNALI.  201 

dere.  Troppo  era  venire  in  Roma  o  vicino:  baètò  uscire  del- 
l' isola  e  mostrarsi  presso  a  Capoa.  Là  padri,  là  cavalieri  e 
molta  plebe  corsero  affannati  per  veder  Seiano:  cosa  ardua, 
ambita  con  favori  e  con  farsi  compagno  alle  scelerateze. 
Fasto  senza  dubbio  gli  accrebbe  quel  brutto  servaggio  ap- 
parso mollo  più  quivi;  perchè  in  Roma  le  strade  corrono, 
la  Città  è  grande,  non  sì  sanno  i  negozi.  Quivi  per  i  campi 
e  lito,  tutti  a  un  modo  giacieno  di  e  notte,  aspettando  a  di- 
scrizione de' portieri:  e  questo  anche  vietato,  tomaronsi  a 
Roma  sbaldanziti,  cui  non  degnò  udire,  né  vedere: altri  con 
baldanza  infelice  di  quell'amicizia,  cui  sopraslava  rovina. 

LXXV.  Tiberio  fece  sposare  in  sua  presenza  Agrippina  * 
di  Germanico  sua  nipote  a  Gn.  Domizio;  e  le  noze  farne  in 
Roma.  In  Domizio,  oltre  all'antichità  della  famiglia,  piacque 
l' esser  parente  de'  Cesari,  essendogli  avola  Ottavia,  e  per 
lei  zio  Agusto. 

*  *  Agrippina»  Dopo  Gn.  Domiiio  Enobarbo ,  sposò  Crispo  Pssùeoo,  e  da 
ultimo  daudio  imperatore.  Fa  uccisa  dal  suo  figliuolo  Nerone. 


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302 

IL  LIBRO  QUINTO  DEGLI  ANNAU  ' 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  Mttorà  Gioita  Angusta  :sae  Iodi.  —II.  Tiberio  ne  infierisce  pi&  die 
■Iti.  — *  III.  Seitno  cretce  in  poteue:  AgrippÌM  e  Nerooe  accoMti.  — IV.  Il 
popolo  è  per  loro.  —  Y.  Ire  ai  Tiberio 

{Qui  mancano  tre  anni  di  storia.\ 

VI.  VII.  Libere  parole  di  an  eondannato  per  amico  del  eadato  Seiano.  — 
VIU.  Processo  di  P.  Vìtellio  e  di  PonpoBio  Secondo.  — 1&.  One  figli  di 
Seiano  nodsi. — X.  Un  falso  Drnso  alle  CicUdi.  — XI.  Discordia  de' consoli. 

Corto  di  tre  onm*. 

An.  di  R.  DCCLXXxn.  (di  Cr.  29).  -  Contali.  \  ^.  »wwi"0  Gnnwo. 

^  '  \  c.  Furo  Gniiiio. 

,.  «  .^.^    m^x       ^       ..  I  M.  Vinicio. 

An.  di  R.  DCCLXxxiii.  (d.Cr.50).-Cofitofo.  j  l.  Cassio  LonGiNO. 

,.  «  <,.  ^    «.v       ^       ..I  Tiberio  AoGDSTO  V. 

An.  di  R.  DCCLXXIIT.  (diCr.54).-Coiiiol..    j  l.  jj^o  Sbia«0. 

I.  [A.  di  R.  7Ò2 ,  di  Cr.  29.]  L'  aoDO  che  faron  consoli 
Rubeilio  e  Fufio,  amendue  Gemini ,  mori  Giulia  Agosta  de- 
crepita, '  di  nobiltà  chiariBsima ,  nata  de'  Claadi ,  ne'  Livi  e 
ne'Giali  adottata.  Prima  moglie,  con  figlinoli,  di  Tiberio 
Nerone,  il  quale  per  la  gaerca  di  Perugia  scacciato ,  per  la 
pace  tra  Sesto  Pompeo  e  lì  triumviri  tornò  a  Roma.  Indi  Ago- 
sto per  la  belleza  la  tolse  al  marito:  forse  accordata:'  e  senza 
aspettare  il  parto,  la  si  menò  a  casa  gravida.  Non  fece  altri 
figliuoli  ;  ma  congiunta  ^  per  lo  maritaggio  d' Agrippina  e 

^  *  Di  questo  libro  restano  pochi  frammenti.  Il  Davaoiati  nella  [Giuntina 
gli  uni  al  libro  che  segue ,  e  ne  fece  un  solo ,  che  chiamò  quinto.  Noi  gli  abbia- 
mo divisi ,  seguendo  gli  editori  del  testo  latino. 

S  *  decrepita:  d'86  anni. 

S  *  forse  accordata.  Il  testo  dice  :  non  si  sa  se  ripugnante. 

*  congiunta col  eangue  d'Jgusto.  Il  padre  di  Livia  era  de' Claudi.  Fa 

fatto  de'Liri  e  detto  Livio  Druso  Claudiano,  e  lei  nominò  Livia  Dmiilla,  la 


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IL   LIBBO  QUINTO  DB«LI  ANNALI.  203 

Germaiitco^ol  sangue  d' Agosto  «bbe  seco  i  bisnipoti  eoma- 
ni.  Temie  la  casa  con  santi  costami  antichi.  Fo  piacevole , 
più  che  non  lodavano  le  donne  antiche:  moglie  agevole,  su- 
perba madre:  alle  voglie  del  marito,  con  la  simulazione  del 
figliuolo  accomodatasi.  L'esequie  furon  pìccole:  il  testamento 
taréi  osservato.  Gaio  Cesare  suo  bisnipote,  che  succede  im- 
peradore,  la  lodò  in  ringhiera. 

II.  Tiberio  non  ne  lasciò  fNir  uno  de'  suoi  piaceri:  e  per 
lettera  si  scusò  co'  padri  che  non  era  venuto  all'onoranze  di 
sua  madre  per  li  molli  negoii  ;  e  delli  tanti  onori  che  le  da- 
vano, ne  ammesse  pochi  quasi  per  modestia,  avvertendo 
essersi  vietato  ella  onori  celesti.  *  Riprese  in  un  capitolo  della 
lettera  questi  tanto  donna!  ;  piccando  Fufio  consolo,  stato 
tutto  d'Àgnsta;  grazioso  alle  donne;  mala  lingua;  e  usato 
ridersi  di  Tiberio  con  motti  amari,  che  i  principi  li  tengono 
a  mente. 

III.  Quindi  il  governo  fu  più  violento  e  crudele:  perchè 
vivente  Agusta  v'era  dove  ricorrere;  avendola  Tiberio  sem- 
pre osservata;  uè  Sciano  ardiva  entrarle  innanzi:  ora  quasi 
sguinzagliati,  corsero  a  mafadare  al  senato  una  mala  lettera 
di  Tiberio  centra  Agrippina  e  Nerone.  Gredettesi  mandatagli 
già,  ma  ritenuta  da^  Agnsta:  poiché  non  prima  morta,  fu 
letta.  Eranvi  parole  asprissime:  non  arme,  non  voglia  di  no- 
vità, ma  «morì  di  giovani  rinfacciava  al  nipote  e  disonestà. 

quale  ebbe  due  mariti.  H  primo  fu  Tiberio  Claudio  Nerooe,  che  ii*ebbe  Tiberio 
imperadore  e  Druso  detto  il  Germanico,  il  quale  d'Antonia  minore  ebbe  Claudio, 
che  fu  imperadore  e  Livilla  o  Livia,  e  Germanico  Cesare,  marito  d'Agrippina,  £- 
gliuola  di  Marco  Agrìppa  e  di  Giulia,  figliuola  d*Agnsto.  Il  secondo  marito  di 
livia  fa  esso  Agusto,  figliuolo  adottato  di  Giulio  Cesare;  cosi  fu  di  casa  giulia 
fatto ,  e  fece  «sseme  Livia.  E  còsi  congiunta  fu  eoi  sangue  d'Agusto. 

*  essersi  vietato  etta  meri  celesti.  U  contrario  fece  Caligola  (  Dione  68  ) 
nella  morte  di  Drusilla  sua  sorella  e  concubina:  esequie  ampissime  ,  alla  catasta 
tomeare ,  nobilissimi  fanciulli  il  caso  di  Troia  rappresentare.  Tutte  l'eiioranse  di 
Livia  :  fosse  tenuta  immortale;  fittole  tempio,  sUtna  d'oro,  sagiifici  e  l'altre  di- 
vinitk;  e  si  chiamasse  Ogo'iddia.  Livio  Gemino  giurò  per  viu  sua ,  e  de' suoi 
figHaoli,  d'averta  veduta  salire  in  cielo  e  praticare  con  gli  altri  iddii,  i  quali  e  lei 
stessa  ne  chiamò  per  testimoni.  I^er  lo  qual  giuramento  ebbe  in  donò  95  mila  fio- 
rini. YitdUo  col  medesimo  Caligola  non  ebbe  ri  buone  lettere,  come  dice  la  Po- 
stiUa  23  del  ietto  libro.  (*) 

(*)  Di  qoasU  edlsione,  nota  3,  pag.  230. 

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204  IL  LIMO  ODIKTO  DMLI  AMNàLf. 

Questa  alla  nuora  non  osò  apporre:^  ma  testa  alta*  e  superbo 
aaimo.  Il  senato  allibbl.'  Poscia  alcuni  dì  quelli  ebe,  non 
isperando  nelle  vìe  buone,  entrarono  in  grazia  per  nuocere 
al  publico,  domandarono  ebe  la  eausasi  proponesse. E  Gotta 
Messalina  accirito* ^scoccò  sua  sentenza  atroce:  gli  altri  prin- 
cipali, e  massimamente  i  magistrati,  tremavano,  perchè  la 
lettera  era  adirosa,  ma  nulla  conchiudeva. 

IV.  Gìunio  Rustico  grancancelliere  del  senato  fatto  da 
Cesare,  perciò  creduto  sapere  ì  suoi  pensieri,  non  so  per 
quale  spìrazione  (non  avendo  prima  dato  saggio  di  forte  :  o 
fosse  per  sacciuteza,^  temendo  il  male  futuro  e  non  il  pre- 
sente) si  frammesse,  e  i  consoli  dubitanti  confortò  a  non  la 
proporre;  allegando,  in  poco  d'ora  il  mondo  voltarsi,  e  do- 
versi dare  al  vecchio,  spazio  al  pentirsi/  Il  popol. di  fuori, 
con  r  immagini  d' Agrippina  e  di  Nerone  accerchiò  il  senato, 
e  ben  agurando  a  Cesare,  gridava,  quella  lettera  esser  falsa: 
non  volere  il  principe  che  si  rovini  casa  sua.  Onde  niuno 
male  quel  giorno  si  fé'.  Sentenze  andavano  attorno  sotto 
nomi  di  consolari,  contro  a  Seiano:  sfogandosi  mascherati 
(tanto  più  mordaci)  gl'ingegni.  Onde  gli  cresceva  ira  e  ma- 
teria d' accuse:  a  II  senato  dispreza  il  dolore  del  principe ,  il 
popolo  è  ribellato:  "^  odonsi  e  leggonsi  nuove  dicerie  de' pa- 
dri: cbe  altro  resta  loro  che  prendere  il  ferro?  e  quei  far 
capi  e  imperadori ,  le  cui  immagini  si  portano  per  bandiere?» 

V.  Cesare  adunque  replicò  obbrobri  della  nuora  e  nipote: 
garrì  per  bando  la  plebe,  e  doltosi  co'  padri,  che  per  ingan- 


*  *  non  osò  apporre.  Il  Ms.  cancella  :  «  apporre  non  ardi.  » 
3  *  testa  alta.  Il  Ms.  cancella  :  «  faccia  arrogante.  » 

3  *  allibbì,  sbigottì,  stupì ,  restò  costernato.  Voce  viva  nel  popolo. 

*  aecirito,  infuocato  nel  vino.  Voce  in  uso  ancora. 
^  *  sacciuteza,  saccenteria. 

"  *  4^x10  al  pentirsi,  lì  testo  è  corrotto  :  il  cod.  Mediceo  legge  :  «  dissere' 
batque  brwibas  momentis  somma  verU  posse  quandof/ue  Germantcis  Inter- 
stititutt  pomitentite  senis  s  »  che  alcuni  racconciano  «....  somma  verU  posse  ^ 
dandumque  in  Germanicis  spatitun  pcmitentiee  senis:  -  cioè;  doversi,  • 
riguardo  della  famiglia  di  Germanico ,  dar  luogo  al  vecchio  di  pentirsi. 

'  il  popolo  e  ribellato.  Punteggio ,  Spretum  dolorem  principis  ab  sa- 
nata, elescivisse  populums  e  non,  ti  senato  ^escisfisse  popolftm.  (*) 

n  Così  ancbe  l' Ordii.  Twià»  tSM. 


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IL   LIBIKO  QCiNTO  DBQU  AHNALI,  20tf 

no  d'an  senatore,'  la  maestà  dell'imperio  fosse  beffala  publi- 
cameate,  ayyocò  a  se  tatta  la  caasa.  Essi  non  fecero  che 
dichiarare  che  volevano  pnnirli  (non  dì  morte,  che  era  vie- 
lato),  ma  il  principe  gì' impediva * 

VI.  '  [A.  di  R.  784,  di  Gr.  31].  Quarantaquattro  volte  si 
orò  in  questa  causa:  delle  quali  per  paura  poche,  per  usanza 

molte.*  « a  me  vergogna,  e  a  Seiano  odio  fosse  per 

arrecare' Rivolta  la  fortuna,  ei^  che  lo  si  era  fatto 

genero  e  collega,  sé  non  riprende:  gli  altri  lo  favorito  con 

vergogna,  perseguitano  con  malvagitade Non  so  qual 

sia  maggior  miseria,  o  Tesser  per  T amicizia  accusato,  o 

l' amico  accusare A  ninno  chìeggio  uè  crudeltà,  né 

perdono  :  ma  libero  e  dentro  scarico,^  non  aspetterò  il  peri- 

*  d'un  senatore.  Qoi  si  ttàe  che  i  omcdlierì  o  tecreUri  del  senato,  a  coi 
le  cose  grandissime  si  €<NifidaTaao,  efano  senatori.  (*) 

S  Qni  mancano  Ire  anni  di  storia. —  *  Mancano,  cio^,  i  fatti  accaduti 
nel  resto  dell'  anno  presente  78S  ;  quegli  del  783,  e,  in  parie,  del  784.  Dei  figli 
di  Germanico,  Nerone  rilegato  nell'isola  Ponsia,  è  morto;  Dmso,  nncbinso 
in  palasxo;  Gaio  Caligola  con  adulare  a  Tiberio,  scampa  ed  è  chiamato  a 
Capri.  Agrippina,  bruca  di  tutto,  h  cacciata  in  PandataYia.  Seiano  comincia 
a  increscere  a  Tiberio  ingelosito  che  lo  insidia.  L'anno  784  Tiberio,  con- 
solo la  quinta  volta,  sei  fa  collega  e  lo  manda  a  Roma.  Ma  poi  che  P.  M.  Regolo 
e  L.  Fulcinio  Trione,  consoli  sostituiti  il  primo  ma^io ,  erano  già  entrati  in  te- 
nata  ,  se  la  rifa  con  lui  e  scrive  al  senato  gravi  accuse.  E  condannato^  e  con  lui 
molti  de' suoi  adulatori.  —Di  qui  ripiglia  il  frammento  del  cap.  VI. 

S  *  Ecco  il  capilolo  che  precede  a  questo,  nel  supplimento  del  Brotier,  se- 
condo la  trad.  di  R.  Pastore,  m  Injmt  su*  seguaci  di  Seiano  UUto  sfogassi  il  ri" 
gor  delle  leggi.  Quanti  sapeansi  suoi  favoriti  o  socii  furon  puniti,  se  non 
eontpravan  t  impunità  a  merito  di  spie  e  d*  accuse  atroci.  Si  rividero  i  prò- 
cessi  a*  già  accusati  e  ^n  gratta  di  lui  assolti.  Senatori,  cavalieri,  uomini, 
donne  in  prigione,  o  in  man  di  magistrati  e  di  sicurtà.  Motti  a  schivar  con- 
fscazione  e  onta  d* infame  morie,  se  la  diero:  il  resto,  sentenziati  e  giusti- 
tiali  :  alcttno  ebbe  il  coraggio  di  difendersi.  » 

*  *  Sopplisci,  suppergiù,  a  qnesto  modo.  Finalmente  uno,  tra  gli  amici 
di  Seiano,  il  pia  incorrotto,  così  tolse  a  difendersi:  «  Non  vidi  mai  che  tale 
amicizia  a  me  ec.  » 

5  *  fosse  per  arrecare.  Mella  Nestiana  e  Conùniana:  Penserei  arrecare. 

B  *ei,  cioè,  Tiberio. 

7  *  dentro  scarico,  con  para  cosciensa,  sansa  rimorsi.  Lat.  «  mihi  ipso 
probaius.  m  Pietro  Pietri  nelle  Postille  ms.  dice:  «  Non  so  chi  dilor  dua  dica 
meglio ,  o  Tacito  o  il  Davansatù  «  mihi  probatusj  »  idest:  propria  conscientia 
fretus,  non  eatemo  testimonio.  «  Dentro  scarico  j  »  idest:  scusa  sentire  il  peso 
della  coscienia  aggravata;  e  risponde  all'un  e  all'altro  proprio,  cioè,  alsensa 
peso  e  alla  chiaretsa  dell'acqua  e  del  vino  ;  acqua  scarica ,  vino  scarico.  Parlando 

n  II  sentale  41  eoi  Tiberio  si  dMl«  «  Gloiio  Butte», 
j.  i8 


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206  IL  LntO  QUIMTO  DBQtl  ANNALI. 

eolo:  pregando  yoi  a  tener  memoria  di  me,  non  dolorosa, 
ma  lieta:  annaverandomi  tra  coloro  che  hanno  (aggìto  i  mali 
pnblici  con  nn  bel  fine.  » 

VII.  Cosi  detto,  chi  volea  trattenendo  o  licenziando, 
consumò  parte  del  giorno.  E  mentre  si  vedea  d' intorno  ancor 
molti;  con  fermo  viso,  come  non  presso  al  morire;  trattosi 
nn'  arme  di  sotto^  vi  s' infilzò»  Cesare  di  hii  morto  non  disse 
mail,  né  vergogne,  come  di  Bleso. 

Vili.  Trattossi  poi  di  P.  Vttellio  e  Pomponio  Secondo.* 
Quegli  diceasi  aver  offerto  la  chiave  *  eh'  era  in  sua  cura  del 
danaio  per  la  guerra ,  se  lo  stato  si  voltasse.  Questi  era  ac- 
casato da  Considio  stato  pretore,  per  amico  d'Elio  Gallo 
che,  punito  Sciano,  si  fuggi  nelli  orti  di  Pomponio,  per  suo 
più  fidato  ricetto.  Aiutolli  la  bontà  sola  de'  fratelli,  entrati 
mallevadori.  Yitellio  vedutosi  dar  Innghiere,^  speranze  e  ti- 
mori, si  fece  dare  un  temperatolo,  quasi  per  mettersi  a 
scrivere,*  e,  scalfittosi  leggiermente  la  vena,  mori  d'angoscia. 

de' cavalli  diciamo  Cavallo  scarico  di  coUo;  idest,  cBe  )ia  il  collo  sottile  e  spol- 
pato. Ma  qui  vale  giustificaiione ;  onde  si  dice:  Io  lo  fo  per  mio  scarico;  idest, 
sgravamento  di  cosclensa.  —  Oi  chi  fusse  questo  coraggioso  personaggio  non  si 
sa,  ne  sin  qui  ho  trovato  chi  'I  sapesse.  Lipsio,  S33,  lo  confessa  liberamente.  » 

<  *  Di  P.  ViUlIio  vedi  sópra  ;  I,  70;  II,  6;  III,  li ,  49:  di  Pomponio  Secondo 
vedi  più  avanti;  VI,  18, 11, 13. 

'  offerto  la  chiave....  del  danaio.  Una  simil  offerta  fece  Bertoldo  Corsini 
nel  1537. 

'  *  lunghiere.  Il  lat  :  uprolationes,*»  ìjìiugi.  Litnghieraj  vai  propriamente 
discorso  prolisso  da  non  venirne  mai  a  capo.  Pietro  Pietri  nelle  citate  Postille  ms. 
nota  :  «  Lunghiere,  trattenimenti  vani.  Dicesi  Dar  la  lunga  a  tato,  che  h  il  me- 
desimo. Si  dice  anche  lungherie.  Dialòg.  petd.,  eloq.  4,  IS:  «Pativa  questo 
ignorante  popolo  e  roso  quelle  lungherìe.  »  Tac:  imperìtissimarum  oraOc 
mim  spatia.  » 

*  per  mettersi  a  scrivere.  Scalpro  Hhrario  venas  ttbt  incidit,  dice  Sae- 
tonio.  Scrìvevano  gli  antichi  nelle  foglie  del  papiro,  erba  che  nasce  in  Egitto ,  e 
in  pellicine  tratte  di  scorze  d'arborì ,  dette  da'  Latini  libri.  Forse  la  piegaTino 
in  ruotoli  ;  come  le  nostre  carte  pubbliche  antiche.  Una  di  esse  tutta  scritta  dice- 
vano libro  :  più  libri  uniti  insieme,  codice.  Scrivevano  ancora  come  noi  in  pelli, 
e  lo  scrìtto  che  non  piacerà  o  più  non  serviva,  raschiavano  per  iscrìvervi  altro;  e 
la  pelle  raschiata  diceano  palimpsesto.  Cicerone  con  Trebano ,  che  gli  aveva 
scrìtto  in  palimpsesto,  berteggiando  si  maraviglia  di  quel  che  vi  potesse  essere 
stato  da  raschiare,  più  tosto  che  quelle  baie  scrìvere.  In  tavole  incerate ,  dette  pis- 
gillares  ,  scrìveano  ahresl  con  ealami  (cio^boeciuoli  di  canna  agunati)  o  sti- 
letti ;  onde  fu  la  maniera  del  dettate  detta  stilo.  Plinio,  nella  prima  pistola,  a  Cor- 
nelio Tacito  scrive  che  andando  a  caoeia,  aiutalo  da  quelle  selve  e  siWnsio,  com- 


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IL  L»ao  QOUITO  MQU  ANNALL  S07 

Ma  Pomponio  gentilÌMimo  di  coslami,  dMllaslre  ingegno, 
g' accomodò  alla  rea  fortuna ,  e  sopravvisse  a  Tiberio. 

IX.  Parve  poi  da  procedere  contro  alli  altri  figlinoli  di 
Seiano,  benchò  alla  plebe  fusse  la  foria  calata,  e  de' primi 
supplizi  qnasi  ogn'  on  sazio.  Furono  adunque  portati  in  car- 
cere il  figlioletto  che  il  suo  male  intendeva,  e  la  figliolina  si 
pura,  che  diceva,  «  Che  ho  io  fatto?  dove  mi  strascicate  voi? 
non  lo  farò  mai  più  :  datomi  della  scopa  più  tosto.  »  Dicono 
gli  scrittori  di  qne' tempi,  che  non  si  essendo  più  udito  dare  a 
pulzella  il  supplizio  de'  triumviri,  lo  manigoldo  col  cappio  a 
cintola  la  sverginò:  '  e  strangolati  gittò  i  teneri  corpi  nelle 
Gemonie. 

X.  L' Asia  e  T  A  caia  in  questo  tempo  ebbero  battisoflSa,' 

poneva,  per  portarne ,  se  le  man  vote,  almcn  piene  le  care.  In  questa  cera,  dice 
Quiatiliano ,  era  agevole  lo  scancellare  :  ma  ci  voleva  miglior  vista  a  leggere  ;  e 
non  rompeva  il  corso  dello  scrìvere,  e  l'impeto  de' concetti,  come  fa  lo  intignere 
della  penna.  £  vuole  che  chi  compone,  lasci  grandi  spazi  per  aj^iugnere  e  ma- 
tare,  seusa  confondere  le  scritte  cose ,  e  poter  notare  in  diparte ,  e  qnati  mettere 
in  dipostto,  per  servirsene  a  tempo ,  certi  concetti  belli,  che  spesse  volte  fuori  di 
quel  proposito  sovvengono,  e  poi  fuggono  allo  scrivente. 

*  la  sverginò.  Bella  legalità  osservata  per  farla  donna  e  abbiente  (*)  allo 
strangolo.  Coti  li  triumviri  {Diemé  al  i7)  per  abbientare  al  supplisio  un  fan* 
ciuUo,  il  vestiron  di  toga  virile.  D'un  altro  ch'io  so ,  fu  detto  ,  Sia  detf  età  di- 
spensato. Radamisto  avendo  assicurato  il  sio  e  la  sorella  del  veleno,  gli  gittò  in 
terra  e  gli  affogò  in  molti  panni.  Agusto  e  Tiberio  per  collare  i  servi  contro  al 
padrone,  gli  vendevano  al  fiscale.  Malta ie  non  mancano  chi  vuol  fraudare  le  leggi. 

^  ebbero  baUisoj^a»  «  JExterriU»  ,sunt  acri  magis ,  qtiam  ditUumo  ti- 
more. **  Tutto  questo  dice  questa  popolar  voce  perfettamente;  e  Franco  Sacchetti 
nella  novella  4S  l'usa.  Che  noi  la  deviamo  schifare ,  perchè  la  lingua  comune 
d' Ualia  non  l'usa ,  perchè  non  è  in  Dante  né  nel  Petrarca  uè  nel  Boccaccio ,  a 
me  ncmpare:  né  credo  che  una  lingua  che  vive>  sia  nello  scrivere  obbligata  a 
raccogliere  solamente  le  parole  di  pochi  e  morti  scrittori,  quasi  gocciole  dalle 
grondaie  ;  ma  debba  attignere  dal  perenne  fonte  della  città  le  più  efficaci  e  vive 
propeietk  naturali  che  con  impeto  scoccano,  e  fiedono  l' animo  per  diritta  via  e 
brevissima  ;  e  molte  volte  significano  più  che  non  dicono,  come  i  colpi  fieri  e  gli 
•corei  nella  piUura.  Conciossiachè  noi  favelliamo  per  essere  intesi,  e  muovere;  e 
quanto  più  proprio  e  breve  il  parlare  è,  più  presto  e  meglio  è  inteso  e  muove.  £ 
credo  che  dall'empio  e  '1  disonesto  e  '1  sordido  in  fuori,  quanto  i  nobili  dicono, 
si  possa  anche  scrivere  nobilmente  a  suo  luogo  e  tempo  da  persona  giudiciosa, 
mesanamente  erudita  e  accurata.  Scrivendo  a  questo  modo,  e  con  queste  quattro 
condisioni ,  non  militeranno  le  tre  autorità  dal  gran  riprenditore  allegate  nella 
risposta  al  Caro  a  carte  23, 1'  una  del  Bembo ,  che  noi  Fiorentini  per  troppa  co- 
pia di  questa  nostra  lingua  non  la  stimiamo,  e*ce  n'  andiamo  col  popol  sansa  re- 

(*)  abbitnte,  abile.  QoA  più  sotto  abbientare,  rendere  idoneo. 


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208  IL  LIBRO  QUINTO  DBQLI  AMNALI; 

per  essersi  alle  Ciclade,  e  poi  in  terra  ferma  veduto  Drnso 
di  Germanico/  E' fa  nn  giovane  di  quella  taglia,  il  qnale  certi 
liberti  di  Cesare  quasi  riconosciuto  seguitavano  ad  inganno. 
Qaei  Greci  correnti  alle  nuove  e  a'  miracoli,  traevano  alla 
fama  di  qael  nome  :  trovavano,  e  lo  si  credevano,  lui  di  car-» 
cere  scappate,  andare  alti  eserisitì  di  sao  padre,  per  pigliare 
Egitto  e  Sorla.  E  già  aveva  concorso  di  gioventù  e  publico 
séguito,  allegreza  di  tanto  e  speranza  vana  del  rimanente. 
Qaandp  Poppeo  Sabino  allora  in  Macedonia,  governante  anco 
l'Acaia,  a  tale  avviso,  vero  o  falso,  per  avanzarsi,  a  gran- 
dissima fretta  passa  i  golfi  di  Torone  e  di  Terme,'  Y  Eubea 
isola  dei  mar  Egeo  e  Pireeo  d-Atene  e  le  coste  di  Corinto  e 
quello  stretto  di  (erra:  e  per  T altro  mare  entrato  in  Nicopolì 
colonia  romana,  dove  finalmente  intese  che,  domandato  me- 
glio chi  e' fosse,  aveva  detto,  «  Figliuolo  di  M.  Silano;  »  e 
che  perduti  molti  segnaci,  s'era  imbarcato  quasi  ir  volesse 
in  Italia.  E  tolto  scrisse  a  Tiberio  ;  nò  ho  trovato  di  questo 
caso  altra  origine  e  fine. 

XI.  Nel  fine  dell'anno,  la  discordia  de' consoli  ratte- 
nuta, scoppiò.'  Trione,  che  come  litigante  pigliava  nimici- 
zie  per  poco,  diede  fiancata  *  a  Regolo  d' andare  molto  ada- 
gio air  opprimere  i  ministri  di  Seìàno.  Egli  che,  non  tocco, 
era  modesto,  ribatto  il  collega,  e  voleva  accusar  lui  di  quella 
congiura  :  ma  pregati  da  molti  padri  che  posasser  colali  odii 
da  rovinarvi ,  con  crucci  e  minacce  finirono  il  magistrato. 

gole  osservare  :  e  l' altra  di  Giulio  Gammillo,  che  niega  doversi  partire  icriveado 
dalle  voci  del  Petrarca  e  del  Boccaccio,  qnaiido  la  lingua  sali,  quasi  «ole  al  mete 
giorno,  al  suo  più  alto  punto  di  perfezione. E  lascia  Dante I  oh,  che  giudizio! 
La  tersa  d'Aristide,  che  nelle  dicerie  non  ammette  le  parole  del  parlar  sempHcc, 
ma  quello  de' libri. 

*  *  Ihruso  di  Germanico,  Il  vero  Dmso  languiva  rinchiuso  ia  nn  fondo 
del  Palano,  dove  poi  fu  fatto  morire  di  fame.  (Vedi  lib.  VI,  33.) 

>  *  I  golfi  di  Torone  e  di  Terme.  Il  primo  pigliava  il  nome  da  una  vicina 
cittk'di  Macedonia.  Terme  appellasi  oggi  Golfo  di  Saloniechi. 

'  *  rattenuta,  scoppiò.  Il  Ms.  cancella  :  «  tenuta  in  collo,  sgorgò.  •>     • 

*  *  fiancata,  rimprovero  indiretto  ;  con  oblique  paróle. 


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IL  LIBRO  SESTO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  Segrete  •omire  di  Tiberio.  --II.  AeeoM  molte.  —  YIII.  Libera  egre- 
raa  difesa  di  M.  Tereniio.  —  X.  Morte  ed  esequie  di  L.  Pisooe  prefette  di 
Boma. — XI.  Orìgine  e  progreieo  di  tei  PrefeUara.  — XII.  Gonsaltesi  dell'em- 
mettore  «o  libro  SibillÌBO.  —  XIII.  Roma  in  tamolte  per  .gran  oaro.  — 
XIY.  Alcnni  equestri ,  a  morte  per  coomara.  —  XV.  Dne  figlie  di  Germanico 
sposate  a  L.  Cassio,  a  M.  Vinicio.  —XVI.  Usurai  aoenssti ,  usura  repressa  j 
pier  liberalite  di  Cesare  la  fede  di  molti  riviro.  —  XVIII.  Rìnovate  V  accuse  di 
steto.  —  XIX.  Accusati  per  socii  di  Sciano,  occisi  a  un  sol  editto.— XX.  Caio 
Cesare  sposa  Claudia,  éooi  costumi.  Tiberio  sotto  Trasillo  impara  Parti  cal- 
dee, predice  a  Galba  P  impero.  — XXIII.  Deplorebil  fine  di  Dmso  figlio  di 
Germanico:  al  perì  qnel  d'Agrìppioa.  —  XXVI.  Nerra  giureconsulto  di  yo- 
lonterìa  fame  muore.  Altre  morti  illustri.  —  XXVIII.  Fenice  in  Egitto.  — 
ZXIX.  Varie  accasa  e  morti.  —  XXXI.  Legati  Parti  in  Roma  axhieder  duoto 
re.  Uno,  poi  un  altro  ne  manda  Tiberio.  L.  Vitellio  prefette  d'Oriente.  — 
XXXIII.  Azuffs  Armeni  e  Parli.  Artabano  balzato  di  trono,  e  ramingo  nella 
Scìna.  Per  consiglio  e  forte  di  Vitellio  gli  succede  Tiridate.  —  XXXVIII.  La 
serisia  delle  spie  rìnfotsa:  molti  accusati  muoiono.  Tìgrane  re  soccombo 
w?  snpplìri  da  cittedini.  Emilia  Lepida  si  cava  di  rifa.  -.-  XLl.  I  Cliti  ribelli 
a  lor  re  rìpressi.  I  grandi  discordi  cacciano  Tiridate  del  trono,  ^a  cui  ricbia- 
mano  Artebano. ->-  XLV.  Fiero  incendio  a  Roirfa.  — XLVI.  Tiberio  destina  il 
successore.  —  L.  Malore ,  morte ,  carattere  di  Tiberio. 

Cono  di  eirea  f  et  anni, 

IGn.  Domuio  Ehobàbbo. 
M.  Fuiio  Camillo  Schibo- 
nuRO. 

A.,  ai  B.  Dco-imu.  (ii  Cr.  M).  -C^U.  \  ["v'Ji^i^^r  ^^*"" 
A..diH.»oaxHnM.(diCr.55).-Co«.«.  j  à.SmJLo'CW 
A.,  di  B.  DCGUim.  idi  Cr.  5»).  -  C«mK.  |  ^l^"""  *"*"•• 

Al.  di  R.  uccie.  (diCr.  Sl).-C«MoU.  \  e.  Pom,o  Nmeuio. 

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210  IL  LIBRO  SESTO  DEGLI  ANNALI. 

I.  [A.  di R.  785,  di  Gr.  32.]  Entrali  consoli^  Gneo Domizio 
e  GammìHo^  Seriboniano,  Cesare,  ascilo  per  lo  mare  che  è 
tra  Capri  e  Sorrento,  costeggiava  la  Caiqpagna,  con  nieza 
voglia  0  finta  *  di  entrare  in  Roma  :  e  spesse  volle  smontò 
vicino  per  qae*  giardini  sul  Tevere,  e  tornossi  a'  suoi  scogli 
e  solitario  mare,  per  vergogna  di  sue  scelerateze  e  libidini: 
ove  si  s'imbestiò  che  al  modo  de' re  barbari  contaminava 
nobili  donzelli.  Né  pure  i  corpi  vaghi  e  lascivi,  ma  in  questi 
una  fanciullesca  modestia,  in  quegli  lo  splendore  della  fami- 
glia gli  erano  incitamenti*  E  trovaronsi  allora  non  più  uditi 
siniscalchi  delle  nefande  camere,  e  architetti  di  quanto  in 
cfsse  si  puote.'  Schiavi  andavano  alla  cerca  e  condncienll,  do- 
nando a'  pieghevoli/  minacciando  gli  abbominantì.  £  se  pa* 
drì  o  parenti  resistevano  ;  rapimento ,  forza  e  sfogamento  in 
quelli,  come  fatti  schiavi,  s'usava. 

II.  In  Roma  nel  principio  di  quest'anno,  come  non  si 
fosser  prima  le  malvagità  di  Livia  sapute  e  punite,  sì  diceano 
atroci  parole  contro  eziandio  ai  ritratti  e  memorie  di  lei,  e 
che  i  beni  di  Sciano  si  scamerassero  '  e  mettessero  nel  fisco, 
qua»  con  la  medesima  rèssa,  come  s'ella  importasse.*  E 
forse  che  questi  non  erano  Scipioni,^  Silani  e  Cassii,  tra' quali 
gran  nomi  ingeritosi,  non  senza  rìso^  Togonio  Gallo  dì  bassa 
mano,  pregava  il  principe  a  scorre  un  numero  di  senatori, 

*  Entrati  consoli.  Con  booB  gindmo  pare  al  lipsio  che  con  H  tre  anni 
die  mancano  sia  compiuto'  qni  il  quinto  Libro,  e  cominci  il  sesto. 

'  *  con  meza  voglia  ojtnta  ec.  Il  Ms.  cancella:  «  non  sapendo  se  in  Roma 
si  volesse  entrare,  o  fingendo  di  volere  ec  » 

'  *  Coglie  la  frase  dantesca:  «  A  mostrar  ciò  che  in  camera  ai  paote.  » 

*  *  donando  a*  pieghevoli  ec.  Il  Ms.  :  n  donando  alli  arrendevoli,  minac- 
ciando li  abbominanti:  e  se  padri  o  parenti  avenfro  lioiatrtlOy  n^iimaiti,  fer- 
ia ec.  w  Muta  abbominantì  in  tchi/anti:  poi  cancella  tutto. 

'  *  si  scamerassero,  si  levassero  dell'erario. 

*  *  gaaei  con  la  medesima  rissa,  come  se  ella  importasse.  Il  lat.  fai 
semplicemente:  «  tamquam  referret.  »»  Come  domine  al  nostro  Bernardo  h 
sdrucciolaU  la  penna,  da  ire  sì  per  le  lunghe  ?  Nella  Ginntina  (  Vedi  le  P"aHttM 
in  fine  del  volume  )  è  più  breve  :  noi  traduce.  Meglio  il  Politi  :  «  Come  ac  non 
fusse  tutt'uno  I  n  Ed  invero,  niun  divario  era  che  i  danari  fbaaiM^  «  ^ai 
perchè  Tiberio  intigneva  per  tutto ,  senza  tante  cerimonie. 

'  *  E  forse  che  quésti  non  era^  Soipioni  ce.  K^io  la  ifriwMina:  •  do^ 
tali  erano ,  poche  parole  mutate,  de'Silani  e  de'Gassi  le  calde  pronunzie  :  quando 
si  Tito  su  Togonio  Gallo,  nomo  di  taiva,  e  tra  f^egli  alti  noni  non  «eno  rÌM 
ingeritosi^  pregava  il  principe  ec.  ** 


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IL  LIBRO  SESTO  BS6LI  ATIMALT.  SII 

de'  quali  venti  per  Tofta  tratti  per  sorte,  eoo  V  arme  a  eanto^ 
gli  l^cesser  la  guardia  quando  egli  entrava  in  senato:  avendo 
creduto  aver  daddovero  Til)erTo,  per  una  lettera,  chiesto  che 
UBO  de'  consoli  lo  conducesse  salvo  da  Capri  a  Roma.  Egli 
tra  le  cose  gravi  talora  usato  burlare,  ringraziò  i  padri  del- 
l'amorevoleza:  «  Ma  chi  si  arebbe  a  lasciare?  chi  a  scorre? 
sempre  i  medesimi,  o  scambiarli?  stati  di  magistrato,  o  novi- 
zi? risedenti,  o  privati?  chi  parrann' eglino  a  cignersi  in  su 
la  porta  del  senato  le  coltella?  non  volere  anzi  vita,  se  l'avea 
a  difender  con  V  armi.  »  Con  tali  parole  corresse  Togonlo,^  e 
intanto  il  suo  parere  non  dissuase. 

ni.  Conficcò  bene  '  Ginnio  Gallione  che  voleva  1  soldati 
pretoriani,  finito  il  lor  soldo,  poter  sedere  ne'qoattordici  gra- 
di,* domandandogli  quasi  presente:  «  Che  hai  a  far  tu  di  gui- 
daci ?  allo  'mperadore  sta  il  comandarli  e  il  premiarli.  Hai 
trovato  forse  quel  che  non  seppe  il  divino  Agusto?  o  pur 
se'  lancia*  di  Seiano,  che  vorresti  accender  fuoco  e  tirar  gli 
animi  rozi  con  questo  zimbello  d' onore  a  guastar  gli  ordini 
della  milizia?  »  Quello  che  Galtion  guadagnò  della  sua  studiata 
adulazione,  fu  l'esser  cacciato  allora  di  senato,  e  appresso, 
<r Italia;  e  dicendosi  che  egli  arebbe  troppi  agi  in  Lesbo, 
isola  nobile  e  amena  elettasi,  fu  rimenato  in  Roma,  e  messo 
in  prigionia  di  magistrati.'^  Nella  medesima  lettera  Cesare 

*  Con  tati  parate  corresse  Togonio.  In  senato  non  s*cntraya  €on  arme. 
Quando  Tiberio  v'  era ,  fuori  stavano  soldati  alla  guardia.  Non  gli  piacque  che 
venti  senatori  v'entrassero  armati  per  lui  guardare,  non  se  ne  fidando,  tenendoli 
tntti  per  nimici,  e  ricordandosi  di  quel  che  intervenne  a  Cesare- dettatore.  Ma  per 
nascondere  questo  suo  timore,  la  mise  il  vaknt*  uomo  in  cansona.  (*) 

S  *  Conficqò  bene,  Lat.  :  «  violenter  increpuiij  »  aspramente  rampognò. 

*  *  ne'guattordiei  gradì,  cioè,  nel  posto  de!  senatori  che  al  teatro  sedevano 
ne' quattordici  gradi  vicini  all'orchestra. 

*  *  lancia.  Il  Ms.  cancella  :  «  cagnotto.  » 

'  prigionia  4i  magistrati.  Erano  le  prigionie  :  o  libere,  per  li  nobili ,  so- 
itetiuti  in  cas^  d' alcuno  di  magistrato  publico  o  di  privato,  mallevadore  di  rap- 
presentarli: o  militari;  e  legavasi  ausi  lunga  catena  alla  destra  del  prigione ,  e 
miiaira  d'wi  loldato,  alU  fuisa  <d«'  nostri  atiilcaiaoli  :  O  o  esano  cameracce  per 

n  La  Giwlfaia:  «  in  piaeevolcaa  •  nodastia.  • 

n  «fawfaioli,  prigioniari,  •  foiM,  earaarieti  4all«  Stiaebe.  La  Grasea  dia  la  parola  nel 
pciaM  mma  con  ^Msto  salo  «swiipi»,  Ma  «m  A  fcan  efaiaf»,  «d  io  indiMrai  iiiattMto  al  aat 
eaMo  BigmUttto.  Borghini,  Delfi  ortf.  di  Fir.,  pag.  I88«  i«L  I  dti  OUt^iy  •im.  di  M^ 
ìano,  1W8:  «  La  eareere  pobblica  (te  Finnzt)  eUunata  Sttnahe  si  fs^agn»  «al  nama,  perchè 

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213  IL  LIBRO  «no  DMII  ANKALI. 

percosse  con  grande  allegrezza  de'  padri  SesUo  Paeoniano 
stato  pretore,  dicendolo  audace,  nocivo,  spiatore  de' segreti 
d'egn'nno  e  ministro  di  Seiano  al  tradire  di  Gaio  Cesare. 
Quando  ciò  si  seppe,  sgorgarono  i  primi  *  odiì  :  e  dannavasi  * 
al  sommo  supplizio;  ma  egli  disse  che  aveva  in  seno  una  ac- 
cusa. 

lY.  E  cintala'  a  Latinio  Laziare,  fu  grato  vedere  spia  e 
reo,  due  odiatissimì.  Laziare,  come  dissi,  fu  capo  al  condurre 
alla  roaza  *  Tizio  Sabino,  ora  primo  al  gastigo.  Allora  A  torio 
Agrippa  la  prese  co'  passati  consoli  :  «  Se  essi  s' accusaron 
Tan  l'altro,  perchè  tacere  ora?  il  verme  della  conscienza  e  la 
paura  gli  ha  riuniti:  ma  non  deono  i  padri  le  udite  cose  pas- 
sare in  silenzio.  »  Rispose  Regolo:  «  Indugio  non  leva  ga- 
stigo: farebbe  il  bisogno,'  presente  il  principe,  d  Trione  disse 
che  di  gare  e  male  parole  tra' colleghi,  meglio  era  non  tener 
conto.  Riscaldandosi  Agrippa,  Sanqutnio  Massimo,  conso- 
lare, disse:  e  Dìgrazia,  padri,  non  aggiunghiamo  fastidi  al 
principe,  stuzicando  piaghe  maligne  :  saprà  egli  ben  medi- 
carle. »  Ciò  diede  al  morire  scampo  a  Regolo,  e  tempo  a 
Trione.  Alerio  fu  odioso,  per  sonno  e  lussuria  marcio  :  del 
principe  quantunque  crudele,  come  neghittoso,  non  temeva; 

li  vili  o  scelerati  o  giudicati  a  morte.  Nelle  quali  erano  strumenti  {*)  di  legnami 
o  d'altro,  come  il  rovere  (  del  quale  vedi  la  Postilla  28  del  IV  liljro),(**)  e  il  ttd- 
liano  (  del  quale  Cicerone  contra  Verre;  e  Salustio  nel  Catilinario:  Est  locusin 
carcere,  quem  tuUianum  vocant:  detto  dal  re  Tulio  Ostilio ,  che  lo  trovò  per 
pena  avanti  al  supplisio  de*  casi  più  gravi),  o  come  era  il  sestenio ,  luogo  miglia 
dna  e  meno  fuori  della  cittSi  (Vedi  Lipsio  nel  lib.  15  di  questi  Annali). — *  Era 
fuori  della  porta  Esquilina ,  dove  ergevansi  i  patiboli  e  si  gettavano  i  cadaveri. 

<  *  primi,  gik  da  gran  tempo  concetti. 

>  *  dannavasi,  era  sul  punto  di  esser  condannato. 

^  *  E  cintala  :  sottintendi  Paccusa.  Dicesi  anche  sempliòemente  eignerla 
a  uno  per  accoccarglieia  sfargli  un  qualche  brutto  scherzo» 

*  *  condurre  alla  mata:  propriamente  vale  condurre  al  supplizio.  Ma  qui 
•ta  per  tradire;  trarre  in  inganno  e  a  rovina.  Lat.:  «  circumvenire,  » 

3  *  farebbe  il  bisogno  ec  K.  Politi:  «  alla  presénia  del  principe  ne  farebbe 
veder  l'effetto.  » 

i  primi  elle  vi  ftaron  meisi  dentro,  ftaron  certi  del  éaalello  delle  Stilehe  di  CUasti,  eh»  f« 
appanto  iii  qaell'  anno  (1804)  che  la  prima  volta  t' adoperarono  preso  e  disfatto.  Bla  oggi  si 
erede  quasi  per  tatti  ehe  Stioehe,  di  eoa  nalw««  voglia  dire  prigioni  pobbUoiie.  » 

n  QoMta  parola,  che  è  neeesaaria  al  senso,  l' abbiamo  sappUU  soli'  avlocilk  del  posti!- 
latore  aaoaimo  dell' esemplar»  Nestitao  posaedato  dal  marobese  Gino  Cappotti,  fi  tutti  gasala 
postilla  manca  nel  Ms.  originale. 

(*)  Di  qnesU  ediilone,  nota  8,  pag .  474. 


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IL  UBHO  8BST0  0B6U  ANMALI.  213 

e  sempre  a  rovine  di  grandi  in  taverne  e  ma'  luoghi  pensava.* 
y.  Dipoi  Coita  Messalino  (qaei.  dalle  erode  sentenze ,  e 
perciò  malvolnto  ab  antico)  fa  accusato^  il  prima  che  si  potòy 
di  più  cose  :  aver  chiamato  Gaio  Cesare  maschiofemmìna  ;  ' 
e  cena  d' eseqaie  '  annovale  ^  quella  eh' ei  fece  per  lo  natale 
d' Agasta  '  co'  sacerdoti  ;  dolendosi  '  della  potenza  di  M.  Lè- 
pido e  di  L.  Arnnzio  co'  quali  piativa  moneta,^  aver  detto  : 
«  Loro  favorirà  il  senato,  e  me  il  mio  Tìberiolino.  »  Di  tutto 
sollecitavan  convincerlo  ^  i  primi  della  città,  se  e'  non  s' ap- 
pellava a  Cesare.  Eccoti  una  lettera  a  modo  di  difesa;  che 
narrato  prima  il  principio  della  sua  amicizia  con  Cotta  e  li 
molti  servigi  da  lui  ricevati,  chiedeva  non  facessero  orimi* 
nali  le  parole,  massimamente  dette  nell'allegrie  delie  mense. 
VI.  Notevole,  fa  di  quella  lettera  questo  principio:  e  Che 
mi  vi  scrivere  o  come,  che  non  vi  scrivere  in  questo  tempo, 

<  *  pensava*  Vedi  in  fioe  dae  primi  sboni  di  Iradiuione  di  questo  e  del 
precedente  capitolo. 

S  maschiofemiHima,  «  Incerta  virilitatìs  n  non  «  ineettàe.»  Per  accoppiare 
qnestoacherco  della  disonestà  di  Gaio  col  seguente  di  Gotta,  che  chiamò  cena  del 
mortoro  quella  fatta  per  lo  natale  di  Tiberio,  che  tanti  uomini  faceva  morire.  — 
*  il  Nostro  si  attiene  alla  lesione  «  incerta  virilitaUs,  *»  che  desumesi 
dal  cod.  Mediceo  dove  Icggesi  «  incerta.  »  Gli  altri:  m  ineeeta  vvriliUMsi  » 
conforme  a  ciò  che  narra  Svetonio  (in  Col.,  24),  cioè  che  Caligola  fu  ince- 
stuoio  colla  sorella  DrusilU. 

S  *  esequie.  Il  Davansati  scrive  ora  esstquie  ora  esequie.  E  l' istessa  in- 
costansa  grafica  usa  in  altre  parole,  come  dopo  e  doppo,  publico  e  pubblico  ec. 
Vedi  l'^tvertimento  in  principio. 

*  *  cena  d'esequie  tamovale.  Lat.  :  «  novendiaiem  cenamj  »  cena  mor- 
tuaria, che  facevasi  negli  onori  funebri  rcnduti  al  morto  nove  giorni  dopo  il 
bruciamento  del  cadavere  ;  e  però  detta  novendiale. 

8*  d*ji gusta:  seguo  la  Giuntina,  die  è  conforme  al  cod.  Mediceo  che  leg- 
ge; w  die  natali  jiugustte,  w  L'altre 'ediiioni,  «  d' Augusto;  »  conforme  la  con- 
gettura del  Lipsio ,  che  ouervò  non  essersi  mai  celebrato  il  natalisio  di  Livia 
dopo  la  morte  di  lei.  Ma  che  vieta  che  tal  celebraiione  si  facesse  in  vita  ?  Livia 
fu  gravis  in  rempublicam  ntaUr  (Ann.  I ,  iO)  j  e  di  qui  lo  scherso. 

*  *  dolendosi....  a»er  detto  ec;  cioè:  e  fu  parimente  accusato  che  egli, 
dolendosi....  dicesse  ec. 

'  *  piativa  memeia»  aveva  lite  per  certa  aomma  di  danaro. 

^  *  Di  tuUo  sollecitavan  convincerlo  ec.  Traduce  secondo  la  congettura 
del  Pichena  «  eaque  euncta.  n  Ma  il  cod.Mediceo  ha  neque  ouneta  «  e  si  vuole 
con  queste  parole  significare,  come  inteipeUa  il  Walther,  che  due  cause  concor- 
sero a  impedire  il  successo  dell'accusa  :  la  prima,  che  non  tutto  potè  provarsi;  la 
seconda,  il  ricorso  al  principe.  Onde  si  vuole  tradurre  :  «  JMè  tulio  poleron  pro- 
vare que'maggiorenli  ;  e  poiché  costoro  non  gli  davano  posa,  ricorse  al  principe.** 


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814  IL  tnftO  SBWO  1>MLI  ANMALI. 

faccian  gì' iddìi  e  le  iddie  di  me  più  fttrazio  ebe  io  (alto  di 
non  mi  sento  entro  fare,  a*  il  so.^  »  Tanto  gli  erano  erode 
giaslìaiere  le  stesse  sae  sceleritadi.  Per^  soleva  ben  dire 
qael  sovrano  in  sapienza:*  Se  gli  animi  de' tiranni  avessero 
sportello,  noi  vedremmo  là  entro  i  cani,  i  flagelli  :  cioè  le 
loro  crudeltà,  libidini  e  pessime  pensate,*  fare  strazi  di  que- 
gli animi,  come  de' corpi  gii  spaventevoli  slrnmenti.  Perà  né 
gran  fortuna,  nò  vita  ameba  potevan  si  fare  cbe  Tiberio 
stesso  non  confessasse  i  suoi  martori  e  supplizi  intemi. 

VII.  Avendo  dato  a' padri  licenza  di  giudicare  Ceci* 
liane  senatore  che  dato  avea  qoelle  accuse  a  Gotta,  lo  dan- 
narono nel  medesimo  che  Aroseio  e  Sanquinio  che  aecnsaron 
L.  Arunzio.  Né  mai  ebbe  €otta  (nobile  si,  ma  povero  per 
biscazare;  infame  per  male  operare)  onore  come  questo 
d'esser  vendicato  a  pari  d' Arunzio,  di  virtù  santissime. 
Yennesi  alle  accuse  di  Q.  Servèo  e  di  Minuzie  Termo.  Ser- 
vèo  fu  pretore  e  seguitò  Germanico;  Minuzie,  cavaliere, 
onesto  amico  di  Solano;  perciò  venne  di  loro  maggior  pietà. 
Per  Io  contrario  Tiberio  dicendoli  stumìe  de'ribaldi,  comandò 
a  Gaio  Geslio  senatore,  che  quanto  a  lui  ne  avea  scritto  di- 

<  *  s*il  so.  Costruisci  cosi  questo  perìodo  :  Gl'iddii  e  le  iddie  faccian 
di  me  più  strasio  cfa*  io  tutto  di  non  mi  sento  dentro  fare,  s' io  so  cbe  cosa  o 
come  scrivenri,  o  che  cosa  non  ìscciTere  ec.  Il  Politi  traduce  :  «  Che  ti  seri* 
vero  io ,  o  padri  coscritti?  o  come  vi  scriverò T  o  pure  che  lassarò  di  scrivere  in 
questi  tempi  ?  Gli  dii  e  le  dee  mi  facciano  morire  di  peggior  morte  di  quella  cbe 
provo  ogni  giorno,  se  io  lo  so.  » 

>  qnet  sovrano  in  sapienza  :  Platone  nd  4  della  Republica.  Lucreiio  nel 
terso  esprìme  il  rodimento  della  cosciensa  mirabilissimamente  : 

Std  menu  in  vita  pamarum  prò  maiefaetii 

Bit  imignibut  intigni»,  actitritquB  iuela, 

Cantr,  tt  horribUi*  d»  uuto  iattu' Afrtam, 

Vtrtera  camifiett,  rotar,  pix,  lamiau,  tmdee: 

Qua  tamen  etti  abtunt;  at  ment  tibi  eontcia  facti 

PrtBmetuent  adhiiet  ttimulot  torrvtqut  JlagelUt  : 

N«c  1/idet  iaUnaqui  temUnut  etttmalorum 

Pottit,  m*e  guai  sit  pammnm  dtntquejimia, 

Atque  eadem  metuit  magit  hcee  ne  tu  morte  grmttumt, 

Tnitiuitatem  meam  ago  cognosco,  at  peecatnm  maum  tont/»u  ma  ast  semper, 
dice  David.  Però  voleva  fuggire  e  nascondersi  Caino ,  morto  Abello,  teemando  a 
verga  a  verga ,  cbe  chiunque  lo  trovasse  non  1*  uccidesse ,  come  dice  la  Genesi 
al  4.  Aristotile  nel  9  dell'Etica  e.  3  dice;  Cbe  l'uomo  seelerato  se  Metso  odia, 
uccide,  nimica,  nulla  ha  in  se  che  bene  gli  voglia  :  lo  rode  e  laeera  la  lut  co- 
seieosa. 

'  *  pensate,  pensamenti. 


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IL  LIBRO  SBSTO  DE6LI  ANNALI.  StlS 

cesse  al  Benalo  ;  e  Cestio  prese  r  accusa.  Peste  mìsera  di 
qae'  tempi,  che  i  primi  del  senato  d' ogni  cosaza  e  paroluza 
detta  ora  o  mill'anni  fa,  palese  e  segreta,  in  pfaza  e  a 
mensa,  di  strani  e  di  congiunti,  amici  e  non  più  vedali  ;  in 
chechè  materia  (e  beato  il  primo);  chi  per  difender  se;  i 
più  quasi  per  male  appiccaiiccio  ;  fossero  rapportatori.  Mi- 
nuzie e  Servéo,  essendo  dannati,  arricchiron  le  loro  spie. 
Giulio  Affricanadi  Sautogna  in  Gallia  e  Seio  Quadrato  farono 
atei  *  dannati.  La  causa  non  rinvengo.  Ben  so,  molti  scrit- 
tori, molte  pene  e  morti  arer  lasciato  per  islracchi  dalla 
quantità,  o  per  non  dare  a'  lettori  la  sentita'  maninconia  delle 
troppe  e  noiose.  A  me  son  capitate  molte  cose  memorevoli, 
da  altri  passate. 

Vili.  Una  è  che  in  quel  tempo  che  niuno  voleva  avere 
avuto  epa  Sciano  amicizia,  M.  Terenzio^  cavalier  romano, 
accusatone,  ebbe  cuore  di  difenderla  in  senato  con  questo 
parole  :  «  Farebbe  forse  più  per  me  misero  negare  questo 
peccato  che  confessarlo  :  ma  sia  che  vuole.  Dico  che  fui 
amico  di  Sciano:  n'ebbi  desiderio,  e,  ottenutolo,  allegreza. 
Perchè  io  Io  vedeva  compagno  del  padre  al  governo  delle 
coorti  pretoriane,  poscia  della  città  e  della  milizia;  gli  amici 
o  parenti  di  lui,  pieni  d'onori:  quanto  uno  era  accosto  a 
Solano,  tanto  potere  in  Cesare:  chi  con  lai  male  sta va^. sem- 
pre stare  in  paura  o  vergogna.  Ninno  nomino,  ma  difendo 
me  e  gli  altri  che  non  fummo  della  congiura.  Noi  adoravamo 
non  Sciano.^  da  Bolsena,  ma  un  membro,  per  lo  parentado 
fatto,  di  casa  Claudia  e  gialla;  un  too  genero,  o  Cesare;  un 
tuo  compagno  nei  consolato;  uno  che  faceva  nella  republlca 
gli  uffici  tuoi.  Non  abbiamo  a  guatar  noi  ^  chi  ta  esalti  sopra 

*  •««,  altresì. 

*  *  sentita,  provata  da  loro. 

'  M.  Teremio,,..  ebbe  cuore.  Àminta,  nel  settimo  di  Q.  Canriio,  fa  una 
stmil  professione  magnanima  d'essere  stato  amico  di  Pilota  :  e  Cassio  Glena  in 
Xifilino  d'aver  segnitato  la  parte  di  Nigro;  la  «pai  mosse  Severo  a  lasciargli  la 
metà  de' beni  confiscati. 

*  *  Noi  adoravamo  non  Sciano  ec.  Il  Ms.  cancella  :  «Noi  non  Sciano  da 
Bobena,  ma  on  rnntAao  della  casa  Claudia  e  della  giulia  che  egli  dominava  per 
lo  parentado,  adoravamo.  » 

'  *  Non  abbiamo  a  guatar  noi  ec.  Il  Ms.  cancella:  m  Non  abbiamo  a  squa- 
drar noi  chi  tu  sopra  gli  altri  ti  esdti.  » 


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316  IL  LIBMO  8B8TO  DB6LI  ANNàU. 

gli  altri,  né  perché  gì'  iddìi  hanno  a  te  dato  V  anlTeraale  dì- 
sponimento;  a  noi  rimane  la  gloria  dell'abbidirti:  gaardiamo 
quanto  ci  ò  davanti,  cioè  chi  da  te  abbia  riccheze,  onori  e 
podestà  di  giovare  e  di  nnocere:  le  qoali  cose  ninno  negherà 
essere  state  in  Seiano.  Spillare  i  concetti  *■  o  disegni  segreti 
del  principe,  nò  lecito  è  né  sicuro,  né  paò  rìnscire.  Consi- 
derate, padri  coscritti,  chi  fa  Seiano;  non  T  nltimo  di  ma 
sedici  anni,  che  insino  a  Satrio,  a  Pomponio  e'  inchinavamo'; 
che  r  esser  conosciuti  da'  suoi  liberti  e  portinai  ci  pareva  un 
bel  che.  Che  voglio  adanqoe?  difender  ogn'nno?  no:  ma  che 
si  faccia  giusto  divario.  Chi  ha  voluto  con  lui  tradire  la  re- 
pnblica,  ammazare  lo  in^peradore,  puniscasi:  chi  gli  è  stato 
mero  amico,  e  servigio  gli  ha  fatto,  sia  come  te,  o  Cesare, 
senza  pena.  » 

IX.  Questo  generoso  parlare^  e  V  essersi  trovato  uno 
che  sborrò  *  il  rattenuto  da  tutti ,  operar  si  che  i  loro  accu- 
satori,' ira  per  questo  peccato  e  per  altri,  furon  dannati  ad 
esilio  0  morte.  Venne  poi  altra  lettera  di  Tiberio  contro  a  Se- 
sto Yestilio  stato  pretore,  caro  a  Druse  fratello,  però  tirato 
in  corte.  Dispiacque  V  aver  poetato  (o  si  credette)  delle  diso- 
nestà di  Gaio  Cesare  :  onde  cacciato  di  casa,  con  la  vecchia 
mano  sì  punse  le  veni  :  poscia  legatelesi ,  supplicò  :  e  per  lo 
riscritto  crudo,  le  sciolse.  Seguita  una  frotta  d'accusati  di 
maestà:  Annio  Pollione,  Yiniciano  suo  figliuolo.  Appio  Si- 
lano, Scauro  Mamerco,  Sabino  Calvisìo,  tutti  di  sangue  chiarì, 
e  alcuni  di  sommi  onori.  A'  padri  ne  venne  trfemito  :  e  chi 
non  era  di  tanti  illustri  parente  o  amico?  Pure  Celso  tribuno 
d'una  corte  di  Roma,  uno  dellì  accusanti,  liberò  Appio  e 
Calvisìo.  Gli  altri  tre  disse  Cesare  che  insieme  co  '1  senato 
giudicherebbe  altra  volta  :  e  male  fiancate  diede  *  a  Scauro. 

*  Spillare  i  concetti  ;  diminativo  di  spiare,  per  vie  occalu  •  strette  sot- 
trarre. Con  metafora  passata  in  proprietà  diciamo  spillare  la  botte,  per  assag- 
giarla, traendone  non  per  la  cannella  il  vino,  ma  per  lo  spillo,  deh  picciol  per- 
tugio, fattovi  con  iatrumento  detto  anch'  egli  spillo,  e  dagli  anticbi  squillo. 

^  *  che  sborrò.  Il  Ms.  cancella  :  «  che  desse  fuori  ;  i»  che  h  cominto  deDa 
parola. 

^  *  i  loro  aceusatùri.  Perche  i  loro?  il  testo  ha  :  «  aceustOorts  eiti»,  » 
cioè,  3f.  Terentii. 

*  *  nude  Jùmcate  4iade.  La  Girnitina:  •»  mali  cernii  fece.  •>  Óarjtojteaie 
o  spronate  è  gettare  di  traverso  motti  ingloriosi  ad  akanoé 


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IL   LIBHO  SESTO  OBOLI  ANNALI.  ,  217 

X.  Non  eran  fuori  di  pericolo  anco  le  donne,  che,  non 
potendosi  d* occupata  republica,  di.  lagrime  s'accusavano: 
e  fu  fatto  morire  ^itia  vecchlerella,  per  aver  pianto  Fufio 
Gemino  figliuol  suo.  Fatte  furon  queste  cose  dal  senato  :  e  il 
principe  fece  morire  due,  i  più  antichi  di  sua  famiglia,  sta- 
tigli a  Rodi  e  in  Capri  sempre  al  fianco,  Yesculario  Fiacco^ 
messaggiero  nel  tradimento  di  Libone,  e  Giulio  Marino  com- 
pagno di  Seiano  all'  acciacco'  di  Curzio  Attico.  Tanto  più 
ne  giovò  di  vederli  presi  alle  reti'  loro.  L.  Pisone  pontefice 
(miracolo  allóra  ih  si  chiaro  uomo)  morì  di  sua  morte.  Non 
propose  mai  cosa  servile  dì  sua  voluntà:  quando  era  forzato,  le 
moderava  con  sapienza:  ebbe,  come  ho  detto,  padre. censore: 
visse  anni  ottanta:  meritò  in  Tracia  le  trionfali.  Ma  la  sua 
maggior  gloria^  fu  la  continovata  podestà  <li  Roma,  non  so- 
lita, però  piò  grave  a  ubbidirsi:  da  luì  temperata  a  mara- 
viglia.* 

XI.  Avvenga  che  prima  i  re,  poscia  i  magistrati  quando 
andavano  fuori,  por  non  lasciare  senza  capo  la  città,  eleg- 
gessero per  a  tempo,  chi  rendesse  ragione  e  rimediasse  a*  sa- 
biti casi.  Dicono  che  Remalo  vi  lasciò  Déntro  Romolio;  Tullio 
Ostilio,  Numa  Marcio;  Tarqunio  Superbo,  Spurio  Lucrezio. 
Poscia  anche  i  consoli  sostituivano:  il  che  oggi  si  raffigura,'^ 
qoando  per  le  feste  latine  si  mette  uno  che  faccia  V  ufficio 


'  *  Vesculario  Fiacco.  Goti  è  chiamato  sopra,  II,  28;  ma  qui  è- detto 
«  Vesculariits  Atticitsi  «»  e  il  Nostro  ha  seguito  il  Pichena  che  ha  qui  pure  re- 
stituito Flaccus. 

'  *  aW  acciacco ,  all'oppressione. 

'  presi  tdle  rtti,  -  Maltun  cmsilitim  consultori  pessimum ,  **  era  il 
proverbio  romano,  nato  (come  dice  Agellio)  dalla  malignità  de'sacerdoti  fatti  ve- 
nir di  Toscana  a  ribenedire  la  statua  d'Orazio  Code  percossa  da  saetta;  che  ansi 
la  maladissero ,  e  fecerla  si  abbassare  che  non  vi  desse  mai  sole.  Confessaronlo  per 
tormento,  e  furono  uccisi.  E  i  fanciulli  per  Roma  cantavano  il  sopraddetto  verso, 
tradotto  da  quel  d'Esiodo,  ij  ^«  xaxii  ^tfXiì  t^  ^tfXsuaavri  xecxiarv],  col  quale 
Democrate  da  Scio  (come  riferisce  Aristotile  nel  tento  della  Rettorica)  mor^  Me- 
nalippide  de' troppo  lunghi  periodi  :  peggiori  per  chi  gU  fa  che  per  chi.  gli  ode  : 
CapiU  suo  malum  suit  ille  qui  alteri  malum  stai:  longa  vero  anabole,  ei 
quifecit  pesfima. 

*(  *  11  postillatore  anonimo  dell'esemplare  Nestiano  posseduto  dal  marchese 
Capponi  corregge  (ma  credo  di  suo  capo) questo  luogo  così:  «  per  la  non  solita 
uhbidienaa  più  grave,  da  lui  a  stemperata  maraviglia.  » 

S  *  si  raffigura j  cioè,  si  rappresenta.  Il  Ms.  cancella  :  »  è  rassembrato.  *> 

I.  19 


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218  •         IL   UBftO  8B8T0  DBGLl  ANNALI. 

del  consolo.  Agusto  nelle  gaerre  civili  occopato,  fece  Cilnìo 
Mecenate,  dell'  ordine  de'  cavalieri,  suo  luogotenente  in  Ro< 
ma^  e  Italia.  Quando  fu  poi  padrone  d'ogni  cosa,  per  lo 
gran  popolo  e  per  li  tardi  giudici  legali,  die  podestà  ad  uo- 
mini stati  cotìsòli  di  tenere  in  freno  i  servi  e  qne'  cittadini 
che  intorbidano,  se  non  veggono  alzata  la  maza.*  Meissala 
Corvino  fu  il  primo  clie  l'ebbe;  e  in  pochi  giorni  la  lasciò, 
quasi  non  atto.  Statìlio  Tauro,  benché  molto  vecchi'o,  si 
portò  egregiamente.  Segtiitò  Pisene  per  anni  venti,  con  pari 
loda,  e  per  decreto  de'  padri  ebbe  P  esequie  publicbe. 

XII.  Quintiliano  tribuno  della  plebe,  propose  a'  padri  la 
dimanda  di  Ganinio  Gallo,  uno  de* quìndici,  di  ricerere  un 
libro  della  Sibilla,  e  se  ne  vinse  il  partito.  Cesare  scrisse 
che  il  tribuno,  come  giovane,  sapeva  poco  d' antìchitade;  e 
garrì  Gallo,  che  consumato  in  isciénza  e  divinità,  simil  cosa 
trattasse  in  senato,  scarso  di  numero,  senza  certo  autore,' 
sentenza  del  collegio,  lettura  e  censura  de'  maestri,  usate  a 
simili  versi.  E  avverta  che  A  gusto,  veduto  molte  scioc- 
cheze  leggersi  sotto  grandi  nomi,*  ordinò*^  che  tra  tanti  giorni 
si  portassero  al  pretore,  e  vietò  tenerle  i  privali.  Come  fecero 
gli  antichi  allora  che  per  l'arsione  del  campidoglio,  nella 
guerra  sociale  da  Samo,  Ilio,  Eritri„  Affrica,  Cicilia  e  colo- 
nie d'Italia  trassero  i  versi  della  Sibilla  o  Sibille;  e  commi- 
sero a'  sacerdoti  che  con  ogni  umano  potere  cernessero  i 
veri.  Cosi  anche  allora  questo  libro  fu  a'  quindici  dato  a  cer- 
nere. 

XIII.  Nel  detto  anno  per  lo  gran  caro  fu  per  l'evalraì  il 
popolo:  e  molte  cose,  molti  giorni  domandò  nel  teatro,  con 
licenza  non  usata  a  impéradorl.  Di  che  alterato,  riprese  i 
magistrati  e  i  padri  per  non  l' avere  raffrenato  con  l' auto- 

*  *  suo  luogotenente  in  Roma.  Il  Mi.  cMi<:elU)  «  sopraotendente  di 
Roma.  » 

'  *  se  non  veggono  ahatà  la  rhaxaj  cio^,  se  non  temano  d'esser  poniti. 
l\lM,.h^:mniHvimmehtat,» 

S  *  senza  eerto  autore.  Il  Ms.  cancella  :  «  senta  certesa  dell'autore.  » 

*  seioccheze  leggersi  sotto  granéi  nomi.  Agmto  de' libri  si  (atti  ne  arse 
domila,  dice  Snetonio  in  Agosto  31. -^* sciocchete.  Il  ATs.  cJiHcdlas  «  vanitìu  » 

»  *  ordinò  èc.  Il  Ms.  cancella  :  «  le  fece  tra  tanti  giorni  ^Ure  alla  'pode- 
stà, n 


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IL  UBBO  tBSTO  DB6U  AMNILI.  219 

rilà  poMica;  e  ricordò  qaanto  grano,  e  onde,  condaceva 
egli  più  che  Agasto.  Per  lo  che  il  senato  dislese  un  severo 
bando  per  gastigare  all'antica  il  popolo.  I  consoli  spacciata- 
mente  il  pabblicarono.  Il  non  vi  por  bocca  egli  credette  do- 
versi attriboire  a  civiltà;^  e  fu  a  superbia. 

XIV.  Nel  fine  dell'anno,  Geminio,  Gelso  e  Pompeo, 
cavalieri  romani,  furono  uccisi  per  la  congiura  di  Seiano. 
Geminio  gli  fu  amico,  perchè  spendea  e  vivea  morbida- 
mente ;'  non  per  cosa  di  conto.  Giulio  Celso  tribuno  allentò 
In  carcere  la  catena,  e  incappiatalasì  al  collo,'  sì  strangolò. 
Robrio  Fabato,  facendo  Roma  spacciata,  se  ne  fuggiva  alla 
misericordia  de' Parti.*  Veramente  costui^  preso  nello  stretto 
di  Cicilia,  e  rimenaio  da  un  centurione,  non  dava  cagioni 
capaci  del  suo  dileguarsi.^  Pure  dimenticato,  anzi  che  gra- 
ziato, scampò. 

XV.  [A.  di  R.  786,  di  Cr.  33.]  Nel  consolato  di  Sergio 
GaUm  e  L.  Siila ,  Cesare,  essendo  da  marito  le  figliuole  di 
Germanico,  nipoti  sue,  doppo  lungo  pensare,  congiunse 
Gialla  a  M.Vinicio''  natio  della  terra  di  Galles  in  Campagna; 
il  padre  e  l'avolo  furon  consoli;  la  famiglia  cavaliera;  di 
dolci  costumi;  dicitore  ornato:  e  Drusilla  a  L.  Cassio  di  casa 
pepolare  nmiana,  ma  orrevole  e  antica ,  dal  padre  tenuto 
sotto:  uomo  di  più  pianeta  che  indostria.'  Scrisse  al  senato, 
lodando  i  giovani  alquanto.  Poscia  renduto  di  sua  assenza 


*  *  d<H>erst  atiribtiire  a  civiltà.  Il  Ms.  cancella  :  «  che  fosae  a  civiltà.  » 

*  *  spendea  e  vivea  morbidamente,   fl  Bfs.  cancella  :  m  fondeva  il  sno  e 
vivea  diliealo.  m  Ebbe  la  mente  a  quel  di  Dante  : 

BiMtisre  fooda  I«  nt  fMsltate. 

S  *  incappiata!asi  al  eolio.  Esseodolasi  incappiata,  cioè  annodata  stretta- 
mente al  collo.  Nel  Ms.  è  cancellato:  «  al  collo.  » 

*  * /uggiva  alla  misericordia  de*  Parti.  Il  Ms.  caacella:  «  fuggiva  a'Parti 
per  iscampo.  w 

'  Veramente  costtU.  Leggi  mm  isj  perchè  quel  tanus  repertue   era 
troppo  sproposito. 

*  *  non  dava  cagioni  capaci  del  suo  dilegtuwsi.  fl  Ms.  «ancdla  :  m  ood 
diceva  cagioni  bastevoli  AtìX  andarsene  si  discosto.  •• 

1  Giulia  a  Jf.  Vinicio.  Saetonio  U  dice  Livia,  o  Livilla. 
'  *  u9mo  di  pia  pianeza  che  industria.  U  Lat  ba  :  «  facilitate  sttpius 
quam  industria  commendalffittir,'  » 


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220  TL  tmo  SESTO  DB6LI  ANNàLf. 

ragioni  stravaganti,  entrò  in  cose  più  gravi:  che  8*era  per 
la  republica  fatto  nimici,  però  chiedeva  che  Macrone  pre- 
fetto, con  qualche  tribuno  e  centorione,  entrassero  sempre 
seco  in  senato.  Feces!  partito  largo  di  quanti  e  qaali  volesse. 
Ma  egli  non  che  in  senato,  non  entrò  mai  pnre  sotto  un  tetto 
della  città,  se  bene  spesso  per  tragetti  intorno  le-  aliava,  e 
50  n'  andava. 

XVI.  Fnria  d'accnsatori  asci  addosso  agli  nsnral,  che 
arrìcchivan  più  che,  sopra  il  prestare  e  possedere  in  Italia , 
non  dispone  la  legge  di  Cesare  dettatore  già  dismessa;  per- 
chè l'interesse  privato  dà  de' calci  al  ben  pablico.  L'asnra 
è  mal  vecchio  della  città,  e  di  sollevamenti  e  discordie,  ch^è 
ch'è,^  cagione;  però  ancora  ne' tempi  antichi  e  costami 
men  guasti  si  correggeva.  Conciosiachè  le  dodici  tavole  pri- 
mieramente la  tassarono  il  più  a  uno  il  mese  per  oentinaio, 
che  prima  faceasi  a  modo  de'  ricchi.  Poi  fu  per  legge  de'  tri- 
buni, ridotta  a  un  mezo:  poi  ogni  usura  vietata;  e,  per  molti 
ordini  della  plebe,  provveduto  alle  sottilissime  malizie  onde 
rimettea  sempre,  quasi  pianta  succisa.  Avendo,  adunque, 
Gracco  pretore  tali  accuse  innanzi,  increscendoli  di  tante 
rovine,  le  rimise  al  senato.  I  padri  spaventati  (perchè,  chi 
n'era  netto?)  ne  chiederò  al  principe  grazia  generale,  el'ot^ 
tennero;  con  tempo  diciotto  mesi  a  rassettarsi  tostato,'  cia- 
scuno secondo  la  legge. 

XYII.  Quindi  nacque  stretteza  violenta  di  moneta;  per- 
chè i  debitori  tutti  a  un  tratto  erano  stretti  :  il  fisco  e  la  ca- 
mera per  tanti  dannati,  e  lor  beni  venduti,  avevano  inghiot- 
tito tutti  i  contanti.  Perciò  il  senato  fece  che  gli  usurai  se  ne 
pigliassero  li  due  terzi,  in  terreni  in  Italia;  ma  essi  richie- 
deano  parlo  intero;  né  era  onore  ia' richiesti  fallir  di  fede. 


'  cVè  eh*  k:  spesso  spesso;  dicesi  per  cose  troppo  spesse  e  indegne,  cbe 
a  pena  son  credute  ;  corresi  a  cfaiarir  (*)  scegli  e  par  vero,  con  maraviglia  dicendo, 
che  hf  cheli  che  senf  io  t  — *  eh*  kch'è,  cagione.  Il  Ms.  cancella  :  «  ad  ogni 
poco,  cagione.  « 

*  *  a  rassettarsi  lo  stato.  Intendi  lo  stato  proprio;  le  ragioni  domesti- 
che ;  i  conti.  ULat.  ha:  «  rationes  familiares  eontponeret,  » 

{*)  chiarir.  La  NeslUnae  U  Cominiana  hanno,  eon  maniFesto  errore,  ehiamars  ni  la 
prima  11  correggo  nel  lungo  errata;  ni  il  Volpi ,  nella  seconda,  se  ne  aeoorse. 


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IL  LIBBO  SESTO  DEGLI  ANNALI.  221 

Cosi  SI  serpéntava,^  tranquillava,'  alla  ragion  si  gridava:  e 
le  vendile  e  compre,  trovale  per  rimedio,  la  strelteza  accre- 
scéano;  perchè  i  compratori  col  nascondere  il  danaro,  e  ì 
tanti  venditori  coir  offerire  gli  stabilì,  gli  smaccavano:'  e  i  più 
indebitati  con  più  fatica  vendeano:  fallivano  molti,  e  n'andava 
con  la  roba  la  dignità  e  la  fama;  onde  Cesare  vi  porse  aiolo, 
contando  dae  milioni  e  mezo  d' oro  a'  banchi ,  che  li  pre- 
stassero senza  prò  per  tre  anni  a  chi  obbligasse  al  popolo 
stabili  per  lo  doppio.  Cosi  la  fede  tornò',  e  a  poco  a  poco 
ancora  i  privati  prestavano,  e  la  legge  del  pigliarsene  stabili 
non  s' osservò.  Trattandosi  tali  cose  con  rigore  nel  principio, 
poi  si  tralasciano. 

XYIII.  Ritt>rnarono  le  prime  paore,  per  l'accosa  di 
maestà  data  a  Consldio  Procolo.  Il  quale  festeggiando  tolto 
sicaro  per  lo  natal  suo;  rapito,  portato  in  senato,  dannato 
e  morto,  tutto  fu  uno  :  e  a  Sancia  sua  sorella  levossi  acqua  e 
fuoco.  L' accusatore  fu  Q.  Pomponio,  cervello  inquieto,  che 
diceva  aver  questo  e  altro  fatto  per  entrare  in  grazia  del 
principe  e  liberar  Pomponio  Secondo,  fratello  suo.  Ancora 
fu  scacciata  in  esìgilo  Pompeia  Macrina,  il  cui  marito  Ar- 
golico,  e  Lacone  suocero,  de'  primi  delli  Achei,  Cesare  aveva 
afOitti:  è  il  padre,  romano  cavaliere  illustre,  e  il  fratello  stato 
pretore,  in  suir esser  condannati,  s'uccisero.  Il  peccato  loro 
era  che  Teofane  di  Metèllino  loro  bisavolo,  fu  inlimo  di 
Pompeo  Magno:  e  doppo  morte  da  quella  greca  adulazione 
adorato  per  celeste. . 

XIX.  Dietro  a  costui.  Sesto  Mario  il  piò  ricco  di  tolte 
le  Spagne,  fu  d'aver  giaciuto  con  sua  fìglioola  rapportato, 

'  * serpentava.  Varchi,  Ercol.  73:  «  Si  dice  serpentare  ^  tempestare, 
quando  colui  non  lo  lascia  yivere  ne  tenere  i  piedi  in  terra:  il  che  i  Latini  diceano 
propriamente  soUicitare.  »  Net  testo  è  conciirsaUo  {^ebat).  ^ 

'  *  tranquillava ,  facevasi  opera  di  calmare  con  preghiere.  Il  testo  ha: 
«  concursatio  et  preces.  *» 

'  *  gli  smaccavano,  gli  rendevano  vili;  gli  screditavano.  La  Giuntina  in 
tutto  (juesto  periodo  varia  come  segue  :  **  Così  ciascuno  s'aiutava  serpentando , 
tran({uillando/alla  ragione  gridando, e  le  vendite  e  compre,  trovate  per  rimedio 
della  strettezia,  l'accrescevano;  perchè  i  prestatori  avevano  impaniato  i  loro  mo- 
bili in  quegli  'stabili;  i  tanti  venditori  gli  avevan  fatti  rinviliare,  e  il  gettarli  via 
a'  debitori  più  grossi  più  coceva.  »  Nel  Ms.  diceva  :  «  ftlli  più  indebitati  :  »  poi 
corretto  come  sopra. 

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222  IL  LIBRO  SICSTO  .OBGL|  ANNALI. 

e  gittato  giù  dal  sasso  tarpeo:  e  acciò  non  fosse  dubbio  clie 
lo  gran  danaio  suo  fa  lo  peccalo  suo/* Tiberio  volle  per  se 
proprio  le  cave  dell*  oro^  benché  incamerale.  Insanguinalo 
ne'  supplizi,  fece  ammazar  tulli  gì'  incarcerali  per  conto  di 
Solano.  Giaceva  infinito  macello'  d'ogni  età  e  sesso,  e  chiari 
e  vjli,  sparsi  e  ammontati.  Gli  amici  e  parenti  venuti  a  pia- 
gnerli, a  guatarli,  non  v'eran  lasciali  badare  da' berrò vieri 
postivi  a  notare  i  più  addolorati,  e  le  corpora  fetide  accom- 
pagnare al  Tevere;  dove  ondeggianti  o  approdanti,  niano 
arderle  né  toccarle  osava:  all'umanità  forza  e  paura;  alla 
pietà  crudeltà  contrastava. 

XX.  In  questo  tempo  Gaio  Cesare,'  che  a  Capri  andò 
con  l'avolo  in  compagnia,  sposò  Claudia  di  M.  Silano;  e 
dell'essere  sentenziata  la  madre,  confinati  i  fratelli,  non 
fiatò:  il  suo  bestiale  animo  covertando^  dì  maliziosa  mode- 
stia; con  la  ^uale  sempre  che  Tiberio  mutava  vestito,  egli 
simile  abito  e  poco  svariate  parole  usava.  Onde  s'appiccò  il 
bel  detto  di  Passiono  oratore  :  oc  Non  fu  mai  miglior  servo, 
nò  peggior  signore.  )»  Non  lascerò  quello  che  Tiberio  indovinò 
a  Sergio  Galba  allora  consolo  ;  il  quale  fatto  venire  a  se,  con 
vari  ragionameoti  tastò;  e  di^e  in  greco:  «  Anche  tu,  Galba, 
un  di  assaggerai  l'imperio:  »  tardi  e  corto  significandogliene, 
per  arte  caldea,  appresa  nell'  ozio  di  Rodi  dal  maestro  Tra- 
suUo ,  la  cui  eccellenza  cosi  cimentò. 

XXI.  Quando  egli  voleva  sapere  un  segreto,  in  cima 
d'una  casa  posta  sopra  uno  scoglio,  un  suo  liberto  fidato, 
balioso,'  che  legger  non  sapea,  facea  per  quelle  rocce  la  via 
innanzi,  e  conduceva  su  l'indovino:  s'eì  pareva  ìgnoraule 
o  ciurmante,'  gli  era  data  la  pinta  in  mare,  perchè  non  ri- 

*  Lo  gran  danaio  suo  fu  lo  peccato  suo.  L'  arcivescovo  di  Toledo  io 
meso  a  due  vescovi  disse  :  Io  vo  in  carcere  in  meMO  a  un  grande  amico  mio^  e 
un  gran  Mimico  mio.  Tarbandosi  quelli,  seguitò  :  //  grandmi  amico  è  CimO' 
eenza,  il  nimico  ò  V arcivescovado  di  Toledo.  Silio  a*  cento  diceva ,  l' in  di 
Tiberio  essere  il  peccato  suo.  « 

'  Giaceva  infinito  macello.  Il  porre  ianaosi  agli  occbi  b  gran  virtù.  Ta- 
cito se  ne  compiace  molto  in  questi. libri,  come  qui,  e  altrove. 
3  *  Gaio  Cesare.  Caligola. 

*  *  covertandq,  coprendo. 

S  *  balioso,  forzuto;  da  balia,  forta  ,  potenza. 

^  *  ciurmante ,  ciurmatore ,  ingannevole  »  frodolento. 


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IL  LIBRO  SSSTO  IHKILI  AMIlàLI.  923 

dicesse  11  domandalo.^  Condotto  adanqoe  Traballo  sa  per 
qaei  greppi,  e  domandato;  predisse  appunto  lo  imperio»  e 
ciò  dbe  doveva  avvenire  a  Tiberio;  il  quale  commosso  gli  do^ 
mandò,  se  egli  aveva  studiato  la  nascita  sua'  e  qaal  fortana 
corresse  qaelFanno  e  quel  di.  Egli  calcnlato  tempi  e  aspetti 
de' pianeti,  prima  si  rimescolò,  poi  atterri;  e  qnanto  più 
squadrava,  piA  gli  s'arricciavano  i  capelli:  finamente  gridò, 
che  in  gran  punto,  e  forse  ultimo  era.  Allora  Tiberio  l'ab- 
bracciò, e  rallegrossi  ch'ei  s' era  apposto  del  pericol  suo,  ma 
non  dubitasse.  E  sempre  quanto  disse,  ebbe  per  oracolo,  e 
Ini  per  intrinseco  amico. 

XXII.  Io  veramente  per  questo  e  altri  casi  somiglianli, 
giudicar  non  saprei,  se  le  cose  de'  mortali  vengono  per  de- 
stino e  ferma  necessità,  o  pure  accaso.  I  savi  maggiori  anti- 
chi e  loro  sètte  discordano,  tenendo  molti,'  gl'iddii  nen 
tener  conto  di  nostro  nascere  o  morire,  nò  in  breve  di  noi 
uomini  :  però  i  bnoni  aver  male,  e  i  rei  bene  le  più  fiate. 
Altri ^  dicono  in  contrario,  che  le  cose  il  lor  fato  portano 
non  da'  pianéti^'  ma  da  principii  e  cagioni  naturali,  che  in- 
trecciate tirano  l' una  l'altra;  ma  ci  lasciano  arbitrio  d'eleg- 
gerci qual  vita  vogliamo:  e  a  quella  eletta,  le  cose  per  natura 
tirate  avvengono.  Né  sono  beni  e  mali  quelli  che  al  volgo 
paiano:  anzi  molti  dalle  avversità  combattuti,  tollerandole 
con  forteza,  son  beati;  e  per  le  gran  ricchese  i  più^  male 
usandone,  miser issimi.  Le  destinate  cose  per  lo  f  unto  del 

<  *  Giova  uflire  il  fatto  con  più  chiaressa  da  G.  Dati  ;  «  Ogni  volta 
eh' e' voleva  con  qualche  aatrologo  consigliarsi  e  saper  qualche  cosa  dell'avve- 
nire ,  usava  di  salire  sopra  la  più  alta  parte  della  sua  ahitasione,  né  altri  voler 
seco  che  uno  de'suoi  liberti,  il  quale  delle  kttere  era  ignonata,nui  del  corpo  ga- 
gtiardo  e  poderoso,  tt  Uberto  andava  iananù  per  etiti  luoghi  saasoti  e  dirupati 
(perciocché  era  la  casa  posta  in  au  un  maaso),  e  l'astrologo  dal  qnale  voleva  Ti- 
berio fare  isperimento,  lo  seguitava  ;  e  avvenendo  che  Tiberio  o  di  menaogna  o 
di  malina  so^ettassa  di  lai  nel  suo  pronosticare,  lo  fKCva  nello  scender  ddla 
rupe  dal  liberto  gettare  in  mare  che  era  quivi  appiè  del  masso,  aceiocdi' e' non 
potesse  rivelar  quelle  cose  di  eh'  egli  era  «tato  da  Ini  domandato.  » 

'  *  sua ,  propria  ;  di  se  stesso,  non  di  Tiberio. 

'  *  Gli  Epicurei,  cbe  negavano  la  divina  provvidann. 

*  *  Gli  Stoici. 

9  non  da*  pianeti.  Se  il  cielo  ha  fona  in  noi,  Dante  nel  SS  del  Purgatorio 
ne  tratta  divinamente: 

II  Cielo  i  vostri  movinMnti  ioixia ,  ee. 


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2'24  IL   LIBKO  SBSTO  DEGLI  ANNALI. 

nascere,  avvengono  a' più  de' mortali,  ma  perchè  alcuni  le 
pronosticane  al  contrario  per  inganno,  o  ignoranza  dell'arte, 
ella  non  è  creduta.  E  por  di  chiare  sperienze  ne  ha  vedoto 
Tantica  età  e  la  nostra;  avendo  il  figliuolo  del  detto Trasnllo, 
predetto  a  Nerone  Timperio,  come  si  dirà  a  suo  tempo  per 
non  allontanarci  pia  dal  proposito. 

XXIII.  Nel  detto  consolato  si  pablicò  la  morte  d' A^inio 
Gallo  per  digiuno:  se  volontario  o  no  incerto  è.  Cesare  do- 
mandato, se  si  dovea  seppellire,  ebbe  faccia  di  dire:  a  Come 
no?»  e  dolersi  del  caso  che  '1  ci  avesse  tolto  prima  che  udir 
sue  ragioni,  come  fosse  in  tre  anni  mancato  tempo  di  giudi- 
care quel  vecchio  consolare,  e  padre  di  tanti  consolari.  A 
Druso^  fa  levato  il  cibo:  e  nove  di  visse*  rodendo  la  mise- 
randa lana  de' materassi.  Vuole  alcuno,  che  Macrone  avesse 
ordine,  che  pigliando  le  armi  Seiano,  traesse  Druso  di  pala- 
gio^ dove  era  sostenuto,  e  lo  desse  per  capo  al  popolo.  Ma 
perchè  si  diceva  che  la  nuora  e  '1  nipote  tornavano  in  gra- 
zia, Tiberio  non  che^pentere,'  ne  incrudelì. 

XXIV.  E  rimproverò  al  morto  il  laido  corpo,  e  Tanimo 
pestifero  a'  suoi  e  nimico  alla  republica,  e  fece  leggere 
ciocch'egli  aveva  detto  e  fatto  di  per  di.  Atrocità  non  udita: 
avergli  tenuto  tanti  anni  raccoglitori  de' ma' visi,  sospiri, 
borbotti.*  E  che  un  avolo  gli  potesse  udire,  leggere,  publi* 
care,  chi'l  crederrà?  ma  ci  scuole  lettere  di  Azio  centurione, 
e  Didimo^iberto,  che  ragguagliavano  puntualmente:  «  Il  tale 
schiavo  all'uscir  di  camera  lo  battè:  il  tale  lo  spaventò.  »— 

'  *  Il  Ms.  cancella;  «  Dnuo  ancora  morì  dì  lame,  sostentatosi  nove  di  eoi 
cibo  miserando  de'okaterassi.  »  Druso,  figlio  diGermanico.  Vedi  sopra,  lib.  V,iO. 

^'novm  dì  visse*  Anche  qui  rappresenta  quesU  morte  tragica,  come  DanU 
qaella  del  conte  Ugolino ,  con  pietà  sopr'  umana.  Lo  fa  viyere  anch'  egli  nove 
giorni ,  e  tra  '1  quarta  e  '1  sesto ,  i  quatto  figliuoli  ;  forse  perchè  l'etk  che  cresce 
consuma  più  il  cibo  che  quella  che  solamente  si  Autre  :  o  pure  la  più  robusta  si 
regge  più. 

S  *peHlerej  pentire.  Dante,  Inf.j  XXVII,  il6: 

Né  penten  e  Tolere  insieme  poos'si. 

*  *  raeeoglUori  dti*  ma*  visi,  sospiri,  borbotti.  Il  Lat.  h%t  m  qui  vmltum, 
gemitms  oeeultitm,  ttiam  murnutr  exciperenf.  »  Per  ma^  visi  ornali  visi  s'ba 
da  intendere  le  guardature  sinistre,  che  potessero  far  sospettare  qualche  ostile 
disegno  covato  dentro. 


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IL  LIBRO  SB8T0  DEGLI  ANNALI.  225 

«Ed  io  (si  Tanta  Azio*)  le  tali  parole  (erribili  gli  accoccai; 
ed  egli,  morendo,  sputò  le  cotali:»  e  conta,  come  prima 
fece  11  pazo,  e  mandava  a  Tiberio  colali  bestemmie  sciocche; 
poi,  disperato  della  vita,  sensate:  che  avendo  egli  occiso  la 
naora,  il  figlinolo  del  fratello,  i  nipoti,  e  pieno  dì  morti  latta 
la  casa,  ne  patisse  le  pene  dovute  al  nome  e  nobiltà  de'  suoi 
passati  e  avvenire.  I  padri  davan  pure  in  su  la  voce  a  eh! 
leggeva,  quasi  abominassero;  ma  tremavano  e  stupivano, 
cbe  osasse  si  sagace  uomo  e  copritore  di  sue  magagne,  la- 
sciare ivi  leggere  e,  quasi  rotto  il  moro,*  vedere  il  suo  ni- 
pote bastonare  dal  centurione,  percuotere  dalli  schiavi,invano 
chieder  del  pane. 

XXY.  Le  lagrime  non  eran  rasciutte,  quando  s' intese, 
Agrippina  (che  dovette,  morto  Seiano,  voler  vivere  per  qual- 
che speranza^,  veduto  che  la  crudeltà  seguitava,  essersi 
levata  il  cibo,  se  già  non  le  fu  tolto,  perché  tal  morte  pa- 
resse volontaria.  Tiberio  scagliò  di  lei  cose  bruttissime,  e 
che  morto  Asinio  Gallo  suo  adultero,  le  fu  noia  il  vivere.  Ma 
Agrippina  ne  volle  troppo:'  si  strusse  di  regnare;  e  per  le 
cure  virili  lasciò  i  vizi  delfe  femmine.^  Soggiunse  Cesare, 
che  ella  era  morta  in  tal  di  che  fu  gastigato  Seiano  due  anni 
innanzi:  se  ne  facesse  memoria;^  che  per  la  bontà  di  lui' 
non  mori  di  capestro ,  né  gittossi  alle  Gemonie.  Funne  rin- 
graziato, e  ordinato  che  il  di  diciassette  d'ottobre,  che  ambo 
morirono,  ogn'  anno  s' ofTeresse  un  dono  a  Giove. 

'  si  vanta* jÌxio,Gìon9L  di  manigoldo; simile  a  quella  di  colui  che  nel  quin- 
dicesimo di  questi  Annali  rapporta  a  Nerone  d'aver  dicoUato  SuLrio,  con*  un 
colpo  emexo,  non  al  primo;  perch'  ei  sentisse  la  morte  secondo  il  precetto  di 
Caligola;  perchè  l'uccider  tosto  è  pielade. 

'  *  quasi  ratio  il  muro.  Il  Lat.  ;  «  tanquam  dimotis  parietibus  j  »  come 
rimosse  le  muraglie. 

^  *  ne  volle  troppo ,  non  si  contenne  nei  confini  della  moderaxione.  U  Lat. 
ha:  «  teqtù  impatiensjn  insofferente  di  egualità,  bramosa  di  soprastare. 

*  *  per  te  cure  virili  lasciò  i  vizi  delle  femmine.  Il  Ms.  cancella  ;  «  ve- 
stissi le  cure  degli  uomini,  e  de' visi  delle  femmine  si  spogliò.» 

S  per  la  bontà  di  lui.  Careza  di  Ciclope  fa  questa.  E  voglio,  Utino  mio , 
ngiarti  il  sezo,  (*)  dice  Omero. 


(*)  La  GioDtiua:  «  L*  dHìibo  mangerotti  Uiino  mio.  »  E  l' esemplare  del  Conte  Morfara 
pih  Tolte  citato,  ha:  «  E  vo>  mangiarti  il  seno,  il  mio  Utino.  «  Sezio  eon  doppia  seta.  11  luogo 
eiUtod' Omera  è  Odiuea,  IX ,  869: 

OuTiv  «y»  TTU/Aarov  tiop.cL%  /xcra  015  erapoiw. 

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226  IL  LIBAO  SESTO  DBfiLI  ANNALI. 

■XXVI.  Poco  dipoi  Cocceo  Ncrva,  che  sempre  «jl  prin- 
cipe era,  dotto  in  ogni  divina  e  umana  ragione,*  sano  e  flo- 
rido, deliberò  morire.  Tiberio  gli  stava  intorno,  pregava: 
domanda:  «  Come  è  ciò?  che  rimorso  areì,  che  fama,  se  il 
mio  più  caro  amico,  senza  veruna  cagione  fuggisse  il  vive- 
re?» Nerva  gli  voltò  le  spalle,  e  più  non  mangiò.  <C|ii  sapeva 
la  sua  mente,  diceva,  che  vedendo  egli  la  repubìica  a  mal 
partito,  volle,  per  ira  e  paura,  morire  candido  e  non  mano- 
messo. La  rovina  d'Agrippina  (chi  '1  crederrà?)  rovinò  Pian- 
Cina.  Fu  moglie  di  Gn.  Pisone:  fece  della  morte  di  Germanico 
pnblica  allegreza:  quando  Pisone  cadde,  i  preghi  d' A  gusta, 
e  non  meno  Tesser  nemica  d'Agrippina,  la  ressero:'  quel- 
la odio  e  quel  favore  mancati,  la  giustizia  ebbe  luogo  :  e  ac- 
cusata de'  peccati  già  tshiari ,  ne  pagò  di  sua  mano  la  pena 
più  tarda  che  indegna. 

XXVII.  A  tanti  duoli  e  pianti  della  città,  s'aggiunse, 
che  Giulia  di  Druse  stata  moglie  di  Nerone,'  si  rimaritò  a 
Rubellio  Blando,  il  cui  avolo  fu  da  Tivoli,  cavalier  romano, 
e  se  ne  ricordano  molti.  Al  fine  deiranno  mori  Elio  Lamia. 
Ebbe  ossequio  da  censore ,  tìtolo  di  governatore  di  Seria  e 
poi  di  Roma;  d' orrevole  famiglia  ;  prospero  vecchio;  e  per 
quel  governo  vietatoli,  pii^riputato.  Morto  pòi  Fiacco  Pom- 
ponio vicèpretore  di  Seria,  si  les$e  una  lettera  di  Cesare  che 
si  doleva,  che  i  più  valenti  e  atti  a  governare  eserciti,  ricu- 
savano le  provincia,  e  gli  bisognava  pregarne  li  consolari. 
Non  si  ricordando  che  Arunzìo,  già  dieci  anni,  non  s'era 
lasciato  ire  in  Ispagna.  Ancora  mori  quell'anno  M.  Lepido, 
della  cui  moderanza  e  savieza ,  ne'  libri  passati  assai  è  det- 
to:^ della  nobiltà,  basta  dire,^  di  casa  Emilia:  cava^  ricca  di 
cittadini  ottimi.  Ve  n'  ebbe  di  corrotti ,  ma  grandi. 

XXVIIL  [A.  di  R.  787,  di  Cr.  34.]  Essendo  consoli  Paulo 

'  *  dotto  in  ogni  divina  e  umana  ragione  ec.  U  2\fs.  ngetU:  «  d'ogni  di- 
vina e  nmana  ragione  sciente,  in  buona  fortuna  e  sanità.  » 

3  •  Vedi  sopra,  lib.  Il,  43,  55,  68,  7i,  74,  75;  Mb.  HI,  9, 15, .i7,  i8. 

'  *  Nerone,  6gUo  di  Germanico. 

•  *Vedilib.I,d35lib,  IV,20. 

8  "basta  dire  j  sottintendi ,  eh*  egli  era. 

0  *  cava.  Cosi  la  Nestiana  e  la  Cominiana.  Le  altre,  con  errora  ^eciMO, 


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IL  LIBBO  SISTO  DEGLI  ANNALI.  227 

Fabio  e  L.  Vìtelìio,  voltati  molti  secoli,^  venne  la  fenice  in 
Egitto,  materia  a  i  dotti  della  contrada  e  della  Grecia  di 
molto  discorrere  di  tal  tniracolo.  E  degno  fia,  ove  conven- 
gono, ove  discordano  raccontare.  Tatti  scrivono  esser  gue- 
st'uccello  sagrato  al  sole:  nel  becco  e  penne  scriziate,  di- 
verso dagli  altri.  Degli  anni,  la  più  cornane  é,  che  ella  venga 
ogni  ctnqaecénto.  Alcani  affermano  mille  quattrocento  ses- 
santnno,  e  che  un'altra  al  tempo  di  Sesostride,  altra  di 
Amaside,  la  terza  di  Tblommeo  terzo  re-di  Macedonia,  vo- 
larono nella  città  d'Eliopoli,  con  gran  seguito  d'altri  uccelli, 
corsi  alla  ibrmà  nnova.  £  molto  scura  T  antichità:'  da  To^ 
lommeo  a  Tiberio  fu  meno  di  dugencinqnant'anni:  onde 
alcuni  tennero  questa  fenice  non  vera  né  venuta  d^Arabia: 
e  Aiente  aver  fatto  dell'antica  memoria,"  cioè  che  forniti 
gli  anni,  vicina  al  morire  fa  in  suo  paese  suo  nidio  :  gittavi  il 
seme:  del  nato  e  allevato  feniciotto  la  prima  cura  è  di  sep- 
pellire il  padre:  accaso  no'l  fa,  ma  provasi  con  un  peso  di 
mirrala  far  lungo  volo:  se  gli  risece,  si  leva  il  padre  in  collo» 
e  in  su  l' altare  del  sole  lo  porta  e  arde  :  cose  incerte,  e 
contigiate  di  favole.^  Ma  non  si  dubita,  che  qualche  volta  non 
si  vegga  questo  uccello  in  Egitto.'^ 

XXIX.  In  Roma  continovando  le  morti,  Pomponio  La- 

*  *  VQltati  molti  secoli.  Il  Ms.  rigetta  :  «  dopo  loDgo  giro  di  secoli.  » 

^  *  È  moUo  sottra  V  antichità.  Il  Ms.  rigetta  ;  «  Ma  nell*  antichità  sono 
gran  tenebre.  » 

'  *e  niente  at»er /atto  deW\antica  memoria t  intendi;  di  ciò  che  l'^anti- 
chità  raceontara.  Il  Lat  ha  :  u  nihilque'  usttrpavisse  eat  his  guai  vetus  memo» 
Hajirmavits  »  cioè ,  come  traduce  il  Dati  :  «  nò  avere  avuto  alcuna  di  quelle 
proprietà  che  fìiron  sempre  alle  vere  fenici  dagli'  antichi  attribuite.  ** 

*  contigiate  di  favole  tUl^^M.'So^  latina,  compiof:  l'usavano  gli  an- 
tichi ,  e  diceano  contigie  le  cerimonie ,  e  ogni  abbelKmento.  In  Francia  le  donne 
di  parto  quando  nel  letto  rafiaconate  aspettano  le  visite  «  si  dicono  sUire  in  con- 
tigia.  (*) 

5  'Dante, /»/,  XXI V: 

Così  per  li  graa  savi  si  eonfessa 

Che  la  fenice  more  «  poi  rinasce, 

Quando  al  oiaqaeeentesim'  anno  appressa. 
Elba  né  biada  ia  sia  vita  aoa  pasee. 

Bla  sol  d' ineeoAo  IserioM  e  d' amomo ,    . 

E  nardo  e  mirra  son  1'  ultime  fasce. 

D  Daato,  Por..  XY: 

Non  avea  catenoUa,  Don  corona. 
Non  donne  contigiate. 


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228  IL  LlBaO  SESTO  DBGLI  ANNALI, 

beone»  che,  come  dissi,  resse  la  Mesia,  sfsegò  le  veni;  e 
Passea  sua  moglie  altresì.  Sf  pronto  era  lo  ammalarsi^  per 
fuggire  manigoldo,  e  perchè  i  dannali  eran  gUlati  affossi,  e 
publicali  lor  beni  :  ma  de' morti  prima  che  giudicati,  vale- 
vano ì  testamenti,  e  seppellivausi  i  corpi,  pregio  della  morte 
affrettala.  Cesare  scrisse  al  senato  aver  proibito  a  Labeone  H 
capitargli  a  casa,  e  solo  in  leso  disdirgli  l'amicizia  all'usanza 
antica:  m'a  egli  frugato  dalla  conscienza  dell' assassinata  pro^ 
vincia,  e  altre  colpe,  aveva  voluto  ricoprirle  col  concitargli 
quest'odio;  e  spaventato  a  sproposito  la  D[H)*glie  che,  quan- 
tunque colpevole,  non  por  lava- pericolo.  Fu  accusato  di  nuovo 
Mamerco  Scauro,  nobile,  grande  avvocato,  ma  vizioso.  Ro- 
vinoUo  non  l'amicizia  di  Seiano,  ma  l'odio  non  meno  pesti- 
fero di  Macrone,  che  usava  le  medesime  arti,  ma  più  coperto: 
e  mostrò  il  suggello  d'una  tragedia  di  Scauro,  ì  cui  versi 
s' additavano  a  Tiberio.  Ma  Servilio  e  Cornelio  l'accusarono 
d'adulterio  con  Livia,  e  negromanzia.  Scauro,  da  vero  Emi- 
lio,' non  aspettò  la  sentenza;  e  Sessizia  sua  moglie  gli  fu 
al  morire  consigliera  e  compagna. 

XXX.  Punivansi  ancora  talvolta  le  spie.'  Servilio  e  Cor- 
nelio infami  per  questa  rovina  di  Scauro,  avendo^  per  moneta 
presa  da  Vario  Ligure,  abbandonato  l'accusa,  ne  forono 
confinati  in  isole,  privali  d'acqua  e  fuoco.  E  dannalo  e  cac- 
cialo di  Roma  Abudio  Rusone,  staio  edile,  per  aver  messo 
in  pericolo  Lentulo  Getulico,  di  cui  era  stato  luogotenente 
d'una  legione,  rapportando,  che  egli  si  aveva  destinato  ge- 
nero un  figliuolo  di  Seiano.  Getulico  allora  governava  l' eser- 
cito della  Germania  di  sopra,  dal  quale  era,  per  somma  cle- 
menza e  discreta  severità,  adorato;  e  all'altro  vicino  esercito, 
retto  da  L.  Apronio  suo  suocero,  non  poco  grato.  Onde  ardi 
scrivere  a  Tiberio  (cosi  fu  ferma  fama):  a  Che  non  aveva 
cercato  il  parentado  con  Seiano  di  proprio  consiglio,  ma  di 


*  sì  pronto  era  lo  ammazarsi.  Perchè  olire  alle  ragioni  qui  dette ,  I 
vano  i  tormenti  ;  e  Tiberio  Tavèa  caro  ,  per  non  parer  quel  desso  che  a 
tutti  i  grandi.  £  le  giustisie  faceva  fare  al  sa»to  j  ed  ci  le  graiie, 

^  "  da  vero  Emilio.  Lat  :   «t  ni  digniim  veterihas  JEmiliit.   La  Giun- 
tina :  M  da  vero  emiliano.  » 

'  Punivansi.,,,  U  spie.  I  Locresi  nel  luogo  del  giudisio  tenevano  sopri  il 
capo  della  spia  un  capestro;  e  non  provando,  l'adoperavano  in  lei. 


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IL  LIBHO  §MTO  DEGLI  ANNALL  229 

Tiberio  :  Tono  come  T  altro  s' era  ingannato:  né  doveva  Ti- 
berio del  comune  errore  andar  franco,  e  gli  altri  in  perdi- 
zione. La  8oa  fede  era  intera,  e  manterrebbela,  se  non  gli 
fossero  tese  insidie  ;  mandargli  lo  scambio,  vorrebbe  dire  il 
comandamento  dell'anima.*  Però  capitolassero, come  per  lega, 
eh'  egli  si  stesse  nel  suo  governo:  '  d'ogni  altra  cosa  Tiberio 
fosse  signore.  »  Questo  fo  grande  ardimento:  ma  l'avverò' 
r  esser  costui  solo,  tra  tutti  i  parenti  di  Seiano,  rimasto  salvo 
e  in  molta  grazia:  perchè  Tiberio  si  conosceva  da  tutti  odiato, 
decrepito,  e  più  con  la  riputazione  che  con  le  forze  attenersi. 
XXXI.  [A.  di  R.  788,  di  Gr.  3tf.]  L'anno  che  foron  con- 
soli Gaio  Gestio  e  M.Servilio,  vennero  a  Roma  nobili  Parti, 
senza  saputa  del  re  Artabano.  Costui  di  fede!  che  era  a  noi, 
e  giusto  co' suoi  per  timore  di  Germanico,  divenne,  morto  lui, 
superbo  e  tiranno;  fidandosi  nelle  vittorie  ottenute  contro 
a'vicini;  spregiando  la  vecchieza  di  Tiberio,  come  non  più  atto 
all'  arme,  e  standogli  l'Armenia  in  sul  cuore.  Della  quale, 
morto  Artassia,  investi  Arsace  suo  primo  figliuolo,  scher- 
nendoci di  più  e  mandandoci  a  chiedere  il  tesoro  che  Vonone 
lasciò  in  Soria  e  Gilicia  :  che  si  rimettessero  i  confini  vecchi 
tra'  Persi  e' Macedoni  :  burbanzando  che  rivolea  quantunque 
ebbe  Giro,*  e  poi  Alessandro.  Mossero  i  Parti  '^  a  mandare  a 

*  •  vorrebbe  dire  il  comandamento  dell*  anima  j  cioè ,  sarebbe  come  un 
metterlo  dia  raccomandasione  dell*  anima  ;  osùa ,  in  cato  di  morte.  Il  LaL  ba  : 
m  saccessorem  non  aliter  quam  indicium  mortis  aceepturum  J  »  avrebbe  ri- 
cevoto  il  successore  come  un  segno  che  gli  preparava  la  morte. 

S  si  stesse  nel  suo  governo.  I  grandi  di  Francia  ai  tempi  nostri  impara- 
rono forse  di  qui  a  tenere  i  governi  per  lo  re,  contro  aUa  veglia  del  re,  e  non  vo- 
lere scambio.  Epaminonda  vedendosi  la  vittoria  in  pugno,  non  ubbidì  a' suoi 
Tebani  di  consegnar  1*  esercito  allo  scambio  mandatoli  ;  e  combattè  e  vinse  :  non- 
dimeno il  magistrato  lo  dannò  alla  morte.  Egli  disse  che  moriva  volentieri,  si 
veramente  che  nel  suo  sepolcro  si  scrivesse  :  Qtii  giace  Epaminonda  che ,  per 
avere  sì  fatto  che  la  sua  patria  poteva  usar  le  stia  giustissime  leggi,  fu  per 
quelle  fatto  morire  ingiiutamente.  AI  popolo ,  che  aveva  1'  appello ,  non  ne 
patì   l'animo,  e  liberollo. 

'  *  ma  l*  avverò  t  lo  rese  credibile. 

*  *  burbanzando  che  rivolea  quantunque  ebbe  Ciro ,  vantandosi  con 
bnrbansa  e  minacce  che  avrebbe  ripreso  a  fona  tutto  ciò  che  fu  posseduto  da 
Ciro  ec.  Lat.  :  «  seque  invasurum  possessa  Cyro  et  Alexandre^  per  vanilo- 
quentiam  et  minas  iaciebat,  » 

B  *  Mossero  i  Parti  ec.  Intendi  che  Sinnace  e  Abdo  persuasero  a'  Parti  di 
spedire  a  Roma  segreti  ambasciadori. 

I.  20 


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230  IL  LIBRO  SESTO  DEGLI   ANNALI. 

Roma  di  segreto,  principalmente  Sinnace,  di  gran  famiglia 
e  riccheza,  poi  Abdo,  castrato;  che  in  Partia  non  è  dispre- 
gio, anzi  mezo  alla  potenza.  Questi  doe  con  altri  grandi, 
non  v'  essendo  chi  far  re  del  sangue  arsacido,  perchè  Arta- 
bano  gli  aveva  ammazati ,  o  eran  piccoli,  chiedevano  da 
Roina  Fraate,  figliuolo  del  re  Fraate  :  bastare  il  nome  solo  del 
sangue  arsacido  appresentato  da  Cesare  in  ripa  all'Eufrate. 

XXXII.  Tiberio,  che  desiderio  ne  aveva,  onora  e  mette 
in  ordine  Fraate  al  regno  paterno:  seguendo  suo  umore  di 
condurre  le  cose  di  fuori  con  sagaciià  e  consiglio  senz'armi. 
Artabano  saputo  il  trattato,  or  sì  stava  per  paura,  or  s'info- 
cava a  vendetta  :  la  lenteza  appo  i  barbari  è  viltà  :  il  dar  en- 
tro, atto  reale  :  nondimeno  s'attenne  al  vantaggioso;^  e  con- 
vitato Abdo,  sotto  spezie  di  favore,  gli  diede  veleno  lento: 
Sinnace  con  infinte,'  doni  e  negòci  trattenne.  Fraate  in  Sc- 
ria, lasciata  la  vita  dilicata  romana,  ove  era  avvezo  per 
tanti  anni,  e  non  potendo  reggere  quella  de' Parti,  si  mori: 
ma  Tiberio  non  lasciò  l' impresa.  Elesse  a  ingelosire  Arta- 
bano, Tiridate  del  medesimo  sangue,  e  a  racquistare  l'Ar- 
menia Mitridate  Iberò;  accordandolo  col  fratello  Farasmane 
che  possedeva  il  loro  paese:  e  tutto  il  maneggio  d'oriente 
diede  a  L.  Yitellio.  Di  costui  trovo  fama  rea  per  Roma,  e 
memorie  soze  :  ma  resse  quelle  contrade  con  antica  virtù  : 
tornossene:  e  la  paura  di  Gaio  Cesare  e  la  pratica  di  Claudio 
lo  cangiarono  in  brutto  esempio  di  servile  adulazione:'  ce- 
derno  le  qualità  prime  all'  ultime,  e  scancellò  le,  virtù  giove- 
niii  con  viziosa  vecchieza, 

XXXIII.  Mitridate  persuase  ^Farasmane  ad  aiutare,  con 
forze  0  inganni,  la  sua  impresa;  e  corrotti  con  molto  oro  i 

^'*  g*  attenne  al  vantaggioso.  Il  Lat.;  <*  valuit  tdiiitasj  »  cioè^  inrece  di 
operare  con  quelPimpefo' solito  a  qae' barbari,  si  atteone  al  partito  più  utile, 
scegUendo  una  via  più  lunga  ma  più  sicura. 

'  *  con  infinte,  con  simulasioni. 

'  esempio  di  servile  adulazione.  Caligola  roleva  esser  creduto  il  vago 
della  luna ,  e  domandò  Vitellio  :  Non  l'hai  tu  pedala  meco  giacersi  f  risposa 
attonito  con  gli  occbi  in  terra,  e  bocina  tremolante  :  j4  voi  soli  iddìi  è  dato  di 
potervi  P un  l* altro  vedere.  Seppe  far  l'arte  mfglio  quel  Gemino  che  disse  di 
si ,  e  giurò,  e  n*ebbe  venticinquemila.  —  *  Vedi  a  pag.  203,  nota  i. 

*  *  persuase.  Il  postillatore  dell'esemplare  Nestiano  di  Gino  Capponi  cor- 
regge conforme  al  testo  :  «  Mitridate  fu  il  primo  di  quei  re  che  persuase  ec.  » 


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VL  LIBBO  8B8TO  DBOLI  ANNALI.  231 

ministri  d' Arsace,  V  avvelenarono  :  e  grande  oste  d' Iberi 
r  Armenia  assali ,  e  prese  la  città  d'Artassata.  A  tali  avvisi 
Artabano  ordina  Orode,  l'altro  figliuolo ,  alla  vendetta:  con- 
segnagli gente  parta,  mandagli  da  assoldare  stranieri.  D'al- 
tra banda  Farasmane  ingrossa  d'Albani,  solda  Sarmati,  i  cai 
satrapi  detti  Sceptrachi,  presero  a  loro  usanza  presenti  e 
parte  ^  da  ogni  banda.  Ma  gl'Iberiani,  forti  di  siti,  spinsero 
per  lo  Caspio  a  furia  i  Sarmati  in  Armenia.  Gli  aiuti  de'Parti 
mal  potevan  congiugnersi,  avendo  il  nimico  presi  i  passi; 
un  solo  lasciatone  tra  '1  mare  e'  pie  de'monti  Albani,  chiuso 
la  state  da'  venti  etesii  pìgnenti  a  terra  il  mare,  che  quei 
greti  e  stagni  riempie,  che  il  verno  secca,  retropignendolo 
i  mezìgiorni.  ' 

XXXIY.  Ad  Orode  adunque  cosi  d'aiuti  sfornito,  Fa- 
rasmane ingrossato  presentava  battaglia;  e  sfuggito,  '  lo  tra- 
vagliava ;  gli  cavalcava  intomo  al  campo;  impediva  le  vet- 
tovaglie ;  metteva  guardie  a  modo  d' assedio  :  tanto  che  i 
Parti  non  usati  a  vergogna  sollecitavano  il  re  a  combattere. 
Gagliardi  erano  di  cavalli:  *  e  Farasmane  anche  di  fanti;  per- 
ché Iberi  e  Albani,  selve  abitando,  sono  al  patire  e  durare 
più  avvezi:  e  tengonsi  discesi  da'  Tessali  nel  tempo  che 
Giasone'^  menò  via  Medea  e,  figliuoli  avutone,  *  tornò  nel 
vóto  palagio  d'Eeta ,  e  nella  vedova  Coleo.  Hanno  nel  nome 
di  lui,  e  nell'  oracolo  di  Frisse  gran  divozione:  e  ninno  sa- 
crificherebbe montone,  credendosi  che  Frisso  fbsse  portato 


'  *  e  parte  ec,  e  presero  parte-  da  ogni  ec.  ;  tennero  di  qua  e  di  12i. 

^  *  i  meugiomi:  i  venti  di  messo  giorno.  Nella  Cominiana,  mezi  giorni  j 
ma  deve  scriversi  in  una  seta  parola.  Il  Valeriani  cosi  traduce  questo  luogo  : 
«  rìempioDsi  i  guadi  allo  spirar  dell'etesie:  l'austro  invernale  respinge  i  flutti 
che  riogorgando  lasciano  asciutte  le  spiaggie.  » 

S  *jtJuggito.  Il  Lai.  M  detreciantem  j  **  mentre  sfuggiva  o  ricusava  la 
battaglia. 

*  *  Gagliardi  erano  di  cavalli.  Il  Ms.  rigetta  :  «  Era  tutta  U  lor  forsa 
ne'  cavalli.  » 

B  nel  tempo  che  Giasone.  Narrano  questa  favola  Valerio  Fiacco ,  Apollo- 
nioy  Ovidio. 

^  *  ^ijìg^f^^  avittone.  Manca  la  conginnsione  anche  nella  Cominiana  :  ma 
la  restituisco  aoll'aulofitìi  della  Giuntina;  perchè  altrimenti  resta  troppo  rotto  il 
perìodo. 


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232  IL  LIBBO  SESTO  DBGLI  ANNALI. 

da  qnelP  animale  :  o  fa  lo  stendale  della  nave.  '  Messi  Tono  e 
i*  altro  in  battaglia,  mostrava  il  Parto  l*  imperio  dell'oriente, 
il  chiarore  arsacido,  e  per  centra  V  ignobiltà  ibera,  e  le 
forze  venderecce.  E  Farasmane:  «  Che  non  serviron  mai 
Parti:  quanto  era  la  loro  impresa  più  degna,  tanto  sarebbe 
la  vittoria  più  gloriosa ,  e  la  fuga  trista  e  dannosa  :  essere 
l'esercito  orrido;  il  Mede  orato:'  essi  gli  nomini;  qnei  la 
preda.  » 

XXXV.  Punse  non  pare  la  voce  dei-capitano  i  Sarmati, 
ma  ciascun  sé*  a  scagliar  via  le  frecce,  e  venire  a  furia  alle 
mani.  Vedresti  vario  combattere:  il  Parto  con  Fusata  arte  di 
correr  dietro  o  fuggire,  e  pigliar  campo  al  ferire.  *  I  Sarmati 
lascialo  Tarco,  che  poco  tempo  serve,'  avventarsi  con  aste 
e  spade:  e  ora,  come  in  battaglia  di  cavalli,  il  viso  o  le 
spalle  voltando;  ora,  come  di  fanti,  urtando  e  ferendo,  la 
caccia  davano  o  riceveano.  E  già  gli  Albani  e  gllberi  piglia- 
vano, urtavano  e  mal  conducevano  i  nimici:  ferendoli  cavalli 
di  sopra  *  e  fanti  da  presso.  Farasmane  e  Orode  dove  era 
valore  accendendo,  e  dove  pericolo  soccorrendo,  si  facevano 
molto  vedere  :  e  perciò  conosciutisi ,  con  grida,  arme  e  ca- 
valli s' affrontano.  Farasmane  più  furioso  feri  '1  nimico  per 


*  *  o/u  lo  stendale  della  nave.  Il  Lat.  :  «  seu  navìs  insigne  Jiiit  *»  G. 
Dati  :  «  se  pure  non  fu  una  nave  che  per  insegna  portava  quest'  animale.  » 

'  *  il  Meda  orato.  Il  Lat.  :  «  pietà  auro  Medoriim  agmina.  «* 
^  *  ma  ciascun  se  te.  Intendi  :  non  la  sola  voce  del  capitano  spronò  i  Str- 
inati ,  ma  ciascuno  spronò  se  stesso  a  gittar  via  le  frecce  e  à  venire  furiosamente 
«De  strette.  Il  Lat.  ha  :  «  Enin\vero  apud  Sarmatas  non  una  vox  ducisi  se 
qmsque  stimulant:  ne  pugnam  per  sa§ittas  inirentj  impetu  et  cùminus  pree- 
veniendtun.  » 

*  *  epigliar  campo  al  ferire.  Lascia  il  disU'oefet  turmas ,  che  signi6ca  : 
«  che  i  Parti  sbrancavano  e  allargavano  le  proprie  schiere.  •»  La  Giuntina  traduce 
il  distraeret  turmas,  ma  frantende  ciò  che  segue,  spaUum  ictibus  qwereret, 
voltando  :  «  allargarsi  e  dar  luogo  a'colpi  :  *»  (nel  Ms.  invece  di  dar  luogo  ai  colpi 
vedesi  cancellato,  scansare!  colpi,  che  nel  senso  e  un'istessa  ^cosa).  Onde  po- 
trebbe questo  luogo  restituirsi  cosi  :  «  Il  Parto  con  Tusata  arte  di  correr  dietro  o 
fuggire ,  allargarsi  e  pigliar  campo  al  ferire.  *»  Ma  quesU  concorrenza  di  tanti  in- 
Bniti  rende  il  periodo  spiacevole  e  non  chiaro. 

*  *  che  poco  tempo  serve.  E  franteso  :  il  Latino  ha  :  «  quo  hrevius  valemt,  » 
che  e  lo  stesso  che  minus  vedent  ;  m  nel  quale  sono  meno  valenti.  » 

0  *  ferendoli  cavalli  di  sopra  ec.  Intendi  che  la  cavalleria  feriva  il  i 
dall'  alto;  la  fanteria,  di  fronte.  La  Mestiana  ha  :  «  ferendoli  i  cavalli.  » 


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IL  LtBBO  SESTO  DBGLl  ANNALI.  233 

la  visiera  :  non  raflSbbiò,  '  perchè  fu  dal  cavallo  portato  oltre; 
e  il  ferito  da'  suoi  più  valorosi  salvato.  Ma  i  Parti  credendo 
al  falso  grido,  ch'ei  fosse  morto,  cedettero,  incodarditi,  la 
vittoria. 

XXXVI.  Artabano  si  mosse  con  tutte  le  forze  del  regno, 
e  fa  superato  dà  gì'  Iberi  più  pratichi  di  quei  luoghi;  né  per- 
ciò si  partiva,  se  Vitellìo,  legioni  adunando,  e  spargendo 
d' assalire  la  Mesopotamia,  non  gli  metteva  paura  di  guerra 
romana.  Allora  lasciò  l'Armenia,  e  fu  spacciato;  dicendovi- 
tellio  a  que'  popoli  :  a  Che  volete  voi  fare  d' un  re  che  nella 
pace  vi  scanna,  e  nella  guerra  vi  rovina?  »  Sinnace  adunque 
suo  nimico,  come  dissi,  induce  Abdagese  suo  padre,  e  altri 
per  se  disposti  *  (e  allora  vie  piò  per  le  continove  sconfitte), 
a  ribellarsi;  correndovi  a  poco  a  poi;o  quelli  che,  stati  sog- 
getti per  paura  e  non  per  amore,  trovati  i  capi  rizaron  le  cre- 
ste! *  E  già  non  rimaneva  ad  Artabano  che  la  guardia  di  sua 
persona,  gente  forestiera,  sbandita,  che  non  conosce  il  bene, 
e  non  cura  il  male ,  ma  vive  prezolata  di  far  tradimenti.  Con 
si  fatti  si  fuggi  ratto  e  lungi  a' confini  della  Scizia,  sperando 
aiuto  dalli  Ircani  e  Garmani  parenti  suoi.  In  tanto  potersi 
pantere  i  Partì,  che  amano  il  padrone  che  e' non  veggono,  e 
schifano  il  presente. 

XXXVII.  Ma  Vitellio,  essendo  fuggito  Artabano,  e  volti 
ì  popoli  a  nnovo  re,  conforta  Tiridate  a  colorire  suo  disegno, 
e  lo  conduce  co  '1  nerbo  del  suo  esercito  alla  riva  dell'  Eu- 
frate. Ivi  per  far  buon  passaggio ,  sacrificando  Vitellio  alla 
romana,  porci,  pecore  e  tori,  *  e  Tiridate  un  cavallo;  '  rife- 
riscono i  paesani:  <x  l'Eufrate  essere  senza  pioggia  ingrossato  a 

*  *  non  raffibbiai  cioè,  non  ebbe  tempo  di  ripetere  il  colpo. 

•  *  «  altri  per  se  disposti.  Il  Lai.:  «  aliosque  occullos  consiliij  »  cioè, 
participes  occulti  consiliij  che  significa  :  «  ed  altri  che  sotto  sotto  se  la  ititeDde- 
vano  con  laL  » 

'  *  rizaron  le  creste.  Il  Lat  :  «  sustulerunt  animum,  » 
^  '  porci,  pecore  e  torij  cioè,  facendo  il  sacrifizio  dello  suofetaurilia{stie, 
ove  et  tauro)  per  mostrare  d*  esser  pronto  alla  pugna ,  tosto  che  il  destro  si  por- 
gesse. Non  già  per  far  buon  passaggio  j  perchè:  «  placando  amni  n  riferiscesi 
solo  al  sacrìfisio  di  Tiridate. 

S  *  e  Tiridate  un  cavallo.  Vi  Lat.:  «  ille  (Tiridates)e^»i(m  placando  amni 
adommtsetj  «  cioè:  «  e  Tiridate,  a  rendersi  propisìo  il  fiume,  sacrificato  un  ca- 
vallo er.  •• 

20* 


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234  IL  LORO  SB8T0  DB«LI  ANNALI. 

dismisora,  fare  bianchi  giri  di  schiama  che  pareano  diademe: 
segDO  di  passo  felice.  »  E  certi  più  sottili  dicevano,  «  d^mpre- 
sa  *  nel  principio  agevole  ma  non  durevole  ;  perchè  degli  agùri 
di  terra  e  di  cielo  poote  nomo  fidarsi  y  ma  il  fiume  che  cor- 
rente è,  mostra  e  rapisce.  »  Fatto  ponte  di  navi,  passò  l'eser- 
cito ;  e  prima  venne  in  campo  con  molte  migliaia  di  cavalli 
Ornospade,  che  già  faornscito  aiutò  gloriosamente  Tiberio  a 
finire  la  guerra  di  Dalmazia;  onde  fu  fatto  cittadino  romano. 
Tornò  poi  in  grazia  del  re,  ed  ebbe  il  governo  della  Meso- 
potamia,  cosi  detta  per  essere  in  m«zo  d*  Eufrate  e  Tigri, 
incliti  fiumi.  Appresso  venne  altra  gente  con  Sinnace;  e  Ab- 
dagese,capo  di  quella  parte,  col  tesoro  e  apparecchio  del  re. 
Yitellio,  bastandogli  aver  mostrato  l' armi  romane,  fece  a 
Tiridatee  a'grandi  le  parole :«  Ricordassonsi,  egli,  d'esser 
nipote  di  Fraate  e  allievo  di  Cesaree  di  quanto  all'uno  e  al- 
l'altro dovea;  '  eglino,  di  mantenere  ubbidienza  al  re,  rive- 
renza a  noi;  e  ciascun  l'onor  suo  e  la  fede  :  »  e  tornosai  con 
le  legioni  in  Seria. 

XXXYIII.  Ho  detto  insieme  le  cose  in  due  anni  fatte 
fuori,  per  dare  all'animo  riposo  da'  mali  della  città.  Non  nd- 
tigavan  Tiberio  dopo  tre  anni  che  Seiano  fu  morto,  le  cose 
che  pur  sogliono  gli  altri;  tempo,  preghi,  satoUanza:  anzi 
puniva  i  casi  dubbi  e  stantii ,  per  gravi  e  freschi.  Per  tal  pau- 
ra, Fulcinio  Trione  non  aspettò  gli  accusanti  ;  fé'  testamen- 
to ^  pieno  di  parole  brutte  contro  a  Macrone  e  a'  principali 
liberti  di  Cesare,  al  quale  dava  di  rimbambito,  o  quasi  sban- 
dito, stando  fuor  tanto.  Le  redo  lo  trafugavano,  e  Tiberio  lo 
fece  leggere,  0  per  mostrar  pacien^a  dell' altrui  libertà,  o 
per  non  curare  sua  infamia ,  o  per  aprire  alli  eccessi  di  Seia- 
no, statovi  tanto  al  buio,  ogni  finestra,  o  per  vederne  il  vero 
in  quello  specchio  de'  suoi  vituperi ,  non  appannato  d'alito 
d' adulazione.  In  que'  giorni  si  tolse  di  vita  Cranio  MarziaDO 
senatore  accusato  da  Gaio  Gracco  di  Maestà.  E  fu  per  la  me- 

^  *  d*impresaj  cioè,  esier  segno  d*  impresa  ec. 

*  *  e  di  quanto  aWnno  e  all'altro  dovea.  U  Lai.:  «  giU9  utr^ùfne  piti- 
chra  n  cioè  :  «  e  quante  virtù  in  ambedue.  «* 

'  /e*  testamento,  Yendicavansi  de'  potenti  col  lasciarne  detto  9gui  male 
ne'  testamenti ,  che  come  voci  ahimè  eran  credute  la  stessa  veritè. 


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IL  LIBRO  SESTO  DEGLI  ANNALI.  235 

desima  dato  raliimosapplizio  a  Tazio  Graziano  slato  pretore. 

XXXIX.Trebellieoo  Rufos'ammazòdisuamano:  e  Se- 
stio  Paconiano,  per  versi  contro  al  principe  fatti  in  carcere, 
vi  fu  strangolato.  Stava  Tiberio  da  Roma  non  luitgi,  né  tra- 
mezato  dal  mare,  come  soleva,  per  aver  tosto  gli  avvisi,  e 
fare,  lo  stesso  di  o  la  dimane,  i  rescritti  a' consoli,  e  quasi 
vedere  il  sangue  per  li  rigagnoli  correre,  o  la  mano  del  carne- 
fice alzata.  ÀI  fine  dell'  anno  mori  Poppeo  Sabino  di  bassa 
mano ,  onorato  da'  principi  di  consolato  e  delle  trionfali  e 
de'  governi  maggiori  già  ventiquattro  anni,  non  per  gran  sa- 
pere, ma  per  capacità  de' negozi  bastevole,  e  non  più.* 

XL.  [A.  di  R.  789,  di  Cr.  36.]  Nel  seguente  consolato  di 

Q.  Plauzio  e  Sesto  Papinio' La  morte  di  Lucio  Aruseo 

parve  niente:  tanto  se  n'  era  fatto  il  callo.  Spaventò  bene  il 
caso  atroce  di  Vibnieno  Agrippa  cavalier  romano,  che  quando 
gli  accusatori  ebber  detto,  nel  senato  stesso  si  trasse  di  seno, 
e  inghiotti  tossico  ;  e  caduto  e  boccheggiante  fu  da'  famigli 
di  peso  portato  in  carcere,  e,  già  freddo,  arrandellatogli  la 
stroza.  '  Né  il  nome  regio  difese  Tigrane,  già  re  d'Armenia, 
allora  reo,  da  fiupplizio  cittadinesco.  Ammazaronsi  Gaio  Gal- 
ba,  stato  consolo,  per  un'aspra  lettera  di  Cesare  che  gli  vietò 
r  andare  al  governo;  e  due  Blesi,  perchè  essendo  certi  sacri 
beneficiì,  ^  destinati  per  casa  loro  quando  fioriva,  prolungati 
quando  fortuneggiò,  ora  quasi  vota  ^  dati  ad  altri  ;  intesero 
questi  esser  cenni  di  morte,  e  la  si  presero.  Lepida  Emilia 
maritata,  come  dissi,  al  giovane  Druso,  avendol  di  molte 
colpe  incaricato,  steo  la  scolorala  senza  pena  mentre  visse 

'  capacità bastevole,  e  non  pia.  I  valenti  gli  eran  sospetti:  gl'inetti, ver- 
gogna pubblica.  Tedi  la  Postilla  70  del  primo  libro  (*). 

S  *  Avverte  il  Lipsio  che  qui  manifestamente  mancano  alcuni  nomi  propri 
dii  coloro  che  furono  condannati  o  uccisi. 

'  •  e,  già  freddo  ,  arrandellatogli  la  strota.  Il  Lat.:  ufaucesqtie  iam  exa- 
ftimis  laqueo  vexatai.  u  Lo  strangolarono  sebben  già  morto,  perchè  restassero 
confiscati  i  beni,  e  passassero  in  premio  degli  accusatori!  -^  Arrandellare  e  di 
randello,  specie  di  bastoncello  che  si  usa  a  dar  la  volu  alle  funi  per  istrignerle 
fortemente. 

*  *  sacri  benefica.  Il  Lai.  :  «  sacerdotia.  » 

'  *  quasi  vota}  cioè,  quasi  che  di  quella  casa  non  ci  fosse  più  alcuno; 
quasi  che  (out  spenta  la  famiglia. 

(*)  Dì  qaesta  eduione,  noia  8,  pag.  S5. 


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236  IL  LlBaO  SESTO  DEGLI  ANNALI. 

Lepido  suo  padre  :  poi  fa  accasata  del  tenersi  an  suo  schia- 
vo: la  cosa  era  chiara:  ond'ella  senza  difendersi  s'ammazò. 
XLI.  In  tal  tempo  i  Glìtari  vassalli  d' Archelao  di  Gap- 
padocia ,  essendo  stretti  a  pagare  estimo  e  tributi  a  nostra 
usanza,  si  ritirarono  in  sul  giogo  del  monte  Tauro,  e  tene- 
vansi,  per  la  natura  de' luoghi,  centro  alla  poco  guerriera 
gente  del  re;  quando  M.  Trebellio  legato,  mandatovi  da  Yi- 
tellio  governatore  di  Sorta  con  quattromila  nostri  legionari  e 
un  fior  d' aiuti  ;  due  colli  ove  i  barbari  s' eran  posti  (  detti  il 
minore  Cadrà,  V  altro  Dayara  ),  trinceò,  e  costrinse  a  darsi, 
chi  tentò  V  uscita,  col  ferro;  gli  altri,  con  la  sete.  Tiridale  di 
volontà  de'Partì  riebbe  Niceforo  e  Antemusiada ,  e  V  altre 
città  poste  da'Macedoni  con  grechi  nomi,  e  Alo  e  Artemita, 
citta  de'Pàrti: allegri,  Tun  più  dell'altro,  d'avere  scambialo 
la  maladetla  crudeltà  d'Artabanò  allevato  tra'Scìti,  alle  pia* 
cevoleze  sperate  da  Tìridate,  condito  di  gentileza  romana. 
XLII.  Adulazione  grandissima  trovò  in  Seleucia  città 
potente,  murata:  la  quale  non  imbarberi ta,  ma  ritraente  dal 
fondator  suo  Seleqco;  di  trecento  de'  pie  ricchi  e  savi,  fa 
come  un  senato.  Il  popolo^  vi  ha  la  sua  parte:  quando  son 
d'accordo,  si  fanno  beffe  de'  Parti:  quando  si  recano  in  par* 
te,  M' una  contr'  all'  altra  chiama  aiuto,  e  'l  chiamato  si  fa  di 
tutti  signore:  come  dianzi  avvenne,  regnando  Artabano,  che 
sottomise  la  plebe  a'  grandi,  a  suo  prò,  essendo  l' imperio 
popolare  vicino  a  libertà;  quel  de' pochi ,  a  tirannia.  Or  ve- 
nuto Tiridate,  l' esaltano  con  li  onori  usati  a'  re  antichi,  e 
altri  moderni  più  ampi.  E  svillaneggiavano  Artabano,  dicen- 
dolo di  madre  arsacido,  tralignante  nel  resto.  Tiridate  lasciò 
Seleucia  a  governo  del  popolo:  e  consultando  del  quando  in- 
coronarsi, ebbe  lettera  da  Fraate  e  da  Gerone,  governanti 
il  forte  del  regno,  che  lo  pregava  d' aspettarli  un  poco.  Non 
volle  a  questi  barbassori^  mancare;  e  andò  a  Tesifonti,  re- 
sidenza dell'  imperio.  Mandandola  essi  d'  oggi  in  domane , 
Surena  lo  incoronò  con  le  usate  solennità,  presenti  molti  e 
approvanti. 


*  •  quando  si  recano  in  parte.  Il  Lai.  :  «  ubi  dissensere.  » 
»  *  barbassori,  ULat:  *  viri  profpolientes,  n 


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IL   tlBRO  SESTO  DEGLI  ANNALI.  237 

XLIII.  E  se  Del  caore  del  regoo  e  altri  saddili  ^  si  pre- 
sentava incontanente,  non  v'era  che  dire;  cedeano  lutti: 
baloccatosi  ^  nel  castello  con  le  femmine  e  '1  tesoro  che  vi 
lasciò  Artabano,  diede  tempo  a  pentirsi:  perchè  Fraate  e 
Gerone,  e  gli  altri  che  non  s'eran  trovati  a  porgli  la  diade- 
ma, chi  per  paura  chi  per  invìdia  d' Abdagese,  che  coman- 
dava la  corte  e  il  nuovo  re,  si  rivoltarono  ad  Artabano.  E  tro- 
vatolo in  Ircania,  lordo,  spunto,  '  e  sformarsi  con  l'arco;*  lo 
spaventarono,  quasi  venuti  ad  ucciderlo  :  ma  datogli  la  fede 
che  anzi  a  rendergli  il  regno ,  si  riebbe,  e  domandò  la  ca- 
gione di  sì  subito  mutamento.Geróne  rispose:  «Tiridate  esser 
fanciullo;  non  regnare  uno  Arsacìda,  un  guerriero,  ma  un 
nome  vano,  uno  straniero  moribondo:  Abdagese  esser  il  re.)» 

XLIV.  Conobbe  il  pratico  a  regnare ,  che  i  falsi  amici 
odio  non  fingono.  E  a  furia  chiamò  aiuto  di  Scizia,  e  senza 
dar  tempo  a'  nìmici  a  pensare,  nò  agli  amici  a  penter&;  corse 
via  cosi  lordo,  per  muovere  nel  volgo  rancura.  ^  Non  preghi, 
non  inganni,  non  arte  lasciò  per  guadagnare  i  dubbi,  e  con- 
fermare gli  amici.  Avvicinandosi  con  grande  oste  a  Seìeucia, 
Tiridate  era  sbattuto  dalla  fama  di  Artabano,  e  già  dalla 
presenza  ;  e  confuso  da'  consiglieri.  Alcuni  volevano  eh'  ei 
l' affrontasse  e  combattesse  subito:  «  Son  gente  accattata,  spe- 
data per  lo  lungo  cammino;  né  tutti  il  vogliono:  que'che  lo 
favoriscon  testé,  gli  eran  dianzi  traditori,  e  nemici.  »  Ma 
Abdagese  consigliava  tornare  in  Mesopotamia:  e,  difesi  dal 
fiume,  in  tanto  chiamare  aiuti  armeni,  elimei  e  altri  addie- 
tro, e  con  essi  e  que'  che  A^rnderebbe  il  capitan  romano,  ten- 
tar fortuna.  Attennesi  a  questo,  perchè  Abdagese  faceva  alto 

*  *  e  altri  sudditi  j  cioè,  e  agli  altri  popoli  soggetti. 

S  baioccatosi.  Così  non  fece  Tiberio,  che  mai  non  fa  lento  a  impadronirsi  : 
maturefacto  opus  est  j  mentre  il  cane  si  gratta ,  la  lepre  se  ne  va. 

5  *  spunto.  Vedi  Ann.  IV,  e.  28. 

^  *  con  forco,  colla  caccia. 

^  per  muovere ...  rancura»  Rancore  significa  odio,  e  si  usa  :  rancura,  com- 
passione; e  oggi  non  s'usa.  A  me  viene  rancura  della  perdita  di  questa  voce  bel- 
lissima e  he'  libri  antichi  spessissima.  Dante  nel  ventesimo  del  Purgatorio  : 

Come  per  sostener  solaio  o  tetto, 
Per  mensola  talvolta  ani  figura 
Si  vede  giagner  le  ginocchia  al  petto, 

La  quel  fa  del  non  ver  vera  rancura 
Nascer  a  obi  la  vede. 


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238  IL  LlBaO  8B8TO  DBftU  ANNALI. 

e  basso,  '  e  Tiridate  non  er^  aperto.  Partironsi  come  in  foga: 
gli  Arabi  cominciarono  e  gli  altri  segairono  d'andarsene  a 
casa  0  nel  campo  d' Artabano  ;  e  Tiridate  con  pochi  in  Soria 
si  ripassò,  e  cosi  liberò  tutti  dal  biasimo  del  tradiménto. 

XLV.  [A.  di  R.  700,  di  Gr.  37.]  Nel  detto  anno  in  Roma 
s' apprese  gran  fuoco  che  arse  Aventino  e  la  parte  del  Gercbio 
congiuntagli;  del  qual  danno  Cesare  cavò  gloria,  pagando 
per  la  valuta  delle  case  e  isolati,  '  milioni  dna  emezo  d'oro: 
liberalità  cotanto  più  grata  a  tutti,  quanto  meno  murava  per 
se.'  Nò  fabbriche  publiche  fece,  che  *  il  tempio  d'Agusto  y  e 
la  scena  al  teatro  di  Pompeo;  e  quelle,  finite,  non  consacrò: 
sprezando  ambizione;  o  per  troppa  età.  Fece  slimare  il  danno 
di  ciascuno  da  quattro  mariti  di  sue  bisnipoti,  Gn.Domizìo, 
Cassio  Longino ,  M.  Vinicio,  Rubellio  Blando  ;  e  i  consoli  no- 
minaron  P.  Petronio  per  quinto.  Molti  onori  furono  al  prìn- 
cipe, secondo  gl'ingegni,  gbiribizati '^  e  vinti:  nò  si  seppe 
quali  accettasse  o'no,  per  la  presta  morte.  Entrarono  consoli 
sezai  a  Tiberio,  Gn.  Acerronio  eGaio  Ponzio,  salito  già  Ma- 
crono  in  troppa  potenza,  che  s*  era  prima,  e  più  allora,  gua- 
dagnato Gaio  Cesare ,  a  cui ,  morta  la  moglie  Claudia ,  pre- 
stava la  sua£nnia,struita  d'innamorare  e  legar  di  matrimonio 
il  giovane  che,  per  montare  all'imperio,  nulla  disdiceà;  e  le 
false  infinte  ^  avea  (  benchò  nomo  rotto)  imparate  in  collo 
air  avolo  ;  il  quale  conoìscendolo,  dubitava  a  quale  de'  due 
nipoti  lasciar  la  republica. 

