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LE OPERE
BERNARDO DAVANZATI.
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PropTÌeta letteraria.
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LE OPERE
BERNARDO DAVANZATI
RIDOTTE A CORRETTA LEZIONE
COLL^ AIUTO de' MANOSCKITTI E DELLE MIGLIORI STAMPE
E ATINOTATE
PKR CURA DI EKRICO BINDI.
VOLUME PRIMO.
FIRENZE.
FELICE LE MONNIEH
1853.
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■<*J--^ /. N
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AL DISCRETO LETTORE.
Fra molte edizioni, anco eleganti, delle opere di Ber-
nardo Davanzali , difficilmente ne troveresti una che non sia
copiata, più o meno esattamente, dalle stampe del Cornino;
buone , se vuoi , ma non quanto rìchiedevasi a questo autore.
11 quale, per certe sue capestrerie, rendendosi singolare da
tutti né troppo alla mano, voleva anche singoiar cura per
farlo agevole a' lettori, senza torgli la nativa (isonomia. Questa
negligenza avendo sparso nelle sue opere non poche macchie,
chi sa che non abbia contribuito a farlo giudicare da taluno
meno rettamente. Il certo è che non sempre dove lo riprendono
d' oscurità è oscuro ; ma sì guasto da' suoi editori. Però richie-
sto di vegliare questa edizione, ho voluto ben esaminare le
stampe originali (intatte sin qui) e ciò che ne resta de* suoi ma-
noscritti. Così ho potuto correggere non pochi né lievi errori,
inveterati in tutte 1* edizioni , e restituire la propria lessigrafia ,
trascurata sempre per quel tristo vezzo di anmiodemare, e
di cancellare questa non ispregevole parte del colorito antico.
E perchè se al Davanzali non parea ragionevole la doppia
zeta, e non la voleva, dovrà darglìsi a suo dispetto? Non
parve così anche a Carlo Dati e a Udeno Nisieli? Perchè,
se gli piacque scrivere Adusto, agurio, agurCy non vorrà
averglisi rispetto? forse non facciamo noi lo stesso in agosto?
Così dicasi di giucare per giuocare e d'altre singolarità gra-
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n AL DISCRETO LETTORE.
fiche, comuni anche ad altri, che non m*è parso di do-
ver mutare. Dove poi egli non è conforme, ho creduto,
suir esempio suo , d* usar libertà : però troverai dopo e doppo;
publico e pubblico; ognuno, intrambi, allora, e ognuno, in-
trambi, allora; co *l, no 7, su 7, e col, noi, sul; a gli, de gli,
con gli, e agli, degli, cogli, ed anche alli, delli ec. ; e così in
altre parole dove non ebbe metodo certo. Questo voleva av-
vertirsi, perchè tali incostanze, che trovansi in quasi tutti
gli scrittori di quel tempo, non si avessero a tórre per
errori. Ben s'intende poi, che quando egli scrive tempij,
iddìj, agV altri, agrhuomini ec. non era da seguire, perchè
tali modi di scrivere , sebbene da alcuni allora difesi (vedi le
Lett, di Claudio Tolomei, Kb. VII, pag. 287 e se^. Vene-
zia 1566), oggi ben si hanno per viziosi e da jion tollerare.
Rispetto al Volgarizzamento di Tacito , dal confronto delle
stampe originali, e d*una parte del manoscritto che serbasi
nella Magliabechiana (vedi qui appresso la Bibliografia) , ho
raccolto ricca messe di varianti , provenute da mutazioni e
pentimenti del traduttore, e utilissime agli studi della lingua
e dello stile. Vero è che queste non vanno più là de* primi
sei libri degli Annali , perchè il resto del volgarizzamento è
postumo e privo delle seconde cure ; né si ha per esso al-
tra guida che la brutta stampa del Nesti. Tuttavia non
lieve aiuto m*ha recato il tenermi sempre dinanzi il testo
latino , usando la stupenda edizione data ultimamente in Zu-
rigo, su' manoscritti Laurenziani, da Baitter e Creili (fun-
ci, 1846-48).
Dirò anche una parola delle noterelle che m* è parso
d* apporvi; le quali, sopra tutto, mirano a far leggere que-
sto volgarizzamento senza doversi fermare a ogni tratto
a cercare vocabolari o altro; spiegando esse, senza troppi
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AL DISCBETO LETTOBB. lil
infrascamenti filologici , parole e locuzioni antiquate o fio*
rentine; avvertendo alcune inesattezze del traduttore; ao«
cennando le parole del testo latino, dove o la curiosità o
il bisogno pareva richiedere; notando alcuni gravi errori
delle altre stampe; riferendo, dove tornasse più opportuno,
alcune varianti o mutazioni (le più le abbiamo relegate in fondo
al volume) ; avvertendo dove il traduttore ba s^uito lezioni
non ricevute da' migliori testi ; dichiarando ( ma di rado) qual-
che erudiiione storica più necessaria alla intelligenza ; rìtra*
ducendo, o da me o col Dati o.col Politi o col Valerìani o
con un Ms. anonimo del secolo XVI , qualche frase iirantesa,
o troppo bassa o troppo chiusa. Ne* primi sei libri le noterelle
mie sono distinte coli* asterisco, per non confonderle colle pò*
stille del traduttore.
Ho conservato anche i copiosi Indici delle materie , si
perchè di gran comodità agU studiosi , sì ancora perchè scritti
dal Davanzatì medesimo, che vi usò voci elocuzioni onde si può
vantaggiare non poco la lingua. Quello de* primi sei libri , da
lui stampato nell* Importo di Tiberio Cesare, l'avrai in fine di
questo volume: quello generale , conforme leggesi nell'edi-
zione del Nesti , chiuderà il secondo.
La stessa cura ho recato nelle opere minori . Per lo Scisma
ho seguito r edizione romana del Facciotto, uscita vivente
r autore , tenendo conto anche di quella curata da Bartolom-
meo Gamba, che la condusse sopra un manoscritto Marciano,
il quale offre infinite e, per lo più, buonissime varietà, che ho
notate accuratamente. Per la Coltivazione toscana non occor-
reva cercare stampe , esistendo il manoscritto originale , che
mi ha dato modo di correggere assai errori e di notare al-
cuni pentimenti dell* autore , che tanto giovano a chi vuole
addentrarsi ne*segreti dell* arte. Anche le poche Le/tere che ci
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IV AL DISCaETO LETTORE.
restano, furono collazionate sugli autografi. Questi mancano
per le altre scritture; ma v' ha però molte copie manoscritte
che , per esser del tempo , non hanno piccola autorità. Ma di
ciò a suo luogo. Ci troverai pure alcuna cosa d' inedito :
qualche sonetto , qualche frammento, e poco altro. Più avrei
dato, se le mie cure non fossero tornate vane. Quel poco
è tolto , per la maggior parte , da un grosso quaderno divari
studi , tutto di mano del Nostro , eh' io debbo a Pietro Bi-
gazzi , erudito e diligente raccoglitore d' ogni rarità lettera-
ria. A lui pure sono obbligato d'aver potuto esaminare una
stampa degli Opuscoli di Plutarco, appartenuta al Davanzati
e con varie sue postille a penna , delle quali ho scelto le più
curiose.
Se in questo lavoro mi sia meritato quella umile lode ,
che sola può sperarsi , di accuratezza , non so : certo è che
me ne sono ingegnato al possibile. Non presumo tuttavia
d'avere schivato ogni fallo; che troppo è diffidle in queste
cure minute, che la mente non s' in&stidisca talvolta e si
stanchi. A te sta di esser discreto, o Lettore.
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DELLA VITA E DELLE OPERE
DI BERNARDO DAVANZÀTI.
Hanno propria ìndole e fisonomìa non pur le nazio-
ni, ma e le città e i popoli d' un' istessa nazione; come
le famiglie e gli individui che le compongono. Se non che
in un popolo questi lineamenti distintivi appariscono più o
meno forti e risentiti, secondo che più o meno ha egli
potuto operare conforme i regolati movimenti della pro«
pria natura; cioè, secondo proprie leggi e istituti. Impe-
rocché dov' esso abbia dovuto piegare a leggi esterne,
queste sono come letto di Procuste, che stira o mozza, e
tutti i corpi riduce a un' istessa misura e languore. Questo
si vede sopra tutto ne' Fiorentini, i quali mentrechè si
ressero da se, ed ebbero campo di tutta spiegare la virtù
della propria natura, ninno tra' popoli italici ebbe fiso-
nomia più scolpita, più nobile e più gaia di loro. Spirito
arguto,ingegno agile e profondo: poveri e modesti in casa,
ricchissimi e magnifici nel comune; sollazzevoli e severi ;
semplici e magnanimi; non meno destri (se non leali) nel-
la curia, che valenti nell'armi; e, ciò che dà più meravi-
glia, con animo mercantesco, tale sentimento del bello,
quale attestano l' ardimento romano de' loro edifici e le
arti per essi risuscitate. Il parlare, lo scrivere, il con-
versare, r edificare, tutto porta un'impronta sì propria,
che cosa fiorentina di quel tempo non potresti mai scam-
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VI DELLA VITA E DELLE OPERE
biare con altra di altro popolo italiano. Ma queste vìve
e peculiari sembianze cominciano a perdersi dopo la
metà del sestodecimo secolo. Non in tutto, fincbè i Fioren-
tini soggiacquero a signoria domestica e recente. Scom-
parvero affatto nel tempo dipoi. Ed anche la lingua che
sì viva ed efficace e
Pura vedeasi neir ultimo artista, <
tralignò, stravolta da gerghi forestieri, traforativi per
moda, per negghienza, per ismarrita dignità.Nè per certo,
udendo oggi un fiorentino, potresti dire:
La tua> loquela ti fa manifesto.'
Questo fatto osservato e lamentato da molti, m'è tot-
nato più incresciosamente al pens^'ìro nel dovere scrivere
queste povere parole su Bernardo Davanzali , che tra gli
ultimi fiorentini , i quali, operando e scrivendo, serbarono
fiorentina sembianza, è il più notevole. Onde anche per tale
rispetto merita d'essere avuto in considerazione. Sennon-
ché, duole che troppo scarse sieno le notizie della sua vita:
perchè dividendosi egli fra i traffici del banco e gli studi
solitari, lontano dalle brighe letterarie e civili, parco di
parole, di pochi amici, non cortigiano, non ambizioso,
poco romore fece, e pochi di lui parlarono, sebbene con
lode grandissima.
Nacque in Firenze il 31 agosto 1529,' Egli tenevasi
disceso da' Boslichi, * antica e potente famiglia guelfa/
< Dante , Farad. XVI, 49. ^
» Dante, Inf. X, 24.
' Ecco il documento della nascita, estratto dalK archivio ^elP Opera di
Santa Maria del Fiore : « ^1529, agosto. Martedì , addì 5^. — Bernardo Giù-
» liane et Ro (Romolo) di Ant. Frane, di Giuliano di Nicliolaio Davanzati ^
» pio 8. Trinità, n. addì detto, b. 8. » Erra dunque il Rondinelli, e ^1i altri
dietro a lui, che pongono la sua nascita 3 50 agosto.
* Ne' libri suoi , stampati sotto i suoi occhi , chiamasi sempr« Davanzali-
Bostichi.
« G. Viflani, Cren. VI, 53; V, 59.
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DI BEBNABDO DAYANZATI. VII
già volta in basso a' tempi di Gaccìagutda) e quasi spenta
in quegli di Dante e del Villani. ^ Ma di tale consorteria
oggi muovono dubbio i genealogisti.' Certo è che la fa-
miglia dei Davanzati fu d' antica nobiltà. Trasse il nome
da un Davanzato che nel 1260 combattè pe' Guelfi a Mon-
taperti : e nel principio del secolo appresso fu ammessa
agli onori della repubblica.' Ebbe cittadini pii e benefici ;
un Lottieri che fondò nel 1336 il monastero di santa Marta
a Mohtughi, e un Niccolò, quel della Doccia sul monte
di Fiesole nel 1&13: rimatori leggiadri, un Mariotto, un
Francesco, un Bartolommeo: ^ savi uomini di Stato, un
Manetto, che trattò nel 1397 la pace co'Pisani, e un Giu-
liano, insigne nel XY secolo nella scienza delle leggi e
per. molte onorevoli ambascerie sostenute ; a uomo effi-
cace e di gran forza nel dire )>, come lo chiama P Am-
mirato.' Uguale onore venne al nostro Bernardo dalla
madre, che fu Lucrezia de' Ginori, famiglia nobilissima.
Suo padre Antonfrancesco Davanzati è ricordato onore-
volmente dal Varchi, tra coloro che ben provvidero alla
patria libertà in quei supremi momenti del memorabile
assedio.' Di che raccolse quel frutto che dovea aspettarsi
* Dante , Farad. XVI, 59, dove il commentatof e anonimo detto V Otti-
mo , nota : « I Bostichì sono al presente di poco valore e di poca dignitade. •
Ebbero torri e case dove poi i Davanzati edificarono il Palazzo , che vedest
aoe' oggi in Porta Rossa. Gio. Villani, IV , ^13: « Intorno a Mercato nuovo
erano grandi i Bostichi. » Dell'antica loro nobiltà vedasi Michele Verino nel
poema De ilhutratione wrbi$ FhrenUa!; Parigi 4790, lib. Ili, pag. 48;
dove pareggiando i Bostichi cogli Spini, gli fa romana origine (gemu tnUiquum,
rofnana propago)^ e venuti in Firenze, dopo le guerre di Narsete in Italia
contro i Goti.
* Gamurrim, Stor^ geneai.y voi. Ili, pag, 256 e segg.
' Vedi P Albero della famiglia, a pag. L.
* Vedi le note all'Albero della famiglia.
9 Vedi Mamii, SigUli eo. iom. VII, pag. 423*^40.
* Fece parte della conmùssioae ordinata a fornire F occorrente per U
guerra (Varchi, Shr.y lib. XI, pag. 442, ediz. d'Arbib. Fir. 4842>. Trovan-
dosi i Fiorentini stremi d' ogni cosa e abbandonati, vollero tentare una fazione
disperata , e uscire , col gonfaloniere alla testa, sopr^ gP iivjperiali. Ma prima.
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vili DELLA VITA B DBLLV OPBtE
dalle larghe promesse del felice vincitore; il quale, fa-
cendo d'occhio a' nuovi rettori, volle dire (e fu inteso)
a che si provvedesse alla sicurezza del nuovo Stato con
gagliarda proscrizione.' d Confinato prima in Sicilia, poi
a Pontremoli, confiscatogli i beni, bandito nella testa,
non si sa che di lui avvenisse.*
A Bernardo, nato nelle agonie della repubblica, man-*
carono le cure paterne, ma non liberale educazione, che
la madre vide a lui tanto più necessaria, quanto più vi-
vace e acuto rivelò per tempo l'ingegno: a perchè il
campo fertile non coltivato produce male erbe più rigo-
gliose che non fa lo sterile.* » Apprese il latino e il gre-
co egregiamente; studi che in quella severa educazione,
che ora par barbara, non andavano mài discompagnati.
Ma non trovo chi fossero i suoi istitutori, e difilcile sa-
rebbe il congetturarlo, in tanta e sì mirabile copia d'uo-
mini dottissimi che allora avea Firenze, appellata con ra-
gione dal Nostro: « fior d'ingegni, onor delle lettere,
maestra dell' arti, specchio di civiltà.* » Lo Studio fio-
rentino, scaduto assai nei turbamenti della guerra e sotto
il vituperoso Alessandro, risorse per Cosimo poco meno
che allo splendore dei tempi di Lorenzo, quando vi leg-
gevano il Poliziano, il Ficino, il Filelfo, l'Argiropulo; ' e
quando la gioventù fiorentina parlava greco si attica-
farono eletti 46 àttadinl per ogai quartiere, e aggiunti à' magistrati ordinari,
che dessero sopra ciò il loro roto. Decisero che doveasi combattere ; e tra
questi fu Anton Francesco , che il Varchi nomina tra quegli non insigniti del
grado dottorale (lib. XI, pag. 451).
* Lorenzo Strozzi, Vita di Filippo Stroxxiy stampata con la tragedia di
G. B. Niccoliui, Fir. 4847^ pag. IX.
s Varchi, Stor. lih. XIII, pag. 579: « I confinati sperando dover esser
» rimessi , ossenrarono con incredibile disagio e spesa e pazienza i confini. »
Ma , spirato il tempo, furono riconfinati da capo in luoghi più disagiati.
> Rondinelli, Ritr. del DcmanxaU.
* Orazione in morte del G. D. Cosimo I.
» Prezziner, Stor, delh Slud. fior. Voi. I, Uh. S.'Fir. 4810.
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DI BERNàEDO DArANZATT. II
mente da far credere Atene risorta sulle rive dell'Arno.*
V'insegnava lettere amane Pier Vettori, a cui nulla fu
ignoto della classica antichità, scrittore leggiadrissimo
della materna e delle dotte lingue: teneva la cattedra
d'eloquenza greca e latina Giovambattista Adriani,
storico elegante e degno erede della gloria letteraria
di Marcello; ' di filosofia, il Verino; * e il Gelli e il Var-
chi vi leggevano Dante e il Petrarca; i classici greci
Vincenzio Borghini,* dotto illustratore delle antichi-
tà fiorentine, e che il Foscolo, non amico a' cinque-
centisti, chiama (ed è assai) scrittore non pedantesco. *
* « Prima nobilitalis pueri... ita sincere attico sermone t ita facile
expediteqne loqwmtikr , ut non deletm iam ÀthenoB atq%t» a harhoHs oc-
eupmkBy $ed ipsae tma fponle eum proprio anulsm solo , ewmque omwi, ut
tic dixerim^ tua supellectUe in Florentinam urbem immigrasse, eique te
totat penitusque infuditse videantwr. » Politìanas, Orat. in exposict. Homeri.
s Fa perciò nominato il Marcellino. Il figlio di lai , Marcello il giovane ,
lesse nelF Accademia degli Alterati quella stupenda tradosione degli Opoacoli
di Plutarco , che ora abbiamo alle stampe. Della qnale in una lettera a Belisario
Balgarìni (8 giugno 4ìi9A) così parla. « Io conoscendomi poco atto ad imprese
• proprie, e rincrescendomi Io studiare a vAto, e pure essendo inclinato ad opera-
» re, ma non bene, impresi questa vii fatica dell' opere morali di Plutarco, veg-
» gendo che ne erano stati tradotti picciola parte, e quelli ancora pessimamente,
» perchè erano stratti da una pessima latinità. Fa mio primo intendimento
• di rimettermi alla lingua greca tralaaciat» da me per molte occaaioni : il
• secondo fu F ingravidarmi di concetti sparsi vagamente per tutto il libro; e
• nel terzo luogo di trame questa scrittura , la quale non istimo , perchè non
» Tale. Gommdaine una bona , e finiroUa tutta fra due giorni ee. t — Con-
servasi questa lettera nella pubblica Biblioteca Senese , God. D. VI. 9, e mo
ne debbo chiamare obbligato alla gentilezza del dottor Gaetano Milanesi.
> Francesco Vieri, detto il Verino primo, mori nel A^^. L'altro Fran-
cesco Vieri , detto il Yerino secondo , così parla di lui nelle Conclusioni pla-
toniche: « Messer Francesco di Vieri... mio avolo... in Pisa e in Firenze lesso
• pubblicamente tutte le parti della peripatetica filosofia anni quaranta. Gli
• furon fatte dalla patria e dal serenissimo granduca Cosimo , in Santo Spiri-
» io , onoratissime esequie , e V eccellentìssimo filosofo e nobilissimo cittadino
» messer Gio. Strozzi recitò una bella orazione , lodandolo sommamente , •
• con verità , di eccellenza di dottrina e di bontà di vita. •
* Al Borghini, nato il 29 ottobre 45^15, fu compare un Pagato di Gio-
vanni Davanxati. Vedi Ricordi di V. Borghini negli Opuscoli inediti o rari.
Fir. +845, pag. 2.
* Foscolo, Discorsi sulla Hngua. Vw. VI.
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X DELLA VITA B DELLE OPERE
Appena è da credere che il giovane Bernardo non
udisse questi degni uomini: sebbene in quella copia di
dottrina ogni casa era una scuola, e la gioventù avea
agio d' apprendere in ogni luogo.
Ci dice il Rondinelli che (c con lo studio accompagnò
il negozio, che ne' primi anni esercitò in Lione.* » Non
credo però a nome proprio, ma si per conto dei Cappo-
ni: e mi pare poterlo rilevare da un Ricordo di Benve-
nuto Gellini, dov'egli è nominato espressamente cassiere
de' Capponi;^ e dalla Lezione sul Cambio, dove gli esempi
onde illustra il suo soggetto gii trae dal banco di quelli. '
Né rechi maraviglia il vedere questo elettissimo in-
gegno togliere alle lettere il tempo migliore per darlo
a' negozi. Imperciocché nelle età vigorose, dov'è vita
pubblica, non si trovano letterati di mestiero; quivi gli
studi 0 sono mezzo a bene operare nella repubblica, o nulla.
Pe' Romani gli studi solitari non erano vita, ma ozio; e ap-
pena fu perdonato ad Agricola d'essersi dato alle specula-
zioni della filosofia con troppo più ardore che a romano e
a senatore non si convenisse.* E in Firenze i manifattori di
letteratura cominciano a trovarsi nella età del Davan-
zati, quando non ci fu altro che fare per gli uomini in-
gegnosi. Ma innanzi, a stento troveresti un dotto che non
fosse 0 uomo di Stato o guerriero o mercante. Ma mer-
cante per lo più: imperocché i traffici furono la prima
* Kondinellì , Ritratto del Davanzati.
s Opere di Benv. Gellini. Firenze, 4845; pag. 369: a Sabato a dìi 22
» di marzo 4 560. — A dì detto , a ore 4 2/5 di notte nacque il bambino di
» messer Benvenuto , figliuolo della Piera di Sal?adore. Domenica a di 25
n detto si battezzò, e i compari furono questi, oioè, Bernardo di.... Davan-
» zati , cassiere de'Capponì , e Andrea di Lorenzo Benivieni , cassiere de' Sal-
» yiati ec. » '
' Ancbe nelle Lettere ricorda spesso in cose di traffico i Capponi.
* Tacito,. Ki^ Agr. cap. 4: a Memoria teneo tolitum ipsum twrrare,
te in prima inventa ttudvum philosophio} acriiu, ultra quam coneeeium
Romano ac seTiatori, hausisse, ni prtbdenlia matrit inceruum ac flagran-
lem animum coercuitset. »
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DI BBBNA1ID0 DAVANZATI. II
fonte della potenza fiorentina, quando ì Bardi e i Peruzzi
avanzavano tanto dal re Edoardo IV d' Inghilterra che
poteasene comperare un regno;* quando i principali mer-
cati d'Europa erano tenuti da' Fiorentini, primi autori
dei credito e della preponderanza commerciale^ del cam-
bio in grande, e di tutti quegli scaltrimenti onde il traf-
fico fu possibilmente difeso dalie frodi e dalle violenze
di barbari tempi.* Vero è che i Lombardi e i Caorsini
(così, fuori, chiamavansi i mercanti di Firenze') furono,
non men degli ebrei, in mala voce per disoneste usu-
re, che mossero lo sdegno di Dante, del Villani^ e del
* G. Vniani, Cron., XI, 88 : « più d' uno milione e trecentosessantacla-
t q«e migliaia di fiorini d' oro, che yaleva uno reame. » Gli ragguaglìaDo alla
somma di 75 milioni di franchi. Pecchie , Stor. MV eeon. pubb* Lugino ,
4852. Introd.
* Della potenza e ricchezza dc'Fiorentini nel 8cc. XIV, vedi Gio. Villani
passim j ma specialmente lib. XI, e. 88-402. n Pecchio (op. cit.) così racco-
glie in breTC queste notizie. « Ottanta banchi facevano le operazióni, non solo
di Firenze, ma di tutta l'Europa. Al {fl^iocipio del secolo XIV la rendita della
repubblica montava a 500 mila fiorini d'oro, equivalenti a 45 milioni di franchi
de'nostrì tempi. Questa rendita era maggiore di quella del re di Napoli, del re
di Aragona, e di quella che, tre secoli dopo, l'Irlanda e l'Inghilterra insieme
producevano alla regina Elisabetta. La città aveva una popolazione di 470 mila
abitanti ; 200 manifatture di panni ; 50 mila lanaiuoli j e vendeva ogni anno
per più di 60 milioni di franchi di panni. »
' Vedi il Glossario del Dn Gange ; il quale crede che i Caortini fossero
detti dalla famiglia fiorentina Corsini, e a questa opinione inclina anche il
Troplong ( Vedi la pref . all' opera , Commentaire dn eontrat de sodètéy
pag. xivii), che dice: « Je serais fori tenie de croire que l'appellation
Caorsius ou Corsius , donnée aux Lombards qui exploitaient la France et
VÀnglelerre^ pourrait bien leur venir, non pas de Cahors, qi»e Dante au-
raitj un peu légèrement peut-étre, comparée à Sodome (Inf. e. X/j, mais
des Corsini, illustres marchands de Florence , non moins riches que les
Bardi et les Peruzzi. »
* G. Villani, Cron., XII, 55: a 0 maladctta e bramosa lupa , piena di
vizio dell' avarizia regnante ne' nostri ciechi e matti cittadini , che per cnvidi-
gia di guadagnare da' signori , mettono la loro e V altrui pecunia in loro po-
tenza e signoria ! » Dante, Inf. XVI, 75 :
i sabiti guadagni
Orgoglio e dismisura Itan generata ,
Fiorema , in te.
E nel primo trota forte impedimento dalla lupa di tutte Orarne. E Paolo
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XII DELLA VITA B DBLLB OPBRE
Savonarola; il quale, parlando dell'edacazione de'flgliaoli:
a La prima cosa (gridava), li padri li pongono a imparar
)) poesia, e dipoi alli banchi a imparare cambi e usure;
» e cosi li mandano a casa del diavolo/ )i A Orazio
invece non parea possibile che con questa ruggine e cura
di peculio si potesse fare buona poesia, degna del cedro;
e ne riprendeva gii avari romani.' Ma i fiorentini però
seppero: e non solo la poesia, ma tutte le arti del bello
accoppiarono' col traffico egregiamente* Lo che mi fa
certo eh* e' non lo -esercitarono in modo servile e inuma-
no; perchè il bello non si fa sentire in anima impietrita
dal sordido guadagno. E di quel cattivo nome d'usurieri,
in parte se ne deve la cagione all' invidia dei popoli, al-
lora infingardi; in parte alla necessità di premunirsi
da' pericoli, che grandi erano, come mostrò il fallimento
de' Bardi e de' Per uzzi, che fu disastro pubblico;' e in
parte ancora all'abuso di p^chi che, come accade, insoz-
zarono tutti.
Quando il Davanzati si recò a Lione, era questa
dell'Ottonaio (Canti Carnescialeschi. Cosmopoli 4750; toI. 2, pag. 550):
.... assai ... ci duole
Cbe molti oggi si dieno ,
Ch' esser potrien mercanti veri e bnonl
A voler oompagnia fin to' trecconi.
Ognun tien magauini e casolari |
Ognun compra e rivende ,
Onde il poTero poi che troppo spende
Bestemmia il tempo la roba e' danari :
Però non tanti avari
Sempre contro di noi, ee.
* Sermone del lunedì dopo la seconda domenica di quaresima.
* EfUi. ad PUon. de Arte.poet., t. 550 :
^j4t baie anùnos arugo et cura peculi
Cam semel imbuerU, tperamut carmina fingi
Poste linenda cedro et levi senanda cupresso?
» G. Villani, Cron,, XII, 53 : « Nel detto anno 4345 del mese di gen-
naio, fallirono quelli della compagnia de' Bardi ec., t e 1. XI, 88: «Per que-
sta diffalta molto mancò la potenza e stato de' mercanti dì Firenze e di
tutto il comune, e la mercatanzia e ogni arte n'abbassò e Tenne in pessimo
stato. « E di naoTO, lib. XII, e. 55: « Ma non senza cagione Tengono ai co-
muni e a' cittadini gli occulti giudicii di Dio per punire i peccati commessi. »
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DI BBKHÀKDO DATANZATI. XIH
città, non meno di Montpellier, di Nimes, di Marsilia, di
Tolosa,^ piena di mercanti fiorentini, de' quali è traccia
ancora nel nome d'una via che si appella de' Guadagni,
potente famiglia che vi fece gran mercatura/ V'ebbero,
come da per tutto, e console e proprie leggi e privilegi lar-
ghi dal re. Sopra gli altri fioriva il banco degli Strozzi, che
qui^ non meno che in Roma e in Venezia, avevano nu-
merosa e potente compagnia. E quando Filippo, a cau-
sarsi da' sospetti de' piagnoni, si ritirò colà per certo
tempo, potè, armando i mercanti fiorentini, tener fermo
contro la città sommossa talmente, che poco stette non
ne rimanessero sterminati.'
Non so quanto Bernardo si trattenesse in Lione;
ma, certo, non lungamente. Perchè presto lo ritrovo in
Firenze e nelle accademie e a continuare i suoi trafiDci,
mettendo il suo in accomandite (come per lo più face-
vasi allora), le quali non sempre lo rallegrarono di buoni
guadagni. E lo rilevo dall' autografo delle Postille a Ta-
cito, dove ne trovo una, da lui cancellata, ma pur leg-
gìbile, nella quale accenna manifestamente a un brutto
giuoco fattogli in una di queste compagnie mercantili.
(( Non so chi miei vicini (racconta) presero da un amico
» somma notabile di ducati per trafiQcare a compagnia^
» e in capo a undici mesi, senza disgrazie o danni del
» traffico, si fuggirono con quarantaquattro mila; e
D hanno trovato aiuti, favori, amici e modi: onde pas-
o seggiano con le teste alte, e spendono allegramente.
* A. Combe et 6. CharaTay, Guide de VéWanger à Lyon. Paris, 4847,
pag. 249. « jDan« la rne de Gnadagne Vimmente et magnifique hotel de
Guadagne, offrant dee prieteux détails de tculptwre gothique éc. » E in
nota aggiunge : « La fomite de GiMdagney d'origine /torentine, avait aeqwit
dan$ le eommerce une fortune eontidérable et ^ itait devenue prover-
biale à Lyon. Elle était aimée de Frangoit J"*, à qui elle oeott eouoent
prète de f or tei ummee pour set guerree ruineutet. t
s Lorenzo Strozzi, op. cit., pag. LV.
I. b
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XIV DBLtA VITA B DELLE OPBBE
)» E quell'amico ristorano col vociferare d'averlo soci-
» disfatto innanzi agli altri, contro a ogni verità. E que-
» sto sia suggel che ogn' uno sganni. » A basse insidie
di emulo nelle cose del commercio accennano anche le
seguenti parole, pur da lui cancellate in queltb stesso
autografo, ma non sì che non possano leggersi : « Un
i valentuomo.... perch' io rovinassi....cercò, brigò, mise
» su molti, scrisse a Venezia, e libri squadernò. Ma io
9 avendo fatto col mio, e non mai debito, fui sempre
» Ben tetragono ai colpi di ventura.^ » L'aver cancellato
questi brevi e giusti sfoghi del suo risentimento, mi dà
segno d'animo buono, che dimentica o disprezza le offese.
Sebbene i più nobili ingegni non tenessero a vile
le industrie del guadagno, né Giovambatista Gelli (l'ape
attica) non isdegnasse l' arte del calzettaio, anzi l'amas-
se : ' né al Grazzini , detto il Lasca , paresse ignobile quella
dello speziale, come non era parsa a Matteo Palmieri;*
pure il Davanzati, o fosse pe' disgusti accennati, o fosse
che troppo gli piacessero gli studi, non era contento
del tempo speso nelle brighe del banco, e sentiva ri-
morso d' esser tanto occupato nello arricchire. Però a
Baccio Valori, amicissimo, dolevasi con questi versi
pieni di severa mestizia:
D' orò non già, ma d' infelice entoma*
Son le Ola ondMo sento e caldo e gelo,
fi molto il volto porto e 1 fianco anelo»
Sì r avaro desio mi caccia e doma.
* Vedi questa postilla riferita interamente a pag. 454.
' Gli amici avrebbono volato toglierlo a quell'arte meeeanìea e dargli
Olio di attendere onicamente agli stadi ; ma egli con rara modestia rìcasò, e
volle vivere delle sue faticbe. Morì nel ^1565, ed on calzettaio , che fu Michelf
Capri, gli recitò Porazion funebre. Vedi Salv. Salvini, Foit. cont. all'anno A 548.
' Nato nel 4455, morto nel 4475. Fu discepolo nel latino del Sozzomeno,
celebre cronuta pistoiese.
* entama, automa, verme. Vuole intendere del baco da seta. Vedi que-
sto sonetto nel voi. III.
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M BERNARDO DAVANZATI. XV
Qui non può lauro dnger la mia chioma,
Qui non virtù può sovralzarme al cìaIo:
Ond' io sol di me stesso mi querelo,
E dico: 0 Baccio mio, vedrem mai Roma?
Tuttavia non credo eh' egli abbandonasse mai la merca-
tura. Bensì die opera sempre più attesamente agli studi ,
ne' quali quanto venisse in pregio può vedersi anche da
questo, che nel 15ii<7 (contava appena diciotto anni)
l'accademia fiorentina, detta la grande e la sacra,* lo
accolse tra' suoi.* Di che, quando più tardi prese in essa
il consolato, si mostrò riconoscente con queste parole:
tt Primieramente ( V accademia ) mi ricevette nel suo
» seno nella mia più tenera giovanezza, e mi die prima
D occasione e ardimento di correre questo pubblico ar-
» ringo e con suo' piccioli onori, quasi madre lusinghe-
0 vole con dolci pomi, più volte allora allettandomi, mi
T» accese di se vagheza. * » Ciò fu nel consolato di Sei- ,
vaggio Ghettini, succeduto quell'anno stesso al Giam-
bullari: e dice il Salvini,* che in quella occasione si pro-
dusse con alcuna lettura; ma non si sa su qual soggetto.
Come pure lo stesso Salvini lascia di notare un' altra
lettura fatta da Bernardo tre anni dopo, allorché fu de-
putato (conforme usa vasi, allorché gli ufficiali dell'ac-
cademia uscivano di carica) a presentare la tazza d' ar-
gento al consolo Fabio Segni, e l' anello d'oro ai censori
' « Da' grandi nomini che yì creò e allevò, e da' grandi sindi che di quelli
si conobbero , non inginstamenfe accademia grande fa appellata. » Scip. Bar-
gagC, Orazione in lode deiVÀeead. — « Fu detta la tacra, cioè la maggiore
e la solenne. » SaWini, Faet. eont. pref. pag. xxv.
> Vedi FoiH consolari sotto l' anno 4547. Qui trovasi per la prima volta
ricordato il Davanzati j e sebbene non dicasi espressamente, pure, avuto ri-
guardo all' età sua giòTanile , non credo di errare affermando, che questo do-
vetf essere Fanno del suo ricevimento nell'accademia.
' Orazione nel prendere il Consolato.
* Fatti eontolari.
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XVI DELLA VITA B UBILE OPEBB
Benedetto Varchi e Francesco d' Ambra. ^ Imperocché
qui fece Bernardo (dicono gii Atti) una grata, accorta
e molto graziosa orazione.^ La quale ceremonia porse
al Lasca (imbroucito allora coli' accademia, da cui per
sue dicacità era stato rimosso') occasione di motteggio
in questi versi, nei quali almeno il nostro Bernardo fa
gentile comparsa:
Quel garzonetto non ba 'n corpo fiele :
Poi fa sì belle e sì dotte orazioni.
Che chi noD Tama è ben goffo e crudele.
Calate ornai le vele,
0 tutti voi dal maggiore al mioore,
Che siete dolci e di mezzo sapore.
E se bramate onore,
Fate neir accademia soprattutto
Favellar sempre e legger quel bei putto.*
E aria di putto dovea dare tuttavia a Bernardo la pie-
cìola e pienotta statura e lo spirito vivace.
L'accademie, divenute cosa di stato, cominciarono
a perdere molto tempo in queste gare e baie e forme
cortigiane. Dianzi erano brigate d' amici che raccogUe-
vansi alla buona in private paréti ad accomunare e fe-
condare liberamente i loro studi, non senza il condì-
mento di schiette e casalinghe ricreazioni, come^volea
lo spirito fiorentino. Tal fu quella dotta brigata dei Pla-
tonici , donde sorsero in Italia i primi albori della rin-
novata filosofia: tale quella degli Orti Oricellarì, dove
il Machiavelli leggeva le sue Storie. Talvolta sotto quelle
erudizioni ferveva nobile spirito cittadino, mirante a ser-
bare inviolati, contro ogni ambizioso attentato, gli or-
* Elegante scrittore dì commedie.
s Di questo fatto, taciuto dal Salvini, fa menzione il Biscioni nelle noto
alle Rime del Lasca. Firenze, MoOke, 4741 , voi. 4, pag. 554, 552.
' Biscioni, Vita del Lasca premessa alle Rime.
• Lasca, Rime, voi. 4, pag. 443.
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DI BBKNAKDO DAVANZATI. XVII
dini antichi deUa patria ; come yidesi in quella compa-
gnia di giovani, che mentre attendevano a curare il
testo del Boccaccio, onde uscì poi la celebre edizione
del 1527, si consigliavano come sbrattare Ippolito e Ales-
sandro, minaccianti la repubblica; e che, venuta poi la
dura e infelice prova dell' assedio, tutti vollero lasciare
anzi la vita che l'armi. Quella rovina del 1530 in-
terruppe ed infranse tutti questi studi nobilissimi. Rap-
piccaronsi poi , ma per pigliar presto ben altro aspetto.
£ chi un dieci anni dopo fosse passato per via San
Gallo, ognuno avria potuto indicargli la modesta abi-
tazione di Giuseppe Mazzuoli, cittadino (a sentir lui)
senza istato, soldato senza condizione, profeta come
Cassandra.^ Ma la fama il diceva ottimo vecchio e sol-
lazzevole, pieno di buone lettere come di valor militare,
provatt) nelle Bande nere, amico de' giovani studiosi e
valenti, che col nome di Umidi, facevano in casa sua
eruditi e allegri convegni, appellati da loro le toma-
ielle.^ Tutti lo amavano e gli erano intorno con mille
baie, e lo chiamavano il Padre Stradino (era nato nel
castello di Strada), senza contare cento pazzi nomi che
gli aveano dato; come il Consagrata, il Bacheca, il
Crocchia, il Pagamorta^ Pandragone, Cronaca scorretta,
e va pur là.' Proponevansi sopra tutto lo studio della lin-
' Vedi Biscioni, note alle Rime del Lasca ; voi. I, pag. 292 : e il Codice
Magliabechiano, ci. IX, 42, di cni nella nota seguente.
^ Vedi V opera intitolata : Notizie letterarie ed istoriehe intorno agli
uomini illustri dell* Accademia Fiorentina. Firenze ^1700. Fa compilata da
Iacopo Rilli, e solamente la prima parte yenne alla luce. La seconda è ms.
nella Magliabechiana, ci. IX, 42.
' Tutte invenzioni di quel cerve! bislacco del Lasca, cbe ben dipinse il
suo pazzo ingegno poetico in questi versi: (Son. 84, voi. A.)
Le Mase spigoUstre • coUfesse
M' ispirano e consigliali tuttavia
Cb« compor debba e far madrigalesse,
Con dir die questa è la Tentare mia:
Ond'lo Tersacci e rimaece scommesse
M'aggiro sempre per la fant«6i«.
6'
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XYin DELLA VITA E DBLLB OPEHE
gua, che, in (ante rovine della patria, volevano almeno
serbare intemerata e promuoverne lo splendore. Ma non
s' accorsero che la lingua segue sempre le condizioni ci-
vili del popolo, e che dove queste volgono in basso, è
vano far pigliare a quella contrario movimento. Che cosa
fecero in Roma i molti grammatici nell'età di Tiberio?
Nondimeno reca diletto a sentire da quei giovani, che
a ancorché fussino la maggior parte di essi in esercizi
» mercantili occupati, pure si promettevano tanta gra-
» zia dalle stelle e dalla natura, che bastava lor l' animo
» a render conto de' casi loro in simil professione. * »
L'occhio grifagno di Cosimo vide subito che questi
Umidi andavano protetti. Detto fatto. Si cominciò a dar
loro il nome più lauto di Accademia fiorentina; si det-
tarono nuove leggi; segnaronsi larghi privilegi: le po-
vere tornatene, nel palagio ducale si fecero illustri: il
luogotenente diventò consolo e capo dello studio fioren-
tino, con prebenda, e perfino con privilegio del foro.*
Quanto il buon Padre Stradino si rammaricasse di que-
ste subite grandigie della sua insignorita figliuola, può
vedersi nelle rime del Lasca, che senza pietà solca met-
' Proemio agli Statati dell' Accademia.
' Nella deliberazione de' 25 febbraio 4544 si dice che il duca: « Con-
siderando.,, ed. e desiderando c^ i fedelittimi twn popoli ancor ti fac-
ciano piò ricchi e ti onorino di quel bwmo e hello che Iddio ottimo nuu-
timo ha dato loro, cioè V eccellenza della propria lingua ec... acciocché i
virtuoti ec... nella tua felicittima accademia fiorentina ec... postano piit
ardentemente seguitare i dotti loro esercizi, interpetrando, componendOf
e da ogni altra lingua ogni bella scienza in questa nostra riducendo ec...
delibera che l'autorità onore e privilegi^ gradi salario ed emolumenti ed
ogni e tutto che ha conseguito e si appartiene al Rettore dello Studio di
FirenzCy da ora innanzi si appartenga e sia pienamente del magnifico '
consolo della già detta Accademia Fiorentina. » lì consolo poi ha un suo
tribunale, e in yigore degli statuti e di antichissima consuetudine esercita la
sua autorità e giurisdizione sulle cause e persone a lui sottoposte, cioè dot-
tori, scolari, librai, professori, acrittori, e rende ragione cuniulativamente co-
gli altri tribunali della città. Interviene al consiglio da' Dugento e nelle altre
pubbliche comparse ec. Vedi V opera citata, Notizie ec.
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M BEKNAKIK) DAVAHZATI. XII
tere in giaoco il suo dolore/ Basta dire che non ebbe
più bene. Avea conosciuto l' umor di Cosimo, che tutto ^
fino a questi innocenti trattenimenti, volea tirare a se.
Ed invero non vi fu ordine antico eh' egli non distrug*
gesso, sotto apparenza di volerlo conservare. Da prima
lasciò i magistrati, salvando per se la potestà: ma poco
stette che anco quelli trasse in sua mano.* ^* 11 nostro
Bernardo, studiando in quei giorni in Tacito, e notando
quel luoghi più robusti, che il presente stato di cose
rendeva più fecondi di medilazione, giunto alle prime
pagine della Vita d'Agricola, segnava queste parole: Ser-
vitutis mala commemorai; vide et nota: poi di contro
lasciava questo ricordo: « A noi la campana del censi-
T» glio fu levata, acciò che non potessimo sentir più il
» dolce suono della libertà.* »
In età di trentasette anni volle accasarsi: e poiché nel
suo Plutarco avea notàio^ ceqtuilem Ubi uxorem inquire,
che, al modo suo brusco, tradusse nel margine, moglie
PARI; * la cercò di nobile sangue, e fu Francesca di Carlo
Federighi, donna (come può giudicarsi da una carta di
sua mano ') certamente non letterata (che qui la parità
sariasi volta in iscandalo), ma attenta alle cose dome-
stiche e amorevole. N' ebbe più figliuoli ; tra' quali un
Giuliano, umor bizzarro, dandogli che fare assai, dovè
levartosi di Firenze.* Una figliuola alluogò nel mona-
* FÌDgeya che Io Stradino fosie stato à* accordo^ e in persona d' un Cami-
llo si duole con lai in nn sonetto, che gli fece stizza grandissima come rile-
vasi da nna nota posta dallo Stradino stesso sotto ^ei. versi. Vedi il Biscioni
nelle note alle Rime dal Lasca ; voi. I, pag. 295.
s Vedi Gallozzi, Storia del Grand^kcato ee.
' Zibaldone ms., presso il Bigazzi.
* Opuscoli di Plutarco con postille mss., presso il Bigazzi.
5 Zibaldone ms., presso il Bigazzi.
6 Vedi nel voi. IH le Lettere. Dì questo Giuliano trovaosi raccontati alcuni
aneddoti e motti spiritosi nelle schede manoscritte di Girolamo Da Sommaia j cod.
Magliab., ci. Vili, n. 80, 81, voi. II, car. 50. Chi sa che questo figlio sven-
tata non facesse scrivere a Bernardo la post. 4 a pag. 5 nel primo degli Annali.
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» DELLA VITA B DKLLB OPIRB
Stero di santa Marta a Mootaghi, forse per affetto alla me-
moria dell' avo suo che ne fu fondatore/ Colla moglie
visse in tanta concordia e amore che (attesta il Rondi-
nelli*) a morendo disse molte voUe^ niente più dolergli
» di lasciare, quanto la sua cara consorte, con la quale
» era stato quarant' anni. » Di che si rimuove ogni so-
spetto che a lei toccasse la 6era postilla contro la mo-
glie (( strebbiatrice, borbottona, salamistra e gelosa, » che
leggesi'a principio degli Annali di Tacito.'
Il citato scrittore afferma pure che esercitò pruden-
temente i magistrati, e che il parer suo era stimatissi-
mo; «perchè col buon giudìcio dava nel segno, e con
» parole brevi e significanti rappresentava ottimamente
» il suo concetto. » Ciò stesso ripetono gli altri biografi
seguaci del Rondinelli. Ma questo non par vero. Peroc-
ché s'egli fosse stato o del consiglio de'dugento, o de' qua-
rantotto, ossivvero dei quattro che stavano a rappresen-
tare vanamente P antica signoria; ne sarebbe memoria
ne' pubblici archivi: e questa non si trova/ Oltreché
Bernardo, come figliuolo di ribelle, aveva una macchia
d' origine, che escludevalo da ogni pubblico ufficio: es-
sendo Cosimo solito far portare ai figli V odio dei padri,
anche innanzi che venisse fuori V infame legge polveri-
na.' Io non trovo che Bernardo esercitasse altre magi-
* Vedi V Àlbero e le note.
' Ritratto del Davanzali.
> Pag. 4 di questo voi., postilla 8.
* Il signor avr. Luigi Passerini, a cui son tenuto di molte notizie,
mi scrìveva su questo proposito : « In quanto a m. Bernardo e a cariche da
lui iottenute^ nulla eiiite m^ nostri Archivi; non a/vendo mancato di fare le»
piÌAfi^iwuU indagini. •
1^ Fu fatta il dì xi marzo 4S48, e stampata in Firenze da Filippo Giunti
nel 4574 , e di nuovo tra' documenti della Cronaca delPUghi pubblicata con
erudite ed accorte illustrazioni neW Appendice A^V Archivio Storico, n. 25,
dal p. Francesco Frediani m. o. Questa legge che « valte a distruggere ogni
libertà, e dirò anche ogni prosperità in Toscana, » prese il nome dal suo
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DI BEKNABDO DATAMZATI. IXI
strature che accademiche. Infatti sostenne più volte il
grado or di consigliere or di censore nell'accademia fio*
rentina;^ e V anno 1575 fu creato consolo; volendo T ac-
cademia (come pensa il Salvini) onorare in lui gli studi
della scienza economica,' si necessaria agli stati, e che
allora cominciava appena a germogliare. « Anche quei
» virtuosi (dice lo storico dell'accademia) che ehbero
» in questo seggio la carica di suoi consiglieri, furono
» a lui somiglianti, non meno nell'intelligenza delle
D private che delle pubbliche faccende, quali erano la-
]> capo Pitti' e Giovanbatista Adriani, col censor loro
» Filippo Sassetti, gentiluomo, non solo nella nobile
9 mercatura e nei lucrosi e splendidi traffichi assai ver--
» sato, ma nella cognizione della storia e della geografia,
» come erudito viaggiatore.^» Disse*in questa occasione
il Davanzati parche e savie parole, rivolte a bene indiriz-
zare gli studi accademici: tra le quali non so se suonino
elogio 0 rimprovero queste, riguardo a Cosimo: « Fu
)) ella (l'accademia) per voi principalmente ordinata da
Y> quel sapientissimo che considerò la condizione de'tempi
T» poca altra opportunitade e luogo prestarvi da potere
)> la sapienza de' vostri petti e la dottrina e l'eloquenza
promotore Iacopo Polverini pratese , cittadino fiorentino , auditor fiscale , offi-
àale delle Rifonnagioni , auditor militare e segretario della Pratica segreta.
Vedi le note ai documenti della detta Cronaca.
* Nel consolato di Antonio Albizzi (4574) fa consigliere con Pietro Go-
Tonì: in quello di Iacopo Dani (4597) fu con Gio. Ant. Popoleschi: alP istessa
earìca fu chiamato nel 4584 con Francesco Bonciani sotto il cons. di Fr. Mai^
telli; e nel 4602, parimente col Popoleschi, nel oons. di Alessandro Sertini. Nel
c<Mi8olato del Martelli PAccademia fiorentina fu dal granduca Franceseo tra*
sferita nel pubblico Studio , e nella facciata furono scolpiti i nomi dì coloro che
aUora teneyano il seggio ; tra' quali leggesi anche quello del Daranzati. Vedi
SalTÌnì, Fatti eont., pagg. 24 9, 537 ee.
s FmH eont., pag. 422.
* V autore delle Storie fiorentine pubblicate la prima Tolta nel toI. I del-
VAreh4vÌo Star. Italiano.
« Op. a., 225.
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XXII DELLA Vrrà B DXLLB OPKSR
0 diffondere./» Sebbene distratto dai negozi domestici,
si adoperò che il sao consolato fiorisse di ottime letture,
volgendosi a' migliori.* Per lo più esse versavano, con
più pompa d'ordinario cke utile, sopra larghe inter-
pretazioni de* classici nostri. Toglievasi un sonetto o una
canzone del Petrarca o di Gino, od anche di qualche ac-
cademico, e qui si concionava con eterni vaniloquii. Il
Davanzati pel contrario prese quasi sempre argomenti
di pubblica utilità, trattandogli senza frasche, e senza
(per usare una sua bella frase) iscavessar la rettorica
per troppo volerne.^ Solo una volta vedo che prese a co-
mentare la canzone del Petrarca, Italia mia ec: * e tale
scelta mi fa credere eh' e' non dicesse cose né accade-
miche né vane. Altre volte egli lesse; ma se ne ignora
il soggetto, né tra' molti manoscritti di quegli accade-
mici, sparsi per le biblioteche, m'é avvenuto di tro-
varne alcuno de' suoi.
Intanto un' altra accademia era sorta nel 1568, per
opera specialmente di Tommaso del Nero,* il quale rac-
colse in sua casa molti giovani ingegnosi, che dettero
origine all' accademia degli Alterati, ordinata essa pure
agli studi della lingua, e che più tardi, cioè nel 1582^
offerse il modello all' accademia della Crusca.^ Ed anche
' Orazione nel prendere il consolaio.
s Vedi nel voi. Ili la lettera a Lnigi Alamanni.
» Tacito, in»., 111,65.
* Ciò fa Fa. >lo55, nel consolato di Antonio Alberti. Fasti eontolaH,
pag. -1^4. Vedi altre sue Iettare ricordate a pagg. 7-1, 88, >I04, 446.
S 1147 febbraio 4568 « ad oggetto di esercitarti privatamente negli
studi pia belli y s'unirono nella loro pia fiorita età, pieni di bel fervore
e ealdi di (morato desiderio di gloria, dei genHlwmini, che furono Giulio
del Bene.... Tommaso del Nero, il con. Renato de Pazzi.... e diedero
principio all'Accademia degli Alterali, nella quale alzarono per impresa
un tino pieno d'iuve col motto Quid non designàt. » (Salvini, Fasti cons. ,
pag. 205.) Agostino del Nero, figlio di Tommaso, fa istitutore dell' accademia
dei Desiosi.
' Vedi Collezione d' Opuscoli scenlifici e letterari ee. Firenze, nella
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DI BERNARDO DAVANZATI. XXm
in quella fu accolto 11 DayanEatì. Ognuno degli accademi-
ci, pel vezzo che allora correva, ribattezzavasi con qual-
che strano nome, e ìnventavasi un'arme e un motto,
che chiamavano impresa, a Sogliono (diceva il Nostro)
)) le modeste imprese sotto una scorza umile d' alcuna
)> proprietà di colui che la piglia, una midolla gentile
i> d' alcuna sua virtù o fortuna, con ingegno accenna*
D re/» Però seguendo suo concetto e natura, egli si
chiamò il silente, e tolse per insegna un cerchio da
botte colle parole strictius arctius, a significare che
il discorso, come volea Licurgo, deve in brevi e sem-
plici detti contenere grande e abbondante sentenza,* e
che quasi avrebbe desiderato farsi intendere senza par-
lare. Uomo com' egli era d' operazione e di semplici
modi, mirava sempre al principale intento, e se potea
giugnervi pe' tragetti, certo e' non pigliava la via regia;
perchè la vita è breve, ed è troppo vero V adagio, che
le parole non s' infilzano. Cercando tra le sue carte do-
v' egli registrava le più elette sentenze de' buoni anti-
chi, vedo eh' egli aveva notato queste di Plutarco : Con-
cisa Grado rem assequitur et mentem ferii; o afferra il
» punto, e picca:» cosi egli.' Ed invero le idee che me-
glio feriscono la mente sono quelle che le si presentano
con nulla più del loro segno proprio: ogni soperchio,
stamperia dì Borgo Ognissanti, voi. VI, pag. 27; ove leggeù sa qnesto propo-
sito un discorso di Luigi Clasio. Tra V altre cose egli dice : « Non pnò negarsi
» che rAccademia degli Alterati fosse nn Liceo, in coi molta gioventù nobile di
.t Firenze s' istruiva nella virtù e nella dottrina. »
* Vedi V Orazione in genere deliberativo iopra i Provveditori. Cosi il
Sassetti chiamossi V Àtsetato; Scipione Ammirato il Trae formato , alludendo
all' Accademia de' Trasformati da lui fondata in Lecce; Tommaso Del Nero lo
Sconcio, coUa bellissima impresa d'inui vile potata col motto E nel tardar
«* oeamsa. Vedi il codice magliabechìano, classe IX, n. 434.
* Plutarco t» Licurgo, cap. 46.
' Zibaldone ms., presso it Bigazxi. Il passo di Plutarco è nel luogo citato
della Vita di Licwrgo.
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XXIT DELLA VITA B DELLE OPERE
quanto più bello è in se, tanto più togliendo di atten-
zione air idea, fa si eh' ella passi o incompresa o fran-
tesa 0 lenta troppo, con noia e dispetto di chi ha sete di
lei. Però egli avrebbe voluto strignere nel suo cerchietto
molti buoni, ma troppo spanti libri, e cavarne una quasi
stillata sostanza, che con più risparmio di tempo nu-
trisse meglio la mente. E d'alcuni lo fece, come vedre^
mo: e d'altri, come dei Discorsi di Vincenzio Borghini,
r avrebbe fatto, se il tempo e la voglia non gli fosser
venuti meno.*
Tenne tra gli Alterati il grado di reggente (che cosi
appellavasi il capo dell'accademia), e fu il decimo, suc-
cedendo al cavalier Vincenzio Acciainoli, detto il Trava-
gliato,' a cui fece la festevole accusa, com'era richie-
sto dal bizzarro uso accademico. Lessevi discorsi or gravi
or faceti, e sempre ripieni di ottima dottrina e di forme
elettissime. Ma ben di rado facea grazia della sua voce,
si perchè era lento a scrivere (come tutti quegli che
amano l' arte e che meditano molto), e sì ancora per-
chè i suoi negozi non lo lasciavano scioperarsi troppo
in cosi fatte esercitazioni, adi uomini, diceva, in questo
)> mondo son molto vari d' ingegno; chi l' ha fatto in un
)) modo, e chi in un altro. Io vi confesso, che '1 mio è
)> schizzinoso, fantastico e molto strano. Di nulla ch'io
)) faccia, mai non si contenta, e tanto m' affatica, che
» nuoce a mia sanitade: la quale e l' etade e la famiglia
» e le necessarie cure molto mi ammoniscon di guarda-
» re: però non posso studiare, né durar queste fatiche
» accademiche, né trovarmi con voi se non dirado.'»
Però non vedo eh' egli s' inframmettesse nelle qui-
*■ Lo affenna Giuseppe Pelli nell' elogio che scrisse del Davanxati j stam-
pato nella Raccolta d'elogi d' uomini ilhutri Uucani, tom. HI, pag. 290-
304. Lucca 4770.
9 Vedi VÀccuta data dal Silente al Travagliato,
' Vedi VAccuta ec. in fine.
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DI BEBNABDO DAVANZATI. XIV
slioni e fazioni accademiche, delle quali dae sopra tatto
fecero allora assai romore. Nacque una neir accademia
fiorentina e fu suscitata dal GiambuUari, il quale, dotto
nelle lingue orientali, volendo troppo inalzare la nobiltà
della propria, la faceva discendere dall' ebrea o caldea
0 altra parlata nella regione d'Aram, con qualche mi-
schianza di latino e di teutonico, per cagione delle do-
minazioni romane e germaniche. Fondavasi sul passag-
gio di genti caldee nelP Etruri^i, attestato da Sanconia-
tone e Beroso; sv varie etimologie e sull'aspirazione
o gorgia de'Fiorentini, ignota, dagli Spagnoli in fuori, a
ogni altro popolo d' Italia e d' Europa. Ma se questo ar-
gomento tenesse, gl'inglesi (ben osserva il Foscolo)
dovrebbonsi dire d' origine greca, perchè il greco theta
hanno nella loro pronunzia.^ Nondimeno il GiambuUari
trovò seguaci, e formossi nell' accademia la fazione de-
gli Arameiy sì malmenata e confitta da' versi mottegge-
voli del Lasca." — L' altra quislione fu, più che accade-
mica, nazionale, e di tal peso, che infino al Monti non
se ne tacque, e appena se ne tace ora per fastidio. E fu
questa, che dall'avere i Fiorentini nel loro dialetto
maggior copia della lingua comune d'Italia, essendo
sorti a pretendere che questa s' avesse a dire fiorentina
e non italiana, e che a bene scrivere bisognasse esser
nati in Firenze o almeno aver bevuto all'Arno; ne sen-
tirono dispetto le altre Provincie, che, a confessione
dei Fiorentini stessi, poteano vantare scrittori purgatis-
sìmi, come il Bembo, l'Ariosto, lo Sperone, il Tasso e
più altri. Onde venuto a Firenze in questo tempo Gero-
nimo Muzio giustinopolitano, non men valente in gram-
* Discorso I sulla lingua, pagg. 'I56-'I37, «dizione di questa Biblioteca.
' Biscioni , Vita del Laica. Le satire contro gli Arameì furono cagione
che il Gra2zinì fa cacciato delP Accademia, nella qaale non fu riammesso se
non nel 4566.
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XXTI DELLA VITA E DELLE OPERE
malica, che dotto ed elegante scrittore di controversie
religiose, e dettosi colà, « non poter egli, per esser fo-
» restiere, scriver bene e lodatamente nell'idioma fio-
]> rentino'/ » egli rispose molto a proposito, che
non i fiumi Toschi
Ma '1 ciel, l' arte, Io studio e '1 santo amore
Dan spirto e vita ai nomi ed alle carte.'
Quindi le dispute acerbe e i rinfacciamenti scambievoli,
qua dei riboboli e delle fiorentinerie, là dei barbarismi
e delle goffezze: quindi quel libro delle Battaglie^ dove
il Varchi è sì malmenato, e il Machiavelli detto scrittore
poco meno che goffo e senza grammatica : ' quindi, final-
mente, quelle sdegnose parole del Nostro contro « quel
» Muzio che venne di Capo d' Istria in Firenze a parlare
» e scrivere di questa patria villanamente, e insegnarci
D favellare con la sferza in mano di quelle sue pedante-
» sche Battaglie/ »
Non per questo il Davanzati entrò mai direttamente
nel campo delle contese; che troppo stimava il tempo,
e odiava il cicaleccio pettegolo della gente oziosamente
letterata. Sol contentossi, allorché qualche più vispa fio-
rentineria cadevagli nel suo Tacito, dire sogghignando:
a Ma zitti che il Muzio ci grida. » — E per vero, egli non
avea mestieri d' apprendere le proprietà della lingua dal
battagliero di Capo d' Istria; il quale, se fu pulito e terso,
non ebbe peraltro spiriti e nervi, e gli mancò quella
< Varchi presso il Muzio, Battaglie, car. 55, edizione ài Vinegia, 4582.
' Vedi il sonetto del Muzio, a car. 55 verta delle Battaglie.
> Vedi la lettera a M. Gabriello Cetano e a M. Bartolomeo Caval-
canti, premessa alle Battaglie.
* Vedi la Postilla a pag. 50 di quésto Tolume. L'intero titolo dell'Opera
è il seguente : Battaglie di Hieronimo Jfulto Giustinopolitano per difeta
delV Italica lingua, con alcune lettere ee., con un trattato intitolato la
VaréMna ec., et akune bellittime annotaxioni topra U Petrarca. In Vi-
negiay appretto Pietro Dutinelli, 4582.
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DI BERNARDO DAVANZATI. XXVII
gran virtù del parlare, che pone innanzi agli occhi, e
nella quale il Nostro non ha pari.^
La qual virtù egli ebbe, parte da felice disposìzion
di natura, parte dall' essere uomo di fatti, e sopra tutto
poi dal profondo studio eh' e' pose in Dante e in Orazio,
unici maestri dello scolpire i pensieri. Oltre que'due
sommi, a stimò assai Virgilio ; e volendo lodare la dol-
» cozza e soavità dello stile, accompagnata con la gra-
» vita e maestà, che per tutto si ritrova ugualmente in
» esso, diceva che sempre quel signor deir altissimo
» canto sonava la campana grossa; quasi che egli si
)) facesse sentire più degli altri, o, come il basso nella
» musica, reggesse il coro di tutti gli altri poeti.*» Cercò
con amore la efiicace semplicità nei nostri scrittori del
trecento, e amò di raccogliere molti codici di quel se-
colo, tra' quali n'ebbe carissimo uno delie Cronache del
Villani; cui avendo stimato or sempre come gemma di
» sommo valore, per tale la lasciò agli eredi nella sua
)i ultima volontà, obbligandoli con fortissimi legami a
* Nel cap. V della Varchina dk queste notizie di se : « Nacqoi in Pa-
• dova: e fra in Padova, in Vinegia, in Capodistria, in Dalmaiia et in Ale-
» magna vissi infino alla età di trent' anni. Appresso conversai in Lombardia,
» in Piemonte , in Francia et in Fiandra : et ne haveva forse quaranta , prima
• cbe Fiorenza mi vedesse. Et a mettere insieme tutto il tempo che più volte
» stato vi sono , non so se egli passasse on anno. Sì che né io vi sono nato
» né da fanciullo allevato : e che in me non sia indicio alcuno di fiorentinaria
» assai si mostra a chi mi sente favellare. Laonde per la coloro ragione si
» viene a conchiadere , che io bene non posso scrìvere. » E in una lettera a
don Ferrante Gonzaga (Vedi Tiraboschi, Storia della Lett., t. VII, par. I, p«g.
554 ) : « siccome io fui Bgliuolo di povero padre, così sempre sono stato fìglia-
» atro della fortuna , che non mi trovo al monido altra entrata che quella la
» quale mi dà la servitù mia. » E così povero morì in Toscana nella villa
de' Capponi chiamata la Panerete, dì 84 anno nel 4576. Combattè con zelo
pan alla dottrina V eresia luterana , che minacciava V Italia ; e scrisse più
opere contro Pierpaolo Vergono , contro V Ochino , contro V apostata France-
sco Betti romano, contro il Bulengero, contro il Vireto , e più altri.
' Bondìnelli , Rilratto del Dcmanxati.
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XXVIU DELLA TITA B DELLE OMftB
» non la poter mai alienare/ 1» Amò ugualmente gli Am-
maestramenti del Concordie, il Novellino e altri, dove
alla grazia trovasse congiunta o l' evidenza o la forza.
Sdegnavasi contro il forestierume infiltratosi nella lin-
gua dal trafficò o dalla corte; e volendo la lingua arric-
chire, consigliava «spolverare i libri antichi, e servirsi
)) delle gioie nostre riposte, che ci farebbero onore.* » Di
Tacito fieramente invaghito (come dice il Rondinelli) e
di quello eh' e' chiamava compilato parlare,^ ebbe a
noia il frascume di quei
Boccacci gretti e magri Cicerpni,*
che empivano allora le accademie di affannosi prosoni,
de' cui poveri e smarriti pensieri potrebbe dirsi come
de' naufraghi di Virgilio,
Apparent rari nantes in gurfjite vasto, '
Ma Bernardo gli chiamava cemboli senza musica;* né
so che di meglio avesse potuto dire. Non solo studiò ne' li-
bri morti, ma molto più nel libro vivo del popolo, si
fecondo 4' insegnamenti a chi vi sa leggere. Ma perchè,
preso amore a una cosa, è quasi impossibile che l' af-
fetto talvolta non vinca il giudizio; così non può negarsi
che, a quando a quando, e' non Iscambiasse i riboboli ple-
bei per atticismi gentili: ma ben di rado: e forse niuno
sarebbesene accorto, o almeno non n'avrebbe levato si
gran remore, se non gli fosse venuto quella veramente
un po' strana fantasia di mettergli in becca al più rigido
^ Rondinelli , op. cit. Ma in una copia del testamento, che trovasi nella
Palatina di Firenze , non ò parola di ciò.
^ Ve^ a pag. 45 di questo volume.
' Postilla alla pag. 447 di questo volume.
* Lasca.
5 ìB». I.
6 Vedi la Postilla a pag. 493 di questo volume.
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DI BBRNAftDO DATANZATI. XXIX
e signoresco scrittore delP antichità, il quale non va
mai per le vie battute, non eh' egli passi di piazza. Cosi
pure valicò alquanto il segno in quel suo buon pensiero
dì rimettere in corso non pochi vocaboli, dimenticati
per incuranza delle proprie e per vano desiderio delle
altrui ricchezza ; * traendone fuori dal sepolcro alcuni
pochi, non consigliati né da bisogno né da vaghezza. Ma
ciò é ben lieve a paragone dei meriti grandissimi che
questo scrittore ha verso la lingua nostra. Quando pur
non avesse che quello di essersi, in tanto vaniloquio
accademico, fatto parte da se stesso, e d*aver col suo
esempio richiamato gP Italiani a quella forma del dire
nervoso e nativo, insegnata da Dante, e perduta nelle
lautezze del Boccaccio; insegnata pure dal Machiavel-*
li, e di nuovo perduta sotto gli strascichi cortigiane-
schi di Giovanni della Gasa e di Pietro Bembo, monsi-
gnori ; pare a me che basterebbe a riporlo tra i primi
esemplari nostri. Non so se questa virtù fosse in lui pre«
giata da' suoi contemporanei. Certo essi erano i meno
idonei a sentirla, dovendone giudicare da' loro scritti.
Ed. in vero, mentre non v' ha uomo di molte o poche let-
tere in quella età che non dica miracoli del Varchi e del
cavalier Salviati, pochi trovo che ricordino il nome di
Bernardo Davanzati; e quei pochi, lodandolo, toccano
più la perizia della lingua, comune a molti, che la ner-
vosità dello stile in cui fu solo. Il Salviati scrivendo
a Giovambatista Strozzi, il cieco, e rallegrandosi che
tanto fiorisse allora la lingua: a II Davanzati e voi, gli
)> dice, per mio avviso siete i primi campioni; e se noi
* «Molte voci che per la raggine del tempo erano prese a schifo, rìpulen-
» do e nettando ne rarriTÒ, e molte che stimate plebee e basse , non erano
» ammesse nelle nobili scritture , sciorinandole e loro antica gentileoa dimo-
» strando , quasi provanze di loro nobiltà facendo , pose per entro alle suo
» opere , ove come stelle KtQtillanti risplendono. » Rondinelli.
e*
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XXX DELLA VITA E DELLE OPERE
>» ci ridurremo una volta a vivere in un luogo medesimo,
» spererò che da ciascuno di noi possano darsi in consi-
» derazione alcune cose, che, fra tutti, aggiugneranno a
» squalche grado di bontà: voglio dire, che voi avvertl-
D rete me, et io voi, et il Davanzali V uno e V altro di
» noi, d'alcune cose assai leggiere che, mullipHcate im-
» portano qualche cosa, e per lettera è impossibile il
» farlo.*» Ma quando poi negli Avvertimenti mi dice
che ninno più del Davanzali si è nel piano stile, per pu-
rità e semplice leggiadria, accostato al Casa;' non ri-
trovo il buon giudicio del cavaliere : imperocché niuno
è men piano e più artificiale del Gasa; e se nella purità
della lingua questi due scrittori si convengono, sono
tanto lontani e ripugnanti nello stile, quanto può essere
Cicerone da Tacito.
Il valore del Davanzati nella lingua giovò non poco
alla Crusca, sorta nel 1582 per opera del Deli, del Lasca,
del Canigiani, del Zanchini e del De Rossi, e sopra tutto
di Lionardo Salviati che, sebbene entrato più tardi, pure
die nome e forma all'accademia e può riguardarsi come
il vero fondatore di essa. Nel 1591 avendo tentato i Cru-
scanti di tirare a sé gli Alterati, questi, sebbene volessero
conservare propria esistenza , né mescolarsi, pure inter-
vennero alle adunanze, ed alcuni, tra' quali il Davanzati,
presero parte ai lavori. Non si condusse per altro a ve-
der compiuta e pubblicata l'opera del Vocabolario, della
quale tanto bene riprometlevasi e riguardavala cr come
unica conservatrice della lìngua toscana. * w
Ma i suoi studi non si ristrinsero solamente alla
lingua ed alle amene lettere. Seppe, quanto allora potea
sapersi, di politica economia, e fu molto pratico nel di-
* Vedi Salvini, Fasti consolm^, pag. 229.
' Avvertimenti della lingua, cap. >I2.
' Rondìnelli , Ritratto del Davanzati.
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DI BERNABDO DAVANZATI. XtU
ritto commerciale. Ebbe rett^ senso nelle cose del go*-
verno, e ne gittò pochi e rapidi sì, ma bellissimi lampi
nelle Postille a Tacito. Non gli furono ignoti i progressi
che le scienze fisiche facevano tillora per opera del di-
vino Galileo; e ricercò la fiIoso6a degli antichi, affine di
seguire, da' suoi primi tentativi, i progressi dello spirito
umano. *
A proposito d' una lettera di quel gentile spirito di
Gasparo Gozzi, dove questi parla d'alcuni libri da lui stu-
diati, ben osserva il Tommaseo che « Bel trattato sareb-
» be: le letture che formarono gli uomini illustri.* » Ed
invero come utile e grato è conoscere per quali nutri-
menti crebbe e fruttificò una pianta rara e bella, perchè
non se ne perda la stirpe ; cosi giova e reca diletto co*
noscere come i grandi uomini educarono se stessi. Ben
è vero che non ogni nutrimento è buono per tutti, né
ogni via è spedita ad ogni camminante: ma quella co-
gnizione non può esser mai priva in tutto di utilità: non
foss' altro, a conoscer meglio V indole dell' uomo; poten-
dosi dal gusto suo far ragione del suo giudizio. Onde
a se altri (dice a proposito del Nostro il Rondinelli) ha
» talento di conoscere chichessia, ponga mente quali au-
» tori li aggradano,conforme al proverbio: Vuoi conoscere
» uno? guarda con chi e' pratica. » Delle letture del Da-
vanzati già abbianoo alcuna cosa veduto; ma più può sa-
persene da un quaderno che abbiamo dinanzi agli occhi,
dov' egli le notava e commentava con cura e metodo.
Qui si vede che a lui dilettarono non solo Erodoto, Tito
Livio, Tacito, Platone, Plutarco, Aulo Gelilo, Stobeo, tra
gli antichi; e Dante, Petrarca, Machiavelli, tra' nostri
(non trovo mai registrato il Boccaccio); ma ch'e'slu-
* Nel Zibaldone ms. presso il Bigazzi si leggono Tari saoi siudì salla
storia della filosofia.
s Gooì, Tol. in, pag. 242, edizione di questa Biblioteca.
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IlXn DELLA VITA K DELLE OPERE
dio ancora di estendere le sue cognizioni nella scienza
della religione, che per ogni nomo rettamente istituito
dovrebbe esser prima a cercarsi. Anzi nel suo repertorio
0 prontuario che sia, sotto la rubrica « Philosophia et
cceterce artes deserviunt theologiee, » vedo eh* egli rac-
colse lunga serie d' autorità comprovanti quel vero, che
oggi è cardine a chiunque ha voluto negli studi teologici
trovare la più grande e più dialettica unificazione. Dei
Padri della Chiesa vedo più spesso citate le sentenze di
Clemente Alessandrino, forse perchè più copioso d' eru-
dizione.^ Con Dante cita spesso San Tommaso, di cui nota
specialmente le acute e precise definizioni. Ma studi più
copiosi trovo sulle divine Scritture, di cui vedonsi non solo
raccolte e ordinate sotto certi capi le sentenze, ma di-
scorse pure alcune difficoltà che gli occorrevano tra la
lettura. E poiché anche da certi piccoli segni si scopre
r indole dell' uomo, così a me par di vedere il mercante,
e fiorentino, do v' e' registra con cura quel luogo della
Bibbia, « fcenerabis gentibus multis et ipse a nullo fce-
nus accipies; w * osservando egli che « V usura non era
» proibita se non con quelli della stirpe d'Isdrael. »• Qual-
che volta inframmette a queste note qualche applica-
zione a* tempi. Curiosa mi par questa a proposito d' un
luogo nel secondo de' Re: * ((Non piaceva a' Satrapi pa-
» testini che Achi loro re avessi chiamato nel suo eser-
)) cito in aiuto David, antico loro naturai nimico, benché
» scacciato da Saule ; perchè col tradirgli poteva racqui-
» stare la grazia di Saule. E' nostri Satrapi non ebbon
» buone lettere né studiorno questo testo quando eles-
9 sono Malatesta Baglioni rebelle di papa Clemente, per-
* Spogliò minutamente gli Stromati.
9 Deuteron. XXIII.
3 Zibaldone ms., presso il Bigazzi.
* Gap. 29.
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DI BKRNARDO DATANZATI. XXXIII
» che ci difendesse contro di lui. Ma il buon uomo fece
» bene quel che dice il testo. » ^ E questo di mescolare
alle sue note erudite alcun uso o fattarello de' tempi
suoi lo fa anco spogliando altri autori. A modo d'esem-
pio, nelP estratto della vita di Licurgo, dopo avere regi-
strato ciò che Plutarco racconta di quel tale Leo, ban-
ditore di Agnusio, che tradì i Pallantidi, onde in Pallene
non si pubblicò più cosa alcuna con quella consueta for-
mula Ajcou£T£, X.£w (Ascoltate, o popolo); perciocché que-
sto nome Kfu {leo) teneasi per raalurioso; soggiunge:
« Così in Siena il Nove^ monte tirannico: che, per non
» lo ricordare, quando numerano il nove, dicon Chello.n^
Era il monte de' Nove un magistrato che tirava all' oli-
garchia.* Cosi altrove si sa che Venezia raccettava ban-
diti: che in Lucca usava il discolato: che « Papa Lione,
» sotto la fede, tagliò la testa a Paulo Baglioni, et disse: a
B pena l'ho io possuto avere così: » che a Malatestaim-
» piccò uno che tagliò un pino di stupenda grandeza a
» Rovezano & : che « la natura fece un passerotto* a fare
» Salimbene Bartolini sì bello e sì sciocco. » — Nel per-
correre queste carte sentesi rammarico che tali estratti
sieno per lo più in latino, tranne questi richiami alla
storia contemporanea, che son brevi e radi.
Così , fra i modesti traffichi del banco e gli studi
diletti, vìsse il Davanzali prosperamente fino al 29 mar-
zo 1606, utile a sé ed alla patria, riverito dalla città, e
caro agli amici. Pochi n' ebbe, perché il cuore schietto
non può spargersi in molte e vere amicizie. Oltre al Var-
chi e al Salviati ebbe comunanza d' affetti e di studi
^ Zibaldone nu., presso il Bigazri.
s QqjbUo.
s Vedi il Vurcliì, Storia, lib. VI, pagg. 445-4S0, voi. I, edii. d'Arbib.
Firenze 484^.
* Cno sproposito.
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IXXiy DELLA VITA E DELLE OPERE
eoa Baccio Valori/ il giovane, giureconsalto e lettera-
to, discepolo Del greco di quel Chirico Strozzi che seppe
si bene scrivere la lingua di Aristotile e continuarne i
pensieri, da far credere V anima del gran filosofo in lui
trasmigrata: con Antonio Beni vieni,* autore della Vita
* Nac^e nel \ 535 , e nel 64 fu console delP Accademia fiorentina , coi
rayrivò di nuova yita. Fu diligente cultore della patria lingua; e il Salvìati m*-
gU Àfìvertimenti parlando d'alcune buone copie d'antichi testi a penna, dice:
a Ed è questa ultima del mio onoratissimo amico M. Baccio Valori nobil ca-
» veliere della città nostra , e dottore dì leggi eccellente , del quale innanzi
» ai troveranno eziandio altri libri più nobili e più pregiati. Percioeehè non
» solamente sì diletta d' averne assai de' cotali , ma in conoscerli ed estimarli
» ha ottimo e singoiar giudicìo : e non pur ciò , ma imitarli sa ancora quando
» di farlo si prende cura : forse assai più che molti che di ciò solamente , non
» senza comune (ode, fanno professione , comechè egli ne' maestrati delia Re-
ti pubblica e nel suo studio più principale dell' awocazione occupato , non ab-
» bia spazio d' impiegarvisi , se non alcuna volta per un brìeve diporto. » Fu
. commissario a Pistoia. Ornò la facciata del suo palazzo (detto oggi<<}e'fHiiicct
dal volgo) de' ritratti degli uomini celebri, illustrati poi da Filippo suo
figliuolo nell'opere Termini di mezzo rilievo ec. Fir., Marescotti, ^604.
L'Ammirato dice che « la modestia.... congiunta ad una incomparabil dol*
» cezza dì costumi.... il rendevano caro e benivolo a ciascuno. »
^ Sono assai curiosi due documenti che sì trovano nell' Archìvio del-
l'Opera di S. M. del Fiore, Filza III ^« Suppliche, rescritti, ordini ec.
{Riforme ec. 4564-85). Il Can. Antonio Benivieni chiedeva ai Riformatori
sopra 1' Opera , che gli fosse conservato l' uso della casa , nonostante che ,
per suoi incomodi, non potesse intervenire a' mattutini ec. : e prova questi
suoi incomodi con due fedi , una del Valori , 1' altra del Davanzati. Eccole :
« Adì 42 dì febbraio 4584.
» Fede per me Baccio dì Filippo Valori come havendo da giovane usato sem-
» pre eon messer Antonio Benivieni ho haute occasione dì sapere , lui da xil
» anni in qna essere stato in gran malattìe , e perciò bavere più vol^e preso
» il legna, e fatto altri lunghi e strani medicamenti, ed io l'ho più volte visitato
» in Ietto et in casa infinite; et haver h^o (hcmto) e tenere luoghi a S. Donato
» per fuggir l'aria del verno di Firenze e sua crudezza, e cosi ha durato a far
» più anni, tanto che finalmente par che Fhabbìa vìnta: e per sapere così es-
» sere la pura verità ho fatto questa testimonianza, anno e dì soprad.^i in Firenze
» Baccius Valos manu ppa. scripsi et subscripsi. »
« Io Bernardo d' Antonfrancesco Davanzati fo la medesima fede eh' ha fatto
» disopra il cav>^ Valor] havendo, per la molta familiarità con me. Anto, saputo
» e visto le medesime cose. Però mi sono sottoscritto di mano mia pp> q^^ dì
» 42 di febbraio 4584 ab Inc. In Firenze.
La medicina usata da questo canonico ci fa ben coi^oscere i tristi costumi
del tempo.
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DI BBBNARDO DAVANZATI. XIXV
di Pier Vettori, l'antico, e nipote a quel Girolamo, il
cui nome non può ricordarsi senza che corrano alla
mente gli ardenti sermoni del frate da Ferrara, e i can<
tici e le danze e i falò fieramente di voti: con Filippo Sas-
setti, accorto mercante , viaggiatore intrepido, e gentile
scrittore:* con Bernardo Buontalenti, insigne architetto,
per cui amore traeva, dal greco di Erone, materia a
que' suoi ghiribizzi di fontane onde abbellì i giardini di
Boboli e di Pratolino, e che contribuirono a dargli il nome
dì Bernardo dalle girandole.* Sebbene austero e a per
natura e per istudio di parole poco abbondevole,' » pure
amò alcuna volta le liete brigate, né sdegnò piacevoleg-
giare in esse con iscritture vispe anche troppo , secondo il
mal vezzo del tempo/ Fu però nella vita onesto: sospirò
l'antica lealtà: sdegnossi del corrotto vivere e del lusso
smodato della età sua.'^Fu memore dei beneficii,e i meriti
di chi lo aveva servito con fede non volle lasciare a discre-
zione degli obliviosi eredi. Perciocché poco innanzi di
chiudere per sempre gli occhi , fattosi recare al capezzale
buon dato di moneta volle gratificarne da sé i suoi servi
e ringraziarli. Fu schiettamente religioso senza supersti-
zione, che in un margine del suo Plutarco avea a modo suo
definita: « superstizione, quasi schiuma, ruggine, cispa.))*
* Descrìsse i suoi viaggi in tante lettere agli amici , e due assai lunghe
se ne leggono anche al Dayanzati. Furono pubblicate nelle Prose fiorentine,
e parte dal Garrer nelle Belazioni di Viaggiatori (Venezia 484^, voi. 2.);
e finalmente raccolte in un bel volumetto dal Vieni (Reggio 4844). Seb-
bene scritte in gran fretta e senza ninna cura , pure elle si adomano di sì di-
sinvolta leggiadria, che nulla è più caro della loro lettura, lì Garrer non du-
bita di proporle come modello in questo genere. Peccato che non ve ne abbia
ima stampa condotta con crìtica esattezza !
' Milizia , Mem, degli Architetti. Vedi qui appresso la Bibliografia.
' Lezione sulle monete.
* Vedi la Bibliografia.
S Vedi le Postille al lib. Il pag. 94 ; lib. Ili, pag. 448.
* É a proposito di queste parole di Plutarco : « Omnii iuperititio ian-
quam lippiiudo ex oculit amovenda est.
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XIXYI DELLA VITA B OBLU OPBBB
E m'è earo riferire le parole onde il Rondinelli descrive
la sua morte: e Fece quest'ultimo passo con somma
x> religione e pietà cristiana: onde stando giudicato nel
» letto, pareva che più non sentisse o intendesse; ma
» quando i circostanti parlavano di cose spirituali e con-
D cernenti all'anima sua, allora alzando il capo quanto po-
» te va, stava in orecchi raccogliendo con grand' avidità
» que' ricordi e discorsi che si facevano: segno come ai-
fi lora si conosce quanto tutte le cose mortali siano vane;
» però fa gran senno quei che, avanti, soverchio non vi
)> s'invesca, usandole con quella moderazione che si con*
» viene, d Dopo avere di questo Francesco Rondinelli^ re-
cato i tratti più helii e più importanti che leggonsi nella
breve notizia, intitolata da lui Ritratto^ sarebbe grave
fallo non trascrivere (prima di parlare delle opere del
Nostro) la stupenda etopeia ond' egli dà l' ultima mano
al suo quadro:
tt Bernardo Davanzati fu di corpo, chi 1 volesse sa-
» pere, picciolo; di color bruno. Ebbe occhi vivaci, capelli
» neri, poca barba e rada; la fronte, come le guance, ru-
)) gosa; il volto, più tosto severo che no. Nel vestire amò
» l'antica parsimonia e l'usanze civili:, nel mangiare e
» nel bere fu sobrio: nel favellare fu breve, saporito, sen-
» tenzioso; perchè le parole,non altrimenti che le monete,
» più si stimano quando in minor giro racchiuggono mag-
» gior valore. Ghiamavanlo alcuni grano di pepe^ indotti
» forse dal color bruno e rugosità della faccia, ma molto
» più dalla sapienza, acutezza e virtù dell'animo raccolta
» in picciol corpo. Sprezzava le lodi delle sue cose^stiman-
» dole sempre imperfette. Gli errori altrui più biasimava
' Fa bibliotecario del granduca, e gli saccesse il Magliabeclii. Gli scrittori
contemporanei lodano la' bontà, il buon gnsto e le molte lettere di Ini (Vedi
Notizie degli Àeeademici fiorentini pag. 548). Fece anche il Ritratto del
Guicciardini , che leggesi nel compendio delle sne Storie di M. Manilio Plan-
tedio.
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DI BERNARDO DAYANZATI. XIIVII
» col tacere che col riprendere. Spesso si doleva che molte
)) volte la virtù non era accompagnata da buona fortuna;
» onde compativa agli uomini leali, virtuosi e troppo mo-
)> desti, che bese adoperando e poco chiedendo, non sono
» appregiati; e a certi prosontuosi, che fanno caro di sé,
» quantunque poco vagliano, alcune volte si corre dietro.
» Oltre la lingua latina intese la greca; fu buono aritme*
» tico, e di giudìcio in tutte le cose perfettissimo; e, quello
)) che è gran felicità, in vita sentì l'applauso che dava il
» mondo alle sue opere. Onde un uomo di grande scienza
» disse, che egli aveva raccolto dalle frombole d'Arno le
» gioie del parlar fiorentino , per legarle nell'oro di la*
» cito. Adunque dalla presente immagine apprendano i
)) giovani a fuggir l'ozio; virtude e conoscenza seguire.
» Saranno i neghittosi senza gloria e nome dimenticati:
» verrà narrato e conto quest'uomo celebre agli avve-
» nire. »
Ora diciamo delle opere brevemente. — Nel 1579
Enrico Stefano, insigne grecista francese, dopo aver
preteso dimostrare la conformità della sua lingua colla
greca ^ die fuori un opuscolo dove le concedeva a dirit-
tura il primato sopra ogni altra favella: ' e paragonan-
* TraieU de la eonfomUté du langage FrariQoit avee le Grec, divUé
en trait livree , dont lee deux premiert traictent dei manieret de parler
conforme» : le troisieme contieni plusieur» mote frangois lee wm pri$ du
gree entierement, lei autre» en partie ftc du quel l'auteur ett Henry
EsUen/ne. ParU ^5G9.
^ In qaesto proposito promise im' opera con on suo scritto intitolato :
Project du Uvre intitulé ; De la précellence du langage frantoi». Par Henry
Eitienne. A Parit, par Mamert Patision, Imprimeur du Roy, >lo69 ; in 8».
L'ab. Pietro Maancchdli ci fa sapere che: « Il libro promesso in questo pro~
• getto poi non companre, non trovandosi registrato né dal De la Groix da Maine
» né dal Verdier , e nemmeno dal Niceron, t. XXXVI,pagr. SlTescgg. » (Vedi
Appendice alle Lettere ed altre proso di Torquato Tasso. Milano, i 822, pag. 205
e segg.) Filippo Pigafetta Toleva a crivellare o vagliare un po' meglio questa
» materia (sono sue parole) e insieme rispondere al libro della Pricellenee
t de la langue francoi$e. » Ma non si sa se eseguisse quanto qui pfomet-
I. d
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XXXVin DELLA VITA E DELLE OPEQE
dola colP italiana, sentenziò che quanto questa era flo-
scia, dilombata, prolissa, leggera, altrettanto quella era
virile, robusta, grave, concisa. Ed in prova non raggua-
gliò già Dante con Marot o conMalherbe,nè il Machia-
velli con Montaigne o altri: ma tolse un discorso di Ta-
cito, *^ e su quello venne raffrontando la traduzione di
Giorgio Dati (il quale allargossi a bello studio per far
piane a tutti le difficoltà del testo) con quella di Biagio
di Vigenere; e dopo aver contato le parole dell* uno
e dell' altro, e trovatoci un divario di nove più neir ita-
liano, senza pensare se ciò fosse necessità o elezione,
gridò che V italiano (qui est la grand' pitie) non avrebbe
potuto fare con una di manco senza sciuparsi, sans estre
contrainie. Questa iattanza, e di tant' uomo, fece sdegno
in Italia, e più che ad ogni altro ne venne il mosce-
rino a messer Bernardo , il quale tosto per riprovare col
fatto il mal detto d* Arrigo Stefani, * si pose a lottar
con Tacilo, pel vanto della brevità, come a padrone as-
soluto di quella onnipotente lingua fiorentina:' )> eleva-
tone un saggio, lo mandò all' amico Gianvincenzio Pi-
nello a Padova (1591), da cui fu molto confortato a quel-
l' erta.'' Ma essendo omai vecchio e offeso della vista,
disperò raggiugnerne la cima. Però tennesi contento a
pubblicare il solo primo libro degli Annali, indirizzan-
dolo a Baccio Valori; a cui, dopo discorso della vivezza
ed efficacia della lingua fiorentina sopra la comune ita-
lica, che, K quasi vino limosinato a uscio a uscio, non
» pare che brilli né frizi; » mostra che questo primo li-
te. Anche in Firenze pare che si pensasse a voler confutare qnest' opera : per-
chè nel Codice Magliabechiano, GÌ. IX, 425, si leggono estratti e appunti per
questo intento. Meglio fece il Daranzatì che confutò col fatto.
^ È il discorso di Cenale, Stor. IV, 75.
s Vedi in fine di questo volume.
s Leopardi, Studi giwmiliy pag. 454, ediz. di questa BiblioUca,
« Vedi le LeUere, nel voi. III.
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DI BBBNABDO DAVANZÀTI. XXXIX
bro, ce con tutti i disavvantaggi delli articoli e d'altro n
torna, scandagliato, cinque migliaia di lettere men del
latino, e trentasette men del francese: onde conchiu-
de a puodsi da questo saggio conoscere, come dall' un-
)) ghia il lione, la flereza del nostro volgare. » Il libro
fu stampato nel 1596. Ma quattro anni appresso, te-
mendo quel breve saggio non fosse giudicato più che
uno sforzo né sufiiciente, si spinse innanzi fino a tutto
l'imperio di Tiberio Cesare, che termina col sesto degli
Annali, e lo pubblicò per le stampe dei Giunti, notando
in altra lettera al Valori, a che questi fiorentini libri
» ne' latini largheggiano come il nove nel dieci, e ne'fran-
D zesi passeggiano come nel quindici. » Dopo questi non
ne stampò altri. Ma continuò peraltro il suo lavoro per
tutte le opere di Tacito, e ne afiidò il iminoscritto agli
Alterati, uscito poi trentun'anno dopo la sua morte, per le
stampe del Nesti in Firenze, a'conforti del senator Filippo
Pandolfini e per le cure degli accademici della Crusca. ^
Tale è la storia di questo celebre volgarizzamento:
il quale ottenne tra' letterati varia fama, perchè divisi
dalla contesa sul primato fiorentino, non potevano esser
concordi nel giudizio d' un'opera che lo dimostrava col
fatto. Aggiugnevasi anche la gara municipale de' Senesi,
che emuli in tutto e sempre de' Fiorentini, mal cedevano
anche nel vanto della lingua.* Nondimeno il sanese Belisa-
* Vedi il Rondinelli nella dedicatoria a Filippo Pandolfini , premessa al
RitraUo.
* Neil' Oraàooe per Coaimo dice che Dio sollevò quel!' nomo a tanta
grandezza perchè « due popoli governasse e due città enrale (Firenze e Siena)
• e gareggianti infin del principato della lingua , e d' animi tanto avversi che
• ( notabil cosa ! ) in tanta vicinità che ò tra loro, non si è fatto mai niun nobil
» parentado. » Ma/cello Adriani^ il ^ovane, scrivendo al Bulgarini vorrebbe che
questa volger gelosia divenisse nobÙe gara di opere stupende : « Mi era molto
» prima nota la maniera di codesta città , nostra cara , amata sorella , la qnalo
• tanto più dobbiamo amare e riverire , quanto si veggono ogni giorno uscire
» parti novelli di cotesti feliebsimi ingegni , i quali ci dimoatrano quanto bene
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XL DELLA VITA E DELLE OPBHB
rio Bulgariai lodò molto il Tacito florenlino. ^ Non così
Adriano Politi, il quale non contento al biasimo, volle
correr l'arringo con un suo Tacito senese, lodato al-
lora e nel secolo appresso, e oggi dimenticato. 'Furon^i
poi i biasimanti , per nulla conoscersi di toscane eleganze ;
e tra questi pongo quel Gianvittorlo Rossi romano, >^rl-
battezzato in Giano Nido Eritreo, il quale nella sua Pi-
nacoteca, ' se fé grazia di appellare il De Avmsaiis (cosi
lo mette in latino) magno vir ingenio exquisitaque
erudUione, non trovò peraltro nulla di buono nel suo
Tacito. E all'Eritreo tenne bordone Adriano BaiUet,che,
sapendo d'italiano (dice il Menagio) ma non l'italiano,*
e forse non avendo mai letto questa traduzicme, uscì
con assai fronte a dire che il Davanzati a avoitvoulu cor-
• impiegano V ozio nobile y il quale si godono. Piacesse a Dio che i nostri gio-
ii vani non V abusassero , come fanno ; ma ad imitazione loro , fondassero bella
» e reale istìtazione , per incamminarsi con sentiero diritto alla virtù , e na-
» scesse , quando che sia , ira toì e noi , amicabile e generosa gara e cooteaa
p di lettere , per decidere un tratto e risolvere la maniera unica nella quale
p si dee scrìvere e parlare , acciò gli stranieri sappiano il modo vero ec. »
Questa lettera del 27 luglio ^1602 conservasi nelFa Biblioteca di Siena,
Cod. D. VI , 9 ; e ne son debitore a] coltissimo dottor Gaetano Milanesi.
* Vedi le Lettere nel voi. III.
8 Vedi la lettera del Politi a Niccolò Sacchetti nel libro intitolato : Lettere
del iig. Adriano Politi con wn breve discorto della vera denominazione
della. lingiM volgare usata da* buoni scrittori. Venezia 4624, pag. 560.
' Jani Nicii Eritrcei Pinacotheca imaginum illuslrium virorum. Co-
loniof ÀgrippincB, 4643, Parte 5*, pag. 247-224 . Riprova l'uso de* vocaboli anti-
quati; cosa (egli dice) da cui guardaronsi il Boccaccio, il Petrarca, il Gasa,
il Bembo , il Guicciardini ec. Dice inoltre che né i Fiorentini medesimi inten-
dono il Davanzati , e crede di provar ciò raccontando avergli detto Francesco
Niccolini fiorentino , che , leggendo quella tradazione, spesso gli conveniva rì-
4!orrere al testo di Tacito. Giova ricordarsi il giudìzio che porta di lui Apostolo
Zeno , chiamandolo : « Autore universalmente per molte falsità screditato , e
che ad esempio del Giovio e di qualche altro si compiacque d'inserir ne' ri-
tratti della sua Pinacoteca certe maochie e bruttare , le quali ora a torto or a
diritto gli svisano e gli deformano. » Note al Fontanini. Voi. -f , pag. 458,
cdiz. di Venezia 4755.
* « Monsiew Baillet sait de Vitalien, mais il ne taitpas Vitalien. a
Anti-Baillet, parte -1*, § 8, pag. 49.
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DI BBBMAHDO BAVANZiTI. ZU
rompre et (aire perir la pureié et l'élégance de la lath
gue du pays, pour Vaffermissement de laquelle le$ ati-
tres employoietU tous leurs soins et leur industrie. * »
Queste, sona facezie da non confutare ; se non forse da un
francese per onor della nazione; al che per avventura
ebbe T animo Egidio Menagio.' Nel secolo XVIII scaduti
sempre più gli studi della lingua, non è maraviglia se
del Taeito fiorentino si tacque, o u parlò con biasimo.
Il Fontanini ed il Zeno non lo apprezzano gran faìtto;*
il Tirabosehi ne parla appena; ed anche i due Salvini gli
si mostrano alquanto severi. * Ma risorto Dante, cioè la
dignità del sentire e del parlare italiano, si raccese in
quel gran fuoco anco la stella del Davanzati; né questo
è segno in lui di poco- valore. Non dirò del Cesari, che
ben s'intende com'egli dovesse esseme spasimato; né
mi farò del Perticari che naturalmente dovea biasimarlo.
Ma l'Alfieri, il Foscolo, il Giordani, il Leopardi, il Tom-
maseo (che è quanto di più virile hanno in questo se-
colo le italiane lettere) riconobbero a aver egli gareg-
D giato con Tacito in quella forza del dire che dimostra
D chiaro una forza corrispondente d'animo e d'Intel-
B letto. ' »Ma niuno il giudicò meglio del Foscolo, il quale
ben vide il fiorentinismo del Davanzati esser pura illu-
sione sua e di quelli che crederono a lui, nata da pochi
riboboli sparsi qua e là, che potrebbono con lieve cura
levarsi via, senza nulla scemare, ansù con aggiungere
assai alla forza, alla brevità, alla bellezza, e « aver la tra-
« /ugefiMRt iet ta»ónt iw le$ prineipcmx ov/vraget dei auUwrt, À
Petris, 4722. Pvte 4% n. 998.
> Vedi P opera intitolata: ÀntC-Baillet, ou Crilique du livre de
M. BaUletj intiiulé: Jugemem dei tavant: par M. Menage. Àvee lei obiety
cationi de M: Be la Monnoye eo. A Parie, 4730.
' Vedi V opera «itata del Fontanini colle note del Zeno.
* Vedi FaiH eomolari flotto l' anno AS!\ e il Fòntanibi.
s Tommaseo, Dixionario eiteiico.
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XLII DELLA VITA B DELLE OPERE
» duzione più maravigliosa che sia mai stata. » La lingua
in cui egli tradusse è quella intesa e scritta da ogni colto
italiano, e a traducendo scrisse in modo si originale
» che non fu poscia né sarà mai imitato da alcuno. ^ b
Al Leopardi, dopo aver detto questa traduzione « nervó-
sissima, originalissima » né possibile a imitare, parve
che non faccia fedele ritratto dell' indole di Tacito, ap^
punto per quelP arìa bellissima (egli dice) di familia-
rità e disinvoltura che gli ha dato e che non si trova
nell'originale, tutto austero e grave. ' Ma se la tradu-
zione è nervosissima^ ha (pare a me) il tratto più distia*
tivo dello stil tacitesco: e poniamo che alcuna volta de-
tragga alla gravità con qualche parlar proverbioso, que-
sto, per essere non frequente, non può costituire l'intero'
colorito della traduzione. Ma i più per averci trovalo
0 asso 0 sei^ andare in orinci^ tuff in bulima^ viso sa*
fumino^ e pochi altri di sì fatti parlari plebei, hanno to-
sto gridato, senza considerare più là: Et;co i romani
consoli convertiti in Grezie ! Come se tutto Tacito fosse
rinvolto in questo fango, e non ne avesse piuttosto qual-
che raro sprazzo, che non può né far mutare qualità né
scemar pregio a ricco vestimento. Qui s* avverò la sen-
tenza: (( Quello che pochi intuonano, gli altri cantano.* »
Che se vero é il detto di Quintiliano, non esser parcria
sì bassa che, a proposito collocata, non possa ricevere
nobiltà; non potrà dirsi aver sempre il Davanzali sce-
mato con tali parole riverenza a Tacito, quando le usò
dove la natura le voleva. Vedasi se i sediziosi soldati
in Germania potevano parlare più convenientemente, o
se un più artificioso e scelto discorso fosse loro stato
' Foscolo. Discon» VI sulla lingua, pag. 25S-256. Edincoe di questa
Biblioteca.
> Studi giovanili, Pag. 454. Edizione di questa Biblioteca.
» Tacito, in».. IT 12.
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DI BBRNABDO DAVANZATi: XLIII
meglio ? ^ Non le usò già quando fece parlare Àrminio , *
Seneca, Nerone;' quando descrisse la morte di Libone/
di Pisone,* di Otone/ o l'incendio di Roma;^ quando
dipinse Galba * e Poppea Sabina. * Che v' ha qui e in
cento altri luoghi di fiorentino ? o che non v'ha d' italiano
illustre? 0, a meglio dire, di maestà consolare e imperato-
ria? Non ha dunque ragione il Foscolo? o doveva anche il
Giordani credere buonamente al nostro Bernardo, d'aver,
cioè, voluto tradurre a non con la più nobile favella de-
» gli scrittori letterati, ma col parlar comune del popolo
» di Firenie? » ^^ Ma allora perchè non tradusse l^'acito
come il Zannoni scrisse poi le Ciane? questo sì sarebbe
stato fiorentino vero, non quello. Ne con ciò intendo di-
fenderlo dove alcuna volta non rende, per volere esser
troppo breve, con pienezza il concetto latino; dove fran-
tende (quasi sempre per difetto del testo); ^^ o dove usa
scorci troppo violenti, e però scuri; o dove senza biso-
gno disseppellisce troppi cadaveri di vocaboli. I quali
peraltro si prese cura di chiarire non pur nelle Postille,
ma e in un Indice, dove e fiorentinismi e rancidumi
scambiò, per chi la volesse, in moneta corrente. Cosi
avesse avuto tempo di compiere le Postille, sì acute, si
vive, sì piene di nobili pensieri, e talvolta nuovi, sull'este-
tica, sulla politica, sull'economia, sulla morale!
* Ann. I, 17.
«i4«n. II, 54.
» Ann. XIV, 52-^7.
* Ann. 11,51.
s Ann. Ili, 45.
/ • Stor. Il, 46-52.
' Ann. XV, 5a.
» Slor. I, 59.
« Ann. XUI, 45.
*» Nel voi. SPudi giovanOi di G, Leopardi, pag. 457.
** Fece la traduzione sol testo del Lipsie , aiutandosi anche deUe eoiro'
sioBÌ del Piccheaa. Di rado rìeorse ai ma. Laorenziani, e se ne pentì. Vedi la
postilla 2% pag. 485 al lib. IV, degli Annali.
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XUV DELLA VITA E DELLE OPBRB
Colla storia dello Scisma ben meritò non pur delle
lettere, ma del cattoliclsmo, comiociato anche in Italia
a insidiare per le novità del frate di Vittemberga e per
le violente libidini dell'ottavo Arrigo d'Inghilterra/ Fi-
renze, guardata da' fieri ordini di Cosimo, poco ne fa
tocca: pure alcuni Fiorentini si erano accostati alla
nuova eresia, come il Carnesecchi; altri le avevano sco-
pertamente dato i] nome, come Pietro Martire Vermigli
e pochi altri, rifuggiti altrove. La vicina Siena si era com-
mossa alla caduta dell' Ochìno, già in voce di gran ùoU
trina e santità; * e i due Soccini, Fausto e Lelio, tenta-
vano nuova scuola d'errore. Il mostrare da che laide origini
sorse il funesto dissidio inglese, non poteva non illumi-
nare anche sul conto degli altri nemici della verità cat-
tolica. E forse il Davanzatl, uomo di fede sentita e fer-
ma, mirò più a questo che a una pura prova di: lingua.
Da prima si stimò l'opera sua originale; poi sene dubitò,
non conoscendosi ancora la prefazioncella premessavi e
che fu trovata dal Gamba nel manoscritta marciano; nella
quale dice chiaro d' aver voluto tentare sulla storia del
gesuita Niccolò Sandero la prova già fatta ne' primi ctn-
gue libri di Cornelio Tacito. Dal che si vede eh' e' con-
dusse questa operetta come per intramessa e riposo al
grave la,voro. sullo storico latino. Anche qui l'istessa ner-
vosità, purezza e' concisione. Se non che duole eh' e' fosse
troppo severo nella sCrondare l'originale; avendo lasciato
non solo ogni considerazione morale- e politica, ma si
anco circostanze di mollo rilievo. Lo che rende la. sua
< Vedi il Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, t. VU, par. 4,
pagg. 557 e segg., ediz. di Firenze, 4809 ; e meglio Vittoria del progretto »
dell' ettinxione della riforma in Italia; di Thomat Macrie. Parigi 4855.
> Tra le lettere di aandio^Tolomei (Vinegia, 4566) havrene nna elo-
^foentissima e cordialissima al frate Ochino , dove si tenta di richiamarlo dai
«noi errori , d' esemplo tanto pia peraicioso , guanto maggiore era stata inino
allora la sua opinione di santità.
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DI BERNARDO DAVANZATI. ILY
narrazione forse troppo digiuna e secca. Tuttavia, così
com' è, è de' libri che oggi vorrebbero piCi esser letti.*
* Volentieri rechiamo qai ona nota che Pab. Michele Colombo pose in
{ronte allo Stitma delia edizione Cominiana, -1727} di cui siamo tenuti alla
cortesia del eh. Angelo Penana , bibliotecario della Parmense , dorè il detto
esemplare si conserva. — « Nello stile di Bernardo Davanzati , sia eh' egli tra-
doca , sia che diaci del proprio , è sempre nna originalità che ce lo fa distin-
gaere da tutti gli altri Scrittori. Ninnò è più abile di lui nel maneggio della
lingua : ricco nella sua parsimonia , sa racchiudere molti sensi in pochi detti ;
è sempre terso e forbito, s'esprìme, anche senza cercare ornamenti, con gra-
zia , con brìo , e con un garbo tutto suo. Una sola parola uscita dalla sua
penna yale talora una frase intera , e n' ha più di forza e di leggiadria ; con
tanta finezza e con tanto ingegno egli sa adoperarla.
» Questo eccellente scrìltore non è tuttavia né pur egli senza qualche di-
fetto. Sembrami eh' esso dia alcuna volta al perìodo un giro troppo studiato ,
facendogli perdere alquanto di quella fluidità e scorrevolezza che tanto piace ;
come , per esempio , dov' egli dice : Quanto sarebbe piU utile gli uomini,
che i fanciulli: i capi de^ Regni ^ che % minori Principi: le itette perMono
reali y che i figli loro far nozze iniieme? (pag. ^19.') Talora usa costruzioni
alcun poco strane. Tale a me apparisce quella del seguente passo (se pur non
v'ha errore e nella stampa de' Massi e Laudi allegata dagli Accademici della
Crusca nel loro Vocabolario , e in tutte due le Gominiane , del che ho qualche
sospetto) : Un altro , votato Opperò, quando era cattolico dicea mole della
troppo ricchezza e morbida vita de* Vescovi (*) (pag. -107). Più regolare sa-
rebbe stata la locuzione a questo modo : dicea male della troppo ricca e
morbida vita, ec. (**) Tale si ò ancora questa: V altre nazioni di fuori ne
hanno sempre parlato liberamente : e doltosi che la tua giovanezza eia
stata ingannata da' savi tuoi (pag. 20). Non potendo quel participio dol-
tosi essere subordinato ad hanno, come l'altro participio parlato, U regolar
costruzione rìchiedea che si facesse: e si sono dolute, ec. ; ma lo scrittore
amò meglio servire in questo luogo alla brevità dell'espressione, che assogget-
tarsi alla scrupolosa regolarìtà della locuzione. In oltre, appunto per amore
di brevità , egli subordina qualche fiata ad un verbo solo più cose , ad alcuna
delle quali esso non può con proprietà appartenere , come scorgesi in questa
frase : IH quindici anni si lasciò sverginare dal Coppiere, e poscia dal
Cappellano di Tommaso Boleno (pag. 25). Se non era tornata miracolosa-
mente pulcella , dopo il fatto del Coppiere non poteva essere sverginata ezian-
dio dal Cappellano. Certo con minor brevità , ma con maggior proprietà si sa-
rebbe espresso P autore dicendo : si lasciò sverginare dal Coppiere , e poscia
(*) Così leggcsi sncUe nell'edisiuno di Roma del 4602, li qnala è U prima.
{Nota dei PéiiattM,)
n Di qiMsto oMtratto troTtd on esempio anche nella Vita di Filippo Strani icrìtta da
LoraiM» rao fratello. A pag. e (Tedi tt FUi^^ StmU del NiooeUni: edis. di questa Bmioteea)
« legge : « Fa risolato cSie si espedisse al re oas persona.... «he {iostìAcasse le passate anoni
dà cardinali con Ut troppo toro fedt e bontà. »
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XLVI DELLA VITA E DELLE OPERE
Le lezioni sul Cambio e sulla Moneta, vanno giudi-
cate con quello che allora sapevasl di pubblica econo-
mia ; e troverannosi lodevoli non tanto per la proprietà
e schiettezza del dettato, quanto per le cose che racchiu-
dono. Nella prima restrignesi a descrivere con bella per-
spicuità il modo del giro cambiario, senza entrare in più
alte considerazioni su questo nuovo e potente impulso
dato dai Fiorentini al commercio. Nella seconda discorre
eruditamente dei metalli, delle diverse specie di valori,
e più che altro lamenta lo scadimento della moneta fio-
rentina a' suoi giorni, sì dannoso al commercio, e a co-
fece copia di tè al Cappellano , ec. Talvolta egli passa da un nomina-
ti?o ad un altro , lasciando che il solo senso determini a qual di essi le di-
Terse azioni j di cui si fa cenno, appartengono. Eccone un esempio: lo
ttigò il Diavolo a spogliare i Conventi: dicendoli pieni di rabbie^ di lui'
turie, d* ignoranza, d'ambizione, e di tcandoli; e teopriensi l'un l'altro;
e davali in commende a uomini di conto (pag. 66). Qmstigò si riferisce al
Diarolo , dicendoli ad Arrigo, icopriensi a Conventi , donali di nuovo ad Ar-
rigo. Questi balzamenti improvvisi da un nominativo ad un altro , e da questo
ad un altro ancora, senza V aiuto di qualche pronome che indichi a qual di essi
V azione appartenga , sogliono a prima giunta nella mente del leggitore gene-
rar confusione ; e però sono , pare a me , da schivarsi. Qualche fiata unisce
alcune voci ad alcune altre, senza che v' abbiano appicco insieme. Abbiamo un
esempio di ciò nel seguente passo: Moro era laico: gratittimo all'unioer-
tale : non produsse Inghilterra per molti secoli uomo fi grande : nato no-
bile in Londra : dottissimo in greco e latino : pratico in magistrati e am-
bascierie 40 armi (pag. 62). Queste voci guaranr anni sono appiccate lìnon
saprei dir come. Potrebbeglisi forse imputare a vizio eziandio il gittar lì, co-
m' egli fa assai sovente , i diversi membri del periodo senza collegarli V uno
con l'altro. Convengo che tali slegamenti non sieno sempre da biasimarsi ; con-
fesso di più che possono in qualche caso meritare anche loda , come aUora
quando si fa parlare chi è agitato da qualche veemente passione ; ma nel no-
stro scrittore mi paion troppo frequenti ; e non so se possano tutti essere a ba-
stanza giustificati. Finalmente s'incontra in questo Autore qualche voce o troppo
Latina, come succedituro, vocato, corampopolo, ec, o troppo antiquata,
come di certamo, lepiacimenta, le peccata y ammorbidoe , morette, ec, o
troppo bassa e popolare , come la vilia, far belli falò, ed altre simili. Ma
queste taccherelle sono quasi fatte sparire dai sommi pregi di sì grande scrit-
tore. Farmi per altro che lo stile di lui sia piuttosto da tenersi in gran conto,
che da imitarsi ] sondo che troppo diffidi sarebbe il conseguirne le bellezze , e
troppo fa<»le il contrame i difetti. »
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DI BERNARDO DAVANZATt. ILTH
loro stessi che improvidamente se ne fanno cagione. Se
si pensa che prima del Davanzali non ci fu che il solo
Gasparo Scaruffi che prelibasse questa materia;^ non ci
parrà troppo discreto V ab. Galiani che sì severamente
giudicò le dottrine del Nòstro.' Il quale, come pratico e
colto mercante, e come piacevole accademico, non intese
se non di raccogliere le osservazioni della propria espe-
rienza, infiorandole di curiose erudizioni e colle genti-
lezze della lingua.
Poco mi stenderò sulle due Orazioni facete, dette agli
Alterati. Non le chiamo col proprio nome di Cicalate,
per non dar cagione di sdegno a' severi. Ma se egli vo-
lessero paragonarle colle altre che aggravano oziosa-
mente i volumi delle Prose fiorentine^ son certo che non
le troverebbero senza sapore di attici sali e senza qual-
che sostanza di buoni pensieri. Quello spirito fiorentino
ameno, vìvo e bizzarro, non fu potuto spegnere nemmeno
sotto il flagello delle terribili proscrizioni di Cosimo. Anzi
dal vedere come in questo tempo crebbero le allegre com-
pagnie, e fu più che mai in voga questo perditempo delle
cicalate; ' potrebbe credersi che i Fiorentini volessero in
tali baie dimenticare se stessi e i mali presenti ; se non
si sapesse che quasi tutti coloro che erano potuti rima-
nere in Firenze, non erano siffatti da dolersi troppo dei
perduti ordini antichi.
' Vedi Pecchio, Storia dell'Economia pubblica in Italia. Lngaao 4852.
3 Della Moneta jWhrì cinque, di Ferdinando Galiani. Napoli 4780, pag. 26,
o5, 160 e segg.
' Anche gli antichi si piacq[aero di tati scrittore giocose , dove accorta-
mente sapevano mescolare qualche utile insegnamento. Tra le opere di Fron-
tone leggonsi le lodi della negligenza , della polvere , del fumo. E il celebre
discopritore e editore di questo e di tanti altri monumenti letterari, card.
Angelo Mai , difende V autore coli' esempio di Senofonte , di Platone , di Fa-
vorìno e più altri, che non isdegnarono cosi fatti sollazzi. Vedi Marci Cornelii
Frontonii et M. Àurelii imperatorit epiitolce, ewante Angelo Maio. JRo-
imv 4823, pag. 324.
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XLYIII DELLA VITA E DELLE OPERE
Come cede alle cicalate, così accomodossl alia Ora-
Sion funebre per Cosimo; non affatto vuota e ciarliera
come quella del magnifico cavaliere messer Lionardo Sai-
viali e di cento altri accademici e messeri ; ma certa-
mente non degna del traduttore di Tacito. Loda le corone
e gli scettri e gli ornamenti regali da lui portati in
€ittà dominante e non suggetta a potenza straniera:
loda i fuochi fatti pel Mugello infino al mar Adriatico
nel suo nascimento: loda lo splendor della casa; la bel-
lezza delia persona ; l' ottenuto principato, bene di tutti
gli umani il più desiderabile e soprano: loda l'ingegno
e, a prova, cita le liti eh' egli ebbe con Lorenzo di Pier
Francesco; loda i nemici suoi che furono (e questo è
vero) asce e martella a fabbricargli e conficcargli il prin-
cipato. Come se, volendo lodare, non ci fossero stati di
lui. (che non sol per P animo tirannico ma per la scaltra
natura e arte di regno fu detto il Tiberio toscano) e gli
studi e gl'ingegni promossi; le storie commesse e la-
sciate scrivere lìberamente al Varchi; il commercio e
l'industria rialzati; i collegi aperti; V università dotate;
le leggi vigorosamente osservate; le paludi rinsanite;
l'agricoltura giovata; e altri lodevoli fatti, o taciuti o leg-
germente sorvolati dal nostro accademico.
L' arte agraria, che dalla schietta e maestosa bel-
lezza dei campi trae un che d'ingenuo, di nobile e di
poetico, fu da eletti ingegni accarezzata in Toscana non
meno che in Grecia, di cui ben cinquanta scrittori geor-
gici si trovano citati. Toscane sono le trecentistiche tra-
duzioni del Palladio e del Crescenzi: toscani il Vettori,
il Soderini, l'Alamanni, il Magazzini, che.vestìrono di
tanta gentilezza le cose della villa. Ma niuno nella evi-
dente proprietà, nella svelta e lucida concisione va in-
nanzi al Davanzali, il cui Trattato della coltivazione to-
scana è gemma preziosa e rara. Anche questa scrittura
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DI BERNARDO DIVANZATI. XLIK
è compendio di opera altrui ; buona'sì nella sostanza, ma
prolissa, rozza e disordinata, come dice egli stesso nella
prima dettatura della lettera a M. Giulio Del Caccia. Onde
pensò di esprimerne questo succo e di condirlo di alcune
gentilezze.
Le Rime^ se ne togli la purità della lingua, non
sono veramente un graii fatto ; né sentesi rammarico che
sian poche. Ben ci duole che poche siano le Lettere, belle
per sagace parsimonia e per dignitosa affabilità.— Altre
cose egli scrisse; ma o l'ingiuria del tempo ce le ha
tolte, o nascose e ignorate aspettano un felice discopri-
tore. *
A me non più di questo è avvenuto di trovare in-
torno ai fatti e alle opere di quest* uomo singolare. Che
se mi conforta il pensiero d' avere raccolto qualche più
copiosa notizia che non gli altri biografii di lui, sento
vergogna d' avere di tanto scrittore parlato sì povera-
mente.
* li Rondinelli dice eV egli ebbe in pensiero di scrivere la vita del £^an
Micfaelangiolo ; ma , per somma sciagura , pare che o il tempo o 1' animo gli
fallissero a sì bella impresa.
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! \
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ti
BIBLIOGRAFIA
DILLE OPERE DI BEBIABDO DAYAIZiTI.
I. — Il primo libro degl' Annali di Gaio Cornelio Tacito da Ber-
nardo Davanzali Bostichi espresso in volgare fiorentino, per dimo-
strare quanto questo parlare sia breve e arguto. In Firenze, presso
Giorgio Marescotti, 1596. ln-8o piccolo.
U prfaM S «tite dM e«tMgoiD U flmitei^o «U MAwa • lltMio Valeri, bmM «aapffiM
•dia MHMmiMWi pan aaa mm nuMnte. Ha laguli ad M«giM i mimiì ricfaiuMatt te
pMtiUi, dM wéadmf pH(. 78 • mm 00. A pag. n-T! è U dicbUndoas M ìhmi mnMd
mmt 4i dkmm tmodtnuammii», V «ItkM pagìB* Boia Mi «mri 4« wrref fan.
«UqoMUaAiioMdU, dia d 4k 11 priao nggl» M eddm VoiftrinnMlo A TmUì
fdlo da Btmmni» Dmumtmi» d aerriraM gli Aaeadanid. Vaf gad la taaa atinaATa dw è
idte JaUa dtettcalatla ddP a«loN a Bacda Valari, a éha kggMl adt>«ltt«a lÉMa daUa <|utt«
faedaU. » (Ouaba.)
« U latta» Miaatoriaidr tntava a Biado Valari tra? ad aadia adi» Jav^^ di IVirii
Cnmit, Impfafao òaf Gioati ad IM», mk eoa «aagiamcati aoteUli fìittld iatt' aalaca. E qaik
agli U riJwaa la qwl Utoo, tala H teppd ripiaddta dal Matti diatw a»a PaatiHa adk Oparé
fi C&mai» Tmttto traéon» éM Dmpanaati a imprasM ad 46S7, la fogli», aa par eagioaa da' caa«
giaaMattbMiTi, la vaaa ttfimtMt la qaaato riaUmpaaaa d twra pia. E paidè kggMdadaaaa
adaaanla iidl> adtxiaaa dd PHmù mm éegtt AmuM , fatU dd Haiasaattt ad UM, è maalfc»
atadiafa adapaiate aaaba^mnaadldaBa dagU Aaaadaaid. » tCdoabo, dt«U dal ftaaaba.)
II. — L' imperio di Tiberio Cesare scritto da Cornelio Tacito
nelli Annali espresso in lingua fiorentina propria da Bernardo Da-
vanzali Bostfcbi. In Firenze, per Filippo Giunti, 1600, con licenza de*
superiori e privilegio. lo-4.
ÌA priflM ad carta aaa namarcta aontaagono , attia fl frontaapiiia , 4* la dadlatloria a
Bacdo Valori, riamtata a compendiata, com' è aaoennato aopra. 8° Da'altca lettera al aiada-
Simo, aella qaala discorre le ragioni del suo volgarìizamento, esteso fino a tatto il sesto libro
degli Annali, acdoechè la vittoria della lingua fiorentina sia pia certa nella prora ddla bre-
vità. S^ U desoidone ddla Stirpe d'Afutw , divisa in dee Urole ^ a ddla 5tf;p« di LMm
moglU d* Aguno in una sola tavola. La tradndoaa oeenpa 400 aagiae annerata, raggaagHata
perfettamente all' edixtoaa Lionese (1581) del testo latino, ad agevolare il campato dalle paiola
latine e italiane a il confronto della loro somma. È da avvertire ebe i libri degli inndi qal
tradotti appariscono cinane \ ma ndl'nltimo sono compred i frammenti dd fninlo a tatto il
sesto. Alla pagina 161 comindano la Podille aba vanno fino alla pagina a03 , segnata par ar-
fore e03. Alcune di qnasU postille non d leggono adi' edidoai posteriori, paicbè U tradattoca
amtò 0 corresse I laoghi a coi d riferivano; altre vi d leggono o ampliata o aorvatta nella
elocazioae. Finalmente, alcune e importanti postilla ddla posteriori adidoni aoa d laggono qaL
]>9po ona pagina bianca sagaa la ravota d$Ué «a» p<à notabili, eompiiata dal tradottora slea-
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in BIBLIOGBAFIA.
•o, U qsaW oocapa IO eirla nan auMrato. Fioalaaiiia V «llina carta ha ad rwto la tavole
degli Emrt oeeoni per difetto del tipografo, • nel verto alca* poeba ITiiMsìimì. L' «UiaM
carta ha Io ttegma glnntiao , il registro o la note tipograflcba , ripatala aoaa ad bonlaspii».
— Ilibri non MB divifi a capitoli. .
Il primo libro è riprodotto con asaai eorradoai e pcatiaaatl^ntillMlniaeonaldaraia. Gli
Aecademici non pare si sieno gioTsti troppo di questa edidone, sebbene potesse loro fonìra
▼ocaboli che non riuTcngonsi nelle posteriori. Anclie gU editori non hanno fatto aleon cento né
di questa né della precedente. Eppore essendo esso le oniebe stampe condotte sotto gli oodii
del tradattore, potevano di là attingere molto lame per dare le Loro ediikmi pii esatte <• pia
compiate.
Un esemplare gik esistente nella fa Rinnocisiana , ed ora presso il cb. conta Moitan è
tatto postillato di mano del tradattore. Noi, por ooriesia del possessoroi abbiamo potato esa-
minarlo e trame profitto per la nostra edisione , come pah vedersi dallo VaritoM registrate in
fine del .Tolome. Che qneste postille sieno di mano del traduttore non panni se ne possa dubi-
tate, dopo il confronto di esse coi omoscfaiti aotograH : a se alarne poche sondirano di primo
«ratto di aumo diversa, dò deriva daUa diversitk ddP inchiostro o dd tempo dio teeno aeriti*.
Ci sono da notare abnne carionth che danno sempre maggior fedo di antentidie a queste posUUe.
E la prima è , che in fine del secondo libro dove Tacito , facendo il carattere d' Arminio , dico
proelUt ambifìou, traduce: « nelle battaglie pericoloso / s ma nd margine a destra tira facci
amkiguus, e noli' dtre nota: •eifudu din, » Lo che mostra eh* U Davantatt leggsado la sa*
tradottone a qudoha dotto amico o noli' accademia stessa degli Alterati , non tnvb approva-
dono a qud passo. Ed infatti nella Nestiana vederi mutato cosi: « netta iaaattie-9mr». » L*
seconda è, che per un ghiribiiso di ritrarre anche nella scrittura la prenunri* popdaira, e' trssic*
nn gran nomoro di parole, legandole inneme, quasi coaae adlo Ciane dd bnnoai. Ecoone al-
cuni oseapi : megii* amava»* il pruente : 't debol otefo : aioMo giaaaaett^ at poatfjUata : ogni
to$' a lui : mentr* Agusto : mlest' ami t d*aniae amtaat « anutele : per temf. o 'mridia: te
notf 0 la ser* a eontaminare : i pe' (pdi) canuti : meUeu' a ferr* e fuo^ e 'n temr U paese eo.:
poi muta sempre pooo in po'; fece in /«; vaali in eoU't furano in /«r/ sarekàe in «oi^; li,
delti, olii, eapéUi in gli, des'', agli, eàpeglis e cod sino in fondo.
Il manoscritto che servì a questa ediùone del Giunti eonservad nella MagliaboiAiaan
(d. XXIU, 450) Cd Utoio « Postille agU Anndi di Comdio TadU o 11 libro II, U!, IT e T
do' detti Annali tradotti in lingua floraitina da Bomaide Davanuti BostiehL Origbulo. » Que-
sto codice appartenne d senator Carlo di Tommaso Stroid, 1073. Ma non è già originde, ooom
qui si scrivo e come asserisca anche Sdvino Sdvini (F«ir. oom. pag. aSS) : originali sene
molte correàoni e le postille e denne carte in principio. Che pd questa copia servisse alle
stampa vederi dalle approvaiionide' censori ecdesiastid, Cario Ruoelld, canodoo e accademico
fiorentino, Alessandro Caccia inquidtore, e fra Maljtoo Saamattd canoegUere (7 e 15 giugno IS99).
Manca il primo libro perchè forse le correrioni di esso le fece il traduttore sulle stampe Ma-
rescottlana.
III. — Opere di Gaio Tacito con la tradazione in volgar fioren-
tino del sig. Bernardo Davanzati posta rincontro al testo latino con
le postille del medesimo e la dichiarazione di alcune voci meno in-
tese, con la tavola copiosissima. Al serenissimo sig. principe Leo-
poldo di Toscana. In Fiorenza, nella stamperia di Pietro Nesti, 1657,
con licenza de' superiori.
In-foglio. Seguono al frontespizio 24 carte non numerate dia contengono la Dedicatoria,
FAvveriimento, la stirpe d' Augusto e di livit, e la Tavola ddle materie. Il testo e la tradu-
stone contano 424 pagine divise a col^onna. Da pag. 425 a 461 lo Posttllot da pag. 481 a 465 Io
due lèttere a Bacdo Tdori e una terza agli Aoòademid Alterati. Segno U DicihiarazUme d^tdeuna
«od amunemenu mena intese in otto pagine non numerate : ed in ultimo un mostruose er-
rata-ccArrige , die fa appena a una rad^ dd bisogno^ coma dica il Volpi non senza esagaradone.
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• BIBUOGRAFIA. Ufi
E qmsla la primi eaktaM iOSf tetero Tdgarìsaowrio, proeortf a àt^i leet^aaid ddla
Grasca, 31 aaao dopo !a mori» ddP aatore , e citaU nel Yoeabolario, sebbena rioadiae aeomt-
tiwioia. « Da molti atadlosi desiderata , ma per varie eagtoni trattenota e Impedita dopo la
morte del DaTaniatli il quale non ebbe tempo di ripniirta e oorreggeria. Ma aleuti Talentoo-
n&ai affcrionati alla memoria di lui, e per xelo ancora del ben oommie e della loro favella ,
impìeganoD ogni afono e ogni memo, onde l' opera si stampasse nel miglior modo che si fossa
potato. 9 Zeno, note al Fontaninij voi. I, pag. 296. Il Gamba asserisce che in ipiesta ediiione
fu riprodom VlTOperi» dt Tiberio Cesare. Ma dò non istà, perchè dal eonfìronto apparisce che
la lenone del primo libro, e dei dnqne che segoono, varia assai, per mdte oorreiioni e penti-
menti, dalle stampe MareseotUana e Giontina. Donde è manifesto che gli Accademia (sebbene
non ne faedano alcun cenno) oondossero lavoro edidone sopra i manoseritii, senta tener conto
delle dne mentovate stampe : finse perchè videro che il traduttore d aveva fatto molti cambia-
menti. Ma dovevano almeno renderd conto dd Ms. : se originale o copia , e dove e come lo
ritrovarono.
La lettera a Bacdo Yalori, già impreaea dal Hareseotti, è qui al tatto cambiata e eompen-
diaU. L' aH(a agli Jeeademiei alterati, è aggionta di nvovo. Quanto alle Postille, vedi dò dio
dicenuno sopra, partendo dell' Imperio di Tiberio Cesare.
Conosco due notevoli esemplari di questa edidone. Uno sta presso fl mardiese 6. Capponi,
ed è tatto corretto a penna da un anonimo di <pid tempo , che pare avesse in anime di con- .
durre sopra di esso una nuova e più corretta e meglio ordinata stampa. Né sarei lontano dal
credere eh' egli fosse uno degli stessi deputati editori : certo egli è uomo di lettere ; perchè noa
ci limita solamente a correggere gli errori registrati in calce del libro , mt altre oorròioni fti
di suo, ed aumenta e corregge sì l' indice delle materie che la dlchiaranone delle parole meno
o<wmnL — Anche 6. Poggiali ne possedeva un legante e marginoso esemplare, corredato d' an--
tidle note marginali manoteritte riguardanH cote di lingua. (Vedi Serie de* testi dt lingua, li-
Tomo 4813 , voi. I, pag. 373.)
L' altro esemplare si trova nella Hagliabechiana, ed ha i margini pieni a ribocco di minu-
tissime postille a penna, altre filologiche, altre erudite e riguardanti d il testo latino die la
tradtanone. Ba neUn guardia questa noia di mano dd Magliabechi : • Le postate mamoserttte a
fuesto Tacito, con ta tradu^oM del Daeanzati, seno del signor Pietro Pietri Damùeano, inteUi-
gentìssimo della nostra lingua ed aeeademieo della Crusca, e seno scritte di sua mano, Stet» in
Firenze il detto Pietro Pietri molto tempo , e dopo si ritirò a Padoea, dove morì. » (Vedi in-
tomo a costui anche la lettera dd Bosso Martini, qui a pag. i.xv.) Molti altri studi sopra il testo
di Tadto e sulla traduione dd Davanzati egli fece , e si trovano in due codid Hagliabechianì,
segnati di nnm. 34, 88, d. XXllI. Pare che se ne giovasaero assd gli Aceademid ndla quarta
Unpresdane dd Tocabdario. In generate, questa postille (molte delle quali riguardano il testo
latino) non sono di gran pregio. Di alcune più importanti abbiamo dato saggio ndla nostra
edizione.
L' edizione di Fiorenza, per G. B. Landini, 1641, è copia della precedente sì nd sesto dw
nd caratteri 3 ma non db se non gli Annali, senza in^ce e didiiarazione dello vod.
IV. — Opere di Gaio Cornelio Tacito con la traduzione in volgar
fiorentino del stg. Bernardo Davanzali posta rincontro al testo latino
con le postille del medesimo e la dichiarazione di alcune voci meno
intese con la tavola copiosissima. Novella edizione, purgata dagli in-
numerabili errori di tutte le precedenti, ciò che nella prefazione si
dimostra. In Padova 1755 presso Giuseppe Gemino, con licenza
de' superiori. In-4 gcande.
Onesta edióone, «olia quale «ono stata fatte tutta la posteriori, fu curata da Giovanni An-
tonio Vdpi , il quale sebbene prendesse a testo la NesUana , pure tolse via gran parto degli
errori die in essa erano corsi. Dico gran parta, non tutti ; perchè alcuni, e grossi, ne lasciò^
ed altri vi tg^ginnsc di suo. Vedi pia avanti le nota alta sua Prefaàone.
e*
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tlV BIBLIOGRAFE.
Apptm aerUtae d' esien ricoslAU Am •dimmi Vcaelc ; rana ptr Fr. Storti, 48SS, in-4 ^
dove V editore dice del DtTaniati cbe può mtdtr dubbio ncUm tnttrpnttaUm» d^ unti m «m
tta^ U primo U pagare o H Utinot V tllra p» il Petumm, 4077, ÌB-4 } il ^lale dediceadoU a .
f ielro Homioi pnt$nd$t molto inaoceatemente, di conciari % Tacito eoi nome di lai «»«< civ-
dito di pietà eke ein ore gli e monceto.
V. — Le stesse. Parigi , Vedova Quillau, 1760, voi. 2 in-16.
« Elegante ediùone in garamoncino, assistita da G. Conti, professore di lingna toscana
nella R. Scaola militare di Parigi. Contiene il solo vidgarlnamenio, e non ha né la tavole né
la dichiaraxione delle voci meno intese. Le postille sono collocate in fine di ciaschedaBo de' TI
libri; le tre lettere sono in principio} e V albero della stirpe d' Aognsto sta in fine. » (Gamba.)
E pretta riproduione delia Cominiaiia , salvo cbe sono omesso le «ose sopra indicate dal
Gamba.
VI. —-Le stesse. Bassano, tipografia Remondini, 4805, voi. 5
in-4.
Fa procorata dall' abate Raffaele Pastore, ed è da fame conto assai più di qaella data
dall' istesso Bemohdini nel t790.'Contiene anche i supplementi del Brotier, tradotti dal Pastore.
VII. — Le stesse. Milano, Andrea Mainardi, 9 toI. in-8.
Ha come le precedenti il testo latino e i supplementi. Qnesta edizione merita d' essere ri-
cordata solo per un Saggio inedito di him prima traduzione del Davaniati accompagnato da
una sua lettera tratta dal manoscritto originale dello stesso Daoansati che si conserva nella H-
blioteea ambrosiana, con un discorso preUminare dell'irte Don Cesare della Croce custode
della Biblioteca suddetta. *
Vili. — Le slesse. Parigi, Fayolle, 1804, toI. 2 in-8, per cura
di G. Biagioli.
n Gamba nella ginnta alla biografia del DaTanzati scritta dal Ginguad nella BiognifUi
unioersau, Venexia, HissiaglU, 4S», citando qoesU edizieM e qnUa del ConU, le di«e ambedoe
eleganti, ma assai scorrette.
OPERE MINORI.
IX. — Scisma d'Inghilterra sino alla morte della reina Maria
ristretto in lingua propria fiorentina da Bernardo Davanzati BosticbI.
In Roma ad istanza di Gio. Angelo Ruffinelli, con licenza de'superiori,
appresso Guglielmo Facciolto, 1602.
Edizione in-8, di pagine 99 compresi il frontespizio e la dedicatoria non nnmerati. L' «I-
Urna pagina contiene il fine dell'opera e V errata: il frontespiào è fregiato ddl' ancora aldina.
La data 1609 è sdamente in aleoni esemplari. È questa la prima edisione e l' mnica fatta ti'
Tento l' autore , il quale la dedicò all' illustrissimo signore il sig. Ciò. Bardi conte di yemii^
luogotenente generale dell' una e dell* altra guardia di ÌV..5., e la lettera è data di Firenze ili
dì primo d'aprile 1600. Ciò indusse in errore l' Haym, il quale nella sua Biblioteca dii a quest».
e^zione la data del 1000 , e non del 1002 come doveva. Forse egli ebbe a, mano uno di quegU.
esemplari senza data nel frontespizio, e In dedoasé dalla lettore, dedicatoria.
X.. — Scisma d' Ingliilterra con altre operette del sig. Bernardo
Davanzati al serenissimo Ferdinando Secondo Gran Duca di Toscana
con privilegio di sua altezza serenissima. In Fiorenza» nella nuova
stamperia de' Massi e Laudi, 1638.
In- f, di pagine 20i. Le prime 12 bob sono Bomeraie, e It tredioesima coniacia U Boma-»
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CIDLIOGBAFIA. LV
nnoiiB od ««mero 3. Dietro il tiHktmtkà», im «a piceolo «tato è il lilntto delT ratoro eol-
ri9cruioik« intorno Bebra&do Dàyàrzati cbhtiluomo fiobemtiro, e sotto baJ' ìndice delle
operette eontenute nel Tolame } che sono, oltre lo Scisma d'Inghilterra ,
Notizia de' CamM.
LnUmé delta Mauta,
OmiMt tu morte del Grò* Duca Cesimi L
Da» OfOiimU, o vero Jzioai accademiche.
CottiMskme Toeoana.
La seeo&da etrta reeut ba la dedicatoria al Granduca j e nel i/er$o eomincia 11 Ritratto del
sig, Bernardo Davamati, scrìtto da Francesco di Raffaello Roadinelti e da Ini dedicato all' il'
lustristimo signor Filippo Pando^fini senator fiorentino. Questa stampa, sebbene non priva affatto
di errori, i assai riputata, ed ba servito di testo alle successive.
In nn esemplare di qnesta edizione che euiservasi nella Parmense, leggesi (pesta nota di
mano di Michele Colombo : « Questa impressione portava da principio un altro firontespiiio
» alqnaato diverso dal presente : a tergo non ^ era il ritratto, e nel catalogo delle operette che
» il libro emtiene, non era mentovata la Coltivazione Toscana. Ti sassegnitava la stessa dedi-
9 catoria del Davanzati che leggesi nella edizione dello Scisma d'Inghilterra fatta in Roma
» ad 1803 in-8, e dietro alla dedicatoria davasi immediatamente principio all' opera. Ma
» posda il frontespizio fu cangiato, sostituita alla dedicatoria del Davanzati quella che ora si
» legge, degli impressori, ed aggimito con titolo di Ritratto, va ristretto della vita delF autore.
» Si troveranno inseriti (« tri #ono di fattc^ al flne di questo volume il primo firontespirio ch«
» V opera aveva e la soprammentovata dedicatoria del DavanzatL s Dobbiamo questa nota ,
come altra che citerenm del Colombo, alla cortesia del di. k. Pezzana, bibliotecario della Par-
XI. — Le medesime operette. Padaya, Cornino» 1737, ìd-8, eoa
ritratto.
È ristampa dell' edizione fiorentina. In un esemplare di questa impressiona esistente nella
Parmense, M. Colombo scrisse in diverse parole la stessa avvertenza che fece all' edizione dei
Massi e Laadi, riferita sopra, e in fine aggiunge : « Convien dire che la lettera {dedicatoria al
» Bardi^ del Davanzati non fosse nota a' signori Volpi ; perciocché siccome hanno ristampata
» la detta dedicatoria di Massi e Laudi (al Granduca] ^ cosi non avrebbero lasciato di ristampar
» qaelU medesimamente : e certo ne valea ben la pena f) e per essere cosa dell' autore stesso,
» e molto pib perch' egli manifesta ivi entro la cagione che l' avea mosso a distendere la san
a operetta. »
Una ristampa ne fece il Cornino nel 1754, in-8.
XII. — Operette del sig. Bernardo Davanzati Bostichi genti-
luomo fiorentino tratte dall' edizione di Padova di Giuseppe Cornino
divise in due tomi. Edizione III con giunta di note. Livorno 1779,
per Francesco Galderini e Lorenzo Faina all'insegna di Pallade. In-8.
t dedicata al eanonU» D. Gio. De Silva. Anche qni è premessa aJlo Scisma V anttea de
itcaxion^ al eereHissimt Ferdinanda II e tralasciata la lettera dell' autore a 6. Bardi: segue U
Ritratto àA Rondinelli } e dopo lo Scisma viene l' Elogia di Bernardo DavantaA che è qnel
^Mdesiimo che leggesi nel tomo III, pagg. 299-3&Ì della Aoocolfa d'elogi d'uomini illustri
toscani, luca,. 1770,. e firmato G. P. (Giuseppe Pelli). In fine del tomo primo sono alcune note
cbiriche ape S^ma d^ ìnghOterra ; • in flne del seooado le note alla Uzloaa dette Moaete e
^' elogip per Cosimo. Pei qoali ornamenti, e non già per la eorreiioae, questa stampa è da
tenersi in qualche conto.
n « Qoi U Colombo non si addieds di essere inoereo in franueitmo senta aecenilk. Ab'
» biaow Falere il pregio. Portare U pregi». Metter tonto ac b — Mota del Pezxaaa.
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1.VI BIBLIOGRAFIA.
XIII. — Del modo di piantare e custodire una ragnala e di uc-
cellare a ragna. Firenze per Giuseppe Tofani e Compagno 1790. In-8
Dì pag. 54, compresi frontespizio e avvertimento ai lettori.
Qaest' opnseolo fa trovato d«l dottor Targiottl ndU librerìa del Rosso Martini e gli pirre
allo stile cosa del Davaniati, • ia qoesto giodiào si eonftfmò quando in nn oodioe appartenoto
alla Palatina il vide nnito alla COUvasim», Ma U Colombo registrando questo libretto nel s«o
Catalogo di alcune open attinenti alle scienze ec. ... le quali ... meritano per conto della lingua
gualche coneideraiione (Vedi Op. di M. Colombo, Parma \ 827, voi. Ili, pag. 490 e seg.), dimo-
strò essere stato il Targioni troppo corrivo nel suo giadixio. E su qnesto stesso proposito tornii
in nna nota da Ini scritta in nn esemplare di quel libretto che conservasi nella Parmense. La
qnal nota, perchè inedita, volentieri qoi riportiamo. « lo non so rinvenire tra qnesP opnseolo
» e le opere del Davanzali da noi conosciate quella rassomiglianza di stile ebe d ritrova il
» signor Targioni. Non vi ravviso né qnella spezzatura di perìodo, né qnella pregneszu di oon-
» cetti incalzantisì in certa goisa V on 1' altro , né qaeUa somma parsimonia di parole che si
»' scorgono in tatti gli scritti saoi. Ond' è cbe io mi fo lecito di dubitare se sia realmente di
» lui qoest' operìcciaola in fin a tanto cbe me ne vengano addotte più convincenti prove. Cbe
» se nel codice allegato dal Tofani essa è posta dietro al trattato della Coltivaiione toscana,
s quasi a foggia di capitolo ultimo, è egli cosa sicura cbe quel codice sia di mano dell' autore
» medesimo ? E posto che no , non pub esservi stata-aggiunta dal copiatore come per via di
• supplemento, qaantonque appartenga a diverso autore? Cib si rende assai verìsimile se si
» considera die nel MS. veduto dal signor Targioni essa sta da sé sola ; e noni da credersi
» che ivi si fosse scrìtta questa sola particella senza 1' altre che la precedono , se fosse stata
» distesa dal Davanzati medesimo, perché andasse congiunta cogli altri articoli della sua Gol-
ii tivazione. A questa considerazione aggiungasene un' altra ancora di maggior peso. Nella
» Coltivazione toscana ■' era di gib trattato così della Ragusa come dell' Uccellare Be' due ar-
» ticoli die precedono quegli ammaestramenti di ciò die mese per mese dee farsi, eo' quali
» 1' autor chiude l'opera. Ora, come mai si può egli presuppor die uno scrittore, qaal è il Da-
» vanzati, stringato, sobrio e d' ogni ridondanza capital nemico, volesse trattare la medesima
» cosa per ben due volte nell' opera stessa ?» A tutto qnesto può aggiungersi, che V autore
della Ragnaia cita manifesfamenie il Davanzati in quelle parole cheleggonsi a p.229, v. 13 seg. ;
Io cbe basta di per se a far chiara la cosa. Ma v' è di più. Nella già Rinucciniana esisteva un
codice miscellaneo dove questo opuscolo porta il nome di Giovanni Antonio Popoleschi, eoo-
temporaneo ed amico del Davanzati, che si vuol riguardare come il vero autore di quello scritto.
Nella dispersione d( quella ricca biblioteca non si sa dove quel codice sia ito. Serìveii-
doae all' egregio signor 6. Aiaszi, che per molto tempo ne fu direttore operoso e intelligaite,
mi rispondeva tra l' altre eoee : iVon conoscendo carattere eerto del Popoleschi per poter fare un
confronto, cosi non saprei dii4e se questa copta sia di sua mona : certo e che e di quel ten^o, •
faceva parte dei manoscritti che dalla casa Calori passarono in un ramo de' Gnieciardini e
quindi nei RinuccUii. Abbia però per certo certissimo, che lo scritto sulla Ragnaia non e del Dm-^
vanzati jinzi U professor Nesti, col quale una volta Munì proposito di quese oftueolo , mi
mostrò una copia stampata , nella quale era una lunga nota a penna , di mano del eeleère
Ciò. Fabbro/ni, ove confutava con ragioni desunte daU* opuscolo steeeo l' errore d' averlo altri'
buito al Davanzati, rivendicandolo al Ptqfolesdii.
XIV. — Lo Scisma d'Inghilterra e le altre operette di Bernardo
Davanzati Bosticbi gentiluomo fiorentino con un discorso di France-
scantonio Mori sopra la vita e gli scritti dell* autore. Prima edizione
danese più compita di tutte le precedenti. Siena dai torchi di Paa^
dolfo Rossi air insegna della lupa, Ì8S8. ln-8.
OHre le operette stampate nelle edizioni precedenti, eontiene died lettere a Baecio Valori^
due a Belisario Bulgarini colle risposte, mi sonetto per la Sabina di Gianbologna, e 1' «fwcoli»
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BIELI06RAFU. LHI
Da modo il pttntm ma fWfiMte. Ma tì ti detUtfa l'OradoiM Mtanél pigtim 0 Coaioklc^
• i wuMtti ebe kggonsi tra quegli del Tarclii, e altri. È precedala da aa giodiiioio Dieeono À
Fxaaoescantonio Mori sulla Vile e sulle Opere dell'Aviere.
Quanto all' opuscolo snlla Ragnaia l'editore noi crede del Davansaii, ma Io riprodooa astgl
migliorato nella lezione, col confronto di un codice Riccardiano di n. 2973, si perette è prege-
Tole scrittura e A ancora perchè il lettore possa da se coa£rontaria eoa qaelle del DaTaniati| ,
essendo l' edizione del Tofani diTennta ornai rara.
XV. — Lo scisma d* Inghilterra ristretto da Bernardo Davanzali
e conferito con 1* antografo esistente nella biblioteca Marciana di Ve-
nezia per cura di Bartolommeo Gamba. Si aggiunge lo Scisma sotto
il regno di Lisabetta ristretto da Giambatista Gaspari ^iniziano. Ve-
nezia, dalla tipografia Alvisopoli, 1831.
In-I6, di pag. xxxii-t68, con bratto ritratto dell' aotore fatto • aria.
Contiene: 4" Una lunga lettera del Gamba ad Angelo Sioea, nella qoale rende eoato del
co^ce Marciano da cm è tratta l' edizione, e d' on altro codice pare Marciano ed antografo
(Óasse TI, 4^ che contiene gli abbozzi di quasi tre libri del Tolgarinamento di Tacito con
qnnlcbe postilla inedita: 2« il discorso della vita del Dayanzatl scrìtto dal Morì per l' edizione
di Siena : 3° l' indice da' nomi propri osati dal DaTanzati, ridotti alla originale oriogra&a :
4* la lettera del Daraniati a Gio. Bardi: S* on proemietto scritto dal Davaniati, che nel eodice
Marciano vedesi premesse allo Scisma : 6** lo Sdsma d' Inghilterra, diviso in due libri, de' quali
il primo comprende il regno d* Arrigo e il secondo 1 regni di Adoardo e di Maria : 7** on terso
libro di continuazione, che comprende il regno di Lisabetta , scritto da Eduardo Ristono e ri-
stretto da Giambatista Gaspari Yiniziano, che pose mano a qaesto laToro a petiiione del Gam-
bUj e riosd assai bene ndl' imitare lo stUe del Davanzati.
La lezione del eodice Marciano offre un' infinità di Varianti, non poche delle quali miglio-
rano assaissimo il testo delle edisioni comuni. Ha alcwui volta (anche per sentenza del Gamba)
4ta al di sotto della lezione eamuiu già impressa, di maniera ebe l'assiduamtnte adottarlo nom
tornerebbe che a discapito della pia retta locutione.
Mal fece peraltro il Gamba di anuiodernare la grafia, usando la doppia zeta a non tenendo
cento deUe altre singolarità grafiche proprie del nostro autore.
XVI. — Coltivazione Toscana.
Onesta eperetta fa stampata la prima volta in Firenze da Filippo Giunti, 4O0O, in-4, col
Tmttato della eoUivazione delle Fili di GioTanvetterio Sederini e colla Difesa et lode del popono
di Lionaido Giaoehini. Il libro ò dedicato a Luigi Alamanni il giovane. Salvino Salvini {Fasti
MMoftfn, pag. 22^ ci fa sapere che il dottor Francesco del Teglia possedeva nn esemplare di
qoesta edizione « ove si leggevano di mano propria del traduttore non pochi pasti corretti e varia
lesioninole «putii appare per tutto il suo buon gusto e discernimento finissimo.9 — Altre due ri-
•tampe ne fece il Giunti j ona nel tOIO, l'altra nel 1622, ed in questa aggiunse anelie la Coltiva-
sione degli Ulivi di Pier Vettori. Fu riprodotta poi sempre colle altre Operette, come vedeai dalla
ediàoni sopra allegate.
Non vogliamo tacere della elegante ristampa che ne fece L. Carrer nella Biblioteea CUu-
siea Hatiana di sdente Uttere ed arti, classe VI, voi. Ili clw porta il titolo Tre trattatt Hguarm
danti r agricoltura. Venezia, 1840.
11 manoscritto originale di questa operetta conservasi nella Magliabechiana , Glasse XIV, ;^
B. 48, ed appartenne già alla libreria del senator Carlo di Tommaso Strozzi , dov' ora segnato '
di n. 290. È in-4, di earte 21 nvaerate da una sola parte, non compresa la guardia olie porta
il titolo « GolUvazioae Toscana di Bernardo Davanzati di mano sua propria. » <61i argomenti
non sono a' respettivi capi, ma in fondo a modj d* indice col titolo di Tavola a questo trattato.
Da qua e là non poebe eanceilature e pentimenti. Noi l' abbiamo eoi! azionata e,>n ogni cura.
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LVIII BIBLIOGRAFIA.
XVII. — Orazione nel prendere il consolato nell* Accademia Fio-
rentina.
Fu pobblicAta U prio» volta dal SalTlni nei Fasti eontolari deWÀuad. Fior. FinDie 4717,
pag. 222-231 , Q quale dica d^ averla levata dalV originale avuto da Giuseppe BiamMxt a
pubblicata con tutta esattesia. Fa poi riprodotta nel V(d. I, parte seconda delle Prose FlortnAM;
Bel tomo T, pag. 115 dell' Operette stampata a Livorno 4779} e nel voi. IV, pag. 165 della
Setìte prose italiame. Milano, Fontana, 1826.
XVIIL— Notizia de' Cambi.
Due Mst. non originali di «{oest' opaseolo sono nella Hagliabedtiana in dae Codid aiaeèU
lanei, d. Yill, 43; XXY, 339, che offrono varietà notabilissime. Te n' ba pare on Ma. ndU
Riocardiana,n. 2312. in oa Cod. magliab. d. Vili, 73, intitolato Excerpta et annotata varia Ant,
Fnnàsei Oarmi, qaeat'opoMolo I dtata come esistente neUa libreria di S. Maria Nuova col titolo
« Notista della Mercatura del signor Bernardo Davansati. » Né poteva atseve oa altro divoffM
oposeolo, pensbè ne dà il prindpio, dM è questo : « La mercatara è vn arte trovata dagli no-
» mini per utile comune e per supplire a quello die para abbia mancato alla natura ac •
XIX. — Lezione della moneta.
Trovasi accuratamente (dice il Gamba) impressa nel voi. IT, parta II ddla Prosa Fiorris-
tiiie, 1729, e di questa principalmente si valsero i vocabdaristi.
NeUa Harucelliana esiste un Codice miscellaneo sanato k 456, dia contiene pie a divers»
scritture di A. M. Salvini. In ultimo ha inserito un quadernetto di sesto più piccolo, che cob-
tiene una copia accurata ddla Lezione sulle moneta. È interfogliata, e n«' fogli intramessi •
ne' margini del testo ha varia postille, alcune dd Davanzati ^secondo almeno V indicazione),
ma non di sua mano, ad altie scritte dal Salvini j e tutta caasistoBo iivdtaiioiii a anioiità dia
confortano dò ohe dioed nd tasto.
XX. — Orazione in morte del Gran Duca Cosimo I.
Fu ristampata nel voi. 1, parte I delle Prose Fiorentina, Firanae, 1661, e ndle SteHa pnm
italiane, voi. lY, MUano, 1826, pag. 149.
Molti Mss. abbiamo veduto per le bibUotcdia fiorentine di questa Orazione j ma nessuna
autografo. Gli accenneremo qui, distinguendogli colle lettere ddl' alfabeto, par comodo dalla
dtazioni ohe occorreranno nd riferire a suo luogo le varianti.
A. Cod. magliab. d. IX, 65.
B. Cod. maglUb. d. XXYU, 20.
In questo codice è preceduta dalla seguente lettera, che non apparisce a ehi sia ìadiriBaU:
Molto magnifico signor mio.
Ragionando «' giorni passati con F. S. detta molta orazioni fatta da varU mtmint dotti ia-
«omo tUle lodi del Gran Duca Cosimo morto, le dissi the fra le bella nd pareva {^tononmfin»
gannd^ Mlitsima quella recitata agli Jltaratt aeeadtmlei da matser Bernardo Davanaatt, Onda
approvando lei il madesimot mi parve fargliene copia e mandargllana concie fo g dia auando Mi^
ne in tutto ancor divulgata, e degna che sia appresso di lei : e sebbene tardi, almeno par nam
mancare atta promessa fatta a F. S. La quale io prego du m* offerì e raccomandi a mattar Ga~
leotto suo figliuolo, che d* intender il ben esser tuo non ho voglia maggiore. Et a lei proga dm Wm
ogni contento e giusta voglia. Di S. Cateiano Udì 9 di tettanAre 4624.
Di r. S. motto Magn^
5~
MìMia ddOa Baeaa^
C. Cod. magliab. d. XXYII, 104: è dd 1575.
D. Cod. magUab. d. XXYll, 114, fu del senator Carlo Tommaso Strozzi.
E. Cod. magliab. d. XXVII, 52, sec. XYII priadpio.
P. Cod. magliab. d. XXVII, 5, sec XVII.
C. Cod. magUab. d. XXYII 4, sec. XVH prindpie.
H. Cod. raagUab. d. XXX, 162.
I. Cod. magUab. d. XXXYUl, 115. U carattere è dd tempo.
L. Cod. magliab. d. VI, 155.
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BIBLIOfiBAFIi. UX
Wì, — Aoeasa data dal Silenie al Travagliato nel sua sindacato
della Reggenza degli Alterati.
XXn. — Orazione in genere deliberativo sopra i provveditori
deir Accademia degli Aiterati.
Di questi due diseoni, pobblicati dai Bf tisi e Ltndi e nelF edizbn« livonieM delle Optntttk
IroTasi il maniMcrittOi ma non originale, in un codioe Riccardiano, segnato n. 2478.
XXIIC. Alcuni avvedimenti civili e letterari di Bernardo Davan-
zali fiorentino tolti dalle sue postille a Tacito e da un codice auto-
grafo della libreria Marciana. Venezia dalla tipografia di Alviso-
poli, 1831.
BartolomiDeo Gamba pobbliob questo libretto Per le nobili noz's Papadopoli-Moseoni ; ma
een poea diligenxa, secondo il suo solito : perocché non fece dUliniione alcuna tra le postille
inedite • le stampate j e a qnest' ultime non pose yemna indicaxione. Qualcl)e Tolta confose
Insieme le parole del testo con quelle delle postille. Negli Avvedimenti ebtili le postille inedite
sono U 5* la 6" e F H* : e tra i Utterari la 2* e l' ultima, clw saranno da noi riferite nellU^»-
pendice del Tol. li! di questa edizione. Agli Arredimenti aggiunse un Frammento di tre diversi
volgaritxmntnU di Tacito, cIm puoi vedere alla fln« di questo Tidume.
XXIV. — Lettere.
Dieci lettere del Dayanzati a messor Baccio Valori e due a Belisario Bulgarini, colle risposte
fi fMsto , furono stampate con molte lacune nel yiA. IH, parte IV delle Prose fiorentine, e
rìstaorpalè matefialmento tra le Opareiu nelP edizione di Siena.
n car. Giuseppe Manuzzi ultimamente, tra edite e inedite, ne raccolse 82, e le pubblicò,
eoa fuakiM noterella, per illustri none. Firenze, tSSS, in-8.
XXV. — Rime.
VI 80«e a stampa pochi sonetti e un madrigale, die non sono stati mai, per quanto sap«
piamo, raccolti insieme tra le epere di Bernardo. .
a) Sonetti di Benedetto Varchi. Fiorenza, tb55, Torrentino. — Nella seconda parte vi hanno
tn soMttt del Davanzati.
*) SoneUi spirituali di M. Benedetto Varchi. Fiorenza, GiunU, 1878. — A pag. 57 v' è un
e) Un altro sonetto è tra le poesie pubblicate dal Ser Martelli , Firenze 1883, a onore di
Giambolegna quando scopene il gruppo della Sabina. Fu poi ristampato neU' edizione senese
delle operette.
d) Saggio di Rime di diversi booni autori che florirono dal XIV al XVin seeolo. Firenze,
limebi, 1825. — A pag. 237 v' è un madrigale che fu estratto da un codioe appartenuto a Luigi
Foirot, ed oggi MagUabediiano.
«) Lnpidni Antonio, Aroliitettura militare. Firenze, Maresootti, 1882.— Dopo la dedicatoria
è un senotto di Bernardo in lode dell' autore. Fu ristampato da L. Carrer coli' opera del Lupi-
cim. Venezia, 4840. Vedi la pref. deU* editore, pag. vni in nota.
/) Akoni sonetti inediti sono nei Mss. che dalla Einnociniana passarono nella Bf agliabe-
chiana, die saranno da noi stampati a suo luogo.
XXVI. — Opere inedite.
i. —Vita di M'. Giuliano Davanzati.
Se no ba noUzia da Antonio Benivieni, U quale neUa dedicatoria deUa rUa di Pino rettori
r antico (Fiorenza 1888), dopo avere ricordato varie Vite scritte da alcuni suoi contemporanei,
prosegue: « Intendo di più essere raccolte, quella di H. Manno Donati da Filippo Sassetti, di
• H. Giuliane Davanzati da Bernardo suo discendente, s — Oggi non se ne ha pie traoda.
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LX BIBLIOGBAnA.
2. — Dae discorsi o Cicale in modo di Orazioni fanerali reci-
tate in Pisa nel 1592 nella soppressione dell' Ufizio dell' Onestà dì
guarnigione.
« Ms. aotografo eartafieo in-4 piccolo, di carta 32. InooaainciB : GrmndUtim* /■ Mnipm te
» speranta du tbbtro gli antichi Bgiii ee. *, a finisca : PiiteoH Pineoni novwentotuMKhmo. Qii»>
» sta graziosa operetta è del tatto incognita 3 e se si riesdsse a penetrare il gergo ed il sog-
li getto vero per eoi fa scritta, meriterebbe per II brio • le lepideixe, talvolta troppo ardita,
» cIm vi si trovano, tedarela pobblica Ince. »
Qoesta notisia è tratta dal Catalogo dei Manoscritti della già fiiavcciniana, compilato dal
cb. sig. G. Aiasii.
3. — Erone Alessandrino.
Di qoeito icrittore greco , il Davansatl tradosÌM , e per maglio dire, ristrinse a modo sao
quafla parta che rignarda la maniera di far salire I' acqaa nei tabi; e dedicò il suo lavoro al
celebre architetto Bernardo Bvoatalenti, a coi reijiiisirione lo avera fatto. Il manoscritto sta
nella Palatina, gdosaraente custodito, e aspetta d* esser pabblicato dal sig. Palermo, bibliot».
cario. Ne diamo qaesta inesatta notizia, solla relazione d' alconi amici cba poterono gettarvi
un' occhiata.
È carioso die il Baontalenti chiese la tradazbne di qnesta stessa parte di Erone anche ad
Oreste Tannood , che gliela spedì da Roma il 28 dicembre 4582, con lettera che si ha nel
Caifegglo inedito d' artUti, pabblicato dal dott. Gio Gaye. Tomo OI, pag. 449-50.
4. — Zibaldone.
è nn grosso qaademo con molti fogli volanti, tutto di mano del Davansati. Oltre molta
note ed appunti, fratto delle sae Iettare, contiene vari pensieri e frammenti, dal «(aali daremo
nn saggio nell' Appendice al terzo volarne. Questo Zibaldone fii posseduto prima dal lUaaij
poi dal Morani, ad ora è aalla mani dall' amico nostro Pietro BigamL
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Ili
LETTERA DEDICATORIA
AL PRINCIPE LEOPOLDO DI TOSCANA
premessa dai deputati dell' Accademia della Crusca
alla prima edizione dell'intero rolgarìnamento fatta in Firenze da Pietro Nesti
Tanno 4637.
Serenimmo principe.
La tradu%iom di Cornelio Taeitó del Mgnor Bernardo Davaniati,
bramata invano già moli* anni dalla maggior parte degli studiosi, im-
pedita 0 trattenuta per varie cagioni (come spesso avviene delle cose
umane) era quasi ridotta in preda alla voracità del tempo. Onde al-
cimi affezionati alla memoria dell' autore , a* quali incresceva del
danno universale e spe%ialmente della nostra lingua se tal' opera st
perdesse; e considerando quanto ingiustamente si defraudava il desi-
derio degli amatori delle buone lettere; hanno procurato con ogni
sfor%o che eUa si stampi nel miglior modo che per ora è stato possi-
bile: scusando l'autore se vi si trovasse dentro qualche imperfezione,
perchè la morte non gliele * lasciò correggere. Altro non le manca
per sostentar sua ragione se non un protettore simile all' altezza vo-
stra serenissima, alla quale perciò con ogni affetto la raccomandiamo
e dedichiamo. Efaciendole umilissima reverenza, le preghiamo felicità.
DiV.A, Serenissima
Dmflitsiini e deroUtnmi serri
I DEPUTATI.
4 La stampa ha glie la. Ma neir esemplare della Nestiana corretto a penna, posseduto
dal marchese G. Capponi, leggesi f Itele, né bo dubitato di accettare questa eorreiione.
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LUI
AVVERTIMENTO
AL DISCRETO LETTORE
che nella Stampa del Hesù segua alla Dedicatoria.^ •
'Altro non parerà che mancaMe ad onorare compitamente Cornelio Tacito
e le sue tradazioni che di stamparlo con Taccompaipatara del testo latino e
Tolgare insieme. E ciò non si poteva più acconciamente* fare né forse con altro
Tolgariczamento di quello del signor Davanzati : avendo egli avanzato ogn' altro
nella somiglianza dello stile e brevità di Tacito , onde ha meritato d'esser detto
piuttosto nn Tacito fiorentino che un semplice volgarizzatore. Perchè dalla vi-
veza del suo dire si può cavar ammaestramento e diletto, oltre alla cognirioii
della storia y lasciando per ora al giudizio degF intendenti se egli abbia in alcnn
luogo j se non superato (e ciò sia detto con ogni modestia) almeno aggna^afo
lo stesso Tacito. — Quanto al testo latino, per lo più' si è adoperato queìio
del signor Curzio Picchena, * benché il Davanzati in alcuni luoghi abbia segnilo
il Lipsio 0 altre varie lezioni che più allora gli parvero acconcie. <•» Fece il
medesimo Davanzati alcune postille .dotte e curiose a* primi sei libri, le qnaU
si son poste nel fine. I numeri in margine al testo volgare V additano ; ' e i na>
meri al testo latino mostrano le note del signor Picchena, le quali trovandosi
anche stalnpate separatamente dall'opera, per ora si sono tralasciate. ••— Se nel-
r esplicazione de' concetti si trovasse, com' avviene, qualche difetto (il che però
non si crede), sappia il lettore benevolo che il signor Davanzati, sopraTenendoB
la morte, non la potò rivedere, e noi fedelmente ve la diamo, come V abbiam
ricevuta,^ lasciando campo a chi volesse pigliar pensiero di più accuratamente
illustrarla. — Gli errori di stampa^ notati nell'ultimo preghiamo il lettore a
corregger avanti, per non esser costretto ad interromper la lettura e pigliare il
senso a rovescio, senza colpa dell'autore.
I Abbiamo stimato non inutile riprodorre questo ÀTTertimento, perchi n salano le care
(sebbene infelici) usate dagli Accademia della Crasca nella edizione prìndpe dell^ intero yolfa-
rizzamento, citata anche nel Vocabolario.
S La correzione a poma dice comodamente. Y. la nota I alla Dedicatoria.
S per lo più: è aggiunto a penna dal correttore.
4 Non so che giudizio fosse questo di scegliere il testo del Picchena, mentre il Davantati
tradusse su quello deMLipsio.
5 Così pure nelle due stampe del tfaresootti 4596, e del GinnU 4600, carata dal Davan-
zati stesso.
6 Perchè non dird se cavarono la loro edùtione da Mss. originali o da copie: e percbi ne*
primi sei libri non si curarono delle stampe precedenti?
7 II Volpi si tolse la pazienza di contarne fino a 700. Peccalo, che la cura di metterà in
mostra gli errori altrui lo facesse badar poco a' propri!
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Lxni
DBDIGATORU DELL' EDIZIONB GOIIINUNÀ.
ALU FAMOSISSIMA ACCADEMIA DELLA CRUSCA
SIGHORA B MASSTBA OIL BIL PARLAB TOSCAHO
GIOVANNI ANTONIO VOLPI. '
Bimardo Dwraiuli, MrilloM di mdto nMÌto e grido, Ma tmm • voi , di>
fBÌssimo aràooqsolo, lìobilMMinì «eeodonici, e vi pretonia U tuo TolgoriiMmonlo
di Tacito, eolU mio dilifawa e dal fratal mio,* ridotto (tieoon'io apero), por
quanto oi la poaaibila, in qnaato novèlla adìriooo, a quél fino ripolimanto , dio
V antoro potè per awantoro dagl' impraaaori aogurarai. Qvasf opera, ano da' o»>
pitali pia acalti dal voatro doviiioao Voaabelario, ai giaceva, par ecaì diro, aff»-
gaU nelle apine e ne' bronchi di vergognoai errori di atampa: e per Pardimeiito
di coloro che, offcai de ignoreaia, ai arriacUano e maneggiare ean lorde mam
l'ero e le gamme de'bnoni libri, amontove amai di ocAera : tanta era la palvere,
aosi la ruggine che raso vi ai appiastrava. Longo ed increacevol aarebbe rieai^
tarvi minatamente le fatica e U noia per noi aolferta in aacohiare l'erbe noeive,
rinettando il iertil caiqpo mal eoltivato, e in reatitoire al vero ano lastre l'a^
baeinato gioiello: quanto perimento ai aia convenuto agnnar le ciglia per to-
glierne via ogni macchia, procedendo a rilento e oon attenta cireoapaBione, e
guian di viandante che per pecM aeapetto e piano d'inaidieeemmini. Voi da voi
stesai, accorti ed esperti che sieto, e della dilifenaa amatori, acnse eh' io spenda
in didiiararlovi moke perole, ottimamente già l'intandeto. 6e il oamnne degli
4 UV«l9Ì,p«r4Bastem»Uv«n,ri4kT«ffuMBteli«iipoplkMto«lMB(mgliilcoiivi«a«:
perch' egli in fondo n<m fece che pigliare il oopioàssime emuacorrige, poeto del Neeti in celco
déDe sue edizione, e togliere, eoe esso alla mano, gli errori di stampa, e non tatti, e aggiongeme
•aeeÀ de^ impriy Mew ^«mì per petit Mole por MoUtg numtttkam per numglmnt rùMdtan per r^
dire e più altri, che mutano affatto 'ù senso, e die si sono perpetuati in tutte le posteriori edi-
doni. Del retto, qoeslo Inrigne letterate fti molto benemerito a' buoni studi, per le sue belle e
eomtte ediMni dielueiailntiai e italinnl, «adte dalU edebn stamperia padovana di fiiaseppe
Cornino, e pe'saoi eleganti versi latini. Nacque in Padova nel t68d, e morì nei t7M.
a Questi è Gaetano Volpi (n. 1689, m. 4761) sacerdote di molta dottrina e di rara pietà, che
aasieU U fratello neUa Upog rala eeaniniann e pdbbUe6 egngle opere aseetielie. Ebbe anebe altri
due fratelli letterati, che ftiraio Giuseppe Rocco, (n. 4690, m. 4746) gesuita, che scrisse con molta
lode di antichità ecdesiatticbe } e Giunbatiste, nato nel 4687, dw fti medico e pmAssoiuJi ana-
tomia in Padova.
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LXIV DEDIQATOaiÀ DBLL' EDIZIONE COHINUNA.
eradifi sia per saperci grado di ciò che a lor Tantaggio imprendemmo, io aon
posso bene accertanni : la maleyolenKa, la gannii^, la sTO(^iatezza, la schifiltà
e delicatezza soTcrchia, la dirersità finalmente e straTaganza delle opinioni, ym
ordinari degli nomini, presti a sfatare V altrui cose anche di maggior prezzo, mi
lasciano in dubbio della buona riuscita. Panni bensì di poter viver sicuro che
l'industria nostra a voi, accademici virtuosissimi, cara giunga ed accettevole;
tanto promettendomi quella bontà, con cui vi degnaste già d' approvare ciò che
per noi si fece in altri libri di lingua , de' quali , a grand' onore e contento no-
stro, voleste far uso nell' ultima impressione del vostro insigne vocabolario. E
questo favore da voi prestatoci benignamente, avrà twm di' consolarci e di so-
stenere il nostro coraggio, quando anche avvenisse che mi popolo intero di de-
trattori si sollevasse contro di noi ; conciossiachè mille censure e sofisterìe non va-
gliono r approvamento e la sola buona grazia vostra. L' egregia dttà di Fiorenza,
oltre ad ogni altra italica bellissima, al dire del Boccaccio, madre in ogni tempo
feconda di rari ingegni, che ad alto grado di gloria con immortali scritti la su-
blimarono, nutrice amorevole d'ogni bdl'arte, ricovero ed asilo di celebri lei*
terati fug^aschi per fortunosi accidenti dalle lor patrie ; fu sempre ed è tuttavìa
lo scopo dell'invidia d'altre nazioni, che bieco la guardano , e malvolentieri le
consentono il primato della pura toscana favella. I rossi loro parlari, poveri di
vive espressioni, sdpiti per lo piò e languidi, nulla hanno che si fare col nerbo,
coli' efficacia, colla gentilezza ed abbondanza del vostro: quinci l' astio da' fo-
restieri scrittori che bene spesso non volendo o sapendo sceverar l'oro dalla
mondiglia, e ricusando di sottoporsi alle strette regole de' migliori, mettonsi a
biasimare ciò che disperano di conseguire. Io vo pensando essere appunto questa
una d^e prindpalì cagioni ,'per le quali il Davanzati non viene da tatti egual-
mente lodato* La sua traduzione, eccellente, per quello che a me ne paia, e ma-
ravigliosa, non può così di leggieri essere imitata : imperciocché, quel mai ci
vive oggidì, che oltre all'intendere profondamente l'autore che si volgarizza,
possa accoppiare tanta brevità con sì fatta chiaresz»? Che quanto alle oHeiiom
che gli si fecero eziandio da scienziati uomini ed autorevoli, sembrami ch'egli
bastevolmente se ne schermisse nelle sue dotte postille, e che molte àncora ne
prevenisse e sodamente disciogliesse. Io però non temo d'essermi ingannato
nella scelta, e d'aver faticato intorno ad autor dozzinale, che il travaglio non
sia per pagare e la spesa ; e mi do a credere che del medesimo sentimento
ancora voi sarete, accademici nobilissimi, all'adunanza de' quali ho ancor io
la rara fortuna d'essere ascritto. Prego intonto colla dovuto sommessione cia-
scun ^ voi ad accettare con lieto fronte e cortese animo questo libro, ch'io
vi consacro in testimonio di quella stima e riconoscenza che giustamento vi
professo, desiderandovi dal cielo ogni compiuta felicità.
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LXV
RISPOSTA DELL'ACCADEMIA DELLA CRUSCA
AlPilhuiriti. 9ig, tig. padr. eoi. il tig. Gio. Ànt, Volpi
profetiore di Mkre umane nello ttudto di Padova,
lUostrìssimo rig. si;, padron eolendissimo.
L'umanissima lettera di Y. S. illastrissìma, segnata ne^ 29 di settembre
mi è perrenota in tempo che P Accademia della Gmsca era chiusa per cagione
delle eonsnete antumali yacanze, onde non è stato paranco possibile il presen-
tare in piena adonanxa della medesima la bellissima e diligentissima ristampa
del yolgaiixzamento di Cornelio Tacito di Bernardo Davanzati , che alla sua
generosa bontà è piaciuto non solo di trasmetterle in dono, ma ancora di ono-
rarla della dedicazione. Ayendola peraltro data a osservare all' arciconsolo ed
a Tari altri accademici, che sì ritrovano in città, posso assicurare V. S. illn-
strìasima, che è piaciuta l<Hro sommamente, onde io ne presa^sco un compiuto
ed universale gradimento di tutta P Accademia. Perocchò ^[uesta ò stata sem-
pre di sentimento, che il Davanzati colla sua robusta é sugosa maniera di
scrivere nel toscano idioma, che peraltro ò assai copioso, s' acquistasse un me-
rito particolare per aver saputo maravigliosamente accoppiare a una gran
brevità una singolare forza d' espressione. Ond' è che la stessa Accademia ha
sempre tenuto in molto pregio le scrittore 4el medesimo, e di gran forza e
autorità ha sempre riputati gli esempli da esse tratti e allegati nelle passate
compilazioni del nostro vocabolario: e Pietro Pietri, letterato di Danzica e
nostro illustre accademico, allorché nel passato secolo fece sua dimora in Fi-
renze, apparò la lingua toscana prìncipaUnente sopra questo volgarizzamento,
come riferisce nelle sue prose toscane il chiarissimo nostro innominato abate An-
tommarìa Salvìni. Or quando P Accademia tutta vedrà e saprà di possedere que-
sta celebre traduzione in sì adorna maniera ristampata, e mediante P inimitabile
accuratezza diV. S. illustrissima, purgata da' copiosi errori ond' erano sconcia-
mente guaste le passate impressioni, è da federe senza alcun fallo ch'ella sia
per provarne un sensibil piacere, vedendosi da sì illustre fatica posta in grado di
fame molto miglior uso in avvenire. Al qual piacere succederà infallibilmente
I Qaests lettera è tolU dall' opera, divenuta ornai rara, intitolata La libnria dt'Veifi. Pa-
dova, 4786, pnMO Ginaeppe Cornino ; a pag. 503.
r
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LXVI RISPOSTA dell' ACCADEMIA DELLA CRUSCA.
anche una particolar compiacenza della fortunata aggregazione al ano corpo, che
fino dalP anno scorso ella volle giustamente fare della degnissima persona di V . S.
illustrìssima, da cui le ò risultato sì fatto accrescimento di gloria e di decwo.
Mentre adunque per commissione dell' arciconsolo e degli altri accademici io
rendo a Y . S. illustrissima le più vive e distinte grazie d' un dono sì pregiato,
prendo anche V opportunità di rammentarle in particolare la mia devota e n-
TOrente servitù , e con rispettoso osBetpìo mi protesto
Di y. S. illustrissima
Firenze, 5 ottobre 4755.
Devotissimo servo
Bosso Antonio Mìrtini detto il Rijmrgato,
TÌoea«gretario dell' Aocademia della Cmaca.
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txrii
PREFAZIONE DELLA STAMPA COMINIANA.
Lo Scisma d' loghilterra e le altre operette di Bernardo Daranzati , fatte
da noi ristampare due volte in questa Gominiaaa piacquero in sì fatto modo
agli amatori della toscana favella , che veggendole bene accolte ed mÙTersal-
mente approvate , non potemmo resistere ai frequenti conforti degli amici che
ci esortavano a pubblicar di bel nuovo anche il volgarizzamento di Tacito,
fatica illustre del medesimo autor fiorentino. Per accignerci alla non molto
agevole impresa , bbognava trovare V edizion di Firenze in foglio , dell' anno
4657 , appresso Pier Nesti, che fa la prima intiera, e coli' originale Ialino al
fianco. Era questa già divenuta assai rara e di costo ; onde per averla siamo
ricorsi al signor Guglielmo Gamposanpiero , cavalier padovano, accademico
della Crusca, il quale altrettanto cortese e condiscendente alle oneste do-
mande , quanto nobile e letterato , coli' usata sua benignità verso di noi , la
trasse dall' ampia sua raccolta, anzi tesoro, di libri allegati nel vocabolario,
e ci permise d' osarla e confrontarla a nostro grand' agio. Avutala , osser-
vammo subito , non senza stupore , in fondo al volume , annoverati e corretti
intomo a settecento errori di stampa ; e dopo un sì lungo catalogo una con-
fessione sincera , e una richiesta di scusa per molti altri difetti avvenuti nello
stampare. Enorme fu la fatica di emendare tutti questi falli ai lor luoghi,
affinchè in questa novella impressione non iscappassero di bel nuovo. La qua!
diligenza fu trascurata da coloro che soprantesero alle precedenti ristampe:
nelle quali anzi, per giunta alla derrata, si truova accresciuto a dismisura il
numero degli errori. Ci convenne andie ben osservare di non correggere cie-
camente ogni cosa a norma del mentovato catalogo; poiché non di rado la
stessa emendazione è un fallo ; ordinandosi , a cagion d' esempio , di guastare
il testo , che prima era immacolato e noi\ doveva mutarsi in conto veruno. '
Credesi comunemente, essere molto esatti quo' libri, nel fine de' quali vien
posto l'errala corrige: ma ciò si dee intendere d' un picciol novero di difetti,
' Gò accadde pia -volte anche allo stesso Volpi, guastando dove il Nesti diceva benissimo.
lafatli ulto Storto lib. IH, 31, gvasta fondi in folti (redi la nota a qvesto luogo): nell'istesso lib.
e 29, intnmata in intonata (vedi U nota): nd lib. IV, 2. aggiunge on ma die sciapa ogni cosa
(vedi la nota): nell'istesso lib. e. 5 (pag. 364 edix. fior. t. 42.) il Nesti ha nn fallo di stampa dedi-
dieaao die corregge nell' errata in dedicano. 11 Volpi nel Soffio corregge dedicano in dicono che
guasta ogni cosa, e se ne fa beilo; mentre pw nel testo pone la correcMne M Nesti. Nella po-
stilla 49 del lib. 1 il Nesti stampò spicciare e nell'emita corresse spiccicare: ed anche qni il Volpi
prese la oorrctione j^r fatto e ne fece romore, rimettondo spicciare. E quel che è più strano, la
Cmsoa fece un paragrafo a posta per dar luogo al granchio del Volpi. Vedi U neta a qoette Imco.
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LXTIIK PREFAZIONE DELLA STAMPA COMINIANA.
non già d' ano smoderato. Ma che poi dirassi , ^ando per noi si affenni ,
senza dipartirci ponto dal fero, che que* settecento abbagli sopraccennati,
sono una scarsa porzione, e forse la meno importante, d'altri ionomerabili
della fiorentina edizione , nel testo latino principalmente , cbe aremmo la gran
flemma di collazionare colla molto accurata di Mattia Berneggerò? Nò g^à si
trattava dì lezioni varie , nò d' opinioni opposte d' nomini dotti , ma di errori
palpabili e grossolani. Dimodochò, dopo V impressione di parecchi fogli, ci parve
bene alquanti raccoglierne e mettergli sotto gli occhi vostri , leggitori discreti,
come tin breve saggio d' altri moltissimi che difformano e ricuoprono , per
così dire , di brutta lebbra V edizione del Nesti , sparata , male impressa , e
in coi s' incontrano da chi legge con attenzione , tutte le mancanze immagina-
bili degli stampatori più negligenti. Gran compassione , a dir vero , che nn' opera
così famosa , degna di rispetto e di maraviglia , e fatta oggimai superiore alle
contraddizioni , alle crìtiche e alP invidia , sia uscita la prima volta così mal-
concia I Se V avesse rìserbata il destino agli odierni torchi della inclita città di
Fiorenza , soverchia per avventura sarebbe l' industria nostra ; molto puliti e
perfetti riuscendo a' dì nostri , quanto alla correzione , i libri che quivi s' im-
primono. Tralasceremo di fare molte parole delle orribili ristampe di questo
volgarizzamento , una copia delle quali , cioò della veneta di Francesco Storti
del 4658 in quarto, n ò adoprata e stracciata nelP officina del Cornino; es-
sendo noi pertanto stati costretti ad inghiottire U tedio , e sostener la molestia
di ripurgare questo veramente $tabulwn ÀugÌM. Troverete la puntatura mi-
gliorata in luoghi senza numero; la qual diligenza awegnachò (siccome awer-
tisce il Salvini nelle sue prose toscane) iembri a prima frùnte gretta e mi-
nuta faccenda , si ò nondimeno V anima da' buoni libri , agevolandone a chi
legge V inteUigenza , levando le dubbiezze , e dimostrando nel tempo stesso
la cognirione di chi presiede alla stampa. In quelle parole che sogliono scri-
versi con due z , una sola ne abbiamo posta , uniformandoci al costume e al-
l' opinione del Davanzati , espressa in una sua Nota ; il che però non abbiamo
seguito ne' primi fogli , non essendoci da principio accorti di tal singolarità ,
la quale nò meno nelP edizion fiorentina fu sempre in tutto rigore osservata.
ÀguttOj non Àugutto, si leggerà costantemente in questa nostra. In qualche
altro vocabolo abbiamo voluto secondare l' instabilità dell' ortografia ; cosa le-
cita e praticata. Ci siamo valuti del carattere corsivo in alcuni luoghi oscuri
che mal s' intendono , o che stimiamo dover esser suppliti ; poscia che il Da-
vanzati non diede , come apparisce , a questa sua beli' opera l' ultima mano.
Che se una vita più lunga , o una maggiore abbondanza d' ozio letterario gTi
somministrava 1' agio di rivederla e ritoccarla , egli ò credibile che 1' avrebbe
davvantaggio limata , emendata e migliorata in più d' un luogo. Abbiamo ag-
giunti , dove bisogno il richiedeva , numeri nel margine , e postille in fondo
alle facciate. Anzi per comodo e sodisf azione di chi niane^a il vocabolario
della Crusca , non abbiam tralasciato di far imprimere in carattere alqaanto
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PREFAZIONE DELLA STAMPA GOMDfUNA. LXIX
'più grosso il nmiiero delie ptgine dell' odinoli fiorentina ; eneado faette ap-
ponto le additate da' eompilatorì del prefato Tocabolarìo. Abbiamo anche
tolte via le frequenti abbreviatore che disgnstayano V occhio da' leggitori , e
rìncciTano loro di molestia e d'inciampo : aT?ertendo che ogni Tocabolo da cni
potesse nascere oscorìtà fcoa stampato alla distesa. Dopo una tanta fatica da
noi sofferta yolentierì a pubblica utilità , ci sarà probabilmente chi voglia , s^
eondo il costome e P enestà corrente del secolo , rapircene e preoccuparcene
0 frutto, con falche preòpitcsa ristampa : perciò protestiamo fin da quesf ora ,
che non riconosceremo mei per nostra , se non la presente impressione del
Gemino da noi assistita ; tenendo e dichiarando questa sola sincera e legittima ;
per lo contrario, tutte Poltre che da qualunque luogo sbucassero, spurie,
selvatiche e scontraffatte. Arni promettiamo, in caso di ristampa, di esami-
narla e farla esaminare da|^i amici ooIF occhiale più severo e sottile, pubbli-
candone poi gli errori :
E questo sia saggél eh' ogni nomo sgumL
Omfessiamo mdladimeno che per colpa dell' umana fragilità , paò essere sfug^
gito am&e a noi, con tutta la nostra diligenza , più d' un errore : né siamo per
arrogerà mai stoltamente il vanto d' infallibili in questo genere. Penano bene
al fatto loro i compratori da' libri ; poiché le stampe cominiane hanno il privi-
legio d' una poco imitabile accuratezza che le rende singolari e da per tutto
ricercate. E cift vogKam che s' intenda non di qnesf opera sola, ma di tutte
P altre generalmente che fin ora uscirono da' torchi del nostro Cornino : ri-
stan^inle pure a lor posta i fastidiosi corruttori delle cose corrette. Se l'amor
proprio non ci fa travedere , noi ci lusinghiamo d' aver qualche merito ap-
presso la repubblica delle lettere per questa nuova pubblicazione del Tacito
del Davanzati , e ne proviamo diletto particolare ; iq>erando a un tempo che il
favor vostro e V approvarione, eruditi legatori e discreti , abbia a confermarci
in questo nostro godmiento e parere. Vivete felici.
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LXX
A MESSER BACCIO VALORI
SSNATOB riOBBNTUIO
CAVAintB B GiUBBCOatULTO
BERNARDO DAVANZATI BOSTIGHI
SALUTE. *
Della lìngua latina corrotta da' barbari, chiarissimo messer Baccio,
nacquero, come ognun sa, in diversi luoglii diverse lingue corrotte,
e dal volgo che quelle usava, dette volgari. Arrecandovisi poi ancora
i nobili, e scrivendo in esse e poetando, diedon loro regole e fonne
di lingue buone. La fiorentina fu alzata a tal perfezione da* suoi tre
lumi, che tutto '1 mondo se n' è invaghito; e chi a quelli, quasi alla
Venere d^Apelle, più s'assomiglia, più pregiato è. Nondimeno alcuni
non vogliono che V ottima lingua volgare sia né si dica fiorentina.
Lodato sia il cavalier Lionardo Salviati che fece, con quella novella
in più volgari, del più simile all'ottimo quella graziosa riprova.* La
quale m'ha fatto venir voglia di farne un' altra contro a un valentuo-
mo ' che corona e nùtria la sua lingua franzese sopra all' altre; mo-
strala conforme alla greca, e dàlie il vanto della brevità, e la nostra
dice lunga e languida e , come la cornacchia d' Esopo, abbellita delle
penne franzesi. Ma quelle greche conformitadi che egli annovera le
abbiamo anche noi quasi tutte, e molte altre lasciateci da' Greci che
la Cicilia, la Magnagrecia e altre parti d'Italia abitarono assai più
che Marsilìa : e le parole tra noi comuni vengono dalla comune ma-
dre e corruzione latina. Basterebbe adunque dire a lui come disse
Lucio di Valbona a messer Rinìeri da Galvoli: e Messere, per cortesia
acconciate i fatti vostri, ma non isconciate li altrui, e non dite male
delle belle donne che voi non conoscete. » Ma per mostrare coli' ef-
i Questa lettert fa dall' autore premessa al Tolgarinamento dd primo libro degU Annali,
stampato dal Harescotti in Firenze, 4596. L8ggesi anche nel secondo e più ampio saggio del-
l' istesso Tolgarizzamento, intitolato 1/ imperio di Tiberio Cesare «e. (Fir., Giunti, 4600) ; ma al
tutto rimutata nella locndone e nei pensieri e più concisa della metà. Gli editori sonost poi at-
tenuti sempre a questa, dimenticando la prima dettatura. Noi le diamo ambedue, s) perchè quella
prima è fatta ornai rara, e si ancora perchè non è sansa ntiUtk e diletto U vedere coma il Davan-
lati castigasse e sfrondasse seyeramente sé stesso.
S MoToUa IX deUa Giornata 1 del Decamerone TolgarisaU in direni volgari d' Italln. TaA
Tol. Ili delle Opere del Salyiati. HUano, 4810.
S Chi fosse costui è detto nel Discorso euUa viueU open del Mostro.
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A MESSER BACCIO VALORI. LXXI
fello e senza contese dove si posi quiesto Tanto della brevità, invitato
dal suo proverbio, Chaeun diifay bon droit, mais la veve dacouvre
le faiet;^ e dair avere egli messo in campo Cornelio Tacito il più
breve scrittore forse che sia , il quale io chiamo lìsìr della prudenza
civile; ho dettato con parole e proprietà fiorentine il primo libro
de' suoi Annali , e con tutti li nostri disavvantaggi delli articoli e d'al-
tro, toma scandagliato migliaia di lettere sessantatre; il latino, sessan-
totto; il franzese stampato in Lione, più di cento. Onde le cento parole
nostre vagliono e fruttano per centotto latine corneliane, e per cen-
sessanta franzesi: e parmi aver pareggiato Cornelio, se non di mae-
stà, di viveza; e superatolo di chiareza e purità: tanta è la possanza
e la destreza e l'eccellenza della favella fiorentina che vive, e nel mare
della natura sceglie , chi punto vi bada , voci e maniere operantissime
che ne' vocabolari e nelle conserve de' morti autori non si trovano
tutte o non le ripeseono i non naturali, lo cui volgare per lo più,
quantunque regolato e ornato, quasi vino limosinato a uscio a uscio,
non pare che brilli nò frisi come il rìoolto in su 1 suo, e, quasi ar-
bore che non abbia il fittone, non sia rigoglioso! Vedetelo in quel
Muzio che da Capodistria venne a insegnarci favellare, e le proprietà
nostre bello, dicendole fiorentinarfe, con giodicio e vocal>olo goffo e
suo. Volgarisare tutto Tacito non pare che occorra , avendol fatto
Giorgio Dati con ampio stile e facile, credo per allargare e addolcire
il testo sì stringato e brusco; e puossi da questo saggio conoscere,
eome dall'unghia il lione, la flereza del nostro volgare, degna d' es-
sere adoperata con più gloria e libertà che non cape questa poca e
semplice dettatura, soggetta a ir dietro alla latina come servente a
passi non suoi, e ritenente i più de' nomi antichi, per non confon-
dere gl'intendimenti delle cose variate o perdute, con questi mo-
derni che non bene rispondono. Senza che a quelli, antichi i leggenti
s'ansano e fannoli nostri, e n'arricchisce la lingua: ma saranno a
dietro posti con alcune postille al testo.* Vi mando e dono questa
scrittura con desiderio che quando voi sete meno occupato Tandiate
un poco considerando e dicendomi il parer vostro, il quale io stimo
per centomila ; e date la colpa alla vostra naturai cortesia e all' aìTe-
zSone che voi portate a questa lingua , e alla nostra grande amicizia,
se la briga è troppa , e all' odio eh' io porto a' moderni empiei titoli,
se io vi paressi in questa lettera , come forse nel resto, troppo ama-
dore dell' antica sempliciUl. State sano.
Di Firenze, il dì 15 di settembre 1595.
I Ciascun dice i' d ho bnoo dritto, ma la vista scopre il fatto. Corrispondente al nostro:
AUa prova si scortica I' asino.
^ Vedili in fine del volarne.
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LXTII
LA MIDB91HA tlTTlBA
A MESSER BAGCIO VALORI
COXrOJU» SI LBGGB HKI.I.' KDIZIOKI FIOBBHTUIB PSL OlOSTI S DU HB5TI
1 NELLA PAOOVAIIA DSL COMUIO.
Della lingua corrotta da' bari>aTì, cUarissiiiio messer Bacdo» na-
cquero come ognun sa, in diversi luoghi diverse lingue corrotte, e
dal volgo cke le usava, dette volgari. Scrivendo poi e poetando in
esse ancora i nobili, diedon loro regole e forme di lingue buone. La
fiorentina fu alzata da' suoi tre lumi a tanta perfezione che tutto 1
mondo s'è volto ad imitarli ; e chi a quelli , quasi alla Venere d'Apelle,
più s'assomiglia, più pregiato è. Nondimeno alcuni non vogliono che
l'ottima lingua volgare sia né si nomini fiorentina. Lodato sia il ca-
valier Lionardo Salvìati, che con quella novella in più volgari léce
del più vicino all'ottimo quella graziosa ripruova. La quale me n' ha
fatto fare un' altra a un valent'uomo che corona e mitria la sua lin-
gua franzese sopr' all' altre: la fa venire dalla greca: dàlie il vanto
della brevità; e la nostra dice lunga e languida, e quasi cornacchia
d' Esopo, vestita delle penne franzesi. Ma de' grecismi eh' egli anno-
vera, ne abbiamo noi più, lasciatici da' Greci che la Cicilia, laMa-
gnagrecia e altre parti d' Italia abitarono più che Marsilia. Le parote
comuni tra noi vengono dalla comune madre, che fu la comniooe
hlina. Basterebbe adunque dirgli come Licio ^ di Valbona a messer
Rinieri da Galvoli : e Messer, per cortesia, fate i fatti vostri, ma non
isconciate li altrui ; lodate la lingua vostra, ma non ischernite ìa no-
stra.'» Ma per chiarire col Catto la brevità, ho messo la lingua fio-
rentina a correre a pruova con la latina e con la franzese al dono della
brevità in questo aringo del primo libro di Cornelio Tacito ch'io vi
mando. E con tatti i disavvantaggi degli articoli e vicecasi e vice-
tempi che ci convengono replicare a ogni poco, truovo più scrittura
nel latino da otto per centinaio, e nel franzese stampalo in Parigi
I Questo noma Tuia nelle diverte edizioni, leggendosi or» Lieto, ora listo» ora Ludo.
S Queste parole sono sconciamente mntUe e sensa senso nell' edixionc del Nesti ; né U Volpi
so ne accorse, come non se ne accorsero gli editori venati dipoi. Michele Colombo fa il primo a
notar lo svarione } poi il Gamba. Vedi Serie de'tetti m. pag. 'iSS. Venexia, 4839.
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À HBSSBR BACCIO VALORI. LXXIII
Del 1584 oltre a sessanta. NiuQO concetto ho lasciato. Dalle parole e
frasi latine mi son partito^dove le nostre esprìmevano meglio ; avendo
ogni lingua sue proprie virtù. Da questo saggio potrà conoscersi,
come dall' unghia il lione , questa brevità del nostro parlare : e non oc-
corre passar più avanti , avendo Giorgio Dati volgarizzato tutto Tacito
con ampio stile e largo, convenevole al suo Gne di farlo chiarissimo.
Ritengo molti vocaboli antichi di cose oggi perdute o variate, a cui
non bene rispondono i moderni. Oltre a ciò avvezandoci alli antichi, li
tacciamo nostri; n'arricchisce la lingua; e non mancano geografi,
nomenclatori e vocabolari che li dichiarano. Scrivendo, mi son ve-
nute fatte certe postille al testo per quello correggere, dichiarare o
confrontare : poco in vero necessarie , mercè de' comentarì del Li-
psio ; grande ingegno , e lume di lettere alla nostra età. Quando voi
siate meno occupato , piacciavi , per amor mio e della nostra grande
amicizia, considerare un poco tutta questa scrittura,e dirmene il parer
vostro, il quale io stimo per centomila. State sano.
9
Digitized by VjOOQIC
LlXiV
AL MEDESIMO.
Dioono che I>eniostene copiò Tucidide nove volte per inirasani
nella mente quella sua brevità. Io nella mia giovaneia per agevolarmi
Cornelio Tacito, n' espressi alcuni libri in lingua propria per proprio
uso, senz' altro studio che della chiareza. Vedendo poi da quel Fran-
zese schernita la nostra lingua, raffinai alquanto quel primo libro
mandatovi, per mostrare quanto egli errava intomo alla nostra bre-
vità. La quale intendo che da sì poca scrittura d' un libro solo, che
può essere uno sforzo, non vien provata; e che quel libro troppo fio-
rentinamente favella. Rimandolo dunque accompagnato dalli altri li-
bri che narrano il principato di Tiberio (forse i più utili per lo gran
sapere di quel principe), e tutti sono, come vedete, 160 facce di que-
sta stampa' fatta fare scientemente di 39 versi di 55 lettere, per
faccia, come è quella del Piantino del 1581 , della quale i medesimi
libri latini sono facce 178: a fine che a veggente occhio si chiarisca
lo schernidore, che questi fiorentini libri ne' latini largheggiano come
il nove nel dieci ; e ne'franzesi,che sarieno facce di stampa simile 266,
passeggiano come nel quindici.* Non dia ombra che quel primo foglio
latino abbia le facce d' un verso meno, e quest'ultimo volgare d'un
più; perchè questi piccoli errori non fanno diversità. La fiorentinità
non ho voluto lasciare; per &re Quest'altra pruova, se allo scrìvere,
che è pensato parlare , si può i dovuti artiQcii aggiungnere, senza ta-
gliare i nerbi alla lingua, che sono le proprietà, come a me pare che
noi facciamo scrivendo non in lìngua nostra propria e viva, ma in
quella comune italiana che non si favella , ma s' impara come le lin-
gue morte in tre scrittori fiorentini, che non hanno potuto dire ogni
i Intende delle stampa fiorentina del Giunti, 4600.
S Nel manoscritto Hagliabeehiano dell' Imperio di Tiberio Cesare tvera U DavamaU
notato qoesto oose medesime in on aTrertimento agli stampatori (poi eaneeOato) con ^Mste
parole : Qualunque Manperà questi cinque libri (son sei; perchè del VI e dei frammenti del V fti
tntt' un libro, come si Tede nelle antiche edixioni di Tacito) voltari, li metta eomm qui mmo te
■160 facce, ogni faccia S9 veni di 43 lettere, ratguagliate Puma, o aUrmumie le aeeomodi,
pwrdùs bi daseheduna siano 475S lettere, quante sono nelle facce del Tadto latino etampato
M 8° te Jnversa dai Piantino nel -ISSf {se non die quelle prime W sol» seno di 32 uersi, e
queste ultime 7 w^iori seno di 40 per errori^: a fine éke subitamente t^^^arisea quanto questi ed-
gart siane piit brevi de' latini, non che de* frantesi. Poi in margine corregge: A fine che essendo
i latini 478 facce, e i frantesi uOculati 254 simUi, apparisca c/ke i nostri entrano ne* latini cerne
U^neHOfC ne' frantesi come nel quindici.
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À 1IE99BR BACCIO YALORI. LXX?
cosa; e ciocché in quelli non è, o disusato è» rifiutandosi, ella si
rimane molto poterà e meno eiìlcace e pronta di questa cbe tolgair-
mente si favella in Firenze. É vero cbe in quella italiana molti (prandi
hanno scritto mirabilmente; ma essi avrebber superato se stessi', se
avessero scrìtto in questa fiorentina come quei tre: ne' quali, né
ne' Greci e Latini non si vede tanta 4>aura della basseza: che non è
altro che un poco di stumia che genera la proprietà, che quando è
spiritosa, quasi vino generoso, la rode. Dal signore dell'altissimo-
canto hanno tratto gli accademici della Crusca più lingua pretta fio-
rentina che da tutti gli altri. Non si parli del Boccaccio novellatore:
il Petrarca sì terso e grate n' è pieno : favola del popolo.-^ % miei
guai — restìo — le%o — ha colmo il sacco si che scoppia — al%are, e
rompere le coma — mostrare à dito — raddoppiar l'or%o a' corsieri —
awinchiarsi colle code — queta queta — a mano a mano — pian piano
— passo passo — spennacchiar V ali ad Amore — cameretta — Uttio-
duolo — filare la vecchierella — ben sai — cittadin di boschi — mia
salute era ita — mutar verso — meno non ne voglio una — fuggir più
che di galoppo — lo fa stare a segno — si fa tanto romore — menar la
spada a cerchio — saldare le nostre ragioni — ramingo — in man dt
cani — vanno trescando — quella tresca — interi e saldi — raccoman-
dami al tuo figliuolo — e mill' altri idiotismi pur vi sono, ma saputi
collocare; hoc opus! e non bandirli delle scritture. Omnia verba suis
lods optima; etidm sordida dicuntur proprie, dice Quintiliano ; e vuole
che per le lingue arricchire si piglino delli ardiri. Io adunque per
zelo della mia lingua, vedendo quanta riccheza e gloria noi le ac-
cresceremmo , se scrivessimo molte proprìetadi che noi favelliamo, e
perdiamole per non le scrivere: e molte leggiadrìe antiche perdute
ricoverassimo ; ho ardito non contrastare air uso , signor delle lingue,
ma proporgli in questi libri, che ne voglia ricevere alcune, come
Orazio dice ch*ei suole. Elle non saranno molte; niuno forzeranno
ad usarle: avrei saputo e potuto far senza: nulla è più agevole che
scambiarle a voci e maniere comunali : a molti forse non Ga discaro
vederle messe in questo quasi diposito , tanto che si chiarìsca la causa
loro: una particella del parlar nostro che i detti accademici notano
senza esempio avrò messo in opera, e forse in esempio: e l'aver
fiatto della mia carissima lingua quest' altra pruova, benché non rie-
sca, che nocerà? se niuno si fosse attentato di scriver que' ruvidi
carmi, e quelle prose materiali antichissime, questa lingua or dove
sarebbe? ella nacque roza: il tempo che addimestica ogni cosa, l' ha
fatta gentile : e chi sa che molte di queste odierne basseze un di non
siano stelle? Finalmente io crederei che come gli Eoliani , gì' lonii, ì
Dorìesi e i comuni Greci non biasimavano gli Ateniesi de' loro atti-
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tXXn A 1IE9SBR BACCIO YALOBI.
cismi, COSA non dovessono i forestieri appuntar nd de* nostri fioren-
tinismi: informarsene più tosto da' Fiorentini in loro contrade» non
volendo per ciò yenire a FirenEe come il Bembo, l'Ariosto , il Casti-
glione, il Caro, nuovamente il Ghiabrera, e con occasione onoratali
Guarino e altri, di questa inclita patria (fondamento della volgar lin-
gua) illnstri celebn^ori , contrai! al Tassino^' che si sbracciò per av-
vilirla. Ma il caso suo merita compassione.
EI1« 8' è glorioM, e db noD ode.
State sano.
Di Firenze, il dì 90 di maggio, i!(99.
I Taubio. Omì l' c^oM del Giunti, rìTedatt del trednttore, e quelle del NertL O Volpi
nellA Cominiene eonegge Trtuino. De prime dobitei ebe le oorredone fone e sproporito , e
ebe il nostro eTeue Tolnto toocere il Tesso , che epponto, per distingnerlo del pedre, fii
cliiemeto pel dinainntiTo. Me poi non trovendo che U Tesso si sbrecciesse per eTvillN le Un-
goe florentine, e vedendo die il Trissino ebbe per qoesto coito forti bettibcedd co' Fiorenti-
ni, ho dorato credere gioste le oonresione} sebbene, per rispetto elU Giontiae, non abbia oeate
metterle nd testo.
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LtXVIl
AGLI ACCADEMICI ALTERATI
BERNARDO DAVANZATI.
Lo scriver semplice, proprio e naturale, quasi come si favella,
m'è sempre piaciuto ; parendomi cii'egli esprima il concetto più breve
e vivo e chiaro che il compilato con molt' arte. Ma perchè questo
limato secolo, e la maestà della storia romana pare che vogliano alto
stile, io vi mando , giudiziosissimi accademici , il mio Cornelio Tacito
fiorentino, perchè voi, dove m'avesse traportato T amore, lo cor-
reggiate; che lo potete ben fere. Toma più breve del latino, non
perchè quella lingua non sia, per gli articoli ed altro , più breve della
greca e della comune volgare; ma ' perchè la fiorentina propria che
si favella è ricca di partiti, voci e modi spiritosi d' abbreviare, che
quasi tragetti di strade o scorci di pittura, esprìmono accennando:
de' quali ce ne troverrete di molti. Riesce anche a'miei Fiorentini,
per i quali ho preso questa fatica , più chiaro, per le usate proprietà
naturali: e a me è stato più agevole il distendere, e molto piacevole
il far vive alcune di esse proprietà, che si perdono per non essere
chi le ardisca scrivere, per paura della basseza. Intorno alla quale
m' occorre dire che ogni città si piglia le proprietà sue, or una or
altra, secondo che vengon dette dagl' ingegnosi : la plebe subito le
raccoglie, e se la nobiltà le riceve, passano in uso, e non son più
plebee , ma proprie di quella città , e degne d' entrare nella regia delle
scritture nobili, come nelle camere de* gran signori i gran ministri,
benché nati vili; perchè la virtù gli ha fatti nobilissimi. Laonde una
città può bene (poiché natura vuole che ogn'una parli a suo modo)
rifiutar le proprietà d'un' altra, benché vicina; ma se ella le bia-
simasse, sarebbe come se V Affncano e Y Etiope con V Inghilese o
Frauzese gareggiassero di lor carnagioni fatte dalla natura necessa-
riamente diverse. Non sono adunque basseze le proprietà da' nobili
e dall' uso approvate , ma forze e nervi : né Omero e Dante le sebi-
fxao ne' lor poemi altissimi , ne' luoghi ove operano gagliardamente.
i Non ho dnbiUto d' aggiungere questo ma, sdìbcne nelle steope non «i trovi, perAè mi-
s^ eiao la stntaesi non oorat.
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LXXVni AGLI ACCADEMICI DEGLI ALTEBATI
A' luoghi dunque bisogna aver gli occhi : così ebbe Donatello nel fa-
moso Zuccone del nostro campanile del Duomo, nel fargli gli occhi : '
che di lassù paion cavati colla vanga: che se gli scolpiva, di terra la
figura parrebbe cieca: perchè la lontananza si mangia la diligenza.
E una sprezatura magnanima avviva il concetto, e non r abbassa , ri-
traendo, per esempio, una grand' ira, disonestà, sedizione, o furia
con parole non misurate ma versate. Né anche ki rusticheza de'bozi
ne'gran palagi scema, anzi accresce la maestà. Considero ancora, che,
se il volgar fiorentino già era sì basso e vile , che Dante si scusa tanto
del dare nel suo Convivio del pan d'orzo; il Boccaccio dice, per
fuggire invidia, s se ne va per le profondissime valli, e scrive Novelle
in volgar fiorentino e stile umilissimo e rimesso quanto più si può; e
nondimeno i loro scrìtti, e del Petrarca, pìacquer sì, che ogn' uno è
corso a volergli imitare; perchè debbo io scagliar via ogni speranza
che de' presenti fiorentinismi, nati sotto il medesimo cielo, non ve
n'abbia alcuni degni delle buone scritture; quantunque non si tro-
vassero in quei tre, per non esser loro occorsi, o allora non nati?
non essendo impossibile che una lingua vivente non trovi delle cose
buone come l'antiche. Ogni novità nel principio par dura, è vero:
ma poi chi vi s'ausa, scuopre la sua virtù e l'abbraccia. Odo che
fuor di qui n'apparisce qualche segno: e voi udiste dire da persona
gravissima, nobilissima e piena di bontà e scienze umane e divine,
che < lo ho ricolte tra le frambole d'Amo le gioie del parìar fioren-
tino, e legatele noli' oro di Tàcito. » Come io non ho lasciato alcun
concetto, così non ho giurato l'osservanza delle parole; ma detto il
medesimo con le mie, quando è tornato meglio per la diversità delle
lingue. Ritengo i nomi antichi de' luoghi e termini , quando non ben
rispondono 1 moderni; rimettendomi all'Ortelio, al Giunio e altri che
li dichiarano. Sarannoci poche postille nuove, perchè io da prima
non le notai. Que' concetti se ne son volati , e vorrebbed il felcone
della gioventù a ripigliarli. Quando lascio il testo ordinario , piglio
delle correzioni di più valentissimi uomini quella cbe per ora mi piace
più; e, non che difettarne nessuna, celebro quel vago motto d'Ari-
stofane nelle Rane :
le fonitie son um
ProTerbiani , e non I« sacre Muse.
4 È la stata» del re David , calva, però detta da Ini il Znccone. « La quale (dice il Va>
» sari) per essere tenaU cosa rarissima e bella qaanto nessuna che facesse mai, soleva Donato,
» quando voleva giurare sì che si gli credesse, dire: Alla fé' ch> io porto al mio Znccone: e,
» mentre che lo lavorava, guardandolo, tuttavia gli diceva: favella, favella, che ti venga il ca-
» eas«ngue! »
5 ptr fuggire invidia. U postillatore dell' esemplare Nestiano di Gino Capponi corregge
« che per fuggire invidia. »
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LXXIX
STIRPE D' AGUSTO E DI LIVIA
DA BBBIVABDQ DA¥ANSATI.
Af tniTiMBiiTO. — Le citazioni che V Autore pone in yarì Inoglii di qnetta
descrizione genealogica rimandano alle pagine della edizione del Giunti y
Firenze 4600 , e della Plantiniana pel testo latino. Qui , tra parenteaiy a'ò
aggiunto la oorrbpondente citazione secondo i libri e capitoli.
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txxx
STffiPE D' AGUSTO.
Ottàyu hao-
' GiORE. Ebbe del
Kimo marito 6.
uoeUo
H. Marcello.
Della pnma moglie
Pompeia 4i Sesto, né
della seconda, Giu-
lia d'Arasto, non
ebbe figliaoU. Mori
giovane a Baia.
Marcella iia«-
GIORE. Del primo
marito Yipsamo A-
grippa ebbe figlinoli,
[dice Sretonio. Non
ili ritrovo: perehè
Vipsania, moglie di
jTiBerio, nacqne di
[Pomponia d'Attico.
Del secondo mari- / / Sesto Artokio
) Gioliantonio Afri- ( Lrcio Autonio I Africano , deUa
■vano, figlinolo del ) AFRiCARO.moriin 1 cni nobiltà, 234.
|trìnnvirD,dicniPlii- - Marsilia (A. I V. 44) / 274 dei testo latino
ftarco e Tacito no- i Di Ini o d'alcnno i del Piantino (Vedi
/atro (A. IT, 44) ebbe f sao fratello nacqne I la nostra edix. iL
' ^ \ XIU, 19. XIV, 40}
Gaio
DI Gaio
Ottavio
obe resse la
- Macedonia ;
ebbe deUa\
prima n
glie Anca-
ria
Marcella mino-
re. Scrittori non ne
parlano.
DoMiziA moglie
di Crìspo Passiono. .
(QuiiitaianoVl,2).
DoMiKiA LEPi- I Valeria Mbs-
DA.Delprimoma- ) salina MogUe di
n*o «• ^Valerio Claudio Imp«ra-
Baibato ebbe J dorè.
