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Full text of "Lettere a Benedetto Varchi"

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Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2009  with  funding  from 

University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/letterebenedettoOObatt 


SCELTA 


DI 

CURIOSITÀ  LETTERARIE 

INEDITE  0  RARE 
DAL  SEtOlO  XIU  AL  XVII 

In  Appendice  alla  Colleziono  di  Opere  inedite  n  rare 

Dispensa  XG. 
PREZZO  L  2,  50 


Di  questa  SCELTA  usciranno  otto  o  dieci  vo- 
lumetti all'anno:  la  tiratura  di  essi  verrà  ese- 
guita in  numero  non  maggiore  di  esemplari 
202  :  il  prezzo  sarà  uniformato  al  num.  dei 
fogli  di  ciascheduna  dispensa ,  e  alla  quantità 
degli  esemplari  tirati:  sesto,  carta  e  caratteri, 
uguali  al  presente  fascicolo. 


Gaetano  Romagnoli 


I  NOVELLIERI  ITALIANI 

INDICATI    E    DESCRITTI 


GIAMBATTISTA  PASSANO 

Questa  importante  Bibliografìa  è  già  pubblicala 
nell'  egual  carta ,  forma  e  caratteri  dei  Novellieri 
in  prosa  dello  stesso  Autore ,  ed  è  vendibile  presso 
il  libraio-editore  Gaetano  Romagnoli. 

Se  ne  sono  stampate  Copie  250  nel  formato  di 
8."   a  Lire  IO.  56. 

Copie  50  nel  formato  di  4.".  a  L.  20.  58. 


ALCUNE 

LETTERE  FAMILIARI 

DEL  SEGOLO  XIV 

PUBBLICATE   l>\ 

PIETRO  DAZZI 


BOLOGNA 
Presso  Gaetano  Romagnoli 

18GS 


Edizione  di  soli  202  esemplari 
ordiii.-itamonto  numerati. 


N. 


IIOI.IKINA.   TIPI  I-AVA   I'.  CMIMINAM. 


«  Allo  studio  delle  origini  e 
dello  avanzamento  di  una  lin- 
gua, le  sole  opere  di  forma  let- 
teraria^ anche  se  antichissime, 
non  bastano;  è  mestieri  rintrac- 
ciare la  elocuzione  nella  sua  in- 
sjenuità  naturale,  ricoojherla  dai 
labbri  di  que'  primi  che  la  pla- 
smarono ;  poi  quasi  dai  suoi  a- 
vanzi  ricostruire  lo  idioma ,  pre- 
sentarne l'organismo,  come  ap- 
punto il  geologo   dalle   reliquie 


fossili  rifabbrica  un  mondo  già 
scomparso  ai  nostri  occhi.  Onde 
in  quelle  indagini,  imporla  ogni 
fatto  ne  dia  modo  a  rinvenire  la 
parola  schietta,  quale  uscì  dal 
popolo  e  dagli  scrittori  non  di 
professione;  che  se  in  quella 
schiettezza  si  addimostra  qual- 
che volta  un  po'  rozza,  nondi- 
meno si  avvantaggia  quasi  sem- 
pre per  brio  o  per  verità  sopra 
ogni  maniera  dell'  arte.  Ed  ecco 
perchè  i  quaderni  de' conti,  i  ri- 
cordi delle  famiglie,  gli  statuti,  i 
capitoli  delle  compagnie,  e  in- 
somma le  scritture  antiche  del 
volgar  nostro  per  le  quali  con 
TuUio  puossi  diro  Uà  enim  tum 
loquehantur  sono  ricercate ,  no- 
tomizzate  da  chi  intende  secon- 
do ragione  gli  studi  ». 

Premessi   tali   parole   alle  sei 
prime  di  queste  lettere   pubbli- 


5 

cate  neir  ottobre  delT  anno  scor- 
so per  nozze  di  amici  a  me  ca- 
rissimi; parole  che  parmi  pos- 
sano stare  anche  qui,  sebbene 
alcune  delle  lettere  sieno  di  dotti 
scrittori.  Infatti  anche  questi  nello 
scrivere  familiare  rifuggono  da 
ogni  arte  (non  si  potrebbe  dire- 
ciò  di  molti  scrittori  de'secoli  sus- 
seguenti), dicono  le  cose  come 
se  parlassero,  ed  anche  in  essi 
come  nelle  scritture  di  non  ad- 
dottrinati ,  i  pensieri  e  gli  affetti 
senza  inceppamento  di  sorta  si 
stampano  nelle  forme  usuah  del 
dire,  così  che  ci  danno  limpidis- 
simi r  indole  e  l' aspetto  della 
Hngua. 

Nelle  sei  prime  ho  corretto 
alcun  errore  cadutomici,  e  fatto- 
mi cortesemente  notare;  in  tutte 
ho  posto  quanto  pili  cura  sape- 
vo. Quanto  alla  grafia,  noto  che 


6 

a  me  piace  anche  in  questo  un 
metodo  ragionevole;  e  penso  che 
della  parola  non  sia  da  attendere 
soltanto  alla  esteriore  ma  Lene 
alla  sostanziai  forma;  di  guisa  che, 
tranne  il  caso  di  studii  paleogra- 
fici,  il  pubblicare  scritture  anti- 
che a  facsimile^  come  dicono, 
mi  pare  pedanteria  che  toglie  loro 
molti  lettori.  Quando  si  tratta  di 
errori,  o  almeno  di  usi  errati, 
quando  T  ammodernare  non  va- 
ria nemmeno  la  pronunzia,  io 
credo  che  il  si  debba;  perchè  il 
materialismo  in  letteratura  non 
ha  lato  di  grandezza,  come  for- 
se può  aver  in  qualcuna  delle 
scienze. 

In  Firenze  1  Gennaio  1868. 


NOTIZIE  DEGLI  SCRITTORI 


DELLE    LETTERE 


Lemmo  Balduccì. 

Nacque  a  Montecatini  in  Val  di 
Nievole;  venne  a  Firenze  nel  1333; 
si  ascrisse  all'arte  del  cambio,  e 
in  30  anni  riusci  a  mettere  assie- 
me una  fortuna  vistosa,  ed  acqui- 
stare la  cittadinanza  fiorentina.  Sen- 
za figliuoli,  nel  1389  fece  un  testa- 
mento col  quale  distribuiva  parte 
de' suoi  beni  a  monache  e  frati,  e 
parte  alla  fabbricazione  e  fonda- 
zione d'uno  spedale  pe' poveri  in- 
fermi, che  si  chiamò   prima  di  S. 


8 

Niccolò  e  poi  di  S.  Matteo.  Un  de- 
creto del  granduca  Pietro  Leopoldo 
mutò  quell'ospedale,  nel  178i,  in 
Accademia  delle  Belle  Arti.  Il  testa- 
mento del  Balducci  è  citato  dagli 
Accademici  della  Crusca;  stampato 
negli  atti  dell' Accademia;  pubbli- 
calo coi  tipi  del  Magheri  nel  1822 
da  Luigi  Rigoli. 

Filippo  Dell' Antella. 

Il  Biscioni  (Albero  di  diverse  fa- 
miglie cod.  magi.  xxYi.  112)  dà  no- 
tizia di  Bartolommeo  dell' Antella, 
ponendo  sotto  il  29  luglio  1398  che 
egli  con  Cristcfano  Spini,  concluse 
pace  con  Bonifacio  IX  ed  i  Peru- 
gini, ed  ottenne  che  il  Comune  di 
Firenze  potesse  gravare  d'imposta 
anche  i  chierici,  per  cagione  della 
guerra  allora  sostenuta.  Le  tre  let- 
tere sono  scritte  da  Padova,  dove 
si  trovava  forse  per  ragioni  di  com- 
merci. 


9 


Del  Bene  Dora. 

Dora  forse  accorciativo  di  Teodo- 
ra, fu  moglie  a  Francesco  di  Iaco- 
po del  Bene,  del  quale  si  veda  alla 
Nota  20.  Non  ostante  molte  ricer- 
che, non  so  dire  di  che  famiglia  ella 
fosse. 

Lanfredino  e  Domenico  Lanfre- 
dini. 

Dalle  lettere  qui  pubblicate  si  ri- 
leva che  Lanfredino  nacque  tra  il 
1340  e  il  45;  che  condusse  vitami- 
sera  a  Ferrara  per  assai  tempo.  Poi 
nel  1406  fatto  castaido  (e  ciò  so  da 
altra  lettera  che  ora  non  pubblico) 
dovè  passarsela  meglio.  Scrive  ad 
Orsino  figliuol  suo  di  14  anni  al  tem- 
po della  lettera  che  qui  di  Lanfre- 
dino è  prima,  e  che  viveva  in  Fi- 
renze con  Giovanni  Lanfredini;  il 
quale  non  zio  come  dubitai  nelT  av- 
vertenza alla  l.^ediz.  di  queste  let- 
tere, ma  dovè,  se  non  sbaglio,  es- 
sere biscugino  di  Lanfredino. 


Infatti  dal  Gamurrini  [Istoria  Ge- 
nealogica delle  Famiglie  nobili  To- 
scane ed  Umbre.  T.  IV.  273]  tolgo 
l'albero  seguente: 

Cecco 


Bartolo 


Biondo 


Sandro       Orsino        Filippo 

Domenico     Lanfredino     Giovanni. 

E  da  questo  anche  si  prova  come 
Domenico,  di  cui  è  qui  la  vii  let- 
tera, fosse  cugino  a  Lanfredino. 


Coluccio  Salutati. 

La  fama  grandissima  di  lui  mi  di- 
spensa dal  dire  come ,  vissuto  76 
anni,  dal  1330  al  1406;  passata  la 
prima    giovinezza  in    Bologna    per 


11 

ragion  d'impiego  del  padre,  fu  poi 
segretario  di  Urbano  V;  nel  1370 
delia  repubblica  Lucchese,  e  nel  75 
della  Fiorentina;  ufficio  che  gli  durò 
finché  visse. 

Giorgio  Scali. 

Di  Giorgio  Scali,  dell'azione  im- 
portante che  ebbe  nel  Tumulto  detto 
dei  Ciompi,  della  sua  morte  al 
1381  narra  distesamente  nelle  Isto- 
rie Niccolò  Machiavelli  (Lib.  in). 
Quindi  me  ne  passo,  solo  aggiun- 
gendo che  in  una  nota  di  sepolti 
in  S.  Maria  Novella,  sotto  il  17  gen- 
naio 1381  (stil.  fior.)  trovo  Doni. 
Georgius  dom.  Franciscl  de  Scnlis 
pop.  S.  Trinitatis  cum  coniuge  \  De- 
lizie degli  Erud.  Tos.  ix.  126];  e 
perciò  dovè  essere  decapitato  a' 16. 
Referisco  quel  che  dice  Marchionne 
Stefani,  narrando  nelle  sue  storie 
sotto  l'anno  1374  come  lo  Scali  fu 
ammonito  «Del  quale  Giorgio  nacque 
grande  ammirazione  in  tutti  li  citta- 


12 

clini,  e  fu  quella  cosa  che  fu  principio 
flel  guastamento  del  buono  e  bello 
reggimento;  imperocché ildetto  Gior- 
gio di  progenie  e  stirpe  guelfissi- 
ma  fu  sempre,  e  già  per  li  Fio- 
rentini e  parte  guelfa,  nelle  guerre 
de'Fiorentini  contro  a'Pisani  e'Ghi- 
bellini  fu  sempre  gran  maestro  e 
confidente  a' Guelfi;  ma  per  lo  sde- 
gno che  ricevette  contro  del  con- 
sorto che  fu  ammonito,  come  adie- 
tro è  fatto  menzione  (rubrica  748) 
esso  Giorgio  al  partito  spariva.  Era 
uomo  di  grande  ardire,  e  di  sottile 
ingenio,  e  di  gran  vedere,  ed  uo- 
mo santifico,  di  che  quelli  parti- 
giani si  presero  gran  sospetto  di 
lui;  e  perchè  negli  uflìci  era,  te- 
meano,  s'egli  si  trova  in  luogo  di 
nuocere  alla  parte,  lo  farà;  e  per 
ciò  l'ammonirono  ».  [Del.  Erud. 
Tose.  XIV.  146]. 

Marchionne  Stefani. 
IVlarchionne  di  Coppo  (Iacopo)  Ste- 


13 

fani  è  noto  per  la  sua  Storia  Fio- 
rentina, che  va  dal  136S,  quasi  con- 
tinuazione di  quelle  dei  fratelli  Vil- 
lani, fino  al  1383.  Il  padre  Idelfon- 
so  che  la  pubblicò  nelle  Delizie  de- 
gli Eruditi  Toscani,  tra  le  notizie 
premessevi,  pone  la  nascita  di  Mar- 
chionne  fra  il  1310  e  il  1320.  Nel 
1367  ebbe  ufficio  presso  Giovanna 
di  Napoli:  poi  nel  72  si  trova  dei 
Dieci  Uomini  di  libertà  per  il  suo 
quartiere  di  S.  Maria  Novella;  fu 
neirsi  ambasciatore  a  Vinceslao; 
e  nel  1385  morì. 


J.ETTERE 

ni 

BARTOLOMMEO  DI  FILIPPO 

dell'  antella 


Lanfredino  de'  Lanfredini  in  Lendi- 
nara  a  lui  proprio  (1). 

Lanfredino,  Bartolomio  salute  a 
Imo  piacere.  Ricevetti  tua  lettera  a 
di  17  di  giugno,  a  la  quale  io  ti  ri- 
spondo. Sono  stato  con  Lario;  Lario 
è  contento  di  non  mandare  niuno 
lae,  se  prima  tue  no  mi  scrivi  quan- 
do tue  vogli  che  mandi.  Con  questa 
condicione,  manderà  lae  il  fante  o 
sia  suo  messo  a  torre  la  sicurtà,  co- 
me sarà  consigliato  per  consiglio  di 
savio  uomo;  e  manderalti  la  carta 
ch'ebbe   da  Lotto,  e  quivi  al  pre- 


15 

sente  non  ti  farà  altra  fine.  (2)  Co- 
me il  fante  sarà  tornato,  faralla  lui 
proprio  a  Jacomo,  o  sia  a  me  rice- 
vendo per  tuo  nome;  questo  è  ra- 
sone.  Ancora  come  per  V  altra  let- 
tera io  li  scrissi,  egli  non  vuole 
mandare  i  danari  per  persona  niu- 
na  a  suo  rischio,  anzi  vuole  che 
lue  gli  mandi  o  vegni  a  torre  lue; 
e  di  questo  a  me  pare  ch'abbia  ra- 
sone.  Tue  dèi  fare  sia,  che  quando 
lue  scrivi  che  Lario  mandi  a  te  a 
torre  la  sicurtà,  tue  abbi  messo  suf- 
ficiente ch'egli  venga  a  torre  i  da- 
nari, salvo  se  tue  non  vi  volessi  ve- 
nire. Sappi  ch'egli  dice  ch'egli  ser- 
ba i  danari  oggimai  a  tua  posta,  si 
che  da  qui  innanzi  vanno  a  te;  lue 
farai  senno  a  dare  spaccio  anzi  an- 
coi  eh' a  domani.  Quanto  al  fallo 
de  la  rasone  di  quello  che  lue  scri- 
vi che  Lario  de' avere,  egli  dice  che 
tue  di' il  vero.  Egli  de' avere  da  te 
lire  300  per  Lotto,  e  el  tempo,  e  la 
fattura   de   le  carte,  e  lire   100  le 


(luali  ti  prestò  l'altro  di  come  tue 
scrivi,  si  che  sono  in  tutto  lire  422, 
soldi  10,  e  la  fattura  de  le  carte; 
vorresti  tue  (3)  lire  577,  soldi  10,  e 
aresli  lire  1000,  salvo  che  di  que- 
ste lire  577,  soldi  10,  li  conviene 
scontare  la  fattura  de  le  carte.  Sap- 
pi che  io  sono  rimaso  in  concordia 
con  Lario,  quando  il  fante  verrà  a 
torre  la  carta,  lue  non  se' tenuto  a 
farla  di  più  di  lire  1150;  si  che  di 
questo  t'avviso,  perché  io  dissi  a 
Lario:  Lanfredino  farà  la  carta  al 
modo  nostro  di  noi  prestatori,  non 
al  modo  di  villani,  eh' e  villani 
fanno  le  carte  del  doppio;  e  al  mo- 
do nostro  noi  le  facciamo  pure  del 
prò  e  del  capitale  d'uno  anno;  e 
di  questo  Lario  è  contento.  Sopra 
questo  più  non  ti  scrivo,  se  non 
che  lue  te  ne  spacci  più  tosto  che 
tue  puoi.  Al  fatto  che  tue  mi  scri- 
vi di  danari  di  Giovanni  Angiulieri 
non  ti  dubitare  ch'io  cercherò  i 
miei  libri  e  troverò  ciò  che  lìa  bi- 


17 

sogno;  di  questo  non  ti  dare  ma- 
linconia. Attendi  pure  a  spacciare 
(ìuesto  tuo  fatto  di  Lario.  Se  per  me 
si  può  fare  o  dire  cosa  alcuna,  tue 
riiai  a  scrivere,  farolla  a  mia  possa. 
Saluta  da  mia  parte  e  da  parte  tli 
Bonifacio  lutti  que' nostri  amici. 

Bartolomio  di  Filippo   da  T  An- 
tella  proprio.  Di  i8  di  giugno  1377. 


Lanfredino  de'  Lanfredtni  etc. 

Lanfredino,  Bartolomio  da  l' An- 
iella salute  a  tuo  piacere.  Sono 
stato  con  Lario  e  abbiamo  lui  e  io 
salda  la  tua  ragione  con  lui.  Lario 
si  de' avere  prima  da  le  lire  ccc 
da'  XXIII  di  di  novembre  in  qua, 
che  farà  a'  xxiii  dì  di  questo  mese 
vili  mesi;  monta  il  prò  di  queste 
lire  GGG  lire  xxx,  e  per  fattura  de 
la  carta  lire  ni,  sì  che   sono   lire 

9 


18 

GCGXxxui.  E  ile  avere  da  te  lire  e 
sul  tuo  pegno;  el  tempo,  che  sono 
due  mesi,  monta  lire  ii  soldi  x,  si 
che  hai  in  tutto  lire  cgggxxxv  sol 
di  x;  resti  tu  avere  lire   cggcglxiv 
soldi  x.  Vero  è  a  quello  che  tue  mi 
scrivi,  da'  di  xxx  di  novembre  in 
sino  a  di  I  di  gennaio   saresti   in 
gannato   eh' a   uno   mese  e  di  vii 
Questo   inganno  non  é  con  Lario 
anzi  è  con  Lotto;  si  che  di  questo 
perchè  Lario  ha  rasone,  non  n'ho 
detto  parola.  Arai   poi  a  farli  a  ri- 
rifare  tue  a  Lotto   questo   mese  e 
sette  di. 

Siamo  rimasi  in  concordia  Lario 
e  io,  ch'egli  ti  manda  lunedi  che 
viene,  sanza  fallo,  il  suo  famiglio 
a  torre  questa  carta,  con  quelle  si- 
curtà che  tue  gli  darai,  ed  è  con- 
lento che  la  si  faccia  di  lire  mgl. 
Fatto  questo,  com' el  fante  suo  è 
tornato  a  Padova  con  questa  carta, 
di  presente  mi  darà  il  tuo  pegno, 
e  el  resto  di  danari  e  la  tua  carta; 


19 
si  che  manda  messo  solTicienle,  per 
cui  io  le  gli  mandi;  e  quello  mes- 
so che  mi  manderai  con  tua  lette- 
ra, quello  modo  terrò  e  farò.  Pro- 
caccierò  in  questo  mezzo  che  starà 
a  farsi  questa  carta,  d'avere  meza- 
nini(4)per  lo  miglior  mercato  ch'io 
potrò.  Dehboti  pregare  da  parte  di 
Lario,  e  cosi  ti  priego  anche  da  la 
mia,  che  tue  sia  apparecchialo  che 
come  il  famiglio  suo  sarà  a  Lendi- 
nara,  tue  gli  dia  spaccio.  E  sappi 
che  de' danari  eli' ha  tenuto  a  tua 
posta  morti,  non  ne  vuole  niente, 
anzi  dice  che  tue  facci  pure  bene, 
ch'egli  è  apparecchiato  di  servirti; 
in  brieve,  Lario  non  ti  vuole  lui 
mandare  i  danari  a  suo  rischio. 

Al  fatto  di  Giovanni  Angiulieri 
so  com'  io  ho  a  fare.  Altro  per  ora 
no  li  scrivo.  Se  per  me  si  può  fare 
cosa  alcuna  sono  apparecchialo  a 
farla  a  mia  possa.  Saluta  mille  vol- 
te la  donna  tua  da  parie  de  la  don- 
na mia ,  e  se  per  lei  si  può  cosa 
alcuna,  è  apparecchiata  a  farla. 


20 

Mandoli  per  lo  Ciola  braccia  x  di 
poltremollo  (o)  fine;  costò  soldi  x 
il  braccio.  Tue  mi  scrivi  che  li  com- 
peri pignollo  (6),  e  non  di' che  pi- 
gnollo;  ho  tolto  da  me  questo,  per- 
ché è  più  bello.  Non  ci  è  per  ora 
a  dire  altro.  Bonifacio  è  ilo  a  Fi- 
renze ancoi  fa  xiii  di,  che  credo 
che  sarà  per  tutto  questo  mese  di 
qua.  S'  hai  bisogno  di  cosa  alcuna 
a  Firenze,  scrivilo  al  fondaco  di 
Franceschino  e  di  Detto  di  Tano 
nel  Garbo  in  Firenze. 

Bartolommeo  di  Filippo  da  l'An- 
tella  proprio.  Di  l(j  di  luglio  1377. 


Lanfredino  de'  Lanfredini  eie. 

Lanfredino,  Barlolomio  salute  a 
tuo  piacere.  Tue  mi  scrivi  come  tue 
m'hai  mandato  più  lettere  e  più 
messi .  eh'  io  ti  mandi  la  fine  di  La- 


21 
rio.  Sappi  eh'  io  la  feci  fare  incon- 
lanente  pochi  di  dietro  come  l'eb- 
bi pagato;  e  ho  fatto  fare  anche  la 
line  a  Lotto  di  lire  trecento,  sì  che 
tue  se' finito  di  tutte  lire  mgg.  Sap- 
pi che  quando  Barloioraio  gastaldo 
del  conte  Ricciardo  podestà  di  Pa- 
dova foe  l'altro  di  a  Padova,  io  mi 
lamentai  contro  lui,  e  disseli  ch'io 
ti  volea  mandare  questa  fine.  Egli 
mi  promise  come  si  volesse  partire 
di  Padova  egli  mei  farebbe  a  sape- 
re; ch'io  te  la  volea  mandare,  si 
che  il  difetto  non  è  stato  mio  a 
mandartela.  Ora  te  la  mando  per 
Bertoldo  tuo  cusino;  costa  tutte  due 
queste  fini  lire  ir,  soldi  xvr.  Ancora 
ti  mando  per  Io  Bertoldo  livre  ii  di 
zucaro  il  più  fine  ch'io  ho  potuto 
avere;  costò  la  livra  lire  i.  soldi  viii; 
si  che  sono  lire  ii,  soldi  xvi;  si  che 
mi  resti  a  dare  in  tutto  lire  in,  sol- 
di XII.  È  vero  eh'  io  avea  de  le  lue 
lire  XV  per  comperarti  tagliuole;  io 
ne  diedi   lire  xiii   per   compire  la 


22 

somma  tli  lire  gl  a  lacomo,  come 
lue  mi  scrivesti.  Al  fatto  di  Giovan- 
ni Aiigiulieri  non  li  maravigliare 
perchè  in  no  ti  mandi,  o  abbia 
mandato  come  sta  il  fatto;  la  ca- 
sone è  perchè  io  sono  stato  tanto 
occupato  per  i  fatti  miei,  eh'  io  non 
ho  auto  aso  (7).  Ma  per  la  grazia  di 
Dio  ho  tanto  fatto  eh'  io  sono  ora 
in  stazone  (8);  e  bolla  nelle  mani 
e  appunto  oggi,  in  questo  di  co- 
mincio a  vedere  la  rasone  con  Be- 
nedetto, e  Benedetto  m'assegna  i 
pegni  e  fatti  miei  nelle  mani.  Come 
arò  veduto  questo  e  spacciatomi  da 
Benedetto,  io  di  presente  farò  tutto 
ciò  che  sarà  di  bisogno  al  fatto  di 
Giovanni  Angiulieri,  e  di  ciò  non 
dubitare.  Sappi  ch'io  mi  tegno  i 
tuoi  fatti,  miei.  Priegoti  se  di  qua 
è  cosa  ti  sia  bisogno,  a  te  non  sia 
fatica  a  mandarla  a  torre,  ch'io 
sono  apparecchialo  a  farlo  a  ogni 
mia  possa.  Siamo  TAdalina  e  io 
molto  dolenti  de  la  mahiltia  de  la 


23 
tua  donna.  Dice  l"  Adalina  se  ha 
cosa  alcuna  per  lei  mantlila  a  tor- 
re; è  apparecchiala  a  farlo.  Altro 
per  ora  no  ti  scrivo.  Sono  sì  occu- 
pato ora  a  questi  miei  fatti,  ch'io 
non  ti  posso  per  ora  altro  atten- 
dere. Saluta  la  donna  tua  da  parte 
de  r  Adalina  e  de  la  mia. 

Bartolomeo  di  Filippo  da  T  An- 
iella proprio.  Di  primo  di  settem- 
bre 1377. 


LETTERE 

ni 

LANFREDINO  LANFREDINI 


Orsino  di  Lan frodino  in  casa  di  Gio- 
vanni Lanf redini  nel  fondaccio  in 
Firenze. 

Al  nome  di  Dio  amen.  Falla  aMi 
10  di  giugno  1395,  a  la  Savonarola. 

Figliuolo  mio,  i'iio  ricevuto  pa- 
recchie loe  lettere,  e  a  tutte  t'ho 
risposto;  e  le  dretane  li  risposi  a 
di  29  di  maggio  i395.  Ora  rice- 
vei una  toa  lettera  fatta  a  di  19  di 
maggio  139o,  e  ben  l'ho  intesa.  E 
simile  risposi  de  la  sua  a  Giovan- 
ni nostro,  alligata  la  toa  con  la 
soa,  e  involta  la  toa  in  uno  foglio 
che  non  era  scritto,   perchè  la  toa 


2o 
era  scritta  da  lult'  e  dii'i  lati.  E  in 
quella  ti  dico  ch'i' ho  grande  con- 
solazione che  tu  sappi  bene  V  aba- 
co; ma  tu  scrivi  forte  male,  e  sem- 
pre manca  sillibe  assai  in  le  toe 
lettere,  si  che  mi  sarave  di  grande 
piacere  che  Giovanni  ti  mandasse 
a  scrivere  almen  per  un  mese,  a 
ciò  tu  atTermassi  meglio  la  mano. 

r  ho  inteso  che  a  Firenze  s'  è  per 
conciare  le  prestanze;  e  sopra  ciò 
io  scrivo  a  Giovanni,  e  a  Nofrio 
de' Rossi,  e  a  Jacopo  di  Ser  Folco. 
e  a  Luca  da  le  Galvane,  e  a  Gio- 
vanni Lanfredini  in  spezialità,  per- 
ché gli  è  mio  capo  e  mia  guida, 
pregandolo  che  gli  piaccia  di  farmi 
conciare  eh'  io  sia  tenuto  al  meno 
che  si  può:  pure  che  al  tutto  el  fac- 
cia ch'io  ci  sia  messo  per  mio  ono- 
re e  stalo,  e  per  li  tempi  che  deb- 
bono venire.  Si  che  fa"  che  tu  prie- 
ghi  Giovanni  che  aoperi  ogni  suo 
amico  ch'io  sia  concio,  e  che  el 
faccia   ogni   promessa   che  bisogna 


26 

per  me;  però  che  s'io  dovesse  ri- 
manere in  camicia,  voglio  soste- 
nere ogni  gravezza  che  bisogna  per 
la  nostra  patria.  Si  che  soliicita- 
mente  sia  con  tutti  questi  a  chi  iio 
scritto;  e  sollecita  che  per  ogni 
modo  io  sia  concio,  e  ch'io  sia  a 
le  prestanze.  E  dillo  a  tutti  da  mia 
parte,  e  piiegali  che  in  questo  e' 
no  m'abbandonino.  Tu  scrivi  in  o- 
gni  toa  lettera  che  la  moglie  che  fu 
di  mio  fratello  è  rimaritata  e  ric- 
camente, e  pure  non  posso  avere 
da  te  il  nome  del  marito,  e  di  che 
casa  egli  è,  e  dove  egli  sta  in  Fi- 
renze; si  che  scrivimi  per  ordine 
chi  egli  è.  A'  fatti  nostri  mi  pare 
non  ne  sia  fallo  nulla,  ed  hommi 
grandissima  maraviglia,  come  Gio- 
vanni Tha  cosi  abbandonati  da  ch'io 
fui  a  Firenze;  che  pure  el  sa  che 
quanta  speranza  i' ho  si  è  la  sua; 
e  farebbe  gran  bene  e  grande  suo 
onore  a  provvedervi. 

Io  sono  alla  porta  (9)  come  tu 
mi  lasciasti,  e  vivo  con  grande  bri- 


27 

ga;  e  pensa  e  di' a  tulli  i  nostri, 
che  dov'io  potesse  scampare  mia 
vita,  per  certo  i' verrei  volentieri  a 
stare  a  Firenze  tra'  miei;  e  questo 
abbi  sempre  a  mente,  ch'ogni  vol- 
ta ch'io  potesse  avere  costà  civan- 
za  niuna,  subito  sare'mosso  a  ve- 
nire al  servizio  del  nostro  Comune. 
Noi  siamo  tutti  sani  per  la  grazia 
di  Dio. 

Bellino  e  Salvadigo  vanno  a  squo- 
la;  e  Bellino  va  a  imparare  a  scri- 
vere per  3  ore  del  di.  Tua  madre  (10) 
ha  grande  speranza  in  te,  si  che 
fa'  sì  che  la  possa  avere  buona  spe- 
ranza con  effetto,  e  raccomandaci 
a  tutti  i  nostri  parenti  e  amici.  E 
fòli  assapere  che  quie  ho  poca  spe- 
ranza di  meglio  dal  signore,  per- 
chè ha  troppo  a  che  fare,  e  per  le 
novità  di  Ferrara  non  son  fatto  an- 
cora più  innanzi,  e  ogni  di  cerco 
di  riavere  il  mio  da  Lendinara.  Non 
posso  dire  ancora  come  io  farò;  ma 
nonostante  questo,  priega  Giovanni 


28 

che  se  in  modo  alcuno  el  vedesse 
ch'io  fosse  di  bisogno  a  Firenze 
per  istare,  che  lo  gli  sia  a  mente. 

Tuo  fratello  Nicolò  è  forte  miglio- 
rato de  l'andare.  Santone  è  castai- 
do d'un  gentile  e  ricco  uomo  da 
Padova,  e  sta  a  la  villa;  e  ha  una 
putta,  cioè  la  sua  prima,  e  ebbene 
un'altra  e  morissi;  ora  da  poco  in 
qua  ha  auto  un  fanciullo  maschio, 
e  sta  bene  e  può  vivere  e  avanzare 
assai  bene;  e  non  istà  al  ponte  già 
fa  un  anno,  anzi  sta  in  villa  presso 
a  Anguillara  in  sul  Padovano.  Il 
Polesine  si  tiene  a  posta  di  Vini- 
ziani,  ed  evvi  podestà  e  capitani  a 
lor  posta.  El  vicario  è  vicario  come 
l'era,  benché  quel  podestà  si  cam- 
bia; ma  egli  ha  speranza  di  con- 
ciarsi con  quello  ch'enirerrà  per 
podestà,  ma  non  lo  sa  certo. 

La  Giovanna  sta  bene  ed  è  grossa 
a  la  gola.  Nicolò  del  Basso  si  sta 
a  Ferrara,  ed  è  grande  grammatico 
a  Ferrara,  e  non  è  in  grazia  di  que- 


29 
sto  signore.  Più  volte  l'  ho  scritto 
eh'  io  votai  toa  madre  che  tu  of- 
feresti  per  lei  un  candelolto  da  soi- 
di 2  a  Madonna  Santa  Maria  de 
l'Annunziata,  là  dov'è  cotanta  cera; 
non  so  se  V  hai  fatto. 

Altro  per  questa  non  ho  a  dire 
se  non  che  sempre  tu  sia  ubidien- 
te a  Giovanni  e  a  tutti  i  suoi.  E 
scrivimi  spesso  come  voi  state  tutti, 
e  se  costà  è  per  essere  guerra.  Id- 
dio li  guardi.  E  scrivimi  quanto 
starai  ancora  a  l'abaco. 

Io  padre  Lanfredino  proprio. 


Orsino  di  Lanfredino  Lanfredini  ai 
fondachi  di  ritaglio  in  Calimala 
in  Firenze. 

Al   nome   di   Dio   amen.  Di  Fer- 
rara a' di  31  d'agosto  1.397. 


30 

Ricevei  loa  lettera  a  eli  2U  d'  ago- 
sto presente,  falla  a  di  26  del  det- 
to, la  quale  ho  bene  inlesa,  e  per 
questa  ti  rispondo  abbisogni. 

Prima  t'avviso  che  la  genie  del 
Duca  di  Milano,  (11)  è  rotta  per  tal 
modo  che  infine  a  10  anni  non  a- 
vrà  tanto  esercito,  né  cosi  ordina- 
to, e  anche  forse  mai,  che  Iddio 
il  confonderà  come  l'  è  degno.  Ma 
sarebbe  lungo  a  scrivere  ogni  cosa; 
ma  a  dire  in  elTetto,  la  gente  sua 
si  fuggi  a  modo  di  puttane,  e  lasciò 
paviglioni  e  trabacche  e  careaggi 
e  puttane  e  ragazzi,  e  molte  bom- 
barde, e  vettuaglia  assai,  ed  arme 
e  molte  cose  senza  novero:  e  fug- 
giroDsi  solo  con  quello  o  arme  o 
panni  che  se  trovò  avere  in  dosso 
e  sanza  colpo  di  spada.  E  in  effetto 
hanno  perduto  3  loro  ponti;  e  più 
di  200  nave  tra  armate  e  con  vel- 
luaria,  e  con  slazoni  (12)  d'ogni 
arte  ch'era  nel  campo.  De' quali  si 
truova  57  navili   armali   che   sono 


3i 

presi  con  tulio  loro  fornimento;  e 
nota  che  per  modo  del  mondo  non 
si  potreb])e  fare  conto  del  grande 
danno  ch'egli  ha  ricevuto;  e  son 
presi  da  duamilia  cavagli;  e  in  ef- 
fetto tutti  quegli  che  vi  sono  stati 
sono  (13)  tutti  ricchi.  E  per  tanto 
lutto  questo  è  stato  V  altorio  di 
Dio,  prima  che  tolse  loro  il  senno, 
e  poi  per  grande  avveggimento  (14) 
del  conte  da  Carrara  più  ch'altri, 
e  poi  le  galee  e  i  navili  armali  che 
v'erano  del  franco  comune  di  Vi- 
negia.  E  in  brieve  in  un  mese  non 
si  potrebbe  scrivere  le  cose  come 
andarono  prospere,  e  renditi  certo 
che  tutto  vene  da  Dio.  Ora  la  cosa 
sta  bene  e  non  ci  è  più  tema  di 
Mantova,  né  di  nulla  ,  e  questo  può 
essere  la  sua  disfacione.  Iddio  gli 
dia  quello  che  l'ha  meritato. 

E  avvisoti  che  l'è  a  Padova  mes- 
ser  Mastino  iìgliolo  di  messer  Ber- 
nabò, e  aspetta  gran  gente  per  an- 
dargli a  dosso  da  lato  di   Vicenza, 


32 

e  per  tornare  in  casa  sua.  E  cre- 
desi  che  quello  da  la  Scala  farà 
anche  lui,  si  che  il  Duca  si  può 
dire  sia  nel  ballo  di  roclii  (15). 

Al  fatto  di  Guido  di  messer  Tom- 
maso ringraziatelo  quanto  voi  po- 
tete, e  priega  Giovanni  eli' el  faccia 
per  mia  parte,  e  raccomandami  a 
tutti  i  nostri  parenti  e  amici. 

E  abbi  per  certo  che  di  qua  sarà 
gran  fatti  conlra  quello  da  Milano. 
Iddio  vi  guardi  tutti.  Toa  madre  è 
un  poco  miorata  (16). 

Lanfredino  proprio,  in  Ferrara. 
Fa' eh' io  sappia  s'hai  avuta  que^ 
sta. 


Orsino  (li  Lanfredino  Lanfrcdini  ai 
fondachi  di  ritaglio  in  Caliniala 
in  Firenze. 

Al  nome  di  Dio  amen.  A  di  13 
di  gennaio  1398,  di  Ferara. 


33 
Come  per  altra  li  scrissi  a  di  8 
di  questo  e  dappoi,  mi  sono  ricor- 
dato ch'io  udi'dire  che  mia  madre 
stette  con  mio  padre  7  anni,  e  ebbe 
8  figlioli,  e  pure  io  fui  il  primo. 
Si  che  a  volere  ritrovare  la  carta 
de  la  dota,  a  me  pare  di  cercare 
di  1339  e  1340  e  1341  e  1342  e 
1343  e  1344,  e  per  certo  in  questi 
millesimi  la  troverete.  E  avvisoti 
eh'  io  credo  che  mia  madre  quan- 
d'ella  andò  a  marito,  ella  usci  di 
casa  di  messer  Porcello  de' Rossi, 
però  che  la  madre  era  serocchia  di 
messer  Porcello,  ed  ebbe  nome  mo- 
na Lippa,  e  '1  padre  ebbe  nome  Bar- 
tolino  da  Signa.  E  s'ella  non  usci 
di  casa  di  messer  Porcello,  mi  ra- 
corda  che  mio  avolo,  cioè  il  ditto 
Bartolino  da  Signa,  stava  in  borgo 
san  Jacopo  di  sopra  dal  Senese, 
verso  san  Jacopo,  in  una  casa  gran- 
de ch'é  sopr'Arno  appresso  un  chias- 
solino  che  si  va  a  Arno  a  lavare 
panni.  Si  che  forse  fu  fatta  la  car- 

3 


u 

la  a  Signa,  però  che'l  dillo  Bar- 
tolino  stava  molto  a  Signa  più  eh'  a 
Firenze,  ed  eravi  un  grande  e  te- 
muto uomo,  e  avevavi  di  belli  po- 
deri, si  che  cercate  bene  trovere- 
tela;  e  cosi  ti  scrissi  per  un'altra 
a  di  8  di  questo. 

Al  fatto  de  la  tua  venuta,  priega 
Giovanni  ti  lasci  venire  per  carna- 
sciale, e  avvisami  quando  verrai  a 
punto  per  contentare  tua  madre. 
Del  pregio  ne  scrivo  a  Giovanni.  Ho 
ricevuti  tre  ducati  e  fatto  ciò  che 
bisogni.  Mill'anni  mi  pare  tu  vegna 
a  vedere  questi  tuoi  fratelli,  eh' è 
bella  brigala;  ma  sono  molto  al  di 
sotto.  Iddio  ci  aiuti  per  la  sua  mi- 
sericordia e  piata. 

Del  fatto  del  podere  e  d'  ogni 
cosa  lascio  a  Giovanni  l'impaccio; 
Idio  gli  renda  buon  cambio  per  noi 
di  ciò  ch'egli  ci  fa.  E  potete  dire 
sempre  eh'  egli  è  più  vostro  padre 
che  non  sono  io;  si  che  per  l'amor 
di  Dio  fa' sempre  a  suo  senno,  che 


35 
tu  hai  ragione  sempre  te  e  gli  al- 
tri di  pregare  Idio  per  lui.  Del 
fallo  d'uficio  per  me,  né  io  né 
niuno  altro  per  chi  aoperasse  ma- 
donna Taddea,  non  hanno  auto 
nulla ,  si  eh'  io  mi  sto  cosi  in 
grande  poverlà,  e  aspello  grazia  da 
Idio.  Giovanni  da  la  Sale  m' ha 
male  servito  infino  a  qui,  ma  pure 
mi  promette  ora.  l'ho  scritto  a  Gio- 
vanni che  legna  modo  che  Diece 
gli  scriva  ancora,  e  se  gli  fosse  ma- 
lagevole, che  gli  scriva  lui  per  sua 
parte  e  de  la  casa;  e  che  dica  ch'io 
non  mi  tornerei  ne  la  casa,  né  io 
od  altri  che  lui  ;  prima  per  la  pa- 
rentela che  é  tra  la  donna  sua  e 
me,  e  poscia  per  l'amistà  vecchia 
eh' è  stata  sempre  tra  il  ditto  Gio- 
vanni da  la  Sale  e  me.  E  priega 
Giovanni  che  s'egli  scrive  a  Gio- 
vanni da  la  Sale,  che  scriva  pie- 
namente, e  che  gli  si  proferi  e  lui 
e  la  casa,  e  scriva  lettera  ben  leg- 
gibile, e  tosto. 


36 

Di  qua  si  dice  che  Pisa  é  ribel- 
lata del  volere  del  Duca,  e  che  sono 
stati  morti  assai  de' suoi  soldati,  e 
che  si  crede  che  siano  accordati 
col  vostro  comune  di  Firenze;  e 
credesi  che  per  questo  sarà  più  to- 
sto pace  e  con  miori  patti  per  la 
Lega.  Idio  ci  mandi  pace,  come  per 
r  altra  ho  scritta  a  Giovanni. 

Da  Vinegia  sono  andate  a  Man- 
tova cioè  a  Borgoforte  7  galee  e  loO 
barche;  che  ciascuna  galea  ha  4 
bombarde  grosse,  e  ciascuna  barca 
1  bombardella;  e  da  Padova  4  na- 
vili  grossi,  e  tra  Ferrara  e  Man- 
tova 50  navili  grossi. 

E  tutte  queste  cose  sono  mollo 
bene  armate  di  gente,  e  d'ogni  co- 
sa, e  sono  tutte  a  Borgoforte;  e 
evvi  andato  tra  da  Yinegia  e  da 
Padova  800  stili  di  roveri  per  fare 
il  ponte.  E  ragionasi  eh' el  duca  ha 
70  navili  e  3  galee,  si  che  innanzi 
ch'esca  questo  mese  s'  azzufferanno, 
0  il  ponte  si  rifarà  da   Borgoforte. 


37 

fdio  ci  dia  vettoria  per  la  sua  gra- 
zia. 

Il  finocchio  attendo  perch'è  il 
tempo  da  seminarlo;  scrivimi  di 
che  tempo  si  semina  costà  e  come; 
e  fa'  eh'  el  sia  grosso  e  dolce.  Per 
questa  non  t'ho  altro  a  dire.  Noi 
siamo  tutti  sani.  Idio  vi  guardi  tutti. 
Di'  a  Giovanni  che  non  menzoni 
madonna  Taddea  a  nulla  per  ninno 
modo. 

Lanfredino  proprio.  —  Io  non 
posso  mai  avere  novelle  da  voi,  che 
in  prima  non  sieno  qua  di  15  di 
innanzi. 


LETTERA 

DI 

DOMENICO  LANFREDINI 


Lanfredino  Orsini  de'  Lanfredini  da 
Firenze  in  Lendinara  propia  data 
0  in  Ferrara. 

Fratello  carissimo.  Ricevetti  tua 
lettera,  in  effetto  contenente  come 
per  altri  avevi  avuto  come  mio  pa- 
dre e  madre  e  fratello  s' erano  an- 
dati a  paradiso,  e  che  io  era  rimaso 
ricco,  e  ch'io  era  un  poltrone  ec. 
Alla  quale  rispondo  che  tanti  sono 
suti  li  impacci  eh'  io  ho  avuto,  come 
potrai  vedere  per  le  infrascrille  ca- 
gioni, che  io  non  ho  potuto  rispon- 
dere più  tosto.  Egli  è  vera  cosa  che 
dopo  la  morte  de' mie' parenti  e  fra- 


39 

tello,  il  vescovo  formò  un  processo 
contro  a'  beni  di  Sandro  si  come 
usuraio,  e  lionne  avuto  molto  im- 
paccio; e  ancora  non  sono  assoluto 
né  assolverammi  sanza  mio  gran 
danno.  E  oltre  a  ciò  mi  sono  usciti 
tanti  altri  creditori  a  dosso  chi  con 
carte  e  chi  con  iscritte,  che  doman- 
dano tanto,  che  poco  sarebbe  il  ri- 
manente, sanza  coloro  die  doman- 
dano al  vescovado  l'usure  a  San- 
dro per  adrieto  date;  di  che  ho  as- 
sai che  fare  pure  a  difendermi  dalle 
dette  cose;  però  abbiami  per  iscu- 
sato ,  per  le  dette  cagioni,  s' io  non 
t'ho  prima  scritto.  E  ben  che  i  detti 
impacci  sieno  stati  assai  e  grandi, 
quegli  della  mia  sirocchia  della 
quale  mi  scrivi,  secondo  che  t'è 
suto  porto,  che  poco  mi  curerei 
s' ella  capitasse  men  che  bene,  sono 
stati  più  e  maggiori;  però  che  una 
mona  Ghinga  che  fu  donna  di  Fo- 
cheggiale (17),  insieme  con  un  suo 
figliuolo,  sotto  ombra  di  parentado, 


40 

(liedono  a  vedere  alla  Druda  (18) 
che  le  darebbono  per  marito  il  più 
ricco  cavalieri  (19)  di  Firenze;  e  che 
Sandro  l'aveva  lasciato  trecento  fio- 
rini nel  testamento  per  dota  e  non 
più;  ma  che  eglino  farebbono  tanto 
che  tutto  il  retaggio  verrebbe  a  lei. 
Di  che  la  Druda  credette  loro  e 
mossemi  lite,  e  in  effetto  per  paura 
di  peggio  la  lasciai  andare  colli  delli 
mona  Ghinga  e  Nanni  suo  figliuolo, 
credendo  eh'  ella  stesse  alcuno  di  e 
poi  si  ravvedesse.  Ma  eglino  creden- 
dosi guadagnare  le  feciono  prima 
rubare  la  casa,  e  hannola  fatta  pia- 
lire  meco  insino  a  ora;  di  che  mi 
sono  aiutalo  a  ragione  e  non  hanno 
guadagnalo  però  nulla  meco.  E  con 
lutto  che  mi  abbiano  fatte  tutte  que- 
ste cose,  volli  perdonare  alla  Druda 
con  dirle  ch'ella  tornasse,  e  che 
io  mi  ingegnerei  di  trovarle  un  ma- 
rito a  suo  modo,  e  che  se  nolle  ba- 
stassono  quegli  trecento  che  1'  ha 
lasciato  il  padre,  che  io  compierei 


41 

li  quattrocento  e  cinquecento  se  bi- 
sognasse ,  pure  eh'  io  P  acconciassi 
bene;  di  che  non  ne  volle  mai  fare 
nulla,  credendo  sempre  alle  parole 
di  coloro  che  la  lusingavano  per  bi- 
sogno di  trarre  da  lei  e  d' avere, 
E  alla  fine  veggendo  che  non  hanno 
potuto  guadagnare  nulla,  per  rima- 
nere con  onore  della  impresa,  in- 
sieme con  una  mona  Nastasia  che 
fu  figliola  di  Bondo  Carlelli,  che  si 
fa  nostra  cugina,  l'hanno  maritata, 
sanza  mia  licenza  o  parola  o  pur 
richiesta,  a  un  Luca  delle  Calvane , 
assai  da  poco,  che  ha  cinque  fi- 
gliuoli della  prima  donna.  Di  che 
posso  dire  che  tra  tutti  e  tre  co- 
storo l'abbiano  affogata.  Sanza  ch'el- 
la stette  a  casa  quella  Monna  Na- 
stasia non  sanza  vergogna  di  noi 
e  di  lei ,  però  che  avea  un  figliuolo, 
uomo  che  come  che  creda  che  la 
trattasse  onestamente,  pur  non  di- 
meno il  dire  delle  genti  pende  più 
nel   dire   male   che  bene.    Di    che 


42 

n"  ho  avuto  grandissimo  dolore  però 
che  aspettava  di  maritarla  leco  in- 
sieme questa  quaresima  come  avevi 
iscritto.  S'io  mi  sono  male  portato 
nella  infermità  defletti  Sandro,  ma- 
dre e  Lamberto  potete  comprendere 
ora  se  è  suto  vero,  però  che  quello 
Nanni  che  ti  scrisse  l'ha  fatto  per 
le  dette  cagioni,  e  se  sarai  qua, 
come  di';  potrai  comprendere  la  ve- 
rità. A  quello  che  dice  ch'io  sono 
matto  e  poltrone,  e  eh'  io  non  temo 
vergogna,  rispondo  che  io  non  ne 
voglio  fare  altra  iscusa  se  non  ch'io 
mi  maraviglio  come  a  si  fatte  let- 
tere, fatte  per  inganno  e  per  mali- 
zia di  colui  che  non  solo  me  ha 
tradito  ma  eziandio  ha  voluto  e 
vuole  tradire  te,  desti  fede;  però 
che  credeva  che  oggimai  mi  dovessi 
cognoscere.  Scrisseti  ancora  il  cat- 
tivo uomo  di  Nanni  che  io  era  ri- 
mase ricco;  di  questo  sarei  contento 
che  fosse  vero,  però  che  sarebbe 
mio  bene,  e  tu  credo  che  n'  aresti 


43 
contentamento  e  allegrezza.  Ma  ac- 
ciò che  tu  sappia  la  ricchezza  che 
m'è  rimasa,  sappia  che  tra  lutto 
ciò  che  si  truova  de' beni  di  San- 
dro, non  si  truova,  contando  la 
dota  di  mia  madre,  il  valere  di 
mille  fiorini;  e  hassene  a  cavare  la 
dote  della  Druda  che  nolla  ho  vo- 
luta pagare  per  le  dette  cagioni, 
ma  converrallami  pure  pagare,  però 
che  l'ha  per  testamento,  la  quale 
dote  è  fiorini  trecento  d'oro.  An- 
cora se  ne  avrà  a  cavare  più  di  du- 
gento  fiorini  eli  e  vorrà  il  vescovo, 
e  coloro  che  hanno  avere  delle  u- 
sure  che  lasciò  Sandro  che  si  rendes- 
sono.  Si  che  pensa  oggimai  quello 
che  puole  essere  l'avanzo  che  mi 
rimane.  Dissiti  di  sopra  come  co- 
lui che  aveva  tradito  me  doveva 
tradire  te ,  e  però  voglioti  scrivere 
il  come.  Mostra  che  tu  gli  scrivessi 
in  una  lettera  come  tu  dovevi  es- 
sere qua  questa  quaresima,  di  che 
egli  andò  a  uno  che  ha  nome  Ban- 


44 

cozo  del  Corso,  il  quale  mostra  che 
l'abbia  una  carta  a  dosso  pe' fatti 
di  Giovanni  Angelieri,  e  pattovissi 
con  lui  che  s'egli  gli  voleva  dare 
il  quarto  di  ciò  ch'egli  dee  avere 
da  te,  ch'egli  farebbe  che  in  que- 
sta quaresima  tu  saresti  messo  in 
prigione  per  la  detta  carta,  se  tu  ci 
venissi,  e  cosi  gli  ha  promesso  di 
doverti  appostare  e  fargli  sentire 
la  tua  venuta.  E  però  ti  priego, 
caro  mio  magiore  fratello  ,  che 
venga  per  modo  quando  vieni  in 
qua  che  non  possa  ricevere  impedi- 
mento, acciò  che  il  traditore  ch'é 
nato  per  disfare  casa  nostra  non  ti 
possa  nuocere;  e  se  me  lo  farai  a 
sentire  quando  sarai  per  volere  ve- 
nire, procaccerò  con  miei  amici  che 
arai  un  bullettino  da' priori  si  che 
potrai  venire  sicuramente,  e  allora 
ti  informerò  e  consiglieromi  teco  di 
tutte  le  sopradette  cose  più  piena- 
mente; come  che  se  arò  agio  credo 
venire  costà  da  le  in  sul  carnasciale 


45 
o  prima ,  e  troverai  in  effetto  il  con- 
trario di  tutte  quelle  cose  che  ti 
sono  state  dette  e  scritte,  e  altri 
bugiardo  e  me  veritiere.  Se  per  me 
si  può  fare  cosa  ti  sia  in  piacere 
sono  sempre  apparecchiato. 

Data  in  Firenze  a  di  xxxix.  di  Gen- 
naio [1384]  per  lo  tuo  Domenico  di 
Sandro  Lanfredini. 


LETTERE  (20) 

L)l 

DORA  DEL  BENE 


Al  reverendissimo  uomo  Francesco 
di  Iacopo  Vicario  di  Val  de  Nie- 
volc  in  Poscia. 

Messer  Giovanni  di  Messer  Ri- 
ciartlo  mi  manda  cheggiendo  la  caria 
come  furono  falli  citladini.  Credo 
ch'ella  sia  nel  forzerello  coU'altre 
lue  carie;  mandami  a  dire  se  vuo- 
gli  eh'  io  mandi  la  chiave  a  Firenze 
per  farne  cercare,  o  che  vogli  ch'io 
faccia.  f-.e  vigne  sono  pelale  e  pa- 
late e  ora  le  fo  legare  a  Dicci  Chele. 
Se  tu  hai  della  salvaggina  parmi 
farai  bene  a  presentare  Andrea  della 
Caterina.  Se  tu  hai  delle  zane  man- 


47 

dacene  parecchie  però  che  n'  ab- 
biamo gran  bisogno.  Qua  non  vien 
persona  che  non  mi  dica  che  lu  eri 
nel  letto;  parmi  che  tu  sia  molto 
bene  megliorato  del  dormire.  Oggi 
questo  di  fo  aconciare  le  pergole, 
ed  i  ceci  farò  porre.  Gigliotto  fu 
qui  a  me ,  e  non  volle  né  bere  né 
manicare,  di  che  lo  pregai  assai,  [e] 
che  facesse  motto  ad  Amerigo  e  che 
si  tornasse  co'  lui  mentre  eh'  egli 
stesse  a  Firenze,  perchè  Amerigo 
é  solo,  e  foragli  gran  piacere.  Non 
fare  dare  el  latte  a' fanciulli  nostri 
di  qui  a  mezzo  maggio,  però  che 
se  l'aria  non  é  calda  non  farebbe 
buona  operazione.  Ramentoti  le  te- 
ghie  del  ferro  che  quopra  l'una  l'al- 
tra ,  che  se  '1  modo  v'  è  facci  eh'  io 
n'  abbia  un  paio.  Ser  Bernardo  ha 
avuto  grande  male  di  fianco,  e  sta 
bene;  lodato  Idio.  Idio  ti  sia  guar- 
dia sempre. 

Fatta  in  S.  Biagio  )  ^  ^^^^^ 
di  IV  d  aprile       j 


48 

Al  savio  e  discreto  nomo  Francesco 

di  Iacopo   Vicario  di  Val  de  Nie- 

vote. 

Mandatemi  a  dire  quello  clie  vo- 
lete che  faccia  per  questi  danari 
del  Monte,  che  Marco  di  Giotto 
dice  ched  é  bisogno  che  vada  a  Fi- 
renze; mandatemelo  a  dire  quello 
ched  ho  a  fare.  Avemo  tre  caveret- 
li ,  uno  fagiano  ;  mandamo  uno 
caveretto  a  Giovanni:  e  dite  ad  An- 
tonio ched  io  ho  auti  fiorini  otto 
in  oro.  Digli  che  ci  mandi  del  ca- 
cio che  so  ched  è  in  buono  istato. 
Mandami  a  dire  se  compero  o  san- 
gina 0  panico;  la  sangina  s.  viii, 
el  panico  s.  xii.  Rispondimi.  Altro 
non  ti  dico.  Idio  ti  guardi.  Fatta 
a'  di  xiiii  di  aprile  1381. 

Dora  di  Francesco  d'Iacopo  Del 
Bene. 


49 

Al  venerabile  Francesco   di  Iacopo 
Vicario  in  Pescia. 

Maravigliomì  che  tu  non  mi  ri- 
spondi alla  lettera  che  ti  scrissi  del 
fatto  nostro  del  Monte.  A  me  pare 
che  Marco  di  Giotto  e  questi  nostri 
amici  abiano  intendimento  a  certe 
tue  iscritture,  ed  io  sono  pur  di- 
sposta a  non  mostrare  ninna  tua 
iscrittura  sanza  tua  lettera.  P  ho 
venduto  le  legne  minute  del  bosco 
a  Bone  e  ad  persona  da  Campi 
sol.  Ili  e  d.  5  la  soma.  Abiamo  fatto 
el  porcile,  ma  non  vorrei  ancora 
el  porco,  però  che  non  so  che 
dargli. 

Ramenloti  el  panno  di  fanciulli 
pel  verno,  si  che  ci  possiamo  ve- 
stire tutti.  Dice  Ser  Bernardo  che 
Messer  Pagolo  l'ha  molto  pregato 
che  ti  scriva  che  tu  gli  responda 
alle  lettere  che  t' ha  mandate.  Istia- 
rao  tutti  bene  ,  lodato  Idio  ;  ma 
meglio   ci  parrebbe  istare  se  fus- 

4 


50 

Simo  teco.  Addio;  t'accomando  la 
Dora  tua.  Salute  mille. 

Fatta  di  xviii 

d'  aprile  all'  Avemaria. 


Al  carissimo  uomo  Francesco  di  Ia- 
copo Vicario  in  Pescia. 

Domenica  sera  feci  fare  a  Ser 
Bernardo  una  scritta  di  patti  ch'io 
ho  col  paneraio  e  col  Brea.  E  l'un 
promise  la  pigione  pe  l'altro  per 
termine  e  tempo  di  quatro  anni. 
Guarnieri  ha  tolto  el  macello  da 
Petriuolo  e  taglia  a  casa  Capo,  e 
quello  che  prometterà  a  Capo  per 
la  pigione,  darà  a  me,  e  cosi  m'ha 
promesso.  Io  guardo  di  allogare  le 
canali  di  Capo  per  avere  cotanto 
meno  ad  avere,  perchè  mi  pare  che 
l'avanzo  li  converrà  lasciare  per 
r  amor  di  Dio. 


ol 

Michel  di  Cosa  e' figliuoli  m'hanno 
chesto  la  terra  tua  che  fa  Giovan- 
nino del  Calza  e  darebborne  più  xii 
staia  di  grano,  levandone  gli  al- 
beri; e  forse  anche  ne  darebbon 
più.  Pare  a  Ser  Bernardo  che  T  al- 
legagione sarebbe  buona,  e  si  per- 
chè sono  buoni  pagatori,  e  si  per- 
chè gli  alberi  non  fruttano  la  metà 
per  anno  di  quello  che  se  ne  trova, 
ma  più. 

Io  favellai  coli'  amico  del  renca- 
rare  delle  terre;  dicemi  che  ci  ha 
di  quelle  che  vagliono  più,  ben  che 
non  sa  el  pregio  tuo.  Dicemi  che 
vorrebbe  sapere  a  che  pregio  sono. 
Le  vigne  si  vangano  valentemente , 
e  fassene  buono  governo,  secondo 
che  m'è  detto.  El  Fraschiere  (21) 
ha  vedute  le  canali  e  dice  che  l'ac- 
concerà in  calen  di  giugno.  Dicon- 
mi  costoro  che  l'orzo  nostro  del- 
l' orto  è  '1  più  beli'  orzo  di  questo 
paese.  La  Caterina  è  stata  infred- 
data, ora  è  guerila.  E  Nanni  ha  la 
febre. 


52 

E'  non  godo  come  tu  credi.  Ben- 
ch'io non  abbia  a  combattar  co' birri 
ma  a  combattar  co'  Lagio  e  col- 
r  altra  brigata.  Tu  ordisti  di  molte 
tele  e  ha 'le  lasciate  a  tessere  a  me. 
Emi  detto  che  Andrea  vuole  la  Ca- 
terina ora  di  questo  mese.  Se  ti  de- 
liberassi di  dargliela,  vorrebbisi  a- 
vere  pensiere  di  fornirla.  Qui  si 
dice  che  costi  ha  un  poco  di  mor- 
talità, di  che  ti  prego  per  Dio  che 
vi  sapiate  guardare.  Mona  Bartola 
nostra  ha  avuto  parecchi  di  un  gran 
male,  ed  è  stata  a  Firenze;  ora  è 
tornata ,  e  sta  bene.  Idio  vi  sia 
guardia.  La  Dora  tua  a  Petriolo. 
Fatta  addi  viii  di  maggio 
Dopo  vespro  sotto  la  loggia. 


Al  savio  uomo  Francesco  di  Iacopo 
Vicario  in  Peseta. 

Le  viottole  sono  vendute  e  presso 
che  segate;  però  che  tempo  non  era 


S3 

da  secar  Fieno,  io  non  ho  ancora 
favellato  a  Biagio  di  Lapo ,  favel- 
larogli  domani  sanza  fallo. 

Bindo  e  Amerigo  (22)  furono  a 
Prato  con  Cristofano  e  con  Cintone 
e  non  venderono  nulla.  L' opere 
delle  vigne  furono  a  potare  et  al 
palare  xxxviii;  del  vangare  non 
posso  ancora  sapere  perchè  ce  n'ha 
ancora  a  vangare  dalle  sette  all'otto. 
Favellai  con  Giovannino  del  Calza, 
dicemi  che  ti  diede  Lire  lx  e  che 
tu  non  facesti  el  pregio  del  grano, 
di  che  vuol  far  teco.  Ragionagli 
della  terra;  dicemi  che  non  vuole 
fare  niun  patto  se  non  con  teco. 
El  Marzica  vorrebbe  la  terra  dalla 
strada  che  sa  Piero  d'Amadore,  dove 
si  fa  el  capannetto  per  por  vigna. 
Castiga  si  Borgognone  (23)  che  non 
bea  el  vin  pretto,  che  questi  gar- 
zoni mi  dicono  che  gli  fa  gran  male. 
Tu  mi  scrivi  dell'Antonia  (24),  ma 
io  credo  che  tu  n'hai  pochi  pen- 
sieri; e  aviemene  quello  ch'io  ne 


54 

pensai  quando  andasti;  io  per  me 
non  ne  favellai  mai  a  persona ,  né 
favellarò.  La  botte  grande  è  levata , 
si  che  mandami  a  dire  quel  che  ti 
pare  da  fare,  avisami  quel  che  ti 
pare  che  faccia  dell'  andare  da  Fi- 
renze 0  no;  è  vero  che  qui  ha  molte 
faccende  e  male  posso  lasciare.  Pho 
fatto  tagliare  a  queste  fanciulle  duo 
giubbe  e  non  ho  di  che  fornirle; 
mandami  a  dire  come  faccia. 

Giulonecifuistamaniedice  eh'  ba 
venduto  un  vitello  di  Giovanni  d'A- 
gliana,  e  recòmi  x  fiorini  e  lire  in 
di  quattrini.  Io  trovo  delle  terre  di 
Donato  di  mona  Tata  fiorini  xxv  e 
non  più;  si  che  mandami  a  dire  se 
le  viio'  dare,  che  costoro  ne  vo- 
gliono resposta.  Michelone  e'  figliuoli 
vogliono  le  terre  del  Lisca  che  fa 
Giovannino  per  xvi  fiorini  più,  ta- 
gliando l'alberi,  e  di  questo  vo- 
gliono resposta;  mandami  a  dire 
quel  che  ho  a  fare ,  e  eh'  io  non 
tenga  altrui  a  parole.  Tu  mi  scrivi 


55 

che  non  può'  dormire  la  notte  per 
pensieri  che  hai  dell'Antonia;  ma 
a  me  è  detto  che  tu  hai  altra  com- 
pagnia che  non  ti  lascia  dormire. 
Ma  l'Antonia'ìion  è  quella  che  ti 
toglie  el  sonno;  ma  quando  non  po- 
trò più  5  assalirotti  che  non  te  n'av- 
vedrai ,  e  non  verrò  se  non  solo  per 
garrire.  Mandoti  delle  robiglie  (25)  e 
de' baccelli  e  della  lattuga  di  Mes- 
ser  Pagolo  perchè  tu  ti  rinfreschi , 
che  mi  pare  che  n'  abbi  bisogno. 
Pregoti  che  gastighi  i  nostri  fan- 
ciulli. Idio  li  sia  guardia  e  tu  an- 
che ti  sappi  guardare.  Ser  Bernar- 
do ti  manda  mille  salute. 

Fatta  addì  xix  mag-  f  per  la  Do- 
gio  dopo  r  avemaria  j  ra  tua  ni- 
nella  loggia.  V  mica. 


LETTERA 

DI 

COLUCCIO  SALUTATI 


Nobili  et  prudenti  viro  Francisco 
lacobi  Del  Bene  vicario  lion.  Val- 
lis  Nebulae  et  Arianae ,  majori 
suo  karissimo. 

Maggiore  mio  singularissiino, 

Per  cagione  di  certo  omicidio  com- 
messo ne  la  persona  di  Gaido  d'A- 
righetto  ho  sentito  che  avete  soste- 
nuto e  molestato  ne  la  sua  persona 
Simo  di  Simo  da  Stignano  (26) ,  il 
quale  reputo  mio  fratello.  Di  che 


57 

mi  grava  quanto  se  ne  la  mia  pro- 
pia  persona  V  avessi  ricevuto.  Oltra 
ciò  per  questa  medesima  cagione 
pare  abbiate  fatto  richiedere  Nello 
di  Giovannino  mio  cognato.  E  que- 
sto pare  sia  avenuto  perchè  si 
dicevano  avere  accompagnato  quelli 
che  comise  il  detto  omicidio;  come 
che  ne  la  verità  né  mai  vi  furono, 
né  alcuno  cosa  ne  seppero,  come 
sono  certo  sarete  pienamente  infor- 
mato. E  per  tanto  avendo  rispetto  a 
la  loro  innocentia,  quanto  più  posso 
strectissimamenle  vi  priego  che  per 
amore  e  gratia  di  me  vi  piaccia  be- 
nignamente procedere  a  la  libera- 
tiene  del  detto  Simo,  e  provedere 
che'l  detto  Nello  per  questa  cagione 
né  in  persona  né  in  avere  sia  gra- 
vato. Però  che  certamente  cosi  porta 
la  loro  inocentia.  Piacciavi  adunque 
in  questo  facto  che  ragionevolmente 
domando, mostra[re]  per  effecto  quel- 
lo che  sono  credulo  potere  in  voi.  E 
per  li  tempi  avenire  sienvi  i  detti 


58 

Simo  e  Nello  come  la  mia  persona 
racomandati. 

Florentiae  xi   marlii   iv  inditio- 
ne  (27). 

Yesler  Coluccius  Pyerius  Cancel- 
larius  Florentinus. 


LETTERA 

DI 

GIORGIO    SCALI 


Al  suo  caro  fratello  Francesco  di 
Iacopo  Vicario  di  Val  di  Nievole 
et  e. 

Fratello  carissimo, 

Pare  che  il  podestà  di  Bugiano 
perseguiti  in  ogni  modo  Nicolao  e 
Coluccino  da  Bugiano  e  uno  altro 
loro  parente,  e  più  volte  glie  n'ho 
scritto  e  fatto  scrivere;  niuna  gra- 
tia,  né  dovere,  né  ragione  per  loro 
ho  trovato  in  lui,  non  so  che  sia 
la  cagione,  né  etiamdio  una  buona 
risposta.  Non  so  per  quale  mio  di- 
fetto io  abia   questa  disgrafia  con 


60 

costui,  e  pure  è  cosi.  Il  perchè  io 
ti  prego  che  essi  ti  sieno  racoinan- 
dati,  e  che  per  mala  informalione 
tu  no  gli  iscacci  né  perseguiti;  e 
se  il  podestà  o  altri  dubita  di  loro, 
prendi  da  loro  che  sono  sofìcienti 
si  fatta  sicurtà  che  basti,  e  lasciali 
stare  a  casa  loro  o  in  Pescia,  come 
vedi  che  sia  più  tuo  onore;  io  te 
gli  racomando  come  miei  carissimi 
amici.  Idio  sia  teco. 

