•il
IiEZIOHI SPEHH«EHTflM
SUIiIiA
liUCE
B
\-ul
,. XX\ BIBLIOTECA DELL'ELETTRICITÀ vol. XXV
A. GARBASSO
INCARICATO DI ON CORPO DI FISICA MATEMATICA
NELLA U. UNIVERSITÀ DI PISA
LEZIONI SrERIMENTALI
SULLA
LUCE
CONSIDERATA COME FENOMENO ELETTROMAGNETICO
Con loi incisioni
e tre tavole fuori testo
ULRICO HOEPLI
EDITORE LIBRAIO DELLA REAL CASA
MILANO
1898
Oc
VVBRARy^-
II
Milaao 1897 — Prem. Stab. Tip. Colombo e Tarra — Via Minghetti.
Prefa.2:ione
Questo libro riproduce, per una parte, il corso, che
tenni, nella primavera del g^, come libero docente, a l'U-
niversità di Torino. Si stampa solamente ora per ragioni
indipendenti da la mia volontà.
Il pubblico, al quale mi rivolgevo, era molto vario e
ineguale di coltura, così che fui costretto a separare gli
sviluppi teorici da l'esposizione dei loro fondamenti e delle
verifiche sperimentali.
Queste lezioni, che pubblico, sono quelle relative a le
esperienze. Ho conservato ad esse la forma, sotto la quale
furono esposte. Principalmente perchè, avendole redatte
una prima volta così, mi sarebbe riuscito troppo grave di
rifarmi da capo.
Trattandosi di un argomento sul quale lavorarono,
negli ultimi dieci anni, molti fra i fisici più insigni, in
ogni parte del mondo, il libro non è, e non poteva essere,
un lavoro del tutto originale. Pure vi sono, qua e là, al-
cune cose che reputo nuove.
Tutte le volte che mi giovavo di pubblicazioni ante-
riori, dovute ad altri o a me stesso, le ho citate scrupo-
— IV —
losamente (*). A meno che si trattasse di concetti o di fatti y,
entrati da tempo nel T insegnamento. Il resto va a conto mio.
Le prime quattro lezioni contengono un riassunto di
quelle cose più, fondamentali dell'elettricità e del magne-
tismo, che occorrono ad ogni passo nel seguito. Le avrei
omesse volontieri, ma a l'Editore è parso meglio di ripro-
durle. Ho aderito al suo desiderio. Vuol dire che il let-
tore a pena versato in questi studii può lasciarle, senz'al-
tro, da banda.
Quando tenni il presente corso, a Torino, il prof. A.,
Naccari mise a mia disposizione tutti i mezzi, che possiede
il suo istituto, ed agevolò il mio compito con consigli ed
aiuti d'ogni maniera. Sono lieto che misi porga occasione
di esprimergli pubblicamente la mia riconoscenza.
Anche sono grato a l'ing. L. Ferraris, che mi aiutò-
nel preparare le lezioni. Molti degli apparecchii e degli
esperimenti descritti più, avanti appartengono così a lui
come a me.
Finalmente devo ringraziare mio fratello Alberto, te-^
nente d'Artiglieria, il quale disegnò dal vero tutte quante
le figure.
A, GABBASSO.
Pisa, Istituto fisico dell'Università
28 Maggio 1897.
(*) Nel testo i richiami fatti con asterischi si riferiscono a le
annotazioni a piede di pagina; i richiami fatti con numeri a le
note bibliografiche, in fondo al volume.
LEZIONE PRIMA.
Prim! fatti dell'elettrostatica — Quantità, poten-
ziale, capacità — Induzione fra corpi elettrizzati.
§ I. — In quest'ultimo decennio si è raccolta da molte
parti una ricca serie di fatti, che valgono a mettere in
relazione il dominio delPottica e quello dell'elettricità.
I primi passi nella nuova strada, e i più decisivi, furono
mossi da Enrico Hertz, che morì nel 1894, giovane an-
cora, professore di fisica nell'università di Bonn.
Molti fisici, in tutti i paesi civili, seguirono le sue
traccie, e completarono i suoi resultati, e ne riconobbero
di nuovi.
Ricorderò, fra i principali^ Lodge in Inghilterra ; Righi
in Italia; Lecher, Rubens, Zehnder e Drude in Germania;
Klemenczicz in Austria; Sarasin e De la Rive in Svizzera ;
Blondlot in Francia; Bjerknes in Svezia.
È mia intenzione di esporre in questo corso le cose
più notevoli, trovate da codesti fisici.
Io mi studierò di essere, per quanto è possibile, sem-
plice e piano.
Come accennavo da principio, l'argomento, che im-
preado a trattare, interessa ad un tempo il campo del-
Tottica e il campo dell'elettricità; dovremo quindi fare un
uso continuo delle nozioni più importanti di queste due
discipline. E però tali nozioni sarà conveniente di richia-
mare.
— 6 —
Io potrei, a l'uopo, riassumere rapidissimamente, nelle
prime lezioni, i fatti e i concetti, a i quali mi dovrò ri-
chiamare nel seguito; o pure accennare, volta per volta,,
i singoli resultati, quando se ne presenti il bisogno.
Ma poi che nel nostro studio ciò che importa sono i
fenomeni elettromagnetici, e il significato ottico di essi ha
un interesse secondario, mi sembra conveniente seguire
una strada intermedia. Così otterremo di conciliare la
chiarezza con la massima economia di tempo e di parole.
Dedicherò quindi le primissime lezioni ad un riassunto
molto rapido di quelle cose, che formano oggetto di un
corso ordinario sopra l'elettricità e il magnetismo, limi-
tandomi a ricordare i fatti più importanti dell'ottica, quando
l'interesse dell'esposizione lo richieda.
§ 2. — E cominciamo subito da i primi fenomeni del-
l'elettrostatica.
— 7 —
A due sottili cordoncini di seta ho sospeso (fig. i)
una staffa di filo di rame, su la quale posso disporre un
tubo di vetro, assai leggero, spesso forse un centimetro
e lungo venti. Il tubo assume una direzione fissa nello
spazio, ma da questa si può allontanare, esercitando un
pìccolissimo sforzo.
Accosto ad una delle estremità del tubo sospeso un
altre tubo identico, che tengo in mano, e che ho passato
per un momento sopra una fiamma. Come vedono, non si
osserva ora nel sistema mobile nessuna tendenza a de-
viare da la posizione d'equilibrio.
In vece si ha uno spostamento se, avanti di avvicinare
al primo tubo il secondo, lo strofino forte con un panno-
lano. Propriamente, adesso, uno dei due corpi sembra
attrarre l'altro.
Se ne conclude che, per lo strofinio, il vetro assume
delle proprietà particolari, che prima non aveva. E il fatto
si enuncia dicendo che il vetro si è elettrizzato.
Anche un bastone di ebanite, strofinato, per esempio,
con una pelle di gatto, si elettrizza; cioè fa deviare il
sistema sospeso.
Il corpo sorretto da la staffa è al presente in condi-
zioni naturali, vale a dire non fu per nulla sfregato. Ora
è interessante di studiare come si modifichino i fenomeni
quando, in vece, lo si elettrizza prima di fare le esperienze.
Per vedere questo tolgo via il tubo mobile dal suo
sostegno, e lo strofino con il solito panno; quindi lo ri-
metto al posto e, come prima, avvicino ad una delle sue
estremità l'altro tubo, anche sfregato.
Succede adesso che i due corpi si respingono.
In vece ottengo da capo un'attrazione molto chiara se
al sistema mobile accosto il bastone d'ebanite, strofinato
con la pelle di gatto.
Reciprocamente, se sospendessi l'ebanite elettrizzata
a la staffa, troverei che un altro pezzo della stessa so-
stanza, nelle stesse condizioni, la respinge. Mentre il vetro,
strofinato con la lana, l'attrae.
— 8 —
Segue di qui che vetro ed ebanite si elettrizzano in
modo differente, o, come si dice, che vi sono due diverse
elettricità.
Per ragioni, che vedremo in seguito, si distinguono
queste due elettricità con i nomi di positiva e negativa ; e
propriamente si conviene di chiamare positiva l'elettricità
del vetro strofinato con la lana, e negativa l'elettricità del-
l'ebanite strofinata con la pelle di gatto.
Esaminando poi, con lo stesso procedimento, qualun-
que altro corpo, si trova che, salvo l'eccezione dei metalli,
ognuno si compoita come il vetro o come l'ebanite. Cioè,
per impiegare la terminologia usuale, vi sono due sole
elettricità. Quanto a i metalli, se non si ricorre ad artifizi!,
dei quali dovremo discorrere più avanti, essi non si elet-
trizzano affatto.
L'apparecchio impiegato da noi per riconoscere lo stato
elettrico dei corpi, se bene convenga per certe esperienze
da lezione, è però alquanto rozzo. Dei resultati assai mi-
gliori si ottengono con l'uso di un comune elettroscopio
a foglie d'oro.
Un elettroscopio è un pallone con un unico collo,
chiuso da un turacciolo. A traverso a questo passa un asta
metallica, che porta in basso due foglie sottilissime d'oro
battuto. L'asta poi reca, a l'estremità superiore, una pal-
lina di ottone.
Tocco questa pallina con un bastone di ebanite, elet-
trizzato nel solito modo. Come vedono, le foghe diver-
gono ; e rimangono divergenti anche quando tolgo via
l'ebanite.
E bene, accostiamo ora a questo elettroscopio, senza
stabilire contatto, un corpo qualunque elettrizzato. La di-
vergenza delle foglie d' oro si modifica, e propriamente
cresce, se il corpo, che impiego, è elettrizzato negativa-
mente ; diminuisce nel caso contrario.
Troverei un resultato affatto opposto se, da princìpio,
avessi toccato la pallina dell'elettroscopio con un corpo
— 9 -
positivo, per esempio con un tubo di vetro strofinato contro
un pannolano.
Il nostro apparecchio ci permette dunque di ricono-
scere l'esistenza e la natura dell'elettricità.
Ho fatto vedere dianzi come il vetro e l'ebanite si
elettrizzino per strofinio. In realtà, quando due corpi ven-
gono sfregati uno contro l'altro, entrambi si caricano di
elettricità, e di elettricità opposte.
Come esempio scelgo il caso dello zolfo, strofinato
con un cencio di seta. Prendo questo caso a preferenza
di tutti gli altri, perchè qui il fenomeno riesce molto evi-
dente. Strofino dunque un bastone di zolfo con un drappo
di seta, e accosto successivamente il bastone e il drappo
a la pallina dell' elettroscopio. E' chiaro che nel primo
caso la divergenza delle foglie cresce, nel secondo dimi-
nuisce. Ma l'elettroscopio lo avevo caricato con l'ebanite.
Devo quindi concludere che lo zolfo si è elettrizzato ne-
gativamente, la seta positivamente.
Farò ancora un'altra esperienza. Strofino da capo il
bastone di seta con il solito drappo, ed accosto i due corpi
a l'elettroscopio, senza staccarli. Ora non si manifesta nes-
suna azione; e pure i due corpi sono elettrizzati, ed ognuno
di essi agisce come dianzi, se allontano l'altro.
Vuol dire che la carica positiva della seta neutralizza
l'elettricità negativa dello zolfo. A punto come, in algebra,
due quantità di segno opposto, sommate, si possono eli-
dere. E' precisamente per questa ragione che si danno a
le cariche elettriche i nomi di positive e negative. Il fissare
poi quale fra le due elettricità si debba chiamare positiva,
è, come ho già avvertito, aff"are di convenzione.
§ 3. — Oltre che per strofinio un corpo si può anche
elettrizzare per contatto, cioè toccandolo con un altro corpo,
precedentemente elettrizzato.
Per esempio, se carico un bastone di ebanite, strofi-
nandolo, al solito, con la pelle di gatto, e quindi porto in
contatto della parte strofinata una pallina d'ottone, che
— IO
tengo sospesa ad un filo di seta, questa, quando la accosto
a l'elettroscopio, dà segno di essere elettrizzata, e preci-
samente di elettricità negativa.
A la carica elettrica, che un dato corpo assume, qua-
lunque sia la sua origine, si può attribuire oltre che un
segno anche una grandezza.
Guardino: io accosto, come prima, a l'elettroscopio
una pallina elettrizzata; anzi, sospendendola ad un sostegno,
la lascio in una posizione costante. L'elettroscopio se ne
risente, e la divergenza delle sue foglie aumenta di molto.
E bene, ora tocco quella prima pallina con un'altra
scarica e sospesa nel solito modo, che allontano dopo il
contatto. La divergenza delle foglie diminuisce. E poi che
dobbiamo giudicare da gli effetti le cause, si enuncia questo
con dire che^ comunicando per contatto dell'elettricità a la
seconda pallina, la prima ha perduto, in parte, la sua ca-
rica. Questa è dunque suscettibile di diminuzione. Ed è
suscettibile anche di aumento, tanto è vero che, per esem-
pio, si può elettrizzare un corpo affatto scarico.
Quindi è lecito parlare della grandezza di una carica
elettrica, o della quantità di elettricità, che un dato corpo
possiede.
L'azione, che una carica elettrica esercita, dipende,
oltre che da la grandezza della carica in quistione, anche
da la distanza, che intercede tra essa e l'elettroscopio.
In fatti se accosto una pallina, elettrizzata negativamente,
a l'elettroscopio, carico esso pure di elettricità negativa,
la divergenza delle foglie va crescendo quando la distanza
diminuisce.
Qualche cosa di simile avviene anche per i fenomeni
di attrazione e repulsione. Si sa anzi che le grandezze di
queste azioni sono inversamente proporzionali a i quadrati
delle distanze, che intercedono fra i corpi agenti.
Volendo stabilire un'unità di misura per le cariche elet-
triche si sceglie, di solito, come tale una carica positiva, che
respinge una carica identica, posta neWaria o nel vuoto^
a l'unità di distanza (centimetro), con l' unità di forza (dina).
— II —
Bisogna aggiungere. la condizione che le due cariche
stiano nell'aria o nel vuoto ; perchè si trova che la forza^
esercitantesi fra due corpi elettrizzati, si modifica con il
mezzo , nel quale i corpi stessi sono immersi. Se si sono
raccolte sopra due palline di ottone, sospese nell'aria, per
esempio, delle cariche, che soddisfino a la definizione del-
l'unità, e poi queste stesse palline si portano in un altro
mezzo qualunque , disponendole ancora a l' unità di di-
stanza, si trova che esse non si respingono più con l'unità
di forza, ma bensì con una forza
I
K essendo un numero sempre maggiore dell'unità. Questa
costante, caratteristica per ciascun mezzo, viene detta co-
stante dielettrica del mezzo stesso.
Una carica è due, tre, quattro volte più grande di
un'altra se, nelle stesse condizioni, esercita delle azioni
(attrattive o repulsive) due, tre, quattro volte più grandi.
Si potrebbe parlare, come è naturale, di unità positiva
e di unità negativa ; ma conviene meglio definire la sola
unità positiva, e chiamare unità di elettricità negativa una
quantità, che neutralizza quella prima.
§ 4. — Nella carica per contatto non tutti i corpi si
comportano ad un modo. Per formarci un'idea chiara di
questi fenomeni, cerchiamo a quali fatti diano luogo un
ellissoide di zolfo e uno di ottone, sostenuti entrambi da
una colonnina di vetro.
Tocco ripetutamente i due ellissoidi in un polo, con
un bastone di ebanite elettrizzato; quindi li accosto, uno
dopo l'altro, a l'elettroscopio. Si vede subito che l'ottone
appare carico in tutti i punti della superficie; mentre lo
zolfo è elettrizzato solamente in quella regione, che fu a
contatto con l'ebanite.
Come l'ottone si comportano tutti gli altri metalli^
come lo zolfo l'ebanite, il vetro e molte altre sostanze.
Per ragioni, che impareremo presto a conoscere, i
— 12 —
corpi della prima categoria si dicono conduttori e quelli
della seconda dielettrici.
Si capisce ora perchè le foglie dell' elettroscopio di-
vergano quando elettrizzo la pallina. Essendovi comuni-
cazione metallica fra questa e quelle, le due foglie pren-
dono esse pure una carica del medesimo nome, e però si
respingono.
L'elettrizzazione dei conduttori dà luogo ad un altro
fatto interessante. Si trova cioè che vi è bensì una carica
su tutti i punti della superficie esterna, ma non ve ne è
affatto nell'interno del corpo.
Esaminiamo, per esempio, il comportamento di questa
sfera cava, sorretta anch'essa da una colonna di vetro, e
forata per modo che si può toccare la faccia interna della
sua superficie.
La carico al solito modo; e quindi porto a contatto a
punto della superficie interna , una pallina, appesa ad un
filo di seta. Come vedono, la pallina, accostata a l' elet-
troscopio, non dà segno di elettrizzazione; mentre si mostra
iortemente carica se, in vece, tocco con essa la palla a
l'esterno.
Ma anche su la faccia esterna di un conduttore la elet-
tricità non è, di solito, distribuita uniformemente.
Questo fatto, su la dimostrazione del quale non posso
insistere, conduce a la considerazione di una nuova gran-
dezza elettrica , la densità superficiale. La quale si può
definire dicendo che essa è il rapporto fra la quantità di
elettricità, che insiste sopra un piccolo tratto della super-
ficie di un corpo, e la grandezza del tratto medesimo.
L'esperienza dimostra poi che, su la faccia esterna di
un dato conduttore, la densità varia da punto a punto con
la curvatura; e propriamente è maggiore dove la curva-
tura è più grande. Così, per esempio, sopra un ellissoide
allungato, di rivoluzione, la densità è massima a i poli e
mìnima a l'equatore.
Quindi si capisce che, se un conduttore è munito di
— es-
punte, precisamente su queste la carica sarà addensata al
massimo grado. Si trova che, in tale caso, il conduttore
non può restare a lungo elettrizzato. Ma anzi si riduce^
in breve tempo, a la condizione normale. Sicché sembra
che la densità della carica non possa andare al di là di
un certo limite.
§ 5. — Sappiamo già che, quando due corpi si ven-
gono a toccare, e uno di essi è elettrizzato nel punto, dove
il contatto ha luogo, anche l'altro si elettrizza.
Anche abbiamo osservato che, se il secondo corpo è
un metallo (un conduttore), la carica, che esso riceve, si
distribuisce su tutta la superficie, se è un dielettrico ri-
mane confinata nel punto di contatto. La stessa esperienza
si può. mettere sotto una forma un po' differente.
Io prendo due elettroscopii uguali, e li colloco ad una
certa distanza uno da l'altro, ad un metro, per esempio.
E quindi riunisco le palline, che li terminano, con un filo
sottile di seta. Poi, con un bastone di ebanite, strofinato
con la pelle di gatto, carico uno degli elettroscopii.
Come vedono, l'altro rimane nello stato ordinario,,
cioè le sue foglie restano a contatto. La cosa si intende
molto bene, se si bada che la seta, come si potrebbe ve-
rificare direttamente, è fra quei corpi, che abbiamo chia-
mato dielettrici.
Nel primo elettroscopio la pallina è elettrizzata (su
tutta la superficie) quindi avrà una carica anche quel tratto
del filo di seta, che è in immediato contatto con essa. Ma,
per quanto avvertivo, ciò che resta del filo non si potrà
caricare, e non si caricherà nemmeno il secondo elettro-
scopio.
E' facile vedere che cosa dovrà^ in vece, accadere, se
i due elettroscopii si pongano in relazione con un filo me-
tallico. Allora tutto il sistema costituisce, manifestamente,
un unico corpo conduttore, e però, quando si comunichi
una carica ad un suo punto, tutti gli altri punti appari-
ranno elettrizzati.
— 14 —
L'esperienza conferma questa previsione. Io elettrizzo
da prima, con il solito bastone d'ebanite strofinato, uno degli
elettroscopii ; poi con una verghetta sottile di ottone, che
ho sospeso a due fili di seta, tocco contemporaneamente
^e palline dei due apparecchio Subito le foglie dell'elettro-
scopio, che era scarico, divergono anch' esse, mostrando
di aver ricevuto una certa elettrizzazione.
Tutto accade dunque come se l'elettricità fosse con-
dotta, lungo il filo di ottone, da un elettroscopio a l'altro.
È a punto per questo che l'ottone e gli altri corpi, che si
comportano com'esso (i metalli, gli acidi, l'acqua, le solu-
zioni saline) vengono detti, comunemente, conduttori.
§ 6. — Dianzi, quando ho messo i due elettroscopii
in comunicazione fra loro, avranno osservato che, mentre
le foglie dell'apparecchio scarico si aprivano, le foglie del
primo elettroscopio si sono abbassate alquanto.
Se ora riunissi al sistema, metallicamente, un altro
conduttore, per esempio questo grande ellissoide di ottone,
sorretto da una colonnina di vetro, la divergenza delle
foglie diminuirebbe ancora, in entrambi gli elettroscopii.
Più precisamente, si trova che, a parità di carica, le
foglie stanno tanto più vicine quanto più estesa è la su-
perficie libera del conduttore, comunicante con esse.
La cosa si può dimostrare con 1' apparecchio sempli-
cissimo, che vedono qui. È una bacchetta di vetro, che
può girare sopra sé stessa, rimanendo orizzontale. Su
questa ho rotolato un foglio di carta, foderato di stagnola.
La stagnola è un buon conduttore, sicché possiamo dire
di avere qui un rotolo di sostanza conduttrice. Se lo svol-
gessi, naturalmente, la superficie libera aumenterebbe.
Ora, al lembo estremo della stagnola, ho appeso due
fuscellini leggerissimi di paglia, i quali faranno, nel caso
attuale, lo stesso ufficio che le foglie d' oro negli elettro-
scopii ordinarli.
In fatti, se elettrizzo questo mio conduttore, esse si
staccano una da l'altra e rimangono divergenti.
— 15 —
E bene, andiamo svolgendo, lentamente, il rotolo di
stagnola, ed osserviamo come si comportino le foglie. Già
si vede che, a poco a poco, esse si vanno accostando,
finché si riducono, da ultimo, ad essere vicinissime. Se
ora rifaccio il movimento in senso inverso, e tomo ad av-
volgere la stagnola su l'asse di vetro, le due pagliuzze si
staccano, e, finalmente, ridoventano così divergenti come
prima.
La terra agisce come un conduttore di grandissima
superficie. Difatti se, con una verghetta d'ottone, sospesa,
come dianzi, a due fili di seta, metto in comunicazione
con il suolo un elettroscopio carico , le sue foglie rica-
dono, senza più, una su l'altra.
Quindi, se si vuole che un corpo conservi la sua ca-
rica, non lo si può appoggiare direttamente a terra; ma
bisogna reggerlo, o sospenderlo, con un sostegno dielet-
trico, o, come si suol dire, a punto per questa ragione,
isolante.
Un elettroscopio si scarica anche se ne tocco, sempli-
cemente, la pallina con la mano. Ciò prova che il corpo
dell'uomo si comporta come un buon conduttore.