L. Silano pro-
messo a Ottavia:
199, latino, Pian-
tino, 4S8t,V «L
A , 'XII, a! 4. 8.)
Antoniàmaogio-
RE di L. Domizio ^
' Enobarboebbe
Ì Antonia minore,
moglie di Draso fra- j
tr"~ j: •»'=•— =- " '• '
. Del secondo ma-
rito, Appio Ginnio
Isilano, ebbe
e del sectmdo ma- „. .^.„„« „.-
rito, M. Antonio {teUo di Tiberio. Vedi i
tnnnviro ebbe J loro stirpe nella Ta- i
(_ vola tena*
M. Silano, vi-
' lAsia:
,236, Piantino 1381
te. edis. A. lUh
ir 33.)
GlQNIA CàLVlNA,
nuora di Vitellio:
, 499. (n. edii. A.
\ XII, 4. 8.)
Gn. DoMino,
1 marito d'Agrip^i-
^ na di Germanico
Nebonk
Imperadora.
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LXXXI
SEGUE LA STIRPE D' AGUSTO.
OTTÌTIA Mino-
KE. Di no marito
e stirpe bob ho
l«tto.
Oiio Guam,
multo di UtU
/ mmUa di Otniia*
I nieo: H6.
' LtCIO CUABB.
Destinato a EmUia
Lepida, daU poi»
P. Qnirinio: 81.
(A. Ili aa,i
AorippaPostd-
MO. Gonfbato d*
Acuto, ueoiao da
merio: 2. 8. fn.
edii. A. 1, 8. 4. «.
0. 58. Ili 80).
Gaio
DI 6aio
OnATio,
ehe resse la
Huedonìa. | Gaio Ottavio,^
DdU se- Ipoi, Gaio GinUo
eondan». Cesare Ottariano
^S'.A**'*) /Aotsio, Impera-
%W* (dow. DlSeribonia
d'Accio \ DrimA niAsli« Mm
GiOUA.I>eIpri-
momarito,M.Har-
oello, nò del tento,
Til>erioImpendo^
re , non oUm A-
gUnoU:
Balbo.
• di Giulia
tonila di
Giulio Ce- I
sueDetta-
Un,ehbe
prima moglie ebbe J delseoondo
I Tipeanio Agrippa.
Emuo Lbhdo
marito di DmsiUa.
figlinolo del Gen- J sposata a Claodio
\ SOM, di ni I ( JTet.28),fone aael.<
'lacbefndataaW
so di Germaako.
Di Uria tflUa a
Nerone non ebbe
flglinolL
AaRippiNA, mo-
glie di Germt--- '
Cesare «cni
; NEBon. marito
1 di Giulia di Dmso,
/ <« in. edii. A. II!
48. IV 4.111,29,1?
8. V, S. 4.) ' ' '
I Drqso, marito di
EmUia Lepida 4SG
(n. edis. A. VI, 40)
Gaio Galioolav
Vedi in Svetonio i
,sBoi matrimoni.
Agrippina, mo-
Jglie di Gneo Domi-
Itio, di Crispo Pas-
siono ,di Claudio im-
'peradore.
Drusilla, moglie
L di L. Cassio: 444^^.
\ed. A. VI, 15) poi dì
IM. Emilio Lepido.
I LnriA 0 LiviLLA.
(DioneeTadtoladi-
conGiolia) moglie di
M. Vinicio: 444 (n.
edù. A. VI, 45.) E
prima (se non fo ona
sna sorella) diQain-
tilio Varo, dicendol
Seneca genero di
Germanico. [Contron
3. del 2°) E il no-
stro raccenna: -188
(n. edb. A. IV.)
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LXXXII
STIRPE DI LIVU MOGLIE D' AGUSTO.
/ Tiberio Nero- (
NE, poi IntMTado- I
re. Di Yipsania, '
nata di Vipsanio
Agrippa e di Pom-*
ponlo attico ebbe
Tiberio binato,
bocìm da Galigola
(Svet. 44).
\ ALTRObfauito.Non
I si sa il nome. Tacito
Ito (n. ed. A. II, 84):
Imori di 4 mesi 406
1(n. edu. A. IV. 45).
Drqso. Sua n
. glie Livia o Livil- )
0 J la, sorella di Ger- j
* f manico, di coi
0 ^
Giulia, rimarita-
ta a RobellioBlando
449 (n. ed. A. VI,
I 27.) Irebbe '
EobbllioPlav-
TO.SnamogUePol-
lozia. Uociso dn
Nerone: 324.Plan-
tino{n.ed.A.XIV,
59). '
Tiberio
Claudio
Nerone.
Di saa mo-
glie Uvia,
poi Agvsta
Gebmanico Cesare. 8tta
moglie Agrippina: saa stirpe
nella tavola antecedente.
LiviLLA. Sqo marito, G.
Cesare: poi Druse, cugino
carnale. Poi si promise a Sc-
iano: 408 (n. ed. A. IV, 8).
Davso, fatto genero di 8e-
iano (Svet. in Glaud. 71): No-
stro, 83 (tt. ed. A. Ili, 29).
I Claudio Imperadore. Sua <
I prima moffliePIanxia Urgnla- J
DRU80 Nerone / P|?,°5i™f """""' "^'^" i , • ...
fiArmanfi». /niUadicol I CiJiUDU. U rimandò i|pn«-
^ f da alla madre. 8vet. in CUnd.
I 27.
Germanico.
i Sua moglie, Anto-
\ nia minore, di cui
Antonia. Suo primo marito
, Terza, Valeria Messalina,
1 di cui
Ottavia, promessa a Silano,
data a Nerone Impertdore.
Claddio Britannieo avvele-
nato da Nerone.
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VOLGARIZZAMENTO
CORNELIO TACITO.
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IL LIBRO PRIMO DEGLI ANNALI
01
GAIO CORNELIO TACITO. '
SOUMARIO.
I. Stato di Roma dalla tiu foodaiioDe alla morta d' Aogatto. — V. Ti-
berio iodaipa a prender l'impero, facendo lo tTOfj^iato.— Roma in serTag-
gio. — XVI. Grave ammotinaoMoto di tra paonooieho legioiii , sedato a iteoto
da Dmao €§lio di Tiberio là mandato. — XXXI. Simil gìoeo nella Gennania
disottona non sema sangue e strage obetoto. — L. Germanico Cesare dà con-
tro al nemico: per soa mano Mansi, Tnbanti, Rruttorì, Usipeti messi a sacco
o in peni. — LIIl. Giulia figlia d' Angusto muore a Reggio. — LIY . Sacerdoti
istitaiti in onor d* Augusto, e feste augustalì. — LV. Germanico Taroa di quoto
il Reno contro i Catti : a ferro e foco lor campagne, case, persone. Scioglie
Segeato dalF assedio d'Arminio; quindi gridato ìmperadore. — LIX. Guerra
a' Cherusd : raccolti gli avanzi di Varo e de' soldati , sì fa loro l' esequie. —
LXIII. Perìglio de' Romant al ritorno sotto Cecina : pur rotto e fugato per fé-
lice sortita il oemteo. — LXXII. Rinnofata la legge del erimenlese, e a rigore
ossenrato. — LXXVI. Sbocca il Tevere. — LXXVII. Licensa del teatro ; indi
espreaei decreti da' Padri a frenar gli strioni. •» LXXIX. Trattasi in fine di tor-
cere altrova l'acqua del Tevere: ricorsi contro, e ambasciato dalle- città
d'Italia.
Cono di Hrea dm mmi,
«. n /«• ^ . ,. • .i « ..I Sisto Pohpio.
An. di Roma DCCLifii. (di Cnsto 44). — Conaofc. j g^^ Apulbjo.
ÌDbuso Cisabb.
e. NOIBiNO FUCOO.
* Gaio Cornelio Tacito. Il nome proprio di questo autore si diceTS Pub-
blio; il Lipsio ha ritrovato che fu Gaio. Cornelio fu il casato, Tacito il
cognome. I nomi propi romani erano intorno a trenta : vedi il Sigonio. Scri?e-
vanli abbreviati, come notiuimi, con una, due o tre prime lettere , come noi
V. S., V. A. (Fostra Signoria, Vostra Mtezza) e liiiiiK. Erano i più frequenti
li appresso ; e cosi abbreviati li scriveremo :
A. Jido, D. Decimo. . Q. Quinto.
Ap. Jppio, L. Lucio. Sp. Spurio.
K. Cesane. M. Marco. Sex. Sesto.
C. Gaio. I Cosi aie» il 8i- m'. Manio. Ser. Servio.
Cu. Gneo. \fi^ i^^"^ Mam. ilfomerco. X. Tito.
e. 7, die DoUvano e divtml N. Numerio. Ti. Tiberio,
mmU prooauiaTano questi Op. Opiterio. Tul. Tulio.
due nemi e cognomi. V. PMUo.
* Abbiamo restituito questa postilla nella sua integrità, siccome leggesi nella
Giuntina del 1600. *
I. 1
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2 IL LIBEO PUMO DIGLI ANKALI.
I. Roma \ da prineipio ebbe i re:* da Lucio Bruto la li-
bertà e '1 consolato: le dettature erano a tempo:' la podestà
de' dieci* non resse oltre due anni, né molto raotorità di
consoli ne' tribuni de' soldati: non Ginna non Siila signoreg-
giò lungamente: la potenza di Pompeo e di Grasso tosto in
Cesare, e l'armi di Lepido e d'Antonio caddero in A gusto,
il quale, trovato ogn'uno stracco per le discordie civili, con
titolo di principale* si prese il tutto. Hanno dell'antico po-
pol romano chiari scrittori memorato il bene e '1 male, né a
narrare i tempi d' Agusto mancarono ingegni onorati, men-
tre l'adulazione crescendo non gli guastò.^ Le còse di Tibe-
* Moma. QmmIo rUttetto de' Biiitaimnli dello stato di Rena p«r ler*to di
peto da une diceria di Claudio impcradore tegiatnta dalLipsio «opra f ittdecMio
di questi ▲mali per la propria. Bello h parigonarla eoa là composta da Tacito
in esso KbTo, per conoscere dalla diSérenia il neAo e la f^nnàtuz di questo
scrittore.
' ebbe i re. La morbidesa della lingua volgare non pativa questa dureia
latina, Boma ire ebbero. Però rivoltai l'attivo nel passivo parlare, che dice il
medesimo , alla guisa di que' panni e drappi che sono il medesimo da ritto e da
rovescio; de veggo che sia frase imprcfiria il dire che una città e naaiove avesse
re. Non habemus regem, nùi Cwsmr^mj traduale lan Girolimo il tetto greco
di san Giovanni.
s a tempo. Mon perpetue , come le si presero Siila ft Oesate^mt mi casi «r*
genti. Eia chiamato anticamente maestro del popolo, dice Setieoa a lAieillo, per
sei mesi il più; non fuori d'Italia. Vedi Dione nel libro 36, nella dicerìa di €«ta3o.
^ de* dieci. Forse è nàe^o dir de* decèmviri, é i nomi , cosi propri come
de' termini, lasciare ne^r termini. Vedi Eliano nel principio delle Greche ordi-
nanze.
' con titolo di principale. Cioè d' imperadore^ che si dava al generale ,
principal comandatore dell'esercito, quando per qualche fatto egregio o felicità,
i soldati gridavano Io loj che oggi diciamo *< Viva Vivm il nostro impera dorè *»
cioè comandatore. Agusto, fattosi padrone di Roma, prese questo modesto titolo
per fuggire invidia, e usava dire che era padrone de'servi, imperadore de' soldati
e principale di tutti; e cagionò che questi nomi addieltivi di grado, imperator,
duo;, princeps diventarono sustantivi e di signoria e assoluta potenza. Tacito
poco disotto dice che Agusto fu gridato imperadore ventuna volta, e nel terao
dice: Duces, re bene gesta, gaudio et impeta victoriai imperatores saluta-
bantj erantque plttres simul imperatores, nec super aeterorum asqualita-
tem concessit guibasdam et jtugustus id vocabulum j at tane Tiberius Blusso
postremitm. ÌÀvio nel primo: Principes utrinqua pugnam ciebani, ab Sabinis
Metius Curius, ab Romanis Bostus Hoatiiius. Vedi Dione nel hi in fine.
0 non gli guastò, leggendo detererentur : leggendo deUrrereUtar , Non
gli spaventò. (*) — Però Orazio , a cui fu commessa la storia d' Agusto , ia
quello scambio scrisse ode , per poterlo lodare.
{*] lì codice Mediceolaarenziano ha deterrergntur. Coli' altra lotione, osserva 1' OreUi| ne
verrebbe questa inetta sentenss: extìumat ingtnia d$€ora, domM fisrmt deUilom.
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IL uno milO DMil AMIIiU* 3
ria, di Gàio, di Claudio e di Nerone furono compilate false;
vivesti essi, per paara; e di poi, per li freschi rancori. Onde
io intendo riferire alcuni aitimi fatti d'Agnato, il principato
di Tiberio e altro, senia tenere ira nò parte, come lontano
dalle cagioni. ^
II. Posate,' morti Bnito e Cassio,' latte Tarmi pabbli-
che, disfatto Pompeo in Cicilia, né rimase a parte giolia,
spogliato Lepido e occiso Antonio,* altro capo ohe Cesare;
egli chiamandosi non più trimnviro ma consolo e dei tribn^
nato contento per la plebe difendere, gnadagnatosi co'dona-
tÌYt i soldati, cot pane il popolo, e ogn-ono col dolce riposo,
inoominciò pian piano a salire, e gli affici far dei senato,
de' magistrati e delle leggi, ninno conljrastante,''easendo i
pia feroci morti nelle battaglie o come ribelli; e gli altri no*
bili ( quanto pia pronti al servire più arricchiti e onorati e
per Io nuovo stato' crescioti) meglio amavano il presente
aicBro che il passato pericoloso. Né tale stato dispiaceva
a' vassalli,' sospettanti dell' imperio del senato e del popò*
lo, per le gare de' polenti, Tavarizia de'magistrati e lo spos-
sato aiuto delle leggi, stravolte da forza da pratiche da mo-
neta.
III. Agosto per suo' rinforzi nello stato alzò Claudio
Marcello nipote di sorella^ giovanetto al pontificato e alla cu-
rale edilità, e Marco Agrippa ignobile, buon soldato, com-
pagno nella vittoria, a due consolati alla 6Ia,' e, morto Mar-
* €pme ImnUmo tUdU cagioni. Perchè Agufto e gU altri «puttro erano
mirti molto prima.
S * Posate, tutu i'armi ec. JUH Saggio di tradmlone indirimato
al Pindli (Tedilo ia ine dal voliima) il Davaiuati acrissa numcvU j ad è mig liorc
e pi& conforme al testo, che ha: « nuUa iam pubUca arma: » e vuol dire che
le armi non forono pia, come per innanii , della repubblica , ma di pochi ambi-
aioii cittaiim. Posate, porterebbe forse altro senso.
S * morti Bruto è Cassio : ciò fìx a Filippi l' anno di R. 7i9.
^ * e ucciso Antonio. Più esattamente il Dati ; m e Antonio ammassatosi. *»
B * 0 per lo nuovo stato. Segne la lezione volgata oc novità Ma THorkel,
seguito dall' Orelli, legge ni novis ec, e il concetto ci goadagna' assai , rivelando
Tosata arudi regno, di gettare, ciob, l'oSà a Cerbero.
^ * Lat. « proi>inciie. m
^ * di Ottavia. Mori essendo edile l'a. di R. 731 in età di SO anni. (Virg.
JEa. VI, 860. Propert III, 18.)
«*L*a. di R. 716 e 717.
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4 IL LIBIO Pi^lMO DBGLl ANNALI.
cello, il si fé' genero.* A Tiberio Nerone e Claodio Droso
figliastri' aggiunse titoli d'imperadori»' quando ancora erano
in casa soa Gaio e Lucio nati d' Agrippa, da lui fatti de'€e-
sari, e, in vista di recosare, ardentemente desiati dirsi prin-
cipi della gioventù,* e destinarsi consoli cosi fancialli in pre-
testa. Morto Agrìppa,* Lucio Cesare andando agli «sorci ti di
Spagna, e Gaio tornando ferito d'Armenia furono da movie
acerba, o trama di Livia lor matrigna,* rapiti: e prima era
morto Druse: ^ cosi de' figliastri restò solamente Nerone. Ogni
cosa a lui si rivolgea; egli fu fatto figlinolo, compagno del-
l' imperio e del tribunato, e mostrato agli eserciti tutti, non
come già per artifici della madre, ma con sollecitarne alla
libera il veccbio Agusto , di lei si perduto' cbe nell'isola della
Pianosa cacciò Agrippa Postumo nipote unico, idiota si, for-
' * Dandogli la 6g1ia Giulia , stata seconda moglie del morto Marcello.
' * Nascevano di Livia, sua tersa moglie, e da Tiberio Nerone.
S titoli d* imperadori. Nel proprio significato di degnità , non di domi-
nio: imperadori d'esercito, non di Roma.
* principi della gioyentà. In Roma dinansi alla chiesa de' santi Apostoli
è questo epitaffio :
OSSA
e. CAKSABI8 . ATOTSTI . t. FBIIICIFIS
lYYSllTVTlSl
S * L*a. di R. 74S, di H anno, in tormenti^ aduUeriorwn cmiugis, to'
cgrique prmgrwi servino. (Plin. U. N. VII, 8.)
0 * matrigna , perchè Augusto gli aveva adottati. Lucio morì in Marsilia
l*a. di R. 7d5, e Caio in Limiri nella Licia l'a. 757.
' * Dodici anni innansi in Germania, per una caduta da cavallo, l'a. 746.
* di lei si perduto. Livia domandata con che arte ella avesse si preso Agn-
sto , rispose ; « Con l' osservare una squisitissima onesta ; fare ogni voler suo
lietissimamente; non voler sapere tutti i suoi fatti; non vedere, n^ sconciare isuoi
unorasi. *» Impara qualunque se', moglie strebbiatrice, (*)borbottona, talamistra
e gelosa: questa postilla tocca a te.
n stnkbrtatriM. La Gram spiega «iraftèitorfer per Celd du$tnèUa, eitand» qwst' «aia»
«■empio d«l Davansett. B andendo al verbo strtHlan trovasi defiaiko « St/vptMUn, ^kUn, td *
proprio fuélto du fanno U donnt in tisttandott.» E qvl cita dae «sempi, nao del Lab. d' amore, l' al-
tro del Lasca, nei qaall a ttrebbian mi par dato U sento di pulire, aeconetort, Ittetan, ma per
modo dispregiativo e direi antifrastioo; oome qoando dieiamo tmpiastrie^Mmi o imèomimarst il
otto di Mitilo: dove non si direbbe mai che toplMtrfMteiv e (mtesslmaiv aignlfiéliimi Usoiare,
ornare o simili. Certo è elie eolie difiniiioai della Cmaca non paò qai btendeni questo vocabolo
in modo che stia bene in compagnia degli altri ebe segoooo. La gente del contado toscano dico
trebbiar», itrtbbiare e più spesso strubbiar» per guastar», calpestar», e chiama slrubbiomo na ra-
gano che rovina ogni eosa. Credo danqne ebe il Davauati, si attento racaogltton del parlari
del popolo, abbia qni osato strsbbiatrie» nel sento stetto di strabbioma, tempetlooa o slmili; e
obe negli esempi allegati dalla Croscè strebbtare signiBebi nel proprio gualslr», ttiupar» ee., e
nelIUntifrastieo «eooMìare, putire ec.
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IL LIBIO PIIHO DEGLI ANNALI. 5
zato e faribondo,* ma innocente. Fece Germanico nalo dì
Droso generale delle olio legioni in sul Reno, e adottarlo da
Tiberio che pure aveva un figliuolo già grande: ma si volle
senza dubbio rincalzare da più lati.' In. quel tempo non ci
restava guerra che coi Germani, più per iscancellare la ver-
gogna del perduto esercito sotto Quintilio Varo' che per im-
perio allargare o altro degno prò. La città era quieta, riteneva
de* magistrati i nomi, i giovani erano nati dopo la vittoria
d'Azio, * i più de' vecchi per le guerre civili ; e chi v'era
più, che avesse veduto repubblica?
* Juribondo. Lìtio nel principio del settimo dice del Bgliuol di Manlio il
medesimo appunto , Nullius probri comperUim, et ttolide Jerocem. Aristotile
nel secondo della Rettorica dice, che i Bgliuoli di padri • coraggiosi tralignano in
«▼▼entati ; di quieti , in freddi. Cosi nel campo stracco nasce di grano vena o lo-
glio ; erbe non diversissime : e Dante :
Rade Tolte riwrge per H remi
' L' omana pmbitate; « qmsto vaole
Qaei eb« la dk, perchè da lai si cbiami.
S * Lat. : M sed quo plurihus mttnintentis insisterei. »
B * Uz. 76S. Velleio, II, ii7; e Tacito stesso più avanti, 55, 65, 71, e
Ub. II, 45.
« * dopo la vittoria d'Azio: avvenuta l'a. di R. 7S3. * — Azio. Gli
antichi nostri, meno di noi del corretto scrivere curiosi, avrebbono scritto
AcUo alla latiiu; pochi de* moderni, Auioj molti, Axzio. A. me pare, che
come la lingua latina in gaza, oxymel e altro non raddoppia le doppie;
cosi la volgar nostra non possa né l'una né 1* altra nostra zeta mai raddop-
piare O; perché essendo doppie per natura, composte o di TS come zazera,
o DS come zizania, ciascuna ha il suono suo doppio, che TeTrebbe, rad-
doppiandola, rinquartato con quattro lettere consonanti insieme , che non le sof-
ferà la nostra dolce pronuncia. In dette due voci non ha maggior suono né più
fonato la Z seconda, benché tra due vocali, che la prima, chi non vuole cattivar
1* orecchio e dargli ad intendere ch*ei pur senta quel eh' ei non sente. La cagione
è che la lingua, tra i denti e '1 palato s'acconcia , e fa organo all'uscente 6ato
(^ Il Yolpi nella saa Cominiana pone a questo luogo la seguente nota; « Per tutta la tra-
» duiione di Tacito nella llorentiaa ediiione [quella del Nestl del 37) , spesso si vede trasgredita
» una tal regola. Nella Cominiana ne* soli primi fogli; e ciò per non averla innanzi di stam-
» pare avvertita. » E ben fece il Yelpi a non partirei, almeno quando potè, dal metodo grafico,
quel ei si fosse , del nostro autore. Ma R. Pastore nella Bemondiniana credè dover fare altri-
noeti , facendosi scudo della seguente nota : a Non si è omessa questa postilla per non derogare
» all' integrità dell' opera. Peraltro le ragioni addotte dal Davanzali poco vagliono in se stes-
» se, e meno a fronte dell'uso, a cui cedono le medesime leggi snl comune dettato: eotuuetudo
» optbna legum interpret. Si è seguita dunque in questa nuova edizione un' ortografia che mentre
» alle leggi grammaticali del corretto scrìvere non s' oppone, non offende 1' ooeiiio, né disgusta
» ehi legge pel frivolissimo oggetto di seguir l' auticliitk. » — Nelle stampe fatte sotto gli oeclù
dell' autore, quali sono la Marescoltiana e la Giuntina, la regola è osservata, salvo in alcuni
poebi luoghi per inavvertenza. E noi pure non ci siamo fatto lecito di mutarla per le ragioni
dette nell> Jpvertimento. Quanto poi alia sua bouth è un altro conto. Vedi ciò dio ne dice il Sai-
Tini nel CCXXX dei suoi Discorsi accademici.
i*
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6 IL LIBRO PBIMO DEGLI ANNALI.
IV. [^. di R. 767, di Cr. 14.] Rivolta lo adonqae ogni cosa,
non vi si rivedeva costarne baono antico: ogp'ano abbassato
aspettava che il principe comandasse senza darsi pensiero,
mentre Agosto, di baona età, sé e la casa e la pace sosteo-
nella stessa guisa al pronunziar la Z prima che la seconda. Or st la pronunzia
la scrittura Segue, come *l maestro fa il discente , il ballo il suono , il canto
le note ; bisognerà, per legger correttamente maezera o eàztania, metter quadru-
plicato €ato, rompersi una vena del petto e scoppiare, o leggerle scorrettamente.
Lodovico Martelli nella sua lettera al cardinale RidolB, ov' egli delle aggiunte
lettere alla lingua italiana trassina male il Trissino , non consente che si rad-
doppi mai questa lettera, per le ragioni quivi addotte. Prìsciano di aimil cose
biasima i Romani, che essendo doppio il loro J consonante, lo raddoppiavano
quando era tra due vocali- Majiiu, Pompejirts, ed eran fonati nel genitivo a
scrivere Majii, Pompejiis e piaceva tale errore a Cesare e altri, come spesso a
chi si diletta j per sostener sottiglieza,' contrastare a natura. Ma senza dubbio,
come le parole deono esser ritratti e non scorbi de' concetti dell'animo; cosi le
lettere, delle parole. Ma se il ritratto non somiglia, che vale? I Franzesi parlano
in un modo, scrivono in un altro, perchè quella lingua (dice il Perionio) ha ori-
gine dalla greca , conservatasi più nella loro scrittura che nella favella. Cosi ri-
tenevano i nostri. antichi molta scrittura latina, Philosophia, actione, letitia,
optimo, pectoj annimtip* Me^o secondo la pronunzia scriviamo noi /Hosofia,
OMone^ letizia, ottimo, pettOy annunzio : perchè questa lingua, se ben nata della
latina, è oggi allevata e si regge e va senza il carruccio o appo|^o di quelle let^
t^e che, non si pronunziando più, sono imbarazo fla levi^ via; cp^ne le centine e
l'armadura, quando la tolta ha fatto presa. Finalmente la lingua volgare è la-
tina scorretta : la scorrezion sua passata in uso s'è convex^ta., in sua naturale es-
senza., contr'alla quale il semidotto, che troppo vuole ortografizare , caco^prafiza;
come mettendo TH dove ella non si pronunzia, non ci jserve, e possiamo fare
senz' ella; e come scrivendo alo, de lo, fa mi, de la bella, de la casa, d^ Avan-
zati (*), jfaallo, dello, fammi, della bella, della casa, DavanzaU e simili di-
videndo quello che in nn sol corpo ha composto Y uso, che è fabbricata natura.
Né anche è bene rompersi (come alcuni) i denti per profferire alla dotta la lingua
. gr^ca; ma l'uso della patria seguitare. Potrebbonai i due suoni delle nostre zete
figurare con due lettere variate Z, e s. Ma poiché il Trissino e altri con ottime ra-
gioni tentarono in vano di compiere il nostro manchevole Abbicci, che^pos-
siamo noi dire, se non che Contro deW uso la ragione ha corte Pali? Ma
que' valentuomini si possono consolare , poiché a Claudio imperadore non
riusci d' aiitare di tre lettere il romano: anzi furono si scacciate che non ci ri-
mane notizia se non del digamma eolico in alcune tavole. Maraviglia è bene die
quest'uso, questo padrone del fiivellare e scrivere, abbia accettato molte lettere
da' maestri di scrivere , stranamente variate per ghiribizoso tratteggiare, e non le
necessita da' grandi e scenziati uomini ritrovate o aggiunte «Ila nostra scrittura
manchevole. Io per me ci aggiugnerei gli accenti alla greca, per aiuto della pro-
nunzia a chi legge. Ma quis ausit feti alligare tìntìnnabulum^ poiché que' va-
lentuomini ne furon uccellati ?
(*) d'jiwMiati. Cosi trovasi in «leaai menoserifti di quel tempo od anche In aloMO ttaai-
pe , come nella CottivazUnu del Maganini , Ftortnia, 4684.
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IL LIBRO PfilMO DEGLI ANNALI. 7
ne. Vena lane la vecchiaia grande le infermità fastidiose la
morte alle spalle e le nuove speranze, discorrevano indarno
alcuni quanto bella cosa era la libertà: molti temeano di
guerra, altri la bramavano, moltissimi sparlavano de'soprav-
vegnènli padroni: « Agrippa essere un bestione dall'onta ac-
canito, non di età,* non di sperienza da tanto pondo: Tiberio
Nerone maturo d'anni,' sperto in guerra ma ingenerato di
quella superbia claudiesca, scoppiare,' benché rattenuti, molti
segnali di sua crudeltà; aver beuto il latte dì casa regnatrice;
quasi con esso in bocca esserglisi consolali e trionfi gittati a
masse; non avere, pure in quegli anni ch'egli slette al conGno
(alla quiete dicev' egli) di Rodi,^ altro mai che ire, infinte,'^
e soppiatte libidini mulinato; esservi quella madre insopporta-
bile più che donna; doversi servire a una femmina e due fan-
ciulli,' che ora questo stato premano, e un di lo si sbranino.»
y. In si falli ragionari Agusto aggravò: bucinossi''
per malvagità^ della moglie, per voce uscita che Agusto di
que'mesi s'era traghettato nella Pianosa a vedere Agrippa^
conferitolo a certi, e da Fabio Massimo solo accompagnato:
tenereze vistesi grandi da ogni banda e segni d'amore,
perciò aspettarsi tosto il giovane a casa l' avolo. Massimo lo
rivelò alla moglie, ella a Livia, Cesare il riseppe.'' Massimo
tosto mori, forse di sua mano, poiché nel mortoro udita fu
< * non 4i età, manca in tutte le moderne edizioni j ma lo abbiamo rìpotio
soli' autorità del testo latino , e dell* edizioni Giuntina e Marescottiana.
' * maturo d'anni. Ne aveva 56.
S * scoppiare: in senso transitivo, per: mandar fuori a guisa di scintille.
* al confino... di Rodi. Otto anni vi dimorò, e Io diceano, il Confinato. —
* al confino {alla quiete dicev' egli) di Rodi, Così l'ediziooi Giuntina e Marescot-
tiana: le altre, più lànguidamente : al conino di Rodi {alla quiete dicev* eglVj.
S * infinte, infingimenti , finzioni. L* edizioni moderne leggono, con errore
assai specioso » ire infinite.
A * due fanciulli tXytxxso e Germanico.
^ bucinossi, fissesi con voce piccina, come uomo fa della cosa che non si
può dire senza pericolo.
S per malvagità. Livia avvelenò e contrassegnò certi fichi in su l'arbore;
onde ella e 1 marito per diletto insieme ne colsero e mangiaro, non sapendo egli
de' contrassegnati.
9 Cesare il riseppe. Leggo come il Lipsio , gnarum id Ccesari, non na-
vum. Ma «e al codice mirandolano, che dice Liviam id Ccesari, &i potesse
prestar fède (il che il Lipsio nega), mi piacerebbe molto più, perchè Livia^
come il seppe, ne fece rimore a Cesare, come dice Plutarco.
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8 IL LIBBO PRIMO DEGLI ANNALI.
Marzia, sé sciagurata incolpare della morte del sao marito.
Che che si fasse, Tiberio entrato appena nella Schiavonia,
fu richiamato per lettere dalla madre in diligenza,* e trovò
Agusto in Nola, se vivo o morto non si seppe: perchè Livia
tenne strette guardie al palazzo e a' passi, e talora uscivan
voci di miglioramento; tanto che, provveduto il bisogno, un
medesimo grido andò d' Agusto morto e di Nerone in possesso.
VI. La prima opera* del nuovo principato fu l'uccidere
Agrippa Postumo, cui sprovveduto e senz'arme, il centurione
por coraggioso appena fini. Tiberio in senato non ne fiatò.
Fìngeva che il padre al tribuno, sua guardia,' comandalo
avesse che, tosto che egli morto fosse, lui ammazasse. * È
vero che Agusto nel farlo a' padri confinare disse de' modi
del giovane sconcie cose, ma di far morire alcuno de'suoi
non gli patì mai l'animo, né da credere è che lo nipote
uccidesse per lo figliastro assicurare, ma che Tiberio per
paura e Livia per odio di matrigna, la morte di si sospetto
e noioso giovane^ affrettassero. Al centurione venuto a dirgli,
secondo il costume, aver fatto quanto comandò, rispose:
a Ciò non fec' io; rendera'ne pur ragione al senato. » Inteso
ciò Grìspo Salustio* che sapeva i segreti e ne avea man-
dato al tribuno il biglietto,'' temendo d'esamina pericolo-
* * fu richiamato in diligenza, cioè, in fretta. Così anche nello
Scisma: « Spedi al ponte6ce il protonotario Gambara in diligenza. »
' La prima opera : tratta da Salustio, imitato molto da Tacito, Jugurtha
imprimis Jdherbalem excruciatum necat.
' * sua guardia: intendi « guardia di Agrippa, m
* * tosto che egli morto /osse, lui ammazasse. Cosi restituisco sulla fede
della Giuntina e Marescottiana. L'edisioni comuni hanno: « comandato avesse
che subito T ammalasse. «* Ma quell* aggiunta è voluta dal testo che dice :
« quandocunque ipse ( Augustus) supremum diem explevisset. »
S sospetto e noioso giovane. Nel primo delle Storie dice questo autore,
Suspectum semper invisumque dominantibus qui proximtis destinaretur, £
nel quarto, che Munaiio ammasò il figliuolo di Vitellio per ispegner semema di
guerra. Il nuovo Turco ammaita i fratelli a prima giunta.
0 * Crispo Salustio, nipote dello storico. Vedi più avanti, jinn. IH, 30.
7 al tribuno il biglietto. Usano i tiranni (dice nel terto Erodiano) quando
voglion far morire uno sema processo , dame commissione per poliza a un tri-
buno che la possa mostrare : con questa Saturnino chiari la congiura di Plau-
ziano, e Pisone voleva mostrare in senato la commission datagli da Tiberio d'av-
velenar Germanico, come si dice nel terso. Oggi si fatte commissioni non si
meltcrebbono in carta.
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It LIBIO PIIKO M€L1 ANNALI. 9
sa non meno * a dir vero che falso, avverti Livia « Non si ban-
dissero i sef^eti di casa, i consigli degli amici, i servigi de'sol-
dati: non tagliasse Tiberio i nerbi al principato, rimettendo
a' padri ogni cosa; in ragion di stato, il coQto non tornar mai
se non si fa con an Solo. »
VII. In Roma a rovina correvano al servire consoli,
padri, cavalieri; i più ilinstri con più calca; e falsati visaggi,
da non parere nò troppo lieti per la morte dell'oDO nò troppo
tristi per l'entrata dell'altro principe, lagrime con allegreia,
lamenti con adulazióni mescolavano. Sesto Pompeo e Sesto
Apnleo consoli furono primi a giarare a Tiberio Cesare fe-
deltà; dipoi Seio Strabene capitano della guardia e Gaio
Turranio abbondanziere; seguitarono il senato, lalbilizia e '1
popolo; facendo Tiberio d'ogni cosa capo a' consoli, quasi la
repnblica stesse in piedi, ed egli in forse di dominare: il
perché con breve e modestissimo bando, ove s'intitolò sola-
mente tribuno fatto da Agusto, pregò i padri chele venissero
a consigliare dell'onoranze del padre, il cui corpo voleva
accompagnare' nò altra pubblica cura. Morto Agusto diede
come ìmperadore il nome' alle guardie, teneva scolle, armi
e corte formala: soldati in piaza in senato l'accompagna-
* pericolosa non meno. H vero svergognata Tiberio: il falso iDgan-
naTa SI senato, ut simil cattivo partito ( scrìve Plinio Secondo a Voco-
nio ) mi trovai quando qttel ribaldo di Mesto Modesto mi domandò
— Che te ne pare del nostro Jtustico Artdeno f — il qutde era conjlnato da
Domiziano: perchè il dir vero era pericolo, il mentire scelertUeaaj
gr iddìi m' aiutarono, e risposi: Io lo dirò al magistrato de* Cento,
se bisognerà. Replicò : Dimmi , ti dico , quello che tu ne senti. I testi-
moni , diss* io , s* esaminano conUro a* rei , non contro ai condannatì.
Canzone I diss* egli ; io vo' sapere come tu credi che egli t intenda col
principe. E io risposi: Contro a un condannato non è lecito esaminare.
Egli ammutolì s e io ne fui benedetto, e uscii di quel laccio che Modesto
mi tendeél.
' il corpo.,., accompagnare. Nel principio del teno libro dice come Agu-
sto accompagnò il corpo di Drnso da Pavia a Roma; e Dione nel 57, che Ti-
berio fa dell' aver toccato ipiel cadavero , che vietato era a chi teneva poh-
bliea maestà, assolato e accompagnato.
S diede.... il nome. Sono i contrassegni o nomi , come palma, stella e al-
tri : o snoni , come trombe^ corni e simili che s' odono : o bandiere inca-
miciate , polverìo, fuochi, lumiere e altre cose che si veggono. —■* il nome, lat.
signum , cioè qacUo che nella moderna milisia si chiama le mot d*ordre o sem-
pUcemeoto «rrfrf, cht è ( come lo chiama un antico) il segno delt intendersi.
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10 II L»«0 PJNHO MM.1 AMALI/
vano: scrisse a gli esereiii come biiovo principe» «è mai
andò a rilenle se non favellando in senato, per gelosia prin-
oipalmenle che Germanico con tante legioni, ainti olive
numero, favor di popolo maraTiglioso, non Temesse anzi lo
imperio che la speranza.' Quelle lustre faceva* per aver fama
d'essere stato allo imperio dalla republica eletto e pregalo,
e non traforatovi per lusinghe di moglie e per barbogia ado-
zione.' Face vale ancora (che .poi si conobbe) per penetrare i
cuori de' grandi , i cui motti e visi ^ al peggio tirava e
serbava.
. Vili. Il primo di del senato non volle si trattasse che
d' onorare* Agusto. Le vergini di Vesta presentarono il testa-
mento: (amssL eredi Tiberio e Livia; Livia di casa ginlia,
di titolo Agusla dichiarava; T aspettativa seconda veniva
a' nipoti e bisnipoti; la terza a' primi della città, odiati da
lui la maggior parte, ma volle questa burbanza e boria ne' po-
steri. I lasci furono da privato, eocette che ai popolo e alla
plebe donò un milione' e otlansette mila fiorini d'oro,
^ aiui io imperio che la speranza. Tratto da Livio nel primio. Solle-
citava perchè Germanico non gli forasse le mosse, e per addormentare lui o
altri, tanto che s' assodasse. Dione 57.
S Quelle lustre Jaceva. Per un' altra ragione volpina, dice Dione lib. 67 ;
cioè perchè Garnyanico o altri che volesse oocupar l' imperio^ si trattenesse
con q^ualche speransa; in tanto esso Tiberio vi si assodasse. — * lustre, infingi-
menti.
' * per barbogia adozione, cioè per adosione del vecchio Augusto.
* motti e visi, — Che men seguon voler ne* pia veraci: {*) ne possiamo
a certe stravaganze tenerci di non le motteggiare, come colui che dice: Gli
altri prima accettano e poi pigliano ; costui ha preso l' imperio , e non l' ac-
cetta.
5 * d'onorare. Il lat. ha m de supremisj *» e non vuol significare solamente
i funebri onori, ma si tutto quanto alla morte di Augusto s* apparteneva t
come spiega il Dati.
6 un milione. Il testo ha: ccccxxxv. Queste figure dicono quadringen^
ties triciesquinquies , che volevano con abbreviatura romana dire 435 volte
centomila sesterzi. Ciò erano un milione e ottantaselte migliaia e cinquecento
fiorini d' oro de' i^ostri gigliati antichi ; il che cosi si dimostra. Jls , o vero
aes fu la prima moneta romana , che pesava una libbra di rame. Libella era
un' altra moneta equivalente che pesava un decimo di libbra d' ariento. Se»
stertìtis nummus» era un'altra che pesava un quarto di dramma d'ariento,
e valeva assi o libelle due e meco , e lo segnavano cosi Ì7-.S'. Sestertium ,
cranio mille sesterzi nummi j valeva fiorini 25, come si dirà. Denarius pesava
n Daata, Purg. XX1T.
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IL LIMO PmiO MEGLI AKNALI. li
a' soldati di guardia TénHciiiqoe per testa, %' legionari ro-
mani seti'e mezo. Vennesi agli onori. Propesero i pia nota-
bìN,* Asinio GaHo che reBeqaìei' passassero per la porta
trionfale, L. Aronaio ebe i titoli delle leggi fatte e i nomi
delle genti vinte da Ini andassero innanzi. Valerio Messala
aggiogiMTa cfae ogn' amM» al rlnfiovasse il giuramento a
Tiberio, il qpàle a Ini voltosi dlsses « Che dlceatiriiolti fatto
nna dramma d' arìento , cioè un ottavo d'oncia; valeva quattro i7-«f nummi,
0 va<M, dieci ani o dinei libere. Mommo d'oro pesava una dramma d'oro
fine , come iì nostro fiorino gigliato ; valeva dicei denari , quaranta Jff^S. 100
aui : 100 libelle. Tenevano i conti a sesterzi nummi , e annoveravano inaino
a centomila. PoìNdicevano, Due volte centomila, tre volte, 4, 10, 20, iOO,
1000, SOOO, e. sino a centomtlavolte centomila: e tanti JffmS nummi inten-
devano * ia qual somma di ff^S importa %0 milion d'oro, che nel com*
mersio umano non posson forse capere. Se bene Svetonio vo9le al cap. 16
che Vespasiano dicesse, che la repuhlica ne voleva avere mille milioni; che
forse e scorretto quel testo , e vuol dire , quadragies, cioè cento milioni , e
non quadringentìes: lo disse Vespasiano per aggrandire con iperbole lo alato
di Roma. Adunque le 435 volte furono B'S, 43,600,000; che a quattro al
denario, denari 10,875,000; che a dieci al fiorino, fiorini l,OS7,500, come
detto è. E li mille ff-^S per testa a' soldati di guardia , fiorini 35 ; e li 300
a' legionari, fiorini sette e meio. Ora essendo quel nummo d'Mo il mede-
simo che il nostro fiorino » cioè t^na dramma , o vero un ottavo d'onci^
d* oro obrixo, cioè fine e sensa mondiglia, che vale il presente anno 1599 in
Firenze lire dieci , quel denario romano ci viene a valere oggi una lira ; quel
sestensio nummo, cinque soldi piccioli; quello asse, o libella^ due soldi.
Due corollari aggiugnerò. L' uno che Firense cominciò a battere il fiorino
Fanno 1SÓ2 per una lira di moneta; si buona era! L'anno 1530 valeva
sette lire ; si peggiorate erano .' Oggi ne vale dieci. A questo avveoante (*) la
moneta si condurrà tosto a que' cappelli d'aguti che dovettero essere la mo-
neta di ferro delli Spartani, con grand' errore de* principi che di tanto peg-
giorano l'entrate loro, e li antichi livelli, lasci, censi e crediti de' privati;
e disturbano il commercio , non meno a non tener ferma la moneta , che è
misura del valore delle cose contrattabili , che se mutassero stadera , staio ,
barile e braccio , che son misure della loro quantità. L' altro corollario è ,
che sì come il Faro da Tolomeo Filadelfo edificato sopra qtiattro basi di
vetro, coni* arte di Sostrato da Guido architetto, mosse, per la sua utilità
e innraviglia , ogni città a fare nel porto suo anch' ella un Faro per la salute
de' naviganti ; similmente il nostro fiorino per la sua bellesa e bontà fu rice-
vuto con tanto applauso , che ogni potentato volle battere e nominare fiorini.
Oggi in meccbini , scadi , pia|tre e ducatoni se n' h ita la gloria di sì bel
nome (**).
* * Proposero i pia notabili, cioà, come i più noUbili onori. Lat.: « ea:
quis (honoribus) maxime insignes visi ec. »
(*) « qtuMto av99nant€, a questo raggnaglio , andando di qaesto passo.
(**) Yedi la Lnione sulla moneta, dove ripete qacste stesse osservazioni.
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12 IL Limo rauio mqu annali.
dire io? » Rispose: « Di mio capo l'ho detto, e nelle cose
della repablica non vorrò mai consiglio d'uomo, quando
anco io credessi d'inimicarmiti. » Questa fine adulazione sol
vi mancava I Gridando i senatori, « Portiamolo sopra i no-
stri omeri, » lo arrogante Cesare chinò il capo:^ e per bando
il popolo ammoni, non queste esequie come l'altre del divino
Giulio scompigliassono con lo stravolere* che Agnsto nel fòro
della ragione più che nel solito' campo di Marte a ciò depa-
lato* s'ardesse: e vi tenne il di dell'esequie soldati per
guardia, ridendosene molto coloro che (avendo vedoto o odilo
da' padri che l' altro di dello spettacolo del morto Cesare
dettatore, per esser parato* a chi bellissimo e a chi pessimo,
non rinscl ripigliare la libertà, quando non era a pena in-
ghiottita la servitù), « Grande uopo, diceano, di soldati oggi
ci ha, che lascino sepppellire in pace un vecchio principe di
lunga potenza, che lascia eredi con valenti artigli fitti nella
republica! »
IX. Qoinei di esso Agusto molto si ragionò,* facendosi il
volgo di cose vane le maraviglie:^ In tal di che l'imperio prese
mori:'' in Nola, in casa, in camera dove Ottavio suo padre:
tredici consolati ebbe egli solo, quanti Valerio Corvo e Gaio
Mario intr'ambi: * trentasette anni continai la podestà tribune-
' * Il Lat. ha : m remisit, w si lasciò ite ; quasi dicesse : Fate voi.
3 * Il Lat. : M nimiis sUidiis. »
' * solito potea risparmiarsi, e nelle prime elisioni non v* è. Vedi le Va-
rianti,
^ * a ciò deputata non era il campo di Marte , ma si quel luogo {sedes)
di esso, dove Augusto si era fatto costruire il Mausoleo.
' * per esser parato.... non riuscì ec. Pare che queste parole rechino
un concetto alquanto diverso da quello di Tacito , la cui sentenza, se non erro,
è questa : Che i funerali di G. Cesare fossero turbali non è maraviglia, perchè a
cagione della non digerita servitù e della mal ripigliata libertà , parve quel fatto
a chi pessimo a chi bellissimo, e quindi scoppiarono passioni violente. Ma il fare
ora quella mostra di guardie , quasi potesse accadere lo stesso per la morte d'un
principe che aveva tanto e si finamente regnato e che lasciava si potenti eredi , in
verità era cosa proprio da ridere.
' molto si ragionò. Il di del mortoro e lo stratto (*) di tutta la vita del
morto; poi non se ne parla più.
' * morìj cioè, a*i9 d'agosto.
^ * quanti Valerio ec. Talerio n'ebbe 6, Mario 7 , che fanno 13 consolati ,
quanti appunto n'ebbe il solo Angusto.
(*) lo stratta, il e
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IL LIBHO PBIMO DSQLl ANNALI. 13
sca : ventttna volta fu gridato imperadore, e pia altri onori
iterati o nuovi. » Ma i prudenti chi in cielo chi in terra met-
teano la sua vita, or Avere (dìceano quelli} la pietà verso il
padre e 'I bisogno della republica dove le leggi non avien
loogo , tiratolo pe' capelli all' armi civili : le quali né procac-
ciar si possono né tenere per buone vie. Per vendicarsi delli *
ucciditori del padre i» molte cose passato ad Antonio, molte
a Lepido; poscia che questi marci di pigrizia, e quegli di sue
libidini pagò il fio, che altro rimedio alla discordante patria
che reggerla uno? non re, non dettatore, ma principale nella
republica: T imperio terminato con V oceano o lontanissimi
fiumi: legioni, vassalli, armate e lutto bene concatenato: fatto
ragione a' cittadini , cortesia a' collegati; la Città bella e ma-
gnifica: qualche cosetta per forza, per quiete del resto.»
X. Dicevasi voltando carta: « La paterna pietà , le mi-
serie della republica erano le belle scuse: la cupidigia del do-
minare dessa fu che lo stig^ giovinetto privato a sollevar con
doni i soldati vecchi, fare uno esercito,' corrompere al con-
solo le legioni:' infintosi pompeiano: e , strappato con decreto
de'padri fasci e pretura, * ammazare Irzio e Pausa (fussesi a
buona guerra o pure Panza d'avvelenata ferita e Irzio da'pro-
pri soldati d' ordine di quello) e i loro eserciti occupare: a
dispetto del senato farsi consolo, e Tarmi contr' Antonio pre-
se, contr' alla republica volgere: fare ì cittadini ribelli,'^ con
tante spartìgioni de' lor beni, incresciutone eziandio a chi gli
ebbe:* le morti di Bruto ^ e di Cassio vadano con dio; erano
nimici del padre ; benché si deano per lo ben pubblico i pri-
' * delli. Cosi la Giuntina. Ma in un esemplare di questa edic posseduto
dalC. Mortara, tra l*aUre curiose correzioni ortogTa6cbe fattevi di mano del
« traduttore, vedesi corretto sempre delli in degli j alliin agli j li in gli te.
' ' *fare uno esercito. D'anni 19 raccolse di propria autorità e a proprie
spese un esercito. Vedi Montan. Ancir,
^ * le legioni, cioè , quarta e quinta , le quali con doni trasse a se.
* * pretura. Non il titolo di pretore , ma il diritto di proferire in senato la
propria senteiwa in luogo del pretore. Vedi Ci e. Phil.Y,Vl.
• *fare i cittadini rtAe///^ cioè , giudicarli. H Lat. hi u proscriptionem
civium (kcìsst). »
' * Segue la congettura cepere: ma i Mss. leggono /érere, e vuol dire che
quelle proscrisioni e confische sapevano reo anche a chi le fece fare.
^ * di Bruto. Cosi le stampe originali: ma il testo ha Brutorum, de'Bru-
t>) cioè, di Marco e Decio.
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14 tL LIBHO PRIMO OBOLI ANNALI.
vati odi lasciare; ma Pompeo sotto spezie di pace, e Lepido
d' amicizia iagannò egli pure; e Antonio, per li accordi di
Taranto e di Brindisi e dalle ingannevoli noze della siroc-
chia allettato , n' ebbe in dota la morte. Abbiamo poi avuto
pace si, ma sanguinosa; le sconfitte di LoUio e di Varo, i
macelli fatti in Roma de' Yarroni, Egnazi e Giuli.» Sinda-
cavanlo ancora de' fatti di casa, a A Nerone menò via la mo-
glie, e domandò per ischerno i pontefici se ella col bambino
in corpo n'andrebbe a marito con gli ordini: ^ le morbideze *
di Tedio e Yedio Pollione.' Finalmente quella Livia è una
mala madre per la republìca, peggior matrigna per casa Ce-
sari. Volle essere celebrato ne'tempii e nelle immagini da'fla-
mini e da' sacerdoti alla divina.* Or che ci resta a fare agi' id-
di i? Né scelse mica Tiberio a successore per bene che gli
volesse o per cura della republica; ma vobe, scortolo d'animo
arrogante e crudele, a petto a lui sembrare un oro.^ E già
gli aveva Agusto, nel chiedergli a' padri la rafferma della
balia di tribuno, sue fogge, vita e costumi pur con rispetto,
quasi scusandolo, rinfacciato. » Finita la cirimonia della se-
poltura, gli si ordinò tempio e divini ufici.
XI. Voltaronsi poi le preghiere a Tiberio. Egli parla-
mentaya della grandeza dell'imperio con la modestia sua:
* • con gli ordini. Lat. : « rite , *» debitamente.
^ * le morbideze ec. : sottintendi « gli rinfacciavano. » Tedio o, com'altrì
vogliono, Atedio è uomo ignoto; Vedio poi è ^egli cbe gettava i servi alle morene.
V. Plin. H. N. IX,2d. Il Davanzali sospettò qui una lacuna. Vedi le Varianti,
S Vedio Pollione. Yedio Pollione era lancia d' A gusto , arricchito da
lui oltre al convenevole , onde il popol si lamentava : e si bestiale, che quando
uno schiavo suo faceva qualche errore , lo gittava in un vivaio che teneva di
murene e altri pesci, i quali così nutriva di carne umana. Agusto mangiando
seco, e avendo uno schiavo rotto un bicchier di cristallo di gran preso, e rac-
comandandosegli , Io lasciò e fecesi portare e ruppe quanti cristalli Pollione
aveva. Morendo lasciò ad Agusto la villa di Posilipo tra JHapoli e Pozuolo , con
la maggior parte della sua gran rìccheza, con carico di fare alcuna c^era nota-
bile in sna memoria. Agusto lo servi : spianògli le case e fecevila loggia di Livia.
^ nelle immagini.... alla divina- Co* razi dello splendore e altri segnali
appropriati agi' iddìi , folgore, caduceo, cbva, tirso e simili.
* sembrare un oro. Da lui Tiberio imparò che si lasciò succedere Gaio
figliuolo di Germanico, anzi che Tiberio di Dmso, suo sangue; perchè le
orribilità di lui le sue oscurassono, per uccider con la mano di lui, e non
con la sua, tutti gli ottimi senatori, e spegnere ogni bonlade: avendo usato
dire, Morto io, arda il monào.
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IL LIBRO PRIMO DEGLI ANNALI. 15
a Qaella mente sola del divino Agnslo essere stata capace di
tanta mole, avergli con la parte de' carichi impostagli inse-
gnato quanto arduo e zaroso ^ sìa reggere il tutto; non des-
sero tutte ad uno le cure d' una città fondata di tanti uomini
illustri; più compagni aiutantisi compierebbono gli affari pn-
blici più di leggiere.» Scorgevasi in questo parlare di Tiberio
più pompa che lealtà, le cui parole per natura e usanza dop-
pie ' e cupe quando s'apriva, ora, che a più potere si nascon-
deva, erano in cotante più dubbieze e tenebre inviluppate.
Ma i padri per non parere d'intenderlo (che orala lor paura)
si davano a piagnere, a lamentarsi, raccomandarsi con le
braccia tese agl'iddìi all'immagine d' Agusto alle ginocchia
di lui, quando egli fece venire a leggere uno specchietto di
tutto lo stato pubblico: tf tanti soldati nostrali; tanti d'amici;
tante armate; regni, vassalli, tributi, rendite, spese, dona-
tivi, » tutto di mano d^ Agusto, aggiuntovi suo consiglio (per
tema o invidia) che maggior imperio non si cercasse.
XII. Or qui chinandosi insino in terra i padri a scon-
giurar Tiberio, gli venne detto che a tutta la republica non
era sufficiente, ma una parte,' qaal volessero, ne reggerebbe.
«E qual parte (disse Asinio Gallò) ne vorrestù?» A tale
non aspettata domanda stordi: poi rinvenutosi rispose : « Non
convenire alla modestia sua scerre o rifiutare alcuna parte,
del cui tutto vorrebbe più tosto scusarsi. i> Gallo vedutol
tinto, * replicò : « aver detto qual parte, non per fargli divi-
* * zaroso, rischioso : derivato da zara, giuoco di sorte.
S le Citi parole..,, doppie. Gli antichi capitani portavano per insegna il
IMinotaaro, mostrando dover tenere i secreti nel profondo de' loro animi im*-
penetrabile, come il mexo del laherinto; e Tiberio usava dire: « Quando il
principe non s' è lasciato intendere , esser a tempo a far molti beni, e schi-
far molti mali: ».ma egli voleva fare il male, e non si scoprire; però noi
comandava chiaro , ma 1' accennava infruscato , e gastigava cosi chi l' aveva
per grosso intendere disubbidito, come chi per sottil penetrare s(H>perto e
offeso. Volendo , col tener 1' unghie dentro e gli occhi chiusi , non esser eo-
nosciuto gattone. Onde conveniva a' poveri senatori arare molto diritto.
' ma una parte. Altri dicono che Tiberio aveva gi^ fatto del governo
tre parti: Italia, eserciti, vassalli: e rispose. Se io ho fatto le parti, come
posso pigliare f
* * vedutol tinto, cioè , come traduce il Dati , avendo conosciuto a' segni
del volto ch'egli aveva preso a male quelle parole. Il Lat. ha : « vultu offen--
sionem coniectaveraU » Cosi pure nelle Storie, lib. Ili, 88.
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16 IL LIBBO PRIMO DEGÙ ANNALI.
der quello che non si paò, ma confessare che la republìea è
un sol corpo, e la dee reggere un sol animo. » Entrò nelle
laudi d' Agusto, e contò a Tiberio stesso le sue yittorì&ele
sue valentie di tanti anni in toga. Né per tanto il placò, che
r odiava di già come di concetti più che cittadineschi , per
moglie avendo Yipsania, stata prima di Tiberio, e figliuola
d'Agrippa, e ritenendo V alterigia di Pollione suo padre.
XIII. Dietro a costui L. Arunzìo quasi altresì disse, * e
offese Tiberio, benché seco non avesse ruggine prima; * ma
come ricco, ' scienziato e rinomato, ne sospettava, avendo
massimamente Agusto nelli ultimi ragionamenti de'sacces-
soi'i detto * a che Manio Lepido sarebbe capace, ma non cu-
rante: Asinio Gallo avido, ma non da tanto: Lucio Arunzio il
caso ^ e ardilo, vedendo il bello.» De' primi, tutti convengono:
in luogo d'Arunzio pongono alcuni GneoiPisone; e tutti, da
Lepido in fuori , ne' lacci di varie colpe che loro tese Tibe-
rio, incapparono. Punse aticora quel sospettoso animo il dire
Quinto Aterio: « Quanto Vuoi tu, o Cesare, che la republìea
stea senza capo ?» e '1 dire Mamerco Scauro: <c II senato
spera, poiché a' consoli non hai contraddetto come tribuno,
che tu gli farai la grazia. » Contro Aterio si versò ® imman-
tenente : a Scauro , più inviperato , non rispose. Stracco ,
ch'ognuno sclamava, ciascun si doleva, calò, non a confes-
sar d'accettare, ma a dire: <c Orsù finiscasi tanto negare
e tanto pregare. »'' Aterio andò per iscusarsi a palagio, e fa
* * quasi altresì disse, parlò quasi nell* istessa sentenza d'Asinio Gallo.
' * non avesse rtiggine prima , benché Tiberio non avesse contro di lui
alcan veccbio rancore.
' * ricco : aggiungi animoso, conforme al testo che ha : « divitem, prom-
ptum. »
* * avendo detto. Ho seguito la lezione dell' edistcmi Marescottiana e
Giuntina , invece della volgata che reca : •• e per avere Augusto nelli ultimi ragio-
namenti de' successori discorso «e. •• Ma avverti che qui il Dàvaniati ha dimen-
ticato non poche parole del testo, che tradurremo col Politi : « Trattando Aìign-
sto.... di quelli che , potendo , non fussono per aspirare all' imperio , o che non
atti , ardissero , o di quelli che potessero e volessero, aveva detto ec. »»
9 * il caso : sottintendi era. Ed essere il caso vale essere idoneo. Il Dati
nelle Lepidezze, pubblicate dal Moreni , usa anche essere il casissimo,
^ * si versò. Lat. ; « invectus est. «• Il Politi : « si sfogò. •
^ tanto negare e tanto pregare. Altri dicono che egli accettò l' im-
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IL LIBRO PBIHO DBALI ANNALI. 17
per esservi morto dalla guardia , perchè neir abbracciar le
ginocchia a Tiberio che passeggiava, il fé', a caso o in <iaelle
mani incespicato, cadere; né lo placò il pericolo dì tanto
nomo, si fd* da importuni preghi d' Agusta, ove ricorse, difeso.
XIV. Stucchevoli ancora erano i padri nel piaggiare
Agasta: chi genitrice , chi madre della patria la voleva appel-
lare:, molti, « doppo il nome di Cesare, si scrivesse Figliuolo
di Giulia, » Egli dicendo gli onori delle donne doversi tempe-
rare (e lo farebbe de* suoi),* ma invidiando Falteza di lei
come la saa adoggiasse, non le concedette pare un littore,
e l' altare dell' adozione ' e altre cose cotali le tolse. Fece far
Germanico viceconsolo: ambasciadori andare a portargli il
grado, e consolarlo della morte d'Agosto. A Drnso, che già
consolo eletto e presente era, ciò non occorse. Dovendosi
fare i pretori, ne nominò dodici, nomerò posto da Agosto,
li senato voleva por eh' ei lo crescesse, ed ei giorò di noi
passare.
XV. Gli squittinì si ridossero allora dal campo marzio al
senato: perchè gli uficisino a quel di s'erano dati per favori
delle tribù, benché i migliori dal principe. Il popolo di tale
preminenza levatagli non fece che on po' di scalpore: al se-
nato fo ella cara , per non avere a donare e con indegnità
dichinarsi: e Tiberio s' aonestò di proporne qoattco e non
piò : ma vincessero senza pratiche. I triboni della plebe chie-
derono di fare ogni anno a spese loro una festa , da dirsi ,
peno si veramente che i p aJri si conlentassero di tosto ripigliarlosi per dare
aDa sua ▼ecchiesa riposo.
* * sì Jtt, sintanlo che fu. Lat. : « donee. »
* e lo farebbe de* suoi. Della non finta modestia e delle buone ope^e
di Tibwio, massimamente mentre visse Germanico, grandi cose si leggono;
ricusò il tempio , il nome d'Agusto , di padre della patria , ed il giuramento
annuale. Non tenne stabili; non vita splendida; riveriva i magistrati; vo- ,
leva nelle sue cause giustisia; donava a' nobili poveri. Molti edifici e tempii
di privati cominciati o rovinati, forni e riparò, ritenendovi i nomi loro.
Urbanitli usata dal granduca Cosimo, che al palagio de' Pitti, comperato e
reale fatto , non voUe mutar nome ne metter sua arme.
' * Usarono i Romani di erigere o un'ara o un tempio a memoria d'un
qualche fatto insigne. Cosi Livia, essendo per testamento di Augusto ( vedi sop.
e. 8 } stata adottata nella famiglia dei Cesari e dichiarata con istrano esempio fi-
glia del suo marito , fu a memoria di ciò inalsata quest' ara , che poi dovea dar
ombra a Tiberio.
r
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18 IL LIBRO MIMO DBALI AMMALI.
dal nome d'Agosto, AgnsUle, e aggìogneni al calendario.^
Fu coiicedata a spese del pabblico: andasaero per lo Cerchio
in vesle trionfale, ma non in carro 5 q«el giudice de' citta-
dini e de' forestieri, ne avesse l* annaal cura.'
XYI. In tale stato erano le cose della città, quando le
legioni di Pannonia romoreggiarono, per ciò solamente che
la mutazione del principe mostrava licenza d'ìngarbo^iare,'
e la guerra civile speranza di guadagnare. Tre legioni sta-
vano insieme negli alloggiamenti della state sotto Giunto
Bleso, * il quale, udita la finte d'Agusto e '1 principato di Ti-
berio, aveva tra per lo duolo* e per la letizia trasandato
l' esercitarle. Quinci presero i soldati a svagarsi, « quistio-
nare, dar orecchi alternale lingue; finalmente cercare i pia-
ceri e l'agio; e l' ubbidienza e la fòtica fuggire. Eravi un
Percennio stato capo di commedianti, poi siMatello linguac-
ciuto , e per appiccar mischie , avvezo già tra* partigiani
de' recitanti, valea tant' oro. Costui cominciò la notte o la
sera a contaminare'' i deboli, dubitanti come sariàno trat-
tati i soldati or che Agusto non e' era: ritiratisi 1 buoni, ra-
gunata la schiama, e preparati altri rei strumenti, quasi in
parlamento gr interrogava:
XYII. « Che tanto ubbidire, come schiavi, a quattro
scalzi centurioni e meno tribuni? Quando aremo noi cuore
t * Dove era notaU cosi : « IV. eìd. Octob. AUGUST. » Ella fàcevasi anco
prima, ma i tribuni chiesero di continuarla anche dopo la morte di Augusto , co-
me a un dio. Ma non fu loro permesso di farla a proprie spese, perchè non si
acquistassero troppo favore nel popolo.
i " Il testo h qui corrotto , e il Davanzali fu incerto nel tradurre : vedi le
Varianti. Invece di celebrano annum ad pratorem ( com'ba il cod. Mediceo e
che correggono celebratìo annua), rOrcUi con facile mutazione proporrebbe
celebrano eum ad prcetoremj dove, anco qui, scorgerebbesi la bassa gelosia di
Tiberio che die quell' incarco non a un magistrato principale , ma secondario.
5 *Lat.: licentiam turbarum.... ostendebat »
* * Zio di Seiano.
s * dtiolo. Il Lat. ha : « iustittum, » che veramente è il feriaio.
6 * Il Lat. : m lascivire, »
f * contaminare (Lat. impellere) vale in questo luogo tentare o spingere '
altri a fare alcuna co&a. Cosi anche V. Borghini, JVof, Alleg, » Vi povero padre,
contaminato da*prieghi e sforzato datt'affeùone , gli donò tatti i suoi tesori. *•
( Vedi, Opuscoli inediti o rarir Fir. 1845. >
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A LlBftO PBI1I0 DEGLI ANNALI. 19
di rìmedirci,* se non affrontiamo il principe co' preghi o con
Tarmi ora che egli è nuovo e balena? Dappochi siamo noi
stali a tollerare trent' anni e quaranta di soldo; trovarci vec-
chi e smozieati dalle ferite; non giovarci V essere licenziati,
da che siamo ritenoti alle 'nsegne , e sotto altro vocabolo i
medesimi stenti patiamo. E se alcuno avanza a tante fortune,
ci strascinano in dileguo, e dannociin nome di poderi, pan-
tani e grillale.* Eirè pur tribolata e scarsa questa nostr'arlel
dieci assi il giorno ci vale anima e corpo! con questi abbia-
mo a comperar vitto , vestito, armi , tende , misericordia
da' centurioni, e un po' di risqnitto. ' Sempiterne si sono le
mazate, le ferite, i verni crudi , le stati rangolose, ^ la guerra
atroce, la pace tapina. E' bisogna sgravarci con patti chiari;
che ogni di ci venga un denaio intero; ' servasi sedici anni;
non si passi; non si resti all'insegne; il ben servito ci si snoc-
cioli di contanti * In su '1 bello del campo. '' I soldati di guar-
dia, che toccano duo danari, e dopo sedici anni se ne tor-
nano, portan forse pericoli più di noi ? non si biasimano le
guarnigioni della città; pure tra genti orribili stiamo noi, e
veggìamo dalle tende il nemico in viso. »
XVIII. Fremevano i soldati e s'accendevano, rimprove-
rando i lividi," ipeli canuti, i panni logori, i corpi ignudi. E
vennero in furia tale, che vollon fare delle tre legioni, una ;
ma l'onore del nome, che ciascun volea dare alla sua , guasta.
' * rimedirci, rbcattarci.La Nestiana, rimediarci: errore passato nella Co-
mimana e in tutte le altre, sebbene h Hestiana lo conreggeM* nel copioso ErraU,
' * grillaU, toee viva aneora ael contado toscano , a aipiificare terre ari>
3e, sassose e infeconde.
' * risquUto j riposo , respiro dalle fatiche , vacaua. Il Lat. ha « vacationes
munerum. » Sull'origine e sig;nificato di questa parob vedi Sahini Disc. accM-
demicis tomo Vili, disc. 8, edia. di Venexia 1834.
♦ * rangolose, traTagliose , affannose. Lat. m exercitas » (laborum plenas).
» im denaio intero. Il deàarìo per le guerre fu alaato da* dieci assi
a' sedici. E pure i soldati toccavano i soliti dieci assi per un denario il
giorno: ed erano einqoe ottavi di denario all'effetto, ciob al comperarne le
cose che a propofaione eran salite di pregio.
• ci si snoccioli di contanti Si fatte voci e maniere proverbiose, in bocca
a persone basse alterale, molto convengono e più esprimono : mettono innansi
agli occhi , e fanno la cosa presente.
'•fa su 'l bello del campo. Cosi la MarescolUana. Le altre, *i sul bel;
che vale , nel mesto del campo ; sul campo stesso.
^ * i lividi. Il Lat. : m verberum notas. *•
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20 IL LIBRO PBIHO DEGLI ANNALI.
Mutalo pensiero, piaotano insieme le tre Aquile* con loro
insegne, e rizano di piote un tribonale ' alto, perchè me' si
vedesse. Sollecitandosi V opera, Bleso vi corse, e riprendeva,
riteneva e gridava: « Imbrattatevi anzi del mio sangue: minor
male fia il legato uccidere, che dall' imperador ribellarvi: o
vivo vi terrò in fede, o scannato v'affretterò il pentimento.»
XIX. E pure le piote crescevano , e già erano a petto
d' uomo, quando al fine vinti da pertinacia lasciarono stare.
Bleso con parole destre mostrò: € Non dovere essi con sedi-
zioni e scandoli fare intendere a Cesare i loro desìderii: non
avere gli antichi a' loro imperadori , ned eglino ad Agosto
fatto domande si nuove. Male avere ^elto il tempo a cari-
care di pensieri il principe a prima giunta. Se pur tentavano
nella pace cose né pur sognate nelle vittorie civili; perché
volerle per forza contr' all'usata ubbidienza, contr'alla legge
della milizia? Facessono ambasciadori,e loro dessonole com-
messioni in sua presenza. » — « Sia sia il figliuolo di Bleso,
gridarono, e chiegga la licenza dopo i sedici anni: ' avuta
questa, commetterìeno il rimanente.» Il giovane andò, e que-
tarsi alquanto: ma insuperbiti, che il figliuolo del legato, trot-
tato a difenderli, chiariva bene essersi avuto per filo^ quello,
che con le buone non si sarebbe ottenuto.
XX. In questo tempo le masnade innanzi al sollevamento
mandale a Nauporto per acconciare strade, ponti e altro,
udendo il tumulto del campo, danno di piglio alle 'nsegne ,
saccheggiano que' villaggi e Nauporto slesso, eh' era come
una buona terra. Volendo i centurioni ratlenergli,te li pa-
gano di risale, d'oltraggi, di bastone, adirosissimi contr' Au-
fidìeno Rufo maestro del campo, cui tiran fuora della carretta,
carican di fardelli, e innanzi cacciatolsi, gli domandone ' per
* * Cosi abbiamo restituito coli* ediz. Marescottiaoa. La Gominiana e le
altre hanno: le Aqtdle*
S rizano un tribunale. Rizare un altro tribunale voleva dire , fare un
altro imperadore , dove egli parlasse all' esercito e rendesse ragione.
S * « Gridarono allora tutti : eh' e' si mandasse il figliuolo di Bleso, per do-
mandare in nome loro a Cesare che a ipielli che sedici anni avevano militato , si
desse licenza di tornarsene a casa lóro. » G. Dati.
* * perdio, per fotza : modo vivo in Toscana.
^ * domandono. Cosi l' edizioni originali : le adtre, domandano. Cosi pure,
più sotto, abbracciono per abbracciano»
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IL UBBO PBIMO DEGLI ANNALI. 21
ìsirazio, cfaenti ^ paressero a lai qoe' pesi* bestiali e langhi
cammini? Gonciossiachè Rufo, stato assai tempo fantaccino,'
poscia centarione,indi maestro del campo, rinnovava la darà
milìzia antica: da'iavorii e fatiche non rifinava,* e, per averle
dorate egli, più crado era.
XXI. Per lo costoro ritorno la sedizion rifiorisce, e , sba-
ragliati, saccheggiano qae' contorni. Bleso ubbidito per an-
cora da' capitani e da' migliori soldati, a terrore degli altri,
alcuni più di preda carichi, ne frusta e 'ncarcera. Fannosi
strascinare , abbracciono le ginocchia de' circostanti , chia-
manli per nome, gridano, « Io sono il tale , della centuria ,
coorte, legione cotale: sarà fatto cosi a voi.» Dicono ogni
brobbio al legato, invocano il cielo, gl'iddìi, ogni cosa fanno
per muovere odio, misericordia, ira e paura. Accorron tutti;
spezzano le prigioni; scatenano e tra loro mescolano! truf-
fatori , i sentenziati a morte. Il che raccese la rabbia , e fece
scoprire molli capi.
XXII. Un certo Yìbuleno soldato di dozina dinanzi al
tribunal di Bleso, salito sopra le spalle d' alcuni, fece gente
correre, e disse : a Ben aggiate voi, che renduto avete la vita
a questi cattivelli innocenti : ma chi la rende al fratel mio? il
fratel mio chi lo rende a me? che'l vi mandava l'esercito di
Germania per li comuni commodi; e costui l'ha fatto stanotte'
< * ehenU, «pali. Voce antiquata.
' * pesi. Il Volpi die nelle sua Gominiaoa fa tanto scalpore dei 700 errori
dell'ediz. fiorentina del Mesti, poteva almeno non couTertire questi pesi in patsi»
con iscandolo di tutte le posteriori edizioni che Iianno copiato questo errore.
' * fantaccino. Il Lat. : « manipularis. »
* da*latfoni e fatiche non rifnava : Invictus operis ac laboris. Il te-
sto , onde tutti gli altri derivano, di questi cinque libti, trovato nel 1516 in un
convento in su '1 Visurgo, <^gi Vesero, in Germania, e da papa Lione messo
nella Libreria de'M edici , scritto da mano non troppo accurata, dice , intus ope^
ris. Onde il signor Curzio Picchena , secretano , ottimo tacilista, trae una inge-
gnosa correzione , veitts operis ( notata poi dal Lipsio in curis secimdis), locu-
zione propria di questo autore ,'Come veUis regnandi, scientìof, ceremoniarum
e altre; perchè molto più agevolmente quel copiatore avrà errato a scrivere inttis
per ifetust che per invictus. (*) A me pare avere espresso in virtù l'uno e l'altro
vocabolo : perchè t^etus operis vuol dire praticato , anticato , usato , « Ingegno
usato alle qtùsiion profonde j » e invictusj che mai non si vedea stracco.
s * stanotte, manca nella Nestiana, nella Gominiana e nell' altre. Ma 1* ab-
(1 Anehe l' Ordii, tra 1« non poche congettore trovate per sanare qaesto laogo , non sa
dbapprovare questa del Picebena , ohe egli altriboisee assolatamente al Ltpvio.
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22 IL LIBRO PRIMO DEGLI ANNALI.
scannare dalli scherani saoi , che per far morire i soldati
tiene e arma. Rispondi, Bleso, dove hai ta il corpo gittato ?
i nimicì stessi non niegano sepoltura. Lascialmi baciare ,
bagnar di lagrime, sfogare il duolo, e poi anche me squarta:
parche costoro noi seppeliscano ammazati,non per misfare,
ma per procearare ì* utile delle legioni. »
XXIII. Aiutava le parole col piagnere, col darsi delle
mani nel viso e nel petto. Allargatisi qùe' che '1 reggeano,
cadde; e, voltandosi tra' piedi alla gente, mise^ tanto spa-
vento e odio, che i soldati si difilarono chi a legare li sche-
rani e r altra famiglia di Bleso, chi alla cerca del corpo. E
se tosto non si chiariva, né corpo morto trovarsi, né i servi
collati confessare V uccisione, né colui aver mai avuto fra-
tello, poco stavano a uccidere il legato. Cacciaron via bene
i tribuni e '1 maestro del campo, a' quali nella fuga tolsero le
bagaglio, e vi mori Lucillio centurione detto per facezia sol-
datesca il Quallaltra, perchè rotta in su '1 dosso al soldato
Vuna vite,' gridava, «Qua l'altra, » e poi «Qua l'altra. »
Gli altri furon trafugati, ritenuto solo Clemente Giulio, per-
chè portava bene r ambasciate de' soldati per lo pronto in-
gegno.Erano ancora per azuffarsi la legione ottava chiedente
Sirpico centurione per ammazarlo, e la quindicesima lui sal-
vante; se la nona non vi si frammetteva co' preghi e, non
giovando, con le minacce.
XXIV. Mossero questi avvisi Tiberio, benché coperto e
i maggior dispiaceri dissimulante, a mandarvi Druso suo
figliuolo co' primi della città, con due coorti rinforzate, fiore
della guardia, senz' altra commissione, che di fare secondo
vedesse' il bisogno. Aggiunsevi gran parte de' cava' * di guar-
dia, col nerbo de* Germani,'^ che allora la persona guarda-
Liamo restituito sulla fede della stampa 6oreiitina del Marescotii, e del testo la-
tino cbe ha : « nocte proxima ittgulavit, «•
' * mise. Cosi la Marescottiana : l'altre, messe.
' /' una vite. Con la scure e eoo le verghe si punivano i delitti gravi per
mano del littore : i leggieri con una vite per mano onorata del centurione. Però
dice Plinio: m La vite onora le pene. » L. XIV, cap. I, nel fine.
' ^ vedesse. La Marescottiana , volesse.
♦ * cava\ cavalli.
S Germani. Di questa nasione, fidatissima goardia delle penone de'prin-
cipi , Agusto per la rotta di Varo insospettì ; Tiberio la riprese.
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IL LIBRO PRIMO DEGLI ANNALI. 23
vano dello imperadore. Elio Seìano capitano della guardia,
gran favorito di Tiberio, e Strabonesao padre dati furono al
giovane per tener Iqi ammaestrato, e gli altri in timore e spe-
ranza. A Druse già vicino andare incontro quasi a far ri-
verenza le legioni, non gaie al solito, né con le 'nsegne fol-
goranti, ma lorde, e con visi, benché acconci a mestizia, più
veramente cagneschi.^
XXV. Quando e' fu entro allo steccato, metton guardie
alle porte, armati alle póste, gli altri in gran numero accer-
cbiano il tribunale. Stava ritto Druse , e con la mano chie-
deva silenzio.' Essi quando giravan l'occhio alla loro moltitu-
dinelevavano mugghio efferato; quando a Cesare, allibbivano.'
Un bisbigliare non inteso, stridere atroce,chetarsi a un tratto
(movimenti contrari d'animo) li mostravano tremorosi o tre*
mendi. Allentato il tumulto, lesse la lettera del padre, che
diceva , « Essergli più di tutte a cuore quelle fortissime le-
gioni, con cui sostenuto avea tante gqerre: posato che avesse
l'animo dal dolore, tratterebbe co' padri le loro domande:
intanto mandava il figliuolo a consolarle di quanto allora si
potesse.Il rimanente serbava al senato, non si potendo torgli
la sua ragione delle grazie e de' gastighi. »
XXYI. La turba rispose: « che Clemente centurione spor-
rebbe l'animo loro. » Egli disse «della licenza doppo i sedici
anni; del ben servito; dell'un denaio il di; del non rimanere
all'insegne. »DicendoDruso,<(che a queste cose ci voleva l'or-
dine del senato e del padre,» fu dalle grida interrotto. «A che
venirci senza poterci crescer paghe, scemar fatiche, far ben
veruno? flagellare si e uccidere ci puote ognuno. Già soleva
Tiberio, con allegare Agusto, far ire in fumo i desideri l delle
legioni: or ci vien Druse con la medesima ragia.* Haccis'egli
sempre a mandar pupilli? Che è ciò che l' imperadore, ap-
< * cagneschi, arroganti : Lat. m contumaciie propiores. ** La tradnxioné
àéì Dati è comento : « e sebbene elle parevano in volto piene di tristezsa e di ma-
nioconia, nondimeno si scorgeva più in loro una certa mala disposizione di
voler perseverare in quella ostinazione e contumacia. »
* * e con la mano chiedeva silenzio. Dante, Purg,^ Vili.
....cbe 1' ascoltar chiedea con mano.
' * allibbivffno. Il Dati : tremavano di paura.
♦ * ragia, tristizia, frode, inganno.
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24 IL LIBBO PRIMO DEGLI ANNALI.
panto ì commodi de'soldati rimetta al senato? quando ci man-
dano a giustizia o a combattere, perchè non sen'aspètt'egli
il compito^ àlsì' dal senato? hannocisi a dare ì premi passati
per le filiere de' consigli, e i gastighi alla cieca?»
XXVn. Partonsi dal seggio: ad ogni soldato di guardia
0 amico di Cesare, ch'ei s'avvengano, vanno con le pugna in
sul viso per cagionar quistìoni, origini di venire all' arme,
niquitosissimi centra Gneo Lentulo, creduto più degli altri ,
per r età e gloria dell' armi, governar Drusb, e tanto disor-
dine di milìzia abborrire. Yistol fuori con Cesare, e avviato
per fuggire il pericolo agli alloggiamenti del verno, l'accer-
chiano e dimandano, a Ove si va? all'imperadore oa'padri?
a guastare anche quivi i commodi delle legioni! » Yannogli
addosso co' sassi, e già era sanguinoso e spacciato , se gente
di Druso noi soccorreva.
XXYIII. Minacciava quella notte di molto male, cui la
sorte addolci. La luna^ ' facendosi il cielo quasi più chiaro di
lei, pareva venir meno. I soldati, che la ragione non ne sa-
pevano, la presero per loro agurio, credendo mancare il pia-
neta per le loro tra vaglie, e dover bene riuscire, se laiddea
ralluminasse. Dato adunque nelle trombe, cembali e corni ;
secondo che ella più chiara o più scura, essi lieti o tristi fa-
' * compilo, prescrisione.. Vedilo in questo stesso senso al lib. XIV, 182.
S *alsì, altresì.
' La luna j facendosi il cielo quasi pia chiaro di lei, pareva venir meno,
' Nam luna clartore ptene ccelo visa languesoere, (*) Cosi leggiamo col testo vul-
gato, senta mutare o alterar cosa nessuna. Quando il cielo per alcuna cagione si
fa luminoso , ognun sa che le stelle perdono del loro splendore. Avviene qualche
volta la notte che V esalasioni terrestri o simili materie , alsandosi sopra il cono
dell' ombra della terra , sendo illuminate dal sole , fanno quasi un'alba notturna ,
e massime nelle parti settentrionali. Onde alcuni 1* hanno detto aurore boreali,
le quali imbiancando il cielo , fanno svanire alla luna il suo bel colore. Che ciò
avvenga, l'attesta ancor Plinio nel secondo libro al cap. 38: Zumen de cesio noeta
visum est C. Ccecilio et Gn. Papyrio coss. et sape alias, ut diei species
noctu lucerei. La dimostrasione ed e£Fetti di questo accidente è stata moderna-
mente osservata e insegnata dal signor Galileo Galilei , il quale riferisce essersi
tra 1* altre abbattuto una notte in Venesia a vedere due ore dopo il tramontar del
sole schiarirsi il cielo tutto , e in particolare oltre al Zenit , verso greco e tra-
montana, talmente che tutte le stelle erano sparite. S benché l'albore fosse gran-
dissimo, nulladimeno le ombre delle fabbriche erano talmente dilavate, che poco si
distìnguevano. E questo derivava dall'immensitSi dello spazio onde veniva il lume.
n 11 Testo dell' Orelli leggo: « nam luna clan repcnf eailo visa languesecn, »
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IL UBBO PBIIIO DEGLI ANNALI. 25
ciensi. Tornò il nagolato,^ e la coperse: e qae' pensarono
(come fa la paara correre alla religione) per essersi riposta
nelle tenebre, dovere essi travagliar sempre, dolenti d'avere
gr iddii sdegnati per loro misfare. Parve a Cesare da valersi
di tal rimòrso, e fare della sorte savìeza. Manda gente alle
tende, Clemente e altri baoni e grati, a tramettersi tra le
scolte, tra le pòste, tra le gaardie delle porte, a impaurire e
innanimire: « Quanto terremo noi il figlinolo dell' impera»
dorè assediato? che fine aranno le contese? giureremo noi
ubbidienza a Percennio e Vibuleno? daranno questi le pa-
ghe a' soldati, i terreni a' licenziati? reggeranno in vece di
Neroni e Drusi V imperio del popol romano? Chieggiamo più
tosto perdono, non insieme, ma quelli i primi, che colpammo
1 sezi.' Le grazie chieste in comune vengono a pie zoppo:
ciascun di per se , non prima la merita , eh' egli V ha. » Da
colali parole punti e insospettili tra loro, sceverano i vecchi
da' novelli, legione da legione: torna là voglia dell' ubbidire,
lascjan le porte; riportano ai lor luoghi le male accozate in-
segne.
XXIX. Druse, la dimane chiamò a parlamento: e cosi
senz'arte con generosità naturale, biasima i primi fatti,
loda i presenti; niega potere in lui spauracchi: se saran
savi, se chiederanno mercè, scriverà a suo padre che si
plachi, e le sue legioni esaudisca. A' lor preghi si mandare
a Tiberio quel medesimo Bleso, L. Apronio romano cava^
liere della coorte di Druse, e giusto Catonio centurione di
primo ordine. Disputossi assai, volendo chi tenere addol-
cili i soldati sino al ritorno de' messaggi, chi fòrti ripari
usare. « Il popolazo, ò asso o sei:' è tremendo al di so-
< * Temè il nugolato. Meli' esemplare della Ifestiana posseduto da Gino
Capponi è corretto a penna cosi : Fènue il nugolato, ec.
s * cA« eolpammo i stai, che fnmmo aitimi r peccare.
' o asso o sei. Prorerbio che sifj^ifica non aver meao. Ne tratta Eustasio,
interpreto d'Omero, e Platone nelle leggL Vedi Flos Italica^ lingua , 118. E
che noi lo rifiatiamo? Non piaccia alle Muse. — * Ilpopolago, o asso o sei; cioè,
il volgo dk sempre negli eccessi. Lat.: « nil in vulgo modicnm.» Il sei è il ponto
più alto , e l'asso il ponto piò basso di on dado. Qoesto proverbio dispiacqoe al
Costa , perchè di viUssùna condizione , e tolto da un giuoco che potrebbe
essere sconosciuto a molti, (Vedi Elocu»., pag. SI, Fir. 1S39.) Nel secondo
delle Storie, e. S9, la conforme sentcnia « est vulgo idroqne immodieum » tradusse
I. 3
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26 IL LIBBO PRIMO DBQLI ANNALI.
pra,' ridicelo impaarìto. Or che gli fraga la paora del cielo,
crescala chi comanda, con T uccidere i capi. » Druse cbe
penderà nel crudele, fece Viboleno e Percennio a se ve-
nire e ammazare; e i corpi, i più dicono sotterrare n^ pàdi-
glion suo, altri gtttar fciora del palancato a mostra.
XXX. Ritrovati foron i più scandolosi, e parte da' cen-
turioni e soldati di guardia foor del campo alla spicciolata
tagliati a pezi; e parte dalle proprie compagnie dati, per
mostrar fede. Accrebbe l' angoscio de' soldati il verno pri-
maticcio, con piogge continove e tal* rovinose, che né
uscir delie tende poteasi né ragunarsi; affatica le insegne
campare dalle folate del vento e dell^ acqua: e durava quel
timore dell'ira del cielo. « Non accaso, dioeano, abbacinarsi
le stelle^ rovesciar le tempeste sovra loro empi: a tanti mali
altro rimedio non essere che uscir di qu^ campo maladelto,
e tornar ciascuno ribenedetto alle stanze. » Tornaronvi prima
l'ottava legione, poi la quindicesima. La nona (che gridava
« Aspettinsi le lettere di Tiberio »), lasciata in Nasse, fece
della necessità virtù; e Druse senz'aspettare i mandati» es-
sendo le cose posate, a Roma se ne tornò.
XXXI. Quasi ne' medesimi giorni per le medesime ca-
gioni le legioni di Germania s' abbottinarono: più violente
per esser più , e sperar che Germanico Cesare non patirebbe
superiore, ' e datosi a loro si trarrebbe dietro ogni cosa.
Erano a riva di Reno due eserciti: governati, l'uno detto
disopra,* da G. Silio" legato; l'altro, disotto, da A. Cecina;
tutti sottp Germanico, intento allora a catastar* le Gallio. I
più nobilmente : « va il popolato àz estremo a estremo. » Del resto, sa qael
proverbio vedi 0 Honosini Flos ita!, fing, I. 3, pag. iiS; e il Diti nel-
1* Etimologie toscane riferite dal Moreni nella pref. alle Lepidezze,, pag. XXV.
Fir. i839.
* * oidi sopra, cio^, quando esso h *\ di sopì», è sopcriore. — rùUùoh.
Il Lat ha : impune eonfemni: » si può beffare sensa petieolo.
s * fai, talmente.
' * M Con grande sperama eh* Germnieo non fosse per poter ioUerve
J'imp«Tio in un altro, e però fosse per lasciarsi maneggiar da'aotdatì pei dover
poi con fona governar ogni cosa. • G. Dati.
* * detU> dt sopra, sopr«no, Lat. : m eoi nemen sapertori. m
* * 6. Sliió. Della morte di costai vedi più avanti, lib. IV. 18.
* * a catastar, cioè , a fare o a imporre il catasto, o (come dict più avanti,
e. XXUllì) a pigltaf PésUmo, Machiivem, Tsiar,, IV, 14: « E percU «d dìatrì-
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IL UBRO PUMO DBALI ANMALL 27
soldati di Silio slavano . sospesi a veder V esito dell' altrui
sollevamento: ne' disottani. entrò la rabbia, e cominciò dalle
legioni ventunesima* e qinnta, cbe seco trassero la prima e
la ventesima a* confini degli Ubii insieme alloggiate, e poco
0 niente affaticate. Or quando s' intese la fipe d' Agosto ,
una onarmaglìa, ragonaticcia' poco ia in Roma, da buon
tempo non da fatica^' incominciò i men pratichi a sommoo*
vere: « Tempo esser venuto da farsi dare i vecchi presta
licenza, i giovani miglior paga, tulli meno angherie, e pan
per focaccia* rendere a questi cani centurioni. x> Non un solo
Percennio, come in Pannonia, né a soldati' veggentisi più
forti eserciti a ridosso, ma molti a viso aperto alzavan le
voci: a Essere lo stato di Roma in man loro: crescere la
republica per le vittorie loro, e gl'imperadori cognominarsi
da loro. »
^XXIL Né il legato vi riparava, perchè la follia di tanti
lo sbigottiva.* Con le spade ignudo, come pazi s'avventano
a' centurioni che sempre furono berzaglio e primo sfogo degli
odii soldateschi, e per terra te gli sbatacchiano: sessanta ad-
dosso a uno, che tanti centurioni vanno per legione, e quelli
storpiati sbranati o morti, scaglion fuori del palancato o in
Reno.Settimio, fuggito al tribunale fra' pie di Cecina, si chiesto
bairla (ia gravezza) si aggregarano i beni di ciascuno , il che i Fiorentini dicono
aecataseare, si chiamò questa gravena Catasto. >»
^ peMiiatMima. UndepictsimimU * dicono i testi male , perche quel
de' Medici, loro originale, dice uneMcesimanis j poco di sotte, quintani tmetvi'
cesimanìque j t a^^Ttsio , unètvigesimof ; e altrove, unetvicesimani. Il Lipsio
legge, unaeMcesimmtis , e dice perchè legione diciannoTCìima in quel tempo
non v'era. '
3 marmaglia» ragunaticcia, Jn Roma fatta in furia per la rptta ^ Varo.
S * « aweni alla lascivia a non atti all« fatiche. » G. Dati.
* * pan per focaccia rendere, vendicarsi a buona misura d* un torlo rice-
vuto. Varchi, £rca/. « Dicesi ancora.... Egli ha risposto alle rime, o per le
rime , e più boccacce vokneute : Rendere..... pane per focaccia , o frasche per
foglie. *»
^ * ne a soldati, cioè, né tra soldati ec. *
^ lo sbigottita. Senofonte, nel secondo delle Storie, dice che cominciando
il presidio di Scio lasciatovi da'Lacedemonii forte a patire, molti di que'soldatì
congiurarono di saccheggiar T isola , e portavano per riconoscersi una canna.
Eteonico lor capitano, inteso il gran numero de' congiurati , con prudentissimo
avvedimento, con quindici soldati soli usci fuori ; e il primo che trovò con la
canna uccise; tutti la posarono sena* altro romore.
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J
28 IL LIBBO PRIMO DEGLI ANNALI.
fu che bisognò darlo alla morte. Cassio Gherea, famoso poi
per r uccisione di G. Cesare, allora giovinetto e fiero, si fece
tra le punte degli armati la via col ferro. Né tribuno, uè il
maestro del campo, vi ebbero più potere. Le guardie le scolte
e se altro ordine v' era ,^ si spartì van da loro. Segno di grande
e non placabile movimento agli alti^ intenditori de' militari
animi fu il vederli non isbrancati, né sligati da pocjii,' ma
uniti accendersi, uniti chetarsi, si eguali e fermi, che pa-
reano aver capo.
XXXin. In questo mezo Germanico, che pigliava l'esti-
mo delle Gallio, com'è detto, ebbe la nuova della morte
d' Agusto, la cui nipote Agrippina avea per moglie, e di lei
più figliuoli: di Druse fratel di Tiberio nato era e nipóte
d' Agusta, nondimeno travagliatissimo, perchè questi, avola
e zio, in segreto per cagioni inique, perciò più crudelmente,
l'odiavano: queste^ erano, che il popolo romano adorava la
memoria di Druse , credendosi che se avesse regnato egli ,
arebbe renduto la libertà.^ Quinci era la medesima grazia e
speranza dì Germanico, bonario giovane, affabile, rovescio
di quel burbero viso e scuro parlare di Tiberio. Eranci poi
r ize donnesche.^ Livia si sarebbe rosa Agrippina: questa era
sensitiva;' ma la castità e l' amore al marito la medicavano
della troppo alta testa.
XXXIV. Ma Germanico quanto più alla somma speranza
vicino, tanto più a Tiberio infervorato, gli fece da' vicini
Sequani e da' Belgi giurare omaggio; e udito che le legioni
* * e se -altro ordine v'era. Lat. : •> et si qua aliaprtesens usus indisct'
rat m Onde pare che il Davansati abbia qui tolto ordine per occorrenza.
^ stigati da pochi. 1 pochi sollievaDO , perche vogliono in compagnia di
molti peccare per pena fuggire : perchè dove molti peccano, ninno si gastiga.
' arebbe rendilo la libertà. Droso scrisse a Tiberio suo fratello di •for*'
lare Àgusto a render la libertà j il buon Tiberio ad Agu&to mostrò la lettera; il
mio Druso n' andò al Criatore. Però è detto nel secondo libro, che il popolo,
mentre che Germanico trionfava , di lui increscendogli e male agurandogli, dì-
cava: Ahimlche a Druso suo padre e Marcello suo zio la popolare aura
fu infelice i Brevi e sventurati sono questi universali emorì.
* * ize donnesche. Lat. : m muliebres offensiones. » Isia : irritamento ,
indignaaione, dispetto.
S * sensitiva, Lat. : « paiUo eommotior : » alquanto risentita.
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IL LIBBO PBIHO DEGÙ ANNALI. 29
tnmaitaavano, tì corse battendo.^ Ferglìsi incontro faor del
campo quasi ripentite con gli occhi bassi. Quando ei fa den-
tro alle trincee , usci un suono di lamenti scordato. Chi la
mano presogli, quasi per baciare, si metteva quelle dita in
bocca, per fargli tastare le gengie senza denti; altri gli mo-
strava le schiene gobbe per vecchiaia. Standoli intorno rin-
fasi, comandò che ciascuno rientrasse nella sua compagnia,
con loro insegne innanzi, per meglio esser udito e le coorti
discernere. Penarono a ubbidire. Egli, venerato prima Àgu-
sto, venne alle vittorie e trionfi dì Tiberio: celebrò con istu-
pore le gesto di lui in Germania con quelle legioni: alzò ai
cielo il consentir delF Italia; la fedeltà delle Gallio; il non
essersi altrove sentito un disparere, un zitto.
XXXV. Con silenzio o poco mormorio udirono insin qui.
Venuto alla sedizione, « Dov' è la modestia de' buon soldati?
dov' è r onore dell'antica milizia? che avete voi fatto de' tri-
buni? che de' centurioni? » Si spogliano ignudi, rimprove-
rano le margini delle ferite, i lividi delle bastonate. Dicea un
tuono di varie voci: « Male aggiano le compere de' risquit-
tì,* le paghe scarse, il lavorare arrangolalo a trincee,. fossi,
fieni, legnami, materie, bastioni, e che altro vuole biso-
gno 0 esercìzio. » Atrocissime grida uscivano da' vecchi, i
quali allegando trent'anni di servito e più, chiedevano riposo
per mercè, e di non morire in quelle fatiche, ma finire, con
. un poco da vivere, si duro soldo. Ebbevi chi domandò il la-
scio d' Agusto a Germanico, agurandogli e offerendogli, s'ei
lo volesse, l' imperio. A questo, come" tentato di fellonia, si
scagliò dal tribunale, e andandosi via, gli voltaron le ponte
con minacciarlo, s'ei non tornava^ Ma egli sclamando,
« Prima morire che romper fede, » sguainato lo stocco,
r alzò e ficcavalosi nel petto, se non gli era tenuto il brac-
cio. I diretani uditori adunati, e alcuni soli passati innanzi,
e accostatiglìsi (non si può quasi credere) diceano, « Ficca,
ficca, d' e un soldato detto Galusidio gli porse il coltel suo,
^ * battendo. Lat.: « raptim,*» Così nellib. Ili delle Storie : «Intorno ali* ora
quinta del giorno vennero cavalli, battendo^ a dire che i nìmici erano presso. •
* * risquitU arrangolato. Intorno a questi vocaboli vedi sopra le note
al cap. XVIL
' Ficca, fcca. Se io uscirò di mìa natura di non riprendere mai alcuno,
3*
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30 IL LIBIO PiniO OlfiLI ANNALI.
dicendo, « Qaesto è più agnzo. » Atto barbaro e di pesBìmo
esempio parato insino a quelli slessi arrabbiati, che diero agli
amici di Cesare agio a dargli di piglio e portarlo nel padi-
glione.
XXXYI. Qnivi si fece consiglio, intendendosi* « che
mandavano messaggi air esercito disopra per tirarlo dalla
loro; voleano spianar la terra degli Ubii, e, arricchiti, rom-
per nelle Gallie a predare. » Abbandonata la riva che era il
peggio,* perchè il nimico, di tal disordine nostro avvisato,
Foccnperebbe: andandosi con forze forestiere a rattenerli,
eccoti ona gran guerra civile. Pericoloso il rigore, bruita la
pacienza: lutto o nulla concedere, ripentaglio della republi-
tiami qui perdonato. Quel Motio che venne di Capo d'Istria in Firense a par-
lare e scrivere di questa patria villanamente, e insegnarci favellare con la sfersa
in mano di quelle sue pedantesche Battaglie , farebbe ceffo a questayforenfinorìa
(che cosi le proprietk nostre appella con barbarismo goffo e suo), censurerebbe
cosi, ConfoHavanlù che si /eriste. Sapevamcelo : ma quel porre innanù agli
occhi è gran virtù di parlare; per la quale Dante, altro che lucerna del mondo,
nel suo poema non pur grave ma sacro, usò con ragione. E lascia dire chi quindi
tra le tante bellene eterne lo dice indegno. Ghente sono e quali le basseae d'Ome-
ro T il dire a Giunone Occhi di bue, a Bfinerra di civaia, e niente. Il nostro
Tacito, si severo, si lasciò ire per dipigner l'imprudenaa di Cotta Messalino a quel
Tiberiolus meus. Ad altri non è paroto indegnità della storia contare che Do-
mixiano imperadore infilava le mosche negli spilletti : che Gommodo tracannava
vino nel teatro, e 1 popolo gridava: Pro*, prò': ed ei lo frecciava quasi Ercole
gli Stinfalidi. E teneva un capo di strusolo aliato nella sinistra, e la spada san-
guinosa nella destra , e scotendo la testa feroce, voleva che ognuno spiritasse :
onde alcuni che non potean tener le risa , mangiaron foglie della loro grillanda
dello alloro per vomitere e parer di rìdere del vomito: che l'esercito di Severo
in Arabia non poteva nella bocca riarsa spiccicare (*) altra parola , che acqua
aequa : che Geta s' avventò al collo a Giulia gridando Mamma mamma. Se
dunque i sì fatti, per forte rappresentare, scendono a bassese si fatte , ben posso
io errar con loro, e qui dire Ficca, ficca: che risponde a quel ficcarsi il pugnale
nel petto , detto poco di sopra (**).
' * intendendoti: poiché s'intese.
• ' * abbandonata la riva che era il peggio : cosi tutte l' edisioni. Ka la
sintassi h men chiara che se dicesse : « Abbandonando la rifa, era il peggio, per-
chè ee. »
n tfietken. U NeaU tìvmtòépleHan; poi nAV Streta corresse tpUtlaan, Ha U Velpi sti-
mando errore la correzione, ripose tpiceianz e fn troppo lesto. Perchè il popol toscano dice
freqoentenente anc'oggi e con bel traslato! Non saptre aptedear paròla, per non saper prò-
nMHiiantproferinw, La Cmsea, troppo osseqnenta in qnoslo al Volpi, registrò spietiar» in
senso di mandar fuori, citando questo raoeoneiato, o guastato, esempio.
(**) Neil' esemplare giontino, proveniente dalla Rtnneeiniana, ed ora presso il Conte Mor-
tara, leggesi qui questa postula di mano del Davanxati: « He' stava: Sgòuati: » scritto «on
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IL LIBaO PBmO OBGLI ANNALI. 3i
ca.* Bilanciato il tatto, si fecero lettere ìd nome del princi-
pe, « che chi avesse servito vent'anni, se n'andasse; chi
sedici, benemerito fosse, ma rimanesse alle 'nsegne sola-
mente a difesa; il lascio si pagasse a doppio. » '
XXXYII. Conobbe il soldato che ciò era pasto per trat-
tenere, e chiedeane spedizione. I tribuni spacciavano le li-
cenze, il contante si prolongava al ritorno loro nelle guarni-
gioni. Non fu vero che della quinta né della ventunesima si
volesse alcuno muovere,' si fu^ quivi la moneta contala, rag-
granellata da Cesare delle spese per suo vivere, e degli amici.
Cecina ridusse negli Ubii la legion prima e la ventesima , con
brutto vedere tra V insegne e tra V aquile sacre portarsi i co-
fani di quella moneta rapita airimperadore. Germanico andò
all'esercito di sopra, e fece giurare le legioni seconda, tre-
dicesima e sedicesima incontanente; la. quattordicesima nic-
chiò.'^ Fu offerto, benché non chiesto, il denaio e la licenza.
XXXVIII. I soldati d'insegna delle due legioni scre-
denti/ stanziati ne' Cauci cominciarono a levare in capo;''
gli attutò alquanto il subitaneo supplizio che Blennio maestro
del campo a due soldati diede, con più buono esempio che
autorità; onde la furia riscaldò: fuggissi; fu trovato, e falli-
toli il nascondere si salvò con l' ardire,^ eclisse, che tal vio<
< * ripentaglia della repftblicaj cioè, la repubblica avrebbe cono u^pial
pericolo. Il Lat. ha : m in ancipiti respublica. »
3 (/ lascio si pagasse a doppio. Allri narrano questo pagamento esser se-
guito cosi. Sotterrandosi un morto, un soldato, nuovo pesce , accostatosi gli bi-
sbif^iò nell'orecchio. Domandato, Che gli hai tu detto? rispose, Che dica ad
Agusto che di quel stio lascio non s* è veduto un quattrino. Tiberio lo fece
ammalare , con dirgli ^ ya e dilloli tu. E pagò quel lascio de* fiorini sette e
meco per testa, cioè sestersi trecento, come sopra.
' * Non fu vero che.... si volesse alcuno muovere; cioè , niuno si volle
muovere.
* * sìjìij cioè , sintanto che non fu. Nelle prime stampe trovasi sempre sì
non per sintantoché non,
S * niccAid , stette alq[uanto in. forse. Questo significato è un poco diverso
da quegli notati dal Vocabolario.
^ * scredeiUif discordi.
^ * cominciarono a levare in capo. Lat. : « cofptavere sediUonem. *» La
metafora è tolta dal vino, che nel bolUre levasi in capo ( cioè, manda su a galla )
la vinaccia.
8 si salvò con l'ardire. Mancata la sperania, la paura ripiglia Tarme. Nulla
è più forte die la disperaxione. Una salus victis.
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32 IL LIBRO PEWO DBCLl ANNALI.
lenza non si faceva al maestro del campo, ma a Germanico
lo generale, a Tiberio lo imperadore. E spaventandosi i re-
sistenti, arrappò l'insegna, e trasse verso la riva gridando:
a Chi uscirà d' ordinanza abbiasi per faggitivo. x> Cosi gli ri-
dusse alle stanze turbati e qnatti.
XXXIX. Gli ambasciadori del senato^ a Germanico, lo
trovarono già tornato air altare degli Ubii, ove le due legioni,
prima e ventesima, e i veccbi nuovamente messi alle 'nsegne
svernavano. Il peccato e la paura lor fece pensare, ì padri
avergli mandati a frastornare quanto s' era tirato* per là som-
mossa; e come è vago il popolo di coglier cagioni, benché
false,' trovano a dire, che Munazio Plance, seduto consolo,
capo deir ambasceria, esso fu che ne fé' fare il partito. E la
notte in sul primo sonno cominciano a chiedere il confa-
tone ,* che stava in casa Germanico. E corsi alla porta, V ab-
battono, e lui del letto tratto, minacciandogli morte, lo si fan
dare ; e scorrendo per le vie, s'intoppano negli ambasciadori
che, udito il frangente di Germanico, a lui traevano; e svil-
laneggianli; metton mano a ucciderli; e Plance spezial-
mente, cui fuggir non lasciò la sua degnila: ma ritirossi in
franchigia" alle 'nsegne e all'aquila della legion prima: le
quali abbracciando,^ si difendeva con la religione: e se Gal-
< Gli ambasciadori del senato, lì testo de' Medici dice regressum (non
regressi) con ottimo senso cioè , Gli ambasciadori abboccaron Germanico a
un luogo sagrato ad Àgusto, lontano dalli Ubii, colonia d'Agrippina, che tornato
era dal far giurare l' esercito disopra, come quindici versi innanzi è detto.
' * tirtOo, avuto a forza.
' * di coglier cagioni, benché false. Veramente le parole del testo vof^on
dire ; suole il volgo trovare il reo anche delle colpe non vere. Il Politi tradu-
ce : M è costume del volgo d' incolpare altrui falsamente, w II Lat. ha : « mos
vulgo qwunvis falsis reum subdere. *»
4 con/alone. Labarum, simile a una camicia , ricchissimo d' oro e gioie. Il
generale lo presentava, quando voleva combattere. Andava innanzi alla sua per-
sona, adoravanlo i soldati. Gostantino lo mutò in una croce.
^ * IR franchigia, in salvamento.
* le quali abbracciando. L'aquile e l'altre insegne erano gli iddii che ado-
rava l' esercito. Il loro luogo era tempio e franchigia. Vedi la postilla settima (*)
del secondo libro. A Tivoli in un marmo, tra gli altri fatti di T. Plauzio Silvano,
ti legge :
IGNOTOS . AHTB . ATT . IVFKHSOS . r. B. BBOBS
SIOHA . BOMAHA . AOOBATYBOS
fn . BIPAM . QTAH . TYBBATYB . PBBDYZlT
(*) In questa edisione , pag. 69, nota I.
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IL LIBRO paino DEGLI ANNALI. 33
parniOy alfier delP aquila, non sosteneva nna estrema carica , '
arebbe [cosa rara eziandio tra' nimici) V ambasciador romano
nel campo romano coi sangue suo imbrattato i divini altari.
Al di chiaro, quando il generale, i soldati e i fatti si scor-
geano, Germanico entrò nel campo, e fatto Fianco a se ve-
nire e seder allato nei tribunale, maladisse quella rabbia fa-
tale, che rimontava,' non per ira de' soldati, ma degl' iddìi;
disse perché venuti erano gli ambasciadori : 1- ambascieria vio •
lata, il grave caso indegno di Fianco, Tonta fattasi quella
legione con facondia compianse. E lasciatigli attoniti più che
quetati, ne rimandò gii ambasciadori con.iscorta di cavalli
stranieri.
XL. In tanto periglio ognuno biasimava Germanico clie
non tornasse ali' esercito disopra ubbidiente, e aiuto con-
tr" a' ribelli: « Essersi pur troppo errato con tante licenze,
paghe e fregagioni:' se di sé non cura, perchè tener il piccol
figliuolo e la moglie gravida tra quelle furie d' ogni ragione
violatrici? renda all'avolo e alla republica questi almeno. 9
Egli doppo mólto pensare, con molte lagrime abbracciando
quei figlio e '1 ventre di lei ricusante e ricordante che nata
era d' Agnato e ne' pericoli non tralignava, la svolse final-
mente a partire. Fuggivasi, miserabile donnesco stuolo, la
moglie del generale col figliuolido in collo, piangendole in-
torno le donne de' cari amici lei seguitanti, e non meno le
rìmagnentì.*
XLI. Non di possente Cesare, né del proprio esercito,
ma di sforzata città era ivi faccia, stridore e pianto, che gli
occhi e gli orecchi attrasse ancora de' soldati. Escono de' padi-
glioni; che piagnistèo, che si dolente spettacolo! donne illu-
stri senza guardia di centurioni 0 soldati, senza corte, senz'ar-
' * una estrema carica, Lat : « vim eitiremam. m
S * che rimoniava , risorgeva , riacceodevaii.
• * fregagioni. Lat. : « mollibus consultis. n 11 Politi : « piacevoli ri«o-
Inaioni. *• H Dati: « beDÌgne e dolci deliberaiioni. » Il Valerìani; m vigliacchi
partiti, w II Davansati dipinge.
* * /e rimaglienti: traduce secondo la non ricavata congettura del Lipsio,
cb« legge guof manebant. Ma dee sUrsi al Cod. mediceo che ba gtiij e s' ha da
intendere , non le donne rimanenti, ma Germanico e gli amici suoi che restavano
divisi dalle lor mogli.
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34 IL LIBIO FUMO DEGLI AMMALI.
redo da ìmperadrice, marciano a' Treviri , agli strani. La
vergogna, la pielà, ia rimembranza dell'essere stato Agrippa
padre, Agosto avolo, Druso soocero; si bella prole, tanta
onestà; e quel figlioletto nel loro esercito nato, e tra loro al-
levato, e con vocabolo soldatesco detto Caligola, cioè Calza-
ri no, portando egli per aggradnirsi i soldati menomi i loro
calzari;^ ma sopra (atto V invidia verso i Treveri gli rimorse.
La pregano, rattengono, torni, ristèa;* corrono a lei, tor-
nano a Germanico, il qaale da loro circondato, di fresca do-
lore e d'ira pieno, cosi cominciò:
XLII. « La moglie e '1 figlinolo non mi sono più del pa-
dre o della republìca a cuore: lai la saa maestà; l'imperio
romano, gli altri eserciti difenderanno. Loro vi darei volen-
tieri, se r ammazargli vi fasse gloria. Ma io li canso' del vo-
stro farore, acciocché se altro male a far vi resta, lo lavi il
mio sangue solo: né V uccidere il nipote d' Agusto e la nuora
di Tiberio vi facci più rei. E che ardito o corrotto a questi
giorni non avete voi? Come vi chiamerò io?^ soldati? che
avete di steccato e d' armi attorniato il figliuolo del vostro
iinperadore? Cittadini? eh' avete calpesta V autorità del se-
nato, e rotto quel che s' osserva a' nemici, '^ la santa ambasce-
ria e la ragione delle genti? Il divino Giulio rinfuzò la sedi-
zion del suo esercito col dir solo, « Ah Quiriti I d^ a coloro
che non gli davano il giuramento. Il divino Agusto col pi-
* i loro calzari. Erano suola allacciate al piede ignudo. I nobili portavano
calcari ornati sino a meza ganil>a. Scipione in Cicilia e Germanico in Egitto, •
Gaio suo Bglioletto neir esercito , per farsi da' soldati privati amare, portarono
le semplici snoia allacciate.
3 * ristèa, ristia. Lat. : « mantrtt. »
3 * li canso del ec. ; cioè , gli sottraggo dal vostro ec.
* Come vi chiamerò io T Pare levato di peso dalla diceria di Scipione in
TitoLivio^lib. 8.
B * e rotto quel che s'osserva ec: m Avete rotto quelle I<ggi aneova, che
V uno all'altro osservano i nemici. » Dati.
< jih Quiriti t Gures era la metropoli de'Sabihi, dalla quale per soddisfaxion
loro, quando vcmuro a Roma e fccesi di due genti una, furono i Romani e i Sa*
bini detti Quiriti. Non chiamò adunque Giulio Cesare que' soldati, Romani, ma
Quiriti. Severo similmente, quando cassavate legioni intere, dava loro di Quiriti*
come dice Lampridio , quasi non meritassero nome di Romani , ma tenessero an-
cor del Sabino. Così dice ser Brunetto Latini, che i nimici di Dante, diaceli di
Fiesole ab antico , Teneano ancor del monte e dei macigno.
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IL LIBRO PBmO OBGLI AmiALI. 3K
glio e coD lo Sguardo atterri ad Azio le legioni. Noi non siamo
ancor qnelli ma nati di quelli, e se il soldato spagnnolo o so-
riano ci schifasse, sarebbe strano e indegno: ma paò egli es-
sere che la legion prima creata da Tiberio , e ta ventesima
meco stata in tante battaglie tanto guiderdonata, rendiate
questo bel merito al vostro capitano? Ho io a dar qaesta nuova
a mìo padre che da tutte altre bande V ha buone, che i suoi
nnovi, che i suoi vecchi soldati, non di licenze, non di mo-
neta son sazi? Che qui non si fa che uccider centurioni, cac-
ciar via tribuni, racchiuder ambasciadori? Son tinti di san-
gue gli alloggiamenti , i fiumi ; e io tra' nimici ho la vita
per Dio?
XLIII. »Deh perchè '1 primo di che io aringa! mi stor-
ceste voi di mano quel ferro che io mi ficcava nel petto , o
impradenli amici? meglio e più caramente fece colui che mi
porse il suo : io moriva senza sapere del mio esercito tanti
misfatti : voi areste eletto un altro capitano a vendicare, se
non la mia, la morte di Varo e delle tre legioni. Che a Dio
non piaccia che i Belgi, quantunque offerentisi, abbiano vanto
e splendore d'aver soccorso il nome romano, e fatto i po-
poli di Germania sottostare. La mente tua, o divino A gu-
sto, accolta in cielo, Y imagine tua e la memoria di te , o
padre Druse, insieme con questi soldati, ne' quali già entra
vergogna e gloria, lavino questa macchia, e facciano le ci-
vili ire sfogare in ispegnere i nimici. Voi cut ora veggio
altre facete, altri cuori , se volete rendere al senato gli am-
basciadori , air imperadore V ubbidienza» a me la moglie
e '1 figliuolo, non toccate gì' infètti, e separatevi dagli scan-
dolosi. Questo vi terrà fermi nel pentimento, legati nella
fede* »
XLIV. €on le mani alzate confessando troppo veri i
suoi rimproveri, supplicavano «che punisse i malvagi, perdo-
nasse agli erranti, conducesseli contro '1 nemico , richiamasse
la moglie , rendesse alle legioni il lofo sHievo» né si desse
per ostaggio ai Galli.» Rispose «che Agrippina si scusasse per
lo vicino parto e per lo verno ; tornerebbe il figlinolo: d il
resto rimise in loro. Tutti rimutati scorrono, e i pi& scan-
dolosi legano, e tirano a Getronio della legion prima luogo-
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36 IL LIBRO PllMO DB6U ANNALI.
tenente» il quale gli giudicò e pani in cotal guisa. Stavano
le legioni con le spade ignnde a adire : il tribuno mostrava
il cattivo in un rialto: se que' gridavano « Egli è reo, » era
pinto giù e smembrato.^ E '1 soldato ne godeva , quasi con
l'uccidere altrui, sé prosctogliesse: e Cesare gli lasciava
fare ; perchè non essendosene imbrattato, la rabbia rimaneva
tra' cani. ' Seguitarono i soldati vecchi l'esempio, e poco
appresso furon mandati in Rezia sott' ómbra di difendere la
provincia da' soprastanti Suevi, ma in fatto per isbarbarli di
quegli alloggiamenti, dove ancora stavano intorati' per l'aspro
gastigo e per la rea coscienza. Germanico rassegnò i centu-
rioni in questa maniera: vemvagli dinanzi il chiamato, e
dicea suo nome, grado, patria, anni di milizia, prove fatte,
doni avuti. Se i tribuni d'accordo co' soldati lo dicevano
prode e buono, era raffermato; se avaro e crudo, cassato.
XLY. Quietate cosi le cose , ci restava non meno da
fare, con le due feroci legioni, quinta e ventunesima sver-
nanti alle Vecchie, * luogo indi lontano sessanta miglia, le
prime a levare in capo, ' de' maggiori eccessi commetti trici,
bizarre ancora, né spaventate per la pena, né ricredute per
lo pentere * delle compagne. Cesare adunque mette a ordine
^ smembrato. Usano «ncor oggi i Tedeschi far passar tra lè picche i ]oro
soldati degni di morte.
^ * la rabbia rimaneva tra* cani. Il Lat. ha : « penes eosdem savitiafacd
et invidia erat. w « La crudeltà di questo fatto e tutto il carico che ne poterà
seguire.... appresso di loro si rimaneva. » Dati. « Di loro era la crudeltà del
fatto e V invidia, w Politi, a Su loro stessi l'atrocità del fatto ed il carico rica-
devane. *• Valeriani. m Appresso di loro rimaneva la crudeltà et odio del fatto. »
Trad. ined. del sec. SVI ; ms. presso di me. futti più nobilmente, niuno con
più efficacia del Nostro.
3 * intorati. Come da serpente si forma serpentoso e serpenUtre, usati
più volte dal Nostro; e da vipera, inviperito j di cane, accanito j da falcone, ria-
falconirsiit (come in Dante, Par., XY, 115) da draco , inarcarsi ( awentani-
come draco); cosi da toro il Nostro forma intorato a significare acceso d'ira capa,
truce e profonda, quale suol concepirsi dal tòro^ La Crusca l'ha con queato solo
esempio. Il Lat. dice : trucibus adhue, *»
* * alle Vecchie, Lat. : « Vetera, » cioè , castra, che il Valeriani traduce
Campo Vecchio sog^i Feftera, o piuttosto, secondo altri, Xanten nel ducato
di Cleves.
S * levare in capo. Vedi sop. la nota 7 alla pag. 31.
^ * pentere , pentire , pentimento.
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IL LIBBO PKIMO DB6L1 AMIALI. 37
aime, legni, aiotì per iscendere per io Reno a combatterle,
non volendo ' ubbidire.-
XLYI. Tutta Roma sentendo , innanzi al pesamento
d'niiria, il movimento di Germania, andò sozopra, levando
i pezi di Tiberio,' che mentre con quella sua canzone del
non accettare beffava i padri fieboli e la plebe disarmata ,
gli eserciti intanto si ribellavano, e. credeva correggerli con
duo' scurisci teneri di duo' fanciulli : > « In persona doveva
ire, e affacciarsi con la maestà imperiale : avrebbon ceduto
alla vista del principe sommamente sporto, rigido e rimune-
rante. Ben potò Agosto, vecchio e stracco , tante volte ire
in Germania; costui fresco, prò, si siede in senato a stirac-
chiare le parole de' padri. La città ò tale * imbrigliata, ch'ei
può andare a dar pasto* agli animi militari, per farli stare
nella pace alle mosse. » "
XLYII. Contro a si fatti parlari Tiberio più si ostinò di
non volere, lasciando il capo dell' imperio, so e quello arri-
schiare. Molti contrari lo combattevano : « L'esercito di Ger-
mania è più possente, quel di Pannonia più vicino : quegli
è fatto forte dalle Gallie, questi a cavaliere all' Italia. A quale,
andrò, che l'altro disfavorito non s'accenda? co' figliuoli
visiterò l'uno e 1' altro, salva la maestà, da lontano più
riverenda.'' I giovani rimettendo alcune cose al padre, sa-
* * non volendo j cio^ : quando esse non volessero ec.
' * levando i pezi di Tiberio. Levare i pewi eli uoo, vale propriamenle
hcerarlo a brano a brano j ed in senso traslato signiSca, sparlare o dir naale di
alcuno; lacerarne la fama: è proprio V aliqtiem proseindere dei Latini. Ma il
testo di Tacito ha: -inctisare Tiberium.» Vedi anche Jnn. IH, 59; XIV, 486.
5 * con duo!* scurisci teneri di duo' fanciulli ; cioè, coli' autorità non
per anco matura di due fanciulli. Lat. : m duorum adolescentium nondum adulta
tatcioritate. ** Come il bastone si piglia per segno dell' autorità e del comando ,
cosi il Davanzati, dovendo qui esprimere un' autorità puerile , piglia il traslato
non dal bastone , ma dallo scudiscio che è proprio cosa da ragatzi.
^ * è talcj e talmente ec. Il trad. ined. : « Assai s' era provisto alla servitù
della città di Roma, che e' si doveva fare rimedii a gli animi de'soldati aciocchè
e' voglino sopportare la pace. *»
B * a dar pasto. Varchi, JEWro/. 86 : m Dar pasto è il medesimo che dar
panune e paroline per trattenere chichessia. •
* * stare..», alle mosse 3 cioè , in freno, in dovere.
f Da lontano pia riverenda. Frate Bartolomeo Cavalca neUi Jmmae»
stranienti dice a questo proposito con antica leggiadria: a Giocch'è in alto pò-
*» sto, acciò sia in più riverenza , dee esser levato dalla comune usanza. Ciocché
I. 4
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38 IL LIMO PBIIIO DMLI ANNALf.
raimo scasati : potrà egli, chi contrastasse a Germanico o a
Draso, mitigare o abbattere : sprecato i'imperadore, ove ri-
correremo?» Nondimeno come fosse in sol partire,* fece
sua corte, provvide salmerfa, e legni armò; ma ora alle-
gando il v«*no, ora i negoii ; poco i saggi, ' pia il volgo, t
dilungo le provincie ingannò.
XLVIII. Germanico era con V esercito in punto per ga-
stigare i ribelli: nondimeno per dar loro ancora spazio di
rinsavire col fresco esempio, scrisse a Cecina che. veni va po-
deroso; « se nonaranno gastigato i ribaldi, girerà la spada a
tondo. B^ Cecina mostrò la lettera segretamente agli alfieri e
a' pia netti, pregandoli a liberare ogn' ono dall' Infamia, e
se stessi dalla morte, che nella pace si dà a chi la mwita,
ma nella guerra muoiono buoni e rei. Costoro , trovando ben
vólti i più, indettato chiunque parve più atto; dì v<^ontà
del legato ordinano contro a' pia audaci felloni un vespro
ciciliane,* e, datosi il segno, saltano ne' padiglioni e ta-
M dUiuato ^ quello nella moltitudine mirabile è. Lo puleggio appo queUi del-
» \* India è più caro che il pepe. Ogni cosa spessa diventa vile per mollo uso.
M Sono dispregiate esiandio le cose ottime, quando non rade vengono. E le
w m<dto famigliari, perche sono sempre prette , perdono la rivcrensai Per questa
» ragione l' ottimo profeta non è accetto in sua patria. E piace più il vino del-
» l' oste, benché falsato e caro, che il puro di casa, i* (*)
' come fosse in sul partire. Tiberio non volle mai discostarsi da Roma,
e ogn' anno faceva le viste di voler visitare li eserciti e le provincie. Mettevasi a
ordine , movevasi, fermavasi, tornava in dietro ratto ratto come fa il gallo i onde
il diceano Gallopie.
* * llLat. ha: « primo pnidentes , dein vulgum, ditUissime provincias
fefellit. Donde parrebbe chiaro che invece di più dovesse leggersi poi. Ma così
recando l'edizioni originali, e cosi chiedendo la progressione usata dal traduttore,
non l' abbiamo mutato.
' * girerà la spada a tondo. Lat. : «« usuriun promiscua ctede: m w voler
ucciderli tutti indifferentemente. « Politi. « Menerà strage indistinta. » Vale*
riani.
* itn vespro ciciliaho. Concedasi alla somigliansa del fatto l'anacronismo,
come a' pittori i santi di vari secoli insieme ragionare o la Vergine adorare. Quel
fatto e passato a noi in proverbio , e come proverbio e qui usato, e non come
stoi^ia. Mitridate fece a tutti i Romani un simil giuoco ; ma non h a noi passato
n Qaeste parole sono acoonamento di varie sentense di Val. Massimo, di Seneca, di S. Gi-
rolamo, d'Arrìgbetto da 86tttmdto«e., kivafto, non seiMa qaatehe varieih, dagli Ammaegtnonmiti
di frate Bartolommee da S. Coneordio, DUt. V , e. 4 (?«di 1' «diz^ di Firwte, l&MH; aè et ba
che far onlU fra Domeaico Cavdca, cadalo qai al Davanzali per inavvertenza. — In principio,
dove l' altre edizioni leggono mUtrabile, abbiamo corretto a dirittnra mirabile; ma il Concordio
scrisse notoNU, te aKÌne parole , E piace più ec. dobtt» sieno aggiwite d^l Bavaanfi.
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IL LIBRO PIIUIO DB6LI ANNALI. 39
glianli a pesi senza sapere , se non gì' indettali , perchè. ^
XLIX. In quante civili arme far mai non si vide tal
cosa; oscire non a battaglia^ non da nimica oste, ma de'me-
desimi letti, ove aveano insieme il di mangiato, * la notte
dormito; recarsi in parte, tirarsi colpi: quivi strida, ferite,
sangae manifesto, cagione occnlta; giocava la sorte ; e vi
periron de'bnoni. Poiché, visto chi si voleva, ' anco i pessimi
presero TarrnL Né legato, né tribuno disse, «Non più;» ma
lasciarli Tun l'altro gastigarsi, saziarsi. Germanico entrò nel
campo, e con molte lagrime appellando quella non medicina
ma sconfitta, fece ardere i corpi. In quelli ancora accaniti
animi entrò smania d' andare addosso a*nimici; vera purga,
dieeano, di lor pazia; né potersi l' anime de' compagni morti
placare , se non ricevendo negli empi petti gloriose ferite.
Cesare secondando T ardore, gittò un ponte, e passò dodici-
mila fanti nostrali, venzei coorti d' aiuti, otto bande di ca-
valli, state modestissime in qne'romori.
L. Poco lontano erano i Germani tutti allegri , veden-
doci prima nelle ferie d'Agusto, * poi nelle discordie impa-
niati. Ma i Romani a gran passi attraversata la selva Cesia,
in sul termine * da Tiberio cominciato accampano e fortifi-
cano la fronte e le spalle di steccato, i fianchi di tagliate
d' alberi. Iodi passano la buia foresta , e consultano tra le
due vie,, quale da tener fosse, la corta e usata, o l' impedita
in proverbio. Oltre a ciò ben posso io nsare tale anacronismo poiché anche Tito
livio rasò, facendo nei secondo libro lamentarsi uno tenuto per delitto in certa
dnra aoiru dì prigione , chiamaU Ergastuii^ naati al tempo di livio, ma non di
^el prigione. Vedi il Lipsie negli Eletti « lìb. 2, cap. 15. (*)
* * perchè. Questo perchè non rende per verità tutto intero il concetto di
Tacito, che dice : «• nullo.,., nascente quod cadis initium, tjuisjmis. »
* letti, ove..., mangiato. Come i Romani nel letto mangiaaaero, e come stes-
sero i loro triclini, vedi l'Agostini, Messer Fulvio, il Liptio e altri moderni.
* * visto chi si voleva j cioè, vistosi da' cattivi che i cercati a morte erano
essi 9 presero essi pure le armi , e cosi furono spenti anche de'buoni.
* * nelle ferie d*Jgtisto$ cioè, per la morte d'Augnato.
' * termine era nn argine che, in difetto d' altro limite naturale , segnava
il conSne dell'impero e serviva a fronteggiare i barbari. Esso fu non solo cornine
ciato ma compiuto da Tiberio; giacché il ctpptum del testo equivale t factum.
n mm 99spr9 eieiliano, cioè ana strage generale , qoal fa quella che si fece dei Fraaeesl
in SeUia il 80 mano I2B3. Sebbene ti Davaoiati nella soperiore postilla, e dopo Ini il Cesari
(pret a Tef«asio>, ti ffenino di gtvslilean simitt aeacreaisal nel tradwia gU anlieU, pen
e* MB potranno mai salvarsi dal ridicolo.
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40 IL LIBRO MIMO DSCLI ANNALI.
e dismessa e perciò non guardata da' nimici. Presero la longa
con affrettare ii restante; perchè gli spiatori riferivano, quella
notte i Germani essere in solenne feHa, conviti e giuochi.
Cecina fu mandato innanzi con gente leggiera a diboscare il
cammino: seguitavano poco addietro le legioni favorite dal
sereno della notte: arrivati a' borghi de'Marsi, accerchiano
le poste: trovangli per le letta e lungo le mense spensierati,
senza sentinelle, né ordini di guerra, in una sciocca pace
ancora avvinazati poltrire.
LI. Cesare, perchè le avide legioni predassero più pae-
se, le sparti in quattro punte: * cinquanta miglia d'intorno
misero a ferro e fuoco: non si guardò a sesso, età, sagro o
profano , e quel Tanfana loro famosissimo tempio fu disolato :
de' nostri ninno ferito, avendogli tagliati come pecore son-
nacchiosi, disarmati e sfilati. A tanta strage si levare i Brut-
teri, Tubanti e Usipeti, e presero i boschi , onde l'esercito
poteva tornarsene. Del che avvisato il capitano, marciò in
battaglia, parte della cavalleria, con la fanteria d' aiuto in-
nanzi: seguitava la legion prima: a sinistra, con le bagagiie
in mezzo , la ventunesima ; a destra la quinta, e la ventesima
alle spalle: il resto de' forestieri alla coda. I nimici fermi,
gli lasciarono imboscare: poi bezicata la fronte e i fianchi,
corsero con tutto lo sforzo alla coda, e con serrate frotte
rompevano i fanti leggieri ; quando Cesare spronò a' vente-
simani e gridò: «Ora è ii tempo di scancellar la sedizione:
su via, convertite la colpa in gloria. » Avventansi afibcati
al nimico, e quello incontanente rotto e pinto nell' aperto ,
ammazano. La vanguardia subitamente usci del bosco e
afforzossi. Il cammino fu poi quieto; e i soldati affidati
ne' fatti ultimi , con dimenticanza de' primi furono rimessi
alle stanze. '
LII. Tali avvisi diedero a Tiberio allegreza e pensiero.
Rallegravasi della sedizione spenta: ma l'essersi Germanico
sbraciando ' danari e licenze procacciato il favor de'soldati,
e la cotanta sua gloria d'arme, lo trafiggevano; pure in se-
' * pwnìe* Punfa yale schiera , branco j ma forse il Davamatì ha voluto
esprimere la forma de' cunei del testo, che sono schiere appuntate.
' * sbraciando, prodigando.
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IL LIBRO PRIMO DR6LI ANNALI. Ai
nato contò le cose seguite, e molto disse della virtù di lai
con parlare stimato più beilo che di caore. Lodò Druse e la
fine del movimento d' Illiria con meno pardo, ma più calde
e vere : e qoantanqoe fu largheggiato da Germanico, *• ancora
in Pannonia, mantenne.
LUI. Nel detto anno mori Ginlia, confinata per sue di-
sonestà da Agosto neir Isola Pandateria, poi a Reggio in su
lo stretto del mare di Cicilia. Fu moglie di Tiberio , viventi
Gaio e Lucio Cesari, e lo sfatava' come da meuQ: cagione la
più intrinseca del ritirarsi a Rodi : com' ei fu imperadore ,
lei scacciata, svergognata, e, morto Agrippa Postumo, dispe-
ratissima, fece marcire di lungo slento: parendole ' nascon-
dere * nel lungo tenerla viva ' T uccisione. Crudeltà usata per
simil cagione a Sempronio Gracco di casa grande, ingegno
destro, eloquenza dannosa, il quale con detta Giulia si gia-
cca, quando era moglie di Agrippa: e poiché di Tiberio fu,
lo pertinace adultero Taizava a disubbidire e imperversar
col marito; e si tennero da lui dettate le lettere che ella scrisse
ad Agusto suo padre velenose contro a Tiberio. Sostenuto
adunque in Cercina, ' isola del mar d' Affrica, quattordici
anni, fu allora dagli ammazatori trovato a una vedetta di
mare, che fiere novelle aspettava. Ottenuto spazio di scri-
vere alla moglie AUiarìa sue ultime volontà, porse la testa:
non indegno nei costante morire del nome Sempronio , che
nel vivere avea macchiato. Scrive alcuno che que' soldati
' * qtumUmquMfu largheggiato ec, tutte le largisioai fatte da Germa-
nico mantenne.
' *tfaiava, dispregiava.
' * parandoU j cioè, |iarendo a Tiberio. È corioio quest' uso del pronome
ìe pel mascolino. Frequentissimo è nelle stampe Marescoltiana e Giuntina. Vedi
le Varianti in fine lib. I, e. i6. Dipoi corresse , tranne in questo e in pochi altri
luoghi, forse per dimenticiwa. Trovasi qualche rara volta anche nelle lettere di
Torquato Tasso.
A nascandere.... l'tiecisiona. Così trattò ancora Asinio Gallo , mettendogli
(si come altri dicono ) per forse tanto cibo che non lo lasciasse morire. E pregato
di trar d' affanni on altro , disse ; AdagiOt io non gli ho ancor perdonato : come
colai che dava la vita per pena e la morte per grazia.
B * nel litngo tenerla viva. Si scosta dal testo , che ha longinquitate
exsilii. Neil' esemplare Nestiano di Gino Capponi è corretto a penna cosi : « pa-
rendoli nascondere nella lontananu dell'esilio l'uccisione. »
« • Kerheni.
4*
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42 IL LIBRO PRIMO DBOLI ANNALI.
non venner da Roma, ma da L. Asprenate vlceconsolo in
AflVica, per ordine di Tiberio che vanamente credette ad-
dossargli la voce di cotal morte.
LTV, Nel medesimo anno cominciò la nuova religione
de' sacerdoti agustali, ad esempio dì Tito Tazio che i Tazi
ordinò per mantenere V uflciatura Sabina. ^ Tiberio, Druso ,
Claudio, Germanico furo eletti: e ventuno de' primi della
città tratti per sorta. Cominciò ancora la festa agustale a
guastarsi per le gare degli strioni. Agusto l'aveva compia-
ciuta a Mecenate spasimato di Batillo: né anche tali feste
fuggiva, parendoli umanità frammettersi ne' diletti del volgo.
Tiberio non la 'ntendeva cosi ; ma non ardiva quef popolo
tanti anni vezeggiato per ancora aspreggiare.
LV. (A. di R. 768. di Gr. 15.) Nel seguente consolato di
Druse Cesare e Gaio Nerbano fu stabilito a Germanico 11 trion-
fo, pendente la guerra la quale ordinava con ogni sforzo per
la vegnente state; ma egli anticipò, e corse all' entrar di pri-
mavera ne' Gatti, sentendo i ni mici In parte,' seguitando chi
Arminlo chi Segeste , a noi sommamente 1' un perfido, l'al-
tro fedele. Arminlo ci ribellava la Germania : Segeste più
volte ce ne avverti; e nell'ultimo convito, avanti la guerra
rotta, consigliò Taro a farvi prigioni lui e Arìnlnio e gli al-
tri capi, perchè, levati quelli, la plebe nulla oserebbe, e ri-
conoscerlensi poscia ì complici dagli amici. Ma il fato e la
forza d' Arminlo ci tolse Varo. ' Segeste fu a quella guerra
tirato dagli altri; ma non convenivano , per lor privali odii
rinciprìgnili.* Arminìo gli aveva rapito la figliuola fidanzata
a un altro ; odioso genero di nimico suocero ; e que' che
tra' benevoli son legami d'amore, erano mantici alle loro ire.
LVI. Diede adunque Germanico a Cecina quattro legio-
ni, cinquemila fanti d'aiuto, e li Germani racoogliticei di
qua dal Reno: altrellanle legioni e doppi aiuti guidò egli: e
' * Puficiatur a Sabina^ i riti sacri dei Sabini.
' * fn parte s cioè, esser divisi ip parte; ^arteggiantL
• 8 * Il iat. ha: « sed F'arasfato et vi Arminii cecidit - E fato ci pare me-
glio tradotto dal Dati: « Ma Varo, come volse Iddio, e per violema d'Ar-
minio mori. »
* * « Segeste , ancorché tirato alla guerra dall'unione di quella gente, stava
nondimeno coiranimo alienato, m Politi.
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IL LIBRO PttlMO DBQLI ANNALI. 43
piantalo an castello sopra le moricce * di on forte, che fece
il padre nel monte Tanno, menò volando l' esercito spedito
ne' Catti per istrade asciutte, e fiomane basse: perchè quel-
r anno (miracol' in quel paese ) non piovre. E perché al ri-
torno s'aspettava il rovescio, lasciò L. Apronio a rassettare
strade e ponti. Giunse a' Catti si repentino che tutti i deboli
per età o sesso prese o uccise. La gioventù passò a nuoto
r Adrana, e impediva i Romani farvi un ponte. Cacciati con
manganelle e quadrella, invano chiedevano accordo. Parte
rifuggi a Germanico: gli altri, lasciati i borghi e'viliaggi, si
dispersero per le selve. Cesare arse Mattio lor metropoli ,
saccheggiò la campagna e trasse al Reno, senza dargli il ni-
mico alla coda, com'ei fa quando fugge per astuzia e non
per paura. Volevano i Cheruscì aiutare i Catti , ma Cecina
qua e là sopraccorrendo gli sbigotti; e i Marsi, che ardirò
attaccarsi, vinse e rincacciò.
LYII. Da Segaste vennero tosto ambasciadori a chiedere
aiuto contra i popoli suoi, * che V assediavano, pregiando più
Arminio che consigliava la guerra: conciosstachè que'barbari
lo più ardito tengono più reale e ne' travagli migliore ; con
essi ambasciadori venne Segimondo figliuolo di Segeste a
malincorpo: perchè l'anno delle rivoltate Germanie, fatto
sacerdote all' altare degli Ubii stracciò le bende e fuggissi
a' ribelli. Ma dicendo il padre che sperasse nella clemenza
romana, ubbidì : fu accollo benignamente e mandato con
guardia alla riva della Gallia. A Germanico mise conto vol-
tare: abbattè gli assedianli, e Segeste cavò con molti pa-
renti e seguaci e nobili donne; tra l'altre la moglie d'Armi-
nio, figliuola di Segeste, ' partigiana non sua ma del marito,
non piangeva , benché vinta, non chiedea mercé, ma con le
mani strette al petto affisava il suo gravido corpo. Eran por-
tate spoglie della rotta di Varo già date in preda a molti di
* * moricce. Moriccia o murìccia h dimiDutivo di mora, macchio di saisi:
qui, per moricce, intende le mura scauinate e rotte di qnel castello.
* * contra i popoli giioi. U Lat ha : « adversus vim popuiarium j » cioè ,
de'raol compaesani; o se non si tnol questa voce, che non h ad Vocabolario,
diciamo compatriotti , che il Davanxati usa più volte in questo Tolgarìna-
mento.
' * Chiamavasi Tontvdda. (Strab. VII, ì, A.)
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44 IL LiBKO ramo dbgli annali.
qaei medesimi che allora venieno prigioni. Venne lo stesso
Segeste di gran presenza, e^ dalla buona sua colleganza fallo
sicuro, disse :
LYIfl. f Non è questo il primo giorno che io mostro al
popolo romano ferma fede.. JDa che il divo Aguslo mi fece
cittadino, non ho voluto né amico né nimico, se non utile a
voi; non per odio della patria, perchè i traditori dispiacciono
ancora a cui servono; * ma per conoscer ciò utile a voi e noi ,
e amava la pace più che la guerra. Perciò Arminio , che a
me rubò la figliuola, a voi ruppe la lega, accusai a Varo
vostra capitano. Trattenuto dalla sua lenteza,*e poco spe-
rando dalle leggi , il pregai che legasse Arminio, i congiu-
rali e me: sa^losi quella notte: fossemi ella slata ultima I '
Il seguilo dappoi posso piangere più che difendere: ho messo
le catene ad Arminio e Tho patite dalla sua fazione. Ora che
tu me ne dai prima il potere, ripiglio f antica fede e voglia
di quiete, non per mio prò ma per iscarico di lradigione;-*e
perchè io sarò buono a rappaciarvi con la gente germana,
ov' ella voglia anzi penlersi che sprofondare. Del giovenile
errore di mio figliuolo li chieggo perdono: la mia figliuola è
qui per for^a, io io confesso, ma vedi quel che più vaglia, o
r essere, incinta * d' Arminio, o nata di me. » Cesare beni-
' * perchè i traditori ec. m Notabile è l' esempio del daca di Medina Si-
donia, al tempo di Carlo V e '1 duca Carlo di Borbone, che recusò a dare il suo
palano ad un traditore , dicendo che sua maestà era padrona, ma subito rhe il
duca di Borbone ne foste uscito , egli v'avrebbe appiccalo il fuoco. Boccone
amaro anche al presente principe di Condè. » P. Pietri» Post. mss.
S * G.Dati; « temporeggiato dalla sua leoteua e tardità. *» Adr. Politi:
M perdutasi quell'occasione per dappocaggine del capitano. »
S * Vedi cap. LV.
* per iscarico di tradigione. Lat.: « ut meper^dia exsoham. » La trad.
del Dati può esser comento a questo luogo : « Nondimeno , tosto che io ho pos-
suto del braccio tuo valermi , lasciato le novità e i tmnulti , son tornato all'osata
mia quiete : e questo, non per premio alcuno ch'tó speri di conseguire , ma per
purgarmi d'ogni difetto e mancamento , e poter essere ancora buon menano a
impetrar venia e pace a tutta la naiion de'Germani ec. w
S Incinta. Inoientes, da cieo cies, dicevano i Latini antichi le donne gravide
quando hanno le doglie. I nostri dicevano incinte le gravide generalmente. Non
rincingaf-àìct il maestro Aldobrandino; perciocché femmina incinta quando allatta,
uccide il fanciullo. Giovacchino Perionio fa derivare questa voce dal greco cv)]uo( :
e nòbile, h generosa, è una di quelle che dalle molte nuove o straniere condotteci
dal traffico e dalla corte , sono state sopraffatte e quasi erbe ottime affogate tra le
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IL LIBRO PRUO DEGLI ANNALI. 45
gnamente promise perdonare a' suoi figlinoli e parenti, e lui
rimellere nei sao stalo antico. Ricondusse T esercito, e, per
ordine di Tiberio, fa gridalo imperadore. La moglie d'Armi-
nio partorì un figliuolo, il quale allevato in Ravenna, che
strazio di fortuna fusse , dirò al suo tempo.
LIX. Le novelle dì Segeste datosi e accarezato, diedono
speranza o dolore a chi fuggiva o bramava la guerra. Armi-
nio, violento per natura, or vedendosi la moglie tolta, e
schiava la sua creatura prima che nata, correva per li Che-
rosei qua e là forsennato, arme contr' a Cesare, arme contr' a
Segeste chiedendo, né temperava la lingua: « Valente padre,
magno imperadore, possente esercito, che hanno fatto con
tanta gente di una donnicciuola conquisto I Tre legioni e
tre legati atterrai io, che non guerreggio con tradigióni né
con donne pregne, ma a viso aperto con cavalieri e armati.
Ancor si veggono .ne' germani boschi le insegne romane che
io appesi a' nostri iddìi. Steasi Segeste in quella sua vinta
ìriva : rimetta le bende al figliuolo: non sia Germano che glìel
perdoni di aver fallo vedere Ira 1' Albi e il Reno verghe ,
scuri e toga. ' L' altre nazioni che non conoscono imperio
romaDo,.non hanno provato supplizi, non sanno ragionar di
tributi. Or noi che gli abbiamo scossi, e rimandatone scor-
nato quello indiato Agusto, ' quello eletto Tiberio^ non te-
miamo di un giovanastro novello o di un esercito abbottì-
nato. Se la patria, il sangue, i riti antichi vi son più cari che
i padroni e le nuove colonie, seguitate più tosto Arminio dì
gloria e di libertà, che Segeste di brutta servitù capitano. »
LX. Mossero tali spronate non pure i Cherusci ma i vi-
cini, e seco trassero Inguiomero zio paterno di Arminio, di
antica autorità co' i Romani. Onde Cesare , più dubitando ,
per fuggire la carica di tutta la guerra, insieme mandò Ce-
cina con quaranta coorti romane per li Brutteri al fiume
Amisìa, per tener disgiunti i nimicì: Pedone capitano vi con-
malvagie, le qnali si vorrebber larchiarci quando spuntano , e più tosto, volendo
la lingua anriccfaire, spolverare i libri antichi , e servirsi delle gioie nostre ripo-
•te ; che ci farebbero onore.
' * Accenna al tribunale da Varo quivi eretto e procacemente tenuto.
' indiato jé gusto, transumanato; parole formate da Dante. Qui conve»*
gono molto ad Arminio feroce , irato, gloriante se^ e deridente Agusto.
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46 IL LIBHO PRIMO DEGÙ ANNALI.
dosae i cavalli per la Frisia: egli con quattro legioni vi na-
vigò per li laghi: cosi a quel fiume fecero massa fanti, Ca-
valli e legni. I Ganci si offersero, e foron ricevuti in aiuto.
I BrutteH, che il paese proprio abbruciavano, Airon rotti da
Stertinio, mandatovi con gente leggiera da Germanico. Nel
predare ed uccidere, trovò l'aquila della legione diciannove-
sima che Varo perde: l'esercito n' andò al fine de' Bratteri,
e quanto paese è tra V Amisla e la Luppia guastò, non lungi
dal bosco di Teubergo,^ dove si diceva essere allo scoperto
Tossa dì Varo e delle legioni.
LXI. Onde a Cesare venne desio di seppellirle : tutto
l'esercito ivi compianse i parenti, gli amici, i casi della
guerra, la sorte umana. Mandò Cecina a riconoscere il bosco
a dentro, e far ponti e ghiaiate' a' pantani e a' fanghi. Vanno
per que' luoghi dolenti di soza vista e ricordanza. Ricono-
scovasi il primo alloggiamento dì Varo dal circuito largo , e
dalle disegnate principia * per tre legioni. Inoltre nel guasto
steccato e piccol fosso si argomentavano ricoverate le rotte
reliquie: biancheggiavano per la campagna Tossa ammonti-
celiate o sparse, secondo fuggili si èrano o arrestati : per
terra erano pezi d'arme, membra di cavalli, e a'tronconidi
alberi teste infilzate; e per le selve orrendi altari, ove furon
sacrificali i tribuni e' centurioni de' primi ordini. Gli scam-
pati dalla rotta o di prigionia contavano : « Qui caddero i le-
gati, qua furon V aquile tolte, là Varo ebbe la prima ferita,
colà si fini con la sua infelice destra: in quel seggio Arminìo
orò: quante croci , quali fòsse per li prigioni: che schemi al-
T aquile e alT insegne feo T orgoglioso!»
LXII. E cosi Tanno sesto della sconfitta^ il romano eser-
cito seppelliva T ossa deHe tre legioni, ninno riconoscente le
cui : tutte come di parenti , come di congiunti (con tanta più
ira e duolo) le rìcoprieno. Cesare gittò la prima zolla per lo
* * TenbergOj Teutoburgo.
S * ghiaiate. Il Lat. ha ; « aggeres, » argini o texrapicni.
S principia. Vedi la postilla settima del cecondo libro, C) per la dichiara*
zione di questa voce.
* * Era accaduta il settembre del 763 , e questo avveniva nella primavera
del 768.
n Di questa edicionei pag. 69, n«ta 1.
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IL LIBBO PBlllO DEGLI ANNALI. 47
sepolcro, gratiAshna piota a' defunti, e ai rivi affratellanza
Bel duolo. Qoeito a Tiberio non piacque , o perchè egH ciò
che.faoeva G^manlco, tirasse ai peggiore, o gli paresse la
rimembranza de' compagni rivedati in pezi o avanzati alle
fiere aver l'esercito scorato del combattere e spaventato de'ni-
mici: nò aver dovuto l'imperadore, eon l'agorato e'sacri or-
dini antichisBimi addosso, brancicar morti.
JLXIII. Ritirandosi Arminio per istrane vie, Germanico
gli. tenne dietro, e, quanto prima potè, spinse i cavalli a cac-
ciarlo d'un piano ove si era posto. Arminio fatti i suoi ristri-
gnere e accostare alle selve, voltd subito faccia, e, dato il
segno, l'agguato postovi saltò fuore. Ruppe questa nuova bat-
taglia i cavalli; fanti si mandare a soccorrerli che , traporlati
dai foggenti, crebbero lo spavento: ed erano pinti ' in un pan-
tano a' vincitori usato, per li nostri doloroso , se Cesare non
si presentava con le legioni. Ciò diede terrore al nimico e
ardimento a' nostri, e ritirossi ciascuno del pari. Poi ricon-
dotto r esercito airAmisia, riportò per acqua, come vennero,
le legioni, e parte de' cavalli lungo il lite dell'oceano andò
al Reno. Cecina, che coi suoi tornava per la usata via, ebbe
ordine di spacciare il cammino per Pontilunghi. Questo è un
sentiero, che L. Domizio fabbricò sopra larghe paludi e mem-
me e fitte tenaci o fiumicelli sfondanti, con dolci colline bo-
scate intomo, le quali Arminio empiè di gente , corsa per
tragetti innanzi a' nostri carichi d'arme e di bagaglio* Cecina
per rifare i ponti rotti dal tempo, e discosto tenere il nimico,
ivi pose il campo, parte a combattere e parte a lavorare.
LXIV. I barbari per isforzar le guardie, e passare a'ia-
voranti , badaluccano, ' accerchiano, affrontano, con grido di
lavoranti e combattenti,' e ogni cosa contro a' Romani: fango
profondo , terreo tenero e sdrucciolante, corpi gravi di co-
raze, né fra l'acque poteano i dardi lanciare: làdovei Che-
rusci avevan pratica di combatter ne' paludi, stature alte,
aste lunghe da ferire da discosto. La notte alla fine ritrasse
< * erano pinti j cioè| fitarano per esser piati.
3 * badaluccano. Lai. : « lacessunt. »
' * con grido ec. ; cioè, come traduce il Dati, « mescolandosi le grida
de' lavoranti col romor de' combattitori. »
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n
48 IL LIBRO PRIMO OVOLI ANNALI.
da infelice mischia' le legioni che già piegavano. I Germani
per tal prosperità non curando straccheza né sonno, totte le
acque de' circondanti colli voltarono a basso, le quali coper-
sero il terreno: rovinò il lavorio fatto, e la fatica raddoppiò
a' soldati. Qaarant'anni alla guerra aveva Cecina tra ubbidito
e comandato; e come a^vezo a fortune e bonacce, senza per-
dersi, pensando allo innanzi , ^ non trovò meglio che ratte-
nere il nimico ne' boschi tanto che i feriti e gli altri impacci
avviati Bgombrassono quel piano, tra i colli e le paludi , che
non capea battaglia grossa. Toccò alla legion quinta il destro
lato, alla ventunesima ' il sinistro, e alla prima e alla vente-
sima capo e coda. '.
. LXy. La notte non si dormi per cagioni contrarie: i
barbari in festa e stravizi, con allegri canti, o urli atroci
rintronavano le valli e' boschi. I Romani con fuochi piccini,
voci interrotte, giaceano sotto i ripari o s'aggiravano intorno
alle tènde con gli occhi aperti anzi che desti; e per un sogno
orrido s' arricciarono al capitano i capelli. Parevagli vedere
Quintino Varo uscir su di quelle paludi* grondante di sangue
e dire, «Vienne;» ma non aver voluto, e la man portali,
risospinto. A giorno le legioni poste alle latora per codardia
o miscredenza, * lasciato il luogo, corsero all' asciutto. Armi-
nio non le investi, come poteya in quel ponto, ma ristette
si vide '^ il bagaglio nel fango e ne' fossi impaniato, i soldati
intorno rinfnsi, ninno riconoscer insegna, ciascuno, come
in casi simili, di sé sollecito e all' ubbidire Bordo: allora fece
dar dentro e gridò: ce Ecco Varo e le legioni di nuovo vinte
per lo medesimo fato. » Cosi detto, co '1 fior de'ìsuoi, sdruci
ne' nostri, ferendo massimamente i cavalli: i quali in quel
terreno, di sangue loro e di loto molliccico, davano strama-
' * pensando alia innanzi. Lat : m futura volvens. *»
' * Cosi ho corretto addirittora invece di diciannovesima, percU il tetto
ba unaetvigesima, che forse il Davaniali per ioavvertenia leue umdevig^simm.
' * capo e coda j cioè, la prima per aotiguardia, la veotetima per retro-
guardta.
* * miscredenza per disobbedienza, indisciplinatezza (lat. contumacia)
e citata nella Crusca del Manuni con qaesto solo esempio.
^ * sì pide il bagaglio ec; cioè, si tenne fermo 6otantochè non vide il
bagaglio ec.
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vlL LIBRO PRIMO DEGLI ANNALI. 40
Rate o sprangayan calci, scavakayan l'aomo, Rbaragliavaoo
i circostanti, calpestavano 1 cadati. Intorno all' aquile fa il
travaglio, le qaali né portare si poteano contro alle voltate
ponte, né nel suolo acquidoso ficcare. Cecina nel sostener la
battaglia, mortogli il cavai sotto, cadde, ed era prigione,^
se la legion prima noi soccorreva. La ingordigia de'nimici
che lasciaron l'uccìdere per lo predare, n'aiutò: perchè in
tanto le legioni tal brigarono ' che la sera furono al largo e
nel sodo. Né qui finirono i guai: conveniva fare steccati, ar-
gini, cavare, tagliare, ed erano in gran parte perdoti gli
ordigni: non da medicare i feriti, non tende per li soldati.
Compartivansi cibi fangosi o sanguinosi: lamentavansi di
quella funesta notte, e che tante migliaia di persone avessero
a vivere un sol di.
LXYI. Un cavallo, rotta la caveza, spaurito dalle grida,
correndo si avvenne in certi e sbaraglioili. Tale spavento
diedono, pensandosi essere i Germani entrati nel campo,
che ogn'un corse alle porte, e spezialmente alla decumana,
opposta al nimico, ' e più sicura a fuggire. Cecina trovato la
paura vana, non potendo tenergli con Tautorità né co' pre-
ghi né coD mano, si distese rovescione in su la soglia ; onde
la pietà del non passar sopra il corpo del legato chiuse la
via; e prestamente i tribuni e' centurioni cbiariron falso il
timore.
LXYII. Allora ragunatigli nelle principia, imposto si-
lenzio, mostrò loro a che stremo erano : « V armi sole
poterli salvare, adoperate con senno; ciò era starsi dentro
alle trincee per dar animo al nimico d'accostarsi a spugnar-
' * era prigione, era per esser fatto prigione.
s * te/ ^r^orofio^ talmente si adoperarono.
S * opposta al nimico, Adriano Politi nella lettera a N. Sacchetti ( Leti.
Vcneaia, 16S4» pag. 364) accasa il Nostro di avere franteso atwsa per adverta.
Ma certo il Davanaati per opposta al nimica non ,intese di contro , di faccia al
nimico ( che sarebbe stato errore , perche la porta di contro al nemico era la pre-
toria) , ma si nel lato opposto a quello che guarda il nemico. Ed opposto in que-
sto senso h registrato anche ùella Crusca del Manuali. Il Politi a fuggir V equi-
voco dovette allargarsi cosi : « alla porU maggiore e più coperU dal nemico. »
E molto più il Dati: « la quale.... è posta dalla parte di dietro del riparo e più
discosto da'nemici. » 11 Yalerìani , piuttosto che strascicarsi in tante parole , ha
tradotto come il Nostro; « al nemico o)>posla. »
I. 5
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50 IL LIBRO PRIMO DEGLI ANNALI.
le, e allora da tatto bando uscire : quella sortita gli oondor-
rebbe al Reno: fuggendo, aspettassonsi più bosehi più pan-
tani più crudi nimici : vincendo , ornamento e gloria. » Le
cose a casa care, alla guerra onorate ricordò loro, e le avverse
tacette. Indi diede i cavalli, prima i suoi, poi que' de' legati
e tribuni, senza precedenze, a' più forti, i quali prima, e lì
pedoni poscia investissero il nemico tenuto in agonia non
minore dalla speranza, cupidìgia e dispareri de' capi.
LXYIII. Arminio diceva: « Lasciategli uscire, e di
nuovo in quelle memme accerchiateli. « Inguiomero, più fe-
roce e grato a' barbari,^ prometteva, assaltando il campo,
presa certa, più prigioni, preda netla. All'alba scassano i
fossi, rìempiongli di fascine, innarpicano su lo steccato, di-
fendìtori vi trovan pochi e quasi per paura attoniti. Quando
furon bene accosto, i nostri , dato il segno, sonarono i comi
e le trombe, e con grida e impeto cinsero alle spalle i Ger-
mani, rimproverando loro: « Qui non boschi, non marosi,
non luoghi vantaggiosi, non iddi! parziali. » Al nimico, cre-
dutosi poca gente e svaligiata inghiottire, il rumor delle trom-
be, il luccicar dell'armi, quanto meno aspettata cosa, gli
usci addosso maggiore: e quo' feroci nella bonaccia, abbio-
sciati' nella tempesta morìeno. Arminio sano, Inguiomero
doppo grave ferita uscìron dello stormo: la gente andò a 61
di spada quanto ne volle V Ira e il giorno. Di notte final-
mente le legioni si ritornarono aflOitte dalla fame medesima,
e più ferite: tuttavìa la vittoria dava loro forza, vivande,
sanità e ogni cosa.
LXIX. Novelle andare che l'esercito era assediato e
venivano I Germani a' danni delle Gallio : e se Agrippina
non teneva ' che il ponte in sul Reno non si tagliasse, fu chi
ebbe di cotanta cattività, per paura, ardimento. Ma quella ma-
gnanima, in quel di fece uficio di capitano, e donò a' soldati
' * grato a^ barbari. H testo non vaol dire che costui fosse pia grato ai
barbari di Arminio , ma che le sue paròle , per essere più ardite , suonavano più
grate alle loro orecchie.
' * abbiosciati, avviliti, scorati. Cosi nel III delle Storie: m E se Titeglio
agevolmente disponeva i suoi , com* egli »* abbiosciò , 1* esercito di Vespasiano
entrava in Roma senza sangue. »
' ' * non teneva, non impediva.
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IL UBKO PUHO DBCLI ANNALI. 51
slraccialie feriti, veste e medicamento. Conta Gaio Plinio,
scrittore delie guerre di Germania, che ella stette alla bocca
del ponte a lodare e ringraziar le legioni che tornavano. Or
questo si che toccò Tiberio nel vivo: «r Non si piglia ella tali
pensieri alla semplice: non si travaglia de' soldati per far
guerra agli strani : che accade più imperadori ? poiché una
donna rivede le compagnie, riconosce le insegne, dona assol-
dati, fi forse poca V ambixione del menare attorno il figlinolo
del capitano in vile abito, e dirlo Cesare Caligola? Gii eser-
citi oggimai stanno più con Agrippina che co' legati, co' ca-
pitani. Have nna donna attutato un sollevamento , che non ò
stato dattanlo l'imperadore. » Seiano aggravava questi odii
e ne rinfocolava Tiberio, perchè, al solito lungamente in
lui avvampanti, ne uscissero saette più rovinose. ^
LXX. Germanico perchè l' armala quel basso mare più
leggiera solcasse, e nel riflusso sedesse, sbarcò la seconda e
la quattordicesima legione, accomandandole a P. Vitellio che
le riconducesse per terra. Il primo cammino fu asciutto o con
poco sprazo di marea: l'oceano poscia gonfiò per un rovaio
forzato e per l'equinozio, com'ei suole, e traportavane l'or-
dinanze e l'aggirava. Il terreno andò sotto: mare, liti, cam-
pi, tutr era acqua; bassa o profonda, sodo o sfondato, non
si poteva discernere: ondate capolevano, gorghi inghiotti-
scono bestie e salme: altra versansi, urtano corpi afibgali:
mescolansi le compagnie, con l'acqua ora a petto ora a
gola; perduto il fondo, sbaragliansi, anniegano. Non giova
gridare, non confortarsi, perchè quando il fiotto batteva,
dappoco o valente, nuovo o pratico, sorte o consìglio tanto
si era, ' facendo quella gran violenza d'ogni cosa un viluppo.
Vitellio, fatto forza, tirò l'esercito all'alto. Assiderarono
tutta notte, senza panni da rasciugarsi, senza fuoco, ignudi,
infranti, e peggio che in mezoa'nimici,ove si può pur mo-
rire con qualche gloria, ma quivi con esso ninna. Il giorno
scoperse la terra, e passarono al fiume Yìsurgo, ov'era ve-
< 4tifpanqMmti, ne uscissero saette pia rovinose. Con questa mtUfora m'è
pano aggio^cre, secondo Demetrio, bcUcia e magoifieeiBa a questo luogo. Vada
per qucUi che io avrò a questo scrittor nobilissiino peggiorati.
S * tanto si erùf yalevano lo stesso.
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52 IL LIBRO PRIMO DHaiI ANNALI.
nuto Cesare eoo Tarmata, e imbarcò quelle legioni per fama
affogate nò mai credute salve, sk veduto fa ' egli, e Tesercito
ricondotto.
LXXI. Già Stertìnio mandato a ricevere a discrezione
Segimero, frate! di Segeste, aveva Ini e il figlinolo condotto
nella città degli Ubii, e perdonato a Segimero agevolmente,
al giovane più rattennto,' per avere, come si diceva, scher-
nito il corpo di Varo. Gareggiavano a rifare i danni delTeser-
cito, le Gallio, le Spagne e l'Italia, offerendo arme, cavalli
e oro, ciascuna il più destro.' Germanico lodata lor pronteza,
prese arme e cavalli per la guerra : i soldati sovvenne de'da-
nari suoi, e per confortare con le piace voleze " la trista ri-
cordazione della sconfitta, visitava i feriti, magnificava lor
prodeze, guardava le piaghe, chi con la speranza, chi con
la gloria, tatti con parole e fatti innamorava di se e della
guerra.
LXXII. Il senato quest' anno onorò di trionfali insegne
Aulo Cecina, L. Apronio e Gaio Silio per le cose con Ger-
manico fatte. Tiberio rifiutò il nome di padre d^Ila patria,
più volte dal popolo soffregatolì, nò sì lasciò, come il senato
voleva, giurare l'approvazione de' fatti: * le cose de'mortali
predicando incerte, e quanto più su salisse, più in bilico la
caduta. Non perciò era credoto di civile animo, avendo ri-
messo su la legge della danneggiata maestà, detta ben cosi
dagli antichi, ma altre cose venivano in giudizio. Chi, col
tradire un esercito, sollevar la plebe, mal governar le cose
pubbliche, avesse menomato la maestà del popol romano,
accasato era del fatto , le parole non si punivano. Agusto fu
* * sì veduto Ju, sÌDtanto che qod fu veduto. Nella Giuntina trovasi quasi
sempre sì non per sintanto che non. Ma poi , forse per certa dubbiessa di senso ,
lo ha sempre corretto come qui.
3 * pia raUenutù, con più ritegno , con maggior diIBcoItk.
' * ciasctma il pia destro, ciò che aveva più alla mano. Lat : « quod
cniqtte promptum. »
* * piaceifoleze, degnevolesse.
^ * né si lasciò.,., giurare l* approvazione de* /atti, Lat: « neque in
aéta stia iitrari permisiU Giurare gli atti del principe voleva dire, come
spiega Dione Cassio, 47,i8:^s^ata vo/uLitttf iravrara wtt' cxsivouyivo/ACva;
cioè , fermare per legge la stalnlitk di tutta le cose da lui fatte. Specie di adula-
zione trovata dai triumviri per G. Cesare l'a 713.
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IL LIBBO TBIMO DBdLI ANNALI. tf3
l'I primo che fece caso di stato e maestà i cartelli, mosso
dalla malignità di Cassio Severo che con e^i aveva infamato
uòmini e donne di conto. Tiberio poscia domandato da Pom-
peo Macro pretore se dovesse accettare le caase di maestà,
disse: « Osseryinsi le léggi, » inasprito anche egli da certe
poesie senz'autore, che s verta vano ^ le sae crudeltà e arro-
ganze e traversie * con la madre.
LXXIII. Io dirò poro di che peccati far poste querele
a Falanio e Rubrio cavalieri di mezza taglia, acciò si sappia
da qua' principi, con quant* arte di Tiberio un crudelissimo
fuoco SI appiccò, ammorzò, poi levò fiamma che arse ogn'uno.
Diceva 1' accusatore che Falanio aveva messo tra' sacer-
doti d'Agusto (che n' era in ogni casa come un collegio) un
certo Cassio strione, disonesto del corpo, e vendè la statua
di Agusto, insieme col giardin suo. Rubrio era incolpato di
spergiuro per lo nome di Agusto. Quando Tiberio il seppe,
scrisse a' consoli: « Non essere stato dichiarato suo padre
celeste per rovinare i cittadini. Cassio essere un recitante
come gli altri alla festa che sua madre fa per memoria di
Agusto: né la religione danneggiarsi, se con le vendite
delle case e giardini vanno i simulacri di lui come quelli
degli altri iddìi : quello spergiuro essere come se V avesse
attaccato a Giove: alle ingiurie degl'iddìi., gì' iddii pen-
sare. »
LXXIY. Non passò guari che a Granio Marcello pretore
in Bitinta fu da Copione Crispino questor suo dato querela di
maestà, raggravata da Ispone romano, uomo che prese un
mestiere che poi venne in gran credito per le miserie de'tem-
pi, e per le sfacciateze degli uomini: costui povero, scono-
sciuto, inquieto, col far lo spione segreto, trapelò nella gra-
zia del crudel principe, tendendo trabocchetti a' più chiari;
' * ivertàvano. Verta fa il fondo della rete peschereccia, onde %* è formato
il yttiio avertare per rovesciar fuori , e per traslato rivelare cose occulte.
Varchi, Ercol. : m Di coloro i quali confessano il cacio, ciofa dicono tutto
qoanto qneBo che hanno detto e fatto.... s'usano questi verbi, svertare, sbor-
rare ec. *»
3 'fyaperWtf: qui per cose traverse, contrarietà, discordie. In questo si-
gnificato manca il Vocabolario.
5*
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54 IL LUBO n«0 DIGLI ANKALI.
e direnato potente appresso uno, odioso a tutti, lo stendardo
alzò ' a coloro che, seguitandolo, di poveri fatti ricchi, di ab-
bietti tremendi, trovarono lo altrui e al fine il loro precipizio.
La querela voleva che Marcello avesse sparlato di Tiberio; e
non vi era difesa, perchè il prod'nomo scelse le cose di lui
più laide, le quali, perchè eran vere, si credevano anche
dette. Ispone aggiugneva, aver Marcello la status^ sua messa
più alla di quelle de' Cesari, e ad un' altra di Agusto levalo
il capo f messolvi di Tiberio. Di questo montò in tanta col-
lera che non potendo più stare taciturno, gridò che voleva
in questa causa dire anch'egli il suo parere aperto e giurar-
lo, perchè gli altri non avessero ardire di contraddirgli. Ri-
maneva pure alla boccheggiante liberiade alcuno spìrito.
Onde Gn. Pisone disse: « E quando il dirai , o Cesare? se il
primo, io ti potrò seguitare: se il sezo, io ti potrei, non vo-
lendo, dir contro. » Ravvedutosi della scappata, chinò le
spalle ad assolvere il reo della querela, stando però a sinda-
cato della pretura.
LXXV. Non gr incresceva, oltre al senato, sedere an-
cora ne' giudizi da un canto del tribunale, per non cavare il
pretore della sedia sua. Questa presenza cagionò di buoni
ordini con tr' alle pratiche e favori de' potenti; ma nel rac-
conciare la giustizia si guastava la libertà. ' Tra r altre cose
Aurelio Pio senatore, cui fu rovinata la casa per fare una via
e un acquidoccio, chiedendo a' padri d' esser rifatto, e con-
traddicendo i fiscali; Tiberio la li pagò, come vago di fare
spese onorate; la quale virtù, e non altra, si mantenne. A
Properzio Celere, stato de' pretori, supplicante di lasciare
il grado per povertà,' trovatolo meschino di patrimonio, donò
* * lo stendardo alzò. Lat : « dedit exemplum, »
^ * ma nel racconciare te. Vuol dire che mentre Tiberio voleva colla aaa
presensa provvedere che fosse amministrata severtmente la gtostisia, vincolava
la libertk dei giédici, cui btiognava pigliar norma dalla sentonsa del principe.
* lasciar il grado per povertà: per non avvilire il grado «eutorio, cln
non potea tenerlo con l'osata magnificenaa , era modestia lasciarlo. Dice quatto
autore nel dodicesimo : « Laudata dehine oratktne pHmeipi* qui ob angngtUu
familiares ordine senatorio sponte cederent: motique qui remanenth, im-
pttdentiant paupertatt adiicerent. • Arinio Gallo diee per At ngièite aia ne-
cessaria a' maggior gradi maggiore magnificenaa e spesa.
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lE UBttO PlUfO DBOU AtHtiàf^U 89
Yentkinqae mila fiorini d'oro.' Ad aUri die tentarono il me-
desimo, riscrisse: « Pruovino la povertà al senato, » come
quegli olle per severità mantenere, eziandìo i benefici! por-
geva * con aeerbeza. E quei volliono anzi patire chemostrare
al popolo lor vergogne.
LXXVI. Nel detto anno il Tevere per lo lango piovere
aHagò il piano della città, e nel ealare, grande strage fé' di
case e persone. Aainio Gallo consigliò, si vedesse qnel ne
dicesse la Sibilla. Tiberio non volle per tepere gli uomini al
boio ' dello cose divine come dell' umane; ma furon depu-
tati Aterio Capitone e L. Arunzio a' ripari del fiume. DoleA-
dosi TAcaia e la Macedonia delle troppe graveze; pjacijfue
d'alleggerirle per allora del viceconsole e metterle tra'governi
di Cesare. Druso celebrò lo spettacolo, già promesso in nome
suo e di Germanico, delli accoMellatori, e troppo di quel san-
gue benehò vile godeva. Onde il popolo ne impanrio e il
padre ne lo sgridò. Non volle egli celebrarlo, chi diceva per
aver a noia le ragunate, * chi per fantasticheria e per non
' dtmà ventìcinque mila^orinù l^anti sono dieci volte centomila^ eiob un
milione di sesteni. Tanti ne donò Àgiuto a Orlalo, nipote d'Ortensio l'Oratore,
acciò potere tor moglie e rifare quella chiara famiglia ; e altri ventimila il se*
nato a quattro suoi ^liuoH; iS5 mila fa proposto dame al figliuol di Pisonè,
e cacciarlo via. Tanto conto si teneva de' nobili; con a) fatta liberalità s'aiuta-
vano; tanta era d'un cittadino romano la grandeca e la necessaria spesa.
' i benefica porgeva. Il bene6cio si vuol fare con faccia lieta, non
villana ne dispettosa. Perchè ingiuria con cortesia non si mescola; ma la
guasta e caccia dalla memoria e rimanvi essa. Onde al beneficio ingiurioso bi
soddisfatto chi l' ha perdonato.
5 per tenere gli nomini al buio. Tiberio voleva spegnere ogni sapere ,
odiava gli fccenxiati o valenti, temendone. E a' inganiiava , secondo Aristotile,
che dice, i dottici savi congiurare conrro a' principi meno degli altri, per-
chè veggono maggiormente i pericoli , e che la ' cittSi si rovina : sono pochi ,
e pochi gti segnitano e aintano; dove gl'ignoranti son molli e scontidérati,
guardano a poche cose, hanno più impeto che consiglio. IVc' pericoli il pen-
sare appo loro è viltà; il dar entro, atto reale; come de' Parti si ^ice. Oggi
osano gli Uscocchi quando vanno a combattere imbriacarsi pasamcnte con
l'acqua vite, per andarvi cosi riscaldati con temerità e furore, e non pensare a
pericolo. L'ignoransa veramente è madre della ingiasiÌBÌa; questa è tutto '1
male della città. Ma perchè nell' acqua chiara i pesci fuggono la réte> )p^er-
chè la veggono , la tiìrbida fa per chi li vuol pigliare e mangiare.
^ per aver a noia le naganate. Volendo Tiberio cibare una serpe eh' ei
teneva per delnia, la trovò mangiata dalla formiche. Ol'indoi^iin ^ dàssero
che si|guardasse dalla moltitudine ; però la fuggiva.
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86 IL LIBBO PillK) DKGLI ANNALI.
far paragone con quel ano viso satamiBO* a quel gioviale che
vi portava Agosto : altri ( ma noo lo posso credere) per fare
il figliQolo dal popolo per crudele * scorgere e odiare.
LXXVII. Le misdiie de' teatri , «omÌBciate rairoo in-
nanzi, vennero a peggio, e vi ftiron morii non por de' ple-
bei ma de' soldati e on centurione, e ferito nn tribuno di
guardia per voler tenere il popolo che non s'azqffasse e spar-
lasse de' magistrati. Di tale scandolo si trattò in senato : i pa-
reri erano che i pretori potessero vergheggiare gli strioni.
Aterio Agrippa, tribuno della plebe disse che no. Asinio Gallo
n'ebbe seco parole, e Tiberio taceva per lasciare al senato in
cotali deboleze apparenza di libertà. Valse il no, perchè già
aveva il divino Agusto ( le cui sentenze Tiberio non poteva
toccare) esentati gli strioni dalla verga. Fu loro la mercede
tassata, e al troppo corso che aveana, ' próveduto: Che in
casa commedianti ^ senatore non entrasse : codazo o cerchio
intorno a loro, uscenti in pubHco, romano cavaliere non fa-
cesse: nulla fuori di teatro si recitasse: gli spettatori fasti-
diosi il pretore potesse punire d' esigilo.
LXXVIII. Alli Spagnnoli chiedenti di poter fare un tem-
pio ad A gusto nella colonia tarraconese fu conceduto , e
all' altre provìncie dato esempio. Chiedendo il popolo che
l'un per cento delle vendite, posto al fine delle guerre civili,
si levasse; Tiberio bandi che questo era l'assegnamento delle
guerre, e che la republìca non poteva reggere a dare i ben
serviti'^ innanzi a'venti anni; però rivocava la mal consigliata
licenza de' sedici nella passata sollevazione. *
' * viso saturnino, barbero e scoro. Machiavelli, Comm. in tws. A. I,
1.4.2:
Ma chi è qoel die tìoh d satomiao?
Il popolo dice anche saturno, e lo trovo in un Necrologio ma. del sec. XYI fin.,
presao di me: « Costai era boono 6gliaolo, ma di poche parole; piattosto sa-
turno che altro. »
' per crudele. Da questo Druso chiamavano drusiane le spade ben af-
filate e crudelmente taglienti.
* * al tròppo eorso che aveano ec. Lat; « adversus lastiviam /tuUorum
multa decemuntur , » contro l'insolenca de' loro fautori ec.
^ * in casa commedianti, di Commedianti.
8 a dare i ben serviti. Quando uno moriva innansi a'venti anni di soldo ,
non aveva guadagnato con la republicail ben servito.-**! ben serviti, le licerne.
. • * Vedi cap. XVI e segg.
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IL UBBO PBIMO DK«LI ANMALI. 67
LXXIX. IdepaCati del Tevere propesero in senato, se
per ovviare alle piene fusse da voltare altrove i Gami e'iaghi
onde egli ingrossa. Udironsi l'ambascierie delle terre e colo-
nie: pregavano i Fiorentini non si voltasse la Chiana dal suo
letto jn Arno, che sarebbe la lor rovina. Simil cose dicevano
qne' da Terni, che il più grasso terreno d'Italia andrebbe
male, se la Nera si spartisse, come si disegnava, in più rii,
e qnìvi si lasciasse stagnare. Gridavano i Rietini non si ta-
rasse la bocca del lago Velino che sgorga nella Nera, perchè
traboccherebbe in qae' piani : « Avere la natura provveduto ^
alle cose de' mortali ottimamente, e a' fiumi dato i loro con-
venevoli fonti, corsi, letti e foci: doversi anco rispettar le
religioni de' confederati che consagrato hanno a' fiumi delle
lor patrie lor boschi , altari e santità: lo stesso Tevere non
vorrebbe senza la corte de' suoi tributari fiumi correre meno
altiero. » Fusse il pregar delle colonie o Topera malagevole
0 la religione, vinse il parer di Pisene, che niente si mutasse.
LXXX. A Poppeo Sabino fa raffermato la Mesia e ag-
giunto r Acaia e la Macedonia, usando Tiberio non mutar
ministri; 'e molti in un esercito, in un reggimento ne tenne
a vita; chi dice perchè chi gli era piaciuto una volta volle
sempre, per levarsi pensiero ; altri per invidia, ' acciò quel
* Attere la nmtura provveduto. Come le ▼ene per li corpi degli ani-
mali e per le foglie delle piante « cosi per la terra i fiumi si ipargono eoa*
volte e storte , secondo il bisogno ben conosciuto dalla natura , vera capomae-
stra e ingegnerà; nò possono ritoccarsi sema violenza, errore, danno e gra-
vesa de' popoli e bottega de' ministri.
S usando Tiberio non mutar ministri, Facevalo (dice losefo , nel iS
cap. dell'Antichità) per non cacciare dalle gamberaccie de' poveri cittadini le
mosche già ripiene e satolle > per rimettervi le vote affamale. Tanta carità
non poteva muovere Tiberio che si serviva de' ministri , come dicono gli
scrittori , per sue spugne a cavar il sangue ( col vender le grazie, la giustizia,
e con le iniquità) da' popoli; e poi gastigandoli , le premeva. (*) Cosi arricchi-
va, e il popolo Io benediva. Gonciossiachè egli avre])be guasta la sua propria
arte. Più sode ragioni ne adduce Cornelio qui.
' per invidia. Della natura invidiosa di Tiberio si trovano grandi cose.
Notevole è che avendo in Roma la loggia grande piegato da una banda « un
architetto la dirizò. Tiberio ammirò l'arte e donolli largamente ; ma per
astio non volle che al libro de' conti si scrivesse il nome , e cacciollo via
fuori di Roma. Tomolli innanxi per racquistar la grazia con altra prnova; e
n teprtmna, cioè le spugne.
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58 IL LIBRO PBIMO DMLl AMMALI.
bene toccasse a pochi : ad alcuni quanto pareva d* ingegno
sottile, tanto nel risolvere impacciato; non voleva troppo va-
lenti, temendone; odiava i molto inetti, come vergogna pa-
blica. Da queste dabiese fìi condotto infino a dar Provincie
a chi e' non era per lasciare uscir di Roma.
LXXXI. Il modo del fare i consoli tenuto prima da que-
sto principe e poi seguitato, non saprei dire: tanfo diverso si
trova non pure negli scrittori ma nelle sue orazioni. Averli
ora descrìtti dal casato, vita e soldo, senza nomi, perché
s' intendesse di cui: ora senza descrivere , confortato i chie-
ditori a non conquider co' preghi lo sqoittino , ma promesso
aiutargli.^ Molte volte detto, fuori de' nominati da luì a con-
soli, ninno aver chiesto : chi volesse cimentar suo' favori o
meriti facessesi innanzi. Paroloni a vuoto per ingannare, e
false mostre di gran libertà, per dovere in cotante pia era-
del servitù riuscire.
giltò in terra una tasa di vetro: ricolse i pesi e quivi li rappiccò come prima
mirabilmente s perciò Tiberio lo fece morire.
' * a non conquider co* preghi ec. G. Dati ; « a non voler per via di
doni o di corruiioni o di altri gimiglianti meszi turbare la elezione , promettendo
di procarare egli per loro. »
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59
NCHIÀRAZIONE DEI NOMI ANTICHI
COKE SI DICONO KODERNÀMENTE ,
posta dil DiTaonti io fine delli tridiuione del Libro primo dtgli Annali, ee.
Firenie, Marescottì, 4596.
Acaia nel Peloponneso, doV è Napoli di Romania.
Aetium, Previza, capo di mare in Albania, dov*è Nicopoli, vicino
airEchihade, dette le Gorzolari» o?e fu rotto Tanno lS7i il
Turco.
Ami9ia , fiume che sbocca in mare tra '1 Reno e 1* Albi in Frisia lungo
r Emdam, detto Ems.
Baiavi, Olandesi, in su T Oceano tra la Mosa e*l Reno.
Cerànna, isola nel mar d' AfiMca. Carcami.
Coiti, popoli di Essìa in Germania.
Cauci, parte di Sassonia e di Brunsrich.
Cherusà, forse Zelandi.
Edili curuli, nfidali in Roma sopra gli edifizi, fiumi, feste ec.
Edili cereali . sopra Y abbondanza e grascie.
Germani, Tedeschi, Alamanni.
Gallia togata, fra 1* Alpi e 1 RuUcone , perchè era pacifica e usava
la romana toga.
GalUa bracata, perchè usava certe pelliccio : Nerbonese , Linguadoca.
GaUia cornata dalli biondi capelli, oltre 1* Alpi; divisa da Cesare in
Celtìa, Belgia, Aquitania, oggi Francia , Fiandra, Guascogna.
Legati neW esercito , Commessarii mandati dalla republica o dal prin-
cipe.
Legione, scelta di gente romana, contenente, senza gli aiuti, se-
condo Yegezio, dieci coorti , cioè: La prima di 1105 fiinti e 130
cavalli; Y altre nove, ciascuna di 555 fonti e 66 cavalli,
fanti ctTalli
La prima 1105 130
L'altre nove 4995 594
6100 TU
La coorte era £visa in cinque centurioni: il centurione in dieci
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60 IL LIBBO PBIMO DEGLI ANNALI.
manipoli oyyero contubernii di dieci soldati 1* uno in circa, che
Tivevano in nn paglione, con un caporale detto decurione.
Luppia, fiume : mette in Reno lungo Vesalia in Gleves.
ifa//io, Maspurg in Essia.
Mesia alta, Bossnia o Serbia.
Mesia bassa, Bolgaria e Yallacchia.
Nauporto, Labato castello in Istria.
Pontefici, curano le cose sagre, come oggi i vescovi.
Pannonia alta, Ungheria; — bassa, Austria.
Pretùri, Podestà di Roma e di Provincie a render ragione.
Pretoriani soldati, guardia del pretore e del principe.
Pandataria, isola nel seno di Pozuolo. Palmarola.
Rjketia superior, Rezia ; — tn/erior, Baviera, in parte.
Svevi, popoli di Sassonia.
Sequani, Borgognoni.
Tubanti, confini a* Frisoni , tra* Germani e Olandesi.
Teuteberg, bosco in Wesfalia detto Winfeld, &moso per la sconfitta
di Varo.
Treviri, ritengono il nome, vicino a Loreno, dove Cesare fece il
ponte.
Tribuni celerum. Colonnelli di cavalli;— mt/t^«m, di fuktì;-^plebis,
magistrato sagrosanto difenditor della plebe; — ararti, tesorieri;
— armamentarii, generali dell'arme.
Usipeti, Francofort.
Ubii, Colonia.
Visurgis, Montone, fiume che passa per Brunsvìch sotto Brema,
sbocca in mare vicino all'Albi.
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IL LIBRO SECONDO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMÀRIO.
I. L' oriente in qualche (omolto. — III. Voaone re de^ Parti ) da Arta-
Bcacciato, ricoverasi dasli Armeni; da essi preso pe
A per tema e mioacce d'Artabaoo. — V. Tiberio a pretesto
baoo scacciato , ricoverasi dasli Armeni ; da essi preso per re , rifiutato poco
Sei per tema e minacce d'Artabano. —V. Tiberio a pretesto de'romori d'oriente
alle germaniche legioni avella Germanico, che ubbidisce a pie loppo. Poi'
eh' entra in Germania , in gran giornata Chernsci e Arminio vince. Soffre tem-
pesta in mare ; e tutto compensa con prospera spedizione contro i Marsi* —
XXVII. Libone Dmso accasato di novità. A terra i preghi di M. Ortalo. —
XXXIV. Clemente sotto mentito nome di Postumo Agrippa tumultua. Con arte
il prende Sallustio Crispo , e a Roma il mena. — XLl. Trionfa Germanico
de' Gatti ^ Ghemsci e altro nasionì aino all'Albi.—- XLll. Archelao re de' Gap*
padoei , d' insidia chiamato a Roma e malmenato, muore. Suo regno fatto prò-
vincia. — XLIII. Dato V oriente a Germanico, la Scria a Pisene con segrete
istruzioni contro Germanico, a quel che si erede. -^ILIV. Vandaai Dmso
nelP Illirico contro i Germani che per sue discordie fan sicuro e ozioso il Ro-
mano. — XLV. I Chernsci sotto Arminio in gran battaglia sanguinosa vincono
il potente e antico re Maroboduo. — XLVII. Dodici città d'Asia rovesciate da
tremnoto. Liberalità di Tiberio. — L. La legge di stato allunga le njani. —
LII. Tacfarìnate all' armi in Africa: tosto da Furio Camillo represso. — LUI. Ger-
manico di nuovo console, passa in Armenia: di lor volere vi fa re Zenone,
rìmoaso Vonone : poi in Egitto. — LXII. Druse semina linania ne' Germani.
Maroboduo da Catnalda scacciato di regno viene in Italia, fermato anni iS
in Ravenna. Calnalda avuto pariglia è mandato in Fregius. — LXIV. Rescnpore,
re trace, d'opera di Pomponio Fiacco, in ferri è tratto a Roma.' — LXVIII. Vo-
none ucciso. — LXIX. Germanico torna d'Egitto*, suoi ordini da Pisone abo-
liti o fatti a rovescio vi trova, semi tra lor di discordie. Non guari dopo am-
malatosi, a gran lutto da' popoli muore in Antiochia. — LXXIV. A Pisone,
sospetto di veleno dato, vietasi il ritorno in Siria. — LXXXIII. Grandi onori
al morto Germanico da Roma. — LXXXV. Leggi contro la donnesca impudi-
cizia.— LXXXVI. Scelta di Vestale: prezzo tassato a' grani. — LXXXVIII. Ar-
minio ucciso in Germania per tradigìon da' popolani.
Corto di qwtttr* anni.
. ,.-. /j. ^ i4,x ^ ..I T. Statilio SiSENNA Taubo.
An. a. R. oca,l«. (a, e. i6). - Con,oU. \ ^ s^.,^„„ i,^„
. ,. „ ,« ^ ,„. „ ,. I C. CiciLio Rufo.
An. a. E. Bcciix. (d. C. ÌT). - C«««.K. | ^ p„.^„^ Flìcco Cecino.
A j* » .. . /j*/^ lo^ ^ f. ) TiBBBio Cmahb Augusto III.
An. a, R. DCCLKi. (d, C. >I8). - Comoh. | g„«ìnico Cbsìbb II.
. -. „ /v r, .«X ^ .. i M. loHio Silano.
An. a, R. DCCLKii. (di C. 49). - Comoh. \ ^ ^^^^^^ p^^
I. 6
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6^ IL LIBRO SECONDO DBGLl ANNALI,
I. [A. di R. 709, di Gr. 16.] I reami d^F^riente e le pro-
vìDcie romaDe , essendo consoli Sisenna Slatilio Tauro e
L. Libone, fecero movimento, incominciato da'Parti che lo re
cliiesto e ricevuto da Roma, benché del sangue arsacido,*
schiftivano come straniero. Questi fu Vonone dato ad Agusto
per ostaggio da Fraate, il quale, quantunque scacciato avesse
i romani eserciti e' capitani, ' s' era rivolto a venerare pei
Agusto, e mandògli parte de' figliuoli per pegno d'amicizia,
temendo non tanto di noi quanto della fede de' suoi.
IL Morto Fraate, e tra loro ammazzatisi i i^ succeduti,
i grandi mandarono a Roma ambasciadori per rimenarne
Vonone primogenito. Recandolsi Cesare a grande onore , lo
rimandò con ricchi doni, e lo accolsero ì barbari con la fe-
sta usata a' nuovi re. Venne poscia loro vergogna d' avere,
come Parti imbastarditi, chiamato re d'un altro mondo, in-
fetto de' costumi de' lor nimici. « Già il seggio arsacido per
vassallaggio dtRoma* stimarsi e darsi: dove essere que'glo-
riosi che tagliaron a pezi Grasso, «he cacciu-on Antonio, se
chi soffèrto aveva tanti anni d'essere schiavo di Cesare, do-
veva lor comandare?» Stomacavali anch' egli co' suoi modi
diversi dagli antichi; cacciar di rado, non si dilettar di ca-
valli; ire per le città in lettiga; fargli afa ^ i cibi della patria:
ridevansi del codazo grechesco, del serrare e bollare ogni
cencio; ^ le larghe udienze le liete accoglienze, virtù nuove,
ai Parti erano vizi nuovi; e ciò che antico non era, odia-
vano buono e rio.
III. Misono adunque in campo Artabano arsacido alle-
vato ne' Dai: * nella prima battaglia fu rotto : rìfeosi, e prese il
reame. Vonone vinto rifuggì in Armenia, allora vota,'' e, tra
^ * del sangtte arsacido. Gli Arsacidi erano i discendenti di quell' Ar-
sace che liberò il paese dei Parti dalla signoria de' successori di Alessandro , e
ne fece un ampio e potente reame.
> * e-* capitani. Oppio Staziano e Antonio, Ta. di R. 71 S< Vedi PhiUrco
in Ant. 38.
' * per vassallaggio di Roma, come se fosse provincia romana.
* *f'*^^i "/'* > avere a schifo. Lat. : «« fasUujue erga patrias epttlas. »
5 * bollare ogni cencio. Lat. : « vilissima uiensilium anulo clautai -
6 • iw* Ihti, sul Caspio: oggi Dàhistan,
' * vota, u seoca signore.: ed essendo in qfiezsp tra il dominio de* Parti e
quello ilo* Jtomanr, air iin.i c all'altra pn» le si rontlc\ a po.o f«tlile »» Duli
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IL LIBBO SSGONDO DSfiLI ANMAU. 63
le forze romane e de' Parti trameio, ^ non fedele, per la cai*
(ivilà d' Antonio * che Artavasde re di qoella come amico
chiamò , incatenò e uccise. Onde Artassia suo flgUnolo, ' con
le forze degli Arsacidi, sé e il regno difese contra di noi.
Essendo tradito e morto da' suoi , Cesare investi di quél re-
gno Tigrane, e Tiberio Nerone lo vi condusse. Corto impe»
rio vi tenne esso e' figliuoli, benché con loro sorelle, di re-
gno e matrimonio congiunti, alla barbara. Agusto vi mise
Artavasde ; fonne non senza nostra sconfitta cacciato.
IV. Gaio Cesare ^ mandalo a rassettar 1' Armenia , die
loro Ariobarzane mede. Era bello, era fiero ; T ebbero caro.
Morto per isciagura , miscontenli de' suoi figlinoli, assaggia-
ron la signoria d' ona donna delta Erato , e quella cacciata
ben tosto, confusi e sciolti, senza signore anzi che liberiate
rifoggìto Vonone fanno re* Ma perché Artabano il minaccia-
va; gli Armeni poco il potevano aiutare, e noi difendendolo,
rompavàmo guerra co' Parti; Cretico Silano, governatore in
Seria, chiamatolo, il fé' prigione, pompa e nome reale man-
tenendogli. Questa indegnità come egli tentasse fuggire, dirò
a suo luogo.
y. Tale scompiglio dell' oriente non dispiacque a Tibe-
rio, per diveller Germanico dalle legioni troppo sue, e man-
darlo con la scusa di nuovi governi forse a smaltire^ per froda
o fortuna. Ma la pronteza de' soldati e la malignità del zio
gli erano pungoli allo affrettare la vittoria : e seco divisava
le maniere del combattere; quel che gli era in tre anni di
* * trameno, dopo il fra • pleonatmo , non opportuno a chi contava le
parole.
3 cattìvilà et Antetào. Artavasde, amico e aiirto de' Romani, aveva la-
sciato tagliare a pesi Oppio Stasiano (Dione, 49). Antonio lo gsstigò con questo
tradimento. Oggi [non) si direbbe [cattivitb, ma] f) saper di guerra o ragion
di sUto, cbe fa Lecito ciocche 'k utile. Il popol basso la direbbe y<iRfmeri«. (**)
' * suo Jìgliuolo, Aggiungi : « per la memoria del padre divenutoci nemi-
co. *• Cosi vude il testo : «• ^ti9 JrtMeias, memoria patria nobis infensus, *»
A * Gaio Cesare, bastardo d* Agrippa, adottivo d'Angusto: mori nel
ritorno Fa. 757. Vedi sopra, 1-, 3.
' * a smaltire, a morire. Il lat. bat « novisque jirwlnciis impositum
doio simtU et casihts obieeiarat. »
n l'è parole ehiase tra qaesti segni ( ] si leggono solamente nella Giuntina.
(*^ famtùuria, tristisia, malvagttk. Il popol toscano die* /aurino ad nomo tristo, andacee
malitiose. Egli è fantino da far questo « altro : «gli è «n Isntino ehe il tisi m soampi , «e.
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64 IL LIBIO SBCONDO DMU ANNALI.
qaella guerra rioscito bene o male : « Giornate ^ e pianure
esser la morte de' Germani: boschi e palodi, state corta,
verno tostano' a loro giovare: i soldati suoi meno delle ferite
che de* lunghi cammini e delle pesanti armi patire: aver le
Gallio' monte di cavalli: gran bagagliume, ésca al predare,
noia a difenderlo. S' io vo per mare, ne son padrone: il ni-
mico non l'usa: guerreggerò prima: gente e vivanda insie-
me porterò: per le bocche e letti delle riviere metterò nel
cuore della Germania i cavalli e gli uomini riposati. »
VI. Gittatosi a questo, mandò P. Vitellio e Ganzio * a
riscuotere le decime ' delle Gallie; e a Siilo, Anteioe Cecina
die cura di fabbricar le navi. ' Mille parvero bastevoU , e
prestamente furon in punto : parte corte e strette di poppa e
prua e largo ventre, per meglio reggere a' fiotti: altre in
fondo piatte, per ben posare:'' le più col timone a ogni punta,'
per approdar da ogni banda a un rivolger di remi: molte
acconce' a pprtar macchine, cavalli e viveri; destre a vela;
sparvierate '^ a remo: e la baldanza dé'soldati le mostrava di
più numero e terrore. A ppuntossi che facessero massa ^* Del-
l'isola de' Batavi, d' agevole sbarco, comoda a mandare le
bisogne alla guerra per lo Reno, ^' che per un letto solo che
fa alcune isolette, giunto a' Batavi, si divide come in due
fiumi: l'uno col suo nome e rapido corso passa per la Ger-
* * Giornate, LalUglie ordinate e regolari, campali.
S * tostano, sollecito, prima del tempo.
' ie Gaiiie. Quel che oggi si chiama Francia è parte delle Gallie; però
ritengo il nome antico.
4 * Canzio, per Caio Jnzioj come Jgellio per Aulo Gellio.
> * ie decime. Vedi Ann. I, 3t .
B le navi. Nel terso delle Storie , nella guerra d'Aniceto , descrive m^io
questo Autore loro forma , nome^ uso.
^ * per ben posare. Il lat.; « ut sine noaea siderentj n cioè, affinchè
ne' luoghi dove l'acqua è bassa, o pei gaudi o pel riflusso della marea, po-
tessero calare senza pericolo.
** a ogni punta. Il lat. : « tUrinqué, n cioè da prora e da poppa.
' * acconce: Il lat. ha : « poniibus stratat j » fomite di ponti.
*^ * sparvierate , veloci come sparviero. Lat. : « cita remis. n
" * facessero massa. Lat.: « convenirenL »
« * comoda a mandare le bisogne alia ^itarra per lo Remo. Non è
chiaro. Il lat. ha: « transmilUndum ad bellum opportuna, *» che il Yale-
riani traduce: « atta... a trasmetter la guerra; » e più chiaramente il Boarnouf:
m polir envojrer la guerre sur un autre rivage. »
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IL LIBRO SECONDO DBGLl ANNAU. 65
manìa neir oceano; T altro, che nell'orlo della Gallia corre
pia largo e dolce, mata nome , e lo dicono i paesani Vaale ,
e, poco oltre , Mesa, che per ampissima foce si versa nel
medesimo oceano.
VII. Mentre V armata s'adana, Cesare manda Silio le-
gato con gente spedita a' danni de' Gatti: esso, sentendo es-
ser ana forteza in 'su la Lappia assediata, y' andò con sei
legioni. Silio, per le repenti piogge, poco altro fé' che pre-
dare la moglie e la figlinola d'Arpi signore de' Gatti. Nò Ce-
sare combatto gli assedianti, perchò al grido del soo venire
sbandarono, spiantato nondimeno il nuovo sepolcro delle le-
gioni dì Varo, e l'aitar vecchio di Druse.* Rifece l'altare, e
con le legioni dietro, per onoranza del padre vi torneò.' Il
sepolcro non parve da rinnovare; etra la forteza e l' Alise-
ne ' e '1 Reno tutto di nuovi termini e bastioni afforzò.
Vili. Giunta l' armata, avviò i viveri; scompartì per le
navi le legioni e gli aiuti; e nella fossa detta Drusiana en-
trato, orò al padre Druse, che favorisse lieto lo suo ardi-
mento alla medesima impresa, mostrasse i fatti, ricordasseli
T modi suoi. Navigò per li laghi e per l' oceano felicemente
sino a foce d' Amistà. Quivi lasciò le navi a sinistra del fiu-
me, e fu errore a non isbarcar le genti più su; che dovendo
andare per quelle terre a destra , ebbe a perder parecchi di
a far ponti sopra que' marosi, che dalle legioni e cavalli fu-
rono passati francamente innanzi al tornar della marea: ma
gli aiuti diretani , volendovi sgarar V acque * e mostrar va-
' * di Driiso; cioè, eretto dove morì Dnuo 1' a. 745.
S per onoranza del padre vi torneò. Di questo costume antichissimo
detto decursio, vedi Senofonte nel sesto diXUro^ Dione, ^5; Svetonio, in He-
rone. Il Lipsio cita Omero, Virgilio, Livio, Lucano e Stazio. Postilla 5$ di qnt-
sto libro. (*) — * con le legioni... vi torneò; cioè, fu egli il ptimo, e dietro di lui
tornearono le legioni. Il lat. ha : « princeps ipse cttm legionibus decucurrit m
^ * tra la forteza el* Alisone. Legge il testo cosi: « eastellum, Aliso-
nem ae Hhenum. » Ma le migliori edisicni leggono : « castellum AUso^
nem ac Bhenum , n cioè : tra la fortessa Alisone e il Reno. — Alisone è il
nome della fortessa, posta sulla confluenza della Lupia e del fiume Alisone,
come attesU Dione 54, 38. Vedi il Tacito dell' Creili a questo luogo.
* * vólatdovi sgarar l* aeque j cioè, volendo in esso fiume, con certa
Laldanxa, vincer la prova contro l' impeto delle acque : ossia, volendo mostrare
cbe le acque non facevano loro paura ec. Il lat. ha: « dum insuUant aquis. *»
n Di svesta «Visione, pag. 400, nota 3.
6'
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66 IL LIBRO SECONDO OBOLI ANIULI.
lentie di notare, si disordinarono, e vo ne annegò. Ponendo
Cesare il campo, intese esserglisi alle spalle ribellati gli An-
grivari.Slertinìp prestamente mandatovi con cavalli e fanti
leggieri, a ferro e fooco li gastigò.
IX. Correva tra' Romani e'Chernsci il Visargo. Anninìo
co' suoi primi fattosi alla riva, domandò se Cesare v'era:
udito che si, pregò di parlare a Flavio sao fratello. Questi
era nel nostro esercito in grande stima per sua fedeltà, e
per avere in una battaglia sotto Tiberio perduto un occhio.
Affacciatosi, Arminio lo salutò, e, levati dalla riva gli arcieri
suoi, chiedeo i nostri levarsi. Ciò fatto, al fralel disse: «Che
occhio è quello? » — a Lo perdei nel tal luogo, neUa tal bat-
taglia. » — a Che ne guadagnasti? » Soldo cresciuto, colla-
na, corona e altri doni militari contò. Arminio si rideva
che a si buon mercato servisse.
X. Mostrando poi, l'uno, la grandeza romana, la potenza
di Cesare, le crude pene a' vinti, la pronta misericordia alli
arresi, lo amichevole trattamento a sua moglie e figliuolo;
r altro, ricordando l' obbligo alla patria, l'antica libertà, la
loro religione, ' le lagrime delia madre ; non volesse il suo
sangue, i parenti, i compatriotti lasciare e tradire, anziché
comandare; Tuna parola tirò l'altra sino agli oltraggi: né
gli arebbe il fiume divisi , se Stertinio non correva a ralte-
ner Flavio infuriato, chiedente arme e cavallo: e vedevasi
Arminio di là minacciare e sfidare a battaglia mezo in la-
tino, perchè già ebbe compagnie di Germani nel campo
romano.
XI. L' altro giorno 1 Germani sì presentarono schierati
oltre al Visurgo. Cesare, non gli parendo da calcitano avven-
turare la fanteria senza ponti e guardie, passò a gnazo i ca-
valli. Stertinio ed £milio, capo di prima fila, li guidarono
tra se lontani per dividere il nimico. Cariovalda, capo de'Ba-
tavi, guadò dov' era maggior la corrente. Mostrando i Che-
rnsci di fuggire, il tirano in un piano cinto di boschi , onde
gli piovono addosso per tutto : rispiogono i combattenti, se"
gallano i fuggenti ; o con mani o con tiri sbaragliano gli at-
' * la loro religione. LaU : •• j^mUraUs Gtrmaniat dtMi « i PcmU
della Germania.
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IL LIBBO SBC9ND0 tm»U ANNALI. 67
leslatì in giro. Gariovalda doppo moUo r0ggere la fìirìa ni*
mica, disse a* suoi : a Serratevi e sdraeUeti: » ' e ne' pia folti
lanciatosi y di dardi^saricato, e mortogli sotto il cavallo^ cadde
con molti nobili intorno. Gli altri salvò la virtù loro, o 41
soccorso de' cavalli di Stertioio e d'Emilio.
XU. Cesare, passato il Visargo, intese da un fuggilo,
dove Arminio voleva far giornata: altre nazioni essere nella
selva d' Ercole, e voler dt notte assalire gli alloggiamenti.
Gredettegli; e Vedevansi i fuochi : e riferirono gli andati a
riconoscere, aver sentito d' appresso grande anitriq di cavalli
e borboglio di turba infinita. Stando adnnqfrai la cocca in sa
la corda,' gli parve da spiare il eoraggio de' soldati; ' e pen-
sando a modo monroi perchè i tribani e' centariopi rile^ri-
Bcon cose piacenti più tosto che vere; i liberti ritengono
dello schiavo; gli amici adulano; in parlamento, quello che
pochi intnonano, gli altri cantano; risolvette, quando mai»-
giano e come non uditi* tra loro si discredono, '^ origliarli.
XIIL Esce, fattosi buio, della porta agurale,' con no
compagno; impelliciato, ^ non appostato va per le vie del
campo; accostasi a' padiglioni, e gli giova udir di $e dire a
diversi : « Oh che nobile capitano ! oh che beli' uomo I pa-
siente, piacevole, in ogni azione grave o giocosa tutto amo*
ne: ben doverlo tutti riconoscere ^ in questa battaglia, e sa<-
* * sdruciteli. Il lat. : « eatervas Jrangerent. » Cosi sopra , liB. I : « col
fot de' suoi sdruci ne' nortri. » H lat t «» sddit agmtm. •
> * Skmda... id p«cc4 » 4« /a atnU^ te 11 lat.: « pr^pim/mo ntmmtt rm
discrimine, » n Appressandosi il tempo eh' e' si dovea metteie a rischio tutto
l'esercito, n Dati. « Approssimandosi il cimento estremo, n Valerìani.
' * 8^ P"^^ ^ spiare il coraggio dei*soldaU, Vegesio nel terso, cap. iS,
diccf m Avanti «1 c^nhatter* , l'^mm* de' soldati dilSgentcmènla si dee cercare.
La Sdama e la paura per lo Toito , ptf le parole • per li gesti e nioviineiiti s^
A * non uditL Uiealo hai ■ secratt et incustoditi j » soli • non guardati.
' * si diseredano. Disfimdefesi con alcuno , vale aprirgli l' anmo coiiS-
dentenaenlQ a aUa bhetai seavicani di fuakha paso del enore; spassionarsi;
sfogarsi. Cosi anche lib. IV : « parendo di' vara amistà degno il disaedersi di
cosa si gelose. *•
' * por^a agurale era alla destra della tenda pretoria, a qui il capitano
pigliava gli anguiii da'poUi.
T imp^ieeiato» Par parerà uno de' soldati d^ainto Garmani ehe portano
assai palli.
^ * doverlo tutti riconoscere i cioè, tutti dovergli aifava licbooacenti.
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68 a LIBIO 8BG0N1K> DietI ANNALI.
crificar questi cani roinpitori della pace alla saa yendetU e
gloria. » Aecostossi allo steccato ano de' nimici a cavallo, e
con voce alta in lingua latina da parte d'Arminio offerse mo-
glie, terreni e fiorini dae e mezo d*oro il di, durante la
guerra, a chi passasse in suo campo. Tale affronto raccese
l'ira assoldati: e Venga il giorno; entro deasi; buono agu-
rio; ^ sisi prederemo i terreni, le mogli e' danari de'Ger^
mani. » Su la terza guardia' assalirono il campo senza colpo
tirare , non V avendo trovato a dormire.
XIV. Germanico quella notte sognò di sagrificare; schi^
zargli di quel sagro sangue nel vestono, ' e Agusta sua avola
porgernegli altro pia beilo. Con questo e con gli agàri rispo- ,
sti bene, aringo, mostrando ì savi provvedimenti fatti , e
quello che essi doveano fare nella presente battaglia : « Il
soldato romano combattere non pure in pianure, ma in bo-
schi e burróni, se mestier fa: quelle targhe e pertiche sconce
de' barbari tra le macchie e gli alberi non valere, come i lan-
ciotti e le spade e l'assettata armadura.* Tirassero di punta
spesso al viso: non aver quei coraza, non celata né scudi di
ferro o di nerbi, ma di graticci ò tinte assicelle : aste (chenti*
elle si sono] nelle prime file; nel resto, moziconi di pali ar-
sicciati. Esser terribili d'aspe'tto, rovinosi a prima furia, ma
non sopportare le ferite: voltare^ fuggire: non vergogna, non
ubbidienza conoscere: nelle rotte codardi : nelle bonacce, né
d' uomini nò d' Iddio ricordevoli. Se bramano finire * il tedio
de' viaggi e del mare, in questa giornata consistere. Essere
pia airAlbi che al Reno vicini : finita ^ ogni guerra, se lui cal-
' * entro deasi, s'attacchi la pugna. — 6r«oiio agurioi cioè, preadiamo
per boono augurio l' averci il nemico steuo offerto terreni, m<^1i e danari.
* * Sala tersa guardia, v^pìih: preiso a giorno. Vegesio, III, S; trad. di
B. Giamboni : « E perchè impossibile cosa parca che tutti quelli che guardano,
veggbino tutu la notte, per ciò i ▼egghiamentt {vigiiUe) in quattro parti sono
divisi, che non più che tre ore della notte faccia bisogno di vegf^re. » >
' * vegtone. Il lat.: « pnetextd. »
^ * assettata armadura. Lat. : « heerentia carpari tegmima, » Dati :
m armadure assettale a lor dorso. •
' * astej cioè, i barbari umno le aste , ec. — chetiti, quali.
^ * Se bramano fatù^, eo. Più chiaro la Giontina: « se il 6ne brama-
vano de' cammini e del mare, ec. w.^. con^ùtere: sottintendi, infine de'viaggi, ce
' */}iite,strk finita.
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IL LIBBO SECONDO DB6LI AMMALI. 69
canto r orme del padre e del zio fermeranno in quelle terre
vittorioso. » Il dire del capitano infocò i soldati, e diedesi il
segno alla battaglia.
XV. Né Arminio e gli altri capi mancavano d' incorare
i Germani : « Quelli essere Romanastri dell' esercito di Varo,
abbottinaU per non aver a combattere; che disperati tornano
con lor malanno a pasturare le spade germane delle loro
membra sforacchiate di dietro o macinate dalle tempeste :
esser venuti quatti quatti per tragetto di mare per non dare
in chi gli pettoreggi, cacci e prema: ma quando saremo alle
mani vittoriosi , non varrà loro venti e remi. Con gente si
taccagna, c^fudele e superba, puoss'egli altro che mantener
libertà o morire? »
XVI. €osl riscaldati e chiedenti battaglia, li conducono
nel piano d' Idistaviso, che tra '1 Visurgo e i colli serpeggia ,
secondo che quelli sportanp, o acqua rode. Dietro sale una
selva, con alte ramerà e suolo netto. I barbari presero il
piano e le radici del bosco: i Gherusci soli le cime, per piom-
bare, appiccata la zuffa, sopra i Romani. L'esercito nostro
ebbe in fronte i Galli e' Germani aiuti; poscia gli arcieri
a piedi. Seguitavano quattro legioni con Cesare in mezo a
due pretoriane coorti e cavalli scelti ; appresso altrettante le-
gioni, i fanti spediti , gli arcieri a cavallo e gii altri aiuti.
Stando tutti presti e al combattere in lesi.
XVII. Vedendo Cesare caterve di Cherusci, con ferocità
calate, sdrucire per fianco la cavalleria migliore, mandò Ster-
tinio con la restante a circondargli di dietro e batterli : esso
a tempo andrebbe a soccorrerlo. Allora ad un bellissimo
agnro d' otto aquile, viste volare entro la selva, voltò il ca-
pitano e gridò: a Via seguitate i romani uccelli, propri vo-
stri iddii. ^ » Entrò la fanteria, e li già mandati cavalli sfor-
' rumarli ucceiiit propri VMtri iddii. L'aquile, il Ubaro, 1* immagini e
l'altre insegne ttavaoo nel campo in un tabernacolo o (come noi diremmo.) cap-
pella, e questi erano gì' iddii dell'esercito che quivi s'adoravano. Questi Taber-
nacoli dùamavano Principia. Stasio gli circonscrive nel X libro :
renlum ad coneUii perutrait domumqut PtrtndMt
Signomm, etc.