Giorgio  degli  Scali  in  Firenze  di 
XXII  di  marzo. 


LETTERA 

DI 

LEMMO  BALDUCCI 


Nobile  homo  Francesco  di  Iacopo  Del 
Bene  honorevole  vicaro  di  Valdi- 
nievole. 

Garisimo  mio  fratello  magiore, 

Per  Aimerigo  vostro  vi  fue  scritto 
che  io  dovea  avere  dal  podestà  di 
Pescia  fiorini  otto  d'oro  di  resto  di 
XX  eh'  io  gli  prestai  ;  e  io  scrissi 
al  detto  Piero  che  elio  vi  dovesse 
dare  i  detti  fiorini  otto,  e  voi  scri- 
veste [aJAimerigo  che  voi  gli  avete  a- 
dimandati  e  ch'elio  avea  detto  di 
darli  alla  uscita  del  suo  ofizio.  Sa- 
piate  che  non  fue  miga  servigio  da 


62 

dimenticare  ciie  io  li  prestai  fiorini 
venti,  ed  elio  disse  di  darli  di  fino 
a  due  mesi  od  otto;  è  pine  di 
quatr'anni,  e  liamene  dati  in  tre 
volle  fiorini  dodici  si  che  io  resto  a 
aver  fiorini  otto  d' oro.  Ora  io  man- 
do costà  Lorenzo  Ranaldini  per  que- 
sta cagione;  e  scrivo  al  detto  Piero 
che  se  elio  non  v'  hae  dati  i  detti 
denari  che  elio  lì  debia  dare  al  detto 
Lorenzo;  e  a  Lorenzo  hoe  data  la 
scritta  di  mano  di  Piero,  che  quan- 
do r  hae  pagato  che  li  debia  dare  la 
scritta.  Credo  che  '1  detto  Piero  li 
darà;  e  voi  n' adoperate  quello  che 
voi  potete  con  vostro  honore.  Che 
s'  elio  riqusase ,  di  dire  io  non  gli 
hoe  al  presente,  che  delle  sue  paghe 
si  faciano  promettere  al  camar- 
lingo; imperò  quando  il  camarlingo 
gli  avesse  promessi  saremo  dal  se- 
euro  d'averli,  e  se  elio  tornasse  a 
Firenze  co'  denari  sarebe  magior 
briga  averli.  Bene  che  io  credo  che 
sia  in  buono  volere  di  darli,  si  che 


63 

adoperate  che  Lorenzo  sia  pagato 
e  che  Piero  abia  la  sua  scritta;  simi- 
le hoe  a  fare  a  Volano  (28).  Di  lutto 
Lorenzo  vi  sia  racomandato.  Sapiate 
che  Aimerigo  hae  grande  briga  di 
questi  suoi  fatti  co  'i  parenti  suoi , 
e  no  ne  puote  venire  a  capo.  La 
Diamante  vi  manda  mille  salute.  E 
Dora  hae  voglia  che  voi  compiate  to- 
ste Tofizio  acciocché  voi  ne  vegnale 
a  Firenze.  Noi  non  facciamo  se  non 
motegiarla  e  cosi  le  diamo  piacere. 
Sequa  hoe  a  fare  alquna  cosa,  scri- 
vetemelo, farollo  volentieri.  Dio  vi 
guardi.  Al  vostro  piacere 

Lo  vostro 

Lemme  Balducci,  data  in  Firenze 
a  dì  VII  de  aprile. 


ss^i^fes- 


LETTERE 

DI 

MARCHIONNE  DI  COPPO 
STEFANI  (29) 


Francesco  di  Iacopo  Vicario  di  Val- 
dinievole. 

lo  ricevetti  una  tua  lettera  per 
la  quale  io  compresi  come  lo  ca- 
vallo slava  bene,  et  di  tua  inten- 
zione et  proferta  ti  ringrazio;  et 
diliberalo  m'era  di  lasciarloti  tutto 
il  tempo  dello  uficio,  e  cosi  sono  s'io 
potrò.  Et  non  t'  ho  prima  risposto 
però  che  quando  ebbi  la  lettera 
quel  di  io  era  eletto  andare  imba- 
sciadore  nella  Magna  allo  impera- 
dore  con  Zanobi  Brunetti  et  con  Ser 
Ristoro   da  Fighine  (30);  et  si  mi 


65 
sono  ingegnato  di  schernirmi;  (31)  ora 
non  posso  ciò  fare  et  convienimi 
ire.  Cerco  di  fornirmi  di  cavalli,  et 
eccene  male  fornito  (32)  però  che 
per  la  compagnia  condotta  a  Siena 
ci  sono  ricolti;  o' io  non  mi  potessi 
fornire  pigliere'  sicurtà  di  prestare 
il  cavallo  a  qualcuno  che  mi  preste- 
rebbe un  mulo  0  ronzino.  Et  se  a 
te  venisse  in  acconcio  di  fare  così, 
ancora  non  trovando  altro  l' averci 
caro,  ma  non  li  vorrei  sconciare. 
Credo  anderemo  da  qui  a  8  o  a  10 
di  (33).  Qua  non  ha  altro  di  nuovo. 

Scritta  in  Firenze  a  di  i  di  giu- 
gno. 
per  Melchionne. 


Nobili  viro  Francisco  vicario  Vallis 
nebulae  etc. 

Io  ebbi  questa  mactina   essendo 
nel  ledo  due  lue  lettere;  et  inteso, 

5 


66 

a  runa  et  a  l'altra  ti  rispondo,  che 
ad  me  non  è  nuovo  che  de'  facti 
miei  faceste  sempre  e  fai  e  faresti 
come  de' tuoi,  e  tanto  più  quanto 
potessi.  Io  sono  più  che  contento 
di  ciò  che  hai  facto,  però  clie  ad  ra- 
gione si  r  hai  bene  meritato.  I  da- 
nari se  n'  hai  bisogno  ritielH  al 
tuo  piacere,  eh' io  ho  degli  altri. 
Al  facto  del  ronzino,  io  non  t'avea 
richiesto  di  ronzino  se  non  perchè 
tu  ritenessi  il  cavallo  per  averne 
meno  a  dosso  a  sectembre  ch'io  po- 
tessi; avendo  avuto  cotesto  grande, 
di  che  lodato  Iddio,  è  spacciato.  Qui 
se  ne  aspectano  a  questi  di.  S' a- 
vessi  bisogno  d'  uno ,  scrivilo  et  io 
te  ne  manderò  uno,  se  ti  mancasse 
cavalli.  Ritieni  i  denari  della  erba , 
che  sai  che  fu  mia  intenzione,  quan- 
do li  menasti  in  mio  servigio  più 
che  tuo  bisogno.  Qua  fu  uno  am- 
basciatore dello  imperadore,  et  an- 
dò via  martedì  a  Roma  colle  no- 
velle usate  di  noi  ubidire  papa  Ur- 


67 
bano  (34) ,  et  profere  fare  quello 
ch'el  padre  (35)  fece;  e  rechiede 
alla  sua  incoronazione  etc;  e  che 
dee  passare  quest'  anno. 

Data  in  Firenze  di  5   di    giugno 
[1381]  per  Melchionne. 


ISTOTE 


(1)  Copinlo,  questa  e  le  sei  seguenti,  dal 
codice  niagliabechiano,  7.  Pai.  v.,  già  ap- 
partenuto al  convento  di  S.  Iacopo  di  Fi- 
renze. 

(2)  Fine.  Quietanza. 

(3)  Vorresti  tue,  se  tu  volessi. 

(4)  Mezanini.  Mezzanino  è  tessuto  di  mezza 
lana  e  mezza  accia.  Manca  ai  vocabolari. 

(5)  PoLTREMOLLO.  Nome  di  qualche  tes- 
suto: forse  così  dal  luogo  dove  si  fabbricava. 
Ma  qual  fosse  il  luogo  non  trovo,  che  i  no- 
stri antichi  di  storpiature  di  nomi  non  face- 
vano a  risparmio. 

(6)  PiGNOLLO.  Tessuto  chiamato  forse  così 
dall'  essere  fabbricato  a  Pignol. 

(7)  Aso.  Agio.  I  dizionari  hanno  solamente 
Asie. 


69 

(8)  Sono  in  stazone,  sono  in  casa,  o  a 
bottega;  forse  sono  fermo. 

(9)  Io  sono  alla  porta,  se  non  s' ha  da  in- 
tendere letteralmente,  allora,  secondo  me,  vuol 
significare  :  Essere  sempre  al  principio  d' una 
cosa.  Essersi  poco  avvantaggiato. 

(10)  Giovanna  di  cui  dice  sotto.  La  quale 
a  questo  tempo  avea  38  anni;  e  Orsino  14, 
come  rilevo  da'  libri  del  Catasto,  i  quali  sotto 
111427  pongono  che  Giovanna  avea  anni  70, 
e  Orsino  46. 

(11)  Gian  Galeazzo.  —  Parla  della  guerra 
tra  il  Visconti  e  la  lega  de'  Veneziani ,  Fio- 
rentini, Lucchesi,  Carlo  Malatesta,  Francesco 
da  Carrara,  Bolognesi,  il  marchese  di  Fer- 
rara, per  la  difesa  di  Mantova.  Vedi  il  Corio, 
parte  IV  delle  Storie  milanesi.  —  La  batta- 
glia fu  il  28  agosto  1397.  V.  Coro  Dati.  Sto- 
ria di  Firenze,  lib.  iv. 

(12)  Stazoni.  Veramente  vale  Botteghe  ;  ma 
qui  può  intendersi  per  Magazzini. 

(13)  Qui  non  ha,  forse  pensatamente,  messo 
il  presi  già  posto  due  volle  di  sopra. 

(14)  AvvEGGiMENTO.  Avvedimento.  Manca 
ai  lessici. 

(15)  Si  che  il  Duca  sia  nel  ballo  de  rochi. 
Così  ha  sicurissimamente  il  codice.  Rochi  per 
scambio  del  e  e  del  g ,  comunissimo  ai  no- 


70 

stri  antichi,  potrebbe  stare  per  roghi,  ossia 
pruni;  e  allora  tutta  la  frase  vale  che  il  Duca 
era  in  si  cattivo  stato  da  potersi  dire  che  bal- 
lava sulle  spine.  Ad  altri  piacerebbe  leggere 
rocchi,  ritenendo  che  1'  autore  traesse  ima- 
gine  dal  gioco  degli  scacchi ,  dove  se  il  re 
trovasi  in  mezzo  alle  torri,  dette  anche  roc- 
chi, è  spacciato.  E  il  senso  è  lo  stesso. 

(IG)  Migrare  e  più  sotto  Miore  per  Mi- 
gliorare, e  Migliore,  sono  del  dialetto. 

(17)  Oiicsliì  Ciiiinga  fu  figliuola  di  France- 
sco Mannovclli.  Poclioggialc  fu  chiamato  Fi- 
lippo Lanfrcdini,  cugino  del  padre  di  Dome- 
nico. 

(18)  Druda  accorciativo  di  Aldruda. 

(10)  Tale  e  simili  uscite  duran  lult'ora  in 
Toscana  in  Val  d'  Arno  di  sotto. 

(20)  Copiate  questa  e  le  seguenti  dalle 
carte  appartenute  alla  famiglia  Del  Bene , 
esistenti  nel  R.  Archivio  di  Stato  di  Firenze. 
Indicatemi  dal  dotto  e  cortese  cav.  Gaetano 
Milanesi.  Di  che  gli  rendo  qui  pubbliche  gra- 
zie, come  d'altre  notizie  ed  aiuti  a  me  forniti 
in  proposito. —  Tutte  scritte  nel  1381,  sono 
dirette  a  Francesco  di  Iacopo  del  Bene ,  il 
quale  oltre  al  vicariato  in  Val  di  Nievole 
|1381]  avea  sostenuto  innanzi  vari  iiflici; 
nel  1308,  nel  73,  nel  77  tu  de"  priori;  poi  ne  so- 


71 

slennc  altri  dopo;  e  nel  1381  (a'30  sett.  pone 
Ser  Naddo  nelle  Memorie  Storiche,  T.  xviii 
delle  Delizie  degli  Er.  Tos.)  fu  ambasciatore  al 
papa  insieme  con  M.  Baldo  da  Figline.  Dalla 
quale  ambasceria  tornato,  il  14  marzo  1382 
fu  confinalo  a  Fermo;  fatto  poi  ritorno  dovè  re- 
starsi alquanto  a  Firenze;  ma  nel  1387  è  no- 
minato tra  quelli  cbc  non  dovevano  avere  più 
niuno  ufficio  nel  Comune.  Negli  spogli  del- 
l'Ancisa  (GG.  003,  nel  R.  Archivio  di  Stato) 
è  messo  ambasciatore  al  papa  nel  1382. 

(21)  Qui  e  poco  sopra  il  codice  ha  te  ca- 
nali, ed  anche  in  altre  scritture  antiche  tal 
voce  si  trova  al  genere  femminile. 

(22j  Figliuoli  di  Francesco  e  di  Dora. 

(23;  Altro  figliuolo. 

(24)  Una  delle  figliuole. 

(25)  Rohifjlia ,  sorta  di  legume  salvatico 
simile  a'  piselli. 

(26)  Stignano,  castello  della  VaJdinievole , 
ove  nel  1330,  nacque  Coluccio. 

(27)  L'indizione  iv  era  appunto  nel  1381. 

(28)  Il  cod.  ha  così,  e  credo  per  Vollano 
castello  notissimo  in  Val  di  Nievole. 

(20)  Che  queste  lettere  sono  di  Marchionne 
di  Coppo  Stefani  apparisce  manifestamente  dal 
dirsi  qui  che  andò  ambasciatore  nella  Magna. 
liC  lettere  sono  dell' 81;  e  infatti    nella  Sto- 


72 

ria  Fiorentina  dello  Stefani  al  libro  11,  ru- 
brica 895  (V.  Dcliciae  Eruditorum  I.  xvi. 
p.  59)  è  narrato  che  nel  1381  Marchionne 
fu  eletto  a  queir  ufficio. 

(30)  Nella  Storia  i  nomi  de'  compagni  di 
Marchionne  sono  invece ,  Ser  Niccolò  da  Ra- 
batta,  Zanobi  Guidetti,  e  per  notaio  Ser 
Francesco  di  Ser  Landò  Fortini. 

(31)  Schernire  per  Schermire,  scambio  ple- 
beo che  tutt'  ora  vive. 

(32)  Fornito.  Fornimento;  nel  vocabolario 
non  ha  esempio  del  trecento. 

(33)  Il  padre  Idelfonso  nelle  notizie  di  Mar- 
chionne premesse  alla  Storia  dice  che  gli  am- 
basciatori partirono  a' 26  d'agosto  del  1381. 

(34)  Urbano  vi. 

(35)  Il  padre  dell'  imperator  Venceslao,  cioè 
Carlo  IV. 


-«sSJfes»^ 


OIPTJSCOIjI 
di  prossima  pubblicazione 


Il  Paradiso  degli  Alberti  ritrovi  e  Ragionamenti  del  1389 
di  Giovanni  da  Prato.  (Voi.  1"  Prefaazione ). 

Giambullari  Bernardo.  Dialoghi  in  rima:  rarissimi. 

Novelle  (  Sessanta  )  tratte  d'  antichi  testi. 

Ballate  edite  ed  inedite  dei  secoli  XIV,  XV,  XVI. 

Libro  di  Ballo  di  Mastro  Dom.  da  Ferrara,  testo  inedito. 

La  leggenda  di  Vergognia  in  prosa  e  in  verso,  col  testo 
francese  a  fronte ,  e  la  Storia  di  Giuda  Iscariotte , 
lesti  inediti  del  buon  secolo. 


PERIODICO  BIMESTRALE 


SCELTA 

DI 

CURIOSITÀ  LETTERARIE 

INET3ITE  O   RARE 

DAL.   SECOLO   XIII    AL    XVII 

in  Appendice  alla  Collezione  di  Opere  inedite  o  rare. 


DISPENSA    CXVI. 

Prezzo  L.  6.  50. 


Di  questa  SCELTA  usciranno  otto  o  dieci  volu- 
metti all'anno:  la  tiratura  di  essi  verrà  eseguita  in 
numero  non  maggiore  di  esemplari  202:  il  prezzo  sarà 
uniformato  al  num.  dei  fogH  di  ciascheduna  dispensa, 
e  alla  quantità  degli  esemplari  tirati:  sesto,  carta  e 
caratteri,  uguali  al  presente  fascicolo. 

Gaetano  Bomagnoli.    , 


OPERETTE  GIÀ  PUBBLICATE. 


1.  Novelle  d' incerti  autori L.  3. 

2.  Lozione  o  vero  Cicalamento  di  M.  Bartolino   .    ...»  5. 

3.  Martirio  d' una  Fanciulla  Faentina »  1. 

4.  Due  novelle  morali »  1. 

5.  Vita  di  messer  Francesco  Petrarca »  1. 

().  Storia  d'una  Fanciulla  tradita  da  un  suo  amante    .    .  »  1. 

7.  Commento  di  ser  Agresto  da  Ficaruolo     ■.....»  5. 

8.  La  Mula,  la  Chiave  e  Madrigali »  1. 

9.  Dodici  conti  Morali »  4. 

10.  La  Lusignacca , »  2. 

11.  Dottrina  dello  Schiato  di  Bari »  1. 

12.  Il  Passio  0  Vangelo  di  Nicodemo »  2. 

13.  Sermone  di  S.  Bernardino  da  Siena »  1. 

14.  Storia  d'una  crudel  matrigna       .     .     • »  2. 

15.  Il  Lamento  della  B.  V.  Maria  e  le  Allegrezze  in  rima  »  1. 

16.  Il  Libro  della  vita  contemplativa »  1. 

17.  Brieve  Meditazione  sui  beneficii  di  Dio      ,....»  2. 

18.  La  Vita  di  Romolo »  2. 

19.  Il  Marchese  di  Saluzzo  e  la  Griselda x>  2. 

20.  Novella  di  Pier  Geronimo  Gentile  Savonese.  Vi  ù  laiito: 

Un'  avventura  amorosa  di  Ferdinando  D' Aragona. 

Vi  è  pure  unito: 

Le  Compagnie  de' Battuti  in  Eoma »  2. 

21.  Due  Epistole  d' Ovidio »  2. 

22.  Novelle  di  Marco  Mantova  scrittore  del  sec  XVI   .     .  »  5. 

23.  Dell'  Illustra  ot  famosa  historia  di  Lancillotto  dal  Lago  »  3. 

24.  Saggio  del  Volgarizzamento  antico »  2. 

25.  Novella  del  Cerbino  in  ottava  rima »  2. 

26.  Trattatela  delle  virtù »  2. 

27.  Negoziazione  di  Giulio  Ottonelli  alla  Corte  di  Spagna  »  2. 

28.  Tancredi  Principe  di  Salerno       »  2. 

29.  Le  Vite  di  Numa  e  T.  Ostilio    .     ■ »  2. 

30.  La  Epistola  di  S.  Iacopo  e  i  capitoli  terzo  e  quarto  del 

Vangelo  di  S.  Giovanni »  2. 

31.  Storia  di  S.  Clemente  Papa »  3. 

32.  Il  Libro  delle  Lamentazioni  di  leremia  e  il  Cantico 

de' Cantici  di  Salamene.    .    .    • »  2. 

33.  Epistola  di  Alberto  degli  Albizzi  a  Martino  V.   .     .    .  »  2. 

34.  I  Saltarelli  del  Bronzino  Pittore       »  2. 

35.  Gibello  Novella  inedita  in  ottava  rima       »  3. 

36.  Commento  a  una  Canzono  di  Francesco  Petrarca    .    .  »  2. 

37.  Vita  e  frannnonti  di  Sall'o  da  Mitilone »  3. 


LETTERE  YOLCtARI 


DEL    SECOLO    XIII. 


IMOLA, 

TIP.    D'  IGNAZIO    fJALEATI    F,    FIGLIO 
Via  a.l  Corso  ,  Sfi. 


LETTERE  VOLGARI 

DEL  SECOLO  XIII 

SCRITTE  DA  SENESI 

PUBBLICATE 
E    ILLUSTRATE    CON    DOCUMENTI    E    ANNOTAZIONI 

DA    CESARK   PAOLI 
DA    ENEA   PICCOLOMINI. 


-^<mxj?p>^~ 


BOLOGiNA, 

PRESSO    GAETANO   ROMAGNOLI. 
ISTI. 


Edizione  di  soli  200  esemplari  progressivamente 
numerati. 


N.  161. 


AVVERTIMENTO. 


Rivolgendo  le  nostre  cure  a  que- 
sta raccolta  delle  più  antiche  lettere 
che  si  conoscano  scritte  in  volgare, 
non  fu  nostro  intendimento  di  offrire 
pascolo  agli  spigolatori  di  eleganze, 
ma  di  giovare,  con  la  pubblicazione 
di  documenti  antichissimi  ed  auten- 
tici ,  alle  indagini  intorno  alla  storia 
della  lingua  nostra. 

Mercè  le  nostre  ricerche ,  aiu- 
tate dall'  altrui  cortesia ,  abbiamo 
potuto  mettere  assieme  dieci  lettere 
volgari ,  tutte  del  secolo  xiii ,  con 
data  certa  d'anno  e  talvolta  di  mese 


VI 

e  di  giorno;  e  da  due  in  fuori,  tutte 
inedite,  i  Queste  dieci  lettere  sono  re- 
liquie di  ben  cinque  carteggi  tenuti 
in  lingua  volgare  ;  il  primo,  tra  uffi- 
ciali del  comune  di  Siena,  per  occa- 
sione di  condotte  e  assodamento  di 
cavalieri;  gli  altri,  tra  privati  cit- 
tadini senesi,  per  affari  mercantili. 
Alle  dieci  lettere  del  secolo  xiii  ab- 
biamo fatto  seguire  un'appendice  di 
altre  quattro,  che  sebbene  scritte 
nella  prima  metà  del  secolo  seguente, 
appartenendo  ad  uno  dei  carteggi  an- 
zidetti ,  ci  parve  di  non  dovere  esclu- 
dere ;  nonché  cinque  documenti  illu- 
strativi, dei  secoli  xiii  e  xiv,  due 
dei  quali  pure  in  volgare. 

1  Ad  una  Raccolta  di  prose  e  lettere  toscane 
dei  secoli  xin  e  xiv  illustrate  con  note,  nella 
quale  è  assai  verosimile  che  fosse  compresa 
alcuna  delle  lettere  ora  da  noi  pubblicate,  la- 
vorò, dur>.nte  il  suo  soggiorno  in  Siena,  Teo- 
filo Gallaccini  (V.  Pecci,  Vita  di  Teotilo  Gal- 
laccini  nelle  Novelle  letterarie,  tomo  xx,  anno 
1759,  a  pag.  117-118).  Questa  raccolta  appa- 
recchiata dal  Gallaccini  rimase  inedita. 


VII 

L' importanza  grande  che  hanno 
questi  monumenti  del  volgare  no- 
stro, così  per  la  loro  singolare  anti- 
chità, come  per  la  forma  incorrotta, 
in  cui  ci  sono  pervenuti  nei  loro  pro- 
pri originali  (fatta  eccezione  d' un 
solo,  tratto  da  copia  recente),  c'im- 
poneva l'obbligo  di  pubblicarli  con 
tanta  fedeltà  e  diligenza,  quante  oc- 
corressero acciocché  l'uso  della  pre- 
sente stampa  equivalesse  per  gli  stu- 
diosi a  quello  degli  originali  stessi. 
Abbiamo  quindi  scrupolosamente  ri- 
prodotto tutto  ciò  che  appartiene 
alla  pronunzia  ^  e  alla  ortografia;  ^  e 
soltanto  abbiamo  sciolto  le  abbrevia- 
zioni ,  anche  quando  le  trovammo 
mancanti  del  debito  segno  abbrevia- 
tivo, ^  ed  emendata  qualche  grosso- 

1  Cos'i  abbiamo  scritto  e  rimanente  {<^\  rima- 
nente) a  lluì,  co  Uovo  ec. 

2  l'er  esempio:  fato,  disc  ,  UjV anha&ciadori, 
giongnesscro. 

■'  Ungia  (abJn-eviato  ugia)  scrivare  (scivarei 
avantcli  (avatelii  ec. 


vili 

lana  svista;  i  sempre  però  riferendo 
nelle  postille  a  pie  di  pagina  la  le- 
zione abbreviata  od  erronea  dell'ori- 
ginale. Le  lacune,  cagionate  da  qual- 
che guasto  negli  autografi,  abbiamo 
indicate  con  una  serie  di  punti;  le 
sostituzioni,  talvolta  da  noi  conget- 
turate, abbiamo  introdotte  nel  testo, 
chiudendole  tra  parentesi  quadre,  o 
solamente  accennate  nelle  postille. 

Essendo  poi  le  scritture  che  pub- 
blichiamo importanti  non  solo  per  lo 
studio  della  lingua,  ma  anche  per 
quello  della  storia  politica  e  commer- 
ciale ;  cosi  ancora  sotto  il  doppio  a- 
spetto  filologico  e  storico  furono  con- 
dotte le  annotazioni.  Le  quali  bensì 
non  voglionsi  considerare  come  un'il- 
lustrazione compiuta,  ma  furono  da 
noi  ordinate  o  a  dichiarare  i  luoghi 
più  oscuri,  o  a  richiamare  l'atten- 

'   Vedervi  (vederri)  foe  (toa)  per  innanzi  (per 
renezi)  ec. 


zione  dei  lettori  su  quelli  che  ce  ne 
parvero  più  degni.  Quanto  spetta  alla 
descrizione  delle  carte  originali  e 
alla  loro  provenienza,  abbiamo  rac- 
colto nella  Notizia  illustrativa  che 
tiene  dietro  a  questo  Avvertimento; 
e  finalmente  abbiamo  aggiunto  alle 
annotazioni  un  Indice  delle  parole  e 
dei  modi  più  notevoli  che  offrono  le 
quattordici  lettere  e  le  altre  due 
scritture  volgari. 

Ci  piace  infine  di  rendere  noto 
che  se  la  nostra  raccolta  si  compone, 
per  la  massima  parte,  di  documenti 
tratti  da  archivi  e  da  collezioni  pri- 
vate, dobbiamo  professarcene  debi- 
tori ai  signori:  cavaliere  Giulio  Bian- 
chi Bandinelli ,  nobile  Alessandro 
Pucci  Sansedoni ,  conte  Bernardo 
Tolomei ,  e  cavaliere  Giuseppe  Porri 
di  Siena,  non  che  al  compianto  ca- 
valiere Pietro  Bigazzi  di  Firenze  ,  e 
a' suoi  eredi:  i  quali  tutti,  con  som- 


X 

Mia  cortesia,  ci  diedero  lacoltii  di 
studiare  a  nostro  agio  e  di  pubbli- 
care i  documenti  da  loro  posseduti , 
che  fanno  ora  parte  della  nostra  rac- 
colta. Uguali  larghezze  e  non  meno 
cortesi  aiuti  avemmo  dalla  R.  So- 
printendenza agli  Archivi  toscani, 
per  i  documenti  tratti  dagli  Archivi 
di  Stato  di  Firenze  e  di  Siena. 

Siena,  nel  gennaio  del  1871. 


oOf«ÌP 


mmx  ILLUSTRATIVA 
DELLE  LETTERE    E    DEI    DOCUMENTI 

CHE   SI  PUBBLICANO    IN  QUESTO  VOLUME. 


LETTERE  VOLGARI 

DEL   SECOLO    XIIL 

I.  Lettera  di  Arrigo  Accattapane,  da 
Spoleto,  a  Ruggero  da  Bagnuolo,  capi- 
tano di  popolo ,  in  Siena.  Scritta  dopo  il 
22  di  settembre  e  anteriormente  al  2  d' ot- 
tobre 1253. 

Carta  bambagina,  larga  centiiii.  21,  lun- 
ga 11;  scritta  da  due  facce.  Autografa. 

Nel  R.  Archivio  di  Stato  in  Siena.  Lettere 
al  Concistoro ,  filza  i. 

II.  Lettera  di  Arrigo  Accattapane,  da 
Perugia,  a  Ruggero  da  Bagnuolo,  in  Siena. 
Scritta  fra  il  2  e  il  6  ottobre  1253. 

Pergamena,  larga  centim.  31  da  capo  e  26 
da  piede  ,  lunga  34  ;  scritta  da  una  sola  faccia. 
Autografa. 

Pubbl.  dal  Muratori  iper  comunicazione  a- 
vutane  dal  senese  Uberto   Benvoglienti)    nelle 


XII 

Anliq.  Hai.,  tomo  u,  dissert.  xxxii,col.  lO-l'-lS  : 
e  nuovamente  dal  Cantv  ,  Stor.  Univers,  (To- 
rino, Pomba,  1851.  In  8vo),  voi.  in,  pag.  129(>. 
Nell'una  e  nell'altra  stampa  mancano  i  nomi 
dei  cav.alieri. 

Neil' Ardi,  detto.  Pergamene  delle  Rifor- 
magioni,  ad  annulli. 

III.  Lettera  di  Arrigo  Accattapane  e 
Aldobrandino  Gonzolino,  da  Perugia,  a 
Ruggero  da  Bagnuolo ,  in  Siena.  Scritta 
poco  dopo  il  6  ottobre  1253. 

Carta  bambagina,  larga  centim.  21,  lun- 
ga 11;  scritta  da  una  sola  faccia,  salvo  l'in- 
dirizzo, che  è  a  tergo.  Autografa  d'Aldobran- 
dino. 

Neil'  Ardi,  detto.  Lettere  al  Concistoro, 
filza  1. 

IV.  Lettera  di  Aldobrandino  Gonzolino 
a  Ruggero  da  Bagnuolo,  in  Siena. 

Pergamena,  larga  centim.  10,  lunga  0; 
scritta  da  una  sola  faccia,  con  a  tergo  l'in- 
dirizzo. Autografa. 

Neil"  Ardi,  detto.  Pergamene  delle  Rlfor- 
magioni ,  ad  annum. 

Mancando  affatto  queste  quattro  lettere 
delle  date  di  tempo,  e  la  prima  e  la  quarta 
anche  di  quelle  di  luogo,  abbiamo  dovuto  de- 
sumerle dal  loro  contesto  o  da  documenti  con- 
temporanei. E  in  primo  luogo,  ch'esse  spettino 
tutte  all'anno  1253,  ce  lo  dice  il  nome  di  Rug- 
gero da  Bagnuolo,  che  tenne  ufficio  di  capitano 


XIII 

del  popolo  in  Siena  nel  secondo  semestre  di  co- 
dest'anno;  e,  più  da  vicino,  la  deliberazione 
del  Consiglio  della  Campana  di  Siena,  del 
22  di  settembre  1253 ,  per  la  quale  Arrigo  Ac- 
cattapane e  Aldobrandino  Gonzolino  vengono 
eletti  sindaci  a  condurre  soldati  agli  stipendi 
del  comune  di  Siena  (Documento  i).  La  prece- 
denza della  lettera,  che  abbiamo  posto  per 
prima,  è  determinata  da  quelle  parole  d'Ar- 
rigo (pag.  4),  dove  afferma  che    «le.  carte  dei 

pati no    sono    anco  fatte  »  :   mentre  nella  ii 

ne  trasmette  il  sunto  al  capitano  del  po- 
polo. Ciò  posto,  viene  da  sé  che  la  lettera  i 
sia  scritta  da  Spoleto  ,  tra  il  22  di  settembre 
e  il  2  d'ottobre;  giacché,  quanto  alla  data  di 
luogo,  in  parte  il  tenore  della  lettera  stessa 
in  parte  altri  documenti  sincroni  (fra  i  quali 
il  nostro  Documento  ii)  dichiarano  che  Arrigo 
di  quei  giorni  trovavasi  a  Spoleto  ;  quanto 
alla  data  di  tempo,  essa  non  può  essere  piii  re- 
cente del  2  di  ottobre,  perchè  in  codesto  giorno 
Arrigo  venne  in  Perugia,  come  egli  stesso  ne  dà 
avviso  nella  lettera  ii.  E  questa  ii  è  scritta  poco 
dopo  il  detto  giorno  2  d'ottobre,  e  certamente 
avanti  il  6,  parlandovisi  della  presenza  del  papa 
in  Assisi  (pag.  6)  ;  mentre  attestano  gli  Annali 
del  Muratori,  che  il  giorno  6  d'ottobre  pp.  In- 
nocenzo IV  lasciò  codesta  città  e  prese  la  via 
di  Roma.  La  m  lettera  crediamo  scritta  poco 
dopo  il  6  d'ottobre,  considerato  che  vi  si  dà 
l'annunzio  dell'invio  a  Siena  di  sessantadue 
cavalieri  partiti  da  Cortona  (dove  li  aveva  as- 
soldati Aldobrandino)  il  6  detto  ;  e  quest'  annun- 
zio dovette  essere  scritto  verisimilmente  subito 
dopo  il  ritorno  d'.\ldobrandino  in  Perugia,    in 


XIV 

tempo  da  potere  arrivare  in  Siena  quasi  con- 
temporaneamente a  quei  cavalieri.  Della  let- 
tera IV  non  ci  ò  riuscito  determinare  la  data 
di  tempo  né  di  luogo,  e  nemmeno  stabilire  se 
sia  anteriore  o  posteriore  alle  tre  precedenti. 
Vogliamo  anche  notare  che  per  la  consi- 
derazione del  carattere  che  è  d'una  mano  nella 
1  e  nella  ii  lettera  (Arrigo  solo)  ;  e  d'  altra  mano 
nella  III  (Arrigo  e  Aldobrandino)  e  nella  iv  (Al- 
dobrandino solo);  abbiamo  ritenute  le  due  pri- 
me per  autografe  di  Arrigo,  e  le  altre  due  per 
autografe  di  Aldobrandino.  Ai  lettori  nostri  sarà 
poi  facile  ricavare  la  diversità  dei  due  scri- 
venti, anche  da  certe  specialità  grafiche  distin- 
tissime e  costanti.  Cosi  Arrigo  scrive  Rugeri 
de  Bangnuolo ,  Peroscia,  cavaieri;  e  Aldobran- 
dino , /{uperio  dfi  BafinioJo,  Peroga,  chavalieri. 

V.  Lettera  di  lacomo,  Giovanni,  Vin- 
centi e  altri  compagni,  da  Siena,  a  lacomo 
di  Guido  Cacciaconti ,  in  Francia.  Spedita 
il  5  luglio  1260. 

Pergamena,  larga  centim.  29,  lunga  4.3;  assai 
ben  conservata;  di  scrittura  minuta  ed  elegante, 
tutta  d'una  sola  mano.  A  tergo  è  l'indirizzo,  della 
mano  stessa  che  ha  scritto  la  lettera,  e  il  con- 
trassegno mercantile  della  compagnia,  consi- 
stente in  una  rota  di  cinque  raggi  (figura  iden- 
tica a  quella  dello  stemma  degli  Ugurgeri ,  nel 
quale  bensì  sono  di  piti  tre  leoni  rampanti);  e  di 
mano  diversa,  due  annotazioni  di  non  facile  let- 
tura per  lo  svanimento  dei  caratteri.  In  una  ab- 
liiamo  letto:  «....per  lo  primo  meso  de  la  fiera 
del..-ano  sesanta^'-  e  crediamo  sia  di  mano  di  chi 


XV 

ricevè  la  lettera.  L'altra  annotazione  scritta,  a 
quanto  ci  è  sembrato,  nel  secolo  xiv,  è  del  se- 
guente tenore  :  «  Chome  chomune  di  Siena  yhua- 
)ttó  el  contado  di  Cole  e  di  Montepulciano,  di 
Montealcino ,  e  come  Montepulciano  fede  fe- 
ìdehlà  di  Siena,  e  come  \el  conile  andò  a  oste 
ad  [Ar]ezo  »  La  data  5  luglio  1260,  notata  so- 
pra, indica  semplicemente  il  giorno  in  cui  que- 
sta lettera  mosse  da  Siena:  dobbiamo  aggiun- 
gere qui  che  dal  suo  tenore  apparisce  che  essa 
è  stata  scritta  in  piti  giorni  :  ossia,  per  dirla  con 
piti  precisione,  che  il  paragrafo  «Sapi,  laco- 
rao»ec.,  apag.  22,  è  un  poscritto,  aggiuntovi 
forse  lo  stesso  dì  5  luglio,  prima  di  consegnare 
la  lettera  al  messo. 

Pubbl.  dal  cav.  Pietro  Fanfani  ,  neW  Ap- 
pendice alle  Letture  di  famiglia  {Firenze,  Stamp. 
Galileiana),  fascicolo  dell'agosto  1S5T;  e  nuo- 
vamente dal  signor  Gargano  Gargaxi  ,  in  un 
opuscolo,  che  ha  per  titolo:  Della  lingua  vol- 
gare in  Siena  nel  secolo  xm,  per  una  originale 
lettera  mercnnlile  di  Vincenti  d' Aldobrandino 
Vincenti,  a' 5  di  luglio  1260  spedila  iìi  Francia- 
Discorso  con  annotazioni  di  G.  Gargaki.  (Siena, 
Lazzeri,  lS6i>.  In  Svo,  di  pag.  viii-88). 

Il  documento  originale  è  di  proprietà  del 
signor  cavaliere  Giulio  Bianchi  Bandinelli  di 
Siena. 

VI.  Lettera  di  Andrea  de'Tolomei,  da 
Troyes,  a  Orlando,  Pietro,  e  agli  altri 
compagni  de'Tolomei,  in  Siena.  Spedita 
il  4  di  settembre  1262. 

Pergamena,  larga,  per  quasi' tutta  la  sua 
lunghezza,   centim.  37:  salvo  che  negli  ultimi 


XVI 

iliaci  versi  da  piedi,  si  ristringe  da  ambo  li' 
jiarti,  in  linee  rette  convergenti,  fino  a  cen- 
tiin.  21  ;  lunga  66  ;  bianca  ,  bella,  ma  non  intera- 
mente ben  conservata.  Ha  qualche  leggera 
macchia,  che  non  fa  danno  alla  scrittura,  <■ 
uno  spacco  triangolare  in  principio  e  nove  fori, 
ijuasi  tutti  nelle  vecchie  piegature,  che  hanno 
portato  via  parole  e  frasi,  come  si  ricava  dalla 
nostra  stampa.  La  lettera  è  autografa,  e  di  scrit- 
tura minutissima.  Ad  eccezione  delle  partite  del 
dare  e  dell'avere,  che  sono  scritte  a  due  co- 
lonne, a  fronte  l'una  dell'altra,  nel  rimanente 
della  lettera  ogni  rigo  di  scrittura  si  stende 
quanto  porta  la  larghezza  della  carta.  Il  testo 
della  lettera  è  tutto  in  una  faccia:  a  tergo 
è  l'indirizzo,  e  lo  stemma  dei  Tolomei,  con- 
trassegno della  compagnia. 

Nel  R.  Archivio  di  Stato  in  Siena ,  Perga- 
mene provenienti  dal  convento  di  S.  Francesco 
di  Siena ,  ad  annum. 

VII.  Lotterà  di  Andrea  de'Tolomei,  da 
Troyes,  a  messer  Tolomeo  e  agli  altri  com- 
pagni de'  Tolomei,  in  Siena.  Scritta  il  29 
novembre  1265. 

Pergamena  larga  centim.  36,  lunga  43  ;  mac- 
chiata leggerinente  in  piti  luoghi;  con  fori  e 
strappi  piti  o  meno  grandi  nelle  vecchie  pie- 
gature ,  dai  quali  ha  ricevuto  detrimento  la 
scrittura.  Nella  parte  superiore  ,  dal  lato  de- 
stro di  chi  legge,  vedesi  riappiccato  un  pez- 
zetto di  pergamena,  per  l'altezza  dei  primi  otto 
versi .  senza  che  la  scrittura  ne  sia  punto  dan- 


XVII 

neggiata.  La  lettera  è  autografa,  come  la  pre- 
cedente ;  scritta  tutta  in  una  faccia,  con  a  ter- 
go l'indirizzo  e  il  solito  segno  mercantile  della 
compagnia. 

Questa  pergamena  è  appartenuta  un  tempo 
air  Archivio  della  Consorteria  Piccolomixba  , 
di  Siena,  dov'era  inserita,  sotto  il  n.  96,  iu 
un  volume  che  faceva  seguito  ai  libri  (tetti  Me- 
moriali Ficcolominei  :  indi  ne  trasse  Uberto 
Benvoglienti  la  copia  che  si  legge  a  e.  113  del 
codice  B.  VI.  IS  della  Biblioteca  comunale  se- 
nese. Ultimamente  la  possedeva  il  signor  Pie- 
tro BiGAZZi  di  Firenze:  dagli  eredi  del  quale 
l'ha  ora  acquistata  la  R.  Soprintendenza  agli 
Archivi  toscani. 

Vili.  Lettera  di  Andrea  de'Toloraeì, 
da  Bar-sur-Aiibe ,  a  raesser  Tolomeo  e  a- 
gli  altri  compagni  de'Tolomei,  al  Castello 
della  Pieve.  Scritta  nel  marzo  del  1269. 

L'originale  di  questa  lettera,  fino  ai  tempi 
di  Giovanni  Pecci,  erudito  senese,  s'è  con- 
servato tra  le  pergamene  del  Convento  di  San 
Francesco  di  Siena.  Oggi  è  perduto;  ma  n'è 
copia  di  mano  del  Pecci  medesimo,  a  pag.  79-80 
di  un  volume  intitolato:  Compendio  dei  contraili 
esistenti  nelV  Archivio  dei  FP.  Minori  Conven- 
tuali di  S.  Francesco  di  Siena,  fallo  da  me  Gio- 
vanni Fecci  quest' anno  1731;  esistente  nella  li- 
breria del  R.  Archivio  di  Stato  in  Siena.  Secondo 
questa  copia  è  condotta  la  presente  stampa. 
Abbiamo  assegnato  a  questa  lettera  la  data  del 
marzo  per  la  doppia  considerazione  che  la  fiera 


XVIII 

'li  liar-siii-Aubf'  cominciava  a  mezza  quaresima, 

I'  ch(>  iii'l  U'O',)  la  pas(iua  cadeva  il  21  di 'marzo. 

IX.  Lettn-a  di  Manno  e  Pane  dogli 
Squarcialupi,  e  d'Alighieri  loro  compa- 
gno, da  Siena,  a  Ghozzo  e  Oddo  degli 
Squarcialupi,  in  Francia.  Scritta  nel  1283. 

Documento  di  due  carte  barnhagine,  larghe 
centim.  24,  lunghe  31;  la  prima  delle  quali  è 
scritta  da  due  facce,  l'altra  è  all'atto  bianca  ; 
assai  guaste  dall'umidità.  La  lettera  è  tutta 
di  mano  d'Alighieri,  che  lo  dichiara  espres- 
samente nella  sua  sottoscrizione,  colle  parole 
0  e  perciò  v'  abo  iscrito  di  mia  mano  ».  (Correg- 
giamo qui  subito  l'erronea  lezione,  fi  abo  i- 
scrilo,  adottata  nella  stampa  di  (juesta  lettera, 
a  [lagina  6'.^}. 

Di  iiroprietà  del  signor  Git^seppe  Porri  di 
Siena.  Sta  nella  filza  1  della  sua  preziosa  Col- 
Ifzitme   il"  Autogr;itì. 

X.  Lettera  di  lacomo  de'Sansedoni,  da 
Siena,  a  Goro  e  Gonteruccio  de'Sansedoni, 
in  Parigi.  Scritta  il  dì  8  di  marzo  1293. 

Carta  bamljagina,  larga  rentiin.  2-1,  lunga 
3?;  lacera  nelle  piegature  e  macchiata.  11  testo 
della  lettera  è  tutto  in  una  faccia.  .\.  tergo,  è 
l'indirizzo,  collo  stemma  de'Sansedoni ,  con- 
trassegno della  compagnia,  appena  visibile. 
Autografa. 

Ni>ir  An-hivio  di  famiglia  del  sig.  .\les- 
sANimo  l'r((i-S\NsKi>ONi  <li  Siena. 


XIX 
APPENDICE. 

1.  Lettera  di  Guccio  e  Francesco  de'  San- 
sedoni,  da  Parigi,  a  Goro  e  Gontieri  de'  San- 
sedoni,  in  Siena.  Spedita  il  17  di  giugno 
1305. 

Documento  di  due  carte  bambagine  ;  la  pri- 
ma deUe  quali  è  larga  centim.  23,  lunga  32;  la 
seconda  è  tagliata  nella  parte  inferiore,  e  re- 
sta lunga  21  centimetri,  ma  la  mutilazione  non 
ha  nociuto  all'interezza  della  lettera.  Ha  mac- 
chie in  piti  luoghi,  senza  danno  della  scrittura; 
in  altri  bensì,  questa  è  affatto  estinta  per  con- 
sunzione della  carta.  La  e.  1  retto  e  tergo,  e  la 
e.  2  retto  contengono  il  testo  della  lettera:  a 
e.  2  tergo  è  l'indirizzo,  l'annotazione  dell'ar- 
rivo in  Siena,  e  il  solito  segno  mercantile.  K 
scrittura  d'una  sola  mano  (fatta  eccezione,  ben 
s'intende,  dell'annotazione  precitata),  minuta, 
regolare,  ma  non  sempre  corretta. 

Neil'  Arch.  detto. 

II.  Lettera  di  Pepo  de'Sansedoni,  da 
Bar-sur-Aube ,  a  messer  Goro,  Gontieri, 
Guccio  e  agli  altri  compagni  de'Sanse- 
doni, in  Siena.  Scritta  il  29  aprile  1311. 

Carta  bambagina,  larga  centim.  23,  lunga  18: 
lacera  nelle  piegature  e  macchiata.  Il  testo 
della  lettera,  di  mano  di  Pepo,  è  tutto  in  una  fac- 
cia. A  tergo  è  il  poscritto  di  Guccio  e  Gontieri  ;  i 
quali  andando  in  Francia,  incontrarono  in  Susa, 
a  di  8  di  maggio  1311,  il  Camuso  portatore  di 
questb.  lettera;  e  avendola  aperta  e  letta,  v'ag- 


XX 

giunsero  poche  parole  (scritte,  a  quanto  si  de- 
sume, (la  Gucoio),  per  darne  notizia  ai  loro  com- 
pagni rimasti  in  Siena;  e  quindi  risuggellatala, 
la  riconsegnarono  al  inesso.  Si  noti  che  que- 
sto poscritto  s'estende  per  tutta  ìx  larghezza 
della  carta,  nell'estremità  superiore  della  me- 
desima ,  per  modo  che  ripiegandola,  al  modo 
solito  delle  lettere,  lo  scritto  viene  nell'inter- 
no, rimanendo  al  di  fuori  unicamente  il  primi- 
tivo indirizzo  fatto  da  Pepo,  e  il  solito  segno 
mercantile. 

Nell'Arch.  detto. 

HI.  Lettera  di  Gontieri  de'Sansedoni, 
di  Francia,  a  messer  Goro  de'Sansedoni, 
in  Siena.  Scritta  il  27  di  marzo,  senza  data 
d' anno. 

Carta  bambagina,  larga  centim.  24,  lunga  2(3; 
macchiata  in  piti  luoghi,  in  altri  consunta.  È 
scritta  da  tutte  e  due  le  facce:  e  l'indirizzo, 
in  basso  della  seconda  faccia,  è  quasi  affatto 
estinto.  La  forma  della  scrittura,  grave  e  ine- 
legante, confrontata  con  altri  documenti  di  data 
certa,  ci  fa  ritenere  che  questa  lettera  appar- 
tenga alla  prima  metà  del  secolo  xiv. 

Neil'  Arch.  detto. 

IV.  Lettera  di  Gonternccio  de'  Sanse- 
doni,  da  Parigi,  a  Goro  de'Sansedoni,  in 
Siena.  Spedita  il  7  di  novembre,  senza 
data  d' anno. 

Carta  bambagina,  larga  centim  24,  lunga  14; 
ben  conservata,  salvo  qualche  foro  di  tanna. 
11  testo   della  lettera  è  tutto  in  una  faccia:  a 


XXI 

tergo,  è  l'indirizzo.  La  forma  della  scrittura^ 
grossa  e  tendente   all'  angoloso,   rivela   spic- 
catamente il  secolo  XTv. 
Neil"  Arch.  detto. 

DOCUMENTI. 

I.  Deliberazione  del  Consiglio  generale 
della  Campana  di  Siena,  per  la  quale  Ar- 
rigo Accatapane  e  Aldobrandino  C4onzo- 
lino  vengono  eletti  sindaci  a  fare  condotte 
di  soldati  per  il  comune  di  Siena.  Fatta  il 
22  settembre  1253. 

Copia  sincrona. 

Nel  R.  .\RCiiivio  DI  Stato  in  Siena.  I^erga- 
mene  provenienti  dall'  Archivio  generale  dei 
Contratti,  ad  annum. 

II.  Carta  di  patti  tra  Arrigo  Accatta- 
pane, sindaco  del  comune  di  Siena,  e  due 
capitani  di  compagnie  stipendiate.  Fatta 
in  Spoleto,  il  27  settembre  1253. 

Originale. 

Nell'Arch.  detto.  Serie  detta. 

III.  Lettera  di  papa  Urbano  IV  alla 
regina  d' Inghilterra  (Eleonora,  moglie 
d'Enrico  III),  per  raccomandarle  alcuni 
mercanti  senesi  guelfi.  Data  d'  Orvieto , 
ni  febbraio  1263. 

Copia  del   secolo   xviii,  di  mano  di  Giovanni 
Pecci. 


xxu 

Nell'Arch.  dello.  Volume  iiilìtolato  Compen- 
dio de  conlratU  ec.  (cilato  nell'illustrazione 
della  Ietterò,  vili),  a  e.  05-06. 

IV.  Istanza  di  Guccio  de'  Kenaldini  ai 
Signori  Nove  goveniatari  e  difensori  di 
Siena,  per  ottenere  il  risarcimento  de'dan- 
ni  da  lui  soiTorti  in  una  mischia  sostenuta 
in  servizio  ddl  comune  di  Siena.  Appro- 
vata nel  Consiglio  generale  della  Cam- 
pana, il  29  ottobre  1298. 

Scritta  di  mano  di  Duccio  d'Arrigo  da  San- 
gimignano,  notaro  delle  Riforinagioni  di  Siena. 

Neir  Arch.  detto.  Deliberazioni  del  Consiglio 
della  Caiii|iairi,  tomo  .51,  a  e.  74. 

V.  Privilegio  di  Carlo  I  re  di  Sicilia, 
in  favore  di  Pietro  Tolomei.  Dato  dal  Cam- 
pidoglio, il  29  settembre  1268. 

Originale. 

Nell'Archivio  di  famiglia  del  sig.  conte  Bbr- 
N.VRDO  ToLOMKi  di  Siena.  Pergamene:  n.  19. 

VI.  Contratto  di  società  tra  Francesco 
di  Sozzo  de'Tolomei.  Mannuccio  Gregori 
e  Andrea  di  Pietro  da  Melianda. 

Pergamena  originale,  di  quelle  che  chia- 
niansi  partite  per  alfabeto.  11  margine  supe- 
riore e  l'inferiore  di  questa  carta  sono  tagliati 
in  forma  di  denti  o  triangoli;  o  nel  primo  sono 
tracciate,  in  forma  onciale,  le  lettere  .\  ad  I  : 


XXIII 

nel  sf  conilo  le  lettore  K  a  T.  Ciò  serve  di  con- 
ferma e  di  spiegazione  a  quanto  è  scritto  nel  do- 
cumento :  che  ,  cioè  ,  di  questo  contratto  furono 
fatti  originalmente  tre  autentici,  quanti  erano 
i  contraenti,  e  furono  scritti  tutti  e  tre  sopra  un 
sol  pezzo  di  pergamena,  o  sopra  piU  pezzi  cu- 
citi o  incollati  in  modo  da  forgiarne  un  solo. 
L'esemplare  rimastoci  è  quello  che  stava  nel 
mezzo,  da  cui  furono  staccati  gli  altri,  inscri- 
vendo sulla  linea  del  taglio,  per  contrassegno 
d'autenticità,  le  sopraccitate  lettere  dell'alfa- 
beto: si  desuine  poi  facilmente  ch'esso  appar- 
tenne ad  Andrea  da  Melianda,  dal  vedere  che  è 
scritto  e  sottoscritto  dagli  altri  due  contraenti. 
Nel  R.  Archivio  centrale  di  Stato  in  Fi- 
renze. Pergamene  di  regio  acquisto,  ad  annum. 


NOTIZIA    DI    ALCUNI   DOCUMENTI   INEDITI 

CITATI    h\    QUICSTO    VOLUMB. 

Oltre  le  cinque  lettere  Sansedoni  ,  da  noi 
pubblicate,  si  conserva  pure  presso  il  sig.  Ales- 
sandro Pucci  Sansedoni  il  frammento  d'un' al- 
tra lettera  di  due  carte  (con  tre  pagine  scritte), 
spedita  il  15  settembre  1298  da  Cardo  e  Biagio 
Sansedoni  a  Goro  Sansedoni  e  compagni.  La 
lunghezza  delle  due  carte,  integralmente  con- 
servata, è  di  centim.  32;  ma  l'una  e  l'altra  man- 
cano, per  quanto  sono  lunghe,  della  loro  metà 
esterna,  residuandosi  a  una  larghezza,  varia- 
bile irregolarmente  dai  IO  ai  15  centimetri;  di 
modo  che  ò  impossibile  trarne  alcun  senso. 
Ci  siamo  perciò  astenuti  dal  pubblicare  questo 
frammento,  ma  ce  ne  siamo  valsi  per  rindlc(! 


XXIV 

delle  parole  e  del  modi  notevoli  ;  distinguendo 
le  citazioni  che  si  riferiscono  al  medesimo, 
con  asterisco,  e  citandone  il  verso  secondo  la 
carta  originale. 

Il  testamento  di  Memiiio  di  Viviano  di  Gu- 
glielmo, citato  nelle  Annotazioni,  ha  la  data 
del  28  febbraio  1288;  ed  è  tutto  volgare,  ad  ec- 
cezione delle  formule  notarili  in  principio  e  in 
fine.  N'esistono  tre  copie  nel  R.  Archivio  di 
Stato  in  Siena;  due  delle  finali  provenienti 
dallo  Spedale  della  Scala,  la  terza  dal  con- 
vento di  S.  .agostino  di  Siena. 

I  Conti  di  Gentile  Ugolini  si  conservano,  in 
originale,  neir  Archivio  dell'Opera  del  Duomo 
di  Siena;  i  Conti  di  Salimbene  .\lessi,  nell'Ar- 
chivio generale  dei  Contratti  di  Siena.  Per 
l'uno  e  per  l'altro,  ci  siamo  valsi  delle  dili- 
gentissime  copie  di  mano  dei  signori  conte  Sci- 
pione Borghesi  e  cavaliere  Gaetano  Milanesi  ; 
alla  cortesia  dei  quali  abbiamo  questo  e  pia  al- 
tri obblighi.  I  Conti  di  Luca  Buonsignori  ab- 
biamo copiati  noi  stessi  dalla  pergamena  ori- 
ginale esistente  nel  R.  Archivio  di  Stato  in 
Siena,  tra  le  provenienti  dal  convento  di  San 
Francesco.  Questi  Conti  mercantili  ,  dei  quali 
ci  siamo  più  volte  valsi  nelle  Annotazioni,  u- 
niti  ad  altri,  dello  stesso  secolo  xiii,  editi  ed 
inediti ,  potranno  forse  dar  materia  per  un  al- 
tro volume  simile  al  presente. 


LETTERE  VOLGARI 


SECOLO  XIII. 


I. 

1253 


Domino  Kugeri  de  Bangnuolo,  '  per  la 
grazia  di  Dio  e  di  domino  re  Currado,  ca- 
pitano di  popolo  di  Siena  e  del  comune  ; 
Tuto  Arigo  Acatapane  vi  si  manda  raco- 
mandando.  Contio  sia  a  voi  che  Gerardone 
e  Angnelone  di  Spoleto  che  vi  recha  che- 
sta  letera;  io  di  loro  vi  foe  -  molte  grazie, 
di  molto  onore  e  di  molto  servizio  il  quale 
elli  m' àn  ^  fato,  per  avere  i  cavaieri  di  Spo- 
leto e  de  la  contrada,  che  vengono  al  no- 
stro servizio.  Sapiate  ch'ellino  sì  vi  s'a- 
doperaro,  in  ciò  ch'ellino  poterò  di  buono, 
perchè  noi  li  avesimo:  inperò  vo' mando 
pregando  che  vo'  s'i  ringraziate  *  se  voi 
piace. 

1  Baniruolo.    "-  foa.     -^  a.     ^  riirraziati? . 


4 

Contio  sia  a  voi  che  i  cavaieri  che  veii- 
iifoiio  di  Spuhitu  sì  riono  pagati  primo  moso. 
Doi  ([nali  anno  nome  sere  André  e  Kadi- 
cone  soio  filio,  e  Politio  di  Pahniero,  e 
Tristanoto,  e  Tomassone  di  Simo,  o  Gio- 
vaneto  di  sere  Andrea,  e  Tomasone  di  se- 
re Andrea,  e  Simoneto  di  sere  Andrea,  e 
Francescono  di  Palmiere:  tuti  chesti  sì 
ano  due  cavalli;  però  ellino  deono  venire 
con  buoni  cavalli,  e  bene  annati,  sì  che 
voi  deono  piacere.  Le  carte  dei  pati  io  no 
vi  poso  mandare  perchè  no  sono  anco  fate. 
Anco  sapiate,  che  vi  viene  cho  lloro 
uno  fante  con  uno  cavallo,  che  non  è  pa- 
g-ato;  e  disc  che  aveva  bono  cavallo,  ed 
era  bene  armato:  perrò  sì  riceverete,  se 
voi  piacerà:  et  à  nomo  Giovaneto. 

[Fuori]  A  domino  Rugieri  da  Ban- 
gnuolo,  •  capitano  del  popolo  di  Siena. 

IL 

[12531 

A  voi,  mesere  llugieri  de  Bangnuolo, 
per  la  grazia  di  Dio  e  di  domino  re  Cur- 
rado, caiiitano  del  cumune  di  Siena;  Tutu 

1  Haiiijuoli). 


Arigo  Acatapane  vi  si  manda  '  racomaii- 
daiido.  Contio  vo'sia  che  io  sì  sono  in  Pero- 
scia,  0  gionsivi  2  giovidi  due  dio  entrante 
otobre,  con  una  grande  quantitae  di  ca- 
vaieri  de  la  valle  di  Spuleto  e  de  le  con- 
trade di  lagiuso:  e  quand'io  gionsiin 
Peroscia,  sì  vi  trovai  Aldobrandino  Gon- 
zolino.  Unde  sapiate  che  io  me  ne  voleva 
venire  coi  detti  cavaieri,  per  chello  che  io 
voleva  esere  in  Siena  co  lloro  innanzi  ^ 
voi,  per  vedervi,  •*  e  perchè  voi  intende- 
ste i  patti  che  sono  dame  e  da  lloro,  anzi 
eh'  ellino  si  scrivesero  :  i  quali  pati  apa- 
iono per  carta  per  mano  di  notaio.  Unde 
vo'  facio  contio,  che  i  pati  sono  cotali: 
Ch'  olino  vi  deono  servire  a  vostra  volon- 
tà, di  dì  e  di  note,  con  buoni  cavalli  idoni 
di  trenta  1.  e  di  più,  e  bene  armati,  come 
cavaieri:  e  anno  impromeso  s'elli  veràneu- 
no  che  no  vi  piacia,  ch'eli  vi  deano  satis- 
fare; s  e  di  chello  avemo  di  catauno  buone 
ricolte;  e  rendere  i  denari,  co  la  pena  del 
dopio.  Inperò  vo' facio  contio  che  io  me  ne 
sorci  volontieri  venuto  co  lloro  :  m' Aldo- 
brandino Gonzolino  sì  mi  disc  da  vostra 
parte  clic  io  no  mi  partise  di  Peroscia, 

I  ma.    2  L'iosivi.     ^  iunazi.    4  vcderri.  5  sa- 
li taro. 


6 

anzi  vi  rinuuicsc,  por  pagare  i  cavaiori  ili 
Peroscia  e  altri  cavaieri  de  la  contrada; 
e  disemi  che  a  llui  conveniva  andare  a 
Cortona,  per  fare  la  sicurtà  ai  cavaieri  di 
Cortona:  und'io,  volendo  obedire,  si  ci 
sono  rimaso.  E  stando  ine,  in  Peroscia, 
il  deto  giovidì  a  sera,  sì  ci  gionsero  ^  an- 
bascidori  ^  di  Radicofano,  c'andavano  a 
domino  papa,  a  cascione  de  la  preda  che 
tolta  l'avete. Incontenente  si  feci  un  ^  mes- 
so, e  manda'lo  ■*  la  note  a  Buonifazio  ad 
Asisi,  e  manda'lili  dicendo,  perch'elli  ne 
fusse  più  savio  e  avesevi  pensato,  che  da 
fare  ne  fuse ,  anzi  che  Igl'  anbasciadori  •"' 
giongnessero  innanzi  "  domino  papa. 

Chesti  di  soto  sono  i  nomi  dei  cavaieri 
che  v'  ò  mandato  e  che  vi  mando. 

Bartaloto  di  domino  Simone. 
Gentilone  soio  frate. 
Lambrutolo  d'Iacomo. 
Passcuali  Giovani. 
Girardone  di  domino  Giliberto. 
Mercatone  di  dona  Bruna. 
Pavolo  Masei. 


1  i;iosei'0.      -  abascidoi'i.      ■'*  u.      '   iium- 
"landalo.     ■>  aliasuiadori.     ''  iiinazi. 


Gervaloto  suio  filio. 
Angelo  di  Vetulutia. 
Tomasoiie  di  Simo. 
Lallo  di  Biascio. 
Giovaneto  di  sere  Andrea. 
Simone  di  sere  Abadengo. 
Tomasio  di  Tedeo. 
Sere  Gentile  d'Ancaiano. 
Andriuolo  solo  filio. 
Albericone  di  sere  Berardo, 
lacomo  Famegluolo. 
lacomo  di  sere  Eugieri. 
Gilone  di  Filipo. 
Barba  di  sere  Andrea. 
Grigoretto  di  ser  lacomo. 
Sere  Dono  di  Simo. 
Rubertone  solo  filio. 
Sere  Filipo  d'Alberico. 
Eanuceto  di  sere  Filipo. 

Tuti  chesti  1  sono  di  Spoleto.  - 

Petrone  di  Chiarignana. 
Gualtieri  solo  fratello 

1  che.  2  I  nomi  dei  cavalieri  nelV  originale 
sono  sci-itti  in  quattro  colonne;  e  a  pie  della  pri- 
ma, della  seconda  e  della  terza,  si  legge  quest'an- 
notazione, che  abbiamo  fedelmente  riferita,  cia- 
scuna volta,  al  proprio  luogo- 


Bertolditto  di  sere  Burollo. 
Lanciere  da  Petrolio. 
Pilipo  di  Gionta. 
Massalonc  d'Angelo. 
Paoletto  di  sere  Giovanni, 
lacomo  Gualtieri. 
Lucarone  di  lacomo. 
Arigetto  di  sor  lacomo. 
Sere  Giovani.  ' 
lacomo  della  Sculgola. 
Tomasone  solo  filio. 
Sere  Tomasso  Giovani  Ranieri. 
Grigoreto  solo  filio. 
Sor  lacomo  di  Chiarignana. 
Monaldo  di  sere  dirado  d'Alici, 
lacomo  Tomasso  di  Chiarignana. 
Simoneto  di  Buonavontura. 
Mansareto  di  Monsenese. 
Arientono  di  Buonaguida. 
Sor  lacomo  di  Paganello. 
Giovanni  de  la  Fonte. 
Angeleto  di  sor  lacomo. 
Angelo  di  Giovani. 
Giovaneto  di  Simone. 
Ginnta  frate  suo. 


1  Nell'interlinea^  sopra  queslu  nome  e  acrillc 
HfMialdn. 


Lonardone  di  Giovani. 
Lonardone  di  Giordani. 

Tuti  clicsti  sono  di  Spuleto. 

Bartalone  di  sere  Girardo. 

Sere  Andrea  di  Palmiere. 

Kadicone  soio  filio. 

Paulino  di  Palmiere. 

Tristaneto  Venceguera. 

Tomaso  d'Ancliaiano. 

luliano  d' lacomo. 

Kenaldo  Carbone. 

Tomasone  di  Nanna. 

Filipo  di  sere  Renalduciu. 

Monaldo  Palmiere. 

Domino  Simone  di  Simone  di  Beraldo 

Tomaso  di  Nicola. 

Pavoleto  di  Filipo. 

Istorione  Giravaldo. 

Gulglemeto  frate  suo. 

Manetone  di  sere  Kaneri. 

Pavolo  Transerigo. 

Gilone  frate  suo. 

Pavolo  di  Eenaldo. 

Giovani  Buonagionta. 

Marcono  di  Giovani. 

Francescone  di  Palmiere. 

Giovancto  di  Pavolo. 


10 

Frate  Filipo  di  Giuliana  di  Beno. 

Marcone  di  Tomasso. 

Iscorna  domini  lacomi  di  Montcfalco. 

Petrucio  domini  Giovani. 

Porcello  da  Piagenza. 

Sere  Naldo  di  Bovaciano. 

Cristiano  di  Bartalo. 

Filipo  di  sere  Maseo  da  Barota. 

Tuti  chesti  sono  di  Spuleto. 

Gileto  di  sere  Maseo  da  Baroita. 

Pavoleto  di  sere  Filipo. 

Petrucio  di  sere  Giovani. 

Lancetto  di  Fazio. 

Sinibaldo  Giovani  di  Gavelli. 

Gilone  di  Tomasone  Lusdunaio. 

Simarone  di  Manovello. 

Eenaldeto  di  sere  lacomino  di  Bonisegna. 

Francescone  d' Andrea. 

Tomaso  Mafei. 

Renalducio  di  sere  Andrea. 

Grimaldo  di  Manente. 

Petrucio  d' Alberucio. 

Massarone  di  sere  Iscorna. 

Nicola  d' Atto. 

Buonconte  di  Gualtieri  da  Maciarino. 

Gianni  domini  Gentili  da  Montecilli. 

Gentile  solo  fratelo. 


11 

Domiiiu  Alberico  da  Chiariugiiaua. 

Andrione  solo  nipote. 

Angolo  di  Favolfo. 

Andrea  di  Eenaldo. 

Simoneto  domini  Odo  da  Castelo  do  Lago. 

Tedeo  di  Tedeaso. 

Gileto  di  Marione  di  Mafeo. 

Gisalenzo  di  Pietra. 

Giovanneto  di  Stefano  di  Giovani. 

Petriano  di  Marentone  di  Manente. 

Penna  d'Andrea. 

III. 

[12531 

§.  Viro  e  nobile  domino  domino  Kuge- 
rio  de  Bagnolo,  per  la  grazia  di  Dio  e  de 
re  Churado,  chapitano  del  popolo  e  del 
comune  di  Siena;  Arigo  Achatapane  e  Al- 
dobrandino lachomi,  sindachi  del  comune 
apo  Perogia,  ^  vo'  si  mandano  racoman- 
dando.  E  contio  vo'  sia  che  Aldobrandino 
pagò  in  '  Cortona  Ixij  chavalieri,  i  quali 
mosero  per  venire  a  Siena  lunidì  a  terza, 
sei  dì  entrante  ^  otobre;  le  nomina  dei 
quali  i'  ò  iscriti  per  carta,  e  per  carta  la 
paga  che  l'è  fata;  intra  ■*  i  quali  die' avere 

1  Pcroija.     2  i.     3  fUrate.    *  itru. 


12 

trenta  '  (ì  sei  chavalieri  a  chavali  coverti, 
0  li  atri  sono  a  un  2  chavallo;  e  debono 
osare  armati  di  tute  arme. 