E per questo motivo che, quando ho voluto mettere
in comunicazione due sistemi elettrizzati, non ho mai toc-
cato direttamente il conduttore interposto, ma lo sospen-
devo, in vece, a due cordoncini di seta.
Ho accennato da principio che un metallo non sì elet-
trizza per strofinio, se non si prendono delle precauzioni
particolari; intendevo dire che non lo si può tenere,
senz' altro, in mano, come si fa per il vetro o per l'eba-
nite. E se ne intende ora il perchè. L'elettrizzazione, in
realtà, si produce, ma va dispersa continuamente nel suolo.
Questo è tanto vero, che si può ottenere una carica sen-
sibile, se si ha l' avvertenza di unire al metallo, che si
vuol strofinare, un manico di vetro, o d'ebanite, o d'altra
sostanza dielettrica, per reggerlo con la mano.
§ 7. — Abbiamo veduto un momento fa che, quando
— i6 —
ponevo in comunicazione due elettroscopii, dei quali uno
era carico e l'altro no, l'elettricità passava, almeno in
parte, dal primo al secondo.
Voglio fare ora un'esperienza dello stesso genere, ma
leggermente diversa. Dò ad entrambi gli elettroscopii, che
sono esattamente uguali, una carica positiva ; ma in modo
che la divergenza delle foglie sia diversa. Quindi stabi-
lisco la comunicazione, come prima.
Come vedono, sembra che dell' elettricità sia passata
da quell'elettroscopio, dove la divergenza era maggiore, a
l'altro. In guisa che ora le foglie divergono ugualmente
nei due apparecchi.
Per due elettroscopii uguali, carichi positivamente, la
divergenza delle foglie è dunque un criterio (*) per deci-
dere del senso, nel quale si dovrà fare il trasporto del-
l'elettricità (positiva).
Ma è facile verificare che lo stesso criterio vale qua-
lunque sia il segno della carica, che si dà a i due appa-
recchi. Vale cioè se da una parte e da l'altra l'elettrizza-
zione è negativa ; come pure se la carica è positiva, met-
tiamo, per l'elettroscopio di destra, e negativa per quello
di sinistra. Solamente, nel fare il confronto, bisognerà
avere l'avvertenza di dare il segno + o il segno — a gli
angoli di scostamento, che si producono, secondo che la
carica, nell'elettroscopio considerato, è positiva o negativa.
Ordinariamente si dice che due corpi sono a poten-
ziale o livello elettrico differente, se, riunendoli con un
conduttore, vi è passaggio di elettricità da uno a l'altro.
E si dice che il potenziale è maggiore per quello dei
due corpi, dal quale parte l'elettricità positiva.
(*) Si intende che i due elettroscopii devono essere in comu-
nicazione lontana, e lontani da ogni altro conduttore, e completa-
mente liberi. Se, per esempio, tino di essi fosse circondato da un
involucro di sostanza conduttrice, con il quale comunicasse, la
divergenza sarebbe sempre nulla, per qualunque carica.
— 17 —
Da quanto ho detto innanzi si deduce subito che la
divergenza delle foglie di un elettroscopio fornisce un
mezzo per giudicare del potenziale, al quale l'elettroscopio
medesimo si trova.
Due elettroscopii uguali, posti in relazione con un filo
metallico, divergono ugualmente. Cioè tutti i punti di uno
stesso conduttore hanno lo stesso potenziale. E questo si
comprende bene, dal momento che l'elettricità, immedia-
tamente dopo il contatto, sembra rimanere in equilibrio.
In un certo senso si può dunque dire che il potenziale,
sopra un conduttore, si propaga da una regione a le altre.
11 potenziale del suolo è uguale a zero ; difatti è nulla
la divergenza delle foglie in un elettroscopio comunicante
con la terra.
§ 8. — Una stessa carica può produrre diversi poten-
ziali, a seconda del corpo, sul quale si trova. Ricordano
che, nell'esperimento con il rotolo di stagnola, le paglie
elettroscopiche si andavano accostando od allontanando,
a misura che la superficie libera cresceva o diminuiva.
D'altra parte l'esperienza dimostra che due conduttori di
ugual forma e grandezza prendono lo stesso potenziale,
a parità di cariche, qualunque sia la sostanza, della quale
sono formati. In vece due conduttori diversi di forma
e di grandezza prendono in generale, a parità di cariche,
dei potenziali diversi.
Si enuncia un tale Ì2AX0 -dicendo che i varii condut-
tori hanno, per regola, delle capacità elettriche differenti.
E si prende per unità di capacità la capacitaci una
sfera, avente il raggio uguale a l' unità di lunghezza
(centimetro) , immersa nelV aria, e lontana da ogni altro
corpo. Si dice poi che un conduttore ha la capacità due,
tre, quattro se, comunicandogli 2q, jq, 4q unità di quan-
tità, esso assume lo stesso potenziale, che prende la sfera
di raggio uno con la carica q.
L'esperienza prova che la scala così stabilita è indi-
pendente dal valore di q.
— i8 —
Fissata Tunità di capacità e quella di quantità, si può
introdurre anche l'unità di potenziale.
Basta prendere, come definizione del potenziale, il
quoziente fra la carica e la capacità. Il potenziale uno sarà
dunque // potenziale, che assume un conduttore di capacità
uno, carico con l'unità di quantità.
È facile vedere come si possa graduare un elettro-
scopio.
Matteremo il nostro istrumento in comunicazione, me-
diante due fili sottilissimi, con due palline metalliche di
raggio uno. E gli daremo una carica tale che le due pal-
line, poste di fronte una a l'altra, nell' aria, ad un metro
(per esempio) di distanza, si respingano con una forza di
un decimillesimo di dina. Segneremo allora l'angolo delle
due foglie, il quale corrisponderà a punto al potenziale uno.
Quindi torneremo a caricare l'elettroscopio e le pal-
line con esso, in modo che, quando le si riportano nella
posizione di prima, esse si respingano con una forza
quattro volte maggiore. Diremo allora che il potenziale del-
l'elettroscopio è uguale a due ; e così di seguito.
Si capisce bene che questo metodo, che ho descritto,
non è pratico. Ma basta ad ogni modo per dimostrare la
possibilità di costruire un elettroscopio, in guisa che le sue
indicazioni diano direttamente il potenziale.
§ 9. — Nell'elettrizzazione per contatto o per condu-
zione vi deve essere sempre una serie ininterrotta di corpi
conduttori fra il sistema , che agisce e quello, che riceve
l'azione.
Passiamo ora a studiare un' altra categoria di feno-
meni, che si producono quando il mezzo interposto è die-
lettrico.
E anzi tutto, avranno veduto parecchie volte, in questa
stessa lezione , che se , per caso , un corpo elettrizzato
viene a passare in vicinanza di un elettroscopio scarico,
le foglie di questo divergono.
Se prendiamo ad esaminare con cura il fatto, ci ac-
— 19 —
corgiamo subito di una particolarità interessante. E di
vero si osserva che la divergenza delle foglie dura fino
che il corpo è prossimo a l'elettroscopio ; ma cessa non a
pena lo porto ad una certa distanza.
Ora è facile trovare quale sia il meccanismo del fe-
nomeno. Si verifica in fatti che, mentre il corpo agente
(o, come si dice, Vindultore) esercita la sua azione, esi-
stono sul corpo passivo, Vindotto, delle cariche positive e
negative. E se l'induttore è elettrizzato positivamente,
l'elettricità negativa si porta in quelle parti dell'indotto,
che sono più prossime ad esso, la positiva nelle parti più
lontane; accade l'opposto se la carica inducente cambia
di segno.
Poi che l'indotto torna a lo stato naturale, quando l'in-
duttóre si allontana, dobbiamo dire che le due cariche
opposte , generate sul corpo passivo , erano uguali in
grandezza (*).
Si studia comodamente il fatto dell' induzione, impie-
gando come indotto un sistema di due elettroscopii, riu-
niti da un filo conduttore.
Per fare l' esperienza, prendo quei due elettroscopii
uguali, che ho già impiegato dianzi. E li collego con una
verghetta di ottone, munita di un manico di vetro.
La verghetta porta a le estremità due anellini, anche
di ottone, che stanno in un medesimo piano con essa e
fra loro. Tengo i due elettroscopii ad una distanza tale
che gli anelli si possano appoggiare, contemporaneamente,
su le due palline. Gli elettroscopii e la verga di ottone
formano adesso un unico sistema conduttore.
(*) Almeno secondo le nostre convenzioni. Che una certa
quantità di elettricità positiva neutralizzi una certa quantità di elet-
tricità negativa, è un fatto sperimentale. Che le due quantità in
quistione abbiano la stessa grandezza, è affare di definiiione. Defini-
zione ragionevole bensì, perchè l'esperienza dimostra che le quan-
tità negative, cosi definite, esercitano, in ogni caso, azioni uguali
di grandezza e contrarie di segno a quelle esercitate da le quantità
positive, che si misurano con lo stesso numero.
— 20 —
Per ora non vi è traccia di cariche. E bene, acco-
stiamo a l'apparecchio di destra un bastone di vetro, stro-
finato con il pannolano. Le sue foglie si aprono immediata-
mente ; ma si aprono anche, ad un tempo, le foglie nel-
l'elettroscopio di sinistra. Se togliessi il corpo elettrizzato,
ogni segno di carica, nell'indotto, sparirebbe.
Lasciamo in vece l' induttore al suo posto ; e al-
lontaniamo rapidamente la verghetta di comunicazione.
Come vedono, non vi è nessun cambiamento apparente.
Di qua e di là la divergenza delle foglie rimane quella
di prima.
Ma ciò. che è più interessante, si è che ora gli elet-
troscopii continuano ad essere carichi, anche se rimovo
l'induttore. E sono carichi di elettricità di segno opposto.
Negativamente quello dei due apparecchi, che era più vi-
cino al vetro elettrizzato, e positivamente l'altro.
Questo è d'accordo con ciò, che avevo annunciato.
Al fenomeno dell'induzione, che così abbiamo impa-
rato a conoscere, è dovuto a punto il comportamento degli
elettroscopii.
Suppongano, per esempio, di aver dato a l'apparec-
chio di misura una carica positiva ; e di accostare poi a
la pallina un corpo, anche positivo. Questo, per induzione,
richiamerà in alto dell' elettricità negativa e respingerà
una certa quantità di elettricità positiva su le foglie. In
conseguenza esse divergeranno in maggiore misura. L'op-
posto avverrebbe se il corpo inducente avesse una carica
di nome diverso da quella dell' elettroscopio ; perchè, in
questo caso, l'elettricità indotta tenderebbe a distruggere
l'effetto di quella preesistente su le foglie.
Le leggi quantitative ■dell'induzione sono assai com-
plicate, in generale. Solamente in un caso particolare si
possono ridurre sotto una forma assai semplice. E' il caso
in cui l'induttore si trova dentro l'indotto, e questo lo
circonda da ogni parte.
Allora si dimostra, con alcune semplici esperienze.
— 21 —
dovute al Faraday : che le cariche generate per induzione
non dipendono dal posto dove sta l'inducente (purché ri-
manga nell'interno del corpo, sul quale agisce). Di più le
due cariche indotte sono entrambe uguali (in grandezza)
a l'inducente.
§ IO. — Sul fatto dell' induzione e su le proprietà
delle punte sono fondate le macchine elettriche, apparecchi,
che si impiegano comunemente per produrre delle cariche.
Noi ne adopereremo, in questo corso, di varie sorta, e
cioè quelle del Ramsden, del Holtz e del Whimshurst.
Non le descrivo, perchè questo ci porterebbe lontano ; e,
d'altra parte, la descrizione di tali macchine sì può trovare'
in qualunque trattato.
Mi limito a rammentare che la macchina del Ramsden
fornisce solamente dell'elettricità positiva ; in vece le altre
due, che ho nominato, danno ad un tempo cariche posi-
tive e cariche negative (•).
*
« *
§ II. — Volendo riassumere le cose, che abbiamo ve-
duto in questa prima lezione, ricorderò come, dopo aver
richiamato alcuni fatti principalissimi dell'elettrostatica, ho
stabilito i concetti di quantità, di potenziale e di capacità,
dei quali faremo uso continuamente in seguito.
Anche ho fatto un cenno del fenomeno dell'induzione
fra corpi elettrizzati.
(') I conduttori sopra i quali, nelle macchine, si raccoglie l'e-
lettricità si chiamano poli o estremità polari.
LEZIONE SECONDA.
Importanza del dielettrico nel fatto dell'induzione
•— Teoria del Mossotti ~ Energia di polarizza-
zione elettrostatica.
§ I. — Uno dei fatti più notevoli, che dipendono dal
fenomeno dell' induzione , consiste nell' aumento, che su-
bisce la capacità di un conduttore, quando glie se ne ac-
costa un altro, a breve distanza. E si capisce come questo
avvenga.
Nel corpo accostato si inducono delle cariche, le quali
hanno per effetto risultante di attrarre la carica inducente.
Questa riesce così meno facile a muovere, vale a dire il
suo potenziale si abbassa.
La cosa si verifica collegando un elettroscopio (elet-
trizzato) con un disco metallico isolato, e poi presentando-
a questo un altro disco simile, e scarico. La divergenza
delle foglie, nell'elettroscopio, diminuisce di molto, ciò che
corrisponde a punto ad un abbassamento del potenziale.
È precisamente in vista del fenomeno, che ora con-
statiamo che, parlando della capacità dei conduttori, dissi
che si dovevano considerare dei corpi isolati nello spazio,,
o dei sistemi costituiti di corpi molto lontani gli uni
da gli altri e messi in relazione con fili metallici sottih.
§ 2. — Fino ad ora noi abbiamo studiato degli effetti,
che si producono in distanza, a traverso a l'aria atmo-
— 23 —
sferica ; vogliamo adesso esaminare quali perturbazioni
produca nel fenomeno la presenza di un corpo solido, in-
serito fra l'indotto e l'induttore.
Prendo anzi tutto una lastra ampia e sottile di latta,
che metto in comunicazione con il suolo, semplicemente te-
nandola in mano. E la dispongo in modo da coprire l'elet-
troscopio, senza toccarlo. Quindi accosto il solito bastone
elettrizzato, al di là della lastra, per modo dunque che
da l'elettroscopio non lo si possa vedere.
Ora, accade che l'azione induttrice è soppressa com-
pletamente ; mentre riapparirebbe, quando togliessi via
la latta.
Come questo mio schermo si comporta qualunque
altra lastra di sostanza conduttrice. Troviamo dunque una
nuova proprietà dei corpi conduttori, che è di impedire
le azioni induttive.
La proprietà, di cui parlo, è veramente peculiare dei
metalli ; perchè, se sostituissi la latta, per esempio, con
questo largo foglio di ebanite, l' induzione continuerebbe
sempre ad esercitarsi. È a punto per tale motivo che le
sostanze non conduttrici si chiamano comunemente dielet-
triche, come ho già accennato.
§ 3. — Il fatto che la capacità di un corpo dipende
da la posizione delle masse metalliche nel suo intorno è,
secondo ciò, che dicevo da principio, un fenomeno di in-
duzione. Esso fornisce il modo di studiare un po' da vi-
cino se e come la natura del mezzo dielettrico interposto
agisca su la grandezza delle azioni induttive.
Faremo, per rischiarare questo punto, un' esperienza
assai semplice (i).
L'apparecchio (fig. 2) consta di tre parti. Vi è anzi
tutto un conduttore alquanto capace, una sfera d'ottone
di dieci centimetri di diametro, sorretta da una colonnina
di vetro. Quindi un sistema di due lamine metalliche pa-
rallele, delle quali posso variare agevolmente la distanza ;
fra le lamine interporrò a suo tempo una lastra di vetro,
— 24 —
appoggiandola ad un telaio disposto a l'uopo. Da ultimo
ho ancora qui un elettroscopio a foglie d'oro, assai sen-
sibile.
Con due fili metallici sottili io posso riunire, a l'oc-
correnza, la sfera con la prima lamina, e la seconda lamina
con la pallina dell'elettroscopio.
Flg. 2.
Stabilisco, anzi tutto, la comunicazione fra i due con-
duttori di sinistra, e li carico, fortemente, di elettricità
positiva. Per induzione la seconda lamina si elettrizza ed
assume un potenziale diverso da lo zero (e precisamente
positivo). Ma basta, come si intende subito, che io la tocchi
con il dito, perchè il suo livello elettrico si riduca uguale
a quello del suolo.
Voglio fare questo, e poi stabilire la seconda comu-
nicazione. L'elettroscopio non si muove ; ciò che, del resto,
si poteva prevedere.
Ora, badino, su la lamina di destra, vi è dell'elettri-
cità negativa, la quale è immobilizzata da l'elettricità po-
sitiva, che sta su la lamina di sinistra. Se io, in qualche
— 25 —
modo, potessi variare e, per esempio, accrescere questa
carica inducente, avrei da capo un effetto induttivo e il
potenziale della seconda lamina salirebbe di nuovo al di
sopra dello zero.
Ma da che dipende la carica della lamina di sinistra?
■evidentemente da la sua capacità. Per vero, sopra il si-
stema formato da questa prima lamina e da la sfera di
ottone vi è una quantità di elettricità determinata, la quale
si deve distribuire su i due conduttori, che formano il si-
stema, per modo da produrre in entrambi il medesimo
potenziale. Quindi, se la capacità della lamina, poniamo,
aumentasse, dell'elettricità dovrebbe passare da la sfera
ad essa.
D'altra parte sappiamo che la capacità della lamina
di sinistra dipende, fra l'altre cose, da la presenza della
lamina di destra. Abbiamo dunque, senz'altro, un mezzo
per riconoscere se e come questa azione, che s'esercita
fra i due conduttori affacciati, dipenda da la natura del
dielettrico.
Basterà che, nel modo che ho detto avanti, io inter-
ponga la lastra di vetro. Eseguisco ; e subito le foglie del-
l'elettroscopio si aprono. Accostando a la pallina un ba-
stone di ebanite, strofinato con la pelle di gatto, la diver-
genza diminuisce; si tratta dunque di una carica positiva.
Vuol dire che , per l' interposizione della lastra di
vetro, la capacità della prima lamina si è accresciuta.
Posso ripetere l'esperienza in un modo alquanto di-
verso ; il resultato sarà, naturalmente, il medesimo.
Toccando con il dito la pallina dell'elettroscopio riduco,
di nuovo, a lo zero il suo potenziale. E poi tolgo via la
lastra di vetro, badando a non urtare le lamine. Ancora
una volta le foglie d'oro divergono ; ma se avvicino adesso
l'ebanite elettrizzata la divergenza cresce ; la carica è dunque
negativa. E deve essere così.
Perchè, portando via la lastra di vetro, ho abbassato
<li nuovo la capacità della prima lamina. Quindi una parte
— 26 —
della sua carica è tornata su la sfera di ottone. Ciò che
resta non è più sufficiente per mantenere su la seconda
lamina tutta la elettricità negativa, generata per induzione;
quindi il potenziale di quest' ultima (e dell' elettroscopio)
scenderà al di sotto dello zero.
L'esperienza dimostra che tutti i corpi dielettrici agi-
scono nello stesso senso del vetro, benché in misura dif-
ferente.
Si supponga di avere un sistema di due lamine me-
talliche, come quello, che abbiamo impiegato dianzi ; e si
determini la capacità di una delle lamine, quando il mezzo
interposto è l'aria, e sia C. Si determini poi la capacità
della stessa lamina, sostituendo completamente l'aria con
un altro corpo qualunque, di costante dielettrica K) si
troverà per valore non più C, ma KC.
§ 4. — Questa esperienza, che ho fatto ora, basta già
per mettere in luce la grande importanza del mezzo di-
elettrico nei fenomeni di induzione.
Dal riconoscere che l'effetto induttivo dipende da la
natura del dielettrico al pensare che l'azione stessa in-
dfuttiva si faccia nel dielettrico e per il dielettrico, il passo
è breve. E vi sono delle buone ragioni per pensare che
le cose vadano realmente così.
È noto che un sistema di due conduttori, separati in
qualche modo da uno strato di sostanza dielettrica, come
quello, ad esempio, che abbiamo impiegato or ora, si suole
indicare con il nome di condensatore. I condensatori si
fanno di molte forme differenti.
Spesso hanno l'aspetto dì bottiglie, le così dette bot-
tiglie di Leida. Allora il dielettrico è rappresentato dal
vetro; i conduttori o le armature, come si chiamano anche^
sono due fogli di stagnola. Altre volte si forma un con-
densatore con tre vasi a tronco di cono, che entrano uno
nell'altro ; quello intermedio è di vetro, e gli esterni sono
di lamina di ottone. A punto così è costituito l'apparecchio,
che tengo sul tavolo, davanti a me.
— 27 —
Si possono fare con i condensatori molte esperienze
interessanti. Per esempio, scaricandoli, si possono ottenere
delle scintille molto chiare e rumorose. E di vero è un
fatto generale questo che, quando due conduttori, a po-
tenziale differente, si avvicinano al disotto di una certa
distanza (*), la ricomposizione delle elettricità si fa a tra-
verso al dielettrico, mediante una scarica, che nelle con-
dizioni ordinarie ha l'aspetto di scintilla.
La possibilità di ricavare delle scintille da un con-
densatore, in date circostanze, costituisce un criterio per
giudicare dell'esistenza di una carica su le armature del
condensatore medesimo. Di questo criterio ci serviremo
spesso.
Voglio fare ora un'esperienza servendomi dell'appa-
recchio tronco- conico, che ho già descritto.
Anzi tutto lo carico. Per questo metto a terra, cioè
in comunicazione con il suolo, l'armatura esterna, tenen-
dola con la mano, e pongo l' altra armatura in contatto
con il conduttore di una macchina del Ramsden in azione.
Quindi colloco il conduttore sopra un sostegno iso-
lante, e separo uno da l'altro i tre vasi, di cui è formato.
E chiaro che le armature, se anche avevano una carica,
ora non la possono più avere ; in vece potrebbe essere
elettrizzato il dielettrico. Mi persuado che la cosa sta ve-
ramente così, accostandolo ad un elettroscopio ; le foglie
dell'apparecchio di misura accusano una divergenza molto
chiara.
E bene, ricomponiamo ora il condensatore, e vediamo
se sia possibile cavarne delle scintille. A tale uopo prendo
un filo metallico, piegato ad arco, e munito di paUine a le
estremità, e lo pongo in contatto, da una parte, con l'ar-
matura estema. E poi accosto la pallina dell'altro estremo
a l'armatura interna. Quando sono giunto ad una distanza
di pochi millimetri, si produce una scintilla assai chiara e
robusta.
(*) Che dipende da la differenza dei loro poteoziali.
— 28 —
Vuol dire dunque che ciò che importa nel condensa-
tore è l'elettrizzazione del dielettrico ; in tanto le armature
appariscono cariche in quanto sono a contatto con le faccie
opposte del dielettrico elettrizzato.