Eravi franchigia ,« si giurava per quelle. Quivi s' appiccavano gir editti , si leg-
gevano le lettere , si facevano i parlamenti , si poneva il segno dell' aver a com-
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70 IL LIBBO SBCONDO DftGU ^«AU.
zaroQo i flanchì e la coda. £ dae schiere di dìhùcì (mirabil
eosai) a fiaccacoUo della selva nel piano, e del piano nella
selva si fuggivano incontra. I Gherasci in qael mezo, erano
traboccali giù da que' colli: tra' quali Arminio si focea vedere
con mani, con voce, con ferite sostenente battaglia; e pon-
lava nelli arcieri * per indi uscire: ma le 'nsegne de' Reti,
Yindelìci e Galli gli fecero parapetto«£ nondimeno per isforzo
suo e del cavallo scappò, col viso tinto di suo sangue per non
essere conosciuto. Alcun dice, i Ganci tra' Romani aiuti averlo
raffigurato e datogli la via. Per simil virtù o froda, faggi In-
guiomero. Gli altri furon per tutto tagliati a pezi, o rimase-
ro, passando il fiume, annegati, lanciottati sella foga de* fug-
genti, nel franar delle ripe affogati: alcuni con laida fuga
inalberati,' s'appiattarono tra' rami, che scoscendentlosi, o
bolzonati per giuoco , tombolavan giù e storpiavansi.
XYIIl. Grande e senza nostro sangue fu la vittoria.
Dall'ora quinta del dì ^ sino a notte durò l'ammazare:
dieci miglia era pieno di cadaveri e d' armi. Trovaroosì
battere, e vi se^ivaDo le maggiori azioni. Mario trovò l'aquila: ogni legicme
aveva la sua. Non era molto grande; svolazzante; con l*un piede teneva la fol-
gore d'oro, con 1* altro posava in su l'asta, che con la gorbia del ferro si fic-
cava in terra. Di queste cose vedi le autonUi nel Lipsio sopra questo luogo , e
sopra il lib. 15. (*)
* * pontava nelli arcierù « Fece tutto lo sforzo dove erano gli ar-
cieri : raccolse quasi in un punto tutte le forze del suo corpo per passare gTi
squadroni degli arcieri. ~ Dante, Pwg. 20 : E qttetta (la lancia) ponU sì eh' a
Fiortnxa fa scoppiar la pancia, Pontare i piedi al muro : pontar col capo
nel coperchio, dice il Bocc. nov. 2$. Questo pontare esprime maravigliosa-
mente Vincumbere di Tacito. » P. Pietri, Post. Mss.
^ * inalberati, montati sugli alberi.
^ DaU* ora quinta del dì. Germanico tre anni aveva combattuto co' Ges-
mani per vendicar la rotta di Varo. In su '1 buono del soggiogarli, Tiberio inge-
losito della sua grandeza, lo richiamava. Egli per non perder tanta gloria , sol-
lecitò d* uscire in campagna, e fece qucst' anno 769 due grosse giornate. Questa
prima ali* entrar di primavera , quando per esser i giorni per tutto dodici ore
eguali , la quinta ora del giorno , cominciandosi in quel paese a contare quando
si leva il Sole, fu alle diciassette ore , secondo noi che comiaciamo quando tra-
monta. La seconda giornata, dicendo di sotto che la state era adulta, venne a
essere a mena state ; cbiamandesi in latino le stagioni nepat mdulia etprteeeps.
(*) Questa postilla è più ampia di quella che leggesi nella GinDtina , la qaale inveos di uh
tabgrnaeotoo (come noidireinmo) cappella, ha semplioentente, una {eomt noi dinmmtH ^PptUai
e dopo adornano ba ia dUùone , coma a 463 , che rimanda al principio del lib. 4. -^ Per fo^
bla dtlfmo s> intende na boodaiOo di forro di ilgora conica, dove imboccavasi ii piò dell' astf .
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IL LIBRO SECONDO DEGLI ANNALI. 71
tra le spoglie le catene per legare ì Bomani , come si-
cori del vincere. L' esercito nel luogo della battaglia gridò :
Viva Tiberio Ihperadore ; e sopra un monticello, a ciò fatto,
rizò come an trofeo di queir armi, e sotto vi scrisse 1 nomi
delle vinte nazioni.
XIX. Cosse pia a'Germàni questo spettacolo *^ che le fe-
rite, le lagrime, Io sperperamento.: e que'che pensavano al
ritirarsi oltre Albi, voglion ora quivi stare e combattere: ple-
be, grandi, giovani, vecchi carpano l'arme,* e le romane
schiere investono, travagliano: indi scelgono un piano stretto
e motoso, cinto da fiume e da boschi , cinti da profonda pa-
lude, se non che da un lato gli Angrivari per dividersi da'
Gherusci aveano fatto grosso argine. Quivi si posero i fan-
ti, e ne' vicini boschi cavalli in agguato per uscir di dietro
a' nostri, quando vi fossero entrati.
XX. Sapeva Cesare tutti loro disegni , luoghi, fatti se-
greti e pubblici, e l'astuzie del nimico in capo lor rivolgeva.
A Seio Tuberone legato assegnò i cavalli e '1 piano: i fanti
ordinò parte entrassero per lo piano ne' boschi, parte guada-
gnassero l'argine. Il più forte ' lasciò a se, il rimanente a' le-
gati. Que' del piano entrarono agevolmente: gli scalatori
dell' argine come sotto muraglia eran di sopra percussati du-
ramente. Vide il capitano che dappresso non si combatteva
del pari , e fece ritirare alquanto le legioni, e, da' tiratori
dì mano e di fionda balestre e màngani, spazar di nimici
l'argine, per cui difendere chi s' affacciava , cadeva. Cesare
co' pretoriani suoi fu primo a pigliar lo steccato e sforzare il
bosco. Quivi si venne alle mani. ^ Chiusi erano i nimici die-
tro dalla palude, i nostri dal fiume e da' monti. A ciascuno
dava il silo necessità, la virtù speranza, la vittòria salute.
^ Cosse... questo spettacolo, li danno, perchè può venire dalla fortuna, si
sopporta ; lo scherno, perchè mostra viltà , (*) mette in disperazione. Basta vin-
cere, e non sidee stravolere. Quanto costa la statua del duca dr'Alva posta in
Anversa!
• * carpano l'arme. Il lat.: « arma rapUmt. *»
» • TI più forte f il più diflficile.
• * si venne alle mani. Il testo ha: « conlato grada certattim j *» cioè,
si attaccò la mischia alle strette; a corpo a corpo; a ferro corto.
e) mostra villa. Neil' c.«craplorc giunUno con postilln antograr»*, posscflnto «lai conte. M'H'-
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72 IL LIBRO 8BG0ND0 DBALI AHMALI.
XXL Non erano i Germani inferiori d'ardire, ma dì ma-
niera di combaltere e d'armi : non potendo quella gran gente
in laogo stretto le lunghe aste maneggiare, nò destri saltare ,
né correre, ma combattevan piantati: dove i nostri con iscudo
a petto e spada in pegno stoccheggiavano quelle membrona
e facce scoperte, e faciensi con la strage la via. Né Arminio
era più si fiero per li continovi pericoli o per nnova ferita;
Inguiomero volava per tutto, e manca vagli ajizi fortuna che
virtù. Germanico, in capelli,^ per esser me' conosciuto, gri-
dava: «Ammaza, ammaza: non prigioni; il solo spegnerli
tutti finirà questa guerra. » Verso sera levò di battaglia una
legione per fare gli alloggi: l'altre sino a notte si satollaron
del sangue nimico. Le cavallerie combatteron del pari.
XXIL Cesare chiamò e lodò i vincitori, e rizò un trofeo
d' armi con superbo titolo : Avere l' esercito * di Tiberio Ce-
sare QUELLA memoria DELLE SOGGIOGATE NAZIONI TRA 'l RbNO E
l'' Albi consagrato a Marte, a Giove, ad Agusto. Nulla disse
di se, temendo d' invidia o bastandogli 1' aver fatto. Mandò
subitamente Stertinio a combattere gli Angrivari, ma furon
a darsi a ogni patto solleciti e ribenedetti.
XXIIL E già essendo meza state, rimandò alle stanze
alcune legioni per terra, e l'altre imbarcò e condusse per
r Amisia nell'oceano. Solcando le mille navi a, vela o remi
prima quieto il mare, eccoti d'un nero nugolatoun rovescio
di gragnuola con più venti e gran cavalloni che toglievan
vista e governo. I soldati spauriti e nuovi a' casi del mare,
affannosi davano impacci o mali aiuti a' buoni ufficii de' ma-
rinai. Risolvessi tutto '1 turbo del mare e del cielo in un vio-
lento mezodi, che dalle montuose terre e profonde riviere
' * in capelli. Cosi la Giuntina. L' edizioni Nestiana , Gominiana e le
altre posteriori hanno : u come sotto muraglia ; ** ma è manifesto errore , di-
cendo il testo latino: m detraxerat tegimen capiti, n Quelle parole come
sotto muraglia furono per inavvertenza tipografica ripetute dal cap. prece-
dente. In un esemplare della Nestiana , corretto a penna , nei tempi ( per •
quanto può giudicarsi dalla scrittura) del Davanzali, leggesi a questo luogo
questa correzione : <• trattosi V elmo. *» Ma non sappiamo se essa parta dagli
autografi del traduttore, o se dalla mente del correttore. Il mentovato esem-
plare trovasi nella privala biblioteca del marchese Gino Capponi.
3 AvBBB l' xsbrcito. Anche lo volgar nostro , quando bisogna , come qui ,
gonfia; avvenga che egli, per natura, tenda più tosto al gentile.
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IL UBRO SISCONDO DBGU ANNALI. 73
germane e da langhissimp tratto di nugoli rinforzato * e dal
gelalo vicino seitentrione incrudelito, rapi e sbaragliò le navi
in alto mare, o in secche o scogli ; * onde alcfuanto con pena
allargatesi, la marea tornò e traportàvanele dove il vento :
non potevano star su l'ancore né aggottare 'la tanta acqua,
che per forza entrava. Feeesi getto di cavalli, ginmenti , sal-
me e arme,* per alleggierire i gusci*^ che andavano alla banda,
e di sopra gli aitnffavano i cavalloni.
XXIV. Qaanto è più spaventevole l'oceano degli altri
mari, e più crudo il germano degli altri cieli, fu tanto la
sconfitta più^ nuova e dura, in mezo a' lili nimìci, in infinito
mare, creduto senza fondo o riva. Parte delle navi fur tran-
ghiottite, le più dileguate in lontane isole disabitate , ove
mori di fame qualunque non sofier^e* manicare le carogne
de' cavalli approdatevi. Spia ^urse'' ne' Ganci la capitana di
Germanico; il quale per quelli scogli o punte di terra, di e
notte incolpante sé di tanta rovina, appena gli amici tennero
non si scagliasse ne) medesimo pare. Rivolto al fine il flusso
e '1 vento, cominciarono le navi a tornare ;Sdrucite o zoppe
e senza remi, o fatto delle vesti vele, o rimorchiate: le quali
a Caria rassettò e man4ò alla cerca per queir isole. Molti ne
raccolse tal diligenza, e ne ricattarono gli Angrivari nuovi
* * rinforzato. Cosi la Giunlina, e bene. Il Lat. ba ; « vaiidus* » Le altre :
rinforzati riferito a nugoli.
S in secche ó seogH. « fn insuias saaris- abruptas .{^abrupUs ba il testo
cle'Medici)>0//i0r occidtavada frifestiis. » Con queste due parole abbiamo detto
più e meglio che Cornelio con queste molte. «* Humida paludum et aipera m<m-
tiam,» disse nd primo; e noi: pantani e grillaie, h JYibil tntertnissa naviga-
tiififè hibemi maris, Corciram applicuitj » e noi : Navigò di verno a golfo
lanciato a Corfù. E cosi spesse volte è più breve questa lingua fiorentina prO'
pria cfae la latina. La comune italiana non ha quest* sì vive vóci (*).
' .* aggottare, lai. « èxhaitrire. «
* * salme e arme: anonanta studiata, a ingrandire la cosa.
S * / gttéd. Lat.: « alvei} » il fondo delle. navi; le carene.
* * non soj^rse, non consenti. Dante: « sofferto Fu per ciascun di
tórre via Fiorensa. m Forse non era necessaria questa nota. Ma mi vi ha
indotto Pietro Pietri (Postille Mas.) che qui non ha inteso niente.
' * surse, prete porto.
n NellafotUlla dtUa 6i«atina manca il seeondo esempM IfikU inttrmUta ce., e adi' oU
Uno periodo ha: « 8e la Gomone italiana paò tanto , io mi rimetto alla prova. »
I. 7
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74 IL Limo SeCONlK) DBQLI AMMALI.
fedeli: * e sino in Britànnfa ne for (raporfati, e rimandali da
qne' baroni.* Contavano i tornati pi A di lontano miracoloni di
bufere, novfisìmi nccelli, mostri marini, nomhif mezi be-
stie, e altri àtapori di veduta, o sofgnatFfn qoèlle paure.
XXV. La fama delTa pterdota arninfta rìnvdglfò l Ger-
mani a rteòmbattèré, è Germaiftté^ a risgara^: ' é mandò
Siilo con tréiita tAtgliaia di faikti e Uè di cavali» ne^ Catti.
Egli con più forze entrò ne^ Varsi. MalòveÀdo loir capitano
poco fa datosi, insegnò ona délfa^lle di Tarò vicina, sot-
terrata * è poco guardata. Mandò parte di diietrb a ràvarla ,
parte a fronte a far nsclre il nimico: a éiasconó riiisei. Co-
tanto più ardito Cesare penetrò, saccheggiò, squarciò il ni-
mico che noft ardi affrontare, e rotto fo alla prima dove s* era
fermato, non mai (come i prigioni diserò) sì spaurito ; in-
vincibili dicendo i Romàfrì cui nulla fortuna vincéa. e Fra-
cassata Tarmata, perdute l'armi, gremite le litora di cada-
veri de' lor cavalli e uomini; con più virtù e fiereza che
mal, quasi cresciuti di numero, ci sono entrati nel q[oore.»
XXVI. Ridusse alle stanze i soldati lieti d*ayer con que-
sta prospera fazione ristorato i dannaggi del mare: e Cesare
si liberale Al che a ciascuno, quantunque "^ aver pèrduto disse,
pagò. Era senza dubbio il nimico in volta e pensava alIT ac-
cordi e fornivasi * la vegnente state la guerra. Ma Tiberio
per ogni lettera lo chiamava ^ al trionfo apparecchiatogli :
* * kiàrixa& Politi: « Molti anco da'kioghi più meditcfraiiei ne fbroDO
riscattati dagli Aogriyati, venuti di fresco all' ubkediènaa, e restiluitL m
* * da qm* baroni. Il Lat. : « a regulis. »
' * risgararU. Intorno a parare vedi la nota 4, pag. 65. Qui risg»-
rare vale: Tettar di nuovo la provi dell' armi per tenere a legao il noni'
co. Il Lat. ba: m ad coercendam. »
* * NeDa Giuntina aveva tradotto il defìtsstun dissotterrata ; di che molto
strepitò fece Adr. Politi (Vedi Lett. a N. Sacchetti neH'Bpistolario atainpato a
Venetia 10S4,pag^ 3Si). Poi, ne'Bfss. che servirono aU'edis. del Nesti, e dei
quali non si ha più vestigio , dovette correggere come sta' nel testo.
^ * quoHtttiUfue, qualunque col*.
B *f ométtasi , satebbest fornita.
7 per ogni lettera lo chiamava. Per torgli la gloria deUa gncna vinti;
per gelosia della troppa grandeiia. Cosi richiamato fii da MapoU il Gran Gapitano :
cosi molti altri.
Agrippa, in Dione 49, discorre che la fiitica e gli errori deUrt il capiUno
attribuire a se (perche il prmcipe non vnde «ver mai etnlìo), e a lai tutta la
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IL LIMBO SRCONipO DBaU ANIIAII. 75
«Aver fatto e arrisci^to assai: battaglie grosse e felici: ri-
cordassest anco de' danni senza colpa ma atroci , patiti dal
mare. Nove volte che Agosto mandò in Germania lui , aver
più fatto co '1 consiglio che con la forza: cosi ricevuto a patti
i Sicambri, i Snevi; legato il re Marabodao con la pace. Po-
tere i Romani, ora che hanno gastigato i Gheruscie gli altri
ribelli, lanciarli accapigliarsi tra loro. » Germanico chiedeva
nn anno per finire ogni cosa, e Tiberio affrontò con più forza
laana modestia, dicendo, «( che l' aveva rilatlo consolo: ve-
nisse a snaoficiq, e lasciasse ancora ,^ nulla vi rimanesse da
fare, qualche materia di gloria a Drùso suo fratello, che,
fuori di Germania, non ci essendo altra guerra» non poteva
conseguir nome d' imperadòre nò corona d'alloro. » Germa-
nico non aspettò più, benché conoscesse questi esser trovati
d' invidia per isbarbarlo dal già acquistato splendore.
XXYII. In questo tempo Libone Druse eli casa Scribo-
Illa fu accusato di ip^cchinare novità. Dirò il fatto da capo a
pie con diligenza, per essersi trovato allora cosa, che per
tanti anni divorò la repubblica. Firmio Gate senatoje^ anima
e corpo di Libone, giovane semplice e vano, gonfiandolo del-
l'aver bisavol Pompeo; ziaScribonia, prima moglie d'Agosto;
i Cesari cugini; la casa piena d' imn^agini; lo ii^dusse a cre-
dere a gran promesse di strolaghi negromanti^ e disfinitori
di sogni, a far gran céra, * ^an debiti; gli era compagno
alle #pese p a' piaceri, per ic^vvìlopparlo in più riscontri di te-
stimoni e servi, che vedevano gH andamenti.
XXVIII. E quando n'ebbe assai, diede di questo caso
notizia, e domandò udienza per Fiacco Vescularìo cavalìer
intimo di Tiberip: il quale ailp notizia porse orecphi, l'udienza
negò, potendo il medesimo Fiacco portare i ragionamenti. In
tanto onora Libone di pretoria; convitalo; cuopre con viso e
felicitk o pntdensa : perche gloriandosi della sua rèra virtù il capitano, viene in
soapetto ^ troppa ^nde«a e di pensare al valersi delle forse clie spno in sna
mano: il che gli è agevole; perchè i soldati fanno come i cavalli che annilrifcono
a ehi li goyema e tiran de' calci al padrone (*).
* ^r eran cita. Dal greco ^^aipsiv. — * a far gran céra; « ad It^Xfim « •
die significa ogni disordinamenlo di mollezza si nel yitto come nel vestilo ; laddove
la frase « far gran céra » riferiscesi solamente al vitto, e vale : pascersi lautamente.
(*) lM^ C?'^^ gisatina maiieaiio le parole ii troppa fratta, e.
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76 IL LIBHO SECONDO DEGLI AIUTALI.
parole saa ira; per sapere, anzi che troncare come poteva,*
ciocché trescasse e dicesse ' il giovane : il quale ricercò un
certo Gìunio di far per incanti venir diavoli.' Costui lo disse a
Fulcinio Trione che spìa poblica era, e se ne pregiava. Tosto
pone la querela, prolesta a' consoli che il senato la vegga,chia-
mansi a furia i padri per gran caso atroce.
XXIX. Libone in vesta lorda accompa|nato da nobili
donne picchia gli usci de' parenti , pregali che lo difendano.
Tutti , per non s' intrigare , si ristringono nelle spalle, * con
varie scuse. Egli cascante di dolore e paura, o fintosi ma-
Iato, come alcun vuole, il di del senato v' andò in lettica» e
alla porta retto dal fratello, con mani e voce chiedeva a Ti-
berio niercè; il quale non gli fé' viso chiaro né brusco: lesse
i peccati , né leva né poni , ^ e i nomi di Trione e Gato accir-
santi , a' quali s' aggiunsero Fonteio Agrippa e Gaio Yibio; ^ e
contrastando chi fare dovesse la diceria distesa,^ e niuno ce-
dendo e trovandosi Libone senza avvocato , Yibio prese a
trattare d' un peccato per volta.
XXX. Lesse come Libone aveva fatto gettar l' arte, ^
' arui che troncare come poteva. Chi vede il cieco andare a cadere nella
fossa e non lo raltieoe , vel pigne. Chi può tenere non si pecchi , e per suo utile
chiude gli occhi, il comanda (*)* Aarcmne, sommo sacerdote, per risparmiar ga-
stigo, fu gastigato.
s * per sapere ciocche trescasse e dicesse. Il Lat. : • cimetaque eisu
dieta Jactaqae. « Trescare pigliasi alcuna volta per JarCj ma in senso dispre-
giativo e anche odioso, come qui; ed è frequente nell'uso del popolo. Àll'iatesso
modo Dante, Inf.f XIV, ▼. 40, usò tresca ^x faccenda:
Bvùxt riposo m^ era la toesea
Delle misere mani.
' * diavoli. Il jLat. > «• infemas umhras. »
* * si ristringono nelle spalle, Nel Bis. èhe servì all'edisione giantina
(Ifagliab., d. XXIII, 150) vedeti scritto. « fanno spallacce j t poi cancellato , e
corretto come sta qui. E si che quello h bel modo e vivo ; e per volgarità ce n* ha
de* peggio !
^ * ne leva ne poni : senxa ne levare n^ aggiugnere. Il Lat. : « ita moderams
(libellos), ne lenire neve aspemare crimìna videretur, »
^ * Fibio. Cosi ho restituito dietro il testo dell*0re11i. Il Davanaati scrisse
G. Livio,
' * chi far dovesse ec. Il Lat. : « cui ius perorandi in reum daretur. »
' * gettar l* arte s cioè , fare incantesimi e sortilegi. Vedi la Crusca dal Ma-
nusci in jirte e in Gettare, dove si recano molti esempi. Nella Giuntina invece
di gettar l'arte leggesi squadrare.
n Nella GioAlina : ehi può ttntn che non si ptechi e tbìedé $tt occhi, U comanda.
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IL LIBBO SECONDO BEGLI ANNALI. 77
s'egli arebbe mai tanlì danari cbe coprissero la via appia fino
a Brindisi: e colali scempìeze e vanità da increscer buona-
mente di Ini.' Una scrittura vi fa con postille atroci o scure,
a'nomi de' Cesari o Senatori, di mano (dicea T accusatore] di
Libone. Negando egli, parve di farle riconoscere dagli schiavi.
E non potendosi per legge antica martoriarli cóntro alla vita
del padrone, Tiberio, dottor sottile,' fece venderli al fat-
tor pubblico:' e cosi salvata la legge, foron celiali contro a Li-
bone, il quale chiedeo di tornare l'altro giorno. Giunto a
casa, mandò per P. Qoirinio suo parente a Tiberio gli ul-
timi preghi. « Preghi il senato, » rispos* egli.
.kXXI. Intanto i soldati gli accerchian la casa; giù in
terreno fanao rombazo, perchè gli oda e vegga. Mettesi il
cattivello per ultimo piacere a mangiare; gusta tanto tos^
sico; chiama chi l'uccida; prende questo servo e quello per lo
braccio: <( Te' questo ferro;* ficcai qui.» Fuggono a spa-
vento, danno nel lume, cade in terra: rimase al buio oggi-
mai della morte, ^ con due colpi si sventra. Allo strido cor-
rono ì liberti: i soldati, vedutol disteso, s'acquetano. Ma i
padri spediscon la causa più severi ; " e Tiberio giurò che vo-
leva lor chieder la vita di lui, benché colpevole, s' e' non
aveva tanta fretta.
XXXII. Gli accusatori sì divisero i beni: senatori, eb-
bero contrattempo le pretorie.*^ Propose Gotta Messaline che
* * da increscer btwnamente ec. Da prima aveva scritto «* da increscer di
lui, pigliandola buonamente. » Poi, con più concisione ma forse men chiaramente,
corresse come qui si vede. II Dati traduce cosi : m Eranvi oitr' a ciò molte altre
cose scempie e vane da avergliene compassione, per chi l'avesse presa nn poco
men calda. »
S * doUor sottile. Il Lat. : •• caUidus et novi iuris repertor. »
' fattor publico, Actor ptibiicué si può intendere il cancelliere che seri*
veva gli atti, e il Fiscale che maneggiava le facoltà. Questa malisia del vender li
schiavi , per poterli in fraude della legge tormentare contro al padrone , fu tro-
vata da Agnato (Dione 55. Plutarco, in Antonio), e non da Tiberio.
* Te' questo ferro. Mette innansi agli occhi, quasi in tragica scena, questa
morte miseranda.
S * rimaso al baio oggimai della morte. Lat: n feralibus iam etiti te*
nebris. »
^ * spediscon la eausa pia severi. Non istà al testo che dice: mAccu-
satio tamen apudpaires asseveratione e4don peracta: » Nondimeno si prose-
gui dinaui a' padri F accusa coU'istesso accanimento.
7 * senatori, ebbero ec. Vuol dire che quegli accusatori i quali erano
7*
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78 IL LIBBO flBCONDO DBQLI ANNAU.
mai in esequie niana T immagine di Libone noD si porfi^se :
Gn. Lentulo, che Scribonio dIuqo il cognome diDraso pren-
desse: Pomponio Fiacco, che in certi giorni a pricessione
s' andasse : ^ Lucio Pubblio e Gallo Asinio e Papio Mutilo e
L.^pronio, che s'andasse a offerta ' a Giove a Marte alla Gon-
cordia, e che il di tredici di settembre, che Libone s'uccise,
fusse di di festa. Ho voluto dire i nomi e l'adulazioni di
tanti, perchè si sappia che questo nella republica è mal vec-
chio. Fatti furono decreti di cacciar d' Italia strolagbi e
negromanti, tra quali L. Pituanio fu gittato dal sasso;' e
P. Marzio da' consoli ebbe il supf^izio antico * fuor della porta
esquilina, con la strombazata.'^ ,
XXXIII. La seguente tornata Q. Aterìo e Ottavio Fron-
tone, stati consolo e pretore, molto dissero del disonesto
spendere della città, e ordinossi non si mangiasse in oro mas-
siccio né uomo s'infemminisse vestendo di seta. Frontone tra-
passò a moderare argenterìa , arredo, servitù; usando assai
per ancora ^ i senatori, se scorgevano qualche ben pubblico
non proposto, salire in bigoncia "^ e pronunziarne il loro pa-
dell'ordiae fenatorìo, ebbero le pretorie, ma non contrattempo (fuori di tempo) ,
si bene dì soprannumero («* pratturai extra ordinem «•). Le ordinarie erano 13 :
le istituite da Tiberio sopra questo numero si dissero Ar<ra ordinem, t con queste
furono ricompensati quei tristi.
' *a pricessione <sf* andasse j Cìoèj ù facessero pubbliche supplicasioni a.
ringraziare gli Dei della morte di Libone.
^ * s'andasse a offerta ce, a far doni toIitì nel tempio di Giove ec
S * dal sasso: dalia rupe Tarpca.
* sttpplizio antico. Strangolava il carnefice a suoa di trombe fuor della
porta esquilina , per non turbare di spettacolo tristo e orrendo la bella libertà (*).
^ * ia strombazata. Plutarco in Gracc. XXI: «* Antica usanM dia «ra
della patria nostra che » se alcuno accusato venisse di delitto capitale , e non
avesse voluto presentarsi in gindicio, se ne andasse il banditore di buon mattino
alle di lui porte, e chiamasselo a suono di tromba. «
^ * per mncora, Lat.: « adhue, n tuttavia.
' in bigóncia. Arìogavano i nostri antichi al popolo | in piassa , in rio-
l^era ; ne* consigli, in bigoncia, che era un pergamo in terra a foggia di bigon-
cia. Parere, a noi oggi significa quel discorso che ciascheduno che siede in mar
gistrato, fa della cosa proposta. SentewM, quel partito o decreto che si vince e
si distende dal cancelliere. Ma i Romani dicevano Sentenza il detto discorso,
cio^ quanto il senator ne sentiva e pronunciava. Proposto era il consolo. La de-
liberasione si diceva Senatuseonsufto, Plebiscito o Decreto. Non parlava chi
non era richiesto dal consolo. Ma quando uno scorgeva un pubblico bene non
n Nella GionUaa manca « la beUa Uberik. »
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IL LIBBO SECONDO DB6U ANMAU. 79
rere, non domandati. Asinio Gallo disse contro: «Le focnltà
private essere secondo T imperio cresciute; non pure oggidì»
ma per antico.^ Altro danaio ayer avuto i Fabrìzi, altro gli
Seipioni : tatto ire all' avvenente * della republlca. Quando
ella era poca, i cittadini aver Catto col poco; or ch'eli' ò ma-
gna, ciascuno magnificarsi. Arnese, ariento, famiglia ninno
tener troppo né poco, se non rispetto al suo stato. Maggiore
slato darsi a' senatori che a' cavalieri, non perchè diversi
siano per natura; ma perchè come essi hanno luoghi, gradi
e dignità degli altri maggiori; cosi s'adagino per contento
dell'animo e sanità del corpo di cose maggiori; * se già noi
non volessimo chi maggiore è, maggior pensieri e pericoli
sostenere, e mancare de' loro dicevoli ricriamentì. » Piacque
Gallo agevolmente a coloro che udivano i lor vizi difendere,
e ehiamare per nomi onesti. Anche Tiberio disse, non esser
lempo allora di riforme, né mancherebbe chi le facesse, se
scorso * di costumi vi fusse.
XXXIV. In questo mentre L. Pisene cominciò a scla-
mare: «Ogn' un vuole magistrati, la giustizia è corrotta, le
spie e gli oratori ci minacciano: io yo con Dio; lascio la
città per ficcarmi in qualche catapecchia lontana. »" E usci-
vasi di senato. Tiberio se ne sconturbò: addolcino con parole,
e anche fece che i parenti gli faro addosso, e con l'autorità
e co' preghi non lo lasciaron partire. Con libertà non minore
poscia si richiamò di Urgulania,gran favorita d'Agusta; perciò
delle leggi superchiatrice: e ritirossi' in casa Cesare beffandosi
Proposte, lo poteva dire in luogo di seoteMi e tal forai evea. Potevano propor-
re, che non era loro uScio, e sopra di ciò , non richietti, conciliare. E da ve-
dere ilLipsio fopra il ]ib^ i5 di questi Annali {*).
' *per miUeo. Lat.: « e vettuUstimis moribus.»
' * mU'wvenmiU» a raggoaglio, in proponione. Lat: « cimcta ad rem-
pnblieam refirri. »
' M'adagino... di cose maggiori, Leggi senza dnbLio^ ef atiis <fum s
percbiè taltsquB turbava troppo il sentirocifto. — * s' adagino ec. ; cioè , ab-
biano maggiori comodi, come hanno maggior dignità.
* * scorso $ trascorso , sregolatessa , licenxa.
' * in qualche catapttehia ioniana. Ill.at.! « in aliquo abdito et /on-
ginquo rare, »
* * e ritìroeei ec., cioè Urgnlania.
n Ndlt Givnttoa manca, in prlnelpU», la delnitleM di MfOMte, e nsl flaala eilaiioae.
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80 IL LIBRO 8BG0RD0 DMLI ANNALI.
di comparire. Né Pisone ristette, benché Agusta offesa se ne
tenesse emenomata. Tìberio,non parendogli poter civilmente
fare alla madre altro servìgio, tolse a comparire in persona al
pretore, e difendere Urgnlania. Usci di palagio, alquanto lon-
tano' dalla guardia.Il popolo corse a vederlo: eoo volto mode-
rato e vari ragionamenti consumò tempo,e camminò tantoché
non essendo niente chei parenti spontasser Pisene,' Agusla
gli mandò i suo' danari, e fu finita la qaistione: ove Pisene
acquistò alcuna gloria, e Tiberio miglior fama. Essendo' la
potènza d' Urgnlania venuta a tale che dovendo sopr* una
causa esaminarsi in senato, non degnò andarvi, e s -ebbe a
mandarle a casa messere la podestà I ^ E pure le vergini di
* * alquanto lontano j cioè, tenendosi alquanto lontano dai soldati di
guardia che Io accompagnavano.
' * ehe non essendo niente ec. : che invano avendo i parenti .tentato di
persuader Pisone che volesse desistere ec Costui appena udì che Urgnlania erasi
ricovrata in palano , con molto coraggio la persegui fin colà dentro , a fine di
tirarla in tribunale pigliando, secondo la legge, i testimoni. Avanzava da lei una
somma di danaro ch'ella, col favore d'Augusta, gli vol^nra frodare.
3 * Essendo. La urammatica vorrebbe era, acciocché il perìodo non. si
resti per aria.
* messere la podestà. Potevasi dire, lo pretore j ina e'm*è piiaeinto,
non per usarla ma per isciorìnarla un tratto, trarre questa voce del suppe*
diano dell'antichità (*). Oggi diciamo il podestà, e facciamo discordanxa in
genere. Gli antichi, perchè nel pretore era tutta la somma podestà della giustizia,
il chiamavano la podestà, come noi (^gi i principi , la santità, la maestà y per-
chè in loro queste qualità sono in sommo grado e quasi l'istessa cosa (**). BAa
perchè la città nostra era cresciuta di stato e di riochesze e di negosi mercantili,
che non si fanno tuttavia col notaio a cintola , ma con fede e lealtà di semplice
parola , e questi negosi da' legisti erano giudicati con troppo rigore , sottilità
e Innghessa ; fu creato il magistrato de* sei mercatanti , ohe li dicidessero petto-
ralmente d'equità e Verità, secondo l'uso del negosiare. j^ perchè delle ìtìHtp
sentente que'savi in giure spesse volte si ridevano, le annullavano, il con-
trario giudicavano ; que' nostri savi in governo , fecero contra li oSeaditoci
delle sentenxe de' Sei quella legge severa detta del Noli me tangere.
n 11 Volpi pone in fondo alla soa ediciono qawto avvertimento ; « Poteva aggiagnere
il Davansati alla postilla 30 del secondo libro, che Giovenale nella decima salirà, al vano 100,
si valse di qneeto vocabolo in significato di Pretore, o altro Magbtrato municipale, parlando
della caduta d' Elio Seiano.
HukUt qui trahitur, pnetestam sumere mavì*,
An Fidenarum, Gabiorumque esse Potestas?
Bt de tnensura ius dieere , vaso minor»
Frangere pannosus paeuis AedUis Utubris ?
Vedi anche Svotonio nella vita di Clavdio Cesare , al cap. 28. »
n In Dna scrittura del secolo XIY (Vedi Rieordi fliotogici, pag. 294) ai legge: « Essendo
laPodestade di Lucca con molta gente venuta d' intomo al ditto castello oc. » In Toscana si
diee ano' oggi indifferentemente il guardia e la guardia»
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IL Limo 8IC0ND0 DMLI àNNALI. 81
Vésta vengono abantieo ne' magistrati a diporre verità. '
XXXY. Non direi del prorogato * in quell'anno, se non
fnsse bello intendere le batoste* fattone da G. Pisene e Asi-
nio Gallo. Pisene, avendo Cesare detto « Io non ci sarò, »
voleva che tanto più i padri e i cavalieri segnitassero lor
nficìo, come che ciò fosse onore delia republica. Gallo ,
perchè ciò sapeva di libertà, disse, nulla essere illastre o
degno del popol romano, fatto fnor deirocchio del principe.
Però a lui doversi la dieta d'Italia e tanto corso di provincie
riserbare. Tiberio gli stav' a udire e taceva. Molto si dibatte-
rò, ma la spedizione* si riserbò.
XXXYI. Gallo la prese anche con Cesare, volendo, che
gli ufici si dessero per cinque anni, e che ogni legato di le-
gione s' intendesse allora fatto pretore , e che il principe ne
nominasse dodici duraturi cinque anni.' Sporgevasi in questo
parere misterio sotto: che a Cesare toccherebbe a dare meno
ufici: il quale, quasi non gli paresse* scemare ma crescere
podestà, sermoneggiava : « Grave essere alla modestia sua^
tanti eleggerne , tanti mandarne in lungo. Se d'un anno
s' adirano ora che sperano nel vegnente , quanto l'odiereb-
bono a farli storiare * oltre a cinque ? come potersi tanto
tèmpo antivedere, che mente, famiglia, fortuna uno ara ? in-
superbiscono a tenére un anno V onore, che farieno in cin-
que ? incinqueriensi i magistrati, ' manderiensi sozopra le
* * a diporre verità: a fare, dove occorra, testimoniaiisa del vero.
9 * del prorogato; cioè, della questione sulla proroga. Il Lat.; « respro-
Utas. »
* * /e batoste ec, ; le contese occorse tra Pisone e Gallo su questo pro-
posito.
^ * la spedizione s cioè, degli afl&ri: la prorogasione fu decretata.
S duraturi cinque anni. Leggo quinosj perchè singttlos non può
stare.
* * quasi non gli paresse ec. ; mostrando di credere che Gallo con quella
proposta non gli volesse scemare, ma crescere autoritli ec.
^ Grave essere alia modestia sua. Con questo medesimo. Gallo fece
similmente il modesto nel primo libro. %
9 * a farli storiare, a fargli languire aspettando. È modo ancora vivo
nel popol toscano.
' incinqueriensi i magistrati. Omero, Dante e tutti i grandi formano
nomi dalle cose. Quintiliano e tutti i gramatici l'approvano, quando calcino
appunto , come qui , dove Tiberio schernisce la cinquannaggine che Gallo vo-
leva de' magistrati.
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82 II. LIBIO 8BC0MD0 PBCIU AIWALI.
leggi» cbe hanno assegnato a' |rogUoloai li spazi ragiono? oli
a chieder gli nfici e goderli. »
XXXyiI. Con qnesta senUiianza di carilevole parlare
ritenne la sua podestà, e a' senatori poveri giovò. Tanto (mù
fece. maravigliare la sua superba risposta a' preghi di M. Or-
lalo giovane nobile, venuto in calamità evidente. .Fa c^iiesti
nipote di Ortensio l'oratore. Agusto gli donò venticinque
mila fiorini d' oro perch'.ei togliesse moglie, avesse figlinoli,
e questa chiarissima famiglia non si spegnesse. Venne adun-
que in senato, che si tenne ip palagio, con quattro figliuoli
alla porta; e voltandosi all' imagine ora d'Ortensio che v'era
tra glji altri oratori, ora d' Agusto, quasi per cosa di ben pn-
blico,* incominciò: « Padri coscritti, io mi trovo questi figliuoli
dell'età e numero che vedete, non di volontà mia, ma del
principe, e per avere i maggiori miei meritato succeditori.
Io non avendo potuto per li tempi sinistri acquietar danari,
non séguito di popolo, non eloquenza (proprio dono fli casa
nostra), mi contentava di stentare cq|^ |}uel po'xh' io aveva
onestamente senza dar noia a persona; ubbidii allo impera-
dore e amn^qglia'mi: ecco la stirpe e I4 progenie di tanti
condoli, di tanti detlatori. Né ciò mi procacci invidia,* ma
misericordia maggiore. Vivendo tu , 0 Cesare , darai dell!
onori a' bisnipoti di Q. Ortensio, agli alUevi d'Agosto: Lj
tanto assicurali dalla fame. »
XXXVIII. La gran volontà del senato di consolarlo la
fece qscire a Tiberio, ' e disse : « Se tutti i ppveri q' avvìe-
* * quasi per cosa di ben public^. U Lat. s « loco seiifpiti<e» » Il Dati trad.
« in luogo di suo parere. «* Il Politi : « senza aspettare che se ne faceste propo-
sta. «* — Il console faceva la proposisione, e i padri dicevano sy di essa la propria
scnteota. Ma se alcun di essi avesse conosciuto qualche cosa di ben pabUico»
poteva alsarsi e tenerne proposito anche sema la proposta del magistrato. Oode
In frase n dire alcuna cof a in luogo del parere «* significava « parlare di cosa im-
portante alla repubblica, non proposta dal magistrato. » Òjrtalo si prevalse di
^esto diritto t servigio , nc^ della repubblica , ma della propria povertà.
' * invidia. Farmi più coerente al lesto il dire t «( J!fe ^ues^ iq dico per
accattare odio altrui, ma a me compassione, m
' la fece uscire a Tiberio. I principi per esser mai^gri degli altri
nomini , come non posson esser comandati , cosi fi sdegnapo d' esser ammo-
niti ; però mancano di chi dica loro il vero. Perchè chi s^ OS^^^^ ^^ ^^'^
mente, pare ch9 gli scemi di maggioransa; e per non la c^de{;e, s'ostinano
nell'erróre. Nerone a dispetto di mare e di vento volle mjjndar l'orinata in
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IL LnàO BBCOKDO DEGLI ARlfALI. 83
ranno qua a chieder limosina peMor figlinoli, ninno di vedrà
pieno, e la repnblica fallirà. Concederon gli antichi il dire
ttff volta il ben eomnne,* e non il fare qna enlro i fatti nostri
privati e bottega del senato con carico di esso e del princi-
pe, largheggisi ono. Perciocché non preghiera ò , ma richie-
sta a sproposito e sprowedota,* quando i padri son ragnnati
per altro, rizarsl sn, mostrare on branco di figlinolt, violen-
tare la modestia del senato e nle , e qnasi sconficcare la te-
soreria; la qnale se noi voteremo per vanità, 1' aremo a
riempiere per ingiustizie. Agosto, o Orlalo, ti donò; ma per
sentenza contro,* né con obbligo di sempre donarti. Man-
cherà V industria e crescerà la pigrizia, se timore ò speranza
non ci governa: ogni dappoco con Mostro danno aspetterà
sicnro ^ che noi Y imbocchiamo. » Parve a' lodatori di tutte
le cose de' principi, oneste e disoneste , che egli avesse di-
pinto!* Dia i prò ammutolirono o bisbigliavano di nascoso. Ei
se ne accorse, e, taciuto alquanto , disse avere risposto a Or-
lalo: tuttavia se a' padri paresse, darebbe a ciascuno de' fi-
gliuo' maschi cinque mila fiorini. Essi lo ringraziarono : Or-
lalo niente disse, o per paura o per antica nobiltà d' animo
albergante ancora in qulslla miseria. Onde a Tiberio non ne
campafiM, come si dice nel libro ^indici di'<|oeiti Aonili. Seppiamo quel
cl>e avreDoe in A]gteri e a Meta a Carlo Quinto. Dice il pratico al principe,
Non far, non fare j t* h. Qui nota una gran brevità di nostro parlare (poi-
cbè ad altro fine non tende la presente nostra fatica). Quello, ^fa, importa,
ut tìU tane eo magisfaeiii tutto <{aetlò comprende e significa ; e ben lo
sente chi h fiwentino.
^ * il ben comune. Vedi la nota 1 , pag. 83.
' * sprovveduta, imprevista, improvvisa. ,
^ *nia j^ sentènza contro. La Giantina ba: • ibH noti per senUnsa
contro. M Nbl'una lA l'altra leidoné mi pA- cbiara. Il Latino dke : u sednon
eompelUtusj • cfo^, ma mia fbrsato. E qiiadca benissimo*.
* * #lcitiSo non h il latino eecttìm» cbé qni vale Une cura, spensierato.
NeHa Glunlina traÀdniie cosh « Kotrani^ \é api e regneranno i calabroni se deUe
proprie opere n^ bene n^ male colali emetteranno ; ma cbe noi de' nostri indMi ,
poltroneggiando essi, gì' imbocchiamo e aBcbe meniamo loro le mascella.»
^ che egH Offèsse dipinto, fa dosso aDe persone dipinte, i panni non
sono larghi nh stretti uh corti uh lunghi. Con questa metafora e somma bre*
irkÙL dieiamo, mio éh^er <l^firt!»'/chè detto o fatto ha cosa caìsaiite per l'ap-
pai, chirMii pdteta sur me'gUot quadra, entèa, rieiripie tutti i'ventficoli del
cervello e dell'animo (*).
n Nella Ghnliaa maneaiio le persie: quadra, mira ce.
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84 IL LIBRO SBCOMIO DMLI ANNALI*
iDcrebbe mai più, ^ quantanqoe la casa d'Orlalo ' cadesse in
povertà vergognosa.
XXXIX. Ne! detto anno l'ardir d'an verme' fo per
mettere la repablica, se tosto non s'ovviava, in discordie
e armi civili. A Clemente schiave di Agrippa Posiamo, adita
la fine d'Agosto, venne concetto non da schiavo , d' andare
nella Pianosa, e, per forza o inganno, rubare Agrippa e
presentarlo agli eserciti di Gerniania. Una nave mercantile
penò tanto che lo trovò. ammazato. Onde si- mise a sbaraglio
maggiore: rubò je ceneri e passò a Cosa, * capo di mare in
Toscana, ove stette nascoso tanto che rimesso barbai chio-
ma, somigliando per eia e fatteze il padrone , sparse voce
per idonei suoi che Agrippa era vivo: prima di sottecchi, '
come si fa delle cose di pericolo; poi ne riempio ogni gente,
spezialmente ignoranti, curiosi e ma' fattori, bisognosi di no-
vità. Andava egli per le jerre al barlume: in pubblico non
s'affacciava. Giunto in un luogo, spariva via: lasciava di se
fama, o avanti lei compariva; perchè occhio e dimora aiutano
il vero; fretta e dubieza il falso,
XL. Già si spargea per Italia che Agrippa era salvo,
bontà dellì iddìi ; in Roma si credeva. Giunto a Ostia, molla
gente, in Roma i conventicoli lo celebravano. ' Tiberio stava
sospeso, se centra un suo schiavo convenisse andare arnaato
o lasciare co '1 tempo svanire la credenza : ora niente doversi
sprezare , ora non d' ogni cosa temere gli dettavano vergo-
gna e paura. Finalmente di suo ordine Crispo Saluslio induce
due cappati'' suoi (alcuni dicon soldati) a trovar l'uomo, e
^ * non ne increbbe mai più. Don sovvenne mai più alle mùerìe di Orlalo.
^ * la casa d* Orlalo. Il testo ha : « domus HortensU. »
^ * d'un verme. Forse tanta, viltà noii è secondo la mente di Tacito, il
quale semplicemente dice: m mancipii unius audacia» » OUrecbè la risposta
arguU data da costui a Tilierio, e la fine che fece, lo mostrano d'animo non
ignobile.
* * Cosa: oggi Monte jàrgentaro,
f^ * di sottecchi, soUo sotto; di sotto mano. Lat. « occulUs primum ser^
monibus. «*
* * lo celebravano, ha, come il celebrabant del testo, doppio senso: nd
primo memhretto significa corteggiare, esser d* attorno i nel s€QOImIo> ./odiire^
esaltare ec.
' • cappati, scelti.
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IL LIMO filCONOO DKCLI ANNALI. h6
dirgli di venire' a servirlo» offerirgli danari, fedeltà e la vita.
Ciò fatto l'appostano ana notte sema guardia<ye con buona
compagnia lo legano e tirano con la bocca tarata in palagio.
Tiberio il dimandò, « Come ti se' ta fatto Agrlppa? j»* rispose
« Come to Cesare. » Bi fargli dire i compagni non fa verso:
nò Tiberio ardi giostiziarlo in pobblieo, ma in parte segreta
del palazo il fe' accidere e portar via; e bencbò molti corti-
giani, cavalieri e senatori si dicessono avergli porto aioti e
consìgli, non fa rimestato.'
XLL CoBsagrossi al fine dell' anno, per le insegne che
Varo perdo, da Germanico a Tiberio racqoistate, l'arco presso
al tempio di Saturno; il tempio di Sortefor tona lungo il Te-
vere, negli orti che Cesare dettatore lasciò al popol romano;
una cappella a casa Giulia, e una statua al divino Agustojn
Boville.
[A. di R. 770, di Cr. 17.] Nel consolato di Gaio Ce-
cilie * e L. Pomponio , il di ^6 di maggio Germanico Cesare
trionfò de' Cherusci, Catti, Angrivari e altre nazioni infino
air Albi. Eranvi portate le spoglie, i prigioni,! ritratti de'mon-
ti, fiumi e fatti d' arme. Per finita tennesi quella guerra che
non fu lasciala finire. Non si saziavano di guatare la sua gran
belleza e i cinque figliuoli sul carro; con segreto batticuore,
considerando essere a Druse suo padre il favor del popolo
stato infelice; Marcello suo zio, perché la plebe ne folleggia-
va, ^ rubato anzi tempo: questi amori del popolo romano brevi
e malaurosi.
XLII. A nome di Germanico, Tiberio donò alla plebe
fiorini selle e mezo per testa, e sé e lui elesse consoli. Non
perciò diede ad intender di voler bene al giovane, ma trovò
' * <fi venire, die venivano.
> Come a se* tu fatto Agrippat Buia capo di secento assassini, fatto
prigione e da Papiniano domandato , Perchè rubi t rispose, Perche giudichi f
( Sifilino , in Severo. )
S non /ti rimesteto. Perchè lo spettacolo d* Agrippa falso avrebbe ri-
cordato al popolo la morte d'Agrippa vero, e non era bene rinfrancescarla (*).
^ * Cecilio. In alcuni testi leggesi Coflins invece di Ceecilus.
^ * la plebe iw folleggiava. Il I.at.*. ujlagrantìbus plebis studiis, m
(*) Hnfraneetearta, II Davsntati ba raccolto questo modo di parlare dalla bocca d«l popolo
dov' è tnltavia vivo , e significa : rttorean sopra uaa cosa. Credo sia cvrrBàone di rinfreseare,
I. 8
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86 IL LIBRO MCOMM Mi}U ANNALI.
o seppe prender vìa da po4er1o smaltire ^ sotto spezie d'ono-
re. Godeva già cinquaot' anni la Gappadocia il re Arehelao,
odiato da Tiberio perché in Rodi non l' onorò; [non per sn-
perbia, ma per essere avvertito da intimi d* Agosto, che vi-
vendo Gaio Cesare e governando Torìente, la pratica di Ti-
berio non parea sicura.* Stirpali i Cesari, e fatto imperadore,
fece dalla madre scriver ad Arclieiao, che sapeva i disgusti
di suo figliuolo e gli offeriva perdono, s' ei venkse a suppli-
care. Il buono uomo ' che lo inganno non intendeva o, sco-
prendosi d'intenderlo, forza aspettava,^ eorse a Roma, ove
dal crudo principe male accolto e tosto querelato in senato;
non per le apposte cagioni Bia per la f«cohiala, per l'ango-
scia, e pereh'a're non par giuoco' patire le cose giuste,
non che gli smacchi, * forni per volontà o natura la vita sua.
11 regno fu Jatto vassallaggio, e Tiberio per quelF entrala
* • smalUre, Vedi lib. H, 6.
. ^ non parea sicura. Nel fine del quinto si dice clie Gaio urtava Ti-
berio.
' // buono uomo. Ben fosti arcolaio aggirato (*). Diooe 67 } dice che Ti-
Leno lo voleva dicoUare , benché decrepito, gottoso e bavoso (**). Ma udendo che
egli avea detto: S' io tomo nel mio regno ^ io mostrerò a Tiberio il mio
nerbo: il riso spense l'ira. Akri dice che Archelao per BTer detto questa
scempiesa, ti morì di dolore. Tacito la conta più gravtmente.
* * forza aspettava, temeva di violenia.
\ * non par giuoco. Se dovessimo , a interpretar questa frase , pigliare a
guida il lesto latino ( « regibus eequa, nedum infima ^ insolita sunt » ) , bisogne-
rebbe dargli un senso molto nuovo. Lasciato dunque il testo, oaaervo dbt il pò-
' polo toscano usa spesso la frase /àr giuoco per esser comodo, opporUùtoj p. e.
Qttesta cosa mi Ja giuoco. Potrebbe dunque credersi che andie qui giuoco
stesse per cosa comoda, buona , opportuna ec. , e quadrerebbe heuissimo alla
seotensa di Tacito: « Ai te non par buono patire ec. » Se ho colto nel veroi
potrebbe questo significato aggii;^nersi al Vocabolario.
fi non che gli smacchi. I grandi non vogliono essere spacciati per l' or-
dinario. A Scipione non parve dovere comparire a difendersi, e Sempronio
Gracco, nimico suo, disse: « Gli iddii e gli nomini l'hanno fatto si glo-
rioso , che il metterlo come gli adtri sotto la ringhiera a sentirsi leggere in
capo l'acouM, e malmenare « sfiorire {***), era.vergc^^na del popol romano. «•
( Livio, 48. Appiano nella Sirìaca.) Similmente Lucio suo fratello tornato d'Aaia,
quantunque ndn trovasse mallevadori per la somma bisognevole al «uo sinda,
cato , non fa lasciato incaroerere.
(*) arcolaio. Bistiecia sol nome d' Archelao : e arcolaio aggirato vale nomo ravviloppato in
OD inganno.
(**) boioao, stupido: di qui bo/tirei onde U Nostro : « basì di paura; » obè, divenne stu-
pido. Cassi anche per morlrt.
r**) La Ginntina : « a sentirsi coIF aecose milmeaare e iftortre. »
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IL LIBRO SECONDO DBQLI ANIIALI. 87
Sgravò l' QH per cento, * e lo ridosso a mezo. * AbbaUeronsi
ancora i Gomageni e i Cilici per la morte d'Antioco e di Fi-
lopatore loro regi, a travagliare, volendo chi re chi Roma
ubbidire; e la Seria e la Giodea stracche daUe angherìe ,
chiedevano alleggerirsi il triboto.
XLIII. Tutte qneste cose adonqae, e V altre delle del-
l'Armenia, ^ Tiberio contò a' padri, e conchiase non poter
l'oriente se non la sainenza di Germanico acquetare: es-
sendo egli oggimai vecchio, e Braso non ancor fatto.* Allo-
ra, per lor decreto, Germanico ebbe il governo d'oltre mare,
e, ovnnqne anda8se,80vrano a qualunque reggesse o per tratta
o a mano.'' Ma Tiberio levò di Seria Cretico Silano che aveva
impalmata una figliuola a Nerone primo figlinolo di Germa-
nico, e misevi Gn. Pisene, uomo rotto, soprastante^ e fe-
roce come il padre, che nella guerra civile aiutò valorosa-
mente le parti risorgenti in Affrica contra Cesare; poi seguitò
Bruto e Cassio ; ebbe grazia di tornare a Roma; e non si di-
chinando a chieder «mori, Agosto l'ebbe infine a pregare
che accettasse il consolato. Ma oltre a' paterni spiriti , la no-
biltà e le riccheze di Plancina sua moglie lo ringrandivano.
A Tiberio appena cedeva: i snoi figliuoli, come molto da
meno, spregiava. Conoscevasi piantalo in Scria per tener
basso Germanico. E alcuni vogliono, che Tiberio gli desse
* sgravò i* tm per cento. Questo era di tutte le cose cbe si Tendevano (*)■
E parea grave al pòpolo ; dal quale pregato Tiberio .di levarlo , lo negò {**) , e
qui lo ridusse a meao per cento.
^ * lo ridusse a mezo. Intendi : la Gappadocia fu ridotta a provincia roma-
oa ; di che essendo cresciute le rendite dello stato^ Tiberio vide che potevasi senza
danno sminuire la gravezza dell' un per cento ( centesima veetigat) posta gik da
Angusto (a. di R. 768) su tutto ciò che si vendesse all' incanto; e la ridusse
all' un per dncento {ducentesimam statidt), ossia alla metk.
* * Vedi sopra, cap. 3.
* nom ancor /atto. Non matwo a tanto governo : metafora nostra.
^ * o a mano. Intendi: dovunque andasse, aveva autoriUi superiore a quella
dei governatori delle proviacie , si di quelli che mandava il senato traendoli a
sorte , si di quelli che erano spediti ad arbitrio del principe , ehe il Nostro chiama
JiUti a mano,
* * uom^ rotto 9 soprastante. Il Lat. : « ingenio nofentum et obsequii
ignarum. «»
n I.a Giontinat « Questo era delle cose ebe si vendevano allo 'acanto. »
r)V«éiHbr«I, telile.
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88 IL LIBBO 8B€0ND0 DBOtI ANNALI.
commessìoni occalte: Agnsta senza dubbio inìzò Plancina a
fare alle peggiori con Agrippina;* parteggiando la corte in
segreto, chi conDrnao chi con Germanico: Tiberio carezava
Braso soo naturai sangue: Germanico era più amato dagli
altri, perchè il zio F odiava,' e più chiaro di sangue da lato
della madre, nata di Marcantonio e d' Ottavia sorella d'Agu-
sto: ' dove il bisavolo di Dmso Pomponio Attico, cavaliere,
male tra le imagini de'Glaudii campeggiava. E Agrippina
moglie di Germanico a Livia di Druse SQprastava per fecon-
dità e netta fama. Ma questi fratelli erano forte uniti, né da
tempestare di lor brigate scrollati. *
XLIY. Non v' andò guari che Tiberio mandò Dmso in
llliria, per milizia apprendere e per farsi dall'esercito ama-
re: star meglio in campo che a sviarsi ne' piaceri della città,*
e più sicure le forze sue ne' due figliuoli sparlile.* Ma finse
• * inizò Plancina a fare alle peggiori con Agrippina. G. Dati : « Ne si
dvbita pnntd che AugtuU non mettesse su Planeioa a peneguiUre Agtippitia
moglie di Germanico^ con quelle emulasioni che s* usano tra le donne. « Vedi
nel lib. I, 3, M le ise donnesche. »
^perchè il zio l^ odiava. Chiama Tiberio quando zio, quMào padre
di Germanico. L'uno era per natura, come nato di Druso suo fWitello, l'al-
tro per adoiione di, lui fatta per volontà d'Augusto , come nel primo libro.
Cosi Germanico e Dmso eran fratelli cugini per natura , e carnali per ado-
zione.
^ e d' Ottavia sorella d* Agusto. Questa era madre d' Antom'a mi-
nore, madre di Germanico. Come adunque dice il latino che Germanico , fé-
rebat avunculum Augustum? avuncidus è il fratcl della madre, non del-
l' avola. Forse si dee leggere proamincuhùn, magnum avunctdttm. Per fug-
gir questa difficoltà, e con più brevità, ho detto come si vede. Il seguente
albero mostra, come la nobiltà materna di Germanico fusse più chiara di
quella di Druso.
I Ottaviano Agusto. i Antonia minore , >
Ottavia maggiore, mo- j moglie di Druso | Germanico,
glie di Marcantonio. ' il Germanico. \
Pomponio Attico, | Pomponia , mogUe di J ^.^^"oguf d"^^^^ j Druso.
cavaUere. f V.psamo Agnppa. J b„io impe^^ore. '
^ *nhda tempestare ec. G. Dati : *« Nò s' erano mossi per discordia che
fusse tra' loro parenti. »
8 sviarsi n^ piaceri della città. Dice bene quel nobile poeta iranaese
nella sua Settimana, che i piaceri sono monti di diaccio, dove i gidrani corrono
alla china ; aggiungovi, in trampoli.
' pia sicure le forze.., spartite. Commodo avendo scoperto e ucciso Pe-
rennio , diede a' soldati pretoriani due generali. (Erodiano nel primo. )
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n LIBIO 8IC0IID0 DEGLI ANNALI. 89
mandarlo per aiuto chiesto da'Soevi contro a'Gherusci. Ay-
vengachò costoro liberati per la partita de' Romani da fore-
stiero timore; e per natia usanza e per contesa di gloria, si
voi tessono l'armi centra. Pari di forze e di valore de' capi.
Ma qnel nome di re in Maraboduo non piaceya a' popoli: Ar-
minio, che per la libertà combatteva, era il favorito.
XLV. A lui rifuggirò del regno di Maraboduo, Suevi,
Sennoni e Longobardi, co' quali aggiunti a'Cherusci e loro
allegati , antichi soldati suoi , era più forte , se Inguiomero
co'l suo seguito, non s'accostava a Maraboduo; perciò sola-
mente che si sdegnava ubbidire, essendo zio e vecchio, al
giovane nipote. Ordinaronsi le battaglie con pari speranze.
Non più i Germani divisi in frotte, in qua e là scorrenti ,
come solevano, avendo per lungo guerreggiar co' Romani
appreso a seguitare le 'nsegne , soccorrersi , ubbidire i capi-
tani. Arminio per tutto l' esercito cavalcando a ogn' uno ri-
cordava « la riavuta libertà, le squarciate legioni; mostrava
in mano a molti di loro ancor le spoglie e l' armi tolte a'Ro-
mani ; chiamava Maraboduo fuggitore codardo , intanato
nella selva ^ Ercinia , chiedi tor d' accordi con ambascerie e
presenti, traditor della patria, cagnotto di Cesare, degno di
esser con più rabbia spiantato che Varo non fu ucciso, se si
ricordassero delle tante battaglie, i coi fini, ' con la cacciata
finalmente de' Romani , chiarire chi riportasse l'onor della
.guerra. ;»
XLVI. Né taceva Maraboduo i suoi millanti e le vergo-
gne d' Arminio; ma dando ad Inguiomero della mano in su
la spalla, diceva: « Ecco qui la gloria de'Gherusci. Per li
costui consigli s' è fatto ogni bene, e non di queir animale
d' Arminio y che se ne fa bello , per aver tradito le (re le-
gioni smembrate e il capitano che dormiva , con gran mor-
talità de' Germani e sua ignominia , avendo ancora schiavi la
moglie e il figliuolo. Ma io assalito da legioni ben dodici,
capitanate da un Tiberio, mantenni alla gloria germana il
' intanato nella selva. Maraboduo era stato in Roma da giovane , e ca-
reuto da Aguato. Portò a casa le romane arti e auggiogò molti popoli , da' qvaXi
odiato I si ritirò in quella selva per fortesa. (Strabone, lib. i7.) '
S * ieuijini, l'esito delle quali battaglie.
8'
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90 IL LIBftO SECONDO OBOLI ANNALI.
soo fiore. Fecesi accordo orrevole, nò ci ha ripitfo, ^ poscia-
cbò a noi sta se yogiiamo di bel nuovo combattere o senza
sangue vivere in pace. » Pugnevano l' ano e l'altro esercito,
oltre alle dette, altre cagioni proprie, che i Gherasci e' Lon-
gobardi combattevano per la gloria e per la libertà nnova ;
quegli altri per accrescer dominio. Affronto non fu mai si
possente e dubbio; perciocché l'uno e l'altro destro corno
fu rotto: e rappiccavansi , se Marabodoo non si ritirava alle
colline : segno , che impauri : onde i rifuggiti alla sfilata il
piantarono. Se n' andò ne' Marcomanni e domandò per am-
basciadori a Tiberio aiuto. Rispose, non poter aiuto contro
a' Gherosci chiedere a' Romani , chi loro già contro a' me-
desimi lo negò. Nondimeno fu mandato Druse, come dicem-
mo , a rappaciarli.
XLYIL Rovinarono in queir anno dodici xittà nobili
dell'Asia per tremuoti venuti di notte, per più irprovveduto
e grave scempio.' Non giovava, come in tali casi, fuggire
air aperto , perchè la terrà s' apriva e inghiottiva. Gontano
di montagne nabissate ; piani rimasi in altura, lampi nel fra-
cassio usciti. Ne'Sardiani fu la maggiore scurità: onde Cesare
loro promise dogencinquantamila fiorini, e di quanto pa-
gavano al fisco e alla camera gli esentò per anni cinque.
A' Magnesi di Sipilo toccò il secondo ristoro e danno. I
Temnii, Filadelfii, JSgeati, Apolloniesi, Mosconi, Macedoni,'
detti Ircani , Gerocesarea, Mirina , Gimene e Tmolo piacque
per detto tempo sgravar dé'tributi e mandare a visitarli e
provvederli un senator pretorio , non consolare, tome il go-
verna tor dell'Asia era, acciò non competessero come parie
s' impedissero , e fu eletto M. Aleto.
XLYIII. Questa magnifica liberalità pubblica fu rifiorita
da Gesare con due altre private non meno care. Diede la
* * nk d ha ripido , "ró ci ha luogo • peBtifii«Dto , a rammarieo ce.
Latt « n^ue pmnitere. »
> * per pik sprovveduto e grave scempio j cioè, coma traduce il Dati,
« e con tanto nuggior danno , quanto che egli ecdse all'improvista. *•
^ * Moseeni, Macedoni ec. VL Lat: « qtUque Moscéni aut Maeedomes
Byreani vocantar. m L' esemplare nestiano di Gino Capponi porta oomtt» a
penna; m I Temnii, Fihdelfi, Egeati, Apolloniesi, e qne" Momcbì o Kmadoni
detti ircani.»
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IL LIBBO SECONDO DEGÙ ANNALI. 91
ricca redìtà d' Emilia Musa, morta senza testare, che andava
nel fisco , ad Eipilio Lepido che di tal famiglia parca ; e
quella di Pataleio ricco cavalier romano ( benché a lai ne
lasciasse una parte ) a M. Servilio chiamato nel testamento
primo e non sospetto ; e disse che qoe' genliloomini riarsi '
meritavano cotali rìnfrescamenti. Né accettava reditadi , se
non se meritate per amicizia: quelle di sconoscinti, o che in
dispetto d'altrui lasciavano al prìncipe, ributtava.* Ma come
egli sollevò V onorata povertà di questi buoni , cosi privò del
grado senatorio, o permise lasciarlo,' Vibidio Varrone, Ma-
rio Nipote , Appio Appiano , Cornelio Solla e Q. Yitellio ,
impoveriti per mal vivere.^
' * riarsi, poverìuimi. Coli' iitessa metafora il nostro popolo osa bruciare
per non aver danari,
S * ributtava. Nella Giuntina : « cacciava via. **
' aprivo..., 0 permise lasciarlo. La Giuntina: « scavalcò o fece scen-
dere. »
* impoveriti per mal vivere. Interesse pubblico è che ninno disperda le
sac facoltà, ma le conservi a' suoi per mantenere le famiglie nobili e gU no-
mini buoni» e questi fanno la repubica felice. Avvengacbè colui che di ricco
e nobile cade in necessità , che legge non teme, non si voglia dichinare a fare
ignobili esercisi per campare, ma diasi a rubare, giocare , tradire , spiare , falso
testimoniare, Ruffian^ baratti e simili lordure j e questi fanno la repu-
blica infelice. Quindi sono le tante leggi suntuarie che ogni di si fanno e
ninna se n'osserva. E dannosi curatori a' prodighi non meno che a' furiosi.
n ch« faceva in Roma il magistrato con queste bellissime parole ; qvahoo tva
BOBA PATXBKA AVITAQTB KBQVITIA TTA DlSPBBDlS, LIBBBOSQVB TVOS AD EGB-
BTATBM PBBOTCIS; OB BAM BBV TIBI BA BB COMMBBClOQVB IHTBBDICO. Gosi fu
nesso (diciamo noi) ne' pupilli il Sglinolo di Fabio Massimo; non potendo Roma
sopportare che la roba che doveva mantenere il grande splendore de'Fabii, si bi-
goasasse. E tentò il figliuolo di Sofocle di metterlovi , straccurando le facoltadi,
per attendere alle tragedie : ma leggendo egli a'giudici TEdipo Goloneo, che
cg)i componeva allora, mostrò loro quanto era in cervello. Santa fu ancora
l'ordinansa di Solone, tratta, dice Erodoto, dalli Egiiii, e parmi intendere
che s'osservi nella China, di dare ogn'anno ciascheduno la portata della sua
entraU e spesa. Per la quale furon ciuti Cleante, Menedemo e Asclepiade,a
dar conto come fosse che nulla possedendo e tutto '1 di a filosofia attendendo ,
attesero cosi gai e prò. lia udito l' areopago da un mugnaio e da un ortolano,
dM ogni notte a voltar la ruota e attigner aequa si guadagnavano due dramme
d'ariento per uno, ne donò loro dugento. In Corinto a chi teneva più spesa
che non avea entrata^ era comandato che la scemasse; e chi ninna entrata
avea, e tenea vita larga, era giustisiato sena' altro processo, convenendo che
vivesse di seeleritadi. Ma Tiberio solamente tolse la degnila senatoria a questi
quattro acepigliati; per chiamare i fonditori della loro facoltà con questo nuovo
vocabolo » che la nostra tWÙk ha trovilo al nuMo lusso itrabocehevolè entra-
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92 IL LIBBO SECONDO DBfiLI ANNALI,
XLIX. Dedicò a Bacco, Proserpina e Cerere il tempio^
per boto d' A. Poslumio dettatore, cqminoiaio da Agusto^,
guasto da tempo o fooco, accanto al cerchio maggior^; e
quivi pure, quel di Flora ordinato da Lucio e Marco Publicii
edili : e quel di lano dal mercato degli erbaggi , che Gaio
Duillio edificò per la riportata prima vittoria romana in
mare , e navale trionfo de' Cartaginesi. E Germanico dedicò
alla iSperanza quello che Atilio nella medesima guerra bo-
tato avea.
L. La legge di stato allungava 1 denti, ' e fu accusata
Apuleia Yarilia, nipote d'una sorella d'Aguslo , d'avere bef-
feggiato lui , Tiberio e la madre , e commesso adultero' cosi
parente dì Cesare. ^ Di questo fu rimesso alla legge giulia. ^
toci: pretto veleop alla vita .di lei, foodata nella panimonia e industria; a
lei più che mai necessarie ora , che non più che il quarto de* beni stabili ri-
mane a' privati laici ; come mostra il catasto , e camminasi oltre , e nutrì-
sconsi i mendicanti ; che provvide san Silvestro Papa toccare a* conventi ric-
chi. Il che si legge nella leeionp sesta del suo Mattutino. Quindi pacane la
leggjB .agraria, e gli scismi in Germania e Inghilterra , e la storia de'sacerdoti di
Bel in Daniello a' 14 , e T ira delli Icenì contro a' sacerdoti del tempio di
Claudio in questi Annali nel libro i4. (*) .
* * il tempio: non fu un solo. Il Lat.: «« tedes, » Il Dati più chiaramente:
u Rifece e consagrò quei tempii divini che per incendii o per vecchiessa
erano rovinati , o finì quelli che da Augusto erano stati cominciati; e 'ntra gli
altri quello dello iddio Libero e della iddea Libera e di Cerere lor madre ac-
canto al Circo Massimo ec. **
s * allungava i denU. U Lat : m adolescebatj m ingagliardiva e facevasi
sentire.
S commesso adultero. Alle antiche pene dell'adùltero raccolte dal Lipsio
nel 4 sopra quello di Aquilia con Vario Ligure, aggiugni questa che jaarra Vo-
pisco d'Aureliano imperadore- Fece chinare le vette a due vicini arbori, le-
gare a ciascuna un pie del reo , e lasciarle andare. Sbranossi in due pesi, e ri-
masevi suso a mostra per esenbpio della strettissima congiuniione di marito e
moglie disgiunta.
* * così parente di Cesare, cioè « sensa aver riguardo al parentado
eh' ella avea con Cesare. ** G. Dati.
^ * lì Nostro va qui nn po' troppo per le corte ; perù non sark inutile
di ricorrere , al solito , al Dati , che traouce cosi : « Quanto aU' adulterio ,
parve a Cesare eh' e' fosse per la legge giulia provveduto assai, e a quella
si rimetteva. Dello avere con parole offéso la maestà, domandò chft in questo
si facesse distinzione , e se alcuna cosa aveva detto irreligiosamente contro ad
Augusto ella fnsse punita ; e di ciò che di lui proprio aveva detto, non voleva
se ne facesse inquisizione. »
(*) N«Ua Giaatina manca tntto ciò ohe segoa alle parole e umninmi off/v.
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U LOBO ncONDO DC«U ANNAU. OH
Dello sparlato d' Agosto volle si condannasse: di se non se
ne ricercasse: della madre non ne rispose al consolo; ma
l' altra tornata pregò il senato da parie dì lei ancora, cbe di
parole dette coiitra lei, ninno fosse reo. Assol velia adnnqne
del caso di siato, e per lo adoliòro persuase i suoi, che ba-
stasse la pena antica del discostarla da loro dogenio miglia.
Manlio, lo bertone, ^ fo cacciato d'Italia e d'Affrica.
U. Nel rifare il pretore per la morte di Vipsiano Gallo
T'ebbe contesa. Germanico e Droso (che erano ancora in
Roma) volevano Aterio Agrippa parente di Germanico: pon-
tavano' i più per lo più carico di figlinoli , secondo la leg-
ge.* Tiberio avea piacere che il senato disputasse chi poteva
più, o i snoi figliuoli 0 le leggi. La legge (chi noi si sapea?)
fo vinta; ma tardi, e arranda;* a uso di quando elio va-
levano.
Lll. Quest'anno nacque guerra in Affrica con Tacfari-
nate. Costui fo di Nnmidia; militò in campo romano tra li
aiuti; truffò; si fece capo di malandrini; ^ ordinoUì sotto in-
segne, bande e buona milizia; e finalmente di capo di sche-
rani , duca de' Musulani ' divenne ; gente forte, confine ai
diserti, ancor niente incivilita. Fece lega co' vicini Mori e
loro duca Mazippa, con patto, che Tacfarinate in campo il
fior de' soldati armati alla romana ammaestrasse, e Mazippa
con gente leggiera mettesse a ferro e fuoco e in terrore il
paese: e trassero dalla loro i Ginizii, nazione di conto. Al-
lora Furio Gammillo viceconsolo in Affrica andò a trovar il
nimico con la legione e lutti gli aiuti; gente poca a tanti
* * lo bertone , il drudo , l' adultero.
S * pontavano. Il Lat.: « nUebanùtr , m' facevano pressa o premura.
' secondo la legge papia poppea che dava i magistrati prima a chi era
più carico di Bgliuoli. (Dione 56.)
* *arranda, appunto, a mala pena, a stento. Neil' edisione originale
sta cosi arranda in una sola parola ; ma le altre cplb Crusca pongono a randa.
B capo di malandrini. Qà. e capo di malandrini , già non fa altro che
vagot et latrociniis sitetos ad pradam et rapttis congregare. Le due pa-
role Sorentine comprendono tutte queste , per propria virtù di questa lingua : il
dirle sarebbe replicare il detto, però le lascio. Cosi avviene molte volte, e non k
mancamento. (*)
* * Léggi : « Musulami. »
n QMta poctiUa nan«a neUa QlantUia.
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94 IL unto SKCmiDO DMU AUSALI.
Namìdi e Morì: ^ ma dorè sopra totto si procoraTason ìsfag-
gir la guerra per paura; per sicarexa di vincere faron vinti.
Presentossi la legione in mezo; fanti leggieri e due alio di
cavalli ne' comi. Tacferinaie non rifiatò; fv sbaragliato: e
Fnrio per molti anniracqoistò il vanto della milizia; che da
quel Cammino che salvò Roma e sno figlinolo in qua , era
stalo in altre famiglie. Fattostà' che tal nomo non era tenuto
da guerra:' tanto più celebrò Tiberio sae gesto in senato. I
padri gli ordinarono le trionfali: ^ e non gli nocquero, *■ per
la tanto sua vita rimessa.*
LUI. [A. di R. T71, di Cr. 18.] Il seguente anno foron
consoli Tiberio la terza volta e Germanico la seconda , che
prese l'onore in Nìcopoli città d'Acaia, dove era per Illiria
venato da visitare il fratello in Dalmazia con mala naviga-
zione ne' mari Adriatico e Ionio. Onde vi badò'' pochi giorni
a risarcir V armata e, in tanto, vedere quel famoso Azio per
la vittoria, e'rizati trofei d' Agusto e lo campo d'Antonio;
ricordazioni a lui (perchè Agusto gli fu zio e Antonio avolo,
com' è detto) e grandi spettacoli d' allegreza e dolore. Entrò
in Atene con un solo littore, rispettando l'antica città col-
legata. Qoe' Greci Io accolsero con onori squisitissimi e con
eroico adulare «gli portavano innanzi i chiari detti e fatti
de' suoi maggiori.
LIY. Andò in Eubea, passò in Lesbo, dove Agrippina
fece il sno ultimo parto di Giulia. Vide nel fine dell'Asia Pe-
rinto e Bizanzio, città di Tracia; lo stretto della Propontide
* gente poca a tanti Nttmidi te. Però tì fu mandata d' Ungheria la le-
gione nona. Cosi erano due legioni in Affrica , come dice l'autore, quando fa
la rassegna di tutte le forte romane nel 4 libro» e non una, come dice qui. Forse
vi fu mandata poi per lo corso perìcolo.
' * Fattostà : cosi la Giuntina , in una sola parola.. Altri usano stacca-
tamente Fatto sta, lo stesso che Fatto èj modo familiare , che vale :« La cosa
è in questi termini. »
' * <fa guerra j idoneo' alla guerra , alle armi.
* * ie trionfali, sottintendiyèjte o insegne.
S non gli nocquero. Seppe usar 1' arte , o modestia d' Agrìppa, detta
nella postilla 12 di questo libro (*). — * non gU nocqiuro ; cioè, non gli susci-
tarono Pinvidia di Tiberio , che soleva astiare chi per virtù veniste in fama.
^ per la tanto ec, per la molta inodestia della stia vita.
' * vi badò, vi si trattenne, vi spese pochi giorni.
(*) Di qaesta ediiione, nota T, pag. 74.
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IL LIBRO SBGONDO DEfiLI ANNALI. 1>5
e bocca del Poaio, per Tagheza ^ di riconoscere qaeU'anUche
famose contrade: e insieme ristorava quelle Provincie stratte
per loro discordie e nostre angherie. Volendo nel ritorno vi-
sitare le divozioni di Samotrace, ' ripìato da' tramontani y
ricosteggiò l'Asia e quo' luoghi ' per variata fortuna e nostra
origine venerandi ; e sorse ^ in Colofone per intender di se
da qoeli' oracolo d'AppoUioe ciarlo. Non donna v'è, come in
D^o y ma sacerdote di certe famiglie, le più di Mileto, il
quale piglia solamente i nomi e il numero de'domandanti; en-
tra in una grotta; bee a una fonte sagrata; " non sa leggere
per lo più né poetare, ' e rende in versi alle domande cogi-
tate i rispoBsi.E dice vasi aver cantato a Germanico morte
vicina, con parole scure d'oracoli.'^
LV. Ma Pisone per tosto cominciar sua opera, entra fo^
rioso in Atene e la riprende agramente, dicendo: a Troppi
convenevoli , non degni del nome romano, essersi fatti, (e
pngneva per fianco Germanico) non alli Ateniesi, che n' è
spento il seme, ma a questo goazabuglio di nazioni. Essi es-
sere que' buon compagni di Mitridate contro a Siila , d'An-
tonio contro al divino Agosto* » Rinfacciò loro T antiche
percosse da' Macedoni, le violenze aiioro: volendo male per
altro^ a quella città che non gli aveva fatto grazia d'un Teofilo
' * vagherà: e con doppio s nella Giuntina ; ma certa per inavvertenza :
perchè in quei pochi luoghi dove la Giuntina reca la doppia i ^ il Ms. l* ha
scempia.
* Smmctntee, Yemit di quella isola Dardano col Palladio in Frigia,
ove fa Troia, oùde usci Roma , la quale di si piccola origine sali in si ampia
fortuna. Molte parole del latino traspone il Lipsio correggendo questo luogo ;
una sola con bello avvedimento il Picchena ; « Igitur Asitun aliaque ibi vo-
rietaie foritmae et nostri origine veneranda rehgii , appeUitque Colophon
nas»^ tatto toma benissimo.^^* U divwdoia. Il Lat. ; « sacrai *• U memorie e
i monamenti reUgiosi.
' * rioosteggié l^Aski £ que* hiogki %c. Legge < « igUmr aHo quaque
ibi ce. » dove il testo corrotto fu restituito cosi: <* igUur mtUo'/liQ iqum-
que ibi ee. : « «ieofteggiò l'Asia , visitò Ilio e qua' luoghi ec. «
* * surset approdò.
'"* bee « WMjbnte sagrata: aveva scritto « bee acqua santa t » pvi
coiressa,
^ * ne poetare : nel Ms. « nò comporre i • ma cancellò.
V ** cM-^orofc scure d'ùraeoli: la Giastioa : m con parola d'oracoli da
indovinarle. »
^ ' per altro U Lat. : « offensus urbi fwpriS quoque irà» » per suo pri-
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96 IL LIBRO SBGONDO DEGLI ANNALI.
condannato dall' areopago per falsario. Quindi navigando a
fretta per le Gicladé e per tragetti di mare, raggiunse in Rodi
Germanico, avvisato di tanto perségnito;^ ma bI bonario che
battendo Pisene per burrasca In iscogli, ove poteva alla for-
tuna attribuirsi sua morte, gli mandò galee e salvoUo. Non
perciò mitigato Pisene , stato con Germanico appena un dì,
gli passò innanzi e, giunto alle legioni in Sorta, con donare,
praticare , tirar su infimi fantaccini, cassar vecchi capitani e
severi tribuni e mettervi suoi cagnotti o cerne, ^ e lasciarli
nel campo senz' esercitamento, nelle città senza freno, fuori
scorrere e rubare, scapestrò «i ogni cosa che il volgo il dicea
padre delle legioni: e Plancina, fuori del dicevole a femmi-
na; interveniva al rassegnare, ali' addestrare cavalli e fanti:
d' Agrippina e di Germanico diceva ree parole; e alcuni sol-
dati, e de' buoni, le si efiérivano a più rei fatti; bisbiglian-
dosi che r imperadore cosi volesse.
LVI. Germanico sapea tutto , ma volle attender prima
alli Armeni. Di questi non fu mai da fidarsi per lor natura e
per lo sito, in corpo' a nostre provincie, che s'estende sino
a' Medi, e tramezando due grandissimi imperì, or combat-
tono co' Romani per odio, or co' Parti per invidia. Erano al-
lora senza rè, rimosso Yonone: ma vòlti ^ a Zenone figliuolo
di Polemone re di Ponto; il quale sin da fanciullo usando
caccia, vestire, vita, costumi, e ciò che li Armeni amano,
s' era guadagnato i grandi e la plebe. Là onde da Germanico
nella città d'Artassata , con piacer de' nobili , a pien popolo
fu incoronato, e da tutti gridato re, e dal nome della città
detto Artassia. A' Gappadocì fatti vassalli fu dato per legato
vaio sdegno. Il Ms. aveva: « crucciato eoa quella città in ìspeaic per non
gli aver liberato ec. » Poi cattcellò e corresse come qui si vede.
< * avvisato di tanto perseguito, ài tanla pertccusioae. Cosi anche nello
Scisma : « Rinnovò il perseguito de' Cattolici. »
^ * o cerne. Le cerne , dicono i Deputati alla corc«iione del DecauM-
rone, erano specie di soldati che per li rei portamenti divennero
odiósi t ed oggi sono infami, e a pena si sa cosa alcuna deUa loro gita-
lità primiera. Qui è per uomini vili e da nulla. Nel Ms. « cagnotti e naa-
rame ; » poi corretto : « cagnotti e cerne. »
' * in eoifto. Il Lat. ha : « nostris provinciis late prmteniai cioè , che
cinge per lungo tratto i confini delle nostre province.
* * vólti: erano vólti; faTorivano.
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IL LlBftO SBCONOO DBGU ANNALI. 97
Q. Yeranio, e sgravato alcono de'lributi del re, per inlo-
nare ^ il romano giogo più soave. A' Comageni fu primo pre-
tore dato Q. Serveo.
L VII. A Germanico i si ben composti collegati * non fa-
cean prò per la superbia di Pisene, al quale avendo coman-
dato che venisse egli o il figliuolo, con parte delle legioni,
se ne beffò. Pure in Girra, dove alloggiava la legion decima ,
s'abboccarono con visaggi, Tono di non temere, l'altro di
non minacciare. Germanico era benigno, come s'*ò detto; ma
molti commetteano male, veri accrescendo e falsi aggiungendo
centra Pisene e Plancina e' figliuoli. All'ultimo, Cesare, pre-
senti alcuni di casa , gli parlò con ira rattenuta : quei fece
scuse altiere: partirsi con odi! concentrati.' Pisene poche al-
tre volte entrò nel tribunale di Cesare , e sempre aspro e
contradio. In un convito del re de' Nabatei , essendo portate
corone grandi d' oro a Germanico e Agrippina, e a lui pic-
cola, come agli altri; disse forte, che quel pasto si faceva ai
figlinolo del principe di Roma e non del re de' Parti : gittò
viaria corona, e molto biasimò quella spesa: cose da Germa-
nico strasentite,* ma sopportate.
LYIIL In questo vennero arabasciadori da Artabano re
de' Parti, che- ricordava la loro amicizia e lega ; desiderava
rinnovarla con le destre: onorerebbe Germanico di venire a
riva d' Eufrate: pregavate intanto non tenesse Yonone in Se-
ria a sollevargli i grandi co' vicini messaggi. Risp<Me all' ami-
cizia de' Romani co' Parti parole pompose; al venire per ono-
rarlo, belle e modeste : causò Yonone in Pompeiopoli città
di mare in Cilicia, In grazia d' Artabano e dispetto di Pisene,
a cui era gratissimo per la gran servitù e presenti eh' ei fa-
ceva a Plancina.*
* * per inumare » per dare nn cenno che il romano giogo sarebbe più
soave. Anch'odi il popol toscano dice nell'istesso senso: Dare un^ intona^
zUme ec.
^ * i sì ben composti eollegaU, le cose dei confederati da lui si l>cn
composte e ordinate.
' con oda eoncentratL Leggo operUs, non apertìs.
* * cose da Germanico siraseniUe, cose acerbissime a Germanico.
' presenti»,., a Plancina. Chi vuoi corrompere il giudice , presenta U
moglie.
I. 9
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9S IL LliWO 8BC0M00 DEGLI ANNALI.
LIX. [A. di R. 772, di €r. 19]. Nel consolato di M. Silano
e L. Norbano, Germanico andò in Egitto per vedere qaelle
antichità, dicendo per visitar la provincia. Aperse i granai e
i viveri rinvilio, e molte graiitadini al popolo fece : andar
senza guardia, col pie scoperto,* vestire alla greca, cooie
già Scipione in Cicilia , benché nell* arder della goerra car-
taginese. Tiberio lo gridò nn poco' del vestire, ma agramente
deir essere entralo in Alessandria senza suo ordine , contro
a' ricordi di stato che Agusto lasciò, e tra gli altri, che niono
senatore né cavaliere di conto entrasse senza patente in
Egitto; perché uno potrebbe con poca gente centra grossi
eserciti in quella chiave della terra e del mare tenersi, e af-
famare Italia.
LX. Ma Germanico non sapendo ancora che quella gita
dispiacesse, se n' andava per lo Nilo veggendo, e prima Ca-
nopo. Edificaronla gli Spartani per sepoltura di Canopo loro
nocchiere, quando Mei^elao tornando in Grecia fu traportato
in diverso mare e in Libia. Passò indi alla seconda foce, che
quei della contrada dicono di Ercole lo antico' ivi nato:i(li
' col pie scoperto. Vedi la postilla 55 del primo libro. (*)
^* h gridò UH poco. Nel Ms. ; filo gridò dolcemente : » pei cancellato.
' Ercole lo mtico. Fu ne' primi secoli che il mondo era roto e pieno di
giganti poco doppo Nino, che fu innanzi alla rovina di Troia più d* 800 anni.
Nacque in Egitto, in Tebe, d'Osiridi e di Cerere. Ebbe nome Libico , che vuol
dire portajiamma , soprannome Ercole, che significa vestito ttttto di pelli j
statura di gigante ^ muscoloso, nerboruto , forte e ardito. Sutura «piattro gomiti
e un piede più alta che comunal uomo, proporzione trovata da Pittagora, che
raisucò quanto ij corridoio olimpico di Pisa di secento piedi d'Ercole , che
correva tutto a un fiato , era più lungo degli altri corridoi, di secento piedi
comunali , che erano lo stadio , cio^ un ottavo di miglio. Chiamaronlo jilexi'
caco, cioè Scacciamoli s perchè quasi di tutto il mondo giganti e tiranni»
che si mangiavano i popoli, scacciò o uccise. Gerione di Spagna, Busiride
di Fenicia, Tifone di Frigia, Erice di Cicilia, i Lestrigoni d* Italia ( di cui
lasciò re Tusco suo figliuolo). Anteo di Libia , cui pose il suo nome , e
ritovvi una colonna in memoria delle sue glorie. B' fu il primo de* mortali
adorato in vita per iddio e fattogli tempii e alUri. Morì di 200 anni ne' Celti-
beri di Spagna. Qualunque era poscia robusto e valoroso si diceva Ercole»
Quarantatre ne nomina Yarrpne, sei Cicerone. Confessa Diodoio che i Greci che
millantano le cose loro, attribuiscono il nome e i fatti d'Ercole antico ad
Alceo nato poco innanzi alla rovina di Troia, di Alcmena moglie d'Anfitrione,
concubina di Giove , perciò odiatissimo di Giunone ehe lo aecessitò a combat-
lere con Unti mostri per ispegneilo , e lo fece più chiaro. Non ebbe questo
(*) Di qiMsUadisiene,noU 4, pag. 84.
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IL UBBO SBCONDO MBGU ANNALI. 99
altri Ercoli avere acquistato per simil yìrtù simil nome. Vi-
sita l'anticaglie di Tebe, la grande, dov'erano ancora le
agdglie, con lettere egizie/ che mostravano l' antica possan-
la; le quali fatte disporre ' da un vecchio sacerdote, diceva-
no: e esservi abitati settecentomila da portar arme, e con tale
esereito aver il re Ransenne conquistato la Libia, l' Etiopia,
i Medi, i Persi, il Baltro e la Seizia^ e quanto tengono i
Soriani, gli Armeni, i Gappadoci lor confini : e sino a' mari
di qua dì Bitinia , di là di Licia avere signoreggiato, t» Vi si
leggevano i tributi dell'oro, ariento, arme, cavalli, avorio e
odori per li tempii, grano, e d'ogni sorte arnesi che por-
geva ciascuna nazione , niente scadenti da que' che oggi la
violenza de' Parti o la romana grandeza risqoote.
LXI. Volle vedere ancora le principali maraviglie; la
statua del sasso di Mennone, che battuta dal sole, rende vo-
«e ; le piramidi come montagne condotte al cielo co' tesori
de' principi gareggianti e sparser per le appena valicabili
arene ; e gli ampi laghi cavati per ricelti dell' acque traboc-
canti dal Nilo; e altrove le strette voragini senza fondo. Indi
venne a Elefantina e a Siene, termine ailora del romano
imperia, che oggi si stende al Mar Rosso.
LXIL Mentre Germanico quella state consumava in
veder paesi ,'^ Druso acquistò non poca gloria col metter
tra' Germani discordie, e fisr Maraboduo, già scassinato,
cadere. Era fra i Gotoni un nobile giovane detto Gatualda,
cacciato già dalla forza di Maraboduo, ne' cui frangenti al-
lora ardi vendicarci. Entrò ne' Marcomanni con buone forze,
e con intendimento de' principali sforzò la città reale e la
cittadella accanto. Trovaronvi le antiche prede de' Suevi^ vi-
vandieri e mercatanti nostri paesani per le francheze del traf-
fico e per lo guadagno obblìata la patria fermatisi tra' nimici.
Greco 9 imperio, ne giovò al mondo, come Tegiào antico, anzi fu corsale
co' gli altri argonauti sotto Euristeo, e mori nel faoco rabbiosamente pei la
camicia avvelenata da Nesso.
^ * fatte disporre, esporre, spiegare.
^ quelia state consumava in veder paesi» I gran fatti non vogliono
perdimenti di tempo. Cicerone nella legge Manilia dice che Pompeo gli fuggiva;
però fece la maraviglia del pigliare tutta la Gilicia, e nettare limare di corsali,
in quarantanove di, dal partir, suo da Brindisi.
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100 IL LIBRO SBCONDO DBflLI ANNALI^
LXIII. Màrabodao abbandonato da tutti non ebbe altro
rifugio che alla misericordia di Cesare. In Baviera passò il
Danubio, e scrisse a Tiberio, non da fuoruscito o supplican-
te, ma da chi e' solev' essere : ^ « Molte nazioni chiamarlo,
come stalo gran re, ma non volere altra amicizia che la ro-
mana. » Cesare gli rispose, offerendogli in Italia stanza sicura
e onorala, e partenza sempre lìbera, con la Tenuta' sotto la
medésima fede. Ma in senato disse: « Non Filippo alli Ate-
niesi, non Pirro né Antioco al popol romano essere stati da
temer tanto. » Hacci quella diceria, ove egli magnifica la
grandeza di costui, la fiereza de' suoi popoli, la vicinanza
(V un (auto nimico air Italia e l' arte sua nello spegnerlo.
Marabodoo tenuto fu in Ravenna, quasi per mostrarlo comodo
a rimetter nel regno, se i Suevi armeggiassero. Ma egli non
usci d* Italia : v' invecchiò diciotl' anni, e per troppa voglia
di vivere, molta sua chiareza scurò. Dì Catualda fu il mede-
simo caso e rifugio. Vibilio capitano delti Ermunduri non
guari doppo il cacciò: ricevessi nel Foro giulio, colonia della
Gallia nerbonese. Que' barbari che accompagnaron V uno e
l'altro, per non metter simil raza nelle provincie quiete,
for posti oltre al Danubio, tra'! fiume Maro^e '1 Guso, e dato
loro Vannio di nazion Qoado che li reggesse.
LXIV. Per tali avvisi, e per lo re Artassia, dato da
Germanico alli Armeni, ordinarono i padri che egli e Druse
entrassero in Roma ovanti; ' e si fecero archi alle la torà del
* * da ehi e' solev* esurej cioè colla dignità che si convenÌTa alla
sua antica fortuna.
* *e partenza sempre libera, con la venuta ec. Il testo reca questo
senso : « se poi altro volesse l' util suo, con quella istessa fede onde fosse te-
nato, se ne poteva andare. »
' entrassero in Roma oyanti. Nel trionfo maggiore lo generale vitto-
rioso entrava in Roma coronato d'alloro, in carro tirato da quattro cavalli,
sagri6cava tori. Nel secondo , con corona di mortine, (*) più venerea che mar-
nale; a piede col popol dietro gridante per letizia 6u, òu. Con voce for-
mata da tali grida si diceva questo trionfo o&a*ione, e oaaret per u, vocale,
sillabico , non consonante , e per agevol pronuncia ouare o vero ovare per v
consonapte: (**) benché Plutarco dica ab ove, cioè dalla pecora, che in que-
(*) morfiJttf: dal greeo ttuparcvv] (i^rrr««), ed è Dom. liogoUre. Vedi Nanavcd, Taorica
n Q«Mto pasM leggasi ooti nella Nestiaiia: « gridante per leUila d ft è 0/ però si diceva
questo trionfo óòaihM, e ooart, e per agevol piononria oùart, o vara ovent por ■ eenonaele.
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IL LIBRO SBCOlfOO BBOLI ANNALI. 101
f empio di Marte yendicatore co' ritraili de' Cesari. E Tiberio
gioiva d' aver fermato la pace co '1 sapere, anzi che vinto la
guerra con le battaglie. Onde pensò di carpire alsi^ con
Tastazie Rescapori re di Tracia. Tenne lotto quel paese
Remelatoe, alla cai morte Agosto divise la Tracia tra Re-
scapori fratello e Coti figlinolo di quello. Le città, il colti-
vato e '1 vicino alla Grecia, toccò a Coti: lo sterile, aspro e
confine a'nimicì, a Rescapori ; secondo loro nature, quegli
benigno e lieto, questi atroce avido e non pativa compagno.
Dapprima s'infinse contento,' e poi passava in quel di Coti,
face valsi suo, e se gli era conteso, usava la forza; destreg-
giando,' vivente Agusto, per paura di lui, lo cui lodo spre-
giava : morto lui, vi mandava masnadieri a rubare, rovinava^
castella per guerra altizare.
LXy. Tiberio, la cui maggior cura era che le cose ac-
concie non si guastassero, mandò un centurione a dir loro,
che non disputassero con l' armi. Coti licenziò tosto sua gen-
te: Rescupori tutto modesto disse, « Abbocchiamoci, che
potremmo accordarci. » Del tempo, luogo e modo non fu di^
sputa, concedendo e accettando V un dolce, l'altro fello^ ogni
cosa. Rescupori per solennizare (dicev'egli) l'accordo^ fece
un bel convito, ove a meza notte nell'allegreza delle vivande
e del vino, incatenò Coti, invocante, quando intese lo in-
ganno, il sagro regno, i loro avvocati iddìi, le mense sicure.
Avuta tutta la Tracia, scrisse a Tiberio, essersi allo insidia-
tore levato innanzi : in tanto s' afforzava dì nuovi cavalli e
fanti, e diceva per far guerra a' Bastami e Sciti.
sto triQofo si sacrificava t come nel madore » il toro. O vero esprime-
vano la parola Greca òuav/AOV^ che sigoifica grido. Onde le Baccanti, che
gridavano Evoh, si dicevano Evanii. Il teno trionfo erano le Insegne Trion-
fali. (Tedi frate Noferi Panvini, Delt uto e ordine di^ trionfi', e in Agellio
le cagioni loro, Lk^ cap. 6. )
« * ahi, altresì.
^ * X* injinse contento. Il Ms.: « parve contento: » poi cancellato.
' * destreggiando te. Udiamo il Datrt « Ma in mentre visse Augusto,
andò a queste cose a rilento, dubitando che Augusto, perch'era stato que-
gli che divisi gli aveva , e a ciascun di loro assegnato il suo dominio , sen-
tendo alterare gli ordini suoi , non si risentisse e vendicasse. »
* * ^ ftìj dolce, l'altro feUùj l'uno per soverchia facUità, l'altro per
frode e fellonia , ec.
9*
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102 IL LIMO nCONDO DMU ANIIAU.
LXYI. Tiberio riscrisse dolcemente : « Se fraudo non
v'era, stesse di buona voglia; ma non poter egli né il senato
discernere, senza conoscer la causa, chi s'abbia torto o
Tagione: desse il prigione, e venisse a scolparsi. » Latinio
Pando vicereggente della Mesia mandò quésta lettera con
soldati per menarne Goti. Rescupori stato alquanto tra la
paura e l' ira, voli' essere reo di peccato anzi fatto che di
cominciato: uccise Goti; e lui essersi dassè ucciso falsamente
affermò. Cesare non lasciò su' arte; e, morto Pando, cai
Rescupori allegava per nimico, mandò a quel governo ap-
posta Pomponio Fiacco, soldato vecchio, amico stretto del
re; perciò più atto a giugnerlo.^
LXVII. Fiacco si trasferi in Tracia, e, bellamente con
parole ampissime, lui sé riconoscente * e scontorcente car-
rucolò ' nelle forze romane. Forte banda lo cinse quasi per
onorarlo : tribuni, centurioni gli pur diceano venisse, non
dubitasse; e con guardia, quanto più andava oltre, più ma-
nifesta, e con^ forza, finalmente da lui intesa, lo portarono
a Roma. La moglie di Goti l' accusò in senato ; fu dannato a
prigionia fuori del regno, e divisa la Tracia tra Remetalce
suo figliuolo che si sapeva essersi contrapposto al padre, e li
figlinoli di Coti pupilli, e a loro dato per tutore e governa-
tore del regno Trebellieno Rufo stato pretore ; come già
Marco Lepido a' figliuoli di Tolomeo in Egitto. Rescupori si
mandò in Alessandria dove, per fuga tentata o appostagli,
fu ucciso.
LXVIII, E nel tempo medesimo Vonone causato, come
dissi, in Gìlicia, corroppe le guardie per fuggirsene (soli' om-
bra di cacciare) per li Armeni nelli Albani e nelli Eniochi,
aire di Scizia suo parente. Lasciata la maremma, s' imboscò
e corse a tutta briglia al fiume Piramo. I paesani udita la
foga del re, avevano rotto il ponte; né potendol gnazare,
Yibio Frontone capitano di cavalli, in su la riva lo riprese:
e Remmio evocato/ sua prima guardia, incontanente distoc-
* *a giugmerlo. Il Itt. : « adfaltendum, n
^ * sh riconoscente i cioèj ch« sentivasi re».
' * carrucolò. U Ut. : « perpalit. •
* * evocalo. ChiamaTansi etfocati coloro che , sebbene avcaacro ffniti i loro
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IL LIBBO 6BC0ND0 DB6LI ANNALI. 103
cala r accise quasi per ira : ma si crede perchè e' non ridi-
cesse eh' ei lo corruppe.
LXIX. Germanico, lornato d'EgiUo, trovò gli ordini la-
sciali nelle legioni e ciltà levali o guasti. Agre parole ne disse
contra Pisene, il qnale non meno acerbi falli contr' a lai or-
diva. E vollesi partire di Seria: ma rislelte sentendo Germa-
nico ammalato. E quando seppe ch'ei migliorava e se ne
scioglievano i boti, fece mandar da* lìtlori sozopra le vitti-
me e gli apparati della plebe festeggianle, perch' ei guariva,
in Antiochia. Andossene dipoi in Seleucia per attender la (ine
dellaxicadota di Germanico, il quale s' accresceva il maligno
male col tenersi da Pisene aflattarato: trovandosi sotto il
suolo e nelle mura ossa di morti, versi, scongioramenli, pia-
stre di piombo scrittovi Germanico, ceneri arsicciale, impia-
stricciate di sangue e altre malie, onde si crede Tanime darsi
alle dimonia^ E incollorivasi de' messaggi che mandava ora
per ora Pisene a spiare come egli stesse.
LXX. E mettevangli tali cose, oltre all'ira, paura: a Sono
assediato in casa, muoio in su gli occhi a' miei nimici: che
sarà di questa povera donna e pargoli figliuoli? la fattura *■
non lavora tanto presto. Ei non vede l' ora di tener solo la
provincia, le legioni: ma io sono ancora vivo: la mia morte
gH costerà. » Detta una lettera, e gli disdice l'amicizia,' e co-
manda (dicono alcuni) che sgomberi la provincia. Senza in-
dngio Pisene y imbarcò, e aliava d' intorno Soria," per rien-
trarvi tosto che Germanico fosse spirato, il quale prese un
poco di speranza.
LXXI. Indi mancate le forze, e giunta l'ora, disse a' cir-
costanti : « Se io morissi naturalmente, mi potrei dolere con
glMddii che mi togliessero a' parenti, a' figliuoli, alla patria
stipendii , pure noo ricouvano di ripigliare la militia qaando fossero in?itati
dal capitano con promesse o con premii.^
* * la fattura. Il lat. : « veneficia, » la malia.
' disdice V amicizia. O antica bontà I Chi non voleva uno più gcr amico,
lo li faceva intendere ; e che non gli capitasse più a casa. Non avcano doppio
carne ; non voleano ingannare.
» * aliava d* intorno Sorta. G. Dati : « sema andare molto di lungi, andava
volteggiando e temporeggiandosi per esser presto a ritornare in provincia , se la
morte di Germanico succedeva.*»
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104 IL LIBRO SECONDO DBdU ANNALI.
si giovane, si tosto : ma essendo rapito dalla scelerateza dì
Pisene e di Plancina, lascio qaesti aitimi preghi ne'vostrì petti,
che Yoi riferiate a mio padre e fratello, con qnali acerbità
lacerato, con quanti inganni tradito, io sia trapassato di vita
miserissima a morte pessima. Se alcnni,^ o per le mie spe-
ranze 0 per essermi di sangae congiunti (e di quegli ancora
che m' invidiavan vivo) lagrimeranno, che io in tanto fiore,
scampato da tante guerre, per frode d'una malvagia sia spen-
to ; voi allora potrete lamentarvene in senato, invocare le
leggi. Non è proprio uficio dell' amico il piangerlo senza prò,
ma r avere in memoria ed effettuare le sue volontadi. Pian-
geranno Germanico ancora gli strani : * vendicalel voi , se
amaste me e non la mia fortuna. Presentate al popol romano
la nipote d'Agusto e moglie mia: annoverategli sei figliuoli:
la pietà moverete voi accusanti: e se i traditori allegheranno
qualche scelerata commessióne, o non saranno credati o non
perciò assolati. » Giurarono gli amici, stringendogli la de-
stra, di lasciare anzi la vita che la veiidetta.
LXXII. Voltatosi alla moglie la pregò, che per amor suo,
per li comuni figliuoli ponesse giù l'alterigia; cedesse alla
fortuna crudele, né in Roma competendo inasprisse chi ne
può più di lei. Queste cose le disse in palese, e altro nell'orec-
chio: credesi quel ch'ei temea di Tiberio; e ìndi a poco
passò. La provincia e li vicini popoli ne fecero gran corrotto,
e se ne dolsero gli stranieri e i re ; si era piacevole a' com-
pagni, mansueto a' nimici, nelle parole e nell'aspetto vene-
rando, e senia invidia o arroganza riteneva sua gravità e
grandeza.
LXXIII. L'esequie furono, senza immagini o pompa,
splendentissime per le sue laudi e ricordate virtù. Assomi-
gliavanlo alcuni ad Alessandro magno, perchè ambi furon
belli di corpo, d'alto legnaggio, morirono poco oltre Irent'anni,
in luoghi vicini, tra genti straniere traditi dai loro. Ma que-
sti fu dolce alli amici, temperalo ne' piaceri, contento d' una
^ * Se alcuni ec La Giuolina ha : « Se quelle sperante mie, se il sangue
congiunto , moveranno voi e molti ancora che m* invidiarono , a lagrimare , che
io in tanto fiore ce. »
' * gli strani: il Ms. « i non conoscenti : w poi cancellato.
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IL LIBRO BSGONDO DEGLI ANNALI. 106
moglie» certo de' suoi figliuoli. Gombatlò niente meno/ e
senza temer4tà. £ nel mettere il giogo alle Germanie, che
già per tante vittorie lo si accollavano, fa impedito. Che se
egli poteva far solo, se egli era re, come Alessandro; tanto
riportava il pregio dell' armi meglio di lui, quanto l' avanzò
di clemenza, di temperanza e d' altre bontà. Il corpo, prima
che arso, fu posto ignudo in piazza d' Antiochia, ove dovea
seppellirsi. Non è chiaro se mostrò segni di veleno: chi di-
ceva « Ei sono, » chi « £i non sono: » secóndo strìngeva la
compassion di Germanico e il preso sospetto , o il favore di
LXXIV. I legati e i senatori che v'erano, consultarono*
chi lasciare al governo. della Seria. Poca rèssa' ne fecero al-
tri che Vibio Marso e Gn. Senzio. Vibio alla fine cede all'età
e più voglia^ di Senzio. Questi, a richiesta di Vitellio, Ve-
ranio e altri che formavano il processo centra i rei, quasi
già accettati,'' prese una Martina maliarda famosa in quella
eHtà, r occhio di Plancina,' e mandoUa a Roma.
LXXV. Agrippina ammalata e dal pianger vinta, ni-
mica d' indugio alla vendetta , s' imbarcò con le ceneri di
Germanico e co' figliuoli, piagnendo le pietre che si alta don-
na, dianzi in si bel matrimonio congiunta, festeggiata, ado-
rata, portasse allora quelle morte reliquie in seno, non si-
cura di vendetta, in pericol di se, e per tanti infelici figliuoli,
tante volte berzaglio della fortuna. Pisene raggiunto da un
suo fante nell' isola di Goo con la morte di Germanico, am-
maza vittime, corre ai tempii, folleggia per allegreza; e
Plancina insolentisce, scaglia via il bruno per la sorella, am-
mantasi drappi gai.
LXXYI. Affoltavansi centurioni a dirgli, che le legioni
lo disiavano, ripigliasse la provincia vota, toltagli a torto.
Consigliandosi quel fosse da. fare, M. Pisene suo figliuolo
* * niente meno : sottinteodi , di Alessandro.
> * emsultoHmo ec. Il Ms.: « fecer consiglio di chi lasciare in Scria : » poi
cancellato , e corretto come sta qoi.
S * rèssa, pressa , istansa.
* * e più vogiia ee.; cioè « e alla ina§g;ior voglia che Senslo ne avea. »
^ * aceetiaU come rei : dichi^ti.
0 * /' occhio di Plancina, mcJto accetta a PlancÌDa.
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106 IL UBRO SacOMM MMU ANNAU.
voleva solleoitasse d'andare a Roma:^ « Nen enersi ancor
fatto cosa da nen potersi purgare: novelle e sospetti* deboli
non doversi temere: meritare la discordia con Germanico
odio forse y ma non pena: sfogherebbonsi i nimici per la pro-
vincia toltagli: comincierebbesi, tornando per cacciarne Sen-
210, guerra civile : non gli terrebbono il fermo' ì capitani e i
soldati, cbe hanno fresca la memoria del loro imperadore e
confitto nel cuore V amore ai Cesari. »
LXXYIL Id contrario Domiiio Celere suo sviscerato
disse: « Non si perda V occasione: Pisene e. non Senzio fu
posto in Seria al governo civile, criminale e militare. Se
(orza r assalirà, qual arme più giuste, che di chi tiene auto-
rità di legato e proprie commessioni? Lascinsi anco allentare
ì romori; egli odiì freschi non resistono gì' innocenti. Quando
aremo r esercito e forze maggiori, tal cosa verrà ben fatta
che non si pensa. Che vuoi correre a smontare al pari delle
ceneri di Germanico, acciocché al primo strido d'Agrippina
il popolaccio t' affoghi? Àgusta ci ò inlinta,* Cesare in segreto
é per te: e della morte di Germanico più schiamaza chi più
r ha cara. »
LXXVIII. Venne agevolmente Pisone, atroce per na-
tura, in questa sentenza, e a Tiberio scrìsse: « Germanico
fu sparnazatore^ e supeibo, e mi cacciò per poter fare novità.
Ho ripreso la cura dell' esercito, con la fedeltà medesima che
lo tenni. » A Domtzio comanda, che con una. galea, largo
da terra e isole, per alto mare vada in Seria. Quanti trufià-
tori e bagaglioni'' a lui corrono, acciarpa^ e arma: giunte le
navi a terra, sorprende una insegna di bisogni^ che in Scria
' voleva sollecitasse d'andare a Roma. Per sei ragioni notalnls,perk
pmdenia del giovane e brevità dello scrittore.
' * sospetti. Il Ms. t « sospecciari : » poi cancellato.
' * n»n gli terrebbono il fermo , non sarebbono costanti nel tenere il
suo partito. Lat.: « nec duraittros in partìbas centarienet eie, »
^ * ciò intinta, vi ha pur essa una parte di colpa.
^ * spamazatore , dissipatore delle pr(^rie &ooltk.
' * bagaglioni. Lat. « lixas : « aon caIofo die ngttvno g^ eserciti , ven-
dendo e facendo da mangiare assoldati, fuori d'ofpùerdine di milimia.
' * acciarpa, piglia alla rinfusa e sensa alcona ooadisione.
8 * bisogni. Lat. n tìrones,» Segni, Stor,, lib. 2 : « Vcnnono in quel Umpo
a Genova due mila Spagnoli, di quelli cbe si cbiamaBo bisogni, che vengooo
qua scalsi , ignudi e sema alcun l»ene. «
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IL LIBKO BBGONDO DK«LI ANNALI. 107
andavano: chiede aiuti a' baroni di Cilìcia; amminìslrando
con valore il giovane Pisone la guerra, benché da Ini eon-<
traddelta.
LXXIX. Costeggiando adnnqne la Licia e la Panfilia,
riscoftlrarono P armata che portava Agrippina. Come nimiei
si misonoin arme: la paura fn divìsa; ringhiossi e non altro.*
M. Yibìo intimò a Pisone che venisse a Roma a difendersi.
Rii^Mise motteggiandolo, che vi sarel^ quando il giudice
delle malie avesse citato le parlL Intanto D<Mnizio giunto a
Laodioea città di Seria, s' avviò alli alloggiamenti della legion
sesta, ia più atta a novità; ma Pacuvio legato v' entrò prima.
Senzio per lettere se ne dolse een Pisone, avvertendolo a non
mettere sollevatori nel campo e guerra nella provincia. E tutti
i divoti di Germanico e nimiei de' suoi nimiei adunò: e mo-
straado loro quanto IMmperadore era grande, e che ia re*
publica era assalita con l' arme, fece una buona oste e pronta
a combattere.
LXXX. Pisone, a cui le cose non riuscivano, per lo mi-
glior partito, prese Celendri,' forte-castello in Cilicia; e aven-
do,tra dì truffatori e gentame dianzi sorpresa, e servidorame
di Planeina e suo , e d' aiuti di que' Cilici, racimolato il no*
vero d' una legione, dieea loro: « Sé essere il legato di Ce*
sare: cacciato delia provincia eh' eì gli dio, non dalle legioni
che '1 chiamavano, ma da Senzio per odio privato, colorito
di publicbe accuse false. Bastare presentarsi alU battaglia:
perchè que' soldati viste Pinone, già appettato lor padre, su*
periore di ragione, di forze non debole, non combatterieno. »
Presentagli poi fuor delle mura del castello in un colle alto e
scosceso , essendo cinto il resto dal mare. Avevano a petto
soldati vecchi, ben ordinati e provveduti. Qua era forteza
di uomini, di là di sito; ma poco animo, poca speranza, armi
rusticane , prese in furia per soccorso. Vennero alle mani, nò
vi fu dubbio, se non quanto penaro i Romani a salir su. Al-
lora ì Cilici, voltate le spalle, intanano nel castello.
LXXXI. Pisone tentò in vano di combatter V armata
* * ringhiossi e non altro. Il Ms. « non si venne che • parole ringhiose : *•
poi cancellato , « riscrìtto come sopra.
' * Celendrif oggi CeUndro.
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108 IL LlBaO SECONDO DBALI àMIULI.
che Don lungi aspeltava. Tornò, e sa le mora trafelando, per
nomi chiamando e promettendo, avea cominciato a solleva*
re, e tal commosso* che an alfiere della legìon sesta li portò
r insegna. Allora Senzio fece dar ne' comi, nelle trombe,
piantare scale, salire al bastione, i più fieri snecedere, aste,
sassi, faochi con ingegni lanciare. Ricredalo finalmente Pi-
sono, pregò di render V armi e nel castello dimorare, si Ce-
sare* dicesse cai volesse in Seria. Non piacque, ma dielsi'
nave e sicurtà sino a Roma.
LXXXII. Dove le nuove della malattia di Germanico
rinfrescando, e, come lontane, crescendo, scoppiava il dolore,
r ira e la lingua.' «r Ecco perchè lo strabalzare in orinci;*
perciò ebbe Pisene lo provincia; ciò tramavano i bisbigli
d' Agusta con Plancina: ^ bene di Druse dicevano i nostri vec-
chi, che i principi non voglion figlino' cittadini: trattavano di
render la libertà, e ugualarsi* al popol romano; perciò gli
hanno levati via. x> L' avviso della morte riscaldò si queste
voci del popolo, che senza decreto nò bando, fu feriate, ser-
rato porte, botteghe, finestre: tutto era orrore, silenzio,
pianto, e da profondo quore, oltre a tutte le dimostrazioni
usate ne' mortòri. Certi mercatanti usciti di Seria quando
Germanico migliorò, portarono questa nuova: incontanente
fu creduta, fu sparsa: questi a quelli, essi a molt' altri, non
bene intesa, sempre aggrandita, festosi la riferivano. Corrono
per le vie, abbatton le porte de' tempii: la notte aiutava il
credere; il buio l' affermare. Tiberio non s' oppose all' errore,
ma lasciollo dal tempo svanire. Ripianselo il popolo più di-
speratamente, quasi toltogli un' altra volta.
LXXXIII. Trovati e ordinati gli furono onori quanti
* * e tal commosso, ed aveva talmente commosso quelle genti ec.
^ * sì Cesare, siataatochè Cesare ec.
5 * dielsi , diegllsi.
* in orinci {Tn oras hnginquas). Di tutte queste , questa popolar voce e
composta, e appunto esprìme il latino testo, che dice in eartremas terras,
' * i bisbiglia' A gusta con Plancina. Volentieri atei detto ipissipissij
voce formata dallo strepito che fanno le labbra di chi favella piano, perchè altri
noi senta. Ma io ebbi paura de'Muzii;e me ne pento. Ripigli questa voce di qui
suo vigore. {*)
^ * tigualarsi : nella Crusca h con questo solo esempio.
n Nella Giantina semplicemente : Ma io ho avuto paknt de'Mutii.
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IL LIBAO SK£ON1)0 DB6LI AMNAII. 109
seppe ingegno e amore. Forse il nome suo da' Salii salmeg-
giato: postogli ne' teatri sedie curnli incoronate di quercia:
ne'looghi de'sacerdoti d'Agosto, ne' giuochi dei cerchio por-
tata innanzi l'effigie sua d'avorio: non agore né flamine ri-
fatto in suo iaogo, se non di casa gralia. Fatto gli archi in
Roma, in riva di Reno e in Sorta nel monte Amano, con
epitaffi delle snegeste, e come morto per la repnblica: sepol-
cro in Antiochia dove arso fu: trlbanale in Epidafne ove spi-
rò. Delle immagini e luoghi per luì adorare non si rmicorrebbe
il novero. Fu proposto porgli il ritratto tra gli eloquenti in
maggiore scodo ,^ e d'oro. Tiberio lo concedo come gli altri,*
dicendo, che maggior fortuna non fa maggior eloquenza: as-
sai era porlo tra gli antichi scrittori. L' ordine de* cavalieri,
la punta de' cavalli, nomata de'Giunii,* nomò di Germanico,
e ^bili che nell' armeggeria di mezo luglio' si portasse la
sua immagine per bandiera. Di questi onori se n' osservano
molti : alcuni furon lasciati subito o col tempo.
LXXXIY. In questo dolore^ Livia sorella di Germanico,
moglie di Druse, partorì due ma^bi. DeUa qual cosa rara e
lieta, eziandio a' pever' uomini, Tiberio fece tanto giubbilo,
che in senato scappò a vantarsi, ninno altro Romano di sua
grandeza, aver avuto due nipotini a im corpo: recandosi le
cose ancor di fortuna a gloria. Ma il popola anche di questo
in tal congiuntura s'addolorò, vedendo che la casa aperta^
di Druse serrava quella di Germanico.
* * come gli akri j cio^, dell' isfessa grandena cka cfa stato posto agli
altri oratori.
2 *rfon de* Giunii , mi dt* giovani (iuniorum). Tutto questo luogo ri-
traduci cosi: « l'ordine de' cavalieri appellò cuneo di Germanico quello che in-
nansi dicevasi dei 'gióvani. » E per cunei intendi gli spartimenti formati dalle
scale cfae s'intersecano su per gli ordini de' sedili nel teatro e an6teatro. I quali
spaTtimeùti avevano Sgura di cunei. ( Vedi MaflPei , Veruna illttsir,, parte lY ,
lib. II, cap. 8.) Nei quattordici gradi vicini all' orchestra ^ destinati ai cavalieri,
uno di questi spartimenti era chiamato dei giovani, perchè quivi ^edi^vano i
cavalieri che non ancora avevano toccato l' anno -45. Germanico essendo morto
di 34 anni appatteneva a quest' ordine. Di qui quella onoriBca appellasione.
' neW armeggeria di meto luglio. Dionigi d'Alicarnasso , nel sesto, scrive
per lo minuto questo annoval giuoco, in memoria della vittoria contro a'Latini al
lago Regillo, dóve apparsero in aiuto Castore e Polluce. Post. 4 di questo libroO.
4 * che la casa aperta ec. G. Dati : « parendogli che accrescendo di figliuoli
la casa di Druso , venisse quella di Germam'co a restare più al di sotto. »
(*) Di questa ediiiooc, nota 2, pag. 65.
I. 10
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110 IL LlUO SBG01I]IO.,I««U ANNALI.
LXXXV. Nel (tetto anno il sewilo fece gravi ordini
contri alla disonestà dette femmine , e che BÌona èhe avesse
avnto padre» avolo o marito cavalier romano,^ si mettesse
a ^adagno; veduto che Yestìlia, di famiglia pretoria, s'era
matricolala agli edili: e concedevanlo gli anticbi, assai pena
stimando a donna gentile il pnbliear se stessa impodiea. Fa
citalo Titidio Labeòne 9no marito a dire perchè non avesse
proecnrato il gastigo legittimo alfa rea moglie* e pnbliea; e
cavillando non esser passati^ li sessanta giorni dati a risol-
verai, parve bastare (tal fosse di hii) gindtcar lei: e fo rao-
chiaia in Serifo' isola. Trattossi di cacciar via le ragioni
degli Egizi e de* Giudei: e decretarono i padri che ^mltro-
mila liberti di tali sette, di bnona età, si portassero in Sar^
digna a spegner ladri; e morendo in quell'aria pessima,
poco danno; gli altri tra tanti di avessero rmegalo o sgom-
berato d' Italia.
LXXXYI. Cesare ricordò eleverai eleggere sna vergine
nel liu^o d'Oceia stala cin^anaette anni con sonana san-
tità reggitriee de' saeri ordini di Verta. Fonteio Agrippa e
Bomiaio PoUione offersero le figliaote, e fnrono del gareg-
giare per la repnblica da Cesare ringraziali*. La PolUona
piaeifne più, perciò solan^enle che la madre ancor si vivea
col primo marito, e Agrippa avea per discordie menomata
la casa soa. Ma Cesale consolò l'altra con veniicittqQemifai
fiorini di dote.
LXXXVII. Lamentandosi la plebe del troppo caro,, pose
al grano il pregio, e donò venzoldi dello staio* a chi a ven-
^ eawUer romano. Il primo grado di dig^itìi .%vtWL^ i senatori ; il «e-
eoudo )> cavalieri romani. E qn«sti, quando riapjeodevano per virtù o ricchesa,
«ntravano in senato, rendevano il voto » poco scadevano da'Senatori, e vergfVgna
p«]>ltca era lasciarti macchiare dì tanta disonestà.
*■ alla rea moglie. Quando il marito non -pensava al castigare la moglie
disonesta y vi metteva mano il magistrato. '
' * Ser\fi>i oggi Servino, o , cmat altn vo^^ono, «Sìsi^» Sei^anio, \$ài
ancbe Ann. lY, 21.
* venzoldi dello staio. Era quel modio la nostra mina , o vnot «Kre , nMi o
staio: il sestertio un quarto di denario: U denario un decimo di dramma d' oro
fine : una dramma il nostro fiorino , che vale o§^ dieci lire* Tihario adunque
donò due sestsrn per m'odio, che son quattro pei istaio» che sono un denario ,
che è un decimo di fiorino, che h una lira, o vuoi dire ven^tal^i luccioli. Tedi la
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IL LIBRO SECONDO DBGLl ANNALI. Ili
dere ne recasse. Né per tanto accettò il nome di padre della
patria, altre volte offertogli, e sgridò certi che appellarono
divine le sue occupazioni e lui signore:^ talché poco e male
si poteva aprir bocca sotto quel principe che aveva il parlar
libero a sospetto e T adulazione in odio.
LXXXYIII. Vecchi e scrittori di qne' tempi dicono es-^
sersi letto in senato lettere di Adgandestrio principe de'Gatti
che prometteva la morte d'Arminio, mandandogli veleno; e
risposto, il popol romano vendicarsi de' suoi nimici con aperte ^
armi, e non con inganni;' neUa qual gloria Tiberio si pa-
reggiava a quegli antichi che l'avvelenatore a Pirro sco-
persero e Io scacciarono. Arminio, partiti i Bomani, e cac-
ciato Marabodoo, cercò di regnare: ma que' popoli per la
libertà lo combatterono con varia fortuna; e per tradigione
di suoi parenti morK Liberatore senza dubbio della Germa-
nia; disfidatore non di quel primo popolo romano, come al-
tri guerrieri e re, ma dell'imperio potentissimo. Nelle batta-
glie vario, nella guerra non vinto; trentasett'anhi visse, do-
dici comandò: i barbari ancor ne cantano; ì Greci non lo
con timo ne' loro annali, perchè Rolo millantano le cose loro.
Né da' Romani celebrato è quanto merita; perchè noi ma-
gniicfariàmo le cose antiche e ne cale poco dell^ presenti. *
Post. 27 del primo libro (*). Leggi nel Villani le belle ordinanse e grosse perdile
che fece il nostro Comune per pietli dri nostro popolo, e dell'altrui, nelle care-
ilie dd ms, S9, 46. Tuttoché certi nficiali (die* egli) ne facessero baiaUcria,
condanmDdo gl'iiHUtcenti, e lasciando i possenti far le grandi endicbe (**).
* sgridò certi che appellarono.... lui signore. Oggi diamo a' privatissimi
non pore di Signore, ma d' Tltustre, mollo lìltutre, e pltu ultra. E chi più
basso è , piò empire i titoli vuole ^**}.
> non con inganni. Davitte fece uccider colui che venne a dirgli aver uc-
ciso Saul suo nimico : e mour nuni e piedi a Baana e Reca , che gli portaron la
testa d' Isboset figliuolo di esso Saul. Cesare pianse
...«fOMido il tndiUtr d' Bfitto
GU fece fi 4«d de V onoraU tetta.
E qui Tiberio, per non aver accetuto il tradimento contro ad Arminio, si pareg-
gia agli antichi, quando salvarono Pirro.
S ne cab poco delle presenti. Nella Vita d'Agrìcola, nel principio, dice
il onedesimo (•***).
n « 4aMto «diiiMie, Mts«, psg. IO.
n «ntfUk*. iaoM». So^neeU parala v«di lelitien del Gioidaiii al Monti, ribriUneUa
Proposta, e rUUnpeta aelVolome primo delle Opere di P. Giordani, edixione di questa Biblioteca.
<(***)' Ndla Giontine manea : E dUptii basto, h ee.
(****) Manca nella Giantipt.
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IL LIBRO TERZO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. AgrippÌB« colle ceoari di Oennaoico a BrÌBdifi , poi a Roma.' Chiù-
donsi quelle nella tomba d'Augusto: funerali. — VII. Druse da capo oell' Illi-
rico.-.-Vili. 6n. Pisone reso a Roma è accusato di Teleiìo e dì stato. Arìn-
gato e veduto andargli tutto male si dh morte. — XX. Raccende Tatefaf ioatè
in Africa la guerra , soffocata da L. Apronio proconsole. — XXII. Lepida Emi-
lia d' adulterio e veleno accusata e condaniSata. — XXV. La legge Papia Pop-
pea sin là in rigore, da Tiberio è addolcita; suoi nodi sciolti: origiue « yì-
cende delle leggi. — XXX. Muoion gP insigni L. Volusio e Sallustio Crispo.—
XXXI. Tiberio in Campagna. — XXXII. Di nuovo P Africa investe Tacf annate.
Scelto a guardarla Giunio Bleeo. — XXXVII. Dannati per maestà alcuni eque-
stri. — XXXVIII. Traci ia discordia. — XL. Ribellanai a ninn prò le città
galle, duci Giulio Sacroviro e Giulio Floro: lor oste dalle germane legioni
battuta , torna al giogo. — ^ XLIX. G. Lutorio cavaliere dannato per fellone è
mortjk in carcere. — LII. Impreodesi a moderare il Ineto e si desiste.-—
LVI.Druso tribuno. — LVIII. A flamine di Giove si vieta dimandar provincia.-*
LX. I greci asili visitati e purgati. -^LXVl. G. Silano per mal tolto e màe-
sta , dannato. . — LXXIII. Ginnìo Bleso dà guai a Tacfannate, prenda un suo
fratello. — LXXV. Morti illustri e mortori.
Corto di ire anni,
An.diRomaDCCLWiii. (di Cristo 20). — Coniolì. | M. V ambiò MlSSALà.
^ ^ I G.AuBBMO Cotta.
An. di Roma DCCUiiy. (di Cristo 21). -CoiiioK. \ Tibbuo Aogusto IV.
^ ' I Droso Cbsarb II.
An. di Roma dcclxiv. (di Cristo 57). — Contoli, \ ^ •/'*■'<> AoaiPPA.
^ ' 1 G.SulpibioGalba.
I. Navigò Agrippina di verno a golfo lanciato ^ in Corfù,
isola dirimpeUo Calabria. Ove vinta da disperato dolore
* a golfo lanciato. Lat. : « nil intermissa navigatione , n che non bene
spiega la Crusca : «f per linea retta. » Nelle postille Mss. di Pietro Pietri si legge :
« Golfo ed ingolfare si dice dal greco xoX^ro;, e P andare o navigare a golfo
lanciato vale , andare in alto mare a diriUura, con diligensa, sema trattenersi o
per tempesta o altro intoppo) ed ^ il contrario di andare terra terra, o come gentil-
mente dice il Boccaccio, nov. ik, marina marina: — «Passò a Brindisi, e di quindi
marina marina si condusse infino a Trani. m
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IL LIBRO TBRZO D^GLI ANNALI. 113
pochi di rifiieUe a moderarsi.* Qaan4o sua venula ^'intese,
griulimi, i soldati già di Germanico, ancora i non cono-
scenti dalie terre vicine» chi parendo lor obbligo verso il
principe, chi quei seguitando, pioveano al porto di Brindisi,
pia vicino e sicuro. Alla vista dell' armata, il porto e la ma-
rina e mura e tetta e le più alte vedette fur piene di turba
mesta, domandantesi, se quando ella sbarcava da tacere era
o che dirle o che fare. L'armata s'accostò co' rematori at-
toniti, senza il solito festeggiare. Ella usci di nave con due
figliuoli e col vaso lagrimevole' in mano ove affisò.' Levossi
un compianto di donne e d'uomini suoi e d'altri, non di-
stinto; se non che quel della corte di lei per lo durato tribcrfo
era più stanco. ^
II. [A. di R. 773, di Gr. 20. | Cesare le mandò due coorti
di guardia, Qon ordine che in Calabria, Puglia e Campagna,
i magistrati facessero V ossequio al figliuolo. Tribuni e capi-
tani adunque sopra gli omeri por tavan le ceneri, con le in-
segne lorde ^.innanzi e i fasci capovolti. La plebe delle colonie
onde passavano, era a bruno; i cavalieri in gramaglie: arde-
vano, secondo il potere, veste, profumi, con altre solennità
de' mortori. Dalle terre ancor fuor del cammino venieno le
genti ad incontrare,. a far sacrifici a quell'anilina, a mostrare
con pianti e strida il dolore. Druso con Claudio fratello e i
figlinoli che in Roma erano di Germanico, vennero sino a
Terracina. Marco Valerio e Marco Aurelio nuovi consoli, il
senato e gran parte del popolo tutti in bulima ' calcaron la
strada, e piagnevano non ostante l'allegreza di Tiberio mal
celata, a tutti nota, della morte di Germanico, non poten-
dola adulare.
IIL Egli e A gusta, non uscir fuori, per fuggire in pnb-
' * a moderarsij a pigliare un po' dì calma. Lat. : « componendo animò. »
Il Ms. : M a temperarsi ; m poi cancellato e riscritto come sopra.
J * L'urna mortuaria.
' * ove affisò: non affisò l'urna; ma dejtxit octdos (in terram); « at-
terrò il guardo, » com' è proprio de' mesti.
• * pih. stanco. Il Ms. : « più lapgnido ; »» poi corretto — tribolo* Lat. :
M meeror. *»
• • lorde h troppo. Il lat.; « incomptaj » disadorne.
• • ttaii in hnlimaf tulli in frolU , in folla.,
10*
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114 IL LIBRO TERZO DHQLI ANNALI.
bitco i piagDÌ^ei disdicevoli a maestà, d fare scorgere ' a
tatti gli occhi ne'lor visi la loro aliegreza. Annale non trovo
nò giornale che dica, se Antonia sua madre ci fece atto no-
tabile alcano: e pure, oltre ad Agrippina e Drnso e Claudio,
veggo nominati gli altri congitinti: forse era malata, o non
le pali l'animo vedere con gli occhi il suo gran male. Credo
io che Tiberio e Agosla la tenessero in casa, per mostrare
esservisi madre, avola e zio serrati per pari dolore.
IV. Il di che le ceneri si riponevano nel sepolcro d'Ago-
sto, pareva Roma^ ora per lo silenzio ona spelonca, ora per
lo pianto on inferno. Correvano per le vie; ardeva campo
marzio pieno dì doppieri. Qnivi soldati armati, magistrali
senza insegne, popolo per le sue tribù gridavano esser la
repnbliea sprofondala:* cosi arditi e scoperti, come scorda-
tisi eh' ei v' era padrone. Ma nnlla punse Tiberio quanto
r arder del popolo verso Agrippina. Chi la diceva ornamento
della patria, reliquia sola del sangue d'Agosto, specchio
unico d' antichitade ; e, volto al cielo e agl'iddii, pregava
salvassero quo' figliuoli, sopravvivessero agl'iniqui.
V. Desideravano aleuiiì in queste ossequio la pompa
publica, allegando gli ampi onori che. Agusto fece a Druso
padre di Germanico : « IncontroUo di crudo verno sino a
Pavia: da quel corpo non si parti, si fu seco' entrato in Ro-
ma: fu d'immagini di Claudi e di Livìi * accerchiata la bara;
pianto nel foro; lodato in ringhiera; fatto quanto invennero
mai antichi e moderni: e a Germanico non è toccata por
r usata e ad ogni nobile dovuta onoranza. Siasi per lo lungo
viaggio il corpo arso, come s'è potuto, in terra lontana e
straniera; cotanti più onori gli si doveano qnanti ne gli
avea la sorte negati: ma il fratello non l'ha incontralo ap-
* * e /are scorgere: cioè, o forse per non fare scorgere ec.
' * esser la repubUca sprofondata. Non ha tradotto il nil spei reliquian
che segue a concidisse rempttblicam, forse perchè ha creduto esserci in quella
frase ogni cosa. Ma da sprofondare in un modo piuttosto che in un altro ci corre.
* * sì fu sec6y sintanto che noA fu seco ec.
* di Claudi e di Livii: non di Giùlii , |>erchè questo Dmso, fratello
di Tiberio, non entrò mai, in casa giulia, né gli convenivano rimmagtni giù-
lie, ma le claudie e livic del paSre e della madre ^*),
n Uvionun èeorreàone delMoielo, non aecetUU dalF OKllieht riliene XvfterwM, pei-
ehè i iolenoi fanerali oraavansi amila colle immaglai degli alBal,
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IL UBEO TBIZO DBeU ANNALI. 1(5
pena una giornata; il ciò non pare alla porta. Dove sono gli
ordini antichi? l'effigie sopra il cataletto? i versi composti
per memoria deUe virtù? le lagrime? i triboli? » *
VI.'Tiberlo sapeva qneste grida del popolo, e per am*
morzarle , lo ammoni per bando : « Essere molti Romani
illoatri per la repoblica morti , ma ninno stato cetebrato
eon tanto ardore, onorevole a se e a tetti, par cbe si mode-
ri; non convenendo a' principi e popolo imperlante le cose
medesime che alle case e piccole città.' Essersi dovuto al
fresco dolore il pianto, e quindi il conforto: doversi ora fer-
mar Tanimo e scacciare la inaninconia, come fecero i divini
Giulio e AgAsto, nel perder quegli la figliuola unica, questi
i nipoti: per non contare quante volte il popol romano fran-
eamente soiérse eserciti sconfitti, generali morti, famiglie
nobili spènte. I princìpi essere mortali, la repoblica eterna.
Però ripigliassero le loro faccende, e ne' vegnenti giuochi
megalesi, anche i piaceri. »
YIL Allora fini il feriate. Druse se n' andò agli eserciti
di Schiavonia. Ogn' uno a orecchi tesi aspettava il gastigo di
Pisene me si potevan dar pace ch'ei si stesse pe' giardini
dell'Asia e delP Aeaia a'sollazi, per ispegnere con si arro-
gante e maliziosa dimora le provante delle sue sceleritadi;
essendosi divolgato che quella Martina maliarda che Gn. Sen-
zlo mandava a Roma, presa come dissi, s'era in Brindisi
< h iaertmet i triboli f Aneor oggi nd regao di MapoU si dicon far» il
trìbolo certe donnicciaole che «opra 1 corpo ^el morto prcsolate piangono ,
strìdono, fi graffiano il viso, stracciano i capelli, contano le sue virtù e la
perdita , che fatta di lai ha quella casa amara. Questo forse vnol dire, doloris
* non couvenmidù tt pritic^.^. le cose medesime. Ciò sono quelle
lagrime e triboli e altro. Gentilissimamente il signor Curaio Picchena segretario,
atudiosissimo di questo autore, corregge cosi : Non enim eadem decora princi-
pibue ririe et impertitori popmle, qum modici^ domibue atU eivitattìms. So-
lamette dittonga e rdatiriia la copula ^Ȏ, la quale il lipsio leva: e leva i
bei contrarii, principibus viris e modicis domibtu j hnperateH pcfmlo e
Hi^UmtAus. E Tuole efae Tiberi»', pHiteipibm piris, inttad» di se, che quelle
indegnitik non faceva, mai le rìpreodeva. Nd testo de'Mediei l'è vist* poi
•critto, ifum. — *noH convenendo ec. Il Ms. ha : «perciocché tal cosa si eoftviene al
principe che non al capitano n^ al popolo; alla àt£k chenon aUa casa. » Poi cor-
rq^ge cosi: «non convenendo a voi grandi e popolo imperìante le cose medesime
che alle case e eittà piccole. » Quindi di nuovo corregge come sta nel testo.
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116 IL UBRO TERZO DBGU ANNALI.
trovala morta, con veleno nelle trecce,^ senza segno, nel
corpo d' essersi ammazata.
Vili. Pisene manda a Roma il figlioolo ammaestrato
per mitigare il principe, e vassene a Braso, sperandolo non
tanto incrodelilo per lo fratello mortogli, qoanto addolcito
per tanto concorrente levatogli. Tiberio, per mostrare che il
giudizio andrebbe retto, accolse il giovane e donògli^ come
affiglinoli de' nobili usava. Druse a Pisene disse in publico:
a Se vero fosse quanto si dice, mi cocerebbe più che a tutti:
dielvoglia siano favole, e che la morte di Germanico non
rovini chi che sia. » ' Riconoscevansì queste parole erba di
Tiberio,' con le cui vecchie, arti il giovane * dolce e non
astato si governava.
IX. Pisene navigò in Dalmazia, in Ancona, ove lasciò
le navi, e per la Marca, e poi. per la Flaminia raggiunse
una legione che andava d'Ungheria a Roma, per passare in
AfTrìca' a quella guardia; e dissesi che nel camnuno spesso si
presentò assoldati tra V ordinanze. Onde per sospetto, levare,
o perchè la paura sbalordisce, fattosi da Narnì portare per la
Nera nel Tevere, raccese l'ira del popolo, ond'erano le ripe
piene quel di solenne, vedendolo sbarcare al sepolcro de' Ce-
sari, con grancodazo, ei di seguaci e Plancina di damigelle,
con le teste alte: stomacò soprattutto la casa in piata, parata a
festa. Io spanto convito, a porte spalancate e corte bandita.
X. Il di seguente Fulcihìo Trione chiamò Pisene a'eon^
soli. Vitellio, Yeranio e gli altri, stati con Germanico, dice-
vano, che Trione non aveva che farci; e volevano essi non
accusare, ma testimoniare e sporre le commessioni di Ger-
manico. Ottenne d'accusarlo almeno d' altri peccali vecchi.
Di questa causa fu pregato il principe d'esser giudice: né al
' * Lascia di tradurre: «f Hac paUan et vitato anuù secreto, «* «timando
astai l'aver dettò sopra « Draso a Pisone disse in puLlico,» dove il testo ha
semplicemente Drusus Pisoni.
S * Miconoseeuan» queste jtaroU erba di Tiberio j cioè sobbillate , iosi-
Doate a Druso da Tiberio. Il Lat. ha : « neque dubitabantur pnescripta ei. a
Tiberio. *»
S una iegione che andava,.».^ Rama, per passare in Affrica j :ptt la
guerra di Tacfarinate , ove ne sUva una sola per l'ordinario ( richiamata poi),
nominala la nona.
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IL UBaO TERZO DEGLI ANMALL 117
reo dispiacque; temendo di quell'amor -del popolo è de' padri:
dove Tiberio del dire del popolo si facea gran beffe: (ceraci in-
teressato egli e la madre: meglio un giudice solo il fatto dal
creduto discerne; òdio e invidia ì molti accecare* » Sapendo
Tiberio quanto questo giudizio importava, e i pezi che di lui
si levava;* in presenza d'alcuni di corte udì le minacce e
difese delle parti, e le rimise al senato.
XI. In questo tornò Druso d' lUiria, e volevano i padri
che per lo ricevuto Maraboduo e altri fatti di quella state ,
egli entrasse in Roma col trionfo minore di gridare « Où,
où; »* ma quest'onore si prolungò. Pisene ricercò T. Arunzio,
Fulcinio, Asinio Gallo, Esernìno, Marcello, Sesto Pompeo,
d'essergli avvocati; e tutti diverse scuse allegando, M. Lepi*
do, L. Pisene e Liveneio Regulo accettarono. Stava tutta la
città in orecchi, come^ fosser fedeli gli amici a Germanico ;
in che si fidasse il reo; se Tiberio si scopriva o no.' Né fu
unque il popolo tanto curioso, o contro al- principe bisbigliò,
o tacendo sospicò.
XII. Onde Cesare fece a' padri questo compilato ^ e bi-
lanciato parlare : ce Pisone fu legato e. amico di mio padre :
d'ordine vostro il dfedi per aiuto a Germanico y a reggere '^
l'oriente. Se quivi egli ha co '1 disubbidire o contendere ina-
sprito il giovane, e della sua morte s' è rallegrato o pur l' ha
fatto reamente morire; or si dee senz'animosità. giudicare.
Quando egli sia* uscito dì ubbidienza di legato a suo impera-
* * e ipezi che di Itti si levava. Vedi la nota. al cap. 46 , lib. I.
' * dì gridare ** Où oh. » Nella Giuntina scrìve Oil oà. Il Xat. ha: « ut
offans iniret j » cioè , eh' egli entrasse coli* onore del trionfo.
9 se Tiberio si scopriva a no. Meglio è leggere come il testo de' Me-
dici, Satin* céhiberet ac promeret sensus sjtos Tiberìus, is haud alias
intentior: Populus plus siti, etc. E dire: « Se Tiberio sapeva nascondere
quello che fatto avea (*), che mai non vi- durò più fatica: ne più il- popolo del
principe bisbigliò, o tacendo , ne sospicò ; » cioè d' aver commesso a Pisone
che avvelenasse Germanico. Quel promeret, era contrario , supercfaìo , cosa
Ikoa da Tacito, e sens»graùa.
* compilato parlare', di stupenda prudensa , da notare sommamente.
' * ^^gg^""^' Il Ms : M governare; » poi corretto come sopra.
^ * Quando egli sia fec. ; cioè, qnanao sia provato eh' e' disubbidì ec, e
che si rallegrò ec. — La Nestiana , invece di a suo, legge al suo.
(*) che fatto avea. L'esemplare glantìno con postille aatografe posseduto dal Conte Mor-
tara, corregge: « che in corpo avea. »
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118 IL LIBRO TBBZO OieU ANMALf.
dorè; rdlegratosi delia morte di lai e del pianto mio; io lo
disamerò e sbandirò di mia casa, e gastigherò ìa ]>rivii(a
nimicizia mia , e non da prinèipe, eon la forza* ' Ma troran»
doci peccato capitale in qualsivoglia^ date affiglinoli « a noi
padre e avola dì Germanico giusto confoHo. Chiaritevi an-
cora se Pisene ha l'esercito sMlexato e turbato; guadagnatosi
con arte i soldati; ritentata la provincia con Tarme; o se pure
queste son falsitadi sparse e aggrandite dagli accusatori per
troppo affètto, del quale io ho da dolermi. Che indegnità fu
quella, spogliare ignudo quel corpo, forlo dagli occhi del po-
polo quasi malmenare? empiere il mondo ch'ei sia stato av-^
velenato, se ancora non si sa e s! cerca? Io piango il figliuol
mio e piangerollo sempre mai : non perdo al reo vieto il pro-
durre ogni provanza dì sua innocenza o torto da Germanico
ricevuto. É voi prego che il mìo dolore non vi faccia pigliar
le querele date, per provate. Se parenti o confidenti ci ha per
difenderlo , con tutta l'eloquenza e diligenza aiutatelo; e atei*
per lo contrario s'aguzìno gli accusanti. Basti Germanico pri-
vilegiare che in consìglio dal senato, non in corte da giudice
si conosca della sua morte: nel rèsto vada del pari. Ninno
guardi alle lagrime di Druse , ninno at mio dolore, né a cosa
che forse si mentisse di noi. i»
XIII. Dati furon per termini due giorni a dirgli centra;
sei ad armarsi ; ' tre a difendersi. Fukino disse che egli
aveva con ambizione e avarizia retto la Spagna; peccati vec-
chi e frivoli che, provati, non gli nocevano (purgando* i
nuovi), né, difesi, lo gcioglievano da i più gravi. Dopo costui,
Servèo e Yeranio e Vitellio con paricaldeza,'ma YitelUo^con
piii eloquenza, incolparon Pisone d'avere per rovinar Ger-
' ia pripota nimicizia mia, e non dm frùuiipe ce. Li^msmì, movi
principis, male; (a ÌEScconcio , ' no» pHne^^, non nate; oca «tggo, nem vi
, principis j benif Mmo ; e covreggomi ^ ma» da principe ccm la form. «^ * con Ut
fùraa, H testo ha t « e< pripata* mimicitias non pi principis Miidscmrf »
che r Orelli interpreta : « Non iitar potestate^ ^uam princeps ktéetj td
noscas mihi iilaUis ut prùtatas idcisear. »
s * àlsiy altcesì. Cosi pare lìh. l, e. 36 1 II, e. 64.
S *a(/«rmam' /cioè, sei fioGBt aoeordava al leo per «itmdMre e ordinare
la sua difesa , e tre* per pronunciarla dinanai ai gindi^i.Laddove agli accosafeort
furono dati, in tutto, due soli giorni. Anche di qui si vede dove pendeva Tiberio.
* * purgando, quando fosse riuscito a purgare.
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IL UBRO TERZO DEGLI ANNALI. i19
manica e riv^aUar lo stato, la feccia de' soldati con licenze e
insolenze a' confederati,^ corrotta in gnisa, che padre delle
legioni lo dicevano i peggiori, u^ato per lo contrario ogni
cmd^tade a' migliori e spextalipente agli amici e segnaci di
Germanico; e Ini per ultimo avvelenato, stregato, sagrifica-
fò, egli e PUncinaj a' dimoni: assalito con arme la repuUi-
ca » e per poterlo accasare r esser convenuto combatterlo e
vioc^rk».
Xiy. Non ebbe difesa l'aversi guadagnato i soldati, dato
la prevÌBCìa in mano a pessimi, detto male del generale: il
velen solo parve purgato; perchè dicendo gli accusatori che
Pìsotte, cenando con Germanico e standogli di sopra,' gli
avvelenò la vivanda con le sue mani; non parve verisimile
che tra 1 servi altrui, con tanti occhi addosso e dello stesso
Germanico, cotanto ardisse: e chiedeva Pisene tormentarsi
i servi suoi e di Germanico. Ma i gindicl gU erano avversi
per cagion diverse; Cesare per l'aver fatto guerra alla pro-
vincia; il senato, non potendo mai credere che Germanico
morisse senza, inganno ^... Il che non meno Tiberio che Pi-
sene negarono. Di fiiorì gridava il popolo, « Se i padri l'as-
solveranno, egli non ci uscirà delle mani, » e spezavano le
sue immagini strascicate alle Gemonìe, se il principe non le
faceva salvare e rimellere. Fu messo in lettiga e ricondotto
a casa da nn Uribono di coorte pretoria : chi diceva per sal-
varlo, chi per finirlo.
XY. Plancina era non meno odiata, ma più favorita:
onde non si sapeva quanto Cesare ne potrebbe disporre. Essa
mentre di Pisene fu qualche speranza, prometea correre una
fortuna, e, bisognando, seco morire. Ottenuta, per segreti
preghi d' Agusta, perdono, s'allargò dal marito e divise la
* * e insoknxe tt confederati j cioè, pennetUndo loro d'iiuolentire contro
i confederati.
* standogli di sopra, u Cam super eitm Fiso discitmbereL » Come può
essere essendo inferiore ? erano tre > e Germanico in meso, dice il Lipsie. Non
pmova, non mi quieta.
S wm potendo mai creder^. Sema k parole , scripsissent expostw
laates^ toma benissimo il sentimento. Io le ho lasciate: o elle vi sono tram-
miaa* per eriore>. o altre parole ?i mancano che con quelle faceano senti-
mento. Il Mercati legge sàbmisu éé^stuiétnUt. Il sentinunto torna bene; .
ma il motaneoto è ardito»
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120 IL LIBRO TBEZO DEGLI ANNALf.
causa soa. Qui si tenne spacciato; pure confortato da' figlinoli
a ricimentarsi, fatto cuore, rientra in senato, e trova rinfor-
zate l'accuse, i padri sbuffare, contrario e terrìbile ogni cosa.
Più di tutto Tatterrì il veder Tiberio, saldo, coperto, bendi
misericordia, non d'ira far segno. Riportato a casa^ scrisse
alquanto quasi nuova difesa, e suggellato dìedelo ad un li-
berto, e attese alla usata cura dèi corpo. La notte la moglie
usci di camera: ei fece chiuder l'uscio, e al far del giorno si
trovò sgozato, e il coltello in terra.
XVI. Ricordomi aver udito da' vecchi, che à Pisene fa
veduta più volte in mano una lettera, la quale egli non mo-
strò, ma dissero gli amici che era la commession di Tiberio
del fallo contro a Germanico;evolevalali squadernare dinanzi
a' padri; ma Sciano con vane promesse l'aggirò: e che egli
non mori per mano sua, ma gli fu mandato ramazatòre.
Nò r uno né l'altro affermerei : ma da celar non era il detto
di coloro che vissero insino a mia giovaneza. Cesare manin-
conoso* domandava al senato, se tal morte s'attribuiva a lui:
e all'apportator dello scritto di Pisene , quel ch'ei fece il di e
la flotte ultima. Il quale avendogli risposto parte à proposito
e parte no, lesse lo scritto che diceva: ' « Poiché la setta de'ni-
mici e l'odio del falso apposto m'oprimono, e la verità e l'in-
nocenza mia non s'accettano; gl'iddii immortali mi siano
testiinoni che io sempre fui a te, Cesare, fedele, e a tua ma-
dre pietoso. Raccomandoti i miei figliuoli. Gneo, stato sem-
pre in Roma, non Ha parte nelle mìe fortune: Marco non
voleva ch'io tornassi in Seria. Fatto avess'io a senno del
giovane figliuolo, e non egli del vecchio padre I tanto pia ca-
ramente ti prego che l'innocente non porti pena delle mie
' * maninconoso. Il Ms. : « con viso amaro ; •> poi cancella e riscrìve h con
manìnconoso sembiante, » come si legge nella Giuntina, e che tpA dì nuovo ha
corretto come sopra si vede.
' *Il testo latino di questi due ultimi periodi è manco. 11 Davansati ba
tirato a indovinare , e nelle Postille della Giuntina l' avverti con queste parele r
« Questo luogo h guasto : io gl'iiidovino questo sentimento. *• La traduiione poi
nella ridetta Giuntina vana cosi : m Cesare domandava con maninconoso sem-
biante il senato , se ul morte s'attribuiva a lui ; e il figliuol di Fifone quel ch'ei
fece il di e la notte ultima. Essendogli risposto dal giovane con prudenia e dal
senato con adulasione , lesse quello scritto di Pisone che diceva ce. m
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IL LIBRO TBSZO DEGLI ANNALL 121
colpe. Per la servitù mìa dì quarantacinque anni; per la
compagnia del consolato» onde fui accetto ad Agusto tuo
padre, amico a te, fammi qoesta grazia ultima che io ti
debbo chiedere; perdona al mio figliuolo infelice. • Plancina
non mentovò.
XVII. Tiberio scusò il giovane della guerra civile co-
mandata dal padre, come forzato a ubbidirgli, e increbbegli
della Dobil famiglia e del grave caso del morto, che che me-
ritasse. PeV assolvere Plancina allegò con ingiustizia e ver-
gogna i preghi di sua madre , la quale i migliori bestemmia-
vano piano: « Che avola è qoesta, che puote vedersi innanzi
r ucciditrice di suo nipote? le favella, la ruba al senato, alla
giustizia, che non si negherebbe sé non a Germanico. ^ Yi-
tellio e Yeranio V bau pianto: lo ìmperadore e Agusta difen-
don Plancina. Dacchò ì veleni e le negromanzie riescon si
bene, adoprinli in Agrippina e ne' figliuoli; saztnsì li prodi,
avola e zio, del sangue dì quella casa miserìssima. » Si fece
vista di tritare' questa causa ben due giorni, e Cesare sti-
molò i figliuoli di Pisene a difendere lor madre. Affannan-
dosi gli accusanti e le prove a chi più conficcarli, ' rispon-
dente ninno ; fecero di lei più increscere che incrudelire.
Aurelio Cotta consolo fu il primo a parlare (perchè quando
Cesare proponeva, il consolo diceva la prima sentenza], e
disse che il nome di Pisone si radesse del calendario: la metà
de'beni andasse in comune, V altra si concedesse a Gneo, il
quale si mutasse il nome proprio. A Marco si togliesse il
grado di senatore, con dargli cento venlicinqoe mila fiorini
d' oro, e mandarlo via * per dieci anni: Plancina s'assolvesse
in grazia d' Agusta.
i *se non a Germanico. Il Lai. bar « quod prò omnibus civibtis leges
obiineant, uni Germanico non eontigitse. » Sentiamo il Dati: « E 4oleTansi
che a Germanico «olo fosse tocco il non poter conseguire quel èbe a tutti gli altri
citudini permellei^n le leggi; » cioè , che fosse degnamenU gastigato chi era
reo verso di loro.
' 1 * tritare, trattare tritameate , ininutamente , scmpoloiamente.
» • confcearli, eonvincetli (cioè i figliuoli di Pisone difendenti la madre)
con accuse e con prove. La Giuntina ha t «• a chi più configgerla, » cioè Plancioa.
* dargli cento . venticinque mila fiorini d' oro , ^ mandarlo via. Di
colpa si grave, da principe si crudo fu scusato , e datogli da vivere da ro-
mano; tanto rispettata era la nobiltkf
H
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122 IL LIBRO tBRZO DS6LI ANNALI.
XYIIL Di qaesta sentenza il prìncipe moderò molte
cose: che il nome di Pisone non sì radeése, poiché pur vi
erano quelli di Marcantonio che fece guerra alla patria, e di
Ginliantonio che violò la casa d'Agosto: che Marco non ri-
cevesse quel frego,* e godesse suo patrimonio; perchè Ti*
berio, come ho dello, non fu avaro, e la vergogna della pro-
sciolta Plancìna lo fece men crudo. Né volle che a Marte
vendicatore si consegrasse nel suo tempio statua d' oro, co-
me voleva Valerio Messaiino; né altre alla Vendetta, come
Cecina Severo ; dicendo, tali cose farsi per le vittorie di
fuori: i mali di casa seppellirsi nel dispiacere.* Avendo Mes-
saline aggiuntò che della vendetta di Germanico s'andasse
a ringraziare Tiberio, Agusta, Antonia, Agrippina e Druso;
L. Asprenate presente il senato gli disse: « E Claudio? lasci!
tu a sciente? » ' allora si scrìsse « e Claudio. • ^ Quanto io
più le memorie antiche e nuove rivolgo, più trovo da ridere
de' fatti de' mortali pgn' altri per futuro principe s' intona-
va, • sperava, venerava, che costui, che la fortuna teneva in
petto.
XIX. Indi a pochi giorni Cesare fece dare dal senato a-
Vitellìo, a Veranio, a Servèo certi sacerdozi. A Pulci nio pro-
mise favorirlo, chiedendo • onori, e l'avverti a non isca-
vezar la retorica per troppo volerne. ' Qui fini la vendetta
* *y^o^»fr*gH>, ignominii.
S imali di xasa seppellirsi nel dispiacere. Agusto le divalgò (*), e
n' ebbe biasimo. Domiziano , Aminta , Filippo , e altri con loda le tennero in
seno. Lorenzo de' Medici a. uno che Toleva dar nel sangue, ricordò che gli agia-
menti a Firenze si votano di notte.
* a sciente? Vi s'intende, animo j cosi dicevano gli antichi gentil*
mente j noi diciamo «rppo^ta, impruova, sgraziatamente.
^ * Claudio t fratello di Germanico , uomo inetto da essere £icilmeote di-
menticato anche dagli adulatori , « che tuttavia fu il solo deUa famiglia che per-
venisse alif impero.
S * «^ inlMMM. V«di lib. II, 56.
B * chiedendo t qtlando e' chiedesse.
^ non i«MMMr Al retoricm. Contai per tfappo ««iificcar Pisone e
mancina (*^> «mnt poca dieopra k deUo, gli tnisa in compassione e liberò. —
* per tréppo vohme. Il Ma. t «e V avverti a non fava alla reUorica , per
(*) f« dtvulgò, « sotto, le umtro im seno, elo« i malil Cosi tatto lo migliori staaipo, n*
mi foao arrisebiato di eomgf ero qai it in li» avoa4o vwlato altro voHo «ho il MMiro osa par
corta sua strayagoBsa il pronomo fommiailo invoco dol maschilo.
n lA Gioatina: « por troppo oonBgger Pianoìna.... la miso; » e manca « e Uber6. »
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IL LIBRO TSaZO DBfiLI ANNALI. 123
della morto di Germanico, narrata da que'ch'eran vivi, di-
versa da' segnenti : * si mal si sanno le cose grandissime :
tenendo alenai ciocobò odono per sicurissimo, altri travolgono
la verità, e V nao e V altro, chi doppo viene, accresce. Droso
per ripigliare il soo grado, osci di Roma e rientrò ' ovante.
Pochi giorni appresso Vipsania sua madre mori, solade'nati
d' Agrippa , di buona morte; gli altri, o si seppe di ferro, o si
tenne di veleno o di feme.
XK. Nel detto anno Tacfarinate, che la state dinanzi
fu rotto dà CammiUo, come s' è detto, ' in Affrica rifece
guerra: e prima guastò molto paese a man salva per la pro-
stesa; rovinò casali, fece gran prede; poscia assediò presso
al fiume Pagìda una coorte romana in un castello, tenuto da
Decrìo soldato bravo e pratico, a cui parve vergogna patire
assedio: e confortali i suoi, si presentò fuori a (combattere:
piegarono al primo assalto. Entra egli tra Tarmi; para chi
fugge; sgrida gli alfieri, che i soldati romani voltino le spalle
a truffatori, a canaglia. Pien di ferite, perduto un occhio» a
viso innanzi s'avventa tra le punte» e.da'snoi abbandonato
sempre combatte, si cade. *
XXI. A tal nuova Lucio Aprooio succeduto a Cammillo,
più per vergogna de' suoi che per gloria de' nimici, de'dieci
l' uno della ontosa coorte tratti alla ventura (gastigo in quei
tempi raro) vituperosamente uccide. ^ Giovò tanto questa se-
verità, che un colonnello di non più che cinquecento fanti
vecchi, ruppe que' medesimi di Tacfarinate, che Tela, for-
troppo cacrìare , rompere il collo ; ■• poi cancella e riaerive : « a l'avrertì • non
iacavcsar la rcttorica per troppo cacciare i « e di nuovo corregge : « per troppo
volerne. » Ma vedi com' è detto egregiamente , che scavezzano la rcttorica coloro
che troppo rettoncbeggieiido > ottengono il rovescio di ciò che si propongono!
Questo è ben altro che ìXfacundiam violentid precipitare del te<to.
< * dipersm da'teguemti. Non pare esatto. Più cbiaraineote il Dati: • della
quale varianente si parlò , non solo appresso di qneUi che viveaoo a ipiel tempo,
ma Be' tempi ancora segniti di poi. f
* uscì di Bontà e rientrò. All' entrare in Roma , forniva il grado , e
scasa grado non si trionfkvn.
S come s* i detto, sopra, lib. II, 53.
* * sì cade, sinCftntochè p«n cada. Vedi alUi esempi di questa particella ,
lib. I, 6d, 70, e lib. II, 8J.
B * vituperosamente uccide. Il Lat. ha: m/usU necat, • a colpi di bastone.
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124 IL LIBSO TBBZO DEGLI ANNAU.
te^a nostra, battevano. Ove Elvio Rofo fantaccino meritò
corona di cittadino salvato.^ Cesare gliela donò, e con Apronio
si dolse, senza però spiacerglì, che come viceconsole non gli
donasse anco questa, come le collane e V asta. * Tacfarinate,
essendo ì Namidi spaventati, né volendo più assedi, si spar-
geva per la campagna: affrontato, sgaizava e rigirava alle
spalle, e mentre tenne questo modo il barbaro, beffò franco
e straccò i Romani. Calalo alle maremme, e standosi nel
campo a covare le see prede ; Apronio Cesiano mandato dal
padre co'cavalli e fanti d'aiuto, e co' più veloci delle legioni,
felicemente il combattè e cacciò ne' deserti.
XX IL In Roma Emilia Lepida, cai oltre allo splendor
della casa far bisavoli L. Siila e Gn. Pompeo, fa accasata di
falso parto di Pubblio Quirinio, ricco e senza figliuoli; e di
adulterii e di veleni e di pronostichi' fatti fare da' caldei^
della casa di Cesare. Manìe Lepido suo fratello la difendeva.
Quirinio ne la rimandò, e anche perseguitandola-, fece in-
créscer di lei, quantunque rea e infame. Male si vide come
il principe la intendesse; tanto variò e tramescolò ira e cle-
menza. Prima pregò il senato non trattasse di maestà: poi
incita Marco Servilio, stato consolo, e altri testimoni a dir
su cose che prima accennò le tacessero. Allargò dall' altra
banda i servi dì Lepida dalla prigionia de' soldati a quella
de' consoli,' e non volle che fosser martoriati sopra le cose
di casa sua: e che Druse, consolo disegnato, lasciasse dire a
un altro il parere. Chi l' attribuiva a civiltà di non necessi-
tare gli altri a seguitarlo, chi lui diceva si crudele che non
arebbe ceduto il suo uficio, se non per dannarla.
XXIII. Facendosi ne' giorni di quel giudizio una festa,
* * corona di citiadino saldato, la corona destinata a chi salva xkù. eìt-
tadino.
' * corno le collane e l'asta^ come gli aveva donato le eollane ec.
' pronostichi....... della casa di Cesare. Non ai cerca la ventura de' prin-
cipi per ben nessuno. —-* pronostichi. U Ms. : « indovinamenti ; » poi cancellato
e riscritto come sopra. «
* * caldei , astrologhi, indovini ; cosi detti perehè la loro arte vane venne
in prima della Caldea.
^ J Horgan.., dalla prigionia de* soldati a quella de* consoli, più larga.
Vedi la postilla 3 del sesto libro. — * Vedi, cio^, lib. VI, cap. 3, la postilla alle
parole « prigionia de' magistrati ec. »
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IL uno TBftZO MOLI ANNALI. 135
Lepida enirò nel teatro con una nobiltà di donne, e con
pianti e strida invocando i suoi maggiori e Pompeo (cai era
quella fabbrica e vedeanvisi le sue immagini), commosse tal
pietà e pianto cbe maladivano crudamente Qairinio e chi
aveva, la destinata già. per moglìere di L. Cesare e per nuora
d'Agosto, affogata a cotal vecchio senza roda, contadino.^
Avendo poscia i servi tormentati confessalo V enormeze da
lei; le fa tolto acqua e fuoco, come pronunziò Rubellio Blando
seguitato da Druse; se bene altri volevano meno rigore. I beni
per amor di Scauro, che n' avea una figliuola, non andare
in comune. Allora finalmente Tiberio palesò, che sapeva
da' servi di Qairinio, c<»ne Lepida il volle anche avvelenare.
XXIY. Avendo in poco tempo perduto, i Calpurnii, Pi-
sene, e gli Emilii, Lepida; ' Decio Silano, rendulo a'Giunii,
racconsolò l'avversità di tre gran case: lo cui caso dirò
breve. Agusto fu nelle cose publiche felice : in quelle dì casa
sgraziato per la figliuola e nipote disoneste : le quali cacciò
di Roma, e fece i drudi morire o fuggire, facendo tali colpe
divolgate casi di stato e di resia ;' faori della clemenza delle
antiche e delle sue stesse leggi. Ma io lesserò la fine degli
altri, con l'altre cose di quella età, se tanto viverò che io
riempia le ordite. Decio Silano, giaciutosi con la nipote d'Ago-
sto, se ben Cesare non fece che disdirgli V amicìzia, lo in*
tese e si prese V esilio : né osò chiederne grazia se non al
tempo di Tiberio col caldo* di Marco Silano suo fratello,
potente per grande facondia e nobiltà: dal quale Tiberio rin-
graziatone in senato, rispose rallegrarsi anch' egli che il fra-
tei di lui fosse di lungo pellegrinaggio tornato : e con ragio-
ne, poiché né senato, né legge il cacciò; ma terrebbe ferma
< * contadino i qui per nomo ignobile.
Se gli Emilii, Lepida» Vist» la correcione del Mercert , mi correggo
coti : « Beoio Siboo reodato t' Giunii ristorò le odiose perdite fatte in poco
tempo, i Calpurnii di Pisone , e gK Emilii di Lepida. » {*)
i ' edi rMM. La tradmìone del Dati sarà conmienlo. « Imperocché quando
egli arveni^a che tali colpe intra gli n<miini e le donne commesse venivano di-
vorate , egli allora allegando di venirne offéso la religione e violato le leggi della
maestà, si discoatava dalla clemenaa de* nostri antichi e dalle kggi sue mede-
* * col caldo. Il Lat.: • potentid. »
(*) Postula detta «ioaUna, nansaBle nelle altre edbkmi.
li*
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126 IL LIBBO TBB80 DBGLI AMICALI.
r offesa e disposizione di suo padre contro di lui. Cosi po-
scia visse in Roma sicoro, ma esoso. *■
XXV. Propesesi di moderare la legge papia peppea^olie
Agnslo già vecchio, dopo le gialie, fece' por muovere gli
smogliati con le pene ' e per ingrassare il fisco: ' né perciò
crescevano (mellendo più conte V essere scapolo) i mogliazi
nò i figlinoli, ma i rovinati: sovvertendo i cavilli de' cerca-
lori ^ ogni casa. E dove priaui per le peccata, allora per le
leggi si tribolava. Il che m' invita a dire pia da alto l' ori-
gine della ginsiiaia, e come le leggi siano a questa infinità
e varietà pervenute.
XXYI. Yiveano i primi mortali* senza reo appetito.
* sicttrOf ma. esoso. Pronuiniasi l'una e l'altra s come esito, uso,
esilio, esulo s e sigBÌ6ca esoso propriannanaate un ciltodìno mal mto e
in disgrafia dello aUto che regge , che noo ha cagioni di panùlo ; ma oon Io
può vedere , e non gli da onori.
* fer muovere gU smogliati con le pene : — « Incitandis coflibum pte-
nis: - è un tacitismo; aeèoodo il quale ai pnò dire, per aecrescere agii smo'
gitati le pene. E forse ci ha scorrezione. Morirono nella guena civile ottanta-
mila da portar arme. Giulio Cesare fece forte leggi perchè la gente sLmaritaase.
Agusto tutte le ridusse a una, e li fece dire, non sua, ma papia poppea,
da' nomi de' consoli di quell'anno 763, p«T li mobi lacci e oncini aggiuntivi
alle facoltà de' privati; tali, che Severo imperadofc e li fcgoenti gi«reéoMtiUi
tutte (jueste e simili ipique leggi papié annullarono.
5 e per ingrassare il Jisco. Questa era Tintenzion principale e l'anima
della legge. Andavano dottoretti storcileggi (*), messi al teno o alla metk del
gvadaf^o , a cercar le case e levar le scritture , per trovare clu godesM lasci
o redità contro alla legge ; la quale storcendo per modi iniquissimi erano con
loro sicarie armi legali, delli stati d'ogn'uno ammasatori.
* * eU^ cercatori. Il Lat.: « delatorum, n
B Viveano i primi mortali. GonUno gli scrittori del Mondo Nuovo
come nella costa a mezo dì dell'isola Spagnuola viveano gli uomini in que-
ato vero secolo d'oro (**). Non v' era mio ne tuo , cagione di tutti i mali j non
fòssi , non mura o siepe gli divideva j U terra eia «ornane come l' acqua e il
sole, f ogni cosa (di ai poco creo contenti) Iobo avaiMUiva; e amando il giusto
pernatura, e gl'ipg»miosi cornei canibali od^do, nb leggi dà giu^à cpno-
secano ne signorie. Quinci si può argiwMQtare vedendo i paesi vw e salvali*
chi, per la veputa de' forestieri, perdere la loro htàU semplicitade , e acqui-
stare lumie splendori di nuove. arti, sAiAose e ooatami, ma con ea«i misera
servitù, g9err«, desolaaioni, e ritprnare la primaia lalvatièlieMa dopo lungo
n MoniUit* m«M« neUa Siurtina. Ma nsU'eseflBplan postìUcto del Conto Mwrtart v>è
aggionto a penna.
n Nella Giuntina oomincU éoù: « Pietro Martire d' A^gier» milaoeae, dal consiglio
dell'Indie presso il re cattolico, nel fine del teno del Mondo nuovo» eonta come nella eosta a
ineio dì dell'isola Spagniuola viveano .gli wmini in qoeat» vera laeolo 4^ et». »
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IL LIBRO TERZO DEGLI ANNALI. 137
lordara p scelleraggine alcana, e perciò senza Creai o pene.
Non vi occorrevano premi, volendosi per natura ti bene; non
minacce di pene, non usandosi il male. Tenutane la disu-
gualità, e in luogo della modestia e vergogna, V ambizione e
]fl forza ; le signorie montaron su , e molti popoli le banno
patite eterne. Alcuni da principio, o quando stuccati furoo
de' re, vollero anzi le leggi. Queste ne' primi animi rozi for
semplici : le pia famose diedero Mìnos a' Candiaai, Licurgo
atli Spartani : poscia Solone più squisite e numerose alli Ate-
niesi. Noi resse Rcmiolo a suo senno. * Noma acconciò il po-
polo a religione* e divinità. Qualche cosa trovarono Tulio e
Anco ; ma Servio Tullio fu sovrano datore di leggi da ubbi-
dirsi ancora dai re»
XKVIL Cacciato Tarqoinio, il popolo contro a' discor-
danti padri molto provvide per difender libertà, e pace fer-
mare, e si creare i dieci: e raccolto ovunque fasse il miglio-
re, ne foron compilate le dodici tavole, ov' è tutta la buona
ragìone.PercJiè le leggi dipoi, se bene alcune contro a'ma'fat-
tori, le più furono violente per discordie de' nobili con la
plebe; per acquistare onori non leciti, cacciare ì grandi e
altri mali. Cosi i Gracchi, i Saturnini soUevaron la plebe:
e Druse non meno, in nome del senato' donando. Così fu-
rono i collegati nostri con isperanze allettati, o per contra-
sti * beffati. Né nella guerra d' Italia, e poi civile si lasciò di
far leggi assai e contrarie : le quali avendo L. Siila dettatore
annullate, racconce e molte più arroto,' la cosa fermò: ma
per poco, per li scandolosi ordini di Lepido, e poco appresso
per la fenduta licenza a' tribuni di fare il popolo a lor modo
ondeggiare. E già si facevano leggi, non pure in generale,
giro di secoli. Che se il mondo dorasse tanto , tutta la terra partecip«reU»e
egualmente di tutte le um»B« oscurità , e di tutti gli splendori a vioetda^ come
delle tenebre e della luce del sole.
* * a suo senno. Il Ms. x «• a modo sno| m poi corretto^
* * a religione, fl Lat.: m religionihtés..... devkunt,» colle saer« «erimooi^
' * in nome del senato. Il Lat«: ttnomine, *• sotto pietesto. Questo M. làvio
Dmso seppe cosi bene coprire i suoi fiati ohe Cicerone {pito MiL 7 ) lo cbiavM
« propugnatore e quasi patrono del senato. »
* * per contrasti: e riscritto sopra, per apposizioni. Vedi Ms.
* • arrote, aggiunte.
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12S IL LIBftO TBIZO DBGLI ANNALI.
ma eontra particolari : e nella repnblica corrottissima ^ leggi
assaìssimo. ^
XXVIII. Allora Gneo Pompeo nel terzo suo consolato
fatto riformator de' tostami, e più che i peccali i rimedi
saoi nocendo,' e le sne leggi egli stesso guastando; quello
ch'egli con Tarmi difendeva, con l'armi perde. Dipoi per
Tenti anni fa discordia : non costume, non giustizia : franco
il mal fare, il bene spesse volta rovina. Agusto finalmente
nel sesto consolato, assicuratosi nello stato, le iniquità co-
mandate nel triumvirato annullò, e ci die leggi da pace,
sotto principe, il quale poi ne ristrinse,^ e miseci cercatori
a rifrustare chi, senza poter esser padre, tenesse lasci, per
la legge papia poppea ricadenti al popolo romano comune
padre. Ma essi per agonia dà loro stregue * passavano i ter-
mini, e rapinavano le città e V Italia, e ciò eh' era di cil^ta-
dini. Molti rimasero ignudi, e gli altri lo si aspettavano. Ma
Tiberio trasse per sorte cinque consolari, cinque preterii e
cinque semplici senatori che dichiararon di quella, legge i
sani^ intendimenti, e per allora un poco si rispirò.
XXIX. In quel tempo Tiberio pregò ì padri che faces-
sero Nerone,^ figliuòl maggiore di Germanico, già fatto gar-
zone, abile alla questura senza esser seduto de' venti, ^ e
' nella republica eorrotUssima » leggi assaissime. la camen del*
r infermo, qiundo peggiora, gli alberelli e l'ampolle moltiplicano e l'appa-
iano, e Ini aggravano e 6niscono..(*)
' * nocendo. Aveva scrilto « danneggiando; » quindi corresse. Vedi Ms.
' * il quale poi ne ristrinse ec. Non è chiaro. Cosi il Valeriani : « Egli i
iociali vincoli rinforsò ; pose spie , e per la legge papia poppea le anioaò co' pre-
pù , perchè a chiunque mancasse ragion di padre, qual padre comune il popolo
nelle vote ereditai succedesse. »
* * per agonia di loro stregua , per aviditli dello scotto che ne guada-
^*i sani» Nel Ks. : « i puri ; » poi è corretto.
> * Lo fece poi uccidere nell' isola Pomia (Svet. in Tib. 6A).
^ * Il magistrato de' Venlunviri era 1' adito alla questura e agli altri onori
della repubblica. Gomponevaai di tre giudici delle cause capitali (triumviri capi-
tales) j di tre depuUti a contare il danaro ( triumviri monetales ) j di quattro a
earare le vie urbane {tfuatuor viarum curatore* ) t e ^ <lùci a giudicare le liti
{decemviri litibus iudicandis).
o eseniplare del Conta Moitara : « s'e'non aggra-
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IL LIBRO TBRZO DEGLI ANNALI. 129
aom €inqae avanti le leggi, non senza ri8o de' pregati. *
Tanto (diceva egli) fu concedalo a Ini e al fratello a* preghi
d'Agosto. Che se ne dovcitton sogghignare ' ancora allora : ma
r alteza de' Cesari era novella ; gli antichi modi più in su
gli ocelli; e meno strignevano quo' figliastri al patrigno, che
questo nÌ4>ote all' avolo. Fatto fu adunque e questore e pon-
tefice ; e un donativo, quel di eh' ei prese il grado^ alla plebe
allegrissrma per vedere a un figliuolo di Germanico già le
caluggini; e più. poi per le noze sue con Giulia figlinola di
Druso. Dispiacque bene che Seiano si destinasse suocero del
figliuolo di Claudio; parendo ch'ei macchiasse si nobil fa-
miglia, e s' innalzasse uno, già sospetto di troppo aspirare.
XXX. Nel fine di queir anno morirono due grand' uo-
mini, L. Volusio di famiglia antica, ma non più che. proto-
ria : egli vi mise il consolato ; fu censore a fare de' cava-
lieri ; e delle smisurate riccheze di quella famiglia primo
ammassatore: e Crispo Salustio, nato cavaliere, nipote della
sorella di quel Gaio Crispo Salustio fioritissimo scrittore di
storie romane, che lo fete di quella famiglia. £ poteva aver
tutti gli onori ; ma imitò Mecenate : e senza esser senatore
fu più potente che molti consoli e trionfatori. Tenne vita
contraria all'antica: ricca, dilicata, splendida e quasi pro-
diga: fu di animo vigoroso; da gran negozi, e, per fare l'ad-
dormentato e il freddo, di cotanto più vivo.<? In vita di Me-
cenate, secondo, poi primo fu nel consiglio di quei principi:
trattò la morte d' Agrippa Postumo : invecchiato, mantenne
anzi r apparenza che la grazia del principe , come altresì
* * non sema riso de* pregati. Era da riclere che Tiberio chiedesse ciò che
il senato non poteva ornai negargli. Ben è vero- che Augusto fece già una simil
domanda a favore di Tiberio e del fratel di lui Druso. Ma sebbene , dice Tacito,
anche allora dovettero riderne alquanto i padri, pure ve n'era minor motivo che
mcm adesso; pfima, perche l*usansa repubblicana di consultare il senato era più
recente , e voleva, almeno in apparenza, rispettarsi ; secondo, perchè trattandosi
allora di figliastri e non d'un nipote come ora, i padri potevano credersi più
liberi di andare contro la- volontà del principe.
^ * sogghignare. Aveva scritto ,« sorridere ; m ma corresse. Vedi il Ms.
' e, per fare V addormentalo e il freddo, di cotanto più vivo. Tale
era Zanobi Bartolini potente e savio nostro cittadino, e molto grasso , il quale
dando a un beccaio udienza con gli occbi chiusi, quei disse, Dormite foif
rispose, Sì, e sognava di farti mozar gli Qrecchi : dì su.
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130 IL LIBAO TBKZO DB6LI ANNALI.
Mecenale; 0 sìa fatale della pQteo.ia, *■ manlenersi di rado
insìno air oUimo;* o perchè quando non rimane più a quelli
£he dare né a questi che chiedere^.si vengono a noia.
XXXI. [A. di R. 774, di Cr. 21.] Viene il consolato quarto
di Tiberio, e secondo di Proso, notevole per tale compagnia
di padre e figliuolo. La medesima, due anni fa, con Germa-
nico nipote, non fu tanto stretta per natura né grata a Tibe-
rio. Il quale nel principio di quest' anno se n' andò quasi
a pigliare aria in Terra di Lavoro, pensando voler fare
stanza lunga e continua fuor di Roma, o per lasciare a Druse
solo governare il consolato. E per ventura d* una eosa picco-
la, venuta in gran contesa, s' acquietò grazia il giovane. Do-
mizio Corbulone stato pretore si dolse in senato che L. Siila
nobile donzello, allo spettacolo degli accoltellanti, non gli
aveva ceduto il luogo. L'età, l'usanza, i vecchi erano per
Corbulone: per Siila, parenti suoi, e Mamerco -Scauro e
L. ArunziOk Di qua e di là dicerìe: ' esempi di gran pene an-
tiche date a' giovani non riverenti. Druse parlò molto accon-
cio al. quietargli, e Mamerco zìo e patrigno di Siila, e di
quella età facondissimo oratore, quotò* Corbulone. Il quale
facendo remore che molle strade d' Italia eran rotte e non
abilevoli ^ per misleanza de' conducenti e tracuranza de' ma-
gistrati, le prese a rassettare. Poco giovò al publico e rovinò
molti, a cui, condannando e incantando,' tolse crudamente
beni e onore.
XXXII. Tiberio appresso scrisse al senato che Tacfari-
nate metteva di nuovo sozopra l'Affrica: scegliessero un vi-
ceconsolo soldato, robusto,il caso'' a queslaguerra. Sesto Pom-'
* della potenxa, mantenersi. Nel qutarto dice eh« por h mmt«Dii«M. Le-
pido, e discorre tra ìì fato e la prudensa , quale ba più potere.
* * insino all'ultimo. Nel ì/b.: « essendo faUle alla poteou di rado raggera
insino alla fine; « poi corregge : « mantenersi inaino alla fine di radoj » e di
nuovo ricorregge come sopra.
> * dicerie. Aveva scritto « orasiom ; *• poi corresse. V«di il Ma.
* * quetà. Nel Ms ; « fermò ; ** corretto « acquetò ; « e finalmente «< qoetò.»
B * non abiteuoli. 11 Lat. t « impervia. » Detto delle strade, in senso d' im-
praticqbilit manca nel Vocabolario.
B * incantando , mettendone i beni all'asta.
^ * il caso. Vedi la nota 6 a pag. iS.
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a UBaO TBKXO DB«LI ANNALI. 431
peio, con qaesta presa* di nìmÌGare Mareo Let>ido, lo diase da
niente» morto di fame, vergogna di casa saa: perciò non si
mandasse in Asia, benché toccali per tratta. Il senato per lo
contrario lo dieef a benigno e non dappoco : povertade che
non macchia gentilexa, loda essere, non vergogna: cosi fa
mandato in Asia, e rimesso in Cesare a cui dar T Affrica.
XXXIII. Allora Severo Cecina disse per sentenza che
in reggimento non s'andasse con traino dì moglie, avendo
molto replicato che qaesto sno volere per lo pnblico V aveva
per se osservato, e quaranta volte che egli era andato (bori
alla goerra, tennto in Italia la donna sna pacefica e m^dre
di sei figlinoli. « Non a caso già essere stato vietato lo 'mpa-
nio * delie donne per li paesi amici o stranieri; perchè arreca
nella j>ace spesa, e nella gnerra paara; e nel marciare assem-
bra il romano campo al barbaro. Essere le donne di briga,'
fieboli alle fatiche, e, se ta le lasci fare, crudeli, ambiziose,
comandatrici: mettersi in fila tra' soldati, fare le maestresse
co' centurioni; Aver fatto una donna * pur testé le compagni^
addestrare, le legioni torneare. Trovarsi ne' sindacali, delle
sei malefatte ' le cinque venire dalle mogli. I peggiori delle
Provincie far capo ad esse: esse pigliare, esse finire i nego-
zi: due personaggi corteggiarsi: a due ragion chiedersi.- A'su-
perbi e perfidi comandari donneschi essere state già dalle
leggi oppio o altre, legate le mani ; ora che sciolte i' hanno,
regger le case, i tribunali e gli eserciti oggimai. »
XXXIV. A pochi piacque questo parlare, e mòlli lo in-
terrompevano dicendo che la cosa non era siala, proposta,
né Cecina di tanto negozio degno riformatóre^ A cui A^alerio
* * con questa presa, con quésto appiglio , con questa opportunità. Nel
Ms.! « Sesto Pompeo, presa questa maniera di nimicare M. Lepido ec.;» poi cor-
resse come sopra.
^ * lo *mpanio , l' impaccio , 1' ÌRgom1)ro.
' * Essere le donne di briga* Aveva scritto <* sconce ; » poi corresse « di
Lriga. «Vedi il Ms.
* * una donna j ciofe, Plancina.
' * malefatte. Malefatta pare che qui sìgnificlii ciò che con vocaholo in-
franciosato dicesi ritalversaxSone » cioè gi^ave fallo commesso nel reggere qualche
pubblico ufficio. Alla Crusca manca. Il testo latino dice ; « quoties repetunda'
rum aliqui arguerehtur, plura uxoribus obieciari; » cidè, ogni volta che
cadesse processo di concussione, di molte cose se ne dava colpa alle mogK.
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i32 IL LOWO TBKZO DBGU ANMALI,
Messalino, riiraeoie 4alla facondia di Messala sao padre ri-
spose: ce Molte dareze degli antichi sono ammollite e miglio-
rate; perchè non avendo noi pia Roma da guerre assediata^
né provincia nimiche, possiamo far delie spese proprie per
le donne, che non gravano le case de' mariti, nftn che i vas-
salli: l- altre cose opposte esser comuni co 'I marito, e non
da sollevare. * Al combattere si vuol bene uscire spedito, ma
nel ritorno dalle fatiche qual conjorto più onesto che la mo^
glie? Alcune sono state ambiziose e avare si, m» gli stessi
reggitori son eglino tutti Fabbrili? E pure se ne manda a
regger provincie. Hanno molte mogli guasto i mariti : adun-
que tutti gli smogliati son santi? Le leggi oppie fersi perchè
quei tempi le richiedevano ; fur poscia allargate e mitigate,
perchè fu spediente. Se la donna esce de' termini, questo è
(chiamiamola per lo^ome suo) dappocaggine del marito. Non
si dee a posta d' alcuni milensi levare a' mariti le loro con-
sorti ' de' beni e de' mali^ e lasciare questo, frale se^so scom-
pagnato in preda alle vanità sue e alle voglie aliene. Appena
si campano con gli occhi addosso: che farebbero sdimenticate
gli annii,' e quasi rimandate? Rimediate a' minori disordini
difuori : ma pensate anco a' maggiori della città. )» * Sog-
giunse DrnsOf che aveva moglie anch' egli ; « Convenire a
chi è principe rivedere spesso le parti lontane dell'imperio.
Quante volte essere lì divino A gusto con Livia ito in levante
e in ponente? ed egli in lUiria? e altrove andrà, bisognan-
do, ma non di buone gambe, dovendo ogni- volta schiantarsi
dalla sua dolcissima moglie, onde ha tanti figliuoli* » Cosi fu
scartata la setltenza di Cecina.
* * e non da solievare, e non tali da guastare la pubblica tnoqmllità.
^ * le loro consorti te. Lat « « consorlia rerum secundarum adyerta-
rumque. » G. Dati ; « Era certo coia iniqua il volere , apposta d* uno o di due
che peccavano per fiacchena, tórre a tutti gli altri le mogli le quali , o bene o
male che cuccedesser le cose, eran sempre compagne, refrigerio e conforto delor
mariti. **
' * sdimenticate gli «nnij lasciate sole per molti anni;
* * Questi due discorsi di Cecina e di Valerio Messalino si vogliono con-
frontare con i due di M. P. Catone e di L. Valerio, sopra conforme soggetto, che
si leggono in T. Livio nel principio del lib. XXXIV. Di qua e di là V eaito fu
uguale: la vinsero le donne.
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IL LIBftO TUZO DE6LI ANNALI, 133
XXXV. 1/ altro dk di senato Tiberio per lettera, fian-
cheggiati li padri * del sempre a Ini rimettere,' nominò per
viceconsole in Affrica Marco Lepido o Giunio Bleso. Farono
aditi. Lepido faceva grandi scase di cagionevole; figlino' pic-
coli; una fancialla a maritare; e, intendevasi senxa dirlo, che
Bleso (che fratello era della madre di Seiano) io scavallava.'
Bleso fece cìrìmoniosa ricosa, e latte le voci ebbe per adu-
lazione.
XXXVL Un rattennto dispiacere di molli allora scop-
piò. Ogni ribaldo, ritirandosi ad una immagine di Cesare ,
poteva dire a ogni nomo da bene ogni brottnra: schiavi, li-
berti con voce e mani spaventavano il padrone. Gn. Cestio
senatore disse: « Essere i principi come gl'iddìi: ma gl'id-
dii non ascoltare i preghi tnginsti; e ninno in campidoglio o
altro tempio fnggire per aiate a far male. Essere annullate,
sprofondate le leggi, da che nel foro, in sa la porta del se-
nato, Annia Rnlfilla, per averla egli fatta dannare dal giu-
dice per falsarda, gli dicea vitapèri con minacce: né ardiva
chiederne ragione, stando ella sotto la statua dell' imperado^
re.» Altri di simili cose e piò atroci romoreggiavano intorno
a DrÌEiso, pregandolo a farne dimostranza. Finché ei la fece
prendere, e, convinta, incarcerare.
XXXYIL Gonsidio Equo e Celio Cursore cavalieri, per
ordine del principe e partito del senato, fnron puniti di falsa
querela di maestà, data a Magio Ceciliano pretore. Dell'uno
e dell'altro giudizio Druse ebbe loda, e col mescolarsi e ra-
gionare con la gente, mitigava la tanta ritirateza del padre,
e piaceva più vederlo spendere il giorno in ispettacoli,* la
notte in cene, che rinchiuso fantasticare di cose rematiche^
* *JlatteheggiaUli padri, Anto nc'fiancbi a* padri; cioè pungendogli di
fianco , obli({namente. Il lat. ; « eatUgatis oblique patribtts. *»
' * rimettere: sottintendi gli affari.
' * /o scavallava, lo getUva giù da cavallo; cioè, ne poteva più di lui, e
perciò sarebbe stato inutile il concorrer con esso.
♦ in ispettacùli. Leggo, come il Lipsio, ediUonibtts , idest ludorum.
» cose rematicke. Berna dicevano i nostri antichi con grpco vccaliolo
la scesa che cade del celabro. Vedi il maestro Aldobrandino. A noi e rimasa
la voce aeriraU. E diciamo rematicke le cose malagevoli e fastidiose , che per
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134 IL LIMO TSKEO MOLI AMNAU.
e odiose, che Tiberio e le «pie gli pergeTano lotto di senza
vernno sollazo o risqoitto. *
XXXYIII. Ancario Prisco accasò Cesio Cordo vicecon-
séko di Candia di ladroneccio e di maestà; suggello allora
d'ogni aecQsa. E Tiberio volle che Anlislio Yetere de' grandi
di Macedonia, assoluto d'adulterio (che i giudici ne rabbuf-
fò)» tornasse a difendersi di maestà, come soUeTatore e con-
sigliere di Rescppori, quando egli ammazò Coti e ci volle
far guerra. Onde fu condennato a prigionia senz' aequa né
fuoco, in isola lungi da Tracia e Macedonia: per cagione che
la Tracia, divisa tra Remetake e i pupilli di Coti, al nuovo
nostro governo e di TrebelUeno Rufo lor tutore calcitrava, e
non meno che lui maladiva Remetake che cosi laeciasse i
loro popoli divorare. Presero Tarmi Celaleti, Odruai e altri;
nazioni forti con capi discordi, egualmente mal pratichi, che
non seppero unirsi e far guerra da vero. Chi diede il guasto
al paese, chi passò il monte Emoa condueer gente lontana:
i più e meglio ordinati assediaro il re e la città di Filippopo-
li, posta già da FiHj^ di Macedonia.
XXXIX. Qnando tali cose intese P. VeUèo generale del
vicino esercito, spinse i più spediti cavalli e pedoni addosso
a quelli sparsi che andavano predando o caendo* aiuti. Egli
co'i forte della fanteria andò a levare l'assedio, e tutto ven-
ne bene. I predatori furono 4iecisi: tra gli assedienti nacque
discordia: il re usci fuori, appunto arrivata la legione, e fe-
cesi (non merita dirsi giornata) macello di male armati, sa-
lati, e senza nostro sangue.
XL. Nel detto anno cominciarono le città galliche, affo-
fiaM pensau smnovon rema e catarro dalla testa afiticaU (*). Non viene da aro-
moti, che sono atili e noa dispìaceroli (**).
* * risqtiiUo. Vedi la nota 3 alla pag. 19.
' * coendu ^ cercando : verbo difettivo antitioato.
0 Nel Ma. magUabflchiano qaesia postilla ò più langa; ma quel cb« v»è ai più è oaa-
cenalo, ed eoeo quel che dice: « Pigliarsi una faccenda per iscesa di testa diciamo qaando in
essa non vogliamo pensare ad altro; come, non lia molto, dine in publlco nn vaìentaonwdi
! V* r?* T*!* *" ^•^ ' • «>«e «eli àis9» eoel fece. Cereo» brfgb, niee en molti, acrisie
a Yenezta, e Ubri squadernò. Ma io avendo fatte eoi no e i«n mai debito^ fai aempN
Ben tetragono al colpi di voilnra. »
n Da» Ms. si vede che da prima pendeva per qoesta opinione; peroecbè vi si legge:
« Pare che rematlelae forse venga da aromatiche, ebe soglioop dispiacere al gnsto. » OdBA can-
cella e «scrive: «Ma gU aremati non sene da esser tacili, ansi Mtatlfeti.» «"^""^
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IL UBBO TJUZO MMLI AMMALI. lg{S
gale iie'debitU a ribellarsi/ forte stimolate da Oiolio Floro
ne'Treviri, e da Sacroviro nelli £dqi, pad di nobiltà e me-
riti de'loro antichi, perciò fatti cittadini Romani: raro do-
no, e per virtù. Costoro segretamente tirano a se i più fero-
ci, rovinati e necessitati a mìsfare' per gastighi. fuggire: e
convenjfono che Floro sollievi i Belgi, e Sacroviro i vicini
Galli. Parlano dunque in brigata e ne' cerchi scandolosamente
de'contìnui tcibuti, delle enormi usure, de' crudeli e superbi
governantL « I soldati, morto Germanico, discordare; vero
tempo dà ripigliar libertà, se essi nel fiorire delie forze, con-
sidereranno quanto ' è povera F Italia, vile la plebe romana,
e che in quelli eserciti, se nerbo è, sono i forestieri. »
XLI. Quasi ogni città fu sommossa. Ma i primi a saltar
fuori furono gli Angioini e i Torsigiani. * Oppresse Acilio
Aviola legato quelli col presidio tratto di Lione; questi co* le-
gionari che Yiseliìo Varrone, legato nella Germania bassa,
gli mandò: e eoo baroni franzesi venuti in aiuto, per fellonia
coprire, e serbarla a tempo migliore. £ fecesì veder Sacro-
viro comballere per li Romani in zucca ,^ per mostrare più
valore, diceva egli, ma i prigioni, per farsi conoscere e ri-
guardare. Tiberio avvertitone, se ne fe'beffe, e co '1 non ri-
solvere, nutri la guerra.
XLII. Gonciosia che Floro seguitando l'impresa, tentò
una banda di cavalli Treviri militanti per noi al mcdo no^
stro, che con V ammazarvi ì mercatanti romani rompesse?
la guerra. Pochi ne corruppe, gli altri stettero in fede. Un'al-
tra schiera di falliti e cagnotti s'armò], e andavano verso la
selva Ardenna: ma due legioni de' due eserciti di Yesellio e
di Silio, attraversatole il sentiero,' chiusero il passo. £ Giu-
* • cominciarono , affogate nt^ debiti, a ribellarsi. Nel Ms. t u comin-
daroao per grandi debiti a hbellani, slimolate acutamente da GiaUo Floro.»
Poi cancella e Tiacrire come sopra,
* * a mis/are. Aveva scritto: « al peggio farej ** poi corresse. V. il Ks.
* * se ^ssi nel ferire delle forze » considereranno quanto ec. Nel Ms.
Icggesi, caacdlato: « se essi considereranno le fone loro è guanto ec. »
* * gli Angioini e i Torsigiani: qoegli di Anjou e di 2Vw^> capitale
della ^areoft. I nomi antichi sono Andecavi ae Turani.
9 * A» ztioca» n lat.: « inteeto capite. »
8 * aUraversMeU il sentiero. Nel Bis. vedasi cencellatoc « attraveimido
il cammino. *•
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136 a unto raizo umle amnau.
Ho Indo, di Floro nimico e compatriotto, perciò all' opera
più intento, mandatoTi con gente scelta , sbaragliò quella
turba ancora disordinata. Floro s'ammacchiò:* vedendo poi
presi i passi dell'uscita, s'uccise e Ai finito il movimento
de' Treviri.
XLIII. Con gli Edui ci fu più che fare* quanto erano
più potenti, e le forze per attutarli lontane. Sacroviro prese
per forza Autun lor città principale , e la nobiltà de' giovani
franzesi che v'era a studio, per guadagnarsi con tal pegno i
lor padri e parenti. Fabbricò armi segretamente e diele alia
gioventù. Furono quarantamila, la quinta parie con armi da
legione, e '1 rimanente con ispiedi, coltelli e altro -da caccia;
dtre certi schiavi destina ti per accoHellatori, coperti d'unpezo
di ferro a loro usanza , chiamati crupellai'che tirar colpi non
posson né li passano i tirati. Aggiugnevasi a queste forze gli
animi delle vicine città, se non in publico scoperti, pronti in
privato; e la gara de' capitani nostri, volendo questa guerra
ciascuno fare: pure Yarrone, per Vecchiezza debole, la lasciò
a Silio vigoroso.
XLIY. In Roma si diceva non pure i Treviri e gli Edui,
ma sessantaquattro città delle Gallio essersi rivoltate e col-
legale co' Germani; le Spagne tentennare; ogni cosa^ come
si fa delle male nuove, si credeva maggiore: a' buoni incre-
scova del publico: molti, per odio dello stato presente e de-
siderio di mutarlo, si rallegravano de' loro stessi pericoli, e
maladi vano Tiberio che, quando ardeva il mondo, badasse
a postillare i processi degli accusati. « Domin se * i p^dri ci-
^ * s* tnnmacchià , si nascose nella macchia.
3 * ci fu più che fare. Nel Ms. leggesi , cancellato: « Con gli Edai nacque
più briga, n
' crupelUi» Anni poco menò ridicole usava la nùlisia sfoncsea , Inaocc*
sca e di Niccolò Piccinino > nella cui rotta d'Anghiari mori uno nella calca.
Nel primo delle Storie simile armadura dice usare i Sarmati.
* Domin se. Tutto questo sdegnoso parlare di popolo irato- h secondo
Aristotile nel terso della Rettorica. Troppo fiorentino pareva a qualcuno. Io
non 1* bo saputo moderare ; ma ci ho aggiunto la cagione di qnel^ che il testo
dice miseram pacem vel beilo bene miOari. Forse quinci tcatta da Seneca
nelle Controversie: An non pratsUtt cercicem semei incitii, quam semper
premi t Quis tum iimidus est, ut malit semper pendette , tfuam semel
cadere?— * Domin sé: particella che significa dubiUtiooe ironica.
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Il UBaO TBKZO DBaLI ANNALI. 137
leranno Sa€roviro a comparire per qoesto caso di sialo?. Ve*
dive' ^ che par ci ha chi sappia con l'armi scampanare * que-
sti pistolotti scritti col sangoe. Tronchi la guerra di colpo alla
repoblica jl collo anzi che pace si sciagurata lo le cinci-
schi.»' Tanto più saldo e sicuro, senza cangiar volto né luo-
go, Tiberio qqe' giorni passò al solito, per grandeza d'animo
o per sapere tanti finimondi non ci essere.
XLV. Silio, camminando con le due legioni, manda in-
nanzi una mano d'aiuti, e guasta il paese de'Sequani confi-
nanti e collegati con gli Edui che in arme erano: e vanne ad
Antan a gran passo, gareggiandone gli alfieri e i fanti gri-
dando, che non volevon riposo né di né notte: vedere il ni-
mico; mostrarli il viso; bastar questo per vincere. Dodici mi-
glia lontano in una pianura si vide Sacroviro in battaglia
co' ferrati * in fronte; ne'corni la fanteria; dietro i male ar-
mati: esso co' principali bene a cavallo scorreva; ricordava
l'antiche glorie de' Galli, le rotte date a' Romani: quanto sa-
rebbe, vincendo, gloriosa la libertà; e perdendo, più dure
le rimesse catene.
XLYI. Poco disse a poco lietr,*^ perche le legioni com-
parivano. Essi terrazani, non ordinati, non saldi, nò occhio
né orecchio sapevano adoperare. Per lo contrario Silio, ben-
ché tanta pronteza non chiedeva sprone, sclamava: « A voi
vincitori delle Germanie é vergogna apprezare i Galli come
* * Fedine*. Nella Giuntina età cosi in una sola parola: la Crusca ha F^edi
ptf*, citando questo luogo alla voce stampanarej ma poi noi registra tra i molti
tipificati del verbo Fiedére. È modo enfatico di richiainaTe Patteniione, come
sta a vedere che. Il lat. ha: « eartitìsse tandem viros, qui cment/u epistdas
armis cohiberent* m
' " stantpanare e stampare vale lacerare, sforacchiare, stracciare ec. Nei
Ricordi di Francesco Ricciardi si legge : « Essendo al campo de* Fiorentini colla
loro'artigliana dirimpetto a una forteasa di Pisa, eio^ una torre che h in sulle
mora chiamata Istampace, che si chiamerà per l' avvenire Stampata , perche il di
di nauti fùe istampata e fracassata ec. •• <Vedi Bicordi JìlologicL Pistoia , 1847 ;
pag. 67.)
^ * lo le cimciseht. Qui per amore de' modi popolari ha dovuto aHargarsi.
Il ht. ha : « Hiseram pacem vel bello bene mutari, » Di una pa^e sciagurata
tal meglio anche la guerra.
* * ea'/'erratij cìck, co* crupellai ricordali sopra.
B * Poco disse a poco lieti. G. Dati: «Questa csortaiione non durò molto,
n^ meno con lieti volti fu accettata. *•
12-
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138 IL tlBftO TKftlO BEALI ▲NflALf.
nimicì. Di questo esercito dianzi ona coorte sbaragliò il Tor-
sigiano ribellato: ana banda il Tréviro: pocbi cavagli ì Se-
qoani. Ora questi Edoi , quanto più danarosi sono e pia mor-
bidi, tanto meno da guerra. Che guerra? legateli, e addosso
a'Tnggentt lanciatevi/ » LeVossi alto grido. La cavalleria gli
attorneò; fanti investiron la fronte; a'fianchi non s'ebbe a
badare; co' ferrati si ebbe; perché spade e lanciotti non fo^
ravano quelle piastre: onde i nostri con accette e beccastri-
ni, come avessono a mandar già torri, quelle ferramenta e
membra squarciavano, o con pali e forconi atterravano quelle
massacce; e non potendosi cosi intlrizati rizare, gli lascia^
vano per morti. Ritirossi Sacroviro, prima in Autun, poi
(temendo non s'arrendesse) in una villa vicino, co' più fidati
suoi. Quivi egli sé di sua mano, gli altri Tun l'altro s'ucci-
sero ; fitto fuoco nella villa che arse ogn' uno.
XLVIL Allora, e non prima, scrisse Tiberro al senato
il principio e. la fine di questa guerra veraceniente,* come !
legali con la fede e virtù, ei col consiglio l'avevano condot-
ta : e che non v'era andato egli né Druso per maestà; disdi-
cendosi a prìncipe, se questa città o quella scapestra, uscir
del centro di tutto il governo. Ofa che per paura noi fa.
T'andrebbe per veder tutto con l'occhio, e stabilire; I padri
ordinarono per lo suo ritorno boti, prlcissioni e altre coée.
Cornelio Dolabella, adulatore più saccente degli altri, pro-
nunziò che da Capua in Roma egli venisse ovante.' Eccoti
lettera di Cesare, che non era si mendico di gloria, che doppo
tante ferocissime genti domate, tanti trionfi avuti e rifiutati
in giovaneza, si volesse ora in sua vecchiaia pagoneggiare
d' un pellegrinaggio d' intorno alle porte di Roma.
XLVIII. Io questo tempo ai senato domandò che a Sul-
pizio Qttirlnio ai facessero esequie poMiche. Non era de* Sul»
pizii antichi senatori: nacque in Lannvio: fu soldato feroce.^
* tanciatevL Arei detto scaraventatevi: ma cappita f il Mario ci gridv. (*)
* * veNuemmU. ti Ms. reei, caiMdlito! « leou hmtt nfè pórre. »
' * orante. MclMs. vedeai emceUalo; *e eoU'oo oo dÌ«Cro. Écéoti una let-
tera ec. M i
* */m soldato ferace. Il Mi.t « fi» valoroao ioldMd; w «atteeUa e riscrive t
«» «tUata fiei^> » di awMro cmcellar ♦ aerivc f * fero««y »
(*) Delle batUglie fliologiehe tra il DaTauati « n «ozio è partalo naf DiaeorM ralla tÌU.
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IL LIBRO TÈRZO DEGLI ANNALI. 139
Agttsto l'adoperò in forti affari, e, fatto consolo , prese te ca-
stella degli Omonadesi in Cilicia, e n'ebbe le trionfali. Go-
yernò Gaio Cesare quando tenne l' Armenia. In Rodi fece
servitù a Tiberio clie se ne lodò in senato; e dolsesì di
M. Lollio che avesse messo Gaio Cesare In su le cattitità e
risse. Ma il popolo odiava Qnirinio, per aver, com'è detto,
rovinato Lepida, e per essere vecchio sordido e strapotente.
XLIX. Allo scorcio dell'anno Gaio Lntorio Prisco, ca-
valier romano, dopo Favergli Cesare donato, per aver pianto
con ona lodata canzone la morte dì Germanico, fd accusato
d'averla composta prima, Quando Druso ammalò, e detto
battendosi l'anca: «Domine fallo tristo quel Druso, che non
crepò, che n'avrei buscato altra mancia. » Léssela per vanità
in casa Petronio a Titellia sua suocera, e altre gentil donne,
le quali confessarono per paura. Titellia sola disse scopre,
non aver udito niente;^ ma fu creduto più a quelle. Aterio
Agrippa eletto consolo, dannava il reo al sommo supplizio.*
L. M. Lepido contraddisse cosi: « Se noi guardiamo so-
lamente, padri coscrittf, con che nefanda voce Lutòrfo Pri-
sco ha sporcato la sua mente e gli orecchi degli uomini; né
carcere né laccio né servile strazio gli è tanto. Ma se il di-
screto principe, se gli antichi, se voi, date pure ali i smode-
rati peccati, moderati' supplizi o rimedi; e divario è da va-
nità a malizia, da detto a fatto; e^si può dare una sentenza,
per là quale costui si gastighi, e noi facciamo equità. Io ho
udito più volte il principe nostro dolersi del non aver potuto
graziare alcuni ammazatisi troppo presto.' Lutorio è vivo, e
non fisi di pericolo il mantenerlo, né d'esempio l'ucciderlo.
Attende a frottole e deboleze che svaniscono: e poco male
vuol farci chi s' accusa jd asse, e piglia gli animi non degli
uomini ma delle donne. Caccisi nondimeno fuor di Roma,
perda i beni e acqua e fuoco, come fusse caso di stato. »
LI. Rubellio Blando solo, uomo consolare, seguitò Lepi-
' niente: neente dicevano gli «ntichi più accosto al né mtf latino, e in
qudche acconèio loògo non \ da schifare.
S qI sommo snppUzIo'. Qutd fosse, vedi k postilla i7 àA libro II. C)
S * Come fece di Stribonio Libeiiéi Vedi sopra lib. fi, M.
(*) Di qaesta cdisioMf n«ta 4, a pag. 78.
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140 IL LIBBO TBHZO DBjGU ANNALI.
do; tutti altri Agrippa. Prisco fa incarceralo^ ^e, caldo caldo^^
ucciso. Tiberio a' padri ne fece richiamo co'sao'an^rivieni;
lodò al cielo la lor santa mente in punire ogni lieve offésa
del principe; pregò non fulminassero pene alle parole; lodò
Lepido , e Agrippa non biasimò. Là onde i padri ordinaro
che i loro decreti per dieci di non andassero in camera," per
dare a' giudicati questo spazio di vita. Ma né il senato av^va
libertà di ritoccarli»' nò Tiberio per indugio si mitigava.
Lll. [A. di R. 775, di Gr. 22.] Seguita il consolato di Gaio
Sulpizio e Decio Aterio. Anno, fuori, quieto; in Roma, so-
spetto di severa riforma alle pompe e scialacquìi di danari,
a dismisurata trascorsi. Molte spese, benché grandissime^
spesso si nascondevano nel frodare i pregi: ma le ricche im-
bandigioni e apparecchi della gola, tutto di favellandosene,
miser pensiero non gli volesse quel principe parco airantica,
ritirar duramente. Prima G. Bìbulo, e poi gli altri Edili scla-
mando, « La legge dello spendere si sprez^; i ricchi arredi
vietati ogni di crescono; rimedi mezani non servono: ohe da
fare ò?» i padri la rimisene in tutto a Tiberio. Egli un pezo
pensò se rattenere tanta sfrenateza di voglie sarebbe possi-
bile, se più dannoso alla republica: che indegnità por mano
a cosa che forse non passasse, o, passata, i grandi disono-
rasse I Finalmente compilò questa lettera al senato.
LIIL « Nell'altre proposte, padri coscritti, forse ò bene
che io sia domandato e dica in voce il mio avviso: questa è
slata meglio sottratta dagli occhi miei, acciocché quei ver-
gognosi scipatori* che voi vedete arrossare e temere, anch'io
non vegga e quasi colga in peccato. £ se qne' prodi edili me
ne domandavano, io forse li consigliava a lasciare anzi correre
i vizi abbarbicati e cresciuti, che altro non fare che scoprire
come noi non bastiamo a stirparli. Essi hanno ben fato l'ufi-
cio loro e come io vorrei che ogn' altro magistrato facesse*
ma a me non ò onesto tacere, e non so che mi dire: perché
' * caldo ealdo. Lat.: m siatìm. »
*.* in cwnera. Lat;; m ad terarùuk, m '
^ * di ritoccarli. Il Lat.: « non sfatai liberta* tid panHoidum etùt: »
non aveva fiicoltk ài rivocare tiò che avene una volu delibaralo.