E  sapiate  che  vo'mandamo  cinque  cha- 
valieri, e'  quali  Arigo  à  fata  paga  in  Pc- 
rogia,  3  sicom'  oli  à  iscrito,  dei  quali  ne 
sono  i  due  a  due  chavalli,  0  li  atri  sono 
chon  uno;  ed  à  dati  a  quelino  ched  ano  i 
due  chavali,  iij  lire  per  uno,  ed  a  quelli 
chon  uno  chavallo,  xl  soldi  per  uno:  i  quali 
chavalieri  mandò  *  Pelegrino  Martino. 

[Fitoì'i]  Domino  Eugieri  di  Bangnuolo, 
por  la  grazia  di  Dio,  chapitano  del  popolo 
di  Siena. 

IV. 

il253j 

§.  Nobile  prudenti  viro,  domino  Ruge- 
rio  de  Bagnolo,  capitanoo  del  popolo  e  del 
comune  di  Siena;  Aldobrandino,  sindaco  ^ 
del  comune ,  vo'  si  manda  racomandando. 
V'oco  Odo  di  Kanieri  da  Fatala  e  Ventura  '"■ 
di  Kamondino  da  Patalla,  che  '  debino 
servire  il  comune  co  quatro  chavali,  0 
sono  buoni;   ed  avoli  iscriti  od  avòveli 

1  tre  tu.  2  u.  :J  Perora.  4  Madu.  5Sidaco. 
<•  Vetura.     "^  ce. 


13 

mandati  por  chela  '  iscrita  eh' A  ^  vonu- 
tave;  ai  quali  noi  ave  dati  xv  1.,  tr' am- 
boduni,  3  0  altretanto  ne  detaono  avere:  ini 
perciò  ■*  lo'  lo  date. 

\Fuori\  §.  A  domino  Rugcrio  de  Ba- 
gnollo. 

V. 

[1260] 

§.  In  nomine  Domini,  ame[n.  Eespo]n- 
sione  de  lo  Iettare  di  Francia  del  primo 
messo  de  la  fiera  di  Provino  di  mag-gio , 
anno  mille  dugento  sesanta.  lachomo  Gui- 
di Chaciaconti;  lacomo  e  Giovanni  di ■' 

gli  altri  chonpangni  ti  salutano.  E  facènti 
asapere  che  noi  avemo  bene  le  Iettare,  che 
tu  ne  mandasti  per  lo  messo  de  la  mer- 
chantia  de  la  sopradetta  fiera  di  Provino 
di  maggio  del  detto  [ajnno;  e  per  esse  Iet- 
tare intendemo  bene  ciò  che  tu  ne  manda- 
sti dicendo,  e  adoparène  bene  in  ciò  che 
a  noi  sarà  da  aoparare  chagiuso.  Per  la 
quale  chosa  ti  pregiamo  te ,  che  tu  istiei 
inteso  e  siei  solecido  a  fare  e  adoparare  be- 
ne ciò  che  tu  ài  a  fare;  e  spicialemenfteì , 

1  cela.     2  00.     ■'  abeduni      4  porco.     ^'  V    le. 
annolazioni- 


14 

ti  pregamo  che  tu  abi  guardia  a  jnettare  e 
a  prestare  cliello  che  ài  intra  le  mani,  e  che 
ti  vera  per  innanzi,  in  buoni  pagatori  e  in 
sichuri,  si  perchè  noi  i  posiamo  riavere 
a  tutte  lo  stagioni  che  mistiere  ne  fusse, 
e  che  noi  e'  rivolcsimo  :  e  di  ciò  fare  chia- 
mamo  merciede  a  Dio  nostro  signiore,  che 
ti  dia  grazia  di  sì  farlo,  che  sia  onore  de 
la  tua  persona,  e  la  conpangnia  se  ne  ri- 
truovi  in  buono  istà.  Amen. 

Sappi,  lacomo,  che  noi  iscrivaremo 
bene  ciò  che  noi  avaremo  a  scrivare ,  '  e 
spicialemente  chello  che  tu  ne  man  darai 
dicendo  per  tualettara,  sichome  de' tuoi 
auti  e  de' tuoi  renduti,  e  le  prestanze  le 
quali  tu  farai;  sichome  tu  nel  mandarai  di- 
cendo per  tua  lettara  ^  per  ciascuna  fiera, 
chosì  per  ciascuna  fiera  li  scrivaremo  ^  o 
metaremo  nel  nostro  libro;  li  auti  poremo 
a' tuoi  auti,  e'renduti  peremo  a' tuoi  aren- 
duti,  e  le  prestanze  iscrivaremo  ^  ale  pre- 
stanze, sichome  avemo  chostumato  di  fare 
da  chi  indietro.  Perciò  neuno  denaio,  che 
tu  richolgi  0  che  ti  venga  a  le  mani,  quan- 

1  scivnre.  2  Abbiamo  qui  espunto  un  eh, 
parola  non  finita,  perclié  riconosciuta  superflua 
dallo  slesso  scrivente,  ma  poi,  per  dimenticanza, 
non  cassata.    •'  scivan-iiio.    -i  iscivaremo. 


15 

do  tu  cft  l'ai  mandato  dicendo  una  volta 
per  tua  Iettava,  che  tu  non  cel  mandi  di- 
cendo più;  perciò  che,  sì  tosto  chome  tu  ne 
l'ai  mandato  dicendo,  chosì  tosto  i  mete- 
mo,  chelli  che  tu  ne  mandi  per  auti,  agli 
auti,  e'renduti  ponemo  a'renduti,  ^  e  le 
prestanze  a  le  prestanze  ;  e  chosi  facemo 
per  ciascuna  lettara.  Perciò,  se  tu  nel 
mandasi  dicendo  per  piiì  d'una  lettara, 
vedi  che  no  sarebe  buona  opera;  che  per 
quante  volte  tu  mei  mandasi  dicendo ,  per 
tante  volte  el  metaremo  ne  libro,  a  chello 
modo  che  noi  tenemo.  Perciò  si  te  ne  guar- 
da. E  ciò  ti  dicemo  per  le  tre  li.  di  prove- 
sini,  che  ne  sostene  Testa  Tebaldi  e  dà 
Tederigo  Lei;  che  ne  ricevesti  trenta  « 
quatro  soldi  meno  quatro.  d.,  e  à'melo 
mandato  dicendo  per  parechie  Iettare;  che, 
se  no  se  ne  fusimo  rachordati  avanteli  ^ 
mesi  una  volta  a'  tuoi  auti ,  sì  si  sarebero 
messi  un'  altra.  Perciò  te  ne  guarda,  di  no 
mandamelo  dicendo  per  più  d'una  volta. 
•  E  chome  ti  mandamo  dicendo  per  l' al- 
tra lettera ,  chosì  ti  dicemo  in  chesta  che 
tu  no  ti  m[arav]igli  perchi"'  noi  abiamo 
venduti  provesini  e  vendiamo:  chA  sapi, 

1  roveiKlviti.    2  avuteli. 


16 

lachomojChL'  noi  senio  ing|ran|(lo  dispc- 
sa  0  in  forando  faconda,  a  cliapfiono  de  la 
guerra  che  noi  avomo  chon  Fiorenza.  E 
sapi  che  a  noi  pur  chonviene  '  avere  de' de- 
nari per  dispendare  e  per  tare  la  guera; 
onde  noi  vedemo  che  noi  no  potemo  avere 
denari  da  neuna  parte  che  sia  meglio  per 
noi,  che  a  vendare  provesini.  E  se  tu  voli 
diciare  che  noi  togliamo  in  presta  cha- 
giuso,  non  è  buono  per  noi:  che  sapi  eh' e' 
denari  ci  sono  valuti,  da  uno  merchatante 
ad  altro,  cinque  d.  e  sei  libra,  e  altri  che 
no  siano  merch [atlanti  sono  valuti  diece 
d.  e  dodici  in  chorsa,  et  [anc]ho  sono  in 
chello  istato:  or  vedfi  ch]e  ['np]rontare 
avemo  noi  chagiuso.  Perciò  no  ti  spiacia, 
perchè  noi  vendiamo  provesini,  che  noi 
amamo  meglio  di  stare  in  devito  in  Fran- 
cia, che  noi  non  amamo  di  starene  cha- 
giuso in  devito ,  ni'  di  vendare  isterlino  : 
inperciò  che  vale  troppo  meglio  per  noi, 
avendoli  noi  a  chello  costo  i  provesini  che 
tu  li  ài  ogi,  che  no  varebe  a  vendare  lo 
sterlino,  né  a'nprontare  chagiuso:  perciò 
che  )ioi  tr[a]emo  più  utulità  d'Ingilter- 
ra,  che  noi  no  faromo  di  Francia;  e  a  tolarc 

1   rhovimii». 


17 

in  presta  ogi  chagiuso,  sarobe  più  p1  cho- 
sto  che  noi  daremo ,  che  no  sarebe  el  prò 
che  noi  n'avesimo  in  Francia.  Perciò  ti 
piacia  ciò  che  noi  faenio,  e  no  te  no  mara- 
vigliare neente.  E  sapi,  lacliomo,  che  se 
nel  paese  di  Francia  si  guadagnase  mel- 
glio  che  no  vi  si  può  guadagniare  ogi,  noi 
faremo  bene  sichorae  tu  avaresti  de'  pro- 
vesini  asai,  sì  che  tu  potresti  avere  bene 
chello  achontio  che  tu  volessi ,  e  del  gua- 
dagnio  che  si  facese  nel  paese  avaremo 
bene  la  parte  nostra  :  e  di  ciò  ista'  ardita- 
mente. 

E  intendemo  da  te  per  la  tua  lettera, 
chome  eri  istato,  sanza  Talomeo  Pelacha- 
ne  e  chon  Talomeo  Pelachane.  dinanzi  '  dal 
diano  di  Sa'  Stefano  di  Tresi,  per  lo  fatto 
di  Leon  so  Eodano,  e  chome  favolaste  e 
ragionaste  asai  chol  pruchuratore  del  det- 
to arcivescovo  di  Leon  so  Eodano,  e  cho 
lui  no  poteste  trare  né  capo  né  achordo 
neuno,  che  buono  fasse  per  noi;  né  no'  po- 
tavate trare ,  se  noi  no  vi  mandasimo  let- 
tara  da  chorte  di  papa  sopra  a  Dui.  Unde 
sapiate  che  noi  avemo  anta  tanta  briga, 
e  avemo,  a  chagione  de  la  guorra  e  di  fare 

1  cliiiazì. 


18 

osto  ('  cliavalchato ,  elio  noi  no  v'aviaiiio 
ponto  intondare  per  averla  *  achatata:  nu- 
do sapi  ch(^ ,  si  tosto  cliome  noi  avaremo 
ispazio  di  potervi  intendare ,  ^  noi  v'  en- 
tondaremo,  o  procliaciaremo  sicliorae  voi 
r  avarete  la  detta  lettara  sopra  a  loro. 

E  ancho  intendemo  da  te  per  la  detta 
tua  lettara,  chonif^  tu  e  Talomoo  Pelaclia- 
ne  eravate  istati  a  Bonicho  Maniardi ,  e 
avàtali  detto  come  voi  volavate  andare  a 
Leona,  per  sapere  se  voi  poteste  trare  a- 
chordo  0  chapo  neuno  cho  lui;  e  el  detto 
Bonicho  vi  rispose  e  disse,  che  voi  anda- 
ste in  buonora,  che  egli  no  pagarebe  de  le 
spese  neuna  chosa,  se  Mino  Pieri  no  li  li 
mandasse  dicendo:  che  vi  disse  che  Mino 
no  ne  li  aveva  mandato  dicendo  neuna 
chosa.  Unde  noi  di  ciò  ne  maravigliamo, 
chonciò  fusse  chosa  che  noi  ne  fumo  in 
chonchordia  cho  Mino  Pieri  chagiuso,  e 
Mino  ne  disse  che  i  mandarebo  dicendo 
ch'elli  ne  pagase,  per  la  parte  sua,  ciò  che 
ne  tochase:  e  ^  noi  no  ne  poterne  per  che- 
sta  lettara  *  diciarten'  altro ,  perciò  che 
Mino  Pieri  ò  ne  l' oste  a  Montepulciano, 
quando  iscrivomo  chosta  lettera.  Per  l'al- 

1   ;tvc'la.     -   int^Midarvi.     '*  u.     ■'  letta. 


19 

tr(;  Iettare  ne  saremo  elio  lui;  e  s'eli  no 
li  l'avesse  mandato  dicendo,  si  diciaremo 
che  li  li  mandi  dice [n] do,  e  a  te  ne  divi- 
saremo  ciò  eh'  elli  ne  rispondarà. 

E  ancho  intendemo  da  te ,  per  una  tua 
cedola,  che  noi  dovesimo  pregare  Orlando 
Buonsigniore,  eh'  elli  dovesse  mandare  di- 
cendo a'  soi  chonpangni  di  chetesto  paese, 
che  quando  tu  volesi  inpronto  da'  soi  chon- 
pangni, eh' elino  tei  facesero,  ch(^  potrebe 
esare  grande  prò  di  noi.  Per  la  quale  cho- 
sa  ti  dicemo  chosì,  che  el  detto  Orrando 
Buonsigniore  non  era  a  Siena,  quando  che- 
sta  lettera  si  scrisse,  i  anzi  era  ne  l' oste  a 
Montepulciano  :  perciò ,  quando  egli  sarà 
tornato,  sì  saremo  a  llui,  e  richordarem- 
lili;  2  e  credemo  bene  eh' elli  ce  ne  farà  a 
piacere.  Sapi,  lachomo ,  che  io  Vincenti  si 
darò  sesanta  a  madonna  Pacina,  sichome 
tu  mi  mandasti  diciendo.  E  mandati  pre- 
gando Nicholò  di  domino  Nichela,  che  se 
tu  no  li  ài  venduto  el  suo  chrcivaldo  ^  de 
la  biffa,  che  tu  li  li  faci  vendare  per  lo  suo 
amore.  Egli  te  l'avarebe  mandato  dicendo 
per  sua  lettera,  s'eli  no  fusse  istato  ne 
l'oste  a  Montepulciano;  che  v'andò  anzi 

1   scisse.      2  richordai'plili.      3  Così   l'Origi- 
iinle.  V.  le  annolazioni. 


20 

clic  le  IcttiTL'  si  scrivcsfrc»,  '  (!  lìrcgònf  ine 
Vincfiiti  eli' io  tr'l  (lo[v]oso  iscrivare  -  in 
chesta  Icttara. 

E  anello  ti  facemo  asapere,  che  noi  a- 
viamo  venduti  cento  sei  li.  di  provesini  a 
lachamo  Ubertini  clianbiatore,  a  pagare 
ne  la  fiera  di  San  Giovanni,  anno  sesanta; 
e  vendemoli  a  razone  di  trenta  e  tre  s.  la 
dozina,  e  semne  ^  pagati.  Perciò  sì  i  paga- 
rai  a  Rinbotto  Buonaiuti  per  lui ,  a  sua  vo- 
lontà; e  quando  i  farai  el  pagamento,  sì 
ne  fa'  fare  la  scripta  *  ne  libro  di  Signiori 
de'  merchatanti ,  cliome  si  clmstuma  di 
fare. 

E  ancho  n'avemo  venduti  vinti  e  quatro 
li.  di  provesini  ad  Achorso  Guarguaglia  e 
a  sua  chonpangnia,  a  pagare  ne  la  detta 
fiera  di  San  Giovanni,  a  razone  di  trenta 
e  uno  la  dozina,  e  semone  pagati.  Perciò 
sì  i  paga  a  Grigorio  liigoli,  a  sua  volontà, 
per  la  detta  fiera;  e  quando  i  pagi,  sì  ne 
fa'  fare  la  scripta  ■''  ne  libro  di  Signiori 
de'mereliatanti  eliorae  si  cliustuma  di  fare. 

D'altra  parte  ti  volemo  fare  asapere 
di  clionvenentri  di  Toscana;  cliè  sapi,  la- 
ehomo,  |ehel  noi  sonio  ogi  in  grande  di- 

1  .sciv(!sero.     -  isrivaro.    ■'  seno,    -i  sciplii. 


21 

spesa  et  in  g-raiule  faconda,  a  cliagiune  de 
la  guerfra]  clie  noi  aveuio  chon  Fiorenza,  i 
E  sapi  die  a  noi  chostarà  asai  a  la  borsa; 
ma  Fiorenza  chonciaremo  n[oi]  sì,  che 
giamai  no  ce  ne  miraremo  drieto,  se  Dio 
di  male  guardia  messer  lo  re  Manfredi,  a 
chui  Idio  diavita,  amen.  Sappi ,  lacliomo , 
che  noi  avemo  guasto  tutto  Ciiolle  -  e  Mon- 
talcino  intorno,  e  a  Monte])ulciano  anda- 
mo  per  guastare;  unde  el  Montepulcianeso 
vide  che  noi  li  eravamo  indosso  e  guasta- 
vamlo,  3  inchominciò  a  tenere  mene  di 
choncia;  e  bastaro  le  mene  parechie  di,  e 
achordarsi  ■*  le  mene  in  chesto  modo:  ch'e- 
lino  dovevano  fare  la  fedeltà  di  messer  lo 
re  Manfredi  e  di  Siena;  e  di  giurare  la 
fedeltà,  ciascuno  di  Montepulciano ,  per 
bocca  a  uno  a  uno ,  da'  quatordici  anni 
insino  ^  a'setanta:  e  di  ciò  fare,  diserò  che 
ne  farebero  inprometere  al  chumune  di 
Perogia,  soto  certa  pena,  che  chelo  che 
ol  chomune  di  Montepulciano  n'  aveva 
inpromesso,  che  el  chomune  di  Perogia 
el  farebe  avere  rato  e  fermo ,  soto  chela 
pena  che  posta  era.  E  andò  la  detta 
choncia  chotanto  innanzi,  che  tuti  cheli 

1  Foreuza.     2  Cholte.     3  iruastuvalo.     4  a- 
chordasi.     5  isino. 


ili  Muiitepulciaiio  giuraro  la  fedeltà  dt-l 
detto  re,  a  uno  a  uno,  chome  ordinato 
era  di  fare,  da'quatordici  a'setanta  anni; 
e  bastare  a  fare  le  saramenta  parechie  dì. 
E  quando  ebero  facte  le  saramenta,  e  noi 
ce  ne  partimo  e  noi  guastarne  più  e  tor- 
namone  a  chasa.  E  venivanne  ^  pur  asai 
de' Montepulcianesi  in  Siena,  elio  loro 
merchantie  e  di  grano  e  di  vino,  ed  al- 
tre merchantie  s'aforivano  da  noi  a  loro;  - 
e  credeva  onnie  uomo  che  elino  fusero  no- 
stri amici.  E  stando  noi  intorno  di  quatro 
dì;  ed  elino  no  ne  mandaro  dicendo  che 
noi  andasimo  a  ricevare  la  promesione, 
eh'  elino  no  dovevano  fare  fare  al  chomu- 
ne  di  Perogia;  e  noi  faeemo  anbasciadore, 
e  mandamo  dicendo  eh'  elino  ne  facesero 
fare  chelo  ch'olino  n'avevano  inpromes- 
so. Ed  elino  risposero  ch'erano  istati  al 
chomune  di  Perogia,  e  avevanlolo  ^  messo 
innanzi  ;  "*  ed  elino  no  ne  lo  volsero  fare 
neente.  ^  Onde  noi,  odendo  chosì,  eredemo 
esare  inganati:  dimandamoli  istadichi, 
perdi'  elino  atenesero  ciò  eh'  avevano  in- 

i  venivane.  2  L'originale:  ed  altre  mer- 
chantie CHK  s'aferivano  da  noi  a  loro.  Quel  ch<' 
è  evidentemente  superfluo-  3  avevalolo.  •*  in- 
nazi.     j  neete. 


prumesso;  ed  olino  no  ne  volsero  fare 
neente.  Noi  in  cliesto  clionosciemo  la  loro 
male  incliorata,  e  eli' elino  l'avevano  fat- 
to por  clianpare  ^  el  guasto  eh'  eli  aveva- 
no, -  el  più  bello  eh' elino  avesero  poscia 
che  Montepulciano  fu  chastello.  Inchon- 
tanente  si  partì  el  chonte  Giordano  chon 
tuti  i  chavaieri  tedesci  e  senesi  e  col  ter- 
ziero  di  Cita,  e  andò  là  per  guastarlo,  e 
guastalo  onnie  dì;  e  tuttavolta  ano  mena 
di  chon  eia.  Che  si  sarà  per  innanzi,  noi 
no  sapemo  :  insino  ^  a  chi,  istà  chosì.  E  sapi 
che  ne  la  cita  di  Siena  sono  posti  otto- 
cento chavali  por  dare  morte  e  distrugi- 
mento  a  Fiorenza.  E  sapi  eh'  elino  ano  si 
grande  paura  di  noi  e  de' nostri  chavaieri , 
eh'  elino  si  sconpisciano  ^  tutti ,  e  non  a- 
spetano  in  neuna  parte  là  've  eglino  siano  : 
che  sapi ,  che  quando  noi  guastarao  Cholle, 
eglino  trasero  popolo  e  chavaieri  insino  ^ 
aBarbarino;  ma  venero  a  m[alo]ta,  che  ce 
n'  eravamo  partiti  dal  guasto  ^  e  tornati 
in  Siena  d'uno  dì.  Inchontanente  cho  noi 
el  sapemo ,  traomo  tutti ,  popolo  e  chava- 
ieri, e  andavànne  a  loro,  e  traemo  insino  '^ 
a  Pogibonizi.  Ine  sapemo  eh'  elino  erano 

1  cliapai'e.    2  elio   1  aveva.     •*  isino.     4  sco- 
[lisciano.     ■">   isino.     <•  gusto.     '  isino. 


•24 

fug-iti,  nd  iuidavaiisi  '  via:  ìuà  riinandamu 
ol  popolo  a  Siena;  e' chavaieri  lo'trasero 
dietro  e  aiidavanli  -  chaciando  d' in  pogio 
in  pogio  chome  gativi;  e  andaro  ardendo  e 
abrusciando  insino  ^  apresso  a  Fiorenza  a 
quatro  miglia.  0  puoi  vedere ,  s' elino  ne 
dotano  e  àvonne  ■*  paura  di  noi.  E  sapi  che 
noi  a  loro  daremo  el  malano  unguanno  in 
chesto  anno,  se  Dio  piace. 

Sapi,  lachomo,  che  poscia  che  chesta 
lettera  fu  iscripta  ^  da  chi  in  su,  si  avemo 
novella,  chomo  Montepulciano  e  era  chon- 
cio  e  aveva  fata  la  fedeltà  a  messere  lo  re, 
lo  re  Manfredi,  e  di  Siena;  e  farà  oste  e 
chavalchata  a  cui  noi  voremo ,  e'  nostri 
amici  terà  per  amici,  e' nemici  tara  per 
nimici.  E  fato  chesto,  sì  si  partì  messer 
lo  chonte  Giordano ,  chon  tutta  1'  oste 
ch'eli  aveva  a  Montepulciano,  e  sì  n'è  an- 
dato ad  Arezo;  e  credomo  ch'eli  l' ^  avara 
a  sua  volontà.  Or  chesto  istà  chosì  insino  ' 
a  chi:  per  innanzi  ^  istarà  chosì  e  meglio, 
se  Dio  piace. 

§.  Monta ^  lunidì.  cinque  dì  intrante  lullio. 

\  Fuori]  §.  A  lachomo  Guidi  Chaciachon- 
ti ,  e  non  altrui  detur. 

1  andavasi.  2  aiidevali.  3  isino.  ■<  avoiie. 
")  iscipta.  6  ili.  7  isino.  S  innazi.  ^  muta. 
V.  le  annotazioiìi. 


VI. 

[1262] 

In  nomine  Domini,  amen.  Letera  pol- 
lo secondo  messo  de  la  fiera  di  san  Gio- 
vani, in  ani  sesanta  e  due:  mosse  domeni- 
cha,  quatro  di  entrante  setenbre. 

Domino  Talomeo  e  domino  Orlando  e 
domino  Petro  e  gli  altri  conpagni;  An- 
drea vo' manda  salute.  Ed  ebi  le  letare 
que  mi  mandaste  per  Giani  Saracino  me- 
se de  la  mer]chantia,  e  furvi  quele  di 
Mino  domini  Cristofani  e  di  Guido  laclio- 
mi  domini  Renaldi,  e  quele  di  Froderigho 
Doni,  e  mandatolo;  e  quela  que  mandaste 
a  me,  sì  vidi;  e  sopra  ciò  que  divisò,  i- 

starò  inteso  di  fare  ciò  buono ^  [per] 

voi.  E  divisastemi  que  no  faieva  mistiere 
di  fare  l'andata  qued  io  feci  in  Piandola, 
di  Provino  di  magio,  da  che  v'era  Fro- 
derigho.  Unde  sapiate,  qued  io  il  feci  per 
lo  miliore  di  voi,  e  perquè  mi  divisaste 

qued  io  vi  dovese  and[ar]e; 2  [que]d 

io  v'  andai  più  volentieri ,  sì  fue  per  lo  fato 
di  Lesie;  che  credo,  que  sed  io  no  vi  fuse 

1  Sembra  da  supplire  sarà,  sia,  0  simili. 
-  Forse:  f  la  rasoionc 


26 

aiKlato,iiuii  avremu  avutolo  trociontu  l.quo 
ne  pagliare:  anzi  l'avarebe  avute  le  coiipa- 

gnie  di  Fiorenza  que  dieno  avere 

paro  a  me  que  la  mia  andata  fuo  utile  por 
lo  fato  de  la  'nvestita  dei  pani  por  Siena  o 
perLonbardia:  perciò  quoFrodorigho  non 
aveva  conprato,  quand'io  vi  gionsi,  che 
pani  d'Arazo,  a  cliasgione  eh' aveva  avu- 
to  [n]o  potè  andare  né  a  Mosteruolo 

né  a  Ipro ,  e  anda'  v'  io ,  qued  era  un  poche 
tardi,  quand'io  vi  gionsi.  E  intesi  come 
la  draparia  di  Provino  di  magio  que  fa- 
faciemo ,  era  gionta  in  Pisa  e  in  Siena  e 

in  Gienova  sana  e  sa[lval arebe  '  bene  : 

de  la  quale  chosa  fui  molto  lieto. 

Intesi  cliome  volete  qued  io  iscriva  i 
denari,  qued  io  abo  riciovuti  o  ricieveso, 
0  paghase  per  la  conpagnia  dei  pani ,  ch'a- 
vete chon  Orlando  Buonasera  e  chon  U- 

gholino  [Cili] rò,  -chom'abo  chomin- 

ciato  e  chome  mi  divisaste,  e  spicialemento 
di  scrivare  pur  in  un  ^  luogho  ne  livro  ciò 
qued  io  ricievarò  e  pagharò  por  la  deta 
conpagnia,  e  '1  somelianto  farò  de  le  scrite 
que  avrò  a  fa[re  cho'  nostjri  Parmisgiani, 
sichome  mi  divisaste. 

1  Forse:  o  que  si  veiularebe.  2  forse:  ' 
scriviirò.    ■<  11. 


27 
Intesi  chome  no  vi  piacie  il  dipositu 
que  vi  divisai  eh'  aveva  fato  in  Saiacliomo 
di  Provino,  perchè  diciete  que  no  sono 
buone  gienti ,  e  che  la  chorte  '  e  i  Fioren- 
tini vi  sono  molto  signiori.  Unde  sapiate 

que  per  ciò  no  pare ^  neuna  dotanza, 

e  parmi  que  sia  molto  buono  diposito; 
perciò  qued  elino  ricievono  tuto  tenpo 
l'achomande  de  li  averi  dei  merchatanti, 
e  di  ciò  ano  grande  guadagnio  ;  sì  eh'  ama- 
no di  guardare  e  di  salvare  l' aehomande 

que  lo'  3  sono  fate  per  mantenere  i  loro 

[i]n  istato;  e  se  ciò  no  faiesero,  si  lo  potre- 
bero  perdare.  E  la  chosa  no  v'  è  in  ^  nostro 
nome ,  anzi  v'  è  in  quelo  dei  nostri  Parmis- 
giani;  ed  è  achorto  luogo,  di  potervi  andare 
qualota  l'uon  avese  mistiere.  E  d'altra  par- 
te, sì  ano  una  chostuma,  che  mi  pare  que 

ne  sia  molto •''  [al  t]enpo  d'ora,  cioiè  que 

chostumano  di  rendare  l'achomande  que 
ricievono,  a  cholui  que  le  fa,  vel  a  ehi  a- 
portale  chiavi,  o  la  taglia  que  ne  fuse;  la 
quale  chosa  no  si  potrebe  fare  buonamente 
in  ^  neuno  tesoro,  que  no  fuse  chostumato  di 
ricievare  l'achomande  de  ra[vere,  cliomje 


1  chore.    2  Forse:  ria  avenii'.  •!  le.    l  i.    s  for- 
se; utile.     '■  i. 


28 

quelo  di  Provino:  u  se  nouiiu  intogimon- 
to  voleso  esaro  fato,  si  trovarebe  in  iscrito 
(la  cuelino  ano  l'achomanda;  e  da  che  no 
vi  si  trovase  neuno  nomo  di  Sonese,  si  no 
credo  che,  per  neuno  intesgimento  que 
fato  fuse  de  le  chose  dei  Senesi,  elino  vo- 
lesero  ten[ere  ciò]  qued  elino  avesero  in 
guardia  in  altri  nomi.  E  se  volete  diro  di 
fare  diposito  in  alchuna  abadia  di  Cie- 
stele,  sì  no  mi  pare  guari  buono  afare  al 
tenpo  d'ora;  perciò  qued  elino  sono  sì  te- 
morosi  de  la  Chiesa,  che  no  vorebero  fare 
contra  a  choscienza  di  christiani  in  ^  neuna 
mainiera  di  mondo;  e  fano  ogi  dei  denari 
que  dieno  dare  a  noi  ed  altri ,  que  no  ne 
voliono  paghare  neuno  denaro  per  paura 
d'esare  iscliumunichati ,  sichome  v'ò  di- 
visato per  altra  letera.  E  d' altra  parte,  no 
lasarebero  tochare  lo  diposito  que  avesero, 
se  no  a  chol[ui  que  '1]  faiese;  e  ogni  altro 
tesoro  di  Tresi  e  di  Parisgi  lo  chosturaano 
di  fare:  ma  quelino  di  Saiachomo  i  rendo- 
no a  ch|i]  porta  le  chiavi  e  le  taglie  que 
ne  fusero  sopra  ciò  fate,  conchordanti  a 
quele  que  l'uomo  lo'  lasa:  e  questo  fano 
per  r  achomande  que  ricicvono  ogn 


■29 

*-!iome  divisa  di  sopra.  E  chusì  potete  ve- 
dere che  chiunque  ci  fuse  per  voi,  potrebe 
avere  le  vostre  chose  ;  che  mi  pare  più  si- 
churtà,  che  se  avere  no  le  poteste  senza 
cholui  che  l' achomandase.  E  di  ciò  ra- 
sgionarò  cho  Mino  e  con  Guido  :  e  se  ve- 
drem[o  quel  potiamo  avere  più  siclmro  te- 
soro, sì  '1  prendaremo. 

Questo  è  quelo  que  m' è  entrato  in  que- 
sta fiera  di  San  Giovani ,  sichome  divisarà 
qui  di  soto  per  partite. 

In  prima,  per  la  mia  rasgione,  xiij'' 
Ixviij  lib.  e  X  s.  e  viij  d.  di  prov.,  que  mi 
rimasero  contianti  de  la  fiera  di  Provino 
di  magio  pasata. 

Item,  cvij  lib.  xxx  d.  di  prov.,  per  mei- 
tà  di  dugiento  quatordici  1.  e  cinque  s.,  que 
richolsi  chon  lachomo  Uguicioni  dal  cha- 
pitolo  di  Lengri. 

Item,  XX  s.  di  prov.,  per  meità  di  qua- 
ranta, que  avemo  chol  deto  lachomo  U- 
guicioni ,  da  l' abate  e  convento  di  Sa'  Lo- 
nardo  di  Chorbigni ,  per  chosto ,  infino  a 
la  fiera  di  Santaiuolo  que  viene  presente, 
di  ciento  1.  que  ci  dovieno  dare  in  questa 
fiera. 

Item,  X  iiij  lib.  e  x  s.  di  prov.  qued  ebi 
di  chosto  dei  di^nari  que  mi  rimasero  chon- 


tiaiiti  in  Provini)  di  magio  'pasata,  sicho- 
mo  divisa  qui  di  sopra;  dei  quagli  denari 
di  chosto  ebi  dodici  1.  da  la  conpagnia  dei 
pani,  que  avete  con  Orlando  Buonasera  e 
clion  Ugholino  Cili,  e  cinquanta  s.  n'ebi 
dai  nostri  Parmisgiani. 

Item ,  per  voi ,  xxv  s.  di  prov.  por  vinti 
s.  pari.,  que  richolsi  per  voi  da  Paridano 
di  Guanto,  per  la  vintenuovesma  paglia 
que  vi  doveva  fare  de  la  soma  ^  dei  vinti 
mar.  d'artisgini  [que]  doveva  dare,  a  pa- 
gliare vinti  s.  pari,  per  fiera,  infìno  che  fu- 
sero pagliati. 

Itnm,  clxxj  lib.  e  viiij  s.  di  prov.,  i  quali 
ricliolsi  per  [voi  da]  Ristoro  Gionte ,  quo  i 
conprò  Arigho  Guglielmi  in  Gienova  da 
Pietro  Ugliolini,  conpagnio  del  doto  Ri- 
storo, per  presgio  di  dugicnto  quaranta  1. 
e  sei  d.  di  gienovini,  que  ne  i  die,  sicliome 
ne  divisò  per  sua  letera. 

Item,  iiij  lib.  e  xviij  s.  di  prov.,  que  ri- 
cholsi  per  voi  da  Leghacio  del  Nero,  que 
i  dovavate  avere  da  lui  e  dal  fratelo ,  per 
denari  que  faieste  paghare  per  loro  a  chor- 
te  già  buon  dì,  sicliome  mi  divisaste. 

Item,  cccv  lib.  i'  x  s.  di  prov..  per  le 


:31 

due  parti  di  tiuatrocieiitu  ciiiquantoto  1.  e 
cinque  s.,  quo  ne  rimasero  di  quatrociento 
sesanta  e  cinque  1.  e  dodici  s.  e  sete  d.,  que 
avemo  cho  i  nostri  Parmisgiani,  di  cin- 
quanta e  tre  cientenaia  e  vinti  e  una  1.  e 
mezo  di  ciera  neta,  que  vendemo  a  vintuno 
d.  libra:  iscontiato  sete  1.  e  sete  s.  e  sete  d. 
que  vi  dispendemo;  dei  quali  demo  ciento 
s.  per  l'entrea  di  Tresi,  e  trenta  e  sei  s.  pe- 
satura, a  oto  d.  lo  ciento,  e  sete  s.  per  la 
piscione  de  la  cliasa,  là  du'  noi  la  tenemo , 
e  quatro  s.  e  sete  d.  a  choloro  que  la  por- 
taro  al  peso. 

Item,  1.  lib.  e  xij  s.  iiij  d.  di  prov.  per 
le  due  parti  di  setanta  e  sei  1.  meno  dicioto 
d.,  que  ne  rimasero  di  setanta  e  sete  1.  e 
quatro  s.,  que  avemo  elio  i  nostri  Parmis- 
giani, di  seciento  quatordici  1.  di  pepe, 
que  vendemo  neto  a  quaranta  e  quatro  1. 
la  charicha,  qued  è  treciento  cinquanta  1.  : 
iscontiato  vinti  e  cinque  s.  e  sei  d.  que  vi 
dispendemo;  dei  quagli  demo  vinti  s.  per 
l'entrea  di  Tresi  e  quatro  s.  la  pesatura, 
a  oto  d.  lo  ciento ,  e  dicioto  d.  per  la  pis- 
gione  de  la  ^  masgione  là  du'  stete ,  e  per 
portarlo  al  peso. 

1  del. 


Itom,  xxiij  s.  ('■  viij  ci.  di  prov.,  ppr  li- 
duo  parti  di  trenta  e  sete  s.,  que  ne  rima- 
sero di  qtiarantoto  s.,  quo  avomo  cho  i  no- 
stri Parmisgiani ,  da  Sandro  Tosclio  loro 
compagnio;  quo  i  clianparo  d'otanta  e  due 
1.  tor.,  que  i  furo  dati  i  Lonbardia,  per 
fare  le  dispose  di  conduciare  la  ciera  e  '1 
pepo,  que  ci  mandaro  in  questa  fiera:  i- 
scontiato  imdici  s.,  que  domo  churatagio 
dol  doto  pepe  e  de  la  ciera,  dei  doti  qua- 
rantoto  s. 

Item ,  vij  lib.  e  x  s.  di  prov. ,  per  tren- 
ta e  tre  s.  e  quatro  d.  di  sterline  que  ri- 
ciovoti  por  voi  d'Arminucio  Armini,  que 
dise  que  i  doveva  dare  a  la  masgione  di 
lacorao  Teci  por  la  pisgione  de  l'albergho 
di  Londra  di  diecio  mesi. 

Itera ,  viij  e  Ixxxv  lib.  di  prov.,  i  quali 
sono  per  treciento  mar.  di  sterline,  qued 
abo  conprati  per  voi  da  lachomo  Uguicioni 
e  da  i  suo'  conpagni,  per  presgio  di  vinti  e 
trecionto  vinti  e  cinque  1.  di  senesi,  que  no 
dovete  paghare  in  Siena  a  Salenbene  Gio- 
vani e  a  sua  conpagnia,  in  i  mozo  otovro 

que  viene  prosente  in  d tiare  dodici  d. 

l'uno,  a  rasgione  d'oto  1.  meno  cinque  s. 


1   i. 


3:^ 

di  senesi  il  [cliajrcu;  ed  io  il  contio  cin- 
quanta e  nuove  s.  tor.  e  q 1  deto  pa- 

gliamento  sì  ne  richoliete  una  charta  qu« 
n'àn[o  di]  mano  di  Chastelano  notaio;  e  '1 

deto   iste nvestita,  que  voliono  fare 

per  voi  e  per  loro  i  nostri  Pannisg[ianiì. 

Item,  per  la  rasgione  di  Fiandola,  v  <=  Ij 
lib.  di  [prov.  da  Fr]  oderigho  Doni.  Per  lui 
rie  i  die  G-uido  Tosclio  di  Parma,  per  qua- 
trociento  trenta  e  sei  1.  e  oto  s,  e  sei  d. 
pari.,  que  paghò  per  lui  ne  la  'nvestita  dei 
pani  di  Fiandola,  que  fecie  per  voi  e  per 
la  sua  conpagnia,  contiato  quatro  1.  e  sete 
s.  e  sei  d.  pari,  di  chanbio. 

Item,  ccxxxviiij  lib.  x  s.  di  prov.,  dal 
deto  Froderigho.  Per  lui  eie  i  die  Aldo- 
brandino Meliorati,  per  ciento  otantoto  1. 
e  undici  s.  pari.,  que  i  prestò  in  Arazo, 
contiato  tre  1.  e  sedici  s.  meno  tre  d.  di 
chanbio. 

Item,  cxx  lib.  di  prov.,  dal  deto  Fro- 
derigo.  Per  lui  eie  i  die  Bartolomeo  Vi- 
viani  Buseti  per  ' 

Item,  per  la  deta  mia  rasgione,  ccclxxxx 
lib.  meno  V  s.  di  prov.,  i  quali  ricievo  in 

1  Cosi  rimane  in  Irnnrn  il  lì incorno  noli' ori- 
ginale. 


n4 

presta  da  domino  Mino  '  Cristofani  do- 
mini Talomei,  e  da  lachomo  domini  Ro- 
naldi,  que  mi  sono  rimasi  di  diecoscU' 
cieiito  novanta  1.  mono  cinque  s.,  quo  ri- 
cieveti  per  loro  in  questa  fiera;  e  '1  sopra- 
più,  cioiè  tredici  ciento  1.,  sì  prestai  per 
loro  e  a  loro  nome ,  l' undici  ciento  1.  a  la 
tavola  d'Orlando  Buonsigniore,  a  qua- 
ranta s.  il  ciento,  di  chic  a  Santaiuolo:  r» 
treciento  La  Tavena  domini  Luterenghi. 
a  quaranta  e  cinque  s.  il  ciento;  e  de  le 
dete  treciento  novanta  1.  meno  cinque  s.,  sì 
lo'  daremo  treciento  novanta  e  sete  1.  e 
diecie  s.  in  Santaiuolo  presonte. 

Item,  ci.  lib.  di  prov. ,  qued  ò  ricievuti 
in  presta  da  Mino  domini  Cliristofani  por 
ciento  cinquiinta  e  tre  1..  a  Santaiuolo  pre- 
sente. 

Questo  »■'  quolo  que  m"  è  iscito  in  dota 
fiera  di  San  Giovani  sicomfe  dìivisarà 
qui  di  soto ,  per  partite. 

In  prima,  xjc  xxxv  lib.  e  vj  s.  e  ij  d. 
di  prov..  que  prestai  a  l[a  conpajgnia  dtd 
pani  que  avete  chon  Orlando  Buonasera  e 

1  Mino  ('  noxlra  sosliluzione.  naluralmenle 
suygerita  dall' esacr  lasrinto  nell'  oiigiiinle  uno 
ipazio  bianco. 


35 

chou  Ugholino  Cili;  i  quali  denari  sono 
per  conpimento  di  vinti  e  due  ciento  se- 
santa  1.  m[eno]  due  s.,  que  pagai  per  la 
deta  conpagnia  ne  la  "nvostita  dei  pani . 
que  lo'  mandai  di  questa  fiera:  contiate  di- 
cioto  s.,  que  pagliai  per  clinrat[a]gio.  o 
per  carte ,  que  feci  dei  provesini  que  con- 
prai  per  loro  in  questa  fiera,  que  sono 
mille  vinti  e  nove  1.  e  undici  s.  meno  due 
d.,  qued  abo  conprati  per  loro  in  questa 
fiera  siccome  lo'  diviso  per  una  letera  que 
lo' mando  con  questa:  ne  la  quale  letera  si 
<'  iscrito  ciò  que  costa  la  deta  investita.  E 
novanta  e  cinque  1.  e  dodici  d.  mi  rimasero 
per  la  deta  conpagnia  ne  la  fiera  di  Pro- 
vino di  magio  pasato.  E  chosì  sono,  qued 
abo  avuto,  de  le  dete  dumilia  dugiento  se- 
santa  1.  meno  due  s. ,  undici  ciento  vinti  e 
({uatro  1.  e  dodici  s.  meno  due  d.  E  chosì 
rimane ,  que  1'  abo  prestato  undicie  cien- 
to trenta  e  quatro  1.,  ^  e  oto  s.  meno  due  d., 
sichome  divisa  di  sopra.  Dei  deti  denari 
ci  darano  di  chosto  quaranta  s.  del  ciento. 
di  chi  a  Santaiuolo  presente. 

Item,  XX  lib.  di  prov..  que  prestai  a  Ro- 
llino d'Arazo  inghilefsle.  a  sua   chorte- 

'  ,l/(7//''a  lìdi'  orifiiiiale 


:1G 

sia,  intìnu  a  la  fiera  di  Saiitainolo  presen- 
te; ed  avellile  '  leteracholsuo  sugiello,iiel 
nome  dei  nostri  Parmisgiani,  senza  il  mio. 
E  i  detti  denari  i  prestai  per  chasgione 
qued  eli  aitase  Guido  Toscho  nel  nostro 
fato  di  Conventri,  que  v'andò  cho  lui. 

Item.  vj  lib.  e  xv  s.  di  prov.,  i  quali  io 
Andrea  ricievo  in  presta,  que  li  abo  dispesi 
in  "  miei  fati  propi,  sicliome  apare  isrrito 
ne  lo  senpro  de  le  tavole. 

Item,  viij  lib.  e  viij  s.  di  prov.,  que  pre- 
stai a  la  deta  di  Sant'  Andrea  di  Schozia, 
que  i  diei  ad  Arminucio  Armini,  per  tren- 
toto  s.  d' isterlino  que  vi  paghò  per  nostra 
parte,  di  sete  1.  e  dodici  s.  meno  due  d. 
d' isterlino ,  que  vi  dispese  choi  consorti 
que  v'  ano  a  fare  cho  noi. 

Item ,  per  voi ,  e  s.  di  prov.,  per  meità 
di  diecie  1.  que  pagliai  choi  nostri  Parmis- 
giani ,  per  lo  fato  de  la  'nvestita  dei  pani 
[que]  faciemo  cho  loro  in  Provino  di  ma- 
gio pasato.  E  le  dete  diecie  1.  inprontò  •' 
Gnlielmo  Zamorei  da  Vivolo  Salvane  (Iji 
a  iVIonpesliere,  quando  vi  fue  per  condu- 
ciare  la  deta  ['nve]stita,  e  noi  i  pagamo  ai 
ronpagni  del  deto  Yivolo  in  questa  fiera. 

1   a\Hni».     -   i.     ■'   ipi'oiilò. 


37 
Iti'iii,  xiij  '•  Ixxij  lib.  e  xj  s.  di  prov., 
per  le  due  parti  di  dumillia  ciiiquantuto 
1.  e  sedici  s.  e  sei  d.,  qued  abo  fato  rasgio- 
ne  choi  nostri  Parmisgiani,  que  chosta 
la  'nvestita  dei  pani  que  avemo  fata  per 
lo  tenpo  di  questa  fiera  di  San  Giovani;  In 
due  parti  vostre,  e  '1  terzo  loro. 

Item,  per  la  rasgione  di  Fiandola,  xxv 
lib.  e  vij  s.  di  prov.  a  Froderigo  Doni,  i 
quali  sono  per  oto  mar.  e  sete  s.  e  quatro 
d.  d'isterlino,  que  i  rimasero  di  quatro- 
ciento  cinquanta  mar.  d'isterlino,  que  ri- 
cievete  per  la  mia  rasgione  in  Fiandola  da 
Benaldo  Barboti  per  lo  tempo  di  Provino 
di  magio  pasato;  que  i  conprai  in  deto 
Provino  da  Mafeo  Ranieri,  conpagnio  del 
deto  Kenaldo,  sichome  vo' divisai  perla 
letera  que  vi  mandai  de  la  deta fiera;  e  per 
la  deta  fiera  li  aveva  iscriti  a  mia  arendu- 
ta,  al  deto  Froderigho  :  sì  avemo  puoi  ve- 
duto que  ne  pare  il  miliore  a  scrivarla  in 
questo  modo.  Anello  i  rimasero  le  dete  vin- 
ti 1  e  cinque  1.  e  sete  s.  di  diecienuove  1.  di 
pari.,  que  i  diei  cliontianti  in  parisgini  e  in 
t'sterlino,  sopra  ai  deti  quatrociento  cin- 
quanta mar.:  e  se  [vi  pare!  di  seri  vare  questa 


:.^8 

fat'ic'iiJa  ili  questo  inudu.  .sì  lo  fai  te  ;  e  se  no. 

si  la  scrivaremo  chome  vo'divisai  d[i  sopra.] 

Iteni,  cclxxxy  lib.  di  prov.  al  deto  Fro- 

Uorigho,  per Kistoro  Gionte,  per  du- 

giento  otanta  e  due  1.  meno  trenta  d.  tor.. 

qne  i  rimasero  di  quatrocient[o] per 

lui  e  per  sua  conpagnia  dal  veschovo  di 
Toroana  tra  due  volte,  e  '1  soprapiù,  cioiè 

(dento  dieci d.  pagò  per  loro  a  Lonar- 

do  Giani. 

[I]tem,  per  la  detaraia  rasgioiie,  v  '-■■  xlj 
lib.  di  prov.,  qiie  paarh[ò  Ug]ho  Rugieri, 
•lue  sono  per  cinqueciento  quaranta  1.,  que 
mi  prestò  per  lui  Altimano  Eanuci  in  Pro- 
vino di  magio  pasato,  senza  cliosto:  con- 
tiate vinti  s.  per  servisgi ,  qued  io  lo'  feci 
per  quela  chasgione;  i  quali  servisgi  furo 
di  loro  fardeli,  qued  io  lo* mandai  intra  i 
nostri  torzegli,  e  in  una  ala  e  mezo  di 
saia  que  diei  al  deto  Mano. 

Viviani  Dietavive  ed  io  sì  andamo  a 
Pontigni,  e  trovamovi  l'abate  di  Ciestelo 
e  quelo  di  Pontigni;  e  ricordamo  lo'  il  fato 
de  la  muneta  que  ne  dieno  dare  i  deti  di 
Pontigni  e  '1  fato  di  Fontana  Giovana.  E 
quelo  di  Pontigni  dise,  que  no  ci  credeva 
dovere  dare  neuno  denaro;  e  che  di  quelo 


39 

do  la  badili  no  saremo  pagliati;  e  che  pro- 
chaciarebe  chome  fusemo  pagliati  dal  con- 
to di  Naversa;  e  di  ciò  dise  qued  era  bene 
sichiiro  di  lui  e  de  le  sue  rede,  per  buone 
Ictare.  E  del  fato  di  Fontana  Giovana,  sf 
diserò  que  no  vegiono  via  que  noi  potiamo 
buonamente  esare  pagliati,  se  prima  no 
v'à  acbordo  dal  signiore  di  Sori  a  loro;  e 
che  in  ciò  pensavano  di  fare  ognie  chosa 
que  potevano ,  perchè  achordo  v'  avese;  ed 
uno  giorno  cho  lui  denanzi  a  rey  di  Fran- 
cia per  la  Sant'  Andrea  que  viene  presen- 
te ,  que  die  giurare  il  signiore  di  dire  la 
verità  di  quei  fati;  se  altro  achordo  non 
avese  intra  loro  in  quelo  mezo.  A  Dio  pia- 
da que  vi  sia  in  '  mainiera  que  bona  sia  per 
voi.  Ed  altro  no  potemo  trare  di  loro,  se 
no  que  diserò  di  rasgionarne  al  chapitolo 
di  Ciestele  que  sarà  presente ,  per  vedervi 
alchuna  via  che  buona  fuse  per  li  mercha- 
tanti  e  per  loro. 

E  sapiate  que  '1  deto  di  Pontigni  ne 
die  pur  asai  buono  intendimento  di  farne 
paghare  la  muneta  que  ne  dieno  dare. 

E  sapiate  (lue  '1  fatore  del  conte  di  Na- 
versa sì  è  istat(j  ili  questa  fiera,  é  andato 


40 

«i  venuto  pur  asai  volte,  e  Viviaui  ed  io  li 
pariamo  asai  del  dato  fato  di  Ponti^ni. 
e  '1  suo  deto  si  fue  questo:  ch'el  deto  conte 
aveva  grande  volere  di  paghare  noi,  e  li 
altri  mer  eh  atanti,  a  chi  eli  die  dare,  e  spi- 
cialemente  noi,  e  qua  ora  no  n'  aveva  buo- 
namente podere;  e  che  farebe  sì  cho  l'a- 
bate di  Pontigni,  qued  eli  ne  richordarebe 
quelo,  que  noi  ne  ne  teremo  per  paghati. 
E  diène  per  intendimento,  que  '1  deto  a- 
bate  n[e] '  que  noi  ne  soferisemo  in- 
fino a  uno  cierto  dì,  e  che  ne  prom[ete]rebo 
di  paghare  senza  farci  letera;  e  disene  que 
ne  [potre]be  bene  asicurare  a  lui  chome 
siamo  bene  pagati  di  chosto  e  di  chapita- 

le.  Vuoila  Dio  que  '1  fa ;  e  quando  avare- 

mo  lisgire  di  richordarlo  al  deto  a[bate, 
sì|  lo  faremo,  sichome  ne  para  que  sia 
da  fare.  E  '1  deto  fa[tore]  sì  ne  dise  que  ne 
farebe  iscrivare  al  deto  abate ,  chome  no 

dovesemo  fare.  No  sapo  se  '1  farà  o  no  e  s 

deto  conte  non  ha  fato  il  grado  in  questa 
fiera  a  neuno  merchfatante] ,  a  chu'  eli 
die  dare,  per  chasgione  de  lamunetaquo 
facieva  fafre ,  e  k\  fata  abatare  i  rey  di 
Francia;  sì  que  choloro  ((ue  l'avieno  oon- 

1   Pretró  .  fliinanrld  o  siniili- 


41 

prata  da  lui .  no  i  pagaiiu  i  denari  que  ne 
i  dovieiio  dare,  [perquè  no|  posono  baiare 
la  muneta  chome  solièiio  :  e  di  ciò  à  gran- 
de d[istreta  elj  conte  ;  e  anchora  per  chas- 
gione  de  la  molle  qued  è  morta,  sì  paro 
que  sia  molto  manchata  la  sua  richeza. 
eh'  aveva  per  liei. 

Guido  Toscho  sì  ebe  una  letera  da  mis- 
sere  Aduardo  di  sichurtà  di  potere  andare 
in  Inghiltera,  ed  ebela  a  pit[izionJe  di 
malestro  Alberto  da  Parma  :  e  credo  que 
sia  asai  suficiente  e  buona  per  potervi  i- 
stare  e  fare  quelo  per  que  v'è  andato.  Dio. 
<iu'  è  signiore,  i  ne  i  consenta  bene  a  fare, 
s'a  lui  piacie.  E  inostri  Senesi,  que  vi 
stavano,  ne  sono  tu  ti  venuti,  e  no  ve  n'  osa 
istare  neuno. 

E  intesi  chome  avete  ordinato  choi  no- 
stri Parmisgiani  que  uno  di  loro  ci  debia 
dimorare  asisamente  per  voi  e  per  loro, 
per  ricievare  o  per  vendare  le  merchantie, 
que  lo'  fusero  mandate  di  Lonbardia;  e 
che  un  altro  di  loro  ci  debia  istare  a  lo 
vostre  dispese,  per  andare  e  per  istare  a 
fare  i  vostri  fati  que  fusero  da  fare  ;  e  che 
debiano  dimorare  in  ^  loro  albergho,  senza 
noi  e  senza  neuno  senese.  La  qualo.  chosa 


42 

sia  in  buon" ora:  o  pare  a  me  ch'avete  hcu 
fato ,  e  ched  era  niistien?  di  fare  al  tenpo 
d' ora.  Ed  avenio  g'ia  alos^liato  i  un  alber- 
gho  per  Treseto,  e  die  chostare  cinquanta 
s.,  ed  évi  istato  ser  Gherardo  in  questa 
fiera. 

E  intesi  chonie  volavate,  quc  se  i  deti 
Parili isgiani  volesero  fare  pani  per  Santa- 
iuolo,  qne  ne  faiesemo  elio  loro  infino  in 
quindici  torsoli,  le  due  parti  vostri,  e  '1  ter- 
zo loro  :  la  quale  chosa  sia  in  buon'  ora.  E 
ser  Gherardo  sì  à  deto  di  pur  volergli  fa- 
re ;  uikV  io  si  abo  prochaciato  cliome  ava- 
remo  la  muneta  in  Fiandola,  sichome  di- 
visa di  sopra.  E  jter  la  conpagnia  ch'a- 
vete chon  Orlando  e  chon  Ugholino,  no 
116  farò  neiente,  perciò  que  mi  divisaro  per 
loro  letera  que  no  ne  dovese  fare,  perquè  si 
dotavano  del  fato  di^l  ])apa. 

Arigho  Glinlielmi  mi  divisò  ([ue  la  so- 
pradeta  ciera  e  '1  pepe  que  avenio  in  que- 
sta fiera  sì  era  per  mezo  choi  deti  Par- 
inisgiani  ;  e  per  la  vostra  letera  mi  pare 
intendare  que  ne  sono  vostro  le  due  parti: 
e  perciò  l'abo  iscrite  le  d[ueì  parti  a  voi, 
sichome  divisa  di  sopra:  e  se  altrimenti 
fuso,  sì  mei  divisate;  que  Taraconciarei . 

1     ivln-lioto. 


4:j 

se  faiese  mistieiv.  E  i  iiustri  Piiriiiisgiani 
sì  ano  pagliata  la  loro  parte  de  la  'nvesti- 
ta  di  questa  fiera,  ed  ùiioci  di  rimanente 
intorno  di  quaranta  1.  :  ma  no  ne  farò  non- 
na iscrita  d'entrata,  perquè  i  portarà  ser 
Gherardo  in  Piandola  ;  ed  io  credo  andare 
(•ho  lui  infino  a  Parisg-i;  e  se  vedrò  quc 
posa  andare  in  Piandola,  sì  lo  farò,  perciò 
que  no  sa  iscrivare.  E  Froderig-ho  se  ne 
vera  a  Parisgi  per  lo  fato  di  Tebaldo  quo 
se  ne  vole  venire  ;  ed  io  prochaciarò  di  ri- 
trare  alchuno  denaro  del  fato  di  Lesie,  se 
potrò;  e  in  ciò  ch'io  mi  potrò  guardare, 
perquè  no  paia  que  ser  Gherardo  abia  a 
fare  cho  noi ,  sì  lo  farò.  Ma  sed  io  in  que- 
sto mezo  intendese  que  i  Senesi  no  ci  po- 
sano istare ,  sì  metarei  le  vostre  chose  in 
salvo,  e  veròmene,  sichome  farano  li  altri: 
che  pare  a  me  que  ciaschuno  se  ne  volia 
venire  ;  si  pare  dubioso  lo  stalo.  E  '1  deto 
Arigho  Ghulieluii  mi  divisò  que  la  deta 
ciera  fue.  al  peso  di  Venesgia,  oto  milia  du- 
giento  vintuna  1.  al  peso  di  Venesgia;  que. 
sed  è  vero,  sì  no  torna  sì  bene  chome  do- 
vrebe,  a  ciò  qued  io  intendo  que  le  tre  1. 
di  Venesgia  dieno  venire  due  di  queste  di 
Francia,  qued  è  tornata  meno  asai;  e  bene 
è  vero  quc  ci  à  persone .  que  dicono  quo 


44 

dio  turiuiro  anzi  menu  fin;  più.  El  ptipn 
tornò  meglio  de  la  ciera;  che  ne  divisò  il 
deto  Arigho  que  fue  nuoveciento  quaranta 
1.  al  peso  di  Venesgia ,  ed  è  tornato  se- 
ciento  quatordici  1.,  que  fala  intorno  di 
tredici  1.  a  tornare  le  tre  1.  due.  E  divisomi 
il  deto  Arigho,  che  la  deta  ciera  e  '1  pepe 
chostava  vj'^lxj  1.  e  vj  s.  d'inperiali,  sen- 
za otanta  e  due  1.  tor. ,  que  chostò  puoi 
conducitura  in  questa  fiera,  cho  le  dispese 
fecie  Sandro  ;  ched  ò  fato  rasgione  que  so 
ne  perde  intorno  di  vinti  1.  tor. 

Del  fato  eh'  avemo  a  fare  cho  l' abate 
e  convento  di  Sa'Marto  di  Sasona,  non 
avemo  fato  anchora  neiente.  E  credo  que 
V  abate  sia  a  Parisgi  ;  ed  évi  andato  lacho- 
mo  Uguicioni  per  suoi  fati,  e  dise  di  favo- 
lare chol  deto  abate,  e  di  fare  sopra  a  ciò 
quelo  bene  que  fare  potese,  perquA  fusemo 
pagliati  e  messo  ^  in  buon  ponto  la  deta, 
e  di  terminarla  in  due  anni  o  in  -  tre,  e  d'a- 
dosgiarvi  infino  in  seteciento  1. ,  qued  e- 
lino  dicievano  di  volere  avere.  No  so  cho- 
me  se  n'  abia  fato. 

L'abate  di  Sa' Martino  di  Tresi  m'ù 
d<!to  di  pagharne   ciertamento  in  Santa- 


4r, 

iuolo  presente  lo  setanta  e  sei  1.,  qned  eli 
«'  'Isuo  convento  ci  debero  dare  in  Treseto 
pasato,  e  dise  di  darci  il  cliosto  que  sia 
convenevole. E prochaciarùli  d'avere, se  ci 
sarò;  e  se  no,  sì  abo  deto  al  deto  abate, 
qii'  e'  dia  a  ser  Gherardo  del  Medicho  ;  o 
venevi  elio  medio.  E  l'abate  di  Gliinzi  à 
deto  di  paghare  Yiviani  e  noi,  in  Santa- 
iuolo  deto,  la  muneta  que  ci  dovieno  dare 
in  questa  fiera.  San  Binignio  di  Digni  no 
ci  è  venuto  né  mandato  per  pagliarne  i 
denari  que  dieno  dare  a  noi  e  ai  consorti 
in  questa  fiera.  E  '1  someliante  ano  fato 
quelino  di  San  Piero  di  Fravagnino,  pol- 
la chasgione  de  lu  schumunichamento  là 
du'  semo.  E  l' abadesa  del  Giardino  Nostra 
'Dama  à  fato  '1  someliante  di  cinquanta  e 
sei  1.  que  ci  dieno  dare  cbon  lachomo  Ugui- 
cione.  E  l' abate  di  Mustiere  Randersi  n'  à 
mandato,  che  per  fermo  ne  pagherà  in 
Santaiuolo  i  denari  que  die  dare  a  noi  o 
al  deto  lachomo  in  Provino  di  magio  pa- 
sato. L' abadosa  del  Monto  di  Provino  dà 
chasgione  che  no  ci  paghò .  por  lo  fato  de 
lo  schumunichamento:  e  dicie  che  male- 
stro Mille  le  vietò  che  no  ci  paghase.  E 
pare  que  no  si  truovi  veruno,  que  v(dia 
pagare  ai  Senesi  nonno  denaro,  di  quelo 
quo  diono  avere. 


46 

Sapiate  que  Tebaldo  Altavilo  sì  ci  difl 
prestare  quatrociento  1.  di  prov.,  di  suoi 
denari  propi ,  qued  egli  à  in  Farisgi.  E 
farenneli  dare,  '  quando  vi  saremo  ;  e  por- 
tarenli  ^  in  Fiandola.  E  dovenneli  ^  darò 
sete  1.  dichieaSantaiuolo;  e  altra  iscrita 
no  ne  fo,  perciò  que  no  so  se  li  avaro  o  no  : 
ma  eli  à  deto  d' averli  aparechiati,  ''  quando 
vi  saremo;  e  ohosi  n'à  divisato.  E  sed  eli 
v'  avrà  denari  de  la  conpagnia  que  avete 
rho  lui.  sì  mi  farò  dare  la  vostra  parte. 
[Ed]  eli  sì  è  istato  un  po'isclionosciente 
del  fato  dei  denari  que  voi  i  prestate  per 
la  deta  conpagnia  ;  que  ve  ne  dovrobe  a- 
vere  renduti  una  parte,  da  qued  eli  vede 
quo  no  vi  si  ])uò  fare  ((uelo  per  que  voi  li 
li  prestaste. 

Rapiate  que  Lonardo  Giani  sì  era  apa- 
recbiato  d' andare  in  Fiandola,  a  investire 
in  draparia.  Sì  che  letera  dai  suoi  con- 
pagni,  que  noi  dovese  fare:  nude  san' A 
rimaso,  e  no  ne  farà  neiente,  e  neuno  al- 
tro senese  que  ci  sia.  Sapiate  que  si  dicie , 
<iue  i  Gienovesi  ci  sarano  achomiatati  per 
lo  fato  di  Ghostantinopidi;  e  falò  fare 
lo  'nperadero  del  deto  luogho.  No  se  sed  <^ 

I   fai-'^nfli.      -   pnrt;>r/^li.     ■'  flnvpiicli.     ■<  apa- 


47 
v(M'o.  0  no:  ma  i  Gioiiuvesi  ci  vano;  e  pare 
una  grande  cosa  a  le  gienti  del  paese ,  do 
l'andata  que  fano  i  Senesi  e  i  Gienovesi: 
e  credo  que  ne  sieno  dolenti  pur  asai  per- 
sone di  questo  paiese ,  perquè  n'  avarano 
grande  dano:  ispicialemente  le  fiere  di 
Chanpangnia  pare  que  sieno  tute  perdute , 
a  quel  a  cliasgione.  E  se  '1  papa  mandase 
chasuso ,  qu'  i  Senesi  fusero  presi  in  avere 
e  in  persona ,  sichome  si  dicie  que  vuole 
fare,  si  credo  que  sarà  uì3Ìdito  il  suo  man- 
dato ,  per  chasgione  que  ci  à  ria  giente , 
che  volentieri  dirobarebero  altrui  ;  e  da- 
rano  la  chasgione  del  papa ,  e  farano  per 
dirobare  altrui ,  se  potrano.  E  ben  ci  à  se- 
nesi, que  si  credono  eli' e  rey  di  Navara 
noi  vorà  fare  in  neuno  modo  que  sia,  so 
prima  no  ne  dese  il  termine ,  che  pare 
qu'  ei  sia  tenuto  di  dare  a  choloro  que  ven- 
ghono  a  le  sue  fiere:  e  la  dotanza  è  si 
grande,  que  no  pare  que  l'uomo  a  ciò  si 
debia  asichurare  ,  se  altra  promesione  non 
avesemo  da  lui.  E  prochaciasi  d' avere  ; 
se  s' avara,  sì  ci  starano  i  Senesi;  e  se  no. 
;^ì  ci  s'  andarano  tuti ,  ed  io  cho  loro. 

La  deta  di  Morbacho  de  la  Magnia  si 
iinò  in  seteciento  mar.  di  sterline ,  a  pa- 
garne vinti  mar.  ne  la  fiera  di  Bari .  se- 


48 

santa  e  due,  o  vinti  mar.  ne  la  fiera  di 
Tresoto,  apreso;  e  in  ognie  Bari,  e  in  o- 
gni  Tresetu,  vinti  mar.,  intìno  qiie  sare- 
mo paghati.  E  dei  deti  mar.,  doverao  ser- 
vire trenta  e  quatro  mar.  de  le  primaie  tre 
paghe,  d' ognie  pagha  il  terzo.  Ed  avenne  ' 
letare  nuove  oboi  loro  sugieli ,  ed  àie  ser 
Buonadota  a  tenere,  e  letera  di  richono- 
scienza  chol  sugielo  del  diano  di  Sa' Ste- 
fano di  Tresi  nostro  giudicie  ;  e  le  letare 
vechie  sì  à  a  tenere  Andrea  Ispinegli,  per 
li  Picholnomini.  E  sapiate  que  '1  deto  ser 
Buonadota  sì  richolse  la  prima  pagha  que 
si  fecie  in  Bari  pasato ,  ed  ano  sodisfato 
le  dispese.  E  rimanente  si  ritiene  infino  a 
Treseto  presente ,  perciò  que ,  se  la  pagha 
del  deto  Treseto  no  si  faiese ,  qued  eli  vi 
posa  dispendare  di  quela  muneta  se  mi- 
stiere  fuse. 

[A  ter(jo\  A  domino  Talomeo  e  a  do- 
mino Orlando  e  a  domino  Petro  vel  ai  con- 
pagni  detur. 


49 
VII. 

|29  iiovf-nihre  1265.] 

Ili  nomine  Domini ,  amen.  Letera  per 
lo  primo  messo  de  la  fiera  di  Treseto ,  in 
anni  sesanta  e  cinque,  fata  domenicha  duo 
di  isciente  novenbre ,  e  die  muovare  l' al- 
tro dì. 