§ 5. — Come tutte queste cose avvengano si può con-
cepire in diversi modi. Abbiamo in fatti varie teorie del-
l'induzione elettrostatica, che permettono di intendere la
parte, che il dielettrico prende nella produzione del fe-
nomeno.
Fra queste la più antica e la più semplice si deve ad
un fisico italiano, il Mossotti. E voglio farne un cenno.
Il Mossotti supponeva che ogni mezzo dielettrico fosse
■costituito da tanti elementi (che ci possiamo raffigurare in
forma di aghetti) di natura metallica, immersi in una so-
stanza cattiva conduttrice. Le cose sarebbero ordinate per
modo che due aghetti non possano mai venire diretta-
mente a contatto. Quando, per una ragione qualunque, in
un dato punto dello spazio, si produce una forza elettrica,
vale a dire una causa, che tende a muovere in un senso
determinato l'elettricità positiva, e nel senso opposto la
negativa (*), gli aghetti, che si trovano nell' intorno, si
disporranno secondo la direzione della forza, e assume-
ranno a le due estremità delle cariche, uguali di grandezza
€ contrarie di segno.
Non a pena alcuni elementi si siano polarizzati in
<luesto modo, qualcosa di simile avverrà anche in altri
punti, man mano più lontani, sicché la forza elettrica si
propagherà nel mezzo.
Dei corpi conduttori poi il Mossotti ammetteva che in
essi non gli aghi soltanto, ma anche la sostanza, nella
quale sono immersi, sia capace di condurre l' elettricità.
Quindi nell'interno di un conduttore la polarizzazione po-
(*) Propriamente si suol chiamare for^a elettrica in un punto
dello spazio la forza, che agirebbe in quel punto sopra un piccolo
corpo, recante l'unità di qtiautità (positiva).
— 29 —
irebbe bensì prodursi, ma non pptrebbe sussistere, e so-
lamente la superficie riceverebbe una carica ; come avviene
in realtà.
Dell'ipotesi più importante di questa teoria, secondo
la quale gli aghi conduttori si devono disporre dovunque
nella direzione della forza elettrica, si può dare con tutta
facilità una verifica sperimentale.
È destinato a punto ad una simile verifica l'apparec-
chio, che vedono qui (fig. 3).
Esso consta essen-
zialmente di una larga
lastra di latta , con i
vertici arrotondati, sor-
retta da un sostegno
isolante. Davanti a que-
sta lastra, in bilico sopra
una punta, sta un'astic-
ciuola di ottone, termi-
nata da due palline.
Collego metallica-
mente la lamina di latta
con il conduttore di una
macchina elettrica , e
faccio agire quest' ul-
tima. Subito r astic-
ciuola mobile si dispo-
ne normalmente al pia-
no della lastra ; ed è
chiaro che a punto così deve essere diretta, in quella
regione dello spazio, la forza elettrica.
Del resto la teoria del Mossotti acquista un certo grado
di accettabilità da la circostanza che, in base ad essa, si
possono prevedere taluni curiosi fenomeni, a i quali dà
luogo la carica di un condensatore.
Suppongano in fatti di considerare un sistema di due
lastre parallele, affacciate a breve distanza e cariche di
Fig- 3-
— 30 —
elettricità opposte. Per ragioni di simmetria si capisce che,
almeno nella parte di mezzo, la forza elettrica sarà per-
pendicolare a la giacitura delle armature.
Due aghetti, che si trovino nel dielettrico, sopra uno
stesso piano, appartenente a quella giacitura , staranno
dunque normali a le lastre e paralleli fra loro. Ma, avendo
le estremità, che guardano da una medesima parte, cariche
dello stesso segno, i due aghetti tenderanno ad allonta-
narsi uno da l'altro.
La cosa si verifica subito con questa semplice dispo-
sizione, che realizza, per quanto è possibile, le condizioni
supposte da la teoria. Si tratta, come vedono (fig. 4), di
due piatti di zinco, paralleli, e portati da un medesimo so-
stegno isolante.
Al sostegno stesso, per mezzo di un braccio e di due
fili di seta, è affidata una bacchettina sottile di vetro, che
_ 31 —
regge, a l'estremità, un cilindretto di ottone. L'apparecchio
è disposto in modo che questo cilindro viene a trovarsi
fra le due armature, ed è normale ad entrambe.
Un altro cilindretto simile, portato anche da una bac-
chetta di vetro, tengo in mano, ed accosterò, a suo tempo,
a quel primo.
Carichiamo il condensatore, ponendo a terra una del-
le armature ed elettrizzando l'altra. Con questo il cilindro
sospeso si sarà polarizzato. E bene accostiamogli ora, pa-
rallelamente, l'altro cilindretto. Come vedono si produce
una repulsione assai vivace ; d'accordo con quello, che
avevamo preveduto.
Tradotto in altre parole questo resultato significa che,
quando un dielettrico si elettrizza, esso viene stirato nor-
malmente a la direzione della forza elettrica.
Andiamo innanzi e consideriamo ciò che deve avve-
nire fra due aghetti allineati sopra una retta perpendico-
lare a le armature. Poi che le estremità affacciate hanno
cariche di nome contrario, i due aghetti, manifestamente,
si devono attrarre. Arriviamo dunque ad un' altra conclu-
sione, che, per la sua semplicità, non ha nemmeno bisogno
di verifica sperimentale ; troviamo cioè che un dielettrico
elettrizzato è soggetto a compressione secondo la dire-
zione della forza.
Se tutte queste conseguenze della teoria sono atten-
dibili, ci dobbiamo aspettare che una bottiglia di Leida,
quando si carica, aumenti di capacità (*).
Ora questo fatto fu posto in chiaro, molti anni or
sono, dal Covi (2), e non è difficile verificarlo.
Nel condensatore, che impiegheremo per fare l'espe-
rienza (fig. 5) , il dielettrico è costituito da una bottiglia
di vetro ; l' armatura esterna è un cilindro di lamina di
ottone.
Quanto a l'armatura interna essa manca, o, meglio,
(*) Di volume.
_ 32 —
è rappresentata dal liquido, che riempie la
bottiglia. Si tratta nel caso nostro di acqua,
tinta in rosso con un colore d'anilina.
La bottiglia, a la parte superiore, è chiusa
ermeticamente con un tappo ; per modo che
non resti aria nell'interno, ma il liquido riempia
tutta la cavità.
A traverso al tappo passa anzi tutto un
conduttore, munito di palline a i due capi, il
quale serve per caricare 1' apparecchio ; e poi
un tubo capillare, aperto a gli estremi. In que-
sto entra l' acqua tinta , e sale fino ad una
certa altezza.
Ogni variazione del volume interno della
bottiglia si traduce in uno spostamento del-
l' indice liquido, nel tubo capillare. Basta, per esempio,
che io stringa il condensatore con le mani, perchè la co-
lonnina d'acqua accenni sensibilmente a salire.
Per vero questi spostamenti sono sempre assai piccoli,
e con difficoltà si potrebbero vedere bene a distanza. Ri-
paro a l'inconveniente proiettando un'imagine ingrandita
del tubo capillare, sopra uno schermo bianco.
Mi valgo a l'uopo di una lanterna di proiezione. È
un apparecchio, del quale mi servirò spesso in queste mie
lezioni.
La lanterna (fig. 6), in cui brucia un lume Auer, a
gas e, illumina vivacemente il tubetto capillare, unito a la
boccia di Leida. Una lente biconvessa fornisce quindi di
quest'ultimo una imagine reale, capovolta e ingrandita, che
raccolgo sopra uno schermo di tela bianca umida (*).
Qui l'indice appare come una colonna rossastra, larga
parecchi centimetri, occupando la parte superiore di quel
tratto del tubo capillare, che si proietta nel campo illu-
minato
(*) Si confronti la figura 6i, nella quale è rappresentata una
disposizione, simile in tutto a quella, che qui si descrive.
— 33 —
Carichiamo la bottiglia di Leida. Mentre l'operazione
si fa , la colonna liquida si va alzando, lentissimamente ;
ciò che corrisponde a punto ad un aumento della capa-
cità interna, occupata da l'acqua.
Ma forse questo movi-
mento, così poco rapido, non
ha potuto essere bene av-
vertito da tutti.
Si vede , in vece , con
grande nettezza , che la boc-
cia si restringe ad un tratto
quando, provocandosi la sca-
rica, cessa la polarizzazione
del dielettrico. Per vero , se
cavo da la bottiglia una scin-
tilla, nel solito modo, l'indice
rosso, su lo schermo, scende
istantaneamente di parecchi
centimetri. E torna press' a
poco a la posizione, che oc-
cupava da principio.
Con questo è provato a
sufficienza il fatto^ che avevo
annunciato ; fatto, al quale si
dà per solito il nome di elet-
trostriziotie (*).
§ 6. — Sappiamo da la
meccanica che a la deforma-
zione di un sistema elastico
corrisponde sempre la pre-
senza di una certa quantità di energia potenziale. Di
(*) Con il fenomeno dell'elettrostrizione sono collegati, in certo
modo, quelli della piesoelettricità e della piroelettricità. I quali con-
sistono nello sviluppo di cariche elettriche, che si può osservare in
certi cristalli, assoggettati a compressione e riscaldamento.
— 34 —
energia, cioè, la cui esistenza non si rivela direttamente a
l'esterno, ma si può dedurre dal fatto che, cessando la
deformazione, il sistema è capace di produrre un certo
lavoro, o di fornire una quantità di calore, o di provocare
qualunque altro fenomeno, che esiga il consumo di lavoro
o di calore.
Abbiamo il diritto di aspettarci che qualche cosa di
questo genere si verifichi quando si scarica un conden-
satore. E in realtà avviene così.
Quanto a la produzione di calore si può ritenerla
come dimostrata indirettamente dal fenomeno della scin-
tilla ; perchè si sa che, di regola, uno sviluppo di luce è
accompagnato da un aumento di temperatura.
Si può darne, del resto,
una prova diretta con un
piccolo apparecchio , che
dal suo inventore , il Vii-
lari , fu chiamato termo-
metro a scintille (3).
E', in sostanza , un pal-
lone di vetro, a tre colli
(fig. 7)-
Due di questi sono chiusi
da tappi , attraverso a i
quali passano dei condut-
tori, muniti di palline ; il
terzo si prolunga in un
tubo capillare.
Il pallone è capovolto sopra un bicchiere, nel quale
sta un miscuglio d'acqua e glicerina, tinto in rosso nel
modo ordinario. Qui dentro viene a pescare il tubetto
sottile.
Scaldando con una fiamma il matraccio, se ne fanno
uscire alcune bolle d'aria; per modo che, quando l'appa-
recchio ritorna a la temperatura dell'ambiente, il liquido
salga nel capillare, fino a la metà della sua altezza, a
l'in circa.
Fig. 7.
— 35 —
Ogni aumento di temperatura nell'interno del pallone
<ià luogo, come si intende subito, ad un abbassamento del-
l'indice glicerico. O, se vogliono, ad un moto verso l'alto
■della sua imagine, proiettata con la lanterna su lo schermo.
E bene, provochiamo due o tre volte, a traverso l'in-
tervallo, che resta fra le palline, la scarica di un conden-
satore. Appare subito quello che si attendeva, cioè la co-
lonna rossa si sposta verso la parte superiore del campo.
Anche possiamo vedere facilmente, con quest'altro ap-
parecchio (fìg. 8; (*). come un condensatore, scaricandosi.
Fig. 8.
sia capace di produrre un lavoro. Propriamente si ottiene
qui di imprimere un movimento ad un sistema materiale (4).
Si tratta di due dischi di ebanite, tenuti insieme da
un asse e da dodici colonnine anch' esse di ebanite. A
(*) La figura rappresenta una sezione dell' apparecchio in di-
scorso, fatta con un pinao normale a 1' asse di rotazione nel suo
punto di mezzo.
- 36-
brevissima distanza da l'orlo dei dischi, e parallelamente
a le colonnine, sono disposti due cilindretti di ottone, dei
quali uno sta alquanto più in alto dell' asse , e 1' altro, in
vece, un poco al di sotto. Questi cilindretti sono collegati
metallicamente a due pezzi in forma di pera. Su i quali
appoggierò più tardi delle asticine conduttrici, comunicanti
con le armature interne di due boccie di Leida.
Per caricare i condensatori io metto a punto le loro
armature interne in contatto con le estremità polari di una
macchina del Wimshurst, con due conduttori dunque,
elettrizzati di segno contrario. Quanto a le armature esterne
esse sono riunite metallicamente fra loro.
Ora stabilisco le comunicazioni, a le quali ho accen-
nato. E con la mano tengo fermo il sistema dei due dischi
di ebanite. Frattanto un aiuto, ponendo in azione la mac-
china elettrica, carica le bottiglie.
Quando mi sembra che i condensatori debbano tro-
varsi in condizioni opportune, faccio sospendere il movi-
mento della macchina e lascio liberi i dischi.
Come vedono, essi cominciano a girare ; e la rotazione
si mantiene per qualche minuto. Se aspettiamo che si ar-
restino , e poi cerchiamo di cavare delle scintille da le
botti'glie , troveremo che non conservano più una carica
sensibile.
L'elettrizzazione del dielettrico, dunque, è scomparsa,,
e nel frattempo si realizzava una certa quantità di forza
viva.
Così abbiamo una prova novella dell'esistenza di una
specie particolare di energia potenziale, a la quale si po-
trebbe dare il nome di energia di polarizzazione elettro-
statica.
§ 7. — Una volta che abbiamo riconosciuto come le
forze elettriche generino nei corpi cattivi conduttori certe
speciali deformazioni, è ovvio pensare che il fatto stesso'
dell'elettrizzazione sia collegato intimamente con quelle
deformazioni.
— 37 —
E poi che si tratta di fenomeni simili in tutto a quelli
che le forze ordinarie (meccaniche) producono nelle so-
stanze elastiche, ci possiamo aspettare che si verifichi una
certa analogia fra i fatti dell'elasticità e quelli della pola-
rizzazione elettrostatica.
Questo è, veramente, il modo nel quale suole proce-
dere il nostro spirito, per formare le scienze di osserva-
zione. Noi raccogliamo da prima una serie di fenomeni sotto
una medesima ipotesi ; e poi, da l'ipotesi stessa, deduciamo
la possibilità di nuovi fatti. Verificando i quali si raggiunge
una più profonda cognizione delle cose, e si intravede
spesso un modo più perfetto d'intenderle. Quindi nasce
l'idea di altre ricerche sperimentali, e così di seguito, a
l'infinito.
Nel caso, che ci oc-
cupa, il ravvicinamento
fra i fenomeni dell'elet-
trizzazione e quelli del-
l'elasticità suggerisce a
punto alcune esperienze
interessanti. E , per e-
sempio, si riesce ad ot-
tenere un fatto , che
corrisponde a quello
dell'elasticità susse-
guente.
Mi spiego. Ho sospe-
so ad un uncino , per
una sua estremità, un
tubo di gomma (fig. 9),
il quale, a l'altro estre-
mo, porta un indice o-
rizzontale. Questo indice si può spostare sopra una scala
graduata, e, al presente, segna su di essa lo zero.
Con la mano stiro il tubo di gomma, e lo allungo di
una decina di centimetri, e lo tengo per un certo tempo
-38-
nella nuova posizione. Quindi Io abbandono a sé. Esso sì
contrae e si raccorcia, ma non torna esattamente nelle con-
dizioni di prima. L'indice rimane ora più basso di una di-
visione a l'in circa. E si va alzando solo con grande len-
tezza, così da ritrovarsi a lo zero fra una mezz'ora o*
poco più.
In vece di condurre l'esperienza in questo modo, io la
potrei fare diversamente. Potrei trattenere il tubo nella
posizione attuale, e rilasciarlo libero dopo qualche minuto^
Allora avrei di nuovo un piccolo scatto e uno sbalzo re-
pentino nelle indicazioni dell' indice. E così via.
E bene, dei fatti simili in tutto a questi si osservano
durante la scarica di una bottiglia di Leida.
Stirare il tubo di gomma e mantenerlo nello stato di
deformazione, è caricare il condensatore e tenere isolate
una da Taltra le sue armature.
Abbandonare a sé il tubo elastico, vuol dire provocare
la scarica.
Lasciare che l'indice torni lentamente a lo zero, signi-
fica tener collegate le due armature.
Arrestare l'estremo inferiore nella nuova posizione e
rimetterlo in libertà dopo qualche tempo, importa di in-
terrompere il contatto a pena la scarica é avvenuta, e cer-
care poi di ottenere da capo delle scintilline.
In realtà Tesperienza riesce e da una bottiglia di Leida:
si possono cavare, una dopo l'altra, ad intervalli un po' gran-
di, cinque o sei scintille, che diventano man mano più deboli^
*
* *
§ 8» — In questa-lezione dunque , procedendo nello
studio dei fenomeni di induzione, abbiamo avuto campo
di rilevare la parte, che prendono in essi le sostanze die-
lettriche.
Abbiamo veduto come in codesti corpi l'elettrizzazione
sia accompagnata da deformazioni. E ci è riuscito di mo-
strare che il fenomeno stesso della polarizzazione dielet-
trica ha dei tratti comuni con quelli, che si originano da
l'elasticità.
LEZIONE TERZA.
Movimento dell'elettricità a la superficie dei die-
lettrici ; e nell'interno dei conduttori solidi, li-
quidi ed aeriformi.
§ I. — Nelle lezioni passate ho discorso sempre dei fe-
nomeni offerti da le cariche elettriche in equilibrio; e se,
per caso, si parlava di movimenti deir elettricità, noi ba-
davamo piuttosto a le conseguenze del moto, una volta
compiuto, che non a i fatti, che lo accompagnano.
Oggi vogliamo esaminare un po' da vicino quest'altra
quistione, e ci occuperemo anzi tutto di ciò, che accade
quando una carica si sposta a la superficie di un corpo
dielettrico,
10 prendo un disco di ebanite, foderato di stagnola
sopra una delle faccie, e lo dispongo orizzontalmente, per
modo che rimanga in basso lo strato conduttore. Metto
quest'ultimo in comunicazione con il suolo. E, poi sopra
l'ebanite, in direzione verticale, fisso con un sostegno un
lungo ago di acciaio, con la punta a l'in giù, e una pallina
metallica a l'estremo superiore (*).
11 sostegno è di tale altezza che la punta dell'ago viene
a sfiorare la superficie dell'ebanite.
(*) La disposiziune attuale ha una certa somiglianza con quella
della figura 12.
— 4° —
Ora carico una bottiglia di Leida, nel solito modo, te-
nendola in mano, per 1' armatura esterna. E , per precau-
zione, metto a terra l'armatura, oltre che con il mio corpo,
ancora con una catenella di rame. Quindi avvicino il bot-
tone del condensatore a l'altro, che termina l'ago di acciaio.
Quando la distanza è divenuta abbastanza piccola, passa
fra le due palline una scintilla. L'ago adunque riceve una
carica. Ma questa, come sappiamo, va subito dispersa per
la punta ; e si distribuisce su la superficie dell'ebanite.
Per vedere come la distribuzione avvenga, si fa uso
di un artifizio, che serve in molti altri casi. E cioè si pro-
ietta sul disco, con un soffietto, un miscuglio di polveri di
zolfo e minio.
II soffietto è chiuso, a l'orifizio, con uno strato di garza,
a maglie molto fitte, così che le due polveri, nell'uscire si
debbono strofinare vivamente una contro l'altra. E per tal
modo si elettrizzano. Lo zolfo diviene negativo e il minio,
in vece, positivo.
Quindi se a la superficie dei corpi, su i quali il miscu-
glio va a cadere, esistono delle cariche, queste attrarranno
di preferenza una delle due sostanze , e però le regioni
corrispondenti appariranno tinte di un colore, che dipende
dal segno dell'elettrizzazione.
Saranno gialli i tratti positivi e rossi , in vece, i ne-
gativi.
Ma anche se vi fossero solo, qua e là, dei punti po-
sitivi, e il rimanente del corpo, che si studia, fosse scarico,
le regioni e.ettrizzate apparirebbero pur sempre tinte del
loro colore caratteristico, assumendo Taltro colore i tratti
neutri.
Nel caso nostro, se proietto il miscuglio nel modo che
ho indicato, si ottiene una bellissima figura a stella, costi-
tuita da molti tratti a zig-zag, che diramano tutti da quel
punto, sul quale si appoggia l'ago di acciaio. Questa figura
spicca in giallo sul fondo rosso.
In realtà, avendo caricato la bottiglia di Leida con la
— 41 —
macchina del Ramsden, l'armatura interna doveva essere
elettrizzata positivamente, e però doveva essere anche po-
sitiva l'elettricità, che è sfuggita da la punta. Acquistiamo
così un'idea del modo come si muove, su la superficie del-
l'ebanite, una carica col segno 4-, la quale si irradii, a
partire da un centro.
Se in vece di un disco di ebanite avessi impiegato
un' altra sostanza dielettrica qualunque , la forma della
figura non avrebbe cambiato per nulla ; sì bene la gran-
dezza. Sopra una lastra di vetro, per esempio, si ottengono
delle stelle assai più piccine.
Vogliamo adesso ripetere l'esperienza, conservando in
tutto le disposizioni di prima, ma sostituendo solamente a
l'elettricità positiva la negativa.
A tal'uopo io carico la bottiglia di Leida tenendola per
il bottone , in vece che per 1' armatura esterna , ed acco-
stando quest'ultima al conduttore della macchina.
Come la carica è avvenuta, io depongo il condensatore
sopra un sostegno isolante, lo abbandono, e poi lo ri-
prendo; afferrandolo questa volta per l'armatura esterna.
E adesso sono pronto per fare la nuova esperienza.
Solamente voglio ancora scambiare il disco di ebanite, con
un altro simile in tutto, ed affatto scarico.
Produco, come prima, refflusso per la punta e proietto
il miscuglio.
Come vedono, le cose mutano assai di apparenza, e
in luogo di una stella, si ottiene ora una figura tondeg-
giante; nella quale predomina il colore rosso, caratteristico
dell'elettricità negativa. Questa figura è assai meno grande
e meno chiara, e per tutti i rispetti meno bella, dell'altra,
che avevamo ottenuto dianzi.
Sembra che si possa dedurre di qui che il movimento
dell'elettricità negativa, a la superficie dei dielettrici si fa
con leggi differenti da quelle, che regolano il moto delle
cariche positive.
Queste figure, che abbiamo ottenuto, sono note con il
nome di figure del Lichtenberg.
— 42 —
Mi sembra che non sia il caso di insistere troppo su
l'argomento; piuttosto passiamo a lo studio, ben altrimenti
interessante, dei fenomeni di conduzione.
§ 2. — Sanno già che il fatto della conduzione si
verifica ogni volta che un corpo conduttore riunisce due
sistemi a potenziale differente.
Una delle cjuistioni più fondamentali, che^si possano
fare in proposito, è quella della distribuzione del livello
elettrico lungo il corpo, percorso da l'elettricità.
Cercheremo di risolvere sperimentalmente il problema.