* * sciptUori, diasipatori, diJapidaWri. Pasiavanti: « I beni del corpo aeipa
e guasta. »
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IL UBIO TBBZO DBGLI ANNALI. 141
io non ho a far Tedile né '1 pretore né '1 consolo: maggiori
cose e più alte s'aspettano a principe: e dove, se an solo fa
bene 9 ne li é ogn'uno tenuto;^ se tatti fanno male, egli solo
n'è lacerato. Ma che comincierò io prima a vietare, o riti-
rare al modo antico? le ampissime ville? i tanti schiavi di
tante lingue? le masse dell' oro e ariento? i bronzi e le pit-
tare di miracolo? il vestir di seta gli uomini come le donne?
e. per le gioie loro lo spandere i nostri tesori per le moodora
strane o nimiche? '
LIV. » Io so che qaesti abusi nelle cene e ne' cerchi son
biasimati e si vorrebbon levare: ma come e' si venga al farne
leggi e porvi pena, qae' medesimi metteranno Roma a romo-
re,' dicendo: e' si gltta il giaccio* sopra i più ricchi ; e coprirà
ogn'ano. Ma come i vecchi malori impigliati nel corpo si gua-
rificon co *ì ferro e co '1 fuoco; cosi Tanimo quando è infettato
e infetta, e di focose libidini arde e languisce, con altrettali
rimedi si vuole attutare. Il disuso delle tante leggi antiche,
il dispregio, che peggio è, delle tante del divino Agusto banno
as«carato lo scialacquare. Perchè chi vuol fare la cosa ancor
non vietata, la fa con timore* non ella si vieti: chi senza
pena può fare la proibita, né più timore ha nò vergogna. Per-
chè regnava la masserizia già? perchè ciascuno si temperava;
perchè noi eravamo cittadini tutti di Roma^ e, non avendo
* *ne Uè ogt^ uno tenuto. Ifel Bfs vedesi cancellato: « ogn*uno glien'ht
^ * per le mondora strane o nimiche 1 II lat. : « ad extemas aut hostilee
gentes. *»
S * mtUeranno Roma a romore. Nel Ma. è cancellato f « metteranno so-
sopra Roma. »
* * e* sigitta il giaccio. Da prima sospettai che dovesse leggersi ^laccA/Oj
che è una rete tonda da pigliar pesci ; e dicesi gittare il giacchio a tondo per :
pigliare, cogliere tatti senu distinsìone. Ma vedendo e nell'edisione originale e
nel Ms. « giaccio, » credei che poteue stare per diaccio o ghiaccio s e che getta-
re il ghiaccio sopra uno fosse lo stesso che agghiadarlo» agghiacciarlo^ uc-
ciderlo o rovinarlo. Ed infatti il testo dice; « splendidissimo eitiqiu exi'
tium paraH. » Mia quesU disione manca al Vocabolario. Oltreché, ciò che se-
gue (e coprirà ognuno) mi riconduce nella prima opinione; parendomi che il
Davanuti abbia voluto dire: m II giacchio che si vnol gittare sopra i ricchi co>
gUera tutti , e sarà come un gittare il giacchio a tondo. « È credibile poi che al
Nostro sia piaciato meglio giaccio che giacchio, come più vicino ti latino iacio
che e la sua origine.
S * timore. Nel Ms. vedesi qui e di sotto cancellalo rispetto.
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142 IL LIBAO TBHSeO DEGÙ AllMAU.
sigDoria faori d'Italia, non ci veniTano al fat(e veglie. Le
TÌtlorie di faori ci hanno insegnato scipare la roba degli al4ri;
e le civili anche la nostra. Che cosellina verso i' altre mi
ricordano gli edili I Ninno ricorda che l'Italia vuol soccorso
di fuori: che la vita del popolo romano sta a dìserezion del
mare e delle tempeste: e senza le vettovaglie di fuori chi nu-
trirebbe noi, i servi, i contadi? i bei boschettlforse e le vUle?
Onesti sona, padri coscritti, i pesi del principe; questi, lan
sciati, metterebbono la repnblica in fondo: dell'altre cose cia-
scuno ha nell'animo la medicina. Riformi noi la modestia; i
poveri la nicistà; i ricchi la satoUanza.^ Se a qualche magi-
strato dà il cuore con bastevole arte o severità ripararci; lo
lodo, e confesso che mi terrà gran fatica. Ma se e'voglioao
far belli sé dello sgridar i.vizi, e muover odii per addossarli
a me; crediate, padri coscritti, che anch'io non godo di far
nimicizie. E se io ne piglio per la repnblica nelle cose mag-
giori, e spesso a torto, disgrazia, delle minori e senaa effetto
né prò vostro né mio, non mi vogliate gravare. »
LY. Letta la lettera di Cesare , questa cura fu rimessa, a
gli edili: e le superbe mense durate cento anni, dal fine delia
guerra d'Azio a quell'armi che dierno l'imperio a Sergio
Galba, a poco a poco mancarono.* Della qual mutazione mi
piace cercar le cagioni. Già le famiglie nobili, ricche e chiare
disordinavano in magnlficenzai potendosi anche trattenere
all'ora la plebe,' i collegali, i regni, ed essere trattenute: e
qual èra la più appariscente di riccheza, palagio, arredo; più
avea rinomo e séguito. Poiché si diede nel sangue,* e che la
noìninanza era rovina, s' attese a cose più saggìe. E gli uo-
mini nuovi di varie terre, colonie e Provincie fatti, eh' è ch'ò,'
* Ut satoUatua. Nd Ms. « caneeUato : « ripienest. m
' * mancM^ono, Nel Ms. « vennero al sottile : » poi corregge « auottigUa*
rano, » come leggesi nella Giuntina.
' * potendosi anche trattenere aW ora la plebe ec. TrMaiere sta qui in
senso di corteggiare, lat. colere j e vuol dire ciie allora metteva conto di fare
quelle prof«i8Ìoni, quando essendo tuttavia in uso di corteggiare non aolo il po-
polo, ma anche i re e le naiioni Slustri , stringevaosi cosi vicendevoli «lieiAcb,
le quali erano stromento di potenaa.
* * ei diede nel sangue. Il ht.: « ecedibtis sofvitum est, m DanU; « cba
dier nel sangue e nell* aver di p^lio. »
^ *ch*è eh' è (e dieesi anche : che è che non è) vale spesto. Late « crebro. »
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a UBBO TBAZO DEGLI AMMALI. 143
senatori, ci portaron la parsimonia da casa loro; e per grosso
GÌvanzo^ ohe facessero per induslriao fortuna, la sì manten-
nero. Ma più di tutti ristrìnse Vespasiano co 'i suo vivere e
vestire antico. Onde il piacere al principe e V imitarlo più
valse che pena o paura di leggi. E forse ogni cosa fa sua girata,
e tornano, come le stagioni, ì costumi. Né tutte le cose anti-
che sono le migliori: anche l' età nostra ha prodotto arti e
glorie che saranno imitate. Prendiamo pure con gli antichi
le gare oneste.*
LYI. Essendosi Tiberio, per questa pasciona* lolla allo
sorgenti spie, acquistalo grido dì moderato,* scrisse a' padri,
chiedendo per Druse la podestà tribunesca.*^ Agusto si trovò
questo vocabolo dì sovranità, per non darsi di re, né di det-
tatore, e pur mostrarsi con qualche nome il maggiore. Fecedi
compagno in tal podestà M. Agrippa, e, morto luì, Tiberio
Nerone, per lasciar chi succedere: e parvegli cosi levare ad
altri le male speranze, confidatosi ancora nella modestia di
Nerone e nella propria grandeza. Con questo esempio Tibe-^
rio investi Druse del sommo grado, che, vivente Germanico,
a ninno de'due lo dichiarò. La lettera, invocato prima gl'id-
dii, che prosperassero alla republica i suoi disegni, diceva le
boone qualità del giovane, moderate né oltre al vero: « Es*
sere ammogliato con tre figlinoli: dell' età che era egli quando
assunto vi fu da Agusto. Chiedeva alle fatiche questo compa^
gna non soro,^ ma otto anni esercitato a quietare sedizioni,
finir guerre, trionfòre e governare due consolati. »
' ^titwnzo, rìsparmio.
' * Qui il tetto è mutilo: m periun hoc nobis maiores eertamina ear
honesto maneant, *» Ma il Nostro ha seguito la congettura del Lipsio, che facile
mente ha riempiuto la lacuna con un semplice in. Ma ad altri pare che manchi
troppo più.
' * pa^ciona^ pasto , pastura: e vuole intendere del guadagno che facevano
le spi*.
* acqtiistato grido di moderato. Scelse il tempo di si gran cosa duAder*
a' ptdriy'qnafedo gli aveva addolcgltt col non fiire ^nesia legge suntuaria; perchè
ogni legge h un podere «bl principe, e pasciona dette spie.
S podestà tribunesca, Davasi allo eletto imperadore. L' eleggere ìnMiiai
il snccesaore, e darli il governo» è pTud«ntiasimo consiglio. L'uno s'assicura
eagnvat l'altro impAra, goveroA co» rispetto.: soeoed* alma alttnniAnto.
* * non ^oro, non inesperto.
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144 IL LIBAO TBBZO DEGLI ANNALI.
LVII. I padri s'erano acconcie le parole in bocca: ^ di
tanto pit sqQisito fa l'adulare. Non però altro invennero che
immagini, altari, tempii, archi e altre cose solite: se non che
H. Silano tolse onore al consolato per darlo a' principi, sen*
tenziando senza proposta, che negli atti poblici e privati, a
memoria de' tempi, si scrivesse: « Dominanti i tali sacri Iri^
boni » e non più « i tali consoli.» Q. A teorie avendo detto che
quanto s'era deliberato qael giorno in senato, vi s'intagliasse
a letteroni d'oro, fece rìder di se, che si vecchio di si sozo
adulare aspettasse altro che infamia.
LVIII. Ginnio Bleso fu raffermato in Affrica, e Servio
Maluginese chiedeo l'Asia, benché flamine di Giove, dicen-
do: « Non esser vero il detto volgato, che flamine non esca
d'Italia; né il suo flaminato diverso da'marziali e quirinali.
Se que' tengono le Provincie, perchè vietarle a' gioviali? legge
di popolo non ce n'ha; in cirimoniale non si trova. Nelle
mancanze de' gioviali per malattie o cure pnbliche , hanno
uficiato i pontéfici. Doppo che Corn. Morula fu ucciso, questo
flaminato vacò anni settantadua,epur non mancò mai d'ufi-
ciarsi. Se per tanti anni si può, senza rifarlo «uficiare, ben si
potrà un anno star fuori viceconsolo. L'andare ne' governi fu
lor tolto già da' pontefici per private malivoglienze : ora, per
grazia degl'iddìi, il sommo pontefice è il sommo nomo: non
ha gare 9 non odii, non passioni. »
LIX. Lentnlo agure e altri contraddissero variamente,
e si ricorse al pontefice Tiberio che ne desse sentenza. Egli
la differì' e passò a temperarele cirimonie ordinate per l'alza-
mento di Druso alla podestà tribunesca, e nominatamente
abboni l'arrogante proposta e quei nuovi letteroni d'oro.'
Si lesse una lettera di Druso al senato, che pareva modesta;
ma fu presa per trasuperba. « Poveri a noi I ^ non ha rascinlli
* ^s* erimo acconcie le parole in bocca. Il lat.; « prteceperant animii
orationem patres. *•
3 la differì. La decise poi contro al Maluginese , che il flamine risedesse.
' * qtiei muwi letteroni d* oro. Meglio la Giuntina: « quei letteroni d'oro
insolenti. »
* * Poveri a ftoii esdaipanone , qui, di maraviglia; perchè con essa ha
inteso rèndere il latino « hue decidisee caneta: m le cose sopo anitate e questo
segno ! siamo a questo ! e simili.
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IL UUO TBEZO DB«U ▲9mALI.# UH
gli occhi, ^ e non s' è degnato venire a fare di tanto onore
uno incbino agl'iddii della città; motto al senato; né darle
principio * in baon' ora dov' ei nacqae. Forse che gli è alla
gaérra o lontano:* trastallarsi pe' giardini, pe'iaghi di Capna I
il tempo è ora J ^ cosi s' allieva il reggitore del genere umano I
Bel precetto per lo primo ha preso dal padre ! al quale, orsù
sia parato grave, come a vecchio affaticato, il venirci a dare
un'occhiata; ^ ma Druse, che'l tiene, se non arroganza? »
LX. Ma Tiberio co^ puntellatosi nello sialo, per dare al
senato un po'd' ombra dell' antico,' rimise a quello le doman-
de delle Provincie, di mantenere le (cancbigie, cresciute per
le città della Grecia In troppa licenza; lasciando ne' tempii
rifuggire schiavi pessimi, falliti, scappati dalla giustizia. Né
avrebbero le catene tenuto il popolo,^ che non si levasse per
difendere le scelerateze mnan^, come religione divina. Fu
detto adunque che le città mandassero ambasciatori con tutte
loro ragioni. Alcune, che le franchigie si avieno usurpate, le
lasciarono^ Molte sì fidarono nella divozione antica, o ne' ser-
vigi fatti al popolo romano. Magnifico giorno al senato fu
quello, ch'ei riconobbe i beneficii de' nostri antichi; le leghe;
le ordinanze de' re grandi innanzi alla forza romana; e le
religioni degl'iddii, con la primaia libertà di confermàije e
riformare. •
* * non ha ^asciutti gli oe^t j cioè , dal piagnucolare come faiino i bam-
bini : ha tuttavia il latte in sulle labbra : non è ancora fuor de' pupilli , o fuor di
dentini ec. Tutti modi cbé significano l' età tenera e inesperta di alcuno. Boccac-
cio: « Credi tu sapere più di me tu, cbe non hai ancora i;asciutti gli occhi t *»
S * m darle principio j cioè, nò dar principio a quest'onore, o inangn-
rarlo f e. Quel pronome femminino le si riferisce » onore , per una stramberìa ^
grammaticale solita al Davanxati, e da noi più volte avvertita.
' * Forse che gli è aUa guerra o lontano: trastullarsi ec ; cioè, se fosse
alla guerra o lontano, sarebbe scusabile; ma e' si trastulla ec. Nel Ms. vedesi
cancellato: « Forte che gli è alla guetra o in capo del mondo. « Questo /òr je
che rende benissimo lo MUicei ironico dei Latini.
« * 4raakUUirsi,.,. pe* laghi di Capuai U tempo iora/NelMs.: «tra-
stullarsi.... pe' laghi di Gapua in su quest' otta I m poi corregge c<une sopra.
S * a dawe un' ocàhéàta» Il Ms. reca cancellato : « a rivedere. »
' *per dare al senato uh po' d'ombra dell' antico. Il Bis. reca cancella^ :
« Volle dare al senato, quasi polvere negli occhi, un poco d'ombra dell'antico. «•
^ * Ni avrebbero le tatene ec. Nel Ms.: « ne avrebbe imperio alcuno tenuto
il popolo ; w corregge : •* né avrebbe fona umana; w fioalmenle ricorregge : « nò
avrebbero le catene ec. »
I. 15
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146 IL usto tUZO PMLI àtmAhU
LXI. Primieramenle ^M Efésii dissero «lie ApoUine e-
Diana non nacquero in Dek», come erede il Tolgo, ma
pariorilH Latona appiè d' on dHto die ancor v' è In jn i
fiume Cenerio, nel boaèo loro detto Ortigia, sagralo per di-
vino ammonimento; ove ApoUtne, per li iiecisi Ciclopi, foggi
r ira di Giove; e Bacco perdonò alle Amacene vinte che ab-
bracciarono queir aliare. Fa poi la divozione di qnel tempio^
di licensa d'Ercole padrone allora della Lidia, accrescinla e
mantenuta da' Persi, da' Macedoni; finalmente da noi.
LXII. Seguitarono 1 Magneti, e dissero che avendo
L. Scipione cacciato Antioco, e L. Siila Mitridate, per la
loro fedeltà e virtù diedono ìnviolabil franchigia nel tempio
di Diana Leocofrina. Difendevano appresso i tempii loro; di
Venere, gli Afrodiesi; e dì Giove e di Diana, que'di Stra-
tonico, producendo un novello privilegio d'Agosto, e uno
più aqtico di Cesare dettatore, conceduto per >aver seguito
quelle fazioni. Lodati della mantenuta fede al popol Tornano
nelle scorrerie, de' Parti. Mostravano i Gerocesarei più anti-
chità : che il lor tempio di Diana di Persia fu dedicato da
Ciro; e Perpenna-, Isaurico e moli' altri imperadori con due
miglia ^ intorno il sagrare. I Cipriotti tre tempii raccoman-
davano: lo più antico. Venere in Pafo fatto da Aeria; * Ve-
nere in Amatunia, dal ano figliuolo Amato; Giove in Sala-
mina, da Teucro quando scansò l'ira di Telamone suo
padre;
L^in. E tante altre ambascerìe udirono i padri che,
per essere stracchi e parteggiare ne' favori, commisero a' con-
soli che, veduto le ragioni di ciascuno, e se incanna v' era,
riferissono al senato. Riferirono, le dette franchile esser
* *e€H due migUu ee. Il testo tqoI dira, eh* costoro^ mettevano iBBami
i nomi Mi Perpenna, d'Isaurìco edl pin sltrì inaftecadoii, i quali non wAo rico-
nobbero la santità di q«èl tempio y ma vollero di più elie due miglia' di tetreno
all'intorno tìi avesse come sacro.
9 fatta «fa An»im. U Bembo nel Cnliec con l'aoloritìi di questo luogo cor-
regge quel verso di Catullo, Qua sanOum Idmlium, Jmimuqae apertas,
cioè qnei di Pafo in Cipri in su '1 mare aprico , detti da questo Aeria fondatore.
LcggevHsi Uriosqu», che non si sa che tali popoli al mondo fosiooo $ non che
Venere adorassono. DeU' origine di questo tempio nana Tacito nd stfiMldo
delle Storie la corrente fama e l' antica.
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IL LIBtCr TMZO MALI AKNAU. 147
^tfere, e di pia quella^ deli' Kscolapia di Pergamo: le origioi
dell' altre per l' anliohità non vedersi; perchè que' di Smirna
dicevano aver sagralo il tempio di Venere di Stralonice; e i
Tenii il tempio e V immagine a Neitannoy comandati dal-
l'oracolo e versi di ApolUae. Cose più moderne allegavano i
Sardittii: che Alessandro vittorioso, e i Milesii, che il re
Itario iciò donar loro ne' tempii di Diana e d' Apolline che
essi adorano. I Gandiani anco franchigia chiedevano all' im-
magine d'Agosto. Fatti ne furono i privilegi* a grande ono-
re: porteesi però regola, e comandalo in essi tempii affigerne
in breoai sagrata memoria,* accie hi religione non trascor-
resse in ambizione.
LXIV. In questo tempo a Giulia Agnsta venne male
** B di più quetta et. ti testo vuol dire ; I consoli, oltre le città ricorda-
te, ri&rìXDno eiscr vero l' asilo di Bscnlapio in Pergamo.
' FéUii ne furono i privilegi. Non ci maravigliamo che gli storici di
tutti tempi scrìvan delle cose contrarie. Saetonio, di Cornelio amicissimo, dice
deDa qualitii del corpo di Tiberio cose dirìttaraente eonùrarie a quelle che diee
Tacito. E nel cap. 87 diee cfaa Tiberio levò via per t«Uo il mondo questa fran-
chigie, dette ^siU. Trovaronle prima i nipoti d' Ercole , i quali per difendersi
da'nimici dell'avolo, consagrarono altare alla misericordia in Atene; ove ninno
potesse esser preso, come suona la voce greca ecau^of. Ogni ribaldo poscia si
salvava in qualche asilo. Onde troppo crebbero di numero : e con ta^ta reli-
gione erano riguardati , che alcuni fuggitisi alla statua di Minerva, ardirono con
un filo in mano appiccato a quella comparire ingiudisio a difendersi. Ma il filo
per isciagura si ruppe.
S sagrata memoria. Il testo de' Medici dice^^ere tgre. Il Beroaldo,
che prima lo stampò , i^cconciò , Jaeere aras. Con altra accortessa il segretario
Picchena con' una letterata trasmessa legge , ^gere <rr«j* essendo antico co-
stume scrìvere memorie e leggi in tavole di bromo affisse \n luoghi pubblici,
come dice Tacito nostro nell'undecimo. « Et forma titeris latinis^qtue ve-
terrimis CrtBcerttmj sed nohis qttoque pauca primum fttere: deinde oA-
ditte stati. Quo exemplo Clauditu tres literas adjecit, qtiat usui impé-
rltante eof post obliteratof, aspicitmtur etiam mine in cere pttblicandis
plebiscitis per fora oc tempia fxo. » Correggo adunque il mio volgale cosi •
m Fatti ne furono i privilegi a grande onore : postovi però regola, e comandato
in essi tempii affiggerne in bromo sagrata memoria ; acciò la religione non tras-
corresse in ambiaion«. • Una delle tre lettere di Claudio si vede in questo
marmo in Roma:
Ti. Gla^tbits. Dirtt.F. Gmiae. At». GmnAiiictrs vomt.^xax. tmb. ror." ntu.
iMnRATOl. XVl4 G0t.lUl. CSlfSOB. F. V. AVCT16. VOPTU. ROMANI rillIBTS. VOMS.-
BlTM. AMVUATIT. TBRMUIATITQ. E ÌU quest'altro: AnTOillÀl. .AtATSTÀI.IHiVWI
sAcsnnoTi. diti Atgtsti. Ti. Clatoii Cbsaris. Ato. r. w.
Quando e dove le lettere si trovassero, vedi Tacito nel soprallegato luogo.
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148 IL LlimO TERZO DBfiLl ANNALI.
repentino che sforzò il principe a correre a Ronda: essendo
per ancora tra madre e figliuolo concordia, o coperto l' odio
della da lei dianzi po9ta immagine al divino Agosto, vicino
al teatro di Marcello, ^ col nome di Tiberio dietro al suo: la
quale benché non dimostrata offésa, per grave e.ìndegna
della maesté del principe, si credette ch'èi riponesse nel
profondo dell' animo. Il senato adanqòe ordinò le pricissiòni
e i giochi magni da celebrarsi da' pontefici, dagli agarl,
da' quindici, da' sette e dagli agustali insieme. L. Apronio
aggiugneva «i e dalli araldi! » Ma Cesare disse contro, es-
serci più sacerdozi, né mai datosi ad araldi tal maestà. Il
collegio d' Agusto starvi bene, come proprio di questa casa
per cui si pregava.
LXV. Riferisco soli ì pareri di notabile latide o vergo-
gna, stimando uficio principale d'annalista, non tacere le
virtù, e da' rei fatti e detti, per l'infamia perpetua, ritirar
gli uomini. Que' tempi furono si fetidi d' adulazione che non
pure i grandi, forzati andare a' versi* per sostenersi, ma
tutti i consolari, parte de' preterii e molti senatori di piede '
' vicino al teatro di Marcello. Intendendo io aver Xjvia dedicalo ad
Agusto la immagine di lui presso al teatro di Marcello , e non la immagine di
Marcello ad Agusto : perchè ali) iddii si cousagravano le immagini loro (al divino
Agusto in BoviUe) e non le altrui, come dice il Lipsio, con l'autorità sola d'nn
marmo, non so se bastevole.
' Sforzati andare a* versi. Nel Ms.; « cui conveniva piaggiare |« poi
cancellò. ,
* senatori di piede j di minqr qualità: dal consolo npn riclìiesti_di par-
lare. Così detti ( dice Agellio ) non dal rizarsi e accostarsi a chi gli paresse aver
meglio parlato ; perchè si ricavano anche tutti, e andavano in altra parte, quando
si deliberava per discessione, quasi come quakido i pontefici si creano per adora-
sione: ma perchè andavano in senato a piedi, e noq in carro , come i seduti di
magistrati maggiori, e per ciò detti Citndi, Non poteva più anticamente , dice
Cornelio nel i2 , andare in campidoglio in carretta , se non i sacerdoti e le cose
sante. Agrippina madre di Nerone per gran superbia v' andò. Le donne nostre
oggi son più che Agrippine e Senatoresse , non mica pedàrie, ma curttli, e
trionfanti della scacciata modestia e cura della famiglia , che già teneano le vene-
rande antiche celebrate da Dante nel quindicesimo del Paradiso ; che dopo l'averle
dipinte con maravigliosa evidensa , esclama ; Ofortatiatè eci(*) — * molti sena-
tori di piede. Nel Ms. è cancellato ; « molti che pronunuavan co' piedi, m Lai.;
«t pedarii senatores. »
(*) Melama: 0 fortontte. ~ Questa postula leggesi con «[otlche varietà negli Jvvtdi-
menu pubblicati dal Gamba ,pag. 45. Cosi invece di tenaton$f legge $acerdouu9f ma dubito
per errore.
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IL LIBRO TERZO DB4LI AMMALI. 149
ftl rizataii su e dicevano a chi più alte cose e soze scagliare.
Trovo scritto che Tiberio neli' uscire di senato osava dire in
greco: O OENTB mata a sbrvirb! stomacando sì abbietta^ ser-
vìrtù colo! che non voleva la pablica li^iertài
LXYI. Passavano poi dallo 'ndegno al maligno. Onde
essendo Gaio Silano viceconsolo in Asia, chiamalo da qae' col-
legati a sindacato, Mamerco Scaoro consolare, Gianio Otone
pretore, Braiidìo Nero edile di bella compagnia' lo querela*
reno' d'oflesa deità d' Agosto e spregiata maestà di Tiberio.
Mamerco infilzava esempi, che Scipione A ffricano aveva ac-
casato L. Gotta, e Catone il censore Sergio Galba, e Marco
Scanro bisavol sao , P. Retilio : come se tal sorte di deità e ,
maestà difendessero Scipio e Cato^ e quello Scaoro, coi que-
sto Mamerco, obbrobrio de' suoi, svergognava con tale ope-
raggio. Olone insegnava gramalica, pinto per forza di Sciano
nell'ordine de' senatori ^ sua vile basseza d'ardite sfaccia-
teze fregiava. Brutidio dim<rita scienza ornato, poteva per
la diritta salire in cielo, ma ebbe troppa -fretta di passare
innanzi a gli eguali, a' superiori e a se medesimo. Errore di
molti savi 9 che per non aspettare il dolce fico con la goccio-
la, lo schiantano col lattificcio. '
' *.stomaetmdo gì mbbitUa ec. Nel Ib. cancella t « tanto si abielta pa*
cicDsa stomacava coIi|i cbe non voleva la pubblica libertà! »
S * di bella compagnia : modo ironico , che vale , tutt* insieme e à* ac-
cordo.
* * /• tfuetelarcno. Il Ma. cancella t « lo spiarono. »
A Scipio € Caio, Della libertà della patria , e non della deità e maestà ti-
numesca erano difenditorì ferocissimi.
B col lattijiccio. Poichà Dante dice :
Tra li Itisi soiM
81 disoonvUn fmttara U dolca Hm.
E altrove:
. E l' nn' e l'altra parla avraono funa
Di te; ma langi fla dal Iweco l'erba.
E altri altrove di questi detti popolari. Io non mi posso astenere dalla sua imita-
sione in qnesU materia, grave si, ma non sacra, come la sua , la cui autorid
ogni baaseaa ha innahaU. (*)
n H»i b*M9%a ka Umattata. Qfiasta poitiUa è al totl^ variaU sai eodiea Mareiaao,
cone rilevati dagli JvwdUiunH poUttei « IttuntH pobblicatì dal Gamba, Yeneiia 1834. Dica
ceti: « Tacito non osa mai tinonimi por brevità e rari artìBoii di figarall parlari, forse gladi-
• eandoU più da oratori • poeti obo da ainalisUv«K eooM di«e l' aoter <f«*eM«i4oi%iioW. nar-
• rano senplieeoMiite. Ma la Uogva nostra più aUegra, eaprieeleBa a tratteaa U ama. PerA io
» qni qaeeta allegoria , e altrove direni ornamenti e proverbi e aianse nostre bo volentieri ag-
» glmito , per onore della patria a dalla lingua , e ooma io eraderei eha Cornelio stesso , §• flo-
» reatino fasaa, iserivaasa. »
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150^ a LtBftO TlttZ^ IIB6LI AlfN^Lf.
LXYII. Aoeasarooe Silano aneora Gelilo Pablieola qoe*
8tor 800 e Mareo Paoonio legato. Grodelo e rapace fa egli ;
ma gii eran contro più cose, pericolose ad ogni innocente :
nimicato da tanti senatori, accusato da' maggiori oratori di
tntta l'Asia; solo a rispondere; senta rettorica; in caosa
propria; da fare smarrire ogni liscondia. E Tiberio Io conie-
cava con ma* visi, boci strane, domande spesse, da non po-
tertene schermir né difendere:^ anzi spesso bisognaya con*
fessarle, acciò non avesse mal domandato: e per potergli
contro collare* i servi saoi, il fóttor pnblico gli comperò: e
perchè parente ninno Y aiutasse, gli fecero casini stato, the
non se ne può favellare. Silano adunque chiedeo tempo po«
chi di, poi lasciò la difesa e ardi scrivere a Tiberio, pa«
gnèndolo e raccomandandosi insieme.
LXVIII. Egli per mostrare con esempi che a Silano vo-
leva fare il dovere, fece leggere un processo d'Agust^ con
la sentenza del senato, contr' a Yelesò Messala, pur d' Asia
viceconsoto. Poi voltosi a L. Pisene disse: « Di su. » Esso*
fatto lungo preambolo della gran clemenza di Cesare, disse:
« Confinerei Silano privato d' acqua e fuoco nella Giara. »
Cosi gli altri: salvo che Gnee Lentulo avverti che, per es-
sere Silano nato d' altra madre, ì beni materni si scorporas-
sero pe '1 figliuolo. Il che a Tiberio piacque.
LXIX. Cornelio Dolabella, con più lunga adulazione,
detto molto male di Silano, inferi, « Che ninno infame e mal
vissuto governasse provincia, e tocchi al principe il dichia-
rarlo; perchè le leggi puniscono i peccati fatti: or quanto
minor male per quelli , e ben per le provincìe provvedere al
non farne? » Tiberio dis^ contro, « Che sapeva quel che di-
ceva il popolo di Silano, mt non si doveva far legge alle
grida. Chi è riuscito nel governare meglio, chi peggio di
quel ch'era creduto. Nelle gran faccende, chi si risveglia,
chi stupidisce: il Principe non può saper tutto, né dee la-
sciarsi menare a voglia d' alcuno. Le leggi géstigano i ftec-
' * da non potersene echermir nò difendere, U Bis. cin«eUa : • éà bob
poterti ribattere nb beffiire. m
' * collare, mettere alla tortura. Era vietato per legge di collare i serri
contro il padrone: però il ripiego fu accorto.
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IL UNO imUEO DMLI ANNALI* 181
mU fatti 9 noB i fatori ehe non si sanno. Cosi ordiiiaro ì so»
stri antichi) ehe dietro a' peccati ^eguisser le pene: non fate
Il contrario delle cose saviamente trovale e setnpre piaciiite.
I prinoipi hanno pur troppo carico e potere:^ che quando
cresce, le leggi scemano. £ non è hene nsarrimperio, dove
si poò far con le leggL ii Qwnto più rade soddisfazioni dava
Tiberio al popolo, tòoto più l' allegrò con questo parlare. E
soggiunse lo discreto moderatore (ove ira noi vincea), che
Giara era isola disabitata e aspra: mandasserlo per aiMr
della famiglia Glonia e dell'esser por senatore, nella Citerà,
come Torquata sua sorella, vergine di antica santifà, do»
mandava. Cosi fh approvato.
LXX. Udironsi poi li Cirenesi: e Cesio Cordo, orante
Ancario Prisco, tu condannato d'iniquo reggimento. A Lu-
cio Ennio fu fatto caso di stalo V aversi fatto vasellamento
d' ona statua d' ariento del principe. Non volle ne fosse reo:
« Maisl,.» disse Aleio Capitone quasi per libertà d'animo: « i
padri hanno a potw deliberare; si gran maleficio non si può
perdonare: sia dolce quanto vuole per se: delle ingiurie della
republica non sia largo. » Intese Tiberio l' adolasiooe, e se-
gnilo non volere. E Capitone, per essere in ragion civile e
divina gran savio, tanto più scorno ebbe della sporcata de-
gnila pid;>Uoa, e privata eceellensa.
LXXI. Nacque scrupolo in qnal tempio doversi appen-
dere il boto per la sanità d' Agustà da' cavalieri romani fatto
alia Fortuna equestre; perchè niuno de'moltrin Roma di
quella iddea avea tal titolo: trovossene uno in Anzio, e quivi
s'appese; perchè tulle le immagini, tempii e santità che
BeUe terre d' Italia sono,* sono dell' imperio di Roma. Trat-
tandosi di religiotii^ Cesare diede la sentenza dianzi differita
contro a, Servio Malnginese flamine di Giove, conforme allo
statato de' pontefici, fatto sotto Agusto, che si lesse, cioè,
« Ammalando il flamine di Giove ' possa star fuori più d^
* * emif « potere* U Mb, cancella: m di fare » Anche potere; »
S sono. Dovrelibesi nel plurale dir soimo a differénia del singolare t mt
l' me fugge Pequiroeo di iomtutsg e più totto vaoift quello di sttm, E non follo
aceottare il buon rimedio delTrikaiao a queste diflicoltli ddl' o pioeolo, e dell' o
grand**
^Jlamine di Giot^e. Volerà a popol roiiiaiM che ftlla «aerra d'AriatoBÌco
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15S IL LIMÒ fBRKO DB6LI AIIM4L1.
due notti ' quanto pmrk, al pontefice inas^mo; ma non in
giorni di pobblieo. sacrificio, né più di doe Volte l'anno. »
Che mostrò chiaro l'assenza d'an anno e l'andare in pro^
vincie, a flamine non si concedere: e s'allegò Lucio Metello
pontefice massimo che ritenne Aolo Postomio. Cosi fa data
r Asia al più anziano consolare dopo il Malaginese.
LXXII. In que' giorni Lepido domandò al senato di po-
tere a sue spese racconciare e ornare la basilica di Paolo,
memoria di casa emilia': osandosi per ancora la magnificenza
pubblica ne' privati. Né Agnsto vietò a Tanro, Filippo e
Balbo lo spender le spoglie de'nimici e le soverchie riccbeze
in ornamenti della città e memorie gloriose. Col qaal esempio
Lepido, benché scarso dì moneta, ravvivò lo splendore de' suoi
maggiori. E Tiberio prese a rifare il teatro * di Pompeo per
caso arso, non essendo in quella famiglia chi avesse il mo-
do, mantenendogli il nome di Pompeo: e celebrò Seianó, '
che per sua fatica e diligenza cotanto fuoco non fece danno
maggiore. Laonde i padri posero in esso la statua di Seiano.
£ in onore di Seiano^ nato d'una sorella dì Bleso, disse
Cesare che alzava alle trionfali esso Bleso viceconsolo in
Affrica.
LXXIIL Ma egli le si era meritate nelle cose di Tacfa-
rinate. Il quale, benché più volte rotto, rifatto con aioli dal
andasse L. Valerio Fiacco consolo e flamine ancora di Marte : M. Licinio Grasso
l'altro consolo, e ancora pontefice, noi permise {Cic, Filippica seconda). Simil-
mente Metello pontefice qon lasciò ire in Affrica Postamio cowolo « flanùae
( Val. Mass., 1. l,cap. 1 ). Cedette il sommo imperio de' consoli a' pontefici,
che volevano anche allora la risidenza. Così Tiberio pronunziò contro alMalu-
ginese.
*, più di due nota. Il testo de' Medici, che^ si può dire originale, non ha
quel dum ne, che dava nelli stampati fastidio. E veramente i malati dovevano
per due notti potere star fuori senza licenza.
S prese a ri/are Jl teatro. Vespasiano fu meno liberale , quando ristaniò
con qu^ d'altri la città disfatta per le passate ariioni e rovine. Donò i casolari a
chi volesse murarvi, mancandone i padroni , a' quali volle anzi lire inginstisia
che potersi domandare in Boma, Dot>* h Romaì
' celebrò Seiano. Per lo contrario accusati furono e dannati M. Miliaio ,
Gneo LoUo e L. Sestilio, i tre Ufficiali di notte , perchè non coirsero a tempo
con li strumenti a spegnere il fuoco in' via sacra. {Valerio Mass., 1. 8, eap. i. )
* * JSin onore di Seiano ec. Il Ms. «ancelle : « E di poi non guari Cesare
alzò alle trionfali insegne Ginnio Bleso viceconsolo in Affrica , e disse farlo in
onor-e di Seiano, nato d'nna eorella di Pieso. ••
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IL LIBIIO TBEZO MOLI AHNALI. li^S
«entro dell' Affrica , prosimse chiedere» per ambasciadori a
Tit^erio, paese per se e sao esercito, o gli farebbe guerra im-
mortale. Dicono che Tiberio non si scandalezò ' u&qae d' in-
ginria fatta a lai o al popolo romano , quanto che questo truf-
fatore e assassino procedesse da nimico. « Non volemmo a
patti Spartaco, che datoci tante grosso sconfitte, correva per
sua e abbruciava l'Italia, quando nelle gran guerre di Ser-
lorio e di Mitridate affogavamo; e ora in tanto fiore com>-
porremo,' se tu lo credi, con pace e terreni un ladroncello? »
Ordina a Bleso che induca gli altri, col perdonare, a posar
l'armi, e vegga d* aver vivo o morto Tacfarinate.
LXXIV. Molti se n' aoquistaron per questa via, e guer-
reggiossi seco con le sue arti. Poiché essendo egli di esercito
inferiore , ma più destro a rubare, scorrere in masnade, dar
gangheri " e porre agguati; tre schiere si fecero per tre ban-
de. Andarono, con una, Compio Scipione legato a impe-
dirgli le prede ne' Leptini e la ritirata ne' Garamantì; con
la soa propria. Bleso il giovane a difender dall' altra banda i
villaggi di Cirta: nel mezo esso Bleso co' migliori, ponendo
forti e guardie ove era uopo, dava in ogni cosa storpi e danni
al nimico che si trovava, dovunque si volgesse. Romani a
fronte a lato a tergo. Cosi essendosene molti morti e presi,
ridivise le tre schiere in più masnade sotto centurioni di
prova. ^ £ finita la state, non le ritirò alle stanze solite per
la provincia, ma come in principio di guerra provveduti i
luoghi forti, con cavaleggìeri e pratichi in quo' deserti, dava
la caccia a Tacfarinate che or qua or là s' attendava. Final-
mente ebbe prigione il fratello, e tornossene prima che a' no-
stri confederati non bisQgoava , lasciandovi chi rifar guerra.
Ma Tiberio tenendola per finita, anche volle che le legioni
* si scandalezò. Questo scandalexaraeiito di Tiberio par dello con più
eoergia qui , che nel latino. ■
' * comperremo , compreremo — Politi : « e che ora in tempi cosi flpridi,
an ladro Tac&rinate ahbia da esser ricomprato con la pace e col dargli terreno? •*
S * dar gangheri. Ganghero dicesi quello sguiuo in dietro che fa la lepre
sopra0àtta dai cani ; e qui per similitudine , il repentino rivolgersi delle schiere.
Con questo modo popolaresco ha espresso mirabilmente la forxa de' due verbi
latini incurstwe et eludere.
* * di prova. Il lai. : « virtutis experta. *»
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«tf4 V. LtBaO TBftZO MttLI AimAtl.
gridassero Bleso imperadore; onere aniìeoeli^ T esercito fa-
ceva al generale comandatore, per qualche fatto egregio nel-
r impeto deir allegreza: e più imperadori in «a tempo erano
privati, come gli altri. Agosto concedette qaeato tìtolo a. po-
chi, e allora Tiberio a Bleso per V ultimo. ^
LXXY. In qneir anno morirono dne grandi; Asìnio Sa-
lonino, nipote di M. Agrippa e d' Asinio PoUione, fratrie di
Draso, destinato marito d'ana nipote di Cesare: e Ateio Ca-
pitone lo primo gimrista di JRoma, come dissi. Saltano avpl
SQO fu centnrione, il padre pretore. Agusto il fece testo con-
solo per farlo, per tal dignità sovrastare a Labeoae Antistio
Ibon meno ei^celleote, avendo prodotto quella età questi. due
lumi dellJ|.pace. Ma Labeonefu schietto e libero,' e perciò
più celebrate: Capitone cortigiano, e piaceva (hù a' padroni.
Quegli che non passò la pretura, fu per lo torto ricevuto,
4«^ià stimato: questi, che ^. consce, per invidia odiato.
LXXVLQuest' anno, dessantaquattresimo doppo la rotta
filippica, mori anche Giunia, nata d' una sorella di Catone,
moglie di Gaio Cassio e soi^dla di Bruto. U suo testamento
die molto da dve, avendo onorato di sua gran faeol^de quasi
tutti i principali, e lasciato Cesaro. il quale la prese civil-
mente, e lasciò lodarla in ringhiera e le sue ess^quie d' ogni
solennità onorare. Eranvi portato te immagini di venti fami-
glie chiarissime; Manli!, Qiiinzii,e si fatti nomi sublimi: ma
quelle di Bruto e di Cassio più di tutte vi lampeggiavano'
col non v'essere.
* a Bleso per V ultimo. Dottamente considera il Lipsio, e punta così,
Btmso postremum. Obiere eo annoi e che dopo Bleso niiute.pià conseguisse
titolo d' imperadore d'eserciti; fosse aon piaciuto alli segoenti inpcradorì di
Roma.
' Labeone fu schietto e libero. Non voleva che Agusto ne Tiberio si
pigliassero pia autorità di quella che gli davano le parole della legge regia, fatu
quando Agusto si prese il tutto^; e spesse volte n' ebbe con loro di gran que-
stioni ; onde era tenuto paco « come mostra Oraaio rZo^eoite btsanior intér M-
nos éieatnr (*).
> * vi lampeggiapono. Il Ms. cancella « vi folgonvano; « e corregge come
sopra.
(*) Qautft iiMtaia nane* imUs Giontios.
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183
IL LIBRO QUARTO DEGLI ANNAU
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOHHARIO.
I. Orìgkia 6 «ortnaù 4'Bio 8M«iia.<-*II. Cattìfiil toiatCi • Mnatori ;
coli' occhio al trono. — III. la cfaa stato trori la trappa e la rapobUica. —
Vili. D^ accordo eoo Livia moglie di Dmto P aTvelena , primo scalino a 8oa
spamia di regoara. Matto di lat moH* il sanato rineora Tiberio, e di Germa-
nico ì figli , come eredi dell' impero, gli accoaunda. -» XII. De' figli di Ger^:
manico e d' Agrippina madre la rovina trama Seiano , fiero da non risparmiar
delitto. — XflI. Ambasciato e aoense di protincie. Cacciati d'Italia gl'istrioni.
— XV. Tempio dalle città d'Asia decretato a Tiberio , a Livia , al senato. —
XVI. Nuora legge sai flamine di Gioye> •— XVII. Daolsi Tiberio che per Ne-
rone e Drnso figli di Germanico orassero i pootafici. Di U i più franchi amici
di Garananieo atterra Saiano. Altri accasati a sanlennaCi. —XXIII. La goerta
d'Africa chiude Dolabella ucciso Tacfarìnata. — XX VII. Semi di gnerra schia-
vesca in Italia, tosto stiacciati, -i- XXVIII. Vibio Sereno accasato dal figlio.
Dannati P. Soilia, Gremngio Cordo, a altri. —XXXVI. A'Gifficeoi toka fibertè.
—XXXVII. Spregia Tiberio il tempio dagl' Ispani offertoli. — XXXIX. Seiano
da troppa fortuna cieco chiede Livia in moglie. — XLI. Caduto di tale
speme, il prìncipe spigoe a starsi foocdi Roma. — XLIII. Legazioni de'Greci sul
diritto degli asili. «-XLIV. Morte dìGo. Lentulo e L. Domuio.— XLV. L. Pi-
sone ucciso in Ispagna. — XLVI. Trionfali data a Poppeo Sabino domator de'Tra-
ci. — LII. Accusa e condanna di Claudia Pnlcra per adolters. — LUI. Agrip-
Sina chieda marita , indarno. — LV. Undici oìttk d' Asia in gara , in qaal
' esse ergasi tempio a Tiberio. Vince Smirne. — LVII. Tiberio in Campagna.
In periglio per subito franar di pietre gli fa scudo del suo corpo Seiano; in-
grandito quinci , e contro al germe di Germanico più aadaoe."— LX. Addenta
Nerone. — LXII. Cada l'anfiteatro a Fidane ; pesti o fracassati cin4|uanta mila.
— LXIV. Arso monte Celio. — LXVII. Ascondesi in Capri Tibeno. Sfacciate
insidie di Seiano contro Acrippina e Nerone. — LXVIII. Tisio Sabino a capo
d'anno punite per amico di Germanico. -.* LXXL Muore Giulia d' Agusto ni-
pote.— LXXII. Frisoni ribelli a stento repressi. — LXXV. Agrippina di Ger-
manico figlia sposate a Gn. Dpmixio.
Cono di circa sei anm.
. ,. „ ,.. o «*» r^ .. ^ C. Astino POUUOIIB.
An. di Berna DCCLlifi. (di Cr.25).-CwiaoIt. { ^ ^^^^ y^^
An.diRomaDCCLXXYil.(diCr.24).-Coiiiolt. j l. Vimuo VàBWW.
An.diRomaDCCLXX¥Ui.(diGr.25).— Coniofi. |
M. Asiino AmuppA.
C.G08SOGoillBIJOLSinOI.O.
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156 IL LIBBO QUARTO DEGLI AKNiLI.
Cu. COBNBUO LBUTOLO Gb-
Aa . di Roma DGCLXiix . (di Gr . 26) . ^ Cotmli. | tolioO.
' G. GiLTisio Sabino.
/ ,. « «wv ^ ..I M. Liamo Grasso.
An. d. Romt dcclxxx. (di Cr. 27).-Confo<i. j ^ calpomio Pisore. '
* .. « ii'r* A»Y ^ fl^ I Ap.Gihrio Silano.
Ad. diRoiiiaD0CLXXXi.(diGr.28).-— CoMolt. | p gm^ [^^f A
I. Era il consolato di Gaio Asinio e Gaio Anlistio, il
nono anno che la repnblica in mano di Tiberio quietava, e
la sua casa fioriva, ponendo egli la morte di Germanico Ira
le felicità; quando la fortuna cominciò repente a voltare; egli
a incrudelire o darne animo altrui; e tutto nacque da Elio
Sciano generale de' soldati di guardia, della cqi potenza di
sopra toccai: *■ ora dirò sua origine e costumi, e con che ar^
dimento tentò signoria.* Nacque in Bolsena di Seio Strabene
cavalier romano: fu paggio di Gaio Cesare nipote d' Agusto:
non senza nóme d' aver venduto ad Apizio ricco e prodigo
r onestà. Guadagnerai poi con varie arti Tiberio si che lui a
tutti altri cupo, rendè a se solo aperto e confidente: non
tanto per suo sapere' (perchè con questo fu vinto) ma per
ira degl'iddìi: onde con pari danno di Roma crebbe e cad'
de.^ Fu faticante dì corpo, ardito d'animo:^ sé copriva, al-
tri infamava: adulatore-e superbo insieme era : di fuori con**
legnoso, entro avidissimo, e, per avere, donava e spandeva:
e spesse industrie usava e vigilanze che troppo costano/
quando sono a fin di regnare.
IL II generalato delia guardia non era gran cosa : il fece
egli col ridurre in un sol campo i soldati che alloggiavano
sparsi per Roma, dicendo, uniti poter meglio ubbidire : ve-
* * di sopra totcai. I, 24; III, 29, 27.
' tentò signorim. Leggo cceptat^nt, non captaveriK Non Irebbe, per-
chè Tiberio lo estinse, ma la cominciò, e a tal grandexa vemie, cbe già era chia-
mato imperadore ; e Tiberio podestà (*) di quell* isole.
' * sapere. Il Ms. cancella : « scaltrìmento. *» L* esemplare nestiaao di
Gino Capponi reca corretto a penna : « sottigliessa. »
* * cadde. Il Ms. cancella : « rovinò. »
^ * Fu faticante di corpo, ardito d* animo. Il Ms. cancella i « corpo ebbe
faticante , animo ardito. «•
' * che troppo costano» Il Ms. cancella : « dannose ooH meno. *•
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IL LIBBO QUARTO DEGLI ANRiLI. 197
dendosi in viso e di 'tanto namero e forze, più confidare e
altrui atterrire; in caso snbitano, più pronti aiatarsi : sceve-
rati corrompersi; viverieno più severi, piantandosi! campo
faorì delle lascivie della città. Fatto questo, prese a poco a
poco gli animi de' soldati, co '1 visitare, chiamar per nome »
fare ì centorioni e i tribuni. Né mancava di acquistarsi se-
natori, onorando i suoi partigiani di magistrati e reggimen-
ti, essendogli Tiberio largo e tale affezionato , che non pure
nel confabulare , ma nel parlare a' padri e al popolo lui cele-
brava per suo utile compagno alle fatiche, e lasciava vene-
rare le sue statue ne' teatri, ne'jjnagistrati e tra gl'iddìi del
campo. ^
III. Ma l'essere in quella casa tanti Cesari, un figliuolo,
nipoti grandi, lo ritardava. Ammazarne tanti insieme non sì
poteva: i tradimenti volevan tempo. Questi elesse: e farsi*
da Druso per fresca ira. Perchè Druso , che non volea con-
corrente ed era rotto, bisticciando a sorte con Sciano, gli
andò con le pugna in su '1 viso, e volendosi ei rivoltare, lo
li battè. Adunque tutto pensato, ' parve da servirsi di Livia
moglie di Pruso, sorella di Germanico; di brutta fanciulla,
bellissima donna. Finse amarla d'amore: e conseguitolo, non
essendo cosa che donna privatasi d'onestà non facesse,
la 'ndusse a dar veleno al marito, per lui pretendere e in-
sieme regnare. Cosi colei , cui erano Agusto zio , Tiberio
suocero, di Druso figliuoli, vituperava se, i passati e i futuri
suoi , giacendosi con un castellano,^ per aspettar cose incerte
escelerate, in vece delle presentì oneste. Chiamano nella
congiura Eudemo medico e amico di Livia, e ne trattano
spesso sott' ombra dell'arte. Sciano ne rimanda la moglie
Apicata, che n'avea tre figliuoli, per levar sospetti all'adul-
* ira gV iddìi del campo, AI pari dell' ai^oile e cUU' insegne, nel loogo
detto Principias dove era franchigia e adorasiooe, come lib. 1 , 39, II , 17. (*) ■
* * € farti, e conkinciare.
5 * Adunque titUo pensato ec. Il Mi. cancella t « Adunque, penMto t tatti
i modi, lo più vivo parve servirsi di Livia. »
* * catUllano , provinciale.
n L' altre eabUmi hano eopialo pMoraseaawiila la eitadoM Mia Gintiaa tama ripor-
laila alla proprie pagine. Cosi par» in qaalctie altra Inogo.
I. 14
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IttS IL LIBRO QUARTO DEGLI ANNALI.
tera.lla si gran fatto portava seco paure, indugi e variare
di consigli.
IV. Nel principio di qaest' anno Drnso di Germanieo
prese la toga virile: e in ini voltarono i padri tatti gli onori
già decretati a Nerone suo fratello : ' e Cesare con bella di-
ceria lodò il figliuolo, che i nipoti amasse da padre. Perchè
Druse (benché signoria non voglia compagni) era amorevo-
le, 0 certamente non avverso a que' giovanetti. Indi propose
lo imperadore la sua vecchia e spessa novella del riveder le
Provincie, dicendo aver gran bisogno gli eserciti d' essere
svecchiati e riforniti. Soldati di buona voglia esservi pochi,
e poco buoni o modesti,' non pigliando soldo volontario se
non fracassati o vagabondi. £ quante legioni,' e quali Pro-
vincie guardavano riandò. Il che invita me ancora a dire
quanta gente romana era in arme;^ quali re collegati, quanto
minore V imperio.
y. Guardavano Italia due armate, nell'un mare sotto
Miseno, e neir altro a Ravenna: e la vicina costa di Gallia
le galee con forte ciurma, che Agusto prese ad Azio e mandò
a Fregius. Otto legioni (il nerbo delle forze) stavano in su'l
Reno a ridosso a' Germani e a' Galli: tre neUe dianzi domate
Spagne. D regno de' Mori dalpopol romano teneva in dono
Juba: due legioni frenavano il rimagnen te deir Affrica;^ due
• * Vedi Jib. 111,29.
3*0 modesti j o poco modesti.
' * E quante legioni ec. Il Ms.caBeeUa: «e fec« del pumero delle legioni e
di quali provincie guardavano breve rassegna. »
* invita me ancora a dire quanta gente romana era in arme. Da por-
tar arme al tempo di Claudio fu fatto rassegna in Roma d'un milione e settecen-
tonovansette mila , dice il Marmo antico descritto cosi nel libro degli Epigruami
antichi, sUmpato dall' accademia di Roma nel 1521 a 24. (*) tekporibts cuv-
DII TIBERII VACTA BOMINVM ARMIGBROBVM OSTBNTATIOMB ROMJB SXPTISS DB-
cixs CBHTBKA HiLLiA Lxxxx. xvii. MiL. — il qual Marmo il Lipsio a carte S09
dispregia molto nel libro XI di questi Annali, dove si pone la descrisione di tatti
i cittadini rMoani ascendente a sette milioni e quarantaquattro aula.
^ dué legumi frenavano il rimagnente dell' AfHea. Vedi la Postilla 42
del secondo libro. (**) — * la ripa del Danubio due legioni in Ungheria.
L' eacmplan Nestiano di O. Capponi corregge • penna t w erano due legioni in
Ungheria; due in Mesia alla ripa del Danubio. »
n I<a Ginnttn» dice : « Da portar arme al tempo di Clandió furono rassegnati in Eoms
qvantt dice qMilo mavao aitfae^ewrllt» omI dal Manoobia 8«.«
(**) Di qoeata edizione « nota i % Vai. (M.
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IL LIBtO QOARTO DBCSLI ANNALI. 1(S9
l'Egitto: e quattro tutto '1 gìroBe di terra dalla Sorìa alVEo-
frate, confinato dall' Ibero, dall'Albano e altri re, cai la no-
stra grandeza difende dall'altre potenze. Tenevano la Tracia
Remetalce e i figlinoli di Coti : la ripa del Danabio dae le-
gioni in Ungheria, due in Mesia; e dae eran poste in Dal-
mazia alle spalle di qaelle, e comode ad ogni repentino soc-
corso d'Italia: ancora che la città tenesse in corpo per saa
propria guardia tre coorti di Romaneschi , e nove pretoriane
scelte quasi di tutta Toscana, Umbria, Lazio e romane co-
lonie antiche. E ne' luoghi opportuni delle provincie nostre,
stavano armate de' collegati, fanti e cavalli d' aiuti , di poco
minori forze: l'appunto non si può dire, essendo messe qui
e qua; più e meno,^ secondo i tempii
VI. Farmi anco da dar conto ' come l' altre membra
della republica stessero sino allora: poiché in queir anno
c(»nÌBciò Tiberio a peggiorare il principato. Primieramente
te cose publiche e le maggiori private trattavano i padri. I
principali ne dicevano i pareri: dava egli a' troppo adulanti
in su la boce : gli onori senza dubbio a' migliori per antica
nobiltà, virtù ciyik e gloria d'armi. Tenevano i consoli e
pretori V apparenza : i minori magìatrati esercitavano la loro
podestà. Le leggi , fuor de' casi di maestà, bene usate. Grani,
tributi e altre entrate publiche maneggiate da compagnie di
cavalieri romani. Le cose sue faceva Cesare ministrare a
cima d'uomini, di prova o di nome: tenevali tanto che molti
invecchiavano in uno uficio. La plebe pativa del caro : ma
che colpa del principe? anzi egli accrebbe il coltivare e '1 na-
vigare con ogni possibile spesa e industria*? Graveza nuova
non pose: le vecchie faceva senza avarizia e crudeltà de'mi-
nistri tollerare. Non le persone atfliggere , non de' beni pri-
varle.
VII. Pochi stabili per l'Italia teneva: non turbe di schia-
vi: pochi liberti in famiglia. Se litigava con privati, chie-
deva giudice e ragione. E tutte queste benignità per modi
* * pia e meno, fi Ms. eaaceUa : « cresciate e scemate. *»
' * Pormi anco da dar conto ec. Il Ms. canceUs : « Farmi bene sproposito
dar conto ce. •
' * e industria, li Bis. « e diligenza. *»
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160 IL LIBRO QUARTO DEGLI ANNALI.
non benigni, ma villani o spaventosi ^ ritenne, insino alla
morte di Druso : perchè Seiano nel cominciare a crescere,
voleva nome di consigliare il bene, e temeva di Droso , ni-
mico già scoperto e sbuffante* che dov'era il figlinolo, si chia-
masse air imperio altro aiuto, a Che gli manca a farsi com-
pagno? Doro è tentar signoria: se vi metti una branca,
partigiani e ministri ti corron dietro. S' è fatto '1 campo a suo
modo: datogli in mano la milizia: vedesi bielle fabbriche di
Pompeo la sua bella figura: mescolerassì questa raza col san-
gue de' Drusi : botianci alla Modestia , eh' ei fermi qui. »' So-
vente e in publico tali cose dicea, e la rea moglie ridicea le
segrete.
Vili. Seiano adunque parendogli da sollecitare , scelse
veleno lento, che mostrasse altro male: e diélo a Druso Ligdo
eunuco; il che si seppe otto anni doppo. Tiberio,mentre durò
il male, ebbe o finse fermo cuore: e quando era morto e non
seppellito, entrò in senato: e a' consoli che per duolo nio-
strare erano * in sedia vile, ricordò V onor loro e del luogo:
e cop gli occhi asciutti e parlar non rotto confortò il senato ,
che dirottamente piangeva, " dicendo: « Che del venir quivi
* viUani o spavmtosi. Traeva, diciamo poi, il pane con Ut, balestra.
Vedi la postilla 69 del primo libro. (*) — * per modi non benigni ec. Il Mt.
cancella : « con aspro TÌsaggio e per Io più spaventevole. »
' * e sbuffante ec. Dolevasi che Tiberio avesse posposto lai a Seiano nel-
r aiuto dell'impero.
B * botiix^ci alla Modestia, eh* ei fermi qui- Lat.: m precandum post
haec modestiam , ut contentus esset, *» Dopo tutto ijuesto non restava se noo
di raccomandarsi alla sua modestia , eh' e' volesse esser contento, e non brigasse
di salire più alto.
* * per duolo mostrare erano ec. Il Ms. cancella: « per duolo sedevano in
sedia vile ; » e riscrìve : « sedevano basso ; » ricancella, e torna al primo modo :
« in sedia vile. »
' * il senato, che dirottamente piangeva. Aveva scritto; « che dirotto
piangeva; « poi cancellò e riscrisse: « il dirotto piangere del senato: <• e questa
lesione trovasi nella Giuntina. Ma nelle nuove cure corresse come sopra. Cosi nel
periodo che segue vedonsi più pentimenti. La prima dettatura è questa: «dicendo
sapere che del venire in cotanto dolore a farsi vedere in senato potea aver biasi-
mo: appena avallare a' congiunti, appena guardare la luce solere i dolenti, e
non imputarsi a debolessa. » Poi corresse : « diceftdo che del venir quivi in co-
tanto dolore a farsi vedere sapeva aver biuimo : appena udire i parenti, fuggir la
luce solere gli aflUtti s^osa parer deboli. » Finalmente corresse come ai vede nel
lesto.
(*; Diqaesta ediiione, nota 1 , pig. 58.
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IL LIBBO QUARTO DSGLI ANNALI. 161
in cotanto dolore a farsi vedere, sapeva poter aver biasimo;
solendo gli afflitti per lo più fuggire i conforti de' parenti e
la lace senza nota di deboleza: ma esso nell' abbracciare la
republica aver cercato i veri conforti.» E compiantosi del-
l' età d' Agosta decrepita y e della sna mancante , con due
nipotini ' col gnscio in capo, ' domandò condorsi qoivi i
figlino' di Germanico conforti unichi de' presenti mali. An-
dare i consoli per qne' giovanetti, e fatte lor le parole, ' li
presentare. Abbracciolli,* e disse: « Padri coscritti, io con-
segnai questi orfiani al zio; e pregailo che quantunque figliuoli
avesse, gli carezasse o come suo sangue allevasse per soste-
gno suo e de' suoi avvenire. Ora che Druse n' è tolto, prego,
e presenti gli iddii e la patria , scongiuro voi che questi
d' Agusto bisnipoti, di chiarissimo sangue nati, prendiate,
reggiate e '1 debito vostro e '1 mio adempiate. Questi, o Ne-
rone 0 Druso, sono i vostri genitori: e voi siete nati tali che
i beni e i mali vostri sono della republica. »
IX. Fece cader le lagrime, e pregare felicità. E se egli
finiva qui, aveva di compassione e gloria sua ognun ripieno.
Tornato a sue novelle tante volle derise , del lasciar la repu-
blica, del prenderne i consoli o qualcuno il governo; non gli
fu creduto anche il vero e V onesto. Alla memoria di Druso
* * con due nipotini. E qui pare appariscono nel Ms. molti pentimenti che
non Usceremo di notare a beneflsio di chi ama ne' grandi scrittori discoprire i
segreti dell' arte : « sensa nipotini in etk (corr. con due nipoti aitanti: corr. non
àbili) domandò condursi quivi i figlino' di Germanico unichi alleggiamenti
de' presenti mali. **
' col guscio in capo. Le metafore nei favellare sono stelle che seintillano.
Il nostro Tolgare n'è pieno e felice. E perchè chiuder loro la porta a entrare nelle
nobili scritture, per dire, la fabbrica non le ha trovate nelli scrittori? Aprasi
a questa de' pulcini , che pone innansi agli occhi 1' età non capace di regnare di
qoe' binati di quattro anni; d'altra maniera che qoel rudem adhuc nepotum, cìoh
habentem nepotes rudes regnandi. Uno di qne' taciturni che l' Alciato nella pi-
stola della storia del Giovio chiama senticela. Prunaie veramente che s'attaccano
a' panni e rattengonò e afiàticano il leggitore. (*) Con questa metafora il parlare
e più affettuoso, breve e chiaro; e non so che la metafc^ra faccia bassetsa, ami mo-
stra destreesa d'ingegno in trovare il simile nel dissimile.
' * e fatte lor le parole i cioè, e rincoratili con benigne paiole. Lat.r w^r-
mant tdloquio adoleseentulos.
* Abbraceiolli. Ahi gattona 1 tanto io odio la casa di Germanico hai , e
queste lustre mi fai }
n Ciò eb« segue non è nella Ginntina.
14*
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162 IL LIBRO QUABTO DfiQLI ANNALI.
s'ordinaro gli onori di Germanico e più altri ^ come TQole
adulazion seconda. L' esequie foron pomposissìme ^ d'imma-
gini. Enea orìgine de' Giuli, (otti i re albani e Romolo fon-
dator di Roma, la nobiltà de' Sabini, Appio e gli altri Glandii
seguiano in lunga fila.
X. Ho tratto la morte di Druse da' più e più fedeli scrit-
tori. Ma io non tacerò la voce andata in quei tempi che an-
cor dura, che Sciano corrotta Livia, si guadagnò con la me-
desima disonestà l' animo di Ligdo eunuco, donzello ' vago
e caro al signor suo, e de' primi ministri. E fermato tra i
congiurati che egli desse il veleno, e dove e quando; ' ardi
variar l'ordine; e disse piano a Tiberio, cenante con Druse:
ce Druse t'avvelena nella prima taza, non la bere. » Il vec-
chio per tale inganno la prese, e porse al figliuolo, il quale
come giovane la tracannò ; e tanto più fece credere d' es-
sersi per paura e vergogna ingoiata la morte che al padre
mescea.
XI. Questa è boce di popolo: storici non la conferma-
no, né è da credere: perchè quale uomo di prudenza niezana,
Aon che Tiberio di cotanta, arebbe cosi alla cieca porlo la
morte al figliuolo di sua mano, da non poterla ritirare?* mar-
toriato anzi il coppiere; ^ cercato chi '1 fece fare ; andato a
beir agio, come vuol natura contro alli strani, non che a un
figliuolo nnico, stato sempre buono. Ma per esser Seìano ca-
mera d'ogniendrmeza, troppo atnato da Cesare, ambi odia-
tissimi, ogni disorbitante favola se ne credeva: e nelle morii
de' padroni* le lingue flfrtDgiiellaBo.L'ordine di questo fatto fu
rivelato da Apicata di Seiano: chiarito per tormenti d' Eu-
* * L* esequie furon pcmpogissime. Il Ms. reca cancellato ; « Nell'esegoir
fu grandissima pompa ce. »
S * donzello. Il Ms. cancella : « valletto. »
' * e dove e quando, 11 Ma. cancella : « fennato poi tra i congiurati tempo
e luogo di dare il veleno. *t
^ * da non poterla ritirare te. U testo vuol dire: come mai avrebbe dato
morte al figliuolo , senia udir sue discolpe ; e di sua mano stessa, sema poter tor-
nare in dietro t
S * martoriato anai il coppiere, cioè : avrebbe piuttosto martoriato il cop-
piere ec.
S * e neUe morti de* padroni ce. Il Lat. ha : « atrociore semperfamd erga
dominantìum exttus, »
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IL LIBBO QUABTO DBCILI ANNALI. 163
demo e di Ligdo. Scrittore non è si nimico di Tiberio , che
gli dea tal carico, e pur gii ritrovano l'altre cose, e l'accre-
scono. Ho Yoloto dire e riprovare questa ciancia, per isban-
dirle * con si chiaro esempio : pregando chi leggerà queste no-
stre fotiche a non anteporre le sconce cose* che il volgo
troppo accetta, e sparge, innanzi alle vere e non stravaganti.
XII. Lodando Tiberio il figliuolo in ringhiera, il sena-
to e'I popolo avevano panni e voci da duolo,' ma dentro
gioia, che la casa di Germanico si ravvivasse. Il quale inco-
minciato favore , co '1 non sapere la madre Agrippina coprir
la speranza , afiRrettarono la rovina. Perchè Sciano veduta la
morte di Druse riuscita franca, e al publico non doluta;
come fiera insanguinala del primo ratto; * pensava come le-
var via i figliuoli di Germanico, certi succeditori. Avvele-
nare tre non poteasi, essendo troppo fidati i custodi, e can-
dida Agrippina. Diedesi dunque a sparlare deir alterigia di
lei : • sollecitare Agusta per l'antico odio,e Livia per lo nuovo
peccato, che mostrassero a €esare che questa superba, fon-
data ne' tanti figliuoli, nel favor del popolo, spasimava di re-
gnare; e per mezo di Giulio Postumo, adultero di Mulilia
Prisca, cameriera cara d' Agusta, faceva tutto di punzec-
chiare questa vecchia, per natura avida di potenza , a levarsi
dinanzi questa nuora, questa padrona; e mandava ad Agrip-
pina a darle consigli a rovescio, e quelli accesi spiriti rin-
fiammare. *
XIII. Ma Tiberio niente smagato, ^ pigliandosi per con-
forto 1 negozi, faceva ragione a' cittadini,^ sentiva le diman-
do de' collegati, e voùe che Cibira in Asia, Egira in Acaia ,
' * per isboHdirle, per {sbandirla.
^ * le sconce cose. II Ms. cancella ; « le cose mostruose ; ■* e di nuovo cor-
regge : M le cose non credibili , » come sta nella Giuntina.
S * da duolo. Il Ms. cancella: « da cì^oglio. »
* come^era insanguinata del primo ratto. Quanto meglio del latino!
S * Diedesi.... a sparlare te, Ù Ms. cancella : « gittossi a servirsi dell'alteri-
gia di lei ; » e di nuovo corregge: « servendosi dell'alterìgia ec. »
* * rinfiammai^e. Nel Ms. vedesi cancellato: « e que' gonfiati spiriti rigon.
fiare. *
f * smagato, smarrito o venuto meno.
* *Jaceva ragione a* eittadini ec. Il Ms. cancella; « spediva le cause idei
cittadini, l'ambascerìe de' collegati, e fece decretare che Cibira ec »
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164 IL LIBRO QUARTO DBCILI ANNALI.
fracassate da' tremuoti, si sgravassero per (re anni di triba-
to : che Vibio Sereno viceconsoio della Spagna di là, dan-
nato di pnbliche storsioni, fosse confinato per li suoi modi
atroci ' nell'isola d' Amorgo : che Garsio sacerdote e Gaio
Gracco,' accagionati di data vettovaglia a Tacfarinate , fos-
sero assoluti. Gracco fu portato in fasce da. Sempronio suo
padre nell'isola di Cercinnasecoin esigilo. £ quivi tra sban-
diti e rusticani allevato, andò ramingo per l'Affrica e per la
Cicilia, facendo per vivere il ferravecchio. ' £ nondimeno
corse pericolo da grande. £ se £lio Lamia e L. Apronio, che
l'Affrica governavano, non difendevano lo innocente; era
per lo sventurato gran sangue, * e per l'avversità del padre,
levato via.'
XIV. Anche questo anno vennero di Grecia ambasciadori
per la conferma dell'antiche franchigie de' templi: i Samii,
di Giunone, e ne mostravano decreto delli Anfizioni, foro
comune delle città edificate nell'Asia da' Greci, già padroni
di quelle marine: i Coi, d' £sculapio, e ne avevano antichilà
non minore e proprio merito, per aver in essa franchigia sal-
vato i cittadini romani, quando il re Mitridate gli faceva per
tutte l'isole e «ittà dell'Asia ammazare. Finalmente Cesare
propose le spesse e non attese querele de' pretori, dell'inso-
lenze de' commedianti, scandolosi in publico e disonesti per
le case. Questi, già mattaccini^ per fare un poco ridere il
popolo , esser venuti a tali scelerateze e insolenze che biso-
' per li suoi modi atroci. Leggo atrocitatem morum. Può^ stare ancora
temponon» per mitigare Tiiuolense de'wceconsoli.
> Gaio Gracco. Cosi nel Boccaccio il conte d' Anguersa per non esser co-
nosciato e ammasato , per la taglia della reina di Francia, Upinò per^ lo mondo
.a guisa di paltoniere, ta crudel prigionia e morte di Sempronio, padre di qatsto
Gracco , si narra nel primo libro.
' * ferravecchi», riveiidugliolo di sferre vecchie. Lat.: m mutando sordida*
merces. »
• * gran sangue, sangue nobilissimo.
S era.., levato via. Come tutti i grandi , gli altri non portavan pericolo sì
al sicuro.
* mattaccini s o sanni o ciccantoni , che come gli antichi Osci e Atellani,
ancora oggi con gofibsima lingua bergamasca o norcina , e con detti e gesti spor-
*chi e novissimi , fanno arte del far ridere e corrompere la gioventù , e non sono
da' cristiani come allora da' gentili cacciati via.
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IL LIBBO QUABTO DB6U ANNALI. ^6tf
gnavano i padri a correggerli ; onde furono cacciati d'Italia.
XV. In questo anno Cesare ebbe nuovo dolore per la
morte di un di que' binati di Druse: nò minore per quella di
Lucilio Longo amico suo, partecipe d'ogni suo dispiacere e
allegreza, né altro senatore gli tenne compagnia nella ritirata
di Rodi. Laonde esequie da ceasore, benché ^omo nuovo, e
statua nel foro d' Agnsto a spese publiche gli ordinare i pa-
dri: per mano de' quali per ancora faceva ogni cosa: onde
fecero comparire a difendersi e condannarono Lucilio Capi-
tone proccoralore dell' Asia, accusato dalla provincia d'aver
fatto uficio di governatore» e adoperato soldati; molto avve-
rando' Cesare non avergli, oltre a' suoi schiavi e danari,
autorìlà data. Se soprusata l'avesse, facessono alla provincia
ragione. Per questa e per altra ragion fatta l'anno innanzi
contro a Xiaio Silano, le città dell' Asia deliberaron fare a
Tiberio, alla madre e al senato un tempio. Fu conceduto e
fatto. E Nerone fece le parole del ringraziamento a' padri e
all'avolo: imbambolato quegli uditori *■ sviscerati della memo-
ria di Germanico, a' quali parea veder lui, udir lui: e nel
giovane erano modestia e belleza da principe, e per lo noto
odio e pericolo di Sciano, più graziose.
XYL Nel medesimo tempo Cesare parlò di rifare il fla-
mine di Giove,' in luogo del morto Servio Maluginese, e ri-
formarlo; usandosi per antico eleggerne uno di tre nominati
patrizi , e di padre e madre confarrati; * che si durava fatica
a trovargli, ^ per esser dismessa o poco ritenuta la cirimonia
del confarrare: perché né uomo né donna se ne curava, per
le molte difiQcultà che v'aveva; e per fuggirle, si emancep-
' * molto avverando. Il Lat : « magna cum asseveraUone, n
* * imban^olato quegli udiiortj cioè, avendo egli commosso e quasi fatto
piangere di tenerena quegli uditori ec.
^ JlaminB di Giove. Di questa antichità vedi Boccio nella Topica di Cice-
rone , e il Lipsio sopra questo lu(^ , al solito diligente e dotto.
* * eonfarraU : sposati , cioè, c<d]a cerimonia delk confarraaione, così detta
perchè od sacrifisio niuiale si usava il farro. Questa sob, tra le varie specie di
cerimonie nuxiali, rendeva il matrimonio indissolubile.
8 * €ha si durava fatica a trovargli. Ho seguito la lesione della Giuntina,
come più chiara e più elegante. La volgata dice : « di. padre e di madre confar-
rati: per esser cosa faticosa , diceva egli, a trovargli, per esser dismetsa o poco
ritenuta ec. »
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166 II LIBRO OOAKTO DMU ANNALI.
pava * colai che pigliava il flaminato , e colei che a flamine
s'impalmava. <c Perciò rimediasaeci eoa decreto o legge il
senato; siccome anco Agosto ammodernava certe ruvide an-
tlchitadi. » Studiata tale diviniti, * piacque non toccare gli
ordini de' flamini : ma si fece legge che la flamina di Giove
fosse in podestà del marito nelle cose dei flaminato; nel resto,
come V altre donne. E in rifatto il figlinolo del morto. E per
dare repntazioneal sacerdozio, e animo a pigliare gli ordini,'
si donò a Gornelia,* rifatta in luogo di Scansia, cinquecento
fiorini^ e stabilissi che ne' teatri Agnsta sedesse tra leYestali.
XVII. [A. di R. T77, di G. Gr. 24.] Entrali consoli Cor-
nelio Getego e Visellio Varrone, i pontefici, e con loro gli
altri sacerdoti, pregaron gì' iddìi per la vita del principe, e
anche di Nerone e Druse: non per carità verso que' giovani,
ma per adulazione, nella quale il popolo corrotto erra nel
troppo, come nel poco. Laonde Tiberio alla casa di Germa-
nico non mai benigno, qui si versò che, pari di lui vecchio^*
si pregasse per que' fanciulli* Mandò pe' pontefici, e domao-
dolli se il fecero per preghi o minacce d'Agrippina; e negan-
do,^ li garrì deslramente; essendoli parenti o principali delle
città: ma in senato avverti che un' altra volta non levassono
i lievi animi de' giovanetti in queste superbie di acerbi onori.
Perchè Sciano non finava di dire: «La città è in parti, come
in guerra civile : alcuni si chiamano di que' d' Agnppina: e
cresceranno, lasciandogli fare. Alla crescente discordia altro
rimedio non ci ha, che scapezare^ uno o dna di questi fe-
roci. A •
' * si emanceppava» Il Ms. cancella : « dalla podestà del padre usciva. »
* * divinità i rito, cerìmoBÌa.
' * a pigliare gii ùrdini» Lat.: « ad eapessmtbu ettremomia^. »
* * a Cornelia, Tergine vestale.
' * (ftd si versò che, pari di lui veeebia ee. : « ebbe molto per male, e te
ne dolse, che li due giovani Auserò stati coma agallati a Ini cke era vecchio. «
G. Dati. Versarsifin senso di adiiaisi (beotamente, lo abbiamo gik veduto anche
nel Ub. I, la. Mei Ms. vedesi casicellato s « aUora si seandalaaò che al pari della
sua vecchiesa ec. »
^ * e negando^ ciok: sebbene ani nq;UBero, para gli gani^ nooderata-
mente, essendo parenti ec. *
1 * seapeMore, dic^»itare.
B * di questi feroci, di questi più caldi parteggiatori di Agrippina.
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IL LIBBO QUARTO DB6LI ANNALI. 167
XVIII. Cogliesi innanzi^ Gaio Sìlio e Tizio Sabinoi,
d' ambo i quali V amicizia di Germanico fa la rovina; e di Si-
lio pia; che avendo governato nn grosso esercito sette anni ,
acquistato le trionfali in Germania, vinto Sacroviro; quanto
maggior machina era, con più spavento degli altri cadeva.
Offese Tiberio ancor più lo suo tanto vantarsi dell' essere
stati i soldati suoi sempre ubbidienti, quando gli altrui sedi-
ziosi; e che egli * non sarebbe imperadore, ogni po' che ave^
sero scherzato ' anche le sue legioni. « Adunque, diceva Ti-
berio, io sono niente; non lo potrò mai ristorare. » Perchè
i beneficii rallegrano in quanto si posson rendere : gli ecces-
sivi si pagano d' ingratitudine e d'odio.*
XIX. Era moglie di Silio Sosia Galla, odiata dal prin-
cipe, perché Agrippina l'amava. Questi due risolvè assidire,
e Sabino prolungare. Varrone consolo non si vergognò ub-
bidire a Seiano in dar la querela con la sentenza, che i pa-
dri loro eran nimici. Chiedendo il reo tempo breve, che l' ac-
cusatore uscisse di consolo. Cesare disse « Che l' aggiornare
le parti stava a' magistrati, ' né si poleva menomare la balta
del consolo, nella cui vigilanza consiste che la repnblica non
riceva dannaggio.» Era proprio di Tiberio con simiglianti
parole prische ricoprire le malvagità sue nuove. Fece dun-
que gran ressa dì ragunare i padri quasi a giudicar s'avesse
Silio con le leggi, o faase Varrone consolo, * o caso publico
quello. L'aver saputo o tenuto mano alla guerra, chiuso gli
* * Cogkesi innanzi ec. I piìoii di ^e'parUggiatori cai fosser poste le
mani addoMo furono G. Silio e Tisio SaLioo.
4 * eehe egli, Tiberio.
' * avessero schermato, avessero volato far novità.
* i benefcii^. eccessivi si pagano d' ingratitudine e d'odio. Perciò fo^ge
il fallito , benché accordato , la faccia del creditore : e lo scampato dallo affidare
non può vedere lo scampatore , per primo moto e impeto di natura. (*) Ne il mi-
Distro del proprio male6cio si può patir di vedere : perchè Io ricorda, rin^rovera,
come Anieelo a Nerone la morte della madre.
8 * Che P aggiornare le parti stava «'' magistrati ec. G. Dati : * esser cosa
solita de' magistrati di chiamare in giudicio le persone private. » Il Davansati ha
qui usato aggiornare per assegnare il giorno ad alcuno per comparire in
giudizio («« diem dicere » ).
0 * ofusse Varrone consolo, e non ami sgherro di Tiberio.
(*) Ciò cbe isgae non si legge nella Giwitiua.
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168 IL LIBBO QUARTO DBGtI ANNALL
occhi alla fellonia di Sacroviro, ^ guasto la vittoria con l' ava-
rizia, e Sosia saa moglie erano i peccati. «L'ira di Cesare
è il mio peccato » disse sempre né mai altro per soa difesa.
Al governo non potevano apporre : ma all'accose di stato non
si poteva rispondere. Silio non aspettò la sentenza, e s' am-
mazò.
XX. E nondimeno si corse a* beni,' non per restitnlr
tributi, come dicevano, mal presi; che ninno sì risentiva :
ma per torgli il dono fattogli da Agusto , del soo debito: ri-
scosselo il fisco sino ad nn picciolo. E fo questa la prima di-
ligenza di Tiberio contro alla roba d'altri.' Sosia fu sbandita
per parere d'Asinio Gallo, che parte de'beni dava affiglinoli,
il resto al fisco. Manie Lepido disse, « Il quarto àgli accusa-
tori per forza della legge, il resto affiglinoli. » Trovo che
questo Lepido fu grave e savio uomo di que' tempi , perchè
molte crudeltà trovate da gli adulatori temperò, e poteo farlo
* mUafenonia di Sacroviro. Usata come nel IO». Ili, 43*47 , della qaale
Tiberio , domandato tuo parere, non teme coiito e nutrì la guerra.
^ * n corse ambenti i quali doTeano per legge rispettarsi come di accuMto
che s' era tolto da se la vita.
' la prima diligenza di Tiberio contro alla roba t^ altri. La seconda do-
vette essere quando fece accusar di giacimento con la figlinola Sesto BCarìo qpa-
gnnolo, adocchiando la sua sfondolata ricchesa, e quelle cave dell* oro, come nel
lib. VI , i9. La terza un poco Ligerognola, (*) quando raschiò il testamento di sua
madre che lasciava a Sergio Galba, che poi fu imperadore,^MÌitgenfiej J7'<*«S'. che
voleva dire Milione uno e un quarto d'oro. La qual somma colui che rog6 , non
compitò ; ma scrìsse per loro abbaco, D j e Tiberìo gli raschiò il corpo, e fecene
un L, che diceva quinquagies : levonne , a modo nostro , un cero ( Suetonio in
Gatba, al quinto). Altri dicono che lo scritto era quin. H»Ss che potendo dire
quinquagies come quingenties , Tiberìo lo intese a suo vantaggio per quinqua-
gies, cioè cento venticinque mila fiorini; legato meschino alla grandesa d'Agusta
e di Galba ; e anche non l'ebbe. La quarU diligenza era forse](**) il lasciare empire le
spugne de*suoi ministri per premerle, come dice la Postilla 76 del primo libro (***).
(*) Mf«roffiote,6aUivo6eia: è per fig. d' estcaoasione, « vuol dire, pessima.
n U Giuntina dice : « era forM il laseisre i ministri vender le grazie e legiutizie,
per gattigarli quando eran pieni , e premerli; onde gli ebiamava le ine spugne. Coeì arriediiva,
e il popolo lo benediceva. » Qai nel Ms. Magiiabediiano Mgne altro, che è eanoeUato, e dica
tmà: «Ma TiberÌD era pidncipe e poteva fare qaaite oeee agevolmente. Il bello fa veleni della
roba di altri, come non so ehi qsiei vieini, ebe preaero da un amico somma notabile di du-
cati per ttafficere a compagnia, e in capo a undici mesi senza disgrazie o danni del trallco
si faggirono con 44 mila; e hanno trovato aiuti, favori, amici e modi; onde paseeggiano «oa
le teste alte e spendono allegramente. E quelP amico ristorano eoi vedferave di averlo sod-
disfistto innanzi agli altri , contro a ogni verità.
E qaeale sia saggel che oga' uno sganni. »
e**) Di qnesU edistoBe, noU a, pag. ST.
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IL LIBIO QUARTO DB6LI ANNILI. I69
per raatorità e grazia * che ebbe sempre con Tiberio. Cosa
cbc mi fa dnbiUre, se l'avere r principi chi a grado chi a
noia, venga come V altre cose dal fato e riscontro di nasci-
te : ' o par possiamo alcana cosa' noi destreggiando, e senza
nò sempre adulare né sempre dir contro, scansare pef icoli e
viltà, tenendo mezzana vìa. Ma Cotta Messaline non meno di
legnaggio chiaro, ma di mente diversa, disse doversi decre-
tare che degli aggiravi che fanno alle provincie le mogli, si
punissero ì mariti, benché nescienti, * come de' propri loro.
XXI. Trattossi poi di Calpornio Pisene, nobile e feroce,
che fece quel remore in senato de' tanti accusatori, e che
s' andrebbe condio;' e ardi a dispetto d'Agusta trarre in giù*
dizio, e di casa il principe, Urgnlania.^ Le quali cose Tiberio
prese civilmente allora, ma l'ira dell'inghiottita offesa in
queir animo rngumante ^ ribolli : e fece da Oranio accusar
Pisone d'aver tenuto ragionamenti secreti contro allo stato;
veleno in casa ; arme sotto in senato. Questa accusa ultima
fu sprezata come atroce oltre al vero. Tutte l' altre che gli
piovevano, accettate e non ispedite, perchè egli si morì a
buona stagione.^ Ancora si trattò di Cassio Severo confinato.
Costai di brutta origine, mala vita, ma eloquentissimo, si fé
tanti nimici, che per giurato giudizio ' il senato il cacciò in
' autorità e grafia. Mecenate e Salnstio non si mantenDero, ( Vedi lib. Ili,
30) (*)e Agricola ancora. E Dione,liL. 49, mostra come sia da procedere co'Pria.
cipi.
3 * riscontro di nascite. Lat. : « sorte nascendi, »
' * o pur possiamo alcuna cosa ec. G. Dati : « o se pure egli è posto nel-
l' industria nostra , mediante la quale ne sia conceduto camminare per una via di
mezzo, onde noi troppo ostinatamente non ci opponghiamo a cui ci domina e si-
gnoreggia : e tuttavia ancora non ci lasciamo precipitare in ima vergognosa adu-
lazione e servitù , ma procediamo di maniera , che ne da ambizione ne da troppa
cupidità di gloria vinti ci rendiamo, e perciò con maggior sicurezza meniamo la
vita nostra e a manco pericoli ci facciamo soggetti. **
* * nescienti. Mei Ms. è cancellato •« ignoranti. **
S * condìo : cosi , in una sola parola , per con dio.
• • Urgulania. Vedi liU. II, 34.
7 * rugumante. Buti, Annot. alPurg. 16: m Bugttmare e rinfrangere Io
cibo preso. *» Qui rugumante o ruminante e colui che ripensa le cose passate.
8 * a buona stagione. Il Ms. cancella t* a tempo. >•
9 giurato gittdizio. Quando un senatore aveva dello la sua sentenza , se
(*) Ciò che segno manca nella Giaotiaa.
I. 15
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170 IL UBEO QUARTO DEftf'I ANNiLI.
Caodia; dove avendo* cielo e non vezo' mutato, e rimbottato^
nuove cagioni, toltogli beni, acqua e fuoco» invecchiò nel
sasso di Serifo.
XXIL Nel detto tempo Plauzio Silvano pretore gittò da
alto Apronia sua moglie. Non si sa la cagione. Tratto da
L. Apronio suocero dinanzi a Cesare, rispose barbugliando
che dormiva profondo : non potea sapere : gUtossi dassè. Ti-
berio tosto ne va alla casa : vede in camera * le tracce delle
(atte forze e difese: riferisce al senato ; e dati i giudici, Ur-
gulania avola di Silvano gli mandò il ferro. ^ Gredesi di con-
siglio del principe per ramicizia d'Agusta con lei. Al reo la
mano tremò, ^ e fecesi segar le veni. Numantina sua prima
moglie fu d' averlo con malie fatto stolido accusata e as-
soluta.
XXIII. QuesV anno liberò finalmente il popolo romano
della lunga guerra di Tacfarinata numide : perchè i passali
eapitani quando si vedevano aver meritate le ttionSali, ti la-
sciavano il nimico. Già erano in Roma tre statue, con l'allo-
ro, e Tacfarinata rubacchiava^ ancor V Affrica, rinfrescato
olire alle ragioni ginrava che cosi credeva esser utile alla repoblica, questo si cliìa-
mava giadixio giurato : era creduto, (*) e ginravasi ia questa forma : Se io così
credo, vengami ogni benej se sciente /aito, ogni male: (**) si scikks fau.o,
TTU ME OIESPITXR BONIS DXIiaAT VT EGO HVNC LAPIDEU DBIICIO. GOD tal giura-
mento cominciò poi tutto il senato a fare alcuni decreti, per dare loro più forca.
Tito Livio nel libro 40 dice che L. Petilio libraio divegliendo un suo campo, vi
trovò libri di Numa , dove si disputava dell'autorità del ponteGce. Il govemator
di Roma gli lesse , e giurò giudicarli di scandolo alla religione. Onde furono in
publico arsi; ma prima stimati e pagati a Petilio.
' doffe afendo. Questo concetto, per queste fiorentinità, num nam meliiis
che il latino che e alla comune?
* * pezo, costume.
' * rimbottato, raccolto, messo insieme : essendosi fatto reo di nuove ca-
gioni di odio.
* * yede in camera. Nel Ms. cancella: « nel Ietto rabbaruffato; » poi corregge
««scompigliato;** e così stampa nella Triuntina.
S * il ferro. Il Ms. reca: «« pugnale; «* cancellato.
^ * al reo la mano tremò. Il Ms.: «< il reo volle ferirsi; non potè : •» can-
cellato.
' * ruBacchiava. Il Ms.: « scorranava; » caUcellato.
(*) La Giuntina « «{aesvasi. »
(**) s9seUnta eo. Qaeste parole, per errore, mancano nelle altre ediiionì.La foramU Ic-
tina non riferiscesi nell' edix. del Gionti.
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IL LIBRO QOABTO DEGLI ANNALI. 171
d'aioli di Mori che, per foggir V iiMolente imperio servile di
liberti del re Torlomeo figliaol di laba giovane che non ci
badava, andavano alla gaerra. Il re de' Garamanti era com-
pagno al rabare , e riponeva te prede : non v' andava con
esercito, ma vi mandava poca gente con grido di molta. B
d'Affrica a questa gaerra ogni mal' andato e scapestrato più
correva : ^ perchè Cesare, dopo le cose da Bleso fatte , come
non vi restassero pia nimici , avea richiamato la nona legio-
ne:* né P.Dolabella viceconsolo di quell'anno ardi ritenerla,
lemeodo il comandamento del principe, più che il pericolo
deUa goerra.
XXIV. Tacferinata adànqne sparge fama che i Romani
da altre nazioni erano tartassati,' però s'uscivano d'Affrica
a poco a poco: polrebbesi disfare ogni resto, se gli amadori
più di libertà che di servalo, ci si mettessono. Ingrossa, * e
assedia la terra di Tobusco. Dolahella messi insieme tutti i
suoi, co '1 terrore del nome romano, e perchè i Numidi alla
fanteria non resistono; alla prima levò l'assedio: i luoghi
importanti fortificò, e i capi de'Musolani soUevantisi decol-
lò. E veduto per lungo guerreggiare con Tacfarinata non si
vincere questo nimico scorridore con uno affronto solo e
grosso; tratto in campagna Tolommeo re co' suoi paesani, ne
fece quattro squadre, e le die a' legati e tribuni; e la gente
da. scorrerie a' capitani moreschi. Esso aveva l' occhio a
tutti.
XXV. Non guari dopo venne avviso che i Numidi s'erano
* * ogni mal andato e scapestrato più correva. Il Ms.: « i più spallati e
malandati correvano j» poi corregge : « se nessuno malandato e scapestrato v'era,
correva; *» e così leggesi nella Giuntina.
S ia nona legione: mandatavi d'Ungheria , come nel lìb. Ili, 9. (')
5 tartassati. Dal greco Tapoc<xffw. Teocrito ne' Diosciiri dice che Amico
TC de'Behrici facendo con Polluce alle pugna col cesto, te lo tarUssava, tonfana-
va, Bombava , (**) conciava male : tov /asv c£va| èroc/pa^ev , secondo che legge
lo Stefani C**)-
♦ * Ingrossa. Il Ms.: « Accresce le fonie e pone il campo attorno alla terra
' di Tubusco : ** cancellato.
n QaMta^postUla è tralasciata nelte «itnediiioiiitiMr non fi darla pena M riseortrare
U citaxione della Giantina.
(•*) zombava maoca nella Giontina.
p) Lo Stefani.iivA Arrigo Stefano, che è quel Francew, a ebagiardare il quale il Daran-
tali pose mano a qoetta tradviione. Vedi il Discorso salta vita del traduttore.
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173 IL LIBRO QUABTO DIGLI lllfULI.
atleodati sotto Aozea.castello rovi^aticcio, che già l' abbru-
ciarono, fidatisi nel sito cinto d'immenso tosco. Allora spinti
a corsa .senza saper dove i nostri fanti e cavalleggieri bene
schierati, disposti e provveduti, con trombe e grida orrende,
all'alba furo addosso a que' barbari, che sonnacchiosi, co'ca-
valli alle pasture o in opere, senza avvisi, arme, ordini o
consigli, erano come pecore presi, sgozati, strascinati da' no-
stri,, che ricordandosi delle fatiche durate per venire a questa
bramata e tante volte loro sebi ppita^ pugna, si saziavano di
vendetta e di sangue. Per le squadre andò grida: « Ciascun
si difili a Tacfarinata: per tante battaglie lo conosce ogn'nno:
la guerra non ara fine, se non le si tronca questo capo. »
Egli, mortagli tutta la suaf uardia,* veduto prigione il figliuo-
lo, e sé di Romani per tutto einto, s'avventò nel mezo del-
l'armi, e con morte ben vendicata fuggi prigionia, e fu finita
la guerra. ^^
XXVI. Dolabella domandò le insegne trionfali. Tiberio,
perchè non iscurasse la gloria di Bleso , zio di Seiano, le li
negò. Ma Bleso non ne acquistò : ebbene Dolabella maggior
rinomo, per avere con minore esercito fatto gran prigioni,
morto il capitano, finita la guerra: vedersi in Roma* gli
ambasctadori de'Garamantì (cosa rara), morto Tacfarinata,
sbattuti scolparsi col popol romano. A Tolommeo per ricono-
scenza de' suoi meriti in questa guerra, i padri rinovando
l'antico costume mandarono un senatore a presentargli il
bastone deli' avorio* e la toga dipinta, e chiamarlo re, com-
pagno e amico.
XXYII. In qdella state nacquero semi di guerra servile
in Italia, e gli spense la sorte. Mosse il tumulto Tito Gurlisio
* * schippita, schivata con astuzia, con accorgimento. Il lat. : « adversns
'eludentes optatte toties pugncg. » ,
S mortagli tiUta la sua guardia. Leggo d^etis, non delectis, o diltctis,
S * vedersi in Bontà ec. Il Ms.: « vedersi in Roma ambasciadori (visti di
ndo) mandati, morto Tacfarinata, «la'GaTamanti sbattuti (corr. con la correggia
al collo ) a scusarsi al popolo romano. » Cancella tutto, e riscrive : « vedersi in
Roma gli ambasciadori de'Garamanti (cosa rara) chieder merc^ , morto Tacfari-
nata , al popol romano. ** Cosi Uf^esi nella Giuntina.
* il bastone dell' avorio. I doni piccioli de'principi grandi , come questi
(e oggi rosa, tosone , geretliera e simQi), son grandi onon e favorì.
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IL uno QQAKTO DIQU ANNiU. Ì^Z
stato soldato di guardia, chiamando a libertà , prima,* con
ragnnanze segrete in Brindisi e per quelle terre; poi, con
pnblici cartelli, schiavi rozi e feroci dei boschi lontani.
Qoando quasi per grazia divina v' arrivarono tre galee fatte
per li passeggieri di quel mare. Bravi Curzio Lupo tratto,
come s' usa, questore della provincia di Calle : il quale pose
la gente di quelle galee in vari luoghi, e sbrancò la congiura
in su '1 cominciare. E Cesare vi mandò prestamente Staio
tribuno con buone forze, che ne menò il capo e i principali
a Roma, già impaurita per lo gran crescere dell! schiavi,
scemando la plebe libera.
XXVIII. In questo consolato nacque esempio miserando
e atroce: un figliuolo accusò il padre: fu Vibio Sereno d'ambi
il nome. Tratto lo infelice d' esigilo, e sucido, spunto,^ in
catena, condotto in senato appetto al figliuolo, che lindo e
gioiante testimonio e spia insieme, diceva, « aver suo padre
teso insidie al principe : mandato in Gallia sommovilori a
guerra ; e Cecilie Cornuto stato pretore trovalo i danari : il
quale per lo dispiacere , e perchè allora il pericol di morte
era certeza, la si avacciò. » Ma il reo niente perduto d'ani-
mo, scoteva verso il figliuolo le catone, chiedeva vendetta
agi' Iddii, « rimetiesserlo nel suo esigilo, ' lontano da modi
tali : * seguisse mai più il supplizio di cotal mostro. » Sagra-
mentava,* Cornuto esser innocento, fattosi paura dell'ombra:
« che più bello che far venire i compagni? non potendo già
* * spunto. L'anonimo tradutlore dei Morali di san Gregorio, I, i8:
« co' vestimenti squarciati, tutti squallidi, cioè spunti ovvero scoloriti. » Vedi
anche Ann. Yl, 43.
' * rimeitesserlo nel suo esigilo ec. .11 Bfs. : « rimettfiuerlo nel suo esilio
per non vedere tanta perfidia di figliuolo; gastigasserlo mai più : » e di nuovo cor*
regS* * " P'' °^° vedere la faccia né il supplisio di mostro cotale. » E cosi legge
la Giuntina.
S * lontano da modi taÙ. G. Dati : « per viversi lontano da così fatta per-
venitk di costumi. »
A * Sagramentava , giurava. Udiamo il Dati che commenta : « Afiermava
inoltre che Gecilio Cornuto era innocente , e che s* era spaventalo di quello che
falsamente gli era stato apposto , e che ciò agevolmente si potrebbe conoscere, se
degli altri se ne scoprissero che di queste cose fossero consapevoli, dicendo, eh *ei
si doveva considerare , che s' egli avesse avuto pensiero d' ammassare il principe
o di far novità, non avrebbe con un solo compagno messo mano ad impresa cosi
grande. •
15'
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174 IL LURO QUAtTO DMil AMIIALI.
egli aver tolto a uccidere * il priBcipe, e riamlare lo stato
coli costui solo. »
XXIX. Allora l'accusatore nominò Gn. Lentnlo e Seio
Toberone, a grande onta di Cesare, che due più cari amici
saoì, i primi della città* Lentolo decrepito^ Toberose infet-
to» ' fesaei:o accosati di tamoUi, guerra e congiora controgti.
Però di questi non si parlò. I servi esaminati contro al pa-
dre , dissero contro al figlinolo ; il quale sbalordito per lo
peccato, e per lo popolo che gli gridava dietro « RoTere,
Sasso, Otre,' » si fuggi a Ravenna; fanne rimenato, e fatto
seguitar la querela. Tanto rancore mostrò Tiberio contro a
Sereno vecchio, per avergli scritto sin quando fìi dannato
Libone, solo esso averlo servito senta fratto, e altre parole
risentite, non da orecchi superbi e sdegnosi. Otto amii le li
serbò, nel qoal tempo gli tese più trappole ; ma i servi ressero
a* tormenti.
XXX. I t)areri gli davano il supplizio antico; Egli, per
iscemarsi carico, contraddisse. Gallo Asinio lo confinava in
Giare o Donnsa, isole. Non gli piacque: dicendo in ninna es-
ser acqua. Dovere chi vuole ehe altri viva, si foro ch'ei pos-
sa. Onde fu riportato in Amorgo. E per essersi Cornuto ucciso,
fu proposto, che quando il reo di maestà s'uccidesse innanzi
al giudìzio, le spie non guadagnassero: e vincevasi, se Ce»
sare non sì fusse per quelle, fuori di sua usanza, alla scoperta
opposto: e doluto « guastarsi gli ordini: la repubblica precipi**
tare: levasson via le leggi, anzi che i conservadori di esse. »
Cosile spie, gente trovata per rovinar ogn' uno, non mai a
bastanza rattenute con pene, eran allettate co' premi.
XXXI. Tra cotanti, e si continovi amari, entrò un poco
di dolce, che Cesare a Gaio Cominio cavalìer romano, con-
** * non potendo già egH aver tolto a uccidere ec. n Ms.: m non potendo
giìi egli aver pensato d' ammanare il principe : » cancellato.
* * infetto, malaticcio.
' Rovere, Sasso, Otre. In carcere, in cassa di rovere, lasciavan morire i
bmtti scelerati, o li precipitavano dal Sasso tarpeo : e li parricidi cucivano inotro
con serpe , scimia e gallo , e gittavano in 0ume o in mare. Vedi la postilla 3 del
sesto libro. (*)
(*) èia nota al eap. 8, eoi richiamo: Prigionia di magittnui.
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IL LIVBO QOAftTO DE6U ANNALI. §JB
vìnto d'averlo con versi infamato, perdonò a' pregfaì del fì^-
tello senatore. Tanto più maraviglia è, che vedendo il meglio,
e quanto si celebrava la clemenza,^ ei s'appigliasse al peggio»
re. Non è didire, * e' peccava per ignoranza.E ben sì conosce
quando nno esalta nn fatto del principe con vera lode , e
quando con orpellata. Tiberio stesso favellatore a sptzico ;
quando giovava, era largo e pronto. Ma egli, essendo JP. Sui-*
lio tesoriere già di Germanico cacciato fuor d'Italia per mo-
neta presa per dare certa sentenza, lo confinò in isola, di si
gran volontà che egli giurò ciò essere utile della repubblica.
Cosa che parve allora cruda, ma ne lo benedisse l'età se-
guente, che vide Suilio tornato potente, vendereccio usar la
grazia di Claudio lungamente con felicità, e sempre senza
bontà. La medesima pena ebbe Calo Firmio senatore , per
querela falsa di maestà data alla sorella. Costui, com'è detto,
aveva carrucolato, * e poi accusato Lìbone. Tiberio di questa
buon'opera ricordevole, sott' altro colore gli campò l'esilio;
pure lo lasciò radere del senato.
XXXII. Minute e poco memorevoli ^ veggo io che par-
ranno le piA deUe cose ch'io ho detto e dirò. Ma non sia chi
* ^ si celebrala la clemenza. Lo re dell'api e sema pungiglione, perche
Baftnia naa ToUe che foste eradele. C) Trìbimi di soldati si oignevano il paranoni^,
che era spada sema punta j perchè non aramaaassino ma contggesseroilovo sol-
dati.
' * Non è didire ec, ne può dirsi eh' e' peccasse ec. Nel lis. si vedono molte
CMcdlatnre e penthnenCi a questo hxogo. Eccone un saggio : « Non è di dire, ei
pecca (cmrr. peccava) per ignorama, e non Tede (con. vedeva) la pmita del tirso
tra le foglie (corr.yra le foglie la punta del tirso : corr. del tirso la punta tra
le foglie); conoscendosi troppo bene quando i fatti de' principi sono esaltati
( corr. quando tato esalta i fatti dt^ principi fintamente ) e quando con verace
baldansa e quando con falsitade (corr. e quando di cuore allegro e verace),
Tiberio stesso parlava nel danneggiare limbiccato e a stento; e per giovare, sciolto
e pronto (corr. Dallo stesso Tiberio uscivano le parole per nuocere limbic-
cate e quasi per forza). » Poi cancella tatto e corregge come sopra.
' * aveva carrucolato, lì lat. : « inlexerat insidiis. *»
* Minute e poco memorevoli. L' autore nel sedicesimo di questi Annali del
sno contare troppo spesso rovine di grandi ne' medesimi modi, con loro vilt^
stomachevoli , fa scusa piacevole : che questa memione del fatto loro, era l'ono-
ranxa e la pompa dell'esequie che loro si venivano, come a grandi, delle quali si
vantaggiano dagli altri uomini.
(*) Ciò dw S0«w ouuMa nolla OiuttBa.
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179 IL UBHO QUABTO DMLI AHHAU.
agguagli qoesli nostri annali alle storie antiche di Roma. Gli
scrittori di quelle narravano guerre grosse, città sforzate, re
presi e sconfitti : e dentro, discordie di consoli con tribuni,
leggi a' terreni, a' frumenti, zuffe della plebe co'grandi: lar-
ghissimi campi. Il nostro è stretto e scarso di lode: pace fer-
ma, o poco turbata: Roma attonita: principe di crescere im-
perio non curante. Ma non fia disutile notomizzare cotali
membretti di storia, che da prima niente paiono, ma ci sono
alla vita grandissimi insegnamenti. *■
XXXIII. Avvenga che le nazioni e città si reggano o
dal popolo o da' grandi o da uno; forma di repubblica quindi
tratta ^ si può più lodare che trovare o durare. Come adun-
que, quando la plebe o quando i padri potevano, conveniva
sapere la natura del popolo, e come temperarlosi ; e chi in-
tendeva r andar del senato e de' grandi, si diceva saputo e
scaltrito navigatore a quei venti; cosi ora che lo stato è ri-
volto e comandalo un solo , queste minuzie ci bisogna spe-
colare e notare: perchè pochi sono i prudenti che discernano
le cose utili e le oneste dalle contrarie: gli altri le apparano
dagli altrui avvenimenti. Queste arrecano, benché utili, poco
piacere. Perchè descrizion di paesi, battaglie varie, morti di
gran capitani, invogliano e tengono i leggitori: a noi toccano
comandari atroci, accuse continove, precipizi d'innocenti,
ingannevoli amicizie e loro cagioni, riuscite spesso le me-
desime e tediose. Oltre a ciò gli scrittori antichi non sono la-
cerati : ' a ninno rilevando , se tu le schiere romane o le
cartaginesi vantaggi: ma regnante Tiberio furon puniti o
' grandissimi insegnamenti. Leggo monitus , noo motus. Aristotile nel 1
delle parti degli animali, cap. 5« dice che nella natura non h coca ci vile che noa
▼i siano maraviglie da specolare : e condisce questa sua massima eoa un bel detto
d'Eraclito, il quale ad alcuni che l'aspetUvano fuori del fornaio , dove egli si
scaldava, disse: Passate s non vi peritate: perche anche qui abitano gi' iddiL
Similmente nelle Storie , anche ne' minuti particolari sono insegnamenti. —
* insegnamenti. Legge monUus. Ma la vera lesione è motus , come vedcsi dal
codice Mediceo; e conforme ad essa dee tradursi: « ma da cui sovente nascono
grandi rivolgimenti. »
3 * quindi tratta ^ cioè, formata da tutto ciò che ha di buono ciascuna di
queste diverse forme di governo.
9 * non sono iactratL H Ms. cancelhi : « non t'i
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IL LIBBO QUABtO DEGLI ANNALI. 177
svergognati molti , li coi posteri vivono. * E quando fossero
spenti, tale lègge il peccato d'altri, che l'ha, è credelsi rm-
facciato : anche la virtA e la gloria ha de' nimici , quasi ri-
prendenti troppo da vicino i loro contrari. Ma torniamo a
nostra materia.
XXXIV. [A. di R. 778, di Cr.2!S.] Essendo consoli Corne-
lio Cosso e Asinio A grippa, Cremnzio Cordo ebbe nna novis-
sima accusa d'avere in suoi pubblicati annali lodato M. Bru-
to, e chiamato Gaio Cassio l' ultimo romano. Accusavanlo
Satrio Secondo e Pinarìo Natta, lance* di Seiano. Questo gli
dava lo scacco: >^ il viso dell'arme che faceva Cesare alla dife-
sa: la quale Cireinnzio, certo di morire, cosi cominciò: « Io sonò,
padri coscritti, si di fatti innocente che costoro mi appuntano
in parole; non dette contro al principe o sua madre, com-
presi nella legge di maestà ; ma lode * di Bruto e dì Cassio, i
cui fatti scrissero molti , e ninno li ricordò senza onore. Tito
Livio, sovrano in eloquenza e verità, loda tanto Gneo Pom-
peo, che Agusto il dicea pompeiano, e pur se lo ritenne ami-
co: chiama Scipione, Afranio, questo Cassio, questo Bruto
segnalati uomini, e non mai ladroni, traditori della patria,
come oggi odo. Gli scritti d' Asinio PoUione, di essi fanno
eccelsa memoria. Messala Corvino appellava Cassio il suo im-
peradore ; e i' uno e 1' altro gran potenza e onori ebbe. Ai
lil»ro dì Marco Cicerone che mette Catone in cielo, che altro
fé* Cesare dettatore, che contrascrivere, e quasi rispondere
alle civili?* Lettere d'Antonio, dicerie di Bruto, dicono
d' Agusto lordure false, ma velenose. Versi di Bibacolo e di
Catullo trafiggono * gl'imperadori. E pure essi Giulio e Agn-
< * ma regnante Tiberio furon puniti ec. Il Ms.: « ma del tempo di Ti-
berio furono molti scrittori puniti o svergognati, le cui famiglie restano : e quando
Doo ne restasse , tale ec. : w e di nuovo corregge : « ma regnante Tiberio furon
puniti e ivergognati molti , U cui disceti vivono. » Cancella e ricorregge come
sopra.
* * lance. Lat. : « eiientes. »
* * Questo gli dava lo scacco. Lat. : «r id pemiciabile reo. » G. Dati :
« la qoal cosa noceva molto al reo, e anche Cesare aspro e inclemente si rendeva
contro alla difesa, n
* * lode , cioè, dette a lode.
S * quasi^.. alle civili. Lat. • velai apud iudiees. »
* * trajlggono. Il Ms. cancella : « sfenano. »
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178 IL LIBRO QUARTO DEGLI ANNALI.
sto, i divini, gli patirono e lasciarono leggere; dire non saprei,
con qoal maggiore o modestia o sapienza : perchè qaeste co-
se sprecate svaniscono; adirandoti, le confessi. ^
XXXV. tf Lascio, che i Greci potevano parlare, non
par libero, ma sbarbazato.* Al più, vendicavano detti con
detti. Ma lo scrivere de' morti, che non s' odiano né amano
più, né vietato né biasimato fa unqoe. Vo io forse, con Cas-
sio e Bruto armali, ne'Filippi a infiammare il popolo a guerra
civile? Settantanni fa morirò, e par son lasciate riconoscere
le loro effigie nelle statue salvate, eziandio dal vincitore , e
parte de' loro fatti nelle memorie delli scrittori. L* età che
saccede , rende a ciascuno il suo onore. Né perché io sia con-
dannato, mancherà chi ricordi e Bruto e Cassio e me anco-
ra. » Usci di senato, e mori per digiuno. I padri ordinare
che gli edili ardessero i libri. Ma foron salvati, nascosi e
poi dati fuore. Onde mi rido del poco accorgere ' di chi
crede che i principi possan levar le memorie a' posteri col
punire gringegni: anzi dan loro più credito. Né altro hanno
i re stranieri o altri per tal severità partorito^ che a se ver-
gogna e a quei gloria.
XXXVI. Fioccarono in questo anno tante le cause, che
fatto Druse di Roma governatore, venato per le ferie latine
in tribunale, per dare in buon ponto principio, Calpornio
Salviano gli venne innanzi contro a Sesto Mario, ma, biasi-
matone in publico da Cesare, fu mandato in esilio. I Cizi-
ceni imputati d'aver tracurata l'uficiatura del divino Agnsto,
e soperchiato cittadini romani, ne perderò la libertà guada-
gnata nell'assedio di Mitridate, cacciato non meno per loro
sofferenza,* che per soccorso di LucuUo. Fonteio Capitone,
* adirandoti, le confessi. È come tagliare l'erbe maligne tra le due terre,
che rimettono più rigogliose. Il vero ci ammenda: il falso non fa vergogna; la fa
il magistrato, in publico, per esempio , e non un poeta in maschera per furore o
per odio. Nevio che punse i grandi di Roma , ne fu carcerato. Si ridiafe con belli
v^si, e fu liberato. Un altro, che con infamia nominò Lucilio in copimedia, ne fu
assoluto da Gaio Celio giudice, con dire: E* si roseeelUmta ira lor poetaui.
(L'Autor a Erennio.)
' * sbarbazato^ sensa barbasale , senaa freno.
' del poco accorgere. 11 Ma. cancella: • del poco gindicio. »
* " sofferenza, costanza.
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IL LlBftO QUARTO DNLI INNAU. t79
siato Yiceeonsolo in Asia, fu assolato dalle accaso riascile
false di Yibìa Sereno, il quale non pati , ' perchè ogn' un
l'odiava, e perchè le spie grosse erano sagresante, e la
pena era fatta * per le minute. *
XXXYII. In questo tempo la Spagna di là, mandò am-
basciadori al senato a chieder licenza di fare, come l'Asia,
temfHo a Tiberio e alla madre. Egli non si carava di questi
onori: e per rispondere a certi che '1 diceano diventato vano,
cosi cominciò: e Io so, padri coscritti,* che molti mi ten-
gono di poca fermeza, perchè io alle città dell'Asia dianzi
questo medesimo domandanti , non contraddissi. Dirovvì la
cagione perchè tacqui allora , e l' animo mio per l'avvenire.
Non avendo il divino Agosto disdetto il rizar tempio in
Pergamo a lui e alla città di Roma ; io perchè ogni suo detto
e fatto m'è legge,'' aejguitai l'esempio e volentieri: perchè
al mio divino onore era congiunta la venerazion del senato.
L' averlo accettato una volta mi si può perdonare: ma il
farmi per ogni provincia sagrare immagini e adorare, sa-
rebbe ambizione e superbia; e 1' onore d' Agosto avvilirà» se
adulazione il divolga.
XXXYIII. a Io sono uomo, e fo e vivo come gli altri
uomini: e '1 soddisfore al grado in ch'io sono, mi basta. Sia-
temene testimoni voi, padri /coscritti, e sappianlo le genti
avvenire ; le quali onoreranno pure assai la mia memoria ,
se crederranno che io sia stato degno de'miei maggiori ; alle
cose vostrd^ben provvedente; ne' pericoli forte; e d'offender
chi si sia, per lo ben publico, non curante. Questi saranno
i miei tempii negli animi vostri , questi l'effigie bellissime e
da durare. Le opere di sasso, se chi vien doppo le guarda
con occhi torli, son sepolture che fetono. Piaccia a tutti i no-
* * non paù, non ebbe danno della calagna.
S * era fatta. Il Ms. cancella : « s'intendeva. »
' la pena era fatta per le minute. Ho visto una bella impresa francese ,
che ha un ragnatela dove i moscherini rimangono , e i mosconi lo sfondano j e
dice: Zea? exlex.
* Io so, padri coscritti, Puoss'egli mai «rrivare alla grandesa e sapienza
di questo parlare di Tiberio 7
^ * m'è legge. Il S9s. cancella : « m'è stella ; » e pone : w m' è tramontana, «•
come leggesi nella Giuntina.
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180 IL LIBBO QUARTO 0B6U ANNALI.
Siri allegali *■ e cUUdini e dii; a questi, mentre avrò Tila,
concedermi quiete e intendimento di ragione umana e divi-
na ; a quelli, doppo mia morte, con laudi e benigne ricorda-
ziont favorire i fatti e la fama del nome mio. » Seguitò ne*
suoi privati ragionari ancora d^ rifiutare Bimili adoramenti.
Chi diceva per modestia; molti per disfidare della durata;
altri per viltà. Aspirano i mortali generosissimi alle cose al-
tissime. Cosi Ercole e Bacco appo i Greci, Quirino appo noi
furono fatti iddìi. Meglio fe'Agusto che lo sperò. Avanzano
a' principi tutte le cose: una non deon mai' vedersi sazi di
procacciarsi; la memoria l>uona di se: perchè spregiando
fama , si spregia virtù.
XXXIX. Sciano accecato da troppa fortuna e riscaldato
da Livia del maritaggio promesso, scrisse al principe, ben-
ché presente, come s'usava, una lettera cosi compilata: « La
benivolenza d'Agusto e li molti favori di Tiberio averlo av-
vezato k dire i suoi desiderii a' suoi signori si tosto, come
agriddii; non aver mai ambito abbagliamento di onori: ve-
gliato, anzi e faticato per l'imperadore, come uno degli al-
tri soldati , e nondimeno conseguito gran cosa, d'esser parente
di Cesare. Quinci venirgli speranza: esappiendo che Agusto
nel rimaritarla figliuola, ebbe animo a' cavalieri ranani;
caso che Livia si dovesse rimaritare, ricordassesi dell'amico.
£ basterebbegli senza lasciar suo grado né uficio, la gloria
del parentado : e dalle inique malevoglienze d'Agrippina as-
sicurare i figliuoli : che, quanto a se, gli sarà d'avanzo aver
terminato la vita al servigio d' un tanto principe. x>
XL. Tiberio gli rispose : lodò 4a sua divozione : toccò
dé'beneficii fattigli ; e prese tempo a pensarvi : il che fatto,
riscrisse: ' « Gli aHri uomini guardare a quello che fa per
loro: a' principi non convenire: ma il primo occhio avere
* * allegati, alleati.
* * una non deon mai ec. Il Ms. cancella : « da aoa io fuoTt, che mai non
se ne deono veder aasi, cìo^ di lasciar memoria buona di se. « Riscrive : «• che cer-
car la deono sensa misura ; la memoria ec . : w ricancella.
* * riscrisse. Il Ms. cancella : « soggiunse: Bastare agli altri nomini &re il
meglio loro i » ricancella : « pensare quel che faccia per loro. **
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IL LIBRO QUAITO DEGLI ANNALI. 181
alla fama; però seco non se ne spaccierebbe * di leggieri,
come potria riscrivendo: — poter essa Livia risolvere, se ma-
ritarsi doppo Draso le par meglio che vedova nella medesi-
ma casa quietare. — Aver madre e avola proprie consiglie-
re. Ma gli direbbe sinceramente; prima, «he la nlmicizia
'd'Agrippina leverebbe pia fiamma^ se Li via. maritandosi,
qaasi dividesse la casa de* Cesari. Scoppiar le gare tra queste
donne por cosi: dimembrare queste discordie i suoi nipoti :
che sarebbe, se questo matrimonio appiccasse maggiore zuf-
fa? Perchè, Sciano, tu l'erri, se credi poterti. star ne' tuoi
panni, e che Livia stata moglie d' un Gaio Cesare e poi d'un
Braso, voglia invecchiare cavalieressa romana. Quando io il
passi, credi tu che stian forti quei che hanno veduto \l fratel
di lei e '1 padre e i nostri passati- ne' sommi imperi? Tu lo
di' tu, che vi ti starai; ma que' magistrati, que' grandi che
enirono contro tua voglia e d' ogni cosa dicon la loro; sanno
molto ben dire, che egli è un pezo, che tu uscisti di cava-
liere, e che ipio padre non alzò mai uno tanto, e me ne bia-
simano p^r invidia. Agusto ebbe concetto di dar sua figliuola
a cavaliere, è vero; perch' ei pensava a. ogni cosa: e vedendo
quanto chi la togliesse s'alzasse, ragionò di Procoleìo e
d' altri quieti e non curanti di Mato;' Ma guardisi quel che
ei fece: la diede a Marco Agrippa, e poi a me. Mi ti sono
aperto, come amico, né mi opporrò a' disegni tuoi e di Li-
via. Quello che ho pensato io, di come ancor più stretto ìnte-
ressarmiti, per ora non dico: bastiti che alteza non è che da
cotesto virtù e animo verso di me, non sia meritata: e con
r occasioni in senato e al popolo ne farò fede.
XLL Seiano non più del matrimonio," ma ( più allo te-
' * però seco non se ne sptiecierebbe ec. Valerìaai ; « Perciò mi guarderò
dì risponderti , come potrei prontamente, che poò ben Livia, mortole Druao, de-
cidersi ad altre nosze, o durare nella famiglia medeaima : che meglio può eoa la
madre e 1* avola consigliarsi. » ,
' * non curanti di stato. Il Ma. cancella : «• non mai nello stato ingeriti, «*
' * Seiano non pia del matrimonio ec. Il Ms. « Tornò Seiano a racco-
non tanto del matrimonio, quanto de' sospetti « del grido del popolo
e della invidia sopravvegniente. » Cancella, e di nuovo: « Seiano lo ripregò non
tanto del matrimonio, ma che lo difendesse da* sospetti e dal grido ec. *» Final-
mente, accortosi della falsa leiione « non tam de matrimonio, n e che dovea leg-
I. 16
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182 IL L|^RO QOABTO BMI.1 AMHALL
mando) de* aospeUi, del grido del popplo e deUa invidia, si
raeeoraandò. E perchò serrando la porta a Unti, che veni-
vano a corteggiarlo, si toglieva la potenia; e aprendola,
dava alle lingue che dire : prese a persuadere Tiberio ohe
vivesse foori di Roma in luoghi ameni, vedendovi molti
vantaggi per se: « Sarebbe padrone dell' ndiensa e delle let-
tere, portandole i soldati. Cesare già vecchio, in quella riti-
rata impigrito, lascierebbe fare a hii ogni cosa; scemerebbe
la invidia diianta. torba salatatrice; manchere))be vanità, ^
e crescerebbe vera potenza* » Cominciò adonqne a dire,
« Che si levasse tanti negozi della città, tanta calca e. tem-
pesta di popolo: a celebrare la quiete e la solitadìne, ove
farebbe senza fastìdi e dispetti le cose pia .importanti. »
XLII. Abbattessi inique' dì il giudizio di Yotieno Monta*
no, uomo di grand' ingegno, a fiir risolvere Tiberio già pie-
gato, a non voler più veder padri, nò sentirsi rinfacciare
sue vergogne>e veri vituperi. Yotieno ebbe querela di satira
fotta contr'a Cestire. Emilio soldati^ testinfioniava tutte quelle
brutture di gran volontà^ Eragli dato in so la voce, ed ei le
pur forai. Cosi Tiberio udì sue vergogne, con tale scanda-
lezo che gridò volerle purgi^re allora in giudizio:' e a pena
gli amici pregando, tutti adulando, l'acquetarono. Yotieno
ebbe pena di lesa maestà. E sentendo Cesare dirsi troppo
crudo nel punire, più s'accani. E avendo Lentulo Getalico,
disegnato qoqsoIo, dannato Aqnilia adultera con Yario Li-
gure, nella legge ginlia;' nell'esUio la dannò. E rase del
senato Apidio Merula,.per giuramento non dato ad Agusto.
XLIII. Udirsi gli ambasciadori de' Lacedemoni e de'Mes-
seniì, che litigavano il tempio di Diana Lineate.^ I Lacede-
moni lo provavano per storici e poeti fatto da' lor maggiori
gcffsi • non iam , - correne : « Sciano non più del nutriiiioBio «o. » U pregar
nnonunente dd matrimonio non sarebbe stata da Seiano.
* * mtmcherebbe vaniti ec. : e per qnalcbe tana tppareim «bt gli omo»
caaso M^nistirebbo soda potenaa.
S * gridò volerle purgare allora in gùtdiaio. Veramente il testo dice « vel
slatim, pel in eognitione: » o sabito allon, o qnando se ne facesse il ptocesso.
* * La legge giolia condannava gli adulteri a senplioerilegaeiooeipena
minore assai dell' esilio.
* Diana Linmato, o LitmtUg vedi il Pipaio; non LimenaOdo,
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IL LIMO i^kVfO »B«LI AMMALI. 183
nella lor terra : ma toUo in ^nen^a da Filippo di Macedonia;
e per sentenze di Gaio Cesare e di Maròanionio riavute. In
contrario i Messenii mostraron carta antica dei Peloponneso,
diviso Ira i discesi d' Ercole, come il tenitorio d*£lea, dove
il tempio era, toccò a Pentilio re loro, e ce n' erano memo-
rie in marmi e bronzi antichi. Volendo testimoni di storie e
versi; a loro n'avanzarono; averlo Filippo, non di potenza,
ma di ragione, aggiudicato: Antigono re e Mnmmio gene-
rale confetmato: cosi i Milesi per pubblico compromesso lo-
dato : in ultimo Atidio Gemino pretore in Acj^ia decretato.
Giudicossl in favore de'Messeni. Chiederò i Segestani,ché '1
tempio di Venere nel monte Erico per antichità rovinato,
si rassettasse, -ricordando le sue note origini: e Tiberio ne
prese lieto (come di quel sangue) *■ la cura. A' preghi de'Mar-
sitiesi fu approvato che Volcazio Mosco, di Roma bandito,
e fatto cittadino di Marsiglia, potesse come sua patria la-
sciarla reda :^ si come Pubblio Rotilio, alsl* bandite per tegge,
ricevuto da Smirna, lei lasciò.
XLiV. Morirono in quest' anno due chiari cittadini;
Gn. Lentttlo perla ben tollerate povertà, e poscia lealmente
fatta e parcamente usate riccheza^ oltre al consolate^ e le
trionfali acquistate de'Getuli; e L. Domizio per Io padre
nelle guerre civili potente in mare,; accostato poi ad Anto-
nio, indi a Cesare. L'avolo mori per li ottimati in Farsaglia:
egli ta eletto a marito d' Antonia minore nata d' Oitevia,
poscia con esercito passò l'Albi, e più entro di tutti pebetrò
la Germania, e n'ebbe le trionfali. Mori ancora L.Antenio
di gran chìareza di sangue, ma sveinturata: perchè Agusto
punì di morte Giulio Antonio suo padre adultero di Giulia,
e lui nipote d' Ottevia mandò giovanetto in Marsiglia, ove
sott' ombra di studio stesse in esilio. Il senato nondimeno
gli decretò esequie, e V ossa ripose tra gli Ottevi.
XLV. In quest' anno nella Spagna di qua segui co^a
* come di quel sangue, I Scgettam ti dicerano discesi da Troia» come i
Romani.
S * polene , cioè , lawiare i luoi beni alla cittk di Marsiglia» divenuta come
taa|Mtria.
S * aUl Vedi sopra I , SO; li, 64; III, i3.
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184 IL UBfiO QUARTO DKQLI AMNALI.
atroce. Un villano da Termeste asei addosso per cammino a
L. Pisone governatore, che per la pace non si guardava, e
diagli ferita mortale. Spronò al bosco, ove lasciato il cavallo,
per macchie e burroni usci d'occhio a'perseguentr.Poco gli
valse, perchè il cavallo fu ripigliato, e fatto per quei villaggi
riconoscere essere il suo: fu preso *■ e collato terribilmente,
per dire i consapevoli. Con voce alta disse in sua.lingna, « che
e' perdevano il tempo; fussero pur eglino'' quivi presenti;
che per quantunque spasimi noi direbbe. »^ U altro di ri-
messo in disamina, si scote da' fanti di si gran forza, e sfira-
cellossi in uno stipite il capo , che quivi spirò. Gredesi faces-
sero ammazar Pisene i Termestini, perchè gli scannava con
le graveze.
XLYI. [A. di R. 779, di Cr. 26.] Nel seguente anno, con-
solato di Lentulo Getulico e Gaio Galvisio, furon date le trion-
fali a Poppeo Sabino, per avere rintuzati i Traci di quelle
alte ed aspre montagne, però feróci. Levare in capo^ per lor
natura, e per non dare il fiore della loro gioventù alla nostra
milizia: avvezi a disubbidire anche i re, o mandare aiuti a
' Ripreso. Quasi per sùnil modo s'aggirò quel Pohrot che ammtcò il
duca di Guisa.
S * fussero pur eglino ec: cioè, non fuggissero: stessero pure anche qdi
presenti alla tortura; egli non gli scoprirebbe.
8 noi direbbe. Gredesi per moHi saTi e dotti uomini che Q. trarre co' tor-
menti la verità sia cosa non umana, non sicura, e dannosa alla republica: per-
chè noi laceriamo i corpi vivi, come le fiere; e bene spesso liberiamo il colpevole
che può sopportare e niega la veritk, e l'innocente danniamo che mentisce per
duolo. Dice Ulpiabo che la tortura è prova fallace e pericolosa. E Cicerone in
Siila, che in quell'agonia la verità non' ha. luogo. Perciò i Bomani non esamina-
vano con tormenti le persone libere, ma i loro schiavi : perchè questi erano dalle
leggi riputati per niente, e come cadaveri. E noi cristiani facciamo di noi questo
strasio f eiiandio^ dandolo a buon mercato, e alcune volte per cause non degne,
non criminali, peconiarie solamente. Itene il Boccaccio fece a Tedaldo degli Elisei
considerare la cieca severità delle leggi e de' rettori , i quali assai volte, quasi
solleciti investigatori del vero, incrudelendo, fanno il falso provare , e se ministri
dicono della gicistisia e d'Iddio, dove sono deUa iniqui^ e del diavolo esecutori.
Vedi AnneoBoberto, libro primo, capit. 4 delle Decisioni di Parigi: e la costania
dell'ancilla esaminata contro la falsa accusa d'Ottavia nel quattordicesimo di que-
sti Annali. (*)
^ * Levaro in capo. Vedi sopra 1 , 38 e 45.
(*) Questa bellissima postilla, nella qaale il Davanstti prevenne le idee del eelabnlee-
caria , non si legge nella Ginntioa.
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IL UBRO OUARTO DBGLI ANNALI. 185
lor posta,* sotto lor capitani, e in guerre vicine. E allora df-
eevanoche sarieno in capo del mondo strascinati, sbranca-
ti, mescolati tra varie genti. Ma prima che pigliar V àrmev
ricordarono per ambasciadori la loro amicizia e osservanza
per mantenerle, non gli stnzicando con carichi naovi; ma
se gli volessero per ischiavi o vìnti, aver ferro e gioventù e
eaore da viver liberi o morire: e mostrando in alti greppi
loro bicocche ove messo aveano lor vecchi e mogliere ; mi-
nacciavan guerra fastidiosa, darà, sanguinósa.
XLVII. Sabino die buone parole, sino arrivasse Pom*
pomo Labeone con la legione di Mesia, e Remetalce co'Traci
suoi rimasi in fede. Con questo rinforzo n'andò a trovare ii
nimico già postosi a' passi della boscaglia : alcuni pia arditi
si vedevano nelle colline scoperte, lì capitanò romano le sali
e caccionneli agevolmente con poco lor sangue , per la riti-
rata vicina. Quivi s' accampò, e con ottima gente prese la
schiena d'un monte, piana sino a un castello difeso da molti
armati senz'ordine. Contro a' più fieri, che innanzi alle trin-
cee con suoni e canti danzavano a loro usanza, mandò va-
lenti arcadori, che da discosto dledon molte ferite e franche:
appressatisi, furon da subita uscita de' castellani disordinati:
ma soccorsi dadla coorte sicambra, la quale il capitano acco-
stò: pronta, né meno, per strepito di canti e d'armi, terribile.
XLVIII. Il campo si pose accanto al nimico, lasciati
ne' vecchi ripari que' suddetti Traci nostri aiuti, con licenza
di guastare, ardere, rubare sino a sera : ma la notte stessonvi
desti e in guardia. Così federo dapprima : poi datisi ai pia-
ceri* e di preda arricchiti, lascian lor poste, toffansi nelle vi-
vande, nel vino e nel sonno. I nemici veduta lor tracutag-
gine, fanno due schiere, per assalire una i saccheggianti, e
r altra il campo romano, non per pigliare , ma perchè cia-
scuno per le grida e armi al pericolo suo badando, non sen-
tisse dell' altra zuffa il romore : e andaron di notte per più
* * mandare aiuti a lor posta. Il Ms. cancella : « mandare aiuti qodcfae
volta; » e diìniovo; « quando vien lor bene. *»
' datisi ai piaceri. « Capti opulentia: » ho visto poi che il testo de' Me-
diò dice , raptis opulenti. Ogn'an vede quanto meglio. Di non aver dorato a
riscontrarlo ogni fatica , mi pento : e così mi racconcio : Datisi al piacere a di
prede arricchiti.
16*
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i9ù IL U9IIO QOAftTO DBOU AHNALI.
Spavento. Gli assaliti Romani gli scaeciarono di leggiere: gli
alati Traci spaventati dal Sabito assalto, e trovati chi dentro
a poltrire, chi faori a rubare, farono ammaasati con rabbia e
rimproccio di fuggitivi, traditori, prenditori d'arme per Care
schiavi sé e la patria.
XLIX. L'altro giorno Sabino si presentò ia un piano
con l'esercito, se forse i barbari per T orgoglio di quella notte
li annasassero. * Non ascendo essi del castello e suoi congionti
monti, cominciò assediarli con bertesche'ben monite, e qnatr
tro migKa intorno gli aSbssò e trinceò : e per tor loro acqua e
pastora, a poco a poco il chiuso ristrinse, e un battifolle' rizò
già vicino al nimico per batterlo con sassi, dardi e fuochi.
Ma sopra tutto gli consumava la sete. Essendo a tanta gente
utile e disutile una sola fonte rimasa: i cavalli e gli armenti
con loro<a loro usanza, rinchiusi senza pasciona, morieno:
giacieno i corpi degli uomini morti di ferite o di sete. Di
sangue^ puzoe morbo ogni cosa fetea. E v' entrò la discòr-
dia, nelle avversitadi. suggello di tatti i mali; volendo chi
darsi, chi Tun l'altro uccidersi: i migliori (benché diversi
nel modo) uscir fuòri e morir vendicali.
L. Ma Dinis capitano vecchio per lunga pratica della
romana forza e clemenza, consigliavi posar l'armi, solo ri-
medio ; e innanzi a tutti s' arrese con la moglie e figliuoli. I
deboli per età o sesso, e i più vaghi di vita che di gloria,
segnìtaron lìii : ma la gioventù, Tarsa e Toresi; * deliberati
ambo di morir liberi. Ma Tarsa gridando doversi finir la vita,
le speranze e le paure, a un tratto si passò col ferro il petto,
né mancò chi '1 seguitasse. Turesi disegnò co' soci uscir fuori
la notte. Il nostro capitano il seppe, e raddoppiò le guardie.
La notte tempestosa terribilmente; e loto grida atroci o si-
lenzio orrendo, tennero gli assedianti sospesi» Sabino alterno
* * li annasassero, Lat. : « praUum €uuierent, *»
' * bertesche; ripari che sulle toni o sulle mura si fanno per comodo e si-
cureasa dei eombatteoti. '
' * battìfolle: trinciera^bastioiie, bastata, propafaa«olo»terrapieiio e sinùli.
* * ma ia gioventù, Tarsa e Turesi s cioè, seguitò. Il corretlora del-
l' esemplare JKestiano di G. Capponi , non intendendo la forte ellissi , agfiu^e
in margine : « ma la gioventù era divisa fra Taraa e Turesi; « conforme d testo
latino che dice : « At iuventtts Tarsam inter et Turresim distrahebatur. •»
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IL UBHO QfJAn» WMLI ANNALI. 1^7
andava ricordando, « li«ii |>er incerte grida, non per finta
quiete si torbanero: non dessero occasione, agi' inganni ;
stesse saldo «iascmio a suo uficio : non lasciassero 4 voto. »
LI. fecoti a corsa frotte di barbari con gran, sassi, pali
abbromaii e pedali di querce, dare nello steccato; riempiere
i foisi di fascine, di vinchi, di cadaveri; ponti, e acale ag-
jfiistate,^ appoggiare a' ripari: qaelli prendere, giù tirare, so
lalire, i difenditorispignere. Essi per centra lì ripignevano,
ammazavano, precipitavano, con targate, l^nciottate, sassi
e cantoni. Accendeva questi la vittoria in pugno, e la vergo-
gna che sarebbe di tanto maggiore : quelli, la loro ultima sa«
Iole ' e là presenza e ì pianti di loro madri e ii|ogli.Iia nòtte
dava a chi com-e a chi timore. Colpi sprovveduti venivano e
andavano, senza sapersi onde né dove, nò amici da nemici
discernere. I monti faceano eco alle grida de' nimicl a di-
rimpetto, che parendo alle, spalle comparsi, spavi^ntarono in
Koisa che alcuni romani abbandonarono le trincee, creden-
dole sforzate. Pochi de' nimici v' entrarono ; gli altri morti ,
0 feriti i migliori: all' alba^furon ripinti suso al castello ^ che
8' ebbe a forza; e i suoi contomi d'accordo: il difese da sforzo
0 assedio r avacciato e crudo gielo del monte Emo.
Lll. In Roma, essendo la casa del principe j^ trambu-
sto, per ordire ad Agrippina la morte, Claudia Pulcra sua
cogina da Bomizio Afro (di fresco stato pretore, ^ poco nolo
e frettoloso di farsi per ogni via'^) fu accusata d' adulterio con
Fnrnio, di veleno contr' al principe e d' incantesimi. Agrip-
pina sempre feroce, e allora infocata ' per lo pericolo della
cogina, ne va a Tiberio che appunto sagrificava al padre.
Quinci mordendolo disse: ^ Che vale offerir sangue di bestie
ad Agusio, chi perseguita il sangue di Ini? Quella celeste
anima non è scesa in cotesto immagini mutole; ma V imma-
' * aggùtétaU. Vi Ms. cancella : ■ a poeta fatte. «•
' * /a loro ultima MiUae. H Ifs. cancella: « la già disperata salate. **
' * stuo al casUllo. lì Ms. cancella : «r in cima del castello. *•
* * dlfruco tutto pretore. Il Ms. canedla ; « uscito allora di pretore. »
^ * di /arsi per ogni via: intendi, di farsi noto. L'eseifaplare Nestiano di
Gino Capponi corregge: « farsi grande. *» H latino ba: « clarescerej » farsi
cliiaro.
* * infocaia. U Ms. cancella i m ardente. » «
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188 IL LIMO QOABTO DC6L1 INIULI.
gjóe vera, naia di celeste sangue, vede i pericoli e sente gli
smacchi. Lascia star la Palerà, che altro peccato non ha che
r essermi dirota; né si ricorda la milensa che Sosia non
per altro capitò male. »^ Tali parole fecero uscir Tiberio tanto
capo; e ripresela con quel verso greco « P adiri che non re-
gni.»' La Polcra e Farnio fnron dannati, e Afro n'ebbe ri-
nomea tra' primi oratori, e Tiberio con 1' autorità il confer-
mò. Seguitando l'arte dell'accusare e difendere, acquistò
fama di più eloquenza che bontà: e anche di quella molto
perde nell'ultiraa vecchiaia, che l'acciaio era logorato,' e noo
sapea rimanersene.
LIIL Agrippina rodendosi, ammalata e visitata da Ce-
sare, doppo lungo piagnere * e non parlare, lo punse e io-
sieme pregò: cr Soccorresse di marito t'abbandonata. Essere
ancor fresca donna: le oneste non aver altro conforto: es-
ser nella città ' chi iarebbe di grazia ricevere la moglie e i
figliuoli di Germanico. » Ma Cesare che intese quanto im-
portassero quelle dimando, ' per non mostrar paura né ira,
si parti senza risposta, benché molto richiesta. Questo parti-
colare non è negli annali. Io l' ho trovato nelle memorie che
Agrippina sua figlinola, madre di Nerone imperadore, lasciò
dì se e de' suoi.
* Sosia non per altro capitò male. Come sopra, cap. 19. Tutte queste
parole d'Agrippina paion più piccanti che le latine.
3 * T'adiri che non regni. Il Ms. mostra vari pentimenti : 1** « Tua rabbia
h che ta non regni ; m S® « T' adiri cbe tu non regni ; *• 3* .« Tua itiia e che non
regni. »
' * P acciaio era logorato ec. Adr. Politi: « con la mente infiacchita non
seppe aver pazienza di tacere. **
* * doppo lungo piagnere. Il Ms. cancella : • doppo longo piangere sena
parlare, lo punse e pregò insieme, che desse all' abbandonata soccorso, m
8 esser nella città. Di questo luogo disperato traggo per disperazione
questo sentimento sino a che meglio si corregga. Il chieder marito Agrippina, era
un chiedere la successione : perchè un marito di si gran donna non poteva non
essere imperadore. Però Tiberio scrite, sopra, a Sciano che Agnato ebbe animo
di maritar Giulia a Proculeio, giovane posato, da non vi aspirare. (*>
* * che intese qtumto importassero quelle dimande. Il Ms. cancella :
« che intese che era un chiedergli lo stato : » e di nuovo : «era un chieder di suc-
cedergli, m
(*) La difiicoltk d«l Ipogo nasce da una piccola lacuna dia è n«l tatto dopo A» eivitatt ;
la quale faeUoiente si rtaoipie, o con tan semplice fui o con ^hì Juputl neptsm, come vuole il
CroUio.
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IL' LIBRO QUARTO DBGLI ANNALI. 189
LIY. Ma Seiano tra6fise V addolorata e poco accorta, di
spina più velenosa. Mandò chi l'avverti qaasi per carità, es-
serle ordinato veleno: non mangiasse col suocero. Ella che
fingere non sapea, cenandogli allato , nnlla per cenni o pa-
role ^ pigliava. Tiberio^ che se n' avvide o gli fa detto, per
chiarirsene, lodando certe belle frutte , le porfifiB dì sna mano
alla nuora. La quale tanto pia insospettila , le dio senz'as-
saggiare a' servi. Tiberio a lei niente: ^Ua madre voltatosi
disse : « Dacché ella m'ha per avvelenatore, non si maravi-
gli, se io le farò qualche schermo, t» Quindi si sparse che
lo 'mperadore cercava farla morire per modo segreto: non
ardiva in aperto.
LY. Cesare per divertire questa voce, era sempre in se-
nato e molte udienze diede agli oratori dell'Asia che dispo-
tavano qoal città dovergli edificare il tempioxonceduto. Un-
dici ne gareggiavano con pari ambizione e forze dispari.
Allegavano quasi eguali antichità di loro nazioni , e servigi
fatti al popolo romano nelle guerre di Perse, d'Aristonieo e
d'altri re: ma gì' Ipepeni, Tralliani, Laodiceni e Magnesi ne
furono rimandati, avendoci poca ragione. * Gl'Iliesi la gloria
sola dell' antichità, essendo Troia madre di Roma. Dubitossi
alquanto sopra gli AUcarnassini, che da mille dugentó anni
in qua, tremuoto non avea scosso lòr terreno, e fondavano
in sasso vivo. A' Pergameni, l'aver un tempio d'Agusto (che
era la loro ragione), parve che dovesse bastare. ' £ che por
* * per cenni o parole j cioè, itebLeae Tiberio le facesse cenno di prendere
e ne la pregasse.
' *'poca ragione. Il Ms. cancella: « poca parte. *»
' dovesse bastare. E che pur troppo occupassero. Perciò ha confermato
santamente il Concilio di Trento le residenze de' curati alle lor chiese. Di sopra
ne] 3 lib. %* h detto de' flamini. In su Paltare consagrato ad Agasto in Aragona es-
tendo nata una palma, gli Aragonesi gli mandarono ambasciadori a rallegrarsi di
questo segnale che le sue vittorie erano eterne. Questo è segnale , diss' egli , di
guanto voi mi siate divotij poiché nel mio altare, per non veder mai fuoco
me cenere, nasce lapalma.
L« mora che mUmio «Mar badia,
Fatta sono tpelonolie; « le òocoUe
Sacca son piene di ferina ria.
E il DOsDro Poeta piacevole primo, e sommo in piacevolcca :
Non «he tovaglia, •'non t> è por aMare. H
(*) Onesta postilla bob si legge nella Giantina.
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190 IL LUBO QOAATO DEQLI AMNAU.
troppdeeeapMserorafieialiiTe d'ApoUìiu» i Milesi, di Diana
gli Efesii. ^ Il giodixio batteva tra' Sardiani e gli SmirnesL
Qoei lessero aa decreto di Etmria che gU provava di nostro
aaogoe. Che .Tirreno e Lido, figliaoli del re Ati , si sparti-
rono la genie moltiplicata. Lido rimase in soa terra: a Tir-
reno toccò a procacciarsi paese; e V ano e T altro pose a soa
gente, suo nome: quegli in Asia, qnesti in Italia. Creseioti
di noovo i Lidi, mandarono uno sciamo in Grecia, dal nome
di Pelope appellato. Mostravano àncora lettere d'tmperado-
ri ; leghe fette con esso noi nella gnecra de' Macedoni; lor
fiumi fertili, aria ottima, ricche torre vicine.
LVI. Gli Smimesi, ricordata loro antica origine da Tan-
talo Qglinolo di Giove, o da Teseo divina stirpe anch' egli, o
da una Amazona; passarono alle importante de' meriti col
popolo romano: mandatogli armate, non pare a guerre fatte
attrai, ma patite in Italia: fatto tempio alla città di Roma
prima degli altri, nel consolato di M. Perciò, quando il po-
polo romano era grande si, ma ndn in questo colmo, stando
in pie Cartagine, e^in Asia possenti re: sovvenuto l' esercito
di L. Siila: egli il sa in che periglio; quando, di fitto verno,
rimaso brullo di vestimenta; avutone l'avviso gli Smirnesi in
consiglio, ciascuno si spogliò le sue e nrandaronsi alle legioni
abbrividate. Richiesti adunque di sentenza, i padri antipo-
aero gli Smirnesi: e Vibio Marso disse che M. Lepido, coi
toccò quella provincia, s' eleggesse' un operàio a fare qael
tempio; e ricusandolo per modestia, li si mandò Valerio Naso
pretorio per sorte tratto.
LYII. Allora finalmente Ceraredopo lungo consiglio e
indugio andò in Campagna, in nome di edificar tempii in
Capua a Giove, in Nola ad Agusto; ma risoluto di viversi
* * Vedi sopra; m, 61,02.
s s'eleggesse. Non leggo /«;g«refr<r>* perche sarebbe contro alla storia, cbe
il govemator dell'Asia fusse detto operaio d'un tempio {*) : ma hgéteta tkk die
egli lo eleggesse. — * s'eleggesse. Rigettando, per le ragionai esposte nella postilla,
b Tolgata lesione legeretur, legge legeret (M. Lepidus). Ma la yen lesione è
iegaretttr, come porta il codice Mediceo : e conforme ad essa va tradotto col Va*
leriani : « Vibio Marso propose , che a M. Lepido, a ori tale provincia anemie*
si , si deputasse un compagno che avesse curai del tempio. »
n La Oiontioa : « soprantendente alH «parai d> un tMipi». »
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IL LIBftO QOABTO DB6U ANMALI. 191
faor di Roiva. Dìsbì con moUi autori , ohe questa fa arte, di
Seiano; ma veduto che, ucciso lui, egli stette sei anni in
quella solitudine, vo pensando, se e'fu pare suo coneeUo per
nascondere con le luqgora le crudeltà e sporcizie ch'ai pu-
blicava co '1 farle. Altri credevano per vergognarsi, ancor
vecchio, del suo brutto corpo lungo^ sottile, chinato, calvo ;
viso ehiazato di margini e spesse stianze o piastrelli. E an-
che in Rodi sfuggiva la brigata e i piaceri nascondeva. Altri
dicono per levarsi dinanzi alia madre insopportabile , che
per compagna nel dominare non la voleva, e. cacciare non
la poteva, avendo lo imperio da lei, avvengaehè Agusto vo-
lesse darlo a Germanico, nipote di sua sorella, ^ che piaceva
a ogn'uno: ma vinto dalle moine della mogUe, adottò a se
Tiberio, e a lui Germanico: il che A gusta gli rimproverava
e se ne valeva.
LVIII.- Partissi con poca corte. Di senatori vi fu solo
CoGceo Nerva stato consolo, in giure ammaestrato : di cava-
lieri romani di conto, Seiano e Curzio Attico, e altri scien-
ziati: li più greci, per trattenerlo co '1 ragionare. DLceanlo gli
strolaghi partito in punto da non tornare in Roma. Che fu
rovina di molti, che intendevano e cicalavano, che e' mor-
rebbe tosto, non potendo antiveder caso si da non credere,
che egli avesse a star fuori a difetto undici anni. Yidesi poi
quanto l'arte * rasenti Terrore, e sia scura la yerità. Che in
Roma non tornerebbe, fu detto bene: ma non veduto che
egli per te ville presso, o lungo il mare, e spesso in su le
mure * della città iuvecchierebbe tanto.
LIX. Un pericolo corse in que'dì, che aggiunse al po-
polo che dire ; e a Tiberio fede di un grande e fermo amore
di Seiano. Mangiando alla Spelonca, villa tra '1 mare d'Amu-
cta e i monti di Fondi , in una naturai grotta, là sua bocca
franò con molti sassi addosso a certi serventi. ^ Fuggirono
tutti a spavento. Seììano appuntò ginocchia, capo e mani, e
' nipote di sua sorella. Gennanico d'Antonia minore, d'Ottavia mag-
giore, d'Agosto sorella.
s * torte. Intendi , l' arte degli astrologi.
^ * le nutre. Cosi la Giuntina. Le-altre : le mura,
* * serventi. Il Ms. cancella : « ministri ; » e di nuovo : w sinisdlcfai. »
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J02 IL Lino QUARTO DSGLI AKNjkLI.
fece sopr' a Cesare, di se arco e riparo * alla cadente mate-
ria; cosi sospeso il trovarono i soldati corsi in aiuto. Questo
caso lo fece maggiore , e ogni rea cosa eh' ei proponesse ,
gli era credala, come non curante di se. Facevasi arbitro
delle accuse c|ie egli medesimo, sotto altri nomi, alla casa
di Germanico dava: massimamente a Nerone, primo a su^^
cedere, giovane modesto, ma non sapea navigare; * e li suoi
liberti e partigiani, che non vedevan V ora di farsi grandi,
r alzavano a fersi vivo, mostrare il dente: cosi voleva ìlpo-
pol romano, disideravano gli eserciti: né ardirebbe Sciano
guatarlo, che ora della pacienza dei vecchio e della freddeza
del giovane si facea giuoco.
LX. Questi 4^urrì'. non lo inducevano a mali pensieri,
ma a parole superbe, mal pesate « le quali essendo da'racco-
gli lori a ciò tenuti riportale maggiori, e Nerone non lasciato
scasarsene ; partorivano vari fastidi. Chi lo scantonava, * chi
rendalo il salolo fuggiva, chi tagliava 1 ragionamenti : fer-
mandosene, per contro, in faccia, ' e ridendosene i seianesi.
Tacesse o parlasse il giovane, facea male: Tiberio sempre il
guardava con cipiglio o ghigno falso. Non era sicuro anco
la notte: perchè la moglie rificcava a Livia sua madre, quanto
egli avea dormilo, veggheggiato, sospiralo, ed ella a Scia-
no : 11 quale tirò dal suo anche Bruso fratel di Nerone, con
la speranza del primo Inogo, se a costai che gli era innanzi
e già barcollava, desse la pinta: Taltereza di Druse, oltre
alla cupidìgia del regnare e V odio solito tra' fratelli , era
* fece sópr^ a Cesare , di se arco e riparo. Se qaesta grotta faceva come
quella di Polidamaate, era sepoltura d'ambidue. (*)
3 * navigare , barcameoarsi.
' * curri: cilindri che si pongono sotto a grandi pesi per muoverli. Qai
per eccitamenti.
* * io scantonava: vedutolo per via, voltava alla prima cantonata, per
non trattenersi a discorso con lui e non dar sospetto.
S * fermandosene, per contro, in faccia. £.*esemp1are Nestiano di G. Cap-
poni ba questa postilla ms. in una scheda volante . « Non intendo : forse vuol
òìxt,fermandosegli in faccia, andandogli sul viso. Lo stampato dei cinque li-
bri {la Giuntina) dice così; eh fermate! eh seguite! dicendo e ridendosene i
seianesi. Il Sànese (Adr. Politi): facendo istanza del contrario e burlan-
dosene, n
(*) Postula aggimita.
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IL LIBBO QUARTO DBQLl ANNALI. 193
riacceso da invidia, che Agrippina voleva meglio a Nerone.
Né Seiano aialava si Droso eh' ei non tendesse rete anco a
lui, atto a fervi maggior scacco, * come bestiale.
LXI. Al fine dell' anno morirono doe segnalati nomini:
Asinip Agrippa, d'antinati più chiari che antichi, e di vita
non tralignante: e Quinto Aterio senatore e dicitor celebrato
In vita. Gli scritti non so.no di qaella slima, perchè aveva
pia vena ohe diligenza. Ma dove sqoisiteza e fatica agli al*
tri dà vita, quel sno risonante fiame ' fini seco.
LXII. [A. di R 780, di Gr. 27.] Nel consolato di M. Lici-
nio e L. Galparnio avvenne caso repentino, pari alle scon-
fitte delle gran guerre: ebbe insieme principio e fine. AFì-
dene, un certo Alilio libertino prese a celebrare lo spettacolo
degli accoltellanti , e fece di legname V anfiteatro male fon-
dato di sotto e peggio incatenato di sopra, come colui che tal
* * atto a farvi maggior scacco. Lat.: « insidiis magit opportiotum. m
— Far sacco, o // sacco, h quanto commettete un qualche errore. Vedi Stor.,
* quel suo risonante ^ume. Uccella similmente niel 6ne del 1 dell* Istorie
Galerio Tracalo, che per empiere gli orecchi del popol valeva un castello. I cem-
bòli senza musica non dovevano gran fatto piacere a Cornelio , che' tanto strio-
gavà i suoi scritti per aver vita. Dubitasi qoal vaglia più, o la natura o la dot-
trina. Quando si dessero scompagnate del tutto, la natura per se varrebbe qual-
cosa : la dottrina, niente. Il campo grasso non cultivato, produce cose selvagge :
il sasso, (*) niente, e non riceve coltura. La natura porge la materia roia : la dot*
trina o l'arte le òk la forma. Ma nulla porgendolesi, non ha che formare. E se
Ja natura non comparisce sul campo, l' arie non la può vincere. Unite insieme ;
vince la più eccellente. Ambo perfette ; fanno perfetta l*opera. Ma nel perfetto di-
citore quale ha più parte 7 In voce, la natura: in carta, la dottrina. La voceconle
ragioni aperte^ riscaldate dal porgere, muove il popolo , a cui le dotte e sottili
sarebbon perdute o sospette ; sì come la somma diligensa nel finire le statue o
pitture , che veder si deono da lontano , riesce stento e seccfaesa. La scrittura che
. si tiene in mano e si esamina sottilmente dalli scemiati , riesce volgare e non
vive , se non vi ha dottrina squisita e fatta, quasi oro brunito , risplendere dalla
dilìgeoia e fatica. Queste trnovo essere state grandi ne' grandi scrittori e artisti
nobili , avidi e non mai sasi dell' eccellensa e gloria. Lodovico Cardi, detto il
Cigoli, giovane innamoratissimo della pittura, mi pare che li vada molto bene
imitando. — * quel suo risonante Jiame fra seco. Il Bis. cancelk : « quella sua
tanto fiera soprabbondansa n'andò eoa elio alla fossa; >• e di nuovo: « quella
sua sdrucciolante rispnansa mori seco ; « ed ancora : « quel suo sdrucciolio e rim-
bombo mori seco. »
n U sasso. i;aieaiplare Nestiaoo di Ciao Capponi, eorrsggs iaopportaaaaMnte //
I. 17
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194 IL LIMO tJOAATO MflLI AMHALI.
negozio cercò, non per grasseca di danari, né per boria ca-
stellana, ma per bottega. Roma era vicina, e Tiberio non
la festeggiava: per ciò vi corse popolo infiBdto, d' ogni età e
sesso, avido di vedere. Onde fa maggiore il flagello. La mac-
china caricata si spaccò, e rovinando fuori e dentro, gì- in-
finiti spettatori seco trasse e i circostanti schiacciò. Morirono
qnesti almeno senza martire: più miserandi erano gH stor-
piali, che di di vedevano e di notte ndivan *■ lor mogli e
figliuoli orlare e piagnere. Corse chionqne potè al romore.
Chi padre o madre, chi fratello o parente o amico piangea:
e di qualunque per altro * non si rivedeva, st stava con tre-
mito tanto maggiore, quanto più incerto, sia fu chiaro cui
la rovina togliesse.
LXIII. Scoprendosi quelle rovine, oiascim correva a i>a-
eiare, abbra^cciare i morti suoi: e bene spesso, se per viso
infranto , età o falleze nel riconoscerli erravano, ne combal-
tieno. Cinquantamila persone vi fqrono che sfragellate,che
guaste. Il senato proibì tal festa farsi per innanzi da chi
avesse meno di diecimila fiorini d'oro. Né teatro fondarsi,.se
non in ben tastato suolp. Atìlio fu mandato in esigilo.' Ten-
nero i grandi ne' primi giorni le case aperte piene di medici
e d'unguenti. La città mesta pareva quella de' tempi antichi
doppo le grosse giornate , quando erano i feriti con gran ca-
rità e sollecitudine governati.
LXIY. Non erano asciutte le lagrime, ohe monte Celio
arse, e alterò piò che mai la città, a Pistolente anno, diceva-
no, questo essere, e dal prìncipe in mal punto preso consì-
glio di star fuòri della città: » de' casi di fortuna, come fa il
volgo, incolpandolo. Ma egli valutò e pagò i danni : e con
tal pasto giltaloin gola^ a Cerbero, lo racchetò, I grandi in
< *€hé -di dì pMfewDio e di noUB udivtm te. Il Mk. ctncdkt « che di e
na«te orlavano e strìdeusno; m poi coingge : « Inn^hiavano , •• tome leggwt
Mila Gi«iMtioa.
* * per altro , per qoalthe altra regioM, divena dalla runaa.
' fu nMmdmto in esigue. Poca pena a questo ttnwio di ciaqoanlB mila
perftone.
* e con tal pasto gittato in gola. Con questo ingoffo, era detto più bre-
ve e proprio : voce fiorentina non goÌEi, ma composU (coujrara nel (T) vdgare )
0 N«Ua NetUana, im.
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IL LIBBO QOABTO BB«U ANNALI. 195
senato^ il popélo a una boce lo ringraziarono di tanta ca-
rità, senza ambiiiéne, nezi o preghi, nsata eziandìo a i
non eonoscinli e mandati a chiamare. Forono i pareri che
monte Celio per iimanzi si dicesae Agvsto, poiché quando
in casa Giunfo senaitore ogni cosa d' intorno ardea , V im-
magine di Tiberio sola non fo tocca: cosi doe volte av-
venne già a qnella di Claodia Qainsia, perciò consagrata
da' nostri antichi nel tempio della madre degl' iddìi. Santi e
dagr iddìi amati dicevano i Glandi essere : doversi quel luo-
go, ove gì* iddìi tanto onorarono il principe, solennizzare.
LXV. Qnel monte (poiché ci viene a proposito^) si disse
per antico Qoeroetolano; perchè di querce pieno era e fertile.
Fa poi detto Celio da Cele Vibenna capitano delli Etruschi
ohe, venuto in aiuto di Tarqninio Prisco o d'altro re (nel che
solo discordano gli scrittori), qoivi con la sua molta gente
s'accasò, e nel piano ancora e presso al foro. E fu dal voca-
bolo forestiero detto quel borgo. Toscano.
LXYI. Se Famorevoleze de' grandi e la liberalità del
principe diedono a quei casi conforto; la pestilenza dell'ac-
cuse ogni di pia, senza alléviamenio fioccava e incrudeliva.
Domizio Afh), condanna toro di Claudia Palerà, madre di
Varo Quintìlio, ricco e parente di Cesare, investi anche luì.
Che costui, morto gran tempo di fame, e testò di quest'arte
arricchito e scialacquante la seguitasse, non fu miracolo: ben
fu che compagno alla spiagione gli fosse Publio Dolabella di
chiara famiglia, parente stretto di Varo; disperdesse la sua
di tre in guUm offa. Ma l'amoie di OsqU m'ha £itto queUt sua bella ùmilita-
dtiMoi»l»rcf;giara:
Qiay è qnal eaaa cV •lib«l«a4o agagoa \
E ai rM4|ii«te poi eh« '1 pMto morde,
Che solo a divorarlo intende e pogaa ;
Colai li feear quelle faeee lorde
Dello dlmoaio Cerbero, eh' iatf«eii»
V aoine A cb' eaMr ? orrebboo sorde.
E non credo di errare adaggìngner di mio ornamenti o forse a'concetti di Cornelio
alenne volte. Vada per qaando io lo peggioro. (*) — * e con tal pasto. Il Ms.
cancella: « e con tale ingoffo.» Ingoffo trovasi usato per ceffata, sgntgnone', ed
anche, come qui, per boccone dato a far tacere altrui. Vedi il Manuzxi che
cita il Cesari.
^ * a proposito. Il Ms. cancella t a io taglio. »
n Ia posUlla Giaotina finisce al primo terzetto di Dante.
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196 IL UBHO QDABTO DBOLI ANUAU.
nobiltà, il sao sangue II senato volle che si appettassi rim-
peradore , anico soprattieni agli urgenti mali.
LXVII. Avendo Cesare dedicato in Campagna ì tempii,
e bandito che ninno gli rompesse la sua quiete, e posto le
guardie che non lasciasson passare chi venia, odiando e terre
e colonie e ciò eh' è in terra ferma; si rinchiuse nel!' isola di
Capri, tre miglia oltre al capo di Sorrento. Dovette piacergli,
per essere solitaria e senza porti : appena potèrvisi accostare
navili piccoli, né alcuno di nascosto approdarvi: d'aria il
verno dolce, per lo monte che le ripara- i venti crudi; volta
per la state a ponente, con amena vista del mare aperto e
della costa bellissima, non ancora diformata da' fuochi del
Vesuvio. Dicesi che la tennero i Greci, e Capri i .Teleboi.
Stavasi allora Tiberio intorno ' a gli edi6z4 e a' nomi di do-
dici ville: ' e quanto già alle cure pubbliche inteso, tanto.ivi
in tristo ozio e libidini occulte invasato: e nella folle credenza
de'sospettì che Seiano in Roma faceva , attìzando , avvam-
pare, e qui levar fiamma con insidie già scoperte contro a
Nerone e Agrippina. Tenendo soldati a scrivere quasi in an-
nali ogni lor andamento, fatto e detto; aperto e segreto: e
falsi consigliatori a fuggirsene in Germania agli esercii! , o
alla statua d' Agusto, a piaza piena, e abbracciarla e gridar
re: « Accorrete buona gente, accorri senato, aiutateci.» E
tali cose da loro abborrite, rapportavano per ordinate.
LXYIII. [A. di R. 781, di Cr. 28.] Brutto capo d'anno
fece il consolato di Giunio Silano e Silio Nerva, avendo slra-
i * Stavàsi allora Tiberio intorno ec. Con buona pace del Nostro, questo
h un senticeto, rincarato nella Postilla. Il Valeriani traduce: «Ma Tiberio allora
occupava il fondo e la vastità di dodici ville. » L'isola di Capri era nobile per
dodici ampie ville, che s'intitolavano, credesi, a dodici Dei. Tiberio occupò eoa
nuovi edi6zi lo spaiio di esse , distruggendone anche i nomi. Ciò vuol dire Tacito
colle parole « duodecim villarum nominibus et molibus insederai. »
S a gli edijizi e «r* nomi di dodici ville. Forse è meglio dire : « Si pose
intorno a dodici ville di bei nomi e palaci : •* insederai nominibus et molibus
ifillarum^ id est: villis habentìbus nomina et moles , come usa dir questo au-
tore : humida paludum et aspera montium, invece di i paludes habentes umi-
ditatem et montes asperitatem, e molti altri simili senticetì, come li chiama lo
Alciato. Vedi la postula 6. (*)
n Postilla della Giantina, tralaseiaU nelle edìiionl posteriori. - La postula 6 è la
■ola 2, pag. 161 di qaesta ediiiono.
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IL LIBRO QVABTO DB6LI ANNALL 107
seìnato in carcere Tixio Sabino, illostre cavalìer romano ,
perchè fu amico di Germanico, e seguitava di esser divoto
alla moglie e figliuoli ; e far loro corte foorj, servigi in casa,
solo tra tanti obbligali: però, lodato da' buoni, odioso a' con-
trari. Lo assalsero Latino Laziare, Perciò Catone, Petilio
Buffo e M. Opsio stati pretori e bramosi del consolato^ al
quale non si entrava se non per la porta di Sciano, che non
s' apriva per bontadu Gdnvennero che Laziare, basica * di
Sabino, fosse lo schiamazo, * e gli altri il vischio. Eì ragionò
seco di varie cose: poi cadde in lodarlo di fermo animo, che
non aveva come gli altri servita quella casa nelle felicità, e
piantata nelle miserie: e in onore di Germanico e compianto
d' Agrippina mollo disse. Le lagrime a Sabino (come i miseri
inteneriscono) grondarono con lamentile già preso animo,
la crudeltà, la superbia, i disegni dr Sciano proverbiò: nòia
risparmiò a Tiberio; parendo di vera amistà segno, il discre-
dersi ' di cose si gelose; Onde Sabino già da se stesso cercava
di Laziare; trovavalo a casa, aprivagli come a suo cuore,
ì suoi guai.,
LXIX. I prod' uomini consultano, ^ome e dove potergli
far dire tali Cose a qoattr' ocelli e più orecchi; e perchè die-
tro air uscio potevano esser per isciagura scoperti o far re-
more 0 dar sospetto, sofficeansi 1 tre senatori, con laido non
meno che traditore nascondiglio , tra '1 tetto e '1 soppalco,^ e
pongon r orecchio a' buchi, a' fessi. Laziare esce fuori, trova
Sabino, dicegli avergli da dire, menalo in casa, tiralo in ca-
' * basica, fiunilìare, domestico, confidente.
3 * schitutuuo: chiemaù Tuccello che, fatto ichiimanare, tira i tordi alla
pania.
' * il discreflersi. Vedi sopra, II, 13.
* nascondiglio, tra *l Utto e *l soppalco. Di limili tratti si trovano in Ta-
cidide, 1. 1 : Probo, {*) iti Temistocle j o Pausania: Diodoro, l. % ; Plutarco in
Temirtocle: Giustino, l, S. Piero de' Medici nascose dietro al cortinaggio, l'am-
basciador di Carlo Vili re di Francia, perchè udisse quanto gli diceva l'amba-
sciador di Lodovico Sfona del suo perfido animo contra esso r«. Non averlo chia-
mato in Italia per sottoporla ai Franxesi , perpetui nimici, ma perclù contro alli
Aragonesi lui aiutasse. Il che fatto , arebbe modo a fàrloci. rimanere. Cosi dice la
Storia di Bernardo Rucellai latina, da Erasmo veduta, e lodata di molta elegante ;
e di poi il Giovio nel 1 libro delle Storie.
•n fnbo: Eirflio PNiw, tetto tt evi àeme tndanM «a «Mopo le vite di OetMlie WpM«.
17*
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198 IL LIBKO QQkVtQ JMietI AMMALI.
mera, ricordagli cose passate e preseli^; che troppe ve n'avea,
e meltegli paure nuove. Esso ridice le medesime « pia: nop
sapendo, ohi entra ne' suoi affanni, fioare. GorroDo a metter
la cpierela; scrivono a Cesare l'ordine dello infjaoBO^ e lor
vituperio. Roma non fa mai si asaia^ spaventala, gnardin-r
ga,^ eziandio da' anoi medesin4: fuggivanoiritruovi, Ricer-
chi, e Qualunque orecchio: le cose ancor senza lióg«a esoa-'
z' anima , tetta e mura e lasitre eraa guardale iatorno, se vi
dormisse lo scarpione.
LXX. Cesare neUe calende di gennaio, per «na lettera
a' padri, dato prima il buon capo, d' aouip, disseti che Sabino
aveva corrotto certi liberti ocmtro a^saa j)erBon»:'Che voleva
dire, « Sentenziatelo -a morte : a ^ «ori fa 'ineontaiientB. Mer
nato a morire, ' gridava foanlo n'aveva oella gola, jbencbò
Hnbavagfiato: « Cori si celebra>cii^D d'anno: qoeste vittime
s' ammalano a Solano. » Ovmnqae dirizava occhio olitola,
faceva spnlezarot,^ sparire, votar le vie, le piaze^ e tale tor-
nava a farsi rivedere per tema d' a^er tei9ato.>f( Tiberio non
ha inteso tirarsi tant' odio addosso; '^ ben ciba chi ha volato
mostrare, che i magistrati naovi si posaom ooiaiaoiare dalle
carceri, come dai tempii e altari. E qoal giorno, dicevano,
fia scioperato il carnefice, se oggi tra isagrifìd e rorasioni,
che non si saol dire parola mondana, s'adoperano le ma-
nette e i capestri?» Per altra lettera ringraziò dèM'aj^ere
* guardinga. Leggo tegetiA, oon egen^, ne pavens. (*)
^ fi^givano iritruovL SpiritavstaQ anche al^empo d'Agosto di questo me-
desimo. Valerio Largo accasò e rovinò Cornelio Gallo, suo' dimesticissimo , per
aver detto male di esso Agosto. Onde Proci:deio, ottimo gioFvene, ràcontratolo,
si tarò il naso n )a bócca dicendo : Dò%^e eoMui èynm n può éUuire. Un altro
l' affrontò con testimoni e notaio, e disse, Conoscimi tu? rispose, iVb^* od ei
soggiunse : Notaio, roga s e voi siate testìmohi' xvme Félerio man mi cono-
sce: adtmqiee non mi potrà spiare.
' * a morire. H Ms. tancella : « a goaitare; >»
* àpahìktre: vokr via come lap^a^lTealo.'E ■oa<T^èt» che «sì 'Mia-me-
tafora popolare' entri nelle scritture ?
^ * Tiberio non ha inteso Urani imtfvtiio adihsso. lì !Ms. «aaceUe:
m Non il h tirato Tiberio cotanto «arico a caso; » « di nnovo^: « Sa ben saputo
Tiberio che farsi a tirarsi taqta mllvvoglienaa. i»
(*) Il oo4. Mediceo legge così : « mm aUat m^gi* JOtaia et pavwu Civita^, égau advemtm
proximes. » Il goaio è la egent, ohe fa variamente corretto dai eriUci. Il Lipsio (seguito dal
N«itco)oM«attar«if«fiiM/U ¥ertraiio,4«ikv«Ma'Aeidalto,M»faM/il Xnntoyvai^ «tifar.
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It intO QOAKTO DK6LI ANNàLI. 190
Spento quél ninico della tepnìAica: e soggiunse clìe viveva
eoo perieole : doMtava à' «iggaatl éi saoi nimìci , senza nomi-
narli. M« s' iiÀendera Nerone e Agrippina.
LXXI. fie io non avéeni deliberato dì narrare ciascbe-
dima cosa nel ano anno, volentieri qni direi la fine di Lati-
nio e d'^'Otfyéio, e dì quegli altri ricalili, non pnre imperante
Gaio Cesare, ma Tibeno niedei}ÌBMi; il quale non volle mai
ebe nioBO toacasse i ministri deHe sse scelerità, ma sempre
ch'^i ne fa staccò, 49i servi de' nuovi, e i veeebi noiosi si
tolse dinanzi. BìreflM &d«nqne ìBt* lor lifogbi le lor pene. Al-
lora Asinio Gatto, biMiebè cognato d' Agrippina,' pronunzi
doversi cbiedere a Tiberio cbe cbiarisse di cbi egli lemeta,
e lasciasse fiire a loro. Nos/ebbe Tiberio vìrtA (secondo lai) si
àrnica, cóme r>infitkgere: però gii seppe* agro quel cb'éi co-
prìva, scoprirai. 'Ma-Seiano il mitigò^ non per giovare a Gallo,
ma pevclié il priiicipe desse faoriqaai pia *qae' nomr, sapen-
do con òbe tooni^e folgori dì parole « falli, da quel nogoloso
petto scoppièrebbe la sobbollita ira. Io questo tempo mori
Gialla nipote d' Agosto, da lui per 4dolièro' dannata all'isola
di Tremili, vicino ^lla coata di -Puglia, doveinenli aanìivisse
alla mercè d' Agasta, la quale spense in :Oìocalio i 'figliastri
felici: e mostrò io poblicó a' mìseri misericordiaw
LXXIf. 9¥el medesimo anno ì Ftìsohì, popoli oltre al
Reno, ruppero ^là 'pacè, più per -nostra avari aia cbe per loro
tracotanza. Dmso pose loroun trilwto piccolo, secondo loro
povertà, di cooiabovine per bisogno de' soldati. A grosdeza o
mianra non 91 guardava. Olennio soldato pria^ipilo loro go-
vernatore , scelse alcune pelli d' >Uri/ e vòlevale a quel rag-
^ Asinió Gallo, benché e9jpuAo-éijigrippiiui.l\ tetto dice : Df'cuifglitu>li
Agrippina tra zia: « Idem per diversa. » Ma cognato e più corto e chiaro ;
perchè zia signiBca a nói cosi amila sorella del padre , come matertera della
madre. Vipsanta fuoglie di< 'Gallo e àg;rippina ^rano sorelle nate di Vip^iano
Agrippa e di Giulia figliuola d'j^oatp. — * AMmo GaUop»-» prommuà te. H
Ms. cancella : « Àsinio Gallo.... disse suo parere, che a Tiberio si chiedesse chia-
resa de* suoi timori e licenza di liberamelo. •»
'* * mai pia. n Ms. canoélla : « oggimii. »
' * inda/laro, ftdnlterio. VediKannucoi^T^eorM dèi nomi ec., tomo I^pag* 649.
* pelli d* Ciri, Buoi salvàtichi poco minori di liofanti, ireloci, terri1>ili, de*
scritti da Cesare nel sesto della^ Guerra Gallica : detti da òpitaif, cioè da'monli ,
ove stavano.
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200 IL Limo QOkUrO desìi AMNALt.
goaglio. Era darò a taite nazioni; ma pia. a' Germani die
grandi bestie hanno ne' loro boschi, ma pochi armenti alle
case. Davano dapprima «sai bdop: poscia i^ campi: indi le
mogli e figlinoli al servigio. Quindi le dogtienzé'e le gridai e ,
non giovando, la goerra. Fnrono i rìsjCoUtori rapiti e <;roci-
fissi. Olennió si rifoggio nella. forteza tUFlevo, guadando
nostra gente non poca qnelle marine.
LXXni: A tale avvisò L. Apronio vicepreìtore della
Germania bassa, chiamò ^air alta pia compagnie di legioni^
un fior^ di fanti e cavalli d' aiuto: e r uno e V altro esercito
per Ip Reno messe in Frisia. Lasciatjot quelFa^Odio, i ribelli
andaro a difèndere casa loro. Sopra i primi stagni' Aprónio
fOiòe argini e ponti per passare gli armati: o trovato il guado,
mandò /la banda de' cavalli Ganinefati, e tutta la fanteria
germana che serviva noi, alle spalle de*nimici: i quali già
ordinati, ruppero que' cavalli e li nostrali mandati a soccor-
rerli. Allora Ti spinale tre coorti leggiere, e poi due; indi a
poco più cavalli: che tutti insie;me avrién vinto; ma i pòchi
per volta non giovavano a' fuggenti che se ne li traportava-
no. U restò degli aiuti ebbe Cetego Labeone, legato della
legion quinta, il quale vedutigli a mal termine, e dtibitàndo,
mandò a chiedere aiuto di legioni. Ayventansi primieri ì
quintani e con fiera battaglia rompono il nimico, e riscuo-
tono le coorti e bande piene di ferite. Il capitan romano non
ne fé' vendetta, né i morti seppelli^, quantunque molti ve ne
fosser tribuni, luogotenenti e segnalati capitaci. Poscia s'in-
tese da' fuggiti, esser morti novecento Romani nella selva
Badnenna, combat tendo sino all'altro di: e quattrocento riti*
rati in una villa di Gruttorice , già nostro soldato , per tema
dì tradigione essersi ammazati l' un 1' altro.
LXXIY. I Frisoni ne salirò in gran fama tra' Germani.
Tiberio frodava^ il male, per non commettere questa guerra
ad alcuno; e'I senato non si curava che Torlo dell* imperio
patisse vergogna. Paura interna ^li tribolava, a cui si cer-
cava rimedio con 1' adulare. Per ogni cosa che si trattassi,
deliberavano altari alla Gleinenza^ altari all'Amicizia , imma-
gini a Cesare e Seiano, supplicandoli che si lasciassero ve-
* '/rodava, dissimulava.
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IL LIBRO QOàBTO DEGLI ANNALI. 201
dere. Troppo era venire in Roma o vicino: baètò uscire del-
l' isola e mostrarsi presso a Capoa. Là padri, là cavalieri e
molta plebe corsero affannati per veder Seiano: cosa ardua,
ambita con favori e con farsi compagno alle scelerateze.
Fasto senza dubbio gli accrebbe quel brutto servaggio ap-
parso mollo più quivi; perchè in Roma le strade corrono,
la Città è grande, non sì sanno i negozi. Quivi per i campi
e lito, tutti a un modo giacieno di e notte, aspettando a di-
scrizione de' portieri: e questo anche vietato, tomaronsi a
Roma sbaldanziti, cui non degnò udire, né vedere: altri con
baldanza infelice di quell'amicizia, cui sopraslava rovina.
LXXV. Tiberio fece sposare in sua presenza Agrippina *
di Germanico sua nipote a Gn. Domizio; e le noze farne in
Roma. In Domizio, oltre all'antichità della famiglia, piacque
l' esser parente de' Cesari, essendogli avola Ottavia, e per
lei zio Agusto.
* * Agrippina» Dopo Gn. Domiiio Enobarbo , sposò Crispo Pssùeoo, e da
ultimo daudio imperatore. Fa uccisa dal suo figliuolo Nerone.
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302
IL LIBRO QUINTO DEGLI ANNAU '
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. Mttorà Gioita Angusta :sae Iodi. —II. Tiberio ne infierisce pi& die
■Iti. — * III. Seitno cretce in poteue: AgrippÌM e Nerooe accoMti. — IV. Il
popolo è per loro. — Y. Ire ai Tiberio
{Qui mancano tre anni di storia.\
VI. VII. Libere parole di an eondannato per amico del eadato Seiano. —
VIU. Processo di P. Vìtellio e di PonpoBio Secondo. — 1&. One figli di
Seiano nodsi. — X. Un falso Drnso alle CicUdi. — XI. Discordia de' consoli.
Corto di tre onm*.
An. di R. DCCLXXxn. (di Cr. 29). - Contali. \ ^. »wwi"0 Gnnwo.
^ ' \ c. Furo Gniiiio.
,. « .^.^ m^x ^ .. I M. Vinicio.
An. di R. DCCLXxxiii. (d.Cr.50).-Cofitofo. j l. Cassio LonGiNO.
,. « <,. ^ «.v ^ ..I Tiberio AoGDSTO V.
An. di R. DCCLXXIIT. (diCr.54).-Coiiiol.. j l. jj^o Sbia«0.
I. [A. di R. 7Ò2 , di Cr. 29.] L' aoDO che faron consoli
Rubeilio e Fufio, amendue Gemini , mori Giulia Agosta de-
crepita, ' di nobiltà chiariBsima , nata de' Claadi , ne' Livi e
ne'Giali adottata. Prima moglie, con figlinoli, di Tiberio
Nerone, il quale per la gaerca di Perugia scacciato , per la
pace tra Sesto Pompeo e lì triumviri tornò a Roma. Indi Ago-
sto per la belleza la tolse al marito: forse accordata:' e senza
aspettare il parto, la si menò a casa gravida. Non fece altri
figliuoli ; ma congiunta ^ per lo maritaggio d' Agrippina e
^ * Di questo libro restano pochi frammenti. Il Davaoiati nella [Giuntina
gli uni al libro che segue , e ne fece un solo , che chiamò quinto. Noi gli abbia-
mo divisi , seguendo gli editori del testo latino.
S * decrepita: d'86 anni.
S * forse accordata. Il testo dice : non si sa se ripugnante.
* congiunta col eangue d'Jgusto. Il padre di Livia era de' Claudi. Fa
fatto de'Liri e detto Livio Druso Claudiano, e lei nominò Livia Dmiilla, la
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IL LIBBO QUINTO DB«LI ANNALI. 203
Germaiitco^ol sangue d' Agosto «bbe seco i bisnipoti eoma-
ni. Temie la casa con santi costami antichi. Fo piacevole ,
più che non lodavano le donne antiche: moglie agevole, su-
perba madre: alle voglie del marito, con la simulazione del
figliuolo accomodatasi. L'esequie furon pìccole: il testamento
taréi osservato. Gaio Cesare suo bisnipote, che succede im-
peradore, la lodò in ringhiera.
II. Tiberio non ne lasciò fNir uno de' suoi piaceri: e per
lettera si scusò co' padri che non era venuto all'onoranze di
sua madre per li molli negoii ; e delli tanti onori che le da-
vano, ne ammesse pochi quasi per modestia, avvertendo
essersi vietato ella onori celesti. * Riprese in un capitolo della
lettera questi tanto donna! ; piccando Fufio consolo, stato
tutto d'Àgnsta; grazioso alle donne; mala lingua; e usato
ridersi di Tiberio con motti amari, che i principi li tengono
a mente.
III. Quindi il governo fu più violento e crudele: perchè
vivente Agusta v'era dove ricorrere; avendola Tiberio sem-
pre osservata; uè Sciano ardiva entrarle innanzi: ora quasi
sguinzagliati, corsero a mafadare al senato una mala lettera
di Tiberio centra Agrippina e Nerone. Gredettesi mandatagli
già, ma ritenuta da^ Agnsta: poiché non prima morta, fu
letta. Eranvi parole asprissime: non arme, non voglia di no-
vità, ma «morì di giovani rinfacciava al nipote e disonestà.
quale ebbe due mariti. H primo fu Tiberio Claudio Nerooe, che ii*ebbe Tiberio
imperadore e Druso detto il Germanico, il quale d'Antonia minore ebbe Claudio,
che fu imperadore e Livilla o Livia, e Germanico Cesare, marito d'Agrippina, £-
gliuola di Marco Agrìppa e di Giulia, figliuola d*Agnsto. Il secondo marito di
livia fa esso Agusto, figliuolo adottato di Giulio Cesare; cosi fu di casa giulia
fatto , e fece «sseme Livia. E còsi congiunta fu eoi sangue d'Agusto.
* essersi vietato etta meri celesti. U contrario fece Caligola ( Dione 68 )
nella morte di Drusilla sua sorella e concubina: esequie ampissime , alla catasta
tomeare , nobilissimi fanciulli il caso di Troia rappresentare. Tutte l'eiioranse di
Livia : fosse tenuta immortale; fittole tempio, sUtna d'oro, sagiifici e l'altre di-
vinitk; e si chiamasse Ogo'iddia. Livio Gemino giurò per viu sua , e de' suoi
figHaoli, d'averta veduta salire in cielo e praticare con gli altri iddii, i quali e lei
stessa ne chiamò per testimoni. I^er lo qual giuramento ebbe in donò 95 mila fio-
rini. YitdUo col medesimo Caligola non ebbe ri buone lettere, come dice la Po-
stiUa 23 del ietto libro. (*)
(*) Di qoasU edlsione, nota 3, pag. 230.
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204 IL LIMO ODIKTO DMLI AMNàLf.
Questa alla nuora non osò apporre:^ ma testa alta* e superbo
aaimo. Il senato allibbl.' Poscia alcuni dì quelli ebe, non
isperando nelle vìe buone, entrarono in grazia per nuocere
al publico, domandarono ebe la eausasi proponesse. E Gotta
Messalina accirito* ^scoccò sua sentenza atroce: gli altri prin-
cipali, e massimamente i magistrati, tremavano, perchè la
lettera era adirosa, ma nulla conchiudeva.
IV. Gìunio Rustico grancancelliere del senato fatto da
Cesare, perciò creduto sapere ì suoi pensieri, non so per
quale spìrazione (non avendo prima dato saggio di forte : o
fosse per sacciuteza,^ temendo il male futuro e non il pre-
sente) si frammesse, e i consoli dubitanti confortò a non la
proporre; allegando, in poco d'ora il mondo voltarsi, e do-
versi dare al vecchio, spazio al pentirsi/ Il popol. di fuori,
con r immagini d' Agrippina e di Nerone accerchiò il senato,
e ben agurando a Cesare, gridava, quella lettera esser falsa:
non volere il principe che si rovini casa sua. Onde niuno
male quel giorno si fé'. Sentenze andavano attorno sotto
nomi di consolari, contro a Seiano: sfogandosi mascherati
(tanto più mordaci) gl'ingegni. Onde gli cresceva ira e ma-
teria d' accuse: a II senato dispreza il dolore del principe , il
popolo è ribellato: "^ odonsi e leggonsi nuove dicerie de' pa-
dri: cbe altro resta loro che prendere il ferro? e quei far
capi e imperadori , le cui immagini si portano per bandiere?»
V. Cesare adunque replicò obbrobri della nuora e nipote:
garrì per bando la plebe, e doltosi co' padri, che per ingan-
* * non osò apporre. Il Ms. cancella : « apporre non ardi. »
3 * testa alta. Il Ms. cancella : « faccia arrogante. »
3 * allibbì, sbigottì, stupì , restò costernato. Voce viva nel popolo.
* aecirito, infuocato nel vino. Voce in uso ancora.
^ * sacciuteza, saccenteria.
" * 4^x10 al pentirsi, lì testo è corrotto : il cod. Mediceo legge : « dissere'
batque brwibas momentis somma verU posse quandof/ue Germantcis Inter-
stititutt pomitentite senis s » che alcuni racconciano «.... somma verU posse ^
dandumque in Germanicis spatitun pcmitentiee senis: - cioè; doversi, •
riguardo della famiglia di Germanico , dar luogo al vecchio di pentirsi.
' il popolo e ribellato. Punteggio , Spretum dolorem principis ab sa-
nata, elescivisse populums e non, ti senato ^escisfisse popolftm. (*)
n Così ancbe l' Ordii. Twià» tSM.
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IL LIBIKO QCiNTO DBQU AHNALI, 20tf
no d'an senatore,' la maestà dell'imperio fosse beffala publi-
cameate, ayyocò a se tatta la caasa. Essi non fecero che
dichiarare che volevano pnnirli (non dì morte, che era vie-
lato), ma il principe gì' impediva *
VI. ' [A. di R. 784, di Gr. 31]. Quarantaquattro volte si
orò in questa causa: delle quali per paura poche, per usanza
molte.* « a me vergogna, e a Seiano odio fosse per
arrecare' Rivolta la fortuna, ei^ che lo si era fatto
genero e collega, sé non riprende: gli altri lo favorito con
vergogna, perseguitano con malvagitade Non so qual
sia maggior miseria, o Tesser per T amicizia accusato, o
l' amico accusare A ninno chìeggio uè crudeltà, né
perdono : ma libero e dentro scarico,^ non aspetterò il peri-
* d'un senatore. Qoi si ttàe che i omcdlierì o tecreUri del senato, a coi
le cose grandissime si €<NifidaTaao, efano senatori. (*)
S Qni mancano Ire anni di storia. — * Mancano, cio^, i fatti accaduti
nel resto dell' anno presente 78S ; quegli del 783, e, in parie, del 784. Dei figli
di Germanico, Nerone rilegato nell'isola Ponsia, è morto; Dmso, nncbinso
in palasxo; Gaio Caligola con adulare a Tiberio, scampa ed è chiamato a
Capri. Agrippina, bruca di tutto, h cacciata in PandataYia. Seiano comincia
a increscere a Tiberio ingelosito che lo insidia. L'anno 784 Tiberio, con-
solo la quinta volta, sei fa collega e lo manda a Roma. Ma poi che P. M. Regolo
e L. Fulcinio Trione, consoli sostituiti il primo ma^io , erano già entrati in te-
nata , se la rifa con lui e scrive al senato gravi accuse. E condannato^ e con lui
molti de' suoi adulatori. —Di qui ripiglia il frammento del cap. VI.
S * Ecco il capilolo che precede a questo, nel supplimento del Brotier, se-
condo la trad. di R. Pastore, m Injmt su* seguaci di Seiano UUto sfogassi il ri"
gor delle leggi. Quanti sapeansi suoi favoriti o socii furon puniti, se non
eontpravan t impunità a merito di spie e d* accuse atroci. Si rividero i prò-
cessi a* già accusati e ^n gratta di lui assolti. Senatori, cavalieri, uomini,
donne in prigione, o in man di magistrati e di sicurtà. Motti a schivar con-
fscazione e onta d* infame morie, se la diero: il resto, sentenziati e giusti-
tiali : alcttno ebbe il coraggio di difendersi. »
* * Sopplisci, suppergiù, a qnesto modo. Finalmente uno, tra gli amici
di Seiano, il pia incorrotto, così tolse a difendersi: « Non vidi mai che tale
amicizia a me ec. »
5 * fosse per arrecare. Mella Nestiana e Conùniana: Penserei arrecare.
B *ei, cioè, Tiberio.
7 * dentro scarico, con para cosciensa, sansa rimorsi. Lat. « mihi ipso
probaius. m Pietro Pietri nelle Postille ms. dice: « Non so chi dilor dua dica
meglio , o Tacito o il Davansatù « mihi probatusj » idest: propria conscientia
fretus, non eatemo testimonio. « Dentro scarico j » idest: scusa sentire il peso
della coscienia aggravata; e risponde all'un e all'altro proprio, cioè, alsensa
peso e alla chiaretsa dell'acqua e del vino ; acqua scarica , vino scarico. Parlando
n II sentale 41 eoi Tiberio si dMl« « Gloiio Butte»,
j. i8
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206 IL LntO QUIMTO DBQtl ANNALI.
eolo: pregando yoi a tener memoria di me, non dolorosa,
ma lieta: annaverandomi tra coloro che hanno (aggìto i mali
pnblici con nn bel fine. »
VII. Cosi detto, chi volea trattenendo o licenziando,
consumò parte del giorno. E mentre si vedea d' intorno ancor
molti; con fermo viso, come non presso al morire; trattosi
nn' arme di sotto^ vi s' infilzò» Cesare di hii morto non disse
mail, né vergogne, come di Bleso.
Vili. Trattossi poi di P. Vttellio e Pomponio Secondo.*
Quegli diceasi aver offerto la chiave * eh' era in sua cura del
danaio per la guerra , se lo stato si voltasse. Questi era ac-
casato da Considio stato pretore, per amico d'Elio Gallo
che, punito Sciano, si fuggi nelli orti di Pomponio, per suo
più fidato ricetto. Aiutolli la bontà sola de' fratelli, entrati
mallevadori. Yitellio vedutosi dar Innghiere,^ speranze e ti-
mori, si fece dare un temperatolo, quasi per mettersi a
scrivere,* e, scalfittosi leggiermente la vena, mori d'angoscia.
de' cavalli diciamo Cavallo scarico di coUo; idest, cBe )ia il collo sottile e spol-
pato. Ma qui vale giustificaiione ; onde si dice: Io lo fo per mio scarico; idest,
sgravamento di cosclensa. — Oi chi fusse questo coraggioso personaggio non si
sa, ne sin qui ho trovato chi 'I sapesse. Lipsio, S33, lo confessa liberamente. »
< * Di P. ViUlIio vedi sópra ; I, 70; II, 6; III, li , 49: di Pomponio Secondo
vedi più avanti; VI, 18, 11, 13.
' offerto la chiave.... del danaio. Una simil offerta fece Bertoldo Corsini
nel 1537.
' * lunghiere. Il lat : uprolationes,*» ìjìiugi. Litnghieraj vai propriamente
discorso prolisso da non venirne mai a capo. Pietro Pietri nelle citate Postille ms.
nota : « Lunghiere, trattenimenti vani. Dicesi Dar la lunga a tato, che h il me-
desimo. Si dice anche lungherie. Dialòg. petd., eloq. 4, IS: «Pativa questo
ignorante popolo e roso quelle lungherìe. » Tac: imperìtissimarum oraOc
mim spatia. »
* per mettersi a scrivere. Scalpro Hhrario venas ttbt incidit, dice Sae-
tonio. Scrìvevano gli antichi nelle foglie del papiro, erba che nasce in Egitto , e
in pellicine tratte di scorze d'arborì , dette da' Latini libri. Forse la piegaTino
in ruotoli ; come le nostre carte pubbliche antiche. Una di esse tutta scritta dice-
vano libro : più libri uniti insieme, codice. Scrivevano ancora come noi in pelli,
e lo scrìtto che non piacerà o più non serviva, raschiavano per iscrìvervi altro; e
la pelle raschiata diceano palimpsesto. Cicerone con Trebano , che gli aveva
scrìtto in palimpsesto, berteggiando si maraviglia di quel che vi potesse essere
stato da raschiare, più tosto che quelle baie scrìvere. In tavole incerate , dette pis-
gillares , scrìveano ahresl con ealami (cio^boeciuoli di canna agunati) o sti-
letti ; onde fu la maniera del dettate detta stilo. Plinio, nella prima pistola, a Cor-
nelio Tacito scrive che andando a caoeia, aiutalo da quelle selve e siWnsio, com-
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IL L»ao QOUITO MQU ANNALL S07
Ma Pomponio gentilÌMimo di coslami, dMllaslre ingegno,
g' accomodò alla rea fortuna , e sopravvisse a Tiberio.
IX. Parve poi da procedere contro alli altri figlinoli di
Seiano, benchò alla plebe fusse la foria calata, e de' primi
supplizi qnasi ogn' on sazio. Furono adunque portati in car-
cere il figlioletto che il suo male intendeva, e la figliolina si
pura, che diceva, « Che ho io fatto? dove mi strascicate voi?
non lo farò mai più : datomi della scopa più tosto. » Dicono
gli scrittori di qne' tempi, che non si essendo più udito dare a
pulzella il supplizio de' triumviri, lo manigoldo col cappio a
cintola la sverginò: ' e strangolati gittò i teneri corpi nelle
Gemonie.
X. L' Asia e T A caia in questo tempo ebbero battisoflSa,'
poneva, per portarne , se le man vote, almcn piene le care. In questa cera, dice
Quiatiliano , era agevole lo scancellare : ma ci voleva miglior vista a leggere ; e
non rompeva il corso dello scrìvere, e l'impeto de' concetti, come fa lo intignere
della penna. £ vuole che chi compone, lasci grandi spazi per aj^iugnere e ma-
tare, seusa confondere le scritte cose , e poter notare in diparte , e qnati mettere
in dipostto, per servirsene a tempo , certi concetti belli, che spesse volte fuori di
quel proposito sovvengono, e poi fuggono allo scrivente.
* la sverginò. Bella legalità osservata per farla donna e abbiente (*) allo
strangolo. Coti li triumviri {Diemé al i7) per abbientare al supplisio un fan*
ciuUo, il vestiron di toga virile. D'un altro ch'io so , fu detto , Sia detf età di-
spensato. Radamisto avendo assicurato il sio e la sorella del veleno, gli gittò in
terra e gli affogò in molti panni. Agusto e Tiberio per collare i servi contro al
padrone, gli vendevano al fiscale. Malta ie non mancano chi vuol fraudare le leggi.
^ ebbero baUisoj^a» « JExterriU» ,sunt acri magis , qtiam ditUumo ti-
more. ** Tutto questo dice questa popolar voce perfettamente; e Franco Sacchetti
nella novella 4S l'usa. Che noi la deviamo schifare , perchè la lingua comune
d' Ualia non l'usa , perchè non è in Dante né nel Petrarca uè nel Boccaccio , a
me ncmpare: né credo che una lingua che vive> sia nello scrivere obbligata a
raccogliere solamente le parole di pochi e morti scrittori, quasi gocciole dalle
grondaie ; ma debba attignere dal perenne fonte della città le più efficaci e vive
propeietk naturali che con impeto scoccano, e fiedono l' animo per diritta via e
brevissima ; e molte volte significano più che non dicono, come i colpi fieri e gli
•corei nella piUura. Conciossiachè noi favelliamo per essere intesi, e muovere; e
quanto più proprio e breve il parlare è, più presto e meglio è inteso e muove. £
credo che dall'empio e '1 disonesto e '1 sordido in fuori, quanto i nobili dicono,
si possa anche scrivere nobilmente a suo luogo e tempo da persona giudiciosa,
mesanamente erudita e accurata. Scrivendo a questo modo, e con queste quattro
condisioni , non militeranno le tre autorità dal gran riprenditore allegate nella
risposta al Caro a carte 23, 1' una del Bembo , che noi Fiorentini per troppa co-
pia di questa nostra lingua non la stimiamo, e*ce n' andiamo col popol sansa re-
(*) abbitnte, abile. QoA più sotto abbientare, rendere idoneo.
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208 IL LIBRO QUINTO DBQLI AMNALI;
per essersi alle Ciclade, e poi in terra ferma veduto Drnso
di Germanico/ E' fa nn giovane di quella taglia, il qnale certi
liberti di Cesare quasi riconosciuto seguitavano ad inganno.
Qaei Greci correnti alle nuove e a' miracoli, traevano alla
fama di qael nome : trovavano, e lo si credevano, lui di car-»
cere scappate, andare alti eserisitì di sao padre, per pigliare
Egitto e Sorla. E già aveva concorso di gioventù e publico
séguito, allegreza di tanto e speranza vana del rimanente.
Qaandp Poppeo Sabino allora in Macedonia, governante anco
l'Acaia, a tale avviso, vero o falso, per avanzarsi, a gran-
dissima fretta passa i golfi di Torone e di Terme,' Y Eubea
isola dei mar Egeo e Pireeo d-Atene e le coste di Corinto e
quello stretto di (erra: e per T altro mare entrato in Nicopolì
colonia romana, dove finalmente intese che, domandato me-
glio chi e' fosse, aveva detto, « Figliuolo di M. Silano; » e
che perduti molti segnaci, s'era imbarcato quasi ir volesse
in Italia. E tolto scrisse a Tiberio ; nò ho trovato di questo
caso altra origine e fine.
XI. Nel fine dell'anno, la discordia de' consoli ratte-
nuta, scoppiò.' Trione, che come litigante pigliava nimici-
zie per poco, diede fiancata * a Regolo d' andare molto ada-
gio air opprimere i ministri di Seìàno. Egli che, non tocco,
era modesto, ribatto il collega, e voleva accusar lui di quella
congiura : ma pregati da molti padri che posasser colali odii
da rovinarvi , con crucci e minacce finirono il magistrato.
gole osservare : e l' altra di Giulio Gammillo, che niega doversi partire icriveado
dalle voci del Petrarca e del Boccaccio, qnaiido la lingua sali, quasi «ole al mete
giorno, al suo più alto punto di perfezione. E lascia Dante I oh, che giudizio!
La tersa d'Aristide, che nelle dicerie non ammette le parole del parlar sempHcc,
ma quello de' libri.
* * Ihruso di Germanico, Il vero Dmso languiva rinchiuso ia nn fondo
del Palano, dove poi fu fatto morire di fame. (Vedi lib. VI, 33.)
> * I golfi di Torone e di Terme. Il primo pigliava il nome da una vicina
cittk'di Macedonia. Terme appellasi oggi Golfo di Saloniechi.
' * rattenuta, scoppiò. Il Ms. cancella : « tenuta in collo, sgorgò. •> •
* * fiancata, rimprovero indiretto ; con oblique paróle.
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IL LIBRO SESTO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. Segrete •omire di Tiberio. --II. AeeoM molte. — YIII. Libera egre-
raa difesa di M. Tereniio. — X. Morte ed esequie di L. Pisooe prefette di
Boma. — XI. Orìgine e progreieo di tei PrefeUara. — XII. Gonsaltesi dell'em-
mettore «o libro SibillÌBO. — XIII. Roma in tamolte per .gran oaro. —
XIY. Alcnni equestri , a morte per coomara. — XV. Dne figlie di Germanico
sposate a L. Cassio, a M. Vinicio. —XVI. Usurai aoenssti , usura repressa j
pier liberalite di Cesare la fede di molti riviro. — XVIII. Rìnovate V accuse di
steto. — XIX. Accusati per socii di Sciano, occisi a un sol editto.— XX. Caio
Cesare sposa Claudia, éooi costumi. Tiberio sotto Trasillo impara Parti cal-
dee, predice a Galba P impero. — XXIII. Deplorebil fine di Dmso figlio di
Germanico: al perì qnel d'Agrìppioa. — XXVI. Nerra giureconsulto di yo-
lonterìa fame muore. Altre morti illustri. — XXVIII. Fenice in Egitto. —
ZXIX. Varie accasa e morti. — XXXI. Legati Parti in Roma axhieder duoto
re. Uno, poi un altro ne manda Tiberio. L. Vitellio prefette d'Oriente. —
XXXIII. Azuffs Armeni e Parli. Artabano balzato di trono, e ramingo nella
Scìna. Per consiglio e forte di Vitellio gli succede Tiridate. — XXXVIII. La
serisia delle spie rìnfotsa: molti accusati muoiono. Tìgrane re soccombo
w? snpplìri da cittedini. Emilia Lepida si cava di rifa. -.- XLl. I Cliti ribelli
a lor re rìpressi. I grandi discordi cacciano Tiridate del trono, ^a cui ricbia-
mano Artebano. ->- XLV. Fiero incendio a Roirfa. — XLVI. Tiberio destina il
successore. — L. Malore , morte , carattere di Tiberio.
Cono di eirea f et anni,
IGn. Domuio Ehobàbbo.
M. Fuiio Camillo Schibo-
nuRO.
A., ai B. Dco-imu. (ii Cr. M). -C^U. \ ["v'Ji^i^^r ^^*""
A..diH.»oaxHnM.(diCr.55).-Co«.«. j à.SmJLo'CW
A., di B. DCGUim. idi Cr. 5»). - C«mK. | ^l^""" *"*"••
Al. di R. uccie. (diCr. Sl).-C«MoU. \ e. Pom,o Nmeuio.
ii'
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210 IL LIBRO SESTO DEGLI ANNALI.
I. [A. di R. 785, di Gr. 32.] Entrali consoli^ Gneo Domizio
e GammìHo^ Seriboniano, Cesare, ascilo per lo mare che è
tra Capri e Sorrento, costeggiava la Caiqpagna, con nieza
voglia 0 finta * di entrare in Roma : e spesse volle smontò
vicino per qae* giardini sul Tevere, e tornossi a' suoi scogli
e solitario mare, per vergogna di sue scelerateze e libidini:
ove si s'imbestiò che al modo de' re barbari contaminava
nobili donzelli. Né pure i corpi vaghi e lascivi, ma in questi
una fanciullesca modestia, in quegli lo splendore della fami-
glia gli erano incitamenti* E trovaronsi allora non più uditi
siniscalchi delle nefande camere, e architetti di quanto in
cfsse si puote.' Schiavi andavano alla cerca e condncienll, do-
nando a' pieghevoli/ minacciando gli abbominantì. £ se pa*
drì o parenti resistevano ; rapimento , forza e sfogamento in
quelli, come fatti schiavi, s'usava.
II. In Roma nel principio di quest'anno, come non si
fosser prima le malvagità di Livia sapute e punite, sì diceano
atroci parole contro eziandio ai ritratti e memorie di lei, e
che i beni di Sciano si scamerassero ' e mettessero nel fisco,
qua» con la medesima rèssa, come s'ella importasse.* E
forse che questi non erano Scipioni,^ Silani e Cassii, tra' quali
gran nomi ingeritosi, non senza rìso^ Togonio Gallo dì bassa
mano, pregava il principe a scorre un numero di senatori,
* Entrati consoli. Con booB gindmo pare al lipsio che con H tre anni
die mancano sia compiuto' qni il quinto Libro, e cominci il sesto.
' * con meza voglia ojtnta ec. Il Ms. cancella: « non sapendo se in Roma
si volesse entrare, o fingendo di volere ec »
' * Coglie la frase dantesca: « A mostrar ciò che in camera ai paote. »
* * donando a* pieghevoli ec. Il Ms. : n donando alli arrendevoli, minac-
ciando li abbominanti: e se padri o parenti avenfro lioiatrtlOy n^iimaiti, fer-
ia ec. w Muta abbominantì in tchi/anti: poi cancella tutto.
' * si scamerassero, si levassero dell'erario.
* * gaaei con la medesima rissa, come se ella importasse. Il lat. fai
semplicemente: « tamquam referret. »» Come domine al nostro Bernardo h
sdrucciolaU la penna, da ire sì per le lunghe ? Nella Ginntina ( Vedi le P"aHttM
in fine del volume ) è più breve : noi traduce. Meglio il Politi : « Come ac non
fusse tutt'uno I n Ed invero, niun divario era che i danari fbaaiM^ « ^ai
perchè Tiberio intigneva per tutto , senza tante cerimonie.
' * E forse che quésti non era^ Soipioni ce. K^io la ifriwMina: • do^
tali erano , poche parole mutate, de'Silani e de'Gassi le calde pronunzie : quando
si Tito su Togonio Gallo, nomo di taiva, e tra f^egli alti noni non «eno rÌM
ingeritosi^ pregava il principe ec. **
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IL LIBRO SESTO BS6LI ATIMALT. SII
de' quali venti per Tofta tratti per sorte, eoo V arme a eanto^
gli l^cesser la guardia quando egli entrava in senato: avendo
creduto aver daddovero Til)erTo, per una lettera, chiesto che
UBO de' consoli lo conducesse salvo da Capri a Roma. Egli
tra le cose gravi talora usato burlare, ringraziò i padri del-
l'amorevoleza: « Ma chi si arebbe a lasciare? chi a scorre?
sempre i medesimi, o scambiarli? stati di magistrato, o novi-
zi? risedenti, o privati? chi parrann' eglino a cignersi in su
la porta del senato le coltella? non volere anzi vita, se l'avea
a difender con V armi. » Con tali parole corresse Togonlo,^ e
intanto il suo parere non dissuase.
ni. Conficcò bene ' Ginnio Gallione che voleva 1 soldati
pretoriani, finito il lor soldo, poter sedere ne'qoattordici gra-
di,* domandandogli quasi presente: « Che hai a far tu di gui-
daci ? allo 'mperadore sta il comandarli e il premiarli. Hai
trovato forse quel che non seppe il divino Agusto? o pur
se' lancia* di Seiano, che vorresti accender fuoco e tirar gli
animi rozi con questo zimbello d' onore a guastar gli ordini
della milizia? » Quello che Galtion guadagnò della sua studiata
adulazione, fu l'esser cacciato allora di senato, e appresso,
<r Italia; e dicendosi che egli arebbe troppi agi in Lesbo,
isola nobile e amena elettasi, fu rimenato in Roma, e messo
in prigionia di magistrati.'^ Nella medesima lettera Cesare
* Con tati parate corresse Togonio. In senato non s*cntraya €on arme.
Quando Tiberio v' era , fuori stavano soldati alla guardia. Non gli piacque che
venti senatori v'entrassero armati per lui guardare, non se ne fidando, tenendoli
tntti per nimici, e ricordandosi di quel che intervenne a Cesare- dettatore. Ma per
nascondere questo suo timore, la mise il vaknt* uomo in cansona. (*)
S * Conficqò bene, Lat. : « violenter increpuiij » aspramente rampognò.
* * ne'guattordiei gradì, cioè, nel posto de! senatori che al teatro sedevano
ne' quattordici gradi vicini all'orchestra.
* * lancia. Il Ms. cancella : « cagnotto. »
' prigionia 4i magistrati. Erano le prigionie : o libere, per li nobili , so-
itetiuti in cas^ d' alcuno di magistrato publico o di privato, mallevadore di rap-
presentarli: o militari; e legavasi ausi lunga catena alla destra del prigione , e
miiaira d'wi loldato, alU fuisa <d«' nostri atiilcaiaoli : O o esano cameracce per
n La Giwlfaia: « in piaeevolcaa • nodastia. •
n «fawfaioli, prigioniari, • foiM, earaarieti 4all« Stiaebe. La Grasea dia la parola nel
pciaM mma con ^Msto salo «swiipi», Ma «m A fcan efaiaf», «d io indiMrai iiiattMto al aat
eaMo BigmUttto. Borghini, Delfi ortf. di Fir., pag. I88« i«L I dti OUt^iy •im. di M^
ìano, 1W8: « La eareere pobblica (te Finnzt) eUunata Sttnahe si fs^agn» «al nama, perchè
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213 IL LIBRO «no DMII ANKALI.
percosse con grande allegrezza de' padri SesUo Paeoniano
stato pretore, dicendolo audace, nocivo, spiatore de' segreti
d'egn'nno e ministro di Seiano al tradire di Gaio Cesare.
Quando ciò si seppe, sgorgarono i primi * odiì : e dannavasi *
al sommo supplizio; ma egli disse che aveva in seno una ac-
cusa.
lY. E cintala' a Latinio Laziare, fu grato vedere spia e
reo, due odiatissimì. Laziare, come dissi, fu capo al condurre
alla roaza * Tizio Sabino, ora primo al gastigo. Allora A torio
Agrippa la prese co' passati consoli : « Se essi s' accusaron
Tan l'altro, perchè tacere ora? il verme della conscienza e la
paura gli ha riuniti: ma non deono i padri le udite cose pas-
sare in silenzio. » Rispose Regolo: « Indugio non leva ga-
stigo: farebbe il bisogno,' presente il principe, d Trione disse
che di gare e male parole tra' colleghi, meglio era non tener
conto. Riscaldandosi Agrippa, Sanqutnio Massimo, conso-
lare, disse: e Dìgrazia, padri, non aggiunghiamo fastidi al
principe, stuzicando piaghe maligne : saprà egli ben medi-
carle. » Ciò diede al morire scampo a Regolo, e tempo a
Trione. Alerio fu odioso, per sonno e lussuria marcio : del
principe quantunque crudele, come neghittoso, non temeva;
li vili o scelerati o giudicati a morte. Nelle quali erano strumenti {*) di legnami
o d'altro, come il rovere ( del quale vedi la Postilla 28 del IV liljro),(**) e il ttd-
liano ( del quale Cicerone contra Verre; e Salustio nel Catilinario: Est locusin
carcere, quem tuUianum vocant: detto dal re Tulio Ostilio , che lo trovò per
pena avanti al supplisio de* casi più gravi), o come era il sestenio , luogo miglia
dna e meno fuori della cittSi (Vedi Lipsio nel lib. 15 di questi Annali). — * Era
fuori della porta Esquilina , dove ergevansi i patiboli e si gettavano i cadaveri.
< * primi, gik da gran tempo concetti.
> * dannavasi, era sul punto di esser condannato.