XLYI.  Il  figliuol  di  Druse  era  sangue «uo,  e  piò  caro;  ma 
troppo  tenero:quel  di  Germanico,  nel  fiore  della  gioventù,bra- 

'  jébdagese  faceva  alto  e  basso.  Il  Lat.  :  «  plurima  auctoritas  penes 
Abdagesen.  «•  Dati  :  «  Abdagese  era  quegli  cbe  goirernavi  ogni  cosi.  » 

9  isolati.  Ceppi  di  case,  a  moto  comune  congiunte.  Spaniano  dice  che 
furono  335.  Nfel  quindiceaimo  di  questi  Annali  ai  dice  che  in  Roma,  dopo  cbe 
arsa  fu  (  forse  per  fattura  di  Nerone),  si  rifecer  le  stnde  larghe,  ordinate, diritte, 
le  traverse  a  misura ,'  le  piasse  maggiori ,  le  case  non  si  site ,  co'portici  aTanti, 
cinte  ciascuna  di  suo  proprio  muro  spiccato  dal-  vicino  ;  come  ancora  noi  veg- 
giamo  le  nostre  torri  e  case  antiche  per  sicuresa  delle  arsioni',  e  divisioni  delle 
cittk.  Vedi  il  Upsio  a  398. 

3  *  meno  murava  per  se.  Il  Lat.  :  •  modictts  pfivaUs  adijicationihus.  » 

*  *  che,  fuorché. 

B  *  ghiribizàii,  inventati,  immaginati. 

B  *  false  infinte,  maligne  simnlasioni,  o  infingimenti. 


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IL  LIBBO  8BST0  DEGLI  ANNALI.  239 

mato  da  tutti;  perciò  l'odiava.  Pensò  a  Claudio,  d'acconcia  età 
e  stadioso  di  booue  arti;  ma  era  scemo.  Successor  d' altra  fa- 
miglia era  alla  memoria  d'Agusto,  al  nome  de'  Cesari  onta  e 
offesa:  ed  egli  slimava  più  la  fama  negli  avvenire,  che  la  grazia 
de'  presentì,  Qaello  adunque ,  che  non  potè  egli  per  lo  dub- 
bioso ànimo  e  infermo  corpo  fare, lasciò  al  destino: mostrò  bene 
per  motti  d'antivederlo,  come  quando  a  Macrone  rinfacciò  : 
«  Tu  volti  le  spalle  al  sole  occidente,  e  il  viso  all'  oriente.  » 
E  a  Gaio  Cesare  che ,  ragionando ,  si  rideva  di  Siila,  prono- 
sticò: «Tu  arai  tutti  i  suoi  vìzi,  e  ninna  delle  virtù.  x>  E 
baciando  con  molte  lagrime  il  nipote  minore,  a  lui  che  ne 
faceva  viso  arcigno,^  disse:  «  Tu  ucciderai  costui,  e  altri  te.» 
Aggravando  nei  male,  non  lasciava  pur  una  delle  sue  radi- 
cate libidini  ;  e  per  prò  parere,  pativa  :  *  e  anche  era  usato 
ridersi  de'medici  *e  di  chi,  passati  i  trenta  anni,  *  domandava 
altrui,  che  gli  sìa  sano,  che  no. 

XLYII.  In  Roma  intanto  si  gittavano  i  semi  delli  am- 
mazamenti  dopo'^  Tiberio  ancora.  Lelio  Balbo  accusò  di  mae- 
stà Acnzia,  moglie  già  di  P.  Vitellio.  Fu  dannata:  ordinossi 
il  premio  all'  accusante  :  Gìunio  Olone  tribuno  della  plebe 
r  impedi  :  ambi  n' acquistare  odio,  e  Olone,  appresso,  l'esi- 
glìo.  Dipoi  Albucilla ,  quella  dalli  tanti  amadorì,  stata  moglie 
di  Satrio  Secondo,  scopritore  della  congiura  ,  fu  rapportala 
per  insidiatrice  del  prìncipe;  e  con  lei,  come  scienti  e  adul- 
teri, Gn.  Domizio,  Vibio  Marso,  Lelio  Arunzio.  Dello  splen- 
dor di  Domizio  dissi  di  sopra.  ^  Marso  ancora ,  per  antichi 

^  *  che  ne  faceva  viso  arcigno.  È  assai  che  non  abbia^  coftie  il  Dati,  tra- 
dotto :  «  che  lo  guardava  a  stracciasacco.  «• 

'  pativa:  nascondeva,  dissimulava  i  dolori  del  morbo ,  per  parer  sano. 

'  Adersi  dei*  medici.  Leggiadramente  dice  il  Cavalca  :  «  Avicenna  conta 
«•  molti  mali  delle  medicine.  Sono  velenose,  fiaccano  la  natura,  fanno  più  pre- 
ft  sto  invecchiare,  votano  col  tristo  umore  il  buono,  parte  deVitali  spiritile 
•»  molta  virtù  delle  membra.  Chi  a' medici  si  dk,  a  se  si  toglie.  AstSnenn  è 
m  somma  medicina  a  sanità  di  corpo,  e  d*  animo.  »  Vedi  Annco  Roberto,  lib.  I, 
cap.  5. 

*  *  edi  chi,  passati  i  trenta  anni  ec.  Dati  :  «  e  di  coloro  i  quali, dopo  pas- 
sati i  trent*  anni  avesson  bisogno  e  domandassero  dell'  altrui  consiglio,,  per  saper 
le  coste  eh'  erano  utili  o  nocevoli  a*  corpi  loro.  ** 

S  *  dopo,  per  dopo  :  cioè;  anche  pel  tempo  che  seguirebbe  dopo  la  morte 
di  Tiberio. 

•  *  di  sopra  ilY,U, 


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240  IL  LIBRO  8B8TO  DBGLI  ANNALI. 

onori  e  letlere  rìlaceva:  ma  quei  vedersi,  per  lo  processo 
lettosi  in  senato,  che  Macrone  i  testimoni  interrogò,  i  servi 
collo;  e  quello  non  avere  lo  imperadore  contro  costoro  niente 
scritto ,  0  per  non  sapere  o  per  la  infermità  ;  davan  sospetto 
di  calugne  false  *  di  Macrone ,  per  la  nota  nimicizia  sna  con 
Aranzio. 

XLYIII.  Perciò  Domizio,  pensando  a  sua  difesa,  e  Mar- 
so,  quasi  deliberato  morir  di  fame,  non  s' uccisero.  Aronzìo, 
dagli  amici  confortato  al  medesimo,  rispose:  «  Non  a  ogn'uno 
star  bene  le  medesime  cose  :  esser  vivuto  assai;  nò  aver  da 
pentirsi  che  d' essersi  lasciato  calpestare  già  da  Seiano ,  or 
da  Macrone,  sempre  da  qualche  potente;  e  perchè?  per  non 
tollerare  le  loro  scelerateze.  Quando  passasse  questi  pochi  di 
che  Tiberio  può  vivere,  come  scamperebbe  dal  giovane  che 
succede  ?  Se  la  natura  del  dominare  aveva  mutato  e  guasto 
Tiberio,  di  tanta  sperienza;  come  poteasi  aspettar  meglio  di 
Gaio  Cesare  fanciullo,  ignorante,  scorretto,  alle  mani  di  Ma- 
crone ?  il  quale  eletto  a  spegner  Seiano,  come  più  tristo  di 
lui,  travaglia  la  republica  più  tristamente.  Antivedeva  ser- 
vitù più  crudele:  però  fuggiva  i  mali  presenti  e  soprastanti.» 
Cosi  quasi  profetò,  e  svenossi.  Quanto  egli  ben  facesse,  per 
le  cose  che  seguirono,  apparirà.  Albucilla  si  dette  piano:*  il 
senato  la  incarcerò.  De'mezani  alle  sue  libìdini,  Grasidio  Sa- 
cerdo,  seduto  pretore,  fu  portato  in  isola;  Ponzio  Fregellano , 
raso  del  senato;  Lelio  Balbo  ebbe  Tnno  e  V  altro  con  applau- 
so; essendo  parso  dicilor  sanguinolento  contro  gV  innocenti. 

XLIX.  In  quei  giorni  Sesto  Papinio,  di  famìglia  conso- 
lare, si  diede  morte  subita  e  laida,  gittatosì  da  alto.  Diceyasi, 
perchè  la  madre,  già  rimandata,  l'aveva  con  careze  lascive 
indotto  a  cosa  che  non  seppe  sgabellarsene  che  con  la  mor- 
te. Ella  ne  fu  accusata  in  senato:  gittossi  alle  ginocchia  de' pa- 
dri ;  e  molto  durò  a  dire  del  suo  fiero  dolore  di  cotal  caso,  e 
della  compassionevole  donnesca  fragili tade  :  nondimeno  fu 

*  *  calugne  false.  La  calugna  ba  gik  in  se  l'idea  di  falsitk  ;  ma  qui,  o  »ta 
per  semplice  accusa,  o  le  è  dato  quel!'  aggiunto  per  enfasi,  a  significare  chela 
loro  falsità  era  manifesta:  cosi  sopra,  c»p,^b,/alse  injinte:  ed  anco  il  popol 
nostro  sebbene  sappia  che  bacchettone  e  falso  dinoto,  pure  non  crede  dire  assai 
se  non  òxct  falso  bacchettone, 

'  *  si  dette  piano,  non  si  feri  mortalmente. 


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IL  LIBRO  SBSTO  DEQLI  ANNALI.  241 

sbandata  «della  città  per  dieci  anni  :  intanto  a  queir  altro 
figliuol  minore  sarebbe  passato  il  furor  giovenile.  ^ 

L.  Già  il  corpo,  già  le  forze  abbandonavano  Tiberio,  ma 
non  rìnfiogere.  Gol  medesimo  fiero  animo,  volto  e  parlare  ; 
e  tal  volta  con  piacevoleze  sforzate,  copriva  sua  manifesta 
mancanza.  A  ogni  poco  mutava  luogo  :  e  finalmente  al  capo 
dì  Miseno,  nella  villa  già  di  Lacollo,  '  si  giadicò.  *  Qaivl  la 
sua  fine  venata  si  conobbe  così:  soleva  Garicle,  gran  medico, 
ne' mali  del  principe,  se  non  medicarlo, dargli  consigli.  Venne 
a  lui  quasi  per  sua  bisogna ,  e  presol  per  mano  ,  come  per 
amorevoleza,  gli  tastò  il  polso.  Ei  se  n'  accorse  ,  e  forse  adi*  . 
rò;  ma  per  non  parere,  fece  venir  vivanda,  e  si  pose  fuor 
del  solito  a  mangiare,  quasi  per  onorar  l' amico  nel  suo  par- 
tire. Carìcle  accertò  Macrone,  cbe  il  polso  mancava,  e  non 
ve  n'  era  per  due  giorni.  Adunque  quivi  trattando ,  e  fuori 
spacciando;  *  agli  eserciti  e  a  tutto  provvidero  sollecitamente. 
Alti  sedici  dì  marzo  misvenne:  e,  stimandosi  passato.  Gaio 
Cesare  con  gran  torba  di  rallegratori  usci  fuori  per  farsi,  la 
prima  cosa,  gridare  imperadore.  Eccoli  nuova,  che  a  Tiberio 
torna  vista  e  favella,  e  cfaiedea  cibo  per  ristoro  del  ^o  sfini- 
mento. Cadde  il  fiato  a  tutti:  chi  andò  qua,  chi  là;  ciascuno 
si  faceva  mesto  e  nuovo.  Cesare  attonito  ammutoli,  come  ca* 

*  il  furor  giùveniÌB.  Facezia  tanto  più  bcUa ,  qoanto  in  qncsto  antof  più 
rarej  più  forse  per  la  graTÌtk  della  etorìa,  che  per  iaa  Datura  t  essendo  i  sali 
e*  parlari  nrbaai  proprii  de'  grandi  ingegni.  La  lingua  nostsa  n'è  vaga,  e  piena. 
Sono  cosa  gentile ,  e  fanno  Dell'  uditore  più  effetti  buoni  s  impara  scnaa  fatica 
quello  che  non  ayebbe  trovato  egli;  maravigliasi ,  rallegrasi;  e  pargli  esser  ama- 
to ,  perchè  chi  noi  non  amiamo  ,  non  ci  curjamo  di  tener  allegro.. 

'  villa  già  di  Zticuilo.  t*  comperò  Borini  cinquantamila  dugento  da 
Cornelia ,  cbe  Taveva  comperata  settemila  cinquecento  dall'erede  di  Mario  ;  tanto 
crebbe,  dice  Plutarco ,  in  si  breve  tempo  la  riccheaa  di  Roma  e  la  pompa. 

B  si  giudicò.  Si  fermò  nel  letto,  caduto  e  abbandonato  sema  più  forca,  balia 
o  gina  (*)  da  poter  muoversi.  Questo  significa ,  giudiairsi.  (**)  —  *  si  giudicò. 
il  latino  ha  semplicemente  «  consedit^  »  che  dicerto  non  ha  tutti  quei  signifi- 
cati che  il  traduttore  attribuisce  nella  postilla  al  verbo  giudicare. 

*  *  quivi  trtMoHdo,  e  fuori  spacciando  ce  A.  Politi:  «  subito  si  comin- 
ciarono a  sollecitare  le  spedisioni,  in  voce ,  con  quelli  che  erano  presenti,  e  per 
corrieri,  «'legati  e  agli  eserciti.»  Ill4it.ha:  minde  cuncta  coUoquiis  interpr^' 
sentas,  mmiiis  apudlcgaios  et  txcrcitus  fcsHnabantur.  » 

n  glaa  «  vocabolo  del  Pataflo,  ed  «  tinonioio  di  balU,  fona,  potMtta  ee. 
n  !•>  CnM«a  registra  fkulkan  in  senso  di  atUndmunt  con  questo  solo  esemplo  del 
Davaaaali. 

I.  21 


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242  IL  LIBIO  SISTO  DIGLI  ANNALI. 

dato  di  eìeìo  in  abisso.  Macrone  coraggioso  disse  :  a  Affoga- 
te! ne'  panni,  e  ogn'  nn  se  ne  rada.  » 

LI.  Tal  fine  ebbe  Tiberio*  d'anni  settantotto:  figlinolo  di 
Nerone:  di  casa  daadia  anehe  per  madre ,  benché  adottata 
nella  livia,  e  poi  nella  giolia.  Sin  da'primi  anni  corse  dubbia 
fortuna,  perchè  col  padre  ne  andò  in  eslglio:  entrato  figlia- 
stro in  casa  Agusto,  T  urtarono  molti  e  molti,  viventi  Mar- 
cello e  Agrippa,  poi  Gaio  e  Lucio  Cesari  ;  e  Druse,  suo  fra- 
tello, aveva  più  grazia  co'  cittadini.  A  partiti  pessimi  facon 
la  moglie  Giulia,  non  potendo  Tostica  sua  disonestà  inghiot- 
tire né  spotare.  Tornato  da  Rodi ,  fu  della  vota  casa  del  prìn- 
cipe dodici  anni  padrone ,  e  da  ventitré  imperadore.  Variò 
con  li  tempi  i  costumi:  di  vita  e  fama  ottima  fa  qaanto  visse 
privato,  o  comandò  «ulto  A  gusto  :  coperto,  e  di  finte  virtù, 
viventi  Germanico  e  Druse  :  tra  rio  e  buono ,  vivente  la 
madre  :  crudelissimo  e  pieno  di  lussurie  nascose ,  meatre 
Seiano  amò  o  temè.  All'  ultimo  la  die  pe  '1  mezo  ^  a  tutte  le 
scelleraggini  e  sporcizie,  quando  rimossa  ogni  tema  e  vergo- 
gna, secondò  sua  natura. 

*  Taljine  ebbe  Tiberio,  Gli  fa  parallelo  un  grande  de' tempi  lUMtri,  che 
patendo  di  simili  sBnimentl,  ne  gli  venne  uno,  che  durato  oltremodo,  ne  poten- 
dosi mancare  delle  dovute  onoranze ,  vennero  i  prosici.  Al  primo  taglio  gridò  : 
seguitarono  per  lo  migliore.  Radamisto,  còme  dice  questo  autore  nel  dodicesimo, 
affogò  ne'  panni  la  sorella  e  1  aio.  (*) 

*  *  la  die  pe'l  mteso  ec.  Lat  ;  m  in  seelera  giorni  «e  dgdec^ra  prò- 
rupìL  »  Il  Dati  :  «  si  lasciò  andare  strabocobevolBiente  in  ogni  sorte  di  viti^rìi 
e  scelleratezie.  » 

(*)  Nell'esemplare  Giontiao  òtì  Conte  Morttra  qaesta  postilla  è  abbreviata  così:  «  €ii 
fa  parallelo  mi  grande  de'  tempi  nostri  che ,  morendo ,  vennero  i  eenwici  a  fargli  le  dovete  ono- 
cMiis.  Al  primo  toglie  si  liaeatt.  flegnitnren»  per  le  adgliore.  »  11  fatto  di  Radamiste  non  è 
.àtato  nella  Rinatine. 


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343 

IL  LIBRO  UNDECIMO  DEGLI  ANNALI  ' 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  Valerio  Asiatico,  per  infame  accusa  di  Messalina,  muore  yoleniieri. — 
IV.  Sogao  rovÌD06o  a  certi  cavalieri.  -^  Y.  Legge  ciocia  chiesta  contro  i  per- 
fidi-aTrpeati. —  VI.  Loro  •Mrario  taaaalo.  •—  Vili.  Diicorilia  na' Parti.  Go- 
tane  battuto,  ai  rifa.  — IX.  Riamicasi  a  Bardane,  —  X.  il  quale  è  ucciso  da' 
suoi.  —  XI.  Ludi  secolari.  Domisio  Nerone  destinato  àlP  impero.  — XII.  Mes- 
salina impana  par  Sìlio.  -»  XIII.  Ciavdio  non  ci  bada.  Fa  leggi.  Trova  nuove 
lettere.  -~  XIV.  Toccasi  de'  loro  inventori.  —  XV.  Decreto  aupli  aruspici.  — 
IVI.  Si  dà  un  re  a'Ghemsci.  —  XVfl.  Di  che  nasce  discordia  e  guerra  tra 
loro.  —  XVIII.  Corbalona  tiao  aotto  i  Cauei  :  duro  a'  soldati.  —  XIX.  Ricom- 
pena  i  Friaiì:  uccide  Gannasco.  —  XX.  Glaudi(Kgli  stringa  la  briglia.  Apre  uo 
csDale  tra  la  Mosa  e'I  Reno:  trionfa.  —  XXI.  Così  pure  Curxio  Rufo.  ~- 
XXII.  Nooio  rovìM.  Dei  gladiatori  e  dei  questori.  — XaIII.  1  GalK  ambiscono 
•Ila  eìttadiaania  e,  patrocioaute  il  principe,  P ottengono j  primi  gli  Edm.  h 
senato  aopplito:  il  lustro  fatto.  — XXVI.  Messalina  imbestia  di  libidine  :  piglia 
Silio aeoza  rispetti:  turbasene  la  corte.  —  XXIX.  Narciso  per  sue  baldracchc 
le  fa  la  ^ia. — XXXI.  Claudio  teutauBa  :  Messalina  rinfaloooisca. — XXXII.Sco- 
parta,  si  raccomanda  per  una  Vestale.  —  XXXIIl-XXXVI.  Narciso  aixaa  il 
principe  dubbioso:  ribotta  le  preghiere:  i  rei  son  puniti. 

Coriódi  dve  anni. 

Adlio  Vitkluo. 

L.  VlMAHO  PnUOOLi. 


Aq.  di  Roma  DGCCi.    (di  Cristo  48.  )  —  Conioli. 


*  Manca  tatto  l' impero  di  Caligola  a  6  anni  di  Chudio.  —  C  Cesare  Ca- 
ligola ,  coecadato  a  Tiberio  Tanno  790 ,  tesno  4  anai  l'impero»  svergognato  per 
infami  libidini  e  crudeltà.  I»  età  di  29  anni  cadde  morto  per  mano  di  Cassio  Cha- 
rea.  Mentre  peoaavaai  a  restiUàre  la  repabblka,  i  pretorìmi  coUevarooo  Tiberio 
Claudio,  figlio  di  Druao  e  fratello  minore  di  Germanico.  Il  quale,  da  buoni  prin- 
cipii,  linaci  a  pesaimo  600,  aggirilo  dalle  perfide  vogUe  di  Narciso  libarlo  a  dalla 
nii^lie  Messalina.  Costei  non  meno  disonesta  che  avara ,  dopo  spenti  per  amor 
di  rapina  i  principali  cittadini,  infierì  su  Valerio  Asiatico ,  per  la  vagioBie  che  qui 
racconta  Tacito. 


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244  IL  LIBRO  UNDECIMO  DEGLI  ANNALI. 

I creden- 
do *  che  Valerio  Agiatico,  statò  due  volte  consolo,  già  si  gia- 
cesse con  Poppea,*  e  anche  adocchiando'  il  giardino  che  com- 
perato già  da  Lacullo,  egli  con  superba  magnificenza  abbel- 
liva, fece  lai  e  lei  da  Suilio  accusare;  e  Glaadio  qaasi  per 
carità  avvertire  da  Sosibio,  aio  di  Britannico,  «  che  questi 
tanto  ricchi  e  potenti  non  fanno  pe'  principi:  e  che  Asiatico 
principale  nella  morte  di  Gaio,  ardi  confessarla  in  parlamento 
al  popol  romano:  e  se  ne  vanta,  e  vassene  per  Roma  chiaro: 
e  per  le  provincie  corre  fama  eh'  ei  vada  a  sollevar  gli  eser- 
citi di  Germania;  che,  come  nato  in  Vienna  e  potente  per 
molti  e  gran  parentadi,  gli  saria  facile.»  Claudio,  senz'  altro 
intendere,  spedisce  Crispino  capitano  della  guardia,  con  gente 
in  furia,  quasi  ad  opprimere  una  guerra:  trovalo  a  Baia,  le- 
galo, menalo  a  Rom9. 

II.  Non  ini  senato,  ma  in  camera,  presente  Messalina, 
Suilio  gli  rinfacciò,  aver  con  denari  e  lussurie  corrotto  i  sol- 
dati ad  ogni  bruttura,  adulterato  Poppea,  servito  col  corpo 
suo  per  femmina.  A  questo  ruppe  il  silenzio,  e  disse:  «Ti 
faran  fede  i  tuoi  figliuoli,  Suilio,  che  io  son  maschio.  »  En- 
trato a  difendersi,  mosse  molto  a  Claudio  l'animo,  e  a  Mes- 
salina le  lagrime.  Esce,  per  asciugarle,  di  camera,  e  comanda 
a  Vi  telilo*  che  non  lo  lasci  scappare;  e  sollecitando  la  rovina 
di  Poppea,  manda  a  spaventarla  di  carcere  '  e  indurla  a  ac- 
cidersi,  tanto  senza  saputa  di  Cesare,  che  pochi  giorni  poi, 
mangiando  seco  Scipion  suo  marito ,  il  dimandò,  perchè  fusse 
venuto  sènza  la  moglie.  Rispose  esser  morta. 

III.  Consigliandosi  dell'  assolvere  Asiatico,  Vitellio  pia- 
gnendo, ricordato  quanto  tempo  erano  stati  amici  e  divoii 
di  Antonia  madre ,  e  quanto  Asiatico  fatto  avea  per  la  repo- 

*  crédendo;  cioè  Messalina,  moglie  di  Claudio. 

'  Figlia  di  Poppeo  Sabino  (V.  Ann.  VI,  39  )  e  madre  di  quella  Poppea 
che  fu  moglie  di  Olone  e  Nerone.  (V.  Ann.  XIII,  43,  45.) 

S  adocehimtdù.  La  cagione  dell' acema  non  fu  tanto  il  crederlo  adnltens 
quanto  il  desiderio  di  conBscargli  qne'raoi  bellissimt  giardini,  che  furono  già 
edificati  da  LucuUo  colle  riccbesie  rapite  a  Mitridate  e  a  Tigrane.  Erano  don 
oggi  è  Monte  Pincio. 

*  Padre  di  quel  Vitellio  che  fa  poi  imperatore.  (  V.  Ann.  VI,  SI.  ) 
9  di  carcere,  minacciandola  del  carcere. 


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IL  LIBBO  UNDBCIMO  DBGLI  ANNALI.  245 

blica ,  e  in  questa  guerra  di  Britannla,  e  altre  cose  che  pa- 
reano  dette  per  muover  compassione;  conchinse  potersi  al 
misero  far  grazia  dì  morte  a  sua  scelta,  e  Claudio  gliele 
fé'  ^  con  eguali  parole  pietose.  Confortandolo  alcuni  a  morte, 
per  digiuno  meno  aspra,  Asiatico  disse:  <x  Io  vi  ringrazio.» 
E  dopo  sue  usate  cure,  levatosi,  mangiato  allegramente,  di- 
cendo che  gli  sarebbe  stato  più  onore  esser  morto  per  saga- 
cità  di  Tiberio,  o  per  furore  di  Gaio,  che  ora  per  frode 
d'una  femmina,  è  per  la  bocca  di  Yiteliio  impudica;  si  segò 
le  vene.  E  prima  veduto  il  rogo  suo,  comandò  rifarsi  altro- 
ve, acciò  il  vapore  non  abbronzasse  le  piante.  Di  si  fermo 
cuore  fu  sino  all'  ultimo. 

lY.  Itagunato  poi  il  senato,  Suilio  seguitò  d'accusare 
due  illustri  cavalieri  romani,  detti  ambo  Pietra ,  per  aver 
prestato  la  lor  casa  agli  abbracciari  di  Poppea  con  Meneste- 
re;'  e  a  uno  di  loro  fu  apposto ,  aver  sognato  Claudio  coronato 
di  spighe  voltate  allo  indietro ,  e  indovinatone  carestia.  Altri 
dicono  di  pampani  sbiancati ,  e  pronosticato  che  il  principe 
morrebbe  allo  scorcio  di  quello  autunno.  Certo  ò  che  ambi 
morirono  per  un  sogno.  Crispino  ne  ebbe  trentasetlemilacin- 
quecento  fiorini  d' oro,  e  le  insegne  di  pretore,  f  A  Sosibio, 
soggiunse  Vitellio ,  diasene  venticinquemila^  da  eh'  ei  dà  si 
buon  precetti  a  Britannico,  e  consigli  a  Claudio.  »  Richiesto 
anche  Scipione  di  sua  sentenza,  disse:  ci  Sentendo  io  de'  pec- 
cati di  Poppea  come  tutti;  fate  conto  che  io  abbia  pronun- 
ziato come  tutti.  »^  Con  si  gentil  temperamento  fu  marito 
amorevole,  e  grave  senatore. 

Y.  Suilio  continuò  di  fare  accuse  crudeli,  e  molti  segui- 
tarono il  suo  ardimento:  perciocché  mettendo  il  prìncipe  le 
mani*  nelle  leggi  e  ne' magistrati,  apersela  via  alle  rapine; 

*  gliele /e*,  glie  la  fece:  cioè,  Claudio,  a  preghiera  di  Vitellio,  fece  ad 
Aatattco  la  graiia  di  potersi  scegliere  la  morte. 

S  Mfenestere  :  pantomimo  famoso ,  gik  mig^one  di  Caligola  e  or  drudo  di 
Messalina.  Alcune  edisioni  invece  àìMnesteris  leggono  Valerii, 

^  come  tatti.  Parole  accorte  che  recavano  questo  doppio  senso:  «Niun 
credendo  vera  la  reità  di  Poppea,  neanch'io  la  credo.  »  E  ancora  i  «  Credo  vero 
l' apposto ,  e  anch'  io  sentensio  come  gli  altri.  »  Cosi  schivò  il  pericolo ,  né  tradì 
in  tutto  la  verità. 

*  mettendo,,»,*  U  mani  ec.  ;  cioè ,  traendo  a  sé  tutti  gli  ufficii  delle  leggi  e 
àù  magistrati. 

2t 


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246  IL  LIBRO  CMDBCIXO  DIGLI  ANNALI. 

né  vi  ebbe  mercanzia  di  più  spaccio  che  i  tradimenti  degli 
avvocati.  Onde  Samio  cavalier  romano  de' primi,  avendo  a 
Suiiio  dato  diecimila  fiorini ,  vedutosi  messo  in  mezo,  s'in- 
filzò, in  casa  di  lai,  in  sulla  spada.  Per  lo  qual  caso,  comin- 
ciando Gaio  Silio,  eletto  consolo  (della  cui  potenza  e  morte 
dirò  a  suo  tempo ^),  si  levan  su  ì  padri,  e  chieggono  si  osservi 
la  legge  cincia,*  che  nluno  per  difender  cause  pigli  presente 
né  paga. 

VI.  Sclamando  que'che  n'  aspettavan  vergogna ,  Silio , 
contro  a  Suiiio,  dicea  vivamente:  «  Gli  antichi  dicitori  aver 
veduto,  il  vero  premio  dell'  eloquenza  essere  la  fama  eterna. 
Il  fare  la  reina  dell'  arti  sordida  bottegaia,  esserle  troppa 
macchia;  né  potere  essere  lealtade  in  chi  serve  chi  più  ne 
dà:  '  difendendosi  senza  mercede,  scemerebbono  le  liti:  nu- 
trirsi orale  nimicìzie,  l'accuse,  i  rancori,  le  ingiurie ,  affin- 
chè, come  le  molte  malattìe  la  borsa  empion  a'  medici,  così 
la  peste  del  piatire,  agli  avvocali.  Ricordassonsi ,  che  Gaio 
Asìnio  e  Messalla,  *  tra  i  moderni  Arrunzio  ed  Esernino,  '  sa- 
lirono in  grande  altura  per  facondia  e  per  vita  candida.  » 
Piacque  questo  dire  a  tutti ,  e  ordinavasi  di  condannargli 
nella  legge  del  mal  tolto.  Quando  Suiiio  e  Gossnziano  ^  e  gli 
altri  vider  trattarsi,  non  della  loro  colpa,  eh'  era  chiara,  ma 
delia  pena,  accerchiano  Cesare  e  preganlo  che  perdoni  il 
passato.  Ei  chinò  il  capo,  ed  essi  cominciarono: 

VII.  a  Qual  esser  di  loro  si  superbo  che  si  prometta 
fama  eterna?  Ogni  cosa  ingoierebbono  i  potenti,  se  non  fas- 

<  dirò  «  suo  tempQ.  Vedi  qui  appresso  i  cap.  iS  e  35. 

>  /a  legge  cincia,  «  Legge  concernente  i  donativi  e  i  regali.  Fu  fatta  da 
M.  Gittcio  Alimento  tribuno  della  plebe  l'anno  di  Roma  550  ;  ita  in  disuso,  fu  ri- 
stabiliu  da  AugusfQ  con  giunti  che  chi  prendesse  in  mercede,  restituir  dovesse 
quattro  volle  tanto.  Claudio  la  moderò  concedendo  di  poter  ricevere  sino  a  dieci- 
mila sestersi,  oltre  a'  quali  si  diveniva  reo  di  mal  tolto.  *•  (R.  Pastore.) 

^  in  chi  serve  ec,  in  colui  che  serve  chi  paga  più  largamente. 

*  C.  Asinio  PoIIione  amico  d'Orazio  (V.  Od.  II,  i,  i4.  Sat.  I,  \0,  iS  )  e 
di  Virgilio  (V.Egl.  Ili,  $4-S9),  e  Messala  Corvino,  amico  e  patrono  di  Ti- 
bullo :  erano  fioriti  circa  SO  anni  avanti. 

B  Arrunzio  ed  Esernino.  Del  primo  vedi  lib.  VI,  48  ;  l' altro  fu,  nipote 
di  Asinio  PoUione. 

^  Cossuziano  Capitone ,  genero  di  Tigellino  e  accusatore  di  Trasea  ^  fu 
condannato  di  mal  tolto  (^répeìundtirum)  l'anno  810. 


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IL  LIBRO  UMDEGmO  DEGLI  ANNALI.  247 

sero  gli  avvocati  che  non  s' addoUoraiio  senza  spesa,  e  i>er 
attendere  agli  altrai  fatti^  lasciano  i  propri.  Chi  vive  della 
guerra,  chi  dell' agricoltara:  ninno  vorrebbe  far  nulla,  che 
non  credesse  approdare.  ^  Asìnìo  e  Afessalla  arricchiti  delle 
guerre  tra  Antonio  e  Agusto,  ei  gli  Esernini  e  gli  Arronzi 
di  grosse  ereditadi,  potettero  esser  magnanimii:  ma  P.  Glodio 
e  Gaio  Gorione  »  posero  pregi  alle  loro  dicerie:  ognun  sa 
quanto  ingordi.  Sé  esser  poveri  senatori,  dalla  republicanon 
volere  altro  che  esser  lasciati  fare  nella  città  quegli  avanzi 
che  la  pace  può  dare.  V  artefice  lavora  per  andar  un  di  in 
civile:  ^  chi  leva  i  premii,  leva  l'industria,  come  meno  pre- 
giata. »  Parve  al  principe  questo  parlare  a  proposito,  e  tassò 
le  mercedi  sino  a  fiorini  dugencinquanta  :  il  soprappiù  s' in- 
tendesse mal  tolto. 

Vili.  In  questo  tempo  Mitridate,  '  che  fa  re  dell'Arme- 
nia, e  presentato  a  Cesare,  *  come  dissi ,  ^  tornò  p^  consiglio 
di  Claudio  al  regno,,  confidato  nel  poter  di  Farasmane  suo 
fratello,  re  d' Iberia,  che  V  avvisava,  i  Parti  essere  in  di- 
scordia, la  sovranità  dell'  imperio  in  forse,  il  resto  in  non 


'  approdare,  xcoare  utile  o.gaaiagao.  Nuce  da  proj  utile,  vantaggio. 
Dante ,  In/.,  XXI  :  che  gli  approda?  che  utile  gli  fa)  —  Pietro  Pietri  nelle  Po- 
stille Ms.,  a  questa  sentensa  :  «  Niuno  vorrel)be  far  nulla,  che  non  credesse  appro- 
dare, **  così  nota  :  «  Questo  e  vero  ;  ma  non  essendo  i  piati ,  non  sarebbero  avvó- 
w  Citi  e  procuratori ,  quali  sarél^ero  astretti  imparare  uh'  altra  arte  con  manco 
H  mina  ddla  repuLIica.  S'appicca  una  lite  od  contado ,  in  una  villa  o  villi^io, 
m  per  una  gallina  imbolata,  un  albero  taglialo ,  un  termine  mosso ,  due  palmi  di 
m-  terra  usurpata  :  si  dà  nella  lite  :  chi  la  perde  nel  contado  appella  alla  cittk  ;  dalle 
f*  cittk  alle  Provincie,  regni,  imperii.*  d'ivi  da  un  fóro  all'altro  sino  al  supremo , 
»  dove  doventa  immortale  sensa  speranaa  di  fine,  se  la  medicina  non  fa  da  se  »  e 
m  cbe  le  parti  non  hanno  più.da  spendere.  Guardai  alla  camera  imperiale  di  Spira 
j>  quante  liti  vi  siano  ancora  pendenti ,  quante  spese  per  questa  cagione,  quante 
m  le  persone  ridotte  al  pentolino.  E  volesse  Iddio  che  costì  si  fermasse  il  male,  e 
**  che  non  andasse  serpendo  col  suo  veleno  sino  a  quelli  che  hanno  ancora  il  gu- 
M  scio  sul  capo  ,  anzi  non  sono  nati  ancora  !  Quivi  tornano  i  rancori ,  si  ripiglia 
»  il  piato  dove  gli  antenati  l' hau  lasciato ,  e  sin  che  non  sieno  finiti  e  smunti  an- 
Hi  eh'  essi,  dura  la  peste  a  travagliare  il  mondo  e  sperperar  le  famiglie.  A'consi- 
M  gU^ri  tocca  d' avvertire  i  principi ,  a  loro  di  vendicarci.  » 

S  Andar.^,  in  cwile,,  in  abito  civile.  XaX.  :  **  toga  enit^Here*  » 

S  Mitridate.  (V.  Ann.  VI,  32,  33.) 

*  a  Cesar€,t  a  Caligola^ 

9  come  dissi:  c^rtantcnte  nei  libri  dove  faceva  la  storia  di  Caligola,  e  che 
ora  son  perduti. 


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248  IL  LIBRO  UNDBCOIO  DBGLI  AMIÀU. 

cale.  Perchè  Gotarze,  tra  l'altre  sue  crudeltà ,  ordinava  di 
far  morire  Artabano  sao  fratello ,  con  la  moglie  e  figliuolo. 
Onde  gli  altri  impauriti,  chiamaron  Bardane.  Egli  pronto  a 
gran  rischi,  corre  trecentosettantacinque  miglia  in  due  di: 
caccia  Gotarze  sprovveduto  e  spaventato:  piglia,  senza  dar 
tempo,  gli  stati  vicini:  soli  ì  Seleuci  lo  ricusarono:  centra  i 
quali,  come  ribelli  ancora  di  suo  padre,  s' accese  di  più,  che 
non  chiedea  quel  tempo:  e  s' intrigò  in  assediare  quella  eittà 
potente,  vettovagliata,  e  forte  di  mura  e  fiume.^  Intanto  Go- 
tarze con  aiuti  de' Dai!  e  Ircani,  '  rinnuova  la  guerra;  e 
Bardane  costretto ,  lasciato  Seleucia ,  s'  accampa  ne'  Bat- 
triani.  * 

IX.  Le  forze  d' oriente  cosi  divise,  e  dubbie  ove  sì  gel* 
tasserò,  diedero  a  Mitridate  occasione  di  occupar  l'Armenia; 
e  co'  soldati  romani  disfoce  le  forteze,  e  insieme  con  gì'  Iberi 
corse  la  campagna  senza  resistenza,  e  ruppe  Demonatte  ca- 
pitano degli  Armeni,  che  ardi  rivoltarsi.  Tenne  un  poco  la 
puntaglia  *  Goti  re  dell'  Armenia  minore,  che  vi  mandò  per- 
sonaggi: ma  per  lettere  di  Cesare  si  ritirò,  e  il  tutto  colò  in 
Mitridate,  più  atroce  che  regno  nuovo  non  vuole.  Ma  ordi- 
nandosi i  due  capitani  parti  a  for  battaglia,  repente  s'accor- 
dano, per  le  congiure  de'  lor  popoli,  da  Gotarze  scoperte  ai 
fratello.  Abboccansi  dapprima  alquanto  guardinghi,  poi  si 
danno  le  destre,  e  giurano  su  l' altare  di  vendicare  la  fraade 
de'  nimìci,  i'  uno  all'  altro  cedersi.  Parve  più  atto  Bardane 
a  tenere  il  regno;  e  Gotarze,  per  levar  gelosia,  se  n'  andò  in 
Ircania.'^  Seleucia  s'  arrese  a  Bardane  ritornato,  non  senza 
vergogna  de'  Parti,  da  lei  sola  beffati  self  anni. 

X.  Prese  poi  le  più  forti  provincie  :  e  ricoverava  l' Ar- 
menia, se  Vibio  Marso,  legato  in  Seria,  non  lo  ritirava  con 


^  JUtmei  il  Tigri. 

*  Dati  e  IrcanL  Oggi  DahitUtn ,  Gurhm,  tuUa  riva  oecideatilt  del 
Cupio,  Matanderan  e  Coretm. 

*  La  Baetrìana,  nel  cuore  dell'Alia,  stenderasi  dall'oriente  della Peimia 
ai  monti  Hinulaya. 

*  Tenne  un  poco  la  ptmUiglia,  Tener  la  puntaglia,  che  dieesi  anche  XV- 
nere  il  fermo,  vale  Reggere  o  lostenere  l' impeto  nemico  senaa  dare  indietro. 

»  La  Heatiana  ha  per  errore  •  se  n'  andò  in  Francia.  » 


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IL  LIBRO  UMMGIMO  DB6LI  ANNALI.  240 

mìnaceìargll  guerra.  Gdtarze  dell'  aver  ceduto  il  regno  sì 
rifiente;  richiamandolo  la  nobilté,  cai  nella  pace  è  più  dar^ 
il  servire;  fa  {[ente.  Bardane  al  passar  del  fiume  Brindo  *  as- 
sai lo  combatte  e  vince;  e  con  felice  battaglia  piglia  tette  le 
nazioni  sino  al  fiume  Gindeno*^he  divide  i  Daii  dagli  Arii. 
Quivi  unirono  le  sue  felicità:  perchè  non  piacendo  a' Parti, 
benché  vittoriosi,  il  guerreggiar  si  discosto;  egli  tornò  in 
dietro,  rizatovi  trofei  e  memorie  di  sua  potenza,  e  come  a 
ninno  Arsacido,  innanzi  à  lui,  dato  aveano  quelle  genti  tri- 
buto? gran  gloria,  che  Io  fé' più  feroce  e  insopportabile 
a'  suoi:  i  quali  s'unirono  e,  con  ordito  inganno,  in  caccia, 
lui  non  sospettante,  uccisero  giovanetto.  Ma  pochi  vecchi  re 
fur  si  chiari,  se  egli  avesse  stimato  il  farsi  amar  da'  suol , 
come  temer  da'  nimicì.  La  morte  di  Bardane  confuse  i  Parli, 
non  sappiendo  chi  farsi  re.  Molti  volevano  Gotarze:  alcuni 
Meerdate  figliuolo*  di  Fraate,  datoci  per  ostaggio.  Vinse  Go* 
tarze.  Ma  entrato  in  possesso  con  crudeltà  e  pompe,  forzò  i 
Parti  a  mandare,  segretamente  pregandolo,  al  romàno  prin- 
cipe, che  lasciasse  venir  Meerdate  al  paterno  regno. 

XI.  La  festa  de'  cent'  anni  *  si  vide  quest'  ottocentesimo 
dopo  Roma  edificata,  e  sessantaquattresimo  da  che  la  cele- 
brò Agosto.  Quello  che  movesse  1'  uno  e  l'altro  principe  a 
celebrarla,  lo  narro  appieno  nella  Storia  di  Domiziano,*  che 
la  fece  anch' egli,  e  io  n'ebbi  più  briga,  trovandomi  allora 
de^  quindici  *  e  pretore.  Non  lo  dico  per  vanagloria;  ma  per- 
chè questa  era  di  quel  collegio  antica  cura ,  e  per  mano 
de'  magistrati  passavano  le  cirimonie.  Sedendo  Claudio  alla 

I  ■ 

*  Erindo,  Il  Rykio  non  trovan'do  ricordato  da  altri  questo  fiume ,  so- 
apttta  che  invece  di  Erinden  debba  leggersi  Charindam,  fiume  ricordato  da 
Tolomeo  «  che  lo  pone  tra  h  Media  e  l' Ircania. 

*  Gindeno.  Légge  GyTtdent  altri,  Sinden, 

^J!gliuolo,  Era  nipote,  nato  di  Vonone.  Dicono  che  Meerdate  ,  in  diracio 
dialetto,  significhi  lo  stesso  che  Mitridate;  cioè  «  dato  da  Milhra.  » 

*  La  festa  de*  eenf  anni  ,  la  festa  o  ludo  secolare.  «  Simili  fette  dato 
•▼èva  Angusto  l'anno  di  Roma  737  sotto  i  consoli  C  Fumio  e  G.  Silano.  Ora- 
sio  ne  compose  l'inno.  »  (  R.  I^store.  ) 

8  nella  Storia  di  Domiziano,  la  quale  ora  è  perduta. 

*  de*  ifuindici,  m  Quindi  h  che  neUe  monete  d'Augusto  appartenenti  alle 
feste  aecobri  si  leggono  queste  lettere  XVSF,  cioè:  «  Quindecempiri sacris  fa- 
c/i»Nf<y.  I*  (R.  Pastore.)    . 


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950  IL  LIBRO  ONDBCmO  DBQU  iKMALI. 

festa  circense,  ove  rappresentavano  il  glnoco  di  Troia*  nobili 
donzelli  a  cavallo,  e  tra  gli  altri  Britannico,  nato  deU'impe- 
radore,  e  L.  Domizio  addottato,  poi  snccedato  e  dello  Nero- 
ne; parve  predirgliele'  il  favore  della  plebe  verso  loi  più 
ardente:  e  contavano  cbe  nella  calla,  quasi  a  guardarlo, stet- 
tero due  serpi.  Favole  e  maraviglie  da  stranieri:'  perchè  egli 
che  non  abbassava  le  cose  sue,  solea  dire  esserglisene  ve- 
duta in  camera  una  sola. 

XII.  Ma  recava*  questo  ardore  dalla  memoria  di  Ger* 
manico,  delta  cui  stirpe  non  v'era  altro  maschio,  e  T accre- 
sceva la  compassione  d'Agrippina  sua  madre,  imperversata  ' 
sempre  dall'empia  Messalina,  e  allora,  più  che  mai.  Ma  dal 
trovar  le  cagioni  e  accusatori,  la  svagava  il  nuovo  amore  di 
G.  SiHo,  giovane  il  più  bello  di  Boma,  di  coi  era  sì  perdala 
che,  per  godersi  tutto  l' adultero,  fece  ch'eli  scacciò  Gionia 
Sillana  sua  moglie  nobilissima.  Conosceva  SiHo  lo  suo  pec- 
cato e  pericolo:  ma  il  vedersi,  negandole,  spacciato;  il  po- 
tarlo forse  frodare;^  i  doni  grandissimi,  illècero  andare  oltre 
e,  in  tanto ,  godere.  Ella  alla  libera  gli  andava  a  casa  con 
gran  comitiva:  uscito,^  T accompagnava:  gli  versava  tesori: 


*  ChiamaTasi  Trota  una  giostra  equestre  solita  farsi  nel  circo  dai  gioTaoi. 
Virgilio,£'n.,V,  trad.  di  A.  Caro: 

Questi  tornlamenti  e  queste  giostra 
RinnoTb  posoia  Aseanio^  alUr  cIl'  ereste 
Alba  la  looga  :  appresergli  i  Latioi;     . 
Gli  manteoner  gli  Albani ,  e  d' Alba  a  Roma 
Far  trasportati ,  e  vi  eoa  oggi  ;  e  come 
E 1'  oso  e  Roma  e  i  giuochi  deridati 
Son  da' Troiani ,  hanno  or  di  Troia  il  aooie. 

^  parve predfTgliele,  predirgli;  fiorcaliiiisino ,  cornagliele  per  gliilO' 
Parve  che  il  favore  della  plebe  gli  piredicesse  l'impiero. 

s  Favole  e  maraviglie  ec.  Vedi  Dtoae  Caa»io,.  I.XI,  2  ;  e  Svetonio  in 
Ner,  e.  6. 

*  Ma  recava j  cioè,  ma  il  popolo  recava» 

*  imperversata ,  fatta  segno  alla  pervertita  ;  tormentata ,  ioealaata  dalla 
perversità. 

*  frodare,  nascondere;  cioè,  il  suo  peccato.  Anche  il  LaiX.  fallare  inumo 
di  latere'. 

'  tucito  ec.  Lat.  :  «  tgressibus  adhterescer^e  :  »  lo  si  conduceva  fuori  a 
braccetto.  QucsU  loeuaione  popolare  non  vedesi  nella  Crusca,  ma  è  nolaU  nelk 
Giunte  del  Tomm^èo. 


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IL  LIBBO  UNracmO  DBGLI  ANNALI.  251 

lanciava  onori:  finalmente  i  seryi,  i  liberti,  arredo  del  qaasi 
scambiato  principe,  si  rodevano  in  casa  V  adatterò.^ 

XIII.  Ma  Glaodio,  cbe  queste  tresche  non  sapeva  della 
sua  moglie,  badando  a  fare  il  censore;  riprese  agramente  la 
popolar  licenza  ne'  teatri ,  d' aver  detto  vitoperH  di  Pom- 
ponio '  stato  consolo  (che  componeva  versi  .agli  strioni),  e  di 
donne  nobilissime.  Contro  alle  ingorde  usare  fece  legge , 
che  ninno  prestasse  danari  per  pagare  '  all%  morte  del  padre. 
Condusse  nella  città  V  acqua  delle  fontane  sotto  i  colli  Im- 
brnini.*  Aggiunse  nuove  lettere  air  abbicci;  veduto  che  an- 
che il  greco  '  fu  da  prima  imperfetto. 

XIV.  Gli  Egizi  far  primi  a  significare  i  concetti  della 
mente,  e  le  memorie  umane,  per  figure  d' animali  scolpite 
in  sassi,*  che  ancor  se  ne  veggono  delle  antichissime;  e  di- 
consi  trovatori  delle  lettere.  Averle  poi  i  Fenici,  possenti  in 
mare,  portate  in  Grecia: e  delle  cosa  apparata,  per  trovata, 
fattisi  belli;  ^  essendo  fama,  che  Cadmo  con  armata  di  Fenici 
passatovi,  insegnò  leggere  a  que' Greci,  allora  rozi.  Alcuni 


*  in  casa  l'adultero,  dell'adultero!  al  modo  fiorentino;  ma  qui  reca 
anfibologia. 

S  Pùtttpùnio,  Qaeali  è  Publio  Ponponio  Secondo,  poeta  tragico,  di  cai  Pli- 
nio il  Tcccbio  scriMe  la  vita,  facendtdo  etempio  di  virtù.  (H.  H.  XIV,  6.  )  Qoia- 
tiliano  lo  giudica.il  migliore  de' tragici  contemporanei,  ma  aggiunge  cbe  i  vec- 
cbi  lo  stimavano  poco  tragico ,  sebbene  gli  dessero  la  palma  nella  erudisione  e 
nella  elegania.  Poneva  infinita  cura  di  piacere  al  popolò.  (  ìnH.  Or,  X,  i.)  Pli- 
nio  il  giovaoc  ncconla  (  Ep.  XII,  i7  )  cbe  m  quoMta  9W>  intimo  amico  gli  di- 
ceva M  Togli  qua,  »  e  a  lui  non  paresse  di  dover  togliere,  conehiudevm  con 
dire:  m  Me  ne  rimetterò  al  popolo  ;  »  e  così  secondo  l'applauso  o  il  silenzio 
di  esso,  lasciava  o  levava*  Tanto  deferiva  dat^iùdiaio  popolarci 

S  per  pagare,  da  restituirsi.  £  assai  cbe  non  abbia  tradotto  :  «  vietò  i 
babbimorti  I  » 

*  i  colli  Imhruini.  «  Sono  qveati  colli  tra  il  luogo  ora  appellato  ratma- 
Aefto  dal  Sacfo  Speco  ,■  e  SuUaco.  Son  questi  i  confini  dell'agro  romano  all'est. 
Di  «juesl^ acquedotto  vedi  Plinio,  XXXV ,  16,  d.  iO.  «•  (  R.  Pastore.  )  Alcuni  te- 
sti invece  d>  tmbminis  leggono  Simbruinis.  il  magnifico  acquedotto  cbe  con- 
dmsfl  in  Roma  le  fontane  Cwrtia  e  Centlem  fn  cominciato  da  Caligola  e  termi- 
nato da  Claudio,  da  cui  prese  il  oMne  di  Acqua  Claudia.  Se  ne  vedono  ancora 
degli  avaui. 

>  il  greco  j  sottintendi,  abbiccì» 

'  in  /«j^;  sugli  obelischi. 

'  peir  trovata,  fattisi  belli  j  se  ne  fecero  belli)  come  m  fosse  loro  inven- 


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2IS2  IL  UBRO    OMDBCUIO  BEGLI  ANNALI. 

scrivono,  che  Cecrope  ateniese^  o  Lino  tebano  *  trovarono 
sedici  lettere ,  e,  ne' tempi  di  Troia,  Palamede  argivo  tre, 
altri  poi  l'altre,  e  massimamente  Sìmooide.  Insegnolle  in 
Italia  a' Toscani  Damaralo  corintio;  agli  Aborigini  Evandro 
d'  Arcadia.  Furano  i  latini  caratteri,  quei  de'  Greci  antichis- 
simi. Avemmo  anche  noi  prima  poche  lettere,  poi  se  n'  ag- 
gionsero;  come  àa  Claodio^  le  tre;  '  mentre  dominò ,  usate , 
poi  scartate:  e  se  ne  vede  nelle  tavole  di  bronzo,  morate 
nelle  corti  e  ne'  tempii  per  pqblicare  i  decreti. 

X\.  In  senato  propose  sopra  il  collegio  degli  aruspici, 
che  tanta  scienza,  in  Italia  antichissima,  non  si  trasandas- 
se; «  etessersene,  in  molti  travagli  della  republica,  chiamati 
ì  maestri  per  rimetterla,  e  meglio  osarla:  averla  i  grandi  di 
Toscana,  volontari  o  spinti  da' padri  di  Roma,  ritenuta,  e 
lasciata  nelle  famiglie:  ora  non  si  stimare,  per  la  cornane 
trascoranza  dell'  arti  nobili,  e  per  attendersi  alle  supersti- 
zioni forestiere  :  andarci  ogni  cosa  prospero  ;  ma  doversene 
ringraziare  i  benigni  iddìi:  e  non  valere  ì  sagrì  riti,  neir av- 
versità osservati,  nelle  felicità  dismettere.»  I  senatori  ordina- 
rono che  i  pontefici  vedessero  qoanto  dovessero  gli  araspici 
ritenere  e  osservare. 

XVI.  Nel  detto  anno  i  Cherosci,  avendo  per  le  civili 
guerre  spenti  i  grandi,  chiederono  da  Roma  Italo  per  re, 
solo  rimase  di  stirpe  reale,  nato  di  Flavio,'  fratel  d'Arminio, 
e  di  madre  nata  di  Catumero,  principe  de'  Gatti.  Era  bello, 
e  di  cavalli  e  d'armi  maneggiatore,  a  nostra  e  a  loro  usanza. 
Cesare  gli  die  danari,  compagnia,  e  aiiìmo  a  ripigliar  la 
grandeza  di  casa  sua.  Lui  primo,  nato  in  Roma,  non  ostag- 

'  Lino  tebano.  m  Non  fu  inventor  delle  lettere  Lino ,  ma  del  ritmo  e 
4ella  melodia  tra  i  Grecia  Egli  visse  500  anni  prima  di  Roma.  Vedi  Diodoro  Si- 
culo, lib.  IIL  ••  (R.  Pastore.)  ' 

S  come  da  Cianàio^  le  tre  j»  qoella  guisa  che  .Claudio  ne  ag^nnse  tic. 
Erano  i^  il  digamma  eolico  rovesciato  (i>  che  stava  per  la  u  aspirala  o  ▼,  come 
sisovs  j'S®  Tantisigma  (oc)  che  scasava  il  Y  greco;  Sfi  TioCa  modi6cato  (i)  che 
partecipava  dell'  i  e  dell'  u,  come  in  oPTixvs.Ma  questi  tentativi  di  perfesiona- 
mento  grafico ,  per  quanto  possano  «embrare  fondati  su  buone  ragioni ,  pare 
'  avendo  a  vincere  l'uso  inveterato,  riuscirono  sempre  infelici.  Però  accadde  al  Trts- 
sinoy  al  Saltini,  e  ora  al  dotto  Gherardini ,  quello  che  a  Claudio,  cui  non  hastò 
nemmeno  l'autorità  imperatoria  per  dar  cittadioaosa  alle  nuove  lettere. 

B  Flavio,  è  ricordato  sopra,  II,  9. 


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IL   LIBRO  GNDBaMO  DBGLI  ANNALI.  253 

gio  ma  cittadino,  oscfre  a  imperio  straniero.  Fa  lieta  a' Ger- 
mani sua  prima  giunta,  massimamente  carezando  egli,  che 
non  teneva  parte,  tutti  egualmente.  Era  celebrato,  osserva- 
to; usava  cortesie  e  rispetti,  che  a  ninno  dispiacciono:  al 
vino  e  alle  lascivie,  che  a' barbari  piacciono,  spesso  si  dava. 
Già  ne'  vicini,  già  ne'  lontani  risplendeva  ;  quando  quei  che 
solevano  per  le  parti  fiorire,  sospettando  di  tanta  potenza, 
se  ne  vanno  agli  stati  confinanti  :  fanno  fede  :  «  L'antica  li- 
bertà germana  essere  ita;  Romani  '  risurgere:  mancarvi  forse 
ano  de' nati  quivi  da  governargli^  senza  che  la  raza  di  Fla- 
vio spione*  gli  cavalchi?  L'esser  nipote  d'Arminio,  eh' e! 
fa?'  del  cui  figliuolo,  se  fosse  venuto  egli  a  regnare,  potersi 
temere,  come  allevato  in  terra  nimica,  infetto  da' cibi,  ser- 
vaggio, abito,  ogni  cosa  forestiero.  Ma  se  Italo  somiglierà 
sao  padre;  ninno  aver  mai  voltato  armi,  contro  alla  patria 
e  casa  sua,  più  traditore.  * 

XVII.  Cosi  accesi,  fanno  gran  gente  :  né  minore  segni- 
lava  Italo,  dicendo:  <k  Non  esservi  entrato  per  forza,  ma 
chiamato:  se  agli  altri  soprastava  in  nobiltà,  darebbe  anche 
a  divedere  con  la  virtù,  se  degno  è  del  zio  Arminio  e  di 
Calumerò  avolo.  Del  padre  non  poter  vergognarsi,  se  ai 
Romani  non  ruppe  mai  quella  fede,  con  la  quale  andò  a 
servirgli  di  volontà  de'  Germani.  Bel  protesto  dì  libertà  pre- 
tender'^ questi,  che  viziosi  in  privato,  perniziosi  in  publico, 
non  posson  vivere  che  di  discordie.  »  Il  volgo  con  fremito  e 
baldanza  lo  favoriva.  Fanno  battaglia  grande  i  barbari. 
Vinse  il  re  :  della  felicità  insuperbi  :  fu  caccialo.  Rifatto  di 
forze  longobarde ,  con  vittorie  e  rotte  travagliava  i  Gherusci. 


*  Romani;  cioè ,  ]a  potenta  romana. 
'  ^ione,  perchè  serri  a'Bomani. 

'  eh* éi  fai  n  correttore  dell'esemplare  Nestiano  di  G.  Capponi  raccon- 
cia i  dw  di /ajnu  dubito  a  torto;  perchè,  ansi  che  errore ,  mi  ci  pare  fiorenti- 
nUmo ,  per  che  e*/a  f  o  che  fa  egli  f  cioè  che  monta  f  Ed  infatti  il  Lat.  ha  : 
«  Frustra  Jrminium  prascribi.  »  L*  altro  modo  che  Ci  fa  f  importerebbe , 
che  ci  giova  f  che  qoi  non  qnadra. 

*  ninno  aver  mai  ce.  Ninno  più  traditore  di  suo  padre  aver  mai  voltato 
anni  ec.  Il  Politi  traduce  :  «  se  Italo  riterrè  1'  animo  del  padre ,  chi  più  di  lui  è 
stato  nimico  e  persecutore  della  patria?  ** 

'  pretender,  ostentare. 

I.  22 


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254  IL   LIBBO   DNDBCmO  DEGLI  ANNALI. 

XyiII.  Io  qaesto  tempo  i  Cauci,  quieti  tra  loro  e,  per 
morte  di  Sanqainio/  altieri;  venendo  Gorbolone'  a  trovargli, 
scorrono  nella  Germania  bassa,  sotto  Gannasco  capitano  di 
nazione  Ganinefàlo,'  stato  tango  tempo  tra  i  nostri  aiuti  :  poi 
fuggitivo  corseggiava  con  vascelletti ,  per  lo  più  le  costiere 
de'  Galli,  conoscendogli  ricchi  e  poco  guerrieri.  Entrato  Cor- 
bulone  in  provincia,  con  gran  diligenza  e  sua  gloria  (che 
cominciò  in  quella  milizia),  condusse  le  ^alee  per  lo  Reno; 
l' altre  navi,  secondo  che  atte  erapo,  per  fosse  e  maresi;*  e' 
nìmici  vasselli  affondò.  Cacciò  Gannasco;  e,  quietate  le  cose, 
le  legioni  di  rubar  vaghe,  lavorìi  né  fatiche  non  conoscenti, 
ridusse  al  costume  antico  di  non  uscir  di  battaglia:  non  com- 
battere, se  non  comandate:'  le  poste,  le  scolte,  gli  ufici  del 
di  e  della  notte  fare  armati.  Dicono  che  punì  di  morte  due 
soldati,  perchè  zappavano,  alla  trincea,  l'uno  senz'arme, 
l'altro  col  pugnai  solo;  bestialità  che,  vere  o  false,  trassero 
origine  dalla  severità  del  capitano,  per  mostrare  quanto  ei 
fusse  casoso^  e  spietato  ne' peccati  grandi,  lo  tanto  crudo  e 
aspro  '^  ne'  menomi. 

XIX.  Questo  terrore  fece  due  effetti  diversi;  accrebbe 
a'  nostri  soldati  ^  la  virtù,  a'  barbari  scemò  la  fiereza  ;  e 
a' Frisoni  (dopo  che  sconfissero  L.  Apronio,'  fatti  ribelli  o 
poco  fedeli),  dati  ostaggi,  parve  buono  starsene  a' terreni. 


*  Sanquinio  Massimo,  prefetto  della  Gennania  inferiore.  (V.  lib.  VI,  4.) 

«  Corbulone.  (  V.  Ann.  HI,  31.  Stor.  Il,  76.) 

»  Caninefato.  (V.  Ano.  IV,  73.  Stor.  IV,  i5.) 

^  maresU  Lat.  :  «  astuaria  $  m  stagni,  paludi. 

'  non  combattere,  sé  non  comandate.  La  Cominiana,  la  Nestiana  e 
tutte  le  altre  posteriori  :  m  non  combattere ,  non  comandare,  *•  Ma  è  manifesto 
errore.  Il  Lat.  hai  «  nec  pugnam,  nisi  iiusus»  iniret.  » 

0  casoso^  che  dà  importansa  anche  alle  piccole  cose.  Qui  esser  casoso  vale 
£ar  caso  di  tutto  ;  non  lasciarli  fuggir  nulla.  Lat.  «  mientus.  »  Il  popolo  Posa 
ora  in  senso  di  timido»  che  sempre  e  seoaa  cagione  teme  di  qualche  spiaccvoi  caso 
o  pericolo. 

^  lo  tanto  crudo  e  aspro  ec.»  colui  che  era  tanto  crudo  ec.    . 

B  a*nostri  soldati.  La  Cominiana,  la  Nestiana  e  le  altee  cdiaioni  seguaci  , 
leggano:  •  a' molti  soldati.  »  Non  ho  dubitato  di  con«gger<  sulla  fede  del  testo 
che  ha:  mù  terror  miiiùi^  kosUsgue  in  diversum  affedti  nos  virtutetn  ««. 
ximusj  Barbari  ferociam  injregere.  «• 

'  L.  Jpronio.  (Vedi  Ann.  IV,  73.) 


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Il   LIBRO  UNDECIHO  DB6LI  ANNALI.  255 

senatori,  magistrali  e  lèggi,  che  die  loro  GorbaIone:Hl  qua- 
le, perchè  non  iscotessero  il  giogo,  vi  rinforzò  la  goarnigio- 
ne,  e  mandò  a  sollecitare  i  principali  Ganci  allo  arrendersi, 
e  Gannasco  tradire.  Il  trattato  rinscl ,  e  ben  gli  stette  al  fel- 
lone fuggitivo.  Ma  la  sua  morte  alterò  le  menti  de' Ganci,  e 
Gorbnlone  seminava  scandoli  da  farli  ribellare.  A'  più  piace- 
va :  alcuni  ne  levavano  i  pezi  :  '  «  Perchè  stuzicare  1  cala- 
broni? '  s'ei  riesce  male,  toccherà  alla  republica;  se  bene,  non 
è  buono  per  la  pace  quest'uomo  terribile,  e  a  questo  prin- 
cipe debole,  troppo  grave.  »  Laonde  Claudio  non  che  dare 
altra  noia  alla  Germania,  fece  tornar  le  guarnigioni  di  qua 
dal  Reno. 

XX.  Già  poneva  Gorbnlone  il  campo  in  terra  nimica, 
quando  ebbe  la  lettera  :  e  benché  sopraffatto  in  quel  subito 
da  più  passioni,  paura  dell'  imperadore,  dispregio  de'  barbari, 
riso  degli  amici;  senza  dire  altro,  che  «  Oh  felici  già  i  <ftpi- 
tani  romani  I  s>  sonò  a  raccolta.  E  per  non  tenere  in  ozio  i 
soldati,  tirò  dalla  Mosa  al  Reno  un  fosso  di  ventitré  miglia, 
che  ricevesse  i  reflussi  dell'  oceano.  Gesare  gli  concedè  le 
trionfali,  benché  gli  avesse  negata  la  guerra.  Il  medesimo 
onore  ebbe  poi  Gurzio  Rufo,*  per  avere  scoperto  nel  contado 
di  Mattiaco^  cave  d' ariento  non  ricche,  né  duravano;* 
ma  le  legioni  ne  aveano  fatica  e  danno,  convenendo  zappar 
neir  acqua,  e  far  sotterra  quel  che  sarebbe  duro  nell'  aria. 
Onde  i  soldati  che  più  non  poteano  (e  questa  festa  ^  era  in 

*  che  dii  loro  Corbntmu*  Non  sarà  inutile  riferire  questo  periodo,  se- 
cMidoh  tradniione  del  Dati  :  «  I  Frisii  (i  quali  dopo  la  rotta  data  a  Lucio  Apro- 
nio  s'  erano  ribellati  da  noi,  e  d'allora  in  poi  stati  nemici  o  poco  fedeli),  diedero 
ftatichi  a'nostri,  e  si  fermarono  ad  abitare  ne'campi  assegnati  loro  da  Corbulone; 
il  quale  diede  ancor  loro  un  senato ,  magistrati  e  leggi*  » 

S  ne  levavano  i  pezi,  ne  sparlavano.  Vedi  sopra,  I,  46. 
'  stuzicare  i  calabroni,  o  stuzicare  il  vespaio,  modo  proverbiale   che 
significa  Dar  molestia  a  chi  può  farci  del  male.  Il  Lat  ha:  «  cur  hostem  conciret  t  » 

*  Curzio  Bufo,  m  Molti  son  di  parere  che  sia  questo  Gunio  lo  scrittore 
delle  gesta  d'  Alessandro  Magno ,  ma  non  Te  n*  ha  prove  :  e  se  egli  fusse  stato 
quello,  non  l'avrebbe  passato  in  silensio  Tacito.  *»  {K.  Pastore.) 

S  Maniaco  nel  ducato  di  Nassau.  Plinio,  H.  N.XXXI,  Ì7 ,  ricorda  Aqwe 
MaUiaceg,  oggi  PTiesbaden. 

^  ne  duravano.  Cosi  la  Nestiana  e  la  Gomtniana.  Ma  dubito  debba  dire 
ne  durarono.  Il  Lat.  ha  «  unde  tenuis  fructus  nec  in  longum  fuiU  • 

^  e  qttesta  festa  :  per  antifrasi ,  invece  di  duro  travaglio. 


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286  IL  UBRO  UDiDBCIVO  DEGÙ  iMNALL 

più  Provincie)  fanno  segretamente  una  sapplica  In  nome 
delli  eserciti,  pregando  1*  imperadore,  che  quando  voleva  dar 
loro  an  generale,  gli  desse  prima  le  trionfali. 

XXI.  Deir  origine  di  Rufo,  che  alcani  dicono  nato  d'un 
gladiatore,  non  direi  il  ifalso,  e  mi  vergogno  del  vero. Fatto 
nomo,  s'accontò'  col  qoestor  dell'Africa;  e  trovandosi  in 
Adrameto,*  ne'  portici  tatto  solo  di  mezodi,  gli  apparve  nna 
donna  più  che  amana,  e  gli  disse:  «  Rufo,  ta  ci  verrai  vi- 
ceconsolo. y>  Incorato  da  tale  agario,  tornò  a  Roma,  e  con 
danari  d' amici  e  viveza  d' ingegno,  divenne  questore  :  e 
poi,  a  competenza  di  nobili,  pretore,  col  voto  del  principe 
Tiberio,  che  disse  per  ricoprir  sua  basseza  :  <k  Rufo  mi  par 
nato  di  se  stesso.  »  '  Molto  visse,  fu  brutto  adulator  co' mag- 
giori; co'minori  arrogante;  con  li  eguali  fastidioso.  Ottenne 
lo  imperio  consolare,  le  trionfali,  e  finalmente  l'Affrica;  ove 
mor^,  e  l' agurio  avverò. 

XXII.  In  Roma  Gneo  Nevio  illustre  cavalier  romano, 
tra  molti  che  salutavano  il  principe,  fu  trovato  con  1'  arme 
sotto,  senz'essersene  mai  saputo  il  perchè.  Straziato  da  tor- 
menti, confessò  di  se:  complici,  o  non  vi  ebbe  o  non  no- 
minò. 

Questo  anno  P.  Dolabella  ^  pronunziò  che  lo  spettacolo 
delli  accoltellanti  si  facesse  ogni  volta  a  spese  de'  questori  di 
queir  anno.  Gli  antichi  nostri  davano  la  questura  per  premio 
di  virtù,  e  poteva  ogni  cittadino  che  si  sentisse  virtuoso, 
chiedere  magistrati  ;  e  faciensi  consoli  e  dettatori  di  prima 
gìovineza,  non  sì  guardando  a  età.  Ma  i  questori  furono  ìn- 
sino  da' re  ordinati;  il  che  mostra  la  legge  curiata,  che  Bruto 
rinnovò.  E  gli  facieno  i  consoli  sino  a  che  anche  questo  onore 
volle  dare  il  popolo.  I  primi  fatti,  furono  Valerio  Polo  ed  Emi- 

*  y  accontò,  s*accompagDÒ  ;  segui.  Lat.  :  «  sectator  qucestoris  cui  Africa 
ohligerat.  » 

S  Adritmeto,  Herkla ,  nel  regno  di  Tunisi  in  Barberia. 

'  nato  di  se stessomlAi.:  ttex  se  natus:»  ha  doppio  senso  j  perocché  cbia- 
minsinaff  e»  se  tanto  i  nulUs  maioribus  orti  (rome  dice  Orasio),  cioè  gl*ign<»- 
hili  e  oscuri  ;  quanto  coloro  che  si  son  fatti  un  nome  da  se  stessi ,  e  sono  per  se 
eognìtif  come  dice  Cicerone.  Tiberio  volle  dire  che  Rufo ,  sebbene  nato  in  basso 
luogo,  pure  era  venuto  in  fama,  che  non  dovea  riconoscere  da  altri  die  da  se 
stesso. 

♦  Dolabella.  (V.  Ann.  IV,  23  e  66.) 


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IL  LUaO.  UNDBCmO  BBQLI  ANNALI.  257 

lio  Mamerco,  l'anno  sessantatrè  dopo  la  cacciata  de'Tarqaioìy 
perchè  andassero  con  T  esercito.  Cresciuti  i  negozi,  ne  fu- 
rono aggiunti  due  per  istare  in  Roma:  poi  raddoppiati,  fatta 
gj.à  tutta  Italia  tributaria,  e  aggiunte  le  gabelle  delle  Provin- 
cie. Indi  per  legge  di  Siila  ne  furon  creati  venti  per  arroti^ 
a'  senatori,  a'  quali  soli  aveva  conceduto  il  giudicare.  E  ben- 
ché i  cavalieri  l'avessero  riavuto,  la  questura  si  dava  per 
merito  de'  chieditori,  o  per  cortesia,  senza  costo,'  sino  a  che 
la  sentenza  di  Dolabella  la  mise  quasi  in  vendita. 

XXIII.  [A.  di  R.  801,  di  Gr.  48.]  Entrati  consoli  A.  Vi- 
tellìo  e  L.  Vipsanio,  trattandosi  di  arrogere  senatori,  e  rac- 
comandandosi i  grandi  della  Gallia  cornata,''  già  fatti  citta- 
dini e  confederati  romani,  di  poter  goder  gli  onori  della 
città;  innanzi  al  principe  fecesene  molto  e  diverso  ragiona- 
mento e  garose  contese:  a  Non  essere  Italia  si  al  verde,*  che 
le  manchi  da  rifornire  il  senato  alla  sua  città:  averlo  fatto 
già  ì  naturali  del  luogo  '  co'  popoli  parenti  e  vicini  ;  né  del 
governo  antico  poterci  dolere:  anzi  tuttodì  esempi  di  que'buon 
vecchi  accenderci  a  virtù  e  gloria.  Non  bastare  V  essere  in 
senato  balzati  gl'Insubri  e  i  Veneti,  se  gli  sciami  de' fore- 
stieri non  vi  corrono ,  coQie  a  presa  città  ?  A'  pochi  nobili , 
che  onori  poter  rimanere?  a  povero  gentiluomo  latino  chi  ne 
vorrà  dare?  inghiottirglisi  anzi  tutti  que'  ricchi,  eredi  de'  loro 
avoli  e  bisavoli,  stati  capitani  de'  nemici  ucciditori  degli  eser- 
citi romani,  assediatori  del  divino  Giulio  ad  Alesia.*  Queste 
esser  cose  fresche  :  e  perchè  non  ricordarsi  che  questi  son 
quelli  che  gittarono  il  Campidoglio  e  il  romano  altare  per 

'  per  arroti f  per  agginnU  ;  per  sapplemento.  Cosi  sotto  arrogere,  ag- 
giungere, supplire. 

S  senza  eosto»  gratuitamente  ;  senza  obbligare  alle  grandi  spese  che  ven- 
nero in  uso  nella  corrotta  repubblica ,  allorché  fondevansi  interi  patrimoni  per 
arrivare  alle  cariche. 

S  cornata,  transalpina;  i  cui  abitanti  portavano  lunghe  chiome. 

*  sì  al  verde ,  ti  all'  estremo.  La  metafora  è  tolta  dai  ceri ,  che  soglioQsi 
fasciare  da  pie  di  carta  verde  ;  onde  quando  la  fiaccola  è  vicina  al  verde,  il  cero  è 
consumato. 

8  i  naturali  del  luogo ,  gì'  indigeni ,  cioè  di  Roma,  i  quali  rifornirono  il 
senato  coi  popoli  del  medesimo  sangue  {consangiUneis  popttlis)  che  avevano 
co' Romani  uo'istessa  origine. 

•  ad  J lesta.  Vedi  De  Bello  GaU.  VII,  79. 

22* 


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258  IL  LIBRO  CMDBCUfO  DEGLI  ANNALI. 

terra  con  le  lor  mani?^  Godessonsi  il  nome  di  cittadini;  ma 
gli  splendori  de' padri,  gli  onori  de' magistrati  non  si  acce* 
manassono.  » 

XXIV.  Non  mossero  tali  cose  il  principe:  anzi  inconta- 
nente contraddisse,  e  chiamando  il  senato,  cosi  cominciò:* 
«  I  miei  antichi  (tra  i  qoali  il  più  antico  Glaaso,  di  nazione 
sabina,  fo  fatto  cittadin  romano  e  senatore  a  un'  otta)  m'in- 
segnano governar  la  repnblica  col  senno  loro,  di  condor  qaa 
ciò  che  altrove  è  d'eccellente,  sappiendo  che  i  Gialli  da  Alba, 
i  Coroncani.  da  Gamerio,  i  Porzii  da  Toscolo,  e  per  non 
ricercar  T antichità,  dalla  Toscana,  dalla  Lucania,  da 
tatt'  Italia  faron  chiamati  nomini  in  senato  :  e  in  ultimo 
fino  dall'Alpi,  a  fine  d'accrescere,  non  a  un  nomo  per  volta, 
ma  a  cittadi,  a  nazioni  il  nostro  nome.  Stemmo  dentro  in 
ferma  pace,  e  di  foori  fiorimmo,  allora  che  facemmo  qne'  d'ol- 
tre al  Po  cittadini,  e  che  mostrando  di  metter  soldati  nostri 
per  tutto  '1  mondo,  gli  mescolammo  col  nerbo  di  que'  paesani, 
e  ne  rinvenne'  lo  imperio  stanco.  Sacci  egli  male,  eh' e'  ci 
sieno  venati  i  Balbi  di  Spagna,  e  non  meno  grandi  uomini 
della  Gallia  Nerbonese?  I  lor  descendenti  ci  sono,  e  amano 
questa  patria  al  par  di  noi.  La  rovina  de'LaCedemoniie  de- 
gli Ateniesi,  si  forti  d'arme,  che  fu,  se  non  il  cacciar  via  i 
vinti,  come  strani?  Ma  il  nostro  padre  Romulo  ebbe  tal  sa- 
pienza, che  molti  popoli  vide  suoi  nìmici  e  cittadini  in  nn 
di.  Avemmo  de' re  forestieri.  Si  son  dati  de' magistrati  a 
figliuoli  di  libertini:  non  oggidì,  come  molti  s'ingannono, 
ma  dal  popolo  antico.  Oh,  i  Senoni  combatterono:*  i  Volsci 

*  cm  le  lor  mani.  Qui  il  testo  ÌS  gauto  e  mntilo,  e  il  Noitro  ne  leva 
quel  senso  che  può. 

'  così  comincia.  Langhi  frammenti  di  qatsti  Onrione  serbami  tuttavìa 
in  Lione  scolpiti  in  due  tavole  di  rame.  Gli  puoi  vedere  nei  Comenti  del  Lipsio, 
dell'  Orelli  e  d'altri. 

>  ne  rinvenne,  »  rifece  di  fotte.  Pel  contrario  Dante  attriboitce  lo  scadi- 
mento della  repubblica  fiorentina  all'esser»  la  cittadinansa 

mista 

Di  Campi,  di  CerUldo  e  di  FiggUne. 

*  combatterono.  Dubito  debba  leggersi  ci  combatterono.  Intendi:  si  va 
dicendo  che  i  Senoni  ci  mossero  guerra,  e  che  per  ciò  i  loro  posteri  non  sono  me- 
ritevoli di  questo  onore.  Ma  forse  i  Volsci  e  gli  Equi,  che  gik  lo  godono ,  non  ci 
furono  mai  nemici  t 


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IL  LIBRO  rMDEClHO  DEGLI  ANNALI.  250 

e  gli  Eqai  non  e!  voltarono  mai  ponte? ^  I  Galli  ci  presero: 
demmo  anche  ostaggio  a' Toscani:  patimmo  il  giogo  da' San- 
niti. Ma  se  tntte  le  guerre  rìandi,*  quella  co' Galli  fa  la  più 
corta,  con  pace  continuata  e  fedele.  Da  che  questi  son  me- 
scolati con  esso  noi  con  usanze,  arti  e  parentadi,  portino 
anzi  qua,  che  tenersi  là  il  loro  oro  e  riccheze.  Tutte  le  cose, 
o  padri  coscritti,  che  ora  crediamo  antichissime,  furon  già 
nuove.'  Tennero  i  magistrati  prima  ^ padri:  poscia  i  plebei: 
indi  i  Latini:  poi  d'ogni  sorte  Italiani;  tenendoli  ora  i  Galli, 
anche  questo  farassi  antico:  e  dove  noi  V  aiutiamo  con  eseni- 
pli,  8'  allegherà  per  esemplo.  »  * 

XXV.  Decretarono  i  padri  secondo  la  diceria  del  prlii- 
cipe.  E  gli  Edui  fur  prima  ì  romani  senatori'  per  T  antica 
lega;  e  perchè  soli  tra  i  Galli  si  chiamano  fratelli  del  popol 
romano.  In  questi  giorni  Cesare  dichiarò  patrizi  i  senatori 
pia  vecchi,  o  discesi  d'uomini  chiari:  restandovi  pochi  di 
quelle  famiglie  che  Romolo  appellò  della  gente  maggiore,  e 
di  quelle  che  L.  Bruto,  della  minore,  e  cosi  delle  arroto"  da 
Cesare  dettatore  per  la  legge  cassia,  e  da  Agusto  per  la  se- 
nia.^  Tra  questi  grati  provvedimenti  puhlici,  bramando  Ce- 
sare nettare  il  senato  d'alcuni  vituperosi,  per  dolce  e  nuovo 
modo,  tratto  dall'antica  severità,  gli  consigliò  in  disparte  a 
conoscersi,  e  supplicar  di  non  esser  più  senatori  :  che  gli 
consolerebbe  con  dir,  loro  esser  usciti  di  quell'ordine  di 
buona  voglia  con  buona  scusa,  e  meno  vergogna  che  cac- 
ciandonegli  per  buon  giudizio  i  censori.  Per  colali  azioni 
Vipsanio  consolo  propose  che  Claudio  si  gridasse  padre  del 
senato.  «  Padri  della  patria  essere  stati  detti  altri.  Doversi  i 
meriti  verso  la  republica  nuovi  onorar  di  vocaboli  non  usa- 
ti. »  Ma  egli  diede  in  su  la  voce  al  consolo,  come  troppo 

*  non  ci  voltarono  mai  punte t  II  Lat.  ha:  nunquam  adversum  nobis 
aciem  stmaiéret  » 

'  rtandi.  Lat.  :  «  recenseas.  » 

'  faron  già  nuove.  Orasio ,  Epist.  II,  1 ,  ▼.  90  e  segg. 

*  e  dove  noi  et.  Valeriani:  «  e  quanto  or  qui  con  esempli  sosteniamo, 
«trli  d'  esempio.  » 

>  fur  prima  i  romani  senatori.  Forse  l'irticolo  non  ci  ra. 

'  arrota  t  aggiunte. 

'  senia.  Proposta  da  L.  Senio. 


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260  IL  LIBBO  UNDECWO  DBGU  ANNALI. 

adolanle.  Fece  il  lostro,  e  si  registrarono  sei  milioni  e  no- 
vecento qnarantaqaattromila.  Allora  aperse  gli  occhi  a' di- 
sordini di  casa  sua,  e  poco  appresso  tirato  pe' capelli,  conob- 
be e  uccise  la  rea  moglie,  per  poi  tórre  la  nipote  carnale. 

XXVI.  Già  Messalina  ristacca  della  agiata  copia  degli 
adolleri,  si  dava  a  non  più  sapute  libidini;  quando  Silio  per 
fatale  pazia,  o  pensando  rimediar  al  pericolo  con  altro  mag- 
giore, la  cominciò  a  stimolare  di  matrimonio  scoperto.  <c  Non 
potersi  aspettar  che  si  morisse  il  principe  di  vecchiaia:  per 
la  diritta  poter  andar  gì'  innocenti  :  ne'  peccati  ^scoperti  giova 
l'ardire:  essere  in  aiuto  i  compagni  al  pericolo:  esso,  che 
non  ha  moglie  né  figliuoli,  la  sposerebbe:  adotterebbe  Bri- 
tannico :  essa  manterebbe^  la  grandeza  medesima,  e  più  si- 
cura, se  Claudio,  che  non  si  guarda,  poi  è  rottissimo,  vin- 
cessono  della  mano.  »*  Di  questo  dire  ella  non  fé' capitale: 
non  per  amor  del  marito,  ma  perchè  Silio  montato  in  sella , 
non  la  spregiasse,  e  riconoscesse  le  scelerateze  già  ne' fran- 
genti piaciuteli.  Volle  bene  il  nome  di  matrimonio,  per  la 
grande  infamia,  ultimo  piacer  di  chi  ha  mandato  giù  la  vi- 
siera,' e  fé' le  noze  solenni,  tosto  che  Claudio  fu  ito  ad 
Ostia  per  certo  sacrifìcio. 

XXYfl.  Veggo  che  parrà  favola  che  persona  ardisse 
cotanto  in  una  città  che  tutto  sa  e  nulla  tace;  che  l'eletto 
consolo  si  trovasse  il  di  accordato  a  sposar  colei  eh'  era  mo- 
glie del  principe  :  se  ne  facesse  carta  con  testimoni,  quasi 
rispetto  a'fìgliuoli  da  nascere;  ella  udisse  le  parole  degli 
Auspici  ;  dicesse  di  si  ;  sagrificasse  agi'  iddìi  ;  passasse  tutta 
la  notte  in  convito,  con  baci,  abbracciari  e  licenze  da  ndze. 
Ma  io  senza  punto  aggrandire,  dirò  quello  che  ho  letto  e 
udito  da'  vecchi. 

XXYIII.  Rimase  la  casa  del  principe  spaventata,  e  già 

'  marOerebbe,  Cosi  la  Nestìana  eoo  nna  cola  r:  non  corredo  »  essendoci 
del  Nostro  qualche  altro  esempio. 

'  frìneessonù  della  mano.  Dati:  «Terrebbe  Messalina  a  rimanere  colla 
potensa  medesima,  e  ancora  con  mag^ore  sicnrena ,  levandosi  dinansi  Claadio, 
il  quale  cosi  com'è' si  Tiveva  senaa  pensiero  e  agevolmente  si  poteva  ingannare* 
così  per  lo  contrario  era  uomo  precipitoso ,  e  tosto  s'accendeva  in  ira.  » 

'  di  chi  ha  mandato  già  la  visiera,  di  chi  ha  perduto  ogni  vergogna. 
Cori  anche  nella  Stor.  Ili,  41. 


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IL  UBaO  ONDBCIHO  MGLl  AHNAU.  261 

ì  polenti,  in  pericolo  per  tal  novità,*  non  più  bisbigliando , 
maisboffando  alla  scoperta  dicevano:  «  Mentre  lo  strione' 
corse  per  suo  il  letto  del  principe,  vergogna  fu ,  ma  non  ro- 
vina. Ora  questo  giovane  nobile,  bello  a  maraviglia,  vicino 
al  consolato,  fa  più  alto  disegno.  Chi  non  vede  di  tal  matri- 
monio la  conseguenza?  »  Metteva  certamente  paora  il  veder 
Claudio  grossolano,  preda  della  moglie  che  aveva  fatto  am- 
mazar  molti.  Confidavano  d'altra  banda  per  esser  egli  dolce, 
e'I  fatto  atrocissimo,  poter*  far  prima  uccidere  che  accusa- 
re. Ma  il  fatto  stare,*  che  ella  le  sue  ragioni  non  gli  dices- 
se, né  eziandio  confessando  avesse  udienza.' 

XXIX.  E  prima  discorsero  insieme  Calisto  (di  cui  par- 
lai nella  morte  di  Cesare)  e  Narciso  che  tramò  quella  d'Ap- 
pio, e  Fallante  favoritissimo;  se  meglio  fosse  minacciarla 
segretamente,  se  non  si  levava  da  questo  amore  di  Silio;  non 
curando  il  restante.  Poi,  temendo  di  non  ci  rompere  il  col- 
lo, si  ritirarono:  Fallante,  per  codardia;  Calisto,  avendo 
nella  passata  corte  imparato  che  le  vie  caute  più  che  1'  a^* 
dite  mantengono  in  grandeza.  Narciso  slette  in  proposito, 
ma  procurò  che  ella  non  penetrasse  né  l' accusa  né  V  accu*« 
satore  :  e  aspettando  l' occasione,  dimorando  molto  Cesare 
in  Ostia;  strinse  due  sue  molto  usate  femmine  a  darle  l' ac- 
cusa, donando,  promettendo,  mostrando  che,  cacciata  que- 
sta moglie,  salirebbono  in  cielo. ^ 

XXX.  Calpurnia,  una  di  queste,  tosto  che  n'ebbe  V  agio, 
abbracciate  le  ginocchia  di  Cesare,  gridò:  «e  Messalina  s'è 
rimaritata  a  Silio.  Non  l' hai  tu  inteso,  Cleopatra?  »  (che  era 
l'altra  quivi  ritta).— «Ben  sai  che  si,  ho.» — Egli  fece  ve- 

'  per  tal  novità.  Intendi  :  I  polenti  (cioè,  Callisto ,  Narciso  ,  Fallante  ec.) 
che ,  a  un  volger  di  cose ,  aveano  da  temere  ec.  Lat  :  m  ilii  quos  penes  petenti» 
et,  ai  res  verterentur ,  formido  ec.  * 

S  lo  striones  cioè  Mnestero,  di  coi  ha  parlato  sopra  e.  36. 

I  poter:  forse  dee  dire  poterla,  cioè.  Messalina. 

*  Jlfa  il/atto  stare.  Il  Lat.  :  m  sed  in  eo  discrimen  verti.  m 

B  che  ella  le  sue  ragioni  non  gli  dicesse  ec.  Il  postillatore  dell'esemplare 
Nestiano  di  G.  Capponi,  in  an  foglietto  volante  appmita  cosi  :  «  Scuro  e  lungo; 
però  direi  cosi  più  breve  e  chiaro  ;  che  ella  né  difendendosi  né  confessando  avesse 
odierna  :  oppure  s  che  ella  non  gli  potesse  dir  le  sue  ragioni,  né  eaiandio  confes- 
sando avesse  udiensa.  » 

*  salirebbono  in  cielo,  crescerehbono  molto  in  potensa. 


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263  IL  LIBftO  UNDPCIHO  DttOLI  AlltfAU. 

Dir  Narciso,  il  qnale  disse:  «  Perdonami,  se  io  più  che  Ye- 
7Ì0  e  Plaa2io  ho  chiasi  gli  oc^hi,^  né  anche  ora  gli  adalteri 
t'accnserò.  La  cosa  è  qai:  lasciagli  la  casa,  i  serri,  V  arredo 
in  mar  ora,  e  rendati  la  moglie:  straccisi  la  scritta  del  ma- 
trimonio :  non  lo  sai  to  che  Siilo  ha  sposala  Messalina  co- 
ram popolo,  senato  e  soldati?  e  se  troppo  balocchi,*  Roma 
sarà  di  qaesto  marito  bello.  » 

XXXI.  Chiamò  allora  Tarranio  caro  sovra  lotti,  prov- 
veditor  dell'  abbondanza,  e  Losio  Gela  generale  della  guar- 
dia, e  disse  :  «  È  egli  vero?  »  dissero  «  SI  »  e  ogn'  uno  quivi 
romoreggiava  che  andassi  in  campo,  fermasse  quivi  soldati; 
s'assicurasse  prima,  e  poi  gastigasse.  Certo  è  che  Claudio 
per  lo  spavento  domandava  a  ogni  poco  :  a  Chi  era  imperar 
dorè,  egli  0  Sllio?  »  Ma  Messalina  piò  sfrenata  che  mai,  fa- 
ceva in  casa  le  maschere  de'  vendemmiatori  nel  buono  del- 
l'autunno:  '  pigiare,  svinare,  femmine  di  pelli  cinte  saltare, 
quasi  furiose  baccanti  0  sacrificanti.  Ella  tutta  scapigliata, 
brandiva  il  tirso,  e  Silio  aliatole,  cinto  d'ellera,  in  calzaret- 
ti,  civettava  col  capo,  fàcendoglisi  intorno  con  grida  diso- 
nesta danza.  Dicono  che  Yezio  Valente,  per  capriccio,  inar- 
picò sopra  un  alto  arbore,  e  domandato  «  Che  vedesse,  »  ri- 
spose: «t  Venire  di  verso  Ostia  un  tempo  nero.  »  Fosse  vero, 
0  venutogli  detto,  indovinò. 

XXXII.  Vennero  da  ogni  banda  messaggi,  non  pure 
romori,*  che  Claudio  sapeva  tutto,  e  veniva  difilato  al  gasti- 
go.  Laonde  Messalina  si  ritirò  nel  giardino  di  Lucallo;'  e 


*  Pia  che  Fetio  e  Plaitùo  ho  chiusi  gli  occhiAÌ  Lat.  ha:  «  fo  peniam 
in  prcBteritum  petent,  quod  ei  cis  Vettios,  cis  Plaiitios  dissimtdavisut.  » 
Qaesto  luogo  è  trariamenta  inteso  :  V  interpretaBione  più  piana  par  quatta  :  Gli 
chiese  perdono  dell'essersi  ferteato  (nel  denuDsiargli  gli  adalteri  di  Messalina)  ai 
Veài  e  ai  Plaaiii,  aè  d'avere  osato  di  scoprirgli  anche  questo  assai  pia  potente 
e  gi2i  console  designato. 

'  balocchi,  indugi;  stai  irrisolato. 

B  ma  Messalina  pia  sfrenala  ee.  Datit  m  Kesaalitat  che  non  sapeva  an- 
cor Balla  di  queste  cose,  e  più  che  mai  esercitava  la  soa  lascivia  e  sfacciatetfa, 
essendo  di  gik  a  messo  autunno,  celebrava  per  U  sua  casa  li  festa  della  vendem- 
mia, n 

*  non  purè  rumori,  fi  pure  non  ci  ha  che  fate.  H  Lat  ha:  m  non  ramcr 
interea,  sed  undigue  nuntii  incedimi.  » 

S  Quel  giardino,  per  cui  ingordigia  aveva  fatto  morire  Asiatico. 


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IL  UBRO  UMOBGOIO  DB6LI  AIWALL  263 

Silìo  (per  non  mostrar  paura)  a'  suoi  ofici  de'  magistrali.  Chi 
faggi  qoa  e  chi  là.  Comparvero  i  centorioni,  e  presero  i  fog- 
gili fuori,  o  nascosi,  secondo  cbe  s'avvennero.  Messalina, 
benché  per  l'avversità  fuor  di  se,  prese  animo  d'incontrar 
il  marito  e  mostrarglisi;  il  che  le  avea  spesse  volte  giova- 
to; e  mandd  Britannico  e  Ottavia  ad  abbracciar  lor  padre,  e 
Vibidia  la  più  vecchia  vestale  ad  impetrarle  perdono,  come 
pontefice  massimo.  Intanto  ella  con  tre  soli  (si  tosto  pian- 
tata^ fu)  passò  Roma  a  piede  dall'una  parte  all'altra:  prese 
una  carretta  da  nettare  orti,  e  si  mise  in  via  d'Ostia,  senza 
ìncrescerne  a  persona  per  si  brutte  scelerateze. 

XXXIII.  Cesare  nondimeno  temea  molto  dellsj  fede  di 
Geta  generale,  al  bene  come  al  male,  volt^^le  di  leggieri. 
Onde  Narciso  volto  a^  compagni  al  medesimo  pericolo,'  disse: 
«Cesare  non  potersi  salvare,  se  non  dava  a  uno  di  loro  li- 
berti, per  quel  di  solo,  tutta  la  potestà  di  comandare  a' sol- 
dati. »  E  offerissi  a  prenderla.  £  perchè  andando  a  Roma, 
non  facessero  L.  Vitellio  e  P.  Largo  Cecina  piegar  Cesare  a 
misericordia,  gli  dimandò  e  ottenne  d'entrar  seco  in  cocchio. 

XXXIY.  Molto  si  disse  che  (ora  abbemìnando  il  prin- 
cipe la  ribalda  moglie,  ora  ricordando  le  sue  dolceze  e 
qne'figliolinì)  Vitellio  non  disse  mai,  se  non:  «  Oh  gran 
cosa  !  oh  sceleraleza  I  »  Narciso  gli  faceva  instanza  che 
parlasse  chiaro,  e  si  scoprisse.  Ma  non  fu  vero  che'  da  lui 
né  da  Cecina  traesse  che  parole  moze  e  doppie.  Appariva 
già  Messalina  e  gridava:  «  Ecco  la  madre  d'Ottavia  e  di 
Britannico;  odila:  »  e  Narciso  le  copriva  la  voce,  sclamando 
di  Silio  e  delle  noze,  e  diverti  Cesare  dal  guatarla,  dando- 
gli a  leggere  una  listra  di  sue  disonestadi.  AffacQfavangU  alla 
porta  delia  città  i  comuni  figliuoli:  e  Narciso  gli  fé' levar 
via.  Non  fu  riparo  che  Yihidia*  non  chiedesse  agramente, 
che  non  facesse  morire  la  moglie  senza  difesa.  Dissele  che 


*  piantata,  abbandonata  bruscamente  e  viDanamente. 

'  compagni  al  medésimo  ec,  del  medesimo  o  nel  medesimo  ec. 

*  Ma  non  fu  vero  che  ec.  Vedi  simile  locazione,  Ann.  I,  37.  Non  potè 
trarre  da  lui....  se  non  parole  ec. 

*  Non  fu  riparo  che  Vibidia,  Non  potè  impedire  a  Vibidia   che  non 
chiedasi*  ce. 


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264  IL  LIBRO  DNDBCniO  DEGLI  ANNALI. 

qilkella  sarebbe  udita  e  potrebbe  scolparsi  :  andasse  alle  sue 
devozioni.' 

XXXV.  A  qaesto,*  Glandìo  panre  malolo,  Vìtellio  stor- 
dito; il  liberto  era  il  tatto.  Fece  aprire  la  casa  di  Silio,  en- 
trarvi r imperadore.  Mostragli  prima  nell'andito  la  statua 
del  padre  di  Silio,  già  dal  senato  sbandita  :  '  poi  quante  spo- 
glie ebber  mai  i  Neroni  e  i  Drasi  essersi  date  in  pagamento 
delle  sae  corna.*  Accesolo  d' ira  e  di  maltalento,  il  mena  in 
campo  a  parlare  assoldati  clie  l* aspettavano.  Disse  poco, 
imboccato  da  Narciso  :  e  non  poteva  per  la  vergogna  espri- 
mere ingiusto  dolore.  Andavono  al  cielo  le  grida  delle  coorti, 
chiedenti  e  '1  nome  e  'l  gastigo  de'  colpevoli.  Sìlio  condotto 
al  tribunale,  non  tentò  difesa:  pregò  cbe  lo  spacciassero.* 
Con  la  medesima  forteza  d' animo  sollecitaron  gli  altri  illu- 
stri cavalieri  romani  la  morte,  alla  quale  furon  menati  :  Ti- 
zio Proculo  dato  da  Silio  a  Messalina  per  guardia;^  e  Vezio 
Valente,  confessante  e  offerente  nominare  altri;  e  Pompeo 
Urbico  e  Saufello  Trogo,  consapevoli;  e  Decio  Galpurniano 
capo  delle  guardie  di  notte;  e  Sulpizio  Rufo,  sopra  il  festeg- 
giare ;  e  Giunco  Virgiliano  senatore. 

XXXVI.  Solo  Mnestero  la  indugiò  un  poco,  perchè  strac- 

'  andasse  alle  site  devoùonù  II  Lat.  >  «  sacra  capesseret,  »»  Non  potea 
meglio  tradarsi ,  a  far  sentire  la  noia  di  Claudio  pel  chiasso  di  qnesta  Tecchia  e 
santocchia. 

'  A  questo.  Il  Lat.  :  «  inUr  hac.  »  Il  Volpi  e  il  Nesti  a  queste,  e  il  postil- 
latore dell'esemplare  Nestiano  di  G.  Capponi,  fa  una  chiamata,  e  aggiunge  cose. 
Ma  a  queste  potrebbe  stare  anco  senza  cose,  se  immediatamente  non  precedesse 
la  parola  devozioni,  che  farebbe  anfibologia.  Non  credo  d'aver  troppo  osato,  re- 
stituendo j4  questo. 

S  Silio  suo  padre, luogotenente  della  Germania  superiore,  fu  colla  moglie 
Sosia  Galla  condannato  di  maestà  (Ann.  IV,  19) ,  e  abbattute  le  immagini,  che 
fu  colpa  pel  figlio  d'avere  restituite. 

*  in  pagamento  delle  sue  coma.  Plebeo  I  Meglio  il  Dati  :  «  che  Messa- 
lina, per  premio  e  mercede  dell'adulterio ,  aveva  a  Silio  tutte  quante  donate.  « 
Lat.  M  in  pretium  protri .  » 

8  che  lo  spacciassero ,  che  lo  mandassero  presto  alla  forca. 

0  per  guardia.  «  Si  legge  spesso  in  Tibullo,  Propenio  e  Maniale  de' cu- 
stodi dati  alle  mogli.  Essi  trovavansi  non  di  rado  infedeli,  com'è  naturale;  e 
Giovenale  n'accenna  alla  Sat.  VI,  v.  345: 

Àudio  quid  veteru  olim  moneatit  amici , 
Pone  uram,  eohibe ,  »«d  quid  eustodiet  iptos 
CuHodoi?  cauta  ut,  etaà  Ulis  incipit  uxor.  » 

(R.  Pastore.) 


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IL  LIBBO  ONDECIMO  DKQLl  AlQfAU.  265 

ciatod  i  panni  gridava:  «  Guardasse  Cesare  i  segni  delle  ba- 
stonate:* ricordassesi  quando  gli  comandò  che  ubbidisse  Mes- 
salina. Gli  altri  avere  errato  per  gran  pr^mii  o  speranze; 
egli  a  viva  forza:  e  se  Silio  regnava,  il  primo  era  egli  a  mo* 
rire.  )»  .Mosse  Cesare  per  natura  tenero  a  perdonargli;  ma  i 
liberti  non  voHero  «  che,  tra  tanti  grandi  uccisi,  rispettasse 
un  giocolare:  per  forza  o  per  amore ,  peccato  grandissimo 
avea.»  Meno  fu  accettata  la  scusa  di  Traulo  Montano  cavalie- 
re, modesto  giovane,  bellissimo,  di  essere  stato  chiamato, 
una  notte  sola  giaciuto,  e  cacciato;  essendo  pari  in  Messar 
lina  spasimo  e  fastidio.  Salvaron  la  vita,  a  Plauzio  Laterano 
il  merito  grande  del  zio,'  e  a  Suilio  Cesonino  i  vizi  suoi, 
avendo  servito  per  femmina  in  quel  vituperoso  baccano. 

XXXYII.  Messalina  intanto  nel  giardino  '  allungava  sua 
vita;  componeva  suoi  preghi;  veniva  quando  in  isperanza, 
quando  in  collora.  Tanta  superbia  in  tanto  estremo  ritene- 
va 1  E  se  Narciso  non  era  destro  e  sollecito,  la  morte  tor- 
nava Jn  capo  a  lui;  perchè  Claudio,  tornato  in  casa,  e  con 
vivande  straordinarie  indolcito  e  riscaldato  nel  vino:  cr  Fate 
intendere  a  quella  poverella  »  (cosi  disse)  «  che  venga  do- 
mani a  difendersi.  »  Per  questa  parola  vedendosi  Tira  alle- 
nare, tornar  l'amore;  e  temendosi  della  notte  vicina  e  del 
letto;  Narciso  subito  ordinò  a*centurioni  checcrammazasse- 
ro^:  cosi  comandava  Tin^peradore;  e  Evodo  liberto  andasse  a 
fare  esequire.)»  Corre  al  giardino,  trovala  per  terra  stramazata 
a' pie  di  Lepida  sua  madre,  che  nella  felicità  Fabborriva,  e 
nella  miseria  n'ebbe  pietà:  e  consigliavala  «  non  aspettasse 
l'ammazatore;  spacciata  era:  pensasse  a  far  morte  onorevole.» 
Ma  in  quell'animo  guasto  per  le  libidini,  non  capea  onore: 
duoli  e  pianti.*  Eccoti  i  soldati  dar  nella  porta  e  abbatterla. 
Comparille  addosso  il  tribuno  senza  parlare,  e  il  liberto  che 
le  disse  villania  da  cani. 

*  bastonate^  fattegli  dare  da  Messalina ,  quando  non  era  pronto  alle  sue 
libidini. 

«  Vedila  Vitad'Jgr.U. 
-'  ne/ i^'artfino  Luculliano. 

*  duoli  e  pianti.  Il  postillatore  dell'esemplare  Nestiano  di  G.  Capponi, 
aggiunge  senza  prò.  E  veramente  il  testo  lo  chiederebbe  {questut  irriti)j  ma 
non  «o  se  sia  correcione,  o  restituiione  sulla  fede  de'Mss. 

I.  23 

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M6  IL  LIBRO  CNDEGIMO  DEGLI  ANNALI. 

XXXVIII.  Allora  conobbe  la  saa  fortana,  e  prese  il  fer- 
ro e  (iroBsi  alla  gola  e  al  petto  invano,  perchè  la  mano  le 
tremò:  il  tribano  la  trapassò  di  stoccata.  Il  corpo  si  donò  alia 
madre.  A  Clandio.che  mangiava,  fo  detto,  Messalina  esser 
morta;  non,  se  di  saa  mano  o  d'altra:  ned  ei  lo  cercò;  chie- 
dette  bere,  e  segoitò  la  cena  all'osato.  I  giorni  appresso  non 
fece  segni  d'odio,  ira,  dolore,  allegreza,  o  d' alcuno  ornano 
affetto:  non  quando  vedeva  gli  accasanti  gioire;  non  quando 
i  figliuoli  lacrimare.  Il  senato  ancora  l'aiutò  a  dimenticarse^ 
no,  perchè  ordinò  si  levasse  il  nome  e  l'effigie  di  lei  é'ùgm 
luogo  publico  e  privato.  A  Narciso  furon  date  le  insegne  di 
questore;  cosa  di  niente  a  lui,*  divenuto  il  primo  della  corte, 
dopo  Fallante'  e  Calisto;  orrevole  nondimeno:  ma  partorì  pes- 
simi effetti  senza  gastigo.* 

'  a  lui»  Alcuiii  lesti  hiiino  :  «  ievissimum/aétigii  tiusj  •  piccola  cosa  i 
sua  grandesza.  Ma  altri  meglio  :  m  fastidii  eiusj  •  alla  sua  arroganza. 

'  dopo  Fallante,  hègf^t  mseewtndttm  Pallantem.n  Altri  testi:  m  sujira 
PaiUntem.  m  Se  questa  lesione  h  Tera ,  mal  li  può  immaginare  a  che  salissero 
gli  onori  e  la  potensa  di  questo  infame  liberto ,  dopo  aver  letto  ciò  che  Plinio 
(Ep.  VIII^  8  )  racconta  degli  onori  fatti  dall'abbietto  senato  a  Fallante. 

'  sensa  gastigo.  Légge  «  tristiUis  inultis.  »  Ma  il  mediceo  laurenziano 
ha  mtrUtitiis  multisjn  con  molte  ribalderie.  Il  Bnrnoof  legge  «  tristitiis  mot»- 
tis^m  e  riferendo  mjffometta  quidem  ec.  *•  alla  morte  di  Messalina,  interpreta  die 
essa  fu  giusta  e  meritata,  ma  che  partorì  pessimi  eflPetti,  non  essendosi  fatto  che 
mutare  ribalderie.  E  in  vero  ne  se^ui  il  matrimonio  incestuoso  di  Claudio,  come 
narrasi  nel  libro  appresso. 


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IL  LIBRO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

L  GUadio  ti  rìsoWe  d'ammogliarsi,  incerto  tra  LoDia  Paolina,  Giulia 
Agrippina,  ed  Elia  Petina. — III.  Vince  Agrippina  da  Pallante  e  da  suoi  Yeni 
aiutata.  Decide  il  senato  legittime  le  nozie  tra  zio  e  nipote. — YIII.  Sillano 
noódesi  :  la  sorella  Calvina  scacciata  d'Italia:  Anneo  Seneca  richiamato  d'esi' 
lio.— IX*  Ottavia  figlia  di  Glandio  sposata  a  Nerone. — X.  Chiedono  a  Roma 
i  Parti  re  Meerdate  che  in  battaglia  e  vinto  da  Gotarze  :  muore  ornesti  :  sno- 
cede  Yonone,  poi  Yologese. — XV.  Tenta  Mitridate  di  riavere  il  regno  di 
Ponto:  vinto,  è  tratto  a  Roma. — XXII.  Lollia  e  Calpnniia  in  piai  per  Fodio 
d'Agrippina.  —  XXIII.  Rinovato  P augurio  di  salate:  esteso  il  pomerio  di 
Roma  :  suoi  vecchi  confini. — XXV.  Nerone  adottato  da  dandio. — aXVII.  Co> 
Ionia  portata  nella  terra  degli  Hbn  per  onorare  Agrippina.  I  Catti  fatti  ladri 
son  vmti.  —  XXIX.  Vannio  re  svevo  cacciato  di  regno.  —  XXXI.  Fatti  di 
P.  Ostorio  in  Rretagna:  rinto  Carattaco,  morto  Osterie,  subentra  A.  Didio. — 
XLI.  Viril  tosa  affrettata  a  Nerone.  Rrìtannico  posposto  per  mena  d' Agrippina. 
— XLII.  Prodigii  in  Roma,  e  carestìa.  —  XLiV.  Armeni  e  Iberi  in  guerra. 
Parti  e  Romani  in  gran  tumulto  tra  loro. — LII.  Furio  Scriboniano  in  esilio: 
indovini  cacciati  d'Italia.' — LUI.  Decreta  il  senato  pena  a  donna  che  si  con- 
giunge  a  schiavo.  Premio  a  Pallante  spacciato  da  dandio  trovator  della  pro- 
posta.— LIV.  Quota  dalle  turbolenze  la  Giudea,  condannato  Cornano. — LV. 
Antioco  seda  i  torbidi  Clitì. — LVI.  Claudio  dopo  rappresentar  guerra  navale 
dà  scolo  al  la^o  di  Rossiglione. — LVIII.  Perora  Nerone  la  causa  degl'IIiesi 
e  de' Bolognesi  :  soccorsa  la  colonia  bolognese  arsa:  resa  libertà  a'Rodiani: 
rilasrìato  per  cin^e  anni  il  tributo  agli  Apamicsi. — LIX.  Statilio  Tauro  da 
Agrippina  rorinato. — LX.  Stabilita  P  autorità  de' procuratori  nelle  provincie. 
-— LaI.  Immunità  a' Coi. — LXII.  A' Bizantini  cinqu'anai  di  tributo  rimessi. 
— -LXXV.  Spessi  prodigii:  intimasi  morte  a  Lepida.  —  LXVI.  Claudio  infer- 
masi :  Agrippina  non  perde  tempo,  e  con  fonghi  avvelenati  l'uccide. — LXIX. 
Agrippina  colle  bnone  distratto  Britannico,  proclamasi  imperador  Nerone. 
Celesti  onori  a  Claudio. 

Cono  di  iti  mhU. 

,.  «  , ,.  ^     .ft»      ^      «   i  C.  PoMP^  Longino  Gallo. 

An.  di  Roma  DCGQi.  (di  Cr.  49).— CoiifoW.  j  ^  vmiwiQ 

C.  Antistio  Vktbu. 

M.  SUOLID  NbBVUUIIO. 


An.  di  Roma  DCCCni.  (di  Cr.  50). ^Consoli.  | 
An.  di  Roma  Dccav.  (di  Cr.  54).  — CoiifoI^.  | 


Ti.  Claudio  Cbsahb  V. 

SSB.  COBNBLIO  OBVITO. 


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268  IL  LIBRO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI. 

An.  d.  Bom.  IMXCV.  (<h  Cr.  52).-C«»ol..  j  i_  g^^^^  «^^^  ^^^ 
A».aiB«n..KXC..(aiO.«5,.-WoH.  }  J^^»  —  IIIÌ^L. 
An.  di  B<^.  noce™,  (di  Cr.  M)._C«n«.«.  |  ^.^Zl^'^; 

I.  La  morte  dì  Messalina  rivolse  la  corte,  ^  gareggiando 
i  liberti  per  chi  dovesse  dare  moglie  a  Claudio,  sottoposto  a 
non  potere  star  senza,  e  da  qaelle  '  esser  dominato.  Più  ar- 
dente ambizione  era  nelle  donne,  mostrandosi  ciascuna  bella 
e  nobile  e  ricca  e  degna  di  cotanto  marito.  Le  più  innanzi 
erano  Lollia  Paolina  '  figliuola  di  M.  Lollio,*  stato  consolo;  e 
Giulia  Agrippina  di  Germanico.  Questa  proponea  Panante; 
quella  Calisto.  E  Narciso,  Elia  Petìna  de'Tuberoni.  Claudio 
ora  a  questa,  ora  a  quella,  secondo  che  udiva,  voltandosi, 
gli  chiamò  tutti  a  dire  le  ragioni. 

IL  Narciso  raccontava  l'antico  matrimonio,^  la  casa  co- 
mune, avendo  di  lei  avuta  Antonia;  la  famiglia  non  senti- 
rebbe mutamento,  se  vi  tornasse  la  moglie  solita,  che  non 
ha  cagione  d'esser  matrigna  a  Britannico  e  Ottavia;  ma  di 
tenergli  cari  come  propri.  Anzi  Lollia  (  diceva  Calisto)  li 
terrà  per  figliuoli,  che  ninno  ne  ha:  né  stata  è  rimandata 
come  colei,  la  quale,  ritornando,  tanto  più  fia  superba  e  ritro- 
sa. Ma  Pallante  lodava  sopratutto  in  Agrippina,  il  tirarsi  die- 
tro il  figliuolo  nipote  ^  di  Germanico,  degno  veramente  d'im- 


*  rivolse  la  corte.  Dati:  «  la  corte  del  prìncipe  veaae  in  dbcordia.  » 
^  eda  quelle i  cioè,  dalle  moglL 

>  Lollia  Pan/ma.  Plinio  (H.  N.  IX,  35)  racconta  cose  incredibili  del  lusso 
di  costei:  «  Io  vidi  (dice)  Lollia  Paolina  che  fu  moglie  di  Caio  (Caligola)  impe- 
radore^  non  già  in  qualche  grave  e  solenne  apparato  di  sacre  cerimonie,  ma 
•anche  ad  una  cena  di  povere  nozse,  coperta  di  smeraldi  e  di  perle,  con  ricchis- 
simi frammessi  in  tutto  il  capo,  ne' capelli,  ne' ricci,  agli  orecchi,  al  collo, 
alle  braccia,  alle  dita:  tanto  che  non  aveva  addosso  meno  di  quattrocento  mila 
sesterzi;  ed  era  sempre  pronta  a  mostrarne  carta.  ìXk  questi  erano  doni  dello 
stemperato  principe,  ma  beni  di  eata,  graffiati  nello  assassinio  delle  provinde.  » 

*  Figlio  di  quel  M.  LoIIio  ricordato  da  Orasio ,  Od.  IV,  9. 

'  V  antico  matrimonio,  Elia  Petina  era  stata  già  moglie  di  Claudio,  poi 
ripndiat^per  lievi  cagioni.  N'ebbe  Antonia,  che  fu  poi  fatta  morire  da  Nerone. 

s  tt/pole  ee.  ;  cioè,  Nerone,  che  fu  poi  imperatore,  avuto  dal  primo  marito 
Domixio. 


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IL  LIBRO  DCODBCmO  DEGLI  ANNALI.  269 

peno,  stirpe  Claudia,  la  quale  questa  giovane  feconda  accre- 
scerà, unirà,  né  il  chiarore  de'  Glaudii  Cesari  porterà  in  altra 
casa. 

IIL  Furono  queste  ragioni  le  più  entranti  e  aiutate  dal- 
l'arte, spesseggiando  Agrippina  di  visitare,  quasi  per  obbli- 
go,^ il  zio:  e  tanto  sopra  l'altre  il  prese,  che  ella  procedeva 
da  moglie  prima  che  fosse;  e  quando  ne  fu  certa,  pensò  più 
olire,  d'ammogliar  Domizio  suo  figlinolo  e  di  Gn.  Enobar- 
bo,  con  Ottavia  figliuola  di  Claudio  ;  che  non  si  potea  senza 
Beandolo;  avendo  Claudio  già  lei  a  L.  Sillano  sposata,  e  fatto 
dal  popolo  conoscere  e  amare  questo  genero  grande  per  se, 
illustrato  d' insegne  trionfali,  e  per  lo  rappresentato  spetta- 
colo degli  accoltellanti.  Ma  ogni  cosa  era  agevole  con  quel 
prìncipe  buono,  scipito,  da  essere  imboccato  e  comandato.  ' 

lY.  Vitellio  adunque  (come  censore  sue  maligne  viltà 
ricoprendo)  per  entrare  in  grazia  d'Agrippina,  che  vedea 
venir  padrona,  s'impacciava  de'  suoi  segreti:  le  rapportava 
novelle  centra  Sillano  e  Giulia  Calvina  sua  sorella,  bella  e 
lasciva,  stata  nuora  poco  prima  di  esso  Vitellio.  Venne  poi 
all'accusarlo,  non  d'aver  fatto  con  la  sorella  peccato,  ma 
mal  celato  d' averle  voluto  bene.  Cesare  non  fu  sordo  a'  so- 
spetti del  genero,  strignendolo  più  la  figliuola.  Ma  Sillano 
non  sapendo  queste  girandole  '  (e  anche  era  pretore  in  quel- 
l'anno) per  editto  di  Vitellio  si  trovò  casso  del  senato,  ben- 
ché lasciatovi  prima  nel  lustro  nella  scelta  de'  senatori;*  e  in- 
sieme Claudio  gli  disdisse  il  parentado:'  fu  fatto  renunziare 
la  pretoria,  e  la  fini  Eprio  Marcello.* 

V.  [A.  di  R.  802,  di  G.  49.]  Entrati  consoli  Gaio  Pompeo 
e  Q.  Veranìo,  il  matrimonio  tra  Claudio  e  Agrippina,  già 

*  guati  per  obbligo.  Qui  Beniardo  ha  peicato  un  granchiolioos  perche 
mper  speciem  necejsitudinis  »  non  vale  «  per  obbligo,  »  ma  «  sotto  pretecto  di 
parentela.  » 

>  buono j  scipito j  da  essere  imboccato  ec.  U  lat.  :  «  cui  non  iudicium, 
non  odium  erat,  nisi  indita  et  iussa,  » 

'  non  sapendo  queste  girandole:  questi  raggiri.  Lat.  ;  «  insidiarum  iiew 
seitt».  » 

*  benché  lasciatovi  ec.  Valeriaoi:  «  benché  fossero  i  senatori  già  scelti 
e  compiuto  il  lustro.  *• 

S  il  parentado j  cio^  ,  il  matrimonio  con  Ottavia. 

«  Spione  famoso.  (Vedi  Stor.  II,  53.  Dialog.  d,  8»  13.) 

23* 


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270  IL  LIBEO  DCODBCIMO  DBOLI  ANNALI. 

per  fama  e  per  Io  scelerato  amore  y  tenuto  per  fatto,  si  con^ 
chiose:  non  però  ardivano  far  le  noze,  non  essendosi  più 
adito,  un  zi6  menare  la  figliuola  d'un  fratel  carnale;  e  te- 
mendo di  pubblico  inconveniente,  se  peceajto  tale  si  sprezas- 
se.  Yitellio  tolse  a  cavarne  le  mani,  *  e  domandò  Cesare,  se 
si  lasserebbe  consigliare  dal  popolo  o  dal  senato.  Avendo  ri- 
sposto esserci  solamente  per  uno,  '  né  poterne  più  di  loro, 
disse  che  Vaspettasse  in  palagio.  Entra  in  senato,  e  cbie-, 
sta  la  prima  udienza*  per  cosa  che  importava  allo  stato,  in- 
comincia: «  Le  gran  fatiche  del  principe  che  regge  il  mondo, 
doversi  sgravar  delle  cure  di  casa,  perchè  si  dea  tutto  alle 
pubbliche.  £  chi  meglio  ciò  poter  fare,*  che  una  di  tutti  i 
beni  e  mali  consorte?  a  questa  dover  fidare  i  segreti  M 
cuore,  i  teneri  figliuoli,  esso  che  non  conobbe  mai  libidini 
né  piaceri,  ma  sempre  sin  da  piccolo  ubbidì  alle  leggi.  » 

VI.  Fatto  cosi  bello  preambolo,  e  molto  da'  padri  adu- 
lato, seguitò:  «  Poiché  voleano  tutti  che  id  prìncipe  si  rì- 
desse '  moglie,  doversi  scorre  la  più  nobile,  feconda  e  santa: 
tale  essere,  senza  altra  cercare.  Agrippina:  ninna  di  sangue 
si  chiaro:  aver  fatto  figliuoli:  vedersi  colma  di  virtù,  e  ab- 
battersi, per  divin  volere,  a  esser  vedova*  per  maritarsi  a 
prìncipe,  che  mai  non  isposò  moglie  altrui.  Avere  udito 
da'  padri,  veduto  essi,  i  Cesari  tòrsi  T altrui  donne  a  lor  pia- 
cimento: questi  usare  altra  modestia:  insegnare  agli  altri  im- 
peradorì  di  cosi  prenderla.  ^  Se  sposare  figliuola  di  fratello  è 

^  tolse  a  cavarne  le  mani^  si  pose  a  Toler  dar  capo  alla  cosa;  a  volerla  Soire. 

'  esserci.»,  per  uno,  contare  per  uno.  Dati:  «  esso  solo  non  essendo  più 
che  un  cittadino,  non  era  bastante  a  resistere  al  consenso  universale  di  tutta  la 
fitta.» 

'  la  prima  udienza j  cioè,  avendo  chiesto  grasia  di  parlar  primo. 

*  Echi  meglio  ciò  poter  Jare  te.  Valerìanii  «*  Or  qual  soIlieTO  più  one- 
sto all'animo  d'un  censore......  che  donna  assunta  a  compagna  d'ogni  for- 
tuna T  ec.  m 

*  si  ridesse^  si  desse  di  nuovo. 

>  vedova  di  Crìspo  Passieno,  a  cui  aveva  dato  la  mano  dopo  la  morta  d| 
Domixio. 

f  di  così  prenderlaj  cioè ,  com*  egli  dovessero  pigliar  moglie.  «  Nd  Mi, 
Soimtino  v'è  un  vuoto  tra  imperator  e  acciperétt  si  potrebbe  empier  quel  vuoto 
così:  «  quo  uxorem  imperator  fratrie  fliam  acciperet:  m  infatti  nel  numero  7 
si  legge  che  Claudio  chiese  al  senato  decreto:  «  quo  insta  inter  patruos  frttm 
trnmquejilias  nupUts  statutrgntur.  m  (R.  Pastore.) 


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IL  UBBO  DOODBCmO  DEGÙ  ANHAU.  271 

nnoYo  a  noi,  ad  altre  genti  esser  solenne,  da  legge  ninna 
vietato.  Esserei  gran  tempo  astenuti  dalle  cugine;  ora  spes- 
seggiarsi. L'nsanie  accomodarsi  al  bisogno:  col  tempo  verrà 
in  oso  anche  (jnesta.  » 

YIL  Vi  faron  di  quelli  che  protestando,  se  Cesare  la 
tentennasse,  *  d'andare  a  fargliele  '  far  per  forza;  usciron  di 
senato  con  furia.  Vari  mucchi;  gran  calcavi  concorre,*  gri* 
dando:  il  medesimo  chiedere  il  popol  romano.  E  Claudio 
senza  tardare  s'appresenta  loro  nel  foro,  e  accetta  il  buon 
prò.  Entra  in  senato,  e  sollecita  il  partito,  che  tra  zio  e  ni-> 
potè  di  fratello  si  possa  far  ^uste  noze,  e  ancora  per  l'av* 
venire.  T.  Allodio  Severo  cavalier  romano  per  acquistar  la 
grazia  (diceano  d'Agrippina)  fu  solo  a  bramare  tal  paren* 
tado.*  Quindi  si  mutò  il  tutto.  Governava  una  donna;  né 
per  disonestà,  come  Messalina,  si  faceva  giuoco  dello  stato; 
ma  si  facea  servire,  non  come  donna,  e  come  da  schiavi.* 
Era  in^  publico  severa,  spesso  superba;  in  casa  onestissima, 
se  non  se  per  regnare:  d'oro  avidissima,  (diceva)  per  sov- 
venire il  regno. 

YIIL  Sillano  s'ammazò  il  di  delle  noze,*  o  per  aver 
smo  a  quello  sperato,  o  scelse  quello  per  concitar  più  odio. 
Calvina  sua  sorella  fu  cacciata  d'Italia,  e  Claudio  ordinò 
farsi  i  sagrifizi  del  re  Tulio,  e  le  ribenedizioni  de'  pontefici 

*  se...  la  tentennasse.  Lat.  :  «W  cunctaretnr.n  Tentennarla  o  Stare  in 
tentenne  vale  Micie  incerto,  titubare,  vacillaTe ,  dubitare,  e  simili.  Vedi  il  Yarohi, 
Ercolano, 

*  y**"^^'*'**  fargli  ciò. 

*  Fari  mucchi j  gran  calca  9i  concorre.  Il  lat  ha  :  «  conglobatur  prò» 
mUeua  malUttuiej  m  ctob,  affollasi  alla  rinfusa  una  bordaglia,  gridando  ee. 

*  fu  solo  a  bramare  tal  parentado,  fa  il  solo  che  si  mostrasse  desidc* 
roso  di  seguire  l' esempio  di  Claudio,  pigliando  una  nipote.  Svetonio,  in  Claud. 
e.  S6;  «•  Né  a  fatica  messe  un  di  in  messo  dalla  predetta  deliberasione ,  ch'egli 
fe  eelcbrare  le  notca  :  n^  si  trovò  alcuno  che  in  ciò  Y  imitasse,  salvo  che  un  certo 
libertino  ed  un  soldato  primipilare;  alle  nosae  del  quale  egli  in  persona  con  la 
sua  Agrippina  si  ritrovò.  *• 

S  ma  si  facea  servire ,  non  come  donna,  e  come  da  schiavi.  Lat.;  «  ad" 
duetum,  et  quasi  virile  servitium.  m  Cioè,  fu  un  servaggio  di  rigore,  dtauste- 
lit^^  e  quasi  virile. 

*  s'ammasò  ec.  Svetonio,  in  Claud.  e.  29  ;  «  Sillano  fu  costretto  a  di* 
poTTe  la  pretura ,  quattro  giorni  avanti  alle  calende  di  gennaio)  e  cosi  venne  a 
morire  nel  principio  dell'  anno ,  e  nel  giorno  medesimo  nel  quale  le  noase  sue  e 
d'Agrippinft  furono  celebrate.  » 


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273       '  IL  LOBO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI. 

nel  bosco  di  Diana,  per  lo  'ncesto  di  Stilano  con  la  sorella; 
rìdendosi  ogn'  nno,  che  in  tal  tempo  si  ponissero  e  pnrgassot) 
gr  incesti.  Ma  Agrippina  per  farsi  conoscere  anche  per  buone 
opere,  fece  ad  Anneo  Seneca  perdonar  l'esilio,*  e  farlo  pre- 
tore, pensando  di  far  cosa  grata  al  poblico,  per  essere  gran 
letterato,  e  far  Domizio  *  allevar  da  tanto  maestro,  e  valersi 
de'  suoi  consigli,  per  arrivare  al  principato,  come  fedele  per 
lo  beneficio,  é  avverso  a  Claudio  per  l'ingiaria. 

IX.  Parve  da  non  indugiare:  e  con  gran  promesse  in- 
ducono Memmio  PoUione,  eletto  consolo,  a  dir  sua  sentenza, 
che  Claudio  sposasse  Ottavia  a  Domizio.  L'età  s*atlàceva: e 
ne  seguirìeno  cose  maggiori.  PoUione,  quasi  con  le  stesse  pa- 
role che  poco  fa  Yitellio,  fece  l'uficio:  segue  reffetto:  cosi 
Domizio  di  parente  è  fatto  sposò  e  genero,  e  pari  a  Britannico 
per  li  favori  della  madre,  e  per  le  arti  detti  accusatori  di 
Messalina,  che  temevano  non  il  figlinolo  li  gastìgasse. 

X.  In  questo  tempo  gli  ambasciadori  de'  Parti  (mandati  a 
chiedere,  come  dissi,'  Meerdate)  entrati  in  senato,  espon- 
gono: «  Yéììir  bene  scienti  di  nostra  colleganza:  non  ribelli 
di  casa  arsacida,  ma  per  riavere  il  figliuolo  di  Vonone,  ni- 
pote di  Fraate,  che  gli  liberi  dalla  tirannia  di  Gotarze,  in- 
tollerabile a'  nobili  e  a'plebei.  Avere  uccisi  loro  i  fratelli,  i 
vicini  e  i  lontani;  insino  le  donne  pregne  e  i  bambini,  per 
ricoprir  con  la  crudeltà  l' esser  suo,  dappoco  in  casa  e  sgra- 
ziato in  guerra.  Richiedere  Y  antica  publica  amistà,  che  noi 
soccorressimo  i  compagni  nostri,  emoli  di  possanza,  ma  ce- 
denti per  riverenza.  Darsi,  non  per  altro,  li  figliuoli  de'lor 
re  per  ostaggi,  che  per  poter,  quando  son  retti  male,  man- 
dare al  principe,  e  a' padri  per  un  re  buono,  uscito  di  loro 
scuola.  » 

XI.  Cesare  all'  incontro  parlamentò  dell'  alteza  romana, 
dell'osservanza  de'Parii:  essergli,  come  al  divino  Agusto, 
ehiesto  il  re/  E  non  fiatò  di  Tiberio  che  l'avea  mandato. 

'  t  esilio.  Scocca ,  dopo  la  questura ,  fu  da  Claudio  rilegato  in  Conica, 
per  sospetto  di  adulterio  con  Giulia  figlia  di  Germanico,  moglie  di  Vinicio s  de* 
litto  impancatogli  da  Messalina.  (Lipsio.)  — •  Fu  richiamato  dopo  otto  anni 

'  JDomiMio,  Nerone. 

>  come  disti,  nel  lib.  piecedente ,  e.  10. 

*  essergli,  come  ai  divino  Jgitsto,  chiesto  il  re  ec.  Dati;  «  •  «  Cmm 


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IL  LOBO  DOODBCIMO  DEGÙ  AMIIAU.  273 

Meerdate,  ehe  presente  era,  ammoni  che,  <t  Non  pensasse 
dominar  que' popoli  come  schiavi,  ma  reggerli  come  citta- 
dini, con  clemenza  e  giustizia:  cose  quanto  meno  conosciate, 
tanto  più  accette  a'  barbari.  »  YoKosi  alli  ambasciadori,  lodò 
a  cielo  «e  questo  allievo  di  Roma,  pieno  di  modestia;  ma  do- 
versi qualche  cosa  comportare  a'  re,  e  non  esser  utile  scam- 
biargli tutto  di:  noi  esser  tanto  colmi  di  gloria,  che  vorremmo 
vedere  ogni  altro  stato  quieto,  n  A  Gaio  Cassio,*  reggente  la 
Seria,  ordina  che  conduca  il  giovane  in  riva  d' Eufrate. 

XII.  Era  Cassio  in  legge  lo  più  ammaestrato  di  que'tem- 
pi,  che  l'arti  della  guerra  giacevano  per  la  pace,  la  quale 
stima  gli  oziosi  quanto  i  prodi.  Nondimeno,  quanto  senza 
guerra  poteva,*  rimetteva  i  modi  antichi  d'esercitare  i  sol- 
dati, pensare,  provvedere,  fare  come  se  '1  nemico  assa- 
lisse; parendogli  cosi  esser  degnità  de' suoi  maggiori,  e  di 
casa  cassia,  da  quelle  genti  ancora  celebrata.  Fatti  dunque 
muover  quelli  che  avean  fatto  chiamare  il  re,  accampatosi 
a  Zenma,' dov'è  più  agevole  il  passo;  quando  comparvero  i 
grandi  de' Parti,  e  Abbarore  degU  Arabi,  Cassio  ricordò  a 
Meerdate,  sollecitasse  sua  impresa;  perchè  i  barbari  si  muo- 
vono con  furore  e,  tardando,  allentano  o  tradiscono.  Non  ne 
fece  capitale*  per  inganno  di  Abbaro,  che  il  giovane  non  ac- 
corto e  stimante  che  l' esser  re  stesse  nel  vivere  con  gran 
lusso,  trattenne  molti  di  nella  terra  di  Edessa.'  E  chiaman- 
dogli Carrene  con  dire  che  ogni  cosa  era  presta ,  venendo 
presto;  non  vanno  per  la  corta  in  Mesopotamìa,"  ma  girano 
per  l'Armenia  che  si  dovea,  cominciando  il  verno,  fuggire. 

XIII.  Stracchi  per  le  montagne  e  nevi,  si  congiungono 

Aagvsto s'agguagliava,  raccontando  che  sotto  P imperio  di  qnello,  Tennero  i 
Parti  ancora  a  domandargli  on  re:  e  di  Tiberio  si  Ucque,  sebbene  egli  ancora 
aveva  mandato  loro  un  simil  re.  » 

*  Gaio  Cassio.  Vedilib.  VI,  15. 

*  quanto  senta  guèrra  potevaj  cioè ,  quanto  egli  poteva  in  un  tempo  in 
coi  non  V*  erano  guerre. 

'  Zsuma  era  sul  passo  dell'Eufrate,  e  da  ciò  pigliava  il  nome  ({su/ta, 
iunctura).  Oggi,  Tschychme  o  Zima. 

4  Non  ne  fece  capitaUj  non  curò  il  consiglio. 

5  Edessa:  oggi,  Orfa  nella  Mesopotamia. 

*  Mesopotamia  k  il  paese  tra  l'Eufrate  e  il  Tigri  (/jis90s,  messo;  itOTOiiiOi, 
fiume). 


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274  IL  UBRO  DOODBCmO  DEGLI  ANNALI. 

con  la  genie  di  Garrene  vicino  alla  pianura:  passano  il  Tigre, 
e  attraversano  li  Adiabeni,^  lo  cui  re  Giuliate,'  che  facea 
r  amico  di  Meerdate,  in  segreto  tenea  da  Goiarze.  Presero 
per  viaggio  la  città  di  Nino,'  sedia  antichissima  dell' Assiria, 
e  il  castello  famoso  ove  Alessandro  con  Bario  combattè»  e 
abbattè  la  potenza  di  Persia.  Gotarze  intanto  nel  monte  Sam- 
bulo  sagrificava  agli  iddii  del  luogo,  ov'è  in  maggior  devo- 
zione Ercole,  il  quale  in  sogno  mostra  a' sacerdoti,  che  a 
certo  tempo  menino  al  tempio  i  loro  cavalli  a  ordine  per  la 
caccia  ;  i  quali,  caricati  di  turcassi  pieni  di  frecce,  corrono , 
per  boschi ,  e  di  notte  tornano  con  molto  ansare,  co'  turcassi 
voti;  e  lo  iddio  di  nuovo  mostra  loro  in  sogno  in  quai  boschi 
corsero,  e  trovanvisi  sparsi  i  salvaggiumi  per  terra. 

XIY.  Ma  Gotarze,  non  avendo  bastevole  esercito,  si  fa- 
cea del  fiume  Gonna  riparo.  Sfidato  a  battaglia,  e  punto  per 
trombetti  e  affronti,  metteva  tempo  in  mezo,  mutava  luoghi, 
mandava  ai  nimici  moneta,  perchè  facessono  tradimenti  Tra 
gli  altri  Ezate  *  Adiabeno,  e  Abbaro  re  arabo,  se  ne  vanno 
con  gli  eserciti,  per  loro  poca  levatura f*^  essendo  chiaro  per 
isperìenza,  che  i  barbari  corrono  a  chiedere  da  Roma  i  re,  e 
poi  non  gli  vogliono.  Meerdate,  di  si  forti  aiuti  spogliato,  e 
degli  altri  insospettito,  deliberò,  non  potendo  altro,  rimet- 
,  tersi  alla  fortuna,  e  combattere:  e  Gotarze  inferocito  per  li 
scemati  nimici,  accettò.  L'affronto  fu  sanguinoso  e  dubbio 
sino  a  che  Garrene  scorso  troppo  dietro  a  una  parte  fuggente, 
da  un'  altra  fresca  fu  circondato.  All'  ora  Meerdate  perduta 
ogni  speranza,  fidatosi  di  Parrace,  creatura  del  padre,  fu  da 
lui  preso  e  dato  al  vincitore:  il  quale  dicendogli  non  parente 

*  ^A*a&eNiy  Kurdistan. 

3  Gìuliate,Uate. 

'  la  città  di  Nino.  Secondo  T Ordii,  questa  è  la  Minive  adiabcDayche  Ta- 
cito confonde  colla  Ninive,  antica  capitale  dell*  Assiria,  una  parte  delle  cui  rovine 
furono  scoperte  nel  1843  da  Paolo  Emilio  Botta ,  figlio  dello  storico. 

^  Ezate ^  Tsate. 

'  per  loro  poca  levatura,  per  la  leggerezsa  propria  di  quella  gente.  Lat  t 
«  levitate  gentili.  »  Di  poca  levatura  dicesi  colui  che  ci  vuol  poco  a  solltvmrgli 
P animo  specialmente  all'ira;  che  per  ogni  lieve  cagione  si  muove.  «  t*  donne 
(dice  il  Varchi  nella  Suocera  )  hanno  poca  levatura  per  l'ordinario,  e  sono  fatte 
come  i  fanciulli  che  s*  adirano  per  ogni  piccioli  cosa.  »  U  p<^oIo  toscano  chiama 
uomo  di  poca  levatura  chi  ha  poco  ingegno. 


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n.  imo  DCODBCIMO  DBGII  ANNALI.  275 

né  arsacida,  ma  forestiero  e  romanesco,  gli  mozò  gli  orec- 
chi, e  lascioUo  andare  a  mostra  di  sua  clemenza,  e  nostra 
onta.  Mori  poi  Gotarze,  e  fa  chiamato  al  regno  yonone,che 
goyemaya  i  Medi.  Poco  yìsse,  e  nulla  operò.  Saccedetteli 
Yolgese  sno  figliuolo. 

XY.  Andando  disperso  Mitridate  bosforano,^  e  yedendo 
partito  Didio*  capitano  romano,  col  forte  dello  esercito,  con 
ayer  lasciato  Coti  *  gìoyane,  non  esperto  in  regno  nuoyo,  con 
poche  coorti,  sotto  Giulio  Aquila  cayalier  romano,  sprezati 
ambidue;  soUleya  popoli,  alletta  sbanditi,  raguna  esercito,  e 
toglie  lo  stato  al  re  de'  Dandaridi;^  e  staya  per  pigliare  il  Bo- 
sforo. Quando  Aquila  e  Goti  intesero  queste  cose,  e  che  Zor- 
sme  re  de'  Soraci  era  ritornato  nimico;  yedendosi  deboli, 
cercarono  anch'essi  aiuti  di  fuori,  e  mandarono  ambascia- 
dori  a  Eunone  principale  délli  Adersi;  mostrando  loro  che 
Mitridate,  ribello  alla  potenza  romana,  era  niente.  Conyen- 
nero  ageyolmente,  e  che  Eunone  con  la  cayallerìa  combat- 
tesse, e  i  Romani  assediasser  le  terre. 

XTI.  Muoyonsi  schierati  cosi:  gli  Adersi  alla  testa  e 
alla  coda;  nel  mezo  le  nostre  coorti  e  i  bosforani  armati 
alla  romana.  Rotto  cosi  il  nimico,  s'andò  a  Soza  città  di 
Dandaria,  abbandonata  da  Mitridate  per  sospetto  de' suoi;  e 
panre  da  lasciaryi  presidio.  Entrato  '  ne'  Soraci,  e  passati  il 
fiume  Pande,  accerchiano  Uspen,  città  in  monte,  con  buoni 
fossi  e  triste  mora  di  graticci,  ripieni  di  terra,  ageyoli  a 
disfare.  Da  alte  bertesche  fuochi  e  saette  lanciando,  traya- 
gliayano  gli  assediati,  e  se  la  notte  non  ispartiya,  segniya 
r  assalto  e  la  presa  in  un  di. 

XYII.  La  dimane  mandare  a  off'erìr  la  terra  e  diecimila 
schiayi,  salyando  i  liberi.  Troppa  crudeltà  parye  tanti  arresi 
uccidere,  o  briga  a  guardargli:  meglio  essere  spegnergli  con 
ragion  di  guerra.  E  fu  dato  il  segno  a'  soldati,  saliti  con  le 


^  bosforana  per  distinguerlo  diìVarmenio,  di  cui  nel  lib.  precedente,  e.  8. 
S  Didio.  yedi  più  sotto,  e.  40,  e  XIV,  29.  Jgric.  14. 
S  Coti,  fratello  di  Mitridate. 

*  Dandaridi:  questi  co*  Soraci  e  gli  Adorsi,  qui  ricordati ,  abitaTano  presso 
la  palude  Meotide  (Mar  d'Jxof), 

S  Entrato:  alla  latina ,  per  entrarono 


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Ì76         IL  UBRO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI. 

scale  sa  le  mara,  di  mandar  tatti  a  fìl  di  spada.  Lo  stermi- 
nio dalli  Uspensi  spaventò  gli  altri:  vedendoci  mandare  ar- 
me» ripari,  laoghi  aspri  e  alti,  fiumi,  città,  ogni  cosa  a  nn 
piano,  *  e  nulla  sicaro.  Zorsine  adunque  dibattutosi,  '  se  do- 
vesse pensare  al  caso  estremo  di  Mitridate,  o  al  suo  regno, 
s'attenne  all'utile:  e  dati  ostaggi,  si  prostese  dinanzi  al- 
l' imagine  di  Cesare  con  gloria  grande  del  romano  esercito 
d'avere  scorso,  vincitore  senza  sangue,  sino  a  tre  giornale 
(come  si  vide)'  presso  al  Tanai.*  Non  ebbe  nel  tornarsene 
egual  fortuna,  per  certe  navi  traportate  per  mare  nelle  co- 
stiere de'  Tauri ,'^  le  quali  que'  barbari  circondarono;  e  ucci- 
sero il  prefetto,  e  quasi  tutti  i  centurioni. 

XYIIl.  Mitridate,  non  avendo  più  arme,  pensa  ove  tro- 
var misericordia.  Di  Goti  frateUo,  statogli  traditore,  or  «ni- 
mico, temeva.  Romano  alcuno  ivi  non  era  d'autorità  da 
starsene  a  sue  promesse.  Gittasi  ad  Eunone,  nimico  suo  pro- 
prio, e  per  la  nuova  nostra  amicizia  potente;  e  con  abito  e 
volto  acconcio  alla  presente  fortuna,  entra  in  palagio,  e  ab- 
bracciatogli le  ginocchia,  dice:  <k  Eccoti  Mitridate,  tanti  anni 
da'  Romani  cercato  per  terra  e  per  mare.  Fa  della  prole  del 
grande  Achemene  (il  che  solo  non  m' hanno  potuto  torre  i 
nimici)  cloche  tu  vuoi.  » 

XIX.  La  chiareza  dell'uomo,  la  mutata  fortuna,  e1 
pregar  generoso,  commossero  Eunone:  levai  su:  lodato  d'aver 
eletto  la  gente  adorsa,  la  destra  sua,  per  chieder  mercé:  e 
a  Cesare  manda  ambasciadori  e  lettere  di  questo  tenore: 
«  GÌ' imperadori  del  popolo  romano,  e  i  re  delle  grandi  na- 
zioni essersi  fatti  amici  per  la  simigliante  grandeza:  egli  e 
Claudio,  per  la  comune  vittoria.  Le  guerre  non  avere  piò 
nobil  fine  che,  perdonando,  accordare.  ^  Cosi  a  Zorsine  vinto 
niente  essersi  tolto.  Per  Mitridate,  che  più  grave  peccò,  pre- 


*  mandare a  un  piano,  saperare  ed  espugnare  ugualmente.  I 

>  dibattutosi j  dopo  aver  deliberato  tra  se  lungamente.  | 

s  vide:  1*  altre  cdisioni  vedsj  con  manifesto  errore.  j 

«  Tanai,  detto  anche  Tana^  oggi  Don,  6ume  che  divide  l'Asia  dall'E*  i 


ropa. 


»  Tauri  ^ìTaJlZTU 
A  perdonando,  accordare.  Politi:  «  Generoso  fine  di  guerra  esser  qneDt       I 
che  si  fa  col  perdonare.  »  I 


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IL  LIBRO  DUODECIMO  DEGÙ  ANNALI.  277 

gara  non  rendergli  regno  né  potenza,  ma  perdonargli  il  ve- 
nire in  trionfo  e  la  morte.  » 

XX.  Claudio  benché  dolce  con  la  nobiltà  straniera,  do- 
bitò  se  meglio  era  ricevere  con  tal  patto  cotal  prigione,  o 
ripigliarìo  con  Tarmi.  Premevalo  il  duolo  delle  ingiurie,  e  la 
voglia  del  vendicarsi:  ma  gli  era  detto:  <x  Che  qui  si  vedea 
guerra  in  paesi  deserti,  mare  senza  porti,  re  bizarri,  popoli 
vagabondi,  terreno  sterile;  tedio ^  durando;  pericolo,  affret- 
tandosi; poca  lode,  vìncendo;  e  gran  vergogna,  se  si  per- 
desse. Che  non  accettarlo  cosi?  la  vita  sarebbe  al  meschino 
continuato  supplìzio.  »  Per  queste  ragioni  scrisse  a  Eunone: 
ff  Che  Mitridate  meritava  la  morie,  e  poteva  dargliele;*  ma 
per  antico  costume  essere  ì  Romani  tanto  benigni  a'  suppli- 
canti, quanto  duri  a'  nimici:'  e  si  trionfa  de'  popoli  e  de'  re- 
gni, non  d' un  uomo  solo.  » 

XXI.  Consegnato  dipoi,  e  portato  a  Roma  Mitridate  da 
Giunìo  Cìlone  procuratore  del  Ponto,  si  dice  che  a  Cesare 
parìò  troppo  altiero  in  quella  fortuna,  e  n'andarono  per  lo 
popolo  queste  parole:  oc  Io  non  ti  sono  rimandato,  ma  torno: 
se  no'l  credi,  lasciami  e  vedra'lo.  »  E  quando  in  mezo  alle 
guardie  fu  mostrato  in  ringhiera  al  popolo,  non  si  cambiò. 
A  Cìlone  furono  ordinate  le  insegne  di  consolo,  ad  Aquila 
di  pretore. 