Sopra due sostegni isolanti ho disposto (fig. io) un bastone
a-<>ft
BH
^H
H
•^^^1
UH
't
^M^
Fig. IO.
di legno di castagno, il quale conduce mediocremente, Jma
pure conduce l'elettricità.
Uno degli estremi di questo bastone Io collego, con
una catenella, al conduttore della macchina del Ramsden ;
e l'altro estremo, anche con una catenella , lo metterò a
suo tempo in comunicazione con il suolo.
Per avere poi un' idea del modo come si distribuisce
il potenziale, ho fissato, lungo il conduttore, quattro elet-
troscopii. Sono semplici aste di ottone, ricurve, che reggono
altrettante palline di midollo di sambuco, sospese con fili
di cotone.
Mettiamo in movimento il disco della macchina. Si
produce dell' elettricità, la quale invade anche il bastone.
— 43 —
I quattro elettroscopii si comportano tutti ad un modo.
E questo va d' accordo con quello che già sappiamo. Vi
deve essere in fatti dovunque, sul nostro sistema, uno stesso
livello elettrico.
E bene, stabiliamo il contatto con la terra. Le cose,
subito, cambiano assai.
Come vedono i quattro elettroscopii danno ora delle
indicazioni differenti. Quello più vicino a la macchina di-
verge molto ; ma negli altri la divergenza è via via mi-
nore , fino a r ultimo , che è a pena spostato da la sua
posizione di riposo.
Dobbiamo dunque concludere che il potenziale, lungo
un conduttore percorso da T elettricità, va decrescendo in
modo continuo.
Se facessimo delle misure un po' esatte troveremmo
che, nel caso nostro, la caduta avviene uniformemente. Mi
spiego. Suppongano di alzare nei punti del conduttore
(del bastone) dei segmenti rettilinei, tutti paralleli fra loro^
e proporzionali a i potenziali, che esistono in quei punti.
Le estremità di questi segmenti si verrebbero a trovare
sopra una medesima linea retta.
L'esperienza dimostra ancora che, per un determinato
conduttore, vi è un rapporto costante fra la differenza di
potenziale, che esiste a i suoi estremi, e la quantità di elet-
tricità, che passa lungo esso, [n un intervallo di tempo
determinato. E' un resultato questo, che va sotto il nome
di Legge dell'Ohm.
Quel rapporto, caratteristico per ciascun conduttore,
si suol chiamare la resistenza del conduttore stesso. Per
definire la resistenza si sceglie come intervallo l'unità di
tempo (secondo).
§ 3. — Ho avuto già occasione di assimilare una bot-
tiglia di Leida carica ad un corpo elastico soggetto a de-
formazioni. Ma dei condensatori e, in generale, dei corpi
elettrizzati si possono dare altre rappresentazioni.
Per esempio è assai comunemente usato quello, che
— 44 —
potrebbe chiamarsi il modello idrodinamico dei fenomeni
■elettrostatici.
In questo ordine di idee si confrontano i corpi elet-
trizzati con vasi cilindrici, nei quali si versa dell'acqua.
Allora la quantità del liquido corrisponde ala carica,
la sezione del recipiente a la capacità, e V altezza della
colonna sul fondo al potenziale.
Vi sono manifestamente fra le tre grandezze, che si
hanno a considerare nel modello, le stesse relazioni, che
corrono fra le grandezze elettriche.
Anzi, in realtà, i termini di capacità e di livello elet-
trico (potenziale) trovano in questa analogia la loro giu-
stificazione. Non è necessario che io faccia osservare che
le nozioni, in vece, corrispondono a qualche cosa di reale,
•che sussiste indipendentemente dal modello.
Se due vasi si fanno comunicare, e in essi il liquido
arriva ad altezze differenti, si produce un movimento del-
l'acqua, che ha per resultato di uguagliare i livelli. A lo
«tesso modo si muove l'elettricità quando si collegano due
■conduttori a potenziale diverso.
E' estremamente interessante di constatare che la legge
■del fenomeno è la stessa nell'uno e nell'altro caso. Ce ne
possiamo persuadere facendo uso della disposizione, che
vedono qui.
E' una bottiglia (fig. ii), la quale è munita, in basso,
•di rubinetto. A questo con un tubo di gomma, ho con-
giunto una lunga canna di vetro (orizzontale).
La canna è lavorata per modo che, di tratto in tratto,
ad intervalli regolari, si alzano da essa quattro tubicini,
che possono servire da manometri, vale a dire da indica-
tori della pressione.
Per ora io tengo aperto il rubinetto, così che la bot-
tiglia comunichi liberamente con la canna ; ma chiudo que-
st'ultima, a l'altro estremo, stringendo con un morsetto un
pezzo di tubo di gomma, che le è adattato.
Verso nella bottiglia dell'acqua, tinta in rosso.
— 45 —
Accade, secondo la legge ben nota dei vasi comuni-
canti , che il liquido entra per il rubinetto nella canna, e
la occupa tutta, e sale nei tubi manometrici, raggiungendo^
in ciascuno di essi il medesimo livello.
Fin qui dunque ogni cosa va per l'a punto come nel
fenomeno elettrico, che si studiava dianzi.
Ma l'analogia continua pur sempre se, aprendo l'e-
stremo libero della canna, lascio che il liquido effluisca
da esso.
Nel manometro, che è più vicino a 1' orifizio, 1' acqua
si abbassa di molto ; negli altri, fino a l'ultimo, la caduta
è via via minore. E le estremità delle colonne liquide,
come posso verificare, avvicinando un regolo, stanno sopra
una medesima retta.
Vuol dire che il modello idrodinamico non serve so-
lamente per i fatti elettrici di natura statica, ma, in vece, ha
sempre valore, anche quando lo si confronta con taluni
fenomeni di movimento.
Non è inutile osservare che, se si parla nel linguaggio
-46-
comune di correnti elettriche, e si considera la cosa come
una vera traslazione di una sostanza particolare (l'elettri-
cità), non si hanno per tutto ciò delle ragioni migliori che
questa analogia.
In realtà noi non sappiamo nemmeno se in un con-
duttore percorso da corrente vi sia da vero qualche cosa,
che si muove.
Una circostanza soltanto potrebbe far supporre che
un tale modo di concepire i fatti abbia un fondamento
oggettivo. Ed è questa che la resistenza, quella costante,
della quale ho parlato, è , per un conduttore di sezione
uniforme, proporzionale direttamente a la lunghezza, e in-
versamente a punto a la sezione.
Quindi è naturale, benché non sia necessario, di pen-
sare che qualche cosa passi dentro il conduttore ; almeno
nel caso, che ci occupa in questo momento.
§ 4. — Ho detto già che, oltre a certi corpi solidi an-
che altre sostanze presentano il fenomeno della conduzione.
FermiamcJci, per un istante, a considerare ciò, che ac-
cade quando l'elettricità passa a traverso ad un liquido
conduttore.
Qui le cose sono assai più complesse che non siano
nel caso dei metalli ; in realtà si presentano alcuni fatti
nuovi. I fatti, cioè, deìV elettrolisi.
È una nozione questa, che molti di Loro, senza dub-
bio hanno già. Riassumo quindi rapidamente di che si
tratta, spiegandomi, per maggiore chiarezza, con un esempio.
Io ho raccolto in questa piccola vaschetta di vetro, a
faccie piane e parallele , un po' di acqua , acidulata con
acido solforico. E nella vaschetta ho immerso ancora due
fili di platino sottili. Questi fili sono saldati in capo a
certi tubetti di vetro, per modo che una piccola porzione
di essi rimane a 1' aperto, e il resto penetra nell' interno
dei tubi. Nei tubi stessi poi, per l'altro estremo introduco
ancora due reofori (*), comunicanti con i poli di una mac-
(*) Fili conduttori.
— 47 —
china del Holtz. Il contatto fra i fili di platino e quelli, più
grossi, di rame è assicurato con qualche goccia di mer-
curio. Io proietto questo piccolo apparecchio con la solita
lanterna ; e ottengo un'imagine (capovolta) su lo schermo.
Si vedono distintamente, qui in alto, le estremità dei
conduttori di platino.
E bene, giriamo ora il disco della macchina e met-
tiamola in azione. Quelli di Loro, che sono più prossimi
a lo schermo, vedranno già ora formarsi su i fili certe
escrescenze tondeggianti, che si vanno lentamente ingros-
sando, finché si staccano e sembrano cadere in basso.
Sono queste minute bollicine gassose, che si svolgono
a punto a la superficie dei conduttori {elettrodi), ì quali
portano nel liquido l'elettricità.
Lo sviluppo dèi gassi è diverso su i due fili ; vi sono
molte più bolle da la parte, dove entra 1' elettricità nega-
tiva (da la parte del catodo, come si suol dire), che non a
quell'altro conduttore [l'anodo), per il quale arriva 1' elet-
tricità positiva.
Le due sostanze gassose sono di natura diff"erente. la
prima è dell'idrogeno, la^seconda è ossigeno. Come è noto,
sono questi i componenti dell' acqua ; e la proporzione
nella quale lo sviluppo avviene è precisamente quella,
secondo che i due corpi entrano a formare l'acqua.
Possiamo dunque dire che, per il passaggio dell'elet-
tricità, il liquido conduttore riesce in parte deocmposto.
Per intendere come questo avvenga si può imaginare
che gli atomi dell'idrogeno e dell'ossigeno rechino con sé
delle cariche elettriche. Che per i primi sarebbero positive
e per i secondi negative.
In seno al liquido, per gli urti , che accadono conti-
nuamente fra le molecole, alcune di queste si spezzereb-
bero nei loro componenti , gli toni. I quali sentirebbero
allora l'azione delle forze elettriche , e si muoverebbero
per sensi opposti, a seconda del segno delle loro cariche.
In questo modo avviene il trasporto dell'elettricità a
-48-
traverso i conduttori liquidi (elettroliti). Perchè, quello, che
ho detto dell'acqua, si può ripetere anche per gli acidi, e
le basi, e le soluzioni saline. Come si intende il processo
è alquanto diverso da l'altro, che si verifica, in vece, nei
metalli ; sicché possiamo distinguere quelle correnti di
conduzione, da queste, che constatiamo ora , e che si po-
trebbero chiamare di convenzione. Per vero, nel caso attuale,
le cariche sono portate sempre da i loro sostegni mate-
riali, che si muovono con esse.
Vi sono delle buone ragioni per ritenere che gli
atomi monovalenti rechino tutti una medesima quantità
di elettricità, qualunque sia la sostanza a la quale appar-
tengono. In vece gli atomi bivalenti porterebbero una quan-
■tità doppia, i trivalenti tripla, e così di seguito.
Anzi si è riusciti a determinare, almeno per appros-
simazione, la grandezza assoluta di queste cariche. Con le
unità, che ho definito nella prima lezione , la carica del-
l'atomo, monovalente ha, a l'in circa, per valore :
3- io"-
Vedremo, più avanti, come i ^esultati , che espongo,
abbiano un'importanza grande nelle teorie dell'ottica. A le
cariche, delle quali il fatto dell'elettrolisi dimostra in qual-
che modo l'esistenza, si può in fatti assegnare una parte
nei fenomeni dell'emissione della luce (*).
§ 5. — Come passa a traverso a certi solidi e liquidi,
l'elettricità può anche percorrere le sostanze 'gassose. Que-
ste anzi si comportano tutte ad un modo, sicché non vi è
differenza sensibile tra i fenomeni presentati, per esempio,
da l'aria atmosferica, o da Tidrogeno, o da l'anidride car-
bonica. In ogni caso però si ottiene una serie svariatis-
sima di fatti. Vediamone rapidamente alcuni.
Io ho disposto qui un apparecchio , che ha , nelle li-
nee generali , una certa analogia con quello che ci servì,
(•) Si confronti la lezione quindicesima.
— 49 —
in principio della lezione, per ottenere le figure del Lich-
tenberg.
Flg. 12.
Vi è anzi tutto (fig. 12) un conduttore, munito di punta
acuminata, e sorretto da un sostegno isolante ; poi una
tavoletta di ebanite, che riposa sopra una lastra di latta.
La quale ho messo in comunicazione con il suolo.
Però la punta sta ora ad una distanza di forse venti
centimetri dal piano dielettrico. Fra quella e questo è in-
terposto uno schermo, tagliato fuori da una lamina di ot-
tone, al quale ho dato la forma di croce.
Io carico una bottiglia di Leida, con la macchina del
Ramsden. nel modo ordinario. E poi, tenendola in mano,
per l'armatura esterna, ne accosto il bottone a la pallina,
che termina il conduttore acuminato.
Come dianzi, per avere una buona terra, ho messo la
stagnola della bottiglia in comunicazione con il suolo, con
una catenella metallica.
Avviene fra l'armatura interna e il conduttore a punta
4
— 50 —
una piccola scarica, e si sente anche un fischio debolis-
simo , che accompagna sempre la dispersione dell' elet-
tricità.
E bene, proiettiamo ora su la tavoletta di ebanite il
solito miscuglio di zolfo e minio. Vedremo che si forma
un'imagine della croce, rossa sul campo giallo,
L'imagine è alquanto più grande dell'oggetto e corri-
sponde a l'ombra, che questo porterebbe sul piano dielet-
lettrico, quando vi fosse nella punta una sorgente lumi-
nosa. Per questa ragione le figure, delle quali discorro,
furono dette ombre elettriche dal Righi, che le scoprì (5).
Quanto al meccanismo del fenomeno, sembra che lo si
possa intendere ammettendo che le particelle dell'aria, at-
tratte a la punta, dove la densità dell' elettrizzazione è
grandissima, ne vengano poi respinte, e rechino con sé
una parte della carica. Sarebbero lanciate , per questo
modo, secondo certe curve, che si scostano poco da la
linea retta.
§ 5. — Oltre a questo, che abbiamo constatato, vi è
tutta un'altra serie di fenomeni, a i quali anche dà luogo
il passaggio dell'elettricità a traverso a i gassi. E sono spe-
cialmente interessanti perchè si collegano con apparenze
luminose.
Uno di tali fenomeni è la scintilla, che si produce nel-
l'aria e nelle altre sostanze aeriformi, a la pressione so-
lita dell'atmosfera.
Ma la varietà e lo splendore delle apparenze luminose
sono di gran lunga maggiori, quando le scariche si pro-
vochino dentro recipienti chiusi, che contengano un gasse
rarefatto.
Richiamo, in breve, i principali resultati, che si pos-
sono constatare in queste condizioni. Lo faccio tanto più
volentieri perchè ci dovremo spesso servire, in seguito,
dei fenomeni, a i quali alludo, come mezzo di dimostra-
zione.
Io prendo anzi tutto un tubo di vetro (fig. 13), con due
— 51 —
bolle a le estremità, e un tratto capillare nel mezzo, nel
quale penetrano, e sono saldati a la fiamma, due elettrodi
di platino.
In questo tubo , che è chiuso ermetica-
mente , si trova del vapor d' acqua , ad una
pressione venticinque o trenta volte minore
di quella ordinaria dell'atmosfera (*).
Collego gli elettrodi con i conduttori di
una macchina del Holtz , e faccio agire que-
st'ultima. Il tubo si illumina di una pallida
luce rossastra, la quale diventa molto più vi-
vace se lascio nei fili esterni una piccola in-
terruzione, per modo da introdurre una scin-
tilla nel circuito.
Ora si possono anche rilevare talune par-
ticolarità del fenomeno ; propriamente si vede
che le apparenze a i due elettrodi sono al-
quanto diverse. Da una parte il filo è circon-
dato da un manicotto di luce violacea, da ^^S- H-
l'altra è a pena luminoso, ma reca, su la punta, una stel-
letta assai vivace.
Se prendessi, in luogo del vapor d'acqua, un'altra so-
stanza (gassosa) qualunque, il carattere del fenomeno non
cambierebbe. Muterebbero bensì i colori delle luci.
In vece si possono constatare dei fatti via via diffe-
renti quando, in un medesimo gasse, si fa variare la pres-
sione.
Da principio sembra che la scarica, per tal modo, venga
agevolata; poi la resistenza passa per un minimo e comincia
a crescere di nuovo.
Il carattere dei fenomeni muta radicalmente allora che
si raggiunge una pressione dell'ordine del milionesimo di
atmosfera.
{*) Gli apparecchi di questo genere si chiamano comunemente
tubi del Geissler, dal nome dell'artefice, che li costruì per il primo.
—.52 —
In tale caso pare che la scarica non vada più, come
prima, da un elettrodo a l'altro, ma anzi dal catodo si
sviluppano certi pennacchi luminosi, la direzione dei quali
non dipende per nulla da la posizione dell'anodo. Codeste
apparenze sono note sotto il nome di raggi catodici.
Noi le possiamo riscontrare con il pallone a quattro
elettrodi, che vedono qui (fig. 14). In esso penetrano quattro
fili, dei quali uno porta un dischetto, e gli altri finiscono
in punta.
A quel primo voglio congiungere
il conduttore negativo , che viene da
la macchina ; ad uno dei rimanenti
il conduttore positivo. Anche lascio
una scintilla nel circuito.
Quando si gira il disco appare nel
pallone un fascio luminoso , di color
grigio lavanda, che si stacca dal catodo
normalmente a la sua superficie, e va
a battere su la parete opposta. E vi
1 produce una bella macchia verde di
\ fluorescenza.
Non accade nessun cambiamento
sensibile se prendo come anodo un
altro degli elettrodi rettilinei.
I raggi catodici godono di molte
proprietà interessanti, le quali furono
studiate, la prima volta, dal Crookes (*). Anzi tutto quella
di eccitare la fluorescenza, di cui ci dovremo anche ser-
vire, e che ricordai or ora.
Questa proprietà non si riscontra soltanto per l'azione
dei raggi catodici sul vetro, ma bensì ogni volta che sul
cammino dei raggi stessi si interpone un ostacolo ma-
teriale.
Fig. 14.
(*) Per questo i tubi, nei quali si producono i raggi catodici,
si ctiiamano anche tubi del Crookes.
— 53
Cosi, per esempio, nei due tubi che presento Loro
(fig. 15 e 16), si può ottenere una bellissima luminosità,
Fig. 15.
Fig. 16.
che è verde erba in un caso e rosata nell'altro. Vi è del
silicato di zinco nel primo e un pezzetto di marmo nel
secondo apparecchio.
Del fenomeno della fluo-
rescenza ci si può servire
per dimostrare che i rag-
gi catodici procedono in
linea retta. Con che si giu-
stifica a punto il termine
di raggi.
In un tubo periforme (fi-
gura 17; si introducono
due elettrodi , che uno ha
la forma di disco , 1' altro
è una croce di lamina di
alluminio. La croce è munita , in basso , di cerniera, per
-54-
modo che la si può ripiegare , o pure, in vece, tenere
rialzata.
Per l'a punto la voglio alzare, e voglio congiungere
gli elettrodi con i poli della macchina , così da avere il
catodo sul dischetto. Quando si producono le scariche, si
vede disegnarsi, a la base del tubo, un'ombra della croce,
nera sul verde della fluorescenza.
Questa proprietà dei raggi catodici, di procedere in
linea retta, permette di concentrarli in un punto, per rin-
forzarne le azioni. Basta, a l'uopo, impiegare come catodo
(fig. i8y una calotta sferica, di un metallo qualunque, di
alluminio per esempio. Per tal modo i raggi si vengono
a riunire nel centro della sfera , a la quale la calotta ap-
partiene.
Fig. 19.
big. I».
E se in codesto foco si colloca una laminetta metallica,
si trova che essa si riscalda al punto da doventare rovente.
I raggi catodici sono ancora capaci di esercitare delle
azioni meccaniche ; esercitano in fatti una pressione su gli
ostacoli, che si interpongono sul loro cammino.
— 55 —
La cosa si verifica con questo tubo di forma allun-
gata (fig. 19), nel quale, su due rotaie, può girare una rota
leggerissima, fornita di palette di mica. Eccitando in tale
apparecchio dei raggi catodici, in direzione longitudinale,
si vede che la rota entra in movimento e si sposta. Il
senso della traslazione si inverte con quello della scarica.
Intendere come avvengano tutti i fenomeni, che na-
scono dal passaggio dell'elettricità a traverso a i gassi ra-
refatti, è estremamente diffìcile.
Dirò soltanto che, in alcuni casi almeno, può rendere
ottimi servizii un'ipotesi analoga a quella, che abbiamo in-
trodotto per raccogliere insieme i fatti dell'elettrolisi.
Le proprietà dei raggi catodici, in particolare, si com-
prendono bene se si ammette che essi risultino da getti
di particelle elettrizzate.
§ 6. — Le cose principali, che ho esposto in questa
lezione, si riducono in sostanza a la constatazione della
analogia fra i moti deirelettricità nei conduttori e quelli
dell'acqua nei tubi ; e poi a l'esame dei fenomeni, che na-
scono dal passaggio delle cariche a traverso a i liquidi e
a i gassi. Abbiamo veduto come da tali fatti risulti pro-
babile l'esistenza di una certa quantità di elettricità su gli
atomi della materia. Se anche questo non è oggettivamente
vero, almeno molti fenomeni avvengono, come se le cose
fossero ordinate a punto così.
LEZIONE QUARTA.
Magnetismo — Campo magnetico della corrente —
Azioni ponderomotrici ed induttive fra circuiti
elettrici.
§ I. — Nelle passate lezioni ho riassunto rapida-
mente le cose principali relative a i fenomeni deirelettro-
statica e dell'elettrodinamica, fermandomi solo, di tratto
in tratto, per insistere sopra alcuni fatti o sopra alcuni
concetti, dei quali ci dovremo servire spesse volte durante
questo corso.
Voglio fare oggi altrettanto rispetto a i fenomeni, che
nascono da l'azione di due correnti una su l'altra.
Così avremo condotto a termine la parte introduttiva.
I fatti, a i quali alludo, hanno un' importanza pratica
immensa, ma presentano anche un grande interesse logico
perchè, come vedremo, per la massima parte, non si pos-
sono più riprodurre con il modello idrodinamico.
§ 2. — Suppongo sia nota a tutti Loro l'esistenza del
magnete naturale. E* un tetrossido di ferro, i cui cristalli,
particolarmente in certe regioni della superficie, godono
della proprietà di attrarre a punto la limatura di ferro.
Se si struscia una sbarra d'acciaio sopra uno di questi
centri di attrazione, spostandola sempre in un medesimo
senso, da un estremo a l'altro, la- sbarra si magnetizza,
vale a dire acquista alcune delle proprietà del magnete
naturale.
— 57 -
Più precisamente si trova che i tratti vicini a gli
estremi sono doventati capaci di attirare la limatura di
ferro ; la parte centrale, a l'in contro, non esercita nessuna
azione sensibile. Quindi si parla, nel linguaggio comune,
di poli magnetici e di linea neutra.
Una sbarra così ottenuta può sostituire in ogni caso
il magnete naturale ; in particolare è capace di trasferire
in altre aste simili le sue proprietà.