^ * E cintala : sottintendi Paccusa. Dicesi anche sempliòemente eignerla
a uno per accoccarglieia sfargli un qualche brutto scherzo»
* * condurre alla mata: propriamente vale condurre al supplizio. Ma qui
•ta per tradire; trarre in inganno e a rovina. Lat.: « circumvenire, »
3 * farebbe il bisogno ec K. Politi: « alla presénia del principe ne farebbe
veder l'effetto. »
i primi elle vi ftaron meisi dentro, ftaron certi del éaalello delle Stilehe di CUasti, eh» f«
appanto iii qaell' anno (1804) che la prima volta t' adoperarono preso e disfatto. Bla oggi si
erede quasi per tatti ehe Stioehe, di eoa nalw«« voglia dire prigioni pobbUoiie. »
n QoMta parola, che è neeesaaria al senso, l' abbiamo sappUU soli' avlocilk del posti!-
latore aaoaimo dell' esemplar» Nestitao posaedato dal marobese Gino Cappotti, fi tutti gasala
postilla manca nel Ms. originale.
(*) Di qnesU ediilone, nota 8, pag . 474.
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IL UBHO 8BST0 0B6U ANMALI. 213
e sempre a rovine di grandi in taverne e ma' luoghi pensava.*
y. Dipoi Coita Messalino (qaei. dalle erode sentenze , e
perciò malvolnto ab antico) fa accusato^ il prima che si potòy
di più cose : aver chiamato Gaio Cesare maschiofemmìna ; '
e cena d' eseqaie ' annovale ^ quella eh' ei fece per lo natale
d' Agasta ' co' sacerdoti ; dolendosi ' della potenza di M. Lè-
pido e di L. Arnnzio co' quali piativa moneta,^ aver detto :
« Loro favorirà il senato, e me il mio Tìberiolino. » Di tutto
sollecitavan convincerlo ^ i primi della città, se e' non s' ap-
pellava a Cesare. Eccoti una lettera a modo di difesa; che
narrato prima il principio della sua amicizia con Cotta e li
molti servigi da lui ricevati, chiedeva non facessero orimi*
nali le parole, massimamente dette nell'allegrie delie mense.
VI. Notevole, fa di quella lettera questo principio: e Che
mi vi scrivere o come, che non vi scrivere in questo tempo,
< * pensava* Vedi in fioe dae primi sboni di Iradiuione di questo e del
precedente capitolo.
S maschiofemiHima, « Incerta virilitatìs n non « ineettàe.» Per accoppiare
qnestoacherco della disonestà di Gaio col seguente di Gotta, che chiamò cena del
mortoro quella fatta per lo natale di Tiberio, che tanti uomini faceva morire. —
* il Nostro si attiene alla lesione « incerta virilitaUs, *» che desumesi
dal cod. Mediceo dove Icggesi « incerta. » Gli altri: m ineeeta vvriliUMsi »
conforme a ciò che narra Svetonio (in Col., 24), cioè che Caligola fu ince-
stuoio colla sorella DrusilU.
S * esequie. Il Davansati scrive ora esstquie ora esequie. E l' istessa in-
costansa grafica usa in altre parole, come dopo e doppo, publico e pubblico ec.
Vedi l'^tvertimento in principio.
* * cena d'esequie tamovale. Lat. : « novendiaiem cenamj » cena mor-
tuaria, che facevasi negli onori funebri rcnduti al morto nove giorni dopo il
bruciamento del cadavere ; e però detta novendiale.
8* d*ji gusta: seguo la Giuntina, die è conforme al cod. Mediceo che leg-
ge; w die natali jiugustte, w L'altre 'ediiioni, « d' Augusto; » conforme la con-
gettura del Lipsio , che ouervò non essersi mai celebrato il natalisio di Livia
dopo la morte di lei. Ma che vieta che tal celebraiione si facesse in vita ? Livia
fu gravis in rempublicam ntaUr (Ann. I , iO) j e di qui lo scherso.
* * dolendosi.... a»er detto ec; cioè: e fu parimente accusato che egli,
dolendosi.... dicesse ec.
' * piativa memeia» aveva lite per certa aomma di danaro.
^ * Di tuUo sollecitavan convincerlo ec. Traduce secondo la congettura
del Pichena « eaque euncta. n Ma il cod.Mediceo ha neque ouneta « e si vuole
con queste parole significare, come inteipeUa il Walther, che due cause concor-
sero a impedire il successo dell'accusa : la prima, che non tutto potè provarsi; la
seconda, il ricorso al principe. Onde si vuole tradurre : « JMè tulio poleron pro-
vare que'maggiorenli ; e poiché costoro non gli davano posa, ricorse al principe.**
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814 IL tnftO SBWO 1>MLI ANMALI.
faccian gì' iddìi e le iddie di me più fttrazio ebe io (alto di
non mi sento entro fare, a* il so.^ » Tanto gli erano erode
giaslìaiere le stesse sae sceleritadi. Per^ soleva ben dire
qael sovrano in sapienza:* Se gli animi de' tiranni avessero
sportello, noi vedremmo là entro i cani, i flagelli : cioè le
loro crudeltà, libidini e pessime pensate,* fare strazi di que-
gli animi, come de' corpi gii spaventevoli slrnmenti. Perà né
gran fortuna, nò vita ameba potevan si fare cbe Tiberio
stesso non confessasse i suoi martori e supplizi intemi.
VII. Avendo dato a' padri licenza di giudicare Ceci*
liane senatore che dato avea qoelle accuse a Gotta, lo dan-
narono nel medesimo che Aroseio e Sanquinio che aecnsaron
L. Arunzio. Né mai ebbe €otta (nobile si, ma povero per
biscazare; infame per male operare) onore come questo
d'esser vendicato a pari d' Arunzio, di virtù santissime.
Yennesi alle accuse di Q. Servèo e di Minuzie Termo. Ser-
vèo fu pretore e seguitò Germanico; Minuzie, cavaliere,
onesto amico di Solano; perciò venne di loro maggior pietà.
Per Io contrario Tiberio dicendoli stumìe de'ribaldi, comandò
a Gaio Geslio senatore, che quanto a lui ne avea scritto di-
< * s*il so. Costruisci cosi questo perìodo : Gl'iddii e le iddie faccian
di me più strasio cfa* io tutto di non mi sento dentro fare, s' io so cbe cosa o
come scrivenri, o che cosa non ìscciTere ec. Il Politi traduce : « Che ti seri*
vero io , o padri coscritti? o come vi scriverò T o pure che lassarò di scrivere in
questi tempi ? Gli dii e le dee mi facciano morire di peggior morte di quella cbe
provo ogni giorno, se io lo so. »
> qnet sovrano in sapienza : Platone nd 4 della Republica. Lucreiio nel
terso esprìme il rodimento della cosciensa mirabilissimamente :
Std menu in vita pamarum prò maiefaetii
Bit imignibut intigni», actitritquB iuela,
Cantr, tt horribUi* d» uuto iattu' Afrtam,
Vtrtera camifiett, rotar, pix, lamiau, tmdee:
Qua tamen etti abtunt; at ment tibi eontcia facti
PrtBmetuent adhiiet ttimulot torrvtqut JlagelUt :
N«c 1/idet iaUnaqui temUnut etttmalorum
Pottit, m*e guai sit pammnm dtntquejimia,
Atque eadem metuit magit hcee ne tu morte grmttumt,
Tnitiuitatem meam ago cognosco, at peecatnm maum tont/»u ma ast semper,
dice David. Però voleva fuggire e nascondersi Caino , morto Abello, teemando a
verga a verga , cbe chiunque lo trovasse non 1* uccidesse , come dice la Genesi
al 4. Aristotile nel 9 dell'Etica e. 3 dice; Cbe l'uomo seelerato se Metso odia,
uccide, nimica, nulla ha in se che bene gli voglia : lo rode e laeera la lut co-
seieosa.
' * pensate, pensamenti.
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IL LIBRO SBSTO DE6LI ANNALI. StlS
cesse al Benalo ; e Cestio prese r accusa. Peste mìsera di
qae' tempi, che i primi del senato d' ogni cosaza e paroluza
detta ora o mill'anni fa, palese e segreta, in pfaza e a
mensa, di strani e di congiunti, amici e non più vedali ; in
chechè materia (e beato il primo); chi per difender se; i
più quasi per male appiccaiiccio ; fossero rapportatori. Mi-
nuzie e Servéo, essendo dannati, arricchiron le loro spie.
Giulio Affricanadi Sautogna in Gallia e Seio Quadrato farono
atei * dannati. La causa non rinvengo. Ben so, molti scrit-
tori, molte pene e morti arer lasciato per islracchi dalla
quantità, o per non dare a' lettori la sentita' maninconia delle
troppe e noiose. A me son capitate molte cose memorevoli,
da altri passate.
Vili. Una è che in quel tempo che niuno voleva avere
avuto epa Sciano amicizia, M. Terenzio^ cavalier romano,
accusatone, ebbe cuore di difenderla in senato con questo
parole : « Farebbe forse più per me misero negare questo
peccato che confessarlo : ma sia che vuole. Dico che fui
amico di Sciano: n'ebbi desiderio, e, ottenutolo, allegreza.
Perchè io Io vedeva compagno del padre al governo delle
coorti pretoriane, poscia della città e della milizia; gli amici
o parenti di lui, pieni d'onori: quanto uno era accosto a
Solano, tanto potere in Cesare: chi con lai male sta va^. sem-
pre stare in paura o vergogna. Ninno nomino, ma difendo
me e gli altri che non fummo della congiura. Noi adoravamo
non Sciano.^ da Bolsena, ma un membro, per lo parentado
fatto, di casa Claudia e gialla; un too genero, o Cesare; un
tuo compagno nei consolato; uno che faceva nella republlca
gli uffici tuoi. Non abbiamo a guatar noi ^ chi ta esalti sopra
* •««, altresì.
* * sentita, provata da loro.
' M. Teremio,,.. ebbe cuore. Àminta, nel settimo di Q. Canriio, fa una
stmil professione magnanima d'essere stato amico di Pilota : e Cassio Glena in
Xifilino d'aver segnitato la parte di Nigro; la «pai mosse Severo a lasciargli la
metà de' beni confiscati.
* * Noi adoravamo non Sciano ec. Il Ms. cancella : «Noi non Sciano da
Bobena, ma on rnntAao della casa Claudia e della giulia che egli dominava per
lo parentado, adoravamo. »
' * Non abbiamo a guatar noi ec. Il Ms. cancella: m Non abbiamo a squa-
drar noi chi tu sopra gli altri ti esdti. »
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316 IL LIBMO 8B8TO DB6LI ANNàU.
gli altri, né perché gì' iddìi hanno a te dato V anlTeraale dì-
sponimento; a noi rimane la gloria dell'abbidirti: gaardiamo
quanto ci ò davanti, cioè chi da te abbia riccheze, onori e
podestà di giovare e di nnocere: le qoali cose ninno negherà
essere state in Seiano. Spillare i concetti *■ o disegni segreti
del principe, nò lecito è né sicuro, né paò rìnscire. Consi-
derate, padri coscritti, chi fa Seiano; non T nltimo di ma
sedici anni, che insino a Satrio, a Pomponio e' inchinavamo';
che r esser conosciuti da' suoi liberti e portinai ci pareva un
bel che. Che voglio adanqoe? difender ogn'nno? no: ma che
si faccia giusto divario. Chi ha voluto con lui tradire la re-
pnblica, ammazare lo in^peradore, puniscasi: chi gli è stato
mero amico, e servigio gli ha fatto, sia come te, o Cesare,
senza pena. »
IX. Questo generoso parlare^ e V essersi trovato uno
che sborrò * il rattenuto da tutti , operar si che i loro accu-
satori,' ira per questo peccato e per altri, furon dannati ad
esilio 0 morte. Venne poi altra lettera di Tiberio contro a Se-
sto Yestilio stato pretore, caro a Druse fratello, però tirato
in corte. Dispiacque V aver poetato (o si credette) delle diso-
nestà di Gaio Cesare : onde cacciato di casa, con la vecchia
mano sì punse le veni : poscia legatelesi , supplicò : e per lo
riscritto crudo, le sciolse. Seguita una frotta d'accusati di
maestà: Annio Pollione, Yiniciano suo figliuolo. Appio Si-
lano, Scauro Mamerco, Sabino Calvisìo, tutti di sangue chiarì,
e alcuni di sommi onori. A' padri ne venne trfemito : e chi
non era di tanti illustri parente o amico? Pure Celso tribuno
d'una corte di Roma, uno dellì accusanti, liberò Appio e
Calvisìo. Gli altri tre disse Cesare che insieme co '1 senato
giudicherebbe altra volta : e male fiancate diede * a Scauro.
* Spillare i concetti ; diminativo di spiare, per vie occalu • strette sot-
trarre. Con metafora passata in proprietà diciamo spillare la botte, per assag-
giarla, traendone non per la cannella il vino, ma per lo spillo, deh picciol per-
tugio, fattovi con iatrumento detto anch' egli spillo, e dagli anticbi squillo.
^ * che sborrò. Il Ms. cancella : « che desse fuori ; i» che h cominto deDa
parola.
^ * i loro aceusatùri. Perche i loro? il testo ha : « aceustOorts eiti», »
cioè, 3f. Terentii.
* * nude Jùmcate 4iade. La Girnitina: •» mali cernii fece. •> Óarjtojteaie
o spronate è gettare di traverso motti ingloriosi ad akanoé
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IL LIBHO SESTO OBOLI ANNALI. , 217
X. Non eran fuori di pericolo anco le donne, che, non
potendosi d* occupata republica, di. lagrime s'accusavano:
e fu fatto morire ^itia vecchlerella, per aver pianto Fufio
Gemino figliuol suo. Fatte furon queste cose dal senato : e il
principe fece morire due, i più antichi di sua famiglia, sta-
tigli a Rodi e in Capri sempre al fianco, Yesculario Fiacco^
messaggiero nel tradimento di Libone, e Giulio Marino com-
pagno di Seiano all' acciacco' di Curzio Attico. Tanto più
ne giovò di vederli presi alle reti' loro. L. Pisone pontefice
(miracolo allóra ih si chiaro uomo) morì di sua morte. Non
propose mai cosa servile dì sua voluntà: quando era forzato, le
moderava con sapienza: ebbe, come ho detto, padre. censore:
visse anni ottanta: meritò in Tracia le trionfali. Ma la sua
maggior gloria^ fu la continovata podestà <li Roma, non so-
lita, però piò grave a ubbidirsi: da luì temperata a mara-
viglia.*
XI. Avvenga che prima i re, poscia i magistrati quando
andavano fuori, por non lasciare senza capo la città, eleg-
gessero per a tempo, chi rendesse ragione e rimediasse a* sa-
biti casi. Dicono che Remalo vi lasciò Déntro Romolio; Tullio
Ostilio, Numa Marcio; Tarqunio Superbo, Spurio Lucrezio.
Poscia anche i consoli sostituivano: il che oggi si raffigura,'^
qoando per le feste latine si mette uno che faccia V ufficio
' * Vesculario Fiacco. Goti è chiamato sopra, II, 28; ma qui è- detto
« Vesculariits Atticitsi «» e il Nostro ha seguito il Pichena che ha qui pure re-
stituito Flaccus.
' * aW acciacco , all'oppressione.
' presi tdle rtti, - Maltun cmsilitim consultori pessimum , ** era il
proverbio romano, nato (come dice Agellio) dalla malignità de'sacerdoti fatti ve-
nir di Toscana a ribenedire la statua d'Orazio Code percossa da saetta; che ansi
la maladissero , e fecerla si abbassare che non vi desse mai sole. Confessaronlo per
tormento, e furono uccisi. E i fanciulli per Roma cantavano il sopraddetto verso,
tradotto da quel d'Esiodo, ij ^« xaxii ^tfXiì t^ ^tfXsuaavri xecxiarv], col quale
Democrate da Scio (come riferisce Aristotile nel tento della Rettorica) mor^ Me-
nalippide de' troppo lunghi periodi : peggiori per chi gU fa che per chi. gli ode :
CapiU suo malum suit ille qui alteri malum stai: longa vero anabole, ei
quifecit pesfima.
*( * 11 postillatore anonimo dell'esemplare Nestiano posseduto dal marchese
Capponi corregge (ma credo di suo capo) questo luogo così: « per la non solita
uhbidienaa più grave, da lui a stemperata maraviglia. »
S * si raffigura j cioè, si rappresenta. Il Ms. cancella : » è rassembrato. *>
I. 19
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218 • IL UBftO 8B8T0 DBGLl ANNALI.
del consolo. Agusto nelle gaerre civili occopato, fece Cilnìo
Mecenate, dell' ordine de' cavalieri, suo luogotenente in Ro<
ma^ e Italia. Quando fu poi padrone d'ogni cosa, per lo
gran popolo e per li tardi giudici legali, die podestà ad uo-
mini stati cotìsòli di tenere in freno i servi e qne' cittadini
che intorbidano, se non veggono alzata la maza.* Meissala
Corvino fu il primo clie l'ebbe; e in pochi giorni la lasciò,
quasi non atto. Statìlio Tauro, benché molto vecchi'o, si
portò egregiamente. Segtiitò Pisene per anni venti, con pari
loda, e per decreto de' padri ebbe P esequie publicbe.
XII. Quintiliano tribuno della plebe, propose a' padri la
dimanda di Ganinio Gallo, uno de* quìndici, di ricerere un
libro della Sibilla, e se ne vinse il partito. Cesare scrisse
che il tribuno, come giovane, sapeva poco d' antìchitade; e
garrì Gallo, che consumato in isciénza e divinità, simil cosa
trattasse in senato, scarso di numero, senza certo autore,'
sentenza del collegio, lettura e censura de' maestri, usate a
simili versi. E avverta che A gusto, veduto molte scioc-
cheze leggersi sotto grandi nomi,* ordinò*^ che tra tanti giorni
si portassero al pretore, e vietò tenerle i privali. Come fecero
gli antichi allora che per l'arsione del campidoglio, nella
guerra sociale da Samo, Ilio, Eritri„ Affrica, Cicilia e colo-
nie d'Italia trassero i versi della Sibilla o Sibille; e commi-
sero a' sacerdoti che con ogni umano potere cernessero i
veri. Cosi anche allora questo libro fu a' quindici dato a cer-
nere.
XIII. Nel detto anno per lo gran caro fu per l'evalraì il
popolo: e molte cose, molti giorni domandò nel teatro, con
licenza non usata a impéradorl. Di che alterato, riprese i
magistrati e i padri per non l' avere raffrenato con l' auto-
* * suo luogotenente in Roma. Il Mi. cMi<:elU) « sopraotendente di
Roma. »
' * se non veggono ahatà la rhaxaj cio^, se non temano d'esser poniti.
l\lM,.h^:mniHvimmehtat,»
S * senza eerto autore. Il Ms. cancella : « senta certesa dell'autore. »
* seioccheze leggersi sotto granéi nomi. Agmto de' libri si (atti ne arse
domila, dice Snetonio in Agosto 31. -^* sciocchete. Il ATs. cJiHcdlas « vanitìu »
» * ordinò èc. Il Ms. cancella : « le fece tra tanti giorni ^Ure alla 'pode-
stà, n
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IL UBBO tBSTO DB6U AMNILI. 219
rilà poMica; e ricordò qaanto grano, e onde, condaceva
egli più che Agasto. Per lo che il senato dislese un severo
bando per gastigare all'antica il popolo. I consoli spacciata-
mente il pabblicarono. Il non vi por bocca egli credette do-
versi attriboire a civiltà;^ e fu a superbia.
XIV. Nel fine dell'anno, Geminio, Gelso e Pompeo,
cavalieri romani, furono uccisi per la congiura di Seiano.
Geminio gli fu amico, perchè spendea e vivea morbida-
mente ;' non per cosa di conto. Giulio Celso tribuno allentò
In carcere la catena, e incappiatalasì al collo,' sì strangolò.
Robrio Fabato, facendo Roma spacciata, se ne fuggiva alla
misericordia de' Parti.* Veramente costui^ preso nello stretto
di Cicilia, e rimenaio da un centurione, non dava cagioni
capaci del suo dileguarsi.^ Pure dimenticato, anzi che gra-
ziato, scampò.
XV. [A. di R. 786, di Cr. 33.] Nel consolato di Sergio
GaUm e L. Siila , Cesare, essendo da marito le figliuole di
Germanico, nipoti sue, doppo lungo pensare, congiunse
Gialla a M.Vinicio'' natio della terra di Galles in Campagna;
il padre e l'avolo furon consoli; la famiglia cavaliera; di
dolci costumi; dicitore ornato: e Drusilla a L. Cassio di casa
pepolare nmiana, ma orrevole e antica , dal padre tenuto
sotto: uomo di più pianeta che indostria.' Scrisse al senato,
lodando i giovani alquanto. Poscia renduto di sua assenza
* * d<H>erst atiribtiire a civiltà. Il Ms. cancella : « che fosae a civiltà. »
* * spendea e vivea morbidamente, fl Bfs. cancella : m fondeva il sno e
vivea diliealo. m Ebbe la mente a quel di Dante :
BiMtisre fooda I« nt fMsltate.
S * incappiata!asi al eolio. Esseodolasi incappiata, cioè annodata stretta-
mente al collo. Nel Ms. è cancellato: « al collo. »
* * /uggiva alla misericordia de* Parti. Il Ms. caacella: « fuggiva a'Parti
per iscampo. w
' Veramente costtU. Leggi mm isj perchè quel tanus repertue era
troppo sproposito.
* * non dava cagioni capaci del suo dilegtuwsi. fl Ms. «ancdla : m ood
diceva cagioni bastevoli AtìX andarsene si discosto. ••
1 Giulia a Jf. Vinicio. Saetonio U dice Livia, o Livilla.
' * u9mo di pia pianeza che industria. U Lat ba : « facilitate sttpius
quam industria commendalffittir,' »
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220 TL tmo SESTO DB6LI ANNàLf.
ragioni stravaganti, entrò in cose più gravi: che 8*era per
la republica fatto nimici, però chiedeva che Macrone pre-
fetto, con qualche tribuno e centorione, entrassero sempre
seco in senato. Feces! partito largo di quanti e qaali volesse.
Ma egli non che in senato, non entrò mai pnre sotto un tetto
della città, se bene spesso per tragetti intorno le- aliava, e
50 n' andava.
XVI. Fnria d'accnsatori asci addosso agli nsnral, che
arrìcchivan più che, sopra il prestare e possedere in Italia ,
non dispone la legge di Cesare dettatore già dismessa; per-
chè l'interesse privato dà de' calci al ben pablico. L'asnra
è mal vecchio della città, e di sollevamenti e discordie, ch^è
ch'è,^ cagione; però ancora ne' tempi antichi e costami
men guasti si correggeva. Conciosiachè le dodici tavole pri-
mieramente la tassarono il più a uno il mese per oentinaio,
che prima faceasi a modo de' ricchi. Poi fu per legge de' tri-
buni, ridotta a un mezo: poi ogni usura vietata; e, per molti
ordini della plebe, provveduto alle sottilissime malizie onde
rimettea sempre, quasi pianta succisa. Avendo, adunque,
Gracco pretore tali accuse innanzi, increscendoli di tante
rovine, le rimise al senato. I padri spaventati (perchè, chi
n'era netto?) ne chiederò al principe grazia generale, el'ot^
tennero; con tempo diciotto mesi a rassettarsi tostato,' cia-
scuno secondo la legge.
XYII. Quindi nacque stretteza violenta di moneta; per-
chè i debitori tutti a un tratto erano stretti : il fisco e la ca-
mera per tanti dannati, e lor beni venduti, avevano inghiot-
tito tutti i contanti. Perciò il senato fece che gli usurai se ne
pigliassero li due terzi, in terreni in Italia; ma essi richie-
deano parlo intero; né era onore ia' richiesti fallir di fede.
' cVè eh* k: spesso spesso; dicesi per cose troppo spesse e indegne, cbe
a pena son credute ; corresi a cfaiarir (*) scegli e par vero, con maraviglia dicendo,
che hf cheli che senf io t — * eh* kch'è, cagione. Il Ms. cancella : « ad ogni
poco, cagione. «
* * a rassettarsi lo stato. Intendi lo stato proprio; le ragioni domesti-
che ; i conti. ULat. ha: « rationes familiares eontponeret, »
{*) chiarir. La NeslUnae U Cominiana hanno, eon maniFesto errore, ehiamars ni la
prima 11 correggo nel lungo errata; ni il Volpi , nella seconda, se ne aeoorse.
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IL LIBBO SESTO DEGLI ANNALI. 221
Cosi SI serpéntava,^ tranquillava,' alla ragion si gridava: e
le vendile e compre, trovale per rimedio, la strelteza accre-
scéano; perchè i compratori col nascondere il danaro, e ì
tanti venditori coir offerire gli stabilì, gli smaccavano:' e i più
indebitati con più fatica vendeano: fallivano molti, e n'andava
con la roba la dignità e la fama; onde Cesare vi porse aiolo,
contando dae milioni e mezo d' oro a' banchi , che li pre-
stassero senza prò per tre anni a chi obbligasse al popolo
stabili per lo doppio. Cosi la fede tornò', e a poco a poco
ancora i privati prestavano, e la legge del pigliarsene stabili
non s' osservò. Trattandosi tali cose con rigore nel principio,
poi si tralasciano.
XYIII. Ritt>rnarono le prime paore, per l'accosa di
maestà data a Consldio Procolo. Il quale festeggiando tolto
sicaro per lo natal suo; rapito, portato in senato, dannato
e morto, tutto fu uno : e a Sancia sua sorella levossi acqua e
fuoco. L' accusatore fu Q. Pomponio, cervello inquieto, che
diceva aver questo e altro fatto per entrare in grazia del
principe e liberar Pomponio Secondo, fratello suo. Ancora
fu scacciata in esìgilo Pompeia Macrina, il cui marito Ar-
golico, e Lacone suocero, de' primi delli Achei, Cesare aveva
afOitti: è il padre, romano cavaliere illustre, e il fratello stato
pretore, in suir esser condannati, s'uccisero. Il peccato loro
era che Teofane di Metèllino loro bisavolo, fu inlimo di
Pompeo Magno: e doppo morte da quella greca adulazione
adorato per celeste. .
XIX. Dietro a costui. Sesto Mario il piò ricco di tolte
le Spagne, fu d'aver giaciuto con sua fìglioola rapportato,
' * serpentava. Varchi, Ercol. 73: « Si dice serpentare ^ tempestare,
quando colui non lo lascia yivere ne tenere i piedi in terra: il che i Latini diceano
propriamente soUicitare. » Net testo è conciirsaUo {^ebat). ^
' * tranquillava , facevasi opera di calmare con preghiere. Il testo ha:
« concursatio et preces. *»
' * gli smaccavano, gli rendevano vili; gli screditavano. La Giuntina in
tutto (juesto periodo varia come segue : ** Così ciascuno s'aiutava serpentando ,
tran({uillando/alla ragione gridando, e le vendite e compre, trovate per rimedio
della strettezia, l'accrescevano; perchè i prestatori avevano impaniato i loro mo-
bili in quegli 'stabili; i tanti venditori gli avevan fatti rinviliare, e il gettarli via
a' debitori più grossi più coceva. » Nel Ms. diceva : « ftlli più indebitati : » poi
corretto come sopra.
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222 IL LIBRO SICSTO .OBGL| ANNALI.
e gittato giù dal sasso tarpeo: e acciò non fosse dubbio clie
lo gran danaio suo fa lo peccalo suo/* Tiberio volle per se
proprio le cave dell* oro^ benché incamerale. Insanguinalo
ne' supplizi, fece ammazar tulli gì' incarcerali per conto di
Solano. Giaceva infinito macello' d'ogni età e sesso, e chiari
e vjli, sparsi e ammontati. Gli amici e parenti venuti a pia-
gnerli, a guatarli, non v'eran lasciali badare da' berrò vieri
postivi a notare i più addolorati, e le corpora fetide accom-
pagnare al Tevere; dove ondeggianti o approdanti, niano
arderle né toccarle osava: all'umanità forza e paura; alla
pietà crudeltà contrastava.
XX. In questo tempo Gaio Cesare,' che a Capri andò
con l'avolo in compagnia, sposò Claudia di M. Silano; e
dell'essere sentenziata la madre, confinati i fratelli, non
fiatò: il suo bestiale animo covertando^ dì maliziosa mode-
stia; con la ^uale sempre che Tiberio mutava vestito, egli
simile abito e poco svariate parole usava. Onde s'appiccò il
bel detto di Passiono oratore : oc Non fu mai miglior servo,
nò peggior signore. )» Non lascerò quello che Tiberio indovinò
a Sergio Galba allora consolo ; il quale fatto venire a se, con
vari ragionameoti tastò; e di^e in greco: « Anche tu, Galba,
un di assaggerai l'imperio: » tardi e corto significandogliene,
per arte caldea, appresa nell' ozio di Rodi dal maestro Tra-
suUo , la cui eccellenza cosi cimentò.
XXI. Quando egli voleva sapere un segreto, in cima
d'una casa posta sopra uno scoglio, un suo liberto fidato,
balioso,' che legger non sapea, facea per quelle rocce la via
innanzi, e conduceva su l'indovino: s'eì pareva ìgnoraule
o ciurmante,' gli era data la pinta in mare, perchè non ri-
* Lo gran danaio suo fu lo peccato suo. L' arcivescovo di Toledo io
meso a due vescovi disse : Io vo in carcere in meMO a un grande amico mio^ e
un gran Mimico mio. Tarbandosi quelli, seguitò : // grandmi amico è CimO'
eenza, il nimico ò V arcivescovado di Toledo. Silio a* cento diceva , l' in di
Tiberio essere il peccato suo. «
' Giaceva infinito macello. Il porre ianaosi agli occbi b gran virtù. Ta-
cito se ne compiace molto in questi. libri, come qui, e altrove.
3 * Gaio Cesare. Caligola.
* * covertandq, coprendo.
S * balioso, forzuto; da balia, forta , potenza.
^ * ciurmante , ciurmatore , ingannevole » frodolento.
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IL LIBRO SSSTO IHKILI AMIlàLI. 923
dicesse 11 domandalo.^ Condotto adanqoe Traballo sa per
qaei greppi, e domandato; predisse appunto lo imperio» e
ciò dbe doveva avvenire a Tiberio; il quale commosso gli do^
mandò, se egli aveva studiato la nascita sua' e qaal fortana
corresse qaelFanno e quel di. Egli calcnlato tempi e aspetti
de' pianeti, prima si rimescolò, poi atterri; e qnanto più
squadrava, piA gli s'arricciavano i capelli: finamente gridò,
che in gran punto, e forse ultimo era. Allora Tiberio l'ab-
bracciò, e rallegrossi ch'ei s' era apposto del pericol suo, ma
non dubitasse. E sempre quanto disse, ebbe per oracolo, e
Ini per intrinseco amico.
XXII. Io veramente per questo e altri casi somiglianli,
giudicar non saprei, se le cose de' mortali vengono per de-
stino e ferma necessità, o pure accaso. I savi maggiori anti-
chi e loro sètte discordano, tenendo molti,' gl'iddii nen
tener conto di nostro nascere o morire, nò in breve di noi
uomini : però i bnoni aver male, e i rei bene le più fiate.
Altri ^ dicono in contrario, che le cose il lor fato portano
non da' pianéti^' ma da principii e cagioni naturali, che in-
trecciate tirano l' una l'altra; ma ci lasciano arbitrio d'eleg-
gerci qual vita vogliamo: e a quella eletta, le cose per natura
tirate avvengono. Né sono beni e mali quelli che al volgo
paiano: anzi molti dalle avversità combattuti, tollerandole
con forteza, son beati; e per le gran ricchese i più^ male
usandone, miser issimi. Le destinate cose per lo f unto del
< * Giova uflire il fatto con più chiaressa da G. Dati ; « Ogni volta
eh' e' voleva con qualche aatrologo consigliarsi e saper qualche cosa dell'avve-
nire , usava di salire sopra la più alta parte della sua ahitasione, né altri voler
seco che uno de'suoi liberti, il quale delle kttere era ignonata,nui del corpo ga-
gtiardo e poderoso, tt Uberto andava iananù per etiti luoghi saasoti e dirupati
(perciocché era la casa posta in au un maaso), e l'astrologo dal qnale voleva Ti-
berio fare isperimento, lo seguitava ; e avvenendo che Tiberio o di menaogna o
di malina so^ettassa di lai nel suo pronosticare, lo fKCva nello scender ddla
rupe dal liberto gettare in mare che era quivi appiè del masso, aceiocdi' e' non
potesse rivelar quelle cose di eh' egli era «tato da Ini domandato. »
' * sua , propria ; di se stesso, non di Tiberio.
' * Gli Epicurei, cbe negavano la divina provvidann.
* * Gli Stoici.
9 non da* pianeti. Se il cielo ha fona in noi, Dante nel SS del Purgatorio
ne tratta divinamente:
II Cielo i vostri movinMnti ioixia , ee.
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2'24 IL LIBKO SBSTO DEGLI ANNALI.
nascere, avvengono a' più de' mortali, ma perchè alcuni le
pronosticane al contrario per inganno, o ignoranza dell'arte,
ella non è creduta. E por di chiare sperienze ne ha vedoto
Tantica età e la nostra; avendo il figliuolo del detto Trasnllo,
predetto a Nerone Timperio, come si dirà a suo tempo per
non allontanarci pia dal proposito.
XXIII. Nel detto consolato si pablicò la morte d' A^inio
Gallo per digiuno: se volontario o no incerto è. Cesare do-
mandato, se si dovea seppellire, ebbe faccia di dire: a Come
no?» e dolersi del caso che '1 ci avesse tolto prima che udir
sue ragioni, come fosse in tre anni mancato tempo di giudi-
care quel vecchio consolare, e padre di tanti consolari. A
Druso^ fa levato il cibo: e nove di visse* rodendo la mise-
randa lana de' materassi. Vuole alcuno, che Macrone avesse
ordine, che pigliando le armi Seiano, traesse Druso di pala-
gio^ dove era sostenuto, e lo desse per capo al popolo. Ma
perchè si diceva che la nuora e '1 nipote tornavano in gra-
zia, Tiberio non che^pentere,' ne incrudelì.
XXIV. E rimproverò al morto il laido corpo, e Tanimo
pestifero a' suoi e nimico alla republica, e fece leggere
ciocch'egli aveva detto e fatto di per di. Atrocità non udita:
avergli tenuto tanti anni raccoglitori de' ma' visi, sospiri,
borbotti.* E che un avolo gli potesse udire, leggere, publi*
care, chi'l crederrà? ma ci scuole lettere di Azio centurione,
e Didimo^iberto, che ragguagliavano puntualmente: « Il tale
schiavo all'uscir di camera lo battè: il tale lo spaventò. »—
' * Il Ms. cancella; « Dnuo ancora morì dì lame, sostentatosi nove di eoi
cibo miserando de'okaterassi. » Druso, figlio diGermanico. Vedi sopra, lib. V,iO.
^'novm dì visse* Anche qui rappresenta quesU morte tragica, come DanU
qaella del conte Ugolino , con pietà sopr' umana. Lo fa viyere anch' egli nove
giorni , e tra '1 quarta e '1 sesto , i quatto figliuoli ; forse perchè l'etk che cresce
consuma più il cibo che quella che solamente si Autre : o pure la più robusta si
regge più.
S *peHlerej pentire. Dante, Inf.j XXVII, il6:
Né penten e Tolere insieme poos'si.
* * raeeoglUori dti* ma* visi, sospiri, borbotti. Il Lat. h%t m qui vmltum,
gemitms oeeultitm, ttiam murnutr exciperenf. » Per ma^ visi ornali visi s'ba
da intendere le guardature sinistre, che potessero far sospettare qualche ostile
disegno covato dentro.
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IL LIBRO SB8T0 DEGLI ANNALI. 225
«Ed io (si Tanta Azio*) le tali parole (erribili gli accoccai;
ed egli, morendo, sputò le cotali:» e conta, come prima
fece 11 pazo, e mandava a Tiberio colali bestemmie sciocche;
poi, disperato della vita, sensate: che avendo egli occiso la
naora, il figlinolo del fratello, i nipoti, e pieno dì morti latta
la casa, ne patisse le pene dovute al nome e nobiltà de' suoi
passati e avvenire. I padri davan pure in su la voce a eh!
leggeva, quasi abominassero; ma tremavano e stupivano,
cbe osasse si sagace uomo e copritore di sue magagne, la-
sciare ivi leggere e, quasi rotto il moro,* vedere il suo ni-
pote bastonare dal centurione, percuotere dalli schiavi,invano
chieder del pane.
XXY. Le lagrime non eran rasciutte, quando s' intese,
Agrippina (che dovette, morto Seiano, voler vivere per qual-
che speranza^, veduto che la crudeltà seguitava, essersi
levata il cibo, se già non le fu tolto, perché tal morte pa-
resse volontaria. Tiberio scagliò di lei cose bruttissime, e
che morto Asinio Gallo suo adultero, le fu noia il vivere. Ma
Agrippina ne volle troppo:' si strusse di regnare; e per le
cure virili lasciò i vizi delfe femmine.^ Soggiunse Cesare,
che ella era morta in tal di che fu gastigato Seiano due anni
innanzi: se ne facesse memoria;^ che per la bontà di lui'
non mori di capestro , né gittossi alle Gemonie. Funne rin-
graziato, e ordinato che il di diciassette d'ottobre, che ambo
morirono, ogn' anno s' ofTeresse un dono a Giove.
' si vanta* jÌxio,Gìon9L di manigoldo; simile a quella di colui che nel quin-
dicesimo di questi Annali rapporta a Nerone d'aver dicoUato SuLrio, con* un
colpo emexo, non al primo; perch' ei sentisse la morte secondo il precetto di
Caligola; perchè l'uccider tosto è pielade.
' * quasi ratio il muro. Il Lat. ; « tanquam dimotis parietibus j » come
rimosse le muraglie.
^ * ne volle troppo , non si contenne nei confini della moderaxione. U Lat.
ha: « teqtù impatiensjn insofferente di egualità, bramosa di soprastare.
* * per te cure virili lasciò i vizi delle femmine. Il Ms. cancella ; « ve-
stissi le cure degli uomini, e de' visi delle femmine si spogliò.»
S per la bontà di lui. Careza di Ciclope fa questa. E voglio, Utino mio ,
ngiarti il sezo, (*) dice Omero.
(*) La GioDtiua: « L* dHìibo mangerotti Uiino mio. » E l' esemplare del Conte Morfara
pih Tolte citato, ha: « E vo> mangiarti il seno, il mio Utino. « Sezio eon doppia seta. 11 luogo
eiUtod' Omera è Odiuea, IX , 869:
OuTiv «y» TTU/Aarov tiop.cL% /xcra 015 erapoiw.
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226 IL LIBAO SESTO DBfiLI ANNALI.
■XXVI. Poco dipoi Cocceo Ncrva, che sempre «jl prin-
cipe era, dotto in ogni divina e umana ragione,* sano e flo-
rido, deliberò morire. Tiberio gli stava intorno, pregava:
domanda: « Come è ciò? che rimorso areì, che fama, se il
mio più caro amico, senza veruna cagione fuggisse il vive-
re?» Nerva gli voltò le spalle, e più non mangiò. <C|ii sapeva
la sua mente, diceva, che vedendo egli la repubìica a mal
partito, volle, per ira e paura, morire candido e non mano-
messo. La rovina d'Agrippina (chi '1 crederrà?) rovinò Pian-
Cina. Fu moglie di Gn. Pisone: fece della morte di Germanico
pnblica allegreza: quando Pisone cadde, i preghi d' A gusta,
e non meno Tesser nemica d'Agrippina, la ressero:' quel-
la odio e quel favore mancati, la giustizia ebbe luogo : e ac-
cusata de' peccati già tshiari , ne pagò di sua mano la pena
più tarda che indegna.
XXVII. A tanti duoli e pianti della città, s'aggiunse,
che Giulia di Druse stata moglie di Nerone,' si rimaritò a
Rubellio Blando, il cui avolo fu da Tivoli, cavalier romano,
e se ne ricordano molti. Al fine deiranno mori Elio Lamia.
Ebbe ossequio da censore , tìtolo di governatore di Seria e
poi di Roma; d' orrevole famiglia ; prospero vecchio; e per
quel governo vietatoli, pii^riputato. Morto pòi Fiacco Pom-
ponio vicèpretore di Seria, si les$e una lettera di Cesare che
si doleva, che i più valenti e atti a governare eserciti, ricu-
savano le provincia, e gli bisognava pregarne li consolari.
Non si ricordando che Arunzìo, già dieci anni, non s'era
lasciato ire in Ispagna. Ancora mori quell'anno M. Lepido,
della cui moderanza e savieza , ne' libri passati assai è det-
to:^ della nobiltà, basta dire,^ di casa Emilia: cava^ ricca di
cittadini ottimi. Ve n' ebbe di corrotti , ma grandi.
XXVIIL [A. di R. 787, di Cr. 34.] Essendo consoli Paulo
' * dotto in ogni divina e umana ragione ec. U 2\fs. ngetU: « d'ogni di-
vina e nmana ragione sciente, in buona fortuna e sanità. »
3 • Vedi sopra, lib. Il, 43, 55, 68, 7i, 74, 75; Mb. HI, 9, 15, .i7, i8.
' * Nerone, 6gUo di Germanico.
• *Vedilib.I,d35lib, IV,20.
8 "basta dire j sottintendi , eh* egli era.
0 * cava. Cosi la Nestiana e la Cominiana. Le altre, con errora ^eciMO,
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IL LIBBO SISTO DEGLI ANNALI. 227
Fabio e L. Vìtelìio, voltati molti secoli,^ venne la fenice in
Egitto, materia a i dotti della contrada e della Grecia di
molto discorrere di tal tniracolo. E degno fia, ove conven-
gono, ove discordano raccontare. Tatti scrivono esser gue-
st'uccello sagrato al sole: nel becco e penne scriziate, di-
verso dagli altri. Degli anni, la più cornane é, che ella venga
ogni ctnqaecénto. Alcani affermano mille quattrocento ses-
santnno, e che un'altra al tempo di Sesostride, altra di
Amaside, la terza di Tblommeo terzo re-di Macedonia, vo-
larono nella città d'Eliopoli, con gran seguito d'altri uccelli,
corsi alla ibrmà nnova. £ molto scura T antichità:' da To^
lommeo a Tiberio fu meno di dugencinqnant'anni: onde
alcuni tennero questa fenice non vera né venuta d^Arabia:
e Aiente aver fatto dell'antica memoria," cioè che forniti
gli anni, vicina al morire fa in suo paese suo nidio : gittavi il
seme: del nato e allevato feniciotto la prima cura è di sep-
pellire il padre: accaso no'l fa, ma provasi con un peso di
mirrala far lungo volo: se gli risece, si leva il padre in collo»
e in su l' altare del sole lo porta e arde : cose incerte, e
contigiate di favole.^ Ma non si dubita, che qualche volta non
si vegga questo uccello in Egitto.'^
XXIX. In Roma continovando le morti, Pomponio La-
* * VQltati molti secoli. Il Ms. rigetta : « dopo loDgo giro di secoli. »
^ * È moUo sottra V antichità. Il Ms. rigetta ; « Ma nell* antichità sono
gran tenebre. »
' *e niente at»er /atto deW\antica memoria t intendi; di ciò che l'^anti-
chità raceontara. Il Lat ha : u nihilque' usttrpavisse eat his guai vetus memo»
Hajirmavits » cioè , come traduce il Dati : « nò avere avuto alcuna di quelle
proprietà che fìiron sempre alle vere fenici dagli' antichi attribuite. **
* contigiate di favole tUl^^M.'So^ latina, compiof: l'usavano gli an-
tichi , e diceano contigie le cerimonie , e ogni abbelKmento. In Francia le donne
di parto quando nel letto rafiaconate aspettano le visite « si dicono sUire in con-
tigia. (*)
5 'Dante, /»/, XXI V:
Così per li graa savi si eonfessa
Che la fenice more « poi rinasce,
Quando al oiaqaeeentesim' anno appressa.
Elba né biada ia sia vita aoa pasee.
Bla sol d' ineeoAo IserioM e d' amomo , .
E nardo e mirra son 1' ultime fasce.
D Daato, Por.. XY:
Non avea catenoUa, Don corona.
Non donne contigiate.
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228 IL LlBaO SESTO DBGLI ANNALI,
beone» che, come dissi, resse la Mesia, sfsegò le veni; e
Passea sua moglie altresì. Sf pronto era lo ammalarsi^ per
fuggire manigoldo, e perchè i dannali eran gUlati affossi, e
publicali lor beni : ma de' morti prima che giudicati, vale-
vano ì testamenti, e seppellivausi i corpi, pregio della morte
affrettala. Cesare scrisse al senato aver proibito a Labeone H
capitargli a casa, e solo in leso disdirgli l'amicizia all'usanza
antica: m'a egli frugato dalla conscienza dell' assassinata pro^
vincia, e altre colpe, aveva voluto ricoprirle col concitargli
quest'odio; e spaventato a sproposito la D[H)*glie che, quan-
tunque colpevole, non por lava- pericolo. Fu accusato di nuovo
Mamerco Scauro, nobile, grande avvocato, ma vizioso. Ro-
vinoUo non l'amicizia di Seiano, ma l'odio non meno pesti-
fero di Macrone, che usava le medesime arti, ma più coperto:
e mostrò il suggello d'una tragedia di Scauro, ì cui versi
s' additavano a Tiberio. Ma Servilio e Cornelio l'accusarono
d'adulterio con Livia, e negromanzia. Scauro, da vero Emi-
lio,' non aspettò la sentenza; e Sessizia sua moglie gli fu
al morire consigliera e compagna.
XXX. Punivansi ancora talvolta le spie.' Servilio e Cor-
nelio infami per questa rovina di Scauro, avendo^ per moneta
presa da Vario Ligure, abbandonato l'accusa, ne forono
confinati in isole, privali d'acqua e fuoco. E dannalo e cac-
cialo di Roma Abudio Rusone, staio edile, per aver messo
in pericolo Lentulo Getulico, di cui era stato luogotenente
d'una legione, rapportando, che egli si aveva destinato ge-
nero un figliuolo di Seiano. Getulico allora governava l' eser-
cito della Germania di sopra, dal quale era, per somma cle-
menza e discreta severità, adorato; e all'altro vicino esercito,
retto da L. Apronio suo suocero, non poco grato. Onde ardi
scrivere a Tiberio (cosi fu ferma fama): a Che non aveva
cercato il parentado con Seiano di proprio consiglio, ma di
* sì pronto era lo ammazarsi. Perchè olire alle ragioni qui dette , I
vano i tormenti ; e Tiberio Tavèa caro , per non parer quel desso che a
tutti i grandi. £ le giustisie faceva fare al sa»to j ed ci le graiie,
^ " da vero Emilio. Lat : «t ni digniim veterihas JEmiliit. La Giun-
tina : M da vero emiliano. »
' Punivansi.,,, U spie. I Locresi nel luogo del giudisio tenevano sopri il
capo della spia un capestro; e non provando, l'adoperavano in lei.
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IL LIBHO §MTO DEGLI ANNALL 229
Tiberio : Tono come T altro s' era ingannato: né doveva Ti-
berio del comune errore andar franco, e gli altri in perdi-
zione. La 8oa fede era intera, e manterrebbela, se non gli
fossero tese insidie ; mandargli lo scambio, vorrebbe dire il
comandamento dell'anima.* Però capitolassero, come per lega,
eh' egli si stesse nel suo governo: ' d'ogni altra cosa Tiberio
fosse signore. » Questo fo grande ardimento: ma l'avverò'
r esser costui solo, tra tutti i parenti di Seiano, rimasto salvo
e in molta grazia: perchè Tiberio si conosceva da tutti odiato,
decrepito, e più con la riputazione che con le forze attenersi.
XXXI. [A. di R. 788, di Gr. 3tf.] L'anno che foron con-
soli Gaio Gestio e M.Servilio, vennero a Roma nobili Parti,
senza saputa del re Artabano. Costui di fede! che era a noi,
e giusto co' suoi per timore di Germanico, divenne, morto lui,
superbo e tiranno; fidandosi nelle vittorie ottenute contro
a'vicini; spregiando la vecchieza di Tiberio, come non più atto
all' arme, e standogli l'Armenia in sul cuore. Della quale,
morto Artassia, investi Arsace suo primo figliuolo, scher-
nendoci di più e mandandoci a chiedere il tesoro che Vonone
lasciò in Soria e Gilicia : che si rimettessero i confini vecchi
tra' Persi e' Macedoni : burbanzando che rivolea quantunque
ebbe Giro,* e poi Alessandro. Mossero i Parti '^ a mandare a
* • vorrebbe dire il comandamento dell* anima j cioè , sarebbe come un
metterlo dia raccomandasione dell* anima ; osùa , in cato di morte. Il LaL ba :
m saccessorem non aliter quam indicium mortis aceepturum J » avrebbe ri-
cevoto il successore come un segno che gli preparava la morte.
S si stesse nel suo governo. I grandi di Francia ai tempi nostri impara-
rono forse di qui a tenere i governi per lo re, contro aUa veglia del re, e non vo-
lere scambio. Epaminonda vedendosi la vittoria in pugno, non ubbidì a' suoi
Tebani di consegnar 1* esercito allo scambio mandatoli ; e combattè e vinse : non-
dimeno il magistrato lo dannò alla morte. Egli disse che moriva volentieri, si
veramente che nel suo sepolcro si scrivesse : Qtii giace Epaminonda che , per
avere sì fatto che la sua patria poteva usar le stia giustissime leggi, fu per
quelle fatto morire ingiiutamente. AI popolo , che aveva 1' appello , non ne
patì l'animo, e liberollo.
' * ma l* avverò t lo rese credibile.
* * burbanzando che rivolea quantunque ebbe Ciro , vantandosi con
bnrbansa e minacce che avrebbe ripreso a fona tutto ciò che fu posseduto da
Ciro ec. Lat. : « seque invasurum possessa Cyro et Alexandre^ per vanilo-
quentiam et minas iaciebat, »
B * Mossero i Parti ec. Intendi che Sinnace e Abdo persuasero a' Parti di
spedire a Roma segreti ambasciadori.
I. 20
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230 IL LIBRO SESTO DEGLI ANNALI.
Roma di segreto, principalmente Sinnace, di gran famiglia
e riccheza, poi Abdo, castrato; che in Partia non è dispre-
gio, anzi mezo alla potenza. Questi doe con altri grandi,
non v' essendo chi far re del sangue arsacido, perchè Arta-
bano gli aveva ammazati , o eran piccoli, chiedevano da
Roina Fraate, figliuolo del re Fraate : bastare il nome solo del
sangue arsacido appresentato da Cesare in ripa all'Eufrate.
XXXII. Tiberio, che desiderio ne aveva, onora e mette
in ordine Fraate al regno paterno: seguendo suo umore di
condurre le cose di fuori con sagaciià e consiglio senz'armi.
Artabano saputo il trattato, or sì stava per paura, or s'info-
cava a vendetta : la lenteza appo i barbari è viltà : il dar en-
tro, atto reale : nondimeno s'attenne al vantaggioso;^ e con-
vitato Abdo, sotto spezie di favore, gli diede veleno lento:
Sinnace con infinte,' doni e negòci trattenne. Fraate in Sc-
ria, lasciata la vita dilicata romana, ove era avvezo per
tanti anni, e non potendo reggere quella de' Parti, si mori:
ma Tiberio non lasciò l' impresa. Elesse a ingelosire Arta-
bano, Tiridate del medesimo sangue, e a racquistare l'Ar-
menia Mitridate Iberò; accordandolo col fratello Farasmane
che possedeva il loro paese: e tutto il maneggio d'oriente
diede a L. Yitellio. Di costui trovo fama rea per Roma, e
memorie soze : ma resse quelle contrade con antica virtù :
tornossene: e la paura di Gaio Cesare e la pratica di Claudio
lo cangiarono in brutto esempio di servile adulazione:' ce-
derno le qualità prime all' ultime, e scancellò le, virtù giove-
niii con viziosa vecchieza,
XXXIII. Mitridate persuase ^Farasmane ad aiutare, con
forze 0 inganni, la sua impresa; e corrotti con molto oro i
^'* g* attenne al vantaggioso. Il Lat.; <* valuit tdiiitasj » cioè^ inrece di
operare con quelPimpefo' solito a qae' barbari, si atteone al partito più utile,
scegUendo una via più lunga ma più sicura.
' * con infinte, con simulasioni.
' esempio di servile adulazione. Caligola roleva esser creduto il vago
della luna , e domandò Vitellio : Non l'hai tu pedala meco giacersi f risposa
attonito con gli occbi in terra, e bocina tremolante : j4 voi soli iddìi è dato di
potervi P un l* altro vedere. Seppe far l'arte mfglio quel Gemino che disse di
si , e giurò, e n*ebbe venticinquemila. — * Vedi a pag. 203, nota i.
* * persuase. Il postillatore dell'esemplare Nestiano di Gino Capponi cor-
regge conforme al testo : « Mitridate fu il primo di quei re che persuase ec. »
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VL LIBBO 8B8TO DBOLI ANNALI. 231
ministri d' Arsace, V avvelenarono : e grande oste d' Iberi
r Armenia assali , e prese la città d'Artassata. A tali avvisi
Artabano ordina Orode, l'altro figliuolo , alla vendetta: con-
segnagli gente parta, mandagli da assoldare stranieri. D'al-
tra banda Farasmane ingrossa d'Albani, solda Sarmati, i cai
satrapi detti Sceptrachi, presero a loro usanza presenti e
parte ^ da ogni banda. Ma gl'Iberiani, forti di siti, spinsero
per lo Caspio a furia i Sarmati in Armenia. Gli aiuti de'Parti
mal potevan congiugnersi, avendo il nimico presi i passi;
un solo lasciatone tra '1 mare e' pie de'monti Albani, chiuso
la state da' venti etesii pìgnenti a terra il mare, che quei
greti e stagni riempie, che il verno secca, retropignendolo
i mezìgiorni. '
XXXIY. Ad Orode adunque cosi d'aiuti sfornito, Fa-
rasmane ingrossato presentava battaglia; e sfuggito, ' lo tra-
vagliava ; gli cavalcava intomo al campo; impediva le vet-
tovaglie ; metteva guardie a modo d' assedio : tanto che i
Parti non usati a vergogna sollecitavano il re a combattere.
Gagliardi erano di cavalli: * e Farasmane anche di fanti; per-
ché Iberi e Albani, selve abitando, sono al patire e durare
più avvezi: e tengonsi discesi da' Tessali nel tempo che
Giasone'^ menò via Medea e, figliuoli avutone, * tornò nel
vóto palagio d'Eeta , e nella vedova Coleo. Hanno nel nome
di lui, e nell' oracolo di Frisse gran divozione: e ninno sa-
crificherebbe montone, credendosi che Frisso fbsse portato
' * e parte ec, e presero parte- da ogni ec. ; tennero di qua e di 12i.
^ * i meugiomi: i venti di messo giorno. Nella Cominiana, mezi giorni j
ma deve scriversi in una seta parola. Il Valeriani cosi traduce questo luogo :
« rìempioDsi i guadi allo spirar dell'etesie: l'austro invernale respinge i flutti
che riogorgando lasciano asciutte le spiaggie. »
S *jtJuggito. Il Lai. M detreciantem j ** mentre sfuggiva o ricusava la
battaglia.
* * Gagliardi erano di cavalli. Il Ms. rigetta : « Era tutta U lor forsa
ne' cavalli. »
B nel tempo che Giasone. Narrano questa favola Valerio Fiacco , Apollo-
nioy Ovidio.
^ * ^ijìg^f^^ avittone. Manca la conginnsione anche nella Cominiana : ma
la restituisco aoll'aulofitìi della Giuntina; perchè altrimenti resta troppo rotto il
perìodo.
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232 IL LIBBO SESTO DBGLI ANNALI.
da qnelP animale : o fa lo stendale della nave. ' Messi Tono e
i* altro in battaglia, mostrava il Parto l* imperio dell'oriente,
il chiarore arsacido, e per centra V ignobiltà ibera, e le
forze venderecce. E Farasmane: « Che non serviron mai
Parti: quanto era la loro impresa più degna, tanto sarebbe
la vittoria più gloriosa , e la fuga trista e dannosa : essere
l'esercito orrido; il Mede orato:' essi gli nomini; qnei la
preda. »
XXXV. Punse non pare la voce dei-capitano i Sarmati,
ma ciascun sé* a scagliar via le frecce, e venire a furia alle
mani. Vedresti vario combattere: il Parto con Fusata arte di
correr dietro o fuggire, e pigliar campo al ferire. * I Sarmati
lascialo Tarco, che poco tempo serve,' avventarsi con aste
e spade: e ora, come in battaglia di cavalli, il viso o le
spalle voltando; ora, come di fanti, urtando e ferendo, la
caccia davano o riceveano. E già gli Albani e gllberi piglia-
vano, urtavano e mal conducevano i nimici: ferendoli cavalli
di sopra * e fanti da presso. Farasmane e Orode dove era
valore accendendo, e dove pericolo soccorrendo, si facevano
molto vedere : e perciò conosciutisi , con grida, arme e ca-
valli s' affrontano. Farasmane più furioso feri '1 nimico per
* * o/u lo stendale della nave. Il Lat. : « seu navìs insigne Jiiit *» G.
Dati : « se pure non fu una nave che per insegna portava quest' animale. »
' * il Meda orato. Il Lat. : « pietà auro Medoriim agmina. «*
^ * ma ciascun se te. Intendi : non la sola voce del capitano spronò i Str-
inati , ma ciascuno spronò se stesso a gittar via le frecce e à venire furiosamente
«De strette. Il Lat. ha : « Enin\vero apud Sarmatas non una vox ducisi se
qmsque stimulant: ne pugnam per sa§ittas inirentj impetu et cùminus pree-
veniendtun. »
* * epigliar campo al ferire. Lascia il disU'oefet turmas , che signi6ca :
« che i Parti sbrancavano e allargavano le proprie schiere. •» La Giuntina traduce
il distraeret turmas, ma frantende ciò che segue, spaUum ictibus qwereret,
voltando : « allargarsi e dar luogo a'colpi : *» (nel Ms. invece di dar luogo ai colpi
vedesi cancellato, scansare! colpi, che nel senso e un'istessa ^cosa). Onde po-
trebbe questo luogo restituirsi cosi : « Il Parto con Tusata arte di correr dietro o
fuggire , allargarsi e pigliar campo al ferire. *» Ma quesU concorrenza di tanti in-
Bniti rende il periodo spiacevole e non chiaro.
* * che poco tempo serve. E franteso : il Latino ha : « quo hrevius valemt, »
che e lo stesso che minus vedent ; m nel quale sono meno valenti. »
0 * ferendoli cavalli di sopra ec. Intendi che la cavalleria feriva il i
dall' alto; la fanteria, di fronte. La Mestiana ha : « ferendoli i cavalli. »
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IL LtBBO SESTO DBGLl ANNALI. 233
la visiera : non raflSbbiò, ' perchè fu dal cavallo portato oltre;
e il ferito da' suoi più valorosi salvato. Ma i Parti credendo
al falso grido, ch'ei fosse morto, cedettero, incodarditi, la
vittoria.
XXXVI. Artabano si mosse con tutte le forze del regno,
e fa superato dà gì' Iberi più pratichi di quei luoghi; né per-
ciò si partiva, se Vitellìo, legioni adunando, e spargendo
d' assalire la Mesopotamia, non gli metteva paura di guerra
romana. Allora lasciò l'Armenia, e fu spacciato; dicendovi-
tellio a que' popoli : a Che volete voi fare d' un re che nella
pace vi scanna, e nella guerra vi rovina? » Sinnace adunque
suo nimico, come dissi, induce Abdagese suo padre, e altri
per se disposti * (e allora vie piò per le continove sconfitte),
a ribellarsi; correndovi a poco a poi;o quelli che, stati sog-
getti per paura e non per amore, trovati i capi rizaron le cre-
ste! * E già non rimaneva ad Artabano che la guardia di sua
persona, gente forestiera, sbandita, che non conosce il bene,
e non cura il male , ma vive prezolata di far tradimenti. Con
si fatti si fuggi ratto e lungi a' confini della Scizia, sperando
aiuto dalli Ircani e Garmani parenti suoi. In tanto potersi
pantere i Partì, che amano il padrone che e' non veggono, e
schifano il presente.
XXXVII. Ma Vitellio, essendo fuggito Artabano, e volti
ì popoli a nnovo re, conforta Tiridate a colorire suo disegno,
e lo conduce co '1 nerbo del suo esercito alla riva dell' Eu-
frate. Ivi per far buon passaggio , sacrificando Vitellio alla
romana, porci, pecore e tori, * e Tiridate un cavallo; ' rife-
riscono i paesani: <x l'Eufrate essere senza pioggia ingrossato a
* * non raffibbiai cioè, non ebbe tempo di ripetere il colpo.
• * « altri per se disposti. Il Lai.: « aliosque occullos consiliij » cioè,
participes occulti consiliij che significa : « ed altri che sotto sotto se la ititeDde-
vano con laL »
' * rizaron le creste. Il Lat : « sustulerunt animum, »
^ ' porci, pecore e torij cioè, facendo il sacrifizio dello suofetaurilia{stie,
ove et tauro) per mostrare d* esser pronto alla pugna , tosto che il destro si por-
gesse. Non già per far buon passaggio j perchè: « placando amni n riferiscesi
solo al sacrìfisio di Tiridate.
S * e Tiridate un cavallo. Vi Lat.: « ille (Tiridates)e^»i(m placando amni
adommtsetj « cioè: « e Tiridate, a rendersi propisìo il fiume, sacrificato un ca-
vallo er. ••
20*
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234 IL LORO SB8T0 DB«LI ANNALI.
dismisora, fare bianchi giri di schiama che pareano diademe:
segDO di passo felice. » E certi più sottili dicevano, « d^mpre-
sa * nel principio agevole ma non durevole ; perchè degli agùri
di terra e di cielo poote nomo fidarsi y ma il fiume che cor-
rente è, mostra e rapisce. » Fatto ponte di navi, passò l'eser-
cito ; e prima venne in campo con molte migliaia di cavalli
Ornospade, che già faornscito aiutò gloriosamente Tiberio a
finire la guerra di Dalmazia; onde fu fatto cittadino romano.
Tornò poi in grazia del re, ed ebbe il governo della Meso-
potamia, cosi detta per essere in m«zo d* Eufrate e Tigri,
incliti fiumi. Appresso venne altra gente con Sinnace; e Ab-
dagese,capo di quella parte, col tesoro e apparecchio del re.
Yitellio, bastandogli aver mostrato l' armi romane, fece a
Tiridatee a'grandi le parole :« Ricordassonsi, egli, d'esser
nipote di Fraate e allievo di Cesaree di quanto all'uno e al-
l'altro dovea; ' eglino, di mantenere ubbidienza al re, rive-
renza a noi; e ciascun l'onor suo e la fede : » e tornosai con
le legioni in Seria.
XXXYIII. Ho detto insieme le cose in due anni fatte
fuori, per dare all'animo riposo da' mali della città. Non nd-
tigavan Tiberio dopo tre anni che Seiano fu morto, le cose
che pur sogliono gli altri; tempo, preghi, satoUanza: anzi
puniva i casi dubbi e stantii , per gravi e freschi. Per tal pau-
ra, Fulcinio Trione non aspettò gli accusanti ; fé' testamen-
to ^ pieno di parole brutte contro a Macrone e a' principali
liberti di Cesare, al quale dava di rimbambito, o quasi sban-
dito, stando fuor tanto. Le redo lo trafugavano, e Tiberio lo
fece leggere, 0 per mostrar pacien^a dell' altrui libertà, o
per non curare sua infamia , o per aprire alli eccessi di Seia-
no, statovi tanto al buio, ogni finestra, o per vederne il vero
in quello specchio de' suoi vituperi , non appannato d'alito
d' adulazione. In que' giorni si tolse di vita Cranio MarziaDO
senatore accusato da Gaio Gracco di Maestà. E fu per la me-
^ * d*impresaj cioè, esier segno d* impresa ec.
* * e di quanto aWnno e all'altro dovea. U Lai.: « giU9 utr^ùfne piti-
chra n cioè : « e quante virtù in ambedue. «*
' /e* testamento, Yendicavansi de' potenti col lasciarne detto 9gui male
ne' testamenti , che come voci ahimè eran credute la stessa veritè.
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IL LIBRO SESTO DEGLI ANNALI. 235
desima dato raliimosapplizio a Tazio Graziano slato pretore.
XXXIX.Trebellieoo Rufos'ammazòdisuamano: e Se-
stio Paconiano, per versi contro al principe fatti in carcere,
vi fu strangolato. Stava Tiberio da Roma non luitgi, né tra-
mezato dal mare, come soleva, per aver tosto gli avvisi, e
fare, lo stesso di o la dimane, i rescritti a' consoli, e quasi
vedere il sangue per li rigagnoli correre, o la mano del carne-
fice alzata. ÀI fine dell' anno mori Poppeo Sabino di bassa
mano , onorato da' principi di consolato e delle trionfali e
de' governi maggiori già ventiquattro anni, non per gran sa-
pere, ma per capacità de' negozi bastevole, e non più.*
XL. [A. di R. 789, di Cr. 36.] Nel seguente consolato di
Q. Plauzio e Sesto Papinio' La morte di Lucio Aruseo
parve niente: tanto se n' era fatto il callo. Spaventò bene il
caso atroce di Vibnieno Agrippa cavalier romano, che quando
gli accusatori ebber detto, nel senato stesso si trasse di seno,
e inghiotti tossico ; e caduto e boccheggiante fu da' famigli
di peso portato in carcere, e, già freddo, arrandellatogli la
stroza. ' Né il nome regio difese Tigrane, già re d'Armenia,
allora reo, da fiupplizio cittadinesco. Ammazaronsi Gaio Gal-
ba, stato consolo, per un'aspra lettera di Cesare che gli vietò
r andare al governo; e due Blesi, perchè essendo certi sacri
beneficiì, ^ destinati per casa loro quando fioriva, prolungati
quando fortuneggiò, ora quasi vota ^ dati ad altri ; intesero
questi esser cenni di morte, e la si presero. Lepida Emilia
maritata, come dissi, al giovane Druso, avendol di molte
colpe incaricato, steo la scolorala senza pena mentre visse
' capacità bastevole, e non pia. I valenti gli eran sospetti: gl'inetti, ver-
gogna pubblica. Tedi la Postilla 70 del primo libro (*).
S * Avverte il Lipsio che qui manifestamente mancano alcuni nomi propri
dii coloro che furono condannati o uccisi.
' • e, già freddo , arrandellatogli la strota. Il Lat.: ufaucesqtie iam exa-
ftimis laqueo vexatai. u Lo strangolarono sebben già morto, perchè restassero
confiscati i beni, e passassero in premio degli accusatori! -^ Arrandellare e di
randello, specie di bastoncello che si usa a dar la volu alle funi per istrignerle
fortemente.
* * sacri benefica. Il Lai. : « sacerdotia. »
' * quasi vota} cioè, quasi che di quella casa non ci fosse più alcuno;
quasi che (out spenta la famiglia.
(*) Dì qaesta eduione, noia 8, pag. S5.
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236 IL LlBaO SESTO DEGLI ANNALI.
Lepido suo padre : poi fa accasata del tenersi an suo schia-
vo: la cosa era chiara: ond'ella senza difendersi s'ammazò.
XLI. In tal tempo i Glìtari vassalli d' Archelao di Gap-
padocia , essendo stretti a pagare estimo e tributi a nostra
usanza, si ritirarono in sul giogo del monte Tauro, e tene-
vansi, per la natura de' luoghi, centro alla poco guerriera
gente del re; quando M. Trebellio legato, mandatovi da Yi-
tellio governatore di Sorta con quattromila nostri legionari e
un fior d' aiuti ; due colli ove i barbari s' eran posti ( detti il
minore Cadrà, V altro Dayara ), trinceò, e costrinse a darsi,
chi tentò V uscita, col ferro; gli altri, con la sete. Tiridale di
volontà de'Partì riebbe Niceforo e Antemusiada , e V altre
città poste da'Macedoni con grechi nomi, e Alo e Artemita,
citta de'Pàrti: allegri, Tun più dell'altro, d'avere scambialo
la maladetla crudeltà d'Artabanò allevato tra'Scìti, alle pia*
cevoleze sperate da Tìridate, condito di gentileza romana.
XLII. Adulazione grandissima trovò in Seleucia città
potente, murata: la quale non imbarberi ta, ma ritraente dal
fondator suo Seleqco; di trecento de' pie ricchi e savi, fa
come un senato. Il popolo^ vi ha la sua parte: quando son
d'accordo, si fanno beffe de' Parti: quando si recano in par*
te, M' una contr' all' altra chiama aiuto, e 'l chiamato si fa di
tutti signore: come dianzi avvenne, regnando Artabano, che
sottomise la plebe a' grandi, a suo prò, essendo l' imperio
popolare vicino a libertà; quel de' pochi , a tirannia. Or ve-
nuto Tiridate, l' esaltano con li onori usati a' re antichi, e
altri moderni più ampi. E svillaneggiavano Artabano, dicen-
dolo di madre arsacido, tralignante nel resto. Tiridate lasciò
Seleucia a governo del popolo: e consultando del quando in-
coronarsi, ebbe lettera da Fraate e da Gerone, governanti
il forte del regno, che lo pregava d' aspettarli un poco. Non
volle a questi barbassori^ mancare; e andò a Tesifonti, re-
sidenza dell' imperio. Mandandola essi d' oggi in domane ,
Surena lo incoronò con le usate solennità, presenti molti e
approvanti.
* • quando si recano in parte. Il Lai. : « ubi dissensere. »
» * barbassori, ULat: * viri profpolientes, n
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IL tlBRO SESTO DEGLI ANNALI. 237
XLIII. E se Del caore del regoo e altri saddili ^ si pre-
sentava incontanente, non v'era che dire; cedeano lutti:
baloccatosi ^ nel castello con le femmine e '1 tesoro che vi
lasciò Artabano, diede tempo a pentirsi: perchè Fraate e
Gerone, e gli altri che non s'eran trovati a porgli la diade-
ma, chi per paura chi per invìdia d' Abdagese, che coman-
dava la corte e il nuovo re, si rivoltarono ad Artabano. E tro-
vatolo in Ircania, lordo, spunto, ' e sformarsi con l'arco;* lo
spaventarono, quasi venuti ad ucciderlo : ma datogli la fede
che anzi a rendergli il regno , si riebbe, e domandò la ca-
gione di sì subito mutamento.Geróne rispose: «Tiridate esser
fanciullo; non regnare uno Arsacìda, un guerriero, ma un
nome vano, uno straniero moribondo: Abdagese esser il re.)»
XLIV. Conobbe il pratico a regnare , che i falsi amici
odio non fingono. E a furia chiamò aiuto di Scizia, e senza
dar tempo a' nìmici a pensare, nò agli amici a penter&; corse
via cosi lordo, per muovere nel volgo rancura. ^ Non preghi,
non inganni, non arte lasciò per guadagnare i dubbi, e con-
fermare gli amici. Avvicinandosi con grande oste a Seìeucia,
Tiridate era sbattuto dalla fama di Artabano, e già dalla
presenza ; e confuso da' consiglieri. Alcuni volevano eh' ei
l' affrontasse e combattesse subito: « Son gente accattata, spe-
data per lo lungo cammino; né tutti il vogliono: que'che lo
favoriscon testé, gli eran dianzi traditori, e nemici. » Ma
Abdagese consigliava tornare in Mesopotamia: e, difesi dal
fiume, in tanto chiamare aiuti armeni, elimei e altri addie-
tro, e con essi e que' che A^rnderebbe il capitan romano, ten-
tar fortuna. Attennesi a questo, perchè Abdagese faceva alto
* * e altri sudditi j cioè, e agli altri popoli soggetti.
S baioccatosi. Così non fece Tiberio, che mai non fa lento a impadronirsi :
maturefacto opus est j mentre il cane si gratta , la lepre se ne va.
5 * spunto. Vedi Ann. IV, e. 28.
^ * con forco, colla caccia.
^ per muovere ... rancura» Rancore significa odio, e si usa : rancura, com-
passione; e oggi non s'usa. A me viene rancura della perdita di questa voce bel-
lissima e he' libri antichi spessissima. Dante nel ventesimo del Purgatorio :
Come per sostener solaio o tetto,
Per mensola talvolta ani figura
Si vede giagner le ginocchia al petto,
La quel fa del non ver vera rancura
Nascer a obi la vede.
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238 IL LlBaO 8B8TO DBftU ANNALI.
e basso, ' e Tiridate non er^ aperto. Partironsi come in foga:
gli Arabi cominciarono e gli altri segairono d'andarsene a
casa 0 nel campo d' Artabano ; e Tiridate con pochi in Soria
si ripassò, e cosi liberò tutti dal biasimo del tradiménto.
XLV. [A. di R. 700, di Gr. 37.] Nel detto anno in Roma
s' apprese gran fuoco che arse Aventino e la parte del Gercbio
congiuntagli; del qual danno Cesare cavò gloria, pagando
per la valuta delle case e isolati, ' milioni dna emezo d'oro:
liberalità cotanto più grata a tutti, quanto meno murava per
se.' Nò fabbriche publiche fece, che * il tempio d'Agusto y e
la scena al teatro di Pompeo; e quelle, finite, non consacrò:
sprezando ambizione; o per troppa età. Fece slimare il danno
di ciascuno da quattro mariti di sue bisnipoti, Gn.Domizìo,
Cassio Longino , M. Vinicio, Rubellio Blando ; e i consoli no-
minaron P. Petronio per quinto. Molti onori furono al prìn-
cipe, secondo gl'ingegni, gbiribizati '^ e vinti: nò si seppe
quali accettasse o'no, per la presta morte. Entrarono consoli
sezai a Tiberio, Gn. Acerronio eGaio Ponzio, salito già Ma-
crono in troppa potenza, che s* era prima, e più allora, gua-
dagnato Gaio Cesare , a cui , morta la moglie Claudia , pre-
stava la sua£nnia,struita d'innamorare e legar di matrimonio
il giovane che, per montare all'imperio, nulla disdiceà; e le
false infinte ^ avea ( benchò nomo rotto) imparate in collo
air avolo ; il quale conoìscendolo, dubitava a quale de' due
nipoti lasciar la republica.
XLYI. Il figliuol di Druse era sangue «uo, e piò caro; ma
troppo tenero:quel di Germanico, nel fiore della gioventù,bra-
' jébdagese faceva alto e basso. Il Lat. : « plurima auctoritas penes
Abdagesen. «• Dati : « Abdagese era quegli cbe goirernavi ogni cosi. »
9 isolati. Ceppi di case, a moto comune congiunte. Spaniano dice che
furono 335. Nfel quindiceaimo di questi Annali ai dice che in Roma, dopo cbe
arsa fu ( forse per fattura di Nerone), si rifecer le stnde larghe, ordinate, diritte,
le traverse a misura ,' le piasse maggiori , le case non si site , co'portici aTanti,
cinte ciascuna di suo proprio muro spiccato dal- vicino ; come ancora noi veg-
giamo le nostre torri e case antiche per sicuresa delle arsioni', e divisioni delle
cittk. Vedi il Upsio a 398.
3 * meno murava per se. Il Lat. : • modictts pfivaUs adijicationihus. »
* * che, fuorché.
B * ghiribizàii, inventati, immaginati.
B * false infinte, maligne simnlasioni, o infingimenti.
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IL LIBBO 8BST0 DEGLI ANNALI. 239
mato da tutti; perciò l'odiava. Pensò a Claudio, d'acconcia età
e stadioso di booue arti; ma era scemo. Successor d' altra fa-
miglia era alla memoria d'Agusto, al nome de' Cesari onta e
offesa: ed egli slimava più la fama negli avvenire, che la grazia
de' presentì, Qaello adunque , che non potè egli per lo dub-
bioso ànimo e infermo corpo fare, lasciò al destino: mostrò bene
per motti d'antivederlo, come quando a Macrone rinfacciò :
« Tu volti le spalle al sole occidente, e il viso all' oriente. »
E a Gaio Cesare che , ragionando , si rideva di Siila, prono-
sticò: «Tu arai tutti i suoi vìzi, e ninna delle virtù. x> E
baciando con molte lagrime il nipote minore, a lui che ne
faceva viso arcigno,^ disse: « Tu ucciderai costui, e altri te.»
Aggravando nei male, non lasciava pur una delle sue radi-
cate libidini ; e per prò parere, pativa : * e anche era usato
ridersi de'medici *e di chi, passati i trenta anni, * domandava
altrui, che gli sìa sano, che no.
XLYII. In Roma intanto si gittavano i semi delli am-
mazamenti dopo'^ Tiberio ancora. Lelio Balbo accusò di mae-
stà Acnzia, moglie già di P. Vitellio. Fu dannata: ordinossi
il premio all' accusante : Gìunio Olone tribuno della plebe
r impedi : ambi n' acquistare odio, e Olone, appresso, l'esi-
glìo. Dipoi Albucilla , quella dalli tanti amadorì, stata moglie
di Satrio Secondo, scopritore della congiura , fu rapportala
per insidiatrice del prìncipe; e con lei, come scienti e adul-
teri, Gn. Domizio, Vibio Marso, Lelio Arunzio. Dello splen-
dor di Domizio dissi di sopra. ^ Marso ancora , per antichi
^ * che ne faceva viso arcigno. È assai che non abbia^ coftie il Dati, tra-
dotto : « che lo guardava a stracciasacco. «•
' pativa: nascondeva, dissimulava i dolori del morbo , per parer sano.
' Adersi dei* medici. Leggiadramente dice il Cavalca : « Avicenna conta
«• molti mali delle medicine. Sono velenose, fiaccano la natura, fanno più pre-
ft sto invecchiare, votano col tristo umore il buono, parte deVitali spiritile
•» molta virtù delle membra. Chi a' medici si dk, a se si toglie. AstSnenn è
m somma medicina a sanità di corpo, e d* animo. » Vedi Annco Roberto, lib. I,
cap. 5.
* * edi chi, passati i trenta anni ec. Dati : « e di coloro i quali, dopo pas-
sati i trent* anni avesson bisogno e domandassero dell' altrui consiglio,, per saper
le coste eh' erano utili o nocevoli a* corpi loro. **
S * dopo, per dopo : cioè; anche pel tempo che seguirebbe dopo la morte
di Tiberio.
• * di sopra ilY,U,
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240 IL LIBRO 8B8TO DBGLI ANNALI.
onori e letlere rìlaceva: ma quei vedersi, per lo processo
lettosi in senato, che Macrone i testimoni interrogò, i servi
collo; e quello non avere lo imperadore contro costoro niente
scritto , 0 per non sapere o per la infermità ; davan sospetto
di calugne false * di Macrone , per la nota nimicizia sna con
Aranzio.
XLYIII. Perciò Domizio, pensando a sua difesa, e Mar-
so, quasi deliberato morir di fame, non s' uccisero. Aronzìo,
dagli amici confortato al medesimo, rispose: « Non a ogn'uno
star bene le medesime cose : esser vivuto assai; nò aver da
pentirsi che d' essersi lasciato calpestare già da Seiano , or
da Macrone, sempre da qualche potente; e perchè? per non
tollerare le loro scelerateze. Quando passasse questi pochi di
che Tiberio può vivere, come scamperebbe dal giovane che
succede ? Se la natura del dominare aveva mutato e guasto
Tiberio, di tanta sperienza; come poteasi aspettar meglio di
Gaio Cesare fanciullo, ignorante, scorretto, alle mani di Ma-
crone ? il quale eletto a spegner Seiano, come più tristo di
lui, travaglia la republica più tristamente. Antivedeva ser-
vitù più crudele: però fuggiva i mali presenti e soprastanti.»
Cosi quasi profetò, e svenossi. Quanto egli ben facesse, per
le cose che seguirono, apparirà. Albucilla si dette piano:* il
senato la incarcerò. De'mezani alle sue libìdini, Grasidio Sa-
cerdo, seduto pretore, fu portato in isola; Ponzio Fregellano ,
raso del senato; Lelio Balbo ebbe Tnno e V altro con applau-
so; essendo parso dicilor sanguinolento contro gV innocenti.
XLIX. In quei giorni Sesto Papinio, di famìglia conso-
lare, si diede morte subita e laida, gittatosì da alto. Diceyasi,
perchè la madre, già rimandata, l'aveva con careze lascive
indotto a cosa che non seppe sgabellarsene che con la mor-
te. Ella ne fu accusata in senato: gittossi alle ginocchia de' pa-
dri ; e molto durò a dire del suo fiero dolore di cotal caso, e
della compassionevole donnesca fragili tade : nondimeno fu
* * calugne false. La calugna ba gik in se l'idea di falsitk ; ma qui, o »ta
per semplice accusa, o le è dato quel!' aggiunto per enfasi, a significare chela
loro falsità era manifesta: cosi sopra, c»p,^b,/alse injinte: ed anco il popol
nostro sebbene sappia che bacchettone e falso dinoto, pure non crede dire assai
se non òxct falso bacchettone,
' * si dette piano, non si feri mortalmente.
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IL LIBRO SBSTO DEQLI ANNALI. 241
sbandata «della città per dieci anni : intanto a queir altro
figliuol minore sarebbe passato il furor giovenile. ^
L. Già il corpo, già le forze abbandonavano Tiberio, ma
non rìnfiogere. Gol medesimo fiero animo, volto e parlare ;
e tal volta con piacevoleze sforzate, copriva sua manifesta
mancanza. A ogni poco mutava luogo : e finalmente al capo
dì Miseno, nella villa già di Lacollo, ' si giadicò. * Qaivl la
sua fine venata si conobbe così: soleva Garicle, gran medico,
ne' mali del principe, se non medicarlo, dargli consigli. Venne
a lui quasi per sua bisogna , e presol per mano , come per
amorevoleza, gli tastò il polso. Ei se n' accorse , e forse adi* .
rò; ma per non parere, fece venir vivanda, e si pose fuor
del solito a mangiare, quasi per onorar l' amico nel suo par-
tire. Carìcle accertò Macrone, cbe il polso mancava, e non
ve n' era per due giorni. Adunque quivi trattando , e fuori
spacciando; * agli eserciti e a tutto provvidero sollecitamente.
Alti sedici dì marzo misvenne: e, stimandosi passato. Gaio
Cesare con gran torba di rallegratori usci fuori per farsi, la
prima cosa, gridare imperadore. Eccoli nuova, che a Tiberio
torna vista e favella, e cfaiedea cibo per ristoro del ^o sfini-
mento. Cadde il fiato a tutti: chi andò qua, chi là; ciascuno
si faceva mesto e nuovo. Cesare attonito ammutoli, come ca*
* il furor giùveniÌB. Facezia tanto più bcUa , qoanto in qncsto antof più
rarej più forse per la graTÌtk della etorìa, che per iaa Datura t essendo i sali
e* parlari nrbaai proprii de' grandi ingegni. La lingua nostsa n'è vaga, e piena.
Sono cosa gentile , e fanno Dell' uditore più effetti buoni s impara scnaa fatica
quello che non ayebbe trovato egli; maravigliasi , rallegrasi; e pargli esser ama-
to , perchè chi noi non amiamo , non ci curjamo di tener allegro..
' villa già di Zticuilo. t* comperò Borini cinquantamila dugento da
Cornelia , cbe Taveva comperata settemila cinquecento dall'erede di Mario ; tanto
crebbe, dice Plutarco , in si breve tempo la riccheaa di Roma e la pompa.
B si giudicò. Si fermò nel letto, caduto e abbandonato sema più forca, balia
o gina (*) da poter muoversi. Questo significa , giudiairsi. (**) — * si giudicò.
il latino ha semplicemente « consedit^ » che dicerto non ha tutti quei signifi-
cati che il traduttore attribuisce nella postilla al verbo giudicare.
* * quivi trtMoHdo, e fuori spacciando ce A. Politi: « subito si comin-
ciarono a sollecitare le spedisioni, in voce , con quelli che erano presenti, e per
corrieri, «'legati e agli eserciti.» Ill4it.ha: minde cuncta coUoquiis interpr^'
sentas, mmiiis apudlcgaios et txcrcitus fcsHnabantur. »
n glaa « vocabolo del Pataflo, ed « tinonioio di balU, fona, potMtta ee.
n !•> CnM«a registra fkulkan in senso di atUndmunt con questo solo esemplo del
Davaaaali.
I. 21
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242 IL LIBIO SISTO DIGLI ANNALI.
dato di eìeìo in abisso. Macrone coraggioso disse : a Affoga-
te! ne' panni, e ogn' nn se ne rada. »
LI. Tal fine ebbe Tiberio* d'anni settantotto: figlinolo di
Nerone: di casa daadia anehe per madre , benché adottata
nella livia, e poi nella giolia. Sin da'primi anni corse dubbia
fortuna, perchè col padre ne andò in eslglio: entrato figlia-
stro in casa Agusto, T urtarono molti e molti, viventi Mar-
cello e Agrippa, poi Gaio e Lucio Cesari ; e Druse, suo fra-
tello, aveva più grazia co' cittadini. A partiti pessimi facon
la moglie Giulia, non potendo Tostica sua disonestà inghiot-
tire né spotare. Tornato da Rodi , fu della vota casa del prìn-
cipe dodici anni padrone , e da ventitré imperadore. Variò
con li tempi i costumi: di vita e fama ottima fa qaanto visse
privato, o comandò «ulto A gusto : coperto, e di finte virtù,
viventi Germanico e Druse : tra rio e buono , vivente la
madre : crudelissimo e pieno di lussurie nascose , meatre
Seiano amò o temè. All' ultimo la die pe '1 mezo ^ a tutte le
scelleraggini e sporcizie, quando rimossa ogni tema e vergo-
gna, secondò sua natura.
* Taljine ebbe Tiberio, Gli fa parallelo un grande de' tempi lUMtri, che
patendo di simili sBnimentl, ne gli venne uno, che durato oltremodo, ne poten-
dosi mancare delle dovute onoranze , vennero i prosici. Al primo taglio gridò :
seguitarono per lo migliore. Radamisto, còme dice questo autore nel dodicesimo,
affogò ne' panni la sorella e 1 aio. (*)
* * la die pe'l mteso ec. Lat ; m in seelera giorni «e dgdec^ra prò-
rupìL » Il Dati : « si lasciò andare strabocobevolBiente in ogni sorte di viti^rìi
e scelleratezie. »
(*) Nell'esemplare Giontiao òtì Conte Morttra qaesta postilla è abbreviata così: « €ii
fa parallelo mi grande de' tempi nostri che , morendo , vennero i eenwici a fargli le dovete ono-
cMiis. Al primo toglie si liaeatt. flegnitnren» per le adgliore. » 11 fatto di Radamiste non è
.àtato nella Rinatine.
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343
IL LIBRO UNDECIMO DEGLI ANNALI '
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. Valerio Asiatico, per infame accusa di Messalina, muore yoleniieri. —
IV. Sogao rovÌD06o a certi cavalieri. -^ Y. Legge ciocia chiesta contro i per-
fidi-aTrpeati. — VI. Loro •Mrario taaaalo. •— Vili. Diicorilia na' Parti. Go-
tane battuto, ai rifa. — IX. Riamicasi a Bardane, — X. il quale è ucciso da'
suoi. — XI. Ludi secolari. Domisio Nerone destinato àlP impero. — XII. Mes-
salina impana par Sìlio. -» XIII. Ciavdio non ci bada. Fa leggi. Trova nuove
lettere. -~ XIV. Toccasi de' loro inventori. — XV. Decreto aupli aruspici. —
IVI. Si dà un re a'Ghemsci. — XVfl. Di che nasce discordia e guerra tra
loro. — XVIII. Corbalona tiao aotto i Cauei : duro a' soldati. — XIX. Ricom-
pena i Friaiì: uccide Gannasco. — XX. Glaudi(Kgli stringa la briglia. Apre uo
csDale tra la Mosa e'I Reno: trionfa. — XXI. Così pure Curxio Rufo. ~-
XXII. Nooio rovìM. Dei gladiatori e dei questori. — XaIII. 1 GalK ambiscono
•Ila eìttadiaania e, patrocioaute il principe, P ottengono j primi gli Edm. h
senato aopplito: il lustro fatto. — XXVI. Messalina imbestia di libidine : piglia
Silio aeoza rispetti: turbasene la corte. — XXIX. Narciso per sue baldracchc
le fa la ^ia. — XXXI. Claudio teutauBa : Messalina rinfaloooisca. — XXXII.Sco-
parta, si raccomanda per una Vestale. — XXXIIl-XXXVI. Narciso aixaa il
principe dubbioso: ribotta le preghiere: i rei son puniti.
Coriódi dve anni.
Adlio Vitkluo.
L. VlMAHO PnUOOLi.
Aq. di Roma DGCCi. (di Cristo 48. ) — Conioli.
* Manca tatto l' impero di Caligola a 6 anni di Chudio. — C Cesare Ca-
ligola , coecadato a Tiberio Tanno 790 , tesno 4 anai l'impero» svergognato per
infami libidini e crudeltà. I» età di 29 anni cadde morto per mano di Cassio Cha-
rea. Mentre peoaavaai a restiUàre la repabblka, i pretorìmi coUevarooo Tiberio
Claudio, figlio di Druao e fratello minore di Germanico. Il quale, da buoni prin-
cipii, linaci a pesaimo 600, aggirilo dalle perfide vogUe di Narciso libarlo a dalla
nii^lie Messalina. Costei non meno disonesta che avara , dopo spenti per amor
di rapina i principali cittadini, infierì su Valerio Asiatico , per la vagioBie che qui
racconta Tacito.
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244 IL LIBRO UNDECIMO DEGLI ANNALI.
I creden-
do * che Valerio Agiatico, statò due volte consolo, già si gia-
cesse con Poppea,* e anche adocchiando' il giardino che com-
perato già da Lacullo, egli con superba magnificenza abbel-
liva, fece lai e lei da Suilio accusare; e Glaadio qaasi per
carità avvertire da Sosibio, aio di Britannico, « che questi
tanto ricchi e potenti non fanno pe' principi: e che Asiatico
principale nella morte di Gaio, ardi confessarla in parlamento
al popol romano: e se ne vanta, e vassene per Roma chiaro:
e per le provincie corre fama eh' ei vada a sollevar gli eser-
citi di Germania; che, come nato in Vienna e potente per
molti e gran parentadi, gli saria facile.» Claudio, senz' altro
intendere, spedisce Crispino capitano della guardia, con gente
in furia, quasi ad opprimere una guerra: trovalo a Baia, le-
galo, menalo a Rom9.
II. Non ini senato, ma in camera, presente Messalina,
Suilio gli rinfacciò, aver con denari e lussurie corrotto i sol-
dati ad ogni bruttura, adulterato Poppea, servito col corpo
suo per femmina. A questo ruppe il silenzio, e disse: «Ti
faran fede i tuoi figliuoli, Suilio, che io son maschio. » En-
trato a difendersi, mosse molto a Claudio l'animo, e a Mes-
salina le lagrime. Esce, per asciugarle, di camera, e comanda
a Vi telilo* che non lo lasci scappare; e sollecitando la rovina
di Poppea, manda a spaventarla di carcere ' e indurla a ac-
cidersi, tanto senza saputa di Cesare, che pochi giorni poi,
mangiando seco Scipion suo marito , il dimandò, perchè fusse
venuto sènza la moglie. Rispose esser morta.
III. Consigliandosi dell' assolvere Asiatico, Vitellio pia-
gnendo, ricordato quanto tempo erano stati amici e divoii
di Antonia madre , e quanto Asiatico fatto avea per la repo-
* crédendo; cioè Messalina, moglie di Claudio.
' Figlia di Poppeo Sabino (V. Ann. VI, 39 ) e madre di quella Poppea
che fu moglie di Olone e Nerone. (V. Ann. XIII, 43, 45.)
S adocehimtdù. La cagione dell' acema non fu tanto il crederlo adnltens
quanto il desiderio di conBscargli qne'raoi bellissimt giardini, che furono già
edificati da LucuUo colle riccbesie rapite a Mitridate e a Tigrane. Erano don
oggi è Monte Pincio.
* Padre di quel Vitellio che fa poi imperatore. ( V. Ann. VI, SI. )
9 di carcere, minacciandola del carcere.
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IL LIBBO UNDBCIMO DBGLI ANNALI. 245
blica , e in questa guerra di Britannla, e altre cose che pa-
reano dette per muover compassione; conchinse potersi al
misero far grazia dì morte a sua scelta, e Claudio gliele
fé' ^ con eguali parole pietose. Confortandolo alcuni a morte,
per digiuno meno aspra, Asiatico disse: <x Io vi ringrazio.»
E dopo sue usate cure, levatosi, mangiato allegramente, di-
cendo che gli sarebbe stato più onore esser morto per saga-
cità di Tiberio, o per furore di Gaio, che ora per frode
d'una femmina, è per la bocca di Yiteliio impudica; si segò
le vene. E prima veduto il rogo suo, comandò rifarsi altro-
ve, acciò il vapore non abbronzasse le piante. Di si fermo
cuore fu sino all' ultimo.
lY. Itagunato poi il senato, Suilio seguitò d'accusare
due illustri cavalieri romani, detti ambo Pietra , per aver
prestato la lor casa agli abbracciari di Poppea con Meneste-
re;' e a uno di loro fu apposto , aver sognato Claudio coronato
di spighe voltate allo indietro , e indovinatone carestia. Altri
dicono di pampani sbiancati , e pronosticato che il principe
morrebbe allo scorcio di quello autunno. Certo ò che ambi
morirono per un sogno. Crispino ne ebbe trentasetlemilacin-
quecento fiorini d' oro, e le insegne di pretore, f A Sosibio,
soggiunse Vitellio , diasene venticinquemila^ da eh' ei dà si
buon precetti a Britannico, e consigli a Claudio. » Richiesto
anche Scipione di sua sentenza, disse: ci Sentendo io de' pec-
cati di Poppea come tutti; fate conto che io abbia pronun-
ziato come tutti. »^ Con si gentil temperamento fu marito
amorevole, e grave senatore.
Y. Suilio continuò di fare accuse crudeli, e molti segui-
tarono il suo ardimento: perciocché mettendo il prìncipe le
mani* nelle leggi e ne' magistrati, apersela via alle rapine;
* gliele /e*, glie la fece: cioè, Claudio, a preghiera di Vitellio, fece ad
Aatattco la graiia di potersi scegliere la morte.
S Mfenestere : pantomimo famoso , gik mig^one di Caligola e or drudo di
Messalina. Alcune edisioni invece àìMnesteris leggono Valerii,
^ come tatti. Parole accorte che recavano questo doppio senso: «Niun
credendo vera la reità di Poppea, neanch'io la credo. » E ancora i « Credo vero
l' apposto , e anch' io sentensio come gli altri. » Cosi schivò il pericolo , né tradì
in tutto la verità.
* mettendo,,»,* U mani ec. ; cioè , traendo a sé tutti gli ufficii delle leggi e
àù magistrati.
2t
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246 IL LIBRO CMDBCIXO DIGLI ANNALI.
né vi ebbe mercanzia di più spaccio che i tradimenti degli
avvocati. Onde Samio cavalier romano de' primi, avendo a
Suiiio dato diecimila fiorini , vedutosi messo in mezo, s'in-
filzò, in casa di lai, in sulla spada. Per lo qual caso, comin-
ciando Gaio Silio, eletto consolo (della cui potenza e morte
dirò a suo tempo ^), si levan su ì padri, e chieggono si osservi
la legge cincia,* che nluno per difender cause pigli presente
né paga.
VI. Sclamando que'che n' aspettavan vergogna , Silio ,
contro a Suiiio, dicea vivamente: « Gli antichi dicitori aver
veduto, il vero premio dell' eloquenza essere la fama eterna.
Il fare la reina dell' arti sordida bottegaia, esserle troppa
macchia; né potere essere lealtade in chi serve chi più ne
dà: ' difendendosi senza mercede, scemerebbono le liti: nu-
trirsi orale nimicìzie, l'accuse, i rancori, le ingiurie , affin-
chè, come le molte malattìe la borsa empion a' medici, così
la peste del piatire, agli avvocali. Ricordassonsi , che Gaio
Asìnio e Messalla, * tra i moderni Arrunzio ed Esernino, ' sa-
lirono in grande altura per facondia e per vita candida. »
Piacque questo dire a tutti , e ordinavasi di condannargli
nella legge del mal tolto. Quando Suiiio e Gossnziano ^ e gli
altri vider trattarsi, non della loro colpa, eh' era chiara, ma
delia pena, accerchiano Cesare e preganlo che perdoni il
passato. Ei chinò il capo, ed essi cominciarono:
VII. a Qual esser di loro si superbo che si prometta
fama eterna? Ogni cosa ingoierebbono i potenti, se non fas-
< dirò « suo tempQ. Vedi qui appresso i cap. iS e 35.
> /a legge cincia, « Legge concernente i donativi e i regali. Fu fatta da
M. Gittcio Alimento tribuno della plebe l'anno di Roma 550 ; ita in disuso, fu ri-
stabiliu da AugusfQ con giunti che chi prendesse in mercede, restituir dovesse
quattro volle tanto. Claudio la moderò concedendo di poter ricevere sino a dieci-
mila sestersi, oltre a' quali si diveniva reo di mal tolto. *• (R. Pastore.)
^ in chi serve ec, in colui che serve chi paga più largamente.
* C. Asinio PoIIione amico d'Orazio (V. Od. II, i, i4. Sat. I, \0, iS ) e
di Virgilio (V.Egl. Ili, $4-S9), e Messala Corvino, amico e patrono di Ti-
bullo : erano fioriti circa SO anni avanti.
B Arrunzio ed Esernino. Del primo vedi lib. VI, 48 ; l' altro fu, nipote
di Asinio PoUione.
^ Cossuziano Capitone , genero di Tigellino e accusatore di Trasea ^ fu
condannato di mal tolto (^répeìundtirum) l'anno 810.
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IL LIBRO UMDEGmO DEGLI ANNALI. 247
sero gli avvocati che non s' addoUoraiio senza spesa, e i>er
attendere agli altrai fatti^ lasciano i propri. Chi vive della
guerra, chi dell' agricoltara: ninno vorrebbe far nulla, che
non credesse approdare. ^ Asìnìo e Afessalla arricchiti delle
guerre tra Antonio e Agusto, ei gli Esernini e gli Arronzi
di grosse ereditadi, potettero esser magnanimii: ma P. Glodio
e Gaio Gorione » posero pregi alle loro dicerie: ognun sa
quanto ingordi. Sé esser poveri senatori, dalla republicanon
volere altro che esser lasciati fare nella città quegli avanzi
che la pace può dare. V artefice lavora per andar un di in
civile: ^ chi leva i premii, leva l'industria, come meno pre-
giata. » Parve al principe questo parlare a proposito, e tassò
le mercedi sino a fiorini dugencinquanta : il soprappiù s' in-
tendesse mal tolto.
Vili. In questo tempo Mitridate, ' che fa re dell'Arme-
nia, e presentato a Cesare, * come dissi , ^ tornò p^ consiglio
di Claudio al regno,, confidato nel poter di Farasmane suo
fratello, re d' Iberia, che V avvisava, i Parti essere in di-
scordia, la sovranità dell' imperio in forse, il resto in non
' approdare, xcoare utile o.gaaiagao. Nuce da proj utile, vantaggio.
Dante , In/., XXI : che gli approda? che utile gli fa) — Pietro Pietri nelle Po-
stille Ms., a questa sentensa : « Niuno vorrel)be far nulla, che non credesse appro-
dare, ** così nota : « Questo e vero ; ma non essendo i piati , non sarebbero avvó-
w Citi e procuratori , quali sarél^ero astretti imparare uh' altra arte con manco
H mina ddla repuLIica. S'appicca una lite od contado , in una villa o villi^io,
m per una gallina imbolata, un albero taglialo , un termine mosso , due palmi di
m- terra usurpata : si dà nella lite : chi la perde nel contado appella alla cittk ; dalle
f* cittk alle Provincie, regni, imperii.* d'ivi da un fóro all'altro sino al supremo ,
» dove doventa immortale sensa speranaa di fine, se la medicina non fa da se » e
m cbe le parti non hanno più.da spendere. Guardai alla camera imperiale di Spira
j> quante liti vi siano ancora pendenti , quante spese per questa cagione, quante
m le persone ridotte al pentolino. E volesse Iddio che costì si fermasse il male, e
** che non andasse serpendo col suo veleno sino a quelli che hanno ancora il gu-
M scio sul capo , anzi non sono nati ancora ! Quivi tornano i rancori , si ripiglia
» il piato dove gli antenati l' hau lasciato , e sin che non sieno finiti e smunti an-
Hi eh' essi, dura la peste a travagliare il mondo e sperperar le famiglie. A'consi-
M gU^ri tocca d' avvertire i principi , a loro di vendicarci. »
S Andar.^, in cwile,, in abito civile. XaX. : ** toga enit^Here* »
S Mitridate. (V. Ann. VI, 32, 33.)
* a Cesar€,t a Caligola^
9 come dissi: c^rtantcnte nei libri dove faceva la storia di Caligola, e che
ora son perduti.
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248 IL LIBRO UNDBCOIO DBGLI AMIÀU.
cale. Perchè Gotarze, tra l'altre sue crudeltà , ordinava di
far morire Artabano sao fratello , con la moglie e figliuolo.
Onde gli altri impauriti, chiamaron Bardane. Egli pronto a
gran rischi, corre trecentosettantacinque miglia in due di:
caccia Gotarze sprovveduto e spaventato: piglia, senza dar
tempo, gli stati vicini: soli ì Seleuci lo ricusarono: centra i
quali, come ribelli ancora di suo padre, s' accese di più, che
non chiedea quel tempo: e s' intrigò in assediare quella eittà
potente, vettovagliata, e forte di mura e fiume.^ Intanto Go-
tarze con aiuti de' Dai! e Ircani, ' rinnuova la guerra; e
Bardane costretto , lasciato Seleucia , s' accampa ne' Bat-
triani. *
IX. Le forze d' oriente cosi divise, e dubbie ove sì gel*
tasserò, diedero a Mitridate occasione di occupar l'Armenia;
e co' soldati romani disfoce le forteze, e insieme con gì' Iberi
corse la campagna senza resistenza, e ruppe Demonatte ca-
pitano degli Armeni, che ardi rivoltarsi. Tenne un poco la
puntaglia * Goti re dell' Armenia minore, che vi mandò per-
sonaggi: ma per lettere di Cesare si ritirò, e il tutto colò in
Mitridate, più atroce che regno nuovo non vuole. Ma ordi-
nandosi i due capitani parti a for battaglia, repente s'accor-
dano, per le congiure de' lor popoli, da Gotarze scoperte ai
fratello. Abboccansi dapprima alquanto guardinghi, poi si
danno le destre, e giurano su l' altare di vendicare la fraade
de' nimìci, i' uno all' altro cedersi. Parve più atto Bardane
a tenere il regno; e Gotarze, per levar gelosia, se n' andò in
Ircania.'^ Seleucia s' arrese a Bardane ritornato, non senza
vergogna de' Parti, da lei sola beffati self anni.
X. Prese poi le più forti provincie : e ricoverava l' Ar-
menia, se Vibio Marso, legato in Seria, non lo ritirava con
^ JUtmei il Tigri.
* Dati e IrcanL Oggi DahitUtn , Gurhm, tuUa riva oecideatilt del
Cupio, Matanderan e Coretm.
* La Baetrìana, nel cuore dell'Alia, stenderasi dall'oriente della Peimia
ai monti Hinulaya.
* Tenne un poco la ptmUiglia, Tener la puntaglia, che dieesi anche XV-
nere il fermo, vale Reggere o lostenere l' impeto nemico senaa dare indietro.
» La Heatiana ha per errore • se n' andò in Francia. »
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IL LIBRO UMMGIMO DB6LI ANNALI. 240
mìnaceìargll guerra. Gdtarze dell' aver ceduto il regno sì
rifiente; richiamandolo la nobilté, cai nella pace è più dar^
il servire; fa {[ente. Bardane al passar del fiume Brindo * as-
sai lo combatte e vince; e con felice battaglia piglia tette le
nazioni sino al fiume Gindeno*^he divide i Daii dagli Arii.
Quivi unirono le sue felicità: perchè non piacendo a' Parti,
benché vittoriosi, il guerreggiar si discosto; egli tornò in
dietro, rizatovi trofei e memorie di sua potenza, e come a
ninno Arsacido, innanzi à lui, dato aveano quelle genti tri-
buto? gran gloria, che Io fé' più feroce e insopportabile
a' suoi: i quali s'unirono e, con ordito inganno, in caccia,
lui non sospettante, uccisero giovanetto. Ma pochi vecchi re
fur si chiari, se egli avesse stimato il farsi amar da' suol ,
come temer da' nimicì. La morte di Bardane confuse i Parli,
non sappiendo chi farsi re. Molti volevano Gotarze: alcuni
Meerdate figliuolo* di Fraate, datoci per ostaggio. Vinse Go*
tarze. Ma entrato in possesso con crudeltà e pompe, forzò i
Parti a mandare, segretamente pregandolo, al romàno prin-
cipe, che lasciasse venir Meerdate al paterno regno.
XI. La festa de' cent' anni * si vide quest' ottocentesimo
dopo Roma edificata, e sessantaquattresimo da che la cele-
brò Agosto. Quello che movesse 1' uno e l'altro principe a
celebrarla, lo narro appieno nella Storia di Domiziano,* che
la fece anch' egli, e io n'ebbi più briga, trovandomi allora
de^ quindici * e pretore. Non lo dico per vanagloria; ma per-
chè questa era di quel collegio antica cura , e per mano
de' magistrati passavano le cirimonie. Sedendo Claudio alla
I ■
* Erindo, Il Rykio non trovan'do ricordato da altri questo fiume , so-
apttta che invece di Erinden debba leggersi Charindam, fiume ricordato da
Tolomeo « che lo pone tra h Media e l' Ircania.
* Gindeno. Légge GyTtdent altri, Sinden,
^J!gliuolo, Era nipote, nato di Vonone. Dicono che Meerdate , in diracio
dialetto, significhi lo stesso che Mitridate; cioè « dato da Milhra. »
* La festa de* eenf anni , la festa o ludo secolare. « Simili fette dato
•▼èva Angusto l'anno di Roma 737 sotto i consoli C Fumio e G. Silano. Ora-
sio ne compose l'inno. » ( R. I^store. )
8 nella Storia di Domiziano, la quale ora è perduta.
* de* ifuindici, m Quindi h che neUe monete d'Augusto appartenenti alle
feste aecobri si leggono queste lettere XVSF, cioè: « Quindecempiri sacris fa-
c/i»Nf<y. I* (R. Pastore.) .
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950 IL LIBRO ONDBCmO DBQU iKMALI.
festa circense, ove rappresentavano il glnoco di Troia* nobili
donzelli a cavallo, e tra gli altri Britannico, nato deU'impe-
radore, e L. Domizio addottato, poi snccedato e dello Nero-
ne; parve predirgliele' il favore della plebe verso loi più
ardente: e contavano cbe nella calla, quasi a guardarlo, stet-
tero due serpi. Favole e maraviglie da stranieri:' perchè egli
che non abbassava le cose sue, solea dire esserglisene ve-
duta in camera una sola.
XII. Ma recava* questo ardore dalla memoria di Ger*
manico, delta cui stirpe non v'era altro maschio, e T accre-
sceva la compassione d'Agrippina sua madre, imperversata '
sempre dall'empia Messalina, e allora, più che mai. Ma dal
trovar le cagioni e accusatori, la svagava il nuovo amore di
G. SiHo, giovane il più bello di Boma, di coi era sì perdala
che, per godersi tutto l' adultero, fece ch'eli scacciò Gionia
Sillana sua moglie nobilissima. Conosceva SiHo lo suo pec-
cato e pericolo: ma il vedersi, negandole, spacciato; il po-
tarlo forse frodare;^ i doni grandissimi, illècero andare oltre
e, in tanto , godere. Ella alla libera gli andava a casa con
gran comitiva: uscito,^ T accompagnava: gli versava tesori:
* ChiamaTasi Trota una giostra equestre solita farsi nel circo dai gioTaoi.
Virgilio,£'n.,V, trad. di A. Caro:
Questi tornlamenti e queste giostra
RinnoTb posoia Aseanio^ alUr cIl' ereste
Alba la looga : appresergli i Latioi; .
Gli manteoner gli Albani , e d' Alba a Roma
Far trasportati , e vi eoa oggi ; e come
E 1' oso e Roma e i giuochi deridati
Son da' Troiani , hanno or di Troia il aooie.
^ parve predfTgliele, predirgli; fiorcaliiiisino , cornagliele per gliilO'
Parve che il favore della plebe gli piredicesse l'impiero.
s Favole e maraviglie ec. Vedi Dtoae Caa»io,. I.XI, 2 ; e Svetonio in
Ner, e. 6.
* Ma recava j cioè, ma il popolo recava»
* imperversata , fatta segno alla pervertita ; tormentata , ioealaata dalla
perversità.
* frodare, nascondere; cioè, il suo peccato. Anche il LaiX. fallare inumo
di latere'.
' tucito ec. Lat. : « tgressibus adhterescer^e : » lo si conduceva fuori a
braccetto. QucsU loeuaione popolare non vedesi nella Crusca, ma è nolaU nelk
Giunte del Tomm^èo.
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IL LIBBO UNracmO DBGLI ANNALI. 251
lanciava onori: finalmente i seryi, i liberti, arredo del qaasi
scambiato principe, si rodevano in casa V adatterò.^
XIII. Ma Glaodio, cbe queste tresche non sapeva della
sua moglie, badando a fare il censore; riprese agramente la
popolar licenza ne' teatri , d' aver detto vitoperH di Pom-
ponio ' stato consolo (che componeva versi .agli strioni), e di
donne nobilissime. Contro alle ingorde usare fece legge ,
che ninno prestasse danari per pagare ' all% morte del padre.
Condusse nella città V acqua delle fontane sotto i colli Im-
brnini.* Aggiunse nuove lettere air abbicci; veduto che an-
che il greco ' fu da prima imperfetto.
XIV. Gli Egizi far primi a significare i concetti della
mente, e le memorie umane, per figure d' animali scolpite
in sassi,* che ancor se ne veggono delle antichissime; e di-
consi trovatori delle lettere. Averle poi i Fenici, possenti in
mare, portate in Grecia: e delle cosa apparata, per trovata,
fattisi belli; ^ essendo fama, che Cadmo con armata di Fenici
passatovi, insegnò leggere a que' Greci, allora rozi. Alcuni
* in casa l'adultero, dell'adultero! al modo fiorentino; ma qui reca
anfibologia.
S Pùtttpùnio, Qaeali è Publio Ponponio Secondo, poeta tragico, di cai Pli-
nio il Tcccbio scriMe la vita, facendtdo etempio di virtù. (H. H. XIV, 6. ) Qoia-
tiliano lo giudica.il migliore de' tragici contemporanei, ma aggiunge cbe i vec-
cbi lo stimavano poco tragico , sebbene gli dessero la palma nella erudisione e
nella elegania. Poneva infinita cura di piacere al popolò. ( ìnH. Or, X, i.) Pli-
nio il giovaoc ncconla ( Ep. XII, i7 ) cbe m quoMta 9W> intimo amico gli di-
ceva M Togli qua, » e a lui non paresse di dover togliere, conehiudevm con
dire: m Me ne rimetterò al popolo ; » e così secondo l'applauso o il silenzio
di esso, lasciava o levava* Tanto deferiva dat^iùdiaio popolarci
S per pagare, da restituirsi. £ assai cbe non abbia tradotto : « vietò i
babbimorti I »
* i colli Imhruini. « Sono qveati colli tra il luogo ora appellato ratma-
Aefto dal Sacfo Speco ,■ e SuUaco. Son questi i confini dell'agro romano all'est.
Di «juesl^ acquedotto vedi Plinio, XXXV , 16, d. iO. «• ( R. Pastore. ) Alcuni te-
sti invece d> tmbminis leggono Simbruinis. il magnifico acquedotto cbe con-
dmsfl in Roma le fontane Cwrtia e Centlem fn cominciato da Caligola e termi-
nato da Claudio, da cui prese il oMne di Acqua Claudia. Se ne vedono ancora
degli avaui.
> il greco j sottintendi, abbiccì»
' in /«j^; sugli obelischi.
' peir trovata, fattisi belli j se ne fecero belli) come m fosse loro inven-
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2IS2 IL UBRO OMDBCUIO BEGLI ANNALI.
scrivono, che Cecrope ateniese^ o Lino tebano * trovarono
sedici lettere , e, ne' tempi di Troia, Palamede argivo tre,
altri poi l'altre, e massimamente Sìmooide. Insegnolle in
Italia a' Toscani Damaralo corintio; agli Aborigini Evandro
d' Arcadia. Furano i latini caratteri, quei de' Greci antichis-
simi. Avemmo anche noi prima poche lettere, poi se n' ag-
gionsero; come àa Claodio^ le tre; ' mentre dominò , usate ,
poi scartate: e se ne vede nelle tavole di bronzo, morate
nelle corti e ne' tempii per pqblicare i decreti.
X\. In senato propose sopra il collegio degli aruspici,
che tanta scienza, in Italia antichissima, non si trasandas-
se; « etessersene, in molti travagli della republica, chiamati
ì maestri per rimetterla, e meglio osarla: averla i grandi di
Toscana, volontari o spinti da' padri di Roma, ritenuta, e
lasciata nelle famiglie: ora non si stimare, per la cornane
trascoranza dell' arti nobili, e per attendersi alle supersti-
zioni forestiere : andarci ogni cosa prospero ; ma doversene
ringraziare i benigni iddìi: e non valere ì sagrì riti, neir av-
versità osservati, nelle felicità dismettere.» I senatori ordina-
rono che i pontefici vedessero qoanto dovessero gli araspici
ritenere e osservare.
XVI. Nel detto anno i Cherosci, avendo per le civili
guerre spenti i grandi, chiederono da Roma Italo per re,
solo rimase di stirpe reale, nato di Flavio,' fratel d'Arminio,
e di madre nata di Catumero, principe de' Gatti. Era bello,
e di cavalli e d'armi maneggiatore, a nostra e a loro usanza.
Cesare gli die danari, compagnia, e aiiìmo a ripigliar la
grandeza di casa sua. Lui primo, nato in Roma, non ostag-
' Lino tebano. m Non fu inventor delle lettere Lino , ma del ritmo e
4ella melodia tra i Grecia Egli visse 500 anni prima di Roma. Vedi Diodoro Si-
culo, lib. IIL •• (R. Pastore.) '
S come da Cianàio^ le tre j» qoella guisa che .Claudio ne ag^nnse tic.
Erano i^ il digamma eolico rovesciato (i> che stava per la u aspirala o ▼, come
sisovs j'S® Tantisigma (oc) che scasava il Y greco; Sfi TioCa modi6cato (i) che
partecipava dell' i e dell' u, come in oPTixvs.Ma questi tentativi di perfesiona-
mento grafico , per quanto possano «embrare fondati su buone ragioni , pare
' avendo a vincere l'uso inveterato, riuscirono sempre infelici. Però accadde al Trts-
sinoy al Saltini, e ora al dotto Gherardini , quello che a Claudio, cui non hastò
nemmeno l'autorità imperatoria per dar cittadioaosa alle nuove lettere.
B Flavio, è ricordato sopra, II, 9.
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IL LIBRO GNDBaMO DBGLI ANNALI. 253
gio ma cittadino, oscfre a imperio straniero. Fa lieta a' Ger-
mani sua prima giunta, massimamente carezando egli, che
non teneva parte, tutti egualmente. Era celebrato, osserva-
to; usava cortesie e rispetti, che a ninno dispiacciono: al
vino e alle lascivie, che a' barbari piacciono, spesso si dava.
Già ne' vicini, già ne' lontani risplendeva ; quando quei che
solevano per le parti fiorire, sospettando di tanta potenza,
se ne vanno agli stati confinanti : fanno fede : « L'antica li-
bertà germana essere ita; Romani ' risurgere: mancarvi forse
ano de' nati quivi da governargli^ senza che la raza di Fla-
vio spione* gli cavalchi? L'esser nipote d'Arminio, eh' e!
fa?' del cui figliuolo, se fosse venuto egli a regnare, potersi
temere, come allevato in terra nimica, infetto da' cibi, ser-
vaggio, abito, ogni cosa forestiero. Ma se Italo somiglierà
sao padre; ninno aver mai voltato armi, contro alla patria
e casa sua, più traditore. *
XVII. Cosi accesi, fanno gran gente : né minore segni-
lava Italo, dicendo: <k Non esservi entrato per forza, ma
chiamato: se agli altri soprastava in nobiltà, darebbe anche
a divedere con la virtù, se degno è del zio Arminio e di
Calumerò avolo. Del padre non poter vergognarsi, se ai
Romani non ruppe mai quella fede, con la quale andò a
servirgli di volontà de' Germani. Bel protesto dì libertà pre-
tender'^ questi, che viziosi in privato, perniziosi in publico,
non posson vivere che di discordie. » Il volgo con fremito e
baldanza lo favoriva. Fanno battaglia grande i barbari.
Vinse il re : della felicità insuperbi : fu caccialo. Rifatto di
forze longobarde , con vittorie e rotte travagliava i Gherusci.
* Romani; cioè , ]a potenta romana.
' ^ione, perchè serri a'Bomani.
' eh* éi fai n correttore dell'esemplare Nestiano di G. Capponi raccon-
cia i dw di /ajnu dubito a torto; perchè, ansi che errore , mi ci pare fiorenti-
nUmo , per che e*/a f o che fa egli f cioè che monta f Ed infatti il Lat. ha :
« Frustra Jrminium prascribi. » L* altro modo che Ci fa f importerebbe ,
che ci giova f che qoi non qnadra.
* ninno aver mai ce. Ninno più traditore di suo padre aver mai voltato
anni ec. Il Politi traduce : « se Italo riterrè 1' animo del padre , chi più di lui è
stato nimico e persecutore della patria? **
' pretender, ostentare.
I. 22
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254 IL LIBBO DNDBCmO DEGLI ANNALI.
XyiII. Io qaesto tempo i Cauci, quieti tra loro e, per
morte di Sanqainio/ altieri; venendo Gorbolone' a trovargli,
scorrono nella Germania bassa, sotto Gannasco capitano di
nazione Ganinefàlo,' stato tango tempo tra i nostri aiuti : poi
fuggitivo corseggiava con vascelletti , per lo più le costiere
de' Galli, conoscendogli ricchi e poco guerrieri. Entrato Cor-
bulone in provincia, con gran diligenza e sua gloria (che
cominciò in quella milizia), condusse le ^alee per lo Reno;
l' altre navi, secondo che atte erapo, per fosse e maresi;* e'
nìmici vasselli affondò. Cacciò Gannasco; e, quietate le cose,
le legioni di rubar vaghe, lavorìi né fatiche non conoscenti,
ridusse al costume antico di non uscir di battaglia: non com-
battere, se non comandate:' le poste, le scolte, gli ufici del
di e della notte fare armati. Dicono che punì di morte due
soldati, perchè zappavano, alla trincea, l'uno senz'arme,
l'altro col pugnai solo; bestialità che, vere o false, trassero
origine dalla severità del capitano, per mostrare quanto ei
fusse casoso^ e spietato ne' peccati grandi, lo tanto crudo e
aspro '^ ne' menomi.
XIX. Questo terrore fece due effetti diversi; accrebbe
a' nostri soldati ^ la virtù, a' barbari scemò la fiereza ; e
a' Frisoni (dopo che sconfissero L. Apronio,' fatti ribelli o
poco fedeli), dati ostaggi, parve buono starsene a' terreni.
* Sanquinio Massimo, prefetto della Gennania inferiore. (V. lib. VI, 4.)
« Corbulone. ( V. Ann. HI, 31. Stor. Il, 76.)
» Caninefato. (V. Ano. IV, 73. Stor. IV, i5.)
^ maresU Lat. : « astuaria $ m stagni, paludi.
' non combattere, sé non comandate. La Cominiana, la Nestiana e
tutte le altre posteriori : m non combattere , non comandare, *• Ma è manifesto
errore. Il Lat. hai « nec pugnam, nisi iiusus» iniret. »
0 casoso^ che dà importansa anche alle piccole cose. Qui esser casoso vale
£ar caso di tutto ; non lasciarli fuggir nulla. Lat. « mientus. » Il popolo Posa
ora in senso di timido» che sempre e seoaa cagione teme di qualche spiaccvoi caso
o pericolo.
^ lo tanto crudo e aspro ec.» colui che era tanto crudo ec. .
B a*nostri soldati. La Cominiana, la Nestiana e le altee cdiaioni seguaci ,
leggano: • a' molti soldati. » Non ho dubitato di con«gger< sulla fede del testo
che ha: mù terror miiiùi^ kosUsgue in diversum affedti nos virtutetn ««.
ximusj Barbari ferociam injregere. «•
' L. Jpronio. (Vedi Ann. IV, 73.)
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Il LIBRO UNDECIHO DB6LI ANNALI. 255
senatori, magistrali e lèggi, che die loro GorbaIone:Hl qua-
le, perchè non iscotessero il giogo, vi rinforzò la goarnigio-
ne, e mandò a sollecitare i principali Ganci allo arrendersi,
e Gannasco tradire. Il trattato rinscl , e ben gli stette al fel-
lone fuggitivo. Ma la sua morte alterò le menti de' Ganci, e
Gorbnlone seminava scandoli da farli ribellare. A' più piace-
va : alcuni ne levavano i pezi : ' « Perchè stuzicare 1 cala-
broni? ' s'ei riesce male, toccherà alla republica; se bene, non
è buono per la pace quest'uomo terribile, e a questo prin-
cipe debole, troppo grave. » Laonde Claudio non che dare
altra noia alla Germania, fece tornar le guarnigioni di qua
dal Reno.
XX. Già poneva Gorbnlone il campo in terra nimica,
quando ebbe la lettera : e benché sopraffatto in quel subito
da più passioni, paura dell' imperadore, dispregio de' barbari,
riso degli amici; senza dire altro, che « Oh felici già i <ftpi-
tani romani I s> sonò a raccolta. E per non tenere in ozio i
soldati, tirò dalla Mosa al Reno un fosso di ventitré miglia,
che ricevesse i reflussi dell' oceano. Gesare gli concedè le
trionfali, benché gli avesse negata la guerra. Il medesimo
onore ebbe poi Gurzio Rufo,* per avere scoperto nel contado
di Mattiaco^ cave d' ariento non ricche, né duravano;*
ma le legioni ne aveano fatica e danno, convenendo zappar
neir acqua, e far sotterra quel che sarebbe duro nell' aria.
Onde i soldati che più non poteano (e questa festa ^ era in
* che dii loro Corbntmu* Non sarà inutile riferire questo periodo, se-
cMidoh tradniione del Dati : « I Frisii (i quali dopo la rotta data a Lucio Apro-
nio s' erano ribellati da noi, e d'allora in poi stati nemici o poco fedeli), diedero
ftatichi a'nostri, e si fermarono ad abitare ne'campi assegnati loro da Corbulone;
il quale diede ancor loro un senato , magistrati e leggi* »
S ne levavano i pezi, ne sparlavano. Vedi sopra, I, 46.
' stuzicare i calabroni, o stuzicare il vespaio, modo proverbiale che
significa Dar molestia a chi può farci del male. Il Lat ha: « cur hostem conciret t »
* Curzio Bufo, m Molti son di parere che sia questo Gunio lo scrittore
delle gesta d' Alessandro Magno , ma non Te n* ha prove : e se egli fusse stato
quello, non l'avrebbe passato in silensio Tacito. *» {K. Pastore.)
S Maniaco nel ducato di Nassau. Plinio, H. N.XXXI, Ì7 , ricorda Aqwe
MaUiaceg, oggi PTiesbaden.
^ ne duravano. Cosi la Nestiana e la Gomtniana. Ma dubito debba dire
ne durarono. Il Lat. ha « unde tenuis fructus nec in longum fuiU •
^ e qttesta festa : per antifrasi , invece di duro travaglio.
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286 IL UBRO UDiDBCIVO DEGÙ iMNALL
più Provincie) fanno segretamente una sapplica In nome
delli eserciti, pregando 1* imperadore, che quando voleva dar
loro an generale, gli desse prima le trionfali.
XXI. Deir origine di Rufo, che alcani dicono nato d'un
gladiatore, non direi il ifalso, e mi vergogno del vero. Fatto
nomo, s'accontò' col qoestor dell'Africa; e trovandosi in
Adrameto,* ne' portici tatto solo di mezodi, gli apparve nna
donna più che amana, e gli disse: « Rufo, ta ci verrai vi-
ceconsolo. y> Incorato da tale agario, tornò a Roma, e con
danari d' amici e viveza d' ingegno, divenne questore : e
poi, a competenza di nobili, pretore, col voto del principe
Tiberio, che disse per ricoprir sua basseza : <k Rufo mi par
nato di se stesso. » ' Molto visse, fu brutto adulator co' mag-
giori; co'minori arrogante; con li eguali fastidioso. Ottenne
lo imperio consolare, le trionfali, e finalmente l'Affrica; ove
mor^, e l' agurio avverò.
XXII. In Roma Gneo Nevio illustre cavalier romano,
tra molti che salutavano il principe, fu trovato con 1' arme
sotto, senz'essersene mai saputo il perchè. Straziato da tor-
menti, confessò di se: complici, o non vi ebbe o non no-
minò.
Questo anno P. Dolabella ^ pronunziò che lo spettacolo
delli accoltellanti si facesse ogni volta a spese de' questori di
queir anno. Gli antichi nostri davano la questura per premio
di virtù, e poteva ogni cittadino che si sentisse virtuoso,
chiedere magistrati ; e faciensi consoli e dettatori di prima
gìovineza, non sì guardando a età. Ma i questori furono ìn-
sino da' re ordinati; il che mostra la legge curiata, che Bruto
rinnovò. E gli facieno i consoli sino a che anche questo onore
volle dare il popolo. I primi fatti, furono Valerio Polo ed Emi-
* y accontò, s*accompagDÒ ; segui. Lat. : « sectator qucestoris cui Africa
ohligerat. »
S Adritmeto, Herkla , nel regno di Tunisi in Barberia.
' nato di se stessomlAi.: ttex se natus:» ha doppio senso j perocché cbia-
minsinaff e» se tanto i nulUs maioribus orti (rome dice Orasio), cioè gl*ign<»-
hili e oscuri ; quanto coloro che si son fatti un nome da se stessi , e sono per se
eognìtif come dice Cicerone. Tiberio volle dire che Rufo , sebbene nato in basso
luogo, pure era venuto in fama, che non dovea riconoscere da altri die da se
stesso.
♦ Dolabella. (V. Ann. IV, 23 e 66.)
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IL LUaO. UNDBCmO BBQLI ANNALI. 257
lio Mamerco, l'anno sessantatrè dopo la cacciata de'Tarqaioìy
perchè andassero con T esercito. Cresciuti i negozi, ne fu-
rono aggiunti due per istare in Roma: poi raddoppiati, fatta
gj.à tutta Italia tributaria, e aggiunte le gabelle delle Provin-
cie. Indi per legge di Siila ne furon creati venti per arroti^
a' senatori, a' quali soli aveva conceduto il giudicare. E ben-
ché i cavalieri l'avessero riavuto, la questura si dava per
merito de' chieditori, o per cortesia, senza costo,' sino a che
la sentenza di Dolabella la mise quasi in vendita.
XXIII. [A. di R. 801, di Gr. 48.] Entrati consoli A. Vi-
tellìo e L. Vipsanio, trattandosi di arrogere senatori, e rac-
comandandosi i grandi della Gallia cornata,'' già fatti citta-
dini e confederati romani, di poter goder gli onori della
città; innanzi al principe fecesene molto e diverso ragiona-
mento e garose contese: a Non essere Italia si al verde,* che
le manchi da rifornire il senato alla sua città: averlo fatto
già ì naturali del luogo ' co' popoli parenti e vicini ; né del
governo antico poterci dolere: anzi tuttodì esempi di que'buon
vecchi accenderci a virtù e gloria. Non bastare V essere in
senato balzati gl'Insubri e i Veneti, se gli sciami de' fore-
stieri non vi corrono , coQie a presa città ? A' pochi nobili ,
che onori poter rimanere? a povero gentiluomo latino chi ne
vorrà dare? inghiottirglisi anzi tutti que' ricchi, eredi de' loro
avoli e bisavoli, stati capitani de' nemici ucciditori degli eser-
citi romani, assediatori del divino Giulio ad Alesia.* Queste
esser cose fresche : e perchè non ricordarsi che questi son
quelli che gittarono il Campidoglio e il romano altare per
' per arroti f per agginnU ; per sapplemento. Cosi sotto arrogere, ag-
giungere, supplire.
S senza eosto» gratuitamente ; senza obbligare alle grandi spese che ven-
nero in uso nella corrotta repubblica , allorché fondevansi interi patrimoni per
arrivare alle cariche.
S cornata, transalpina; i cui abitanti portavano lunghe chiome.
* sì al verde , ti all' estremo. La metafora è tolta dai ceri , che soglioQsi
fasciare da pie di carta verde ; onde quando la fiaccola è vicina al verde, il cero è
consumato.
8 i naturali del luogo , gì' indigeni , cioè di Roma, i quali rifornirono il
senato coi popoli del medesimo sangue {consangiUneis popttlis) che avevano
co' Romani uo'istessa origine.
• ad J lesta. Vedi De Bello GaU. VII, 79.
22*
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258 IL LIBRO CMDBCUfO DEGLI ANNALI.
terra con le lor mani?^ Godessonsi il nome di cittadini; ma
gli splendori de' padri, gli onori de' magistrati non si acce*
manassono. »
XXIV. Non mossero tali cose il principe: anzi inconta-
nente contraddisse, e chiamando il senato, cosi cominciò:*
« I miei antichi (tra i qoali il più antico Glaaso, di nazione
sabina, fo fatto cittadin romano e senatore a un' otta) m'in-
segnano governar la repnblica col senno loro, di condor qaa
ciò che altrove è d'eccellente, sappiendo che i Gialli da Alba,
i Coroncani. da Gamerio, i Porzii da Toscolo, e per non
ricercar T antichità, dalla Toscana, dalla Lucania, da
tatt' Italia faron chiamati nomini in senato : e in ultimo
fino dall'Alpi, a fine d'accrescere, non a un nomo per volta,
ma a cittadi, a nazioni il nostro nome. Stemmo dentro in
ferma pace, e di foori fiorimmo, allora che facemmo qne' d'ol-
tre al Po cittadini, e che mostrando di metter soldati nostri
per tutto '1 mondo, gli mescolammo col nerbo di que' paesani,
e ne rinvenne' lo imperio stanco. Sacci egli male, eh' e' ci
sieno venati i Balbi di Spagna, e non meno grandi uomini
della Gallia Nerbonese? I lor descendenti ci sono, e amano
questa patria al par di noi. La rovina de'LaCedemoniie de-
gli Ateniesi, si forti d'arme, che fu, se non il cacciar via i
vinti, come strani? Ma il nostro padre Romulo ebbe tal sa-
pienza, che molti popoli vide suoi nìmici e cittadini in nn
di. Avemmo de' re forestieri. Si son dati de' magistrati a
figliuoli di libertini: non oggidì, come molti s'ingannono,
ma dal popolo antico. Oh, i Senoni combatterono:* i Volsci
* cm le lor mani. Qui il testo ÌS gauto e mntilo, e il Noitro ne leva
quel senso che può.
' così comincia. Langhi frammenti di qatsti Onrione serbami tuttavìa
in Lione scolpiti in due tavole di rame. Gli puoi vedere nei Comenti del Lipsio,
dell' Orelli e d'altri.
> ne rinvenne, » rifece di fotte. Pel contrario Dante attriboitce lo scadi-
mento della repubblica fiorentina all'esser» la cittadinansa
mista
Di Campi, di CerUldo e di FiggUne.
* combatterono. Dubito debba leggersi ci combatterono. Intendi: si va
dicendo che i Senoni ci mossero guerra, e che per ciò i loro posteri non sono me-
ritevoli di questo onore. Ma forse i Volsci e gli Equi, che gik lo godono , non ci
furono mai nemici t
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IL LIBRO rMDEClHO DEGLI ANNALI. 250
e gli Eqai non e! voltarono mai ponte? ^ I Galli ci presero:
demmo anche ostaggio a' Toscani: patimmo il giogo da' San-
niti. Ma se tntte le guerre rìandi,* quella co' Galli fa la più
corta, con pace continuata e fedele. Da che questi son me-
scolati con esso noi con usanze, arti e parentadi, portino
anzi qua, che tenersi là il loro oro e riccheze. Tutte le cose,
o padri coscritti, che ora crediamo antichissime, furon già
nuove.' Tennero i magistrati prima ^ padri: poscia i plebei:
indi i Latini: poi d'ogni sorte Italiani; tenendoli ora i Galli,
anche questo farassi antico: e dove noi V aiutiamo con eseni-
pli, 8' allegherà per esemplo. » *
XXV. Decretarono i padri secondo la diceria del prlii-
cipe. E gli Edui fur prima ì romani senatori' per T antica
lega; e perchè soli tra i Galli si chiamano fratelli del popol
romano. In questi giorni Cesare dichiarò patrizi i senatori
pia vecchi, o discesi d'uomini chiari: restandovi pochi di
quelle famiglie che Romolo appellò della gente maggiore, e
di quelle che L. Bruto, della minore, e cosi delle arroto" da
Cesare dettatore per la legge cassia, e da Agusto per la se-
nia.^ Tra questi grati provvedimenti puhlici, bramando Ce-
sare nettare il senato d'alcuni vituperosi, per dolce e nuovo
modo, tratto dall'antica severità, gli consigliò in disparte a
conoscersi, e supplicar di non esser più senatori : che gli
consolerebbe con dir, loro esser usciti di quell'ordine di
buona voglia con buona scusa, e meno vergogna che cac-
ciandonegli per buon giudizio i censori. Per colali azioni
Vipsanio consolo propose che Claudio si gridasse padre del
senato. « Padri della patria essere stati detti altri. Doversi i
meriti verso la republica nuovi onorar di vocaboli non usa-
ti. » Ma egli diede in su la voce al consolo, come troppo
* non ci voltarono mai punte t II Lat. ha: nunquam adversum nobis
aciem stmaiéret »
' rtandi. Lat. : « recenseas. »
' faron già nuove. Orasio , Epist. II, 1 , ▼. 90 e segg.
* e dove noi et. Valeriani: « e quanto or qui con esempli sosteniamo,
«trli d' esempio. »
> fur prima i romani senatori. Forse l'irticolo non ci ra.
' arrota t aggiunte.
' senia. Proposta da L. Senio.
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260 IL LIBBO UNDECWO DBGU ANNALI.
adolanle. Fece il lostro, e si registrarono sei milioni e no-
vecento qnarantaqaattromila. Allora aperse gli occhi a' di-
sordini di casa sua, e poco appresso tirato pe' capelli, conob-
be e uccise la rea moglie, per poi tórre la nipote carnale.
XXVI. Già Messalina ristacca della agiata copia degli
adolleri, si dava a non più sapute libidini; quando Silio per
fatale pazia, o pensando rimediar al pericolo con altro mag-
giore, la cominciò a stimolare di matrimonio scoperto. <c Non
potersi aspettar che si morisse il principe di vecchiaia: per
la diritta poter andar gì' innocenti : ne' peccati ^scoperti giova
l'ardire: essere in aiuto i compagni al pericolo: esso, che
non ha moglie né figliuoli, la sposerebbe: adotterebbe Bri-
tannico : essa manterebbe^ la grandeza medesima, e più si-
cura, se Claudio, che non si guarda, poi è rottissimo, vin-
cessono della mano. »* Di questo dire ella non fé' capitale:
non per amor del marito, ma perchè Silio montato in sella ,
non la spregiasse, e riconoscesse le scelerateze già ne' fran-
genti piaciuteli. Volle bene il nome di matrimonio, per la
grande infamia, ultimo piacer di chi ha mandato giù la vi-
siera,' e fé' le noze solenni, tosto che Claudio fu ito ad
Ostia per certo sacrifìcio.
XXYfl. Veggo che parrà favola che persona ardisse
cotanto in una città che tutto sa e nulla tace; che l'eletto
consolo si trovasse il di accordato a sposar colei eh' era mo-
glie del principe : se ne facesse carta con testimoni, quasi
rispetto a'fìgliuoli da nascere; ella udisse le parole degli
Auspici ; dicesse di si ; sagrificasse agi' iddìi ; passasse tutta
la notte in convito, con baci, abbracciari e licenze da ndze.
Ma io senza punto aggrandire, dirò quello che ho letto e
udito da' vecchi.
XXYIII. Rimase la casa del principe spaventata, e già
' marOerebbe, Cosi la Nestìana eoo nna cola r: non corredo » essendoci
del Nostro qualche altro esempio.
' frìneessonù della mano. Dati: «Terrebbe Messalina a rimanere colla
potensa medesima, e ancora con mag^ore sicnrena , levandosi dinansi Claadio,
il quale cosi com'è' si Tiveva senaa pensiero e agevolmente si poteva ingannare*
così per lo contrario era uomo precipitoso , e tosto s'accendeva in ira. »
' di chi ha mandato già la visiera, di chi ha perduto ogni vergogna.
Cori anche nella Stor. Ili, 41.
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IL UBaO ONDBCIHO MGLl AHNAU. 261
ì polenti, in pericolo per tal novità,* non più bisbigliando ,
maisboffando alla scoperta dicevano: « Mentre lo strione'
corse per suo il letto del principe, vergogna fu , ma non ro-
vina. Ora questo giovane nobile, bello a maraviglia, vicino
al consolato, fa più alto disegno. Chi non vede di tal matri-
monio la conseguenza? » Metteva certamente paora il veder
Claudio grossolano, preda della moglie che aveva fatto am-
mazar molti. Confidavano d'altra banda per esser egli dolce,
e'I fatto atrocissimo, poter* far prima uccidere che accusa-
re. Ma il fatto stare,* che ella le sue ragioni non gli dices-
se, né eziandio confessando avesse udienza.'
XXIX. E prima discorsero insieme Calisto (di cui par-
lai nella morte di Cesare) e Narciso che tramò quella d'Ap-
pio, e Fallante favoritissimo; se meglio fosse minacciarla
segretamente, se non si levava da questo amore di Silio; non
curando il restante. Poi, temendo di non ci rompere il col-
lo, si ritirarono: Fallante, per codardia; Calisto, avendo
nella passata corte imparato che le vie caute più che 1' a^*
dite mantengono in grandeza. Narciso slette in proposito,
ma procurò che ella non penetrasse né l' accusa né V accu*«
satore : e aspettando l' occasione, dimorando molto Cesare
in Ostia; strinse due sue molto usate femmine a darle l' ac-
cusa, donando, promettendo, mostrando che, cacciata que-
sta moglie, salirebbono in cielo. ^
XXX. Calpurnia, una di queste, tosto che n'ebbe V agio,
abbracciate le ginocchia di Cesare, gridò: «e Messalina s'è
rimaritata a Silio. Non l' hai tu inteso, Cleopatra? » (che era
l'altra quivi ritta).— «Ben sai che si, ho.» — Egli fece ve-
' per tal novità. Intendi : I polenti (cioè, Callisto , Narciso , Fallante ec.)
che , a un volger di cose , aveano da temere ec. Lat : m ilii quos penes petenti»
et, ai res verterentur , formido ec. *
S lo striones cioè Mnestero, di coi ha parlato sopra e. 36.
I poter: forse dee dire poterla, cioè. Messalina.
* Jlfa il/atto stare. Il Lat. : m sed in eo discrimen verti. m
B che ella le sue ragioni non gli dicesse ec. Il postillatore dell'esemplare
Nestiano di G. Capponi, in an foglietto volante appmita cosi : « Scuro e lungo;
però direi cosi più breve e chiaro ; che ella né difendendosi né confessando avesse
odierna : oppure s che ella non gli potesse dir le sue ragioni, né eaiandio confes-
sando avesse udiensa. »
* salirebbono in cielo, crescerehbono molto in potensa.
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263 IL LIBftO UNDPCIHO DttOLI AlltfAU.
Dir Narciso, il qnale disse: « Perdonami, se io più che Ye-
7Ì0 e Plaa2io ho chiasi gli oc^hi,^ né anche ora gli adalteri
t'accnserò. La cosa è qai: lasciagli la casa, i serri, V arredo
in mar ora, e rendati la moglie: straccisi la scritta del ma-
trimonio : non lo sai to che Siilo ha sposala Messalina co-
ram popolo, senato e soldati? e se troppo balocchi,* Roma
sarà di qaesto marito bello. »
XXXI. Chiamò allora Tarranio caro sovra lotti, prov-
veditor dell' abbondanza, e Losio Gela generale della guar-
dia, e disse : « È egli vero? » dissero « SI » e ogn' uno quivi
romoreggiava che andassi in campo, fermasse quivi soldati;
s'assicurasse prima, e poi gastigasse. Certo è che Claudio
per lo spavento domandava a ogni poco : a Chi era imperar
dorè, egli 0 Sllio? » Ma Messalina piò sfrenata che mai, fa-
ceva in casa le maschere de' vendemmiatori nel buono del-
l'autunno: ' pigiare, svinare, femmine di pelli cinte saltare,
quasi furiose baccanti 0 sacrificanti. Ella tutta scapigliata,
brandiva il tirso, e Silio aliatole, cinto d'ellera, in calzaret-
ti, civettava col capo, fàcendoglisi intorno con grida diso-
nesta danza. Dicono che Yezio Valente, per capriccio, inar-
picò sopra un alto arbore, e domandato « Che vedesse, » ri-
spose: «t Venire di verso Ostia un tempo nero. » Fosse vero,
0 venutogli detto, indovinò.
XXXII. Vennero da ogni banda messaggi, non pure
romori,* che Claudio sapeva tutto, e veniva difilato al gasti-
go. Laonde Messalina si ritirò nel giardino di Lucallo;' e
* Pia che Fetio e Plaitùo ho chiusi gli occhiAÌ Lat. ha: « fo peniam
in prcBteritum petent, quod ei cis Vettios, cis Plaiitios dissimtdavisut. »
Qaesto luogo è trariamenta inteso : V interpretaBione più piana par quatta : Gli
chiese perdono dell'essersi ferteato (nel denuDsiargli gli adalteri di Messalina) ai
Veài e ai Plaaiii, aè d'avere osato di scoprirgli anche questo assai pia potente
e gi2i console designato.
' balocchi, indugi; stai irrisolato.
B ma Messalina pia sfrenala ee. Datit m Kesaalitat che non sapeva an-
cor Balla di queste cose, e più che mai esercitava la soa lascivia e sfacciatetfa,
essendo di gik a messo autunno, celebrava per U sua casa li festa della vendem-
mia, n
* non purè rumori, fi pure non ci ha che fate. H Lat ha: m non ramcr
interea, sed undigue nuntii incedimi. »
S Quel giardino, per cui ingordigia aveva fatto morire Asiatico.
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IL UBRO UMOBGOIO DB6LI AIWALL 263
Silìo (per non mostrar paura) a' suoi ofici de' magistrali. Chi
faggi qoa e chi là. Comparvero i centorioni, e presero i fog-
gili fuori, o nascosi, secondo cbe s'avvennero. Messalina,
benché per l'avversità fuor di se, prese animo d'incontrar
il marito e mostrarglisi; il che le avea spesse volte giova-
to; e mandd Britannico e Ottavia ad abbracciar lor padre, e
Vibidia la più vecchia vestale ad impetrarle perdono, come
pontefice massimo. Intanto ella con tre soli (si tosto pian-
tata^ fu) passò Roma a piede dall'una parte all'altra: prese
una carretta da nettare orti, e si mise in via d'Ostia, senza
ìncrescerne a persona per si brutte scelerateze.
XXXIII. Cesare nondimeno temea molto dellsj fede di
Geta generale, al bene come al male, volt^^le di leggieri.
Onde Narciso volto a^ compagni al medesimo pericolo,' disse:
«Cesare non potersi salvare, se non dava a uno di loro li-
berti, per quel di solo, tutta la potestà di comandare a' sol-
dati. » E offerissi a prenderla. £ perchè andando a Roma,
non facessero L. Vitellio e P. Largo Cecina piegar Cesare a
misericordia, gli dimandò e ottenne d'entrar seco in cocchio.
XXXIY. Molto si disse che (ora abbemìnando il prin-
cipe la ribalda moglie, ora ricordando le sue dolceze e
qne'figliolinì) Vitellio non disse mai, se non: « Oh gran
cosa ! oh sceleraleza I » Narciso gli faceva instanza che
parlasse chiaro, e si scoprisse. Ma non fu vero che' da lui
né da Cecina traesse che parole moze e doppie. Appariva
già Messalina e gridava: « Ecco la madre d'Ottavia e di
Britannico; odila: » e Narciso le copriva la voce, sclamando
di Silio e delle noze, e diverti Cesare dal guatarla, dando-
gli a leggere una listra di sue disonestadi. AffacQfavangU alla
porta delia città i comuni figliuoli: e Narciso gli fé' levar
via. Non fu riparo che Yihidia* non chiedesse agramente,
che non facesse morire la moglie senza difesa. Dissele che
* piantata, abbandonata bruscamente e viDanamente.
' compagni al medésimo ec, del medesimo o nel medesimo ec.
* Ma non fu vero che ec. Vedi simile locazione, Ann. I, 37. Non potè
trarre da lui.... se non parole ec.
* Non fu riparo che Vibidia, Non potè impedire a Vibidia che non
chiedasi* ce.
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264 IL LIBRO DNDBCniO DEGLI ANNALI.
qilkella sarebbe udita e potrebbe scolparsi : andasse alle sue
devozioni.'
XXXV. A qaesto,* Glandìo panre malolo, Vìtellio stor-
dito; il liberto era il tatto. Fece aprire la casa di Silio, en-
trarvi r imperadore. Mostragli prima nell'andito la statua
del padre di Silio, già dal senato sbandita : ' poi quante spo-
glie ebber mai i Neroni e i Drasi essersi date in pagamento
delle sae corna.* Accesolo d' ira e di maltalento, il mena in
campo a parlare assoldati clie l* aspettavano. Disse poco,
imboccato da Narciso : e non poteva per la vergogna espri-
mere ingiusto dolore. Andavono al cielo le grida delle coorti,
chiedenti e '1 nome e 'l gastigo de' colpevoli. Sìlio condotto
al tribunale, non tentò difesa: pregò cbe lo spacciassero.*
Con la medesima forteza d' animo sollecitaron gli altri illu-
stri cavalieri romani la morte, alla quale furon menati : Ti-
zio Proculo dato da Silio a Messalina per guardia;^ e Vezio
Valente, confessante e offerente nominare altri; e Pompeo
Urbico e Saufello Trogo, consapevoli; e Decio Galpurniano
capo delle guardie di notte; e Sulpizio Rufo, sopra il festeg-
giare ; e Giunco Virgiliano senatore.
XXXVI. Solo Mnestero la indugiò un poco, perchè strac-
' andasse alle site devoùonù II Lat. > « sacra capesseret, »» Non potea
meglio tradarsi , a far sentire la noia di Claudio pel chiasso di qnesta Tecchia e
santocchia.
' A questo. Il Lat. : « inUr hac. » Il Volpi e il Nesti a queste, e il postil-
latore dell'esemplare Nestiano di G. Capponi, fa una chiamata, e aggiunge cose.
Ma a queste potrebbe stare anco senza cose, se immediatamente non precedesse
la parola devozioni, che farebbe anfibologia. Non credo d'aver troppo osato, re-
stituendo j4 questo.
S Silio suo padre, luogotenente della Germania superiore, fu colla moglie
Sosia Galla condannato di maestà (Ann. IV, 19) , e abbattute le immagini, che
fu colpa pel figlio d'avere restituite.
* in pagamento delle sue coma. Plebeo I Meglio il Dati : « che Messa-
lina, per premio e mercede dell'adulterio , aveva a Silio tutte quante donate. «
Lat. M in pretium protri . »
8 che lo spacciassero , che lo mandassero presto alla forca.
0 per guardia. « Si legge spesso in Tibullo, Propenio e Maniale de' cu-
stodi dati alle mogli. Essi trovavansi non di rado infedeli, com'è naturale; e
Giovenale n'accenna alla Sat. VI, v. 345:
Àudio quid veteru olim moneatit amici ,
Pone uram, eohibe , »«d quid eustodiet iptos
CuHodoi? cauta ut, etaà Ulis incipit uxor. »
(R. Pastore.)
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IL LIBBO ONDECIMO DKQLl AlQfAU. 265
ciatod i panni gridava: « Guardasse Cesare i segni delle ba-
stonate:* ricordassesi quando gli comandò che ubbidisse Mes-
salina. Gli altri avere errato per gran pr^mii o speranze;
egli a viva forza: e se Silio regnava, il primo era egli a mo*
rire. )» .Mosse Cesare per natura tenero a perdonargli; ma i
liberti non voHero « che, tra tanti grandi uccisi, rispettasse
un giocolare: per forza o per amore , peccato grandissimo
avea.» Meno fu accettata la scusa di Traulo Montano cavalie-
re, modesto giovane, bellissimo, di essere stato chiamato,
una notte sola giaciuto, e cacciato; essendo pari in Messar
lina spasimo e fastidio. Salvaron la vita, a Plauzio Laterano
il merito grande del zio,' e a Suilio Cesonino i vizi suoi,
avendo servito per femmina in quel vituperoso baccano.
XXXYII. Messalina intanto nel giardino ' allungava sua
vita; componeva suoi preghi; veniva quando in isperanza,
quando in collora. Tanta superbia in tanto estremo ritene-
va 1 E se Narciso non era destro e sollecito, la morte tor-
nava Jn capo a lui; perchè Claudio, tornato in casa, e con
vivande straordinarie indolcito e riscaldato nel vino: cr Fate
intendere a quella poverella » (cosi disse) « che venga do-
mani a difendersi. » Per questa parola vedendosi Tira alle-
nare, tornar l'amore; e temendosi della notte vicina e del
letto; Narciso subito ordinò a*centurioni checcrammazasse-
ro^: cosi comandava Tin^peradore; e Evodo liberto andasse a
fare esequire.)» Corre al giardino, trovala per terra stramazata
a' pie di Lepida sua madre, che nella felicità Fabborriva, e
nella miseria n'ebbe pietà: e consigliavala « non aspettasse
l'ammazatore; spacciata era: pensasse a far morte onorevole.»
Ma in quell'animo guasto per le libidini, non capea onore:
duoli e pianti.* Eccoti i soldati dar nella porta e abbatterla.
Comparille addosso il tribuno senza parlare, e il liberto che
le disse villania da cani.
* bastonate^ fattegli dare da Messalina , quando non era pronto alle sue
libidini.
« Vedila Vitad'Jgr.U.
-' ne/ i^'artfino Luculliano.
* duoli e pianti. Il postillatore dell'esemplare Nestiano di G. Capponi,
aggiunge senza prò. E veramente il testo lo chiederebbe {questut irriti)j ma
non «o se sia correcione, o restituiione sulla fede de'Mss.
I. 23
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M6 IL LIBRO CNDEGIMO DEGLI ANNALI.
XXXVIII. Allora conobbe la saa fortana, e prese il fer-
ro e (iroBsi alla gola e al petto invano, perchè la mano le
tremò: il tribano la trapassò di stoccata. Il corpo si donò alia
madre. A Clandio.che mangiava, fo detto, Messalina esser
morta; non, se di saa mano o d'altra: ned ei lo cercò; chie-
dette bere, e segoitò la cena all'osato. I giorni appresso non
fece segni d'odio, ira, dolore, allegreza, o d' alcuno ornano
affetto: non quando vedeva gli accasanti gioire; non quando
i figliuoli lacrimare. Il senato ancora l'aiutò a dimenticarse^
no, perchè ordinò si levasse il nome e l'effigie di lei é'ùgm
luogo publico e privato. A Narciso furon date le insegne di
questore; cosa di niente a lui,* divenuto il primo della corte,
dopo Fallante' e Calisto; orrevole nondimeno: ma partorì pes-
simi effetti senza gastigo.*
' a lui» Alcuiii lesti hiiino : « ievissimum/aétigii tiusj • piccola cosa i
sua grandesza. Ma altri meglio : m fastidii eiusj • alla sua arroganza.
' dopo Fallante, hègf^t mseewtndttm Pallantem.n Altri testi: m sujira
PaiUntem. m Se questa lesione h Tera , mal li può immaginare a che salissero
gli onori e la potensa di questo infame liberto , dopo aver letto ciò che Plinio
(Ep. VIII^ 8 ) racconta degli onori fatti dall'abbietto senato a Fallante.
' sensa gastigo. Légge « tristiUis inultis. » Ma il mediceo laurenziano
ha mtrUtitiis multisjn con molte ribalderie. Il Bnrnoof legge « tristitiis mot»-
tis^m e riferendo mjffometta quidem ec. *• alla morte di Messalina, interpreta die
essa fu giusta e meritata, ma che partorì pessimi eflPetti, non essendosi fatto che
mutare ribalderie. E in vero ne se^ui il matrimonio incestuoso di Claudio, come
narrasi nel libro appresso.
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IL LIBRO DUODECIMO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
L GUadio ti rìsoWe d'ammogliarsi, incerto tra LoDia Paolina, Giulia
Agrippina, ed Elia Petina. — III. Vince Agrippina da Pallante e da suoi Yeni
aiutata. Decide il senato legittime le nozie tra zio e nipote. — YIII. Sillano
noódesi : la sorella Calvina scacciata d'Italia: Anneo Seneca richiamato d'esi'
lio.— IX* Ottavia figlia di Glandio sposata a Nerone. — X. Chiedono a Roma
i Parti re Meerdate che in battaglia e vinto da Gotarze : muore ornesti : sno-
cede Yonone, poi Yologese. — XV. Tenta Mitridate di riavere il regno di
Ponto: vinto, è tratto a Roma. — XXII. Lollia e Calpnniia in piai per Fodio
d'Agrippina. — XXIII. Rinovato P augurio di salate: esteso il pomerio di
Roma : suoi vecchi confini. — XXV. Nerone adottato da dandio. — aXVII. Co>
Ionia portata nella terra degli Hbn per onorare Agrippina. I Catti fatti ladri
son vmti. — XXIX. Vannio re svevo cacciato di regno. — XXXI. Fatti di
P. Ostorio in Rretagna: rinto Carattaco, morto Osterie, subentra A. Didio. —
XLI. Viril tosa affrettata a Nerone. Rrìtannico posposto per mena d' Agrippina.
— XLII. Prodigii in Roma, e carestìa. — XLiV. Armeni e Iberi in guerra.
Parti e Romani in gran tumulto tra loro. — LII. Furio Scriboniano in esilio:
indovini cacciati d'Italia.' — LUI. Decreta il senato pena a donna che si con-
giunge a schiavo. Premio a Pallante spacciato da dandio trovator della pro-
posta.— LIV. Quota dalle turbolenze la Giudea, condannato Cornano. — LV.
Antioco seda i torbidi Clitì. — LVI. Claudio dopo rappresentar guerra navale
dà scolo al la^o di Rossiglione. — LVIII. Perora Nerone la causa degl'IIiesi
e de' Bolognesi : soccorsa la colonia bolognese arsa: resa libertà a'Rodiani:
rilasrìato per cin^e anni il tributo agli Apamicsi. — LIX. Statilio Tauro da
Agrippina rorinato. — LX. Stabilita P autorità de' procuratori nelle provincie.
-— LaI. Immunità a' Coi. — LXII. A' Bizantini cinqu'anai di tributo rimessi.
— -LXXV. Spessi prodigii: intimasi morte a Lepida. — LXVI. Claudio infer-
masi : Agrippina non perde tempo, e con fonghi avvelenati l'uccide. — LXIX.
Agrippina colle bnone distratto Britannico, proclamasi imperador Nerone.
Celesti onori a Claudio.
Cono di iti mhU.
,. « , ,. ^ .ft» ^ « i C. PoMP^ Longino Gallo.
An. di Roma DCGQi. (di Cr. 49).— CoiifoW. j ^ vmiwiQ
C. Antistio Vktbu.
M. SUOLID NbBVUUIIO.
An. di Roma DCCCni. (di Cr. 50). ^Consoli. |
An. di Roma Dccav. (di Cr. 54). — CoiifoI^. |
Ti. Claudio Cbsahb V.
SSB. COBNBLIO OBVITO.
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268 IL LIBRO DUODECIMO DEGLI ANNALI.
An. d. Bom. IMXCV. (<h Cr. 52).-C«»ol.. j i_ g^^^^ «^^^ ^^^
A».aiB«n..KXC..(aiO.«5,.-WoH. } J^^» — IIIÌ^L.
An. di B<^. noce™, (di Cr. M)._C«n«.«. | ^.^Zl^'^;
I. La morte dì Messalina rivolse la corte, ^ gareggiando
i liberti per chi dovesse dare moglie a Claudio, sottoposto a
non potere star senza, e da qaelle ' esser dominato. Più ar-
dente ambizione era nelle donne, mostrandosi ciascuna bella
e nobile e ricca e degna di cotanto marito. Le più innanzi
erano Lollia Paolina ' figliuola di M. Lollio,* stato consolo; e
Giulia Agrippina di Germanico. Questa proponea Panante;
quella Calisto. E Narciso, Elia Petìna de'Tuberoni. Claudio
ora a questa, ora a quella, secondo che udiva, voltandosi,
gli chiamò tutti a dire le ragioni.
IL Narciso raccontava l'antico matrimonio,^ la casa co-
mune, avendo di lei avuta Antonia; la famiglia non senti-
rebbe mutamento, se vi tornasse la moglie solita, che non
ha cagione d'esser matrigna a Britannico e Ottavia; ma di
tenergli cari come propri. Anzi Lollia ( diceva Calisto) li
terrà per figliuoli, che ninno ne ha: né stata è rimandata
come colei, la quale, ritornando, tanto più fia superba e ritro-
sa. Ma Pallante lodava sopratutto in Agrippina, il tirarsi die-
tro il figliuolo nipote ^ di Germanico, degno veramente d'im-
* rivolse la corte. Dati: « la corte del prìncipe veaae in dbcordia. »
^ eda quelle i cioè, dalle moglL
> Lollia Pan/ma. Plinio (H. N. IX, 35) racconta cose incredibili del lusso
di costei: « Io vidi (dice) Lollia Paolina che fu moglie di Caio (Caligola) impe-
radore^ non già in qualche grave e solenne apparato di sacre cerimonie, ma
•anche ad una cena di povere nozse, coperta di smeraldi e di perle, con ricchis-
simi frammessi in tutto il capo, ne' capelli, ne' ricci, agli orecchi, al collo,
alle braccia, alle dita: tanto che non aveva addosso meno di quattrocento mila
sesterzi; ed era sempre pronta a mostrarne carta. ìXk questi erano doni dello
stemperato principe, ma beni di eata, graffiati nello assassinio delle provinde. »
* Figlio di quel M. LoIIio ricordato da Orasio , Od. IV, 9.
' V antico matrimonio, Elia Petina era stata già moglie di Claudio, poi
ripndiat^per lievi cagioni. N'ebbe Antonia, che fu poi fatta morire da Nerone.
s tt/pole ee. ; cioè, Nerone, che fu poi imperatore, avuto dal primo marito
Domixio.
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IL LIBRO DCODBCmO DEGLI ANNALI. 269
peno, stirpe Claudia, la quale questa giovane feconda accre-
scerà, unirà, né il chiarore de' Glaudii Cesari porterà in altra
casa.
IIL Furono queste ragioni le più entranti e aiutate dal-
l'arte, spesseggiando Agrippina di visitare, quasi per obbli-
go,^ il zio: e tanto sopra l'altre il prese, che ella procedeva
da moglie prima che fosse; e quando ne fu certa, pensò più
olire, d'ammogliar Domizio suo figlinolo e di Gn. Enobar-
bo, con Ottavia figliuola di Claudio ; che non si potea senza
Beandolo; avendo Claudio già lei a L. Sillano sposata, e fatto
dal popolo conoscere e amare questo genero grande per se,
illustrato d' insegne trionfali, e per lo rappresentato spetta-
colo degli accoltellanti. Ma ogni cosa era agevole con quel
prìncipe buono, scipito, da essere imboccato e comandato. '
lY. Vitellio adunque (come censore sue maligne viltà
ricoprendo) per entrare in grazia d'Agrippina, che vedea
venir padrona, s'impacciava de' suoi segreti: le rapportava
novelle centra Sillano e Giulia Calvina sua sorella, bella e
lasciva, stata nuora poco prima di esso Vitellio. Venne poi
all'accusarlo, non d'aver fatto con la sorella peccato, ma
mal celato d' averle voluto bene. Cesare non fu sordo a' so-
spetti del genero, strignendolo più la figliuola. Ma Sillano
non sapendo queste girandole ' (e anche era pretore in quel-
l'anno) per editto di Vitellio si trovò casso del senato, ben-
ché lasciatovi prima nel lustro nella scelta de' senatori;* e in-
sieme Claudio gli disdisse il parentado:' fu fatto renunziare
la pretoria, e la fini Eprio Marcello.*
V. [A. di R. 802, di G. 49.] Entrati consoli Gaio Pompeo
e Q. Veranìo, il matrimonio tra Claudio e Agrippina, già
* guati per obbligo. Qui Beniardo ha peicato un granchiolioos perche
mper speciem necejsitudinis » non vale « per obbligo, » ma « sotto pretecto di
parentela. »
> buono j scipito j da essere imboccato ec. U lat. : « cui non iudicium,
non odium erat, nisi indita et iussa, »
' non sapendo queste girandole: questi raggiri. Lat. ; « insidiarum iiew
seitt». »
* benché lasciatovi ec. Valeriaoi: « benché fossero i senatori già scelti
e compiuto il lustro. *•
S il parentado j cio^ , il matrimonio con Ottavia.
« Spione famoso. (Vedi Stor. II, 53. Dialog. d, 8» 13.)
23*
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270 IL LIBEO DCODBCIMO DBOLI ANNALI.
per fama e per Io scelerato amore y tenuto per fatto, si con^
chiose: non però ardivano far le noze, non essendosi più
adito, un zi6 menare la figliuola d'un fratel carnale; e te-
mendo di pubblico inconveniente, se peceajto tale si sprezas-
se. Yitellio tolse a cavarne le mani, * e domandò Cesare, se
si lasserebbe consigliare dal popolo o dal senato. Avendo ri-
sposto esserci solamente per uno, ' né poterne più di loro,
disse che Vaspettasse in palagio. Entra in senato, e cbie-,
sta la prima udienza* per cosa che importava allo stato, in-
comincia: « Le gran fatiche del principe che regge il mondo,
doversi sgravar delle cure di casa, perchè si dea tutto alle
pubbliche. £ chi meglio ciò poter fare,* che una di tutti i
beni e mali consorte? a questa dover fidare i segreti M
cuore, i teneri figliuoli, esso che non conobbe mai libidini
né piaceri, ma sempre sin da piccolo ubbidì alle leggi. »
VI. Fatto cosi bello preambolo, e molto da' padri adu-
lato, seguitò: « Poiché voleano tutti che id prìncipe si rì-
desse ' moglie, doversi scorre la più nobile, feconda e santa:
tale essere, senza altra cercare. Agrippina: ninna di sangue
si chiaro: aver fatto figliuoli: vedersi colma di virtù, e ab-
battersi, per divin volere, a esser vedova* per maritarsi a
prìncipe, che mai non isposò moglie altrui. Avere udito
da' padri, veduto essi, i Cesari tòrsi T altrui donne a lor pia-
cimento: questi usare altra modestia: insegnare agli altri im-
peradorì di cosi prenderla. ^ Se sposare figliuola di fratello è
^ tolse a cavarne le mani^ si pose a Toler dar capo alla cosa; a volerla Soire.
' esserci.», per uno, contare per uno. Dati: « esso solo non essendo più
che un cittadino, non era bastante a resistere al consenso universale di tutta la
fitta.»
' la prima udienza j cioè, avendo chiesto grasia di parlar primo.
* Echi meglio ciò poter Jare te. Valerìanii «* Or qual soIlieTO più one-
sto all'animo d'un censore...... che donna assunta a compagna d'ogni for-
tuna T ec. m
* si ridesse^ si desse di nuovo.
> vedova di Crìspo Passieno, a cui aveva dato la mano dopo la morta d|
Domixio.
f di così prenderlaj cioè , com* egli dovessero pigliar moglie. « Nd Mi,
Soimtino v'è un vuoto tra imperator e acciperétt si potrebbe empier quel vuoto
così: « quo uxorem imperator fratrie fliam acciperet: m infatti nel numero 7
si legge che Claudio chiese al senato decreto: « quo insta inter patruos frttm
trnmquejilias nupUts statutrgntur. m (R. Pastore.)
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IL UBBO DOODBCmO DEGÙ ANHAU. 271
nnoYo a noi, ad altre genti esser solenne, da legge ninna
vietato. Esserei gran tempo astenuti dalle cugine; ora spes-
seggiarsi. L'nsanie accomodarsi al bisogno: col tempo verrà
in oso anche (jnesta. »
YIL Vi faron di quelli che protestando, se Cesare la
tentennasse, * d'andare a fargliele ' far per forza; usciron di
senato con furia. Vari mucchi; gran calcavi concorre,* gri*
dando: il medesimo chiedere il popol romano. E Claudio
senza tardare s'appresenta loro nel foro, e accetta il buon
prò. Entra in senato, e sollecita il partito, che tra zio e ni->
potè di fratello si possa far ^uste noze, e ancora per l'av*
venire. T. Allodio Severo cavalier romano per acquistar la
grazia (diceano d'Agrippina) fu solo a bramare tal paren*
tado.* Quindi si mutò il tutto. Governava una donna; né
per disonestà, come Messalina, si faceva giuoco dello stato;
ma si facea servire, non come donna, e come da schiavi.*
Era in^ publico severa, spesso superba; in casa onestissima,
se non se per regnare: d'oro avidissima, (diceva) per sov-
venire il regno.
YIIL Sillano s'ammazò il di delle noze,* o per aver
smo a quello sperato, o scelse quello per concitar più odio.
Calvina sua sorella fu cacciata d'Italia, e Claudio ordinò
farsi i sagrifizi del re Tulio, e le ribenedizioni de' pontefici
* se... la tentennasse. Lat. : «W cunctaretnr.n Tentennarla o Stare in
tentenne vale Micie incerto, titubare, vacillaTe , dubitare, e simili. Vedi il Yarohi,
Ercolano,
* y**"^^'*'** fargli ciò.
* Fari mucchi j gran calca 9i concorre. Il lat ha : « conglobatur prò»
mUeua malUttuiej m ctob, affollasi alla rinfusa una bordaglia, gridando ee.
* fu solo a bramare tal parentado, fa il solo che si mostrasse desidc*
roso di seguire l' esempio di Claudio, pigliando una nipote. Svetonio, in Claud.
e. S6; «• Né a fatica messe un di in messo dalla predetta deliberasione , ch'egli
fe eelcbrare le notca : n^ si trovò alcuno che in ciò Y imitasse, salvo che un certo
libertino ed un soldato primipilare; alle nosae del quale egli in persona con la
sua Agrippina si ritrovò. *•
S ma si facea servire , non come donna, e come da schiavi. Lat.; « ad"
duetum, et quasi virile servitium. m Cioè, fu un servaggio di rigore, dtauste-
lit^^ e quasi virile.
* s'ammasò ec. Svetonio, in Claud. e. 29 ; « Sillano fu costretto a di*
poTTe la pretura , quattro giorni avanti alle calende di gennaio) e cosi venne a
morire nel principio dell' anno , e nel giorno medesimo nel quale le noase sue e
d'Agrippinft furono celebrate. »
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273 ' IL LOBO DUODECIMO DEGLI ANNALI.
nel bosco di Diana, per lo 'ncesto di Stilano con la sorella;
rìdendosi ogn' nno, che in tal tempo si ponissero e pnrgassot)
gr incesti. Ma Agrippina per farsi conoscere anche per buone
opere, fece ad Anneo Seneca perdonar l'esilio,* e farlo pre-
tore, pensando di far cosa grata al poblico, per essere gran
letterato, e far Domizio * allevar da tanto maestro, e valersi
de' suoi consigli, per arrivare al principato, come fedele per
lo beneficio, é avverso a Claudio per l'ingiaria.
IX. Parve da non indugiare: e con gran promesse in-
ducono Memmio PoUione, eletto consolo, a dir sua sentenza,
che Claudio sposasse Ottavia a Domizio. L'età s*atlàceva: e
ne seguirìeno cose maggiori. PoUione, quasi con le stesse pa-
role che poco fa Yitellio, fece l'uficio: segue reffetto: cosi
Domizio di parente è fatto sposò e genero, e pari a Britannico
per li favori della madre, e per le arti detti accusatori di
Messalina, che temevano non il figlinolo li gastìgasse.
X. In questo tempo gli ambasciadori de' Parti (mandati a
chiedere, come dissi,' Meerdate) entrati in senato, espon-
gono: « Yéììir bene scienti di nostra colleganza: non ribelli
di casa arsacida, ma per riavere il figliuolo di Vonone, ni-
pote di Fraate, che gli liberi dalla tirannia di Gotarze, in-
tollerabile a' nobili e a'plebei. Avere uccisi loro i fratelli, i
vicini e i lontani; insino le donne pregne e i bambini, per
ricoprir con la crudeltà l' esser suo, dappoco in casa e sgra-
ziato in guerra. Richiedere Y antica publica amistà, che noi
soccorressimo i compagni nostri, emoli di possanza, ma ce-
denti per riverenza. Darsi, non per altro, li figliuoli de'lor
re per ostaggi, che per poter, quando son retti male, man-
dare al principe, e a' padri per un re buono, uscito di loro
scuola. »
XI. Cesare all' incontro parlamentò dell' alteza romana,
dell'osservanza de'Parii: essergli, come al divino Agusto,
ehiesto il re/ E non fiatò di Tiberio che l'avea mandato.
' t esilio. Scocca , dopo la questura , fu da Claudio rilegato in Conica,
per sospetto di adulterio con Giulia figlia di Germanico, moglie di Vinicio s de*
litto impancatogli da Messalina. (Lipsio.) — • Fu richiamato dopo otto anni
' JDomiMio, Nerone.
> come disti, nel lib. piecedente , e. 10.
* essergli, come ai divino Jgitsto, chiesto il re ec. Dati; « • « Cmm
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IL LOBO DOODBCIMO DEGÙ AMIIAU. 273
Meerdate, ehe presente era, ammoni che, <t Non pensasse
dominar que' popoli come schiavi, ma reggerli come citta-
dini, con clemenza e giustizia: cose quanto meno conosciate,
tanto più accette a' barbari. » YoKosi alli ambasciadori, lodò
a cielo «e questo allievo di Roma, pieno di modestia; ma do-
versi qualche cosa comportare a' re, e non esser utile scam-
biargli tutto di: noi esser tanto colmi di gloria, che vorremmo
vedere ogni altro stato quieto, n A Gaio Cassio,* reggente la
Seria, ordina che conduca il giovane in riva d' Eufrate.
XII. Era Cassio in legge lo più ammaestrato di que'tem-
pi, che l'arti della guerra giacevano per la pace, la quale
stima gli oziosi quanto i prodi. Nondimeno, quanto senza
guerra poteva,* rimetteva i modi antichi d'esercitare i sol-
dati, pensare, provvedere, fare come se '1 nemico assa-
lisse; parendogli cosi esser degnità de' suoi maggiori, e di
casa cassia, da quelle genti ancora celebrata. Fatti dunque
muover quelli che avean fatto chiamare il re, accampatosi
a Zenma,' dov'è più agevole il passo; quando comparvero i
grandi de' Parti, e Abbarore degU Arabi, Cassio ricordò a
Meerdate, sollecitasse sua impresa; perchè i barbari si muo-
vono con furore e, tardando, allentano o tradiscono. Non ne
fece capitale* per inganno di Abbaro, che il giovane non ac-
corto e stimante che l' esser re stesse nel vivere con gran
lusso, trattenne molti di nella terra di Edessa.' E chiaman-
dogli Carrene con dire che ogni cosa era presta , venendo
presto; non vanno per la corta in Mesopotamìa," ma girano
per l'Armenia che si dovea, cominciando il verno, fuggire.
XIII. Stracchi per le montagne e nevi, si congiungono
Aagvsto s'agguagliava, raccontando che sotto P imperio di qnello, Tennero i
Parti ancora a domandargli on re: e di Tiberio si Ucque, sebbene egli ancora
aveva mandato loro un simil re. »
* Gaio Cassio. Vedilib. VI, 15.
* quanto senta guèrra potevaj cioè , quanto egli poteva in un tempo in
coi non V* erano guerre.
' Zsuma era sul passo dell'Eufrate, e da ciò pigliava il nome ({su/ta,
iunctura). Oggi, Tschychme o Zima.
4 Non ne fece capitaUj non curò il consiglio.
5 Edessa: oggi, Orfa nella Mesopotamia.
* Mesopotamia k il paese tra l'Eufrate e il Tigri (/jis90s, messo; itOTOiiiOi,
fiume).
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274 IL UBRO DOODBCmO DEGLI ANNALI.
con la genie di Garrene vicino alla pianura: passano il Tigre,
e attraversano li Adiabeni,^ lo cui re Giuliate,' che facea
r amico di Meerdate, in segreto tenea da Goiarze. Presero
per viaggio la città di Nino,' sedia antichissima dell' Assiria,
e il castello famoso ove Alessandro con Bario combattè» e
abbattè la potenza di Persia. Gotarze intanto nel monte Sam-
bulo sagrificava agli iddii del luogo, ov'è in maggior devo-
zione Ercole, il quale in sogno mostra a' sacerdoti, che a
certo tempo menino al tempio i loro cavalli a ordine per la
caccia ; i quali, caricati di turcassi pieni di frecce, corrono ,
per boschi , e di notte tornano con molto ansare, co' turcassi
voti; e lo iddio di nuovo mostra loro in sogno in quai boschi
corsero, e trovanvisi sparsi i salvaggiumi per terra.
XIY. Ma Gotarze, non avendo bastevole esercito, si fa-
cea del fiume Gonna riparo. Sfidato a battaglia, e punto per
trombetti e affronti, metteva tempo in mezo, mutava luoghi,
mandava ai nimici moneta, perchè facessono tradimenti Tra
gli altri Ezate * Adiabeno, e Abbaro re arabo, se ne vanno
con gli eserciti, per loro poca levatura f*^ essendo chiaro per
isperìenza, che i barbari corrono a chiedere da Roma i re, e
poi non gli vogliono. Meerdate, di si forti aiuti spogliato, e
degli altri insospettito, deliberò, non potendo altro, rimet-
, tersi alla fortuna, e combattere: e Gotarze inferocito per li
scemati nimici, accettò. L'affronto fu sanguinoso e dubbio
sino a che Garrene scorso troppo dietro a una parte fuggente,
da un' altra fresca fu circondato. All' ora Meerdate perduta
ogni speranza, fidatosi di Parrace, creatura del padre, fu da
lui preso e dato al vincitore: il quale dicendogli non parente
* ^A*a&eNiy Kurdistan.
3 Gìuliate,Uate.
' la città di Nino. Secondo T Ordii, questa è la Minive adiabcDayche Ta-
cito confonde colla Ninive, antica capitale dell* Assiria, una parte delle cui rovine
furono scoperte nel 1843 da Paolo Emilio Botta , figlio dello storico.
^ Ezate ^ Tsate.
' per loro poca levatura, per la leggerezsa propria di quella gente. Lat t
« levitate gentili. » Di poca levatura dicesi colui che ci vuol poco a solltvmrgli
P animo specialmente all'ira; che per ogni lieve cagione si muove. « t* donne
(dice il Varchi nella Suocera ) hanno poca levatura per l'ordinario, e sono fatte
come i fanciulli che s* adirano per ogni piccioli cosa. » U p<^oIo toscano chiama
uomo di poca levatura chi ha poco ingegno.
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n. imo DCODBCIMO DBGII ANNALI. 275
né arsacida, ma forestiero e romanesco, gli mozò gli orec-
chi, e lascioUo andare a mostra di sua clemenza, e nostra
onta. Mori poi Gotarze, e fa chiamato al regno yonone,che
goyemaya i Medi. Poco yìsse, e nulla operò. Saccedetteli
Yolgese sno figliuolo.
XY. Andando disperso Mitridate bosforano,^ e yedendo
partito Didio* capitano romano, col forte dello esercito, con
ayer lasciato Coti * gìoyane, non esperto in regno nuoyo, con
poche coorti, sotto Giulio Aquila cayalier romano, sprezati
ambidue; soUleya popoli, alletta sbanditi, raguna esercito, e
toglie lo stato al re de' Dandaridi;^ e staya per pigliare il Bo-
sforo. Quando Aquila e Goti intesero queste cose, e che Zor-
sme re de' Soraci era ritornato nimico; yedendosi deboli,
cercarono anch'essi aiuti di fuori, e mandarono ambascia-
dori a Eunone principale délli Adersi; mostrando loro che
Mitridate, ribello alla potenza romana, era niente. Conyen-
nero ageyolmente, e che Eunone con la cayallerìa combat-
tesse, e i Romani assediasser le terre.
XTI. Muoyonsi schierati cosi: gli Adersi alla testa e
alla coda; nel mezo le nostre coorti e i bosforani armati
alla romana. Rotto cosi il nimico, s'andò a Soza città di
Dandaria, abbandonata da Mitridate per sospetto de' suoi; e
panre da lasciaryi presidio. Entrato ' ne' Soraci, e passati il
fiume Pande, accerchiano Uspen, città in monte, con buoni
fossi e triste mora di graticci, ripieni di terra, ageyoli a
disfare. Da alte bertesche fuochi e saette lanciando, traya-
gliayano gli assediati, e se la notte non ispartiya, segniya
r assalto e la presa in un di.
XYII. La dimane mandare a off'erìr la terra e diecimila
schiayi, salyando i liberi. Troppa crudeltà parye tanti arresi
uccidere, o briga a guardargli: meglio essere spegnergli con
ragion di guerra. E fu dato il segno a' soldati, saliti con le
^ bosforana per distinguerlo diìVarmenio, di cui nel lib. precedente, e. 8.
S Didio. yedi più sotto, e. 40, e XIV, 29. Jgric. 14.
S Coti, fratello di Mitridate.
* Dandaridi: questi co* Soraci e gli Adorsi, qui ricordati , abitaTano presso
la palude Meotide (Mar d'Jxof),
S Entrato: alla latina , per entrarono
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Ì76 IL UBRO DUODECIMO DEGLI ANNALI.
scale sa le mara, di mandar tatti a fìl di spada. Lo stermi-
nio dalli Uspensi spaventò gli altri: vedendoci mandare ar-
me» ripari, laoghi aspri e alti, fiumi, città, ogni cosa a nn
piano, * e nulla sicaro. Zorsine adunque dibattutosi, ' se do-
vesse pensare al caso estremo di Mitridate, o al suo regno,
s'attenne all'utile: e dati ostaggi, si prostese dinanzi al-
l' imagine di Cesare con gloria grande del romano esercito
d'avere scorso, vincitore senza sangue, sino a tre giornale
(come si vide)' presso al Tanai.* Non ebbe nel tornarsene
egual fortuna, per certe navi traportate per mare nelle co-
stiere de' Tauri ,'^ le quali que' barbari circondarono; e ucci-
sero il prefetto, e quasi tutti i centurioni.
XYIIl. Mitridate, non avendo più arme, pensa ove tro-
var misericordia. Di Goti frateUo, statogli traditore, or «ni-
mico, temeva. Romano alcuno ivi non era d'autorità da
starsene a sue promesse. Gittasi ad Eunone, nimico suo pro-
prio, e per la nuova nostra amicizia potente; e con abito e
volto acconcio alla presente fortuna, entra in palagio, e ab-
bracciatogli le ginocchia, dice: <k Eccoti Mitridate, tanti anni
da' Romani cercato per terra e per mare. Fa della prole del
grande Achemene (il che solo non m' hanno potuto torre i
nimici) cloche tu vuoi. »
XIX. La chiareza dell'uomo, la mutata fortuna, e1
pregar generoso, commossero Eunone: levai su: lodato d'aver
eletto la gente adorsa, la destra sua, per chieder mercé: e
a Cesare manda ambasciadori e lettere di questo tenore:
« GÌ' imperadori del popolo romano, e i re delle grandi na-
zioni essersi fatti amici per la simigliante grandeza: egli e
Claudio, per la comune vittoria. Le guerre non avere piò
nobil fine che, perdonando, accordare. ^ Cosi a Zorsine vinto
niente essersi tolto. Per Mitridate, che più grave peccò, pre-
* mandare a un piano, saperare ed espugnare ugualmente. I
> dibattutosi j dopo aver deliberato tra se lungamente. |
s vide: 1* altre cdisioni vedsj con manifesto errore. j
« Tanai, detto anche Tana^ oggi Don, 6ume che divide l'Asia dall'E* i
ropa.
» Tauri ^ìTaJlZTU
A perdonando, accordare. Politi: « Generoso fine di guerra esser qneDt I
che si fa col perdonare. » I
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IL LIBRO DUODECIMO DEGÙ ANNALI. 277
gara non rendergli regno né potenza, ma perdonargli il ve-
nire in trionfo e la morte. »
XX. Claudio benché dolce con la nobiltà straniera, do-
bitò se meglio era ricevere con tal patto cotal prigione, o
ripigliarìo con Tarmi. Premevalo il duolo delle ingiurie, e la
voglia del vendicarsi: ma gli era detto: <x Che qui si vedea
guerra in paesi deserti, mare senza porti, re bizarri, popoli
vagabondi, terreno sterile; tedio ^ durando; pericolo, affret-
tandosi; poca lode, vìncendo; e gran vergogna, se si per-
desse. Che non accettarlo cosi? la vita sarebbe al meschino
continuato supplìzio. » Per queste ragioni scrisse a Eunone:
ff Che Mitridate meritava la morie, e poteva dargliele;* ma
per antico costume essere ì Romani tanto benigni a' suppli-
canti, quanto duri a' nimici:' e si trionfa de' popoli e de' re-
gni, non d' un uomo solo. »
XXI. Consegnato dipoi, e portato a Roma Mitridate da
Giunìo Cìlone procuratore del Ponto, si dice che a Cesare
parìò troppo altiero in quella fortuna, e n'andarono per lo
popolo queste parole: oc Io non ti sono rimandato, ma torno:
se no'l credi, lasciami e vedra'lo. » E quando in mezo alle
guardie fu mostrato in ringhiera al popolo, non si cambiò.
A Cìlone furono ordinate le insegne di consolo, ad Aquila
di pretore.
XXII. In detto anno Agrippina, contro a LoUia, che
seco avea conteso il matrimonio del principe, inviperata,
le trova cagioni e accusatore d'aver sopra quello doman-
dato caldei, ' maghi e Apollo clario.* E Claudio senza udir
lei, disse in senato molto della sua nobiltà: ce Nata di sorella
di L. Yolusio; bisnipote di Cotta Messaline da canto di pa-
dre; stata moglie di Memmio Regolo, d Di Gaio che la ri-
mandò non volle dire; ma aggiunse « aver mali pensieri
* dargliele: solito fiorentinismo che fa serrire il suffisso le a tutti i ge-
neri.
' duri a'nimici, Virgilio, JSn. VI:
Romantj meméHfo
Parure siMeetit et debeilare iuperbot.
' d'aver sopra quello domandato Caldei, d* avere sopra quel matrimo-
nio ricercato gli strolaghi.
* J pollo ciarlo j venerato io Giare y citili vicina a Colofone.
I. 2i
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278 IL UBBO DOODKCIMO DEGÙ ANNALI.
contro allo stato: esser bene, prima che ella gli effettai, con-
fiscarle i beni, e scacciarla d'Italia. » £ cosi fa: lasciatole
delle sue smisurate riccheze cento Tinticinque mila fiorini
per vivere. E Galpomia, illustre donna, fu sperperata,^ per
averla il principe chiamata bella, ragionandone a caso, non
per averne capriccio: però Agrippina non li fé' il peggio.' A
LoUia mandò il tribuno a ucciderla. Condannossi ancora di
mal tolto Cadio Rufo' accusato da' Bitiniesi.
XXUI. Alla Gallia narbonese, per la molta reverenza
al senato, fu conceduto che a' senatori narbonesi, si come
a'ciciliani, fosse lecito senza licenza del principe riveder
casa loro.* GÌ' Iturei e i Giudei per morte de' re loro Soemo
e Agrippa, furono aggregati al governo di Soria. L' agurio
di salute, già vinticinque anni tralasciato, piacque rimet-
tere e continuare. Avendo Cesare allargato l' imperio, il cer-
chio ancora della città, per lo costume antico allargò ; per
ìb quale è conceduto a coloro che hanno ampliato l' imperio
ampliare ancor la città. Non l' usarono già, per grandi na-
zioni che soggiogassero, i capitani della republìca, se non
L. Siila, e poi Aguslo. I re ci ebbero, chi dice vana chi vera
gloria.
XXrV. £ qui mi par non fuori di proposito notare ove
Romolo cominciò il primo cerchio. Dal foro boario,^ ove noi
vediamo quel bue di bronzo (però che tale animale si mette
all'aratolo), cominciò a disegnarlo con un solco, inchiudendovi
il grande altare d'Ercole. Indi piantò sassi con certa distanza
a pie del monte palatino, sino all'altare diConso,^ a'magistrati
* fu sperperata. II ht.! m pervertiturj w h cacciata in esilio.
' non li fé* il peggio. La grammatica vorrebbe non le/e'. Vuoi dire che an-
che Agrippina, conoscendo che quella lode fu innocente, si contentò di non ga-
sliganie Calpumia colla morte, come ayrebhe Citto altrimenti U Ut. : « ira Agrìp'
pina! eitra nltima ttetit. m
* Cadio Rufo : fu poi rimesso in senato. Vedi Stor. l, 77.
* casa loro. Ne* primi tempi della repubblica fu libero a' senatori di andare
dove loro paresse. Augusto tolse tal facoltà, per timore non ne abusassero a sol-
levar Provincie. Me eccettuò peraltro la Sicilia ; come Claudio n* eccettuò poi la
Gallia narbonese.
^ foro boario: w^, Campo Vaccino, tra i monti palatino, capitolino r
sventino. '
^ Consoj e lo stesso che Nettuno «questie^-ed era detto a consulendo.
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a UBEO DUODBCniO DIGLI ANNALI. 879
vecchi,* al tempietto de' Lari.* Il foro romano e '1 campido-
glio 8i credono aggiantì da T. Tazio. Crebbe poi con la for-
tuna il cerchio. Ove il terminasse Claudio, è agevol cono-
scere, ed è scritto neMibrì pablici,
XXV. [A. di R. 803, di Cr. 50.] Entrati consoli Gaio An-
tistio e M. Snilio s' avacciò Y adottamento di Domizio, per
l'autorità di Fallante, il quale d'intrinseco d'Agrippina»
per le condotte noze, divenutone adultero, stimofaiva Clau-
dio che pensasse al ben pnblico: desse alla fanciulleza di
Britannico an appoggio. Cosi avere il divino Agosto, ben-
ché di nipoti fondato, fatti grandi i figliastri:* e Tiberio, ol-
ite al figlinol proprio,* adottato Germanico. Valessesi an-
ch'egli di questo giovane, caricandogli parte delle fatiche.
Con queste ragioni fu svolto a mettere innanzi al figliuolo,
Domizio di due anni soli maggiore, e ne fece In senato di-
cerìa imboccatagli dal liberto. Notavano i periti , ninno altro
trovarsi adottato tra i Claudii patrizi, continuati per natu-
rale lignaggio, da Atto Clauso' in qua.
XXYI. Il principe ne fu ringraziato, e Domizio squisi-
tamente adulato e, per legge vinta, datogli il casato de' Clau-
dii e nome di Nerone , e ad Agrippina cognome d' Agusta.
Fatte queste cose, non fu uomo si crudo, che non lagrimasse
del povero Britannico, che abbandonato fino da vili servi*
don, per careze che fuor di ragione faceva loro Agrippina,*
rimaneva schernito, e bene se n'accorgeva: dicono perchè
avea ingegno, e forse lo ìncrescerne lo facea lodare, senza
aver data esperienza di se.
* a* magistrati pecchi. Il latino dice « [ad] curiat veUres: w e questi
curia Tccchia noD era quella ove si adunavano i magistnlit ma si quella dove i
sacerdoCi facevano i divini ufilcii , com' è chiaro da questo luogo di Varrone , Dn
Un. lat.: « Curia duorum genernm: nam et ubi curarent sacerdotes res di^
vinata ut Curia veteres, et ubi senato* hnmanas, ut Curia Bostiiia. »
* de'Lari,'Lègg,tmLarum,n n testo dell'OrelU mLarundts^m dìLarunda,
madre dei Lari; e gli pare che questa lezione possa rilevarsi dal codice mediceo.
' i figliastri, Dmso e Tiberio.
* Jigliuol proprio j cioè , Druso il giovane.
' jitto Clauso (nome che poi convertissi in Appio Claadio) è il fondatore
di casa Claudia.
' per carene ec. Valeriani: « A poco a poco privato ancora è* ogni servii
ministero , prendeva a scherno le intempestive premure della matrigna, accorgen-
dosi dell* inganno. M
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j
280 IL LIBRO DDODEGmO DE«U ANNALI.
XXVII. Ma Agrippina per mostrare sua potenza anche
foori all'amiche nazioni, mmida nella terra degli Ubi! ima
colonia, e le pone il sno nome,^ perché qnivi fu concepata:
e abbattessi, che qaeUa gente venota d'oltre Reno, era stata
ricevuta a divozione da Agrìppa sno avolo.
In quel tempo la Germania alta travagliò, per esservi i
Gatti entrati a rubare. L. Pomponio legato vi mandò i Yan-
gioni e Nemeti,' aiuti nostri, con una banda di cavalli, e ordine
d'arrivar prima o lasciargli sbrancare, e cignergli alla spro-
vista. Al consiglio del capitano aggiunsero i soldati l'indostrìa,
dividendosi. Una parte a sinistra circondò quelli che toma-
vono sguazandosi la preda o poltrendo. E per più allegreza
liberò certi schiavi , già quaranta anni , fatti nella rotta di
Varo.»
XXVIII. Gli altri che presero la più corta a man de-
stra, riscontrarono il nimico, che ardi combattere, e fecer
più sangue. £ carichi di preda e fama, se ne tornarono al
monte Tanno,* ove Pomponio ton le legioni "attendeva se i
Gatti si fossero rappiccati per vendicarsi. Essi per non esser
serrati dì qua da' Romani, di là da' Cherusci, nimici etemi,
mandarono a Roma ambasciadorì e slatichi. A Pomponio
furono ordinate le trionfali: e glorioso molto più il fanno le
sue poesie.'
XXIX. In detto tempo Vannio * fatto da Druse Cesare
re de' Suevi, ne fu cacciato: da prima celebrato e caro: co '1
tempo venne in superbia e odjo de' popoli ; e lo tradirono
Yangio e Side, figliuoli di sua sorella, e Giubillio re delli £r-
muaduri. Claudio non volle per molti preghi, entrar tra loro
barbari con l'arme. A Vannio promise sicuro ricovero, se
fusse cacciato, e scrìsse a P. Attilio Islro, che reggeva la
Pannonia, che mettesse in su '1 Danubio una legione co '1 fiore
di quegli aiuti, per soccorrere chi perdesse, e frenare i vin-
* ilttio nome: fu detta, ciob, Colonia Jgrippinof o Jgrippinensitj ed
oggi ritiene il nome di Colonia, citl^ insigne di Germania , sul Reno.
S Vangioni e Nemeti abitavano dove oggi h Vormt e Spira,
5 rotta di Faro: avvenuta l'a. 763. Vedi sopra, lil>. I, 61.
* monte TaunOj (Moehe) presso a Francfort-
5 le sue poesie. Vedi la noU al Hb. XI, i3.
6 Taiinio. Vedi lib. li 63.
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IL UBRO DUODKCIMO DB«U IIWAU. 281
ciforìy che non lùgliassero animo a turbare anche la nostra
pace. Perciocché i Ligi in gran numero» e altre genti coi^
revano al fiuto ^ della riccheza di quel regno, per trent* anni
con graveze e tirannie accresciuta da Yannio: il quale avea
la sua fanteria paesana , e cavalli sarmali iazigi:' poche (orzo
a tanti nimicì. Però voleva tenersi nelle castella e allungare
la guerra.
XXX. Ma non tollerando i lazigi Tassedio, e scorrendo
la campagna, convenne, al comparire de'Ligi ' e dell! Ermun-
dnrì, battagliare. Cosi Yannio usci fuori e fu rotto, ma glo-
riosamente con Tarme in mano e ferite dinanzi; e salvessi
rifuggendo all'armata che T aspettava al Danubio, insieme
con la sua gente, a cui fu dato in Pannonia luogo e terreno.
Spartironsi il regno Yangio e Side, fedeli a noi: a que' po-
poli, nell'acquistarlo, tutta carità:* poscia, o per natura di chi
domina o di chi serve, odiosissimi.
XXXI. In Britannia giunto P.Ostorio'^ vicepretore, trovò
scompigho, inondando i nimici il paese de' collegati ; rovi-
nosi tanto piò, che non credettero, il capitano novello con
esercito non maneggiato,' entrato il verno, potergli noiare.
Esso sapendo, i primi l'atti dar lo spavento o Y orgoglio, vola
con le coorti; ammaza chi resiste, perseguita e non lascia
far testa gli sbaragliati; non si fida di loro accordi, per non
tornare adle medesime; leva Tarme a' sospetti, e voleva
chiuderli tra due fiumi Antona e Sabrina,^ e'I campo suo.
GTIceni^ fur primi a risentirsene; gente gagliarda, da guerre
non battuta: perchè venne volontaria dal nostro,' e dietro a
* aleuto, li postillatore dell'esemplare Nesliano di Gino Capponi corregge
a sproposito^ alP odore. Menzini, Sat.:
l>«n lo rioonosd al flato.
' tarmaU iazigi, tartari d' Oscovia , presso il mar di Azof.
' Ligi abitavano presso la Vistola.
* tutta carità: essi erano a qae* popoli tutta carità (grande amore) j erano
amatissimi.
5 P. Ostorio Scapola. Vedi Vita d'Àgr. e. \k,
6 esercito non maneggiato. Il lat.: «• exercitu ignoto. »
7 Jntona e Sabrina : oggi , ^von e Severn,
* Icenii oggi, Suffolk e Norjolh,
' venne volontaria dal nostro, \ì\i.i,i n societatem nostram volente*
access erant. » Dal nostro ^ sottintende latoj come la locuùoM ooDsimilci
dalla nostra^ sottintende parte*
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Digi
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282 IL LIBRO DUODECIMO DEGLI ANNÀU.
questi le nazioni confinanti. Presero per combattere nn hiogo
bastionato di zolle, d'entrata strettissimo alla cavalleria.
Ostorio, benché senza nerbo di legioni, con gli alati si mette
a sforzargli, e imrtendo le coorti, pone in opera anche la
gente a cavallo, e dato il segno, rompe i bastioni, e coloro
sconfonde ' presi nella lor gabbia e che, per uscirne, veden-
dosi ribelli e rinchiusi, fer prove da dirsene.* In quella zuffa
M. Ostorio figliuolo del legato meritò corona di cittadino sal-
vato.
XXXII. La sconfitta de gllceni fé' accordare i dubbi!/
e l'esercito andato ne' Canghi * guastò per tutto e predò , chò
non ardiron * venire a giornata: bezicaronlo alla sfuggita, * e
male ne incolse loro. Appressatosi al mare che guarda Iber-
nia, le discordie de' Briganti "* fecero ritirare il capitano rìso-
luto di non tentare cose nuove, se le prime non erano acco-
modate: e avendone certi pochi che presero l'armi uccisi,
a gli altri perdonato, gli lasciò quieti. Non fece' già posare
l'arme a' Siluri^ né atrocità né perdono, che bisognò domarli
con le guarnigioni; e prima, per più agevoleza, mettere* nel
paese già vinto la colonia Gamalodano,^® di buon numero di
soldati vecchi, per nostro aiuto contro a' ribelli, e per awe-
zare gli amici alle buone leggi.^^
< sconfonde, scompiglia.
S da dirsenos Boemorabili. Conforme a «[ntl dal MalmanUios
Feo» pcvft da tcrif «ne al paaae.
S i dubhiij coloro, cioè , che pendevano tra la guerra e la pece.
* Canghi abitavano dove oggi h il principato di Galles,
B non ardiron, cioè, ì Canghi.
* benearonlo alla fuggita, 11 lat. ; « ex occulto carperò agmen lenta'
runt. »
^ Briganti abitavano dove ora sono Lankaster^ Camberland, Durham,
York.
> Siluri! al raesiodl del principato di Galles.
' mettere, sottintendi bisognò.
^^ Camaloduno: forse la moderna Maldon, Fu la prima colonia de' Ro-
mani in Brettagna.
<* alle buone leggi, Qnesto periodo ce lo reciterìi con pitk chiarella il Da*
ti: « E acciocché più agevolmente venisse fatto ^ Ostorio condosse e fermò una
colonia, chiamata Camaloduno, in que* campi e terreni che ì Romani per fona
di guem avevano loro occupati; e' la qaal colonia era composta d*una gagliarda
banda di soldati vecchi citladini romani e quivi furono collocati per difeodeie e
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IL LIBHO DUODECIMO DEGLI ANNALI. 283
XXXIIf. Poi cavalcaro in essi Siluri ,* feroci per se, e
per gran fede in €arattaco lor capitano, il primo cavaliere
de' Britanni, per alte e varie avventare: il quale vantaggian-
doci di notizia de' laoghi, ma di soldati buoni cedendoci, con
astuzia ridusse la guerra nelli Ordovici, e congiuntosi con
quelli che temevano di nostra pace, volle tentar fortuna, e
si pose in monte ripido, dove l'entrata e V uscita e tutto,
fusse a nostro disavvantaggio;' e dove salir poteasi, con
sassi quasi lo trincee; e difèndealo fiume pericoloso, oltre
a' soldati migliori paralbi dinanzi a' ripari.
XXXIV. Intorno a' capitani, e qua e là per tutto, scor-
reva Carattaco a confortare, inanimire, levar paura, dare spe-
ranze, e altre spronate a combattere, «e Quella esser giornata,
esser battaglia di ricoverata libertà, 0 sempiterna servitù:
nominava i loro passati che cacciaron via Cesare dettatore:
per la virtù di quelli diceva esser le mannaie, le rapine le-
vate, assicarata V onestà di lor mogli e figliuoli. ì> A tali pa-
role tutti gridarono; giurando ciascheduna nazione a sua
usanza di non temere armi né ferite giammai.
XXXY. Tanta pronteza. Io fiume in mezo, i fatti ripari,
i monti in capo, ogni cosa a noi atroce, a loro usata, atter-
rirono il nostro capitano; ma il soldato gridò ce Battagliai
virtù vincer tutto. » Cosi ribadivono * i tribuni e i prefetti, e
l'esercito accendevano. Ostorìo allora, fatto riconoscere i
passi, gli fece tutti agevolmente guadare il fiume. Giunti al
riparo, e scaramucciando con armi da lanciare, n'eran fe-
riti elidevano più de' nostri; però fatta la testuggine, dis-
fecero quelle more,^e alle mani venuti, e del pari, i barbari
assicnrax la provincia dalle scorrerie e insulti di que* ribelli e insolenti^ e invitare
ancora gli altri popoli con vicini e collegati all'ubbidienza delle leggi. «• Or torna
a vedere come tutto qnesto volarne di parole possa mettersi nello strettoio.
* Poi cavalcaro in essi Silurij cioè, marciarono contro i Silari, gente
feroce per propria natura e per la fiducia che ponevano in Carattaco ec.
* a nostro disavvantaggio: aggiungi, e a prò loroj che cosi vuole il la«
tino: « et saie in melius essente »
' ribadivonoj insistevano sulVistesie cose dette dal capitano. Lat.: « paria
disserebant. »
* quelle morCj quelle masse di sassi. Dante :
Setto la guardia ddla grave mora.
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284 IL UBBO DUODECIMO DEGLI ANNALI.
la diedono ali* erta; ' e i nostri lor dietro , cosi gli armati alla
leggiera come alla grave. Combattevano quei co' tiri, i no-
stri a corpo a corpo, e gli disordinavano, non essendo co-
perti di coraza né di celata: e quando s' appiccavano co' no-
stri aiuti ; i Romani con le daghe e pili: quando si rivolgevano
a' Romani; gli aiuti con le spade e aste li ponevano in terra.
Fu la vittoria famosa per la moglie e la figliuola di Caraltaco
prese; i fratelli arresi.
XXXYI. Lui (come non son sicure V awersitadi ') da
Gartismandua reina de*Rriganti, a cui si raccomandò, dato
prigione ^ al vincitore lo nono anno della guerra Britannica.
' Gran dire se ne feo per 1* isole e provi ncie vicine, e per
r Italia e Roma; ogn' uno desiderando vedere colui che tanti
anni avea sprezata la nostra potenza. Cesare per sua mag-
gior gloria magnificava il vinto: e come a nobile spettacolo
chiamò il popolo. Per lo mezo de* soldati di guardia armati
in ordinanza dinanzi a* loro alloggiamenti passaron prima le
corti del re * con ricche collane e cavalli addobbati ; le spo-
glie da lui acquistate nelle guerre straniere. Seguitarono i
fratelli, la moglie e la figliuola: in ultimo esso Carattaco,
non come tutti gli altri raccomandantesi per paura, né col
capo chino; e condotto al tribunale parlò in questa sentenza:
XXXYII. a Se io avessi avuto, eguale alla mia nobiltà
e grandeza, nelle felicità moderanza; sarei venuto a Roma
amico e non prigione. Né a te sarebbe paruto poco allegarli
con uno di sangue si chiaro, e tanti popoli signoreggiante.
La presente fortuna mia quanto a me soza, tanto a te è mar
gnifica. Ho posseduto uomini, cavalli, armi e riccheze: qual
maraviglia se non 1* avrei volute lasciare? A voi, se volete
dominare ogn' uno, seguita che o^n' uno debba essere schia-
vo? Se io per tale mi ti dava alla prima, non sarebbe la mia
disgrazia né la tua gloria si chiara: cosi il mio supplizio ne
scancellerà Qgni memoria: dove se tu mi salverai, sarò della
* la diedono all' erta j si ritirarono sui gioghi dei mooti.
* non son sicure l' awersitadi j cioè, aeiravver&itk mano può es»er sicuro
che serbiglisi fede.
' dato prigione, fu dato prigione.
* le corti del re, le clientele » o clienti, o vassalli del re.
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IL UBfcO DUODECIMO DEGLI ANNALI. 285
clemenza taa esempio immortale. » Cesare per queste parole
a lui, alla moglie e fratelli perdonò. Essi sciolti ne renderono
riverenze, grazie e laodi al principe, e le medesime ad Agrip-
pina, che si sedeva in altro vicino seggio. Cosa nuova, e
fuori d' ogni antico uso, sedere tra le romane insegne una
donna: ma ella si teneva di quello imperio, da' maggiori suoi
acquistato, compagna.
XXXYIII. I padri ragnnati parlarono con molta magni-
ficenza della presa di Carattaco, non meno splendente che
quelle mostre che fecero al popol romano P. Scipione, di
Slface; L. Paulo, di Persa; o altri, d'altri re incatenatL
Ordinarono a Ostorio le trionfali per li successi felici: i
quali non seguitarono, o perchè egli badò meno alla guerra,
quasi vinta, levato Carattaco; o la compassione di tanto re
infocò i nemici a vendetta. Circondano il maestro del campo,
e le bande romane lasciate ne' Siluri a fortificare. Otto cen*
turioni e i più valorosi soldati vi morirono; e rimaneanvi
tutti , se non eran soccorsi prestamente da'borghi e castelli
vicini. Sbaragliano appresso i nostri, che cercavano vette*
vaglie, e i cavalli mandati a soccorrergli.
XXXIX. Ostorio vi mandò spedite coorti, che non rat*
tenendo la fuga, con le legioni v' andò, e con là loro forza
la pagna fu pareggiata e poi vinta, e scamparona i nimici
con poco dannaggio, perchè lo giorno se n'andava. Segui-
rono zufiè spesse e piccole, a guisa d'assassini per boschi
o pantani; per caso o arte, ira o preda, comando o senza;
ostinandosi particolarmente i Siluri per un detto sparsosi
del romano imperadore, « che già i Sugambri furon rovi-
nati e traportati in Gallia; ma de' Siluri bisognava spegnere
il seme. » Sorpresero adunque due coorti d' aiuto per l'ava-
rizia de' capi troppo scorsi a rubare; di cui donando spoglie
e prigioni, traeano altri popoli a ribellarsi. Onde Ostorio da
tanti pensieri afflitto si mori con allegreza de' nimici d'avere
spento con la guerra, se non col ferro, quel capitano di
qualche stima.
XL. Cesare in luogo del morto mandò Dìdio,^ il quale
* Vidio, Vedi ViU d'Jgr., iA,
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286 IL UBBO DUODKCmO DEQU ANNÀU*
arriyato con viaggio prosperò, trovò le cose non prospere,
essendovi stata rotta una legione sotto Manlio Valente,* e fatta
la cosa maggiore per isbigottire il nuovo capitano: e da lai
vie più,* per più sua gloria se vincesse, o scusa quando
perdesse. Questo danno diedono ancora i Siluri; e scorraido
assai paese, Didio gli cacciò. Ma dopo la presa di Carattaoo,
il maggior soldato tra loro fu Yenusio lugantese fedele a
noi, e difeso dalle nostre armi, mentre fu marito di Gar-
tismandua reina sopradetta. Nato poi ripudio tra loro e
guerra, divenne anco nimico nostro. Ma prima combatte-,
vano insieme:' ella prese ad inganno il fratello e parenti di
Yenusio. Onde i nimici tinti d'ira e vergogna d'ubbidire a
una donna, co '1 fiore della gioventù armata, assaliscono il
suo regno: il che noi antivedendo, le mandammo aiuti. Se-
gni battaglia feroce: dapprima dubbia, poi lieta. E consimil
successo combattè la legione sotto Cesio Nasica: conciosia
che Didio vecchio e pieno d'onori, faceva fare: e bastavagli
tenere il nimico lontano. Non bo divise queste cose seguite
in più anni, perchè meglio si capiscano. Ora ripiglio l'or-
dine de' tempi.
XLI. Nel consolato quinto di Tiberio Claudio e di Ser-
vio Cornelio Orfito s'anticipò la toga a Nerone,* perchè pa-
resse abile al governo, e lasciossi Cesar dalle adulazioni del
senato menare a far Nerone consolo, per quando corresse
venti anni:' in tanto avesse potestà proconsolare fuor di
Boma, e si chiamasse principe della gioventù. Diedesi an-
cora in nome suo donativo a' soldati e mancia alla plebe;
e ne' giuochi circensi, che si facevano per farsi amare dal
popolo, Britannico vi andò in pretesta, e Nerone in veste
trionfale; perchè dal vedere costui vestito da imperadore,
e colui da fanciullo, chi I'uuq e l'altro esser dovesse s'ar-
gomentasse. Certi centurioni e tribuni, che mostravano com-
* Manlio Valente. Vedi Stor.^ l, 64.
* vie piàj ciob , ingrandita.
' combattevano insieme. Dati; « Ma Ba principio, solo intra lui e lei li
faceva la guerra ; tanto che ella con astate arti ingannò ec. »
* Nerone: era ne' quattordici anni; ma, a pigliar la toga, biiognava avelli
compiuti.
' venti anni. Al buon tempo della repubblica bisognava aTerm ^uarantatif .
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IL'UBRO OCOPBCmO DEGÙ ANNALI. 287
passione di Britannico, furon rimossi, sotto spezie di finte
cagioni d'onori: e se lilierto alcun fedele avea, fa cacciato.
In quella occasione i due giovani riscontrandosi» Neron sa-
lutò Britannico col suo nome, e egli lui con quel di Domizio;
di che, come principio di discordia, Agrippina molto si dolse
co 'I marito: « Dispregiarsi Fadozione; guastarsi in casa quello
che ayea giudicato il senato, comandato il popolo. Se quo'
maligni che mettevano questi punti, ^ non si scacciavano,
ne seguirebbe rovina publica. » Claudio di queste quasi mal-*
vagita adirato, i custodi ottimi del figliuol suo uccise, o con-
finò: e Io mise in mano a chi volle la matrigna, la quale
non ardi fare il resto per levar prima la guardia di mano
a Losio Gota e Rufo Crispino, come troppo obbligati alla
memoria e ai figliuoli di Messalina.
XLII. Per consiglio adunque della moglie che diceva,
le coorti per la concorrenza di due divìdersi in fazioni, e
meglio potersi disciplinare comandate da uno; fu dato il co-
mando de' pretoriani a Burro Afranio, tenuto gran soldato,
ma conoscente chi gliel dava.* Levossi Agrippina in mag-
giore altura: e andava in campidoglio in carretta, come già
potevano solamente i sacerdoti e le cose sante: il che ac-
cresceva venerazione a questa donna, figliuola d'uno impe-
rador d'eserciti,' e sorella, moglie e madre di tre imperadori*
del mondo: esempio unico sino a oggi. In tanto Yitellio, che
l'aveva presa per lei'' più di tutti, favoritissimo, vecchissi-
mo (tanto stanno in bilico i grandi) da Giunio Lupo sena-
tore toccò un'accusa di maestà danneggiata, e d'imperio
agognato. E vi dava Cesare orecchi, se Agrippina con mi-
nacce, anzi che preghi, non lo svolgeva a privare d'acqua
e fuoco l'accusatore ; che di tanto si contentò Yitellio.