XXII.  In  detto  anno  Agrippina,  contro  a  LoUia,  che 
seco  avea  conteso  il  matrimonio  del  principe,  inviperata, 
le  trova  cagioni  e  accusatore  d'aver  sopra  quello  doman- 
dato caldei,  '  maghi  e  Apollo  clario.*  E  Claudio  senza  udir 
lei,  disse  in  senato  molto  della  sua  nobiltà:  ce  Nata  di  sorella 
di  L.  Yolusio;  bisnipote  di  Cotta  Messaline  da  canto  di  pa- 
dre; stata  moglie  di  Memmio  Regolo,  d  Di  Gaio  che  la  ri- 
mandò non  volle  dire;  ma  aggiunse  «  aver  mali  pensieri 

*  dargliele:  solito  fiorentinismo  che  fa  serrire  il  suffisso  le  a  tutti  i  ge- 
neri. 

'  duri  a'nimici,  Virgilio,  JSn.  VI: 

Romantj  meméHfo 

Parure  siMeetit  et  debeilare  iuperbot. 

'  d'aver  sopra  quello  domandato  Caldei,  d*  avere  sopra  quel  matrimo- 
nio  ricercato  gli  strolaghi. 

*  J pollo  ciarlo  j  venerato  io  Giare  y  citili  vicina  a  Colofone. 

I.  2i 


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278         IL  UBBO  DOODKCIMO  DEGÙ  ANNALI. 

contro  allo  stato:  esser  bene,  prima  che  ella  gli  effettai,  con- 
fiscarle i  beni,  e  scacciarla  d'Italia.  »  £  cosi  fa:  lasciatole 
delle  sue  smisurate  riccheze  cento  Tinticinque  mila  fiorini 
per  vivere.  E  Galpomia,  illustre  donna,  fu  sperperata,^  per 
averla  il  principe  chiamata  bella,  ragionandone  a  caso,  non 
per  averne  capriccio:  però  Agrippina  non  li  fé'  il  peggio.'  A 
LoUia  mandò  il  tribuno  a  ucciderla.  Condannossi  ancora  di 
mal  tolto  Cadio  Rufo'  accusato  da' Bitiniesi. 

XXUI.  Alla  Gallia  narbonese,  per  la  molta  reverenza 
al  senato,  fu  conceduto  che  a' senatori  narbonesi,  si  come 
a'ciciliani,  fosse  lecito  senza  licenza  del  principe  riveder 
casa  loro.*  GÌ'  Iturei  e  i  Giudei  per  morte  de'  re  loro  Soemo 
e  Agrippa,  furono  aggregati  al  governo  di  Soria.  L' agurio 
di  salute,  già  vinticinque  anni  tralasciato,  piacque  rimet- 
tere e  continuare.  Avendo  Cesare  allargato  l' imperio,  il  cer- 
chio ancora  della  città,  per  lo  costume  antico  allargò  ;  per 
ìb  quale  è  conceduto  a  coloro  che  hanno  ampliato  l' imperio 
ampliare  ancor  la  città.  Non  l' usarono  già,  per  grandi  na- 
zioni che  soggiogassero,  i  capitani  della  republìca,  se  non 
L.  Siila,  e  poi  Aguslo.  I  re  ci  ebbero,  chi  dice  vana  chi  vera 
gloria. 

XXrV.  £  qui  mi  par  non  fuori  di  proposito  notare  ove 
Romolo  cominciò  il  primo  cerchio.  Dal  foro  boario,^  ove  noi 
vediamo  quel  bue  di  bronzo  (però  che  tale  animale  si  mette 
all'aratolo),  cominciò  a  disegnarlo  con  un  solco,  inchiudendovi 
il  grande  altare  d'Ercole.  Indi  piantò  sassi  con  certa  distanza 
a  pie  del  monte  palatino,  sino  all'altare  diConso,^  a'magistrati 

*  fu  sperperata.  II  ht.!  m  pervertiturj  w  h  cacciata  in  esilio. 

'  non  li  fé*  il  peggio.  La  grammatica  vorrebbe  non  le/e'. Vuoi  dire  che  an- 
che Agrippina,  conoscendo  che  quella  lode  fu  innocente,  si  contentò  di  non  ga- 
sliganie  Calpumia  colla  morte,  come  ayrebhe  Citto  altrimenti  U  Ut.  :  «  ira  Agrìp' 
pina!  eitra  nltima  ttetit.  m 

*  Cadio  Rufo  :  fu  poi  rimesso  in  senato.  Vedi  Stor.  l,  77. 

*  casa  loro.  Ne* primi  tempi  della  repubblica  fu  libero  a' senatori  di  andare 
dove  loro  paresse.  Augusto  tolse  tal  facoltà,  per  timore  non  ne  abusassero  a  sol- 
levar Provincie.  Me  eccettuò  peraltro  la  Sicilia  ;  come  Claudio  n*  eccettuò  poi  la 
Gallia  narbonese. 

^  foro  boario:  w^, Campo  Vaccino,  tra  i  monti  palatino,  capitolino  r 
sventino.  ' 

^  Consoj  e  lo  stesso  che  Nettuno  «questie^-ed  era  detto  a  consulendo. 


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a  UBEO  DUODBCniO  DIGLI  ANNALI.         879 

vecchi,*  al  tempietto  de'  Lari.*  Il  foro  romano  e  '1  campido- 
glio 8i  credono  aggiantì  da  T.  Tazio.  Crebbe  poi  con  la  for- 
tuna il  cerchio.  Ove  il  terminasse  Claudio,  è  agevol  cono- 
scere, ed  è  scritto  neMibrì  pablici, 

XXV.  [A.  di  R.  803,  di  Cr.  50.]  Entrati  consoli  Gaio  An- 
tistio  e  M.  Snilio  s' avacciò  Y  adottamento  di  Domizio,  per 
l'autorità  di  Fallante,  il  quale  d'intrinseco  d'Agrippina» 
per  le  condotte  noze,  divenutone  adultero,  stimofaiva  Clau- 
dio che  pensasse  al  ben  pnblico:  desse  alla  fanciulleza  di 
Britannico  an  appoggio.  Cosi  avere  il  divino  Agosto,  ben- 
ché di  nipoti  fondato,  fatti  grandi  i  figliastri:*  e  Tiberio,  ol- 
ite al  figlinol  proprio,*  adottato  Germanico.  Valessesi  an- 
ch'egli  di  questo  giovane,  caricandogli  parte  delle  fatiche. 
Con  queste  ragioni  fu  svolto  a  mettere  innanzi  al  figliuolo, 
Domizio  di  due  anni  soli  maggiore,  e  ne  fece  In  senato  di- 
cerìa imboccatagli  dal  liberto.  Notavano  i  periti ,  ninno  altro 
trovarsi  adottato  tra  i  Claudii  patrizi,  continuati  per  natu- 
rale lignaggio,  da  Atto  Clauso'  in  qua. 

XXYI.  Il  principe  ne  fu  ringraziato,  e  Domizio  squisi- 
tamente adulato  e,  per  legge  vinta,  datogli  il  casato  de'  Clau- 
dii e  nome  di  Nerone ,  e  ad  Agrippina  cognome  d' Agusta. 
Fatte  queste  cose,  non  fu  uomo  si  crudo,  che  non  lagrimasse 
del  povero  Britannico,  che  abbandonato  fino  da  vili  servi* 
don,  per  careze  che  fuor  di  ragione  faceva  loro  Agrippina,* 
rimaneva  schernito,  e  bene  se  n'accorgeva:  dicono  perchè 
avea  ingegno,  e  forse  lo  ìncrescerne  lo  facea  lodare,  senza 
aver  data  esperienza  di  se. 

*  a*  magistrati  pecchi.  Il  latino  dice  «  [ad]  curiat  veUres:  w  e  questi 
curia  Tccchia  noD  era  quella  ove  si  adunavano  i  magistnlit  ma  si  quella  dove  i 
sacerdoCi  facevano  i  divini  ufilcii ,  com'  è  chiaro  da  questo  luogo  di  Varrone ,  Dn 
Un.  lat.:  «  Curia  duorum  genernm:  nam  et  ubi  curarent  sacerdotes  res  di^ 
vinata  ut  Curia  veteres,  et  ubi  senato*  hnmanas,  ut  Curia  Bostiiia.  » 

*  de'Lari,'Lègg,tmLarum,n  n  testo  dell'OrelU  mLarundts^m  dìLarunda, 
madre  dei  Lari;  e  gli  pare  che  questa  lezione  possa  rilevarsi  dal  codice  mediceo. 

'  i  figliastri,  Dmso  e  Tiberio. 

*  Jigliuol  proprio j  cioè ,  Druso  il  giovane. 

'  jitto  Clauso  (nome  che  poi  convertissi  in  Appio  Claadio)  è  il  fondatore 
di  casa  Claudia. 

'  per  carene  ec.  Valeriani:  «  A  poco  a  poco  privato  ancora  è*  ogni  servii 
ministero ,  prendeva  a  scherno  le  intempestive  premure  della  matrigna,  accorgen- 
dosi dell*  inganno.  M 


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280  IL  LIBRO  DDODEGmO  DE«U  ANNALI. 

XXVII.  Ma  Agrippina  per  mostrare  sua  potenza  anche 
foori  all'amiche  nazioni,  mmida  nella  terra  degli  Ubi!  ima 
colonia,  e  le  pone  il  sno  nome,^  perché  qnivi  fu  concepata: 
e  abbattessi,  che  qaeUa  gente  venota  d'oltre  Reno,  era  stata 
ricevuta  a  divozione  da  Agrìppa  sno  avolo. 

In  quel  tempo  la  Germania  alta  travagliò,  per  esservi  i 
Gatti  entrati  a  rubare.  L.  Pomponio  legato  vi  mandò  i  Yan- 
gioni  e  Nemeti,'  aiuti  nostri,  con  una  banda  di  cavalli,  e  ordine 
d'arrivar  prima  o  lasciargli  sbrancare,  e  cignergli  alla  spro- 
vista.  Al  consiglio  del  capitano  aggiunsero  i  soldati  l'indostrìa, 
dividendosi.  Una  parte  a  sinistra  circondò  quelli  che  toma- 
vono  sguazandosi  la  preda  o  poltrendo.  E  per  più  allegreza 
liberò  certi  schiavi ,  già  quaranta  anni ,  fatti  nella  rotta  di 
Varo.» 

XXVIII.  Gli  altri  che  presero  la  più  corta  a  man  de- 
stra, riscontrarono  il  nimico,  che  ardi  combattere,  e  fecer 
più  sangue.  £  carichi  di  preda  e  fama,  se  ne  tornarono  al 
monte  Tanno,*  ove  Pomponio  ton  le  legioni  "attendeva  se  i 
Gatti  si  fossero  rappiccati  per  vendicarsi.  Essi  per  non  esser 
serrati  dì  qua  da'  Romani,  di  là  da'  Cherusci,  nimici  etemi, 
mandarono  a  Roma  ambasciadorì  e  slatichi.  A  Pomponio 
furono  ordinate  le  trionfali:  e  glorioso  molto  più  il  fanno  le 
sue  poesie.' 

XXIX.  In  detto  tempo  Vannio  *  fatto  da  Druse  Cesare 
re  de'  Suevi,  ne  fu  cacciato:  da  prima  celebrato  e  caro:  co  '1 
tempo  venne  in  superbia  e  odjo  de'  popoli  ;  e  lo  tradirono 
Yangio  e  Side,  figliuoli  di  sua  sorella,  e  Giubillio  re  delli  £r- 
muaduri.  Claudio  non  volle  per  molti  preghi,  entrar  tra  loro 
barbari  con  l'arme.  A  Vannio  promise  sicuro  ricovero,  se 
fusse  cacciato,  e  scrìsse  a  P.  Attilio  Islro,  che  reggeva  la 
Pannonia,  che  mettesse  in  su  '1  Danubio  una  legione  co  '1  fiore 
di  quegli  aiuti,  per  soccorrere  chi  perdesse,  e  frenare  i  vin- 

*  ilttio  nome:  fu  detta,  ciob,  Colonia  Jgrippinof  o  Jgrippinensitj  ed 
oggi  ritiene  il  nome  di  Colonia,  citl^  insigne  di  Germania  ,  sul  Reno. 

S  Vangioni  e  Nemeti  abitavano  dove  oggi  h  Vormt  e  Spira, 
5  rotta  di  Faro:  avvenuta  l'a.  763.  Vedi  sopra,  lil>.  I,  61. 

*  monte  TaunOj  (Moehe)  presso  a  Francfort- 

5  le  sue  poesie.  Vedi  la  noU  al  Hb.  XI,  i3. 

6  Taiinio.  Vedi  lib.  li  63. 


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IL  UBRO  DUODKCIMO  DB«U  IIWAU.  281 

ciforìy  che  non  lùgliassero  animo  a  turbare  anche  la  nostra 
pace.  Perciocché  i  Ligi  in  gran  numero»  e  altre  genti  coi^ 
revano  al  fiuto  ^  della  riccheza  di  quel  regno,  per  trent*  anni 
con  graveze  e  tirannie  accresciuta  da  Yannio:  il  quale  avea 
la  sua  fanteria  paesana ,  e  cavalli  sarmali  iazigi:'  poche  (orzo 
a  tanti  nimicì.  Però  voleva  tenersi  nelle  castella  e  allungare 
la  guerra. 

XXX.  Ma  non  tollerando  i  lazigi  Tassedio,  e  scorrendo 
la  campagna,  convenne,  al  comparire  de'Ligi  '  e  dell!  Ermun- 
dnrì,  battagliare.  Cosi  Yannio  usci  fuori  e  fu  rotto,  ma  glo- 
riosamente con  Tarme  in  mano  e  ferite  dinanzi;  e  salvessi 
rifuggendo  all'armata  che  T aspettava  al  Danubio,  insieme 
con  la  sua  gente,  a  cui  fu  dato  in  Pannonia  luogo  e  terreno. 
Spartironsi  il  regno  Yangio  e  Side,  fedeli  a  noi:  a  que' po- 
poli, nell'acquistarlo,  tutta  carità:*  poscia,  o  per  natura  di  chi 
domina  o  di  chi  serve,  odiosissimi. 

XXXI.  In  Britannia  giunto  P.Ostorio'^  vicepretore,  trovò 
scompigho,  inondando  i  nimici  il  paese  de' collegati  ;  rovi- 
nosi tanto  piò,  che  non  credettero,  il  capitano  novello  con 
esercito  non  maneggiato,'  entrato  il  verno,  potergli  noiare. 
Esso  sapendo,  i  primi  l'atti  dar  lo  spavento  o  Y  orgoglio,  vola 
con  le  coorti;  ammaza  chi  resiste,  perseguita  e  non  lascia 
far  testa  gli  sbaragliati;  non  si  fida  di  loro  accordi,  per  non 
tornare  adle  medesime;  leva  Tarme  a' sospetti,  e  voleva 
chiuderli  tra  due  fiumi  Antona  e  Sabrina,^  e'I  campo  suo. 
GTIceni^  fur  primi  a  risentirsene;  gente  gagliarda,  da  guerre 
non  battuta:  perchè  venne  volontaria  dal  nostro,'  e  dietro  a 

*  aleuto,  li  postillatore  dell'esemplare  Nesliano  di  Gino  Capponi  corregge 
a  sproposito^  alP odore.  Menzini,  Sat.: 

l>«n  lo  rioonosd  al  flato. 

'  tarmaU  iazigi,  tartari  d' Oscovia  ,  presso  il  mar  di  Azof. 
'  Ligi  abitavano  presso  la  Vistola. 

*  tutta  carità:  essi  erano  a  qae*  popoli  tutta  carità  (grande  amore)  j  erano 
amatissimi. 

5  P.  Ostorio  Scapola.  Vedi  Vita  d'Àgr.  e.  \k, 

6  esercito  non  maneggiato.  Il  lat.:  «•  exercitu  ignoto.  » 

7  Jntona  e  Sabrina  :  oggi ,  ^von  e  Severn, 

*  Icenii  oggi,  Suffolk  e  Norjolh, 

'  venne  volontaria  dal  nostro,  \ì\i.i,i  n  societatem  nostram  volente* 
access erant.  »  Dal  nostro ^  sottintende  latoj  come  la  locuùoM  ooDsimilci 
dalla  nostra^  sottintende  parte* 

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282  IL  LIBRO  DUODECIMO  DEGLI  ANNÀU. 

questi  le  nazioni  confinanti.  Presero  per  combattere  nn  hiogo 
bastionato  di  zolle,  d'entrata  strettissimo  alla  cavalleria. 
Ostorio,  benché  senza  nerbo  di  legioni,  con  gli  alati  si  mette 
a  sforzargli,  e  imrtendo  le  coorti,  pone  in  opera  anche  la 
gente  a  cavallo,  e  dato  il  segno,  rompe  i  bastioni,  e  coloro 
sconfonde  '  presi  nella  lor  gabbia  e  che,  per  uscirne,  veden- 
dosi ribelli  e  rinchiusi,  fer  prove  da  dirsene.*  In  quella  zuffa 
M.  Ostorio  figliuolo  del  legato  meritò  corona  di  cittadino  sal- 
vato. 

XXXII.  La  sconfitta  de  gllceni  fé'  accordare  i  dubbi!/ 
e  l'esercito  andato  ne'  Canghi  *  guastò  per  tutto  e  predò ,  chò 
non  ardiron  *  venire  a  giornata:  bezicaronlo  alla  sfuggita,  *  e 
male  ne  incolse  loro.  Appressatosi  al  mare  che  guarda  Iber- 
nia,  le  discordie  de'  Briganti  "*  fecero  ritirare  il  capitano  rìso- 
luto  di  non  tentare  cose  nuove,  se  le  prime  non  erano  acco- 
modate: e  avendone  certi  pochi  che  presero  l'armi  uccisi, 
a  gli  altri  perdonato,  gli  lasciò  quieti.  Non  fece'  già  posare 
l'arme  a'  Siluri^  né  atrocità  né  perdono,  che  bisognò  domarli 
con  le  guarnigioni;  e  prima,  per  più  agevoleza,  mettere* nel 
paese  già  vinto  la  colonia  Gamalodano,^®  di  buon  numero  di 
soldati  vecchi,  per  nostro  aiuto  contro  a'  ribelli,  e  per  awe- 
zare  gli  amici  alle  buone  leggi.^^ 

<  sconfonde,  scompiglia. 

S  da  dirsenos  Boemorabili.  Conforme  a  «[ntl  dal  MalmanUios 

Feo»  pcvft  da  tcrif «ne  al  paaae. 
S  i  dubhiij  coloro,  cioè ,  che  pendevano  tra  la  guerra  e  la  pece. 

*  Canghi  abitavano  dove  oggi  h  il  principato  di  Galles, 
B  non  ardiron,  cioè,  ì  Canghi. 

*  benearonlo  alla  fuggita,  11  lat.  ;  «  ex  occulto  carperò  agmen  lenta' 
runt.  » 

^  Briganti  abitavano  dove  ora  sono  Lankaster^  Camberland,  Durham, 
York. 

>  Siluri!  al  raesiodl  del  principato  di  Galles. 

'  mettere,  sottintendi  bisognò. 

^^  Camaloduno:  forse  la  moderna  Maldon,  Fu  la  prima  colonia  de'  Ro- 
mani in  Brettagna. 

<*  alle  buone  leggi,  Qnesto  periodo  ce  lo  reciterìi  con  pitk  chiarella  il  Da* 
ti:  «  E  acciocché  più  agevolmente  venisse  fatto ^  Ostorio  condosse  e  fermò  una 
colonia,  chiamata  Camaloduno,  in  que* campi  e  terreni  che  ì  Romani  per  fona 
di  guem  avevano  loro  occupati;  e' la  qaal  colonia  era  composta  d*una  gagliarda 
banda  di  soldati  vecchi  citladini  romani  e  quivi  furono  collocati  per  difeodeie  e 


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IL  LIBHO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI.         283 

XXXIIf.  Poi  cavalcaro  in  essi  Siluri ,*  feroci  per  se,  e 
per  gran  fede  in  €arattaco  lor  capitano,  il  primo  cavaliere 
de' Britanni,  per  alte  e  varie  avventare:  il  quale  vantaggian- 
doci di  notizia  de'  laoghi,  ma  di  soldati  buoni  cedendoci,  con 
astuzia  ridusse  la  guerra  nelli  Ordovici,  e  congiuntosi  con 
quelli  che  temevano  di  nostra  pace,  volle  tentar  fortuna,  e 
si  pose  in  monte  ripido,  dove  l'entrata  e  V  uscita  e  tutto, 
fusse  a  nostro  disavvantaggio;'  e  dove  salir  poteasi,  con 
sassi  quasi  lo  trincee;  e  difèndealo  fiume  pericoloso,  oltre 
a' soldati  migliori  paralbi  dinanzi  a' ripari. 

XXXIV.  Intorno  a'  capitani,  e  qua  e  là  per  tutto,  scor- 
reva Carattaco  a  confortare,  inanimire,  levar  paura,  dare  spe- 
ranze, e  altre  spronate  a  combattere,  «e  Quella  esser  giornata, 
esser  battaglia  di  ricoverata  libertà,  0  sempiterna  servitù: 
nominava  i  loro  passati  che  cacciaron  via  Cesare  dettatore: 
per  la  virtù  di  quelli  diceva  esser  le  mannaie,  le  rapine  le- 
vate, assicarata  V  onestà  di  lor  mogli  e  figliuoli.  ì>  A  tali  pa- 
role tutti  gridarono;  giurando  ciascheduna  nazione  a  sua 
usanza  di  non  temere  armi  né  ferite  giammai. 

XXXY.  Tanta  pronteza.  Io  fiume  in  mezo,  i  fatti  ripari, 
i  monti  in  capo,  ogni  cosa  a  noi  atroce,  a  loro  usata,  atter- 
rirono il  nostro  capitano;  ma  il  soldato  gridò  ce  Battagliai 
virtù  vincer  tutto.  »  Cosi  ribadivono *  i  tribuni  e  i  prefetti,  e 
l'esercito  accendevano.  Ostorìo  allora,  fatto  riconoscere  i 
passi,  gli  fece  tutti  agevolmente  guadare  il  fiume.  Giunti  al 
riparo,  e  scaramucciando  con  armi  da  lanciare,  n'eran  fe- 
riti elidevano  più  de'  nostri;  però  fatta  la  testuggine,  dis- 
fecero quelle  more,^e  alle  mani  venuti,  e  del  pari,  i  barbari 


assicnrax  la  provincia  dalle  scorrerie  e  insulti  di  que* ribelli  e  insolenti^  e  invitare 
ancora  gli  altri  popoli  con  vicini  e  collegati  all'ubbidienza  delle  leggi.  «•  Or  torna 
a  vedere  come  tutto  qnesto  volarne  di  parole  possa  mettersi  nello  strettoio. 

*  Poi  cavalcaro  in  essi  Silurij  cioè,  marciarono  contro  i   Silari,  gente 
feroce  per  propria  natura  e  per  la  fiducia  che  ponevano  in  Carattaco  ec. 

*  a  nostro  disavvantaggio:  aggiungi,  e  a  prò  loroj  che  cosi  vuole  il  la« 
tino:  «  et  saie  in  melius  essente  » 

'  ribadivonoj  insistevano  sulVistesie  cose  dette  dal  capitano.  Lat.:  «  paria 
disserebant.  » 

*  quelle  morCj  quelle  masse  di  sassi.  Dante  : 

Setto  la  guardia  ddla  grave  mora. 


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284  IL  UBBO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI. 

la  diedono  ali*  erta;  '  e  i  nostri  lor  dietro ,  cosi  gli  armati  alla 
leggiera  come  alla  grave.  Combattevano  quei  co' tiri,  i  no- 
stri a  corpo  a  corpo,  e  gli  disordinavano,  non  essendo  co- 
perti di  coraza  né  di  celata:  e  quando  s' appiccavano  co'  no- 
stri aiuti  ;  i  Romani  con  le  daghe  e  pili:  quando  si  rivolgevano 
a'  Romani;  gli  aiuti  con  le  spade  e  aste  li  ponevano  in  terra. 
Fu  la  vittoria  famosa  per  la  moglie  e  la  figliuola  di  Caraltaco 
prese;  i  fratelli  arresi. 

XXXYI.  Lui  (come  non  son  sicure  V  awersitadi  ')  da 
Gartismandua  reina  de*Rriganti,  a  cui  si  raccomandò,  dato 
prigione  ^  al  vincitore  lo  nono  anno  della  guerra  Britannica. 

'  Gran  dire  se  ne  feo  per  1*  isole  e  provi ncie  vicine,  e  per 
r  Italia  e  Roma;  ogn'  uno  desiderando  vedere  colui  che  tanti 
anni  avea  sprezata  la  nostra  potenza.  Cesare  per  sua  mag- 
gior gloria  magnificava  il  vinto:  e  come  a  nobile  spettacolo 
chiamò  il  popolo.  Per  lo  mezo  de*  soldati  di  guardia  armati 
in  ordinanza  dinanzi  a*  loro  alloggiamenti  passaron  prima  le 
corti  del  re  *  con  ricche  collane  e  cavalli  addobbati  ;  le  spo- 
glie da  lui  acquistate  nelle  guerre  straniere.  Seguitarono  i 
fratelli,  la  moglie  e  la  figliuola:  in  ultimo  esso  Carattaco, 
non  come  tutti  gli  altri  raccomandantesi  per  paura,  né  col 
capo  chino;  e  condotto  al  tribunale  parlò  in  questa  sentenza: 
XXXYII.  a  Se  io  avessi  avuto,  eguale  alla  mia  nobiltà 
e  grandeza,  nelle  felicità  moderanza;  sarei  venuto  a  Roma 
amico  e  non  prigione.  Né  a  te  sarebbe  paruto  poco  allegarli 
con  uno  di  sangue  si  chiaro,  e  tanti  popoli  signoreggiante. 
La  presente  fortuna  mia  quanto  a  me  soza,  tanto  a  te  è  mar 
gnifica.  Ho  posseduto  uomini,  cavalli,  armi  e  riccheze:  qual 
maraviglia  se  non  1*  avrei  volute  lasciare?  A  voi,  se  volete 
dominare  ogn'  uno,  seguita  che  o^n'  uno  debba  essere  schia- 
vo? Se  io  per  tale  mi  ti  dava  alla  prima,  non  sarebbe  la  mia 
disgrazia  né  la  tua  gloria  si  chiara:  cosi  il  mio  supplizio  ne 
scancellerà  Qgni  memoria:  dove  se  tu  mi  salverai,  sarò  della 


*  la  diedono  all' erta j  si  ritirarono  sui  gioghi  dei  mooti. 

*  non  son  sicure  l' awersitadi j  cioè,  aeiravver&itk  mano  può  es»er  sicuro 
che  serbiglisi  fede. 

'  dato  prigione,  fu  dato  prigione. 

*  le  corti  del  re,  le  clientele  »  o  clienti,  o  vassalli  del  re. 


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IL  UBfcO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI.  285 

clemenza  taa  esempio  immortale.  »  Cesare  per  queste  parole 
a  lui,  alla  moglie  e  fratelli  perdonò.  Essi  sciolti  ne  renderono 
riverenze,  grazie  e  laodi  al  principe,  e  le  medesime  ad  Agrip- 
pina, che  si  sedeva  in  altro  vicino  seggio.  Cosa  nuova,  e 
fuori  d' ogni  antico  uso,  sedere  tra  le  romane  insegne  una 
donna:  ma  ella  si  teneva  di  quello  imperio,  da'  maggiori  suoi 
acquistato,  compagna. 

XXXYIII.  I  padri  ragnnati  parlarono  con  molta  magni- 
ficenza della  presa  di  Carattaco,  non  meno  splendente  che 
quelle  mostre  che  fecero  al  popol  romano  P.  Scipione,  di 
Slface;  L.  Paulo,  di  Persa;  o  altri,  d'altri  re  incatenatL 
Ordinarono  a  Ostorio  le  trionfali  per  li  successi  felici:  i 
quali  non  seguitarono,  o  perchè  egli  badò  meno  alla  guerra, 
quasi  vinta,  levato  Carattaco;  o  la  compassione  di  tanto  re 
infocò  i  nemici  a  vendetta.  Circondano  il  maestro  del  campo, 
e  le  bande  romane  lasciate  ne'  Siluri  a  fortificare.  Otto  cen* 
turioni  e  i  più  valorosi  soldati  vi  morirono;  e  rimaneanvi 
tutti ,  se  non  eran  soccorsi  prestamente  da'borghi  e  castelli 
vicini.  Sbaragliano  appresso  i  nostri,  che  cercavano  vette* 
vaglie,  e  i  cavalli  mandati  a  soccorrergli. 

XXXIX.  Ostorio  vi  mandò  spedite  coorti,  che  non  rat* 
tenendo  la  fuga,  con  le  legioni  v'  andò,  e  con  là  loro  forza 
la  pagna  fu  pareggiata  e  poi  vinta,  e  scamparona  i  nimici 
con  poco  dannaggio,  perchè  lo  giorno  se  n'andava.  Segui- 
rono zufiè  spesse  e  piccole,  a  guisa  d'assassini  per  boschi 
o  pantani;  per  caso  o  arte,  ira  o  preda,  comando  o  senza; 
ostinandosi  particolarmente  i  Siluri  per  un  detto  sparsosi 
del  romano  imperadore,  «  che  già  i  Sugambri  furon  rovi- 
nati e  traportati  in  Gallia;  ma  de'  Siluri  bisognava  spegnere 
il  seme.  »  Sorpresero  adunque  due  coorti  d' aiuto  per  l'ava- 
rizia de' capi  troppo  scorsi  a  rubare;  di  cui  donando  spoglie 
e  prigioni,  traeano  altri  popoli  a  ribellarsi.  Onde  Ostorio  da 
tanti  pensieri  afflitto  si  mori  con  allegreza  de'  nimici  d'avere 
spento  con  la  guerra,  se  non  col  ferro,  quel  capitano  di 
qualche  stima. 

XL.  Cesare  in  luogo  del  morto  mandò  Dìdio,^  il  quale 

*  Vidio,  Vedi  ViU  d'Jgr.,  iA, 

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286  IL  UBBO  DUODKCmO  DEQU  ANNÀU* 

arriyato  con  viaggio  prosperò,  trovò  le  cose  non  prospere, 
essendovi  stata  rotta  una  legione  sotto  Manlio  Valente,*  e  fatta 
la  cosa  maggiore  per  isbigottire  il  nuovo  capitano:  e  da  lai 
vie  più,*  per  più  sua  gloria  se  vincesse,  o  scusa  quando 
perdesse.  Questo  danno  diedono  ancora  i  Siluri;  e  scorraido 
assai  paese,  Didio  gli  cacciò.  Ma  dopo  la  presa  di  Carattaoo, 
il  maggior  soldato  tra  loro  fu  Yenusio  lugantese  fedele  a 
noi,  e  difeso  dalle  nostre  armi,  mentre  fu  marito  di  Gar- 
tismandua  reina  sopradetta.  Nato  poi  ripudio  tra  loro  e 
guerra,  divenne  anco  nimico  nostro.  Ma  prima  combatte-, 
vano  insieme:'  ella  prese  ad  inganno  il  fratello  e  parenti  di 
Yenusio.  Onde  i  nimici  tinti  d'ira  e  vergogna  d'ubbidire  a 
una  donna,  co  '1  fiore  della  gioventù  armata,  assaliscono  il 
suo  regno:  il  che  noi  antivedendo,  le  mandammo  aiuti.  Se- 
gni battaglia  feroce:  dapprima  dubbia,  poi  lieta.  E  consimil 
successo  combattè  la  legione  sotto  Cesio  Nasica:  conciosia 
che  Didio  vecchio  e  pieno  d'onori,  faceva  fare:  e  bastavagli 
tenere  il  nimico  lontano.  Non  bo  divise  queste  cose  seguite 
in  più  anni,  perchè  meglio  si  capiscano.  Ora  ripiglio  l'or- 
dine de'  tempi. 

XLI.  Nel  consolato  quinto  di  Tiberio  Claudio  e  di  Ser- 
vio Cornelio  Orfito  s'anticipò  la  toga  a  Nerone,*  perchè  pa- 
resse abile  al  governo,  e  lasciossi  Cesar  dalle  adulazioni  del 
senato  menare  a  far  Nerone  consolo,  per  quando  corresse 
venti  anni:'  in  tanto  avesse  potestà  proconsolare  fuor  di 
Boma,  e  si  chiamasse  principe  della  gioventù.  Diedesi  an- 
cora in  nome  suo  donativo  a'  soldati  e  mancia  alla  plebe; 
e  ne' giuochi  circensi,  che  si  facevano  per  farsi  amare  dal 
popolo,  Britannico  vi  andò  in  pretesta,  e  Nerone  in  veste 
trionfale;  perchè  dal  vedere  costui  vestito  da  imperadore, 
e  colui  da  fanciullo,  chi  I'uuq  e  l'altro  esser  dovesse  s'ar- 
gomentasse. Certi  centurioni  e  tribuni,  che  mostravano  com- 

*  Manlio  Valente.  Vedi  Stor.^  l,  64. 

*  vie  piàj  ciob ,  ingrandita. 

'  combattevano  insieme.  Dati;  «  Ma  Ba  principio,  solo  intra  lui  e  lei  li 
faceva  la  guerra  ;  tanto  che  ella  con  astate  arti  ingannò  ec.  » 

*  Nerone:  era  ne' quattordici  anni;  ma,  a  pigliar  la  toga,  biiognava  avelli 
compiuti. 

'  venti  anni.  Al  buon  tempo  della  repubblica  bisognava  aTerm  ^uarantatif . 


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IL'UBRO  OCOPBCmO  DEGÙ  ANNALI.  287 

passione  di  Britannico,  furon  rimossi,  sotto  spezie  di  finte 
cagioni  d'onori:  e  se  lilierto  alcun  fedele  avea,  fa  cacciato. 
In  quella  occasione  i  due  giovani  riscontrandosi»  Neron  sa- 
lutò Britannico  col  suo  nome,  e  egli  lui  con  quel  di  Domizio; 
di  che,  come  principio  di  discordia,  Agrippina  molto  si  dolse 
co  'I  marito:  «  Dispregiarsi  Fadozione;  guastarsi  in  casa  quello 
che  ayea  giudicato  il  senato,  comandato  il  popolo.  Se  quo' 
maligni  che  mettevano  questi  punti,  ^  non  si  scacciavano, 
ne  seguirebbe  rovina  publica.  »  Claudio  di  queste  quasi  mal-* 
vagita  adirato,  i  custodi  ottimi  del  figliuol  suo  uccise,  o  con- 
finò: e  Io  mise  in  mano  a  chi  volle  la  matrigna,  la  quale 
non  ardi  fare  il  resto  per  levar  prima  la  guardia  di  mano 
a  Losio  Gota  e  Rufo  Crispino,  come  troppo  obbligati  alla 
memoria  e  ai  figliuoli  di  Messalina. 

XLII.  Per  consiglio  adunque  della  moglie  che  diceva, 
le  coorti  per  la  concorrenza  di  due  divìdersi  in  fazioni,  e 
meglio  potersi  disciplinare  comandate  da  uno;  fu  dato  il  co- 
mando de' pretoriani  a  Burro  Afranio,  tenuto  gran  soldato, 
ma  conoscente  chi  gliel  dava.*  Levossi  Agrippina  in  mag- 
giore altura:  e  andava  in  campidoglio  in  carretta,  come  già 
potevano  solamente  i  sacerdoti  e  le  cose  sante:  il  che  ac- 
cresceva venerazione  a  questa  donna,  figliuola  d'uno  impe- 
rador  d'eserciti,'  e  sorella,  moglie  e  madre  di  tre  imperadori* 
del  mondo:  esempio  unico  sino  a  oggi.  In  tanto  Yitellio,  che 
l'aveva  presa  per  lei''  più  di  tutti,  favoritissimo,  vecchissi- 
mo (tanto  stanno  in  bilico  i  grandi)  da  Giunio  Lupo  sena- 
tore toccò  un'accusa  di  maestà  danneggiata,  e  d'imperio 
agognato.  E  vi  dava  Cesare  orecchi,  se  Agrippina  con  mi- 
nacce, anzi  che  preghi,  non  lo  svolgeva  a  privare  d'acqua 
e  fuoco  l'accusatore  ;  che  di  tanto  si  contentò  Yitellio. 

*  che  mettevano  questi  punti,  questo  scandalose  insinuaiioni:  cbe  met- 
tevano questi  scandali;  che  sì  malignamente  sobbillavano  ec.  Lat.  :  «  nisi  pravi- 
tas  tam  infensa  docentium  arceatur,  » 

'  conoscente  chi  gliel  dava^  ma  che  sapeva  bene  quell'onore  venirgli  da 
Agrippina ,  alla  quale  perciò  egli  era  obbhgato. 

'  «fono  imperador,  di  Germanico. 

4  di  tre  imperadori:  sorella  di  Caligola,  moglie  di  Claudio  e  madre  di  Ne- 
rone. 

5  l'aveva  presa  per  lei,  che  aveva  preso  a  difenderla. 


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288     I  IL  LIBRO  I>U(»>BGI]IO  DEGLI  ANNàLL 

XLIII.  Apparvero  in  quell'anno  di  molti  segni.  Uccelli 
di  mar  uria  ^  posati  in  campidoglio:  tremooti  rovinarono 
molle  case,  e  nella  calca  de'  fuggenti  spaventati  affogarono  i 
più  deboli:  ricolte  triste,  e  quindi  la  fame.  Onde  non  pure  si 
mormorava  di  Claudio;  ma  rendendo  ragione,*  la  gente  conr 
le  grida  assordandolo,  e  rìpinto  in  un  canto  del  foro  pigian- 
dolo, la  guardia  ebbe  a  fargli  far  largo.  Trovossi  non  v'esser 
pane  che  per  quindici  di;  ma  gl'iddìi  benigni  e  '1  verno 
dolce  ne  scamparono.  Già  Italia  nutriva  i  paesi  lontani,  né 
oggi  è  sterile;  ma  e' ci  giova  più  tosto  coltivar  l'Afirica  e 
r  Egitto,  e  fidare  la  vita  del  popolo  romano  alle  navi  e  alla 
fortuna. 

XLIY.  Nel  detto  anno  tra  gli  Armeni  e  gì'  Iberi  nacque 
guerra,  che  cagionò  ancora  tra'  Parti  e  Romani  grandissimi 
movimenti.  Era  re  de'  Parti  per  volontà  de'  fratelli  Yologese, 
nato  di  concubina  greca:  degl' Iberi,  Farasmane  per  lungo 
possesso:  degli  Armeni,  Mitridate  suo  fratello  per  nostra  po- 
tenza. Aveva  Farasmane  un  figliuolo  detto  Radamisto,  bello 
è  grande  e  forte:  dell'arti  paesane  scaltrito,  e  di  chiara  fama 
tra  quelle  genti.  Il  quale  troppo  spesso  e  feroce,  scoprendo 
suo  appetito,  usava  dire:  «  Abbiamo  un  dito  di  regno,'  e 
tienlo  un  barbogio,  d  Temendo  adunque  Farasmane  grave 
d'anni  di  questo  giovane  poderoso,  fiero  e  di  seguitocelo  ri- 
voltò a  un'altra  speranza  dell'Armenia;  ricordandogli  averta 
egli  data  a  Mitridate,  cacciatone  i  Parli:  ma  doversi,  prima 
che  con  la  forza,  veder  di  rìtorlagli  con  inganno,  quando  ei 
non  vi  pensa  niente.  Cosi  Radamisto  ne  va  al  zio,  infintosi 
cruccioso  col  padre  per  le  ingiurie  della  matrigna;  e  ricevuto 
con  careze  da  figliuolo,  persuade  i  principali  Armeni  a  tal 
novità,  si  segreto  che  Mitridate  gli  fu  mezano  a  rappattu- 
marlo col  padre;  al  quale  tornato,  gli  conta  aver  con  la 
fraudo  disposta  la  materia:  doversi  ora  far  con  l'armi. 

XLV.  Farasmane  rompe  la  guerra,  trova  a  dire*  che 

*  Uccelli  di  mat  uria,  di  cattivo  augurio. 

'  rendendo  ragione,  mentre  reodeTa  ragione. 
'  un  dito  di  regno.  Lat.  :  «  modicum  regnum.  m 

*  di  eegttfto,  che  avea  gran  seguito;  molli  aderenti  e  fautori.  Lat.:  «  #<•* 
dio  popnlarium  accinctum.  m 

S  trova  a  dire,  trova  il  pretesto. 


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IL  LIBRO  DUODECIMO  DE6LI  ÀNIfÀLI.  289 

quando  ei  combatteva  col  re  d'Albania ,  e  cUedeva  a' Ro- 
mani aiate,  il  fratello  gli  operò  contro  e,  per  tale  ingiuria 
vendicare,  intendeva  distruggerlo.  E  dato  al  figliuolo  grosso 
esercito,  esso  incontanente  assaltò,  e  tolse  la  campagna  a 
Mitridate  sbigottito  e  salvatosi  nel  castello  di  Gornea,^  forte 
e  con  buona  guàrdia  di  soldati,  sotto  Celio  Pollione  reggente 
e  Casperio  centurione.  Niente  sanno  meno  i  barbari  che 
prender  terre  per  via  di  macchine  e  d'artifizi:  noi  ne  siamo 
maestri.  Radamisto  avendo  in  vano,  o  con  danno,  dato  T as- 
salto, incomincia  r assedio.  £  nuUa  approdando,  corruppe  il 
prefetto,  protestando  Casperio:  a  non  vendesse  si  brutta- 
mente quel  re  amico,  non  T Armenia,  dono  del  popolo  roma- 
no. »  E  rispondendo  Pollione  troppi  esser  d'attorno  al  ca- 
stello, e  Radamisto  allegando  la  commessione  del  padre, 
fatto  tregua,  se  n'uscì  per  distor  Farasmane  da  questa  guer- 
ra; se  no,  avvisar  T.  Yinìdio  Quadrato,  che  reggeva  la  Se- 
ria, dello  stato  d'Armenia. 

XLYI.  Partito  il  centurione,  il  prefetto  quasi  senza  pe- 
dagogo rimase,  consigliava  Mitridate,  che  s'accordasse,  ri- 
cordando, «  Farasmane  essergli  fratel  maggiore,  ed-  ei  suo 
genero,  e  suocero  di  Radamisto.  Griberì,  benché  all'ora  piò 
forti,  la  pace  non  recusare:  sapersi  quanto  sieno  felloni  gli 
Armeni:  altra  sicureza  non  v'essere  che  quel  castello  non 
vettovagliato:  non  volesse  armi ,  anzi  che  patti  non  sangui- 
nosi. 9  Andava  adagio  Mitridate  a  fidarsi  de' consigli  del 
prefetto ,  che  aveva  avuto  domesticheza  con  una  sua  concu- 
l>ina,  e  credeasi  che  per  danari  arebbe  fatto  ogni  bruttura. 
Casperio  ne  va  a  Farasmane,  e  chiede  che  gì'  Iberi  sì  par- 
lano dall'assedio.  Egli  dava  parole  generali,  e  spesso  buone: 
e  a  Radamisto  mandava  corrieri,  che  strignesse  la  terra  per 
ogni  via.  Accrescesi  la  baratteria,  e  Pollione  occultamente 
corrompe  i  soldati  a  chieder  pace,  e  minacciare  d'andarse- 
ne. Colto  a  tale  stretto  Mitridate,  nel  giorno  e  luogo  conve- 
nato, esce  del  castello  per  capitolare. 

XLYII.  Radamisto  gli  si 'getta  al  collo:  finalmente  Io 
riverisce,  chiamalo  suocero  e  padre,  e  giura  non  ferro,  non 
veleno  volergli  osar  contra,  e  tiralo  in  un  boschetto  per  fer- 

'  Cornea,  citlk  d' Armjenia:  oggi  Khorieo.  ' 

f.  ■  2a 


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290         IL  LIBRO  DUODECIMO  DEGLI  ANNALI. 

mar  la  pace,  presenti  gl'iddi!,  diceva  egli,  con  sacrifici  or- 
dinati là  entro.  Usano  i  re,  qaando  si  confederano,  inca- 
strarsi le  destre:  le  dita  grosse  legarsi  strette:  e  venuto  il 
sangue  alla  pelle,  pngnerla,  e  soccìarlosi  l'un  l'altro.  Colai 
pace,  come  di  comune  sangue  sagrata,  tengono  per  inviola'^ 
bile.  Allora  colui  che  legava  si  lasciò  cadere,  e  preso  Mitri- 
date per  le  gambe,  il  distese:  corsero  molti,  misergli  i  ferri, 
e  traevanlo  per  la  catena  al  piede  (tra  i  Barbari  gran  ver- 
gogna) e  lo  mal  trattato  popolo  gli  si  volgea  con  ignominie  e 
percosse:  ad  alcuni  pure  di  tanta  mutazion  di  fortuna  incre- 
sceva. Venne  la  moglie  co'figliolini,  e  l'aria  empiè  di  la- 
menti. Foron  messi  in  carri  separati,  e  chiusi  sino  all'ordine 
di  Farasmane;  il  quale  per  quél  regno  rinegò  il  fratello  e  la 
figliuola,  e  risolvè  lo  scellerato  ammazarli,  ma  non  vedere. 
£  Radamisto  del  giuro  osservadore,  fuori  non  trasse  né  ferro 
né  veleno  contro  la  sorella  e  '1  zio,  ma  quegli  gittati  in 
terra,  affogò  in  molti  panni  e  gravi.  E  scannò  i  loro 'figliuoli, 
perchè  gli  piagnevano. 

XLYIII.  Quadrato,  inteso  il  tradimento  fatto  a  Mitrida- 
te, e  regnare  i  traditori,  chiama  il  consiglio,  spone  il  fatto, 
domanda,  se  si  dee  gastigare.  Pochi  guadavano  all'onore 
publico;  i  più  alla  sicureza,  dicendo,  <(  Doversi  aver  care  le 
rabbie  tra  loro  de'  forestieri ,  e  seminar  zizanie.  Còme  spesso 
hanno  usato  i  principi  romani,  donando  a  uno  e  togliendo 
a  un  altro  questa  benedetta  Armenia  per  alzarli.  Farsi  per 
noi  '  che  Radamisto  si  tenga  il  male  acquistato  con  odio  e 
infamia,  più  tosto  che  se  l'avesse  con  gloria.  »  Cosi  fu  de- 
liberato: ma  per  non  parere  d'approvare  tanta  atrocitade  (e 
forse  Cesare  sarebbe  d' altro  animo)  mandarono  a  dire  a 
Farasmane,  che  dello  stato  armenio  sgombrasse  egli  e  il 
figlinolo. 

XLIX.  Era  procurator  di  Cappadocia  Giulio  Peligno 
d'animo  vile,  corpo  ridicolo,  egualmente  dispregevole,  ma 
tutto  di  Claudio,  che,  quando  era  privato,  co' visi  da  far  ri- 
dere passava  mattana.  '  Costui  come  volesse  riaver  l' Ar- 

*  Farsi  per  noij  esserci  utile. 

'  chcj  quando  era  privato  j  co' visi  da  far  ridere  passava  mattana. 
Valerìani:  «  quando,  privato,  con  la  convenasioM  dei  buffoni  ricicava  on  osio 

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U.  UBBO  DOOBECIMO  1«6U  ANHAU.  291 

menia,  ià  gente  del  paese;  gli  amici  più  che  i  niiuici  sac- 
cheggia: i  suoi  lo  piantano;  i  barbari  1*  assaliscono:  scarso  di 
partiti^  ne  ya  a  Radamisto,  per  li  cui  presenti  corrotto,  lo 
esorta  al  pr^ider  lo  scettro  reale,  e  al  prenderlo  assiste  e 
serve.  Dirolgatasi  tanta  vergogna,  a  fin  che  tutti  non  fosser 
credati  di  questa  raza,  vi  fu  mandato  Elvidio  Prisco  con  una 
legione  a  riparare  per  allora.  Passò  a  fretta  il  monte  Tauro: 
e  già  molte  cose  avendo  accomodate  più  con  dolceza  che 
forza,  fu  fatto  ritornare  in  Seria,  per  non  la  romper  colar- 
ti: avvenga  cheVologese,  parendogli  venuto  il  tempo  di  ria- 
ver l'Armenia,  stata  de' suoi  maggiori,  oggi  d' un  re  scele- 
rato  straniero;  facesse  gente  per  rimettervi  Tiridate  suo 
fratello,  acciò  ninno  di  quella  casa  fosse  senza  imperio. 

L.  Giunti  i  Parti,  ne  cacciaron  gF  Iberi  senza  combat- 
tere. Artassata  e  Tigranocerta  città  d' Armenia  presero  il 
giogo:  ma  k)  tristo  verno,  o  mal  provvedimento  di  vivere, 
0 l'uno  e  l'altro,  v'ingenerò  pestilenza  che  forzò  Yologese 
a  lasciar  l'Armenia  vota:  e  Radamisto  vi  rientrò  rincrude- 
lito, quasi  contro  a' ribelli  e  felloni  animi.  Ad  essi,  benché 
usati  a  servire,  scappa  la  pacienza,  e  l'assediano  armati  in 


LI.  Solo  il  correr  de'  cavalli  gli  valse  a  salvar  se  e  la 
moglie  gravida.  La  quale  per  paura  de'  nimici  e  amore  al 
marito,  resse  a  fatica  al  primo  correre.  Poi  sconquassando- 
sele il  ventre,  e  le  viscere  diguazandolese,  lo  prega  che  per 
non  lasciarla  preda  e  strazio  a'  nimici,  le  dea  morte  onesta. 
£i  l' abbraccia,  regge,  conforta:  ora  stupisce  della  virtù  di 
lei;  ora  arrabbia  pensando  che  altri  la  debba  godere;  fìnal- 
menle  violentato  dall'amore,  o  usato  a  crudeltà,  sguainata 

infingardo.  »  Lat.  «  eum  privata»  oiim  eonvertatìone  *ciirrarum  iners  otium 
oblectareUm-^ Mattana  è  malinconia,  uggia,  nata  da  osio  infingardo.  Svetonìo 
in  Claud.  e.  5;  «  Ayendo  (Claudio  per  la  rìpnha  di  Tiberio  suo  sio)  perduto 
ogni  sperania  di  avere  a  ottenere  governo  o  magistrato  alcuno,  si  diede  in  tutto 
ali* mìo,  tenendo  vita  solitaria  e  non  si  lasciando  vedere  a  persona j  dimorandosi 
quando  nel  suo  giardino  e  <{uando  a  una  possessione  eh'  egli  avea  vicino  a  Roma  : 
alcune  volte  non  usciva  di  casa,  ed  alcuna  volta  si  distese  insino  a  Napoli,  pra- 
ticando sempre  con  persone  di  poco  affare.  Ed  oltre  all'  essere  tenuto  pigro  e  ne- 
gligente, si  aerato  ancor  nome  d' ubbriaco  e  di  ginocatore.  «• 
*  starso  di  partiti.  Lat.s  «  pratsiéii  egens.  » 


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292         IL  UBBO  DCODEGIMO  DEGÙ  ANNALI. 

la  scimitarra,  lei  fiede  e  strascica  alla  riva,  e  gitta  in  Aras- 
se, perchè  né  anche  il  corpo  sia  rubato:  e  corresene  a  tutta 
brigUa  al  suo  regno  d' Iberia.  Zenobia  (  cosi  aveva  nome  la 
donna)  Sfnranie  e  sicara  di  morte,  fa  vedala  da  certi  pastori 
andarsene  giù  per  Io  lento  fiume:  i  quali  giudicandola  gran 
donna,  rozamente  le  medicano  e  fasciano  la  ferita,  odono  il 
nome  e'I  caso,  e  la  porgano  in  Artasaata.  Indi  fu  condotta 
dal  publico^  a  Tiridate,  ricevuta  cortesemente  e  trattata  da 
reina. 

LII.  L'anno  di  Fausto  Siila*  e  Salvie  Olone'  consoli,  Fa- 
rio  Scriboniano,  qu;^si  avesse  strolagato  la  morte  del  prìnci- 
pe, fu  mandato  jn  esilio,  e  con  lui  Giunia  sua  madre,  che 
aveva  rotto  il  primo  confino  suo.  Canunillo,*  padre  dello 
Scriboniano,  mosse  armi  in  Dalmazia.  £  Cesare  si  recava  a 
bontà  perdonare  allora  anche  al  figliuolo  del  suo  nimico.  Vi 
mori  prestamente:  vòUcm  dire  alcuni  di  veleno.  Fecesi  in  se- 
nato, di  cacciar  d' Italia  gr  indovini,  legge  rigida  e  in  vano.* 
Il  principe  lodò  molto  certi  senatori  uscitisi  del  grado  per 
povertà,  e  ne  cacciò  altri  simili,  che  pure  il  volevano  tenere. 

LUI.  Fu  proposta  e  vinta  pena  alle  liberto  che  senza  li- 
cenza del  padrone  si  congiugnessero  con  ischiavi,  di  ritor- 
nare esse  schiave  ;  ma  nascerne  liberti.  Barea  Sorano , 
consolo  eletto,  aggiudicò  insegne  di  pretore  e  trecento  set- 
tantacinque mila  fiorini  a  Fallante,  cui  Cesare  disse  trova- 
tore di  tal  proposta.  Aggiunse  Cornelio  Scipione,  che  Fallante 
fusse  ringraziato  in  publico,  poiché  per  lo  ben  publico,  egli 
nato  de' re  antichi  arcadi,^  si  dichinava  a  essere  uno  de' mi- 
nistri del  principe.  Claudio  fece  fede  che  il  buon  Fallante  si 
contentava  dell' onor  solo;  e  viversi  nella  sua  povertà.  Tosto 
il  senato  a  questo  libertino  ricco  di  sette  milioni  e  mezo  d'oro, 
per  decreto  in  bronzo,  affisso  in  publico,  attribuì  sonane  laudi 
d' antica  parsimonia. 

'  dal  publico.  Lat.:  m  pubUcd  curd.  » 
3  Fausto  Siila,  genero  di  Claudio  per  la  moglie  Antonia. 
S  Salyio  Otone^  fratello  di  Ottone  che  fu  imperatoK. 
*  Cammillo.  Vedi  Star.  1,  89;  II,  75. 
8  e  in  pano.  Vedi  Ann.  II,  322.  Stor.  1 ,  SS;  II,  69. 
>  nato  de  re  «e.  Ridicola  adalasione,  quasi  discendesae  da  qael  PalIantCì 
figlio  d' Evandro,  di  coi  Virgilio  JEn,  Vili,  64. 


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IL  LUAO  DOODKCailO  0E«U  AMICALI.  S03 

LIV.  Non  cosi  contegnoso  fa  il  sno  fratello  detto  Felice, 
messo  prima  a  reggere  la  Giudea,  il  quale  ogni  lìbito  si  fé' le- 
cito col  cdldo  si  grande.' Veramente  i  Giudei  fecero  cenno 
di  ribellarsi,  quando,  udita  la  morte  di  Gaio,  non  ubbidirò:  ' 
si  temeva  cbe  un  altro  principe  non  comandasse  le  stesse 
bestialità.  Felice  e  Yentidio  Cumano  con  rimedi  a  rovescio, 
facevano  a  chi  più  accendere  a  ogni  mal  fare,  governando 
questi  la  Galilea,  e  Felice  la  Samaria,  che  si  nimicavano  per 
natura,  e  più  allora  che  sprezavano  i  mali  governanti.  Si  ru- 
bacchiavano, assassinavano,  tradivano,  e  venivano  alle  ma- 
ni. Le  prede  portavano  a  essi  governanti,  cui  da  prima  ne 
ridea  l'occhio:  '  ma  cresciuti  gli  scandali,  vi  tramisero  de' sol- 
dati, che  vi  rimasero  morti.  E  ardeva  la  provincia  di  guer- 
ra, se  di  Seria  non  venia  Quadrato,  il  quale  agli  ucciditor 
de' soldati  mozò  le  teste  senza  pensarvi.  Verso  Felice  e  Cu- 
mano, avendogli  scritto  Claudio  che  giudicasse  anche  lolro, 
come  cagioni  della  ribellione,  stette  sospeso,  e  fecesi  seder 
Felice  allato  in  tribunale,  per  uno  de' giudici,  perché  di  lui 
non  parlassero  gli  accusanti.  Cosi  de' peccati  di  due  punito  fu 
solo  Cumano  ;  e  la  provincia  quietò. 

LV.  Indi  a  poco  tempo  i  Cliti,  villani  di  Cilicia,  soliti  a 
sollevarsi,  si  mossero  sotto  Trosobore  lor  capitano,  e  s'ac- 
camparono in  monti  aspri;  indi  calando  alla  città  o  marine, 
assassinavano  terrazani,  lavoratori,  mercatanti  e  barcaiuoli, 
e  fu  assediata  Ànemur,  e  rotto  Curzio  Severo  mandatovi  di 
Soria  con  cavalli,  non  buoni  come  i  fanti  a  combatter  per 


*  eoi  ealdo  sì  grandej  cioè,  fondato  sul  grao  favore  eh' e* godeva.  Lat.t 
«  tanta  potentia  subnixo.  » 

S  non  ubbidirò.  Y*hz  qui  breve  lacuna:  ma  il  Nostro  la  dissimula,  le- 
guendo  gli  editori  bipontini  che  leggono  :  «  tane  prtebuerant  Tudai  speciem 
niotdt,orta  sedinone,  postguam,  cognita  catde  Cali,  haud  obtemperatum 
essetj  manebat  metus  ne  quis  principum  eadem  imperitaretm  *»  Il  Testo  di 
Baitter  e  Orelli  legge  così:  «  sane prtebuerant  Itideei  speciem  motUs,  orta  se» 

ditione, posttfuam  cognita  cade  eius,  haud  obtemperatum  esset,  mane" 

bat  metus  te.  m  Si  vollero  obbligare  i  Giudei  a  porre  nel  loro  tempio  la  statua 
di  Caligola,  il  quale  essendo  stato  ucciso  in  questo  tempo,  1* ordine  non  ebbe 
effetto.  Ma  temevano  peraltro  che  questa  fantasia  potesse  venire  a  qualche  altro 
principe. 

3  cui  da  prima  ne  ridea  V  occhio  :  i  quali  da  prima  fi  rallegravano  alla 
vista  di  quelle  prede. 


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S94  IL  UBEO  MODECIHO  DEGLI  ANNALI. 

qneUe  fratte.  Antioco  re  del  paese  eon  lusingar  que' barbari  e 
ingannare  il  capo,  gli  sbrancò.  Lai  uccise  con  pochi  suoi 
principali;  al  resto  perdonò,  e  quietolli. 

LYI.  In  questo  tempo  fu  tagliato  il  monte  ^  tra  il  lago  di 
Rossiglione*  e  '1  Garigliano,'  perchè  più  gente  vedesse  la  ma- 
gnifica battaglia  navale,  ordinata  in  esso  lago,  a  concorrenza 
di  quella  che  fece  Agusto  nel  pelago  da  lui  cavato  di  qua  dal 
Tevere,  ma  con  meno  legni  e  minori.  Claudio  armò  galee  e 
fusto  con  diciannove  mila  combattenti.  Fecevi  di  travate  nn 
cerchio,  acciò  non  potessero  fuggire,  agiato  da  polervisi  rin- 
girare,  maneggiare,  vogare  e  combattere.  Fanti  e  cavalli  di 
guardia  stavano  in  su  le  travi  dietro  a' parapetti  ov'erano 
briccole  *  e  caricate  balestre.  Soldati  d'armata  '^  in  legni  co- 
perti tenevano  il  restante  del  Iago:  i  colli,  le  ripe  e  le  cime 
de' monti,  a  modo  di  teatro,  eran  gremite  di  genti  venate 
dalle  vicinanze  e  da  Roma,  per  vedere  o  far  corte  al  prìn- 
cipe. Risederono,  egli  in  abito  imperiale,  e  poco  lungi  Agrip- 
pina in  manto  d'oro.  Combattevano  benché  malfattori,  da 
forti  uomini  e  valorosi,  e  doppo  molte  ferite  furon  divisi. 

LYII.  Fatta  la  festa,  fu  dato  l'andare  all'acqua,  e  sco- 
perto l'errore  dello  spiano,  non  livellato  al  fondo  né  a 
mez' acqua  del  lago.  Onde  poi  lo  raifondò,  e  per  ragunar  di 
nuovo  il  popolo,  gittativi  sopra  i  ponti,  vi  fece  una  festa 
d'accoltellanti  a  piede.  Ove  apparecchiò  un  convito  allo  sbocco 
dell'acqua  che  sgorgò  con  tal  furia  che  si  trasse  dietro  le 
cose  vicine  e  smosse  le  lontane.  E  ogn'  uno  stordi  per  lo 
remore;  e  Agrippina  servendosi  dello  spavento  del  principe, 
voltasi  a  Narciso ,  soprantendente  dell'  opere,  disse  averla 


</«  tagliato  il  monte  ec.  Plinio,  H.  N.  XXXV,  15:  «  Io  tengo  tn  W 
cose  più  naemorabili  di  Claudio  (benché  poi  V  opera  si  tralasciasse  per  odio  del 
suo  successore)  il  monte  forato  per  farvi  passare  il  lago  Fucino  ,  Teramente  eon 
incredibile  spesa  ed  opere  infinite  per  tanti  anni  ec.  » 

*  di  Rossiglione,  di  Gelano;  anticamente.  Fucino, 
'  Gariglianoi  anticamente,  Lirt, 

*  briccole.  Il  lat.  :  «  catapultee.  w  Macchine  militari  da  scagliar  pietre 
Di  qui  briccolare. 

5  Soldati  d'armata,  Lat.  m  c/a«#arii.  «armata  ^  propriamente  la/oN 
ta^  e  mal  si  usa  da'moderni  per  e/ercito.  Vedi  M.  A.  Parenti,  Catalogo  di  SprO' 
votiti j  N»  i,  pag.  9. 


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IL  LIBBO  DCODEGIMO  DEGÙ  AlfNAU.  t9H 

M  fatta  male  in  prora,*  per  fame  bottega  e  mbare.Ned  egli 
a  tei  la  saa  donnesca  superbia  e  le  troppo  alte  speranze 
rìspiarmò.' 

LYIIL  Nel  consolato  di  D.  Ginnio  e  Q.  Aterio,  Nerone 
di  sedici  anni  sposò  Ottavia  figlinola  di  Cesare.  E  per  dargli 
gloria  dì  letterato  e  bello  parladore,  lo  fecer  difender  la 
causa  de  gV  Iliesi.  Ove  con  faconda  diceria  mostrò  come  i 
Romani  vennero  da  Troiane  Enea  fn  orìgine  di  casa  giulia, 
e  l' altre  antichità  quasi  favole,  e  ottenne  che  gì' Iliesi  d'ogni 
graveza  di  comune  fussero  esenti.  Orante  il  medesimo  fa  alla 
colonia  bolognese,  che  pati  grande  arsione,  donato  dagento 
cinquanta  mila  fiorini:  e  a'  Rodiani  rendala  la  libertà  spesse 
volte  data  o  tolta,  secondo  che  ci  avevano  fuori  nelle  guerre 
servito,  o  dentro,  per  sedizione,  offeso:  e  alli  Apamiesi  per 
gran  rovine  di  tremoti  rilasciato  per  anni  cinque  il  tributo. 

LIX.  AU' incontro  Agrippina  con  sue  arti  faceva  fare 
a  Claudio  ogni  crudeltà.  Per  avere  ella  il  giardino  di  Statilio 
Tauro,  famoso  ricco,  lo  fece  capitar  male,  e  da  Tarquizio 
Prisco,  stato  legato  suo  in  Affrica,  quando  vi  fu  viceconsolo, 
accusare  di  alcune  baratterie  e  molti  incantesimi.  Né  po- 
tendo più  soffrire  T  indegno  e  falso  accusatore,  s'ammazò 
innanzi  al  sentenziar  del  senato,  del  quale,  benché  Agrip- 
pina s' opponesse,  Tarquizio,  per  odio  de'  padri,  pur  fu  raso. 

LX.  Più  volte  fu  il  principe  in  quel!'  anno  udito  dire, 
chele  cose  giudicate  da' suoi  procuratori,  '  valessero  come 
giudicate  da  lui.  Il  senato  perché  il  detto  non  paresse  scon- 
siderato, ne  fece  decreto  ancor  più  ampio.  Volle  bene  Agu- 
sto, che  i  cavalieri  romani  reggenti  in  Egitto,  rendessero 
ragione  e  alle  loro  sentenze  si  stesse,  come  fossero  date 
da'  niagistrati  di  Roma:  poscia  in  altre  provincie  e  in  Roma, 
hanno  avuto  certe  podestà  che  toccavono  a' pretori.  Ma 
Claudio  die  loro  la  giurisdizione  intera:  di  che  s'è  combat- 
tuto tante  volte  con  sollevamenti  e  armi;  quando  le  leggi 

*  in  prwaj  a  bella  posta. 

'  rispiarmò.  Il  postiUatore  dell'  esemplare  Nettiano  ài  G.  Capponi  nota  : 
«  rispiarmò  è  scoro  ed  equivoco.  Vedi  se  fusse  meglio  dire  tacque.  »  Postilla 
Tolante. 

'  procuraiorij  cioè  del  fisco^  che  erano  per  1q  più  liberti.  ' 


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206  IL  LIB&O  DUODBCmO  DEGLI  ÀNNAU. 

sempronie  ^  mettevon  V  ordine  de'  cavalieri  in  possesso  del 
giudicare;  e  le  servilìe*  lo  rendevano  al  senato.  Le  guerre 
tra  Mario  e  Siila  non  furono  quasi  per  altro.^  Chi  favoriva 
Funo  chi  l'altro  ordine,  e  quel  che  vinceva,  giudicava. 
Col  braccio  di  Cesare,  Gaio  Oppio  e  Cornàlio  Balbo  furono 
i  primi  a  poter  disporre  della  pace  e  della  guerra  a  lor  modo. 
Della  potenza  de'  Malii  e  Vedii  e  altri  cavalieri  romani,  non 
occorire  dire,  poiché  Claudio  i  liberti  ordinati  a  governargli 
la  casa»  ha  fatti  pari  a  se  e  alle  leggi. 

LXI.  Propose  di  fare  esenti  da  ogni  tributo  que'  di  Coo, 
della  cui  antichità  molto  disse:  «  essere  gli  Argivi,  o  Ceo 
padre  di  Latona,  venuti  i  primi  in  quell'isola.  Esculapio 
avervi  portato  la  medicina,  stimata  molto  da' suoi  descen- 
denti, i  cui  nomi  e  tempi  contò:  e  come  Senofonte,  medico 
suo,  era  nato  di  quelli:  e  doversi  fare  a' preghi  di  quello 
esenti  del  tutto  gli  abitatori  di  tale  ìsola  a  tanto  iddio  con- 
sagrata e  ministrante.  »  Avevano  i  Coi  senza  dubbio  aia- 
tato  il  popol  romano  in  molte  vittorie;  ma  Claudio,  dolce  al 
solito,  non  abbellì  la  grazia  co  '1  ricordarle. 

LXII.  Il  contrario  fecero  i  Bizantini,  che,  avuto  udienza 
in  senato,  lamentandosi  delle  troppe  graveze,  si  fecero  da 
capo  a  contare  della  lega  fatta  con  esso  noi  quando  avemmo 
guerra  co  '1  re  de' Macedoni  che  ne  fu  detto*  Filippastro, 
come  traligno:  e  delle  genti  contro  Antioco,  Persa,  Arislo- 
nico  mandate  a  noi:  e,  contro  a' corsali,  ad  Antonio:'  e  del- 

^  sempronie j  cioè,  di  G.  Grracco,  che  Ta.  632  trasferi  i  giudisii  dal  senato 
all'ordine  dei  cavalieri. 

'  tervUie.  L.  Servilio  Gepione  1*  a.  648  volle  per  legge  che  i  giudisii  sieaev* 
citassero  in  comune  tra  i  senatori  e  i  cavalieri. 

'  quasi  per  altro  j  cioè,  nacquero  principalmente  dal  contendersi  i  due  or- 
dini senatorio  ed  equestre  questo  diritto  del  giudicare.  E  dopo  tanto  sangue,  ClatH 
dio  lo  tolse  ad  ambedue  per  darlo  a'  procuratori  del  6scoI 

*  detto.  L'edizioni  originali,  eletto j  ma  erroneamente.  L.  Floro  II,  i4: 
«  Usurpato  avea  il  regno  e  il  capitanato  un  certo  Àndrisco,  mercenario,  malna- 
to, se  schiavo  o  libero  non  so;  ma  perchè  somigliante  a  Filippo ,  Filippo  cbia- 
mavasi:  alle  sembianze  e  al  nome  di  re  ebbe  pan  anche  l' animo.  Ridendosene  Ro- 
ma ,  le  parve  assai  mandargli  contro  senz'apparecchi  il  pretore  Giovenzio,  men- 
tre il  disprezzato  nemico,  oltre  a' Macedoni,  era  forte  di  grossi  aiuti  di  Traci:  e 
qnal  non  fu  mai  da  veri  re,  fii  vinta  allora  da  un  re  immaginario  e  da  scena, 
perdendo  una  legione  con  lo  stesso  pretore*  m 

'  Antonio  ,  padre  del  triuoviro. 


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IL  Ln»0  DOOIHECXIfO  DBGLI  ANN AU.  207 

l'ofiérte  a  Siila,  Lacnllo  e  Pompeo  fatte:  e  de'  freschi  ser- 
yigi  a' Cesari 9  per  essere  in  quel  sito,  a  passar  eserciti  e 
yettoYaglie  per  terra  e  per  mare  tanto  commodo. 

LXIII.  Avendo  i  Greci  piantato  Bisanzio  nell'  estremità 
d'Europa,  diviso  per  piccolo  stretto  dall'Asia,  per  oracolo 
d'ApoUiné  pitie,  che  rispose  loro:  «  Siponessono  dirimpetto 
alla  terra  de' ciechi;  »  significando  i  Galcedonii,  che  essendo 
stati  ì  primi  a  venire  in  qne'lnoghi,  non  veduto  il  meglio,* 
s'af^resero  al  peggiore:  essendo  di  Bizanzio  grasso  il  ter- 
reno e  ricco  il  mare,  per  l'infinità  de' pesci,  che  dal  mar 
maggiore  a  fona  calando,  spaventati  da  biancheggianti  sassi* 
sott'acqua  longo  l'Asia,  torcono  a  questi  porti:  e  già  ne  fé- 
cero  gran  traffico  e  riccheze  ;  ma  poi  le  si  mangiava  il  co- 
mane  di  Roma  con  le  graveze;  e  ne  chiedevano  fine  o 
moderanza.  Il  principe  per  esser  affaticati  nella  passata 
gaerra  di  Tracia  e  del  Bosforo,  li  alato  e  sgravò  da'  tributi 
per  anni  dnqae. 

LXIY.  L' anno  di  M.  Asinio  e  M.  Acilio  consoli  molti 
prodigi!  mostrarono  lo  stato  dover  peggiorare.  Arsero  di 
saetta  alcune  tende  e  bandiere.  Uno  sciame  di  pecchie  si  pose 
in  cima  di  campidoglio.  Nacquero  umani  parti  bisformi;  un 
porco  con  l' unghie  di  sparviere:  e  per  mal  segno  fu  preso 
che  in  pochi  mesi  d'ogni  magistrato,  de' questori  edili 
tribuni  pretori  e  consoli,  ne  morì  uno.  Più  di  tutti  spaventò 
Agrippina  un  mal  bottone'  che  gìttò  Claudio  ebbro:  «  Che 
era  destinato  a  sopportar  le  mogli  scelerate  un  pezo ,  e  poi 
gastigarle.  »  Onde  ella  si  risolvè  a  fare,  e  tosto:  e  prima  spe- 
gnere Domizia  Lepida  per  cagionuze  da  donne.  Costei  per 
esser  figliuola  d'Antonia  minore,  e  per  lei  nipote  d' Agusto; 
cugina  carnale  d'Agrippina,  e  sorella  di  Gneo,  già  marito 
di  lei,  non  si  teneva  da  meno  di  essa:  giovani,  belle,  potenti 
eran  quasi  del  pari;  disoneste,  infami,  superbe,  e  non  meno 


*  non  veduto  ti  meglio.  Légge:  «  parum  visa  locorum  utilitate.  «  Al- 
tri te«ti:  mpreevUa.  » 

S  bioHcheggiAnti  sassi.  Légge:  malbidis  saxis.  »  Altri  testi:  «  obli' 
qnis.  »• 

S  un  mal  bottone^  una  bratta  parola.  Il  popolo  toscano  dice  nell*istesBO 
senso:  Dare  una  bottata. 


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298  IL  LIB&O  DCODECIlfO  DBGU  AMMALI. 

dì  vizi  che  di  prospera  fortuaa  garreggianti  e,  soprattutto, 
di  coi  potesse  più  in  Nerone,  la  zia  o  la  madre.  Lepida  il 
giovane  attraeva  con  careze  e  presenti:  per  lo  contrario 
Agrippina  gli  facea  viso  brusco  e  minaccioso,  come  colei 
che  poteva  far  signore  il  figliuolo,  ma  non  sopportario  si- 
gnoreggiante. 

LXY.  Ora  di  Lepida  fu  rapportato  d' avere  con  malie 
cercato  il  matrimonio  del  principe,  e  poco  frenati  li  schiavi 
suoi  in  Calabria  per  turbare  la  pace  d' Italia.  Per  si  fatte  ca- 
gioni fu  dannata  a  morte,  sclamandone  molto  Narciso,  il 
quale  ogn'  ora  più  temendo  d'Agrippina,  dicono  che  tra  gli 
amici,  disse,  «  Regni  Britannico  o  regni  Nerone,  spedito 
sono.  Ma  io  sono  a  Claudio  tanto  obbligato,  che  metterò  la 
vita  per  lui  volentieri.  Convinsi  Messalina  e  Sìlio:  ora  ci  son 
da  fare  le  medesime  accuse:  *  ma  se  Nerone  succederà,  me 
jie  Faprà  il  mal  grado;*  e  questa  matrigna  farà  ogni  cosa  per 
disperder  Britannico  vero  successore,  con  tutta  sua  casa, 
falche  io  faceva  minor  male  a  starmi  cheto  di  quelle  vergo- 
gne prime,  poiché  non  ci  mancano  queste  seconde  di  Fal- 
lante: tanto  stima  ella  poco  l'onore,  il  grado,  il  corpo,  ogni 
cosa  per  regnare.  »  Alzava  le  mani  al  cielo,  abbracciava 
Britannico  pregando  gì'  iddii  che  lo  facesser  crescer  in  età 
e  vigore  per  cacciar  via  ì  nimiei  del  padre  e  vendicarsi  de- 
gli ammazatori  della  madre* 

LXVL  Claudio  sotto  '1  pondo  di  tanti  pensieri  ammalò, 
e  andò  per  riaversi,  alla  buon'  aria  e  bagni  di  Sessa.  Agrip- 
pina già  risoluta  d' avvelenarlo,  e  quella  occasione  solleci- 
tando, né  mancandole  ministri,  si  consigliava  con  qual  veleno: 
repentino,  scoprirebbe  troppo:  a  termine  e  stento,  Claudio  se 
n'avvedrebbe;  e  condotto  al  eapezale,  lo  strìgnerebbe  l'amore 
a  lasciare  al  figliuolo.  Piacque  veleno  che  lo  facesse  uscir  di 
se,  e  morire  adagio.  Composelo  Locusta'  già  condannata  per 
maliarda,  e  poi  più  tempo  tenuta  tra  le  masserìzie  di  stato/ 

'  le  medesime  accutej  cio^,  contro  Agrippina  come  adultera  con  Pallante. 
>  il  mal  grado.  Il  teito  latino  h  qui  d*  incerta  lesione. 
S  Locusta,  (u  fatta  poi  morire  da  Galba. 

*  masserUie  di  staio.  Lat.:  u  instrumenta  regni j  m  gente  del  coi  brac- 
cio icrvivast  la  corte  per  tor  dal  mondo  chi  le  dava  noia. 


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IL  UBIO  DUODICWO  D16LI  ARNALI.  S90 

Diedek)  Aiolo  uno  de'  castrati  che  portava  le  yivande  e  fa- 
cea  la  credenza.* 

LXYII.  Il  che  si  riseppe  poi  tanto  per  V  appunto,  che 
gli  scrittori  dì  qoe'  tempi  contano^  che  gli  fa  dato  in  sa  gli 
oovoli,  de'qaali  era  ghiotto:*  e  Glandio  ebbro  o  balordo,  non 
se  n'  avvide.  La  natura  s' aiutò,  e  scarìcqissi  dì  sotto,  e  parve 
goarito.  Agrippina  rimase  morta;  e  andandone  il  tutto,  la- 
sciò ire  i  rispetti,  e  corse  a  Senofonte  medico,  già  acconcio. 
£gli  quasi  per  farlo  vomitare,  gli  cacciò  in  gola  una  penna, 
intìnta  in  tosuco  da  far  subito:  sapendo,  i  sommi  eccessi  co- 
minciarsi con  perìcolo  e  spedirsi  con  premio» 

LXYIII.  Ragunasi  il  senato;  e  fanno  i  consoli  e  sacer- 
doti orazioni,  perchè  il  prìncipe  guarisse,  quando  egli  era 
basito;'  e  con  panni  caldi  e  pittime*  si  celava,  per  accomo- 
dar le  cose  a  fermar  V  imperìo  a  Nerone.  In  tanto  Agrippina 
quasi  dal  dolor  vìnta,  e  per  consolarsi,  teneva  firilannico  ab- 
bracciato e  stretto,  dicendolo  esser  tutto  suo  padre,  con  va- 
rie astuzie  trattenendolo,  xhe  non  uscisse  di  camera.  Serrovvi 
altresì  le  sorelle  Antonia  e  Ottavia;  pose  guardie  a  tutte  le 
porte:  e  spesso  dava  voce  che  il  Prìncipe  migliorava,  per 
tenere  i  soldati  in  buona  speranza:  e  per  aspettare  il  punto 
buono,  calcolato  da'  caldei. 

LXIX.  A  mezo  il  di  tredici  di  ottobre,  spalancate  le 
porte  del  palagio,  Nerone  esce  con  Burro,  e  vanne  alla  coorte, 

*  facea  la  credensa.  Lat.  «  explorare  gastu  solitus,  »  Vedi  lib.  seg. 
e.  i6.  JFVir  la  credenma  Tale  assaggiar  la  vivanda  prima  di  metterla  in  tavola ,  a 
fine  d' assicarare  il  signore  che  non  v'  ha  veleno.  Di  qui  chiamossi  poi  credenza 
il  desco  dove  si  posavano  le  vivande  per  far  questo  saggio. 

'  de'quaiitraghiotto.Svtionioin  Claud",:  «Convengono  tutti  eh  V  fosse 
avvelenato,  ma  dove  e  chi,  non  s'accordano.  Alcuni  scrivono  che  nella  rócca 
mangiando  co'sacerdoti  ;  altri|  che  Alatto  suo  credenziere  ;  altri  ancora,  che  Agrip- 
pina gli  noettesse  il  veleno  in  un  uovolo ,  pietansa  a  lui  ghiotta.  Nemmeno  si  ac- 
cordano sul  seguito  da  poi;  perchè  v'ha  chi  afferma  che  subito  preso  il  veleno 
perdesse  U  favella,  e  che  tormentato  la  notte  da  gran  dolori,  morisse  sul  far  del 
dj.  Altri  scrivono  che  sul  principio  s'addormentò;  dipoi  che  rigonfiandogli  il  cibo 
nello  stomaco,  per  bocca  lo  cacciò  fuori,  e  che  di  nuovo  fu  avvelenato.  Ne  si  ri- 
solvono se  ciò  fu  nella  poltiglia  che  per  ristorarlo  gli  dettero ,  o  si  pure  gli  av* 
▼elenarono  il  cristero,  fattogli  per  evacuarlo  ancora  da  basso  ^dacché  mostrava 
tribolare  ài  rìpienetxa.  » 

'  era  basito j  morto. 

*  pittime j  fornente. 


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800  IL  LIBRO  DUODECmO  DEGÙ  ARNÀU. 

che  slava,  secondo  il  costarne,  in  guardia.  Ove  i  soldati,  av- 
vertendoli Burro,  il  riceverono  con  allegre  grida:  e  misero 
in  lettiga.  Dicesi  che  alcuni  si  rattennero,  domandando,  ove 
fusse  Britannico:  ma  non  v'  essendo  chi  dicesse  altro,  si  tol- 
sero quel  che  venne.  E  Nerone  portato  nel  campo,  fece  ac- 
conce  parole:  promise  il  donativo  che  il  padre  diede:  e  fa 
gridato  imperadore.  Il  fatto  de' soldati  seguitarono  le  consolle 
del  senato  e,  senza  pensarvi,  le  provincie.  A  Claudio  furon  or- 
dinati onori  divini,  e  fatte  V  esequie  come  ad  Agosto,  gareg- 
giando Agrippina  con  la  magnificenza  di  Livia  sua  bisavola. 
Non  si  lesse  il  testamento,  perchè  al  popolo  non  facesse  sto- 
maco r  ingiuria  e  l' odio  dell'  aver  anteposto  al  figliuolo  il 
figliastro. 


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301 

IL  LBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  G.  Silano  avvelenato  per  trama  d'Agrippina.  fYarciso  a  morte.  ^- 
II.  Lode  di  BnrrOj  e  Seneca.  Censorio  mortoro  di  Glandio  :  è  lodato  da  Ne- 
rone. —  ly.  Baoni  principii  dì  Nerone  :  molte  cose  ad  arbitrio  del  Senato 
fatte.  —  TI.  I  Parti  aspirano  all'Armenia:  opponsi  Domizio  Corbulone. — 
XII.  Nerone  in  amor  con  Atte  liberta ,  freme  Agrippina  :  va  scemando  suo 
potere. — XIY.  Fallante  casso  d'impiego.  —  XV.  Veleno  accelerato  a  Britan- 
nico: presto  funerale ,  già  preparato ,  e  scarso.  —  XVIII.  Agrippina  vie  più 
a  Nerone  avversa ,  sembra  macchinar  norità  :  accusatane ,  ottien  vendetta  delle 
spie,  premii  agli  amici.— -XXII.  Silana  esiliata.  Fallante  e  Burro  da  Feto 
accusati:  esilio  all'accusante.  —  XXIV.  Uoma  ribenedetta.  —  XXV.  Lusso  e 
lascive  notturne  scappate  di  Nerone:  istrioni  banditi  d'Italia.—  XXVI.  Trat- 
tasi in  Senato  delle  frodi  de'  liberti ,  e  di  tornarli  schiavi  :  pur  nulla  in  co- 
mune derogato.  —  XXVIII.  Limitati  i  dritti  de'  Tribuni  e  degli  Edili  :  cura 
dell'Erario  variata.  —  XXX.  Vipsanio  Lena  condannato.  Muore  L.  Volusio. 
— XXXI.  Magistrati  eletti  allO' Provincie  non  pqsson  dar  feste. — XXXII.  Fatti 
sicari  i  padroni  :  Ponraonia  Grecina  al  giudìzio  del  marito  permessa ,  assoluta 
per  innocente. — XXaIII.  Accusati  di  mal  tolto  P.  Celere)  e  Cossuziano  Ca- 

fitime,  Eprio  Marcello. — •  XXXIV.  Liberalità  di  Nerone:  la  guerra  contro 
Armenia  differita  si  assume  seriamente:  coli'  antica  severità  e  disciplina  as- 
sodata la  milizia  v'entra  Corbulone,  prende  e  incendia  Artassata.  — ^ XLII. 
P.  Soillio  condannato  a  Roma.  —  XLIV.  Ottavio  Saetta  d'amor  frenetico. 
Ponsia  passa  di  stoccata  :  mirabil  fede  d' un  liberto.  —  XLV.  Primo  amor  di 
Nerone  a  Sabina  Poppea. — XLVII.  Cornelio  Sulla  in  bando  a  Marsiglia.  — 
XLVIII.  Pezzuole  in  rivolta. — XLIX.  Peto  Trasea  nn  lieve  decreto  di  Se- 
nato impugna  per  accrescere  a' Padri  onore.  —  L.  Impudenza  de' pnblicani  : 
mantenute  le  gabelle  contro  gl'impeti  di  Nerone,  Proscritte  le  leggi  d'o^l 
comune  di  pubblicani  sin  là  ignote. — LUI.  Mosse  de' Prigioni  in  Germania: 
tosto  fatti  uscire  da' campi  occupati  lungo  il  Reno:  presi  e  uccisi  ì  riottosi. 
Con  pari  fato  i  campì  stessi  occupano  gli  Ansibarii.  •— LVII.  Guerra  tra  £r- 
munanrì  e  Catti,  a  questi  fatale.  —  LVIII.  Albero  Ruminale  rinverdito. 

Corto  di  quatti^  amai. 

.      ..  o  13'  n    i'v\      r^       >•   l  Nerone  Claudio  Cesàbb. 

Ab.  d.Rom.DCCCYiii.  (iCr.  55).-Cowoh.  |  ^  ^^^^  ^^^^ 

An.  ai  Bom.  DCCax.  (d.  Cr.  56).-Co».oU.  }  "^  ^^^^^^^  ^^^^^^ 

An.  a.  B<«D.  Bcecx.  (a.  Cr.  57).-Co~oh.  |  ^   cìlpubwo  Pisone. 

.      j.  „  ;j.  ^    «oi      ^       ,.    1  Nbborb  CiiODio  Cbsibk  ni. 

A«.  a.  Boa»  ixicai.  (a.  Cr.  h»).-Cotmh.  \  y^^^,  „^j^,^ 

I.  96 

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302  IL  LIBRO  TBEDICESIMO  DEGLI  ANNALI. 

I.  [A.  di  R.  807y  di  Gr.  54.]  11  primo  ucciso  nel  nuovo 
principato  fa  Giorno  Silano/  viceconsolo  in  Asia,  senza  sa- 
puta di  Nerone  per  fraudo  d'Agrippina,  non  per  paura  di 
troppo  terrìbile,  anzi  era  pigro  e  spregiato  dagli  altri  impe- 
radori,  onde  Gaio  Cesare  il  chiamava  bue  d'oro;*  ma  perchè 
ella ,  che  tramò  la  morte  di  L.  Silano  '  suo  fratello,  ne  temeva 
vendetta,  vociferando  il  popolo  che  a  Nerone  uscito  appena 
di  pupillo  e  fatto  tristamente  imperadore,  si  doveva  ante- 
porre Silano  di  età  grave,  netto,  nobile  e,  quello  a  che  si 
guardava  allora,  del  sangue  de' Cesari,  cioè  bisnipote  di 
Agusto.  Ciò  fu  la  morte  sua:  i  ministri,^  P.  Celere  eavaliere 
romano  ed  Elio  liberto,  procuratore  del  principe  in  Asia.  I 
quali  l'avvelenarono  a  mensa,  che  se  n' accorse  ogn' uno. 
Non  men  tosto  Narciso,  liberto  di  Claudio,  delle  cui  male  pa- 
role con  Agrippina  dissi  di  sopra,*  fu  fatto  morire  in  carcere 
asprissima  di  stento  estremo  contro  al  voler  del  prìncipe, 
avaro  e  prodigo  non  men  di  lui,  ma  non  ancora  scoperto: 
però  molto  gli  andava  a  sangue. 

II.  E  moriva  dimolta  gente,  se  Afranio  Burro  e  Anneo 
Seneca  non  rimediavono.  Questi  il  giovane  imperadore  go- 
vemavono  uniti,  di  potenza  pari,  con  arti  diverse;  fiurro 
con  la  cura  dell'  armi  e  gravità  di  costumi,  Seneca  con  gì'  in- 
segnamenti d' eloquenza  e  piacevoleze,  aiutandosi  V  un  l'al- 
tro a  tenere  a  freno  più  agevohnente  l' età  pieghevole  del 
principe  con  diporti  leciti ,  se  con  virtù  non  potessero.  Aveano 
solamente  a  combattere  con  la  ferocità  d'Agrippina,  d' ogni 
voglia  tirannesca  ardente ,  aiutata  da  Fallante,  che  indusse 
Claudio  a  gittarsi  vìa*  con  le  ìnceste  noze  e  con  la  pestifera 
adozione.  Ma  Nerone  non  avea  umore  di  lasciarsi  governare 
a  schiavi:  e  Fallante  con  la  sua  arroganza  passando  la  con- 

<  Silano.  Mareo  Giunio  Silano  Si  Appio,  fa  console  Ta.  799. 

S  btt9  d'oro.  D*uii  altro  Marco  Silano,  socero  di  Caligola  e  che  Tu  console 
Ta.  77S,  raoconu  Dione  (59,  8)  cbe  dal  genero  era  chianuto  medesimamenlc 
XputfOV  vpo^TOitppecut  aurea  :  ed  egli  se  ne  teneva  f 

'  L.  Silano,  genero  di  Claudio,  marito  d'Ottam. 

*  i  ministri^  soltintendi/rir'ono. 
B  *opras  Ub.  XII,  57  e  <{5. 

*  a  gittarsi  via  ec,  a  perdersi,  a  pervertirsi,  a  corrompersi  ec  Lat.?  «  q»o 
mmctore  Claudius  nuptiis  incesUs  etadoptione  exMota,  semetperperterat,  • 


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IL  LIBRO  TftBDICBSIlfO  DBCLI  ANNALI,  303 

dizione  di  liberto,  gli  era  venuto  a  fastidio.  Pare  alla  madre 
faceva  ogni  onore  in  apparenza,  e  diede  a  un  trìbano,  come 
s'usa  a' soldati,  questo  contrassegno,  Ottiiia  Madre.  Il  se- 
nato ordinò  a  lei  dve  littori  e  il  flaminato  de'Glaadii,  e  a 
Claudio  la  consagraiione  dopo  l'esequie  da  censore,  ove  il 
principe  lodò. 

III.  E  mentre  annoverava  V  antico  legnaggio,  ì  censo- 
iati,  i  trionfi  de'  suoi  maggiori,^  l'attenzione  fu  grande:  il  ri- 
cordarle scienze  e  sue  nobili  arti,  e  come,  reggente  lui,  da 
niono  nimico  si  ricevette  danno,  fu  grato:  ma  quando  egK 
entrò  nella  sapienza,  nella  provedenza;  niuno  tenne  le  risa; 
quantunque  la  diceria  composta  da  Seneca ,  fosse  molto  ador- 
nata da  queli'  ingegno  grazioso  *  e  agli  orecchi  di  qoe'  tempi 
accomodato.  Notavono  i  vecchi  scioperati,  che  paragonano 
le  cose  antiche  con  le  moderne,  Nerone  essere  stato  il  pri- 
mo di  tutti  i  signori  di  Roma  a  parlare  imboccato;  perchè 
Cesare  dettatore  co'  maggiori  dicitori  gareggiò.  Agosto  parlò 
chiaro  e  corrente,*  proprio  del  principe.  Tiberio  del  pesar  le 
parole  aveva  l'arte;  concetti  vivi,  o  scuri  apposta.  Né  a  Gaio 
Cesare  la  bestialità  tolse  la  forza  del  dire.*  E  Claudio  quando 
diceva  pensato,  era  elegante.  Lo  ingegno  dì  Nerone  de  gli 
anni  teneri  se  n'  andò  in  dipignere,  intagliare,  cantare,  ca- 
valcare, e  semi  di  dottrina  mostrava  nel  verseggiare. 

lY.  Fornito  il  piagnisteo,  egli  venne  in  senato  e,  di- 
scorso dell'  autorità  de'  padri  e  deli'  unione  de'  soldati,  parto 
egregiamente  de'  suoi  pensieri  ed  esempi  per  ben  governare. 
Non  gioventù  nutrita  in  armi  civili,  in  discordie  di  casa,  non 

*  de' éttoi  maggiori.  Svtionìo,  in  Tib.c.it  «  La  famiglia  de* Glaudii 

tlht  Tentotto  consoli,  cinque  dittatori,  sette  censori.  Ottenne  tette  volte  il  trion- 
fo, e  due  ^olte  l'onore  della  vittoria  senza  il  trionfo.  » 

'  in^e^o  grazioso:  Lat.  «  ingenitun  ammmum.  »  Questa  lode,  ben  oi- 
wrra  FOrelli,  è'ambigua>  e  meglio  rìferiscesi  al  corrotto  gusto  de' contemporanei 
che  al  sano  giudizio  de*  buoni  estimatori.  Quintiliano  chiama  i  vizii  di  Seneca 
rfo/c/j  ma  pur  vitii. 

'  chiaro  e  corrente.  Anche  Sfetonio  (in  Oetav.  e.  S6)  dice  che  «  ebbe 
stile  elegante  e  temperato,  schivando  i  concettini,  la  ravidesza  e  que'  puszi 
(com'è* diceva)  delle  parole  viete.  » 

*  lafwma  del  dire.  Svetonio  (in  Cai.  63):  «  Attese  molto  all'eloquenza, 
ed  ebbe  gran  vena ,  massime  a'avcsae  ivuto  ■  dire  contro  ad  alcuno t  nell'ira  Sec- 
cavano concetti  e  parole.  » 


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304  IL  LIBBO  TBEDICBSIUO  DEGÙ  ANICAU. 

odii,  non  ingiurie  arrecare,  non  aridità  di  yendetta.  Propose 
il  modello  del  governo  avenire,  scansando  tutte  le  cose  die 
eran  frescamente  spiaciate:  «  Imperochò  egli  non  abbrac- 
cierebbe  ogni  causa,  acciochò  vedendosi  tutti  gli  attori  e  i 
rei  in  una  camera,  non  potesser  i  pochi  favoriti  assassinare 
e  far  delle  giustizie  e  grazie  baratteria.'  Una  cosa  sarebbe  la 
sna  famiglia,  un'altra  la  republica.  Riterrebbe  il  senato 
r antiche  sue  auttorità.  L'Italia  e  le  Provincie  del  popolo  ^  an- 
drebbono  al  tribunale  de' consoli,  che  le  introdurrebbero  al 
senato;  egli  pensere^bbe  a  gli  eserciti.  » 

y.  £  tutto  osservò,  e  faron  fatti  molti  ordini,  come  volle 
il  senato:  Che  gli  avvocati  non  si  comperassero  per  mercede 
o  presenti:  che  al  far  lo  spettacolo  de'  gladiatori  non  fnsser 
tenuti  né  anche  i  disegnati  questori,  non  ostante  che  per  es- 
ser contro  a  gli  ordini  di  Claudio,  contradices^  Agrippina; 
la  quale  faceva  ragunar  i  padri  in  palazo,  e  alla  porta  udiva 
con  un  velo  innanzi  per  non  esser  veduta.  E  mentre  gli  am- 
basciadori  armeni  sponevano  dinanzi  a  Nerone,  veniva  per 
salir  su  e  risedere  al  pari  di  lui:  ma  Seneca,  stando  gli  al- 
tri attoniti,  gli  disse  '  che  le  andasse  incontro,  e  cosi  mostran- 
dole riverenza  riparò  la  vergogna. 

VI.  Nel  fine  dell'anno  vennero  nuove  che  l'Armenia  era 
di  nuovo  corsa  da' Parti,  cacciatone  Radamisto,  già  più  volte 
ebtratovi  e  fuggitone,  e  allora  del  tutto  abbandonatosi.  Molti 
per  la  città  ciarlatrice  domandavono:  «  In  che  modo  potrdibe 
quel  principe,  fanciullo  di  anni  diciassette,  tanto  peso  reg- 
gere o  sgravarsene:  che  aiuto  dare  chi  è  retto  da  una  don- 
na? commetteransi  le  giornate,  gli  assalti  e  l'altre  azioni  di 
guerra  a  pedagoghi?  »  Altri  dicevano:  «  Durerà  le  fatiche 
della  guerra  meglio  costui^  che  quel  vecchio  scimonito  di 
Gaudio,  cmnandato  da  servidori:  di  Burro  e  Seneca  ci  son 
moltissime  sperienze.  E  all'  imperatore  quanto  manca  all'es- 

*  baratteria.  Dati:  «  L'intento  suo  non  era  di  volere  di  tutte  le  cose  esser 
egli  il  giudice 9  n^  d'acconsentire  che  dentro  ad  una  casa  fossero  eome  rinchiusi 
gli. accusatori  ed  i  rei,  onde  perciò  la  potenza  di  pochi  avesse  a  prevalere.  » 

>  U  Provincie  dtl  popolo.  Tacito  dice' le  pubbliche  ptovimcU^  e  f 
di  quelle  che  nella  divisione  fatta  da  Augusto  toccaroao  al  leoato. 

'  gli  disse  t  a  Nerone. 


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IL  LIBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  305 

ser  nomo?  avendo  Gn.  Pompeo  di  diciott^anni  e  Ottaviano 
•  Cesar  di  diciannove,  retto  le  guerre  civili?  Più  fanno!  prin- 
cipi con  la  reputazione  e  col  consiglio,  che  con  la  mano  e 
con  r  armi.  Mostrerebbe  se  egli  si  serve  d'^uomini  dabbene 
0  no:  se  di  capitano  valoroso  senza  invijcKa,  o  tirato  su  per 
rìccfaeza  e  favori.  » 

VII.  Dicendosi  queste  cose,  Nerone  mandò  una  bella 
fanteria,  fatta  di  vassalli  vicini,  a  rinfrescare  le  legioni 
d'oriente,  e  fece  quelle  accostare  air  Armenia.  E  due  antichi 
re,  Agrippa  e  locco,'  stare  in  ordine  con  eserciti,  per  entrar 
nella  campagna  de' Parti,  e  gittar  ponti  per  l'Eufrate.  L'Ar- 
menia ad  Aristobolo,'  la  regione  di  Sofena  '  a  Soemo*  con  le 
reali  insegne  commise.  E  venne  a  tempo  che  Tardane  si 
scoperse  nimico  a  Vologese  ^  suo  padre.  E  partironsi  i  Parli 
d'Armenia  quasi  differendo  la  guerra. 

YIII.  Erano  queste  cose  in  senato  aggrandite  da  quelli 
che  proponevono  far  prieissione:  *  il  principe  v*^  andasse  in 
veste  trionfale:  entrasse  in  Roma  ovante:  se  gli  facesse  sta- 
tua nel  tempio  di  Marte  vendicatore,  grande  come  la  sua; 
tatto  per  1'  usata  adulazione,  e  per  Fallegreza  d'aver  fatto 
suo  luogotenente  in  Armenia  Domìzio  Corbulone,''  e  parere 
aperta  la  porta  alle  virtù.  Le  forze  deir oriente  furon  divise 
in  questa  guisa,  che  Quadrato  Yìnidio  ^  rimanesse  nel  suo  go- 
verno di  Seria  con  le  due  legioni  e  parte  delli  aiuti  :  altret- 
tanti n'avesse  Gorbulone;  e  più  i  colonnelli  e  la  cavalleria 
che  svernavano  in  Cappadocia:  i  re  amici,  quelli  se- 
condo che  la  guerra  chiedesse,  ubbidissero.  Ma  essi  ama- 
ran  più  Gorbulone,  il  quale  per  acquistar  nome,  cosa  nelle 

*  -^g^ippft  «  tocco.  11  primo  è  6g1io  di  quclP Agrìppa  rici^rdato,  Ub.  Xil,  83,  . 
n  secondo  debb'ettere  Antioco  re  della  Commagene  e  d*  una  parte  della  Ciliciji. 
Il  cod.  Mediceo  ha  t  miochum^n  che  è  manifestamente  mutilaxione  di  Àntiochum, 

<  jirisiobolo,  figlio  d' Srode  re  diCalcide. 
'  Sfifena,  presso  l' Armenia. 

*  Sòemo.  £  quello  ricordato  nel  lib.  II,  IS  delle  Stprit. 
9  Vologese.  Storie  IV,  51. 

"  ^ /hr pricissione.  Valeriani;  «Nel  senato  ogni  cosJPfa  celebrata  oltre  il 
dovere  da  quelli,  che  decretarono  preci  pubbliche,  e  al*  principe  trionfai  veste  il 
di  delle  pieci.  » 

7  C9rbalon0.  Tedi  UI,  31  ;  XI ,  i8  e  90. 

S  Vinidio,  Il  teato  ha:  «  Ummidium^  »■  di  cui  Tedi  Xlf ,  45  e  54. 


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306  IL  LIBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI. 

naove  imprese  ìmpoHantissima,  camminando  forte,  riscon* 
irò  Quadrato  in  Egea,^  città  di  Cilicia,  che  s'era  levato  in- 
nanzi per  gelosia,  che,  se  in.Soria  entrava  a  ricever  le  genti 
Corbalone,  di  gran  potenza,  di  parole  magnifico,  atto,  oltre 
alla  esperienza  e  al  sapere,  a  muovere  ancora  con  l' appa- 
renza; non  facesse  tutti  gli  occhi  in  se  volgere. 

IX.  L'uno  e  l'altro  per  messaggi  confortavano  il  re 
Vologese  a  voler  pace  e  non  guerra:  dare  statichi,  e  conti- 
nuar la  reverenza  portata  dalli  altri  al  popol  romano.  Volo- 
gese, 0  per  apparecchiarsi  con  agio  di  forze  a  quella  guerra, 
o  per  levarsi  i  sospetti  di  concorrenza,  consegnò  sotto  nome 
di  statichi  ì  primi  del  sangue  arsacido  a  Isteo  '  centurione,  da 
Yinidio  per  sorte  mandato  prima  al  i^  per  detta  cagione:  il 
che  come  Gorbulone  intese,  mandò  per  essi  Arrio  Varo,  pre- 
fetto d' una  coorte.  Il  centurione  ne  venne  seco  a  parole.  E 
per  non  farsi  tra  que' forestieri  scorgere,'  la  rimisero  nelH 
statichi,  e  ne' loro  conducenti.  Questi  anteposero  Gorimlone 
per  la  sua  fresca  gloria,  e  benivoglienza  ancor  de'  nimiei. 
Onde  nacque  tra  questi  capi  discordia,  dolendosi  Yinidio  es^ 
sergli  levato  di  mano  V  acquistato  per  opera  sua; ''e  Gorbulo- 
ne, vantandosi  non  essersi  risoluto  il  re  offerire  gli  statichi 
se  non  quando  seppe  d' avere  a  far  seco,  e  voltò  la  speranza 
in  paura.  Nerone  per  rappaciarli  bandi,  che  i  fasci  dell' im- 
peradore,  per  le  prospere  gesto  di  Quadrato  e  di  Gorbulone, 
si  portassero  con  T alloro.  E  queste  cose  toccarono  dell'anno 
appresso. 

X.  In  questo  presente,  Gesare  domandò  al  senato  l'ima- 
gine  a  Gn.  Domizio  suo  padre,  e  le  insegne  di  consolo  ad 
Asconio  Labeone,  stato  suo  tutore.  Le  statue  d'ariento  e 
d' oro  massiccie  a  lui  offerte  ricosò.  E  contro  al  voler  de'pa- 
dri,  che  il  m,ese  di  dicembre,  nel  quale  egli  nacque,  fosse 
capo  d'anno;  mantenne  alle  calende  di  gennaio  T antica  re- 
ligione. E  non  furono  accettate  le  querele  poste  da  uno 

<  Egea:  dorè  oggi  è  il  porto  Ayas, 

s  /«/«a.  I»a  Nestiana,  per  errore,  Oitaric, 

'  per  non  farti,,,  scorgere,  Lat.  «  n0...  speciaemlo  essetj  »  per  dod  fini 
beffate;  pec  non.  essere  ludibrio.  Mi/arsi  scorgere  con  alcuno  signiScanell'ns* 
del  popolo:  Venis  con  esso  alle  brutte,  con  parole  aspve  e  libere..  E  questo  se- 
condo significatanon  par  dffimL»  nel  Vocab<^rio. 


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IL  UBRO  TBEDICESUfO  LI  DEGANNALI.  307 

schiavo  a  Celere  Garlnate  senatore,  e  a  Giulio  Denso  cava- 
liere, di  favorire  Britannico. 

XI.  [A.  di  R.  808,  di  Gr.  55.]  Entrati  consoli  esso  Claudio 
Nerone  e  L.  Antistio,  giurando  i  magistrati  negli  attide'prìn* 
cipi ,  non  volle  che  Antistio  suo  collega  giurasse  ne'  suoi. 
Laudandolo  molto  i  padri,  che  quel  giovenile  animo  com- 
piaciutosi nelle  picciolo  glorie,  continuasse  nelle  maggiori.  Fu 
benigno  a  Plauzio  Laterano  cacciato  come  adultero  di  Mes* 
salina  del  senatorio  ordine,  in  rimetlerlovi;  prometteva  cle- 
menza con  sue  dicerie  spesse,  che  Seneca  componeva  e  pu- 
blicava  per  la  bocca  del  principe,  per  far  mostra  delle  virtù 
che  gF  insegnava,  o  di  suo  ingegno. 

XII.  La  madre  cominciò  appoco  appoco  a  cadere,  es- 
sendosi Nerone  intabaccato  *  con  Atte  liberta,  e  fattone  con- 
sapevoli due  be'  giovanetti,  Otone  di  famiglia  consolare  e 
Claudio  Senecione  figliuolo  d' un  suo  liberto.  Questi  per  la  li- 
bidine e  per  li  segreti  di  perìcolo  gli  entrarono  in  gran  con- 
fidenza, né  poteoci  ella,  quando  il  seppe,  rimediare;  e  parve 
meglio  a'  consiglieri  del  principe,  (il  quale  la  moglie  Ottavia, 
benché  n%bile  e  ottima,  per  disventura,  o  perché  le  cose 
vietate  prevagliono,  non  poteva  patire)  lasciarlo  sfogare  in 
quella  fenunina  senza  offésa  d'alcuno,  che  nelle  donne  il- 
lustri. 

XIII.  Sbuffava  Agrippina  d' avere  una  liberta  per  com- 
pagna, una  servente  per  nuora,  e  colali  altre  cose,  senz'aspet- 
tare il  ripentere  o  stuccare  del  figliuolo,  cui  quanto  più  sver- 
gognava, più  accendeva  di  questo  amore.  Dal  quale  sopraffatto, 
ogni  ubbidienza  levò  a  lei  e  voltò  a  Seneca,  de' cui  famigfiari 
un  Anneo  Sereno,  facendo  lo  innamorato  di  questa  liberta, 
ricopriva  da  principio  il  giovane  prìncipe;  e  sotto  nome  di 
costui  andavono  i  presentì.  Allora  Agrippina  mutò  registro, 
e  cominciò  a  tentare  il  giovane  con  le  lusinghe,  e  offerirgli 
la  sua  camera  per  dare  celato  sfogo  a  quello  di  che  1'  età 
giovanile  e  la  somma  potenza  gli  facesse  venir  voglia.  Con- 
fessava d' essergli  stata  troppo  severa.  Largivagli  tutte  le  sue 
riccheze,  poco  minori  di  quelle  dello  ìmperadore:  quanto 
dianzi  lo  gridava  mbesta,  tanto  ora  gli  s' umiliava.  Di  tanto 

A  inUibitccMtfi,  imiamorilo.  Vocaliolada  cicalaU^  se  pniCu 


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308  IL  LIBBO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNAlt 

iiia(amento  Nerone  attinse  il  fine,  e  gli  amici  ne  temeano  e 
prcgavanlo  a  guardarsi  da  quella  sempre  atroce,  allora  falsa 
donna.  Riveggendo  egli  an  giorno  le  vesti  e  gioie  delle  pas- 
sate imperatrici ,  mandò  a  donare  alla  madre  senza  ritegno 
le  più  ricche  e  care.  Ella  alzò  la  boce,  «e  Non  di  tali  onori 
pascerla  il  figliaol  sao,  ma  torlo  gli  altri;  e  dell'  imperio  da- 
togli intero,  renderle  questo  spicchio.  »  *  Non  vi  mancò  chi 
tatto  rapportasse,  e  peggio. 

XIV.  Nerone,  che  qoelli  non  poteva  patire  per  cai  la 
donna  era  saperba,  levò  a  Fallante  il  maneggio  datogli  da 
Claudio,  co'l  quale  governava  quasi  tutto  'l  regno.  Dicono  che 
partendosi  egli  con  gran  comitiva ,  Nerone  approposito  disse 
ehe  egli  andava  a  render  V  uficio.  *  Vero  è  eh'  egli  avea 
pattuito  che  senza  rivedere  ì  conti  suoi  publici ,  s'intendessero 
saldi  e  pari.  Agrippina  inbestialisce,  e  grida  in  modo  che  il 
prìncipe  Tede:  «  Che  Britannico  era  il  figliuol  vero  e  de- 
gno, e  d'età  da  tenere  l'imperio  del  padre,  usurpatoli  per 
opera  di  lei  trista  da  quello  adottato  posticcio  con  si  scele- 
rate  noze  e  veleno.  Deansi  pur  faora  tutti  i  mali  '  ^cev'  ella] 
di  quella  casa  infelice.  Mercè  de  gl'iddii  e  sua,  u  figliastro 
esser  campato.  Con  esso  andrebbe  in  campo  ove  s' udirebbe 
la  figliuola  di  Germanico  da  una  parte.  Burro  e  Seneca,  un 
monco  e  un  pedante  dall'altra,  pretendere  il  governo  del 
genere  umano.  »  Arrostava  le  mani;  *  diceva  ogni  male; 
chiamava  Claudio  da  cielo,  l'anime  de'  Silani*  d' inferno;  i 
tanti  peccati  orrendi  fatti  senza  alctin  prò. 

XV.  Nerone  sen'  alterò ,  e  compiendo  Britannico  quat- 
tordici anni  tra  pochi  di ,  considerava  or  la  madre  rovinosa, 
ora  il  giovane  spiritoso,  che  l' avea  mostrato  e  acquistatone 
grazia  in  quelle  feste  saturnali,  ove  Nerone  fatto  re  de'  gioo- 
chi,*  n'  impose  a  gli  altri  vani  e  da  non  arrossire,  a  Britaa- 

*  renarle  questo  spicchio ,  questa  piccolitsima  parte. 

'  a  render  l'nficiOj  a  rinunziare  l'ufficio.  Lat.;  **iU  cìiiraret  » 
B  Deansi  pur  fugra  cc.^  si  propaghino,  si  manifestino  pure  er. 

*  Arrostava  le  mani,  ibrarciara.  Il  postillatore  dell' eieroplare  Nestiaoo 
di  G.  Cappooi  coriegge  molto  male  aUava. 

S  de'Silani,  cioè  di  Marco  e  Lucio.  Vedi  ■  principio  drl  libro. 
Sfatto  re  de' giuochi.  Nelle  feste  saturnali  soleva  crearsi  un  re,  il  «Yuale,  wt» 
coodo  riferisca  Àrrìaoo,  «vefa  vantorìtli  di  date  si  fatti  ordini  t  7W«  be^it  im,  m§» 


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IL  UBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  309 

DICO  che  nel  mezo  andasse  e  canlasse  improvviso.  Spe- 
rando far  ridere  il  popolo  del  fanciullo  non  usato  a  cene 
oneste,  non  che  ubbriachesche.  Ma  egli  sensatamente  can- 
tando accennò,  <k  come  del  suo  seggio  e  sommo  imperio  cac- 
ciato fosse;  )»  e  mosse  pietà  più  manifesta  per  aver  la  notte 
e  r  aUegria  levato  i  rispetti.  Nerone  vistosi  mal  voluto  per 
questo  fratello,  gli  accrebbe  l'odio,  e  per  le  minacce  d'Agrip- 
pina affrettò  cagione  di  farlo  uccidere.  Alla  scoperta  non  v'era, 
e  non  ardiva:  pensò  alle  fraudi,  e  d' avvelenarlo  per  mezo  di 
Giulio  Pollione  tribuno  d' una  coorte  di  guardia  che  teneva 
prigiona Locusta,'  condannata  permeiti  veleni,  ond'era  mae- 
stra famosa.  E  già  ogni  custode  di  Britannico  era  acconcio 
a  fargli  ogni  tradimento.  Questi  gli  diedono  il  primo  veleno 
che  gli  mosse  il  corpo  e  passò  come  poco  potente  o  tem- 
perato a  tempo.  Ma  Nerone  non  potendo  aspettare,  minac- 
cia il  tribuno,  comanda  che  gastìghì  la  femmina,  poiché 
per  pensare  al  dire  del  popolo,  a  scusar  se,  tengono  il  prin- 
cipe in  perìcolo.  Promettongli  morte  più  subita  che  di  col- 
tello nel  cuore.  Nella  sua  anticamera  cuocon  di  più  veleni 
provati  pessimi  un  furiosissimo. 

XYL  Usavano  i  figliuoli  de'  principi  sedere  in  vista 
loro  appiè  de'  letti  con  altri  nobili  di  loro  età ,  a  mensa  se- 
parata e  men  ricca.  Cosi  mangiando  Britannico,  uno  de' suoi 
gli  faceva  de'  cibi  e  del  bere  la  credenza.  E  per  non  man- 
care dell'usalo,  ^  o  non  chiarire  il  veleno,  morendo  ambi,  si 
trovò  questa  astuzia:  fu  portato  a  Britannico  da  bere  senza 
veleno  e  fattogli  la  credenza,  ma  troppo  caldo ,  perciò  ri- 
cusato e  raffreddato  con  acqua,  ove  era  il  veleno.  Corsegli 
di  fatto  per  tutte  le  membra  e  tolsegli  la  voce  e  '1  fiato. 
Que' giovani  si  spaventarono,  alcuno  ne  fuggi,  ma  gl'inten- 
denti afilsaron  Nerone.  Egli  senza  levarsi  su,  fattosi  nuovo, 
disse  :  «  Darsegli  quel  male  '  del  quale  sin  da  bambino  ca- 

sci:  tUj  canta:  tu,  va:  iUj  vieni.  E  1* altro  rispondeva:  Obbedisco j  perchè  il 
giuoco  per  mia  cagione  non  si  guasti.  Nerone  giuocando  co'  suoi  compagni , 
el>be  in  sorte  questo  regno.  E  fosse  restato  sempre  re  da  burla  f 
*  Locusta.  YtéìJin,  66, 

'  mancare  dell'usato,  per  non  omettere  nulla  del  consuetOb 
'  tjuel  male  per  eufemia  intende  il  mal  caduco.  €ost  anch'  oggi  il  popd 
toscano. 


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310  IL  LIBBO  TREDICESIMO   DEGLI  ANNALI. 

deva^i  e  appoco  appoco  rinverrebbe.»  Qaanto  Agrippina, 
che  non  più  d' Oltavìa  soreUa  di  lui  ne  sapea.,  ne  rimanesse 
smarrita,  le  si  lesse  nel  viso  benché  acconcio,^  come  colei 
cui  era  tolto  ogni  aiuto  e  datone  annunzio  di  sua  morte.* 
Ottavia  ancora,  benché  di  anni  tenera,  imparato  aveva  a 
nascondere  il  dolore  V  amore  e  ogni  affetto.  Cosi  doppo  an 
breve  silènzio,  si  tornò  air  allegria  del  mangiare. 

XYII.  La  stessa  notte  mori  Britannico,  e  fu  arso  con 
esequie  scarse  e  prima  provedute.  Fu  seppellito  pure  nel 
campo  di  Marte,  con  pioggia  si  tempestosa  che  parvero 
crucciati  gFiddii,  benché  molti  scosassero  Nerone,  incoia 
pandone  la  natura  de' fratelli,  sempre  discordi,  e  del  regno 
che  non  vuol  compagnia.  Molli  scrittori  di  qne'  tempi  dicono 
aver  prima  Nerone  spesse  vòlte  abusato  la  fanciulieza  di 
Britannico;  perciò  non  può  parere  affrettata  né  cruda  quella 
morte,  benché  nelle  sagre  mense  data,  senza  lasciarlo  dalla 
sorella  ^  abbracciare,  in  su  gli  occhi  al  nimico,  il  quale  estinse 
quel  sangue  ultimo  deXl^udii,  prima  da  vitupero  che  da  ve- 
leno corrotto.  Cesare  per  bando  le  affrettate  esequie  scasò 
con  dire:  <(  Che  gli  antichi  usavono  levarsi  dinanzi  a  gli  oc- 
chi, e  non  con  le  pompe  e  dicerie  trattenersi  le  morti  acer- 
be.* Mancatogli  l'aiuto  del  fratello,  ogni  speranza  sua  era 
nella  republica.  Della  famiglia  nata  al  sommo  imperio  rima- 
nea  solo:  tanto  più  doveano  i  padri  e  il  popolo  tenerlo 
caro.  » 

XYIII.  A' principali  amici  donò  largamente,  e  tassati' 
furono  alcuni  (che  faceano  il  .grave  )^  d'essersi  case  e  ville, 
quasi  prede,  spartiti  in  tale  stagione.  Altri  diceano  averli  ad 
accettare  forzali  dal  principe  che  si  sentiva  dal  peccato  ri- 
mordere, e  con  donare  a' più  grossi  sperava  perdono.  L'irata 

'  nel  viso  benché  acconcio^  Lenchè  composto  a  tranquilliti. 

'  e  datone  annunzio  di  sua  morte,  ed  esserle  con  ciò  dato  aoounzio  della 
sua  morte. 

S  dalla  sorella.  Il  testo  ha:  m  complexum  gorortun,  »  cioè  delle  iorelle 
Ottavia  e  Antonia. 

*  acerbe.  Intendi,  immature, 

8  tassati,  rìm^Torerzlì. 

^  che  faceano  il  grave j  che  aflfeltavano  severa  onestà.  h^Uimgranlaiem 
asseverantes.  » 


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IL  LIBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  311 

madre  già  non  potè  con  verona  largheza  attutare.  Ella  ab- 
bracciava Ottavia:  aveva  co'  saoi  confidenti  gran  segreti.  Ra- 
piva oltre  all'  avarizia  radicata  neir  ossa,  per  ogni  verso  da- 
nari, quasi  per  aiutarsene.  Tribuni  e  centurioni  carezava; 
de'  nobili  che  vi  eran  rimasi  di  conto,  venerava  i  nomi  e  le 
virtù,  come  cercasse  capo  e  parte.  Ciò  veduto  Nerone,  mandò 
via  le  sentinelle  che  ella  teneva  già  come  moglie,  e  ancora 
come  madre  dell'  imperadore,  e  oltre  a  questa  pompa  la  guar- 
dia de'  Tedeschi;  e  perché  meno  gente  la  venisse  a  salutare, 
la  fece  uscire  di  casa  sua,  e  tornare  in  quella  che  fu  d'An- 
tonia: ed  ei  non  v'  andava  se  non  in  mezo  a  molti  centu- 
rioni: davate  un  freddo  bacio,  e  partìvasi. 

XIX.  Ninna  cosa  mortale  si  tosto  vola  come  l'opinione 
del  potere  assai  che  non  ha  forze  da  se.  La  porta  d'Agrìp- 
pina  diacciò  subito:*  non  l'andava  a  consolare,  a  vedere, 
fuorché  qualche  donna;  né  si  sa,  se  per  amore  o  per  odio; 
tra  le  quali  Giunta  Silana  già  moglie  di  Gaio  Silio  fatta  ri- 
mandare, come  dicemmo,*  da  Messalina;  di  grai^  sangue; 
belleza  lasciva;  tutta  d'Agrippina  un  tempo;  poi  non  si  di- 
ceano  punto,'  perché  Agrippina  non  la  lasciò  rimaritare  a 
SesUo  Affocano,  giovane  nobile,  dicendola  disonesta  e  vec- 
chia; non  per  goderlosi  ella,  ma  perchè  egli  come  marito, 
non  redasse  lei  ricca  e  orba.  Ella  colto  il  tempo  da  vendicarsi 
ordina  che  Iturio  e  Cahrisio,  sue  creature,  l'accusino,  non 
di  piagnere  la  morte  di  Britannico,  e  contar  gli  strapaza- 
menti  d'Ottavia,  cose  vecchie  e  stracche,  ma  d'ordire  no- 
vità con  Rubellio  Plauto,  disceso  per  madrei  da  Agusto  in 
pari  grado  che  Nerone,  e  tòrio  per  marito,  e  di  nuovo  la 
republica  occupare.  Iturio  e  Galvisio  scoprono  questa  cosa 
ad  Atimeto,  liberto  di  Domizia,  paterna  zia  di  Nerone.  Co- 
stai lieto  (perchè  Agrippina  e  Domizia  si  cozavano  fieramente) 
spìnse  Paride  slrìone,  liberto  anch' egli  di  Domizia,  a  cor- 
rere e  riferire  con  atrocità  questa  congiura  a  Nerone. 

'  diacciò  subito,  non  fu  più  frequentata;  niuao  andava  piò  a  salutars 
Agnppiaa. 

S  come  dicemmo j  lib.  XI,  3. 

'  non  ei  diceano  punto ,  non  v'era  tra  loro  punto  baon  sangue;  s*odi»> 


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312  IL  LIBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI. 

XX.  Era  gran  pezo  dì  nolte,  e  Nerone  la  consamaya  av« 
Tinazandosi.  Paride,  osato  a  quell'olla  a  rinforzare  Y  alle- 
gria del  principe,  entrò  con  yìso  addolorato,  e  contatogli 
tatto  per  ordine,  gli  mise  si  fatta  paura,  che  deliberò  am- 
mazar  la  madre  e  Plauto;  Burro,  da  lei  fatto  grande  e  lei  ri- 
conoscente, cassare/  Fabio  Rustico'  scrive,  che  Cecina  Tusco 
fu  fatto  prefetto  de' pretoriani,  e  mandatogli  la  patente:  ma 
l'aiuto  di  Seneca  raffermò  Burro.  Plinio  e  Cluvio'  dicono, 
che  della  fede  di  Burro  non  fu  dubitato:  ma  Fabio  loda  Se- 
neca volentieri,  perchè  lo  fece  grande.  Noi  dove  s'accor- 
dano, affermeremo;  dove  no,  gli  citeremo.  Nerone  spaven- 
talo, e  d'uccider  la  madre  avido,  non  le  dava  sosta,  se  Borro 
non  prometteva  levarla  via,  provata  l'accusa:  «  Le  difese 
darsi  a  ciascuno,  non  che  alla  madre;  non  ci  essere  accusa- 
tore, ma  voce  d' un  solo,  e  di  casa  nimica:  considerasse  che, 
nella  notte  e  fra  '1  vino,  le  deliberazioni  potevan  riuscire  in- 
discrete e  temerarie.  » 

XXI.  Scemata  cosi  al  principe  la  paura,  e  fattosi  giorno, 
a  Burro  fu  commesso  che  andasse  a  esaminar  Agrippina  per 
assolverla  o  dannarla.  Egli,  presenti  Seneca  e  alcuni  liberti, 
lesse  la  querela  e  gli  accusanti,  e  minaccìolla.  Ella  pia  indra- 
gata* che  mai,  disse:  «  Non  è  maraviglia  che  Silana  sterile 
non  conosca  l'amor  de' figliuoli,  i  quali  non  posson  la  madre 
scambiare,  come  le  ribalde  i  bertoni.''  Né  Iturio  e  Calvisio, 
che  si  son  pappati  '  loro  avere,  e  ora  per  aver  pane  da  quella 
vecchia  mi  fanno  la  spia,  cagioneranno  mai  a  me  infamia, 
né  a  Cesare  colpa  di  parricidio.  Alla  nimicizia  di  Domizia 
avrei  obligo,  se  ella  gareggiasse  meco  in  amare  Nerone  mio: 
ma  ella  attende  ora  co'  bei  personaggi  d' Alimelo  suo  drudo 
e  di  Paris  suo  strione,  quasi  a  compor  farse;  e  prima  si  tra- 

*  'Cassare,  togliergli  la  pnfèttura. 

S  Fabio  Àtutieo,  Di  questo  storico,  citato  altre  tre  volle  da  Tacito  (Vtài 
XIV,  S;  XV ,  61.  Fu.  Agr.  10),  non  ci  resta  aeppore  un  frammento. 

B  Cittvio  Rufo,  che  scrisse  le  storie  del  suo  tempo,  ora  perdute,  h  ricordato 
aiidielib.XIV,3. 

*  indragata,  arrovellata  siccome  un  drago.  Cosi  nel  primo  degli  JmmU, 
e.  44,  usò  intoraio.  Vedi  la  nota. 

'  bwionif  dradl ,  amanti. 

*  che  ti  son  pappati,  che  hanno  dato  fondo  al  ec. 


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IL  UBRO  TBBDlGl&niO  bBGU  AKIfAU.  313 

stullayfl  a  Baia  co'  suoi  vivai ,  quando  io  co'  miei  consigli  lo 
faceva  adottare,  far  viceconsolo,  disegnar  consolo,  e  l'altre 
vie  gli  lastricava  all'  imperio.  Bene  ora  contro  gli  avrò  ten- 
tato guardia,  sollevato  vassalli,  corrotto  schiavi  o  liberti? 
forse  poteva  io  vivere  regnando  Britannico?  o  se  Plauto  o  al- 
tri, fatti  padroni,  m'avessero  avuto  a  giudicare,  mancare 
forse  accusatori  non  di  parole  scappate  per  troppo  amore, 
ma  di  cose  da  non  perdonarle,  se  non  ei  figliuolo  a  me  ma- 
dre? »  Commosse  que'  che  v'  erano,  e  cercavano  di  mitigar- 
la: ella  ottenne  di  parlare  al  figliuolo,  co  '1  quale  non  entrò  né 
in  sua  innocenza,  quasi  le  bisognasse,  né  in  suoi  benefici!, 
quasi  gli  rimproverasse:  anzi  ottenne  gastigo  aUi  accusanti, 
e  premio  a  gli  amici. 

XXII.  Fenio  Rufo  Vfu  fatto  prefetto  dell'abbondanza,  Ar- 
runzio  Stella  della  festa  che  Nerone  ordinava,  Gaio  Balbillo  ' 
governatore  d'Egitto.  P.  Anteio  destinato  per' Soria,  ma 
dopo  vari  aggiramenti,  alla  fine  fu  arrestato  in  Roma.  Silana 
scacciata,  Calvisio  ed  Iturio  confinati,  Alimelo  giustiziato. 
Le  libidini  del  principe  scamparon  Paride:  di  Plauto  per  al- 
lora non  si  parlò. 

XXIII.  Pallante  e  Burro  furon  poi  accusati  d'aver  con- 
sentito che  Cornelio  Siila,  di  gran  sangue,  marito  d'Antonia 
figliuola  di  Claudio,  fusse  assunto  all'imperio.  La  spia  del 
tutto  riosci  falsa,  e  fu  un  certo  Peto,  infame  incettator  di 
beni  di  condennati  che  il  fisco  incantava.  Di  Pallante  non 
fu  tanto  cara  l'innocenza ,  quanto  stomacò  la  superbia;  avendo 
detto,  quando  senti  nominar  suoi  liberti  per  testimoni,  che 
in  casa  sua  non  comandava  che  per  cenni,  e  bisognando 
sprimer  meglio,  per  non  s'affratellar  con  essi  parlando, 
scriveva:  Burro,  benché  reo,  fra' giudici  diede  il  voto.  Peto 
fu  bandito,  e  arsigli  i  libri  fiscali,  ove  raccendeva'  i  debi- 
tori che  avevan  pagato. 

XXIY.  Al  fine  dell'anno  si  levò  la  guardia  solita  tenersi 

*  Fenio  Bufo.  Vedi  1.  XIV,  31  e  57;  XV,  60  e  63. 

^  Gaio  Bulbillo.  Seneca,  Qucest.  nat.  4,  2,  lo  chiama  viror  tuuoptimusj 
in  omni  literarum  genere  rarissimus. 

3  ove  raccendeva  ce,  dove  registrava  nuovamente  le  partite  dei  debitori 
che  aTevano  pagato. 

I.  27 


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314  IL  LIBRO  TBEDICESIHO  DEGLI  ANNALI. 

alle  feste,  per  mostrare  più  libertà,  non  insegnare  assoldati 
quelle  licenze  della  plebe,*  e  lei  provare  come  senza  guardia 
stesse.  Gli  amspìcì  fecero  al  principe  ribenedire  la  città,  es- 
sendo in  sa  i  tempii  di  Giove  e  Minerva  cadute  saette. 

XXV.  [A.  di  R.  809,  di  Cr.  »6.]  L'anno  di  Q.  Volusio  e 
P.  Scipione  consoli,  fuori,  fu  quieto,  nella  città,  scorretto: 
perchè  Nerone  per  le  vie,  taverne  e  chiassi  travestilo  da 
schiavo  con  mala  gente  correva* le  cose  da  vendere,  e  fa- 
ceva tafferugli  si  sconosciuto,  che  ne  toccava  anch' egli,  e  ne 
portò  il  viso  segnato.  Chiaritosi  esser  lui  che  faceva  questi 
baccani,  crescevano  gli  oltraggi  ad  uomini  e  donne  di  gran 
qualità,  perchè  molte  quadriglie 'd'altri,  credute  esserla 
sua,*  affrontavano  a  man  salva,  e  pareva  la  notte  la  città  ire 
a  sacco.  Giulio  Montano  vinto  per  senatore,  venuto  alle  mani 
una  notte  col  principe,  lo  fece  cagliare;  ^poi  conosciutolo,  e 
chiestoli  perdono,  fu  fatto  morire,  quasi  gliele  avesse  rim- 
proverato. Nerone  andò  poscia  più  cauto  con  masnade  di  sol- 
dati e  accoltellanti:  «  Che  lo  lasciasser  fare  i  primi  affronti, 
ma  riscaldando  la  zuffa  accorresser  con  l'arme.  »  Converti 
la  licenza  del  favorire  chi  questi  chi  quelli  strioni ,  quasi  in 
battaglia  col  non  punire  e  col  premiare,  e  star  esso  a  vedere 
ora  ascoso  ora  scoperto:  alla  qual  discordia  di  popolo  e  pe- 
ricolo di  sollevamento,  fu  rimediato  col  cacciare  gli  strioni 
fuor  d'Italia,  e  nel  teatro  rimetter  la  guardia  de' soldati. 

XXVL  In  questo  tempo  si  trattò  in  senato  delle  fraudi 
de'liberti,  e  che  i  padroni  potessero  per  mali  portamenti  ri- 
lor  loro  la  libertà.  Approvatori  non  mancavano.  Ma  i  consoli 
non  ardirono  proporlo  senza  saputa  del  principe:  scrissergli: 

'  non  insegnare  a' soldati  quelle  licenze  della  plebe.  Il  postillatore 
dell'esemplare  Nestiano  di  G.  Capponi  nota  qui  in  foglietto  volante;  «  Mi  pare 
esplicato  troppo  scarsamente,  e  la  voce  {Aeatra/i  non  so  se  si  possa  dir  la  plebe 
sola.if  11  Valeriani  traduce:  «  ed  impedir  che  il  soldato,  tramescolato  alla  teatrale 
licenia,  si  corrompesse.  » 

'  correfa^  rubava.  Illat.;  »  comitantibus  qtd  raperent  venditioni  eX' 
potila .  » 

S  quadriglie j  masnade,  accozzaglia. 

A  credute  esser  la  sua,  che  erano  creoute  essere  a  gentaglia  di  Nerone, 
affrontavano  »  man  salva  anco  le  persone  più  ragguardevoli. 

S  lo  fece  cagliare,  gli  fece  calare  la  petulanza,  dandogli  il  conio  suo;  lo 
fece  allibbire. 


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IL  UBBD  TRKDICBglHO  INMLI  ANNALI.  31K 

«  Che  il  senato  n'era  contento;  ne  comandasse  egli  il  parti- 
to, come  tra  pochi  e  discordi.  »  Fremevano  alcuni,  et  La 
libertà  averli  fatti  tale  insolenti  che,  trattino  a  diritto  o  a 
torto,  stanno  a  ta  per  tu  col  padrone,*  e  quando  gli  vuol  ga* 
stìgare,  te  lo  rispingono  o  manomettono.  £  un  povero  pa- 
drone offeso,  che  può  far  altro  al  suo  liberto  che  discostar- 
losi  venti  miglia  in  Terra  di  Lavoro?  nel  resto  procedcm  dd 
pari,  e  conviene  metter  loro  un  morso  che  lo  temano.  Non 
esser  grave  mantenersi  la  libertà  con  la  medesima  riverenza 
che  l'ottennero.  Chi  erra  ritorni  schiavo,  e  freni  la  paura 
cui  non  muta  il  benefìcio.  » 

XXYIL  Dicevasi  all'incontro.  «  La  colpa  di  pochi  dover 
nuocere  a  quelli,. e  non  pregiudicare  a  tutto  '1  corpo  degli  al- 
tri si  grande  che  le  tribù  in  maggior  parte,  le  decurie  e  mi- 
nistri de' magistrati  e  sacerdoti,  i  soldati  guardiani  della  cit- 
tà, infiniti  cavalieri,  moltissimi  senatori  non  essere  usciti 
altronde.  Levandone  i  discesi  di  liberti,  pochi  restar  gli  al- 
tri liberi.  Non  accaso  i  nostri  antichi  avere  onorato  ciascun 
grado  di  sue  proprie  podestà,-  la  libertà  aver  fatta  comune  a 
ogn'uno.  La  quale  inoltre  ordinarono  che  si  desse  in  due 
modi  per  lasciar  luogo  a  pentimento  o  a  nuovo  benefizio. 
Quei  che  non  eran  fatti  liberi  per  mezo  del  magistrato,  rima- 
ner quasi  in  servitù:  esaminassersi  poi  i  meriti,  e  non  si  cor- 
resse a  darla  quando  non  si  poteva  ritorre.  »  Piacque  questo 
parere.  £  Cesar  riscrisse  al  senato:  oc  che  in  particolare  a  qua- 
lunque si  lamentasse  di  suoi  liberti  si  facesse  ragione:  in  ge- 
nerale niente  si  derogasse.  »  Indi  a  poco  non  senza  biasimo 
di  Nerone  fu  tolto  quasi  di  ragion  civile  Paris  istrione  alla 
zia  Domizia,  da  lui  fatto  prima  dichiarare  ingenuo. 

XXYIII.  £ravi  pure  di  republica  un  poco  di  somiglian- 
za, perchè  avendo  YibuUio  pretore  carcerato  certi  partigiani 
di  strioni,  e  Antistio,  tribuno  della  plebe,  comandato  che  fus- 

*  stanno  a  tu  per  tu  col  padrone^  entrano  in  contrasto  col  padrone,  ri- 
spondendo sensa  rispetto  alcuno. — Légge:  «  yine  an  tequo  cum  patroni»  iure 
agerent,  sententiam  eorum  consultarent  ec.  •* 

S  di  sue  proprie  podestà.  Valeriani:  «  Non  sema  ragione  gli  antichi  di- 
visa avendo  la  dignità  degli  ordini,  accomunaroBo  la  libertà.  »  £  vuol  dire,  che 
mentre  diversi  erano  negli  ordini  i  gradi  della  dignità',  la  libertà  poi  era  la  i 
sima  per  tutti. 


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316  n  LIBftO  TBBDICESIMO  DEGLI  ANNALI. 

Aero  lasciati;  ì  padri,  approTato  il  fatto,  sgridarono  Antistio. 
A' tribuni  similmente  vietarono  l'entrar  nella  podestà  de' con- 
soli e  pretori,  0  avvocare  a  se' le  liti  d'Italia.  Aggiunse  L.  Pi- 
sene eletto  consolo,  che  lor  podestà  di  condannare  non 
usassero  in  casa  e  che  ì  questori  il  mettere  a  entratale 
condennagioni  fatte  da  loro  differissero  quattro  mesi  :  in 
tanto  si  potesse  dir  contro,  e  i  consoli  giudicassero.  £  fa  ri- 
stretta r autieri tà  e  tassate  le  somme  agli  edili  curali,  e  ai 
plebei  del  pegnorare^  e  condennare.  Onde  Elvidio  Prisco, 
tribuno  della  plebe,  privatamente  nimico  d' Obultronio  Sa- 
bino questore  dell'erario,  l'accusò,  perchè  incantava  i  beni 
de' poveri  troppo  crudamente.  Il  prìncipe  tolse  di  mano  a' que- 
stori i  libri  publici,  e  ne  diede  cura  a' prefetti. 

XXIX.  Questa  cosa  spesso  variò,  perché  Agusto  faceva 
eleggere  i  prefetti  dal  senato:  sospettandosi  poi  de'  favori,  si 
traevan  per  sorte  del  numero  de' pretori.  Né  questo  modo  du- 
rò, perchè  uscivano  molti  inetti.  Claudio  ritornò  a' questori, 
e  perchè  non  andassero  adagio  per  tema  d'offendere,  die 
loro,  per  poi,'  pretorie  fuor  d'ordine.'  Ma  perchè  quei  che 
aveano  quel  primo  magistrato,  crono  giovani,*  Nerone  elesse 
persone  cimentate,^  e  già  stati  pretori. 

XXX.  Quest'anno  fu  condannato  Yipsanio  Lenate  d'aver 
con  rapacità  retta  la  Sardigna.  Di  simil  cosa  assoluto  Cestio 
Proculo,  cedendo  li  accusatori.  Glodio  Quirinale,  capo  della 
ciurma  dell'armata  di  Ravenna,  per  avere  con  lussuria  e 
crudeltà  maltrattata  Italia  come  vilissima  tra  le  nazioni,  in- 
nanzi alla  sentenza  s' avvelenò.  Gaio  Aminio  Rebio  princi- 
palissimo  in  dottrina  legale  .e  riccheza,  per  fuggir  i  dolori 
in  vecchieza  si  segò  le  vene:  che  tanto  cuore  non  si  aspet- 
tava in  quel  vecchio  libidinoso,  quasi  donna  infame.  Con 
fama  ottima  mori  L.  Yolusio  di  novantatre  anni,  giustamente 

*  <fe/pegnorare^  di  quanto  potessero  pigliare  per  pegno.  hiU:  t  qttantMm 
pignoris  caperent.  » 

S  per  poi,  per  dopo  la  questura. 

^  fuor  d'ordine:  perchè  dalla  questura,  secondo  l' ordine ,  non  si  passara 
•Ila  pretura,  ma  alP  edilitk. 

*  erono  giovani  :  perchè  la  questnra  era  il  primo  scalino  degli  onori  deUa 
repubblica. 

B  persone  cimentate^  sperimentate.  Lat.  «  experientia  probatos  delegiU» 


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IL  LIBRO  TREDICESIMO  DSGLÌ  ANNALI.  317 

arricchì  lo,  senza  cadere  in  disgrazia  di  tanti  mali  imperadori. 

XXXI.  [A.  di  R.  810,  di  Gr.  57.]  Nel  consolato  secondo  di 
Nerone  e  di  L.  Pisone,  poco  fu  da  memorare,  chi  non  volesse 
impiastrar  le  carte,  lodando  i  bei  fondamenti  e'  legnami  del- 
Tanfiteatro  che  Cesare  edificò  in  campo  di  Marte;  ma  per 
degnità  del  popol  romano  s'usa  negli  annali  scriver  le  cose 
illastrì,  e  le  simili  ne'  giornali.  Furono  le  colonie  di  Capua  e 
Nocera  rifornite  di  vecchi  soldati,  e  dieci  fiorini  per  testa 
donati  del  publico  alla  plebe,  e  messo  nell'erario  un  milion 
d'oro  per  mantenere  il  credito  del  popolo;  e  li  quattro  per 
cento  delle  vendite  delli  schiavi ,  levati  più  in  vista  che  in 
effetto,  perchè  dovendo  pagargli  il  venditore,  ne  voleva  quel 
più.  £  mandato  un  bando  che  niuno  di  magistrato,  o  gover- 
nator  di  provincie,  facesse  spettacoli  di  caccio,  accoltellanti 
0  altro;  perchè  prima  non  meno  afiQiggevono  i  popoli  con 
simil  giuochi,  che  co'l  rubargli,  difendendo  con  si  fatte  libe- 
ralità le  loro  scelerateze. 

XXXII.  Fu  dal  senato  fatto  un  decreto,  a  gastigo  e  si- 
curtà; che,  ammazando  li  schiavi  il  padrone,*  i  liberti  per  te- 
stamento' stanti  in  quella  casa,  portassono  la  medesima  pena.^ 
È  rifatto  senatore  L.  Vario  stato  consolo,  e  di  rapine  già  ac- 
casato e  casso.*  Pomponia  Grecina  donna  illustre,  moglie  di 
Plauzio,* tornato  d'Inghilterra  ovante,  querelata  di  eresia,* 
fu  data  a  giudicare  al  marito,  il  qual  co' parenti  di  lei  al 
modo  antico,  della  vita  e  dell'onore  l'esaminò  e  dichiarò 
innocente.  Ella  visse  assai  in  continui  dispiaceri  per  Giulia 
di  Druso,^  uccisa  per  malvagità  di  Messaliùa:  portò  bruno 

*  Intendi:  li  schiavi  ammazzando  il  padrone. 
liberti  per  testamentoj  cioè,  i  servi  a  cui  pel  testamento  del  padrone  h 
lasciata  la  libertà. 

S  Così  il  testo  di  Paolo:  «  I  servi  stanti  nell'istessa  casa  dove  dicesi  ucciso 
il  padrone,  son  collati  e  paniti,  sebbene  per  testamento  dell'ucciso  sieno  mano- 


•  *  casso j  cassato. 

»  Piauiio.  Vedi  XI,  36.  Fit.  Jgr.  i4. 

*  querelata  di  eresia.  Lat.:  «  superstitionis  externas  reaj  m  rea  d'avere 
aderito  a  religione  straniera.  11  Lipsio  crede  che  fosse  cristiana. 

7  Giulia  ec.  Vedi  HI,  29;  VI,  27;  e  in  questo  stesso  lib.  e.  43.  Era  nipote 
di  Pomponia  figlia  di  Attico  (Ann.  il .  43).  Il  tkuso  qui  ricordato  è  figlio  di  Ti« 
berio. 

2r 


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318  IL  LIBRO  TREDICESIMO  DEGÙ  ANNAU. 

quattordici  anni  né  mai  si  rallegrò;  del  che  vivente  Claudio 
non  portò  pena,  poi  n'ebbe  gloria. 

XXXIIL  Molti  furono  quest'anno  accusati;  dall'Asia 
P.  Celere,  il  quale  non  potendo  Cesare  assolvere,  trattenne 
tanto  che  si  mori  di  vecchiaia;  perchè  la  grande  scelera- 
teza  di  Celere  dell'avere  avvelenato,  come  dissi,*  Silano  vi- 
ceconsolo, tutte  l'altre  sue  ricoperse:  dalla  Cijicia,  Cossu- 
ziano  Capitone,  brutto  vituperoso,  che  prese  animo  a  rubare 
nella  provincia  come  in  Roma;  ma  dalla  pertinace  querela 
confitto,  abbandonò  la  difesa,  e  fu  dannato  secondo  la  legge 
del  mal  tolto:  dàlia  Licia,  Eprio  Marcello'  del  medesimo;' 
ma  potette  si  co'  favori,  che  alcuni  delli  accusanti  furon  man- 
dati in  esilio,  come  avesser  messo  in  pericolo  lo  innocente. 

XXXIV.  [A.  di  R.  811,  di  Cr.  58.]  Nerone  la  terza  volU 
fu  consolo  con  Valerio  Messalla,  il  cui  bisa voi  Corvino,  l'ora- 
tore, si  ricordavano  i  vecchi  (oramai  pochi)  essere  stato  in 
tal  magistrato  collega  d'Agosto  arcavolo  di  Nerone.  E  per 
più  onorare  sì  nobil  famiglia  gli  fur  dati  fiorini  dodicimila 
cinquecento  l'anno,  per  sostentare  l'innocente  sua  povertà. 
Altre  provìsioni  assegnò  il  principe  ad  Aurelio  Cotta  e  Aterio 
Antonino,  benché  scialacquatori  di  loro  facultadi  antiche. 

Nel  principio  di  quest'anno  la  guerra  co' Parti  per  l'acqui- 
sto dell'Armenia  lentamente  avviata  e  sospesa,  inveleni  per 
cagione  che  Vologese,  che  data  l'aveva  a  Tiridate  fratelsuo, 
non  voleva  eh' e' la  perdesse,  né  riconoscesse  da  altra  po- 
tenza, e  a  Corbulóne  non  pareva  onore  del  popol  romano  gli 
acquisti  già  di  LucuUo  e  di  Pompeo,  non  ripigliare.  E  gli 
Armeni,  di  dubbia  fede,  chiamavano  l'une  e  l'altre  armi:  ma 
come  co'  Parti  imparentati ,  e  di  paese  e  di  costumi  più  si- 
mili, non  conoscendo  libertà,  più  inchinavano  a  servir  loro. 

XXXV.  Ma  a  Corbulóne  più  dava  da  fare  la  poltroneria 
de'  soldati  che  la  perfidia  de'  nimici.  Le  legioni  levate  di 
Sorta  nella  lunga  pace  imbolsite,  *  ansavano  alle  fatiche 

'  come  dissi,  sopra  nel  cap.  I. 