Quando la si sospenda orizzontalmente, per modo che
possa girare intorno ad una retta verticale, una sbarra
magnetizzata si orienta, vale a dire assume una direzione,
che si conserva la stessa, in un dato luogo della terra,
entro limiti di tempo non molto grandi.
Questa direzione non è mai lontana da quella , che
segna sul piano orizzontale la traccia del meridiano. Quindi
si dà il nome di polo nord a quel polo di un magnete,
che si volge prossimamente verso il settentrione, mentre
l'altro si chiama polo sud.
E' anche ben nota la legge delle attrazioni e repul-
sioni magnetiche, secondo la quale i poli omonimi si re-
spingono e gli eteronomi si attraggono.
Avviene qui qualche cosa di simile a quello, che ac-
cade per le due elettricità di opposto segno.
Realmente lo studio del magaetipr-io ha molte analogie
con quello dell'elettrostatica. Ma ha solo delle analogie.
Perchè certe proprietà caratteristiche distinguono senz'al-
tro i due agenti.
Cosi, per esempio, mentre è possibile ottenere, con
lo strofinio, dell'elettricità positiva o negativa isolata so-
pra un dato corpo, non si può mai creare un polo nord
in una sbarra di acciaio, senza che, per ciò solo, non si
produca anche un polo sud.
E se si spezza un magnete artificiale, così da isolare
i due estremi, si ottengono da una parte e da l'altra della
frattura, dei poli ; per modo che i frammenti tornano ad
essere, a la loro volta, magneti perfetti.
-58-
Non è necessario, perchè un pezzo d'acciaio si ma-
gnetizzi, di strusciarlo secondo che ho detto avanti ; ma
basta tenerlo nell'intorno o, come si dice, nel campo di una
calamita artificiale o naturale
Ancora qui si ottengono dunque dei fenomeni di in-
duzione, vale a dire si esercitano, in apparenza, delle
azioni a distanza.
Oltre a 1' acciaio anche il ferro gode della proprietà
di magnetizzarsi in un campo magnetico. Ma la sua ma-
gnetizzazione è temporanea, vale a dire cessa, quasi com-
pletamente, con la causa, che la produsse.
Per intendere questi fenomeni si può imaginare una
teoria simile a quella del Mossotti, che ebbi occasione di
esporre in una delle passate lezioni.
Si supporrà dunque che in tutti i corpi (compresa
l'aria atmosferica e il vuoto) esistano dei cilindretti ele-
mentari, i quali si orientano in presenza dei magneti e,
per tal modo, ne trasmettono l'azione
Volendo spiegare come esistano le calamite perma-
nenti, bisognerà ammettere che gli aghi elementari siano
essi stessi sempre magnetizzati.
E la differenza fra il modo di comportarsi dell'acciaio
e quello del ferro la potremo attribuire ad una specie di
vischiosità, che, nel primo caso, mantiene gli aghetti in
una data posizione, quando una volta l'abbiano assunta.
Come outore della teoria, che riassumo, si suole in-
dicare il Poisson (6).
§ 3. — Per le azioni mutue dei poli magnetici vale
una legge analoga a quella, che regola le attrazioni e le
repulsioni delle cariche elettriche.
Quindi l'unità di magnetismo si definisce in modo si-
mile a quello, che si segue per definire l'unità di quantità.
E si chiama forza magnetica la forza, che, in un de-
terminato punto dello spazio, solleciterebbe l'unità di ma-
gnetismo nord.
Quando due poli di nome opposto stanpo in presenza
— 59 —
uno dell'altro, la forza, su la loro congiungente, è diretta
secondo la congiungente stessa dal nord al sud.
§ 4. — Vi sono, come è ben noto, delle relazioni
molto strette fra i fenomeni dell'elettricità e quelli del ma-
gnetismo. E si possono mettere in luce con un'esperienza
assai semplice.
Ho «S5^olto ad elica, intorno ad un tubo di vetro
(fig. 20}, un grosso filo di rame, che munisco di palline a
le estremità. La spirale
è allungata per modo che
le spire adiacenti non si
tocchino, ma anzi riman-
gano ad una certa di-
stanza. ^'^ ^^•
Prendo poi un'asta di acciaio e, tuffandone gli estremi
in un mucchietto di limatura di ferro, o, meglio, accostan-
doli ad un magnete sospeso, mi accerto che non presen-
tano traccia di magnetizzazione. Quindi l'asta la introduco
dentro il tubo di vetro.
E poi, con una catenella, metto a terra una delle pal-
line, che terminano la spirale. L'altra riesce a pochi mil-
limetri dal bottone di una grande giara di Leida, la cui
armatura esterna comunica anch'essa con il suolo.
Per mezzo della solita macchina de' Ramsden, carico
il condensatore, seguitando a girare il disco fino a che
non si produca una scintilla fra i due conduttori aff'acciati.
E' evidente che, quando questo avviene, una certa
quantità di elettricità passa per la spirale e si disperde
nel suolo.
Ripetiamo la cosa due o tre volte. E poi ritiriamo
la sbarra dal tubo; e di nuovo avviciniamone gli estremi
a quelli di un magnete sospeso.
Subito si vede che le condizioni sono alquanto cam-
biate ; e cioè delle estremità della sbarra una attira il polo
nord dell'ago sospeso, e l'altra lo respinge.
In poche parole, per l'azione della scarica, l'acciaio
si è magnetizzato.
~ 6o —
Cerchiamo di precisare come sia avvenuto il fenomeno.
Ecco : se a i due capi del tubo avessimo disposto due
polì di nome contrario, vale a dire se vi fosse stata da
per tutto nel vano del cilindro una forza magnetica diretta
secondo l'asse, l'effetto finale sarebbe il medesimo.
Si può dunque dire che una spirale, percorsa da l'e-
lettricità, esercita le stesse azioni magnetiche, come se
generasse nel suo interno una forza magnetica, diretta se-
condo le generatrici del cilindro, sul quale è avvolta.
E poi che siamo ridotti sempre a giudicare delle cause
da gli eff'etti , è lecito aff'ermare senz' altro che l' elica,
nelle condizioni, che s' è detto, dà luogo a la produzione
di un campo magnetico.
Ma si può tirare anche un'altra conseguenza. Secondo
le nostre vedute in fatti il campo si produce perchè il mezzo
si polarizza in un certo modo ; e questo non avverrà senza
un consumo corrispondente di energia.
Nel caso attuale l'energia si ottiene a punto facendo
cessare la polarizzazione del dielettrico nel condensatore.
10 mi sono servito, per fare l'esperienza, dell'elettri-
cità positiva ; potrei ripeterla ora impiegando delle cariche
negative.
11 resultato non sarebbe diffierente, ma solo si otter-
rebbe un polo nord a quell'estremo dell'elica, dove prima
si produceva il polo sud e viceversa. E se si pensa che
il partire dell'elettricità negativa dal condensatore è, in
fondo, un arrivare di elettricità positiva dal suolo, si vede
subito che i due fatti debbono potersi raccogliere in un
medesimo enunciato.
Un* altra modificazione si può portare a l' esperienza,
e consiste nell'avvolgere l'elica, sul tubo di vetro, da si-
nistra a destra, in vece che da destra a sinistra, come
avevo fatto ora.
Anche così le scariche danno luogo a polarità magne-
tiche ben determinate, le quali pure si scambiano con il
segno dell'elettricità, che si pone in movimento.
— 6i —
Sono dunque, in complesso, quattro esperienze di-
stinte, che due a due si equivalgono. E bene, si trova che
è possibile enunciare i resultati di tutte con una formola
sola.
La quale formola suona così : Se ci si pone a quel-
l'estremo del tubo di vetro, dove si formerà il polo sud
della sbarra magnetizzata, e si guarda la spirale, il verso,
nel quale si vedrebbe avvenire il movimento dell' elet-
tricità positiva, ove questa fosse visibile, è quello stesso,
nel quale girano sul quadrante gli indici di un orologio.
§ 5. — Abbiamo veduto, quando si parlava della teoria
del Mossotti, che, nell' intorno di un corpo elettrizzato, un
aghetto conduttore, libero di muoversi, si disponeva se-
condo la direzione della forza. Si comprende bene che
qualche cosa di simile deve avvenire per un ago magne-
tizzabile o magnetizzato in un campo magnetico.
Sicché, senza più fare esperienze, noi possiamo con-
cludere con sicurezza che se, dentro un' elica di filo con-
duttore, si sospende una piccola calamita, così che sia
libera di orientarsi come le piace, essa dovrà disporsi se-
condo l'asse del cihndro, sul quale l'elica è avvolta, a
pena in quest'ultima passi una corrente elettrica.
Anzi si capisce che noi abbiamo in tale disposizione
un mezzo per renderci conto dell'esistenza o meno di una
corrente in un dato conduttore. Anch^ potremo decidere
in che senso avvenga il movimento dell'elettricità positiva.
A punto su questo principio sono fondati gli appa-
recchi notissimi, che si chiamano galvanometri.
In pratica gli aghi magnetici non sono mai del tutto
liberi nei loro movimenti, sia perchè devono obbedire a la
forza del campo terrestre (*), sia perchè la torsione del filo,
al quale si sospendono, tende sempre ad opporsi ad ogni
causa, che porti il mobile fuori della posizione di riposo.
(*) L'esistenza del quale si deduce a punto dal fatto che gli
aghi sospesi si orientano.
— 62 —
Quindi non è possibile che la piccola calamita si di-
sponga esattamente secondo la forza, che è prodotta da
un'elica, percorsa da l'elettricità. Assumerà bensì una di-
rezione che si scosta tanto meno da quella dell'asse,
quanto più energico è lo sforzo, che la corrente esercita,
in confronto degli altri , a i quali il sistema è anche
soggetto.
Ciò significa che il galvanometro fornisce un criterio
per giudicare non solo dell'esistenza e della direzione del-
le correnti, ma ancora della grandezza delle forze magne-
tiche, a cui danno origine.
§ 6. — Fino a questo momento, volendo produrre un
flusso di elettricità noi ci siamo serviti dello spediente di
scaricare a traverso al conduttore un corpo elettrizzato
(macchina o bottiglia di Leida). Ma vi sono altri mezzi,
molto più pratici, benché teoricamente meno semplici, per
ottenere il medesimo resultato. Vale a dire vi sono degli
altri elettromotori.
Ricordo fra questi le pile, delle quali esistono moltis-
sime categorie , che si trovano descritte in qualunque
trattato.
Di alcuni di tali apparecchi faremo uso continuamente
in seguito e cioè :
i.° della pila del Bunsen, in cui si utilizza la diffe-
renza di potenziale, che si produce al contatto di due
corpi eterogenei ; e si consuma dell' energia di origine
chimica ;
2." della pila secca dello Zamboni, fondata sopra un
principio analogo;
3.° della pila termoelettrica del Nobili , dove la cor-
rente è ottenuta scaldando una saldatura, che riunisce due
metalli differenti ;
4.° finalmente, degli accumulatori, o pile secondarie,
nei quali la forza elettromotrice proviene da un fenomeno,
che sussegue a l'elettrolisi.
Se si confrontano le correnti, date da questi appa-
-63-
recchi, con lè correnti di scarica, impiegate finora da noi,
si trovano delle differenze notevoli.
Propriamente il confronto si può fare in due modi
distinti.
E cioè si possono paragonare fra loro le differenze di
potenziale, che si ottengono nei due casi a i capi del con-
duttore, nel quale si produce la corrente;© pure, in vece,
le quantità di elettricità, che risultano spostate.
11 primo confronto si farà per mezzo dell'elettroscopio
e il secondo, per esempio, determinando l' elettrolisi del-
l'acqua, acidulata con l'acido solforico.
Si ottengono, come è facile prevedere , dei resultati,
che variano di molto con le condizioni delle esperienze; ma
pure si può concludere questo di generale, che cioè, nelle
correnti di scarica, vi è sempre una differenza di poten-
ziale assai maggiore e uno spostamento di elettricità assai
minore che non si ottengano, in vece, da le pile.
Di più le correnti, che si producono scaricando una
bottiglia di Leida, non durano che un tempo brevissimo,
mentre le altre possono conservarsi, dentro un intervallo
assai largo, ad intensità costante.
Sono, come si vede, delle differenze ben nette, ma, ad
ogni modo, solamente quantitative.
§ 7. — D' ora in avanti , volendo studiare le azioni
mutue, che si esercitano fra due conduttori percorsi da
r elettricità, noi ci serviremo sempre delle correnti date
da le pile, perchè souo più facili da maneggiare.
1 fenomeni, cui alludo, si possono dividere in due
classi, secondo che le forze, delle quali si constata l' esi-
stenza, agiscono su i conduttori medesimi, o alterano, in
vece, il movimento dell'elettricità.
Nel primo caso si hanno le cosidette azioni pondero-
niotrici, nel secondo caso i fenomeni di induzione elettro-
dinamica.
Dei fatti della prima categoria non abbiamo ad oc-
cuparci ex professo, perchè essi non hanno importanza es-
senziale per il nostro corso.
- 64 ~
Ricordo soltanto che si può dimostrare come due
correnti parallele, dirette nel medesimo senso, sì attirino
e due correnti dirette in senso opposto si respingano.
Anzi farò in proposito un'osservazione, la quale non
credo sia superflua.
Nei trattati si parla comunemente di azioni pondero-
motrici, che s'esercitano fra due conduttori distinti. In realtà
non è necessario, perchè effetto vi sia, che le due correnti
rimangano del tutto indipendenti. Ma anzi due tratti del
medesimo filo, quando si ripieghino per modo da renderli
paralleli, tendono, a seconda dei casi, ad attrarsi o pure a
respingersi.
Mi fermo un momento sopra questo punto, perchè,
come vedremo, un fatto simile a quello, del quale mi oc-
cupo ora, si presenta anche nel caso delle azioni indut-
tive. E ciò ha per noi un grandissimo interesse.
Non è diffìcile verificare
l'esistenza di forze , agenti
fra tratti del medesimo filo.
Mostrerò, come esempio, un
esperimento, che vale a porre
in luce r attrazione , che si
esercita fra due porzioni , di
un circuito , parallele e nello
stesso senso.
Una grossa spirale di filo
di rame (fìg. 2ij è sospesa
ad un suo estremo ; mentre
l'altro estremo rimane libero
e viene ad immergersi per
un paio di millimetri dentro
un bicchierino pieno di mer-
curio.
La spirale ha un diametro di dieci centimetri, e conta
forse una ventina di spire.
Si capisce che, se saldo a l'estremo superiore un filo,
Fig. 21.
-65-
comunicante con uno dei poli di un elettromotore, e faccio
arrivare al mercurio un altro filo in contatto con il secondo
polo, l'elica verrà percorsa da una corrente.
Ma due tratti appartenenti a spire successive, e posti
sopra una medesima retta, parallela a l'asse, vengono ad
essere a punto nelle condizioni richieste per l'attrazione.
Quindi la spirale, a pena si stabilisca la corrente, si ac-
corcierà.
Con questo movimento l'estremo inferiore esce dal
mercurio e il flusso dell' elettricità rimane interrotto. Ma
allora la spirale si distende di nuovo e chiude manifesta-
mente, per sé stessa, il circuito ; e così di seguito.
In realtà se, nel modo che ho detto, lancio nell' elica
la corrente fornita da una pila di quattro accumulatori,
essa comincia a pulsare. E, ad ogni pulsazione, la punta
esce dal mercurio ; e il flusso si interrompe, dando luogo
ad una scintilla assai chiara e rumorosa.
Manifestamente, un'esperienza analoga a questa si po-
trebbe eseguire, per dimostrare, in vece, l'azione repulsiva
fra due tratti di circuito paralleli, ma diretti in senso op-
posto.
§ 8. — Veniamo adesso ad esaminare rapidamente i
fatti principali dell'induzione fra correnti. Io mi servo per
queste esperienze di due eliche di £iO di rame, avvolte
sopra cilindri cavi di legno. I diametri dei cilindri sono
scelti in modo che una delle eliche può entrare per l'a
punto dentro l'altra.
Adopero ancora un grande galvanometro a quadrante
verticale. Su quale principio siano fondati questi appa-
recchi ho già detto; quanto a i particolari credo inutile in-
sistervi. In quello che impiego, si è unito a 1' ago un in-
dice lunghissimo e sottile, i cui movimenti sono ben vi-
sibili a distanza. Nella posizione di riposo, vale a dire
nella posizione, che il magnete assume quando non v'è
corrente nell'elica, che lo circonda, l'indice segna lo zero.
Da una parte e da l'altra di questa cifra sono segnati dei
S
— 66 —
numeri via via crescenti. Lanciando una corrente nell'ap-
parecchio avremo uno spostamento a destra, o pure uno
spostamento a sinistra, a seconda del senso nel quale è
diretto il flusso dell'elettricità.
E la grandezza della deviazione fornirà un criterio
per giudicare dell'intensità del flusso medesimo.
Io metto in circuito con il galvanometro la spirale a
diametro più grande, e faccio passare nell'altra la corrente
data da quattro accumulatori. Come è naturale l'indice del
galvanometro non accenna a muoversi.
E bene, senza nulla alterare nelle comunicazioni, in-
troduciamo rapidamente nella spirale larga quella sottile.
Subito si osserva una deviazione, che in questo caso av-
viene verso la destra di chi guarda il quadrante.
Ma la deviazione non si mantiene, perchè l'indice, dopo
di aver oscillato tre o quattro volte ; ritorna a lo zero.
Lasciamo che si fermi del tutto, e poi ritiriamo la spi-
rale interna , rapidamente. Da capo 1' ago devia , però il
suo movimento si fa in senso opposto a quello di prima.
L'indice è andato ora su i numeri di sinistra.
Secondo che si avvicina o si allontana 1' elica indu-
cente, si producono dunque nell'elica indotta delle correnti
di senso contrario.
Che se volessimo esaminare un po' minutamente le
condizioni delle nostre esperienze, si troverebbe che nel
primo caso il flusso dell' elettricità si faceva per versi
opposti nei due circuiti ; nel secondo caso, in vece, per il
medesimo verso.
Ho detto sempre che i movimenti, che si imprimono
a l'elica inducente, rispetto a l'indotta^ devono essere ra-
pidi. In realtà, se ripeto le esperienze spostando adagino
la spirale interna, non si osserva nel galvanometro nes-
suna tendenza a deviare. Queste correnti eccitate per in-
duzione hanno dunque un'intensità, che dipende dal modo
come -varia la distanza fra i due circuiti in presenza.
Le deviazioni, che abbiamo ottenuto finora, per quanto
-67-
sensibili, erano sempre assai piccole. Posso però comuni-
care a l'ago degli impulsi più vivaci, sommando in qualche
modo gli effetti, dovuti a parecchie correnti.
Per questo comincio ad introdurre l'elica inducente nel-
l'indotta , ciò che * produce uno spostamento dell' indice
verso la destra. Ma quando l'ago ritorna indietro, e ol-
trepassa, oscillando, la posizione di riposo, ritiro la prima
spirale. Ottengo così una deviazione assai ampia da la
parte di sinistra. E poi continuo in modo analogo a por-
tare avanti e indietro il circuito inducente, badando sempre
a cogliere il momento opportuno.
Come vedono, si riesce assai presto a raggiungere degli
angoli di novanta gradi.
In vece che per lo spostamento della spirale indu-
cente, io posso ottenere delle correnti indotte anche in
altro modo.
Per esempio voglio lasciare le due spirali una dentro
l'altra, e quando il galvanometro è ben fermo interrom-
pere il flusso dell' elettricità nell' elica inducente. Subito
l'indice si sposta verso i numeri di sinistra. L' effetto è
dunque analogo a quello, che si produceva per 1' allonta-
namento del primo circuito.
Senza più fare esperienze, dirò ^he lo stabilirsi della
corrente nella spirale interna dà luogo, a la sua volta, ad
una induzione analoga a quella, che risulta avvicinando
ia spirale medesima, quando è percorsa da l'elettricità.
Anzi degli effetti simili a questi si ottengono anche
facendo soltanto variare ^cioè diminuire o crescere) la cor-
rente dell'elica interna.
Tutti i fatti, che ho ricordato, li possiamo raccogliere
in una formola unica, ove si osservi che lo stabilire o
r interrompere o il modificare, o lo spostare la corrente
inducente porta sempre ad alterare la distribuzione delle
forze magnetiche, nell'intorno del circuito indotto.
La cosa è tanto vera ed interessa così profondamente
il meccanismo del fenomeno , che le nostre esperienze si
— 68 —
possono ripetere, sostituendo un magnete a la spirale in-
ducente.
Le correnti di induzione, quando siano prodotte in
modo opportuno, hanno dei tratti a comune con le altre,
che si ottengono scaricando i condensatori. In particolare
danno luogo a differenze di potenziale assai grandi in con-
fronto di quelle raggiunte da le correnti delle pile.
Questi fenomeni si utilizzano in molti apparecchi, dei
quali il più noto e il più importante per noi è il rocchetto
del Ruhmkorff".
Il rocchetto del Ruhmkorff consta essenzialmente di due
spirali cilindriche, poste una dentro l'altra. L'interna, l'in-
ducente, ha poche spire di filo assai grosso, l'indotta, in
vece, ha un gran numero di spire di filo sottile.
Una disposizione automatica [interruttore) permette di
stabilire e interrompere la corrente del primo circuito
molte volte di seguito. Così si ottengono nell'elica esterna
delle correnti di induzione, i sensi delle quali si alternano.
Ho qui un rocchetto, assai grande, che ci permetterà
di verificare questa circostanza.
A l'uopo metto in circuito con l'indotto un tubo del
Geissler e faccio agire l' apparecchio. Si osserva che non
vi è differenza fra l'aspetto dei due elettrodi, ciò che si
deve attribuire per l' a punto ad una sopraposizione di
fenomeni.
Le cose cambiano se lascio ancora nel circuito una
interruzione, così che vi scocchi una scintilla di tre o
quattro centimetri. Si mostrano subito a le due estremità
le apparenze caratteristiche dell'anodo e del catodo.
Bisogna concludere di qui che delle due correnti di in-
duzione, le quali si generano a l'apertura e a la chiusura
del circuito inducente, una deve dar luogo a differenze di
potenziale assai piccole in confronto di quelle, che sono
raggiunte da l'altra.
È facile persuadersi, comandando a mano l' interrut-
tore, che il dislivello maggiore si ottiene in corrispondenza
dell'apertura del circuito inducente.
-69-
§ 9' — Poi che i fenomeni di induzione sembrano di-
pendere esclusivamejite dal modo come si modificano le
forze magnetiche nell' intorno del circuito indotto, ci si
presenta subito a lo spirito l' idea di ottenere delle cor-
renti per le azioni induttive di un filo metallico su sé
stesso.
Realmente la cosa è possibile e si può constatare con
tutta facilità.
Io metto in circuito con il galvanometro una pila
Bunsen e un'elica di filo di rame sottile. Questa conta un
gran numero di spire. L'ago devia e si ferma in una po-
sizione costante.
E bene, interrompiamo la corrente, ad un tratto. Su-
bito l'indice si muove, ma non si dirige verso il mezzo
del quadrante, bensì la deviazione, da principio, cresce
ancora un poco.