* che mettevano questi punti, questo scandalose insinuaiioni: cbe met-
tevano questi scandali; che sì malignamente sobbillavano ec. Lat. : « nisi pravi-
tas tam infensa docentium arceatur, »
' conoscente chi gliel dava^ ma che sapeva bene quell'onore venirgli da
Agrippina , alla quale perciò egli era obbhgato.
' «fono imperador, di Germanico.
4 di tre imperadori: sorella di Caligola, moglie di Claudio e madre di Ne-
rone.
5 l'aveva presa per lei, che aveva preso a difenderla.
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288 I IL LIBRO I>U(»>BGI]IO DEGLI ANNàLL
XLIII. Apparvero in quell'anno di molti segni. Uccelli
di mar uria ^ posati in campidoglio: tremooti rovinarono
molle case, e nella calca de' fuggenti spaventati affogarono i
più deboli: ricolte triste, e quindi la fame. Onde non pure si
mormorava di Claudio; ma rendendo ragione,* la gente conr
le grida assordandolo, e rìpinto in un canto del foro pigian-
dolo, la guardia ebbe a fargli far largo. Trovossi non v'esser
pane che per quindici di; ma gl'iddìi benigni e '1 verno
dolce ne scamparono. Già Italia nutriva i paesi lontani, né
oggi è sterile; ma e' ci giova più tosto coltivar l'Afirica e
r Egitto, e fidare la vita del popolo romano alle navi e alla
fortuna.
XLIY. Nel detto anno tra gli Armeni e gì' Iberi nacque
guerra, che cagionò ancora tra' Parti e Romani grandissimi
movimenti. Era re de' Parti per volontà de' fratelli Yologese,
nato di concubina greca: degl' Iberi, Farasmane per lungo
possesso: degli Armeni, Mitridate suo fratello per nostra po-
tenza. Aveva Farasmane un figliuolo detto Radamisto, bello
è grande e forte: dell'arti paesane scaltrito, e di chiara fama
tra quelle genti. Il quale troppo spesso e feroce, scoprendo
suo appetito, usava dire: « Abbiamo un dito di regno,' e
tienlo un barbogio, d Temendo adunque Farasmane grave
d'anni di questo giovane poderoso, fiero e di seguitocelo ri-
voltò a un'altra speranza dell'Armenia; ricordandogli averta
egli data a Mitridate, cacciatone i Parli: ma doversi, prima
che con la forza, veder di rìtorlagli con inganno, quando ei
non vi pensa niente. Cosi Radamisto ne va al zio, infintosi
cruccioso col padre per le ingiurie della matrigna; e ricevuto
con careze da figliuolo, persuade i principali Armeni a tal
novità, si segreto che Mitridate gli fu mezano a rappattu-
marlo col padre; al quale tornato, gli conta aver con la
fraudo disposta la materia: doversi ora far con l'armi.
XLV. Farasmane rompe la guerra, trova a dire* che
* Uccelli di mat uria, di cattivo augurio.
' rendendo ragione, mentre reodeTa ragione.
' un dito di regno. Lat. : « modicum regnum. m
* di eegttfto, che avea gran seguito; molli aderenti e fautori. Lat.: « #<•*
dio popnlarium accinctum. m
S trova a dire, trova il pretesto.
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IL LIBRO DUODECIMO DE6LI ÀNIfÀLI. 289
quando ei combatteva col re d'Albania , e cUedeva a' Ro-
mani aiate, il fratello gli operò contro e, per tale ingiuria
vendicare, intendeva distruggerlo. E dato al figliuolo grosso
esercito, esso incontanente assaltò, e tolse la campagna a
Mitridate sbigottito e salvatosi nel castello di Gornea,^ forte
e con buona guàrdia di soldati, sotto Celio Pollione reggente
e Casperio centurione. Niente sanno meno i barbari che
prender terre per via di macchine e d'artifizi: noi ne siamo
maestri. Radamisto avendo in vano, o con danno, dato T as-
salto, incomincia r assedio. £ nuUa approdando, corruppe il
prefetto, protestando Casperio: a non vendesse si brutta-
mente quel re amico, non T Armenia, dono del popolo roma-
no. » E rispondendo Pollione troppi esser d'attorno al ca-
stello, e Radamisto allegando la commessione del padre,
fatto tregua, se n'uscì per distor Farasmane da questa guer-
ra; se no, avvisar T. Yinìdio Quadrato, che reggeva la Se-
ria, dello stato d'Armenia.
XLYI. Partito il centurione, il prefetto quasi senza pe-
dagogo rimase, consigliava Mitridate, che s'accordasse, ri-
cordando, « Farasmane essergli fratel maggiore, ed- ei suo
genero, e suocero di Radamisto. Griberì, benché all'ora piò
forti, la pace non recusare: sapersi quanto sieno felloni gli
Armeni: altra sicureza non v'essere che quel castello non
vettovagliato: non volesse armi , anzi che patti non sangui-
nosi. 9 Andava adagio Mitridate a fidarsi de' consigli del
prefetto , che aveva avuto domesticheza con una sua concu-
l>ina, e credeasi che per danari arebbe fatto ogni bruttura.
Casperio ne va a Farasmane, e chiede che gì' Iberi sì par-
lano dall'assedio. Egli dava parole generali, e spesso buone:
e a Radamisto mandava corrieri, che strignesse la terra per
ogni via. Accrescesi la baratteria, e Pollione occultamente
corrompe i soldati a chieder pace, e minacciare d'andarse-
ne. Colto a tale stretto Mitridate, nel giorno e luogo conve-
nato, esce del castello per capitolare.
XLYII. Radamisto gli si 'getta al collo: finalmente Io
riverisce, chiamalo suocero e padre, e giura non ferro, non
veleno volergli osar contra, e tiralo in un boschetto per fer-
' Cornea, citlk d' Armjenia: oggi Khorieo. '
f. ■ 2a
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290 IL LIBRO DUODECIMO DEGLI ANNALI.
mar la pace, presenti gl'iddi!, diceva egli, con sacrifici or-
dinati là entro. Usano i re, qaando si confederano, inca-
strarsi le destre: le dita grosse legarsi strette: e venuto il
sangue alla pelle, pngnerla, e soccìarlosi l'un l'altro. Colai
pace, come di comune sangue sagrata, tengono per inviola'^
bile. Allora colui che legava si lasciò cadere, e preso Mitri-
date per le gambe, il distese: corsero molti, misergli i ferri,
e traevanlo per la catena al piede (tra i Barbari gran ver-
gogna) e lo mal trattato popolo gli si volgea con ignominie e
percosse: ad alcuni pure di tanta mutazion di fortuna incre-
sceva. Venne la moglie co'figliolini, e l'aria empiè di la-
menti. Foron messi in carri separati, e chiusi sino all'ordine
di Farasmane; il quale per quél regno rinegò il fratello e la
figliuola, e risolvè lo scellerato ammazarli, ma non vedere.
£ Radamisto del giuro osservadore, fuori non trasse né ferro
né veleno contro la sorella e '1 zio, ma quegli gittati in
terra, affogò in molti panni e gravi. E scannò i loro 'figliuoli,
perchè gli piagnevano.
XLYIII. Quadrato, inteso il tradimento fatto a Mitrida-
te, e regnare i traditori, chiama il consiglio, spone il fatto,
domanda, se si dee gastigare. Pochi guadavano all'onore
publico; i più alla sicureza, dicendo, <( Doversi aver care le
rabbie tra loro de' forestieri , e seminar zizanie. Còme spesso
hanno usato i principi romani, donando a uno e togliendo
a un altro questa benedetta Armenia per alzarli. Farsi per
noi ' che Radamisto si tenga il male acquistato con odio e
infamia, più tosto che se l'avesse con gloria. » Cosi fu de-
liberato: ma per non parere d'approvare tanta atrocitade (e
forse Cesare sarebbe d' altro animo) mandarono a dire a
Farasmane, che dello stato armenio sgombrasse egli e il
figlinolo.
XLIX. Era procurator di Cappadocia Giulio Peligno
d'animo vile, corpo ridicolo, egualmente dispregevole, ma
tutto di Claudio, che, quando era privato, co' visi da far ri-
dere passava mattana. ' Costui come volesse riaver l' Ar-
* Farsi per noij esserci utile.
' chcj quando era privato j co' visi da far ridere passava mattana.
Valerìani: « quando, privato, con la convenasioM dei buffoni ricicava on osio
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U. UBBO DOOBECIMO 1«6U ANHAU. 291
menia, ià gente del paese; gli amici più che i niiuici sac-
cheggia: i suoi lo piantano; i barbari 1* assaliscono: scarso di
partiti^ ne ya a Radamisto, per li cui presenti corrotto, lo
esorta al pr^ider lo scettro reale, e al prenderlo assiste e
serve. Dirolgatasi tanta vergogna, a fin che tutti non fosser
credati di questa raza, vi fu mandato Elvidio Prisco con una
legione a riparare per allora. Passò a fretta il monte Tauro:
e già molte cose avendo accomodate più con dolceza che
forza, fu fatto ritornare in Seria, per non la romper colar-
ti: avvenga cheVologese, parendogli venuto il tempo di ria-
ver l'Armenia, stata de' suoi maggiori, oggi d' un re scele-
rato straniero; facesse gente per rimettervi Tiridate suo
fratello, acciò ninno di quella casa fosse senza imperio.
L. Giunti i Parti, ne cacciaron gF Iberi senza combat-
tere. Artassata e Tigranocerta città d' Armenia presero il
giogo: ma k) tristo verno, o mal provvedimento di vivere,
0 l'uno e l'altro, v'ingenerò pestilenza che forzò Yologese
a lasciar l'Armenia vota: e Radamisto vi rientrò rincrude-
lito, quasi contro a' ribelli e felloni animi. Ad essi, benché
usati a servire, scappa la pacienza, e l'assediano armati in
LI. Solo il correr de' cavalli gli valse a salvar se e la
moglie gravida. La quale per paura de' nimici e amore al
marito, resse a fatica al primo correre. Poi sconquassando-
sele il ventre, e le viscere diguazandolese, lo prega che per
non lasciarla preda e strazio a' nimici, le dea morte onesta.
£i l' abbraccia, regge, conforta: ora stupisce della virtù di
lei; ora arrabbia pensando che altri la debba godere; fìnal-
menle violentato dall'amore, o usato a crudeltà, sguainata
infingardo. » Lat. « eum privata» oiim eonvertatìone *ciirrarum iners otium
oblectareUm-^ Mattana è malinconia, uggia, nata da osio infingardo. Svetonìo
in Claud. e. 5; « Ayendo (Claudio per la rìpnha di Tiberio suo sio) perduto
ogni sperania di avere a ottenere governo o magistrato alcuno, si diede in tutto
ali* mìo, tenendo vita solitaria e non si lasciando vedere a persona j dimorandosi
quando nel suo giardino e <{uando a una possessione eh' egli avea vicino a Roma :
alcune volte non usciva di casa, ed alcuna volta si distese insino a Napoli, pra-
ticando sempre con persone di poco affare. Ed oltre all' essere tenuto pigro e ne-
gligente, si aerato ancor nome d' ubbriaco e di ginocatore. «•
* starso di partiti. Lat.s « pratsiéii egens. »
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292 IL UBBO DCODEGIMO DEGÙ ANNALI.
la scimitarra, lei fiede e strascica alla riva, e gitta in Aras-
se, perchè né anche il corpo sia rubato: e corresene a tutta
brigUa al suo regno d' Iberia. Zenobia ( cosi aveva nome la
donna) Sfnranie e sicara di morte, fa vedala da certi pastori
andarsene giù per Io lento fiume: i quali giudicandola gran
donna, rozamente le medicano e fasciano la ferita, odono il
nome e'I caso, e la porgano in Artasaata. Indi fu condotta
dal publico^ a Tiridate, ricevuta cortesemente e trattata da
reina.
LII. L'anno di Fausto Siila* e Salvie Olone' consoli, Fa-
rio Scriboniano, qu;^si avesse strolagato la morte del prìnci-
pe, fu mandato jn esilio, e con lui Giunia sua madre, che
aveva rotto il primo confino suo. Canunillo,* padre dello
Scriboniano, mosse armi in Dalmazia. £ Cesare si recava a
bontà perdonare allora anche al figliuolo del suo nimico. Vi
mori prestamente: vòUcm dire alcuni di veleno. Fecesi in se-
nato, di cacciar d' Italia gr indovini, legge rigida e in vano.*
Il principe lodò molto certi senatori uscitisi del grado per
povertà, e ne cacciò altri simili, che pure il volevano tenere.
LUI. Fu proposta e vinta pena alle liberto che senza li-
cenza del padrone si congiugnessero con ischiavi, di ritor-
nare esse schiave ; ma nascerne liberti. Barea Sorano ,
consolo eletto, aggiudicò insegne di pretore e trecento set-
tantacinque mila fiorini a Fallante, cui Cesare disse trova-
tore di tal proposta. Aggiunse Cornelio Scipione, che Fallante
fusse ringraziato in publico, poiché per lo ben publico, egli
nato de' re antichi arcadi,^ si dichinava a essere uno de' mi-
nistri del principe. Claudio fece fede che il buon Fallante si
contentava dell' onor solo; e viversi nella sua povertà. Tosto
il senato a questo libertino ricco di sette milioni e mezo d'oro,
per decreto in bronzo, affisso in publico, attribuì sonane laudi
d' antica parsimonia.
' dal publico. Lat.: m pubUcd curd. »
3 Fausto Siila, genero di Claudio per la moglie Antonia.
S Salyio Otone^ fratello di Ottone che fu imperatoK.
* Cammillo. Vedi Star. 1, 89; II, 75.
8 e in pano. Vedi Ann. II, 322. Stor. 1 , SS; II, 69.
> nato de re «e. Ridicola adalasione, quasi discendesae da qael PalIantCì
figlio d' Evandro, di coi Virgilio JEn, Vili, 64.
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IL LUAO DOODKCailO 0E«U AMICALI. S03
LIV. Non cosi contegnoso fa il sno fratello detto Felice,
messo prima a reggere la Giudea, il quale ogni lìbito si fé' le-
cito col cdldo si grande.' Veramente i Giudei fecero cenno
di ribellarsi, quando, udita la morte di Gaio, non ubbidirò: '
si temeva cbe un altro principe non comandasse le stesse
bestialità. Felice e Yentidio Cumano con rimedi a rovescio,
facevano a chi più accendere a ogni mal fare, governando
questi la Galilea, e Felice la Samaria, che si nimicavano per
natura, e più allora che sprezavano i mali governanti. Si ru-
bacchiavano, assassinavano, tradivano, e venivano alle ma-
ni. Le prede portavano a essi governanti, cui da prima ne
ridea l'occhio: ' ma cresciuti gli scandali, vi tramisero de' sol-
dati, che vi rimasero morti. E ardeva la provincia di guer-
ra, se di Seria non venia Quadrato, il quale agli ucciditor
de' soldati mozò le teste senza pensarvi. Verso Felice e Cu-
mano, avendogli scritto Claudio che giudicasse anche lolro,
come cagioni della ribellione, stette sospeso, e fecesi seder
Felice allato in tribunale, per uno de' giudici, perché di lui
non parlassero gli accusanti. Cosi de' peccati di due punito fu
solo Cumano ; e la provincia quietò.
LV. Indi a poco tempo i Cliti, villani di Cilicia, soliti a
sollevarsi, si mossero sotto Trosobore lor capitano, e s'ac-
camparono in monti aspri; indi calando alla città o marine,
assassinavano terrazani, lavoratori, mercatanti e barcaiuoli,
e fu assediata Ànemur, e rotto Curzio Severo mandatovi di
Soria con cavalli, non buoni come i fanti a combatter per
* eoi ealdo sì grandej cioè, fondato sul grao favore eh' e* godeva. Lat.t
« tanta potentia subnixo. »
S non ubbidirò. Y*hz qui breve lacuna: ma il Nostro la dissimula, le-
guendo gli editori bipontini che leggono : « tane prtebuerant Tudai speciem
niotdt,orta sedinone, postguam, cognita catde Cali, haud obtemperatum
essetj manebat metus ne quis principum eadem imperitaretm *» Il Testo di
Baitter e Orelli legge così: « sane prtebuerant Itideei speciem motUs, orta se»
ditione, posttfuam cognita cade eius, haud obtemperatum esset, mane"
bat metus te. m Si vollero obbligare i Giudei a porre nel loro tempio la statua
di Caligola, il quale essendo stato ucciso in questo tempo, 1* ordine non ebbe
effetto. Ma temevano peraltro che questa fantasia potesse venire a qualche altro
principe.
3 cui da prima ne ridea V occhio : i quali da prima fi rallegravano alla
vista di quelle prede.
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S94 IL UBEO MODECIHO DEGLI ANNALI.
qneUe fratte. Antioco re del paese eon lusingar que' barbari e
ingannare il capo, gli sbrancò. Lai uccise con pochi suoi
principali; al resto perdonò, e quietolli.
LYI. In questo tempo fu tagliato il monte ^ tra il lago di
Rossiglione* e '1 Garigliano,' perchè più gente vedesse la ma-
gnifica battaglia navale, ordinata in esso lago, a concorrenza
di quella che fece Agusto nel pelago da lui cavato di qua dal
Tevere, ma con meno legni e minori. Claudio armò galee e
fusto con diciannove mila combattenti. Fecevi di travate nn
cerchio, acciò non potessero fuggire, agiato da polervisi rin-
girare, maneggiare, vogare e combattere. Fanti e cavalli di
guardia stavano in su le travi dietro a' parapetti ov'erano
briccole * e caricate balestre. Soldati d'armata '^ in legni co-
perti tenevano il restante del Iago: i colli, le ripe e le cime
de' monti, a modo di teatro, eran gremite di genti venate
dalle vicinanze e da Roma, per vedere o far corte al prìn-
cipe. Risederono, egli in abito imperiale, e poco lungi Agrip-
pina in manto d'oro. Combattevano benché malfattori, da
forti uomini e valorosi, e doppo molte ferite furon divisi.
LYII. Fatta la festa, fu dato l'andare all'acqua, e sco-
perto l'errore dello spiano, non livellato al fondo né a
mez' acqua del lago. Onde poi lo raifondò, e per ragunar di
nuovo il popolo, gittativi sopra i ponti, vi fece una festa
d'accoltellanti a piede. Ove apparecchiò un convito allo sbocco
dell'acqua che sgorgò con tal furia che si trasse dietro le
cose vicine e smosse le lontane. E ogn' uno stordi per lo
remore; e Agrippina servendosi dello spavento del principe,
voltasi a Narciso , soprantendente dell' opere, disse averla
</« tagliato il monte ec. Plinio, H. N. XXXV, 15: « Io tengo tn W
cose più naemorabili di Claudio (benché poi V opera si tralasciasse per odio del
suo successore) il monte forato per farvi passare il lago Fucino , Teramente eon
incredibile spesa ed opere infinite per tanti anni ec. »
* di Rossiglione, di Gelano; anticamente. Fucino,
' Gariglianoi anticamente, Lirt,
* briccole. Il lat. : « catapultee. w Macchine militari da scagliar pietre
Di qui briccolare.
5 Soldati d'armata, Lat. m c/a«#arii. «armata ^ propriamente la/oN
ta^ e mal si usa da'moderni per e/ercito. Vedi M. A. Parenti, Catalogo di SprO'
votiti j N» i, pag. 9.
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IL LIBBO DCODEGIMO DEGÙ AlfNAU. t9H
M fatta male in prora,* per fame bottega e mbare.Ned egli
a tei la saa donnesca superbia e le troppo alte speranze
rìspiarmò.'
LYIIL Nel consolato di D. Ginnio e Q. Aterio, Nerone
di sedici anni sposò Ottavia figlinola di Cesare. E per dargli
gloria dì letterato e bello parladore, lo fecer difender la
causa de gV Iliesi. Ove con faconda diceria mostrò come i
Romani vennero da Troiane Enea fn orìgine di casa giulia,
e l' altre antichità quasi favole, e ottenne che gì' Iliesi d'ogni
graveza di comune fussero esenti. Orante il medesimo fa alla
colonia bolognese, che pati grande arsione, donato dagento
cinquanta mila fiorini: e a' Rodiani rendala la libertà spesse
volte data o tolta, secondo che ci avevano fuori nelle guerre
servito, o dentro, per sedizione, offeso: e alli Apamiesi per
gran rovine di tremoti rilasciato per anni cinque il tributo.
LIX. AU' incontro Agrippina con sue arti faceva fare
a Claudio ogni crudeltà. Per avere ella il giardino di Statilio
Tauro, famoso ricco, lo fece capitar male, e da Tarquizio
Prisco, stato legato suo in Affrica, quando vi fu viceconsolo,
accusare di alcune baratterie e molti incantesimi. Né po-
tendo più soffrire T indegno e falso accusatore, s'ammazò
innanzi al sentenziar del senato, del quale, benché Agrip-
pina s' opponesse, Tarquizio, per odio de' padri, pur fu raso.
LX. Più volte fu il principe in quel!' anno udito dire,
chele cose giudicate da' suoi procuratori, ' valessero come
giudicate da lui. Il senato perché il detto non paresse scon-
siderato, ne fece decreto ancor più ampio. Volle bene Agu-
sto, che i cavalieri romani reggenti in Egitto, rendessero
ragione e alle loro sentenze si stesse, come fossero date
da' niagistrati di Roma: poscia in altre provincie e in Roma,
hanno avuto certe podestà che toccavono a' pretori. Ma
Claudio die loro la giurisdizione intera: di che s'è combat-
tuto tante volte con sollevamenti e armi; quando le leggi
* in prwaj a bella posta.
' rispiarmò. Il postiUatore dell' esemplare Nettiano ài G. Capponi nota :
« rispiarmò è scoro ed equivoco. Vedi se fusse meglio dire tacque. » Postilla
Tolante.
' procuraiorij cioè del fisco^ che erano per 1q più liberti. '
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206 IL LIB&O DUODBCmO DEGLI ÀNNAU.
sempronie ^ mettevon V ordine de' cavalieri in possesso del
giudicare; e le servilìe* lo rendevano al senato. Le guerre
tra Mario e Siila non furono quasi per altro.^ Chi favoriva
Funo chi l'altro ordine, e quel che vinceva, giudicava.
Col braccio di Cesare, Gaio Oppio e Cornàlio Balbo furono
i primi a poter disporre della pace e della guerra a lor modo.
Della potenza de' Malii e Vedii e altri cavalieri romani, non
occorire dire, poiché Claudio i liberti ordinati a governargli
la casa» ha fatti pari a se e alle leggi.
LXI. Propose di fare esenti da ogni tributo que' di Coo,
della cui antichità molto disse: « essere gli Argivi, o Ceo
padre di Latona, venuti i primi in quell'isola. Esculapio
avervi portato la medicina, stimata molto da' suoi descen-
denti, i cui nomi e tempi contò: e come Senofonte, medico
suo, era nato di quelli: e doversi fare a' preghi di quello
esenti del tutto gli abitatori di tale ìsola a tanto iddio con-
sagrata e ministrante. » Avevano i Coi senza dubbio aia-
tato il popol romano in molte vittorie; ma Claudio, dolce al
solito, non abbellì la grazia co '1 ricordarle.
LXII. Il contrario fecero i Bizantini, che, avuto udienza
in senato, lamentandosi delle troppe graveze, si fecero da
capo a contare della lega fatta con esso noi quando avemmo
guerra co '1 re de' Macedoni che ne fu detto* Filippastro,
come traligno: e delle genti contro Antioco, Persa, Arislo-
nico mandate a noi: e, contro a' corsali, ad Antonio:' e del-
^ sempronie j cioè, di G. Grracco, che Ta. 632 trasferi i giudisii dal senato
all'ordine dei cavalieri.
' tervUie. L. Servilio Gepione 1* a. 648 volle per legge che i giudisii sieaev*
citassero in comune tra i senatori e i cavalieri.
' quasi per altro j cioè, nacquero principalmente dal contendersi i due or-
dini senatorio ed equestre questo diritto del giudicare. E dopo tanto sangue, ClatH
dio lo tolse ad ambedue per darlo a' procuratori del 6scoI
* detto. L'edizioni originali, eletto j ma erroneamente. L. Floro II, i4:
« Usurpato avea il regno e il capitanato un certo Àndrisco, mercenario, malna-
to, se schiavo o libero non so; ma perchè somigliante a Filippo , Filippo cbia-
mavasi: alle sembianze e al nome di re ebbe pan anche l' animo. Ridendosene Ro-
ma , le parve assai mandargli contro senz'apparecchi il pretore Giovenzio, men-
tre il disprezzato nemico, oltre a' Macedoni, era forte di grossi aiuti di Traci: e
qnal non fu mai da veri re, fii vinta allora da un re immaginario e da scena,
perdendo una legione con lo stesso pretore* m
' Antonio , padre del triuoviro.
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IL Ln»0 DOOIHECXIfO DBGLI ANN AU. 207
l'ofiérte a Siila, Lacnllo e Pompeo fatte: e de' freschi ser-
yigi a' Cesari 9 per essere in quel sito, a passar eserciti e
yettoYaglie per terra e per mare tanto commodo.
LXIII. Avendo i Greci piantato Bisanzio nell' estremità
d'Europa, diviso per piccolo stretto dall'Asia, per oracolo
d'ApoUiné pitie, che rispose loro: « Siponessono dirimpetto
alla terra de' ciechi; » significando i Galcedonii, che essendo
stati ì primi a venire in qne'lnoghi, non veduto il meglio,*
s'af^resero al peggiore: essendo di Bizanzio grasso il ter-
reno e ricco il mare, per l'infinità de' pesci, che dal mar
maggiore a fona calando, spaventati da biancheggianti sassi*
sott'acqua longo l'Asia, torcono a questi porti: e già ne fé-
cero gran traffico e riccheze ; ma poi le si mangiava il co-
mane di Roma con le graveze; e ne chiedevano fine o
moderanza. Il principe per esser affaticati nella passata
gaerra di Tracia e del Bosforo, li alato e sgravò da' tributi
per anni dnqae.
LXIY. L' anno di M. Asinio e M. Acilio consoli molti
prodigi! mostrarono lo stato dover peggiorare. Arsero di
saetta alcune tende e bandiere. Uno sciame di pecchie si pose
in cima di campidoglio. Nacquero umani parti bisformi; un
porco con l' unghie di sparviere: e per mal segno fu preso
che in pochi mesi d'ogni magistrato, de' questori edili
tribuni pretori e consoli, ne morì uno. Più di tutti spaventò
Agrippina un mal bottone' che gìttò Claudio ebbro: « Che
era destinato a sopportar le mogli scelerate un pezo , e poi
gastigarle. » Onde ella si risolvè a fare, e tosto: e prima spe-
gnere Domizia Lepida per cagionuze da donne. Costei per
esser figliuola d'Antonia minore, e per lei nipote d' Agusto;
cugina carnale d'Agrippina, e sorella di Gneo, già marito
di lei, non si teneva da meno di essa: giovani, belle, potenti
eran quasi del pari; disoneste, infami, superbe, e non meno
* non veduto ti meglio. Légge: « parum visa locorum utilitate. « Al-
tri te«ti: mpreevUa. »
S bioHcheggiAnti sassi. Légge: malbidis saxis. » Altri testi: « obli'
qnis. »•
S un mal bottone^ una bratta parola. Il popolo toscano dice nell*istesBO
senso: Dare una bottata.
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298 IL LIB&O DCODECIlfO DBGU AMMALI.
dì vizi che di prospera fortuaa garreggianti e, soprattutto,
di coi potesse più in Nerone, la zia o la madre. Lepida il
giovane attraeva con careze e presenti: per lo contrario
Agrippina gli facea viso brusco e minaccioso, come colei
che poteva far signore il figliuolo, ma non sopportario si-
gnoreggiante.
LXY. Ora di Lepida fu rapportato d' avere con malie
cercato il matrimonio del principe, e poco frenati li schiavi
suoi in Calabria per turbare la pace d' Italia. Per si fatte ca-
gioni fu dannata a morte, sclamandone molto Narciso, il
quale ogn' ora più temendo d'Agrippina, dicono che tra gli
amici, disse, « Regni Britannico o regni Nerone, spedito
sono. Ma io sono a Claudio tanto obbligato, che metterò la
vita per lui volentieri. Convinsi Messalina e Sìlio: ora ci son
da fare le medesime accuse: * ma se Nerone succederà, me
jie Faprà il mal grado;* e questa matrigna farà ogni cosa per
disperder Britannico vero successore, con tutta sua casa,
falche io faceva minor male a starmi cheto di quelle vergo-
gne prime, poiché non ci mancano queste seconde di Fal-
lante: tanto stima ella poco l'onore, il grado, il corpo, ogni
cosa per regnare. » Alzava le mani al cielo, abbracciava
Britannico pregando gì' iddii che lo facesser crescer in età
e vigore per cacciar via ì nimiei del padre e vendicarsi de-
gli ammazatori della madre*
LXVL Claudio sotto '1 pondo di tanti pensieri ammalò,
e andò per riaversi, alla buon' aria e bagni di Sessa. Agrip-
pina già risoluta d' avvelenarlo, e quella occasione solleci-
tando, né mancandole ministri, si consigliava con qual veleno:
repentino, scoprirebbe troppo: a termine e stento, Claudio se
n'avvedrebbe; e condotto al eapezale, lo strìgnerebbe l'amore
a lasciare al figliuolo. Piacque veleno che lo facesse uscir di
se, e morire adagio. Composelo Locusta' già condannata per
maliarda, e poi più tempo tenuta tra le masserìzie di stato/
' le medesime accutej cio^, contro Agrippina come adultera con Pallante.
> il mal grado. Il teito latino h qui d* incerta lesione.
S Locusta, (u fatta poi morire da Galba.
* masserUie di staio. Lat.: u instrumenta regni j m gente del coi brac-
cio icrvivast la corte per tor dal mondo chi le dava noia.
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IL UBIO DUODICWO D16LI ARNALI. S90
Diedek) Aiolo uno de' castrati che portava le yivande e fa-
cea la credenza.*
LXYII. Il che si riseppe poi tanto per V appunto, che
gli scrittori dì qoe' tempi contano^ che gli fa dato in sa gli
oovoli, de'qaali era ghiotto:* e Glandio ebbro o balordo, non
se n' avvide. La natura s' aiutò, e scarìcqissi dì sotto, e parve
goarito. Agrippina rimase morta; e andandone il tutto, la-
sciò ire i rispetti, e corse a Senofonte medico, già acconcio.
£gli quasi per farlo vomitare, gli cacciò in gola una penna,
intìnta in tosuco da far subito: sapendo, i sommi eccessi co-
minciarsi con perìcolo e spedirsi con premio»
LXYIII. Ragunasi il senato; e fanno i consoli e sacer-
doti orazioni, perchè il prìncipe guarisse, quando egli era
basito;' e con panni caldi e pittime* si celava, per accomo-
dar le cose a fermar V imperìo a Nerone. In tanto Agrippina
quasi dal dolor vìnta, e per consolarsi, teneva firilannico ab-
bracciato e stretto, dicendolo esser tutto suo padre, con va-
rie astuzie trattenendolo, xhe non uscisse di camera. Serrovvi
altresì le sorelle Antonia e Ottavia; pose guardie a tutte le
porte: e spesso dava voce che il Prìncipe migliorava, per
tenere i soldati in buona speranza: e per aspettare il punto
buono, calcolato da' caldei.
LXIX. A mezo il di tredici di ottobre, spalancate le
porte del palagio, Nerone esce con Burro, e vanne alla coorte,
* facea la credensa. Lat. « explorare gastu solitus, » Vedi lib. seg.
e. i6. JFVir la credenma Tale assaggiar la vivanda prima di metterla in tavola , a
fine d' assicarare il signore che non v' ha veleno. Di qui chiamossi poi credenza
il desco dove si posavano le vivande per far questo saggio.
' de'quaiitraghiotto.Svtionioin Claud",: «Convengono tutti eh V fosse
avvelenato, ma dove e chi, non s'accordano. Alcuni scrivono che nella rócca
mangiando co'sacerdoti ; altri| che Alatto suo credenziere ; altri ancora, che Agrip-
pina gli noettesse il veleno in un uovolo , pietansa a lui ghiotta. Nemmeno si ac-
cordano sul seguito da poi; perchè v'ha chi afferma che subito preso il veleno
perdesse U favella, e che tormentato la notte da gran dolori, morisse sul far del
dj. Altri scrivono che sul principio s'addormentò; dipoi che rigonfiandogli il cibo
nello stomaco, per bocca lo cacciò fuori, e che di nuovo fu avvelenato. Ne si ri-
solvono se ciò fu nella poltiglia che per ristorarlo gli dettero , o si pure gli av*
▼elenarono il cristero, fattogli per evacuarlo ancora da basso ^dacché mostrava
tribolare ài rìpienetxa. »
' era basito j morto.
* pittime j fornente.
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800 IL LIBRO DUODECmO DEGÙ ARNÀU.
che slava, secondo il costarne, in guardia. Ove i soldati, av-
vertendoli Burro, il riceverono con allegre grida: e misero
in lettiga. Dicesi che alcuni si rattennero, domandando, ove
fusse Britannico: ma non v' essendo chi dicesse altro, si tol-
sero quel che venne. E Nerone portato nel campo, fece ac-
conce parole: promise il donativo che il padre diede: e fa
gridato imperadore. Il fatto de' soldati seguitarono le consolle
del senato e, senza pensarvi, le provincie. A Claudio furon or-
dinati onori divini, e fatte V esequie come ad Agosto, gareg-
giando Agrippina con la magnificenza di Livia sua bisavola.
Non si lesse il testamento, perchè al popolo non facesse sto-
maco r ingiuria e l' odio dell' aver anteposto al figliuolo il
figliastro.
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301
IL LBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. G. Silano avvelenato per trama d'Agrippina. fYarciso a morte. ^-
II. Lode di BnrrOj e Seneca. Censorio mortoro di Glandio : è lodato da Ne-
rone. — ly. Baoni principii dì Nerone : molte cose ad arbitrio del Senato
fatte. — TI. I Parti aspirano all'Armenia: opponsi Domizio Corbulone. —
XII. Nerone in amor con Atte liberta , freme Agrippina : va scemando suo
potere. — XIY. Fallante casso d'impiego. — XV. Veleno accelerato a Britan-
nico: presto funerale , già preparato , e scarso. — XVIII. Agrippina vie più
a Nerone avversa , sembra macchinar norità : accusatane , ottien vendetta delle
spie, premii agli amici.— -XXII. Silana esiliata. Fallante e Burro da Feto
accusati: esilio all'accusante. — XXIV. Uoma ribenedetta. — XXV. Lusso e
lascive notturne scappate di Nerone: istrioni banditi d'Italia.— XXVI. Trat-
tasi in Senato delle frodi de' liberti , e di tornarli schiavi : pur nulla in co-
mune derogato. — XXVIII. Limitati i dritti de' Tribuni e degli Edili : cura
dell'Erario variata. — XXX. Vipsanio Lena condannato. Muore L. Volusio.
— XXXI. Magistrati eletti allO' Provincie non pqsson dar feste. — XXXII. Fatti
sicari i padroni : Ponraonia Grecina al giudìzio del marito permessa , assoluta
per innocente. — XXaIII. Accusati di mal tolto P. Celere) e Cossuziano Ca-
fitime, Eprio Marcello. — • XXXIV. Liberalità di Nerone: la guerra contro
Armenia differita si assume seriamente: coli' antica severità e disciplina as-
sodata la milizia v'entra Corbulone, prende e incendia Artassata. — ^ XLII.
P. Soillio condannato a Roma. — XLIV. Ottavio Saetta d'amor frenetico.
Ponsia passa di stoccata : mirabil fede d' un liberto. — XLV. Primo amor di
Nerone a Sabina Poppea. — XLVII. Cornelio Sulla in bando a Marsiglia. —
XLVIII. Pezzuole in rivolta. — XLIX. Peto Trasea nn lieve decreto di Se-
nato impugna per accrescere a' Padri onore. — L. Impudenza de' pnblicani :
mantenute le gabelle contro gl'impeti di Nerone, Proscritte le leggi d'o^l
comune di pubblicani sin là ignote. — LUI. Mosse de' Prigioni in Germania:
tosto fatti uscire da' campi occupati lungo il Reno: presi e uccisi ì riottosi.
Con pari fato i campì stessi occupano gli Ansibarii. •— LVII. Guerra tra £r-
munanrì e Catti, a questi fatale. — LVIII. Albero Ruminale rinverdito.
Corto di quatti^ amai.
. .. o 13' n i'v\ r^ >• l Nerone Claudio Cesàbb.
Ab. d.Rom.DCCCYiii. (iCr. 55).-Cowoh. | ^ ^^^^ ^^^^
An. ai Bom. DCCax. (d. Cr. 56).-Co».oU. } "^ ^^^^^^^ ^^^^^^
An. a. B<«D. Bcecx. (a. Cr. 57).-Co~oh. | ^ cìlpubwo Pisone.
. j. „ ;j. ^ «oi ^ ,. 1 Nbborb CiiODio Cbsibk ni.
A«. a. Boa» ixicai. (a. Cr. h»).-Cotmh. \ y^^^, „^j^,^
I. 96
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302 IL LIBRO TBEDICESIMO DEGLI ANNALI.
I. [A. di R. 807y di Gr. 54.] 11 primo ucciso nel nuovo
principato fa Giorno Silano/ viceconsolo in Asia, senza sa-
puta di Nerone per fraudo d'Agrippina, non per paura di
troppo terrìbile, anzi era pigro e spregiato dagli altri impe-
radori, onde Gaio Cesare il chiamava bue d'oro;* ma perchè
ella , che tramò la morte di L. Silano ' suo fratello, ne temeva
vendetta, vociferando il popolo che a Nerone uscito appena
di pupillo e fatto tristamente imperadore, si doveva ante-
porre Silano di età grave, netto, nobile e, quello a che si
guardava allora, del sangue de' Cesari, cioè bisnipote di
Agusto. Ciò fu la morte sua: i ministri,^ P. Celere eavaliere
romano ed Elio liberto, procuratore del principe in Asia. I
quali l'avvelenarono a mensa, che se n' accorse ogn' uno.
Non men tosto Narciso, liberto di Claudio, delle cui male pa-
role con Agrippina dissi di sopra,* fu fatto morire in carcere
asprissima di stento estremo contro al voler del prìncipe,
avaro e prodigo non men di lui, ma non ancora scoperto:
però molto gli andava a sangue.
II. E moriva dimolta gente, se Afranio Burro e Anneo
Seneca non rimediavono. Questi il giovane imperadore go-
vemavono uniti, di potenza pari, con arti diverse; fiurro
con la cura dell' armi e gravità di costumi, Seneca con gì' in-
segnamenti d' eloquenza e piacevoleze, aiutandosi V un l'al-
tro a tenere a freno più agevohnente l' età pieghevole del
principe con diporti leciti , se con virtù non potessero. Aveano
solamente a combattere con la ferocità d'Agrippina, d' ogni
voglia tirannesca ardente , aiutata da Fallante, che indusse
Claudio a gittarsi vìa* con le ìnceste noze e con la pestifera
adozione. Ma Nerone non avea umore di lasciarsi governare
a schiavi: e Fallante con la sua arroganza passando la con-
< Silano. Mareo Giunio Silano Si Appio, fa console Ta. 799.
S btt9 d'oro. D*uii altro Marco Silano, socero di Caligola e che Tu console
Ta. 77S, raoconu Dione (59, 8) cbe dal genero era chianuto medesimamenlc
XputfOV vpo^TOitppecut aurea : ed egli se ne teneva f
' L. Silano, genero di Claudio, marito d'Ottam.
* i ministri^ soltintendi/rir'ono.
B *opras Ub. XII, 57 e <{5.
* a gittarsi via ec, a perdersi, a pervertirsi, a corrompersi ec Lat.? « q»o
mmctore Claudius nuptiis incesUs etadoptione exMota, semetperperterat, •
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IL LIBRO TftBDICBSIlfO DBCLI ANNALI, 303
dizione di liberto, gli era venuto a fastidio. Pare alla madre
faceva ogni onore in apparenza, e diede a un trìbano, come
s'usa a' soldati, questo contrassegno, Ottiiia Madre. Il se-
nato ordinò a lei dve littori e il flaminato de'Glaadii, e a
Claudio la consagraiione dopo l'esequie da censore, ove il
principe lodò.
III. E mentre annoverava V antico legnaggio, ì censo-
iati, i trionfi de' suoi maggiori,^ l'attenzione fu grande: il ri-
cordarle scienze e sue nobili arti, e come, reggente lui, da
niono nimico si ricevette danno, fu grato: ma quando egK
entrò nella sapienza, nella provedenza; niuno tenne le risa;
quantunque la diceria composta da Seneca , fosse molto ador-
nata da queli' ingegno grazioso * e agli orecchi di qoe' tempi
accomodato. Notavono i vecchi scioperati, che paragonano
le cose antiche con le moderne, Nerone essere stato il pri-
mo di tutti i signori di Roma a parlare imboccato; perchè
Cesare dettatore co' maggiori dicitori gareggiò. Agosto parlò
chiaro e corrente,* proprio del principe. Tiberio del pesar le
parole aveva l'arte; concetti vivi, o scuri apposta. Né a Gaio
Cesare la bestialità tolse la forza del dire.* E Claudio quando
diceva pensato, era elegante. Lo ingegno dì Nerone de gli
anni teneri se n' andò in dipignere, intagliare, cantare, ca-
valcare, e semi di dottrina mostrava nel verseggiare.
lY. Fornito il piagnisteo, egli venne in senato e, di-
scorso dell' autorità de' padri e deli' unione de' soldati, parto
egregiamente de' suoi pensieri ed esempi per ben governare.
Non gioventù nutrita in armi civili, in discordie di casa, non
* de' éttoi maggiori. Svtionìo, in Tib.c.it « La famiglia de* Glaudii
tlht Tentotto consoli, cinque dittatori, sette censori. Ottenne tette volte il trion-
fo, e due ^olte l'onore della vittoria senza il trionfo. »
' in^e^o grazioso: Lat. « ingenitun ammmum. » Questa lode, ben oi-
wrra FOrelli, è'ambigua> e meglio rìferiscesi al corrotto gusto de' contemporanei
che al sano giudizio de* buoni estimatori. Quintiliano chiama i vizii di Seneca
rfo/c/j ma pur vitii.
' chiaro e corrente. Anche Sfetonio (in Oetav. e. S6) dice che « ebbe
stile elegante e temperato, schivando i concettini, la ravidesza e que' puszi
(com'è* diceva) delle parole viete. »
* lafwma del dire. Svetonio (in Cai. 63): « Attese molto all'eloquenza,
ed ebbe gran vena , massime a'avcsae ivuto ■ dire contro ad alcuno t nell'ira Sec-
cavano concetti e parole. »
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304 IL LIBBO TBEDICBSIUO DEGÙ ANICAU.
odii, non ingiurie arrecare, non aridità di yendetta. Propose
il modello del governo avenire, scansando tutte le cose die
eran frescamente spiaciate: « Imperochò egli non abbrac-
cierebbe ogni causa, acciochò vedendosi tutti gli attori e i
rei in una camera, non potesser i pochi favoriti assassinare
e far delle giustizie e grazie baratteria.' Una cosa sarebbe la
sna famiglia, un'altra la republica. Riterrebbe il senato
r antiche sue auttorità. L'Italia e le Provincie del popolo ^ an-
drebbono al tribunale de' consoli, che le introdurrebbero al
senato; egli pensere^bbe a gli eserciti. »
y. £ tutto osservò, e faron fatti molti ordini, come volle
il senato: Che gli avvocati non si comperassero per mercede
o presenti: che al far lo spettacolo de' gladiatori non fnsser
tenuti né anche i disegnati questori, non ostante che per es-
ser contro a gli ordini di Claudio, contradices^ Agrippina;
la quale faceva ragunar i padri in palazo, e alla porta udiva
con un velo innanzi per non esser veduta. E mentre gli am-
basciadori armeni sponevano dinanzi a Nerone, veniva per
salir su e risedere al pari di lui: ma Seneca, stando gli al-
tri attoniti, gli disse ' che le andasse incontro, e cosi mostran-
dole riverenza riparò la vergogna.
VI. Nel fine dell'anno vennero nuove che l'Armenia era
di nuovo corsa da' Parti, cacciatone Radamisto, già più volte
ebtratovi e fuggitone, e allora del tutto abbandonatosi. Molti
per la città ciarlatrice domandavono: « In che modo potrdibe
quel principe, fanciullo di anni diciassette, tanto peso reg-
gere o sgravarsene: che aiuto dare chi è retto da una don-
na? commetteransi le giornate, gli assalti e l'altre azioni di
guerra a pedagoghi? » Altri dicevano: « Durerà le fatiche
della guerra meglio costui^ che quel vecchio scimonito di
Gaudio, cmnandato da servidori: di Burro e Seneca ci son
moltissime sperienze. E all' imperatore quanto manca all'es-
* baratteria. Dati: « L'intento suo non era di volere di tutte le cose esser
egli il giudice 9 n^ d'acconsentire che dentro ad una casa fossero eome rinchiusi
gli. accusatori ed i rei, onde perciò la potenza di pochi avesse a prevalere. »
> U Provincie dtl popolo. Tacito dice' le pubbliche ptovimcU^ e f
di quelle che nella divisione fatta da Augusto toccaroao al leoato.
' gli disse t a Nerone.
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IL LIBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI. 305
ser nomo? avendo Gn. Pompeo di diciott^anni e Ottaviano
• Cesar di diciannove, retto le guerre civili? Più fanno! prin-
cipi con la reputazione e col consiglio, che con la mano e
con r armi. Mostrerebbe se egli si serve d'^uomini dabbene
0 no: se di capitano valoroso senza invijcKa, o tirato su per
rìccfaeza e favori. »
VII. Dicendosi queste cose, Nerone mandò una bella
fanteria, fatta di vassalli vicini, a rinfrescare le legioni
d'oriente, e fece quelle accostare air Armenia. E due antichi
re, Agrippa e locco,' stare in ordine con eserciti, per entrar
nella campagna de' Parti, e gittar ponti per l'Eufrate. L'Ar-
menia ad Aristobolo,' la regione di Sofena ' a Soemo* con le
reali insegne commise. E venne a tempo che Tardane si
scoperse nimico a Vologese ^ suo padre. E partironsi i Parli
d'Armenia quasi differendo la guerra.
YIII. Erano queste cose in senato aggrandite da quelli
che proponevono far prieissione: * il principe v*^ andasse in
veste trionfale: entrasse in Roma ovante: se gli facesse sta-
tua nel tempio di Marte vendicatore, grande come la sua;
tatto per 1' usata adulazione, e per Fallegreza d'aver fatto
suo luogotenente in Armenia Domìzio Corbulone,'' e parere
aperta la porta alle virtù. Le forze deir oriente furon divise
in questa guisa, che Quadrato Yìnidio ^ rimanesse nel suo go-
verno di Seria con le due legioni e parte delli aiuti : altret-
tanti n'avesse Gorbulone; e più i colonnelli e la cavalleria
che svernavano in Cappadocia: i re amici, quelli se-
condo che la guerra chiedesse, ubbidissero. Ma essi ama-
ran più Gorbulone, il quale per acquistar nome, cosa nelle
* -^g^ippft « tocco. 11 primo è 6g1io di quclP Agrìppa rici^rdato, Ub. Xil, 83, .
n secondo debb'ettere Antioco re della Commagene e d* una parte della Ciliciji.
Il cod. Mediceo ha t miochum^n che è manifestamente mutilaxione di Àntiochum,
< jirisiobolo, figlio d' Srode re diCalcide.
' Sfifena, presso l' Armenia.
* Sòemo. £ quello ricordato nel lib. II, IS delle Stprit.
9 Vologese. Storie IV, 51.
" ^ /hr pricissione. Valeriani; «Nel senato ogni cosJPfa celebrata oltre il
dovere da quelli, che decretarono preci pubbliche, e al* principe trionfai veste il
di delle pieci. »
7 C9rbalon0. Tedi UI, 31 ; XI , i8 e 90.
S Vinidio, Il teato ha: « Ummidium^ »■ di cui Tedi Xlf , 45 e 54.
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306 IL LIBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI.
naove imprese ìmpoHantissima, camminando forte, riscon*
irò Quadrato in Egea,^ città di Cilicia, che s'era levato in-
nanzi per gelosia, che, se in.Soria entrava a ricever le genti
Corbalone, di gran potenza, di parole magnifico, atto, oltre
alla esperienza e al sapere, a muovere ancora con l' appa-
renza; non facesse tutti gli occhi in se volgere.
IX. L'uno e l'altro per messaggi confortavano il re
Vologese a voler pace e non guerra: dare statichi, e conti-
nuar la reverenza portata dalli altri al popol romano. Volo-
gese, 0 per apparecchiarsi con agio di forze a quella guerra,
o per levarsi i sospetti di concorrenza, consegnò sotto nome
di statichi ì primi del sangue arsacido a Isteo ' centurione, da
Yinidio per sorte mandato prima al i^ per detta cagione: il
che come Gorbulone intese, mandò per essi Arrio Varo, pre-
fetto d' una coorte. Il centurione ne venne seco a parole. E
per non farsi tra que' forestieri scorgere,' la rimisero nelH
statichi, e ne' loro conducenti. Questi anteposero Gorimlone
per la sua fresca gloria, e benivoglienza ancor de' nimiei.
Onde nacque tra questi capi discordia, dolendosi Yinidio es^
sergli levato di mano V acquistato per opera sua; ''e Gorbulo-
ne, vantandosi non essersi risoluto il re offerire gli statichi
se non quando seppe d' avere a far seco, e voltò la speranza
in paura. Nerone per rappaciarli bandi, che i fasci dell' im-
peradore, per le prospere gesto di Quadrato e di Gorbulone,
si portassero con T alloro. E queste cose toccarono dell'anno
appresso.
X. In questo presente, Gesare domandò al senato l'ima-
gine a Gn. Domizio suo padre, e le insegne di consolo ad
Asconio Labeone, stato suo tutore. Le statue d'ariento e
d' oro massiccie a lui offerte ricosò. E contro al voler de'pa-
dri, che il m,ese di dicembre, nel quale egli nacque, fosse
capo d'anno; mantenne alle calende di gennaio T antica re-
ligione. E non furono accettate le querele poste da uno
< Egea: dorè oggi è il porto Ayas,
s /«/«a. I»a Nestiana, per errore, Oitaric,
' per non farti,,, scorgere, Lat. « n0... speciaemlo essetj » per dod fini
beffate; pec non. essere ludibrio. Mi/arsi scorgere con alcuno signiScanell'ns*
del popolo: Venis con esso alle brutte, con parole aspve e libere.. E questo se-
condo significatanon par dffimL» nel Vocab<^rio.
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IL UBRO TBEDICESUfO LI DEGANNALI. 307
schiavo a Celere Garlnate senatore, e a Giulio Denso cava-
liere, di favorire Britannico.
XI. [A. di R. 808, di Gr. 55.] Entrati consoli esso Claudio
Nerone e L. Antistio, giurando i magistrati negli attide'prìn*
cipi , non volle che Antistio suo collega giurasse ne' suoi.
Laudandolo molto i padri, che quel giovenile animo com-
piaciutosi nelle picciolo glorie, continuasse nelle maggiori. Fu
benigno a Plauzio Laterano cacciato come adultero di Mes*
salina del senatorio ordine, in rimetlerlovi; prometteva cle-
menza con sue dicerie spesse, che Seneca componeva e pu-
blicava per la bocca del principe, per far mostra delle virtù
che gF insegnava, o di suo ingegno.
XII. La madre cominciò appoco appoco a cadere, es-
sendosi Nerone intabaccato * con Atte liberta, e fattone con-
sapevoli due be' giovanetti, Otone di famiglia consolare e
Claudio Senecione figliuolo d' un suo liberto. Questi per la li-
bidine e per li segreti di perìcolo gli entrarono in gran con-
fidenza, né poteoci ella, quando il seppe, rimediare; e parve
meglio a' consiglieri del principe, (il quale la moglie Ottavia,
benché n%bile e ottima, per disventura, o perché le cose
vietate prevagliono, non poteva patire) lasciarlo sfogare in
quella fenunina senza offésa d'alcuno, che nelle donne il-
lustri.
XIII. Sbuffava Agrippina d' avere una liberta per com-
pagna, una servente per nuora, e colali altre cose, senz'aspet-
tare il ripentere o stuccare del figliuolo, cui quanto più sver-
gognava, più accendeva di questo amore. Dal quale sopraffatto,
ogni ubbidienza levò a lei e voltò a Seneca, de' cui famigfiari
un Anneo Sereno, facendo lo innamorato di questa liberta,
ricopriva da principio il giovane prìncipe; e sotto nome di
costui andavono i presentì. Allora Agrippina mutò registro,
e cominciò a tentare il giovane con le lusinghe, e offerirgli
la sua camera per dare celato sfogo a quello di che 1' età
giovanile e la somma potenza gli facesse venir voglia. Con-
fessava d' essergli stata troppo severa. Largivagli tutte le sue
riccheze, poco minori di quelle dello ìmperadore: quanto
dianzi lo gridava mbesta, tanto ora gli s' umiliava. Di tanto
A inUibitccMtfi, imiamorilo. Vocaliolada cicalaU^ se pniCu
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308 IL LIBBO TREDICESIMO DEGLI ANNAlt
iiia(amento Nerone attinse il fine, e gli amici ne temeano e
prcgavanlo a guardarsi da quella sempre atroce, allora falsa
donna. Riveggendo egli an giorno le vesti e gioie delle pas-
sate imperatrici , mandò a donare alla madre senza ritegno
le più ricche e care. Ella alzò la boce, «e Non di tali onori
pascerla il figliaol sao, ma torlo gli altri; e dell' imperio da-
togli intero, renderle questo spicchio. » * Non vi mancò chi
tatto rapportasse, e peggio.
XIV. Nerone, che qoelli non poteva patire per cai la
donna era saperba, levò a Fallante il maneggio datogli da
Claudio, co'l quale governava quasi tutto 'l regno. Dicono che
partendosi egli con gran comitiva , Nerone approposito disse
ehe egli andava a render V uficio. * Vero è eh' egli avea
pattuito che senza rivedere ì conti suoi publici , s'intendessero
saldi e pari. Agrippina inbestialisce, e grida in modo che il
prìncipe Tede: « Che Britannico era il figliuol vero e de-
gno, e d'età da tenere l'imperio del padre, usurpatoli per
opera di lei trista da quello adottato posticcio con si scele-
rate noze e veleno. Deansi pur faora tutti i mali ' ^cev' ella]
di quella casa infelice. Mercè de gl'iddii e sua, u figliastro
esser campato. Con esso andrebbe in campo ove s' udirebbe
la figliuola di Germanico da una parte. Burro e Seneca, un
monco e un pedante dall'altra, pretendere il governo del
genere umano. » Arrostava le mani; * diceva ogni male;
chiamava Claudio da cielo, l'anime de' Silani* d' inferno; i
tanti peccati orrendi fatti senza alctin prò.
XV. Nerone sen' alterò , e compiendo Britannico quat-
tordici anni tra pochi di , considerava or la madre rovinosa,
ora il giovane spiritoso, che l' avea mostrato e acquistatone
grazia in quelle feste saturnali, ove Nerone fatto re de' gioo-
chi,* n' impose a gli altri vani e da non arrossire, a Britaa-
* renarle questo spicchio , questa piccolitsima parte.
' a render l'nficiOj a rinunziare l'ufficio. Lat.; **iU cìiiraret »
B Deansi pur fugra cc.^ si propaghino, si manifestino pure er.
* Arrostava le mani, ibrarciara. Il postillatore dell' eieroplare Nestiaoo
di G. Cappooi coriegge molto male aUava.
S de'Silani, cioè di Marco e Lucio. Vedi ■ principio drl libro.
Sfatto re de' giuochi. Nelle feste saturnali soleva crearsi un re, il «Yuale, wt»
coodo riferisca Àrrìaoo, «vefa vantorìtli di date si fatti ordini t 7W« be^it im, m§»
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IL UBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI. 309
DICO che nel mezo andasse e canlasse improvviso. Spe-
rando far ridere il popolo del fanciullo non usato a cene
oneste, non che ubbriachesche. Ma egli sensatamente can-
tando accennò, <k come del suo seggio e sommo imperio cac-
ciato fosse; )» e mosse pietà più manifesta per aver la notte
e r aUegria levato i rispetti. Nerone vistosi mal voluto per
questo fratello, gli accrebbe l'odio, e per le minacce d'Agrip-
pina affrettò cagione di farlo uccidere. Alla scoperta non v'era,
e non ardiva: pensò alle fraudi, e d' avvelenarlo per mezo di
Giulio Pollione tribuno d' una coorte di guardia che teneva
prigiona Locusta,' condannata permeiti veleni, ond'era mae-
stra famosa. E già ogni custode di Britannico era acconcio
a fargli ogni tradimento. Questi gli diedono il primo veleno
che gli mosse il corpo e passò come poco potente o tem-
perato a tempo. Ma Nerone non potendo aspettare, minac-
cia il tribuno, comanda che gastìghì la femmina, poiché
per pensare al dire del popolo, a scusar se, tengono il prin-
cipe in perìcolo. Promettongli morte più subita che di col-
tello nel cuore. Nella sua anticamera cuocon di più veleni
provati pessimi un furiosissimo.
XYL Usavano i figliuoli de' principi sedere in vista
loro appiè de' letti con altri nobili di loro età , a mensa se-
parata e men ricca. Cosi mangiando Britannico, uno de' suoi
gli faceva de' cibi e del bere la credenza. E per non man-
care dell'usalo, ^ o non chiarire il veleno, morendo ambi, si
trovò questa astuzia: fu portato a Britannico da bere senza
veleno e fattogli la credenza, ma troppo caldo , perciò ri-
cusato e raffreddato con acqua, ove era il veleno. Corsegli
di fatto per tutte le membra e tolsegli la voce e '1 fiato.
Que' giovani si spaventarono, alcuno ne fuggi, ma gl'inten-
denti afilsaron Nerone. Egli senza levarsi su, fattosi nuovo,
disse : « Darsegli quel male ' del quale sin da bambino ca-
sci: tUj canta: tu, va: iUj vieni. E 1* altro rispondeva: Obbedisco j perchè il
giuoco per mia cagione non si guasti. Nerone giuocando co' suoi compagni ,
el>be in sorte questo regno. E fosse restato sempre re da burla f
* Locusta. YtéìJin, 66,
' mancare dell'usato, per non omettere nulla del consuetOb
' tjuel male per eufemia intende il mal caduco. €ost anch' oggi il popd
toscano.
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310 IL LIBBO TREDICESIMO DEGLI ANNALI.
deva^i e appoco appoco rinverrebbe.» Qaanto Agrippina,
che non più d' Oltavìa soreUa di lui ne sapea., ne rimanesse
smarrita, le si lesse nel viso benché acconcio,^ come colei
cui era tolto ogni aiuto e datone annunzio di sua morte.*
Ottavia ancora, benché di anni tenera, imparato aveva a
nascondere il dolore V amore e ogni affetto. Cosi doppo an
breve silènzio, si tornò air allegria del mangiare.
XYII. La stessa notte mori Britannico, e fu arso con
esequie scarse e prima provedute. Fu seppellito pure nel
campo di Marte, con pioggia si tempestosa che parvero
crucciati gFiddii, benché molti scosassero Nerone, incoia
pandone la natura de' fratelli, sempre discordi, e del regno
che non vuol compagnia. Molli scrittori di qne' tempi dicono
aver prima Nerone spesse vòlte abusato la fanciulieza di
Britannico; perciò non può parere affrettata né cruda quella
morte, benché nelle sagre mense data, senza lasciarlo dalla
sorella ^ abbracciare, in su gli occhi al nimico, il quale estinse
quel sangue ultimo deXl^udii, prima da vitupero che da ve-
leno corrotto. Cesare per bando le affrettate esequie scasò
con dire: <( Che gli antichi usavono levarsi dinanzi a gli oc-
chi, e non con le pompe e dicerie trattenersi le morti acer-
be.* Mancatogli l'aiuto del fratello, ogni speranza sua era
nella republica. Della famiglia nata al sommo imperio rima-
nea solo: tanto più doveano i padri e il popolo tenerlo
caro. »
XYIII. A' principali amici donò largamente, e tassati'
furono alcuni (che faceano il .grave )^ d'essersi case e ville,
quasi prede, spartiti in tale stagione. Altri diceano averli ad
accettare forzali dal principe che si sentiva dal peccato ri-
mordere, e con donare a' più grossi sperava perdono. L'irata
' nel viso benché acconcio^ Lenchè composto a tranquilliti.
' e datone annunzio di sua morte, ed esserle con ciò dato aoounzio della
sua morte.
S dalla sorella. Il testo ha: m complexum gorortun, » cioè delle iorelle
Ottavia e Antonia.
* acerbe. Intendi, immature,
8 tassati, rìm^Torerzlì.
^ che faceano il grave j che aflfeltavano severa onestà. h^Uimgranlaiem
asseverantes. »
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IL LIBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI. 311
madre già non potè con verona largheza attutare. Ella ab-
bracciava Ottavia: aveva co' saoi confidenti gran segreti. Ra-
piva oltre all' avarizia radicata neir ossa, per ogni verso da-
nari, quasi per aiutarsene. Tribuni e centurioni carezava;
de' nobili che vi eran rimasi di conto, venerava i nomi e le
virtù, come cercasse capo e parte. Ciò veduto Nerone, mandò
via le sentinelle che ella teneva già come moglie, e ancora
come madre dell' imperadore, e oltre a questa pompa la guar-
dia de' Tedeschi; e perché meno gente la venisse a salutare,
la fece uscire di casa sua, e tornare in quella che fu d'An-
tonia: ed ei non v' andava se non in mezo a molti centu-
rioni: davate un freddo bacio, e partìvasi.
XIX. Ninna cosa mortale si tosto vola come l'opinione
del potere assai che non ha forze da se. La porta d'Agrìp-
pina diacciò subito:* non l'andava a consolare, a vedere,
fuorché qualche donna; né si sa, se per amore o per odio;
tra le quali Giunta Silana già moglie di Gaio Silio fatta ri-
mandare, come dicemmo,* da Messalina; di grai^ sangue;
belleza lasciva; tutta d'Agrippina un tempo; poi non si di-
ceano punto,' perché Agrippina non la lasciò rimaritare a
SesUo Affocano, giovane nobile, dicendola disonesta e vec-
chia; non per goderlosi ella, ma perchè egli come marito,
non redasse lei ricca e orba. Ella colto il tempo da vendicarsi
ordina che Iturio e Cahrisio, sue creature, l'accusino, non
di piagnere la morte di Britannico, e contar gli strapaza-
menti d'Ottavia, cose vecchie e stracche, ma d'ordire no-
vità con Rubellio Plauto, disceso per madrei da Agusto in
pari grado che Nerone, e tòrio per marito, e di nuovo la
republica occupare. Iturio e Galvisio scoprono questa cosa
ad Atimeto, liberto di Domizia, paterna zia di Nerone. Co-
stai lieto (perchè Agrippina e Domizia si cozavano fieramente)
spìnse Paride slrìone, liberto anch' egli di Domizia, a cor-
rere e riferire con atrocità questa congiura a Nerone.
' diacciò subito, non fu più frequentata; niuao andava piò a salutars
Agnppiaa.
S come dicemmo j lib. XI, 3.
' non ei diceano punto , non v'era tra loro punto baon sangue; s*odi»>
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312 IL LIBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI.
XX. Era gran pezo dì nolte, e Nerone la consamaya av«
Tinazandosi. Paride, osato a quell'olla a rinforzare Y alle-
gria del principe, entrò con yìso addolorato, e contatogli
tatto per ordine, gli mise si fatta paura, che deliberò am-
mazar la madre e Plauto; Burro, da lei fatto grande e lei ri-
conoscente, cassare/ Fabio Rustico' scrive, che Cecina Tusco
fu fatto prefetto de' pretoriani, e mandatogli la patente: ma
l'aiuto di Seneca raffermò Burro. Plinio e Cluvio' dicono,
che della fede di Burro non fu dubitato: ma Fabio loda Se-
neca volentieri, perchè lo fece grande. Noi dove s'accor-
dano, affermeremo; dove no, gli citeremo. Nerone spaven-
talo, e d'uccider la madre avido, non le dava sosta, se Borro
non prometteva levarla via, provata l'accusa: « Le difese
darsi a ciascuno, non che alla madre; non ci essere accusa-
tore, ma voce d' un solo, e di casa nimica: considerasse che,
nella notte e fra '1 vino, le deliberazioni potevan riuscire in-
discrete e temerarie. »
XXI. Scemata cosi al principe la paura, e fattosi giorno,
a Burro fu commesso che andasse a esaminar Agrippina per
assolverla o dannarla. Egli, presenti Seneca e alcuni liberti,
lesse la querela e gli accusanti, e minaccìolla. Ella pia indra-
gata* che mai, disse: « Non è maraviglia che Silana sterile
non conosca l'amor de' figliuoli, i quali non posson la madre
scambiare, come le ribalde i bertoni.'' Né Iturio e Calvisio,
che si son pappati ' loro avere, e ora per aver pane da quella
vecchia mi fanno la spia, cagioneranno mai a me infamia,
né a Cesare colpa di parricidio. Alla nimicizia di Domizia
avrei obligo, se ella gareggiasse meco in amare Nerone mio:
ma ella attende ora co' bei personaggi d' Alimelo suo drudo
e di Paris suo strione, quasi a compor farse; e prima si tra-
* 'Cassare, togliergli la pnfèttura.
S Fabio Àtutieo, Di questo storico, citato altre tre volle da Tacito (Vtài
XIV, S; XV , 61. Fu. Agr. 10), non ci resta aeppore un frammento.
B Cittvio Rufo, che scrisse le storie del suo tempo, ora perdute, h ricordato
aiidielib.XIV,3.
* indragata, arrovellata siccome un drago. Cosi nel primo degli JmmU,
e. 44, usò intoraio. Vedi la nota.
' bwionif dradl , amanti.
* che ti son pappati, che hanno dato fondo al ec.
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IL UBRO TBBDlGl&niO bBGU AKIfAU. 313
stullayfl a Baia co' suoi vivai , quando io co' miei consigli lo
faceva adottare, far viceconsolo, disegnar consolo, e l'altre
vie gli lastricava all' imperio. Bene ora contro gli avrò ten-
tato guardia, sollevato vassalli, corrotto schiavi o liberti?
forse poteva io vivere regnando Britannico? o se Plauto o al-
tri, fatti padroni, m'avessero avuto a giudicare, mancare
forse accusatori non di parole scappate per troppo amore,
ma di cose da non perdonarle, se non ei figliuolo a me ma-
dre? » Commosse que' che v' erano, e cercavano di mitigar-
la: ella ottenne di parlare al figliuolo, co '1 quale non entrò né
in sua innocenza, quasi le bisognasse, né in suoi benefici!,
quasi gli rimproverasse: anzi ottenne gastigo aUi accusanti,
e premio a gli amici.
XXII. Fenio Rufo Vfu fatto prefetto dell'abbondanza, Ar-
runzio Stella della festa che Nerone ordinava, Gaio Balbillo '
governatore d'Egitto. P. Anteio destinato per' Soria, ma
dopo vari aggiramenti, alla fine fu arrestato in Roma. Silana
scacciata, Calvisio ed Iturio confinati, Alimelo giustiziato.
Le libidini del principe scamparon Paride: di Plauto per al-
lora non si parlò.
XXIII. Pallante e Burro furon poi accusati d'aver con-
sentito che Cornelio Siila, di gran sangue, marito d'Antonia
figliuola di Claudio, fusse assunto all'imperio. La spia del
tutto riosci falsa, e fu un certo Peto, infame incettator di
beni di condennati che il fisco incantava. Di Pallante non
fu tanto cara l'innocenza , quanto stomacò la superbia; avendo
detto, quando senti nominar suoi liberti per testimoni, che
in casa sua non comandava che per cenni, e bisognando
sprimer meglio, per non s'affratellar con essi parlando,
scriveva: Burro, benché reo, fra' giudici diede il voto. Peto
fu bandito, e arsigli i libri fiscali, ove raccendeva' i debi-
tori che avevan pagato.
XXIY. Al fine dell'anno si levò la guardia solita tenersi
* Fenio Bufo. Vedi 1. XIV, 31 e 57; XV, 60 e 63.
^ Gaio Bulbillo. Seneca, Qucest. nat. 4, 2, lo chiama viror tuuoptimusj
in omni literarum genere rarissimus.
3 ove raccendeva ce, dove registrava nuovamente le partite dei debitori
che aTevano pagato.
I. 27
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314 IL LIBRO TBEDICESIHO DEGLI ANNALI.
alle feste, per mostrare più libertà, non insegnare assoldati
quelle licenze della plebe,* e lei provare come senza guardia
stesse. Gli amspìcì fecero al principe ribenedire la città, es-
sendo in sa i tempii di Giove e Minerva cadute saette.
XXV. [A. di R. 809, di Cr. »6.] L'anno di Q. Volusio e
P. Scipione consoli, fuori, fu quieto, nella città, scorretto:
perchè Nerone per le vie, taverne e chiassi travestilo da
schiavo con mala gente correva* le cose da vendere, e fa-
ceva tafferugli si sconosciuto, che ne toccava anch' egli, e ne
portò il viso segnato. Chiaritosi esser lui che faceva questi
baccani, crescevano gli oltraggi ad uomini e donne di gran
qualità, perchè molte quadriglie 'd'altri, credute esserla
sua,* affrontavano a man salva, e pareva la notte la città ire
a sacco. Giulio Montano vinto per senatore, venuto alle mani
una notte col principe, lo fece cagliare; ^poi conosciutolo, e
chiestoli perdono, fu fatto morire, quasi gliele avesse rim-
proverato. Nerone andò poscia più cauto con masnade di sol-
dati e accoltellanti: « Che lo lasciasser fare i primi affronti,
ma riscaldando la zuffa accorresser con l'arme. » Converti
la licenza del favorire chi questi chi quelli strioni , quasi in
battaglia col non punire e col premiare, e star esso a vedere
ora ascoso ora scoperto: alla qual discordia di popolo e pe-
ricolo di sollevamento, fu rimediato col cacciare gli strioni
fuor d'Italia, e nel teatro rimetter la guardia de' soldati.
XXVL In questo tempo si trattò in senato delle fraudi
de'liberti, e che i padroni potessero per mali portamenti ri-
lor loro la libertà. Approvatori non mancavano. Ma i consoli
non ardirono proporlo senza saputa del principe: scrissergli:
' non insegnare a' soldati quelle licenze della plebe. Il postillatore
dell'esemplare Nestiano di G. Capponi nota qui in foglietto volante; « Mi pare
esplicato troppo scarsamente, e la voce {Aeatra/i non so se si possa dir la plebe
sola.if 11 Valeriani traduce: « ed impedir che il soldato, tramescolato alla teatrale
licenia, si corrompesse. »
' correfa^ rubava. Illat.; » comitantibus qtd raperent venditioni eX'
potila . »
S quadriglie j masnade, accozzaglia.
A credute esser la sua, che erano creoute essere a gentaglia di Nerone,
affrontavano » man salva anco le persone più ragguardevoli.
S lo fece cagliare, gli fece calare la petulanza, dandogli il conio suo; lo
fece allibbire.
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IL UBBD TRKDICBglHO INMLI ANNALI. 31K
« Che il senato n'era contento; ne comandasse egli il parti-
to, come tra pochi e discordi. » Fremevano alcuni, et La
libertà averli fatti tale insolenti che, trattino a diritto o a
torto, stanno a ta per tu col padrone,* e quando gli vuol ga*
stìgare, te lo rispingono o manomettono. £ un povero pa-
drone offeso, che può far altro al suo liberto che discostar-
losi venti miglia in Terra di Lavoro? nel resto procedcm dd
pari, e conviene metter loro un morso che lo temano. Non
esser grave mantenersi la libertà con la medesima riverenza
che l'ottennero. Chi erra ritorni schiavo, e freni la paura
cui non muta il benefìcio. »
XXYIL Dicevasi all'incontro. « La colpa di pochi dover
nuocere a quelli,. e non pregiudicare a tutto '1 corpo degli al-
tri si grande che le tribù in maggior parte, le decurie e mi-
nistri de' magistrati e sacerdoti, i soldati guardiani della cit-
tà, infiniti cavalieri, moltissimi senatori non essere usciti
altronde. Levandone i discesi di liberti, pochi restar gli al-
tri liberi. Non accaso i nostri antichi avere onorato ciascun
grado di sue proprie podestà,- la libertà aver fatta comune a
ogn'uno. La quale inoltre ordinarono che si desse in due
modi per lasciar luogo a pentimento o a nuovo benefizio.
Quei che non eran fatti liberi per mezo del magistrato, rima-
ner quasi in servitù: esaminassersi poi i meriti, e non si cor-
resse a darla quando non si poteva ritorre. » Piacque questo
parere. £ Cesar riscrisse al senato: oc che in particolare a qua-
lunque si lamentasse di suoi liberti si facesse ragione: in ge-
nerale niente si derogasse. » Indi a poco non senza biasimo
di Nerone fu tolto quasi di ragion civile Paris istrione alla
zia Domizia, da lui fatto prima dichiarare ingenuo.
XXYIII. £ravi pure di republica un poco di somiglian-
za, perchè avendo YibuUio pretore carcerato certi partigiani
di strioni, e Antistio, tribuno della plebe, comandato che fus-
* stanno a tu per tu col padrone^ entrano in contrasto col padrone, ri-
spondendo sensa rispetto alcuno. — Légge: « yine an tequo cum patroni» iure
agerent, sententiam eorum consultarent ec. •*
S di sue proprie podestà. Valeriani: « Non sema ragione gli antichi di-
visa avendo la dignità degli ordini, accomunaroBo la libertà. » £ vuol dire, che
mentre diversi erano negli ordini i gradi della dignità', la libertà poi era la i
sima per tutti.
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316 n LIBftO TBBDICESIMO DEGLI ANNALI.
Aero lasciati; ì padri, approTato il fatto, sgridarono Antistio.
A' tribuni similmente vietarono l'entrar nella podestà de' con-
soli e pretori, 0 avvocare a se' le liti d'Italia. Aggiunse L. Pi-
sene eletto consolo, che lor podestà di condannare non
usassero in casa e che ì questori il mettere a entratale
condennagioni fatte da loro differissero quattro mesi : in
tanto si potesse dir contro, e i consoli giudicassero. £ fa ri-
stretta r autieri tà e tassate le somme agli edili curali, e ai
plebei del pegnorare^ e condennare. Onde Elvidio Prisco,
tribuno della plebe, privatamente nimico d' Obultronio Sa-
bino questore dell'erario, l'accusò, perchè incantava i beni
de' poveri troppo crudamente. Il prìncipe tolse di mano a' que-
stori i libri publici, e ne diede cura a' prefetti.
XXIX. Questa cosa spesso variò, perché Agusto faceva
eleggere i prefetti dal senato: sospettandosi poi de' favori, si
traevan per sorte del numero de' pretori. Né questo modo du-
rò, perchè uscivano molti inetti. Claudio ritornò a' questori,
e perchè non andassero adagio per tema d'offendere, die
loro, per poi,' pretorie fuor d'ordine.' Ma perchè quei che
aveano quel primo magistrato, crono giovani,* Nerone elesse
persone cimentate,^ e già stati pretori.
XXX. Quest'anno fu condannato Yipsanio Lenate d'aver
con rapacità retta la Sardigna. Di simil cosa assoluto Cestio
Proculo, cedendo li accusatori. Glodio Quirinale, capo della
ciurma dell'armata di Ravenna, per avere con lussuria e
crudeltà maltrattata Italia come vilissima tra le nazioni, in-
nanzi alla sentenza s' avvelenò. Gaio Aminio Rebio princi-
palissimo in dottrina legale .e riccheza, per fuggir i dolori
in vecchieza si segò le vene: che tanto cuore non si aspet-
tava in quel vecchio libidinoso, quasi donna infame. Con
fama ottima mori L. Yolusio di novantatre anni, giustamente
* <fe/pegnorare^ di quanto potessero pigliare per pegno. hiU: t qttantMm
pignoris caperent. »
S per poi, per dopo la questura.
^ fuor d'ordine: perchè dalla questura, secondo l' ordine , non si passara
•Ila pretura, ma alP edilitk.
* erono giovani : perchè la questnra era il primo scalino degli onori deUa
repubblica.
B persone cimentate^ sperimentate. Lat. « experientia probatos delegiU»
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IL LIBRO TREDICESIMO DSGLÌ ANNALI. 317
arricchì lo, senza cadere in disgrazia di tanti mali imperadori.
XXXI. [A. di R. 810, di Gr. 57.] Nel consolato secondo di
Nerone e di L. Pisone, poco fu da memorare, chi non volesse
impiastrar le carte, lodando i bei fondamenti e' legnami del-
Tanfiteatro che Cesare edificò in campo di Marte; ma per
degnità del popol romano s'usa negli annali scriver le cose
illastrì, e le simili ne' giornali. Furono le colonie di Capua e
Nocera rifornite di vecchi soldati, e dieci fiorini per testa
donati del publico alla plebe, e messo nell'erario un milion
d'oro per mantenere il credito del popolo; e li quattro per
cento delle vendite delli schiavi , levati più in vista che in
effetto, perchè dovendo pagargli il venditore, ne voleva quel
più. £ mandato un bando che niuno di magistrato, o gover-
nator di provincie, facesse spettacoli di caccio, accoltellanti
0 altro; perchè prima non meno afiQiggevono i popoli con
simil giuochi, che co'l rubargli, difendendo con si fatte libe-
ralità le loro scelerateze.
XXXII. Fu dal senato fatto un decreto, a gastigo e si-
curtà; che, ammazando li schiavi il padrone,* i liberti per te-
stamento' stanti in quella casa, portassono la medesima pena.^
È rifatto senatore L. Vario stato consolo, e di rapine già ac-
casato e casso.* Pomponia Grecina donna illustre, moglie di
Plauzio,* tornato d'Inghilterra ovante, querelata di eresia,*
fu data a giudicare al marito, il qual co' parenti di lei al
modo antico, della vita e dell'onore l'esaminò e dichiarò
innocente. Ella visse assai in continui dispiaceri per Giulia
di Druso,^ uccisa per malvagità di Messaliùa: portò bruno
* Intendi: li schiavi ammazzando il padrone.
liberti per testamentoj cioè, i servi a cui pel testamento del padrone h
lasciata la libertà.
S Così il testo di Paolo: « I servi stanti nell'istessa casa dove dicesi ucciso
il padrone, son collati e paniti, sebbene per testamento dell'ucciso sieno mano-
• * casso j cassato.
» Piauiio. Vedi XI, 36. Fit. Jgr. i4.
* querelata di eresia. Lat.: « superstitionis externas reaj m rea d'avere
aderito a religione straniera. 11 Lipsio crede che fosse cristiana.
7 Giulia ec. Vedi HI, 29; VI, 27; e in questo stesso lib. e. 43. Era nipote
di Pomponia figlia di Attico (Ann. il . 43). Il tkuso qui ricordato è figlio di Ti«
berio.
2r
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318 IL LIBRO TREDICESIMO DEGÙ ANNAU.
quattordici anni né mai si rallegrò; del che vivente Claudio
non portò pena, poi n'ebbe gloria.
XXXIIL Molti furono quest'anno accusati; dall'Asia
P. Celere, il quale non potendo Cesare assolvere, trattenne
tanto che si mori di vecchiaia; perchè la grande scelera-
teza di Celere dell'avere avvelenato, come dissi,* Silano vi-
ceconsolo, tutte l'altre sue ricoperse: dalla Cijicia, Cossu-
ziano Capitone, brutto vituperoso, che prese animo a rubare
nella provincia come in Roma; ma dalla pertinace querela
confitto, abbandonò la difesa, e fu dannato secondo la legge
del mal tolto: dàlia Licia, Eprio Marcello' del medesimo;'
ma potette si co' favori, che alcuni delli accusanti furon man-
dati in esilio, come avesser messo in pericolo lo innocente.
XXXIV. [A. di R. 811, di Cr. 58.] Nerone la terza volU
fu consolo con Valerio Messalla, il cui bisa voi Corvino, l'ora-
tore, si ricordavano i vecchi (oramai pochi) essere stato in
tal magistrato collega d'Agosto arcavolo di Nerone. E per
più onorare sì nobil famiglia gli fur dati fiorini dodicimila
cinquecento l'anno, per sostentare l'innocente sua povertà.
Altre provìsioni assegnò il principe ad Aurelio Cotta e Aterio
Antonino, benché scialacquatori di loro facultadi antiche.
Nel principio di quest'anno la guerra co' Parti per l'acqui-
sto dell'Armenia lentamente avviata e sospesa, inveleni per
cagione che Vologese, che data l'aveva a Tiridate fratelsuo,
non voleva eh' e' la perdesse, né riconoscesse da altra po-
tenza, e a Corbulóne non pareva onore del popol romano gli
acquisti già di LucuUo e di Pompeo, non ripigliare. E gli
Armeni, di dubbia fede, chiamavano l'une e l'altre armi: ma
come co' Parti imparentati , e di paese e di costumi più si-
mili, non conoscendo libertà, più inchinavano a servir loro.
XXXV. Ma a Corbulóne più dava da fare la poltroneria
de' soldati che la perfidia de' nimici. Le legioni levate di
Sorta nella lunga pace imbolsite, * ansavano alle fatiche
' come dissi, sopra nel cap. I.
> Eprio Marcello, spia famosa. Vedi XII, 4. Stor. Il, 53; IV, 6.
' del medesimo, fa accusato del medesimo delitto.
* imbolsite, divenute fiacche e infingarde. Bolso dicesi di cavallo malato
di raSìeddore e che tosse. Di qui per traslato imbolsire, infiacchire^ infermarsi ec.
Il CelliniVusa graziosamente di ferro che ha perduto il filo o la punta.
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IL UBRO TlEDICBSOfO DEGLI ANNAU. 319
nnuane. Yidersi in quello esercito soldati vecchi che non
avevano fatto mai guardia né scolta: steccato o fossa ammi-
ravano per cosa nuova; non elmi non loriche portavano,
ma col ben vestire e mercatare, finivano lor soldo per le
castella. Là onde licenziati i veccjii e malsani, chiese nuova
gente, che si fece in Galazia e Cappadocia; e di Germania
gli venne una legione di buoni cavalli e fanti. Tenne tutto
Tesercito fuori sotto. le tende, che per rizarle convenne zap-
pare il terreno ghiacciato per lo verno crudissimo, onde a
molti le membra rimaser secche, e alcune sentinelle intìrì-
zate. Un soldato che portava un fastello di legne vi lasciò
le mani appiccate e rimase monco. Esso capitano mal ve-
stito e in zucca, sempre dattorno era a lavorìi, air ordi-
nanze: dava lode avvalenti, conforto alli infermi, esempio a
tatti. £ perchè molti fuggirono quella crndeza di cielo e di
milizia, la severità fu rimedio; non perdonando, come negli
altri eserciti, la prima fatta ^ né la seconda; ma era subita-
mente chi lasciava V insegna dicapitato: e fu la vera medi-
cina, più che usar pietà; perchè di quel campo ne foggi
meno^che d' onde si perdonava.
XXXYI. Tenne Ck>rbulone i nostri dentro, sino a meza
primavera, nel campo: gli aiuti adattò in più luoghi coìi or-
dine di non venire i primi a battaglia; e accomandògli a
Fazio Orfito stato primipilo. Costui benché scrivesse: ce i bar-
bari non si guardare, ed esservi da far del bene: n gli fu
comandato non uscisse, e aspettasse più gente. Non ubbidì;
e venutoli di castella vicine pochi cavalli, chiedenti senza
giudizio battaglia col nimico, V appiccò e fu rotto. E gli altri,
che aiutar li doveano, impauriti dal danno altrui, fuggirono
ciascuno in suo alloggiamento. Corbulone n' ebbe gran dis-
piacere, e, dettone villania a Fazio a' capi assoldati, gli cac-
ciò tutti fuori dello steccato, né di quella vergogna levoUi,
se non pregato da tutto V esercito.
XXXVILTiridate con li aiuti de* suoi raccomandati e
di Yologese suo fratello, non più copertamente, ma a guerra
rotta infestava T. Armenia, e saccheggiava i creduti a noi
fedeli, e se gente gli veniva incontra, la scansava e qua e
* fatta, 0 diffalta} fallo, mancamento, errofe.
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3S0 IL LIBRO TRBDIGBSIMO MGLl AHHAU.
là volando spayentaya col romore più che con Y armi. Cor-
baione adunque avendo assai cercato in vano la battaglia,
tirato dal nimico a guerreggiare in più luoghi, sparti le forze,
e mandò suoi capitani ad assaltar più paesi a un tratto, e il
re Antioco* ai reggimenti vicini. Farasmane,* ammazato il
figliuolo Radamisto' come di lui traditore, per mostrarsi a noi
fedele, esercitava lo antico odio vivamente contro agli Arme-
ni. E grisichi,* nostri amici, prima degli altri allora allet-
tati, corsero i luoghi aspri d'Armenia. Cosi riuscivano i di-
segni di Tiridate al contrario: e mandava ambasciadori in
suo nome e de' Parti a intendere, (c Onde fosse che avendo
poco fa dati ostaggi, e rinnovata la lega, che suole esser la
porta a nuovi beneficii, lui volesser cacciare dall' antico pos-
sesso d' Armenia. N(m avere ancora esso Yologese pigliato
l'armi, per trattare anzi con la ragione che con la forza. Se
pur vorranno la guerra, non esser per mancar agli Arsacidi
la virtù e fortuna, spesse volte con guai da' Romani assag-
giata. » Corbulone che sapeva, Yologese aver che fare'con
r Ircania ribellala, consiglia Tiridate a raccomandarsi a Ce-
sare e conseguire per questa via piana e corta il regno star
bile e senza sangue, e lasciar le cose lunghe e malagevoli.
XXXVIII. E non venendo per via di messaggi a con-
clusione, parve bene abboccarsi; e rimanere'^ dove e quando.
Tiridate diceva che verrebbe con mille cavalieri: venisse Cor-
bulone con quanti volesse, ma venissesi senza elmi e coraze,
a modo di pace. Avrebbe conosciuto ogn' uno, (non che quel
capitano vecchio e sagace) la fraudo pensata del barbaro,
vantaggio di numero offerente: perché contro a mille finis-
li arcadorì non vale qualunque moltitudine ignuda. Ma in-
* Antioco Commagene. Vedi XIII , 7.
S Farasmane. Vedi XI, 8.
> Radamisto. Vedi XII, 47.
* /«ic/ii. 11 lat.: mìnsochi.m Saint-Martin, Mèmoires sur V Armenie.
Paris \%ì%»\o\, I, p. 127: A Vorientde la province d' Arda* ètoient lei
cantone d* Àhpdag...,*urnommé Mede {grand) pour le distinguer d'un antre
qui étoit dans les montagnes des Ktirdes j d' Andsakhadcr «» Andsakhits^
dsor {uallèe des Andsakh) gai étoit peut-élre le pays dupeuple nommé par
Tacite Insochi, qui habitoit la partie la plus reculée de r Armenie.
S rimanere, accordarsi. E frequentissimo nell'uso del popolo r «Siamo
rimasti così : *> siamo venuti in questo accordo. Ma qui reca alquanto d' oscurìlL
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IL UBRO TBBDIGKSnfO DIGLI ANNALI. 321
fingendosi di non V avere inteso, rispose, meglio essere delle
cose di tutti, con tutti gli eserciti insieme consultare. E prese
un laogo, ove erano collinette per li fanti e pianura per li
cavalli. Dato il giorno, Gorbulone a buon'otta ebbe messo
ne' comi le genti degli aiuti e de' re: nel mezo la legìon sesta,
con tre mila soldati in corpo della terza, fatti venir di notte
d'altri alloggiamenti, tutto sotto un'aquila, per parere una
legìon sola. Tiridate si presentò tardi, e discosto da poter
esser veduto più che udito. Onde il nostro capitano senza
abboccarsi rimandò ciascuno al suo alloggiamento.
XXXIX. Il re si parti a fretta, o dubitando di strata-
gemma (vedendo che in molti luoghi a un tratto s' andava},
o per levarci le vettovaglie che ci venivono dal mar mag-
giore e di Trabisonda; ma quelle si conducevano per monti
da' nostri ben guardate: e Corbulone per forzare gli Armeni
a difender le cose loro, si mette all'espugnazione de'lor vil-
laggi, scegliendo per se Volando,* il più forte; e i minori
assegnò a Cornelio Fiacco legato e Isteo Capitone maestro
di campo: e riconosciuta la fortificazione e provveduto il bi-
sogno a pigliarla, esortò i soldati a snidiar con preda e gloria
quel nimico scorrazante che non vuol battaglia né pace, ma
col fuggire si confessa traditore e poltrone. Fece dell'esercito
quattro parti; una, sotto le testudini* a zappar le trincee;
altra, a scalar le mura; molti, a lanciar fuochi e freccio con
instrumenti. Tiratori di mano e fionda mise in luoghi da po-
ter da lungi avventar ciottoli; e così rendendo ogni luogo
pericoloso, vietava il soccorso a'difenditori. Combatté questo
esercito con tanto ardore che innanzi la terza parte del
giorno le mura furono spazate, scalate, i forti presi, le
porte abbattute, tutti i barbati' uccìsi; pochi nostri feriti,
ninno morto; i fiebolì venduti all'incanto; ogn' altro bottino
dato a' soldati vittoriosi. Pari fortuna ebbero il legato e il
maestro di campo: tre castella presero in un di; l'altre si da-
* Volando, luogo oggi ignoto. Forbiger sospetta che sia Oiana, di Stra-
bone, distante qualche giornata da Art^ssata.
' le testudini. T. Livio, 44, 9: «I giovani cogli scudi serrali sul capo,
stando ritti la prima fila, piegati la seconda, più la terza e quarta, e Y ultima,
bisognando , in ginocchioni, facevano la testuggine, comignolata come un tetto. <•
' barbali. Lat. t « puberes, »
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322 IL LIBRO THEDICBSIHO DKGU ANNAU.
vano per terrore, e parte volentieri: il che diede animo
d'assalire la metropoli ArtassaU,' e passò V esercito il fiume
Arasse che bagna le mura; non per lo ponte che sotto quelle
è 9 da poter' esser battuti^ ma lontano, ov' è basso e largo.
XL. Era a Ti ridate vergogna non la soccorrere, e perì-
colo in que' luoghi aspri imbarazare cavalleria: risolvè di
presentarsi, e la mattina' appiccar la zuffa, o sembrando
fuggire, condurre in agguato. Circondò adunque a un tratto
il romano esercito che per avvedimento del capitano mar-
ciava in battaglia. Andava nel lato destro la legion terza,
nel sinistro la sesta, nel mezo il Oore della decima; le ba-
gaglie tra le Ole; mille cavalli alla coda con ordine di menar
le mani, affrontati; allettati, lasciargli andare.' Ne' comi an-
davano gli arcieri a piede, e il resto de' cavalli, allungato
più il sinistro a pie de' colli, per girare, se il nimico v'eur
tra va, e cignerlo. Tiridate s' aggirava intorno, lontano più
d'un tiro d'arco, or minacciando or mostrando temere,
per allargare e, sbrancati, seguitare i nostri. Veduto stare
ogn'uno a segno, da un capodieci* di cavalli in fuori ch<
andò troppo innanzi, e caricato di frecce, insegnò agli altri
ubbidire, essendo presso a notte, se n'andò.
XLI. E Corbulone ivi accampatosi, stimando, Tiridate
essersi ritirato in Artassata, pensò andarvi la notte con le-
gioni spedite a porle assedio. Ma riferendo gli spiatori, che
< Artnssata, Plutarco in Lucali, e. XXXIV. « Si racconta che Annibale
il cartaginese ; dopo che Antioco sconfitto restò da'Romani, portossi ad Artassa
re degli Armeni, e che molte cose utili gli suggerì e gì' insegnò ; e fra T altre una
fu, che osservato avendo egli in quella regione un silo benissimo dalla natura di-
sposto ed amenissimo, ma incollo e trascurato, vi delineò la forma d'una città:
e poscia condotto là Artassa, e fattagli considerare la cosa, ne lo esortò alla fon*
daxione: del che essendosi il re compiaciuto, pregò Annil>ale che sopraotender
voless'egli al lavoro; e quindi eretta fu una citta grande e bellissima, che nonù-
nata venne dal nome stesso del re, e dichiarata la capitale dell'Armenia, v
S la mattina. Lat.: •> dato diCj w che ilLipsio interpreta m cum illaxU'
setj » e il Bournouf « au point du jour. m Ma l' Orelli fa osservare che dato die
h lo stesso che dato tempore del lib. IV, iO, einterpreta « opportuno temport^"
in buon punto.
5 allettati, lasciargli andare. « Il lat. ha : « rtfugot non sequerentur. •
Duljìto che debba dire allenati in senso di cedenti,
* un capodìecit decurione.
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IL LIBRO TREDICESIMO DEGLI ANNALI. 323
egli aveva preso la lunga^ verso ì Medi o Albani, aspettò il
giorno, e mandò innanzi gente leggiera, che le mora ci-
gnesse, o cominciasse da lungi a batterla. Ma i terrazani le
porte apersero e dièdersi a' Romani con tutto loro avere:
questo li salvò. Artassata fu arsa e spianata, perché tenere
non poteasl per lo suo gran cerchio senza gran gente, e noi
non ne avevamo per lei e per la guerra; e lasciandola in
abbandono, che prò o gloria averla presa? e per miracolo,
on bratto nugolo (battendo fuor delle mura il sole) quanto
quella teneva scuro;* e si vi balenò che ben parve gl'irati
iddii darlaci a disolare. Per tali successi Nerone fu gridato
imperadore. Il senato ordinò processioni, statue, archi e
continui consolati a Nerone; festivi i giorni della vittoria
ottenuta, della nuova venuta, del senato tenutone, e altre
cose a tal dismisura che Gaio Cassio, che agli altri onori
stette cheto, disse: (c Se ogni giorno che gV iddii ci hanno
fatto bene, si dee spendere in ringraziarli, tutto Tanno non
basta: però conviene che i giorni siano parte sagri per lo
divino culto e parte profani per Fumano commerzio; questo
per quello non dee guastarsi. )>
XLII. Dopo varie fortune corse, fu accusato uno a ra-
gion molto odiato uomo, non però senza carico di Seneca.
Questi fu P. Suilìo,* regnante Claudio, terribile e venderec-
cio, e per li tempi mutati abbassato: ma non quanto voleano
ì nimici; e minor noia gli dava esser chiarito reo che T umi-
liarsi. Credesi per rovinarlo essere stato rìnovato il decreto
del senato, e la legge cincia del non avvocar a prezo. Egli se
ne doleva, feroce per natura e libero per l'estrema età; e
sparlava di Seneca, « Che egh perseguitava gli amici di
Claudio perchè lo scacciò degnamente, e avvezo a insegnare
a' giovani lettere da trastullo , astiava chi difendeva i citta-
dini con viva e reale eloquenza. Esso essere stato questore
di Germanico; lui adultero di quella casa. Che esser peggio,
o per oneste fatiche accettar da un clientolo cortesia, o letti
* avtva preso la lunga: sottintendi via.
S guanto quella teneva scurò, oscurò tutto quello spazio eh* era occupato
aaìh cUl3i.
* P. Suilio. Vedi IV, 31. Fu senero di Ovidio Nasone (ra Pont. IV, S).
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324 IL LIBIO TRBDICBSIMO DI6U AHMAU.
di principesse contaminare? qnal sapienza, qua' filosofi arer-
gli insegnato in qnattr'anni ch'ei serve la corte raspare^
sette milioni e mezzo d' oro?. A' testamenti, a' ricchi senza
erede tender le longagnole' per latto Roma. L' Italia e le
provinole con le canine usare ' seccare. Quanto a se, trovarsi
pochi danari, e bene stentati. Accuse, pericoli, ogn' altra
cosa voler patire, anzi che sottomettere la sua degnila in
tanto tempo acquistata alla subitana felicità di costai. »
XLIII. Né* mancava chi rificcasse* queste parole mede-
sime, e peggiorate a Seneca. Ebbevi accusatori che Suilio
quando resse in Asia assassinò i privati e rubò il comune.
Ma perchè fu dato lor tempo un anno a giustificare, parve
più breve farsi '^ da' peccati fatti qua, che ci erano i testimoni
pronti. ((Con acerba accusa avere spinto Q. Pomponio a guerra
civile; fatto morir Giulia di Druse e Poppea Sabina; tradito
Valerio Asiatico, Lusio Saturnino, Cornelio Lupo: le centi-
naia de' cavalieri romani dannati, e tutte le crudeltà di Clan-
dio esser fatture sue. » Egli rispondeva, « ninna di queste cose
aver di sua volontà fatto, ma^ ubbidito al principe.» Cesare gli
die sulla voce dicendo, « sapere da' libri di suo padre che non
forzò ' mai alcuno ad accusare. » Ricorse a dire oc avergliele
comandate Messalina. » InfieboU la difesa, « Perchè, bene
scelse lui e non altri quella sfacciata a far per lei le empietà?
Doversi punire i ministri delle crudeltà, che avendone rice-
vuto il prezo, le adossano ad altri. » Toltogli adunque parie
de' beni, e parie concedutone al figliuolo e alla nipote, e
* raspare j guadagnare eoo male arti; rubare.
^ le lunga gitole, le reti; e per traslato, insidie. È a capello il latino, m er-
ba velut indagine capii ** cbè indagines sono propriamente le reti onde cignesi
il bosco dove si vuol cacciare. Virgilio, ^n. IV, 131: « Saliusque indagine
cingunt. n Senti il Dati come innacqua : m uccellaTt a' testamenti... in quello
stesso modo che a qualche Sera selvaggia si caccia; » seniacbè, ueeeiimrt come
si caccia le fiere non è proprio.
* con le canine tisure. Il Dati: « usure e mangerie. » E mangeria o scrocco
significa qualunque guadagno illecito. La Crusca non l' ha , perchè questo Dati
non gli andò mai a' versi, ne sappiam vederne la ragione, avendo esso stupcBdì
vocaboli. Il Manuxzi ha quella voce con un esempio del Salvini.
* chi rijiecasse, riferisse con pravo animo.
' farsi, cominciare.
0 che non forzò. 11 postillatore dell'esemplare Nestiano di 9- Capponicela
regge : •> eh' ci non fonò. »
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IL UBRO TREJDICESUIO DEGLI ANNALI. 325
caYatone i lasci della madre o avolo per testamenti, fìi con-
finato in Maiorica: né nel perìcolo né condannato abbassò
r animo. Perchè ivi tenne, come si disse, vita larga e deli-
cata. Accusavano i medesimi, per l'odio del padre, Nemlino
suo figlinolo di mal tolto* Ma parve al principe a bastanza
quello che s' era fatto*
XLIV. In questo tempo Ottavio Sagitta tribuno della
plebe, ìmpazato d'amore di Ponzia maritata, con gran pre-
senti la compera, e indi fassi promettere di rifiutare il ma-
rito e lui prendere. La donna scioltasi^ lo tratteneva, e scu-
savasi che suo padre non volesse: e sperandone * un altro più
ricco, si ritirava* Ottavio or piangendo or minacciando,
mostrava aver perduta la reputazione e la roba; « rimanergli
la vita; Cacessene che volesse; t» ed ella sempre no. Chiedete
d' una notte sola contento, per recarsi poi a pacienza. Data
la pòsta, ella impone a una sua fidata servente che guardi
la camera. Egli entra con un liberto e una daga sotto. Ivi,
come avviene dov' è sdegno e amore, corsero contese, pre«
ghi, rimproveri, paci, e parte della notte abbracciari. Rac-
cesa Tira, lei tutta sicura trapassa di stoccata: la servente
accorsa spaventa con leggier ferita,' e scappa fuori. La mat-
tina n' andò il remore; 1* ucciditore era chiaro, provandosi
r esservi stato. Ma il liberto diceva averla esso uccisa, e ven-
dicato r ingiuria del padron suo. Mosse V atto nobile alcuni:
ma la servente guarì e disse la verità; e Ottavio uscito del
tribunato, chiamato dal padre della morta a' consoli, fu con-
dannato dal senato per la legge Cornelia degli omicidi.
XLY. Disonestà non minore fu principio queir anno di
maggior mali publici. Era in Roma Poppea Sabina figliuola
di T. Ollio, ma prese il nome dell' avolo materno per la chiara
memoria di Poppeo Sabino stato consolo e trionfante. Non
aveva^ ancora avuto onori, e V amicizia di Seiano lo rovinò.
Questa donna ogni cosa ebbe da onestade in fuori. Vanto,
* scioltati dal primo marito, non si rìiolveva a dar la mano alnnoTo drudo.
' sperandone. Il latino recherebbe; « e trovatone un altro più ricco. «•
* con leggier ferita. Il latino ha semplicemente : « vulnero absterret. m
* Non aveva j cioè: « Ollio non aTeva. » Cosi conegge il posUllatore so-
pra citato.
U 28
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8S6 IL UBRO TRBDICBSIMO DB6U àMHkU.
cometa madre, deUa più bella donna di qneUa età; rìccheza
iMBteyole al suo chiaro sangoe; parlare dolce; era disonesta,
e sapea fare la contegnosa ; asci va poco fuori ; coperta parte del
viso, perchè stava meglio, o per fame bramona; *■ fama non
curò; nò mariti da' non mariti distinse; amor sao, né d' altri
non la strigneva. Dove vedeva utile, là si gittava. Perciò ella
moglie allora di Rufo Crispino cavalier romano, che n'avea
un figliuolo, fu aòcchiata da Otone giovane splendido e te-
nuto il cuore di Nerone; e senza indugio all' adulterio seguitò
il matrimonio.
XLYL Otone non finava di lodar la belleza e la grazia
di questa sua moglie al principe: o malaccorto per troppo
amore, 0 per famelo innamorare e godere, e con quest' altra
scala più alto salire. Più volte fu, nel levarsi da tavola del
principe, udito dire^ « Andarsene a quella a se conceduta
nobiltà, beltà, disianza d'ogni uomo, gioia de' felici. » Per
tali incitamenti non passò guari che Poppea intromessa, pri-
ma con atti e lusinghe pigliava Nerone, dicendo, « Sé, presa
daUa sua beltade, non possente a resistere a tanto ardore: »
e quando il vide concio, insuperbita, dalla prima o seconda
notte in là, diceva, « Aver marito, non poterlo lasciare: es-
ser da Otone trattata meglio che mai fosse donna, in luì ve-
dere e d* animo e di vita magnificenza: lui degno di son^ma
* per fame bramosìa. Il postillatore dell* esemplare Nestiaoo di G. Cap-
poni, cosi aoalina e corrige alcuni di questi niembretti.'-« óVrnto eùmia^nec
abfurdmm ingeHìumj m parlar dolce. Manca la seconda parte. Direi cosi: Parlar
dolce, concelti non fili, m Modestiam praferre et lascivia uti: m era diso»
nesta, e sapeva far la contegnosa» Direi più breve, e conforme al latino: sape»
mostrar onestà, e usar lascivia,' sapeva mostrarsi, (o parer) onesta ed esser
lasciva, m Folata parte orisr » coperta parte del viso. Quel porta parta &
mal snono; però direi: Velata (o velando) parte del viso, « Ne sattaret
aspecUun, vel quia sic decebat: » perchè stava meglio o per fame bramosia,
.— « Perche stava meglio • h equivoco, languido e comune a più cose. Direi con
r ordine del testo latino: Per farne bramosia (o brama) o per pia (o ni«gfior)
decoro.m — E questo secondo membretto varia in più modi cosi: o per leggiadria!
o che le dava più graaia; o per più vaghesaa; modestia; onestìi; scheno; brio; per
invogliarne altrui o per leggiadria.» — Finalmente racconcia tutto questo luogo
cosi: — «Parlare dolce; concetti non vili: sapeva apparir oncsU, et esser lasciva:
usciva poco fuori; velata parte del viso, per (arne bramosia , ò che gli dava più
graaia. » — Altri giudichi se (da quella omissione in fuori, ben riparata) abbia colto
meglio nel segno. A noi, per vero, non pare: ed ansi teoghiaino che nel ritratto
di questa donna, il nostro Bernardo abbia tolto la mano a Tacilo.
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IL LIBRO TBEDIGESmO DEGÙ ANNALI. 327
fortuna: ma Nerone imbertonito * d'ana fantesca, come Atte,
non avere cavato dalla pratica di lei che viltà e schifeza. »
Nerone a Otone levò la dimesticheza, poscia il ragionare e il
corteggiare: finalmente perchè in Roma non gli facesse il ri-
vale, lo mandò governatore di Portogallo, ove resse sino alla
guerra civile con giustizia e santità, contrarie alla infamia
passata; essendo neir ozio dissoluto, nella podestà temperato.
XLVII. Inaino a qui Nerone cercò di coprire le sue cat-
tività, sospettando masaimamenle di Cornelio Siila, cui tardo
ingegno attribuiva a fine astuzia. Accrebbegli il sospetto
Gratto liberto di Cesare, cortigian vecchio insino di Tiberio,
con questa menzogna. Ponte MoUe' allora erailraddotto, la
notte, di ogni baccano. Nerone vi veniva per andar meglio
scavallando fuori della città. Tornandosene per via flamminia
negli orti de'Salustii, Gratto corse a dirgli, la sorte averlo
aiutato a non dare nell' imboscata di Siila (avvegnaché a' mi-
nistri del prìncipe, che per 1* ordinaria via tornavano, fosse
da certi baioni ' scherzando, come si fa , fatto paura): né vi fa
conosciuto niuno servo né seguace di Siila; uomo sprezato,
e non punto da simile ardimento. Nondimeno come fosse
convinto, gli fu detto che sgombrasse di Roma e non uscisse
delle mura di Marsilia.
XLVllI. Nel detto anno da Pozuolo mandare ambascia-
dori contrari a dolersi, i senatori, delle violenze della plebe,
e la plebe dell' avarizia de' magistrati e de' grandi; ed eran
venuti a' sassi e minaccio di fuoco, che volean dire armi e
sangue. Gaio Cassio eletto a quietarli parea loro troppo se-
vero, e ne fu, a' suoi preghi, data la cura a due fratelli Seri-
boniicon una coorte pretoriana, lo cui terrore e supplizio di
pochi, acr^rdò i Pozolani.
XLIX. Non direi del decreto notissimo che si fece, di
poter Siracusa passare il novero terminato * delti accoltellan-
ti, se Trasea Peto non l'avesse contraddetto, e fattosi bia-
' imbertonito, dimenato bertone ; amante di mala fémmina.
9 Ponte Molle j moderno nome del Ponte Milvio, ful Tevere, poco diaccilo
dalla porta flaminia, oggi Porta del popolo.
S baioni^ gente cbiassona, da far baie o burle.
* rermfnato^ determinato.
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328 IL UBIO TBBDICB8»0 DB6LI AMNALI.
simare. « Se egli crede, la repnblica aver bisogno che i se-
natori parlino libero, perchè entr* egli in cose si deboli? e
non dice più tosto della gnerra o della pace, dell' «ntrate,
delle leggi e dell'altre importanze romane, qnelché si dea
fare o no? Potere i padri, che hanno voce in senato, pro-
porre quanto vogliono e chieder che si cimenti: non averci
egli altro da correggere che 'I troppo spender in feste che
fa Siracusa? stare r altre cose per tutto r imperio bene e a
capello, come se reggesse Trasea e non Nerone? se a queste
si chiude gli occhi, quanto dee più alle vane? » Trasea ri-
spondeva alli amici 9 aver corretto questo erromzo, non per
ignoranza de' gravi, ma per onoranza de' padri, perchè si
vegga quanto pensano alle cose grandi essi che badano in-
sino alle menome.
L. In questo anno a Nerone, rompendogli la testa i! po-
polo ^ dell' avanie de' pubblicani, cadde in animo di lasciare
tutte le gabelle, e fare al mondo questo bel dono. Ma i vec-
chi,' alzata a cielo la sua grandeza d'animo, rattennero il
furore: mostrando che l'imperio non si sostenterebbe sce-
mandogli gli alimenti, e quasi ricolte, della republica. Con-
ciosiache, levati i dazii, anche i tributi si vorrebbón levare;
le compagnie delli appalti furon create le più da' consoli e
tribuni nel maggior vigore della libertà, bilanciate V entrate
pubbliche con le spese. Ben doversi dare in su le mani
a' pubblicani,' che non facciano maladire, per crudeltà nuo-
ve, le cose tollerate ab antico.
LI. Cesare adunque bandi che le tariffe di tutte le com-
pagnie de' pubblicani fino allora occulte si pubblicassero; le
domande passato l'anno non si riassumessero: le querele a
quelli date, in Roma, il pretore; e fuori, il vicepretore o il
viceconsolo giudicassero sommariamente: a' soldati si man-
tenesse l'esenzione, fuorché ne'trafiQchi da mercatanti. £
altri giusti provvedimenti fece, durati poco, e poi svaniti.
* rompendogli la tata il popolo, facendogli il popolo frequenti In-
cbieite.
* i vecchi, i senatori.
' doversi dare in su le mani a'pubblicani, doversi frenare la sorercbia
aTÌditli de* pubblicani.
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IL UBAO TBBMCSSUIO DB«U ANNALI. 329
Pare la quarantesima,' la cinquantesima, e gli altri ingordi
nomi trovati da' doganieri non furono ritornati: le tratte del
grano alle provìncie oltremare scemate: le navi mercantili
non addecimate.* ^.
LIL Solpizio Camerino e Pomponio Silvano dalle que-
rele dell'Affrica, da loro retta, assoluti. Camerino ebbe po-
chi accusanti, e di crudeltà private più che di latrocini!:
Silvano n^ebbe un mondo: chiedevan tempo a far venir te-
stimoni: e il reo d'esser difeso allora, come fu, perchè era
senza reda e vecchio: ma quei che sopra vi disegnavano
moriron prima di lui.
LUI. Le cose in Germania si stavano,' per volere di
Paulino Pompeo e L. Yetere, allora capitani; a' quali, per-
che nel dare le trionfali si largheggiava, il mantener la pace
pareva più gloria. Ma per non infingardire i soldati, quegli
forni l'argine* al Reno, che cominciò Druse prima sessanta-
tre anni: Yetere ordinò di tirar un fosso dalla Mosella alla
Sona,^ perchè gli eserciti portati per mare nel Rodano e nella
Sona, per quel fosso si traghettassero in Mosella, in Reno,
indi in oceano, e senza le tante difficultà de' cammini, fare
i liti di settentrione e ponente in qua e in là navigabili. Per
invidia di si beli' opera Elio Gracile, legato de' Belgi avverti
Yetere a non mettere le legioni sue nella provincia d' altri,
e farsi le Gallio benivole; perciochè all' imperadore darebbe
sospetto. £ cosi spesse volte s' impediscono le imprese ono-
rate.
LIY. Onde per lo continuo ozio delti eserciti, corse fama
che a' legati era levata l' autorità di uscire contro al nimico.
Talché i Frisi, per boschi e paludi, la gioventù, e per laghi
l'inferma età condussero alla riva: e ne' vèti campi che i
* la quarantesima ee. Era no tributo, posto da Caligola, per cui d*ogiii
somma litigata doTcasì pagargli la quarantesima parte. Della cinquantesima non
si sa con precisione; ma si crede fosse un tributo su* commestibili.
* Dati: « Fu moderato il potere trar grani per naTÌgarli oltremare, e prov-
veduto e deliberato die nel deeimare t beni de' mercatanti non fossero messi i loi
navili a gabella nk dovessero pagarne gravesta alcuna. »
'~#i stavano, erano quiete.
* V argine. Vedi Stor, V, 49; nò è da confondersi colla fossa Drusiana,
^nh.II.S.
> «Sonila la Saone; anticamente Arari,
28-
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830 IL LIBRO TREDICKfllMO DEGLI ANNALI.
nostri nutrivano, si piantarono: persuasi da Yerrito e Malo-
rigo capitani di quella nazione, che all'ora era de' Germani.
£ già vi aveano rizato abituri, e fatto semente come in lor
patria. Quando Didio ' Avito, preso il carico da Paulino, mi-
nacciando d' adoperar la forza romana, se i Frisi non isgom-
bravano nel paese antico o non ne ottenevano da Cesare
altro nuovo; mosse Yerrito e Malorige a clùederk). Andaro
a Roma: e aspettando che Cesare, in altro occupato, li udis-
se, furono, tra V altre cose che si mostrano a' barbari, messi
nel teatro di Pompeo a vedere lo gran popolo: ove standosi
senza gustare il giuoco, perohò non- lo intendevano, doman-
dano degli spettatori, delle differenze degli ordini, qua' fos-
sero i cavalieri, ove 0 senato; venne lor veduto certi vestiti
da forestieri sedere tra i senatori: e domandare chi e' fusse-
ro; udito che tale onore si faceva agli ambasciadorì delle na-
zioni più valorose e più amiche a' Romani; alzano la voce,
NICNO MORTALE Nft IN ARMI NtS IN FEDE AVANZARE I GERMANI;
e vanno e si pongono tra i padri. Applauderono i riguar-
danti, quasi fosse delle lor furie buima gelosia.* Nerone gli
fece ambi cittadini romani, e comandò che i Frisi si levas-
sono di que' terreni. Non volevano ubbidire: mandaronsi ca-
valli forestieri a forzarli, uccisi o presi i più pertinaci.
LV. Occuparonli gli Ansibarii, gente più poderosa, e
per la sua moltitudine e per misericordia de' vicini, essendo
cacciati da' Ganci di casa loro, senza nidio, e chiedendo
qualche sicuro esilio. Era tra loro un detto Boiocalo di gran
nome, a noi fedele, che diceva, nella ribellione de'Gheru-
sci essere stato prigione d'Arminio; poi soldato di Tiberio
e di Germanico, e di voto nostro cinquant' anni. Di più, ci
offeriva quella gente per ligia, a Quanta parte di quei piani
(diceva egli) servirà per pasture de' cavalli, e carnaggi' per
' Didio. Il lai. non ha Didius ma Dubius.
S quasi foste ec. : Il lat. ha: « quasi impetus antiqui et bona emulmUo'
ne » fu preso come per uno slancio d'antica semplicità e di generosa emulasione.
S carnaggi^ carne da mangiare; armenti destinati per viveri dell* esercito.
Vuol dire che quel tratto di paese dove i Romani mandavano a pasturare gli ar-
menti destinati a nutrire Pestrcito era assai piccolo; e che il resto di quel paese
poteva concedersi a loro.
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IL LIBRO TaEDICESIMO DEGLI AHNÀLI. 331
li nostri soldati? Lasciassimovi tra le bestie sfamare anche
qae'poverelli,^ se già non gli volessimo anzi salvalichi e di^
serti, che còlti da popoli amici.* Già esdere stati de' Gamavi,
poi de' Tubanti y indi degli Usipi. 11 cielo esser fatto per
gr iddìi, la terra per gli uomini: la vota essere di chi oc-
cupa. » Voltossi al sole e alle stelle , quasi presenti , do-
mandando, «( Se volevan vedere quel terreno perduto? sgor-
gasservi sopra anzi il mare, in onta di coloro che gli uomini
privano della terra. »
LYI. Avito se ne alterò, e disse agli Ansibarìi in pub-
blico: (( Doversi a' maggiori ubbidire i esser piaciuto agi' id-
dìi da loro invocati, che a' Romani stia il dare e '1 torre
senza rendere conto a Boiocalo ; che darebbe a lui terreni
per li suoi meriti propri!; » il che egli, quasi premio di tra-
digione, ricusò dicendo: « Terreni posson mancarci dove vi-
vere, dove morire mancar non può.» E cosi partirocsi a
rotta, e chiamarono i Brutterì e Tenteri in aiuto, e nazioni
lontane collegate. Avito scrisse a Gurtifio Mancia capitano"
dell'esercito di sopra, che passasse il Reno, e mostrasse
loro l'armi di dietro. Egli condusse le legioni nel paese
de' Tenteri, minacciando spiantarìo, se pigliavano le brighe
d' altri. Laseiaronle questi e per la medesima paura i Brut-
teri e gli altri. GU Ansibarii, soli rimasi, la danno addietro'
negli Usipi e Tubanti: ne son cacciati: ne vanno a'Gatti, poi
a'Gherusci, e dopo lungo aggirarsi, senza ricetto, strutti, in
paese nimico; n' andarono i giovani a pezi, il resto in preda.
LYII. In quella state gli Ermunduri co' Gatti volendo
ambi per forza il dominio del fiume che gli divide , e molto
sale genera, vennero a gran battaglia, si per voglia di fare
* ijue' poverelli. Légge: « servarent receptus gregibtèSj in ter hontinnm
famemj » cioè ; « Inter homines fame laborantest w e con questo il Davansati
pccTenne la congettura ingegnosa del Freioshemio. Ma il codice Mediceo légge :
m servarent sane receptos gregibus inter hominum famam: » cui il Louandre
dli {[at^lo senso: « Qiie les Bomains laissentdonc aiix Jnsibariens leur nom
de peuple par mi les hommes, en les recevant sur l' espace riservi auae trotta
peaux. *» Ma questo luogo di Tacito può essere piuttosto indovinato che tradotto.
S Intendi, se gi'a non volessimo quei luoghi piuttosto selvaggi che coltivati
da popoli amici.
' ia danno addietro, tornano indietro.
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832 n. LIBRO TREDICESIMO DEGÙ ANNALI.
Ogni cosa con i' anni, si per ubbia, ^ che quel sito sia il pia
presso al cielo; e onde prima gì' ìddii odano i preghi umani.
(K Perciò abbiano quel fiume, que' boschi, privilegiati di sale
non fatto come all'altre genti d'acqua marina allagata e
rascintta, ma dì esso fiume versata sopra catasta ardente di
quelli arbori, e dal suo contrario elemento fatta rappigliare.»
La guerra fu alli Ermunduri prospera, e de' Gatti sterminio;
perchè i vincitori fecer boto a Marte e Mercurio di sagrificar
loro i nimìci, vincendoli: cosi cavalli, uomini, ogni cosa
vinta fur vittime ; e le minacce nimiche tornavano loro in
capo.* Ma la comunità delli Ivoni, nostra amica, ebbe piaga
non aspettata. Usciron fuochi di sotterra che s'appresero
a campi ville casali, e passavano le mura della nuova colo-
nia. Né pioggia caduta né acqua gittata 'né altro umidore
gli spegneva. Certi contadini, per mancamento di rimedio
e ira del danno, vi tiravano da discosto de' sassi, e te fiam-
me calavano: accostaiisi con pertiche e bastoni, quasi be-
stie, le correggìevano ; in ultimo, trattosi i panni di dosso,
e sopra gittatiglivi, quanto più schifi e logori, pia il caso'
ppr que' fuochi ammorzare.
LYIII. Nel detto anno al fico ruminale, posto nel co-
mizio, soUo il quale furon lattati Romolo e Remo ottocento
quaranta anni fa, cadute le ramerà, si seccava il pedale; il
cl^e fi^ preso per un mal segno, sino a che non cominciò a
rijpnetteice nupve venitene.
' per fibbia, per ftapenticione ; per falsa apprensione relisios^
' tornavano loro in capo, torDavano ^ lora é
* pti^ il qasoj più aUi.
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333
IL LIBRO QUATTORDICESIMO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. Nerone, aeceeo vìe piò tempre dì Poppea, la madre A(pìp|niiaiiecìde.~-
%!. Scrìve al senato scnsandoseDe. — XII. Prìcissioni stabilite . Trasea più
non reggendo esce dì senato. — XIII. Nerone dirotto in tatte^ libidini. —
XVII. Gran sangne tra' coloni Nneerini e Pomjieani. — ^XYIII. Stato di Girene:
chiare morti. — XX. Festa cinquennale istituita in Roma. — XXII. Rubellio
Pianto rìmosso. — XXIII. Gorbnlone in Armenia fa da Marte : presi i Tigra-
nooertifarellgrane. — XXVII. Laodieca da tremooto a terra ^ eraesi da se:
mal si prevede al popolar le colonie. — XXVIII. Gli sqnittim de^ Pretori in
accordo. — XXIX. Rovina de' nostri in Bretagna , mentre Svetonio Paolino
investe Mena: tutta quasi la provincia perduta , con singoiar costanxa e in una
giornata, rìcovra Svetonio. — XL. Orrendi Relitti : prefetto di Roma ucciso da
un suo schiavo: pagane il fio la famiglia. — XLVI. Tarqnitio Prisco condan-
nato. Catasti perla Gallia. — XLVII. Muore Memmio Regolo: ginnasio dedicato.
— XLVIII. Legge di stato rinnovata. — LI. Nel colmo de' publici mali muore
Burro. — LII. Morto Burro, è abbassato Seneca: per sottrarsi all'invidia e
all' accuse , parla a Nerone che risponde furbo. — LVII. Tigellino sempre più
in auge procura la morte ^ Plauto e Siila. — LX. Nerone scaccia Ottavia,
richiama Poppea. Il popolo m tumulto fa che s' affretti l' esilio d' Ottavia ; uc-
cisa poi in Palmarola.
Corto di gwui quatir* anni.
An. £ R. occon. (ai Cr. 59). - ConwK. | ? V„8Wio Apmnuno.
^ ' IL. FoNTEio Capitone.
INbroiib Claudio Gbsau la
IV volta.
Cosso Corneuo Lbntulo.
An. di R: DCCCX.v. (di Cr. 64). « Consa«. | ^I'^rpiuano.
An. di R. Dcccxv. (di Cr. 62). ~ Condoli. \ l ""^^ S.
I. [A. di R. 812, di Cr. «9.] Nel consolalo di Gaio Vipsa-
nio e Fonteio non soprattenne più Nerone il suo lungo e scel-
lerato pensiero; fatto audace per lo molto regnare, e spasi-
mando ogni dì più di Poppea. La quale, non isperando vivente
Agrippina ch'eì la togliesse per moglie e cacciasse Ottavia,
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834 IL LIBRO QUATT0RDICB8I1I0 DEGÙ ANNALI.
a Ogni poco il garriva o motteggiava, che egli era ne' pupil-
li, aveva il compito:^ non che imperlo, non libertà.' « Per
che altro indugiava a tòrla? forse li parea brutta? senz'avoli
trionfanti? temea non fosse sterile,' o di poco animo ,.o si
peritasse essendo moglie a scoprirgli le ingiurie de' padri.
Tira del popolo per la sai^erbia e avarizia di sua madre?^ la
qoale se non poteva patir nuora se non odiosa al figliuolo,
rendessonla al suo Otone;*^ dileguerebbesi in capo del mondo
per udire anzi che vedere con suo perìcolo gli smacchi dello
imperadore. » Tali stoccate alla superba madre date, con la-
grime e arte concubinesca, piacevano a tutti, per abbassarla,
non credendo però che il figliuolo la dovesse ammazare per
quantunque odio.
II. eluvio^ narra « che l'ardore del mantener sua gran-
deza stigò Agrippina sino a presentarsi più volte a Nerone,
ubbriaco di mezo di, quando egli nel vino e vivande si ri-
scaldava, lisciata e pronta all'incesto: e già dalle careze e la*
scivi baci, notati da' circostanti, venivano all'atto; se Seneca
non riparava col mandargli Atte liberta, ohe per lo perìcolo
suo e per l'onor di Nerone gli dicesse, che sua madre si
gloriava d'averlo goduto, né soffrerieno i soldati si profano
imperadore. » Fabio Rustico' dice che ctiNerone, e non Agrip-
pina, tal voglia ebbe, e che Atte lo distolse con astuzia. » Ma
gli altri scrìvono come Clovio, e credesi più tal bestialità
venuta da lei, che, giovaneUa, per la speranza del dominare,
s'era giaciuta con Lepido, poi insino a Fallante sottomessasi,
e, moglie del zio, fatto callo ad ogni obbrobrio.
1 aveva il compito. Lat.: « iussis alieni* obnoxiuSj » che toscanamente
potrebbe anco tradursi ! « lasciaTasi menar pel naso. »
S non che ec; non che egli avesse imperio, non aveva neppur libertk.
' sterile. Aveva gi^ avuto nn figlio da Rofo Crispino. Così morde obliqua-
mente la stcrilitk d' Ottavia.
* di sua madre} Alcuni dopo aperiat non pongono l'interrogativo, e
fanno bene. Perchè Poppea dopo aver detto: « Forse la cagione di siffatto indu-
gio è perchè sono sterile o di poco animo? » soggiunge: « No; la vera cagione è
questa: distolgonti dalle mie nosze perchè temono che, essendoti io moglie, ti
scopra le ingiurie dei padri ec. »
B Olone. Vedi lib. Xllf, 45 e 46.
• eluvio. Vedi lib. XIII, 20.
' Fabio Rustico. Vedi 1. XIII, 20{ XV, 61. Fit. Jgr. 10.
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IL Limo QUATTORDICESIMO DEGLI ANNALI. 335
III. Nerone adunque fuggiva il trovarsi con lei a ristret-
to. Lodavala del ricrearsi ne' giardini e ville d'Anzio e Tu-
scalano. Finalmente non la potendo in nessun luogo patire,
risolvè d'ammazarla: dubitò solamente se con veleno o ferro,
0 altra forza. Piacquegli prima il veleno: ma a tavola sua
non si poteva coprire, essendo stato cosi ucciso Britannico:
fargliele dare si potea male, perchè ella a' tradimenti usata,
s'avea cura e pigliava contravveleni: uccisa con ferro non
si poteva nascondere, e temeva di non trovare esecutore di
sì gran fatto. Trovò il modo Aniceto liberto, capo dell' ar-
' mata di Miseno, maestro già di Nerone fanciullo, e sareb-
bonsi egli e Agrippina manicati col sale.' Mostrò eh' e' si po-
teva congegnare una parte di nave che s'aprisse, e la facesse
all'improvviso cadere in mare, capacissimo di tutti i casi.'
Se ella affogasse, chi ne imputerebbe mai altri che i venti
e Tonde? Il prìncipe gli farebbe i tempii, gli altari e l'altre
onoranze pie.
IV. Piacque l'avvedimento, e venne a tempo l'andata
di Nerone a Baia alla festa de' cinque di,' ove la invitò: e
andava dicendo « che gli sdegni delle madri si deon tollerare
e placarli, » per dar nome d'essersi rappattumato, e accogliere
Agrippina che veniva (come son le donne preste al credere)
a rallegrarsi. Giunta da Anzio al lite, le si fé' incontro e la
prese per mano e abbracciò e condusse a Bauli,* villa in su '1
mare, che gira dal capo di Miseno al lago di Baia. Aspetta-
vala una nave più adoma dell'altre quasi per onorarla,
usando ella farsi portar da galea o altro legno a remi. Allora
la invitò a cena , perchè la notte coprisse l' eccesso. Soppesi
che r inganno le fu scoperto. Gredesselo o no, si fece in seg-
giola portar a Baia. Quivi passò la paura per le careze che
le fece Nerone: misela nel primo luogo, e ora con cianciar
* sarebbonsi egli e agrippina manicati col sale, s'odiavano a morte. U
lat. ha : «* mutuis odiis jégrippinte invistia. »>
S Non ▼' ha caso forlaito che il mare non possa render credibile.
s alla festa de' cinque dì, alle feste qninquatrie in onore di Minerva.
* Baislit gik villa d'Ortensio, di coi ritiene tuttavia il nome quel luogo
doTC restano alcune sue rovine; chiamandosi Peschiera d'Ortensio fra Porto
di Baia e Mare morto. Altri la ravvisa in Bacoli, e i suoi avanzi nelle Cento
canterelle o Carceri di Nerone,
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336 IL LIBRO QUATTORDIGBSmO DBALI ANMAU.
giovenile, ora con inarcar le ciglia qoasi conferendole cose
gravi, la cena allungò. Partendosi ella, non ai saziava di
guatarla, e strignerlasi al petto, o per compiere l'inganno,
o perchè Y ultima vista di lei vicina alla morte rattenesse
quell' animo benché di tigre»
Y. Parve che gl'iddii facessero a posta quella notte
stellata, e quieto il mare per convincere il fatto. Non guarì
era camminata la nave, ove ira gli altri, accompagnanti
Agrippina, Grepereio Gallo stava presso al timone, e Acero-
nia (a' piedi di lei che giaceva) per . allegreza conlava del
figliuolo ripentito, e della madre tornata in grazia; quando,
fatto cenno, il tetto in quella parte caricato di piombo, ro-
vinò e schiacciò Grepereio. Agrippina e Ac.eronia si salvarono
sotio i fianchi del getto,* che alti e riusciti gagliardi, ressero
al peso. La nave non si finiva d' aprire, essendo sozopra
ogn'uno, e quei che T ordine' non sapevano, impedivano gli
altri. Volevano i rematori mandar la nave alla banda,' e
sommergerla: ma non fnron d'accordo subito, e gli altri
col far forza in contrario, fnr cagione che la caduta in mare
fu più dolce. Aceronia, che, ginocando a rovescio,* gridava
<K sé esser Agrippina, aiutassesi la madre del principe, » con
bastoni e remi, e ciocché venne alle mani fu morta» Agrip-
pina cheta, però men conosciuta, pur fu fedita in una spalla.
Notando, s' avvenne a. un battello, e fu |)ortata al lago La-
crino in villa sua.
YL Ivi riandava, ce che perciò era stata invitata da quella
lettera traditora e più del solito onorata; la nave a proda,
non per vento né scoglio, di sopra, come terrestre machi-
na, esser caduta: ^ Aceronia essere stata uccisa; lei ferita: »
* getto. 11 postillatore dell'esemplare Nestiano ài G. Capponi comt^
tetto: e per vero le comuai edisioni leggono teeti parietibus. Ma il cod. Mediceo
ha Uctij e certo questa lesione ha seguito il Nostro, dando a getto il senso di
ripiano da gittarvisi a giacere. Getto chiamasi in Toscana la spianata dinansi
la casa , massime quand' è fatta di smalto^ che dicesi anche batluio,
' ordine^ accordo, convenzione, segreta disposiaione.
' alia banda. Lat. : « unum in lattu inclinare, «
* giuocando a rovescio: perchè dicendo se essere Agrippina , credeva che
dovessero salvarla.
' Valeriani: «che presso al lido, non agitaU da Tenti i non spinta agli
scogli, rovinò la nave dall* alto, quale terrestre edifiaio. i»
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IL LIBBO QOiCTTOlDICISaHO DBOU ANIULI. 337
e attro rimedio a questi lacci non vedendo, che ìnitagerBi di
non li conoscere, mandò a dire al figliuolo per Agerino suo
liberto, « che per grazia degl'iddii e fortuna di lui, era scam-
pata di gran perìcolo. Non yenisse per questo travaglio per
allora a vederla; si volea riposare; » e mostrandosi tutta sica*
ra, attese a mecfiear la ferita e ristorarsi. Fece trovar il
testamento d'Aceronia, e suggellar le sue robe; ciò solo
sema fingere.
VII. Nerone, che novelle aspettava dell' affondamento,
l'ebbe dello scandio con poca ferita, e che il caso era pas-
sata in guisa che V autore era chiaro. Basi di paura,' gri-
dando « ohe ella verrebbe subito a vendicarsi, armare schia-
vi, accender soldati, chiamar il senato, il popolo, gridar del
naufragio, della ferita, de' morti amici: che rimedio avreb-
be? se già Burro e Seneca non s'aggnzassono un poco; » ' per
cui tosto mandò; e forse prima il sapeano. Stettero un pezo
mutoli, per non lo consigliare in vano, vedendo il caso in
leimine che, se Agrippina non era vinta della mano,' Ne-
rone era spacciato. Dipoi Seneca, prima risoluto, guardò
Burro in viso, quasi domandandolo, « se dovea mandarsi
soldati a finirìa? » Rispose: « I pretoriani aver obblighi a tutta
la casa de' Cesari, e memoria di Germanico: non ardireb-
bon toccare il suo sangue: finissela Aniceto, che vi avea
messo mano. » — « Lasciate fare a me, v <ysse egli ^ inconta-
nente. A questa voce Nerone sclamò: « Oggi da te, o li-
berto mio, riconosco T imperio: corri con arditissimi, e fa
r effetto. » Egli udito che Agerino messaggio d'Agrippina
era giunto, gh ordì subitamente un atto da scena: mentre
spoaeva, gli lasciò cadere tra' piedi un pugnale. Allora, quasi
coito in peccato, il fé' legare, come mandato dalla madre a
uccider il principe; per poter dar voce che ella, per vergogna
della cosa scoperta, si fosse ammazata.
YIII. Intanto si sparse come Agrippina aveva corso pe-
* Basì ài panra, venne meno per paara.
3 non s*aggiUMStono un poco, non s* ingegnassero, non mettessero nn
po' a partito il cervello per trovare «n qualche ordine o spediente in ({uesto iaei-
broglio. Il lat. ; « nisi qttìd Burrus et Seneca expergiscerenttir. «*
' ae.... non era vinta deità mano, se non fosse stata piCTennta.
* eglit Aniceto.
I. 29
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338 It UBIO QOATTOUHCBStHO DBQU ANMAU.
rìcolo per fortana: corre oga'uno al mare; chi monta io so'i
molo, chi in ta le barche: altri gnaza quanto dtre può, al-
tri si spenzola o sporge le mani: empiesi ciò eh' è> ^ dì la*
menti, boci, grida; domande vane, risposte dabbie: accorre
con lami gran popolo. E qvando fa inteso il suo scampo,
pignorano innanzi per rallegrarsi; sino a che non furono mi-
nacciati e scacciati da genie armala. Aniceto accerchia di
soldati la villa e, spezata la porta, piglia quanti servi riscon-
tra. Giunto alla camera, i servi s' eran quasi tutti fuggiti per
lo fracasso. Dentro era un lamiciBO e una serv^ite, e Agrip-
pina sempre più sbigottita, non vedimdo Agerìno nò altri
tornare dal figliuolo; la ripa spazata, non gremita come pri-
ma, strepiti repentini e segai d' ultiilM) m«de. Andandosene
la servente, « Anche tu» i» disse « m' aUnudoni? n Vide Ani*
ceto in mezo a Erculeo capitano di galee, e Oloarito centu-
rione deir armata, e disse: « Se vieni a vedermi, digli ch'io
mi son riavuta; se ad uccidermi, non credo che il mio
figliuolo il ti abbia commesso, » Accostatisi al Iettò, Erculeo
prima le dio d' un bastone in S9 1 capo. Perochò al centu-
rione, che impugnava la spada, avea porto il ventre» gri-
dando, « Qui ferisci: » e di moUe ferite mori.
IX. Queste cose scrivono tutti. Che Nerone la vedesse
moria, e sua belleza lodasse, chi sì chi no. Fu arsa la stessa
notte in letto da me»sa con povere esequie; senza sepolcro,
mentre Nerone visse. Poi le ne fecero i suoi di casa un pìc-
colo, limgo la vìa di Miseno, e la villa di Cesare dettatore
altissima che guarda i golfi. Mnestero liberto le accese il
rogo, e si passò fuor foore; se per amor della padrona
o per paura di se» non è certo. Agrippina aveva molti anni
prima inteso, ma non atteso $ questo suo fine; domandò i
caldei della ventura di Nerone, e dissero eh'ei mtebhe
imperadore e ammazerebbe sua madre. « Ammaztla, disse,
purch' ei sia. »
X. Ma Cesare al fine conobbe la grande scellerateza,
fatta eh' ei V ebbe. Stette lo rimagnente di quella notte affi-
sato ' e mutolo; spesso si rizava spaventato e, sbalordito,
* ciò eh' è. I«at. : « omnis oraj » tutto il lid«.
S affisate j col guardo attonito.
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IL UBIO aOATTdlDIGBSniO DEGLI ANIfALI. 339
aspettata eoB la iace età giorno la sua rovina. I prbni a rin-
coraita finon cerjj eentarioni e trilmit mandatigli da Barro
a baciari^ la mano e rafl^r arsì eh' ei fass^ scampato dal
tradiaienfto BOn mai aspettato di sua madre. Corsero poi gli
amiei a' temiw; e dietro a loro le vicine città di Terra dì la-
voro nostraron con sagHfici e ambascerie allegiexa- Esso al
o(«itrarìo si faceva mesto e quasi dolente del proprio scam-
po, e pii^neva la madre sua, £ perchè ì luoghi non si met-
ton la maachera come gli nomini , non potea veder qnel
mave» que' siti: e akani credevano uscir suoni di trombe
da'eoUì vicini, e pianti dalla sepoltura delia madre. Se n'andò
a NapoU, e scrisse al senato:
XI. « Bastai trovato cmi V arme Agerino Uberto prin-
eìpide d'Agrippma mandato a ucciderlo: lei se stessa per
rimofso ài coseiania punitasi per la sceleraleza ordinata. »
Aggiunse peccati vecchi: « Sperato farseli compagna: giu-
rarsele nbbiditeza da' pretoriani: dal senato e dal popolo il
medeamo viliipero: fallitole ogni disegno, aver tempestato
lui a levar a' soldati i donativi, alla plebe le mance, rovinare
i gnmdi, nimicarsi ogn'uno. Quanta fatica essere stata a
tenerla di non enitear in senato, non risponder allì ambasciar
d<m7 ]> Per fianco biasimò i tempi di Claudio, ogni male ap*
ponendo aUa madre, estinta (diceva egli) per ventura pub-
Uica; contando quel nauiragio come egli andò: e chi sarebbe
stato biondo,* che l'avesse creduto accaso? o che una donna
ripeaeaia mandasse con V arme un solo a romper le guardie
e r armate dello imperadore? Levavansì adunque i pezi,'
n<Mt dì Nerone già spacciato per mostro infame, ma di Se-
neca, che scrivesse in quefla lettera la confessione del pec-
cato.
XII. Con tutto ciò que' principali, con gare stupende, or-
dinavano adorazione a tutti gli altari; e che ogn' anno si fe-
steggiassero i cinque di,' quando fa scoperto il tradimento:
ponessesi in senato una statua d'oro a Minerva, accantole
una del prìncipe: rìponessesi il diche nacque Agrippina, tra
' sì tondo, Lat.: « adeo hcbesj m sì melfaso, fi Bualecatto.
^ Uvavansù^ i pe»i, si dicevano vituperii.
' i cinqae dì, le feste ({uinquatrie.
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340 IL LIBBO QUATrOBDICBSmO MGtI ANNIU.
gli infelici. A questa adolazione) Trasea Peto, che all'altre
aveva taciuto, o passatole con poche parole, s'asci di se-
nato; rovinò se, e non fa agli altri principio di libertà. Ap-
parsero ancora molti segni senza effetti. Una donna partorì
nna serpe; nn' altra sotto 'l marito mori di saetta; il sole
scurò a un tratto ; in tatt'a quattordici^ le regioni di Roma cad-
dero saette. Cose avvenute tanto senza cura degr iddìi,* che
Nerone continuò le scelerateze e 1* imperio molti anni. Per
far più odiosa la madre, e parer, levata lei, più benigno,
fece tornare alla patria Giunia e Galpumia gran donne, e
Valerio Capitone e Licinio Gabolo stati in governi, scacciati
da lei; e ritrovar le ceneri di Lollia Paulina, e farle sepol-
cro. Ad Iturio e Galvisio dinanzi* da lui confinati fé' grazia.
Silana tornando di lontano confino, s' era morta a Taranto
consolata, vedendo già cadene, o placarsi Agrippina, la eoi
nimicizia fu la rovina sua.
XIII. Trattenendosi per le castella di Terra di lavoro
confuso di come s' entrare in Roma, se dovesse richieder
rincontro del senato o V applàuso della plebe; i (hù sciagu-
rati, de' quali quella corte n' era la più fornita del mondo,
dicevano « Che il nome d'Agrippina era odiato, e perla
morte di lei, racceso l'amor del popolo verso lui; andasse
sicuro , eh' e' si vedrebbe adorare. » Pregante a mettersi in
via, e trovano più pronteza che non avean promesso. Ven-
nero le tribù; il senato in vesti allegre, schiere di \ionnee
fanciulli ordinate secondo l'età e sesso; latti gradi, per ve-
derlo passare come a' trionfi. Quindi insuperbito, e detta pah-
blica servitù trionfante, andò in campidoglio a ringraziare:
e si tuflò in tutte le libidini, rattenote per un poco da qual-
che rispetto a quella madre.
* in tutt' a quaUordicij in tatti e quattordici : dove la coDgianiione
pleonastica e (se pur noa s*ha da dire piuttosto un articolo, invece d^ ij » in
tutti i quattordici » ) scambiasi in a nella pronuncia popolare.
> sen»a cura degf iddii. Qoi come altroTe (dice il Lipsio) Tacito la b
da epicureo miscredente. Ma altri lo scusa aver egli voluto dire solamente che
con qne' segni non volle il cielo presagire funeste cosea Nerone.
3 dinanzi. Il postillatore dell'esemplare Hestiano di G. Capponi mal cor-
regge diansi.
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IL UBftO OaATTOBDIGBSIMO DEGLI AKNAU» 341
XIV. Avea umore antico ^ di correre in sa le carrette,
e Bon men bruttamente, cenando, cantare sulla cetera a uso
di giocolare. Diceva essere ciò usato da' re antichi e duci,
lodato da' poeti, e onoratone griddii: la musica consagrata
ad Apollo: e questo gran dio e oracolo, non pure nelle gre*
che città, ma ne' tempii di Roma vedersi ceteratore. Parve
a Burro e Seneca, non potendo medicarlo delle due pazie,
lasciargliene una. Fecesi in Vaticano' un chiuso, dove egli fa*
cesse c<»Tere i cavalli ritirato. Poscia vi fu chiamato il po-
polo romano che lo alzava al cielo, essendo de' piaceri vago,
0 pazo se il prìncipe ve l'invita. £ dove pensarono con
quella indegnità a pien popolo fiBimeli uscir l' ai^tito, Tagu-
zarono; e parendogli nettar se, imbrattando altrui, indusse
molti nobili scaduti a far lo strione a prezo. Son morti e non
li nomino, per non disonorar le famiglie, perchè Tonta fu
sua pure; che doveva più tosto pagargli acciò non facesser
bruttura: perchè indusse ancora de' primi cavalieri romani
a combattere neU' anflteatro con gran donativi. Ma questi
importano necessità d' ubbidire, quando veng^o da chi può
comandare.
XV. £ per non si vituperare afilaitto, giocando ancora nel
teatro pubblico, trovò la nuova festa detta giovanile,^ ove si
scrisse gran numero. £sser nobile, vecchio, aver avuto ma-
gistrato, non frenava alcuno dall' usare l' arte degli strìoni
greci o latini, insìno agli atteggiamenti e gesti non da uo-
mo: anzi le gentildonne ancora studiavano in laideze. £ nella
selva che Agusto piantò intorno al lago navale,* fece rizar ca-
' umore antìeo^ anUea incIÌBacione.
3 in Vaiictino. Lat. : • valle Vaticana.» Il CzmnTi, Indicazione » p.306 :
«• Nella valle che esiste tra l'estremità settentrionale del Gianicolo e del colle Va-
ticano, benché per la immensa fabbrica della basilica di san Pietro ivi eretta non
sia lìmaato alcuno a?an*o di antico fabbricato, ai hmno però bastanti indisi per
riconoscere T antica ailuaiione del Circo di Caligola e di Nerone che stava collo-
cato in quel medesimo luogo. Imperocché fu ivi ritrovato l'obelisco che Caligola
fece venire dall'Egitto per l'adornamento della spina di tale Circo, il quale lu
quindi trasportato, «otto il pontificato di Sisto V, nel meato della piaiaa di
san PiaUo. »
' festa.»., giovanile o giovenale, era una festa di famiglia che facevasi
quando il giovane radevasi la prima barba. Nerone la rese pubblica, e la prima
barba che gli cadde sotto il rasoio , ripose in scatola d' oro !
* lago navale presso il Tevere. Vedi lib. XII, 56.
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342 IL LIBRO QUATTOEDICB0IIIO DEGLI ANHlLt.
mere e taverne, e vendere ricette da lassnrìa. Davansi per
cotal festa danari; de'qaali i buoni si servivano per forza, i
dissoloti per gloria; onde crebbero le scelerateze e V infamia.
Né mai far costami corrotti, quanto in quella canaglia. Ap-
pena con l'arti oneste, non che gareggiando ne' vizi, si man-
tien padicizia, modestia o arte buona. Egli all'altimo venuto
in sai palco, con grande studio la lira accordava e la voce,
a lume di torchi, presenti ancora una banda di soldati, cen-
turioni e tribuni, e Burro che, di ciò dolente, pur lo lodava.
Creossi air«ra un numero di cavalieri romani detti Agostani.
Questi giovani disposti e forti, chi v'entrò per bizaria di
cervello, chi sperando avanzarsi con ap[^udere di e notte
alla belleza e boce del principe cpn titoli divini: erano grandi
e onorati, quasi per gran virtù.
XY I. Per non parere questo imperadore solamente strio-
ne, si diede ancora a far versi. Ragunava poetuzi novellini:
metteva loro innanzi,* e faceva levare e porre, e rabberciare
i versi suoi: e bensì paiono, allo stile stentato, rotto e non
di vena, né d' un solo. Udiva ancora filosofi dopo mangiare,
che scoprivano loro discordie bisticciandosi: nò mancava chi
fra i passatempi del prìncipe desiderasse esser veduto con
volto e voce severa.
XVII. In questo tempo, di piccola contesa tra i Noce-
rini e i Pompeiani asci mollo sangue nella festa degli accol<
tellanti che faceva Livineio Regolo, raso, come dissi, del
senato. Imperochè dalle insolenze castellane vennero alle
villanìe, a' sassi, all'armi; e vinse la plebe pompeiana, che
aveva la festa in casa. Molti Nocerìni furon portati in Roma
fediti 0 storpiati o morii, e pianti da'lor padri e figliuoli. Il
principe rimise la causa al senato; esso a' consoli: e ritornò
a' padri, i quali vietarono a' Pompeiani tal festa per dieci
anni; disfecero lor compagnie fatte fuor di legge, e sbandi-
rono Livineio e gli altri primi rissanti.
XYIII. Fu raso del senato anche Podio Bleso, accusato
da'birenesi d'aver imbolato il tesoro d'Esculapio, guastala
^ metteva loro innanzi. Scuro. lutendi: « Assidevasì tra loro, ed essi, i
versi gik composti o quivi improvvisati, accossavano, e le parole di lui^ e
qua uscitegli di bocca , supplivano per farne il verso. »
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IL LIBBO QUÀTTOBDICXSmo DEGÙ ANNALI. 343
scelta de' soldati per danari e favorì. Essi Girenesi ancora
accasavano Acilio Strabene stato pretore e mandato da
Claudio a giudicare de' terreni stati ab antico del re Apione/
che gli lasciò insieme col regno al popol romano, come usnr-
paU da' vicini, che difendevano T iniquità col possesso lungo.
£i gli condannò a renderli; e quinci fu Tedio. Il senato disse
che non sapeva che commessione gli avesse Claudio data;
ricorressero al prìncipe, il quale confermò la sentenza di
Strabene; ma per sovvenire gli amici, ne fece lor grazia.
XIX. Morìrono due cittadini chiari e potenti per sommi
onori e molta eloquenza. Domizio Afro' famoso avvocato, e
M. Servilio,' prìma avvocato, poi scrìttor nobile di storìe ro-
mane. Questi parì d' ingegno, di costumi diverso, con vivere
splendido si fé' più chiaro.
XX. [A. di R. 813, di Cr. 60.] Nel consolato quarto di Ne-
rone e di Cornelio Cosso ordinossi in Roma la festa cinquan-
naie* simile alla greca olimpia, e fu presa varìamente, come
quasi ogni cosa nuova. « Anche Gn. Pompeo (dicevano al-
cuni) fu da' vecchi biasimato d'aver murato il teatro stabile,
solendosi alle feste fare i gradi e la scena posticci: e più an-
ticamente il popolo stava ritto a vedere, perchè non si stes-
se, sedendo, a baloccare i giorni interi. Nò anche osservarsi
l'antichità, la quale non forzava niuno a .combattere, quando
i pretori faceano i giuochi. Ma delle usanze^ buone della città
nostra averne spento il seme a poco a poco la licenza forestiera:
vedendocisi introdotto, se nulla è al mondo da esser corrotto
e corrompere; 'tralignar la gioventù, frequentando esercizi
stranierì, scuole, ozi e brutti amorì. Perchè il principe e il
senato non solamente permettono i vizi, ma li comandano. I
primi di Roma in vista di recitare prose e versi, dire alle
* Apione: Tolomeo Apione, figlio naturale di Tolomeo VII.
> DomiMìo Afro, Vedi lib. IV, 6S; dorè dice che ebbe miglior £ima ii
eloquente che di onesto. Vedi anche e. 66, e Dialog, \%, 16.
9 M, Servilio Noniano, console l'a. 788. Vedi lib. VI, 31. Diahg. S3.
Ne parla anche Qmntiliano (X, 1, 103), dicendolo nomo di alto ingegno, copioso
di fentense, ma meno conciso che a storico non si convenga.
* cinqrtannale, Svetonio in Ner. e. 12 : • Egli fu il primo che ordinò ,
che ogni cinque anni in Roma si celebrassero , secondo il costarne greco, tre ga-
reggiamenti; uno di musici, l'altro d* nomini ignudi per saltare, correre e lotta-
re , ed il Urto d' nomini a cavillo, e chiamò le preditte ftste Neroniane* »
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344 IL UBIO OOATTOlDnXfflllD DSfiU AHMALI.
commedie: * che altro mancare» che spogliarsi mettersi i
guanti del piombo 9' e fare alle pogna in Inogo di militar di-
8ci|rfina7 farà forse Tori àgnri, hooni caTaìieri l'ndire squar-
tar le voce ' e i nomi addolcire? Impiegarsi anche le notti in
queste infamie, per non lasciare alcon tempo alla modestia,
compiendo in quel mescuglio quel che da ogni reo nomo
s'era il giorno agognato. »
XXI. A molti cotal licenia piaoeTa, e la coprivano con
vocaboli onesti. « Non avere anche |^i antichi aborrito i pia-
ceri degli spettacoli, conformi a qne' tempi, con istrioni
diiamati di Toscana, e sofie di cavalli, da i Torli:* vinte
TAcaia e l'Asia, essersi fatti pia belli. Da dngento anni in
qua, che il trionfo * di L. liummio c'introdusse prima questi
spettacoli, ninno Romano nobile esser diventato, per eserci-
tarli, non nobile. Essersi ancora, col teatro fermò, avanzato
grossa spesa, non avendosi ogn'anno a rifare: e se la repu-
blica stessa spende ne'ginodii, non impoveriranno qnei di
magistrato, nò avri il popoto cagione di chieder loro le feste
«dia greca. I riportati doni di bette dicerìe e versi, aguze-
rìeno gl'ingegni, e volentteri i giudicatori ascolterieno gli
studi onesti e' passatempi conceduti. Per rallegramento non
per lascivia, concedersi in cinque anni poche notti; ove, tra
tanti lumi, che disonestà potersi fare? » Veramente la festa
passò senza notevole disonestà o risse di plebe parteggian-
te. Perchò i giocolarì benchò renduti* alle scene, non entra-
vano ne' sacri lodi. Il vanto del più beUo parladore ninno ri-
portò, ma fu dato a Cesare: e gli abiti greci, cominciati a
vedersi in que' giorni , si riposero.
XXII. Appari allora una cometa, che il volgo credè si-
gmficar mutamento di princi{n. Onde, come Nerone fmm
* dir* alU commèdie^ recUare nelle commedie.
* f guanti del piombo i cirà, i cisti 9 manopole cbe uea^aasi de'pngila*
tuli.
S sqtuwtar le voce. Il laL ba: « frtteUs somosj » le nelli caalileoc. il
testo nel principio dà quarto perìodo mm h aanos però non chiara • pure la tra-
ne.
^ Turii. Tttrio nH golfo di Tatanlo «orse presso le roiioe di Sibari.^
S il trUnfo ce. sopra gU Achei e i Corintii, V a. 609.
^ renduti, perchè quattro aoni ioMBai eratto stati caicciati d'itaUa.
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IL LIBEO QOATTOUnCSSnfO DEGÙ ANNAU.- 345
caeeiato, si ragionava deUo scambio. Celebrava ogif imo fin-
bellio Plaoto, cbe era di casa giaVa per madre: osservava i
costami antichi: vestiva modesto: viveva onesto e ritirato; e»
quanto più per paora nascondeva sue qualità, più se ne di-
ceva. AecreUw il remore un segno vano altresì d'ona folgo-
re, la quale, mangiando Nerone a Tivoli all'acque sìmbrui-
ne/ laogo detto a Sollago,^ mandò la mensa e le vivande
sotoprà* £9 perchè Plauto' traeva sua orìgine quindi, si cre-
deva che gV iddii il volessero. E favorìvanlo molti per lo
avido e fallace aspirare alle novità perìglióse. Nerone da tali
eoBe conunosso, scrìsse a Plauto, che per fuggire scandoU
del popolaccio, che a torto lo carìcava, si causasse in Asia a
godervi, ne' suoi beni antichi, in pace e sicuro, la sua gio-
ventù. E cosi fece, con la mo^Ue« Antistia e poca fami-
glia* In que'giorm la troppa delizia portò biasimo e peri-
colo a Nerime. Essendosi bagnato nella fonte dell'acqua
mArzia,' condotta in Roma, parve col notarvi e lavarsi tutto '1
corpo, aver contaminato lo sagro beveraggio e la religione del
luogo; e confermoUo una malattia di perìcolo, eh* e' ne cavò.^
XXIII. Corbnlone, spiantata Artassata,* si voltò a pi-
gliare con lo spavento fresco, Tigranocerta, per più impau-
rire i nimici, disfacewiola; o, perdonandole, nome acquietar
di clemente: andarvi senza farle Tesercito danno alcuno,
per non tórre la speranza del perdono; stando però in su le
sue,^ sapendo la vidtabil gente che ell'è; a' perìcoli tarda; ve-
dendo il bello, traditora. I barì)arì, secondo le nature, o si-
arresero o dileguarono, o nascosero in caverne con loro cose
più caré. Co' prìmi fu Ck>rbulone benigno; contro i secondi
v^oce; con gli altri crudele: con fascine e stipa gli turò e
arse là entro. Passando da' confini loro, i Mardi;^ usati a ru-
< simbrtiine, Vedir XI, 13, e Plinio H. N. Ili, 3.
3 Sollago, SabLiaco.
' acgua marzia, condotta nel Campidoglio dal pretore Q. Marzio Rege:
se ut TCdono ane' oggi gli arami presso la porta di S. Lorenzo.
* JrUiitaU. Vedi XIII, 41.
5 stando però in su le sue, non rallentando però la diligenza. Lat. : « ncque
tamen remissa cura. *» Oggi stare in sulle sue pigliasi per badare a se e con'
servare la propria dignità e decora.
6 Mardi, tra l' Bussino e il Caspio.
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346 IL LIBftO QOATTOBDICmilfO DMU AMIIàU.
bare e salvarsi ne' monti quando son rincaoctatiy Corbolone
mandò Iberì a sconGggerli; e 0OÌ sangue fotestiero vendicò
lo nimico ardimento.
XXIV. Ninno danno pativa egli né l'esercito per batta-
glie) ma per carestia e fiitiehe; stanandosi di carne di peoo*
re: carestia d'acqaa, state aidente, viaggi Innghi: eonsola*-
vall la sola tolteransa del capitano, maggiore che di qnalan-
qoe fantaccino. Vennesi in paese dimesticòy^e si mìelò dette
biade. De' due castelli ove s'eran tifoggiti gli AnncAii, l'imo
al primo assalto, l'altro che '1 sostenne, s'Md>e per assedio.
Quindi passò ne' Tanranti,^ ove corse pericolo non aspettato
d'an barbaro non ignobile, trovato poco ftiori del soo padi-
glione con arme; e confessò per tormenU l'onTiae del soo
tradimento e i compagni o quelli che come amici lo condii-
covano; che fnron convinti a paniti. Yemiefo poco a presso
ambasciadori da Tigmnocerta, che gli apriva le porte e il
popolo era pronto a «bbidire; e pfesentanmgli ma corona
d'oro, quasi a baono ospite: ei l'acculò ccm parole onorate:
atta città nulla mutò; perch' e' jervissono pie volentteri
XXY. Bla la forteza fu difesa da fiem gioventù per lo
re, innanzi aHe mura, e poi dentro a' ripari Finalmenfe
cede alla forza* Succedevano queste cose {^ agevolmente,
per essere i Patti impacciati netta guerra con gì' Ircani che
avevano mandato al principe romane a dnedere lega: van-^
tandosi per segno d'ainicizia di tener Yologeae in^pedilo. Al
ritorno loro Gorbulone, acciò non fossero, passato ì' ikifrate,
presi dalle guardie de'nimici^ li fece beneaeeimipagna[ti con»
darre al mar rosso, per lo quale, sfoggiti li paesi de' Parti,
a casa se ne tornarono.
XXYI. Sforzò ancora Tirìdate, che, avnto il passo per
laMedia, entrava nell'ultima Armenia, mandatovi Yerulano
legato con gli aiuti, é corsovi esso tqn le legioni, a ritirarsi
e torsi giù dall' impresa. £ mettendo a ferro e fuoco qualun-
que aveva veduto inglìarla per lo re,^ s' impadroniva del-
l'Armenia: quando vi compari T^grane eletto re da Nerone;
de' nobili di Gappadocia; nipote del re Archelao, ma per lo
* Tatiranti o Tauranniti , presso Tigranocerta. Non sonrioorcbii da altri.
* pigliarla per lo re, pigliare le difase del re.
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IL UBftO QUATTOBDICESIHO IHSaLI ANNALI. 347
essere tanto staio in Roma ostaggio, pnsillaiiiine, come schia^
vo. Né r accettarono tatti, datando in atcnni F amore agM
Arsacidi. Ma i più odiando la saperda de' Parti, volevano
anzi re dato da' Romani. Gli fa dato per guardia mifie sol-
dati di legione, tre compagnie d'ainti, e doe bande di ca-
valli; e per sicureza del noovo regno fu ordinato, che parte
dell'Armenia obbidìBse a' Trascipoli, Aristobolo e Antioco,
secondo che con loro, confinava: e Corbnlone se n'andò In
Soria, datagli in governo per la morte di Yinidio.
XXYIL In qneU'anno Laodkea, grossa dttà dell'Asia,
rovinò per tremooti, e si rifece co'l sao,' senza nostrs
aiuto. In Italia Poznolo', terra antica, fa rifatta colonia, e da
Nerone rinominata: a Taranto e Anzio assegnati soldati vee**
chi; ma non però le popolarono, tornandosene molti nelle
Provincie dove avevano militato; gli altri non osati a mari-
taggi e allevar figliuoli, spegnevano lor famigfie. Perchè
non n rifornivano a legioni intere co' lor tribuni, centurioni
e ordini, come già, per fare unita e caritevole comunanza:
ma alla spicciolata, di compagnie varie, senza capo, senza
conoscersi né amarsi, quasi d'un altro mondo raccogliticcia
m(rfiitttdine, anzi che colonia.
XXYIII. La creazione de' pretori al senato toccava:
ma per la rèssa ' de' chieditorì, il principe ne contentò tre,
che passavano il numero , facendoli capi di tre legioni. Un
altro onor fece a' padri , che chi da privato giudice appellasse
al senato, (a che non era pena) soggiacesse, perdendo, a
quella di chi appella all' imperadore. Nel fine dell' anno Vi-
bio Secondo cavaliere, accusato da' Mori di governo iniquo,
fu cacciato d' Italia per minor pena, per favori di Yilno Cri-
spo suo fratello.
XXIX. [A. di R. 814, di Cr. 61.] Nel consolato di Ceso-
nio Peto e Petronio Turpiliane s' ebbe grande sconfitta in
Brìtannia, ove Avito legato non aveva fatto altro che man-
tener l' acquistato. Yorauiio suo successore alquanto scorso;
saccheggiato i Siluri, e per norie impedito di più avanzarsi,
* eo *l suo, Lat.t « propriis òpibus. »
, s réssaj dicesi anche pi^Uia o calca, a significare Importuna istanta per
ottenere alcuna cosa.
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348 n. LiBBo quattohugesdio dbqli annali.
fa tesato molto severo: nel testamento si chiari vano col di^
re, dopo molto adular Nerone, che s'egli vivea dae anni,
gli soggiogava tatto «{oeUe contrade. Etbyì allora Svetonio
Paaliao» che per saper di guerra» e grido del popolo, che
niano lascia senza paragonarlo,^ competeva c<m Gorbnlone.
Lo cai onore, della ripresa Armenia desiando di pareggiare
col domar qoe' ribelli, deliberò d'assaltare V i8<da di Mona'
possente di popolo, e ricetto de' ribellati* I oavilii fabbricò
piatii per quelle coste di poeo fondo e non fermo. Con essi
passò i pedoni; seguitanmli i cavalieri a guazo, o per li fondi
annoto,
^\1L Slavano i nùnid in sa '1 tifo annali e stretti. Tra
essi correvano femmine scapigliate con vesti nere e facelle
in mano come fané. E i druidi, loro aaoerdoti, con le mani
al delo ci pregavano cose orrende; e tanto la nuova vista
sti^fece i soldati, che stavan fermi come statue a lasciarsi
ferire. Ma confortati dal capitano, e stimolatisi tra loro a non
aver paura di d<mne e di paai, danno dentro, e gV incon-
tranti abbattono e rinvolgono nelle lor fiamme. Ne' borghi
furon poste. |e. guardaci «.tagliati i boschetti sagrati a loro di-
vozioni orride, ove gli altari incensavano col sangue de' pri-
gioni, e dalle umane viscere indovinavano de' casi propri.
Facendo queste cose Svetonio, ebbe avviso che la provincia
s' era in un subito ribellata^
XXXI. Prasatago, re delli Iceni,^ di Carnosa riccheza la-
sciò erede due sue figliuole, e Cesare per metà: pensando
che tal cortesia facesse riguardare il regno e la sua casa.
S' appose male: i centurioni gli saccheggiarono il regno, e
KU schiavi la casa come lor preda. Bondicea sua moglie fu
bastonata: le figliuole sforzate: i principali Iceni (come il la-
scio comprendesse tutto '1 paese) spogliati de' lor beni anti-
chi: i parenti del re messi tra gli sciùavL Per cpiesti oltraggi,
e paura di peggio (essendo divenuti come vassalli) danno
all' arme: fanno ribellare i Trinobantì: altri non usati a i
* che niuno lascia senta paragonarlo j sensa metterlo a paragoDe con
alcuno; senza mettergli accanto un emulo, un competitore.
8 Mona^ oggi JngUsey, Vedi Vii. Agr. e. 18.
» /ceni. Vedi libi X»,3i.
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IL LIBIO QUATT0EDICB8IM0 DBGU AllNALI. 340
vire COTigiarano di ripigliare la libertà, odiando a morte i
veterani messi nUimamente nella colonia di Camalodano,
che li caccìavon di casa e de' poderi, dicendoli lor prigioni
e schiavi; e amavano i soldati la loro insolenza, per la so-
miglianza de' costumi e speranza della medesima licenza.
Avevano anche in su gli occhi il tempio a Claudio fatto per
arra d'eterna servitù, e i sacerdoti sotto spezie di religione
si divoravano tutte le facoltadi. Né pareva molta fatica ab-
battere quella colonia niente fortificata , per aver più atteso
i nostri capitani a farla amena che utile.
XXXIL La statua della Vittoria cadutavi ^ senza veder
cagione, con le spalle voltate, quasi cedesse ai nìmici: donne
infuriate che gridavano finimondo; fremiti forestieri uditi nel
lor senato; rimbombi d'urla nel teatro; un'ombra apparila
nel fiume Tamigi; figure di corpi umani lasciatevi dal reflus>
so; e già l'oceano che parea sanguinoso; tutti eran segni
che la colonia era spacciata, e davano speranza a' Britanni,
e spavento a' coloni, i quali, perchè Svetonio era lontano,
chiederon soccorso a Cato Deciano proccuratore. Mandò loro
non più che dugento, e male armati: eran vi pochi soldati,
avendo fede che quel tempio si difenderebbe. In corpo ave-
vano congiurati occulti che guastavano i lor consigli: e non
avendo tirato fosso né steccato; non mandato fuori i disuti-
li, e ritenuta sola la gioventù; non pensato a nulla, come
fessone nella pace a gola,' moltitudine di barbari gli circon-
dò; e tutto a furia rubò, arse e assediò, e in due di prese il
tempio, ove s' eran ristretti: affrontò vittoriosa PetilioGeriale
legato della legion nona, che veniva al soccorso; ruppe quella
legione; e i pedoni ammazò. Ceriale co' cavalli si salvò e di-
fese nel campo. Cato proccuratore, impaurito di questa rotta,
e dal malissimo talento della provincia messa in guerra per
sua avarizia, si foggio in Gallia.
XXXIII. Ma Svetonio con maravigliosa fermeza per
mezo i nimici passò a Londra, colonia non grande , ma grassa
e di gran traffico mercantile; pensando se era bene piantar
* cadtUavìi cioè, io Camaloduno.
> nella pace a gola, in piena e perfetta pace. Lai. : « quasi media pace
incauti» »
I. 50
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3S0 IL LIBRO QUATTOBDICESIHO DEGLI ANNALI.
qoivi la sede della guerra. Consideralo i suoi pochi soldati ,
la gran rolla, la temerità di Petilio pur troppo costare;* deli-
berò, col danno d' una terra, salvare il tutto, e senza udir
prego né pianto, dette il segno del partire, menando seco
chi volle andare: le donne, 1 vecchi, o gli amadorì del luogo
rimasivi, furon oppressi dal nimico. La rovina medesima pati
la città di Yerulamio; ' perchè i barbari, usciti de* castelli e
forteze guardale, ciò che trovono di buono e mal difeso, lieti
rapiscono e portano in salvo. Da seltantamila cittadini e col-
legati morirono ne' detti luoghi , perchè quivi non si trattava
di prigionie vendile o altro trafllco soldatesco; ferro, fuoco,
pali, croce che aspeltavan da noi, si studiavano renderci
quasi per anticipata vendetta.
XXXIV. A Svetonio avendo già in arme la legione
quattordicesima co' vessillari della ventesima e aiuti vicini,
da diecimila, non parve da perder «tempo; e s'ordina alla
battaglia. Scelse luogo dinanzi stretto, e dietro chiuso da bo-
scaglia, sicuro d'agnati; sapendo tutti i nimici esser a fron-
te, e la campagna rasa. Ordinò la legione in molte squadre;
i leggieri armati d' intorno; i cavalli alle bande. L' esercito
britanno, sparso per caterve e frolle di cavalli, braveg-
giava più numeroso che mai, e si fiero che menaron le donne
a veder la vittoria in carri che facevan corona a quella
pianura.
XXXV. Boudicea in carrella con sue figliuole innanzi,
andava a ogni nazione dicendo: « Solere in Britannia ma-
neggiar le guerre le donne, ma ella allora non venire a
difender quel regno e le sue forze, come nata di tanti eroi,
ma come una delle più plebee, a vendicar le sue bastonate,
la perduta libertà e V onor tolto a quelle figliuole: da che la
libidine romana era venuta a tale, che non le campava ver-
gini né vecchie. Ma gì' ìddii aver messo mano alla giusta
vendetta: taglialo a pezi una legione che ardì far testa: gli
altri starsi serrati nel campo, o specolare via da fuggirsi:
non sopporterieno ilVomore e le grida, non che l'impeto e
* costare, esser costata cara; essere slata l>en punita.
* Femia mio, i cui avanci si vedono presso il modcroo S. Albans nella
contea d* Herefordshire.
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IL LtBEO QUÀTTOBDICESUIO DEGÙ ANNALI. 3oX
le mani di tante migliaia. Quelle, e la tanta ragione sforzarli
a vincere o morire in quella battaglia: ella donna il farebbe:
vivansi gli uomini, e servano. »
XXXYI. E Svetonio non taceva in tanto pericolo: ma,
se bene confidava nella virtù, esortava e pregava: <( Rides-
sonsi delle minacce e del fracasso de' barbari; vedervisi più
donne che gioventù; non guerrieri, non armati, tante volte
rotti, che la darieno a gambe,* come vedessero i vincitori
e '1 ferro. Ne' grossissimi eserciti ancora pochi esser quei
che rompano e sbaraglino; se essi pochi facessero da gros-
sissimo esercito, avrebbono tanta più gloria. Serrati sempre,
e priina co' dardi, poi con la spada e rotella, non finissero
d'ammazare: dimenticassero il predare: e vincendo, sarebbe
loro ogni cosa. » Vennero per le parole del capitano in tanto
ardore, e si bene s'adattavano a lanciare quei soldati vecchi
di prova' in molti fatti d'arme, che Svetonio certo dell'even-
to, sonò a battaglia.
XXXYII. Primieramente la legione senza muoversi, e
della stretteza del luogo servendosi per riparo, quando il
nimico si presso le fu che i lanciotti colpivano, ed ebbegli
consumati, rovinosamente quasi conio lo fesse; ^ e gli aiuti
altresì fecero ristesse: la cavalleria con le lancio ogni forte
incontro abbattè; gli altri voltaron le spalle: ma que' carri
facevan siepe alla fuga, e i soldati non risparmiavan le
donne: le bestie anche trafitte crescevano i monti delle cor-
pora. Gloriosa, e pari all' antiche, fu la vittoria di quel gior-
no: non mancando chi dire * esservi morti de' Britanni bene
ottantamila; di nostri da quattrocento, e fediti poco più.
Boudicea s'avvelenò; e Penio Postumo maestro del campo
della legion seconda, veduto il felice successo della quattor-
dicesima e ventesima, e aver tolto la medesima gloria alla
sua, col disubbidir, contro alla buona milizia, al capitano;
s' infilzò nella spada.
' la darieno a gambe, si darebbero a pronta fuga.
' di prova, sperimentati. »
' quasi conio lo fesse. Politi: «« a gaisa di conio si serra tra loro, m Lat.:
« quasi cuneo erupit, »* ^
* chi dire. Così la Nestiana e la Cominiana. Il postillatore dell' esemplare
Nestiano di G. Capponi corregge : « chi dice, m
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382 IL UBRO QUATTORDICBSISO DEGLI ÀimALI. •
XXXYIII. L' esercito fu rassegnato e attendato per dar
Gne alla guerra. E Cesare dumila soldati di legione vi mandò
di Germania, otto coorti d'aiuti e mille cavalli: i quali arri-
vati, la legion nona fu rifornita di legionari. Fanti e cavalli
messi in nuove guarnigioni, e tutti i paesani neutrali o-ni-
mici, messi a ferro e fuoco. Ma il peggio loro era la fame,
essendo al seminare negligenti, e corsi alla guerra d' ogni
età, fatto assegnamento de' nostri viveri: e andava quella
gente bestiale ancor più adagio alla pace, perchè Giulio
Glassiciano, mandato successore a Gato, e mal d'accordo
con Svetonio, guastava il ben pubblico per l'odio privato;
spargendo che aspettassero a darsi al nuovo legato, che fa-
rebbe lor careze, non avendo ira di nimico né superbia di
vincitore: e scriveva a Roma, non s'aspettasse mai fine
della guerra alle mani di Svetonio;^ attribuendo alla malva-
gità dì lui ogni male che seguiva, e ogni bene aHa fortuna
della i^epubUca.
XXXIX. Laonde Nerone mandò a riconóscere lo stato di
Brìtannia Policleto ^ liberto con grande speranza che l'autorità
di costui potesse non pure unire il legato col proccuratore, ma
co' barbari e ribellati fermare una pace. Egli con gran gente
e aggravio d'Italia e Gallia passò il mare, terribile eziandio
a' soldati nostri: ma i nimici nella libertade ancora ardenti,
e non informati della potenza de' liberti , si ridevano che
quel capitano e quell'esercito vincitori di si gran guerra,
ubbidissero allì schiavi. Fu nondimeno riferito il tutto all'im-
, peradore con più dolceza. Avendo poi Svetonio nell' attender
a sue gravi cure perduto certe poche navi con lor ciurma in
su '1 lito; gli fu detto che consegnasse l'esercito (come se la
guerra durasse) a Petronio Torpiliano ^ già uscito di consolo.
Costui con lasciare stare il nimico, ed esser lasciato stare,
pose al suo vile ozio onesto nome di pace.
XL. Nel detto anno due brutte scelerateze ardiron fare
in Roma, un senatore e uno schiavo. Era Domizio Balbo,
* alle mani di Svetonio, iOtto il comando <3i Svetonio. — La kltera
del testo dice: «» se non si mandasse un successore a Svetonio. »
* Policleto. Vedi Stor. I, 37; II, 95.
» Petronio. Vedi Vii. Jgr. 16. Fu poi ucciso da Gali)». Stor. I, 6 t 37,
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II. I.IDRO QUATTORDlGBSIlfO DEGLI ANNILI. 853
stato pretore, molto vecchio, seoza figliaoli e danaroso; e
però soggetto a insidie. Valerio Fabiano suo parente desti-
nato alU onori, gli falsificò nn testamento: e chiamò Vìcio
Rufino e Terenzio Lentino cavalieri romani, i qoali chiama-
rono Antonio Primo ^ e Asinio Marcello: quegli ardito e sfac-
ciato, questi illustre per Asinio Pollione suo bisavolo, e di
non mali costumi ;^e non che Tesser povero stimava il mag-
giore di tutti i mali. Da questi e altri di minor conto Fabiano
fece suggellare il testamento, e funne convinto in senato; e
dannati. Fabiano, Antonio, Rufino e Terenzio nella legge
Cornelia.* Marcello, perla memoria de' suoi maggiori e preghi
di Cesare, fu liberato più dalla pena che dall' infamia.
XLI. E Pompeo Elianq giovane stato questore, quel
giorno non andò netto; ma come consapevole, fu cacciato
d'Italia e di Spagna, ove nacque. Pari vergogna ebbe Yale-
rio Pontico, che per fuggire il giudizio del prefetto di Roma,
avea accusato i rei al pretore, affinchè scampasser la pena,
ora sotto colore delle leggi, poi per collusione. E nacque de-
creto, che ogni operatore dì simile baratteria si intendesse
condannato nella pena delle false accuse.
XLII. Indi a poco uno schiavo di Pedanio Secondo, pre-
fetto di Roma, l' ammazò, perchè gli negava la libertà mer^
calata, o non poteo patirlo rivale nell'amore d'un giovane.
Ora dovendosi per antico costume far morire tutta la fami-
glia che sotto quel tetto abitava; la plebe corse a difender
tanti innocenti, e fece sollevamento: e nel senato stesso ad
alcuni non piaceva tanta severità ; ma i più niente volevano
rimutare; tra ì quali Gaio Cassio per sua sentenza disse:
XLIII. <( Molte volte mi son trovato, padri coscritti, a
sentir chieder in questo senato leggi e ordinanze nuove con-
tro all'antiche; e non ho contraddetto: non per dubitanza
che già non fusse a tutte le cose provveduto meglio e più
rettamente da non potersi, ritoccandole, se non peggiorare;
ma per non parere d'innalzare con troppo amore questa mia
* Antonio Primo. Dì lui cliscoTTesi spesso nei libri Ili e IV deUe Storie.
' legge Cornelia j pubblicata da Siila 1* a. 673 contro i falsari. Vedi
Stor. II, 86.
20-
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3tf4 IL UBtO QDATTOaDICBSUlO DEGÙ AKNAU»
antichitA; e anche per non mi giocare* (contraddicendoci
ogni di) quell'aatorìtà che abbiamo, ma risparmiarla per
servigio della repid^lica se mai bisognasse; come oggi che
si prode nomo consolare è stalo in casa sua assassinato da
uno schiavo, lasciato fare, non iscoperto; e non è però an-
cora stracciato il decreto che tutta la famiglia n' abbia il
supplizio. Assolvetela pare. Ma chi fia uni|ae^ difeso da sua
dignità , se non ci basta V esser prefetto? Qual numero di
schiavi fia tanto, se quattrocento non hanno difeso Pedanio
Secondo? cui aiuterà la famiglia, se ora che importa a lei
altresì, se ne sta? Èssi forse' T ucciditore vendicato (come
alcuni hanno faccia di fìngere) del non avergli attenuta il
padrone la libertà mercatata, qualche gran tesoro paterno,
o toltogli ano schiavo de' suoi antichi? Giudichiamo adunque
che ei l' abbia ucciso con ragione.
XLIY. » Consideriamo ora le cagioni perchè i più saggi
cosi determinarono. Ma se noi al presente sopra questo caso
avessimo a deliberare per la prima volta crederemo, uno
schiavo avere ardito ammazar il padrone senza averne spu-
tato prima qualche bottone* o minaccia o parola non saggia?
Oh e' non si voUe scoprirei nascose Y armel come poteo egli
passar le guardie, aprir la camera, portar il lume, amma-
larlo, che ninno sentisse? Antiveggon bene gli schiavi i
ma' pensieri per molti indizi; scoprendoceli noi, potrem vi-
vere soli tra molti: sicuri tra i-mal contenti; e (morir biso-
gnando) vendicati tra i traditori. Sospetta a' nostri antichi fu
la natura delti schiavi, quando anco nascevano con T affe-
zione a' padroni neir istesse case o ville. Oggi che ne abbia-
mo in famiglia le nazioni intere, di leggi e religioni strane
o nulle, non frenereste tal feccia d'uomini, se non con la
' per non mi giocare.... quelF autorità, per non perdere; per non di*
struggere quelV autorità ec.
9 utufue, nun.
' Èssi forse, si è forse ec.
* senza averne spntato prima gualche bottone, sema averne mandato
fuori qualche motto. Sottone dicesi di parola velenosa gittata cosi di traverso
contro alcuno. Non è vìva oggij ma l>en è vivo sbottoneggiarej e intorno a que-
sto vedi V Ercolano del Varchi.
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lìs UBRO QUArrORDICBSiMO DEGÙ iMKAU. 8{(5
paura. Morranno degl' innocenti. Anche quando d'ano esercito
vigliacco si trae per sorte de' dieci V uno a morir di basto-
ne, n' escono de' valenti. Ogni grande esempio ha qualche
pò* dell' iniquo contro qualcuno, ma è contrapesato dall' Qtil
pubblico. »
XLY. Al parere di Cassio niuno ardi contraddir solo;
ma usci un tuono di voci moventi a pietà del numero, del-
l'età, del sesso, e la maggior parte, senza dubbio, innocenti.
Vinse nondimeno la parte che voleva il supplìzio; ma non
poteva esser ubbidita per lo popolo ragunato che minacciava
sassi e fuoco. Cesare lo sgridò per bando; e pose soldati per
tutta la via, per la quale andare a morire i cattivi. Qngonio
Yarrone vpleva che anche i liberti trovatisi in quella casa si
cacciasser d' Italia : al principe non piacque con la severitate
accrescer la rigideza antica, cui non aveva ammollita la mi*
sericordia.
XLYI. In quest'anno fu condannato Tarqoizio Prisco di
rapacità, a stanza * de'Bitini, con gran piacer de' padri,
che si ricordavano che egli accusò Statilio Tauro * siio vice-
console. Per le Gallio fecero il catasto * Q. Yolusio e Sesto Af-
fricano e TrebelUo Massimo; i primi contendendo tra loro di
nobiltà, e schifando Trebellio per compagno, l'ebbero per
sopraccapo.*
XLYII. Mori Memmio Regolo,* per autorità, fotteza e
fama, per quanto sotto l'ugnia dell'imperio si può, tanto
chiaro, che Nerone ammalato (ad ulando" certi, ^ a Che man-
cando egli, r imperio cadrebbe, ») disse: et Non mancare chi
sostenerlo. » Domandando essi, a Chi? » rispose, « Memmio
Regolo. » E nondimeno lo campò il non s' ingerire, l'avere
nobiltà nuova, e riccheza non invidiata. Nerone fini le ter*
* a stanza^ a istanca^ a petìsionc.
9 Statilio Tauro. Vedi lili. XU, 59.
5 il catasto. Vedi lib. I, 31.
^ l'ebbero per sopraccapOj sei ièctro da più di ]«fO| sei fecero superiore;
lo fecero più stimato di loro*
S Mfemmio Regolo, Vedi U)>. V, li; XII, 23 e 33. Ma akrì credono che
questi sia figlio di quello ricordato nei luoghi allegati.
B adulando certi: metttre alcuni lo adulavano con dhre ec.
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356 IL LIBtO QUATTOftDICBSIMO DEGLI AHNAU.
me/ e donò l'olio' a' senatori e cavalieri con cortesia greca.
XLYIII. [A. di R. 815, di Cr. 62.] Nel consolato di
P. Mario e L. Asinio, il pretore Antìstìo, slato, come dissi,'
licenzioso tribuno della plebe, compose pasquinate * contro
al principe, e pubblicolle a una cena fattagli da Ostorio Sca-
pola. Gossnziano Capitone, rifatto senatore ^ per favore di Ti-
gellino suo suocero, l'accusò di caso di stato. Parve rimessa
su allora questa legge perchè non tanto portasse rovina ad
Antistio, quanto gloria aH'imperadore, acciò condennato a
morte dal senato, fusse salvato per intercessione del tribuno.
Ostorio testimoniò che non aveva udito niente^ e fu creduto
a' testimoni contrari; e Giulio Marnilo, eletto consolo, sen-
tenziò che al reo si togliesse la pretura e la vita , al modo
antico. Quando gli altri acconsentivano, Trasea Peto, con
grande onore di Cesare, ripreso Antistio agramente, disse:
a Non tutto quello che merita il reo, doversi, sotto il buon
principe (se da necessità non è stretto il senato] deliberare.
Capestro e boia esser levati più fa; ^ e per leggi, ordinate le
pene da gasligare,'' senza fare i giudici crudeli, né i tempi
infami. Meglio è, toltogli i beni, confinarlo in un'isola, ove
la vita a lui proprio fia misera, e al pubblico, esempio gran-
dissimo di clemenza. x>
XLIX. La libertà di Trasea ruppe il silenzio degli altri,
e andarono nel suo parere, di licenza del consolo; salvo al-
cuni pochi, tra i quali A. Vitellio prontissimo all'adulare,
mordace di parole contra ì migliori, e a chi mostrava il den-
< le terme. Lat.; « gymnasium. » Questo ginnasio era nel campo Manipi
unito alle terme ; però fa detto anche Terme neronianej pelle quali Mania-
]e(VII, 34)scberiaTa;
Quid Ntroru pebu ? Quid thermiM meltus neroniaiUs ?
S t olio. La distribuzione dell* olio fu fatta anche prima di Nerone , ma per
uso di mangiare : laddove questi lo donò per uso de^ giuochi ginnici , come sole-
vano i Greci.
3 come dissi, lib. XIII, 28.
* compose pasqttinatèj versi satirici. Ma se Pasquino era fuori a' tempi
di Tacito, non si chiamava tertameote così, n^ faceva pasquinate.
5 ri/atto senatore: era stato' casso come reo di mal tolto. Y. Uh XIII, 33.
6 piò, fa, un tempo fa. Lat. : « pridem. »
1 le pene da gastigars* Perchè non i gastìghif
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IL LIBRO QUATTORDICESIMO DEGLI ANNALI. 357
te,^ mutolo, come i codardi asano. Ma i consoli non attentati
di fare il decreto del senato, scrissero il sao parere a Cesa-
re; il quale, stato alquanto tra la modestia e Tira, finalmente
riscrisse: « Antistio, niente provocato, aver dì lui mordace-
mente sparlato: esserne stato a' padri domandato il gastigo,
e richiederlo delitto si grave: ma egli che non avrebbe con-
ceduto il rigore, non vietava la moderanza; rlmettevala in
loro; e 1* assolverlo ancora. » Veduto per tale rescrìtto lo
sdegno manifesto, né i consoli proposero altramente né
Trasea si rimutò per la solita fermeza d'animo, e per non ci
metter di reputazione: né gli altri che l'avevano seguitato,
si voltarono, chi per non parere di rendere odioso il princi-
pe, e i più, assicurati dal numero.
L. Per simile peccato ebbe travaglio Fabbrizio Veiento-
ne che compose certi libri, intitolati Codicilli,' pieni di vi-
tuperii di sacerdoti e de' padri. E più , diceva Talio Gemino
accusatore, che egli aveva vendute le grazie del principe e
i magistrati. Perciò Nerone prese la causa: ed essendo Yeien-
tone convinto, il cacciò d' Italia, e comandò che s'ardessero
i libri: raccolti e letti, mentre si facea con pericolo: la licenza
poi del tenerli, li fece sprezare.
LI. Crescevano ogni di i mali pubblici, e scemavano i
rimedi. Burro mori di sprcmanzia * che gli enfiò e serrò la
gola: o gli fece Nerone ugnerò il palato d'olio avvelenalo,
quasi per medicarlo, come i più dicevano: e Burro, che se
n'avvide, venuto il principe a visitarlp, si voltò in là; e do-
mandato come stesse, disse, « Bene bene. » Lasciò in Roma
gran desiderio di se per la memoria della sua virtù, e per lo
paragone di due successori, l'uno buono e dappoco, l'altro
sceleratissimo e disonesto. Perchè Cesare diede a' soldati
pretoriani due generali, Fenio Rufo, per favore del popolo,
* mostrava il dente. Dante, Paradiso XVI.
L' oltraootata sdiiatta che s' indlrtea
Dietro a clii fogge, ed a chi mostra il dente
Ovver la borsa, coma agnel si placa.
' Codicilli, forse perchè queste satire averano forma di testamenti, nei
qnali era in questi tempi entrato certo abuso di sfogare i rattenuti odii privati,
dicendovisi ogni male dei potenti. Vedi VI, 38; XVI, 49.
' morì di spremantia, ingrossamento delle £iuci.
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358 IL LIBRO OUATTORDICSSIMO DEGLI ANNALI.
perché egli governava Tabbondanza senza farne incetta per
se: e Sofonio Tigellino, andatoli a sangue ' per le sporche
infamie sue antiche, e appaiati costami.' Costai che segre-
tario era delle libidini, prese più l'animo del prìncipe. Rafo
ebbe buon nome nel popolo e tra' soldati ; e nocevagli ap-
presso a Nerone.
LII. La morte di Barro abbassò Seneca: perchè le buone
arti non avean tanta forza, avendo perduto un de' capì, e
Nerone aderiva più a' peggiori: i quali assalirono Seneca con
vane calunnie. « Che egli non ristava di accrescere le sue
rìccheze grandi e non da privato. Cercava d' aver seguito
da' cittadini. In bei giardini e ville magniGche avanzava il
principe. Ninno bel parladore teneva esserci, se non egli.
Componeva versi tutto di, poiché a Nerone venne la voglia
del poetare. Era nimico palese de' diletti del prìncipe; scher-
nendo sua valentia nel guidar cavalli, e ridendosi di sua
voce quando cantava. A che fine sfatare ' nella republica
ciò che non esce del suo cervello? Nerone oggimai è fuor di
fanciullo, è giovane fatto, lasci il pedagogo; qua' maestri
migliori, che i maggiori suoi? »
LUI. Seneca, che risapeva ogni cosa da quelli che pure
avevan qualche zelo del bene ; e scantonandolo * Cesare ogni
di più; gli chiede audienza; e, avutala, cominciò: « Quattor-
dici anni sono, o Cesare, che io fui eletto a ìndirizare il gran
presagio che tu davi dì te: otto, che tu se' imperadore: nel
qual tempo mi hai ammassati tanti onorì e tesori, che alla
mia felicità non manca che moderarla. AUegherotti uomini
grandi pari tuoi, non miei: Agusto tuo arcavolo concedè a
M. Agrippa il ritirarsi a Metellino; a Gaio Mecenate lo starsi
come forestiero nella città. L'uno compagno nelle guerre,
e r altro affaticatissimo in Roma , avevano avuto di lor gran
* andato/i a sangue, entr«togU molto in grasia.
' appaiati costumi, e pe' costumi uguali a' suoi. Il lat. dice: « prò cO"
gnitis moribtisj» che più esattamente potrebbe tradursi: «com'era da aspettarsi,
conoscendo i costumi d'ambedue. » Ma forse il Nostro ha letto cognatit (^simi"
libtis) invece di cogtiitis.
^ sfatare, disprezzare.
* scantonandolo^ sfuggendolo: svoltando alla prima cantonata per ncn
incontrarsi con lui.
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IL UBRO QUATTORDIGESIMO DEGLI ANNALI. 359
meriti ampie mercedi: ma io, per tanta liberalità, che ho
potato dare a te altro che stndii, per cosi dire, nutricati al-
l' ombra? i quali mi hanno dato splendore d' aver ammae-
trato la tua glovaneza: il che vale assai; ma tu me n'hai
rendati favorì dismisurati, riccheza infinita: onde io spesso
mi considero, e dico: Io nato semplice cavaliere, fuor d'Ita-
lia, son fatto uno de' primi di Roma? risplendo tra i nobili e
pregiati d' antichi onori, io nuovo? dove è queir animo già
contento del poco, e ora vuole si bei giardini? vassene per
si comode ville? tanti terreni ha; tanti danari a guadagno?^
Non risponderò altro, se non che io non doveva resistere
alle tue liberalità.
LIY. » Ma ciascuno di noi ha colmo il sacco:* tu dì dare
quanto può principe a un amico; io di ricevere quanto può
amico da principe. Il soverchio accresce Y invidia ; la quale,
come tutte le cose mortali, alla tua grandeza sta sotto, e
me infragne; me bisogna sollevare. Si come io stracco in
guerra o viaggio chiederei aiuto; così in questo cammino
della vita trovandomi vecchio, alle cure ancor leggerissime
debole, e sotto il fascio delle mìe riccheze cascante, ti prego
che me ne scarichi; e le consegni agli agenti tuoi, come fa-
coltà tua. Non dico di voler mendicare: ma, dati vìa gli splen-
dori che mi nuocono, quel tempo che sì perde nella cura
de' giardini e delle ville darò tutto all'animo. Tu se' nel sommò
vigore; assodato per tanti anni nel governare: noi vecchi
amici chiediamo riposo: tu avrai quest' altra gloria, d' aver
alzato al sommo quelli che si contentano del moderato. »
LV. A queste cose Nerone quasi cosi rispose : « Al tuo
pensato parlare risponderò improviso: la tua mercè, che in-
segnato mi hai l'uno e l'altro. L'arcavolo mio Agusto conce-
dette ad Agrìppa e Mecenate riposo dalle fatiche; ma in età
che r autorità sua difendeva ' questo e tutto ciò che avesse
lor conceduto; e non tolse loro i guiderdoni meritati nella
guerra e ne' pericoli in che da giovane s'impiegò sempre.
* a guadagno, a fruito; a usura.
S ha colmo il sacco, ha colma la misura. Petrarca:
L' avara Babilonia ba colmo il sacco ce.
' difendeva, giustificava.
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S60 IL LIBRO QClTTOlDICBSUfO DEGÙ ANNALI.
Né ta avresti tenato la spada nel fodero, se io fassi stato in
arme. Ma ta hai secondo i tempi, con la ragione, consigli e
precetti, tirato su la mia fanciuUeza, e poi la gioventù. Questi
beneficìi tuoi a me, doreranno mentre avrò vita: orti, censi
e ville, che da me hai, son sottoposti a mille casi; e qaanr
tanque gran doni paiano, molti, che non vagliono quel che
tu, ne hanno ottenati de' maggiori. Arrosso a nominare quei
liberti che si veggono tanto più ricchi; e che tu, da me lo
più amato, non sii lo più esaltato.
LYI. 1» Ma ta sei di buona età da mantenere e godere Io
stato tuo: e io entro ne' primi aringhi dell'imperio; se già
tu non tenessi da meno te di Yitellio, che fa tre volte con-
solo, o me di Claudio. Maio non potrei tanto donarti, quanto
ha con lo lungo risparmio avanzato Yolusio. Anzi se io ta-
lora sdrucciolo come giovane, tu mi reggi e rattieni. Non si
dirà, che tu m'abbi renduto la roba per tua moderanza, né
lasciatomi per tua quiete: ma ogn' uno la darà alla mia ava-
rizia , alla paura della mia crudeltà. E quando ta n' avessi
gran loda di continente, non sarebbe da savio, fare coli' in-
famia dell' amico sé glorioso. » £ qui l' abbracciò e badò,
come nato e usato a coprir l' odip con false careze. Seneca
(conclusion solita de' ragionamenti co' princìpi) lo ringraziò;
e riformò sua grandeza. Levossi le visite, l' accompagnatore
per la città: usciva poco di casa sotto spezie di malsania,' o
di Olosofare.
LVII. Battuto Seneca, poco ci volle ad abbassar Fenio
Ruffo, apponendoli l'amicizia d'Agrippina. £ Tigellino cre-
sceva ogni di, il quale pensando che le malvagità, per le
quali sole era potente, sarieno a Nerone più grate, intignen-
dovi anche lui; fantasticò chi gli fosse più di tutti sospetto,
e trovò che Siila e Plauto eran dessi, scacciati dianzi, Plauto
in Asia, Siila in Proenza. Ricordò quanto erano nobili e vi-
cini alli eserciti, questi d' oriente, quegli di Germania. « Non
tenere esso, come Burro, il piede in più staffe, * ma l' occhio
* sotto spezie di malsania, col pretesto d' aver mala salute; d'essere in-
feraiiccio ec. Così anche nello Scisma: « Arturo per la malsania tenne in quella
camera una matrona ec. m
' tenere... il piede in pia staffe. Modo proTerbtale, che significa Tenere
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IL IIBEO OOàTTORDICCSUIO DEGLI ANNALI. 361
alla salate di Neron solo. Il quale con la presenza forse poter
difendersi da' trattati della città; ^ ma come opprimere i mo-
vimenti lontani? A nome di Siila dettatore, aver alzato il
capo le Gallio: nò meno sospetti essere i popoli d'Alia per lo
chiarore di Dmso avolo di Plauto. Esser quelli mendico; però
arrisicato: e fare il dappoco, per potere esser temerario a suo
tempo. Questi, gran riccone, anche fingere di volersi stare,
ma di fare atti da quelli antichi Romani.' Essersi fatto stoico,
cioò arrogante, inquieto e cupido di maneggi. 9 Non ci volle
altro. Siila il sesto giorno, giunti gli ammazatori allarsilia,
prima che averne sentore o paura, fu morto a mensa. Ne-
rone quando vide la testa portatagli, la beffò che era inca-
nutita innanzi tempo.*
LYIII. L'ordine d' uccider Plauto non andò si segreto:
perchò a' più era a cuore la sua salute: e per lo spazio del
cammino e del mare e del tempo, n'uscì fama: e dicevasi,
che egli andò a dire a Corbulone, che allora grandi eserciti
governava, « che se gli uomini da bene e famosi si doveano
cosi ammazare, ei sarebbe il primo: e che l'Asia prese Tar-
me a favor del giovane, e che i mandati a far V effetto non
furon tanti, né v'andaron di buone gambe;' e poichò no'l
poter fare, con lui s'accontarono * cercando nuove speranze.»
Queste cose dicevano e credevano gli sfaccendati. Ma Anti-
stio, suo suocero, per un liberto di lui che per vento pro-
spero giunse prima del centurione, gli scrìsse: « Non volesse
vilmente morire; starsi a man giunte; raccomandarsi; far
increscere del suo gran nome; troverebbe^ de' buoni; ragu-
nerebbe de' bravi; non disprezasse ninno aiuto; resistesse a
sessanta soldati (che tanti Nerone ne mandava) innanzi ch'ei
più partiti a fine d' approfittarsi di quello che riuscirlt il migliore. Ma la lettera
del testo dice: « Non avea T occhio ad altre tpetanie, te non a salvar Nerone. »
* da' trattati delta cittàj dalle macchinasioni , dalle congiure. Lat.: mab
urbani* insidiis. m
* anche fingere di volersi stare, ma difare atti da quelli antichi Ro-
mani. Cosi le stampe del Nesti, del Volpi e le altre. Ma dubito che il luogo sia
guasto } e che debba leggersi così: « non che fingere di volersi stare, ma fare
atti da quelli antichi Romani. •• Cosi almeno vuole il testo che dice: « ne fingere
qmdem cupidinem otìi, sed veterum Romanorum imitamenta prcferre, m
S ni v'andaron di buone gambe j ne v' andarono di buona voglia.
* con lui s'accontarono, s'abboccarono.
I. 31
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3il2 IL LIBtO QUATTORDIGBSniO DEGÙ ANNALI.
lo sapesse e altra mano venisse; nascerebbono molte cose atte
a fargli guerra; potergli in somma quel partito o recarla sa-
lute, 0 nulla peggio di ciò che, standosene, gli avverrebbe, d
LIX. Ma Plauto non se ne mosse, o per non isperare,
cosi disarmato e in esilio, alcuno aiuto, o per non tentar
cosa si dubbia, o per amor della moglie e figliuoli, verso i
quali sperava il principe più dolce , niente irritandolo. Alcuni
vogliono che il suocero gli mandasse altri avvisi, che non vi
era perìcolo; e che due filosofi, Cerano greco e Musonio ^ to-
scano, il persuasero ad aspettar anzi la morte con forte ani-
mo, che vivere con pericoli e spaventi. Certo è eh' ei fu tro-
vato ignudo di mezo di a fare esercizio.' In tale stato il cen-
turione r uccise, presente Pelagone eunuco, da Nerone dato
quasi sopraccapo ' regio al centurione e a' soldati. Quando fl
principe vide la testa portatagli, disse queste parole: a Orsa,
Nerone, che non solleciti tu le noze di Poppea, ora che
qùe' terribili che le allungavano, non ci son più, e leviti di-
nanzi Ottavia, se bene modesta, noiosa per quel padre« e
per tanto amore del popolo? » Al senato scrisse, senza con-
fessare r uccisione di Siila e Plauto , che ambi erano scando-
losi, e la salute della republica gli stava in sul cuore. Per
questo conto furon ordinate pricissioni; e Siila e Plauto rasi
del senato, con jnù scherno che danno.
LXk Avuto dunque questo bel decreto del senato, e ve-
duto che le somme sceleritadi passavano per fatti egregi; ne
rimanda Ottavia, dicendola sterile, e sposa Poppea. Questa
comandatrìce di Nerone, lungo tempo concubina, e or mo-
glie, forzò un ministro d'Ottavia a querelarla di tirarsi ad-
dosso uno schiavo detto Eucero Alessandrino, sonator di
flauti. Le damigelle furon messe a' tormenti per dire il falso:
alcune lo dissero; le più mantennero, la lor padrona esser
santa; e una, serrandola Tigellino, gli disse: a Più casta ha
la natura Ottavia, che tu la bocca. » Fu nondimeno rimossa
* Cerano e Musonio. Il primo h scònoscrato: il secondo, uato io Boi-
sena, dell'ordiae equestre, fu Blosofo e segni le dottrine stoiche. (Vedi Stor, III, Si
e Jnn. XV, 7i.)
S esercizio, ginnastico.
» sopraccapoj soprantendente.
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IL LD&O QUATTORmCXSIMO DEGLI AMNALL 363
sotto spezie di civile divorzio, e fattole malarìosi ^ doni della
casa di Borro e beni di Plauto. Indi confinata in Terra di
lavoro con guardia. Gran compianto, e non celato, ne fece
il popolo ignorante, e per poco aver che perdere, più sicuro.
Per questo, Nerone, e non punto per rimorso di coscienza 9
richiamò la moglie Ottavia.
LXI. Salgono in campidoglio allegri: ringraziano gli
iddìi. Abbattono le statue di Poppea; in su le spalle portano
quelle d'Ottavia; spargonvi fiori; pongonle nel foro e
ne' templL Lodano il principe; lo benedicono eh' e' la ripi-
glia. £ già pieno aveano il palagio di moltitudine e di grida,
quando più mani di soldati a suon di bastoni, e voltate le
punte gli sbaragliarono oltre via; e rivoltossi ogni cosa, e
l'onore perduto per la sedizione, ritornò tutto a Poppea, la
quale sempre velenosa per odio, e all' ora per paura di più
furia di popolo, 0 che il tanto fervore di esso non rimutasse
Nerone, gittataglisi alle ginocchia disse: « Non trattarsi più
(a tale esser ridotta) del suo matrimonio, benché più a lei
caro che la sua vita; ma della stessa vita, messa all' estremo
da'crìati' e schiavi d'Ottavia, che fattisi chiamar plebe,
ardivano nella pace quello che in guerra non si farebbe.
Contro al principe essersi queir armi prese, mancatovi solo
un capo, che nel garbuglio si troverebbe agevolmente, uscita
che fusse di Campagna, e in Roma entrata colei che fuore
a cenni solleva il popolo.^ Quanto a se, che peccato avere?
chi ofieso? voler forse il popol romano, in vece di vera pro-
genie che essa era per dare alla casa de' Cesari, mettere nel-
r imperiale alteza la raza d'uno Egizio zufolatore? E, per
conchiudere, chiamasse, se era per lo meglio, questa sua
padrona allegramente, e non per forza; 0 pensasse d' assi-
curarsene con gastigarla da dovero. Quel poco, aver posato
il primo romore: ma vedendosi Ottavia non dover esser mo-
glie di Nerone, le saria ben trovato un marito. »
LXII. Nerone per tali parole diverse, da metter paura
* maluriosij di cattivo augurio.
■ eriati, clienti.
' che fuore a cenni solleva ti popolo j che anche di lungi, a un cenno
solleva il popolo.
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864 IL LlBtO OOlTTOBDICBSmO DEGLI AKKAU.
e ira, atterri e 8' accese. Ma V indizio non era Terisimìle con
ano schiavo, e i tormenti delle damigelle l'avean purgato.
Parve adunque da trovar uno che lo confessasse, e appic-
earìesi un altro ferro di cercata novità.* Non ci era noieglio
che Aniceto, che ammazò la madre, prefetto, come dissi,
dell'armata di Miseno, e dopo il fatto cadde in disgrazia,
indi in grave odio; perchè la faccia de' ministri de' peccati
brutti, si li rimprovera,' Chiamatolo adunque Cesare, gli ri-
corda il primo servigio: averlo egli solo scampato dall' insi-
diatrice madre, poternegli fare un altro, non minore, di
levargli dinanzi l' odiata moglie. Né averci uopo di mani o
armi; confessar d'averla goduta: » promettegli premi!, se-
greti allora, ma grandi poi, e ville amene: negandogli, l'uc-
ciderebbe. Chiama suoi amici quasi a consiglio; fallo esami-
nare: egli sciaurato per natura, e già dirotto n^l mal fare,
agevolmente confessò, oltre alle dimandate, cose non mai
sognate. Onde ebbe confino in Sardigna, sopportollo non
povero, e morìvvisi.
LXIIl. Nerone bandi che Oftavia corruppe il prefetto
per aver l'armata dal suo, e mandato via i parti, sapendo
eran bastardi (dimenticatosi che poco prima la cacciò per
isterile], e che tutto aveva toccato con mano. Però la confi-
nava nella Palmarola.' Non andò mai alcuna in esigilo con
tanto cordoglio de' riguardanti. Ricordavano alcuni che Ti-
berio cacciò Agrippina, e Claudio Giulia. più frescamente:
ma eran donne fatte, avevano avuto dell' allegreze ; il ricor-
darsi del tempo felice, nella miseria le consolava.* A costei
il primo di delle noze fu di mortorio: entrò in casa lagri-
mante per lo padre, e tosto per lo fratello avvelenati; vi po-
teva più la serva che la padrona: né per altro che per lei
• e appiccarlesi un altro ferro di cercata novità, apporlesi un'altra
calugoa d' aver tentato di far novità.
' sì li rimprovera s ciak, rimprovera i peccati bruiti; ostia:
ministri de* brutti peccati h quasi un rimprovero.
• PalmaroUt Pandataria.
• il ricordarsi del tempo felice ec. Dante, pel contrarici
Non T> ha maggior dolore
Cbe ricordarsi del tempo felice
Nella miseria.
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IL UBBO QUATTOBMGESIMO DEGLI ANNALI. 365
spegnere, fa Poppea sposata: e per oltimo appostole fallo più
grave, che mille morti.
LXIY. Tenera di venf anni, messa tra centarìoni e sol-
dati: per certeza di sao male tolta già di vita, non si ripo-
sava però nella morte:' della quale pochi giorni dopo ebbe il
comandamento, benché dicesse esser vedova, e solamente
sorella: e invocasse il nome comune di Germanico, e poi di
Agrippina, che mentre visse, ben fu malmaritata, ma non
uccisa. Fu strettamente legata, e segatole le vene: e non
uscendo il sangue ghiacciato per la paura, messa in bagno
caldissimo, spirò: ed essendo a Roma portato il teschio,
Poppea per giunta d'atrocità lo volle vedere. A' tempii fu-
rono ordinate offerte per tal successo. Dicolo, perchè chi leg-
gerà i casi di que' tempi scritti da me o da altri, sia certo
che per ogni cacciata o morte che il principe comandava, si
correva a ringraziare gl'iddii: e quelli che solevano esser
segni di felicità, erano di miseria pubblica. Né anco tacerò,
quando il senato avrà fatto ordini per adulazione novissima,
o servitù abbiettissima.
LXY. In questo anno si crede che egli facesse morir di
veleno due liberti suoi principalissimì, Doriforo, (quasi avesse
contrariato le noze di Poppea) e Pallante, perchè col troppo
vivere, lo teneva del suo tesoro strabocchevole a disagio.'
Romano accusò Seneca in secreto di congiura con C. Pisene.
Ma Seneca rovesciò questo ranno in capo a lui più rovente;'
onde Pisone impauri, e nacquene congiura contro a Nerone,
grande ma infelice.
* Sebbene privata di tutti i beni della vtta> pure non godeva peranco del
beneficio della morte, cioè della quiete. Il Louandre traduce : « cetle jennefemme
ètait arrachée à la 9ie par le pressentiment de sen malkear^ san* avoir hi
paix quon trouve dans la mori, n
S lo teneva del suo tesoro strabocchevole a disagio^ gli Ciceva troppo
aspettare la immen»a erediti.
' rovesciò questo ranno in capo a lui più rovente. Lat. : « sed validius
a Seneca eodem crimine perculsus est. ** Politi: « ma fii egli da Seneca con la
medesima imputasione più gagliardamente abbattuto. » Dati : m ma potette più
r accusa che Seneca fece contro di lui del medesimo delitto. » Valeriani: « ma fu
più fortemente da Seneca dell' istessa imputazione aggravato. «—Questi dicono ,
e il Davansati dipinge. — Il Postillatore dell* esemplare Nestiano di G. Capponi,
con poco giudizio^ sconciò rovente in bollente,
31'
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3«6
IL LroRO QUINDICESIMO DEGLI ANNALI
DI
GAIO CORNELIO TACITO.
SOMMARIO.
I. Invade P Armenia Vologese re de' Parti da Gorbulone eanf amente ma
con forca ripresso. — VI. Cesennio Peto ▼iene. Generale a parte per P Arme-'
nia : da ignoranza e temerità la sbaglia : tardi lo soccorre Gorbulone. — XVIII.
Decretato in Roma trofeo de' Parti, viva tuttor la guerra. — XIX. Le^e di
senato sulle finte adozioni. — XXIII. Poppea dà una figlia a Nerone: gran
gioia, ma breve. AI quarto mese morta la bambina ha celesti onori. — XXIV,
diadema. nè'I ripigli cne a «rado di lui. — XXXII. L' alpi marittime fatte la-
tine.— XXXIII. Nerone pnblicamente canta a Napoli: Roma tutta una fogna
per suo lusso e libidine. — XXXV. Torquato Silano astretto a morte. — XXXVIII.
Roma in fiamme , a caso o per Nerone , non si sa : eì le rorine della patria
adopera a farsi un palagio a' oro. — XLIV. I Cristiani calnnoiati d' incenaiarii,
in tormenti spietati con ludibrii.— XLVII. Prodigi. — XLVIII. Congiura di
C. Pisene contro Nerone scoperta. Morte de' più illustri, tra'quai Locano e
Seneca. — LXXIV. Doni e grazie a^numi decretate; aprile cbiamato Nerone.
Cono di sopra tre anni.
An. di Roma ^cccxv,. (diCr. 65).-Co«.o«. ) ^ "^^Zt^^'
An.diRomaDCCCXVii. (diCr. 64). — ConwK. 1 ?;• ^-W^^WO BA8«>-
^ ' i M. Licinio Grasso.
An.diR...BCCCX,uMaiCr.65).-Co».o«. | i. ^^::„^«i;i^"--
I. In qaesto tempo* Vologese re de' Parli, veduto i sac-
cessi di Corbulone; dato' air Armenia Tigrane re forestiero,
spregiata, per esserne cacciato Tiridate suo fratello, la gran-
digia arsacida; pensando alla vendetta, e, all'incontro, alla
grandeza romana e alla riverenza della continuata amicizia,
« In questo tempo ec. Riassume i fatti narrati nel lib. XIV, 36.
' (fato^ vedendo esser dato.