>  Eprio  Marcello,  spia  famosa.  Vedi  XII,  4.  Stor.  Il,  53;  IV,  6. 

'  del  medesimo,  fa  accusato  del  medesimo  delitto. 

*  imbolsite,  divenute  fiacche  e  infingarde.  Bolso  dicesi  di  cavallo  malato 
di  raSìeddore  e  che  tosse.  Di  qui  per  traslato  imbolsire,  infiacchire^  infermarsi  ec. 
Il  CelliniVusa  graziosamente  di  ferro  che  ha  perduto  il  filo  o  la  punta. 


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IL  UBRO  TlEDICBSOfO  DEGLI  ANNAU.  319 

nnuane.  Yidersi  in  quello  esercito  soldati  vecchi  che  non 
avevano  fatto  mai  guardia  né  scolta:  steccato  o  fossa  ammi- 
ravano per  cosa  nuova;  non  elmi  non  loriche  portavano, 
ma  col  ben  vestire  e  mercatare,  finivano  lor  soldo  per  le 
castella.  Là  onde  licenziati  i  veccjii  e  malsani,  chiese  nuova 
gente,  che  si  fece  in  Galazia  e  Cappadocia;  e  di  Germania 
gli  venne  una  legione  di  buoni  cavalli  e  fanti.  Tenne  tutto 
Tesercito  fuori  sotto. le  tende,  che  per  rizarle  convenne  zap- 
pare il  terreno  ghiacciato  per  lo  verno  crudissimo,  onde  a 
molti  le  membra  rimaser  secche,  e  alcune  sentinelle  intìrì- 
zate.  Un  soldato  che  portava  un  fastello  di  legne  vi  lasciò 
le  mani  appiccate  e  rimase  monco.  Esso  capitano  mal  ve- 
stito e  in  zucca,  sempre  dattorno  era  a  lavorìi,  air  ordi- 
nanze: dava  lode  avvalenti,  conforto  alli  infermi,  esempio  a 
tatti.  £  perchè  molti  fuggirono  quella  crndeza  di  cielo  e  di 
milizia,  la  severità  fu  rimedio;  non  perdonando,  come  negli 
altri  eserciti,  la  prima  fatta  ^  né  la  seconda;  ma  era  subita- 
mente chi  lasciava  V  insegna  dicapitato:  e  fu  la  vera  medi- 
cina, più  che  usar  pietà;  perchè  di  quel  campo  ne  foggi 
meno^che  d' onde  si  perdonava. 

XXXYI.  Tenne  Ck>rbulone  i  nostri  dentro,  sino  a  meza 
primavera,  nel  campo:  gli  aiuti  adattò  in  più  luoghi  coìi  or- 
dine di  non  venire  i  primi  a  battaglia;  e  accomandògli  a 
Fazio  Orfito  stato  primipilo.  Costui  benché  scrivesse:  ce  i  bar- 
bari non  si  guardare,  ed  esservi  da  far  del  bene:  n  gli  fu 
comandato  non  uscisse,  e  aspettasse  più  gente.  Non  ubbidì; 
e  venutoli  di  castella  vicine  pochi  cavalli,  chiedenti  senza 
giudizio  battaglia  col  nimico,  V  appiccò  e  fu  rotto.  E  gli  altri, 
che  aiutar  li  doveano,  impauriti  dal  danno  altrui,  fuggirono 
ciascuno  in  suo  alloggiamento.  Corbulone  n'  ebbe  gran  dis- 
piacere, e,  dettone  villania  a  Fazio  a' capi  assoldati,  gli  cac- 
ciò tutti  fuori  dello  steccato,  né  di  quella  vergogna  levoUi, 
se  non  pregato  da  tutto  V  esercito. 

XXXVILTiridate  con  li  aiuti  de*  suoi  raccomandati  e 
di  Yologese  suo  fratello,  non  più  copertamente,  ma  a  guerra 
rotta  infestava  T. Armenia,  e  saccheggiava  i  creduti  a  noi 
fedeli,  e  se  gente  gli  veniva  incontra,  la  scansava  e  qua  e 

*  fatta,  0  diffalta}  fallo,  mancamento,  errofe. 


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3S0  IL  LIBRO  TRBDIGBSIMO  MGLl  AHHAU. 

là  volando  spayentaya  col  romore  più  che  con  Y  armi.  Cor- 
baione  adunque  avendo  assai  cercato  in  vano  la  battaglia, 
tirato  dal  nimico  a  guerreggiare  in  più  luoghi,  sparti  le  forze, 
e  mandò  suoi  capitani  ad  assaltar  più  paesi  a  un  tratto,  e  il 
re  Antioco*  ai  reggimenti  vicini.  Farasmane,*  ammazato  il 
figliuolo  Radamisto'  come  di  lui  traditore,  per  mostrarsi  a  noi 
fedele,  esercitava  lo  antico  odio  vivamente  contro  agli  Arme- 
ni. E  grisichi,*  nostri  amici,  prima  degli  altri  allora  allet- 
tati, corsero  i  luoghi  aspri  d'Armenia.  Cosi  riuscivano  i  di- 
segni di  Tiridate  al  contrario:  e  mandava  ambasciadori  in 
suo  nome  e  de'  Parti  a  intendere,  (c  Onde  fosse  che  avendo 
poco  fa  dati  ostaggi,  e  rinnovata  la  lega,  che  suole  esser  la 
porta  a  nuovi  beneficii,  lui  volesser  cacciare  dall'  antico  pos- 
sesso d' Armenia.  N(m  avere  ancora  esso  Yologese  pigliato 
l'armi,  per  trattare  anzi  con  la  ragione  che  con  la  forza.  Se 
pur  vorranno  la  guerra,  non  esser  per  mancar  agli  Arsacidi 
la  virtù  e  fortuna,  spesse  volte  con  guai  da' Romani  assag- 
giata. »  Corbulone  che  sapeva,  Yologese  aver  che  fare'con 
r  Ircania  ribellala,  consiglia  Tiridate  a  raccomandarsi  a  Ce- 
sare e  conseguire  per  questa  via  piana  e  corta  il  regno  star 
bile  e  senza  sangue,  e  lasciar  le  cose  lunghe  e  malagevoli. 
XXXVIII.  E  non  venendo  per  via  di  messaggi  a  con- 
clusione, parve  bene  abboccarsi; e  rimanere'^  dove  e  quando. 
Tiridate  diceva  che  verrebbe  con  mille  cavalieri:  venisse  Cor- 
bulone con  quanti  volesse,  ma  venissesi  senza  elmi  e  coraze, 
a  modo  di  pace.  Avrebbe  conosciuto  ogn'  uno,  (non  che  quel 
capitano  vecchio  e  sagace)  la  fraudo  pensata  del  barbaro, 
vantaggio  di  numero  offerente:  perché  contro  a  mille  finis- 
li  arcadorì  non  vale  qualunque  moltitudine  ignuda.  Ma  in- 


*  Antioco  Commagene.  Vedi  XIII ,  7. 
S  Farasmane.  Vedi  XI,  8. 

>  Radamisto.  Vedi  XII,  47. 

*  /«ic/ii.  11  lat.:  mìnsochi.m  Saint-Martin,  Mèmoires  sur  V Armenie. 
Paris  \%ì%»\o\,  I,  p.  127:  A  Vorientde  la  province  d' Arda*  ètoient  lei 
cantone  d*  Àhpdag...,*urnommé  Mede  {grand)  pour  le  distinguer  d'un  antre 
qui  étoit  dans  les  montagnes  des  Ktirdes  j  d' Andsakhadcr  «»  Andsakhits^ 
dsor  {uallèe  des  Andsakh)  gai  étoit  peut-élre  le  pays  dupeuple  nommé  par 
Tacite  Insochi,  qui  habitoit  la  partie  la  plus  reculée  de  r  Armenie. 

S  rimanere,  accordarsi.  E  frequentissimo  nell'uso  del  popolo r  «Siamo 
rimasti  così  :  *>  siamo  venuti  in  questo  accordo.  Ma  qui  reca  alquanto  d' oscurìlL 


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IL  UBRO  TBBDIGKSnfO  DIGLI  ANNALI.  321 

fingendosi  di  non  V  avere  inteso,  rispose,  meglio  essere  delle 
cose  di  tutti,  con  tutti  gli  eserciti  insieme  consultare.  E  prese 
un  laogo,  ove  erano  collinette  per  li  fanti  e  pianura  per  li 
cavalli.  Dato  il  giorno,  Gorbulone  a  buon'otta  ebbe  messo 
ne'  comi  le  genti  degli  aiuti  e  de'  re:  nel  mezo  la  legìon  sesta, 
con  tre  mila  soldati  in  corpo  della  terza,  fatti  venir  di  notte 
d'altri  alloggiamenti,  tutto  sotto  un'aquila,  per  parere  una 
legìon  sola.  Tiridate  si  presentò  tardi,  e  discosto  da  poter 
esser  veduto  più  che  udito.  Onde  il  nostro  capitano  senza 
abboccarsi  rimandò  ciascuno  al  suo  alloggiamento. 

XXXIX.  Il  re  si  parti  a  fretta,  o  dubitando  di  strata- 
gemma (vedendo  che  in  molti  luoghi  a  un  tratto  s' andava}, 
o  per  levarci  le  vettovaglie  che  ci  venivono  dal  mar  mag- 
giore e  di  Trabisonda;  ma  quelle  si  conducevano  per  monti 
da'  nostri  ben  guardate:  e  Corbulone  per  forzare  gli  Armeni 
a  difender  le  cose  loro,  si  mette  all'espugnazione  de'lor  vil- 
laggi, scegliendo  per  se  Volando,*  il  più  forte;  e  i  minori 
assegnò  a  Cornelio  Fiacco  legato  e  Isteo  Capitone  maestro 
di  campo:  e  riconosciuta  la  fortificazione  e  provveduto  il  bi- 
sogno a  pigliarla,  esortò  i  soldati  a  snidiar  con  preda  e  gloria 
quel  nimico  scorrazante  che  non  vuol  battaglia  né  pace,  ma 
col  fuggire  si  confessa  traditore  e  poltrone.  Fece  dell'esercito 
quattro  parti;  una,  sotto  le  testudini*  a  zappar  le  trincee; 
altra,  a  scalar  le  mura;  molti,  a  lanciar  fuochi  e  freccio  con 
instrumenti.  Tiratori  di  mano  e  fionda  mise  in  luoghi  da  po- 
ter da  lungi  avventar  ciottoli;  e  così  rendendo  ogni  luogo 
pericoloso,  vietava  il  soccorso  a'difenditori.  Combatté  questo 
esercito  con  tanto  ardore  che  innanzi  la  terza  parte  del 
giorno  le  mura  furono  spazate,  scalate,  i  forti  presi,  le 
porte  abbattute,  tutti  i  barbati'  uccìsi;  pochi  nostri  feriti, 
ninno  morto;  i  fiebolì  venduti  all'incanto;  ogn' altro  bottino 
dato  a' soldati  vittoriosi.  Pari  fortuna  ebbero  il  legato  e  il 
maestro  di  campo:  tre  castella  presero  in  un  di;  l'altre  si  da- 

*  Volando,  luogo  oggi  ignoto.  Forbiger  sospetta  che  sia  Oiana,  di  Stra- 
bone,  distante  qualche  giornata  da  Art^ssata. 

'  le  testudini.  T.  Livio,  44,  9:  «I  giovani  cogli  scudi  serrali  sul  capo, 
stando  ritti  la  prima  fila,  piegati  la  seconda,  più  la  terza  e  quarta,  e  Y  ultima, 
bisognando ,  in  ginocchioni,  facevano  la  testuggine,  comignolata  come  un  tetto.  <• 

'  barbali.  Lat.  t  «  puberes,  » 


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322  IL  LIBRO  THEDICBSIHO  DKGU  ANNAU. 

vano  per  terrore,  e  parte  volentieri:  il  che  diede  animo 
d'assalire  la  metropoli  ArtassaU,'  e  passò  V  esercito  il  fiume 
Arasse  che  bagna  le  mura;  non  per  lo  ponte  che  sotto  quelle 
è 9  da  poter'  esser  battuti^  ma  lontano,  ov'  è  basso  e  largo. 

XL.  Era  a  Ti  ridate  vergogna  non  la  soccorrere,  e  perì- 
colo in  que'  luoghi  aspri  imbarazare  cavalleria:  risolvè  di 
presentarsi,  e  la  mattina'  appiccar  la  zuffa,  o  sembrando 
fuggire,  condurre  in  agguato.  Circondò  adunque  a  un  tratto 
il  romano  esercito  che  per  avvedimento  del  capitano  mar- 
ciava in  battaglia.  Andava  nel  lato  destro  la  legion  terza, 
nel  sinistro  la  sesta,  nel  mezo  il  Oore  della  decima;  le  ba- 
gaglie  tra  le  Ole;  mille  cavalli  alla  coda  con  ordine  di  menar 
le  mani,  affrontati;  allettati,  lasciargli  andare.'  Ne' comi  an- 
davano gli  arcieri  a  piede,  e  il  resto  de' cavalli,  allungato 
più  il  sinistro  a  pie  de' colli,  per  girare,  se  il  nimico  v'eur 
tra  va,  e  cignerlo.  Tiridate  s' aggirava  intorno,  lontano  più 
d'un  tiro  d'arco,  or  minacciando  or  mostrando  temere, 
per  allargare  e,  sbrancati,  seguitare  i  nostri.  Veduto  stare 
ogn'uno  a  segno,  da  un  capodieci*  di  cavalli  in  fuori  ch< 
andò  troppo  innanzi,  e  caricato  di  frecce,  insegnò  agli  altri 
ubbidire,  essendo  presso  a  notte,  se  n'andò. 

XLI.  E  Corbulone  ivi  accampatosi,  stimando,  Tiridate 
essersi  ritirato  in  Artassata,  pensò  andarvi  la  notte  con  le- 
gioni spedite  a  porle  assedio.  Ma  riferendo  gli  spiatori,  che 


<  Artnssata,  Plutarco  in  Lucali,  e.  XXXIV.  «  Si  racconta  che  Annibale 
il  cartaginese  ;  dopo  che  Antioco  sconfitto  restò  da'Romani,  portossi  ad  Artassa 
re  degli  Armeni,  e  che  molte  cose  utili  gli  suggerì  e  gì' insegnò  ;  e  fra  T  altre  una 
fu,  che  osservato  avendo  egli  in  quella  regione  un  silo  benissimo  dalla  natura  di- 
sposto ed  amenissimo,  ma  incollo  e  trascurato,  vi  delineò  la  forma  d'una  città: 
e  poscia  condotto  là  Artassa,  e  fattagli  considerare  la  cosa,  ne  lo  esortò  alla  fon* 
daxione:  del  che  essendosi  il  re  compiaciuto,  pregò  Annil>ale  che  sopraotender 
voless'egli  al  lavoro;  e  quindi  eretta  fu  una  citta  grande  e  bellissima,  che  nonù- 
nata  venne  dal  nome  stesso  del  re,  e  dichiarata  la  capitale  dell'Armenia,  v 

S  la  mattina.  Lat.:  •>  dato  diCj  w  che  ilLipsio  interpreta  m  cum  illaxU' 
setj  »  e  il  Bournouf  «  au  point  du  jour.  m  Ma  l' Orelli  fa  osservare  che  dato  die 
h  lo  stesso  che  dato  tempore  del  lib.  IV,  iO,  einterpreta  «  opportuno  temport^" 
in  buon  punto. 

5  allettati,  lasciargli  andare.  «  Il  lat.  ha  :  «  rtfugot  non  sequerentur.  • 
Duljìto  che  debba  dire  allenati  in  senso  di  cedenti, 

*  un  capodìecit  decurione. 


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IL  LIBRO  TREDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  323 

egli  aveva  preso  la  lunga^  verso  ì  Medi  o  Albani,  aspettò  il 
giorno,  e  mandò  innanzi  gente  leggiera,  che  le  mora  ci- 
gnesse,  o  cominciasse  da  lungi  a  batterla.  Ma  i  terrazani  le 
porte  apersero  e  dièdersi  a' Romani  con  tutto  loro  avere: 
questo  li  salvò.  Artassata  fu  arsa  e  spianata,  perché  tenere 
non  poteasl  per  lo  suo  gran  cerchio  senza  gran  gente,  e  noi 
non  ne  avevamo  per  lei  e  per  la  guerra;  e  lasciandola  in 
abbandono,  che  prò  o  gloria  averla  presa?  e  per  miracolo, 
on  bratto  nugolo  (battendo  fuor  delle  mura  il  sole)  quanto 
quella  teneva  scuro;*  e  si  vi  balenò  che  ben  parve  gl'irati 
iddii  darlaci  a  disolare.  Per  tali  successi  Nerone  fu  gridato 
imperadore.  Il  senato  ordinò  processioni,  statue,  archi  e 
continui  consolati  a  Nerone;  festivi  i  giorni  della  vittoria 
ottenuta,  della  nuova  venuta,  del  senato  tenutone,  e  altre 
cose  a  tal  dismisura  che  Gaio  Cassio,  che  agli  altri  onori 
stette  cheto,  disse:  (c  Se  ogni  giorno  che  gV  iddii  ci  hanno 
fatto  bene,  si  dee  spendere  in  ringraziarli,  tutto  Tanno  non 
basta:  però  conviene  che  i  giorni  siano  parte  sagri  per  lo 
divino  culto  e  parte  profani  per  Fumano  commerzio;  questo 
per  quello  non  dee  guastarsi.  )> 

XLII.  Dopo  varie  fortune  corse,  fu  accusato  uno  a  ra- 
gion molto  odiato  uomo,  non  però  senza  carico  di  Seneca. 
Questi  fu  P.  Suilìo,*  regnante  Claudio,  terribile  e  venderec- 
cio, e  per  li  tempi  mutati  abbassato:  ma  non  quanto  voleano 
ì  nimici;  e  minor  noia  gli  dava  esser  chiarito  reo  che  T umi- 
liarsi. Credesi  per  rovinarlo  essere  stato  rìnovato  il  decreto 
del  senato,  e  la  legge  cincia  del  non  avvocar  a  prezo.  Egli  se 
ne  doleva,  feroce  per  natura  e  libero  per  l'estrema  età;  e 
sparlava  di  Seneca,  «  Che  egh  perseguitava  gli  amici  di 
Claudio  perchè  lo  scacciò  degnamente,  e  avvezo  a  insegnare 
a'  giovani  lettere  da  trastullo ,  astiava  chi  difendeva  i  citta- 
dini con  viva  e  reale  eloquenza.  Esso  essere  stato  questore 
di  Germanico;  lui  adultero  di  quella  casa.  Che  esser  peggio, 
o  per  oneste  fatiche  accettar  da  un  clientolo  cortesia,  o  letti 

*  avtva  preso  la  lunga:  sottintendi  via. 

S  guanto  quella  teneva  scurò,  oscurò  tutto  quello  spazio  eh* era  occupato 
aaìh  cUl3i. 

*  P.  Suilio.  Vedi  IV,  31.  Fu  senero  di  Ovidio  Nasone  (ra  Pont.  IV,  S). 


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324  IL  LIBIO  TRBDICBSIMO  DI6U  AHMAU. 

di  principesse  contaminare?  qnal  sapienza,  qua' filosofi  arer- 
gli  insegnato  in  qnattr'anni  ch'ei  serve  la  corte  raspare^ 
sette  milioni  e  mezzo  d' oro?.  A'  testamenti,  a' ricchi  senza 
erede  tender  le  longagnole'  per  latto  Roma.  L' Italia  e  le 
provinole  con  le  canine  usare  '  seccare.  Quanto  a  se,  trovarsi 
pochi  danari,  e  bene  stentati.  Accuse,  pericoli,  ogn' altra 
cosa  voler  patire,  anzi  che  sottomettere  la  sua  degnila  in 
tanto  tempo  acquistata  alla  subitana  felicità  di  costai.  » 

XLIII.  Né*  mancava  chi  rificcasse*  queste  parole  mede- 
sime, e  peggiorate  a  Seneca.  Ebbevi  accusatori  che  Suilio 
quando  resse  in  Asia  assassinò  i  privati  e  rubò  il  comune. 
Ma  perchè  fu  dato  lor  tempo  un  anno  a  giustificare,  parve 
più  breve  farsi '^  da'  peccati  fatti  qua,  che  ci  erano  i  testimoni 
pronti.  ((Con  acerba  accusa  avere  spinto  Q.  Pomponio  a  guerra 
civile;  fatto  morir  Giulia  di  Druse  e  Poppea  Sabina;  tradito 
Valerio  Asiatico,  Lusio  Saturnino,  Cornelio  Lupo:  le  centi- 
naia de'  cavalieri  romani  dannati,  e  tutte  le  crudeltà  di  Clan- 
dio  esser  fatture  sue.  »  Egli  rispondeva,  «  ninna  di  queste  cose 
aver  di  sua  volontà  fatto,  ma^  ubbidito  al  principe.»  Cesare  gli 
die  sulla  voce  dicendo,  «  sapere  da'  libri  di  suo  padre  che  non 
forzò  '  mai  alcuno  ad  accusare.  »  Ricorse  a  dire  oc  avergliele 
comandate  Messalina.  »  InfieboU  la  difesa,  «  Perchè,  bene 
scelse  lui  e  non  altri  quella  sfacciata  a  far  per  lei  le  empietà? 
Doversi  punire  i  ministri  delle  crudeltà,  che  avendone  rice- 
vuto il  prezo,  le  adossano  ad  altri.  »  Toltogli  adunque  parie 
de' beni,  e  parie  concedutone  al  figliuolo  e  alla  nipote,  e 

*  raspare j  guadagnare  eoo  male  arti;  rubare. 

^  le  lunga  gitole,  le  reti;  e  per  traslato,  insidie.  È  a  capello  il  latino,  m  er- 
ba velut  indagine  capii  **  cbè  indagines  sono  propriamente  le  reti  onde  cignesi 
il  bosco  dove  si  vuol  cacciare.  Virgilio,  ^n.  IV,  131:  «  Saliusque  indagine 
cingunt.  n  Senti  il  Dati  come  innacqua  :  m  uccellaTt  a'  testamenti...  in  quello 
stesso  modo  che  a  qualche  Sera  selvaggia  si  caccia;  »  seniacbè,  ueeeiimrt  come 
si  caccia  le  fiere  non  è  proprio. 

*  con  le  canine  tisure.  Il  Dati:  «  usure  e  mangerie.  »  E  mangeria  o  scrocco 
significa  qualunque  guadagno  illecito.  La  Crusca  non  l' ha ,  perchè  questo  Dati 
non  gli  andò  mai  a' versi,  ne  sappiam  vederne  la  ragione,  avendo  esso  stupcBdì 
vocaboli.  Il  Manuxzi  ha  quella  voce  con  un  esempio  del  Salvini. 

*  chi  rijiecasse,  riferisse  con  pravo  animo. 
'  farsi,  cominciare. 

0  che  non  forzò.  11  postillatore  dell'esemplare  Nestiano  di  9-  Capponicela 
regge  :  •>  eh'  ci  non  fonò.  » 


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IL  UBRO  TREJDICESUIO  DEGLI  ANNALI.  325 

caYatone  i  lasci  della  madre  o  avolo  per  testamenti,  fìi  con- 
finato in  Maiorica:  né  nel  perìcolo  né  condannato  abbassò 
r animo.  Perchè  ivi  tenne,  come  si  disse,  vita  larga  e  deli- 
cata. Accusavano  i  medesimi,  per  l'odio  del  padre,  Nemlino 
suo  figlinolo  di  mal  tolto*  Ma  parve  al  principe  a  bastanza 
quello  che  s' era  fatto* 

XLIV.  In  questo  tempo  Ottavio  Sagitta  tribuno  della 
plebe,  ìmpazato  d'amore  di  Ponzia maritata,  con  gran  pre- 
senti la  compera,  e  indi  fassi  promettere  di  rifiutare  il  ma- 
rito e  lui  prendere.  La  donna  scioltasi^  lo  tratteneva,  e  scu- 
savasi  che  suo  padre  non  volesse:  e  sperandone  *  un  altro  più 
ricco,  si  ritirava*  Ottavio  or  piangendo  or  minacciando, 
mostrava  aver  perduta  la  reputazione  e  la  roba;  «  rimanergli 
la  vita;  Cacessene  che  volesse;  t»  ed  ella  sempre  no.  Chiedete 
d' una  notte  sola  contento,  per  recarsi  poi  a  pacienza.  Data 
la  pòsta,  ella  impone  a  una  sua  fidata  servente  che  guardi 
la  camera.  Egli  entra  con  un  liberto  e  una  daga  sotto.  Ivi, 
come  avviene  dov'  è  sdegno  e  amore,  corsero  contese,  pre« 
ghi,  rimproveri,  paci,  e  parte  della  notte  abbracciari.  Rac- 
cesa Tira,  lei  tutta  sicura  trapassa  di  stoccata:  la  servente 
accorsa  spaventa  con  leggier  ferita,'  e  scappa  fuori.  La  mat- 
tina n'  andò  il  remore;  1*  ucciditore  era  chiaro,  provandosi 
r  esservi  stato.  Ma  il  liberto  diceva  averla  esso  uccisa,  e  ven- 
dicato r  ingiuria  del  padron  suo.  Mosse  V  atto  nobile  alcuni: 
ma  la  servente  guarì  e  disse  la  verità;  e  Ottavio  uscito  del 
tribunato,  chiamato  dal  padre  della  morta  a' consoli,  fu  con- 
dannato dal  senato  per  la  legge  Cornelia  degli  omicidi. 

XLY.  Disonestà  non  minore  fu  principio  queir  anno  di 
maggior  mali  publici.  Era  in  Roma  Poppea  Sabina  figliuola 
di  T.  Ollio,  ma  prese  il  nome  dell'  avolo  materno  per  la  chiara 
memoria  di  Poppeo  Sabino  stato  consolo  e  trionfante.  Non 
aveva^  ancora  avuto  onori,  e  V  amicizia  di  Seiano  lo  rovinò. 
Questa  donna  ogni  cosa  ebbe  da  onestade  in  fuori.  Vanto, 

*  scioltati  dal  primo  marito,  non  si  rìiolveva  a  dar  la  mano  alnnoTo  drudo. 
'  sperandone.  Il  latino  recherebbe;  «  e  trovatone  un  altro  più  ricco.  «• 

*  con  leggier  ferita.  Il  latino  ha  semplicemente  :  «  vulnero  absterret.  m 

*  Non  aveva j  cioè:  «  Ollio  non  aTeva.  »  Cosi  conegge  il  posUllatore  so- 
pra citato. 

U  28 


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8S6  IL  UBRO  TRBDICBSIMO  DB6U  àMHkU. 

cometa  madre,  deUa  più  bella  donna  di  qneUa  età;  rìccheza 
iMBteyole  al  suo  chiaro  sangoe;  parlare  dolce;  era  disonesta, 
e  sapea  fare  la  contegnosa  ;  asci  va  poco  fuori  ;  coperta  parte  del 
viso,  perchè  stava  meglio,  o  per  fame  bramona;  *■  fama  non 
curò;  nò  mariti  da'  non  mariti  distinse;  amor  sao,  né  d' altri 
non  la  strigneva.  Dove  vedeva  utile,  là  si  gittava.  Perciò  ella 
moglie  allora  di  Rufo  Crispino  cavalier  romano,  che  n'avea 
un  figliuolo,  fu  aòcchiata  da  Otone  giovane  splendido  e  te- 
nuto il  cuore  di  Nerone;  e  senza  indugio  all'  adulterio  seguitò 
il  matrimonio. 

XLYL  Otone  non  finava  di  lodar  la  belleza  e  la  grazia 
di  questa  sua  moglie  al  principe:  o  malaccorto  per  troppo 
amore,  0  per  famelo  innamorare  e  godere,  e  con  quest' altra 
scala  più  alto  salire.  Più  volte  fu,  nel  levarsi  da  tavola  del 
principe,  udito  dire^  «  Andarsene  a  quella  a  se  conceduta 
nobiltà,  beltà,  disianza  d'ogni  uomo,  gioia  de'  felici.  »  Per 
tali  incitamenti  non  passò  guari  che  Poppea  intromessa,  pri- 
ma con  atti  e  lusinghe  pigliava  Nerone,  dicendo,  «  Sé,  presa 
daUa  sua  beltade,  non  possente  a  resistere  a  tanto  ardore:  » 
e  quando  il  vide  concio,  insuperbita,  dalla  prima  o  seconda 
notte  in  là,  diceva,  «  Aver  marito,  non  poterlo  lasciare:  es- 
ser da  Otone  trattata  meglio  che  mai  fosse  donna,  in  luì  ve- 
dere e  d*  animo  e  di  vita  magnificenza:  lui  degno  di  son^ma 

*  per  fame  bramosìa.  Il  postillatore  dell*  esemplare  Nestiaoo  di  G.  Cap- 
poni, cosi  aoalina  e  corrige  alcuni  di  questi  niembretti.'-«  óVrnto  eùmia^nec 
abfurdmm  ingeHìumj  m  parlar  dolce.  Manca  la  seconda  parte.  Direi  cosi:  Parlar 
dolce,  concelti  non  fili,  m  Modestiam  praferre  et  lascivia  uti:  m  era  diso» 
nesta,  e  sapeva  far  la  contegnosa»  Direi  più  breve,  e  conforme  al  latino:  sape» 
mostrar  onestà,  e  usar  lascivia,'  sapeva  mostrarsi,  (o  parer)  onesta  ed  esser 
lasciva,  m  Folata  parte  orisr  »  coperta  parte  del  viso.  Quel  porta  parta  & 
mal  snono;  però  direi:  Velata  (o  velando)  parte  del  viso,  «  Ne  sattaret 
aspecUun,  vel  quia  sic  decebat:  »  perchè  stava  meglio  o  per  fame  bramosia, 
.—  «  Perche  stava  meglio  •  h  equivoco,  languido  e  comune  a  più  cose.  Direi  con 
r  ordine  del  testo  latino:  Per  farne  bramosia  (o  brama)  o  per  pia  (o  ni«gfior) 
decoro.m — E  questo  secondo  membretto  varia  in  più  modi  cosi:  o  per  leggiadria! 
o  che  le  dava  più  graaia;  o  per  più  vaghesaa;  modestia;  onestìi;  scheno;  brio; per 
invogliarne  altrui  o  per  leggiadria.»  —  Finalmente  racconcia  tutto  questo  luogo 
cosi: — «Parlare  dolce;  concetti  non  vili:  sapeva  apparir  oncsU, et  esser  lasciva: 
usciva  poco  fuori;  velata  parte  del  viso,  per  (arne  bramosia ,  ò  che  gli  dava  più 
graaia.  » — Altri  giudichi  se  (da  quella  omissione  in  fuori,  ben  riparata)  abbia  colto 
meglio  nel  segno.  A  noi,  per  vero,  non  pare:  ed  ansi  teoghiaino  che  nel  ritratto 
di  questa  donna,  il  nostro  Bernardo  abbia  tolto  la  mano  a  Tacilo. 


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IL  LIBRO  TBEDIGESmO  DEGÙ  ANNALI.  327 

fortuna:  ma  Nerone  imbertonito  *  d'ana  fantesca,  come  Atte, 
non  avere  cavato  dalla  pratica  di  lei  che  viltà  e  schifeza.  » 
Nerone  a  Otone  levò  la  dimesticheza,  poscia  il  ragionare  e  il 
corteggiare:  finalmente  perchè  in  Roma  non  gli  facesse  il  ri- 
vale, lo  mandò  governatore  di  Portogallo,  ove  resse  sino  alla 
guerra  civile  con  giustizia  e  santità,  contrarie  alla  infamia 
passata;  essendo  neir  ozio  dissoluto,  nella  podestà  temperato. 

XLVII.  Inaino  a  qui  Nerone  cercò  di  coprire  le  sue  cat- 
tività, sospettando  masaimamenle  di  Cornelio  Siila,  cui  tardo 
ingegno  attribuiva  a  fine  astuzia.  Accrebbegli  il  sospetto 
Gratto  liberto  di  Cesare,  cortigian  vecchio  insino  di  Tiberio, 
con  questa  menzogna.  Ponte  MoUe'  allora  erailraddotto,  la 
notte,  di  ogni  baccano.  Nerone  vi  veniva  per  andar  meglio 
scavallando  fuori  della  città.  Tornandosene  per  via  flamminia 
negli  orti  de'Salustii,  Gratto  corse  a  dirgli,  la  sorte  averlo 
aiutato  a  non  dare  nell'  imboscata  di  Siila  (avvegnaché  a'  mi- 
nistri del  prìncipe,  che  per  1*  ordinaria  via  tornavano,  fosse 
da  certi  baioni  '  scherzando,  come  si  fa ,  fatto  paura):  né  vi  fa 
conosciuto  niuno  servo  né  seguace  di  Siila;  uomo  sprezato, 
e  non  punto  da  simile  ardimento.  Nondimeno  come  fosse 
convinto,  gli  fu  detto  che  sgombrasse  di  Roma  e  non  uscisse 
delle  mura  di  Marsilia. 

XLVllI.  Nel  detto  anno  da  Pozuolo  mandare  ambascia- 
dori  contrari  a  dolersi,  i  senatori,  delle  violenze  della  plebe, 
e  la  plebe  dell'  avarizia  de'  magistrati  e  de'  grandi;  ed  eran 
venuti  a'  sassi  e  minaccio  di  fuoco,  che  volean  dire  armi  e 
sangue.  Gaio  Cassio  eletto  a  quietarli  parea  loro  troppo  se- 
vero, e  ne  fu,  a'  suoi  preghi,  data  la  cura  a  due  fratelli  Seri- 
boniicon  una  coorte  pretoriana,  lo  cui  terrore  e  supplizio  di 
pochi,  acr^rdò  i  Pozolani. 

XLIX.  Non  direi  del  decreto  notissimo  che  si  fece,  di 
poter  Siracusa  passare  il  novero  terminato  *  delti  accoltellan- 
ti, se  Trasea  Peto  non  l'avesse  contraddetto,  e  fattosi  bia- 

'  imbertonito,  dimenato  bertone  ;  amante  di  mala  fémmina. 
9  Ponte  Molle j  moderno  nome  del  Ponte  Milvio,  ful  Tevere,  poco  diaccilo 
dalla  porta  flaminia,  oggi  Porta  del  popolo. 

S  baioni^  gente  cbiassona,  da  far  baie  o  burle. 
*  rermfnato^  determinato. 


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328  IL  UBIO  TBBDICB8»0  DB6LI  AMNALI. 

simare.  «  Se  egli  crede,  la  repnblica  aver  bisogno  che  i  se- 
natori parlino  libero,  perchè  entr*  egli  in  cose  si  deboli?  e 
non  dice  più  tosto  della  gnerra  o  della  pace,  dell' «ntrate, 
delle  leggi  e  dell'altre  importanze  romane,  qnelché  si  dea 
fare  o  no?  Potere  i  padri,  che  hanno  voce  in  senato,  pro- 
porre quanto  vogliono  e  chieder  che  si  cimenti:  non  averci 
egli  altro  da  correggere  che  'I  troppo  spender  in  feste  che 
fa  Siracusa?  stare  r  altre  cose  per  tutto  r  imperio  bene  e  a 
capello,  come  se  reggesse  Trasea  e  non  Nerone?  se  a  queste 
si  chiude  gli  occhi,  quanto  dee  più  alle  vane?  »  Trasea  ri- 
spondeva alli  amici  9  aver  corretto  questo  erromzo,  non  per 
ignoranza  de' gravi,  ma  per  onoranza  de' padri,  perchè  si 
vegga  quanto  pensano  alle  cose  grandi  essi  che  badano  in- 
sino  alle  menome. 

L.  In  questo  anno  a  Nerone,  rompendogli  la  testa  i!  po- 
polo ^  dell'  avanie  de'  pubblicani,  cadde  in  animo  di  lasciare 
tutte  le  gabelle,  e  fare  al  mondo  questo  bel  dono.  Ma  i  vec- 
chi,' alzata  a  cielo  la  sua  grandeza  d'animo,  rattennero  il 
furore:  mostrando  che  l'imperio  non  si  sostenterebbe  sce- 
mandogli gli  alimenti,  e  quasi  ricolte,  della  republica.  Con- 
ciosiache,  levati  i  dazii,  anche  i  tributi  si  vorrebbón  levare; 
le  compagnie  delli  appalti  furon  create  le  più  da'  consoli  e 
tribuni  nel  maggior  vigore  della  libertà,  bilanciate  V  entrate 
pubbliche  con  le  spese.  Ben  doversi  dare  in  su  le  mani 
a' pubblicani,'  che  non  facciano  maladire,  per  crudeltà  nuo- 
ve, le  cose  tollerate  ab  antico. 

LI.  Cesare  adunque  bandi  che  le  tariffe  di  tutte  le  com- 
pagnie de'  pubblicani  fino  allora  occulte  si  pubblicassero;  le 
domande  passato  l'anno  non  si  riassumessero:  le  querele  a 
quelli  date,  in  Roma,  il  pretore;  e  fuori,  il  vicepretore  o  il 
viceconsolo  giudicassero  sommariamente:  a'  soldati  si  man- 
tenesse l'esenzione,  fuorché  ne'trafiQchi  da  mercatanti.  £ 
altri  giusti  provvedimenti  fece,  durati  poco,  e  poi  svaniti. 

*  rompendogli  la  tata  il  popolo,  facendogli  il  popolo  frequenti  In- 
cbieite. 

*  i  vecchi,  i  senatori. 

'  doversi  dare  in  su  le  mani  a'pubblicani,  doversi  frenare  la  sorercbia 
aTÌditli  de*  pubblicani. 


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IL  UBAO  TBBMCSSUIO  DB«U  ANNALI.  329 

Pare  la  quarantesima,'  la  cinquantesima,  e  gli  altri  ingordi 
nomi  trovati  da'  doganieri  non  furono  ritornati:  le  tratte  del 
grano  alle  provìncie  oltremare  scemate:  le  navi  mercantili 
non  addecimate.*  ^. 

LIL  Solpizio  Camerino  e  Pomponio  Silvano  dalle  que- 
rele dell'Affrica,  da  loro  retta,  assoluti.  Camerino  ebbe  po- 
chi accusanti,  e  di  crudeltà  private  più  che  di  latrocini!: 
Silvano  n^ebbe  un  mondo:  chiedevan  tempo  a  far  venir  te- 
stimoni: e  il  reo  d'esser  difeso  allora,  come  fu,  perchè  era 
senza  reda  e  vecchio:  ma  quei  che  sopra  vi  disegnavano 
moriron  prima  di  lui. 

LUI.  Le  cose  in  Germania  si  stavano,'  per  volere  di 
Paulino  Pompeo  e  L.  Yetere,  allora  capitani;  a' quali,  per- 
che  nel  dare  le  trionfali  si  largheggiava,  il  mantener  la  pace 
pareva  più  gloria.  Ma  per  non  infingardire  i  soldati,  quegli 
forni  l'argine*  al  Reno,  che  cominciò  Druse  prima  sessanta- 
tre anni:  Yetere  ordinò  di  tirar  un  fosso  dalla  Mosella  alla 
Sona,^  perchè  gli  eserciti  portati  per  mare  nel  Rodano  e  nella 
Sona,  per  quel  fosso  si  traghettassero  in  Mosella,  in  Reno, 
indi  in  oceano,  e  senza  le  tante  difficultà  de'  cammini,  fare 
i  liti  di  settentrione  e  ponente  in  qua  e  in  là  navigabili.  Per 
invidia  di  si  beli'  opera  Elio  Gracile,  legato  de'  Belgi  avverti 
Yetere  a  non  mettere  le  legioni  sue  nella  provincia  d' altri, 
e  farsi  le  Gallio  benivole;  perciochè  all'  imperadore  darebbe 
sospetto.  £  cosi  spesse  volte  s' impediscono  le  imprese  ono- 
rate. 

LIY.  Onde  per  lo  continuo  ozio  delti  eserciti,  corse  fama 
che  a'  legati  era  levata  l' autorità  di  uscire  contro  al  nimico. 
Talché  i  Frisi,  per  boschi  e  paludi,  la  gioventù,  e  per  laghi 
l'inferma  età  condussero  alla  riva:  e  ne'  vèti  campi  che  i 

*  la  quarantesima  ee.  Era  no  tributo,  posto  da  Caligola,  per  cui  d*ogiii 
somma  litigata  doTcasì  pagargli  la  quarantesima  parte.  Della  cinquantesima  non 
si  sa  con  precisione;  ma  si  crede  fosse  un  tributo  su*  commestibili. 

*  Dati:  «  Fu  moderato  il  potere  trar  grani  per  naTÌgarli  oltremare,  e  prov- 
veduto e  deliberato  die  nel  deeimare  t  beni  de' mercatanti  non  fossero  messi  i  loi 
navili  a  gabella  nk  dovessero  pagarne  gravesta  alcuna.  » 

'~#i  stavano,  erano  quiete. 

*  V argine.  Vedi  Stor,  V,  49;  nò  è  da  confondersi  colla  fossa  Drusiana, 
^nh.II.S. 

>  «Sonila  la  Saone;  anticamente  Arari, 

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830  IL  LIBRO  TREDICKfllMO  DEGLI  ANNALI. 

nostri  nutrivano,  si  piantarono:  persuasi  da  Yerrito  e  Malo- 
rigo  capitani  di  quella  nazione,  che  all'ora  era  de'  Germani. 
£  già  vi  aveano  rizato  abituri,  e  fatto  semente  come  in  lor 
patria.  Quando  Didio  '  Avito,  preso  il  carico  da  Paulino,  mi- 
nacciando d' adoperar  la  forza  romana,  se  i  Frisi  non  isgom- 
bravano  nel  paese  antico  o  non  ne  ottenevano  da  Cesare 
altro  nuovo;  mosse  Yerrito  e  Malorige  a  clùederk).  Andaro 
a  Roma:  e  aspettando  che  Cesare,  in  altro  occupato,  li  udis- 
se, furono,  tra  V  altre  cose  che  si  mostrano  a'  barbari,  messi 
nel  teatro  di  Pompeo  a  vedere  lo  gran  popolo:  ove  standosi 
senza  gustare  il  giuoco,  perohò  non- lo  intendevano,  doman- 
dano degli  spettatori,  delle  differenze  degli  ordini,  qua' fos- 
sero i  cavalieri,  ove  0  senato;  venne  lor  veduto  certi  vestiti 
da  forestieri  sedere  tra  i  senatori:  e  domandare  chi  e'  fusse- 
ro;  udito  che  tale  onore  si  faceva  agli  ambasciadorì  delle  na- 
zioni più  valorose  e  più  amiche  a' Romani;  alzano  la  voce, 

NICNO  MORTALE  Nft  IN  ARMI  NtS  IN  FEDE  AVANZARE  I  GERMANI; 

e  vanno  e  si  pongono  tra  i  padri.  Applauderono  i  riguar- 
danti, quasi  fosse  delle  lor  furie  buima  gelosia.*  Nerone  gli 
fece  ambi  cittadini  romani,  e  comandò  che  i  Frisi  si  levas- 
sono  di  que'  terreni.  Non  volevano  ubbidire:  mandaronsi  ca- 
valli forestieri  a  forzarli,  uccisi  o  presi  i  più  pertinaci. 

LV.  Occuparonli  gli  Ansibarii,  gente  più  poderosa,  e 
per  la  sua  moltitudine  e  per  misericordia  de'  vicini,  essendo 
cacciati  da'  Ganci  di  casa  loro,  senza  nidio,  e  chiedendo 
qualche  sicuro  esilio.  Era  tra  loro  un  detto  Boiocalo  di  gran 
nome,  a  noi  fedele,  che  diceva,  nella  ribellione  de'Gheru- 
sci  essere  stato  prigione  d'Arminio;  poi  soldato  di  Tiberio 
e  di  Germanico,  e  di  voto  nostro  cinquant'  anni.  Di  più,  ci 
offeriva  quella  gente  per  ligia,  a  Quanta  parte  di  quei  piani 
(diceva  egli)  servirà  per  pasture  de'  cavalli,  e  carnaggi'  per 


'  Didio.  Il  lai.  non  ha  Didius  ma  Dubius. 

S  quasi  foste  ec.  :  Il  lat.  ha:  «  quasi  impetus  antiqui  et  bona  emulmUo' 
ne  »  fu  preso  come  per  uno  slancio  d'antica  semplicità  e  di  generosa  emulasione. 

S  carnaggi^  carne  da  mangiare;  armenti  destinati  per  viveri  dell*  esercito. 
Vuol  dire  che  quel  tratto  di  paese  dove  i  Romani  mandavano  a  pasturare  gli  ar- 
menti destinati  a  nutrire  Pestrcito  era  assai  piccolo;  e  che  il  resto  di  quel  paese 
poteva  concedersi  a  loro. 


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IL  LIBRO  TaEDICESIMO  DEGLI  AHNÀLI.  331 

li  nostri  soldati?  Lasciassimovi  tra  le  bestie  sfamare  anche 
qae'poverelli,^  se  già  non  gli  volessimo  anzi  salvalichi  e  di^ 
serti,  che  còlti  da  popoli  amici.*  Già  esdere  stati  de'  Gamavi, 
poi  de' Tubanti  y  indi  degli  Usipi.  11  cielo  esser  fatto  per 
gr  iddìi,  la  terra  per  gli  uomini:  la  vota  essere  di  chi  oc- 
cupa. »  Voltossi  al  sole  e  alle  stelle ,  quasi  presenti ,  do- 
mandando, «(  Se  volevan  vedere  quel  terreno  perduto?  sgor- 
gasservi  sopra  anzi  il  mare,  in  onta  di  coloro  che  gli  uomini 
privano  della  terra.  » 

LYI.  Avito  se  ne  alterò,  e  disse  agli  Ansibarìi  in  pub- 
blico: ((  Doversi  a'  maggiori  ubbidire  i  esser  piaciuto  agi'  id- 
dìi da  loro  invocati,  che  a' Romani  stia  il  dare  e  '1  torre 
senza  rendere  conto  a  Boiocalo  ;  che  darebbe  a  lui  terreni 
per  li  suoi  meriti  propri!;  »  il  che  egli,  quasi  premio  di  tra- 
digione,  ricusò  dicendo:  «  Terreni  posson  mancarci  dove  vi- 
vere, dove  morire  mancar  non  può.»  E  cosi  partirocsi  a 
rotta,  e  chiamarono  i  Brutterì  e  Tenteri  in  aiuto,  e  nazioni 
lontane  collegate.  Avito  scrisse  a  Gurtifio  Mancia  capitano" 
dell'esercito  di  sopra,  che  passasse  il  Reno,  e  mostrasse 
loro  l'armi  di  dietro.  Egli  condusse  le  legioni  nel  paese 
de' Tenteri,  minacciando  spiantarìo,  se  pigliavano  le  brighe 
d' altri.  Laseiaronle  questi  e  per  la  medesima  paura  i  Brut- 
teri  e  gli  altri.  GU  Ansibarii,  soli  rimasi,  la  danno  addietro' 
negli  Usipi  e  Tubanti:  ne  son  cacciati:  ne  vanno  a'Gatti,  poi 
a'Gherusci,  e  dopo  lungo  aggirarsi,  senza  ricetto,  strutti,  in 
paese  nimico;  n'  andarono  i  giovani  a  pezi,  il  resto  in  preda. 
LYII.  In  quella  state  gli  Ermunduri  co'  Gatti  volendo 
ambi  per  forza  il  dominio  del  fiume  che  gli  divide ,  e  molto 
sale  genera,  vennero  a  gran  battaglia,  si  per  voglia  di  fare 

*  ijue' poverelli.  Légge:  «  servarent  receptus  gregibtèSj  in  ter  hontinnm 
famemj  »  cioè  ;  «  Inter  homines  fame  laborantest  w  e  con  questo  il  Davansati 
pccTenne  la  congettura  ingegnosa  del  Freioshemio.  Ma  il  codice  Mediceo  légge  : 
m  servarent  sane  receptos  gregibus  inter  hominum  famam:  »  cui  il  Louandre 
dli  {[at^lo  senso:  «  Qiie  les  Bomains  laissentdonc  aiix  Jnsibariens leur  nom 
de  peuple  par  mi  les  hommes,  en  les  recevant  sur  l' espace  riservi  auae  trotta 
peaux.  *»  Ma  questo  luogo  di  Tacito  può  essere  piuttosto  indovinato  che  tradotto. 

S  Intendi,  se  gi'a  non  volessimo  quei  luoghi  piuttosto  selvaggi  che  coltivati 
da  popoli  amici. 

'  ia  danno  addietro,  tornano  indietro. 


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832  n.  LIBRO  TREDICESIMO  DEGÙ  ANNALI. 

Ogni  cosa  con  i'  anni,  si  per  ubbia, ^  che  quel  sito  sia  il  pia 
presso  al  cielo;  e  onde  prima  gì'  ìddii  odano  i  preghi  umani. 
(K  Perciò  abbiano  quel  fiume,  que'  boschi,  privilegiati  di  sale 
non  fatto  come  all'altre  genti  d'acqua  marina  allagata  e 
rascintta,  ma  dì  esso  fiume  versata  sopra  catasta  ardente  di 
quelli  arbori,  e  dal  suo  contrario  elemento  fatta  rappigliare.» 
La  guerra  fu  alli  Ermunduri  prospera,  e  de'  Gatti  sterminio; 
perchè  i  vincitori  fecer  boto  a  Marte  e  Mercurio  di  sagrificar 
loro  i  nimìci,  vincendoli:  cosi  cavalli,  uomini,  ogni  cosa 
vinta  fur  vittime  ;  e  le  minacce  nimiche  tornavano  loro  in 
capo.*  Ma  la  comunità  delli  Ivoni,  nostra  amica,  ebbe  piaga 
non  aspettata.  Usciron  fuochi  di  sotterra  che  s'appresero 
a  campi  ville  casali,  e  passavano  le  mura  della  nuova  colo- 
nia. Né  pioggia  caduta  né  acqua  gittata 'né  altro  umidore 
gli  spegneva.  Certi  contadini,  per  mancamento  di  rimedio 
e  ira  del  danno,  vi  tiravano  da  discosto  de' sassi,  e  te  fiam- 
me calavano:  accostaiisi  con  pertiche  e  bastoni,  quasi  be- 
stie, le  correggìevano  ;  in  ultimo,  trattosi  i  panni  di  dosso, 
e  sopra  gittatiglivi,  quanto  più  schifi  e  logori,  pia  il  caso' 
ppr  que'  fuochi  ammorzare. 

LYIII.  Nel  detto  anno  al  fico  ruminale,  posto  nel  co- 
mizio, soUo  il  quale  furon  lattati  Romolo  e  Remo  ottocento 
quaranta  anni  fa,  cadute  le  ramerà,  si  seccava  il  pedale;  il 
cl^e  fi^  preso  per  un  mal  segno,  sino  a  che  non  cominciò  a 
rijpnetteice  nupve  venitene. 

'  per  fibbia,  per  ftapenticione  ;  per  falsa  apprensione  relisios^ 
'  tornavano  loro  in  capo,  torDavano  ^  lora  é 
*  pti^  il  qasoj  più  aUi. 


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333 

IL  LIBRO  QUATTORDICESIMO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  Nerone,  aeceeo  vìe  piò  tempre  dì  Poppea,  la  madre  A(pìp|niiaiiecìde.~- 
%!.  Scrìve  al  senato  scnsandoseDe.  —  XII.  Prìcissioni  stabilite .  Trasea  più 
non  reggendo  esce  dì  senato.  —  XIII.  Nerone  dirotto  in  tatte^  libidini.  — 
XVII.  Gran  sangne  tra'  coloni  Nneerini  e  Pomjieani. — ^XYIII.  Stato  di  Girene: 
chiare  morti.  —  XX.  Festa  cinquennale  istituita  in  Roma.  —  XXII.  Rubellio 
Pianto  rìmosso.  —  XXIII.  Gorbnlone  in  Armenia  fa  da  Marte  :  presi  i  Tigra- 
nooertifarellgrane.  —  XXVII.  Laodieca  da  tremooto  a  terra ^  eraesi  da  se: 
mal  si  prevede  al  popolar  le  colonie.  —  XXVIII.  Gli  sqnittim  de^  Pretori  in 
accordo.  —  XXIX.  Rovina  de'  nostri  in  Bretagna ,  mentre  Svetonio  Paolino 
investe  Mena:  tutta  quasi  la  provincia  perduta ,  con  singoiar  costanxa  e  in  una 
giornata,  rìcovra  Svetonio.  — XL.  Orrendi  Relitti  :  prefetto  di  Roma  ucciso  da 
un  suo  schiavo:  pagane  il  fio  la  famiglia.  —  XLVI.  Tarqnitio  Prisco  condan- 
nato. Catasti  perla Gallia. — XLVII.  Muore  Memmio  Regolo:  ginnasio  dedicato. 
— XLVIII.  Legge  di  stato  rinnovata.  —  LI.  Nel  colmo  de'  publici  mali  muore 
Burro.  — LII.  Morto  Burro,  è  abbassato  Seneca:  per  sottrarsi  all'invidia  e 
all'  accuse ,  parla  a  Nerone  che  risponde  furbo.  —  LVII.  Tigellino  sempre  più 
in  auge  procura  la  morte  ^  Plauto  e  Siila.  —  LX.  Nerone  scaccia  Ottavia, 
richiama  Poppea.  Il  popolo  m  tumulto  fa  che  s' affretti  l' esilio  d' Ottavia  ;  uc- 
cisa poi  in  Palmarola. 

Corto  di  gwui  quatir*  anni. 

An.  £  R.  occon.  (ai  Cr.  59).  -  ConwK.  |  ?  V„8Wio  Apmnuno. 
^  '  IL.  FoNTEio  Capitone. 

INbroiib  Claudio  Gbsau  la 
IV  volta. 
Cosso  Corneuo  Lbntulo. 

An.  di  R:  DCCCX.v.  (di  Cr.  64).  «  Consa«.  |  ^I'^rpiuano. 
An.  di  R.  Dcccxv.   (di  Cr.  62).  ~  Condoli.  \  l  ""^^  S. 

I.  [A.  di  R.  812,  di  Cr.  «9.]  Nel  consolalo  di  Gaio  Vipsa- 
nio  e  Fonteio  non  soprattenne  più  Nerone  il  suo  lungo  e  scel- 
lerato pensiero;  fatto  audace  per  lo  molto  regnare,  e  spasi- 
mando ogni  dì  più  di  Poppea.  La  quale,  non  isperando  vivente 
Agrippina  ch'eì  la  togliesse  per  moglie  e  cacciasse  Ottavia, 


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834  IL  LIBRO  QUATT0RDICB8I1I0  DEGÙ  ANNALI. 

a  Ogni  poco  il  garriva  o  motteggiava,  che  egli  era  ne'  pupil- 
li, aveva  il  compito:^  non  che  imperlo,  non  libertà.'  «  Per 
che  altro  indugiava  a  tòrla?  forse  li  parea  brutta?  senz'avoli 
trionfanti?  temea  non  fosse  sterile,'  o  di  poco  animo ,.o  si 
peritasse  essendo  moglie  a  scoprirgli  le  ingiurie  de' padri. 
Tira  del  popolo  per  la  sai^erbia  e  avarizia  di  sua  madre?^  la 
qoale  se  non  poteva  patir  nuora  se  non  odiosa  al  figliuolo, 
rendessonla  al  suo  Otone;*^  dileguerebbesi  in  capo  del  mondo 
per  udire  anzi  che  vedere  con  suo  perìcolo  gli  smacchi  dello 
imperadore.  »  Tali  stoccate  alla  superba  madre  date,  con  la- 
grime e  arte  concubinesca,  piacevano  a  tutti,  per  abbassarla, 
non  credendo  però  che  il  figliuolo  la  dovesse  ammazare  per 
quantunque  odio. 

II.  eluvio^  narra  «  che  l'ardore  del  mantener  sua  gran- 
deza  stigò  Agrippina  sino  a  presentarsi  più  volte  a  Nerone, 
ubbriaco  di  mezo  di,  quando  egli  nel  vino  e  vivande  si  ri- 
scaldava, lisciata  e  pronta  all'incesto:  e  già  dalle  careze  e  la* 
scivi  baci,  notati  da'  circostanti,  venivano  all'atto;  se  Seneca 
non  riparava  col  mandargli  Atte  liberta,  ohe  per  lo  perìcolo 
suo  e  per  l'onor  di  Nerone  gli  dicesse,  che  sua  madre  si 
gloriava  d'averlo  goduto,  né  soffrerieno  i  soldati  si  profano 
imperadore.  »  Fabio  Rustico'  dice  che  ctiNerone,  e  non  Agrip- 
pina, tal  voglia  ebbe,  e  che  Atte  lo  distolse  con  astuzia.  »  Ma 
gli  altri  scrìvono  come  Clovio,  e  credesi  più  tal  bestialità 
venuta  da  lei,  che,  giovaneUa,  per  la  speranza  del  dominare, 
s'era  giaciuta  con  Lepido,  poi  insino  a  Fallante  sottomessasi, 
e,  moglie  del  zio,  fatto  callo  ad  ogni  obbrobrio. 

1  aveva  il  compito.  Lat.:  «  iussis  alieni*  obnoxiuSj  »  che  toscanamente 
potrebbe  anco  tradursi  !  «  lasciaTasi  menar  pel  naso.  » 

S  non  che  ec;  non  che  egli  avesse  imperio,  non  aveva  neppur  libertk. 

'  sterile.  Aveva  gi^  avuto  nn  figlio  da  Rofo  Crispino.  Così  morde  obliqua- 
mente la  stcrilitk  d' Ottavia. 

*  di  sua  madre}  Alcuni  dopo  aperiat  non  pongono  l'interrogativo,  e 
fanno  bene.  Perchè  Poppea  dopo  aver  detto:  «  Forse  la  cagione  di  siffatto  indu- 
gio è  perchè  sono  sterile  o  di  poco  animo?  »  soggiunge:  «  No;  la  vera  cagione  è 
questa:  distolgonti  dalle  mie  nosze  perchè  temono  che,  essendoti  io  moglie,  ti 
scopra  le  ingiurie  dei  padri  ec.  » 

B  Olone.  Vedi  lib.  Xllf,  45  e  46. 

•  eluvio.  Vedi  lib.  XIII,  20. 

'  Fabio  Rustico.  Vedi  1.  XIII,  20{  XV,  61.  Fit.  Jgr.  10. 


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IL  Limo  QUATTORDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  335 

III.  Nerone  adunque  fuggiva  il  trovarsi  con  lei  a  ristret- 
to. Lodavala  del  ricrearsi  ne' giardini  e  ville  d'Anzio  e  Tu- 
scalano.  Finalmente  non  la  potendo  in  nessun  luogo  patire, 
risolvè  d'ammazarla:  dubitò  solamente  se  con  veleno  o  ferro, 
0  altra  forza.  Piacquegli  prima  il  veleno:  ma  a  tavola  sua 
non  si  poteva  coprire,  essendo  stato  cosi  ucciso  Britannico: 
fargliele  dare  si  potea  male,  perchè  ella  a'  tradimenti  usata, 
s'avea  cura  e  pigliava  contravveleni:  uccisa  con  ferro  non 
si  poteva  nascondere,  e  temeva  di  non  trovare  esecutore  di 
sì  gran  fatto.  Trovò  il  modo  Aniceto  liberto,  capo  dell' ar- 

'  mata  di  Miseno,  maestro  già  di  Nerone  fanciullo,  e  sareb- 
bonsi  egli  e  Agrippina  manicati  col  sale.'  Mostrò  eh'  e'  si  po- 
teva congegnare  una  parte  di  nave  che  s'aprisse,  e  la  facesse 
all'improvviso  cadere  in  mare,  capacissimo  di  tutti  i  casi.' 
Se  ella  affogasse,  chi  ne  imputerebbe  mai  altri  che  i  venti 
e  Tonde?  Il  prìncipe  gli  farebbe  i  tempii,  gli  altari  e  l'altre 
onoranze  pie. 

IV.  Piacque  l'avvedimento,  e  venne  a  tempo  l'andata 
di  Nerone  a  Baia  alla  festa  de' cinque  di,'  ove  la  invitò:  e 
andava  dicendo  «  che  gli  sdegni  delle  madri  si  deon  tollerare 
e  placarli,  »  per  dar  nome  d'essersi  rappattumato,  e  accogliere 
Agrippina  che  veniva  (come  son  le  donne  preste  al  credere) 
a  rallegrarsi.  Giunta  da  Anzio  al  lite,  le  si  fé'  incontro  e  la 
prese  per  mano  e  abbracciò  e  condusse  a  Bauli,*  villa  in  su  '1 
mare,  che  gira  dal  capo  di  Miseno  al  lago  di  Baia.  Aspetta- 
vala  una  nave  più  adoma  dell'altre  quasi  per  onorarla, 
usando  ella  farsi  portar  da  galea  o  altro  legno  a  remi.  Allora 
la  invitò  a  cena ,  perchè  la  notte  coprisse  l' eccesso.  Soppesi 
che  r  inganno  le  fu  scoperto.  Gredesselo  o  no,  si  fece  in  seg- 
giola portar  a  Baia.  Quivi  passò  la  paura  per  le  careze  che 
le  fece  Nerone:  misela  nel  primo  luogo,  e  ora  con  cianciar 

*  sarebbonsi  egli  e  agrippina  manicati  col  sale,  s'odiavano  a  morte.  U 
lat.  ha  :  «*  mutuis  odiis  jégrippinte  invistia.  »> 

S  Non  ▼'  ha  caso  forlaito  che  il  mare  non  possa  render  credibile. 

s  alla  festa  de' cinque  dì,  alle  feste  qninquatrie  in  onore  di  Minerva. 

*  Baislit  gik  villa  d'Ortensio,  di  coi  ritiene  tuttavia  il  nome  quel  luogo 
doTC  restano  alcune  sue  rovine;  chiamandosi  Peschiera  d'Ortensio  fra  Porto 
di  Baia  e  Mare  morto.  Altri  la  ravvisa  in  Bacoli,  e  i  suoi  avanzi  nelle  Cento 
canterelle  o  Carceri  di  Nerone, 


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336  IL  LIBRO  QUATTORDIGBSmO  DBALI  ANMAU. 

giovenile,  ora  con  inarcar  le  ciglia  qoasi  conferendole  cose 
gravi,  la  cena  allungò.  Partendosi  ella,  non  ai  saziava  di 
guatarla,  e  strignerlasi  al  petto,  o  per  compiere  l'inganno, 
o  perchè  Y  ultima  vista  di  lei  vicina  alla  morte  rattenesse 
quell'  animo  benché  di  tigre» 

Y.  Parve  che  gl'iddii  facessero  a  posta  quella  notte 
stellata,  e  quieto  il  mare  per  convincere  il  fatto.  Non  guarì 
era  camminata  la  nave,  ove  ira  gli  altri,  accompagnanti 
Agrippina,  Grepereio  Gallo  stava  presso  al  timone,  e  Acero- 
nia  (a'  piedi  di  lei  che  giaceva)  per .  allegreza  conlava  del 
figliuolo  ripentito,  e  della  madre  tornata  in  grazia;  quando, 
fatto  cenno,  il  tetto  in  quella  parte  caricato  di  piombo,  ro- 
vinò e  schiacciò  Grepereio.  Agrippina  e  Ac.eronia  si  salvarono 
sotio  i  fianchi  del  getto,*  che  alti  e  riusciti  gagliardi,  ressero 
al  peso.  La  nave  non  si  finiva  d' aprire,  essendo  sozopra 
ogn'uno,  e  quei  che  T ordine'  non  sapevano,  impedivano  gli 
altri.  Volevano  i  rematori  mandar  la  nave  alla  banda,'  e 
sommergerla:  ma  non  fnron  d'accordo  subito,  e  gli  altri 
col  far  forza  in  contrario,  fnr  cagione  che  la  caduta  in  mare 
fu  più  dolce.  Aceronia,  che,  ginocando  a  rovescio,*  gridava 
<K  sé  esser  Agrippina,  aiutassesi  la  madre  del  principe,  »  con 
bastoni  e  remi,  e  ciocché  venne  alle  mani  fu  morta»  Agrip- 
pina cheta,  però  men  conosciuta,  pur  fu  fedita  in  una  spalla. 
Notando,  s' avvenne  a.  un  battello,  e  fu  |)ortata  al  lago  La- 
crino  in  villa  sua. 

YL  Ivi  riandava,  ce  che  perciò  era  stata  invitata  da  quella 
lettera  traditora  e  più  del  solito  onorata;  la  nave  a  proda, 
non  per  vento  né  scoglio,  di  sopra,  come  terrestre  machi- 
na, esser  caduta:  ^  Aceronia  essere  stata  uccisa;  lei  ferita:  » 

*  getto.  11  postillatore  dell'esemplare  Nestiano  ài  G.  Capponi  comt^ 
tetto:  e  per  vero  le  comuai  edisioni  leggono  teeti  parietibus.  Ma  il  cod.  Mediceo 
ha  Uctij  e  certo  questa  lesione  ha  seguito  il  Nostro,  dando  a  getto  il  senso  di 
ripiano  da  gittarvisi  a  giacere.  Getto  chiamasi  in  Toscana  la  spianata  dinansi 
la  casa ,  massime  quand'  è  fatta  di  smalto^  che  dicesi  anche  batluio, 

'  ordine^  accordo,  convenzione,  segreta  disposiaione. 
'  alia  banda.  Lat.  :  «  unum  in  lattu  inclinare,  « 

*  giuocando  a  rovescio:  perchè  dicendo  se  essere  Agrippina  ,  credeva  che 
dovessero  salvarla. 

'  Valeriani:  «che  presso  al  lido,  non  agitaU  da  Tenti  i  non  spinta  agli 
scogli,  rovinò  la  nave  dall*  alto,  quale  terrestre  edifiaio.  i» 


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IL  LIBBO  QOiCTTOlDICISaHO  DBOU  ANIULI.  337 

e  attro  rimedio  a  questi  lacci  non  vedendo,  che  ìnitagerBi  di 
non  li  conoscere,  mandò  a  dire  al  figliuolo  per  Agerino  suo 
liberto,  «  che  per  grazia  degl'iddii  e  fortuna  di  lui,  era  scam- 
pata di  gran  perìcolo.  Non  yenisse  per  questo  travaglio  per 
allora  a  vederla;  si  volea  riposare;  »  e  mostrandosi  tutta  sica* 
ra,  attese  a  mecfiear  la  ferita  e  ristorarsi.  Fece  trovar  il 
testamento  d'Aceronia,  e  suggellar  le  sue  robe;  ciò  solo 
sema  fingere. 

VII.  Nerone,  che  novelle  aspettava  dell' affondamento, 
l'ebbe  dello  scandio  con  poca  ferita,  e  che  il  caso  era  pas- 
sata in  guisa  che  V  autore  era  chiaro.  Basi  di  paura,'  gri- 
dando «  ohe  ella  verrebbe  subito  a  vendicarsi,  armare  schia- 
vi, accender  soldati,  chiamar  il  senato,  il  popolo,  gridar  del 
naufragio,  della  ferita,  de' morti  amici:  che  rimedio  avreb- 
be? se  già  Burro  e  Seneca  non  s'aggnzassono  un  poco;  »  '  per 
cui  tosto  mandò;  e  forse  prima  il  sapeano.  Stettero  un  pezo 
mutoli,  per  non  lo  consigliare  in  vano,  vedendo  il  caso  in 
leimine  che,  se  Agrippina  non  era  vinta  della  mano,'  Ne- 
rone era  spacciato.  Dipoi  Seneca,  prima  risoluto,  guardò 
Burro  in  viso,  quasi  domandandolo,  «  se  dovea  mandarsi 
soldati  a  finirìa?  »  Rispose:  «  I  pretoriani  aver  obblighi  a  tutta 
la  casa  de' Cesari,  e  memoria  di  Germanico:  non  ardireb- 
bon  toccare  il  suo  sangue:  finissela  Aniceto,  che  vi  avea 
messo  mano.  »  —  «  Lasciate  fare  a  me,  v  <ysse  egli ^  inconta- 
nente. A  questa  voce  Nerone  sclamò:  «  Oggi  da  te,  o  li- 
berto mio,  riconosco  T imperio:  corri  con  arditissimi,  e  fa 
r  effetto.  »  Egli  udito  che  Agerino  messaggio  d'Agrippina 
era  giunto,  gh  ordì  subitamente  un  atto  da  scena:  mentre 
spoaeva,  gli  lasciò  cadere  tra' piedi  un  pugnale.  Allora,  quasi 
coito  in  peccato,  il  fé'  legare,  come  mandato  dalla  madre  a 
uccider  il  principe;  per  poter  dar  voce  che  ella,  per  vergogna 
della  cosa  scoperta,  si  fosse  ammazata. 

YIII.  Intanto  si  sparse  come  Agrippina  aveva  corso  pe- 

*  Basì  ài  panra,  venne  meno  per  paara. 

3  non  s*aggiUMStono  un  poco,  non  s* ingegnassero,  non  mettessero  nn 
po'  a  partito  il  cervello  per  trovare  «n  qualche  ordine  o  spediente  in  ({uesto  iaei- 
broglio.  Il  lat.  ;  «  nisi  qttìd  Burrus  et  Seneca  expergiscerenttir.  «* 

'  ae....  non  era  vinta  deità  mano,  se  non  fosse  stata  piCTennta. 

*  eglit  Aniceto. 

I.  29 


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338  It  UBIO  QOATTOUHCBStHO  DBQU  ANMAU. 

rìcolo  per  fortana:  corre  oga'uno  al  mare;  chi  monta  io  so'i 
molo,  chi  in  ta  le  barche:  altri  gnaza  quanto  dtre  può,  al- 
tri si  spenzola  o  sporge  le  mani:  empiesi  ciò  eh'  è>  ^  dì  la* 
menti,  boci,  grida;  domande  vane,  risposte  dabbie:  accorre 
con  lami  gran  popolo.  E  qvando  fa  inteso  il  suo  scampo, 
pignorano  innanzi  per  rallegrarsi;  sino  a  che  non  furono  mi- 
nacciati e  scacciati  da  genie  armala.  Aniceto  accerchia  di 
soldati  la  villa  e,  spezata  la  porta,  piglia  quanti  servi  riscon- 
tra. Giunto  alla  camera,  i  servi  s' eran  quasi  tutti  fuggiti  per 
lo  fracasso.  Dentro  era  un  lamiciBO  e  una  serv^ite,  e  Agrip- 
pina sempre  più  sbigottita,  non  vedimdo  Agerìno  nò  altri 
tornare  dal  figliuolo;  la  ripa  spazata,  non  gremita  come  pri- 
ma, strepiti  repentini  e  segai  d' ultiilM)  m«de.  Andandosene 
la  servente,  «  Anche  tu»  i»  disse  «  m' aUnudoni?  n  Vide  Ani* 
ceto  in  mezo  a  Erculeo  capitano  di  galee,  e  Oloarito  centu- 
rione deir  armata,  e  disse:  «  Se  vieni  a  vedermi,  digli  ch'io 
mi  son  riavuta;  se  ad  uccidermi,  non  credo  che  il  mio 
figliuolo  il  ti  abbia  commesso,  »  Accostatisi  al  Iettò,  Erculeo 
prima  le  dio  d' un  bastone  in  S9 1  capo.  Perochò  al  centu- 
rione, che  impugnava  la  spada,  avea  porto  il  ventre»  gri- 
dando, «  Qui  ferisci:  »  e  di  moUe  ferite  mori. 

IX.  Queste  cose  scrivono  tutti.  Che  Nerone  la  vedesse 
moria,  e  sua  belleza  lodasse,  chi  sì  chi  no.  Fu  arsa  la  stessa 
notte  in  letto  da  me»sa  con  povere  esequie; senza  sepolcro, 
mentre  Nerone  visse.  Poi  le  ne  fecero  i  suoi  di  casa  un  pìc- 
colo, limgo  la  vìa  di  Miseno,  e  la  villa  di  Cesare  dettatore 
altissima  che  guarda  i  golfi.  Mnestero  liberto  le  accese  il 
rogo,  e  si  passò  fuor  foore;  se  per  amor  della  padrona 
o  per  paura  di  se»  non  è  certo.  Agrippina  aveva  molti  anni 
prima  inteso,  ma  non  atteso  $  questo  suo  fine;  domandò  i 
caldei  della  ventura  di  Nerone,  e  dissero  eh'ei  mtebhe 
imperadore  e  ammazerebbe  sua  madre.  «  Ammaztla,  disse, 
purch'  ei  sia.  » 

X.  Ma  Cesare  al  fine  conobbe  la  grande  scellerateza, 
fatta  eh'  ei  V  ebbe.  Stette  lo  rimagnente  di  quella  notte  affi- 
sato '  e  mutolo;  spesso  si  rizava  spaventato  e,  sbalordito, 

*  ciò  eh' è.  I«at.  :  «  omnis  oraj  »  tutto  il  lid«. 
S  affisate j  col  guardo  attonito. 


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IL  UBIO  aOATTdlDIGBSniO  DEGLI  ANIfALI.  339 

aspettata  eoB  la  iace  età  giorno  la  sua  rovina.  I  prbni  a  rin- 
coraita  finon  cerjj  eentarioni  e  trilmit  mandatigli  da  Barro 
a  baciari^  la  mano  e  rafl^r arsì  eh'  ei  fass^  scampato  dal 
tradiaienfto  BOn  mai  aspettato  di  sua  madre.  Corsero  poi  gli 
amiei  a'  temiw;  e  dietro  a  loro  le  vicine  città  di  Terra  dì  la- 
voro nostraron  con  sagHfici  e  ambascerie  allegiexa-  Esso  al 
o(«itrarìo  si  faceva  mesto  e  quasi  dolente  del  proprio  scam- 
po, e  pii^neva  la  madre  sua,  £  perchè  ì  luoghi  non  si  met- 
ton  la  maachera  come  gli  nomini ,  non  potea  veder  qnel 
mave»  que'  siti:  e  akani  credevano  uscir  suoni  di  trombe 
da'eoUì  vicini,  e  pianti  dalla  sepoltura  delia  madre.  Se  n'andò 
a  NapoU,  e  scrisse  al  senato: 

XI.  «  Bastai  trovato  cmi  V  arme  Agerino  Uberto  prin- 
eìpide  d'Agrippma  mandato  a  ucciderlo:  lei  se  stessa  per 
rimofso  ài  coseiania  punitasi  per  la  sceleraleza  ordinata.  » 
Aggiunse  peccati  vecchi:  «  Sperato  farseli  compagna:  giu- 
rarsele nbbiditeza  da' pretoriani:  dal  senato  e  dal  popolo  il 
medeamo  viliipero:  fallitole  ogni  disegno,  aver  tempestato 
lui  a  levar  a'  soldati  i  donativi,  alla  plebe  le  mance,  rovinare 
i  gnmdi,  nimicarsi  ogn'uno.  Quanta  fatica  essere  stata  a 
tenerla  di  non  enitear  in  senato,  non  risponder  allì  ambasciar 
d<m7  ]>  Per  fianco  biasimò  i  tempi  di  Claudio,  ogni  male  ap* 
ponendo  aUa  madre,  estinta  (diceva  egli)  per  ventura  pub- 
Uica;  contando  quel  nauiragio  come  egli  andò:  e  chi  sarebbe 
stato  biondo,*  che  l'avesse  creduto  accaso?  o  che  una  donna 
ripeaeaia  mandasse  con  V  arme  un  solo  a  romper  le  guardie 
e  r  armate  dello  imperadore?  Levavansì  adunque  i  pezi,' 
n<Mt  dì  Nerone  già  spacciato  per  mostro  infame,  ma  di  Se- 
neca, che  scrivesse  in  quefla  lettera  la  confessione  del  pec- 
cato. 

XII.  Con  tutto  ciò  que' principali,  con  gare  stupende,  or- 
dinavano adorazione  a  tutti  gli  altari;  e  che  ogn'  anno  si  fe- 
steggiassero i  cinque  di,'  quando  fa  scoperto  il  tradimento: 
ponessesi  in  senato  una  statua  d'oro  a  Minerva,  accantole 
una  del  prìncipe:  rìponessesi  il  diche  nacque  Agrippina,  tra 

'  sì  tondo,  Lat.:  «  adeo  hcbesj  m  sì  melfaso,  fi  Bualecatto. 
^  Uvavansù^  i  pe»i,  si  dicevano  vituperii. 
'  i  cinqae  dì,  le  feste  ({uinquatrie. 


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340  IL  LIBBO  QUATrOBDICBSmO  MGtI  ANNIU. 

gli  infelici.  A  questa  adolazione)  Trasea  Peto,  che  all'altre 
aveva  taciuto,  o  passatole  con  poche  parole,  s'asci  di  se- 
nato; rovinò  se,  e  non  fa  agli  altri  principio  di  libertà.  Ap- 
parsero ancora  molti  segni  senza  effetti.  Una  donna  partorì 
nna  serpe;  nn' altra  sotto 'l  marito  mori  di  saetta;  il  sole 
scurò  a  un  tratto  ;  in  tatt'a  quattordici^  le  regioni  di  Roma  cad- 
dero saette.  Cose  avvenute  tanto  senza  cura  degr  iddìi,*  che 
Nerone  continuò  le  scelerateze  e  1*  imperio  molti  anni.  Per 
far  più  odiosa  la  madre,  e  parer,  levata  lei,  più  benigno, 
fece  tornare  alla  patria  Giunia  e  Galpumia  gran  donne,  e 
Valerio  Capitone  e  Licinio  Gabolo  stati  in  governi,  scacciati 
da  lei;  e  ritrovar  le  ceneri  di  Lollia  Paulina,  e  farle  sepol- 
cro. Ad  Iturio  e  Galvisio  dinanzi*  da  lui  confinati  fé'  grazia. 
Silana  tornando  di  lontano  confino,  s' era  morta  a  Taranto 
consolata,  vedendo  già  cadene,  o  placarsi  Agrippina,  la  eoi 
nimicizia  fu  la  rovina  sua. 

XIII.  Trattenendosi  per  le  castella  di  Terra  di  lavoro 
confuso  di  come  s' entrare  in  Roma,  se  dovesse  richieder 
rincontro  del  senato  o  V  applàuso  della  plebe;  i  (hù  sciagu- 
rati, de'  quali  quella  corte  n'  era  la  più  fornita  del  mondo, 
dicevano  «  Che  il  nome  d'Agrippina  era  odiato,  e  perla 
morte  di  lei,  racceso  l'amor  del  popolo  verso  lui;  andasse 
sicuro ,  eh'  e'  si  vedrebbe  adorare.  »  Pregante  a  mettersi  in 
via,  e  trovano  più  pronteza  che  non  avean  promesso.  Ven- 
nero le  tribù;  il  senato  in  vesti  allegre,  schiere  di  \ionnee 
fanciulli  ordinate  secondo  l'età  e  sesso;  latti  gradi,  per  ve- 
derlo passare  come  a'  trionfi.  Quindi  insuperbito,  e  detta  pah- 
blica  servitù  trionfante,  andò  in  campidoglio  a  ringraziare: 
e  si  tuflò  in  tutte  le  libidini,  rattenote  per  un  poco  da  qual- 
che rispetto  a  quella  madre. 


*  in  tutt'  a  quaUordicij  in  tatti  e  quattordici  :  dove  la  coDgianiione 
pleonastica  e  (se  pur  noa  s*ha  da  dire  piuttosto  un  articolo,  invece  d^  ij  »  in 
tutti  i  quattordici  »  )  scambiasi  in  a  nella  pronuncia  popolare. 

>  sen»a  cura  degf  iddii.  Qoi  come  altroTe  (dice  il  Lipsio)  Tacito  la  b 
da  epicureo  miscredente.  Ma  altri  lo  scusa  aver  egli  voluto  dire  solamente  che 
con  qne'  segni  non  volle  il  cielo  presagire  funeste  cosea  Nerone. 

3  dinanzi.  Il  postillatore  dell'esemplare  Hestiano  di  G.  Capponi  mal  cor- 
regge diansi. 


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IL  UBftO  OaATTOBDIGBSIMO  DEGLI  AKNAU»  341 

XIV.  Avea  umore  antico  ^  di  correre  in  sa  le  carrette, 
e  Bon  men  bruttamente,  cenando,  cantare  sulla  cetera  a  uso 
di  giocolare.  Diceva  essere  ciò  usato  da' re  antichi  e  duci, 
lodato  da' poeti,  e  onoratone  griddii:  la  musica  consagrata 
ad  Apollo:  e  questo  gran  dio  e  oracolo,  non  pure  nelle  gre* 
che  città,  ma  ne' tempii  di  Roma  vedersi  ceteratore.  Parve 
a  Burro  e  Seneca,  non  potendo  medicarlo  delle  due  pazie, 
lasciargliene  una.  Fecesi  in  Vaticano'  un  chiuso,  dove  egli  fa* 
cesse  c<»Tere  i  cavalli  ritirato.  Poscia  vi  fu  chiamato  il  po- 
polo romano  che  lo  alzava  al  cielo,  essendo  de'  piaceri  vago, 
0  pazo  se  il  prìncipe  ve  l'invita.  £  dove  pensarono  con 
quella  indegnità  a  pien  popolo  fiBimeli  uscir  l' ai^tito,  Tagu- 
zarono;  e  parendogli  nettar  se,  imbrattando  altrui,  indusse 
molti  nobili  scaduti  a  far  lo  strione  a  prezo.  Son  morti  e  non 
li  nomino,  per  non  disonorar  le  famiglie,  perchè  Tonta  fu 
sua  pure;  che  doveva  più  tosto  pagargli  acciò  non  facesser 
bruttura:  perchè  indusse  ancora  de'  primi  cavalieri  romani 
a  combattere  neU'  anflteatro  con  gran  donativi.  Ma  questi 
importano  necessità  d' ubbidire,  quando  veng^o  da  chi  può 
comandare. 

XV.  £  per  non  si  vituperare  afilaitto,  giocando  ancora  nel 
teatro  pubblico,  trovò  la  nuova  festa  detta  giovanile,^  ove  si 
scrisse  gran  numero.  £sser  nobile,  vecchio,  aver  avuto  ma- 
gistrato, non  frenava  alcuno  dall'  usare  l' arte  degli  strìoni 
greci  o  latini,  insìno  agli  atteggiamenti  e  gesti  non  da  uo- 
mo: anzi  le  gentildonne  ancora  studiavano  in  laideze.  £  nella 
selva  che  Agusto  piantò  intorno  al  lago  navale,*  fece  rizar  ca- 

'  umore  antìeo^  anUea  incIÌBacione. 

3  in  Vaiictino.  Lat.  :  •  valle  Vaticana.»  Il  CzmnTi,  Indicazione  »  p.306  : 
«•  Nella  valle  che  esiste  tra  l'estremità  settentrionale  del  Gianicolo  e  del  colle  Va- 
ticano, benché  per  la  immensa  fabbrica  della  basilica  di  san  Pietro  ivi  eretta  non 
sia  lìmaato  alcuno  a?an*o  di  antico  fabbricato,  ai  hmno  però  bastanti  indisi  per 
riconoscere  T  antica  ailuaiione  del  Circo  di  Caligola  e  di  Nerone  che  stava  collo- 
cato in  quel  medesimo  luogo.  Imperocché  fu  ivi  ritrovato  l'obelisco  che  Caligola 
fece  venire  dall'Egitto  per  l'adornamento  della  spina  di  tale  Circo,  il  quale  lu 
quindi  trasportato,  «otto  il  pontificato  di  Sisto  V,  nel  meato  della  piaiaa  di 
san  PiaUo.  » 

'  festa.».,  giovanile  o  giovenale,  era  una  festa  di  famiglia  che  facevasi 
quando  il  giovane  radevasi  la  prima  barba.  Nerone  la  rese  pubblica,  e  la  prima 
barba  che  gli  cadde  sotto  il  rasoio ,  ripose  in  scatola  d' oro  ! 

*  lago  navale  presso  il  Tevere.  Vedi  lib.  XII,  56. 


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342  IL  LIBRO  QUATTOEDICB0IIIO  DEGLI  ANHlLt. 

mere  e  taverne,  e  vendere  ricette  da  lassnrìa.  Davansi  per 
cotal  festa  danari;  de'qaali  i  buoni  si  servivano  per  forza,  i 
dissoloti  per  gloria;  onde  crebbero  le  scelerateze  e  V  infamia. 
Né  mai  far  costami  corrotti,  quanto  in  quella  canaglia.  Ap- 
pena con  l'arti  oneste,  non  che  gareggiando  ne'  vizi,  si  man- 
tien  padicizia,  modestia  o  arte  buona.  Egli  all'altimo  venuto 
in  sai  palco,  con  grande  studio  la  lira  accordava  e  la  voce, 
a  lume  di  torchi,  presenti  ancora  una  banda  di  soldati,  cen- 
turioni e  tribuni,  e  Burro  che,  di  ciò  dolente,  pur  lo  lodava. 
Creossi  air«ra  un  numero  di  cavalieri  romani  detti  Agostani. 
Questi  giovani  disposti  e  forti,  chi  v'entrò  per  bizaria  di 
cervello,  chi  sperando  avanzarsi  con  ap[^udere  di  e  notte 
alla  belleza  e  boce  del  principe  cpn  titoli  divini:  erano  grandi 
e  onorati,  quasi  per  gran  virtù. 

XY I.  Per  non  parere  questo  imperadore  solamente  strio- 
ne,  si  diede  ancora  a  far  versi.  Ragunava  poetuzi  novellini: 
metteva  loro  innanzi,*  e  faceva  levare  e  porre,  e  rabberciare 
i  versi  suoi:  e  bensì  paiono,  allo  stile  stentato,  rotto  e  non 
di  vena,  né  d' un  solo.  Udiva  ancora  filosofi  dopo  mangiare, 
che  scoprivano  loro  discordie  bisticciandosi:  nò  mancava  chi 
fra  i  passatempi  del  prìncipe  desiderasse  esser  veduto  con 
volto  e  voce  severa. 

XVII.  In  questo  tempo,  di  piccola  contesa  tra  i  Noce- 
rini  e  i  Pompeiani  asci  mollo  sangue  nella  festa  degli  accol< 
tellanti  che  faceva  Livineio  Regolo,  raso,  come  dissi,  del 
senato.  Imperochè  dalle  insolenze  castellane  vennero  alle 
villanìe,  a' sassi,  all'armi;  e  vinse  la  plebe  pompeiana,  che 
aveva  la  festa  in  casa.  Molti  Nocerìni  furon  portati  in  Roma 
fediti  0  storpiati  o  morii,  e  pianti  da'lor  padri  e  figliuoli.  Il 
principe  rimise  la  causa  al  senato;  esso  a'  consoli:  e  ritornò 
a' padri,  i  quali  vietarono  a' Pompeiani  tal  festa  per  dieci 
anni;  disfecero  lor  compagnie  fatte  fuor  di  legge,  e  sbandi- 
rono Livineio  e  gli  altri  primi  rissanti. 

XYIII.  Fu  raso  del  senato  anche  Podio  Bleso,  accusato 
da'birenesi  d'aver  imbolato  il  tesoro  d'Esculapio,  guastala 

^  metteva  loro  innanzi.  Scuro.  lutendi:  «  Assidevasì  tra  loro,  ed  essi,  i 
versi  gik  composti  o  quivi  improvvisati,  accossavano,  e  le  parole  di  lui^  e 
qua  uscitegli  di  bocca ,  supplivano  per  farne  il  verso.  » 


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IL  LIBBO  QUÀTTOBDICXSmo  DEGÙ  ANNALI.  343 

scelta  de'  soldati  per  danari  e  favorì.  Essi  Girenesi  ancora 
accasavano  Acilio  Strabene  stato  pretore  e  mandato  da 
Claudio  a  giudicare  de' terreni  stati  ab  antico  del  re  Apione/ 
che  gli  lasciò  insieme  col  regno  al  popol  romano,  come  usnr- 
paU  da'  vicini,  che  difendevano  T iniquità  col  possesso  lungo. 
£i  gli  condannò  a  renderli;  e  quinci  fu  Tedio.  Il  senato  disse 
che  non  sapeva  che  commessione  gli  avesse  Claudio  data; 
ricorressero  al  prìncipe,  il  quale  confermò  la  sentenza  di 
Strabene;  ma  per  sovvenire  gli  amici,  ne  fece  lor  grazia. 

XIX.  Morìrono  due  cittadini  chiari  e  potenti  per  sommi 
onori  e  molta  eloquenza.  Domizio  Afro'  famoso  avvocato,  e 
M.  Servilio,'  prìma  avvocato,  poi  scrìttor  nobile  di  storìe  ro- 
mane. Questi  parì  d' ingegno,  di  costumi  diverso,  con  vivere 
splendido  si  fé'  più  chiaro. 

XX.  [A.  di  R.  813,  di  Cr.  60.]  Nel  consolato  quarto  di  Ne- 
rone e  di  Cornelio  Cosso  ordinossi  in  Roma  la  festa  cinquan- 
naie*  simile  alla  greca  olimpia,  e  fu  presa  varìamente,  come 
quasi  ogni  cosa  nuova.  «  Anche  Gn.  Pompeo  (dicevano  al- 
cuni) fu  da'  vecchi  biasimato  d'aver  murato  il  teatro  stabile, 
solendosi  alle  feste  fare  i  gradi  e  la  scena  posticci:  e  più  an- 
ticamente il  popolo  stava  ritto  a  vedere,  perchè  non  si  stes- 
se, sedendo,  a  baloccare  i  giorni  interi.  Nò  anche  osservarsi 
l'antichità,  la  quale  non  forzava  niuno  a  .combattere,  quando 
i  pretori  faceano  i  giuochi.  Ma  delle  usanze^  buone  della  città 
nostra  averne  spento  il  seme  a  poco  a  poco  la  licenza  forestiera: 
vedendocisi  introdotto,  se  nulla  è  al  mondo  da  esser  corrotto 
e  corrompere; 'tralignar  la  gioventù,  frequentando  esercizi 
stranierì,  scuole,  ozi  e  brutti  amorì.  Perchè  il  principe  e  il 
senato  non  solamente  permettono  i  vizi,  ma  li  comandano.  I 
primi  di  Roma  in  vista  di  recitare  prose  e  versi,  dire  alle 

*  Apione:  Tolomeo  Apione,  figlio  naturale  di  Tolomeo  VII. 

>  DomiMìo  Afro,  Vedi  lib.  IV,  6S;  dorè  dice  che  ebbe  miglior  £ima  ii 
eloquente  che  di  onesto.  Vedi  anche  e.  66,  e  Dialog,  \%,  16. 

9  M,  Servilio  Noniano,  console  l'a.  788.  Vedi  lib.  VI,  31.  Diahg.  S3. 
Ne  parla  anche  Qmntiliano  (X,  1, 103),  dicendolo  nomo  di  alto  ingegno,  copioso 
di  fentense,  ma  meno  conciso  che  a  storico  non  si  convenga. 

*  cinqrtannale,  Svetonio  in  Ner.  e.  12  :  •  Egli  fu  il  primo  che  ordinò , 
che  ogni  cinque  anni  in  Roma  si  celebrassero ,  secondo  il  costarne  greco,  tre  ga- 
reggiamenti; uno  di  musici,  l'altro  d* nomini  ignudi  per  saltare,  correre  e  lotta- 
re ,  ed  il  Urto  d' nomini  a  cavillo,  e  chiamò  le  preditte  ftste  Neroniane*  » 


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344  IL  UBIO  OOATTOlDnXfflllD  DSfiU  AHMALI. 

commedie:  *  che  altro  mancare»  che  spogliarsi  mettersi  i 
guanti  del  piombo  9'  e  fare  alle  pogna  in  Inogo  di  militar  di- 
8ci|rfina7  farà  forse  Tori  àgnri,  hooni  caTaìieri  l'ndire  squar- 
tar le  voce  '  e  i  nomi  addolcire?  Impiegarsi  anche  le  notti  in 
queste  infamie,  per  non  lasciare  alcon  tempo  alla  modestia, 
compiendo  in  quel  mescuglio  quel  che  da  ogni  reo  nomo 
s'era  il  giorno  agognato.  » 

XXI.  A  molti  cotal  licenia  piaoeTa,  e  la  coprivano  con 
vocaboli  onesti.  «  Non  avere  anche  |^i  antichi  aborrito  i  pia- 
ceri degli  spettacoli,  conformi  a  qne' tempi,  con  istrioni 
diiamati  di  Toscana,  e  sofie  di  cavalli,  da  i  Torli:*  vinte 
TAcaia  e  l'Asia,  essersi  fatti  pia  belli.  Da  dngento  anni  in 
qua,  che  il  trionfo  *  di  L.  liummio  c'introdusse  prima  questi 
spettacoli,  ninno  Romano  nobile  esser  diventato,  per  eserci- 
tarli, non  nobile.  Essersi  ancora,  col  teatro  fermò,  avanzato 
grossa  spesa,  non  avendosi  ogn'anno  a  rifare:  e  se  la  repu- 
blica  stessa  spende  ne'ginodii,  non  impoveriranno  qnei  di 
magistrato,  nò  avri  il  popoto  cagione  di  chieder  loro  le  feste 
«dia  greca.  I  riportati  doni  di  bette  dicerìe  e  versi,  aguze- 
rìeno  gl'ingegni,  e  volentteri  i  giudicatori  ascolterieno  gli 
studi  onesti  e'  passatempi  conceduti.  Per  rallegramento  non 
per  lascivia,  concedersi  in  cinque  anni  poche  notti;  ove,  tra 
tanti  lumi,  che  disonestà  potersi  fare?  »  Veramente  la  festa 
passò  senza  notevole  disonestà  o  risse  di  plebe  parteggian- 
te.  Perchò  i  giocolarì  benchò  renduti*  alle  scene,  non  entra- 
vano ne'  sacri  lodi.  Il  vanto  del  più  beUo  parladore  ninno  ri- 
portò, ma  fu  dato  a  Cesare:  e  gli  abiti  greci,  cominciati  a 
vedersi  in  que'  giorni ,  si  riposero. 

XXII.  Appari  allora  una  cometa,  che  il  volgo  credè  si- 
gmficar  mutamento  di  princi{n.  Onde,  come  Nerone  fmm 

*  dir*  alU  commèdie^  recUare  nelle  commedie. 

*  f  guanti  del  piombo i  cirà,  i  cisti  9  manopole  cbe  uea^aasi  de'pngila* 
tuli. 

S  sqtuwtar  le  voce.  Il  laL  ba:  «  frtteUs  somosj  »  le  nelli  caalileoc.  il 
testo  nel  principio  dà  quarto  perìodo  mm  h  aanos  però  non  chiara  •  pure  la  tra- 
ne. 

^  Turii.  Tttrio  nH  golfo  di  Tatanlo  «orse  presso  le  roiioe  di  Sibari.^ 
S  il  trUnfo  ce.  sopra  gU  Achei  e  i  Corintii,  V  a.  609. 
^  renduti,  perchè  quattro  aoni  ioMBai  eratto  stati  caicciati  d'itaUa. 


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IL  LIBEO  QOATTOUnCSSnfO  DEGÙ  ANNAU.-  345 

caeeiato,  si  ragionava  deUo  scambio.  Celebrava  ogif  imo  fin- 
bellio  Plaoto,  cbe  era  di  casa  giaVa  per  madre:  osservava  i 
costami  antichi:  vestiva  modesto:  viveva  onesto  e  ritirato;  e» 
quanto  più  per  paora  nascondeva  sue  qualità,  più  se  ne  di- 
ceva. AecreUw  il  remore  un  segno  vano  altresì  d'ona  folgo- 
re, la  quale,  mangiando  Nerone  a  Tivoli  all'acque  sìmbrui- 
ne/  laogo  detto  a  Sollago,^  mandò  la  mensa  e  le  vivande 
sotoprà*  £9  perchè  Plauto' traeva  sua  orìgine  quindi,  si  cre- 
deva che  gV  iddii  il  volessero.  E  favorìvanlo  molti  per  lo 
avido  e  fallace  aspirare  alle  novità  perìglióse.  Nerone  da  tali 
eoBe  conunosso,  scrìsse  a  Plauto,  che  per  fuggire  scandoU 
del  popolaccio,  che  a  torto  lo  carìcava,  si  causasse  in  Asia  a 
godervi,  ne'  suoi  beni  antichi,  in  pace  e  sicuro,  la  sua  gio- 
ventù. E  cosi  fece,  con  la  mo^Ue«  Antistia  e  poca  fami- 
glia* In  que'giorm  la  troppa  delizia  portò  biasimo  e  peri- 
colo a  Nerime.  Essendosi  bagnato  nella  fonte  dell'acqua 
mArzia,'  condotta  in  Roma,  parve  col  notarvi  e  lavarsi  tutto  '1 
corpo,  aver  contaminato  lo  sagro  beveraggio  e  la  religione  del 
luogo;  e  confermoUo  una  malattia  di  perìcolo,  eh* e'  ne  cavò.^ 
XXIII.  Corbnlone,  spiantata  Artassata,*  si  voltò  a  pi- 
gliare con  lo  spavento  fresco,  Tigranocerta,  per  più  impau- 
rire i  nimici,  disfacewiola;  o,  perdonandole,  nome  acquietar 
di  clemente:  andarvi  senza  farle  Tesercito  danno  alcuno, 
per  non  tórre  la  speranza  del  perdono;  stando  però  in  su  le 
sue,^  sapendo  la  vidtabil  gente  che  ell'è;  a' perìcoli  tarda;  ve- 
dendo il  bello,  traditora.  I  barì)arì,  secondo  le  nature,  o  si- 
arresero  o  dileguarono,  o  nascosero  in  caverne  con  loro  cose 
più  caré.  Co'  prìmi  fu  Ck>rbulone  benigno;  contro  i  secondi 
v^oce;  con  gli  altri  crudele:  con  fascine  e  stipa  gli  turò  e 
arse  là  entro.  Passando  da' confini  loro,  i  Mardi;^  usati  a  ru- 

<  simbrtiine,  Vedir  XI,  13,  e  Plinio  H.  N.  Ili,  3. 
3  Sollago,  SabLiaco. 

'  acgua  marzia,  condotta  nel  Campidoglio  dal  pretore  Q.  Marzio  Rege: 
se  ut  TCdono  ane'  oggi  gli  arami  presso  la  porta  di  S.  Lorenzo. 
*  JrUiitaU.  Vedi  XIII,  41. 

5  stando  però  in  su  le  sue,  non  rallentando  però  la  diligenza.  Lat.  :  «  ncque 
tamen  remissa  cura.  *»  Oggi  stare  in  sulle  sue  pigliasi  per  badare  a  se  e  con' 
servare  la  propria  dignità  e  decora. 

6  Mardi,  tra  l' Bussino  e  il  Caspio. 


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346  IL  LIBftO  QOATTOBDICmilfO  DMU  AMIIàU. 

bare  e  salvarsi  ne'  monti  quando  son  rincaoctatiy  Corbolone 
mandò  Iberì  a  sconGggerli;  e  0OÌ  sangue  fotestiero  vendicò 
lo  nimico  ardimento. 

XXIV.  Ninno  danno  pativa  egli  né  l'esercito  per  batta- 
glie) ma  per  carestia  e  fiitiehe;  stanandosi  di  carne  di  peoo* 
re:  carestia  d'acqaa,  state  aidente,  viaggi  Innghi:  eonsola*- 
vall  la  sola  tolteransa  del  capitano,  maggiore  che  di  qnalan- 
qoe  fantaccino.  Vennesi  in  paese  dimesticòy^e  si  mìelò  dette 
biade.  De'  due  castelli  ove  s'eran  tifoggiti  gli  AnncAii,  l'imo 
al  primo  assalto,  l'altro  che  '1  sostenne,  s'Md>e  per  assedio. 
Quindi  passò  ne'  Tanranti,^  ove  corse  pericolo  non  aspettato 
d'an  barbaro  non  ignobile,  trovato  poco  ftiori  del  soo  padi- 
glione con  arme;  e  confessò  per  tormenU  l'onTiae  del  soo 
tradimento  e  i  compagni  o  quelli  che  come  amici  lo  condii- 
covano;  che  fnron  convinti  a  paniti.  Yemiefo  poco  a  presso 
ambasciadori  da  Tigmnocerta,  che  gli  apriva  le  porte  e  il 
popolo  era  pronto  a  «bbidire;  e  pfesentanmgli  ma  corona 
d'oro,  quasi  a  baono  ospite:  ei  l'acculò  ccm  parole  onorate: 
atta  città  nulla  mutò;  perch' e' jervissono  pie  volentteri 

XXY.  Bla  la  forteza  fu  difesa  da  fiem  gioventù  per  lo 
re,  innanzi  aHe  mura,  e  poi  dentro  a' ripari  Finalmenfe 
cede  alla  forza*  Succedevano  queste  cose  {^  agevolmente, 
per  essere  i  Patti  impacciati  netta  guerra  con  gì'  Ircani  che 
avevano  mandato  al  principe  romane  a  dnedere  lega:  van-^ 
tandosi  per  segno  d'ainicizia  di  tener  Yologeae  in^pedilo.  Al 
ritorno  loro  Gorbulone,  acciò  non  fossero,  passato  ì'  ikifrate, 
presi  dalle  guardie  de'nimici^  li  fece  beneaeeimipagna[ti  con» 
darre  al  mar  rosso,  per  lo  quale,  sfoggiti  li  paesi  de'  Parti, 
a  casa  se  ne  tornarono. 

XXYI.  Sforzò  ancora  Tirìdate,  che,  avnto  il  passo  per 
laMedia,  entrava  nell'ultima  Armenia,  mandatovi  Yerulano 
legato  con  gli  aiuti,  é  corsovi  esso  tqn  le  legioni,  a  ritirarsi 
e  torsi  giù  dall'  impresa.  £  mettendo  a  ferro  e  fuoco  qualun- 
que aveva  veduto  inglìarla  per  lo  re,^  s' impadroniva  del- 
l'Armenia: quando  vi  compari  T^grane  eletto  re  da  Nerone; 
de' nobili  di  Gappadocia;  nipote  del  re  Archelao,  ma  per  lo 

*  Tatiranti  o  Tauranniti ,  presso  Tigranocerta.  Non  sonrioorcbii  da  altri. 

*  pigliarla  per  lo  re,  pigliare  le  difase  del  re. 


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IL  UBftO  QUATTOBDICESIHO  IHSaLI  ANNALI.  347 

essere  tanto  staio  in  Roma  ostaggio,  pnsillaiiiine,  come  schia^ 
vo.  Né  r accettarono  tatti,  datando  in  atcnni  F  amore  agM 
Arsacidi.  Ma  i  più  odiando  la  saperda  de' Parti,  volevano 
anzi  re  dato  da'  Romani.  Gli  fa  dato  per  guardia  mifie  sol- 
dati di  legione,  tre  compagnie  d'ainti,  e  doe  bande  di  ca- 
valli; e  per  sicureza  del  noovo  regno  fu  ordinato,  che  parte 
dell'Armenia  obbidìBse  a'  Trascipoli,  Aristobolo  e  Antioco, 
secondo  che  con  loro,  confinava:  e  Corbnlone  se  n'andò  In 
Soria,  datagli  in  governo  per  la  morte  di  Yinidio. 

XXYIL  In  qneU'anno  Laodkea,  grossa  dttà  dell'Asia, 
rovinò  per  tremooti,  e  si  rifece  co'l  sao,'  senza  nostrs 
aiuto.  In  Italia  Poznolo',  terra  antica,  fa  rifatta  colonia,  e  da 
Nerone  rinominata:  a  Taranto  e  Anzio  assegnati  soldati  vee** 
chi;  ma  non  però  le  popolarono,  tornandosene  molti  nelle 
Provincie  dove  avevano  militato;  gli  altri  non  osati  a  mari- 
taggi e  allevar  figliuoli,  spegnevano  lor  famigfie.  Perchè 
non  n  rifornivano  a  legioni  intere  co'  lor  tribuni,  centurioni 
e  ordini,  come  già,  per  fare  unita  e  caritevole  comunanza: 
ma  alla  spicciolata,  di  compagnie  varie,  senza  capo,  senza 
conoscersi  né  amarsi,  quasi  d'un  altro  mondo  raccogliticcia 
m(rfiitttdine,  anzi  che  colonia. 

XXYIII.  La  creazione  de' pretori  al  senato  toccava: 
ma  per  la  rèssa  '  de'  chieditorì,  il  principe  ne  contentò  tre, 
che  passavano  il  numero ,  facendoli  capi  di  tre  legioni.  Un 
altro  onor  fece  a'  padri ,  che  chi  da  privato  giudice  appellasse 
al  senato,  (a  che  non  era  pena)  soggiacesse,  perdendo,  a 
quella  di  chi  appella  all'  imperadore.  Nel  fine  dell'  anno  Vi- 
bio  Secondo  cavaliere,  accusato  da' Mori  di  governo  iniquo, 
fu  cacciato  d' Italia  per  minor  pena,  per  favori  di  Yilno  Cri- 
spo  suo  fratello. 

XXIX.  [A.  di  R.  814,  di  Cr.  61.]  Nel  consolato  di  Ceso- 
nio  Peto  e  Petronio  Turpiliane  s' ebbe  grande  sconfitta  in 
Brìtannia,  ove  Avito  legato  non  aveva  fatto  altro  che  man- 
tener l' acquistato.  Yorauiio  suo  successore  alquanto  scorso; 
saccheggiato  i  Siluri,  e  per  norie  impedito  di  più  avanzarsi, 

*  eo  *l  suo,  Lat.t  «  propriis  òpibus.  » 
,  s  réssaj  dicesi  anche  pi^Uia  o  calca,  a  significare  Importuna  istanta  per 
ottenere  alcuna  cosa. 

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348  n.  LiBBo  quattohugesdio  dbqli  annali. 

fa  tesato  molto  severo:  nel  testamento  si  chiari  vano  col  di^ 
re,  dopo  molto  adular  Nerone,  che  s'egli  vivea  dae  anni, 
gli  soggiogava  tatto  «{oeUe  contrade.  Etbyì  allora  Svetonio 
Paaliao»  che  per  saper  di  guerra»  e  grido  del  popolo,  che 
niano  lascia  senza  paragonarlo,^  competeva  c<m  Gorbnlone. 
Lo  cai  onore, della  ripresa  Armenia  desiando  di  pareggiare 
col  domar  qoe' ribelli,  deliberò  d'assaltare  V i8<da  di  Mona' 
possente  di  popolo,  e  ricetto  de'  ribellati*  I  oavilii  fabbricò 
piatii  per  quelle  coste  di  poeo  fondo  e  non  fermo.  Con  essi 
passò  i  pedoni;  seguitanmli  i  cavalieri  a  guazo,  o  per  li  fondi 
annoto, 

^\1L  Slavano  i  nùnid  in  sa  '1  tifo  annali  e  stretti.  Tra 
essi  correvano  femmine  scapigliate  con  vesti  nere  e  facelle 
in  mano  come  fané.  E  i  druidi,  loro  aaoerdoti,  con  le  mani 
al  delo  ci  pregavano  cose  orrende;  e  tanto  la  nuova  vista 
sti^fece  i  soldati,  che  stavan  fermi  come  statue  a  lasciarsi 
ferire.  Ma  confortati  dal  capitano,  e  stimolatisi  tra  loro  a  non 
aver  paura  di  d<mne  e  di  paai,  danno  dentro,  e  gV  incon- 
tranti abbattono  e  rinvolgono  nelle  lor  fiamme.  Ne'  borghi 
furon  poste.  |e. guardaci  «.tagliati  i  boschetti  sagrati  a  loro  di- 
vozioni orride,  ove  gli  altari  incensavano  col  sangue  de' pri- 
gioni, e  dalle  umane  viscere  indovinavano  de' casi  propri. 
Facendo  queste  cose  Svetonio,  ebbe  avviso  che  la  provincia 
s' era  in  un  subito  ribellata^ 

XXXI.  Prasatago,  re  delli  Iceni,^  di  Carnosa  riccheza  la- 
sciò erede  due  sue  figliuole,  e  Cesare  per  metà:  pensando 
che  tal  cortesia  facesse  riguardare  il  regno  e  la  sua  casa. 
S' appose  male:  i  centurioni  gli  saccheggiarono  il  regno,  e 
KU  schiavi  la  casa  come  lor  preda.  Bondicea  sua  moglie  fu 
bastonata:  le  figliuole  sforzate:  i  principali  Iceni  (come  il  la- 
scio comprendesse  tutto  '1  paese)  spogliati  de'  lor  beni  anti- 
chi: i  parenti  del  re  messi  tra  gli  sciùavL  Per  cpiesti  oltraggi, 
e  paura  di  peggio  (essendo  divenuti  come  vassalli)  danno 
all'  arme:  fanno  ribellare  i  Trinobantì:  altri  non  usati  a  i 


*  che  niuno  lascia  senta  paragonarlo j  sensa  metterlo  a  paragoDe  con 
alcuno;  senza  mettergli  accanto  un  emulo,  un  competitore. 
8  Mona^  oggi  JngUsey,  Vedi  Vii.  Agr.  e.  18. 
»  /ceni.  Vedi  libi  X»,3i. 


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IL  LIBIO  QUATT0EDICB8IM0  DBGU  AllNALI.  340 

vire  COTigiarano  di  ripigliare  la  libertà,  odiando  a  morte  i 
veterani  messi  nUimamente  nella  colonia  di  Camalodano, 
che  li  caccìavon  di  casa  e  de' poderi,  dicendoli  lor  prigioni 
e  schiavi;  e  amavano  i  soldati  la  loro  insolenza,  per  la  so- 
miglianza de'  costumi  e  speranza  della  medesima  licenza. 
Avevano  anche  in  su  gli  occhi  il  tempio  a  Claudio  fatto  per 
arra  d'eterna  servitù,  e  i  sacerdoti  sotto  spezie  di  religione 
si  divoravano  tutte  le  facoltadi.  Né  pareva  molta  fatica  ab- 
battere quella  colonia  niente  fortificata ,  per  aver  più  atteso 
i  nostri  capitani  a  farla  amena  che  utile. 

XXXIL  La  statua  della  Vittoria  cadutavi  ^  senza  veder 
cagione,  con  le  spalle  voltate,  quasi  cedesse  ai  nìmici:  donne 
infuriate  che  gridavano  finimondo;  fremiti  forestieri  uditi  nel 
lor  senato;  rimbombi  d'urla  nel  teatro;  un'ombra  apparila 
nel  fiume  Tamigi;  figure  di  corpi  umani  lasciatevi  dal  reflus> 
so;  e  già  l'oceano  che  parea  sanguinoso;  tutti  eran  segni 
che  la  colonia  era  spacciata,  e  davano  speranza  a'  Britanni, 
e  spavento  a' coloni,  i  quali,  perchè  Svetonio  era  lontano, 
chiederon  soccorso  a  Cato  Deciano  proccuratore.  Mandò  loro 
non  più  che  dugento,  e  male  armati:  eran  vi  pochi  soldati, 
avendo  fede  che  quel  tempio  si  difenderebbe.  In  corpo  ave- 
vano congiurati  occulti  che  guastavano  i  lor  consigli:  e  non 
avendo  tirato  fosso  né  steccato;  non  mandato  fuori  i  disuti- 
li, e  ritenuta  sola  la  gioventù;  non  pensato  a  nulla,  come 
fessone  nella  pace  a  gola,'  moltitudine  di  barbari  gli  circon- 
dò; e  tutto  a  furia  rubò,  arse  e  assediò,  e  in  due  di  prese  il 
tempio,  ove  s' eran  ristretti:  affrontò  vittoriosa  PetilioGeriale 
legato  della  legion  nona,  che  veniva  al  soccorso;  ruppe  quella 
legione;  e  i  pedoni  ammazò.  Ceriale  co'  cavalli  si  salvò  e  di- 
fese nel  campo.  Cato  proccuratore,  impaurito  di  questa  rotta, 
e  dal  malissimo  talento  della  provincia  messa  in  guerra  per 
sua  avarizia,  si  foggio  in  Gallia. 

XXXIII.  Ma  Svetonio  con  maravigliosa  fermeza  per 
mezo  i  nimici  passò  a  Londra,  colonia  non  grande ,  ma  grassa 
e  di  gran  traffico  mercantile;  pensando  se  era  bene  piantar 

*  cadtUavìi  cioè,  io  Camaloduno. 

>  nella  pace  a  gola,  in  piena  e  perfetta  pace.  Lai.  :  «  quasi  media  pace 
incauti»  » 

I.  50 


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3S0  IL  LIBRO  QUATTOBDICESIHO  DEGLI  ANNALI. 

qoivi  la  sede  della  guerra.  Consideralo  i  suoi  pochi  soldati , 
la  gran  rolla,  la  temerità  di  Petilio  pur  troppo  costare;*  deli- 
berò, col  danno  d' una  terra,  salvare  il  tutto,  e  senza  udir 
prego  né  pianto,  dette  il  segno  del  partire,  menando  seco 
chi  volle  andare:  le  donne,  1  vecchi,  o  gli  amadorì  del  luogo 
rimasivi,  furon  oppressi  dal  nimico.  La  rovina  medesima  pati 
la  città  di  Yerulamio;  '  perchè  i  barbari,  usciti  de*  castelli  e 
forteze  guardale,  ciò  che  trovono  di  buono  e  mal  difeso,  lieti 
rapiscono  e  portano  in  salvo.  Da  seltantamila  cittadini  e  col- 
legati morirono  ne'  detti  luoghi ,  perchè  quivi  non  si  trattava 
di  prigionie  vendile  o  altro  trafllco  soldatesco;  ferro,  fuoco, 
pali,  croce  che  aspeltavan  da  noi,  si  studiavano  renderci 
quasi  per  anticipata  vendetta. 

XXXIV.  A  Svetonio  avendo  già  in  arme  la  legione 
quattordicesima  co'  vessillari  della  ventesima  e  aiuti  vicini, 
da  diecimila,  non  parve  da  perder  «tempo;  e  s'ordina  alla 
battaglia.  Scelse  luogo  dinanzi  stretto,  e  dietro  chiuso  da  bo- 
scaglia, sicuro  d'agnati;  sapendo  tutti  i  nimici  esser  a  fron- 
te, e  la  campagna  rasa.  Ordinò  la  legione  in  molte  squadre; 
i  leggieri  armati  d' intorno;  i  cavalli  alle  bande.  L'  esercito 
britanno,  sparso  per  caterve  e  frolle  di  cavalli,  braveg- 
giava più  numeroso  che  mai,  e  si  fiero  che  menaron  le  donne 
a  veder  la  vittoria  in  carri  che  facevan  corona  a  quella 
pianura. 

XXXV.  Boudicea  in  carrella  con  sue  figliuole  innanzi, 
andava  a  ogni  nazione  dicendo:  «  Solere  in  Britannia  ma- 
neggiar le  guerre  le  donne,  ma  ella  allora  non  venire  a 
difender  quel  regno  e  le  sue  forze,  come  nata  di  tanti  eroi, 
ma  come  una  delle  più  plebee,  a  vendicar  le  sue  bastonate, 
la  perduta  libertà  e  V  onor  tolto  a  quelle  figliuole:  da  che  la 
libidine  romana  era  venuta  a  tale,  che  non  le  campava  ver- 
gini né  vecchie.  Ma  gì'  ìddii  aver  messo  mano  alla  giusta 
vendetta:  taglialo  a  pezi  una  legione  che  ardì  far  testa:  gli 
altri  starsi  serrati  nel  campo,  o  specolare  via  da  fuggirsi: 
non  sopporterieno  ilVomore  e  le  grida,  non  che  l'impeto  e 

*  costare,  esser  costata  cara;  essere  slata  l>en  punita. 

*  Femia  mio,  i  cui  avanci  si  vedono  presso  il  modcroo  S.  Albans  nella 
contea  d*  Herefordshire. 


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IL  LtBEO  QUÀTTOBDICESUIO  DEGÙ  ANNALI.  3oX 

le  mani  di  tante  migliaia.  Quelle,  e  la  tanta  ragione  sforzarli 
a  vincere  o  morire  in  quella  battaglia:  ella  donna  il  farebbe: 
vivansi  gli  uomini,  e  servano.  » 

XXXYI.  E  Svetonio  non  taceva  in  tanto  pericolo:  ma, 
se  bene  confidava  nella  virtù,  esortava  e  pregava:  <(  Rides- 
sonsi  delle  minacce  e  del  fracasso  de' barbari;  vedervisi  più 
donne  che  gioventù;  non  guerrieri,  non  armati,  tante  volte 
rotti,  che  la  darieno  a  gambe,*  come  vedessero  i  vincitori 
e  '1  ferro.  Ne'  grossissimi  eserciti  ancora  pochi  esser  quei 
che  rompano  e  sbaraglino;  se  essi  pochi  facessero  da  gros- 
sissimo  esercito,  avrebbono  tanta  più  gloria.  Serrati  sempre, 
e  priina  co' dardi,  poi  con  la  spada  e  rotella,  non  finissero 
d'ammazare:  dimenticassero  il  predare:  e  vincendo,  sarebbe 
loro  ogni  cosa.  »  Vennero  per  le  parole  del  capitano  in  tanto 
ardore,  e  si  bene  s'adattavano  a  lanciare  quei  soldati  vecchi 
di  prova'  in  molti  fatti  d'arme,  che  Svetonio  certo  dell'even- 
to, sonò  a  battaglia. 

XXXYII.  Primieramente  la  legione  senza  muoversi,  e 
della  stretteza  del  luogo  servendosi  per  riparo,  quando  il 
nimico  si  presso  le  fu  che  i  lanciotti  colpivano,  ed  ebbegli 
consumati,  rovinosamente  quasi  conio  lo  fesse;  ^  e  gli  aiuti 
altresì  fecero  ristesse:  la  cavalleria  con  le  lancio  ogni  forte 
incontro  abbattè;  gli  altri  voltaron  le  spalle:  ma  que' carri 
facevan  siepe  alla  fuga,  e  i  soldati  non  risparmiavan  le 
donne:  le  bestie  anche  trafitte  crescevano  i  monti  delle  cor- 
pora.  Gloriosa,  e  pari  all'  antiche,  fu  la  vittoria  di  quel  gior- 
no: non  mancando  chi  dire  *  esservi  morti  de' Britanni  bene 
ottantamila;  di  nostri  da  quattrocento,  e  fediti  poco  più. 
Boudicea  s'avvelenò;  e  Penio  Postumo  maestro  del  campo 
della  legion  seconda,  veduto  il  felice  successo  della  quattor- 
dicesima e  ventesima,  e  aver  tolto  la  medesima  gloria  alla 
sua,  col  disubbidir,  contro  alla  buona  milizia,  al  capitano; 
s' infilzò  nella  spada. 

'  la  darieno  a  gambe,  si  darebbero  a  pronta  fuga. 

'  di  prova,  sperimentati.  » 

'  quasi  conio  lo  fesse.  Politi:  ««  a  gaisa  di  conio  si  serra  tra  loro,  m  Lat.: 
«  quasi  cuneo  erupit,  »*  ^ 

*  chi  dire.  Così  la  Nestiana  e  la  Cominiana.  Il  postillatore  dell'  esemplare 
Nestiano  di  G.  Capponi  corregge  :  «  chi  dice,  m 


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382  IL  UBRO  QUATTORDICBSISO  DEGLI  ÀimALI.      • 

XXXYIII.  L' esercito  fu  rassegnato  e  attendato  per  dar 
Gne  alla  guerra.  E  Cesare  dumila  soldati  di  legione  vi  mandò 
di  Germania,  otto  coorti  d'aiuti  e  mille  cavalli:  i quali  arri- 
vati, la  legion  nona  fu  rifornita  di  legionari.  Fanti  e  cavalli 
messi  in  nuove  guarnigioni,  e  tutti  i  paesani  neutrali  o-ni- 
mici,  messi  a  ferro  e  fuoco.  Ma  il  peggio  loro  era  la  fame, 
essendo  al  seminare  negligenti,  e  corsi  alla  guerra  d' ogni 
età,  fatto  assegnamento  de' nostri  viveri:  e  andava  quella 
gente  bestiale  ancor  più  adagio  alla  pace,  perchè  Giulio 
Glassiciano,  mandato  successore  a  Gato,  e  mal  d'accordo 
con  Svetonio,  guastava  il  ben  pubblico  per  l'odio  privato; 
spargendo  che  aspettassero  a  darsi  al  nuovo  legato,  che  fa- 
rebbe lor  careze,  non  avendo  ira  di  nimico  né  superbia  di 
vincitore:  e  scriveva  a  Roma,  non  s'aspettasse  mai  fine 
della  guerra  alle  mani  di  Svetonio;^  attribuendo  alla  malva- 
gità dì  lui  ogni  male  che  seguiva,  e  ogni  bene  aHa  fortuna 
della  i^epubUca. 

XXXIX.  Laonde  Nerone  mandò  a  riconóscere  lo  stato  di 
Brìtannia  Policleto  ^  liberto  con  grande  speranza  che  l'autorità 
di  costui  potesse  non  pure  unire  il  legato  col  proccuratore,  ma 
co'  barbari  e  ribellati  fermare  una  pace.  Egli  con  gran  gente 
e  aggravio  d'Italia  e  Gallia  passò  il  mare,  terribile  eziandio 
a'  soldati  nostri:  ma  i  nimici  nella  libertade  ancora  ardenti, 
e  non  informati  della  potenza  de'  liberti ,  si  ridevano  che 
quel  capitano  e  quell'esercito  vincitori  di  si  gran  guerra, 
ubbidissero  allì  schiavi.  Fu  nondimeno  riferito  il  tutto  all'im- 
,  peradore  con  più  dolceza.  Avendo  poi  Svetonio  nell' attender 
a  sue  gravi  cure  perduto  certe  poche  navi  con  lor  ciurma  in 
su  '1  lito;  gli  fu  detto  che  consegnasse  l'esercito  (come  se  la 
guerra  durasse)  a  Petronio  Torpiliano  ^  già  uscito  di  consolo. 
Costui  con  lasciare  stare  il  nimico,  ed  esser  lasciato  stare, 
pose  al  suo  vile  ozio  onesto  nome  di  pace. 

XL.  Nel  detto  anno  due  brutte  scelerateze  ardiron  fare 
in  Roma,  un  senatore  e  uno  schiavo.  Era  Domizio  Balbo, 

*  alle  mani  di  Svetonio,  iOtto  il  comando  <3i  Svetonio.  —  La  kltera 
del  testo  dice:  «»  se  non  si  mandasse  un  successore  a  Svetonio.  » 

*  Policleto.  Vedi  Stor.  I,  37;  II,  95. 

»  Petronio.  Vedi  Vii.  Jgr.  16.  Fu  poi  ucciso  da  Gali)».  Stor.  I,  6  t  37, 


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II.   I.IDRO  QUATTORDlGBSIlfO  DEGLI  ANNILI.  853 

stato  pretore,  molto  vecchio,  seoza  figliaoli  e  danaroso;  e 
però  soggetto  a  insidie.  Valerio  Fabiano  suo  parente  desti- 
nato alU  onori,  gli  falsificò  nn  testamento:  e  chiamò  Vìcio 
Rufino  e  Terenzio  Lentino  cavalieri  romani,  i  qoali  chiama- 
rono Antonio  Primo  ^  e  Asinio  Marcello:  quegli  ardito  e  sfac- 
ciato, questi  illustre  per  Asinio  Pollione  suo  bisavolo,  e  di 
non  mali  costumi  ;^e  non  che  Tesser  povero  stimava  il  mag- 
giore di  tutti  i  mali.  Da  questi  e  altri  di  minor  conto  Fabiano 
fece  suggellare  il  testamento,  e  funne  convinto  in  senato;  e 
dannati.  Fabiano,  Antonio,  Rufino  e  Terenzio  nella  legge 
Cornelia.*  Marcello,  perla  memoria  de' suoi  maggiori  e  preghi 
di  Cesare,  fu  liberato  più  dalla  pena  che  dall'  infamia. 

XLI.  E  Pompeo  Elianq  giovane  stato  questore,  quel 
giorno  non  andò  netto;  ma  come  consapevole,  fu  cacciato 
d'Italia  e  di  Spagna,  ove  nacque.  Pari  vergogna  ebbe  Yale- 
rio  Pontico,  che  per  fuggire  il  giudizio  del  prefetto  di  Roma, 
avea  accusato  i  rei  al  pretore,  affinchè  scampasser  la  pena, 
ora  sotto  colore  delle  leggi,  poi  per  collusione.  E  nacque  de- 
creto, che  ogni  operatore  dì  simile  baratteria  si  intendesse 
condannato  nella  pena  delle  false  accuse. 

XLII.  Indi  a  poco  uno  schiavo  di  Pedanio  Secondo,  pre- 
fetto di  Roma,  l' ammazò,  perchè  gli  negava  la  libertà  mer^ 
calata,  o  non  poteo  patirlo  rivale  nell'amore  d'un  giovane. 
Ora  dovendosi  per  antico  costume  far  morire  tutta  la  fami- 
glia che  sotto  quel  tetto  abitava;  la  plebe  corse  a  difender 
tanti  innocenti,  e  fece  sollevamento:  e  nel  senato  stesso  ad 
alcuni  non  piaceva  tanta  severità  ;  ma  i  più  niente  volevano 
rimutare;  tra  ì  quali  Gaio  Cassio  per  sua  sentenza  disse: 

XLIII.  <(  Molte  volte  mi  son  trovato,  padri  coscritti,  a 
sentir  chieder  in  questo  senato  leggi  e  ordinanze  nuove  con- 
tro all'antiche;  e  non  ho  contraddetto:  non  per  dubitanza 
che  già  non  fusse  a  tutte  le  cose  provveduto  meglio  e  più 
rettamente  da  non  potersi,  ritoccandole,  se  non  peggiorare; 
ma  per  non  parere  d'innalzare  con  troppo  amore  questa  mia 


*  Antonio  Primo.  Dì  lui  cliscoTTesi  spesso  nei  libri  Ili  e  IV  deUe  Storie. 
'  legge  Cornelia j  pubblicata  da  Siila  1*  a.  673  contro  i  falsari.  Vedi 
Stor.  II,  86. 

20- 


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3tf4  IL  UBtO  QDATTOaDICBSUlO  DEGÙ  AKNAU» 

antichitA;  e  anche  per  non  mi  giocare*  (contraddicendoci 
ogni  di)  quell'aatorìtà  che  abbiamo,  ma  risparmiarla  per 
servigio  della  repid^lica  se  mai  bisognasse;  come  oggi  che 
si  prode  nomo  consolare  è  stalo  in  casa  sua  assassinato  da 
uno  schiavo,  lasciato  fare,  non  iscoperto;  e  non  è  però  an- 
cora stracciato  il  decreto  che  tutta  la  famiglia  n'  abbia  il 
supplizio.  Assolvetela  pare.  Ma  chi  fia  uni|ae^  difeso  da  sua 
dignità ,  se  non  ci  basta  V  esser  prefetto?  Qual  numero  di 
schiavi  fia  tanto,  se  quattrocento  non  hanno  difeso  Pedanio 
Secondo?  cui  aiuterà  la  famiglia,  se  ora  che  importa  a  lei 
altresì,  se  ne  sta?  Èssi  forse'  T  ucciditore  vendicato  (come 
alcuni  hanno  faccia  di  fìngere)  del  non  avergli  attenuta  il 
padrone  la  libertà  mercatata,  qualche  gran  tesoro  paterno, 
o  toltogli  ano  schiavo  de'  suoi  antichi?  Giudichiamo  adunque 
che  ei  l' abbia  ucciso  con  ragione. 

XLIY.  »  Consideriamo  ora  le  cagioni  perchè  i  più  saggi 
cosi  determinarono.  Ma  se  noi  al  presente  sopra  questo  caso 
avessimo  a  deliberare  per  la  prima  volta  crederemo,  uno 
schiavo  avere  ardito  ammazar  il  padrone  senza  averne  spu- 
tato  prima  qualche  bottone*  o  minaccia  o  parola  non  saggia? 
Oh  e'  non  si  voUe  scoprirei  nascose  Y  armel  come  poteo  egli 
passar  le  guardie,  aprir  la  camera,  portar  il  lume,  amma- 
larlo, che  ninno  sentisse?  Antiveggon  bene  gli  schiavi  i 
ma'  pensieri  per  molti  indizi;  scoprendoceli  noi,  potrem  vi- 
vere soli  tra  molti:  sicuri  tra  i-mal  contenti;  e  (morir  biso- 
gnando) vendicati  tra  i  traditori.  Sospetta  a'  nostri  antichi  fu 
la  natura  delti  schiavi,  quando  anco  nascevano  con  T affe- 
zione a'  padroni  neir  istesse  case  o  ville.  Oggi  che  ne  abbia- 
mo in  famiglia  le  nazioni  intere,  di  leggi  e  religioni  strane 
o  nulle,  non  frenereste  tal  feccia  d'uomini,  se  non  con  la 


'  per  non  mi  giocare....  quelF  autorità,  per  non  perdere;  per  non  di* 
struggere  quelV  autorità  ec. 

9  utufue,  nun. 

'  Èssi  forse,  si  è  forse  ec. 

*  senza  averne  spntato  prima  gualche  bottone,  sema  averne  mandato 
fuori  qualche  motto.  Sottone  dicesi  di  parola  velenosa  gittata  cosi  di  traverso 
contro  alcuno.  Non  è  vìva  oggij  ma  l>en  è  vivo  sbottoneggiarej  e  intorno  a  que- 
sto vedi  V  Ercolano  del  Varchi. 


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lìs  UBRO  QUArrORDICBSiMO  DEGÙ  iMKAU.  8{(5 

paura.  Morranno  degl' innocenti.  Anche  quando  d'ano  esercito 
vigliacco  si  trae  per  sorte  de'  dieci  V  uno  a  morir  di  basto- 
ne, n'  escono  de'  valenti.  Ogni  grande  esempio  ha  qualche 
pò*  dell' iniquo  contro  qualcuno,  ma  è  contrapesato  dall' Qtil 
pubblico.  » 

XLY.  Al  parere  di  Cassio  niuno  ardi  contraddir  solo; 
ma  usci  un  tuono  di  voci  moventi  a  pietà  del  numero,  del- 
l'età, del  sesso,  e  la  maggior  parte,  senza  dubbio,  innocenti. 
Vinse  nondimeno  la  parte  che  voleva  il  supplìzio;  ma  non 
poteva  esser  ubbidita  per  lo  popolo  ragunato  che  minacciava 
sassi  e  fuoco.  Cesare  lo  sgridò  per  bando;  e  pose  soldati  per 
tutta  la  via,  per  la  quale  andare  a  morire  i  cattivi.  Qngonio 
Yarrone  vpleva  che  anche  i  liberti  trovatisi  in  quella  casa  si 
cacciasser  d' Italia  :  al  principe  non  piacque  con  la  severitate 
accrescer  la  rigideza  antica,  cui  non  aveva  ammollita  la  mi* 
sericordia. 

XLYI.  In  quest'anno  fu  condannato  Tarqoizio  Prisco  di 
rapacità,  a  stanza  *  de'Bitini,  con  gran  piacer  de' padri, 
che  si  ricordavano  che  egli  accusò  Statilio  Tauro  *  siio  vice- 
console. Per  le  Gallio  fecero  il  catasto  *  Q.  Yolusio  e  Sesto  Af- 
fricano  e  TrebelUo  Massimo;  i  primi  contendendo  tra  loro  di 
nobiltà,  e  schifando  Trebellio  per  compagno,  l'ebbero  per 
sopraccapo.* 

XLYII.  Mori  Memmio  Regolo,*  per  autorità,  fotteza  e 
fama,  per  quanto  sotto  l'ugnia  dell'imperio  si  può,  tanto 
chiaro,  che  Nerone  ammalato  (ad ulando" certi, ^  a  Che  man- 
cando egli,  r  imperio  cadrebbe,  »)  disse:  et  Non  mancare  chi 
sostenerlo.  »  Domandando  essi,  a  Chi?  »  rispose,  «  Memmio 
Regolo.  »  E  nondimeno  lo  campò  il  non  s' ingerire,  l'avere 
nobiltà  nuova,  e  riccheza  non  invidiata.  Nerone  fini  le  ter* 


*  a  stanza^  a  istanca^  a  petìsionc. 

9  Statilio  Tauro.  Vedi  lili.  XU,  59. 

5  il  catasto.  Vedi  lib.  I,  31. 

^  l'ebbero  per  sopraccapOj  sei  ièctro  da  più  di  ]«fO|  sei  fecero  superiore; 
lo  fecero  più  stimato  di  loro* 

S  Mfemmio  Regolo,  Vedi  U)>.  V,  li;  XII,  23  e  33.  Ma  akrì  credono  che 
questi  sia  figlio  di  quello  ricordato  nei  luoghi  allegati. 

B  adulando  certi:  metttre  alcuni  lo  adulavano  con  dhre  ec. 


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356  IL  LIBtO  QUATTOftDICBSIMO  DEGLI  AHNAU. 

me/  e  donò  l'olio'  a' senatori  e  cavalieri  con  cortesia  greca. 

XLYIII.  [A.  di  R.  815,  di  Cr.  62.]  Nel  consolato  di 
P.  Mario  e  L.  Asinio,  il  pretore  Antìstìo,  slato,  come  dissi,' 
licenzioso  tribuno  della  plebe,  compose  pasquinate  *  contro 
al  principe,  e  pubblicolle  a  una  cena  fattagli  da  Ostorio  Sca- 
pola. Gossnziano  Capitone,  rifatto  senatore  ^  per  favore  di  Ti- 
gellino  suo  suocero,  l'accusò  di  caso  di  stato.  Parve  rimessa 
su  allora  questa  legge  perchè  non  tanto  portasse  rovina  ad 
Antistio,  quanto  gloria  aH'imperadore,  acciò  condennato  a 
morte  dal  senato,  fusse  salvato  per  intercessione  del  tribuno. 
Ostorio  testimoniò  che  non  aveva  udito  niente^  e  fu  creduto 
a' testimoni  contrari;  e  Giulio  Marnilo,  eletto  consolo,  sen- 
tenziò che  al  reo  si  togliesse  la  pretura  e  la  vita ,  al  modo 
antico.  Quando  gli  altri  acconsentivano,  Trasea  Peto,  con 
grande  onore  di  Cesare,  ripreso  Antistio  agramente,  disse: 
a  Non  tutto  quello  che  merita  il  reo,  doversi,  sotto  il  buon 
principe  (se  da  necessità  non  è  stretto  il  senato]  deliberare. 
Capestro  e  boia  esser  levati  più  fa;  ^  e  per  leggi,  ordinate  le 
pene  da  gasligare,''  senza  fare  i  giudici  crudeli,  né  i  tempi 
infami.  Meglio  è,  toltogli  i  beni,  confinarlo  in  un'isola,  ove 
la  vita  a  lui  proprio  fia  misera,  e  al  pubblico,  esempio  gran- 
dissimo di  clemenza.  x> 

XLIX.  La  libertà  di  Trasea  ruppe  il  silenzio  degli  altri, 
e  andarono  nel  suo  parere,  di  licenza  del  consolo;  salvo  al- 
cuni pochi,  tra  i  quali  A.  Vitellio  prontissimo  all'adulare, 
mordace  di  parole  contra  ì  migliori,  e  a  chi  mostrava  il  den- 


<  le  terme.  Lat.;  «  gymnasium.  »  Questo  ginnasio  era  nel  campo  Manipi 
unito  alle  terme  ;  però  fa  detto  anche  Terme  neronianej  pelle  quali  Mania- 
]e(VII,  34)scberiaTa; 

Quid  Ntroru  pebu  ?  Quid  thermiM  meltus  neroniaiUs  ? 

S  t  olio.  La  distribuzione  dell*  olio  fu  fatta  anche  prima  di  Nerone ,  ma  per 
uso  di  mangiare  :  laddove  questi  lo  donò  per  uso  de^  giuochi  ginnici ,  come  sole- 
vano i  Greci. 

3  come  dissi,  lib.  XIII,  28. 

*  compose  pasqttinatèj  versi  satirici.  Ma  se  Pasquino  era  fuori  a'  tempi 
di  Tacito,  non  si  chiamava  tertameote  così,  n^  faceva  pasquinate. 

5  ri/atto  senatore:  era  stato'  casso  come  reo  di  mal  tolto.  Y.  Uh  XIII,  33. 

6  piò,  fa,  un  tempo  fa.  Lat.  :  «  pridem.  » 

1  le  pene  da  gastigars*  Perchè  non  i  gastìghif 


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IL  LIBRO  QUATTORDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  357 

te,^  mutolo,  come  i  codardi  asano.  Ma  i  consoli  non  attentati 
di  fare  il  decreto  del  senato,  scrissero  il  sao  parere  a  Cesa- 
re; il  quale,  stato  alquanto  tra  la  modestia  e  Tira,  finalmente 
riscrisse:  «  Antistio,  niente  provocato,  aver  dì  lui  mordace- 
mente sparlato:  esserne  stato  a' padri  domandato  il  gastigo, 
e  richiederlo  delitto  si  grave:  ma  egli  che  non  avrebbe  con- 
ceduto il  rigore,  non  vietava  la  moderanza;  rlmettevala  in 
loro;  e  1* assolverlo  ancora.  »  Veduto  per  tale  rescrìtto  lo 
sdegno  manifesto,  né  i  consoli  proposero  altramente  né 
Trasea  si  rimutò  per  la  solita  fermeza  d'animo,  e  per  non  ci 
metter  di  reputazione:  né  gli  altri  che  l'avevano  seguitato, 
si  voltarono,  chi  per  non  parere  di  rendere  odioso  il  princi- 
pe, e  i  più,  assicurati  dal  numero. 

L.  Per  simile  peccato  ebbe  travaglio  Fabbrizio  Veiento- 
ne  che  compose  certi  libri,  intitolati  Codicilli,'  pieni  di  vi- 
tuperii  di  sacerdoti  e  de'  padri.  E  più ,  diceva  Talio  Gemino 
accusatore,  che  egli  aveva  vendute  le  grazie  del  principe  e 
i  magistrati.  Perciò  Nerone  prese  la  causa:  ed  essendo  Yeien- 
tone  convinto,  il  cacciò  d' Italia,  e  comandò  che  s'ardessero 
i  libri:  raccolti  e  letti,  mentre  si  facea  con  pericolo:  la  licenza 
poi  del  tenerli,  li  fece  sprezare. 

LI.  Crescevano  ogni  di  i  mali  pubblici,  e  scemavano  i 
rimedi.  Burro  mori  di  sprcmanzia  *  che  gli  enfiò  e  serrò  la 
gola:  o  gli  fece  Nerone  ugnerò  il  palato  d'olio  avvelenalo, 
quasi  per  medicarlo,  come  i  più  dicevano:  e  Burro,  che  se 
n'avvide,  venuto  il  principe  a  visitarlp,  si  voltò  in  là;  e  do- 
mandato come  stesse,  disse,  «  Bene  bene.  »  Lasciò  in  Roma 
gran  desiderio  di  se  per  la  memoria  della  sua  virtù,  e  per  lo 
paragone  di  due  successori,  l'uno  buono  e  dappoco,  l'altro 
sceleratissimo  e  disonesto.  Perchè  Cesare  diede  a' soldati 
pretoriani  due  generali,  Fenio  Rufo,  per  favore  del  popolo, 

*  mostrava  il  dente.  Dante,  Paradiso  XVI. 

L' oltraootata  sdiiatta  che  s' indlrtea 
Dietro  a  clii  fogge,  ed  a  chi  mostra  il  dente 
Ovver  la  borsa,  coma  agnel  si  placa. 

'  Codicilli,  forse  perchè  queste  satire  averano  forma  di  testamenti,  nei 
qnali  era  in  questi  tempi  entrato  certo  abuso  di  sfogare  i  rattenuti  odii  privati, 
dicendovisi  ogni  male  dei  potenti.  Vedi  VI,  38;  XVI,  49. 

'  morì  di  spremantia,  ingrossamento  delle  £iuci. 


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358  IL  LIBRO  OUATTORDICSSIMO  DEGLI  ANNALI. 

perché  egli  governava  Tabbondanza  senza  farne  incetta  per 
se:  e  Sofonio  Tigellino,  andatoli  a  sangue  '  per  le  sporche 
infamie  sue  antiche,  e  appaiati  costami.'  Costai  che  segre- 
tario era  delle  libidini,  prese  più  l'animo  del  prìncipe.  Rafo 
ebbe  buon  nome  nel  popolo  e  tra'  soldati  ;  e  nocevagli  ap- 
presso a  Nerone. 

LII.  La  morte  di  Barro  abbassò  Seneca:  perchè  le  buone 
arti  non  avean  tanta  forza,  avendo  perduto  un  de' capì,  e 
Nerone  aderiva  più  a'  peggiori:  i  quali  assalirono  Seneca  con 
vane  calunnie.  «  Che  egli  non  ristava  di  accrescere  le  sue 
rìccheze  grandi  e  non  da  privato.  Cercava  d' aver  seguito 
da'  cittadini.  In  bei  giardini  e  ville  magniGche  avanzava  il 
principe.  Ninno  bel  parladore  teneva  esserci,  se  non  egli. 
Componeva  versi  tutto  di,  poiché  a  Nerone  venne  la  voglia 
del  poetare.  Era  nimico  palese  de'  diletti  del  prìncipe;  scher- 
nendo sua  valentia  nel  guidar  cavalli,  e  ridendosi  di  sua 
voce  quando  cantava.  A  che  fine  sfatare  '  nella  republica 
ciò  che  non  esce  del  suo  cervello?  Nerone  oggimai  è  fuor  di 
fanciullo,  è  giovane  fatto,  lasci  il  pedagogo;  qua' maestri 
migliori,  che  i  maggiori  suoi?  » 

LUI.  Seneca,  che  risapeva  ogni  cosa  da  quelli  che  pure 
avevan  qualche  zelo  del  bene  ;  e  scantonandolo  *  Cesare  ogni 
di  più;  gli  chiede  audienza;  e,  avutala,  cominciò:  «  Quattor- 
dici anni  sono,  o  Cesare,  che  io  fui  eletto  a  ìndirizare  il  gran 
presagio  che  tu  davi  dì  te:  otto,  che  tu  se'  imperadore:  nel 
qual  tempo  mi  hai  ammassati  tanti  onorì  e  tesori,  che  alla 
mia  felicità  non  manca  che  moderarla.  AUegherotti  uomini 
grandi  pari  tuoi,  non  miei:  Agusto  tuo  arcavolo  concedè  a 
M.  Agrippa  il  ritirarsi  a  Metellino;  a  Gaio  Mecenate  lo  starsi 
come  forestiero  nella  città.  L'uno  compagno  nelle  guerre, 
e  r  altro  affaticatissimo  in  Roma ,  avevano  avuto  di  lor  gran 

*  andato/i  a  sangue,  entr«togU  molto  in  grasia. 

'  appaiati  costumi,  e  pe' costumi  uguali  a' suoi.  Il  lat.  dice:  «  prò  cO" 
gnitis  moribtisj»  che  più  esattamente  potrebbe  tradursi:  «com'era  da  aspettarsi, 
conoscendo  i  costumi  d'ambedue.  »  Ma  forse  il  Nostro  ha  letto  cognatit  (^simi" 
libtis)  invece  di  cogtiitis. 

^  sfatare,  disprezzare. 

*  scantonandolo^  sfuggendolo:  svoltando  alla  prima  cantonata  per  ncn 
incontrarsi  con  lui. 


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IL  UBRO  QUATTORDIGESIMO  DEGLI  ANNALI.  359 

meriti  ampie  mercedi:  ma  io,  per  tanta  liberalità,  che  ho 
potato  dare  a  te  altro  che  stndii,  per  cosi  dire,  nutricati  al- 
l' ombra?  i  quali  mi  hanno  dato  splendore  d' aver  ammae- 
trato  la  tua  glovaneza:  il  che  vale  assai;  ma  tu  me  n'hai 
rendati  favorì  dismisurati,  riccheza  infinita:  onde  io  spesso 
mi  considero,  e  dico:  Io  nato  semplice  cavaliere,  fuor  d'Ita- 
lia, son  fatto  uno  de'  primi  di  Roma?  risplendo  tra  i  nobili  e 
pregiati  d' antichi  onori,  io  nuovo?  dove  è  queir  animo  già 
contento  del  poco,  e  ora  vuole  si  bei  giardini?  vassene  per 
si  comode  ville?  tanti  terreni  ha;  tanti  danari  a  guadagno?^ 
Non  risponderò  altro,  se  non  che  io  non  doveva  resistere 
alle  tue  liberalità. 