Quindi si fanno alcune oscillazioni; e si torna al riposo.
Vuol dire che, interrompendo il flusso dell'elettricità,
si è prodotta nel filo una corrente, che va nel medesimo
senso di quella preesistente.
Un effetto opposto si verificherebbe a la chiusura del
circuito.
A questo proposito credo opportu-.o richiamare la loro
attenzione sopra una circostanza notevole. E consiste in
ciò che gli effetti di induzione dipendono da la forma del
circuito, nel quale si studiano.
Così per esempio, se, in luogo di tenere il filo rav-
volto ad elica, lo avessi disposto in un cappio unico, la
corrente indotta sarebbe stata assai minore.
Questo fatto è collegato con l'altro che in un circuito,
percorso da corrente, si hanno degU effetti induttivi con
la semplice deformazione.
§ io. — Ho detto già che la maggior parte dei feno-
meni, dei quali ci occupiamo ora, non si possono più ri-
produrre con il modello idrodinamico.
Anzi tutto non sono imitabili le azioni ponderorao-
— 70 —
trici; tanto se si tratta di un solo circuito quanto se, in
vece, se ne considerano due.
Per ciò che riguarda poi le azioni induttive bisogna
distinguere. Per vero si osserva, nei due casi, un compor-
tamento diverso.
Propriamente sono i fatti àeìV induzione mutua quelli,.
che non rientrano nell' orbita del nostro modello ; mentre
i fenomeni dell' autoinduzione vengono ancora riprodotti
da esso.
Quanto a i primi la cosa si intende assai bene, perchè
non si vedrebbe come il movimento dell' acqua dentro un
tubo possa venire influenzato da ciò, che accade in urk
altro tubo vicino (*).
In vece si comprende come l'inerzia dell'acqua debba
dar luogo a fenomeni, simili in tutto a quelli dell' autoin-
duzione.
Del resto è facile persuadersi della cosa, con un'espe-
rienza diretta. Riprendiamo a l'uopo 1' apparecchio con i
tubi manometrici (fig. ii), che impiegammo nella lezione
passata. E disponiamolo come allora, e lasciamo che il
liquido effluisca.
Poi tutto ad un tratto, serrando il tubo di gomma, che
si trova a l' estremità, cerchiamo di interrompere il mo-
vimento.
Accade che l'acqua non si rialza senz'altro, tranquil-
lamente nei manometri. Ma anzi si solleva ad una grande
altezza, tanto da sgorgare a l'esterno ; sopra tutto in quello
che è più vicino a l'orifizio di efflusso.
Anche qui si verifica dunque la corrente indotta di
apertura, come nel caso dell'elettricità.
Questo comportamento del modello idrodinamico ha
un significato logico assai profondo.
Esso ci mostra in fatti come la verità, o per meglio'
dire l'accettabilità, di una teoria, possa essere limitata.
(*) Almeno fino a che le pareti dei due tubi rimangono rigide.
— 71 —
Ma di ciò e di altre cose analoghe discorrerò più
estesamente nella prossima lezione.
» «
§ II. — Ora conviene, in vece, riassumere i resultati
principali, che oggi abbiamo ottenuto o anche solo ricordato.
Si riducono in sostanza a la nozione del campo ma-
gnetico prodotto da una corrente; e a gli effetti che a sua
volta il campo esercita sopra i circuiti.
In particolare ho fatto cenno delle azioni pondero-
motrici ed induttive, che un filo esercita sopra sé stesso.
LEZIONE QUINTA.
Modelli dei fenomeni — Teorie meccanicamente
equivalenti — Leggi teoriche per la scarica dei
condensatori.
§ I. — Abbiamo visto, nella lezione passata, come il
modello idrodinamico non riproduca per nulla i fenomeni
di induzione, fra correnti distinte.
Si potrebbe pensare che il motivo vero di questo
fatto non stia tanto in una deficienza del nostro appa-
recchio, quanto, in vece, nella natura stessa della quistione.
E di vero può nascere il dubbio che i fenomeni, dei quali
ci occupiamo, non siano rappresentabili con modellijnec-
canici. f
In realtà le cose non vanno punto in questo modo, e
anche per l' induzione mutua si possono imaginare delle
disposizioni, che riproducono in ogni dettaglio ciò, che
s'osserva nella natura.
Queste disposizioni, in particolare, rappresentano an-
che i fenomeni, a i quali dà luogo un circuito isolato; e
riescono molto interessanti, per ciò che sono completa-
mente diverse dal modello idrodinamico.
Tale sarebbe ad esempio questo mio apparecchio,
(fig. 32) (*) (7).
(•) La figura 22, in realtà, rappresenta il modello sotto una
forma più completa, quale sarà impiegata più tardi. Per ora si tenga
conto di quelle parti soltanto, che vengono descritte nel testo.
— 73 —
Ad un asse di acciaio, che può girare sopra sé stesso,
conservandosi orizzontale, ho fissato un piccolo volano di
ghisa e due manicotti. Il primo di questi porta due sbarre,
normali a l'asse, e poste una sul prolungamento dell'altra.
Il secondo manicotto regge, in vece, quattro asticelle, delle
quali ^ascuna fa un angolo retto con quella , che la
precede. Su le sbarre scorrono due pesi e intorno a le
aste girano quattro palette di latta.
In questo modo si può variare il momento di inerzia
dell'apparecchio intorno a l'asse; e si può rendere più o
meno grande la resistenza, che l'aria oppone a le sue
rotazioni.
Così si rappresenta un circuito isolato. E della esat-
tezza della rappresentazione ci possiamo persuadere con
alcune esperienze molto semplici.
Dissi già, la volta passata, come le azioni induttive di
un conduttore sopra sé stesso, dipendano, quanto a la
grandezza, da la forma, che al conduttore si dà.
Similmente , in un sistema meccanico , gli effetti di
inerzia, dipendono dal modo, come le masse sono distribuite.
Un'ehca a spire serrate dà luogo a fenomeni di indu-
zione più netti che un'altra elica, fatta con il medesimo filo,
ed avvolta sul medesimo cilindro, ma con un passo mag-
giore.
Così si riscontra nel nostro apparecchio una tendenza
più spiccata a conservare la rotazione, quando fisso i pesi
a- l'estremità delle sbarre, che non quando li ritiro, in
vece, prossimi a l'asse.
A la spirale a breve passo corrisponde dunque, in un
certo senso, un sistema fornito di momento di inerzia
assai grande ; a 1' altra spirale, più allungata, un sistema
<:on momento minore.
Ma dissi anche che talune azioni induttive possono na-
scere da la deformazione. Per l'analogia con quello, che
avviene nel caso dei due circuiti, si può prevedere che
schiacciando una spirale si produrrà un flusso in senso
— 74 —
opposto a quello preesistente. Mentre si deve ottenere un
flusso diretto nello stesso senso quando la spirale si allunga.
E bene, dei fatti in tutto simili a questi osserviamo
anche nel nostro modello. Basta assumere, in pieno ac-
cordo con ciò che precede, la velocità angolare della ro-
tazione intorno a Tasse, per rappresentante dell' intensità
del flusso.
Propriamente si porrà in movimento 1' apparecchio e
poi, abbandonandolo a se stesso, cercheremo di variare ad
un tratto il momento di inerzia. Vedremo che al crescere
del momento corrisponde una diminuzione della velocità;
mentre il moto si accelera quando l' inerzia diventa più
piccola.
Nel nostro modello questi effetti si ottengono facendo
muovere i pesi su le sbarre. Supponiamo anzi tutto che li
si vogliano allontanare istantaneamente da l'asse. A l'uopo
sono intercalate fra il manicotto e i pesi stessi due molle,,
che tendono a mantenerli a distanza. Noi le comprimiamo
ed assicuriamo le masse mobili per mezzo di certi fìli^
che vengono a fermarsi ad un organo centrale. Questo è
costruito per modo che, a l' istante voluto, ci permetterà
di lasciar liberi i pesi.
Risulta, essenzialmente, da un'asticina, fissata a vite
contro il manicotto, perpendicolare a l'asse e a le sbarre.
Intorno a la quale, in alto, rota, con un po' di giuoco, un
cappelletto di ottone.
E il cappelletto porta, a la sua volta, tre sbarrette di
acciaio. Due di queste sono uguali, corte e stanno una
sul prolungamento dell'altra; la terza, assai più lunga, è
parallela a quelle prime due.
A le sbarrette corte, si assicurano, con cappii, i fih\
che trattengono i pesi ; mentre la sbarretta più lunga si
appoggia a l'estremità di un'appendice, la quale è fermata
anch'essa a quell'asticina, che regge il cappelletto.
Si capisce che, quando la terza sbarretta superasse
l'estremità dell'appendice, i pesi doventerebbero liberi, e
— 75 —
sarebbero abbandonati a l' azione delle molle. Questo si
ottiene presentando al sistema un ostacolo, in modo con-
veniente.
È nel caso nostro un disco di ottone, sorretto da un
manico, il quale è fissato ad uno dei ritti, che sopportano
l'asse. In generale il disco non urta contro la sbarretta^
ma, volendo , lo si può spostare , in guisa che l' incontro
si faccia.
Una disposizione analoga in tutto, a quella, che ho
descritto, dà modo di accostare in vece i pesi a l'asse di
rotazione. Basta per questo portare le molle a gli estremi
delle sbarre; e avvolgere i fili sopra certe carrucole, che
ivi si trovano.
Non mi trattengo ulteriormente sopra i particolari del-
l'apparecchio, e passo senz'altro ad eseguire le esperienze.
Comincio da quella, che dimostra gli effetti di un
incremento istantaneo del momento di inerzia. Dispongo
ogni cosa nel modo, che ho detto; quindi faccio girare
rapidamente il volano, e poi lo lascio libero. E con la
mano, abbasso il dischetto. Trascinata nel moto dell' ap-
parecchio, la sbarretta più lunga lo viene ad urtare; e i
pesi, non più trattenuti, sono lanciati a l'estremità dei loro
sostegni. A l'istante il sistema subisce come un arresto.
Questo corrisponde, secondo che si prevedeva, a la cor-
rente indotta, che s'ottiene schiacciando rapidamente un'e-
lica, percorsa da l'elettricità.
Anche l'altra esperienza , nella quale si fa, in vece,,
diminuire il momento di inerzia, riesce con esito buono.
Io trasporto , come ho accennato, le molle al di là
delle masse mobili; e tomo a fissare queste ultime con i
loro fili. Quindi rimetto l'apparecchio in rotazione.
Lasciando adesso che i pesi doventino liberi di muo-
versi, essi vengono lanciati contro l'asse; e il moto del
sistema si accelera.
Similmente si ottiene un flusso, che coopera con quella
preesistente, quando si allunga un'elica di filo conduttore
— 76-
Con questo credo di aver provato a sufficienza la
bontà del nuovo modello. Un sistema rotante intorno ad
un asse equivale dunque, in certo modo, ad un tubo per-
corso da l'acqua.
§ 2. — Abbiamo qui un fatto, che si è verificato molte
volte nella storia della scienza ; sul quale è bene tratte-
nersi un momento.
Ogni teoria, che si dà per un determinato ordine di
fenomeni, non è in sostanza che un modello, o meglio, è
la descrizione di un modello, proposto per i fenomeni stessi.
Quando esponevo Loro l'ipotesi del Mossotti su la
natura dei dielettrici, o quella del Poisson su l'induzione
magnetica, o la teoria comunemente accettata dell' elettro-
lisi, io descrivevo in realtà dei sistemi che riproducono,
a l'ingrosso, i fenomeni. Ma bisogna guardarsi dal credere
che vi sia nelle nostre rappresentazioni tutta la realtà o
anche solo una parte.
L'unico legame fra la natura e il modello, nel caso
più favorevole, consiste in ciò che le leggi secondo le quali
variano le quantità corrispondenti, sono nei due sistemi
le stesse.
Ma per questo non si richiede l' identità dei mecca-
nismi ; dal momento che di un medesimo fenomeno si
possono dare due modelli diversi. Quindi una teoria può
essere vera, per noi, senza avere in sé nulla del reale.
Anche si comprende come sia ozioso, in un gran nu-
mero di casi, il discutere sopra il valore relativo di due
ipotesi differenti. Entrambe possono essere ugualmente
vere, in quanto rendono ragione ugualmente bene di una
serie di fatti.
Ho detto dt una serie di fatti in vece di dire sen-
z'altro dei fatti perchè può accadere che una certa ipotesi,
vale a dire un certo meccanismo , spieghi , ossia ripro-
■duca, alcuni fenomeni e alcuni altri non più.
Da questo punto di vista, ma da questo soltanto, si
può stabilire un ordine di accettabilità fra le teorie pro-
poste per spiegare una classe di fatti.
— 77 —
Un esempio di ciò, che dico, lo abbiamo nel modello
idrodinamico, il quale riproduce i fenomeni di autoindu-
zione, ma non quelli di induzione mutua.
Vedremo che, in vece, l'altro modello, che ho descritto
oggiy si estende anche a questi fatti più complessi.
Vuol dire che esso sarà più accettabile del primo.
Ma, lo ripeto, fino a che si resta nel campo dell'au-
toinduzione, i due apparecchi sono in tutto equivalenti.
* Noi chiameremo a punto equivalenti meccanicamente
due teorie, che spiegano gli stessi fenomeni, basandosi su
la descrizione di due modelli diversi.
§ 3. — Chiudiamo la parentesi e torniamo al nostro
apparecchio. Occupiamoci subito di vedere come lo si di-
sponga, per metterlo in grado di riprodurre i fatti del-
l'induzione mutua.
A l'uopo infilo ancora su l'asse una rota dentata conica
(pignone) e. due manicotti. La rota dentata la fisso in una
posizione invariabile, con una vite; e i manicotti girano
liberamente.
Di essi il primo reca due sbarre d'acciaio, con due
pignoni, e l'altro ha pure un pignone.
Le cose sono disposte in modo '^^e le quattro rote
vengono ad ingranare; ciascuna con quella, che la precede
e con quella, che la segue (fig. 23)
Il secondo manicotto porta ancora un volano e quattro
asticelle, munite di palette. Esso rappresenta, con la sua
velocità angolare di rotazione, la corrente del circuito
indotto.
Quanto a la parte centrale, il suo ufficio è dì trasmet-
tere le azioni induttive dal primo al secondo sistema. Gli
effetti sono tanto più chiari quanto più grande è il mo-
mento di inerzia di quest'organo intermedio.
Ora, nel caso dell'elettricità, si trova che le correnti
indotte , a parità delle altre condizioni, crescono con la
vicinanza dei due circuiti. Aumentare il momento di inerzia
della parte centrale vuol dunque dire rendere più vicini
i due conduttori in presenza.
- 78-
Vedremo che le variazioni del momento" danno luogo
a punto a fenomeni simili a quelli, che si ottengono per
il moto dei circuiti.
Fig. 23.
Queste variazioni le produciamo, nel nostro apparec-
chio, con lo stesso artifizio, che s'impiegava testé per al-
terare il momento di inerzia del primo sistema rotante.
Se si comincia a muovere, a punto, il primo sistema
si vede subito che nell'altro circuito si produce una cor-
rente opposta a Yindticente ; e cioè il secondo volano si
mette a rotare nel senso contrario a quello, in che rota
il primo.
Ma, quando sono giunto ad imprimere con la mano
un movimento uniforme, 1' indotto si arresta. Similmente
non si osservano azioni induttive, che siano dovute ad
una corrente costante.
Fermiamo adesso il primo sistema; e senz'altro il se-
condo si metterà a girare, nello stesso verso, in cui quello
— 79 —
girava. Così se in uno di due circuiti in presenza si in-
terrompe il flusso dell' elettricità, si ottiene nell'altro un
movimento diretto come l'inducente.
Ora passo ad eseguire quelle esperienze, che hanno
il loro analogo nei fenomeni di induzione prodotti dai moti
dei circuiti. E anzi tutto ritiro in vicinanza dell'asse i pesi,
mobili su le sbarre della trasmissione. Pongo in rapido
movimento il primo volano, poi lo abbandono e faccio che
i pesi ridiventino liberi. Allora il secondo volano si mette
a girare in senso opposto al primo. Ciò che si poteva
prevedere, per l'analogia del fenomeno elettrico.
Finalmente, se dispongo le cose per modo da dimi-
nuire d'un tratto il momento d'inerzia della parte inter-
media, il sistema indotto entra in rotazione e va nello
stesso verso dell' inducente. Qui ancora la somiglianza con
il fenomeno elettrodinamico è completa.
§ 4. — L'ufficio delle teorie non è soltanto di rac-
cogliere sistematicamente una serie di fatti conosciuti, spie-
gandoli con un unico meccanismo : ma anche di mostrare
la probabilità di altri fenomeni, non ancora enervati.
La ragione, per la quale ciò riesce possibile è duplice;
può darsi anzi tutto che, per puro caso, il modello che si
è adottato, abbia con la realtà maggiori punti di contatto
che non si potesse credere a prima vista.
Ma può avvenire anche che i fatti nuovi siano conse-
guenze logiche dei fatti già noti; vale a dire siano quelli
stessi sotto un'altra forma.
Cosi, per esempio, che il modello idrodinamico oltre
a rappresentare i corpi elettrizzati, renda ancora i feno-
meni, a i quali dà luogo il movimento dell'elettricità, in un
conduttore isolato, è un puro caso.
Ma una volta che si sono ottenuti questi dud resultati,
si può, senz'altro, prevedere che il modello idrodinamico
sarà anche capace di indicarci quali apparenze debbono
accompagnare la scarica di un condensatore.
In realtà esso modello riproduce con esattezza i due
8o —
elementi, che entrano nel fenomeno, la scarica, cioè, e il
condensatore.
Ora, quando si cerca di rappresentare l'analogo del
fatto elettrico si trova che i resultati cambiano di molto
ove si faccia variare il diametro interno dei tubi, che s' im-
piegano per fare l'esperienza.
Ce ne pessiamo subito persuadere.
Ho qui davanti due ap-
parecchi semplicissimi , in
tutto simili fra loro. Si
tratta in entrambi i casi
di una canna di vetro
(fìg. 24) , lunga un metro
0 poco meno, curvata ad
U, aperta a le estremità.
Da una e da l' altra parte
la canna si\ continua in un
tubo di gomma. Di questi
tubi uno è munito di un
rubinetto a largo foro, l'al-
tro di un bocchino di ve-
tro, aperto.
La sola differenza fra le
due canne consiste in que-
sto che, per una di esse
il diametro del foro interno
è di due millimetri circa»
Fig. 24.
per l'altra è di un centimetro e mezzo.
In entrambi gli apparecchi vi è adesso una certa quan-
tità di liquido (deir acqua tinta in rosso con un colore di
anilina), che s'eleva nei due rami a metà circa della loro
altezza; i rubinetti sono aperti.
Occupiamoci prima dell' apparecchio a canna sottile.
Io prenderò ora in bocca il bocchino di vetro, ed aspirerò
leggermente, in modo da produrre un dislivello di una
trentina di centimetri. Poi chiuderò il rubinetto a l'altra
— 8i —
estremità. Come vedono, il dislivello si mantiene inalterato;
abbiamo dunque ciò, che corrisponde a due conduttori in
presenza, elettrizzati a potenziale differente. Produciamo
la scarica. Per questo basterà aprire rapidamente il rubi-
netto. L'acqua scende man mano da la parte del bocchino
e s'innalza da l'altra , finche le altezze de Ile colonne si
uguagliano. Ed ogni movimento cessa.
E bene, voglio tentare di ripetere con l'altro appa-
recchio la stessa esperienza.
Per avere un punto di riferimento segno, con un anel-
lino di carta gommata, l'altezza a la quale giunge il liquido
da la parte del rubinetto. Quindi procedo assolutamente
come dianzi: aspiro e chiudo, senza più.
Nel ramo chiuso il livello dell' acqua è ora di venti
o venticinque centimetri più basso che nell' altro ; e così
rimarrebbe indefinitamente.
Apriamo. Subito da questa parte l'acqua s'alza, ma le
cose non vanno più nello stesso modo di prima. Il liquido
supera di parecchio l'anellino di carta, poi si abbassa di
nuovo, poi torna ad alzarsi ; e ripete questi movimenti
diverse volte, facendo escursioni di mano in mano meno
ampie, finché si riduce al riposo. In ".Itre parole la super-
ficie libera dell'acqua ha oscillato adesso alquanto intorno
a la posizione di equilibrio prima di riprenderla.
Tradotti nel linguaggio dell' elettrodinamica, questi
resultati ci dicono che la scarica di un condensatore deve
potersi produrre in due modi differenti.
In certe condizioni l'elettricità passerà, in una sola
volta, da l'armatura positiva a la negativa; come, nell'ap-
parecchio a tubo sottile, l'acqua scendeva dal ramo, dove
la colonna era più alta, fino a che i livelli fossero divenuti
uguali.
In altre condizioni l'elettricità si porterà bensì da
principio, da l'armatura positiva a la negativa ; ma il po-
tenziale di quest'ultima si eleverà per modo da cagionare
un movimento in senso opposto e così di seguito.
— 82 —
Le prime scariche si chiameranno continue, e queste
altre, delle quali ho discorso ora, si diranno oscillanti.
Per analogia possiamo concludere che le oscillazioni
elettriche, come le oscillazioni dei liquidi, si smorzeranno
con rapidità
Da l'esperimento nel quale, con il modello idrodinamico,
si imita la corrente uniforme, segue senza più che a la
resistenza elettrica corrisponde l'attrito, che il tubo oppone
a ì moti dell'acqua.
Da questi fatti, che abbiamo constatato oggi, si può
dunque dedurre che la costante, da la quale dipenderà la
nat ura della scarica, sarà a punto la resistenza. Perchè è
chiaro che ciò che cambia da uno a l'altro dei nostri ap-
parecchi, è l'attrito contro le pareti della canna.
§ 5. — Dei resultati, che si accordano in tutto con
qu elli trovati ora, si possono ottenere anche da l'altro
m odello della corrente. Ove gli si aggiunga un organo,
che rappresenti il condensatore.
Come questo si possa fare è assai facile di vedere.
Un condensatore è in fatti una disposizione, la quale in-
tro duce nel circuito una differenza di potenziale, che va
cr escendo proporzionalmente a la quantità di elettricità,
passata a partire dal riposo, per una sezione qualunque
del filo.
Nel nostro modello, poi che la velocità angolare corri-
sponde a l'intensità di corrente, la quantità totale della
carica, trasportata dal flusso, avrà per rappresentazione
l'angolo, di cui è girato a partire dal riposo l'asse del si-
stema. Bisogna dunque trovar modo di applicare a l'ap-
parecchio una forza, che tenda ad ostacolare le rotazioni,
crescendo proporzionalmente a la grandezza di queste.