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A LIBAO QOINDIGBSIIIO DEGLI INNIU. 367
si dibatteva; * tardo per natura; impacciato per molte guei^-
re, per esserglisi ribellati gFIrcani,' gagliarda gente. Lo pansé
di più novella vergognosa, cbe Tigrane era uscito d'Arme-
nia a' danni, più che a ruberie, degli Adiabeni,' suoi confi-
nanti, e durava.* Non potendo i principali sofferire « che
gr insultasse, non un capitano romano, ma uno statico ^ pro-
suntuoso , tenuto come schiavo tanti anni. » £ conquidevali
Monobazo, che governava gli Adiabeni, domandando: «e quale
aiuto chiedere, e onde: già l'Armenia esser ita: giucarsi
del resto:' non si difendendo i Parti, men dura servitù co' Ro-
mani avrieno, arresi, che presi. » Tiridate ancora cacciato
del regno, che in tacendo non poco si lamentava,^ il premei
va. ff Non si reggere i grandi stati con lo starsi a man giun-
te; doversi cimentar V armi e gli uomini. La ragion dello
stato star nella forza. Mantenere il suo , esser cosa da priva-
to: laude regia, l'assaltar Y altrui. »
II. Yologese adunque per tanti stimoli chiamò suo con-
siglio e, con Tiridate accanto, cosi cominciò: a Questo mio
fratto, che per l'età mi cedette, * investii dell'Armenia,
' si dibatteva. Lit.t ndiversat ad curas trahebatur,» Intendi; era com-
battuto dal desiderio della yendetta» dalla difficoltli di coodorla con buon esito,
per cagione della romana potenza, e dal rispetto dell'amicizia fermata tra i Ro-
mani ed i Parti, fin dall* a. 734, quando Fraate restituì ad Augusto le insegne
tolte a Crasso e ad Antonio.
S ribellati gl'Ircani. Vedi XIll, 37; XIV, 25.
> u^cTiafreni. Adiabene, già Assiria, tra' fiumi Lieo e Capro; ora Botan^
parte del Kurdistan.
* uscito..., a' danni pia che a ruberie.... e durava, Lat.: mAdiabenos..,,
latiut ac ditttius quam per latrocinia vastaverat. » Valeriani: « s'era gittato
su' confinanti Adiabeni con maggior guasto e piò lungo, che per solo ladroneg*
giare.»
' statico j ostaggio.
^ giucarsi del resto, risicare che la perdita dell' Armenia si tiri dietro an-
che le prossime provincie. Quanto poi alla frase proverbiale giucare o far del
reslo^ vedi Fit, d'Jgr. e. 26.
7 in tacendo non poco si lamentava, Lat. t « per sileniinm aut modice
querendo: u o col silenzio o con moderate doglianze. 11 nostro lesse haud
invece di aut. Ma che non si dolesse col solo silenzio, lo mostrano le parole di
Ini cbe seguono.
B per l'età mi cedetie.'L^i. : mcum mihi per aiatem summo nomine con-
cessisset.m Avendomi per l'età ceduto il sovrano titolo: cioè, di re dei ra
(/3a9t>éw$ Twv /Sa9iÀs&>v),come chiamavasi il re dei Farti.
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368 IL LIBRO QUUfDICBSniO DEGLI ANNALI.
ehe è il terzo grado del nostro regno. E avendo Pacoro già
presi i Medi, mi pareva aver bene, e senza rasato odio e
combattere^ de' fratelli, acconce le cose nostre. Non sene
contentano i Romani, e tornano a tarbarci la pace, non mai
turbala senza lor gaai. Voleva io (noi niego) mantener gli
acquisti de' nostri antichi con la ragione, non col sangue.
Se io ho peccato con dimora, rammenderò con virtù. Le
forze e gloria vostra non sono scemate e, di più, avete ora
fama di modestia, che ne' più grandi uomini più riluce, e
agi' iddii è più cara. » Cosi detto, in capo a Tirìdate cinse
la diadema, e a Monese uomo nobile accomandò i cavaleg-
gieri, solita guardia del re, rinforzata d' aiuti adiabeni, con
ordine di cacciar Tigrane d'Armenia: in tanto e' s' accorde-
rò' * con gì' Ircani, e assalirebbe, con forze più vive e con
tutta la guerra, le Provincie romane.
III. Alla certeza di tali avvisi, Corbulone soccorse Ti-
grane di due legioni, sotto Yerulano Severo e Yezio Belano,'
con ordine segreto di fare ogni -cosa consideratamente anzi
che presto; volendo più tosto sostener la guerra, che farla.*
A Cesare scrisse, che l'Armenia voleva esser guardata da
proprio capitano: la Sona da Yologese portare maggior pe-
ricolo. Mette r altre legioni avanti alla riva dell' Eufrate; ra-
guna gente della provincia ; piglia e chiude i passi al nimi-
co. E perchè quel paese patisce d' acqua, mette guardie alle
fonti, e con la' rena rìcuopre i rivi.
lY. Mentre che Corbulone tali cose ordina alla difesa
della Soria; Monese marciò a corsa per gìugnere alla spro-
vista; e non riusci; avendo già Tigrane presso Tigranocerta,'
città forte di popolo e di mura, cinte parte dal fiume Nice-
forìo, assai largo, il resto da alto fosso. Fornita era di soldati
e vettovaglie: nel portarvele, alcuni troppo arrischiatisi, presi
< e combaiterej e discordia.
' accorde^e*, accorderebbe. Cosi la Nestiana.
S Vedi iotorno a costoro, lib. XIV, 26, e Vit, Agr. e. 8.
^ che farla. Lat.: tbellum habere, quàm gerere »a/e^a<. » B Tool dict,
cbe gli bastava potere scrivere a Roma: « Ho guerra coi Parti; • ma quanto poi
«1 farla davvero, non n'aveva troppo voglia, temendo perdersi la gloria ac^cu-
sUU.
5 Tigranocei:ta,yedì\ih.Xll,òO,
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IL LIBRO QUINDICESIMO DEGLI ANNALI. 369
da'nimici, accesero oelli altri più tosto ira che panra. Ma il
Parto, che neir assedio dappresso niente vale, con poche
Treccie, non fece al nimico paura, e perde tempo. Gli Adia*
beni, che cominciare a piantar scale e ordigni, faron tosto
gittati giù, e da' nostri, usciti fuori, uccisi.
y. Tuttavia Corbulone, le fortune sue moderando,
mandò a Yologese a dolersi « della forza usata alla provincia,
che un re confederato e amico assediasse i Romani; se ne
levasse tostanamente,' o l'aspettasse come nimico. » Casperìo
centurione espose l'ambasciata ferocemente al re, trovato
in Nisibi,* trentasette miglia discosto a Tigranocerta. Yolo-
gese s' era molto prima risoluto di non la voler co' Romani,^
e le cose ora non gli andavano bene: l' assedio vano; Tìgrane
con sua gente sicuro; gli assahtori fuggiti; messe legioni in
Armenia; altre pronte a entrar rovinose in Seria. La sua
cavalleria esser debole per la fame, avendo infinità di grilli
divorato ogni verzura. Gelando adunque la paura, e mo-
strandosi agevole^, rispose che manderebbe ambasciadori al-
l'imperador romano a chieder l'Armenia, e fermar una
pace: a Monese fece lasciare Tigranocerta; e indietro tor-
nessi.
VI. Magnificavano molti queste cose, come avvenute per
concordia del re e bravura di Corbulone. Altri cementava-
no, essersi intesi tra loro che senza guerra Yologese partis-
se, e Tigrane appresso uscisse d'Armenia: « Altramente,
perchè levar l'esercito romano da' Tigranocerti? abbandonar
nella pace il difeso* con guerra? Forse svernarsi con più agio
nel confino di Gappadocia , in capanne alla peggio, che nella
sedia del dianzi tenuto regno? la guerra si è differita, perchò
Yologese avesse appetto altri cbeGorbulone; ned ei mettesse
a zara*^ la sua gloria in tanti anni acquistata. » Perchò egli
* tostanamente. Così la Nestiana e la Cominiana. Le altre, tostamente^
' iViif&ij nobile cUtk della Metopotamiaj chiamata oggi pure Nisibin o
Netsabin,
B di non la voler co* Romani, di non si volere affrontar co* Romani.
* il difeso, le provincie difese.
S mettesse a zara, metteste a risico. Zara ^ giuoco di sorte, che si fa con
tre dadi. Di qui zaroso per rischioso, usato altrove dal nostro.
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370 IL UBBO QUINDICBSIMO DEGÙ ANNALI.
arerà chiesto, come dissi,' an generale proprio per T Arme-
aia, e Qdivasi che veniva Gesennio Peto; il quale arrivato,
si divisero le forze: la legion qaarta, la dodicesima e la quin-
ta, tratta nuovamente di Mesia, e gli aiuti di Ponto, de'Ga-
lati e Gappadoci ubbidissero a Peto: e la terza, sesta e de-
cima, e di Soda i soldati di prima,* rimanessero a Gorbulone.
V altre genti le si spartissero, o prestassero secondo i biso-
gni. Ma Gorbulone non pativa compagno: e Peto, che si do-
veva gloriare d'esser secondo, sfatava' « le cose fatte senza
sangue, senza preda: sforzate città in nome:^ metterebbe
ben' egli tributi e leggi a' vinti e romano giogo, levato via
quell' ombra di re. »
VII. Gli ambasciadori, che io dissi mandati daVoIogese
al prìncipe, tornarono allora senza conclusione: onde i Parti
ruppero la guerra, e Peto l'accettò, e con due legioni rette
allora, la quarta, da Famisulano Yettonìano, e la dodicesima,
da Galavio Sabino, entra in Armenia con tristi agurii. Pas-
sando per ponte V Eufrate, il cavallo che portava l' insegne
consolari , senza cagione che si vedesse, ombrò, diede a die-
tro e scappò. Una bestia per sagrificio legata a certi padi-
glioni che si piantavano, a meza l'opera si fuggi, e saltò lo
sleccato. Arsero lanciotti de' soldati; peggior segno; percioc-
ché il Parie combatte col lanciare.
Ylil. Ma Peto nulla stimando, senza aver ben fortifi-
cato gli alloggiamenti del verno, né provveduto vettovaglie,
corre con l'esercito oltre al monte Tauro per ripigliare, come
diceva, Tigranocerta, e guastare i paesi che Gorbulone non
toccò. Prese alcune castella, e n' arebbe riportato qualche
gloria e preda, se l'una con modestia, l' altra con diligenza
avesse guardata. Gon lontane cavalcate ^ tentò cose impossi-
bili; guastò i viveri guadagnati: e, già venutone il verno, ri-
pose l' esercito, e scrisse a Gesare, come se avesse vinta la
guerra, parole gonfie, vote d'effetti.
* come dissi. Vedi cap. 3.
9 di prima j antichi.
9 sfatava^ dispregiava
A in nome, non in reallJL
B cavalcate, correrìe.
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n LIBBO QUINDICESIMO DEGÙ ANNALI. 371
IX. Gorbalone intanto si tenne con più guardie nella sua
sempre stimata riva deli' Eufrate. E perché i cavalli nimici,
che già in quelle pianure svolazavano^ con gran mostra, non
impedissero il farvi ponte, mise nel fiume grosse navi inca*
tenate con travi, e sopravi torre;* onde i mangani e balestre
disordinavono i barbari, spotando sassi e lanciotti più lontano
che non arrivavano le frecce contrarie. Il ponte si fece, e si
passò; gli aiuti presero le colline; le legioni vi posero* il
campo, con tanta presteza e mostra di forze, che i Parti, sbi-
gottiti della Soria, voltarono ogni speranza all'Armenia.
X. Peto i soprastanti mali ignorando, aveva la legion
quinta lontana in Ponto, e V altre snervate di soldati, dando
licenze a chi voleva. Udito che Vologese veniva , e minac-
cioso; chiama la dodicesima: ma questa, che egli voleva che
desse nome che l'esercito fusse ingrossato, lo scoperse sce-
mato. E cosi poteva in campo difendersi , e con allungar la
guerra beffare il Parto, se Peto* avesse avuto fermeza ne'snof
0 altrui consigli. Ma quando i soldati pratichi l' avvertivano
ne' casi urgenti, per non parer d'averne uopo, faceva il ro-
vescio, e male. E allora usci fuor del campo gridando, non
essergli dato fosso né palancato, ma uomini e armi per com-
battere il nimico; e ordinò le genti quasi a giornata: poscia,
perduto un centurione con pochi soldati mandati a riconoscer
l'oste nimica, tornò dentro impaurito. E perchè Vologese non
veniva cosi ardente, ripreso vano animo, mise nel monte
Tauro vicino, tremila fanti scelti per torgli il passo: i Pan-
noni, nerbo della cavalleria, giù nel piano, e in Arsamosata^
castello, la moglie e '1 figliuolo, guardati da una coorte. Cosi
sparpagliò le forze che, unite, avrien sostenuto meglio il ni-
mico scorrazante: dicono che, tirato con gli argani, '^ lo con-
• svolazavano. Anche il latìnoi « volitahant. » — Con gran mostra: in-
tendi; per parere che fossero una gran moltitudine.
• torre j torri.
5 posero. Cosi la Nestiana, e hene. Ne occoiteva che il signor Volpi cor-
reggesse presero,
• Jrsamosata. Plinio VI, 9, e Polibio VHI, 25 scrivono Armosata^fht
h una terra vicina ali* Eufrate.
S tirato con gli argani, indotto a stento. Lat. : m tegre eompulsam, »
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372 IL UBBO QCnfDIGBSIMO DEGLI AÌINAU.
fesso a Corbalone, che gli era addosso:^ il qaale non sollecitò,
perchè fosse (cresciuti i pericoli) U soccorso più glorioso: av-
viò, delle tre legioni, fanti mille per una,* e cavalli otto-
cento, e delle coorti altrettanti.
XI. Yologese, benché avvisato de' passi presi da Peto,
di qoa co' fanti, di là co' cavalli, seguitò innanzi, e fugò i-
cavalli, disfece i legionari, si che solo Tarqoizio Crescente
centurione, ardi difendersi nella torre commessagli: spesso
usci fuori, e uccise i barbari che s'accostavano, sino a che
rimase in mezo a molti fuochi lanciatigli. Fuggironsi i pe-
doni; se alcuno sano scampò, fuor di strade,' e discosto: i
feriti nel campo, ì quali della virtù del re, crudeltà e numero
de' nimici contavano per paura le maraviglie; e credevale
agevolmente chi n'era spaventato. Peto senza rimediare a' di-
sordini, abbandonati tutti gli uffici di guerra, mandò di nuovo
pregando Corbulone che venisse tosto; difendesse l'insegne
e r aquile e '1 nome di quel poco d' esercito infelice che ri-
maneva; egli mentre avesse vita manterebbe^ la fede.
XII. Corbulone con franco animo, lasciata in Seria una
parte di sua gente per tenere i forti in so V Eufrate, per la
via più corta e fornita di vettovaglie, pervenne ne' Gomage-
ni,*^ in Cappadocia, in Armenia. Veniva con l'esercito, oltre
all'altro solito bagagliume, gran numero di cammelli carichi
di grano, per cacciare insieme il nimico e la fame. U primo
degli spaventati ad incontrarlo fu Pazio centurione primo-
pilo, e molti altri appresso, a' quali, alleganti varie scuse
della lor foga, disse che tornassero all'insegne, a Peto, se'
volesse perdonar loro; ch'egli non perdonava, se non a chi
vinceva. Visita le legioni sue; confortale; ricorda le preterite
azioni; mostra gloria nuova; racqoisto e premio di lor fati-
che, « non di casali o castellucci d'Armenia; ma del campo
* che gli era addosso j cioè, che il nemico gli en addosso ; e che Corhii-
lone non ToUe affrettarsi di recargli soccorso , perchè ec.
' per unoj per ciascnaa.
^fuor di strade, ciò fu mettendosi per vie non osate e traverse.
* manterebbe. Cosi la Nestiana; ed anche altrove abbiam vedalo la r
scempia.
» ne' Comageni. La Comagena h una parte della Siria, la cui capitale è Sa*
mosata, oggi Semisat.
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Il LiBfto ooDmicninio dmu ammau. 373
romano, con due legioni entrovi. Se d'on solo soldalello,
d' un solo cittadino salvato riceverebbe per mano dell' impe-
radore la sua corona, qaanta gloria vi fia veder pari numero
d'incoronati e salvati?* » Accesi da tali parole, e maggior*
mente cbi vi avea fratelli o parenti, marciavano di e notte,
ratti senza posare.
KLIII. E Yologese strigneva tanto più gli assediati: as-
saltava ora il campo, ora il castello' ov' era la gente debole,
accostandosi più che non usano i Parti, per tirare col troppo
ardire il nimico a combattere. Ma essi a pena uscivano dalle
tende; difendevano a pena i ripari, cbi per ordine del capi-
tano, cbi per codardia propria; aspettando Corbulone o, se
fussero soprafatti, presti a valern degli esempli della caudina
o namantina sconfitta.' Negavano « aver avuto tante forze
* d'incoronati esalvaiif 11 testo ha; « xl simgtdis manipalaribus prcB»
ciptta servati civis corona imperatoria manu tribueretitr, quod illud etquan»
tiim decuSj ubi par eorum numerus apisceretur (il nostro legge col Lipsio
aspiceretur), qui adtulissent salutem et qui accepissentl » Questo perìodo
assai difficile e si divcrsameote interpietato, k tradotto baiiisstino dal Barnotif:
m combien serait glorieum lejour où ily aurait auXant de couronnes civim
ques à distribuer qu'ily avait eu de citoyens en perii I n Gioverà tradurre
la Dota colla quale conforta la sua interpretazione e corregge il Davanzali. « Ho
» tradotto questa frase (egli dice) più a lettera che ho potato, e credo d'averne
9 cavato un senso netto e satisfacente:—- Chi salva un cittadiao, merita ana co*
» rooa civica : quelli cui andiamo a liberare sono in caso di perir tutti, e bisogna
» salrarll: se fosse possibile che il generale desse a ciascuno che la si fosse meri-
» tata una corona speciale e individuale (prtecipua)j che bel giorno di trionfo e
*• di gloria non sarebbe mai quello , nel quale si distribuisse questo nobile pre«
H mio a tanti soldati dell'esercito liberatore > quanti ne contavano le legioni li-
«• beratel — Nondimeno pare che in quest'antitesi, qui attulissent salutem et
m qui accepissentj Tacito abbia un po' tirato all'artifizio; ed Ernesti domanda
m che importa alla gloria questa parità di numero tra i salvatori e i salvati. Ma
m egli non ha cólto il concetto di Tacito: la parità di numero non è tra' due
» eserciti, ma tra una parte dell' uno e la totalità dell' altro, tra la parte dei sol-
» dati di Corbulone che riceverebbe la corona civica, e la totalità delle legioiii di
» Peto, che sarebbe liberata da morte. Di più, eorum qui attulissent salutem
« designa non i soldati liberatori in particolare, ma l'esercito liberatore in gene*
*• rale: in questo esercito tanti soldati otterrebbero la corona civica, par nume»
n rus apisceretur, quanti cittadini dovessero loro la propria conservazione, et
» qui {salutem) accepissentl eiole quAnii erano i Icgionarii dell'esercito asse-
•• diato. Cosi sparisce quella freddura che die nel naso a Ernesti , e che si vede
M nella traduzione del Davanzali : Quanta gloria vi jia veder, pari numero
» d'incoronati e salvati. »
* il castellOjkr&unossiU,
' sconfitta. La prima avvenuta l'a. di R. i^d} l'altra, l'a. 617.
I. 52
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874 IL UBBO QIJDIMGB0IIÌO BB6U ANNALI.
i Sanniti, popoli dell' Italia, né i Cartaginesi, emuli all'im-
perio romano. Anche la forte e lodata antìchitade aver eer-
cato aalvarai nelle fortone. » Questa disperanon dell'esercito
forzò Peto a scrivere al re la prima lettera, non umile, ma
quasi querelandosi; « Gh'ei procedesse da nimico per li Ar-
meni, che furon sempre dell'imperio romano o ligi, o sotto
re, dato dall' imperadore. La pace esser del pari utile. Non
mirasse solo il presente. Esso esser venuto contro a due le-
gioni con tutte le forze del regno: a' Romani rimanere per
alutar quella guerra il resto del mondo. »
XIY. Yoiogese non rispose a proposito: «e Aspettar quivi
d'ora in ora Pacoro e Tiridate suoi fratelli, per risolvere
quanto fosse da far delle legióni romane e dell'Armenia,
dalli iddìi aggiunta alla degnitade arsacida. » Poscia Peto
chiedéo per messaggi d'abboccarsi col re: il quale vi mandò
Yasace general di cavalli: a cui Peto ricordò ì Lnculll, i Pom-
pei, e se altri capitani tennero o donarono l'Armenia. Ya-
sace «disse averla noi tenuta e data in cirimonia; ^ essi in ef-
fetto. Assai disputare, e l'altro di, presente Monobazo adia-
bene, chiamato per testimone, capitolano: «e Che l'assedio si
levasse dalle legioni; sgombrassero d'Armenia tutti i soldati;
lasciassero le forteze e i viveri a' Parti: ciò fatto, potesse
Yoiogese mandar ambasciadorì a Nerone.
XY. In tanto. Peto gittò un ponte sopra '1 fiume Arsa-
nia,' che innanzi al campo correva, quasi per andarsene per
di là: ma i Parti io comandaron per segno d'aver vinto,
perchè se ne servirono: e i nostri tennero altra via.' La fama
aggiunse, che le legioni furon messe sotto '1 giogo: e altre
nostre sciagure, dalli Armeni rappresentate, con l'entrar nel
campo, prima che i romani n' uscissero: pigliar le vie di qua
e di là; riconoscere e tòrsi li schiavi e giumenti presi già;
strappar veste e armi; dando i nostri del buon per la pace.^
' in cirimonia^ in apparenia.
> Jrsaniaj oggi Arstn, influente dell* Eufrate. La Nestiana ha Arsamelo.
3 altra via. Dati: «Ma questo gliele areTano comandato i Parti, come
per un segno e memoria di quella Tittoria ; perciocché del ponte si servirono essi ,
e i nostri se' n* andarono per un altro cammino. »
* dando i nostri del buon per la pacOj mostrandosi timidi e cedevoli per
non aver cagione di briga. Lat. ; « pavido milite et concedente^ ne qua pralii
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tL LIBEO ^^CIMDICBSmo DEGLI ANNALI. 375
Yologese, delFarmi e de' corpi morti, rìzò nn trofeo per me-
moria deUa nòstra sconfitta: non si fermò a veder fuggire le
nostre legioni, per dar fama di modestia; quando di supera
bia era sazio. Passò l'Arsania sopra ano elefante; e la guar-
dia, a forza di cavallo; dicendosi che il ponte era fatto a
malizia da cadere, caricato;^ ma gli altri che s'arrischia-
rono, il trovaron sodo e fidalo.
XYl. €erto è, che agli' assediati avanzò tanto grano che
Tabbrueciarono: e per lo contrario Gorbulone divolgò che
a' Parti, per mancamento di vettovaglia e guasto di pasture,
conveniva levar l'assedio : e non era che tre giornate lonta-
no: e che Peto promise e giurò innanzi alle insegne, pre-
senti i testimoni che vi mandò il re, che ninno Romano en-
trerebbe in Armenia sino alla risposta di Nerone, se egli
accettava la pace. Cose da Gorbulone abbellite per più inlar
mia di Peto. £ ben chiaro che Peto corse più di quaranta
miglia in un di, lasciando per tutto i feriti ; e più bruttamente
fuggirono che se avessero voltate le spalle in battaglia. Gor-
bulone lo riscontrò alla riva dell'Eufrate, con la gente, in-
segne e armi meste ' per non rimproverargli la differenza. I
soldati per compassione de' lor compagni non tenner le la-
grime: per lo pianto appena si salutarono: non vi era gara
dì virtù, non desìo di gloria, affètti di gaio cuore: sola com-
passione, e più ne' più bassi.
XYil. Poche parole si dissero i due capitani; l'uno si
dolfe' d'aver perduto tanta fatica; essersi i Parti potuti met-
ter in fuga, e finir la guerra. L'altro, non esserci rotto nul-
la:^ rivoltassero congiunti l'insegne a ripigliare l'Armenia
causa exisUret. » Varchi, Ercol,: m Vare del buon per la pace, h favellare
umilmente, e dir cose, mediante le quali si possa comprendere , che alcuno cali,
e voglia venire agli accordL »
^ caricato, quando fosse carico.
S armi mestej cioè, non ornate e lucenti come in giorno di letizia e di
trionfo.
' <lo//e. Bembo, Prose, lib. Ill,pag. lxyi. Vioegia 1526: « Perciocb^ et
inaile et volse, et dolse et dolfe si dice. Di questi nondimeno più nuovo pare a
dire dolfe s conciosia cosa che la /non sia lettera di questo verbo; né in alcuna
altra parte di lui abbia Inogo, se non in questo tempo t nel qual dolji et àoljero
esiandio alcuna volta dagli antichi s'è detto. •
^ non tstcrci rotto nulla. Queste parole a fatica danno senso. 11 lat. ha:
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376 IL UBEO QUIMMCESmO DEGLI ANNALI.
rimasa debole senza Vologese. Rq>licò Gorbulone: «e Non
aver tal ordine dall' imperadore: ayer lasciato il sno carico,
commosso dal pericolo delle legioni: non si sapendo oye i
Parti si yoglian gitlare, si tornerebbe in Seria: e diel voglia/
che la fanteria per si lunghi cammini spedata, tenga dietro
alia cavalleria pronta, e avanzantesi per le pianure agevoli.
Peto svernò per la Gappadocia. Yologese mandò a dire a
Gorbulone che levasse via le forteze ^tre Eufrate; si che il
fiume, come prima, U dividesse. Anch' egli chiedeva che le-
vasse le guardie lasciate in Armenia. Il re alla fine fu con-
tento. Gorì>ulone altresì smantellò quanto oltre Eufrate aveva
fortificatole gh Armeni rimasero in libertà.
XVIII. In Roma gli archi e i trofei ordinati dal senato
per la vittoria de' Parti, mentre la guerra ardéa, pur si liza-
vano nel camindoglio, avendo più riguardo all'apparenza che
al vero. Anzi Nerone, per mostrare sicureza delle cose di
fuori e dentro, gittò in Tevere il grano vecchio e guasto, dal-
l'abbondanza, ' e noi rincarò, benché da dugento navi nel
porto stesso per gran tempesta, e cento altre condotte per
lo Tevere, per la disgrazia di fuoco n'andasser male. Fece
tre ufficiali deU' entrate publiche stati consoli, Lucio Pi-
sene, Ducennio Gemino e Pompeo PauUno, lassando i pas-
sati principi d'avere speso più che l'entrate; dov' egli do-
nava, l'anno, un milione e mezo d'oro alla republica.
XIX. In quel tempo era cresciuta una mala usanza, che
« integra utrique cuncta (esse) respondit. » Odasi il Politi: « Fra*capitani se-
guirono poche parole, dolendosi questi — d'aver fatto invano tante fatichete
che si sarebbe possalo finir quella guerra col far fuggire i Parti : — e quegli ri-
spondendo, — che le cose erano per amendue nel medesimo stato di prima; che
sarebbono a tempo di voltar J' insegne ec. »
^ dielvogHuj Dio lo voglia. Cosi il poverello
Che di subito ctiiede ove s' arrestai
ricevuta l'elemosina, dice: Dielmériti, cioè. Dio il meriti, o Dio rimeriti lui
che mi ha usato misericordia.
' dall' abbondanza. Non intendere che il grano fosse guasto dall' abbon-
dania, come parrebbe di primo tratto; ma che Nerone lo fé gettare nel Tevere
dall' abbondanza ^ ciw per T abbondanza che di quello buono areva. Conser-
vando il guasto, avrebbe fatto credere che lo facesse dalla scarsità. 11 lat. ha:
m fiso securitatcm annona sus tentarci. » Dove altri leggono ostentarat.
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IL LIBRO QUINDICESIMO DEGLI ANNALI. 377
in SU '1 fare gli sqmUÌDÌi, o trarre i reggimenti,* molti senza
figliuoli fingevano d'adottarne: e avuti gli onori dovuti a ogni
padre, manceppavano ^ i figliuoli adottati. Onde i veri padri
eon grande stomaco 'ricorrono al senato: ricordano la ragione
della natura, le fatiche deUo allevare, contro alla fraudo, ar-
tifizi e brevità delle adozioni. « Dover bastare a chi figliuoli
non ha, esser grato, onorato, ricco di tutti i beni, senza ca-
richi o pericoli. Torneranno ridicoli i promessi premi dalle
leggi a quo' che gli aspettan cent'anni,^ se si daranno i me-
desimi incontanente a chi ha figliuoli senza fatica, e perde-
gli senza duolo. » Ne nacque un partito del senato, che per
adozione simulata non si desse uficio pubblico né redltà.
XX. Claudio Timarco candiotto fii querelato di cose so-
lite a' potenti dellesprovincie, che si mangiano i minori. '^ Ma
quel che toccò nel vivo il senato, fu una parola, che il fare
ringraziare o no, ì viceconsoli che tornavan di Candia, stava
a lui; la qual cosa Trasea Peto tirando all'utilità publica;
poiché ebbe giudicato doversi il reo cacciar di Candia, cosi
soggiunse: « La sperienza ha mostrato, padri coscritti, che
le sante leggi e gli esempi nascono, appo i buoni, da' peccati
altrui. La tirannìa degli avvocati generò la legge cincia:" le
pratiche de' candidati, le giulie:'' l'avarizia de' magistrati, le
calpumie:^ perché la colpa va innanzi alla pena; il peccare
all'ammenda. Pigliamo adunque alla nuova superbia de' vas-
salli rimedio degno della fede e saldeza romana: siano essi
* reggimenti j ì governi. Nel trarre a sorte chi dovesse andare a reggere It
Provincie.
S manceppavano, emancipavano. Poiché )a legge Papia Poppea rimuoveva
dalle pubbliche cariche chi non avesse figliuoli; presso a*comizii, chi non nt
aveva, fingeva adottare alcuno, e avuto T ufficio, l'emancipava. Cosi gabbav^rt
la legge.
' stomaco t ira, indignasione , bile. Metonimia usata pure da* latini. Orasio
traduce il /tiQViy ou^o/acvvjv d'Omero {Iliad, 1, 1-2) con gravem stomachiun.
Od. I, 6, 5-6.
* cent'anni, lungamente. Lai. : « dia. »
8 si mangiano i minori. Vedi la nota al cap. 4 della Perduta eloquenza,
^ la legge cincia. Vedi lib. XI, 5j XIII, 52.
^ le giidie. Una legge giulia sul broglio è ricordata da Svetonio in ^ug.
34,40.
* le calpurnie, L. Galpurnio, essendo trib. \* a. 605, fece una legge che i
provinciali potcsuro accusare di mal tolto (repetundarum) i tristi governatori.
52*
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378 IL UBtO QUDIDICUnfO UGU ANNALI.
più cbe mai difesi; ma il sindacar chi gli ha goyernatì, stea
a noi cittadini, non ad alcun di loro.
XXI. <c Già si mandava loro, oltre al pretore o consolo,
visitatori che, referendo come ciaschedun si portasse, tene-
vano i popoli in cervello. Oggi noi osserviamo ^ i vassalli, e
gli aduliamo; e a cui essi vogliono, corriamo a render gra-
zie del ben servito, o a dare accaseu Concedasi loro, e mo-
strino in tal modo la lor potenza. Ma le laudi false o con
preghi accattate, raffreninsi, non meno che la malvagità e
la crudeltà. Più spesso si pecca per non far bene, che per
far male. Anzi odiamo alcune virtù; severità costante; animo
disprezante i favori. Onde noi siamo migliori nel principio
de' nostri magistrati che nel 6ne, quando ci andiamo racco-
mandando, come fa chi li chiede. Le quali cose levandosi,
saranno le provincie rette con più giustizia e reputazione. E
perché, si come la paura della legge del maltolto frenò l'ava-
rizia, cosi si leveranno le pratiche col proibire ringrazia-
menti. »
XXII. Celebrarono tutti questa sentenza. Ma non se ne
fece partito; dicendo i consoli che ella non s'era proposta.
Fecesi poi per ordine dei prìncipe, che ne' consigli delle Pro-
vincie ninno proponesse di ringraziare dei ben servito ' chi
tornasse di reggimento, né ne venisse ambasceria. Sotto
questi consoli un folgore arse le Terme; e la statua che v'era
di Nerone strusse interamente. Un tremuoto in Terra di La-
voro rovinò gran parte di Pompeia, terra grossa. Mori Lelia
vergine di Vesta, e fu rifatta Cornelia Cossa.
XXIII. [A. di R. 816, di C. 63.] Nel consolato di Mem-
mio Regolo e Yerginio Rufo, Nerone d'una figliuola, natagli
di Poppea nella colonia d'Anzio ove égli fu generato, fece
sopr' umana aUegreza: lei e la madre chiamò Aguste. Il se-
nato, che già il ventre * aveva raccomandato agi' iddii e fatto
* osserviamo, rispettiamo, veneriamo.
' ringrjmiare del ben servito,, ringrasiare d' avere 1>eii compiuto l'ufficio
i procoiuoli cbe tornavano di reggimento j cio^, dal governo delle provincie loro
asiegnatei — nk ne venisse ambasceria j ciok, e fecesi che ninno pigliasse 1* inca-
rico di venire ambasciatore al senato a proporre questa cosa.
' // ventre, la gravidansa. Aveva pregato pel felice parto di Poppea.
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IL LIBRO QDINDICKillIO DSaU ANNALI. 379
gran t>oti e preghi, li soddisfece moltiplicati; aggìmisé pri>
cissioni; ordinò tempio alia Fecondità; la festa d'Azio; in
campidoglio nel trono del tempio di Giove statue d* oro alle
Fortune; e in Anzio la festa circense p<Br casa Claudia e do-
mizia, come in Boville per casa giuba. Nel quarto mese la
creatura mori, e tutto andò in fumo: nondimeno T adulazione
rimise il tallo:* e volevano farla iddia, sagrarle tempio, letto
e sacerdoti. Egli ne feo, e neir allegreza e nel dolore, le
pazie. Notossi che quando, poco dopo il parto, tutto '1 senato
correva ad Anzio, Trasea, che non vi fìi lasciato andare, per
tale affronto (messaggio di mala morte) non si cambiò.' Ce-
Saro poi dicono che disse a Seneca, che la collera con Trasea
gli era passata, e Seneca con Cesare se ne rallegrò. E glo-
ria e perìcoli ne cresceano a questi eccellenti.
XXrV. Entrando primavera, vennero ambasciadorì dei
Parti con lettero di Yologese, superbe al solito: <x Che non
volevano più trattare delle antiche pretensioni sopra TArme-
nia, tante volte cimentate;' poiché gl'iddii, arbitri di tutte le
potenze, ne avevano dato il possesso a' Parti, non senza onta
romana. Dall' averne lasciati andar salvi, Tigrane, che era
rinchiuso, poi Peto con le legioni, cui poteva opprimere; as-
sai provarsi la sua possanza e benignità. Tiridate sarebbe ve-
nuto per lo diadema a Roma, se noni' avesse ritenuto il suo
sacerdozio. Andrebbe alle insegne e immagini del principe,
e quivi, presentì le legioni, s'incoronerebbe. »
XXV. Lo scriver di Peto, molto diverso a queste lette-
ro, che le cose passavano egregiamente, fece interrogare il
centurione, venuto con gli ambasciadorì, in che stato fosse
l'Armenia. Rispose: « Sgombrata da tutti i Romani. » Allora
inteso il burlare de' barbari, che chiedevano il toltosi;* Ne-
rone co' principali fece consìglio, qual fosse meglio, prender
^erra dubbia, o pace vergognosa. Dissero: « La guerra cer-
tamente. » E ne fu dato il carico a Corbulone, che per tanti
* rimise il tallo, tornò a rifiorire.
S non si cambiò, non si turbò, non impallidì. Politi: m e&sendo solo a
Trasea proibito, egli con animo intrepido riceva ipiell* affronto, come pitnoatio
della morte imminente, w
' cimentate, agitate, discusse.
* il toltosi^ ciò che essi avevano toUo da se medesimi.
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380 IL UBBO QCINDIGBSniO DKGU ANNALI.
anni conosceva i soldati e quei nemici, acciò l'ignoranza non
facesse nn altro peccare, come Peto. Cosi furon senza con-
clusione gli ambasciadori* rimandati: ma con presenti; per
mostrare che Tiridate, venendo in persona a chiedere il me-
desimo, non verrebbe indarno. A Ciucio fu data V ammini-
strazione in Soria: la gente a Corbuloue: e mandatogli di
Pannonia la legion quindicesima sotto Mario Celso: scritto a
tutti i signori, re, governatori, proccuratori e pretori, reggenti
le vicine provincie, che ubbidissero Corbuione: con podestà
simigliante a quella che il popol romano diede a Pompeo per
fare la guerra de* Corsali A Peto tornato, ne parve andar
bene,* che al prìncipe bastò traGggerlo con questa facezia:
« Io ti perdono or'ora;' che ogni po' eh' indugiassi, tu basi-
resti per la paura. »
XXYI. Corì>ulone in Soiia mandò le due legioni, quarta
e dodicesima, che parevano poco atte a combattere, essendo
i migliori perduti, e gli altri spauriti; e ne trasse e condusse
in Armenia la sesta e la terza, tutte intere, e in meriti e pro-
speri travagli esercitate. Aggiunsevi la quinta, stata in Ponto
fuori delle rovine:' e la quindicesima, venuta ultimamente:
le compagnie di quanti cavalli e fanti scelti erano in Egitto
e Illiria, e gli aiuti de' re. La massa fece^ a Melitene, ove
voleva passar l'Eufrate. Allora fatta l'usata rassegna di tutto
l'esercito, gli parlò, magnificando primieramente l'esser sotto
tale imperadore: poi le cose che aveva fatte egli: e tacque
r infelice ignoranza di Peto; con molta autorità, che a lai
soldato valeva per eloquenza.
X\YII. Poi prese il cammino che già fece L. Lucullo,
aprendo i passi che l' antichìtade avea chiusi. Né dispregiò
gli ambasciadori venuti da Tiridate e Vologese a trattar della
pace: e rimandolli con suoi centurioni con risposta non aspra:
« Non occorrer per ancora venire all'ultima battaglia: molte
cose prospere avere i Romani avute; alcune i Parti: però non
* ne parve andar bene, gli panre d'esserne osctto usai bene, come colui
si aspettoTa è* esser grairemente puaito.
S or ora j snbito. Lat. t m statim. *$
^ fuori delle rovine. Lat.: m eaepers eladi*. »
4 la massa fece, radnoò T esercito.— ifeAtene^ oggi MalaUè,
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IL LIBRO QUINDICESIMO DEGLI ANNAU. 381
doYersi insuperbire, e farsi per Tiridate ' il ricevere in dono
il regno non guasto: e Yologese farebbe il meglio perii Parti
a conservare la pace co' Romani, cbe danneggiarsi; sapere
quante discordie egli ha in casa; e che nazioni regge sa-
perbe e bestiali. Là dove il suo imperadore ha pace ferma
per tatto; e sol questa guerra. » Al consiglio aggiunse il ter-
rore; e caccia di casa i megistani,* stati i primi Armeni ari-
bellarcisi: loro forteze spianta: piano e monti, forti e deboli
di pari spaventa.
XXYIII. Era il nome di Corbulone ancora anzi grato
a' barbari che odioso: però credevano al suo consiglio. Né
Yologese fu si duro alla pace generale; e per alcuni stati suoi
chiedéo tregua; e Tiridate, giorno per abboccarsi, presto, e
nel luogo dove Peto fu dianzi assediato con le legioni: per
memoria scelto da' barbari, e da Corbulone accettato per pi&
sua gloria; venendovi in fortuna si differente. Né gli diede
noia r infamia di Peto, poiché fece il figliuolo di lui tribuno
capo di squadre a seppellire i morti nella mala pugna. Il dato
giorno Tiberio Alessandro, illustre cavalier romano, sergente
in questa guerra, e Yiviano Annio, genero di Corbulone,
minore di anni venticinque, età senatoria, ma fatto vicele-
gato della legion quinta, vennero nel campo di Tiridate, per
onorarlo e, con tal pegno, assicurarlo d'inganno. Presero
venti cavalieri per uno. Il re, visto Corbulone, primo smontò:
poi Corbulone subitamente, e si preser per mano.
XXIX. Il Romano commenda il giovane, che lasciati i
partiti precipitosi s' atteneva al buono e sicuro. Esso, dopo
gran narrativa del suo alio legnaggio, temperatamente parlò:
« Che andrebbe a Roma a portar a Cesare nuovo splendore^
che un Arsacìda se li rinchini,' senza avere i Parti avver-
sitade. » Fu conchiuso che Tiridate ponesse la real corona a
canto all' effigie di Cesare, e non la ripigliasse che dalla mano
di Nerone, e baciatisi, si dipartirono. Indi a pochi giorni
* /arsi per Tiridate, esser utile a Tiridate. Lat.: « Tiridati condttcere.m
* megittani (meheslàD) j così chiamavansi tra gli Armeni i maggiorenti del
regno. Vedi Burnouf a questo luogo.
S §e li rinchini, gli si raccomandi. Intendi: ilqual nuovo splendore consi-
steTi in questo, che un Arsacìda se li jrinchinassei mentre le cost de' Parti non
erano in cattivo termine.
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388 IL UBftO QCraDKBSniO DBfa.1 AUNALI.
comparvero eon sapeiiMi mostra la loro cavallerìa ordinata,
con le loro insegne, e le nostre legioni con le folgoranti
aqmle e simolacri, come in tempio divino: nel cai mezo era
un trono: sopravi in una sedia corale, l'immagine di Nero-
ne. Alla quale Tiridate accostatosi, e le vittime solite uccise;
di capo si levò il diadema e poselo sotto Y immagine; cosa
che. commosse totti gli animi, stando ancor negli occhi fitta
la strage o Y assedio de' Romani eserciti; e ora, voltato car-
ta,^ Tiridate andrebbe a farsi al mondo spettacolo, quanto
meno che di schiavo?*
XXX. Aggiunse Gorbulone alla glòria piacevoleza e con-
viti: e, domandogli il re le cagioni delle cose ch'ei vedea
nuove; come, venirgli a dire il centurione che entrava in
sentinella; licenziar a suon di trombe H convito; e V altare
fatto davanti al luogo degli agurìi abbruciarsi da fiaccola
messavi sotto; ogni cosa gli magnificava; e Y empiè di ma-
raviglia delli antichi costumi.' L' altro giorno chiese tempo,
dovendo far tanto viaggio, di riveder sua madre e fratelli:
e lascia la figliuola per pegno, e una lettera umile a Nerone.
XXXI. Partissi, e trovò Pacoro in Media, e Yologese
nelli Ecbatani, impensierito di questo fratello: avendo per
messaggi pregato Córbulone che non gli fosse fatto alcuna
ombra di servile indegnità: non posasse giù Tarme: fosse,
da' governanti le Provincie, abbracciato: non tenuto alle por-
te: in Roma, come i consoli riverito : come quegli che awezo
all'orgoglio forestiero, non sapeva che noi teniamo conto
della forza, e non delle vanità dell'imperio.
XXXII. Nel detto anno Cesare fece latine le nazioni in
su l'alpi marittime: e che nel Cerchio i cavalieri sedessero
dinanzi alla plebe, che prima si mescolavano. Non avendo
la legge roscia provveduto se non a' quattordici gradi. Fecesi
ancora lo spettacolo delti accoltellanti , magnifico come i pas-:
* voltato carta, cangiato aspetto le cose. Lat.: mAt mate VBrsos casru.»
S qtutnto meno che di schiavo t poco meno che schiavo.
S delU antichi eosttunù Politi; « Domandando il relè canse di tutto qnd
che a lai era auovo; come, il dinunsiarsi dal centurione gli ordini delle guardie;
liecnsiare il convito eon 1« trombe, e attaccar con la Saecola il fuoco ali* altare
posto innansi all' augurale , magnificava egli talmente le cose che lo mosse a sto»
pore di quegli antichi costumi. «
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IL LIMO QUINDIGBnilO DBGU AHMALI. 883
sati» se molte gentiMonne e aeiiatorì bob si fossero Tergo-
guati d' imbrattarsi in qoeUa iwgna,
XXXIU. [A. di R. 817, di Gr. 64.] Nd consolalo di Gaio
Lecanio, e M. Licinio, a Nerone cresceva la voglia ogni di
più del cantare a tutte le commedie; perchè sin' allora aveva
cantato in casa, ne' giuochi giovenali,^ che gli parevan Ino*
ghi gretti e indegni di tenta voce. Non ardi cominciare in
Roma: elesse Napoli, come città greca; indi passare in
Acaia, e farvisi incoronare, come i sagri poeti antichi, per
aver maggiore applauso da' cittedinL Incontinente il teatro
di Napoli s' empiè di genti, che delle terre e colonie vicine
trassero al grido, e di quelli che seguitaron Cesare per fargli
«erte e altre bisogne, e di squadre di soldati ancora.
XXXIY. Ivi avrenne caso, secondo i più doloroso, e
secondo lui bene aguroso: che uscito tutto il popolo, il tea*
tro voto cadde senza far male a veruno* Rendenne grazie
agi' iddìi con canti musicali: e la fortuna del nuovo caso can*
tando, e verso il mare d'Adria avviandosi, si posò a Bene-
volto; ove Yatinio fece la feste de' ghidiaterì bellissima. Co*
stui fu uno de'iMù infami mostri di quella corto, allievo d'un
sarto, gobbo, bnfon magro:* ricevuto prima per ischerno,
pM calunniando i migliori, tento poto, che. in favori, danari
e possanza di nuocere, i pessimi avanzò.
XXXV. Il piacere di questa festa non dìviava l' animo
di Nerone daUe scelerateze, e forzò a morir Torquato Sila-
no, perchè oltre alla chiareza del sangue giunto, riconosceva
il divino Agusto per bisarcavolo. Fu commesso agli accusa-
tori, che gli apponessero che, essendo prodigo in donare,
non isperava in altro che in novità: tener nobili per segre-
teri, computisti, cancellieri; nomi e pensieri da prìncipe.
Essendo i suoi liberti principali presi e legati, la sentenza
distesa, Torquato si segò le vene delle braccia; e Nerone
disse la sua solita canzona: Che se egli aspettava la sua cle-
menza, benché nocente e disperalo della difesa, gii perdo-
nava la vita.
< gimochi giwenalL Furono istitaiti quando Nerone si rase la prima barba.
Vedi Jnn. XIV> i5.
s bttffon magro j baffone plebeo e sciocco. Lat.: i/aceliis tcurrilibtu, »
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384 IL UBEO QUINDICBSniO DEQU AMKALI.
XXKYI. Non guarì di poi, differito il viaggio d'Acaia
(non n sa la cagione), tornò in Roma, facendo delle proTin-
cie d'oriente, e massimamente d'Egitto, segreti disegni. E
per bando notificò m che V assenza sna non sarebbe lunga, e
ne seguirebbe ogni cosa ferma ^ e prospera alla repubiìca, » e
andò in campidoglio a raccomandare agi' iddìi questa gita.
Entrato ancora nel tempio di Vesta, gli venne un trìemito
per tutte le membra, forse perchè l' atterrì quella iddia, o la
rìcordanza de' gran peccati, che sempre lo tenea spaventato.
Onde lasciò l'impresa, (dicendo) « per amor della patria, che
superava ogni altro pensiero; vedendo i mesti volti de' suoi
cittadini; udendo le doglianze segrete del tanto viaggio im-
prender colui cui non averìen voluto perder d'occhio;* so-
lendo l'aspetto suo confortarli nelle avversità. Come adunque
i più cari pegni stringono i privati,* cosi il popolo romano
sforzava lui a consolarli di non partire. » Questo voleva la
plebe, che amava i piaceri, e temeva del caro * (che è il suo
maggior pensiero), stando egli assente. Il senato e i grandi
dubitavano, s' ei sarebbe, lontano o presente, più atroce: poi
credettero, come si fa ne' gran timori, che lo avvenuto fusse
il peggiore.
XXXYII. Egli, per far credere di non veder cosa {hù
gioconda che la città, mangiava in publico, e servivasi di
tutta ,' come di sua casa. Famoso fu il convito eh' ei fece,
ordinato da Tigellino, il quale io conterò per un esempio di
suo scialacquare, che serva per tutti gli altri. Nel lago
d' Agrippa* fabbricò un tavolalo mobile, ove pose il convito
tirato da galee, tutte commesse d' oro e d'avorio. Remavano
* ne seguirebbe ogni cosa, ferma s cioè, nulla muterebbesi nella repubbli-
ca, e tutto andrebbe Itene.
* le doglianze... del tanto viaggio ec. Ordina: « le dogliànse... deirim-
praider tanto Tiaggio colai ec. ** Cioè, che tanto viaggio imprendesse ec.
' stringono (privati. Politi t « siccome nella parentele private prevalgono
i più stretti di sangue, cosi prevaleva in lui l' affetto del popolo romano. »
* del carOj della carestia.
' di tuttaj sottintendi , la eittSi.
* Nel lago d' A grippa. « Il lago d* A grippa si pone concordemente presso
la chiesa di S. Andrea della Valle, come si deduce dalla denominaiione che ebbe
tale luogo per la valle evidentemente rimasta dallo scavo fatto. ** Canina, fndiem-
zione di Roma antica^ p. 2E14.
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IL UBRO QOINDICanailfO DEQLI ANNAU. 385
sbarbati giovani, collocati secondo Fetà, e maestria di libi-
dini. Eranvi uccellami e salvaggiomi di vari capi del mondo,
e pesci insin dell' oceano: camere rizaie in sn la riva del lago,
piene di gentildonne; e a fronte, pattane ignnde con gesti e
dimenari sporcissimi* Venuta la notte, i boscbi e le case
d' intomo risonavano, e risplendevano di canti e di lumi.
Per non lasciar alcuna n^andigìa lecita e non le<»ta,. indi a
pochi giorni tolse per marito uno stallone di qu^a mandria,
detto Pittagora: fu celebrato lo sponsalizio con tutte le sagre
cirimonie: messo in capo al nostro imperadore il velo giallo;
fatti gli agurii; la dote; il letto geniale; accesi i torchi; e
finalmente, veduto fare ^ quanto cuoprono anco le femmine
con la notte.
XXXYIII. Seguita la più grave e atroce rovina che mai
avvenisse in Roma per violenza di fuoco; non si sa se per
caso, o per frode del principe; che dell'uno e dell'altro ci
sono autori. Il fuoco s' appiccò nel Cerchio contìguo al monte
palatino e al celio, ove nelle botteghe piene di merci che gli
sono ésca, levatasi subito gran fiamma, con vento, senza in-
toppo di muri o tempii o altro, corse per tutto il Cerchio:
allargossi nel piano; sali a' colli; scese e comprese ogni cosa
senza dar tempo a ripari la furia sua; e fece quella Roma
vecchia con sue viuze strette e torte, e chiassuoh, subito un
falò.' Lo spegnere era impedito dalle donne, da' vecchi e
fanciulli, spauriti e gridanti, e da quelli che brigavano di
salvar se e altri; strascinando i deboli, aspettandoli, corren-
do, che spesso nel guatarsi a dietro, eran dinanzi o dal Iato
soprappresi, o fuggiti piùoltre, vi trovavano più accesa vam-
pa. Né sapendo più che si fuggire o cercare, calcavan le vie,'
giacevansi per le camperà,* alcuni perduto ogni cosa, insin
da mangiare per lìn giorno: altri per non aver potuto i più lor
cari trar del fuoco, vi rimasero volontari. £ ninno ardiva aiu-
' veduto/are ec. Lat.: « cuncta denique spoetata j quce etiam in /emina
nò» ùperit. »
s un falò. Cosi nella Vita d'Agr, e. 2: «fattone face dal magistrato
de' Tre nel comisio e nel fòro un falò, w
' calcavan le vie. La Mestùna e la Gominiana, con isconeio errore, ca»
valcavan le vie,
^ camporaj campi.
I. So
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386 IL uno «OIHDICBSIliO ìrnSLl AHMALI.
tare spegneretin^ceiaiido molti che si laseìasse stare; altri
vi lanciayano le fiaccole a posta (gridando, cosi aver ordine)
per meglio rubare, o per avoto comandamento.
XXXIX. Nerone si stara in Anno: e non tornò a Roma
se non quando il fuoco s'appressava alla sua casa da lui unita
al palalo e al giardino di Mecenate; ma non fu possibil te-
nere, che non inghiottisse il palazo e la casa, e quanto v'era
d'intorno, fifa per conforto atto spaventato popolo e fuggen-
te, fece aprire campo marzio, il cimiterio d'Agrìppa, i giar-
dini suoi, e subiti spedali murare; raccettarvi ì poveri; ve-
nir masserìzie da Ostia, e dalle vicine terre; rinviliò il grano
sino a un carlino: ^ le quali cortesie guastò con l'aver, come
si disse, cantato in su la scena di casa sua l'incendio di
Troia, e agguagliato questo male all'antico.
XL. Il sesto giorno finalmente il fuoco fermò appiè del-
l'esquilie: non trovando per le ampissime aperture fatte, se
non suolo e aria. Rappiccossì non essendo passata ancora la
paura, con minor danno e morti, per esservì le strade più
larghe. Rovinò tempii divini, e logge fatte per belleza: e più
odioso fu questo fuoco secondo, perché usci dagli orti emi-
liani, allora di Tigellino; e perchè Nerone pareva volersi far
gloria di rifar la città tutta nuova; e chiamarla dal suo nome.
Concìosiachè de' quattordici rioni, ne' quali è Roma divisa,
ne rìmanessero quattro interi, tre spianati, sette in casolari
pochi e arsicci.
XLl. Non è agevole raccorrò il numero delle case, iso-
lati ' e tempii rovinati. Arsero i più rìverendi per antichità, .
consagrati da Servio Tullio alla luna; da Evandro d'Arcadia
a Ercole presente, col Grande Altare; e da Romulo a Giove
Statore; il palagio di Numa; il tempio di Vesta con gl'iddii
penati del popol romano; le spoglie di tante vittorie; i mira-
coti de' greci artefici; le opere antiche e conservate de' grandi
intelletti; e molte altre cose, di che i vecchi si ricordavano;
impossibili a rifare; benché in tanta belleza della città risor-
gente. Fu osservato che l'arsione cominciò il di diciannove
* un carlino j a tre sesterci, « ad ternos nummes. »
3 isolati^ grappi di case isolati, che anche io Ialino s' appellano insula
Più sotto, e. 4d, neiristesso senso , ceppo isolato,
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IL LIBBO QUUfDlCB8IM0 DBeU AlflfALI. 887
di loglio, che i Senoni anero Roma: dall' un fuoco all'altro
ì medesimi anni, mesi e di.
XLII. Ma Nerone si servi delle rovine delia patria a farvi
la casa cotale * stupenda, che le gemme e Toro di miracolo,
eran niente, rispetto alle camperà, selve, laghi, eremi,*
aperture, vedale, fattevi da Severo e Celere, architettori
d'ingegno e ardire, da tentar con l'arte cose sopra natura,
e beffare le forze del principe. Perchè gli promissero di ca*
vare nn fosso navigabile dal lago d'Avemo a Ostia, pei
rive aride e monti; non trovandovisi altre acque che il lago
d' Ufente da voltarvi: il resto son terra asciatta, o massi da
non potersi rompere, e non portare il pregio della fatica in-
toUerabile. Nondimeno Nerone voglioso delle cose incredibili
si provò a tagliare il monte vicino all'Averne: e sonvi di
tal follia i vestigi.
XLllI. Le case di Roma che la saa non occapò, furon
rifatte (e non a vanvera,' come dopo l'incendio de' Galli)
ma non si alte: strade larghe, traverse * a misura, maggiori
piate e, dinanzi a ogni ceppo isdato, difese dalla sua loggia
in fronte, la quale Nerone offerse di fare a sue spese, e ien~
dere il suolo bello e netto; e pagare un tanto, secondo sua
facoltade e grado, a chi fra tanto tempo avesse rifatto sua
casa o ceppo. Per li vasselli * che da Ostia portavano il grano
a Roma per lo Tevere, fece portare in giù i calcinacci e
pattume, e gittar nelle paludi d'Ostia; e le case in certa
parte senza travi, incatenare di pietre gabine e albane, che
non piglian fuoco, né a mura comuni, ma di proprie, iso-
lata ciascuna. All'acqua già da molti privati usurpata, pose
guardie, che la lasciassero correre in publico in più luoghi
grossa per lo fuoco spegnere, e a tutti manesca.* Questi
provvedimenti utili abbellirono ancora la nuova città. Nondi-
meno tenevano alcuni la forma vecchia più sana; perché
^ cotale^ talmente.
S eremi, boschetti a modo di eremi. Lai.: min modum tolitudintun
silvce. »
' a vanvera, seosa disegno e confusamente.
• traverse j cioè, rie traverse: voce viva tuttavia nel popolo.
B vasselli j vaacellL Dante: « Sopra un vascello snclletto • leggiero. » '
* manesca, pronta, alla mano di tutti
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388 IL IIBIO Onin>ICBSIIfO DEGÙ ANNALI*
qaelle vie strette e case alte, facevano qualche rezo alle
vampe del sole, che in queste larghe e aperte dirìttme,
sferza e riverbera più rovente.
XLIV. Dopo li nmani aiati si ricorse a' divini; e vedati
i lihri delle Sibille, fa supplicato a Volcano, Cerere e Pro-
serfHna: e da matrone, prima in campidoglio, poi alla pnk
pressa marina ^ fatta Giunone favorevole, e di qoell'acqaa
asperso il tempio e l' immagine della iddia: poi da maritate
fattovi i letti ' e le vigile. Ma né opera omana né prece di-
vina nò largheza del principe gli scemavano V infame grido
dell'avere esso arsa Roma. Per divertirlo adanqne ne pro-
cessò, e stranissimamente pani quelli odiati malfattori che il
volgo chiamava cristiani;* da Cristo, che, regnante Tibe-
rio, fa crocifisso da Ponzio Pilato procuratore. La qual se-
menza pestifera,^ fa per allora soppressa; ma rinverziva non
pare in Giudea, ove nacque il malore, ma in Roma, ove
tolte le cose atroci e brutte concorrono e solennizansi. Fu-
rono adunque presi prima i cristiani scoperti, poi gran tarim
di nominati da quelli, non come colpevoli nell' incendio, ma
come nimiei al genere umano. Uccidevanli con [scherni; ve-
' alla pia pressa marina, Lat.; « apudproximum mart, m
' i ietti. Lat.: uleetìttemia, n Cosi legge il Nostro; ma non bene. PcidiÀ
alle dee si apparecchiava il seliislernium, cioè le aediej e non gik i ietti^ sol
coi strato ponevansi le immagini degli dei.
> cristiani. Snida all'articolo X/9iffTtavot dice « che sotte Claudio impe*
ntore dei Romani, allorché Pietro apostolo ordinò Evodio in Antiochia, chi»»
maroDsi cristiani coloro che ioDansi erano detti Nassarei e Galilei. » Ciò fn, se-
condo il Cronico Eusebiano^ Tanno di Cr. 45.
* semenza pesti/era. Quanto Tacito tradisca qui la Teritli, lasciamolo
dire a Plinio, suo amicissimo, deputato da Traiano a oercare e piuire i crutiani.
m Quel solo che scopersi (dice all' imperatore) si fu una prava e sfrenata aupcr-
stizione. w E la superstizione era questa: «« Affermavano costumar di adunarsi
in un di assegnato, innanzi giorno; cantare alternativamente fra loro inni a Cristo»
si come a Dio; obbligarsi con sacramento, non gik di commettere alcun delitto»
si di astenersi da ruberie, assassinii, adulterii, di attener la data fède, e interpel-
lati, di restituire il deposito: il che fatto, eralor costume di andarsene ; poi rago-
narsi di nuovo a fare un pasto, pubblico però ed innocente; dal quale tuttavia
s'eian astenuti dopo il mio editto, che, giusta i tuoi ordini, avea vietato qualun-
que unione. Tanto più adunque stimai necessario , anche col dar la colla a doe
serve, ch'eran dette ministre, di chiarirmi del vero. » (Epist. X, 97, trad. di A.
Paravia). Ma il vero lo chiarisce Tacito stesso, che non seppe recare alena fatto-
a confermare le sue gravi accuse.
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IL UBBO QOINDICBSnfO MEOU AMNÀLL 389
siiti di pelle d'animali, perchè i caai gli sbranassero yivi;
o erocifìssi o'arsi o accesi per torchi a far lume la notte.
Nerone a questo spettacolo prestò i suoi orti, e celebroyyi
la festa circense, vestito da cocchiere in su '1 cocchio, o spet-
tatore tra la plebe. Onde di que' cattivi, benché meritevoli
d'ogni novissimo supplizio, veniva pietà, non morendo per
ben pubblico, ma per bestialità di colui.
XLV. In questo mezo gli accatti e balzelli *■ sperperavan
l'Italia. Vassalli, collegati, città libere in nome, gì' iddìi
stessi non furon esenti da tal rapina; spogliati i templi di
Roma; e sconfitto' quantunque oro il popol romano per trionfi,
preci, allegreze e timori già mai consagrò. Per l'Asia e per
TAcaia rapivano, non che i doni, le immagini degl'iddii due
nostri commessariì, Aerato liberto, cima de' ribaldi, e €ari«
nate Secondo, che aveva qualche lettera greca in bocca,'
ma nulla bontà nell' animo. Dicevasi che Seneca, per levarsi
il carico di questi sacrilegiì, supplicò di ritirarsi in villa lon-
tana; e non l'ottenendo, si fermò in camera, quasi per la
gotta. Alcuni scrìvono che Nerone gli fece apparecchiare il
veleno da Cleonico suo liberto; dal quale avvertito, o inso-
spettitone, lo schifò, vivendo di cibi semplici, frutte de' suoi
orti, acqua corrente.
XLYI. In questo tempo i gladiatori tenuti in Preneste ^
vollero scappare: i soldati, loro guardie, lì ritennero. E già
il popolo, pauroso e spasimante di novità, cominciava a ri-
cordare Spartaco e i vecchi mali. Poco appresso s' intese una
perdita di nostra armata, non per guerra, che non fu mai
tanta pace; ma perchè Nerone avea comandato che ella fusse
tornata in Campagna il tal di, non eccettuando tempesta.
Sciolsero ì nocchieri da Mola," quando il mare fremeva: e
mentre fanno forza di spuntare il capo di Miseno, un forzato
' gli accatti e baUeilij 0{;gi chiamati iroposicioni.
' scondito. Mei secondo degli Annali^ e. 38, abbiamo veduto sconficcar
la tesoreria j per trarne a forza i danari.
' aveva qiutlcHe lettera greca in bocca. Lai. ! « grceca doctrina ore
tenus exercittts. »
* Preneste jTiltilTiosi.
5 da Mola di Gaeta , anticamente Formia. La Cominiana e le altre pedisse-
que, erroneamente^ Nola» Eppure la disprezsata Nestiana legge benìssimo.
53*
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S9(l IL UBKO QUINDICaSIMO DEGLI ANNAU.
libeccio gli battè nella spiaggia di Cuma, con perdita di molte
galee, e gran namero di legni minori.
XLYII. Nel fine di quest' anno vennero prodigii, annun-
sii de' soprastanti mali. Saette non mai tante. La cometa,
cni sempre Nerone placava col sangue di qualche grande:
bambini e fiere con due capi, trovati nelle strade, o nelle
bestie che si sagrifican pregne; e nel Piacentino an vitello
nato, lungo la via, col capo in una gamba. Dissero gì' in-
dovini che il mondo avrebbe un altro capo non durevole,
e non occulto: perchè si travolse nel ventre, e nacque
nella via.
XLYIII. [A. di R. 818, di Cr. 65.] Entrati consoli Sitio
Nerva e Attico Yestino, nacque e a un tratto crebbe una con-
giu^ra di senatori , cavalieri , soldati e donne concorsevi a gara
per odio contro a Nerone, e amore a Gaio Pisene di casa
Calpumia, imparentato con la maggior nobiltà di Roma, in
gran fama del popolo di virtudi, o lor somiglianze; facondo
avvocato de' cittadini; donatore agli amici; piacevole e com-
pagnevole ancora co' non conosciuti; di statura alta, bella
faccia; ma di costumi non grave; sottoposto a' piaceri; dolce,
magnifico; e talora sguazatore: il che piaceva a molti, che
in secolo si scorretto non amano imperadore scarso e austero.
XLIX. La congiura non nacque da sua cupidigia; né
saprei dire l'inventore d'impresa tale, seguita da tanti.
Prontissimi furono Subrio Flavio tribuno d' una coorte di
guardia, e Sulpizio Aspro centurione, come mostrò la loro
forte fine. Co' denti la presero ^ Auneo Lucano, perchè Ne-
rone sfatò e proibì i suoi versi per vana competenza; e Plao-
zio Laterano eletto consolo, non offeso, ma per carità della
patria. Fra i primi furono, Flavio Scovino e Afranio Quin-
ziano senatori, non tenuti da tanto. Scovino perduto in lus-
suria e sonno. Quiuziano del corpo suo peggio che donna,
e da Nerone con versi infami vituperato, se ne vele» ven-
dicare.
L. Sbuffando adunque tra loro, e altri amici, di si sce-:
lerato principe, del cadente imperio, e di trovar chi soste^
< Co* denti la presero j ci portarono odio feroce. Lat.: « vMda odia i»r
tulere. »— Ànneo Lucano qui ricordato « il celebre autore della Fursalia,
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IL LIBRO QUIHDlCESmO DEGLI ANNÀU. 391
nerlo; tiraron nella conginra Tullio Senecione, Cervarìo Pro-
colo, Yolcazio Ararico, Giulio Tagnrìno, Munazio Grato,
Antonio Natale, Marzio Festo, romani cavalieri. Tra i quali
Senecione, dimestichissimo di Nerone, andandogli intomo
correva pia pericoli. Natale era confidente di PiBone: gli al-
tri speravano nella mutazione. Chiamarono persone di guerra,
oltre alli detti, Sobrio e Solpizio, Granio Silvano e Stazio
Prossimo, tribuni di due coorti di guardia ; Massimo Scauro
e Paulo Veneto centurioni: e Fenio Rufo prefetto (che fu
r importanza), di buona vita e fama, scavalcato^ di grazia al
principe per crudeltà e sporcizie da Tigellino, e caricato' di
più cose, oltre al farlo credere adultero d'Agrippina, e per
lo desiderio di lei inteso alla vendetta. Quando i congiurali
seppero, anche con sue parole, che il prefetto era de' loro;
fatti di miglior gamhe * ragionaron del quando e dove far
Toccisione; e dissesi che venne pensiero a Subrio d'assalirlo
quando cantava in su la scena, o quando ardendo la sua casa
la notte, scorrazava qua e là senza guardia. Qui l'averlo solo,
quivi lo stesso cospetto di tanti testimoni infocarono quel
bello animo, se non V avesse raffreddato la voglia del salvarsi,
ai nobili ardimenti sempre contraria.
LI. )S teuteniiando e allungando tra la paura e la spe-
ranza costoro; una certa Epicari spillò* la cosa, non si sa
come , non essendo prima stata donna di concetti d' onore:
e li riscaldava e riprendeva di tanta lenteza, e non poten-
dola più sopportare, stando in Campagna, cominciò a conta-
minare, e intignervi i capi* dell'armata misena. Uno era Yo-
losio Procolo, trovatosi a ucciderla madre di Nerone, e per
tanta scelerateza non fatto grande quanto pensava: di che
discredutosi* con costei, che sua amica era, vecchia o nuova;
^ scavalcato, gettato giù dalla grasia del principe ce. Il testo dice che
nella grazia ec. Tigellino gli andava innansi {anteibat),
S caricato j cioè, cui da vasi carico, o si accusava.
' ' fatti di miglior gambe, preso maggiore animo.
4 spillò. Vedi la postilla al e. 8. lib. VI degli Annali.
* cominciò a contaminare e intignervi i capi ec. Cominciò a metter su e
a tirare nella congiura i capiec. Contaminare in questo senso è pure Ann, I, 16,
do?e vedi la nota.
^ discredutosi, apertosi , confidatosi. Vedi Ann. II, 12; e IV, 68.
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302 IL LIBRO QDINOICBSIIIO DEGLI ANNALI.
e dolutosi d'aver tanto servito Nerone, e senza prò; minac-
ciò di vendicarsene a laogo e tempo. Onde ella prese spe-
ranza di tirar lui e molti altri nella congiura, a cui l'armata
dava di grandi aiuti e occasione, perchè Nerone si soUazava
spesso nel mare di Pozuolo e di Miseno. Cosi gli cominciò
a contare tutte le ribalderie del principe, e che il senato non
se ne stava; ma aveva al vendicar la republica rovinata tro-
vato il modo; mettessecisi anch' egli, facesseci opera; tiras-
soci i soldati suoi più feroci; che buon per lui. E i nomi dei
congiurati si tacque. Procolo rapportò il tutto a Nerone, e da
Epicari messagli a petto, non producendo testimoni, fu ri-
provato:* ma ella messa' in carcere, dubitando Nerone che
il non provato non fosse vero,
LII. Onde a' congiurati parve, per non essere scoperti,
da sollecitar d'ammazarlo in villa di Pisone a Baia, ove
spesso Nerone per vagheza di quella amenità veniva; entrava
ne' bagni e mangiava, lasciato il suo gran traino' di guardia
e corte. Ma Pisone non volle carico d' imbrattar le mense
sagre e gl'iddii ospiti, col sangue del principe, quantunque
reo. Meglio in Roma, in quella odiosa, e delle spoglie de'cit-
tadini edificata regia, ovvero in pubblico, l'impresa perla
republica compierieno. Cosi dicea loro: ma in sé iemea,
non L. Silano di somma nobiltà, da Gaio Cassio allevato e
sollevato ad ogni splendore, s'insignorisse dell' imperio con
gli aiuti che avrebbe pronti de' non intinti ^ e aventi com-
passion di Nerone, quasi sceleratamente ammazato. Fu cre-
dulo che Pisone dubitasse anco di Vestine consolo, feroce, e
da voler rimetter la libertà, o dar l' imperio a chi lo ricono-
scesse da lui. Della congiura non sapeva niente: benché Ne-
rone se ne servisse a sfogare il suo antico odio.
LUI. Fermarono finalmente di far l' efietto nel Cerchio
il giorno della festa di Cerere: perchè Cesare usciva poco
fuori di casa e de' giardini: e quando nel Cerchio andava a
rallegrarsi di quelli spettacoli, era più agevole accostarglisL
^ riprovato^ confutato.
3 messa, fu messa.
5 traino, sèguito. Lat,: « omissis excutiis etfortnnce sux mole, »
* de' non intinti, de' meno compromessi nella congiura.
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IL UBRO QUiNOIGBSIMO DEGLI ANNALI. 303
L'ordine dato fa, che Laterano, quasi chiedendogli aiuto
per vivere, gli si gittasse alle ginocchia: e fattoi cadere,
come grande di corpo e d'animo, il pigiasse: corresseci
tribuni e centurioni, ciascuno secondo suo coraggio, e lui
in terra e intrigato ammalassero. Scovino chiedéo d' essere
il primo con un pugnale tratto del tempio della Salute in
Toscana; altri dicono della Fortuna in Perento; e'I por-
tava quasi consagrato a grande opera. Pisene intanto gli at-
tendesse nel tempio di Cerere: onde Fenio e gli altri il traes-
sero, e portassero in Campo, accompagnato da Antonia
figlinola di Claudio Cesare, per guadagnarsi il popolo. Cosi
dice Gaio Plinio; che non V ho voluto tacere: ma a me non
consuona, nò che Antonia prestasse il suo nome a cosa tanto
in aria e pericolosa, né che Pisone innamorato della mo-
glie, si promettesse a un'altra: se già T amore del dominare
non tira più eh' altro affetto.
LIY. Fu in tanta diversità di sangui, gradi, stati, sessi,
età, ricchi, poveri, maravigliosa la segreteza: insino a che
ne venne indizio di casa Scovino, il quale il di innanzi al
destinato, fu con Antonio Natale molto alle strette: * tornato
a casa fece testamento: sfoderò il detto pugnale mangiato
dalla ruggine, e diello a Milico liberto, che lo arrotasse e
brunisse.' Più riccamente del solito apparecchiò: a' più cari
schiavi donò libertà, e ad altri danari. Esso si vedeva acci-
glialo e fisso in gran pensiero, benchò mostrasse con vario
ragionare letizia sforzata. In ultimo fece apprestar fasce da
stagnare il sangue dal detto Milico, forse consapevole della
congiura, e sino allora fidato: o, come alcuni scrivono, da
quelli andamenti ne sospicò, e pensando quel servile animo
che premi!, che danari e potenze gli darebbe la tradigione;
lasciò da parte il debito suo, la salute del padrone, la me-
moria della libertà ricevuta: presene anche parere dalla mo-
glie, donnesco, e peggiore; la quale lo spaventava, che molti
schiavi e Uberti avevan quelle cose vedute: che gioverebbe
< Ju.,. molto alle strette^ a stretto colloquio.
S lo arrotaste e brunisse. Il latino dice con molta efficacia ir mucronem
ardeseeré iussit jcht non so se traducendo « comandò che ne sfavillasse la
pmita m potesse andar Ji pati al latino.
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394 IL LIBRO QCnfDIGBSmO DEGÙ ANNALI. ■
iaceile egli solo? i premii avrebbe quel solo che fosse primo
a TÌTelarle*
LY. All'alba Mitico ne va al giardino de'Serviliis^e
non essendogti aperto , disse che gran cosa portava e atroce:
i portinarì lo menaro a Epafrodito liberto dì Nerone; egli a
lai. Contagli esserci urgente pericolo , gran congiure, e cioc-
ehò aveva udito e conghietlarato. Mostragli quel pugnale
che doveva ammazarlo. E domandò che Scovino fosse con-
dotto quivi. Rapitovi da' soldati, si difese con dire: « Che
aveva tenuto per antica reliquia di sua casa quel pugnale in
sua camera, onde Tempio liberto il furò: fatto più testa-
menti, senza badare più a uno che a un altro di: donato ti-
bertà e moneta a' suoi schiavi altre volte: ma più largo al-
lora, perchè lasciando loro per testamento, e più debito che
avere, i creditori erano anteriori. Tenuta vita sempre splen-
dida e allegra, e poco approvata da' severi censori. Non
chiesto fasce per ferite: averci questa vanitade aggiunta per
Tallre malignitadi corroborare: e spia fattasene, e testimo-
nio. » Alle parole accompagnò feroce animo, volto e voce,
chiamandolo scolorato e infame, con tanta efficacia, che l'in-
dizio svaniva. Ma la moglie di Mitico avverti, che Antonio
Natale e Scevino, ambi anima e corpo di Gaio Pisene, ave-
van fatto un gran ragionare in segreto.
LYI. Fu mandalo per Natale: domandati in disparte di
che ragionassero; non si riscontrando, mison sospetto, e
furon legati. Alla vista del tormento, e alle minacce, cala-
rono.' E prima Natale più sciente della congiura, e più atto
a convincere, nominò Pisone, poi Seneca: o per aver por-
tato ragionamenti tra luì e Pisone, o per grazia di Nerone
acquistare, che recatolsi a noia, cercava con ogn'arte op-
primerlo. Scevino, inteso che Natale avea confessato, per
pari fiaccheza, o per credere scoperto il lutto, e non giovar
il tacere, nominò gti altri. Lucano, Quinziano e Senecione
stettero alla dura: poi guastatisi * per promesso perdono,
* al giardino de* Servila, Gli orti ServiliaDi sodo ricordati anche ocDe
Stor. Ili, 38, e da SvetODio in Ner. 47.
* calarono, abbassarono 1* animo.
* guastatisi, corrotti.
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IL LIBRO OODdHCBSUIO DBGLI ANNALI. 390
per loro scusa d'aver penato/ nominarono; Lucano, Atilla
sua madre; Quinziano, Glicio Gallo; Senecione, Annio Poi-
lione; i loro più cari amici,
LVII. Nerone si ricordò di Epicari, ritenuta per indizio
di Procolo: e non credendo che una donna reggesse al do-
lore, ne comandò ogni strazio. Né verga né fuoco né ira
de' martorianti del non sapere sgarare una femmina ' la fe-
cero confessare: e vinse il primo di. Portata il seguente a' tor-
menti medesimi in seggiola, non potendo reggersi sopra le
membra lacerate, si trasse di seno una fascia, l'annodò alla
seggiola, incalappiò alla gola, stringendosela col peso del
corpo, e trassene quel poco di fiato che v'era. Esempio me-
morevole, che una femmina libertina, volesse salvare con
tanta agonia gli strani, e quasi non mai conosciuti; quando
gl'ingenui uomini, cavalieri, senatori, senza tormenti, sco-
privano i più cari: non lasciando Lucano, Senecione e Quin-
ziano di nominare anche gli altri a dilungo. Onde a Nerone
cresceva sempre più la paura: raddoppiò la sua guardia.
LVIIL Le sentinelle tenevano la città e le mui'a: ronza-
vano per le piaze e case e ville e terre, al mare al fiume,
schiere di fanti e cavalli, mescolatovi Tedeschi; de' quali si
fidava per essere forestieri. Tiravano al detto giardino le fu-
nate ' de' congiurati , che aspettavano fuori e per terra ,
quando erano chiamati al tormento. L'aver fatto festa ad
alcuno della congiura, favellato, incontrato, convitalo, es-
sere entrati insieme alle feste, eran peccati mortali. Oltre
alle domande crudeli di Nerone e Tigellino a' congiurati,
Fenio Rufo, non ancora nominato, le faceva per non parer
quel desso, atrocissime a' suoi compagni. E Sobrio Flavio,
che gli era innanzi, gli accennò di ammazarlo; ma Fenio
* penmtOj indugiato.
' del non sapere sgarare tuia femmina, del non saper vìncere la gara
con una femmina; del non saperla spuntare. Varchi, ErcoL: « Perfidiare o stare
in sulla perfidia j è toleie per tirare o mantener la sua , cioè per isgarare alcu-
nOfChe la sna vada innaoiì a ogni modo o a torto o a ragione.*» Vedi Ann. 11,8.
' le funate. Lat. ( •> continua et iitncta agmina, *> Politi: «Non si vedeva
altro che passar continuati branchi di prigioni attorno alle porte degli orti. «
ValerianI: « Quinci si trascinavano a brancLi i rei, ed all'ingresso de' giardini
aspettavano, n
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396 IL UBIO QUUmiCBSUlO SBQU AHMALL
Ini già verso Nerone infarìato, e con la mano in su '1 jpome,
ratienne.
LIX. Scoperta la congiura, t* ebbe chi consigliò Pisene,
che mentre era ascoltato Kilico, e titubava Scovino j andasse
in campo, o salisse in ringhiera a tentare il favor de' soldati
e del popolo: e Se i compagni della impresa sua s'adunasse-
ro, anco gli altri andrebbero dietro a loro, e al romor grande
del movimento, che nelle novità molto vale. A questo non
aver pensato Nerone. Le cose repentine sbigottire i yalentr,
non che quel chitarista con Tigellino e sue femmine: mo-
vesse armi contro. Molte cose, mettendovisi,^ riuscire, che
paiono ardue a chi si sta. Silenzio e fede in tanti cervelli
consapevoli non potersi sperare, tormento e premio ogni
cosa forzare. Comparirebbe gente a incatenare anche lui, e
ucciderlo indegnamente: quanto morrebbe egli «più lodato
in abbracciando la republica, chiamando aiuti alla libertà, e
mancandogli i soldati, abbandonandolo la plebe, più a' pas-
sati, più alli avvenire giustificato? i» Non se ne mosse: e poco
in pubblico dimorato, si chiuse in casa, e acconciossi a mo-
rire. Eccoti venir da Nerone una mano di giovani e novelli
soldati, perchè de' vecchi, come a Pisone inchinati, temeva.
Segossi le vene delle braccia. Lasciò un testamento pieno di
brutte adulazioni a Nerone per amor della moglie Aria Galla,
bella e non altro, tolta a Sìlio Domizio amico suo: lacuipa-
cienza, e la disonestà di lei fruttare a Pisone infamia.
LX. 11 secondo a morire fu Plauzio Laterano eletto con-
solo, si a furia, che non ebbe agio d'abbracciare ì figlinoli
né d' elegger il modo. Arraffato, e dove si giustiziano gli
schiavi* ammazato da Stazio. tribuno, uno de' congiurati; non
lo scofferse; non fiatò.' Dopo segui la morte di Seneca con al-
legreza del principe, per finirlo col ferro, perchè gli era fal-
lito il veleno, e non perchè fusse convinto della congiura:
* meitendovisi, mettendosi all'opera, adoperandosi con ardore. LaL;
m experiendo. m
S dove ti giustiziano gli schiavi j cio^, nel luogo detto SuUnio, fnoridi
Roma due miglia e meno: e di qui il nome.
' nonjiatòj cioè, non volle rinfacciargli d^eisers stato anch'egU ano de*con«
giurati. Lat. t « nec tribuno obiiciens eamdem eonscientlam. »
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IL uno QumniGttnio dmu ahmali.^ 807
perchè Natale sdb, disse appunto «^ « ehe Pisene lo mandò
a visitar Senjsca ammalato > e a dolersi, perchè non volle vi
venisse egli: sarebbe meglio che, ragionando insieme, si va-
lessero deU' amicìKìa.' » E che Seneca rispose, « gli spessi
ragionamenti fra loro non far ' né per V ano né per V altro;
ma la salate sua consistere in quella di Pisene. » Nerone mandò
Granio Silvano tribuno d' una coorte di guardia a interrogar
Seneca, se Natale gli portò, e s' ei rispose quelle parole. Egli
era quel giorno, per sorte o a studio,* tornato di Campagna
in villa sua fuor di Roma quattro miglia. In su la sera il trl>
bono la circondò di soldati. E trovatolo a cena con Pompea
Paulina sua moglie, e due amici, disse quanto il principe
comandava.
LXI. Rispose « che Pisene gli mandò Natale a dolersi
del non averlo lasciato visitare: ed egli si scusò che era in-
fermo, e si volea riposare; né avere avuto cagione di stimar
più la salate d' un privato che la propria. Non sapere adula-
re, né ninno saperlo meglio di Nerone, che Tavea trovato
-più volte libero che servile. 9 il tribuno riferì, presenti Ti-
gellino e Poppea: questi erano la consulta delle crudeltà del
prìncipe: il quale domandò se Seneca avea deliberato d' uc-
cidersi. Nò paura né maninconia, rispose, aver conosciuto
in sue parole 0 volto. « Orsù (disse) toma, e digli che
muoia. » Fabio Rustico narra che egli non tornò per la me-
desima, ma voltò a Fenio Rufo prefetto per sapere se a tal
comandamento da ubbidire era. Rispose che si; tanto fu in
tutti fatale la viltà. Benché Silvano era ' de' congiurati e
fomentava quelle scelerateze, alla cui vendetta avea già con-
sentito; pure di dare il comandamento a Seneca non ebbe
faccia nò voce: e fece entrare un centurione.
* disse appunto^ disse non più che questo.
' si valessero dell' amiciùa. Dati; « e eh' è sarebbe stato meglio che do*
mesiicamente e come buoni amici, eh* egli erano, avessero praticato e ragionato
' non far^ non essere utili.
* a studio j a bella posta , a bello studio.
* Benché Silvano era ec. Benché Silvano fosse ec... pure ce. Il postilla-
tore dell'esemplare Nestiano di G. Capponi, non avendo inleso il benché costruito
alla latina col verbo al presente^ mal corresse benché in perchè.
I. 34
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998 IL LIBRO QUINDICBUVO DEOLI AIWÀLI.
LXII. Seneca riposatamente chiedeo il suo testamento:
negandoglielo il centarìone, si toUò aUi amici, e disse:
« Poiché gli era tolto il riconoscerli de'lor meriti, lasciava
loro un bel gioièllo, solo rimasogli: l'esempio della saa yita;
della cui bontà ricordandosi, ayrebber lode di ri ferma ami*
cizia. 1» Cadendo loro le lagrime, li confortava o riprendeva:
a Ove esser la filosofìa? i rimedi per tanti anni studiati con-
tro a' soprastanti casi? chi non sapeva la crudeltà di Nerone?
nò dopo la madre e '1 fratello, rimanergli chi a uccidere, che
l'aio e '1 maestro? »
*LX1IL Dette tali cose quasi a tutti, abbraccia la moglie,
e alquanto intenerito Tammonisce, e prega « che temperi il
dolore; col tempo vi ponga pie; talleri il desiderio del marito
con l'onorato pìacero del contemplare la vita di lui virtuo-
sa. » Ella afferma voler morir seco, e chiede il fedilore. Air
lora Seneca per non le torre la sua gloria, nò lasciare si
amata donna preda alle ingiurìe, disse: « Io ti aveva mo-
strato addolcimenti alla vita: tu vuoi lo splendor della morte;
nò io lo ti terrò. Le nostre morti fiano coraggiose del pari; la
tua più chiara. » Così detto, si fanno segar le vene delle
braccia nel medesimo tempo: Seneca dì più quelle delle
gambe, e sotto le ginocchia; perché il sangue stentava a
uscire dì quel corpo per vecchìexa e poco cibo, risecco.
Vinto da qoe' dolori terribili, e per non farne sbigottire la
moglie, nò esso (vedendo que'di lei) inquietarsi, la persuase
a irsene in altra camera, e chiamando a ogni poco scrittori,^
dettò, di vena eloquente, concetti che, per esserne divolgate
le copie, non dirò lor sostanza.
LXIV. Nerone, perehé a Paulina proprio non voleva
male, e per non s'accrescer odio, manda soldati a non la-
sciarla morire: a' cui conforti schiavi e liberii fasciano le
braccia, fermano il sangue: né si sa se ella se n'accorse.
Imperocché come il popblo va sempre al peggiore, non
mancò chi credesse, lei, mentre disperò perdono, essersi
voluta far onore d'andarne col suo marito: venutale poi mi-
* scrittori. La Nestiana eia Corainianai scrittore: ho t^orretto sul testo
uadvoctttis scriptoribus, » Dubito anche di quell'a ogni pocOj di cui non ha
vestigio nel testo.
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IL LOBO QVOIDIGBSniO SUL! AMNÀLI. 399
gUoi» speransa, averla Tinta la dolceza della vita; che dorò
pochi anni, con lodata memoria del suo marito e col viso
smorto e le carni sbiancate *■ per lo molto spirito vitale osci-
toie. Seneca stentando a morire, prega Anneo Stazio, suo
fedele amico e medico , che gli porga certa cicuta molto prima
ripostasi, col qnal veleno in Atene morivano ì condannati;
piglialo, e non fa; ' per esser già le membra fredde e chiosi
i pori. £ntrò finalmente in bagno d'acqua calda, e aspersane
agli schiavi d'intorno, disse: Questo liquoek coNSAeRO a
GiovB LoBBAToaB. Portato poi in una stnfa; in qael vapore
spirò; e fa arso senza alcune esequie: cosi aveva disposto
quando era ricchissimo e potentissimo.
LXY. Si disse che Sobrio Flavio co' suoi centurioni fe-
cer consiglio segreto, sciente Seneca, che, morto Nerone,
con l'aiuto di Pisene, s'ammazasse anche lui, e si desse
l'imperio a Seneca, come innocente, ed eletto per chiaris-
sime virtù al sommo grado. E andava attorno di Subrio que-
sto motto: « Levarne un chìtarista, e porvi un tragediante,
non iscemar vergogna, p Perchè Nerone in su la lira, e Pi-
sene da tragico vestito cantavano.
LXYI. Non potettero più frodare la congiura ancora i
soldati, stomacando quelli che aveano confessato, il vedersi
da Fenio Rufo lor compagno esaminare. Minacciando egli,
e stringnendo forte Scovino a dir so; Scovino ghignò dicen-
do, « ninno sapere più di lui; » e lo conforta « a rendere il
cambio a si buon principe. » Fenio non parlò, e non tacque;
cosi gli si rappallottolaron le parole in bocca ' per lo spa-
vento. Onde altri, e Gervario Proculo con l'arco dell'osso *
si misero a convincerlo. Lo imperadore il fece da Cassio sol-
* sbiancate. Il postillatore dell'esemplare Kestìano di G. Capponi aggiunge
a maraviglia, per amore dell' ut ostentai esset del testo : ma forse di suo capo.
* piglialo, e non faj non produce T effetto. Lat.: « allatumque hausit
frustra, n
' gli si rappallottolaron le parola in bocca. Lat. : « verba sua praps»
diens. » Vedi quanto meo vivamente il Valeriani: «, titubandogli in sulle labbra
gli accenti. »
* con Carco delCosso, Lat. m maxime,,,, eonnisis, - Mettersi in una cosa
coli* arco dell'osso è adoperarvisi a tutt'uomo, con tutte le forse.
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400 IL UBIO QOWDICBSafO DIGU ABDIAU.
dato» elle gli stava appieno, per la sua roboateza pigliare e
legare.
LXYII. E qaei «i yoltarono a Sobrio FlaTio tribuno , il
qaale e allegava prima la disformità che un soldato prò' d'ar-
me, non si sarebbe messo con peggio che donne a cotanta
impresa. » Dipoi essendo tocco bene, * si risolvè a generosa
confessione: e da Nerone interrogato per qaali cagioni s'era
dimenticata la fede giuratali; « Odiaiti, disse: né avesti più
iédel soldato di me mentre meritasti amore. Cominciai a non
poterti patire quando uccidesti tua madre e moglie: fusti coc-
chiere, strìone, e ardesti Roma. » Ho messo le proprie pa-
role, perchè non son divolgate, come quelle di Seneca: né
men bello è sapere i detti d'un soldato , rori ma fieri. Ninna
cosa di quella congiura tanto alterò Nerone, il quale quanto
al fare le scelerateze era pronto; all'udirsele rinfacciare,
non usato. Commise il supplizio di Flavio a Yeiano Nigro
tribuno. Costui fece far la fossa nel campo vicino. Flavio
biasimandola, come piccola e stretta, disse a' soldati circon-
stanti: <K Né anche questo ha saputo fare: » essendogli detto
che porgesse il collo animosamente, rispose, <k Cosi '1 tagha-
stù. * » Tagliollo, tremando, a pena in due colpi; e per darsi
vanto d'averlo fatto patire, riferì avergli tagliato la testa con
un colpo e mezo.
LXYIII. Seguitò altro esempio coraggioso di Solpizio
Aspro centurione. Interrogato da Nerone perchè volesse con
gli altri ucciderlo; rispose breve, <k Per non potersi a tante
tue orribilità riparar altramente. » Allora con forte animo
pati sua pena, e gli altri centurioni non tralignarono. Fenio
Rufo fece il contrario, che insino al testamento impiastrò di
lamenti. Nerone aspettava che anche Yestino consolo fusse
nominato, tenendolo per nimico e violento: ma i congiurati
noi vollero, alcuni per vecchie nimistà; gli altri tenendolo
precipitoso, e da non convenire: ma l'odio di Nerone nacque
dalla troppa ìntrinsicheza, che li fece conoscere e sprezar la
viltà del prìncipe, ed ei temeva della ferocità dell'amico,
* essendo tocco bene, essendo viepiù incalsato.
* Così'l tagliastà^ coti il taglUssi to. Lai.: « UUnam tu tam foriiter
fefias, »
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IL UBEO QCINDICE9I1I0 DEGLI ARMALI. 401
che spesso il motteggìaya con faceiie amare; che quando
toccan nel vivo, si conficcano nella memoria. Ci s' aggiunse
nuova cagione, che Yestino, benché sapesse che Cesare era
ono degli adalteri di Slatilia Messalina, la sposò.
LXIX. Non potendosi adanqoe, ove non era peccato nò
accasa, dar figura di giudizio, giocò d'autorità: e comandò
a Gerelano tribuno, che con una corte di soldati andasse e
prevenisse il consolo, pigliando il suo palagio, eh' era a ca-
valiere alla piaza, quasi una rocca: opprimesse quella gio-
ventù scelta che e' teneva per suo servigio, bella e d' una
stessa età. Avendo egli quel giorno fomite le faccende del
consolato, faceva un convito, senza alcun timore, o lo vo-
leva coprire: la soldateria entrò: fu detto che il tribuno l'at-
tendeva: e' fittosi e chiuso in camera, venuto il cerusico,
segatogli le vene e messo in bagno caldo, tutto fu uno, senza
parlare, o mostrar dolore: i convitati fur presi, e sostenuti
sino a meza notte: quando Nerone immaginatosi la battisof-
fiola^ di que' poveretti aspettanti la morte, rìdendo disse,
avere essi delle vivande consolari ben pagato lo scotto.*
LXX. Appresso comandò la morte di M. Anneo Lucano
che, vedendosi versare il sangue, freddandoglisi i piedi
e le mani, partendosi a poco a poco lo spirito dall' estremi-
tadi, avendo ancora il petto caldo e la mente sana; recitò
certi suoi versi sopra un soldato ferito, e come lui morien-
te; e con questa ultima voce spirò. Senecione poscia, Quin-
ziano e Scovino, vissuti effeminati, morirono virilmente: gli
altri senza detto né fatto memorevole.
LXXI. Roma era piena di mortòri; campidoglio di vit-
time. Cui morto era figliuolo, fratello, parente o amico, ne
ringraziavano gì' iddii, ornavano le case d'allori, abbraccia-
vano a Nerone le ginocchia, straccavanlo co' baciamani. ISà
credendo farsi per gaudio, perdonò ad Antonio Natale e a
Cervario Procolo per guiderdone de' tosto rivelati indìzìi.
Mitico fu fatto ricco, e si pose quel nome greco che significa
* la battitoffiola, la paura. Vedi Jnn. V, -IO, e la postilla del tradutton
a questo luogo. Vedi pure il Varchi nell* Ercolano.
S pagato /• Moifo/ per metaf. «pagato il 60. « Lat; msatU supplica
luisse, »
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402 IL LIBBO QUINDICESIMO DEGLI ANNALI.
conservadore.* De' trìbani, Graoio Silvano, benché assolato,
b' ammazò di sua mano: e Stazio Prossimo si tolse il per-
dono di Cesare con fine stolta.* Pompeo, Cornelio Marziale,
Flavio Nipote, Stazio Domizio tribuni, per aver avuto no-
me, non fatti, d'odiar il principe, furon cassi. Mandati in
esilio Nonio Prisco, come amico di Seneca, e Glizio Gallo e
Annio Pollione, più bociati,' che convinti. Antonia Flavilla,
moglie di Prisco, e Egnazia Massimilla di Gallo andarci! con
essi con gran riccheze salvate loro, poi tolte; e Tana cosa
e r altra accrebbe lor gloria. Furono scacciati Rufo Crispino,
sotto ómbra della congiura, ma per odio di Nerone, per es-
sere stato marito già di Poppea; e Virginio Rufo per lo suo
troppo nome, perché egli insegnando eloquenza, e Mosonio
filosofia, si tiravan dietro la gioventù. Date per confino Y ìso-
le dell'Arcipelago, come in branco, a Ciuvidìeno Quieto,
Giulio Agrìppa, Blizio Catulino, Petronio Prisco, Giulio Aiti-
no. Cacciati dell' Italia Cadicia moglie di Scovino e Cesenio
Massimo, che d' essere stati rei s' accorsero solo alla pena.
Atilla madre di Lucano non fu prosciolta, ma passata.^
/ LXXIL Fatte queste cose Nerone parlò a' soldati, e donò
cinquanta fiorini per uno, e il grano, solito già da loro pa-
garsi al pregio corrente. Indi chiama il senato a contargli
queste quasi gloriose fazioni di guerra, e dona le insegne
de' trionfanti a Petronio Turpiliano stato consolo, a Cocceio
Nerva eletto pretore, a Tigellino prefetto de' pretoriani. Ti-
gellino e Nerva cotanto innalzò, che, oltre alle immagini
trionfali nel foro, rizò loro le statue dinanzi al palagio. Le
insegne di consolo diede a Ninfidio. Dì costui, non venutomi
prima alle mani, darò breve notizia, come parte anch' egli
delle miswie dì Roma. Sua madre fu libertina, bella, e cosa
dì liberti e schiavi de' principi: facevasi figlinolo di Gaio Ce-
sare, abbattendosi ad esser grande, ^ e d' aspetto terribile: o
* conservadorej IwTijpos, Solerò.
' conine stolta» Lat. t « veniam quam ab imperatore acceperat vani-
tate exitat corrupìt,
' più baciati ec. Lat. t « infamati* magis guam convictis» •
* passata jdhnmvìhu, Nerotie mostrò dlmenticarseiie.
S abbattendosi ad essei grande j esMndo, « oa*0| grande della perdona.
Lat. t m/orte quadam habitu }V'ocerus. m
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IL LIBRO QOINDiaSSIMO DEGLI ANNAU. 403
forse perchè Gaio Cesare, che randagio era,* con sna madre
si trastullò.
LXXIII. Nerone fatta a' padri saa diceria, bandi al po-
polo i condannati, e fece registrare a' libri publìci i lor pro-
cessi per r appunto: per chetar le: Ungne che lo laceravano
d' avere spento tanti uomini dabbene per odio o paura. Ma
del principio, progresso e fine di questa congiura non fu du-
bitato allora da chi volle saperne il vero, e confessato da
quei che in Roma tornarono, morto Nerone. I senatori cui
più toccava a piagnere, più adulavano. Giulio Gallione fratel
di Seneca raccomandava la salute sna pieno di spavento. Sa-
lieno Clemente il chiamava nimico, parricida; e tutti i padri
gli dettero in su la voce: non misurasse l' occasione de' mali
pubblici contro agli odii privati: né stuzicando rinciprignisse
la piaga * dello sdegno del principe già risaldata.
LXXIV. Ordinaronsi offerte e grazie alli iddii, e spe-
ziale onore al sole nel suo tempio antico presso al Cerchio,
dove s' aveva a fare lo eccesso: per averlo quella divina luce
scoperto. E che a Cerere nel Cerchio più palli di barberi si
corressero; e che il mese d'aprile si chiamasse Nerone:
g' edificasse un tempio alia Salute in quél luogo onde Scovino
cavò il pugnale, il quale Nerone consagrò in campidoglio, e
scrisse, A Giove Vindice; né fu allora considerato: ma dopo
la sollevazione di Giulio Vìndice s' avverti come agurìo della
futura vendetta. Trovo nelle cronache del senato, che Ce-
nale Anizio eletto consolo disse per sentenza, che quanto
prima a spese pubbliche si facesse un tempio al divino Ne-
rone, intendendo egli che Nerone dovesse esser adorato da-
gli uomini, come più che uomo. Ma fu rivoltato a uria della
sua morte, ' perchè ninno principe s' onora come iddio men-
tre vive tra gli uomini.
' randagio era, cagante cacciatore d'incerta Tenere.
8 uè stuAicando rinciprignisse la piaga j la TÌacrodisae , la iDvelcmsM*
' Ma fu rivoltato a uria della sua morte ^ fu interpretato come presagio
della sua morte.
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404
IL LIBRO SEMCESMO DEGLI ANNALI
DI
GAIO C08WELI0 TACITO.
SOMMARIO.
1. Nerone da fortuna beffato per Cesellio Basso che da pasco Teniasi
•copritore di tesori io Africa. — III. Dalla vana speme cresce il lusso. —
IV. Festa de' Gincni' anni : canta Nerone a gran noia del popolo e rischio di Ve*
spasiano. — VI. Maore Poppea: n'ò seoolto, imbalsamato il corpo; ma ha po-
biico mortoro. — VII. 0. Cassio, L. Silano esiliati: Lqiida lasciata al giadizio
di Nerone. — X. L. Vetere, Sestia e PoUozia morti. — XII. Cangiati i nomi
a'mesi. — XIII. Tempeste e morbi. -^ XIV. Anteioe Ostorio a morte. — ^XVII. Va
con loro Anneo Mela, Cenale Anirìo, Rofio Crispino, C. Petronio. — XX. Si.
lia esiliata. — XXI. Nerone contro virtù inviperito più gravi reati affastella
contro Tresca Peto e Barca Sorano : Servilia figlia di Sorano al paterno de-
stino ò onita : tor eostanxa invitta : han la' seelta della morte : premiati gli ao-
cosatorì Eprìo Cossnziano^ Ostorio Sabino. — XXXV. Morte di Trasea, Sorano
e Servilia : esili! di Paconio e Elvidio.
Carso dt «m omio.
A«. ai B. «««X. (di o. «). -co^. { l S-^^r-
I. Volle di poi la fortuna la burla di Nerone,* si debole,
che credette a un sogno d' un mezo matto cartaginese detto
Cesellio Basso. Costui venne a Roma, e comperata T udienza
del prìncipe, gli rivela aver trovato in un suo campo una
caverna altissima piena d'oro non coniato, ma rozo e all'an-
tica; esservi mattoni massicci, e da un' altra parte ritte co-
lonne: il tutto stato occulto tanto tempo, per accrescere sua
fortuna. Credersi che Bidone di Fenicia fuggita da Tiro,
quando ebbe edificata Cartagine, nascondesse quel tesoro,
perchè quel nuovo popolo non insolentisse per la troppa rie-
cheza; o la cupidigia del rubarla non accendesse li re di
Numidia, nimici per altro,' a far guerra.
II. Nerone adunque senza intendere chi colui fusse; che
« Volle».. U burla ec. Lat. : « Inlusit Neronij » si fece gioco ec.
' nimici per altro ^ nemici anche per altre cagioni.
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a UBSO 8EDICE8I1IO DBALI AMlf ALI. 40tf
riscontri desse di tanto tesoro; senza mandare in so '1 luogo
a riconoscerlo, è il primo a pnbblicarlo; e manda per esso,
quasi per conquistata preda, galee rinforzate di ciarma, per
più arrancare.* Il popolo, non men corrivo, in que' giorni
d' altro non ragionava; ma diversamente. £ facendosi per
ventora lo spettacolo de' secondi Ginqn'anni;* presero qaindi
materia i dicitori di lodare il prìncipe, che gì' iddii non poro
gli faceano nella faccia della terra nascer le solite biade, e
nelle viscere tra ì metalli generar V oro; ma con fecondità
nuova gli ammannavano' i tesori: con altre adulazioni, non
meno che faconde, servili, fidati in sua leggereza.
IIL Accresceva con questo vano assegnamento lo spen-
dio: fondeva le facoltadi* antiche, quasi fornito per molti
anni da spamazare' le nuove, e già ne assegnava gran do-
nativi; e le riccheze in erba impoverivano l'universale. Per-
chè Basso «oviglìato tutto il suo campo,* e gran paese vici-
no, giurando esser qui, esser qua la prelibata caverna; aiu-
tato non pure da' soldati, ma da' contadini, popoli coman-
dati, alla fine uscito del pecoreccio,^ con sua maraviglia
' per jrià arrancare. Arranearej o andare a voga arrancata^ Tale vù'
gare a gran forza di remi^ forse perchì» nel Temare si fa Tatto della persona che
fanno i ranchi correndo.
S de' secondi Cinquannij facendosi per la seconda volta lo spettacolo quin-
quennale.
> ammannavanoj appareochtayano. Ammannare o ammannire Tale prò*
prianaente preparare che che sia ad alcnno, senaa che questi ne abbia fatica o di-
sturbo; e, s*io non m* inganno^ viene dalla manna j cibo apparecchiato da Dio
agli Ebrei nel deserto: che se ciò fosse, mal sarebbe riferito a questo verbo nel Dia.
del M anuni il proverbio Ammanna ch'io lego, cioè « fa' il mannello o mani-
polo ed io lo lego. » Il Politi, Tac. Ann, 1, 39, usò ammannime per la roba ara-
mannita , vocabolo buono e da aggiungersi al Vocabolario , e sulla cui analogia
vanno mangime, lettimej vocaboli de' nostri contadini toscani , che significano
roba da mangiare o da fare il letto per le bestie.
* fondeva lefaeoiiadi. Dante t « Biscaua e fonde le sue facultadL *■
8 spamazare, scialacquare. Vedi Stor. 1 , 5K).
* rovigliato tutto il tuo campo, Rovigliare o rovistare sta qui in senso
traslato per scavare, Lat. : m effotso agro suo. »
7 uscito del pecoreccio. Questa locuaione significa : Venire a capo d'un
affare imòrogliatoj dice la Crusca» recando questo esempio. Ma qui parmi abbia
altro senso. Infatti il latino dice posita vecordia « uscito della sua sdocchessa. »
E tale credo sta il senso proprio di pecoreccio e non gi^ d* imbroglio o affare
imbrogliato. E sd>hene si chiamano pecorecci gli imbrogli, s* ha però da inten*
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400 IL UBEO SBDICBSDIO DBGU ANNAU.
d'aver sognato il non vero, non mai più interTenologli, per
vergogna o paura s* accise. Altri dicono che ei fa preso, e
poi lasciato, toltogli i beni in vece del gran tesoro reale.
lY. Venendo il tempo di fore detto spettacolo, il senato,
perchè l'imperadore non facesse la indegnità del montare in
iscena, gli offerisce le corone dovute al sovrano cantatore e
dicitore. Rispose, che non le voleva per aatorìtà, né per far
vore, con far torto adorano; ma per meritata sentenza.
Prima cantò suoi versi: e gridando il popolo « che mostrasse
ogni suo sapere » (cosi disse), osservò nel teatro tutte le re-
gole del ceterizare. Stracco, non sedere; il sudore con altro
che con la vesta propria non rasciugare ; non si spurgare,
né soflQare; e quando finito ebbe, s'inginocchiò al popolo,
adorandolo con le man giunte, e attendeva, tremoroso mo-
strandosi, la sentenza. La plebe romanesca, usata aiutare ì
gesti ancora degli strioni, gli rispondeva con le battute,
tuoni e applausi misurati, che parea lieta (e forse era) di
questa vergogna pubblica.
y. Ma i venuti per ambascerie o lor faccende da lontane
città 0 Provincie, retignenti^ ancora i costami gravi d'Italia
antica, o non pratichi a quelle follie, non le potevan ve-
dere, né sapeano imitare. Non battevan le mani a tempo,
guastavano gì' intendenti;' e bastonavangli spesso i soldati
messi per li gradi, perchè non seguisse pur un grido scor-
dante, o trascurato silenzio. Certo fu, molti cavalieri nella
calca, volendo passar innanzi, essere affogati: altri, per lo
disagio continuato di e notte, ammalati a morte: essendovi
molti occulti e palesi appuntatori di chi vi mancasse, o stesse
tristo 0 lieto. A' deboli subito far dati i supplizi; a' grandi,
i frutti dell'odio poco tempo dissimulati. Vespasiano,' che
dere quegli ne* quali la nostra o 1* altrui scioccheita ci ha coadotti. B tal voca-
l>olo Tiene manifèstamente da pecora, animale balordo! e pecora e pecoroni sì
chiamano gli sciocchi.
' retigneuti, che ritenevano, conservavano memoria ec. Manca al Vocabo-
lario.
* guastavano grintendenU, sturbavano l'ordina di coloro che erano pra-
tici in cosi fatta finsione.
S Vespasiano, Svetonio in Fesp. 4; « Essendo in compagnia di Nerone
quand'egli andò in Acaia, avtva per costume , quando taso Ntrona cantava , di
I
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IL LIBEO SEDICBSIMO DEGÙ INNALI. 407
per sonno inchinava, dicono che ne toccò nna grida da Febo
liberto, e valsegli aver baoni amici, o soprastargli maggior
fortuna.
VI. Finita la festa, Poppea mori d'un calcio, datole il
marito^ crucciato, nel ventre pregno. Alcuni scrìvono di ve-
leno, con più odio che verità ; poiché n'era innamorato, e
bramava figliuoli. Il corpo non fo al modo de' Romani arso;
ma, de' re stranieri, imbalsimato , e riposto nel sepolcro de'
Giulii:' ma con publìche esequie, ove egli la lodò in rin-
ghiera dall'essere stata bella, madre della divina infanta,* e
da altre fortune, in vece di virtù.
VII. Alla morta Poppea, pianta di fuori, e risa dentro,
come donna disonesta e crudele, Nerone si rincappellò nuovo
odio,* vietando l' intervenire all' essequie a Gaio Cassio,'
come troppo ricco, e dì gravi costumi (che fu l'annunzio del
suo poco indugiato male), e a Silano per niun altro peccato,
che per esser giovane troppo onesto e nobile. Mandò adun-
que una scrittura al senato, che questi due si levassero dalla
republica, perchè Cassio teneva tra le immagini de' suoi
maggiori quella di Gaio Cassio, intitolata Capo di Paetb, e
cercava i semi di guerra civile, e ribellione della casa dei
Cesari: e oltre alla memoria di quel suo nome fazioso,
metteva per capo alle novità L. Silano, giovane nobile e ri-
soluto.
Vili. E lui trafisse, che si dava già, come Torquato*
suo zio, pensieri da imperio, tenendo liberti per segretari,
cancellieri, computisti: cose vane e false; perchè la rovina
panini il pia ddle volte» o TeramenU addormentarli; di che Nerone in modo ti
corruccio seco, che non solamente gli fu vietato 1* entratura di casa di queT'pria-
cipe, ma ancora il salutarlo in pubblico. »
* datole il marito, dal marito.
S net sepolcro de'Giuliit ricordato soprai III» 8.
' di^na infanU. Vedi L XV, S3.
* si rincappellò nuovo odio. Bine appellare h aggiungere nuova quantitìi
d'una cosa, quasi mettendosi un cappello sopra un altro. 11 popolo ]*usa sola*
mente parlando deDe infermiti. Odio rincappellato trovasi anche nelle Star. I,
72. E nel primo tentativo di traduaione indìrixsalo al Pinelli (Vedi in fine) leg-
gcsi (e. 9): onori rincappellati o nuovi.
« Gaio Cassio. Vedi XV, 62.
* Torquato, Vedi il lih. antecedente, e. 36.
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408 IL LIBEO t»DICBiI]fO DB«U ANNALI.
del zio insegnò a Silano guardarsene. Fece poi da falsi rap-
porl^tori accasar Lepida ^ moglie di Cassio, zia di Silano,
d'aver nsato con esso nipote suo, e fatto incantesimi. Ag-
giagnevansi come consapevoli Yolcazio Tnllino e Marcello '
Cornelio senatori, e Calpomio Fabato cavaliere, i quali in
sa lo scocco della sentenza contro, s' appellarono al principe,
cbe, in più orrende scelerateze invasato, non li attese; e
scamparono.
IX. Il senato rimise Lepida a Cesare: confinò Cassio in
Sardìgna; ove andò, e s' aspettava il suo fine. Silano come
per condurlo in Nasse, fu posato a Ostia: poi chiuso in fiari,
terra di Puglia; e sopportava il caso indegno con prudenza.
Venne il centurione ad ammazarlo, e voleva eh' ei si segasse
le vene: disse, voler morire, ma non già che egli se ne po-
tesse vantare. Il centurione vedendolo, se ben senz'arme,
poderoso, invelenito e senza paura, disse assoldati che gli
8* avventassero addosso. Silano si difese, e con le pugna,
quanto poteo s'aiutò, sino a che dal centurione con istoc-
cate dinanzi, quasi in battaglia, fu amm^zato.
X. Non meno coraggiosi morirono L. Yetere ^ e Sestia
sua suocera e Polluzia figliuola: visi odiosi al principe, che
vivendo gli rinfacciavano la morte di Rubellio Plauto * ge-
nero di Yetere. L'occasione fu, che Fortunato suo liberto,
avendo mandato male le facultà del padrone, si volse ad ac-
cusarlo, e prese per compagno Claudio Demiano, incarcerato
da Yetere viceconsolo in Asia, come ribaldo; e Nerone lo
liberò in premio dell'accusa. II che come Yetere intese,
d' avere a stare con suo liberto a tu per tu, ' se n' andò in
villa a Mola, ove gli fu posta guardia di soldati occulta. Bravi
la figliuola, oltre a questo spavento, piena di lungo e rab-
bioso dolore, avendo veduto dicoUar Plauto suo marito; ab-
bracciato la testa; raccolto il sangue; riposto i panni tinti;
preso i vedovili; voluto vivere per pianger sempre; mangiato
< Lepida. Vedi Ub. TiUl, 1.
S Marcello: è ricordato anche nelle Storie 1 , 37.
» L. rc/cre. Vedi lib. XIII, i4.
• Ruhellio riauto. Vedi lib. XIV, 68.
■ stare,» a tu per tu, a conlraslo. Cosi anche lih. Xlil, 20.
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IL LIBRO 8BDIGBS1M0 DEGLI ANNALI. 400
solo quanto non la lasciasse morire. Il padre la eonsìgtiò ir^
sene a Napoli. Non avendo da Nerone udienza, assediava la
porta; ora con donnesche strida, ora con maschie puntare
sclamava: « Udisse lo innocente: non desse chi fu seco con-
solOy in preda a un liberto. » Con tutto ciò non mosse il prìn-
cipe a pietà, nò a paura d' odio.
XI. Onde ella rapportò al padre, che tagliasse ogni spe-
ranza, e s' accomodasse: e nel medesimo tempo seppe che il
senato gli sguainava orrìbil sentenza. Alcuni volevano eh' ei
facesse reda Cesare d'una gran parte, per salvare il resto
a' nipoti: non gli pìacq[ue; per non macchiare nel fine di
brutto servaggio la vita sua, tenuta poco meno che libera: e
donò alli schiavi suoi tutto il danaro: con licenza di portar-
sene tutto r arredo, fuor che tre letti per l' esequie: e entrati
in una camera, col medesimo ferro si segano le vene; e tosto
con una sol vesta addosso, per fuggir vergogne, entran ne'
bagni, e guatansi: il padre la figliuola; l' avola la nipote; ella
loro; e fanno a chi più prega che il suo fiato esq^ tosto, per
lasciare gli altri sopravviventi quel poco. La fortuna al mo-
rire osservò l'ordine dell'etadi. Doppo la sepoltura furono ac-
cusati e dannati a morir di capestro. Nerone disse: «e No;
muoian pur a lor modo: » cosi schernivano per giunta li uc-
cisi.
XII. A P. Gallo cavalier romano fu tolto acqua e fuoco,
per essere stato intrìnseco di Fenio Rufo, e non alieno da
Yetere: il suo liberto, che l' accusò, ebbe in premio dell' ope-
ra il sedere nel teatro tra' mazieri * de' tribuni. Al mese che
segue aprile (che si dicea Nerone) fu posto nome Claudio, in
vece di maggio: a giugno, Germanico; mutato il nome di
giugno per consiglio di Cornelio Orfito, avendo due Torquati
uccisi per iscelerateze rendutolo allora infelice.
XIII. Questo brutto anno per tanti eccessi fu segnato
ancora dalli iddii con malattie e tempeste. In Terra di lavoro
nodi di venti * abbatterono ville e arbori e seminati sin presso
a Roma; dove orribile pestilenza fece d'ogni generazione
* masieri. Lat. : « viatoreSj » TÌatoTi ; il cui ufficio era à* accompagnare i
tribuni, come i maBcieri accompagnavano la signoria nella repubblica di Firense.
* nodi di venti, turbini di venti.
I. 55
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410 IL LIBRO SEDICESIMO DEGÙ ANNALI.
mortalità Infinita senza conoscersi aria corrotta. Erano le
case piene di cadaveri, le strade d' esequie; non sesso, non
età ne campava; morivansi di sabito lì scliiavi e la plebe li-
bera: molte mogli e figlinoli, guardando e piangendo i morti
loro, nella medesima catasta erano arsi. Cavalieri e senatori
per tutto come gli altri morìeno, ma meno Jagrimevoli, come
tolti dalla comune sorte alla crudeltà del principe. Nel detto
anno furon fatte per la Provenza, Affrica e Asia nuove de-
scrizioni di soldati, per rifornir le legioni d' Illirìa in luogo
de' vecchi e infermi, che si licenziavano. Furono i Lionesi
sovvenuti dal prìncipe di centomila fiorini d' oro, per rìstau-
rare r arsione di quella città: tanti ne aveano essi offerti ne'
travagli pubblici.
XIV. [A. di R. 819, di Cr. 66.] Nel consolato di Gaio
Svetonio e L. Telesino, Antistio Sosiano confinato, come
dissi, per brutte pasquinate * contro a Nerone, veduto essere
tanto onorate le spie, e'I prìncipe cosi pronto alle crudeltà;
inquieto e desto aUe occasioni, si fa amico a Fammene, quivi
confinato anch' egli, famoso indovino, perciò fornito di grandi
amici. Vedegli venire tutto di messaggi; far consulte che non
pensava essere a caso. Sente che egli è provvisionato da P.
Anteio, il quale sapeva esser odioso per amor d'Agrippina
a Nerone: ricco da essere adocchiato, premuto e rovinato
come molti altri: e che fa? acchiappa le lettere d' Anteio, e
le nascite e pronostichi che Pammene avea fatto della vita
di lui, e di Ostorio Scapola, * e scrive al principe che, se gli
dava un po' di salvo condotto, gli porterebbe cosa importan-
tissima alla sua salute: perchè Anteio e Ostorio aspiravano
allo stato, e facevansi fare la ventura loro e di Cesare. In
caccia e 'n furia sono spedite foste. Sosiano è condotto ; e, sa-
putosi il suo rapporto, Anteio e Ostorio furon tenuti più per
condannati che rei. Ninno voleva suggellare il testamento
d' Anteio, se Tigellino non era che prima ne l' aveva solleci-
tato. Egli prese il veleno; e perchè non faceva ' cosi presto,
si tagliò le vene.
* pasquinate. Vedi sopra XIV, 48.
S Ostorio Scapola: ne ha già parlato lib. XII , 31 ; e XIV» 48.
S non faceva, non prodaceva l'e&tto. Cosi sopriy lib. XV: « Seneca...
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IL LIBEO SEDICESIMO DEGLI ANNALI. 411
XY. Ostorìo allora villeggiaya ne' confini di Ligoiia, oye
fii mandato an centurione, che l' ammazasse subito: perchè
a Nerone 9 codardo per natura, e allora spaventato per la
congiura, pareva sempre vedersi quel gran bravo alla vita ,
ornato in Britannia di corona civica , di gran persona , ro-
bustissimo, scaltrissimo in arme. Giunto il centurione alla
villa, prese le porte, e fece il comandamento del principe a
Ostorìo; il quale voltò in se stesso la forteza sua, usatissima
contro a' nimici; e perchè delle vene, benché aperte, usciva
poco sangue; si fece da uno schiavo non dare, ma tenere un
pugnale alto e fermo; presegli la destra, e scanno visi.
XYL Noioso e dispiacevole sarei a me e ad altri, a
raccontare tanti e simiglianti casi dolenti e continui, quando
fossero di guerre forestiere e di morti per la republica, non
che di tanta servii pacienza, e di tanto sangue straziato in
casa, che mi travaglia e m'agghiaccia il qoore. Ma io non
addurrò a chi leggerà altra scusa, se non che odio alcuno
non m'ha mosso contro a' morti cosi vilmente. Né poteasi
quell' ira divina contro i Romani dire in una sol volta, e pas-
sare, come quando sono sconfitti eserciti e sforzate città. Do-
nisi a' discendenti de' gran personaggi, che si come hanno
sepolcri propri! , e non con gli altri comuni, cosi abbiano
nella storia, memoria particolare di lor fine.
XYII. Indi a pochi giorni quasi in branco morirono
Anneo Molla, Ceriate Anicio, Rufo Crispino, Gaio Petronio.
Mella e Crispino, degni cavalieri, pari a' senatori. Questi f^
prefetto de' pretoriani, ebbe le insegne da consolo; dianzi
per la congiura scacciato in Sardigna, *■ inteso d' aver a mo-
rire, s' ammaza. Mella, fratello di Gallione e di Seneca, non
chiede onori per fine vanagloria d'esser potente, cosi cava-
liere, come i consolari; e parergli il maneggiar negozi del
principe più breve via d' arricchire. Fu padre d' Anneo Lu-
cano, grande aiuto al suo splendore: e quando fu morto, nel-
r inventariare minutamente la roba sua, concitò Fabio Ro-
mano intrinseco di Locano, a rapportar per congiurato anche
prega Anneo Staùo.... che gli porga certa cicuta.... col qual veleno in Atene mo-
rivano i condannati: piglialo y e non fa. »
* scacciato in Sardigna Vedi lib. XV, 71.
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418 IL UBIO SIDICBSmO DBQU aunali.
lui» per lettere del figliuolo contraffatte, le quali come Neron
▼ide, le mandò a Molla, facendo all' amore con quella roba.
Egli ù segò le veni *■ (modo allora di morire più pronto): fece
teslamento con grossi lasci a Tigellino, e a Gossuziano Ga-
]»tone suo genero, per salvare il rimanente: dissesi in oltre
avere scrìtto, come lamentandosi, « eh' e' moriva senza ca-
gione; e Rufo Crispino, e Anicio Gerìale, * nimici del prin-
cipe, trionfavano, i» Giò credettesi finto; perchè Crispino era
già stato ucciso; e acciò s'ammazasse Geriale, il quale n<m
guari dopo s' uccise: e ne increbbe meno, ricordandosi la br^
gata che egli scopri la congiura a Gaio Cesare.
XVIIL Di Gaio Petronio comincierò più da longe. U
giorno dormiva, e la notte trattava le faccende e i piaceri.
Come agli altri l' industria, a lui dava nome la tracuranza:
fondeva sua facoltade non in pappare e scialacquare, come
i più; ma in morbideze d' ingegno. Quanto più suoi fatti e
detti pareano liberi e naturali, tanto più, come non affettati,
piacevano. Viceconsole in Bitinia, e poi consolo, riosci desto,
e intendente. Ridato a' vizi, o lor somiglianze, diventò de'
più intimi. Fu fatto maestro delle delizie: ninna ne gustava
a Nerone in tanta dovizia, che Petronio non fosse arbitro.
Onde nacque invidia in Tigellìno, eh' ei seco competesse, e
de' piaceri fosse miglior maestro. Adoperando adunque la
crudeltà, più possente nel principe d' ogn' altro appetito, cor^
rompe uno schiavo a rapportare che Petronio era tutto di
Scovino: non gli ò dato difesa: la famiglia quasi tutta rapita
in prigione.
XIX. Cesare per sorte era venuto in Terra di lavoro,
e Petronio giunto a Cuma, vi fu ritenuto: ma non corse a
torsi la vita: fecesi tagliare le vene, poi legare, per iscio-
giierìe a sua posta, e disse alli amici parole non gravi, nò
da riportarne lode di costante. E fecesi leggere non l'im-
mortalità dell' anima, non precetti di sapienti; ma versi pia-
cevoli. Ad alcuni schiavi donò; altri fé' bastonare; andò fuori,
dormi; acciò la morte, benché forzata, paresse naturale. Non,
come molti che morieno, adulò nel testamento Nerone o Ti-
4 le veni. Cosi; mentre altrove, quasi Monpic, vena»
« Jnicio Ceriale. Vedi lib. XV, 74.
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IL UBEO SBDlCBSUfO DEGLI ANNALI. 413
gelllno o altro potente; ma al prìncipe mandò scrìtte le sue
rìbalderìe con tutte le soe disoneste fogge, sotto nome di
sbarbati e di femmine: e le sigillò, e ruppe l' anello, perchè
non fusse adoperato in danno d* altrì.
XX* Maravigliandosi Nerone in che modo le notturne
invenzioni si rìsapessono, si rìcordò che Silia, donna cono-
sciuta come moglie d^ un senatore e sua, tolta in ogni spor-
cizia, era tutta di Petronio; e cacciolla in esiglìo per odio,
ma sotto colore d' aver ridetto quanto avea veduto e patito.
All'ira di Tigellino sagrificò Numicio Termo stato pretore,
perchè un liberto di Termo diede certa brutta accusa a Ti-
gellino, della quale pagarono il fio, quegli, con tormenti cru-
deli, e '1 padrone, con morìe iniqua.
XXI. Fatto di tanti grandi uomini si crudo scempio;
volle Nerone spiantare anco la stessa virtù, ammazati Barea
Sorano e Trasea Peto: mal visti prìma, e Trasea per nuove
cagioni, dell'essersi uscito di senato, quando si trattò
d' Agrippina, come narrai, * e dell' averlo ne' giuochi giove-
nali poco servito: il che gli cosse ancor più, perchè Trasea
in Padova, sua patria, ne' giuochi del cesto, ordinati dal
troiano Antenore, cantò in abito tragico. 11 giorno ancora
che si condannava a morte Antistio pretore ' per versi com-
posti contro a Nerone, fu di più dolce parere, e vinse. E
quando si decretavano divini onori a Poppea, non volle tro-
varsi all' essequie. Le quali cose ricordava Gossuziano Capi-
tone, ' rovinoso al mal fare, e nimico di Trasea, che presola
per li ambasciadorì ^ di Gilicia, querelatisi delle rapine di
Capitone, il fece con l' autorità sua condannare.
XXII. Rimproverava oltre a ciò a Trasea ce che egli
sfuggiva di dare il giuramento ogni capo d' anno. Sacerdote
de' quindici, ^ non veniva a fare i voti, né mai sagrificò per
la sanità del principe, e sua voce celeste. Quel tanto aflfan-
noso in dare orma ad ogni partituzo del senato, da tre anni
* come narrai j 13). XIV , iS.
S Antittiù pretore. Vidi XIV, 48.
S Cosstiziano Capitone. Vedi XII I, 33.
* presola per li ambasciadorì, avendo preso a faTOrire ec.
S Sacerdote de' quindici ec. Vedi Jnn. VI, i3, e IV, 17.
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414 IL LIBIO SBDICBflIlfO DB6LI ANNALI.
in qaa non vi capita. L' altrieri, che al gastigo di Silano e di
Vetere corse ogn' ano; egli attese anzi a' fatti de' snoi segna*
ci. Ciò ò ribellione e fazione; e se troppi Io segoiteranno,
sarà gaerra. Già per Roma, di discordie vaga, non si gri-
dava altro che Cesare e Catone: oggi te, Nerone, e Trasea.
Ha già suo segnilo, o più tosto quadriglia, * che non imitano
ancora la superbia de' suoi pareri: ma il vestir grave e il viso
buihero e accigliato, quasi rimproverano che tu sii dissoluta
Costui solo non t' ama sano: non ammira le tue m^die.
Delle cose liete del principe non fa stima: delle triste anche
non mai fie sazio? Viene dal medesimo mal' animo il non
credere Poppea essere iddia; il non giurare^ negli atti de' di-
vini Giulio e Agusto. Spreza le religioni; strapaza le leggi;
raccolgono le provincie e gli eserciti curiosamente ciò che fa
il popol romano di per di, per sapere quel che non ha fatto
Trasea. Osserviamo i suoi costumi se son migliori , o leviamo
capo e autore a chi vuol novità. Questa setta generò anche
alla vecchia republica gli odiosi nomi de' Ti&eroni e Favonii.
Per rivoltar lo stato gridano libertà: occuperannola, se lo ri-
voltano. Che prò l'avere spento Cassio, se lasci sormontare
chi imita f Bruti? Finalmente di Trasea non riscriver tu:
lasciane la determinazione al senato. » Esaltò Nerone il col-
leroso animo di Cossuziano, e gli aggiunse per compagno
Marcello Eprio di viva eloquenza.
XXIII. Già Osterie Salnno cavaliere aveva querelalo
Barea Sorano, venato più in odio a Nerone per industria e
giustizia usata in Asia viceconsolo, d' aprire il porto d' Efeso,
e non gastigare la città di Pergamo, che non lasciò ad Aera-
to ' liberto del principe poriar via statue e pitture. Ma le ac-
cuse erano l' amicizia di Plauto, e d'essersi guadagnata quella
provincia per far novità. U tempo del condannarìo fu colto,
quando Tiridate * veniva per la investitura del regno d' Ar-
' griadrigfia, ntisiìSiài; piccola mano di gente. Lat. : n satellites. -
Nel XIII con questo stesso vocabolo traduce il latino globus.
S i7 non giurare. Il postillatole dell'esemplare Ifestiano di Gino Cappooi,
corregge « che il non giurare. •*
» aerato; Vedi XV, 46.
* 2ÌWrfate.VediXV,29.
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IL LIBRO SEDICESIMO DEGLI ANNALI. 415
menia, acciocché qael romore delle cose di fuori non lasciasse
sentire te scelerateze di casa, o per mostrar maggiore la
grandeza imperiale, uccidendo i gran personaggi, quasi opera
regia.
XXIY. Essendo adunque corsa tutta la città a far corte
al prìncipe, e rincontrare il re; a Trasea fu vietato. Non si
perde d'animo: ma scrisse a Nerone, che s'ei vedesse la
querela, e avesse le difese, sì ginstifìcherehbe. Per quella
lettera Nerone pensò subitamente, che Trasea spaurito, si
fosse risoluto di alzar la fama e gloria del principe, e ab-
bassar la sua. Il che non riuscendo, ebbe paura di quello
spirito e volto libero e innocente; e chiamò il senato» Trasea
si ristrinse co' suoi, se dovesse tentare o sprezare la difesa;
e furon diversi.
XXY. Chi voleva ch'ei comparisse; « s'assicurava di
sua costanza: non direbbe parola che non gli accrescesse glo-
ria: i dappochi e timidi far morte oscura: vedesselo il popolo
incontrarla: udisse il senato quelle voci sopr* umane quasi
d'uno iddio: potrebbe la maraviglia muover lo stesso Nero-
ne: quando no; diversamente stimarsi da gli avvenire chi
gloriosamente, e chi per viltà tacendo muoia. »
XXYI. Chi voleva che egli non uscisse di casa, confer-
mava di lui le cose medesime; ce Ma s'ei patisse scherni e
oltraggi? esser pur me' sottramelo. Non esserci soli Eprio e
Gossuziano; ma altri forse pronti a manometterlo: la bestia-
lità di Cesare esser seguitata per paura anche da' buoni.
Guardasse più tosto esso senato, cui egli sempre ornò, da
tanta vergogna: lasciasse in dubbio quel che i padri vedutosi
innanzi Trasea reo, ne avrebbero deliberato. Che Nerone si
vergogni delle sue crudeltà, è folle speranza: anzi dee te-
mere che perciò egli non divenga più crudo contro la moglie,
la famiglia, e gli altri suoi più cari. Non oltraggiato, non
macchiato, seguendo que' saggi che gli ornaron la vita, fa-
cesse un bel fine. » Era in quel consiglio Rustico Aruleno,
giovane ardente, e per desio di laude offeriva, come tribuno
della plebe, opporsi alla deliberazion del senato. Trasea lo
raffrenò, « non entrasse in vanitadi ilon giovevoli al reo,
perniziose a se. Non dovere esso nel fine dell' età mutare lo
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416 IL LIBRO SKDICtSIllO DEGLI àfXHkU.
tanti anni continovato ordine della soa vita: a luì cominciare
allora i magistrati: T avvenire esser libero nel suo volere:
considerasse bene per quale sentiero voleva entrare in que-
sto tempo ai maneggi della repoblica. » Quanto al venire in
senato a difendersi o no, disse che ci penserebbe.
XXVII. La dimane fu preso U tempio di Venere (veni-
trice da due pretoriane coorti, e V antiporto del senato da più
togati con arme sotto, che si vedevano, e squadre di soldati
per le piaze e tempii. Per lo mezo di questi guardanti a tra-
verso e minaccianti, entravano i padri in senato: ai quali
voltato il questore del principe a nome di quello, senza no-
minare, alcuno, diede, un rabbuffo, ce che e' non badavano
alle faccende pubbliche, e insegnavano a' cavalieri romani
infingardire. Che maraviglia che non venga chi è ne' paesi
lontani, se gli stati consoli e sacerdoti non attendono che a
pettinare i giardini? » Con questo quasi spuntone ^ si fanno
avanti gli accusatori.
XXVIII. Gossuziano comincia, e Marcello con maggior
forza grida: « Cosa importantissima allo stato: la disubbi-
dienza de' minori guasta la dolceza del principe. Troppo hanno
i padri comportato la sedizione di Trasea, ed Elvidio Prisco,
suo genero, entrato nella pasia medesima, e Paconio Agrip-
pino odiatore di principi,' come il padre, e Curzio Montano,
di versi nefandi componitore. Io direi che in senato manca
un consolare, ne' voti un sacerdote, ne' giuramenti nn citta-
dino; se Trasea contro gli ordini e le cerimonie degli antichi
non si fosse dichiarato nimico e traditore. Venisse finalmente
egli, usato a fare il senatore, e difendere chi lacera il prìn-
cipe, a dar sentenze di quel voglia si muti o corregga: dan-
nando una cosa per volta, fora più sopportabile, che tutte
ora tacendo. Questa pace per tutto '1 mondo, queste vittorie
senza sangue gli dispiacciono? non si faccia contenta la prava
ambizione di chi de' beni pubblici si contrista; i fori, i teatri,
i tempii tiene per ispelonche: minaccia di volersene andare.
Questi nostri non gli paion decreti; non magistrati; non
* Con questo quasi spuntonCj quasi dardo. Lo spuntone e uo'anne in asta
a modo di lancia.
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IL LIBRO SEDICESIMO DEGLI ANNALI. 417
Roma Roma. * Crepi fuori di questa patria, di cui prima
levò r amore, e or ne fugge V aspetto. »
XXIX. Marcello tali cose dicendo, si scagUaya con vo-
ce, volto, occhi, minacce infocato; il senato si yedea so-
prappreso, non da quella maninconia solita per li tanti pe-
rìcoli; ma da più alto spayento e nuovo, del vedersi le mani
e r armi de' soldati addosso. Rappresentavasi Joro quella im-'
magine veneranda di Trasea; compatiyasi del povero Rivi-
dio: dovesse morire innocente per lo suocero, come già
Agrippino per la sola fortuna rea del padre per crudeltà di
Tiberio: e di Montano, buon giovane, scacciato per far mo-
stra del suo ingegno, non per versi infami composti.
XXX. Venne in campo Ostorìo Sabino ad accusare So-
rano, prima dell' amicizia con Rubellio Plauto, e delle sedi-
zioni nutrite nelle città deli' Asia, quando vi fu viceconsolo,
per farsi grande, contro al ben pubblico. Peccati vecchi:
a' quali annestò questo nuovo: che Servilia sua figliuola avea
dato danari a negromanti. Rila come tenera di suo padre, e
per l'età semplicetta, gli avea domandati, non d' altro, che
se resterebbe la casa in piede; Nerone placato; il giudizio
del senato non rigido. Fu messa dentro in senato dinanzi al
tribunale de' consoli: stette il vecchio padre a petto alla fi-
gliuola, minore dì venti anni; maritata dianzi ad Annio Pol-
lione, scacciato in esiglio: come vedova abbandonata, non ar-
dita di guardar suo padre aggravato per lei.
XXXI. L' accusatore la domandò se avesse venduto le
donerà,' o il vezo per far danari per gittar l'arte: prima
s'abbandonò e distese in terra: e dopo lungo pianto e si-
lenzio, abbracciò l'altare e le cose sante, e disse: a Non ho
dimonii scongiurato, né incantato: pregato solo, misera me,
che tu, Cesare, e voi, padri, salvaste questo mio ottimo pa-
dre, per lo quale avrei dato non pur le gioie e veste; inse-
gne della mia nobiltà; ma il sangue, se l' avesser chiesto, e
la vita. Quanto a costoro, i cui nomi e mestiere non mi son
noti; tal sia di loro. Il principe non ho io già mentovato,
' non Roma Roma, uè Roma gli paive jìù Roma.
' le donerà, i doni.
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418 IL LIBBO 8BDICB9IMO DB6U ANNALI.
86 non insieme con gì' iddii. Mio padre misero non ne sa
nulla: se e' è peccato, io l' ho. »
XXXII. Sorano non la lasciò finire, e sciamò, «e Che
ella non era venuta seco in Asia: non l'aveva Pianto per
reti conosciuta: non mescolata ne' delitti del marito: era
accusata della troppa pietà. Separassonla da se, che che di
se avenisse. i> Avventandosi l'uno al collo dell' altro, s'ìn-
framisono i littori. Vennero i testimoni: e quanta compas-
sione mosse la crudeltà dell'accusa, tanta ira concitò P. Egna-
zio testimone, già clientolo di Sorano: e ora per danari
veniva contro alla vita dell' amico: faceva lo stoico: s' era
esercitato a parer in abito e volto un santo; ma dentro per-
fido, maligno, avaro e insaziabile. La pecunia mandò in fuori
questi malori , e fecelo esempio di quanto sia da guardarsi dalli
scelerati e traditori , che ti fanno il buono e l' amico.
XXXIIL Esempio contrario diede quel giorno Cassio
Asclepiodoto tra i Bitinii ricchissimo, il quale come avea
Sorano venerato potente, cosi l' aiutò rovinante. E ne perdeo
tutto r avere e la patria... bontà delti iddii buoni.... e mali
insegnamenti. ^ Furono Trasea, Sorano e Servilia dannati a
morire a lor modo: Elvidio e Paconio scacciati d'Italia:
Montano conceduto al padre, ma perdesse cittadinanza: pre-
miati gti accusatori; Eprio e Gossuzìano di centoventicinque
mila fiorini per uno; Ostorìo dì trenta mila, con degnità di
questore.
XXXIY. Fu il questore mandato la sera dal consolo a
Trasea, che si stava al giardino visitato da molti uomini e
donne illustri: e molto intento era a Demetrio filosofo cinico:
e, secondo s' attinse dal volto, e da qualche parola più forte
e scolpita, il domandava della natura dell'anima, e dello
spirito uscente del corpo. Quando Domizio Ceciliano suo
^ E ne perdeo tutto l'avere e la patria.,., bontà delli iddii 6«oifi.... e
mali insegnamenti. Cosi leggesi neUa Nestiana e Comioìana. H'Dayansati, so-
spettando il loogo guasto, tradusse le parole, disperando del senso. Nel testo di
Baìtter e Orelli si legge: « eofutasque omnibus fortunis et in exilium actms,
aquitate deum erga bona malaque documenta j » che il Bnrnouf traduce per
approssimasione : « Ainsi lajustice des dieux opposa un bon exemple a u»
mattvais. m II Valeriani: « per la equità degli iddii ne* buoni e naali ammaestra-
menti. K>
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IL LIBRO SEDICESIMO DEGLI ANNALI. 419
amicissimo gli yenne a dire, qaanto il senato area giudicalo.
Piangendo adunque e dolendosi chiunque v'era, Trasea gli
confortò a tosto partirsi, per non avvilupparsi nelle misav-
venture d'un condannato. Arrìa sua moglie, che voleva an-
darne seco, e imitare Arria sua madre, consiglia che viva:
non tolga alla loro figlia il suo aiuto unico.
XXXV. Yassene nella loggia: ov' è trovato dal questore,
che gli porta il partito del senato, in sembiante lieto, avendo
inteso che altro che star fuor d' Italia non ne vada a Elvidio
suo genero. Gol quale, e con Demetrio entra in camera: porge
ambe le braccia: sparge per terra del sangue uscito: e fatto
il questore accostarsi, disse: a Offeriamo questo a Giove Li-
BEBATORE. Pou mente, o giovane; gl'Iddii te ne guardino:
ma tu se' nato in tempi che bisogna affrancare V animo con
forti esempi. » Dandogli poi V uscir a stento il sangue dolori
eccessivi, voltatosi a Demetrio....^
' voltatosi a Demetrio ^ « dal tuo aspetto e parole animato, baci ofirendo
agli amici, dopo stentata agonia spirò. D'egregia vita» spregiator di morte, e
contro i mali presentisi saldo, che dir solea : — amarsi ansi oggi morto, che crai(*)
rilegato. •• — Così supplisce il Brotier, tradotto da R. Pastore. — Mancano tra
annate.
f) trai dal latino wu, domani. Yoee antiqnrt^
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421
miTAZIONI E CORREZIONI
FATTE DAL DAYANZATI AL VOLGARIZZAMENTO DI TACITO
tratte dalle stampe del Marescotti e del Giunti, e da urt^emplare Giun-
tino con postille autografe, posseduto dal conte Alessandro Mortara.
(Vedi la Bibllogra6a in principio del volume.)
NB. U lettera H indica la stampa del Manteottì; la 6, qnéUa dd Ginnti.
Dove non ti appone alcuna nota, Io dna stampe oonfirantano.
' Testo della i
ebbe ... da Ludo Bruto la libertà e '1
consolato.
la poteoia di Pompeo e di Crasso tosto
in Cesare, e l' armi di Lepido e d'An-
tonio caddero in Agosto.
ebbe ... la libertà e il consolato da Lu-
do Bruto.
le poterne di Pompeo e di Crasso cad-
aero tosto in Cesare , e V armi di Le-
pido e d'Antonio in Agusto.
7. con titolo di principale
B. Hanno dell'antico po]^ol romano chiari
scrittori memorato il bene e '1 male,
I . Le cose dì Tiberio, di Gaio eo. ... furono
compilate false; Yi?enti essi, per
panra;
S. il prindpato di Tiberio e altro ,
5. Posate, morti Bruto e Cassio, tutte
l' armi pubbliche, disfatto Pompeo in
Cicilia, né rimase a parte giulia, spo-
gliato Lepido e ucciso Antonio, altro
capo che Cesare ;
. quanto più pronti al servire ^
. per le gare de' potenti ,
e lo spossato aiuto delle leggi, stravolto
da Torza ,
. Agusto per suo' rinforzi nello stoto
(I) Cosi nsadi icfiyen lenprs «km lann
dove non va, ce la pogoe.
me di principale
Anno (4) della Tocohia republica chiarì
scrittori eo.
Le cose di Tiberio, di Gaio ec. . .. furon
compilato false , in vita loro, per la
paura,
i principati di Tiberio e li altri tre ,
Finite per le morti di Bruto e Cassio P
armi pubbliche , disfatto Pompeo in
Cicilia , ne pure a parte giuCa, spo-
gliato Lepido e ucciso Antonio, altro
capo rimase che Cesare ;
(Così anche la G. ; se non che ha
pwflv^ invece di ^uòhlid^. — Sul
né, particella negativa^ dove yorreb-
besi l'accento per dbtinguerla dalla
Sronominale , non lo pone mai : lad-
oTe e' l'usa dorè non è necessario;
come in fk, té, ò ec.)
secondo ohe più pronti al servire ,
medianto le gare de' potenti ,
e il debole aiuto delle leggi travolte da
forza ,
Per suoi rìnforzamenti nello steto. Agusto
Fft/amtTC in tutte le altn vod del vtrbo «wtv.
36
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4»
MUTAZIONI B GOBBIZIONI.
4. 6.
» 6.
.. 9.
» 40.
» 44.
» 42.
» 44.
akò dtodio Mareello nipote di to>
rella giovanetto al pontificato
da lui fatti de' Cesari e , in YÌsta di
recnsare, ardentemente desiati dirsi
prìncipi della gioventù, e dettinarsi
Morto Agrippa ,
eosi da' figliastri restò solamente Nerone,
compagno dell'imperio e del tribunato,
non come già per artifici della madre,
di lei 81 perdnto
idiota sì , fornifo e furibondo , ma in-
nocente.
5. . 5. aveva un figliuolo già grande:
» 8. i giovani erano nati dopo la vittoria
d'Ario,
6. 1 . Rivoltato adunque ogni cosa ,
7. 40. qnasi con esso in bocea
» 44. stette al confino (alla quiete dicev'egU)
di Rodi, (4)
» 44. due fanciulli, che ora questo stato pre-
mano , e nn dì lo si sbranino.
• 46. In sì fatti ragionari Agusto aggravò:
bucinossi per malvagità delia moglie,
per voce uscita cbe Agusto di qur
mesi s' era traghettato nella Pianosa
» 24 . perciò aspettarsi tosto il giovane a casa
l' avolo.
» 22. Massimo tosto morì, forse di sua mano,
poiché nel mortoro udita fa Marna ,
sé sciagurata incolpare della morte
del suo marito.
8. 6. un medesimo grido andò d' Agusto
morto e di Nerone in possesso.
(1) la NMtiua e la Comiiriana lettolo : « tlitte al confi» « BoA (aBa qrisU aieev'«gli|. •
Uo accettato nel testo l'altra lezione, per la cagione che fa noUta a qoailo hngai
ianabò dandio Marcello ntpole di so-
rella, molto giovanetto, al pontificato,
cui egli aveva di casa Cesari fatti (M)
— da lui di casa Cesari fatti (G), e ,
in vista di ricusare^ desiato esser
detti principi della gioventù e desti-
nati consoli (M)
(La 6. confronta colla volgata; se
non che lascia ardenietnenie).
Come Agrìppa morì ,
così rimase solo Nerone figliastro.
compagno dell' imperio e tribono ,
non per iatrattagenunì, come già, ddla
madre, (M)
tanto invaghito di lei ,
idiota, forzuto e foibondo, ma inno-
cente.
aveva un figliuol proprio, grande: (M)
— aveva un figliud proprio, d'eia:
(fi)
i giovani pati doppo la vittoria d'Ario:
(M)
Rivoltato ogni cosa ,
con quello in bocca, (M) — eon dloee.(G)
stette al confino (alla quiete dicev'e^)
di Rodi ,
due fanciulli che ora questo stato as-
sassinino , e un dì lo ri sbranino.
(£a Giuntina non varia : se non che
ha « premino » per « premano p ).
In tali ragionamenti Agnato aggravò,
e bnrinosri di veleno della moglie^
per una voce uscita, come di qne'mesi
Agusto era traghettato neUa Pianosa
perciò s'aspettava la tornata del gio-
vane a casa V avolo (M) — perriò
aspettare la tornata ec. (G)
Massimo tosto morì , forse untato^ poi-
ché nel mortoro udita fu Mamn ss
cattivella incolpare ec. (M)
(Confronta colla 0 . , salvo che questi
inveoe di etUiioeUaf ha seiagmraié).
un medesimo grido andò che Agosto
era morto e Nerone in posacnso.
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MOTAZIOm ■ GOlRKZIOm.
423
La prkjM 0fet% età onoro principato fa
raecidere Agrippa Postumo, c«i sprov-
▼odnto e aeaz' anno , il oentorìone
pur corag^oso appena fioì.
Fingerà che il padre al tribuno, ava
guardia, comandato aveSM che, to-
sto che egli morto fesso , Ini amma-
casse. È vero che Agnsto nel fario
a' padri confinare disse de' modi del
giovane sconce cose ,
Al centurione venuto a dirgli , fecondo
il costume, aver fatto quanto co-
mandò, rispose :
Salnstio che sapeva i segreti e ne avea
mandato al tribuno il biglietto,
in ragion di stato , il conto non tornar
mai se non si fa con un solo.
Gaio Tnrranio abbondànziere ;
. facendo Tiberio d'ogni cosa capo a'coo*
soli , quasi la republica stesse in pie-
di , edr egli in forse di dominare : il
perchè con breve e modestissimo
Dando,
, Uorto Agusto diede come imperadore il
nome alle guardie, teneva scolte,
armi e corte formata : soldati in piaza
in senato l'accompagnavano: scrìsse
a gli eserciti come nuovo principe,
né mai andò a rilente se non favel-
lando in senato , per gelosia princi-
palmente che Germanico con tante
legioni, aiuti oltre numero, favor di
nolo marariglioso, non volesse ano
mperio che la speranza.
\ e non traforatovi per lusinghe di mo*
glie
\. per penetrare i cuori de' grandi , i cui
motti e visi al peggio tirav» • «orbava.
La prima onera del nuovo pftndpato
fu F uccidere Agrippa Postumo, il
quale sprovveduto e disarmato, il
centurione , pur di coraggio, appena
finì.
Fingeva che il padre al tribuno, sua
guardia, comandato avesse che, to-
sto che egli morto fosse, lui amma-
lasse. È vero che Agusto, per far
vincere a' padri il partito del confi-
narlo, disse ec.
(Nell'altre edirioni sono saltate le
parole del testo quandocwnqit$ ^se
mpreumm diem exphviiset: e for-
se, quantunque concordino in ciò tut-
te, è per errore tipografico).
Al centurione venuto a dirgli, alla sol-
datesca, avere ec.
Salnstio che aveva i segreti e mandò
al tribuno la poliza ,
essere del principe proprietà, che niona
ragione stea bene, se a lui non è data.
Gaio Tnrranio sopr' all' abbondanza, (M)
facendo Tiberio d'ogni cosa capo al se-
nato, quasi la republica stesse in
piede, od egli in forse del voler do-
minare : per lo che con breve ec.
(La G. confronta, salvo in questo:
« s' e' volea dominare » ) .
Nondimeno, morto Agusto, diede alle
guardie il nome come imperadore,
teneva scolte , armi e altro da corte ;
soldati nel foro de' magistrati , sol-
dati in senato 1' accompagnavano ;
scrisse alli eserciti come nuovo prin-
cipe ; mai non talenò, se non favel-
lando in senato. Sollecitava lo' mpa-
dronirsi, per gelosia che Gomamco
con tante legioni , aiuti oltre nume-
ro ec.
(La G. ha « da imperadore » in-
vece di « come imperatore. » E dove
la H. dice « mai non talenò » (e forse
dee leggersi balenò), la G. ha « mai
non fu lento. » )
e non serpeggiatovi ec. (M) — e non
sottentrato ec. (G)
per penetrare i cuori da' grandi dalli
loro motti e gesti , i quali al peggio
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424
MUTAZIOm E COmBBZIOHI.
40. 4-1. noD tdle n trattasM che d' ooorare
Agosto.
• 46. Tolle ^esta barbanxa e boria ne* po-
sten.
» ' 47. I lasci faroDo da privato, eccetto che
al popolo e alla plebe aooò un mi-
lione e ottaasette mila fiorini d' oro,
assoldati dì guardia Tenticinqae per
tosta , a' legionari romani sett'e mezo.
41. 4. che i titoli delle leggi fatto e i nomi
delle genti vinte da Ini andassero in-
e Che dicesti? holti fatto dire io? •
Rispose : « Di mio caoo l' ho detto ,
e nelle cose della republioa non vorrò
mai consiglio d'nomo, qnando anco
io credessi d' inìmicarmiti. s
42. 5. Questa fine adulazione sol vi mancava I
» 5. lo arrogante Cesare chinò il capo :
» 7. che Agosto nel fòro della ragione più
che nel solito campo di Marte a ciò
deputato s' ardesse.
» 9. vi tenne.... soldati per guardia,
» 44. Grande uopo, dìceano, di soldati oggi
d ha,
24
ebbe.... toentasette anni continui la po-
destà tribunesca: ventuna volta fu
tirava e serbava. (M) — percbè da'
e visaggi che ne facevano i
, i falsi cuori scopriva e se-
gnava. (6)
non vdle si trattasse che d* «morì d'Agu-
sto. (M)
(Così nelle correncni in calce del
libro. Ma nel testo è conforme atta
volgata: e così pure la G).
volle per burbanza farsene a' futuri
glena.
I lasci furono da privato, eccetto che
al popolo e alla plebe 435 ne donò ;
a' soldati di guardia sesterzi mìUe
per testa; aMegionari romani tre-
cento.
(La G. confronta ; se non che ha
« alla plebe CCCGXIXY »).
che i titoli delle sue leggi , e i nomi
delle genti vinte da lui si portassero
innanzi.
(La G. confronta colla volgata, sal-
vochè ha: « si portassero innanzi, •
come la Bl).
Che dicesti ? holti fatto dire io ? Rispese :
« n bene della republica lo mi fa dire,
per cui non vorrò mai che uomo mt
consigli , se ben te V avessi per ma-
le. . (M)
(Così anche la 6., salvo che in
questo: « non vorrò mai consiglio
d'uomo •).
Questa sorto d' adulazione vi mancava.
(Così ambedue le edizioni : ma la
G. mette in fondo tra le corr^(MU
« Questa fine adulazione. » Neil' e-
semplare del C. Mortara è corretto a
penna).
Cesare con soavita arroganto chinò il
capo (M)
che Agusto nel fóro di ragione più
che nel campo di Marto, acciò fatto,
s'ardesse.'
vi tenne.... soldati alla guardia,
Grande uopo, dìceano eglino, ci ha o^
di soldati (M) ^^ Grande uopo, dì-
ceano egli , di soldati oggi ci ha (G)
ebbe.... trentasette tribunati
vi: ventuna volta fu gridato i
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MUTAZIONI E CaKlBZIOllL
42K
gridato imperadore , e pia altri ono-
ri ec.
5. Avere (diceano quelli) la pietà verso il
padre.... tiratolo po' capelli all'armi
ÒTÌli:
40. non re non dettatore, ma principale
49. e, strappato con decreto da' padri fasci
e pretara ,
20. ammazare Irzio e Pensa (fiusesi a buona
gnerra o pure Pansa a' avvelenata fe-
rita e Irzìo da' propri soldati d' ordine
di quello) e i loro eserciti occupare :
25. Panni contr' Antonio prese, contr'alla
repubblica volgere: fare i cittadini
rinelli, con tante spartigioni deMor
beni , incresdutone eriandio a chi glh
ebbe:
26. vadano con dio.
4. Abbiamo poi avuto pace ù^ ma sangui-
nosa ; le sconfitte di Lollio e di Varo,
i macelli fatti in Roma da' Yarroni ,
Egnazi e Giuli.
9. n' andrebbe a marito con gli ordini : le
mwbideze di Tedio e Yedio Pollione.
1 0. Finalmente quella Liria è una mala ma-
dre per la republica , peggior matri-
gna per casa Cesari.
12. Volle essere celebrato ne' tempi e nelle
radere con più altri onori ec. (H. )
(La G. controuta, salvo in questo :
« e più altri onori ec. » ).
Avere la pietà verso il padre (diceano
quelli).... lui tirato per li capelli all'
armi civili (M) — La G. « pe' capei*
li. a
non re , né dettatore , ma principale
e strappato a' padri fasci e pretura
ammalare Irrio e Pansa (non si conta
se a buona guerra, o pure Pansa
d'avvelenata ferita e Irzio a ghiado,
tradito da' soldati d' ordigno suo) e i
loro eserciti occupare
l' armi contr' Antonio prese contr' alla
republica volgere , tanti cittadini
sbandire, con tante spartigioni de' lor
beni , incresciute eriandio a cui ferie.
(Neil' esemplare Giuntino del C.
Mortara è corretto a mano • a chi
feUe •).
vadano condìo.
Abbiamo poi avuto pace sì . ma sangui-
nosa per le sconfitte di Lollio e di Varo,
per b carnaggi fatti in Roma da' Yar-
roni , Egnazi e Giuli.
n'andrebbe a marito cogli ordini.... le
morbideze di Yedio Pollione.
(Il Davanzatì sospettò qui una la-
cuna, e nell'edirioni Mareseottiana
e Giuntina pose questa postilla , che
poi tolse nelle correzioni posteriori :
« Qui manca il testo : forse narrava
l' ingratitudine d' Agusto verso co-
stui , che lo lasciò erede della riUa
di Posilipo, tra Napoli e Pozuolo, e
della maggior parte della sua gran
riccheza , con carico di fare qualche
opera notabile in memoria di luì : e
Agusto spianò le case di Yedio e fe-
cevi la loggia di Livia per servirlo
bene » ).
Ha finalmente quella mala madre per
la republica, peggior matrigna per
casa Ceseri. (M)
(Anche la G. « Ceseri. » Così pro-
nunria il volgo fiorentino: Ceiere
per Cesare),
mole essere celebrato ne' tempii e nelle
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426
MOTAnONI B CgftUUOMI.
da'fluÙBi e da^Moerdoti
alla diTÌiia.
immagliiii alla divina da'flanùoi e
da' sacerdoti (M) — vaole esser cde-
brato ne' tempii , e nelle imagini de'
flamini e da' sacerdoti alla divina.
44 44. Né scélse mica Tiberio a successore per
bene che gli volesse.... ma volse,
scortolo d' animo arrogante e crudele,
24.
25.
Né sedse Tiberio a i
bene che gli volesse,... ma yoÙe,
avendol conosciuto d'intragno (4) ar-
rogante e crudele , (M)
(Anche la G. « volle • : nel resto,
come la yolgata).
E già gli aveva Agosto nel chiedergli
a' padri un altro tribunato , sue fog^
gè, vita e costumi, pur con rispetto
e quasi scusandolo, rinfacciato.
Finita la cirimonia della sepoltura , gli
s'ordinò il tempio co' divini ufici. Voi-
taronsi poi le preghiere a Uberio che
accettasse,
i più compagni atantisi ec. (M)— i più
compagni aiutantisi ec. (G)
questo parlare dì Tiberio A pompa non daddovero così diceva
che lealtà, llberio,
si cacciavano a piangnere,a lamentarBÌ(M)
tante paghe nostrali, tante d'amici ;
aggiuntovi suo consiglio (per tema o
per invidia), di non curarsi di accre-
scerlo.
Terrebbe scusarsi.
• 46. £ già eli av^va Agusto, nel chiedergli
a'padri la rafferma della balìa di tribu-
no, sue fogge, vita e costumi pur con
rispetto, quasi scusandolo, rinfacciato.
> 19. Finita la cirimonia della sepoltura , gli
si ordinò tempio e divini ufici. Vol-
taronsi poi le preghiere a Tiberio.
45. 5. più compagni* aiutantisi compierebbono
li affari publici più di leggiere.
» 6.
» 44.
» 44.
% 46.
evasi m
più pompa
si davano a piagnere a lamentarsi,
tanti soldati nostrali ; tanti d' amici :
aggiuntovi suo consiglio (per tema o in-
vidia) che maggior imperio non si
cercasse.
vorrebbe più tosto scusarsi.
non per fargli divider quello che non
si può , ma confessare che la repu-
blica è un sol corpo.
4 6. 4. Né per tanto il placò, che l'odiara di già
»' 5
non perch' egli dividesse quello che non
si può; ma per fargli dire di sua
bocca che la repnblica è un sol cor-
po (M) — .... per fargli , non dividere
quello ec. (G)
Non pertanto il placò, odiandolo di
già (M) — .... che r odiava di già (G).
per moglie avendo Vipsania , stata pri- per moglie avendo Vipsania figlinola
ma di Tiberio, e figliuola d' Agrippa, d' Agrippa, che prima fu di Tiberio,
e ritenendo l' alterigia di Pollione suo e ritenendo l' alterigia di Pollioae
» 40.
' alterigia
padre.
ne sospettava, avendo massimamente
Agusto nelli ultimi ra^onamenti de'
successori detto che Manie Lepido (2)
suo padre. (M)
ne sospettava , e per avere Agusto ne-
eìì ultimi ragionamenti de' successori
discorso che Manin Lepido (5)
(i) ìntragno o entragno, dal francese entraUUs, viscere : qui per caore. Così il Henziai neOe
Satire
Ma nell'entragno non d crede un pelo.
È datto peraltro in modo dlspregiatiro.
(2) Così ho restitoito U tetto, dietro U «onfronto delle ediz. orìginaU. Nella G. manca « a
simamente. »
(8) QMsta à la lenone deUa stampa Nestìana seguita dal Cornino.
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MUTAZIONI B GOIBSZIONI.
427
13. Adnio Gillo avido, IDA Aon da tasto:
14. Tedendo il bello.
19. e'I dire Uamerco Scaaro: Il senato
spera,
t2. a ScanrOj pia inTÌperato, non rispose.
8. non a confessar dUccettare,
M. Orsa finiscasi tanto negare e tanto pre-
gare.
Asinio Gallo avido, ma m
quando il bello vedesse. (M)
e Mamereo Scaaro : Il senato spera ,
a Scanro, come più ìnTiperato, non ri-
spose. (M)
non a confessare cbc accettava (M)
Orsù, leviamoci questa seccaggine di
tanto pregare e negare.
(Nella tavola delle Mutazioni cor-
regee: « di tanto esser pregato. »
NelF esempi, del G. Mortara è cor-
retto a mano).
e fa per esservi ammazato dalla iraar-
dia (M)
nel!' abbracciar le ginocchia a Tiberio
che passeggiava , egli a caso o ince-
spicato in quelle mani , cadde (M)
SI non (A) fa da ostinati preghi d'Agusta,
ove ricorse, difeso.
auggiasse (G)
e r altre cose cotali le tolse (M).
a Drnso che gii era consolo eletto e
presente ,
campo marzio (M/
se bene i migliori
Il popolo di tale preminenza toltole (2),
non fece che un vano romore (M) —
.... di tale preminenza levatagli non
fece che un vano romore (G)
Tiberio s' aonestò a propome quattro
senza più , che vincessero senza pra-
ticare. (M) — .... senza pregare. (G)
chiederono di fare.... una festa che dal
nome d^ Agosto si dicesse Agustale e
s'aggìugnesse al calendario (M).
a spese della camera (\ )
il giudice delle cause tra' cittadini e' fo-
restieri , ogni anno risedente , la ce-
lebrasse. (M) — .... ogni anno quel
giadice delle cause tra'cittadini e' fore-
stieri che risedesse , la celebrasse. (G)
(1) sì non per sintomo dtt no». Vedi pia innanii qaest« ▼arianti ai capitoli 37 e 70.
(2) toltole. Qaesio u sta qui per gli, a lui; e tale stranissimo scambiamento di genere vsò
n il DaTantati nella stampa Marescottiana, e alcona volta ancba nella Giuntina. Vedi qoeete
▼arianU ai oapitoU 34, 38, 53, 05 ; e lib. II, cap. 8.
(3) della camera » del pubblico «Hurio.
SS. e fa per esservi morto dalla guardia ,
\. nell' abbracciar le ginocchia a Tiberio
che passeggiava , il fé', a caso o in
quelle mani incespicato, cadere j
4. sì fa da importuni preghi d'Agnsta , ove
ricorse, difeso.
10. aduggiasse,
11. e altre cose cotali le toke.
15. A Droso, che già consolo eletto e pre-
sente era,
8. campo marzo
0. benché i migliori
I n popolo di tale preminenza levatagli
non fece che un po' di scalpore :
3. Ilberio s' aonestò di proporne quattro e
non più : ma vìncessero senza prati-
che.
1. dbiederono di fare.... una festa, da
dirsi , dal nome d' Agosto , ^gustale ,
e aggiugnersi al calendario.
2. a spese del pubblico :
S. quel Radice de' cittadini e de' forestieri,
ne avesse l' annusi cara.
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428
HUTAZIONI E COmiBZIONf .
48. 6. romonggiirooo.
» 7. per ciò solamente ehe la mntaiioiie dd
prìncipe mostrava licenia d' ingarbu-
gliare, e la guerra civile speransa di
guadagnare.
» 9. negli alloggiamenti della state
» 40. e '1 principato di Tiberio
» 45. alle male lingne;
» 44. Erayi un Percennio
» 46. e per a|^piccar mischia, avreio già tra'
partigiani de' recitanti, Talea tanf oro.
» 47. cominciò.... a contaminare i deboli, do-
bitantì come sariano trattati i soldati
or che Agosto non c'era:
» 49. ritiratisi i buoni,
• 20. ^asi in parlamento
49. 5. trovarci Tocchi e smozicati dalle ferite;
non gioTard l' essere licenoati ,
» 45. E' bisogna sgravarci con patti chiarì;
» 44. nn danaio intero;
» 20. dalle tende
• 24 . Fremevano i soldati
20. 5. o vivo vi terrò in fede, o scannato
▼' affretterò il pentimento.
» 7. le piote crescevano, e già erano a petto
a' nomo, quando ec.
• 44. cose nò pur sognate nelle vittorie civili ;
» 45. contr'alla legge della milizia?
» 20. ma insuperbiti , che il figliuolo del le-
gato, ec.
» 24 . essersi avuto per filo quello, che con le
buone non si sarebbe ottenuto.
(Così ambedae l'ediiioni : ma la 6. pone
in fondo tra le correzioni e si soUe*
varano. » L' esempi, del G. MorUra
corregge a penna).
(La M. • licenza d' intorbidare. » E
l'esempi. Giuntino del C. Moriaraha
mostra e gìtadagno invece di mo-
èUrava e guadagnare).
nel campo della state
e '1 principio di Tiberio (BI)
alle lingue pessime
Eravi un certo Percennio, (M)
e d' appiccar mischie tra' partigiaDi de*
recitanti, maestro.
cominciò.... a contaminare i deboli do-
bitanti del trattamento de' soldati or
che Agusto non e' era (M)
(La 0. « di mal trattamento da' sol-
dati»), r
sfuggendolo i buoni ,
(Così anche la M : ma nelle correzioal
in calce del liora, « quasi a ». Poi
nella G. riaccetta « quasi in •).
trovarci vecchi e cionchi dalle ferite e
non giovarci l' esser licenziati (M)
(L'esempi. Giuntino del G. Mortara
ha ms. nel margine e àncischiati;
magagnati »).
E'bìsogna , a sgravarci, far patti chian(^)
un danaio effettivo (M)
daUe tendi (4) (M)
Sbuffavano i soldati (M)
o io vivo vi redierò a boutade , o scan-
nato v' affretterò la penitenza.
le piote crescevano e già erano a petto,
quando ec.
cose che nelle guerre civili non le so-
gnarono
contr' alle leggi della milizia.
ma insuperbirò che il figliuolo del le-
gato, ec.
essersi colla forza sbarbato quello die
non si sarebbe ottenuto colla modc-
{{) undi, CoA alcuna volta ma veni per mim.
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MOTAZIONI B CORlSnONt.
429
m. tirm fnon
SO. f^i domandoDO p«r istrario, chenti pa-
ressero a lui qae'pesi bestiali
4. da' laTorii e fatiche non rìfinara
• e, per averle dorate egli, pie cnido era.
6. Per lo eottero ritorno la fodinon rifi»>
lìsce, e, sbarag^atiy saccheggiano
^e' contorni.
9. Fannoei strascinare, abbracciono le gi-
nocchia de* circostanti, chiamanli per
nome, gridano, Io sono il tale, ee.
12. Dicono ogni brobbio al legato,
S. mTocano il cielo, gl'iddìi,
9. fece gente correre, e disse :
9. mise tanto spatento e odio, ee.
8. Qua F altra , e poi Qna F altra.
7. con due coorti rìnfonate, fiore della
guardia,
9. che allora la persona goardavano
4. capitano della guardia,
5. per tener lai ammaestrato,
B. Qoando e' fa entro
I. li mostraTano tremorosi o tremendi.
S. Esserp^i pia di tutte a cnore quelle for-
tissime legioni ,
). non si potendo torgli la sua ragione
delle grazie
^ disse.... dell' un denaio il di; del non
rimanere all' insegne.
^ flagellare sì e uccidere ci puote ognuno.
K far ire in fumo i desideri delle legioni :
• Che ò ciò che l' imperadore , appunto i
stia (M) — ehi colle baiMie non s' ot-
teneva (G).
tiran fuori
gli domandone per istrario, che ne pa-
resse a lui di que' pesi bestiidi (M)
i lavori e le fatiche non rifinava (M)
(La 6. • i lavorìi »).
(Così anche la 6.; ma nella tavola delle
MhUaiùmi corregge : • per esserri
usato egli. • L'esempi, del G. Mor-
tara corregge a penna).
Per lo oostoro ritomo la sedioon rifio-
risce, e'I paese saccheggiano. (M)
(La 6. semplicemente « e saccheg^
giano »).
Lascionsi strascinare , abbracciano i cir-
costanti, gridano, Io sonil tale oc. (SI)
—^ Lascìansi strascinare, abbraccia-
no, chiamano per nome i circostanti,
gridano, Io sono il tale (G).
del legato dicono ogni obbrobrio (M) —
ritoperano il legato (G)
chiamano il cielo, gl'iddìi in aiuto
fece la gente correre, e disse:
mise tanto scandolo e odio, ec.
Qua l'altra: e poi: Altra.
con due coorti , il fiore della guardia
che la persona guardavano
generale della guardia
per Ini tenere ammaestrato (M )
Quando ei fu dentro (M)
spaventati li dimostravano o spavento-
"• w
Essergli prìnripalmente a cuore quelle
fortissime legioni (M)
non si potendo torgli la sua parte delle
grane (M)
disse.... dello 'ntero danaio, del non
rimanere all'insegne.
flagellare e ammazare sì ci puote ognu-
no.
impedire i desideri delle legioni
Che cosa è che l' imperadore, appunto
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430 HUTAZIOMI E
eommodi de^soldatì rìoMlta al Mnalo ?
24. 2. perchè non sen* aspetf egli il compito
aUi dal senato?
» 47. La lana, facendosi il cielo qaasi più
chiaro di lei , pareva venir meno.
» 49. credendo mancare il pianeta per le loro
travaglie ,
» 22. secondo che ella più chiara o più scora,
essi lieti 0 tristi faciensi.
25. 4. sdegnati per lor misfare.
» 5. Manda gente alle tende, Clemente e
altri baoni e grati ,
» 42. Chieggiamo più tosto perdono, non in-
sieme , ma ^netli i primi , che eol-
pammo i se».
• 44. Le grazie chieste in comune vengono a
piò coppo: ciascim di per sé, non
prima la merita , eh' e^^ V ha.
• 45. Da cotalì parole ponti e insospettiti tra
loro ;
» 26. centorione di primo ordine.
• 29. n popolazo, o asso o sei : è tremendo
al dì sopra , ridieolo impamito.
26. 7. alla spicciolata tarati a pezi ;
n 8. per mostrar fede. Accrdirbe V angosce
da' soldati il verno primaticcio,
» 24. e datosi a loro si trarrebbe dietro ogni
cosa.
27. 5. seco trassero la prima e la ventesima
a'confini degli Ubii insieme alloggiate,
» 42. molti a viso aperto alzavan le voci:
» 44. e.gP imperadori cognominarsi da loro.
» 46. perchè la follia di tanti lo sbigottiva.
B 48. che sempre furon berzaglio e primo
sfogo negli odii soldateschi ,
CORftBZIONI.
i commodi de^soldatì rimetta al senato?
(La 6. « Or che è che Fimperado-
> re ec. »)
perchè non se n' aspett' egli alsì dal se-
nato il compito? (G)
La Iona nel cielo di repente rasserenato
apparve scorata.
credendo impalidir la pianeta per le
loro travaglie ,
secondo che ella chiara o scora, essi
lieti 0 tristi faciensi.
sdegnati per loro malfare. (M)
Accerchia i padiglioni di gente , manda
Clemente centorione, e altri booni e
grati
chieggiamo piottosto perdono , non in-
ùeme, ma qoelli i primi che cadem-
mo i sezi nella colpa. (M)
le grazie in mazo vengono zoppe : cia-
scon la soa si procaccia e riceve
spaodatamente. (M) — le grazie in co-
mone vengono impacciate ^ ciascon la
soa tosto merita e tosto riceve. (6)
Da cotale parole ponti e messi in disfi-
denza tra loro (M)
(La G. n ponti e disfidati s ).
(L'esempi. Giont. del G. Mortara corr.
« primipile s ).
U popolazo è asso o sei; tremendo al
disopra , lidioolo impaorìto.
spicciolati , tsgliatì a pen;
per mostrar fedeltà. Aoerebbe l' aqg»*
scie il verno primaticcio (M)
(La G. « per mostrar fede »).
e darebbesi a loro con tirarsi dietro
ogni cosa.
seco trassero la prima e la ventesima
negli Ubii insieme alloggiate ,
molti a viso aperto le voci i^avano (M)
farsi gV imperadori e cognominarsi da
loro.
perchè il gran nomerò lo sbigottiva.
che sempre forno la materia degli odii
soldateschi e principio de'fororì (M)
— che sempre foron bersaglio agli odii
soldateschi e principio dcrfororì (6)
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MUTAZIONI B GOEBBZIONI,
431
, 49. sessanta adHoMO a pno, che tanti cen-
turìoDi yaono per legione ,
> 2. per V aceisione di G. Cesare ,
4. TÌ ebbero più potere.
43. e nipote d'Agosta ,
43. per cagioni inique.... P odiavano: que-
ste erano, che il popolo romano ec.
48. bonario giovane , affabile , roTCScio di
qnel burbero tìso
24. gii fece da' Ticini Sequani e da' Belgi
giurare omaggio ;
> 3. un suono di lamenti sewdato.
> Chi la mano presogli . quasi ^er bacia-
re, si mettoTa quelle dita m bocca,
per fargli tastare le gengle senza
denti;
3. altri gli mostrava le schiene
7. comandò che ciascuno rientrasse nella
sua compagnia , con loro insegne in-
nanzi, per meglio esser udito e le
coorti ducemere.
40. celebrò con istupore le gesto di lui in
Germania con quelle legioni :
42. il consentir dell'Italia ;
43. Venato alla sedizione ,
4T. rimproverano le margini delle ferite ,
49. Male agg^ano
24. con un poco da vivere ,
^' figurandogli e offerendogli,... l'imperio.
^> sguainato Io stocco, F alzò
02. uditori adunati ,
6. mandavano messaggi all' esercito
^i- eccoti una gran guerra civile.
42. tutto 0 nulla concedere, rìpentaglio
della republica. Bilanciato il tutto, ec.
3. rimanesse alle 'nsegne solamente a di-
fesa: .
5. Conobbe il soldato die ciò era pasto
sessanta addosso a uno, quanti centu-
rioni vanno per legione ,
per la morte di 6. Cesare ,
vi ebbono più potere. (M)
e d' Agusta nipote ,
per cagioni inique.... l'odiavano: ciò
era che il popolo romano ec. (M)
bonario giovane, affabile, il rovescio
di quel burbero viso (M)
gli fece da' vicini Borgognoni giurare
uno scordato suono di lamenti. (M)
Alcuni la mano presole, quasi per ba-
ciare , si misono quelle dita in bocca
per fargli ec. (M) — Chi la mano
S resole per baciare, si metteva quelle
ita in nocca ec. (6)
altri gli mostravan le schiene (M)
comandò che ciascuno rientrasse nella
sua compagnia , per meglio udirlo, e
con loro insegne davanti , per discer-
nere così almeno le coorti.
celebrò con istupore le chiare geste di
Germania di quello con quelle legioni:
il consentimento dell'Italia (M)
Gom' ei toccò della sedizione (M )
mostrano le margini delle ferite ,
Siano maladette (M)
con qualche cosa da vivere (M)
bene agurandogli e offerendogli. . . . l'im-
perio. (M)
sguainata la spada , l' alzò
uditori raccozati (M)
messaggi mandavano all' esercito
eccoti una guerra civile.
tutto o nulla concedere è rìpentaglio della
republica. Tutto bilanciato (M) —
La G. a rìpentaglio, » senza il verbo.
rimanesse alle 'nsegne per combattere
solamente (M) — rimanesse alle 'nse-
gne per combattere col nemico sola-
mente (6)
Conobbe il soldato che ciò era pasto per
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432
HOTlZIOm E GOmUZIONI.
pag, wtr.
per (raitenere, e chiedeBOO tpedìno-
ne. I trìboni spacciaTano le uceoze,
il contante si prolon^aya al ritorno
loro nelle guarnigioni. Non fa yero
ehe della quinta né della Tentuienma
ai Tolesse alcnno muoTore , s\ fu ^tì
la moneta contata.
54. 45. rapita all' imperatore.
Germanico.... fece giorare le le(poni se-
conda, tredicesima e sedicesima in-
. contenente : la miattordicesima nic-
chiò. Fu ouerto, oenchè non chiesto,
il denaio e la licenza.
47. I soldati d' insegna delle due legioni
\ 8. cominciarono a levare in capo ; gli attutò
24. fuggissi; fa troTato; e fallitoli il na-
32.
scendere
2. E s^yentandosi i resistenti, arrappò
P insegna ,
4. gli rìdnsse alle stanze turbati e «piatti.
6* Gli ambasdadorì del senato a Germani-
co, lo trovarono già tornato all' altare
degli Cbii,
• 8* i vecchi nuovamente messi alle 'nsegne
» 45. capo deU' ambascerìa ,
» 44. cominciano a chiedere il Gonfalone,
» 46. e Ini del letto tratto, minacciandogli
morte , lo si fan dare ; e scorrendo
per le vie , s' intoppano n^gli amba-
sciadorì che, udito il frangente di
Germanico,
neggianli ;
a lui traevano : e svilla-
trattenere , e chiedeolo di contanti. I
tribuni spacciavano le licenze, il coo-
tanto si tranquillava. Non ni vero
die volesse veruno della quinta ai
della ventunesima andarsene in gB«^
Bigione veruna, sì non fu quivi la mo-
neta contata.
(NelU tav. delle MfUaxUmi: e «n-
darsene in suo alloggiamento.» — Net-
V esempi, del G. Mortara P ha c(ff-
retto a penna).
Così ambedue P edirioni : ma la G. pone
tra le MvUxsifmi « strappata alPioi-
peradore. • — Il suddetto esempltre
P ha corretta a penna.
Germanico.... fece giurar subito lele-
[^oni seconda, tredicesima e sedice-
sima : la quattordicesima nicchiò ai-
ranto. Fu offerto, senza chiedo^,
danaio e la licenza. (M)
(La G. « la quattordicesiina al-
quanto dubitò »).
Gli alfieri delle due legioni.
c<Mnin<»arono a levare in capo, e ^ aitili
fuggissi, fu 'trovato e fallitole fl ai-
scondere
E spaventando i resistenti, arrappi
una 'nsegna ,
gli condusse alle stanze turbati aia
quatti. (M) — La G. « e quatti. •
Gli ambasciadori venuti, come dicem-
mo, dal senato a Germanico il trors-
rono alP alUre degli Dbii (M) — (ìli
ambasciadori del senato taDvaroa
Germanico già tornato alF altare de-
gU Ubii (G)
(Nella tav. delle Jtfttloztonl aa-
Slunge : ti in Colonia. • Neil' esempi,
el G. Mortara ò adonto a penna).
i vecchi nuovamente mandati alle 'nse-
gne
capo di quell'ambasceria
cominciano a chiedere il gonfalon rosso
e lui del letto tratto lo si fan dare , e
scorrendo per le vie s'intoppano ne-
gli ambasciadori che, udito il firaa-
fiente di Germanico, a lui traevano, o
oro dicano villanie (M)
(La G. • e svillaneggionli •).
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IfUTlZIONI B GORBBZIONI.
433
4. Al A chiaro,
9. V onU fattasi
17. se di sé non eura , perchè tenere il pic-
col figlinolo
ÌB, Escono àe? padiglioni : che piagnistèo,
che 81 dolente spettacolo ! doone illn-
strì senza gnardia di centurioni o sol-
An'apparentedeldi(M)
e P onta fattasi
s' ei non tien conto di salyar se , perchè
tenere il picciol figlinola
Usdti delle tende, domandano che piagni-
ateo è quello 2 che tanta sciagura ! Ten-
gono donne illustri senza guardia di
dati, senza corte, senz'arredo da centorioni o soldati, senza corte, senza
imperadrice , marciano a' Treviri, agli arredo da imperadrice , marciare a'
strani. TircTiri , agP infedeli. |l\f) — Escono
de'padiglioni (con che piagnisteo, qual
sì dolente spettacolo?) donne iUustri
,. senza guardia di centurioni o soldati,
senza corte , senza arredo da impera-
drice, mardano a'TreTiri, agli infe-
deU. (G)
la rimembranza dell' esserie stato A-
grippa padre (M)
2. la rimembranza dell' essere stato Agrip-
pa padre,
5. sì bella prole , tanta oneste ; e qael
figlioletto nei loro esercito nato,
6. portando egli , per aggraduirsi i soldati
menomi, i loro cakari;
7. V invidia verso i Treyeri
9. di fresco dolore e d' ira pieno, così co-
minciò:
l'I. non mi sono più del padre o della re-
publica a cuore:
10. eh' avete calpesta V autorità del senato,
!5. Ah Qniriti !
5. ma può egli essere che la legion prima
creata da Tiberio, e tn ventesima meco
stata in tante battaglie
7. a vendicare , se non la mia , la morte
di Varo
0. e fatto i popoli di Germania sottostare^
3. non toceate gl'infetti,
!). legati nella fede.
S. condncesseli contro '1 nemico,
9. il reato rimise in loro.
r. i più scandoloei legano,
5. Egli è reo.
(la rimembranza) della sua prole bel-
lissima , onestà grandissima e di quel
figliuoletto«nel loro esercito nato (M)
— la sua prole bellissima, onestà
grandissima e quel figliuoletto (6)
portando egli a favor da' soldati meno-
mi i loro calzari ;
Podio centra i Treriri
così cominciò di fresco dolore e d'ira
pieno: \fS)
non mi sono più del padre o della re-
publica can :
eh' avete spregiata P autorità del senato
Ahi Quiriti! (M)
ma può egli essere che la legion prima
e tn ventesima, quella da Tiberio
creata, tn meco in tante battaglie stata
a vendicare la morte non mia ma di Va-
ro (M) — a vendicare non la morte
mìa ma di Varo (G)
e frenato i popoli di Germania. (M)
non brancicate il morbo (M)
e legati nella fede.
conducesseli al nimico,
il gastigare rimesse in loro.
e qualunque più scandoloso legano (M)
Gli è reo (M)
37
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434
MUTAZIONI B GOBRIZIONr.
ft-
iMt,
»
4.
»
40.
37.
7.
•
42.
»
44.
»
49.
38.
40.
»
44.
»
»
39.
4.
»
7.
»
40.
»
44.
»
46.
»
4S.
»
20.
»
24.
40.
5.
»
7.
»
40.
»
47.
» 27.
pini) giù 6 imeaibnto.
per l'aspro gastigo e perla
e eredeva correggerli con doo' scvrÌBci
teneri di doo' fanòolli :
ooetai fresco, prò,
per farli stare nella pace alle mosse.
^egli è fatto forte dalle GaUie, questi
a caTaliere alF Italia.
^er& la spada a tondo.
nella gnerra muoiono buoni e rei*
Costoro, trovando ben yòlti i più ,
se non gV indettati ,
YÌsto cbi si voleva , anco i pessimi pre-
sero r anni.
appellando «{nella non medicina ma
sconfitta,
se non ricevendo negli empi petti glo-
riose ferite.
venzei coorti d' siati ,
Poco lontano erano i Germani
i Romani.... accampano
q[QaIe (via) da tener fusse , la corta e
usata, 0 r impedita e dismessa.
seguitavano poco addietro le legioni fa-
vorite dal sereno della notte :
trovangli per le letta e lungo le mense
spensierati , senza sentinelle , né or-
dini di guerra , in una sciocca pace
ancora avvinazati poltrire.
le avide legioni
il eanitano, marciò in battaglia, parte
della cavalleria , con la fanterìa d'aiu-
to innanzi :
Avventansi affocati al nimico , e «{uello
incontanente rotto e pinto nell'aperto,
ammazano.
pinto giù e svembrato (4).
per r aspra pena e per la coscienza.
e erodeva rattenerli con P autorità te-
nera di duo fanciulli (M)
e costui fresco e prò
per tenerli nella pace alle mosse. (Bl)
quegli è spesato dalle Gallie, questi
accavaliere all' Italia.
girerà la spada tondo.
nelP armi muoiono buoni e tristi.
Costoro, trovato ben vòlti i più ,
eccetto gì' indettoti (M)
visto cui si voleva , presero Parme i pes-
simi ancor essi contH a se stessi. (M)
(La G. « visto cbi si voleva •).
appellando quella non medicina ma
rotta,
che ricevendo negli empi petti gloriose
ferite.
venzei compagnie d'aiuti (M)
Poco lontani erano i Germani
i Romani. . . . s' accampano
qnale da tener fosse la lunga e battuta,
o P impedita e dimessa. (M)
seguitavano le legioni favorite dal cielo
stellato :
trovanli per le letta e lungo le mense
senza sentinelle , né ordini di guer-
ra . neanebe di pace , ancora avvina-
zati poltrire.
le cupide l^oni
il capitano si scbierò da poter marciare
e combattere , parte della cavalleria
colla fanteria d'aiuto guidavano
(L'esempi. Giuntino del C. Mor-
tara corregge a penna « mardò in
•--"-Hia » invece di « si sclùarò da
(I) Avembrato da svembran per untmbmn. Vedi U Vocabolario del
tano due altri esempi.
poter marciare e combattere.
Affocati s' avventano al nimico e quello
incontanente rotto e rincacciato nel-
P aperto ammazano. (M)
(La G. legge « vinto » ma per cf
rore).
!i, dove se ne ci-
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MUTAZIONI B IVHIRBZIOMI.
435
52. Tali aTTÌn diedero a Tiberio alle^peca e
pensiero.
2. con parlare stimato più bello che di
cuore.
5. con meno parole , ma più calde e vere :
e quantunque fu largheggiato da Ger-
manico, ancora in Pannonia, i
tenne.
9. cagione la più intrìnseca del ritirarsi a
Rodi:
^14. disperatissima,
A2. fece marcire di lungo stento:
45. per simil cagione a Sempronio
47. e imperversar col marito:
24 . fu allora dagli ammaiatorì trovato
6. Tiberio, Druse,... furo eletti:
42. non ardiva quel popolo tanfi anni ve-
zelato per ancora aspreggiare.
48. sentendo i nimici in parte,
28. odioso genero
» e aae^ che tra' benevoli son legami
d* amore ,
2. menò volando F esercito
8. Cacciati con manganelle e quadrella
\7. vennero tosto ambasciadorì
32. già date in preda a molti di quei me-
desimi
5. il divo Agusto
6. se non utile a voi ;
24 . ma vedi quel che più vaglia , o V essere
incinta d'Armìnio, o nata di me.
8. e schiava la sua creatura prima che
nata,
42. possente esercito,
28. tali spronate
53. per tener disgiunti i nimici :
» Pedone capitano
2. così a quel fiume fecero massa
Tali avvisi diedono a Tiberio allegreca
e pensamento. (M)
con piuttosto bello parlare che credu-
to. (M) — con panare piuttosto bello
che di cuore. (6)
con meno parole , ma più di cuore ; e
di quantunque avea Germanico lar-
gheggiato anche in Pannonia gli fece
onore. jM)
(Anche la G. « e di Quantunque: »
nel resto confronta eolia volgata).
cagione intrinseca del ritirarsi a Rodi :
affatto disperata ,
fece morire di stento e di tìsico (M) —
.... di stento e tìsico (G)
parimente a Sempronio
e imperversare il marito :
fu dalli ammazatorì trovato
eletti furono Tiberio, Druse.... (M)
non ardiva quel popolo tanti anni ve-
zeggiato aspreggiare.
sentendo i nimici essere in parte ,
odiato genero (M)
e que' che sono tra' benivoli legami
d' amore ,
portò volando V eserrito (M)
Cacciati con ingegni e quadrella (M)
vennero ambasciadori
già predate da molti di que' medesimi.
il divino Agttsto
senon se utile a voi ;
ma vedi tu quel che ^iù vaglia , o
sere d' Arminio incinta o di me i
e schiava prima che nata la sua cria-
tura,
bravo esercito (M)
tali fiancate (M)
per impedire il passo a' nimici :
Pedone oommessario
cosi fecero a quel fiume massa (M)
Pes-
nata.
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436
MCTÀZIOm R COlftBZIOHf.
pag, •er.
46. 4.
t 9.
che U pa«e proprio abbmdaTano,
dove si dicera essere allo scoperto V o
di Varo
a riconoscere il bosco a dentro,
cKe il paese loro abbrodàTano,
dove si dicea essere scoperte V ossa di
Varo
43.
» 45. RìoonosceTasi il primo alloggiamento di Riconosceyasi il primo alloggiamento di
a riconoscere il bosco entro (M)
(La 6. « adentro »).
25.
26.
27.
29.
52.
47.
2
Varo dal circuito largo, e dalle dise-
gnate principia per tre legioni. Inol-
tre nel guasto steccato e piccol fosso
ti argomentavano ricoyerate le sotte
reliquie : biancheggiavano per la cam-
pagna V ossa ammontieellate o sparse,
secondo fuggiti si erano o arrestati :
per terra erano peri d'arme^ mem-
bra dì caTalli , e a' tronconi di alberi
teste infiliate ;
là Varo ebbe la prima ferita ,
in quel se^o Arminio orò :
quali fòsse per li prigioni :
E così l' anno sesto della scoi^tta
Cesare gittò la prima zolla
Questo a Tiberio non piacque , o per-
chè egli ciò che faceva Germanico,
tirasse al peggiore , o gli paresse la
rimembranza de^ compagni riveduti in
pesi 0 avanzati alle fiere aver V eser-
"cito scorato
• 45. fanti si mandare a soccorrerli che, tra-
portati dai fuggenti, crébbero lo
spavento : ed erano pinti in un pan-
tano
lungo il lite dell' oceano
Cecina , che coi suoi tornava
ebbe ordine di spacciare il cammino per
Pontilunghi.
Questo è un sentiero
iri pose il campo, parte a combattere e
parte a lavorare.
né fra Tacque poteano i dardi lanciare :
tutte le acque de' circondanti colli
»
49.
»
20.
»
»
»
24
»
27
»
52
18.
2
Varo dal propreso M) largo e dirisato
per tre legioni. In altro di guasto stec-
cato e picciol fosso s'argomentavano ri-
coverate le strutte reliquie. Biancheg-
giavano per la campagna l'ossa ammuc-
chiate 0 sparse , secondo foggiti s'era-
no 0 attestati: per terra erano peri
d'arme, membra di cavalli, e ne*
tronconi delli alberi teste infilzate.
(Così anche la G. se non che « in
tronconi »).
là ebbe Varo la prima ferita ,
in quel seggio Arminio orò
quante fòsse per li prigioni (M)
L'aùno sesto dalla sconfitta
Cesare gittò la prima terra (M)
Questo a Tiberio non piacque, o per
tirare ciocché facea Germanico al peg-
Siore 0 per parergli la rimembranza
e' compagm riveduti in peri o ma-
nieati oalle fiere, avere l'esercito
scorato
fanti si manderò a soccorrerli, e traporta-
vanoseneli (2) i fuggenti, onde crebbe
lo spavento , ed erano impintì in un
pantano
(La G. 0 pinti •).
lunghesso il lite dell' oceano (M)
Cecina che con sua gente se ne tornava
ebbe ordine di passare quanto prima
per Pontilunghi.
(LaG. « ebbe ordine d'accertarla, t)
Questo è uno stradone
pose ivi il campo per fame parte com-
battere e parte lavorare. (M)
nò nell' acqua i lanciotti colpivano :
tutte acque de' coUi (M)
(1) praprtw, spazio, cbeoito, neialo. Tooe antiquata. Anche il Yittani: « H castello «••.<
d> un gran giro e proprew. »
(2) trag^rtàvanoseneli, iM ne li traportayano.
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MUTAZIONI E CORBBZIONI.
437
6. sema perdersi, penstndo «Ilo iDoanzi,
40. Toccò.... alla Tentancsuna il sinistro,
(Vedi la nota a quetto luogo.)
U. in festa e straTÌzi ,
20. e la man portali ,
24 . le legioni poste alle latora
25. ma ristette si vide il bagaglio nel fango
e Be' fossi impaniato, i soldati intorno
rìnfnsi
pensando senza perdersi allo innanzi (M)
Toecò.... alla Tentnnesima il sinistro,
(La G. « diciannoTesima »).
28. co'l fior de' suoi, sdrucì ne' nostri.
29. i ^ali in quel terreno, di sangue loro
e di loto molliccico, dayano strama-
zate o sprangaTan calci ,
2. calpestavano i caduti.
7. n'aiutò:
9. Né qui finirono i guai : convernva fare
steccati, argini, cavare , tagliare , ed
erano in gran parte perduti gli ordi-
gni:
42. Gompartivansi cibi fangosi o sanguinosi .
B di quella funesta notte ,
45. Un cavallo rotta la caveza, spaurito
dalle grida ,
^9. opposta al nimico, e più sicura
25. Allora ragunatigli nelle principia, im-
posto silenzio,
4 • quella sortita gli condurrebbe al Reno :
5. vincendo, mnamento e gloria.
5. Indi diede i cavalli , prima i suoi , poi
que' de' legati e tribuni , senza prece-
denze, a' più forti , i quali prima ,
7. tenuto in agonia non minore dalla spe-
ranza, cupidigia e dispareri de' capi.
in festa e conviti (M)
e la man portale (M)
le le(^oni alle latora
ma ristette, sì vide gì' impacci nel fango e
neVossi anmiemmati (4 ) , i soldati loro
intorno rinfusì (M) — ma ristette , sì
vide gl'impacci nel fango e ne' fossi
impaniati, i soldati intomo a lo-
ro ec. (G).
(L'esempi, del G. Mortara corr.: « urtò
ne' nostri »).'
i quali smucciavano in quel terreno
sdruccioloso per lo sangue loro e per
lo mollore dole paludi o sprangavan
calci (M)
scalpicciavano i caduti. (M)
(La G. « scalpitavano » ).
ci aiutò (M)
Né quivi finirono i guai : conveniva fab-
bricare lo steccato, portar la materia
per li ripari , strumenti non v' era
per cavare , tagliare
Dimezavansi i bocconi fangosi o san-
guinosi. (M)
(La G. « dimezavansi i cibi »).
di quella mortifera notte ,
Un cavallo sciolto , spaurito dalle grida,
oontr' a quella del nimico e più sicura
Allora ragunato^i dove stanno gì' in-
nanzi, imposto silenzio
quelP uscita gli condurrebbe al Reno,
vincendo, l'ornamento, la gloria. (M)
Indi i miglior cavalli , prima suoi , poi
de' legati e tribuni diede senza pre-
cedenze a' più forti batta^anti, i
quali prima (M)
(La G. a combattitori » ).
cui tenevano in agonia non minore, spo
ranza , cupidìgia e dispareri de'capi.
1 0 IwUfltU.
37*
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438
M OTAZIOMI B GOBftBZIOKI.
jMTf . ttr.
SO. 42.
• 44.
» n.
• 48.
AlFalba fetnaiio i fotà , riempioogli
0 ipiasi per paura attoniti.
Quando fnron bene accosto, i nostri,
dato il segno,
rimproverando loro: Qui non boschi,
non marosi , non laojjlii yantaggiosi ,
non iddìi parsiali.
Al nimico, credutosi poca gente e sva-
ligiata ingbiottire
nella tempesta morieno.
le legioni si ritornarono
tuttavia la vittoria dava loro forza , vi-
vanda , sanità e ogni cosa.
Novelle andaro
scrittore delle guerre di Germania ,
non si travaglia de'soldati per far guerra
agli strani :
e dirlo Cesare Caligola?
aggravava ^esti odii e ne rinfocolava
Tiberio, perchè , al solito lungamente
in lui avvampanti , ne uscissero saette
più rovinose.
» 48. fu asdutto o con poco sprazo di marea :
» 26. Non giova gridare, non confortarsi,
perchè quando il fiotto batteva , dap-
poco o valente, nuovo o pratico,
sorte o consiglio tanto si era ,
» 50. Yitellio, fatto forza, tirò P esercito al-
l' alto. Assiderarono tutta notte, senza
panni da rasciugarsi , senza fuoco ,
Ignudi, infranti, e peggio che in
mezo a' nimici , ove si può pur mo-
rire con qualche gloria ,
25.
26.
28.
54.
2
5
9.
42.
52. 2. sì veduto fu egli ,
All' alba corrono «'fossi, empioiili
e attoniti quasi per la paura. (M)
Quando fnron bene accosto, dato il se-
rimproverando loro che quivi non ersn
boschi , non pantani , ma luoghi pari
e dii propizi. (M) — rimproverando
loro: Qm non bosclù, non marosi,
luoghi pari , iddii favorevoli. (G)
Al nimico che si pensò una poca gente
e sguarnita inghiottire (M)
nella tempesta cadieno.
le legioni si rìtiromo (M)
(La G. « si ritirarono »).
tutta via forza , vivanda ^ sanità , ogni
cosa dava loro la vittoria.
Le novelle andare (G)
scrittore delle guerre germane ,
non solda gente contH a stranieri :
e dirgli Cesare Galzarìno? (M)
aggravava queste cose , e ne rinfocolsva
Tiberio, la cui natura sapendo, em-
pieva quel nngoloso petto di vapori
odiosi , acciò doppo lungo avvampare
ne scoppiassero saette , folgori rovi-
nose. (M)
JLa G. e in lui avvampassero. ■
resto come la volgata).
fu asciutto o con poca marea (M)
Non giovava riprendere, non esortare,
perchè quando il fiotto batteva , dap-
poco 0 valente, scempio o saggio,
sorte 0 consiglio, tanto si yaleva [W,
(La G. « vile o valente a ).
Yitellio aggiunse forze a forze , e final-
mente tirò l' esercito all' alto. Asside*
rarono tutta notte, senza fuoco, brulli
di arnesi , abbrividati, infranti e peg-
gio che in mezo a' nimici , ove si pur
può morire con qualche gloria
(La G. « senza panni da rascìuga^
si , senza fuoco, ignudi ec. a Nel re-
sto come la volsata ; se non che « ots
si pur può morire » ).
61 veduto non fa egli ,
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MUTAZIONI E GOBHBZIONI.
430
\0. né ti lasciò, come il senato voleva , giu-
rare V approTazione de' fatti :
S5. Non perciò era creduto di civile animo,
2. aveva infamato nomini e donne di G<Mkto.
9. cavalieri di meza taglia y
0. nn crudelissimo fuoco si appiccò,
2. Diceva l'accusatore che Falanio aveva
messo tra' sacerdoti d' Agusto (che
n' era in ogni casa come un collegio)
nn certo Cassio strione , disonesto del
corpo, e vendè
5. a Cranio Marcello.... fu da Copione. ..
dato ^erela di 'maestà, raggravata
da Ispone
0. trapelò nella grazia del crudel prìncipe,
tendendo trabocchetti a' più chiari ;
3. trovarono.... il loro precipizio.
7. Ispone aggiugneva, aver Marcello la
statua sua messa più alta di quelle
de' Cesari ,
). gridò che voleva in questa causa dire
anch' eg^i il suo parere aperto e giu-
rarlo, perchè gli altri non avessero
ardire di contraddirgli.
. E quando il dirai, o Cesare?
, io ti potrei, non volendo, dir contro.
chinò le spalle ad assolvere il reo della
querela, stando però a sindacato della
pretura.
sedere ancora ne' giudizi
la quale virtù, e non altra, si mantenne.
A Properzio.... stato de' pretori , suppli-
cante di lasciare il grado per povertà,
trovatolo meschino di patmnonio,
donò venticinque mila fiorini d' oro.
come quegli che per severità mantene-
nè si lasciò, come il senato voleva, giu-
rare ubbidienza :
Non per questo mostrava civiltà,
avea infamato uomini e donne.
bassi cavalieri ,
una crudelissima pestilenza s' appic-
cò (M)
Diceva l'accusatore di Falanio che tra'
sacerdoti d'Agosto (che ne era in ogni
casa come un collegio) egli si teneva
un Cassio strione disonesto, e ven-
dè (Bf) — Diceva l'accusatore che Fa-
laniosacerdote d' Agusto (che n'era. . . ,)
si teneva un Cassio ec. (G)
a Cranio Marcello.... da Copione....
querela di maestà fu data e ribadita
da Ispone (M)
entrò in grazia alla crudeltà del princi-
pe, tendendo suoi trabocchetti a' più
chiari ;
trovarono.... il proprio precipizio.
Ispone ribadiva aver Marcello la sta-
tua sua messa più alta di quelle de'
Cesari (M)
gridò, che voleva in questa causa dare
anch' egli il suo voto tutto aperto , e
giarollo perchè gli altri non avessero
a contraadir^i.
(Nelle Mutazioni « scoperto » in-
vece di « tutto aperto. » Neil' esem-
plare del C. Mortara è corretto a
penna).
Quando lo darai tu , o Cesare?
ti potrei , non volendo, contraddire.
chinò le spalle che s' assolvesse il reo
dalla querela , ma stesse a sindacato
della pretura. (M)
assiedere ancora ne' giudizi (M)
la qual virtù si mantenne, e l'altre no.
A Properzio.... stato pretore, suppli-
cante di lasciare il grado per pover-
tà , trovatola grande , donò un milio-
ne di sesterzi. (M)
(Anche la C. « trovatola grande: »
nel resto come la volgata).
come quegli che per non essere meno
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440
MUTAZIONI B GORBSZIONI.
re, esSandio i beneficii poi^ya con
acerbeza*
5S. 7. e nel ealare (U Tevere) , grande strage
fa' di caie e persone.
» 40. delle cose divine
» • ma fiiron depatati Aterìo Capitone e
L. Aronno a' ripari dei fiume.
» 49. e troppo di miei sangue benché vile
goaeva. Onde il popolo ne impanrìo
e il padre ne lo sgridò. Non volle
egli celebrarlo,
56. 2. per fare il figlinolo dal popolo per cm-
dele scorgere e odiare.
» 7. e sparlasse de' magistrati.
» 9. che i pretori potessero vergheggiare gli
strìoni.
» 44. daUa verga.
» 45. e al troppo corso
» 49. il pretore potesse punire d'esiglio.
» 24 . nella colonia tarraconese
57. 4.1 deputati del Tevere proposero
» 4. non si voltasse la Chiana dal suo letto
in Arno,
» 42. fonti, corsi, letti e foci:
» » le religioni de' confederati che consa-
grato hanno
» 20. ne tenne a vita ;
58. 4. Da queste dubbieze fu condotto infino a
dar Provincie a chi e' non era per la-
sciare uscir di Roma.
• 8. Averli ora descritti da] casato , vita e
soldo, senza nomi , perchè s' inten-
desse di cui : ora senza descrìvere ,
» 42. fuori de' nominati da luì a consoli, ninno
ayer chiesto : chi volesse cimentar suo'
favori 0 meriti, f acessesi innanzi.
severo condiva di dispetti le eorte-
sie (M)
(La 6. « come quegli che per non
essere di meno severo. » Nei resto
come la volgata).
scolata .l'acqua, grande strage fa di
case e persone.
delle divine cose
ma furono eletti Aterio Capitone e L.
Arunzio a correderò il nume.
e godeva di quel sangue sebben vile (M)
— e di quel sangue vile godeya (G) :
onde il popolo ne impaurio, e il pa-
dre lo sgridò e non randò egli a ce-
lebrarlo. (M)
per fare il figliuolo scorgere per cru-
dele e offendere il popolo. (M)
e male non dicesse da' magistrati.
che i pretori yergheggiassero gV istrio-
ni.
dalla frusU. (M)
e al corso disonesto
il pretore d' esiglio punisse.
nella colonia d' Aragona
Li eletti del Tevere proposero
non si cavasse la Chiana del suo l^to
per voltarla in Amo,
fonti , corsi', pendii , letti e foci (IH)
le religioni de' compagni che oonsagrnto
hanno
ne tenne tutta lor vita (M)
Doppo simile dibattimento mandò a go-
vernar Provincie tale che prima non
Perebbe lasciato uscire della città.
Averli ora descritti dal casato, vita e
soldo, senza nomi per aversi a inten-
dere ; ora senza descrivere ,
fuori de' nominati da lui a consoli non
v' essere chi aver chiesto : se altri to^
lessero cimentare lor favori o meriti
facessersi innanzi.
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MUTAZIONI E COBRBZIOm.
441
UBWLO SECONDO.
Seguono h varianti deWedvùone Giuntina.
4. ericeTatodaRoma,
7. s'era rìrolto a yenerare poi Agosto,
9. doreva lor comandare ?
2. lettiga;
• i cibi della patria :
3. rìderansi del codazo greehesco, del ser>
rare e bollare ogni cencio ^ le larghe
adieoze
'• allevato ne' Dai : nella prima battaglia
fu rotto: rifeoei, e prese il reame.
2. Dea dispiacque a Tiberio,
2* 0 prestamente foron in punto : parte
corte e strette di poppa e prna, e largo
ventre,
(• molte acconce a portar macchine , ca-
valli e viveri j aestre a vela ;
)• che facessero massa nell'isola de'Bata-
Tì, d' agevole sbarco,
'• giunto a' Datavi ,
J. più largo e dolce,
i. per onoranza
'• che favorisse lieto lo suo ardimento
• mosti asse i {atti , rìcordassele i modi
suoi.
„ .... sino a foce d'Amisia. Quivi
lasciò le navi a sinistra del fiume , e
fu errore a non isbarcar le genti più
su ; die dovendo andare- per quelle
terre a destra , ebbe a perder parec-
chi dì a far ponti sopra que' marosi ,
che dalle legioni e cavalli furono pas-
sati francamente innanzi al tornar
della marea: ma gli aiuti diretani,
volendovi sgarar V acque e mostrar
▼aleotìe di notare , si disordinarono ,
e ve ne annegò.
leviti dalla riva gli arcieri
(I) Uà pmm par tnon.
e riavuto da Roma ,
(L'esempi, del G. Mortara: e s'era poi
rivolt' a Kenerar' Agusto, » )
li doveva comandare?
lattica;
i cibi della sua patria :
ridevansi del codazo grechesco, del
marchiare ogni cencio: le larghe
udienze
allevato ne' Dai : fu rotto ; rifeosi ; tornò
a vittoria ; prese il reame,
non fu discaro a Tiberio,
e prestamente furon fatte , parte corte
di prua e poppa , e largo ventre ,
molte fur pronte (\) a passar le macchine
e portaron cavalli e vettovaglie , de-
stre a vela ;
che facessero massa in Olanda, boia
d' agevole sbarco,
giunto all'olandese,
più largo e piano,
in onoranza
che favorisse volentieri lo suo ardimento
mostrassele i fatti , rìcordassele i modi
suoi.
Navigò.... sino a foce d'Amisia. Mise
in terra le genti e lasciò le navi a
sinistra della corrente : e fu errore a
non passarle all' altra riva , dovendo
nelle contrade destre andare, onde
molti giorni si perderò a far ponti.
Passarono alla sicura i cavalh e le
legioni le acque prime e basse , al
comparir degli aiuti diretani rigonfia*
rono, e gli Olandesi per volere sga-
rarle e far prodeze di notare, si di-
sordinerò e ve ne annegò.
(Così anche la G.: ma nella tav. delle
Mutaxioni e Correzioni pone « ar*
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449
eXUTAZKMI B GORIBZIOin.
06. 24. Tederasi ài là Arminio minMciare e
sfidare a battaglia mezo in latino,
• 28. si presentarono schierati oltre al Yi-
surgo.
» Ì9. non gli parendo da eapitaiM tTrentorare
la fanterìa senza ponti e guardie ,
» 54 . capo di prima fila ,
• 32. Garìovalda, capo de' Baiavi, gnadò do-
V era maggior la corrente.
> 54. il tirano in nn piano cinto di boschi ,
onde gli piovono addosso per tutto :
» 56. 0 con mani o con tiri sbancano gli
attestati in giro.
67. 4. il soccorso de' cavalli
> 40. aver sentito d'appresso grande anitrfo
di cavalli e borboglio di turba infinita.
» 44. i liberti ritengono dello schiavo; gli
amici adulano;
C8 3. offerse moglie, terreni e fiorini due
» 5. Tale affronto raccese l' ira a' soldati :
» 8. Su la terza guardia assalirono
» 43. porgemegli altro più bello.
» 48. Tirassero dì punta spesso al viso :
» 25. Se bramano finire |1 tedio de' viaggi e
del mare,
69. 2. e diedesi il segno alla battaglia.
» 5. Romanastrì dell' esercito di Varo,
» 44. Con eente sì taccagna, crudele e su-
perba ,
• 40. Dietro sale una selva, con alte ramerà
e suolo netto.
» 21. a piedi.
» 26. mandò Stertinio con la restante a cir-
condargli di dietro e batterli: esso a
tempo andrebbe a soccorrerlo.
70. 7. per isforzo suo e del cavallo scappò,
(I) Ha per errore tiranno.
cadori. » — L'esempi, del G. Mot- I
tara corr. a penna).
vedevasi Arminio di Ik minacciare e sfi-
dava mezo in latino,
si presentare in battaglia oltre Visargo.
non gli parendo da pratico avventurare
la fanteria senza ponti e guardati (sie)
(L'esempi, del G. Mortara: « uno de*
primipili, e).
Carìovalda , capo degli Olandesi , guadò
la parte più perigliosa.
il tirano (4) in un piano cinto di boschi,
onde gli piovano addosso per tutto:
0 con mane o con tiri sbaragliano gli
attestati.
il soccorso di cavalli
pver sentito grande anitrio di cavalli e
borbogliamento di turba infinita.
i liberati ritengono dello sdiiavo; gli
amici vantaggiano ;
promise moglie , terreno e fiorini doa
Raccese a' soldati tale affronto l'ire;
Alla terza guardia assalirò
porgerneli altro netto.
Tirassero dì punta spesso e alla testi '
Se il fine bramavano de' cammini e del
mare ,
e sonò a battaglia.
Romanastrì fugacissimi dell' esercito di
Varo,
Gon gente sì taccagna e superba ,
Dietro sale una selva . rimonda le n>
mora basse e '1 suolo.
(• rimonda y per potervi mancia
giare quelle pertiche sconsertate. •
Postilla della Giuntina).
a piede.
mandò Stertinio con la restante a circoo-
dargli di dietro e battergli > par '
tempo venire a soccorrerlo. j
a sforzi e salti , suoi e del cavallo, scappò,
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HUTiZIONl E CORREnONI.
443
U. s^appìatttrono tiVrnni ehe scoscenden-
dosi , 0 boìzonati per ginoco, tombo-
laTsn giù e ttorpiaraosi.
47. V astone del mmico in capo lor rÌTol-
geva.
24. gli sealaiorì delF argine come sotto ma-
raglia eran di sopra percossati dar»*
mente.
44. levò dì battaglia nna legione per fare gli
24. prima qoieto il mare , eccoti d' un nero
Bagolato un rovescio di gragnnola
27.
?• non potevano star su P ancore né aggot^
tare la tanta acqua , che per forza
entrava.
42. creduto senza fondo o riva.
45. isole disabitate ,
49.
zoppe e senza remi ,
24. e mandò alla cerca per qaelF isole.
2. Contavano.... miracoloni di bafere,
9' insegnò nna delP aqnile dì Varo vicina ,
sotterrata e poco guardata. Mandò
parte di dietro a cavarla, parte a
fironte a far nscire il nimico :
2. senza colpa
8. Tiberio affrontò con più forza la sua
modestia,
17. fa accasato di macchinare novità.