LIY.  »  Ma  ciascuno  di  noi  ha  colmo  il  sacco:*  tu  dì  dare 
quanto  può  principe  a  un  amico;  io  di  ricevere  quanto  può 
amico  da  principe.  Il  soverchio  accresce  Y  invidia  ;  la  quale, 
come  tutte  le  cose  mortali,  alla  tua  grandeza  sta  sotto,  e 
me  infragne;  me  bisogna  sollevare.  Si  come  io  stracco  in 
guerra  o  viaggio  chiederei  aiuto;  così  in  questo  cammino 
della  vita  trovandomi  vecchio,  alle  cure  ancor  leggerissime 
debole,  e  sotto  il  fascio  delle  mìe  riccheze  cascante,  ti  prego 
che  me  ne  scarichi;  e  le  consegni  agli  agenti  tuoi,  come  fa- 
coltà tua.  Non  dico  di  voler  mendicare:  ma,  dati  vìa  gli  splen- 
dori che  mi  nuocono,  quel  tempo  che  sì  perde  nella  cura 
de'  giardini  e  delle  ville  darò  tutto  all'animo.  Tu  se'  nel  sommò 
vigore;  assodato  per  tanti  anni  nel  governare:  noi  vecchi 
amici  chiediamo  riposo:  tu  avrai  quest'  altra  gloria,  d'  aver 
alzato  al  sommo  quelli  che  si  contentano  del  moderato.  » 

LV.  A  queste  cose  Nerone  quasi  cosi  rispose  :  «  Al  tuo 
pensato  parlare  risponderò  improviso:  la  tua  mercè,  che  in- 
segnato mi  hai  l'uno  e  l'altro.  L'arcavolo  mio  Agusto  conce- 
dette ad  Agrìppa  e  Mecenate  riposo  dalle  fatiche;  ma  in  età 
che  r  autorità  sua  difendeva  '  questo  e  tutto  ciò  che  avesse 
lor  conceduto;  e  non  tolse  loro  i  guiderdoni  meritati  nella 
guerra  e  ne'  pericoli  in  che  da  giovane  s'impiegò  sempre. 

*  a  guadagno,  a  fruito;  a  usura. 

S  ha  colmo  il  sacco,  ha  colma  la  misura.  Petrarca: 

L' avara  Babilonia  ba  colmo  il  sacco  ce. 
'  difendeva,  giustificava. 

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S60  IL  LIBRO  QClTTOlDICBSUfO  DEGÙ  ANNALI. 

Né  ta  avresti  tenato  la  spada  nel  fodero,  se  io  fassi  stato  in 
arme.  Ma  ta  hai  secondo  i  tempi,  con  la  ragione,  consigli  e 
precetti,  tirato  su  la  mia  fanciuUeza,  e  poi  la  gioventù.  Questi 
beneficìi  tuoi  a  me,  doreranno  mentre  avrò  vita:  orti,  censi 
e  ville,  che  da  me  hai,  son  sottoposti  a  mille  casi;  e  qaanr 
tanque  gran  doni  paiano,  molti,  che  non  vagliono  quel  che 
tu,  ne  hanno  ottenati  de'  maggiori.  Arrosso  a  nominare  quei 
liberti  che  si  veggono  tanto  più  ricchi;  e  che  tu,  da  me  lo 
più  amato,  non  sii  lo  più  esaltato. 

LYI.  1»  Ma  ta  sei  di  buona  età  da  mantenere  e  godere  Io 
stato  tuo:  e  io  entro  ne' primi  aringhi  dell'imperio;  se  già 
tu  non  tenessi  da  meno  te  di  Yitellio,  che  fa  tre  volte  con- 
solo, o  me  di  Claudio.  Maio  non  potrei  tanto  donarti,  quanto 
ha  con  lo  lungo  risparmio  avanzato  Yolusio.  Anzi  se  io  ta- 
lora sdrucciolo  come  giovane,  tu  mi  reggi  e  rattieni.  Non  si 
dirà,  che  tu  m'abbi  renduto  la  roba  per  tua  moderanza,  né 
lasciatomi  per  tua  quiete:  ma  ogn'  uno  la  darà  alla  mia  ava- 
rizia ,  alla  paura  della  mia  crudeltà.  E  quando  ta  n'  avessi 
gran  loda  di  continente,  non  sarebbe  da  savio,  fare  coli' in- 
famia dell'  amico  sé  glorioso.  »  £  qui  l' abbracciò  e  badò, 
come  nato  e  usato  a  coprir  l' odip  con  false  careze.  Seneca 
(conclusion  solita  de' ragionamenti  co' princìpi)  lo  ringraziò; 
e  riformò  sua  grandeza.  Levossi  le  visite,  l' accompagnatore 
per  la  città:  usciva  poco  di  casa  sotto  spezie  di  malsania,'  o 
di  Olosofare. 

LVII.  Battuto  Seneca,  poco  ci  volle  ad  abbassar  Fenio 
Ruffo,  apponendoli  l'amicizia  d'Agrippina.  £ Tigellino  cre- 
sceva ogni  di,  il  quale  pensando  che  le  malvagità,  per  le 
quali  sole  era  potente,  sarieno  a  Nerone  più  grate,  intignen- 
dovi  anche  lui;  fantasticò  chi  gli  fosse  più  di  tutti  sospetto, 
e  trovò  che  Siila  e  Plauto  eran  dessi,  scacciati  dianzi,  Plauto 
in  Asia,  Siila  in  Proenza.  Ricordò  quanto  erano  nobili  e  vi- 
cini alli  eserciti,  questi  d' oriente,  quegli  di  Germania.  «  Non 
tenere  esso,  come  Burro,  il  piede  in  più  staffe,  *  ma  l' occhio 

*  sotto  spezie  di  malsania,  col  pretesto  d'  aver  mala  salute;  d'essere  in- 
feraiiccio  ec.  Così  anche  nello  Scisma:  «  Arturo  per  la  malsania  tenne  in  quella 
camera  una  matrona  ec.  m 

'  tenere...  il  piede  in  pia  staffe.  Modo  proTerbtale,  che  significa  Tenere 


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IL  IIBEO  OOàTTORDICCSUIO  DEGLI  ANNALI.  361 

alla  salate  di  Neron  solo.  Il  quale  con  la  presenza  forse  poter 
difendersi  da'  trattati  della  città;  ^  ma  come  opprimere  i  mo- 
vimenti lontani?  A  nome  di  Siila  dettatore,  aver  alzato  il 
capo  le  Gallio:  nò  meno  sospetti  essere  i  popoli  d'Alia  per  lo 
chiarore  di  Dmso  avolo  di  Plauto.  Esser  quelli  mendico;  però 
arrisicato:  e  fare  il  dappoco,  per  potere  esser  temerario  a  suo 
tempo.  Questi,  gran  riccone,  anche  fingere  di  volersi  stare, 
ma  di  fare  atti  da  quelli  antichi  Romani.'  Essersi  fatto  stoico, 
cioò  arrogante,  inquieto  e  cupido  di  maneggi.  9  Non  ci  volle 
altro.  Siila  il  sesto  giorno,  giunti  gli  ammazatori  allarsilia, 
prima  che  averne  sentore  o  paura,  fu  morto  a  mensa.  Ne- 
rone quando  vide  la  testa  portatagli,  la  beffò  che  era  inca- 
nutita innanzi  tempo.* 

LYIII.  L'ordine  d' uccider  Plauto  non  andò  si  segreto: 
perchò  a' più  era  a  cuore  la  sua  salute:  e  per  lo  spazio  del 
cammino  e  del  mare  e  del  tempo,  n'uscì  fama:  e  dicevasi, 
che  egli  andò  a  dire  a  Corbulone,  che  allora  grandi  eserciti 
governava,  «  che  se  gli  uomini  da  bene  e  famosi  si  doveano 
cosi  ammazare,  ei  sarebbe  il  primo:  e  che  l'Asia  prese  Tar- 
me a  favor  del  giovane,  e  che  i  mandati  a  far  V  effetto  non 
furon  tanti,  né  v'andaron  di  buone  gambe;'  e  poichò  no'l 
poter  fare,  con  lui  s'accontarono  *  cercando  nuove  speranze.» 
Queste  cose  dicevano  e  credevano  gli  sfaccendati.  Ma  Anti- 
stio,  suo  suocero,  per  un  liberto  di  lui  che  per  vento  pro- 
spero giunse  prima  del  centurione,  gli  scrìsse:  «  Non  volesse 
vilmente  morire;  starsi  a  man  giunte;  raccomandarsi;  far 
increscere  del  suo  gran  nome;  troverebbe^ de' buoni;  ragu- 
nerebbe  de' bravi;  non  disprezasse  ninno  aiuto;  resistesse  a 
sessanta  soldati  (che  tanti  Nerone  ne  mandava)  innanzi  ch'ei 

più  partiti  a  fine  d' approfittarsi  di  quello  che  riuscirlt  il  migliore.  Ma  la  lettera 
del  testo  dice:  «  Non  avea  T  occhio  ad  altre  tpetanie,  te  non  a  salvar  Nerone.  » 

*  da' trattati  delta  cittàj  dalle  macchinasioni ,  dalle  congiure.  Lat.:  mab 
urbani*  insidiis.  m 

*  anche  fingere  di  volersi  stare,  ma  difare  atti  da  quelli  antichi  Ro- 
mani.  Cosi  le  stampe  del  Nesti,  del  Volpi  e  le  altre.  Ma  dubito  che  il  luogo  sia 
guasto }  e  che  debba  leggersi  così:  «  non  che  fingere  di  volersi  stare,  ma  fare 
atti  da  quelli  antichi  Romani.  ••  Cosi  almeno  vuole  il  testo  che  dice:  «  ne  fingere 
qmdem  cupidinem  otìi,  sed  veterum  Romanorum  imitamenta  prcferre,  m 

S  ni  v'andaron  di  buone  gambe j  ne  v'  andarono  di  buona  voglia. 

*  con  lui  s'accontarono,  s'abboccarono. 

I.  31 


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3il2  IL  LIBtO  QUATTORDIGBSniO  DEGÙ  ANNALI. 

lo  sapesse  e  altra  mano  venisse;  nascerebbono  molte  cose  atte 
a  fargli  guerra;  potergli  in  somma  quel  partito  o  recarla  sa- 
lute, 0  nulla  peggio  di  ciò  che,  standosene,  gli  avverrebbe,  d 

LIX.  Ma  Plauto  non  se  ne  mosse,  o  per  non  isperare, 
cosi  disarmato  e  in  esilio,  alcuno  aiuto,  o  per  non  tentar 
cosa  si  dubbia,  o  per  amor  della  moglie  e  figliuoli,  verso  i 
quali  sperava  il  principe  più  dolce ,  niente  irritandolo.  Alcuni 
vogliono  che  il  suocero  gli  mandasse  altri  avvisi,  che  non  vi 
era  perìcolo;  e  che  due  filosofi,  Cerano  greco  e  Musonio  ^  to- 
scano, il  persuasero  ad  aspettar  anzi  la  morte  con  forte  ani- 
mo, che  vivere  con  pericoli  e  spaventi.  Certo  è  eh'  ei  fu  tro- 
vato ignudo  di  mezo  di  a  fare  esercizio.'  In  tale  stato  il  cen- 
turione r  uccise,  presente  Pelagone  eunuco,  da  Nerone  dato 
quasi  sopraccapo  '  regio  al  centurione  e  a'  soldati.  Quando  fl 
principe  vide  la  testa  portatagli,  disse  queste  parole:  a  Orsa, 
Nerone,  che  non  solleciti  tu  le  noze  di  Poppea,  ora  che 
qùe'  terribili  che  le  allungavano,  non  ci  son  più,  e  leviti  di- 
nanzi Ottavia,  se  bene  modesta,  noiosa  per  quel  padre«  e 
per  tanto  amore  del  popolo?  »  Al  senato  scrisse,  senza  con- 
fessare r  uccisione  di  Siila  e  Plauto ,  che  ambi  erano  scando- 
losi,  e  la  salute  della  republica  gli  stava  in  sul  cuore.  Per 
questo  conto  furon  ordinate  pricissioni;  e  Siila  e  Plauto  rasi 
del  senato,  con  jnù  scherno  che  danno. 

LXk  Avuto  dunque  questo  bel  decreto  del  senato,  e  ve- 
duto che  le  somme  sceleritadi  passavano  per  fatti  egregi;  ne 
rimanda  Ottavia,  dicendola  sterile,  e  sposa  Poppea.  Questa 
comandatrìce  di  Nerone,  lungo  tempo  concubina,  e  or  mo- 
glie, forzò  un  ministro  d'Ottavia  a  querelarla  di  tirarsi  ad- 
dosso uno  schiavo  detto  Eucero  Alessandrino,  sonator  di 
flauti.  Le  damigelle  furon  messe  a'  tormenti  per  dire  il  falso: 
alcune  lo  dissero;  le  più  mantennero,  la  lor  padrona  esser 
santa;  e  una,  serrandola  Tigellino,  gli  disse:  a  Più  casta  ha 
la  natura  Ottavia,  che  tu  la  bocca.  »  Fu  nondimeno  rimossa 

*  Cerano e  Musonio.  Il  primo  h  scònoscrato:  il  secondo,  uato  io  Boi- 
sena,  dell'ordiae  equestre,  fu  Blosofo  e  segni  le  dottrine  stoiche.  (Vedi  Stor,  III,  Si 
e  Jnn.  XV,  7i.) 

S  esercizio,  ginnastico. 

»  sopraccapoj  soprantendente. 


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IL  LD&O  QUATTORmCXSIMO  DEGLI  AMNALL  363 

sotto  spezie  di  civile  divorzio,  e  fattole  malarìosi  ^  doni  della 
casa  di  Borro  e  beni  di  Plauto.  Indi  confinata  in  Terra  di 
lavoro  con  guardia.  Gran  compianto,  e  non  celato,  ne  fece 
il  popolo  ignorante,  e  per  poco  aver  che  perdere,  più  sicuro. 
Per  questo,  Nerone,  e  non  punto  per  rimorso  di  coscienza 9 
richiamò  la  moglie  Ottavia. 

LXI.  Salgono  in  campidoglio  allegri:  ringraziano  gli 
iddìi.  Abbattono  le  statue  di  Poppea;  in  su  le  spalle  portano 
quelle  d'Ottavia;  spargonvi  fiori;  pongonle  nel  foro  e 
ne'  templL  Lodano  il  principe;  lo  benedicono  eh' e'  la  ripi- 
glia. £  già  pieno  aveano  il  palagio  di  moltitudine  e  di  grida, 
quando  più  mani  di  soldati  a  suon  di  bastoni,  e  voltate  le 
punte  gli  sbaragliarono  oltre  via;  e  rivoltossi  ogni  cosa,  e 
l'onore  perduto  per  la  sedizione,  ritornò  tutto  a  Poppea,  la 
quale  sempre  velenosa  per  odio,  e  all'  ora  per  paura  di  più 
furia  di  popolo,  0  che  il  tanto  fervore  di  esso  non  rimutasse 
Nerone,  gittataglisi  alle  ginocchia  disse:  «  Non  trattarsi  più 
(a  tale  esser  ridotta)  del  suo  matrimonio,  benché  più  a  lei 
caro  che  la  sua  vita;  ma  della  stessa  vita,  messa  all'  estremo 
da'crìati'  e  schiavi  d'Ottavia,  che  fattisi  chiamar  plebe, 
ardivano  nella  pace  quello  che  in  guerra  non  si  farebbe. 
Contro  al  principe  essersi  queir  armi  prese,  mancatovi  solo 
un  capo,  che  nel  garbuglio  si  troverebbe  agevolmente,  uscita 
che  fusse  di  Campagna,  e  in  Roma  entrata  colei  che  fuore 
a  cenni  solleva  il  popolo.^  Quanto  a  se,  che  peccato  avere? 
chi  ofieso?  voler  forse  il  popol  romano,  in  vece  di  vera  pro- 
genie che  essa  era  per  dare  alla  casa  de'  Cesari,  mettere  nel- 
r imperiale  alteza  la  raza  d'uno  Egizio  zufolatore?  E,  per 
conchiudere,  chiamasse,  se  era  per  lo  meglio,  questa  sua 
padrona  allegramente,  e  non  per  forza;  0  pensasse  d' assi- 
curarsene con  gastigarla  da  dovero.  Quel  poco,  aver  posato 
il  primo  romore:  ma  vedendosi  Ottavia  non  dover  esser  mo- 
glie di  Nerone,  le  saria  ben  trovato  un  marito.  » 

LXII.  Nerone  per  tali  parole  diverse,  da  metter  paura 

*  maluriosij  di  cattivo  augurio. 
■  eriati,  clienti. 

'  che  fuore  a  cenni  solleva  ti  popolo j  che  anche  di  lungi,  a  un  cenno 
solleva  il  popolo. 


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864  IL  LlBtO  OOlTTOBDICBSmO  DEGLI  AKKAU. 

e  ira,  atterri  e  8'  accese.  Ma  V  indizio  non  era  Terisimìle  con 
ano  schiavo,  e  i  tormenti  delle  damigelle  l'avean  purgato. 
Parve  adunque  da  trovar  uno  che  lo  confessasse,  e  appic- 
earìesi  un  altro  ferro  di  cercata  novità.*  Non  ci  era  noieglio 
che  Aniceto,  che  ammazò  la  madre,  prefetto,  come  dissi, 
dell'armata  di  Miseno,  e  dopo  il  fatto  cadde  in  disgrazia, 
indi  in  grave  odio;  perchè  la  faccia  de' ministri  de' peccati 
brutti,  si  li  rimprovera,'  Chiamatolo  adunque  Cesare,  gli  ri- 
corda il  primo  servigio:  averlo  egli  solo  scampato  dall' insi- 
diatrice  madre,  poternegli  fare  un  altro,  non  minore,  di 
levargli  dinanzi  l' odiata  moglie.  Né  averci  uopo  di  mani  o 
armi;  confessar  d'averla  goduta:  »  promettegli  premi!,  se- 
greti allora,  ma  grandi  poi,  e  ville  amene:  negandogli,  l'uc- 
ciderebbe. Chiama  suoi  amici  quasi  a  consiglio;  fallo  esami- 
nare: egli  sciaurato  per  natura,  e  già  dirotto  n^l  mal  fare, 
agevolmente  confessò,  oltre  alle  dimandate,  cose  non  mai 
sognate.  Onde  ebbe  confino  in  Sardigna,  sopportollo  non 
povero,  e  morìvvisi. 

LXIIl.  Nerone  bandi  che  Oftavia  corruppe  il  prefetto 
per  aver  l'armata  dal  suo,  e  mandato  via  i  parti,  sapendo 
eran  bastardi  (dimenticatosi  che  poco  prima  la  cacciò  per 
isterile],  e  che  tutto  aveva  toccato  con  mano.  Però  la  confi- 
nava nella  Palmarola.'  Non  andò  mai  alcuna  in  esigilo  con 
tanto  cordoglio  de'  riguardanti.  Ricordavano  alcuni  che  Ti- 
berio cacciò  Agrippina,  e  Claudio  Giulia. più  frescamente: 
ma  eran  donne  fatte,  avevano  avuto  dell' allegreze  ;  il  ricor- 
darsi del  tempo  felice,  nella  miseria  le  consolava.*  A  costei 
il  primo  di  delle  noze  fu  di  mortorio:  entrò  in  casa  lagri- 
mante  per  lo  padre,  e  tosto  per  lo  fratello  avvelenati;  vi  po- 
teva più  la  serva  che  la  padrona:  né  per  altro  che  per  lei 

•  e  appiccarlesi  un  altro  ferro  di  cercata  novità,  apporlesi  un'altra 
calugoa  d' aver  tentato  di  far  novità. 

'  sì  li  rimprovera s  ciak,  rimprovera  i  peccati  bruiti;  ostia: 
ministri  de*  brutti  peccati  h  quasi  un  rimprovero. 

•  PalmaroUt  Pandataria. 

•  il  ricordarsi  del  tempo  felice  ec.  Dante,  pel  contrarici 


Non  T>  ha  maggior  dolore 

Cbe  ricordarsi  del  tempo  felice 
Nella  miseria. 


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IL  UBBO  QUATTOBMGESIMO  DEGLI  ANNALI.      365 

spegnere,  fa  Poppea  sposata:  e  per  oltimo  appostole  fallo  più 
grave,  che  mille  morti. 

LXIY.  Tenera  di  venf  anni,  messa  tra  centarìoni  e  sol- 
dati: per  certeza  di  sao  male  tolta  già  di  vita,  non  si  ripo- 
sava però  nella  morte:'  della  quale  pochi  giorni  dopo  ebbe  il 
comandamento,  benché  dicesse  esser  vedova,  e  solamente 
sorella:  e  invocasse  il  nome  comune  di  Germanico,  e  poi  di 
Agrippina,  che  mentre  visse,  ben  fu  malmaritata,  ma  non 
uccisa.  Fu  strettamente  legata,  e  segatole  le  vene:  e  non 
uscendo  il  sangue  ghiacciato  per  la  paura,  messa  in  bagno 
caldissimo,  spirò:  ed  essendo  a  Roma  portato  il  teschio, 
Poppea  per  giunta  d'atrocità  lo  volle  vedere.  A'  tempii  fu- 
rono ordinate  offerte  per  tal  successo.  Dicolo,  perchè  chi  leg- 
gerà i  casi  di  que'  tempi  scritti  da  me  o  da  altri,  sia  certo 
che  per  ogni  cacciata  o  morte  che  il  principe  comandava,  si 
correva  a  ringraziare  gl'iddii:  e  quelli  che  solevano  esser 
segni  di  felicità,  erano  di  miseria  pubblica.  Né  anco  tacerò, 
quando  il  senato  avrà  fatto  ordini  per  adulazione  novissima, 
o  servitù  abbiettissima. 

LXY.  In  questo  anno  si  crede  che  egli  facesse  morir  di 
veleno  due  liberti  suoi  principalissimì,  Doriforo,  (quasi  avesse 
contrariato  le  noze  di  Poppea)  e  Pallante,  perchè  col  troppo 
vivere,  lo  teneva  del  suo  tesoro  strabocchevole  a  disagio.' 
Romano  accusò  Seneca  in  secreto  di  congiura  con  C.  Pisene. 
Ma  Seneca  rovesciò  questo  ranno  in  capo  a  lui  più  rovente;' 
onde  Pisone  impauri,  e  nacquene  congiura  contro  a  Nerone, 
grande  ma  infelice. 

*  Sebbene  privata  di  tutti  i  beni  della  vtta>  pure  non  godeva  peranco  del 
beneficio  della  morte,  cioè  della  quiete.  Il  Louandre  traduce  :  «  cetle  jennefemme 
ètait  arrachée  à  la  9ie  par  le  pressentiment  de  sen  malkear^  san*  avoir  hi 
paix  quon  trouve  dans  la  mori,  n 

S  lo  teneva  del  suo  tesoro  strabocchevole  a  disagio^  gli  Ciceva  troppo 
aspettare  la  immen»a  erediti. 

'  rovesciò  questo  ranno  in  capo  a  lui  più  rovente.  Lat.  :  «  sed  validius 
a  Seneca  eodem  crimine  perculsus  est.  **  Politi:  «  ma  fii  egli  da  Seneca  con  la 
medesima  imputasione  più  gagliardamente  abbattuto.  »  Dati  :  m  ma  potette  più 
r  accusa  che  Seneca  fece  contro  di  lui  del  medesimo  delitto.  »  Valeriani:  «  ma  fu 
più  fortemente  da  Seneca  dell' istessa  imputazione  aggravato.  «—Questi  dicono , 
e  il  Davansati  dipinge.  —  Il  Postillatore  dell* esemplare  Nestiano  di  G.  Capponi, 
con  poco  giudizio^  sconciò  rovente  in  bollente, 

31' 


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3«6 

IL  LroRO  QUINDICESIMO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  CORNELIO  TACITO. 

SOMMARIO. 

I.  Invade  P  Armenia  Vologese  re  de' Parti  da  Gorbulone  eanf  amente  ma 
con  forca  ripresso. — VI.  Cesennio  Peto  ▼iene.  Generale  a  parte  per  P Arme-' 
nia  :  da  ignoranza  e  temerità  la  sbaglia  :  tardi  lo  soccorre  Gorbulone. — XVIII. 
Decretato  in  Roma  trofeo  de' Parti,  viva  tuttor  la  guerra. — XIX.  Le^e  di 
senato  sulle  finte  adozioni.  —  XXIII.  Poppea  dà  una  figlia  a  Nerone:  gran 
gioia,  ma  breve.  AI  quarto  mese  morta  la  bambina  ha  celesti  onori. — XXIV, 


diadema.  nè'I  ripigli  cne  a  «rado  di  lui. — XXXII.  L' alpi  marittime  fatte  la- 
tine.— XXXIII.  Nerone  pnblicamente  canta  a  Napoli:  Roma  tutta  una  fogna 
per  suo  lusso  e  libidine.  —  XXXV.  Torquato  Silano  astretto  a  morte. — XXXVIII. 
Roma  in  fiamme ,  a  caso  o  per  Nerone ,  non  si  sa  :  eì  le  rorine  della  patria 
adopera  a  farsi  un  palagio  a' oro. — XLIV.  I  Cristiani  calnnoiati  d' incenaiarii, 
in  tormenti  spietati  con  ludibrii.— XLVII.  Prodigi.  —  XLVIII.  Congiura  di 
C.  Pisene  contro  Nerone  scoperta.  Morte  de' più  illustri,  tra'quai  Locano  e 
Seneca. — LXXIV.  Doni  e  grazie  a^numi  decretate;  aprile  cbiamato  Nerone. 

Cono  di  sopra  tre  anni. 
An.  di  Roma  ^cccxv,.  (diCr.  65).-Co«.o«.  )  ^  "^^Zt^^' 

An.diRomaDCCCXVii.  (diCr.  64).  — ConwK.  1  ?;•  ^-W^^WO  BA8«>- 
^  '  i  M.  Licinio  Grasso. 

An.diR...BCCCX,uMaiCr.65).-Co».o«.  |  i. ^^::„^«i;i^"-- 


I.  In  qaesto  tempo*  Vologese  re  de'  Parli,  veduto  i  sac- 
cessi di  Corbulone;  dato'  air  Armenia  Tigrane  re  forestiero, 
spregiata,  per  esserne  cacciato  Tiridate  suo  fratello,  la  gran- 
digia arsacida;  pensando  alla  vendetta,  e,  all'incontro,  alla 
grandeza  romana  e  alla  riverenza  della  continuata  amicizia, 

«  In  questo  tempo  ec.  Riassume  i  fatti  narrati  nel  lib.  XIV,  36. 
'  (fato^  vedendo  esser  dato. 


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A  LIBAO  QOINDIGBSIIIO  DEGLI  INNIU.  367 

si  dibatteva;  *  tardo  per  natura;  impacciato  per  molte  guei^- 
re,  per  esserglisi  ribellati  gFIrcani,'  gagliarda  gente.  Lo  pansé 
di  più  novella  vergognosa,  cbe  Tigrane  era  uscito  d'Arme- 
nia a' danni,  più  che  a  ruberie,  degli  Adiabeni,'  suoi  confi- 
nanti, e  durava.*  Non  potendo  i  principali  sofferire  «  che 
gr  insultasse,  non  un  capitano  romano,  ma  uno  statico  ^  pro- 
suntuoso  ,  tenuto  come  schiavo  tanti  anni.  »  £  conquidevali 
Monobazo,  che  governava  gli  Adiabeni,  domandando:  «e  quale 
aiuto  chiedere,  e  onde:  già  l'Armenia  esser  ita:  giucarsi 
del  resto:'  non  si  difendendo  i  Parti,  men  dura  servitù  co' Ro- 
mani avrieno,  arresi,  che  presi.  »  Tiridate  ancora  cacciato 
del  regno,  che  in  tacendo  non  poco  si  lamentava,^  il  premei 
va.  ff  Non  si  reggere  i  grandi  stati  con  lo  starsi  a  man  giun- 
te; doversi  cimentar  V  armi  e  gli  uomini.  La  ragion  dello 
stato  star  nella  forza.  Mantenere  il  suo ,  esser  cosa  da  priva- 
to: laude  regia,  l'assaltar  Y altrui.  » 

II.  Yologese  adunque  per  tanti  stimoli  chiamò  suo  con- 
siglio e,  con  Tiridate  accanto,  cosi  cominciò:  a  Questo  mio 
fratto,  che  per  l'età  mi  cedette, *  investii  dell'Armenia, 


'  si  dibatteva. Lit.t  ndiversat  ad  curas  trahebatur,»  Intendi;  era  com- 
battuto dal  desiderio  della  yendetta»  dalla  difficoltli  di  coodorla  con  buon  esito, 
per  cagione  della  romana  potenza,  e  dal  rispetto  dell'amicizia  fermata  tra  i  Ro- 
mani ed  i  Parti,  fin  dall*  a.  734,  quando  Fraate  restituì  ad  Augusto  le  insegne 
tolte  a  Crasso  e  ad  Antonio. 

S  ribellati  gl'Ircani.  Vedi  XIll,  37;  XIV,  25. 

>  u^cTiafreni.  Adiabene,  già  Assiria,  tra' fiumi  Lieo  e  Capro;  ora  Botan^ 
parte  del  Kurdistan. 

*  uscito...,  a' danni  pia  che  a  ruberie....  e  durava,  Lat.:  mAdiabenos..,, 
latiut  ac  ditttius  quam  per  latrocinia  vastaverat.  »  Valeriani:  «  s'era  gittato 
su'  confinanti  Adiabeni  con  maggior  guasto  e  piò  lungo,  che  per  solo  ladroneg* 
giare.» 

'  statico j  ostaggio. 

^  giucarsi  del  resto,  risicare  che  la  perdita  dell'  Armenia  si  tiri  dietro  an- 
che le  prossime  provincie.  Quanto  poi  alla  frase  proverbiale  giucare  o  far  del 
reslo^  vedi  Fit,  d'Jgr.  e.  26. 

7  in  tacendo  non  poco  si  lamentava,  Lat.  t  «  per  sileniinm  aut  modice 
querendo:  u  o  col  silenzio  o  con  moderate  doglianze.  11  nostro  lesse  haud 
invece  di  aut.  Ma  che  non  si  dolesse  col  solo  silenzio,  lo  mostrano  le  parole  di 
Ini  cbe  seguono. 

B  per  l'età  mi  cedetie.'L^i.  :  mcum  mihi  per  aiatem  summo  nomine  con- 
cessisset.m  Avendomi  per  l'età  ceduto  il  sovrano  titolo:  cioè,  di  re  dei  ra 
(/3a9t>éw$  Twv  /Sa9iÀs&>v),come  chiamavasi  il  re  dei  Farti. 


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368  IL  LIBRO  QUUfDICBSniO  DEGLI  ANNALI. 

ehe  è  il  terzo  grado  del  nostro  regno.  E  avendo  Pacoro  già 
presi  i  Medi,  mi  pareva  aver  bene,  e  senza  rasato  odio  e 
combattere^  de' fratelli,  acconce  le  cose  nostre.  Non  sene 
contentano  i  Romani,  e  tornano  a  tarbarci  la  pace,  non  mai 
turbala  senza  lor  gaai.  Voleva  io  (noi  niego)  mantener  gli 
acquisti  de' nostri  antichi  con  la  ragione,  non  col  sangue. 
Se  io  ho  peccato  con  dimora,  rammenderò  con  virtù.  Le 
forze  e  gloria  vostra  non  sono  scemate  e,  di  più,  avete  ora 
fama  di  modestia,  che  ne'  più  grandi  uomini  più  riluce,  e 
agi'  iddii  è  più  cara.  »  Cosi  detto,  in  capo  a  Tirìdate  cinse 
la  diadema,  e  a  Monese  uomo  nobile  accomandò  i  cavaleg- 
gieri,  solita  guardia  del  re,  rinforzata  d' aiuti  adiabeni,  con 
ordine  di  cacciar  Tigrane  d'Armenia:  in  tanto  e'  s' accorde- 
rò' *  con  gì'  Ircani,  e  assalirebbe,  con  forze  più  vive  e  con 
tutta  la  guerra,  le  Provincie  romane. 

III.  Alla  certeza  di  tali  avvisi,  Corbulone  soccorse  Ti- 
grane di  due  legioni,  sotto  Yerulano  Severo  e  Yezio  Belano,' 
con  ordine  segreto  di  fare  ogni  -cosa  consideratamente  anzi 
che  presto;  volendo  più  tosto  sostener  la  guerra,  che  farla.* 
A  Cesare  scrisse,  che  l'Armenia  voleva  esser  guardata  da 
proprio  capitano:  la  Sona  da  Yologese  portare  maggior  pe- 
ricolo. Mette  r  altre  legioni  avanti  alla  riva  dell'  Eufrate;  ra- 
guna  gente  della  provincia  ;  piglia  e  chiude  i  passi  al  nimi- 
co. E  perchè  quel  paese  patisce  d' acqua,  mette  guardie  alle 
fonti,  e  con  la' rena  rìcuopre  i  rivi. 

lY.  Mentre  che  Corbulone  tali  cose  ordina  alla  difesa 
della  Soria;  Monese  marciò  a  corsa  per  gìugnere  alla  spro- 
vista;  e  non  riusci;  avendo  già  Tigrane  presso  Tigranocerta,' 
città  forte  di  popolo  e  di  mura,  cinte  parte  dal  fiume  Nice- 
forìo,  assai  largo,  il  resto  da  alto  fosso.  Fornita  era  di  soldati 
e  vettovaglie:  nel  portarvele,  alcuni  troppo  arrischiatisi,  presi 

<  e  combaiterej  e  discordia. 

'  accorde^e*,  accorderebbe.  Cosi  la  Nestiana. 

S  Vedi  iotorno  a  costoro,  lib.  XIV,  26,  e  Vit,  Agr.  e.  8. 

^  che  farla.  Lat.:  tbellum  habere,  quàm  gerere  »a/e^a<.  »  B  Tool  dict, 
cbe  gli  bastava  potere  scrivere  a  Roma:  «  Ho  guerra  coi  Parti;  •  ma  quanto  poi 
«1  farla  davvero,  non  n'aveva  troppo  voglia,  temendo  perdersi  la  gloria  ac^cu- 
sUU. 

5  Tigranocei:ta,yedì\ih.Xll,òO, 


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IL  LIBRO  QUINDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  369 

da'nimici,  accesero  oelli  altri  più  tosto  ira  che  panra.  Ma  il 
Parto,  che  neir assedio  dappresso  niente  vale,  con  poche 
Treccie,  non  fece  al  nimico  paura,  e  perde  tempo.  Gli  Adia* 
beni,  che  cominciare  a  piantar  scale  e  ordigni,  faron  tosto 
gittati  giù,  e  da'  nostri,  usciti  fuori,  uccisi. 

y.  Tuttavia  Corbulone,  le  fortune  sue  moderando, 
mandò  a  Yologese  a  dolersi  «  della  forza  usata  alla  provincia, 
che  un  re  confederato  e  amico  assediasse  i  Romani;  se  ne 
levasse  tostanamente,'  o  l'aspettasse  come  nimico.  »  Casperìo 
centurione  espose  l'ambasciata  ferocemente  al  re,  trovato 
in  Nisibi,*  trentasette  miglia  discosto  a  Tigranocerta.  Yolo- 
gese s' era  molto  prima  risoluto  di  non  la  voler  co'  Romani,^ 
e  le  cose  ora  non  gli  andavano  bene:  l' assedio  vano;  Tìgrane 
con  sua  gente  sicuro;  gli  assahtori  fuggiti;  messe  legioni  in 
Armenia;  altre  pronte  a  entrar  rovinose  in  Seria.  La  sua 
cavalleria  esser  debole  per  la  fame,  avendo  infinità  di  grilli 
divorato  ogni  verzura.  Gelando  adunque  la  paura,  e  mo- 
strandosi agevole^,  rispose  che  manderebbe  ambasciadori  al- 
l'imperador  romano  a  chieder  l'Armenia,  e  fermar  una 
pace:  a  Monese  fece  lasciare  Tigranocerta;  e  indietro  tor- 
nessi. 

VI.  Magnificavano  molti  queste  cose,  come  avvenute  per 
concordia  del  re  e  bravura  di  Corbulone.  Altri  cementava- 
no, essersi  intesi  tra  loro  che  senza  guerra  Yologese  partis- 
se, e  Tigrane  appresso  uscisse  d'Armenia:  «  Altramente, 
perchè  levar  l'esercito  romano  da'  Tigranocerti?  abbandonar 
nella  pace  il  difeso*  con  guerra?  Forse  svernarsi  con  più  agio 
nel  confino  di  Gappadocia ,  in  capanne  alla  peggio,  che  nella 
sedia  del  dianzi  tenuto  regno?  la  guerra  si  è  differita,  perchò 
Yologese  avesse  appetto  altri  cbeGorbulone;  ned  ei  mettesse 
a  zara*^  la  sua  gloria  in  tanti  anni  acquistata.  »  Perchò  egli 


*  tostanamente.  Così  la  Nestiana  e  la  Cominiana.  Le  altre,  tostamente^ 

'  iViif&ij  nobile  cUtk  della  Metopotamiaj  chiamata  oggi  pure  Nisibin  o 
Netsabin, 

B  di  non  la  voler  co* Romani,  di  non  si  volere  affrontar  co*  Romani. 

*  il  difeso,  le  provincie  difese. 

S  mettesse  a  zara,  metteste  a  risico.  Zara  ^  giuoco  di  sorte,  che  si  fa  con 
tre  dadi.  Di  qui  zaroso  per  rischioso,  usato  altrove  dal  nostro. 


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370  IL  UBBO  QUINDICBSIMO  DEGÙ  ANNALI. 

arerà  chiesto,  come  dissi,'  an  generale  proprio  per  T  Arme- 
aia,  e  Qdivasi  che  veniva  Gesennio  Peto;  il  quale  arrivato, 
si  divisero  le  forze:  la  legion  qaarta,  la  dodicesima  e  la  quin- 
ta, tratta  nuovamente  di  Mesia,  e  gli  aiuti  di  Ponto,  de'Ga- 
lati  e  Gappadoci  ubbidissero  a  Peto:  e  la  terza,  sesta  e  de- 
cima, e  di  Soda  i  soldati  di  prima,*  rimanessero  a  Gorbulone. 
V  altre  genti  le  si  spartissero,  o  prestassero  secondo  i  biso- 
gni. Ma  Gorbulone  non  pativa  compagno:  e  Peto,  che  si  do- 
veva gloriare  d'esser  secondo,  sfatava'  «  le  cose  fatte  senza 
sangue,  senza  preda:  sforzate  città  in  nome:^  metterebbe 
ben' egli  tributi  e  leggi  a' vinti  e  romano  giogo,  levato  via 
quell'  ombra  di  re.  » 

VII.  Gli  ambasciadori,  che  io  dissi  mandati  daVoIogese 
al  prìncipe,  tornarono  allora  senza  conclusione:  onde  i  Parti 
ruppero  la  guerra,  e  Peto  l'accettò,  e  con  due  legioni  rette 
allora,  la  quarta,  da  Famisulano  Yettonìano,  e  la  dodicesima, 
da  Galavio  Sabino,  entra  in  Armenia  con  tristi  agurii.  Pas- 
sando per  ponte  V  Eufrate,  il  cavallo  che  portava  l' insegne 
consolari ,  senza  cagione  che  si  vedesse,  ombrò,  diede  a  die- 
tro e  scappò.  Una  bestia  per  sagrificio  legata  a  certi  padi- 
glioni che  si  piantavano,  a  meza  l'opera  si  fuggi,  e  saltò  lo 
sleccato.  Arsero  lanciotti  de'  soldati;  peggior  segno;  percioc- 
ché il  Parie  combatte  col  lanciare. 

Ylil.  Ma  Peto  nulla  stimando,  senza  aver  ben  fortifi- 
cato gli  alloggiamenti  del  verno,  né  provveduto  vettovaglie, 
corre  con  l'esercito  oltre  al  monte  Tauro  per  ripigliare,  come 
diceva,  Tigranocerta,  e  guastare  i  paesi  che  Gorbulone  non 
toccò.  Prese  alcune  castella,  e  n'  arebbe  riportato  qualche 
gloria  e  preda,  se  l'una  con  modestia,  l' altra  con  diligenza 
avesse  guardata.  Gon  lontane  cavalcate  ^  tentò  cose  impossi- 
bili; guastò  i  viveri  guadagnati:  e,  già  venutone  il  verno,  ri- 
pose l' esercito,  e  scrisse  a  Gesare,  come  se  avesse  vinta  la 
guerra,  parole  gonfie,  vote  d'effetti. 

*  come  dissi.  Vedi  cap.  3. 
9  di  prima  j  antichi. 
9  sfatava^  dispregiava 
A  in  nome,  non  in  reallJL 
B  cavalcate,  correrìe. 


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n  LIBBO  QUINDICESIMO  DEGÙ  ANNALI.  371 

IX.  Gorbalone  intanto  si  tenne  con  più  guardie  nella  sua 
sempre  stimata  riva  deli' Eufrate.  E  perché  i  cavalli  nimici, 
che  già  in  quelle  pianure  svolazavano^  con  gran  mostra,  non 
impedissero  il  farvi  ponte,  mise  nel  fiume  grosse  navi  inca* 
tenate  con  travi,  e  sopravi  torre;*  onde  i  mangani  e  balestre 
disordinavono  i  barbari,  spotando  sassi  e  lanciotti  più  lontano 
che  non  arrivavano  le  frecce  contrarie.  Il  ponte  si  fece,  e  si 
passò;  gli  aiuti  presero  le  colline;  le  legioni  vi  posero*  il 
campo,  con  tanta  presteza  e  mostra  di  forze,  che  i  Parti,  sbi- 
gottiti della  Soria,  voltarono  ogni  speranza  all'Armenia. 

X.  Peto  i  soprastanti  mali  ignorando,  aveva  la  legion 
quinta  lontana  in  Ponto,  e  V  altre  snervate  di  soldati,  dando 
licenze  a  chi  voleva.  Udito  che  Vologese  veniva ,  e  minac- 
cioso; chiama  la  dodicesima:  ma  questa,  che  egli  voleva  che 
desse  nome  che  l'esercito  fusse  ingrossato,  lo  scoperse  sce- 
mato. E  cosi  poteva  in  campo  difendersi ,  e  con  allungar  la 
guerra  beffare  il  Parto,  se  Peto*  avesse  avuto  fermeza  ne'snof 
0  altrui  consigli.  Ma  quando  i  soldati  pratichi  l' avvertivano 
ne' casi  urgenti,  per  non  parer  d'averne  uopo,  faceva  il  ro- 
vescio, e  male.  E  allora  usci  fuor  del  campo  gridando,  non 
essergli  dato  fosso  né  palancato,  ma  uomini  e  armi  per  com- 
battere il  nimico;  e  ordinò  le  genti  quasi  a  giornata:  poscia, 
perduto  un  centurione  con  pochi  soldati  mandati  a  riconoscer 
l'oste  nimica,  tornò  dentro  impaurito.  E  perchè  Vologese  non 
veniva  cosi  ardente,  ripreso  vano  animo,  mise  nel  monte 
Tauro  vicino,  tremila  fanti  scelti  per  torgli  il  passo:  i  Pan- 
noni,  nerbo  della  cavalleria,  giù  nel  piano,  e  in  Arsamosata^ 
castello,  la  moglie  e  '1  figliuolo,  guardati  da  una  coorte.  Cosi 
sparpagliò  le  forze  che,  unite,  avrien  sostenuto  meglio  il  ni- 
mico scorrazante:  dicono  che,  tirato  con  gli  argani, '^  lo  con- 


•  svolazavano.  Anche  il  latìnoi  «  volitahant.  »  — Con  gran  mostra:  in- 
tendi; per  parere  che  fossero  una  gran  moltitudine. 

•  torre j  torri. 

5  posero.  Cosi  la  Nestiana,  e  hene.  Ne  occoiteva  che  il  signor  Volpi  cor- 
reggesse presero, 

•  Jrsamosata.  Plinio  VI,  9,  e  Polibio  VHI,  25  scrivono  Armosata^fht 
h  una  terra  vicina  ali*  Eufrate. 

S  tirato  con  gli  argani,  indotto  a  stento.  Lat.  :  m  tegre  eompulsam,  » 


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372  IL  UBBO  QCnfDIGBSIMO  DEGLI  AÌINAU. 

fesso  a  Corbalone,  che  gli  era  addosso:^  il  qaale  non  sollecitò, 
perchè  fosse  (cresciuti  i  pericoli)  U  soccorso  più  glorioso:  av- 
viò, delle  tre  legioni,  fanti  mille  per  una,*  e  cavalli  otto- 
cento, e  delle  coorti  altrettanti. 

XI.  Yologese,  benché  avvisato  de'  passi  presi  da  Peto, 
di  qoa  co' fanti,  di  là  co' cavalli,  seguitò  innanzi,  e  fugò  i- 
cavalli,  disfece  i  legionari,  si  che  solo  Tarqoizio  Crescente 
centurione,  ardi  difendersi  nella  torre  commessagli:  spesso 
usci  fuori,  e  uccise  i  barbari  che  s'accostavano,  sino  a  che 
rimase  in  mezo  a  molti  fuochi  lanciatigli.  Fuggironsi  i  pe- 
doni; se  alcuno  sano  scampò,  fuor  di  strade,' e  discosto:  i 
feriti  nel  campo,  ì  quali  della  virtù  del  re,  crudeltà  e  numero 
de'  nimici  contavano  per  paura  le  maraviglie;  e  credevale 
agevolmente  chi  n'era  spaventato.  Peto  senza  rimediare  a' di- 
sordini, abbandonati  tutti  gli  uffici  di  guerra,  mandò  di  nuovo 
pregando  Corbulone  che  venisse  tosto;  difendesse  l'insegne 
e  r  aquile  e  '1  nome  di  quel  poco  d' esercito  infelice  che  ri- 
maneva; egli  mentre  avesse  vita  manterebbe^  la  fede. 

XII.  Corbulone  con  franco  animo,  lasciata  in  Seria  una 
parte  di  sua  gente  per  tenere  i  forti  in  so  V  Eufrate,  per  la 
via  più  corta  e  fornita  di  vettovaglie,  pervenne  ne'  Gomage- 
ni,*^  in  Cappadocia,  in  Armenia.  Veniva  con  l'esercito,  oltre 
all'altro  solito  bagagliume,  gran  numero  di  cammelli  carichi 
di  grano,  per  cacciare  insieme  il  nimico  e  la  fame.  U  primo 
degli  spaventati  ad  incontrarlo  fu  Pazio  centurione  primo- 
pilo, e  molti  altri  appresso,  a' quali,  alleganti  varie  scuse 
della  lor  foga,  disse  che  tornassero  all'insegne,  a  Peto,  se' 
volesse  perdonar  loro;  ch'egli  non  perdonava,  se  non  a  chi 
vinceva.  Visita  le  legioni  sue;  confortale;  ricorda  le  preterite 
azioni;  mostra  gloria  nuova;  racqoisto  e  premio  di  lor  fati- 
che, «  non  di  casali  o  castellucci  d'Armenia;  ma  del  campo 

*  che  gli  era  addosso j  cioè,  che  il  nemico  gli  en  addosso  ;  e  che  Corhii- 
lone  non  ToUe  affrettarsi  di  recargli  soccorso  ,  perchè  ec. 

'  per  unoj  per  ciascnaa. 

^fuor  di  strade,  ciò  fu  mettendosi  per  vie  non  osate  e  traverse. 

*  manterebbe.  Cosi  la  Nestiana;  ed  anche  altrove  abbiam  vedalo  la  r 
scempia. 

»  ne' Comageni.  La  Comagena  h  una  parte  della  Siria,  la  cui  capitale  è  Sa* 
mosata,  oggi  Semisat. 


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Il  LiBfto  ooDmicninio  dmu  ammau.  373 

romano,  con  due  legioni  entrovi.  Se  d'on  solo  soldalello, 
d' un  solo  cittadino  salvato  riceverebbe  per  mano  dell'  impe- 
radore  la  sua  corona,  qaanta  gloria  vi  fia  veder  pari  numero 
d'incoronati  e  salvati?*  »  Accesi  da  tali  parole,  e  maggior* 
mente  cbi  vi  avea  fratelli  o  parenti,  marciavano  di  e  notte, 
ratti  senza  posare. 

KLIII.  E  Yologese  strigneva  tanto  più  gli  assediati:  as- 
saltava ora  il  campo,  ora  il  castello'  ov'  era  la  gente  debole, 
accostandosi  più  che  non  usano  i  Parti,  per  tirare  col  troppo 
ardire  il  nimico  a  combattere.  Ma  essi  a  pena  uscivano  dalle 
tende;  difendevano  a  pena  i  ripari,  cbi  per  ordine  del  capi- 
tano, cbi  per  codardia  propria;  aspettando  Corbulone  o,  se 
fussero  soprafatti,  presti  a  valern  degli  esempli  della  caudina 
o  namantina  sconfitta.'  Negavano  «  aver  avuto  tante  forze 

*  d'incoronati  esalvaiif  11  testo  ha;  «  xl  simgtdis  manipalaribus  prcB» 
ciptta  servati  civis  corona  imperatoria  manu  tribueretitr,  quod  illud  etquan» 
tiim  decuSj  ubi  par  eorum  numerus  apisceretur  (il  nostro  legge  col  Lipsio 
aspiceretur),  qui  adtulissent  salutem  et  qui  accepissentl  »  Questo  perìodo 
assai  difficile  e  si  divcrsameote  interpietato,  k  tradotto  baiiisstino  dal  Barnotif: 
m  combien  serait  glorieum  lejour  où  ily  aurait  auXant  de  couronnes  civim 
ques  à  distribuer  qu'ily  avait  eu  de  citoyens  en  perii I  n  Gioverà  tradurre 
la  Dota  colla  quale  conforta  la  sua  interpretazione  e  corregge  il  Davanzali.  «  Ho 
»  tradotto  questa  frase  (egli  dice)  più  a  lettera  che  ho  potato,  e  credo  d'averne 
9  cavato  un  senso  netto  e  satisfacente:—- Chi  salva  un  cittadiao,  merita  ana  co* 
»  rooa  civica  :  quelli  cui  andiamo  a  liberare  sono  in  caso  di  perir  tutti,  e  bisogna 
»  salrarll:  se  fosse  possibile  che  il  generale  desse  a  ciascuno  che  la  si  fosse  meri- 
»  tata  una  corona  speciale  e  individuale  (prtecipua)j  che  bel  giorno  di  trionfo  e 
*•  di  gloria  non  sarebbe  mai  quello ,  nel  quale  si  distribuisse  questo  nobile  pre« 
H  mio  a  tanti  soldati  dell'esercito  liberatore >  quanti  ne  contavano  le  legioni  li- 
«•  beratel — Nondimeno  pare  che  in  quest'antitesi,  qui  attulissent  salutem  et 
m  qui  accepissentj  Tacito  abbia  un  po' tirato  all'artifizio;  ed  Ernesti  domanda 
m  che  importa  alla  gloria  questa  parità  di  numero  tra  i  salvatori  e  i  salvati.  Ma 
m  egli  non  ha  cólto  il  concetto  di  Tacito:  la  parità  di  numero  non  è  tra' due 
»  eserciti,  ma  tra  una  parte  dell'  uno  e  la  totalità  dell'  altro,  tra  la  parte  dei  sol- 
»  dati  di  Corbulone  che  riceverebbe  la  corona  civica,  e  la  totalità  delle  legioiii  di 
»  Peto,  che  sarebbe  liberata  da  morte.  Di  più,  eorum  qui  attulissent  salutem 
«  designa  non  i  soldati  liberatori  in  particolare,  ma  l'esercito  liberatore  in  gene* 
*•  rale:  in  questo  esercito  tanti  soldati  otterrebbero  la  corona  civica,  par  nume» 
n  rus  apisceretur,  quanti  cittadini  dovessero  loro  la  propria  conservazione,  et 
»  qui  {salutem)  accepissentl  eiole  quAnii  erano  i  Icgionarii  dell'esercito  asse- 
••  diato.  Cosi  sparisce  quella  freddura  che  die  nel  naso  a  Ernesti ,  e  che  si  vede 
M  nella  traduzione  del  Davanzali  :  Quanta  gloria  vi  jia  veder,  pari  numero 
»  d'incoronati  e  salvati.  » 

*  il  castellOjkr&unossiU, 

'  sconfitta.  La  prima  avvenuta  l'a.  di  R.  i^d}  l'altra,  l'a.  617. 
I.  52 


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874  IL  UBBO  QIJDIMGB0IIÌO  BB6U  ANNALI. 

i  Sanniti,  popoli  dell'  Italia,  né  i  Cartaginesi,  emuli  all'im- 
perio romano.  Anche  la  forte  e  lodata  antìchitade  aver  eer- 
cato  aalvarai  nelle  fortone.  »  Questa  disperanon  dell'esercito 
forzò  Peto  a  scrivere  al  re  la  prima  lettera,  non  umile,  ma 
quasi  querelandosi;  «  Gh'ei  procedesse  da  nimico  per  li  Ar- 
meni, che  furon  sempre  dell'imperio  romano  o  ligi,  o  sotto 
re,  dato  dall'  imperadore.  La  pace  esser  del  pari  utile.  Non 
mirasse  solo  il  presente.  Esso  esser  venuto  contro  a  due  le- 
gioni con  tutte  le  forze  del  regno:  a'  Romani  rimanere  per 
alutar  quella  guerra  il  resto  del  mondo.  » 

XIY.  Yoiogese  non  rispose  a  proposito:  «e  Aspettar  quivi 
d'ora  in  ora  Pacoro  e  Tiridate  suoi  fratelli,  per  risolvere 
quanto  fosse  da  far  delle  legióni  romane  e  dell'Armenia, 
dalli  iddìi  aggiunta  alla  degnitade  arsacida.  »  Poscia  Peto 
chiedéo  per  messaggi  d'abboccarsi  col  re:  il  quale  vi  mandò 
Yasace  general  di  cavalli:  a  cui  Peto  ricordò  ì  Lnculll,  i  Pom- 
pei, e  se  altri  capitani  tennero  o  donarono  l'Armenia.  Ya- 
sace «disse  averla  noi  tenuta  e  data  in  cirimonia;  ^  essi  in  ef- 
fetto. Assai  disputare,  e  l'altro  di,  presente  Monobazo  adia- 
bene,  chiamato  per  testimone,  capitolano:  «e  Che  l'assedio  si 
levasse  dalle  legioni;  sgombrassero  d'Armenia  tutti  i  soldati; 
lasciassero  le  forteze  e  i  viveri  a'  Parti:  ciò  fatto,  potesse 
Yoiogese  mandar  ambasciadorì  a  Nerone. 

XY.  In  tanto.  Peto  gittò  un  ponte  sopra  '1  fiume  Arsa- 
nia,'  che  innanzi  al  campo  correva,  quasi  per  andarsene  per 
di  là:  ma  i  Parti  io  comandaron  per  segno  d'aver  vinto, 
perchè  se  ne  servirono:  e  i  nostri  tennero  altra  via.'  La  fama 
aggiunse,  che  le  legioni  furon  messe  sotto  '1  giogo:  e  altre 
nostre  sciagure,  dalli  Armeni  rappresentate,  con  l'entrar  nel 
campo,  prima  che  i  romani  n'  uscissero:  pigliar  le  vie  di  qua 
e  di  là;  riconoscere  e  tòrsi  li  schiavi  e  giumenti  presi  già; 
strappar  veste  e  armi;  dando  i  nostri  del  buon  per  la  pace.^ 

'  in  cirimonia^  in  apparenia. 

>  Jrsaniaj  oggi  Arstn,  influente  dell*  Eufrate.  La  Nestiana  ha  Arsamelo. 

3  altra  via.  Dati:  «Ma  questo  gliele  areTano  comandato  i  Parti,  come 
per  un  segno  e  memoria  di  quella  Tittoria  ;  perciocché  del  ponte  si  servirono  essi  , 
e  i  nostri  se'  n*  andarono  per  un  altro  cammino.  » 

*  dando  i  nostri  del  buon  per  la  pacOj  mostrandosi  timidi  e  cedevoli  per 
non  aver  cagione  di  briga.  Lat.  ;  «  pavido  milite  et  concedente^  ne  qua  pralii 


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tL  LIBEO  ^^CIMDICBSmo  DEGLI  ANNALI.  375 

Yologese,  delFarmi  e  de' corpi  morti,  rìzò  nn  trofeo  per  me- 
moria deUa  nòstra  sconfitta:  non  si  fermò  a  veder  fuggire  le 
nostre  legioni,  per  dar  fama  di  modestia;  quando  di  supera 
bia  era  sazio.  Passò  l'Arsania  sopra  ano  elefante;  e  la  guar- 
dia, a  forza  di  cavallo;  dicendosi  che  il  ponte  era  fatto  a 
malizia  da  cadere,  caricato;^  ma  gli  altri  che  s'arrischia- 
rono, il  trovaron  sodo  e  fidalo. 

XYl.  €erto  è,  che  agli' assediati  avanzò  tanto  grano  che 
Tabbrueciarono:  e  per  lo  contrario  Gorbulone  divolgò  che 
a'  Parti,  per  mancamento  di  vettovaglia  e  guasto  di  pasture, 
conveniva  levar  l'assedio  :  e  non  era  che  tre  giornate  lonta- 
no: e  che  Peto  promise  e  giurò  innanzi  alle  insegne,  pre- 
senti i  testimoni  che  vi  mandò  il  re,  che  ninno  Romano  en- 
trerebbe in  Armenia  sino  alla  risposta  di  Nerone,  se  egli 
accettava  la  pace.  Cose  da  Gorbulone  abbellite  per  più  inlar 
mia  di  Peto.  £  ben  chiaro  che  Peto  corse  più  di  quaranta 
miglia  in  un  di,  lasciando  per  tutto  i  feriti  ;  e  più  bruttamente 
fuggirono  che  se  avessero  voltate  le  spalle  in  battaglia.  Gor- 
bulone lo  riscontrò  alla  riva  dell'Eufrate,  con  la  gente,  in- 
segne e  armi  meste  '  per  non  rimproverargli  la  differenza.  I 
soldati  per  compassione  de'  lor  compagni  non  tenner  le  la- 
grime: per  lo  pianto  appena  si  salutarono:  non  vi  era  gara 
dì  virtù,  non  desìo  di  gloria,  affètti  di  gaio  cuore:  sola  com- 
passione, e  più  ne'  più  bassi. 

XYil.  Poche  parole  si  dissero  i  due  capitani;  l'uno  si 
dolfe' d'aver  perduto  tanta  fatica;  essersi  i  Parti  potuti  met- 
ter in  fuga,  e  finir  la  guerra.  L'altro,  non  esserci  rotto  nul- 
la:^ rivoltassero  congiunti  l'insegne  a  ripigliare  l'Armenia 

causa  exisUret.  »  Varchi,  Ercol,:  m  Vare  del  buon  per  la  pace,  h  favellare 
umilmente,  e  dir  cose,  mediante  le  quali  si  possa  comprendere ,  che  alcuno  cali, 
e  voglia  venire  agli  accordL  » 

^  caricato,  quando  fosse  carico. 

S  armi  mestej  cioè,  non  ornate  e  lucenti  come  in  giorno  di  letizia  e  di 
trionfo. 

'  <lo//e.  Bembo,  Prose,  lib.  Ill,pag.  lxyi.  Vioegia  1526:  «  Perciocb^  et 
inaile  et  volse,  et  dolse  et  dolfe  si  dice.  Di  questi  nondimeno  più  nuovo  pare  a 
dire  dolfe s  conciosia  cosa  che  la  /non  sia  lettera  di  questo  verbo;  né  in  alcuna 
altra  parte  di  lui  abbia  Inogo,  se  non  in  questo  tempo  t  nel  qual  dolji  et  àoljero 
esiandio  alcuna  volta  dagli  antichi  s'è  detto.  • 

^  non  tstcrci  rotto  nulla.  Queste  parole  a  fatica  danno  senso.  11  lat.  ha: 


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376  IL  UBEO  QUIMMCESmO  DEGLI  ANNALI. 

rimasa  debole  senza  Vologese.  Rq>licò  Gorbulone:  «e  Non 
aver  tal  ordine  dall'  imperadore:  ayer  lasciato  il  sno  carico, 
commosso  dal  pericolo  delle  legioni:  non  si  sapendo  oye  i 
Parti  si  yoglian  gitlare,  si  tornerebbe  in  Seria:  e  diel voglia/ 
che  la  fanteria  per  si  lunghi  cammini  spedata,  tenga  dietro 
alia  cavalleria  pronta,  e  avanzantesi  per  le  pianure  agevoli. 
Peto  svernò  per  la  Gappadocia.  Yologese  mandò  a  dire  a 
Gorbulone  che  levasse  via  le  forteze  ^tre  Eufrate;  si  che  il 
fiume,  come  prima,  U  dividesse.  Anch' egli  chiedeva  che  le- 
vasse le  guardie  lasciate  in  Armenia.  Il  re  alla  fine  fu  con- 
tento. Gorì>ulone  altresì  smantellò  quanto  oltre  Eufrate  aveva 
fortificatole  gh  Armeni  rimasero  in  libertà. 

XVIII.  In  Roma  gli  archi  e  i  trofei  ordinati  dal  senato 
per  la  vittoria  de'  Parti,  mentre  la  guerra  ardéa,  pur  si  liza- 
vano  nel  camindoglio,  avendo  più  riguardo  all'apparenza  che 
al  vero.  Anzi  Nerone,  per  mostrare  sicureza  delle  cose  di 
fuori  e  dentro,  gittò  in  Tevere  il  grano  vecchio  e  guasto,  dal- 
l'abbondanza, '  e  noi  rincarò,  benché  da  dugento  navi  nel 
porto  stesso  per  gran  tempesta,  e  cento  altre  condotte  per 
lo  Tevere,  per  la  disgrazia  di  fuoco  n'andasser  male.  Fece 
tre  ufficiali  deU' entrate  publiche  stati  consoli,  Lucio  Pi- 
sene, Ducennio  Gemino  e  Pompeo  PauUno,  lassando  i  pas- 
sati principi  d'avere  speso  più  che  l'entrate;  dov'  egli  do- 
nava, l'anno,  un  milione  e  mezo  d'oro  alla  republica. 

XIX.  In  quel  tempo  era  cresciuta  una  mala  usanza,  che 


«  integra  utrique  cuncta  (esse)  respondit.  »  Odasi  il  Politi:  «  Fra*capitani  se- 
guirono poche  parole,  dolendosi  questi  —  d'aver  fatto  invano  tante  fatichete 
che  si  sarebbe  possalo  finir  quella  guerra  col  far  fuggire  i  Parti  :  —  e  quegli  ri- 
spondendo, —  che  le  cose  erano  per  amendue  nel  medesimo  stato  di  prima;  che 
sarebbono  a  tempo  di  voltar  J' insegne  ec.  » 

^  dielvogHuj  Dio  lo  voglia.  Cosi  il  poverello 

Che  di  subito  ctiiede  ove  s' arrestai 

ricevuta  l'elemosina,  dice:  Dielmériti,  cioè.  Dio  il  meriti,  o  Dio  rimeriti  lui 
che  mi  ha  usato  misericordia. 

'  dall'  abbondanza.  Non  intendere  che  il  grano  fosse  guasto  dall' abbon- 
dania,  come  parrebbe  di  primo  tratto;  ma  che  Nerone  lo  fé  gettare  nel  Tevere 
dall' abbondanza  ^  ciw  per  T  abbondanza  che  di  quello  buono  areva.  Conser- 
vando il  guasto,  avrebbe  fatto  credere  che  lo  facesse  dalla  scarsità.  11  lat.  ha: 
m  fiso  securitatcm  annona  sus tentarci.  »  Dove  altri  leggono  ostentarat. 


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IL  LIBRO  QUINDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  377 

in  SU  '1  fare  gli  sqmUÌDÌi,  o  trarre  i  reggimenti,*  molti  senza 
figliuoli  fingevano  d'adottarne:  e  avuti  gli  onori  dovuti  a  ogni 
padre,  manceppavano  ^  i  figliuoli  adottati.  Onde  i  veri  padri 
eon  grande  stomaco 'ricorrono  al  senato:  ricordano  la  ragione 
della  natura,  le  fatiche  deUo  allevare,  contro  alla  fraudo,  ar- 
tifizi e  brevità  delle  adozioni.  «  Dover  bastare  a  chi  figliuoli 
non  ha,  esser  grato,  onorato,  ricco  di  tutti  i  beni,  senza  ca- 
richi o  pericoli.  Torneranno  ridicoli  i  promessi  premi  dalle 
leggi  a  quo'  che  gli  aspettan  cent'anni,^  se  si  daranno  i  me- 
desimi incontanente  a  chi  ha  figliuoli  senza  fatica,  e  perde- 
gli  senza  duolo.  »  Ne  nacque  un  partito  del  senato,  che  per 
adozione  simulata  non  si  desse  uficio  pubblico  né  redltà. 

XX.  Claudio  Timarco  candiotto  fii  querelato  di  cose  so- 
lite a'  potenti  dellesprovincie,  che  si  mangiano  i  minori. '^  Ma 
quel  che  toccò  nel  vivo  il  senato,  fu  una  parola,  che  il  fare 
ringraziare  o  no,  ì  viceconsoli  che  tornavan  di  Candia,  stava 
a  lui;  la  qual  cosa  Trasea  Peto  tirando  all'utilità  publica; 
poiché  ebbe  giudicato  doversi  il  reo  cacciar  di  Candia,  cosi 
soggiunse:  «  La  sperienza  ha  mostrato,  padri  coscritti,  che 
le  sante  leggi  e  gli  esempi  nascono,  appo  i  buoni,  da'  peccati 
altrui.  La  tirannìa  degli  avvocati  generò  la  legge  cincia:"  le 
pratiche  de'  candidati,  le  giulie:''  l'avarizia  de'  magistrati,  le 
calpumie:^  perché  la  colpa  va  innanzi  alla  pena;  il  peccare 
all'ammenda.  Pigliamo  adunque  alla  nuova  superbia  de'  vas- 
salli rimedio  degno  della  fede  e  saldeza  romana:  siano  essi 

*  reggimenti j  ì  governi.  Nel  trarre  a  sorte  chi  dovesse  andare  a  reggere  It 
Provincie. 

S  manceppavano,  emancipavano.  Poiché  )a  legge  Papia  Poppea  rimuoveva 
dalle  pubbliche  cariche  chi  non  avesse  figliuoli;  presso  a*comizii,  chi  non  nt 
aveva,  fingeva  adottare  alcuno,  e  avuto  T ufficio,  l'emancipava.  Cosi  gabbav^rt 
la  legge. 

'  stomaco t  ira,  indignasione  ,  bile.  Metonimia  usata  pure  da* latini.  Orasio 
traduce  il  /tiQViy  ou^o/acvvjv  d'Omero  {Iliad,  1, 1-2)  con  gravem  stomachiun. 
Od.  I,  6, 5-6. 

*  cent'anni,  lungamente.  Lai.  :  «  dia.  » 

8  si  mangiano  i  minori.  Vedi  la  nota  al  cap.  4  della  Perduta  eloquenza, 
^  la  legge  cincia.  Vedi  lib.  XI,  5j  XIII,  52. 

^  le  giidie.  Una  legge  giulia  sul  broglio  è  ricordata  da  Svetonio  in  ^ug. 
34,40. 

*  le  calpurnie,  L.  Galpurnio,  essendo  trib.  \*  a.  605,  fece  una  legge  che  i 
provinciali  potcsuro  accusare  di  mal  tolto  (repetundarum)  i  tristi  governatori. 

52* 


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378  IL  UBtO  QUDIDICUnfO  UGU  ANNALI. 

più  cbe  mai  difesi;  ma  il  sindacar  chi  gli  ha  goyernatì,  stea 
a  noi  cittadini,  non  ad  alcun  di  loro. 

XXI.  <c  Già  si  mandava  loro,  oltre  al  pretore  o  consolo, 
visitatori  che,  referendo  come  ciaschedun  si  portasse,  tene- 
vano i  popoli  in  cervello.  Oggi  noi  osserviamo  ^  i  vassalli,  e 
gli  aduliamo;  e  a  cui  essi  vogliono,  corriamo  a  render  gra- 
zie del  ben  servito,  o  a  dare  accaseu  Concedasi  loro,  e  mo- 
strino in  tal  modo  la  lor  potenza.  Ma  le  laudi  false  o  con 
preghi  accattate,  raffreninsi,  non  meno  che  la  malvagità  e 
la  crudeltà.  Più  spesso  si  pecca  per  non  far  bene,  che  per 
far  male.  Anzi  odiamo  alcune  virtù;  severità  costante;  animo 
disprezante  i  favori.  Onde  noi  siamo  migliori  nel  principio 
de' nostri  magistrati  che  nel  6ne,  quando  ci  andiamo  racco- 
mandando, come  fa  chi  li  chiede.  Le  quali  cose  levandosi, 
saranno  le  provincie  rette  con  più  giustizia  e  reputazione.  E 
perché,  si  come  la  paura  della  legge  del  maltolto  frenò  l'ava- 
rizia, cosi  si  leveranno  le  pratiche  col  proibire  ringrazia- 
menti. » 

XXII.  Celebrarono  tutti  questa  sentenza.  Ma  non  se  ne 
fece  partito;  dicendo  i  consoli  che  ella  non  s'era  proposta. 
Fecesi  poi  per  ordine  dei  prìncipe,  che  ne' consigli  delle  Pro- 
vincie ninno  proponesse  di  ringraziare  dei  ben  servito  '  chi 
tornasse  di  reggimento,  né  ne  venisse  ambasceria.  Sotto 
questi  consoli  un  folgore  arse  le  Terme;  e  la  statua  che  v'era 
di  Nerone  strusse  interamente.  Un  tremuoto  in  Terra  di  La- 
voro rovinò  gran  parte  di  Pompeia,  terra  grossa.  Mori  Lelia 
vergine  di  Vesta,  e  fu  rifatta  Cornelia  Cossa. 

XXIII.  [A.  di  R.  816,  di  C.  63.]  Nel  consolato  di  Mem- 
mio  Regolo  e  Yerginio  Rufo,  Nerone  d'una  figliuola,  natagli 
di  Poppea  nella  colonia  d'Anzio  ove  égli  fu  generato,  fece 
sopr'  umana  aUegreza:  lei  e  la  madre  chiamò  Aguste.  Il  se- 
nato, che  già  il  ventre  *  aveva  raccomandato  agi'  iddii  e  fatto 

*  osserviamo,  rispettiamo,  veneriamo. 

'  ringrjmiare  del  ben  servito,,  ringrasiare  d' avere  1>eii  compiuto  l'ufficio 
i  procoiuoli  cbe  tornavano  di  reggimento j  cio^,  dal  governo  delle  provincie  loro 
asiegnatei  — nk  ne  venisse  ambasceria j  ciok,  e  fecesi  che  ninno  pigliasse  1* inca- 
rico di  venire  ambasciatore  al  senato  a  proporre  questa  cosa. 

'  //  ventre,  la  gravidansa.  Aveva  pregato  pel  felice  parto  di  Poppea. 


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IL  LIBRO  QDINDICKillIO  DSaU  ANNALI.  379 

gran  t>oti  e  preghi,  li  soddisfece  moltiplicati;  aggìmisé  pri> 
cissioni;  ordinò  tempio  alia  Fecondità;  la  festa  d'Azio;  in 
campidoglio  nel  trono  del  tempio  di  Giove  statue  d*  oro  alle 
Fortune;  e  in  Anzio  la  festa  circense  p<Br  casa  Claudia  e  do- 
mizia,  come  in  Boville  per  casa  giuba.  Nel  quarto  mese  la 
creatura  mori,  e  tutto  andò  in  fumo:  nondimeno  T  adulazione 
rimise  il  tallo:*  e  volevano  farla iddia,  sagrarle  tempio,  letto 
e  sacerdoti.  Egli  ne  feo,  e  neir allegreza  e  nel  dolore,  le 
pazie.  Notossi  che  quando,  poco  dopo  il  parto,  tutto  '1  senato 
correva  ad  Anzio,  Trasea,  che  non  vi  fìi  lasciato  andare,  per 
tale  affronto  (messaggio  di  mala  morte)  non  si  cambiò.'  Ce- 
Saro  poi  dicono  che  disse  a  Seneca,  che  la  collera  con  Trasea 
gli  era  passata,  e  Seneca  con  Cesare  se  ne  rallegrò.  E  glo- 
ria e  perìcoli  ne  cresceano  a  questi  eccellenti. 

XXrV.  Entrando  primavera,  vennero  ambasciadorì  dei 
Parti  con  lettero  di  Yologese,  superbe  al  solito:  <x  Che  non 
volevano  più  trattare  delle  antiche  pretensioni  sopra  TArme- 
nia,  tante  volte  cimentate;'  poiché  gl'iddii,  arbitri  di  tutte  le 
potenze,  ne  avevano  dato  il  possesso  a'  Parti,  non  senza  onta 
romana.  Dall'  averne  lasciati  andar  salvi,  Tigrane,  che  era 
rinchiuso,  poi  Peto  con  le  legioni,  cui  poteva  opprimere;  as- 
sai provarsi  la  sua  possanza  e  benignità.  Tiridate  sarebbe  ve- 
nuto per  lo  diadema  a  Roma,  se  noni'  avesse  ritenuto  il  suo 
sacerdozio.  Andrebbe  alle  insegne  e  immagini  del  principe, 
e  quivi,  presentì  le  legioni,  s'incoronerebbe.  » 

XXV.  Lo  scriver  di  Peto,  molto  diverso  a  queste  lette- 
ro, che  le  cose  passavano  egregiamente,  fece  interrogare  il 
centurione,  venuto  con  gli  ambasciadorì,  in  che  stato  fosse 
l'Armenia.  Rispose:  «  Sgombrata  da  tutti  i  Romani.  »  Allora 
inteso  il  burlare  de' barbari,  che  chiedevano  il  toltosi;*  Ne- 
rone co' principali  fece  consìglio,  qual  fosse  meglio,  prender 
^erra  dubbia,  o  pace  vergognosa.  Dissero:  «  La  guerra  cer- 
tamente. »  E  ne  fu  dato  il  carico  a  Corbulone,  che  per  tanti 

*  rimise  il  tallo,  tornò  a  rifiorire. 

S  non  si  cambiò,  non  si  turbò,  non  impallidì.  Politi:  m  e&sendo  solo  a 
Trasea  proibito,  egli  con  animo  intrepido  riceva  ipiell* affronto,  come  pitnoatio 
della  morte  imminente,  w 

'  cimentate,  agitate,  discusse. 

*  il  toltosi^  ciò  che  essi  avevano  toUo  da  se  medesimi. 


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380  IL  UBBO  QCINDIGBSniO  DKGU  ANNALI. 

anni  conosceva  i  soldati  e  quei  nemici,  acciò  l'ignoranza  non 
facesse  nn  altro  peccare,  come  Peto.  Cosi  furon  senza  con- 
clusione gli  ambasciadori* rimandati:  ma  con  presenti;  per 
mostrare  che  Tiridate,  venendo  in  persona  a  chiedere  il  me- 
desimo, non  verrebbe  indarno.  A  Ciucio  fu  data  V  ammini- 
strazione in  Soria:  la  gente  a  Corbuloue:  e  mandatogli  di 
Pannonia  la  legion  quindicesima  sotto  Mario  Celso:  scritto  a 
tutti  i  signori,  re,  governatori,  proccuratori  e  pretori,  reggenti 
le  vicine  provincie,  che  ubbidissero  Corbuione:  con  podestà 
simigliante  a  quella  che  il  popol  romano  diede  a  Pompeo  per 
fare  la  guerra  de* Corsali  A  Peto  tornato,  ne  parve  andar 
bene,*  che  al  prìncipe  bastò  traGggerlo  con  questa  facezia: 
«  Io  ti  perdono  or'ora;'  che  ogni  po' eh' indugiassi,  tu  basi- 
resti per  la  paura.  » 

XXYI.  Corì>ulone  in  Soiia  mandò  le  due  legioni,  quarta 
e  dodicesima,  che  parevano  poco  atte  a  combattere,  essendo 
i  migliori  perduti,  e  gli  altri  spauriti;  e  ne  trasse  e  condusse 
in  Armenia  la  sesta  e  la  terza,  tutte  intere,  e  in  meriti  e  pro- 
speri travagli  esercitate.  Aggiunsevi  la  quinta,  stata  in  Ponto 
fuori  delle  rovine:'  e  la  quindicesima,  venuta  ultimamente: 
le  compagnie  di  quanti  cavalli  e  fanti  scelti  erano  in  Egitto 
e  Illiria,  e  gli  aiuti  de'  re.  La  massa  fece^  a  Melitene,  ove 
voleva  passar  l'Eufrate.  Allora  fatta  l'usata  rassegna  di  tutto 
l'esercito,  gli  parlò,  magnificando  primieramente  l'esser  sotto 
tale  imperadore:  poi  le  cose  che  aveva  fatte  egli:  e  tacque 
r  infelice  ignoranza  di  Peto;  con  molta  autorità,  che  a  lai 
soldato  valeva  per  eloquenza. 

X\YII.  Poi  prese  il  cammino  che  già  fece  L.  Lucullo, 
aprendo  i  passi  che  l' antichìtade  avea  chiusi.  Né  dispregiò 
gli  ambasciadori  venuti  da  Tiridate  e  Vologese  a  trattar  della 
pace:  e  rimandolli  con  suoi  centurioni  con  risposta  non  aspra: 
«  Non  occorrer  per  ancora  venire  all'ultima  battaglia:  molte 
cose  prospere  avere  i  Romani  avute;  alcune  i  Parti:  però  non 

*  ne  parve  andar  bene,  gli  panre  d'esserne  osctto  usai  bene,  come  colui 
si  aspettoTa  è*  esser  grairemente  puaito. 
S  or  ora j  snbito.  Lat.  t  m  statim.  *$ 
^  fuori  delle  rovine.  Lat.:  m  eaepers  eladi*.  » 
4  la  massa  fece,  radnoò  T  esercito.— ifeAtene^  oggi  MalaUè, 


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IL  LIBRO  QUINDICESIMO  DEGLI  ANNAU.  381 

doYersi  insuperbire,  e  farsi  per  Tiridate  '  il  ricevere  in  dono 
il  regno  non  guasto:  e  Yologese  farebbe  il  meglio  perii  Parti 
a  conservare  la  pace  co'  Romani,  cbe  danneggiarsi;  sapere 
quante  discordie  egli  ha  in  casa;  e  che  nazioni  regge  sa- 
perbe  e  bestiali.  Là  dove  il  suo  imperadore  ha  pace  ferma 
per  tatto;  e  sol  questa  guerra.  »  Al  consiglio  aggiunse  il  ter- 
rore; e  caccia  di  casa  i  megistani,*  stati  i  primi  Armeni  ari- 
bellarcisi:  loro  forteze  spianta:  piano  e  monti,  forti  e  deboli 
di  pari  spaventa. 

XXYIII.  Era  il  nome  di  Corbulone  ancora  anzi  grato 
a' barbari  che  odioso:  però  credevano  al  suo  consiglio.  Né 
Yologese  fu  si  duro  alla  pace  generale;  e  per  alcuni  stati  suoi 
chiedéo  tregua;  e  Tiridate,  giorno  per  abboccarsi,  presto,  e 
nel  luogo  dove  Peto  fu  dianzi  assediato  con  le  legioni:  per 
memoria  scelto  da'  barbari,  e  da  Corbulone  accettato  per  pi& 
sua  gloria;  venendovi  in  fortuna  si  differente.  Né  gli  diede 
noia  r  infamia  di  Peto,  poiché  fece  il  figliuolo  di  lui  tribuno 
capo  di  squadre  a  seppellire  i  morti  nella  mala  pugna.  Il  dato 
giorno  Tiberio  Alessandro,  illustre  cavalier  romano,  sergente 
in  questa  guerra,  e  Yiviano  Annio,  genero  di  Corbulone, 
minore  di  anni  venticinque,  età  senatoria,  ma  fatto  vicele- 
gato della  legion  quinta,  vennero  nel  campo  di  Tiridate,  per 
onorarlo  e,  con  tal  pegno,  assicurarlo  d'inganno.  Presero 
venti  cavalieri  per  uno.  Il  re,  visto  Corbulone,  primo  smontò: 
poi  Corbulone  subitamente,  e  si  preser  per  mano. 

XXIX.  Il  Romano  commenda  il  giovane,  che  lasciati  i 
partiti  precipitosi  s' atteneva  al  buono  e  sicuro.  Esso,  dopo 
gran  narrativa  del  suo  alio  legnaggio,  temperatamente  parlò: 
«  Che  andrebbe  a  Roma  a  portar  a  Cesare  nuovo  splendore^ 
che  un  Arsacìda  se  li  rinchini,'  senza  avere  i  Parti  avver- 
sitade.  »  Fu  conchiuso  che  Tiridate  ponesse  la  real  corona  a 
canto  all'  effigie  di  Cesare,  e  non  la  ripigliasse  che  dalla  mano 
di  Nerone,  e  baciatisi,  si  dipartirono.  Indi  a  pochi  giorni 

*  /arsi  per  Tiridate,  esser  utile  a  Tiridate. Lat.:  «  Tiridati  condttcere.m 

*  megittani  (meheslàD)  j  così  chiamavansi  tra  gli  Armeni  i  maggiorenti  del 
regno.  Vedi  Burnouf  a  questo  luogo. 

S  §e  li  rinchini,  gli  si  raccomandi.  Intendi:  ilqual  nuovo  splendore  consi- 
steTi  in  questo,  che  un  Arsacìda  se  li  jrinchinassei  mentre  le  cost  de' Parti  non 
erano  in  cattivo  termine. 


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388  IL  UBftO  QCraDKBSniO  DBfa.1  AUNALI. 

comparvero  eon  sapeiiMi  mostra  la  loro  cavallerìa  ordinata, 
con  le  loro  insegne,  e  le  nostre  legioni  con  le  folgoranti 
aqmle  e  simolacri,  come  in  tempio  divino:  nel  cai  mezo  era 
un  trono:  sopravi  in  una  sedia  corale,  l'immagine  di  Nero- 
ne. Alla  quale  Tiridate  accostatosi,  e  le  vittime  solite  uccise; 
di  capo  si  levò  il  diadema  e  poselo  sotto  Y  immagine;  cosa 
che. commosse  totti  gli  animi,  stando  ancor  negli  occhi  fitta 
la  strage  o  Y assedio  de'  Romani  eserciti;  e  ora,  voltato  car- 
ta,^ Tiridate  andrebbe  a  farsi  al  mondo  spettacolo,  quanto 
meno  che  di  schiavo?* 

XXX.  Aggiunse  Gorbulone  alla  glòria  piacevoleza  e  con- 
viti: e,  domandogli  il  re  le  cagioni  delle  cose  ch'ei  vedea 
nuove;  come,  venirgli  a  dire  il  centurione  che  entrava  in 
sentinella;  licenziar  a  suon  di  trombe  H  convito;  e  V  altare 
fatto  davanti  al  luogo  degli  agurìi  abbruciarsi  da  fiaccola 
messavi  sotto;  ogni  cosa  gli  magnificava;  e  Y  empiè  di  ma- 
raviglia delli  antichi  costumi.'  L' altro  giorno  chiese  tempo, 
dovendo  far  tanto  viaggio,  di  riveder  sua  madre  e  fratelli: 
e  lascia  la  figliuola  per  pegno,  e  una  lettera  umile  a  Nerone. 

XXXI.  Partissi,  e  trovò  Pacoro  in  Media,  e  Yologese 
nelli  Ecbatani,  impensierito  di  questo  fratello:  avendo  per 
messaggi  pregato  Córbulone  che  non  gli  fosse  fatto  alcuna 
ombra  di  servile  indegnità:  non  posasse  giù  Tarme:  fosse, 
da'  governanti  le  Provincie,  abbracciato:  non  tenuto  alle  por- 
te: in  Roma,  come  i  consoli  riverito  :  come  quegli  che  awezo 
all'orgoglio  forestiero,  non  sapeva  che  noi  teniamo  conto 
della  forza,  e  non  delle  vanità  dell'imperio. 

XXXII.  Nel  detto  anno  Cesare  fece  latine  le  nazioni  in 
su  l'alpi  marittime:  e  che  nel  Cerchio  i  cavalieri  sedessero 
dinanzi  alla  plebe,  che  prima  si  mescolavano.  Non  avendo 
la  legge  roscia  provveduto  se  non  a'  quattordici  gradi.  Fecesi 
ancora  lo  spettacolo  delti  accoltellanti ,  magnifico  come  i  pas-: 

*  voltato  carta,  cangiato  aspetto  le  cose.  Lat.:  mAt  mate  VBrsos  casru.» 

S  qtutnto  meno  che  di  schiavo  t  poco  meno  che  schiavo. 

S  delU  antichi  eosttunù  Politi;  «  Domandando  il  relè  canse  di  tutto qnd 

che  a  lai  era  auovo;  come,  il  dinunsiarsi  dal  centurione  gli  ordini  delle  guardie; 

liecnsiare  il  convito  eon  1«  trombe,  e  attaccar  con  la  Saecola  il  fuoco  ali* altare 

posto  innansi  all'  augurale ,  magnificava  egli  talmente  le  cose  che  lo  mosse  a  sto» 

pore  di  quegli  antichi  costumi.  « 


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IL  LIMO  QUINDIGBnilO  DBGU  AHMALI.  883 

sati»  se  molte  gentiMonne  e  aeiiatorì  bob  si  fossero  Tergo- 
guati  d' imbrattarsi  in  qoeUa  iwgna, 

XXXIU.  [A.  di  R.  817,  di  Gr.  64.]  Nd  consolalo  di  Gaio 
Lecanio,  e  M.  Licinio,  a  Nerone  cresceva  la  voglia  ogni  di 
più  del  cantare  a  tutte  le  commedie;  perchè  sin'  allora  aveva 
cantato  in  casa,  ne'  giuochi  giovenali,^  che  gli  parevan  Ino* 
ghi  gretti  e  indegni  di  tenta  voce.  Non  ardi  cominciare  in 
Roma:  elesse  Napoli,  come  città  greca;  indi  passare  in 
Acaia,  e  farvisi  incoronare,  come  i  sagri  poeti  antichi,  per 
aver  maggiore  applauso  da'  cittedinL  Incontinente  il  teatro 
di  Napoli  s' empiè  di  genti,  che  delle  terre  e  colonie  vicine 
trassero  al  grido,  e  di  quelli  che  seguitaron  Cesare  per  fargli 
«erte  e  altre  bisogne,  e  di  squadre  di  soldati  ancora. 

XXXIY.  Ivi  avrenne  caso,  secondo  i  più  doloroso,  e 
secondo  lui  bene  aguroso:  che  uscito  tutto  il  popolo,  il  tea* 
tro  voto  cadde  senza  far  male  a  veruno*  Rendenne  grazie 
agi'  iddìi  con  canti  musicali:  e  la  fortuna  del  nuovo  caso  can* 
tando,  e  verso  il  mare  d'Adria  avviandosi,  si  posò  a  Bene- 
volto;  ove  Yatinio  fece  la  feste  de'  ghidiaterì  bellissima.  Co* 
stui  fu  uno  de'iMù  infami  mostri  di  quella  corto,  allievo  d'un 
sarto,  gobbo,  bnfon  magro:*  ricevuto  prima  per  ischerno, 
pM  calunniando  i  migliori,  tento  poto,  che. in  favori,  danari 
e  possanza  di  nuocere,  i  pessimi  avanzò. 

XXXV.  Il  piacere  di  questa  festa  non  dìviava  l' animo 
di  Nerone  daUe  scelerateze,  e  forzò  a  morir  Torquato  Sila- 
no, perchè  oltre  alla  chiareza  del  sangue  giunto,  riconosceva 
il  divino  Agusto  per  bisarcavolo.  Fu  commesso  agli  accusa- 
tori, che  gli  apponessero  che,  essendo  prodigo  in  donare, 
non  isperava  in  altro  che  in  novità:  tener  nobili  per  segre- 
teri,  computisti,  cancellieri;  nomi  e  pensieri  da  prìncipe. 
Essendo  i  suoi  liberti  principali  presi  e  legati,  la  sentenza 
distesa,  Torquato  si  segò  le  vene  delle  braccia;  e  Nerone 
disse  la  sua  solita  canzona:  Che  se  egli  aspettava  la  sua  cle- 
menza, benché  nocente  e  disperalo  della  difesa,  gii  perdo- 
nava la  vita. 

<  gimochi  giwenalL  Furono  istitaiti  quando  Nerone  si  rase  la  prima  barba. 
Vedi  Jnn.  XIV>  i5. 

s  bttffon  magro j  baffone  plebeo  e  sciocco.  Lat.:  i/aceliis  tcurrilibtu,  » 


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384  IL  UBEO  QUINDICBSniO  DEQU  AMKALI. 

XXKYI.  Non  guarì  di  poi,  differito  il  viaggio  d'Acaia 
(non  n  sa  la  cagione),  tornò  in  Roma,  facendo  delle  proTin- 
cie  d'oriente,  e  massimamente  d'Egitto,  segreti  disegni.  E 
per  bando  notificò  m  che  V  assenza  sna  non  sarebbe  lunga,  e 
ne  seguirebbe  ogni  cosa  ferma  ^  e  prospera  alla  repubiìca,  »  e 
andò  in  campidoglio  a  raccomandare  agi'  iddìi  questa  gita. 
Entrato  ancora  nel  tempio  di  Vesta,  gli  venne  un  trìemito 
per  tutte  le  membra,  forse  perchè  l' atterrì  quella  iddia,  o  la 
rìcordanza  de'  gran  peccati,  che  sempre  lo  tenea  spaventato. 
Onde  lasciò  l'impresa,  (dicendo)  «  per  amor  della  patria,  che 
superava  ogni  altro  pensiero;  vedendo  i  mesti  volti  de' suoi 
cittadini;  udendo  le  doglianze  segrete  del  tanto  viaggio  im- 
prender colui  cui  non  averìen  voluto  perder  d'occhio;*  so- 
lendo l'aspetto  suo  confortarli  nelle  avversità.  Come  adunque 
i  più  cari  pegni  stringono  i  privati,*  cosi  il  popolo  romano 
sforzava  lui  a  consolarli  di  non  partire.  »  Questo  voleva  la 
plebe,  che  amava  i  piaceri,  e  temeva  del  caro  *  (che  è  il  suo 
maggior  pensiero),  stando  egli  assente.  Il  senato  e  i  grandi 
dubitavano,  s' ei  sarebbe,  lontano  o  presente,  più  atroce:  poi 
credettero,  come  si  fa  ne'  gran  timori,  che  lo  avvenuto  fusse 
il  peggiore. 

XXXYII.  Egli,  per  far  credere  di  non  veder  cosa  {hù 
gioconda  che  la  città,  mangiava  in  publico,  e  servivasi  di 
tutta ,'  come  di  sua  casa.  Famoso  fu  il  convito  eh'  ei  fece, 
ordinato  da  Tigellino,  il  quale  io  conterò  per  un  esempio  di 
suo  scialacquare,  che  serva  per  tutti  gli  altri.  Nel  lago 
d' Agrippa*  fabbricò  un  tavolalo  mobile,  ove  pose  il  convito 
tirato  da  galee,  tutte  commesse  d' oro  e  d'avorio.  Remavano 

*  ne  seguirebbe  ogni  cosa, ferma s  cioè,  nulla  muterebbesi  nella  repubbli- 
ca,  e  tutto  andrebbe  Itene. 

*  le  doglianze...  del  tanto  viaggio  ec.  Ordina:  «  le  dogliànse...  deirim- 
praider  tanto  Tiaggio  colai  ec.  **  Cioè,  che  tanto  viaggio  imprendesse  ec. 

'  stringono  (privati.  Politi t  «  siccome  nella  parentele  private  prevalgono 
i  più  stretti  di  sangue,  cosi  prevaleva  in  lui  l' affetto  del  popolo  romano.  » 

*  del  carOj  della  carestia. 

'  di  tuttaj  sottintendi ,  la  eittSi. 

*  Nel  lago  d' A  grippa.  «  Il  lago  d*  A  grippa  si  pone  concordemente  presso 
la  chiesa  di  S.  Andrea  della  Valle,  come  si  deduce  dalla  denominaiione  che  ebbe 
tale  luogo  per  la  valle  evidentemente  rimasta  dallo  scavo  fatto.  **  Canina,  fndiem- 
zione  di  Roma  antica^  p.  2E14. 


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IL  UBRO  QOINDICanailfO  DEQLI  ANNAU.  385 

sbarbati  giovani,  collocati  secondo  Fetà,  e  maestria  di  libi- 
dini. Eranvi  uccellami  e  salvaggiomi  di  vari  capi  del  mondo, 
e  pesci  insin  dell'  oceano:  camere  rizaie  in  sn  la  riva  del  lago, 
piene  di  gentildonne;  e  a  fronte,  pattane  ignnde  con  gesti  e 
dimenari  sporcissimi*  Venuta  la  notte,  i  boscbi  e  le  case 
d' intomo  risonavano,  e  risplendevano  di  canti  e  di  lumi. 
Per  non  lasciar  alcuna  n^andigìa  lecita  e  non  le<»ta,.  indi  a 
pochi  giorni  tolse  per  marito  uno  stallone  di  qu^a  mandria, 
detto  Pittagora:  fu  celebrato  lo  sponsalizio  con  tutte  le  sagre 
cirimonie:  messo  in  capo  al  nostro  imperadore  il  velo  giallo; 
fatti  gli  agurii;  la  dote;  il  letto  geniale;  accesi  i  torchi;  e 
finalmente,  veduto  fare  ^  quanto  cuoprono  anco  le  femmine 
con  la  notte. 

XXXYIII.  Seguita  la  più  grave  e  atroce  rovina  che  mai 
avvenisse  in  Roma  per  violenza  di  fuoco;  non  si  sa  se  per 
caso,  o  per  frode  del  principe;  che  dell'uno  e  dell'altro  ci 
sono  autori.  Il  fuoco  s' appiccò  nel  Cerchio  contìguo  al  monte 
palatino  e  al  celio,  ove  nelle  botteghe  piene  di  merci  che  gli 
sono  ésca,  levatasi  subito  gran  fiamma,  con  vento,  senza  in- 
toppo di  muri  o  tempii  o  altro,  corse  per  tutto  il  Cerchio: 
allargossi  nel  piano;  sali  a'  colli;  scese  e  comprese  ogni  cosa 
senza  dar  tempo  a  ripari  la  furia  sua;  e  fece  quella  Roma 
vecchia  con  sue  viuze  strette  e  torte,  e  chiassuoh,  subito  un 
falò.'  Lo  spegnere  era  impedito  dalle  donne,  da' vecchi  e 
fanciulli,  spauriti  e  gridanti,  e  da  quelli  che  brigavano  di 
salvar  se  e  altri;  strascinando  i  deboli,  aspettandoli,  corren- 
do, che  spesso  nel  guatarsi  a  dietro,  eran  dinanzi  o  dal  Iato 
soprappresi,  o  fuggiti  piùoltre,  vi  trovavano  più  accesa  vam- 
pa. Né  sapendo  più  che  si  fuggire  o  cercare,  calcavan  le  vie,' 
giacevansi  per  le  camperà,*  alcuni  perduto  ogni  cosa,  insin 
da  mangiare  per  lìn  giorno:  altri  per  non  aver  potuto  i  più  lor 
cari  trar  del  fuoco,  vi  rimasero  volontari.  £  ninno  ardiva  aiu- 

'  veduto/are  ec.  Lat.:  «  cuncta  denique  spoetata j  quce  etiam  in /emina 
nò»  ùperit.  » 

s  un  falò.  Cosi  nella  Vita  d'Agr,  e.  2:  «fattone  face  dal  magistrato 
de'  Tre  nel  comisio  e  nel  fòro  un  falò,  w 

'  calcavan  le  vie.  La  Mestùna  e  la  Gominiana,  con  isconeio  errore,  ca» 
valcavan  le  vie, 

^  camporaj  campi. 

I.  So 


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386  IL  uno  «OIHDICBSIliO  ìrnSLl  AHMALI. 

tare  spegneretin^ceiaiido  molti  che  si  laseìasse  stare;  altri 
vi  lanciayano  le  fiaccole  a  posta  (gridando,  cosi  aver  ordine) 
per  meglio  rubare,  o  per  avoto  comandamento. 

XXXIX.  Nerone  si  stara  in  Anno:  e  non  tornò  a  Roma 
se  non  quando  il  fuoco  s'appressava  alla  sua  casa  da  lui  unita 
al  palalo  e  al  giardino  di  Mecenate;  ma  non  fu  possibil  te- 
nere, che  non  inghiottisse  il  palazo  e  la  casa,  e  quanto  v'era 
d'intorno,  fifa  per  conforto  atto  spaventato  popolo  e  fuggen- 
te, fece  aprire  campo  marzio,  il  cimiterio  d'Agrìppa,  i  giar- 
dini suoi,  e  subiti  spedali  murare;  raccettarvi  ì  poveri;  ve- 
nir masserìzie  da  Ostia,  e  dalle  vicine  terre;  rinviliò  il  grano 
sino  a  un  carlino:  ^  le  quali  cortesie  guastò  con  l'aver,  come 
si  disse,  cantato  in  su  la  scena  di  casa  sua  l'incendio  di 
Troia,  e  agguagliato  questo  male  all'antico. 

XL.  Il  sesto  giorno  finalmente  il  fuoco  fermò  appiè  del- 
l'esquilie:  non  trovando  per  le  ampissime  aperture  fatte,  se 
non  suolo  e  aria.  Rappiccossì  non  essendo  passata  ancora  la 
paura,  con  minor  danno  e  morti,  per  esservì  le  strade  più 
larghe.  Rovinò  tempii  divini,  e  logge  fatte  per  belleza:  e  più 
odioso  fu  questo  fuoco  secondo,  perché  usci  dagli  orti  emi- 
liani, allora  di  Tigellino;  e  perchè  Nerone  pareva  volersi  far 
gloria  di  rifar  la  città  tutta  nuova;  e  chiamarla  dal  suo  nome. 
Concìosiachè  de' quattordici  rioni,  ne' quali  è  Roma  divisa, 
ne  rìmanessero  quattro  interi,  tre  spianati,  sette  in  casolari 
pochi  e  arsicci. 

XLl.  Non  è  agevole  raccorrò  il  numero  delle  case,  iso- 
lati '  e  tempii  rovinati.  Arsero  i  più  rìverendi  per  antichità,  . 
consagrati  da  Servio  Tullio  alla  luna;  da  Evandro  d'Arcadia 
a  Ercole  presente,  col  Grande  Altare;  e  da  Romulo  a  Giove 
Statore;  il  palagio  di  Numa;  il  tempio  di  Vesta  con  gl'iddii 
penati  del  popol  romano;  le  spoglie  di  tante  vittorie;  i  mira- 
coti  de'  greci  artefici;  le  opere  antiche  e  conservate  de' grandi 
intelletti;  e  molte  altre  cose,  di  che  i  vecchi  si  ricordavano; 
impossibili  a  rifare;  benché  in  tanta  belleza  della  città  risor- 
gente. Fu  osservato  che  l'arsione  cominciò  il  di  diciannove 

*  un  carlino j  a  tre  sesterci,  «  ad  ternos  nummes.  » 
3  isolati^  grappi  di  case  isolati,  che  anche  io  Ialino  s'  appellano  insula 
Più  sotto,  e.  4d,  neiristesso  senso ,  ceppo  isolato, 

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IL  LIBBO  QUUfDlCB8IM0  DBeU  AlflfALI.  887 

di  loglio,  che  i  Senoni  anero  Roma:  dall'  un  fuoco  all'altro 
ì  medesimi  anni,  mesi  e  di. 

XLII.  Ma  Nerone  si  servi  delle  rovine  delia  patria  a  farvi 
la  casa  cotale  *  stupenda,  che  le  gemme  e  Toro  di  miracolo, 
eran  niente,  rispetto  alle  camperà,  selve,  laghi,  eremi,* 
aperture,  vedale,  fattevi  da  Severo  e  Celere,  architettori 
d'ingegno  e  ardire,  da  tentar  con  l'arte  cose  sopra  natura, 
e  beffare  le  forze  del  principe.  Perchè  gli  promissero  di  ca* 
vare  nn  fosso  navigabile  dal  lago  d'Avemo  a  Ostia,  pei 
rive  aride  e  monti;  non  trovandovisi  altre  acque  che  il  lago 
d' Ufente  da  voltarvi:  il  resto  son  terra  asciatta,  o  massi  da 
non  potersi  rompere,  e  non  portare  il  pregio  della  fatica  in- 
toUerabile.  Nondimeno  Nerone  voglioso  delle  cose  incredibili 
si  provò  a  tagliare  il  monte  vicino  all'Averne:  e  sonvi  di 
tal  follia  i  vestigi. 

XLllI.  Le  case  di  Roma  che  la  saa  non  occapò,  furon 
rifatte  (e  non  a  vanvera,'  come  dopo  l'incendio  de' Galli) 
ma  non  si  alte:  strade  larghe,  traverse  *  a  misura,  maggiori 
piate  e,  dinanzi  a  ogni  ceppo  isdato,  difese  dalla  sua  loggia 
in  fronte,  la  quale  Nerone  offerse  di  fare  a  sue  spese,  e  ien~ 
dere  il  suolo  bello  e  netto;  e  pagare  un  tanto,  secondo  sua 
facoltade  e  grado,  a  chi  fra  tanto  tempo  avesse  rifatto  sua 
casa  o  ceppo.  Per  li  vasselli  *  che  da  Ostia  portavano  il  grano 
a  Roma  per  lo  Tevere,  fece  portare  in  giù  i  calcinacci  e 
pattume,  e  gittar  nelle  paludi  d'Ostia;  e  le  case  in  certa 
parte  senza  travi,  incatenare  di  pietre  gabine  e  albane,  che 
non  piglian  fuoco,  né  a  mura  comuni,  ma  di  proprie,  iso- 
lata ciascuna.  All'acqua  già  da  molti  privati  usurpata,  pose 
guardie,  che  la  lasciassero  correre  in  publico  in  più  luoghi 
grossa  per  lo  fuoco  spegnere,  e  a  tutti  manesca.*  Questi 
provvedimenti  utili  abbellirono  ancora  la  nuova  città.  Nondi- 
meno tenevano  alcuni  la  forma  vecchia  più  sana;  perché 

^  cotale^  talmente. 

S  eremi,  boschetti  a  modo  di  eremi.  Lai.:  min  modum  tolitudintun 
silvce.  » 

'  a  vanvera,  seosa  disegno  e  confusamente. 

•  traverse j  cioè,  rie  traverse:  voce  viva  tuttavia  nel  popolo. 

B  vasselli j  vaacellL  Dante:  «  Sopra  un  vascello  snclletto  •  leggiero.  »  ' 

*  manesca,  pronta,  alla  mano  di  tutti 


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388  IL  IIBIO  Onin>ICBSIIfO  DEGÙ  ANNALI* 

qaelle  vie  strette  e  case  alte,  facevano  qualche  rezo  alle 
vampe  del  sole,  che  in  queste  larghe  e  aperte  dirìttme, 
sferza  e  riverbera  più  rovente. 

XLIV.  Dopo  li  nmani  aiati  si  ricorse  a' divini;  e  vedati 
i  lihri  delle  Sibille,  fa  supplicato  a  Volcano,  Cerere  e  Pro- 
serfHna:  e  da  matrone,  prima  in  campidoglio,  poi  alla  pnk 
pressa  marina  ^  fatta  Giunone  favorevole,  e  di  qoell'acqaa 
asperso  il  tempio  e  l' immagine  della  iddia:  poi  da  maritate 
fattovi  i  letti  '  e  le  vigile.  Ma  né  opera  omana  né  prece  di- 
vina nò  largheza  del  principe  gli  scemavano  V  infame  grido 
dell'avere  esso  arsa  Roma.  Per  divertirlo  adanqne  ne  pro- 
cessò, e  stranissimamente  pani  quelli  odiati  malfattori  che  il 
volgo  chiamava  cristiani;*  da  Cristo,  che,  regnante  Tibe- 
rio, fa  crocifisso  da  Ponzio  Pilato  procuratore.  La  qual  se- 
menza pestifera,^  fa  per  allora  soppressa;  ma  rinverziva  non 
pare  in  Giudea,  ove  nacque  il  malore,  ma  in  Roma,  ove 
tolte  le  cose  atroci  e  brutte  concorrono  e  solennizansi.  Fu- 
rono adunque  presi  prima  i  cristiani  scoperti,  poi  gran  tarim 
di  nominati  da  quelli,  non  come  colpevoli  nell'  incendio,  ma 
come  nimiei  al  genere  umano.  Uccidevanli  con  [scherni;  ve- 


'  alla  pia  pressa  marina,  Lat.;  «  apudproximum  mart,  m 

'  i  ietti.  Lat.:  uleetìttemia,  n  Cosi  legge  il  Nostro;  ma  non  bene.  PcidiÀ 
alle  dee  si  apparecchiava  il  seliislernium,  cioè  le  aediej  e  non  gik  i  ietti^  sol 
coi  strato  ponevansi  le  immagini  degli  dei. 

>  cristiani.  Snida  all'articolo  X/9iffTtavot  dice  «  che  sotte  Claudio  impe* 
ntore  dei  Romani,  allorché  Pietro  apostolo  ordinò  Evodio  in  Antiochia,  chi»» 
maroDsi  cristiani  coloro  che  ioDansi  erano  detti  Nassarei  e  Galilei.  »  Ciò  fn,  se- 
condo il  Cronico  Eusebiano^  Tanno  di  Cr.  45. 

*  semenza  pesti/era.  Quanto  Tacito  tradisca  qui  la  Teritli,  lasciamolo 
dire  a  Plinio,  suo  amicissimo,  deputato  da  Traiano  a  oercare  e  piuire  i  crutiani. 
m  Quel  solo  che  scopersi  (dice  all'  imperatore)  si  fu  una  prava  e  sfrenata  aupcr- 
stizione.  w  E  la  superstizione  era  questa:  ««  Affermavano  costumar  di  adunarsi 
in  un  di  assegnato,  innanzi  giorno;  cantare  alternativamente  fra  loro  inni  a  Cristo» 
si  come  a  Dio;  obbligarsi  con  sacramento,  non  gik  di  commettere  alcun  delitto» 
si  di  astenersi  da  ruberie,  assassinii,  adulterii,  di  attener  la  data  fède,  e  interpel- 
lati, di  restituire  il  deposito:  il  che  fatto,  eralor  costume  di  andarsene  ;  poi  rago- 
narsi  di  nuovo  a  fare  un  pasto,  pubblico  però  ed  innocente;  dal  quale  tuttavia 
s'eian  astenuti  dopo  il  mio  editto,  che,  giusta  i  tuoi  ordini,  avea  vietato  qualun- 
que unione.  Tanto  più  adunque  stimai  necessario ,  anche  col  dar  la  colla  a  doe 
serve,  ch'eran  dette  ministre,  di  chiarirmi  del  vero.  »  (Epist.  X,  97,  trad.  di  A. 
Paravia).  Ma  il  vero  lo  chiarisce  Tacito  stesso,  che  non  seppe  recare  alena  fatto- 
a  confermare  le  sue  gravi  accuse. 


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IL  UBBO  QOINDICBSnfO  MEOU  AMNÀLL  389 

siiti  di  pelle  d'animali,  perchè  i  caai  gli  sbranassero  yivi; 
o  erocifìssi  o'arsi  o  accesi  per  torchi  a  far  lume  la  notte. 
Nerone  a  questo  spettacolo  prestò  i  suoi  orti,  e  celebroyyi 
la  festa  circense,  vestito  da  cocchiere  in  su  '1  cocchio,  o  spet- 
tatore tra  la  plebe.  Onde  di  que' cattivi,  benché  meritevoli 
d'ogni  novissimo  supplizio,  veniva  pietà,  non  morendo  per 
ben  pubblico,  ma  per  bestialità  di  colui. 

XLV.  In  questo  mezo  gli  accatti  e  balzelli  *■  sperperavan 
l'Italia.  Vassalli,  collegati,  città  libere  in  nome,  gì' iddìi 
stessi  non  furon  esenti  da  tal  rapina;  spogliati  i  templi  di 
Roma;  e  sconfitto'  quantunque  oro  il  popol  romano  per  trionfi, 
preci,  allegreze  e  timori  già  mai  consagrò.  Per  l'Asia  e  per 
TAcaia  rapivano,  non  che  i  doni,  le  immagini  degl'iddii  due 
nostri  commessariì,  Aerato  liberto,  cima  de' ribaldi,  e  €ari« 
nate  Secondo,  che  aveva  qualche  lettera  greca  in  bocca,' 
ma  nulla  bontà  nell'  animo.  Dicevasi  che  Seneca,  per  levarsi 
il  carico  di  questi  sacrilegiì,  supplicò  di  ritirarsi  in  villa  lon- 
tana; e  non  l'ottenendo,  si  fermò  in  camera,  quasi  per  la 
gotta.  Alcuni  scrìvono  che  Nerone  gli  fece  apparecchiare  il 
veleno  da  Cleonico  suo  liberto;  dal  quale  avvertito,  o  inso- 
spettitone, lo  schifò,  vivendo  di  cibi  semplici,  frutte  de'  suoi 
orti,  acqua  corrente. 

XLYI.  In  questo  tempo  i  gladiatori  tenuti  in  Preneste  ^ 
vollero  scappare:  i  soldati,  loro  guardie,  lì  ritennero.  E  già 
il  popolo,  pauroso  e  spasimante  di  novità,  cominciava  a  ri- 
cordare Spartaco  e  i  vecchi  mali.  Poco  appresso  s' intese  una 
perdita  di  nostra  armata,  non  per  guerra,  che  non  fu  mai 
tanta  pace;  ma  perchè  Nerone  avea  comandato  che  ella  fusse 
tornata  in  Campagna  il  tal  di,  non  eccettuando  tempesta. 
Sciolsero  ì  nocchieri  da  Mola,"  quando  il  mare  fremeva:  e 
mentre  fanno  forza  di  spuntare  il  capo  di  Miseno,  un  forzato 

'  gli  accatti  e  baUeilij  0{;gi  chiamati  iroposicioni. 

'  scondito.  Mei  secondo  degli  Annali^  e.  38,  abbiamo  veduto  sconficcar 
la  tesoreria  j  per  trarne  a  forza  i  danari. 

'  aveva  qiutlcHe  lettera  greca  in  bocca.  Lai.  !  «  grceca  doctrina  ore 
tenus  exercittts.  » 

*  Preneste jTiltilTiosi. 

5  da  Mola  di  Gaeta ,  anticamente  Formia.  La  Cominiana  e  le  altre  pedisse- 
que, erroneamente^  Nola»  Eppure  la  disprezsata  Nestiana  legge  benìssimo. 

53* 


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S9(l  IL  UBKO  QUINDICaSIMO  DEGLI  ANNAU. 

libeccio  gli  battè  nella  spiaggia  di  Cuma,  con  perdita  di  molte 
galee,  e  gran  namero  di  legni  minori. 

XLYII.  Nel  fine  di  quest'  anno  vennero  prodigii,  annun- 
sii  de'  soprastanti  mali.  Saette  non  mai  tante.  La  cometa, 
cni  sempre  Nerone  placava  col  sangue  di  qualche  grande: 
bambini  e  fiere  con  due  capi,  trovati  nelle  strade,  o  nelle 
bestie  che  si  sagrifican  pregne;  e  nel  Piacentino  an  vitello 
nato,  lungo  la  via,  col  capo  in  una  gamba.  Dissero  gì' in- 
dovini che  il  mondo  avrebbe  un  altro  capo  non  durevole, 
e  non  occulto:  perchè  si  travolse  nel  ventre,  e  nacque 
nella  via. 

XLYIII.  [A.  di  R.  818,  di  Cr.  65.]  Entrati  consoli  Sitio 
Nerva  e  Attico  Yestino,  nacque  e  a  un  tratto  crebbe  una  con- 
giu^ra  di  senatori ,  cavalieri ,  soldati  e  donne  concorsevi  a  gara 
per  odio  contro  a  Nerone,  e  amore  a  Gaio  Pisene  di  casa 
Calpumia,  imparentato  con  la  maggior  nobiltà  di  Roma,  in 
gran  fama  del  popolo  di  virtudi,  o  lor  somiglianze;  facondo 
avvocato  de' cittadini;  donatore  agli  amici;  piacevole  e  com- 
pagnevole ancora  co' non  conosciuti;  di  statura  alta,  bella 
faccia;  ma  di  costumi  non  grave;  sottoposto  a'  piaceri;  dolce, 
magnifico;  e  talora  sguazatore:  il  che  piaceva  a  molti,  che 
in  secolo  si  scorretto  non  amano  imperadore  scarso  e  austero. 

XLIX.  La  congiura  non  nacque  da  sua  cupidigia;  né 
saprei  dire  l'inventore  d'impresa  tale,  seguita  da  tanti. 
Prontissimi  furono  Subrio  Flavio  tribuno  d' una  coorte  di 
guardia,  e  Sulpizio  Aspro  centurione,  come  mostrò  la  loro 
forte  fine.  Co'  denti  la  presero  ^  Auneo  Lucano,  perchè  Ne- 
rone sfatò  e  proibì  i  suoi  versi  per  vana  competenza;  e  Plao- 
zio  Laterano  eletto  consolo,  non  offeso,  ma  per  carità  della 
patria.  Fra  i  primi  furono,  Flavio  Scovino  e  Afranio  Quin- 
ziano  senatori,  non  tenuti  da  tanto.  Scovino  perduto  in  lus- 
suria e  sonno.  Quiuziano  del  corpo  suo  peggio  che  donna, 
e  da  Nerone  con  versi  infami  vituperato,  se  ne  vele»  ven- 
dicare. 

L.  Sbuffando  adunque  tra  loro,  e  altri  amici,  di  si  sce-: 
lerato  principe,  del  cadente  imperio,  e  di  trovar  chi  soste^ 

<  Co* denti  la  presero j  ci  portarono  odio  feroce.  Lat.:  «  vMda  odia  i»r 
tulere.  »— Ànneo  Lucano  qui  ricordato  «  il  celebre  autore  della  Fursalia, 


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IL  LIBRO  QUIHDlCESmO  DEGLI  ANNÀU.  391 

nerlo;  tiraron  nella  conginra  Tullio  Senecione,  Cervarìo  Pro- 
colo,  Yolcazio  Ararico,  Giulio  Tagnrìno,  Munazio  Grato, 
Antonio  Natale,  Marzio  Festo,  romani  cavalieri.  Tra  i  quali 
Senecione,  dimestichissimo  di  Nerone,  andandogli  intomo 
correva  pia  pericoli.  Natale  era  confidente  di  PiBone:  gli  al- 
tri speravano  nella  mutazione.  Chiamarono  persone  di  guerra, 
oltre  alli  detti,  Sobrio  e  Solpizio,  Granio  Silvano  e  Stazio 
Prossimo,  tribuni  di  due  coorti  di  guardia  ;  Massimo  Scauro 
e  Paulo  Veneto  centurioni:  e  Fenio  Rufo  prefetto  (che  fu 
r  importanza),  di  buona  vita  e  fama,  scavalcato^  di  grazia  al 
principe  per  crudeltà  e  sporcizie  da  Tigellino,  e  caricato'  di 
più  cose,  oltre  al  farlo  credere  adultero  d'Agrippina,  e  per 
lo  desiderio  di  lei  inteso  alla  vendetta.  Quando  i  congiurali 
seppero,  anche  con  sue  parole,  che  il  prefetto  era  de'  loro; 
fatti  di  miglior  gamhe  *  ragionaron  del  quando  e  dove  far 
Toccisione;  e  dissesi  che  venne  pensiero  a  Subrio  d'assalirlo 
quando  cantava  in  su  la  scena,  o  quando  ardendo  la  sua  casa 
la  notte,  scorrazava  qua  e  là  senza  guardia.  Qui  l'averlo  solo, 
quivi  lo  stesso  cospetto  di  tanti  testimoni  infocarono  quel 
bello  animo,  se  non  V  avesse  raffreddato  la  voglia  del  salvarsi, 
ai  nobili  ardimenti  sempre  contraria. 

LI.  )S  teuteniiando  e  allungando  tra  la  paura  e  la  spe- 
ranza costoro;  una  certa  Epicari  spillò*  la  cosa,  non  si  sa 
come ,  non  essendo  prima  stata  donna  di  concetti  d' onore: 
e  li  riscaldava  e  riprendeva  di  tanta  lenteza,  e  non  poten- 
dola più  sopportare,  stando  in  Campagna,  cominciò  a  conta- 
minare, e  intignervi  i  capi*  dell'armata  misena.  Uno  era  Yo- 
losio  Procolo,  trovatosi  a  ucciderla  madre  di  Nerone,  e  per 
tanta  scelerateza  non  fatto  grande  quanto  pensava:  di  che 
discredutosi*  con  costei,  che  sua  amica  era,  vecchia  o  nuova; 

^  scavalcato,  gettato  giù  dalla  grasia  del  principe  ce.  Il  testo  dice  che 
nella  grazia  ec.  Tigellino  gli  andava  innansi  {anteibat), 

S  caricato  j  cioè,  cui  da  vasi  carico,  o  si  accusava. 
'        '  fatti  di  miglior  gambe,  preso  maggiore  animo. 

4  spillò.  Vedi  la  postilla  al  e.  8.  lib.  VI  degli  Annali. 

*  cominciò  a  contaminare  e  intignervi  i  capi  ec.  Cominciò  a  metter  su  e 
a  tirare  nella  congiura  i  capiec.  Contaminare  in  questo  senso  è  pure  Ann,  I,  16, 
do?e  vedi  la  nota. 

^  discredutosi,  apertosi ,  confidatosi.  Vedi  Ann.  II,  12;  e  IV,  68. 


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302  IL  LIBRO  QDINOICBSIIIO  DEGLI  ANNALI. 

e  dolutosi  d'aver  tanto  servito  Nerone,  e  senza  prò;  minac- 
ciò di  vendicarsene  a  laogo  e  tempo.  Onde  ella  prese  spe- 
ranza di  tirar  lui  e  molti  altri  nella  congiura,  a  cui  l'armata 
dava  di  grandi  aiuti  e  occasione,  perchè  Nerone  si  soUazava 
spesso  nel  mare  di  Pozuolo  e  di  Miseno.  Cosi  gli  cominciò 
a  contare  tutte  le  ribalderie  del  principe,  e  che  il  senato  non 
se  ne  stava;  ma  aveva  al  vendicar  la  republica  rovinata  tro- 
vato il  modo;  mettessecisi  anch' egli,  facesseci  opera;  tiras- 
soci  i  soldati  suoi  più  feroci;  che  buon  per  lui.  E  i  nomi  dei 
congiurati  si  tacque.  Procolo  rapportò  il  tutto  a  Nerone,  e  da 
Epicari  messagli  a  petto,  non  producendo  testimoni,  fu  ri- 
provato:* ma  ella  messa'  in  carcere,  dubitando  Nerone  che 
il  non  provato  non  fosse  vero, 

LII.  Onde  a' congiurati  parve,  per  non  essere  scoperti, 
da  sollecitar  d'ammazarlo  in  villa  di  Pisone  a  Baia,  ove 
spesso  Nerone  per  vagheza  di  quella  amenità  veniva;  entrava 
ne' bagni  e  mangiava,  lasciato  il  suo  gran  traino'  di  guardia 
e  corte.  Ma  Pisone  non  volle  carico  d' imbrattar  le  mense 
sagre  e  gl'iddii  ospiti,  col  sangue  del  principe,  quantunque 
reo.  Meglio  in  Roma,  in  quella  odiosa,  e  delle  spoglie  de'cit- 
tadini  edificata  regia,  ovvero  in  pubblico,  l'impresa  perla 
republica  compierieno.  Cosi  dicea  loro:  ma  in  sé  iemea, 
non  L.  Silano  di  somma  nobiltà,  da  Gaio  Cassio  allevato  e 
sollevato  ad  ogni  splendore,  s'insignorisse  dell' imperio  con 
gli  aiuti  che  avrebbe  pronti  de'  non  intinti  ^  e  aventi  com- 
passion  di  Nerone,  quasi  sceleratamente  ammazato.  Fu  cre- 
dulo che  Pisone  dubitasse  anco  di  Vestine  consolo,  feroce,  e 
da  voler  rimetter  la  libertà,  o  dar  l' imperio  a  chi  lo  ricono- 
scesse da  lui.  Della  congiura  non  sapeva  niente:  benché  Ne- 
rone se  ne  servisse  a  sfogare  il  suo  antico  odio. 

LUI.  Fermarono  finalmente  di  far  l' efietto  nel  Cerchio 
il  giorno  della  festa  di  Cerere:  perchè  Cesare  usciva  poco 
fuori  di  casa  e  de' giardini:  e  quando  nel  Cerchio  andava  a 
rallegrarsi  di  quelli  spettacoli,  era  più  agevole  accostarglisL 

^  riprovato^  confutato. 

3  messa,  fu  messa. 

5  traino,  sèguito.  Lat,:  «  omissis  excutiis  etfortnnce  sux  mole,  » 

*  de' non  intinti,  de' meno  compromessi  nella  congiura. 


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IL  UBRO  QUiNOIGBSIMO  DEGLI  ANNALI.  303 

L'ordine  dato  fa,  che  Laterano,  quasi  chiedendogli  aiuto 
per  vivere,  gli  si  gittasse  alle  ginocchia:  e  fattoi  cadere, 
come  grande  di  corpo  e  d'animo,  il  pigiasse:  corresseci 
tribuni  e  centurioni,  ciascuno  secondo  suo  coraggio,  e  lui 
in  terra  e  intrigato  ammalassero.  Scovino  chiedéo  d' essere 
il  primo  con  un  pugnale  tratto  del  tempio  della  Salute  in 
Toscana;  altri  dicono  della  Fortuna  in  Perento;  e'I  por- 
tava quasi  consagrato  a  grande  opera.  Pisene  intanto  gli  at- 
tendesse nel  tempio  di  Cerere:  onde  Fenio  e  gli  altri  il  traes- 
sero, e  portassero  in  Campo,  accompagnato  da  Antonia 
figlinola  di  Claudio  Cesare,  per  guadagnarsi  il  popolo.  Cosi 
dice  Gaio  Plinio;  che  non  V  ho  voluto  tacere:  ma  a  me  non 
consuona,  nò  che  Antonia  prestasse  il  suo  nome  a  cosa  tanto 
in  aria  e  pericolosa,  né  che  Pisone  innamorato  della  mo- 
glie, si  promettesse  a  un'altra:  se  già  T  amore  del  dominare 
non  tira  più  eh'  altro  affetto. 

LIY.  Fu  in  tanta  diversità  di  sangui,  gradi,  stati,  sessi, 
età,  ricchi,  poveri,  maravigliosa  la  segreteza:  insino  a  che 
ne  venne  indizio  di  casa  Scovino,  il  quale  il  di  innanzi  al 
destinato,  fu  con  Antonio  Natale  molto  alle  strette:  *  tornato 
a  casa  fece  testamento:  sfoderò  il  detto  pugnale  mangiato 
dalla  ruggine,  e  diello  a  Milico  liberto,  che  lo  arrotasse  e 
brunisse.'  Più  riccamente  del  solito  apparecchiò:  a'  più  cari 
schiavi  donò  libertà,  e  ad  altri  danari.  Esso  si  vedeva  acci- 
glialo e  fisso  in  gran  pensiero,  benchò  mostrasse  con  vario 
ragionare  letizia  sforzata.  In  ultimo  fece  apprestar  fasce  da 
stagnare  il  sangue  dal  detto  Milico,  forse  consapevole  della 
congiura,  e  sino  allora  fidato:  o,  come  alcuni  scrivono,  da 
quelli  andamenti  ne  sospicò,  e  pensando  quel  servile  animo 
che  premi!,  che  danari  e  potenze  gli  darebbe  la  tradigione; 
lasciò  da  parte  il  debito  suo,  la  salute  del  padrone,  la  me- 
moria della  libertà  ricevuta:  presene  anche  parere  dalla  mo- 
glie, donnesco,  e  peggiore;  la  quale  lo  spaventava,  che  molti 
schiavi  e  Uberti  avevan  quelle  cose  vedute:  che  gioverebbe 

<  Ju.,.  molto  alle  strette^  a  stretto  colloquio. 

S  lo  arrotaste  e  brunisse.  Il  latino  dice  con  molta  efficacia  ir  mucronem 
ardeseeré  iussit jcht  non  so  se  traducendo  «  comandò  che  ne  sfavillasse  la 
pmita  m  potesse  andar  Ji  pati  al  latino. 


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394  IL  LIBRO  QCnfDIGBSmO  DEGÙ  ANNALI.     ■ 

iaceile  egli  solo?  i  premii  avrebbe  quel  solo  che  fosse  primo 
a  TÌTelarle* 

LY.  All'alba  Mitico  ne  va  al  giardino  de'Serviliis^e 
non  essendogti  aperto ,  disse  che  gran  cosa  portava  e  atroce: 
i  portinarì  lo  menaro  a  Epafrodito  liberto  dì  Nerone;  egli  a 
lai.  Contagli  esserci  urgente  pericolo ,  gran  congiure,  e  cioc- 
ehò  aveva  udito  e  conghietlarato.  Mostragli  quel  pugnale 
che  doveva  ammazarlo.  E  domandò  che  Scovino  fosse  con- 
dotto quivi.  Rapitovi  da' soldati,  si  difese  con  dire:  «  Che 
aveva  tenuto  per  antica  reliquia  di  sua  casa  quel  pugnale  in 
sua  camera,  onde  Tempio  liberto  il  furò:  fatto  più  testa- 
menti, senza  badare  più  a  uno  che  a  un  altro  di:  donato  ti- 
bertà  e  moneta  a'  suoi  schiavi  altre  volte:  ma  più  largo  al- 
lora, perchè  lasciando  loro  per  testamento,  e  più  debito  che 
avere,  i  creditori  erano  anteriori.  Tenuta  vita  sempre  splen- 
dida e  allegra,  e  poco  approvata  da' severi  censori.  Non 
chiesto  fasce  per  ferite:  averci  questa  vanitade  aggiunta  per 
Tallre  malignitadi  corroborare:  e  spia  fattasene,  e  testimo- 
nio. »  Alle  parole  accompagnò  feroce  animo,  volto  e  voce, 
chiamandolo  scolorato  e  infame,  con  tanta  efficacia,  che  l'in- 
dizio svaniva.  Ma  la  moglie  di  Mitico  avverti,  che  Antonio 
Natale  e  Scevino,  ambi  anima  e  corpo  di  Gaio  Pisene,  ave- 
van  fatto  un  gran  ragionare  in  segreto. 

LYI.  Fu  mandalo  per  Natale:  domandati  in  disparte  di 
che  ragionassero;  non  si  riscontrando,  mison  sospetto,  e 
furon  legati.  Alla  vista  del  tormento,  e  alle  minacce,  cala- 
rono.' E  prima  Natale  più  sciente  della  congiura,  e  più  atto 
a  convincere,  nominò  Pisone,  poi  Seneca:  o  per  aver  por- 
tato ragionamenti  tra  luì  e  Pisone,  o  per  grazia  di  Nerone 
acquistare,  che  recatolsi  a  noia,  cercava  con  ogn'arte  op- 
primerlo. Scevino,  inteso  che  Natale  avea  confessato,  per 
pari  fiaccheza,  o  per  credere  scoperto  il  lutto,  e  non  giovar 
il  tacere,  nominò  gti  altri.  Lucano,  Quinziano  e  Senecione 
stettero  alla  dura:  poi  guastatisi  *  per  promesso  perdono, 

*  al  giardino  de*  Servila,  Gli  orti  ServiliaDi  sodo  ricordati  anche  ocDe 
Stor.  Ili,  38,  e  da  SvetODio  in  Ner.  47. 

*  calarono,  abbassarono  1*  animo. 

*  guastatisi,  corrotti. 


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IL  LIBRO  OODdHCBSUIO  DBGLI  ANNALI.  390 

per  loro  scusa  d'aver  penato/  nominarono;  Lucano,  Atilla 
sua  madre;  Quinziano,  Glicio  Gallo;  Senecione,  Annio  Poi- 
lione;  i  loro  più  cari  amici, 

LVII.  Nerone  si  ricordò  di  Epicari,  ritenuta  per  indizio 
di  Procolo:  e  non  credendo  che  una  donna  reggesse  al  do- 
lore, ne  comandò  ogni  strazio.  Né  verga  né  fuoco  né  ira 
de'  martorianti  del  non  sapere  sgarare  una  femmina  '  la  fe- 
cero confessare:  e  vinse  il  primo  di.  Portata  il  seguente  a'  tor- 
menti medesimi  in  seggiola,  non  potendo  reggersi  sopra  le 
membra  lacerate,  si  trasse  di  seno  una  fascia,  l'annodò  alla 
seggiola,  incalappiò  alla  gola,  stringendosela  col  peso  del 
corpo,  e  trassene  quel  poco  di  fiato  che  v'era.  Esempio  me- 
morevole, che  una  femmina  libertina,  volesse  salvare  con 
tanta  agonia  gli  strani,  e  quasi  non  mai  conosciuti;  quando 
gl'ingenui  uomini,  cavalieri,  senatori,  senza  tormenti,  sco- 
privano i  più  cari:  non  lasciando  Lucano,  Senecione  e  Quin- 
ziano  di  nominare  anche  gli  altri  a  dilungo.  Onde  a  Nerone 
cresceva  sempre  più  la  paura:  raddoppiò  la  sua  guardia. 

LVIIL  Le  sentinelle  tenevano  la  città  e  le  mui'a:  ronza- 
vano per  le  piaze  e  case  e  ville  e  terre,  al  mare  al  fiume, 
schiere  di  fanti  e  cavalli,  mescolatovi  Tedeschi;  de' quali  si 
fidava  per  essere  forestieri.  Tiravano  al  detto  giardino  le  fu- 
nate '  de'  congiurati ,  che  aspettavano  fuori  e  per  terra , 
quando  erano  chiamati  al  tormento.  L'aver  fatto  festa  ad 
alcuno  della  congiura,  favellato,  incontrato,  convitalo,  es- 
sere entrati  insieme  alle  feste,  eran  peccati  mortali.  Oltre 
alle  domande  crudeli  di  Nerone  e  Tigellino  a' congiurati, 
Fenio  Rufo,  non  ancora  nominato,  le  faceva  per  non  parer 
quel  desso,  atrocissime  a'  suoi  compagni.  E  Sobrio  Flavio, 
che  gli  era  innanzi,  gli  accennò  di  ammazarlo;  ma  Fenio 

*  penmtOj  indugiato. 

'  del  non  sapere  sgarare  tuia  femmina,  del  non  saper  vìncere  la  gara 
con  una  femmina;  del  non  saperla  spuntare. Varchi,  ErcoL:  «  Perfidiare  o  stare 
in  sulla  perfidia j  è  toleie  per  tirare  o  mantener  la  sua ,  cioè  per  isgarare  alcu- 
nOfChe  la  sna  vada  innaoiì  a  ogni  modo  o  a  torto  o  a  ragione.*»  Vedi  Ann.  11,8. 

'  le  funate.  Lat.  (  •>  continua  et  iitncta  agmina,  *>  Politi:  «Non  si  vedeva 
altro  che  passar  continuati  branchi  di  prigioni  attorno  alle  porte  degli  orti.  « 
ValerianI:  «  Quinci  si  trascinavano  a  brancLi  i  rei,  ed  all'ingresso  de' giardini 
aspettavano,  n 


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396  IL  UBIO  QUUmiCBSUlO  SBQU  AHMALL 

Ini  già  verso  Nerone  infarìato,  e  con  la  mano  in  su  '1  jpome, 
ratienne. 

LIX.  Scoperta  la  congiura,  t*  ebbe  chi  consigliò  Pisene, 
che  mentre  era  ascoltato  Kilico,  e  titubava  Scovino  j  andasse 
in  campo,  o  salisse  in  ringhiera  a  tentare  il  favor  de'  soldati 
e  del  popolo:  e  Se  i  compagni  della  impresa  sua  s'adunasse- 
ro, anco  gli  altri  andrebbero  dietro  a  loro,  e  al  romor  grande 
del  movimento,  che  nelle  novità  molto  vale.  A  questo  non 
aver  pensato  Nerone.  Le  cose  repentine  sbigottire  i  yalentr, 
non  che  quel  chitarista  con  Tigellino  e  sue  femmine:  mo- 
vesse armi  contro.  Molte  cose,  mettendovisi,^  riuscire,  che 
paiono  ardue  a  chi  si  sta.  Silenzio  e  fede  in  tanti  cervelli 
consapevoli  non  potersi  sperare,  tormento  e  premio  ogni 
cosa  forzare.  Comparirebbe  gente  a  incatenare  anche  lui,  e 
ucciderlo  indegnamente:  quanto  morrebbe  egli  «più  lodato 
in  abbracciando  la  republica,  chiamando  aiuti  alla  libertà,  e 
mancandogli  i  soldati,  abbandonandolo  la  plebe,  più  a' pas- 
sati, più  alli  avvenire  giustificato?  i»  Non  se  ne  mosse:  e  poco 
in  pubblico  dimorato,  si  chiuse  in  casa,  e  acconciossi  a  mo- 
rire. Eccoti  venir  da  Nerone  una  mano  di  giovani  e  novelli 
soldati,  perchè  de' vecchi,  come  a Pisone inchinati,  temeva. 
Segossi  le  vene  delle  braccia.  Lasciò  un  testamento  pieno  di 
brutte  adulazioni  a  Nerone  per  amor  della  moglie  Aria  Galla, 
bella  e  non  altro,  tolta  a  Sìlio  Domizio  amico  suo:  lacuipa- 
cienza,  e  la  disonestà  di  lei  fruttare  a  Pisone  infamia. 

LX.  11  secondo  a  morire  fu  Plauzio  Laterano  eletto  con- 
solo, si  a  furia,  che  non  ebbe  agio  d'abbracciare  ì  figlinoli 
né  d' elegger  il  modo.  Arraffato,  e  dove  si  giustiziano  gli 
schiavi*  ammazato  da  Stazio. tribuno,  uno  de'  congiurati;  non 
lo  scofferse;  non  fiatò.'  Dopo  segui  la  morte  di  Seneca  con  al- 
legreza  del  principe,  per  finirlo  col  ferro,  perchè  gli  era  fal- 
lito il  veleno,  e  non  perchè  fusse  convinto  della  congiura: 


*  meitendovisi,  mettendosi  all'opera,  adoperandosi  con  ardore.  LaL; 
m  experiendo.  m 

S  dove  ti  giustiziano  gli  schiavi j  cio^,  nel  luogo  detto  SuUnio,  fnoridi 
Roma  due  miglia  e  meno:  e  di  qui  il  nome. 

'  nonjiatòj  cioè,  non  volle  rinfacciargli  d^eisers  stato  anch'egU  ano  de*con« 
giurati.  Lat.  t  «  nec  tribuno  obiiciens  eamdem  eonscientlam.  » 


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IL  uno  QumniGttnio  dmu  ahmali.^  807 

perchè  Natale  sdb,  disse  appunto  «^  «  ehe  Pisene  lo  mandò 
a  visitar  Senjsca  ammalato >  e  a  dolersi,  perchè  non  volle  vi 
venisse  egli:  sarebbe  meglio  che,  ragionando  insieme,  si  va- 
lessero deU' amicìKìa.'  »  E  che  Seneca  rispose,  «  gli  spessi 
ragionamenti  fra  loro  non  far  '  né  per  V  ano  né  per  V  altro; 
ma  la  salate  sua  consistere  in  quella  di  Pisene.  »  Nerone  mandò 
Granio  Silvano  tribuno  d' una  coorte  di  guardia  a  interrogar 
Seneca,  se  Natale  gli  portò,  e  s' ei  rispose  quelle  parole.  Egli 
era  quel  giorno,  per  sorte  o  a  studio,*  tornato  di  Campagna 
in  villa  sua  fuor  di  Roma  quattro  miglia.  In  su  la  sera  il  trl> 
bono  la  circondò  di  soldati.  E  trovatolo  a  cena  con  Pompea 
Paulina  sua  moglie,  e  due  amici,  disse  quanto  il  principe 
comandava. 

LXI.  Rispose  «  che  Pisene  gli  mandò  Natale  a  dolersi 
del  non  averlo  lasciato  visitare:  ed  egli  si  scusò  che  era  in- 
fermo, e  si  volea  riposare;  né  avere  avuto  cagione  di  stimar 
più  la  salate  d' un  privato  che  la  propria.  Non  sapere  adula- 
re, né  ninno  saperlo  meglio  di  Nerone,  che  Tavea  trovato 
-più  volte  libero  che  servile.  9  il  tribuno  riferì,  presenti  Ti- 
gellino  e  Poppea:  questi  erano  la  consulta  delle  crudeltà  del 
prìncipe:  il  quale  domandò  se  Seneca  avea  deliberato  d' uc- 
cidersi. Nò  paura  né  maninconia,  rispose,  aver  conosciuto 
in  sue  parole  0  volto.  «  Orsù  (disse)  toma,  e  digli  che 
muoia.  »  Fabio  Rustico  narra  che  egli  non  tornò  per  la  me- 
desima, ma  voltò  a  Fenio  Rufo  prefetto  per  sapere  se  a  tal 
comandamento  da  ubbidire  era.  Rispose  che  si;  tanto  fu  in 
tutti  fatale  la  viltà.  Benché  Silvano  era  '  de'  congiurati  e 
fomentava  quelle  scelerateze,  alla  cui  vendetta  avea  già  con- 
sentito; pure  di  dare  il  comandamento  a  Seneca  non  ebbe 
faccia  nò  voce:  e  fece  entrare  un  centurione. 

*  disse  appunto^  disse  non  più  che  questo. 

'  si  valessero  dell' amiciùa.  Dati;  «  e  eh' è  sarebbe  stato  meglio  che  do* 
mesiicamente  e  come  buoni  amici,  eh* egli  erano,  avessero  praticato  e  ragionato 


'  non  far^  non  essere  utili. 

*  a  studio j  a  bella  posta ,  a  bello  studio. 

*  Benché  Silvano  era  ec.  Benché  Silvano  fosse  ec...  pure  ce.  Il  postilla- 
tore dell'esemplare  Nestiano  di  G.  Capponi,  non  avendo  inleso  il  benché  costruito 
alla  latina  col  verbo  al  presente^  mal  corresse  benché  in  perchè. 

I.  34 


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998  IL  LIBRO  QUINDICBUVO  DEOLI  AIWÀLI. 

LXII.  Seneca  riposatamente  chiedeo  il  suo  testamento: 
negandoglielo  il  centarìone,  si  toUò  aUi  amici,  e  disse: 
«  Poiché  gli  era  tolto  il  riconoscerli  de'lor  meriti,  lasciava 
loro  un  bel  gioièllo,  solo  rimasogli:  l'esempio  della  saa  yita; 
della  cui  bontà  ricordandosi,  ayrebber  lode  di  ri  ferma  ami* 
cizia.  1»  Cadendo  loro  le  lagrime,  li  confortava  o  riprendeva: 
a  Ove  esser  la  filosofìa?  i  rimedi  per  tanti  anni  studiati  con- 
tro a'  soprastanti  casi?  chi  non  sapeva  la  crudeltà  di  Nerone? 
nò  dopo  la  madre  e  '1  fratello,  rimanergli  chi  a  uccidere,  che 
l'aio  e '1  maestro?  » 

*LX1IL  Dette  tali  cose  quasi  a  tutti,  abbraccia  la  moglie, 
e  alquanto  intenerito  Tammonisce,  e  prega  «  che  temperi  il 
dolore;  col  tempo  vi  ponga  pie;  talleri  il  desiderio  del  marito 
con  l'onorato  pìacero  del  contemplare  la  vita  di  lui  virtuo- 
sa. »  Ella  afferma  voler  morir  seco,  e  chiede  il  fedilore.  Air 
lora  Seneca  per  non  le  torre  la  sua  gloria,  nò  lasciare  si 
amata  donna  preda  alle  ingiurìe,  disse:  «  Io  ti  aveva  mo- 
strato addolcimenti  alla  vita:  tu  vuoi  lo  splendor  della  morte; 
nò  io  lo  ti  terrò.  Le  nostre  morti  fiano  coraggiose  del  pari;  la 
tua  più  chiara.  »  Così  detto,  si  fanno  segar  le  vene  delle 
braccia  nel  medesimo  tempo:  Seneca  dì  più  quelle  delle 
gambe,  e  sotto  le  ginocchia;  perché  il  sangue  stentava  a 
uscire  dì  quel  corpo  per  vecchìexa  e  poco  cibo,  risecco. 
Vinto  da  qoe'  dolori  terribili,  e  per  non  farne  sbigottire  la 
moglie,  nò  esso  (vedendo  que'di  lei)  inquietarsi,  la  persuase 
a  irsene  in  altra  camera,  e  chiamando  a  ogni  poco  scrittori,^ 
dettò,  di  vena  eloquente,  concetti  che,  per  esserne  divolgate 
le  copie,  non  dirò  lor  sostanza. 

LXIV.  Nerone,  perehé  a  Paulina  proprio  non  voleva 
male,  e  per  non  s'accrescer  odio,  manda  soldati  a  non  la- 
sciarla morire:  a' cui  conforti  schiavi  e  liberii  fasciano  le 
braccia,  fermano  il  sangue:  né  si  sa  se  ella  se  n'accorse. 
Imperocché  come  il  popblo  va  sempre  al  peggiore,  non 
mancò  chi  credesse,  lei,  mentre  disperò  perdono,  essersi 
voluta  far  onore  d'andarne  col  suo  marito:  venutale  poi  mi- 

*  scrittori.  La  Nestiana  eia  Corainianai  scrittore:  ho  t^orretto  sul  testo 
uadvoctttis  scriptoribus,  »  Dubito  anche  di  quell'a  ogni  pocOj  di  cui  non  ha 
vestigio  nel  testo. 


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IL  LOBO  QVOIDIGBSniO  SUL!  AMNÀLI.  399 

gUoi»  speransa,  averla  Tinta  la  dolceza  della  vita;  che  dorò 
pochi  anni,  con  lodata  memoria  del  suo  marito  e  col  viso 
smorto  e  le  carni  sbiancate  *■  per  lo  molto  spirito  vitale  osci- 
toie.  Seneca  stentando  a  morire,  prega  Anneo  Stazio,  suo 
fedele  amico  e  medico ,  che  gli  porga  certa  cicuta  molto  prima 
ripostasi,  col  qnal  veleno  in  Atene  morivano  ì  condannati; 
piglialo,  e  non  fa;  '  per  esser  già  le  membra  fredde  e  chiosi 
i  pori.  £ntrò  finalmente  in  bagno  d'acqua  calda,  e  aspersane 
agli  schiavi  d'intorno,  disse:  Questo  liquoek  coNSAeRO  a 
GiovB  LoBBAToaB.  Portato  poi  in  una  stnfa;  in  qael  vapore 
spirò;  e  fa  arso  senza  alcune  esequie:  cosi  aveva  disposto 
quando  era  ricchissimo  e  potentissimo. 

LXY.  Si  disse  che  Sobrio  Flavio  co'  suoi  centurioni  fe- 
cer  consiglio  segreto,  sciente  Seneca,  che,  morto  Nerone, 
con  l'aiuto  di  Pisene,  s'ammazasse  anche  lui,  e  si  desse 
l'imperio  a  Seneca,  come  innocente,  ed  eletto  per  chiaris- 
sime virtù  al  sommo  grado.  E  andava  attorno  di  Subrio  que- 
sto motto:  «  Levarne  un  chìtarista,  e  porvi  un  tragediante, 
non  iscemar  vergogna,  p  Perchè  Nerone  in  su  la  lira,  e  Pi- 
sene da  tragico  vestito  cantavano. 

LXYI.  Non  potettero  più  frodare  la  congiura  ancora  i 
soldati,  stomacando  quelli  che  aveano  confessato,  il  vedersi 
da  Fenio  Rufo  lor  compagno  esaminare.  Minacciando  egli, 
e  stringnendo  forte  Scovino  a  dir  so;  Scovino  ghignò  dicen- 
do, «  ninno  sapere  più  di  lui;  »  e  lo  conforta  «  a  rendere  il 
cambio  a  si  buon  principe.  »  Fenio  non  parlò,  e  non  tacque; 
cosi  gli  si  rappallottolaron  le  parole  in  bocca  '  per  lo  spa- 
vento. Onde  altri,  e  Gervario  Proculo  con  l'arco  dell'osso  * 
si  misero  a  convincerlo.  Lo  imperadore  il  fece  da  Cassio  sol- 


*  sbiancate.  Il  postillatore  dell'esemplare  Kestìano  di  G.  Capponi  aggiunge 
a  maraviglia,  per  amore  dell'  ut  ostentai  esset  del  testo  :  ma  forse  di  suo  capo. 

*  piglialo,  e  non  faj  non  produce  T  effetto.  Lat.:  «  allatumque  hausit 
frustra,  n 

'  gli  si  rappallottolaron  le  parola  in  bocca.  Lat.  :  «  verba  sua  praps» 
diens.  »  Vedi  quanto  meo  vivamente  il  Valeriani:  «, titubandogli  in  sulle  labbra 
gli  accenti.  » 

*  con  Carco  delCosso,  Lat.  m  maxime,,,,  eonnisis,  -  Mettersi  in  una  cosa 
coli* arco  dell'osso  è  adoperarvisi  a  tutt'uomo,  con  tutte  le  forse. 


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400  IL  UBIO  QOWDICBSafO  DIGU  ABDIAU. 

dato»  elle  gli  stava  appieno,  per  la  sua  roboateza  pigliare  e 
legare. 