Ciò si può fare ricorrendo ad un corpo elastico. E di
vero è ben noto che le forze prc dotte da l'elasticità sono,
entrò certi limiti, proporzionali a la deformazione. Il re-
sultato è interessante, perchè mostra una volta di più, il
nesso, che intercede tra i fenomeni dell'elasticità e quelli
dell'elettrostatica (nei dielettrici).
83 -
AI caso pratico dovremo unire al nostro modeHo Un
filo, che sì stiri o si torca, quando l'asse gira.
L'ultima disposizione è di gran lunga la migliore ; ed
quella, che ho adottato qui.
Io torao a rimettere l' apparecchio nelle condizioni,
nelle quah si trovava da principio ; e fermo, in capo a
l'asse, una corda da pianoforte. La quale, a l'altro estremo,
è serrata a vite contro un apposito sostegno (fig. 22).
Ma non sarebbe conveniente che la corda fosse fissata
direttamente a l'asse. Perchè, quando lo si torce, il filo di
acciaio si accorcia; sicché si incurverebbero i ritti o pure
si strapperebbe ogni cosa.
Per evitare questo ho interposto ancora, fra l'asse e
la corda, un organo metallico, il quale è destinato a sop-
primere lo sforzo di trazione, senza impedire per niente,
la torsione del filo.
Un manicottìno, che si può fermare su la punta del-
l'asse (fig. 25}, porta una tavoletta e due piccole sbarre
di acciaio. Su le quali scorre liberamente una seconda
tavoletta, simile in tutto a la prima. M è però fra le due
una molla robusta. Finalmente ad un altro manicottino,
incastrato nella seconda tavoletta, si fissa la corda.
Disponiamo ogni cosa per bene, e poi diamo tre o
quattro giri al volano, e abbandoniamolo a sé. 11 filo di
acciaio si storce ; quindi si avvolge nel verso opposto a
quello di prima, e così di seguito. Sicché l'asse e tutto il
sistema rotano alternatamente nei due versi. Si ha dunque
ciò che corrisponde ad una scarica oscillante.
Anche qui se facessi crescere la resistenza, facendo
più grandi le palette, si arriverebbe da ultimo a la corrente
continua.
Ma io non voglio perdere tempo con questo. Accenno
piuttosto ad un'altro resultato, che si deduce dal modello.
Propriamente lascierò invariata la resistenza; e cambierò,
in vece, le altre costanti. A l'uopo sostituisco la corda, che
ho impiegato or ora, con un'altra più sottile ; ciò che cor-
- 84 - -
risponde a introdurre nel circuito un condensatore di più
grande capacità. Quindi toglierò affatto i pesi da le sbarre ;
con che l'autoinduzione doventa meno sensibile.
Pig. 25.
Tornando a fare l'esperienza, trovo adesso che la sca-
rica è continua. Vuol dire dunque che quella resistenza,
al di là della quale non si hanno più oscillazioni, non è
fissa, ma bensì è determinata per ogni circuito.
In particolare si vede che il suo valore è 1 tanto più
piccolo quanto più grande è la capacità e meno intensi gli
effetti di induzione, nel filo, che si studia.
Il modello ci permette di riconoscere ancora un'altra
cosa. Si trova cioè che, nel caso delle scariche oscillanti,
il periodo, vale a dire la durata di un' oscillazione intera,
- B5 -
varia con la corda di acciaio e con il momento di inerzia. Io
non posso esporre tutto ciò per esteso. Dirò soltanto che
i resultati, nel linguaggio deir elettrodinamica , suonano
così :
1. il periodo dell'oscillazione cresce con la capacità
del condensatore ;
2. ed è tanto più grande, a parità delle altre circo-
stanze, quanto più intensi sono, nel circuito, i fenomeni di
autoinduzione ;
3. la resistenza, al contrario, non influisce sul periodo,
ma solo su lo smorzamento ; il quale cresce con essa.
*
* *
§ 6. — Tutte queste conclusioni, a le quali ci ha con-
dotto lo studio dei modelli, le dovremo verificare nelle
prossime lezioni. Esse formano in realtà una parte essen-
ziale del nostro corso.
Per ora mi limito a constatare Tutile che deriva da
la rappresentazione meccanica dei fenomeni. E l'importanza
e il significato logico di questo genere di ricerche.
LEZIONE SESTA.
Oscillazioni elettrìclie — Esperienze del Feddersen
— Prime esperienze del Hertz — Onde stazionarie
lungo i fili : esperienze del v. Bezold e del Lecher.
§ I. — I modelli, che abbiamo studiato nella lezione
precedente, ci hanno fatto intravedere la possibilità di
produrre, con disposizioni opportune, delle scariche elet-
triche alternative.
A punto di queste oscillazioni mi voglio occupare
oggi; e per entrare nell'argomento mostrerò anzitutto al-
cune esperienze, che si devono al Feddersen.
Ogni volta che si provoca la scarica di un condensa-
tore, si ottiene necessariamente una scintilla nell' aria at-
mosferica o in un altro mezzo dielettrico qualunque. Tali
scintille prendono degli aspetti diversi quando, a parità
delle altre condizioni, si modifichi il circuito di scarica. Il
Feddersen studiò, molti anni or sono, i fenomeni, dei quali
discorro, valendosi di uno specchio girante (8).
Suppongano di osservare per mezzo di un riflettore una
scintilla, e suppongano ancora che il riflettore sia disposto
in guisa da poter rotare intorno ad un asse, parallelo a
la scintilla stessa.
Se questa è istantanea, o pure ha una durata brevis-
sima, la sua imagine non dififerirà di molto da l'oggetto;
in vece, quando il fenomeno si prolunghi per un certo in-
-87 -
tervallo, il riflettore mostrerà distinte nello spazio quelle
fasi, che, in realtà, sono distinte nel tempo. E in luogo
di un unico tratto luminoso si vedrà una striscia od un
nastro.
Ho fatto costruire un apparecchio, che permette di.
ripetere agevolmente l'esperienza fondamentale del Fed-
dersen ; è questo che vedono davanti a me (fig. a6).
L'organo più importante di esso è costituito da un
movimento d'orologeria, che si fa agire provocando la
caduta di un peso. Questo mette in moto un asse oriz-
zontale, che, nelle condizioni presenti dell' apparecchio,
può compiere da cinquantacinque a sessanta giri per se-
condo.
Su l'asse sono montati due specchietti, paralleli ad
esso e fra loro, ma rivolti in direzioni opposte. Sono
specchi concavi con la distanza focale di cinquanta centi-
metri. Questo vuol dire che ognuno di essi è in grado di
dare un'imagine capovolta, in grandezza naturale, di un
oggetto, che gli stia davanti ad un metro di distanza. Gli
specchi sono assicurati con un sistema di viti, il quale
permette di regolarne la posizione per modo che uno
prenda esattamente il posto dell' altro, quando 1' asse si
gira di centottanta gradi.
Ad un metro da questo primo apparecchio ho collo-
cato lo spinterometro (*|, nel quale si deve produrre la sca-
rica. Le cose sono disposte in guisa che la scintilla riu-
scirà parallela a la direzione, intorno a la quale rotano
gli specchi; e di qualche centimetro più alta che questi
ultimi.
Le palline e, in parte, le aste dello spinterometro
stanno dentro una cassetta di legno, la quale è munita di
una piccola finestra , su quella parete , che guarda gli
specchii.
(•) Spinterometro è una disposizione formata da due aste me-
talliche, con punte o palline affacciate , fra le quali si producono-
le scariche elettriche.
— 88 -
Sotto a la cassetta poi ho disposto verticalmente una
lastra dì vetro spulito. È chiaro che a punto su questa
lastra si dovrà formare un'imagine dell'intervallo di sca-
rica, quando gli specchii si trovino in posizione verticale.
E, se si vuole osservare qui 1' aspetto delle scintille, bi-
sognerà disporre le cose in guisa che le scariche passino
precisamente nell' istante, nel quale i riflettori sono giunti
a quel determinato punto della loro corsa.
Ciò si ottiene assicurando a lo stesso asse, che regge
gli specchietti, un organo metallico, il quale chiuda il cir-
cuito al momento voluto. È costituito nel nostro caso da
due bracci d'ottone, comunicanti fra loro ma isolati dal
resto deir apparecchio. Questi bracci, in continuazione uno
dell' altro, passano, una volta per ogni giro, a pochi mil-
limetri da due asticine, delle quali la prima è messa a
terra e l'altra è riunita metallicamente a uno dei rami dello
spinterometro.
La posizione dei bracci intorno a l'asse è^regolata in
modo da ottenere il resultato che si desidera.
Ed ora i preparativi dell'esperienza sono presto com-
pletati. Basta in fatti collegare il secondo ramo dello spin-
terometro con uno dei conduttori di una Wimshurst e
con l'armatura interna di una grossa boccia di Leida; e
mettere da ultimo l' armatura esterna di questa e 1* altro
polo della macchina in comunicazione con la terra.
Adesso il circuito di scarica è completamente metal-
lico, salvo, ben inteso, l'intervallo d'aria.
E bene, chiudiamo le finestre della sala e mettiam©
in azione la macchina e il movimento d'orologeria.
Ad intervalli passano delle scintille, e quelli di Loro,
che sono più vicini a me, possono vederne l'imagine su
la lastra spulita. E' formata, in ogni caso, da un tratto
bianco, luminoso, vivacissimo ; che si prolunga in una coda
a foggia di nastro, di un bel colore rosso cremisino. Questa
raggiunge una lunghezza di quindici o venti centimetri.
Sospendo un istante l'esperimento ed introduco nel
- «9 -
circuito di scarica una resistenza liquida, cioè un tubo
pieno d'acqua, acidulata con Tacido solforico. Quindi ri-
metto in moto la macchina e gli specchii.
Ora il colore e il suono delle scintille è cambiato ;
sono più rosse e meno rumorose. Anche le imagini hanno
preso forma differente. La coda è scomparsa e rimane il
solo tratto luminoso; vale a dire si osserva, in sostanza,
quello stesso che si vedrebbe fermando i riflettori.
Questi esperimenti bastano già per provare che il
fenomeno della scarica si modifica con la resistenza del
circuito e che, inoltre, la durata ne , è tanto maggiore
quanto più tale resistenza è piccola.
§ 2. — Però non segue ancora di qui che le prime
scariche osservate da noi fossero oscillanti.
L'esistenza delle correnti alternative si deduce, in vece,
senz'altro, da certe esperienze del Hertz {9).
Gli apparecchii, che ci serviranno a ripeterle, sono
semplicissimi.
Abbiamo anzi tutto un buon rocchetto del RuhmkorfF,
messo in azione da una pila di sei elementi Bunsen, ed
URO spinterometro a palline un pò grosse (di quattro
- 90 ~
centimetri di diametro), le cui braccia comunicano con le
estremità polari della spirale secondaria del Ruhmkorff.
Quindi viene la parte essenziale. E' un telaio rettan-
golare (fig. 27) di legno, il cui profilo esterno misura no-
vanta ^centimetri nei lati più lunghi e sessanta nei più
corti ; è orizzontale e sorretto da quattro gambe di legno,
alte trenta centimetri. Intorno a questo telaio è teso un
grosso filo di rame (di tre a quattro millimetri di dia-
metro). Il filo segue senza interruzione i due lati lunghi
ed uno dei lati corti del telaio; su l'altro lato corto è in-
terrotto, da entrambe le parti, a dieci centimetri da l'orlo.
Una delle estremità è ripiegata ad angolo retto, l'altra è
torta ad uncino. Si adattano qui i due elettrodi di un tubo
del Geissler.
Fig. 28.
Di cinque in cinque centimetri sono saldati al filo di
rame degli occhielli metallici, così che si può appoggiare
ad uno qualunque di essi un reoforo, che a 1' altra estre-
mità si attacca ad una delle sfere dello spinterometro.
Di questi occhielli ve n'è uno nel punto di mezzo del
lato^ corto, opposto a quello, che contiene il tubo dei
Geissler.
Da prima vogliamo metter precisamente questo punto
— 91 —
in comunicazione con lo spinterometro (fig. 28). Lascio fra
le palline un intervallo di mezzo centimetro circa e faccio
agire il rocchetto. Passa a lo spinterometro una serie con-
tinua di scintille bianche, vivacissime, particolarmente so-
nore, ma il tubo del Geissler rimane oscuro. Interrompo ;
sposto il contatto lateralmente di una diecina di centimetri,
e da capo metto in azione il Ruhmkorff. A lo spintero-
metro^ come è ben naturale, le cose vanno esattamente
come prima, al tubo del Geissler no. Qui si vede ora
della luce, vale a dire si producono delle scariche. Se io
movessi ancora il contatto, sempre nello stesso senso,
le apparenze luminose diventerebbero man mano più vivaci.
Come si spiegano questi fatti?
Ecco. Noi possiamo ammettere che la scarica nello
spinterometro sia rapidamente oscillante. Oscillerà quindi,
rapidamente, sopra una .qualunque delle sfere il valore
del potenziale.
Ad ogni istante il reoforo, che fa capo a questa sfera,
e il rettangolo di filo di rame^ che s^attacca al reoforo,
tenderanno ad assumere il potenziale, che 'corrisponde a
punto a quell'istante. Supponiamo per un momento che
ciò non accada infinitamente presto ; che occorra un
certo tempo al potenziale per percorrere il reoforo e le
due strade, che gli si aprono lungo il rettangolo di filo
conduttore. Propriamente supponiamo che questo tempo
sia dell' ordine di grandezza di quello, che è necessario
perchè muti alquanto lo stato elettrico di una delle palline.
Allora è evidente che, se attacco il reoforo in modo
che il potenziale debba percorrere lunghezze uguali per
arrivare ad ognuno degli elettrodi del tubo del Geissler,
questi si troveranno, ad ogni istante, nelle stesse condi-
zioni, e non si potrà produrre fra essi alcuna scarica.
E' ciò che abbiamo riconosciuto nella prima parte dell'e-
sperienza.
Spostiamo, in vece, di alcun poco il punto di contatto
del reoforo. Le vie per giungere a i due elettrodi del tubo
— 92 —
del Geissler non sono più uguali, bensì una è più lunga
dell' altra. Ne segue che i potenziali, che arrivano in un
determinato istante a le due estremità del tubo non pos-
sono essere partiti contemporaneamente da lo spinte-
rometro, cioè, almeno in generale, non possono essere
uguali. Sicché il tubo sarà percorso da scariche e diven-
terà luminoso. Hanno veduto poc'anzi che accade real-
mente così.
Allontanare sempre più il contatto del reoforo da la
posizione, che corrisponde a l'equilibrio, vuol dire far giun-
gere a i due elettrodi del tubo dei potenziali, i quali sono
partiti da lo spinterometro in istanti sempre più lontani.
Si aumenterà così la forza elettromotrice (*), e le scariche
doventeranno ognora più vivaci. Come si intende subito,
quando il reoforo sia posto nella posizione mediana, ogni
alterazione, che si venga a produrre in una delle due
vie aperte al potenziale per giungere a gli elettrodi del
tubo, basterà perchè quest'ultimo si illumini.
A modo d'esempio voglio appendere ad uno degli
elettrodi, per mezzo di un uncinetto metallico, un foglio
di latta (di trentacinque per cinquanta centimetri); quindi
pongo il Ruhmkorff in azione. 11 Geissler è vivamente il-
luminato. Posso ora ristabilire l'equilibrio spostando il
contatto del reoforo. Nelle condizioni della nostra espe-
rienza, per ottenere tale resultato, è necessario portare il
contatto fin verso la metà del lato lungo del rettangolo, che
resta da la banda della lastra di latta. Così il tubo si
spenge da capo.
Abbiamo visto dianzi, ripetendo l'esperienza del Fed-
dersen, che il carattere della scarica cambiava 'quando si
faceva crescere di molto la resistenza del circuito. E' ovvio
supporre che quel cambiamento corrispondesse al passaggio
àa. un fenomeno periodico ad un fenomeno aperiodico.
E bene, ora posso dimostrare, molto semplicemente,
che le cose vanno a punto così.
(*) Almeno nelle condizioni delle nostre esperienze.
— 93 —
Pongo il contatto del reoforo addirittura a canto ad
uno degli elettrodi del tubo del Geissler ; e faccio agire il
rocchetto. Le scariche sono ora molto intense; e il tubo
si illumina vivacissimamente. A poco a poco, tirando una
delle bacchette, faccio crescere la distanza fra le due pal-
line dello spinterometro ; le scintille doventano più robuste
e mandano un suono più forte e più ingrato di prima.
Essendo ora più grande l'intervallo di scarica o, come
si dice anche, la distanza esplosiva, si raggiungono cer-
tamente ad ogni scintilla delle differenze di potenziale
maggiori di quelle, che si avevano dianzi; e pure il tubo
del Geissler man mano impallidisce. Faccio crescere la di-
stanza esplosiva fino a cinque o sei centimetri e il tubo
rimane del tutto oscuro.
Adesso la scarica non è più rapidamente oscillante,
i potenziali che arrivano in un determinato istante, a i due
elettrodi, benché non siano partiti insieme da lo spintero-
metro, sono sensibilmente uguali ; e a traverso al tubo non
passa quasi punta elettricità.
L'esperienza, che ho fatto ora, mi porge occasione di
richiamare la Loro attenzione sopra un particolare, che
ha una certa importanza. La scarica data dal rocchetto del
Ruhmkorff, già di per sé, non è '^ontinua: come sanno
ogni volta che s'apre la corrente primaria si ha nell'in-
dotto un movimento d'elettricità in un determinato senso ;
ogni volta che quella corrente si chiude si ha nellindotto
un movimento in senso opposto. E' evidente che tutto
questo deve avvenire indipendentemente da la grandezza
della distanza esplosiva. Le oscillazioni della scarica, do-
vute a l'interruttore, si devono dunque produrre a lo stesso
modo, sia che le scintille siano molto lunghe, sia che esse
siano, in vece, assai corte.
Due conseguenze possiamo ricavare di qui.
In primo luogo : che il tempo necessario a l'interruttore
per fare una volta il suo movimento di va e vieni è gran-
dissimo in confronto di quello, che impiegano i potenziali
a percorrere delle lunghezze di uno o due metri.
— 94 —
In secondo luogo: che le oscillazioni elettriche, delle
quali abbiamo verificato l'esistenza, si fanno, in certo modo,
indipendentemente dal rocchetto. In realtà la parte che fa
ii rocchetto in queste esperienze, è paragonabile a quella
che facevo io stesso, la volta passata, sollevando la co-
lonna liquida in uno dei rami del tubo ad U, o pure tor-
cendo, neir altro modello, la corda da pianoforte.
§ 3. — Posto questo vogliamo fare un passo innanzi; vo-
gliamo dimostrare che le oscillazioni elettriche, che ab-
biamo imparato a produrre, sono pendolari; vale dire se-
guono, quanto al modo di variare, almeno nelle linee ge-
nerali, le stesse leggi secondo le quali si muovono i pen-
doli, e s'agita l'aria nelle canne sonore, e vibrano le corde
degli strumenti musicali.
Faremo la dimostrazione per via indiretta, provando
che, con le correnti oscillanti, si possono riprodurre i fe-
nomeni delle onde stazionarie, a i quali danno luogo a
punto le canne da organo e le corde vibranti. Molti di
Loro sanno senza dubbio ciò che si intende per onda
stazionaria ; quelli, che non ne avessero un'idea abbastanza
chiara, la potranno ricavare da una semplice esperienza,
che mostrerò ora.
Prendo un pezzo di fune, grossa un centimetro e lunga
circa tre metri, e ne attacco una estremità ad un chiodo
infisso nel muro, tengo 1' altra in mano, press'a poco a
l'altezza del chiodo, e faccio in modo che la fune resti
alquanto lenta. Dietro, per tutta la lunghezza della corda
ho fatto tendere uno schermo nero. Girando un poco la
mano in tondo comunico, gradatamente, a la fune un mo-
vimento di rotazione, à punto come fanno i bimbi quando
vogliono saltare. A pena sono giunto ad imprimere una
velocità un po' grande, arresto la mano e procuro di ten-
dere la fune. Quelli, che stanno di fronte a lo schermo,
possono vedere particolarmente bene come si proietti sopra
di esso il movimento. I due punti estremi della fune sono
immobili, e il punto di mezzo vibra con violenza in su e in
— 95 —
giù; gli altri punti vibrano anch'essi, ma i loro sposta-
menti sono gradatamente meno ampii, quanto più ci si
avvicina a le estremità. Questo particolare movimento rap
presenta a punto una delle più semplici onde stazionarie.
Nella teoria generale delle oscillazioni si sogliono
chiamare nodi quei punti dell'onda stazionaria, dove la
perturbazione (*) è nulla costantemente, mentre si chiamano
ventri quegli altri punti, dove la grandezza della pertur-
bazione oscilla fra i limiti più lontani.
Possiamo dire dunque di aver osservato dianzi il mo-
dello di un'onda stazionaria, avente un ventre nel punto
di mezzo e un nodo a ciascuno degli estremi (fig. 29 a .
E' molto facile ottenere,
con lo stesso procedimento,
le rappresentazioni di onde
più complesse.
Riprendo la fune e agito
in giro la mano, come prima,
imprimendole ancora un mo-
vimento poco ampio ma ra-
pido di va e vieni. Di nuovo
la fune si muove in tondo, Fig. 29.
ma la sua figura è cambiata. 11 punto di mezzo è sensibil-
mente fermo e le sue metà girano, quasi indipendenti, come
girava prima l'intero tratto (fig. 30). Se adesso tendo la
fune vivamente, come ho fatto allora, si proietta su lo
schermo un movimento più complicato. E' ciò che corri-
sponde ad un'onda stazionaria avente tre nodi e due ventri
(fig. 29 6;.
Ripigliando l'esperimento da capo, con l'avvertenza di
muovere la mano più rapidamente, potrei, senza alcuna
(*) Useremo spesso il termine generico di />er/ttr&fl^/o«e, quando
non importi fisstre la natura del processo che si studia, ma si
debba tener conto soltanto dtl modo, secondo il quale il processo
medesimo si compie.
96 -
difficoltà, ottenere il modello di un'onda stazionaria con
quattro nodi e tre ventri (fig. 29 e), e così di seguito.
Notino una cosa. Le onde, delle quali abbiamo veduto
le imagini, hanno questo di comune, che le loro estremità
sono sempre nodi della vibrazione. Ora in natura le cose
Fig. 30.
non vanno necessariamente in questo modo. Bensì sì pos-
sono avere delle onde con ventri a le estremità. Il carat-
tere generale rimane però sempre il medesimo.
Si ottiene l'onda stazionaria tutte le volte che una per-
turbazione periodica pendolare è rimandata da uno spec-
chio, in modo che il fenomeno riflesso si sopraponga al
fenomeno incidente.
Chiamano per solito lunghezza d'onda il doppio della
distanza, che intercede fra due nodi successivi. Di tale
distanza si dimostra che essa è il tratto, di cui si propaga
il fenomeno, nel tempo, che il sistema vibrante impiega per
compiere una vibrazione intera.