Domino  Talomeo  e  gli  altri  conpagni , 
Andrea  vo' saluta.  E  sapiate  que  li  uo- 
mini da  Siena,  que  sono  iu  questo  luoglio , 
ne  mandaro  in  chomune  messo  al  dietro 
de  la  fiera  di  Santaiuolo  pasata ,  sichome 
soliono;  und'io  vi  mandai  uno  fardelo  di 
letare  per  lo  Balza  churiere  da  Siena:  se 
no  l'avete  avute,  sì  le  procliaciate  d'a- 
vere. E  sapiate  qued  io  ricieveti  in  deta 
fiera  di  Santaiuolo  Isxxxiij  lib.  di  prov. 
per  Uglio  e  per  Guastela  Mafei  Baroni, 
i  quali  denari  mi  dio  per  loro  Crescienzo 
Ranieri ,  e  dièmili  in  questo  modo ,  qued 
io  li  li  promisi  di  rondare  a  sua  volontà , 
se  '1  deto  Ugho  e  Guastela  ne  faieser  sì , 
che  i  conpagni  del  deto  Crescienzo  se  re- 
tenesero  apaghati.  E  la  d[et]a  facienda  no 
vi  divisai  del  deto  Santaiuolo ,  perquè  l' u- 
briai:  e  puoi  qn<MÌ  obi  date  al  doto  Balza 

4 


1»^  Intere,  que  vi  iiuuidai  per  lui,  si  scrisi 
una  picliola  letera  de  la  dèta  facienda,  e 
fecila  dare  al  deto  Balza.  No  so  se  V  avete 
avuta;  e  perciò  se  voi  de  la  deta  facienda 
[non]  avete  rasionato  chol  deto  Ugho  o 
Guastela,  sì  ne  rasionate;  e  que  faciano  si 
elio  1  i  conpagni  di  Crescienzo,  qued  eli 
alna  per  mandamento  di  dilivrarmi  i  deti 
denari  per  loro;  e  se  no,  sì  me  li  li  conve- 
rebe  rondare,  sed  eli  i  voleso. 

E  al  partire  de  la  deta  fiera  di  Santa- 
iuolo,  sì  andai  a  Parisi,  e  trova' vi  l'abate 
di  Gianuale,  e  rasionai  cho  lui  del  fato  de 
le  dugie[nt]o  sesanta  e  cinque  1.  pari.. 
qued  eli  e  '1  suo  convento  ne  dieno  dare  ; 
e  dise  que  no  eie  i  poteva  ora  dare:  sì 
li  li  rilasai  con  trenta  altre  lire  di  pa- 
risini,  que  ci  dovieno  dare  sopra  guagi, 
per  la  rasione  di  Parisi,  e  misivi  ^  agie- 
vole  chosto,  e  dovenne  ^  esare  paghati  per 
lo  tenpo  di  Provino  di  magio  que  viene 
presente,  sicliome  vo' divisarò  per  altra 
letera;  e  credo  que  ne  saremo  bene  pa- 
gliati e  finemente. 

E  sapiate  que  parlai  a  uno  monacho 
que  dimora  a  Parisi,  qued  è  jtarente  dei 

1    c'IiP.     2    iiiisiM'vì.     ■'   ilo  vene. 


51 

borghesi  di  Xoracha.  Sì  mi  «lise  que  sa- 
remo [apaghalti  in  questa  fiera  de  la  fi- 
nanza que  feci  del  fato  de  la  muneta,  qne 
ne  dieno  dare  i  deti  Borghesi.  Und'  io  cre- 
do que  per  fenno  avaremo  in  questa  fiera 
r  otanta  e  cinque  lire  que  ci  debono  dare 
per  conpimento  di  ciento  lire ,  que  finaro 
cho  noi  di  darci,  sicliome  iv'ò  divjisato 
per  altra  letera:  e  d'  altra  parte  sì  ri- 
cholsi  intorno  di  cinquanta  lire  de  la  ra- 
sione  di  Parisi  :  e  credo  que  mi  vi  converà 
andare  apreso  la  mosa  di  queste  letare, 
per  ricievare  denari  que  vi  dovemo  avere 
per  la  deta  rasione,  e  starovi  due  d[ì] 

E  de  la  deta,  que  noi  e  i  consorti  do- 
vemo avere  dali toli,  sì  credo  que  ne 

saremo  pagliati  in  questa  ffiera  sicliome 
v'ò]  divisato  per  altra  letera;  e  de  la  de- 
ta, que  noi  e  i  consorti  dovemo  avere  da 
Pun tigni,  sì  credo  fque  ne  daranno]  in 
questa  fiera  la  prima  paglia,  sichome  de- 
bono, cioiè  lo  terzo  di  quelo  que  ci  di^no 
dare. 

E  puoi  que  vi  mandai  le  sopradete  le- 
tare per  lo  Balza,  sì  ricieveti  da  malestro 
Alberto  Tornilio  Ix  1.  di  >  tor.  per d'in- 

1  id. 


pcriali.  qui'  iJivisiii  a  i  nostri  di  Loiibar- 
rlia  que  ne  i  pagasero  per  la  coiipagnia 
quo  avemo  choi  nostri  Parniisiani:  e  cliosì 
ci  rimase  [di eia  deta  conpagnia  in  deto 
Santaiuolo  sesanta  lire  meno  quediono  vi 
divisai:  che  vi  scrisi  que  ci  dovieno  darò 
ciento  otant[asei  lire]  e  quindici  soldi.  Sì 
ne  rabatei  le  dote  sesanta  lire,  e  rimase 
que  ci  dieno  dare  ciento  vinti  e  sei  lire  e 
quindici  soldi  di  provesini  in  doto  San- 
taiuolo. 

E'sapiate  qued  io  aveva  tre  sacha  di 
lana  de  la  deta  compagnia,  la  quale  cho- 
stò  vintuno  soldi  la  pietra,  e  ancho  sì  n'a- 
v[eva]  Guido  Tosclio,  per  mezo,  cinque 
sacha,  que  chostò  dieciesete  soldi  la  pietra 
in  Provino  di  magio.  Und'io  mandai  la 
dota  "lana  a  Ciolona  a' nostri  amici  que  eie 
la  vendosoro:  sì  la  venderò  vintuno  soldi 
la  pietra,  tanto  l'una  quanto  l' altra.  E  di 
quelo  que  pr[esta]i  avemo  avuto  la  meità 
dei  denari  in  questa  fiera,  e  l'altra  meitii 
dovemo  avere  in  ^  Lagnino  presente  :  e  sono 
rliome  li  avesemo  ne  Fungia.  -  E  per  al- 
tra letera  vo'  divisare  quelo  quo  n'  aremo  ■' 
avuto  e  guadagniato. 

Sapiate  qued  obi  una  letera  di  Frodo- 

1  i.    2  ugia.     ■!  urfiiio. 


riglio  Doni,  quo  divisò  com'era  giouto 
sano  e  salvo  in  ^  Londra,  e  eli'  aveva  man- 
dato uno  messo  a  Conventri,  il  quale  non 
era  ancliora  tornato  ;  e  credo  qua  ,  pw  bon- 
tià  di  domino  Otobuono  cliardinale  i  deti 
di  Conventri  ne  pagharano  bene,  se  Dio 
piacie:  né  più  novele  no  n'ò  puoi  aMite. 
Dioquedè  signiore  eie  ne  le  mandi  buone, 
sicbome  voi  volete;  e  quando  ne  saprò  più 
inanzi,  sì  vel  divisare.  E  se  voi  no  m' avete 
divisato  -  quanta  muneta  pagharo  i  deti  di 
Conventri  de  la  conpusizione  que  federo 
che  noi,  si  mei  divisate,  sichome  v'abo 
iscrito  per  altra  letera. 

E  rey  d' Inghiltera  e  misser  Aduardo 
sono  tu  ti  signiori  de  loro  paiese,  sicho- 
me debono.  -^ 

I  conpagni  dei  filinoli  Salenbene ,  quo 
dimorano  in  Piandola,  e  dama  Isabela 
Pilea  d' Arazo  sì  ano  a  guardare  le  letare 
de  la  dota  que  dovemo  avere  da  Sanpiero 
di  Guanto;  de  la  quale  deta  dovemo  esare 
paghati  per  lo  tenpo  de  la  fiera  di  Santa- 
iuolo  pasata,  e  anello  no  li  ano  paghati. 

1   i.     2   aveto  divisauto. 

■i  Questo  paragrafo  nell'originale  non  fa  ca- 
poverso, ina  ('•  sepuralo  dal  precedente  per  vn 
largo  spazio. 


54 

Ed  abo  divisato  ai  doti  coiipagiii  dei  fi- 
liuoli  Salenbene  que  i  prochacino  d'  a- 
vere;  e  credo  que  ne  farano  loro  podere, 
e  credo  que  ne  saremo  bene  pagliati. 

L'abate  e  convento  di  Bella  Branda, 
ordine  di  Ciestele,  n' ù,  pagliati  quaranta 
e  cinque  1.  di  tor.,  que  ne  debero  dare  in 
[Santaiuollo;  e  no  eie  ne  pagliaro  chosto 
neuno,  sichome  v'ò  divisato  ^  per  [altra] 
letera.  E  1'  abadia  di  Sant'  Antonio  n'  à 
paghati  intorno  di  quaranta  lire  ;  e  credo 
que  eie  ne  pagliarano  una  buona  parte  in 
questa  fiera,  di  queli  que  dare  ci  debono. 
Sicom[e  m]i  dise  l'abadesa  de  l' abadia 
di  Sa' Martino  di  Tresi,  non  [potei]  osare 
pagha[to  per]  chasione  que  già  buon  dì  no 
ci  è  suto  l'abate,  e  sarei  tosto,  sichome 
dichono  i  loro  monaci  :  e  prochaciarò  di 
ritrare  di  loro  quelo  que  ci  dieno  dare. 

E  del  fato  de  la  'n vestita  de  i  pani, 
quo  Pagnio  ed  io  avemo  fata  in  questa 
fiera  per  la  conpagnia  que  avemo  clion 
Orlando  Buonasera,  no  vi  diviso  neiente 
per  questa  letera,  perciò  que  ciò  que  ave- 
mo fato  potrete  vedere  per  la  letera  que 
mando  a  la  deta  conpagnia. 

1    vo  divisai'fi. 


Guido  Toscho  di  Parma  sì  à  fati  pani 
di  questa  fit^ra  per  la  sua  conpagnia,  e  an- 
daràsene  chon  esi:  ed  ami  deto  que  i  fa- 
livano  intorno  di  ciento  lire  e  que  vole 
qued  io  li  li  presti  :  la  quale  cliosa  no  vo- 
rei  que  fuse  mistiere  ;  ma  se  misti  ere  sarà, 
sì  credo  di  prestarlili,  perquè  mi  parebe 
una  crudilità  a  no  prestarlili:  tanta  di- 
mesticlieza  avemo  avuta  cho  la  sua  con- 
pagnia, e  avaremo  anchora,  se  Dio  piacie. 
E  se  i  trovarò  a  conprare,  a  pagliare  in  i 
Lonbardia,  sì  li  conprarò  cho  lui  insieme, 
più  voluntieri  qued  io  no  li  li  prestare).  E 
la  sua  investita  monta  intorno  di  mille 
lire  di  provesini. 

Lo  meso  de  la  merchantia  non  è  ancho- 
ra venuto.  Dio  ciel  mandi  con  buone  nove- 
le,  que  tropo  è  stato.  E  quando  ci  sarà,  sì 
vedrò  le  lotare  que  ci  mandarete  per  lui, 
e  sopra  ciò  que  divisarano ,  istarò  inteso 
d'adoperare  ciò  qued  io  potrò,  que  buono 
sia  per  voi. 

Domino  Simone  chardinale  prochacia 
quanto  può  di  fare  choliare  lo  dicino,  que 
si  die  paghare  per  lo  fato  di  re  Charlo  ;  e 
credo  que  ne  sarà  choltu  una  grande  quan- 
tità di  chìe  a  la  chaiuhdoro  presente,  e 


56 

credo  ({Uu  '1  doto  rey  tic  farà  molti  veiida- 
re  per  avere  la  muneta  a  Eoma  e  in  ^  Lon- 
hardia.  E  se  ciò  fuse,  si  pare  qu'e'prove- 
sini  d[ovJrebero  ravilare,  e  d'altra  parte, 
le  gienti  d' esto  paiese  que  venghono  in  a- 
iuto  del  deto  rey,  sì  credo  que  sieno  ora 
in  2  Lonbardia,  ed  ano  grande  tesoro  di  mu- 
neta e  di  chanbiora  cho  loro;  de  la  quale 
credo  que  vi  dispendaran[o]  una  grande 
quantità,  sì  que  tornesi  e  chanbiora  vi  do- 
vrano  esare  a  grande  merchato,  sichome 
v'  abo  divisato  per  altra  letera:  e  se  vedete 
via  di  poterne  trare  utulità,  si  lo  procha- 
ciate  di  fare ora.  ^  E  diciesi  que  mol- 
ta buona  giente  di  questo  paiese  si  die 
anchora  crociare,  per  venire  in  aiuto  del 
deto  rey:  no  so  sed  è  vero  o  no.  Dio  qued 
è.signiore  ab[ia]  veduto  di  farne  quelo 

que  '1  miliore  sia  di  noi  e  di  tut ta  •* 

Avere  di  peso  ci  à  mala  vendita,  che 
no  pare  que  eie  se  ne  posa  vendare  ne- 
iente ,  ed  àciene  asai.  E  pepo  ci  vale  ....nta 
e  sei  1.  la  charicha,  e  no  si  può  ben  ven- 
dare. Giongieva,  da  vinti  e  due  d.  in 
vintoto ,  sichom'  è  buona.  Zaferano ,  ci  è 
st[at]o  ben  dimandato,  ed  èci  venduto 

1  i.  ■-  i.  3  Forse,  sin  d'nia.  4  Forse:  <^  fli 
tutta   la  l'i-istiaiiita. 


vinti  e  cinque  s.  la  1. ,  e  no  eie  n  à  neien- 
te.  Ciera  di  Yenesia,  vint[i]  e  t[re]  d.  la 
livra.  Ciera  di  Tunisi,  vintuno  d.  e  mezo. 
Ciera  di  Romania,  vintuno  d.  e  mezo.  El 
conpagnio  de  lo  Schoto  sì  ci  à  molto  avere 
di  peso,  e  no  ne  può  avere  denari;  e  sta 
in  1  mene  di  mandarlo  in  Ingliiltera  a 
vendare. 

Isterlino.  al  chanbio.  cinquanta  e  nuo- 
ve s.  la  marca.  Ariento  di  Friborgho 
buono,  cinquanta  e  sete  s.  e  sei  d.  la  mar- 
ca. Oro  di  Teri,  dicienuove  1.  e  diecie  s. 
la  marca.  Palinola,  sichom'è  buona.  A- 
ghustari ,  xj  s.  l' uno.  Fiorini  valsero  in 
Santaiuolo  oto  s.  l'uno  e  uno  d.  più,  per 
chasione  de  la  crocieria,  e  ora  no  credo 
que  si  potesero  vendare  più  d' oto  s.  meno 
tre  d.  Mansesi  valiono  quindicino,  cioiè 
i  quindici  mansesi  due  s.  di  tornese.  Mu- 
netameflata,  quindicino  e  mezo. 

Se  voi  non  avete  pagliato  a  la  moglie 
di  lachomino  del  Cbarnaiuolo  diecie  lire 
di  senesi  minuti,  sichome  vo'  divisai  de  la 
fiera  di  Santaiuolo  pasata ,  si  le  k  paglia- 
te ,  que  sono  per  tre  1.  di  provesini  que 
ricieveti  dal  deto  lacomino  ;  e  scriveteli  a 
mia  avuta  per  la  fiera  di  Santaiuolo  pasa- 


58 

ta,  perciò  elio  li  abo  iscriti  io  per  la  dota 
fiora,  0  ubria'lo  a  scrivare  no  la  letera 
(lue  vi  mandai  del  doto  Santaiuolo.  E  so 
voi  aveste  fato  dare  lo  chamelino,  quo 
vi  divisai,  a  la  dota  molie  di  lachomino, 
si  mei  divisate,  quo  me  ne  farei  pagliare 
quelo  quo  mi  divisaste:  ed  eli  ne  sta  a 
speranza  quod  eia  abia  avuto  lo  deto  cha- 
melino. Perciò,  se  voi  no  le  l'aveste  fato 
dare,  sì  lo  faito,  so  a  voi  pare,  e  divisa- 
tomi quolo  que  chostase. 

[Fiioril  A  domino  Talomoo  sere  la- 
chorai,  vel  ai  conpagni  detur. 

Vili. 

[1269.1 

In  nomino  Domini,  amen.  Letera  de  la 
fiera  di  Bari  in  anni  sesanta  e  novo. 

Domino  Talomoo  o  gl'altri;  Andrea  sa- 
luto. E  manda  vi  por  Gianino  lo  Pichardo, 
messo  do  la  parte,  uno  fardolo  di  letaro, 
per  le  quagli  vi  risposi  a  vostre  che  m' a- 
vavate  mandate:  se  no  l'avete  avute,  si 
le  prochaciate  d' avere. 

E  Froderigho  Doni  si  i'  in  Piandola 
por  fare  la  'nvestita  dei  pani  cho  volete 
iivoro  di  Provino  di  magio  presento.  E  i 
l'istulcsi  aiidaro  in  Piandola  sì  por  tenpo 


59 

che  i  loro  pani  sono  già  in  Borghonia,  e 
credo  che  sarano  i  Lombardia ,  anzi  che  i 
nostri  si  partano  di  fiera;  e  cosi  potrano 
bene  fare  fiera  senza  noi ,  percliè  non  vi 
sarano  i  nostri  pani  a  la  stasione  ched  è 
ordinato  intra  i  nostri  da  Lonbardia  e 
loro,  sì  come  voi  sapete  che  federo.  Volia 
Dio  che  sia  per  nostro  bene.  ' 

[Fuori]  Domino  Talomeo  ser  lacomi 
vel  ai  conpagni  detur,  2  al  Chastello  de 
la  Pieve. 

IX. 

[1283.] 

§  Ghezo  e  Oddo  ;  Manno  e  •'  Alighiero 
0  P[a|ne  vi  salutano.  E  per  lo  vostro  leta- 
re  propie  intendemo  da  voi,  che  infra  ''  voi 
avavate  alchuno  dibato  ;  de  la  quale  chosa 

1  Questa  lettera  {come  s' è  avvertito  nella 
Prefazione)  è  tratta  da  una  copia  di  mano  del- 
l'erudito  senese  Giovanni  Pecci,  il  quale  a  questo 
punto  nota:  «  Più  a  basso  appariscono  tutte  le 
•  riscossioni,  e  da  chi  venqono  pagati  i  denari.  » 

2  II  Pecci  legge  de  Tur:  e  spiega  in  altro  luo- 
go: «  di  Turnone,  vicino  al  Castello  della  Pieve»  : 
ma  il  riscontro  dette  altre  lettere  ci  assicura  della 
giustezza  della  nostra  correzione. 

:5  e  >..     4  itVa. 


(U) 

;i  iiui  ne  'iicrescie,  e  non  voreiuo,  per  la 
nostra  vol[ont]à,  che  vi  fuse;  e  quelli  (li- 
bati eli'  avete  insieme  sie  vel  dicliiaremo 
per  questa  letara  :  e  perciò  vi  piacia  che  da 
ora  'nanzi ,  voi  siate  sì  in  concordia ,  che 
pine  voi  non  ce  [ne]  scrivete  ;  sapendo  che, 
se  ciò  non  fuse,  noi  non  ve  ne  scrivareino 

mai  piue ,  be e  ve  ne  conveniste  voi. 

In  prima,  noi  di  qua  sì  semo  chosì  in 
concordia,  che,  al  nomo  di  Cristo ,  voi  fer- 
mate la  compagnia  in  quello  modo  che  noi 
vi  scrivemo  per  un'  altra  letara ,  la  quale 
noi  vi  scrivemo  chomunale  ad  anboduni  ^ 
voi,  la  quale  fue  di  questo  tenore:  che  i 
chapitali  de  la  compagnia  fusero  tre  '" 
Ib.  de  tor.  per  tuto;  de' quali  fusero  vinti 
(.'.  sete  e  e  cinquanta  Ib.  tor.  de'  filioli 
Squarcialupi ,  e  dugiento  cinquanta  Ib. 
tor.  d'Oddo.  E  in  questo  modo  vi  divisamo 
che  voi  la  me  [ti]  ate  in  sodo,  se  mesa  no 
l'aveste;  salvo  che  questa  rimesa  vi  fa- 
ciemo  ora:  che  là  u'dicicva  che  doveso 
durare  la  compagnia  da  kal.  gienaio  anno 
cotanto  infino  kal.  gienaio  anni  cotanti , 
si  debia  diciare  :  da  kal.  giugno  ^  anno  o- 
tanta  e  tre  difino  in  kal.  giugno  ■'  anno 
utanta  e  [sejto ciò  intendiate  ^  che 

1   ulii.'iluni.     i  frullio.     •'  l'h^iio.      •   inlediute 


fil 

cresciate  il  t^mpo  do  la  compagnia da 

io  infìno  '  al  giugno;  e  in  somelianto 

modo  faciate  le  vostre  ragioni  per  kal.  giu- 
gno, ^  salvo  che  sia  ne  la  volontà  di  Ghezo 
l'avègli,  s'apaglia  pine,  o  di  farle  per  In 
gienaio,  o  di  farlo  per  lo  giugno.  ^ 

E  ch'inanzi  *  a  pasqua  di  quaresima 
sie  chominciarete  a  fare  la  vostra  ragione  , 
e  fata  la  vostra  ragione,  sie  farete  i  cera- 
grafi  ;  e  se  no  chapesero  in  uno  ciera- 
grafio ,  sie  il  fatte  in  due ,  ma  fatte  men- 
zione r  uno  de  l' altro.  Diciarete  :  «  Noi  a- 
vemo  fato  questo,  perchè  le  nostre  dete 
no  chapevano  tute  ne  l' altro.  »  E  uno  o  i 
due  che  siano  i  cieragrafi,  sienoscriti  per 
mano  di  Ghezo,  e  ritenghali  Odo  [a]  sé; 
einsomeliante  modo  sie  facia  Oddo  i  suoi, 
iscriti  di  sua  mano,  e  rechineli  Ghezo, 
quando  elli  ne  verrà  a  Siena.  E  fatte  in 
ciascheuno  cieragrafio  pendare  i  vostri  su- 
gielli,  e  onieuno  di  voi  iscriva  di  sua  ma- 
no in  pie  del  cieragrafio  ;«In  •''  testimonan- 
zadi  questo  cieragrafio,  io  chetale  sì  ci 
fone  pendare  il  mio  sugiello.  »  E  l'altro 
facia  il  someliante. 

Anco,  quando  avarete  fata  la  ragione , 
sie  scrivete,  a  pici  la  posta  de'  capitali 

I   iriiio.     2  irui'iio.     -i  Liumio.     I  c;inazi.     ■'  i. 


H2 

d'oniouno,  il  suo  gmidai^no;  e  ciò  che  iiu-- 
tarà  in  prima  '  chapitali  [e|  in  guadagno. 

sie  farete  somo  da  piei  per  tuto  ch[ei  gu 

chetale  a' suoi 

Ancho,  senio  chosie  in  concordia,  che 
voi  faciate  promesione  infra  '  voi,  soto  cer- 
ta pena,  che  neuno  non  facia  ne  reame  di 
Francia  suoi  fati  propi,  tuto  il  tempo  che 
duràe  questa  compagnia. 

Ancho,  semo  cosie  in  conchordia  che 
Oddo  prometa  a  Ghezo,  se  Ghezo  vole, 
che,  compiuto  il  tempo  de  la  compagnia, 
che  Odo  non  avara  a  fare  in  quello  paese , 
due  noi  avemo  a  fare  ogi;  salvo  che  Ghezo 
prometa  a  lui  di  pagharti  i  denari  quon- 
tianti  di  ciò  che  tue,  Oddo,  dovessi  avere 
ne  la  sopradetta  chompagnia,  e  capitale  e 
guadagno:  ma,  se  Ghezo  se  ne  vole  sofe- 
rire  di  questo  chapitolo ,  sie  ne  sia  libe- 
rato r  uno  e  r  altro. 

Del  salario  che  noi  diamo  a  Oddo,  e 
anco  de  la  sua  asetaria,  no  ve  ne  impa- 
ciate voi  di  costà:  che  noi  ce  ne  acivire- 
mo  bene  noi  di  qua. 

E  anco  semo  in  concordia,  che  quando 
Ghezo  se  ne  viene  a  venire,  che  s' elli  volo 
da  te.  ^  Oddo,  charta  di  riconoscienza 

l  iiiiiina.     -  ifra.     ■*  da   t(>   <i:i  ti-. 


(che  tue  contesi,  che  tuo  ahi  cotanto  tra  h' 
mani  in  dete  a  ricoliare  e  in  ^  denari  quon- 
tianti ,  2  quanto  monta  la  soma  de  la  com- 
pagnia, sie  chom'  aparrà  partitamente  per 
li  vostri  cieragrafi.)  sì  li  li  fae,  e  anco 
irapromete  di  raseniarci  la  ragione  e  in  ' 
Francia  e  in  ■*  Siena.elaunque  a  noipiacie- 
se,  e  anzi  il  tempo  che  die  durare  la  com- 
pagnia, e  infra  '1  tempo ,  e  dipo'  '1  tempo, 
a  tute  le  volte  che  noi  te  ne  richieresimo 
per  nostra  letara.  La  quale  riconoscienza 
dicha:  La  quale  somma  sì  è  cotanto  dei  fi- 
lioli  Squarcialupi  e  chotanto  d' Oddo. 

Ora  pare  a  noi  che  noi  v'  avemo  dichia- 
rato onie  chosa;  e  perciò  la  traete  a  fine , 
sichome  noi  vi  divisiamo ,  al  nome  di  Dio , 
e  chon  guadagno  e  con  alegreza  e  de  le 
persone  e  de  l'avere,  che Idio  ci  dia.  ^imen. 

Fato  e  meso  in  sodo  questi  fati,  sì  senio 
in  concordia  che  tue,  Ghezo,  sie  ne  vegni 
a  Siena,  al  nome  di  Dio. 

Ed  io  Alighieri  sono  in  concordia  cho 
Manno  e  con  Pane,  di  tutte  queste  cose, 
sicome  divisa  da  chi  'n  su  =  di  tuta  questa 
letara,  d'ogne  lato;  e  perciò  ci  abo  iscrito 
di  mia  mano.  E  perciò  sì  la  fatte  nel  sn- 

'  i.    2  (juotianti.     -i  i.     <  i.     •"'  da  chi  su. 


(>4 

pradcti)  nuxlo,  al  iiuiiic  di  Dio  e  di  tuti  i 
santi,  e  di  g'uadagno  e  di  .salvamento  ' 
di  persona  e  d' avere. 

X. 

[8  marzo  1293.] 

Ghoro  e  Ghonterucio;  lachomo,  salute. 
Ebi  la  letera  che  mi  mandaste:  intesi  ciò 
che  disse. 

E  per  la  deta  letera  mi  mandaste  pre- 
ghando  che  a  me  piaciese  che  tu  ora,  a 
questa  rascione ,  aveste  chapitali  ad  An- 
deli:  unde  sapiate  che  io  ne  voglio  quello 
che  voi;  e  io  ne  scrivo  a  Mino  e  a  Tura 
propii  il  mio  volere. 

E  ancho  ne  scrivo  a  loro  e  a  voi  e  a 
Tofo  e  a  Llure  e  a  Ghucio  il  mio  volere, 
che  io  abo  di  quelli  fati  e  degli  altri  tuoi 
e  nostri ,  per  letera  chomunale  a  voi  tuti  ; 
cioè,  che  a  me  parrebe  il  meglio,  che  i 
fatti  d'Andeli  e  di  Koeme  e  gli  altri  no- 
stri, che  avemo  chon  teche  da  Parisgi, 
fussero  tuti  una  chosa  chomuna  insieme; 
e  assetarvi  suso  per  tuto  chapitali  di  cia- 
schuno,  tuti  insieme,  e  fuse  uno  monte: 
che  chi  à  tuto  inn'  uno  -  luogho,  sì  à  (tulto 
inn'unofuocho. 

1  salvaiiieto.    2  L' origiitalc  ha  qui  in  iiuiio  , 
r  •;iil)il(i  (ìnpo  in   "iinnn. 


(jr, 

E  anello  vi  si  niiiictH  tnti  i  iiiifi  di- 
nari propi,  cirio  ilebu  avoro  di  chostà. 
!■' donavi  chontianti  in  dote,  istimato  per 
quello  eh'  elle  vagliono;  perciò  che  non  vo- 
ii;\ìo  che  né  io  né  altri  abia  neuno  suo  traf- 
ficho  propio:  si  andarano  più  ritti  i  fati, 
e  ciascheuno  serra  a  uno  segno,  senza  di- 
visione, e  sarà  in  lume  i  dei  fatti.  E  perciò 
ci  pensato,  come  vo'pare;  e  scrivetemene 
il  vostro  volere  e  degli  altri.  E  quando  Mi- 
no sarà  di  qua,  si  assortiremo  le  parti,  sì 
chome  vedremo  che  ssi  chonvengha.  E  voi 
tuti,  in  chomune  volere  indiviso,  ci  scri- 
vete ['1]  vostro  parere;  e  che,  se  v'achor- 
date  ched  e'sia  chosì ,  che  v[o'ne]  divisate 
quello  che  ciascheuno  intende  d'avere  a 
chapitale;  e  noi  poscia  gli  asetaremo  di 
qua,  sì  chome  noi  vedremo  che  sia  bene  e 
chonvenevole.  E  intendete  che  questo... 
(•h...io  che,  0  vengha  fatta  o  non  vengha 
fatta  la  chomunità  dei  figliuoli  sor  lachopi 
t'hie  n]o[i  avelmo  iscrita  a  voi,  e  voi  ne 
rispondeste  a  noi,  si  voglio,  se  pare  a  voi  e 
agli  al[tri  dola]  nostra  chomunità  di  sopra. 

E  ancho  ontosi  che  Chopo  dei  Rossi 
vi>"  mandoi'  a  dire  che  volontieri  sarebc 

1  iiiiiii,»-. 


al  nostro  scrvizin.  e  di'cgii  à  voy-lia  di 
bene  fufe,  e  che  v't'  deto  ohe  s'è  provato 
bene;  per  lo  quale  mi  preghavate  che  io 
il  metese  in  sui  nostri  fati.  linde  sapiate 
die  io  vorrei  suo  bene  e  suo  vantagio;  ma 
voi  vedete  lo  stato  dei  nostri  fati,  se 
sonno  tagliati  da  menarli  a  giovano  che 
non  fusse  molto  aprovato;  e  s'io  il  voleso, 
forse  altri  noi  vorrebe.  E  perciò,  quanto  a 
ora,  se  altro  ischiaramento  di  qua  io  non 
avesse  non  vel  potrei  dire:  ma  ss' egli  '"• 
di  vostro  piaciere,  e  vedete  che  per  li  fati 
di  Parisgi  sia  buono  per  noi,  che  mi  pia- 
cie  che  vel  raetiate;  e  quanto  che  non,  so 
i  nostri  d'Andeli  n'avessero  bisogno,  sì 
ne  potete  parlare  chon  loro,  e  a  me  ne  pia- 
ciarà  ciò  che  ne  farano. 

E  divisaste  che  avevate  messo  Ghuc- 
cio  alla  schuola,  e  che  credevate  che  sa- 
rebe  bene  di  lui  e  di  chompagnia.  A  Dio 
piacia  che  così  sia,  maio  il  dubito:  per 
ciò  ch'elli  avara  più  chascione  di  bazicharo 
choi  frati.  E  in  su  questo  ponto  guardate, 
che  sse  questo  dubio  non  vi  fuse,  tropo  ne 
varrebe  di  meglio  a  stare  uno  tempo  a  scuo- 
la, e  poscia  faese  come  fecie  Ghonterucio. 

La  vostra  famiglia  è  sana  ed  allegra. 
<.'  IVio  In  mantcnglia  di  1»  'ne  in  meglio. 


Ciaupnlo  I'  al   \'it;'iiuii('  cluni  tata  sua 

famiglia;  o  a  me  non  no  yiuova,  '  por  ciò 

chovistaclion  o'raiido  isposo  o  sanzafruto. 

Fata  lunidì,  viij  di  oiitranto  marzo  aii- 

11(1  Ixxxxiij. 

iFì'ori]  [A]  Qhoro  Ghoutiori  [l'I 

a  CTliontoruoio 

a  Pariso-i. 


1    i;llov:i. 


APPENDICE. 


I. 

[Giuguo  loOo.] 

Messere  Ghoro  e  Ghontieri;  Ghuccio  o 
Fninciescho  vi  si  racomanda  e  salute,  e  co 
volontae  di  fare  e  dire  cliosa  che  vo' piac- 
cia. Per  questo  meso  avemo  una  letara  elio 
ne  mandaste:  intendemo  cioè  che  ne  divi- 
saste. 

E  per  essa  letara  ne  divisaste  come  vi 
pareva  il  meglio  che  noi  prestasimo  i  no- 
stri denari  a  longho  termine,  per  chagione 
de  r  aconcio  de  lamuneta;  e  diciestene  le 
ragioni  che  vi  sono.  Diciamvi  ^  che  poscia 
che  ci  ebe  parola  che  la  muneta  si  dovea 
rachonciare,  sì  '1  faciemo;  ma  ora  noi  fa- 
ciamo,  percioe  che  crede  l'uomo  che  sa- 
rae  anzi  la  ciandeloro  ch'ella  abia  muta- 
mento, sie  ch'ai  pine  corto  termine  che 
noi  potiamo ,  si  prestiamo  e'  denari  che  ci 
venghono  a  le  mani. 

E  sapiate  eh'  e'  baroni  e'  prelati  di  Fran- 
cia sono  fermi  che  la  buona  muneta  sia, 
e  vogliono  eh'  ella  corra  piue  tosto,  e  mol- 
to n'  ano  parlato  innanzi  -  a  re.  Quello  che 
si  sarae,  no  potomo  sapere:  ina  per  fermo 

1  ilii-iavi.     -  imui/i. 


il 

siamo  ciurti  che  in  ((Uf^sto  anno  avaromo  la 
buona  muneta;  e  fatta  la  pacic  di  Fiani- 
mcnghi,  credemo  sapere  cioè  che  sarae  df 
la  nmneta. 

E  sapiate  che  i  figliuoli  del  conte  di 
Piandola  e  gli  atri  baroni  di  Piandola  so- 
no a  Parigi,  e  ongnie  dì  sono  a  corte  de 
re,  e  neuna  altra  chosa  no  si  fae  ne  la 
chorte  de  re,  se  no  di  questa  pacie;  e 
sarebo  fatta  pezo  fae  e  acordata,  se  no 
fnsse  ch'e'Fiamraenghi  no  voglion  '  pa- 
cie col  conte  de  Analto,  e' re  no  vole  pa- 
cie, se  no  fanno  pacie  col  conte  d' Analto. 
Crede  l'uomo  pure  che  pacie  sarae:  e  Dio 
eh' è  singniore  ve  la  lasi  esare,  che  sia 
aono[re  ^de]  re[ajme.  |Eldiciamvi,=^cliesi 
tosto  come  questa  pacie  saràne  fatta,  e 
reame  di  Francia  no  fue  m[aiì  si  buono  per 
Ighjuadangniare,  come  sarac  ora;  e  crede 
l'uomo  che,  fatta  la  pacie,  noi  avaremo  la 
buona  muneta  inmantenente.  ■•  E  diciam- 
vi  ^  eh'  e'  merchatanti  sono  in  tante  ope- 

nioni,  che  no  sano  che  si  debono ;  che 

chi  dicio  una  e  chi  dicie  un'altra,  e  cia- 
schuno  mira  l'uno  l'altro;  e  mai  no  fue 
chosa  secreta  di  fatto  di  muneta  racon- 

1  vofrlio.  -  iuiov-  "^  <li<-i;tvi.  i  iniiuitLMiPi- 
(p.     ■".  dii'iavi. 


ciare,  cuiuo  òno  questa.  Quello  clic  si  sarao. 
no  potiamo  sapere:  convionci  •  istare  a  la 
merciè  di  Dio. 

E  divisastene  come  sete  fermi  di  ven- 
dare  de  le  nostri  posesioni,  e  che  per  ra- 
concio  di  muneta  no  volavate  lasare  di  no 
vendare.  Unde  eh'  a  noi  ne  piacie  cioè 
che  ne  piacie  a  voi;  ma  se  Dio  dae  che 
buona  muneta  sia  e  noi  fusimo  paghati  di 
buona  muneta,  noi  ci  troviamo  sic  di  qua. 
che  noi  potremo  tenere  Vergielle,  e  com- 
prare le  posesioni  che  noi  volesimo;  ma 
no  diciamo  noi ,  che  se  voi  trovate  a  cimi 
vendare  la  derata  uno  denaro .  parci  che 
r  abiatc  a  fare ,  che  tutto  a  tempo  trovare- 
mo  noi  a  conprare. 

E  per  pine  letare  n'  avete  divisato  le 
grandi  dispese  di  neciesitae  've  voi  sete 
di  costà,  e  come  per  ongnie  modo  vi  pro- 
chaciavate  di  ristrengniare  e  di  risparmia- 
re de  le  spese,  e  che  per  isparmio  che 
faciavate  no  vi  credavate  potere  civire  de 
le  nostre  rendite  di  costà.  Unde  che  inso- 
ma vi  diciamo  eh'  a  noi  ne  'ncroscie  -  e 
duolf  :  0  diciamvi  ^  che  a  nostro  potere  noi 

1   oovieci.     2  necrescif.    3  diriavi. 


71 

ci  prochaciatuo  di  fare,imd(;  voi  e  noi  siamo 
fiioro  di  questa  neciesitae;  e  se  mai  gio- 
vani uomini  che  fusero  fuore  di  cliasa  sua 
prochaciaro  di  guadangniare  e  di  fare  eh"  a- 
vesero  de  l'oro,  si  crediamo  che  siamo  noi 
due  essi,  cioè  di  chosa  che  no'sapiamo  fa- 
ve  fatto  e  faremo  per  inanzi,  '  che  voi 

né  neuno  altro  nostro  amicho  eie  ne  po- 
trano  biasmare.  E,  so  Dio  piacie  e  la  ver- 
gine Maria,  noi  siamo  fermi  che  in  questo 
verno,  vagliala  muneta  o  no,  di  mandarvi 
de' denari  di  costà,  perchè  voi  no  siate  in- 
tanta neciesitae  've  dite  d' esere;  che  ne 
pare,  per  le  letare  che  voi  ne  mandate,  che 
la  terra  no  vi  deba  sostenere,  e  che  voi  non 
abiate  pane  che  mangiare.  Sie  che  siamo 
fermi ,  quando  voi  pure  volete,  di  ricogliii- 
re  e  di  mandarvi  de' denari  di  costà;  aven- 
gha  se  la  muneta  no  si  raconeiase  -  anzi 
che  noi  vi  mandasimo  de'  denari ,  e  noi 
v'e'mandasimo,  sapete  che  grande  dano 
ne  rieievaremo,  esendo  così  vili  come  sono  ; 
e  peroe  voi  sete  savi,  vedete  quello  che  abia- 
nio  a  fare  ;  che  cioè  che  ne  divisarete,  così 
faremo,  o  di  rieogliare  o  d'imprestare.  '^ 
K  dieiamvi  *  bene,  che  noi  saremo  lieti  che 
voi  ancliora  questo  ainio  teneste  il  devito  . 

1  inazi.     '  racnciasc.     'i  iiirestarn.    -1  diciavi. 


V5 

•li  costà,  yerciui'  rlie  di  qua  s'impresta  '  a 
grandi  costi  :  e  g-uadag-iiiereime  -  grosa- 
mente. 

E  uucho  ni!  divisaste  che  no  vi  pareva 
di  parlare  elio  Meo  Malefoglia  di  denari 
che  noi  gli  dovemo  dare ,  nel  modo  che  vi 
divisamo,  per  pine  ragioni  che  n'  asegnia- 
ste.  Piaciene  cioè  che  piacie  a  voi,  ma  a 
Palmiero  ne  pare  che  voi  n'  abiate  a  par- 
lare, se  parlato  no  n'avete. 

E  ancho  ne  divisaste  come  Meo  Male- 
foglia  si  ti(!ne  male  apaghato  e  contenuto 
de  le  letare  che  noi  ischanbiamo  ■'  a  Giu- 
fremo.  Sapiate,  che  poscia  che  voi  ciel  di- 
visaste, noi  no  schanbiamo  ••  neuna  le- 
tara,  e  no  vide  ilsacho.  e  no  farae,  se 
altro  mandamento  n'abia  •'•  da  noi;  e  cosi 
il  potrete  dire  a  detto  Meo. 

E  ancho  ne  divisaste  come  Gino  e  Nigi 
lodaro  che  Ghame  e' nipoti  dovesero  dare, 
de  la  nostra  tera  eh'  avavamo  in  "  Valdàso, 
quatro  <^  lire  senesi  (voremo  eh'  eglino  l' a- 
vesero  fatto  giae  cinque  anni)  ;  e  come  voi 
n'avete  fatta  carta,  e  che  chonviene  '^  che 
noi  ne  faciamo  altresì  carta:  sie  ch'io 
Giiccio  Fùe  fatta  nel  modo  che  ci  manda- 

1  i|iivsta.  ■-  j^iiaflaiiiii'M'cni'.  -i  isciialiiaiiin. 
1  'ii-haliiaiiio.     :"'  iialiiaiii".     '■  i.     "  rlinvii'iic 


76 

stc,  0  la  copia  guarclarcmo  ;  sic  che  quan- 
do si  convorao  '  clic  i*»  Fraiiccscho  la  ta- 
cia,  sì  la  faroe. 

E  voremo  che  n'aveste  divisato  a  quan- 
te istaiole  di  terra  puoe  bene  esare  la  torà 
che  Ghame  coie  a  mità  di  nostro,  e  s'egli 
à  da  la  via  in  suso  've  noi  avemo  la  tera 
dal  priore  de  la  chalonacha,  've  tue,  Pepo . 
faciesti  arare  la  via,  ch'era  in  mezo  da  la 
tera  del  priore  a  la  nostra.  E  divisateci , 
so  voi  fate  istare  due  mezaiuoli  in  charaa- 
ra,  chome  avavate  divisato;  ch'el  sapre- 
mo volontieri. 

E  ancho  ne  divisaste  come  Pavolino 
piliciaio  v'  àe  paghato  le  sue  parti  del  tor- 
sello ,  ma  no  v'  àe  voluto  pagare  il  dano 
del  pano,  nò  ^  del  feltro  nò  de  la  tella. 
Farci  eh'  elli  facia  bene ,  che  poscia  che 
voi  r  avavate  a  tenero,  chosi  dovavate  fare 
a  lui ,  come  i  Talomei  federo  a  voi ,  che 
no  vi  volsero  dare  il  torsello,  se  voi  in  pri- 
ma no  lo'  deste  quello  che  dimandaro.  Noi 
n'  avemo  parlato  a  Mino  Ugholini  che  mau- 
doe  dette  cose  :  dicie  di  iscrivarne;  e  per- 
cioe  gli  li  dimandate  •'  tutto  il  dano  che 
gli  tocha  in  sua  i)arte  del  pano.  Del  feltro 

'  c'ovc'i;u>.  -  iipI.  i  «liiiian'Uiri".  1'.  le  nit- 
uulazioni. 


L'  di'  hi  tnla  Ilo  gli  dimandate  né  a  Ini  uè 
agli  atri,percioe  che  eie  no  senio  fatti  pa- 
ghare  di  qua.  E  costò  detto  feltro  quator- 
dici  s.  e  sei  d.  tornesi.  la  tela  quatordici 
s.  tornesi. 

E  divisastene  come  voi  avete  venduti 
i  chameloni  che  noi  vi  mandamo ,  e  che  se 
fusero  istati  di  magiore  longheza ,  che  gli 
avareste  meglio  venduti.  Sapiate ,  quando 
conpramo,  sì  '1  sapemo;  ma  se  noi  ave- 
simo  trovati  de'  grandi ,  pine  volontieri  gli 
avarerao  conprati ,  ma  no  gli  trovamo.  E 
anchora  noi  no  ve  gli  mandamo  perchi"' 
voi  i  vendeste ,  ma  che  se  ne  vestise  ma- 
donna Binda  e  monna  Àngniola,  altri- 
menti no  ve  gli  avaremo  mandati  ;  e  some- 
gliantemente  vi  mandamo  i  pani,  perchè 
voi  ve  ne  vestiste ,  voi  e  quellino  di  chasa. 
Divisatene  come  avete  venduti  i  i  pani  e 
quanto  la  chana.  Diciamvi  -  che  chi  voles(ì 

ora  conprare  uno  pano come  noi  vi 

mandamo,  costarehe  pine  di  setanta  11». 

tornesi,  e  così  sono  istati  diari in 

Provino;  e  percioe,  se  no  gli  avete  ven- 
duti, sì  siate  avisati  come  voi  i  vendete, 
e  somegliantemente  de  gli  atri  pani. 


7.S 

1']  ìiucIk»  ne  ilivisastc  (■(ime  iiicsscn-  lo 
]iri()r(!  dn  lo  spodali*  di  Francia  o  mastro 
(xiufrò  Duplosciay  pasaro  por  Siena,  e  co- 
ino  faste  a  loro  o  Prosetastello  e  Sclior- 
sciostollo,  0  come  l'obe  molto  a  grad(». 
Undo  sapiate  che  detto  priore  òne  di  qna. 
e  non  é  anco  venuto  in  Parigi,  percioe  che 
se  n'  ò  ristato  a  Corbof^-lio  a  chapitolo,  cln- 
fanno  qnollino  do  l'ordine;  e  mastro  Gnf- 
fn"'  òlio  co  re;  sie  che  infìno  a  tanto  che 
chapitolo  sia  fatto,  noi  no  parlaromo  alni. 
Aveiiio  ])arlato  ad  ;iìc]inno  frate  eh'  ànc 
parlato  col  jn-ioro,  e  ano  dotto  cho  detto 
|iriori'  molto  si  loda  di  voi.  sie  che  sì  tosto 
conio  sarae  a  Parisici,  saromo  a  Ini  o  par- 
larems>'li  '  del  tuo  fatto,  in  clic  modo  noi 
n'ahiamo  a  faro;  a.vong'ha  che  ])or  quello 
elio  noi  n'  avemo  ra<^'ioiiato  co  pino  perso- 
ne, sic  a  Francesclii  e  a  Toschani,  oTìuk» 
por  nonna  chosa,  o  noi,  per  quello  che  ci 
])aro  vedere,  ef?li  ò  così.  Che  sapete,  elio 
quando  noi  cierchavamo  a  corte  di  questo 
fatto,  o' non  ora  persona  cho  no  volese  u- 
dire  nulla;  ora. ma^iorinonto  sarobe  ora,  so 
chosa  aveniso  che  no  fussc  |)arlato  a  non- 
no de'maestri  (le  i-o:  nonno  in»  so  ne  vnrc- 
1)0  faro  chapo.  K  anello  poniamo  cho  ne 

1    parlar. "_'li. 


vi) 
lusso  parlato,  sì  aviaiui)  noi  sic  di  buoni 
amici,  che  no  ne  sarebe  piuc.  Sie  eh'  a  noi 
ci  pare  vedere  tante  rag'ioni  che  la  tua 
venuta puoe  esare  senza  rischio;  che  se 
tue  [nio]li  venire,  che  tue  ci  vengha 
ora  a  settembre  ;  e  se  tue  no  ti  acordi  di  ve- 
nire, fate  che  [remosa]  ongnie  chagiono 
Pepo  ci  vengha ,  percioe  che  ora  in  que- 
sto verno  crederne  avere  a  fare  sie  che  noi 
gli  daremo  uopara.  ' 

E  per  -  pine  letare  ci  avete  divisato  elio 
noi  dim.andasimo  che  ne  fussi  de  le  robo 
del  veschovo  d'  Alzerà.  Sapi  che  noi  no 
l'osiamo  dimandare,  e  la  chagione  si  ò 
questa,  che  piue  volte  n'ào  detto  :«  Dite  a 
fratelta  che  ci  vengha  e  vengha  dritt'a 
me,  e  io  gli  faroe  tanto  che  se  n'  aconto n- 
tarae.»  Sie  che  su  questo  noi  no  gli  osiamo 
piue  dire;  e  percioe  tue  se' savio,  fané 
come  tue  credi  che  si  chonvengha.Diciam- 
ti  3  bene,  che  se  fusse  a  noi,  noi  no  lasa- 
remo  che  noi  no  ci  venisimo. 

E  se  no  t' acordi  di  venire ,  come  dotto 
avemo,  sì  fate  che  detto  Pepo  ci  vengha 
ora  a  settembre,  e  fate  che  no  falli,  o  no 
v'impaciate  ■*  di  vestillo;  e  se  potosto  tro- 

'  \ipai'a.    "-  IVr  viancd  ndl' orifiiìidli'. 
■i  iliiMatti.     4  vi  paoiati». 


81) 

vare  uiii»  biioiiu  cliavalutto  \mv'  portanti' 
la  Itiadorac  fnsso  forte,  sì  gli  conprati' : 
cliA  sarao  buono  a'  nostri  l'atti. 

E  sapiato  che  mastro  Giaclios  lo  Cian- 
zellioro  no  inan(lòo,monze  nove  di  giugnio 
305,  cinquanta  Ib.  e  quindici  s.  par.  por 
rimanento  i  di  sesant'  o  quatro  Ib.  par- 
elio n'  <■'  valuta  la  pronvonda  di  mossero 
Jiindo  do  r  anno  trecionto  quatro  ;  e  tredici 
Ib.  0  cinque  s.  par.  no  mandoe  a  diro  che 
ispese  ;  ciò  fue  sei  Ib.  par.  per  la  decima . 
0  quaranta  s.  par.  por  aconciaro  vingnie  ; 
e  quatro  Ib.  o  quindici  s.  par.,  che  si  dio- 
ro  no  la  chiesa  per  difalta  d' alchuno  ser- 
vigio do  l'oficio;  e  diocio  s.  par.  si  diem 
a  una  festa  che  fano  detti  chalonaci  di 
Laona:  e  chosì  n'  avemo  fatta  quinzanza  a 
dotto  mastro  Giache.  E  quando  mossero 
Bindo  voleso  avere  i  suoi  denari,  sì  fato 
che  voi  gli  vendiate  a  longho  termino, 
sie  che  noi  il  sapiamo  inn'  onomese  dinan- 
zi, •  sie  che  gli  possiamo  avere  ricolti 
do  le  nostre  dette;  che  se  noi  gli  tolesi- 
mo  in  presta,  tropo  ci  costarobboro  :  clu- 
valliono  ■'  la  fiora  diecio  Ib.  o  dodici  il 
cionto  a  lo  buoni'  conpagnie.  *>  a  pona  sr 
ne  trovano. 

'   riiiiaiK'li;.     -  diiiuzi.     ■'  viilliim. 


81 

E  Sft  voi  potesto  elle  noi  tf^nesinici  iletti 
denari  iiitliio  al  verno,  alotta  no  faremo 
forza,  quando  voi  i  vendeste,  che  alotta  a 
tiitesora  avaremo  denari;  e  montasi  ^  quel- 
lo elle  die  avere  detto  messere  Bindo,  no- 
vant"  e  due  Ib.  e  undici  s.  par.  ;  cioè  qua- 
rant'  e  una  Ib.  e  sedici  s.  par.  de  la  sua 
provenda  de  l'ano  303,  e  cinquanta  Ib.  o 
quindici  s.  par.  de  la  prò  venda  de  l'ano 
tre"^  quatro. 

E  de  la  briglia  de'Malavolti  a'T(do- 
uiei,  molto  c'increscie.  -  cliA  ci  è,  dano  n 
la  nostra  intenzione,  ^  che  ci  pare  vedere 
che  converae  *  che  sia  parte  in  Siena:  (* 
Dio  eh'  è  singniore  vi  meta  pacie. 

E  divisastene  che  ora,  per  kalende  ma- 
gio, serano  mutati  i  statuti,  infra'  quali 
credavate  che  ve  n'  abi  uno  eh'  ène  cen- 
tra a' grandi  da  Siena;  e  credavate  che 
se  si  prendese,  che  sarebe  contra  di  noi. 
Voremo  che  se  eie  l'aveste  potuto  divisa- 
re, che  eie  l'aveste  divisato:  e  maravi- 
gliamei  ■%  che  s'egli  è  così  contr'  a  gran- 
di ,  come  si  prenda. 

E  ancho  ne  divisaste  come  Fecha  v'  a- 
vea  dimandato  eh' ella  si  volea  amaritare. 

1  molasi.  2  oiorpscif!.  ■!  intezioiic.  <  cov^rae. 
■'•  maraviirliaci. 


82 

e  clionit'  a  Voi  iKt  parca,  sic  pcrch'cUa  era 
i,'i()vana,  e  l'atra  olif  sarobo  di  grande 
costo.  Sapiatc  ch'olla  ino  lo  scrise  pozd 
fae;  o  io  ne  le  scrise  eh'  a  me  no  piacieva; 
e  ora  no  i  le  scrivo ,  avenglia  che  no  fao 
bisongnio,  percioe  ch'ella  m'àe  mandato 
|ad|ire  che  atendarae  infino  a  tanto  ch'io 
sia  di  costà.  E  s'ella  ve  ne  parlase  piuo, 
sì  me  lo  scrivete;  che  per  neuno  modo  vo- 
glio ch'ella  s' amariti  infino  a  tanto  cho 
io  sia  di  costà. 

E  per  Biagio  Guidi  vi  mandamo  um» 
tesuto  fornito  d' arionto  per  madona  Bin- 
da: se  no  l'avete  avuto,  si  vel  fate  dare. 

E  mandiamvi  ^  leghata  cho  questa 

tre  carte  ;  l' una  sì  è,  eh'  io  Ghucio  òne  fatta 
de  la  vendita  eh'  avete  fatta  a  Ghame  Ugho- 
lini;  e  le  due  sono  due  quitanze,  eh'  ano 
fatta  l'una  il  proclmratore  de' frati  mi- 
nori, e  r  atra  il  procuratore  de'  frati  pre- 
dichatori,  eh' ano  quitto  Meo  Malefoglia 
di  cinque  Ib.tor.  ciaschuno,  sichome  voi 
ne  divisaste  per  1'  atro  meso. 

E  sapiato  che  di  qua  sono  venute  Iota- 
re,  che  papa  òne;  od  òne  l' arciveschovo 
di  Bordello:  o  Dio  eh' è  singnioro  o'iasi  o- 

1   11'*.     -   iiiaiiiliavi. 


sare  sì  biiDiiit,  che  metta  piicie  tra''  cri- 
stiani. Abiamo  per  fermo,  quando  papa  ène, 
che  converae  -  che  a  forza  cora  di  qua  hi 
buona  muneta;  e  crandeisporanza  n'àiio 
i  merchatanti. 

E  Dio  v'alegri.  Mose  di  Parigi  giuvi- 
dì  xvij  di  giugnio  305. 

[Fiiori\  Me|ssere  G]horo  Sansedoni 
e  Ghontieri  suo  figliuoh)  de'  Sansedoni , 
propria. 

[U  altra  mano]  [Gionlsero  in  Siena 

menze  setto  di  lulio ,  ed  èci  iscrito  |e|l 

contio  di  messere  Guido  de  la  sua  pro- 
venda. 

IL 

[28  aprile  1311.] 

Messere  Ghoro,  Ghontieri,  Ghuccio  e  li 
atri;  Pepo,  salute.  Di  Bari.  Per  lo  messo 
de  la  merchantia,  vi  divisai  come  aveva 
latto  cho'Malavolti  e  quello  che  ne  pensa- 
va a  fare  per  innanzi.  '^  Io  mi  partii  di 
Parigi  el  giuvedì  apresso  pasqua,  per  ve- 
nire a  Bari  per  la  gio[rnaìta  eh'  aveva 
contra  a  loro,  de  la  presa  che  aveva  fatta 
a  Langnino,  di  Ranieri  Renaldi.  A  la  det- 


84 

ta  j?ioni;it;i.  jirf'iiiloiladitalta  contro  a  lor<j 
•li  loro  acordo  ;  0  preso  la  ditalta,  nianda- 
ro  incontanente  '  a  Nicholò  di  Giotti,  per- 
chè mi  pagase  -  e'  denari  che  dare  lo'  dove- 
va, e  de  r  acordo  che  fatto  avevono,  sì  come 
vi  divisai:  sì  che  Acorto  venne  a  Bari.  Ve- 
nuto a  Bari,  sì  mi  fecie  charta  di  dugiento 
quaranta  Ib.  tor.  buoni,  per  lui  e  per  li  com- 
pangni ,  a  rendare  nel  pagamento  di  Bari 
prosimo.  La  carta  ricieveti  da  loro,  per 
ciò  che  non  avevano  e'  denari  contianti  ne 
la  nera;  e  a  Vitri  no  voleva  andare,  per 
ciò  che  no  voleva  ricevare  munete  difen- 
dute da  loro ,  e  portare  adosso  per  lo  cha- 
mino,  per  ciò  ch'ène  grande  rischio;  e 
ancho  mi  dotava,  che  quando  fusse  a  Vi- 
tri, no  mi  faciesero  troppo  istare;  e  per 
altre  ragioni  che  ancora  ci  òe,  mi  par' e 
parbe  fare  el  milliore.  Or  sì  che  quando 
Acorto  m'  ebe  fatto  detta  carta  di  dettn 
dugiento  quaranta  Ib.  tor.  buoni ,  sì  ehi 
Chatelano  compagno  de' detti  Malavolti, 
e  li  dissi  come  io  voleva  essare  tutto  paga- 
to, rimosaognie  chagione.  La  loro  risposta 
fune,  che  io  infino  al  pagamento  di  Bari 
no  poteva  essare  pagato;  e  sopra  a  ciò  mi 
progharo  che  mi  dovesse  soferire,  e  senza 

1    iiii'nt:uiPti".     -    paL'iisiM'ii. 


8.'. 
fallo  sarui  pagato  al  pagamento:  sì  che  io. 
vedendo  che  no  poteva  osare  pagato  del 
tutto ,  sì  m' acordai  di  soferirmi  infino  al 
pagamento  de  la  detta  fiera  in  questo  mo- 
do, che  giamai  a  loro  no  parlarei  di  questi 
fati,  se  none  di  dimandare  e' nostri  dena- 
ri; e  se  in  detto  pagamento  paghato  no 
fusse ,  avesero  per  fermo  che  da  me  gia- 
mai né  termine  né  dine  né  ora  da  me  non 
avarebero,  e  che  io  prochaciarei  quello 
che  a  me  parese  che  fusse  nostro  profitto. 
A  tanto  mi  partii  de  le  parole.  Or  sì  che 
H  me  parbe  fare  bene  di  quello  che  òne 
fatto,  sie  perdi' elino  no  possano  dire: 
«  Tue  no  ci  volesti  dare  termine  pure 
(luindici  die  o  tre  semane  ;  che  noi  t' avare- 
mo  pagati  sanzafaixi  prendare  :  ed  av[en]ti 
pagato  quello  che  avemo  potuto:  male  si 
mostra  che  voi  ci  voliate  né  sercuire  né 
guardare  di  così  grande  pericolo,  come 
d[i  fa] rei  metare  in  pregione,  senza  mai 
iscire.  »  E  veraciemente  così  sarebe  el 
vero  :  la  prima  volta  che  saranno  presi , 
mai  non  [i]sciranno  di  pregione;  e  no  sara- 
no giamai  pagati  choloro  che  da  loro  de- 
bono  avere:  tanto  debono  dare.  S[ì  chej , 
per  nostro  profitto  piue  che  per  amore  di 
loro,  la  giornata  misi  al  pagamento  il'i's- 


86 

sarò  pagato:  e  si  come  vi  scrissi  per  altri' 
lectare,  mia  intenzione  '  ce,  rimosa  ongnio 
chagione,  di  procliacci[arel  d'essare  paga- 
to da  loro  sì  come  detto  v'  ònc  ;  e  noi  da 
l[oro  ave]mo  giao  avuto  pine  di  quatro  '■ 
Ib.  tor.  buoni,  in  tutor  si  che  noi  no  siamo 
in  chosì  grande  pericholo,  come  savamo  a 
Langnino.  Do'  denari  che  avaremo,  farone 
nostro  profitto ,  a  mio  podere. 

Io  mi  credo  partire  e  partirò,  el  di  '^ 
che  questa  lettara  fue  fatta,  per  andare  a 
Senso,  per  la  cagione  d'uno  piato  che 
noi  v'  avemo  incontra  a  Giufrè  le  Bretone 
di  Parigi,  per  cioè  che  ci  è  dato  uno  inte- 
rogitoro  incontra  falsamente:  sì  che  io 
volilo  sapere  che  cioè  sarao.  E  poscia  me 
n'andaroe  -^  a  Parigi,  per  fare  e' nostri 
fatti;  e  al  pagamento  tornaroe  a  Bari,  a- 
presso  a  la  fatta  di  questa  lettara  a  quindi- 
ci dì,  e  piue  tosto.  Idio  v'alegri. 

Fatta  mezedima,  xxviij  di  aprile,  oli. 

\A  tergo,  d' altra  mano.]  Sapiate  che 
io  Ghuccio  e  Ghontieri  uprimo  questa  le- 
tera  a  Susa,  sabato  otto  di  magio,  e  ri- 
mandiamvela  •*  per  lo  Chainuso.  e  risugie- 
lamrao  adietro. 

1  iniezione.  -'  eli.  '■'  ;i(liiroe.  -1  riniandiii- 
vla. 


87 
E  sappiate  elio  noi  croderao  andare  a 
Bari;  e  se  vi  trovaremo  Pepo,  saremo  elio 
lui  insieme;  e  s'a  Dio  piacie,  prendaremo 
il  migliore  di  questi  fatti  da' Malavolti  :  e 
se  no  fusse  in  Bari,  sì  li  scrivaremo  che 
no  vi  venglia,  per  chansare  ispese.  E,  be- 
nedetto Idio,  ogiemai  ne  pare  cssare  a 
buono  partiti)  di  loro. 

Fatta  in  Susa,  sabbato  otto  di  magio. 

E  la  domenica  apresso  pasaremo  la  mon- 

tagiiia  do  la  Monsanesfl,  chon  l'aiuto  di  Dio. 

\Fuori]  Messere  Ghoro  de'Sansedoni 

e  (jrhontieri  suo ,  propria. 

HI. 

[27  marzo ,  senz'  anno.] 

Messere  Ghoro;  Ghontieri  vi  si  raco- 
manda.  Ehi  una  lettera  che  mi  mandaste 
per  questo  messo:  intesi  ciò  che  divisaste. 
E  per  essa  lettera  divisaste  che  sete  più 
contento  che  la  detta  de'  Malavolti  si  lassi 
aprochaciare,  clie  aprochaciarlla  per  lo 
modo  che  scritto  v'  abo.  Piaciemi ,  poscia 
che  piacie  a  voi  ;  ma  io  conoscho  eh'  era  il 
meglio,  e  mai  altrimenti  non  avaremo  de- 
nari; e  Veruecio  no  gli  vorcbe  trovare 
per  pigliarlli. 


88 

E  divisaste  che  setH  più  contento  do 
la  mia  buona  volontà  che  mostro  inverso 
e' mei  fratelli,  che  no  faite  de' denari  che 
abo  prochaciati  di  messere  Peri  '  Paste. 
Sappiate  che  a  me  no  pare  che  de  la  mia 
buona  volontà  voi  debiate  essaro  nuovo, 
ma  molto  vechio,  perciò  che  sempre  in 
dotto  e  in  fatto  sonno  istato  achoncio  di 
fare  e  dire  quello  che  buono  fratello  die  fa- 
re por  altro:  e  non  abo  guardato  a  cosa 
che  m'abiano  detta  o  fatta  o  facciano:  e 
se  io  avesse  fatto  così  a  loro  come  anno  fat- 
to a  me,  abiate  per  fermo  che  de'  loro  fatti 
di  qua,  e  anco  del  loro  fattore,  no  si  tro- 
varobe seme.  E  non  è  istata  una  volta, 
ma  più  e  più  volte,  e  continuamente  sono 
a  lloro  difensione,  a  mio  podere,  in  ciò  che 
io  posso  fare  e  dire,  e  mai  di  dì  e  di  notte 
no  fino  per  loro  afadijs^harmi  in  loro  achon- 
cio, e' miei  amici  il  somegliante;  sì  che 
voi  e  ellino  possono  dire  chon  vero  fer- 
mamente che  io  lo' sonno  istato  e  so' drit- 
to e  verace  buono  fratello;  e  se  avesse 
guardato  a  le  loro  uopare,  avaroi  fatto  il 
contrario:  de  la  quale  chosa  snrei  molto 

>  Sopru  qiicata  iiaivla  e  una  Una.lla  (iriz- 


80 

dioruciato,  so  fattu  l'avesse:  e  s' a  Din 
piacie,  no  farò  por  innanzi. 

Anco  divisaste  come  voi  sete  aconciu 
d'assettare  la  questione  che  abo  elio' mei 
fratelli  in  modo  che  sarò  contento,  e  al 
più  tosto  che  potrete;  e  che  guardarete 
bene  la  mia  ragione.  Sappiate  che  io  mi 
maraviglio  molto  perch»^  voi  vi  metete  co- 
tanto, e  no  posso  vedere  la  ragione  né 
perchè  tanto  vi  debiate  mettare:  perchè 
io  non  so' contento  di  tenermi  così  inpac- 
ciato  per  asai  di  ragioni  che  asegniare  si 
potrebero ,  e  per  le  ragioni  che  più  volte 
v'abo  scritte;  e  abo  si  chiara  ragione, 
che  nessuno  incontra  no  vi  può  dire.  E 
ciò  sonno  aparechiato  di  preudarne  drit- 
to. E  mostrate  solo  le  mie  Iettare ,  e  egli- 
no dichano  ciò  che  vogliono  (o  vogliano 
dinanzi  a' savi  di  ragione  o  dinanzi  a'Mer- 
chatanti)  ;  si  che  a  me  pare  avere  ^  tanta 
ragione,  e  proferendo  quello  che  profa- 
ro ,  che  voi  e  eglino  faite  quello  che  vo- 
lete, ma  no  quello  che  dovete,  sì  voi  di 
none  ispaciarvi,  e  eglino  del  contradire. 
E  in  buona  fé,  so  eglino  fussero  savi, 
con  pensando  a  quello  che  abo  fatto  per 
loroefo  ognie  die,  e  anco  al  bene  e  al 
errando  istato  rlv  in  li  mottai'ò  tostami'iiti- 


00 

chou  r  aiuto  di  Dio  ;  eglino  e  voi  no  fareste 
tutto  altro  che  no  ne  faite.  E  siate  cicrto, 
come  de  la  morte,  se  io  no  l' avesse  messa 
la  questione  in  vostra  mano ,  che  mai  no 
so  che  ve  la  mettesse,  credendo  essare  me- 
nato come  sonno:  ma  per  fermo  abiate  che. 
chosa  che  vo' prometta,  per  morire  non 
andarò  ^  mai  incontra.  E  però  piaciavi  di 
spaciarvi;  sì  farete  bene,  e  di  vostro  ono- 
re; sì  che  io  abia  il  mio  che  anno  ricolto 
di  chostà,  e  che  ciaschuno  abia  sua  ragio- 
ne. E  pregovi  che  vo'  piaccia  di  fare  e  d'a- 
settare  sì  e  in  tale  modo  questi  fatti ,  che 
io  no  debia  essare  contento;  e  che,  se  io 
abo  voglio  di  loro  avanzare  e  fare  per 
loro  e  mettarlli  in  grande  istato,  che  la 
volontà  mi  crescha:  e  quanto  ch'el  mio 
dritto  no  fusse  mantenuto  per  loro ,  e  me 
lo  petizassero,  siate  cierto,  che  da  me  mai 
no)i  avaranno  aiuto  né  conforto.  E  poscia, 
ciaschuno  prochacci  e' suoi  fatti  al  meglio 
che  Dio  li  darà  la  grazia;  e  io  li  credo  fer- 
mamente bene  prochacciare  chon  l'aiuto 
di  Dio;  sì  che  chi  m' amara,  ne  sarà  con- 
tento. E  in  buona  fé,  abiate  per  fermo  che, 
se  io  credesse  avere  torto  contra  a  lloro. 
e  fusse  più  povaro  asai  che  no  so',  siati' 

'  ad  arò. 