LXYII.  E  qaei  «i  yoltarono  a  Sobrio  FlaTio  tribuno ,  il 
qaale  e  allegava  prima  la  disformità  che  un  soldato  prò' d'ar- 
me, non  si  sarebbe  messo  con  peggio  che  donne  a  cotanta 
impresa.  »  Dipoi  essendo  tocco  bene,  *  si  risolvè  a  generosa 
confessione:  e  da  Nerone  interrogato  per  qaali  cagioni  s'era 
dimenticata  la  fede  giuratali;  «  Odiaiti,  disse:  né  avesti  più 
iédel  soldato  di  me  mentre  meritasti  amore.  Cominciai  a  non 
poterti  patire  quando  uccidesti  tua  madre  e  moglie:  fusti  coc- 
chiere, strìone,  e  ardesti  Roma.  »  Ho  messo  le  proprie  pa- 
role, perchè  non  son  divolgate,  come  quelle  di  Seneca:  né 
men  bello  è  sapere  i  detti  d'un  soldato ,  rori  ma  fieri.  Ninna 
cosa  di  quella  congiura  tanto  alterò  Nerone,  il  quale  quanto 
al  fare  le  scelerateze  era  pronto;  all'udirsele  rinfacciare, 
non  usato.  Commise  il  supplizio  di  Flavio  a  Yeiano  Nigro 
tribuno.  Costui  fece  far  la  fossa  nel  campo  vicino.  Flavio 
biasimandola,  come  piccola  e  stretta,  disse  a'  soldati  circon- 
stanti: <K  Né  anche  questo  ha  saputo  fare:  »  essendogli  detto 
che  porgesse  il  collo  animosamente,  rispose,  <k  Cosi  '1  tagha- 
stù.  *  »  Tagliollo,  tremando,  a  pena  in  due  colpi;  e  per  darsi 
vanto  d'averlo  fatto  patire,  riferì  avergli  tagliato  la  testa  con 
un  colpo  e  mezo. 

LXYIII.  Seguitò  altro  esempio  coraggioso  di  Solpizio 
Aspro  centurione.  Interrogato  da  Nerone  perchè  volesse  con 
gli  altri  ucciderlo;  rispose  breve,  <k  Per  non  potersi  a  tante 
tue  orribilità  riparar  altramente.  »  Allora  con  forte  animo 
pati  sua  pena,  e  gli  altri  centurioni  non  tralignarono.  Fenio 
Rufo  fece  il  contrario,  che  insino  al  testamento  impiastrò  di 
lamenti.  Nerone  aspettava  che  anche  Yestino  consolo  fusse 
nominato,  tenendolo  per  nimico  e  violento:  ma  i  congiurati 
noi  vollero,  alcuni  per  vecchie  nimistà;  gli  altri  tenendolo 
precipitoso,  e  da  non  convenire:  ma  l'odio  di  Nerone  nacque 
dalla  troppa  ìntrinsicheza,  che  li  fece  conoscere  e  sprezar  la 
viltà  del  prìncipe,  ed  ei  temeva  della  ferocità  dell'amico, 

*  essendo  tocco  bene,  essendo  viepiù  incalsato. 

*  Così'l  tagliastà^  coti  il  taglUssi  to.  Lai.:  «  UUnam  tu  tam  foriiter 
fefias,  » 


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IL  UBEO  QCINDICE9I1I0  DEGLI  ARMALI.  401 

che  spesso  il  motteggìaya  con  faceiie  amare;  che  quando 
toccan  nel  vivo,  si  conficcano  nella  memoria.  Ci  s' aggiunse 
nuova  cagione,  che  Yestino,  benché  sapesse  che  Cesare  era 
ono  degli  adalteri  di  Slatilia  Messalina,  la  sposò. 

LXIX.  Non  potendosi  adanqoe,  ove  non  era  peccato  nò 
accasa,  dar  figura  di  giudizio,  giocò  d'autorità:  e  comandò 
a  Gerelano  tribuno,  che  con  una  corte  di  soldati  andasse  e 
prevenisse  il  consolo,  pigliando  il  suo  palagio,  eh'  era  a  ca- 
valiere alla  piaza,  quasi  una  rocca:  opprimesse  quella  gio- 
ventù scelta  che  e'  teneva  per  suo  servigio,  bella  e  d' una 
stessa  età.  Avendo  egli  quel  giorno  fomite  le  faccende  del 
consolato,  faceva  un  convito,  senza  alcun  timore,  o  lo  vo- 
leva coprire:  la  soldateria  entrò:  fu  detto  che  il  tribuno  l'at- 
tendeva: e' fittosi  e  chiuso  in  camera,  venuto  il  cerusico, 
segatogli  le  vene  e  messo  in  bagno  caldo,  tutto  fu  uno,  senza 
parlare,  o  mostrar  dolore:  i  convitati  fur  presi,  e  sostenuti 
sino  a  meza  notte:  quando  Nerone  immaginatosi  la  battisof- 
fiola^  di  que' poveretti  aspettanti  la  morte,  rìdendo  disse, 
avere  essi  delle  vivande  consolari  ben  pagato  lo  scotto.* 

LXX.  Appresso  comandò  la  morte  di  M.  Anneo  Lucano 
che,  vedendosi  versare  il  sangue,  freddandoglisi  i  piedi 
e  le  mani,  partendosi  a  poco  a  poco  lo  spirito  dall'  estremi- 
tadi,  avendo  ancora  il  petto  caldo  e  la  mente  sana;  recitò 
certi  suoi  versi  sopra  un  soldato  ferito,  e  come  lui  morien- 
te;  e  con  questa  ultima  voce  spirò.  Senecione  poscia,  Quin- 
ziano  e  Scovino,  vissuti  effeminati,  morirono  virilmente:  gli 
altri  senza  detto  né  fatto  memorevole. 

LXXI.  Roma  era  piena  di  mortòri;  campidoglio  di  vit- 
time. Cui  morto  era  figliuolo,  fratello,  parente  o  amico,  ne 
ringraziavano  gì' iddii,  ornavano  le  case  d'allori,  abbraccia- 
vano a  Nerone  le  ginocchia,  straccavanlo  co'  baciamani.  ISà 
credendo  farsi  per  gaudio,  perdonò  ad  Antonio  Natale  e  a 
Cervario  Procolo  per  guiderdone  de'  tosto  rivelati  indìzìi. 
Mitico  fu  fatto  ricco,  e  si  pose  quel  nome  greco  che  significa 

*  la  battitoffiola,  la  paura.  Vedi  Jnn.  V,  -IO,  e  la  postilla  del  tradutton 
a  questo  luogo.  Vedi  pure  il  Varchi  nell*  Ercolano. 

S  pagato  /•  Moifo/ per  metaf.  «pagato  il  60.  «  Lat;  msatU  supplica 
luisse,  » 

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402  IL  LIBBO  QUINDICESIMO  DEGLI  ANNALI. 

conservadore.*  De'  trìbani,  Graoio  Silvano,  benché  assolato, 
b'  ammazò  di  sua  mano:  e  Stazio  Prossimo  si  tolse  il  per- 
dono di  Cesare  con  fine  stolta.*  Pompeo,  Cornelio  Marziale, 
Flavio  Nipote,  Stazio  Domizio  tribuni,  per  aver  avuto  no- 
me, non  fatti,  d'odiar  il  principe,  furon  cassi.  Mandati  in 
esilio  Nonio  Prisco,  come  amico  di  Seneca,  e  Glizio  Gallo  e 
Annio  Pollione,  più  bociati,'  che  convinti.  Antonia  Flavilla, 
moglie  di  Prisco,  e  Egnazia  Massimilla  di  Gallo  andarci!  con 
essi  con  gran  riccheze  salvate  loro,  poi  tolte;  e  Tana  cosa 
e  r  altra  accrebbe  lor  gloria.  Furono  scacciati  Rufo  Crispino, 
sotto  ómbra  della  congiura,  ma  per  odio  di  Nerone,  per  es- 
sere stato  marito  già  di  Poppea;  e  Virginio  Rufo  per  lo  suo 
troppo  nome,  perché  egli  insegnando  eloquenza,  e  Mosonio 
filosofia,  si  tiravan  dietro  la  gioventù.  Date  per  confino  Y  ìso- 
le dell'Arcipelago,  come  in  branco,  a  Ciuvidìeno  Quieto, 
Giulio  Agrìppa,  Blizio  Catulino,  Petronio  Prisco,  Giulio  Aiti- 
no. Cacciati  dell'  Italia  Cadicia  moglie  di  Scovino  e  Cesenio 
Massimo,  che  d' essere  stati  rei  s' accorsero  solo  alla  pena. 
Atilla  madre  di  Lucano  non  fu  prosciolta,  ma  passata.^ 

/  LXXIL  Fatte  queste  cose  Nerone  parlò  a' soldati,  e  donò 
cinquanta  fiorini  per  uno,  e  il  grano,  solito  già  da  loro  pa- 
garsi al  pregio  corrente.  Indi  chiama  il  senato  a  contargli 
queste  quasi  gloriose  fazioni  di  guerra,  e  dona  le  insegne 
de'  trionfanti  a  Petronio  Turpiliano  stato  consolo,  a  Cocceio 
Nerva  eletto  pretore,  a  Tigellino  prefetto  de'  pretoriani.  Ti- 
gellino  e  Nerva  cotanto  innalzò,  che,  oltre  alle  immagini 
trionfali  nel  foro,  rizò  loro  le  statue  dinanzi  al  palagio.  Le 
insegne  di  consolo  diede  a  Ninfidio.  Dì  costui,  non  venutomi 
prima  alle  mani,  darò  breve  notizia,  come  parte  anch' egli 
delle  miswie  dì  Roma.  Sua  madre  fu  libertina,  bella,  e  cosa 
dì  liberti  e  schiavi  de'  principi:  facevasi  figlinolo  di  Gaio  Ce- 
sare, abbattendosi  ad  esser  grande,  ^  e  d' aspetto  terribile:  o 

*  conservadorej  IwTijpos,  Solerò. 

'  conine  stolta»  Lat.  t  «  veniam  quam  ab  imperatore  acceperat  vani- 
tate  exitat  corrupìt, 

'  più  baciati  ec.  Lat.  t  «  infamati*  magis  guam  convictis»  • 

*  passata jdhnmvìhu,  Nerotie  mostrò  dlmenticarseiie. 

S  abbattendosi  ad  essei  grande j  esMndo,  «  oa*0|  grande  della  perdona. 
Lat.  t  m/orte  quadam  habitu  }V'ocerus.  m 


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IL  LIBRO  QOINDiaSSIMO  DEGLI  ANNAU.  403 

forse  perchè  Gaio  Cesare,  che  randagio  era,*  con  sna  madre 
si  trastullò. 

LXXIII.  Nerone  fatta  a'  padri  saa  diceria,  bandi  al  po- 
polo i  condannati,  e  fece  registrare  a' libri  publìci  i  lor  pro- 
cessi per  r  appunto:  per  chetar  le:  Ungne  che  lo  laceravano 
d' avere  spento  tanti  uomini  dabbene  per  odio  o  paura.  Ma 
del  principio,  progresso  e  fine  di  questa  congiura  non  fu  du- 
bitato allora  da  chi  volle  saperne  il  vero,  e  confessato  da 
quei  che  in  Roma  tornarono,  morto  Nerone.  I  senatori  cui 
più  toccava  a  piagnere,  più  adulavano.  Giulio  Gallione  fratel 
di  Seneca  raccomandava  la  salute  sna  pieno  di  spavento.  Sa- 
lieno Clemente  il  chiamava  nimico,  parricida;  e  tutti  i  padri 
gli  dettero  in  su  la  voce:  non  misurasse  l' occasione  de'  mali 
pubblici  contro  agli  odii  privati:  né  stuzicando  rinciprignisse 
la  piaga  *  dello  sdegno  del  principe  già  risaldata. 

LXXIV.  Ordinaronsi  offerte  e  grazie  alli  iddii,  e  spe- 
ziale onore  al  sole  nel  suo  tempio  antico  presso  al  Cerchio, 
dove  s' aveva  a  fare  lo  eccesso:  per  averlo  quella  divina  luce 
scoperto.  E  che  a  Cerere  nel  Cerchio  più  palli  di  barberi  si 
corressero;  e  che  il  mese  d'aprile  si  chiamasse  Nerone: 
g'  edificasse  un  tempio  alia  Salute  in  quél  luogo  onde  Scovino 
cavò  il  pugnale,  il  quale  Nerone  consagrò  in  campidoglio,  e 
scrisse,  A  Giove  Vindice;  né  fu  allora  considerato:  ma  dopo 
la  sollevazione  di  Giulio  Vìndice  s' avverti  come  agurìo  della 
futura  vendetta.  Trovo  nelle  cronache  del  senato,  che  Ce- 
nale Anizio  eletto  consolo  disse  per  sentenza,  che  quanto 
prima  a  spese  pubbliche  si  facesse  un  tempio  al  divino  Ne- 
rone, intendendo  egli  che  Nerone  dovesse  esser  adorato  da- 
gli uomini,  come  più  che  uomo.  Ma  fu  rivoltato  a  uria  della 
sua  morte,  '  perchè  ninno  principe  s' onora  come  iddio  men- 
tre vive  tra  gli  uomini. 

'  randagio  era,  cagante  cacciatore  d'incerta  Tenere. 
8  uè  stuAicando  rinciprignisse  la  piaga j  la  TÌacrodisae ,  la  iDvelcmsM* 
'  Ma  fu  rivoltato  a  uria  della  sua  morte  ^  fu  interpretato  come  presagio 
della  sua  morte. 


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404 

IL  LIBRO  SEMCESMO  DEGLI  ANNALI 

DI 

GAIO  C08WELI0  TACITO. 

SOMMARIO. 

1.  Nerone  da  fortuna  beffato  per  Cesellio  Basso  che  da  pasco  Teniasi 
•copritore  di  tesori  io  Africa.  —  III.  Dalla  vana  speme  cresce  il  lusso.  — 
IV.  Festa  de'  Gincni'  anni  :  canta  Nerone  a  gran  noia  del  popolo  e  rischio  di  Ve* 
spasiano. — VI.  Maore  Poppea:  n'ò  seoolto,  imbalsamato  il  corpo;  ma  ha  po- 
biico  mortoro. — VII.  0.  Cassio,  L.  Silano  esiliati:  Lqiida  lasciata  al  giadizio 
di  Nerone. — X.  L.  Vetere,  Sestia  e  PoUozia  morti. — XII.  Cangiati  i  nomi 
a'mesi. — XIII. Tempeste  e  morbi. -^ XIV.  Anteioe  Ostorio  a  morte. — ^XVII.  Va 
con  loro  Anneo  Mela,  Cenale  Anirìo,  Rofio  Crispino,  C.  Petronio. — XX.  Si. 
lia  esiliata.  — XXI.  Nerone  contro  virtù  inviperito  più  gravi  reati  affastella 
contro  Tresca  Peto  e  Barca  Sorano  :  Servilia  figlia  di  Sorano  al  paterno  de- 
stino ò  onita  :  tor  eostanxa  invitta  :  han  la'  seelta  della  morte  :  premiati  gli  ao- 
cosatorì  Eprìo  Cossnziano^  Ostorio  Sabino. — XXXV.  Morte  di  Trasea,  Sorano 
e  Servilia  :  esili!  di  Paconio  e  Elvidio. 

Carso  dt  «m  omio. 

A«.  ai  B.  «««X.  (di  o.  «).  -co^.  { l  S-^^r- 

I.  Volle  di  poi  la  fortuna  la  burla  di  Nerone,*  si  debole, 
che  credette  a  un  sogno  d' un  mezo  matto  cartaginese  detto 
Cesellio  Basso.  Costui  venne  a  Roma,  e  comperata  T udienza 
del  prìncipe,  gli  rivela  aver  trovato  in  un  suo  campo  una 
caverna  altissima  piena  d'oro  non  coniato,  ma  rozo  e  all'an- 
tica; esservi  mattoni  massicci,  e  da  un'  altra  parte  ritte  co- 
lonne: il  tutto  stato  occulto  tanto  tempo,  per  accrescere  sua 
fortuna.  Credersi  che  Bidone  di  Fenicia  fuggita  da  Tiro, 
quando  ebbe  edificata  Cartagine,  nascondesse  quel  tesoro, 
perchè  quel  nuovo  popolo  non  insolentisse  per  la  troppa  rie- 
cheza;  o  la  cupidigia  del  rubarla  non  accendesse  li  re  di 
Numidia,  nimici  per  altro,'  a  far  guerra. 

II.  Nerone  adunque  senza  intendere  chi  colui  fusse;  che 

«    Volle»..  U  burla  ec.  Lat.  :  «  Inlusit  Neronij  »  si  fece  gioco  ec. 
'  nimici  per  altro ^  nemici  anche  per  altre  cagioni. 


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a  UBSO  8EDICE8I1IO  DBALI  AMlf ALI.  40tf 

riscontri  desse  di  tanto  tesoro;  senza  mandare  in  so  '1  luogo 
a  riconoscerlo,  è  il  primo  a  pnbblicarlo;  e  manda  per  esso, 
quasi  per  conquistata  preda,  galee  rinforzate  di  ciarma,  per 
più  arrancare.*  Il  popolo,  non  men  corrivo,  in  que' giorni 
d' altro  non  ragionava;  ma  diversamente.  £  facendosi  per 
ventora  lo  spettacolo  de'  secondi  Ginqn'anni;*  presero  qaindi 
materia  i  dicitori  di  lodare  il  prìncipe,  che  gì'  iddii  non  poro 
gli  faceano  nella  faccia  della  terra  nascer  le  solite  biade,  e 
nelle  viscere  tra  ì  metalli  generar  V  oro;  ma  con  fecondità 
nuova  gli  ammannavano'  i  tesori:  con  altre  adulazioni,  non 
meno  che  faconde,  servili,  fidati  in  sua  leggereza. 

IIL  Accresceva  con  questo  vano  assegnamento  lo  spen- 
dio: fondeva  le  facoltadi*  antiche,  quasi  fornito  per  molti 
anni  da  spamazare'  le  nuove,  e  già  ne  assegnava  gran  do- 
nativi; e  le  riccheze  in  erba  impoverivano  l'universale.  Per- 
chè Basso  «oviglìato  tutto  il  suo  campo,*  e  gran  paese  vici- 
no,  giurando  esser  qui,  esser  qua  la  prelibata  caverna;  aiu- 
tato non  pure  da' soldati,  ma  da' contadini,  popoli  coman- 
dati, alla  fine  uscito  del  pecoreccio,^  con  sua  maraviglia 

'  per  jrià  arrancare.  Arranearej  o  andare  a  voga  arrancata^  Tale  vù' 
gare  a  gran  forza  di  remi^  forse  perchì»  nel  Temare  si  fa  Tatto  della  persona  che 
fanno  i  ranchi  correndo. 

S  de' secondi  Cinquannij  facendosi  per  la  seconda  volta  lo  spettacolo  quin- 
quennale. 

>  ammannavanoj  appareochtayano.  Ammannare  o  ammannire  Tale  prò* 
prianaente  preparare  che  che  sia  ad  alcnno,  senaa  che  questi  ne  abbia  fatica  o  di- 
sturbo; e,  s*io  non  m* inganno^  viene  dalla  manna j  cibo  apparecchiato  da  Dio 
agli  Ebrei  nel  deserto:  che  se  ciò  fosse,  mal  sarebbe  riferito  a  questo  verbo  nel  Dia. 
del  M anuni  il  proverbio  Ammanna  ch'io  lego,  cioè  «  fa'  il  mannello  o  mani- 
polo ed  io  lo  lego.  »  Il  Politi,  Tac.  Ann,  1, 39,  usò  ammannime  per  la  roba  ara- 
mannita  ,  vocabolo  buono  e  da  aggiungersi  al  Vocabolario ,  e  sulla  cui  analogia 
vanno  mangime,  lettimej  vocaboli  de'  nostri  contadini  toscani ,  che  significano 
roba  da  mangiare  o  da  fare  il  letto  per  le  bestie. 

*  fondeva  lefaeoiiadi.  Dante  t  «  Biscaua  e  fonde  le  sue  facultadL  *■ 
8  spamazare,  scialacquare.  Vedi  Stor.  1 ,  5K). 

*  rovigliato  tutto  il  tuo  campo,  Rovigliare  o  rovistare  sta  qui  in  senso 
traslato  per  scavare,  Lat.  :  m  effotso  agro  suo.  » 

7  uscito  del  pecoreccio.  Questa  locuaione  significa  :  Venire  a  capo  d'un 
affare  imòrogliatoj  dice  la  Crusca»  recando  questo  esempio.  Ma  qui  parmi  abbia 
altro  senso.  Infatti  il  latino  dice  posita  vecordia  «  uscito  della  sua  sdocchessa.  » 
E  tale  credo  sta  il  senso  proprio  di  pecoreccio  e  non  gi^  d*  imbroglio  o  affare 
imbrogliato.  E  sd>hene  si  chiamano  pecorecci  gli  imbrogli,  s*  ha  però  da  inten* 


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400  IL  UBEO  SBDICBSDIO  DBGU  ANNAU. 

d'aver  sognato  il  non  vero,  non  mai  più  interTenologli,  per 
vergogna  o  paura  s*  accise.  Altri  dicono  che  ei  fa  preso,  e 
poi  lasciato,  toltogli  i  beni  in  vece  del  gran  tesoro  reale. 

lY.  Venendo  il  tempo  di  fore  detto  spettacolo,  il  senato, 
perchè  l'imperadore  non  facesse  la  indegnità  del  montare  in 
iscena,  gli  offerisce  le  corone  dovute  al  sovrano  cantatore  e 
dicitore.  Rispose,  che  non  le  voleva  per  aatorìtà,  né  per  far 
vore,  con  far  torto  adorano;  ma  per  meritata  sentenza. 
Prima  cantò  suoi  versi:  e  gridando  il  popolo  «  che  mostrasse 
ogni  suo  sapere  »  (cosi  disse),  osservò  nel  teatro  tutte  le  re- 
gole del  ceterizare.  Stracco,  non  sedere;  il  sudore  con  altro 
che  con  la  vesta  propria  non  rasciugare  ;  non  si  spurgare, 
né  soflQare;  e  quando  finito  ebbe,  s'inginocchiò  al  popolo, 
adorandolo  con  le  man  giunte,  e  attendeva,  tremoroso  mo- 
strandosi, la  sentenza.  La  plebe  romanesca,  usata  aiutare  ì 
gesti  ancora  degli  strioni,  gli  rispondeva  con  le  battute, 
tuoni  e  applausi  misurati,  che  parea  lieta  (e  forse  era)  di 
questa  vergogna  pubblica. 

y.  Ma  i  venuti  per  ambascerie  o  lor  faccende  da  lontane 
città  0  Provincie,  retignenti^  ancora  i  costami  gravi  d'Italia 
antica,  o  non  pratichi  a  quelle  follie,  non  le  potevan  ve- 
dere, né  sapeano  imitare.  Non  battevan  le  mani  a  tempo, 
guastavano  gì' intendenti;'  e  bastonavangli  spesso  i  soldati 
messi  per  li  gradi,  perchè  non  seguisse  pur  un  grido  scor- 
dante, o  trascurato  silenzio.  Certo  fu,  molti  cavalieri  nella 
calca,  volendo  passar  innanzi,  essere  affogati:  altri,  per  lo 
disagio  continuato  di  e  notte,  ammalati  a  morte:  essendovi 
molti  occulti  e  palesi  appuntatori  di  chi  vi  mancasse,  o  stesse 
tristo  0  lieto.  A' deboli  subito  far  dati  i  supplizi;  a' grandi, 
i  frutti  dell'odio  poco  tempo  dissimulati.  Vespasiano,'  che 

dere  quegli  ne* quali  la  nostra  o  1*  altrui  scioccheita  ci  ha  coadotti.  B  tal  voca- 
l>olo  Tiene  manifèstamente  da  pecora,  animale  balordo!  e  pecora  e  pecoroni  sì 
chiamano  gli  sciocchi. 

'  retigneuti,  che  ritenevano,  conservavano  memoria  ec.  Manca  al  Vocabo- 
lario. 

*  guastavano  grintendenU,  sturbavano  l'ordina  di  coloro  che  erano  pra- 
tici in  cosi  fatta  finsione. 

S  Vespasiano,  Svetonio  in  Fesp.  4;  «  Essendo  in  compagnia  di  Nerone 
quand'egli  andò  in  Acaia,  avtva  per  costume ,  quando  taso  Ntrona  cantava ,  di 


I 


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IL  LIBEO  SEDICBSIMO  DEGÙ  INNALI.  407 

per  sonno  inchinava,  dicono  che  ne  toccò  nna  grida  da  Febo 
liberto,  e  valsegli  aver  baoni  amici,  o  soprastargli  maggior 
fortuna. 

VI.  Finita  la  festa,  Poppea  mori  d'un  calcio,  datole  il 
marito^  crucciato,  nel  ventre  pregno.  Alcuni  scrìvono  di  ve- 
leno, con  più  odio  che  verità  ;  poiché  n'era  innamorato,  e 
bramava  figliuoli.  Il  corpo  non  fo  al  modo  de'  Romani  arso; 
ma,  de'  re  stranieri,  imbalsimato ,  e  riposto  nel  sepolcro  de' 
Giulii:'  ma  con  publìche  esequie,  ove  egli  la  lodò  in  rin- 
ghiera dall'essere  stata  bella,  madre  della  divina  infanta,*  e 
da  altre  fortune,  in  vece  di  virtù. 

VII.  Alla  morta  Poppea,  pianta  di  fuori,  e  risa  dentro, 
come  donna  disonesta  e  crudele,  Nerone  si  rincappellò  nuovo 
odio,*  vietando  l' intervenire  all' essequie  a  Gaio  Cassio,' 
come  troppo  ricco,  e  dì  gravi  costumi  (che  fu  l'annunzio  del 
suo  poco  indugiato  male),  e  a  Silano  per  niun  altro  peccato, 
che  per  esser  giovane  troppo  onesto  e  nobile.  Mandò  adun- 
que una  scrittura  al  senato,  che  questi  due  si  levassero  dalla 
republica,  perchè  Cassio  teneva  tra  le  immagini  de' suoi 
maggiori  quella  di  Gaio  Cassio,  intitolata  Capo  di  Paetb,  e 
cercava  i  semi  di  guerra  civile,  e  ribellione  della  casa  dei 
Cesari:  e  oltre  alla  memoria  di  quel  suo  nome  fazioso, 
metteva  per  capo  alle  novità  L.  Silano,  giovane  nobile  e  ri- 
soluto. 

Vili.  E  lui  trafisse,  che  si  dava  già,  come  Torquato* 
suo  zio,  pensieri  da  imperio,  tenendo  liberti  per  segretari, 
cancellieri,  computisti:  cose  vane  e  false;  perchè  la  rovina 

panini  il  pia  ddle  volte»  o  TeramenU  addormentarli;  di  che  Nerone  in  modo  ti 
corruccio  seco,  che  non  solamente  gli  fu  vietato  1* entratura  di  casa  di  queT'pria- 
cipe,  ma  ancora  il  salutarlo  in  pubblico.  » 

*  datole  il  marito,  dal  marito. 

S  net  sepolcro  de'Giuliit  ricordato  soprai  III»  8. 
'  di^na  infanU.  Vedi  L  XV,  S3. 

*  si  rincappellò  nuovo  odio.  Bine  appellare  h  aggiungere  nuova  quantitìi 
d'una  cosa,  quasi  mettendosi  un  cappello  sopra  un  altro.  11  popolo  ]*usa  sola* 
mente  parlando  deDe  infermiti.  Odio  rincappellato  trovasi  anche  nelle  Star.  I, 
72.  E  nel  primo  tentativo  di  traduaione  indìrixsalo  al  Pinelli  (Vedi  in  fine)  leg- 
gcsi  (e.  9):  onori  rincappellati  o  nuovi. 

«  Gaio  Cassio.  Vedi  XV,  62. 

*  Torquato,  Vedi  il  lih.  antecedente,  e.  36. 


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408  IL  LIBEO  t»DICBiI]fO  DB«U  ANNALI. 

del  zio  insegnò  a  Silano  guardarsene.  Fece  poi  da  falsi  rap- 
porl^tori  accasar  Lepida  ^  moglie  di  Cassio,  zia  di  Silano, 
d'aver  nsato  con  esso  nipote  suo,  e  fatto  incantesimi.  Ag- 
giagnevansi  come  consapevoli  Yolcazio  Tnllino  e  Marcello  ' 
Cornelio  senatori,  e  Calpomio  Fabato  cavaliere,  i  quali  in 
sa  lo  scocco  della  sentenza  contro,  s' appellarono  al  principe, 
cbe,  in  più  orrende  scelerateze  invasato,  non  li  attese;  e 
scamparono. 

IX.  Il  senato  rimise  Lepida  a  Cesare:  confinò  Cassio  in 
Sardìgna;  ove  andò,  e  s' aspettava  il  suo  fine.  Silano  come 
per  condurlo  in  Nasse,  fu  posato  a  Ostia:  poi  chiuso  in  fiari, 
terra  di  Puglia;  e  sopportava  il  caso  indegno  con  prudenza. 
Venne  il  centurione  ad  ammazarlo,  e  voleva  eh'  ei  si  segasse 
le  vene:  disse,  voler  morire,  ma  non  già  che  egli  se  ne  po- 
tesse vantare.  Il  centurione  vedendolo,  se  ben  senz'arme, 
poderoso,  invelenito  e  senza  paura,  disse  assoldati  che  gli 
8*  avventassero  addosso.  Silano  si  difese,  e  con  le  pugna, 
quanto  poteo  s'aiutò,  sino  a  che  dal  centurione  con  istoc- 
cate  dinanzi,  quasi  in  battaglia,  fu  amm^zato. 

X.  Non  meno  coraggiosi  morirono  L.  Yetere  ^  e  Sestia 
sua  suocera  e  Polluzia  figliuola:  visi  odiosi  al  principe,  che 
vivendo  gli  rinfacciavano  la  morte  di  Rubellio  Plauto  *  ge- 
nero di  Yetere.  L'occasione  fu,  che  Fortunato  suo  liberto, 
avendo  mandato  male  le  facultà  del  padrone,  si  volse  ad  ac- 
cusarlo, e  prese  per  compagno  Claudio  Demiano,  incarcerato 
da  Yetere  viceconsolo  in  Asia,  come  ribaldo;  e  Nerone  lo 
liberò  in  premio  dell'accusa.  II  che  come  Yetere  intese, 
d' avere  a  stare  con  suo  liberto  a  tu  per  tu,  '  se  n'  andò  in 
villa  a  Mola,  ove  gli  fu  posta  guardia  di  soldati  occulta.  Bravi 
la  figliuola,  oltre  a  questo  spavento,  piena  di  lungo  e  rab- 
bioso dolore,  avendo  veduto  dicoUar  Plauto  suo  marito;  ab- 
bracciato la  testa;  raccolto  il  sangue;  riposto  i  panni  tinti; 
preso  i  vedovili;  voluto  vivere  per  pianger  sempre;  mangiato 

<  Lepida.  Vedi  Ub.  TiUl,  1. 

S  Marcello:  è  ricordato  anche  nelle  Storie  1 ,  37. 

»  L.  rc/cre.  Vedi  lib.  XIII,  i4. 

•  Ruhellio  riauto.  Vedi  lib.  XIV,  68. 

■  stare,»  a  tu  per  tu,  a  conlraslo.  Cosi  anche  lih.  Xlil,  20. 


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IL  LIBRO  8BDIGBS1M0  DEGLI  ANNALI.  400 

solo  quanto  non  la  lasciasse  morire.  Il  padre  la  eonsìgtiò  ir^ 
sene  a  Napoli.  Non  avendo  da  Nerone  udienza,  assediava  la 
porta;  ora  con  donnesche  strida,  ora  con  maschie  puntare 
sclamava:  «  Udisse  lo  innocente:  non  desse  chi  fu  seco  con- 
solOy  in  preda  a  un  liberto.  »  Con  tutto  ciò  non  mosse  il  prìn- 
cipe a  pietà,  nò  a  paura  d' odio. 

XI.  Onde  ella  rapportò  al  padre,  che  tagliasse  ogni  spe- 
ranza, e  s' accomodasse:  e  nel  medesimo  tempo  seppe  che  il 
senato  gli  sguainava  orrìbil  sentenza.  Alcuni  volevano  eh'  ei 
facesse  reda  Cesare  d'una  gran  parte,  per  salvare  il  resto 
a' nipoti:  non  gli  pìacq[ue;  per  non  macchiare  nel  fine  di 
brutto  servaggio  la  vita  sua,  tenuta  poco  meno  che  libera:  e 
donò  alli  schiavi  suoi  tutto  il  danaro:  con  licenza  di  portar- 
sene tutto  r  arredo,  fuor  che  tre  letti  per  l' esequie:  e  entrati 
in  una  camera,  col  medesimo  ferro  si  segano  le  vene;  e  tosto 
con  una  sol  vesta  addosso,  per  fuggir  vergogne,  entran  ne' 
bagni,  e  guatansi:  il  padre  la  figliuola;  l' avola  la  nipote;  ella 
loro;  e  fanno  a  chi  più  prega  che  il  suo  fiato  esq^  tosto,  per 
lasciare  gli  altri  sopravviventi  quel  poco.  La  fortuna  al  mo- 
rire osservò  l'ordine  dell'etadi.  Doppo  la  sepoltura  furono  ac- 
cusati e  dannati  a  morir  di  capestro.  Nerone  disse:  «e  No; 
muoian  pur  a  lor  modo:  »  cosi  schernivano  per  giunta  li  uc- 
cisi. 

XII.  A  P.  Gallo  cavalier  romano  fu  tolto  acqua  e  fuoco, 
per  essere  stato  intrìnseco  di  Fenio  Rufo,  e  non  alieno  da 
Yetere:  il  suo  liberto,  che  l' accusò,  ebbe  in  premio  dell'  ope- 
ra il  sedere  nel  teatro  tra'  mazieri  *  de'  tribuni.  Al  mese  che 
segue  aprile  (che  si  dicea  Nerone)  fu  posto  nome  Claudio,  in 
vece  di  maggio:  a  giugno,  Germanico;  mutato  il  nome  di 
giugno  per  consiglio  di  Cornelio  Orfito,  avendo  due  Torquati 
uccisi  per  iscelerateze  rendutolo  allora  infelice. 

XIII.  Questo  brutto  anno  per  tanti  eccessi  fu  segnato 
ancora  dalli  iddii  con  malattie  e  tempeste.  In  Terra  di  lavoro 
nodi  di  venti  *  abbatterono  ville  e  arbori  e  seminati  sin  presso 
a  Roma;  dove  orribile  pestilenza  fece  d'ogni  generazione 

*  masieri.  Lat.  :  «  viatoreSj  »  TÌatoTi  ;  il  cui  ufficio  era  à*  accompagnare  i 
tribuni,  come  i  maBcieri  accompagnavano  la  signoria  nella  repubblica  di  Firense. 

*  nodi  di  venti,  turbini  di  venti. 

I.  55 


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410  IL  LIBRO  SEDICESIMO  DEGÙ  ANNALI. 

mortalità  Infinita  senza  conoscersi  aria  corrotta.  Erano  le 
case  piene  di  cadaveri,  le  strade  d' esequie;  non  sesso,  non 
età  ne  campava;  morivansi  di  sabito  lì  scliiavi  e  la  plebe  li- 
bera: molte  mogli  e  figlinoli,  guardando  e  piangendo  i  morti 
loro,  nella  medesima  catasta  erano  arsi.  Cavalieri  e  senatori 
per  tutto  come  gli  altri  morìeno,  ma  meno  Jagrimevoli,  come 
tolti  dalla  comune  sorte  alla  crudeltà  del  principe.  Nel  detto 
anno  furon  fatte  per  la  Provenza,  Affrica  e  Asia  nuove  de- 
scrizioni di  soldati,  per  rifornir  le  legioni  d' Illirìa  in  luogo 
de' vecchi  e  infermi,  che  si  licenziavano.  Furono  i  Lionesi 
sovvenuti  dal  prìncipe  di  centomila  fiorini  d' oro,  per  rìstau- 
rare  r  arsione  di  quella  città:  tanti  ne  aveano  essi  offerti  ne' 
travagli  pubblici. 

XIV.  [A.  di  R.  819,  di  Cr.  66.]  Nel  consolato  di  Gaio 
Svetonio  e  L.  Telesino,  Antistio  Sosiano  confinato,  come 
dissi,  per  brutte  pasquinate  *  contro  a  Nerone,  veduto  essere 
tanto  onorate  le  spie,  e'I  prìncipe  cosi  pronto  alle  crudeltà; 
inquieto  e  desto  aUe  occasioni,  si  fa  amico  a  Fammene,  quivi 
confinato  anch'  egli,  famoso  indovino,  perciò  fornito  di  grandi 
amici.  Vedegli  venire  tutto  di  messaggi;  far  consulte  che  non 
pensava  essere  a  caso.  Sente  che  egli  è  provvisionato  da  P. 
Anteio,  il  quale  sapeva  esser  odioso  per  amor  d'Agrippina 
a  Nerone:  ricco  da  essere  adocchiato,  premuto  e  rovinato 
come  molti  altri:  e  che  fa?  acchiappa  le  lettere  d' Anteio,  e 
le  nascite  e  pronostichi  che  Pammene  avea  fatto  della  vita 
di  lui,  e  di  Ostorio  Scapola,  *  e  scrive  al  principe  che,  se  gli 
dava  un  po' di  salvo  condotto,  gli  porterebbe  cosa  importan- 
tissima alla  sua  salute:  perchè  Anteio  e  Ostorio  aspiravano 
allo  stato,  e  facevansi  fare  la  ventura  loro  e  di  Cesare.  In 
caccia  e  'n  furia  sono  spedite  foste.  Sosiano  è  condotto  ;  e,  sa- 
putosi il  suo  rapporto,  Anteio  e  Ostorio  furon  tenuti  più  per 
condannati  che  rei.  Ninno  voleva  suggellare  il  testamento 
d' Anteio,  se  Tigellino  non  era  che  prima  ne  l' aveva  solleci- 
tato. Egli  prese  il  veleno;  e  perchè  non  faceva  '  cosi  presto, 
si  tagliò  le  vene. 

*  pasquinate.  Vedi  sopra  XIV,  48. 

S  Ostorio  Scapola:  ne  ha  già  parlato  lib.  XII ,  31  ;  e  XIV»  48. 

S  non  faceva,  non  prodaceva  l'e&tto.  Cosi  sopriy  lib.  XV:  «  Seneca... 


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IL  LIBEO  SEDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  411 

XY.  Ostorìo  allora  villeggiaya  ne'  confini  di  Ligoiia,  oye 
fii  mandato  an  centurione,  che  l' ammazasse  subito:  perchè 
a  Nerone 9  codardo  per  natura,  e  allora  spaventato  per  la 
congiura,  pareva  sempre  vedersi  quel  gran  bravo  alla  vita , 
ornato  in  Britannia  di  corona  civica ,  di  gran  persona ,  ro- 
bustissimo, scaltrissimo  in  arme.  Giunto  il  centurione  alla 
villa,  prese  le  porte,  e  fece  il  comandamento  del  principe  a 
Ostorìo;  il  quale  voltò  in  se  stesso  la  forteza  sua,  usatissima 
contro  a'  nimici;  e  perchè  delle  vene,  benché  aperte,  usciva 
poco  sangue;  si  fece  da  uno  schiavo  non  dare,  ma  tenere  un 
pugnale  alto  e  fermo;  presegli  la  destra,  e  scanno  visi. 

XYL  Noioso  e  dispiacevole  sarei  a  me  e  ad  altri,  a 
raccontare  tanti  e  simiglianti  casi  dolenti  e  continui,  quando 
fossero  di  guerre  forestiere  e  di  morti  per  la  republica,  non 
che  di  tanta  servii  pacienza,  e  di  tanto  sangue  straziato  in 
casa,  che  mi  travaglia  e  m'agghiaccia  il  qoore.  Ma  io  non 
addurrò  a  chi  leggerà  altra  scusa,  se  non  che  odio  alcuno 
non  m'ha  mosso  contro  a' morti  cosi  vilmente.  Né  poteasi 
quell'  ira  divina  contro  i  Romani  dire  in  una  sol  volta,  e  pas- 
sare, come  quando  sono  sconfitti  eserciti  e  sforzate  città.  Do- 
nisi a' discendenti  de' gran  personaggi,  che  si  come  hanno 
sepolcri  propri! ,  e  non  con  gli  altri  comuni,  cosi  abbiano 
nella  storia,  memoria  particolare  di  lor  fine. 

XYII.  Indi  a  pochi  giorni  quasi  in  branco  morirono 
Anneo  Molla,  Ceriate  Anicio,  Rufo  Crispino,  Gaio  Petronio. 
Mella  e  Crispino,  degni  cavalieri,  pari  a' senatori.  Questi  f^ 
prefetto  de' pretoriani,  ebbe  le  insegne  da  consolo;  dianzi 
per  la  congiura  scacciato  in  Sardigna,  *■  inteso  d' aver  a  mo- 
rire, s' ammaza.  Mella,  fratello  di  Gallione  e  di  Seneca,  non 
chiede  onori  per  fine  vanagloria  d'esser  potente,  cosi  cava- 
liere, come  i  consolari;  e  parergli  il  maneggiar  negozi  del 
principe  più  breve  via  d' arricchire.  Fu  padre  d' Anneo  Lu- 
cano, grande  aiuto  al  suo  splendore:  e  quando  fu  morto,  nel- 
r  inventariare  minutamente  la  roba  sua,  concitò  Fabio  Ro- 
mano intrinseco  di  Locano,  a  rapportar  per  congiurato  anche 

prega  Anneo  Staùo....  che  gli  porga  certa  cicuta....  col  qual  veleno  in  Atene  mo- 
rivano i  condannati:  piglialo y  e  non  fa.  » 

*  scacciato  in  Sardigna  Vedi  lib.  XV,  71. 


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418  IL  UBIO  SIDICBSmO  DBQU  aunali. 

lui»  per  lettere  del  figliuolo  contraffatte,  le  quali  come  Neron 
▼ide,  le  mandò  a  Molla,  facendo  all'  amore  con  quella  roba. 
Egli  ù  segò  le  veni  *■  (modo  allora  di  morire  più  pronto):  fece 
teslamento  con  grossi  lasci  a  Tigellino,  e  a  Gossuziano  Ga- 
]»tone  suo  genero,  per  salvare  il  rimanente:  dissesi  in  oltre 
avere  scrìtto,  come  lamentandosi,  «  eh' e' moriva  senza  ca- 
gione; e  Rufo  Crispino,  e  Anicio  Gerìale,  *  nimici  del  prin- 
cipe, trionfavano,  i»  Giò  credettesi  finto;  perchè  Crispino  era 
già  stato  ucciso;  e  acciò  s'ammazasse  Geriale,  il  quale  n<m 
guari  dopo  s' uccise:  e  ne  increbbe  meno,  ricordandosi  la  br^ 
gata  che  egli  scopri  la  congiura  a  Gaio  Cesare. 

XVIIL  Di  Gaio  Petronio  comincierò  più  da  longe.  U 
giorno  dormiva,  e  la  notte  trattava  le  faccende  e  i  piaceri. 
Come  agli  altri  l' industria,  a  lui  dava  nome  la  tracuranza: 
fondeva  sua  facoltade  non  in  pappare  e  scialacquare,  come 
i  più;  ma  in  morbideze  d' ingegno.  Quanto  più  suoi  fatti  e 
detti  pareano  liberi  e  naturali,  tanto  più,  come  non  affettati, 
piacevano.  Viceconsole  in  Bitinia,  e  poi  consolo,  riosci  desto, 
e  intendente.  Ridato  a' vizi,  o  lor  somiglianze,  diventò  de' 
più  intimi.  Fu  fatto  maestro  delle  delizie:  ninna  ne  gustava 
a  Nerone  in  tanta  dovizia,  che  Petronio  non  fosse  arbitro. 
Onde  nacque  invidia  in  Tigellìno,  eh'  ei  seco  competesse,  e 
de' piaceri  fosse  miglior  maestro.  Adoperando  adunque  la 
crudeltà,  più  possente  nel  principe  d' ogn'  altro  appetito,  cor^ 
rompe  uno  schiavo  a  rapportare  che  Petronio  era  tutto  di 
Scovino:  non  gli  ò  dato  difesa:  la  famiglia  quasi  tutta  rapita 
in  prigione. 

XIX.  Cesare  per  sorte  era  venuto  in  Terra  di  lavoro, 
e  Petronio  giunto  a  Cuma,  vi  fu  ritenuto:  ma  non  corse  a 
torsi  la  vita:  fecesi  tagliare  le  vene,  poi  legare,  per  iscio- 
giierìe  a  sua  posta,  e  disse  alli  amici  parole  non  gravi,  nò 
da  riportarne  lode  di  costante.  E  fecesi  leggere  non  l'im- 
mortalità dell'  anima,  non  precetti  di  sapienti;  ma  versi  pia- 
cevoli. Ad  alcuni  schiavi  donò;  altri  fé'  bastonare;  andò  fuori, 
dormi;  acciò  la  morte,  benché  forzata,  paresse  naturale.  Non, 
come  molti  che  morieno,  adulò  nel  testamento  Nerone  o  Ti- 

4  le  veni.  Cosi;  mentre  altrove,  quasi  Monpic,  vena» 
«  Jnicio  Ceriale.  Vedi  lib.  XV,  74. 


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IL  UBEO  SBDlCBSUfO  DEGLI  ANNALI.  413 

gelllno  o  altro  potente;  ma  al  prìncipe  mandò  scrìtte  le  sue 
rìbalderìe  con  tutte  le  soe  disoneste  fogge,  sotto  nome  di 
sbarbati  e  di  femmine:  e  le  sigillò,  e  ruppe  l' anello,  perchè 
non  fusse  adoperato  in  danno  d*  altrì. 

XX*  Maravigliandosi  Nerone  in  che  modo  le  notturne 
invenzioni  si  rìsapessono,  si  rìcordò  che  Silia,  donna  cono- 
sciuta come  moglie  d^  un  senatore  e  sua,  tolta  in  ogni  spor- 
cizia, era  tutta  di  Petronio;  e  cacciolla  in  esiglìo  per  odio, 
ma  sotto  colore  d' aver  ridetto  quanto  avea  veduto  e  patito. 
All'ira  di  Tigellino  sagrificò  Numicio  Termo  stato  pretore, 
perchè  un  liberto  di  Termo  diede  certa  brutta  accusa  a  Ti- 
gellino, della  quale  pagarono  il  fio,  quegli,  con  tormenti  cru- 
deli, e  '1  padrone,  con  morìe  iniqua. 

XXI.  Fatto  di  tanti  grandi  uomini  si  crudo  scempio; 
volle  Nerone  spiantare  anco  la  stessa  virtù,  ammazati  Barea 
Sorano  e  Trasea  Peto:  mal  visti  prìma,  e  Trasea  per  nuove 
cagioni,  dell'essersi  uscito  di  senato,  quando  si  trattò 
d' Agrippina,  come  narrai,  *  e  dell'  averlo  ne'  giuochi  giove- 
nali  poco  servito:  il  che  gli  cosse  ancor  più,  perchè  Trasea 
in  Padova,  sua  patria,  ne' giuochi  del  cesto,  ordinati  dal 
troiano  Antenore,  cantò  in  abito  tragico.  11  giorno  ancora 
che  si  condannava  a  morte  Antistio  pretore  '  per  versi  com- 
posti contro  a  Nerone,  fu  di  più  dolce  parere,  e  vinse.  E 
quando  si  decretavano  divini  onori  a  Poppea,  non  volle  tro- 
varsi all'  essequie.  Le  quali  cose  ricordava  Gossuziano  Capi- 
tone, '  rovinoso  al  mal  fare,  e  nimico  di  Trasea,  che  presola 
per  li  ambasciadorì  ^  di  Gilicia,  querelatisi  delle  rapine  di 
Capitone,  il  fece  con  l' autorità  sua  condannare. 

XXII.  Rimproverava  oltre  a  ciò  a  Trasea  ce  che  egli 
sfuggiva  di  dare  il  giuramento  ogni  capo  d' anno.  Sacerdote 
de' quindici,  ^  non  veniva  a  fare  i  voti,  né  mai  sagrificò  per 
la  sanità  del  principe,  e  sua  voce  celeste.  Quel  tanto  aflfan- 
noso  in  dare  orma  ad  ogni  partituzo  del  senato,  da  tre  anni 

*  come  narrai j  13).  XIV ,  iS. 

S  Antittiù  pretore.  Vidi  XIV,  48. 

S  Cosstiziano  Capitone.  Vedi  XII I,  33. 

*  presola  per  li  ambasciadorì,  avendo  preso  a  faTOrire  ec. 
S  Sacerdote  de' quindici  ec.  Vedi  Jnn.  VI,  i3,  e  IV,  17. 

53* 


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414  IL  LIBIO  SBDICBflIlfO  DB6LI  ANNALI. 

in  qaa  non  vi  capita.  L' altrieri,  che  al  gastigo  di  Silano  e  di 
Vetere  corse  ogn'  ano;  egli  attese  anzi  a'  fatti  de'  snoi  segna* 
ci.  Ciò  ò  ribellione  e  fazione;  e  se  troppi  Io  segoiteranno, 
sarà  gaerra.  Già  per  Roma,  di  discordie  vaga,  non  si  gri- 
dava altro  che  Cesare  e  Catone:  oggi  te,  Nerone,  e  Trasea. 
Ha  già  suo  segnilo,  o  più  tosto  quadriglia,  *  che  non  imitano 
ancora  la  superbia  de'  suoi  pareri:  ma  il  vestir  grave  e  il  viso 
buihero  e  accigliato,  quasi  rimproverano  che  tu  sii  dissoluta 
Costui  solo  non  t' ama  sano:  non  ammira  le  tue  m^die. 
Delle  cose  liete  del  principe  non  fa  stima:  delle  triste  anche 
non  mai  fie  sazio?  Viene  dal  medesimo  mal' animo  il  non 
credere  Poppea  essere  iddia;  il  non  giurare^  negli  atti  de'  di- 
vini Giulio  e  Agusto.  Spreza  le  religioni;  strapaza  le  leggi; 
raccolgono  le  provincie  e  gli  eserciti  curiosamente  ciò  che  fa 
il  popol  romano  di  per  di,  per  sapere  quel  che  non  ha  fatto 
Trasea.  Osserviamo  i  suoi  costumi  se  son  migliori ,  o  leviamo 
capo  e  autore  a  chi  vuol  novità.  Questa  setta  generò  anche 
alla  vecchia  republica  gli  odiosi  nomi  de'  Ti&eroni  e  Favonii. 
Per  rivoltar  lo  stato  gridano  libertà:  occuperannola,  se  lo  ri- 
voltano. Che  prò  l'avere  spento  Cassio,  se  lasci  sormontare 
chi  imita  f  Bruti?  Finalmente  di  Trasea  non  riscriver  tu: 
lasciane  la  determinazione  al  senato.  »  Esaltò  Nerone  il  col- 
leroso animo  di  Cossuziano,  e  gli  aggiunse  per  compagno 
Marcello  Eprio  di  viva  eloquenza. 

XXIII.  Già  Osterie  Salnno  cavaliere  aveva  querelalo 
Barea  Sorano,  venato  più  in  odio  a  Nerone  per  industria  e 
giustizia  usata  in  Asia  viceconsolo,  d' aprire  il  porto  d' Efeso, 
e  non  gastigare  la  città  di  Pergamo,  che  non  lasciò  ad  Aera- 
to '  liberto  del  principe  poriar  via  statue  e  pitture.  Ma  le  ac- 
cuse erano  l' amicizia  di  Plauto,  e  d'essersi  guadagnata  quella 
provincia  per  far  novità.  U  tempo  del  condannarìo  fu  colto, 
quando  Tiridate  *  veniva  per  la  investitura  del  regno  d' Ar- 

'  griadrigfia,  ntisiìSiài;  piccola  mano  di  gente.  Lat.  :  n  satellites. - 
Nel  XIII  con  questo  stesso  vocabolo  traduce  il  latino  globus. 

S  i7  non  giurare.  Il  postillatole  dell'esemplare  Ifestiano  di  Gino  Cappooi, 
corregge  «  che  il  non  giurare.  •* 

»  aerato;  Vedi  XV,  46. 

*  2ÌWrfate.VediXV,29. 


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IL    LIBRO  SEDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  415 

menia,  acciocché  qael  romore  delle  cose  di  fuori  non  lasciasse 
sentire  te  scelerateze  di  casa,  o  per  mostrar  maggiore  la 
grandeza  imperiale,  uccidendo  i  gran  personaggi,  quasi  opera 
regia. 

XXIY.  Essendo  adunque  corsa  tutta  la  città  a  far  corte 
al  prìncipe,  e  rincontrare  il  re;  a  Trasea  fu  vietato.  Non  si 
perde  d'animo:  ma  scrisse  a  Nerone,  che  s'ei  vedesse  la 
querela,  e  avesse  le  difese,  sì  ginstifìcherehbe.  Per  quella 
lettera  Nerone  pensò  subitamente,  che  Trasea  spaurito,  si 
fosse  risoluto  di  alzar  la  fama  e  gloria  del  principe,  e  ab- 
bassar la  sua.  Il  che  non  riuscendo,  ebbe  paura  di  quello 
spirito  e  volto  libero  e  innocente;  e  chiamò  il  senato»  Trasea 
si  ristrinse  co' suoi,  se  dovesse  tentare  o  sprezare  la  difesa; 
e  furon  diversi. 

XXY.  Chi  voleva  ch'ei  comparisse;  «  s'assicurava  di 
sua  costanza:  non  direbbe  parola  che  non  gli  accrescesse  glo- 
ria: i  dappochi  e  timidi  far  morte  oscura:  vedesselo  il  popolo 
incontrarla:  udisse  il  senato  quelle  voci  sopr*  umane  quasi 
d'uno  iddio:  potrebbe  la  maraviglia  muover  lo  stesso  Nero- 
ne: quando  no;  diversamente  stimarsi  da  gli  avvenire  chi 
gloriosamente,  e  chi  per  viltà  tacendo  muoia.  » 

XXYI.  Chi  voleva  che  egli  non  uscisse  di  casa,  confer- 
mava di  lui  le  cose  medesime;  ce  Ma  s'ei  patisse  scherni  e 
oltraggi?  esser  pur  me'  sottramelo.  Non  esserci  soli  Eprio  e 
Gossuziano;  ma  altri  forse  pronti  a  manometterlo:  la  bestia- 
lità di  Cesare  esser  seguitata  per  paura  anche  da' buoni. 
Guardasse  più  tosto  esso  senato,  cui  egli  sempre  ornò,  da 
tanta  vergogna:  lasciasse  in  dubbio  quel  che  i  padri  vedutosi 
innanzi  Trasea  reo,  ne  avrebbero  deliberato.  Che  Nerone  si 
vergogni  delle  sue  crudeltà,  è  folle  speranza:  anzi  dee  te- 
mere che  perciò  egli  non  divenga  più  crudo  contro  la  moglie, 
la  famiglia,  e  gli  altri  suoi  più  cari.  Non  oltraggiato,  non 
macchiato,  seguendo  que' saggi  che  gli  ornaron  la  vita,  fa- 
cesse un  bel  fine.  »  Era  in  quel  consiglio  Rustico  Aruleno, 
giovane  ardente,  e  per  desio  di  laude  offeriva,  come  tribuno 
della  plebe,  opporsi  alla  deliberazion  del  senato.  Trasea  lo 
raffrenò,  «  non  entrasse  in  vanitadi  ilon  giovevoli  al  reo, 
perniziose  a  se.  Non  dovere  esso  nel  fine  dell'  età  mutare  lo 


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416  IL  LIBRO  SKDICtSIllO  DEGLI  àfXHkU. 

tanti  anni  continovato  ordine  della  soa  vita:  a  luì  cominciare 
allora  i  magistrati:  T  avvenire  esser  libero  nel  suo  volere: 
considerasse  bene  per  quale  sentiero  voleva  entrare  in  que- 
sto tempo  ai  maneggi  della  repoblica.  »  Quanto  al  venire  in 
senato  a  difendersi  o  no,  disse  che  ci  penserebbe. 

XXVII.  La  dimane  fu  preso  U  tempio  di  Venere  (veni- 
trice  da  due  pretoriane  coorti,  e  V  antiporto  del  senato  da  più 
togati  con  arme  sotto,  che  si  vedevano,  e  squadre  di  soldati 
per  le  piaze  e  tempii.  Per  lo  mezo  di  questi  guardanti  a  tra- 
verso e  minaccianti,  entravano  i  padri  in  senato:  ai  quali 
voltato  il  questore  del  principe  a  nome  di  quello,  senza  no- 
minare, alcuno,  diede,  un  rabbuffo,  ce  che  e' non  badavano 
alle  faccende  pubbliche,  e  insegnavano  a' cavalieri  romani 
infingardire.  Che  maraviglia  che  non  venga  chi  è  ne'  paesi 
lontani,  se  gli  stati  consoli  e  sacerdoti  non  attendono  che  a 
pettinare  i  giardini?  »  Con  questo  quasi  spuntone  ^  si  fanno 
avanti  gli  accusatori. 

XXVIII.  Gossuziano  comincia,  e  Marcello  con  maggior 
forza  grida:  «  Cosa  importantissima  allo  stato:  la  disubbi- 
dienza de' minori  guasta  la  dolceza  del  principe.  Troppo  hanno 
i  padri  comportato  la  sedizione  di  Trasea,  ed  Elvidio  Prisco, 
suo  genero,  entrato  nella  pasia  medesima,  e  Paconio  Agrip- 
pino odiatore  di  principi,' come  il  padre,  e  Curzio  Montano, 
di  versi  nefandi  componitore.  Io  direi  che  in  senato  manca 
un  consolare,  ne'  voti  un  sacerdote,  ne'  giuramenti  nn  citta- 
dino; se  Trasea  contro  gli  ordini  e  le  cerimonie  degli  antichi 
non  si  fosse  dichiarato  nimico  e  traditore.  Venisse  finalmente 
egli,  usato  a  fare  il  senatore,  e  difendere  chi  lacera  il  prìn- 
cipe, a  dar  sentenze  di  quel  voglia  si  muti  o  corregga:  dan- 
nando una  cosa  per  volta,  fora  più  sopportabile,  che  tutte 
ora  tacendo.  Questa  pace  per  tutto '1  mondo,  queste  vittorie 
senza  sangue  gli  dispiacciono?  non  si  faccia  contenta  la  prava 
ambizione  di  chi  de'  beni  pubblici  si  contrista;  i  fori,  i  teatri, 
i  tempii  tiene  per  ispelonche:  minaccia  di  volersene  andare. 
Questi  nostri  non  gli  paion  decreti;  non  magistrati;  non 


*  Con  questo  quasi  spuntonCj  quasi  dardo.  Lo  spuntone  e  uo'anne  in  asta 
a  modo  di  lancia. 


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IL  LIBRO  SEDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  417 

Roma  Roma.  *  Crepi  fuori  di  questa  patria,  di  cui  prima 
levò  r  amore,  e  or  ne  fugge  V  aspetto.  » 

XXIX.  Marcello  tali  cose  dicendo,  si  scagUaya  con  vo- 
ce, volto,  occhi,  minacce  infocato;  il  senato  si  yedea  so- 
prappreso, non  da  quella  maninconia  solita  per  li  tanti  pe- 
rìcoli; ma  da  più  alto  spayento  e  nuovo,  del  vedersi  le  mani 
e  r  armi  de'  soldati  addosso.  Rappresentavasi  Joro  quella  im-' 
magine  veneranda  di  Trasea;  compatiyasi  del  povero  Rivi- 
dio:  dovesse  morire  innocente  per  lo  suocero,  come  già 
Agrippino  per  la  sola  fortuna  rea  del  padre  per  crudeltà  di 
Tiberio:  e  di  Montano,  buon  giovane,  scacciato  per  far  mo- 
stra del  suo  ingegno,  non  per  versi  infami  composti. 

XXX.  Venne  in  campo  Ostorìo  Sabino  ad  accusare  So- 
rano,  prima  dell'  amicizia  con  Rubellio  Plauto,  e  delle  sedi- 
zioni nutrite  nelle  città  deli'  Asia,  quando  vi  fu  viceconsolo, 
per  farsi  grande,  contro  al  ben  pubblico.  Peccati  vecchi: 
a' quali  annestò  questo  nuovo:  che  Servilia  sua  figliuola  avea 
dato  danari  a  negromanti.  Rila  come  tenera  di  suo  padre,  e 
per  l'età  semplicetta,  gli  avea  domandati,  non  d' altro,  che 
se  resterebbe  la  casa  in  piede;  Nerone  placato;  il  giudizio 
del  senato  non  rigido.  Fu  messa  dentro  in  senato  dinanzi  al 
tribunale  de' consoli:  stette  il  vecchio  padre  a  petto  alla  fi- 
gliuola, minore  dì  venti  anni;  maritata  dianzi  ad  Annio  Pol- 
lione,  scacciato  in  esiglio:  come  vedova  abbandonata,  non  ar- 
dita di  guardar  suo  padre  aggravato  per  lei. 

XXXI.  L' accusatore  la  domandò  se  avesse  venduto  le 
donerà,'  o  il  vezo  per  far  danari  per  gittar  l'arte:  prima 
s'abbandonò  e  distese  in  terra:  e  dopo  lungo  pianto  e  si- 
lenzio, abbracciò  l'altare  e  le  cose  sante,  e  disse:  a  Non  ho 
dimonii  scongiurato,  né  incantato:  pregato  solo,  misera  me, 
che  tu,  Cesare,  e  voi,  padri,  salvaste  questo  mio  ottimo  pa- 
dre, per  lo  quale  avrei  dato  non  pur  le  gioie  e  veste;  inse- 
gne della  mia  nobiltà;  ma  il  sangue,  se  l' avesser  chiesto,  e 
la  vita.  Quanto  a  costoro,  i  cui  nomi  e  mestiere  non  mi  son 
noti;  tal  sia  di  loro.  Il  principe  non  ho  io  già  mentovato, 

'  non  Roma  Roma,  uè  Roma  gli  paive  jìù  Roma. 
'  le  donerà,  i  doni. 


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418  IL  LIBBO  8BDICB9IMO  DB6U  ANNALI. 

86  non  insieme  con  gì'  iddii.  Mio  padre  misero  non  ne  sa 
nulla:  se  e'  è  peccato,  io  l' ho.  » 

XXXII.  Sorano  non  la  lasciò  finire,  e  sciamò,  «e  Che 
ella  non  era  venuta  seco  in  Asia:  non  l'aveva  Pianto  per 
reti  conosciuta:  non  mescolata  ne' delitti  del  marito:  era 
accusata  della  troppa  pietà.  Separassonla  da  se,  che  che  di 
se  avenisse.  i>  Avventandosi  l'uno  al  collo  dell' altro,  s'ìn- 
framisono  i  littori.  Vennero  i  testimoni:  e  quanta  compas- 
sione mosse  la  crudeltà  dell'accusa,  tanta  ira  concitò  P.  Egna- 
zio  testimone,  già  clientolo  di  Sorano:  e  ora  per  danari 
veniva  contro  alla  vita  dell'  amico:  faceva  lo  stoico:  s' era 
esercitato  a  parer  in  abito  e  volto  un  santo;  ma  dentro  per- 
fido, maligno,  avaro  e  insaziabile.  La  pecunia  mandò  in  fuori 
questi  malori ,  e  fecelo  esempio  di  quanto  sia  da  guardarsi  dalli 
scelerati  e  traditori ,  che  ti  fanno  il  buono  e  l' amico. 

XXXIIL  Esempio  contrario  diede  quel  giorno  Cassio 
Asclepiodoto  tra  i  Bitinii  ricchissimo,  il  quale  come  avea 
Sorano  venerato  potente,  cosi  l' aiutò  rovinante.  E  ne  perdeo 
tutto  r  avere  e  la  patria...  bontà  delti  iddii  buoni....  e  mali 
insegnamenti.  ^  Furono  Trasea,  Sorano  e  Servilia  dannati  a 
morire  a  lor  modo:  Elvidio  e  Paconio  scacciati  d'Italia: 
Montano  conceduto  al  padre,  ma  perdesse  cittadinanza:  pre- 
miati gti  accusatori;  Eprio  e  Gossuzìano  di  centoventicinque 
mila  fiorini  per  uno;  Ostorìo  dì  trenta  mila,  con  degnità  di 
questore. 

XXXIY.  Fu  il  questore  mandato  la  sera  dal  consolo  a 
Trasea,  che  si  stava  al  giardino  visitato  da  molti  uomini  e 
donne  illustri:  e  molto  intento  era  a  Demetrio  filosofo  cinico: 
e,  secondo  s' attinse  dal  volto,  e  da  qualche  parola  più  forte 
e  scolpita,  il  domandava  della  natura  dell'anima,  e  dello 
spirito  uscente  del  corpo.  Quando  Domizio  Ceciliano  suo 

^  E  ne  perdeo  tutto  l'avere  e  la  patria.,.,  bontà  delli  iddii  6«oifi....  e 
mali  insegnamenti.  Cosi  leggesi  neUa  Nestiana  e  Comioìana.  H'Dayansati,  so- 
spettando il  loogo  guasto,  tradusse  le  parole,  disperando  del  senso.  Nel  testo  di 
Baìtter  e  Orelli  si  legge:  «  eofutasque  omnibus  fortunis  et  in  exilium  actms, 
aquitate  deum  erga  bona  malaque  documenta j  »  che  il  Bnrnouf  traduce  per 
approssimasione  :  «  Ainsi  lajustice  des  dieux  opposa  un  bon  exemple  a  u» 
mattvais.  m  II  Valeriani:  «  per  la  equità  degli  iddii  ne*  buoni  e  naali  ammaestra- 
menti. K> 


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IL  LIBRO  SEDICESIMO  DEGLI  ANNALI.  419 

amicissimo  gli  yenne  a  dire,  qaanto  il  senato  area  giudicalo. 
Piangendo  adunque  e  dolendosi  chiunque  v'era,  Trasea  gli 
confortò  a  tosto  partirsi,  per  non  avvilupparsi  nelle  misav- 
venture  d'un  condannato.  Arrìa  sua  moglie,  che  voleva  an- 
darne seco,  e  imitare  Arria  sua  madre,  consiglia  che  viva: 
non  tolga  alla  loro  figlia  il  suo  aiuto  unico. 

XXXV.  Yassene  nella  loggia:  ov'  è  trovato  dal  questore, 
che  gli  porta  il  partito  del  senato,  in  sembiante  lieto,  avendo 
inteso  che  altro  che  star  fuor  d' Italia  non  ne  vada  a  Elvidio 
suo  genero.  Gol  quale,  e  con  Demetrio  entra  in  camera:  porge 
ambe  le  braccia:  sparge  per  terra  del  sangue  uscito:  e  fatto 
il  questore  accostarsi,  disse:  a  Offeriamo  questo  a  Giove  Li- 
BEBATORE.  Pou  mente,  o  giovane;  gl'Iddii  te  ne  guardino: 
ma  tu  se'  nato  in  tempi  che  bisogna  affrancare  V  animo  con 
forti  esempi.  »  Dandogli  poi  V  uscir  a  stento  il  sangue  dolori 
eccessivi,  voltatosi  a  Demetrio....^ 

'  voltatosi  a  Demetrio ^  «  dal  tuo  aspetto  e  parole  animato,  baci  ofirendo 
agli  amici,  dopo  stentata  agonia  spirò.  D'egregia  vita»  spregiator  di  morte,  e 
contro  i  mali  presentisi  saldo,  che  dir  solea  :  —  amarsi  ansi  oggi  morto,  che  crai(*) 
rilegato.  •• — Così  supplisce  il  Brotier,  tradotto  da  R.  Pastore. — Mancano  tra 
annate. 

f)  trai  dal  latino  wu,  domani.  Yoee  antiqnrt^ 


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421 

miTAZIONI  E  CORREZIONI 

FATTE  DAL  DAYANZATI  AL  VOLGARIZZAMENTO  DI  TACITO 

tratte  dalle  stampe  del  Marescotti  e  del  Giunti,  e  da  urt^emplare  Giun- 
tino con  postille  autografe,  posseduto  dal  conte  Alessandro  Mortara. 
(Vedi  la  Bibllogra6a  in  principio  del  volume.) 

NB.  U  lettera  H  indica  la  stampa  del  Manteottì;  la  6,  qnéUa  dd  Ginnti. 
Dove  non  ti  appone  alcuna  nota,  Io  dna  stampe  oonfirantano. 


'  Testo  della  i 

ebbe  ...  da  Ludo  Bruto  la  libertà  e  '1 
consolato. 

la  poteoia  di  Pompeo  e  di  Crasso  tosto 
in  Cesare,  e  l' armi  di  Lepido  e  d'An- 
tonio caddero  in  Agosto. 


ebbe  ...  la  libertà  e  il  consolato  da  Lu- 
do Bruto. 

le  poterne  di  Pompeo  e  di  Crasso  cad- 
aero  tosto  in  Cesare ,  e  V  armi  di  Le- 
pido e  d'Antonio  in  Agusto. 


7.  con  titolo  di  principale 

B.  Hanno  dell'antico  po]^ol  romano  chiari 
scrittori  memorato  il  bene  e  '1  male, 

I .  Le  cose  dì  Tiberio,  di  Gaio  eo. ...  furono 
compilate  false;  Yi?enti  essi,  per 
panra; 

S.  il  prindpato  di  Tiberio  e  altro , 

5.  Posate,  morti  Bruto  e  Cassio,  tutte 
l' armi  pubbliche,  disfatto  Pompeo  in 
Cicilia,  né  rimase  a  parte  giulia,  spo- 
gliato Lepido  e  ucciso  Antonio,  altro 
capo  che  Cesare  ; 


.  quanto  più  pronti  al  servire  ^ 

.  per  le  gare  de'  potenti , 

e  lo  spossato  aiuto  delle  leggi,  stravolto 
da  Torza , 

.  Agusto   per  suo'  rinforzi  nello  stoto 

(I)  Cosi  nsadi  icfiyen  lenprs  «km  lann 
dove  non  va,  ce  la  pogoe. 


me  di  principale 

Anno  (4)  della  Tocohia  republica  chiarì 
scrittori  eo. 

Le  cose  di  Tiberio,  di  Gaio  ec. . ..  furon 
compilato  false ,  in  vita  loro,  per  la 
paura, 

i  principati  di  Tiberio  e  li  altri  tre , 

Finite  per  le  morti  di  Bruto  e  Cassio  P 
armi  pubbliche ,  disfatto  Pompeo  in 
Cicilia ,  ne  pure  a  parte  giuCa,  spo- 
gliato Lepido  e  ucciso  Antonio,  altro 
capo  rimase  che  Cesare  ; 

(Così  anche  la  G.  ;  se  non  che  ha 
pwflv^  invece  di  ^uòhlid^. — Sul 
né,  particella  negativa^  dove  yorreb- 
besi  l'accento  per  dbtinguerla  dalla 

Sronominale ,  non  lo  pone  mai  :  lad- 
oTe  e' l'usa  dorè  non  è  necessario; 
come  in  fk,  té,  ò  ec.) 

secondo  ohe  più  pronti  al  servire , 

medianto  le  gare  de' potenti , 

e  il  debole  aiuto  delle  leggi  travolte  da 
forza , 

Per  suoi  rìnforzamenti nello steto.  Agusto 
Fft/amtTC  in  tutte  le  altn  vod  del  vtrbo  «wtv. 


36 


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4» 


MUTAZIONI  B  GOBBIZIONI. 


4.    6. 


»  6. 

..  9. 

»  40. 

»  44. 

»  42. 

»  44. 


akò  dtodio  Mareello  nipote  di  to> 
rella  giovanetto  al  pontificato 

da  lui  fatti  de'  Cesari  e ,  in  YÌsta  di 
recnsare,  ardentemente  desiati  dirsi 
prìncipi  della  gioventù,  e  dettinarsi 


Morto  Agrippa , 

eosi  da'  figliastri  restò  solamente  Nerone, 
compagno  dell'imperio  e  del  tribunato, 
non  come  già  per  artifici  della  madre, 

di  lei  81  perdnto 

idiota  sì ,  fornifo  e  furibondo ,  ma  in- 
nocente. 

5.  .  5.  aveva  un  figliuolo  già  grande: 

»      8.  i  giovani  erano  nati  dopo  la  vittoria 
d'Ario, 

6.  1 .  Rivoltato  adunque  ogni  cosa , 

7.  40.  qnasi  con  esso  in  bocea 

»    44.  stette  al  confino  (alla  quiete  dicev'egU) 
di  Rodi,  (4) 

»    44.  due  fanciulli,  che  ora  questo  stato  pre- 
mano ,  e  nn  dì  lo  si  sbranino. 


•  46.  In  sì  fatti  ragionari  Agusto  aggravò: 
bucinossi  per  malvagità  delia  moglie, 
per  voce  uscita  cbe  Agusto  di  qur 
mesi  s' era  traghettato  nella  Pianosa 

»  24 .  perciò  aspettarsi  tosto  il  giovane  a  casa 
l' avolo. 

»  22.  Massimo  tosto  morì,  forse  di  sua  mano, 
poiché  nel  mortoro  udita  fa  Marna , 
sé  sciagurata  incolpare  della  morte 
del  suo  marito. 

8.  6.  un  medesimo  grido  andò  d' Agusto 
morto  e  di  Nerone  in  possesso. 

(1)  la  NMtiua  e  la  Comiiriana  lettolo  :  «  tlitte  al  confi»  «  BoA  (aBa  qrisU  aieev'«gli|.  • 
Uo  accettato  nel  testo  l'altra  lezione,  per  la  cagione  che  fa  noUta  a  qoailo  hngai 


ianabò  dandio  Marcello  ntpole  di  so- 
rella, molto  giovanetto,  al  pontificato, 

cui  egli  aveva  di  casa  Cesari  fatti  (M) 
—  da  lui  di  casa  Cesari  fatti  (G),  e , 
in  vista  di  ricusare^  desiato  esser 
detti  principi  della  gioventù  e  desti- 
nati consoli  (M) 

(La  6.  confronta  colla  volgata;  se 
non  che  lascia  ardenietnenie). 

Come  Agrìppa  morì , 

così  rimase  solo  Nerone  figliastro. 

compagno  dell'  imperio  e  tribono , 

non  per  iatrattagenunì,  come  già,  ddla 
madre,  (M) 

tanto  invaghito  di  lei , 

idiota,  forzuto  e  foibondo,  ma  inno- 
cente. 

aveva  un  figliuol  proprio,  grande:  (M) 
— aveva  un  figliud  proprio,  d'eia: 

(fi) 

i  giovani  pati  doppo  la  vittoria  d'Ario: 
(M) 

Rivoltato  ogni  cosa , 

con  quello  in  bocca,  (M) —  eon  dloee.(G) 

stette  al  confino  (alla  quiete  dicev'e^) 
di  Rodi , 

due  fanciulli  che  ora  questo  stato  as- 
sassinino ,  e  un  dì  lo  ri  sbranino. 

(£a  Giuntina  non  varia  :  se  non  che 
ha  «  premino  »  per  «  premano  p  ). 

In  tali  ragionamenti  Agnato  aggravò, 
e  bnrinosri  di  veleno  della  moglie^ 
per  una  voce  uscita,  come  di  qne'mesi 
Agusto  era  traghettato  neUa  Pianosa 

perciò  s'aspettava  la  tornata  del  gio- 
vane a  casa  V  avolo  (M)  —  perriò 
aspettare  la  tornata  ec.  (G) 

Massimo  tosto  morì ,  forse  untato^  poi- 
ché nel  mortoro  udita  fu  Mamn  ss 
cattivella  incolpare  ec.  (M) 

(Confronta  colla  0 . ,  salvo  che  questi 
inveoe  di  etUiioeUaf  ha  seiagmraié). 

un  medesimo  grido  andò  che  Agosto 
era  morto  e  Nerone  in  posacnso. 


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MOTAZIOm  ■  GOlRKZIOm. 


423 


La  prkjM  0fet%  età  onoro  principato  fa 
raecidere  Agrippa  Postumo,  c«i  sprov- 
▼odnto  e  aeaz'  anno ,  il  oentorìone 
pur  corag^oso  appena  fioì. 


Fingerà  che  il  padre  al  tribuno,  ava 
guardia,  comandato  aveSM  che,  to- 
sto che  egli  morto  fesso ,  Ini  amma- 
casse.  È  vero  che  Agnsto  nel  fario 
a'  padri  confinare  disse  de' modi  del 
giovane  sconce  cose  , 


Al  centurione  venuto  a  dirgli ,  fecondo 
il  costume,  aver  fatto  quanto  co- 
mandò, rispose  : 

Salnstio  che  sapeva  i  segreti  e  ne  avea 
mandato  al  tribuno  il  biglietto, 

in  ragion  di  stato ,  il  conto  non  tornar 
mai  se  non  si  fa  con  un  solo. 

Gaio  Tnrranio  abbondànziere  ; 

.  facendo  Tiberio  d'ogni  cosa  capo  a'coo* 
soli ,  quasi  la  republica  stesse  in  pie- 
di ,  edr  egli  in  forse  di  dominare  :  il 
perchè  con  breve  e  modestissimo 
Dando, 

,  Uorto  Agusto  diede  come  imperadore  il 
nome  alle  guardie,  teneva  scolte, 
armi  e  corte  formata  :  soldati  in  piaza 
in  senato  l'accompagnavano:  scrìsse 
a  gli  eserciti  come  nuovo  principe, 
né  mai  andò  a  rilente  se  non  favel- 
lando in  senato ,  per  gelosia  princi- 
palmente che  Germanico  con  tante 
legioni,  aiuti  oltre  numero,  favor  di 

nolo  marariglioso,  non  volesse  ano 
mperio  che  la  speranza. 


\  e  non  traforatovi  per  lusinghe  di  mo* 

glie 
\.  per  penetrare  i  cuori  de' grandi ,  i  cui 

motti  e  visi  al  peggio  tirav»  •  «orbava. 


La  prima  onera  del  nuovo  pftndpato 
fu  F uccidere  Agrippa  Postumo,  il 
quale  sprovveduto  e  disarmato,  il 
centurione ,  pur  di  coraggio,  appena 
finì. 

Fingeva  che  il  padre  al  tribuno,  sua 
guardia,  comandato  avesse  che,  to- 
sto che  egli  morto  fosse,  lui  amma- 
lasse. È  vero  che  Agusto,  per  far 
vincere  a'  padri  il  partito  del  confi- 
narlo, disse  ec. 

(Nell'altre  edirioni  sono  saltate  le 
parole  del  testo  quandocwnqit$  ^se 
mpreumm  diem  exphviiset:  e  for- 
se, quantunque  concordino  in  ciò  tut- 
te, è  per  errore  tipografico). 

Al  centurione  venuto  a  dirgli,  alla  sol- 
datesca, avere  ec. 

Salnstio  che  aveva  i  segreti  e  mandò 
al  tribuno  la  poliza , 

essere  del  principe  proprietà,  che  niona 
ragione  stea  bene,  se  a  lui  non  è  data. 

Gaio  Tnrranio  sopr' all' abbondanza,  (M) 

facendo  Tiberio  d'ogni  cosa  capo  al  se- 
nato, quasi  la  republica  stesse  in 
piede,  od  egli  in  forse  del  voler  do- 
minare :  per  lo  che  con  breve  ec. 

(La  G.  confronta,  salvo  in  questo: 
«  s' e'  volea  dominare  »  ) . 

Nondimeno,  morto  Agusto,  diede  alle 
guardie  il  nome  come  imperadore, 
teneva  scolte ,  armi  e  altro  da  corte  ; 
soldati  nel  foro  de'  magistrati ,  sol- 
dati in  senato  1'  accompagnavano  ; 
scrisse  alli  eserciti  come  nuovo  prin- 
cipe ;  mai  non  talenò,  se  non  favel- 
lando in  senato.  Sollecitava  lo'  mpa- 
dronirsi,  per  gelosia  che  Gomamco 
con  tante  legioni ,  aiuti  oltre  nume- 
ro ec. 

(La  G.  ha  «  da  imperadore  »  in- 
vece di  «  come  imperatore.  »  E  dove 
la  H.  dice  «  mai  non  talenò  »  (e  forse 
dee  leggersi  balenò),  la  G.  ha  «  mai 
non  fu  lento.  »  ) 

e  non  serpeggiatovi  ec.  (M)  —  e  non 
sottentrato  ec.  (G) 

per  penetrare  i  cuori  da'  grandi  dalli 
loro  motti  e  gesti ,  i  quali  al  peggio 


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424 


MUTAZIOm  E  COmBBZIOHI. 


40.  4-1.  noD  tdle  n  trattasM  che  d' ooorare 
Agosto. 


•  46.  Tolle  ^esta  barbanxa  e  boria  ne*  po- 
sten. 

»  '  47.  I  lasci  faroDo  da  privato,  eccetto  che 
al  popolo  e  alla  plebe  aooò  un  mi- 
lione e  ottaasette  mila  fiorini  d' oro, 
assoldati  dì  guardia  Tenticinqae  per 
tosta ,  a' legionari  romani  sett'e  mezo. 


41.    4.  che  i  titoli  delle  leggi  fatto  e  i  nomi 
delle  genti  vinte  da  Ini  andassero  in- 


e  Che  dicesti?  holti  fatto  dire  io?  • 
Rispose  :  «  Di  mio  caoo  l' ho  detto , 
e  nelle  cose  della  republioa  non  vorrò 
mai  consiglio  d'nomo,  qnando  anco 
io  credessi  d' inìmicarmiti.  s 


42.    5.  Questa  fine  adulazione  sol  vi  mancava  I 


»     5.  lo  arrogante  Cesare  chinò  il  capo  : 

»  7.  che  Agosto  nel  fòro  della  ragione  più 
che  nel  solito  campo  di  Marte  a  ciò 
deputato  s' ardesse. 

»      9.  vi  tenne....  soldati  per  guardia, 

»  44.  Grande  uopo,  dìceano,  di  soldati  oggi 
d  ha, 


24 


ebbe....  toentasette  anni  continui  la  po- 
destà tribunesca:  ventuna  volta  fu 


tirava  e  serbava.  (M)  —  percbè  da' 
e  visaggi  che  ne  facevano  i 
,  i  falsi  cuori  scopriva  e  se- 
gnava. (6) 

non  vdle  si  trattasse  che  d*  «morì  d'Agu- 
sto.  (M) 

(Così  nelle  correncni  in  calce  del 
libro.  Ma  nel  testo  è  conforme  atta 
volgata:  e  così  pure  la  G). 

volle  per  burbanza  farsene  a'  futuri 
glena. 

I  lasci  furono  da  privato,  eccetto  che 
al  popolo  e  alla  plebe  435  ne  donò  ; 
a'  soldati  di  guardia  sesterzi  mìUe 
per  testa;  aMegionari  romani  tre- 
cento. 

(La  G.  confronta  ;  se  non  che  ha 
«  alla  plebe  CCCGXIXY  »). 

che  i  titoli  delle  sue  leggi ,  e  i  nomi 
delle  genti  vinte  da  lui  si  portassero 
innanzi. 

(La  G.  confronta  colla  volgata,  sal- 
vochè  ha:  «  si  portassero  innanzi,  • 
come  la  Bl). 

Che  dicesti  ?  holti  fatto  dire  io  ?  Rispese  : 
«  n  bene  della  republica  lo  mi  fa  dire, 
per  cui  non  vorrò  mai  che  uomo  mt 
consigli ,  se  ben  te  V  avessi  per  ma- 
le. .  (M) 

(Così  anche  la  6.,  salvo  che  in 
questo:  «  non  vorrò  mai  consiglio 
d'uomo  •). 

Questa  sorto  d' adulazione  vi  mancava. 
(Così  ambedue  le  edizioni  :  ma  la 
G.  mette  in  fondo  tra  le  corr^(MU 
«  Questa  fine  adulazione.  »  Neil'  e- 
semplare  del  C.  Mortara  è  corretto  a 
penna). 

Cesare  con  soavita  arroganto  chinò  il 
capo  (M) 

che  Agusto  nel  fóro  di  ragione  più 
che  nel  campo  di  Marto,  acciò  fatto, 
s'ardesse.' 

vi  tenne....  soldati  alla  guardia, 

Grande  uopo,  dìceano  eglino,  ci  ha  o^ 
di  soldati  (M)  ^^  Grande  uopo,  dì- 
ceano egli ,  di  soldati  oggi  ci  ha  (G) 

ebbe....   trentasette  tribunati 
vi:  ventuna  volta  fu  gridato  i 


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MUTAZIONI  E  CaKlBZIOllL 


42K 


gridato  imperadore ,  e  pia  altri  ono- 
ri ec. 

5.  Avere  (diceano  quelli)  la  pietà  verso  il 
padre....  tiratolo  po' capelli  all'armi 
ÒTÌli: 

40.  non  re  non  dettatore,  ma  principale 

49.  e,  strappato  con  decreto  da' padri  fasci 
e  pretara , 

20.  ammazare  Irzio  e  Pensa  (fiusesi  a  buona 
gnerra  o  pure  Pansa  a'  avvelenata  fe- 
rita e  Irzìo  da' propri  soldati  d' ordine 
di  quello)  e  i  loro  eserciti  occupare  : 

25.  Panni  contr' Antonio  prese,  contr'alla 
repubblica  volgere:  fare  i  cittadini 
rinelli,  con  tante  spartigioni  deMor 
beni ,  incresdutone  eriandio  a  chi  glh 
ebbe: 


26.  vadano  con  dio. 

4.  Abbiamo  poi  avuto  pace  ù^  ma  sangui- 
nosa ;  le  sconfitte  di  Lollio  e  di  Varo, 
i  macelli  fatti  in  Roma  da'  Yarroni , 
Egnazi  e  Giuli. 

9.  n'  andrebbe  a  marito  con  gli  ordini  :  le 
mwbideze  di  Tedio  e  Yedio  Pollione. 


1 0.  Finalmente  quella  Liria  è  una  mala  ma- 
dre per  la  republica ,  peggior  matri- 
gna per  casa  Cesari. 


12.  Volle  essere  celebrato  ne' tempi  e  nelle 


radere  con  più  altri  onori  ec.  (H.  ) 
(La  G.  controuta,  salvo  in  questo  : 
«  e  più  altri  onori  ec.  »  ). 

Avere  la  pietà  verso  il  padre  (diceano 
quelli)....  lui  tirato  per  li  capelli  all' 
armi  civili  (M)  —  La  G.  «  pe' capei* 
li.  a 

non  re ,  né  dettatore ,  ma  principale 

e  strappato  a'  padri  fasci  e  pretura 

ammalare  Irrio  e  Pansa  (non  si  conta 
se  a  buona  guerra,  o  pure  Pansa 
d'avvelenata  ferita  e  Irzio  a  ghiado, 
tradito  da'  soldati  d' ordigno  suo)  e  i 
loro  eserciti  occupare 

l' armi  contr'  Antonio  prese  contr'  alla 
republica  volgere ,  tanti  cittadini 
sbandire,  con  tante  spartigioni  de'  lor 
beni ,  incresciute  eriandio  a  cui  ferie. 
(Neil'  esemplare  Giuntino  del  C. 
Mortara  è  corretto  a  mano  •  a  chi 
feUe  •). 

vadano  condìo. 

Abbiamo  poi  avuto  pace  sì .  ma  sangui- 
nosa per  le  sconfitte  di  Lollio  e  di  Varo, 
per  b  carnaggi  fatti  in  Roma  da'  Yar- 
roni ,  Egnazi  e  Giuli. 

n'andrebbe  a  marito  cogli  ordini....  le 
morbideze  di  Yedio  Pollione. 

(Il  Davanzatì  sospettò  qui  una  la- 
cuna, e  nell'edirioni  Mareseottiana 
e  Giuntina  pose  questa  postilla ,  che 
poi  tolse  nelle  correzioni  posteriori  : 
«  Qui  manca  il  testo  :  forse  narrava 
l' ingratitudine  d'  Agusto  verso  co- 
stui ,  che  lo  lasciò  erede  della  riUa 
di  Posilipo,  tra  Napoli  e  Pozuolo,  e 
della  maggior  parte  della  sua  gran 
riccheza ,  con  carico  di  fare  qualche 
opera  notabile  in  memoria  di  luì  :  e 
Agusto  spianò  le  case  di  Yedio  e  fe- 
cevi  la  loggia  di  Livia  per  servirlo 
bene  »  ). 

Ha  finalmente  quella  mala  madre  per 
la  republica,  peggior  matrigna  per 
casa  Ceseri.  (M) 

(Anche  la  G.  «  Ceseri.  »  Così  pro- 
nunria  il  volgo  fiorentino:  Ceiere 
per  Cesare), 

mole  essere  celebrato  ne'  tempii  e  nelle 

56- 


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426 


MOTAnONI  B  CgftUUOMI. 


da'fluÙBi  e  da^Moerdoti 


alla  diTÌiia. 


immagliiii  alla  divina  da'flanùoi  e 
da'  sacerdoti  (M)  —  vaole  esser  cde- 
brato  ne'  tempii ,  e  nelle  imagini  de' 
flamini  e  da'  sacerdoti  alla  divina. 


44  44.  Né  scélse  mica  Tiberio  a  successore  per 
bene  che  gli  volesse....  ma  volse, 
scortolo  d' animo  arrogante  e  crudele, 


24. 
25. 


Né  sedse  Tiberio  a  i 
bene  che  gli  volesse,...  ma  yoÙe, 
avendol  conosciuto  d'intragno  (4)  ar- 
rogante e  crudele ,  (M) 

(Anche  la  G.  «  volle  •  :  nel  resto, 
come  la  yolgata). 

E  già  gli  aveva  Agosto  nel  chiedergli 
a'  padri  un  altro  tribunato ,  sue  fog^ 
gè,  vita  e  costumi,  pur  con  rispetto 
e  quasi  scusandolo,  rinfacciato. 

Finita  la  cirimonia  della  sepoltura ,  gli 
s'ordinò  il  tempio  co'  divini  ufici.  Voi- 
taronsi  poi  le  preghiere  a  Uberio  che 
accettasse, 
i  più  compagni  atantisi  ec.  (M)— i  più 
compagni  aiutantisi  ec.  (G) 
questo  parlare  dì  Tiberio    A  pompa  non  daddovero  così  diceva 
che  lealtà,  llberio, 

si  cacciavano  a  piangnere,a  lamentarBÌ(M) 
tante  paghe  nostrali,  tante  d'amici  ; 
aggiuntovi  suo  consiglio  (per  tema  o 
per  invidia),  di  non  curarsi  di  accre- 
scerlo. 

Terrebbe  scusarsi. 


•  46.  £  già  eli  av^va  Agusto,  nel  chiedergli 
a'padri  la  rafferma  della  balìa  di  tribu- 
no, sue  fogge,  vita  e  costumi  pur  con 
rispetto,  quasi  scusandolo,  rinfacciato. 

>  19.  Finita  la  cirimonia  della  sepoltura  ,  gli 
si  ordinò  tempio  e  divini  ufici.  Vol- 
taronsi  poi  le  preghiere  a  Tiberio. 

45.    5.  più  compagni*  aiutantisi  compierebbono 
li  affari  publici  più  di  leggiere. 

»      6. 

»  44. 
»  44. 
%    46. 


evasi  m 
più  pompa 

si  davano  a  piagnere  a  lamentarsi, 

tanti  soldati  nostrali  ;  tanti  d' amici  : 

aggiuntovi  suo  consiglio  (per  tema  o  in- 
vidia) che  maggior  imperio  non  si 
cercasse. 


vorrebbe  più  tosto  scusarsi. 

non  per  fargli  divider  quello  che  non 
si  può ,  ma  confessare  che  la  repu- 
blica  è  un  sol  corpo. 


4  6.    4.  Né  per  tanto  il  placò,  che  l'odiara  di  già 
»'    5 


non  perch'  egli  dividesse  quello  che  non 
si  può;  ma  per  fargli  dire  di  sua 
bocca  che  la  repnblica  è  un  sol  cor- 
po (M)  — ....  per  fargli ,  non  dividere 
quello  ec.  (G) 

Non  pertanto  il  placò,  odiandolo  di 
già  (M)  — ....  che  r odiava  di  già  (G). 


per  moglie  avendo  Vipsania ,  stata  pri-  per  moglie  avendo  Vipsania  figlinola 
ma  di  Tiberio,  e  figliuola  d' Agrippa,  d' Agrippa,  che  prima  fu  di  Tiberio, 
e  ritenendo  l' alterigia  di  Pollione  suo        e  ritenendo  l'  alterigia    di  Pollioae 


»    40. 


'  alterigia 
padre. 

ne  sospettava,  avendo  massimamente 
Agusto  nelli  ultimi  ra^onamenti  de' 
successori  detto  che  Manie  Lepido  (2) 


suo  padre.  (M) 

ne  sospettava ,  e  per  avere  Agusto  ne- 
eìì  ultimi  ragionamenti  de' successori 
discorso  che  Manin  Lepido  (5) 

(i)  ìntragno  o  entragno,  dal  francese  entraUUs,  viscere  :  qui  per  caore.  Così  il  Henziai  neOe 


Satire 

Ma  nell'entragno  non  d  crede  un  pelo. 
È  datto  peraltro  in  modo  dlspregiatiro. 

(2)  Così  ho  restitoito  U  tetto,  dietro  U  «onfronto  delle  ediz.  orìginaU.  Nella  G.  manca  «  a 
simamente.  » 

(8)  QMsta  à  la  lenone  deUa  stampa  Nestìana  seguita  dal  Cornino. 


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MUTAZIONI  B  GOIBSZIONI. 


427 


13.  Adnio  Gillo  avido,  IDA  Aon  da  tasto: 

14.  Tedendo  il  bello. 
19.  e'I  dire  Uamerco  Scaaro:  Il  senato 

spera, 
t2.  a  ScanrOj  pia  inTÌperato,  non  rispose. 

8.  non  a  confessar  dUccettare, 
M.  Orsa  finiscasi  tanto  negare  e  tanto  pre- 
gare. 


Asinio  Gallo  avido,  ma  m 

quando  il  bello  vedesse.  (M) 

e  Mamereo  Scaaro  :  Il  senato  spera , 

a  Scanro,  come  più  ìnTiperato,  non  ri- 
spose. (M) 
non  a  confessare  cbc  accettava  (M) 

Orsù,  leviamoci  questa  seccaggine  di 
tanto  pregare  e  negare. 

(Nella  tavola  delle  Mutazioni  cor- 
regee:  «  di  tanto  esser  pregato.  » 
NelF  esempi,  del  G.  Mortara  è  cor- 
retto a  mano). 

e  fa  per  esservi  ammazato  dalla  iraar- 
dia  (M) 

nel!'  abbracciar  le  ginocchia  a  Tiberio 
che  passeggiava ,  egli  a  caso  o  ince- 
spicato in  quelle  mani ,  cadde  (M) 

SI  non  (A)  fa  da  ostinati  preghi  d'Agusta, 
ove  ricorse,  difeso. 

auggiasse  (G) 

e  r  altre  cose  cotali  le  tolse  (M). 

a  Drnso  che  gii  era  consolo  eletto  e 
presente , 

campo  marzio  (M/ 

se  bene  i  migliori 

Il  popolo  di  tale  preminenza  toltole  (2), 
non  fece  che  un  vano  romore  (M)  — 
....  di  tale  preminenza  levatagli  non 
fece  che  un  vano  romore  (G) 

Tiberio  s'  aonestò  a  propome  quattro 
senza  più ,  che  vincessero  senza  pra- 
ticare. (M) —  ....  senza  pregare.  (G) 

chiederono  di  fare....  una  festa  che  dal 
nome  d^  Agosto  si  dicesse  Agustale  e 
s'aggìugnesse  al  calendario  (M). 

a  spese  della  camera  (\  ) 

il  giudice  delle  cause  tra' cittadini  e' fo- 
restieri ,  ogni  anno  risedente ,  la  ce- 
lebrasse. (M)  —  ....  ogni  anno  quel 
giadice  delle  cause  tra'cittadini  e' fore- 
stieri che  risedesse ,  la  celebrasse.  (G) 

(1)  sì  non  per  sintomo  dtt  no».  Vedi  pia  innanii  qaest«  ▼arianti  ai  capitoli  37  e  70. 

(2)  toltole.  Qaesio  u  sta  qui  per  gli,  a  lui;  e  tale  stranissimo  scambiamento  di  genere  vsò 
n  il  DaTantati  nella  stampa  Marescottiana,  e  alcona  volta  ancba  nella  Giuntina.  Vedi  qoeete 

▼arianU  ai  oapitoU  34,  38,  53,  05  ;  e  lib.  II,  cap.  8. 

(3)  della  camera  »  del  pubblico  «Hurio. 


SS.  e  fa  per  esservi  morto  dalla  guardia , 

\.  nell' abbracciar  le  ginocchia  a  Tiberio 
che  passeggiava ,  il  fé',  a  caso  o  in 
quelle  mani  incespicato,  cadere  j 

4.  sì  fa  da  importuni  preghi  d'Agnsta ,  ove 
ricorse,  difeso. 

10.  aduggiasse, 

11.  e  altre  cose  cotali  le  toke. 

15.  A  Droso,  che  già  consolo  eletto  e  pre- 
sente era, 

8.  campo  marzo 

0.  benché  i  migliori 

I  n  popolo  di  tale  preminenza  levatagli 
non  fece  che  un  po'  di  scalpore  : 


3.  Ilberio  s' aonestò  di  proporne  quattro  e 
non  più  :  ma  vìncessero  senza  prati- 
che. 

1.  dbiederono  di  fare....   una  festa,  da 

dirsi ,  dal  nome  d' Agosto ,  ^gustale , 
e  aggiugnersi  al  calendario. 

2.  a  spese  del  pubblico  : 

S.  quel  Radice  de' cittadini  e  de' forestieri, 
ne  avesse  l' annusi  cara. 


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428 


HUTAZIONI  E  COmiBZIONf . 


48.    6.  romonggiirooo. 


»  7.  per  ciò  solamente  ehe  la  mntaiioiie  dd 
prìncipe  mostrava  licenia  d' ingarbu- 
gliare, e  la  guerra  civile  speransa  di 
guadagnare. 

»     9.  negli  alloggiamenti  della  state 

»  40.  e  '1  principato  di  Tiberio 

»  45.  alle  male  lingne; 

»  44.  Erayi  un  Percennio 

»  46.  e  per  a|^piccar  mischia,  avreio  già  tra' 
partigiani  de' recitanti,  Talea  tanf  oro. 

»  47.  cominciò....  a  contaminare  i  deboli,  do- 
bitantì  come  sariano  trattati  i  soldati 
or  che  Agosto  non  c'era: 

»    49.  ritiratisi  i  buoni, 
•   20.  ^asi  in  parlamento 


49.    5.  trovarci  Tocchi  e  smozicati  dalle  ferite; 
non  gioTard  l' essere  licenoati , 


»  45.  E' bisogna  sgravarci  con  patti  chiarì; 

»  44.  nn  danaio  intero; 

»  20.  dalle  tende 

•  24 .  Fremevano  i  soldati 

20.     5.  o  vivo  vi  terrò  in  fede,  o  scannato 
▼'  affretterò  il  pentimento. 

»     7.  le  piote  crescevano,  e  già  erano  a  petto 
a' nomo,  quando  ec. 

•  44.  cose  nò  pur  sognate  nelle  vittorie  civili  ; 

»    45.  contr'alla  legge  della  milizia? 

»    20.  ma  insuperbiti ,  che  il  figliuolo  del  le- 
gato, ec. 

»    24 .  essersi  avuto  per  filo  quello,  che  con  le 
buone  non  si  sarebbe  ottenuto. 


(Così  ambedae  l'ediiioni  :  ma  la  6.  pone 
in  fondo  tra  le  correzioni  e  si  soUe* 
varano.  »  L' esempi,  del  G.  MorUra 
corregge  a  penna). 

(La  M.  •  licenza  d' intorbidare.  »  E 
l'esempi.  Giuntino  del  C.  Moriaraha 
mostra  e  gìtadagno  invece  di  mo- 
èUrava  e  guadagnare). 

nel  campo  della  state 

e  '1  principio  di  Tiberio  (BI) 

alle  lingue  pessime 

Eravi  un  certo  Percennio,  (M) 

e  d' appiccar  mischie  tra'  partigiaDi  de* 
recitanti,  maestro. 

cominciò....  a  contaminare  i  deboli  do- 
bitanti  del  trattamento  de'  soldati  or 
che  Agusto  non  e'  era  (M) 

(La  0.  «  di  mal  trattamento  da' sol- 
dati»),  r 

sfuggendolo  i  buoni , 

(Così  anche  la  M  :  ma  nelle  correzioal 
in  calce  del  liora,  «  quasi  a  ».  Poi 
nella  G.  riaccetta  «  quasi  in  •). 

trovarci  vecchi  e  cionchi  dalle  ferite  e 
non  giovarci  l' esser  licenziati  (M) 

(L'esempi.  Giuntino  del  G.  Mortara 
ha  ms.  nel  margine  e  àncischiati; 
magagnati  »). 

E'bìsogna ,  a  sgravarci,  far  patti  chian(^) 

un  danaio  effettivo  (M) 

daUe  tendi  (4)  (M) 

Sbuffavano  i  soldati  (M) 

o  io  vivo  vi  redierò  a  boutade ,  o  scan- 
nato v'  affretterò  la  penitenza. 

le  piote  crescevano  e  già  erano  a  petto, 
quando  ec. 

cose  che  nelle  guerre  civili  non  le  so- 
gnarono 

contr'  alle  leggi  della  milizia. 

ma  insuperbirò  che  il  figliuolo  del  le- 
gato, ec. 

essersi  colla  forza  sbarbato  quello  die 
non  si  sarebbe  ottenuto  colla  modc- 


{{)  undi,  CoA  alcuna  volta  ma  veni  per  mim. 


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MOTAZIONI  B  CORlSnONt. 


429 


m.  tirm  fnon 

SO.  f^i  domandoDO  p«r  istrario,  chenti  pa- 
ressero a  lui  qae'pesi  bestiali 
4.  da'  laTorii  e  fatiche  non  rìfinara 

•  e,  per  averle  dorate  egli,  pie  cnido  era. 


6.  Per  lo  eottero  ritorno  la  fodinon  rifi»> 
lìsce,  e,  sbarag^atiy  saccheggiano 
^e'  contorni. 

9.  Fannoei  strascinare,  abbracciono  le  gi- 
nocchia de* circostanti,  chiamanli  per 
nome,  gridano,  Io  sono  il  tale,  ee. 


12.  Dicono  ogni  brobbio  al  legato, 

S.  mTocano  il  cielo,  gl'iddìi, 
9.  fece  gente  correre,  e  disse  : 
9.  mise  tanto  spatento  e  odio,  ee. 

8.  Qua  F  altra ,  e  poi  Qna  F  altra. 

7.  con  due  coorti  rìnfonate,  fiore  della 
guardia, 

9.  che  allora  la  persona  goardavano 

4.  capitano  della  guardia, 

5.  per  tener  lai  ammaestrato, 
B.  Qoando  e' fa  entro 

I.  li  mostraTano  tremorosi  o  tremendi. 

S.  Esserp^i  pia  di  tutte  a  cnore  quelle  for- 
tissime legioni , 

).  non  si  potendo  torgli  la  sua  ragione 
delle  grazie 

^  disse....  dell' un  denaio  il  di;  del  non 
rimanere  all'  insegne. 

^  flagellare  sì  e  uccidere  ci  puote  ognuno. 

K  far  ire  in  fumo  i  desideri  delle  legioni  : 
•  Che  ò  ciò  che  l' imperadore ,  appunto  i 


stia  (M)  —  ehi  colle  baiMie  non  s' ot- 
teneva (G). 

tiran  fuori 

gli  domandone  per  istrario,  che  ne  pa- 
resse a  lui  di  que'  pesi  bestiidi  (M) 

i  lavori  e  le  fatiche  non  rifinava  (M) 
(La  6.  •  i  lavorìi  »). 

(Così  anche  la  6.;  ma  nella  tavola  delle 
MhUaiùmi  corregge  :  •  per  esserri 
usato  egli.  •  L'esempi,  del  G.  Mor- 
tara  corregge  a  penna). 

Per  lo  oostoro  ritomo  la  sedioon  rifio- 
risce, e'I  paese  saccheggiano.  (M) 
(La  6.  semplicemente  «  e  saccheg^ 
giano  »). 

Lascionsi  strascinare ,  abbracciano  i  cir- 
costanti, gridano,  Io  sonil  tale  oc.  (SI) 
—^  Lascìansi  strascinare,  abbraccia- 
no, chiamano  per  nome  i  circostanti, 
gridano,  Io  sono  il  tale  (G). 

del  legato  dicono  ogni  obbrobrio  (M)  — 
ritoperano  il  legato  (G) 

chiamano  il  cielo,  gl'iddìi  in  aiuto 

fece  la  gente  correre,  e  disse: 

mise  tanto  scandolo  e  odio,  ec. 

Qua  l'altra:  e  poi:  Altra. 

con  due  coorti ,  il  fiore  della  guardia 

che  la  persona  guardavano 

generale  della  guardia 

per  Ini  tenere  ammaestrato  (M ) 

Quando  ei  fu  dentro  (M) 

spaventati  li  dimostravano  o  spavento- 

"•  w 

Essergli  prìnripalmente  a  cuore  quelle 
fortissime  legioni  (M) 

non  si  potendo  torgli  la  sua  parte  delle 
grane  (M) 

disse....  dello  'ntero  danaio,  del  non 
rimanere  all'insegne. 

flagellare  e  ammazare  sì  ci  puote  ognu- 
no. 

impedire  i  desideri  delle  legioni 

Che  cosa  è  che  l' imperadore,  appunto 


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430  HUTAZIOMI  E 

eommodi  de^soldatì  rìoMlta  al  Mnalo  ? 


24.  2.  perchè  non  sen*  aspetf  egli  il  compito 

aUi  dal  senato? 

»  47.  La  lana,  facendosi  il  cielo  qaasi  più 
chiaro  di  lei ,  pareva  venir  meno. 

»  49.  credendo  mancare  il  pianeta  per  le  loro 
travaglie , 

»  22.  secondo  che  ella  più  chiara  o  più  scora, 
essi  lieti  0  tristi  faciensi. 

25.  4.  sdegnati  per  lor  misfare. 

»  5.  Manda  gente  alle  tende,  Clemente  e 
altri  baoni  e  grati , 

»  42.  Chieggiamo  più  tosto  perdono,  non  in- 
sieme ,  ma  ^netli  i  primi ,  che  eol- 
pammo  i  se». 

•  44.  Le  grazie  chieste  in  comune  vengono  a 
piò  coppo:  ciascim  di  per  sé,  non 
prima  la  merita ,  eh'  e^^  V  ha. 


•  45.  Da  cotalì  parole  ponti  e  insospettiti  tra 

loro  ; 

»    26.  centorione  di  primo  ordine. 

•  29.  n  popolazo,  o  asso  o  sei  :  è  tremendo 

al  dì  sopra ,  ridieolo  impamito. 

26.  7.  alla  spicciolata  tarati  a  pezi  ; 

n      8.  per  mostrar  fede.  Accrdirbe  V  angosce 
da'  soldati  il  verno  primaticcio, 

»    24.  e  datosi  a  loro  si  trarrebbe  dietro  ogni 
cosa. 

27.  5.  seco  trassero  la  prima  e  la  ventesima 

a'confini  degli  Ubii  insieme  alloggiate, 

»    42.  molti  a  viso  aperto  alzavan  le  voci: 
»    44.  e.gP  imperadori  cognominarsi  da  loro. 

»    46.  perchè  la  follia  di  tanti  lo  sbigottiva. 

B    48.  che  sempre  furon  berzaglio  e  primo 
sfogo  negli  odii  soldateschi , 


CORftBZIONI. 

i  commodi  de^soldatì  rimetta  al  senato? 
(La  6.  «  Or  che  è  che  Fimperado- 
>     re  ec.  ») 

perchè  non  se  n'  aspett'  egli  alsì  dal  se- 
nato il  compito?  (G) 

La  Iona  nel  cielo  di  repente  rasserenato 
apparve  scorata. 

credendo  impalidir  la  pianeta  per  le 
loro  travaglie , 

secondo  che  ella  chiara  o  scora,  essi 
lieti  0  tristi  faciensi. 

sdegnati  per  loro  malfare.  (M) 

Accerchia  i  padiglioni  di  gente ,  manda 
Clemente  centorione,  e  altri  booni  e 
grati 

chieggiamo  piottosto  perdono ,  non  in- 
ùeme, ma  qoelli  i  primi  che  cadem- 
mo i  sezi  nella  colpa.  (M) 

le  grazie  in  mazo  vengono  zoppe  :  cia- 
scon  la  soa  si  procaccia  e  riceve 
spaodatamente.  (M)  — le  grazie  in  co- 
mone  vengono  impacciate  ^  ciascon  la 
soa  tosto  merita  e  tosto  riceve.  (6) 

Da  cotale  parole  ponti  e  messi  in  disfi- 
denza  tra  loro  (M) 
(La  G.  n  ponti  e  disfidati  s  ). 

(L'esempi.  Giont.  del  G.  Mortara  corr. 

«  primipile  s  ). 
U  popolazo  è  asso  o  sei;  tremendo  al 

disopra ,  lidioolo  impaorìto. 

spicciolati ,  tsgliatì  a  pen; 

per  mostrar  fedeltà.  Aoerebbe  l' aqg»* 

scie  il  verno  primaticcio  (M) 
(La  G.  «  per  mostrar  fede  »). 

e  darebbesi  a  loro  con  tirarsi  dietro 
ogni  cosa. 

seco  trassero  la  prima  e  la  ventesima 
negli  Ubii  insieme  alloggiate , 

molti  a  viso  aperto  le  voci  i^avano  (M) 

farsi  gV  imperadori  e  cognominarsi  da 
loro. 

perchè  il  gran  nomerò  lo  sbigottiva. 

che  sempre  forno  la  materia  degli  odii 
soldateschi  e  principio  de'fororì  (M) 
—  che  sempre  foron  bersaglio  agli  odii 
soldateschi  e  principio  dcrfororì  (6) 


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MUTAZIONI  B  GOEBBZIONI, 


431 


,  49.  sessanta  adHoMO  a  pno,  che  tanti  cen- 
turìoDi  yaono  per  legione , 

>  2.  per  V  aceisione  di  G.  Cesare , 
4.  TÌ  ebbero  più  potere. 

43.  e  nipote  d'Agosta , 

43.  per  cagioni  inique....  P odiavano:  que- 
ste erano,  che  il  popolo  romano  ec. 

48.  bonario  giovane ,  affabile ,  roTCScio  di 

qnel  burbero  tìso 

24.  gii  fece  da'  Ticini  Sequani  e  da'  Belgi 
giurare  omaggio  ; 

>  3.  un  suono  di  lamenti  sewdato. 

>  Chi  la  mano  presogli .  quasi  ^er  bacia- 
re, si  mettoTa  quelle  dita  m  bocca, 
per  fargli  tastare  le  gengle  senza 
denti; 

3.  altri  gli  mostrava  le  schiene 

7.  comandò  che  ciascuno  rientrasse  nella 
sua  compagnia ,  con  loro  insegne  in- 
nanzi, per  meglio  esser  udito  e  le 
coorti  ducemere. 

40.  celebrò  con  istupore  le  gesto  di  lui  in 
Germania  con  quelle  legioni  : 

42.  il  consentir  dell'Italia  ; 

43.  Venato  alla  sedizione , 

4T.  rimproverano  le  margini  delle  ferite , 

49.  Male  agg^ano 

24.  con  un  poco  da  vivere , 

^'  figurandogli  e  offerendogli,...  l'imperio. 

^>  sguainato  Io  stocco,  F  alzò 

02.  uditori  adunati , 

6.  mandavano  messaggi  all'  esercito 

^i-  eccoti  una  gran  guerra  civile. 

42.  tutto  0  nulla  concedere,  rìpentaglio 
della  republica.  Bilanciato  il  tutto,  ec. 

3.  rimanesse  alle  'nsegne  solamente  a  di- 

fesa: . 


5.  Conobbe  il  soldato  die  ciò  era  pasto 


sessanta  addosso  a  uno,  quanti  centu- 
rioni vanno  per  legione , 

per  la  morte  di  6.  Cesare , 

vi  ebbono  più  potere.  (M) 

e  d' Agusta  nipote , 

per  cagioni  inique....  l'odiavano:  ciò 
era  che  il  popolo  romano  ec.  (M) 

bonario  giovane,  affabile,  il  rovescio 
di  quel  burbero  viso  (M) 

gli  fece  da' vicini  Borgognoni  giurare 


uno  scordato  suono  di  lamenti.  (M) 

Alcuni  la  mano  presole,  quasi  per  ba- 
ciare ,  si  misono  quelle  dita  in  bocca 
per  fargli  ec.  (M)  —  Chi  la  mano 

S resole  per  baciare,  si  metteva  quelle 
ita  in  nocca  ec.  (6) 
altri  gli  mostravan  le  schiene  (M) 

comandò  che  ciascuno  rientrasse  nella 
sua  compagnia ,  per  meglio  udirlo,  e 
con  loro  insegne  davanti ,  per  discer- 
nere così  almeno  le  coorti. 

celebrò  con  istupore  le  chiare  geste  di 
Germania  di  quello  con  quelle  legioni: 

il  consentimento  dell'Italia  (M) 

Gom'  ei  toccò  della  sedizione  (M ) 

mostrano  le  margini  delle  ferite , 

Siano  maladette  (M) 

con  qualche  cosa  da  vivere  (M) 

bene  agurandogli  e  offerendogli. . . .  l'im- 
perio. (M) 
sguainata  la  spada ,  l' alzò 
uditori  raccozati  (M) 
messaggi  mandavano  all'  esercito 
eccoti  una  guerra  civile. 

tutto  o  nulla  concedere  è  rìpentaglio  della 
republica.  Tutto  bilanciato  (M)  — 
La  G.  a  rìpentaglio,  »  senza  il  verbo. 

rimanesse  alle  'nsegne  per  combattere 
solamente  (M)  —  rimanesse  alle  'nse- 
gne per  combattere  col  nemico  sola- 
mente (6) 

Conobbe  il  soldato  che  ciò  era  pasto  per 


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432 


HOTlZIOm  E  GOmUZIONI. 


pag,  wtr. 


per  (raitenere,  e  chiedeBOO  tpedìno- 
ne.  I  trìboni  spacciaTano  le  uceoze, 
il  contante  si  prolon^aya  al  ritorno 
loro  nelle  guarnigioni.  Non  fa  yero 
ehe  della  quinta  né  della  Tentuienma 
ai  Tolesse  alcnno  muoTore ,  s\  fu  ^tì 
la  moneta  contata. 


54.  45.  rapita  all' imperatore. 


Germanico....  fece  giorare  le  le(poni  se- 
conda, tredicesima  e  sedicesima  in- 

.  contenente  :  la  miattordicesima  nic- 
chiò. Fu  ouerto,  oenchè  non  chiesto, 
il  denaio  e  la  licenza. 


47.  I  soldati  d' insegna  delle  due  legioni 
\  8.  cominciarono  a  levare  in  capo  ;  gli  attutò 
24.  fuggissi;  fa  troTato;  e  fallitoli  il  na- 


32. 


scendere 

2.  E  s^yentandosi  i  resistenti,  arrappò 

P  insegna , 
4.  gli  rìdnsse  alle  stanze  turbati  e  «piatti. 

6*  Gli  ambasdadorì  del  senato  a  Germani- 
co, lo  trovarono  già  tornato  all'  altare 
degli  Cbii, 


•     8*  i  vecchi  nuovamente  messi  alle  'nsegne 

»    45.  capo  deU' ambascerìa , 

»    44.  cominciano  a  chiedere  il  Gonfalone, 

»  46.  e  Ini  del  letto  tratto,  minacciandogli 
morte ,  lo  si  fan  dare  ;  e  scorrendo 
per  le  vie ,  s' intoppano  n^gli  amba- 
sciadorì  che,  udito  il  frangente  di 


Germanico, 
neggianli  ; 


a  lui  traevano  :  e  svilla- 


trattenere ,  e  chiedeolo  di  contanti.  I 
tribuni  spacciavano  le  licenze,  il  coo- 
tanto  si  tranquillava.  Non  ni  vero 
die  volesse  veruno  della  quinta  ai 
della  ventunesima  andarsene  in  gB«^ 
Bigione  veruna,  sì  non  fu  quivi  la  mo- 
neta contata. 

(NelU  tav.  delle  MfUaxUmi:  e  «n- 
darsene  in  suo  alloggiamento.» — Net- 
V  esempi,  del  G.  Mortara  P  ha  c(ff- 
retto  a  penna). 
Così  ambedue  P  edirioni  :  ma  la  G.  pone 
tra  le  MvUxsifmi  «  strappata  alPioi- 
peradore.  •  —  Il  suddetto  esempltre 
P  ha  corretta  a  penna. 
Germanico....  fece  giurar  subito  lele- 
[^oni  seconda,  tredicesima  e  sedice- 
sima :  la  quattordicesima  nicchiò  ai- 
ranto.  Fu  offerto,  senza  chiedo^, 
danaio  e  la  licenza.  (M) 

(La  G.    «  la  quattordicesiina  al- 
quanto dubitò  »). 

Gli  alfieri  delle  due  legioni. 

c<Mnin<»arono  a  levare  in  capo,  e  ^  aitili 

fuggissi,  fu  'trovato  e  fallitole  fl  ai- 
scondere 

E  spaventando  i  resistenti,  arrappi 
una  'nsegna , 

gli  condusse  alle  stanze  turbati  aia 
quatti.  (M)  —  La  G.  «  e  quatti.  • 

Gli  ambasciadori  venuti,  come  dicem- 
mo, dal  senato  a  Germanico  il  trors- 
rono  alP  alUre  degli  Dbii  (M)  —  (ìli 
ambasciadori  del  senato  taDvaroa 
Germanico  già  tornato  alF  altare  de- 
gU  Ubii  (G) 

(Nella  tav.  delle  Jtfttloztonl  aa- 

Slunge  :  ti  in  Colonia.  •  Neil'  esempi, 
el  G.  Mortara  ò  adonto  a  penna). 

i  vecchi  nuovamente  mandati  alle  'nse- 
gne 

capo  di  quell'ambasceria 

cominciano  a  chiedere  il  gonfalon  rosso 

e  lui  del  letto  tratto  lo  si  fan  dare ,  e 
scorrendo  per  le  vie  s'intoppano  ne- 
gli ambasciadori  che,  udito  il  firaa- 
fiente  di  Germanico,  a  lui  traevano,  o 
oro  dicano  villanie  (M) 
(La  G.  •  e  svillaneggionli  •). 


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IfUTlZIONI  B  GORBBZIONI. 


433 


4.  Al  A  chiaro, 

9.  V  onU  fattasi 

17.  se  di  sé  non  eura ,  perchè  tenere  il  pic- 
col  figlinolo 

ÌB,  Escono  àe?  padiglioni  :  che  piagnistèo, 
che  81  dolente  spettacolo  !  doone  illn- 
strì  senza  gnardia  di  centurioni  o  sol- 


An'apparentedeldi(M) 

e  P  onta  fattasi 

s' ei  non  tien  conto  di  salyar  se ,  perchè 
tenere  il  picciol  figlinola 


Usdti  delle  tende,  domandano  che  piagni- 
ateo  è  quello  2  che  tanta  sciagura  !  Ten- 
gono donne  illustri  senza  guardia  di 
dati,  senza  corte,  senz'arredo  da  centorioni  o  soldati,  senza  corte,  senza 
imperadrice ,  marciano  a'  Treviri,  agli  arredo  da  imperadrice ,  marciare  a' 
strani.  TircTiri ,  agP  infedeli.  |l\f)  —  Escono 

de'padiglioni  (con  che  piagnisteo,  qual 
sì  dolente  spettacolo?)  donne  iUustri 
,.  senza  guardia  di  centurioni  o  soldati, 
senza  corte ,  senza  arredo  da  impera- 
drice, mardano  a'TreTiri,  agli  infe- 
deU.  (G) 

la  rimembranza   dell' esserie  stato  A- 
grippa  padre  (M) 


2.  la  rimembranza  dell'  essere  stato  Agrip- 
pa padre, 

5.  sì  bella  prole ,  tanta  oneste  ;   e  qael 
figlioletto  nei  loro  esercito  nato, 


6.  portando  egli ,  per  aggraduirsi  i  soldati 

menomi,  i  loro  cakari; 

7.  V  invidia  verso  i  Treyeri 

9.  di  fresco  dolore  e  d' ira  pieno,  così  co- 

minciò: 

l'I.  non  mi  sono  più  del  padre  o  della  re- 
publica  a  cuore: 

10.  eh'  avete  calpesta  V  autorità  del  senato, 

!5.  Ah  Qniriti  ! 

5.  ma  può  egli  essere  che  la  legion  prima 
creata  da  Tiberio,  e  tn  ventesima  meco 
stata  in  tante  battaglie 

7.  a  vendicare ,  se  non  la  mia ,  la  morte 
di  Varo 

0.  e  fatto  i  popoli  di  Germania  sottostare^ 

3.  non  toceate  gl'infetti, 

!).  legati  nella  fede. 

S.  condncesseli  contro '1  nemico, 

9.  il  reato  rimise  in  loro. 

r.  i  più  scandoloei  legano, 

5.  Egli  è  reo. 


(la  rimembranza)  della  sua  prole  bel- 
lissima ,  onestà  grandissima  e  di  quel 
figliuoletto«nel  loro  esercito  nato  (M) 
—  la  sua  prole  bellissima,  onestà 
grandissima  e  quel  figliuoletto  (6) 

portando  egli  a  favor  da' soldati  meno- 
mi i  loro  calzari  ; 

Podio  centra  i  Treriri 

così  cominciò  di  fresco  dolore  e  d'ira 
pieno:  \fS) 

non  mi  sono  più  del  padre  o  della  re- 
publica  can  : 

eh'  avete  spregiata  P  autorità  del  senato 

Ahi  Quiriti!  (M) 

ma  può  egli  essere  che  la  legion  prima 
e  tn  ventesima,  quella  da  Tiberio 
creata,  tn  meco  in  tante  battaglie  stata 

a  vendicare  la  morte  non  mia  ma  di  Va- 
ro (M)  —  a  vendicare  non  la  morte 
mìa  ma  di  Varo  (G) 

e  frenato  i  popoli  di  Germania.  (M) 

non  brancicate  il  morbo  (M) 

e  legati  nella  fede. 

conducesseli  al  nimico, 

il  gastigare  rimesse  in  loro. 

e  qualunque  più  scandoloso  legano  (M) 

Gli  è  reo  (M) 

37 


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434 


MUTAZIONI  B  GOBRIZIONr. 


ft- 

iMt, 

» 

4. 

» 

40. 

37. 

7. 

• 

42. 

» 

44. 

» 

49. 

38. 

40. 

» 

44. 

» 

» 

39. 

4. 

» 

7. 

» 

40. 

» 

44. 

» 

46. 

» 

4S. 

» 

20. 

» 

24. 

40. 

5. 

» 

7. 

» 

40. 

» 

47. 

»    27. 


pini)  giù  6  imeaibnto. 

per  l'aspro  gastigo  e  perla 

e  eredeva  correggerli  con  doo'  scvrÌBci 
teneri  di  doo'  fanòolli  : 

ooetai  fresco,  prò, 

per  farli  stare  nella  pace  alle  mosse. 

^egli  è  fatto  forte  dalle  GaUie,  questi 
a  caTaliere  alF  Italia. 

^er&  la  spada  a  tondo. 

nella  gnerra  muoiono  buoni  e  rei* 

Costoro,  trovando  ben  yòlti  i  più , 

se  non  gV  indettati , 

YÌsto  cbi  si  voleva ,  anco  i  pessimi  pre- 
sero r  anni. 

appellando  «{nella  non  medicina  ma 
sconfitta, 

se  non  ricevendo  negli  empi  petti  glo- 
riose ferite. 

venzei  coorti  d' siati , 

Poco  lontano  erano  i  Germani 

i  Romani....  accampano 

q[QaIe  (via)  da  tener  fusse ,  la  corta  e 
usata,  0  r impedita  e  dismessa. 

seguitavano  poco  addietro  le  legioni  fa- 
vorite dal  sereno  della  notte  : 

trovangli  per  le  letta  e  lungo  le  mense 
spensierati ,  senza  sentinelle ,  né  or- 
dini di  guerra ,  in  una  sciocca  pace 
ancora  avvinazati  poltrire. 

le  avide  legioni 

il  eanitano,  marciò  in  battaglia,  parte 
della  cavalleria ,  con  la  fanterìa  d'aiu- 
to innanzi  : 


Avventansi  affocati  al  nimico ,  e  «{uello 
incontanente  rotto  e  pinto  nell'aperto, 
ammazano. 


pinto  giù  e  svembrato  (4). 

per  r  aspra  pena  e  per  la  coscienza. 

e  erodeva  rattenerli  con  P  autorità  te- 
nera di  duo  fanciulli  (M) 

e  costui  fresco  e  prò 

per  tenerli  nella  pace  alle  mosse.  (Bl) 

quegli  è  spesato  dalle  Gallie,  questi 
accavaliere  all'  Italia. 

girerà  la  spada  tondo. 

nelP  armi  muoiono  buoni  e  tristi. 

Costoro,  trovato  ben  vòlti  i  più , 

eccetto  gì' indettoti  (M) 

visto  cui  si  voleva ,  presero  Parme  i  pes- 
simi ancor  essi  contH  a  se  stessi.  (M) 
(La  G.  «  visto  cbi  si  voleva  •). 

appellando   quella  non  medicina  ma 

rotta, 

che  ricevendo  negli  empi  petti  gloriose 
ferite. 

venzei  compagnie  d'aiuti  (M) 

Poco  lontani  erano  i  Germani 

i  Romani. . . .  s' accampano 

qnale  da  tener  fosse  la  lunga  e  battuta, 
o  P  impedita  e  dimessa.  (M) 

seguitavano  le  legioni  favorite  dal  cielo 
stellato  : 

trovanli  per  le  letta  e  lungo  le  mense 
senza  sentinelle ,  né  ordini  di  guer- 
ra .  neanebe  di  pace ,  ancora  avvina- 
zati poltrire. 

le  cupide  l^oni 

il  capitano  si  scbierò  da  poter  marciare 
e  combattere ,  parte  della  cavalleria 
colla  fanteria  d'aiuto  guidavano 

(L'esempi.  Giuntino  del  C.  Mor- 
tara  corregge  a  penna  «  mardò  in 
•--"-Hia  »  invece  di  «  si  sclùarò  da 


(I)  Avembrato  da  svembran  per  untmbmn.  Vedi  U  Vocabolario  del 
tano  due  altri  esempi. 


poter  marciare  e  combattere. 
Affocati  s' avventano  al  nimico  e  quello 
incontanente  rotto  e  rincacciato  nel- 
P  aperto  ammazano.  (M) 

(La  G.  legge  «  vinto  »  ma  per  cf 
rore). 

!i,  dove  se  ne  ci- 


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MUTAZIONI  B  IVHIRBZIOMI. 


435 


52.  Tali  aTTÌn  diedero  a  Tiberio  alle^peca  e 
pensiero. 

2.  con  parlare  stimato  più  bello  che  di 
cuore. 


5.  con  meno  parole ,  ma  più  calde  e  vere  : 
e  quantunque  fu  largheggiato  da  Ger- 
manico, ancora  in  Pannonia,  i 
tenne. 


9.  cagione  la  più  intrìnseca  del  ritirarsi  a 
Rodi: 

^14.  disperatissima, 

A2.  fece  marcire  di  lungo  stento: 

45.  per  simil  cagione  a  Sempronio 

47.  e  imperversar  col  marito: 

24 .  fu  allora  dagli  ammaiatorì  trovato 

6.  Tiberio,  Druse,...  furo  eletti: 

42.  non  ardiva  quel  popolo  tanfi  anni  ve- 
zelato  per  ancora  aspreggiare. 

48.  sentendo  i  nimici  in  parte, 

28.  odioso  genero 

»    e   aae^  che   tra'  benevoli   son   legami 
d*  amore , 

2.  menò  volando  F  esercito 

8.  Cacciati  con  manganelle  e  quadrella 

\7.  vennero  tosto  ambasciadorì 

32.  già  date  in  preda  a  molti  di  quei  me- 
desimi 

5.  il  divo  Agusto 

6.  se  non  utile  a  voi  ; 

24 .  ma  vedi  quel  che  più  vaglia ,  o  V  essere 
incinta  d'Armìnio,  o  nata  di  me. 

8.  e  schiava  la  sua  creatura  prima  che 
nata, 

42.  possente  esercito, 

28.  tali  spronate 

53.  per  tener  disgiunti  i  nimici  : 

»    Pedone  capitano 

2.  così  a  quel  fiume  fecero  massa 


Tali  avvisi  diedono  a  Tiberio  allegreca 
e  pensamento.  (M) 

con  piuttosto  bello  parlare  che  credu- 
to. (M)  —  con  panare  piuttosto  bello 
che  di  cuore.  (6) 

con  meno  parole ,  ma  più  di  cuore  ;  e 
di  quantunque  avea  Germanico  lar- 
gheggiato anche  in  Pannonia  gli  fece 
onore.  jM) 

(Anche  la  G.  «  e  di  Quantunque:  » 
nel  resto  confronta  eolia  volgata). 

cagione  intrinseca  del  ritirarsi  a  Rodi  : 

affatto  disperata , 

fece  morire  di  stento  e  di  tìsico  (M)  — 
....  di  stento  e  tìsico  (G) 

parimente  a  Sempronio 

e  imperversare  il  marito  : 

fu  dalli  ammazatorì  trovato 

eletti  furono  Tiberio,  Druse....  (M) 

non  ardiva  quel  popolo  tanti  anni  ve- 
zeggiato  aspreggiare. 

sentendo  i  nimici  essere  in  parte , 

odiato  genero  (M) 

e  que'  che  sono  tra'  benivoli  legami 
d' amore , 

portò  volando  V  eserrito  (M) 

Cacciati  con  ingegni  e  quadrella  (M) 

vennero  ambasciadori 

già  predate  da  molti  di  que' medesimi. 

il  divino  Agttsto 

senon  se  utile  a  voi  ; 

ma  vedi  tu  quel  che  ^iù  vaglia ,  o 
sere  d' Arminio  incinta  o  di  me  i 

e  schiava  prima  che  nata  la  sua  cria- 
tura, 

bravo  esercito  (M) 

tali  fiancate  (M) 

per  impedire  il  passo  a'  nimici  : 

Pedone  oommessario 

cosi  fecero  a  quel  fiume  massa  (M) 


Pes- 
nata. 


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436 


MCTÀZIOm  R  COlftBZIOHf. 


pag,  •er. 

46.    4. 
t     9. 


che  U  pa«e  proprio  abbmdaTano, 
dove  si  dicera  essere  allo  scoperto  V  o 


di  Varo 
a  riconoscere  il  bosco  a  dentro, 


cKe  il  paese  loro  abbrodàTano, 

dove  si  dicea  essere  scoperte  V  ossa  di 
Varo 


43. 

»   45.  RìoonosceTasi  il  primo  alloggiamento  di    Riconosceyasi  il  primo  alloggiamento  di 


a  riconoscere  il  bosco  entro  (M) 
(La  6.  «  adentro  »). 


25. 

26. 

27. 

29. 

52. 

47. 

2 

Varo  dal  circuito  largo,  e  dalle  dise- 
gnate  principia  per  tre  legioni.  Inol- 
tre  nel  guasto  steccato  e  piccol  fosso 
ti  argomentavano  ricoyerate  le  sotte 
reliquie  :  biancheggiavano  per  la  cam- 
pagna V  ossa  ammontieellate  o  sparse, 
secondo  fuggiti  si  erano  o  arrestati  : 
per  terra  erano  peri  d'arme^  mem- 
bra dì  caTalli ,  e  a'  tronconi  di  alberi 
teste  infiliate  ; 

là  Varo  ebbe  la  prima  ferita , 

in  quel  se^o  Arminio  orò  : 

quali  fòsse  per  li  prigioni  : 

E  così  l' anno  sesto  della  scoi^tta 

Cesare  gittò  la  prima  zolla 

Questo  a  Tiberio  non  piacque ,  o  per- 
chè egli  ciò  che  faceva  Germanico, 
tirasse  al  peggiore ,  o  gli  paresse  la 
rimembranza  de^  compagni  riveduti  in 
pesi  0  avanzati  alle  fiere  aver  V  eser- 
"cito  scorato 

•  45.  fanti  si  mandare  a  soccorrerli  che,  tra- 
portati dai  fuggenti,  crébbero  lo 
spavento  :  ed  erano  pinti  in  un  pan- 
tano 


lungo  il  lite  dell'  oceano 

Cecina ,  che  coi  suoi  tornava 

ebbe  ordine  di  spacciare  il  cammino  per 
Pontilunghi. 

Questo  è  un  sentiero 

iri  pose  il  campo,  parte  a  combattere  e 
parte  a  lavorare. 

né  fra  Tacque  poteano  i  dardi  lanciare  : 

tutte  le  acque  de'  circondanti  colli 


» 

49. 

» 

20. 

» 

» 

» 

24 

» 

27 

» 

52 

18. 

2 

Varo  dal  propreso  M)  largo  e  dirisato 
per  tre  legioni.  In  altro  di  guasto  stec- 
cato e  picciol  fosso  s'argomentavano  ri- 
coverate le  strutte  reliquie.  Biancheg- 
giavano per  la  campagna  l'ossa  ammuc- 
chiate 0  sparse ,  secondo  foggiti  s'era- 
no 0  attestati:  per  terra  erano  peri 
d'arme,  membra  di  cavalli,  e  ne* 
tronconi  delli  alberi  teste  infilzate. 
(Così  anche  la  G.  se  non  che  «  in 
tronconi  »). 

là  ebbe  Varo  la  prima  ferita , 

in  quel  seggio  Arminio  orò 

quante  fòsse  per  li  prigioni  (M) 

L'aùno  sesto  dalla  sconfitta 

Cesare  gittò  la  prima  terra  (M) 

Questo  a  Tiberio  non  piacque,  o  per 
tirare  ciocché  facea  Germanico  al  peg- 

Siore  0  per  parergli  la  rimembranza 
e'  compagm  riveduti  in  peri  o  ma- 
nieati  oalle  fiere,  avere  l'esercito 
scorato 

fanti  si  manderò  a  soccorrerli,  e  traporta- 
vanoseneli  (2)  i  fuggenti,  onde  crebbe 
lo  spavento ,  ed  erano  impintì  in  un 
pantano 

(La  G.  0  pinti  •). 

lunghesso  il  lite  dell'  oceano  (M) 

Cecina  che  con  sua  gente  se  ne  tornava 

ebbe  ordine  di  passare  quanto  prima 
per  Pontilunghi. 

(LaG.  «  ebbe  ordine  d'accertarla,  t) 

Questo  è  uno  stradone 

pose  ivi  il  campo  per  fame  parte  com- 
battere e  parte  lavorare.  (M) 

nò  nell'  acqua  i  lanciotti  colpivano  : 

tutte  acque  de'  coUi  (M) 


(1)  praprtw,  spazio,  cbeoito,  neialo.  Tooe  antiquata.  Anche  il  Yittani:  «  H  castello  «••.< 
d>  un  gran  giro  e  proprew.  » 

(2)  trag^rtàvanoseneli,  iM  ne  li  traportayano. 


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MUTAZIONI  E  CORBBZIONI. 


437 


6.  sema  perdersi,  penstndo  «Ilo  iDoanzi, 

40.  Toccò....  alla  Tentancsuna  il  sinistro, 
(Vedi  la  nota  a  quetto  luogo.) 

U.  in  festa  e  straTÌzi , 

20.  e  la  man  portali , 

24 .  le  legioni  poste  alle  latora 

25.  ma  ristette  si  vide  il  bagaglio  nel  fango 

e  Be' fossi  impaniato,  i  soldati  intorno 
rìnfnsi 


pensando  senza  perdersi  allo  innanzi  (M) 

Toecò....  alla  Tentnnesima  il  sinistro, 
(La  G.  «  diciannoTesima  »). 


28.  co'l  fior  de' suoi,  sdrucì  ne' nostri. 

29.  i  ^ali  in  quel  terreno,  di  sangue  loro 

e  di  loto  molliccico,  dayano  strama- 
zate  o  sprangaTan  calci , 

2.  calpestavano  i  caduti. 

7.  n'aiutò: 

9.  Né  qui  finirono  i  guai  :  convernva  fare 
steccati,  argini,  cavare ,  tagliare ,  ed 
erano  in  gran  parte  perduti  gli  ordi- 
gni: 

42.  Gompartivansi  cibi  fangosi  o  sanguinosi . 


B  di  quella  funesta  notte , 

45.  Un  cavallo  rotta  la  caveza,  spaurito 
dalle  grida , 

^9.  opposta  al  nimico,  e  più  sicura 

25.  Allora  ragunatigli  nelle  principia,  im- 
posto  silenzio, 

4  •  quella  sortita  gli  condurrebbe  al  Reno  : 

5.  vincendo,  mnamento  e  gloria. 

5.  Indi  diede  i  cavalli ,  prima  i  suoi ,  poi 
que'  de'  legati  e  tribuni ,  senza  prece- 
denze, a'  più  forti ,  i  quali  prima  , 


7.  tenuto  in  agonia  non  minore  dalla  spe- 
ranza, cupidigia  e  dispareri  de'  capi. 


in  festa  e  conviti  (M) 

e  la  man  portale  (M) 

le  le(^oni  alle  latora 

ma  ristette,  sì  vide  gì'  impacci  nel  fango  e 
neVossi  anmiemmati  (4  ) ,  i  soldati  loro 
intorno  rinfusì  (M)  —  ma  ristette ,  sì 
vide  gl'impacci  nel  fango  e  ne' fossi 
impaniati,  i  soldati  intomo  a  lo- 
ro ec.  (G). 

(L'esempi,  del  G.  Mortara  corr.:  «  urtò 
ne' nostri  »).' 

i  quali  smucciavano  in  quel  terreno 
sdruccioloso  per  lo  sangue  loro  e  per 
lo  mollore  dole  paludi  o  sprangavan 
calci  (M) 

scalpicciavano  i  caduti.  (M) 
(La  G.  «  scalpitavano  »  ). 

ci  aiutò  (M) 

Né  quivi  finirono  i  guai  :  conveniva  fab- 
bricare lo  steccato,  portar  la  materia 
per  li  ripari ,  strumenti  non  v'  era 
per  cavare ,  tagliare 

Dimezavansi  i  bocconi  fangosi  o  san- 
guinosi. (M) 

(La  G.  «  dimezavansi  i  cibi  »). 

di  quella  mortifera  notte , 

Un  cavallo  sciolto ,  spaurito  dalle  grida, 

oontr'  a  quella  del  nimico  e  più  sicura 

Allora  ragunato^i  dove  stanno  gì'  in- 
nanzi, imposto  silenzio 

quelP  uscita  gli  condurrebbe  al  Reno, 

vincendo,  l'ornamento,  la  gloria.  (M) 

Indi  i  miglior  cavalli ,  prima  suoi ,  poi 
de'  legati  e  tribuni  diede  senza  pre- 
cedenze a' più  forti  batta^anti,  i 
quali  prima  (M) 

(La  G.  a  combattitori  »  ). 

cui  tenevano  in  agonia  non  minore,  spo 
ranza ,  cupidìgia  e  dispareri  de'capi. 


1 0  IwUfltU. 


37* 

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438 


M OTAZIOMI  B  GOBftBZIOKI. 


jMTf .  ttr. 

SO.  42. 
•    44. 


»  n. 


•    48. 


AlFalba  fetnaiio  i  fotà ,  riempioogli 

0  ipiasi  per  paura  attoniti. 

Quando  fnron  bene  accosto,  i  nostri, 
dato  il  segno, 

rimproverando  loro:  Qui  non  boschi, 
non  marosi ,  non  laojjlii  yantaggiosi , 
non  iddìi  parsiali. 


Al  nimico,  credutosi  poca  gente  e  sva- 
ligiata ingbiottire 

nella  tempesta  morieno. 

le  legioni  si  ritornarono 

tuttavia  la  vittoria  dava  loro  forza ,  vi- 
vanda ,  sanità  e  ogni  cosa. 

Novelle  andaro 

scrittore  delle  guerre  di  Germania , 

non  si  travaglia  de'soldati  per  far  guerra 
agli  strani  : 

e  dirlo  Cesare  Caligola? 

aggravava  ^esti  odii  e  ne  rinfocolava 
Tiberio,  perchè ,  al  solito  lungamente 
in  lui  avvampanti ,  ne  uscissero  saette 
più  rovinose. 


»    48.  fu  asdutto  o  con  poco  sprazo  di  marea  : 

»  26.  Non  giova  gridare,  non  confortarsi, 
perchè  quando  il  fiotto  batteva ,  dap- 
poco o  valente,  nuovo  o  pratico, 
sorte  o  consiglio  tanto  si  era , 

»  50.  Yitellio,  fatto  forza,  tirò  P esercito  al- 
l' alto.  Assiderarono  tutta  notte,  senza 
panni  da  rasciugarsi ,  senza  fuoco , 
Ignudi,  infranti,  e  peggio  che  in 
mezo  a'  nimici ,  ove  si  può  pur  mo- 
rire con  qualche  gloria , 


25. 

26. 

28. 

54. 

2 

5 

9. 

42. 

52.     2.  sì  veduto  fu  egli , 


All'  alba  corrono  «'fossi,  empioiili 
e  attoniti  quasi  per  la  paura.  (M) 
Quando  fnron  bene  accosto,  dato  il  se- 

rimproverando  loro  che  quivi  non  ersn 
boschi ,  non  pantani ,  ma  luoghi  pari 
e  dii  propizi.  (M)  —  rimproverando 
loro:  Qm  non  bosclù,  non  marosi, 
luoghi  pari ,  iddii  favorevoli.  (G) 

Al  nimico  che  si  pensò  una  poca  gente 
e  sguarnita  inghiottire  (M) 

nella  tempesta  cadieno. 

le  legioni  si  rìtiromo  (M) 

(La  G.  «  si  ritirarono  »). 

tutta  via  forza ,  vivanda  ^  sanità ,  ogni 
cosa  dava  loro  la  vittoria. 

Le  novelle  andare  (G) 

scrittore  delle  guerre  germane , 

non  solda  gente  contH  a  stranieri  : 

e  dirgli  Cesare  Galzarìno?  (M) 

aggravava  queste  cose ,  e  ne  rinfocolsva 
Tiberio,  la  cui  natura  sapendo,  em- 
pieva quel  nngoloso  petto  di  vapori 
odiosi ,  acciò  doppo  lungo  avvampare 
ne  scoppiassero  saette ,  folgori  rovi- 
nose. (M) 

JLa  G.  e  in  lui  avvampassero.  ■ 
resto  come  la  volgata). 

fu  asciutto  o  con  poca  marea  (M) 

Non  giovava  riprendere,  non  esortare, 
perchè  quando  il  fiotto  batteva ,  dap- 
poco 0  valente,   scempio  o  saggio, 
sorte  0  consiglio,  tanto  si  yaleva  [W, 
(La  G.  «  vile  o  valente  a  ). 

Yitellio  aggiunse  forze  a  forze ,  e  final- 
mente tirò  l' esercito  all'  alto.  Asside* 
rarono  tutta  notte,  senza  fuoco,  brulli 
di  arnesi ,  abbrividati,  infranti  e  peg- 
gio che  in  mezo  a'  nimici ,  ove  si  pur 
può  morire  con  qualche  gloria 

(La  G.  «  senza  panni  da  rascìuga^ 
si ,  senza  fuoco,  ignudi  ec.  a  Nel  re- 
sto come  la  volsata  ;  se  non  che  «  ots 
si  pur  può  morire  » ). 

61  veduto  non  fa  egli , 


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MUTAZIONI  E  GOBHBZIONI. 


430 


\0.  né  ti  lasciò,  come  il  senato  voleva ,  giu- 
rare V  approTazione  de'  fatti  : 

S5.  Non  perciò  era  creduto  di  civile  animo, 

2.  aveva  infamato  nomini  e  donne  di  G<Mkto. 

9.  cavalieri  di  meza  taglia  y 

0.  nn  crudelissimo  fuoco  si  appiccò, 

2.  Diceva  l'accusatore  che  Falanio  aveva 
messo  tra' sacerdoti  d' Agusto  (che 
n'  era  in  ogni  casa  come  un  collegio) 
nn  certo  Cassio  strione ,  disonesto  del 
corpo,  e  vendè 


5.  a  Cranio  Marcello....  fu  da  Copione.  .. 
dato  ^erela  di  'maestà,  raggravata 
da  Ispone 

0.  trapelò  nella  grazia  del  crudel  prìncipe, 
tendendo  trabocchetti  a'  più  chiari  ; 

3.  trovarono....  il  loro  precipizio. 