^. Fiacco Vescnlarìoj cavalier intimo di
Tiberio:
2. ciocche trescasse e dicesse il giovane :
il quale ricercò
^- e contrastando chi fA-e dovesse la dice-
ria distesa , e nìano cedendo
^- Lesse come Lìbone aveva fatto gettar
V arte , s' egli arebbe mai tanti danari
che coprissero la via appia fino a
Brìndisi :
3. con postille atroci o score , a' nomi de'
Cesari o Senatori , di mano
2. intanto i soldati
s'appiattarono tra le foglie, e boìzonati
per gìooco giù tombolarono o tagliati
gli alberi si storpiarono.
V astone del nimico in capo gli rivol-
geva.
gli scalatori delP argine eran di sopra
percossati duramente.
levò di battaglia una legione per far lo
campo.
prima quieto mare; venne d'un nero
nugofato un rovescio di gragniuola
e affannosi
non potevano afferrare ne sgottare (1 ) la
tanta acqua che per forza entrava.
oredoto senza fondo né riva.
isole d' uomini salvatichi ,
zoppe o senza remi ,
e mandò a qoelF isole.
Contavano.... miracoli di bufere,
insegnò nna delP aquile di Varo vicina,
disotterrata e poco guardata. Mandò
una parte dinanzi a fare oscire il ni-
mico, nn' altra di dietro a chioderlo :
senza soa colpa
Tiberio lo punse coli' agnglione della
modestia ,
fa accasato di macchinare.
Fiacco Yescularìo, cavalier romano, cor-
tigiano di Tiberio :
ciocché il giovane trescasse e dicesse;
egli ricercò
e contrastando chi fare la diceria disto*
sa , e ninno cedendo
Lesse come Lìbone aveva fatto squadrare
s' egli arebbe tanti danari che copris-
sero la via appia sino a Brindisi :
(L'esempi, del C. Mortara: « get-
tar P arte »).
con postille a' nomi de' Cesari atroci o
scure , di mano
intanto soldati
(() sgottare manca alla Crosca, e«nDe anche adottare, registrato solo dal Uanazzi.
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444
MUTAZIONI E CORUZIONI.
77. 20. volerà lor chieder U yita di Ini , benché
colpevole , s' e' non avcTa
» 24. Propose Gotta Messalìno che mai in
esequie ninna V immagine di Libone
non si portasse :
78. 4. Locio Pubblio e Gallo Asinio
» ^7. arredo, servitù ;
79. 45. Anche Tiberio disse ,
• 46. né mancherebbe chi le facesse ,
» 23. e anche fece
» 2S. si richiamò di Urgnlania ,
84. 2. Non direi del prorogato in quell'anno,
se non fusse oello intendere le batoste,
fattone da G. Pisene e Asinio Gallo.
Pisone, avendo Cesare detto, e Io
non ci sarò » voleva che tanto più i
padri e i cavalieri segnitassero lor
nficio, come che ciò fosse onore della
repnblica. Gallo, perchè ciò sapeva
dì libertà , disse , nnlla essere illustre
o degno del popol romano, fatto fuor
dell' occhio del principe.
;eme , tanti mandarne in lun-
49. tanti
82. 4 . assegnato a vogliolosi
» 6. Fu questi nipote
• 24 . Né ciò mi procacci invidia , ma miseri-
cordia maggiore.
85-. 2. Goncederon gli antichi il dire tal volta
il ben comune ,
» 6. e sprovveduta ,
» 7. violentare
9 8. la tesorerìa;
n 40. ma per sentenza contro,
p 44. Mancherà V industria e crescerà la pi-
grizia , se timore o speranza non ci
Severo a: ogni dappoco con nostro
anno aspetterà sicuro che noi l' im-
bocchiamo.
» 20. 0 per paura
» 24 . non ne increbbe mai più ,
84. 40. rubò le ceneri e passò a Cosa,
voleva lor chieder la vita di Ini , s'è' non
aveva
Pronunziarono Cotta e Messalìno che in
essequie ninna l'immagine di Libone
si portasse :
Lncio e Pubblio e GaUo Asinii
arredo, servimento;
E anche Tiberio disse ,
né mancherebbe dii farle,
e fece '
si richiamò Urgulania ,
Non direi come quell' anno certi negozi
si prolungarono, se bello non fusse '
intendere le battaglie fattone Gneo i
Pisene e Asinio Gallo. Pisene, benché
Cesare avesse detto che vi sarebbe,
diceva, tanto più spediamoli noi ; sarà
onor publico che il senato e i cavar I
lieri facciano i loro ufici senza il prin-
cipe. Gallo, nditol parlare a uso di
libertà , diceva ninna enea potersi fare
illustre né degna del popol romano, |
senza la presenza e Vecchio di Cesare.
tanti eleggerne , tanti allungarne.
(L'esempi, del G. Mortara. e ser- '
bame»). |
a' vogliolosi assegnato |
Fu nipote
Non abbasso neasnno, ma cerco miseri-
cordia.
Concederno gli antichi il dire senza pro-
posta talvolta il ben comune,
e sprovveduta é,
e violentare i
la camera del tesofo ;
ma non per sentenza contro,
MorrUnno le api e regneranno i cala-
broni se dalle proprie opere né bene
né male cetali aspetteranno : ma che
noi da' nostri sudori, poltroneggiando I
essi , gV imbocchiamo, e anche mev**^
mo loro le mascella.
0 per timore
non ne increbbe più mai ,
trasse via le ceneri e passò a Gora ,
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MUTAZIONI B- CORREZIONI.
44»
f, spariva via :
). i ritratti àe? monti ,
I. Per finita tennesi quella guerra che non
fa lasciata finire.
I . da poterlo smaltire sotto spezie d'onore.
(. perchè in Rodi non V onorò ;
>. chiedeTano alleggerirsi il trìlmto.
. e , ovunque andasse y sovrano a qnalan-
qae reggesse o per tratta o a mano.
I. commessioni occulte:;,
I. e per farsi dall' esercito amare ;
•. ne' due figliuoli'
ì. e loro allegati, antichi soldati suoi^
!. Non più i Germani divisi in frotte , in
qua e là scorrenti j come solevano,
avendo per lungo guerreggiar co' Ro
mani appreso a seguitare le 'nsegne ,
K le tre legioni smembrate
). segno, che impaurì :
. Se n' andò
. per più sprovveduto e grave scempio.
. il secondo ristoro e^danoo.
. ributtava.
. così privò del grado senatorio , o per-
mise lasc'arlo, Vibidio Varrone ,
. da parte di lei ancora ,
. persuase i suoi , che bastasse
. discostarla da loro
. ancor n'ente incivilita.
. ma dove sopra tatto si procurava non
isfuggir la guerra per paura ;
. quel Camm'llo che salvò Boma
Fattostà che
. vi badò poc!ii giorni a rbarcir P armata
Atene
via balenava:
i disegni de' monti ,
Segno che egli avesse la guerra finita
diceano essere il non avariali lasciata
finire.
da poterlo sotto spezie d'onorare, smal-
tire.
perchè in Rodi non lo trattenne ;
chiedevano alleggi^ento.
ovunque egli andasse , sovrano a qua-
lunque reggesse per tratta o a mano.
commessione occulta:
e farsi dall'esercito amare:
in due figliuoli
e loro allegati , oltre alli antichi soldati
suoi,
Non a masnade come già, correndo e
ritirandosi, alla germana, avendo '
per lungo guerreggiar 'con esso noi
appreso a seguitare le 'nsegne ,
le tre legioni svaligate
^egno di paura;
Ei se n' andò
per più provveduto e grave scempio.
il secondo danno e ristoro.
cacciava via.
così del grado senatorio scavalcò o fece
scendere Vibio Yarrone ,
da parte di lei ,
pregò che bastasse
discostarla da' suoi «
ancor non civile.
ma dove si cercava non iscappassero
per paura ,
quel Gammillo Salvador di Roma
Fatestà che
vi badò pochi giorni a dar carena (1)
Atena (2)
(I) tt.:r carena per « ristaorare la nave » è registralo nella Cmsca, ma sema esempio.
(^ Atena, come Laeedemona per Lacedtmone, Dante, Pwrg. Yl:
Atene e Lacedemona che fenno.
I. 58
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446
MUTAZIONI B GOREBZIONI.
ritpettindo V antica città coll«gata.
ròUnraTM qfoelle pronnàe
il Dvmero de' domandanti :
eoo parole Mure d'oracdi.
e la riprende afp^amente , dicendo :
Troppi convenevoli.... essersi fatti, (e
pu^eva per fianco Germanico) non
alli Atenieii,
Easi eiaere qae' bvon compagni
che non giti aveva fatto grazia d' «n Teo-
filo condannato dall' areopago per fal-
sario.
9C. 4. ove poteva alla fortuna attribuirsi sua
morte,
» 7. gli passò innanzi e , giunto alle legioni
in Seria , con donare ,
94.
ao.
95.
2.
•
9.
•
45.
•
45.
t
•
•
48.
»
22.
» 49.
•
28.
07.
7.
»
9.
»
44.
»
46.
•
48.
»
24.
»
27.
»
29.
98.
4.
»
6.
•
44.
»
48.
99.
5.
•
4,
»
48.
•
24.
400.
43.
in cor^o a nostre provincie, che s'esten-
de sino a' Medi ,
fu dato per legato Q. Yeranio,
Pure in Carra» dove alloggiava
Germanico era benigno, come s'è detto;
All' ultimo, Cesare , presentì alcuni
corone grandi d'oro
rede'PaHÌ4
pregavalo intanto non tenease
causò Yonone in Pompeiopoli
per la gran servitù
rinvilio,
bencbè nell' arder della guerra
Ma Germanico non sapendo ancora che
quella gita dispiacesse, se n'andava
per lo Nilo veggendo.
Passò indi dia seconda foce che quei
della contrada dicono di Ercole
con lettere egide , che mostravano l' an-
tica possanza;
da un vecchio sacerdote ,
laghi cavati per ricetti dell'acque
che oggi si stende al Mar Rosso.
quasi per mostrarlo comodo a rimetter
.nel regno,
rispettando sì nobil città .collegata.
confortava quelle provincia
il numero de' curiosi :
con parole d'oracoli da indovinarle.
e la spaventa dicendole:
Troppi convenevoli.... abbìam fatto (£
Germanico intendendo) non alli Ate-
niesi,
Voi sete qve^ buon coapagni
che non gli avea liberato un Teefilo
condannato dall' areopago per fal-
sardo.
ove poteva fame esito la fortuna ,
passò innanzi in Seria, e con donare,
in corpo a nostre province sino a' Ile
di,
fu dato Q. Geranio per primo legato.
Pure al fine in Cirra dove alloggiava
ed era dolce , come detto ò
Cesare, presenti alcuni
corone d' oro grandi
re di Persia :
pregavalo non tenesse
Yonone causò in Pompeiopoli
per la servitù
rinviliò,
benché nella mi guerra
Ma Germanico non avendo ancora avuto
la lettera , se n' andara per Io Nilo
Passò la seconda foce che le genti della
contrada dicono d' Ercole
con lettere egizie dell' antica possann;
da un vecchione sacerdote ;
laghi cavati per conserve dell'acqua
oggi è il mar Rosso.
quasi comodo alle riscosse del regno,
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MUTAZIONI E COfiKEZIONI.
417
xìoeTessi nel Frìofi , (f)
Le città , il colto
poi passaTa
mentì.
quasi per farli riverenza:
governatore
fu a' figlinoli
ma di vero perchè e' non ridicesse la
baratteria (2).
macchinava.
E quando seppe eh' ei migliorava fece
mandar da' littori sozopra i boti , le
vittime , gli apparati della plebe fe-
steggiente per la salute di lui in An-
tioccia. Andossene in Selracia
de messaggi mandati da Pisone ora per
ora a spiare come egli stesse.
queste cose,
questi preghi ultimi
. Se alcuni , o per le mie speranse o per Se quelle speranze mie , se il sangue
consunto, moveranno voi e molti
ancora che m' invidiarono, a lagri-
mare, che io in tanto fiore,
potrete lamentarvene'
sei figliuolini :
credesi quanto temea di Tiberio e
passò.
e si condolsero
Assomigliavanlo
consultarono di chi lasciare in Seria.
t. ricevessi nel Foro giolio,
I. Le città , il coltivato
I. e poi passava
I. falsamente affermò.
i. quasi per onorarlo :
I. governatore del regno
i. affiglinoli
I. ma si crede perchè e' non ridicesse
eh' ei lo corruppe.
». ordiva.
. E quando seppe eh' ei migliorava e se
ne scioglievano i boti, fece mandar
da' littori sozopra le vittime e gli ap-
parati della plebe festeggi ante , per-
ch'ei guariva, in Antiochia. Ando»*
sene dipoi in Seleucia
. de' messaggi che mandava ora per ora
Pisone a spiare come egli stesse.
. tali cose ,
. questi ultimi preghi
essermi di sangue con||ionti (e di que-
gli ancora che m' invia iavan vivo) lar
grimeranno, che io in tanto fiore ,
voi allora potrete lamentarvene
sei figliuoli :
credesi quel ch'ei temea di Uberio; e
indi a poco passò,
e so ne dolsero
Assomigliavanlo alcuni
consultarono chi lasciare al goverpo
della Boria.
Agrippina «inmalata e dal pianger vinta,
dianzi in sì bel matrimonio congiunta ,
Agrippina benché dal pianger avvinta e
ammalata ,
dianzi congiunta in sì bel matrimonio,
(L'esempi, del G. Mortara corr.
« maritaggio »).
(1) Frioli. Errore del traduttore. Deve dire Frejus. Lo stesso errore ricorre nella Vita
d^ Agricola.
(S9 Qui pene la wgaaoite postilla die io tolta colla oorreàone che leggesi di eontro.: « Questa
propriamente era rendere la ginstizia e le oose paMMiche, come simonia le sagre. È rimase tal yooe
nelle scritte delle sieartà de* mercatanti, dove gli assicaratori s'oUigano ad ogni baratterìa del jftt-
drone, e s' intende truffa e bmttnra. Nascono spesse dispute sopra qnesta Tooe baratteria, perchè
non 6> intende oft^ bene, e metteai ip <|Bdle scrìtte per forma pobliea data loro n^ tempi ebp dia
s'osava e intendeva, la qnal forma della scritta e gli altri statati fiorentini delle sicurtà gran bi-
sogno arebbaco di riforma. »
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448
MDTAZKWI B COMEZIOMI.
405.
99r,
25.
PiiMM raggiunto di «n i
r isola di Goo
inoiante nel-
106.
4.
odio foiM,
45.
efonemtggiari,
48.
dèinliiita,
•
Cesare.... è per te:
25.
per poter fare noiità.
28.
una insegna di bisogni
407.
4.
chiede aivti a'baroni di CiUcia;
7.
intimò a Pisene
9.
giunto a Laodicea
44.
U più atta a novità;
20.
tmlfatorì e gentame
»
e senridorame
26.
qoe' soldati TÌsto Pisone
lor padre ,
, già appeUato
28.
Presentagli poi
»
e scosceso, essendo cinto il resto dal
» 34. di là di sito;
t 54. i Cilici , Toltaie le spalle, intanano nel
castello. ^
408. 4. e sn le mora traf dando,
• 8. ma dielsi nere e sicurtà
• 43. i bisbigli
45. trattavano di render la libertà , e ugoa-
popol romano; perciò gli
larei al
hanno leTatTTia.
decreto né bando, fa feriate,
48.
409. 43. tra gli antichi scrittori.
» 46. Di onesti onori se n' osservano molti :
alcani foron lasciati sabito o col
tempo.
440. 9. a risolversi;
• 45. o sgomberato d' Italia.
» 24 . da Cesari ringraziati,
t 26. Pose al grano il pregio,
444. 8. mandandogli
» 44. ohe P avvelenatore a Pirro scopersero e
lo scacciarono.
Cd fante di Pisone lo raggisote aeiP isola
diCoo
forse biasimo,
e le forse ,
ci ò interessata ,
Cesare.... ò teco:
per potere novità fare.
una insegna di novizi
chiede a' baroni di Gilicia aiuti ;
a Pisene mandò dicendo
arrivato a Laodicea
stimata di meno levatura;
truffatori , gentame
servidorame
que* soldati alla vista di Pisone padre
loro già appellato.
Presentagli
e scosceso o cìnto dal mare.
là di sito;
i Cilici , voltato faccia , intanarono ad
castello.
e fuori delle mura traf dando |
ma didesi nave e sicurtà.
i segreti
hannoli levati perciò via che e* trattavano
d'ngudarsi col popol romano, rea-
duta la Ubertà.
senza decreto né bando aspettare fu preso
il bruno,
tra gli antichi.
(TUito quetto manca nella Gimiim),
a rispondere;
0 d' Italia sgombrato.
ringraziati.
Pose al grano il pregio die pagare si
dovesse,
mandandoglisi
che V avvelenatore di Pirro i
e scopersergli.
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KCTAZiONl B GORBBZIONI.
449
47. NeUe battoglU Tuio,
49. comandò :
20. perchè sola
NeUe battaglia pericoloso,
IF (L'esempi, del G. Mortara pone
nel margine la parola del testo am-
biguut, e nel margine di contro no-
ta : « vi fu che dire. » Lo che farebbe
sospettare che queste matazìoni fos-
sero nate da lettura fatta dal tradut-
tore a on consiglio d' amici).
goyernò :
perchè sole
lilBRO TERZO.
GorreTano per la TÌe ;
ma ninno stato celebrato con tanto ar^
dorè, onorevole a se e a tntti, por
che SI moderi ; non convenendo a'prìn-
cipi e popolo imperiente le cose me-
desime
che Gn. Senzio mandava a Roma ,
46. se Tiberio si scopriva o no. Né fu nn-
2 uè il popolo tanto curioso, o contro
1 principe bisbigliò,
2. e gastigherò la privata nimicizia mia, e
non da principe con la forza.
Bla trovandoci peccato capitale in qual-
siToglia , date a' figliuoli
Ghiariteyi ancora se Pisene ha V esercito
sollevato e turbato; guadagnatosi con
arte i soldati;
e piangerlollo sempre mai :
E Tei prego che il mio dolore non vi
faccia pigliar le querele date, per
provate.
. del generale:
Gorrevano la vie ;
ma niuno stato celebrato con tanto ar-
dore, a se come a tutti onorevole,
moderandosi ; non convenendo a voi
grandi e popolo imperiente le coso
medesime
(L'esempi, del G. Mortara: « non
convenendo a nomin grandi «).
che Gn. Senzio di Roma mandava;
(L'esempi, del G. Mortara correg-
ge: « da Soria mandava «).
se Tiberio si scopriva o no : né fue un-
qne il popolo ec.
(L'esempi, del G. Mortara: « Sa
Tiberio sapea nasconder quello che 'o
corpo avea , che mai non vi durò pia
fatica, né più il popol del prìncipo
bisbigliò »).
e gastigherò la privata nimicizia mia, a
non del principe.
(L'esempi, del G. Mortara: « da
principe con forza »).
Ma trovandoci scelerateza da gastigama
ogni persona , date a' figlinoli
Ghiaritevi ancora se Pisene ha con l'eser-
cito sollevato e turbato; guadagnatosi
i soldati per ambìzi<me ;
e piangeroUo mai sempre :
E v<n prego che '1 dolor mio e vostro
non vi faccia pigliar le querele data
per provate.
dello 'mperadore :
358*
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4(M)
MOTAZIOHI B COMSZIOlfl.
449. 45. e cbiedeTa Pnont tomentani i serri
■noi e di Oermanico.
• 24 . e speuvaoo le ane immagini straicioate
alle Gemonie ,
• 24. da oa irìbuo di coorto prateria :
420. 5. fiiporfato a casa, scrìwe elianto fiatai
naoTa difesa , e suggellato diedelo ad
an liberto,
» 8. si trovò sgozato, e il coltello i» terra.
45. e Tolòrala
47. Cesare manincooeso domandaTa al ae-
oato, se tal morte s' attrìbof?a a lai :
e all' apportator dello scritto di Piso»
DOp quel cb' ei fece il d) e la notte
ultuia. Il qvale avendogli risposto
parte a prooosito e parte no, lesse lo
scrìtto cne aiceva :
» 24.
» 25.
424. 42.
• 44.
• 48.
» 20.
• 25.
» 28.
422. U,
» 24.
423. 5.
» 44.
» 45.
t 22.
» 23.
424. 4.
» 2.
a toa madre pietoso.
Raccomandotl
P vcciditrìce di suo nipote? le favella],
la roba al senato,
V ban pianto :
slimolò i figlinoli
a cbi piò conficcarli,
il consolo diceva la prima sentenu ,
PUncina s^asaolvesse m grana d'AgosCa.
seppellirsi nel dispiacere.
certi sacerdozi.
uscì di Roma • rientrò ovante.
soldato bravo
si presentò fuori
vergogna da' suoi ebe per gloria
nei tempi
de' nimici
tratti alla ventnra
raro) vitnperosamente
Elvio Rufo
Cesare gliela donò, e con Apronio li
dolse senta però spiaoergli ,
e straccò i Romani.
e cbiedeva il reo, veniase la famigfia,
collassersi i servi.
e le sne immagini alle Gemonie strasci-
eate spaiavano,
da un tribvno:
Riportato a casa, quasi distendesse
nuova difesa . alonanto scrisse e sag>
gellò e diedelo aa nn liberto,
si trovò sgozato, e la spada in terra.
(L'esempi, del G. Uortara : « scan*
nato »).
e volòvalali
Caeare domandava eoi
sembiante il senato, se tal i
tribniva a Ini , e il figliaol di Pisone,
anel cb' ei fece il da e la notte ul-
tima. Essendogli risposto dal giovane
con prudenza e dal senato con ado-
lazione , lesse quello scrìtto di Pisene
ebe diceva: (4)
a tua madre pio.
Raccomandovi
V ucciditore di suo nipote? U faTella,
lo ruba al senato,
P ban fatto piagnere :
atrinse i figCooli
a cbi più configgerla:
il consolo faceva quesV altro uficio,
la vita di Plancina si donasse ad Agusta.
tuffarsi nel dispiacere.
certi benefici.
s' uscì di Roma e rientrò eoi dello oftare.
soldato ardito
osci f«orì
più per la vergogpM de* enei ebe per la
giorìa de' nimici ,
katti per soiie (gastigo antico, in qaei
tempi raro) con verga nocidii.
Elvio Rosso
Cesare la li donò e eon Apronie si
dolse sena' ira ,
e straccò il Romano.
(I) Qui pone qncsU poatffla: e Questo la«go è gauto: io gl> indorine ^aosto i
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MUTAZIONI B CORBinOMI.
4M
25. ecli«Dnito,coiiiolodifl«ginio.laMÌatM.
dire a an altro il parere. Gni V attri-
bniva a civiltà di non neeessitare gli
altri a seguitarlo, dii hii dioeva ù
crudele che non arebbe cedato il suo
nficio, se non per dannarla.
3. e TedeanTÌsi le soe immagini), com-
mosse tal pietà e pianto che maladi-
vano crudamente Qnirinio e chi. are-
Ta, la destinata già per moglìere di
L. Cesare e per nuora d' Agosto, af-
fogata a cotal vecchio senza reda,
contadino. Avendo poscia i servi tor-
mentati confessato P enormeze di lei ;
^\. che sapeva da' servi di Qatrìnio, come
Lepida il volle anche avvelenare.
^3. Avendo in poco tempo perdnto,
• neeonsolè l' avversità di tre gran^eaie :
Io cui caso dirò breve.
. il fratel di lai
- ma terrebbe ferma V «ifesa e di^NM»-
zione di suo padre contro di Ini. Così
poscia visse m Roma sicuro ma esoio.
n die m'invita a dire più da alto P ori-
one della ginstizia . e come le le^
siano a questa infimtà e varietà per-
venute.
a sao seniM».
IHpoi per venti anni fa discordia : non
costome, non giustizia:
abile alla questura
fa censore a fare de? cavalieri;
In vita di Mecenate , secondo, poi prì-
Qio fu nel consiglio di quei principi :
0 sia fatale della potenza , mantenersi
di rado inniio all' ultimo ; • perchè
quando
notevole
e die Dniao, benché consolo disegnato,
lasciasse dire a un altro il primo pa-
rere, nerchò non fosse il primo a
dannarla, « per civiltà di non foiMro
gli altri a dir oome lui (1).
e vedienvisi le sue immagini ; mosse tal
pietà che con dirotte lagrime maladi-
vano crudamente Quirìnio e chi aveva
la mogliere destinata per L. Cesare
e per nuora d' Agusto affogata a cotal
vecchio spremuto, tontadino. Avendo
poscia i servi tormentati confessato lo
sue enormeze ;
che sapeva anche da' servi di Quirinio
come Lepida il volle avvelenare.
Così perderono in poco tempo,
(L'esempi, del C. Mortara: • De-
rio Silano renduto a'Gìunii ristorò
l' odiose perdite fatte in poco tempo.
i Galpumii di Pisene , e gli Emilii di
Lepiaa • ).
ne ristorò, lo cui caso dirò breve.
'1 fratel suo
ma non per tale ritomo l' offesa e vo-
luntà del padre annullò ; ond' egli si
visse in Roma sicuro ma esoso.
n che m' invita a dire onde nascesse
dirittura, e come le leggi siano a que*
sta infinità e varietà pervenute.
a senno suo.
E per venti anni regnò discordia , non
costume , non giustizia :
abbiente alla questura
fu vicensorc a far cavalleria ;
In vita di Mecenate segretario secondo,
poi primo degli imperadori :
essendo fatale alla potenza mantenersi
insino al fine di rado , perchè quando
splendiente
(1) K fai fu* pMlilla «oA: • A' proMmi posti dopp* U vstfao etMn • ècppo gH swevbi si
ak a tuo obliquo : s' io Jussi tt — v«' do¥€ lui -^fa come ms'-E quel the non 'è lei, dUse U Pe-
vuca— i'id^ii IH— va' <f ov' 0fM— /a* «om'io si direbbe per ischeno. «Io me ne vo oome un
*vn>M aditta. »
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452
VITTAZIONt K CORAtnOKL
W » 7. stretta per otturi
• 8. di quest'anno
• aO. ^eiò Corbvlone..
491. 2. perdo non ai mandasse in Asia, ben-
ché toccali per tratta.
s 4. pOTertade che non macchia gentileia,
loda essere, non yergogna:
• 7. disse per sentensa
s 8. avendo molto replicato che questo sno
volere per lo pnblico V areYa per se
osservato,
t 45. per li paesi amici o stranieri;
t 4 8. co' centurioni.
• s Aver fatto una donna pur testé le com-
pagnie addestrare, le legioni torneare.
» 20. dalle mogli.
452. 4 . ritraente dalla facondia di Messala
• 6. V altre cose opposte esser comuni co '1
marito, e non da sollevare
438. 40. ritirandosi ad una immagme di Cesare,
• 44. i preghi ingiusti;
• 49. stando ella sotto la statua deU' impera-
dore.
È 24 . Finché eì la fece prendere e , convinta,
incarcerare.
454. 44. Presero Panni Celaleti^ Odmsi.e altri;
nazioni forti con capi discordi, egual-
mente mal pratichi , che non seppero
unirsi e far guerra da vero. Chi diede
il guasto al paese ,
435. 40. nel fiorire delle forxe,
a 49. in cucca,
a 20. ma i prigioni , per farsi conoscere e ri-
cuardare. Tiberio avvertitone , se ne
te' beffe , e co '1 non risolvere, nutrì
la guerra.
per natura stretta
di quell'anno
fomò Corbulone.
perciò non si mandasse né in Asia.
povertà che non macchia gentileza, <
ser loda e non vergogna :
« 24. Treviri militanti per noi al modo nostro,
« 27. e andavano verso la selva Ardenna :
438. 4 . perciò all' opera più intento ,
w 8. quanto erano più potenti ,
rìcordandp che questo di' egli voleva
per lo publico l'aveva in casa saa
osservato,
per li amici o atranierì pinosi ;
co' capitani.
Avere una donna pur testé le compagnia
addestrato, con le legioni torneato.
dalle mogliere.
ombreggiente la facondia di Messala
che pur le spese a' mariti e alle mogli
comuni sopportano senza farne scal-
pore
pigliando una immagine di Cesare,
i preghi disonesti ;
perch' ella sguainava V impronta del-
lo 'mperadore.
Ei fece colei prendere , convincere a
incarcerare.
Presero l' armi Celaleti , Odrusi e Dii ,
nazioni possenti , mal capitanate, che
non seppero unirsi e far guerra ma-
schia. Chi saccheggiò
nel fiore delle forze , i
senz' elmo,
ma i prigioni , per esser conosciuto e
non ferito : del quale indizio Tiberio
domandato non tenne conto, e col
non risolvere , nutrì la guerra.
(L'esempi, del G. Mortara invece
di • del quale indisio » ha « di tali
nuove»).
Treviri a nostro servigio,
e pigliavano la selva Ardenna :
perciò più scannato,
quanto era la città più potente,
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wnrAzioMi I coftuszioNi.
453
8. Anton lor città prinàpak,
\2. e'IrijBiAfliite y
45. oltre certi echitTi
■ coperti à' vn peso di ferro
48. Yarrone , per Tecchieia debole ,
20. In Roma si dieera non poro i Trefiii
e gli Edvi , ma
25. de^ loro stessi perieoli ,
6. passò al sdito,
W. ei fanti gridando,
42. non Yoleron riposo né dì nò notte :
I rodere il mmieo ; mostrarli il viso ; ba-
star ^esto per vìncere.
20. perdio le legioni comparivano.
24. Essi terrazani , non ordinati , non saldi,
22. beachò tanta pronteza non chiederà
sprone ,
24. è vergogna apprezare ì Galli come ni«
mici.
^' Ora questi £dai , guanto più danarosi
sono e più morbidi , tanto meno da
gaerra.
4- addosso i^ fuggenti lanciatevi.
40. eoo pali e forconi
12. Anton ,
16. Allora, e ii<m prima, scrìsse Tiberio al
senato il principio e la fine di questa
guerra veracemente,
^' e altre cose.
^5. orante.
W> In questo tempo al senato domandò che
a Snlpizio Qnirinio si facessero ese-
qn'e poblìche.
*2. soldato feroce.
2. Governò Gaio Cesare quando tenne
V Armenia.
5. in sa le cattività
0. fa accusato d' averla eottpoeta
S* Vitollia sola disse sempre ,
Antun capo delle lor eittà ,
gli altri
• eerti schiavi
coperti di ferro d' un pezo
Varrone vecchio,
Roma fulminava non pure i IVaviri e gli
Edoi, ma
da' loro perìcoli ,
qne' giorni passò,
e i fantaccini fremendo,
(L'esempi, del G. Mortara: « nò dì nò
notte posare »).
vedere il nimico e mostrargli il viso ,
questo bastare al vincere.
per le legioni comparite.
Essi non ordinati , non soldati ,
benchò pronteza non ami sprone ,
è vergogna co' Galli procedere da ni-
mici.
Ora questi Edui quanti più sono, tanto
meno da guerra.
(L' esempi, del G . Mortara : « saltate » ) .
(L' esempi, del G. Mortara : « con ma-
novelle e forconi »).
Antndnn,
Allora scrisse Tiberio al senato di que-
sta guerra da capo a piò veramente ,
e alte cose.
oQante.
Ricercò il senato che a Snlpizio Qnirinio
si facessero ese^ie puboliche.
soldato fiero.
Governò G. Cesare in Armenia.
in su le disonestà
fu accusato da P. Petronio d' averla eom-
poeta
Sola Yitellia sempre disse,
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454
tfOTàSIOMI B COftftniOlfl.
440. 4. tatti altri
• » fu bieuecrtto e , ealdo caldo, oocito.
»
2. DO fece richiamo
11
» co'aao'andiririeDi,
»
5. lodò al cielo
•
4. Don fulminassero peno
»
7. Ma nò il senato aveva
•
44. scialacquìi di danari,
»
42. Molte spese, benché gmdissime, spesso
si nascondevano nel frodare i pregi :
k le ricche
• <45. miser pensiero non gli volesse quel prin-
cipe parco all' antica , ritirar aura-
mente.
» 49, Egli un peto pensò
• 26. acciocché qnei. vergognosi scipatori che
Toi vedete arroasarv e temere, an-
ch' io non vegga
441. 15. dicendo: e' si gitta il giaccio
si vnole attutare.
chi nutrirebbe noi , i servi , i contadi ?
per addossarli a me;
non mi vogliate gravare.
questa cura fu rimessa agli edili :
» 22. a poco a poco mancarono.
» 24. potendosi anche trattenere all'ora la
plebe, i collegati , i regni , ed essere
trattenute :
fatti , eh' é eh' é , senatori ,
»
47.
2.
6
•
44.
»
48.
»
49.
» 29.
445. 5
« 42. la podestà trihnnesea.
444. 2. Non però altro invennero che immagi-
tutti scaltri
In incarcerato di repente e eddoncciso.
(L'esempi, del C. Mortara: « e
caldo caldo •).
(L'esempi, del G. Mortara: « ne fé ri-
. chiamo»).
eo'raa andiririeni;
(Nell'esempi, del €. Mortara que-
sta parola é sottosegnata, come da
mutare).
lodò a cielo
non fulminassero le pene
ma il senato non aveva
dispendii di danari ,
i maggiori (ditpenéii) w^etso si nascon-
devano nel frodare i j^egi ; le ric-
che
miser pensiero non gli volesse il prin-
dpe durunente ritirare al rispiarmor
antico.
Egli divisò uà peto
acciocché quelli spenditorì che vw ve*
dete arrossare , anch' io non vegga
e' si gitta il faccio
(L'esempi, del G. Mortara corre]*-
gè: « giacdbio »).
si vuole aiutare, (ma è per errore).
chi difenderebbe noi , i servi, i terreni?
(L'esempi, del 0. Mortara: • per ad-
dossargli poi a me » ).
non mi gravate.
furon gli edili fuori di questo pensiero:
a poco a poco assottigliarono.
potendo allora trattenersi la plebe, i
collegati, i regni ed essere tratte-
nute :
(L' esempi, del G. Mortara : « fatti chec-
Ma più di tutti ristrinse Vespasiano co '1
suo vivere
T.
ni ,... e altre cose solite :
che.
Ma principale assottigliatore fu Vespa-
siano col suo vivere
la tribunesca ^està.
Non però altro invennero che sdite im*
magìni....
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UVTAIlOm E COUIBZIONI.
À^
4. senieosiando senta prof^oata,
9. fece rìder di se, che si Yecchìo di A
stao adulare aspettasse altro che in-
famia.
18. Com. Memla
29. abborrì V an-ogante proposta e qaei
letteroni d' oro.
SO. una lettera.... che pareva modesta ; ma
fu presa per trasnperba.
9. Ma Tiberio così puntellatosi nello siato,
Ser dare al senato un po' d' ombra
eli' antico , rimise a auello le do-
mande delle Provincie , ai mantenere
le franchigie , cresciute per le città
della Grecia in troppa licenza ; la-
sciando ne' tempii rifuggire schiavi
pessimi , falliti , scappati dalla giusti-
zia. Nò avrebbero le catene tenuto il
popolo, che non si levasse per difen-
dere le scelerateze umane , come re-
ligione divina. Fu detto adunque che
le ritta mandassero ambasciatori con
fotte loro ragioni. Alcune, che le
franchigie si avieno usurpato , le la-
sciarono.
5. che ancor V è in su '1 fiume Gencrio,
3. di Venere , gli Afrodisie8Ì|; '
5. producendo un novello privilegio d' Agu-
sto, e uno più antico di Cesare detta*,
tore, conceauto per aver seguito «[uelle
fazioni. Lodati della mantenuta fede
al popol romano nelle scorrerie de'
Parti.
0. e molf altri imperadori
6. che il re Dario ciò donar loro ne' tempii
di Diana e d^Apoltine che essi adorano.
8. anco franobigia
(>• Fatti ne furono i privilegi a grande
onore: portossi però regola, e co-
mandato in essi tempii affiggerne in
bronzi sagrata memoria ,
)• Ma Cesare ème contro, esserci più sa-
cerdozi , nò mai datosi ad aràdi tal
maestà.
sentenziando,
fece rider di se , non potendo di tanta
età, di tal brutta adulazione altro
aspettare che l' infamia.
Menilo
e nominatamente aborrì que' letteroni
d' oro insolenti.
una lettera.... assai modesta; ma fu
presa per trasuperba.
Ma Tiberio così puntellatosi nello stato
nuovo, volle al senato gittar un poco
dì polvere negli occhi e ombra del-
r antico, e rimisegli le domande delle
Provincie di mantenere le franchigie
cresciute per le città della Grecia ift
troppa licenza. Essendo i tempii pieai
di rifuggiti, schiavi pessimi, falliti,
scappati dalla giustizia. Nò arebbero
le catene tenuto il popolo che non si
levasse per difendere le scelerateze
umane per religione divina. Fu detto
che le Città mandassero ambasciadori
con tutte le loro ragioni. Alcune che
le si avieno usurpate se ne stettero.
ancor verde in sul fiume Gencrio,
di Venere , que' d' Affrica ;
con le patenti prodotte di Cesare detta-
tore laudante dì quelle città i meriti
antichi , e d' Agusto celebrante il più
moderno dell' aver sostenuto per lo
popol romano l'invasione de' Parti
con ferma fede.
e altri imperadori
che il re Dario donaron loro i tempii di
Diana e d' Apolline che essi adorano.
ancor franchigia
Fatti ne furono i privilegi a grande ono-
re e comandato usarlt con modestia
e farne in essi tempii altari a perpe-
tua memoria,
(L'esempi, del C. Mortara: • po-
stovi però regola , e comandat' in
essi tempii afBgern' in bronzi sagrata
memoria »).
Ma Cesare mostrò esser tra' sacerdoti
divario, e non datosi mai ad araldi
tal maestà.
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4M
iiOTAnma i oeAtBzioHi.
449. 8.
» 42.
450. 4.
2.
loqMnltroiod^oirMadMlàd'Afwlo lo spivoiio d^titNaacHà d'Adusto
Cnidflla e rapace fa egli; ma gii eran
*& ceee, pericMeae ad ogni
: nimicato da tasti leBatorì,
40.
42.
Silano adunque ekiedeo tempo pochi dì,
poi lasciò la difesa e arA aorif ere a
Tiberio, pngnendolo
48. Eaao,... dìase: Confinerei Silano
25.
26.
27.
50.
S5.
151. 4.
6.
7.
42.
44.
20.
25.
0.
45.
44
46
47.
452.
Così gli altri:
po' I figlinolo,
con più Innga adolazione :
unno infame e mal ▼iasato gofemaaso
pro^da y e tocebi al principe il di-
chiarario;
perqfoéDì,
Chi è rioscito nel goyemare meglio, chi
'peggio di (piel eh? era creduto. Nelle
gran faccende, chi si risyeglìa, chi
stupidisce :
Così ordinare i nostri antidn , che die-
tro a' peccati seguisser le pime : non
fate il contrario delle cose saviamente
trovate e sempre piaciute.
d^va Tiberio al popolo,
V allegrò con questo parlare.
Così fu approvato.
1 Lucio Ennio fu fatto caso di stato
V aversi fatto vasellamento d' una
statua d'ariento del principe.
seguitò non volere.
e privata eccellenza.
al \àh anxiano consolare dopo il Maln-
ginese.
lo splendore
prese a rifare
mantenendogli
maggiore.
eamarfingo suo
luogotenente.
^>ude]e e rapace fa egli , nimicato da
tanti senatori ,
ridere né difendere :
bisognava
gli schiavi
Silano adunque s'abbandonò, e cKIcsto
tempo pochi dì ardì scrivere a Tibe-
rio pugnandolo
Esso,... confinò Silano
Geeì diasere gli altri :
al figliuolo.
l'adular seguitando*
niuno infame e mal vissuto, a dicbi»
razione del prìncipe , governasse pr»
vincia ;
per loro,
Chi ha ^vernato mefl^ e cU peggio
che di parutej le gran facoenoe dà
svegliano e chi stupidiscono:
Delle cose saviamente trovate e sempn
piarinte non fate il rovescio.
al popolo Tiberio dava ,
s' allegrò di questo parlare.
Co' piedi a? andò in questa i
A Lucio Ennio cavaliere fa fatto csis
di stato V averrf fatto d' una *statBS
del prìncipe d'arìento, vasellamento.
seguitò di non volere.
ed eccellenza privata.
al più stretto parente consolaro del Va-
Inginese.
il lustro
promise rifare
e di mantenergli
altro danno.
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MUTAZIONI K GOERSZIONI.
4m
5. rifatto
3. Poiché essendo
6. Scipione legate
2. Così essendosene
6. darà la caecia a Tacfarinate che or qua
or \k s' attendava.
6. In qnelF anno
8. destinato marito
7. Qaesf anno, sessantaqnattresimo
e rifatto
Perehè estendo
Scipione luogotenente
Così essendone
a Tacfarinate che or qua or là s' atten-
dava y daVa la caccia*
Al line dell' anno
destinato per marito
QaeatUnno, settantaqnattresimo
IiIBRO QVilRTO.
I. la fortuna cominciò repente a voltare ;
egli a incrudelire o darne animo altrui;
)• generale de' soldati di guardia ,
non tanto per suo sapere
n generalato della guardia
in nn sol campo
piò pronti
viverieno più severi, piantandosi '1 campo
foorì delle lascivie della città. Fatto
questo
. onorando i suoi
• Tolevan tempo.
. che non volea
• gli andò con le pngna in su '1 viso , e
volendosi ei rivoltare , lo li hattò.
• per aspettar cose incerte e scelerate y
• e in lui voltarono i padri tutti gli onori
già decretati a Nerone suo Ifratello :
Soldati di buona voglia esservì pochi ,
E quante legioni, e quali provincie
gaardavano riandò. Il che invita me
ancora
■ quanto
■ mandò a Fregins.
stavano armate de' collegati ,
I.
quando la fortuna cominciò di repente
a voltare , esso a essere o altri fare
crudele ;
(L'esempi, del G. Mortara: « capitano
delle guardie »).
non per suo sapere
Il capitano della guardia
in campo
prontamente
viveranno più severi piantandosi fuori
delle lascivie delle città il campo. Il
quale compiuto
ornando i suoi
volevano intervalli.
non volea
gli andò colle pugna in sul viso, e
Seiano a Druse, il quale lo li battè.
per cose aspettare incerte e scellerate ,
a Nerone suo fratello confermarono i
padri i privilegi fattili :
Pochi soldati esservi di buona voglia ,
E di quante legioni e quali provincie
guardavano fece listra. La qual cosa
invita me
e quanto
mandò a Friuli.
stavano armate ,
39
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48S
MOTAZIOIfl B GOBHBZIONI.
24.
50.
54.
460.
5.
44.
45.
48.
49.
459. 49. gli onori oema Sabbio t'migiiorì por
«ntica nobiltà , TÌrti àvilo o gloria
à* armi.
a cima d' oominì , di prova o di nome :
non do' boni priyarle
modi.... TÌIlanì
tomoTO di DrasO)
cbo mottraiBO altro male :
Tiberio mentro darò il male, ebbe o
finse fermo caoro :
erano in sedia rile ,
0 oon fflì occhi ascintti e parlar non rotto
confortò il senato, cne dirottamente
piangerà , dicendo,
461. 2. solendo gli afflitti per lo più fuggire ì
conforti da' pareoti e fa luce senza
nota di deboleza : ma esso nelP ab-
bracdare la repnblica aver cercato i
veri conforti.
8. per qne* giovanetti , e fatte lor le paro-
le , li presentaro.
40. figlinoli avesse,
46. i vostri genitori:
20. tanto volto derise ,
24. del prenderne
• non gli fu crednto
462. 5. oegaiano
42. variar l'ordine;
44. il (piale come giovane la tracanno; e
tanto [nà fece credere d'essersi per
paura e vergogna ingoiata la morte
che al padre mescea.
49. nò è da credere:
20. arebbo così alla cieca porto la morte
25. enormeza,
27. le lingue sfringuellano.
28. da Apicata di Sciano :
465. 5. riprovare
» per isbandirle
5. a non anteporre le sconce cose
6. e non stravaganti.
9. si ravvivasse.
gli onori ^migliori per nobiltà,
0 gloria d' armi. ^
virtft
a omo d' nomini provati e nomati :
non i beni storcere.
modi.... orridi
temeva gastigo da Druso,
che paresse altro male :
Tiberio mentre dorò il male niente te-
mo , forse finse forte animo :
sedevano basso,
e senza gittare un sospiro con parlare
non rotto confortò il dirotto piangere
dal senato, dicendo,
appena udire ì parenti , fuggir la luce ,
solere gli afflitti senza par deboli : ma
esso nell' abbracciare la repobhca
trovare i veri conforti.
per ^e* giovanetti , e stmiti , li presen-
taro.
figlino' propri avesse ,
i vostri padre e madre :
tante volte rise ,
del prendersi
non se gli credette
v'erano
l'ordine volgere;
il ^ale bonariamente, comn ipovanSt
ugorgìatala, fece creder ricpiù d'
aversi per paura e vergogna la morte
che al padròn meteea ingoiata.
né da credere è :
arebbe porto la morte.
enormità ,
le lingue si sciolgono.
da Apicata:
contraddire
per isbandirle in generale
a non porre le cose nm credìbili
e senza miracoli.
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MCTAZIOMI B GORBEZIONI.
4150
14. ÀTTeleaare
1 6 . Diedesr danm a sparlare delF alterigia
di lei : solIeciUre Agnsta per l' antico
odio, e Livia per lo nuovo peccato,
che mostrassero a Cesare che questa
superba , fondata ne' taqti figliuoli ,
nei favor del popolo, spasimava di
regnare ;
23. e mandava ad Agrippina a darle consi-
gli a rovescio,
26. per eonforCo i Piegosi, faceva ragione
a' cittadini , sentiva le dimando da'
collegati ,
4. fracassate.
5. publiche atorsioni, fosse confinato
46. Anfizioni,
24. Questi, già mattaccini
7. i padri: per mano de* quali per ancora
faceva ogni cosa :
44. Panno innanzi
48. imbambolato
2a. e di padre e madre conf errati ; che si
durava fatica a trovargli, per esser
dismessa
28. per le molte difficultà che v' aveva; e
per fuggirle, si emanceppava colui
che pigliava il flaminato,
2. con decreto o legge
5. ammodernava
7. E per dare repvtasione al aacerdotio ,
e animo a pigliare gli ordini , si donò
a Cornelia, rifatta in luogo di Scanzìa,
40. tra le Vestali.
45. erra nel troppo,
47. qui si versò che, pari di luì vecchio,
si pregasse per que' fanciulli.
20. essendoli parenti o principali delle
città :
25. lasciandogli fare.
26. dna
5. con più spavento degli altri cadeva.
6. Offese Tiberio
8. e che egli
Avvelenarne.
Servendosi aduncpedelF alterigia dì lei,
dell' antico odio d' Agusta, del nnovo
peccato di Livia , rìoiocolava Cesare
che questa superba con questa sua
progenie e favor del popolo, spasi-
mava dì regnare ;
e mandava parenti ad Agrippina a darle
consigli pessimi ,
per sollazi i negozi . faceva ragi<me 9^
cittadini , grazie a^ collegati ,
disertate.
pubblichi storcimenti , si portasse
Anfitrioni
Questi che già erano matteccini
i padri , <jie davano per ancora a ogni
cosa di collo :
V innanzi anno
imbambolando
e di padre e di madre confarratì, per
esser cosa faticosa , diceva egli , a tro-
Targli , per esser dismessa
molte difficultà avev&e gli emanceppava
colui che pigliava il flaminato,
con decreto
ammodemiva
e per dare al flaminarsi animo e ripu-
tazione, si donò a Cornelia , vestitasi
in luogo di Scanzia ,
tra loro.
erra cosi nel troppo,
qua si versò che , al pari della sua vec-
chieza , si pregasse per que' fanciulli.
come suoi intrinsechi e primi dcUa
città:
lasciandola fare.
dne
con più fracasso e spavento de' circo-
stenti cadeva.
Offese
e che Tiberio
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460
MUTAZIONI S COBBEZIONI.
487. 40.
• 45.
Perchè i beneficii nUagrano in quanto
si p<Mon rendere:
VarroDe consolo non sì vergognò ubbi-
dire a Seiano in dar la querela con
la senteota , che i padri loro eran ni-
nicì. '
■ 25. 0 tenuto mano
4C$. 5. diiee ienpra nò mai altro per ana di-
fesa.
■ 7. tribnti , come dicevano, mal presi ; che
• 42.
■ 45.
469. 5.
• 4.
• 8.
• 21.
per parere
perebò molte cmdeltò trovate da gli
adulatmi temperò, e poteo farlo per
V autoriti e grazia che ebbe sempre
con Tiberio.
venga come I' altre cose dal fato
destreggiando, e senza nò sempre adu^
lare nò sempre dir contro , scansare
perìcoli e vitto.
le mogli ,
Costui di brutta orìgine , mala vlta^ ma
eloquentissimo, si fé tanti nimici ,
470. 2. invecchiò nel sasso di Serìfo.
■ 8. vede in camera
» 46. perchè i passati capitani quando si ve-
devano aver meritate le trionfali , ti
lasciavano il nimico.
■ 49. rinfrescato d'aiuti di Morì che, per
fuggir V insolente imperìo servile di
liberti del re Tolomeo figliuol d'Iuba
giovane che non ci badava, andavano
alla guerra.
474. - 6. ogni mal' andato, e scapestrato più cor-
reva:
* 14. gli amadori piA di libertà che di ser^
a 45. e assedia la terra
■ 48. i luoghi importanti fortificò, e i capi
de'Musolani soUevantisi decollò. E
veduto per lungo guerreggiare con
Tacfarìnate non si vincere questo ni-
mico scorrìdore
• 23. e la gente da scorrerìe
Perchè tanto i benefldi rallegrano
qnanto si possono rendere:
Varrone consolo per gratairsi Seiano
che odiava Silio, fece con vei^ogna
sua , sott' ombra di nimicirie de' pa-
drì , l' accusatore.
e tenuto mano
sempre questo nò mai altro disse in sua
difesa.
paghe, come dicevano, ritenute, d»
ninno ne domandava :
per sentenza
e molti crudeli ordini d' adulatori rao-
condòy senza rispetto : e pur si man-
tenne in autorità e grazia di Tiberio.
sia come V altre cose per fato
colle destreze , e senza nò rompere nò
adorare , scansare pericoli e viltà.
le mogliere ,
Costui per sua brutta orìgine, pravp
q»ere , fendente lingua , si fé tanti
nimici ,
invecchiò nel sasso di Serìfo le triste
quoia.
vede nel letto scompigliato
essendo a' capitoni passati basUto con-
seguire le trìonfali senza spegnere il
nimico.
rìnfrescato da' Blorì di liberti e sdiiavi
fatti soldati , del re Tolomeo figliuol
di luba, che come giovane non ci
badò.
se nessuno mal' andato e scapestrato
v* era , correva :
gli amadorì di libertà, non di servire.
e s' accampa alla torre
luoghi fortificò, e mozò i capi da' Ifu-
solani sollevatisi. E perchè guerreg-
giando con Tacfarìnate, s'era veduto
non si vincere questo nimico scorri-
dore
e la gento predatrice
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MUTAZIONI B CORREZIONI.
461
2. d' immeiuo bosco.
IO. Per le squadre
19. ebbene Dolabella maggior rinomo, per
avere con minore esercito fatto gran
prigioni ,
22. morto Tacfarìnata , sbattuti scolparsi col
popol romano.
-1. prima, con ragananze segrete,
9. che ne menò il capo e i principali a
Roma,
13. un figlinolo accasò il padre:
45. lindo e gioìante
18. e Cecilie Cornato stato pretore
22. rimettesserlo nel suo esiglio. lontano da
modi tali : seguisse mai più il suppli-
zio di cotal mostro. Sagramentava ,
Cornato esser innocente, fattosi paura
dell' ombra : che più bello che far ve-
nire i compagni?
4. a grande onta
1 1 . contro a Sereno vecchio,
15. nel qnal tempo gli tese pia trappole;
U . fa riportato
!4. alla scoperta opposto :
Ì5. anzi che i conservadorì di esse.
19. convinto d'averlo eoo versi infamato,
7. Ma egli , essendo P. Suilio tesoriere gih
di Germanico cacciato faor dU Italia
per moneta presa
15. e sempre senza bontà.
5. di maestà data
» Costai , com' è detto, aveva carrucolato,
e poi accusato Lioone.
7. sott' altro colore
4 . a' frumenti ,
9 zuffe della plebe co' grandi : larghissimi
campi. U nostro è stretto e scarso di
lode :
8. membrctti
d' infinito bosco.
Per li padiglioni
e fece Dolabella più rinomare d' avere
avuto minore esercito, fatto gran pri-
gioni ,
chieder mercè, morto Tacfarìnata, al
popol romano.
prima ragunanze segrete ,
il qaale ne menò il capo e i principali
a Roma,
fa accusato un padre dal figliuolo :
(L' esempi, del C. Mortara : « un
figlio spiò il padre tt).
(L'esempi, del C. Mortara: « lindo e
gaio »).
e Cecilie Cornuto
rimettesserlo nel suo esiglio per non ve-
dere la faccia né il supplizio di mo-
stro cotale. Sagramentava, non avere
Cornuto peccato; essersi spaventato
dell' ombra , potersene agevolmente
sapere il vero da' compagni.
con grande onta
contro a Sereno,
e in questo tempo più ondni attaccò ;
fu portato
opposto :
anzi che chi pon mano ad esse.
convinto d' averlo messo in canzone ,
Ma egli, cacciando il senato fuori d'Ita-
lia P. Suilio Tesoriere già di Gep*
manico, per moneta presa
sempre senza bontà.
data di maestà
Costui aveva , com' è detto , Libone al-
lettato e poi spiato.
sott' altra spezie
al caro,
zuffe della plebe co' grandi. Il campo
nostro è stretto e scarso di lode :
mcmb retta
59-
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462
MITTAnOllI B COIUZIONI.
476. 4^, Fonia di repablica quindi tratta
• 17. e comandalo nn solo ; queste minnxie ci
bisogna specolare
• 20. Oneste arrecano,
■ 24. rìnscite
477. 4. ii cui posteri
• ■ fossero speoti^
• 5. anche la virtù e la gloria ha de'nimici.
quasi riprendenti troppo da vicino i
loro contrari.
t 44. compresi
• 45. ma lode
» 47. loda tanto Gneo Pompeo, che Agusto il
dicea pompeiano, e por se lo ritenne
amico:
478. 2. o modestia o sapienza :
■ 5. Al piò ,
» 7. Vo io forse , con Cassio e Bruto
t 47. possan lerar le memorie a' posteri col
punire gP ingegni : anzi dan loro più
credito.
» 21 . tante le cause ,
■ 22. venuto per le ferie latine in tribunale ,
» 24." gli renne innanzi contro a Sesto Mario,
ma, biasimatone in publìco da Cesa-
re , fu mandato in esilio.
479. 5. sagresante,
» 45. tempio
• 45. m'è legge,
■ » perchè al mio divino onore era con-
giunta la venerazion del senato.
■ 49. e l'onore d' Agusto
• 22. e '1 soddisfare al grado in eh' io sono,
» 28. negli animi vostri,
480. 4. edii;
• » a questi ,
Altra forma di repablica qmndi tratta
né altro si può che quanto vuole va
solo, questo ci bisogna specolare e
notare
Arrecano queste minuteze ,
e riuscite
li cui discesi
fossero bene spentì ,
la stessa virtù e la gloria , se il caso lire*
SCO la condanua, stizisce (4).
(L'esempi, del C. Mortara: tse
troppo '1 caso fresco s).
comprese
ma in lode
dona a Gneo Pompeo tante lodi, che
Agusto gli disse pompeiano , e non
ne gli volle male :
tra modestia o sapienza .
0 al più ,
Domine , che fo io? ro forse con Cassio
e Bruto
possan tenere di non esser ssputi dalli
avvenire col punir V iugegni : anzi
questo li fa più stimare.
tanto le accuse,
venuto in tribunale,
gli venne innanzi contro a Sesto Mario
per le ferie latine , cosa da Cesare
pubblicamente biasimata, e àianda-
tono Salvìano in esilio.
sagrosante ,
il tempio
m' è tramontana ,
Aggingnendo il mio divino onore al se-
nato venerazione.
e V onore ad Agusto
e se io tengo il primo luogo mi basta,
ne' vostri animi ,
e dii e die j
questi ,
( I) Qai pone U Mgvente postili* tralasciata dipoi per qi^Uto d«Ua GorrcàoM falla: « leggo
come il Mgrolario rioobeaa, nimU i
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MUTinONI B CORREZIONI.
463
5.
a^elU,
7.
per YÌItà
43.
e riscaldato
18.
ambito
20.
gran cosa ,
22.
a' cavalieri romani;
23.
dell'amico.
50.
i figlinoli: che, quanto a ae. gli sarà
d' avanzo aver terminato la vita al
servigio d'nn tanto principe.
guardare a quello che fa per loro:
a' prindpi non convenire :
, dimembrare queste discordie
Quando io il passi , credi tu che stian
forti quei cne hanno veduto
che vi ti starai ;
che entrono contro tua voglia e d' ogni
cosa dicon la loro ; sanno molto ben
dire, che egli è un pezo, che tu
uscisti di cavaliere , e che mio padre
*Don alzò mai uno tanto, e mene bia-
simano per invidia.
Mi ti sono aperto, come amico, né mi
opporrò a' disegni tuoi e di Livia.
e animo verso di me ,
che venivano a corteggiarlo,
dava alle lingue che dire :
uomo di grand' ingegno,
sue vergogne
volerle purgare allora in giudizio :
di lesa maestà.
per storici
noia tolto in guerra da Filippo di Mace-
donia ;
cosi i Milesi per pubblico compromesso
lodato :
per antichità
bandito,
bandito per legge ,
quelli ,
per vile animo.
e stimolato
chiesto
cosa bellissima ,
a cavalier romano ;
di chi V ainava.
i suoi figliuoli: che quanto a M era
vivuto più che non meritava con sì
buon principe.
pensare quello che faccia per loro:
a' principi non così convemre :
(L'esempi, del C. Mertara: « guar-
dare »).
queste discordie dimembrare
Quando vi ti lasci stare io , credi tu che
il^atiscano quei che hanno veduto
che vi starai ;
che ti rompono il capo e d' ogni cosa
piglian l'orma da te, sanno ben dire
eh' egli è un pezo che tu uscisti di
cavaliere, e che mio padre non fece
mai uomo si grande , e me ne biasi-
mano per invidia.
Come amico ti ho detto che questo di-
segno a me non piace ; fate tu e Li-
vìa quanto a voi piace.
e animo tuo verso di me ,
che venivano a corte,
dava alle lingue materia .
bel poeta ,
le sue vergogne
volerle purgare quivi allora o con prò*
cesso:
di maestà danneggiata.
. per loro storici
ma tolto per forza da Filippo di Mace-
donia nelle guerre fra loro;
i Milesi di volontà libera conceduto :
per l'antichità
bandito per legge ,
bandito,
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464
MOTAZIOMI E COftWKZIONL
pag. wr.
483. 26.
» 50.
con esercito pusò PAlbi, e più eatro
di tatti penetrò la Germania ,
e lui.... mandò (poTanetto in Marsiglia,
ove sott' ombra di stadio stesse in
esilio.
»
32. gli decretò ese^e,
'ISf
4 . osci addosso
2. che per la pace non si gnardaTa ,
5. il eavallo, ,
7. Con voce alta disse in sua lingna, « che
e' perdevano il tempo: fossero pnr
eglino quivi presenti ; che per quan-
40. si scote da' fanti di sì gran forza,
4C. di quelle alte ed aspre montagne,
49. mandare aiuti a lor posta, sotto lor ca-
pitani,
485.
42. rimasi in fede.
43. postosi a' passi
46. la schiena d' on monto,
24. uscita de' castellani
23. per strepito di canti
27. poi datisi ai piaceri e dì preda arricchi-
ti, lascian lor posto,
50. una i saccheggianti >
34 . per pigliare ,
48G.
44. i cavalli e gli armenti
49. i migliori (benché diversi nel modo)
uscir fuori
22. solo rimedio;
487.
6. di cadaveri ; ponti e scale
8. splgnere.
9. con torgato, lanciottate, sassi e can-
toni.
44. nò amici da nìmici
4 6. in guisa che alcuni romani abbandona-
rono le trincee , credendole sforzate.
Pochi de' nimici v' entrarono : gli al-
tri morti , 0 feriti i migliori : all' alba
passò con esercito V Albi , e in Germa-
nia penetrò il più entro,
e lui.... scacciò giovanetto in Marsiglia,
coprendo collo studio l'esilio.
V onorò di esequie ,
affrontò
che per la pace non avea guardie,
il palafreno,
(Coti anche piò, $otU>).
Con voce alto e reca disse in sua lin-
gua : « Non vi affaticate, fossermi essi
tutti qui a petto, per quantunque spa-
simi non confessereili. »
di sì gran forza si scote da' fanti ,
di quelle alte montogne aspre
mandare aiuti quando vien l<Nr bene
sotto capitani loro,
restoti in fede. '
postosi ne' passi
la cima d' un monto ,
uscito di castellani
per tumulto di canti
poi piacere e dovizia gli vinse , lascian
le poste ,
(L'esempi, del C. Mortara: « da*
tisi al piacere , dì preda arricchiti » ).
una i tracotati ,
per pigliarlo,
gli armenti
i migliori uscir fuori
per lo migliore ;
dì corpi , ponti e scale
sforzare.
con tergete, ferite, accatasteti sassi.
(L'esempi, del C. Mortara : « mo-
ricce e cantoni»).
né amici né nimid
in guisa che essendo certi pochi entrali
entro le trincee, alcuni romani le ab-
bandonaron credendole sforzate : po-
chi de' più arditi nimici y' entrarono,
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MUTAZIONI B CORREZIONI.
465
ffU altri faron morti o feriti , o all'al-
ba ripinti anso al castello che si ebbe
a fona , e i saoi contorni d' accordo :
il resto difese da sforzo o assedio lo
cmdo gielo del monte Emo.
per ordire la morte d'Agrippina , Clan-
dia Bella
ma vede ora di colassù e arrossa degli
smacchi e sfarilla de' perìcoli miei.
Lascia star la Bella ,
Per tali parole , del taciturno petto vsci
poco altro che ^el verso greco:
La Bella
e Tiberio confermò ben averlo egli detto
valente.
listò fama di pia dcqneni a che acipiistò fama di pia ciarla che bontà :
foron ripinti anso al castello che s'ebbe
a fona ; e i suoi cmitonii d' accordo :
il difese da afono o asaedìo l' avae-
dato e erodo gielo del monta Emo.
per ordire ad Agrippina la morte , Clan-
dia Pnlcra
mi l'immagine vera, nata di celeste
sangue, vede i pericoli e sente gli
smacchi. Lascia star la Pnlcra ,
Tali parole fecero nsdr Tiberio tanto
capo ; e ripreaela con ^el verso greco
La Palerà
e Tiberio con l'antorità il confermò.
aconistò
bontà
ammalata e visitata
Ma Cesare che intese quanto importaa-
aero' quelle dimando,
lasciò di se e de' suoi,
ceoandogli allato ,
a' serri.
poca ragione.
la gloria sola
d' Apoliine i lllileai , di Diana gli Efesii.
Cresciuti di nuovo i Lidi ,
lor fiumi fertili, aria ottima, ricche
terre vicine.
divina stirpe
nel consolato.... quando
grande si , ma
e in Asia possenti re :
in consiglio , ciascuno si spogliò le sue
e mandaronsi alle legiom abbrividate.
disse che
t'eleggesse nn operaio a fare qoel tem-
pio:
^« li si mandò
ammalò e visitata
Ma Cesare che intese che questo era nn
chieder di succedei^h ,
lasciò della vita di lei e de' casi da' suoi,
mangiandogli allato,
(L' esempi, del C. Mortara . « stan-
dogli »).
allo scalco.
ragione poca.
non altro che la gloria
d' Apolline gli Efesii , di Diana i Hileù.
Di nuovo cresciuti i Lidi ,
rendite de' loro fiumi, bontà dell'aria,
grassezza della terra.
divino
quando fu consolo, che
grande, ma
e possenti re in Asia :
ragunati in congiglio ; ciascuno i suoi si
trasse , e si mandare alle legioni ab-
briridanti.
aggiunse che-
fosse soprantendente agli operai del
tempio :
(L'esempi, del C. Mortara: « fa-
cesse un ■ ).
ri si mandò
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4M
MCTAZIOia B COBmBZIOia.
eh' ai propooMM, gK
2. «iMifolm,
49. DÌManlo gli itralai^lR partito in Moto
da nan tomara in Rana. Cka in ro-
24. e sia tcnra la Terìtk.
26. la mora
32. senrenti.
» Faggirooo tatti
53. capo
492. 3. e ogni rea coaa
. era creduta,
42. si facea giuoco.
47. fenBandoaeae, per contro, in iÌMcia, e
rìdendoeene i seianesi.
'20. cipiglio o giugno falso.
24. che gli era innaui e già barcollava,
desse la pinta :
25. P altera»
403. 3. maggior scacco,
6. non tralignante :
9. finì seco.
45. a peggio incatenato
■ tal negozio
404. 4. fl flagello.
6. spettatori
8. che di dì Todarano 6 di notte ndivan
lor mogli e figlinoli orlare e piagowe.
44. a di qualunque per altro non si riTede»
Ta , si stava con tremito tanto mag-
giore, quanto più incerto, sin ni
chiaro cui la rovina cogliesse.
44. Scoprendosi quelle rovine,
25. monte Celio,
29. e con tal pasto gittate in gola a Gerbo>
ro, lo racchetò.
morto lui ,
Dioavano i savi in astrologia eV a? pai^
tio in punte che gli negava la tonata
in Rena. Che fn rovina
(L'esempi, del G. Mortara: s Ciò
fa rovina »).
a scuri la verità.
lei
405. 7. perdo eonsagrata da' nostri antichi nel
tempio della madre degV iddìi.
» 42. perchè di quèrce pieno era e fertile,
n 46. al foro.
sergenti.
Tutti fuggirono
e capo
a d' ogni mala cosa eh' ei proponasBc
«ra creduto,
ai fa giuoco.
« ^h , fermate 1 eh , aegnile I ■ diocado
e rìdendosene i seianesi.
dprìgno, o falso ghigno.
tk» gli stava innanzi, già crollato,
desse la spinta:
V atroce spinto
maggior sacco,
non traligno :
morì seco.
e incatenato
tale spesa
il male.
spettatori intenti
che dì e notte mnaghiavano eoa lare
mogli e figliuoli d' intorno.
e chi, per cbeche fosse, non potè,
stava de^ suoi con tremito, anzi tvtti
di tutti , sì non fu chiaro coi la ro>
vina cogliesse.
Levandosi le materie
il monte Celio,
(L' esempi, del C. Mortara : « e con tale
ingoffo lo racchetò, a Vedi la po-
stilla a questo luogo).
la quale i nostri antìdii eonsagraroao
nel tempio della madre degli dii.
perchè di tale pianta pieno ara e ferace.
al mercato.
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MUTAZIONI B COIRBZIONI.
ler
2^C]iadia Palerà,
25. alla spiagione
\. n senato ToUe ehe si aspetteasi Pìmpe-
radore , nnico soprattieni agli argenti
mali.
8.
appena potervisi accostare navili piccoli,
né alcuno di nascosto approdarvi:
dUrìa il yemo dolce
U. intorno a gli edifizi e a' nomi di dodici
ville:
4S. con insidie gii scoperte contro a Nerone
e Agrippina.
22. 1 piaza piena ,
". né la risparmiò
20. coosaltano ,
9- chi entra ne' suoi affanni,
^- elor vituperio.
7. e qualunque orecchio :
8. eran guardate intomo , se ri dormisse
lo scarpione.
N- disse,
'2. che voleva dire ,
'^« gridava quanto n' aveva nella gola ,
^' Tiberio non ha inteso tirarsi tanf odio
addosso, ben ci ha chi ha volato mo-
strare , che i magistrati nuovi si pos-
con cominciare dalle carceri, come
dai tempii e altari. E qual giorno ,
dicevano, fia scioperato il carnefice ,
se oggi tra i saffici e F orazioni ,
che non si suol dire parola mondana,
s' adoperano le manette « i capestri ?
7. non volle mai
°- ma sempre eh' ci ne fu stucco, si servì
de' nuovi , e i vecchi noiosi si tolse
dinanzi.
^' Ma Seiano il mitigò : non per giovare a
Gallo , ma perchè il principe
2. e mostrò
Claudia Bella ,
alla querela
n senato la mandò allo imperadore,
unico soprattieni a simili mali.
non potervisi accostare che navilii pic-
cou, gente poca, scoprirsi subito,
d' aria il verno dolce ,
a disegnare fabbriche e nomi di dodici
ville:
(L' esempi, del G. Mortara : « si
pose intorno a dodici ville di beino-
mi e palagi. » Vedi la nota a questo
luogo).
con insidie contro a Nerone e Agrippina
gih aperte.
qaando la piaza è piena ,
non la risparmiando
fanno consiglio ,
chi conta suoi affanni ,
e la loro vergogna.
e tutti gli orecchi :
guardavano intomo.
venne a dire ,
questo voleva dire ,
(L'esempi, del G. Mortara: « gridava
h cormomo »).
E qual giomo, dicevano, fia scioperato
il carnefice se oggi tra i sacrifici e
P orazioni , che non si suol dire pa-
rola mondana, s'adopefano le ma-
nette e i capestri? Ha ben saputo
Uberio che farsi, a tirarsi tanta ma-
livoglienza : ha voluto insegnare che
i magistrati nuovi si cominciano dalle
carceri e non dai tempii e altari.
non voleva
ma quando ci n'era stacco dava loro
per mano de' loro scambi la pinta.
Ma Seiano disse : « Eh , Gallo ha ragio-
ne » non per giovargli , ma perchè il
prìncipe
e mostrava ->
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468
409. 24. di* per loro traeoUnza.
t 27. soldato primipilo
MUTAZIONI E GOftUZIOMI.
«ke loro
soldato degl'mnanri
(L'eMinpI. del G. Mortara: « nno
de'prìmipili »).
• 28. ^a quel ragguaglio.
200. 4. 9 figlnoU al servifio.
• 6. rifaggio
• 44. messe in Frisia.
» • Lasciato auell' assedio , i ribelli andaro
a difenaere casa loro.
• 45. per passare f^i armati:
• 24. il capitan romano non ne to' Tendetta ,
• 26. Inogbtenenti e.... capitani.
■ 29. per tema di tradigione essersi ammanti
V nn l'altro.
» 84. Paura intema di tribolara. a eoi si
ceresTa rimedio con V adulare. Per
ogni cosa che si trattassi, delibera-
▼ano altari alla Clemenza ,
201 . 2. e molta jplebe corsero affannati per to-
der Sciano : cosa ardua , ambita con
faTori e con farsi compagno alle scel-
lerateze. Fasto senza dubbio gli ac-
crebbe ^el brutto senraggio apparso
molto più quivi ; perchè in Roma le
strade corrono, la città ò grande, non
si sanno i negozi. Qnifi per i campi
e lite, tutti a un modo giacieno dì e
notte, aspettando a discrìzione de'
portieri : e questo anche Tietato^ lor-
naroosi a Roma sbaldanziti , cu nt»
degnò udire, né yedere: altri con
baldanza infelice di quell'amicizia,
cni sopfastaTa rovina.
a quel campione.
e'flgUnoli.
foggio
portò in Frisia.
I ribelli che quel castello assediarano, '
andaro a difendere casa loro.
per passare la gente :
-il romano capitano non le gastigò,
(L' esempi, del G. Mortara : « prefetti
e.... centurioni »).
vedendosi tradire essersi amazati V uà
l'altro.
Tiremayano di paura , e non saperan far
altro che adulare, contendere e, a
ogni poco, deliberare altari alla Óo-
menza, ,
e eran parte della plebe corsero tram-
basciati per aver da Sciano udienza ,
cosa ardua ^ ambita con favorì e ra-
gnnati consigli. Fasto senza dubbio
gli accrebbe lo brutto servalo che
vedea farglisi molto più quivi ; per>
che in Roma ogn' un va e viene n
corte , la città è grande , non ai sa a
che fare. Quivi giaceva per terra o in
suir arena ogn' uno a un modo dì e
notte, aspettando grazia o villania dei
portinai: e anche questa levata tor-
narmisi a Roma sbaldaniiti cni non
degnò udire né vedere: e sbalorditi
CUI soprastava per V infelice amicizia
rovina.
(Nelle Mutaxioni: « spauriti cui
non degnò udire nò vedere , e alcuni
gallusavano della sopraatante mala
amicizia per loro. » Nell'esempi, del
C. Mortara leggesi questa mutazione
scritta nel margine).
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MUTAZIONI E GOIBSZIOMI.
lilBRO flUINTO.
L \. L'rano che fiiroa consoli Rubellio •
Fiifio, amcDdae Gemini , mori Giulia
Agosto decrepita , di nobiltà chiaris-
sima , nata de^ Claudi , ne' Lirì e ne'
Giuli adolUta.
' 6. Iodi Agosto
I 7. e senu aspettare il parto,
» 9. ma congiunta per lo maritaggio d'Agrip-
pina e Germanico col sangue d^ Agosto
ebbe seco i bisnipoti comani.
^ 0. moglie agoTole ,
* 4. alle ?(^lie del marito , con la simula-
none del fidinolo accomodatasi.
U. ut ammesse pochi
^2. essersi vietato ella onori celesti.
45. piccando
44. graiioso alle donne \
47. Quindi il governo fu più- violento e cm.
dele: perchè vivente Agusta v'era
dove ricorrere ;
22. fo letU.
23. non arme ,
24. ma amorì dì giovani
2. allibb'i.
3. eotrarono in grazia per nuocere
S- accinto iscoccò sua sentenza atroce :
S- grancancelliere
44. teoiendo il male iiitaro
42. e i consoli dubitanti
46. e ben' agurando a Cesare , gridava ,
quella lettera esser falsa :
L' anno che Inron consoli Rubellio e
Fusio, Gemini ambo, mori Giulia Agu-
sta vecchissima , di nobiltà chiarissi-
ma , de' Claudi nata , ne' Liri e ne'
Gioii adottata.
Indi Cesare
e senza darle sosta a partorire j
ma come congiunta col sangue d'Àgusto
per lo maritaggio d'Agrippina con
Germanico , ebbe per suoi i figlino'
loro bisnipoti d'Àgusto.
trattabile mog^e ,
prese con arti il marito , lasciolla faro
il figliuolo.
ne ritenne pochi
aver vietato ella coee celesti.
mordendo
dì donne allettatoro
Il governo per innanzi precipitò, perchè
ella riparava alle cose; (4)
(L'esempi, del C. Mortara: « n'an-
dò in rovina e violenza s).
letta fu.
ma non arme ,
amori di giovani
basì di paura.
(L'esempi, del C. Mortara: « col nuo-
cere »).
stava accinto per iscoccare sua sentenza
atroce:
(L'esempi, del G. Mortara: « per
ìscoccar sentenza »).
segretario
vedendo il male volturo
e ì consoli
e gridava , <|ue1Ia lettera essere (con ri-
verenza di Cesare) falsa:
MgreUrio
tue ia vtrgMs,
Qui h* la seguente postilla: « Racconcio: m n' andò in rovina e violenta, col parere do
io ficcliena, dw la parola urgens, ben* operante, • comoae a tatti i testi, non sia da ma-
frgtna. »
40
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470
MUTAZIONI B COBBSZIOMI.
204. 22. naovo dkari* da' padri:
» 23. che altro ratta
206. I. non doloroaa,
■ 9. Trattoasi poi di P. Vitelfio e Pomponio
Socondo.
» 40. la chiaTO ch'era in ina cura del danaio
per la gaerra ,
• 44. Aintolli
■ 46. Sfiati per mettern a icrìTere
207. 40. snpplino de' trìnnuTiri ,
208. 43. e per P altro mare entrato in Nieopoli
colonia romana , do?« finalmente in-
tese che, domandato meglio dù e'
foaae, aTetra detto,
• 46. Sfiati ir voleiee in Italia.
■ 20. che come litigante pigliava nimidiie per
poco, diede fiancata a Begolo d' an-
dare molto adagio alP opprimere i
ministri dì Sciano. Egli che, non
tocco, era modesto, ribattè il collega,
• 25. da rovinarvi ;
nnoTO dicerìe, nuovi decreti de' padri:
che altro ci resta
non addolorata,
Furon poi proposti P. Vitellio e Pom-
ponio Secooao
la chiaTC del danaio della guerra ,
SeampoUi
^asì per raschiare componimenti
sttpplirio tirannico,
e per V alto mare entrato in NieopoG
colonia romana.... finalmente intese
meglio, e domandatogli chi e' fosse,
disse,
^pasi per V Italia.
che pi(0iaTa nimidzie per poco come
litiffante , trafisse Begolo d' esaere
molto ada^o ito all' opprimere i mi-
nistri di Sciano. Eisli che modesto era,
non provocato, ribatto il collega ,
da rovinarci ;
lilBRO SESTO.
.NB. Nella ediùone Giuntina il presente libro, unito ai frammentt
del precedente , porta U titolo di Libro Quinto,
210. 44. sinisealchi
• 47. si diceano atroci parole
« 48. contro eriandio ai ritratti e memorie di
. lei , e che i beni di Sciano si scarne-
ressero e mettessero nel fisco, qnasì
con la medesima rèssa , come s' ella
importasse. E forse che questi non
erano Scipioni , Sileni e Gasaii , tra'
quali gran nomi ingeritosi , non senza
nso, Togonio Gallo di bassa mano,
pregava il principe a scerre un nu-
mero di senatori , da' quali venti per
volta tratti per sorte, con Parme a
canto gli facesser la guardia
si diceano atroci pareri
contro eriandio alle impronte e memo-
rie di lei ** Sdpioni proposero che i
beni di Sciano di camera nel fisco si
riducessero. Gotali erano , poche pa-
Tole mutate , de' Sileni e dcrCassii le
calde pronunzie \ quando si riso sa
Togonio Gallo, uomo di terra , e tra
quelli alti nomi non senza riso inge-
ntoai , pregava il principe a scerre nn
* numero di senatori , de^ quali venti
per volta tratti per sorte , con P arme
sotto ffì facesser la guardia
(L'esempi, del G. Mortara : a «o-
mo nuovo >).
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MUTAZIONI B COBSBZIONI.
47i
5. )»urlara,
7. itati di migìfIraW,
\0. correne Togonio, e intanto il suo parere
7. E cintala a Latino Laàare, fa grato
vedere
8. fii eapo al condurre alla man Tizio Sa-
bino, ora primo al gaatìgo.
'IO. la prese compassati consoli :
43. Indugio
H. Bisealdandosi
2\. come neghittoso, non temoTa;
5. queHa eh' ei fece per lo natale d'Agusta
co' sacerdoti 3 dolendosi
8. Di tntlo solledtayan conrincerlo l primi
della àtth , se e' non s' appellaya a
Cesare. Eccoti una lettera
42. Aroseio
45. a pari
47. e segnitò Germanico;
3. detta ora o milP anni fa ,
7. arricchiron le loro spie. Gintio afiricano
di Santogna in GaUia e Scio Quadrato
furono abi dannati.
12. memoreyoli , da altri passate.
5. fif. Terensio caTalier romano, accusa-
tone,
7. per me misero
9.6, ottenutolo, allegreza.
0. Io Tederà compagno del padre
9. chi tu esalti sopra gli altri , né perchè
gl'iddìi
2. gnardiamo
S. e servigio fjA ha fatto, sia come te , o
Cesare ,
ì. tirato in corte.
L e male fiancate diede
1. 6 il principe
L. Pisone pontefice
piacevoleggiare,
pratichi di magistrali ,
moderò Togonio , non però altramente
al suo parere contraoiase.
e datala (V aeeuta) a Latino Laaiare , fn
piacevol vedere
al condur Tizio Sabino alla mata fv ea-
po, ed era primo al gastigo.
i passati consoli assake :
Che indugio
Bisealdandocisi
per iscipiteza , non temeva ;
quando per lo natale d' AgusU cenò
co^ sacerdoti , e dolendosi
Né meno solleciti lo convinceano i pri-
mi della città se egli non s' appellava
a Cesare. Venne una lettera
Aurelio
al pari
e compagno, di Germanico;
nuova e di milPanni,
entrarono nella congrega, e spiarono
alsì Giulio affricano di Santogna in
Gallia e Scio Quadrato.
degne di memoria , da altri non dette.
M . Terenzio per qnella accusato,
per lo mio steto misero
(L'esempi, del C. Mortara: « e dive-
nuto, allegreza s).
vedeva lui compagno di too padre
chi tu nò perchè sopra gli altri esalti :
gV iddii
veggiamo
e servigiale , sia come te ,
tiratosi in corte.
e mali cenni fece
il prindpe
mesaaggiere
L. Pisone pontefice in questo tempo
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jnt
MUTAZIONI B COIKBZIOHL
247 49. chi
t 22. Poscia anche i eontoli MMlitBimio: il
che oggi si raffigura ,
?I8. 7. la lasciò y quasi non atto.
a 42. di rìcerere an libro della Sibilla, e sa
ne vinse il partito. Cesare
a 24 . allora che per V anione
A 25. Cosi anche allora
249. 2. il senato distese nn serero bando
• 5. I consoli spacciatamente il pobblicaro-
no. n non tì por bocca egli credette
doTersi attribuire a civiltà; e fa a
superbia.
• 7. furono uccisi
» 9. non per cosa di conto,
a • allentò.... la catena,
• 20. di dolci costumi ;
a 24 . casa popolare
220. ^* Pvria d'accusatori uscì addosso agli
usurai, che arrìcchivan più che, so-
pra il prestare e possedere in Italia ,
non dispone la legge di Cesare detta-
tore già dismessa ;
• 47. molti ordini
a 20. increscendoli
a 28. tutti i eontanti.
a 29. li due toni ,
• 50. né era onore
224. 4. Così si serpeutava, tranquillava, alla
ragion si gridava : e le vendite e com-
pre , trovate p'er rimedio, la strettela
accresceano : perdio i compratori col
nascondere il danaro , e i tanti ven-
ditori coli' offerire gii stabili, ffì
smaccavano: e i pia indebitati con
più fatica vandeano:
222* 8. e le corptra fetide
• 47. parole usava.
• 24. coaì i
chi ragion rendere e rimediare
Poscia i consoli sostituivano abì , il che
oggi si raffigura ,
morì , quasi non dovesse esser atto.
che per partito si ricevesse un libro tra
gh altri della Sibilla , il quale per
via di mutar luogo si vìnse , e Cesare
ancora che per l'arsione
E così anche allora
il senato distese un severo ordine
(L' esempi, del C. Mortara eofr.
• bando •).
(Così anche la 6 : ma nelle Mutazioni:
« Handaronlo tosto da parte loro non
sua , perdio paresse modestia e parve
superoia. » — L'esempi, del C. Mor-
tara reca questa postilla nel margine).
morirono
non per cosa di nerbo.
si schiodò.... la catena,
uomo dolce ;
casa plebea
Furie d'accusatori uscì addosso •'più
danarosi d' Italia , prestatori a più
usura che non dice la legge di Cesare
dettatore già dimessa ;
molte leggi
increscendole
tutto il contanto.
li duoi terzi ,
uè convenia
Così ciascuno s' aiutava serpentando,
tranquillando, alla ragione gridando
e le vendite e compre, trovate per
rimedio della strettexa, l' accrescea-
no ; perchè i prestatori aveano impa-
niato i loro mobili in qne^i stabili,
i tanti venditori ali avevan fatti rìn-
viliare , e il gettarli via a' debitori pie
grossi più coceva:
e le corpora
parole aveva.
cimentò in questa maniera.
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MUTAZIONI E GOBBBZIONI.
479
24-
44. Vuole alcuno che Macrone aresse ordi-
ne , che pigliando le tnni Seiano,
46. Ma perchè si dicoTt
48. ne incnidelì.
49. il laido corpo ,
2. sputò le colali :
8. quasi abomioassero ; ma tremavano e
stupivano, che osasse sì sagace uomo
45. essersi levata il cibo , se già non le fa
tolto,
49. ne volle troppo: si strasse di regnare j
B le core virili
2. sano e florido,
7. vedendo egli la repnblica a mal partito,
47. si rimaritò
20. Ebbe esseqnie da censore , titolo di go-
vernatore di Seria e poi di Roma ;
governo vietatoli
a i dotti '
nella città d'Eliopoli,
feniciotto
che, come dissi , resse la Mesia ,'
Sì pronto
aver proibito a Labeone il capitargli a
casa , e solo inteso disdirgli P amicizia
all'usanza antica:
ma egli frugato dalla conscienza dell'as-
sassinata provìncia ,
a sproposito
grande avvocato, ma vizioso.
pestifero
il sugMlio d'una tragedia.... i cui versi
s'adattavano a Tiberio.
Ma Servilio e Cornelio l'accusarono d'
adulterio con Livia, e negromanzia.
Punivansi ancora talvolta le spie.
di proprio poDfigUo, ma di Tiberio:
era intera,
Vuole alcuno che Tiberio scrìvesse a Ma-
crone , che pigliando Sciano le armi,
Però si diceva
più incrudelì.
il corpo brutto,
(L'esempi, del C. Mortara : « vuomitò s).
quasi non potendo sentire, ma tremando
e stupendo che potesse sì sagace uomo
s'era lasciata morire , se il cibo non U
fu tolto,
(L'esempi, del G. Mortara : « per troppo
volerne e struggersi di regnare • ).
le cure da uomini
ricco e sano,
vedendo egli tosto dovere ogn' uno ca-
pitar male,
fu rimaritata
Fu seppellito da censore, governatore
della Seria fu in titolo, ma in effetto
di Roma ;
governo toltogli
alli scienziati
nella città detta del sole,
fenicino
che resse la Mesia , come dissi ,
Così pronto
che aveva a Labeone solamente disdetta
l' amicizia , e '1 caoitargli a cas4 > se-
condo il costume degli antichi :
ma egli frugato dall' assassinata pro-
vincia,
a proposito (errore).
vizioso, grande avvocato.
mortifero
una traeedia.... la cui favola, ì cui
veni dipignevano Tiberio.
Ma Serrilio gli appose adultero con Li-
vìa , e Cornelio negromanzia.
Punivansi alle volte anco le spie.
di sua testa, ma per conn^o di Tiberio •
era ancora intera ,
40*
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474
MOTAnoin S COIBBZIONI.
png, 9tr.
229. 45.
■ 46.
■ 48.
230. 4.
■ 6.
» 9.
• 42.
■ 48.
234. 4.
» 4.
• 5.
» 6.
» 45.
• 22.
232. 2.
» 7.
» 40.
di fedel che era a noi , e gioslo eo'raei
per Umore di Germaiiko ,
■pregiando la recchieta dì Tiberio, come
non piò atto all'arme,
schernendoci di più e mandandoci a
chiedere il tesoro
chi far re
bastare il nome solo del san^e arsacido
appresentato da Cesare in ripa all'
Eufrate.
di coodarre le cose
la lentexa
Elesse a ingelosirà Artabano, Tiridate
del medesimo sangue . e a rac^stare
P Armenia Mitridate Ibero ;
Iberì
gente paria , mandagli da assoldare
stranieri.
i cni satrapi detti Sceptmchi ,
presero...
banda.
presenti e parte da ogni
lo travagliaTa ;
figlinoli ayntone,
dell' oriente ,
r esercito orrido;
yenire a fnrìa alle mani.
• 42. e pigliar campo al ferirou
» 21. ferì'l nimico
233. 4 . perchè fn dal carallo portato oltre ; e il
ferito da' snoi pia Taloreei sdvato.
Ma i Parti credendo al falso grido
ch'ei fuase morto, cedettero,
1 5. Artabano si mosse con tutte le forze del
regno, e fn superato da gì' Iberì più
praticni dì quei luoghi ; né perciò si
partiva, se Yitellio, legioni aannando,
e spargendo d' assalire la Mesopota-
mia , non gli metteva paura di guerra
9 40. a qne'popoU:
0 43. troTati i capi rìcaron le creste:
234. 5. mostra e rapisce.
i
di fedele a noi e giusto co'anoi, che
par tinan di Germanico ara ,
spregiando Tiberio coma Tcachio e non
aoldato,
e per ischemo d mandò a càiadar le
masserizie
chi re fare
il cai solo nome con V antorìtà di Cesare
rimetterebbe il sangue arsacido in
riva d' Eufrate.
di mulinare le cose
il pensare
Elesse al racquieto d' Armenia Tiridate
del medesimo sangue, emola d' Arta-
bano , a Mitridate Ibero ;
Iberiani (cosi ancM appreiso)
gente persiana , mandagli aiuti di .mer-
cede.
parte de' quali detti Sceptmchi,
presero.... paga da agni banda.
il codiava
e figlinoli avutone ,
d' oriente ,
l' esercito loro orrido ;
(L' esempi, del C. Mortara : e vanir' a
furi' alle corte s).
allargarsi e \ colpi scansare.
f eretta lo nimieo
perchè il ferito fn dal cavallo portato
olirà, e da'aoai più valaraai salvato.
Ma i Parti al falsa grido eh' ai fwse
morto credettero a cedettero,
Artabano dicendo avere gV Iberiani com-
battuto meglio per la pratica dei Ino-
f>hi , con tutte le forze del regno, si
rimetteva su e non si partiva, se Vi-
tellìo, legioni adunando, a romOTeg-
giando di volere assalire la Mesopo-
tamia, non gli metteva paura di guerra
romana.
alti Armeni:
le creste rizarono froTati i liberatori :
por^e a rapisce.
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KUTA2ioin E commsziONr.
475
-15. Parmi
\9. ÌD dae aoni
26. 0 quasi sbandito, stando fnor tanto.
30. statovi tanto al baio,
» o per vederne il vero in quello specchio
de' suoi vitaperì, non appannato d'
alito d'adulazione!
32. si tolse di vifa
5. come soleva ,
7. la mano
\4. tanto se n' era fatto il callo.
18. la stroza.
22. al governo;
25. destinati per casa loro quando fioriva ,
prolungati quando fortuneggiò,
24. dati ad altri;
2. senza difendersi
6. contro alla poco guerriera gente
2\. de' Parti:
» si recano in parte ,
28. di madre arsacido, tralignante nel re-
sto.
5. e '1 tesoro che vi lasciò
H. Ibridate esser fanciullo;
M. Conobbe il praticò a regnare, che i
falsi amici odio non fingono. E a fu-
ria chiamò aiuto di Scizia ,
4. e cosi liberò tutti dal biasimo del tra-
dimento.
7. Cesare cavò gloria ,
i denti romani ,
in due stati
e scacciato per lo tanto star fuori.
che n' era stato tanto al buio,
0 per vedere le sue vergogne in quello
specchio non appannato d' alito d' a-
dulazione.
si tolse vita
come soleva , ma viduo,
e la mano
tanto callo se n'era fatto.
la stroza e bisuociso.
al suo governo ;
per casa loro, quando fioriva, destinati,
quando fortuneggiò prolungati ,
ad altri dati ;
senza difesa
contro alla gente non da guerra
del Persiano :
si recano in partì,
arsacido di madre , nel resto traligno.
e tesoro lasciatovi
Tirìdate essere un fancinllo ;
Conobbe il pratico a regnare , che co-
storo stati amici falsi erano nimici
veri a Tirìdate, e a furia chiamò
aiuti di Scizia ,
e chiari che Paverlo lasciato in secco (\)
fu senno e non fellonia.
a Cesare venne gloria ,
(I) Qui pone la segaeiìte postilla: « MesMr Agnolo Wosini, gbvaiie di molta- leUere, ha
raccolto belle orìgini e somigliaoce della lingaa nostra con la greca. Una è questa metafora presa
da' pesci qaaado rìmangw fnor d'aeqoa. Teocrito nella prima egloga descrivendo ima ciotola in-
tagliata di figaro (imitato poi da Virgilio nella'tena) dice che vi era nn fandnllo a guardia d*ima
vigna e due golpi*, V nna, mentre egli si baloccava a far di ginncbi on< archetto per le cicale, st
maciallaTa tutti i grappoli maturi ; l'altra neoellava all'asciolvere che egli aveva nel laino, dispo-
sta a mare ogni inganno sì ne l'avesse lasciato in secco, o a denti secciii, o in so le secche:
*otTi Trpiv Vi ax/?«TiffTOv siti ^vipot^ xa&i?!»]:
V altra teneva al taino
L' occhio per mai noi volgere
Sì lo UseiasM in secco dell' asciolvere. »
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47«
MOTAnom K CMIBZIOHI.
258.
40
•
41
•
43
•
a
Né fakbróhA pdbliehe feee ,
e qaelle, finite, non conMerò:
lando ambinone ; o per troppa eÙ.
da quattro mariti dì sae bisnipoti ,
quali accettasse o no. Entrarono consoli
sezai a Tiberio, Gn. Acerronio e Gaio
Ponsio, salito già Bfacrone in troppa
potenia , cbe s' era prima ,
t 21. fftniìta d'innamorare e legar dì matri-
monio il giovane cbe, per montare
alF imperio , nulla disdjoea ;
» 23. imparate in collo all'aTolo;
239. 2. e studioso di buone arti ;
• 7. a Macrone rinfacciò :
• 8. e il viso
• 9. si rìdeva di Siila , pronosticò ;
» 40. E baciando con molte lagrime il nipote
minore , a lui cbe ne faceva viso ar-
dgno, disse : e Tu uccìderai costm , e
altri te. • Aggravando nel male, non
lasciava pur una delle sue radicate
libidini ;
e dì cbi , passati i trenta anni , doman-
dava altrui , che gli sia sano, che no.
e Marso, quan deliberato morir di
fame,
esser vivuto assai ; né aver da pentirsi
che d'essersi lasciato calpestare
per non tollerare le loro scelerateze.
Quando passasse questi pochi dì che
Tiberio può vìvere, come scampe-
rebbe
aspettar meglio di Gaio Cesare
travaglia la republica
però fuggiva i mali presentì e sopra-
stantì.
profetò,
De'mezani alle sue libìdini,
raso del senato;
essendo parso dicitor sanguinolento con-
tro gP innocenti.
34. alle ginocchia de' padri;
»
45.
240.
7
a
40.
•
42.
a
46.
•
49.
•
20.
•
2f.
»
23.
*
25.
•
26.
Né altre Edbrìcfae pabliche feee ,
né in quelle finite s' intitolò, per la poca
ambizione o per la vecchieza.
da quattro suoi come generi ,
quali volesse o no. Essendo poco ap-
presso entrati consoli sezaì a Tiberio
Gn. Acerronio e G. Ponzio, fatti dalla
già troppa potenza di Macrone , che
s'era prima,
stmita d'innamorare n giovane e farsi
promettere di rìtor là , il quale per
essere aiutato m<Hit«re all^imperio,
nulla disdieea;
tratta aU' avolo;
e letterato;
a Macrone disse :
e la faccia
si rideva di Siila :
E al nipote madore, cbe baciando
esso con molte lagrime il minore, ne
faceva viso arcigno : « Tu ucdderai
costui , e altri te. » Aggravando nel
male , delle sue radicate libidini non
ne lasciava una ;
e di chi trent' anni ha , e altri domanda
che gli sia sano, che no.
e Marso, deliberato dì morir dì fame,
altro in sua vecchiaia non aver da pen-
tirsi che d' essersi lasciato calpestare
per non aver pacienza alle loro scellera-
teze. Potrebbe passare questi pochi
dì che lìberio può vivere , ma come
acamperebbe
aspettar meglio in Gaio Cesare
travagliava la republica
e fuggiva il male presente e 'I sopra-
stante.
profeteiò,
De' drudi suoi ,
disfatto senatore ^
perchè Balbo parca che godesse co 'I suo
feroce dire di disperdere innocenti.
a' piò de' padri ;
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WSTknwa B COBBBZIONI.
4T7
4. intanto a quellUttro figliool minore sa-
rebbe passato il furor giovenile.
6. A ogni poco mutava
20. torna vista
» chìedea cibo.... Cadde il fiato a tatti :
4. Affacrone coraggioso disse: « Affogate!
ne* panni, e ogn'nn se ne vada. •
5. Sin da' primi anni corse dubbia fortuna,
7. molti e molti ,
44. coperto, e di finte virtù.
(L'esempi, del G. Mortara: e intant' al
fijjrlìaol minore passerebbe '1 furor
giovenile n).
E a ogni poco mutava
era tornato vista
chiedea mangiare.... Il fiato cascò a
tutti:
Macrone coraggioso gli disse : « Affogai
ne' panni, e causati. »
Ne' primi anni corse fortuna,
molti emoli ,
coperto, e parea buono,
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479
PRIMI TENTATIVI DELLA TRADUZIONE
DI TACITO-
' Ver Trovar col fatto il fntU detto d'Arrigo Stefani, che Vitaliano
parlare sia lungo e freddo, incominciai a volgari%are nel nostro
fiorentino Cornelio Tacito in questa maniera:
I. Roma ebbe prima i re: Lucio Bruto vi mise la libertà
e '1 consolato: le dettature erano a tempo: la podestà de' Dieci
poco oltre due anni, e poco la autorità di consoli ne' tribuni
de' soldati durò: né Cinna né Siila molto signoreggiò. La po-
tenza di Pompeo e di Grasso cadde tosto in Cesare» e l' armi
di Lepido e d'Antonio in Agusto: il quale di tutto lo stato
fracassato per le guerre civili, sotto nome di capo, si fé pa-
drone. Ma i prosperi e gli avversi casi della vecchia repubUca
sono stati memorati da famosi scrittori; né mancati a narrare
ì tempi d' Agusto ingegni nobili, sino a che crescendo V adu-
lazione li distrusse. Le cose di Tiberio, di Gaio, di Claudio
e di Nerone fur compilate false, viventi loro, per paura; e
dopo morte, per li freschi rancori. Onde io intendo, toccati
alcuni ultimi fatti d' Agusto, il principato di Tiberio e gli al-
tri tre riferire senz'animosità, non ne avendo cagioni.
IL Essendo l' armi pubbliche, ammazati Bruto e Cassio,
tutte mancate; Pompeo in Cicilia oppresso; né pure a parte
' Questo frammeato fa dalFab. Cesare della Croce, custode deUa biblioteca
Ambrosiana (nella quale questo scritto Uovasi autografo), pubblicato nell'ultimo
volume del Volgarizzamento di Tacito, stampato in Milano, iSOQ. Il Davanaati
lo indirixBÒa Gio. Vincenzio Pinelli. Vedi la lettera nel voi. Ili di questa edizione.
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480 PBIMI nuiTATiyi
giolìa rìmasO) spogliato Lepido e ucciso Antonio, altro capo
che Cesare; egli chiamandosi non più trìnnviro ma consolo
e contento della autorità tribunesca per la plebe difendere;
acconcio il popolo con l'abbondanza, i soldati condonativi,
ogn' uno co'l dolce riposo; incominciò pian piano a salire, e
gliufici del senato, de' magistrati, delle leggi appropriarsi,
ninno contrastante: essendo i più feroci, nelle battaglie e per
li confini, spenti; degli altri nobili, qual più correya al ser-
yìre, più era fatto ricco e grande; e rifattisi del nuoyo stato,
meglio amayano le presenti cose e sicure, che le passate e
perigliose. Cotale stato non rifiutayano anco le nostre prò-
yincie sospettanti dell' imperio del senato e del popolo per
lo combattere de' potenti e per l' ayarizia de' magistrati; es-
sendoyi per niente * le leggi, dalla forza, pratiche e moneta
finalmente strayolte.
III. Ora Agusto, per rinforzi allo stato, tirò su Claudio
Marcello nipote di sorella al ponteficato e alla edilità curale
molto gioy anetto; e Marco Agrippa di bassa mano, buon
soldato, compagno alla yittoria, a due consolati continui; e
morto Marcello, il si fé genero. A Tiberio Nerone e Claudio
Bruso figliastri aggiunse titoli d'imperadori, se ben ancora
casa sua non era scema di Gaio e di Lucio nati d' Agrìppa,
da lui fatti della famiglia de'Ceseri; i quali ayeya, in yista
di ricusare, ardentemente desiderato che fusser chiamati
principi delia gioyentù e destinati consoli ancor fanciulli in
pretesta. Come Agrippa mori, Lucio Cesare andando alli
eserciti di Spagna, e Gaio tornando ferito d' Armenia, ne
furon tolti da loro breye ora giunta, ^ o da trama di Livia
lor matrigna: e prima era morto Druse. Cosi Neron solo fi*
gliastro rimase. Qui ' si yoltò ogni cosa: egli figliuolo assunto:
nell'imperio, nel tribunato compagno: da tutti gli eserciti
fatto riconoscere; non più per artifici, come già, della ma-
dre, ma alla lìbera, spronandonela il yecchib Agusto di lei
* essendovi per niente j noa aveodo alcaoa forza o autorità, essendo
inutili.
* éa loro breve ora giunta. Intendi: morirono, o perchè fosse giunta l'ora
ddli breve lor vita, o perchè Livia V affrettasse col veleno.
* QMij«ioè, in Nerone.
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DELLA TRADUZIONE DI TACITO. 481
si perdato d'amore, che nell'Isola della Pianosa abalzò lo
nipote anico Agrìppa Postumo, rozo veramente e soro, e per
sua gagliardia sgarbatamente feroce; ma peccato che appor-
gli, non fu. Generale delle otto legioni in sa '1 Reno fece Ger-
manico nato di Druse, e adottarlo da Tiberio, che aveva un
figliuolo propio già grande: ma e' sì vede che egli volle as-
sodarsi con più rincalzi.
In quel tempo non ci era altra guerra ma' che ^ co' Ger-
mani, per inscancellar la vergogna del perduto esercito sotto
Qointilio Varo più che per voglia d' allargare imperio, o per
altro che valesse. La città era in pace: i medesimi nomi de'
magistrati: nati i giovani dopo la vittoria d' Azio; i vècchi
per le guerre civili: e chi vi poteva aver veduto republica?
IV. Rivolto cosi lo stato, non vi era più costume buono
antico: ogn'un fatto minore del principe, mirava qnant'ei
comandasse senz'altro pensiero; mentre Agosto d'età vigo-
roso, se e la sua casa e la pace sostenne. Venutane la vec-
chiaia grande, le malattie fastidiose, la morte al capezale, le
nuove speranze; discorrevano alcuni fuor d'otta, che bella
cosa era la libertà: molti la guerra temevano; altri la disia-
vano: i più sparlavano de' sopravegnenti padroni in più modi,
ce Agrippa é un bestione, accanito dall' onta: non d'età, pon
di sperienza di tanto pondo. Tiberio Nerone maturo d' anni,
cimentato in guerra, ma pieno di quella superbia claudiesca:
molti segnali scoppiano, se ben li rattiene, di sua crudeltà:
è allevato in casa regnatrice: ammassatogli in giovaneza i
consolati, i trionfi: non eh' altro negli anni eh' egli stette a
Rodi confinato (ritirato dicev'egli), non ebbe miglior concetti
che ire, simulazioni e segrete sporcizie: ci ha poi quella ma-
dre la più insolente che donna; serviremo ad una femmina
e duo' fanciulli, che ora assassinino, e un di smembrino que-
sto stato. »
V. Mentre cosi si ragionava, Agusto aggravò: sospicossi
per veleno della moglie; per una voce andata che Agosto
pochi mesi prima, dettolo a qualcuno, da Fabio Massimo
* ma' che j fuor che, se noa ec. Dante, Inferno :
IVon tTca pianto ma' ohe di sospiri.
I. 41
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482 PRIMI TBNTAnvi
senz' altri accompagnato, traghettò nella Pianosa a vedere
Agrippa: dove T abbracciate e le tenereze far grandi da ogni
banda; onde si aspettava che Tavolo riavesse il giovane a
casa. Massimo il rivelò alla moglie: ella a Livia: Cesare il
seppe: nò v'andò guari che Massimo mori, forse aiatato,
poi che Marzia nel mortoro fa adita dire dibattendosi, io tri-
sta son cagione della morte del mio marito. Che che se ne
fusse, Tiberio appena entrato nella Illirìa tornò indietro, ri-
chiamato per lettere della madre in grandissima diligenza.
Trovò Agosto in Nola, se ancor vivo o spirato, non si seppe,
per le strette guardie che Livia aveva poste al palagio e alle
strade: e talora spargeva eh' ei fusse migliorato: e quando fu
provveduto quantunque^ il tempo chiedeva, un medesimo
grido portò che Aguslo era morto e Nerone del tutto in pos-
YL La prima faccenda del nuovo principato si fu 1* am-
mazare Agrippa Postumo cui, non pensanteci e senz'arme,
appena il centurione, sebben coraggioso, fini. Tiberio in se-
nato non ne fiatò: mostrava questa esser cosa del padre; che
avesse comandato al tribuno che '1 guardava, che come esso
avesse chiusi gli occhi, Tammazasse incontanente. È vero
che Agusto aveva fatto vìncere * al senato V esilio del gio-
vane con dirne molte cose e crudeli; ma egli non procedo
mai al far morire alcuno del suo sangue: e non par vero che
lo nipote uccìdesse per lo figliastro assicurare: ma piuttosto
che Tiberio per paura, e Livia per odio di matrigna, solle-
citassero di levarsi dinanzi un giovane di tanto sospetto e
noia. Riferendogli il centurione, a uso di soldato, aver fatto
quant'ei comandò; rispose non averlogli comandato e do-
verne al senato render ragione. Quando questo intese Grispo
Salustio, che sapeva i segreti e fu quegli che mandò la poliza
della commessione al tribuno, temendo d' aversi a esaminare
con pericolo non meno dicendo il vero che 'i falso; avverti
Livia, che il bandire i segreti di casa, i consigli degli amici,
i servigi de' soldati non era bene: nò che Tiberio si facesse
principe da motteggio, rimettendo ogni cosa al senato: esser
* qnantrtnqnej lutto ciò cbe.
* vincere, Atcnìzn.
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DEIXà TRADUZIONE DI TACITO. 483
proprio del principe, che ragione non tenga, che a luì non
si renda.
VII. In Roma consoli, padri, cavalieri tatti correvano
al padrone. £ i più illustri con più calca e mentiti visaggi e
composti da; non parere né troppo lieti per la morte del vec-
chio, né troppo tristi per 1* entrala del nuovo principe; la*
grimo con allegreza, do^ienze con adulazion mescolavano.
Sesto Pompeo e Sesto Apuleo consoli fur primi a giurare a
Tiberio Cesare ubbidienza. Appresso, Seio Strabene capitano
della guardia e Gaio Turanio commessario delle grascie se-
guitò il senato, la milizia, il popolo; facendo Tiberio a ogni
cosa da' consoli dar le mosse, come fosse in piedi la repu-
blica, o egli non risoluto di dominare. £ pure il 'bando per
lo quale chiamò i padri a consiglio, dice solamente, da parte
di Tiberio tribuno della plebe fatto da Agusto, e fu breve e
molto modesto, ce Che voleva T onoranze del padre delibe-
rare: dal corpo non si partire: altra cura pubblica non si pi-
gliare. Intanto, morto Agusto, die alla guardia il contrasse-
gno come imperadore. Scolte, armi e '1 resto da corte non
gli mancavano: soldati in giudizio, soldati in senato V accom-
pagnavano: scrisse alti eserdti come nuovo principe: mai non
tentennò, se non con le parole in senato. Le cagioni fur que-
ste: da una banda temeva non volesse Germanico con tante
legioni in mano, forze forestiere infinite, favor del popolo
maravìglioso; tòrsi F imperio anzi che abitarlo. DalF al-
tra, voleva che andasse fama, lui essere stato dalla re-
pubtica chiamato e non traforato per lusinghe di mogUe e
per barbogio adottamento. AH* ultimo si conobbe, che que-
ste lustre anco faceva, per vedere che visi e parole ne fa-
cessono i grandi; e quindi i mal disposti cuori penetrava e
segnava.
Vili. Il primo di del senato non volle si trattasse se
non del testamento d' Agusto, il quale fu presentato dalle
vergini di Vesta. Faceva eredi Tiberio e Livia. Livia di casa
giulia, di titolo Agusta dichiarava. Sostituiva i nipoti e bis-
nipoti: nel terzo grado, i primi della città, odiati da lui la
maggior parte: ma volle per burbanza lasciare questa nomèa.
Fece lasci da cittadino, eccetto che al popolo e alla plebe
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484 PRIMI TBNTAnVI
quattrocento e trentacinqae ne donò:^ a' soldati di guardia
sesterzi mille, * a' legionari trecento ' per testa.
Vennesi alli onori: i principali proposti farono da Asi-
nio Gallo, che l'esequie passassero per la porta trionfale: e
da Lucio Arunzio, che si portassero innanzi i titoli delle
leggi fatte e i nomi delle nazioni vinte da lui. Valerio Mes-
sala aggiugneva, che ogn' anno si rinnovasse il giuramento a
Tiberio: da cui domandato, « Hotti* detto io che tu dica
cosi? » rispose: « L' utile della republica me V ha detto, che
non mi lascerà mai aspettar consigli da nessuno, sebbene ti
disfacesse. » Questa fine adnlazion ci mancava. Gridavano i
padri: «Portiamolo noi in sulle spalle alla catasta. » Cesare lor
ne fé' grazia molto prosontuosa, e mandò bando che il po-
polo non guastasse queste esequie come quell'altre del di-
vino Giulio, volendo per troppa affezione far ardere Agusto
in piaza, piutosto che nel destinato campomarte. Il giorno
dell'esequie vi stettero soldati quasi per guardia, con risa di
coloro che avendo veduto o da' padri udito contare di qnel-
r altro giorno che si volle e non riuscì, l'inghiottita ma non
ancora smaltita servitù levarsi di su lo stomaco: perchè lo
spettacolo del morto Cesare dettatore parve a chi pessimo,
a chi bellissimo; ce Gnaffe I' grande uopo, diceano, ci ha
oggi di soldati che lascino seppellire in pace un prìncipe
vecchio, d'antica potenza, con eredi provveduti di buoni arti-
gli fitti nella republica. »
IX. Laonde di esso Agusto si faceva gran ragionare.
Molti si stupivano di cose deboli: ce in tal di ch'ei prese Tim-
perio, lasciò la vita; in Nola, in casa, in camera dove suo
padre: è stato consolo tante volte quante Valerio Corvino e
Gaio Mano insieme: tribuno della plebe 37 anni alla fila: ap-
pellato imperadore ventuna volta: con altri onori rincappel-
' quattrocento e trentacinque. Centinaia di migliaia di sesteni, che sono
un milione e 876 mila fiorini d*oro, ovvero xeccbioi. (Postilla del trad.)
* sesterni mille. Once 25. {Postilla del trad.)
' trecento. Once 7 i/2. (Postilla del trad.)
• hottij ti ho.
S Gnaffe e Io stesso che affé, coll'aggiunta del'^n eufonico. Cosi mostra di
credere il Varchi.
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DELLA TRADUZIONE DI TACITO. 485
lati ' 0 nuovi. » Ma i prudenti chi in cielo il metteano, chi in
ahisso. » La patema pietà e la necessità della republica ormai
senza leggi il tirarono per li capelli idi' armi civili, le quali
né procacciare né tenere si possono per buone vie. Per ven*
dicarsi delli ucciditori del padre molte cose passò ad Antonio,
molte a Lepido. Poscia che questi marci di pigrizia, quegli
di sue libidini pagò il fio, non ebbe la disunita patria altro
riparo che V esser retta da uno , non anche re né dettatore
ma capo. Lasciò per confini dell' imperio Y oceano o lontanis*
filmi fiumi. Legioni, vassalli, armate, ogni cosa bene insieme
concatenato: ha fatto ragione a* cittadini; cortesie a' confede-
rati; la città bella e magnifica; pochissime cose ccm forza ^
per quiete del resto. x>
X. Dicevasi per rovesciow « La paterna pietade e le scia-
gare della republica erano le belle scuse. La cupidigia del
dominare quella fu che lo istigò a sommovere con doni i sol-
dati vecchi: privato giovanetto metter insieme un esercito:
corrompere al consolo le legioni: fingersi Pompeiano: e car-
piti per decreto de' padri i fasci e V autorità del pretore, uc-
cisi Irzio e Pausa (fosse da nimico scoperto, o pure Pausa
con r avvelenargli la ferita, e Irzio co '1 farlo tradir da' sol-
dati) rubar gli eserciti d' amendue: a dispetto del senato farsi
consolo; e V armi dategli centra Antonio, centra la republica
rivoltare: tanti cittadini sbandire: con tante spartigioni di
beni, dispiaciute insino a gli stessi autori. Le morti di Bruto
e dì Cassio vadano con Dio, eran nimici del padre, se bene
i iprivati odii si deono per V util pubblico lasciar andare; ma
Pompeo con sembianza di pace, Lepido sotto spezie d' ami-
cizia ingannò egli pure: e Antonio allettato con li accordi di
Taranto e di Brindisi e con le noze della sorella, in dote del-
l' ingannevole parentado ebbe la morte. Abbiamo poi avuto
pace, si, ma sanguinosa: e le sconfitte di Lollio e di Varo, e
li carnaggi de* Varroni, Egnazi e Giuli fatti in Roma. Non
gli risparmiavano ancora i fatti di casa. Menò via la moglie
a Nerone: e domandò a' pontifici per ischerno, se ella per
essere incinta, n'andrebbe a marito cogli ordini......... lasci-
* onori rimcappeliati. Vedi Ann. XYl, 7.
41-
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486 PEiMi nNTAnvi
vie di Tedio e Yedio Fottione.^ Livia finalmente è una mala
madre per la repnblica, e peggior matrigna aUa casa de' Ce-
serì: che adoragione ci rest' egli a fiire a gl'iddìi, dacché ella
vnole tempii, imagini, Hamini e cherìcato? Né anch'egli scelse
Tiberio a saccessore per bene che gli volesse o per cura della
repnblica, ma perchè avendolo scorto arrogante e cradele,
volle appetto a lui esser ricordalo per santo. Avvengachè
Agosto pochi anni prima nel richiedere i padri del secondo
tribanato per Tiberio, aveva per modo d' onorarlo e scasarlo
diserti suoi modi di fare, di vivere, di vestire, sbottoneg-
giato. »* Finita con tutte le cirimonie la sepoltura gli s'ordinò'
il tempio, e li divini nfici.
XI. Quindi si voltarono i preghi a Tiberio che accettasse.
Egli parìamentava e essere l' imperio grande, egli modesto;
quella mente sola d' Agosto il divino, stata capace di tanta
mole: avere, quando fa da lai chiamato a parte de' pensieri,
imparato qoanlo avdao e fortanevole peso sia reggere il tat-
to: non volessono, stante la città fondata di tanti nomini il-
lastri, dare il carico tatto ad ano: unite le fatiche di molti,
condorrebbono lì affari della republica più agevolmente. » Era
in questo parlare più pompa che verità. £ le parole di Tibe-
rio per natura o per vezo doppie e cupe, eziam quando egli
si voleva lasciar intendere; ora che egli cercava tutto l'op-
posito, erano avviluppate è dubbie cotanto pia: ma i padri
per non parere di conoscerio (che guai a loro) si gittavano
a' lamenti, a' pianti,
< Vedi la postilla a ^pesto luogo del IH). I degli Annalit noU S, pagina i4
deUa Bostra editione.
' tbottoneggiato. « Sbottoneggiare dicesi di chi, dopo avere alcun tempo
tacinto per timore o comando di chi che sia , al fine rompe fl silenzio e dice qual-
cosa. » Ambkosou. Qualcosa sl^ ma pungente; perche il verbo nasce da bottone^
che il popolo dice anche bottata, che è molto acre giltato cosi di tiaverso. Vedi
a pag. S97 la nota 3.
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DBLLA nUDUZlONB DI TACITO. 487
n.
(Lib. Vi Annali, e. Ili e /K.)«
PRIMA DETTATURA.
III..... Qaello che Gallion guadagnò della sua adulazione
studiata, fu l'esser scacciato fuori del senato incontanente,
e poi d'Italia: e dicendosi che doro non gli sarebbe V esilio
in Lesbo, isola nobile e amena da se eletta; fu rimenato in
Roma, e nel bargello serrato. Nella medesima lettera, Cesare
' Quetti due frammenti furooo pubblicati dal Gaoiba nel libretto intitolato
Alcuni avvedimenti civili e letterarj di Bernardo Davanzali Jtorentino, tolti
dalle sue postille a Tacito e da un codice autografo della libreria Marciana.
Vemeam, dalla tipografia di AMsopolij 1S31. Vi pretnise la seguente nota
TOLTA DAÌ catalogo DI UBU LATIMI POSSSDDTI DAL FABSITTI «C. VbHBZIA 1788
u-lSo K SCRITTA dall' AB. IACOPO SORELLI. « Si Contengono in questo codice,
» dei frammenti autografi della traduxione degli Annali di Cornelio Tacilo fatta
» da Bernardo DaTansati : il Libro tergo scritto da amaniiense, con corretioni e
» cambiamenti di mano del DaTanaali medesimo j il Libro quarto, dalle car. 83
» sino aUe 85 dell' edisione di Firence 1637 j il Libro sesto, (*) dalle car. US
I» sin alla fine; il Libro quinto, dalle car. 109, e il Libro sesto intero. Nono-
m Stante che pochi fogli siano questi, e d'opera fpa stampata, sono però da te-
m nersì in franditaimo conto, e da aversi cari assai, perciocché sono di mano
w di quel grand' uomo, com'è il Davanzati; e, ciò che più importa, fanno cono*
m scere più bei modi di volgarizzare un passo medesimo, a di£ferenza ancora di
m quello che nella stampa vedesi usato , la quale essendo seguita dopo la morte
w del Davansati, resta anche luogo t cercare, se l' opera quaP e impressa, cammi-
w ni onninamente d' accordo con l' ultimo testo autografo. Frequentissime in
I» questi fogli sono le mutazioni, che dalla mano dell'Autore vengono immedia-
m tameote; e qualche Libro, com'è il Sesto quasi tutto, trovasi di due differenti
» dettature; dalle quali differisce pure t{uella dell' Imperio di Tiberio, che il Da-
m vanzaii medesimo diede fuori in Firenze l' an. 1600, corrispondente presso che
» da per tutto a quella di Tacito intero, dopo la morte del traduttore, V anno
m 4637 in Firenze pubblicata, e più altre volte poi altrove riprodotta. Non fia
I» pertanto fuori di proposito di dare un saggio di questa differenza, da cui ma«
» nifestamenta apparisce il grande studio che nel fare questo famoso volgarizsa-
M mento l' Autore ha posto. *»
Avendo il Gamba nel pubblicare questi frammenti usato la moderna grafia,
stnsB rispetto alla capMssa volontà del traduttore, massime per ciò che riguarda
la doppia seta; noi abbiamo creduto bene di non seguirlo in questo né in qualche
altra piccola cosa.
n Forse secondo.
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188 PRIMI TENTàTIVI
travagliò con grande piacer de' padri Sestio Pogiano stato
pretore, audace maligno, che spiava d'ogn'ano i segreti,
scelto da Sciano per dare il veleno a Gaio Cesare. La qoal
cosa, come scoperta fu, scoppiarono gli odii, che gli se ne
portavano, per darglisene il sommo supplizio, se stato non
fosse de' rivelatori.
lY. Gratissimo spettacolo fu poi Latino Laziare, odioso
altresì, quando Aterio entrò^a dargli cagioni. Latino fu il ca-
po, come io dissi, del condurre alla maza Tizio Sabino, e
allora il primo ad esseme gastìgato. Aterio Agrìppa i prete-
riti consoli assali: « Se si sono accusati l' un l' altro, perchè
ora star cheti? la paura e il baco della colpa gli ha fatti ac-
cordare: ma non deono i padri le udite cose passar con silen-
zio. » Aegolo rispose: « Che il tempo non toglieva gastigo;
e che il principe gliel darebbe. » Trione disse, che le gare
di colleghi e gli sparlari si deono piuttosto sdimenticare. Ri-
scaldandosi Agrìppa, Sanquinio, il più vecchio de' consoli,
pregò il senato: « Di grazia non diamo all' imperadore più
fastidi, stuzicando piaghe inciprignite: lasciamole medicare
a lui che potrà. x> Ciò fu di Regolo la salute, e a Trìone pro-
lungò la rovina. Aterio addivenne odioso oltre al solito tra
pochi: nel sonno e nelle libidini poltroneggiando si marciva,
e la crudeltà del, principe non temeva, e sempre rovine di
grandi per le taverne e pe' chiassi mulinava.
SECONDA DETTATURA.
Ili Quello che Gallion guadagnò della sua studiata
adulazion, fu Tesser cacciato allora di senato, e appresso
d'Italia: e dicendosi, che egli stava troppo agiato in Lesbo,
isola nobile e amena elettasi per esiglio, fu rimenato in Roma
e dato in guardia di magistrati. Nella medesima lettera Ce-
sare battè con grande allegreza de' padri Sesto Paconiano,
stato pretore, audace, nocivo, spiatore de' segreti d'ogn'uno,
e ministro di Sciano a tender il galappio a Gaio Cesare. Il
che quando si seppe, scoppiaron gli odii già conceputi, e
dannavasi al sommo supplizio; ma egli disse che aveva in
seno un' accusa.
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DELLA TBADUZIONB DI TACITO. 489
IV. E datala a Latino Laziare, fu bel vedere spia e reo,
r un più tristo dell' altro. Laziare, come dissi, fa capo a con-
dor Tizio Sabino alla maza, e ora il primo gastigato. In que-
sto, Aterio Agrìppa i passati consoli assalse: « Se essi acca-
saron Fan T altro, perchè ora tacciono? il baco della co-
scienza e la paura gli ha riuniti; ma non deono i padri le
udite cose passar con silenzio. » Rispose Regolo; ce Che in-
dugio non leva gasligo: ben farebbe il bisogno, presehte il
prìncipe. » £ Trione, che di gare e maldicenze tra' colleghi,
meglio era affogarle. Riscaldandosi Agrippa, Sanquinio Mas-
simo, stato consolo, pregò il senato: ce Di grazia, non aggiun-
giamo al principe fastidii, stuzicando piaghe inciprignite:
potrà egli bene medicarle. Ciò diede del morire scampo a
Regolo, e tempo a Trione. Aterio più di loro fu odioso, per-
chè di sonno e di lussuria marciva: del prìncipe, benché cru-
dele, per iscioccheza non temeva; e sempre le rovine de'
grandi per le ta^verne e ma' luoghi cercava.
^f»*
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491
TAVOIiA
DELLE COSE PIÙ NOTABILI IN QUESTI LIBRI DI TACITO.
Nota. Qoest' Indice, che ablvaecift solo i primi sei libri degli Annali, fa compilato dal Davan-
Mti per Vlmptri» di Tiberio Cesare : e noi ripredneendob qni, colla nnmerasiaiie r^NW^
tata alle nostre pagine, non temiamo d' essere aeenaati di ridondanza, si perchè è più
particolareggiato deli' Indice generale cbe Terrà in flne del secondo Tolome , e sì perdio
diverso affatto nella locazione.
Abbondanza molto procurata da Tibe-
rio e accresciuta^ liO.
Abdo Eunuco, uno de'grandt di Persia,
e avvelenato dal re Àrtabano, SSO.-'
Accidente menomo mette spavento e
disordine nello esercito, 49.
Adganoestrio oSerisce d' avvelenare
Arminio: non è accettato, ili.
AdranUj fiume in Germania, 43.
Adulazione vile, falsa di senatori e
grandi, 9, i2, i5, 78, i44. — Mal
veccJiio, 78. — Stomachevole, i44.
— Fine, squisita, i3. — Da dappo-
cjii, 200. — Sciocca, i38, i43. —
Maligna, i50. — BeffaU , i5i. —
Stucchevole ad Agusta, i7, i66.—
Abborainevole a Sciano, SOI.
Adulterio, cbe pene aveva, 93.
Aebia edificò tempio a Venere in Pafo
città di Cipri, i46.
AGRipPA(M.j,ignobilc,per virtù militare
fatto Consolo e genero d*Agusto, 3.
Agrippa Postumo di M. Agrippa e di
Giulia d'Agusto, suo nipote unico,
confinato innocente nella Pianosa,
4. — Morto da Tiberio Imperatore
la prima cosa, S.
Agrippina, nata di M. Agrippa e di
Giulia d'Agusto, moglie di Germa-
nico, superba, casta, 28. — Valoro-
sa, e fa uficio di capitano, 50. —
Partorisce in Lesbo, suo parto ul-
timo, Giulia Agrippina madre di
Nerone Imperatore, 94. — S* ira-
barca con le ceneri di Germanico,
i05. — Sbarca a Brindisi con gran
concorso, pianto e strìda di popoli,
ii3. — Morto Druso, non sa coprire
la speranza, e s'affretta la rovina,
i63. — Parole sue altiere a Tibe-
rio, i87. — Si rode, ammala. Vi-
sitata da Tiberio, gli chiede marito :
non ha risposta, i88. — Aggirata
da Sciano, i89. — Piglia dalla sua
rovina* speranza: poi si lasciò, o
fatta fu morir di fame. Suo ritratto,
225, 226.
Agurio buono di otto Aquile a Ger-
manico, 69. — Di schiume dell'Eu-
frate a Vitelli©, 233, 234.
Agusto Imperadore, piglia lo stato e
si fortifica, 2, 3. — Ruba la moglie
gravida a Oierone,i4. -~ Per piacerle
confina in Isola Agrippa, 4. >— Lo
visita segretamente, e lagrima, 7.
— Festeggia il popolo per farsi
amare, 42. — Giudica de* suggetti
da succedere, i 6. — Muore in Nola,
si disse avvelenato dalla moglie per
detta visita e lagrime, 8. — Suo
testamento, essequie, azioni, e vita
dal popolo sindacata,12,i3. — Ado-
rato, indiato, i4, 42, 45, i79. —
Lasciossi succedere a Tiberio per
parere un oro appetto a lui, i4. •—
Lasciò nota di tutto lo stato, i5.—
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402
TAVOLA DELLI COSB PIÒ NOTABILI
Ricordi per rcg gerlo, 98. — Fa fé-
Ikt BcUe coM pablidie, nelle eoe
di casa il contrario, 1S5. — TroTÒ
il vocabolo della podestà Tribune-
sca per non dirsi Re, 143. — Fu it
primo a far caso di stato le Pasqui-
nate, 53.
jflblj fiume in Germanica, 68.
ÀLBuaLLA, quella dalli tanti amadorì,
carcerata, dannata, SAO.
▲iato (M.), mandato per aiuto t con»
forto alle dodici città deU* Asia da*
tremnoti rovinate, 90.
jÌlUom0, fiume, 65.
Amato edificò Umpio a Venere in Ama-
tnnta città di Cipri, 146.
Amazonk, 146.
Ambasciadori de' grandi contro Artaba-
no chicggon da Roma Fraate per re
d'Armenia: T ottengono, e rouorsi,
230.
Ammalarsi avanti la sentensa era sì
pronto per fuggire manigoldo, spet^
taccio, tormenti, poter testare, aver
sepoltara, S28.
Jmisia, fiume dove Germanico fece
massa, 46, 65.
Jngrivari ribellati, gestitati, 66. —
Divisi da* Gherusci con grosso ar-
gine, 71. — Ribellati e fatti ricre-
dere, 78.
Anhia RuFFiLtA; direva ogni male; e
cavando fuora il ritratto di Cesare,
era sicura, 1 33.
AnTiio ha cura di fabricar mille navi,
64.
Antichità, 146, 98, 99, 190, 195, 196,
Sài, 164, 165, 173, 183, 183, 188,
239.
Ahtom IO (M.). Armi sue caddero in Ce-
sare, 1. >— Ingannato da Agusto,
13. — Cacciato da'Parli, 62. — In-
catena e uccide Artavasde con tra-
dimento, 63.
Apicata, moglie di Sciano, n* e da lui
rimandata, 157.
Appio Appiako, mal vivendo impove-
rito, di Senato casso, 91.
Apizio, ricco, comperò da Sciano Vono-
sCà,156.
AmoMio (L.), cavaliere, 25. — Riceve le
trionfalt, 52. — Succeduto a Ca-
millo in Affrica,accide de*dieci l'uno
tratti per sorte d'una legione di
mala pruova : leva l'assedio di Tala,
423. — Libera Gracco dall'accusa,
i64. — Chiama il genero che aveva
gettata la figliuola da alto avanti
Tiberio, 170. — Fa male in Fri-
sia, 200. •
Apkoiiìo Cbsiako caccia Tacfarìnata
ne* diserti, 124.
Apbonia, gittata dal marito da alto,
i70.
Apulbia Vabilia, accusaU di sparla-
mento, e d' adulterio, 92.
Aquile di Varo ritrovate, 46, 74.
Abcbblao, re di Cappadocia, odiato da
Tiberio, e perchà, 86. — Ingannato
va a Roma : h bistrattato : muore, 86.
Arco sagrato per le ritrovate Aquile di
Varo, 85. — Per altre felicità, 100.
Arditissima lettera di Getulìco a Tibe-
rio, che non voleva scambio, e per-
chè, 228.
Ardire di Mennio, salva lui e impauri-
sce i soldati, 32.
Abiobabzabo re d'Armenia, 63.
Armata Romana ha fortuna in mare, 73.
Armeni non fedeli, perchè. Vogliono
per loro re Zenone di Polemone re
di Ponto, 96.
Abmibio, Germano, capo di parte, genero
e nimico di Segeste, 42. — Sparla
di Segeste e de* Romani, e^ accende
i Germani alla guerra, 45. — As-
salisce i Romani ne' fanghi, 48.
.— Parla al fratello che serviva ,
come già anch'egli, i Romani : par-
tonsi a rolla, e si sfidano, 66. —
Inanimisce i suoi a combattere, 69.
È rotto: fugge col viso tinto per
non esser conosciuto, 70. — Com-
batte con Maraboduo re de'Cheru-
sci e lo vince, 89. — Adgàndestrio
offerisce a Roma d'avvelenarlo. 111.
— Combalte co' suoi con varia foiw
tuna : è tradito e ucciso da*suoi pa-
renti, 111. — Ristretto di sne Baio-
ni e laudi, 111.
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NB' PRIMI MI LIBAI.
403
Ampi, signoT ds'CtUi, 65.
Absacb d'Abtabaho, occupa TAnne-
nia: h tTveleaato, 929, SM.
Artiooe del teatro di Pompeo, Ì6S; —
- di Monte Celio, i94; — di Aventi-
no, che Tiberio pagò i danni, S38.
ABTABAiiOjTe d'Armenia, caccia Vooo-
ne, 63. — Manda orrevole amba*
aderii a Germanico, 97. — Morto
lai, diipresa Tiberio, tiranneggia i
anoi, occupa l'Armenia, minaccia
d'altro, S29. — Avvelena Abdo,
inganna Sinnacc, S90. -— Rotto il
ano figlinolo Orode, ai vuol rifare,
ì^tellio mostra i denti Romani; (*)
^li lascia l'Armenia e fugge alli
Sciti, S34. — Richiamato, toma,
▼inoe, e caccia Tiridate, S37.
Abtassia d' Abtatasdb, re d'Armenia,
tradito e morto da' suoi, 63. — Ar-
taasia, prima detto Zenone, incorona-
to da Germanico, 96. — Muore, S29.
Abtatasub, re d'Armenia, 63.
Abuhsio (L.) sentensia sopra l'onoran-
ae d' Agusto, li.— Pugne Tiberio
e gli è sospetto, e perche, 16. -> De-
putato a' ripari dici Tevere, 55. —
Accusato, s'ammasa sensa difesa per
Inggire la tirannia di Macrone, 240.
Asiiao Gallo, nel parlare, ofStnót Tibe-
rio, e si racconcia, 46. — È da lui
odiato, e perche, i6. — Sentensia
aopra l'onoranse d' Agusto, il. —
Contra Libone, 78. — Contro al
BBoderar le speae, 79. — Disputa
sua ridicola con Pisone, 81. —-Vuo-
le acemare V autorità di Tiberio, 81.
. . — Ricusa difender Pisone, 117. —
Muore per digiuno, 224.
Asimo PoLLioMB, fratello di Druso
uterino, 164.
AsPBBHATB (L.), Ticeconsolo in Affrica,
42. — Ricorda Claudio lasciato in
dietro, 122.
n Qvsiido i cani , digrignando, mostrano i
éenti, vogliono difendersi e offendere. Quindi
il traslato moitran i denti ad alcune per U-
voltarsefli con atto nenùm e senza panra. Ma
mosiran i dènti romani, Tcramente è BOOVO.
Nel testo dice le armi
Assedi Uvati, 43, 65, 184, 471.
Astrologia come h fallace, 494.
AUma» visitata da Germanico: tvilla-
neggiata da Pisone, 94, 95.
Atbbio (Q.) pugne Tiberio t lo fa'eade-
fet AgttsU gli fa perdonare, 47. —
Deputato a'ripari del Tevere, 56. (*)
•— Biasima le troppe speae, 78. —
Vuole che 1' desion di Druso al-
l' Imperio si scriva in senato a lei-
terooi d' oro, 444. — Muore, e con
lui la sua cloquensa corrente, non
diligente, 193.
Atbbio Agbippa, condanna Lntorio,
439. — Perseguita i consoli: suo
elogio, 212.
Atbio Capitokb,(**) gran legista, corti-
giano odiato ! adolasione sua beffata,
451. — Fatto consolo, perchè, 454.
Atroce caso e forte animo d'un villano,
484; — di Vibuleno Agrippa, 235.
Atroce atto a Germanico, 29 ; — alla
figliolina di Sciano, 207.
Avarizia de' dominanti ribella i popoli,
499.
Autore parU di sé, 81, 122, 125, 148,
463. — Dello scrivere minutcse,
475. — Suoi pensieri e diligenze,
488, 491, 199, 215.
Avvedimento di Tiberio, di trovare il
vero se Apronia fu precipitata dal
marito, dalla scompigliatura del
letto, 170.
A»iOf famoso luogo per la vittoria d'A-
gusto contra Marcantonio, 94.
Barbari messi oltre il Danubio per non
mescolare simil rasa nelle Provin-
cie quiete, 100.
Bastone d'avorio presentato da'Romani
a Tolommeo, (•**) 172.
n II deputato a' ripari dd Tevere è Ateri»
Capitone.
n II nostro testo, colla Neetiana e colla
Giuntina, Aterio.
(***) La Giuntina, per errore, corretto poi
nelP Indice della Nestiana, a Giuba. Così va
qualcbe altro luogo.
42
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494
TAVOLA DILLI COSI PIÙ NOTABILI
Battaglia d*AffmÌDÌo con Gfcnnaiiko
prìmai 47, 70; — Seconda, 7S| —
Tana, 74} — B con Marabodoo e
Ingoiomcro ano aio, 89. -• Altre
battaglia o aniè, 40, 60, 98, iOS,
IS3, 134» ISft, ìòZ,in, 186, i87,
100, S3i.
Binati a Dnuo di Tiberio, c^e ne ama-
nia, 109. — Uno ne mnoic, i65.
Bianmaio in Tracia, TÌsitata da Germa-
nico, 94.
BLBso(Gtu]iio), generale di tre Legioni
in Ungheria: non le esercita, a' ab-
bottinano, i8.— Sue parole, 90."—
▼ioeoonaolo in Affrica: aio di Scia»
noi però icaTalla Lepido, i89. —
▼i h raffermato, i44. — RiccTcne
le trionfali, i&9. — Gnerreggia di
▼emo,fà prigione il fratdlo di Tac-
farinata ; h gridato imperadoret tor-
naaene a Roma, 154.
Blbso, figliuolo, mandato ambatciadore
a Tiberio da*f oldati aediàoai, SO. —
Rimandato, S5.
Bruno, pianto, e feriato per la morte
di Germanico, fatti in Roma, 108.
Brotidio Mino, acieoaiato, troppo to-
glioloso di farai grande aranti tem-
po, i49.
Bboto (L.) miae in Roma la liberili ei
oonaoli, 9.
Brnttgri, Germani, si risentono, 40,46.
Cammillo Fobio, rompe Tacfarinata.
N' acquista gran gloria, e le trion-
fali: e si modesto usa la grandexa
sua, che non gli nuoce, 94.
Canopo in su '1 Nilo edificata dalli
Spartani per sepoltura di Canopo
nocchiere di Menelao, 98.
Camzio risquote l'estimo nelle Gallie,
64.
Cappadoci, nuovi vassalli, e Q. Vera-
nio primo governatore, 96.
Capri j isola dove si nascose Tiberio :
suo sito, e anticbitk, 196.
Carcere di soldati, catena: carcere di
consoli, esser in casa sostenuti, 134.
Cabicu, medico, troTa a Tiberio polso
per due di,e lo dice a llacrone,S41.
Cabiotalda 9 capitano d' olandeai aiu-
ti de' Romani, paaaa Viaurgo dov' è
pia pericolo: lanciasi nella più folta
battaglia; tì muore, 67.
Cassio, atrione diaonesto, 63.
Cassio Cbsbba, si fa la via col ferro,
98 (che poi ueeiae G. Cesava).
Cassio Sbtbbo, di mente mala. Satiri-
co, 63. — > Fine sua peaaima, 170.
Catene trovate nel campo de'Gcraaani
rotti t come sicuri di -vincere, 71.
Cato (Fibmio), Senatore, apia traditora
di Libone, 76 s — falaa , della so-
rella, 176.
Cbcilio Cobnuto, 173.
Cbcina (A.)» Legato, 96. — Con Ger-
manico in Germania, 42. — Piglia
partito da pratico, 48. •>- Riceve le
trionfali, 69. -— Fabbrica mille na-
vi, 64.
Cbcima Sbvbbo non vuok die in reggi-
mento ai rada con r imbrèntina (*)
della moglie, 131.
Celendri, fortesa in Cilieia, presa da Pi-
aone, 107.
CeiiOf monte, arde: detto Agusto: pri*
ma, Qnercelolano. Celio da Cele Vi«
benna, 196.
Cencric, fiume degl' Eicsii, 146.
Centurioni, agliòdii e furori soldateschi
antico bersaglio, 27. — Come si
usavano rassegnare,e raficnnare, 36.
CssioCoBDO,dinnato d'iniquo reggi-
mento de' Cirenesi, 161.
Chenuci contendono co'Svevi, 89.
Cinimiij collegati con Tacfarinata, 93.
Ginka signoreggiò Roma corto tem-
po, 9.
Cirray ove s'abbocca Pisone con Ger-
manico, e si partano irati, 97.
CUieemij e lor meriti e demeriti, 178.
(*) n volgo toscano chiama imtnmtùu o Am-
irìmtini gl'iogombri o altreni inntiU; ei è
eornuione di omirente, sterpo ebo nasce tra la
stipa, e di cai le montanine pistoiesi cantano:
Fiorin d' ombrente ^
Tetti dicon che siete lo mio amante;
Ma io per verltk non ne so niente.
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NB' PRIMI SEI LtBBI.
405
Clauiha Bella, cugina d'Agrippina,
accusala, i 87.
Clkvwo, fratello di Germamco, lettera-
to, ma scemo, 339. — In ninna
considerasione, non mai ricordato ;
e poi fu imperadore, iS3.
Climkmtb Giulio, soldato destro, "^ma-
to, 23. — Pugne i sedisiosi, 25.
Clkmbmtk, schiaTo d*Agrippa Postumo;
somigliandolo, si 6nge esser lui; ha
sèguito: e preso con inganno, e
spento, S4, 85.
catari si riliellano per angherie, 236.
CoccBo Nebva va con Tiberio in Cam-
pagna, 491. — Muore per non ve-
dere i mali apparecchiati, 226.
Contagenij morto Antioco, eCilici,mor»
to Filopatore, discordano, volendo
chi re chi Roma ubbidire, 87.
Comageni nuovi vassalli, e Q. Serveo
primo pretore, 97.
Comedianti , cagioni di misdiie, 56. —
Postovi regola e modo, 56, 165.
Comizio PoLLioNB fa vestale la figliuo-
la, HO.
CoBsisio Procolo, rapito, portato in
senato, dannato e morto'subito per
lesa maestà, 221.
Consiglio d'A&inio di dare i magistrati
per cinque anni,daTiberio befTatOjS 1 .
Consigli per fare riso1aBÌoni,30, 37,63,
84, 88, 106, 157.
Consolo proponeva , e richiedeva i se-
natori : ma era primo a parlare
quando Tiberio aveva proposto ,
121.
Costume di senatori, dar sentensa di
cosa sovvenuta per ben pubblico
n n proposta, 78, 83.
Costume d'Armeni, di tor per mogli lor
sorelle, e con elle regnare, 63.
Costumi forestieri alterano le citta, o
dispiacciono, 62.
Costumi d'altri, presi, fanno amare, 34,
96, 98 ; -^ spresati, odiare, 62.
Cotta Mbssaiiho, nobile, di mala men-
te, 169, 204. — Quei dalle crude
sentense, 218. — Accasato di aver
detto, « il mio Tiberiolino; •• e d' al-
tre cose, 214. -
Cbasso, e sua potenaa caduta in Cesa-
re, 2.
Cesari. Vedi Agusto imperadore.
Crbmuzio Cordo, e sua diceria sopra
l'aver lodati Bruto e Cassio, 177.
Crupellai, Galli, coperti d' arme tutte
d*un peso, 136.
Curzio Lupo , sbrancando la congiara
nel principio,tronca la guerra servile,
173.
Dbcio Silano adultera la nipote d*Agu-
sto: n'è graziato, ma esoso, 125.
Decrio, soldato, e sue ardite pruove e
morte, 123.
Deputati del Tevere propongon modi
a danno de* Fiorentini e altri, i quali
si risentono, e ne sono liberati, 57.
Detto di Passieno sopra Galigola, 222.
— E d'altri, 107, 188,239.
Digressioni. Vedi Episodi,
Dicerie distese di Percenio soldato sedi-
sioso, 18; — di Germanico all' eser-
cito sedizioso, 34; — di Segeste a
Germanico, 44; — d'Arminio a* suoi
contro a*Romani e Segeste , 45 ; —
di Germanico e d' Arrainio , contra-
rie, 68, 69 ; — d' Asinio che non si
ponga legge a]le spese, 79; — di
Tilierio contra Ortalo, 83; — d'Ar-
minio e Maraboduo a' soldati , con-
trarie, 89; —dì Germanico veg-
gendosi morire, 103, 104; — di Ti-
berio sopra il giudicar Pisone, 1 18 ;
— di Pisone a Tiberio, 1 20; — di Ce-
cina che in reggimento non si meni
la moglie; e di Messalino, contraria,
131, 132 ; — di M. Lepido per Lu^
torio Prisco , 139 ; -^ di Tiberio so-
pra le troppe spese ,140; — di Cre-
muzio Cordo, dell' aver celebrato
Bruto e Cassio, 177; <-- stupenda
di Tiberio ricusante l'adorazione,
179; — di M. Terenzio confessante
generosamente l'amicizia di Sciano,
215.— Lettera di Sciano a Tiberio,
e sua risposta, 180,. 181.
Dieci, signori di Roma con poca do-
rata, 2.
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4M
TAVOLA DBLLV G08B ¥Vt MOTABIU
Dirittttn, oajt naiccsse: come le leggi
Steno a queste infiniU perTeaute,
' il6.
Discorso d'Agosto, di dii ti sardibe
de succedergli, 7.
Discorsi, Toci, dogliente del popolo
neiresequied*Agusto sopra tutta la
sua vita, \t, 13; — de'soldati abliot«
tinati, 36. •— Nel trionfare Germa-
nico, 85. — Nella sua malattia» e
morteylOS. — Nello sbarcare Agrip-
pina con le ceneri, il 3. — Contra
Pisone e Plancina, 120, 121. —
Per le ribellate Gallie, 136. — Con-
tra Druso eletto a succedere, 144.
. — Dopo 0 caso di Sabino, 198.
— E altre, 7, 29, 33.
Discordia nelle avversila, suggello di
tutti i mali, 186.
Disonesta delle donne, frenata con leg-
gè, 110.
Divinità e adoiaxioni fatte ad Agusto,
15, 52.
Doglienxe di vassalli, delle troppe gra-
veie, 55.
DoLABULA, viceconsolo in Africa ri-
manda la legione nona per coman-
damento di Tiberio contra ragion
di guerra. Con pocbi affronta Tac-
farinata,e le sbaraglia e uccide, 171.
— Domanda le trionfali: rispetto a
Bleso non le ottiene : tanto più dalli
suoi meriti si ragiona, 172.
Dovizio CoRBtTLOHK fa romorc in se-
nato, che L. Siila donzello non gli
cede U luogo alla festa, 130. >-
Prese a racconciare strade; non
giovò: condannò; rovinò molti,
130.
DoMizio (L.), fabbricò Pontilunghi,
stradone sopra i fanghi, 47.
DoMizio Afbo accusa Claudia Bella,l 87.
— Di più ciarla che eloquensa, (*)
peggiorò invecchiando, ne sapea ri-
manersene, 188.— Accusa Quinti-
no Varo, 195.
Douizio CzLXBX mal consiglia Pisone
a ripigliar la Soria per forza, 106. —
(1 Qui, più die del tasto, s'è rioordato del
tatù loquenticB, sapientiee panan di SaUnstip.
Ti ^ da Pisone mandato^ e «ibutta-
to da Pacnvio, 107.
Donativo alla plebe di scudi (*) sette e
meso per testa, in onore di Germa-
nico, 85.
Doni militati di poca valuta^ e grandi
testimoni di virtù, 172.
Dottoretti storcileggi messi a parte
delle condannagioni, 128.
Dbuso, figliastro d'Agosto» è chiamato
imperadore d'esercito, 4. — Amato
perchè arebbe rendato la libertà,
28.— Adorato, e imitato da Germa-
nico suo figliuolo, 65. — Suo alta-
re da'Gcrmani disfatto, 65. — Fossa
Drasiana da lui fatta, 65.
Dbuso, figliuolo di Tiberio, eletto con-
solo, 17. — Mandato a quietare la
sedizione in Ungheria, 22. — Elo-
qnenaa sua senz' arte, 25. — Avido
del sangue de* gladiatori, il popolo
ne impaurì , 55. — Daccordo con
Germanico, 88. — Levato dalli
sviamenti di Roma, e mandato in
campo in Illiria, e perchè, 55. —
Vi acquista gloria, rovina Marabo-
duo, 99. —^ Torna oùanU, 123. —
Riesce ne' giudizi e nel conversa-
re, 132, 133. — È fatto tribuno,
cioè imperadore eletto, 143. — Da
una ceffata a Seiano, 157. — Ama
i figliuoli di Germanico, 158. —
Sparla di Seiano, 160.
Druso, secondo figliuolo di Germanico,
congiura con Seiano per levarsi di-
nanzi Nerone fratel maggiore , e re-
gnare, 192._ — Muore in carcere di
fame, avendo morsi i materassi no-
ve di, 224.
Eco dalle grida de' nemici, 187.
Efesii e loro antichitSi, 146.
Egiai mandati a spegner ladri in Sar-
digna, o morire in quell'aria pessi-
ma, 110.
Egitto^ chiave della tcna e del mare.
n Nel testo: /orto*.
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NE'PBniI 8St LDU.
497
Pochi poston tenerla, e afFamare
Italia^ 98. *
Elefantina j confine del romano impe-
rio, 99.
Elvio Rosso, (*) i^ntacciao, meritò col-
lane, asta, e corona di quercia, iS4.
Emilia MasA, e sua ricca reditk data a
Emilio Lepido povero riarso, 91.
Emcio (L.), cavaliere accusato di lese
maestk per aver fatto d'una statua di
Cesare d'ariento, vasellamento, 451.
Episodi, o digressioni. Àntichitk e ma-
raviglie d'Egitto, 98, 99. — Orì-
gine e progresso deRe leggi, 137.
... Spese snperchie, perdio ritirate,
14S. — Forse romane, 158. —
Luogotenente con somma podestà
lasciato da*re e imperadorì, 318.— r
Usure vietate, tassate, rimesse, 330,
331.-— Fato éprndenaa, 333.— Fe-
nice in Egitto, 837. — Scusa dello
Autore dello scrivere minntetc, 175.
Ebcolk primo, nato in Egitto: gli altri
Ercoli denominati da lui , 98. —
Padrone della Lidi^, 146.
Ebato fatta reina d* Armenia, e tosto
cacciata, 63.
EssMmro, ricusa difender Pisone, 117.
Esequie di Druso di Tiberio, 163; —
di Ginnia nipote di Catone, moglie
di Cassio, sorella di Bmto, 154.
EODBMO, medico congiurato con Scia-
no, 157.
Eunuco appresso i Parti non è dispre-
gio, ma adito alla grandesa, 330.
Fabio Massimo, accompagna Agusto
a visitare Agrippa : lo rivela alla
moglie: muore, 7.
Faeesia soldatesca , 33; — senatoria,
J40; — di Tiberio, 311.
F AL amo, sacerdote d* Agusto, accusato
di tenersi (**) Cassio Slrione disone-
sto, 53.
n Ha indotto U »oine latino Rufus. Nel ta-
sto «bbiamo ili^o, ooUa Nestitna.
n <<< teneni tra' sacerdoti d' Angusto ni
casasaa.
Falso Agrippa ha sèguito: mette Tibe-
rio in paura : lo spegne (*) con in-
ganno, 84, 85.
Falso Druso di Germanico, 308.
Fattor publico, chi s'intende, 77, 150.
Fabasmakb presenta battaglia a Oro-
de, 331. — Feriscelo per la visiera.
Credesi morto, gli è ceduto la vitto-
ria, 333.
Fasto di Sciano, 301.
Fato, che cosa sia. Se egli o la pruden-
. caci fa co' principi star bene, senaa
adorarli nb inasprirli, 169.
Forti fatti e arditi, 38, 31,33, 70,18l>
. 338,333.
Festa agnstale chiesta dal popolo:
concessa limitata, 18; —guasta per
gare di strioni, 43.
Festa d' accoltellanti celebrata da Dm-
so, 55.
Figlinoli di Sciano tenerissimi, uccisi
dal carnefice per modo atroce, 307.
Fiorentini e altri si risentono del fatto
disegno di mandar loro addosso
l'acque onde il Tevere ingrossa, e
nulla si innuova,^7.
FiBMio Cato fa dire Libone,e rapp9r-
ta, 75. — Spia falsa della sorella,
175.
Placco Vbscolario, messaggiere nel
tradimento di Libone, capita male,
75.
Flamine, dee risederà ; però non può ir
fuora in reggimento, 144. — Sta-
tuto d'Agosto sopra di ciò, 151 . —
Cirimonia nel crearlo. Modo del con-
farrare, 165, 166.
Flavio, fratello d'Arminto, nel campo
Romano gli parla : avea perso un oc-
chio, 66.
Floro Giulio, capo di ribelli francesi ,
435. — Corrompe Treviri nostri
aiuti, disperato s'uccide, 136.
FoHTBio Ag riffa accusa Libone, 76.
—Offerisce a Vesta la figlinola; non
è accettata, e perchè : è dotata in
scudi venticinque mila, (**) 110.
Forte e armi romane in più luoghi,
n to spegni : cioè: Q qaale lo spogne «e.
n U GiontiRa ba twto wentiànqu» mila.
4r
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TÀVOLA DBLLB GOSB PIÙ NOTIUU
496
kgioM» 40.--* Morti, 159 — Qiuù
alUnti aiuti pagati: più re amici:
tra armate, i58, 159.
Fortuna vuole il giooco de* mortali ,
ISl.
Fossa drasiana, tra la Mosa e*l Reno,
fatta daDroso fratello di Tiberio
nato in casa Agosto, 65.
FBAATt, re d'Armeoi, 530. — Mnora;
raeeede Tiridate, 330.
Franchigia alle insegne del campo, 32.
— Molte ciltk doaundano confer-
marsi a' loro templi, 145,164. —
h* ha ogni scelerato che mostra
l*imagine dell'imperadore, 133.
Frioli^ colonia detta Gallia nerbone-
se,100.
Frisoni si ribellano: hanno vittorie: sal-
gono in gran fama, 199, 200.
FuLCurio Gallo ricusa difender Piso-
ne,117.
FoLCiHio TaiOM^ spia famosa, e w ne
gloria , 76. — Chiama Pisooe e'
consoli, 116.-— Accusalo, si sfoga
nel dir male, nel testamento, di Ti-
berio e di Macrone, e s'uccide, 234.
Gabella d*nn per cento delle Tendile a1-
r incanto, oon volata levare, 56; —
sgravata la metà, 87.
Gaio CK8AiiK,natod*Agrìppa e di Giu-
lia d' Agusto, è gridato imperadore
d'esercito: avvelenato da Livia, A.
Gaio Galigdla, cioè Caliarino, da'cal-
lari vili soldateschi per farlo amare,
3^ 51 . — Di mostruoso animo, 222.
-^ Sposa Claudia di M. Silano, 222.
-—Va con Tiberio io Campagna, (*)
222. — Ridesi di Siila che lasciò
Roma in lilierlà, 239. — Animo suo
l>esliale, 222. — Tiberio il chiama
Sole oriente; e se. Occidente, 239.
— Per contiglio di Macrone T affo-
ga ne* panni; e succede, 241, 242.
Galli aiuti de' Romani, 70.
Galuohb, adulatore rabbnfl&to, 211.
n Usci, CtpH,
GmIU ribellati, 134. — Alcuni T«kno
in aintn per fellonia coprire^ aspet-
tando il tempo, 135.
Gastigo all' esercito sediiioto, e sua
forma, 36. — Dieci per cento vu>
cidcre di verga, 123.
Gemelli nati a Dmso di Tiberio, n<m
piaciuti al popolo: perchè, 109. —
Ne muore uno, 165.
Germmmi, rotti, ripiglion l' arme punti
dal trofeo di Gennanico, 71. — Non
deatrì, 72. — Loro natura e > sorte
d'armi, 68, 69.
Germani tra loro divisi, 39.
GuuiAiiico DI Dmmo, di Claudio Ne-
rone e di Livia, nipote di Tiberio
imperadore, marito d'Agrippina di
Giulia d' Agusto, è da lui fiitto ge«
nerale ddle otto legioni in ao'l Re-
no^ e adottato da Tiberio, 5. — Yì-
ceeonsolo in Germania, 17. ~<* In-
tento • catastar le Gallie, 26, 28.—
Odiatissimo da Tiberio aio, e per-
chè, 28. — Amato e amahilissimo,
28. — Quanto più vicino all' im-
perio, tanto più fedele a Tiberio, e
fagli giurare omaggio da'Bo^o-
gnoni, 28. — Gorre a riparare alla
scdisione: riprende l'esercito, 29.
—Gli è oflèrto 1' imperio: si git-
ta a terra del tribunale , si vuole
uccidere, 29. — Scampa Planco dal
furore, 33. ~- Cansa la moglie e '1
6gliuolo, 33. — Diceria sua a* ae*
disiosi, 34. — Posati quelli, affronta
i Germani, 36. — Arde e saccheg-
gia cinquanta miglia di paese, com-
batte, e vince, 40. — Ricomincia la
guerra, 42. — Arde Matlto metropoli
dei Catti, e saccheggia, 43. — Libera
Segeste assediato, 43. — Seppelli-
sce l' ossa di Varo e delle tre legio-
ni scooBlte, 46. — Seguita Armi-
nio: corre in qne' fanghi peric<do>
47. — A gara l' aintano le Gallie,
Spagne, Italia, 52. — Amorevole
a' soldati, 52. — Considera i modi
del fare questa guerra, e affretta, 64.
— Fabbrica mUlc navi, 64. — Ado-
ra suo padre, 65. — Spìa il co-
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ne' primi 8B1 LIBU.
49»
raggio de* soldati. Ode dir bene di
ah, 67. — Sogno sito lieto, 68.
— Ioaoimisce i soldati, 68. '-
Intende i disegni dd nimico t lo
dNnbatte, e vince; e risa trofeo, 7i.
— Di nuoTo lo vince, e risa trofeo
con superbo titolo, 71.— Rimanda
Tannata, corre fortona, si ruol gtt»
Ure in mare, 78. — Tersa sconBtta
dà a*nimiei confessanti d'esser vin-
ti, 74. — A' suoi rifa ogni danno
del mare, 74. -» È richiamato al
trionfo, 74. — Trionfa, 86. — È
detto consolo, 85.— Tiberio pensa
a smaltirlo in Oriente t fl Senato lo
fa generale per tutto oltre mare, 87.
<*- Consolo la seconda volta , 94.
— VisiU Druso in Uliria: il famo-
so Asio t Atena : Colofone, ove TOra-
colo gli canta moru vicina, 94, 95.
— Salva PisMie da burrasca, 96.—
Corona in Artassata Zenone in re d'
Armenia, 96. — Abboccasi con Piso-
ne in Cina: partonsi male intalen-
tati, 97. •— Risponde alli amba-
sciadorid'Artabanoredi Persia, 97.
... Visita l'Egitto: si fa amare con
varie cortesie: n* b gridato da Tibe-
rio, massinuroented'esservi entrato
senza licensa, e perchè, 98. — • Am-
mala in Antiocciat megliora: gran
festa se ne fa ! ricade: si tiene avve-
knatot trovami segni di malie: con
bella dicerìa prega gli amici che
veodidiino la morte sua, i03, i04.
-* Ammonisca la moglie: muore
sensa esequie: b pianto, lodato, as-
somigliato ad Alcsuudro Magno:
posto ignudo in sidla piasa i segni
di veleno parevano a chi sì e a chi
no,104, 105. — In Roma ne fa fatto
compianto, bruno, fetiato, e grandi
onori, i08.
Ciadei, mandati a spegner ladri in 8ar-
digna, o morire in queir aria pes-
sima, 110.
Giudizio giurato, quale e come era, 169.
Giulia di Dauso, vedova di Nerone di
Germanico rimaritala a Rubellio
Blando basso. Dispiace, S36.
GiiiUA D* Agosto, muore di stento in
Reggio confinata per disonestà: ri-
stretto di sua vita, 41.
Giulia, nata d'Agrìppa e di Giulia d*A-
gusto, confinata per disonestà in
Tremiti, doppo vent' anni muore ,
i99.
GiUHiA, nipote di Catone, moglie di
Cassio, sorella di Brnto, muore; la-
scia a molti grossamente, a Tiberio
^ niente : esequie grandi sue, 154.
Giuirio Rustico, senatore, segretario
dd Senato : suo pio parere, S04.
Giuramento dato a Tiberio in Roma,
con che ordine, 9. —Da Borgogno-
ni, S8.
Grovemo di Tiberio, buono ; poi peggio-
rato, 159, 160.
Gbacco (G.) accusato, assoluto : fa per
vivere il ferravecchio, 164.
Gbahio Mabckllo, pretore, accusato
dal questor suo, 53.
ìdistavitó, pianura fra *1 Visargo e i
coUi, 69.
Imagioe di Tiberio difendeva dall' esser
preso chi la portava^ per male che
facesse o dicesse, 133.
Imperadore, titolo di capitano e prin-
cipal comandatore deiresercito, da-
togli per qualche vittoria o virtù,
2,4,154.
Incesto di Sesto Papinio con la madre,
S40.
Ihouiomuo, aio d'Arminio^ unito seco,
45. — È ro^to e fugge, 50. — S'u-
nisce con Marabodno per non ub-
bidire ad Arminio giovane nipote,
89.
Insegne,erano gViddii del campo: s'ado-
ravano; vi era franchigia, 38,145,
164, 133 —Alle ritrovate aquile
di Varo si sagrò tempio, arco, cap-
pella, statua, 85.
iRzioe Pausa, uccisi da Agusto, ma-
lamente, 13.
IsAURico, re di Persia, sagrò il tempio
di Diana in Geroccsarea, 146.
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800
TÀVOLA niLLB COSI FIÙ ROTABILI
Itro«By spia di gnndi , faTOrìto da Ti-
berio 6S, M.
luBA, tiene il itgao da' Mori in dono
dal popol romano, ib%. — È pfie*
aentaio (*) di doni mililarì per meriti
nella guerra di Tacfarinata, Ì7S.
lae tra la donna di casa Tiberio, S8,ft8,
LAMom Amtutio, legista sincero; gran
lume della pace, 154.
Lamenti, maldiceoac di popolo, solda-
ti, vassalli, S3, 36, i86.
Laodiceat dttli in Scria, i07.
Latirio Laziahb, spia di Sabino, i97.
— Spiato da altri, i98.
Leggi, qnando trovaU e perchè, e come
usate, e cresciute, i96.
Legge di maestà o di stato, perchè tro*
▼ata: a che applicata, 55, 98.
Legge, podere del principe; pasciona
delle spie, i43.
Legge da' figliuola del principe rapera-
U, 93.
^SS« P*P>^ poppea, perchè fatta; a
che usata, 1S6.
Leggi alle spese, i40, i41, U5, 78, 79.
Legioni abbottioate, 7. — In Ungheria
ottava, nona, quindicesima , 9S,
S6. — Otto in Germania , vetnne-
sima, quinta, prima, ventesima, S7.
— Seconda, tredicesima, sedicesi-
ma, quattordicesima, "di. — Le-
gione ha sessanta centurioni, 97.
Lbmtum con Germanico in Germa-
nia, 43.
Lbmtulo (GnO> glorioso in armi: corre
pericolo nella sedisione, 24.
LiPiDA Emilia , maritata al giovane
Drnso, scelerata; accusata di tenersi
uno schiavo, s'uccide, 935, 236.
Lepida £Hii.rA, accusata di falso parto
di Quirioio vecchio, ricco, e sensa
figliuoli, i24. — Muove pietà, i26.
— E condannata, 495.
Lbwdo(M.), capace deirimperio,d6.—
n È pretentato ee. Uggì: Tohmmeo. tuo
Jtf tùtolo, # prutMtOo «fc
Difenda Pisone, 147. ^ D«. Sesto
Pompeo detto non buono a man-
dare in ACHca; e fta in Asia, 434.
— D'Afirica lo scavallò Bleso aio
di Seiano, 483. — Fa diceria per
Lutorio Priaco, 439. .^ Ristan-
ra la Basilica di Paulo, 459. — Mo-
dera la sentente contra Sosia: è lo-
dato di bontè, e di saper govenursi
con Tiberio, 468, 169.
Lbpido, e sue armi cadute in Cesare, 3.
— Comportato, impigrito, ingan-
nato, 43. — Lettera arditissima di
Lentulo Cretulico a Tiberio, che
non voleva scambio deir esercito ^
998,999.
Lettera di Tiberio al senato contra
Agrippina e Nertme ritenuta da Li-
via, 903. — A letteroni d' oro con-
sigliava il dottore Aterio scriversi
l*assunsione di Drnso, 444.
Leueofrina Diana, 446.
Libertà non saputasi ripigliare alla mor-
te di Cesare dettatore, 49.
LiBORB Dbuso Scbibohio, tradito e ac-
cusato, 75, 76. -.- In vesta lorda si
raccomanda, 76. — Peccati suoi
scempiati ,77. — Postille atroci
a' nomi de* Cesari , 77 Suo gran
travaglio: s* ammaxa, 77.
Libri sibillini come s'approvavano, 94 8.
LiODO, eunuco di Druso, gli dà veleno
lento, 460. — Perverte l'ordine da-
to, 461.
Livia, moglie d'Agusto, avvelena Gaio
e Lucio nipoti di lui, 4; — e lui, 7.
— Ammala, e fannosi pricissioai, e
ludi magni, 147. — S'appende boto,
151.— Muore, e suo ritratto, 909.
— Riparava alle malefatte del go-
verno, che dopo lei rovinò, 903.
LivsHBio Rbgolo difende Pistme, 447.
Livia, sorella di Crermanico, moglie di
Druso di Tiberio, con Seiano giacer
e congiura, 457.
Livio (C), accusator di Libone, 76.
LoLtio, sconfitto, 44.
LuciLLio Gapitonb, procurator di Ti-
berio, fa uficio di governatore in
Asia; è condannato, 465.
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nb' piian SCI UBKL
«01
L0eiUoLoH6O| intimo di Tiberio, nao-
iro uomo : fassdi eseqnie da censo-
re : statua in foro a ipese pabUiche,
Lucio Gxsaxs» nato d* Agrippa e di
Giulia d'Agosto: detto imperador
d'esercito: avvelenato da Livia, 4.
Ludi magni per la sanilli di Livia, i48.
Luna scnrata mette timore a* sedisiosi,
Luogotenenti lasciati in Roma da' re, e
dalli imperadon con somma auto-
riti, 218.
Zuppia, fiume, 46, 65.
Lirronio Pmiaco, poeta Tino, accasato
di pasquinata; preso, dannato, uc-
ciio,i39.
H
MACRom prestava a Caligola la mo-
glie Ennia, perchè lo innamorasse,
prendesse, e regnassero, 238.
Magistrati durino cinqu'anni, consiglia
Asinio con misterio sotto, 8t.
liagoiBche opere pubblidie , non si fa-
cevano sensa lioensa, i52.
Magneti, e lor meriti e franchigie, 146.
Magnìficbiamo le cose antiche, e poco
stimiamo le presenti, ili.
Malia fatta a Germanico, 103.
Mali di casa, dover seppellirsi nel di-
spiacere, 1S2.
Mababodvo, re de'Suevi, «io e nimico
d'Arminio. Capo de'Gherusci, 89.
-— Odiato da' suoi, quanto Arminio
amato: s'unisce con Inguiomcro, 89.
— Accende i suoi, combatte, perde,
e fugge ne'Marcomanni, 90 ; —-ove
Catualda e combattuto; e cacciato,
ricevuto a Ravenna, dove sopportò
di vivere diciotto anni, 99, 100.
Maraviglie d' Egitto, visitate da Germa-
nico, 98.
Marcsllo, nipote d'Agusto, fatto fan-
ciullo edile, curale e pontefice , 3,
Mare, trabocca, 51. — Tempestoso e
spaventevole, 72, 73.
Mamo (G.) ebbe sette consolati, 12.
Mabio (Sisto) condannato d'incesto
con la figlinola: il peccato suo era
l'essere il più ricco di Spagna, 221.
Mabio xipots, mal vivendo impoveri-
sce: h casso di senato, 91.
Marti , trovati sprovveduti e tagliati a
peri, 40.
Martma, maliarda famosa, mandata
presa a Roma, 105 .—-Trovata morta
in Brindisi senaa ferite, con veleno
nelle treccie; opera di Pisone pei
levarsi questa pruova, 116.
Marzia ridice il segreto del marito: lo
piange, e se ne incolpa, 8.
Marzio (P.?, itrolago, sentensiato fuor
della porta, con la strombasata, 78.
Marzippa, (*) duca de' Morì, 93.
Mascherati si sfogono i satirici , 204.
Matrimonio concorde, lodato, 110.
MscsifATS (Curio), spasima di Batil-
lo, 42. — Sena' esser consolo ne
trionfatore nb senatore, potentissi-
^ mo, 129. — - Lasciato luogotenente
da Agusto in Roma e Italia, 218.
Medici da Tiberio scartati, 239.
Memorie de* tempi che si notavano da'
consoli, notarsi da' principi, 143.
Mbhsio col gastigare chi ei non pote-
va, quieta gli altri; e con un alto
ardire umilia i turbolenti, 31, 32.
Mbnnohr, statua di sasso che favella, 99.
Mercatanti romani, accasati per lo gua-
dagno tra' Suevi nimici, obliata la
patria, 99.
Mesopoiamia ^ cosi detta per essere in
meao a due fiumi famosi, Eufrate e
Tigri, 234.
Messala (Valxbio), e sua fine adula-
sione e squisita, 11.
Mbssalino, di mala mente, sentenie
atroci, 77,169, 204, 213. _ Accu-
sato,confida nel sttoTiberiolino,21 3.
MiMOS die leggi a'Candiani, 127.
Mogli in reggimenti non doversi me-
nare; sentenza di Cecina non ap-
provata, 131.
Morte d'Agusto tenuta segreta fino fus-
se tutto provveduto, 8.
Morti, s'ardevano in campo di Marte^ 12.
n U nostro testo, col latino, Max^pg,
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0OS
TAVOLA MULE €0« ¥lt MOTABIU
JfM«» ramo dil Aeoo» 65.
M(itt«sgt a'Ag«>Coa'poatelld,l4| ^di
PiMDc a Vil»io , i07. -«. <MiMi a'
prìncipif SOS.
M miAzio Plahco fa par eaaar nociao
nella sediaionc» 8).
naufragio e fortma dì nan, 7S, 73,
— Nari mille, loro forme a «si, fal>-
Ivrieate da Germaaico, 64.
Nàuporto^ e cediaiooe di qiie'soUati,20.
Hegromaati cacciati, 76.
HuoHB DI GiBMAHioo, gcocro impal-
mato di eretico Silano, 67.— Qoe-
alore e pontefice, ionanai al tempo,
i96. » Maritato a Gioita di Dra-
ao, it6. <— Aiaatq conlra Seiano,
Ì9S. — KaWiato» bistrattato, os-
scnrato da Tiberio, Ì9S, i96.
If oterola pmcipio di lettera di Tiberio
al Senato, cbe si sentiira entro tor-
mentare e sliranare, Si 6.
Humamìhia con malie fa stolido il suo
primo marito Fienaio Silano, 470.
OcciA, stata crestaie 57 anni, liO.
Odii de' soldati contra i centurioni ,
sfogansi nelle sedisioni, 97.
Odio e gelosia di Tiberio verso Ckrma-
nico e sua moglie e figliuoli, 47, 5i .
Ogni cosa sua girata fa, e ritorna, 443.
Olanda^ ore Germanico fece la massa,
comodissima alla guerra, 64.
Olandesi nell' Àmisia, per far prodese
di notare, affogano, 66.
Olsmitio, angariando, fa ribellare i Fri-
soni, 199, 900.
Onorante d'Agosto, li.
Oracolo di Colofone deseritto. Canta a
Germanico morte Ticìna, 95.
Orasioni. Vedi Dicerie,
Ordinati eserciti per combattere o mar-
ciare, 40, 68.
Oriente scompigliato, 69.— A Tiberio
piace per mandarvi Germanico, forse
a smaltire, 68.
OnoDB d'Asta BAiio 4 ferito: creduto
morto : la vittoria a Faraamane oe-
daU,969,936.
Obtaio, nipote d'Ortensio, povero,
chiede aoccorao; contraddioe Tibe-
rio, 83. -~ Goaeedeseli poco. Non
ne ringraaia per fraa^gin di no-
biltb,86.
Ortigi0, bosco, 146.
Ossa delle tie legioni di Varo, dopo sei
anni acppellitt da Germanico, 46.
OTon Gnmio, pieton : vile, slacciato ,
insegnò gramatica. Sciano il fé se-
natore, 149.
Ottavio Fnoaron biasinu k troppe
apaae, 76.
Ouarej trionfo minore dell* o A oa or-
dinato da Germanico t Dmao, 100,
117.
Pacomiaiio (SuTio), per versi fatti in
carcere, vi fu strangolato , 365.
Pagittn, fiume in Alma, 196.
Parsa e iBzie, necisi da AgnaU), 13.
PAPimo (Sesto) ai precipita, per incesto
con la madre, 940.
Parole di Piaone alli Ateniesi villane,
95 ; -— con Germanico altiere, 97;
-— di Tiberio aflEettoose, raccoman"
dando a'Padri i figliuoli di Germa-
nico , 161 j — di Sabino menato a
morire, 198 ; — di Vitellio a Tiri-
date, e a* grandi di Persia, che fos-
sero savi, 963 } — di Agrippina in
collera a Tiberio, 187 ; — di Sacro-
viro e di Silio a* soldati, contrarie,
137, 138 1 — di Dmso contra Scia-
no, 160. — E altre, 18, 91, 93, 99,
44,51, 89,106, 117,139,160,166,
177, 911, 939.
Paroloni di Tiberio, 15, 53,58, 81,
116, 151.
Parteggiava la Corte, tenendo chi co»
Germanico, chi con Droso: essi
eran daccordo, 88.
Pasquinate patite da Giulio Cesare e
da Agusto, 177.— Spreaale, svani-
scotto; adirandoti le con&aai: na«
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me' PRIMI SEI LIBRI.
(SOS
MondoDsi, saUansi, si danno fuori.
Soa più stimate y i78. '— Sfogansi
mascherati, tanto più mordaci gFin-
gegniy S04. — Il punirgli li £i più
▼ÌTCìCy 178. — ' Tiberio le fece ca-
so di stato, 53.
P ASSIEMO» oratore, e suo bel detto, 23i.
Patuliio, e soa ricca reditk a H. Ser-
Tilìo povero, 91.
Paura fa gli nomini sari, 160, 84S.
Peccando molti, ninno «i punisce, S7.
PuiCSiniio,soidatello sedizioso, sna di-
ceria assoldati, 18. — Ucciso, S6.
Pericol di morte, era certesa, 173.
PcrintOgcilÙL in Tracia, visitata daGer^
manico, 94.
PsnruiirA, re di Persia, 94.
Piramidi d'Egitto, 99.
PisoNS (L.) angaria i Termestini. Un
villano l^uccide, 184.
PitOHB (M.) consiglia suo padre con
prudenza, e non è udito, 106. —
Da Tiberio gli è perdonato, 121.
PisoNK (LO grida in senato de' mali
ordini: si vuole ir con dio: richia-
masi d^UrgoIania ; non ha rispetto
ad ÀgusU : è pagato , lodato, 79, 80.
PisoHK (Calpuknio) accusato, muore a
tempo, 169.
PisoHB (L.) pontefice; luogotenente,
morì di sua morte : miracolo in si
grand' uomo : ritratto suo, 217.
PiSoxB (Gn.), atto all'imperio, 16. —
Pugne Tiberio, 54. — Disputa sua
ridicola con Asinio, SI. — Manda-
to in Scria per istecco nell' occhio
a Germanico, o per avvelenarlo,
87. — Siq>erbia sua e di suo padre,
cresciuta per la nobiltli e ricche-
*à della moglie Plancina, 87. —
Corre fortuna di mare. Germa-
nico ti salva, 96. — Passa in So-
na: corrompe i soldati, si che lo
dicono il lor padre , 96. — Abboc-
^ casi con Germanico, e partonsi cruc-
ciati , 97. -^ Insolenze sue nel con-
vito del re de' Nabatei, 97.—
Altri in Antioccia, 103. — Ger-
manico gli scrive, e comanda che
agomìri di Sona, 103. — Alla mor-
te di Germanico potutagli in Coo,
folleggia per a11egiesa,i05. — Il fi-
gliuolo il consiglia ire a Roma. Do-
misio a ripigliar la Soria in tutti
modi; imbarcai riscontra l'armata
d'Agrippina; s'oflEèndono di parole,
406,107. — Piglia Celendriforteza,
107. — Racimola una legione di tri-
sta gente: combatte, e perde: rende
la forteza: vanne a Roma, 108.
-» Fa entrata pomposa e festeggia.
Raccende l'ira al popolo, 116. — È
accasato, e di che, 116, 117. — Di-
ièndesi solamente del veleno, 119. —
Trova irati i giudici, 119. — Vole-
va leggere loro in faccia di Tiberio
la commession del veleno ; ma Scia-
no con promesse l'aggirò, 120. •—
a Tiberio scrive e raccomanda il
figliuolo: serrasi in camera: la mat-
tina si trova sgosato, 120.
PiTUAMio, strolago, precipitato dal sas«
so, 78.
Plahcina, moglie dì Pisone, 87. — ^Vuol
governar l' esercito, 96. — Aliar*
gasi da Pisone quando h in pericolo,
e Agttsta a lei fa perdonare, 119.—
La troppa forza contro le giovò,
121. — Accusata, ma tardi, s'aro-
masa, 226. — Suo ritratto, 226,
Plamco. Vedi MuHAZio.
Plauzio (Silva) precipita la moglie, e
fa lo stordito, 170.
PouHoiiB, re di Ponto, 96.
PoHPio (Gli.), e sua potenza, 2. — È
ingannato da Agusto, 14. — Rifor-
mator de* costumi, fece più danno
con li suoi rimedi, e le sue leggi
guastò, 128.
Pompeo Macho , pretore, ha ordine da
Tiberio di giudicare le pasquinate
per casi di stato, 53.
PoMFomo Attico, bisavolo di Dmso '
di Tiberio tra'Glaudii si disdice-
va, 88.
Pomponio (Q.) accusa Considio di mae-
sla'per entrare in grazia per liberare
il fraUUo, 221.
Popolo s'alletta col pane, 3. — E asso
o sei, 25. — Romoreggia attorno
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tt04
TAVOLA DBtLI G08B Flit HOTABILt
al fenato per Agrippina t Nerone^
SOA. — Sollerasi per la carestia,
S18.
PoFPKo 8 A imo, raffirmato in Mesia:
aggiontogit 1* Acaia e Macedonia ,
67. •— Raffrena i Traci : ne ha le
trionfali, 484. — Muore, e rao ri-
tratto, S85.
Porre innansi agli occhi; proprietli di
Tacito, SO, S1JS,S3, M, 36, S8.
99, 80, SS, 33, 46, 47, 48, 49, 60,
bi, 62, 70, 7S, 78, 74, 76, 77, 78,
108, i09, 4i0,il3, ii4, iSS, iU,
i74, 487, 488, 494, 496, Sii, S8S,
SS4, S86, 834, S36.
Potenia e grasta co*principi non dura ;
e perche, 430.
Pagida, 6ttroe in ASKca, 4S3.
Preda toglie nttorìa, 49. «-> Corrompe,
4S4.
Presenta la moglie, chi irnol conom-
pere il giadice, 97.
Pretori a render ragione quanti, e da
chi eletti, 47.
Principe ha proprietìi che a lui si renda
ogni ragione, 9.
Principe (iì)i non debbe uscir del cen-'
tro : dar gli ordini per tntte le ban-
- de, 438.
Principi della gioventù, 4.
Proponeva il consolo : i più degni se-
natori pronunziano lor sentensa.
Quando proponeva Tiberio, al con-
solo toccava la prima sentensa, 4 S4.
Provincie distrutte per loro discordie e
romane angherie, 96.
Prudcnsa, o pur fato, ci fa star bene o
male co* prìncipi sensa contumacia
ne viltà, 469.
QuALL*AtTRA (II), cognome di LuciUio
Centurione,per facèaia soldatesca po-
stogli, 29.
Querele strane poste, e accettate, 63.
QuiRiKio (P.) raccomanda a Tiberio
Libone parente suo , 77. — Ricco
e vecchio, ne rimanda Lepida accu-
sata di parto falso, 424.
Rassegna de* centurioni, 36.
Religioni d'Egui e Giudei, trattatoti
di cacciarle via, 440.
Reno^ fiume descrìtto, 64.
RsscopoBi, convita incatena uccide
Coti suo nipote, s* impadronisce di
tutta Tracia, h condotto sotto spe-
tie d^amicisia nelle force romane:
preso, ^ menato a Roma : dannato a
prigionia; mandato in Alessandria;
per tentata fuga, uccbo, 401, 402.
Rtbellioni delle dtt^ di Gallia, 434,
436.
Ridicoli, 44, 407, 903, 943, 941, 464.
Riputazione più che forse regge i prin-
cipi. Esempio è Getulico, 928, 999.
Riscotitori de' tributi ingordi, in Frisia
rapili e crocifissi, 200. .
Risposta acuta d'Agrìppa falso a Ti*
berio, 85.
Riverenza (Per) de' magistrati non si
guardavano morti, ne cose orribili,
o brutte, 47.
Riverenza da* giovani dovuta a' vecchi,
430.
Roma muta spesso signorìa , 2. —
Come stava alle mani d'Agusto, 4,
6, 6, 7, 8. — Spaventati per le
spie, 498.
Rotte d'Arminio eIoguiomero,70,7S;
•— de* Marsi, 40.
RuBBio, cavaliere accusato, 63.
RiTBRio (Fabato), Vedendo Roma rovi-
nare, fuggiva a' Parti, 919.
Rufo (AorioiKifo), maestro di campo,
straziato da* soldati, 90.
Sacerdoti d' Agusta, 43; — à'kjgutto,
43. — Ogni casa ne teneva un col- •
legio, 63.
Sacrifizio Romano Suovetaurìlia, 933.
Sacroviro eduo, capo de*rìl>elli in Gel-
ila, 435. — Poi si fa vedere sen-
z*elmo combattere per li Romani,
i35. _ piglia per forza Aatun^
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ne' pumi sei lubi.
non
con iscolari nobili per pegno: ara»
qnaraotamila di triste armi; alcune
tutte d*un peso, detti crupel]ai,i36.
— Rotto, si ritira : $* uccide, 138.
Salustio (Cbispo), nipote dello storico.
Segretario: scrisse la comniessione
al soldato d'uccidere Agrippa» 8. •—
Insegna al principe mala dottrina,
9. — Fa prigione Agrippa falso,
84. — Muore : suo ritratto, 139.
Sapere i disegni del nimico è cosa im-
portantissima, 67, 71.
Sardigna, aria pessima : ricetto di ladri :
mandatovi Giudei a smaltire, 140.
ScAURO (Emiliano) accusato di trage-
dia composta che dipigneva JPibe-
rio : s* uccise, 228.
Scrupolo nel boto dove appendersi, 451.
Scusasi l'Autore delle troppe minuteie,
175.
Sedisione, o sollevamento d'eserciti, in
Ungheria, 18. — Quietata daDruso,
86. — In Germania da Germanico,
26. — Da lor medesimi puniu, e
come, 35.
SiOBSTK , germano, capo di parte, 42.
— Liberato dall'assedio da Germa-
nico, lo ringraiia, 43, 44.
SBGixoifSO,figliuo]o di Segeste, statico,
44.
Elio Ssiako > aio di Druso in Unghe-
ria, capitano di guardia, favorito
di Ti1>erio, 23. — Accende fuoco
contra la moglie e casa di Germa-
nico, 51. -~ Suocero di Druso Pom-
peo figliuolo di Claudio, 129. —
Spegne il fuoco del teatro : ponvi^
si da' padri la statua sua, 152. — •
, Sua origine, animo, vita e costumi,
156. — Guadagnasi con arti Tibe-
rio, 156. — Generale de' pretoria-
ni : riduceli insieme in un alloggia-
mento, 157. — Ira sua con Druso:
con la sua moglie Livia si giace e
congiura, 157. — Fa dare a Druso
veleno da Ligdosuo paggio, 160. —
Accende Tiberio contra Agrippina
e' figliuoli, 163, 166. — Fa accu-
sare due grandi amici di Germani-
co, 167. — Chiede per moglie Li-
I.
via che fu di Druso, 180. — Tibe-
rio ne lo sconsiglia, 181. — Con-
siglia Tiberio a levarsi di Roma,
182. — Inganna e perseguita Agrip-
pina, 189. — Acquista maggior
grana con Tiberio per l' accidente
della grotta, 191. — Viene in fasto
per lo brutto servaggio de* grandi:
dà udiente per favori, 201.
SeleucìUf^t suo reggimento. Adula Ti-
rìdate. Svillaneggia Artabano, 236.
Selva d'Ercole, 67.
SxHPaoNio Gbacco , adultero di Giu-
lia: fatto morir di stento in Cercin-
na ; fa testamento, con forte animo
porge i) collo alli ammaiatori, 41.
Senatori tremano, 204, 216, 225.
Sentenie o detti in universale, 25, 32,
39, 54, 85, 122, 130, 137, 141,
162, 167, 169,176,178, 180, 214,
222, 233, 237.
Sxiizio (Gh.)> rimane in Soria, 105. —
Manda presa a Roma Martina strega,
105. — Duolsi con Pisone che muo-
va guerra nella provincia , 107. —
Ordinasi alla difesa, 107. — Com-
batte, e vince, 108.
Separare i tristi da' buoni, che non li
corrompino, 25, 35.
Sepoltura a Varo, e tre legioni sconfitte,
46. — da'Germani disfiitta, 65.
SxRVKO (Q.)> primo pretore dato a'Go-
mageni, 97. — Accusato, dannato :
spia, 215.
Servi non si collavano contro al p«-
drone,77,150.
Servio Maluginese flamine, 144, 151.
— Morto , 165.
Seta, vestivano le donne , non gli uo-
mini, 141.
SxTTiHio , dato alla rabbia de' sedi-
siosi, 27.
«y/ene, in Egitto, confine del romano
imperio, 99.
Signoria e stato di Roma, e sue muta-
zioni, 2. — Listra di tntto lo sta-
to e forze sue di manod'Agusto,15.
SiLAHo(M.) levò Tonore a' consoli del-
le memorie de' tempi, e dièlo a'
principi, 114.
43
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506
TAVOLA DELLB G08B Pie NOTABILI
StJMKO (G.),TMeconso1oin Asia. Sinda-
cato, accusato per avido, rapace, 149.
— Coufioalo io Giara, 150.
SiiAMo CaiTicOy eletto suocero di Ne-
rone di Germanico: levato di So-
ria, scambialo a Pisone, 87.
SiLio , kgato dell'esercito di sopra in
Germania, S6. — Riceve le trion-
fali, 5S. — Fabbrica mille navi, 64.
•— Pfeda la moglie e figliuola del
signore de*Catti, 65. — Co' Galli
combatte, vince. Sacroviro s'uccide,
137. — n consolo lo spia per pia-
cere a Sciano; s'ammata, corresi a'
beni, 168. —-Vantasi troppo del
ben fatto, 167.
SiLLA, signore di Roma non lunga-
mente, S.
SiLLA (COiUial vive: impoverisce; h
casso del senato, 91.
SiLLA (L.), nobile donzello, non cede
il luogo alla festa a Gorbtdone: ne
fu rtMnore in Senato, 130.
SiHHAGi Abdo eunuco con altri am-
basciadori a Roma, contro Artaba-
no, S30.
Sogno orrido di Germanico, 48.
Sosia Galla, moglie di Silio, da Agrip-
pina amata, i 67. — Sbandita, e tol«
tolei beni, 168, 188.
Spatio di dieci giorni aggiunto a' con-
dannati: vano, perche i senatori non
potevano le sentenze ritoccare, né
Tiberio per tempo si mitigava,140.
Spese superchie biasimate, mancate, e
percbb.* e se si posson levare con
legge, 78, 79, 140, 141.
Spie allora, in ogni luogo, ognuno,
d'ogni cosa, St5. — Punite qual-
che volta, 938. — Fuoco che arse
la città: mestùro venuto in credito
per la miseria de' tempi , e per le
sfacciatexe degli uomini , 53. — . Di-
vorò la republica, 75. — Favo-
rite, non punite, con premi allet-
tate, 174. — Le grosse non si pu-
nivano, ma le minute, 179.
Squittini de* magistrati li faceva il po-
polo in Campo Marzio; ma il prin-
cipe dava egli i migliori: furon ri-
dotti a* padri in senato. Faceva i
consoli per modi strani, 58.
Stibtinio con Germanico, 46, 53. —
Gastiga gli Angrivari, 66.
STimrico, centurione, chiesto alla morte,
e difeso, 33.
Storici della repubblica eran veraci;
deUi imperadori, adulatori o nimi-
ci, 3, 3. — G. Plinio scrisse delle
guerre germane, 51.
Staborb (Suo), Capitano della guar^
dia, 9. — Padre di Sciano. Aio di
Druso in Ungheria, 33.
Strettela violenta di moneta, onde na-
ta : come rimediata, 330, 331.
Strolaghi cacciali, 78.
Suevì contendono co' Cherusci, 89.
Snggetti da succedere ad Agusto, 16.
SuiLio (P.), mal' uomo , confinato in
Isola, 175.
SuLvizio QuiftiKo ebbe esequie publi-
che: non era delli antichi: suo
ritratto, 138, 139.
Supplizio a soldati sediziosi, 36.
Supplizio gravissimo antico, 78.
Sttovetaurilia, sacrifizio romano di por-
ci, pecore e tori, 333.
Superbia claudiesca, 7.
Tacfabinata, di capo d'assassini fa
guerra a'Romani in Affrica, 93. —
La rifa, 133. — Sguizisce, e rigira
alle spalle, e straccali. Sta ozioso
intorno alla preda, 134. — È com-
battuto, e cacciato ne' diserti, 134.
— Superba ambasceria mandata a
Tiberio, e lo fa sdegnare, 153. — 11
fratello è prigione, 153. — Rifas-
si: combatte; perde : muore in meio
a'nimiciben vendicato, 171, 173.
Tanfana, tempio famoso de'Germani
disolato, 40.
Teatro posticcio a Fidene rovina con cin-
quantamila tra morti e guasti, 193.
Tebe, la grande: sue anticaglie, agu-
glie, e lettere, e memorie di sua gran
riccheza e potenza, 99.
Tempesta descritta, 51.
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nb'pumi sei libri.
«07
Tempio diDiaoa,litigatoda*Laocdemo-
nii e Messemi, 183.
Tempio fatto a Til>erto dalli Asiani per
giustitie ammioistrate loro, 165. —
Dalli Spagnoli non lo accettò, 179.
Tempio a Bacco, Proserpina, Cerere: e
a lano e alla Speranza, 93.
Tempio sagrato a Sorteforlana per le
insegne di Varo ritrovate, 85.
Tempio a Tilierio , gareggiano d'edifi-
care undici città dell'Asia > 189. —
Se ne fece gratia alliSroimesi, i90.
Tempio ad Agosto conceduto alli Spa»
gnoli: e insegnato alli altri vas-
salli, 56.
Tjuirauo (M.), con magnanima confes-
sione dell' amicitia di Seiano, fa
condannare gli accusatori, 3 15.
Tesifonti, risedensa del regno d'Ar-
menia, 336.
Testamento d'AguslO! suo disposto:
mala intensione, e boriosa, e con*
siglio invidioso, 10.
Testamenti come voci ultime eran cre-
duti mera verità: con essi si sfoga-
vano nel dir male de'nimici, 834.
Teuberg, bosco ove fu Varo sconfit-
to, 46.
TsucEO, edificò tempio a Giove in Sa-
lamina, 146.
Tevere traboccato , 55.
TiBUio (Imperadore.)
Ristretto di sua origine, fortuna, vita e
costumi, 343.
Riman solo figliastro d'Agusto: è adot-
tato: fattogli adottar Germanico.
Volgesi a lui il tutto, 4, 5.
Morto Agusto , entra in possesso : per
la prima opera, uccide Agrippa Po-
stumo, 8.
Riceve il giuramento in Roma, con cbe
ordine, 9.
Finge di ricusar tanto peso: fassene
pregare; ma sollecita di confermar-
si, 10, 11, 16, 37, 161.
Fa l'esequie d'Agusto; vi tiene armati:
il popolo se ne ride, 13.
Parla scuro , ambiguo , non vuole es-
sere inteso: guai a chi si scuopre
d'intenderlo, 15, 16, 33, 54,134,
140,199.
Fa Germanico viceconsolo, 17. — Fa
dodici pretori, 17.
Fantasticbi modi tiene nel fare i con-
soli, 58.
Manda Druso suo figliuolo in Unghe-
ria air esercito sollevato, 33. -.- E
a quello di Schiavonia per più ra-
gioni di stato, e finge per altro, 88.
Celebra in senato i fatti di Germanico
in Germania: non se ne rallegra
per gelosia, 40.
Teme,e odia lui, e sua moglie e figliuo-
li, 47, 51, 38, 189, 339.
Lo riprende delle seppellite ossa delle
tre legioni di Varo, 47. — Dell'es-
ser entrato in Egitto , e troppo af-
fratellatosi, 98. — Scandaleiasì cbe
la moglie faceue uficio di capitano:
e Seiano l'aiia, e rinfuocola, 51.—
Prende lo scompiglio dell'Oriente
per occasione a mandarvi Germani-
co , levarlo di Germania, e sporlo a
casi di fortuna , 63. — Richiamalo.
11 senato lo fa generale oltremare,
87.— Leva Silano di Soria,e man-
da vi Pisone con comcssione occulta,
87. — All' entrata d' Agrippina in
Roma con le ceneri di Germanico
non si lascia vedere, non potendo
celare l'allegresa, 113. — Conforta
il popolo a lasciare il pianto , 115.
— E i giudici di Pisone a non par-
teggiare, 117.
Fa morire le persone, e non vuol pare-
re quel desso, 8, 41, 43, 130.
fnvidioso, 16, 40, 43, 166. •— Simula-
tore, 15, 16, 33, 81, 199.
Sottile d'ingegno: nel risolvere impac-
ciato, 37, 58, 84, 140, 190, 339.
Ostinato, 37, 84, 108, 137, 334.
Modesto, e rifiuta il giuramento ogn'an-
no: il nome di padre della patria,
52 j — e di signore. 111 ; — e il
tempio, 179; — e le redità lascia-
^8^h pc' dispetto di parenti, 91.
Moderatore discreto d' inique sentenae,
e d'adulasioni,17, 53, 54, 91, 109,
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508
TÀVOLA DILLB COSB PIÒ ffOTABIU
411»191» 4», 1S8, iSl, lU, 160»
i7».
À'oegoti, alla gioitÌBia attenderà, e fa-
ticala, 64, Ì6S, 188, 189.
Vago di fare spcae lodevoli, giovare,
aiutare, 54, 83, 90, ISS, 158, 163,
194, SSl, S38.
Pradente e proTvidenie , 83 , 81 , 85 ,
87, 110, 116, 133,138,164,169,
819.
Perdona sparlamenti di Ini e della ma»
dre, 93; — e l' naure oltr* alla leg-
gè, 330.
Obblighi, e rispetti suoi alla madre, 191.
Paroloni suoi, 15,53,58,81,116,117.
Astnsie sue, e arti usate con dìTersi, 55,
81,85,101,148,145,169.
Crudeltà, rigideic, 16, SS, 41, 53, 134,
174,183,304, 311, 318, 333, 834,
380.
Beneficava con villanie per non perde-
re severità, 55, 160.
Viso burbero, saturnino, marginoso,
38, 56, 101.
Fuggiva le feste e ragunanse. Non fe-
steggiava nh caresava il popolo co-
me^gusto, e perchb, 43, 55, 198.
Vergogne rinfacciategli, 54, 130, 174,
183, 334.
Nel centro dell'imperio vuole stare a go-
vernarlo ! e di voler uscire a visi-
tar le Provincie finge, si ordina, e
inganna, 37, 38, 138, 158.
Non mutava ministri, e perchè. Ne* go-
Temi voleva capacitli bastevole, e
non piò, 57, 159, 335.
Di riformare le spese e costumi non si
risolve, 79. — Non sa se sia bene ,
o possibile, 140.
A Orlalo povero,importuno, e da nien-
te, nega aiuto, 83, 84.
Ha umore di trattar le cose di fuori con
sagacitk e sena* arme, 330, 84, 86,
101, 102, 138.
Si gloria de* due nipoti binati, 109. —
Ne muore uno, 165.
Pareggiasi alli antichi nell'aver discac-
ciato lo avvelenatore d'Arminio co-
me quelli il traditore di Pirro, 111.
Con sua grossa spesa rimedia alla ca-
restia , 110. — Rifii n Uatro di
Pompeo arso, 153. — Paga le case
arse nel monte Celio; dove Tima-
gine sna nel meao delle fiamme non
fu ofièsa, 194,195. — Paga milioni
due e messo per le case similmente
arse nel monte Aventino, 338. —
Soccorre e consola dodici citta per
tremuoto rovinate in Asia, 90.
Prega i padri che facciano il nipote ab-
biente a certi ufici: del che si rido-
no, 138, 139.
Ridesi de* senatori dispotanti chi poter
più: o i suoi figliuoli o la legge ì
93} — e di Dolabella, che da Ca-
pua a Roma voleva ch*ei tornasse
con l'ou, ou, 138; —e di Togonio,
che gli dava guardia di venti sena-
tori armati in senato , 31 1 ; — e
di chi trenta anni ha, e adopera me-
dico, 339.
Vassene fuori di Roma perche Druso
governi, 130. — Per sua quiete, .o
per nascondere sue libidini, o brui-
tele di corpo, 183, 191, 303. — O
per levarsi dinansi alla madre su-
perba, 191. — Nascondesi in Capri,
196. — Parte con poca corte, in
pùnto da non vi tornare secondo
gli strolagbi, 191.
Fa dichiarar Druso suo figliuolo tri-
buno , cioè imperadore eletto , 143.
Lascia a* padri risolvere cose frivole per
dar loro pasto, 1 7. — Chiamali gente
da servire, 149.
Chi ha ufici sagri, vuole die riseg*
ga, 151, 153.
Non si può dar pace che Tac&rinata
atea seco a tu per tu, 153.
Giunta, nipote di Catone, moglie di Cas-
sio,sore]la di Bruto, non Fonorònel
testamento. Nondimeno lasciò lei di
laudi e d'esequie splendidissime ono-
rare, 154.
Governo suo buono, 158, 17, 159, 53,
9i, HO, lU, 179, 303.
Poi peggiorò} e perchè, 303.
Fortùsimo animo suo nella malattia e
morte del figliuolo, 160. — Lodalo
in ringhiera, 163.
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PIE* PRIMI SEI LIBBI.
809
Fa cacciar via i commedianti corrom-
pitori de* costumi, i65.
Spegne Silio e Sosia : petcb^, 168.
Per ]a scoropigliatura del letto, chiari-
' sce che Plausio precipitò la mo-
glie, i70.
L' ammalarsi avanti la sententa non
vuole che tolga guadagno alle spie,
174.
Di diviniti non ai cura : gli basta es»
sere il primo uomo: stupenda di-
ceria intorno a ciò, i79.
Non loda che Sciano pigli la vedova
di Druso. Prudente lettera intorno
a ciò, i80,481.
Agrippina gli parla altiera : gli chiede
marito: non le risponde: ella te-
mendo di veleno, a mensa non man-
gia : egli col presentarla se ne chia-
risce, e adira, 188, 189.
Undici cittk gareggiano per chi edificar-
gli il tempio stabilito. Smirna Tot^
tiene, 189, 190.
Nella grotta che franò, Seiano lo riparò,
e acquistò maggior graiia e fede,
491.
Straneggia Nerone di Germanico, 192.
— Druso fa morire di fiime, 224.
Gastigava i ministri scelerati quando
n' era stucco, per mano delli scam-
bi, 229.
Per le sconfitte in Frisia si lascia ve-
dere in Gapua: ove il fasto di Seia-
no più apparisce, 200, 201. ^
Per la morte della madre non si muove,
non lascia uno de' suoi piaceri e li-
bidini mostruose, 203.
Scrisse al senato una mala lettera con-
' tra Agrippina e Nerone. Ma Livia
la ritenne. Oracgli e Seiano la man-
dano: i Padri tremano: il popolo
romoreggia: non si propone, 203,
204.
Non vuole che senza l' usate censure si
riceva un libro per sibillino, 218.
Raffrena il popolo- sollevato per lo gran
caro, 218.
Chiede Macrone con soldati per sua
guardia in senato, 220.
Marita bassamente due figliuole diGesr
manico, 219; — e la vedova di
Nerone, 226.
n più ricco di Spagna fa accusar d* in-
cesto con la figliuola per torgli la
roba, 221, 222.
Rimedia alla strettela de' contanti, ca-
gionata dalle riposte entrate e con-
fiscazìoni, 221.
Insanguinato ne* suppliti , fa uccidere
tutti i prigioni per conto di Seia-
no, 222.^
Indovina a Galla, che assaggerebbe l'im-
perio, 222; — e che Galigola suc-
cederebbe e arebbe tutti i vizi di
Siila, 239.
Apprese Tartedal maestro Trasullo: di
cui fa sperienza orrenda, 223.
Conforta Nerva risoluto di morire, il
quale gli volta le spalle^ 226.
Patisce che Getulico non consegni l'e-
sercito, e seco patteggi, 229.
Aggrava nel male : non lascia sue libi-
dini : le forze l' abbandonano , non
l'infingere: disordina , motteggia ,
muta luoghi: in Miseno si ferma.
Garicle gli trova il polso mancare :
misviene; rinviene. Galigola ne'pan-
ni l'affoga, 241, 242.
TlBBRI0LIN0,213.
TiGRANB, Stato re d'Armenia, ebbe sup-
plizio da cittadino, 235.
TiGRANS, investito del regno d'Arme-
nia, 63.
Timore della religione e del cielo, 25.
TiRiDATB e Mitridate disegnati da Ti-
berio re d'Armenia , 230. — Tiri-
date, rotto Orode, va per pigliarne il
possesso: per passar felicemente l'Eu-
frate sacrifica : il fiume gì' indovina
facile entrata, e poca durata,233,234.
— £ ricevuto con letizia in alcune
città; non seguita entrar nell'altre:
* non s' incorona : erra, 236. — E
invidiato : si rivoltano ad Artabano :
lo chiamano, viene , vince , caccialo
d'Armenia, 237, 238.
Tirreno, figliuolo del re Ati, venne
d'Asia in Italia, 190.
TxTioio Labbojtb non cura punir la
45-
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510
TITOLA Miti COSE WSÒ MOTÀBItI
aoglit etiUTat tì p«osa il magi-
strato» 4iO.
Tito CoaTiaio, fomaMTiton della
gmm serrile in Brinaisi,!?!, 173.
Tino Sabiko, dÌTOto deUa casa di
Gcmumicoie acauato da quattro,
tradito da Lasiare, i97.
Toga dipinta col baston dell* avorio
presentato a Inba (*; per ineriti nella
guerra con Tacfarinata, 171.
Tooomo Gaum, vik, prosontnoso, ri-
dicolo, 9H.
TraeU^ tonata da ReneUkej poi di-
irisa da Agosto a Rescopori» e Coti:
occupata tutta da Rescnpori; dan-
nato e morto: ridivisa a Reme-
talee e' pnpilU di Coti, iOI, iOS.
Trmci aogariati da Trebellieno piglion
renne sanno poco di guerra: di-
scordano: n*è faUo macello da P.
VeUeio, iU,
Tradimenti e veleni, S9, 101,403,111,
135, 198, 130, IfiO.
Tbasouo insegnò arte caldea a Tibe-
rio, il quale fece orribil cimento del
suo sapere, IH.
TiiBKLunro Ran> , tutore de* pupilli
di Coti, angaria la Tracia, 101,
134.
Tremuoti rovinarono 11 cittli in Asia;
Tiberio le soccorre, e consola, 90.
— Similmente in Asia Gibira, in
Acaia Egira, 163, 164.
Tribuni, signori di Roma, ciok con po-
dcstlk di consoli, non durarou oltre
due anni, 1.
Tribunesca podestà: vocabolo trovato
da Agusto, per non dirsi re, uè dit-
Utore, 143.
Trionfo di Germanico, e voci di popo-
lo, 85, 86.
Trionfali insegne, e ouationi, 85, 94,
100, 117, 138, 151.
Trofeo rixato, cuoce a*G«rmani pia cbe
la scon6tta, 71.
TubanUt germani, si risenlono, 40.
TuBBBOHB (Sbio), LcgBto di GcnB30Ì-
co,71.
TuBBABio (G.), abbondanaieie^ 9.
Valbbio CoBvno ebbe sci coosola-
U.11.
Vaubio Naso, soprantendente alli ope-
rai del tempio da edificarsi dalli
Srairnesi a Tiberio, 190.
Vabo (Quibtiuo), sconfitto con tre le-
gioni, 5, 14, 46.
Vabboms, consolo, spia Silio per gra-
tnirsi Seiano con gran vergeva
sua, 167.
Vassalli cappadoci, sgravati per into-
nare il nuovo giogo più soave, 96,
97.
Vassalli, perche amavano più principe
che liberti^ 3. — Distrutti per an-
gherie, 95.
Veleni. Vedi TradimemtL
Vendicatore di Germanico» 105.
Vbbaiiio (Q.), primo governatore dato
a* Cappadoci, 97. — Vendicatore di
Germanico, 105.
Vergini di Vesta presentano il testa-
mento d*Agttsto, 10.
Verità delle cose grandissime si sa ma-
le : narrasi e crescesi diversamen-
te, 113.
Vespro ciciliano usato nell'ammasaie
i sedisiosi, 38.
YiBiLio, capitano delli ETmanduri,100.
ViBio Mabso cede la Soria a Gn. Sco-
lio, 105.
Vibio fiBBBxfo angariò la Spagna: è
confinato in Amorgo, 164. — Ac-
cusa falsamente Fonteio Capitone:
non ne pati, perche le spie grosM
non si punivano, 178, 179.
ViBio Vabbohb mal vivendo impove-
rito : raso del senato, 91.
ViBULBBO, soldato sediaìoso, e sua di-
ceria, 11. — Ucciso» 16.
Viltà di citudini nel nuovo sUto di ser-
vitù, 6. — Corievano a servire, 9,
148.
ViPSABiA AoBiFrixA, moglie di Tibe-
rio, madre di Druso, muora sola
de'nati d* Agrippa (*) di buona noc-
te, 113.
nUGiaatinaliarf'^fiwie.
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ne' PfilMI SEI LIBRI.
511
Visurgo, fiume ne'Cberasci, 51, 66.
Vite secca: con essa i centurioni basto-
navano i soldati per colpe leggie-
ri, 22.
ViTULio (L.) governa bene l'Oriente.
Fu di mala fama e vita, 230.
ViTXLLio (P.), con Germanico, e suo
naufragio, 51. — Mandato a risquo-
tere Testimo neUe Gallie, 64.
YiTiLLio VAftAOKi manda aiuti in
Gallia contro a' ribelli, 135.
ViTBLLio (P.) ofièrìsce la chiave del te-
soro della guerra, rimondandosi
lo stato, 206.
ViTiA, vecchierella, uccisa per aver
pianto Frisio Gemino suo figliuolo,
217,
Vittoria di Cecina contro > Germani,
49,50; — di Germanico contra Ar-
minio, 69,70; — di Arminio contra
Maraboduo, 90.
Voci, dogliente, laudi, discorsi del po-
polo, 7, 9, 12, 29, 33, 37, 85, 104,
108,114,135,136.
VoLusio (L.) muore; suo ritratto, 129.
VoifOHB di Fraate Arsacido, rimanda-
to da Roma, e fatto re de' Parti, 62.
— Vien loro a noia, e perchè, 62.
— E cacciato da Artabano : fug-
ge in Armenia, 62. —> N*è fatto
r6, 63. — E chiamato come amico
in Soria : fatto prigione, 63. — Man-
dato in Pompeiopoli, 97. — Cor-
rompe la guardia; sotto spetie di
cacciare, fugge : è ripreso ; dalla
medesima sua guardia ucciso per-
chè non ridicesse la baratteria, 102,
103.
VoTiBHo MoMTAHO, poeta satirico, dan^
nato di maestà, 182.
IJ
Uroularia, favorita di Livia : superba r
non pagava; leggi non ubbidiva, 79.
Uri, buoi salvaticbi in Frisia, 199.
Usare abito e costumi del paese è cosa
grata e amabile: e per contrario,
96, 98.
Usipetij germani, si risentono, 40.
Usura, mal vecchio, 220.
Usurai ricchi, accusati, 220.
ZsRONB , figliuolo di Polemone re di
Ponto, coronato re d'Armenia in Ar-
tassata, e detto Artassia, 96. —
Muore, e Artabano ne impadronisce
Orode suo figliuolo, 229.
ZuflFa di Pisone con Senzio legato in
Soria, 108.
CORREGGI.
. 21 Un, 15 ^pecaano in
spesano
35 1 atteri
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513
INDICE DEL VOLUME PRIMO.
Al ducreto Lettore Pag. i
DtUa Vita e delle Opere di Bernardo Davanaati; Discorso di Enrico Bindi. v
Albero genealogico della Famiglia Davanzati . l
BibliograBa delle Opere di Bernardo Davanzali li
Lettera dedicatoria al principe Leopoldo di Toscana, premessa dai deputati
deir Accademia della Crusca alla prima edizione dell' intero volgariz-
tamento fatta in Firenze da Pietro Nesti Tanno i 657 lxi
Avvertimento che nella stampa del Nesti segue alla Dedicatoria lxii
Dedicatoria di Gio. Ant. Volpi (edizione Cominiana) all'Accademia della
Crusca z.xin
Risposta deir Accademia della Crusca a Giovanni Antonio Volpi lxv
Prefazione della stampa Cominiana lxvii
Bernardo Davanzati Bostichi a messer Baccio Valori lxx
La medesima Lettera conforme si legge nell'edizioni fiorentine del Giunti
e del Nesti, e nella Padovana del Cornino. i.xxii
Altra Lettera del Traduttore al medesimo Baccio Valori lxxiv
Agli Accademici Alterati^ Bernardo DavanAti lxxvii
Stirpe d' Agusto e di Livia, descritta da Bernardo Davanzati lxxix
VOLSABlZZAnUBNTO DI GOBMELIO TACITO.
Il Libro Primo degli Annali di Gaio Cornelio Tacito 1
— Secondo 61
— Terzo 112
— Quarto 156
— Quinto. . . . '. 202
— Sesto 209
— Undecimo . 243
— Duodecimo 267
— Tredicesimo 301
— Quattordicesimo. . ". 333
— Quindicesimo 366
— Sedicesimo 404
Mutazioni e Correzioni fatte dal Davanzati al volgarizzamento di Tacito,
tratte dalle stampe del Marescotti e del Giuntile da un esemplare
Giuntino con postille autògrafe, posseduto dal conte Alessandro
Mortara 421
Primi tentativi della traduzione di Tacito (frammenti) 479
Tavola delle tose più notabili ne* primi sei libri degli Annali 491
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