91 

certo  che  io  vorrei  anzi  pensare  di  morire, 
che  prendare  questione  chon  loro  ;  ma  co- 
nosciendo  me' che  io  abo  chosì  chiaro  drit- 
to, e  dalloro  sonno  chosì  ingiuriato  in  più 
modi,  sì  vo'dicho  che  io  no  sonno  troppo 
dolente,  o  conoscho  che  mala  volontà  che 
anno  verso  di  me  lo'  lo  fa  fare.  E  forse  e- 
glino  mi  fanno  questo,  perciò  che  si  vo- 
gliono ristorare  de'  grandi  avantagi  che 
mi  federo  a  la  partigione,  e  che  m'ànno 
fatto  poscia:  e  a  volere  ribefanare  '  ognie 
cosa,  sarebe  una  longa  mena:  e  però  la 
lasiamo  istare  tuttasesa.  Preghovi  che 
vo' piaccia,  che  se  avesse  detto  cosa  che 
vo' spiaciesse ,  che  me  la  perdoniate  ;  che 

così i  Idio,  che  grande  choruccio  me 

lo  fa  dire,  pensando  che  sempre  di  bene 
fare  io  abo  male  merito.  Or  voi  sete  molto 
savio.  Abo  per  fermo  che  farete  e  direte 
tutto  bene,  sì  che  ciaschuno  dovarà  essare 
contento;  e  Idio  ve  ne  dia  la  grazia,  sì 
come  voi  volete. 

E  per  più  Iettare  v'  abo  scritto  che  io 
voglio  sapere  il  mio  contio  di  ciò  che  debo 
dare  e  avere  in  Siena,  e  quello  che  avete 
per  me  ricievuto  e  paghato;  e  però  pia- 

'  La  n  i'  rofivrlii  itii  nini  innnliid. 


L»2 

ciavi,  elio  por  questo  iiiessn  io  ralbijail 

coiitio:  sì  farete  bene. 

E  anco  v'  abo  scritto  elio  io  voleva 
elle  voi  (leste  le  mie  scritte  a  Agnolina. 
Sappiate  che  io  voglio  che  esso  scritte 
vonghaiio  di  qua;  o  però  piaciavi  di  darlo 
a  Ilei,  che  me  le  mandi;  o  voi  me  le  man- 
diate por  persona  sichura,  ma  no  ne  la 
scharsella,  perciò  che  costarebero  trop- 
po. E  esse  scritte  voglio  avere  apo  me  per 
alchuno  mio  fatto;  e  a  voi  no  fanno  veru- 
no prò,  e  a  me  non  averlle  sarebe  danno: 
e  però  piaciavi  che,  per  mio  amore,  io 
Tabia,  rimossa  ognie  chagione. 

E  divisastemi  come  a  voi  pare  che  io 
procacci  d'avere  il  mio  da  Fantozo  corte- 
semente, e  sopra  ciò  scriveste  una  longa 
materia.  Sappiate  che  io  abo  parlato  a  lini  ; 
e  olii  m' à  risposto  di  fare  ciò  che  si  convie- 
ne :  se  '1  farà,  no  so  ;  ma  troppo  dura  questa 
mena.  Ma  di  questo  siate  cierto ,  che  del 
tutto  sonno  fermo  a  soferire  ciò  che  fare 
mi  vorrà,  per  chansare  brigha;  e  quanto 
che  olii  a  la  fine  no  faciesse  quello  che  si 
convenisse,  farenn?  '  quello  che  sarebe 
ila  fare,  a  luogho  o  t'npo:  ma  no.  che  io 


diinpiitichimai  il  di!^nnrc  e  l'abrohio  ohe 
alio  ricievuto  da  lini. 

E  per  più  Iettare  v'  abo  scritto  comp 
io  voglio  che  voi  mi  mandiate  Agniolina 
e'  figliuolli  :  e  però ,  come  scritto  ve  l' abo, 
così  ve  lo  scrivo  ora,  che  a  voi  piaccia  di 
mandarmela,  rimossa  ognie  chagione.  E 
se  venire  no  ci  volesse ,  state  cierto  che 
mai  per  mia  moglie  no  la  teiTò,  mai  da 
me  non  avarrà  veruno  bene  ;  anzi  avara 
il  contrario,  a  mio  podere. 

E  divisastemi  che  io  conprasse  la  terra 
di  monna  Margharita ,  se  la  potesse  avere 
per  ci  11.  sen.  Sappiate  che  per  forza  d'a- 
mici, che  mi  sono  venuti  a  preghare  che 
la  conpri,  sì  l'abo  conprata  centra  la  mia 
volontà,  perciò  che  io  non  abo  i  denari 
per  conprare  essa  terra  né  altra;  ma  po- 
scia che  fatto  ène,  chonviene  che  diciamo 
che  sia  il  meglio;  e  io  vo' mando  la  carta 
de  la  conpra:  e  però  fatene  fare  quello  che 
io  vo' divisai  ^  per  la  lettara  comunale. 

E  per  più  Iettare  v'  abo  scritto  che  a 
me  parebe  che  Pepo  veni  sse  di  qua  per  a- 
choncio  de'lloro  fatti;  e  voi  mi  scrivete 
che  no  li  li  volate  dire.  Farmi  che  ar- 
riato.  Ma  tant(ì  vo'dicho.  chf-  so  iid  ci 

1   ilivisi. 


94 

vongliaiiu  l'uiK»  (li  lon»,  cIh'  i  ll(H-(»  fatti 

potreìsoro  avere  inpedimcnto. 

E  por  più  Iettare  v'  abo  scritto  come 
mio  volere  ène  di  prochaciare  di  avere  ii- 
lifio  ne  la  corte  de  ro,  e  come  io  n'aveva 
Imona  risposta  da' miei  signiori;  e  ogi 
questo  di,  0  domane,  credo  andare  a  San 
Germano  a  l'Aia,  là  've  ène  el  re,  e  anzi 
che  mi  parta,  credo  tanto  fare  che  io  ava- 
ro parte  de  la  mia  intenzione;  sì  che  to- 
stamente, s' a  Dio  piacie,  n'  avarete  buoni' 
novelle. 

E  avendo  intenzione  d'avere  uficio  in 
corte  di  re,  no  può  essare  senza  grande 
dimora  di  qua:  e  poscia  che  dimorare  di 
«lua  mi  chonviene,  no  voglio  istare  senza 
aver  e' figliuoli i,  e  perdare  il  mio  tenpo. 
Sì  che  io  soimo  fermo,  senza  indugio  nes- 
suno, che  se  la  reina  no  viene  di  qua,  che 
voi,  per  ognie  modo,  e  rimossa ognie  cha- 
gione,  mi  mandiate  Agniolina:  ma  che  il 
camino  sia  sichuro.  E  però,  per  Dio,  faite 
che  voi  me  la  mandiate ,  e  no  lassate  per 
persona  nessuna;  che  per  fermo  abiate, 
io  pur  voglio  ch'ella  ci  vengha;  e  di  que- 
sta volontà  non  mi  stollarebbe  nessuno, 
tanto  sapesse  dire  e  fare:  che  ppi'  fermo 
il»  so  bene  quello  che  io  fo.  e  sonilo  tutto 


95 
;ipeiisat(i  in  quf'.st(j  fatto:  e  ciaschuno  die 
credare  che  il  fatto  mi  tocha  tanto,  che 
con  i^randissima  dilibarazione  ne  scrivo 
queRo  che  voglio  che  si  faccia.  Sopra  ciò 
no  vo'  scrivo  più,  perciò  che  sete  molto 
savio;  che  abo  per  fermo  che  farete  ciò 
che  sera  da  fare  ;  e  a  Dio  piaccia.  E  Idio 
v'alleg-ri,  e  vo'dia  longha  vita.  Fatta 
xxvij  di  marzo. 

iF^i'or'ì]  Messere  Ghorode'Sansedoni, 
propria. 

IV. 

f7  novembre ,  senz"  anno.] 

Ghoro;  Ghonteruccio  vi  si  racomanda, 
e  con  volontà  di  fare  cosa  che  vo' piaccia. 
Per  pine  Iettare  m'avete  iscritto  che  se 
Miniuccio  no  volesse  venire  di  costà,  che 
io  il  chaciasse,  e  no  li  desse  denaro  ve- 
runo: unde  che  nel  modo  che  me  lo  divi- 
saste, così  feci. 

E  poscia,  quando  Tobi  chacciato,sì 
s' acordò  di  venire  di  costà,  ma  '  none  per 
istare  a  Siena,  ma  per  dimorare  a  Fioren- 
/,e:  sì  che  parbe  a' nostri  amici  di  qua. 
che  io  vel  mandasse  in  Fiorenzo,  e  ine 


!k; 

istare  o  faro  1"  artf;  de.  la  lana;  o  parìip  aj^'li 
amici  rho  io  li  promotosso  di  farlli  dare 
a  Fiorenze,  ciaschuno  mese,  vinti  s.  sen., 
faciendo  elli  bene:  e  così  ffli  abo  promesso 
di  fare  dare  a  sua  volontà,  ciaschuno  mese, 
vinti  s.  sene.  Credo  che  abo  bene  fatto  a 
ciò  eh'  olii  faccia  bene  e  dicha  bene,  e  ch'elli 
no  si  perda,  come  aveia  cominciato:  e. 
s'a  Dio  piacie,  elli  sarae  anco  buono  uo- 
mo. E  Idio  ne  li  dia  la  grazia. 

E  per  ciò  vo'pregho  che  i  d[et|ti  vinti 
s.  li  f[alciate  dare  a  sua  volontà,  faciendo 
elli  bene;  e  chosì  gli  abo  promesso  per 
consiglio  degli  amici;  e  egli  m'à  detto 
che  àne  grande  voglia  di  bene  fare;  e  Idio 
ve  lo  persevari.  Idio  v'  alegri. 

Mosse  di  Parigi,  vij  di  novembre. 

K  sappiate  che  Guiduccio  nostro  fante 
ne  viene  chon  lui  ;  e  quando  sarae  di  co- 
stà, s'i  date  vinti  s.  tor.;  e  io  ne  gli  al)o 
dati  di  qua  diecie  s.  tor.:  si  che  guada- 
gniarà  per  tucto  xxx  s.  tor. 

\A  terfjo.]  A  Ghoro  Ghontieri,  ])ropria. 


DOCUMENTI. 


I. 

In  noiniue  Domini  ,  amen.  Anno  eiusdem 
Mccliij  ,  indictione  xij  ,  die  lune  ,  x  kalendas 
octubris.  Appareat  evidenter  omnibus  hanc  pa- 
irinam  inspecturis,  quod  generale  Consilium  co- 
munis  senensis  et  consiliarii  infrascripti ,  ad 
sonum  campane,  in  ecclesia  Saucti  Christofori, 
ut  moris  est ,  congregati  ;  nomine  etvice  comu- 
nis  dicti  constituerunt,  ordinaverunt ,  creave- 
runt  et  feceruut,  Arrigum  Accaptapanis  et 
Ildrebandinum  Gonzolinum,  cives  senenses, 
licet  absentes  ,  et  quemlibet  eoruai  in  solidum, 
ipsorum  et  dicti  comunis  scindicos  et  procu- 
ratores,  ad  acquirendum  et  conducendum  et 
accipiendum  inilites  et  equites  stipendiarios 
seu  ad  soldos  prò  comuni  senensi,  quot  et 
prout  eis  et  cuilibet  ipsorum  videbitur  et  pla- 
cuerit;  et  ad  promitendum  ipsis  militibus  et 
equitibus  et  cuilibet  ipsorum,  nomine  et  vice 
comunis  senensis;  et  stipulationes  et  promis- 
siones  prò  ipso  comuni  a  dictis  militibus  et 
equitibus  et  quolibet  eorum  recipiendum:  prout 
et  quiquid  ipsis  scindicis  et  cuilibet  ipsorum 
dieta  de  causa  videbitur  promitendum  et  sti- 
jiulandum,  nomine  comunis  dicti,  et  recipien- 
dum prò  eo  ;  et  ad  obligandum  prò  dictis  et 
ea  ocasione  comune  senense  et  bona  ipsius 
comunis;  et  ad  cautionem  seu  cautiones  de 
predictis    omnilìUs    t'acieniliuu   et    recipieiidnni  : 


100 

ft  j,'eiH>raliter  ad  ouiiiia  Pt  sÌMf,'ula  facienila 
iperemia  et  prociiranda,  que  in  predictis  et  cir- 
ca ea  viderint  ipsi  vel  alter  eoruiii  et  cogno- 
veriiit  expedire  ,  et  que  predicta  desiderant 
vel  aliquod  predictorum.  Promitentes,  nomine 
et  vice  comunis  ipsius,  se  prò  dicto  comuni 
et  ipsum  comune  ratum  et  firmum  habere  et 
observare,  et  centra  non  venire  vel  facere , 
totum  et  quiquid  per  eos  et  quenilibet  ipsorum 
Caotum  et  gestum  seu  procuratuni  fuerit  :  sub 
obligatione  bonorum  comunis  prelati. 

Nomina  consiliariorum  sunt  hec  {Seguono  i 
nomi  di  63  consiglieri). 

Actiun  Senis,  in  dieta  ecclesia,  coram  Ua- 
nucio  Alberti  castaido  comunis  senensis,  et 
Ventura  de  Fongaia  eius  notarlo,  testibus  pre- 
sentilius. 

Ego  Bonadota  quondam  (,'aponeri,  notarius, 
et  nunc  comunis  senensis  scriba,  '  predictis 
interfui;  et  ea,  ut  supra  continetur,  de  man- 
dato Consilii  et  consiliariorum  predictorum  , 
scripsi  et  publicavi. 


Questa  pnrtiliì  •^crilia  miinrn  uell'  orifiiiuile. 


101 

II. 

[il  settembre   1253.] 

In  nomine  Domini,  amen.  Anno  Domini  mil- 
lesimo ccliij  ,  tempore  domini  Innoceutii  pape 
quarti,  indictione  xj  ,  et  die  iiij  exeuntis  sep- 
tembris.  Hoc  quidem  tempore,  dominus  Rossi- 
nus  de  Machilono  ,  prò  se  et  Filippo  tìlio  suo, 
et  omnibus  infrascriptis  {seguono  cinquanta 
nomi  di  cavaUerir.  item,  dominus  Gualterius 
domini  Beralli  de  Mariana,  prò  se  et  omnibus 
infrascriptis,  videlicetfsegiMono  treìilaseinomidi 
cavalieri);  qui  dominus  Rossinus,  prò  se  et  pre- 
dictis  suis,  et  dominus  Gualterius,  prò  se  et  suis 
predictis,  promiserunt  et  convenerunt  domino 
Henrico  Accaptapane,  sindico  comunis  Sena- 
rum,  recipienti  nomine  et  vice  dicti  comunis, 
servire  ipsi  comuni,  equis  et  armis  ydoneis, 
duobus  mensibus,  secundum  preceptuiu  et  vo- 
luntateui  domini  Rogerii  de  Baniolo  ,  capitanei 
diete  terre,  de  die,  nocte,  vel  quandocumque 
eis  et  cuilibet  predictorum  preceptum  fuerit 
per  dictum  capitaneum  vel  suum  nuntium  ,  hinc 
ad  dictos  duos  menses ,  coniputatis  in  ipsis 
duobus  mensibus  viij  diebus,  scilicet  iiij  in 
eundo  et  iiij  in  redeundo.  Item,  promiserunt, 
prò  se  et  predictis,  quod  si  aliquem  militem 
ipsi  vel  aliquis  predictorum  ceperint  in  aliqua 
cavalcata  vel  qualitercumque ,  adsignare  co- 
muni Senarum  ;  dummodo  habeat  captor  prò 
milite,  si  fuerit  de  civitate,  x  lib.;  si  fuerit 
de  comitatu  ,  e  s.;  si  fuerit  pedes  et  fuerit  de 
i-ivitatf.    r    s.;    si    fuerit    de    comitatu,    tres 


102 

lilìr. .  et  anua  ciiuos  l't  arni'sc.  Iteiii,  si  cepi'- 
rint  aliquos  inilifes  vel  pedites  in  exercitu  ge- 
nerali, (lieto  comuni  sine  pretio  dare  tenean- 
tur;  dumniodo  equos  et  arma  habeant  et  ar- 
nese. linde  dictus  dominus  Heuricus,  sindicus 
dicti  comunis,  vice  et  nomine  dicti  coniunis, 
et  jìro  ipso  comuni ,  proniisit  et  convenit  do- 
mino Rossino  et  domino  dualtt^rio  predictis. 
recipientibus  prò  eis  et  quolibet  predictorum, 
dare  et  solvere  eis  et  cuilibet  eorum  primo 
mense  ,  si  habuerit  unum  equuni  vel  equam,  in- 
fra tres  dies  postquam  erunt  Senis,  viij  lib.  sen. 
parvorum  ;  si  habuerit  duos  equos,  xv  lib.  P-t 
prò  secando  vero  mense ,  promisit  eisdem,  prò 
eis  et  predictis  recipientibus,  facere  fieri  pa- 
cam  infra  tres  primos  dies  dicti  secundi  mensis. 
dummodo  ipsi  dent  dicto  comuni  fideiussoriam 
cautionem  de  serviendo  ipsi  comuni  per  dictum 
mensem  ad  mandatum  dicti  capitanei;  et  si  fi- 
deiussores  dare  non  possent,  paca  eorum  penes 
eorum  hosspites  deponatur.  Item  idem  sindicus 
promisit  eisdem  facere  fieri  redditam  equo- 
rum et  equarum,  infra  viij  dies  postquam  man- 
caniati  vel  mortui  fuerint  in  exercitu  cavalcata 
seu  tracia,  secundum  extimationem  quam  fa- 
oient  extimatores  dicti  comunis.  Qui,  prò  eis 
et  sociis  eorum,  promiserunt  esse  Senis  die 
secundo  post  kalendas  octubris,  et  se  factu- 
ros  et  curaturos,  quod  predicti  omnes  predicta 
omnia  observabunt;  promictentcs  vicissim  om- 
nia predicta  integraliter  ohservare ,  sub  obli- 
■,'atione  bonorum  suorum  et  dicti  comunis,  et 
non  venire  contra,  sub  pena  dupli  prò  stipu- 
latione  promissa:  qua  soluta  vel  non,  hec  carta 
tìrma   pcrinaneal;  quam   scribi    rotraverunl. 


103 

Actum  Spoleli.  cornili  iloiiiiiiu  Kaviiallo  lo- 
hannis ,  Beuetli(;to  Martini,  Petrucitto  domini 
lannis,  et  Massatono  domini  Sceme,  et  aliis 
testibus  rogatis. 

Ego  Petrus  Jaeolji  iiotarius  predicta  omnia 
scripsi  et  publicavi. 


III. 

|11   fr-bl.raio  ISfW.] 

Urbanus  episcopus,  servus  servorum  Dei, 
carissime  in  Christo  filie  Regine  Anglorum, 
salutem  et  apostolicain  benedictionem.  Pro  fa- 
vore inipenso  Manfredo,  quondam  principi  Ta- 
rantensi,  cives  Senenses  excomi^nicationis  sen- 
tentiam  incurrerunt,  in  eundem  Manfredum  et 
fautores  suos,  prò  violenta  et  manifesta  oc- 
cupatione  iurium  Imperi!  romani  et  patrimo- 
ni beati  Petri,  per  sedem  apostolicam  pro- 
mulgatam.  Sed  dilecti  filii  nobiles  viri  Petrus  el 
Andreas  Christofori,  Guillelnms  ,  Meus  Kenal- 
di,  Frederigus  et  Stricca  Renaldi,  cives  se- 
nenses, reprobi  sensus  dampnata  studia  Se- 
nensiuin  predictorum  prudentie  meditantibus  1 
advertentes  ,  sano  decreverunt  Consilio  decli- 
nare ,  ac  eidem  Ecclesie  in  ilio  constanter  ad- 
lierere  proposito,  quo  ipsa ,  prò  defensione 
libertatis  ecclesiastice  ac  pacifico  statu  fìde- 
lium,  pervasoribus  illius  et  huiusmodi  perver- 
soribus  se  opponitur.  Ipsi  enim,  prestantes. 
de  parendo  super  premissis  mandatis  ipsius 
Ecclesie,  iuramenium;  ac  eligentes  inagis  a- 
i-erbitatem  pati  exilii,  quam  dulcedine  natalis 
soli  cum  ipsorum  reproborum  participio  deniul- 
ceri;  civitatem  senensem  per  devotionis  ha- 
bundantiam  reliquerunt,  se  ad  terram  Ecclesie 
■de.  devotorum  eius  cum  suis  familiis  transfe- 
ipiido.  Unde  nos  (jui  ,  more  paterno,  in  reditu 

1  Così  la  copia  del  Pecci^  ccrtainente  corrotla- 
Sembra  da  emendare:  prudenti  meditatione. 


105 

rilioruiii  quos  error  a  devotione  subduxerat  spe- 
cialius  delectamur,  aperuiinus  eisdem  nobili- 
I)us  tain  paterne  gratie  quam  materne  niansue- 
tudinis  amplum  sinuin;  et  ipsos  ab  huiusmodi 
ot  universis  excoraunicationis  et  interdicti  sen- 
tentiis ,  quas  eadem  sedes  in  dictos  cives  Se- 
iienses  et  eorum  terram ,  propter  preniissa  et 
suam  indevotionein  ,  generaliter  promulgavit , 
iuxta  formam  Ecclesie,  duxinius  misericordi- 
ter  absolvendos:  suscipientes  ipsos,  cum  om- 
nibus bouis  suis,  sub  protectione  beati  Pe- 
tri ,  eiusdeai  sedis,  et  nostra:  et  admittentes 
eos  in  nostros  et  eiusdem  Sedis  filios  spetia- 
les.  Cum  igitur  dilectos  filios  Minum  Christo- 
fori,  Frederigum  Doni,  Andream  Christofori  . 
Tengum  Uguccionis  et  Jacobum  Co...,  cives  se- 
nenses,  socios  nobilium  predictorum  in  Anglia 
commorantes,  ad  eiusdem  Ecclesie  devotio- 
nem  redire  volentes  ,  ab  huiusmodi  sententiis  , 
iuxta  Ecclesie  formam,  absolvi  mandaverimus  : 
.Serenitatem  regiam  rogamus  et  hortamur  at- 
tente, quatinus  habeas  1  socios  ipsos,  prò 
nostra  et  diete  sedis  reverentia  ,  propensius 
commendatos:  prò  eis2  ad  carissimum  in  Christo 
tìliuni  nostrum  illustrem  regem  Anglie  viruni 
tuuni ,  quod  eos  ad  contrahendam  moram  in 
terris  tuis  et  procuranda  ibidem  sua  negotia 
favore  regie  liberalitatis  admittat  :  ita  quod 
propter  hoc  regalem  excellentiam  comendare 
merito,  prò  huiusmodi  opere  mansuetudine,  te- 
neamur.  Dat.  apud  Urbemveterem,  iij  idus  fe- 
liruarii  ,  pontitìcatus  nostri  anno  secundo. 

1  11  Pecci:  liabetis.  -  Aurhe  qui  la  copia  Fecci 
!■  forrotlii:  e  per  restituire  il  senso,  sembra  che 
si  richieda  un  verbo  esprimente  preghiera. 


I0(i 

IV. 

[29  settembre  126S.J 

Karolus,  Dei  gratia,  rex  Sicilie,  ducatus 
Apulie  et  principatus  Capue ,  aline  Urbis  se- 
iiator ,  Andegavie,  Province  et  Folchachierii 
Comes,  romani  Imperli  in  Tuscia  vicarius  ge- 
neralis. 

Per  presens  scriptum  notum  facimus  uni- 
versis,  tam  presentibus  quam  futuris,  quod  nos. 
attendentes  dampua  gravia  que  nobilis  vir  Pe- 
trus de  Tholomeis,  civis  senensis,  prò  fide 
romane  Ecclesie  nostrique  devotione  nominis. 
est  perpessus  ;  eiectus  a  bonis  et  a  patria,  di- 
ras  penas  exilii  coactus  diutius  experiri;  con- 
siderantes  quoque  grandia  et  accepta  servitia. 
que  idem  Petrus  diversis  partibus  et  temporibus 
eidem  Ecclesie  atque  nobis  studuit  exhibere  : 
castrum  Montis  Aghutoli  de  Boscho,  Vulterane 
fliocesis,  nec  non  omnia  castra,  villas  et  loca, 
(|ue  tempore  quondam  Frederici  Romanorum 
imperatoris  erant  castellanie  ipsius  Montis 
Aghutoli,  cum  hominibus,  vassallis,  possessio- 
nibus,  vineis,  terris  cultis  et  incultis  ,  pratis. 
nemoribus,  pascuis ,  aquis  aquarumque  decur- 
sibus,  aliisque  iuribus,  iurisditionibus  et  perti- 
nentiis  eorumdem  ac  romani  Imperli,  eidein  Pe- 
tro  et  eius  heredibus  imperpetuum,  auctoritate 
nobis  ab  apostolica  sede  tradita,  damus  atque 
ooncedimus  in  feodum  nobile  ac  gentile,  de 
gratia  spetiali ,  salvis  mandato  et  ordinatione 
sancte  romane  Ecclesie  ac  iuribus  cuiuscum- 
que.  Ut  auteni  huiusmodi  nostra  concessio  et 
floiialio  jilonum  l'obor  obtineat  firmitatis^  \>rc- 


107 

sens  privileyium  exiiidc  tieri  et  sigillo  iiiaie- 
..statis  nostre  iussimus  coiuuniri.  Actuin  Rome, 
in  arce  Capitolii  ;  presentibus  Gaufrido  de  Ca- 
pella,  Gaufrido  de  Sarzinis,  regni  Sicilie,  et 
(iuillehno  Estandardo ,  Province,  senescallis, 
Roberto  de  Laveno,  iuris  professore  :  anno  Do- 
mini millesiiuo  ducentesimo  sexagesimo  octavo, 
mense  septembris,  die  vicesimo  nono  eiusdem 
niensis  ;  regnante  domino  Ivarolo,  Dei  gratia, 
gloriosissimo  rege  Sicilie  ,  ducatus  Apulie  et 
principatus  Capue,  Andegavie,  Province  etFol- 
cachieri  comite  ,  regni  eius  anno  quarcto  feli- 
citer,  amen. 

Datum  per  manum   Roberti  de  Baro  ,  regni 
Sicilie  iirothonotarii. 


lOS         ! 

Y. 
[20  ottobre  129.S.] 

Dinanzi  a  voi,  signori  Nove  ijovernatori  n 
ilifenditori  del  chomune  e  del  popolo  di  Siena, 
propone  e  dice  Guccio  di  inesser  Renaldo  de' 
lienaldini:  Che  esso  Guccio,  di  choinandamento 
de' signori  Nove  vostri  antecessori ,  andò  a  la 
terra  di  Segherauolo  in  servigio  di  messer  lo 
papa,  e  ine  in  quello  luogo  stette  due  mesi 
prossimi  già  passati,  clion  chavalieri  dati  e 
assegnati  a  llui  per  lo  cliomuno  di  Siena;  e 
al  (juale  luogo,  xxvj  di  del  mese  di  settembre 
passato,  fu  meschia  e  battaglia,  tra' Proven- 
ciali  dall'una  parte,  per  loro  difetto,  e'Toschaui 
<Iair  altra  parte  ;  per  cagione  de  la  quale  me- 
schia e  battaglia,  el  sopradetto  Guccio  perde 
le  chose  le  quagli  spicificaranno  di  sotto.  Unde, 
conciò  sia  cosa  che  le  dette  chose  abbia  per- 
dute stando  nel  servigio  del  chomuno,  secondo 
che  dett'  è;  che  vo'  piaccia  di  farnel  provedere 
nel   mende  e  nella  stima  de  le  prodette  chose. 

Le  chose  sono  cheste : 

In  prima  uno  chavallo  d'arme,  di  pel  nero, 
ohon  altri  segni,  el  (juale  fu  slimato  por  li 
^stimatori  del  chomune  di  Siena. 

.\ncho  uno  chavallo,  di  pelo  vaio  bruno, 
rhol  pie  dietro  balzano,  e  chon  peli  bianchi 
in  fronte,  el  quale  fu  estimato  per  li  stima- 
tori del  chomuno;  el  quale  chavallo  fu  ferito 
ne   la  detta  briga,  de  la  (juale  f(MMta  fu  morto. 

.'Vncho  uno  mulo  di  pelo  '.  el  (piale  costò 

\iiii  fiorini  d'  oro. 

1   I'iiidIo  iiniilrlliijilnlr. 


109 

Anoho   Ixx    rioriiii  d'  oro. 

Anello  una  choltre  di  zendado  rosso  itrandp. 
la  quale  è  slimata  xxv  Ibr. 

Audio  iiij  paia  di  lenzuola  sottigli,  di  xxx 
braccia  di  panno  ciascheuno  paio,  istilliate 
XX  Ibr. 

Anche  iij  paia  di  lenzuola  da  iamiirla  .  i- 
stiinate  viiij  Ibr. 

Anello  uno  paio  di  panni,  tramezzato  di  ver- 
de e  di  brolo  di  Dovagio,  di  suo  dosso,  isti- 
niati  xiiij  Ibr. 

Ancho  V  tovaglie  grandi  da  mensa,  e  iiij 
tovagluole  da  sciugare  le  mani,  e  due  asciu- 
gatoi grandi,  sottigli ^  istiiiiali  in  xxij  Ibr. 

Ancho  due  fiaschi  di  stagno  e  due  bocha- 
letti  d'aqua,  istimati  in  iij  fiorini  d'oro. 

Ancho  uno  paio  di  gotfani  istimati  in  x  Ibr. 

Ancho  uno  carnieri  di  chuoio  francescho  . 
stimalo  iij  Ibr. 

Ancho  due  soprasbrerghe  da  famigla.  sti- 
mate vj  Ibr. 

Ancho  iij  gonnelle  da  famigla,  istimatt* 
vj  Ibr. 

Ancho  una  bonetta  di  chuoio  e  uno  punto, 
istimate  vj  Ibr. 

Ancho  una  materazza  e  uno  chapezzale  di 
bordo,  piene  di  bambagia,  istimate  vj  Ibr. 

Anco  una  sargia  francesca  adogata,  istima- 
ta  X  Ibr. 

Di  tutte  a  le  sopradette  chose  rimanga  a  la 
vostra  provisione.  Le  quagli  cose  tutte  ebbe 
el   detto  Gucoio  nel  detto  oste. 


VI. 

Il   uttol.n-  IWl.ì 


Al  iiouK^  ili  Dio  H  (le  l:i  Verdini'  Maria  .  rlir- 
l'i  dia  p  conceda  a  l'are  ()uello  clic  sia  a  loro 
lande  l  e  loro  salute  2  e  nostro  onore  e  gua- 
dagnio  per  V  anima  e  per  lo  corpo  ,  amen.  In 
([uesto  ceragrafio,  e  ne'  due  che  sarano  levati 
da  questo,  de'  quagli  avartl  el  uno  Francesco 
Sozzi  de'  Talomei  ,  e  1'  atro  avara  Manuccin 
Grighori  ,  e  1'  atro  Andreia  Petri  da  Meglian- 
da;  e  sarà  quello  di  Francescho  escritto  per 
mano  di  Manucio  e  d' Andreia  di  su  detti,  e 
sugftlato  di  loro  sugelli;  e  quello  eh'  avara 
Manuccio,  sarà  escritto  di  mano  di  Francescho 
e  d' Andreia,  sugelato  di  loro  sugelli;  e  cquello 
ch'avara  Andreia,  sarà  escritto  per  mano  di 
Francesco  e  di  Manucio,  sugelato  di  loro  su- 
gelli: e  volemo  e  acordiamo,  noi  Francesco  e 
Manucio  e  Andreia  sopradetti,  al  nome  di  Dio, 
tare  conpagnia  ensienie.  E  volemo  in  essa  con- 
|)agnia  ricevare  e  agiogniare  per  nostro  con- 
pagnio  Vanuccio  Sassi,  pegli  capitagli  e  per 
lo  modo  a  lui  asegniati  in  questo  ceragrafio  e 
ne"  due  che  da  essi  saranno  levati:  cioè  ch'el 
detto  Vanuccio  debia  avere  ratitichatn  e  fermo 


1  lade.  2  saluiie.  .1  rispuriniu  di  postille, 
avvertiamo  una  volta  per  sempre  che  questo  mo- 
do di  raddoppiare  la  1  è  costante  nel  dorumenlo: 
come  pure ,  la  mn-ncanza  del  seijno  abbrevinliro 
idppresniliinte  la  n ,  che  per  nitro  (ililiinmo  sem- 
prc.  dorè  occorrerà,  soslitnila. 


HI 

l'io  olip 'u  essi  si  conteraiio.  dentro  ;i  uno  me- 
se, gionto  Andreia  detto  in  Parigi,  ne  reame 
ili  Francia;  e  se  ciò  no  facese  ,  volerne  e  acov- 
diaino,  eh' el  detto  Vanuccio  sia  eschusso  e 
fuore  de  la  detta  conpagnia. 

In  prima,  el  sopradetto  Francesco  e  Ma- 
nuccio  e  Andreia,  agiogniendovi  el  detto  Va- 
nuccio per  li  modi  che  di  suso  è  scritto,  di 
concordia  e  d'amore,  fare  la  detta  conpagnia 
insieme  d'uno  ragionato  d'una  conpagnia, 
ch'era  del  detto  Francesco  e  Manucio  di  sue 
detti  ;  e  '1  detto  ragionato  aveva  manbrunito 
el  sopradeto  Andreia  e  Vanucio,  e  fatti  e' fatti 
de  la  detta  conpagnia:  e  trovossi  el  detto  ra- 
gionato, cinque  miglia  seicento  ottanta  11.  e  do- 
dici sol.  e  diece  d.  tornesi  picioli:  e  nel  det- 
to ragionato  si  trovò  devito  due  miglia  secen- 
to  trenta  11.  e  dodici  sol.  e  due  d.  tornesi  pi- 
cioli; resta  netto  e  ragionato  tre  miglia  cin- 
quanta 11.  tornesi  piciogli,  de' quagli,  al  no- 
me di  Dio,  facenio  la  conpagnia.  E  in  prima 
une  a'  suoi  chapitagli  el  sopradetto  Francesco 
dicesette  centonaia  di  11.  tor.  piciogli;  e  '1  so- 
pradetto Manucio  àne  a'  suoi  chapitagli  otto- 
cento ottanta  11.  tor.  piciogli;  e  Andreia  di  sue 
detto  àne  a'  suoi  chapitagli  quatrocento  11.  di 
tor.  piciogli  :  e  Vanuccio  di  sue  detto  '  àne 
.•r  suoi  chapitagli  setanta  11.  di  tornesi  picio- 
gli, en  questo  modo:  eh' el  guadagnio  che 
la  detta  conpagnia  farà,  se  Dio  piace,  o  per- 
dita, unde  Edio  ci  guardi,  si  tragha  in  questo 
modo:  cioè,  eh" el  sopradeto  Francesco  trarà 
per   quatordici  centonaia   di    11.   tornesi   picio- 

1    detetto. 


112 

gli  ;  I!  1  -iipprailptlo  Muiiuoio  trarù  per  sottc- 
•  ■(Mito  11.  lornesi  piciojili  :  e  '1  sopradetto  Aii- 
(Ireia  trarù  per  settecento  11.  tor.  i)iciofrli;  <•  1 
soiiradetto  Vanuccio  trarù  per  dugento  ciii- 
unanta  11.  tor.  piciogli.  E  comincia  la  detta  con- 
pagnia  in  chalende  ottobre  anni  mille  tre- 
cento vinti  e  uno  ,  e  die  durare  enfino  a  cha- 
lende luglio  anni  mille  trecento  vinti  e  sette. 
Kl  sopradetto  ragionato  è  in  Siena,  escrito 
su  'n  uno  libro,  ed  è  escritto  per  mano  del  deto 
Krancescho,  e  ancora  en  alchuna  cosa  escritto 
per  mano  di  Manuccio  :  e  el  detto  ragionato  ne 
porta  asenprato  su  "n  uno  ruotolo  di  chartta 
ili  pechora,  e  scritto  per  mano  di  Manuccio. 
.\ndreia  di  su  detto  a  Parigi,  per  escrivalo  e 
achordàllo  su  libro  clic  di  là  .-inno  e"  detti  An- 
ih'oia  e  Vanucio. 

E  vnlemo  e  acnnliaiiio .  uni  l-"rancesco  i' 
Mauucio  e  Andreia,  e  cosi  volemo  che  afermi 
Vanuccio,  se  a  queste  chose  s"  acorda:  e  si- 
no s'  acordasse,  dimori  fermo  e  rato  1  tra  noi. 
Francesco  e  Manucio  e  Andreia;  che  neuno  di 
noi  possa  trare  de  la  della  conpagnia  neutm 
ilenaro,  se  no  fusse  per  achordo  di  tulli,  salvo 
che  possa  trare  cholui  che  doverà  avere  per  li 
suoi  piti  di  suso  detti  ?  chapitagli,  tulle  le  volle 
che  volese  e  la  conpagnia  ne  fusse  agiata:  e 
mentre  che  stesaro  ne  la  conpagnia,  abia  di- 
ce 11.  del  cento  l'ano:  ecetato  ,  eh' el  sopra- 
detto Manucio  ne  posa  e  debia  3  ora  annn 
nuovo,  anni  mille  trecento  vintuno,  dugento  1. 


i  Sdllinlciidi  av 


113 

tor.  piciogli  ;  echi  ootitrafacese,  chagia  in  pena 
ili  cento  11.  tor.  piciogli  per  ciaschuna  volta,  e 
in  tanta  quantità  quant'  egli  traesse  ;  e  la  detta 
pena  sia  degli  atri  conpagni. 

Anco,  volerne  e  acordiamo  che  neuno  di  noi 
sopradetti  no  posa  fare  suoi  fatti  propi,  né  fare 
fare  per  neuno  modo  ;  né  fare  ,  né  fare  fare  con- 
pagnia  co  neuna  persona  ne  reame  di  Francia, 
tanto  quanto  la  coupagnia  duri,  e  che  l'uno  a 
l'atro  avara  renduto  buono  e  vero  chontio  di 
ciò  che  gli  sarà  pervenuto  a  le  mani  de' beni 
de  la  deta  conpagnia,  a  pena  di  dugento  lire 
tornesi  piciogli  :  e  quello  cotale  (guadjagnio 
che  quella  conpagnia  facese  e  avesse  fatto, 
sia  apropriato  a  la  predetta  nostra  conpagnia  ; 
e  se  perdita  v'avesse  neuna,  si  se  n'abia  el 
dano  cholui,  o  vero  cholo(ro)  che  fatta  l'ave- 
soro  ;  e  nodimeno  ristituischa  o  vero  ristitui- 
schano  ,  choloro  che  fata  l'avesoro,  e'chapi- 
tagli  che  dentro  v'avesoro  messi. 

Anco,  volemo  e  acordiamo  che,  se  alchuno 
di  noi  avese  alchuno  denaro  ne  reame  di  Fran- 
cia, o  vero  che  si  ricogliesero  di  sue  dette  pro- 
pie,  ch'egli  el  debia  metare  ne  la  conpagnia 
predetta;  e  la  conpagnia  ne  debia  provedere, 
a  ragione  di  diece  11.  il  centonaio  1'  ano,  sì  come 
di  suso  é  detto. 

Anco,  ordeniamo  e  volemo  che  neuno  di  noi 
no  possa  ubrighare  l'uno  l'atro  chontra  a  neuna 
persona,  per  neuno  modo,  senza  volontà  di  co- 
lui che  gì' ubrighasse  ;  e  chi  centra  a  ciò  fa- 
cese, chagia  in  pena  a  la  conpagnia,  chom'egli 
©brigasse  el  conpagnio  o  vero  chonpagni;  e  no- 
dimeno quello  cotale  devito  sia  tutto  suo,  di 
quello   chotale  o  vero  chetagli  che    1'  ubrigha- 

8 


114 

gione  avese  fatta,  se  cosa  fuse  che  si  coiive- 
nisaro  pagliare. 

Anco,  ordeniamo  e  volemo  che  s'intenda 
questa  conpagnia  sia  propia  ne  reame  di  Fran- 
cia, e  none  altrui. 

Anco,  ordeniamo  e  volemo  che,  quando  e'due 
o  tre  di  noi  esendo  di  qua  in  concordia  di  man- 
dare per  conpagno  o  vero  conpagni  che  ne 
venisino  a  Siena  a  rendare  ragione;  che  ne 
debia  o  debiano  venire,  dentro  atre  mesi  fat- 
toglili  asapere,  a  pena  di  cinquecento  11.  tor. 
piciogli  per  ciaschuna  volta  che  centra  ciò  fa- 
cese  vel  facesero;  e  cotanto,  se  none  avese 
vel  1  avesoro  chagione  legitima,  si  chome  d'in- 
fermità o  vero  di  pregione. 

Anco,  volerne  e  achordiamo  che,  s' aparise 
contr' a  Francesco  e  a  Manuccio  neuno  devito 
per  la  conpagnia  vechia  per  qualunque  modo 
fusse ,  che  quello  chotale  devito  sia  meso  a 
loro  chontio. 

Anco,  volemo  e  acordiamo  e  asetiamo  a 
qualunque  conpagnio  sarà  per  la  conpagnia  ne 
reame  di  Francia,  posa  trare  per  uno  una  roba 
di  sei  11.  tor.  piciogli,  e  no  piue. 

E  io  Francesco  che  òne  escrito  da  quie  in 
suso  a  ciò  m' acordo  e  consento  e  giuro?  a  le 
sante  guagnieleS  di  mai  a  le  sopradete  cose 
andare  incontra  né  fare  andare  :  in  lestimo- 
nanza  di  queste  cose  aservare,  io  ci  metto  el 
mio  sugello. 

Fatto  el  sopradetto  ceragralìo  giuved\4  pri- 
mo d'ottobre,  anni  mille  trecento  vintuno;  e 
di  queste   cose   aservare,  aviamo    fata   charta 

1  vele     -  iruro.     3  guas:nile.     •♦  sruvedì. 


115 

Ijer  mano  di  ser  Nicliola  di  ser  Ranuoio  Gigli 
notaio  di  Siena. 

Io  Manuccio  di  su  nomato  6  veduto  e  letto 
il  detto  cieragraffio,  e  acordolo  e  vogliolo,  e 
giuro  a  le  sante  guagniele  di  none  andare  in- 
contra, ma  esso  tenere  fermamente:  in  testi- 
monanza  di  ciò ,  ci  metto  il  mio  sugello  e  que- 
sto scritto  di  mia  mano. 

(A  tergo).  CieragrafHo  che  Francesscho 
Sozzi  de'Talomei  e  Manuccio  Grighori  fecioro. 
l'e  A)ndrea  di  Pietro  da  Meglianda. 


NOTE. 


1  Pag.  3,  V.  3.  Rugeri  de  BafifnoJo.  Bolognese. 
Fu  il  primo  capitano  di  popolo,  forestiero,  nella 
città  di  Siena,  e  vi  tenne  tale  ufficio  nel  se- 
mestre da  luglio  a  dicembre  1253.  Durante  la 
.sua  capitaneria  cavalcò  pili  volte  colla  gente 
<lei  Senesi  sul  territorio  fiorentino  ,  e  fu  una 
volta  ambasciatore  del  comune  di  Siena  a 
quello  di  Ravenna.  (Malavolti ,  Istor.  di  Siena, 
Parte  1 ,  a  e.  64.  —  R.  Arch.  di  Stato  in  Siena: 
Biccherna,  Entr.  e  Uso.  del  1253;  Pergamene 
jiro venienti  Ò3.\V  Arch.  Gen.  dei  Contratti,  28 
giugno ,  S  novembre  ,  20  novembre  1253.) 

2  Pag.  3 ,  V.  6.  luto  Arigo  Acatapane.  Altro- 
ve, semplicemente,  Arrigo  Accattapane.  Da 
un  alberetto  comunicatoci  dalla  gentilezza  del 
cav.  Gaetano  Milanesi,  e  confermato  dai  do- 
cumenti, si  ricava  che  il  nostro  Arrigo  fu  fi- 
gliuolo d'Accattapane  di  Rinaldo  della  famiglia 
degli  Accattapani,  dalla  quale  derivarono  i 
Turchi  consorti  dei  Piccolomini.  Dai  libri  della 
Biccherna  di  Siena  si  ha  notizia  che  fu  piU 
volte  adoperato  in  uffici  pubblici:  rettore  della 
corte  dei  malefizi  {dominiis  maleficiorum),  nel 
1246;  cancelliere  del  comune,  nel  50  ;  e  in  que- 


120 

sto  stesso  1253  trovasi  deputato  ,  con  altri  dui' 
oittartini,  super  mittendis  lilteris  et  esplorato- 
res  et  spiones  prò  comuni  senensi;  e  poi,  am- 
basciatore ad  Arezzo,  Cortona,  Assisi,  e  Pe- 
rugia. Ignorasi  l'anno  preciso  della  sua  mor- 
te; ma  che  questa,  avvenisse  anteriormente  al 
1282,  ne  fa  fede  una  pergamena,  di  codest'an- 
no,  per  la  quale  Minus  quondam  Arrighi  de 
Acatapanis  de  populo  Sancii  Desidera  vende 
varie  sue  possessioni  poste  nelle  parti  di  Buon- 
convento  a  Tazio  e  Mino  del  fu  Ranieri  citta- 
dini senesi  (R.  Arch.  detto  :  Pergani.  Ardi.  Gen-, 
anno  detto,  indizione  xi,  senza  data  di  giorno.) 
Circa  r  elezione  di  Arrigo  Accattapane  e 
del  suo  compagno  Aldobrandino  Gonzolino  in 
sindaci  a  condurre  soldati  per  il  comune  di 
Siena,  cf.  il  Documento  I. 

3  Pag.  3,  v.  7.  Che  Gerardone  e  Angnelone  di 
Spoleto  che  vi  recha  chesta  lettera.  P'orse  è  da 
espungere  il  secondo  che,  come  ridondante.  An- 
che scrivendo:  eh' è  Gerardone-. ■■  che  vi  recha 
ec. ,  il  senso  correrebbe:  ma  ci  è  sembrata  di- 
citura troppo  moderna:  e,  nella  incertezza, 
abbiamo  preferito  di  non  mutar  nulla. 

4  Pag.  3,  v.  16.  S' i  ringraziate-  Cioè  si  li  rin- 
graziate. L'  uso  della  forma  i  per  li  o  gli  nel 
quarro  caso  plurale  del  pronome  ,  è  frequentis- 
simo in  queste  e  in  tutte  le  altre  antiche  scrit- 
ture. A  questa  elisione  poi  merita  di  esser  rav- 
vicinata l'altra,  a  pag.  .5:  m' Aldobrandino 
Gonzolino  ec. 

5  Pag.  4 ,  V.  2.  Sono  pagali  primo  mese.  Asso- 
lutamente, invece  che  per  il  primo  mese.  K- 
sempi  di  questa  maniera  ci  forniscono  Dante, 
Inf.  xviii:  «Di  cui  suo  loco  dicerò  l'effetto,  » 


121 

i'.  gli  statuti  senesi ,  pubblicati  dal  Folidori 
(Bologna,  Romagnoli,  1863),  p.  14:  «  Qualun- 
que traesse  fuore  o  vero  sguainasse  alcun  col- 
tello contro  alcuna  persona  iniuriosamente , 
adirato  animo  ec.  » 

6  Pag.  4,  V.  16.  SI  riceverete.  Cosi  la  mano 
di  chi  scrisse  ;  ma  certo  con-  animo  di  scrive- 
re :  si  'l  riceverete.  Sebbene ,  considerato  che 
si  scrisse , -certo  per  effetto  di  pronunzia,  i 
per  il  articolo  (come  per  esempio  i  rectore  nel 
Breve  degli  Orafi,  pubblicato  da  G.  Milanesi, 
tra.  i  Documenti  dell'arte  senese;  Siena,  Porri, 
1854-56),  si  può  credere  che  si  pronunziasse  e 
scrivesse  t  per  il,  anche  quando  è  pronome;  e 
in  questo  caso  è  da  leggere  s' i  riceverete. 

^  Pag.  5,  V.  7.  Aldobrandino  Gonzolino.  In 
altri  documenti ,  Aldobrandino  Iaconi',  o  anche 
Ildibrandinus  lachomi  de  Spinis,  ch'era  il  suo 
vero  nome,  mentre  Gonzolino  fu  forse  un  so- 
prannome. Dai  libri  della  Biccherna  e  dai  re- 
gistri del  Consiglio  della  Campana  di  Siena, 
si  ricava  che  nel  1254  fu  uno  degli  ufficiali  dei 
castelli;  nella  celebre  guerra  del  60,  dei  Sei 
buonuomini  sopra  le  fortificazioni  della  città, 
poi  camarlingo  dell'  esercito  a  Monteraassi  ; 
nel  62,  ambasciatore  a  Chiusi  e  Menzano  ;  nel 
maggio  del  74,  uno  dei  sei  deputati  a  far  la 
nuova  lira;  e  nel  luglio  dell'anno  stesso,  ri- 
sieduto nel  supremo  magistrato  dei  Trentasei. 
La  pia  recente  memoria  che  di  lui  ci  sia  oc- 
corsa è  la  seguente  ,  registrata  nell'  entrata 
di  Biccherna,  del  1296,  a  e.  11,  sotto  la  data 
del  18  luglio:  Item,  x  soldos  ab  Ildibrandino 
Gonzolini,  prò  condempnatione  facta  de  eo, 
tempore  domini  Orlandini  de  Canosa  potestatis 


122 

senensis  (i'^i^i,  yeunaio-giugno;,  prò  Consilio 
(intendi,  per  non  essere  intervenuto  al  Consi- 
glio), ut  patet  in  Libro  Clavium,  folio  xxx. 

8  Pag.  5,  V.  16-23.  A  dichiarazione  dei  patti 
che  solevano  concordarsi  tra  i  comuni  e  i  ca- 
valieri, vedansi  i  documenti  II  e  V. 

0  Pag.  5,  V.  21.  Buone  ricolte.  La  parola  ri- 
coffa,  tutta  propria  del  dialetto  senese,  fu  già 
ampiaiueiite  illustrata,  nel  suo  vario  signifi- 
cato di  mallevadore  e  di  mallevadoria.,  dal 
Gigli  {Vocab.  Caler.),  dal  Polidori  (Statuti  se- 
nesi, Spoglio  delle  voci  ec.  p.  461-62),  e  dal 
Banchi  (Pref.  allo  Statuto  di  Molli,  p.  xvi). 

10  Pag.  6,  V.  7-9.  Anbascidori  di  Radicofano...- 
a  domiìio  papa.  Radicofani  era  feudo  dell'Ab- 
bazìa del  Montamiata;  e  per  cessione  di  quei 
monaci  v'avevano  in  parte  giurisdizione  anche 
i  pontefici.  Bensì  il  comune  di  Siena,  fondan- 
dosi sopra  un'  antica  donazione  della  sesta 
parte  di  quel  castello  fattagli  dal  conte  Ma- 
nente di  Pepo  (Caleffo  Vecchio,  a.  e.  21;  marzo 
II38),  tentò  alcuna  volta  d' impadronirsene  per 
forza,  come  avvenne  nel  luglio  del  1145;  quan- 
do, portato  l'esercito  nel  piano  della  Badia, 
costrinse  1"  abate  Ranieri  a  far  giuramento  di 
concedere  ai  Senesi  il  castello  di  Radicofani 
per  ricovero  delle  loro  genti,  e  per  far  guerra; 
e  di  riconoscere  la  donazione  del  conte  Ma- 
nente {Caleffo  Fecc/u'o,  a  e.  25-25).  Questa  let- 
tera dell'  Accattapane  ci  dà  notizia  d'  una 
nuova  scorreria  fatta  dai  Senesi  sopra  il  ter- 
ritorio di  Radicofani  nel  1253  (della  quale  non 
fanno  menzione  le  cronache,  né  altri  docu- 
menti), e  della  successiva  ambasceria  dei  Ra- 
dicofanesi  a  papa  Innocenzo  l'V,  che  trovavasi 


123 

allora  in  Assisi,  dove  si  trutteuiie  fino  al  6  d"  ot- 
tobre. 

11  Pag.  T,v.  11.  Buo/lÌ/"((3ÌO.  Indubitataiuente, 
un  ambasciatore  del  comune  di  Siena  alla  corte 
dei  papa  in  Assisi;  del  quale  peraltro  non  ab- 
biamo trovato  nessuna  memoria  nei  libri  pub- 
blici. 

12  Pag.  11,  V.  \~.  Aldobrandino  lachomi.  ì.n 
stesso  che  Aldobrandino  Gonzolino.  Vedi  l'an- 
notazione 7. 

13  Pag.  12,  V.  21.  Veca.  (Cosi  deve  leggersi 
e  non  v'eco,  come  erroneamente  facemmo  im- 
primer nel  testo,  congetturando  che  stesse  per 
eccovi).  Il  Salviati  {Avverlim-  della  lingua  so- 
pra il  Decani.)  ne  ha  un  esempio,  tolto  dalla 
Fiorita  d'Italia:  «  E  veCCO  la  notte  veniente 
uno  gli  apparve  in  visione  ec.  »  Se  dobbiamo 
credere  al  medesimo  Salviati ,  questo  modo  di 
dire,  ora  escito  d'uso,  non  lo  era  peranco  ai 
tempi  suoi:  «  Vecco  e  veccolo  invece  d'ecco  e 
(l'eccoio  si  dice  tutto  giorno  nel  parlar  dome- 
stico.» Però,  se  non  vecco,  d' ecco  e  deccolo  ci 
rammentiamo  di  avere  udito  piu  volte  nel  con- 
tado senese.  Secondo  il  Salviati,  vecco  non  è 
per  eccovi;  ma  la  u  è  una  semplice  aggiunta 
eufonica  ;  e  questa  opinione  sembra  resa  assai 
verosimile  dall'  altro  modo  di  pronunziare  la 
stessa  parola  decco.  Quanto  al  vec  de' Proven- 
zali, che  gli  si  potrebbe  ravvicinare,  è  compo- 
sto secondo  il  Diez  lElymologisches  Wortprbuch 
der  Romanischen  Sprachen;  Bonn,  18G9i  dal- 
l'imperativo ve  (vezerì  e  da  ec. 

14  Pag.  13,  V.  3.  Ini  perciò.  Se  la  parola  ini 
non  ricorresse  due  volte  negli  Statuti  Senesi- 
pubblicati  dal  Polidori  ("p.    ."jC :    da   ini  'n    su; 


124 

p.  372:  da  ini  i'yiusot;  avremmo  iuolinato  a  «-ra- 
dere che  fosse  un  trascorso  invece  di  impeì'cio 
o  inpcrció.  Ma,  poiché  la  esistenza  della  pa- 
rola è  già  provata  ,  e  la  lezione  dell'  origi- 
nale è  certa,  non  abbiamo  voluto  t'aro  muta- 
zioni arbitrarie. 

15  Pag.  13.  V.  11.  Fiera  di  Provino  di  maggio. 
pjra  questa  una,  delle  tante  celebrate  fiere;  di 
Sciampagna;  le  quali,  in  un  antico  nis.  francese 
del  secolo  xin,  descritto  da  Paulin  Paris  {Les 
Manuscrits  franpais  de  la  Bibl.  du  Roi,  tom.  iv, 
pag.  16)  sono  designate  cosi  «  Lat'pn?/.  Lende- 
inainde  l'an  reneuf  (2  gennaio).  —  Bar.  Mardi  a- 
vant  mi  ciirèìae.—Provins.  La  foire  de  may,  mar- 
di  avant  IWssencion.  —  Troycs.  Foire  de  la  !s. 
Jean.  Du  l*""  mardi  en  15  jours  après  la  féte.  — 
Provins-  P^oire  de  S.  Aieul.  Le  jour  de  la  Sainte 
Croix,  en  septenibre.  —  Troijes.  Foire  de  S.  Re- 
my.  Lendemain  do  la  Toussaint  ».  Concordano 
con  questa  memoria  il  Pegolotti,  Pratica  della 
Mercatura  (nei  tomo  iii  della  Decima  del  Pa- 
gnini)  ;  e  le  nostre  Lettere,  nelle  quali  le  so- 
vra espresse  fiere,  né  più  né  meno,  sono  ri- 
cordate: Lagnino  (Lagny),  a  pag  52,  83,  86; 
Bari  (Bar-sur-Aube),  a  pag.  i7,  48,  58,  83,  84, 
86;  Proviìio  (Provins)  di  maggio,  a  pag.  13,  25, 
26,  29,  30,  35-38,  45,  50,  52,  58,  77  ;  San  Giovanni 
di  Tresi  (Troyes),  a  pag.  20,25,  29,  34,  37; 
Sant'Aiuolo  di  Provins,  a  pag.  29,  34-36,  42, 
44-46,  49,  50,  52-54,  57;  Treseto,  a  pag.  42,  45, 
48,  49.  Solo  quest'ultima  ci  ha  tenuti  per  qual- 
che tempo  sospesi,  se  si  riferisse  a  luogo  di- 
verso da  Troyes:  ma,  dopo  molte  considerazioni, 
ri  pare  di  dovere  ritenere  che  con  questa  spe- 
ciale denominazione  non  altro  s'intendesse  che 


125 

hi  riera  di  S.  Remigio  ;  percliè  non  si  trovano 
altri  luoghi  in  Sciampagna,  a  cui  tal  nome  si 
l)otrebbe  adattare  ;  e  perchè  la  data  della  vn 
delle  nostre  lettere  scritta  dalla  fiera  di  Tre- 
seto,  nel  novembre,  conviene  alla  fiera  di  S.  Re- 
migio. Anche  ci  ha  confermati  in  questa  opi- 
nione un  passo  della  vi  lettera,  a  pag.  42,  dove 
Andrea  de'Tolomei,  che  scrive  dalla  fiera  di 
San  Giovanni  di  Troj'es,  dice  di  avere  allogato 
«un  albergo  per  Treseto  »  (cioè,  per  la  fiera 
di  Treseto);  ed  aggiunge:  «ed  évi  stato  ser 
Gherardo  in  questa  riera  (di  S.  Giovanni)» .  Ora 
da  altri  passi  della  stessalettera,  a  pag. -43,  si  ri- 
cava che  il  detto  ser  Gherardo  del  Medico  ,  du- 
rante la  fiera  di  S.  Giovanni,  trovavasi  inTroyes. 
Può  anche  osservarsi  che  come  delle  due  fiere 
di  Provins,  una  si  chiamò  dal  paese,  Provino  di 
maggio;  l'altra  semplicemente  dal  Santo,  San- 
t' Aiuolo  ;  cosi  è  accaduto  di  queste  due  di  Tro- 
yes.  Notiamo  infine  che  questa  appellazione  di 
Treseto  spetta  esclusivamente  alla  fiera,  non 
alla  città:  e  in  questo  senso  la  ritroviamo  nel 
Pegolotti,e  in  altri  documenti  di  mercatura;  co- 
me p.  es.  nelle  Sette  lettere  inedite  del  secolo  xiv, 
pubbl.  dal  sig.  Pietro  Dazzi  (Firenze,  Sodi,  1S6(5). 
a  pag  20.  Con  questo  ci  pare  anche  rettificato 
quanto  afferma  intorno  alle  fiere  di  Sciampa- 
gna il  sig.  Pietro  Berti  nell'avvertimento  ai 
preziosi  Documenti  sul  commercio  dei  Fioren- 
tini in  Francia,  da  lui  con  somma  diligenza 
pubblicati  nel  tomo  I  del  Giorn.  Slor.  degli 
Archivi  Toscani.  Egli  dice  le  fiere  di  Troyes 
essere  tre  ;  nel  gennaio  ,  nel  giugno,  e  nell'ot- 
tobre ;  forse  perchè  un  documento  del  settem- 
bre 1279  (xv)  parla  delle  jìrnximis  fntnris  nundi- 


126 

nis Saìicli Remiga  Trecensis:  e  un  alno  del  leb- 
braio  1295  (xviii) ,  delle  ìiuudinis  beati  Remicii 
de  Trecis  in  Campania  noviter  elapsis;  maiali 
accenni,  assai  vaghi,  non  contradicono  punto 
a  quanto  è  concordemente  affermato  di  sopra 
circa  al  numero  e  all'epoca  delle  fiere  di  Troyes. 

16  Pag.  13,  V.  12.  lacomo  Guidi  Chaciaconti. 
Le  poche  notizie  ,  che  dai  documenti  del  R. 
Archivio  senese  si  ricavano  su  questo  mer- 
cante ,  furono  già  falte  pubbliche  dal  prece- 
dente editore  sig.  Gargano  Gargani,  al  cui  o- 
puscolo,  pag  50,  rimandiamo  i  lettori. 

17  Pag.  13,  V.  13.  Iacom,o  e  Giovanni  di 

La  lacerazione  della  pergamena  originale  ci 
ha  tolto  qui,  per  quanto  sembra,  un  paio  di 
nomi.  Ecco  quello  che  ci  è  riescito  di  conget- 
turarne. Prima  di  tutto  si  badi  bene  che  abbia- 
mo qui  i  nomi  dei  mittenti  della  lettera.  lacomi» 
e  Giovanni  non  sono  certamente  vocativi;  chft 
la  lettera  A  indirizzata  al  solo  Jachomo  Guidi 
Chaciaconti,  e  a  lui  solo  si  rivolgono  in  tutto 
il  corso  della  medesima  i  mittenti,  i  quali  sono 
più  d'  uno,  come  apparisce  dall' esprimersi 
essi  costantemente  in  plurale,  meno  che  in  due 
paragrafi  a  pag.  10  e  20 ,  intorno  ai  quali  vedi 
l'annotazione  25.  La  congiunzione  e  posta  tra  i 
nomi  lacomo  e  Giovanni  ci  fa  credere  che  il 
primo  dei  due  nomi  perduti  fosse  piuttosto 
quello  del  padre  di  ambedue  che  non  del  solo 
Giovanni:  e  se  in  cosa  incertissima  è  lecito 
di  avanzare  una  congettura,  diremo  che  gli 
avanzi  di  due  g ,  che  si  prolungano  nelT  orlo 
inferiore  della  lacerazione  dopo  la  parola  di. 
I!  la  ristrettezza  dello  spazio,  ci  fanno  pen- 
sare che  il  primo  nome  mancante    l'osse    Gre- 


127 

(joriOj  abbreviato  in  questo  modo:  ggrio.  Quanto 
air  altro  nome  perduto,  due  considerazioni 
concorrono  a  far  credere  che  fosse  quello  di 
Vincenti.  In  primo  luogo,  il  modo  con  il  quale 
Vincenti  nomina  sé  stesso  per  ben  due  volte 
nel  corso  della  lettera,  ci  fa  tenere  per  assai 
verisimile  che  il  suo  nome  fosse  esplicita- 
mente registrato  nel  titolo  della  lettera  mede- 
sima ,  e  non  sottinteso  nella  espressione  col- 
lettiva gli  altri  compagni.  In  secondo  luogo, 
questa  cosa,  già  di  per  sé  molto  credibile,  è 
confortata  dalla  certezza  che  abbiamo  che  quasi 
nel  termine  della  lacuna  era  un'  i;  del  che  ci 
dà  indizio  una  piccola  lineetta  posta  in  alto 
che  ancor  si  vede  nell'orlo  lacero  della  carta: 
la  quale  lineetta  ricorre  in  tutta  la  carta  me- 
desima sopra  la  lettera  t,  e  fa  la  funzione  del 
nostro  punto.  Ci  sembra  dunque  non  improba- 
bile che,  prima  di  esser  lacera,  la  carta  desse 
questa  lezione:  lacomo  e  Giovanni  di  {Grego- 
rio?, Vincenti  e)  gli  altri  chonpagni  ec.  Della 
possibilità  che,  per  quanto  sia  rimasta  la  li- 
neetta dell'i  finale  di  Vincenti,  sia  nondimeno 
sparito  il  segno  dell' e  (7),  si  persuaderà  chi, 
avendo  come  noi  minutamente  esaminata  la 
carta,  si  sarà  avveduto  che  la  lacerazione  si 
estende  assai  piti  lungo  la  linea  della  scrittura, 
che  non  al  di  sopra  della  medesima. 

18  Pag.  13,  V.  20.  Adoparéne.  Cioè  adopare- 
renne ,  ne  adopreremo.  Del  futuro  contratto  di 
questo  stesso  verbo  hanno  un  esempio  gli  Sta- 
tuti senesi f  editi  dal  Polidori,  p.  263.  «  Elli  e 
quelli  che  V  adoperrà ,  brigarà  o  tractarà  ec.  » 
Nelle  nostre  Lettere  abbiamo  di  questa  con- 
trazione del  futuro,  (la  cui  oriirine  fu  con  molto 


12« 

arrunip  investigata  dal  Nannucci  neW  Analisi 
rrilica  dei  verbi  italiani,  p.  2U  sec-^.)  altri  e- 
sempi  :  (Uchiaremo,  p.  fX)  ;  duràc .  p.  62 :  aparrà, 
p.  <;?.. 

li'  Pag.  14,  V.  14.  De'  tuoi  auti  e  de'  tuoi  ren- 
duti.  Del  tuo  avere  e  del  tuo  dare,  di  quello 
che  riscuoti  e  paghi.  Poco  sotto  arenduii,  e 
a  pag.  37  arenduta;  cosicché  pare  che  si  di- 
cesse arendere  come  asapere,  p.  13  e  passim; 
amaritare,  p.  81;  arritenere,  (Vita  di  Cola  di 
Rie.nze ,  cap.  xi);  e  simili.  Arenduti  è  anche 
ne'  Conti  di  Matlasala ,  (Arch.  stor.  ital.  App. 
T.  V.  pag.  43:  )«  XXV  denari  disposi,  che  sono 
prestati^  e  non  arenduti.' 

20  Pag.  15,  V.  14.  Provesini.  Moneta  cosi  detta, 
.'i  quanto  sembra,  da  frodino  ossia  Provins  in 
Francia,  dove  si  tenevano  grandi  mercati.  Ve- 
dasi il  Du  Gange. 

21  Pag.  15,  V.  19.  Avanteli.  È  per  avavanteli  ; 
cioè:  che  te  gli  avevamo.  Vedi  poco  sotto, 
p.  18,  la  stessa  forma  d'imperfetto:  «  Inten- 
ilemo  ...  chome,...  eravate  istati  a  Bonicho  Ma- 
niardi  e  avateli  ("cioè  gli  avevate)  detto  come 
voi  volavate  ec.»  Lo  scambio  della  e  con  Va 
è  per  dialetto;  1'  omissione  della  no  è  per  la 
consueta  abbreviazione  (alla  quale  nei  docu- 
menti di  questo  tempo  manca  quasi  sempre  il 
segno  destinato  a  rappresentarla),  o  perchè  il 
suo  suono  é,  in  questo  e  in  simili  casi,  assai 
attenuato  no  Ila  pronunzia:  cosi  a  p.  21  :  «  Unde 
el  Montepulcianese  vide  che  noi  li  eravamo  in- 
dosso e  guastavàlo  (per  guastavamlo,  lo  gua- 
stavamo) ;  e  a  p.  12:  «  Ed  avéli  civemli)  iscriti 
<"  avéveli  (avemveli)  mandati.  —  U  che  non  A 
punto  necessario,  e  spessissimo  i>  taciuto,  in 
simili  costrutti. 


129 

22  Pag.  ir),  V.  3.  Guerra...  con  Fiorenza.  La 
celebre  guerra  che  si  terminò  a  Montaperti  il  4 
settembre  1260,  colla  sconfìtta  dei  Fiorentini. 
Per  illustrazione  di  questo  luogo  e  degli  altri 
della  presente  lettera,  che  vi  si  riferiscono, 
cf.  Paoli  Cesare ,  Battaglia  di  Montaperti  (Sie- 
na, Bargellini,  1SG9). 