7.  Ispone  aggiugneva,  aver  Marcello  la 
statua  sua  messa  più  alta  di  quelle 
de'  Cesari , 

).  gridò  che  voleva  in  questa  causa  dire 
anch'  eg^i  il  suo  parere  aperto  e  giu- 
rarlo, perchè  gli  altri  non  avessero 
ardire  di  contraddirgli. 


.  E  quando  il  dirai,  o  Cesare? 

,  io  ti  potrei,  non  volendo,  dir  contro. 

chinò  le  spalle  ad  assolvere  il  reo  della 
querela,  stando  però  a  sindacato  della 
pretura. 

sedere  ancora  ne' giudizi 

la  quale  virtù,  e  non  altra,  si  mantenne. 

A  Properzio....  stato  de' pretori ,  suppli- 
cante di  lasciare  il  grado  per  povertà, 
trovatolo  meschino  di  patmnonio, 
donò  venticinque  mila  fiorini  d' oro. 

come  quegli  che  per  severità  mantene- 


nè  si  lasciò,  come  il  senato  voleva,  giu- 
rare ubbidienza  : 

Non  per  questo  mostrava  civiltà, 

avea  infamato  uomini  e  donne. 

bassi  cavalieri , 

una  crudelissima  pestilenza  s' appic- 
cò (M) 

Diceva  l'accusatore  di  Falanio  che  tra' 
sacerdoti  d'Agosto  (che  ne  era  in  ogni 
casa  come  un  collegio)  egli  si  teneva 
un  Cassio  strione  disonesto,  e  ven- 
dè (Bf) —  Diceva  l'accusatore  che  Fa- 
laniosacerdote  d' Agusto  (che  n'era. . . ,) 
si  teneva  un  Cassio  ec.  (G) 

a  Cranio  Marcello....  da  Copione.... 
querela  di  maestà  fu  data  e  ribadita 
da  Ispone  (M) 

entrò  in  grazia  alla  crudeltà  del  princi- 
pe, tendendo  suoi  trabocchetti  a' più 
chiari  ; 

trovarono....  il  proprio  precipizio. 

Ispone  ribadiva  aver  Marcello  la  sta- 
tua sua  messa  più  alta  di  quelle  de' 
Cesari  (M) 

gridò,  che  voleva  in  questa  causa  dare 
anch'  egli  il  suo  voto  tutto  aperto ,  e 
giarollo  perchè  gli  altri  non  avessero 
a  contraadir^i. 

(Nelle  Mutazioni  «  scoperto  »  in- 
vece di  «  tutto  aperto.  »  Neil'  esem- 
plare del  C.  Mortara  è  corretto  a 
penna). 

Quando  lo  darai  tu ,  o  Cesare? 

ti  potrei ,  non  volendo,  contraddire. 

chinò  le  spalle  che  s' assolvesse  il  reo 
dalla  querela ,  ma  stesse  a  sindacato 
della  pretura.  (M) 

assiedere  ancora  ne'  giudizi  (M) 

la  qual  virtù  si  mantenne,  e  l'altre  no. 

A  Properzio....  stato  pretore,  suppli- 
cante di  lasciare  il  grado  per  pover- 
tà ,  trovatola  grande ,  donò  un  milio- 
ne di  sesterzi.  (M) 

(Anche  la  C.  «  trovatola  grande:  » 
nel  resto  come  la  volgata). 

come  quegli  che  per  non  essere  meno 


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440 


MUTAZIONI  B  GORBSZIONI. 


re,  esSandio  i  beneficii  poi^ya  con 
acerbeza* 


5S.    7.  e  nel  ealare  (U  Tevere) ,  grande  strage 
fa'  di  caie  e  persone. 

»    40.  delle  cose  divine 

»  •  ma  fiiron  depatati  Aterìo  Capitone  e 
L.  Aronno  a' ripari  dei  fiume. 

»  49.  e  troppo  di  miei  sangue  benché  vile 
goaeva.  Onde  il  popolo  ne  impanrìo 
e  il  padre  ne  lo  sgridò.  Non  volle 
egli  celebrarlo, 


56.  2.  per  fare  il  figlinolo  dal  popolo  per  cm- 

dele  scorgere  e  odiare. 

»      7.  e  sparlasse  de' magistrati. 

»  9.  che  i  pretori  potessero  vergheggiare  gli 
strìoni. 

»  44.  daUa  verga. 

»  45.  e  al  troppo  corso 

»  49.  il  pretore  potesse  punire  d'esiglio. 

»  24 .  nella  colonia  tarraconese 

57.  4.1  deputati  del  Tevere  proposero 

»  4.  non  si  voltasse  la  Chiana  dal  suo  letto 
in  Arno, 

»    42.  fonti,  corsi,  letti  e  foci: 

»  »  le  religioni  de'  confederati  che  consa- 
grato hanno 

»    20.  ne  tenne  a  vita  ; 

58.  4.  Da  queste  dubbieze  fu  condotto  infino  a 

dar  Provincie  a  chi  e'  non  era  per  la- 
sciare uscir  di  Roma. 

•  8.  Averli  ora  descritti  da]  casato ,  vita  e 
soldo,  senza  nomi ,  perchè  s' inten- 
desse di  cui  :  ora  senza  descrìvere , 

»  42.  fuori  de'  nominati  da  luì  a  consoli,  ninno 
ayer  chiesto  :  chi  volesse  cimentar  suo' 
favori  0  meriti,  f acessesi  innanzi. 


severo  condiva  di  dispetti  le  eorte- 
sie  (M) 

(La  6.  «  come  quegli  che  per  non 
essere  di  meno  severo.  »  Nei  resto 
come  la  volgata). 

scolata  .l'acqua,  grande  strage  fa  di 
case  e  persone. 

delle  divine  cose 

ma  furono  eletti  Aterio  Capitone  e  L. 
Arunzio  a  correderò  il  nume. 

e  godeva  di  quel  sangue  sebben  vile  (M) 
—  e  di  quel  sangue  vile  godeya  (G)  : 
onde  il  popolo  ne  impaurio,  e  il  pa- 
dre lo  sgridò  e  non  randò  egli  a  ce- 
lebrarlo. (M) 

per  fare  il  figliuolo  scorgere  per  cru- 
dele e  offendere  il  popolo.  (M) 

e  male  non  dicesse  da' magistrati. 

che  i  pretori  yergheggiassero  gV  istrio- 
ni. 

dalla  frusU.  (M) 

e  al  corso  disonesto 

il  pretore  d' esiglio  punisse. 

nella  colonia  d' Aragona 

Li  eletti  del  Tevere  proposero 

non  si  cavasse  la  Chiana  del  suo  l^to 
per  voltarla  in  Amo, 

fonti ,  corsi',  pendii ,  letti  e  foci  (IH) 

le  religioni  de'  compagni  che  oonsagrnto 
hanno 

ne  tenne  tutta  lor  vita  (M) 

Doppo  simile  dibattimento  mandò  a  go- 
vernar Provincie  tale  che  prima  non 
Perebbe  lasciato  uscire  della  città. 

Averli  ora  descritti  dal  casato,  vita  e 
soldo,  senza  nomi  per  aversi  a  inten- 
dere ;  ora  senza  descrivere , 

fuori  de' nominati  da  lui  a  consoli  non 
v'  essere  chi  aver  chiesto  :  se  altri  to^ 
lessero  cimentare  lor  favori  o  meriti 
facessersi  innanzi. 


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MUTAZIONI  E  COBRBZIOm. 


441 


UBWLO  SECONDO. 

Seguono  h  varianti  deWedvùone  Giuntina. 


4.  ericeTatodaRoma, 

7.  s'era  rìrolto  a  yenerare  poi  Agosto, 

9.  doreva  lor  comandare  ? 

2.  lettiga; 

•  i  cibi  della  patria  : 

3.  rìderansi  del  codazo  greehesco,  del  ser> 

rare  e  bollare  ogni  cencio  ^  le  larghe 
adieoze 

'•  allevato  ne'  Dai  :  nella  prima  battaglia 
fu  rotto:  rifeoei,  e  prese  il  reame. 

2.  Dea  dispiacque  a  Tiberio, 

2*  0  prestamente  foron  in  punto  :  parte 
corte  e  strette  di  poppa  e  prna,  e  largo 
ventre, 

(•  molte  acconce  a  portar  macchine ,  ca- 
valli e  viveri  j  aestre  a  vela  ; 

)•  che  facessero  massa  nell'isola  de'Bata- 
Tì,  d' agevole  sbarco, 

'•  giunto  a'  Datavi , 

J.  più  largo  e  dolce, 

i.  per  onoranza 

'•  che  favorisse  lieto  lo  suo  ardimento 

•  mosti  asse  i  {atti ,  rìcordassele  i  modi 

suoi. 


„  ....  sino  a  foce  d'Amisia.  Quivi 
lasciò  le  navi  a  sinistra  del  fiume ,  e 
fu  errore  a  non  isbarcar  le  genti  più 
su  ;  die  dovendo  andare-  per  quelle 
terre  a  destra ,  ebbe  a  perder  parec- 
chi dì  a  far  ponti  sopra  que' marosi , 
che  dalle  legioni  e  cavalli  furono  pas- 
sati francamente  innanzi  al  tornar 
della  marea:  ma  gli  aiuti  diretani, 
volendovi  sgarar  V  acque  e  mostrar 
▼aleotìe  di  notare ,  si  disordinarono , 
e  ve  ne  annegò. 

leviti  dalla  riva  gli  arcieri 


(I)  Uà  pmm  par  tnon. 


e  riavuto  da  Roma , 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  e  s'era  poi 
rivolt'  a  Kenerar' Agusto,  »  ) 

li  doveva  comandare? 

lattica; 

i  cibi  della  sua  patria  : 

ridevansi  del  codazo  grechesco,  del 
marchiare  ogni  cencio:  le  larghe 
udienze 

allevato  ne'  Dai  :  fu  rotto  ;  rifeosi  ;  tornò 
a  vittoria  ;  prese  il  reame, 

non  fu  discaro  a  Tiberio, 

e  prestamente  furon  fatte ,  parte  corte 
di  prua  e  poppa ,  e  largo  ventre , 

molte  fur  pronte  (\)  a  passar  le  macchine 
e  portaron  cavalli  e  vettovaglie ,  de- 
stre a  vela  ; 

che  facessero  massa  in  Olanda,  boia 
d' agevole  sbarco, 

giunto  all'olandese, 

più  largo  e  piano, 

in  onoranza 

che  favorisse  volentieri  lo  suo  ardimento 

mostrassele  i  fatti ,  rìcordassele  i  modi 
suoi. 

Navigò....  sino  a  foce  d'Amisia.  Mise 
in  terra  le  genti  e  lasciò  le  navi  a 
sinistra  della  corrente  :  e  fu  errore  a 
non  passarle  all'  altra  riva ,  dovendo 
nelle  contrade  destre  andare,  onde 
molti  giorni  si  perderò  a  far  ponti. 
Passarono  alla  sicura  i  cavalh  e  le 
legioni  le  acque  prime  e  basse ,  al 
comparir  degli  aiuti  diretani  rigonfia* 
rono,  e  gli  Olandesi  per  volere  sga- 
rarle  e  far  prodeze  di  notare,  si  di- 
sordinerò e  ve  ne  annegò. 

(Così  anche  la  G.:  ma  nella  tav.  delle 
Mutaxioni  e  Correzioni  pone  «  ar* 


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449 


eXUTAZKMI  B  GORIBZIOin. 


06.  24.  Tederasi  ài  là  Arminio  minMciare  e 
sfidare  a  battaglia  mezo  in  latino, 

•  28.  si  presentarono  schierati  oltre  al  Yi- 

surgo. 

»    Ì9.  non  gli  parendo  da  eapitaiM  tTrentorare 
la  fanterìa  senza  ponti  e  guardie , 

»    54 .  capo  di  prima  fila , 

•  32.  Garìovalda,  capo  de' Baiavi,  gnadò  do- 

V  era  maggior  la  corrente. 

>    54.  il  tirano  in  nn  piano  cinto  di  boschi , 
onde  gli  piovono  addosso  per  tutto  : 

»    56.  0  con  mani  o  con  tiri  sbancano  gli 
attestati  in  giro. 

67.    4.  il  soccorso  de'  cavalli 


>    40.  aver  sentito  d'appresso  grande  anitrfo 
di  cavalli  e  borboglio  di  turba  infinita. 

»    44.  i  liberti  ritengono  dello  schiavo;  gli 
amici  adulano; 
C8      3.  offerse  moglie,  terreni  e  fiorini  due 

»      5.  Tale  affronto  raccese  l' ira  a'  soldati  : 

»      8.  Su  la  terza  guardia  assalirono 

»    43.  porgemegli  altro  più  bello. 

»    48.  Tirassero  dì  punta  spesso  al  viso  : 

»    25.  Se  bramano  finire  |1  tedio  de'  viaggi  e 
del  mare, 

69.    2.  e  diedesi  il  segno  alla  battaglia. 

»      5.  Romanastrì  dell'  esercito  di  Varo, 

»    44.  Con  eente  sì  taccagna,  crudele  e  su- 
perba , 

•    40.  Dietro  sale  una  selva,  con  alte  ramerà 
e  suolo  netto. 


»    21.  a  piedi. 

»  26.  mandò  Stertinio  con  la  restante  a  cir- 
condargli di  dietro  e  batterli:  esso  a 
tempo  andrebbe  a  soccorrerlo. 

70.    7.  per  isforzo  suo  e  del  cavallo  scappò, 
(I)  Ha  per  errore  tiranno. 


cadori.  »  — L'esempi,  del  G.  Mot-      I 
tara  corr.  a  penna). 

vedevasi  Arminio  di  Ik  minacciare  e  sfi- 
dava mezo  in  latino, 

si  presentare  in  battaglia  oltre  Visargo. 

non  gli  parendo  da  pratico  avventurare 
la  fanteria  senza  ponti  e  guardati  (sie) 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  uno  de* 
primipili,  e). 

Carìovalda ,  capo  degli  Olandesi ,  guadò 
la  parte  più  perigliosa. 

il  tirano  (4)  in  un  piano  cinto  di  boschi, 
onde  gli  piovano  addosso  per  tutto: 

0  con  mane  o  con  tiri  sbaragliano  gli 
attestati. 

il  soccorso  di  cavalli 

pver  sentito  grande  anitrio  di  cavalli  e 
borbogliamento  di  turba  infinita. 

i  liberati  ritengono  dello  sdiiavo;  gli 
amici  vantaggiano  ; 

promise  moglie ,  terreno  e  fiorini  doa 
Raccese  a' soldati  tale  affronto  l'ire; 
Alla  terza  guardia  assalirò 
porgerneli  altro  netto. 
Tirassero  dì  punta  spesso  e  alla  testi ' 
Se  il  fine  bramavano  de'  cammini  e  del 
mare , 

e  sonò  a  battaglia. 

Romanastrì  fugacissimi  dell'  esercito  di 
Varo, 

Gon  gente  sì  taccagna  e  superba , 

Dietro  sale  una  selva .  rimonda  le  n> 
mora  basse  e  '1  suolo. 

(•  rimonda  y  per  potervi  mancia 
giare  quelle  pertiche  sconsertate.  • 
Postilla  della  Giuntina). 

a  piede. 

mandò  Stertinio  con  la  restante  a  circoo- 
dargli  di  dietro  e  battergli  >  par  ' 
tempo  venire  a  soccorrerlo.  j 

a  sforzi  e  salti ,  suoi  e  del  cavallo,  scappò, 


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HUTiZIONl  E  CORREnONI. 


443 


U.  s^appìatttrono  tiVrnni  ehe  scoscenden- 
dosi ,  0  boìzonati  per  ginoco,  tombo- 
laTsn  giù  e  ttorpiaraosi. 

47.  V  astone  del  mmico  in  capo  lor  rÌTol- 
geva. 

24.  gli  sealaiorì  delF  argine  come  sotto  ma- 
raglia  eran  di  sopra  percossati  dar»* 
mente. 

44.  levò  dì  battaglia  nna  legione  per  fare  gli 


24.  prima  qoieto  il  mare ,  eccoti  d' un  nero 
Bagolato  un  rovescio  di  gragnnola 

27. 


?•  non  potevano  star  su  P  ancore  né  aggot^ 
tare  la  tanta  acqua ,  che  per  forza 

entrava. 

42.  creduto  senza  fondo  o  riva. 
45.  isole  disabitate , 


49. 


zoppe  e  senza  remi , 


24.  e  mandò  alla  cerca  per  qaelF  isole. 

2.  Contavano....  miracoloni  di  bafere, 

9'  insegnò  nna  delP  aqnile  dì  Varo  vicina , 
sotterrata  e  poco  guardata.  Mandò 
parte  di  dietro  a  cavarla,  parte  a 
fironte  a  far  nscire  il  nimico  : 

2.  senza  colpa 

8.  Tiberio  affrontò  con  più  forza  la  sua 

modestia, 
17.  fa  accasato  di  macchinare  novità. 

^.  Fiacco  Vescnlarìoj  cavalier  intimo  di 
Tiberio: 

2.  ciocche  trescasse  e  dicesse  il  giovane  : 

il  quale  ricercò 

^-  e  contrastando  chi  fA-e  dovesse  la  dice- 
ria distesa ,  e  nìano  cedendo 

^-  Lesse  come  Lìbone  aveva  fatto  gettar 
V  arte ,  s' egli  arebbe  mai  tanti  danari 
che  coprissero  la  via  appia  fino  a 
Brìndisi  : 

3.  con  postille  atroci  o  score ,  a'  nomi  de' 

Cesari  o  Senatori ,  di  mano 

2.  intanto  i  soldati 


s'appiattarono  tra  le  foglie,  e  boìzonati 
per  gìooco  giù  tombolarono  o  tagliati 
gli  alberi  si  storpiarono. 

V  astone  del  nimico  in  capo  gli  rivol- 
geva. 

gli  scalatori  delP  argine  eran  di  sopra 
percossati  duramente. 

levò  di  battaglia  una  legione  per  far  lo 
campo. 

prima  quieto  mare;  venne  d'un  nero 
nugofato  un  rovescio  di  gragniuola 

e  affannosi 

non  potevano  afferrare  ne  sgottare  (1  )  la 
tanta  acqua  che  per  forza  entrava. 

oredoto  senza  fondo  né  riva. 

isole  d' uomini  salvatichi , 

zoppe  o  senza  remi , 

e  mandò  a  qoelF  isole. 

Contavano....  miracoli  di  bufere, 

insegnò  nna  delP  aquile  di  Varo  vicina, 
disotterrata  e  poco  guardata.  Mandò 
una  parte  dinanzi  a  fare  oscire  il  ni- 
mico, nn'  altra  di  dietro  a  chioderlo  : 

senza  soa  colpa 

Tiberio  lo  punse  coli'  agnglione  della 
modestia , 

fa  accasato  di  macchinare. 

Fiacco  Yescularìo,  cavalier  romano,  cor- 
tigiano di  Tiberio  : 

ciocché  il  giovane  trescasse  e  dicesse; 
egli  ricercò 

e  contrastando  chi  fare  la  diceria  disto* 
sa ,  e  ninno  cedendo 

Lesse  come  Lìbone  aveva  fatto  squadrare 
s' egli  arebbe  tanti  danari  che  copris- 
sero la  via  appia  sino  a  Brindisi  : 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  get- 
tar P  arte  »). 

con  postille  a'  nomi  de'  Cesari  atroci  o 
scure ,  di  mano 

intanto  soldati 


(()  sgottare  manca  alla  Crosca,  e«nDe  anche  adottare,  registrato  solo  dal  Uanazzi. 


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444 


MUTAZIONI  E  CORUZIONI. 


77.  20.  volerà  lor  chieder  U  yita  di  Ini ,  benché 

colpevole ,  s' e'  non  avcTa 

»  24.  Propose  Gotta  Messalìno  che  mai  in 
esequie  ninna  V  immagine  di  Libone 
non  si  portasse  : 

78.  4.  Locio  Pubblio  e  Gallo  Asinio 
»    ^7.  arredo,  servitù  ; 

79.  45.  Anche  Tiberio  disse , 

•    46.  né  mancherebbe  chi  le  facesse , 

»    23.  e  anche  fece 

»    2S.  si  richiamò  di  Urgnlania , 

84.  2.  Non  direi  del  prorogato  in  quell'anno, 
se  non  fusse  oello  intendere  le  batoste, 
fattone  da  G.  Pisene  e  Asinio  Gallo. 
Pisone,  avendo  Cesare  detto,  e  Io 
non  ci  sarò  »  voleva  che  tanto  più  i 
padri  e  i  cavalieri  segnitassero  lor 
nficio,  come  che  ciò  fosse  onore  della 
repnblica.  Gallo,  perchè  ciò  sapeva 
dì  libertà ,  disse ,  nnlla  essere  illustre 
o  degno  del  popol  romano,  fatto  fuor 
dell'  occhio  del  principe. 


;eme ,  tanti  mandarne  in  lun- 


49.  tanti 


82.     4 .  assegnato  a  vogliolosi 

»      6.  Fu  questi  nipote 

•    24 .  Né  ciò  mi  procacci  invidia ,  ma  miseri- 
cordia maggiore. 

85-.    2.  Goncederon  gli  antichi  il  dire  tal  volta 
il  ben  comune , 

»      6.  e  sprovveduta , 

»      7.  violentare 

9      8.  la  tesorerìa; 

n  40.  ma  per  sentenza  contro, 

p  44.  Mancherà  V  industria  e  crescerà  la  pi- 
grizia ,  se  timore  o  speranza  non  ci 
Severo  a:  ogni  dappoco  con  nostro 
anno  aspetterà  sicuro  che  noi  l' im- 
bocchiamo. 

»    20.  0  per  paura 
»    24 .  non  ne  increbbe  mai  più , 
84.  40.  rubò  le  ceneri  e  passò  a  Cosa, 


voleva  lor  chieder  la  vita  di  Ini ,  s'è'  non 
aveva 

Pronunziarono  Cotta  e  Messalìno  che  in 
essequie  ninna  l'immagine  di  Libone 
si  portasse  : 

Lncio  e  Pubblio  e  GaUo  Asinii 

arredo,  servimento; 

E  anche  Tiberio  disse , 

né  mancherebbe  dii  farle, 

e  fece  ' 

si  richiamò  Urgulania , 

Non  direi  come  quell'  anno  certi  negozi 
si  prolungarono,  se  bello  non  fusse        ' 
intendere  le  battaglie  fattone  Gneo        i 
Pisene  e  Asinio  Gallo.  Pisene,  benché 
Cesare  avesse  detto  che  vi  sarebbe, 
diceva,  tanto  più  spediamoli  noi  ;  sarà 
onor  publico  che  il  senato  e  i  cavar       I 
lieri  facciano  i  loro  ufici  senza  il  prin- 
cipe. Gallo,  nditol  parlare  a  uso  di 
libertà ,  diceva  ninna  enea  potersi  fare 
illustre  né  degna  del  popol  romano,        | 
senza  la  presenza  e  Vecchio  di  Cesare. 

tanti  eleggerne ,  tanti  allungarne. 

(L'esempi,  del  G.  Mortara.  e  ser-       ' 
bame»).  | 

a'  vogliolosi  assegnato  | 

Fu  nipote 

Non  abbasso  neasnno,  ma  cerco  miseri- 
cordia. 

Concederno  gli  antichi  il  dire  senza  pro- 
posta talvolta  il  ben  comune, 

e  sprovveduta  é, 

e  violentare  i 

la  camera  del  tesofo  ; 

ma  non  per  sentenza  contro, 

MorrUnno  le  api  e  regneranno  i  cala- 
broni se  dalle  proprie  opere  né  bene 
né  male  cetali  aspetteranno  :  ma  che 
noi  da' nostri  sudori,  poltroneggiando  I 
essi ,  gV  imbocchiamo,  e  anche  mev**^ 
mo  loro  le  mascella. 

0  per  timore 

non  ne  increbbe  più  mai , 

trasse  via  le  ceneri  e  passò  a  Gora , 


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MUTAZIONI  B- CORREZIONI. 


44» 


f,  spariva  via  : 

).  i  ritratti  àe?  monti , 

I.  Per  finita  tennesi  quella  guerra  che  non 
fa  lasciata  finire. 

I .  da  poterlo  smaltire  sotto  spezie  d'onore. 

(.  perchè  in  Rodi  non  V  onorò  ; 

>.  chiedeTano  alleggerirsi  il  trìlmto. 

.  e ,  ovunque  andasse  y  sovrano  a  qnalan- 
qae  reggesse  o  per  tratta  o  a  mano. 

I.  commessioni  occulte:;, 

I.  e  per  farsi  dall'  esercito  amare  ; 

•.  ne' due  figliuoli' 

ì.  e  loro  allegati,  antichi  soldati  suoi^ 

!.  Non  più  i  Germani  divisi  in  frotte ,  in 
qua  e  là  scorrenti  j  come  solevano, 
avendo  per  lungo  guerreggiar  co'  Ro 
mani  appreso  a  seguitare  le  'nsegne , 

K  le  tre  legioni  smembrate 

).  segno,  che  impaurì  : 

.  Se  n'  andò 

.  per  più  sprovveduto  e  grave  scempio. 

.  il  secondo  ristoro  e^danoo. 

.  ributtava. 

.  così  privò  del  grado  senatorio ,  o  per- 
mise lasc'arlo,  Vibidio  Varrone , 

.  da  parte  di  lei  ancora , 

.  persuase  i  suoi ,  che  bastasse 

.  discostarla  da  loro 

.  ancor  n'ente  incivilita. 

.  ma  dove  sopra  tatto  si  procurava  non 
isfuggir  la  guerra  per  paura  ; 

.  quel  Camm'llo  che  salvò  Boma 

Fattostà  che 
.  vi  badò  poc!ii  giorni  a  rbarcir  P  armata 

Atene 


via  balenava: 

i  disegni  de'  monti , 

Segno  che  egli  avesse  la  guerra  finita 
diceano  essere  il  non  avariali  lasciata 
finire. 

da  poterlo  sotto  spezie  d'onorare,  smal- 
tire. 

perchè  in  Rodi  non  lo  trattenne  ; 

chiedevano  alleggi^ento. 

ovunque  egli  andasse ,  sovrano  a  qua- 
lunque reggesse  per  tratta  o  a  mano. 

commessione  occulta: 

e  farsi  dall'esercito  amare: 

in  due  figliuoli 

e  loro  allegati ,  oltre  alli  antichi  soldati 
suoi, 

Non  a  masnade  come  già,  correndo  e 
ritirandosi,    alla  germana,   avendo  ' 
per  lungo  guerreggiar  'con  esso  noi 
appreso  a  seguitare  le  'nsegne , 

le  tre  legioni  svaligate 

^egno  di  paura; 

Ei  se  n'  andò 

per  più  provveduto  e  grave  scempio. 

il  secondo  danno  e  ristoro. 

cacciava  via. 

così  del  grado  senatorio  scavalcò  o  fece 
scendere  Vibio  Yarrone , 

da  parte  di  lei , 

pregò  che  bastasse 

discostarla  da' suoi  « 

ancor  non  civile. 

ma  dove  si  cercava  non  iscappassero 
per  paura , 

quel  Gammillo  Salvador  di  Roma 

Fatestà  che 

vi  badò  pochi  giorni  a  dar  carena  (1) 

Atena  (2) 


(I)  tt.:r  carena  per  «  ristaorare  la  nave  »  è  registralo  nella  Cmsca,  ma  sema  esempio. 
(^  Atena,  come  Laeedemona  per  Lacedtmone,  Dante,  Pwrg.  Yl: 

Atene  e  Lacedemona  che  fenno. 

I.  58 


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446 


MUTAZIONI  B  GOREBZIONI. 


ritpettindo  V  antica  città  coll«gata. 

ròUnraTM  qfoelle  pronnàe 

il  Dvmero  de' domandanti  : 

eoo  parole  Mure  d'oracdi. 

e  la  riprende  afp^amente ,  dicendo  : 

Troppi  convenevoli....  essersi  fatti,  (e 
pu^eva  per  fianco  Germanico)  non 
alli  Atenieii, 

Easi  eiaere  qae'  bvon  compagni 

che  non  giti  aveva  fatto  grazia  d'  «n  Teo- 
filo  condannato  dall'  areopago  per  fal- 
sario. 

9C.    4.  ove  poteva  alla  fortuna  attribuirsi  sua 
morte, 

»     7.  gli  passò  innanzi  e ,  giunto  alle  legioni 
in  Seria ,  con  donare , 


94. 

ao. 

95. 

2. 

• 

9. 

• 

45. 

• 

45. 

t 

• 

• 

48. 

» 

22. 

»   49. 


• 

28. 

07. 

7. 

» 

9. 

» 

44. 

» 

46. 

• 

48. 

» 

24. 

» 

27. 

» 

29. 

98. 

4. 

» 

6. 

• 

44. 

» 

48. 

99. 

5. 

• 

4, 

» 

48. 

• 

24. 

400. 

43. 

in  cor^o  a  nostre  provincie,  che  s'esten- 
de sino  a'  Medi , 

fu  dato  per  legato  Q.  Yeranio, 

Pure  in  Carra»  dove  alloggiava 

Germanico  era  benigno,  come  s'è  detto; 

All'  ultimo,  Cesare ,  presentì  alcuni 

corone  grandi  d'oro 

rede'PaHÌ4 

pregavalo  intanto  non  tenease 

causò  Yonone  in  Pompeiopoli 

per  la  gran  servitù 

rinvilio, 

bencbè  nell'  arder  della  guerra 

Ma  Germanico  non  sapendo  ancora  che 
quella  gita  dispiacesse,  se  n'andava 
per  lo  Nilo  veggendo. 

Passò  indi  dia  seconda  foce  che  quei 
della  contrada  dicono  di  Ercole 

con  lettere  egide ,  che  mostravano  l' an- 
tica possanza; 

da  un  vecchio  sacerdote , 

laghi  cavati  per  ricetti  dell'acque 

che  oggi  si  stende  al  Mar  Rosso. 

quasi  per  mostrarlo  comodo  a  rimetter 
.nel  regno, 


rispettando  sì  nobil  città  .collegata. 

confortava  quelle  provincia 

il  numero  de'  curiosi  : 

con  parole  d'oracoli  da  indovinarle. 

e  la  spaventa  dicendole: 

Troppi  convenevoli....  abbìam  fatto  (£ 
Germanico  intendendo)  non  alli  Ate- 
niesi, 

Voi  sete  qve^  buon  coapagni 

che  non  gli  avea  liberato  un  Teefilo 
condannato  dall'  areopago  per  fal- 
sardo. 

ove  poteva  fame  esito  la  fortuna , 

passò  innanzi  in  Seria,  e  con  donare, 

in  corpo  a  nostre  province  sino  a'  Ile 
di, 

fu  dato  Q.  Geranio  per  primo  legato. 

Pure  al  fine  in  Cirra  dove  alloggiava 

ed  era  dolce ,  come  detto  ò 

Cesare,  presenti  alcuni 

corone  d'  oro  grandi 

re  di  Persia  : 

pregavalo  non  tenesse 

Yonone  causò  in  Pompeiopoli 

per  la  servitù 

rinviliò, 

benché  nella  mi  guerra 

Ma  Germanico  non  avendo  ancora  avuto 
la  lettera ,  se  n'  andara  per  Io  Nilo 


Passò  la  seconda  foce  che  le  genti  della 
contrada  dicono  d'  Ercole 

con  lettere  egizie  dell'  antica  possann; 

da  un  vecchione  sacerdote  ; 

laghi  cavati  per  conserve  dell'acqua 

oggi  è  il  mar  Rosso. 

quasi  comodo  alle  riscosse  del  regno, 


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MUTAZIONI  E  COfiKEZIONI. 


417 


xìoeTessi  nel  Frìofi ,  (f) 

Le  città ,  il  colto 

poi  passaTa 

mentì. 

quasi  per  farli  riverenza: 

governatore 

fu  a'  figlinoli 

ma  di  vero  perchè  e'  non  ridicesse  la 
baratteria  (2). 

macchinava. 

E  quando  seppe  eh'  ei  migliorava  fece 
mandar  da'  littori  sozopra  i  boti ,  le 
vittime ,  gli  apparati  della  plebe  fe- 
steggiente per  la  salute  di  lui  in  An- 
tioccia.  Andossene  in  Selracia 

de  messaggi  mandati  da  Pisone  ora  per 
ora  a  spiare  come  egli  stesse. 

queste  cose, 

questi  preghi  ultimi 

.  Se  alcuni ,  o  per  le  mie  speranse  o  per    Se  quelle  speranze  mie ,  se  il  sangue 

consunto,  moveranno  voi  e  molti 
ancora  che  m' invidiarono,  a  lagri- 
mare,  che  io  in  tanto  fiore, 

potrete  lamentarvene' 

sei  figliuolini  : 

credesi  quanto  temea  di  Tiberio  e 
passò. 

e  si  condolsero 

Assomigliavanlo 

consultarono  di  chi  lasciare  in  Seria. 


t.  ricevessi  nel  Foro  giolio, 

I.  Le  città ,  il  coltivato 

I.  e  poi  passava 

I.  falsamente  affermò. 

i.  quasi  per  onorarlo  : 

I.  governatore  del  regno 

i.  affiglinoli 

I.  ma  si  crede  perchè  e'  non  ridicesse 
eh'  ei  lo  corruppe. 

».  ordiva. 

.  E  quando  seppe  eh'  ei  migliorava  e  se 
ne  scioglievano  i  boti,  fece  mandar 
da'  littori  sozopra  le  vittime  e  gli  ap- 
parati della  plebe  festeggi  ante ,  per- 
ch'ei  guariva,  in  Antiochia.  Ando»* 
sene  dipoi  in  Seleucia 

.  de' messaggi  che  mandava  ora  per  ora 
Pisone  a  spiare  come  egli  stesse. 

.  tali  cose , 

.  questi  ultimi  preghi 


essermi  di  sangue  con||ionti  (e  di  que- 
gli ancora  che  m' invia  iavan  vivo)  lar 
grimeranno,  che  io  in  tanto  fiore , 

voi  allora  potrete  lamentarvene 

sei  figliuoli  : 

credesi  quel  ch'ei  temea  di  Uberio;  e 

indi  a  poco  passò, 
e  so  ne  dolsero 
Assomigliavanlo  alcuni 

consultarono  chi  lasciare  al   goverpo 
della  Boria. 

Agrippina  «inmalata  e  dal  pianger  vinta, 
dianzi  in  sì  bel  matrimonio  congiunta , 


Agrippina  benché  dal  pianger  avvinta  e 

ammalata , 
dianzi  congiunta  in  sì  bel  matrimonio, 
(L'esempi,  del  G.  Mortara  corr. 

«  maritaggio  »). 

(1)  Frioli.  Errore  del  traduttore.  Deve  dire  Frejus.  Lo  stesso  errore  ricorre  nella  Vita 
d^  Agricola. 

(S9  Qui  pene  la  wgaaoite  postilla  die  io  tolta  colla  oorreàone  che  leggesi  di  eontro.:  «  Questa 
propriamente  era  rendere  la  ginstizia  e  le  oose  paMMiche,  come  simonia  le  sagre.  È  rimase  tal  yooe 
nelle  scritte  delle  sieartà  de*  mercatanti,  dove  gli  assicaratori  s'oUigano  ad  ogni  baratterìa  del  jftt- 
drone,  e  s' intende  truffa  e  bmttnra.  Nascono  spesse  dispute  sopra  qnesta  Tooe  baratteria,  perchè 
non  6>  intende  oft^  bene,  e  metteai  ip  <|Bdle  scrìtte  per  forma  pobliea  data  loro  n^  tempi  ebp  dia 
s'osava  e  intendeva,  la  qnal  forma  della  scritta  e  gli  altri  statati  fiorentini  delle  sicurtà  gran  bi- 
sogno arebbaco  di  riforma.  » 


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448 


MDTAZKWI  B  COMEZIOMI. 


405. 

99r, 

25. 

PiiMM  raggiunto  di  «n  i 
r  isola  di  Goo 

inoiante  nel- 

106. 

4. 

odio  foiM, 

45. 

efonemtggiari, 

48. 

dèinliiita, 

• 

Cesare....  è  per  te: 

25. 

per  poter  fare  noiità. 

28. 

una  insegna  di  bisogni 

407. 

4. 

chiede  aivti  a'baroni  di  CiUcia; 

7. 

intimò  a  Pisene 

9. 

giunto  a  Laodicea 

44. 

U  più  atta  a  novità; 

20. 

tmlfatorì  e  gentame 

» 

e  senridorame 

26. 

qoe' soldati  TÌsto  Pisone 
lor  padre , 

,  già  appeUato 

28. 

Presentagli  poi 

» 

e  scosceso,  essendo  cinto  il  resto  dal 

»    34.  di  là  di  sito; 

t   54.  i  Cilici ,  Toltaie  le  spalle,  intanano  nel 
castello.  ^ 

408.    4.  e  sn  le  mora  traf dando, 

•  8.  ma  dielsi  nere  e  sicurtà 

•  43.  i  bisbigli 
45.  trattavano  di  render  la  libertà ,  e  ugoa- 

popol  romano;  perciò  gli 


larei  al 

hanno  leTatTTia. 

decreto  né  bando,  fa  feriate, 


48. 


409.  43.  tra  gli  antichi  scrittori. 

»  46.  Di  onesti  onori  se  n'  osservano  molti  : 
alcani  foron  lasciati  sabito  o  col 
tempo. 

440.  9.  a  risolversi; 

•  45.  o  sgomberato  d' Italia. 

»  24 .  da  Cesari  ringraziati, 

t  26.  Pose  al  grano  il  pregio, 

444.    8.  mandandogli 

»  44.  ohe  P avvelenatore  a  Pirro  scopersero  e 
lo  scacciarono. 


Cd  fante  di  Pisone  lo  raggisote  aeiP  isola 
diCoo 

forse  biasimo, 

e  le  forse , 

ci  ò  interessata , 

Cesare....  ò  teco: 

per  potere  novità  fare. 

una  insegna  di  novizi 

chiede  a'  baroni  di  Gilicia  aiuti  ; 

a  Pisene  mandò  dicendo 

arrivato  a  Laodicea 

stimata  di  meno  levatura; 

truffatori ,  gentame 

servidorame 

que*  soldati  alla  vista  di  Pisone  padre 
loro  già  appellato. 

Presentagli 

e  scosceso  o  cìnto  dal  mare. 

là  di  sito; 

i  Cilici ,  voltato  faccia ,  intanarono  ad 
castello. 

e  fuori  delle  mura  traf dando  | 

ma  didesi  nave  e  sicurtà. 

i  segreti 

hannoli  levati  perciò  via  che  e*  trattavano 

d'ngudarsi  col  popol  romano,  rea- 

duta  la  Ubertà. 
senza  decreto  né  bando  aspettare  fu  preso 

il  bruno, 
tra  gli  antichi. 
(TUito  quetto  manca  nella  Gimiim), 

a  rispondere; 

0  d' Italia  sgombrato. 

ringraziati. 

Pose  al  grano  il  pregio  die  pagare  si 

dovesse, 
mandandoglisi 
che  V  avvelenatore  di  Pirro  i 

e  scopersergli. 


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KCTAZiONl  B  GORBBZIONI. 


449 


47.  NeUe  battoglU  Tuio, 


49.  comandò  : 
20.  perchè  sola 


NeUe  battaglia  pericoloso, 
IF  (L'esempi,  del  G.  Mortara  pone 
nel  margine  la  parola  del  testo  am- 
biguut,  e  nel  margine  di  contro  no- 
ta :  «  vi  fu  che  dire.  »  Lo  che  farebbe 
sospettare  che  queste  matazìoni  fos- 
sero nate  da  lettura  fatta  dal  tradut- 
tore a  on  consiglio  d' amici). 

goyernò : 

perchè  sole 


lilBRO   TERZO. 


GorreTano  per  la  TÌe  ; 

ma  ninno  stato  celebrato  con  tanto  ar^ 
dorè,  onorevole  a  se  e  a  tntti,  por 
che  SI  moderi  ;  non  convenendo  a'prìn- 
cipi  e  popolo  imperiente  le  cose  me- 
desime 


che  Gn.  Senzio  mandava  a  Roma , 


46.  se  Tiberio  si  scopriva  o  no.  Né  fu  nn- 

2 uè  il  popolo  tanto  curioso,  o  contro 
1  principe  bisbigliò, 


2.  e  gastigherò  la  privata  nimicizia  mia,  e 
non  da  principe  con  la  forza. 


Bla  trovandoci  peccato  capitale  in  qual- 
siToglia ,  date  a'  figliuoli 

Ghiariteyi  ancora  se  Pisene  ha  V  esercito 
sollevato  e  turbato;  guadagnatosi  con 
arte  i  soldati; 

e  piangerlollo  sempre  mai  : 

E  Tei  prego  che  il  mio  dolore  non  vi 
faccia  pigliar  le  querele  date,  per 
provate. 

.  del  generale: 


Gorrevano  la  vie  ; 

ma  niuno  stato  celebrato  con  tanto  ar- 
dore, a  se  come  a  tutti  onorevole, 
moderandosi  ;  non  convenendo  a  voi 
grandi  e  popolo  imperiente  le  coso 
medesime 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  non 
convenendo  a  nomin  grandi  «). 

che  Gn.  Senzio  di  Roma  mandava; 
(L'esempi,  del  G.  Mortara  correg- 
ge: «  da  Soria  mandava  «). 

se  Tiberio  si  scopriva  o  no  :  né  fue  un- 
qne  il  popolo  ec. 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  Sa 
Tiberio  sapea  nasconder  quello  che  'o 
corpo  avea ,  che  mai  non  vi  durò  pia 
fatica,  né  più  il  popol  del  prìncipo 
bisbigliò  »). 

e  gastigherò  la  privata  nimicizia  mia,  a 
non  del  principe. 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  da 
principe  con  forza  »). 

Ma  trovandoci  scelerateza  da  gastigama 
ogni  persona ,  date  a'  figlinoli 

Ghiaritevi  ancora  se  Pisene  ha  con  l'eser- 
cito sollevato  e  turbato;  guadagnatosi 
i  soldati  per  ambìzi<me  ; 

e  piangeroUo  mai  sempre  : 

E  v<n  prego  che  '1  dolor  mio  e  vostro 
non  vi  faccia  pigliar  le  querele  data 
per  provate. 

dello  'mperadore  : 

358* 


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4(M) 


MOTAZIOHI  B  COMSZIOlfl. 


449.  45.  e  cbiedeTa  Pnont  tomentani  i  serri 
■noi  e  di  Oermanico. 

•  24 .  e  speuvaoo  le  ane  immagini  straicioate 

alle  Gemonie , 

•  24.  da  oa  irìbuo  di  coorto  prateria  : 

420.  5.  fiiporfato  a  casa,  scrìwe  elianto  fiatai 
naoTa  difesa ,  e  suggellato  diedelo  ad 
an  liberto, 

»     8.  si  trovò  sgozato,  e  il  coltello  i»  terra. 


45.  e  Tolòrala 

47.  Cesare  manincooeso  domandaTa  al  ae- 
oato,  se  tal  morte  s'  attrìbof?a  a  lai  : 
e  all'  apportator  dello  scritto  di  Piso» 
DOp  quel  cb'  ei  fece  il  d)  e  la  notte 
ultuia.  Il  qvale  avendogli  risposto 
parte  a  prooosito  e  parte  no,  lesse  lo 
scrìtto  cne  aiceva  : 


»   24. 

»   25. 

424.  42. 

•  44. 

•  48. 
»  20. 

•  25. 
»  28. 

422.  U, 
»    24. 

423.  5. 
»  44. 
»  45. 
t    22. 

»    23. 

424.  4. 
»      2. 


a  toa  madre  pietoso. 

Raccomandotl 

P  vcciditrìce  di  suo  nipote?  le  favella], 
la  roba  al  senato, 

V  ban  pianto  : 

slimolò  i  figlinoli 

a  cbi  piò  conficcarli, 

il  consolo  diceva  la  prima  sentenu , 

PUncina  s^asaolvesse  m  grana  d'AgosCa. 

seppellirsi  nel  dispiacere. 

certi  sacerdozi. 

uscì  di  Roma  •  rientrò  ovante. 

soldato  bravo 

si  presentò  fuori 

vergogna  da'  suoi  ebe  per  gloria 


nei  tempi 


de'  nimici 

tratti  alla  ventnra 
raro)  vitnperosamente 

Elvio  Rufo 

Cesare  gliela  donò,  e  con  Apronio  li 

dolse  senta  però  spiaoergli , 
e  straccò  i  Romani. 


e  cbiedeva  il  reo,  veniase  la  famigfia, 
collassersi  i  servi. 

e  le  sne  immagini  alle  Gemonie  strasci- 
eate  spaiavano, 

da  un  tribvno: 

Riportato  a  casa,  quasi  distendesse 
nuova  difesa .  alonanto  scrisse  e  sag> 
gellò  e  diedelo  aa  nn  liberto, 

si  trovò  sgozato,  e  la  spada  in  terra. 
(L'esempi,  del  G.  Uortara  :  «  scan* 
nato  »). 

e  volòvalali 

Caeare  domandava  eoi 
sembiante  il  senato,  se  tal  i 
tribniva  a  Ini ,  e  il  figliaol  di  Pisone, 
anel  cb'  ei  fece  il  da  e  la  notte  ul- 
tima. Essendogli  risposto  dal  giovane 
con  prudenza  e  dal  senato  con  ado- 
lazione ,  lesse  quello  scrìtto  di  Pisene 
ebe  diceva:  (4) 

a  tua  madre  pio. 

Raccomandovi 

V  ucciditore  di  suo  nipote?  U  faTella, 
lo  ruba  al  senato, 

P  ban  fatto  piagnere  : 

atrinse  i  figCooli 

a  cbi  più  configgerla: 

il  consolo  faceva  quesV  altro  uficio, 

la  vita  di  Plancina  si  donasse  ad  Agusta. 

tuffarsi  nel  dispiacere. 

certi  benefici. 

s' uscì  di  Roma  e  rientrò  eoi  dello  oftare. 

soldato  ardito 

osci  f«orì 

più  per  la  vergogpM  de*  enei  ebe  per  la 
giorìa  de'  nimici , 

katti  per  soiie  (gastigo  antico,  in  qaei 
tempi  raro)  con  verga  nocidii. 

Elvio  Rosso 

Cesare  la  li  donò  e  eon  Apronie  si 
dolse  sena'  ira , 


e  straccò  il  Romano. 
(I)  Qui  pone  qncsU  poatffla:  e  Questo  la«go  è  gauto:  io  gl>  indorine  ^aosto  i 


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MUTAZIONI  B  CORBinOMI. 


4M 


25.  ecli«Dnito,coiiiolodifl«ginio.laMÌatM. 
dire  a  an  altro  il  parere.  Gni  V  attri- 
bniva  a  civiltà  di  non  neeessitare  gli 
altri  a  seguitarlo,  dii  hii  dioeva  ù 
crudele  che  non  arebbe  cedato  il  suo 
nficio,  se  non  per  dannarla. 

3.  e TedeanTÌsi  le  soe  immagini),  com- 
mosse tal  pietà  e  pianto  che  maladi- 
vano  crudamente  Qnirinio  e  chi. are- 
Ta,  la  destinata  già  per  moglìere  di 
L.  Cesare  e  per  nuora  d' Agosto,  af- 
fogata a  cotal  vecchio  senza  reda, 
contadino.  Avendo  poscia  i  servi  tor- 
mentati confessato  P  enormeze  di  lei  ; 

^\.  che  sapeva  da' servi  di  Qatrìnio,  come 
Lepida  il  volle  anche  avvelenare. 

^3.  Avendo  in  poco  tempo  perdnto, 


•  neeonsolè  l' avversità  di  tre  gran^eaie  : 
Io  cui  caso  dirò  breve. 

.  il  fratel  di  lai 

-  ma  terrebbe  ferma  V  «ifesa  e  di^NM»- 
zione  di  suo  padre  contro  di  Ini.  Così 
poscia  visse  m  Roma  sicuro  ma  esoio. 

n  die  m'invita  a  dire  più  da  alto  P ori- 
one della  ginstizia .  e  come  le  le^ 
siano  a  questa  infimtà  e  varietà  per- 
venute. 

a  sao  seniM». 

IHpoi  per  venti  anni  fa  discordia  :  non 
costome,  non  giustizia: 

abile  alla  questura 

fa  censore  a  fare  de? cavalieri; 

In  vita  di  Mecenate ,  secondo,  poi  prì- 
Qio  fu  nel  consiglio  di  quei  principi  : 

0  sia  fatale  della  potenza ,  mantenersi 
di  rado  inniio  all'  ultimo  ;  •  perchè 
quando 

notevole 


e  die  Dniao,  benché  consolo  disegnato, 
lasciasse  dire  a  un  altro  il  primo  pa- 
rere, nerchò  non  fosse  il  primo  a 
dannarla,  «  per  civiltà  di  non  foiMro 
gli  altri  a  dir  oome  lui  (1). 

e  vedienvisi  le  sue  immagini  ;  mosse  tal 
pietà  che  con  dirotte  lagrime  maladi- 
vano  crudamente  Quirìnio  e  chi  aveva 
la  mogliere  destinata  per  L.  Cesare 
e  per  nuora  d' Agusto  affogata  a  cotal 
vecchio  spremuto,  tontadino.  Avendo 
poscia  i  servi  tormentati  confessato  lo 
sue  enormeze  ; 

che  sapeva  anche  da'  servi  di  Quirinio 
come  Lepida  il  volle  avvelenare. 

Così  perderono  in  poco  tempo, 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  •  De- 
rio  Silano  renduto  a'Gìunii  ristorò 
l' odiose  perdite  fatte  in  poco  tempo. 
i  Galpumii  di  Pisene ,  e  gli  Emilii  di 
Lepiaa  •  ). 

ne  ristorò,  lo  cui  caso  dirò  breve. 

'1  fratel  suo 

ma  non  per  tale  ritomo  l' offesa  e  vo- 
luntà  del  padre  annullò  ;  ond'  egli  si 
visse  in  Roma  sicuro  ma  esoso. 

n  che  m' invita  a  dire  onde  nascesse 
dirittura,  e  come  le  leggi  siano  a  que* 
sta  infinità  e  varietà  pervenute. 

a  senno  suo. 

E  per  venti  anni  regnò  discordia ,  non 
costume ,  non  giustizia  : 

abbiente  alla  questura 

fu  vicensorc  a  far  cavalleria  ; 

In  vita  di  Mecenate  segretario  secondo, 
poi  primo  degli  imperadori  : 

essendo  fatale  alla  potenza  mantenersi 
insino  al  fine  di  rado ,  perchè  quando 

splendiente 


(1)  K  fai  fu*  pMlilla  «oA:  •  A'  proMmi  posti  dopp*  U  vstfao  etMn  •  ècppo  gH  swevbi  si 

ak  a  tuo  obliquo  :  s' io  Jussi  tt  —  v«'  do¥€  lui  -^fa  come  ms'-E  quel  the  non  'è  lei,  dUse  U  Pe- 
vuca— i'id^ii  IH—  va' <f ov' 0fM—  /a*  «om'io  si  direbbe  per  ischeno.  «Io  me  ne  vo  oome  un 
*vn>M  aditta.  » 


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452 


VITTAZIONt  K  CORAtnOKL 


W  »    7.  stretta  per  otturi 

•  8.  di  quest'anno 

•  aO.  ^eiò  Corbvlone.. 

491.  2.  perdo  non  ai  mandasse  in  Asia,  ben- 
ché toccali  per  tratta. 

s  4.  pOTertade  che  non  macchia  gentileia, 
loda  essere,  non  yergogna: 

•  7.  disse  per  sentensa 

s  8.  avendo  molto  replicato  che  questo  sno 
volere  per  lo  pnblico  V  areYa  per  se 
osservato, 

t    45.  per  li  paesi  amici  o  stranieri; 

t    4  8.  co'  centurioni. 

•  s   Aver  fatto  una  donna  pur  testé  le  com- 

pagnie addestrare,  le  legioni  torneare. 

»   20.  dalle  mogli. 
452.    4 .  ritraente  dalla  facondia  di  Messala 

•  6.  V  altre  cose  opposte  esser  comuni  co  '1 

marito,  e  non  da  sollevare 

438.  40.  ritirandosi  ad  una  immagme  di  Cesare, 

•  44.  i  preghi  ingiusti; 

•  49.  stando  ella  sotto  la  statua  deU'  impera- 

dore. 

È  24 .  Finché  eì  la  fece  prendere  e ,  convinta, 
incarcerare. 

454.  44.  Presero  Panni  Celaleti^  Odmsi.e  altri; 
nazioni  forti  con  capi  discordi,  egual- 
mente mal  pratichi ,  che  non  seppero 
unirsi  e  far  guerra  da  vero.  Chi  diede 
il  guasto  al  paese , 

435.  40.  nel  fiorire  delle  forxe, 
a   49.  in  cucca, 

a  20.  ma  i  prigioni ,  per  farsi  conoscere  e  ri- 
cuardare.  Tiberio  avvertitone ,  se  ne 
te'  beffe ,  e  co  '1  non  risolvere,  nutrì 
la  guerra. 


per  natura  stretta 

di  quell'anno 

fomò  Corbulone. 

perciò  non  si  mandasse  né  in  Asia. 

povertà  che  non  macchia  gentileza,  < 
ser  loda  e  non  vergogna  : 


«    24.  Treviri  militanti  per  noi  al  modo  nostro, 
«    27.  e  andavano  verso  la  selva  Ardenna  : 
438.    4 .  perciò  all'  opera  più  intento , 
w     8.  quanto  erano  più  potenti , 


rìcordandp  che  questo  di' egli  voleva 
per  lo  publico  l'aveva  in  casa  saa 
osservato, 

per  li  amici  o  atranierì  pinosi  ; 

co'  capitani. 

Avere  una  donna  pur  testé  le  compagnia 
addestrato,  con  le  legioni  torneato. 

dalle  mogliere. 

ombreggiente  la  facondia  di  Messala 

che  pur  le  spese  a'  mariti  e  alle  mogli 
comuni  sopportano  senza  farne  scal- 
pore 

pigliando  una  immagine  di  Cesare, 

i  preghi  disonesti  ; 

perch'  ella  sguainava  V  impronta  del- 
lo 'mperadore. 

Ei  fece  colei  prendere ,  convincere  a 
incarcerare. 

Presero  l' armi  Celaleti ,  Odrusi  e  Dii , 
nazioni  possenti ,  mal  capitanate,  che 
non  seppero  unirsi  e  far  guerra  ma- 
schia. Chi  saccheggiò 

nel  fiore  delle  forze ,  i 

senz'  elmo, 

ma  i  prigioni ,  per  esser  conosciuto  e 
non  ferito  :  del  quale  indizio  Tiberio 
domandato  non  tenne  conto,  e  col 
non  risolvere ,  nutrì  la  guerra. 

(L'esempi,  del  G.  Mortara  invece 
di  •  del  quale  indisio  »  ha  «  di  tali 
nuove»). 

Treviri  a  nostro  servigio, 

e  pigliavano  la  selva  Ardenna  : 

perciò  più  scannato, 

quanto  era  la  città  più  potente, 


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wnrAzioMi  I  coftuszioNi. 


453 


8.  Anton  lor  città  prinàpak, 
\2.  e'IrijBiAfliite  y 

45.  oltre  certi  echitTi 

■  coperti  à'  vn  peso  di  ferro 

48.  Yarrone ,  per  Tecchieia  debole , 

20.  In  Roma  si  dieera  non  poro  i  Trefiii 
e  gli  Edvi ,  ma 

25.  de^  loro  stessi  perieoli , 

6.  passò  al  sdito, 

W.  ei  fanti  gridando, 

42.  non  Yoleron  riposo  né  dì  nò  notte  : 

I  rodere  il  mmieo  ;  mostrarli  il  viso  ;  ba- 
star ^esto  per  vìncere. 

20.  perdio  le  legioni  comparivano. 

24.  Essi  terrazani ,  non  ordinati ,  non  saldi, 

22.  beachò  tanta  pronteza  non  chiederà 
sprone , 

24.  è  vergogna  apprezare  ì  Galli  come  ni« 
mici. 

^'  Ora  questi  £dai ,  guanto  più  danarosi 
sono  e  più  morbidi ,  tanto  meno  da 
gaerra. 

4-  addosso  i^  fuggenti  lanciatevi. 

40.  eoo  pali  e  forconi 

12.  Anton , 

16.  Allora,  e  ii<m prima,  scrìsse  Tiberio  al 
senato  il  principio  e  la  fine  di  questa 
guerra  veracemente, 

^'  e  altre  cose. 

^5.  orante. 

W>  In  questo  tempo  al  senato  domandò  che 
a  Snlpizio  Qnirinio  si  facessero  ese- 
qn'e  poblìche. 

*2.  soldato  feroce. 

2.  Governò  Gaio  Cesare  quando  tenne 
V  Armenia. 

5.  in  sa  le  cattività 

0.  fa  accusato  d'  averla  eottpoeta 

S*  Vitollia  sola  disse  sempre , 


Antun  capo  delle  lor  eittà , 

gli  altri 

•  eerti  schiavi 

coperti  di  ferro  d'  un  pezo 

Varrone  vecchio, 

Roma  fulminava  non  pure  i  IVaviri  e  gli 
Edoi,  ma 

da'  loro  perìcoli , 

qne'  giorni  passò, 

e  i  fantaccini  fremendo, 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  nò  dì  nò 
notte  posare  »). 

vedere  il  nimico  e  mostrargli  il  viso , 
questo  bastare  al  vincere. 

per  le  legioni  comparite. 

Essi  non  ordinati ,  non  soldati , 

benchò  pronteza  non  ami  sprone , 

è  vergogna   co'  Galli  procedere  da  ni- 
mici. 

Ora  questi  Edui  quanti  più  sono,  tanto 
meno  da  guerra. 

(L' esempi,  del  G .  Mortara  :  «  saltate  »  ) . 

(L' esempi,  del  G.  Mortara  :  «  con  ma- 
novelle e  forconi  »). 

Antndnn, 

Allora  scrisse  Tiberio  al  senato  di  que- 
sta guerra  da  capo  a  piò  veramente , 

e  alte  cose. 

oQante. 

Ricercò  il  senato  che  a  Snlpizio  Qnirinio 
si  facessero  ese^ie  puboliche. 

soldato  fiero. 

Governò  G.  Cesare  in  Armenia. 

in  su  le  disonestà 

fu  accusato  da  P.  Petronio  d' averla  eom- 
poeta 

Sola  Yitellia  sempre  disse, 


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454 


tfOTàSIOMI  B  COftftniOlfl. 


440.    4.  tatti  altri 

•      »    fu  bieuecrtto  e ,  ealdo  caldo,  oocito. 


» 

2.  DO  fece  richiamo 

11 

»    co'aao'andiririeDi, 

» 

5.  lodò  al  cielo 

• 

4.  Don  fulminassero  peno 

» 

7.  Ma  nò  il  senato  aveva 

• 

44.  scialacquìi  di  danari, 

» 

42.  Molte  spese,  benché  gmdissime,  spesso 
si  nascondevano  nel  frodare  i  pregi  : 

k  le  ricche 

•  <45.  miser  pensiero  non  gli  volesse  quel  prin- 

cipe parco  all'  antica ,  ritirar  aura- 
mente. 

»   49,  Egli  un  peto  pensò 

•  26.  acciocché  qnei. vergognosi  scipatori  che 

Toi  vedete  arroasarv  e  temere,  an- 
ch' io  non  vegga 

441.  15.  dicendo:  e'  si  gitta  il  giaccio 


si  vnole  attutare. 

chi  nutrirebbe  noi ,  i  servi ,  i  contadi  ? 

per  addossarli  a  me; 

non  mi  vogliate  gravare. 

questa  cura  fu  rimessa  agli  edili  : 

»    22.  a  poco  a  poco  mancarono. 

»  24.  potendosi  anche  trattenere  all'ora  la 
plebe,  i  collegati ,  i  regni ,  ed  essere 
trattenute  : 

fatti ,  eh'  é  eh'  é ,  senatori , 


» 

47. 

2. 

6 

• 

44. 

» 

48. 

» 

49. 

»   29. 

445.    5 

«    42.  la  podestà  trihnnesea. 
444.     2.  Non  però  altro  invennero  che  immagi- 


tutti  scaltri 

In  incarcerato  di  repente  e  eddoncciso. 
(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  e 
caldo  caldo  •). 
(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  ne  fé  ri- 
.    chiamo»). 

eo'raa  andiririeni; 

(Nell'esempi,  del  €.  Mortara  que- 
sta parola  é  sottosegnata,  come  da 
mutare). 

lodò  a  cielo 

non  fulminassero  le  pene 

ma  il  senato  non  aveva 

dispendii  di  danari , 

i  maggiori  (ditpenéii)  w^etso  si  nascon- 
devano nel  frodare  i  j^egi  ;  le  ric- 
che 

miser  pensiero  non  gli  volesse  il  prin- 
dpe  durunente  ritirare  al  rispiarmor 
antico. 

Egli  divisò  uà  peto 

acciocché  quelli  spenditorì  che  vw  ve* 
dete  arrossare ,  anch'  io  non  vegga 

e' si  gitta  il  faccio 

(L'esempi,  del  G.  Mortara  corre]*- 
gè:  «  giacdbio  »). 

si  vuole  aiutare,  (ma  è  per  errore). 

chi  difenderebbe  noi ,  i  servi,  i  terreni? 

(L'esempi,  del  0.  Mortara:  •  per  ad- 
dossargli poi  a  me  »  ). 

non  mi  gravate. 

furon  gli  edili  fuori  di  questo  pensiero: 

a  poco  a  poco  assottigliarono. 

potendo  allora  trattenersi  la  plebe,  i 
collegati,  i  regni  ed  essere  tratte- 
nute : 

(L' esempi,  del  G.  Mortara  :  «  fatti  chec- 


Ma  più  di  tutti  ristrinse  Vespasiano  co  '1 
suo  vivere 


T. 


ni ,...  e  altre  cose  solite  : 


che. 

Ma  principale  assottigliatore  fu  Vespa- 
siano col  suo  vivere 

la  tribunesca  ^està. 

Non  però  altro  invennero  che  sdite  im* 
magìni.... 


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UVTAIlOm  E  COUIBZIONI. 


À^ 


4.  senieosiando  senta  prof^oata, 

9.  fece  rìder  di  se,  che  si  Yecchìo  di  A 
stao  adulare  aspettasse  altro  che  in- 
famia. 

18.  Com.  Memla 

29.  abborrì  V  an-ogante  proposta  e  qaei 
letteroni  d' oro. 

SO.  una  lettera....  che  pareva  modesta  ;  ma 
fu  presa  per  trasnperba. 

9.  Ma  Tiberio  così  puntellatosi  nello  siato, 

Ser  dare  al  senato  un  po'  d'  ombra 
eli'  antico ,  rimise  a  auello  le  do- 
mande delle  Provincie ,  ai  mantenere 
le  franchigie ,  cresciute  per  le  città 
della  Grecia  in  troppa  licenza  ;  la- 
sciando ne'  tempii  rifuggire  schiavi 
pessimi ,  falliti ,  scappati  dalla  giusti- 
zia. Nò  avrebbero  le  catene  tenuto  il 
popolo,  che  non  si  levasse  per  difen- 
dere le  scelerateze  umane ,  come  re- 
ligione divina.  Fu  detto  adunque  che 
le  ritta  mandassero  ambasciatori  con 
fotte  loro  ragioni.  Alcune,  che  le 
franchigie  si  avieno  usurpato ,  le  la- 
sciarono. 

5.  che  ancor  V  è  in  su  '1  fiume  Gencrio, 
3.  di  Venere ,  gli  Afrodisie8Ì|;     ' 

5.  producendo  un  novello  privilegio  d' Agu- 

sto, e  uno  più  antico  di  Cesare  detta*, 
tore,  conceauto  per  aver  seguito  «[uelle 
fazioni.  Lodati  della  mantenuta  fede 
al  popol  romano  nelle  scorrerie  de' 
Parti. 

0.  e  molf  altri  imperadori 

6.  che  il  re  Dario  ciò  donar  loro  ne' tempii 

di  Diana  e  d^Apoltine  che  essi  adorano. 

8.  anco  franobigia 

(>•  Fatti  ne  furono  i  privilegi  a  grande 
onore:  portossi  però  regola,  e  co- 
mandato in  essi  tempii  affiggerne  in 
bronzi  sagrata  memoria , 


)•  Ma  Cesare  ème  contro,  esserci  più  sa- 
cerdozi ,  nò  mai  datosi  ad  aràdi  tal 
maestà. 


sentenziando, 

fece  rider  di  se ,  non  potendo  di  tanta 
età,  di  tal  brutta  adulazione  altro 
aspettare  che  l' infamia. 

Menilo 

e  nominatamente  aborrì  que' letteroni 
d'  oro  insolenti. 

una  lettera....  assai  modesta;  ma  fu 
presa  per  trasuperba. 

Ma  Tiberio  così  puntellatosi  nello  stato 
nuovo,  volle  al  senato  gittar  un  poco 
dì  polvere  negli  occhi  e  ombra  del- 
r  antico,  e  rimisegli  le  domande  delle 
Provincie  di  mantenere  le  franchigie 
cresciute  per  le  città  della  Grecia  ift 
troppa  licenza.  Essendo  i  tempii  pieai 
di  rifuggiti,  schiavi  pessimi,  falliti, 
scappati  dalla  giustizia.  Nò  arebbero 
le  catene  tenuto  il  popolo  che  non  si 
levasse  per  difendere  le  scelerateze 
umane  per  religione  divina.  Fu  detto 
che  le  Città  mandassero  ambasciadori 
con  tutte  le  loro  ragioni.  Alcune  che 
le  si  avieno  usurpate  se  ne  stettero. 

ancor  verde  in  sul  fiume  Gencrio, 

di  Venere ,  que'  d' Affrica  ; 

con  le  patenti  prodotte  di  Cesare  detta- 
tore laudante  dì  quelle  città  i  meriti 
antichi ,  e  d' Agusto  celebrante  il  più 
moderno  dell'  aver  sostenuto  per  lo 
popol  romano  l'invasione  de' Parti 
con  ferma  fede. 

e  altri  imperadori 

che  il  re  Dario  donaron  loro  i  tempii  di 
Diana  e  d' Apolline  che  essi  adorano. 

ancor  franchigia 

Fatti  ne  furono  i  privilegi  a  grande  ono- 
re e  comandato  usarlt  con  modestia 
e  farne  in  essi  tempii  altari  a  perpe- 
tua memoria, 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  •  po- 
stovi però  regola ,  e  comandat'  in 
essi  tempii  afBgern'  in  bronzi  sagrata 
memoria  »). 

Ma  Cesare  mostrò  esser  tra'  sacerdoti 
divario,  e  non  datosi  mai  ad  araldi 
tal  maestà. 


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4M 


iiOTAnma  i  oeAtBzioHi. 


449.  8. 
»    42. 

450.  4. 
2. 


loqMnltroiod^oirMadMlàd'Afwlo    lo  spivoiio  d^titNaacHà  d'Adusto 


Cnidflla  e  rapace  fa  egli;  ma  gii  eran 
*&  ceee,  pericMeae  ad  ogni 
:  nimicato  da  tasti  leBatorì, 


40. 
42. 


Silano  adunque  ekiedeo  tempo  pochi  dì, 
poi  lasciò  la  difesa  e  arA  aorif ere  a 
Tiberio,  pngnendolo 


48.  Eaao,...  dìase:  Confinerei  Silano 


25. 
26. 
27. 

50. 
S5. 


151.    4. 


6. 

7. 
42. 
44. 


20. 

25. 

0. 

45. 
44 
46 
47. 


452. 


Così  gli  altri: 
po'  I  figlinolo, 
con  più  Innga  adolazione  : 

unno  infame  e  mal  ▼iasato  gofemaaso 
pro^da  y  e  tocebi  al  principe  il  di- 
chiarario; 

perqfoéDì, 

Chi  è  rioscito  nel  goyemare  meglio,  chi 
'peggio  di  (piel  eh?  era  creduto.  Nelle 
gran  faccende,  chi  si  risyeglìa,  chi 
stupidisce  : 

Così  ordinare  i  nostri  antidn ,  che  die- 
tro a'  peccati  seguisser  le  pime  :  non 
fate  il  contrario  delle  cose  saviamente 
trovate  e  sempre  piaciute. 

d^va  Tiberio  al  popolo, 

V  allegrò  con  questo  parlare. 

Così  fu  approvato. 

1  Lucio  Ennio  fu  fatto  caso  di  stato 
V  aversi  fatto  vasellamento  d'  una 
statua  d'ariento  del  principe. 

seguitò  non  volere. 

e  privata  eccellenza. 

al  \àh  anxiano  consolare  dopo  il  Maln- 
ginese. 

lo  splendore 
prese  a  rifare 
mantenendogli 
maggiore. 


eamarfingo  suo 

luogotenente. 

^>ude]e  e  rapace  fa  egli ,  nimicato  da 
tanti  senatori , 

ridere  né  difendere  : 

bisognava 

gli  schiavi 

Silano  adunque  s'abbandonò,  e  cKIcsto 
tempo  pochi  dì  ardì  scrivere  a  Tibe- 
rio  pugnandolo 

Esso,...  confinò  Silano 

Geeì  diasere  gli  altri  : 

al  figliuolo. 

l'adular  seguitando* 

niuno  infame  e  mal  vissuto,  a  dicbi» 
razione  del  prìncipe ,  governasse  pr» 
vincia  ; 

per  loro, 

Chi  ha  ^vernato  mefl^  e  cU  peggio 
che  di  parutej  le  gran  facoenoe  dà 
svegliano  e  chi  stupidiscono: 

Delle  cose  saviamente  trovate  e  sempn 
piarinte  non  fate  il  rovescio. 


al  popolo  Tiberio  dava , 

s' allegrò  di  questo  parlare. 

Co'  piedi  a?  andò  in  questa  i 

A  Lucio  Ennio  cavaliere  fa  fatto  csis 
di  stato  V  averrf  fatto  d'  una  *statBS 
del  prìncipe  d'arìento,  vasellamento. 

seguitò  di  non  volere. 

ed  eccellenza  privata. 

al  più  stretto  parente  consolaro  del  Va- 
Inginese. 

il  lustro 

promise  rifare 

e  di  mantenergli 

altro  danno. 


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MUTAZIONI  K  GOERSZIONI. 


4m 


5.  rifatto 

3.  Poiché  essendo 

6.  Scipione  legate 

2.  Così  essendosene 

6.  darà  la  caecia  a  Tacfarinate  che  or  qua 
or  \k  s' attendava. 

6.  In  qnelF  anno 
8.  destinato  marito 

7.  Qaesf  anno,  sessantaqnattresimo 


e  rifatto 

Perehè  estendo 

Scipione  luogotenente 

Così  essendone 

a  Tacfarinate  che  or  qua  or  là  s' atten- 
dava  y  daVa  la  caccia* 

Al  line  dell'  anno 

destinato  per  marito 

QaeatUnno,  settantaqnattresimo 


IiIBRO  QVilRTO. 


I.  la  fortuna  cominciò  repente  a  voltare  ; 
egli  a  incrudelire  o  darne  animo  altrui; 

)•  generale  de'  soldati  di  guardia , 


non  tanto  per  suo  sapere 

n  generalato  della  guardia 

in  nn  sol  campo 

piò  pronti 

viverieno più  severi,  piantandosi  '1  campo 
foorì  delle  lascivie  della  città.  Fatto 
questo 

.  onorando  i  suoi 

•  Tolevan  tempo. 
.  che  non  volea 

•  gli  andò  con  le  pngna  in  su  '1  viso ,  e 

volendosi  ei  rivoltare ,  lo  li  hattò. 

•  per  aspettar  cose  incerte  e  scelerate  y 

•  e  in  lui  voltarono  i  padri  tutti  gli  onori 

già  decretati  a  Nerone  suo  Ifratello  : 

Soldati  di  buona  voglia  esservì  pochi , 

E  quante  legioni,  e  quali  provincie 
gaardavano  riandò.  Il  che  invita  me 
ancora 

■  quanto 

■  mandò  a  Fregins. 

stavano  armate  de'  collegati , 
I. 


quando  la  fortuna  cominciò  di  repente 
a  voltare ,  esso  a  essere  o  altri  fare 
crudele  ; 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  capitano 
delle  guardie  »). 

non  per  suo  sapere 

Il  capitano  della  guardia 

in  campo 

prontamente 

viveranno  più  severi  piantandosi  fuori 
delle  lascivie  delle  città  il  campo.  Il 
quale  compiuto 

ornando  i  suoi 

volevano  intervalli. 

non  volea 

gli  andò  colle  pugna  in  sul  viso,  e 
Seiano  a  Druse,  il  quale  lo  li  battè. 

per  cose  aspettare  incerte  e  scellerate , 

a  Nerone  suo  fratello  confermarono  i 
padri  i  privilegi  fattili  : 

Pochi  soldati  esservi  di  buona  voglia , 

E  di  quante  legioni  e  quali  provincie 
guardavano  fece  listra.  La  qual  cosa 
invita  me 

e  quanto 

mandò  a  Friuli. 

stavano  armate , 

39 


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48S 


MOTAZIOIfl  B  GOBHBZIONI. 


24. 

50. 

54. 

460. 

5. 

44. 

45. 

48. 

49. 

459.  49.  gli  onori  oema  Sabbio  t'migiiorì  por 
«ntica  nobiltà ,  TÌrti  àvilo  o  gloria 
à*  armi. 

a  cima  d' oominì ,  di  prova  o  di  nome  : 

non  do'  boni  priyarle 

modi....  TÌIlanì 

tomoTO  di  DrasO) 

cbo  mottraiBO  altro  male  : 

Tiberio  mentro  darò  il  male,  ebbe  o 
finse  fermo  caoro  : 

erano  in  sedia  rile , 

0  oon  fflì  occhi  ascintti  e  parlar  non  rotto 
confortò  il  senato,  cne  dirottamente 
piangerà ,  dicendo, 

461.  2.  solendo  gli  afflitti  per  lo  più  fuggire  ì 

conforti  da'  pareoti  e  fa  luce  senza 
nota  di  deboleza  :  ma  esso  nelP  ab- 
bracdare  la  repnblica  aver  cercato  i 
veri  conforti. 

8.  per  qne*  giovanetti ,  e  fatte  lor  le  paro- 
le ,  li  presentaro. 

40.  figlinoli  avesse, 

46.  i  vostri  genitori: 

20.  tanto  volto  derise , 

24.  del  prenderne 
•    non  gli  fu  crednto 

462.  5.  oegaiano 

42.  variar  l'ordine; 

44.  il  (piale  come  giovane  la  tracanno;  e 
tanto  [nà  fece  credere  d'essersi  per 
paura  e  vergogna  ingoiata  la  morte 
che  al  padre  mescea. 

49.  nò  è  da  credere: 

20.  arebbo  così  alla  cieca  porto  la  morte 

25.  enormeza, 

27.  le  lingue  sfringuellano. 

28.  da  Apicata  di  Sciano  : 
465.     5.  riprovare 

»    per  isbandirle 

5.  a  non  anteporre  le  sconce  cose 

6.  e  non  stravaganti. 

9.  si  ravvivasse. 


gli  onori  ^migliori  per  nobiltà, 
0  gloria  d'  armi.  ^ 


virtft 


a  omo  d' nomini  provati  e  nomati  : 

non  i  beni  storcere. 

modi....  orridi 

temeva  gastigo  da  Druso, 

che  paresse  altro  male  : 

Tiberio  mentre  dorò  il  male  niente  te- 
mo ,  forse  finse  forte  animo  : 

sedevano  basso, 

e  senza  gittare  un  sospiro  con  parlare 
non  rotto  confortò  il  dirotto  piangere 
dal  senato,  dicendo, 

appena  udire  ì  parenti ,  fuggir  la  luce , 
solere  gli  afflitti  senza  par  deboli  :  ma 
esso  nell'  abbracciare  la  repobhca 
trovare  i  veri  conforti. 

per  ^e*  giovanetti ,  e  stmiti ,  li  presen- 
taro. 

figlino'  propri  avesse , 

i  vostri  padre  e  madre  : 

tante  volte  rise , 

del  prendersi 

non  se  gli  credette 

v'erano 

l'ordine  volgere; 

il  ^ale  bonariamente,  comn  ipovanSt 
ugorgìatala,  fece  creder  ricpiù  d' 
aversi  per  paura  e  vergogna  la  morte 
che  al  padròn  meteea  ingoiata. 

né  da  credere  è  : 

arebbe  porto  la  morte. 

enormità , 

le  lingue  si  sciolgono. 

da  Apicata: 

contraddire 

per  isbandirle  in  generale 

a  non  porre  le  cose  nm  credìbili 

e  senza  miracoli. 


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MCTAZIOMI  B  GORBEZIONI. 


4150 


14.  ÀTTeleaare 

1 6 .  Diedesr  danm  a  sparlare  delF  alterigia 
di  lei  :  solIeciUre  Agnsta  per  l' antico 
odio,  e  Livia  per  lo  nuovo  peccato, 
che  mostrassero  a  Cesare  che  questa 
superba ,  fondata  ne'  taqti  figliuoli , 
nei  favor  del  popolo,  spasimava  di 
regnare  ; 

23.  e  mandava  ad  Agrippina  a  darle  consi- 

gli a  rovescio, 

26.  per  eonforCo  i  Piegosi,  faceva  ragione 
a'  cittadini ,  sentiva  le  dimando  da' 
collegati , 

4.  fracassate. 

5.  publiche  atorsioni,  fosse  confinato 

46.  Anfizioni, 

24.  Questi,  già  mattaccini 

7.  i  padri:  per  mano  de* quali  per  ancora 
faceva  ogni  cosa  : 

44.  Panno  innanzi 

48.  imbambolato 

2a.  e  di  padre  e  madre  conf errati  ;  che  si 
durava  fatica  a  trovargli,  per  esser 
dismessa 

28.  per  le  molte  difficultà  che  v'  aveva;  e 
per  fuggirle,  si  emanceppava  colui 
che  pigliava  il  flaminato, 

2.  con  decreto  o  legge 

5.  ammodernava 

7.  E  per  dare  repvtasione  al  aacerdotio , 

e  animo  a  pigliare  gli  ordini ,  si  donò 
a  Cornelia,  rifatta  in  luogo  di  Scanzìa, 

40.  tra  le  Vestali. 

45.  erra  nel  troppo, 

47.  qui  si  versò  che,  pari  di  luì  vecchio, 

si  pregasse  per  que' fanciulli. 

20.  essendoli  parenti  o  principali  delle 
città  : 

25.  lasciandogli  fare. 

26.  dna 

5.  con  più  spavento  degli  altri  cadeva. 

6.  Offese  Tiberio 

8.  e  che  egli 


Avvelenarne. 

Servendosi  aduncpedelF alterigia  dì  lei, 
dell'  antico  odio  d' Agusta,  del  nnovo 
peccato  di  Livia ,  rìoiocolava  Cesare 
che  questa  superba  con  questa  sua 
progenie  e  favor  del  popolo,  spasi- 
mava dì  regnare  ; 

e  mandava  parenti  ad  Agrippina  a  darle 

consigli  pessimi , 
per  sollazi  i  negozi .  faceva  ragi<me  9^ 

cittadini ,  grazie  a^  collegati , 

disertate. 

pubblichi  storcimenti ,  si  portasse 

Anfitrioni 

Questi  che  già  erano  matteccini 

i  padri ,  <jie  davano  per  ancora  a  ogni 
cosa  di  collo  : 

V  innanzi  anno 

imbambolando 

e  di  padre  e  di  madre  confarratì,  per 
esser  cosa  faticosa ,  diceva  egli ,  a  tro- 
Targli ,  per  esser  dismessa 

molte  difficultà  avev&e  gli  emanceppava 
colui  che  pigliava  il  flaminato, 

con  decreto 

ammodemiva 

e  per  dare  al  flaminarsi  animo  e  ripu- 
tazione,  si  donò  a  Cornelia ,  vestitasi 
in  luogo  di  Scanzia , 

tra  loro. 

erra  cosi  nel  troppo, 

qua  si  versò  che ,  al  pari  della  sua  vec- 
chieza ,  si  pregasse  per  que'  fanciulli. 

come  suoi  intrinsechi  e  primi  dcUa 
città: 

lasciandola  fare. 

dne 

con  più  fracasso  e  spavento  de'  circo- 
stenti cadeva. 
Offese 
e  che  Tiberio 


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460 


MUTAZIONI  S  COBBEZIONI. 


487.  40. 
•   45. 


Perchè  i  beneficii  nUagrano  in  quanto 
si  p<Mon  rendere: 

VarroDe  consolo  non  sì  vergognò  ubbi- 
dire a  Seiano  in  dar  la  querela  con 
la  senteota ,  che  i  padri  loro  eran  ni- 
nicì.  ' 

■  25.  0  tenuto  mano 

4C$.    5.  diiee  ienpra  nò  mai  altro  per  ana  di- 
fesa. 

■  7.  tribnti ,  come  dicevano,  mal  presi  ;  che 


•   42. 
■    45. 


469.    5. 

•  4. 

•  8. 

•  21. 


per  parere 

perebò  molte  cmdeltò  trovate  da  gli 
adulatmi  temperò,  e  poteo  farlo  per 
V  autoriti  e  grazia  che  ebbe  sempre 
con  Tiberio. 

venga  come  I'  altre  cose  dal  fato 

destreggiando,  e  senza  nò  sempre  adu^ 
lare  nò  sempre  dir  contro ,  scansare 
perìcoli  e  vitto. 

le  mogli , 

Costui  di  brutta  orìgine ,  mala  vlta^  ma 
eloquentissimo,  si  fé  tanti  nimici , 


470.    2.  invecchiò  nel  sasso  di  Serìfo. 

■  8.  vede  in  camera 

»  46.  perchè  i  passati  capitani  quando  si  ve- 
devano aver  meritate  le  trionfali ,  ti 
lasciavano  il  nimico. 

■  49.  rinfrescato  d'aiuti  di  Morì  che,  per 

fuggir  V  insolente  imperìo  servile  di 
liberti  del  re  Tolomeo  figliuol  d'Iuba 
giovane  che  non  ci  badava,  andavano 
alla  guerra. 

474.  -  6.  ogni  mal' andato,  e  scapestrato  più  cor- 
reva: 
*    14.  gli  amadori  piA  di  libertà  che  di  ser^ 

a    45.  e  assedia  la  terra 

■  48.  i  luoghi  importanti  fortificò,  e  i  capi 

de'Musolani  soUevantisi  decollò.  E 
veduto  per  lungo  guerreggiare  con 
Tacfarìnate  non  si  vincere  questo  ni- 
mico scorrìdore 
•   23.  e  la  gente  da  scorrerìe 


Perchè  tanto  i  benefldi  rallegrano 
qnanto  si  possono  rendere: 

Varrone  consolo  per  gratairsi  Seiano 
che  odiava  Silio,  fece  con  vei^ogna 
sua ,  sott'  ombra  di  nimicirie  de'  pa- 
drì ,  l' accusatore. 

e  tenuto  mano 

sempre  questo  nò  mai  altro  disse  in  sua 
difesa. 

paghe,  come  dicevano,  ritenute,  d» 
ninno  ne  domandava  : 

per  sentenza 

e  molti  crudeli  ordini  d' adulatori  rao- 
condòy  senza  rispetto  :  e  pur  si  man- 
tenne in  autorità  e  grazia  di  Tiberio. 

sia  come  V  altre  cose  per  fato 

colle  destreze ,  e  senza  nò  rompere  nò 
adorare ,  scansare  pericoli  e  viltà. 

le  mogliere , 

Costui  per  sua  brutta  orìgine,  pravp 
q»ere ,  fendente  lingua ,  si  fé  tanti 
nimici , 

invecchiò  nel  sasso  di  Serìfo  le  triste 
quoia. 

vede  nel  letto  scompigliato 

essendo  a' capitoni  passati  basUto  con- 
seguire le  trìonfali  senza  spegnere  il 
nimico. 

rìnfrescato  da'  Blorì  di  liberti  e  sdiiavi 
fatti  soldati ,  del  re  Tolomeo  figliuol 
di  luba,  che  come  giovane  non  ci 
badò. 

se  nessuno  mal' andato  e  scapestrato 

v*  era ,  correva  : 
gli  amadorì  di  libertà,  non  di  servire. 

e  s' accampa  alla  torre 

luoghi  fortificò,  e  mozò  i  capi  da'  Ifu- 
solani  sollevatisi.  E  perchè  guerreg- 
giando con  Tacfarìnate,  s'era  veduto 
non  si  vincere  questo  nimico  scorri- 
dore 

e  la  gento  predatrice 


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MUTAZIONI  B  CORREZIONI. 


461 


2.  d' immeiuo  bosco. 

IO.  Per  le  squadre 

19.  ebbene  Dolabella  maggior  rinomo,  per 
avere  con  minore  esercito  fatto  gran 
prigioni , 

22.  morto  Tacfarìnata ,  sbattuti  scolparsi  col 
popol  romano. 

-1.  prima,  con  ragananze  segrete, 

9.  che  ne  menò  il  capo  e  i  principali  a 
Roma, 

13.  un  figlinolo  accasò  il  padre: 


45.  lindo  e  gioìante 

18.  e  Cecilie  Cornato  stato  pretore 

22.  rimettesserlo  nel  suo  esiglio.  lontano  da 
modi  tali  :  seguisse  mai  più  il  suppli- 
zio di  cotal  mostro.  Sagramentava , 
Cornato  esser  innocente,  fattosi  paura 
dell'  ombra  :  che  più  bello  che  far  ve- 
nire i  compagni? 

4.  a  grande  onta 

1 1 .  contro  a  Sereno  vecchio, 

15.  nel  qnal  tempo  gli  tese  pia  trappole; 

U .  fa  riportato 

!4.  alla  scoperta  opposto  : 

Ì5.  anzi  che  i  conservadorì  di  esse. 

19.  convinto  d'averlo  eoo  versi  infamato, 

7.  Ma  egli ,  essendo  P.  Suilio  tesoriere  gih 
di  Germanico  cacciato  faor  dU  Italia 
per  moneta  presa 

15.  e  sempre  senza  bontà. 

5.  di  maestà  data 

»  Costai ,  com'  è  detto,  aveva  carrucolato, 
e  poi  accusato  Lioone. 

7.  sott'  altro  colore 

4 .  a'  frumenti , 

9  zuffe  della  plebe  co'  grandi  :  larghissimi 
campi.  U  nostro  è  stretto  e  scarso  di 
lode  : 

8.  membrctti 


d' infinito  bosco. 

Per  li  padiglioni 

e  fece  Dolabella  più  rinomare  d'  avere 
avuto  minore  esercito,  fatto  gran  pri- 
gioni , 

chieder  mercè,  morto  Tacfarìnata,  al 
popol  romano. 

prima  ragunanze  segrete , 

il  qaale  ne  menò  il  capo  e  i  principali 
a  Roma, 

fa  accusato  un  padre  dal  figliuolo  : 

(L'  esempi,  del  C.  Mortara  :  «  un 
figlio  spiò  il  padre  tt). 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  lindo  e 
gaio  »). 

e  Cecilie  Cornuto 

rimettesserlo  nel  suo  esiglio  per  non  ve- 
dere la  faccia  né  il  supplizio  di  mo- 
stro cotale.  Sagramentava,  non  avere 
Cornuto  peccato;  essersi  spaventato 
dell'  ombra ,  potersene  agevolmente 
sapere  il  vero  da' compagni. 

con  grande  onta 

contro  a  Sereno, 

e  in  questo  tempo  più  ondni  attaccò  ; 

fu  portato 

opposto  : 

anzi  che  chi  pon  mano  ad  esse. 

convinto  d'  averlo  messo  in  canzone , 

Ma  egli,  cacciando  il  senato  fuori  d'Ita- 
lia P.  Suilio  Tesoriere  già  di  Gep* 
manico,  per  moneta  presa 

sempre  senza  bontà. 

data  di  maestà 

Costui  aveva ,  com'  è  detto ,  Libone  al- 
lettato e  poi  spiato. 

sott'  altra  spezie 

al  caro, 

zuffe  della  plebe  co'  grandi.  Il  campo 
nostro  è  stretto  e  scarso  di  lode  : 


mcmb  retta 


59- 


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462 


MITTAnOllI  B  COIUZIONI. 


476.  4^,  Fonia  di  repablica  quindi  tratta 

•  17.  e  comandalo  nn  solo  ;  queste  minnxie  ci 

bisogna  specolare 

•  20.  Oneste  arrecano, 
■   24.  rìnscite 

477.  4.  ii  cui  posteri 

•  ■    fossero  speoti^ 

•  5.  anche  la  virtù  e  la  gloria  ha  de'nimici. 

quasi  riprendenti  troppo  da  vicino  i 
loro  contrari. 


t    44.  compresi 

•  45.  ma  lode 

»  47.  loda  tanto  Gneo  Pompeo,  che  Agusto  il 
dicea  pompeiano,  e  por  se  lo  ritenne 
amico: 

478.  2.  o  modestia  o  sapienza  : 

■  5.  Al  piò , 

»     7.  Vo  io  forse ,  con  Cassio  e  Bruto 

t  47.  possan  lerar  le  memorie  a'  posteri  col 
punire  gP  ingegni  :  anzi  dan  loro  più 
credito. 

»    21 .  tante  le  cause , 

■  22.  venuto  per  le  ferie  latine  in  tribunale , 

»  24."  gli  renne  innanzi  contro  a  Sesto  Mario, 
ma,  biasimatone  in  publìco  da  Cesa- 
re ,  fu  mandato  in  esilio. 

479.  5.  sagresante, 
»    45.  tempio 

•  45.  m'è  legge, 

■  »    perchè  al  mio  divino  onore  era  con- 

giunta la  venerazion  del  senato. 

■  49.  e  l'onore  d' Agusto 

•  22.  e  '1  soddisfare  al  grado  in  eh'  io  sono, 
»    28.  negli  animi  vostri, 

480.  4.  edii; 

•  »    a  questi , 


Altra  forma  di  repablica  qmndi  tratta 

né  altro  si  può  che  quanto  vuole  va 
solo,  questo  ci  bisogna  specolare  e 
notare 

Arrecano  queste  minuteze , 

e  riuscite 

li  cui  discesi 

fossero  bene  spentì , 

la  stessa  virtù  e  la  gloria ,  se  il  caso  lire* 
SCO  la  condanua,  stizisce  (4). 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  tse 
troppo  '1  caso  fresco  s). 

comprese 

ma  in  lode 

dona  a  Gneo  Pompeo  tante  lodi,  che 
Agusto  gli  disse  pompeiano ,  e  non 
ne  gli  volle  male  : 

tra  modestia  o  sapienza . 

0  al  più , 

Domine ,  che  fo  io?  ro  forse  con  Cassio 
e  Bruto 

possan  tenere  di  non  esser  ssputi  dalli 
avvenire  col  punir  V  iugegni  :  anzi 
questo  li  fa  più  stimare. 

tanto  le  accuse, 

venuto  in  tribunale, 

gli  venne  innanzi  contro  a  Sesto  Mario 
per  le  ferie  latine ,  cosa  da  Cesare 
pubblicamente  biasimata,  e  àianda- 
tono  Salvìano  in  esilio. 

sagrosante , 

il  tempio 

m'  è  tramontana , 

Aggingnendo  il  mio  divino  onore  al  se- 
nato  venerazione. 

e  V  onore  ad  Agusto 

e  se  io  tengo  il  primo  luogo  mi  basta, 

ne'  vostri  animi , 

e  dii  e  die  j 

questi , 


(  I)  Qai  pone  U  Mgvente  postili*  tralasciata  dipoi  per  qi^Uto  d«Ua  GorrcàoM  falla:  «  leggo 
come  il  Mgrolario  rioobeaa,  nimU  i 


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MUTinONI  B  CORREZIONI. 


463 


5. 

a^elU, 

7. 

per  YÌItà 

43. 

e  riscaldato 

18. 

ambito 

20. 

gran  cosa , 

22. 

a' cavalieri  romani; 

23. 

dell'amico. 

50. 


i  figlinoli:  che,  quanto  a  ae.  gli  sarà 
d'  avanzo  aver  terminato  la  vita  al 
servigio  d'nn  tanto  principe. 

guardare  a  quello  che  fa  per  loro: 
a'  prindpi  non  convenire  : 


,  dimembrare  queste  discordie 

Quando  io  il  passi ,  credi  tu  che  stian 
forti  quei  cne  hanno  veduto 

che  vi  ti  starai  ; 

che  entrono  contro  tua  voglia  e  d' ogni 
cosa  dicon  la  loro  ;  sanno  molto  ben 
dire,  che  egli  è  un  pezo,  che  tu 
uscisti  di  cavaliere ,  e  che  mio  padre 
*Don  alzò  mai  uno  tanto,  e  mene  bia- 
simano per  invidia. 

Mi  ti  sono  aperto,  come  amico,  né  mi 
opporrò  a'  disegni  tuoi  e  di  Livia. 

e  animo  verso  di  me , 

che  venivano  a  corteggiarlo, 

dava  alle  lingue  che  dire  : 

uomo  di  grand'  ingegno, 

sue  vergogne 

volerle  purgare  allora  in  giudizio  : 

di  lesa  maestà. 

per  storici 

noia  tolto  in  guerra  da  Filippo  di  Mace- 
donia ; 

cosi  i  Milesi  per  pubblico  compromesso 
lodato  : 

per  antichità 

bandito, 

bandito  per  legge , 


quelli , 

per  vile  animo. 

e  stimolato 

chiesto 

cosa  bellissima , 

a  cavalier  romano  ; 

di  chi  V  ainava. 

i  suoi  figliuoli:  che  quanto  a  M  era 
vivuto  più  che  non  meritava  con  sì 
buon  principe. 

pensare  quello  che  faccia  per  loro: 
a'  principi  non  così  convemre  : 

(L'esempi,  del  C.  Mertara:  «  guar- 
dare »). 

queste  discordie  dimembrare 

Quando  vi  ti  lasci  stare  io ,  credi  tu  che 
il^atiscano  quei  che  hanno  veduto 

che  vi  starai  ; 

che  ti  rompono  il  capo  e  d' ogni  cosa 
piglian  l'orma  da  te,  sanno  ben  dire 
eh'  egli  è  un  pezo  che  tu  uscisti  di 
cavaliere,  e  che  mio  padre  non  fece 
mai  uomo  si  grande ,  e  me  ne  biasi- 
mano per  invidia. 

Come  amico  ti  ho  detto  che  questo  di- 
segno a  me  non  piace  ;  fate  tu  e  Li- 
vìa  quanto  a  voi  piace. 

e  animo  tuo  verso  di  me , 

che  venivano  a  corte, 

dava  alle  lingue  materia . 

bel  poeta , 

le  sue  vergogne 

volerle  purgare  quivi  allora  o  con  prò* 
cesso: 

di  maestà  danneggiata. 

.  per  loro  storici 

ma  tolto  per  forza  da  Filippo  di  Mace- 
donia nelle  guerre  fra  loro; 

i  Milesi  di  volontà  libera  conceduto  : 

per  l'antichità 
bandito  per  legge , 
bandito, 


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464 


MOTAZIOMI  E  COftWKZIONL 


pag.     wr. 

483.  26. 
»    50. 


con  esercito  pusò  PAlbi,  e  più  eatro 
di  tatti  penetrò  la  Germania , 

e  lui....  mandò  (poTanetto  in  Marsiglia, 
ove  sott'  ombra  di  stadio  stesse  in 
esilio. 


» 

32.  gli  decretò  ese^e, 

'ISf 

4 .  osci  addosso 

2.  che  per  la  pace  non  si  gnardaTa , 

5.  il  eavallo,                                        , 

7.  Con  voce  alta  disse  in  sua  lingna,  «  che 
e' perdevano  il  tempo:  fossero  pnr 
eglino  quivi  presenti  ;  che  per  quan- 

40.  si  scote  da' fanti  di  sì  gran  forza, 

4C.  di  quelle  alte  ed  aspre  montagne, 

49.  mandare  aiuti  a  lor  posta,  sotto  lor  ca- 
pitani, 

485. 

42.  rimasi  in  fede. 

43.  postosi  a' passi 

46.  la  schiena  d' on  monto, 

24.  uscita  de' castellani 

23.  per  strepito  di  canti 

27.  poi  datisi  ai  piaceri  e  dì  preda  arricchi- 
ti, lascian  lor  posto, 

50.  una  i  saccheggianti  > 

34 .  per  pigliare , 

48G. 

44.  i  cavalli  e  gli  armenti 

49.  i  migliori  (benché  diversi  nel  modo) 
uscir  fuori 

22.  solo  rimedio; 

487. 

6.  di  cadaveri  ;  ponti  e  scale 

8.  splgnere. 

9.  con  torgato,  lanciottate,  sassi  e  can- 
toni. 

44.  nò  amici  da  nìmici 

4  6.  in  guisa  che  alcuni  romani  abbandona- 

rono  le  trincee ,  credendole  sforzate. 
Pochi  de'  nimici  v'  entrarono  :  gli  al- 
tri morti ,  0  feriti  i  migliori  :  all'  alba 


passò  con  esercito  V  Albi ,  e  in  Germa- 
nia penetrò  il  più  entro, 

e  lui....  scacciò  giovanetto  in  Marsiglia, 
coprendo  collo  studio  l'esilio. 

V  onorò  di  esequie , 

affrontò 

che  per  la  pace  non  avea  guardie, 

il  palafreno, 

(Coti  anche  piò,  $otU>). 

Con  voce  alto  e  reca  disse  in  sua  lin- 
gua :  «  Non  vi  affaticate,  fossermi  essi 
tutti  qui  a  petto,  per  quantunque  spa- 
simi non  confessereili.  » 

di  sì  gran  forza  si  scote  da'  fanti , 

di  quelle  alte  montogne  aspre 

mandare  aiuti  quando  vien  l<Nr  bene 
sotto  capitani  loro, 

restoti  in  fede.  ' 

postosi  ne' passi 

la  cima  d' un  monto , 

uscito  di  castellani 

per  tumulto  di  canti 

poi  piacere  e  dovizia  gli  vinse ,  lascian 
le  poste , 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  da* 
tisi  al  piacere ,  dì  preda  arricchiti  »  ). 

una  i  tracotati , 

per  pigliarlo, 

gli  armenti 

i  migliori  uscir  fuori 

per  lo  migliore  ; 

dì  corpi ,  ponti  e  scale 

sforzare. 

con  tergete,  ferite,  accatasteti  sassi. 
(L'esempi,  del  C.  Mortara  :  «  mo- 
ricce  e  cantoni»). 

né  amici  né  nimid 

in  guisa  che  essendo  certi  pochi  entrali 
entro  le  trincee,  alcuni  romani  le  ab- 
bandonaron  credendole  sforzate  :  po- 
chi de' più  arditi  nimici  y' entrarono, 


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MUTAZIONI  B  CORREZIONI. 


465 


ffU  altri  faron  morti  o  feriti ,  o  all'al- 
ba ripinti  anso  al  castello  che  si  ebbe 
a  fona ,  e  i  saoi  contorni  d' accordo  : 
il  resto  difese  da  sforzo  o  assedio  lo 
cmdo  gielo  del  monte  Emo. 

per  ordire  la  morte  d'Agrippina ,  Clan- 
dia  Bella 

ma  vede  ora  di  colassù  e  arrossa  degli 
smacchi  e  sfarilla  de'  perìcoli  miei. 
Lascia  star  la  Bella , 

Per  tali  parole ,  del  taciturno  petto  vsci 
poco  altro  che  ^el  verso  greco: 

La  Bella 

e  Tiberio  confermò  ben  averlo  egli  detto 
valente. 

listò  fama  di  pia  dcqneni a  che    acipiistò  fama  di  pia  ciarla  che  bontà  : 


foron  ripinti  anso  al  castello  che  s'ebbe 
a  fona  ;  e  i  suoi  cmitonii  d' accordo  : 
il  difese  da  afono  o  asaedìo  l'  avae- 
dato  e  erodo  gielo  del  monta  Emo. 

per  ordire  ad  Agrippina  la  morte ,  Clan- 
dia  Pnlcra 

mi  l'immagine  vera,  nata  di  celeste 
sangue,  vede  i  pericoli  e  sente  gli 
smacchi.  Lascia  star  la  Pnlcra , 

Tali  parole  fecero  nsdr  Tiberio  tanto 
capo  ;  e  ripreaela  con  ^el  verso  greco 

La  Palerà 

e  Tiberio  con  l'antorità  il  confermò. 


aconistò 
bontà 

ammalata  e  visitata 

Ma  Cesare  che  intese  quanto  importaa- 
aero' quelle  dimando, 

lasciò  di  se  e  de' suoi, 
ceoandogli  allato , 

a' serri. 

poca  ragione. 

la  gloria  sola 

d' Apoliine  i  lllileai ,  di  Diana  gli  Efesii. 

Cresciuti  di  nuovo  i  Lidi , 

lor  fiumi  fertili,   aria  ottima,  ricche 
terre  vicine. 

divina  stirpe 

nel  consolato....  quando 

grande  si ,  ma 

e  in  Asia  possenti  re  : 

in  consiglio ,  ciascuno  si  spogliò  le  sue 
e  mandaronsi  alle  legiom  abbrividate. 

disse  che 

t'eleggesse  nn  operaio  a  fare  qoel  tem- 
pio: 


^«  li  si  mandò 


ammalò  e  visitata 

Ma  Cesare  che  intese  che  questo  era  nn 
chieder  di  succedei^h , 

lasciò  della  vita  di  lei  e  de' casi  da' suoi, 
mangiandogli  allato, 

(L' esempi,  del  C.  Mortara .  «  stan- 
dogli »). 

allo  scalco. 

ragione  poca. 

non  altro  che  la  gloria 

d' Apolline  gli  Efesii ,  di  Diana  i  Hileù. 

Di  nuovo  cresciuti  i  Lidi , 

rendite  de' loro  fiumi,  bontà  dell'aria, 
grassezza  della  terra. 

divino 

quando  fu  consolo,  che 

grande,  ma 

e  possenti  re  in  Asia  : 

ragunati  in  congiglio  ;  ciascuno  i  suoi  si 
trasse ,  e  si  mandare  alle  legioni  ab- 
briridanti. 

aggiunse  che- 
fosse  soprantendente  agli   operai  del 
tempio  : 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  fa- 
cesse un  ■  ). 

ri  si  mandò 


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4M 


MCTAZIOia  B  COBmBZIOia. 


eh'  ai  propooMM,  gK 


2.  «iMifolm, 

49.  DÌManlo  gli  itralai^lR  partito  in  Moto 
da  nan  tomara  in  Rana.  Cka  in  ro- 


24.  e  sia  tcnra  la  Terìtk. 

26.  la  mora 

32.  senrenti. 

»    Faggirooo  tatti 

53.  capo 

492.    3.  e  ogni  rea  coaa 
.  era  creduta, 

42.  si  facea  giuoco. 

47.  fenBandoaeae,  per  contro,  in  iÌMcia,  e 
rìdendoeene  i  seianesi. 

'20.  cipiglio  o  giugno  falso. 

24.  che  gli  era  innaui  e  già  barcollava, 
desse  la  pinta  : 

25.  P  altera» 

403.  3.  maggior  scacco, 
6.  non  tralignante  : 
9.  finì  seco. 

45.  a  peggio  incatenato 
■    tal  negozio 

404.  4.  fl  flagello. 

6.  spettatori 

8.  che  di  dì  Todarano  6  di  notte  ndivan 
lor  mogli  e  figlinoli  orlare  e  piagowe. 

44.  a  di  qualunque  per  altro  non  si  riTede» 
Ta ,  si  stava  con  tremito  tanto  mag- 
giore, quanto  più  incerto,  sin  ni 
chiaro  cui  la  rovina  cogliesse. 

44.  Scoprendosi  quelle  rovine, 

25.  monte  Celio, 

29.  e  con  tal  pasto  gittate  in  gola  a  Gerbo> 
ro,  lo  racchetò. 


morto  lui , 

Dioavano  i  savi  in  astrologia  eV  a?  pai^ 
tio  in  punte  che  gli  negava  la  tonata 
in  Rena.  Che  fn  rovina 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  s  Ciò 
fa  rovina  »). 

a  scuri  la  verità. 

lei 


405.     7.  perdo  eonsagrata  da' nostri  antichi  nel 
tempio  della  madre  degV  iddìi. 

»    42.  perchè  di  quèrce  pieno  era  e  fertile, 
n    46.  al  foro. 


sergenti. 

Tutti  fuggirono 

e  capo 

a  d' ogni  mala  cosa  eh'  ei  proponasBc 
«ra  creduto, 

ai  fa  giuoco. 

«  ^h ,  fermate  1  eh ,  aegnile  I  ■  diocado 
e  rìdendosene  i  seianesi. 

dprìgno,  o  falso  ghigno. 

tk»  gli  stava  innanzi,  già  crollato, 
desse  la  spinta: 

V  atroce  spinto 

maggior  sacco, 

non  traligno  : 

morì  seco. 

e  incatenato 

tale  spesa 

il  male. 

spettatori  intenti 

che  dì  e  notte  mnaghiavano  eoa  lare 
mogli  e  figliuoli  d' intorno. 

e  chi,  per  cbeche  fosse,  non  potè, 
stava  de^  suoi  con  tremito,  anzi  tvtti 
di  tutti ,  sì  non  fu  chiaro  coi  la  ro> 
vina  cogliesse. 

Levandosi  le  materie 

il  monte  Celio, 

(L' esempi,  del  C.  Mortara  :  «  e  con  tale 
ingoffo  lo  racchetò,  a  Vedi  la  po- 
stilla a  questo  luogo). 

la  quale  i  nostri  antìdii  eonsagraroao 
nel  tempio  della  madre  degli  dii. 

perchè  di  tale  pianta  pieno  ara  e  ferace. 

al  mercato. 


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MUTAZIONI  B  COIRBZIONI. 


ler 


2^C]iadia  Palerà, 

25.  alla  spiagione 

\.  n  senato  ToUe  ehe  si  aspetteasi  Pìmpe- 
radore ,  nnico  soprattieni  agli  argenti 


mali. 


8. 


appena  potervisi  accostare navili  piccoli, 
né  alcuno  di  nascosto  approdarvi: 


dUrìa  il  yemo  dolce 


U.  intorno  a  gli  edifizi  e  a'  nomi  di  dodici 
ville: 


4S.  con  insidie  gii  scoperte  contro  a  Nerone 

e  Agrippina. 
22. 1  piaza  piena , 
".  né  la  risparmiò 
20.  coosaltano , 

9-  chi  entra  ne' suoi  affanni, 
^-  elor  vituperio. 

7.  e  qualunque  orecchio  : 

8.  eran  guardate  intomo ,  se  ri  dormisse 

lo  scarpione. 

N- disse, 

'2.  che  voleva  dire , 

'^«  gridava  quanto  n'  aveva  nella  gola , 

^'  Tiberio  non  ha  inteso  tirarsi  tanf  odio 
addosso,  ben  ci  ha  chi  ha  volato  mo- 
strare ,  che  i  magistrati  nuovi  si  pos- 
con  cominciare  dalle  carceri,  come 
dai  tempii  e  altari.  E  qual  giorno , 
dicevano,  fia  scioperato  il  carnefice , 
se  oggi  tra  i  saffici  e  F  orazioni , 
che  non  si  suol  dire  parola  mondana, 
s' adoperano  le  manette  «  i  capestri  ? 

7.  non  volle  mai 

°-  ma  sempre  eh'  ci  ne  fu  stucco,  si  servì 
de'  nuovi ,  e  i  vecchi  noiosi  si  tolse 
dinanzi. 

^'  Ma  Seiano  il  mitigò  :  non  per  giovare  a 
Gallo ,  ma  perchè  il  principe 

2.  e  mostrò 


Claudia  Bella , 

alla  querela 

n  senato  la  mandò  allo  imperadore, 
unico  soprattieni  a  simili  mali. 

non  potervisi  accostare  che  navilii  pic- 
cou,  gente  poca,  scoprirsi  subito, 
d' aria  il  verno  dolce , 

a  disegnare  fabbriche  e  nomi  di  dodici 
ville: 

(L'  esempi,  del  G.  Mortara  :  «  si 
pose  intorno  a  dodici  ville  di  beino- 
mi e  palagi.  »  Vedi  la  nota  a  questo 
luogo). 

con  insidie  contro  a  Nerone  e  Agrippina 
gih  aperte. 

qaando  la  piaza  è  piena , 

non  la  risparmiando 

fanno  consiglio , 

chi  conta  suoi  affanni , 

e  la  loro  vergogna. 

e  tutti  gli  orecchi  : 

guardavano  intomo. 

venne  a  dire , 

questo  voleva  dire , 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  gridava 
h  cormomo  »). 

E  qual  giomo,  dicevano,  fia  scioperato 
il  carnefice  se  oggi  tra  i  sacrifici  e 
P  orazioni ,  che  non  si  suol  dire  pa- 
rola mondana,  s'adopefano  le  ma- 
nette e  i  capestri?  Ha  ben  saputo 
Uberio  che  farsi,  a  tirarsi  tanta  ma- 
livoglienza  :  ha  voluto  insegnare  che 
i  magistrati  nuovi  si  cominciano  dalle 
carceri  e  non  dai  tempii  e  altari. 

non  voleva 

ma  quando  ci  n'era  stacco  dava  loro 
per  mano  de' loro  scambi  la  pinta. 

Ma  Seiano  disse  :  «  Eh ,  Gallo  ha  ragio- 
ne »  non  per  giovargli ,  ma  perchè  il 
prìncipe 

e  mostrava  -> 


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468 

409.  24.  di*  per  loro  traeoUnza. 
t   27.  soldato  primipilo 


MUTAZIONI  E  GOftUZIOMI. 


«ke  loro 

soldato  degl'mnanri 

(L'eMinpI.  del  G.  Mortara:  «  nno 
de'prìmipili  »). 


•  28.  ^a  quel  ragguaglio. 
200.    4.  9  figlnoU  al  servifio. 

•  6.  rifaggio 

•  44.  messe  in  Frisia. 

»  •  Lasciato  auell'  assedio ,  i  ribelli  andaro 
a  difenaere  casa  loro. 

•  45.  per  passare  f^i  armati: 

•  24.  il  capitan  romano  non  ne  to'  Tendetta , 

•  26.  Inogbtenenti  e....  capitani. 

■  29.  per  tema  di  tradigione  essersi  ammanti 
V  nn  l'altro. 

»  84.  Paura  intema  di  tribolara.  a  eoi  si 
ceresTa  rimedio  con  V  adulare.  Per 
ogni  cosa  che  si  trattassi,  delibera- 
▼ano  altari  alla  Clemenza , 

201 .  2.  e  molta  jplebe  corsero  affannati  per  to- 
der  Sciano  :  cosa  ardua ,  ambita  con 
faTori  e  con  farsi  compagno  alle  scel- 
lerateze.  Fasto  senza  dubbio  gli  ac- 
crebbe ^el  brutto  senraggio  apparso 
molto  più  quivi  ;  perchè  in  Roma  le 
strade  corrono,  la  città  ò  grande,  non 
si  sanno  i  negozi.  Qnifi  per  i  campi 
e  lite,  tutti  a  un  modo  giacieno  dì  e 
notte,  aspettando  a  discrìzione  de' 
portieri  :  e  questo  anche  Tietato^  lor- 
naroosi  a  Roma  sbaldanziti ,  cu  nt» 
degnò  udire,  né  yedere:  altri  con 
baldanza  infelice  di  quell'amicizia, 
cni  sopfastaTa  rovina. 


a  quel  campione. 

e'flgUnoli. 

foggio 

portò  in  Frisia. 

I  ribelli  che  quel  castello  assediarano,  ' 
andaro  a  difendere  casa  loro. 

per  passare  la  gente  : 

-il  romano  capitano  non  le  gastigò, 

(L' esempi,  del  G.  Mortara  :  «  prefetti 
e....  centurioni  »). 

vedendosi  tradire  essersi  amazati  V  uà 
l'altro. 

Tiremayano  di  paura ,  e  non  saperan  far 
altro  che  adulare,  contendere  e,  a 
ogni  poco,  deliberare  altari  alla  Óo- 
menza,  , 

e  eran  parte  della  plebe  corsero  tram- 
basciati per  aver  da  Sciano  udienza , 
cosa  ardua  ^  ambita  con  favorì  e  ra- 
gnnati  consigli.  Fasto  senza  dubbio 
gli  accrebbe  lo  brutto  servalo  che 
vedea  farglisi  molto  più  quivi  ;  per> 
che  in  Roma  ogn'  un  va  e  viene  n 
corte ,  la  città  è  grande ,  non  ai  sa  a 
che  fare.  Quivi  giaceva  per  terra  o  in 
suir  arena  ogn'  uno  a  un  modo  dì  e 
notte,  aspettando  grazia  o  villania  dei 
portinai:  e  anche  questa  levata  tor- 
narmisi  a  Roma  sbaldaniiti  cni  non 
degnò  udire  né  vedere:  e  sbalorditi 
CUI  soprastava  per  V  infelice  amicizia 
rovina. 

(Nelle  Mutaxioni:  «  spauriti  cui 
non  degnò  udire  nò  vedere ,  e  alcuni 
gallusavano  della  sopraatante  mala 
amicizia  per  loro.  »  Nell'esempi,  del 
C.  Mortara  leggesi  questa  mutazione 
scritta  nel  margine). 


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MUTAZIONI  E  GOIBSZIOMI. 


lilBRO   flUINTO. 


L  \.  L'rano  che  fiiroa  consoli  Rubellio  • 
Fiifio,  amcDdae  Gemini ,  mori  Giulia 
Agosto  decrepita ,  di  nobiltà  chiaris- 
sima ,  nata  de^  Claudi ,  ne'  Lirì  e  ne' 
Giuli  adolUta. 

'    6.  Iodi  Agosto 

I   7.  e  senu  aspettare  il  parto, 

»  9.  ma  congiunta  per  lo  maritaggio  d'Agrip- 
pina  e  Germanico  col  sangue  d^  Agosto 
ebbe  seco  i  bisnipoti  comani. 

^  0.  moglie  agoTole , 

*  4.  alle  ?(^lie  del  marito ,  con  la  simula- 
none  del  fidinolo  accomodatasi. 

U.  ut  ammesse  pochi 

^2.  essersi  vietato  ella  onori  celesti. 

45.  piccando 

44.  graiioso  alle  donne  \ 

47.  Quindi  il  governo  fu  più-  violento  e  cm. 
dele:  perchè  vivente  Agusta  v'era 
dove  ricorrere  ; 

22.  fo  letU. 

23.  non  arme , 

24.  ma  amorì  dì  giovani 

2.  allibb'i. 

3.  eotrarono  in  grazia  per  nuocere 

S-  accinto  iscoccò  sua  sentenza  atroce  : 


S-  grancancelliere 

44.  teoiendo  il  male  iiitaro 

42.  e  i  consoli  dubitanti 

46.  e  ben'  agurando    a  Cesare ,  gridava , 
quella  lettera  esser  falsa  : 


L'  anno  che  Inron  consoli  Rubellio  e 
Fusio,  Gemini  ambo,  mori  Giulia  Agu- 
sta vecchissima ,  di  nobiltà  chiarissi- 
ma ,  de'  Claudi  nata ,  ne'  Liri  e  ne' 
Gioii  adottata. 

Indi  Cesare 

e  senza  darle  sosta  a  partorire  j 

ma  come  congiunta  col  sangue  d'Àgusto 
per  lo  maritaggio  d'Agrippina  con 
Germanico ,  ebbe  per  suoi  i  figlino' 
loro  bisnipoti  d'Àgusto. 

trattabile  mog^e , 

prese  con  arti  il  marito ,  lasciolla  faro 
il  figliuolo. 

ne  ritenne  pochi 

aver  vietato  ella  coee  celesti. 

mordendo 

dì  donne  allettatoro 

Il  governo  per  innanzi  precipitò,  perchè 
ella  riparava  alle  cose;  (4) 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  n'an- 
dò in  rovina  e  violenza  s). 

letta  fu. 

ma  non  arme , 

amori  di  giovani 

basì  di  paura. 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  col  nuo- 
cere »). 

stava  accinto  per  iscoccare  sua  sentenza 
atroce: 

(L'esempi,  del  G.  Mortara:  «  per 
ìscoccar  sentenza  »). 

segretario 

vedendo  il  male  volturo 

e  ì  consoli 

e  gridava ,  <|ue1Ia  lettera  essere  (con  ri- 
verenza di  Cesare)  falsa: 


MgreUrio 

tue  ia  vtrgMs, 


Qui  h*  la  seguente  postilla:  «  Racconcio:  m  n'  andò  in  rovina  e  violenta,  col  parere  do 
io  ficcliena,  dw  la  parola  urgens,  ben*  operante,  •  comoae  a  tatti  i  testi,  non  sia  da  ma- 
frgtna.  » 


40 


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470 


MUTAZIONI  B  COBBSZIOMI. 


204.  22.  naovo  dkari*  da' padri: 
»    23.  che  altro  ratta 

206.  I.  non  doloroaa, 

■  9.  Trattoasi  poi  di  P.  Vitelfio  e  Pomponio 

Socondo. 

»    40.  la  chiaTO  ch'era  in  ina  cura  del  danaio 
per  la  gaerra , 

•  44.  Aintolli 

■  46.  Sfiati  per  mettern  a  icrìTere 

207.  40.  snpplino  de' trìnnuTiri , 

208.  43.  e  per  P  altro  mare  entrato  in  Nieopoli 

colonia  romana ,  do?«  finalmente  in- 
tese che,  domandato  meglio  dù  e' 
foaae,  aTetra  detto, 

•  46.  Sfiati  ir  voleiee  in  Italia. 

■  20.  che  come  litigante  pigliava  nimidiie  per 

poco,  diede  fiancata  a  Begolo  d'  an- 
dare molto  adagio  alP  opprimere  i 
ministri  dì  Sciano.  Egli  che,  non 
tocco,  era  modesto,  ribattè  il  collega, 

•  25.  da  rovinarvi  ; 


nnoTO  dicerìe,  nuovi  decreti  de' padri: 

che  altro  ci  resta 

non  addolorata, 

Furon  poi  proposti  P.  Vitellio  e  Pom- 
ponio Secooao 

la  chiaTC  del  danaio  della  guerra , 

SeampoUi 

^asì  per  raschiare  componimenti 

sttpplirio  tirannico, 

e  per  V  alto  mare  entrato  in  NieopoG 
colonia  romana....  finalmente  intese 
meglio,  e  domandatogli  chi  e'  fosse, 
disse, 

^pasi  per  V  Italia. 

che  pi(0iaTa  nimidzie  per  poco  come 
litiffante ,  trafisse  Begolo  d'  esaere 
molto  ada^o  ito  all'  opprimere  i  mi- 
nistri di  Sciano.  Eisli  che  modesto  era, 
non  provocato,  ribatto  il  collega , 

da  rovinarci  ; 


lilBRO    SESTO. 

.NB.  Nella  ediùone  Giuntina  il  presente  libro,  unito  ai  frammentt 
del  precedente ,  porta  U  titolo  di  Libro  Quinto, 


210.  44.  sinisealchi 

•    47.  si  diceano  atroci  parole 

«  48.  contro  eriandio  ai  ritratti  e  memorie  di 
.  lei ,  e  che  i  beni  di  Sciano  si  scarne- 
ressero  e  mettessero  nel  fisco,  qnasì 
con  la  medesima  rèssa ,  come  s' ella 
importasse.  E  forse  che  questi  non 
erano  Scipioni ,  Sileni  e  Gasaii ,  tra' 
quali  gran  nomi  ingeritosi ,  non  senza 
nso,  Togonio  Gallo  di  bassa  mano, 
pregava  il  principe  a  scerre  un  nu- 
mero di  senatori ,  da'  quali  venti  per 
volta  tratti  per  sorte,  con  Parme  a 
canto  gli  facesser  la  guardia 


si  diceano  atroci  pareri 

contro  eriandio  alle  impronte  e  memo- 
rie di  lei  **  Sdpioni  proposero  che  i 
beni  di  Sciano  di  camera  nel  fisco  si 
riducessero.  Gotali  erano ,  poche  pa- 
Tole  mutate ,  de'  Sileni  e  dcrCassii  le 
calde  pronunzie  \  quando  si  riso  sa 
Togonio  Gallo,  uomo  di  terra ,  e  tra 
quelli  alti  nomi  non  senza  riso  inge- 
ntoai ,  pregava  il  principe  a  scerre  nn 

*  numero  di  senatori ,  de^  quali  venti 
per  volta  tratti  per  sorte ,  con  P  arme 
sotto  ffì  facesser  la  guardia 

(L'esempi,  del  G.  Mortara  :  a  «o- 
mo  nuovo  >). 


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MUTAZIONI  B  COBSBZIONI. 


47i 


5.  )»urlara, 

7.  itati  di  migìfIraW, 
\0.  correne  Togonio,  e  intanto  il  suo  parere 


7.  E  cintala  a  Latino  Laàare,  fa  grato 

vedere 

8.  fii  eapo  al  condurre  alla  man  Tizio  Sa- 

bino, ora  primo  al  gaatìgo. 

'IO.  la  prese  compassati  consoli  : 

43.  Indugio 

H.  Bisealdandosi 

2\.  come  neghittoso,  non  temoTa; 

5.  queHa  eh'  ei  fece  per  lo  natale  d'Agusta 
co' sacerdoti  3  dolendosi 

8.  Di  tntlo  solledtayan  conrincerlo  l  primi 
della  àtth ,  se  e'  non  s'  appellaya  a 
Cesare.  Eccoti  una  lettera 

42.  Aroseio 

45.  a  pari 

47.  e  segnitò  Germanico; 

3.  detta  ora  o  milP  anni  fa , 

7.  arricchiron  le  loro  spie.  Gintio  afiricano 
di  Santogna  in  GaUia  e  Scio  Quadrato 
furono  abi  dannati. 

12.  memoreyoli ,  da  altri  passate. 

5.  fif.  Terensio  caTalier  romano,  accusa- 
tone, 

7.  per  me  misero 

9.6,  ottenutolo,  allegreza. 

0.  Io  Tederà  compagno  del  padre 

9.  chi  tu  esalti  sopra  gli  altri ,  né  perchè 
gl'iddìi 

2.  gnardiamo 

S.  e  servigio  fjA  ha  fatto,  sia  come  te ,  o 
Cesare , 

ì.  tirato  in  corte. 

L  e  male  fiancate  diede 

1.  6  il  principe 


L.  Pisone  pontefice 


piacevoleggiare, 

pratichi  di  magistrali , 

moderò  Togonio ,  non  però  altramente 
al  suo  parere  contraoiase. 

e  datala  (V  aeeuta)  a  Latino  Laaiare ,  fn 
piacevol  vedere 

al  condur  Tizio  Sabino  alla  mata  fv  ea- 
po, ed  era  primo  al  gastigo. 

i  passati  consoli  assake  : 

Che  indugio 

Bisealdandocisi 

per  iscipiteza ,  non  temeva  ; 

quando  per  lo  natale  d'  AgusU  cenò 
co^  sacerdoti ,  e  dolendosi 

Né  meno  solleciti  lo  convinceano  i  pri- 
mi della  città  se  egli  non  s' appellava 
a  Cesare.  Venne  una  lettera 

Aurelio 

al  pari 

e  compagno, di  Germanico; 

nuova  e  di  milPanni, 

entrarono  nella  congrega,  e  spiarono 
alsì  Giulio  affricano  di  Santogna  in 
Gallia  e  Scio  Quadrato. 

degne  di  memoria ,  da  altri  non  dette. 

M .  Terenzio  per  qnella  accusato, 

per  lo  mio  steto  misero 

(L'esempi,  del  C.  Mortara:  «  e  dive- 
nuto, allegreza  s). 

vedeva  lui  compagno  di  too  padre 

chi  tu  nò  perchè  sopra  gli  altri  esalti  : 
gV  iddii 

veggiamo 

e  servigiale ,  sia  come  te , 

tiratosi  in  corte. 

e  mali  cenni  fece 

il  prindpe 

mesaaggiere 

L.  Pisone  pontefice  in  questo  tempo 


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jnt 


MUTAZIONI  B  COIKBZIOHL 


247   49.  chi 

t   22.  Poscia  anche  i  eontoli  MMlitBimio:  il 
che  oggi  si  raffigura , 

?I8.    7.  la  lasciò  y  quasi  non  atto. 

a   42.  di  rìcerere  an  libro  della  Sibilla,  e  sa 
ne  vinse  il  partito.  Cesare 

a   24 .  allora  che  per  V  anione 
A   25.  Cosi  anche  allora 
249.    2.  il  senato  distese  nn  serero  bando 


•  5.  I  consoli  spacciatamente  il  pobblicaro- 

no.  n  non  tì  por  bocca  egli  credette 
doTersi  attribuire  a  civiltà;  e  fa  a 
superbia. 

•  7.  furono  uccisi 

»     9.  non  per  cosa  di  conto, 
a      •    allentò....  la  catena, 

•  20.  di  dolci  costumi  ; 

a  24 .  casa  popolare 

220.  ^*  Pvria  d'accusatori  uscì  addosso  agli 
usurai,  che  arrìcchivan  più  che,  so- 
pra il  prestare  e  possedere  in  Italia , 
non  dispone  la  legge  di  Cesare  detta- 
tore già  dismessa  ; 

•  47.  molti  ordini 
a    20.  increscendoli 

a   28.  tutti  i  eontanti. 
a    29.  li  due  toni , 

•  50.  né  era  onore 

224.  4.  Così  si  serpeutava,  tranquillava,  alla 
ragion  si  gridava  :  e  le  vendite  e  com- 
pre ,  trovate  p'er  rimedio,  la  strettela 
accresceano  :  perdio  i  compratori  col 
nascondere  il  danaro ,  e  i  tanti  ven- 
ditori coli' offerire  gii  stabili,  ffì 
smaccavano:  e  i  pia  indebitati  con 
più  fatica  vandeano: 

222*   8.  e  le  corptra  fetide 

•  47.  parole  usava. 

•  24.  coaì  i 


chi  ragion  rendere  e  rimediare 

Poscia  i  consoli  sostituivano  abì ,  il  che 
oggi  si  raffigura , 

morì ,  quasi  non  dovesse  esser  atto. 

che  per  partito  si  ricevesse  un  libro  tra 
gh  altri  della  Sibilla ,  il  quale  per 
via  di  mutar  luogo  si  vìnse ,  e  Cesare 

ancora  che  per  l'arsione 

E  così  anche  allora 

il  senato  distese  un  severo  ordine 

(L'  esempi,  del  C.  Mortara  eofr. 
•  bando  •). 

(Così  anche  la  6  :  ma  nelle  Mutazioni: 
«  Handaronlo  tosto  da  parte  loro  non 
sua ,  perdio  paresse  modestia  e  parve 
superoia.  » —  L'esempi,  del  C.  Mor- 
tara reca  questa  postilla  nel  margine). 

morirono 

non  per  cosa  di  nerbo. 

si  schiodò....  la  catena, 

uomo  dolce  ; 

casa  plebea 

Furie  d'accusatori  uscì  addosso  •'più 
danarosi  d' Italia ,  prestatori  a  più 
usura  che  non  dice  la  legge  di  Cesare 
dettatore  già  dimessa  ; 

molte  leggi 

increscendole 

tutto  il  contanto. 

li  duoi  terzi , 

uè  convenia 

Così  ciascuno  s'  aiutava  serpentando, 
tranquillando,  alla  ragione  gridando 
e  le  vendite  e  compre,  trovate  per 
rimedio  della  strettexa,  l' accrescea- 
no ;  perchè  i  prestatori  aveano  impa- 
niato i  loro  mobili  in  qne^i  stabili, 
i  tanti  venditori  ali  avevan  fatti  rìn- 
viliare ,  e  il  gettarli  via  a'  debitori  pie 
grossi  più  coceva: 

e  le  corpora 

parole  aveva. 

cimentò  in  questa  maniera. 


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MUTAZIONI  E  GOBBBZIONI. 


479 


24- 

44.  Vuole  alcuno  che  Macrone  aresse  ordi- 

ne ,  che  pigliando  le  tnni  Seiano, 

46.  Ma  perchè  si  dicoTt 

48.  ne  incnidelì. 

49.  il  laido  corpo , 

2.  sputò  le  colali  : 

8.  quasi  abomioassero  ;  ma  tremavano  e 
stupivano,  che  osasse  sì  sagace  uomo 

45.  essersi  levata  il  cibo ,  se  già  non  le  fa 

tolto, 
49.  ne  volle  troppo:  si  strasse  di  regnare j 

B    le  core  virili 

2.  sano  e  florido, 

7.  vedendo  egli  la  repnblica  a  mal  partito, 

47.  si  rimaritò 

20.  Ebbe  esseqnie  da  censore ,  titolo  di  go- 
vernatore di  Seria  e  poi  di  Roma  ; 


governo  vietatoli 

a  i  dotti    ' 

nella  città  d'Eliopoli, 

feniciotto 

che,  come  dissi ,  resse  la  Mesia ,' 

Sì  pronto 

aver  proibito  a  Labeone  il  capitargli  a 
casa ,  e  solo  inteso  disdirgli  P  amicizia 
all'usanza  antica: 

ma  egli  frugato  dalla  conscienza  dell'as- 
sassinata provìncia , 

a  sproposito 

grande  avvocato,  ma  vizioso. 

pestifero 

il  sugMlio  d'una  tragedia....  i  cui  versi 
s'adattavano  a  Tiberio. 

Ma  Servilio  e  Cornelio  l'accusarono  d' 
adulterio  con  Livia,  e  negromanzia. 

Punivansi  ancora  talvolta  le  spie. 

di  proprio  poDfigUo,  ma  di  Tiberio: 

era  intera, 


Vuole  alcuno  che  Tiberio  scrìvesse  a  Ma- 
crone ,  che  pigliando  Sciano  le  armi, 

Però  si  diceva 

più  incrudelì. 

il  corpo  brutto, 

(L'esempi,  del  C.  Mortara  :  «  vuomitò  s). 

quasi  non  potendo  sentire,  ma  tremando 
e  stupendo  che  potesse  sì  sagace  uomo 

s'era  lasciata  morire ,  se  il  cibo  non  U 

fu  tolto, 
(L'esempi,  del  G.  Mortara  :  «  per  troppo 

volerne  e  struggersi  di  regnare  •  ). 

le  cure  da  uomini 
ricco  e  sano, 

vedendo  egli  tosto  dovere  ogn'  uno  ca- 
pitar male, 

fu  rimaritata 

Fu  seppellito  da  censore,  governatore 
della  Seria  fu  in  titolo,  ma  in  effetto 
di  Roma  ; 

governo  toltogli 

alli  scienziati 

nella  città  detta  del  sole, 

fenicino 

che  resse  la  Mesia ,  come  dissi , 

Così  pronto 

che  aveva  a  Labeone  solamente  disdetta 
l' amicizia ,  e  '1  caoitargli  a  cas4  >  se- 
condo il  costume  degli  antichi  : 

ma  egli  frugato  dall'  assassinata  pro- 
vincia, 

a  proposito  (errore). 

vizioso,  grande  avvocato. 

mortifero 

una  traeedia....  la  cui  favola,  ì  cui 
veni  dipignevano  Tiberio. 

Ma  Serrilio  gli  appose  adultero  con  Li- 
vìa  ,  e  Cornelio  negromanzia. 

Punivansi  alle  volte  anco  le  spie. 

di  sua  testa,  ma  per  conn^o  di  Tiberio  • 

era  ancora  intera , 

40* 


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474 


MOTAnoin  S  COIBBZIONI. 


png,    9tr. 

229.  45. 

■  46. 

■  48. 

230.  4. 

■  6. 

»     9. 

•  42. 

■  48. 

234.    4. 
»      4. 

•  5. 
»      6. 

»    45. 

•  22. 
232.    2. 

»      7. 
»    40. 


di  fedel  che  era  a  noi ,  e  gioslo  eo'raei 
per  Umore  di  Germaiiko , 

■pregiando  la  recchieta  dì  Tiberio,  come 
non  piò  atto  all'arme, 

schernendoci  di  più  e  mandandoci  a 
chiedere  il  tesoro 

chi  far  re 

bastare  il  nome  solo  del  san^e  arsacido 
appresentato  da  Cesare  in  ripa  all' 
Eufrate. 

di  coodarre  le  cose 

la  lentexa 

Elesse  a  ingelosirà  Artabano,  Tiridate 
del  medesimo  sangue .  e  a  rac^stare 
P  Armenia  Mitridate  Ibero  ; 

Iberì 

gente  paria ,  mandagli  da  assoldare 
stranieri. 

i  cni  satrapi  detti  Sceptmchi , 

presero... 
banda. 


presenti  e  parte  da  ogni 


lo  travagliaTa  ; 
figlinoli  ayntone, 
dell'  oriente , 
r esercito  orrido; 
yenire  a  fnrìa  alle  mani. 


•    42.  e  pigliar  campo  al  ferirou 

»   21.  ferì'l  nimico 

233.  4 .  perchè  fn  dal  carallo  portato  oltre  ;  e  il 
ferito  da'  snoi  pia  Taloreei  sdvato. 
Ma  i  Parti  credendo  al  falso  grido 
ch'ei  fuase  morto,  cedettero, 

1  5.  Artabano  si  mosse  con  tutte  le  forze  del 
regno,  e  fn  superato  da  gì'  Iberì  più 
praticni  dì  quei  luoghi  ;  né  perciò  si 
partiva,  se  Yitellio,  legioni  aannando, 
e  spargendo  d'  assalire  la  Mesopota- 
mia ,  non  gli  metteva  paura  di  guerra 


9  40.  a  qne'popoU: 

0  43.  troTati  i  capi  rìcaron  le  creste: 

234.  5.  mostra  e  rapisce. 

i 


di  fedele  a  noi  e  giusto  co'anoi,  che 
par  tinan  di  Germanico  ara , 

spregiando  Tiberio  coma  Tcachio  e  non 
aoldato, 

e  per  ischemo  d  mandò  a  càiadar  le 
masserizie 

chi  re  fare 

il  cai  solo  nome  con  V  antorìtà  di  Cesare 
rimetterebbe  il  sangue  arsacido  in 
riva  d' Eufrate. 

di  mulinare  le  cose 

il  pensare 

Elesse  al  racquieto  d' Armenia  Tiridate 
del  medesimo  sangue,  emola  d' Arta- 
bano ,  a  Mitridate  Ibero  ; 

Iberiani  (cosi  ancM  appreiso) 

gente  persiana ,  mandagli  aiuti  di  .mer- 
cede. 

parte  de' quali  detti  Sceptmchi, 

presero....  paga  da  agni  banda. 

il  codiava 

e  figlinoli  avutone , 

d' oriente , 

l' esercito  loro  orrido  ; 

(L' esempi,  del  C.  Mortara  :  e  vanir'  a 
furi' alle  corte  s). 

allargarsi  e  \  colpi  scansare. 

f  eretta  lo  nimieo 

perchè  il  ferito  fn  dal  cavallo  portato 
olirà,  e  da'aoai  più  valaraai  salvato. 
Ma  i  Parti  al  falsa  grido  eh'  ai  fwse 
morto  credettero  a  cedettero, 

Artabano  dicendo  avere  gV  Iberiani  com- 
battuto meglio  per  la  pratica  dei  Ino- 
f>hi ,  con  tutte  le  forze  del  regno,  si 
rimetteva  su  e  non  si  partiva,  se  Vi- 
tellìo,  legioni  adunando,  a  romOTeg- 
giando  di  volere  assalire  la  Mesopo- 
tamia,  non  gli  metteva  paura  di  guerra 
romana. 

alti  Armeni: 

le  creste  rizarono  froTati  i  liberatori  : 

por^e  a  rapisce. 


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KUTA2ioin  E  commsziONr. 


475 


-15.  Parmi 

\9.  ÌD  dae  aoni 

26.  0  quasi  sbandito,  stando  fnor  tanto. 

30.  statovi  tanto  al  baio, 

»  o  per  vederne  il  vero  in  quello  specchio 
de' suoi  vitaperì,  non  appannato  d' 
alito  d'adulazione! 

32.  si  tolse  di  vifa 

5.  come  soleva , 
7.  la  mano 

\4.  tanto  se  n'  era  fatto  il  callo. 

18.  la  stroza. 

22.  al  governo; 

25.  destinati  per  casa  loro  quando  fioriva , 
prolungati  quando  fortuneggiò, 

24.  dati  ad  altri; 

2.  senza  difendersi 

6.  contro  alla  poco  guerriera  gente 
2\.  de' Parti: 

»    si  recano  in  parte , 

28.  di  madre  arsacido,  tralignante  nel  re- 
sto. 

5.  e  '1  tesoro  che  vi  lasciò 

H.  Ibridate  esser  fanciullo; 

M.  Conobbe  il  praticò  a  regnare,  che  i 
falsi  amici  odio  non  fingono.  E  a  fu- 
ria chiamò  aiuto  di  Scizia , 

4.  e  cosi  liberò  tutti  dal  biasimo  del  tra- 
dimento. 

7.  Cesare  cavò  gloria , 


i  denti  romani , 

in  due  stati 

e  scacciato  per  lo  tanto  star  fuori. 

che  n'  era  stato  tanto  al  buio, 

0  per  vedere  le  sue  vergogne  in  quello 
specchio  non  appannato  d' alito  d'  a- 
dulazione. 

si  tolse  vita 

come  soleva ,  ma  viduo, 

e  la  mano 

tanto  callo  se  n'era  fatto. 

la  stroza  e  bisuociso. 

al  suo  governo  ; 

per  casa  loro,  quando  fioriva,  destinati, 
quando  fortuneggiò  prolungati , 

ad  altri  dati  ; 

senza  difesa 

contro  alla  gente  non  da  guerra 

del  Persiano  : 

si  recano  in  partì, 

arsacido  di  madre ,  nel  resto  traligno. 

e  tesoro  lasciatovi 

Tirìdate  essere  un  fancinllo  ; 

Conobbe  il  pratico  a  regnare ,  che  co- 
storo stati  amici  falsi  erano  nimici 
veri  a  Tirìdate,  e  a  furia  chiamò 
aiuti  di  Scizia , 

e  chiari  che  Paverlo  lasciato  in  secco  (\) 
fu  senno  e  non  fellonia. 

a  Cesare  venne  gloria , 


(I)  Qui  pone  la  segaeiìte  postilla:  «  MesMr  Agnolo  Wosini,  gbvaiie  di  molta- leUere,  ha 
raccolto  belle  orìgini  e  somigliaoce  della  lingaa  nostra  con  la  greca.  Una  è  questa  metafora  presa 
da'  pesci  qaaado  rìmangw  fnor  d'aeqoa.  Teocrito  nella  prima  egloga  descrivendo  ima  ciotola  in- 
tagliata di  figaro  (imitato  poi  da  Virgilio  nella'tena)  dice  che  vi  era  nn  fandnllo  a  guardia  d*ima 
vigna  e  due  golpi*,  V  nna,  mentre  egli  si  baloccava  a  far  di  ginncbi  on< archetto  per  le  cicale,  st 
maciallaTa  tutti  i  grappoli  maturi  ;  l'altra  neoellava  all'asciolvere  che  egli  aveva  nel  laino,  dispo- 
sta a  mare  ogni  inganno  sì  ne  l'avesse  lasciato  in  secco,  o  a  denti  secciii,  o  in  so  le  secche: 

*otTi  Trpiv  Vi  ax/?«TiffTOv  siti  ^vipot^  xa&i?!»]: 

V  altra  teneva  al  taino 

L' occhio  per  mai  noi  volgere 

Sì  lo  UseiasM  in  secco  dell'  asciolvere.  » 


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47« 


MOTAnom  K  CMIBZIOHI. 


258. 

40 

• 

41 

• 

43 

• 

a 

Né  fakbróhA  pdbliehe  feee , 

e  qaelle,  finite,  non  conMerò: 
lando  ambinone  ;  o  per  troppa  eÙ. 

da  quattro  mariti  dì  sae  bisnipoti , 

quali  accettasse  o  no.  Entrarono  consoli 
sezai  a  Tiberio,  Gn.  Acerronio  e  Gaio 
Ponsio,  salito  già  Bfacrone  in  troppa 
potenia ,  cbe  s' era  prima , 

t  21.  fftniìta  d'innamorare  e  legar  dì  matri- 
monio il  giovane  cbe,  per  montare 
alF  imperio ,  nulla  disdjoea  ; 

»    23.  imparate  in  collo  all'aTolo; 

239.     2.  e  studioso  di  buone  arti  ; 

•  7.  a  Macrone  rinfacciò  : 

•  8.  e  il  viso 

•  9.  si  rìdeva  di  Siila ,  pronosticò  ; 

»  40.  E  baciando  con  molte  lagrime  il  nipote 
minore ,  a  lui  cbe  ne  faceva  viso  ar- 
dgno,  disse  :  e  Tu  uccìderai  costm ,  e 
altri  te.  •  Aggravando  nel  male,  non 
lasciava  pur  una  delle  sue  radicate 
libidini  ; 

e  dì  cbi ,  passati  i  trenta  anni ,  doman- 
dava altrui ,  che  gli  sia  sano,  che  no. 

e  Marso,  quan  deliberato  morir  di 
fame, 

esser  vivuto  assai  ;  né  aver  da  pentirsi 
che  d'essersi  lasciato  calpestare 

per  non  tollerare  le  loro  scelerateze. 
Quando  passasse  questi  pochi  dì  che 
Tiberio  può  vìvere,  come  scampe- 
rebbe 

aspettar  meglio  di  Gaio  Cesare 

travaglia  la  republica 

però  fuggiva  i  mali  presentì  e  sopra- 
stantì. 

profetò, 

De'mezani  alle  sue  libìdini, 

raso  del  senato; 

essendo  parso  dicitor  sanguinolento  con- 
tro gP  innocenti. 

34.  alle  ginocchia  de' padri; 


» 

45. 

240. 

7 

a 

40. 

• 

42. 

a 

46. 

• 

49. 

• 

20. 

• 

2f. 

» 

23. 

* 

25. 

• 

26. 

Né  altre  Edbrìcfae  pabliche  feee , 

né  in  quelle  finite  s' intitolò,  per  la  poca 
ambizione  o  per  la  vecchieza. 

da  quattro  suoi  come  generi , 

quali  volesse  o  no.  Essendo  poco  ap- 
presso entrati  consoli  sezaì  a  Tiberio 
Gn.  Acerronio  e  G.  Ponzio,  fatti  dalla 
già  troppa  potenza  di  Macrone ,  che 
s'era  prima, 

stmita  d'innamorare  n  giovane  e  farsi 
promettere  di  rìtor  là ,  il  quale  per 
essere  aiutato  m<Hit«re  all^imperio, 
nulla  disdieea; 

tratta  aU' avolo; 

e  letterato; 

a  Macrone  disse  : 

e  la  faccia 

si  rideva  di  Siila  : 

E  al  nipote  madore,  cbe  baciando 
esso  con  molte  lagrime  il  minore,  ne 
faceva  viso  arcigno  :  «  Tu  ucdderai 
costui ,  e  altri  te.  »  Aggravando  nel 
male ,  delle  sue  radicate  libidini  non 
ne  lasciava  una  ; 

e  di  chi  trent'  anni  ha ,  e  altri  domanda 
che  gli  sia  sano,  che  no. 

e  Marso,  deliberato  dì  morir  dì  fame, 

altro  in  sua  vecchiaia  non  aver  da  pen- 
tirsi che  d' essersi  lasciato  calpestare 

per  non  aver  pacienza  alle  loro  scellera- 
teze.  Potrebbe  passare  questi  pochi 
dì  che  lìberio  può  vivere ,  ma  come 
acamperebbe 

aspettar  meglio  in  Gaio  Cesare 

travagliava  la  republica 

e  fuggiva  il  male  presente  e  'I  sopra- 
stante. 

profeteiò, 

De'  drudi  suoi , 

disfatto  senatore  ^ 

perchè  Balbo  parca  che  godesse  co  'I  suo 
feroce  dire  di  disperdere  innocenti. 

a'  piò  de'  padri  ; 


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WSTknwa  B  COBBBZIONI. 


4T7 


4.  intanto  a  quellUttro  figliool  minore  sa- 
rebbe passato  il  furor  giovenile. 

6.  A  ogni  poco  mutava 
20.  torna  vista 

»    chìedea  cibo....  Cadde  il  fiato  a  tatti  : 

4.  Affacrone  coraggioso  disse:  «  Affogate! 

ne* panni,  e  ogn'nn  se  ne  vada.  • 

5.  Sin  da' primi  anni  corse  dubbia  fortuna, 

7.  molti  e  molti , 

44.  coperto,  e  di  finte  virtù. 


(L'esempi,  del  G.  Mortara:  e  intant'  al 
fijjrlìaol  minore  passerebbe  '1  furor 
giovenile  n). 