23  Pag.  17,  V.  23.  Lettere  da  corte  di  papa  sopra 
lui.  Solevano  i  mercanti,  per  costringere  più  au- 
torevolmente i  debitori  contumaci  al  pagamento, 
impetrare  contro  di  loro  lettere  con  minacce  di 
scomunica  e  di  pene  temporali  dai  papi  e  da- 
gl'  imperatori.  L'archivio  privato  della  famiglia 
Tolomei  di  Siena  ne  possiede  varie.  Basterà,  ad 
esempio,  citarne  una  di  pp.  Alessandro  IV  al  de- 
cano della  chiesa  di  San  Stefano  e  all'ufficiale 
della  città  di  Troyes,  data  da  Napoli  1' 11  mag- 
gio 125-5  (segnata  di  n.  10);  nella  quale  il  papa 
ordina  loro  che  dentro  il  termine  di  due  mesi 
facciano  pagare  a  Rinaldo  e  Tolomeo  di  laco- 
mo  e  ai  loro  compagni,  mercanti  senesi  in 
Francia,  i  crediti  che  essi  avevano  contro  vari 
vescovi^  abbati,  conventi,  comunità,  baroni 
ec.  :  né  possano  i  debitori  valersi  d'  alcun  pri- 
vilegio canonico  o  civile  ;  né  allegare  ,  a  titolo 
d'esenzione,  il  fatto  d'avere  erogato  quelle 
somme  in  benefizio  di  chiese:  ma  incorrano, 
se  non  pagano  nel  detto  termine,  la  scomuni- 
ca e  r  interdetto. 

24  Pag.  19,  V.  2.  S'i  diciaremo.  (Nel  testo  fu 
stampato  per  errore  si  diciaremo).  Intendasi: 
sì  i  diciaremo,  s'i  gli  diremo. 

25  Pag.  19,  V.  18.  Io  Vincenti.  Questo  passo,  e 
l'altro,  anche  più  esplicito,  apag.  20:  E  prega- 
ne me  Vincenti,  ch'io  tei  dovese  iscrivere  in  quc- 

9 


130 

sta  lettera;  hanno  fatto  ritenere  al  sig.  Gargani, 
che  Vincenti  sia,  senz'alcun  dubbio,  lo  scrittore 
della  presente  lettera.  Quanto  a  noi,  accettia- 
mo la  cosa  come  molto  verisimile,  vietandoci 
peraltro  di  affermarla  come  assolutamente  cer- 
ta il  confronto  del  seguente  passo  della  lettera  I 
dell'  Appendice,  scritta  da  Guccio  e  Francesco 
Sansedoni  ai  loro  comi)agni  in  Siena  (ap.  75-7Gi. 
«Conviene  che  noi  ne  facciamo  altresì  carta:  sie 
ch'io  Guccio  V  òft  fatta  nel  modo  che  ci  man- 
daste, e  la  copia  guardaremo;  sie  che  quando 
si  converae  che  io  Franccscho  la  faccia,  si 
la  faroe.  »  Dal  quale  passo  sarebbe  ben  ditìi- 
cile  distinguere  chi  dei  due  abbia  scritta  la 
lettera,  mentre  è  poi  certo  che  uno  solo  di  loro 
l'ha  scritta,  essendo  il  documento  tutto  d'una 
mano.  Crediamo,  conseguentemente,  di  potere 
stabilire,  che,  quando  una  lettera  mercantile 
si  scriveva  da  più  compagni,  i  dettatori  erano 
vari;  e  ciascuno  di  essi  entrava  a  parlare  in 
persona  propria,  quando  aveva  a  dire  alcuna 
cosa  che  particolarmente  gli  spettasse. 

Intorno  alla  famiglia  e  alla  persona  di  que- 
sto Vincenti ,  ci  riferiamo  al  sig.  Gargani.  che 
lo  dice  figliuolo  d'un  Aldobrandino  di  Vincenti, 
e  progenitore  della  famiglia  di  questo  nome: 
in  favore  della  quale  ipotesi  (mancante  bensì 
di  prove  positive)  sta  il  fatto,  e  che  nei  pub- 
blici libri,  da  noi  accuratamente  esaminati, 
non  ci  è  occorso,  di  quei  tempi,  verun  altro 
Vincenti  che  il  soprascritto  ;  fatta  eccezione 
d'un  Vincenti  Dietavive,  che  comincia  ad  ap- 
parire tra  i  consiglieri  del  comune  di  Siena, 
dopo  il  1280  (R.  Arch.  di  Stato  in  Siena  :  Cons. 
della  6'a)»pana.Delib.  degli  anni  1282,1285, 1285, 


12SS).  —  Notiamo  due  documenti,  piiltljlinati  dal 
sig.  Gargani,  a  p.  67-G8,  dai  quali  si  ricava  clie 
il  Vincenti  nostro  era  tuttora  minorenne  (cioè, 
sotto  ai  25  anni)  nel  1263:  quindi,  all'epoca  in 
cui  fu  scritta  la  presente  lettera,  doveva  a- 
yerne  appena  venti;  forse  anche  meno,  se  si 
consideri  che  trovansi  memorie  di  lui  vivente 
fino  al  1321  (Arch.  predetto  :  Pergam.  30  marzo 
1321,  proven.  dall'  Arch.  gen.  Gargani,  op.  cit., 
pag.  15,  IS).  Altro  non  occorre  dire  intorno  al 
medesimo:  il  quale,  (per  quanto  abbiamo  de- 
sunto dalle  memorie  e  dai  documenti  veduti) 
fu  in  tutta  la  sua  vita  operoso  a  trattare  gli 
affari  propri  :  ma  non  usc'i  mai ,  per  fatti  pub- 
blici né  per  iscritture ,  dalla  comune  volgarità. 

26  Pag.  19,  V.  22.  Chrcivaldo  de  la  biffa.  La 
prima  parola  è  senza  dubbio  scritta  erronea- 
mente e  corrotta;  né  a  noi  è  riescilo  emendarla. 
Il  Fanfani  ragionevolmente  congetturò  che  de- 
notasse una  sorte  di  veste.  Nei  Conti  di  Mat- 
tasala,  p.  60,  è  menzionato  un  argaldo ,  che 
dagli  annotatori  è  spiegato  per  argandum,  so- 
prabitone  lungo  e  largo  :  ma  la  differenza  tra 
argaldo  e  la  parola  corrotta  della  nostra  car- 
ta è  troppa,  perchè  si  possa  creder  la  seconda 
una  corruzione  della  prima.  Biffa,  oltre  ad  es- 
sere aggettivo  denotante  una  gradazione  del 
color  rosso  (come  con  un  esempio  di  Leonardo 
da  "Vinci  provò  il  Fanfani),  è  anche  sostanti-/ 
vo  :  e  par  che  significhi  o  una  certa  qualità 
di  panno  o  una  foggia  di  veste,  come  si  ritrae 
da  questo  esempio  dei  conti  (inediti)  di  Luca 
Buonsignori:  «  Due  hife  di  Provino  verghate 
diano  dare  xxi  Ib.  x  s.  tor.  ne  la  deta  fiera  ec.  » 

27  Pag.  20  ,  V.  9.  E  aemne  pagati.  Cos'i  abbia- 


132 

Ilio  prnt'urito  di  scrivere  anzichò  sen'è,  trovan- 
fiosi  poco  sotto  e  semone  pagali;  flal  che  si 
deduce  che  il  sene  dell'originale  è  abbrevia- 
zione per  Senne  o  semne.  Cosi,  a  p.  21,  gua- 
slavato  per  guaslavamlo. 

28  Pag.  20,  V.  24.  Clionvenentri.  Casi,  fatti, 
condizioni;  come  nelF  esempio  seguente  di 
Domenico  da  Monticchiello  {Volgarizzamento 
dell'  Epistola  di  Penelope  a  Ulisse:  Firenze, 
Nicoolai,  1809;  st.  xi.k):  «Ed  io  dolente  senza 
te  rimasa.  Saper  nun  posso  di  tuo  convcnente.  » 

20  Pag.  21,  V.  12.  Incominciò  a  tenere  mene 
di  concia.  Pratiche  d'accordo:  cosi  slare  in 
menCj  p.  57,  stare  in  trattative.  Piii  generico 
è  il  significato  di  mena  nelle  locuzioni:  sare- 
te una  long  a  mena ,  p.  91:  troppo  dura  questa 
mena,  p.  92. 

30  Pag.  23,  V.  2.  La  loro  male  inchorala.  Male 
è  forma  dell'aggettivo,  tanto  per  il  genere  fem- 
minino, come  provano  1' esempio  presente  e  il 
male  offerta  del  Pucci  {Cenlil.  xliit.  85.),  cita- 
to dal  Nànnucci  (Teorica  de'nomi,  p.  67) ,  quanto 
per  il  genere  mascolino,  come, oltre  agli  esempi 
recati  dal  Vocabolario,  prova  il  seguente  della 
lettera  in  dell'Appendice,  p.  91  :  «  Pensando  che 
sempre  di  bene  fare  io  abo  male  merito.» 

31  Pag.  23,  v.  4.  FA  guasto  ch'eli  avevano. 
L'  originale  :  el  guasto  che  l' aveva;  parole  che 
non  sappiamo  qual  senso  diano.  I.a  nostra  con- 
gettura ci  è  stata  suggerita  dalle  parole  che 
seguono  :  el  più  grande  ch'elino  avesero.  Però  la 
considerazione  cheeJi  per  eglino  non  si  trova  mai 
nel  corso  di  questa  lettera,  ma  invece  sempre 
elino,  ci  fa  ora  credere  che  questa  parola  vo- 
glia essere   analogamente  emendata. 


1.-)o 
OO 

32  Pag.  24,  V.  S.  h'nguanno  in  chesto  anno. 
Ripetizione  usata,  a  quanto  pare,  per  dar  inag- 
gioi-  forza  al  discorso  ;  cos'i  oggi  in  questo  die  {Yi- 
t%  di  Cola,  co.p.32.)Unguanno,osser\ò  già  il  Nau- 
nucci,  e  ognuno  può  osservarlo  a  ogni  momento 
in  Toscana,  è  sempre  in  uso  tra  i  nostri  con- 
tadini. Dell"  etimologia  di  questa  parola,  co- 
mune a  tutte  le  lingue  romanze ,  discorsero 
il  Nannuccl  stesso  {Analisi  criiica  dei  verbi  i- 
taliani  p.  470,  nota  7.)  ;  e  il  Diez,  (Elymol. 
Wórlerbuch  der  rom.  Sprachen ,  p.  435.) 

33  Pag.  24,  V.  24.  Monta.  Questa  parola  fu 
tralasciata  nella  prima  stampa  che  della  pre- 
sente lettera  procurò  il  Fanfani  ;  il  Gargani 
lesse  Scriuta;  l'originale  ha  indubitatamente 
Mula.  Crediamo  che  sia  un  trascorso  jiermoida, 
ossia  movuta;  giacché  moiUa  per  }noD«<a  par 
che  si  potesse  dire  tanto  bene  quanto  auto 
(passim)  per  avuto,  ponto  (p.  IS.)  per  potuto. 
Che  poi  questa  parola  sia  qui  assai  appropria- 
ta, ognuno  se  ne  persuaderà  ponendo  mente  a- 
gli  esempi  seguenti  :«  .Vosse  (la  lettera  vi.)  do- 
menica, quatro  di  entrante  setenbre,»  p.  25 
—  «  Fata(ìa.  lett.  vii.)  domenicha  due  di  isciente 
novembre,  e  die  innovare  1'  altro  di ,  »  p.  49.  — 
«Credo  que  mi  vi  converà  andare  apreso  la 
mosa  di  queste  telare,  »  p.  51.  —  «  Mose  (la 
lettera  i  dell"  .appendice)  di  Parigi,  giuvidi,  » 
p.  83.—  «  Mosse  (la  lett.  iv  dell' App.)  di  Pa- 
rigi, VII  di  novembre,  »  p.  96.  —  Né  faccia 
meraviglia  di  trovare  il  participio  passato  ad 
esprimer  cosa  che,  nel  momento  in  cui  si  scri- 
veva, era  ancora  per  avvenire  :  par  che  fosse 
proprio  dello  stile  epistolare  che  lo  scrivente , 
nel   designare    il    tempo,  si  riferisse   in   certo 


134 

modo  al  inoiuento  in  cui  la  lettera  doveva  es- 
ser letta.  Cosi  ^troviamo  a  p.  86:  «  Partirò  el 
dì  che  questa  lettera  fue  fatta.  » 

34  Pag.  25,  V.  8  Andì-ea.  De'Tolomei.  Le  no- 
tizie che  dai  documenti  si  ricavano  sullo  scrit- 
tore di  questa  e  delle  lettere  vii  e  vin,  sono 
scarse  e  di  ben  poca  importanza  ;  potendosi  solo 
determinare  ch'eirli  dimorò  per  lungo  tempo  in 
Francia  e  in  Inghilterra,  come  rappresentante 
della  compagnia  che  prendeva  il  nome  dalla 
sua  famiglia.  Meglio  gioverà  dare  qui  appresso 
(vedi  a  pag.  135)  l'Alberetto  genealogico  dei 
Tolomei  nominati  in  queste  lettere,  quale  lo 
abbiamo  desunto  da  carte  pubbliche  e  da  quelle 
private  di  casa  Tolomei,  e  specialmente  dalla 
pergamena  segnata  di  numero  9,  che  contiene 
la  divisione  del  palazzo  posto  nella  piazza  San 
Cristofano.  (Notiamo  nellWlberetto  con  carat- 
tere maiuscoletto  i  nomi  citati  in  queste  lette- 
re ;  e  disponiamo  i  nati  da  un  medesimo  padre 
per  alfabeto  ,  non  avendo  nessun  dato  sulla  lo- 
ro precedenza  d'età.) 

La  derivazione  comune  da  Tolomeo  della 
Piazza  è  affermata  dalla  pergam.  5  dell' Archi- 
vio Tolomei,  anno  1237,  dov'è  nominato  Cri- 
stofano di  Tolomeo  :  da  un  documento  del  1220,  a 
e.  101  del  Caleffo  Vecchio  di  Siena,  che  ha  per  te- 
stimone lacoiiio  di  Tolomeo;  dai  conti  di  Mat- 
tasala,  pag.  46,52,  e  altrove  ;  e  da  altri  docu- 
menti. Inoltre,  dalla  citata  pergamena  n.  9  si 
desume  che  i  prenominati  formavano  una  sola 
consorteria,  essendo  ai  medesimi  assegnata 
una  parte  per  indiviso  del  palazzo  di  Piazza 
San  Cristofano;  e  l'altra,  alla  discendenza  di 
Tavena,  di   Lotteringo  e  d'Incontrato. 


135 


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136 

35  Pag.  25,  V.  12.  Guido  Incorni  domini  llc- 
naldi.  Su  questo  Guido  non  c'è  occorso  verun 
documento:  manchiamo  perciò  d'ogni  dato  si- 
curo, per  determinare  in  che  relazione  di  pa- 
rentela fosse  cogli  altri  compagni  Tolomei: 
solamente,  per  la  considerazione  dell'età,  ci 
pare  di  dovere  escludere  ch'egli  possa  essere 
figliuolo  d'uno  dei  due  Rinaldi  registrati  nel- 
r  Alberetto. 

36  Pag.  27,  V.  29.  Intesi  come...  sì  'l  prcn- 
daremo.  Per  intendere  tutto  quanto  è  compreso 
in  questo  paragrafo  circa  il  deposito  delle  mer- 
canzie dei  Senesi  presso  San  Giacomo  di  Pro- 
vins,  vuoisi  ricordare  che  i  Senesi,  per  effetto 
della  scomunica  incorsa  come  ghibellini  (intor- 
no a  che,  vedi  il  Documento  iii)  temevano  che 
dal  papa  o  dal  re  di  Francia  potesse  essere  po- 
sto sequestro  sulle  loro  mercanzie;  e  per  evi- 
tarne il  danno,  le  depositavano  sotto  il  nome 
dei  Parmigiani  loro  compagni  di  mercatura.  Di 
questa  guisa,  dato  che  venisse  l'ordine  di  se- 
questro ,  le  case  che  tenevano  in  deposito  le 
mercanzie  avrebbero  dovuto  applicarlo  a  tutte 
quelle  che  figuravano  sotto  nomi  di  Senesi; 
ma  siccome  tali  nomi  non  v'apparivano,  cos'i 
le  loro  robe  rimanevano  salve.  Per  il  fatto  poi 
che  la  magione  di  deposito  di  San  Giacomo 
di  Provins  (comportandosi  più  largamente  d'o- 
gni altra  di  Francia)  rendeva  le  mercanzie  non 
solo  a  colui  che  le  aveva  personalmente  con- 
segnate, ma  a  chiunque,  in  nome  del  proprie- 
tario, presentasse  le  chiavi  o  le  taglie,  deri- 
vava un  altro  benefizio  ai  Senesi.  Imperocché, 
mentre  le  loro  mercanzie  stavano  sicure  in 
quel  deposito  raccomandate  sotto   altri    nomi. 


137 

essi  poi,  facendosi  consegnare  dai  Parmigiani 
Joro  compagni ,  le  chiavi  e  gli  opportuni  se- 
gnali di  riconoscimento,  potevano,  quasi  co- 
me mandatari  dei  Parmigiani  medesimi,  riti- 
rare le  loro  robe  ogni  qual  volta  loro  piacesse, 

37  Pag.  27,  V.  8.  Tato  tenpo.  Sempre,  in  o- 
gni  tempo,  iti  provenzale  tolz  temps.  Cosi  tro- 
viamo in  Fra  Guittone  tutta  stagione,  simile  al 
provenzale  tota  sazos.  V.  Nannucci ,  Verbi, 
p.  153,  nota  3. 

38  Pag.  27,  v.  16.  Ed  é  achorto  luogho.  Di 
accorto  in  significato  di  corto  ha  esempi  il  Glos- 
sario della  nuova  Crusca  :  «  la  via  che  loro.... 
giudicheranno  più  accorta  »  —  «  via  più  comoda 
e  piti  acco>'ia  »  —  «  pel  più  comodo  e  più  accorto 
cammino.  »  Però  nel  nostro  luogo  pare  che  ac- 
corto abbia  piuttosto  il  significato  di  vicino, 
posto  a  poca  distanza;  seppure  non  si  ha  da 
credere  che  ,  cosi  nell'esempio  nostro  come  in 
quelli  allegati  dalla  Crusca,  accorto  voglia  dire 
opportuno. 

39  Pag.  27,  v.  17.  Qualota  l'uon  avesse  mi- 
Sliere-  Forse,  facendo  conto  che  la  ?/j  manchi 
per  la  consueta  abbreviazione  ,  è  da  scrivere 
qualota  l'uom  7ì' avesse  misliere;  v.  nella  pag. 
seguente:  «concordanti  a  quelle  che  l'uomo 
lo'lasa»  e  cosi  altre  volte.  Di  questa  locuzio- 
ne, oggi  sparita  dalla  lingua  italiana,  ma  che 
ha  sempre  riscontro  nella  francese  e  nella  te- 
desca, discorre  il  Nannucci,  Voci  e  locuzioni 
italiane  derivate  dal  provenzale ,  p.  223. 

40  Pag.  2'0,  v.  1.  Chome  divisa  di  sopra.  Qui 
e  in  molti  altri  luoghi  divisare  vai  quanto  ap- 
parire, come  chiaramente  si  ricava  da  questo 
esempio  tratto  dai  conti  inediti  di  Luca  Buon- 


1:38 

signori:  «  Sichome  divisarà  per  qiiesta  charta 
iscrita  disotto  e  inanzi  di  mia  mano,  »  Isè  di- 
versamente è  usato  il  verbo  dichiarare  nel  Bre- 
ve degli  orali  (tra  i  Docum.  dell'arte  senese, 
editi  da  G.  Milanesi)  al  cap.  43.  «  E  intendasi 
che  sia  prima  stato  nell'arte  per  garzone  o  per 
lavorante  almeno  sei  anni ,  come  disopra  di- 
chiara. »  Non  meno  singolare  è  il  valore  in- 
transitivo, con  il  quale  è  adoperata  il  verbo 
specificare  nel  quinto  dei  Documenti  da  noi  pub- 
blicati,  pag.  108:  «  El  sopradetto  Guccio  perde 
le  cose,  le  quagli  spicificaranno  di  sotto.» 

41  Pag.  29,  V.  24.  Infino  a  la  fiera  di  San- 
V  Aiuolo  que  viene  presente.  Correggiamo  qui 
Sani'  Aiuolo ,  che  ci  pare  lezione  piti  propria 
dell'altra  Sanlaiuolo,  adottata  nel  testo:  e  ba- 
sti questa  correzione  anche  per  gli  altri  luo- 
ghi dove  ricorre  lo  stesso  vocabolo.  Il  Pago- 
lotti  chiama  questa  fiera,  Sant'  Angelo  ;  nei  do- 
cumenti mercantili,  pubblicati  dal  Berti,  è  detta 
Sancii  Aygulphi;  francese  antico,  Saint  Aieul. 
Cr.  l'annotazione  15.  —  Presente  vale,  qui  e  in 
moltissimi  altri  luoghi, prossima;  cos'i  a  pag.  55: 
«  di  chie  a  la  cliandeloro  presente.  »  Che  viene 
presente  vale  prossima  futura,  come  ne' conti 
di  Mattasala  pag.  71  :  «  da  questo  prossimo  San- 
t"  Agnoli  che  viene,  a  due  anni.» 

42  Pag.  30,  v.  10.  De  la  somo.  Nel  testo  fa- 
cemmo stampare  soma;  ma  somo  per  soma  o 
somma,  non  è  errore  di  ortografia,  come  a  pri- 
ma vista  si  potrebbe  credere.  Un  altro  esempio 
ne  abbiamo  a  pag.  62:  «  sie  farete  somo  dapiei  ;  » 
e  un  terzo  ne  danno  i  conti  inediti  di  LucaBuon- 
signori:  «  Somo  per  tutto  el  devito  che  Gino  mi 
rasegiiò  per  (juesta  sua  ragione  ec:  »  sebbene 


139 

in  qutìst'  ultimo    esempio  somo  può   esser  ver 
bo. 

^3  Pag.  30,  V.  11.  Artisgini.  Du  Gange:  «  Arti- 
sienses,  Atrebatensis  moneta,  »  moneta  delT  Ar- 
tois. 

44  Pag.  31,  V.  9.  Per  l'entrca  di  Tresi.  Il  Du 
Gange  (Gloss.  Gali.)  tra  i  varii  significati  di  En- 
trée, nota:  «  intrata,  vectigal  mercis  invectì- 
tiae,  gallice  droit  d'entrée;  »  e  in  un  documento 
del  1268  citato  dallo  stesso  Du  Gange,  sono  ram- 
mentati uomini  «  qui  colligebant  redditus  sive 
intratas  portus  dictae  civitatis.  » 

45  Pag.  31,  V.9.  Trenta  e  sei  soldi  pesatura. 
Cioè  in  pagamento  dei  diritti  di  peso,  per  pesa- 
tura. V.  anche  a  pag.  32:  «  iscontiato  undici 
soldi,  qua  demo  churatagio  (cioè  per  curatag- 
gio)  del  deto  pepe  e  de  laciera;  »  e  p.  44: 
«  senza  otanta  e  due  lire  tornesi,  que  chostò 
puoi  condueitura  (cioè  di  conducitura  o,  come 
oggi  si  direbbe  ,  di  porto)  in  questa  fiera.  » 

46  Pag.  32,  V.  3.  J  chanparo.  Gli  camparono, 
cioè  gli  sopravanzarono.  Questo  medesiiuo  uso 
del  verbo  campare  si  trova  nei  conti  di  Matta- 
sala,  p.  9,  37,  39. 

47  Pag.  32,  V.  9.  Churalarjio.  I/analogia  che 
la  parola  churatagio  ha  con  inlragium,  mone- 
tagium  e  simili,  può  far  credere  che  anche  il 
ctirataggio  fosse  un  qualche  dazio  o  gabella.  A 
pag.  35  si  discorre  di  una  investita  di  paìini  e 
di  18  soldi  pagati  per  curalagio  dei  medesimi. 
Altra  cosa  par  che  sia  io.  panno  curatura  ram- 
mentata nei  conti  di  Mattasala. 

48  Pag.  38,  V.  19.  In  un'ala  e  mezo  di  pan- 
no. Ala  o  alla,  misura  inglese  rammentata  an- 
che da  Dante,  Inf.  xxxi:  «E  venimmo  ad  Anteo 


140 

che  bei»  citìi\n'  alle,  Senza  la  testa,  uscia  fuor 
JoUa  grotta.  » 

49  Fag.  39.  V.  3.  Conte  di  Navcrsa.  Oddone 
(Endes),  conte  di  Nevers.  Questa  contea  eragli 
pervenuta  per  il  matrimonio  fatto  nel  1247  con 
Mahaut,  II  contessa  di  Nevers,  morta  poi  nel 
1262  {Ari  de  verif.  les  dates,  II,  pag.  595.)  Della 
recente  morte  della  contessasi  pa^la  piti  sotto 
in  questa  stessa  lettera,  a  pag.  41,  v.  5. 

59  Pag.  39.  V.  l\.  Ano  giorno  cho  lui  denunzi 
a  rey  di  Francia  per  la  sani' Andrea.  Le  due 
parti  dovean  comparire  dinanzi  al  re  la  pros- 
sima festa  di  Sant'Andrea;  cf.  pag.  83:  «Io  mi 
partii  di  Parigi....  per  venire  a  Bari  per  la  gior- 
nala  eh'  aveva  centra  a  loro  ec.  »  Giorni  di- 
cevansi  quelli  stabiliti  perle  adunanze  dei  tri- 
bunali e  dei  parlamenti,  e  anche  le  adunanze 
stesse  (onde  l' ital.  dieta  e  il  ted.  Reichslag): 
«  dies,  consessus  iudicum,  assisia,  »  e  «  dies  ha- 
ronum,  quibus  scilicet  convenire  solebant  ad 
diiudicandas  vassallorum  lites,  Parlamentum.  » 
Du  Cange.  —  liei  o  rey,  i)er  re,  osserva  il  Nan- 
nucci  {Teorica  dei  7iomi,  p.  203)  essere  stata 
voce  comune  a  tutte  le  lingue  romanze. 

iii  Pag.  40,  V.  24.  Per  chasgione  de  la  munela 
che...  à  fata  abaiare  i  rey  di  Francia.  Abbattere 
nel  signitìcato  di  tor  via,  sopprimere,  abolire  si 
incontra  anco  in  un  documento  del  1340  pubbli- 
cato dal  Milanesi  [Docutn.  dell'arie  senese,  i, 
p.  176):  «Maestro  .\mbruogo  Lorenzetti  dipentore 
de'dare,  a  di  xii  di  settembre  anni  mcccxl,  stara 
VI  di  grano  ec,  Abalula  la  detta  posta,  perciò 
che  si  compose  cho  lui  nel  dipegniare  la  cha- 
pella  del  cimitero.»  Anche  il  Du  Cange  reca 
esempi  del  frane,  abalrc  per  abolire,  revocare: 


141 

«toutes  autres  inonnoyes....  soiont  abbnlnes  ■» 
in  un  docum.  del  1356:  e  nel  Chron.  vernac  ms. 
S.  Magioni  Pnrisiensis.  «L'an  mil  deux  cent 
soissante  trois  Furent  abntus  li  Mansois.  »  — 
Circa  a  questo  abbattimento  di  monete,  si  legge 
in  Duruy,  Hist.  de  Francc,  cap.  xxv,  che  Lui- 
gi IX  (1226-1270),  per  facilitare  i  cambi,  ordi- 
nò «  que  la  monnaie  des  quatrevingts  seigneurs 
qui  avaient  alors  le  droit  d'en  frappar,  n'aurait 
pas  cours  hors  de  leurs  terres  ;  au  lieu  que  celle 
de  la  couronne  serait  recue  par  tout  le  royau- 
me.  C'était  un  pas  vers  l'abolition  de  la  mon- 
naie seigneuriale.  » 

52  Pag.  41,  V.  9.  missere  .-Ic/uardo.  Figliuolo 
d'Enrico  III  re  d'Inghilterra.  Cf.  l'annotazio- 
ne 61. 

53  Pag.  43,  V.  20.  Si  pare  dubbioso  lo  staio. 
Tanto  pare  malsicuro,  pieno  di  rischi  il  rima- 
nere; il  prolungarvi  il  loro  stallo  o  soggiorno. 
Che  stallo  abbia  questo  signitìcato  si  ricava 
anche  dal  seguente  luogo  della  Vita  di  S.  Ila- 
rione  ("Ed.  Barbèra,  pag.  172):  »  ma  sempre  suo 
stallo  era.  in  cella  o  per  lo  diserto.»  E  quanto 
alla  etimologia  vedansi  il  Nannucci,  Verbi, 
p.  78,  nota  3,  e  il  Diez,  op.  cit.,  p.  397. 

54  Pag.  45,  V.  15.  Lo  schumunicamento  la  du 
semo.  Cf.  pag.  73:  •>  le  grandi  dispese  di  necie- 
sitae  've  voi  sete.»  —  Potrebbe  credersi  che  i 
Tolomei,  costantemente  aderenti  alle  parti  della 
Chiesa  (di  che  fanno  testimonianza  i  nostri  Do- 
cumenti ni  e  iv)  non  dovessero  essere  compresi 
nella  scomunica  lanciata  contro  i  seguaci  di 
Manfredi;  ma  vi  partecipavano  in  modo  gene- 
rale come  Senesi ,  salvo  ad  esserne  liberati  per 
particolari   concessioni   di  pontefici.  (Cf.  il  più 


142 

volte  citato  Documento  in  (>  1"  annotazione  23.1 
Il  danno  niag-giore  dell'essere  scomunicati  con- 
sisteva, per  i  mercanti,  nella  grande  difficoltà 
di  riscuotere  i  crediti,  specialmente  dai  con- 
venti, dalle  chiese  e  dalle  abbazie;  le  quali, 
per  il  pretesto  di  non  incorrere  esse  pure  nella 
scomunica,  si  rifiutavano  di  pagare  ai  Senesi 
«  neuno  denaro,  di  quello  que  dieno  avere.»  Zelo 
di  cristianità  che  ben  s'accordava  coll'avari- 
zia  dei  debitori;  e  il  nostro  Andrea  lo  nota, 
con  eflìcaci  parole,  a  pag.  47.  Cf.  l'annotazio- 
ne che  segue. 

55  Pag.  47,  V.  8-15.  Che  un  decreto  del  papa 
potesse  tante  volte  servire  d'occasione  ad  e- 
sercitare  ruberie  ed  estorsioni  legali  a  danno 
dei  poveri  mercanti,  se  ne  ha  nella  storia  del 
commercio  italiano  in  Francia  un  esempio  di 
pochi  anni  posteriore.  Racconta  Gio.  Villani 
(Cronica,  vii,  53),  che  Filippo  III  re  di  Francia 
il  24  aprile  1277  fece  prendere  tutti  i  prestatori 
italiani  nel  suo  reame,  e  anche  de' mercanti 
«sotto  colore  che  usura  non  s'usasse  in  suo 
paese  »,  per  il  divieto  fattone  da  papa  Gregorio  X 
nel  concilio  di  Lione  ;  ma  veramente  lo  fece 
«  per  cupidigia  di  moneta...,  perocché  li  fece  fi- 
nire per  libbre  60m.  di  parigini,  di  soldi  10  il 
il  fiorino  d'oro,  e  poi  la  maggior  parte  si  ri- 
niasono  al  paese,  come  di  prima,  a  prestare.  » 

56  Pag.  49,  V.  11.  Al  dietro.  Da  ultimo,  poi; 
come  sì  rileva  dal  seguente  esempio  citato  dal 
Manuzzi  :  «  s\  è  somigliante  al  nuvolo  che  fa 
sembiante  di  piovere  e  al  dietro  si  parte  senza 
piovere  e  senza  rugiada  »  {Tratt.  T'ir.  wer.  3)  ; 
e  anco  da  quest'altro  del  Breve  dei  pittori  (tra 
i  Dncnm.  dell'arte  senese,  editi  da!  Milanesi) 


148 

cap.  48.  «  El  decto  scrutinio  sia  tenuto  per  lo 
rectore  vecchio,  si  veramente  che  lo  rectore 
vecchio  con  suoi  conseglieri  diano  in  prima  lo 
loro  voci  ;  acciocché  al  dietro  non  potessero 
fare  rectore  al  loro  senno  ,  perocché  per  una 
voce  più  o  meno,  potrebbero  fare  e  disfare  chui 
ellino  volessero.  » 

57  Pag.  50.  V.  18.  Sopra  gtiagi  ;  o  meglio  so- 
pr'a  guagi.  Glie  li  rilasciò  contro  pegni.  «  Gna- 
gium-iVes  ipsa  in  pignus  data»  Du  Gange.- Nelle 
partite  di  dare  e  d'avere  degli  antichi  mercanti 
trovasi  spesso  accennato  qual  fosse  l'oggetto 
che  serviva  di  pegno.  Non  sarà  forse  sgradito 
al  lettore  se  ne  raccogliamo  qui  alcuni  dei  piti 
curiosi  esempi,  tratti  dai  conti  inediti  di  mer- 
canti senesi  da  noi  piti  volte  citati.  —  «  Mae- 
stro Giovanni  di  Bendiforte  nostro  chericho  die 
dare  xxxvj  sol.  viij  den.  di  ster.  Avemne  uno 
saltero  di  santo,  pegno.»  «  El  guergio  mene- 
striere  de  la  chiatara  die  dare  viiij  mar.  viij 
s.  di  ster.  meno  due  d.  ;  avemone  guagio  due 
schagiali  d'ariento  e  trs  anella  d'oro.  »  oSere 
Montieri,  notaro  di  Fiorenza,  die  dare  xx  s.  di 
ster.;  avemne  guagio  uno  suo  romanzo.  »  (Conti 
di  Salimbene  Alessi).  E  in  questi  medesimi  conti 
e  in  quelli  di  Gentile  Ugolini  troviamo  registrati 
come  pegni  «due  libri  di  legge,  »  «  una  bibbia,  » 
«  uno  napo  d'ariento,  »   «  due  fermali  d'oro.»  e  e. 

58  Pag.  52.  V.  14.  Chostò  vintimo  soldi  la  pie- 
tra. Du  Gange:  «Petra,  ponderis  species,  quod 
constat  duodecim  libris  et  dimidia....  unde  no- 
stris  Pierre  et  perée  eadem  notione.  » 

50  Pag.  52.  V.  24.  E  sono  chome  li  avesemo 
ne  l'ungia.  Lo  scrivente  era  cosi  certo  di  ri- 
scuoter quei  denari  che  già  gli  pareva  d'averli 


144 

nello  mani ,  nelle  unghie.  Unr/ia  nel  nostro  te- 
sto è  certamente  plurale  e  non  singolare;  giac- 
chò  anche  oggi  diciamo  cader  neW unghie  d' al- 
cuno, e  non  già  neWuiighia ,  al  singolare.  Di 
questa  forma  del  plurale  simile  al  singolare, 
ora  escita  d'uso,  reca  moltissimi  esempi  il 
Nannucci,  Teorica  dei  nomi,  p.  305,  312,  757. 

60  Pag.  53,  V.  5.  Olobuono  chardinale.  Otto- 
buono  Fiesco  dei  conti  di  Lavagna,  creato  car- 
dinale da  papa  Innocenzo  IV,  suo  zio.  Era  in 
codesto  tempo  legato  pontificio  in  Inghilterra, 
e  fu  poi  papa  nel  1276,  col  nome  di  .\driano  V. 

GÌ  Pag.  53,  V.  15-17.  f  rey  d' Inghilterra.... 
sichome  debono.  Si  accenna  qui  alla  fine  della 
grande  contesa  tra  Enrico  III  re  e  i  baroni  d'In- 
ghilterra, a  capo  dei  quali  s'era  posto  Simone 
di  ^lontfort  conte  di  Leicester.  La  quale  con- 
tesa, incominciata  nel  125S,  pareva  essere  giunta 
al  suo  termine  a  intero  benefizio  del  conte,  col- 
la vittoria  di  Sussex  del  14  maggio  1264;  dove  il 
vincitore  fece  prigioniero  per  forza  d'armi  il  re, 
e  per  inganno  il  figliuolo  di  lui,  Eduardo.  Ma 
questi,  dopo  poco  piU  d'un  anno,  riuscì  a  fug- 
gire ;  e  messo  insieme  un  forte  esercito,  e  so- 
stenuto dal  favore  del  popolo,  diede  liattaglia  al 
conte  presso  Evesham  il  4  agosto  12(55;  misp  in 
piena  rotta  le  sue  genti,  uccidendo  lui  stesso; 
e  liberò  il  padre,  restituendolo  al  trono.  (Cf.  IIu- 
me,  Stor.  d'Inghilterra,  cap.  xti.) 

62  Pag.  55.  v.  23.  Domino  Simone  cardinale. 
Simone  de  Brie,  o  de  Brion,  cardinale  di  Santa 
Cecilia,  poi  papa  nel  12S1  col  nome  di  Marti- 
no IV.  B'u  legato  della  Santa  Sede  a  tratta- 
re con  Lujgi  IX  re  di  Francia  e  con  Carlo 
•d'.-\ngiò   l'impresa  di   Sicilia  contro   re   Man- 


145 

fredi,  e  a  riscuotere  la  decima  imposta  in  Fran- 
cia per  aiutare  queir  impresa.  Intorno  alla  qua- 
le imposizione,  legfronsi  in  Saint  Priest,  {Hist. 
de  la  conquéte  deNaples  par  Charles  d' Anjou, 
tom.  li,  p.  110)  le  seguenti  notizie:  «Dans  un  con- 
cile tenu  à  Paris  le  26  aoùt  1264,  le  lendemain  de 
la  Saint-Barthèlemy,...  le  clergè  gallican,  jus- 
qu'alors  peu  favorable  àl'entreprise  de  Sicile, 
consentit  enfin  a  la  levée  d'un  dècime  cu  di- 
xième  pris  sur  les  revenus  ecclèsiastiques 
pendant  trois  ans.  Charles  d'Anjou  n'avait  point 
voulu  partir  sans  avoir  obtenu  ce  secours.  Le 
pape,  prevoyant  la  resistance  des  evèques 
fran^ais,  n'y  avait  consenti  qu'à  regret.  Pour 
les  y  décider,  son  legat  s'était  vu  force  de  re- 
courir  àia  persuasion  et  à  la  menace.  » 

63  Pag.  56,  V.  5-7.  Le  genti  d'esto  paese...  in 
Lonbardia.  Carlo  d'Angiò  Irovavasi  in  Roma  fino 
dalla  pentecoste  del  1265  con  pochi  cavalieri 
scelti,  coi  quali  aveva  salpato  da  Marsiglia  il 
15  di  maggio.  Vari  mesi  più  tardi  lo  raggiunse 
il  suo  esercito,  prendendo  la  via  delle  Alpi,  e 
traversando  il  Piemonte,  la  Lombardia  e  le  Ro- 
magne.  Secondo  i  cronisti  Malespini  (cap.  185) 
e  Villani  (vii,  4)  esso  si  trovò  in  Roma  nel  di- 
cembre ;  secondo  il  già  citato  Saint^Priest  (ii, 
pag.  164),  nel  settembre.  La  congettura  del  no- 
stro Andrea,  che  scrive  nel  novembre,  pare  che 
dia  ragione  ai  cronisti  fiorentini. 

64  Pag.  56,  V.  14-16.  Molta  buona  gietUe  di 
questo  paiese  si  die  anchora  crociare.  La  cro- 
ciata fu  bandita  contro  Manfredi  prima  da  Ur- 
bano IV,  poi  da  Clemente  iv;  il  quale,  messi 
da  banda  gli  affari  di  Terrasanta  che  tanto 
stavano  a  cuore  del  re  lAiigi  ix ,  volle  aiutare  ^ 

10 


146 

con  o^'tii  sforzo  1'  impresa  ili  Sicilia,  che  Mo- 
veva riuscire  tanto  profittevole  agli  interessi 
materiali  della  chiesa  romana.  La  lettera  dell.i 
crociata  bandita  da  (demente,  data  da  Perugia 
nel  settembre  del  12(53,  e  diretta  al  cardinale  di 
Santa  Cecilia  sopra  ricordato  (cf.  l'annotazio- 
ne 62)  è  pubblicata  da  Martène  e  Durand  ,  The- 
saur.  novus  anecdot.,  ii,  pag.  196;  e  dal  Del  Giu- 
dice, Cod.  diplom.  di  Carlo  Primo  e  Secondo 
d' Angiù ,  tom.  i,  doc.  xvi. 

cr.  Pag.  57,  v.  13.  l'alinola.  DuCange:  »  Pa- 
leola,  auri  bractea  ;  gallico  paillctlt:  d'or,  alias 
paillole.  »  Tra,  gli  esempi  recati  dal  Du  Cange, 
fa  al  caso  nostro  questo  di  un  documento  del 
1269:  «  aurum  vel  argentum,  in  massa  vel  in 
paleola,  si  (juid  repertum  fuerit.  » 

C6  Pag.  57,  V.  13.  Aghustari.  Moneta  d"oro, 
intorno  alla  quale  vedasi  il  Muratori,  Antiquit. 
ital.  I,  596. 

67  Pag.  57,  V.  18.  Mansesi.  Du  Cange,  Gloss- 
fla/J.  :  «Mansois,  monnaie  des  conites  duMans  »  ; 
e  vedi  anche  a  Cenomauenses  denarii. 

cs  Pag.  57,  V.  19.  Munela  meflala.  La  somi- 
glianza delle  lettere  s  ed  /"  nella  scrittura  di 
([uesto  documento  può  far  pensare  che  meflala 
sia  stato  erroneamente  scritto  invece  di  me- 
slata;  nel  qual  caso  per  moneta  meslata  po- 
trebbe forse  intendersi  quella  che  oggi  comu- 
nemente dicesi  di  biglione.  D'altra  parte,  se 
la  parola  meflala  è  genuina,  non  sapremmo 
spiegarla  altrimenti  che  supponendola  compo- 
sta dal  prefisso  francese  més-  (male)  e  dal  par- 
ticipio latino  fiata  (  cf.  *  fiata  signataque  pe- 
cunia» ed  «  aes  flatum  pecore»  di  Varrone, 
l)resso  Oellio,  ii.    10..  e   J)C    re    mst-    II.    1.);   e 


147 

forse,  anche  in  questo  caso,  non  si  ritiuterebbe 
al  significato  di  moneta  di  bassa  lega. 

69  Pag.  58,  v.  20.  il/esso  de  la  parte.  Cosi  ab- 
biamo stampato,  seguendo  la  copia  fatta  dal 
Pecci,  sebbene  questo  messo  de  la  parte  ci 
paresse  una  novità  da  destare  sospetto.  All'in- 
contro i  messi  della  mercanzia  sono  rammen- 
tati piti  volte  cosi  in  queste  lettere  come  nei 
conti  mercantili  inediti;  e  non  è  inverosimile 
che  il  copista  pigliasse  qui  qualche  grosso  ab- 
baglio. 

70  Pag.  59,  V.  14-15.  Ghezzo,  Oddo,  Manno, 
Alighiero.,  Pane.  Tutti  della  compagnia  mer- 
cantile degli  Squarcialupi  :  ma  Ghezzo,  Manno 
e  P.\NE  sono  figliuoli  di  Squarcialupo  (R.  Arch. 
DI  STATO  IN  Siena:  Pergam.  di  S.  Francesco, 
15  Maggio  1275),  mentre  Oddo  è  figliuolo  di  A- 
ringhieri  degli  Squarcialupi  (R.  Arch.  detto  :  Li- 
bro di  contratti  di  gabelle  del  1300,  a  c.j61).  D'.A.- 
LiGHiERi  poi  non  ci  è  occorso  verun  documento  : 
riteniamo  bensì  eh' e' non  sia  degli  Squarcia- 
lupi (comecché  apparisca  loro  compagno  di 
mercatura),  per  la  considerazione  che  in  quanti 
contrattici  è  accadu^  d'esaminare,  spettanti 
agli  Squarcialupi,  sul  finire  del  secolo  xiii  e  il 
cominciare  del  xiv,  non  abbiamo  mai  trovato 
il  nome  d"  Alighieri. 

"1  Pag.  59,  V.  17.  DibatO.  Lite,  diff'erenza 
(déhnt).  Dibattito  ,  nel  medesimo  significato,  si 
trova  usato  auclie  da  Matteo  Villani,  vii,  57, 
X,  26. 

72  Pag.  60,  V.  21.  Questa  rimesa  vi  faciemo. 
Rimessa  per  aggiunta,  correzione,  o  mutazione, 
fatta  in  una  scrittura,  è  anche  negli  S^ahUi 
senesi,  editi  dal  Polidori.  p.  115.  19S.  Analogo 


148 

è  il  significato  del  verbo  rametere,  ap.63:  «e 
anche  vi  si  ramela  tuti  i  miei  denari  propi  »  ec. 

73  Pag.  61,  V.  9.  Ceragrafi.  Di  questi  chiro- 
grafi, a  piti  esemplari,  offriamo  un  esempio 
nel  Documento  vi. 

7-»  Pag.  62,  V.  22.  Aselaria.  Pare  che  debba 
intendersi  o  del  modo  con  il  quale  egli  aveva 
assettato  qualche  aflTare ,  o  del  suo  proprio  as- 
setto, ossia  collocamento. 

75  Pag.  64,  v.  6.  Ghoro,  GonteruciOj  lacho- 
mo.  Tutti  e  tre,  della  famiglia  de' Sansedoni  : 
come  pure  Bindo  ,  Ciampolo,  Francesco,  l'altro 
Gonteruccio ,  Gontieri,  l'altro  Goro,  Guccio, 
Lore  ,  Mino,  Pepo,  Tofo  e  Tura^  nominati  in 
questa  e  nelle  seguenti  quattro  lettere  dell'Ap- 
pendice. Non  è  senza  difficoltà  costituirne  l'al- 
beretto  genealogico  per  la  confusione  dei  no- 
mi,  troppo  frequentemente  ripetuti  in  piti  per- 
sone della  stessa  progenie  ,  a  poca  distanza 
d'anni:  pure  l'abbiamo  tentato  ,  con  ogni  mag- 
giore cautela,  aiutandoci  del  raff"ronto  di  que- 
ste nostre  lettere  coi  documenti  dell'Archivio 
Senese  e  con  le  Memorie  per  l'  Albero  de.'  San- 
sedoni, ms.  del  secolo  glassato,  gentilmente 
comunicatoci  dal  sig.  Alessandro  Pucci  San- 
sedoni. Dalle  quali  ricerche  ci  pare  di  potere 
desumere  quant'  appresso.  Goro  (al  quale  sono 
dirette  la  presente  lettera  e  la  lelaii  dell'Ap- 
pendice) è  figliuolo  di  Gontieri,  e  trovasi  annove- 
rato tra  i  consiglieri  della  Campana  negli  anni 
1282,  86  e  89.  Sono  suoi  figliuoli:  Bindo  (App. 
lett.  i)  ;  Ci.\MP0L0  (nominato  in  questa  lett.  x); 
Francesco  (.\.pp.  lett.  i);  Gontieri  (App.  lett.  i,  n\ 
che  forse  è  lo  stesso  Gonteruccio  di  questa  let- 
tera X);    Gfcrio  (nominato  nella  presente  let- 


U9 

tera  e  nella  i  e  ii  delTApp.):  Palmiero  (App. 
lett.  I);  Pepo  (App.  lett.  i,  ii;  senza  veruna 
certezza  che  sia  lo  stesso ,  quello  nominato 
nella  lett.  in).  MesserGoRO  de'Saxsedoni  (App. 
lett.  ni)  e  inesser  Goro  Gontieri  {App.  lett.  iv) 
sono  forse  due  appellazioni  di  un  solo  indivi- 
duo; ma,  per  la  considerazione  della  scrittura 
di  queste  due  lettere,  che  ce  le  fa  credere 
scritte  verso  la  metà  del  secolo  xiv,  non  as- 
seriamo che  sia  lo  stesso  GoRO  di  Gontieri  so- 
praccitato. La  diversità  di  scrittura  poi  delle 
lettere  iii  e  iv  delTApp.  (1"  una  e  l'altra  molto 
verisimilniente  autografe)  ci  fa  ritenere  esse- 
re due  persone  diverse  Gonteruccio  che  ha 
scritta  la  prima,  e  Gontieri  che  ha  scritta  la 
seconda  delle  dette  due  lettere.  Sugli  altri  no- 
mi, nulla  di  certo. 

"6  Pag.  65,  V.  10.  E  quando  Mino  sarà  di 
qua.  Di  qua,  di  costà  trovansi  usati  tanto  a 
indicare  lo  stato  in  luogo,  come  il  moto  per 
luogo:  «noi  ci  troviamo  sie  di  qua  »  p.  73; 
«noi  siamo  fermi  di  mandarvi  de' denari  di 
costà  »  p.  74  :  «  sappiate  che  io  voglio  che  esse 
scritte  vengano  di  qua  •   p.  92. 

77  Pag.  66,  V.  6.  Voi  vedete  lo  stato  dei  no- 
stri fati,  se  sonno  tagliati  da  menarli  a  gio- 
vano ec.  Abbiamo  dubitato  se  queir  a  potesse 
ritenersi  un  trascorso  per  it,  ossia  un:  che 
allora  il  verbo  menare  manterrebbe  assai  bene 
il  suo  ovvio  significato  di  trattare.  Ma  qui  può 
anche  credersi  che  voglia  dire  recare  in  ma- 
no, affidare;  e  in  questa  supposizione  ci  sia- 
mo fedelmente  attenuti  all'originale. 

78  Pag.  66,  v.  14.  Quanto  che  non.  Quanto 
per  quando,  osserva  il  Nannucci  (Analisi  cri- 


150 

lica  dei  verbi  italianij  i>.  27,  nota  1),  fu  in  uso 
cosi  neir  antico  spagnuolo  (quanl)  come  nel- 
1' antico  francese  icant,  quanl)-  Di  esempi  ita- 
liani, il  Nannucci'iion  ne  cita  che  uno  del  Bo- 
iardo. 

79  Pag.  06,  V.  21.  Ma  io  il  dubito.  Testa- 
mento in  volgare  di  Memmo  Viviani,  del  1288 
(inedito ,  nel  R.  Arch.  di  Stato  in  Siena)  :  «  du- 
bitando la  morte.  » 

80  Pag.  71,  V.  Ì2.  Aconcio  de  la  munela.ì^ ar- 
ra. Giovanni  Villani  {Cron.,  vili,  56)  che  Filip- 
po il  Bello,  re  di  Francia,  per  sostenere  le 
spese  della  guerra  contro  i  Fiamminghi  ribelli 
«fece  peggiorare  e  falsificare  la  sua  moneta, 
onde  traeva  grande  entrata,  perocché  ella  ven- 
ne peggiorando  di  tempo  in  tempo,  sicché  la 
recò  alla  valuta  del  terzo;  onde  molto  ne  fu 
abominato  e  maledetto  per  tutti  i  cristiani;  e 
molti  mercatanti  e  prestatori  di  nostro  paese, 
eh'  erano  con  loro  moneta  in  Francia,  ne  ri- 
masono  deserti.  »  Ora  per  le  incominciate  pra- 
tiche di  pace,  confidavano  i  mercanti  che  ces- 
sando, col  cessare  della  guerra,  le  urgenti 
necessità,  dell'erario  regio,  tornerebbe  in  cor- 
so la  buona  moneta  col  suo  valore  effettivo. 

81  Pag.  75,  v.  IG.  E  no  vide  il  sacho.  Di  que- 
ste parole,  o  che  vi  sia  incorso  qualche  errore, 
o  che  contengano  qualche  modo  proverbiale 
ora  escito  d'uso,  o  che  finalmente  accennino 
a  (jualche  fatto  del  quale  non  si  trova  altra 
menzione  in  questa  lettera,  non  abbiamo  sa- 
puto intendere  la  connessione  col  rimanente 
del  periodo. 

82  Pag,  79,  v.  16.  Fratelta.  Cos'i  chiaramente 
l'originale;  forse  per  trascorso  invece  ùi  fra- 


151 

U'ihì,  comò  parrebbe  che  si  dovesse  leggere. 
■■^3  Pag.  81,  V.  4.  ,-1  tulesora.  Ora  per  ore  si 
disse  anche  al  plurale  ;  quindi  a  tute  ore  (  a 
tutte  le  ore,  a  ogni  ora),  spessora  (spesse  ore) 
spesse  fiata  (spesse  fiate)  ,  prusora  {plusora , 
più  ore,  cioè  piti  volte);  intorno  a  che  vedasi 
il  Nannucci,  Teorica  dei  nomi,  p.  311.  Quanto 
poi  al  francese  tiites  {toutPS),  non  farà  mera- 
viglia a  chi  abbia  posto  mente  alla  influenza 
che  il  soggiorno  in  Francia  o  le  relazioni  con 
la  medesima,  esercitavano  sul  linguaggio  dei 
nostri  mercanti.  Cf.  abàtare ,  p.  10  (abattre) 
—  buonamente,  p.  27,  39,  40  (bonnement)  —  di- 
ttato, p.  59  (débat)  —  detta,  \>.  S7  e  passim  (det- 
te)—  monete  difendute ^  p.  48  (défendu,  proi- 
bito) —  entrea,  p.  31  (entrée)  —  guagi,  p.  50  (ga- 
ges)  —  guardare,  p.  53  (garder ,  custodire)  — 
lisgire,  p.  40  (loisir)  —petizare,  p.  90  (da  petit , 
impiccolire,  diminuire). 

84  Pag.  81,  V.  16-17.  Per  kalende  magio  se- 
rano mutati  i  Statuti.  Gli  Statuti  del  comune 
di  Siena  si  riformavano  e  correggevano  ,  per 
legge  stabilita,  ogni  anno  nel  mese  di  maggio. 
La  riforma,  alla  quale  si  accenna  nella  pre- 
sente lettera,  fu  deliberata  nel  Consiglio  ge- 
nerale della  Campana  del  10  aprile  1305:  Quod 
Statutum  corrigatur  et  emendetur  per  honos  ci 
sapientes  homines  eligendos  et  qui  eligantur  per 
dominos  Novem,  ita  quod  errores  de  ConstituU) 
traìiantur,  et  quod  Statutum  in  minori  volu- 
minc  reducatur.  (R.  Arcu.  di  st.vto  in  Siuna; 
Cons.  della  Camp..,  voi.  66,  a  e.  27-29).  Le  ad- 
dizioni e  correzioni ,  fatte  in  seguito  a  tale  de- 
liberato, si  trovano  in  margine  dello  Statuto 
compilato  tra  il  1300  e  il  1302,  segnato  antica- 


152 

mente  di  n.  xviii.  Non  ci  è  occorso,  iiell'  esa- 
minarle, alcun  provvedimento  speciale  contro 
i  grandi  ;  ma  è  noto  che  il  magistrato  dei  Nove, 
che  teneva  allora  il  governo,  lottò  sempre,  con 
vigore  e  perseveranza,  contro  i  medesimi.  Cf. 
Malavolti,  Istor.  di  Siena,  agli  anni  1295  e  1309: 
parte  i ,  a  e.  5C  e  64. 

85  Pag.  82,  v.  25.  Papa  éne,  ed  ètte  l'arcive- 
schovo  di  Bordello.  Bertrand  de  Goth  dei  si- 
gnori di  Villaudrant,  arcivescovo  di  Bordeaux  ; 
eletto  papa,  col  nome  di  Clemente  v,  pei  ma- 
neggi dei  cardinali  di  parte  francese  e  di  re 
Filippo  il  Bello;  in  grazia  del  quale  trasferì 
la  sede  della  chiesa  in  Avignone. 

86  Pag.  84j  V.  24.  Ylimosa  ogni  cagione.  Ogni 
pretesto,  scusa,  difficoltà;  avendo  qui  la  parola 
cagione  quello  stesso  valore  che  ha  talvolta 
in  latino;  come,  per  citarne  un  esempio,  nei 
Carmina  priapea  (i,  v.  4.)  :  «  causasqtie  invenit 
usque  differendi.  » 

87  Pag.  So,  V.  12.  A  tanto  mi  partii  de  le  pa- 
role. Allora  (a  tanto)  posi  fine  al  mio  dire.  Cosi 
Dante.  Inf.  ix,  48;  «  e  tacque  a  tanto.  »  Medesi- 
mamente usarono  i  Provenzali  ab  tant,  cojne 
osserva  il  Nannucci ,  Voci  e  locuzioni  italiane 
derivate  dalla  lingua  provenzale ,  p.  5S. 

88  Pag.  83,  V.  16.  Tre  segnane.  Semana  e  sem- 
mana,  per  settimana _.  fu  di  comune  uso  tra  gli 
antichi  senesi,  come  attestano  gli  esempi  che 
se  ne  leggono  negli  Statuti  senesi,  editi  dal 
Polidori,  e  negli  Statuti  dello  Spedale  di  Siena, 
pubblicati  da  L.  Banchi.  Vedasi  lo  Spoglio 
delle  voci,  in  queste  due  opere. 

89  Pag.  85,  V.  19.  Sercuire.  L' originale  ha 
certamente  o  sercuire  o  sercurre.   Forse  è  un 


153 

trascorso  nell'  uno  e  nell'  altro  caso.  Sercuire 
potrebb' essere  un  errore  o  per  seCMn'rR  (frane. 
secourir)  o  per  soccorrire;  sercttrre  potrebbe  es- 
sere errata  scrittura  per  soccorre  (infinito). 
Corre  per  correre,  socorre  per  soccorrere  disse- 
ro i  Provenzali  (v.  Nannucci,  Anal.  crit-  dei 
verbi  ital.;  p.  242)  e  anche  oggi  si  dice  nel  con- 
tado senese  ;  come  pure  dicesi  corri  e  corrìre. 

90  Pag.  90,  V.  19.  Me  lo  petizassero.  Sembra 
che  voglia  dire  :  me  lo  impiccolissero.,  ossia  di- 
minuissero; giacché  petito,  per  piccolo,  trovasi 
usato  dagli  antichi. 

91  Pag.  91,  V.  11.  Ribefanare.  Dal  contesto 
si  ricava  che  questa  strana  parola  ha  il  signi- 
ficato di  rivangare,  rifrustare.  L'etimologia  ci 
è  ignota.  Quanto  all'  altra  parola  non  meno 
strana  che  segue  poco  dopo,  tuttasesa,  suppo- 
niamo che  sia  composta  nella  sua  seconda 
parte  da  qualche  parola  francese,  probabil- 
mente storpiata;  della  quale  non  ci  è  venuto 
fatto  di  determinare  né  la  natura  né  il  signi- 
ficato. 

92  Pag.  109,  v.  10.  «Uno  paio  di  panni,  tra- 
mezzato di  verde  e  di  broio  di  Dovagio  ».  Da 
questo  passo  pare  che  si  possa  desumere  che 
broio  é  un  colore  :  non  cosi  dalla  seguente  par- 
tita dei  Conti  di  Luca  Buonsignori  (inediti): 
«Uno  broio  di  Provino,  die  dare  xiij  Ib.,  v  s. 
tor.  »;  nella  quale  pare  che  si  designi  una  qua- 
lità di  panno  o  di  altra  simile  mercanzia.  Ac- 
cettandosi questo  secondo  significato,  il  soprac- 
citato passo  del  nostro  documento  anderebbe 
interpunto  in  questo  modo:  «Uno  paio  di  panni, 
tramezzato  di  verde,  e  di  broio  di  Dovagio». 

93  Pag.   Ili,  V.   12.   Mambrunito.  Crediamo 


154 

l'Ile  sigiiiliclii  custodito;  per  la  sua  allìiiità  con 
Mamburnire,  che  il  Uucange  spiega:  lueriuli 
lutores  solent. 

Nell'annotazione  11  abbiamo  detto  ignorare 
chi  sia  il  Buonifazio  menzionato  nella  lettera  ii: 
ma  da  una  partita  dei  libri  d'entrata  e  uscita 
del  comune  di  Siena  si  è  poi  desunto  essere 
egli  un  Buonsi^nori.  La  riferiamo  integralmen- 
te: Item  MMM  lib.  den.  Gregorio  Arrighi,  quos 
habuit  et  recepit ,  ad  porlandum  eos  prò  Co- 
muni Perusiuni  Bonifatio  Buonsignoris  ,  prò 
solvendis  militibus  quos  conducet  in  servilium 
Comunis  (R.  Arcii.  di  Stato  in  Siena:  Bicchcrna, 
Spese  del  settembre  1253,  a  e.  45  num.  ant.,  e 
183  num.  mod.)  Da  altre  partite  d'uscita  dello 
stesso  mese  si  ricava  che  la  compagnia  Buon- 
signori  aveva  assunto,  per  il  comune  di  Siena, 
l'incarico  del  pagamento  dei  soldati  in  servizio 
di  ffuerra. 


INDICE 

DELLE   PAROLE    E    DEI   MODI    PIÙ   NOTEVOLI. 


A,  per  di:  «quello  che  ne  pensava  a  fare  per 
innanzi.  »  p.  83.  Invece  di  per:  «  a  quela  chas- 
gione.  »  p.  47.  Per  tra:  «  a  le  buone  compa- 
gnie. »  p.  80.  Per  con:"  <c  la  brigha  de  Mala- 
volti  a'Tolomei.  »  p.  81.  Ellissi  :  «  se  voi  pia- 
ce. »  p.  3  e  pass. 

AbXtare  ,  p.  40.  Annot.  51. 

Abrobio,  obbrobrio,  p.  93. 

ABRUSCI.4.RE,   p.  24. 

Acatare  ,  p.  18. 

AciviRE,  p.  62. 

Acomanda,  p.  27. 

Acomandare,  p.  29. 

Acomi.atare,  p.  46. 

AcoNCio  (sost.),  p.  71,  88,  93. 

Acontio,  acconto,  p-  17. 

AcoBTO,  p.  27.  Annot.  38. 

Adogata,  listata,  p.  109. 

Adoparare  ,  p.  13. 

Adosgiare,  aggiungere ,  p    44. 

Afadig.\rsi,  p.  SS. 

Aferire,  recare  (adferre),  p.  22. 

Agiata,  «  tutte  le  volte  che....  la  compagnia  ne 

fusse  agiata.  »  p.  112. 
.\giogmare  ,  p.   HO. 


156 

Agustari,  p.  57.  Annot.  6fì. 

Aitare,  p.  36. 

Ala,  p.  88.  Annot.  48. 

Al  dietro,  p.  49.  Annot    56. 

Alogare,  p.  42. 

ALOTTA,   p.  81. 

Al  tempo  d'  ora  ,  p.  28. 

Altrui,  altrove,  p.  114. 

Amaritare,  p.  81. 

Ambeduni,  Anbeduni,  p.  13,  60. 

Anbasciadori,  Anbascidori,  p.  6. 

Andata  (sost.),  p.  25. 

Aoparare,  p.  13. 

A  PENA,  sotto  pena,  ^.  113. 

Aparati,  p.  49. 

'  Aparegiare,  V.  62.  (1) 

Aparra,  p.  63.  Annot.  18. 

Apensato,  p.  95. 

Apo,  p.  11. 

APROCACIARE,    p.    87. 

Apropiare:  «quello  guadagnio  sia  apropiato  a. 

la  predetta  nostra  compagnia.  >>  p.  113. 
Aprovato,  p.  66. 
Araconciare,  p.  42. 
Arditamente  ,  p.  17. 
Arenduta,  p.  37.  Annot.  19. 
Arenduti,  p.  14.  Annot.  19. 
Ariento  ,  p.  57. 
Arrare,  errare,   p.  93. 
Artlsgini  ,  p.  30.  Annot.  43. 
Asapere,  p.  13. 
Asemprato,  esemplato,  p.  112. 

(1)  Le  parole  segnate  con  qsterisco  apparten- 
f/onna  un  frammento  inedito.  V.  la  Notizia  illu- 
strativa, in  principio  del  volume. 


157 

Aservare,  osservare,  p.  IH. 

ASETARIA  ,  p.  63.  Annot.  74. 

AsicuRARsi,  fidarsi,  p.  47. 

AsiSAME.NTE,  conlinuamente j  p.  41. 

Assettare,  Assetare,  .\setare  ,  p.  89,  G4,  65. 

Assortire,  p.  65. 

A  tanto,  p.  85.  Annot.  87. 

Atenere,  p.  22. 

Atri,  alirij  p.  12. 

AvEXGA,  per  avvegnaché ,  p.  74. 

Avere,  per  essere:  «intra  i  quali  die  avere  tren- 
ta e  sei  chavalieri  ec.  »  p.  11.  Per  avere  a 
sè ,  trovarsi  coti:  «SI  ebi  Chatelano,  com- 
pagno de'Malavolti.  o  p.  84.  Forme  notevoli: 
Abo,  p.  2G.  A"  (à"  melo)  p.  15.  Aviamo,  p.  18. 
AvEMO,  p.  16.  Avonne  (ne  àvono,  ne  han- 
no) p.  24.  AvEiA,  p.  96.  AvATELi  (cioè  ave- 
vategli,  gli  avevate)  p.  18.  Avanteli  (cioè 
avevamteli,  te  gli  avevamo)  p.  15.  Avarra, 
p.  93.  Aremo,  p.  52.  .\varemo,  p.  li.  Avare- 

TE  ,   p.    18.   AVAREBE,    p.    19.    AvARESTI  ,   p.    17. 

Avesoro,  p.  113.  ABI,  p.  14. 
Avere  di  peso,  p.  56,  57. 
AuTi ,  p.  14. 

Balzano,  p.  108. 

Bastare,  in  signif.  di  durare,  p.  21. 

Batare,  battere,  p.  41. 

Bazicare  ,  p.  66. 

Bl ADORA,   p.   80. 
BlASMARE,   p.   74. 

Biffa  ,  p.  19.  Annot.  26. 
Bochaletti,  p.  119. 
BoNTiX,  p.  .53. 
Bonrtta  .  p.   109. 


158 

Rriga,  p.   108. 

Bordo,  panno  di  bordato.  \>.  \0\). 
Broio,  p.  109.  Annot.  92. 
Buonamente  ,  p.  27,  39,  40. 

Cagione  fin  signif.  di  pretesto,  iiiduoio)  p.  ^l- 
Annot.  86. 

Cagiuso  ,  p.  16. 

Calonaca,  p.  76. 

Calonaci  ,  p.  80. 

Camara  ,  p.  75. 

Camelino,  ciam1)ellotto .  p.  .")S. 

Cameloni,  p.  77. 

Cana,  canna  (misurai  ]i.  77. 

Canbi.\tore  ,  p.  20. 

Canbiora,  p.  56. 

Candeloro,  p.  55;  Ciandeloro,  ji.  71 ,  candelora 
o  candelaia. 

Canpare,  in  signif.  di  sfìifigire,  xchirnre.  j>.  23  : 
di  sopravanzare,  i>.  32.  .\nnot.  46. 

Cansare  ,  p.  87. 

Capesero  (da  capire  o  capere)  p.  61. 

Capezale,  p.  109. 

Capitagli,  p.  100. 

Capitaneo  ,  p.  12. 

Capitolo,  in  sitrnif.  di  patio,  p.  62:  di  radunan- 
za, p.  78. 

Carco,  per  canea,  p-  33. 

Carica,  p.  31. 

Carnieri  ,  p.  109. 

Cascione,  p.  6.  Casgione.  p.26.  Casione,  p.  54. 

Casuso  ,  p.  47. 

C.\TAUNO,  p.  5. 

Cavaieri,  p.  3. 

Cavalcate  ,  p.  IS. 


159 

Cavalli  coverti  ,  cavalli  prapri  dei  cavalieri 
gravemente  armati,  p.  12. 

Cedola  ,  p.  19. 

Centonaio,  p.  113.  Cextonaia,  p.  111.  Cientr- 
saia,  p.  31. 

Ceragrafio,  chirografo,  p.  61. 

Ched,  p.  12. 

Chela,  p.  13. 

Chello,  p.  14.  Per  chello  che,  in  sitrnif.  eli  per- 
chè, p.  5. 

Chesta,  chestì  ec.  p.  3  ,  4. 

Chetesto,  p.  19. 

Chi,  per  qui ,  p.  14.  - 

Chi,  a  chi,  in  signif.  di  a' quali,  ]>.  40 

Chiamare,  in  signif.  di  chiedere  :«  chiamamo 
merciede   a  Dio.  »  p.  14. 