E  a  ogni  poco  mutava 

era  tornato  vista 

chiedea  mangiare....  Il  fiato  cascò  a 
tutti: 

Macrone  coraggioso  gli  disse  :  «  Affogai 
ne' panni,  e  causati.  » 

Ne' primi  anni  corse  fortuna, 

molti  emoli , 

coperto,  e  parea  buono, 


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479 


PRIMI  TENTATIVI  DELLA  TRADUZIONE 

DI  TACITO- 


'  Ver  Trovar  col  fatto  il  fntU  detto  d'Arrigo  Stefani,  che  Vitaliano 
parlare  sia  lungo  e  freddo,  incominciai  a  volgari%are  nel  nostro 
fiorentino  Cornelio  Tacito  in  questa  maniera: 

I.  Roma  ebbe  prima  i  re:  Lucio  Bruto  vi  mise  la  libertà 
e  '1  consolato:  le  dettature  erano  a  tempo:  la  podestà  de' Dieci 
poco  oltre  due  anni,  e  poco  la  autorità  di  consoli  ne'  tribuni 
de'  soldati  durò:  né  Cinna  né  Siila  molto  signoreggiò.  La  po- 
tenza di  Pompeo  e  di  Grasso  cadde  tosto  in  Cesare»  e  l' armi 
di  Lepido  e  d'Antonio  in  Agusto:  il  quale  di  tutto  lo  stato 
fracassato  per  le  guerre  civili,  sotto  nome  di  capo,  si  fé  pa- 
drone. Ma  i  prosperi  e  gli  avversi  casi  della  vecchia  repubUca 
sono  stati  memorati  da  famosi  scrittori;  né  mancati  a  narrare 
ì  tempi  d' Agusto  ingegni  nobili,  sino  a  che  crescendo  V  adu- 
lazione li  distrusse.  Le  cose  di  Tiberio,  di  Gaio,  di  Claudio 
e  di  Nerone  fur  compilate  false,  viventi  loro,  per  paura;  e 
dopo  morte,  per  li  freschi  rancori.  Onde  io  intendo,  toccati 
alcuni  ultimi  fatti  d' Agusto,  il  principato  di  Tiberio  e  gli  al- 
tri tre  riferire  senz'animosità,  non  ne  avendo  cagioni. 

IL  Essendo  l' armi  pubbliche,  ammazati  Bruto  e  Cassio, 
tutte  mancate;  Pompeo  in  Cicilia  oppresso;  né  pure  a  parte 

'  Questo  frammeato  fa  dalFab.  Cesare  della  Croce,  custode  deUa  biblioteca 
Ambrosiana  (nella  quale  questo  scritto  Uovasi  autografo),  pubblicato  nell'ultimo 
volume  del  Volgarizzamento  di  Tacito,  stampato  in  Milano,  iSOQ.  Il  Davanaati 
lo  indirixBÒa  Gio.  Vincenzio  Pinelli.  Vedi  la  lettera  nel  voi.  Ili  di  questa  edizione. 


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480  PBIMI  nuiTATiyi 

giolìa  rìmasO)  spogliato  Lepido  e  ucciso  Antonio,  altro  capo 
che  Cesare;  egli  chiamandosi  non  più  trìnnviro  ma  consolo 
e  contento  della  autorità  tribunesca  per  la  plebe  difendere; 
acconcio  il  popolo  con  l'abbondanza,  i  soldati  condonativi, 
ogn'  uno  co'l  dolce  riposo;  incominciò  pian  piano  a  salire,  e 
gliufici  del  senato,  de' magistrati,  delle  leggi  appropriarsi, 
ninno  contrastante:  essendo  i  più  feroci,  nelle  battaglie  e  per 
li  confini,  spenti;  degli  altri  nobili,  qual  più  correya  al  ser- 
yìre,  più  era  fatto  ricco  e  grande;  e  rifattisi  del  nuoyo  stato, 
meglio  amayano  le  presenti  cose  e  sicure,  che  le  passate  e 
perigliose.  Cotale  stato  non  rifiutayano  anco  le  nostre  prò- 
yincie  sospettanti  dell' imperio  del  senato  e  del  popolo  per 
lo  combattere  de'  potenti  e  per  l' ayarizia  de'  magistrati;  es- 
sendoyi  per  niente  *  le  leggi,  dalla  forza,  pratiche  e  moneta 
finalmente  strayolte. 

III.  Ora  Agusto,  per  rinforzi  allo  stato,  tirò  su  Claudio 
Marcello  nipote  di  sorella  al  ponteficato  e  alla  edilità  curale 
molto  gioy anetto;  e  Marco  Agrippa  di  bassa  mano,  buon 
soldato,  compagno  alla  yittoria,  a  due  consolati  continui;  e 
morto  Marcello,  il  si  fé  genero.  A  Tiberio  Nerone  e  Claudio 
Bruso  figliastri  aggiunse  titoli  d'imperadori,  se  ben  ancora 
casa  sua  non  era  scema  di  Gaio  e  di  Lucio  nati  d' Agrìppa, 
da  lui  fatti  della  famiglia  de'Ceseri;  i  quali  ayeya,  in  yista 
di  ricusare,  ardentemente  desiderato  che  fusser  chiamati 
principi  delia  gioyentù  e  destinati  consoli  ancor  fanciulli  in 
pretesta.  Come  Agrippa  mori,  Lucio  Cesare  andando  alli 
eserciti  di  Spagna,  e  Gaio  tornando  ferito  d' Armenia,  ne 
furon  tolti  da  loro  breye  ora  giunta,  ^  o  da  trama  di  Livia 
lor  matrigna:  e  prima  era  morto  Druse.  Cosi  Neron  solo  fi* 
gliastro  rimase.  Qui  '  si  yoltò  ogni  cosa:  egli  figliuolo  assunto: 
nell'imperio,  nel  tribunato  compagno:  da  tutti  gli  eserciti 
fatto  riconoscere;  non  più  per  artifici,  come  già,  della  ma- 
dre, ma  alla  lìbera,  spronandonela  il  yecchib  Agusto  di  lei 

*  essendovi  per  niente j  noa  aveodo  alcaoa  forza  o  autorità,  essendo 
inutili. 

*  éa  loro  breve  ora  giunta.  Intendi:  morirono,  o  perchè  fosse  giunta  l'ora 
ddli  breve  lor  vita,  o  perchè  Livia  V  affrettasse  col  veleno. 

*  QMij«ioè,  in  Nerone. 


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DELLA  TRADUZIONE  DI  TACITO.  481 

si  perdato  d'amore,  che  nell'Isola  della  Pianosa  abalzò  lo 
nipote  anico  Agrìppa  Postumo,  rozo  veramente  e  soro,  e  per 
sua  gagliardia  sgarbatamente  feroce;  ma  peccato  che  appor- 
gli,  non  fu.  Generale  delle  otto  legioni  in  sa  '1  Reno  fece  Ger- 
manico nato  di  Druse,  e  adottarlo  da  Tiberio,  che  aveva  un 
figliuolo  propio  già  grande:  ma  e' sì  vede  che  egli  volle  as- 
sodarsi con  più  rincalzi. 

In  quel  tempo  non  ci  era  altra  guerra  ma'  che  ^  co'  Ger- 
mani, per  inscancellar  la  vergogna  del  perduto  esercito  sotto 
Qointilio  Varo  più  che  per  voglia  d' allargare  imperio,  o  per 
altro  che  valesse.  La  città  era  in  pace:  i  medesimi  nomi  de' 
magistrati:  nati  i  giovani  dopo  la  vittoria  d' Azio;  i  vècchi 
per  le  guerre  civili:  e  chi  vi  poteva  aver  veduto  republica? 

IV.  Rivolto  cosi  lo  stato,  non  vi  era  più  costume  buono 
antico:  ogn'un  fatto  minore  del  principe,  mirava  qnant'ei 
comandasse  senz'altro  pensiero;  mentre  Agosto  d'età  vigo- 
roso, se  e  la  sua  casa  e  la  pace  sostenne.  Venutane  la  vec- 
chiaia grande,  le  malattie  fastidiose,  la  morte  al  capezale,  le 
nuove  speranze;  discorrevano  alcuni  fuor  d'otta,  che  bella 
cosa  era  la  libertà:  molti  la  guerra  temevano;  altri  la  disia- 
vano: i  più  sparlavano  de'  sopravegnenti  padroni  in  più  modi, 
ce  Agrippa  é  un  bestione,  accanito  dall'  onta:  non  d'età,  pon 
di  sperienza  di  tanto  pondo.  Tiberio  Nerone  maturo  d' anni, 
cimentato  in  guerra,  ma  pieno  di  quella  superbia  claudiesca: 
molti  segnali  scoppiano,  se  ben  li  rattiene,  di  sua  crudeltà: 
è  allevato  in  casa  regnatrice:  ammassatogli  in  giovaneza  i 
consolati,  i  trionfi:  non  eh'  altro  negli  anni  eh'  egli  stette  a 
Rodi  confinato  (ritirato  dicev'egli),  non  ebbe  miglior  concetti 
che  ire,  simulazioni  e  segrete  sporcizie:  ci  ha  poi  quella  ma- 
dre la  più  insolente  che  donna;  serviremo  ad  una  femmina 
e  duo' fanciulli,  che  ora  assassinino,  e  un  di  smembrino  que- 
sto stato.  » 

V.  Mentre  cosi  si  ragionava,  Agusto  aggravò:  sospicossi 
per  veleno  della  moglie;  per  una  voce  andata  che  Agosto 
pochi  mesi  prima,  dettolo  a  qualcuno,  da  Fabio  Massimo 

*  ma' che  j  fuor  che,  se  noa  ec.  Dante,  Inferno  : 
IVon  tTca  pianto  ma' ohe  di  sospiri. 
I.  41 


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482  PRIMI  TBNTAnvi 

senz' altri  accompagnato,  traghettò  nella  Pianosa  a  vedere 
Agrippa:  dove  T  abbracciate  e  le  tenereze  far  grandi  da  ogni 
banda;  onde  si  aspettava  che  Tavolo  riavesse  il  giovane  a 
casa.  Massimo  il  rivelò  alla  moglie:  ella  a  Livia:  Cesare  il 
seppe:  nò  v'andò  guari  che  Massimo  mori,  forse  aiatato, 
poi  che  Marzia  nel  mortoro  fa  adita  dire  dibattendosi,  io  tri- 
sta son  cagione  della  morte  del  mio  marito.  Che  che  se  ne 
fusse,  Tiberio  appena  entrato  nella  Illirìa  tornò  indietro,  ri- 
chiamato per  lettere  della  madre  in  grandissima  diligenza. 
Trovò  Agosto  in  Nola,  se  ancor  vivo  o  spirato,  non  si  seppe, 
per  le  strette  guardie  che  Livia  aveva  poste  al  palagio  e  alle 
strade:  e  talora  spargeva  eh'  ei  fusse migliorato:  e  quando  fu 
provveduto  quantunque^  il  tempo  chiedeva,  un  medesimo 
grido  portò  che  Aguslo  era  morto  e  Nerone  del  tutto  in  pos- 


YL  La  prima  faccenda  del  nuovo  principato  si  fu  1*  am- 
mazare  Agrippa  Postumo  cui,  non  pensanteci  e  senz'arme, 
appena  il  centurione,  sebben  coraggioso,  fini.  Tiberio  in  se- 
nato non  ne  fiatò:  mostrava  questa  esser  cosa  del  padre;  che 
avesse  comandato  al  tribuno  che  '1  guardava,  che  come  esso 
avesse  chiusi  gli  occhi,  Tammazasse  incontanente.  È  vero 
che  Agusto  aveva  fatto  vìncere  *  al  senato  V  esilio  del  gio- 
vane con  dirne  molte  cose  e  crudeli;  ma  egli  non  procedo 
mai  al  far  morire  alcuno  del  suo  sangue:  e  non  par  vero  che 
lo  nipote  uccìdesse  per  lo  figliastro  assicurare:  ma  piuttosto 
che  Tiberio  per  paura,  e  Livia  per  odio  di  matrigna,  solle- 
citassero di  levarsi  dinanzi  un  giovane  di  tanto  sospetto  e 
noia.  Riferendogli  il  centurione,  a  uso  di  soldato,  aver  fatto 
quant'ei  comandò;  rispose  non  averlogli  comandato  e  do- 
verne al  senato  render  ragione.  Quando  questo  intese  Grispo 
Salustio,  che  sapeva  i  segreti  e  fu  quegli  che  mandò  la  poliza 
della  commessione  al  tribuno,  temendo  d' aversi  a  esaminare 
con  pericolo  non  meno  dicendo  il  vero  che  'i  falso;  avverti 
Livia,  che  il  bandire  i  segreti  di  casa,  i  consigli  degli  amici, 
i  servigi  de' soldati  non  era  bene:  nò  che  Tiberio  si  facesse 
principe  da  motteggio,  rimettendo  ogni  cosa  al  senato:  esser 


*  qnantrtnqnej  lutto  ciò  cbe. 

*  vincere,  Atcnìzn. 


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DEIXà  TRADUZIONE  DI  TACITO.  483 

proprio  del  principe,  che  ragione  non  tenga,  che  a  luì  non 
si  renda. 

VII.  In  Roma  consoli,  padri,  cavalieri  tatti  correvano 
al  padrone.  £  i  più  illustri  con  più  calca  e  mentiti  visaggi  e 
composti  da;  non  parere  né  troppo  lieti  per  la  morte  del  vec- 
chio, né  troppo  tristi  per  1*  entrala  del  nuovo  principe;  la* 
grimo  con  allegreza,  do^ienze  con  adulazion  mescolavano. 
Sesto  Pompeo  e  Sesto  Apuleo  consoli  fur  primi  a  giurare  a 
Tiberio  Cesare  ubbidienza.  Appresso,  Seio  Strabene  capitano 
della  guardia  e  Gaio  Turanio  commessario  delle  grascie  se- 
guitò il  senato,  la  milizia,  il  popolo;  facendo  Tiberio  a  ogni 
cosa  da' consoli  dar  le  mosse,  come  fosse  in  piedi  la  repu- 
blica,  o  egli  non  risoluto  di  dominare.  £  pure  il 'bando  per 
lo  quale  chiamò  i  padri  a  consiglio,  dice  solamente,  da  parte 
di  Tiberio  tribuno  della  plebe  fatto  da  Agusto,  e  fu  breve  e 
molto  modesto,  ce  Che  voleva  T  onoranze  del  padre  delibe- 
rare: dal  corpo  non  si  partire:  altra  cura  pubblica  non  si  pi- 
gliare. Intanto,  morto  Agusto,  die  alla  guardia  il  contrasse- 
gno come  imperadore.  Scolte,  armi  e  '1  resto  da  corte  non 
gli  mancavano:  soldati  in  giudizio,  soldati  in  senato  V  accom- 
pagnavano: scrisse  alti  eserdti  come  nuovo  principe:  mai  non 
tentennò,  se  non  con  le  parole  in  senato.  Le  cagioni  fur  que- 
ste: da  una  banda  temeva  non  volesse  Germanico  con  tante 
legioni  in  mano,  forze  forestiere  infinite,  favor  del  popolo 
maravìglioso;  tòrsi  F  imperio  anzi  che  abitarlo.  DalF  al- 
tra, voleva  che  andasse  fama,  lui  essere  stato  dalla  re- 
pubtica  chiamato  e  non  traforato  per  lusinghe  di  mogUe  e 
per  barbogio  adottamento.  AH*  ultimo  si  conobbe,  che  que- 
ste lustre  anco  faceva,  per  vedere  che  visi  e  parole  ne  fa- 
cessono  i  grandi;  e  quindi  i  mal  disposti  cuori  penetrava  e 
segnava. 

Vili.  Il  primo  di  del  senato  non  volle  si  trattasse  se 
non  del  testamento  d' Agusto,  il  quale  fu  presentato  dalle 
vergini  di  Vesta.  Faceva  eredi  Tiberio  e  Livia.  Livia  di  casa 
giulia,  di  titolo  Agusta  dichiarava.  Sostituiva  i  nipoti  e  bis- 
nipoti: nel  terzo  grado,  i  primi  della  città,  odiati  da  lui  la 
maggior  parte:  ma  volle  per  burbanza  lasciare  questa  nomèa. 
Fece  lasci  da  cittadino,  eccetto  che  al  popolo  e  alla  plebe 


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484  PRIMI  TBNTAnVI 

quattrocento  e  trentacinqae  ne  donò:^  a' soldati  di  guardia 
sesterzi  mille,  *  a'  legionari  trecento  '  per  testa. 

Vennesi  alli  onori:  i  principali  proposti  farono  da  Asi- 
nio  Gallo,  che  l'esequie  passassero  per  la  porta  trionfale:  e 
da  Lucio  Arunzio,  che  si  portassero  innanzi  i  titoli  delle 
leggi  fatte  e  i  nomi  delle  nazioni  vinte  da  lui.  Valerio  Mes- 
sala aggiugneva,  che  ogn'  anno  si  rinnovasse  il  giuramento  a 
Tiberio:  da  cui  domandato,  «  Hotti*  detto  io  che  tu  dica 
cosi?  »  rispose:  «  L' utile  della  republica  me  V  ha  detto,  che 
non  mi  lascerà  mai  aspettar  consigli  da  nessuno,  sebbene  ti 
disfacesse.  »  Questa  fine  adnlazion  ci  mancava.  Gridavano  i 
padri:  «Portiamolo  noi  in  sulle  spalle  alla  catasta.  »  Cesare  lor 
ne  fé' grazia  molto  prosontuosa,  e  mandò  bando  che  il  po- 
polo non  guastasse  queste  esequie  come  quell'altre  del  di- 
vino Giulio,  volendo  per  troppa  affezione  far  ardere  Agusto 
in  piaza,  piutosto  che  nel  destinato  campomarte.  Il  giorno 
dell'esequie  vi  stettero  soldati  quasi  per  guardia,  con  risa  di 
coloro  che  avendo  veduto  o  da'  padri  udito  contare  di  qnel- 
r altro  giorno  che  si  volle  e  non  riuscì,  l'inghiottita  ma  non 
ancora  smaltita  servitù  levarsi  di  su  lo  stomaco:  perchè  lo 
spettacolo  del  morto  Cesare  dettatore  parve  a  chi  pessimo, 
a  chi  bellissimo;  ce  Gnaffe I'  grande  uopo,  diceano,  ci  ha 
oggi  di  soldati  che  lascino  seppellire  in  pace  un  prìncipe 
vecchio,  d'antica  potenza,  con  eredi  provveduti  di  buoni  arti- 
gli fitti  nella  republica.  » 

IX.  Laonde  di  esso  Agusto  si  faceva  gran  ragionare. 
Molti  si  stupivano  di  cose  deboli:  ce  in  tal  di  ch'ei  prese  Tim- 
perio,  lasciò  la  vita;  in  Nola,  in  casa,  in  camera  dove  suo 
padre:  è  stato  consolo  tante  volte  quante  Valerio  Corvino  e 
Gaio  Mano  insieme:  tribuno  della  plebe  37  anni  alla  fila:  ap- 
pellato imperadore  ventuna  volta:  con  altri  onori  rincappel- 


'  quattrocento  e  trentacinque.  Centinaia  di  migliaia  di  sesteni,  che  sono 
un  milione  e  876  mila  fiorini  d*oro,  ovvero  xeccbioi.  (Postilla  del  trad.) 

*  sesterni  mille.  Once  25.  {Postilla  del  trad.) 
'  trecento.  Once  7  i/2.  (Postilla  del  trad.) 

•  hottij  ti  ho. 

S  Gnaffe  e  Io  stesso  che  affé,  coll'aggiunta  del'^n  eufonico.  Cosi  mostra  di 
credere  il  Varchi. 


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DELLA  TRADUZIONE  DI  TACITO.  485 

lati  '  0  nuovi.  »  Ma  i  prudenti  chi  in  cielo  il  metteano,  chi  in 
ahisso.  »  La  patema  pietà  e  la  necessità  della  republica  ormai 
senza  leggi  il  tirarono  per  li  capelli  idi' armi  civili,  le  quali 
né  procacciare  né  tenere  si  possono  per  buone  vie.  Per  ven* 
dicarsi  delli  ucciditori  del  padre  molte  cose  passò  ad  Antonio, 
molte  a  Lepido.  Poscia  che  questi  marci  di  pigrizia,  quegli 
di  sue  libidini  pagò  il  fio,  non  ebbe  la  disunita  patria  altro 
riparo  che  V  esser  retta  da  uno ,  non  anche  re  né  dettatore 
ma  capo.  Lasciò  per  confini  dell'  imperio  Y  oceano  o  lontanis* 
filmi  fiumi.  Legioni,  vassalli,  armate,  ogni  cosa  bene  insieme 
concatenato:  ha  fatto  ragione  a*  cittadini;  cortesie  a'  confede- 
rati; la  città  bella  e  magnifica;  pochissime  cose  ccm  forza  ^ 
per  quiete  del  resto.  x> 

X.  Dicevasi  per  rovesciow  «  La  paterna  pietade  e  le  scia- 
gare  della  republica  erano  le  belle  scuse.  La  cupidigia  del 
dominare  quella  fu  che  lo  istigò  a  sommovere  con  doni  i  sol- 
dati vecchi:  privato  giovanetto  metter  insieme  un  esercito: 
corrompere  al  consolo  le  legioni:  fingersi  Pompeiano:  e  car- 
piti per  decreto  de' padri  i  fasci  e  V  autorità  del  pretore,  uc- 
cisi Irzio  e  Pausa  (fosse  da  nimico  scoperto,  o  pure  Pausa 
con  r  avvelenargli  la  ferita,  e  Irzio  co  '1  farlo  tradir  da'  sol- 
dati) rubar  gli  eserciti  d' amendue:  a  dispetto  del  senato  farsi 
consolo;  e  V  armi  dategli  centra  Antonio,  centra  la  republica 
rivoltare:  tanti  cittadini  sbandire:  con  tante  spartigioni  di 
beni,  dispiaciute  insino  a  gli  stessi  autori.  Le  morti  di  Bruto 
e  dì  Cassio  vadano  con  Dio,  eran  nimici  del  padre,  se  bene 
i  iprivati  odii  si  deono  per  V  util  pubblico  lasciar  andare;  ma 
Pompeo  con  sembianza  di  pace,  Lepido  sotto  spezie  d' ami- 
cizia ingannò  egli  pure:  e  Antonio  allettato  con  li  accordi  di 
Taranto  e  di  Brindisi  e  con  le  noze  della  sorella,  in  dote  del- 
l' ingannevole  parentado  ebbe  la  morte.  Abbiamo  poi  avuto 
pace,  si,  ma  sanguinosa:  e  le  sconfitte  di  Lollio  e  di  Varo,  e 
li  carnaggi  de*  Varroni,  Egnazi  e  Giuli  fatti  in  Roma.  Non 
gli  risparmiavano  ancora  i  fatti  di  casa.  Menò  via  la  moglie 
a  Nerone:  e  domandò  a' pontifici  per  ischerno,  se  ella  per 
essere  incinta,  n'andrebbe  a  marito  cogli  ordini.........  lasci- 

*  onori  rimcappeliati.  Vedi  Ann.  XYl,  7. 

41- 


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486  PEiMi  nNTAnvi 

vie  di  Tedio  e  Yedio  Fottione.^  Livia  finalmente  è  una  mala 
madre  per  la  repnblica,  e  peggior  matrigna  aUa  casa  de'  Ce- 
serì:  che  adoragione  ci  rest'  egli  a  fiire  a  gl'iddìi,  dacché  ella 
vnole  tempii,  imagini,  Hamini  e  cherìcato?  Né  anch'egli  scelse 
Tiberio  a  saccessore  per  bene  che  gli  volesse  o  per  cura  della 
repnblica,  ma  perchè  avendolo  scorto  arrogante  e  cradele, 
volle  appetto  a  lui  esser  ricordalo  per  santo.  Avvengachè 
Agosto  pochi  anni  prima  nel  richiedere  i  padri  del  secondo 
tribanato  per  Tiberio,  aveva  per  modo  d' onorarlo  e  scasarlo 
diserti  suoi  modi  di  fare,  di  vivere,  di  vestire,  sbottoneg- 
giato.  »*  Finita  con  tutte  le  cirimonie  la  sepoltura  gli  s'ordinò' 
il  tempio,  e  li  divini  nfici. 

XI.  Quindi  si  voltarono  i  preghi  a  Tiberio  che  accettasse. 
Egli  parìamentava  e  essere  l' imperio  grande,  egli  modesto; 
quella  mente  sola  d' Agosto  il  divino,  stata  capace  di  tanta 
mole:  avere,  quando  fa  da  lai  chiamato  a  parte  de' pensieri, 
imparato  qoanlo  avdao  e  fortanevole  peso  sia  reggere  il  tat- 
to: non  volessono,  stante  la  città  fondata  di  tanti  nomini  il- 
lastri,  dare  il  carico  tatto  ad  ano:  unite  le  fatiche  di  molti, 
condorrebbono  lì  affari  della  republica  più  agevolmente.  »  Era 
in  questo  parlare  più  pompa  che  verità.  £  le  parole  di  Tibe- 
rio per  natura  o  per  vezo  doppie  e  cupe,  eziam  quando  egli 
si  voleva  lasciar  intendere;  ora  che  egli  cercava  tutto  l'op- 
posito,  erano  avviluppate  è  dubbie  cotanto  pia:  ma  i  padri 
per  non  parere  di  conoscerio  (che  guai  a  loro)  si  gittavano 
a' lamenti,  a' pianti, 

<  Vedi  la  postilla  a  ^pesto  luogo  del  IH).  I  degli  Annalit  noU  S,  pagina  i4 
deUa  Bostra  editione. 

'  tbottoneggiato.  «  Sbottoneggiare  dicesi  di  chi,  dopo  avere  alcun  tempo 
tacinto  per  timore  o  comando  di  chi  che  sia ,  al  fine  rompe  fl  silenzio  e  dice  qual- 
cosa. »  Ambkosou.  Qualcosa  sl^  ma  pungente;  perche  il  verbo  nasce  da  bottone^ 
che  il  popolo  dice  anche  bottata,  che  è  molto  acre  giltato  cosi  di  tiaverso.  Vedi 
a  pag.  S97  la  nota  3. 


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DBLLA  nUDUZlONB  DI  TACITO.  487 

n. 

(Lib.  Vi  Annali,  e.  Ili  e  /K.)« 
PRIMA  DETTATURA. 

III.....  Qaello  che  Gallion  guadagnò  della  sua  adulazione 
studiata,  fu  l'esser  scacciato  fuori  del  senato  incontanente, 
e  poi  d'Italia:  e  dicendosi  che  doro  non  gli  sarebbe  V esilio 
in  Lesbo,  isola  nobile  e  amena  da  se  eletta;  fu  rimenato  in 
Roma,  e  nel  bargello  serrato.  Nella  medesima  lettera,  Cesare 

'  Quetti  due  frammenti  furooo  pubblicati  dal  Gaoiba  nel  libretto  intitolato 
Alcuni  avvedimenti  civili  e  letterarj  di  Bernardo  Davanzali Jtorentino,  tolti 
dalle  sue  postille  a  Tacito  e  da  un  codice  autografo  della  libreria  Marciana. 
Vemeam,  dalla  tipografia  di  AMsopolij  1S31.  Vi  pretnise  la  seguente  nota 

TOLTA  DAÌ  catalogo  DI  UBU  LATIMI  POSSSDDTI  DAL  FABSITTI  «C.  VbHBZIA  1788 

u-lSo  K  SCRITTA  dall' AB.  IACOPO  SORELLI.  «  Si  Contengono  in  questo  codice, 
»  dei  frammenti  autografi  della  traduxione  degli  Annali  di  Cornelio  Tacilo  fatta 
»  da  Bernardo  DaTansati  :  il  Libro  tergo  scritto  da  amaniiense,  con  corretioni  e 
»  cambiamenti  di  mano  del  DaTanaali  medesimo  j  il  Libro  quarto,  dalle  car.  83 
»  sino  aUe  85  dell' edisione  di  Firence  1637  j  il  Libro  sesto,  (*)  dalle  car.  US 
I»  sin  alla  fine;  il  Libro  quinto,  dalle  car.  109,  e  il  Libro  sesto  intero.  Nono- 
m  Stante  che  pochi  fogli  siano  questi,  e  d'opera  fpa  stampata,  sono  però  da  te- 
m  nersì  in  franditaimo  conto,  e  da  aversi  cari  assai,  perciocché  sono  di  mano 
w  di  quel  grand' uomo,  com'è  il  Davanzati;  e,  ciò  che  più  importa,  fanno  cono* 
m  scere  più  bei  modi  di  volgarizzare  un  passo  medesimo,  a  di£ferenza  ancora  di 
m  quello  che  nella  stampa  vedesi  usato ,  la  quale  essendo  seguita  dopo  la  morte 
w  del  Davansati,  resta  anche  luogo  t  cercare,  se  l' opera  quaP  e  impressa,  cammi- 
w  ni  onninamente  d'  accordo  con  l' ultimo  testo  autografo.  Frequentissime  in 
I»  questi  fogli  sono  le  mutazioni,  che  dalla  mano  dell'Autore  vengono  immedia- 
m  tameote;  e  qualche  Libro,  com'è  il  Sesto  quasi  tutto,  trovasi  di  due  differenti 
»  dettature;  dalle  quali  differisce  pure  t{uella  dell'  Imperio  di  Tiberio,  che  il  Da- 
m  vanzaii  medesimo  diede  fuori  in  Firenze  l' an.  1600,  corrispondente  presso  che 
»  da  per  tutto  a  quella  di  Tacito  intero,  dopo  la  morte  del  traduttore,  V  anno 
m  4637  in  Firenze  pubblicata,  e  più  altre  volte  poi  altrove  riprodotta.  Non  fia 
I»  pertanto  fuori  di  proposito  di  dare  un  saggio  di  questa  differenza,  da  cui  ma« 
»  nifestamenta  apparisce  il  grande  studio  che  nel  fare  questo  famoso  volgarizsa- 
M  mento  l' Autore  ha  posto.  *» 

Avendo  il  Gamba  nel  pubblicare  questi  frammenti  usato  la  moderna  grafia, 
stnsB  rispetto  alla  capMssa  volontà  del  traduttore,  massime  per  ciò  che  riguarda 
la  doppia  seta;  noi  abbiamo  creduto  bene  di  non  seguirlo  in  questo  né  in  qualche 
altra  piccola  cosa. 

n  Forse  secondo. 


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188  PRIMI  TENTàTIVI 

travagliò  con  grande  piacer  de' padri  Sestio  Pogiano  stato 
pretore,  audace  maligno,  che  spiava  d'ogn'ano  i  segreti, 
scelto  da  Sciano  per  dare  il  veleno  a  Gaio  Cesare.  La  qoal 
cosa,  come  scoperta  fu,  scoppiarono  gli  odii,  che  gli  se  ne 
portavano,  per  darglisene  il  sommo  supplizio,  se  stato  non 
fosse  de'  rivelatori. 

lY.  Gratissimo  spettacolo  fu  poi  Latino  Laziare,  odioso 
altresì,  quando  Aterio  entrò^a  dargli  cagioni.  Latino  fu  il  ca- 
po, come  io  dissi,  del  condurre  alla  maza  Tizio  Sabino,  e 
allora  il  primo  ad  esseme  gastìgato.  Aterio  Agrìppa  i  prete- 
riti consoli  assali:  «  Se  si  sono  accusati  l' un  l' altro,  perchè 
ora  star  cheti?  la  paura  e  il  baco  della  colpa  gli  ha  fatti  ac- 
cordare: ma  non  deono  i  padri  le  udite  cose  passar  con  silen- 
zio. »  Aegolo  rispose:  «  Che  il  tempo  non  toglieva  gastigo; 
e  che  il  principe  gliel  darebbe.  »  Trione  disse,  che  le  gare 
di  colleghi  e  gli  sparlari  si  deono  piuttosto  sdimenticare.  Ri- 
scaldandosi Agrìppa,  Sanquinio,  il  più  vecchio  de' consoli, 
pregò  il  senato:  «  Di  grazia  non  diamo  all' imperadore  più 
fastidi,  stuzicando  piaghe  inciprignite:  lasciamole  medicare 
a  lui  che  potrà.  x>  Ciò  fu  di  Regolo  la  salute,  e  a  Trìone  pro- 
lungò la  rovina.  Aterio  addivenne  odioso  oltre  al  solito  tra 
pochi:  nel  sonno  e  nelle  libidini  poltroneggiando  si  marciva, 
e  la  crudeltà  del, principe  non  temeva,  e  sempre  rovine  di 
grandi  per  le  taverne  e  pe'  chiassi  mulinava. 

SECONDA  DETTATURA. 

Ili Quello  che  Gallion  guadagnò  della  sua  studiata 

adulazion,  fu  Tesser  cacciato  allora  di  senato,  e  appresso 
d'Italia:  e  dicendosi,  che  egli  stava  troppo  agiato  in  Lesbo, 
isola  nobile  e  amena  elettasi  per  esiglio,  fu  rimenato  in  Roma 
e  dato  in  guardia  di  magistrati.  Nella  medesima  lettera  Ce- 
sare battè  con  grande  allegreza  de' padri  Sesto  Paconiano, 
stato  pretore,  audace,  nocivo,  spiatore  de' segreti  d'ogn'uno, 
e  ministro  di  Sciano  a  tender  il  galappio  a  Gaio  Cesare.  Il 
che  quando  si  seppe,  scoppiaron  gli  odii  già  conceputi,  e 
dannavasi  al  sommo  supplizio;  ma  egli  disse  che  aveva  in 
seno  un'  accusa. 


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DELLA  TBADUZIONB  DI  TACITO.  489 

IV.  E  datala  a  Latino  Laziare,  fu  bel  vedere  spia  e  reo, 
r  un  più  tristo  dell'  altro.  Laziare,  come  dissi,  fa  capo  a  con- 
dor Tizio  Sabino  alla  maza,  e  ora  il  primo  gastigato.  In  que- 
sto, Aterio  Agrìppa  i  passati  consoli  assalse:  «  Se  essi  acca- 
saron  Fan  T altro,  perchè  ora  tacciono?  il  baco  della  co- 
scienza e  la  paura  gli  ha  riuniti;  ma  non  deono  i  padri  le 
udite  cose  passar  con  silenzio.  »  Rispose  Regolo;  ce  Che  in- 
dugio non  leva  gasligo:  ben  farebbe  il  bisogno,  presehte  il 
prìncipe.  »  £  Trione,  che  di  gare  e  maldicenze  tra' colleghi, 
meglio  era  affogarle.  Riscaldandosi  Agrippa,  Sanquinio  Mas- 
simo, stato  consolo,  pregò  il  senato:  ce  Di  grazia,  non  aggiun- 
giamo al  principe  fastidii,  stuzicando  piaghe  inciprignite: 
potrà  egli  bene  medicarle.  Ciò  diede  del  morire  scampo  a 
Regolo,  e  tempo  a  Trione.  Aterio  più  di  loro  fu  odioso,  per- 
chè di  sonno  e  di  lussuria  marciva:  del  prìncipe,  benché  cru- 
dele, per  iscioccheza  non  temeva;  e  sempre  le  rovine  de' 
grandi  per  le  ta^verne  e  ma'  luoghi  cercava. 


^f»* 


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491 


TAVOIiA 

DELLE  COSE  PIÙ  NOTABILI  IN  QUESTI  LIBRI  DI  TACITO. 


Nota.  Qoest'  Indice,  che  ablvaecift  solo  i  primi  sei  libri  degli  Annali,  fa  compilato  dal  Davan- 
Mti  per  Vlmptri»  di  Tiberio  Cesare  :  e  noi  ripredneendob  qni,  colla  nnmerasiaiie  r^NW^ 
tata  alle  nostre  pagine,  non  temiamo  d' essere  aeenaati  di  ridondanza,  si  perchè  è  più 
particolareggiato  deli'  Indice  generale  cbe  Terrà  in  flne  del  secondo  Tolome ,  e  sì  perdio 
diverso  affatto  nella  locazione. 


Abbondanza  molto  procurata  da  Tibe- 
rio e  accresciuta^  liO. 

Abdo  Eunuco,  uno  de'grandt  di  Persia, 
e  avvelenato  dal  re  Àrtabano,  SSO.-' 

Accidente  menomo  mette  spavento  e 
disordine  nello  esercito,  49. 

Adganoestrio  oSerisce  d'  avvelenare 
Arminio:  non  è  accettato,  ili. 

AdranUj  fiume  in  Germania,  43. 

Adulazione  vile,  falsa  di  senatori  e 
grandi,  9,  i2,  i5,  78,  i44.  — Mal 
veccJiio,  78.  —  Stomachevole,  i44. 
—  Fine,  squisita,  i3.  —  Da  dappo- 
cjii,  200.  —  Sciocca,  i38,  i43.  — 
Maligna,  i50.  —  BeffaU ,  i5i.  — 
Stucchevole  ad  Agusta,  i7,  i66.— 
Abborainevole  a  Sciano,  SOI. 

Adulterio,  cbe  pene  aveva,  93. 

Aebia  edificò  tempio  a  Venere  in  Pafo 
città  di  Cipri,  i46. 

AGRipPA(M.j,ignobilc,per  virtù  militare 
fatto  Consolo  e  genero  d*Agusto,  3. 

Agrippa  Postumo  di  M.  Agrippa  e  di 
Giulia  d'Agusto,  suo  nipote  unico, 
confinato  innocente  nella  Pianosa, 
4.  —  Morto  da  Tiberio  Imperatore 
la  prima  cosa,  S. 

Agrippina,  nata  di  M.  Agrippa  e  di 
Giulia  d'Agusto,  moglie  di  Germa- 
nico, superba,  casta,  28. —  Valoro- 
sa, e  fa  uficio  di  capitano,  50.  — 
Partorisce  in  Lesbo,  suo  parto  ul- 


timo, Giulia  Agrippina  madre  di 
Nerone  Imperatore,  94.  —  S*  ira- 
barca  con  le  ceneri  di  Germanico, 
i05.  —  Sbarca  a  Brindisi  con  gran 
concorso,  pianto  e  strìda  di  popoli, 
ii3.  —  Morto  Druso,  non  sa  coprire 
la  speranza,  e  s'affretta  la  rovina, 
i63.  —  Parole  sue  altiere  a  Tibe- 
rio, i87.  —  Si  rode,  ammala.  Vi- 
sitata da  Tiberio,  gli  chiede  marito  : 
non  ha  risposta,  i88.  —  Aggirata 
da  Sciano,  i89.  —  Piglia  dalla  sua 
rovina*  speranza:  poi  si  lasciò,  o 
fatta  fu  morir  di  fame.  Suo  ritratto, 
225,  226. 

Agurio  buono  di  otto  Aquile  a  Ger- 
manico, 69.  —  Di  schiume  dell'Eu- 
frate a  Vitelli©,  233,  234. 

Agusto  Imperadore,  piglia  lo  stato  e 
si  fortifica,  2,  3.  —  Ruba  la  moglie 
gravida  a  Oierone,i4.  -~  Per  piacerle 
confina  in  Isola  Agrippa,  4.  >—  Lo 
visita  segretamente,  e  lagrima,  7. 
—  Festeggia  il  popolo  per  farsi 
amare,  42.  —  Giudica  de*  suggetti 
da  succedere,  i  6.  —  Muore  in  Nola, 
si  disse  avvelenato  dalla  moglie  per 
detta  visita  e  lagrime,  8.  —  Suo 
testamento,  essequie,  azioni,  e  vita 
dal  popolo  sindacata,12,i3. — Ado- 
rato, indiato,  i4,  42,  45,  i79.  — 
Lasciossi  succedere  a  Tiberio  per 
parere  un  oro  appetto  a  lui,  i4.  •— 
Lasciò  nota  di  tutto  lo  stato,  i5.— 


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402 


TAVOLA  DELLI  COSB  PIÒ  NOTABILI 


Ricordi  per  rcg gerlo,  98.  —  Fa  fé- 
Ikt  BcUe  coM  pablidie,  nelle  eoe 
di  casa  il  contrario,  1S5.  —  TroTÒ 
il  vocabolo  della  podestà  Tribune- 
sca per  non  dirsi  Re,  143.  —  Fu  it 
primo  a  far  caso  di  stato  le  Pasqui- 
nate, 53. 
jflblj  fiume  in  Germanica,  68. 
ÀLBuaLLA,  quella  dalli  tanti  amadorì, 

carcerata,  dannata,  SAO. 
▲iato  (M.),  mandato  per  aiuto  t  con» 
forto  alle  dodici  città  deU*  Asia  da* 
tremnoti  rovinate,  90. 
jÌlUom0,  fiume,  65. 
Amato  edificò  Umpio  a  Venere  in  Ama- 

tnnta  città  di  Cipri,  146. 
Amazonk,  146. 

Ambasciadori  de'  grandi  contro  Artaba- 
no  chicggon  da  Roma  Fraate  per  re 
d'Armenia:  T ottengono,  e  rouorsi, 
230. 
Ammalarsi  avanti  la  sentensa  era  sì 
pronto  per  fuggire  manigoldo,  spet^ 
taccio,  tormenti,  poter  testare,  aver 
sepoltara,  S28. 
Jmisia,  fiume  dove  Germanico  fece 

massa,  46,  65. 
Jngrivari  ribellati,  gestitati,  66.  — 
Divisi  da*  Gherusci  con  grosso  ar- 
gine, 71.  —  Ribellati  e  fatti  ricre- 
dere, 78. 
Anhia  RuFFiLtA;  direva  ogni  male;  e 
cavando  fuora  il  ritratto  di  Cesare, 
era  sicura,  1 33. 
AnTiio  ha  cura  di  fabricar  mille  navi, 

64. 
Antichità,  146,  98, 99, 190, 195, 196, 
Sài,  164, 165, 173, 183, 183, 188, 
239. 
Ahtom IO  (M.).  Armi  sue  caddero  in  Ce- 
sare, 1.  >—  Ingannato  da  Agusto, 
13.  — Cacciato  da'Parli,  62.  —  In- 
catena e  uccide  Artavasde  con  tra- 
dimento, 63. 
Apicata,  moglie  di  Sciano,  n*  e  da  lui 

rimandata,  157. 
Appio  Appiako,  mal  vivendo  impove- 
rito, di  Senato  casso,  91. 
Apizio,  ricco,  comperò  da  Sciano  Vono- 
sCà,156. 


AmoMio  (L.),  cavaliere,  25.  — Riceve  le 
trionfalt,  52.  —  Succeduto  a  Ca- 
millo in  Affrica,accide  de*dieci  l'uno 
tratti  per  sorte  d'una  legione  di 
mala  pruova  :  leva  l'assedio  di  Tala, 
423.  —  Libera  Gracco  dall'accusa, 
i64. — Chiama  il  genero  che  aveva 
gettata  la  figliuola  da  alto  avanti 
Tiberio,  170.  —  Fa  male  in  Fri- 
sia, 200.  • 
Apkoiiìo   Cbsiako   caccia  Tacfarìnata 

ne*  diserti,  124. 
Apbonia,  gittata  dal  marito  da  alto, 

i70. 
Apulbia  Vabilia,  accusaU  di  sparla- 

mento,  e  d' adulterio,  92. 
Aquile  di  Varo  ritrovate,  46,  74. 
Abcbblao,  re  di  Cappadocia,  odiato  da 
Tiberio,  e  perchà,  86.  —  Ingannato 
va  a  Roma  :  h  bistrattato  :  muore,  86. 
Arco  sagrato  per  le  ritrovate  Aquile  di 
Varo,  85. —  Per  altre  felicità,  100. 
Arditissima  lettera  di  Getulìco  a  Tibe- 
rio, che  non  voleva  scambio,  e  per- 
chè, 228. 
Ardire  di  Mennio,  salva  lui  e  impauri- 
sce i  soldati,  32. 
Abiobabzabo  re  d'Armenia,  63. 
Armata  Romana  ha  fortuna  in  mare,  73. 
Armeni  non  fedeli,  perchè.  Vogliono 
per  loro  re  Zenone  di  Polemone  re 
di  Ponto,  96. 
Abmibio,  Germano,  capo  di  parte,  genero 
e  nimico  di  Segeste,  42.  —  Sparla 
di  Segeste  e  de*  Romani,  e^  accende 
i  Germani  alla  guerra,  45.  —  As- 
salisce   i  Romani  ne' fanghi,   48. 
.—  Parla  al  fratello  che   serviva  , 
come  già  anch'egli,  i  Romani  :  par- 
tonsi  a  rolla,  e  si  sfidano,  66.  — 
Inanimisce  i  suoi  a  combattere,  69. 
È  rotto:  fugge  col  viso  tinto  per 
non  esser  conosciuto,  70.  —  Com- 
batte con  Maraboduo  re  de'Cheru- 
sci  e  lo  vince,  89.  —  Adgàndestrio 
offerisce  a  Roma  d'avvelenarlo.  111. 
—  Combalte  co'  suoi  con  varia  foiw 
tuna  :  è  tradito  e  ucciso  da*suoi  pa- 
renti, 111.  —  Ristretto  di  sne  Baio- 
ni e  laudi,  111. 


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NB' PRIMI  MI  LIBAI. 


403 


Ampi,  signoT  ds'CtUi,  65. 

Absacb  d'Abtabaho,  occupa  TAnne- 
nia:  h  tTveleaato,  929,  SM. 

Artiooe  del  teatro  di  Pompeo,  Ì6S;  — 
-   di  Monte  Celio,  i94;  —  di  Aventi- 
no, che  Tiberio  pagò  i  danni,  S38. 

ABTABAiiOjTe  d'Armenia,  caccia  Vooo- 
ne,  63.  —  Manda  orrevole  amba* 
aderii  a  Germanico,  97.  —  Morto 
lai,  diipresa  Tiberio,  tiranneggia  i 
anoi,  occupa  l'Armenia,  minaccia 
d'altro,  S29.  —  Avvelena  Abdo, 
inganna  Sinnacc,  S90.  -—  Rotto  il 
ano  figlinolo  Orode,  ai  vuol  rifare, 
ì^tellio  mostra  i  denti  Romani;  (*) 
^li  lascia  l'Armenia  e  fugge  alli 
Sciti,  S34.  — Richiamato,  toma, 
▼inoe,  e  caccia  Tiridate,  S37. 

Abtassia  d' Abtatasdb,  re  d'Armenia, 
tradito  e  morto  da'  suoi,  63.  —  Ar- 
taasia, prima  detto  Zenone,  incorona- 
to da  Germanico,  96. — Muore,  S29. 

Abtatasub,  re  d'Armenia,  63. 

Abuhsio  (L.)  sentensia  sopra  l'onoran- 
ae  d' Agusto,  li.— Pugne  Tiberio 
e  gli  è  sospetto,  e  perche,  16.  ->  De- 
putato a'  ripari  dici  Tevere,  55.  — 
Accusato,  s'ammasa  sensa  difesa  per 
Inggire  la  tirannia  di  Macrone,  240. 

Asiiao  Gallo,  nel  parlare,  ofStnót  Tibe- 
rio, e  si  racconcia,  46.  —  È  da  lui 
odiato,  e  perche,  i6. — Sentensia 
aopra  l'onoranse  d' Agusto,  il.  — 
Contra  Libone,  78.  —  Contro  al 
BBoderar  le  speae,  79.  —  Disputa 
sua  ridicola  con  Pisone,  81.  —-Vuo- 
le acemare  V  autorità  di  Tiberio,  81. 

.  .  —  Ricusa  difender  Pisone,  117.  — 
Muore  per  digiuno,  224. 

Asimo  PoLLioMB,  fratello  di  Druso 
uterino,  164. 

AsPBBHATB  (L.),  Ticeconsolo  in  Affrica, 
42.  —  Ricorda  Claudio  lasciato  in 
dietro,  122. 

n  Qvsiido  i  cani ,  digrignando,  mostrano  i 
éenti,  vogliono  difendersi  e  offendere.  Quindi 
il  traslato  moitran  i  denti  ad  alcune  per  U- 
voltarsefli  con  atto  nenùm  e  senza  panra.  Ma 
mosiran  i  dènti  romani,  Tcramente  è  BOOVO. 
Nel  testo  dice  le  armi 


Assedi  Uvati,  43,  65, 184, 471. 

Astrologia  come  h  fallace,  494. 

AUma»  visitata  da  Germanico:  tvilla- 
neggiata  da  Pisone,  94,  95. 

Atbbio  (Q.)  pugne  Tiberio  t  lo  fa'eade- 
fet  AgttsU  gli  fa  perdonare,  47.  — 
Deputato  a'ripari  del  Tevere,  56.  (*) 
•—  Biasima  le  troppe  speae,  78.  — 
Vuole  che  1'  desion  di  Druso  al- 
l' Imperio  si  scriva  in  senato  a  lei- 
terooi  d' oro,  444.  —  Muore,  e  con 
lui  la  sua  cloquensa  corrente,  non 
diligente,  193. 

Atbbio  Agbippa,  condanna  Lntorio, 
439.  —  Perseguita  i  consoli:  suo 
elogio,  212. 

Atbio  Capitokb,(**)  gran  legista,  corti- 
giano odiato  !  adolasione  sua  beffata, 
451. — Fatto  consolo,  perchè,  454. 

Atroce  caso  e  forte  animo  d'un  villano, 
484;  —  di  Vibuleno  Agrippa,  235. 

Atroce  atto  a  Germanico,  29  ;  —  alla 
figliolina  di  Sciano,  207. 

Avarizia  de'  dominanti  ribella  i  popoli, 
499. 

Autore  parU  di  sé,  81, 122, 125, 148, 
463.  —  Dello  scrivere  minutcse, 
475.  —  Suoi  pensieri  e  diligenze, 
488, 491, 199,  215. 

Avvedimento  di  Tiberio,  di  trovare  il 
vero  se  Apronia  fu  precipitata  dal 
marito,  dalla  scompigliatura  del 
letto,  170. 

A»iOf  famoso  luogo  per  la  vittoria  d'A- 
gusto  contra  Marcantonio,  94. 


Barbari  messi  oltre  il  Danubio  per  non 
mescolare  simil  rasa  nelle  Provin- 
cie quiete,  100. 

Bastone  d'avorio  presentato  da'Romani 
a  Tolommeo,  (•**)  172. 


n  II  deputato  a'  ripari  dd  Tevere  è  Ateri» 
Capitone. 

n  II  nostro  testo,  colla  Neetiana  e  colla 
Giuntina,  Aterio. 

(***)  La  Giuntina,  per  errore,  corretto  poi 
nelP  Indice  della  Nestiana,  a  Giuba.  Così  va 
qualcbe  altro  luogo. 


42 


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494 


TAVOLA  DILLI  COSI  PIÙ  NOTABILI 


Battaglia  d*AffmÌDÌo  con  Gfcnnaiiko 
prìmai  47, 70;  —  Seconda,  7S|  — 
Tana,  74}  —  B  con  Marabodoo  e 
Ingoiomcro  ano  aio,  89.  -•  Altre 
battaglia  o  aniè,  40,  60,  98,  iOS, 
IS3, 134» ISft,  ìòZ,in,  186,  i87, 
100,  S3i. 

Binati  a  Dnuo  di  Tiberio,  c^e  ne  ama- 
nia,  109.  —  Uno  ne  mnoic,  i65. 

Bianmaio  in  Tracia,  TÌsitata  da  Germa- 
nico, 94. 

BLBso(Gtu]iio),  generale  di  tre  Legioni 
in  Ungheria:  non  le  esercita,  a'  ab- 
bottinano,  i8.— Sue  parole,  90."— 
▼ioeoonaolo  in  Affrica:  aio  di  Scia» 
noi  però  icaTalla  Lepido,  i89.  — 
▼i  h  raffermato,  i44.  —  RiccTcne 
le  trionfali,  i&9.  —  Gnerreggia  di 
▼emo,fà  prigione  il  fratdlo  di  Tac- 
farinata  ;  h  gridato  imperadoret  tor- 
naaene  a  Roma,  154. 

Blbso,  figliuolo,  mandato  ambatciadore 
a  Tiberio  da*f oldati  aediàoai,  SO.  — 
Rimandato,  S5. 

Bruno,  pianto,  e  feriato  per  la  morte 
di  Germanico,  fatti  in  Roma,  108. 

Brotidio  Mino,  acieoaiato,  troppo  to- 
glioloso  di  farai  grande  aranti  tem- 
po, i49. 

Bboto  (L.)  miae  in  Roma  la  liberili  ei 
oonaoli,  9. 

Brnttgri,  Germani,  si  risentono,  40,46. 


Cammillo  Fobio,  rompe  Tacfarinata. 
N'  acquista  gran  gloria,  e  le  trion- 
fali: e  si  modesto  usa  la  grandexa 
sua,  che  non  gli  nuoce,  94. 

Canopo  in  su  '1  Nilo  edificata  dalli 
Spartani  per  sepoltura  di  Canopo 
nocchiere  di  Menelao,  98. 

Camzio  risquote  l'estimo  nelle  Gallie, 
64. 

Cappadoci,  nuovi  vassalli,  e  Q.  Vera- 
nio  primo  governatore,  96. 

Capri j  isola  dove  si  nascose  Tiberio  : 
suo  sito,  e  anticbitk,  196. 

Carcere  di  soldati,  catena:  carcere  di 
consoli,  esser  in  casa  sostenuti,  134. 


Cabicu,  medico,  troTa  a  Tiberio  polso 
per  due  di,e  lo  dice  a  llacrone,S41. 

Cabiotalda  9  capitano  d' olandeai  aiu- 
ti de' Romani,  paaaa  Viaurgo  dov' è 
pia  pericolo:  lanciasi  nella  più  folta 
battaglia;  tì  muore,  67. 

Cassio,  atrione  diaonesto,  63. 

Cassio  Cbsbba,  si  fa  la  via  col  ferro, 
98  (che  poi  ueeiae  G.  Cesava). 

Cassio  Sbtbbo,  di  mente  mala.  Satiri- 
co, 63.  — >  Fine  sua  peaaima,  170. 

Catene  trovate  nel  campo  de'Gcraaani 
rotti  t  come  sicuri  di  -vincere,  71. 

Cato  (Fibmio),  Senatore,  apia  traditora 
di  Libone,  76  s  —  falaa  ,  della  so- 
rella, 176. 

Cbcilio  Cobnuto,  173. 

Cbcina  (A.)»  Legato,  96.  —  Con  Ger- 
manico in  Germania,  42.  —  Piglia 
partito  da  pratico,  48.  •>-  Riceve  le 
trionfali,  69.  -—  Fabbrica  mille  na- 
vi, 64. 

Cbcima  Sbvbbo  non  vuok  die  in  reggi- 
mento ai  rada  con  r  imbrèntina  (*) 
della  moglie,  131. 

Celendri,  fortesa  in  Cilieia,  presa  da  Pi- 
aone,  107. 

CeiiOf  monte,  arde:  detto  Agusto:  pri* 
ma,  Qnercelolano.  Celio  da  Cele  Vi« 
benna,  196. 

Cencric,  fiume  degl'  Eicsii,  146. 

Centurioni,  agliòdii  e  furori  soldateschi 
antico  bersaglio,  27.  —  Come  si 
usavano  rassegnare,e  raficnnare,  36. 

CssioCoBDO,dinnato  d'iniquo  reggi- 
mento de'  Cirenesi,  161. 

Chenuci  contendono  co'Svevi,  89. 

Cinimiij  collegati  con  Tacfarinata,  93. 

Ginka  signoreggiò  Roma  corto  tem- 
po, 9. 

Cirray  ove  s'abbocca  Pisone  con  Ger- 
manico, e  si  partano  irati,  97. 

CUieemij  e  lor  meriti  e  demeriti,  178. 

(*)  n  volgo  toscano  chiama  imtnmtùu  o  Am- 
irìmtini  gl'iogombri  o  altreni  inntiU;  ei  è 
eornuione  di  omirente,  sterpo  ebo  nasce  tra  la 
stipa,  e  di  cai  le  montanine  pistoiesi  cantano: 

Fiorin  d' ombrente  ^ 

Tetti  dicon  che  siete  lo  mio  amante; 

Ma  io  per  verltk  non  ne  so  niente. 


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NB' PRIMI  SEI  LtBBI. 


405 


Clauiha  Bella,  cugina  d'Agrippina, 
accusala,  i  87. 

Clkvwo,  fratello  di  Germamco,  lettera- 
to, ma  scemo,  339.  —  In  ninna 
considerasione,  non  mai  ricordato  ; 
e  poi  fu  imperadore,  iS3. 

Climkmtb  Giulio,  soldato  destro, "^ma- 
to,  23.  —  Pugne  i  sedisiosi,  25. 

Clkmbmtk,  schiaTo  d*Agrippa  Postumo; 
somigliandolo,  si  6nge  esser  lui;  ha 
sèguito:  e  preso  con  inganno,  e 
spento,  S4,  85. 

catari  si  riliellano  per  angherie,  236. 

CoccBo  Nebva  va  con  Tiberio  in  Cam- 
pagna, 491.  —  Muore  per  non  ve- 
dere i  mali  apparecchiati,  226. 

Contagenij  morto  Antioco, eCilici,mor» 
to  Filopatore,  discordano,  volendo 
chi  re  chi  Roma  ubbidire,  87. 

Comageni  nuovi  vassalli,  e  Q.  Serveo 
primo  pretore,  97. 

Comedianti ,  cagioni  di  misdiie,  56.  — 
Postovi  regola  e  modo,  56, 165. 

Comizio  PoLLioNB  fa  vestale  la  figliuo- 
la, HO. 

CoBsisio  Procolo,  rapito,  portato  in 
senato,  dannato  e  morto'subito  per 
lesa  maestà,  221. 

Consiglio  d'A&inio  di  dare  i  magistrati 
per  cinque  anni,daTiberio  befTatOjS  1 . 

Consigli  per  fare  riso1aBÌoni,30, 37,63, 
84,  88, 106, 157. 

Consolo  proponeva ,  e  richiedeva  i  se- 
natori :  ma  era  primo  a  parlare 
quando  Tiberio  aveva  proposto  , 
121. 

Costume  di  senatori,  dar  sentensa  di 
cosa  sovvenuta  per  ben  pubblico 
n  n  proposta,  78,  83. 

Costume  d'Armeni,  di  tor  per  mogli  lor 
sorelle,  e  con  elle  regnare,  63. 

Costumi  forestieri  alterano  le  citta,  o 
dispiacciono,  62. 

Costumi  d'altri,  presi,  fanno  amare,  34, 
96,  98  ;  -^  spresati,  odiare,  62. 

Cotta  Mbssaiiho,  nobile, di  mala  men- 
te, 169,  204.  —  Quei  dalle  crude 
sentense,  218.  —  Accasato  di  aver 
detto,  «  il  mio  Tiberiolino;  ••  e  d' al- 
tre cose,  214.  - 


Cbasso,  e  sua  potenaa  caduta  in  Cesa- 
re, 2. 

Cesari.  Vedi  Agusto  imperadore. 

Crbmuzio  Cordo,  e  sua  diceria  sopra 
l'aver  lodati  Bruto  e  Cassio,  177. 

Crupellai,  Galli,  coperti  d' arme  tutte 
d*un  peso,  136. 

Curzio  Lupo  ,  sbrancando  la  congiara 
nel  principio,tronca  la  guerra  servile, 
173. 


Dbcio  Silano  adultera  la  nipote  d*Agu- 
sto:  n'è  graziato,  ma  esoso,  125. 

Decrio,  soldato,  e  sue  ardite  pruove  e 
morte,  123. 

Deputati  del  Tevere  propongon  modi 
a  danno  de* Fiorentini  e  altri,  i  quali 
si  risentono,  e  ne  sono  liberati,  57. 

Detto  di  Passieno  sopra  Galigola,  222. 
—  E  d'altri,  107,  188,239. 

Digressioni.  Vedi  Episodi, 

Dicerie  distese  di  Percenio  soldato  sedi- 
sioso,  18; — di  Germanico  all'  eser- 
cito sedizioso,  34; — di  Segeste  a 
Germanico,  44; — d'Arminio  a*  suoi 
contro  a*Romani  e  Segeste ,  45  ;  — 
di  Germanico  e  d' Arrainio ,  contra- 
rie, 68,  69  ;  —  d' Asinio  che  non  si 
ponga  legge  a]le  spese,  79;  —  di 
Tilierio  contra  Ortalo,  83; —  d'Ar- 
minio e  Maraboduo  a'  soldati ,  con- 
trarie, 89;  —dì  Germanico  veg- 
gendosi  morire,  103, 104;  —  di  Ti- 
berio sopra  il  giudicar  Pisone,  1 18  ; 
— di  Pisone  a  Tiberio,  1 20; —  di  Ce- 
cina che  in  reggimento  non  si  meni 
la  moglie;  e  di  Messalino,  contraria, 
131, 132  ;  —  di  M.  Lepido  per  Lu^ 
torio  Prisco ,  139  ;  -^  di  Tiberio  so- 
pra le  troppe  spese  ,140;  —  di  Cre- 
muzio  Cordo,  dell'  aver  celebrato 
Bruto  e  Cassio,  177;  <-- stupenda 
di  Tiberio  ricusante  l'adorazione, 
179;  —  di  M.  Terenzio  confessante 
generosamente  l'amicizia  di  Sciano, 
215.— Lettera  di  Sciano  a  Tiberio, 
e  sua  risposta,  180,.  181. 

Dieci,  signori  di  Roma  con  poca  do- 
rata, 2. 


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4M 


TAVOLA  DBLLV  G08B  ¥Vt  MOTABIU 


Dirittttn,  oajt  naiccsse:  come  le  leggi 
Steno  a  queste  infiniU  perTeaute, 

'     il6. 

Discorso  d'Agosto,  di  dii  ti  sardibe 
de  succedergli,  7. 

Discorsi,  Toci,  dogliente  del  popolo 
neiresequied*Agusto  sopra  tutta  la 
sua  vita,  \t,  13;  —  de'soldati  abliot« 
tinati,  36.  •—  Nel  trionfare  Germa- 
nico, 85.  —  Nella  sua  malattia»  e 
morteylOS. — Nello  sbarcare  Agrip- 
pina con  le  ceneri,  il 3.  —  Contra 
Pisone  e  Plancina,  120,  121.  — 
Per  le  ribellate  Gallie,  136.  —  Con- 
tra Druso  eletto  a  succedere,  144. 
.   —  Dopo  0  caso  di  Sabino,  198. 

—  E  altre,  7,  29,  33. 
Discordia  nelle  avversila,  suggello  di 

tutti  i  mali,  186. 

Disonesta  delle  donne,  frenata  con  leg- 
gè,  110. 

Divinità  e  adoiaxioni  fatte  ad  Agusto, 
15,  52. 

Doglienxe  di  vassalli,  delle  troppe  gra- 
veie,  55. 

DoLABULA,  viceconsolo  in  Africa  ri- 
manda la  legione  nona  per  coman- 
damento di  Tiberio  contra  ragion 
di  guerra.  Con  pocbi  affronta  Tac- 
farinata,e  le  sbaraglia  e  uccide,  171. 

—  Domanda  le  trionfali:  rispetto  a 
Bleso  non  le  ottiene  :  tanto  più  dalli 
suoi  meriti  si  ragiona,  172. 

Dovizio  CoRBtTLOHK  fa  romorc  in  se- 
nato, che  L.  Siila  donzello  non  gli 
cede  U  luogo  alla  festa,  130.  >- 
Prese  a  racconciare  strade;  non 
giovò:  condannò;  rovinò  molti, 
130. 

DoMizio  (L.),  fabbricò  Pontilunghi, 
stradone  sopra  i  fanghi,  47. 

DoMizio  Afbo  accusa  Claudia  Bella,l  87. 

—  Di  più  ciarla  che  eloquensa,  (*) 
peggiorò  invecchiando,  ne  sapea  ri- 
manersene, 188.— Accusa  Quinti- 
no Varo,  195. 

Douizio  CzLXBX  mal  consiglia  Pisone 
a  ripigliar  la  Soria  per  forza,  106.  — 

(1  Qui,  più  die  del  tasto,  s'è  rioordato  del 
tatù  loquenticB,  sapientiee  panan  di  SaUnstip. 


Ti  ^  da  Pisone  mandato^  e  «ibutta- 
to  da  Pacnvio,  107. 

Donativo  alla  plebe  di  scudi  (*)  sette  e 
meso  per  testa,  in  onore  di  Germa- 
nico, 85. 

Doni  militati  di  poca  valuta^  e  grandi 
testimoni  di  virtù,  172. 

Dottoretti  storcileggi  messi  a  parte 
delle  condannagioni,  128. 

Dbuso,  figliastro  d'Agosto»  è  chiamato 
imperadore  d'esercito,  4.  —  Amato 
perchè  arebbe  rendato  la  libertà, 
28.— Adorato,  e  imitato  da  Germa- 
nico suo  figliuolo,  65.  —  Suo  alta- 
re da'Gcrmani  disfatto,  65.  —  Fossa 
Drasiana  da  lui  fatta,  65. 

Dbuso,  figliuolo  di  Tiberio,  eletto  con- 
solo, 17.  —  Mandato  a  quietare  la 
sedizione  in  Ungheria,  22.  —  Elo- 
qnenaa  sua  senz'  arte,  25.  —  Avido 
del  sangue  de*  gladiatori,  il  popolo 
ne  impaurì ,  55.  —  Daccordo  con 
Germanico,  88.  —  Levato  dalli 
sviamenti  di  Roma,  e  mandato  in 
campo  in  Illiria,  e  perchè,  55.  — 
Vi  acquista  gloria,  rovina  Marabo- 
duo,  99.  —^  Torna  oùanU,  123.  — 
Riesce  ne' giudizi  e  nel  conversa- 
re, 132,  133.  — È  fatto  tribuno, 
cioè  imperadore  eletto,  143. — Da 
una  ceffata  a  Seiano,  157.  —  Ama 
i  figliuoli  di  Germanico,  158.  — 
Sparla  di  Seiano,  160. 

Druso,  secondo  figliuolo  di  Germanico, 
congiura  con  Seiano  per  levarsi  di- 
nanzi Nerone  fratel  maggiore ,  e  re- 
gnare, 192._ —  Muore  in  carcere  di 
fame,  avendo  morsi  i  materassi  no- 
ve di,  224. 


Eco  dalle  grida  de' nemici,  187. 

Efesii  e  loro  antichitSi,  146. 

Egiai  mandati  a  spegner  ladri  in  Sar- 
digna,  o  morire  in  quell'aria  pessi- 
ma, 110. 

Egitto^  chiave  della  tcna  e  del  mare. 


n  Nel  testo: /orto*. 


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NE'PBniI  8St  LDU. 


497 


Pochi  poston  tenerla,  e  afFamare 
Italia^  98.  * 

Elefantina j  confine  del  romano  impe- 
rio, 99. 

Elvio  Rosso,  (*)  i^ntacciao,  meritò  col- 
lane, asta,  e  corona  di  quercia,  iS4. 

Emilia  MasA,  e  sua  ricca  reditk  data  a 
Emilio  Lepido  povero  riarso,  91. 

Emcio  (L.),  cavaliere  accusato  di  lese 
maestk  per  aver  fatto  d'una  statua  di 
Cesare  d'ariento,  vasellamento,  451. 

Episodi,  o  digressioni.  Àntichitk  e  ma- 
raviglie d'Egitto,  98,  99.  —  Orì- 
gine e  progresso  deRe  leggi,  137. 
...  Spese  snperchie,  perdio  ritirate, 
14S.  —  Forse  romane,  158.  — 
Luogotenente  con  somma  podestà 
lasciato  da*re  e  imperadorì,  318.— r 
Usure  vietate,  tassate,  rimesse,  330, 
331.-— Fato  éprndenaa,  333.— Fe- 
nice in  Egitto,  837.  —  Scusa  dello 
Autore  dello  scrivere  minntetc,  175. 

Ebcolk  primo,  nato  in  Egitto:  gli  altri 
Ercoli  denominati  da  lui ,  98.  — 
Padrone  della  Lidi^,  146. 

Ebato  fatta  reina  d*  Armenia,  e  tosto 
cacciata,  63. 

EssMmro,  ricusa  difender  Pisone,  117. 

Esequie  di  Druso  di  Tiberio,  163;  — 
di  Ginnia  nipote  di  Catone,  moglie 
di  Cassio,  sorella  di  Bmto,  154. 

EODBMO,  medico  congiurato  con  Scia- 
no, 157. 

Eunuco  appresso  i  Parti  non  è  dispre- 
gio, ma  adito  alla  grandesa,  330. 


Fabio  Massimo,  accompagna  Agusto 
a  visitare  Agrippa  :  lo  rivela  alla 
moglie:  muore,  7. 

Faeesia  soldatesca ,  33;  —  senatoria, 
J40;  — di  Tiberio,  311. 

F  AL  amo,  sacerdote  d*  Agusto,  accusato 
di  tenersi  (**)  Cassio  Slrione  disone- 
sto, 53. 

n  Ha  indotto  U  »oine  latino  Rufus.  Nel  ta- 
sto «bbiamo  ili^o,  ooUa  Nestitna. 

n  <<<  teneni  tra'  sacerdoti  d' Angusto  ni 
casasaa. 


Falso  Agrippa  ha  sèguito:  mette  Tibe- 
rio in  paura  :  lo  spegne  (*)  con  in- 
ganno, 84, 85. 

Falso  Druso  di  Germanico,  308. 

Fattor  publico,  chi  s'intende,  77, 150. 

Fabasmakb  presenta  battaglia  a  Oro- 
de,  331.  —  Feriscelo  per  la  visiera. 
Credesi  morto,  gli  è  ceduto  la  vitto- 
ria, 333. 

Fasto  di  Sciano,  301. 

Fato,  che  cosa  sia.  Se  egli  o  la  pruden- 

.  caci  fa  co' principi  star  bene,  senaa 
adorarli  nb  inasprirli,  169. 

Forti  fatti  e  arditi,  38,  31,33, 70,18l> 
.    338,333. 

Festa  agnstale  chiesta  dal  popolo: 
concessa  limitata,  18;  —guasta  per 
gare  di  strioni,  43. 

Festa  d' accoltellanti  celebrata  da  Dm- 
so,  55. 

Figlinoli  di  Sciano  tenerissimi,  uccisi 
dal  carnefice  per  modo  atroce,  307. 

Fiorentini  e  altri  si  risentono  del  fatto 
disegno  di  mandar  loro  addosso 
l'acque  onde  il  Tevere  ingrossa,  e 
nulla  si  innuova,^7. 

FiBMio  Cato  fa  dire  Libone,e  rapp9r- 
ta,  75.  —  Spia  falsa  della  sorella, 
175. 

Placco  Vbscolario,  messaggiere  nel 
tradimento  di  Libone,  capita  male, 
75. 

Flamine,  dee  risederà  ;  però  non  può  ir 
fuora  in  reggimento,  144.  —  Sta- 
tuto d'Agosto  sopra  di  ciò,  151 .  — 
Cirimonia  nel  crearlo.  Modo  del  con- 
farrare,  165, 166. 

Flavio,  fratello  d'Arminto,  nel  campo 
Romano  gli  parla  :  avea  perso  un  oc- 
chio, 66. 

Floro  Giulio,  capo  di  ribelli  francesi , 
435.  —  Corrompe  Treviri  nostri 
aiuti,  disperato  s'uccide,  136. 

FoHTBio  Ag  riffa  accusa  Libone,  76. 
—Offerisce  a  Vesta  la  figlinola;  non 
è  accettata,  e  perchè  :  è  dotata  in 
scudi  venticinque  mila,  (**)  110. 

Forte  e  armi  romane  in  più  luoghi, 

n  to  spegni  :  cioè:  Q  qaale  lo  spogne  «e. 
n  U  GiontiRa  ba  twto  wentiànqu»  mila. 

4r 


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TÀVOLA  DBLLB  GOSB  PIÙ  NOTIUU 


496 

kgioM»  40.--*  Morti,  159 — Qiuù 

alUnti  aiuti  pagati:  più  re  amici: 
tra  armate,  i58, 159. 

Fortuna  vuole  il  giooco  de*  mortali , 
ISl. 

Fossa  drasiana,  tra  la  Mosa  e*l  Reno, 
fatta  daDroso  fratello  di  Tiberio 
nato  in  casa  Agosto,  65. 

FBAATt,  re  d'Armeoi,  530.  —  Mnora; 
raeeede  Tiridate,  330. 

Franchigia  alle  insegne  del  campo,  32. 
—  Molte  ciltk  doaundano  confer- 
marsi a' loro  templi,  145,164.  — 
h*  ha  ogni  scelerato  che  mostra 
l*imagine  dell'imperadore,  133. 

Frioli^  colonia  detta  Gallia  nerbone- 
se,100. 

Frisoni  si  ribellano:  hanno  vittorie:  sal- 
gono in  gran  fama,  199,  200. 

FuLCurio  Gallo  ricusa  difender  Piso- 
ne,117. 

FoLCiHio  TaiOM^  spia  famosa,  e  w  ne 
gloria ,  76.  —  Chiama  Pisooe  e' 
consoli,  116.-— Accusalo, si  sfoga 
nel  dir  male,  nel  testamento,  di  Ti- 
berio e  di  Macrone,  e  s'uccide,  234. 


Gabella  d*nn  per  cento  delle  Tendile  a1- 
r  incanto,  oon  volata  levare,  56;  — 
sgravata  la  metà,  87. 

Gaio  CK8AiiK,natod*Agrìppa  e  di  Giu- 
lia d' Agusto,  è  gridato  imperadore 
d'esercito:  avvelenato  da  Livia,  A. 

Gaio  Galigdla,  cioè  Caliarino,  da'cal- 
lari  vili  soldateschi  per  farlo  amare, 
3^  51 . — Di  mostruoso  animo,  222. 
-^  Sposa  Claudia  di  M.  Silano,  222. 
-—Va  con  Tiberio  io  Campagna,  (*) 
222.  —  Ridesi  di  Siila  che  lasciò 
Roma  in  lilierlà,  239.  —  Animo  suo 
l>esliale,  222.  —  Tiberio  il  chiama 
Sole  oriente;  e  se.  Occidente,  239. 
—  Per  contiglio  di  Macrone  T  affo- 
ga ne* panni;  e  succede,  241,  242. 

Galli  aiuti  de' Romani,  70. 

Galuohb,  adulatore  rabbnfl&to,  211. 

n  Usci,  CtpH, 


GmIU  ribellati,  134.  —  Alcuni  T«kno 
in  aintn  per  fellonia  coprire^  aspet- 
tando il  tempo,  135. 

Gastigo  all'  esercito  sediiioto,  e  sua 
forma,  36.  —  Dieci  per  cento  vu> 
cidcre  di  verga,  123. 

Gemelli  nati  a  Dmso  di  Tiberio,  n<m 
piaciuti  al  popolo:  perchè,  109. — 
Ne  muore  uno,  165. 

Germmmi,  rotti,  ripiglion  l' arme  punti 
dal  trofeo  di  Gennanico,  71. — Non 
deatrì,  72.  —  Loro  natura  e  >  sorte 
d'armi,  68,  69. 

Germani  tra  loro  divisi,  39. 

GuuiAiiico  DI  Dmmo,  di  Claudio  Ne- 
rone e  di  Livia,  nipote  di  Tiberio 
imperadore,  marito  d'Agrippina  di 
Giulia  d' Agusto,  è  da  lui  fiitto  ge« 
nerale  ddle  otto  legioni  in  ao'l  Re- 
no^ e  adottato  da  Tiberio,  5. — Yì- 
ceeonsolo  in  Germania,  17.  ~<*  In- 
tento •  catastar  le  Gallie,  26,  28.— 
Odiatissimo  da  Tiberio  aio,  e  per- 
chè, 28.  —  Amato  e  amahilissimo, 
28.  —  Quanto  più  vicino  all'  im- 
perio, tanto  più  fedele  a  Tiberio,  e 
fagli  giurare  omaggio  da'Bo^o- 
gnoni,  28.  —  Gorre  a  riparare  alla 
scdisione:  riprende  l'esercito,  29. 
—Gli  è  oflèrto  1'  imperio:  si  git- 
ta  a  terra  del  tribunale  ,  si  vuole 
uccidere,  29.  — Scampa  Planco  dal 
furore,  33.  ~-  Cansa  la  moglie  e  '1 
6gliuolo,  33.  —  Diceria  sua  a*  ae* 
disiosi,  34. — Posati  quelli,  affronta 
i  Germani,  36.  —  Arde  e  saccheg- 
gia cinquanta  miglia  di  paese,  com- 
batte, e  vince,  40.  —  Ricomincia  la 
guerra,  42. — Arde  Matlto  metropoli 
dei  Catti,  e  saccheggia,  43.  — Libera 
Segeste  assediato,  43.  —  Seppelli- 
sce l' ossa  di  Varo  e  delle  tre  legio- 
ni scooBlte,  46.  —  Seguita  Armi- 
nio:  corre  in  qne' fanghi  peric<do> 
47.  —  A  gara  l' aintano  le  Gallie, 
Spagne,  Italia,  52.  —  Amorevole 
a' soldati,  52.  —  Considera  i  modi 
del  fare  questa  guerra,  e  affretta,  64. 
—  Fabbrica  mUlc  navi,  64. — Ado- 
ra  suo  padre,  65.  —  Spìa  il  co- 


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ne'  primi  8B1  LIBU. 


49» 


raggio  de*  soldati.  Ode  dir  bene  di 
ah,  67.  —  Sogno  sito  lieto,  68. 

—  Ioaoimisce  i  soldati,  68.  '- 
Intende  i  disegni  dd  nimico  t  lo 
dNnbatte,  e  vince;  e  risa  trofeo,  7i. 

—  Di  nuoTo  lo  vince,  e  risa  trofeo 
con  superbo  titolo,  71.— Rimanda 
Tannata,  corre  fortona,  si  ruol  gtt» 
Ure  in  mare,  78.  — Tersa  sconBtta 
dà  a*nimiei  confessanti  d'esser  vin- 
ti, 74.  —  A' suoi  rifa  ogni  danno 
del  mare,  74.  -»  È  richiamato  al 
trionfo,  74.  —  Trionfa,  86.  —  È 
detto  consolo,  85.— Tiberio  pensa 
a  smaltirlo  in  Oriente  t  fl  Senato  lo 
fa  generale  per  tutto  oltre  mare,  87. 
<*-  Consolo  la  seconda  volta ,  94. 

—  VisiU  Druso  in  Uliria:  il  famo- 
so Asio  t  Atena  :  Colofone,  ove  TOra- 
colo  gli  canta  moru  vicina,  94,  95. 

—  Salva  PisMie  da  burrasca,  96.— 
Corona  in  Artassata  Zenone  in  re  d' 
Armenia,  96. — Abboccasi  con  Piso- 
ne  in  Cina:  partonsi  male  intalen- 
tati, 97.  •—  Risponde  alli  amba- 
sciadorid'Artabanoredi  Persia,  97. 
...  Visita  l'Egitto:  si  fa  amare  con 
varie  cortesie:  n*  b  gridato  da  Tibe- 
rio, massinuroented'esservi  entrato 
senza  licensa,  e  perchè,  98.  — •  Am- 
mala in  Antiocciat  megliora:  gran 
festa  se  ne  fa  !  ricade:  si  tiene  avve- 
knatot  trovami  segni  di  malie:  con 
bella  dicerìa  prega  gli  amici  che 
veodidiino  la  morte  sua,  i03,  i04. 
-*  Ammonisca  la  moglie:  muore 
sensa  esequie:  b  pianto,  lodato,  as- 
somigliato ad  Alcsuudro  Magno: 
posto  ignudo  in  sidla  piasa  i  segni 
di  veleno  parevano  a  chi  sì  e  a  chi 
no,104, 105. — In  Roma  ne  fa  fatto 
compianto,  bruno,  fetiato,  e  grandi 
onori,  i08. 

Ciadei,  mandati  a  spegner  ladri  in  8ar- 
digna,  o  morire  in  queir  aria  pes- 
sima, 110. 

Giudizio  giurato,  quale  e  come  era,  169. 

Giulia  di  Dauso,  vedova  di  Nerone  di 
Germanico  rimaritala  a  Rubellio 
Blando  basso.  Dispiace,  S36. 


GiiiUA  D*  Agosto,  muore  di  stento  in 
Reggio  confinata  per  disonestà:  ri- 
stretto di  sua  vita,  41. 

Giulia,  nata  d'Agrìppa  e  di  Giulia  d*A- 
gusto,  confinata  per  disonestà  in 
Tremiti,  doppo  vent'  anni  muore , 
i99. 

GiUHiA,  nipote  di  Catone,  moglie  di 
Cassio,  sorella  di  Brnto,  muore;  la- 
scia a  molti  grossamente,  a  Tiberio 

^     niente  :  esequie  grandi  sue,  154. 

Giuirio  Rustico,  senatore,  segretario 
dd  Senato  :  suo  pio  parere,  S04. 

Giuramento  dato  a  Tiberio  in  Roma, 
con  che  ordine,  9.  —Da  Borgogno- 
ni, S8. 

Grovemo  di  Tiberio,  buono  ;  poi  peggio- 
rato, 159, 160. 

Gbacco  (G.)  accusato,  assoluto  :  fa  per 
vivere  il  ferravecchio,  164. 

Gbahio  Mabckllo,  pretore,  accusato 
dal  questor  suo,  53. 


ìdistavitó,  pianura  fra  *1  Visargo  e  i 
coUi,  69. 

Imagioe  di  Tiberio  difendeva  dall'  esser 
preso  chi  la  portava^  per  male  che 
facesse  o  dicesse,  133. 

Imperadore,  titolo  di  capitano  e  prin- 
cipal  comandatore  deiresercito,  da- 
togli per  qualche  vittoria  o  virtù, 
2,4,154. 

Incesto  di  Sesto  Papinio  con  la  madre, 
S40. 

Ihouiomuo,  aio  d'Arminio^  unito  seco, 
45.  —  È  ro^to  e  fugge,  50.  —  S'u- 
nisce con  Marabodno  per  non  ub- 
bidire ad  Arminio  giovane  nipote, 
89. 

Insegne,erano  gViddii  del  campo:  s'ado- 
ravano; vi  era  franchigia,  38,145, 
164,  133  —Alle  ritrovate  aquile 
di  Varo  si  sagrò  tempio,  arco,  cap- 
pella, statua,  85. 

iRzioe  Pausa,  uccisi  da  Agusto,  ma- 
lamente, 13. 

IsAURico,  re  di  Persia,  sagrò  il  tempio 
di  Diana  in  Geroccsarea,  146. 


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800 


TÀVOLA  niLLB  COSI  FIÙ  ROTABILI 


Itro«By  spia  di  gnndi ,  faTOrìto  da  Ti- 
berio 6S,  M. 

luBA,  tiene  il  itgao  da' Mori  in  dono 
dal  popol  romano,  ib%.  —  È  pfie* 
aentaio  (*)  di  doni  mililarì  per  meriti 
nella  guerra  di  Tacfarinata,  Ì7S. 

lae  tra  la  donna  di  casa  Tiberio,  S8,ft8, 


LAMom  Amtutio, legista  sincero;  gran 
lume  della  pace,  154. 

Lamenti,  maldiceoac  di  popolo,  solda- 
ti, vassalli,  S3,  36,  i86. 

Laodiceat  dttli  in  Scria,  i07. 

Latirio  Laziahb,  spia  di  Sabino,  i97. 

—  Spiato  da  altri,  i98. 

Leggi,  qnando  trovaU  e  perchè,  e  come 

usate,  e  cresciute,  i96. 
Legge  di  maestà  o  di  stato,  perchè  tro* 

▼ata:  a  che  applicata,  55, 98. 
Legge,  podere  del  principe;  pasciona 

delle  spie,  i43. 
Legge  da'  figliuola  del  principe  rapera- 

U,  93. 
^SS«  P*P>^  poppea,  perchè  fatta;  a 

che  usata,  1S6. 
Leggi  alle  spese,  i40,  i41,  U5, 78, 79. 
Legioni  abbottioate,  7.  —  In  Ungheria 

ottava,  nona,    quindicesima  ,  9S, 

S6.  —  Otto  in  Germania ,  vetnne- 

sima,  quinta,  prima,  ventesima,  S7. 

—  Seconda,  tredicesima,  sedicesi- 
ma, quattordicesima,  "di.  —  Le- 
gione ha  sessanta  centurioni,  97. 

Lbmtum  con  Germanico  in  Germa- 
nia, 43. 

Lbmtulo  (GnO>  glorioso  in  armi:  corre 
pericolo  nella  sedisione,  24. 

LiPiDA  Emilia  ,  maritata  al  giovane 
Drnso,  scelerata;  accusata  di  tenersi 
uno  schiavo,  s'uccide,  935,  236. 

Lepida  £Hii.rA,  accusata  di  falso  parto 
di  Quirioio  vecchio,  ricco,  e  sensa 
figliuoli,  i24.  —  Muove  pietà,  i26. 

—  E  condannata,  495. 
Lbwdo(M.),  capace  deirimperio,d6.— 

n  È  pretentato  ee.  Uggì:  Tohmmeo.  tuo 
Jtf tùtolo,  #  prutMtOo  «fc 


Difenda  Pisone,  147.  ^  D«.  Sesto 
Pompeo  detto  non  buono  a  man- 
dare in  ACHca;  e  fta  in  Asia,  434. 

—  D'Afirica  lo  scavallò  Bleso  aio 
di  Seiano,  483.  —  Fa  diceria  per 
Lutorio  Priaco,  439.  .^  Ristan- 
ra  la  Basilica  di  Paulo,  459.  —  Mo- 
dera la  sentente  contra  Sosia:  è  lo- 
dato di  bontè,  e  di  saper  govenursi 
con  Tiberio,  468, 169. 

Lbpido,  e  sue  armi  cadute  in  Cesare,  3. 

—  Comportato,  impigrito,  ingan- 
nato, 43. — Lettera  arditissima  di 
Lentulo  Cretulico  a  Tiberio,  che 
non  voleva  scambio  deir  esercito  ^ 
998,999. 

Lettera  di  Tiberio  al  senato  contra 
Agrippina  e  Nertme  ritenuta  da  Li- 
via, 903.  —  A  letteroni  d' oro  con- 
sigliava il  dottore  Aterio  scriversi 
l*assunsione  di  Drnso,  444. 

Leueofrina  Diana,  446. 

Libertà  non  saputasi  ripigliare  alla  mor- 
te di  Cesare  dettatore,  49. 

LiBORB  Dbuso  Scbibohio,  tradito  e  ac- 
cusato, 75,  76.  -.-  In  vesta  lorda  si 
raccomanda,  76.  —  Peccati  suoi 
scempiati  ,77.  —  Postille  atroci 

a'  nomi  de*  Cesari ,  77 Suo  gran 

travaglio:  s*  ammaxa,  77. 

Libri  sibillini  come  s'approvavano,  94  8. 

LiODO,  eunuco  di  Druso,  gli  dà  veleno 
lento,  460.  —  Perverte  l'ordine  da- 
to, 461. 

Livia,  moglie  d'Agusto,  avvelena  Gaio 
e  Lucio  nipoti  di  lui,  4;  —  e  lui,  7. 

—  Ammala,  e  fannosi  pricissioai,  e 
ludi  magni,  147.  —  S'appende  boto, 
151.—  Muore,  e  suo  ritratto,  909. 

—  Riparava  alle  malefatte  del  go- 
verno, che  dopo  lei  rovinò,  903. 

LivsHBio  Rbgolo  difende  Pistme,  447. 

Livia,  sorella  di  Crermanico,  moglie  di 
Druso  di  Tiberio,  con  Seiano  giacer 
e  congiura,  457. 

Livio  (C),  accusator  di  Libone,  76. 

LoLtio,  sconfitto,  44. 

LuciLLio  Gapitonb,  procurator  di  Ti- 
berio, fa  uficio  di  governatore  in 
Asia;  è  condannato,  465. 


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nb'  piian  SCI  UBKL 


«01 


L0eiUoLoH6O|  intimo  di  Tiberio,  nao- 
iro  uomo  :  fassdi  eseqnie  da  censo- 
re :  statua  in  foro  a  ipese  pabUiche, 

Lucio  Gxsaxs»  nato  d*  Agrippa  e  di 
Giulia  d'Agosto:  detto  imperador 
d'esercito:  avvelenato  da  Livia,  4. 

Ludi  magni  per  la  sanilli  di  Livia,  i48. 

Luna  scnrata  mette  timore  a*  sedisiosi, 

Luogotenenti  lasciati  in  Roma  da' re,  e 
dalli  imperadon  con  somma  auto- 
riti,  218. 

Zuppia,  fiume,  46, 65. 

Lirronio  Pmiaco,  poeta  Tino,  accasato 
di  pasquinata;  preso,  dannato,  uc- 
ciio,i39. 

H 

MACRom  prestava  a  Caligola  la  mo- 
glie Ennia,  perchè  lo  innamorasse, 
prendesse,  e  regnassero,  238. 

Magistrati  durino  cinqu'anni,  consiglia 
Asinio  con  misterio  sotto,  8t. 

liagoiBche  opere  pubblidie ,  non  si  fa- 
cevano sensa  lioensa,  i52. 

Magneti,  e  lor  meriti  e  franchigie,  146. 

Magnìficbiamo  le  cose  antiche,  e  poco 
stimiamo  le  presenti,  ili. 

Malia  fatta  a  Germanico,  103. 

Mali  di  casa,  dover  seppellirsi  nel  di- 
spiacere, 1S2. 

Mababodvo,  re  de'Suevi,  «io  e  nimico 
d'Arminio.  Capo  de'Gherusci,  89. 
-—  Odiato  da'  suoi,  quanto  Arminio 
amato:  s'unisce  con  Inguiomcro,  89. 
—  Accende  i  suoi,  combatte,  perde, 
e  fugge  ne'Marcomanni,  90  ;  —-ove 
Catualda  e  combattuto;  e  cacciato, 
ricevuto  a  Ravenna,  dove  sopportò 
di  vivere  diciotto  anni,  99, 100. 

Maraviglie  d' Egitto,  visitate  da  Germa- 
nico, 98. 

Marcsllo,  nipote  d'Agusto,  fatto  fan- 
ciullo edile,  curale  e  pontefice ,  3, 

Mare,  trabocca,  51.  —  Tempestoso  e 
spaventevole,  72,  73. 

Mamo  (G.)  ebbe  sette  consolati,  12. 

Mabio  (Sisto)  condannato  d'incesto 


con  la  figlinola:  il  peccato  suo  era 
l'essere  il  più  ricco  di  Spagna,  221. 

Mabio  xipots,  mal  vivendo  impoveri- 
sce: h  casso  di  senato,  91. 

Marti ,  trovati  sprovveduti  e  tagliati  a 
peri,  40. 

Martma,  maliarda  famosa,  mandata 
presa  a  Roma,  105 .—-Trovata  morta 
in  Brindisi  senaa  ferite,  con  veleno 
nelle  treccie;  opera  di  Pisone  pei 
levarsi  questa  pruova,  116. 

Marzia  ridice  il  segreto  del  marito:  lo 
piange,  e  se  ne  incolpa,  8. 

Marzio  (P.?,  itrolago,  sentensiato  fuor 
della  porta,  con  la  strombasata,  78. 

Marzippa,  (*)  duca  de'  Morì,  93. 

Mascherati  si  sfogono  i  satirici ,  204. 

Matrimonio  concorde,  lodato,  110. 

MscsifATS  (Curio),  spasima  di  Batil- 
lo,  42.  —  Sena' esser  consolo  ne 
trionfatore  nb  senatore,  potentissi- 

^  mo,  129.  — -  Lasciato  luogotenente 
da  Agusto  in  Roma  e  Italia,  218. 

Medici  da  Tiberio  scartati,  239. 

Memorie  de*  tempi  che  si  notavano  da' 
consoli,  notarsi  da' principi,  143. 

Mbhsio  col  gastigare  chi  ei  non  pote- 
va, quieta  gli  altri;  e  con  un  alto 
ardire  umilia  i  turbolenti,  31,  32. 

Mbnnohr,  statua  di  sasso  che  favella,  99. 

Mercatanti  romani,  accasati  per  lo  gua- 
dagno tra'  Suevi  nimici,  obliata  la 
patria,  99. 

Mesopoiamia  ^  cosi  detta  per  essere  in 
meao  a  due  fiumi  famosi,  Eufrate  e 
Tigri,  234. 

Messala  (Valxbio),  e  sua  fine  adula- 
sione  e  squisita,  11. 

Mbssalino,  di  mala  mente,  sentenie 
atroci, 77,169, 204,  213.  _  Accu- 
sato,confida  nel  sttoTiberiolino,21 3. 

MiMOS  die  leggi  a'Candiani,  127. 

Mogli  in  reggimenti  non  doversi  me- 
nare; sentenza  di  Cecina  non  ap- 
provata, 131. 

Morte  d'Agusto  tenuta  segreta  fino  fus- 
se  tutto  provveduto,  8. 

Morti,  s'ardevano  in  campo  di  Marte^  12. 

n  U  nostro  testo,  col  latino,  Max^pg, 


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0OS 


TAVOLA  MULE  €0«  ¥lt  MOTABIU 


JfM«»  ramo  dil  Aeoo»  65. 

M(itt«sgt  a'Ag«>Coa'poatelld,l4|  ^di 

PiMDc  a  Vil»io ,  i07.  -«.  <MiMi  a' 

prìncipif  SOS. 
M miAzio  Plahco  fa  par  eaaar  nociao 

nella  sediaionc»  8). 


naufragio  e  fortma  dì  nan,  7S,  73, 
—  Nari  mille,  loro  forme  a  «si,  fal>- 
Ivrieate  da  Germaaico,  64. 

Nàuporto^  e  cediaiooe  di  qiie'soUati,20. 

Hegromaati  cacciati,  76. 

HuoHB  DI  GiBMAHioo,  gcocro  impal- 
mato di  eretico  Silano,  67.— Qoe- 
alore  e  pontefice,  ionanai  al  tempo, 
i96.  »  Maritato  a  Gioita  di  Dra- 
ao,  it6.  <—  Aiaatq  conlra  Seiano, 
Ì9S.  —  KaWiato»  bistrattato,  os- 
scnrato  da  Tiberio,  Ì9S,  i96. 

If  oterola  pmcipio  di  lettera  di  Tiberio 
al  Senato,  cbe  si  sentiira  entro  tor- 
mentare e  sliranare,  Si  6. 

Humamìhia  con  malie  fa  stolido  il  suo 
primo  marito  Fienaio  Silano,  470. 


OcciA,  stata  crestaie  57  anni,  liO. 

Odii  de'  soldati  contra  i  centurioni , 
sfogansi  nelle  sedisioni,  97. 

Odio  e  gelosia  di  Tiberio  verso  Ckrma- 
nico  e  sua  moglie  e  figliuoli,  47, 5i . 

Ogni  cosa  sua  girata  fa,  e  ritorna,  443. 

Olanda^  ore  Germanico  fece  la  massa, 
comodissima  alla  guerra,  64. 

Olandesi  nell'  Àmisia,  per  far  prodese 
di  notare,  affogano,  66. 

Olsmitio,  angariando,  fa  ribellare  i  Fri- 
soni, 199,  900. 

Onorante  d'Agosto,  li. 

Oracolo  di  Colofone  deseritto.  Canta  a 
Germanico  morte  Ticìna,  95. 

Orasioni.  Vedi  Dicerie, 

Ordinati  eserciti  per  combattere  o  mar- 
ciare, 40,  68. 

Oriente  scompigliato, 69.— A  Tiberio 
piace  per  mandarvi  Germanico,  forse 
a  smaltire,  68. 


OnoDB  d'Asta BAiio  4  ferito:  creduto 
morto  :  la  vittoria  a  Faraamane  oe- 
daU,969,936. 

Obtaio,  nipote  d'Ortensio,  povero, 
chiede  aoccorao;  contraddioe  Tibe- 
rio, 83.  -~  Goaeedeseli  poco.  Non 
ne  ringraaia  per  fraa^gin  di  no- 
biltb,86. 

Ortigi0,  bosco,  146. 

Ossa  delle  tie  legioni  di  Varo,  dopo  sei 
anni  acppellitt  da  Germanico,  46. 

OTon  Gnmio,  pieton  :  vile,  slacciato , 
insegnò  gramatica.  Sciano  il  fé  se- 
natore, 149. 

Ottavio  Fnoaron  biasinu  k  troppe 
apaae,  76. 

Ouarej  trionfo  minore  dell*  o A  oa  or- 
dinato da  Germanico  t  Dmao,  100, 
117. 


Pacomiaiio  (SuTio),  per  versi  fatti  in 
carcere,  vi  fu  strangolato ,  365. 

Pagittn,  fiume  in  Alma,  196. 

Parsa  e  iBzie,  necisi  da  AgnaU),  13. 

PAPimo  (Sesto) ai  precipita,  per  incesto 
con  la  madre,  940. 

Parole  di  Piaone  alli  Ateniesi  villane, 
95  ;  -—  con  Germanico  altiere,  97; 
-—  di  Tiberio  aflEettoose,  raccoman" 
dando  a'Padri  i  figliuoli  di  Germa- 
nico ,  161  j  —  di  Sabino  menato  a 
morire,  198  ;  —  di  Vitellio  a  Tiri- 
date,  e  a*  grandi  di  Persia,  che  fos- 
sero savi,  963 }  —  di  Agrippina  in 
collera  a  Tiberio,  187  ; — di  Sacro- 
viro  e  di  Silio  a* soldati,  contrarie, 
137, 138 1  —  di  Dmso  contra  Scia- 
no, 160.  —  E  altre,  18,  91,  93,  99, 
44,51, 89,106, 117,139,160,166, 
177,  911,  939. 

Paroloni  di  Tiberio,  15,  53,58,  81, 
116, 151. 

Parteggiava  la  Corte,  tenendo  chi  co» 
Germanico,  chi  con  Droso:  essi 
eran  daccordo,  88. 

Pasquinate  patite  da  Giulio  Cesare  e 
da  Agusto,  177.— Spreaale,  svani- 
scotto;  adirandoti  le  con&aai:  na« 


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me' PRIMI  SEI  LIBRI. 


(SOS 


MondoDsi,  saUansi,  si  danno  fuori. 
Soa  più  stimate  y  i78.  '—  Sfogansi 
mascherati,  tanto  più  mordaci  gFin- 
gegniy  S04. — Il  punirgli  li  £i  più 
▼ÌTCìCy  178.  — '  Tiberio  le  fece  ca- 
so di  stato,  53. 

P ASSIEMO» oratore,  e  suo  bel  detto,  23i. 

Patuliio,  e  soa  ricca  reditk  a  H.  Ser- 
Tilìo  povero,  91. 

Paura  fa  gli  nomini  sari,  160,  84S. 

Peccando  molti,  ninno  «i  punisce,  S7. 

PuiCSiniio,soidatello  sedizioso,  sna  di- 
ceria assoldati,  18.  —  Ucciso,  S6. 

Pericol  di  morte,  era  certesa,  173. 

PcrintOgcilÙL  in  Tracia,  visitata  daGer^ 
manico,  94. 

PsnruiirA,  re  di  Persia,  94. 

Piramidi  d'Egitto,  99. 

PisoNS  (L.)  angaria  i  Termestini.  Un 
villano  l^uccide,  184. 

PitOHB  (M.)  consiglia  suo  padre  con 
prudenza, e  non  è  udito,  106.  — 
Da  Tiberio  gli  è  perdonato,  121. 

PisoNK  (LO  grida  in  senato  de' mali 
ordini:  si  vuole  ir  con  dio:  richia- 
masi d^UrgoIania  ;  non  ha  rispetto 
ad  ÀgusU  :  è  pagato  ,  lodato,  79,  80. 

PisoHK  (Calpuknio)  accusato,  muore  a 
tempo,  169. 

PisoHB  (L.)  pontefice;  luogotenente, 
morì  di  sua  morte  :  miracolo  in  si 
grand'  uomo  :  ritratto  suo,  217. 

PiSoxB  (Gn.),  atto  all'imperio,  16.  — 
Pugne  Tiberio,  54.  —  Disputa  sua 
ridicola  con  Asinio,  SI.  —  Manda- 
to in  Scria  per  istecco  nell'  occhio 
a  Germanico,  o  per  avvelenarlo, 
87.  —  Siq>erbia  sua  e  di  suo  padre, 
cresciuta  per  la  nobiltli  e  ricche- 
*à  della  moglie  Plancina,  87.  — 
Corre  fortuna  di  mare.  Germa- 
nico ti  salva,  96.  —  Passa  in  So- 
na: corrompe  i  soldati,  si  che  lo 
dicono  il  lor  padre ,  96.  —  Abboc- 

^  casi  con  Germanico,  e  partonsi  cruc- 
ciati ,  97.  -^  Insolenze  sue  nel  con- 
vito del  re  de' Nabatei,  97.— 
Altri  in  Antioccia,  103.  —  Ger- 
manico gli  scrive,  e  comanda  che 
agomìri  di  Sona,  103.  —  Alla  mor- 


te di  Germanico  potutagli  in  Coo, 
folleggia  per  a11egiesa,i05. — Il  fi- 
gliuolo il  consiglia  ire  a  Roma.  Do- 
misio  a  ripigliar  la  Soria  in  tutti 
modi;  imbarcai  riscontra  l'armata 
d'Agrippina;  s'oflEèndono  di  parole, 
406,107. — Piglia  Celendriforteza, 
107. — Racimola  una  legione  di  tri- 
sta gente:  combatte,  e  perde:  rende 
la  forteza:  vanne  a  Roma,  108. 
-»  Fa  entrata  pomposa  e  festeggia. 
Raccende  l'ira  al  popolo,  116. —  È 
accasato,  e  di  che,  116, 117.  —  Di- 
ièndesi  solamente  del  veleno,  119.  — 
Trova  irati  i  giudici,  119.  —  Vole- 
va leggere  loro  in  faccia  di  Tiberio 
la  commession  del  veleno  ;  ma  Scia- 
no con  promesse  l'aggirò,  120.  •— 
a  Tiberio  scrive  e  raccomanda  il 
figliuolo:  serrasi  in  camera:  la  mat- 
tina si  trova  sgosato,  120. 

PiTUAMio,  strolago,  precipitato  dal  sas« 
so,  78. 

Plahcina,  moglie  dì  Pisone,  87. — ^Vuol 
governar  l' esercito,  96.  —  Aliar* 
gasi  da  Pisone  quando  h  in  pericolo, 
e  Agttsta  a  lei  fa  perdonare,  119.— 
La  troppa  forza  contro  le  giovò, 
121.  —  Accusata,  ma  tardi,  s'aro- 
masa,  226.  —  Suo  ritratto,  226, 

Plamco.  Vedi  MuHAZio. 

Plauzio  (Silva)  precipita  la  moglie,  e 
fa  lo  stordito,  170. 

PouHoiiB,  re  di  Ponto,  96. 

PoHPio  (Gli.),  e  sua  potenza,  2.  —  È 
ingannato  da  Agusto,  14.  —  Rifor- 
mator  de*  costumi,  fece  più  danno 
con  li  suoi  rimedi,  e  le  sue  leggi 
guastò,  128. 

Pompeo  Macho  ,  pretore,  ha  ordine  da 
Tiberio  di  giudicare  le  pasquinate 
per  casi  di  stato,  53. 

PoMFomo  Attico,  bisavolo  di  Dmso  ' 
di  Tiberio  tra'Glaudii  si  disdice- 
va, 88. 

Pomponio  (Q.)  accusa  Considio  di  mae- 
sla'per  entrare  in  grazia  per  liberare 
il  fraUUo,  221. 

Popolo  s'alletta  col  pane,  3.  —  E  asso 
o  sei,  25.  —  Romoreggia  attorno 


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tt04 


TAVOLA  DBtLI  G08B  Flit  HOTABILt 


al  fenato  per  Agrippina  t  Nerone^ 
SOA.  —  Sollerasi  per  la  carestia, 
S18. 

PoFPKo  8  A  imo,  raffirmato  in  Mesia: 
aggiontogit  1*  Acaia  e  Macedonia , 
67.  •—  Raffrena  i  Traci  :  ne  ha  le 
trionfali,  484.  —  Muore,  e  rao  ri- 
tratto, S85. 

Porre  innansi  agli  occhi;  proprietli  di 
Tacito,  SO,  S1JS,S3,  M,  36,  S8. 
99, 80,  SS,  33, 46,  47, 48,  49,  60, 
bi,  62,  70,  7S,  78, 74,  76, 77,  78, 
108,  i09, 4i0,il3,  ii4,  iSS,  iU, 
i74, 487, 488, 494, 496,  Sii,  S8S, 
SS4,  S86,  834,  S36. 

Potenia  e  grasta  co*principi  non  dura  ; 
e  perche,  430. 

Pagida,  6ttroe  in  ASKca,  4S3. 

Preda  toglie  nttorìa,  49.  «->  Corrompe, 
4S4. 

Presenta  la  moglie,  chi  irnol  conom- 
pere  il  giadice,  97. 

Pretori  a  render  ragione  quanti,  e  da 
chi  eletti,  47. 

Principe  ha  proprietìi  che  a  lui  si  renda 
ogni  ragione,  9. 

Principe  (iì)i  non  debbe  uscir  del  cen-' 
tro  :  dar  gli  ordini  per  tntte  le  ban- 
-  de,  438. 

Principi  della  gioventù,  4. 

Proponeva  il  consolo  :  i  più  degni  se- 
natori pronunziano  lor  sentensa. 
Quando  proponeva  Tiberio,  al  con- 
solo toccava  la  prima  sentensa,  4 S4. 

Provincie  distrutte  per  loro  discordie  e 
romane  angherie,  96. 

Prudcnsa,  o  pur  fato,  ci  fa  star  bene  o 
male  co*  prìncipi  sensa  contumacia 
ne  viltà,  469. 


QuALL*AtTRA  (II),  cognome  di  LuciUio 
Centurione,per  facèaia  soldatesca  po- 
stogli, 29. 

Querele  strane  poste,  e  accettate,  63. 

QuiRiKio  (P.)  raccomanda  a  Tiberio 
Libone  parente  suo ,  77.  —  Ricco 
e  vecchio,  ne  rimanda  Lepida  accu- 
sata di  parto  falso,  424. 


Rassegna  de*  centurioni,  36. 

Religioni  d'Egui  e  Giudei,  trattatoti 
di  cacciarle  via,  440. 

Reno^  fiume  descrìtto,  64. 

RsscopoBi,  convita  incatena  uccide 
Coti  suo  nipote,  s* impadronisce  di 
tutta  Tracia,  h  condotto  sotto  spe- 
tie  d^amicisia  nelle  force  romane: 
preso,  ^  menato  a  Roma  :  dannato  a 
prigionia;  mandato  in  Alessandria; 
per  tentata  fuga,  uccbo,  401,  402. 

Rtbellioni  delle  dtt^  di  Gallia,  434, 
436. 

Ridicoli,  44, 407,  903, 943,  941,  464. 

Riputazione  più  che  forse  regge  i  prin- 
cipi. Esempio  è  Getulico,  928, 999. 

Riscotitori  de'  tributi  ingordi,  in  Frisia 
rapili  e  crocifissi,  200.    . 

Risposta  acuta  d'Agrìppa  falso  a  Ti* 
berio,  85. 

Riverenza  (Per)  de' magistrati  non  si 
guardavano  morti,  ne  cose  orribili, 
o  brutte,  47. 

Riverenza  da*  giovani  dovuta  a' vecchi, 
430. 

Roma  muta  spesso  signorìa ,  2.  — 
Come  stava  alle  mani  d'Agusto,  4, 
6,  6,  7,  8.  —  Spaventati  per  le 
spie,  498. 

Rotte  d'Arminio  eIoguiomero,70,7S; 
•—  de*  Marsi,  40. 

RuBBio,  cavaliere  accusato,  63. 

RiTBRio  (Fabato),  Vedendo  Roma  rovi- 
nare, fuggiva  a'  Parti,  919. 

Rufo  (AorioiKifo),  maestro  di  campo, 
straziato  da*  soldati,  90. 

Sacerdoti  d' Agusta,  43;  —  à'kjgutto, 
43.  —  Ogni  casa  ne  teneva  un  col-  • 
legio,  63. 

Sacrifizio  Romano  Suovetaurìlia,  933. 

Sacroviro  eduo,  capo  de*rìl>elli  in  Gel- 
ila, 435.  —  Poi  si  fa  vedere  sen- 
z*elmo  combattere  per  li  Romani, 
i35.  _  piglia  per  forza  Aatun^ 


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ne'  pumi  sei  lubi. 


non 


con  iscolari  nobili  per  pegno:  ara» 
qnaraotamila  di  triste  armi;  alcune 
tutte  d*un  peso,  detti  crupel]ai,i36. 

—  Rotto,  si  ritira  :  $*  uccide,  138. 
Salustio  (Cbispo),  nipote  dello  storico. 

Segretario:  scrisse  la  comniessione 
al  soldato  d'uccidere  Agrippa»  8.  •— 
Insegna  al  principe  mala  dottrina, 
9.  —  Fa  prigione  Agrippa  falso, 
84.  —  Muore  :  suo  ritratto,  139. 

Sapere  i  disegni  del  nimico  è  cosa  im- 
portantissima, 67, 71. 

Sardigna,  aria  pessima  :  ricetto  di  ladri  : 
mandatovi  Giudei  a  smaltire,  140. 

ScAURO  (Emiliano)  accusato  di  trage- 
dia composta  che  dipigneva  JPibe- 
rio  :  s*  uccise,  228. 

Scrupolo  nel  boto  dove  appendersi,  451. 

Scusasi  l'Autore  delle  troppe  minuteie, 
175. 

Sedisione,  o  sollevamento  d'eserciti,  in 
Ungheria,  18. — Quietata  daDruso, 
86.  —  In  Germania  da  Germanico, 
26.  —  Da  lor  medesimi  puniu,  e 
come,  35. 

SiOBSTK ,  germano,  capo  di  parte,  42. 

—  Liberato  dall'assedio  da  Germa- 
nico, lo  ringraiia,  43,  44. 

SBGixoifSO,figliuo]o  di  Segeste,  statico, 
44. 

Elio  Ssiako  >  aio  di  Druso  in  Unghe- 
ria, capitano  di  guardia,  favorito 
di  Ti1>erio,  23.  —  Accende  fuoco 
contra  la  moglie  e  casa  di  Germa- 
nico, 51. -~  Suocero  di  Druso  Pom- 
peo figliuolo  di  Claudio,  129.  — 
Spegne  il  fuoco  del  teatro  :  ponvi^ 
si  da' padri  la  statua  sua,  152.  — • 
,  Sua  origine,  animo,  vita  e  costumi, 
156.  —  Guadagnasi  con  arti  Tibe- 
rio, 156.  —  Generale  de' pretoria- 
ni :  riduceli  insieme  in  un  alloggia- 
mento, 157.  —  Ira  sua  con  Druso: 
con  la  sua  moglie  Livia  si  giace  e 
congiura,  157.  —  Fa  dare  a  Druso 
veleno  da  Ligdosuo  paggio,  160. — 
Accende  Tiberio  contra  Agrippina 
e' figliuoli,  163, 166. —  Fa  accu- 
sare due  grandi  amici  di  Germani- 
co, 167.  —  Chiede  per  moglie  Li- 
I. 


via  che  fu  di  Druso,  180.  —  Tibe- 
rio ne  lo  sconsiglia,  181.  —  Con- 
siglia Tiberio  a  levarsi  di  Roma, 
182.  —  Inganna  e  perseguita  Agrip- 
pina, 189.  —  Acquista  maggior 
grana  con  Tiberio  per  l' accidente 
della  grotta,  191.  —  Viene  in  fasto 
per  lo  brutto  servaggio  de* grandi: 
dà  udiente  per  favori,  201. 

SeleucìUf^t  suo  reggimento. Adula  Ti- 
rìdate.  Svillaneggia  Artabano,  236. 

Selva  d'Ercole,  67. 

SxHPaoNio  Gbacco  ,  adultero  di  Giu- 
lia: fatto  morir  di  stento  in  Cercin- 
na  ;  fa  testamento,  con  forte  animo 
porge  i)  collo  alli  ammaiatori,  41. 

Senatori  tremano,  204, 216, 225. 

Sentenie  o  detti  in  universale,  25,  32, 
39,  54,  85,  122,  130,  137,  141, 
162, 167, 169,176,178, 180,  214, 
222,  233,  237. 

Sxiizio  (Gh.)>  rimane  in  Soria,  105. — 
Manda  presa  a  Roma  Martina  strega, 
105. — Duolsi  con  Pisone  che  muo- 
va guerra  nella  provincia ,  107.  — 
Ordinasi  alla  difesa,  107.  —  Com- 
batte, e  vince,  108. 

Separare  i  tristi  da'  buoni,  che  non  li 
corrompino,  25,  35. 

Sepoltura  a  Varo,  e  tre  legioni  sconfitte, 
46.  —  da'Germani  disfiitta,  65. 

SxRVKO  (Q.)>  primo  pretore  dato  a'Go- 
mageni,  97.  —  Accusato,  dannato  : 
spia,  215. 

Servi  non  si  collavano  contro  al  p«- 
drone,77,150. 

Servio  Maluginese  flamine,  144, 151. 
—  Morto ,  165. 

Seta,  vestivano  le  donne ,  non  gli  uo- 
mini, 141. 

SxTTiHio  ,  dato  alla  rabbia  de'  sedi- 
siosi,  27. 

«y/ene,  in  Egitto,  confine  del  romano 
imperio,  99. 

Signoria  e  stato  di  Roma,  e  sue  muta- 
zioni, 2.  —  Listra  di  tntto  lo  sta- 
to e  forze  sue  di  manod'Agusto,15. 

SiLAHo(M.)  levò  Tonore  a'  consoli  del- 
le memorie  de' tempi,  e  dièlo  a' 
principi,  114. 

43 


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506 


TAVOLA  DELLB  G08B  Pie  NOTABILI 


StJMKO  (G.),TMeconso1oin  Asia.  Sinda- 
cato, accusato  per  avido,  rapace,  149. 
—  Coufioalo  io  Giara,  150. 

SiiAMo  CaiTicOy  eletto  suocero  di  Ne- 
rone di  Germanico:  levato  di  So- 
ria,  scambialo  a  Pisone,  87. 

SiLio ,  kgato  dell'esercito  di  sopra  in 
Germania,  S6.  —  Riceve  le  trion- 
fali, 5S.  —  Fabbrica  mille  navi,  64. 
•—  Pfeda  la  moglie  e  figliuola  del 
signore  de*Catti,  65.  —  Co' Galli 
combatte,  vince.  Sacroviro  s'uccide, 
137. —  n  consolo  lo  spia  per  pia- 
cere a  Sciano;  s'ammata,  corresi  a' 
beni,  168. —-Vantasi  troppo  del 
ben  fatto,  167. 

SiLLA,  signore  di  Roma  non  lunga- 
mente, S. 

SiLLA  (COiUial  vive:  impoverisce;  h 
casso  del  senato,  91. 

SiLLA  (L.), nobile  donzello,  non  cede 
il  luogo  alla  festa  a  Gorbtdone:  ne 
fu  rtMnore  in  Senato,  130. 

SiHHAGi  Abdo  eunuco  con  altri  am- 
basciadori  a  Roma,  contro  Artaba- 
no,  S30. 

Sogno  orrido  di  Germanico,  48. 

Sosia  Galla,  moglie  di  Silio, da  Agrip- 
pina amata,  i  67.  —  Sbandita,  e  tol« 
tolei  beni,  168, 188. 

Spatio  di  dieci  giorni  aggiunto  a'  con- 
dannati: vano,  perche  i  senatori  non 
potevano  le  sentenze  ritoccare,  né 
Tiberio  per  tempo  si  mitigava,140. 

Spese  superchie  biasimate,  mancate,  e 
percbb.*  e  se  si  posson  levare  con 
legge,  78,  79, 140, 141. 

Spie  allora,  in  ogni  luogo,  ognuno, 
d'ogni  cosa,  St5.  —  Punite  qual- 
che volta,  938.  —  Fuoco  che  arse 
la  città:  mestùro  venuto  in  credito 
per  la  miseria  de'  tempi ,  e  per  le 
sfacciatexe  degli  uomini ,  53.  — .  Di- 
vorò la  republica,  75.  —  Favo- 
rite, non  punite,  con  premi  allet- 
tate, 174.  —  Le  grosse  non  si  pu- 
nivano, ma  le  minute,  179. 

Squittini  de*  magistrati  li  faceva  il  po- 
polo in  Campo  Marzio;  ma  il  prin- 
cipe dava  egli  i  migliori:  furon  ri- 


dotti a*  padri  in  senato.  Faceva  i 
consoli  per  modi  strani,  58. 

Stibtinio  con  Germanico,  46,  53.  — 
Gastiga  gli  Angrivari,  66. 

STimrico,  centurione,  chiesto  alla  morte, 
e  difeso,  33. 

Storici  della  repubblica  eran  veraci; 
deUi  imperadori,  adulatori  o  nimi- 
ci,  3,  3.  —  G.  Plinio  scrisse  delle 
guerre  germane,  51. 

Staborb  (Suo),  Capitano  della  guar^ 
dia,  9.  —  Padre  di  Sciano.  Aio  di 
Druso  in  Ungheria,  33. 

Strettela  violenta  di  moneta,  onde  na- 
ta :  come  rimediata,  330,  331. 

Strolaghi  cacciali,  78. 

Suevì  contendono  co'  Cherusci,  89. 

Snggetti  da  succedere  ad  Agusto,  16. 

SuiLio  (P.),  mal'  uomo ,  confinato  in 
Isola,  175. 

SuLvizio  QuiftiKo  ebbe  esequie  publi- 
che:  non  era  delli  antichi:  suo 
ritratto,  138, 139. 

Supplizio  a  soldati  sediziosi,  36. 

Supplizio  gravissimo  antico,  78. 

Sttovetaurilia,  sacrifizio  romano  di  por- 
ci, pecore  e  tori,  333. 

Superbia  claudiesca,  7. 


Tacfabinata,  di  capo  d'assassini  fa 
guerra  a'Romani  in  Affrica,  93.  — 
La  rifa,  133.  —  Sguizisce,  e  rigira 
alle  spalle,  e  straccali.  Sta  ozioso 
intorno  alla  preda,  134.  —  È  com- 
battuto, e  cacciato  ne' diserti,  134. 
—  Superba  ambasceria  mandata  a 
Tiberio,  e  lo  fa  sdegnare,  153. —  11 
fratello  è  prigione,  153.  —  Rifas- 
si:  combatte;  perde  :  muore  in  meio 
a'nimiciben  vendicato,  171,  173. 

Tanfana,  tempio  famoso  de'Germani 
disolato,  40. 

Teatro  posticcio  a  Fidene  rovina  con  cin- 
quantamila tra  morti  e  guasti,  193. 

Tebe,  la  grande:  sue  anticaglie,  agu- 
glie,  e  lettere,  e  memorie  di  sua  gran 
riccheza  e  potenza,  99. 

Tempesta  descritta,  51. 


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nb'pumi  sei  libri. 


«07 


Tempio  diDiaoa,litigatoda*Laocdemo- 
nii  e  Messemi,  183. 

Tempio  fatto  a  Til>erto  dalli  Asiani  per 
giustitie  ammioistrate  loro,  165. — 
Dalli  Spagnoli  non  lo  accettò,  179. 

Tempio  a  Bacco,  Proserpina,  Cerere:  e 
a  lano  e  alla  Speranza,  93. 

Tempio  sagrato  a  Sorteforlana  per  le 
insegne  di  Varo  ritrovate,  85. 

Tempio  a  Tilierio ,  gareggiano  d'edifi- 
care undici  città  dell'Asia  >  189.  — 
Se  ne  fece  gratia  alliSroimesi,  i90. 

Tempio  ad  Agosto  conceduto  alli  Spa» 
gnoli:  e  insegnato  alli  altri  vas- 
salli, 56. 

Tjuirauo  (M.),  con  magnanima  confes- 
sione dell' amicitia  di  Seiano,  fa 
condannare  gli  accusatori,  3 15. 

Tesifonti,  risedensa  del  regno  d'Ar- 
menia, 336. 

Testamento  d'AguslO!  suo  disposto: 
mala  intensione,  e  boriosa,  e  con* 
siglio  invidioso,  10. 

Testamenti  come  voci  ultime  eran  cre- 
duti mera  verità:  con  essi  si  sfoga- 
vano nel  dir  male  de'nimici,  834. 

Teuberg,  bosco  ove  fu  Varo  sconfit- 
to, 46. 

TsucEO,  edificò  tempio  a  Giove  in  Sa- 
lamina,  146. 

Tevere  traboccato ,  55. 

TiBUio  (Imperadore.) 

Ristretto  di  sua  origine,  fortuna,  vita  e 
costumi,  343. 

Riman  solo  figliastro  d'Agusto:  è  adot- 
tato: fattogli  adottar  Germanico. 
Volgesi  a  lui  il  tutto,  4,  5. 

Morto  Agusto ,  entra  in  possesso  :  per 
la  prima  opera,  uccide  Agrippa  Po- 
stumo, 8. 

Riceve  il  giuramento  in  Roma,  con  cbe 
ordine,  9. 

Finge  di  ricusar  tanto  peso:  fassene 
pregare;  ma  sollecita  di  confermar- 
si, 10, 11, 16,  37, 161. 

Fa  l'esequie  d'Agusto;  vi  tiene  armati: 
il  popolo  se  ne  ride,  13. 

Parla  scuro ,  ambiguo ,  non  vuole  es- 


sere inteso:  guai  a  chi  si  scuopre 
d'intenderlo,  15,  16,  33,  54,134, 
140,199. 

Fa  Germanico  viceconsolo,  17.  —  Fa 
dodici  pretori,  17. 

Fantasticbi  modi  tiene  nel  fare  i  con- 
soli, 58. 

Manda  Druso  suo  figliuolo  in  Unghe- 
ria air  esercito  sollevato,  33.  -.-  E 
a  quello  di  Schiavonia  per  più  ra- 
gioni di  stato,  e  finge  per  altro,  88. 

Celebra  in  senato  i  fatti  di  Germanico 
in  Germania:  non  se  ne  rallegra 
per  gelosia,  40. 

Teme,e  odia  lui, e  sua  moglie  e  figliuo- 
li, 47,  51, 38, 189,  339. 

Lo  riprende  delle  seppellite  ossa  delle 
tre  legioni  di  Varo,  47.  —  Dell'es- 
ser entrato  in  Egitto ,  e  troppo  af- 
fratellatosi, 98. —  Scandaleiasì  cbe 
la  moglie  faceue  uficio  di  capitano: 
e  Seiano  l'aiia,  e  rinfuocola,  51.— 
Prende  lo  scompiglio  dell'Oriente 
per  occasione  a  mandarvi  Germani- 
co ,  levarlo  di  Germania,  e  sporlo  a 
casi  di  fortuna  ,  63.  —  Richiamalo. 
11  senato  lo  fa  generale  oltremare, 
87.—  Leva  Silano  di  Soria,e  man- 
da vi  Pisone  con  comcssione  occulta, 
87.  —  All'  entrata  d' Agrippina  in 
Roma  con  le  ceneri  di  Germanico 
non  si  lascia  vedere,  non  potendo 
celare  l'allegresa,  113.  —  Conforta 
il  popolo  a  lasciare  il  pianto ,  115. 
—  E  i  giudici  di  Pisone  a  non  par- 
teggiare, 117. 

Fa  morire  le  persone,  e  non  vuol  pare- 
re quel  desso,  8,  41,  43, 130. 

fnvidioso,  16, 40,  43, 166.  •—  Simula- 
tore, 15, 16,  33,  81, 199. 

Sottile  d'ingegno:  nel  risolvere  impac- 
ciato, 37,  58,  84, 140, 190,  339. 

Ostinato,  37,  84, 108, 137,  334. 

Modesto,  e  rifiuta  il  giuramento  ogn'an- 
no:  il  nome  di  padre  della  patria, 
52  j  —  e  di  signore.  111  ;  —  e  il 
tempio,  179;  —  e  le  redità  lascia- 
^8^h  pc'  dispetto  di  parenti,  91. 

Moderatore  discreto  d' inique  sentenae, 
e  d'adulasioni,17,  53,  54,  91, 109, 


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508 


TÀVOLA  DILLB  COSB  PIÒ  ffOTABIU 


411»191»  4»,  1S8,  iSl,  lU,  160» 
i7». 

À'oegoti,  alla  gioitÌBia  attenderà,  e  fa- 
ticala, 64,  Ì6S,  188, 189. 

Vago  di  fare  spcae  lodevoli,  giovare, 
aiutare,  54,  83,  90,  ISS,  158, 163, 
194,  SSl,  S38. 

Pradente  e  proTvidenie ,  83 ,  81 ,  85 , 
87,  110,  116,  133,138,164,169, 
819. 

Perdona  sparlamenti  di  Ini  e  della  ma» 
dre,  93;  —  e  l' naure  oltr*  alla  leg- 
gè,  330. 

Obblighi,  e  rispetti  suoi  alla  madre,  191. 

Paroloni  suoi,  15,53,58,81,116,117. 

Astnsie  sue,  e  arti  usate  con  dìTersi,  55, 
81,85,101,148,145,169. 

Crudeltà,  rigideic,  16,  SS,  41, 53, 134, 
174,183,304, 311,  318,  333, 834, 
380. 

Beneficava  con  villanie  per  non  perde- 
re severità,  55, 160. 

Viso  burbero,  saturnino,  marginoso, 
38,  56, 101. 

Fuggiva  le  feste  e  ragunanse.  Non  fe- 
steggiava nh  caresava  il  popolo  co- 
me^gusto,  e  perchb,  43, 55, 198. 

Vergogne  rinfacciategli,  54, 130, 174, 
183,  334. 

Nel  centro  dell'imperio  vuole  stare  a  go- 
vernarlo !  e  di  voler  uscire  a  visi- 
tar le  Provincie  finge,  si  ordina,  e 
inganna,  37,  38, 138, 158. 

Non  mutava  ministri,  e  perchè.  Ne*  go- 
Temi  voleva  capacitli  bastevole,  e 
non  piò,  57, 159,  335. 

Di  riformare  le  spese  e  costumi  non  si 
risolve,  79.  —  Non  sa  se  sia  bene , 
o  possibile,  140. 

A  Orlalo  povero,importuno,  e  da  nien- 
te, nega  aiuto,  83,  84. 

Ha  umore  di  trattar  le  cose  di  fuori  con 
sagacitk  e  sena*  arme,  330,  84,  86, 
101, 102, 138. 

Si  gloria  de* due  nipoti  binati,  109.  — 
Ne  muore  uno,  165. 

Pareggiasi  alli  antichi  nell'aver  discac- 
ciato lo  avvelenatore  d'Arminio  co- 
me quelli  il  traditore  di  Pirro,  111. 

Con  sua  grossa  spesa  rimedia  alla  ca- 


restia ,  110.  —  Rifii  n  Uatro  di 
Pompeo  arso,  153.  —  Paga  le  case 
arse  nel  monte  Celio;  dove  Tima- 
gine  sna  nel  meao  delle  fiamme  non 
fu  ofièsa,  194,195. — Paga  milioni 
due  e  messo  per  le  case  similmente 
arse  nel  monte  Aventino,  338.  — 
Soccorre  e  consola  dodici  citta  per 
tremuoto  rovinate  in  Asia,  90. 

Prega  i  padri  che  facciano  il  nipote  ab- 
biente a  certi  ufici:  del  che  si  rido- 
no, 138, 139. 

Ridesi  de*  senatori  dispotanti  chi  poter 
più:  o  i  suoi  figliuoli  o  la  legge  ì 
93}  — e  di  Dolabella,  che  da  Ca- 
pua  a  Roma  voleva  ch*ei  tornasse 
con  l'ou,  ou,  138; —e  di  Togonio, 
che  gli  dava  guardia  di  venti  sena- 
tori armati  in  senato ,  31 1  ;  —  e 
di  chi  trenta  anni  ha,  e  adopera  me- 
dico, 339. 

Vassene  fuori  di  Roma  perche  Druso 
governi,  130.  —  Per  sua  quiete,  .o 
per  nascondere  sue  libidini,  o  brui- 
tele di  corpo,  183, 191, 303.  —  O 
per  levarsi  dinansi  alla  madre  su- 
perba, 191. — Nascondesi  in  Capri, 
196.  —  Parte  con  poca  corte,  in 
pùnto  da  non  vi  tornare  secondo 
gli  strolagbi,  191. 

Fa  dichiarar  Druso  suo  figliuolo  tri- 
buno ,  cioè  imperadore  eletto ,  143. 

Lascia  a*  padri  risolvere  cose  frivole  per 
dar  loro  pasto,  1 7. —  Chiamali  gente 
da  servire,  149. 

Chi  ha  ufici  sagri,  vuole  die  riseg* 
ga,  151, 153. 

Non  si  può  dar  pace  che  Tac&rinata 
atea  seco  a  tu  per  tu,  153. 

Giunta,  nipote  di  Catone,  moglie  di  Cas- 
sio,sore]la  di  Bruto,  non  Fonorònel 
testamento.  Nondimeno  lasciò  lei  di 
laudi  e  d'esequie  splendidissime  ono- 
rare, 154. 

Governo  suo  buono,  158, 17, 159,  53, 
9i,  HO,  lU,  179,  303. 

Poi  peggiorò}  e  perchè,  303. 

Fortùsimo  animo  suo  nella  malattia  e 
morte  del  figliuolo,  160.  —  Lodalo 
in  ringhiera,  163. 


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PIE*  PRIMI  SEI  LIBBI. 


809 


Fa  cacciar  via  i  commedianti  corrom- 
pitori de*  costumi,  i65. 

Spegne  Silio  e  Sosia  :  petcb^,  168. 

Per  ]a  scoropigliatura  del  letto,  chiari- 
'  sce  che  Plausio  precipitò  la  mo- 
glie, i70. 

L'  ammalarsi  avanti  la  sententa  non 
vuole  che  tolga  guadagno  alle  spie, 
174. 

Di  diviniti  non  ai  cura  :  gli  basta  es» 
sere  il  primo  uomo:  stupenda  di- 
ceria intorno  a  ciò,  i79. 

Non  loda  che  Sciano  pigli  la  vedova 
di  Druso.  Prudente  lettera  intorno 
a  ciò,  i80,481. 

Agrippina  gli  parla  altiera  :  gli  chiede 
marito:  non  le  risponde:  ella  te- 
mendo di  veleno,  a  mensa  non  man- 
gia :  egli  col  presentarla  se  ne  chia- 
risce, e  adira,  188, 189. 

Undici  cittk  gareggiano  per  chi  edificar- 
gli il  tempio  stabilito.  Smirna  Tot^ 
tiene,  189, 190. 

Nella  grotta  che  franò,  Seiano  lo  riparò, 
e  acquistò  maggior  graiia  e  fede, 
491. 

Straneggia  Nerone  di  Germanico,  192. 
—  Druso  fa  morire  di  fiime,  224. 

Gastigava  i  ministri  scelerati  quando 
n'  era  stucco,  per  mano  delli  scam- 
bi, 229. 

Per  le  sconfitte  in  Frisia  si  lascia  ve- 
dere in  Gapua:  ove  il  fasto  di  Seia- 
no più  apparisce,  200,  201.  ^ 

Per  la  morte  della  madre  non  si  muove, 
non  lascia  uno  de'  suoi  piaceri  e  li- 
bidini mostruose,  203. 

Scrisse  al  senato  una  mala  lettera  con- 
'  tra  Agrippina  e  Nerone.  Ma  Livia 
la  ritenne.  Oracgli  e  Seiano  la  man- 
dano: i  Padri  tremano:  il  popolo 
romoreggia:  non  si  propone,  203, 
204. 

Non  vuole  che  senza  l' usate  censure  si 
riceva  un  libro  per  sibillino,  218. 

Raffrena  il  popolo- sollevato  per  lo  gran 
caro,  218. 

Chiede  Macrone  con  soldati  per  sua 
guardia  in  senato,  220. 

Marita  bassamente  due  figliuole  diGesr 


manico,  219; —  e  la  vedova  di 
Nerone,  226. 

n  più  ricco  di  Spagna  fa  accusar  d*  in- 
cesto con  la  figliuola  per  torgli  la 
roba,  221,  222. 

Rimedia  alla  strettela  de'  contanti,  ca- 
gionata dalle  riposte  entrate  e  con- 
fiscazìoni,  221. 

Insanguinato  ne*  suppliti ,  fa  uccidere 
tutti  i  prigioni  per  conto  di  Seia- 
no, 222.^ 

Indovina  a  Galla,  che  assaggerebbe  l'im- 
perio, 222;  —  e  che  Galigola  suc- 
cederebbe e  arebbe  tutti  i  vizi  di 
Siila,  239. 

Apprese  Tartedal  maestro  Trasullo:  di 
cui  fa  sperienza  orrenda,  223. 

Conforta  Nerva  risoluto  di  morire,  il 
quale  gli  volta  le  spalle^  226. 

Patisce  che  Getulico  non  consegni  l'e- 
sercito, e  seco  patteggi,  229. 

Aggrava  nel  male  :  non  lascia  sue  libi- 
dini :  le  forze  l' abbandonano ,  non 
l'infingere:  disordina  , motteggia  , 
muta  luoghi:  in  Miseno  si  ferma. 
Garicle  gli  trova  il  polso  mancare  : 
misviene;  rinviene.  Galigola  ne'pan- 
ni  l'affoga,  241,  242. 

TlBBRI0LIN0,213. 

TiGRANB,  Stato  re  d'Armenia,  ebbe  sup- 
plizio da  cittadino,  235. 

TiGRANS,  investito  del  regno  d'Arme- 
nia, 63. 

Timore  della  religione  e  del  cielo,  25. 

TiRiDATB  e  Mitridate  disegnati  da  Ti- 
berio re  d'Armenia  ,  230.  —  Tiri- 
date,  rotto  Orode,  va  per  pigliarne  il 
possesso:  per  passar  felicemente  l'Eu- 
frate sacrifica  :  il  fiume  gì'  indovina 
facile  entrata,  e  poca  durata,233,234. 
—  £  ricevuto  con  letizia  in  alcune 
città;  non  seguita  entrar  nell'altre: 
*  non  s' incorona  :  erra,  236.  —  E 
invidiato  :  si  rivoltano  ad  Artabano  : 
lo  chiamano,  viene ,  vince  ,  caccialo 
d'Armenia,  237,  238. 

Tirreno,  figliuolo  del  re  Ati,  venne 
d'Asia  in  Italia,  190. 

TxTioio  Labbojtb  non  cura  punir  la 
45- 


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510 


TITOLA  Miti  COSE  WSÒ  MOTÀBItI 


aoglit  etiUTat  tì  p«osa  il  magi- 
strato» 4iO. 

Tito  CoaTiaio,  fomaMTiton  della 
gmm  serrile  in  Brinaisi,!?!,  173. 

Tino  Sabiko,  dÌTOto  deUa  casa  di 
Gcmumicoie  acauato  da  quattro, 
tradito  da  Lasiare,  i97. 

Toga  dipinta  col  baston  dell*  avorio 
presentato  a  Inba  (*;  per  ineriti  nella 
guerra  con  Tacfarinata,  171. 

Tooomo  Gaum,  vik,  prosontnoso,  ri- 
dicolo, 9H. 

TraeU^  tonata  da  ReneUkej  poi  di- 
irisa  da  Agosto  a  Rescopori»  e  Coti: 
occupata  tutta  da  Rescnpori;  dan- 
nato e  morto:  ridivisa  a  Reme- 
talee  e' pnpilU  di  Coti,  iOI,  iOS. 

Trmci  aogariati  da  Trebellieno  piglion 
renne  sanno  poco  di  guerra:  di- 
scordano: n*è  faUo  macello  da  P. 
VeUeio,  iU, 

Tradimenti  e  veleni,  S9, 101,403,111, 
135, 198, 130,  IfiO. 

Tbasouo  insegnò  arte  caldea  a  Tibe- 
rio, il  quale  fece  orribil  cimento  del 
suo  sapere,  IH. 

TiiBKLunro  Ran> ,  tutore  de*  pupilli 
di  Coti,  angaria  la  Tracia,  101, 
134. 

Tremuoti  rovinarono  11  cittli  in  Asia; 
Tiberio  le  soccorre,  e  consola,  90. 
—  Similmente  in  Asia  Gibira,  in 
Acaia  Egira,  163, 164. 

Tribuni,  signori  di  Roma,  ciok  con  po- 
dcstlk  di  consoli,  non  durarou  oltre 
due  anni,  1. 

Tribunesca  podestà:  vocabolo  trovato 
da  Agusto,  per  non  dirsi  re,  uè  dit- 
Utore,  143. 

Trionfo  di  Germanico,  e  voci  di  popo- 
lo, 85,  86. 

Trionfali  insegne,  e  ouationi,  85,  94, 

100, 117, 138, 151. 
Trofeo  rixato,  cuoce  a*G«rmani  pia  cbe 

la  scon6tta,  71. 
TubanUt  germani,  si  risenlono,  40. 
TuBBBOHB  (Sbio),  LcgBto  di  GcnB30Ì- 

co,71. 
TuBBABio  (G.),  abbondanaieie^  9. 


Valbbio  CoBvno   ebbe  sci  coosola- 

U.11. 
Vaubio  Naso,  soprantendente  alli  ope- 
rai del  tempio  da  edificarsi  dalli 
Srairnesi  a  Tiberio,  190. 
Vabo  (Quibtiuo),  sconfitto  con  tre  le- 
gioni, 5, 14,  46. 
Vabboms,  consolo,  spia  Silio  per  gra- 
tnirsi  Seiano  con  gran  vergeva 
sua,  167. 
Vassalli  cappadoci,  sgravati  per  into- 
nare il  nuovo  giogo  più  soave,  96, 
97. 
Vassalli,  perche  amavano  più  principe 
che  liberti^  3.  —  Distrutti  per  an- 
gherie, 95. 
Veleni.  Vedi  TradimemtL 
Vendicatore  di  Germanico»  105. 
Vbbaiiio  (Q.),  primo  governatore  dato 
a*  Cappadoci,  97.  —  Vendicatore  di 
Germanico,  105. 
Vergini  di  Vesta  presentano  il  testa- 
mento d*Agttsto,  10. 
Verità  delle  cose  grandissime  si  sa  ma- 
le :  narrasi  e  crescesi  diversamen- 
te, 113. 
Vespro  ciciliano  usato  nell'ammasaie 

i  sedisiosi,  38. 
YiBiLio,  capitano  delli  ETmanduri,100. 
ViBio  Mabso  cede  la  Soria  a  Gn.  Sco- 
lio, 105. 
Vibio  fiBBBxfo  angariò  la  Spagna:  è 
confinato  in  Amorgo,  164.  —  Ac- 
cusa falsamente  Fonteio  Capitone: 
non  ne  pati,  perche  le  spie  grosM 
non  si  punivano,  178, 179. 
ViBio  Vabbohb  mal  vivendo  impove- 
rito :  raso  del  senato,  91. 
ViBULBBO,  soldato  sediaìoso,  e  sua  di- 
ceria, 11.  —  Ucciso»  16. 
Viltà  di  citudini  nel  nuovo  sUto  di  ser- 
vitù, 6.  —  Corievano  a  servire,  9, 
148. 
ViPSABiA  AoBiFrixA,  moglie  di  Tibe- 
rio, madre  di  Druso,  muora  sola 
de'nati  d*  Agrippa  (*)  di  buona  noc- 
te,  113. 
nUGiaatinaliarf'^fiwie. 


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ne'  PfilMI  SEI  LIBRI. 


511 


Visurgo,  fiume  ne'Cberasci,  51,  66. 

Vite  secca:  con  essa  i  centurioni  basto- 
navano i  soldati  per  colpe  leggie- 
ri, 22. 

ViTULio  (L.)  governa  bene  l'Oriente. 
Fu  di  mala  fama  e  vita,  230. 

ViTXLLio  (P.),  con  Germanico,  e  suo 
naufragio,  51. — Mandato  a  risquo- 
tere  Testimo  neUe  Gallie,  64. 

YiTiLLio  VAftAOKi  manda  aiuti  in 
Gallia  contro  a' ribelli,  135. 

ViTBLLio  (P.)  ofièrìsce  la  chiave  del  te- 
soro della  guerra,  rimondandosi 
lo  stato,  206. 

ViTiA,  vecchierella,  uccisa  per  aver 
pianto  Frisio  Gemino  suo  figliuolo, 
217, 

Vittoria  di  Cecina  contro  >  Germani, 
49,50; — di  Germanico  contra  Ar- 
minio,  69,70; — di  Arminio  contra 
Maraboduo,  90. 

Voci,  dogliente,  laudi,  discorsi  del  po- 
polo, 7, 9, 12, 29,  33,  37,  85, 104, 
108,114,135,136. 

VoLusio  (L.)  muore;  suo  ritratto,  129. 

VoifOHB  di  Fraate  Arsacido,  rimanda- 
to da  Roma,  e  fatto  re  de' Parti,  62. 

—  Vien  loro  a  noia,  e  perchè,  62. 

—  E  cacciato  da  Artabano  :  fug- 
ge in  Armenia,  62. —>  N*è  fatto 
r6,  63.  —  E  chiamato  come  amico 


in  Soria  :  fatto  prigione,  63. — Man- 
dato in  Pompeiopoli,  97.  —  Cor- 
rompe la  guardia;  sotto  spetie  di 
cacciare,  fugge  :  è  ripreso  ;  dalla 
medesima  sua  guardia  ucciso  per- 
chè non  ridicesse  la  baratteria,  102, 
103. 
VoTiBHo  MoMTAHO,  poeta  satirico,  dan^ 
nato  di  maestà,  182. 

IJ 

Uroularia,  favorita  di  Livia  :  superba  r 
non  pagava;  leggi  non  ubbidiva, 79. 

Uri,  buoi  salvaticbi  in  Frisia,  199. 

Usare  abito  e  costumi  del  paese  è  cosa 
grata  e  amabile:  e  per  contrario, 
96,  98. 

Usipetij  germani,  si  risentono,  40. 

Usura,  mal  vecchio,  220. 

Usurai  ricchi,  accusati,  220. 


ZsRONB ,  figliuolo  di  Polemone  re  di 
Ponto,  coronato  re  d'Armenia  in  Ar- 
tassata,  e  detto  Artassia,  96.  — 
Muore,  e  Artabano  ne  impadronisce 
Orode  suo  figliuolo,  229. 

ZuflFa  di  Pisone  con  Senzio  legato  in 
Soria,  108. 


CORREGGI. 

.  21  Un,  15   ^pecaano      in 

spesano 

35            1    atteri 

atterrì 

46          15    dolenti 

dolenti, 

53          31     a  più 

a' più 

120          22    oprimono 

opprimoQG 

122            9    alt» 

altare 

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513 
INDICE  DEL  VOLUME  PRIMO. 


Al  ducreto  Lettore Pag.  i 

DtUa  Vita  e  delle  Opere  di  Bernardo  Davanaati;  Discorso  di  Enrico  Bindi.  v 

Albero  genealogico  della  Famiglia  Davanzati .  l 

BibliograBa  delle  Opere  di  Bernardo  Davanzali li 

Lettera  dedicatoria  al  principe  Leopoldo  di  Toscana,  premessa  dai  deputati 
deir  Accademia  della  Crusca  alla  prima  edizione  dell' intero  volgariz- 

tamento  fatta  in  Firenze  da  Pietro  Nesti  Tanno  i  657 lxi 

Avvertimento  che  nella  stampa  del  Nesti  segue  alla  Dedicatoria lxii 

Dedicatoria  di  Gio.  Ant.  Volpi  (edizione  Cominiana)  all'Accademia  della 

Crusca z.xin 

Risposta  deir  Accademia  della  Crusca  a  Giovanni  Antonio  Volpi lxv 

Prefazione  della  stampa  Cominiana lxvii 

Bernardo  Davanzati  Bostichi  a  messer  Baccio  Valori lxx 

La  medesima  Lettera  conforme  si  legge  nell'edizioni  fiorentine  del  Giunti 

e  del  Nesti,  e  nella  Padovana  del  Cornino. i.xxii 

Altra  Lettera  del  Traduttore  al  medesimo  Baccio  Valori lxxiv 

Agli  Accademici  Alterati^  Bernardo  DavanAti lxxvii 

Stirpe  d' Agusto  e  di  Livia,  descritta  da  Bernardo  Davanzati lxxix 

VOLSABlZZAnUBNTO   DI  GOBMELIO   TACITO. 

Il  Libro  Primo  degli  Annali  di  Gaio  Cornelio  Tacito 1 

—  Secondo 61 

—  Terzo 112 

—  Quarto 156 

—  Quinto.  .  .  .  '. 202 

—  Sesto 209 

—  Undecimo .  243 

—  Duodecimo 267 

—  Tredicesimo 301 

—  Quattordicesimo.    .  ". 333 

—  Quindicesimo 366 

—  Sedicesimo 404 

Mutazioni  e  Correzioni  fatte  dal  Davanzati  al  volgarizzamento  di  Tacito, 

tratte  dalle  stampe  del  Marescotti  e  del  Giuntile  da  un  esemplare 
Giuntino  con  postille  autògrafe,  posseduto  dal  conte  Alessandro 

Mortara 421 

Primi  tentativi  della  traduzione  di  Tacito  (frammenti) 479 

Tavola  delle  tose  più  notabili  ne*  primi  sei  libri  degli  Annali 491 


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