ClANZELLIERE  ,    p.    80. 
ClASCHEUXO.   p,  6.5. 

CioiÉ  ,  p.  57. 
ClVIRE  ,  p.   73. 

CoiERE ,  cogliere,  p.  76. 

CdLIARE^  p.    55. 

Como  ,  p.  24.  .» 

Comunità,  società  viercanlile,  p.  0.">. 

COMUNO  isost.)  p.  lOS. 

CoMUNA  [agg.  femm.)  p.  6i. 

Comunale,  p.  60. 

Concia  (sostant.i  p.  21. 

Conciare,  p.  21. 

Concio  (part.)  p.  24. 

Con  ciò  fusse  cosa  che  ,  p.  18. 

CONDUCIARE  ,  p.   32. 
CoNDUciTURA,  p.  44.  .\nnot.  4"). 

CONPU.SIZIONE  ,  p.   53. 

Consorti,  compagni  di  mercatnru.  p.  36. 


160 

CONTIANTI  ,    p.   !?9. 
CONTIATO  ,   p.  33. 

CoNTio  (sostant.)  p.  83,  91,  92. 
CoNTio,  cognito,  manifesto,  p.  3. 

CONVENENTRI,  p.  21 .  Aniiot.  28. 

Corsa,  p.  16. 

Costo,  p.  16,  17  ec.  Costi,  p.  75. 

Costuma  (sost.)  p.  27. 

Cortesia:  «  prestare  a  cortesia.  »  p.  35. 

Cotagli,  p.  113. 

Cotanto  «  anno  cotanto.  »  p.  CO. 

Grande,  p.  83. 

Crcivaldo  (parola  cofrotta)  p.  19.  Annot.  26. 

■  Credenzia:  «Ed  è  mia  credenzia  che...»  v.  1(H), 

Crocieria  ,  crociata,  p.  57. 

Crociarsi  ,  pigliar  la  croce,  p.  50. 

CrudilitX  ,  p.  55. 

CUELINO  ,  p.  28. 

CUMUNE,   p.    4. 

CuRATAGio,  p.  32,  Annot.  47. 

CURIERE,    p.   49. 

Custumare,  p.  20.  • 

Da:  «In  mezo,  da  la  tera  del  priore  a  la  no- 
stra. »  p.  76;  «  i  patti  che  sono  da  me  e  da 
loro.»  p.  5;  «  da  uno  merchatante  a  un  al- 
tro. »  p.  16. 

Denaio,  p.  14. 

Denanzi,  p.  39. 

Derata,  p.  73. 

Deto,  debitore,  p.  39. 

Detta,  debito,  p.  87;  debitore,  p.  SO. 

Devito,  p.  16. 

Di:  «di  Provino  di  Mayfgio.»  p- 25:  «de  la  fiera 
(li  SantWiuolo.  »   p.  49. 


IGl 

D'i  ;  «  jjià  bon  d'i  »  p.  30,  54  ;  D'i  il'einin.  plur.i  :  «  pa- 
recchie d'i  »   p.  21 ,  22. 

Diano,  p.   17. 

Dib'ato,  p.  59.  Annot.  71. 

DicHiARKMo,  dichiareremo ,  p.  60.  Annot.  18. 

D'iciARE,  dire,  p.  16. 

Dicixo,  decima,  p-  55. 

Di  costa,  di  qua  (stato  in  luogo),  p.  65,  73; 
(moto  per  luogo),  p.  74,  92.  Annot.  76. 

DiK,  giorno,  p.  5. 

Diece,  p.  16. 

DiEi,  delti,  p.  36. 

DlFALTA,   p.  SO. 

Difendute  (monete)  p.  84.  .\iniot.  SI. 

DiFENSIONE,    p.   88. 

DiFINO,    p.   60. 

DiLIBARAZIONE  ,    p.   95. 

DlLlVRAEE,    p.    50. 

Dipo':  «dipo'  "1  tempo  »  p.  03. 
DiPOSiTO,  p.  27. 
DlROBARE,    p.  47. 
DiSNORE,   p.  93. 
DlSPENDARE  ,    p.    10. 
DlSPESA  ,    p.    15. 
DlSTRETA,    p.    41. 
DlSTRUGIMENTO  ,    p.   23. 

Divisare,  p.  29.  Annot.  40. 
Domino,  p.  3,  4,  5,  e  passim. 
DOTANZA  ,   p.  27. 
Dotare,  p.  24 
Dotarsi,  p.  42. 

Dovere.  Forme  piti  notevoli:  die,  p.  11;  deg- 
no, )).  4;  DIENO,  p.  26;  dova  vate,  p.  30;  do- 

VlENOj    p.   29;   DEBER0,    p.    45;   DOVARA  ,    p.   91; 

UHlìIA,    ]).  41  ;    DEANO,    p.    5:    DKIHNO.    p.    12. 

11 


162 

Urapakia,  p.  20.    " 

Drieto,  p.  21. 

Dritto:  «  dritt' a  me»  p.  79. 

Dubitare  (una  cosa) ,  p.  00.  Annoi.  7'.). 

DuK,  dove,  p.  02. 

DUMILLIA,   p.    37. 

DiRAii.  durame,  p.  02.  Annot.  18. 

E,  per  el,  articolo:  «e  rimanente  »  p.  48.  E",  per 
fi.  i,  p.  93.  E',  per  ei,  pronome  (gli)  :  «e'rivo- 
lesiino  »  p.  14. 

EcETATo,  eccettuato,  p.  112. 

Edio,  Iddio,  p.  111. 

Eli,  p.  5,  eglino;  'e   nello  stesso"  signif.  elli, 
p.  3;  ELiNO,  p.  5;  ellino,  p.  5. 

Elli  ,  per  egli ,  p.  .5. 

E.N,  in,  p.  111. 

Ensieme,  p.  110. 

Entendare  ,   p.   18. 

Entrante:   «entrante  otobre  »  p.  5. 

Entrato:  «questo  è  quelo  que  m'è  entrato»  p.  29. 

Entrèa,  p.  31.  Annot.  44. 

Esare,  p.  12.  Essere  con  uno,  cioè  porsi  d'accordo 
con  uno:  «ne  saremo  cho  lui  »  p.  19.  Essere  a 
uno ,  cioè  recarsi  da  uno  :  •  quando  egli  sarà 
tornato,  sì  saremo  a  Uuit  p.  19.  Forme  no- 
tevoli: so"  (sono),  p.  SS;  sonno,  p.  SS;  semo, 
p.  65;  SAVAMO ,  p.  Kì:  serr"\  .  p.  6."):  serei  , 
p.  5;  suTO,  p.  .54. 

Escusso,  p.  IH. 

ESCRITTO  ,   p.   110. 

ESTERLINO,     p.    37. 

I'\\CENr)A  ,    1>.    \'). 

1'"ai.a,  (da  VALLARE?)-  "el  signiticato  di  manca. 


]i.   14;  p  F.\Liv\No    (ila  fallire)  ,  p.  55.  nello 

stesso  signiticato. 
Kardelo,  p.  49. 
Fare  «  a  piacere   »  p.    19;  «un   messo  »  p.  6: 

«panni»  (nel  significato  di  acquistarli}-,  p.  55. 

Forme  notevoli  :  facio,  p.  5  ;  foe  ,  p.  3  ;  fatte, 

p.3S;  FACENTI  (ti  facciamo),  p.  13;  faemo,  p.  17; 

FAiEvA,  p.  25;  FACEMO  (facemmo),  p.  15;  faie- 

.STE ,  p.  30;  FAESE,  p.  G6  ;  faiese,  p.  28  ;  faie- 

SERO,   p.  27. 

Fatta  fsost.)  :  «  apresso  a  la  fatta  di  questa  let- 
tera» p.  S6. 

Fatto,  affare,  negozio,  faccenda,  p.  17,  25,  26: 
impresa:  «  lo  fato  di  re  Cliarlo  »  p.  55. 

Fattore,  agente  di  beni,  p.  39.  Nel  signif.  di  uno 
che  fa,  in  genere,  p.   SS. 

FedeltX  (fare  la),   p.  21. 

Fkemarr  «la  compagnia»  p.  60. 

FictLiuolli,  p.  93. 

FiLio,  p.  4. 

Finanza,  p.  51. 

Finare,  p.  46. 

Finemente,  p.  .59. 

Frate,  fratello,  p.  S. 

Fuoco:  «Chi  à  tutto  inn'uno  luogho,  sì  à  tutto 
inn"uno  funcho  »    p.   64. 

FuoRR,  p.  74. 

Gativi,  p.  23. 

GioviDi,  r.iuviDì^  p.  5.  S;'.. 

Giengieva,  p.  56. 

GlENOVINI,  p.  30. 

Giornata,  p.  S3,  85    Annot.  50. 

Giovana,  p.  82. 

Giorno:  «aver  ^'iorno  >  {i.  39.  .\iiuot.  50. 


164 

GOFFANI,    p.    lO'J. 

Grado:  «fare  il  grado»  p-éO:  «avere  a  grado» 
p.  78. 

Grande,  per  grandi:  «  grande  ispese  »  p.  67. 

Grazie:  «far  grazie»  p.  3. 

GuAGi ,  p.  50.  Annot.  r>7. 

GuAGNiELE,  vangeli,  p.  114. 

Guardare,  cojtserya?'*;,  tenere  in  custodia,  p.53 

Guardia,  (da  ouardiare?):  «  se  Dio  di  male  guar- 
dia »  p.  21. 

1:  pronome  al  terzo  caso  del  sing.  (p2t^  a  {u(i. 
p.  18.  Al  quarto  caso  del  sing.  (il,  lo):  •  s"  i 
riceverete»  p.  1.  —  Al  quarto  caso  del  plur 
{gli,  li),  p.  14. 

I,  articolo  (ih:  «  i  rey  di  Francia»  p.  40. 

Idoni,  p.  5. 

Imperiali,  qualità  di  moneta,  p.  44. 

In:  «infino  in  quindici  torseli  »  p.  42. 

Incuorata,  p.  2,'. 

*  Indivinare,  V.  12. 

Ine,  p.  6. 

Inkra:  «infra  '1  tempo  e  dipo"    1   tempo»  )).  63. 

Ini,  p.  13.  Annot.  14. 

Inperadero,  p.  46. 

Inprontare,  p.  16. 

Inproxto,  p.  19. 

Intèndare,  in  signif.  di  attendere,  \>.  1^. 

Intendimento  :«  dare  intendimento»  p.  39. 

Interogitoro,  p.  86. 

Intesgimento,  integimento,  sequestro,  p.  2.S. 

Inteso  :«  istare  inteso»   p.  13. 

Intra,  p.  11. 

Intrante,  p.  21. 

INVESTIRE  ■'  in  draparia  >■  p.  46. 


165 

Investita,  p.  26. 

ISCHIARAMENTO,  p.  66. 
•  ISCIECLI.^RE,  V.  73. 
ISCIENTE,    p.    49. 

IsciTo:  «  questo  è  quelo  que  m' è  iscito  »  p.  31. 

ISC0MUNIC.\TI,   p.   2S. 
ISCONOSCIENTE,   p.   46. 
ISCOXTIATO,    p.    30. 

IscRiTA,  sci'itta  (sostant.),  p.  13. 

ISCRIVARE,    p.    19. 

IspAciARE,  tor  d' impaccio,  p.  89. 
IsPARMio,  risparmio,  p.  73. 

'    ISPERGIURARE,   V.   43. 

IstX,  stato  (sost.),  p.  14:  istato,  p.  16. 

ISTADICHI,    p.    22. 

IsTAiOLE,  staia,  p.  76. 

IST.\RE.  Forme  notevoli:   istiei  ,    p.  13;  i.stato  , 
p.  17  ;  ista',  p.  17. 

ISTERLINO  ,    p.    16. 

Là  du',  p.  44.  —  LA  u',   p.  60. 

Lagiuso,  p.  5. 

Lasare,  p.  72. 

Launque,  p.  63. 

Lèctare,  p.  85;  lettara,  p.  14. 

Levare  «un  ceragrafio  »    p.  HO. 

Liei,  lei,  p.  41. 

Li  li,  pergfjje  lo:  «niandalili»  p.6:  \>er  glie  la,  [1.63. 

LiSGiRE,  p.  40.  Annoi.  S3. 

Lo",  per  loro,]).  13;  lo'  lo,  pev  glie  lo.  ivi:  per 

glie  le,  p.  25. 
Lullio,  p.  24. 
LuNiDi,  p.  24. 

MaF.-STRI    DEL    RE  .    p.    78. 


166 

MaIRSTRO.    p.    Il;   MASTRO,   1'.   7S. 

Mainikra,  p.  SS. 

Male,  asrirett.  femui.  invece  di  mala,  \>.  :?3; 
a^sr.  inasc,  p.  91.  Anuot.  30. 

Mai-ota,  malora,  p.  ?3. 

Manbrvxito .  p.  111.  Annot.  93. 

Mancare,  in  signif.  «ìi  venir  meno,  diminuire , 
p.  41. 

Mandamk.nto,  p.  50. 

Maxpvrk:  in  signif.  di  mandare  a  dire,  far 
sapere,  p.  45.  —  In  siguif.  di  comandare,  p.  i~. 

Mandato,  comando,  p.  47. 

Maxsesi,  p,  57.  Annot.  67. 

Masoiosk,  p.  31. 

Materia,  p.  92. 

Meflata  (monetai,  p.  57.  .\nnot.  tìS. 

Mei,  p.  SS. 

MeitX  ,  p.  S9. 

*  Melio,  V.  46. 

Mbna:  cmena  di  concia  •  p.S3:  «stare  in  mene  > 
p.  57:  «sarebe  una  longa  mena  >  p.91:  «trop- 
po dur.a  questa  mena»  p.  93.  .\nnot.  S9. 

Menare  ed  esser  menato  ,  p.  66  e  90. 

Menpo,  rifacimento  di  danni,  p.  lOS. 

Men2b,  mese,  p".  SO. 

Mbschia,  p.  lOS, 

Mbtere  «  in  su  i  nostri  fati  >  p.  G6.  mbtare  , 
in  signif.  di  montare,  ammontare,  p.  (SS.  '  Me- 
terk  bene:  «  No  lo"  melerà  l>ene  »  v.  79. 

Mezei^ima  ,  p.  S6. 

Mbzo:  <  per  meao  »  p.  42  ;  «  in  quelo  uiezo  •  p.  39. 

MlLIORE  .  p.  25. 

MlR.\RSI    DIETRO,   p.    21. 

MlSTIERB,    p.    14. 

MiT\.  p    7(ì. 


167 

Monte*:  «  Assetuu^i  i  i  capitali  >  tatti  insieme, 

e  fusse  ano  monte  <   p.  64. 
MosA,  (7  muovere  t'sost.),  p.  51. 
MosTBAKSi:  «male  si  mostra  che»  ec.  p.  S5. 
MotTTA,  p.  *4.  Anuof.  33. 

Ne  ,  a  noi,  p.  2?. 

Xbexte,  p.  17;  Neiexte,  p.  42. 

Neuxo,  p.  5. 

No",  per  noi,  p.  17. 

XoMrxA.  p.  11. 

Obrigabe.  obbligare,  p.  113. 

Odtre,  p.  ì?. 

Ogi,  p.  16. 

OxiB.  p.  63;  oxxiB,  p.  *»:  ogxie,  p.  39. 

OXIECSO,  p.  61. 

Oxo,  uno,  p.  SO. 
Opexiom.  p.  7?. 
*  Obalb,  velo,  V.  20. 
Ordexabb,  p.  113. 
Otovsb,  p.  32. 

Paga,  in  signif.  di  rata  di  pagametUo,  p.  30. 

Paiesb,  p.  47. 

Paltcola,  p.  57.  .Aanot.  65. 

Parse,  parve ,  p.  S5. 

Partigiose,  p.  91. 

Pabtita,  p.  29. 

P\RnTAME>TE.    p.  63. 

Pendaks,  appendere,  p.  61. 
Per  bocca,  a  voce,  p.  21. 

Pebcbè.  invece  del  semplice  che:  <  non  ti  spiac- 
cia perchè  noi  vendiamo  provesini  *  p.  16. 
Perdare  ,  p.  27. 


168 

Per  mkzo  ,  p.  i2. 

Perqui5  ,  p.  25. 

l'ERòE,  invece  di  perocché  ,  p.  ~\- 

Perrò,  i>.  4. 

Persevarare  (attivo)  :  «  Idio  ve  lo  persevari  » 

p.  96. 
Pesatura,  p.  31.  Annot.  45. 
Peso,  luogo  dove  si  pesa,  p.  31. 
Per  tucto,  p.  96.  i*er  tuto,  p.  60. 
Petizare,  p.  90.  Annot.  83  e  90. 
Pezo  fae  ,  p.  72. 
Piato,  p.  86. 
PlCIOGLI  ,  p.   111. 
Pie:  «  in  pie  «  |).  01.  i'IEI'.  «  a  piei  »  p.  01:     da 

pici  »  p.  62. 
Pietra,  p.  52.  Annot.  58. 
PlLICIAlO  ,  p.   76. 
PlSGlONE,    p.  30. 
PlTIZIONE,    p.    41. 

Ponto,  punto-,  p.   44. 

Portante:  «uno  Ijuono  ohavalotto  bene  por- 
tante »  ec.  p.  80. 

Porre:  «Sono  posti  (cioè  levati,  richiesti  per 
pubblica  difesa)  ottocento  cavali»  p.  23. 

Posta  ,  p.  01. 

POTEMO  ,  p.    10. 

PouTO,  p.   18. 

POVARO  ,  p.  90. 

Pregione,  carcere,  p.  85;  prigionia,  p.  114. 

Prendere  «uno  statuto»,  cioè  approvarlo,  p.Sl. 

Presa,  p.  83. 

Presgio,  p.  30. 

Presente,  prossimo,  p.  34;  •<  que  viene  pre- 
sente i>  p.  2n.   Annot.  41. 


169 

Prf.sta  :  «ricevere  in  presta  ■>  p.  31;  «togliere 

in  presta»   p.  16. 
Prestanze  ,  p.  l-l. 
Primaie  ,  p.  48. 
Procaciarsi,  in  signif.  di  procacciare,  dare  o- 

pera,  p.  ~3. 
Profaro,  proferisco,  p.  89. 
Promesione,  p.  47. 
Pronvenda,  p.  SO. 
Propia  ,  p.    93. 
Provarsi:   «s'è  provato   bene  «.cioè  ha   fatto 

buona  prova,  p.  66. 
Provesim,  p.   15.  Annot.  20. 
Punto,   p.  109. 
Puoi,  poi,  p.  52. 
Pur'.-vsai,  p.  34. 

Quagli,  p.  30;  qiai  ,  ivi. 

Qualota  ,  p.  27. 

Quantitae  ,  p.  5. 

Quanto,  quando,  p. 66;  quanto   che,   quando 

che,   p.  90. 
Qued,  p.  25. 

QUELINO,   p.    12;  QUELLINO,    p.   77. 

Quinzanza,  quietanza,  p.  80. 

Quitto  (partic.  di  quittare),  p.  82. 

*  QuoNQUE :  «  quonque  manda  roba  in  Toscana  » 

v.  30. 
Quontianti  ,  p.  62. 

Rabatere  ,  p.  52. 
Raconciare,  p.  71. 
Raconcio  (sost.),  p.  73. 
Racordati,  p.  15. 
Ragionato  ,  p.  Ili . 


170 

Rameteri;,  p.  05. 
Rascione,  p.  04. 
Rasi;niare  ,  p.  63. 
Rasionato,  p.  50. 
Rasgionare,  p.  29. 
Ravilare  ,  p.  .56. 
Razone  ,  p.  20. 
Rede,  p.  39. 
Renduti,  p.  14. 
Responsione,  p.  13. 
Retenere,  p.  49. 
Rey,  p.  39.  Annot.  50. 
RiiìEEANARE,  p.  91.  Aiinot.  91. 
RlCHIERERE,    p.   63. 

Ricor.LiARE,  p.  74;  Ricoltari:  .  p.  03. 

Ricolta,  p.  5.  Annot.  9. 

RicoNosciENZA  (carta  di),  ]i.  02. 

RiMASo,  p.  46. 

Rimesa,  p.  60.  Annot.  72. 

Ristituire,  p.  113. 

Ristrengniare,  p.  73. 

Ritti:  «si  andranno  più  ritti   i  fati   •  p.  65. 

Sai.4,  p.  3S. 

Sanza,  p.  67. 

Sapo,  p.  40. 

Sarame.nta  ,  p.  22. 

Sargia,  p.  109. 

Satisfare,  p.  5. 

Savi  di  ragione,  p.   89. 

Scarsella  ,  p.  92. 

Scomunicamento,  Scumunicamento  ,  p.  45. 

SCONPISCIARSI  ,   p.  23. 

ScRiTA,  p.  26;  SCRITTA,  p.  92:  scripta,  p.  19. 

SCRIVARE,    p.    14. 


171 

Se,  per  ce;  «se  no  se  ne  t'usiino  rachordati»   p.  15. 

Sed,  p.  25. 

Semane,  p.  85. 

Senesi  min'uti,  moneta  spicciola  senese,  p,  57. 

Senpbo,  esemplare,  p.  36. 

Sercuire,  p,  85.  Annot.  89. 

Servisgi,  p.  3S. 

*  Set.\  gel.\  :  «sei  fardelli  di  seta  gela  »  v.  55. 
■  SicHONDo:  «  sichondo  mio  parere»   v.9. 
Sicurtà:  cauzione,  p.  6;  cosa  sicura,  p.  29. 

SlND.\CO,    p.    12;   SINDACHI,    p.    11. 

So,  per  SOR,  sopra,  p.  17. 

SOFERIRE,   p.    92;   SOFBRIRSI  ,   p.    84. 

Sci,  suoi,  p.  19;  scio,  suo,  p.  4. 
SOLECIDO  ,  p.   13. 
SoMO,  p.  30,  62.  Annot.  42. 
SOPRAI'IÙ   (il),  p.  34. 
SOPRASBERGHE  ,    p.    109. 

Sostenere,  p.  15. 

SOTTIGLI,  p.   109. 
SnCIALEMENTE,    p.    13. 

Spicificare  ,  p.  108.  Annot,  40. 

Stagioni:  «  a  tutte  le  stagioni»,  i)t  ogni  tempo, 

p.  14. 
Stasione,  p.  59. 
Stalo,  p.  42.  Annot.  53. 
Sterlino,  p.  16. 
Stollare  ,  p.  94. 

•  Suo',  suoi:  «  a  suo'  compagni  »  v.  53. 

Ta  :  «  fratelta  »  p.  79. 
Taglia,  p.  27. 

Tagliati:  «  lo  stato  dei  nostri  fati ,  se  sonno  ta- 
gliati da  menarli  ec.  »  p.  66. 
Tavola,  p.  34. 


172 

Tkmorosi,  !>.  L's. 

Tempo  :  al  tuni'o  d'  ora,  J).  27  ;  Turo  ticni'o,  \i.  27; 
TUTTO  A  TKMPo,p.73;  PER  TENPo,  p.5S.  Annot.37. 

TuRMiNARB  «  una  deta  » ,  por  termine  al  paga- 
mento di  un  debito,  p.  44. 

Tkrmine  "  a)  pai^ainento  »   ]>.  X"). 

Terzikro,  p.  23. 

Tesoro,  banco  di  deposito,  \>.  28. 

Te-stimonanza,  p.  CI. 

TÒLARE,    p.    16. 
TORZEGLI,   p.    3S. 

Tostamente  ,  p.  89. 
TuTESORA ,  p.  SI.  Annot.  83. 
Tuttasesa  ,  p.  91.  Annot.  91. 

Ubriare,  obliare,  p.  49,  58. 

Ubrictagione  ,  obbligazione,  Y>.  113,  114. 

Ubrigare  ,  obbligare,  p.  113. 

Uomo:  «concortiauti  a  quele  que  l'uomo  lo'lasa», 

cioè  che  si  lasciano  loro.  «  Crede   Tuomo», 

si  crede,  p.  2S,  71.  Annot.  39. 
Uon:    0  qualota  l'uon  avesse    mistiere  »,  cioè 

ogni  volta  che  se  ne  avesse  bisogno,  p.  27. 

Annot.  39. 
Uopare  ,  p.  79. 

Unde,  p.  5;  UNDE  cuE,  p.  73. 
Undicie,  p.  35. 

Ungia,  unghie,  p.  52.  Annot.  59. 
Unguanno,  p.  24.  Annot.  32. 
Uprire  ,  p.  86. 
Utulita  ,  p.  16. 

Vaio,  baio,  p.  108. 
Veco  ,  ecco,  p.   12.  .Annot.  13. 
Veohio:  •  esser  vecchio  di  una  cosa  »,  in  si^nif. 
(li  saperla  da  lungo  tempo,  p.  88. 


173 

Vèndark  ,  \>.  \G. 

Vinti,  p.  30;  vintenuovesma  ,  p.  30. 
Vo',  voi,  p.  3. 

Voglio  (sost.),  voglia,  volontà,  p.  yo. 
VoLERR.  Forme  notevoli:  vollio  ,   p.  86;  voli, 
p.  16;  voLEMO,  p.  21;  volavate,  p.   IS. 

VoLUNTIERI  ,    p.    55. 

Zendado,  p.  109. 


INDICE    DEL    VOLUME. 


Avvertimento Pair.     v 

Notizia  illustrativa  delle  lettere  e  dei  do- 
cumenti che  si  pubblicano  in  questo  vo- 
lume      »     XI 

Lettere  volgari  del  secolo  xiii ....     »      3 

Appendice »    71 

Documenti »    99 

Annotazioni »  119 

Indice  delle  parole  e  dei  modi  più  note- 
voli  »  155 


CoR»rzin>-i  FU  Ackiiuktf. 


Pag.  11   V.  25     die' 


1     eh'  è  venuta 


IT  quatro.  d. 

2  averla 

10  avatali 

2  sì  diciarenio 

18  si  darò  sesanl 


eh'  eli  avevano 
si  a  verno 
Santaìuolo 


i  Lombardia 

lu  schumunica- 

mento 
messo  al  dietro 

de  la  fiera 
starovì 
ano  paghati 
que  tropo 
Andrea  salute 
i  Lombardia 

Prefazione 
ci  abo  iscrito 
avesse  non  vel 

potrei 
sì  gli  comprate 


a  la 


die 

veco 

avemli,  avemveli  {Aggiungi 
in  postilia  aveli ,  aveve- 
veli ,  eh' è  la  vera  lezio' 
ne  dell'  originale.) 

che  venuta  v'è 

avem  {Aggiungi  in  postilla 
ave.) 

quatro  d. 

avella 

avatcli  (Aggiungi  in  po- 
stilla avatali.) 

s'i  diciaremo 

sì  darò  sesanta  (Aggiungi 
in  postilla:  È  forse  su- 
perfluo notare  che  qui  è 
sottinteso  lire  o  gualche 
altra  specie  di  montta 
allora  in  corso.) 

eh'  elino  avevano 

■jì  a  VP  ni  0 

Sant'Aiuolo  (Questa  stessa 
orrecione  si  faccia  n*i- 
gli  altri  luoghi  dove  ri- 
corre la  medesima  pU' 
vola.) 

some  {Tolgasi  la  postilla.) 

in  Lombardia  (Aggiungi  in 
postilla  i.) 

lo  schnmunicamento  (  Ag- 
giungi in  postilla  lu.j 

messo  al  dietro,  de  la  fiera 

staròvi 

ano  paghati 

què  tropo 

Andrea,  salute 

in  Lombardia  (Aggiungi  in 

postilla  i.) 
Notizia  illustrativa 
v'abo  iscrito 
avesse,  non  vel  potrei 

sì  gì'  i  comprate 

ci  è  dano,  a  la  nostra 


nostrj 


(  È  forse  da  leggersi  Edio 
[IddioJ,  della  quale  /or* 
ma  abbiamo  un  esempio 
cerio  a  ^ag.  111.  Valga 
questa  oss 
che  per  pag,  82 
pag.  83  r.  7.) 


munetc  defen- 

munete defendute,  da  loro 

dute  da  loro 

dine 

dine 

avere  3 

avere 

a  l'Aia 

a  Laia 

dice  II. 

diece  li,  (Aggiungi  in  po- 
stilla dice.) 

d' ecco 

(lecco 

Rietìze 

Rienzo 

Biffa 

{AlV  esemjyio  addotto  del 
Fan/ani,  aggiungasi  Val- 
tro  esempio  di  Biffo,  ag- 
gettiro,  in  significato  di 
colore  rioletto,  che  si  legge 
nel  Libro  dell'  Arte  del 
Cennint ,    capitoli  Lxxiii  , 

LXXIV,    CXLV.J 

Pag.  27  ,  V, 

.  20. 

Pag.  27--29. 

Altra  cosa  ] 

par 

Né  altra  cosa  par  che  sia 

che  sia 

7(1  (Ih 

là  du' 

Teorica  dei 

1  uomi 

■    Teorica  dei  nomi 

Apropriakb 

Apkopeiato 

Chi ,  A  CUI 

Chi  :  -  a  chi  ., 

38.  Rime  di  Stefano  Vai  rimatore  pratese L.    2.  — 

39.  Capitoli  delle  monache  di  Pontetetto  presso  Lucca      .  » 

40.  Il  libro  della  Cucina  del  sec  XIV » 

41.  Historia  della  Reina  D' Oriente » 

42-  La  Fisiognomia  trattatello » 

43-  Storia  della  Reina  Ester      •     •    .- •     •  * 

44.  Sei  Odi  inedite  di  Francesco  Redi .  » 

45.  La  Istoria  di  Maria  per  Ravenna » 

46.  Trattatello  della  verginità » 

47-  Lamento  di  Fiorenza » 

48.  Un  viaggio  a  Perugia » 

49.  Il  Tesoro  canto  carnascialesco » 

50.  Storia  di  Fra  Michele  Minorità » 

51.  Dell' Arte  del  vetro  per  musaico » 

52-53.  Leggende  di  alcuni  Santi  e  Beati » 

54.  Regola  dei  Frati  di  S.  Iacopo » 

55.  Lettera  de'  Fraticelli  a  tutti  i  cristiani » 

56.  Giacoppo  novella  e  la  Ginevra  novella  incominciata    .  » 

57.  La  leggenda  di  Sant'Albano » 

58.  Sonetti  giocosi .  » 

59.  Fiori  di  Medicina » 

60.  Cronachetta  di  S.  Gemignano » 

61.  Trattato  di  Virtù  morali » 

62.  Proverbii  di  messer  Antonio  Cornazano » 

63.  Fiore  di  Filosofi  e  di  molti  savi » 

64.  Il  libro  dei  Sette  Savi  di  Roma » 

65.  Del  libero  arbitrio  trattato  di  S.  Bernardo      .     .     .     .  v 

66.  Delle  Azioni  e  sentenze  di  Alessandro  De"  Medici    .    .  >^ 

67.  Prono.stichi  d' Ippocrate.  Vi  è  loitto: 
Della  scelta  di  curiosità  letterarie »    3.  .50 

68.  Lo  stimolo  d' Amore  attribuito  a  S.  Bernardo.  Vi  è  unito  : 

La  Epistola  di  S.  Bernardo  e  Raimondo >^    3.  — 

09.  Ricordi  sulla  vita  di  messer  Francesco  Petrarca  e  di 

Madonna  Laura » 

70.  Tractato  del  Diavolo  co' Monaci » 

71.  Due  Novelle » 

72.  Vbbie  Ciancioni  e  Ciarpe » 

73.  Specchio  dei  peccatori  attribuito  a  S.  Agostino  ...» 

74.  Consiglio  contro  a  pistolenza » 

75-76.  Il  volgarizzamento  delle  favole  di  Galfredo    ...» 

77.  Poesie  minori  del  sec.  XIV » 

78.  Due  Sermoni  di  Santo  Efrem  e  la  Laudazione  di  losef.  » 

79.  Cantare  del  bel  Gherardino » 

80.  Fioretti  del -'una  e  dell'altra  fortuna  di  Messer  Fran- 

cesco Petrarca » 

81.  Cecchi  Gio.  Maria.  Compendio  di  più  ritratti      ...» 

82.  Rime  di  Bindo  Bonichi  da  Siena  edite  ed  inedite    .     .  »    7.  .50 


2. 

50 

3. 



2. 

50 

1. 

50 

2. 

— 

2. 

— 

2. 

— 

2 

— 

2. 

50 

1. 

50 

6. 

— 

6 

— 

10. 

50 

5. 

— 

1. 

50 

3. 

— 

4. 

— 

o 

50 

3. 



2. 

— 

6. 

50 

8. 

— 

3. 

— 

O. 

60 

4. 

— 

6. 

— 

1. 

50 

2. 

50 

3. 

50 

3. 

— 

2. 

50 

o 



14. 

50 

4. 

— 

o 

50 

2 

— 

8. 

_ 

3. 

— 

83.  La  Istoria  di  Ottinollo  o  Giulia L.  2.  50 

84.  Pistola  di  S.  Bernardo  a' Frati  del  monto  di  Dio    .     .    »  1.  — 

85.  Tre  Novelle  Rarissime  del  Secolo  XIV »  5.  — 

861  862  87-88.  Il  Paradiso  degli  Alberti,  ritrovi  e  ragiona- 
menti del  1389 »  40.  — 

89.  Madonna  Lionessa,  cantare  inedito  del  secolo  XIV  ag- 

giuntovi una  Novella  del  Pecorone.   Vi  è  unito: 
Libro  degli  ordinamenti  de  la  compagnia  di  S.  Maria 

del  Carmino  scritto  nel  12-50 »  4.  — 

90.  Alcune  lettere  famigliari  del  Sec.  XIV »  2.  50 

91.  Profezia  della  Guerra  di  Siena.  Vi  è  unito: 

Delle  Favole  di  Galfredo  pubblicate  da  Gaetano  Glii- 

vizzani.  Vi  è ^nire  unito: 

Due  Opuscoli  Rarissimi  del  Secolo  XVI        .    ...»  5.  50 

92.  Lettere  di  Diomede  Borghesi.  T7  è  unito: 

Quattro  lettere  inedite  di  Daniello  Bartoli    .     ...»  3.  .50 

93.  Libro  di  Novelle  Antiche »  7.  50 

94.  Poesie  Musicali  dei  secoli  XIV,  XV,  XVI »  3.  — 

95.  L' Orlandino.  Canti  due »  1.  50 

9t<c).  La  Contenzione  di  Mona  Costanza  e  Biagio       ...»  1.  .50 

97.  Novellette  ed  esempi  morali  Apologhi  di  S.  Bernardino.  »  3.  .50 

98.  Un  Viaggio  di  Clarice  Orsini      .........  1.  — 

99.  La  Leggenda  di  Vergogna »  7.  50 

100.  Femia  (II)  Sentenziato       »  7.  — 

101.  Lettere  inedite  di  B.  Cavalcanti »  8.  50 

102.  Libro  Segreto  di  G.  Dati »  3.  SO 

103.  Lettere  di  Bernardo  Tasso '   »  7.  — 

104.  Del  Tesoro  volgarizzato  di  B.  Latini  Libro  I.    ...»  7.  — 

105.  Gidino  Trattato  dei  Ritmi  Volgari »  10.  50 

li»i).  Leggenda  di  Adamo  ed  Eva »  1.  .50 

107.  Novellino  Provenzale  ossia  Volgarizzamento  delle  an- 

tiche Vitarelle  dei  Trovatori »  8.  — 

108.  Lettere  di  Bernardo  Cappello »  4.  — 

109.  Petrarca.  Parma  liberata.  Canzone »  6.  50 

110.  Epistola  di  S.  Girolamo  ad  Eustochio »  7.  — 

IH.  Novellette  di  Curzio  Marignolli    .    .* »  3.  50 

112.  Il  libro  di  Theodolo  o  vero  la  Visione  di  Tantolo   .    .    »  4.  — 

113e  114.  MandavillaGio.  Viaggi,  Voi.  le  II »  14.  — 

DI  PROSSIMA  PUBBLICAZIONE. 

Rime  di  Leonardo  Salviati. 

Vita  di  Cosimo  de' Medici  scritta  da  G.  B.  Adriani  non  mai  fin 
qui  stampata. 

La  Seconda  Spagna  e  l'acquisto  di  Ponente. 
Scrcambi  Giov.  Novelle. 


O  tn 


SCELTA 

DI 

CURIOSITÀ  LETTERARIE 

INEDITE    0   RARE 

DAL  SECOLO  XIIl  AL  XVII 

in  Appeiidicc  alla  Collezione  di  Opere  inedite  o  rare 


DISPENSA    CLXVI 

Prezzo  L.  2.  50 


Di  questa  SCELTA  usciranno  otto  o  dieci  volumetti 
-all'  anno;  la  tiratura  di  essi  verrà  eseguita  in  numero 
non  maggiore  di  esemplari  202  :  il  prezzo  sarà  uniformato 
al  numero  dei  fogli  di  ciascheduna  dispensa,  e  alla 
quantità  degli  esemplari  tirati  :  sesto ,  carta  e  caratteri, 
uguali  al  presente  fascicolo. 

Gaetano  Romagnoli 


LETTERE 


ilUllll    Ui 


lì  Al 


re. 


BENEDETTO  VARCHI 


P 


J 


BOLOGNA 

■PRESSO   GAETANO   ROMAGNOLI 
1879 


Edizione  di  soli  202  esemplari 
per  ordine  numerati 


N.  39 


BOLOGNA.  TIPI  FAVA  E  CARAGNAM 


ALLA.    CONTESSA 

ANNA  STAGGOLl  GASTRACANE 

DI    URBINO 

CHE   VIRTUOSA   COLTA    BENEFICA 

ONORA    LA    PATRI. V 

ANTICA    SEDE   DI  OGNI    ARTE   GENTILE 

QUESTI   RICORDI 

DI    UNA    ILLUSTRE    URBINATE 

OFFRE 

CABLO  GARGIOLLI 


Un  libro  curioso  e  importante 
resta  ancora  da  scrivere  in  Italia: 
la  storia  della  nostra  letteratura 
femminile.  E  potrebbe  riuscir  libro 
stupendo,  a  chi  sapesse  ben  farlo, 
perchè  oltre  darci  una  bella  pagi- 
na di  storia  letteraria,  né  la  meno 
utile  né  la  meno  istruttiva,  da 
Nina  Siciliana  a  Giannina  Milli, 
da  Caterina  da  Siena  a  Caterina 
Ferrucci,  gioverebbe  a  colorire  un 
quadro  efficace  e  gradevole  della 
nostra  civiltà,  tanta  in  ogni  tem- 
po  é  stata   r  azione    della   donna 


6 

ne'  costumi ,  negli  usi .  nelle  vi- 
cissitudini, nelle  credenze,  tanti 
sono  i  punti  di  contatto  e  di  raf- 
fronto tra  le  lettere  femminili  e  la 
vita  civile  e  religiosa  del  popolo, 
tra  la  famiglia,  dov'  ella  è  regina 
ed  educatrice ,  e  gli  avvenimenti 
più  gloriosi  e  più  nefasti  della  so- 
cietà umana.  Ma  ad  un  cosi  fatto 
lavoro  ci  vuol  ingegno  e  dottrina, 
che  mancano  a  me:  e  se  più  di 
una  volta  (vedete  presunzione!)  mi 
è  venuto  il  pensiero  d' imprendere 
un'  opera  simile ,  e  ho  cominciato 
pure  a  raccoglier  qualche  mate- 
riale al  bisogno,  mi  sono  guardato 
però  sempre  fin  qui  dal  lasciarmi 
vincere  da  una  tentazione,  cui  for- 
se non  saprò  resistere  un  giorno, 
quando  abbia  maggior  quiete  e  co- 
modo agli  studi,  non  perch'  io  senta 
in  me  le  forze  rispondenti  all'  ar- 
gomento, ma  perchè  un  libro  fatto 
male  da  me  muova  altri  a  far  me- 
glio. Per  oggi  non  voglio  neanche 


7 

tentarlo:  se  ne  consolino  i  pochi 
e  dottissimi  lettori  di  questa  Scel- 
ta. Mi  basta  offrir  loro  un  maz- 
zetto di  lettere  inedite,  che  trovo 
tra  le  mie  vecchie  ricerche,  e  che 
può  giovare  a  far  meglio  cono- 
scere una  poetessa  di  quel  secolo 
XVI,  che  fu  sì  fertile  di  rimatrici 
lodate. 

La  mia  poetessa  è  Laura  Batti- 
ferri: una  donna,  che  ebbe  da  na- 
tura nobile  ingegno  ed  anima  de- 
licata, e  che  con  lo  studio  della 
filosofia  innalzò  il  culto  delle  let- 
tere ,  e  nel  sentimento  della  re- 
ligione purificò  la  poesia  dell'  a- 
more;  sicché  fu  ammirata  da  illu- 
stri contemporanei ,  come  Bernardo 
Tasso,  il  Varchi,  il  Domenichi,  il 
Baldi,  l'Allori,  il  Grazzini,  il  Bar- 
gagli,  il  Razzi,  e  specialmente  da 
quello  squisito  ingegno  di  Annibal 
Caro,  che  non  solo  ebbe  per  lei 
lodi  e  versi,  ma  che  lei  pur  pro- 
pose a  Pietro  Bonaventura    come 


maestra  al  poetare  (1).  E  di  fatti, 
se  la  Battiferra,  vissuta  in  quei 
tempi  in  che  la  lirica  si  perdeva 
quasi  comunemente  nella  imitazio- 
ne petrarchesca,  e  troppo  si  com- 
piaceva delle  eleganze  artificiosa- 
mente studiate  sulle  orme  di  lui 

Che  Amore,  nudo  in  Grecia  e  nudo  in  Roma, 
D'un  velo  candidissimo  coperse, 

non  potè  raggiungere  tra  gli  ero- 
tici del  cinquecento  uno  de'  primi 
seggi  per  quelle  qualità,  eh'  erano 
tenute  allora,  e  anche  poi,  come 
principali  doti  dell'ottimo  poeta; 
e  se  anzi  in  lei  pure,  come  nella 
Vittoria  Colonna  e  nella  Gaspara 
Stampa,  e  forse  più  che  in  loro, 
ti  si  fanno  sentire  i  difetti  dell'età 
e  della  scuola;  ciò  nullameno  mi 
sembra  che,  leggendo  le  rime  di 
Laura,   si  incontri   di   quando  in 

(1)  Lettere    di   Annibal   Caro,  voi.  II, 
p.  193. 


quando  un  qualche  tratto  di  poe- 
sia vera  per  ispontaneità  d'  affetto 
e  ingenuità  di  sentimento,  anche 
dove  la  forma  non  risponda  sem- 
pre all'  intenzione  dell'  arte.  Né  vi 
può  essere  poesia  vera  (predichi 
a  sua  voglia  chi  vuole)  senza  un 
gran  sentimento  o  un  gran  pen- 
siero, senza  che  la  parola  sia  fatta 
anima  nel  cuor  del  poeta,  il  quale 
quando  amore  sinra,  nota,  e  a  quel 
modo  che  detta  dentro  va  signifi- 
cando; e  quindi  era  ben  difficile 
che  potesse  fiorire  questa  poesia 
tra'  petrarchisti  del  secolo  XVI,  al- 
lora che  la  imitazione  era  loro  fine 
e  norma,  e  teneva  luogo  della  i- 
spirazione,  dell'  affetto,  del  pen- 
siero. Ma  Laura  aveva  in  cuor  suo 
un  sentimento  profondo  di  religio- 
ne. S'  ella  fosse  nata  due  secoli 
prima,  in  tempi  di  fede  più  viva  e 
più  potente,  sarebbe  riuscita  forse 
una  delle  nostre  migliori  poetesse; 
ma  cresciuta  ed  educata  tra  le  ten- 


10 
clenze  pagane  dall'una  parte,  e  gli 
ascetismi  di  riflessione  dall'  altra, 
non  ebbe  virtù  d'  elevarsi  al  diso- 
pra de'  contemporanei,  e  mentre  ci 
duole  doverla  solo  noverare  tra  le 
molte  rimatrici  del  secolo,  pure  ci 
è  grato  vederla  talvolta,  special- 
mente nella  poesia  religiosa,  stac- 
carsi dalle  pastoie  della  imitazio- 
ne petrarchesca,  sebbene  purtroppo 
ricada  di  leggieri  in  altre  pastoie 
non  meno  difettose  di  quelle. 

Laura  fu  figlia  naturale  di  Gio- 
vanni Antonio  Battiferri  d'  Urbi- 
no; e  nata  nel  1523,  morì  nel  no- 
vembre del  1589  a  Firenze,  do- 
v'  era  andata  fin  dal  17  aprile  1550 
moglie  a  Bartolommeo  Ammanati, 
scultore  e  architetto  di  bella  fama 
in  que'  tempi  (1).  La  squisita  edu- 
cazione ricevuta  nella  casa  pater- 
na si  andò  sempre  accrescendo  e 
perfezionando  in  lei  con  lo  studio 

(1)  Cfr.  Baldiuucci,  Sec.  IV,  part.  II. 


11 

indefesso ,  con  la  compagnia  di 
quanti  erano  nomini  cólti  in  Italia, 
e  particolarmente  con  la  severità 
della  meditazione,  che  è  principio 
di  sapienza  nelle  anime  gentili  agli 
affetti  della  famiglia,  della  patria  e 
della  religione.  Fra  gli  amici  più 
cari  e  più  fedeli  di  lei  e  del  ma- 
rito fu  Benedetto  Varchi ,  a  cui 
ella  ricorreva  per  consigli  e  per 
ammaestramenti ,  quasi  le  fosse 
maestro  ed  autore,  e  che  sempre 
benevolo  a  tutti,  con  lei  largheg- 
giava di  consigli  e  di  ammaestra- 
menti. E  appunto  dal  carteggio  del 
Varchi,  che  è  raccolto  manoscritto 
nella  Biblioteca  Palatina  di  Firen- 
ze, ho  copiate  le  sedici  lettere  ine- 
dite della  poetessa  d'  Urbino,  delle 
quali  faccio  dono  a  questa  colle- 
zione di  Curiosità  letterarie. 

Ancona,  25  marzo  1879. 

Carlo  Gargiolli. 


Sig.or  mio  osser.mo 

Per  la  vostra,  avuta  or  ora,  intendo 
che  la  mia  fastidiosa,  che  sabato  passato 
vi  scrissi,  non  vi  è  accapitata  nelle  mani; 
ma  forse  avrà  fatto  per  espettar  quest'  al- 
tra ,  che  sarà  un  poco  meno  dispiacevole, 
intendendo  per  lei  il  miglioramento  del 
mio  consorte  (1),  quale  con  l'aiuto  d'Id- 
dio sta  assai  meglio  eh'  io  non  mi  cre- 
devo che  dovesse  stare,  e  massime  sì  pre- 
sto. Dio  ne  dia  grazia,  che  vadi  aumen- 
tando, secondo  il  nostro  bisogno. 

Ho  preso  infinito  contento  della  vostra 
dolce,  et  al  solito  cara  lettera;  e  tanto 
pili  ne  prendo,  sentendo  il  vostro  ben 
essere.  Così  piaccia  alla  maestà  d'  Iddid 
di  conservarglilo ,  come  io  del  continuo 
di  ciò  la  priego,  che  poi  eh'  io  ho  spesse 


14 

lettere  da  voi,  cosa  certamente  a  me  cara 
molto ,  sappia  ancora  che  stiate  sano  e 
di  buona  voglia  ;  il  che  nei  miei  strani 
accidenti  sarà  di  non  picciolo  conforto  e 
piacere. 

Il  sonetto  bellissimo  è  veramente  de'  vo- 
stri componimenti.  L'  ho  io  ricevuto  con 
quella  allegrezza  e  contento  eh'  io  ho  ri- 
ceuti  tutti  gli  altri,  e  terroUo  con  la  me- 
desima riverenza  eh'  eglino  son  tenuti  ; 
e  quel  poco  di  tempo  che  potrò  rubare 
a'  miei  affanni,  lo  spenderò  tutto  intorno 
a  contemplargli,  servendomene  per  i  miei 
libri. 

E  perchè  non  ho  tempo  per  ora  ad 
esservi  più  longa,  farò  fine,  et  insieme 
col  mio  consorte,  qual  vi  è  svisceratissi- 
mo ,  vi  basciarò  le  mani  e  di  cuore  mi 
vi  raccomandarò 

Da  Fiorenza,  alll  27  di  gennaro  del  56. 
Vostra  airezional.ma 

Laura  B.vttu'Erra  degli  Am.vnx.vti 

(Di  fuori).  Al  Mollo  Mag.co  S.or  mio  osser.mo 
M.  Benedetto  Varchi 


15 


S.or  mio  osserv.mo 

L' altro  giorno  scrissi  a  V.  S.  quanto 
mi  occorreva ,  et  ora ,  perch'  ella  sappia 
de  r  esser  mio,  le  scrivo  questi  pochi 
versi,  e  desidero  grandemente  sapere  del 
suo,  e  anche  se  la  mia  eh'  io  ho  scritto, 
e  mandata  al  Crocino  (2),  le  accapitò 
alle  mani:  nella  quale  ella  avrà  visto  il 
raiglioi'amento  di  mio  marito;  ancora  che 
la  notte  seguente  eh'  io  avevo  scritto,  e- 
gli  stesse  molto  male  di  Cjuel  suo  acci- 
dente, e  tutta  questa  settimana  gli  ab- 
bia dato  un  piccolo  travaglio.  Nondimeno 
ieri  notte  e  oggi  sta  molto  meglio  ;  e,  se 
Dio  vorrà ,  pensarò  pur  eh'  egli  abbia  a 
guarire  del  tutto ,  e  tanto  piìi  che  pur 
pare  che  quelli  umori  siano  molto  man- 
cati. Egli  bascia  le  mani  di  V.  S.,  e  se 
gli  raccomanda  senza  fine. 

La  S.ora  Duchissa  di  Camei'ino  (3)  è 
ancora  viva,  cosa  pili  miracolosa  e  di- 
vina  che   umana:  e  Dio  sa  quanto  la  vi 


16 

durarà.  Vi  è  del  continuo  il  nostro  M, 
Francesco  Monte  Varchi  (4);  e  Dio  avesse 
voluto  eh'  egli  vi  fosse  stato  chiamato 
nel. principio,  che  forse  sarebbe  stato  si 
bene  intesa  la  sua  infimi  ita,  ch'ella  non 
sarebbe  a  questo  termine  tanto  perico- 
loso come  è.  Dio  faccia  quello  eh'  è  più 
per  lo  meglio  dell'  anima  sua,  che  di  tanto 
ci  abbiamo  da  contentare. 

Mando  a  V.  S.  un  sonétto  eh'  io  ho 
fatto  alla  Soderina,  a  ciò  la  lo  veda,  e 
poi  me  lo  rimandi  indietro,  per  ch'io 
conosco  eh'  egli  ha  bisogno  del  suo  aiuto, 
tanto  più  eh'  egli  è  stato  pai-torito  fra 
tanti  travagli  di  mente  e  di  corpo,  che 
ben  se  gli  può  dire  più  tosto  sconciatura 
che  parto,  come  V.  S.  dice  dei  suoi;  quali 
non  meritano  che  se  gli  dica  se  non  fi- 
gliuoli più  presto  de'  dodici  mesi  che  di 
nove,  e  dalla  natura  e  dall' arte  bea  fatti 
e  meglio  condizionati ,  a  tale  che  si  ve- 
dranno vivere  e  più  chiari  e  più  felice- 
mente di  quanti  oggi  ne  nascano  e  siano 
per  nascere;  anzi  e  '1  suo  padre  e  loro 
saranno  immortali  et  eterni  (5).  Ma  ben 
mi  aveggio  che,  intrando  d'una  parola 
in  un'  altra,  sono  intrata  in  ragionar  di 
loro  e  di  V.  S.  con   pericolo  più. di  sce- 


17 

marli  che  di  accrescerli  nome;  e  però, 
facendo  fine  e  di  cuore  raccomandando- 
mele, pregarò  Dio  che  felice  e  sana  la 
conservi. 

Da  Fiorenza  alli  X  di  febraro  del  LV. 

Di  V.  S. 

Affezionatiss.ma 

Laura  Battiferra  degli  Amannati 

(Di  fuori).  Al  molto  Mag.co  et  Dottiss.o  M.  Benedetto 
Varchio  mio  S.re  esser. mo 


HI. 

S.or  mio  osser.mo 

Di  poi  eh'  io  ebbi  scritto  a  V.  S.  V  al- 
tra ch'io  le  mandai,  lessi  e  rilessi  la 
sua  molte  volte,  come  soglio  far  sempre, 
e  ben  intesi  quanto  la  mi  chiedeva  sopra 
i  sonetti  ;  ma  perch'  io  ero  molto  trava- 
gliata questa  sera ,  e  perchè  anco  avevo 
fretta  di  scrivere,  non  considerai  se  non 


18 
quel  dire  di  mandare  quanti  versi  V.  S. 
mi  aveva  mandati,  e  n' eljbi  invero  fa- 
stidio. Di  poi  intesi  tutto  quello,  che 
prima  non  avevo,  e  copiai  su  questa  carta 
ohe  or  vi  mando,  non  solo  quelli  che  la 
bontà  et  umanità  vostra  à  fatti  a  me  e 
in  Fiorenza  e  fuori ,  ma  ancora  i  primi 
versi  di  quanti  me  ne  truovo  in  mano 
de' vostri ,  che  qui  mi  deste  e  dipoi  m'a- 
vete mandato  in  molte  volte.  V.  S.  mi 
perdoni  s'io  gli  ho,  non  pensando,  da- 
togli causa  di  travaglio  e  fastidio,  che 
Dio  sa  quanto  me  n'  è  doluto  ;  e  sopra- 
modo duolmi ,  sentendo  che  vi  date  af- 
fanno che  le  lettere  da  Bologna  tardano 
tanto  a  venire  (  >).  Di  grazia ,  non  ci  pen- 
sate, e  quando  le  verranno,  saranno  le 
ben  venute,  e  sempre  le  giugneranno  a 
ora.  Siamo  stati  tant'anni  su  questa  pra- 
tica di  questa  lite,  che  non  ne  darà  noia 
starvi  ancora  un  altro  poco,  tanto  pivi  ve- 
dendo il  mondo  sì  travagliato  come  ò ,  e 
che  v'  è  da  fare  per  ogni  uno  nelle  cose 
di  maggior  importanza,  piii  che   non  si 

vorebbe.  V.  S.  può  ben  aver  visto  eh'  io 
da   molti    dì   in   qua    non   gii   ho    voluto 

scriver  nulla  di  ciò:  tutto  perdi' ella  non 
si   dessi   fastidio,   sapendo   che   scriveste 


19 

al  Vice  Legato,  e  che  quando  Sua  Sig.ria 
potrà  vi  maiidarà  la  risposta. 

Quando  V.  S.  scriverà  al  virtuosissimo 
INI.  Lelio  Bonsi  (7),  si  degnarà  raccoman- 
darniegli  infinitamente,  dicendogli  che 
sino  al  cuore  mi  penetrano  i  suoi  dispia- 
ceri, e  ch'io  mi  dolgo  dei  suoi  fastidii, 
sì  per  conto  suo  particolare,  come  ancora 
per  V.  S.,  sapendo  quanto  i  suoi  aflfimni 
gli  sono  comuni.  Ringraziamo  Dio,  M. 
Benedetto  mio  caro,  poi  che  così  siamo 
trattati  dal  mondo,  perchè  saremo  pur 
certi  d'  essere  tanto  maggiormente  amati 
da  lui.  Mi  dispiace  bene  che  V.  S.  dica 
che  aveva  fatto  pensiero  di  non  comporre 
più  verso  alcuno,  e  che  la  malignità  de- 
gli uomini  e  la  indegnità  mia,  eh' a  que- 
sta do  maggior  colpa  eh'  a  quelli,  ne  fos- 
.sero  cagione  che  V.  S.  tema  non  le  Muse 
siano  in  colora  e  scorrucciate  seco.  Que- 
sto gli  assecuro  io  che  non  può  essere, 
ne  mai  potrebbe,  perchè  non  minor  per- 
dita farebbeno  loro  in  perder  voi ,  che 
voi  in  perder  loro,  non  avendo  chi  piìx 
oggidì  con  onorato  nome  le  faccia  riso- 
nar per  tutto:  e  se  non  fosse  ch'io  temo 
non  entrare  a  dir  di  cosa  r-he  di  poi  non 
sappia  trovare  via  d'uscire,  mi  estende- 


20 

rei  a  dir  più  oltra.  E  facendo  fine,  per- 
chè ormai  vi  avrei  da  parlare,  e  non  da 
scrivere,  insieme  col  mio  consorte,  qual 
si  raccomanda  et  offera,  a  V.  S.  basciamo 
ambe  le  mani. 

Da  Fiorenza ,  alli  23  di  fobraro  del  56. 

Di  V.  S. 

amor. ma  semp. 

Laura  Battiferra  degli  Amannati 

(lìi  fuori).  Al  mollo  Mag.co  e  Dollissirao 

M.  Benedetto  Varchi  mio  scmp.  Honor.mo 

IV. 

3folio  Mag.co  S.or  mio  osser.mo 

Non  so  da  qual  banda  mi  cominciare  a 
rispondere  alle  due  dolcissime  e  dottissime 
lettere  di  V.  S.,  né  meno  con  che  pa- 
role ringraziarla  del  favore,  che  per  sua 


21 

sola  bontà  s'è  degnata  farmi,  dando  spi- 
rito e  vita  ai  miei  versi.  Del  bello  e  leg- 
giadro sonetto,  in  risposta  del  mio,  rendo 
io  a  V.  S.  infinite  grazie  (8),  e  degli  al- 
tri ancora  eh'  ella  mi  ha  mandato,  quali 
tengo  continuamente  avanti  agli  occhi  e 
della  mente  e  del  corpo,  più  per  spec- 
chiarmi nella  virtù  del  suo  raro  intelletto, 
che  per  leggere  le  mie  lode ,  che  ben 
veggio  avvanzar  di  gran  lunga  ogni  mio 
merito. 

Della  indisposizion  di  V.  S.  mi  dolgo 
grandemente ,  perchè  vorrei  eh'  ella  si 
preservasse  sana,  et  anco,  se  si  potesse, 
immortale ,  come  son  certa  che  sarà  la 
fama  della  virtù  e  del  nome  vostro. 

Pi'ego  ancora  V.  S.  che  mi  eseusi  e 
perdoni  di  quel  sonetto  eh'  io  le  mandai, 
che  non  lo  feci  né  per  curiosità,  né  per 
mostrarmi  troppo  ardita,  né  anco  perchè 
non  mi  fosse  noto  il  belli' animo  suo  e  la 
bontà  della  sua  mente;  ma,  come  ben  mi 
venne  fatto,  per  imparare  da  lei,  e  per 
esserci  tarmi  in  ciò.  La  sua  degna  e  di- 
vina risposta  avevo  ben  io  discorso  nella 
mia  mente,  ma  ora  con  mio  maggior  con- 
tento la  veggo  distesa  con  belle  et  ac- 
comraodate  parole  in  carta;  laonde  la  mia 


22 

dimanda  più  tosto  degna  di  riprension 
che  di  loda,  vien  escusata  in  parte.  Del 
vesto  torno  di  nuovo  a  pregai-la  che  mi 
perdoni  con  quella  sua  naturale  bontà, 
con  la  quale  mi  dà  animo  ch'io  facci,  e 
securamente  mandi  ogni  mio  verso,  per 
brutto  e  basso  eh' ei  sia,  al  vostro  per- 
fetto giudizio.  Se  la  malatia  del  mio  con- 
sorte, e  vostro  afFezionatissimo,  mi  darà 
comodità,  come  ora  me  la  toglie,  a  hr 
qualch' altra  cosetta,  non  restarò  inviarla 
a  V.  S.,  poi  eh'  io  son  secura,  sua  mercè, 
non  l'infastidire;  e  non  mancarò  visi- 
tarla con  le  mie  lettere,  dandole  nuova 
di  noi,  desiderando  intenderne  delle  sue 
da  lei,  però  senza  incomodarla,  che  per 
care  che  mi  siano  le  sue  lettere,  m' è 
pei'ò  più  caro  il  non  le  dar  fastidio.  Dal 
virtuosissimo  M.  Lelio  Bonsi  ebb'  io  il 
sonetto  che  S.  S.  mi  scrive,  e  mi  duol 
assai  non  gli  potere  dar  risposta,  se  non 
come  ei  merita,  almeno  come  io  avessi 
saputo;  ma  i  respetti  che  mi  bisognano 
avere  in  questo  paese,  fanno  eh'  io  taccio, 
e  forse  appresso  di  lui  mi  acquistarò 
nome  d' ingrata,  che  in  vero  non  sono  (9). 
Se  V.  S.  gli  scriverà  mi  facci  grazia 
di  ringraziarlo  e  far   mia    scusa   .seco,  e 


23 

pregando  Dio  che  tanto  vi  dia  contento 
quanto  v'  ha  dato  virtù,  faccio  fine,  e  in- 
sieme col  mio  consorte  vi  bascio  le  mani. 

Da  Fiorenza,  alli  XIIII  di  novembre  dol  LVI. 

Di  V.  S. 

AlTezionat.ma 

Laura.  Battiferra  degli  Ammanati 

(Di  fuori).  AI  mollo  Mag.co  e  Dottiss.o 

M.  Benedetto  Varchi  mio  semp.  osscr.mo 

V. 

Mag.co  S.or  mio  osser.mo 

lersera  di  notte  mi  fumo  appresentate 
le  lettere  dolcissime  di  V.  S.,  et  ora  il 
contadino  è  venuto  per  la  risposta.  E  per 
non  perdere  questa  occasione  son  uscita 
del  letto,  che  per  far  compagnia  al  mal 
degli  occhi  di  mio  marito,  ne  ho  uno 
molto   rosso;  ben  che  non   me  do  molto 


24 
fastidio,  sapendo   per  altre  prove  che  '1 
mio   male,  sì   come  in    un   momento  mi 
viene,  così  anche  presto  si  parte. 

M.  Bartolommeo  si  raccomanda  infini- 
tamente a  V.  S  ,  e  sta  assai  bene,  tanto 
che  da  questa  settimana  in  là  egli  potrà 
uscir  di  casa  ;  e  ringrazia  assai  la  vostra 
cortesia,  che  sì  dolcemente  et  amore- 
volmente parla  di  lui.  Io  non  so  come 
ormai  mi  possa  rendervi  grazia  de'  favori 
che  mi  fate,  poi  ch'ogni  giorno  piìi  mi 
aggravate  di  maggior  obligo,  e  non  vo- 
lete eh'  io  ne  favelli.  Non  posso  enti'ar 
per  ora  a  dir  quel  ch'io  vorrei,  ma  lo 
dirò  pure  un'altra  volta,  se  non  per  al- 
tro per  sodisfar  me  medesima. 

Mando  a  V.  S.  non  so  che  poche  cose, 
a  ciò  la  le  veda,  e  poi  me  le  rimandi 
indietro;  perchè,  così  come  lei  ha  caro 
eh'  io  tenga  le  sue  cose  appresso  di  me, 
che  mi  ha  mandato,  così  ho  caro  io  che 
le  mie  mi  ritornino  in  mano,  facendo 
più  conto  di  loro  poi,  che  non  facevo 
prima.  Il  sonetto  alla  Soderina  (10),  la 
quale  io  amo  come  voi  Dafni  e  Tirinto, 
vi  degnarete  rivedere:  e  così  l'altro  che 
pur  icrsera  feci  a  un  gentiluomo  de'  no- 
stri del   paese,  che  ora  si  truova  con  la 


25 
S.ra   Duchessa   di  Camerino.   11    madriale 
lo  feci  la  notte  di  Natale  al  presepio. 

Non  dirò  altro  per  ora  per  non  far 
danno  al  mio  occhio,  e  tardar  più  que- 
sto messo.  Bascio  le  mani  di  V.  S.,  e  di 
cuore  me  le  raccomando. 

Da  Fiorenza,  alli  30  di  dicembre  del  56. 

Di  V.  S. 

Affezionai. ma 

Laura.  Battiferra  degli  Ammannati 

(Di  fuori).  Al  molto  Mag.co  e  Dolt.nio 

M.  Bcnedello  Varchi  mio  sempre  esser. mo 


VI. 


Mag.co  M.  Benedetto  mio  onorat.mo 

Vi  scrissi  a  questi  giorni  una  mia,  nella 
quale  vi  avisavo  del  mio  ben  essere.  Di 
poi  io  ebbi  una  vostra,  che  mi  fu  caris- 


26 
sima ,  come  tutte  V  altre  mi  son  sempre 
state;  e  tanto  più,  quanto  da  molti  giorni 
in  qua  me  1'  avete  fatte  desiderare;  né 
mi  posso  immaginar  la  cagione,  né  credo 
già  che  sia  quella  che  voi  nella  vostra 
ultima  m'  allegate,  cioè  che  lo  facciate 
per  non  mi  dar  fastidio  nel  leggerle ,  e 
che  '1  carattere  sia  noioso,  soggiugnendo 
che  a  chi  è  stato  ammalato  ogni  cosa  dà 
noia;  perchè  io  so  che  voi  questo  non 
lo  credete,  se  ben  lo  dite,  sapendo  che 
le  mie  non  vi  potrebbono,  per  brutte  e 
mal  dettate  che  mai  fossero,  arrecar  noia 
e  darvi  fastidio  ;  come  dunque  volete  voi 
eh'  io  creda  die  voi  crediate  che  le  vo- 
stre, belle  e  ben  composte,  lettere  mi 
possano  noiare,  né  fastidire?  Non  sapete 
voi  per  voi  stesso,  e  M.  Lelio  non  ni'  ha 
sentito  più  volte  dire,  che  io  non  avevo 
altro  piacere,  né  possevo  udir  cosa  che 
più  mi  dilettasse,  che  o  leggere  0  sentire 
delle  vostre  lettere  e  dei  vostri  versi,  in 
quella  non  bizzarra  infìrmità?  E  ora  che 
credete  voi  eh'  io  faccia,  se  non  leggere, 
quel  poco  eh'  io  leggo,  dei  vostri  versi 
e  delle  vostre  prose  ?  Che  delle  vostre 
lettere   basta  eh'  io  ne  legga  ogni   mese 


27 

una.  Io  poco  scrivo,  e  manco  leggo,  né 
posso,  ancor  eh'  io  me  n'  ingegni ,  scri- 
.vere  o  leggere  senza  nocumento  della  mia 
vista  e  danno  della  mia  complessione.  E- 
spettavo  riveder  quei  duo  sonettacci  eh'  io 
vi  mandai  l'altro  giorno,  prima  ch'io 
mandasse  questo,  fatto  duo  dì  sono,  quasi 
in  cima  di  iMonte  Cecero:  ma  volendo 
ad  ogni  modo  scrivervi  ora,  nò  tardar 
pili ,  lo  accompagnarò  pur  con  questa. 
Da  M.  Benvenuto  non  abbiamo  auto  quel 
sonetto  morale  che  voi  scrivete  (11):  però 
mi  sarà  caro  che  facciate  eh'  io  1'  abbia. 
I  sonetti  di  V.  S.  mi  son  stati  al  solito 
e  cari  e  grati ,  s'i  rispetto  alla  qualitcà 
come  alla  quantità.  Cosi  piaccia  al  vir- 
tuosissimo e  eortesissimo  M.  Lelio,  dal 
quale  io  gii  ricevei ,  mandarmene  degli 
altri,  sì  come  egli  m'ha  promesso  di  fare 
ogni  volta  che  gli  ne  veri'à  l'occasione; 
così  ancora  di  quelli  che  '1  suo  fertilis- 
simo ingegno  produrrà.  E  perchè  questa 
mia  ad  ambiduoi  per  ora  sarà  comune, 
dico  che  se,  come  io  spesso  mi  sento  zuf- 
folar  r  orecchie ,  sapessino  questi  monti 
e  queste  piaggie,  per  le  quali  io  camino 
e  spesso  ragiono,  poi  che  con  altro  non 


28 
posso  (lire  quel  ohe  sento,  forse  non  sta- 
rebbono  sì  muti  come  stanno. 

Non  so  s'avete  inteso  come  il  nostro 
Ece.nio  M.°  Francfsco'(12)  è  stato  ma- 
lissimo, e  quasi  per  andare  all'altra  vita: 
ma  ora  per  quanto  io  odo.  egli  sta  me- 
glio e  fuor  di  pericolo.  Cosi  piaccia  alla 
bontà  di  Dio  lasciamelo  ancor  godere, 
tanto  per  comune  quanto  per  nostra  par- 
ticolar  comodità,  come  io  del  continuo 
ne  r  ho  pregato  e  prego. 

M.  Bartolommeo  sta  benissimo  et  è 
tutto  riavuto,  come  ancor  io,  in  questa 
sì  bella  e  piacevol  villa.  Egli  se  ne  viene, 
quando  ogni  sera  e  quando  in  terza,  e  ci 
diamo  cento  piaceri,  ora  con  1'  andar  veg- 
gendo  questi  bei  luoghi  e  abitazioni,  e 
ora  in  veder  ballare  queste  contadine;  di 
modo  che,  se  ben  penso  tornare  in  Fio- 
renza per  questo  San  Giovanni ,  voglio 
ritornarmene  a  star  qui  qualche  giorno 
di  pili.  Vorrei  che  mi  raccomandaste  a 
M.  Lelio,  e  che  per  nome  di  mio  marito 
e  per  me  gli  rendeste  le  salute  e  racco- 
mandazioni in  mille  doppi.  Che  nostro 
Signore  conservi  e  l'uno  e  l'altro  di  voi 
longo  tempo,  sì  come  meritate,  e  ch'io 
desidero.  M.  Bartolommeo,  tutto  di  V.  S., 


29 
se    le    raccomanda  senza   fine,  et  io  con 
tutto  '1  cuore. 

Da  Maiano,  alli  9  ili  giugno  del  57. 

Di  V.  S. 

AlTezionalis.ma 

Laur.v  Battiferra  degli  Amanxati 

(Di  fuori).  Al  molto  Mag.co  e  Dolt.mo 

M.  Bencdctlu  Varchi  mio  serap.  onor.mo 
Alla  Pieve  a  San  Gavino 


VII. 

Mag.co  M.  Benedetto  mio  onoratia.nio 

Oggi,  che  siamo  alli  sei  del  presente, 
ho  ricevuto  con  mio  grandissimo  piacere 
e  contento  le  due  dolcissime  lettere  di 
V.  S.,  una  de' 23  di  luglio  e  l'altra  del 
primo  di  questo,  insieme  con  i  bellissimi 
sonetti  al  Bona,  al  signor  Torquato  Conti, 
al  S.or  Alessandro   Lenzi ,  con  quello    in 


30 
lode  del  vostro  Tirinto  e  i  due  al  ve- 
scovo di  Fermo,  con  quelli  epitaffi  per 
la  Santa  M.  della  Duchessa  di  Camerino; 
tutte  cose  bellissime  et  a  me  care  d'in- 
tendere (13).  Ringraziai  Dio  con  le  mani 
gionte,  quand'  io  vidi  le  vostre  lettere,  e 
certo  mi  parve  sentire  aprire  il  cuore  per 
mezzo  dell'allegrezza:  e  vedete  s'io  ho 
cagione  di  voler  male  a  cotesto  paese,  e 
anco,  se  non  vi  foste  voi,  di  maledirlo  e 
augurargli  ogni  male,  poi  eh'  io  sto  tanto 
a  sentir  nuova  di  voi.  È  ben  vero  eh'  io 
ebbi  una  vostra  con  quelle  di  M.  Lelio  ; 
ma  quando?  non  son  passati  più  di  XX 
giorni  ?  E  per  gionta  mi  scrivevi  non  vi 
sentir  molto  a  vostro  modo,  del  che  ne 
ho  preso  non  poco  fastidio,  vedendo. tanti 
mali  andar  a  torno,  eh'  io  mi  sbigotivo. 
Mandai  ier  mattina  a  Maiano  per  uno  di 
quei  contadini,  ch'io  lo' volevo  mandar 
a  posta  a  vedervi ,  e  non  fu  possibile  a- 
verne  nissuno,  che  tutti  sono  ammalati , 
di  modo  eh'  io  stava  mezza  disperata. 
Mandai  a  casa  vostra,  al  Crocino  (14)  e 
a  molti  de' vostri  amici;  e  tutti  mi  l'i- 
spondevano  non  ne  saper  nulla.  1  miei 
di  casa,  non  ne  potevo  mandare  nessuno, 
che  tutti  son  per  terra    Io  sto  cosi  così, 


31 

ma  con  un  grande  infreddato,  che  non 
mi  lascia  respirare  :  non  so  se  sarà  altro, 
M.  Bartolommeo  sta  bene,  e  vi  rende  in 
mille  migliaia  di  doppi  le  salute  e  racco- 
mandazioni ,  eh'  io  gli  ho  fatto  per  vo- 
stra parte;  e  cosi  le  rende  a  M.  Lelio; 
e  tanto  farete  per  me ,  quando  gli  scri- 
verete. I\I.  Bartolommeo  et  io  pensiamo 
che  sia  bene,  come  dice  V.  S.,  d'aspet- 
tare che  '1  nostro  procuratore  sia  guarito 
affatto,  e  eh'  egli  sia  che  dia  fine  a  que- 
sta beata  lite,  ancora  che  noi,  per  quanto 
mi  par  ricordare,  facemmo  nella  procu- 
ra, che  se  gli  mandò,  ch'egli  potesse 
sostituire.  Che  i  beni  del  nostro  avver- 
sario siano  venduti ,  non  so  ;  ma  so  bene 
che  erano  obligati  a  me,  e  ch'egli  non 
gli  poteva  vendere,  né  altri  comperare, 
come  INI.  Lelio  per  le  nostre  scritture  che 
son  là  potrà  vedere  :  e  desidero ,  se  pos- 
sibil  fosse,  che  mentre  egli  sta  in  Bo- 
logna se  ne  vedesse  il  fine,  che  poi  quasi 
perderò  ogni  speranza,  ancor  eh'  io  pensi 
che  '1  cognato  del  procuratore  non  man- 
carà  farvi  ogni  diligenzia  per  amor  vo- 
stro. E  pregarò  Dio  che  metta  in  cuore 
a  Monsignore   R.rao    che   passi   per   Bo- 


32 

logna,  che  so  non  sarebbe  pencolo  che 
la  lite  andasse  più  in  lungo,  come  forse 
andarà.  Faccia  mo  Dio  ! 

Tornamo  un  poco  alla  vostra  doglia 
di  testa,  la  quale  è  cagione  d'  accrescere 
la  mia,  che  questa  infreddatura  mi  dà. 
Si  vorrebbe  vedere  se  la  procede  dallo 
stomaco,  e  pensar  di  purgarsi  un  poco, 
e  perchè  forse  là  non  vi  è  comodità , 
tornarsene  a  Fiorenza  e  non  indugiare 
alla  fiera  di  Fiesole.  Vedete  ancora  che 
lo  star  tanto  a  quella  freschezza  di  Fon- 
tebaio  non  vi  faccia  danno,  e  cosi  il  bere 
troppo  fresco:  e  insomma  guardatevi  d'o- 
gni cosa  che  vi  possa  nocere,  e  per  vo- 
stro utile  e  per  altri,  e  cercar  di  star 
sano  e  vivere  allegramente. 

Quanto  alla  lettera  ch'io  vi  scrissi  per 
Aldobrando,  non  posso  far  che  non  m' in- 
cresca ch'ella  sia  ita  a  male,  ch'assai 
m' importava,  quando  che  per  essa  vi  par- 
lavo liberamente,  come  è  mio  solito;  e 
tanto  piti  eh'  io  la  davo  in  mano  d'  uno 
che  mi  pensava  la  dovesse  aver  buon  ri- 
capito ;  e  tanto  più  quanto  che  molto  gli 
la  raccomandai ,  et  egli  mostrava  aver 
caro  farmi  servigio.  Vi  scrissi  eh'  io,  non 
vi  sentendo  far  parola  d'avei'la  avuta,  mi 


33 
andavo  immaginando  la  gli  fosse  caduta. 
0  più  tosto  stata  tolta ,  perch'  io  m'  ac- 
corsi che,  mentre  io  la  scrivevo,  vi  era 
chi  desiderava  di  lèggerla,  come  anco  la 
vostra  che  voi  mi  scrivevi  per  lui;  ond'  io 
gliela  porsi  in  mano,  e  non  mi  curai  la- 
sciar eh'  egli  la  leggesse.  Sia  che  si  vo- 
glia ,  che  avranno  poi  veduto  ?  Io  voglio 
nondimeno  incolpar  più  tosto  la  trascu- 
raggine  di  Aldobrando.  che  voler  mal  a 
persona. 

Il  Vivaldo  (15)  venne  l'altro  giorno  a 
vedermi,  e  a  dimandarmi  s' io  sapevo  di 
voi;  e  gli  dissi  ch'io  non  avevo  lettere, 
come  era  vero,  molti  giorni  erano  passati. 
Pensarò,  passati  questi  pochi  di  di  sol  leo- 
ne, tornarmene  al  mio  Maiano,  dove  in  fat- 
to sto  meglio  della  persona,  et  anco  della 
mente,  ch'io  non  faccio  a  Fiorenza.  Non  vi 
mando  per  ora  quei  duo  sonetti,  l'un  mio 
e  l'altro  del  frate  della  Doccia,  per  non'"" 
dar  fatiga  a  voi  et  a  me,  senza  propo- 
sito. Basta,  ch'io  lo  mandarò  come  sa- 
remo più  sani  che  non  siamo  ora.  Desi- 
dero bene  che,  come  vi  torna  comodo, 
mi  rimandiate  quei  duo  eh'  io  vi  ho  man- 
dato. Altro  non  dirò  per  questa ,  se  non 
che   cerchiate   star   sano    e  allegro,  e  ri- 

3 


34 

guardarvi    da'  mali  in  questi   tempi  peri- 
colosi. Me  vi  raccomando  di  cuore 

Da  Fiorenza,  alli  6  di  agosto  del  57. 

Di  V.  S. 

Amor. ma 

Laura.  Battikerra  degli  Amannati 

(Di  fuori).  Al  molto  Mag.co  e  Dottiss.nio 

M.  Benedetto  Varchi  mio  semp.  esser. mo 
Alla  Pieve  a  San  Gavino. 


Vili. 

Multo  Mag.co  S.or  mio  osser.mo 

La  lettera  di  V.  S.  mi  è  stata  caris- 
sima, per  il  desiderio  ch'io  avevo  d'in- 
tendere della  vostra  giunta  in  Pisa  sani 
e  salvi.  M.  Bartolommeo  vi  l'ingrazia  di 
quanto  ragionaste  con  M.  Luca  (16),  t^ 
sa  che  '1  tutto  sarà  passato  con  suo  ono- 
re, e  però  ne  resta  soddisfattissimo.  Et 
io  avrò  pacienza,  pregando  Dio  che  fac- 


35 

eia  presto  passar  questo  inverno,  e  mi 
andarò  trattenendo  a  Maiano  più  eh'  io 
potrò.  Venerdì  passato  vi  serissi  a  lungo, 
e  mandai  la  lettera  al  Croeino,  che  sa- 
bato disse  mandarla.  Errai  la  data,  che 
dovendo  dire  a' 5,  dissi  a' 9:  me  n'ac- 
corsi dipoi  eh'  io  ebbi  mandata  la  lettera. 
Vorrei  che  fosse  il  fine  di  questo  mese, 
non  il  principio,  come  è.  Che  M.  Barto- 
lommeo  lavori  le  sue  figure  quassù  que- 
sto verno,  è  impossibile,  non  vi  si  pos- 
sendo  condurre  i  marmi:  però  si  farà  al 
meglio  che  si  potrà. 

Abbiamo  avuto  grandissimo  piacere , 
sentendo  della  lettera  eh'  avete  procurato 
per  Bologna  da  l' lU.mo  e  R.mo  Legato, 
e  credo  eh'  ella  mi  abbia  da  giovar  tan- 
to, che  una  volta  questa  causa  tanto  giu- 
sta averà  quel  fine  che  desideramo,  e  che 
di  ragione  dovrebbe  avere:  e  certo  non 
si  poteva  pensar  meglio  di  quello  che 
pensasti,  quando  appresentasti  quella  sup- 
plica al  Car.le,  né  più  a  mia  utilità.  Sa- 
bato di  sera  mio  marito  mi  portò  la  vo- 
stra, e  iermattina  volsi  scrivere;  ma  certe 
mie  amiche  vennero  quassù,  e  non  ebbi 
comodità  a  scrivere.  Ora  poi  che  siamo 
tanto  innanzi,  se  non  aveste  tempo  a  man- 


3r, 

darla  per  il  procaccio  passato,  la  man- 
ilarete  per  quest'altro  ohe  verrà,  ohe  due 
dì  prima  o  poi  non  importa.  Staremo  a- 
spettando  queste  lettere,  e  se  '1  procura- 
tore non  sarà  guarito,  se  ne  farà  un  al- 
tro, come  voi  dite;  e  se  bisognarà  man- 
dare un  sollecitatore,  si  mandarà,  non 
essendo  da  perder  tempo  ora  che  vi  è 
questa  lettera,  ohe  non  dubito  n'abbia 
da  giovar  molto,  e  tanto  che  forse  si  fi- 
nirà questa  pratica,  che  a  Dio  piaccia. 

Qua  abbiamo  assai  bei  tempi,  assai  più 
ohe  la  stagione  non  comporta;  e  .se  non 
fosse  che  ieri  fui  impedita,  come  ho  det- 
to, M.  Bartolommeo  e  io  andavamo  a  ve- 
der il  lungo  oh'  io  vi  scrissi  della  Bla  da 
Prato  ;  ma  vi  anderemo  la  prima  festa. 
Degli  altri  poi  ve  ne  avisai  quanto  me 
ne  pareva  nell'  altra  mia.  Io  non  dubito 
che  trovaremo  qual  cosa  innanzi  che  ven- 
ga primavera.  Io  ebbi  da  M.  Girolamo 
Razzi  (17)  le  mele  e  i  maroni,  che  V.  S. 
mi  mandava,  che  mi  son  state  care  e 
dolci:  e  ve  ne  ringrazio.  Il  bellissimo  so- 
netto mi  piace,  come  generalmente  mi 
fanno  tutti  i  vostri.  La  signora  Leono- 
ra, moglie  del  Signor  Chiappino,  mi  ha  ' 
mandato  a  dire   che   vorrebbe   eh'  io   fa- 


37 

cesse  un  sonetto  al  suo  marito  (18);- e 
perchè  l' ho  vohita  servire ,  gli  ho  fatto 
questo,  non  ostante  che  le  mie  muse  siano 
di  lor  capo,  e  non  vogliono  far  se  non 
quello  che  loro  aggrada.  Ve  lo  mando 
come  bisognoso  estremamente  del  vostro 
aiuto,  e  me  vi  raccomando  con  tutto  "1 
cuore.  State  sano  e  felice,  che  Dio  vi  con- 
servi. M.  Bartolomrneo  ne  si  raccomanda 
mille  e  poi  mille  volte.  Salutate  il  vir- 
tuosissimo M.  Lelio. 

Da  Maiano,  ulli  9  di.iioveiubi'e  ilul  57. 

Di  V.  S. 

L.\.L'RA    B.VTTIKERRA.    DEGLI    Am.\N.\.\TI 

Ho  fatto  ancor  quest'  altro  sonetto  alla 
S.ra  Leonora  (If).  Avevo  pensato  non  vi 
voler  dare  tanta  briga  a  un  tempo,  e 
mandarlo  un'altra  volta:  ma  rivedetegli 
quando  vi  torna  comodo,  e  di  nuovo  mi 
raccomando. 

(Di  fuori).  Al  moltu  iMag.co  e  DuU.iuk 

M.  Buiiedutlo  Varchi  mio  ossor.o 


38 


IX. 

S.or  mio  osser.mo 

Risposi  alla  lettera  di  V.  S.,  e  dolse- 
mi,  che  mi  pareva  che  quanto  io  vi  a- 
veva  detto  del  podere,  non  l' aveste  preso 
con  quella  buona  mente  eh'  io  avrei  vo- 
luto. E  certo  non  fa  bisogno  che  a  me 
o  ad  altri  io  cavi  del  pensiero  cosa  al- 
cuna che  contraria  sia  al  credere  et  al 
presuposito  vostro,  perchè  mai  v'entrò, 
né  manco,  se  Dio  vorrà,  entrarà  mai  :  ma 
il  timor  nostro  è,  come  vi  scrissi  e  come 
già  dissi  qui  a  M.  Lelio,  delle  malevoli 
lingue  del  mondo,  che  pur  troppo  ardisco- 
no dire  quel  che  non  è,  né  possono  fare  già 
come  voi  dite  che  sia,  ma  che  si  creda 
che  sia  sì  bene;  cosi  non  lo  facessino. 
Ma  lasciamo  andare  da  parte  questi  ra- 
gionamenti ,  eh'  io  non  vorrei  però  ar- 
recar noia  a  voi  in  leggergli,  come  a  me 
a  scrivergli.  Dico  che  non  crediamo  ve- 
der r  ora  che  si  trovi  quassia  una  stanza 
per  voi  ;  e  perchè    quelle  di  Fiesole   non 


39 

ve  paiono  molto  belle,  cioè  ch'abbino 
quella  veduta  che  voi  desiderate,  siamo 
d'intorno  al  marito  della  Bia,  che  mezzo 
n'  ha  dato  intenzione  della  sua,  pereh'  e- 
gli  la  litiga  con  lei,  e  pensa  l'abbia  ad 
esser  sua,  e  credo,  se  la  sarà,  egli  non 
mancarà  di  darla  a  noi ,  che  Dio  lo  ve- 
gli ,  eh'  io  credo  certo  ne  saresti  contento 
sì  per  la  bella  veduta  che  ha,  come  per 
non  essere  né  molto  vicina,  né  troppo 
lontana  di  qui.  Innanzi  che  sia  prima- 
vera non  può  essere  che  non  ci  accomo- 
diamo d'  una,  in  luogo  che  ne  piaccia. 
\'i  sci'issi  della  spesa  che  si  sarebbe  fatta 
intorno  a  quella  del  Deo,  quando  vi  fo- 
ste risoluto  a  pigliarla. 

Vi  scrivo  oggi ,  perchè  ho  le  vostre 
lettere  tardi,  e  non  ho  poi  tempo  a  scri- 
vervi. Ho  avuto  questa  settimana  una  let- 
tera da  M.  Bernardino  Bazino  dalla  Corte 
del  re  Filippo,  e  mi  avvisa  di  certi  miei 
sonetti,  eh'  io  non  so  come  sono  accapi- 
tati  in  quelle  bande  ;  e  dice  che  sono 
stati  lodati ,  e  mi  prega  a  dir  qualche 
cosa  in  lode  di  quel  re  o  della  reina.  Io 
che  non  mi  conosco  tale  ch'io  possa,  o 
sappia,  sopra  tant'alto  soggetto  sciogliere 
pur  la   lingua,  non   che   cantare,  gli  ri- 


40 

spondo  con  questo  sonetto  e'  ora  vi  man- 
do :  e  di  poi,  non  so  come,  ho  fatto  que- 
sti dui  che  vederete,  e  vi  priego  che  così 
di  questi  come  degli  altri  eh'  io  vi  man- 
do, quando  vedete  non  riuscire  a  vostro 
modo,  gli  brusciate  senza  affaticarvegli 
sopra,  che  mi  sarà  carissimo;  perch'io, 
per  cagione  di  esercitarmi ,  sopra  a  quel 
soggetto  che  mi  giugne  in  pensiero  faccio 
qualche  cosa,  e  poi  con  quella  confidenza 
ch'io  ho  in  voi,  ch'ai  mondo  non  po- 
trebbe essere  né  maggiore  né  più  grande, 
ve  gli  mando  ;  et  ho  più  caro,  quand'  io 
sento  che  vi  siano  piaciuti ,  eh"  io  non 
avrei  che  tutto  il  mondo  insieme  me  gli 
lodassi.  Però  come  di  cose  vostre  fatene 
quel  che  più  vi  par  di  fare.  Io  ebbi  let- 
tere dal  S.or  Chiappino  e  da  M.  Sforza, 
che  dicono  il  mio  sonetto  esser  molto 
piaciuto  alla  Corte:  e  questo  l'ho  voluto 
scrivere,  perchè  tutto  è  mercè  vostra.  Non 
mi  terrei  mai  eh'  io  non  vi  mandassi  un 
madriale  di  M.  Gioan  Batista  Strozzi  (20), 
che  fa  maravigliare  tutta  Fiorenza  delle 
sue  bellezze,  e  beato  chi  più  lo  può  lo- 
dare :  si  che  vedete.  Salutate  M.  Lelio 
assai  per  mio  nome,  e  ringraziatelo  del 
sonetto  bellissimo  che  mi  mandò    1'  altro 


41 

giorno.  lersera  di  notte  io  ebbi  la  vostra 
lettei'a  con  il  sonetto  del  Razzi  e  la  ri- 
sposta vostra ,  che  mi  paiono  molti  belli 
e  buoni.  E  non  avendo  per  ora  che  dire 
altro,  me  vi  raccomando  con  tutto  il 
cuore  insieme  con  M.  Bartolorameo.  Qua 
vi  è  un  cattivissimo  tempo,  e  un  vento 
sì  terribile  che  par  che  voglia  gettar  a 
terra  la  casa  e  gli  arbori,  di  modo  eh'  io 
mi  penso  tornarmene  a  Fiorenza  piìi  pre- 
sto eh'  io  non  volevo.  State  sano. 

Ua  Maiano,  alli  XI  di  dicembre  del  LVIl. 
Di  V.  S. 

.\mor.rna 

Laura  Battiferr.\  degli  Ammannati 

(Di  l'uori).  Al  mollo  Mag.co  e  Doti. ino 

M.  Uenedetto  Varchi  mio  seiiip.  osser.mu 


42 

X. 

Mollo  Mag.co  M.  Benedetto  mio  osser.mn 

Giunti  hanno  fornito  di  stampare  il 
mio  libro  (21):  et  io  pensava  che  M.  Bar- 
tolommeo  fusse  a  quest'  ora  tornato  da 
Roma,  come  egli  m'  aveva  scritto,  e  non 
è  stato  il  vero ,  perch'  io  desiderava  ve- 
nire lassù  da  V.  S.,  e  ragionare  con  esso 
lei  come  avevamo  a  far  quella  lettera  de- 
dicatoria (22).  Io  n'  aveva  fatta  una  boz- 
za; ma  perchè  non  ho  mai  più  latte  di 
simili,  non  mi  è  riuscita,  perchè  avendo 
a  dire  poche  parole  (che  secondo  me  non 
accade  che  siano  molte),  vorrei  che  le  fus- 
sero  più  acconcie  e  belle  di  quelle  eh'  io 
so  dire  io:  onde  vi  prego  con  tutto  '1 
cuore  che,  poi  che  avete  fatto  tanto,  come 
è  stato  quello  c'avete  fatto  sin  qui,  che 
foste  contento  ancora  far  questo  resto  di 
formarmi  quelle  parole,  che  parrà  a  voi 
che  stiano  bene.  E  per  dirvi  parte  di 
quella  bozza  eh'  io  aveva  fatto ,  io  non 
entrava   in    quel    gran    pelago,    che   tanti 


43 
hanno  usato  e  usano  tuttodì,  di  lodar  la 
Duchessa  a  cui  ha  da  ire  il  libro,  e  scu- 
sar me ,  che  troppo  che  far-e  arei  ad    u- 
scirne;  e  poi  il  primo  e  1'  ultimo  sonetto, 
se  ben  V.  S.  si  ricorda,  son   tutti  sopra 
questa  materia   fatti,  e  di  questo   ragio- 
nano  (23):  ma   ringraziava   bene  la  mia 
buona  fortuna ,  che  m'  aveva   porto   que- 
sta occasione  di  mostrare  a  S.  E.  IH. ma 
la  mìa  osservanza  e  divozione   con   que- 
sto picciolo  segno,  sacrandole  queste  mie 
poche   fatiche,  e  eh'  io  di  ciò   ne  teneva 
anco   obligo    grande   con    quelli,  i  quali 
volendo  far  stamparle  centra  mia  voglia 
erano   stati   cagione   eh'  io  m'  ei^a  mossa 
a  mandarle  fuora  io  ,  temendo  non  stor- 
piate   e    con    peggior    forma    eh'  elleno 
non  sono  fossero  vedute,  cosa  che  da  me 
giamai  era  per  farsi;  e  questo  voleva  io 
che  servisse  per  scusa  d' averle  fatte  stam- 
pare. Ho  voluto   accennare  a  V.  S.   1'  a- 
nimo   mio,  riportandomi   poi   tutta   tutta 
a  quanto  le  parrà  meglio,  perciò  che  ella 
molto   meglio  lo  sa  dormendo   eh'  io  ve- 
gliando non  lo  so,  né  son    mai   per  sa- 
pere.   Arò   anco   caro  di  sapere   come  le 
pare  che  stia  meglio  dire  l'intitolazione: 
0  Prima   Parte  delle  rime  e  de'  versi  di 


14 
Laura  ecc.  ,  o  Prima  Parie  dell'  Opi're 
Toscne,  o  Libro,  come  meglio  vi  pare, 
sendovi  e  rime  e  versi  mescolati.  Né  altro 
occorrendomi  fo  fine,  a  V.  S.  di  tutto 
<uore  raccomandandomi  che  nostro  Si- 
gnore lo  doni  quanto  la  desidera. 

l»i  Fiorenza,  al!i  25  di  Novembre  del  LX. 

V.  S.  pigli  pure  la  sua  comodità,  e  non 
guardi  ch'io  abbia  detto  che  il  libro  sia 
formato,  perch'  io  lo  farò  aspettai'e  quanto 
la  vorrà.  E  me  le  raccomando  di  nuovo. 

Di  V.  S. 

Amor. ma 
L\URA    B.\TriFERR\   DEGLI    AMANNATI 

M.  Giovan  Andrea  dall'Anguillara  è  in 
Fiorenza,  e  sì  eh"  egli  vuole  venire  a  tro- 
var V.  S.,  credo  per  mostrarle  il  suo  li- 
bro delle   Trasformazioni  (24). 

(Di  l'uovi)  Al  molto  Mag.co 

M.  Benedetto  Varchi  mio  sempre  esser. mo 


45 


XI. 

Molto  Mag.co  S.or  mio  osser.mo 

Mando  a  \.  S.  un  sonetto,  qual  ho 
fatto  per  quella  S.ra  Lucia  Bertana  (25), 
che  quello  Spina  mi  ha  tanto  lodata.  Se 
vi  parrà  eh'  io  glielo  mandi ,  n'  aspetto 
il  suo  giudizio ,  e  così  s' io  debbo  dar 
r  altro  a  lui ,  benché  già  un'  altra  volta 
lo  vi  mandai  e  non  lo  riebbi,  forse  per 
non  vi  piacere,  onde  vi  ho  fatto  di  poi 
non  so  che:  non  so  se  starà  meglio  o 
peggio.  Ieri ,  che  fu  domenica ,  vennero 
qui  in  casa  M.  Pier  Vettorio  e  1'  umani- 
sta di  Pisa,  guidati  da  M.  Baccio  Valo- 
ri (26);  al  quale  son  molto  obligato,  per- 
chè mi  fece  grandissimo  piacere,  deside- 
rando molto  vedere  quei  duo  grandi  uo- 
mini, i  quali  io  prima  non  conosceva. 

V.  S.  stia  sana  e  lieta, -che  Dio  la  con- 
tenti sempre.  M.  Bartolomeo  se  le  racco- 
manda: et  io  di  buon  cuore. 

Il  Bronzino  non  può  esser  capace,  per 
molto  eh'  io  gli  abbia  detto  la  mia  oppi- 


46 

nione  ,  dove  si  riferisca  quella  ella  del- 
l' ultimo  verso  del  primo  quadernario  nel 
mio  sonetto  al  Casale ,  in  morte  della 
Marchesa  di  Massa,  qual  vidde  V.  S.  che 
dice: 

Casale ,  oiniè  !  clie  dite  voi  di  quella 
Che  '1  mondo  tutto  in  un  momento  attrista? 
Parve  ci  che  iguanto  in  molli  anni  s'  acquista 
Repentina  e  crudel  sgombri  con  ella  ! 

Onde  mi  sarà  caro  udire  il  parer  di  V. 
S.,  che  so  gli  crederanno  e  staranno  che- 
ti (27).  Dio  vi  doni  quanto  desiderate! 

Di  Fiorenza,  alti  21  di  luglio  del  61. 

Di  V.  S. 

AlTezionat.ma 

La.ur.\  Battiferra.  degli  Am\nn.\ti 


XII. 
Molto  Mag.co  S.or  mio 

S.or  Luca  Sorgo  in  ha  mandato  l'iu- 
L-lusa  lettera,  acciocch'  io  in  assenza  dello 


47 

Spini,  che  dice  essere  ito  a  Pisa,  la  mandi 
a  V.  S.  e  le  raccomandi  anco  il  negozio 
di  questo  Valente,  che  nel  vero  venendo 
egli  in  questo  paese,  sarebbe  utilità  gran- 
de, che  si  uscirebbe  pure  dalle  mani  di 
questi  Giunti.  E  se  V.  S.  non  vede  di 
far  ciò  Ella,  non  so  chi  vorrà  o  potrà 
mai  farlo  ;  onde  ve  ne  prego  anch'  io  con 
questi  altri  tutti. 

Io  ebbi,  mentre  era  amalata,  un  so- 
netto della  S  ra  Laura  Terracina  (28).  al 
qual  feci  la  risposta;  ma  non  gli  lo  man- 
dai. Ora,  perch'  ella  m' importuna  che  la 
vuole,  la  mando  a  V.  S.  che  la  vegga:  e 
molto  di  tutto  cuore  me  le  raccomando , 
e  le  prego  ogni  contento.  M.  Bartolomeo 
le  bacia  le  mani,  e  ringrazia  V.  S. 

Di  Firenze,  al  primo  di  marzo  del  (i-2. 

Di  V.  S. 

Affezionat.nia 
L.\LRA.    B.\TTIFERRA   DEGLI    AmANXATI 


48 


XIII. 


S.or  mio  osfser.mo 

L'  altro  giorno  fu  qui  il  Sor  Marco  e 
mi  pregò  che,  scrivendo  a  V.  S.,  glielo 
raccomandassi  assai,  del  che  non  ho  vo- 
luto mancare ,  e  con  questa  salutarla  as- 
sai ,  come  io  fo.  Egli  mi  portò  un  so- 
netto che  favellava  di  me ,  e  un  altro  a 
me  proprio ,  il  quale  mi  darà  che  fare  per 
la  difficultà  delle  sue  rime,  onde  arò  poi 
bisogno  del  vostro  aiuto.  Con  seco  era 
lo  Spini,  che  avendo  preso  una  leprettina 
sotto  i  colli  di  Fiesole,  me  la  donò,  e 
disse  eh'  io  mandassi  a  V.  S.  questa  sua 
inclusa,  che  le  mandava  non  so  che  epi- 
gramma fatto  da  lui  sopra  tal  soggetto. 
Io  ho  letto  due  sonetti  spirituali.  Piacerà 
a  V.  S.  rivedergli  con  suo  agio:  e  come 
ella  più  viene  in  Firenze,  di  grazia  rubi 
tanto  tempo  ch'io  la  vegga,  che  non  so 
ormai  che  mi  credere;  né  altro  ho  che 
dirle  con  questa  ,  se  non    che  M.    Barto- 


49 

lomeo  e  io  ce   le   raccomandiamo   et   of- 
ferriamo. 

Di  Firenze,  ali!  15  di  marzo  del  62. 

Di  V.  S. 

Affezionai. ma 
L.\URA    B.VTTIFERRA    DEGLI    AmANN.\TI 

(Di  fuori).  Al  molto  Mag.co  et  Doltiss.o 

M.  Benedetto  Varchi  mio  osser.mo 


XIV. 

S.or  mio  osser.mo 

Dissi  ben  io  che  farei  un  sonetto  e"  a- 
rebbe  assai  bisogno  della  vostra  lima, 
come  vederete,  che  vi  prego  a  rivederlo, 
come  potete  prima,  poiché  '1  S.or  Mario 
lo  chiede  ogni  dì  ;  e  forse  spera  di  veder 
qualcosa  di  bello,  sì  che  fate  voi.  Quello 
coma  non  so  se  vi  piacerà  né  meno  nel 
modo  eh'  egli  sta  ;  e  quello  lìianto.,  e  canto 
usato  pur  nel  suo,  ma  pare  a  me  in  altro 
significato.  Ho  veduto  i  vostri  sonetti  al 
Salviati,  e  le  sue  risposte,  da  lui  proprio. 

4 


50 
che  è  stato  qui  oggi.  Baciovi  le  mani,  e 
me  vi  raccomando    insieme   con  M.  Bar- 
tolomeo. 

Di  casa ,  alli  26  di  marzo  del  63. 

Di  V.  S. 

AlTozionat.ma 

Laur.^  B.vttikerra.  degli  Am\nn.vti 

(Di  fuori).  Al  Molto  Mag.co 
M.  Benedetto  Varchi,  mio  sempre  esser. mo 

XV. 

S.or  mio  osser.mo 

Non  vorrei,  non  che  pensare,  ma  né 
anche  sognare  di  fare  o  dire  cosa  che 
n'  avesse  a  dare  un  menomissimo  trava- 
glio e  disturbo  di  mente,  amandovi  e  o- 
norandovi  con  tutto  il  cuore  e  sopra  tutte 
le  cose,  come  faccio:  e  pare  che  la  mia 
disgrazia  voglia  che  non  dico  mai  cosa 
che  non  v'  abbiate  a  dolere  e  ad  alterare. 
S"  io   conosco   quanto   poco  io  vaglio ,  e 


51 
quel  eh'  io  sono,  e  quello  che  da  me  posso 
mai  essere  ;  e  in  parte  poi  quanto  voi  va- 
lete, quello  che  voi  sete,  e  che  non  po- 
trete mai.  più  essere  più  che  vi  siate,  es- 
sendo gionto  al  colmo  di  tutte  le  perfe- 
zioni, perchè  volete  ch'io  le  dissimuli,  o 
eh'  io  le  taccia  ?  Se  pur  conoscerò  farvi 
servizio,  mi  sforzare  far  1'  uno  e  1'  altro, 
e  col  dar  fede  alle  parole  vostre,  in  que- 
ste come  in  l'altre  cose,  persuaderò  me 
stessa  a  credere  che  '1  vostro  molto  me- 
rito sia  mio,  e  '1  mio  poco  sia  vostro.  E 
intorno  a  ciò  non  dirò  altro,  se  non  che 
mi  rimetto  al  perfetto  giudizio  vostro, 
sì  circa  al  comporre  come  a  fare  quan- 
to v'aggrada,  essendo  risoluta  che  non 
possiate  errare.  E  me  vi  raccomando  di 
cuore  (29). 

Di  casa,  a  li  14  di  marzo. 

Di  V.  S. 

Amor. ma 

Laura  Battiferra  degli  Amannati 

fDi  fuori).  Al  molto  Mag.co 
M.  Benedetto  Varchi 
maggiore  e  patron  mio  esser. mo 


XVI. 

S.or  mio  osser.nio 

Perdi'  io  non  vorrei  cadere  in  censura 
del  Castelvetro,  dicendo  io  in  un  verso 
del  primo  sonetto  alla  Duchessa  sarag- 
gio^  poiché  '1  Petrarca  non  l' ha  detto 
egli,  né  altro  eh' a  me  sovvenga,  mando 
a  V.  S.,  a  ciò  la  mi  dichi  il  suo  parere; 
perchè  s' io  lo  faccio  dire  sarò^  pare  a 
me  che  '1  verso  non  patisca  perciò: 

E  se  mai  nulla  fui ,  sarò  o  sono. 

E  così  verrò  a  giucare  al  securo,  ancor 
oh'  io  non  so  se  verrebbe  ad  ora  alla 
stampa  (30).  11  parere  di  "V.  S.  mi  acque- 
tara:  al  qual  mi  rimetto,  e  le  bacio  le 
mani ,  e  me  le  raccomando. 

Di  rasa  (31). 

Di  V.  S. 

Amoros.nia 

(In  fuori).  Al  molto  Maj^.co  S.or  mio  osser.mo 
M.  Denedetto  Varrlii 


>J   O  T  E 


(1)  U  murilo  di  Laura  Baltilcna  fu  Bartolommuu 
Ainniannati,  nato  in  Firenze  il  dòli,  morto  nel  1592. 
Egli  lasciò  bella  fama  di  ardii  letto  e  tli  scultore  per 
le  opere  fatte  in  Firenze,  Padova  e  Roma;  e  non 
mancò  di  eleganza  nello  scrivere,  come  n'è  prova  la 
Lettera  agli  Accademici  del  Disegno  (Firenze,  Ma- 
tini,  i68"),  citata  dall'Accademia  della  Crusca  nel 
suo  Vocabolario.  Il  inio  ottimo  amico  cav.  Gaetano 
Milanesi  pubblicò  nel  1869  (Firenze,  Tipografia  Ben- 
cini)  due  lettere  inedite  di  lui,  che  parlano  dei  lavori 
di  scultura  eh'  egli  avea  preparati  per  1'  apparato  da 
farsi  in  Siena  nella  venuta  del  dura  Cosimo  de'  Me- 
dici, e  delle  storie  da  porsi  nella  base  di  una  colonna 
di  granilo,  su  cui  doveva  andare  la  statua  in  bronzo 
di  quel  duca. 

(2)  Maestro  Antonio  Crocini,  intagliatore,  a  cui  il 
Varchi  scrisse  il  sonetto:  Mentre  lungo  il  Mugnon 
d'  un  verde  pioppo  ec. 

(3)  In  morte  di  Caterina  Cibo,  duchessa  di  Came- 
rino, scrisse  Laura  quattro  sonetti,  che  son  prova  del- 


54 

l'amore  con  die  l'aveva  amata  in  vita;  e  prova  più 
sincera  ne  son  le  parole  di  questa  lettera. 

(4)  M.o  Francesco  Laronii  ila  Montevarchi,  celebre 
medico  di  quell'età,  al  quale  la  nostra  Laura  diresse 
il  seguente  sonetto: 

Nuovo  Esrulapio,  che  di  Febo  al  paro 
Di  virluto  ven  gite  e  di  splendore, 
Poi  che  di  lume,  e  non  men  di  valore, 
Seti;  or  (qual  ci  fu  già)  dotato  e  chiaro  ; 

liun  deve  il  ciel ,  ben  dee  tenervi  caro 
Il  mondo  tutto,  poi  rh'  a  quell'  onore 
Spento,  rendete  a  questo  quel  vigore, 
Che  torna,  dolce  il  viver  nostro  amaro. 

Ond'  io  che  dianzi  infìno  a  l'uscio  corsi 
Di  lei,  ■che  l'erbe  e  i  sughi  vostri  suole 
Temer,  quanto  altri  .i  suoi  S]iretati  morsi, 

Alrno  Francesco,  mio  terreno  sole, 
Quando  d' esser  per  voi  viva  m'accorsi. 
Vi  sacrai  1'  alma  ,  che  v'  ammira  e'  cole. 

(5)  Due  sono  i  sonetti  a  Madonna  Lucrezia  de' Se- 
derini tra  gli  scritti  dalla  Battiferra,  e  non  so  certo 
qual  sia  quello  che  manda  al  Varchi  con  questa  let- 
tera. Il  veder  però  che  l'ha  partorito  fra  tanti  tra- 
vagli di  mente  e  di  corpo  mi  fa  credere  possa  es- 
sere il  seguente,  che  fair  in  mezzo  a  certe  freddure 
petrarchesche  d' imitazione  cinquecentistica,  palesa  lo 
stato  dell'  animo: 

Di  fredda  speme  b  calda  tema  cinta 
In  dubbia  pace  e  certa  guerra  io  vivo: 
Me  stessa  a  morte  loglio,  e  tt»lta  privo 
Di  vita,  a  un  tempo  vincitrice  e  vinta. 

Or  mi  fermo,  or  m'arretro,  orrisospinla 
Cammino  inanzi;  or  lento,  or.firtrgitivo 
U  passo  muovo;  or  quanto  in  carta  scrivo 
Dispergo;  or  vera  mi  dimostro,  or  finta. 


oo 

Piango  e  rido  ;  or  ni'  arrosso,  or  mi  scoloro  ; 
Or  vo  cara  a  me  stessa ,  or  vile  ;  or  giaccio 
In  terra,  or  sovra  '1  ciel  poggiando  volo. 

Talor  quel  eh'  io  vorrei  disvoglio  e  scaccio, 
Me  stessa  affliggo  e  me  stessa  consolo: 
In  tale  stato  ognor  vivendo  moro. 
(0)  In   questa ,    come  in   altre  lettere  posteriori,  si 
parla  di  alcuni  alTari  domestici  di  Laura  e  del  marito 
di  lei,  pei  quali  il  buon  Varchi  volentieri  usava  della 
sua  autorità  e  delle  sue  molte  amicizie,  atlìne  di  gio- 
var loro. 

(7)  Lelio  Bensi  fu  uomo  di  molte  lettere  e  amicis- 
simo di  Benoiletto  Varchi,  con  cui  ebbe  frequente 
corrispondenza  poetica. 

(8)  Il  sonetto  del  Varchi,  di  cui  si  parla  qui,  è 
forse  quel  che  comincia  :  Amor  per  sua  bontà  i  ali 
oggi  impiume,  e  che  risponde  all'  altro  di  Laura  : 

Varchi,  eh'  al  ciel  le  gloriose  piume 
Qual  bianco  cigno  eternamente  alzate, 
Cinto  le  tempie  delle  vostre  amate 
Prendi ,  e  si  care  al  gran  rettor  del  lume  ; 

Se  chi  voi  lodar  vuole ,  invan  presume 
Rendervi  conto  alla  futura  etate  ; 
Se  le  glorie  presenti  e  le  passate 
Sono  al  vostro  valor  picciol  volume; 

Io  come  mai  potrò  pur  col  pensiero 
L'  orme  di  voi  seguir,  presso  o  lontano, 
Che  'n  terra  giaccio  augel  palustre  e  reco? 

Ben  ho  provato  sopra  il  corso  umano 
Ergermi  dietro  il  vostro  raggio  altero. 
Ma  tosto  Icaro  fui  tremante  e  fioco. 

(9)  Il  sonetto  di  Lelio  Bonsi  comincia:  Quando  da 
lungo  e  grave  sonno  desta,  ed  è  pubblicato  nel  Pri- 
mo libro  delle  opere  toscane  di  Laura,  insieme  alla 
risposta  di  lei,  che  è  la  seguente: 


56 

Anima  bella,  che  leggiera  e  picsU, 
Con  le  piume  eh'  altere  ti  denaro 
Tuo  merlo  e  altrui  valor  pregiato  e  raro, 
Ten  voli  a  vera  gloria  e  manifesta  ; 

Che  può  la  mia ,  a  cui  fera  e  molesta 
S'  oppon  fortuna ,  si  che  'n  molto  amaro 
Cangia  '1  suo  poco  dolce ,  e  Febo  avaro 
Quanto  a  te  largo  i  suoi  tesor  non  presta  ; 

Se  non  seguir  cos'i  gravosa  e  zoppa 
La  luce  tua,  che  le  più  chiare  stelle 
Avanza  e  dì  virtule  e  di  chiarezza? 

Né  altra  strada  cerch'io,  perchè  favelle 
Di  me  la  gente  in  Elicona  avvezza. 
Scevra  da  lei  eh'  a  tergo  mi  galoppa. 

(10)  Forse  parla  dell'altro  sonetto  a  Lucrezia  de'So- 
derini:  Così  come  in  un  forte  animo  altero  ec. 

(11)  Credo  la  nostra  Laura  voglia  parlare  del  gran 
Benvenuto  Cellini,  e  di  quel  sonetto  che  a  lui  indi- 
rizzò il  Varchi,  per  consigliarlo  a  lasciar  le  basse 
cose  del  mojKio, 

E  tutta  ergere  al  del  la  nostra  spene. 

(12)  M.o  Francesco  da  Montevarchi,  di  che  è  par- 
lato più  sopra. 

(13)  V.  tra  le  Rime  di  Benedetto  Varchi  e  tra' so- 
netti pastorali  quelli  ricordati  qui  da  Laura  Bat- 
tiferra. 

(14)  Maestro  Antonio  Crocini  s.  e. 

(15)  M.  Michclangiolo  Vivaldi,  amico  del  Varchi, 
e  poeta  di  qualche  valore. 

(16)  M.  Luca  Martini,  cui  è  indirizzato  il  sonetto: 
Deh  !  se  quel  vivo,  chiaro  sol ,  che  luce 

Sì,  che  non  pur  lo  suo  toscan  paese 
Rischiara  e  desta  a  gloriose  imprese , 
Ma  '1  mondo  lutto  al  primo  opr»  itonduce; 


57 

A  quella  chiara  vostra  e  viva  luce, 
Che  mai  non  eclissò,  largo  e  cortese 
Giunca  sempre  splendor,  che  senza  offese 
Di  nebbie  o  venti  altrui  sia  scorta  e  duce  ; 

Lasciate  (prego)  le  pisane  sponde. 
Luca  gentile,  e  venite  ove  Fiera 
Vostra  vi  chiama  oijnor  tanti  anni  indarno. 

Ella  vi  chiama  ,  ma  nessun  risponde  : 
Venite  ornai ,  che  qui  sarete  ancora 
Utile  e  caro  al  duce  d'Arbia  e  d'Arno. 

(17)  Girolamo  Razzi,  uomo  di  buone  lettere,  che 
ebbe  fama  specialmente  per  alcune  conmiedie,  fu  fra- 
tello a  Don  Silvano,  uno  dei  migliori  amici  del  Var- 
chi, del  quale  scrisse  la  vita. 

(18)  Si  hanno  tra  le  rime  della  n.  Laura  tre  sonetti 
al  signor  Chiappino  Vitelli,  capitano  valoroso,  che  co- 
minciano : 

Se  gli  antichi  scrittori  ornar  le  carte  ec. 

Non  r  alta  penna  e  no  'I  purgato  inchiostro  ec. 

Chi  mi  darii  di  sacra  quercia  altera  ec. 

(19)  Alla  signora  Leonora  Cibo  de' Vitelli ,  moglie 
di  Chiappino,  son  indirizzati  varii  sonetti  della  Balti- 
ferra.  Quello  di  che  si  parla  nella  presente  lettera  è 
ila  credere  sia  il  primo  : 

0  di  casta  bellezza  esempio  vero, 
E  di  rara  virtude  ardente  raggio. 
Donna ,  che  'n  questo  uman  cieco  viaggio 
Ne  mostrate  del  ciel  1'  alto  sentiero  ; 

Voi  sola  il  nostro  verno  ingrato  e  nero 
Cangiate  in  chiaro  e  grazioso  maggio; 
Voi  sola ,  col  parlar  cortese  e  saggio, 
Hendete  umile  ogn' aspro  ingegno  e  fero; 

Tal  eli'  in,  che  vaga  son  del  vostro  lume  , 
Con  r  ali  del  pensier  tant'  alto  ascendo, 
Quanto  in  bianco  augel  basta  a  cangiarme. 


Indi,  fuor  d'ogni  mio  vecchio  costume, 
Da  Voi ,  dalla  stagion  novella  prendo 
Tanto  vigor,  eh'  io  sento  eterna  farme. 
Alla  medesima  Leonora  Vitelli  dedicò  Laura   1'  Inìw 
di  santo  Agoilino  tradotto  in  versi  sciolti,  e  l'e- 
gloga L'Europa. 

(20)  Giov.  Batta   Strozzi,  detto  il  vecchio,   che  fu 
l'autore   dell'epigramma,  a  cui   forse  vuol  alludere 
qui  la  n.  Laura,  in  lode  di  quella  stupenda  notte  che 
Miclielangiolo  avea  scolpita  per  le  tombe  medicee: 
La  notte  che  tu  vedi  in  si  dolci  alti 
Dormire,  fu  da  un  Angelo  scolpita 
In  questo  sasso;  e,  perchè  dorme,  ha  vita: 
Destala ,  se  noi  credi ,  e  parteralli. 
(•21)  Il  primo  libro  dell'opere  toscane  di  M.  Laura 
Batti  ferra  deijli  Ammannati.  In  Fireme,  appi-esso 
i  Giunti,  MlìLX. 

(22)  Ecco  la  dedicatoria,  di  che  si  parla,  quale  leg- 
gcsi  innanzi  al  volume  stampalo  dai  Giunti  : 

All'illustrissima  et  eccellentissima  signora,  la  S. 
Leonora  di  Tolledo,  Duchessa  di  Firenze  et  di  Siena, 
Signora  e  padrona  sua  osservandiss. 

Io  pensava  ail  ogn'  altra  cosa  piiì ,  Illuslrissima  et 
Eccellentissima  Signora  Duchessa,  che  a  dover  fare 
in  questi  tempi  alcuno  stampare  de'componiraenti  miei, 
ma  havendo  io  da  persone  degne  di  fede  per  cosa 
certissima  inteso ,  che  alcuni  havendone  già  buona 
quantità  ragunati,  e  cercando  tuttavia  di  ragunarne 
degli  altri,  volevano  senza  non  dico  licenza,  ma  sa- 
puta mia  publicargli ,  mi  conmiossi  non  poco,  e  non 
sappiendo  altro  che  farmi,  mi  risolvei  per  minor  male, 
con  licenza  di  mio  marito,  e  consiglio  di  più  amici, 
di  dargli  alla  stampa  io  medesima,  e  indirizzargli  al 
glorioso  nome  di  V.  E.  lUustr.,  non  perchè  io  gli 
credessi  degni  di  tanta  altezza ,  ma  per  moslrarlemi 


;'  59 

in  quel  modo,  che  io  pot«va,  se  non  del  tutto  graia, 
almeno  rirordevole  in  parte  de' benefizi! ,  die  Ella  e 
r  Illustrissimo  sii^nor  Duca  hanno  fatto  e  fanno  tutto 
il  giorno  molti  e  grandissimi  a  me  e  a  M.  Bartolo- 
meo mio  marito,  il  quale  non  desidera  altro  insieme 
con  esso  meco,  che  di  potere  sì  come  fedilmente,  cosi 
degnamente  ancora,  servirle.  Degnisi  dunque  Vostra 
Eccellenza  Illustrissima  per  la  natia  bontà  e  infinità 
liberalità  sua,  prendendo  in  grado  1'  osservanza  e  di- 
vozione sua  e  mia  ver  lei,  accettare  queste  mie  fati- 
che, qualunque  si  siano,  e  mantenerci  nella  buona 
grazia  di  lei  e  dell' Illustrissimo  et  Eccellentissimo  con- 
sorte suo,  il  quale  nostro  Signor  Dio  insieme  con  esso 
lei,  e  con  tutta  l'Eccellentissima  et  lUuslrissima  Casa 
loro  conservi  lunghissimo  tempo  sano  e  felice. 

Di  V.  E.  lUustriss. 

Humiliss.  e  divoliss.  serva 
L\i;r\  Battiferra  degli  Ahannati. 

(23)  V.  i  sonetti,  che  cominciano: 

.  •  «  A  voi  d(mna  roal  consacro  e. dono  ec.  » 
«  Felicissima  donna  ,  a  mi  s' inchina  ec.  » 

(2ì)  G..  A.  dell'AnguilIara  diSulri,  celebre  per  la 
sna  (raduziono  in  ottava  rima  delle  Metamorfosi  di 
Ovidio. 

(2.'))  Lucia  Bertana,  letterata  modanese,  della  quale 
nel  carteggio  di  B.  Varchi  si  trova  una  lettera  a  lui 
scritta  in  questo  medesimo  anno,  che  mi  piace  pub- 
blicare come  inedita  : 

Molto  Mag.co  S.r  come  maggior  fratello  oss.mo 

Quel  lungo  desiderio,  eh'  io  ebbi  sempre  di  visitare 
et  conoscere  V.  S.  con  mie. lettere,  non  l'avendo 
mai  adempito  per  diverse  cagioni,  mentre  chQ.mi 
pareva  quasi  una  mera  prosuntione,  senza  il  mezzo  di 
alcuna  persona,  fare  un  S'mile  effetto,  ora  mi  è  con- 
cesso di  poterlo  conseguire  mediante  il  mezzo  del  gén- 


60 

tiliss.o  Mr.  GliorarJo  Spina ,  che  da  coleste  bando 
viene  per  sue  faccende.  Ond'  io  non  lio  voluto  per- 
dere cosi  accomodata  occasione,  ma  ho  signiGcato  a 
lui  quel  puro  affetto  eh'  io  porto  alla  virtù  et  valor 
suo,  et  a  cosi  virtuoso  testimonio  ho  dato  un  mio  so- 
netto a  lei,  qual  egli  si  sia,  non  mi  parendo  con  V.  S. 
necessarie  le  scuse,  che  in  ciò  li  potessi  adurre  ;  eh'  io 
sono  stata  ardita,  roco  augello,  presentare  i  miei  canti 
a  cosi  canoro  cigno,  et  questo  deverei  bene  scusare. 
Ma  io  mi  sono  confidata  nella  sua  gentilezza  immen- 
sa, che  tutto  acceltar  debba  da  me  cortesemente,  scu- 
sando la  mia  ignoranza,  et  agrmlcndo  il  mio  buono 
et  sincero  animo  verso  di  lei.  Ma  perchè,  dicendo 
con  più  parole  quello  che  meglio  di  me  spiegherà  il 
detto  Mr.  Gherardo,  io  porgerei  a  V.  S.  tedio  et  a 
me  fastidio,  mercè  della  mia  poca  sofllcienza ,  a  lui 
mi  rapporto;  et  a  lei  in  queste  bande,  o  dove  io  pos- 
sa, mi  offero  in  ogni  sua  occorrenza,  et  raccomando 
ron  il  s.r  mio  consorte. 
-  Di  Modena,  alli  XX  di  settembre  1561. 
Di  V.  S.  Mag.ca  et  virtuosa 

come  sorella  amor. ma 
Lucia  Bertana.     - 

(26)  Pier  Vettori  (n.  1499,  m.  1585)  fu  uonw  dot- 
tissimo nelle  lettere  greche  e  latine,  e  giovò  nel  suo 
secolo  agli  studi  classici  con  1'  erudizione  e  con  la 
critica,  quanto  nessun  altro  filologo  del  secolo  XVI. 
Sarebbe  opera  degna  de'  nostri  tempi  una  raccolta 
degli  scritti  di  lui. 

(27)  Intorno  a  questa  quistione  ecco  una  lettera 
dottissima  del  Varchi  alla  n.  Laura,  che  è  necessario 
rompimento  delle  parole  di  lei  : 

Mollo  Magn.  e  Virtuosiss.  M.  Laura 
sig.  mia  osseq. 
Io  ho  ricevuto  e  letto  e  consiJeiato  questa  sera  la 


61 

lettera  di  V.  S.,  nella   quale  erano  il  vostro  sonetto 
clie  comincia  : 

Casale,  oimè,  che  dite  voi  di  quella, 
Che  'I  mondo  tutto  in  un  momento  attrista? 
e  oltra  il  sonetto  due  polizze,  la  prima  delle  quali 
dice  così  :  Le  difficultà  soii  queste  a  dichiararlo 
come  egli  fa:  una  a  interpetrare  sgombri  idest 
porti,  con  ella  idest  seco,  starebbe  benissimo,  se 
non  quant'  io  non  trxiovo  sgombrare  in  alam  luogo 
per  portare;  l'  altra,  a  pigliare  sgombri  nel  suo 
vero  significato,  «dfsZ  ruoti,  scacci  e  mandi  ria, 
a  me  par  duro  questo  modo  di  par-lare.  La  morte, 
che  qui  è  agente,  fa  la  tal  cosa  con  sé  stessa,  pa- 
rola in  tutto  rana  e  ociosa.  La  seconda  polizza,  la 
quale  è  del  medesimo  sentimento  che  la  prima ,  ma 
per  quanto  si  può  giudicare  di  diversa  persona  ri- 
cercata del  suo  parere,  è  questa  ;  Dico  adunque  che 
io  credo  che  sia  vero  che  sgombrare  tion  si  truovi 
appresso  lodato  scrittore  in  significato  di  portare, 
e  però  concorro  nel  parere  di  coloro  che  lo  dan- 
nano interpetrandolo  in  quel  primo  modo.  Non 
credo  anco  che  possa  stare  nel  secondo  modo,  dove 
si  pone  nel  suo  vero  significato  di  rotare,  levare, 
0  di  mandar  ria,  per  la  medesima  ragione  che  in 
essa  polizia  s'  adduce.  E  mi  scrivete  questa  disputa 
esser  nata  sopra  i  due  ultimi  vo'si  del  primo  qua- 
dernario del  sonetto  allegato  di  sopra: 

Parv'  ei  che  quanto  in  molti  anni  s'  acquista 
Repentina  e  crudel  sgombri  con  ella. 
E  soggiugnete  che  avendo  voi  raccontato  costi  ad 
alcuni  la  disputa,  e  mostrato  le  due  polizze,  siate 
stata  consigliata  o  di  non  rispondere  o  di  rispondere 
in  baia,  perchè  in  Firenze  è  noto  insino  a' facchini 
che  sgombrare  si  piglia  por  portare,  e  par  loro  che 
quella  parola  vana  e  ociosa  Castel vetreggi,  e  anco  la 


62 

seconda  no  sappia  alfjuanto  ;  e  mi  ricercale  che  io  vi 
debbia  dire  il  parer  mio;  il  che  io,  se  bene  sono  oc- 
cupatissimo in  altri  e  diversissimi  studi,  non  posso  né 
debbo  né  voglio  non  fare. 

E  prima  lodo  la  dolce  natura  e. prudenza  vostra,  la 
quale  s'è  resoluta  prima  di  rispondere,  e  poi  di  rispon- 
dere umanamente,  come  al  suo  e  a  tutti  gli  altri  gentili 
spiriti  si  conviene  ;  e  se  bene  pare  anche  a  me  che 
quella  parola  vana  e  ociosa  tenga  un  non  so  che  di  M. 
Lodovico  Castelvetro,  tuttavia  questo  che  fa  alla  dispu- 
sputazioiie?  Confesso  ancora  che  in  Firenze  è  notissimo 
infino  a'  facchini,  anzi  a' facchini  più  che  agii  altri,  che 
sono  quegli  I  quali  portano  le  robe  che  si  sgombrano, 
che  sgombrare  vuol  dir  portare.  Ma  voi  avete  a  sape- 
re che  coloro  i  quali  non  sono  nati  in  unajingua,  o  non 
r  hanno  apparala   da  coloro  che  nati  vi  sono,  con- 
vengono  dubitare   in  moltissime  cose,  le  quali  a  cui 
è  la  lingua   naturale  sono  più  che  notissime  ;  anzi  vi 
voglio  dire  più  oltra  ,  che  quegli  stessi  che  hanno  la 
lingua  naturale   dubitano   bene   spesso,    ancora  che 
siano  dottissimi,  di  cose  che  a  coloro  che  sono  idioti, 
sono  manifestissime.  Cicerone,  il  più  eloquente  uomo 
che   mai   fosse  e  di   quella   dottrina   che  sa   ognuno, 
errò  nello  scrivere   una  pistola  a  Pomponio  Attico, 
ed  ebbe  a  imparare  da  un  barcaruolo"  quello  che  vo- 
lesse significare  inhibere  remos.  Ma  che  più?  Quando 
Marco  A  grippa,  avendo  fatto  eJificare  il  tempio  chia- 
mato allora  Panteon  e  oggi  S.  Maria  Ritonda,  voleva 
fare  nel  frontespizio  l' inscrizione,  si  ragnnarono  tutti 
i  dotti  di  Roma  ;  e  perchè  egli  volendo  aggiungere 
al  nome  e  cognome  suo  come  era  stato  tre  volte  con- 
solo,  non   sepper  mai  quegli  uomini  dottissimi  risol- 
vere  Ira  loro,   se  Ialinamente  favellando  s'aveva  a 
dire  tertio  consul,  o  terlium  consul;  e  per  ultimo 
rimedio  presero  di  non  vi  porre  ne  neh'  un  modo  nò 


63 

neir  altro,  ma  di  farvi  tre  I ,  ciò  è  tre  uni ,  affine  che 
chi  legrgeva  potesse  pronunziare  e  tertio  e  terlium , 
secondo  che  credeva  che  megho  stesse. 

Ma  per  venire  a  quello  che  voi  mi  domandate,  l'au- 
tore della  prima  polizza ,  chiunque  egli  si  sia ,  con- 
fessa che  se  sgombri  s'.  interpreta  per  porti  e  con 
ella  idest  seco,  che  cotale  locuzione  starebbe  benis- 
simo ogni  volta  che  si  trovasse  in  alcun  luogo  che 
sgombrare  volesse  dire  portare;  e  1'  autore  della  se- 
conda polizza  crede  esser  vero  che  sgombrare  non 
si  truovi  appresso  loilato  scrittore  in  significato  di 
portare;  la  qual  cosa  è  tanto  lontana  d.il  vero,  per 
mio  giudizio,  quanto  le  cose  che  ne  sono  lontanissi- 
me. Non  si  dice  egh  a  ogii'ora  in  Firenze  :  io  ho  fatto 
sgomberare  tutte  le  mie  masserizie ,  ciò  è,  fatto 
portai'e  d'una  casa  in  un'altra?  Quante  volte  si 
son  mandati  i  bandi  che  comandano  a  ogni  e  qua- 
lunque persona  che  tutte  le  vettovaglie  si  sgombrino 
ne'  luoghi  forti,  ciò  è  si  portino?  E  se  diceste,  e'  non 
vorranno  credere  a  quello  che  si  favella  in  Firenze, 
allora  avreste  ragione  di  rispondere ,  perchè  di  que- 
sto verbo  non  è  dubbio  nessuno  in  Firenze,  e  s'usa 
indifferentemente  cosi  da'  dotti  come  da'  laici  ;  e  io 
vorrei  sapere  quello  che  volle  significare  il  Petrar- 
ca quando  disse,  ond' è  tratto  o  imitato  il  concetto 
vostro. 

Tolto  ha  colei  che  tutto  '1  mondo  sgombra? 
E  che  volle  egli  significare  altro  quando  disse: 

Ond' io  perchè  pavento 

Adunar  sempre  quel  che  un'ora  sgombri, 
ciò  è  tolga  e  porti  via?  Né  mi  par  vero  quel  che 
dice  la  prima  polizza ,  e  la  seconda  conferma ,  ciò  è 
che  '1  vero  significato  di  sgombrare  sia  votare,  scac- 
ciare e  mandar  via;  che  se  '1  vero  e  '1  propio  si- 
gnificalo fusse  questo,  si  potrebbe  dire:  io  ho  fatto 


64 

sgombrare  il  pozzo,  ciò  è  volare;  tu  hai  sgombre 
le  tue  botti,  ciò  è  votate,  e  altre  colali  locuzioni  ri- 
tlevoli.  /  soldati  sgomberarono  di  piazza  non  vuol 
dire  votarono  la  piazza,  ma  sì  bene,  partendosi  di 
piazza  la  lasciarono  vota  di  loro;  ma  se  dicessi,  t 
soldati  sgombrarono  la  piazza,  direbbe  ollimamente 
chi  dicesse  votarono.  Che  sgombrare  non  significhi 
propiamente  scacciare  e  mandar  via,  è  chiaro  per 
sé;  perchè  chi  dice  il  tale  ha  sgomberato  la  casa, 
non  vuol  dir  levata  e  cacciata  via,  ma  votata  di  mas- 
serizia ;  e  chi  sgombra  il  paese,  si  va  con  Dio,  non 
caccia  via. 

Quanto  alla  parola  vana  e  oziosa,  a  me  non  pare 
rosi  ;  anzi  vi  sta  con  leggiadria,  come  quando  il  Pe- 
trarca disse: 

Di  me  medesmo  meco  mi  vergogno. 
E  con  esempio  p  ù  al  proposito  disse  altrove: 
aprir  vidi  uno  spero, 
E  portarsene  seco 
La  fonie  e  'I  loco  ec. 
E  il  parlar  quotidiano  non  usa  quasi  mai  altramente: 
e  se  bene  in   quanto  al  significato  è  il  medesimo  a 
dire,  il  tale  se  ne  porta  ogni  mio  bene,  e  il  tale 
se  ne  porta  seco  ogni  mio  bene,  nondimeno  l'ele- 
ganze delle  lin;.;ue  consistono  in  simili  parlari,  io  ven- 
go teco,  sa  ognuno  quello  che  vuol  dire,  e  che  è  buon 
parlare  senza  agi^iugncrvi  altro;  e  pur  si  dice  molte 
volte,  io  vengo  con  teco,  centra  la  locuzione  latina. 
E  m'  è  paruto  strano,  per  dirvi  ogni  cosa ,  che  uno 
volendo  dichiarare  il  significato  vero  del  verbo  sgom- 
brare,  dica   che  egli  significhi  votare,  scacciare  e 
mandar  via:  «he  domine  ha  da  fare  votare  con  i- 
scacriare   o    mandar  ria?  favellando   propiamente. 
Dovete  dunque  sapere,  e  di  qui  penso  io  che  sia  nato 
il  costoro  errore ,  che  nessun  verbo  può  avere  più 


65 

ohe  un  vero  e  propio  significato,  e  tulli  gli  altri  che 
se  gli  danno,  sono  o  metaforici  o  accattali.  Ma  qui 
bisognerebbe  entrare  in  un  lungo  discorso,  il  che  non 
posso  fare  ora,  si  per  lo  essere  io  stracco,  e  si  per- 
chè sono  più  di  tre  ore ,  e  io  voglio  ire  a  mangiare 
un  poco  per  andarmi  a  riposare. 

lo  vi  manderò  domattina  questa  per  Nanni ,  che 
menerà  il  cavallo  a  M.  Bartolommeo.  Raccomanda- 
temi a  lui,  e  state  amendue  sani,  che  Dio  vi  prosperi 
sempre.  Non  voglio  lasciar  di  dire  che  '1  pigliare 
sgombri  in  luogo  di  si  sgombri,  non  mi  piace:  e 
quel  Padre  che  voi  dite  eh'  è  sì  dotto,  mi  pare  che 
l'intenda  benissimo  ec. 

(28)  Di  Laura  Terracina,  rimatrice  del  tempo  della 
Battiferra ,  v.  il  Tiraboschi,  Storia  della  leti,  ital.-, 
voi.  VII. 

(29)  Questa  e  la  seguente  lettera  non  si  può  dire 
con  sicurezza  in  qual  anno  fossero  scritte,  e  perciò 
le  ho  poste  in  seguito  alle  altre  di  data  certa.  Mi 
sembra  però  che  la  presente  debba  ritenersi  ira  le 
prime  indirizzate  da  Laura  al  Varchi,  considerando  il 
pensiero  che  la  informa. 

(30)  Nella  stampa  de'  Giunti  il  verso  è  quale  lo 
scrisse  Laura ,  cioè: 

«  E  se  mai  nulla  fui,  saraggio  o  sono.  » 

(31)  Credo  che  questa  lettera  sia  scritta  nel  1560, 
quando  si  preparava  la  Stampa  Giuntina  delle  Opere 
Toscane  di  L.  B. 


Pubblicazione  recentissima 


IL  GUICCIARDINI 
E  DOMENICO  D' AMOROTTO 


NARRAZIONE  STORICA 


DI  GIOVANNI  LIVI 


Seconda  edizione  notabilmente  accresciuta, 

di  pochi  esemplari  nel   formato   Le  Monnier. 

L.  3 


IN  CORSO  DI  STAMPA 


1.  Antonio  de  Petruciis  Conte  di  Policastro.  Sonetti. 

2.  Saviozzo  ed  altri.  Alcune  poesie. 

3.  Geta  e  Birria.  Novella. 

4.  Il  contrasto  del  Carnevale  con  la  Quaresima. 

5.  Folgore  da  S.  Gemignano.  Rime.. 


University  of  Toronto 
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