Per rendere più chiari questi concetti ho disposto qu),
sopra un piccolo mantice, una canna da organo, aperta in
alto. Vedranno come, in questo caso, si formi nell'interno,
un'onda sonora stazionaria; qui l'estremo superiore, dove
si fa la riflessione, è un ventre della vibrazione.
— 97 —
Renderò sensibile il modo , in cui si
muove r aria nei vani tratti della canna,
con un artificio assai semplice. Dentro un
tamburello (fig. 31), coperto da una sola
parte con una membrana sottile, e sospeso
a tre fili di seta, ho posto alcuni semi di
miglio. Verificheremo che, quando la canna
suoni, e vi si immerga dentro il tambu-
rello, in certe posizioni la membrana vi-
brerà, facendo saltare i semi, con un ru-
more secco caratteristico, in altre posi-
zioni ogni cosa rimarrà in quiete. Quelli sa-
ranno ventri e questi nodi della vibrazione. Fig. 31-
Faccio agire il mantice e, mentre la canna suona, pre-
sento il tamburello a l'imboccatura ; i semi si agitano vi-
vamente, qui si ha dunque un ventre. Lascio affondare
man mano il tamburello nell^ interno ; il rumore si calma,
finché cessa del tutto indicando che siamo giunti ad un
nodo ; quindi riprende e cresce fino ad un massimo nel
ventre successivo, e così di seguito.
Se chiudessi con una tavoletta l' imboccatura della
canna le cose camberebbero di molto; propriamente in
alto si avrebbe un nodo della vibrazione.
§ 4. — Avremo campo in questo corso di incontrare
delle onde elettriche stazionarie sia dell'una che dell' altra
specie. Per ora ci occorre studiare quelle , che terminano
ad un ventre.
Le prime traccie di questi fenomeni si hanno in im
lavoro già antico del v. Bezold (io). È assai interessante, dal
punto di vista storico e critico, riconoscere come vi siano
in germe in quella memoria talune delle cose più notevoli,
trovate in appresso dal Hertz, dal Lodge e da i loro -se-
guaci. Pur troppo i tempi non erano matiui e l'ambiente
scientifico era allora alquanto distratto. Le ricerche xiel
V. Bezold vennero in luce nel 1870, anno in cui in Europa,
e particolarmente in Germania, si pensava a cose meno
7
- 98-
belle, forse, ma più immediate a la vita ciie non siano le
correnti oscillanti.
Ho preparato qui tutto ciò che occorre per ripetere
l'esperie nza capitale del v. Bezold. Ma prima di indicare
come sia disposto l'apparecchio, vorrei richiamare l'atten-
zione sopra la parte più importante di esso. Si tratta,
come vedono, di due asticciuole (fig. 32) di grosso filo di
rame, che da una parte terminano in un anello, da l'altra
in una specie di punta acuminata. Ciascuna di queste
entra a dolce sfregamento in un tubetto di vetro. I due
tubi poi sono incastrati, uno a canto a l'altro, in una ta-
voletta di legno, che serve a sostenerli.
La disp osizione, che si impiega per fare l'esperienza,
è questa. Al conduttore di una piccola macchina del Ramsden
(fig. 33) è unita metallicamente una delle aste di uno spin-
terometro; l'altra asta, per mezzo di una lunga spirale
99 -
(la spirale secondaria di un rocchetto del Ruhmkorfl), vien
posta in comunicazione con il suolo. Si lascia una distanza
esplosiva di mezzo centimetro circa. Da la seconda asta
dello spinterometro parte ancora un reoforo, lungo forse
un mezzo metro, che va a saldarsi a l'anello di una delle
t-ig 55
asticine , che ho mostrato poc'anzi. Fra questo e 1' altro
anello si possono intercalare dei tratti di filo conduttore
ad arbitrio. Così la seconda asticina rimane sempre a l'e-
stremità della conduttura, la prima ne dista più o meno.
Voglio intercalare da principio un tratto di filo rettilineo;
sarà in tutto di otto o dieci centimetri. Sotto a le punte,
in immediato contatto con esse, collocherò un disco di
buon vetro isolante, foderato, su la faccia inferiore, di sta-
gnola. Con una catenella pongo questa stagnola in comu-
nicazione con il suolo.
Facciamo girare adesso lentamente il disco della mac-
china del Ramsden, finché scocchi un'unica scintilla; quindi
proiettiamo, con un soffietto, sul disco di vetro il miscuglio
di zolfo e minio, che ci servì altra volta per produrre le
figure del Lichtenberg. In corrispondenza delle due punte
si presentano ora due stelle, le caratteristiche dell'elettri-
cità positiva. Hanno sensibilmente la stessa grandezza.
— lOO —
Andiamo innanzi. Spostiamo il disco di vetro di qualche
centimetro, sicché le punte riposino da capo sopra una
regione non elettrizzata, poi fra i due anelli interponiamo
un tratto di fil di rame, assai più lungo di quello che vi
era prima. Un metro, per esempio. Facciamo scoccare
un'altra scintilla e proiettiamo il miscuglio. Si osserva
adesso un fatto curioso. La figura del Lichtenberg corri-
spondente a la bacchetta che sta a 1' estremità della con-
duttura, ha prossimamente la grandezza di prima, l'altra,
sebbene sia prodotta da una punta assai più vicina a lo
spinterometro, è, in vece, alquanto più piccola.
Se intercalassi fra le due asticine un tratto di filo
anche più lungo, una spirale di cinque metri, per esempio,
la differenza fra le figure crescerebbe ancora, ma sempre
nello stesso senso. Voglio dire che la figura della seconda
punta conserverebbe la sua grandezza, l'altra diventerebbe
più piccina.
E' inutile continuare più oltre ; perchè già ora si in-
travedono alcune conseguenze importanti. E di vero si
intende facilmente come siano andate le cose. Non occu-
piamoci per il momento della spirale che pone a terra la
seconda asta dello spinterometro; avremo occasione più
tardi di riconoscere quale sia il suo modo di funzionare.
Per ora ammettiamo semplicemente che le scariche pro-
dottesi a lo spinterometro erano scariche oscillanti. Vuol
dire che dei potenziali variabili si saranno propagati, lungo
il reoforo laterale, fino a le asticine, che reggono le due
punte. L'ultima di queste asticine non si trova per nulla
in condizioni differenti da quelle, per esempio, del punto
dello spinterometro da cui si stacca la diramazione. Fa
parte come quello di un certo conduttore; e se in un deter-
minato istante assume un dato potenziale questo poten-
ziale tenderà a propagarsi di lì per tutta V estensione del
conduttore. E' quanto dire che la perturbazione elettrica,
giunta a l'estremità della conduttura, si rifletterà', e se il
suo modo di variare è pendolare, darà luogo ad un'onda
stazionaria.
— lOI —
Le figure del Lichtenberg ottenute da noi provano che
questo accade veramente, ma danno anche qualche indi-
cazione più precisa. Abbiamo veduto in fatti che, a l'estre-
mità, si ha sempre una figura assai grande, mentre si
trovano dei resultati tanto meno belli, quanto più lontani si
va da quel punto. Vuol dire che l'estremo del filo corrisponde
ad" un ventre della vibrazione ; a partire di lì si procede
verso un nodo. In realtà, quando le condizioni dell' appa-
recchio sono buone, è possibile trovare, a tentoni, una
certa distanza da l'estremità, per la quale la figura del Lich-
tenberg riesce minima ; procedendo innanzi si ottengono,
in vece , delle figure più grandi, perchè si va verso un se-
condo ventre.
Devo fare ancora un'avvertenza, a proposito di queste
figure, che abbiamo osservato. Esse corrispondono tutte
ad un'elettrizzazione positiva. E' naturale che avvenga
così. Difatti in ogni caso si dovrebbero avere sopraposti
i segni delle due elettricità : ora sanno bene che, a parità
di condizioni, la figura positiva si produce molto più fa-
cilmente che non la negativa.
§ 5- — Si possono ottenere delle onde elettriche stazio-
narie anche con un'altra disposizione, che è dovuta al Le-
I03 —
cher(i i). Con questo procedimento le esperienze riescono più
brillanti e più oggettive e si possono meglio dimostrare da-
vanti ad un grande uditorio.
Ho fatto riprodurre 1' apparecchio del Lecher in di-
mensioni assai minori di quelle, che si impiegano di so-
lito ; bastano ad ogni modo per le esigenze della scuola.
Sopra un tavolino (fig. 34), a canto al rocchetto del
Ruhmkorff, stanno quattro lastre molto spesse, quadrate,
di zinco, di quindici centimetri di lato, affacciate due a
due, in modo da formare due condensatori uguali.
Ognuna di queste lastre, indipendentemente da le altre,
è sorretta da un piede di ebanite,
assicurato al tavolo da due viti
robuste (fig. 35). La distanza fra
le due coppie di lastre è di dieci
centimetri; fra le due lastre di
luna stessa coppia un po' meno
di tre. Dal vertice superiore in-
1 terno di ciascuna lastra si diparte
un filo di rame (di 0,13 cm. di
j diametro ) ; i quattro fili vanno
[ tutti orizzontalmente, e sono nor-
mali a i piani delle lastre. Da
luna parte i due conduttori sono
^^' 55* lunghi circa mezzo metro e met-
tono capo ad uno spinterometro; dall'altra si estendono
per tre metri e mezzo. Questi fili più lunghi sono tesi
fo^emente, mediante due uncini, infissi in aste, che furono
fermate a vite contro un altro tavolino. La congiunzione
però non è fatta direttamente. Bensì, fra gli uncini e le
estremità dei fili, sono interposti due brevi tratti di tubo
di gomma (fig. 36^ che funzionano da isolante. Queste
sono le parti essenziah dell' apparecchio. Ma, per rendere
i fenomeni alquanto più intensi, si è trovato conveniente
di aggiungere ancora un condensatore presso a l'estremità
dei fili più lunghi. È quello che abbiamo fatto qui (fig. 37).
— 103 —
Un trenta centimetri prima dei tubi di gomma, abbiamo
assicurato a ciascun filo, per mezzo di un morsetto, una
lastra di zinco, uguale in tutto a quelle dei primi due
condensatori. Queste nuove lastre stanno parallele una a
l'altra, e parallele a i fili ; riposano sul secondo tavolino,
ma vi è interposto un foglio di ebanite.
Finalmente, per rendere visibili a distanza i movimenti
deir elettricità, abbiamo intercalato qui in fondo il solito
tubo del Geissler, collegando ciascuno dei suoi elettrodi
con una delle armature del terzo condensatore.
Vediamo ora, prima di fare le esperienze, di renderci
ragione del modo di funzionare dell'apparecchio.
Premetto che le due lastre, collegate con lo spintero-
metro, si sogliono chiamare lastre primarie, come si chiama
conduttore primario il sistema formato a punto da esse e
da lo spinterometro. In modo analogo si dà il nome di
lastre secondarie a le altre due, che stanno in faccia a
— I04 —
quellfe prime, e si chiama co«aWtor^ secondario il sistema
dellie; lastre secondarie e- dei fili lunghi.
Le- due braccia dello spinterometro essendo collegate
con le estremità polari della spirale indotta del rocchetto
del Ruhmloorff in^ azione, le lastre primarie si caricano di
elettricità^ opposte; Per induzione anche le lastre secondarie
si elettrÌEKino ; in parte le loro cariche saranno trattenute,
in parte potranno muoversi, seguendo i fili lunghi. Pro-
priamente partirà un potenziale positivo da quella lastra
secondaria, che sta di fronte a la primaria positiva; da
llaltra, lastra secondaria partirà un potenziale negativo E
giunti a le estremità dei fili lunghi questi potenziali si ri-
fletteranno (*).
Su ciascun filo l'onda incidente e l'onda riflessa sa-
ranno!^ sopraposte una; a l'altra ; se dunque la scarica a
lo spinterometro è rapidamente oscillante, si produrranno
nei due fili secondami, come si intende subito, due onde
stazionarie.
Queste onde, come avveniva nel caso delle esperienze
del V. Bezold, avranno^ un ventre a l'estremità;, e, poiché
ogni cosa è simmetrica da una parte e da l'altra, i loro
nodi andranno di fronte, per coppie. Anzi si può dire su-
bito che, in generale, due punti affacciati dei fili secon-
darli avranno in ogni istante potenziali uguali e di segno
contrario.
Se ne conclude che, quando si congiungano con un
conduttore, o, come si suol dire, con un ponte , i due fili,
ciò porterà delle alterazioni nei movimenti della elettricità,
ogni volta che il ponte non vada da un nodo ad un nodo.
Abbiamo dunque un mezzo semplice ed elegante per
riconoscere l'esistenza dei nodi nelle nostre onde stazio-
narie.
(*) Non teniamo conto delk presenza del tubo del Geissler;
in realtà esso produce, almeno per ciò che riguarda il movimenta
dell'elettricità lungp i fili, delie perturbazioni trascurabili.
— I05 —
L'esperienza riesce con la massima facilità. Metto in
azione il rocchetto del RuhmkorfF e lascio a lo spintero-
metro un intervallo di scarica di quattro o cinque milli-
metri. 11 tubo del Geissler a l'estremità del conduttore se-
condario si illumina vivissimamente.
Riunisco ora con un ponte, un pezzetto di fil di rame,
le cui estremità sono torte a uncino (fig. 38], i fili secon-
darii, un po' prima del terzo
condensatore. Il tubo del Geis-
sler si spenge. Sposto poco
a' poco' il ponte, alzando la
mano di quando in quando,
per vedere se si producono Fig. 38.
di nuovo delle scariche. Per un po' di tempo il tubo ri-
mane oscuro, ma quando sono giunto ad un metro e trenta
centimetri, circa, da l'ultimo condensatore, si comincia ad
intravedere qualche apparenza luminosa. Vado ^innanzi
ancora una ventina di centimetri ed abbandono il ponte,
allontanando la mano. Il tubo del Geissler è adesso tanto
vivacemente illuminato, come lo era dianzi, quando i fili
secondari non erano riuniti metallicamente. Vuol dire che
il ponte congiunge ora due nodi della vibrazione.
Se procedo innanzi la luce torna ad indebolirsi e final-
mente si spenge.
«
» «
§ 6. — Volendo riassumere in poche parole, ciò, che
abbiamo veduto in questa lezione, ricorderò che, ripetendo
certe esperienze del Feddersen e del Hertz, ci siamo persuasi
della possibilità di ottenere delle scariche rapidamente
oscillanti. Abbiamo riconosciuto poi che, con disposizioni
convenienti, si possono produrre delle vere onde elettriche
stazionarie lungo i fili conduttori; ne abbiamo concluso
che quelle scariche oscillanti erano periodiche e pendolari.
LEZIONE SETTIMA.
Esperienze del Lodge — Esperienze del Tesla —
Fulmine e parafulmine — La corrente oscillante
ha la sua sede nel dielettrico — Esperienze del
Blondiot.
§ I, — Le correnti oscillanti, che abbiamo imparato a
produrre nella lezione passata, godono di alcune proprietà
caratteristiche, su le quali voglio richiamare oggi la Loro
attenzione.
Ripeterò anzi tutto certe esperienze del Lodge (i2y, che
servono a dimostrare come la resistenza ordinaria dei con-
duttori, quella, che si potrebbe chiamare la resistenza
ohmica, perchè trova nella legge dell'Ohm la sua defini-
zione, non ha più per le correnti oscillanti lo stesso si-
gnificato, che ha per le correnti uniformi.
Quando i poli di una pila si congiungono con due
conduttori differenti l'elettricità scorre per entrambe le vie,
ma ne passa assai più per la strada, che presenta minore
resistenza, comunque sia poi conformata. Per esempio, fra
un tratto di fil di rame lungo un chilometro e un inter-
vallo d'aria di pochi millimetri, una corrente uniforme pre-
ferirebbe la via lunga; e di vero la resistenza ohmica di
quel tratto d'aria, praticamente, è infinita.
Per le correnti oscillanti non avviene così; la strada
più corta e più diretta è la prescelta, qualunque ne sia la
resistenza (*).
(•) Per tale ragione, nell'esp;riea?a del v. Bezold, (fig. 33),
l'elettricità non si disperde nel suolo (T) fino a che il suo movi-
mento persiste.
— 107 —
Possiamo provare questo in diversi modi.
Ho disposto qui (fig. 39) una macchina del Holtz, munita
Fig- 39-
dei suoi condensatori, nel modo ordinario (*}, e del suo spin-
terometro. A canto a questo poi ho collocato un secondo
spinterometro, facendo comunicare ciascuna delle sue aste
con una delle estremità polari della macchina. La distanza
esplosiva è per il primo spinterometro di un centimetro,
o poco meno, per il secondo di alcuni millimetri soltanto
Ho riunito poi uno a l'altro i due rami del secondo spin-
terometro con un filo conduttore.
Faccio girare il disco della macchina del Holtz, in
modo da produrre nel primo inter\'allo di scarica una
serie di scintille. Come vedono anche nel secondo inter-
vallo scoccano delle piccole scintilline bianchissime. La
scarica preferisce dunque la \da più breve e più resistente
a la via meno resistente e meno diretta.
Se ora allontano una da l'altra le palline del primo
spinterometro, in modo da ottenere in esso delle scin-
tille più rade bensì, ma più lunghe e più robuste, il fe-
nomeno cambia di natura. E cioè non si hanno più scin-
tille al secondo spinterometro.
Ora sappiamo bene che, quando la distanza esplosiva
e*) Sono dne bottiglie di Leida, delle quali le armature in-
terne comunicano con le estremità polari della macchina : le arma-
tore esteme sono tmite metallicamente una a l'altra.
— io8 —
è un po' grande, la- scarica non può piiù- essere ràpida-
litétite oscillante, vuol dire che la tendenza a scegliere nel
bivio la via più breve, senza badare a la sua resistenza,
è una tendenza peculiare delle correnti alternative (*).
Possiamo verificare là stessa proprietà anche in un
altro modo.
Riprendiamo, per questo, il conduttore primario del-
l'apparecchio del Lecher, del quale ci servimmo là volta
passata (**), ed eccitiamolo con il rocchetto del Ruhmkorff,
avendo cura di mettere ancora in serie su l'indotto del
rocchetto, lo spinterometro che abbiamo impiegato or ora.
Se la distanza esplosiva nel primario del Lecher è
piccola passano delle scintille anche a lo spinterometro ;
se, in vece, faccio crescere quella distanza al di là di un
certo limite, la scarica (continua) non può più superare
il secondo intervallo d'aria. Segue bensì la derivazione
conduttrice.
§, 2. — Le scintilline, che mi hanno servito finora
per dimostrare questa curiosa proprietà delle correnti al-
ternative, della quale ci occupiamo, sono assai piccole e
non facilmente visibili da ogni parte. Può essere dunque
che alcuni di Loro non abbiano seguito la dimostrazione
in tutti i particolari.
Per ovviare a questo inconveniente ripeterò la prima
delle esperienze, che ho fatto oggi, modificandola un poco.
Prendo in luogo della macchina del Holtz il primario
del Lecher, eccitato dal rocchetto, ma non pongo più in
derivazione su l'intervallo di scarica il secondo spintero-
metro, bensì il pallone, che vedono qui (fig. 40J.
E' un grosso matraccio a tre colli, nel quale con una
macchina pneumatica si è rarefatta l'aria, fino ad una pres-
sione di dieci o dodici millimetri di mercurio. Per le due
(*) Qpesto esperimeato è noto sotto il nome di esperienza
('*) I fili secondari si potrebbero, naturalmente, tralasciare;
— 109 —
tubulature, che stanno di fronte una a l'altra, ho fatto
passare delle asticine di rame, munite di sfere di ottone
a le estremità. Le sfere distano fra loro di dieci centimetri
circa. Esse sono collegate da una spirale di filo condut-
tore^ la quale conta forse cinquanta spire.
Fig. 40.
Metto, come dicevo, i due elettrodi del pallone in de-
rivazione sul primario del Lecher ed eccito quest'ultimo
con il rocchetto, nel modo solito.
La distanza esplosiva è ora assai piccola, sicché le
scariche devono essere rapidamente oscillanti. Come vedono
si produce fra le due sfere, dentro il pallone, un bel fiocco
di luce rossa assai vivace.
Se allontano le palline dello spinterometro (*) fino
a tre o quattro centimetri, ogni luminosità cessa nell'in-
terno dello spazio vuoto, perchè la scarica sceglie a pre-
ferenza la via della spirale.
(") Nel primario del Lecher.
Con questo mi sembra di aver provato abbastanza ciò,
che aveva enunciato.
§ 3. — Passiamo ad un altro fenomeno oiferto da le
córrenti oscillanti, e precisamente dimostriamo che, quando
seguono un dato conduttore, queste correnti si comportano
in modo t^le che sembrano essere confinate negli strati super-
ficiali del conduttore stesso. Darò di questo una prova molto
semplice. Tomo a disporre la macchina del Holtz e lo spin-
terometro esattamente come al principio della lezione.
Però, in vece di mettere in derivazione su le palline un
unico filo di rame, come ho fatto testé, ne pongo quattro
o cinque, uguali ; e per il momento li tengo tutti vicini
fra loro (fig. 41), in modo che si tocchino o quasi per
l'intera lunghezza.
Metto la macchina in movi-
mento e verifico che le cose
vanno esattamente come prima;
voglio dire che le scintille pas-
sano sempre nello spinterome-
tro, benché il conduttore derivato
resistente che dianzi.
Sospendo un istante il movimento della macchina
ed allontano una da l'altra le derivazioni (fig. 42), dispo-
nendole a distanze press'a po-
co uguali, in modo da forma-
re intorno a le paUine come
una gabbia di filo ; [quindi
torno a girare.
Nulla é cambiato nei due
^" intervalli di scarica; le scin-
tille a la macchina scoccano sempre, ma nello spintero-
metro non più.
Torno a raccogliere le derivazioni in fascio, e le scin-
tilline si ripresentano senz'altro.
Così l'assunto é provato. In realtà le due aste dello
spinterometro e i fili, che le congiungono, rappresentano
Fig. 41.
sia ora anche meno
— Ili —
tanti elementi di un medesimo conduttore. Quaxido lo spin-
terometro funziona da elemento intemo non è più percorso
da le correnti oscillanti.
La stessa esperienza si può ripetere con una dispo-
sizione poco differente, l'idea della quale si deve al Hertz (13).
Su le aste di uno spinterometro ho infilato due dischi di
latta, aventi dieci centimetri di diametro ; lungo le peri-
ferie di questi, verso l'interno, a distanze costanti, sono
distribuiti sei anellini di filo di rame 'fig. 43). Si dispongono le
cose in modo che gli anellini su i dischi stiano per coppie
di fronte, sicché si possano collegare, due a due, con sei
ponti di filo conduttore, paralleli a la scintilla.
Posto questo spinterometro in luogo dell' altro, che
impiegavo prima, si verifica senza più che l'esperienza del
bivio riesce assai bene quando i sei ponti si raccolgano
tutti insieme ; mentre non riesce in nessun modo ove si
collochi ciascuno di essi al suo posto, così da formare in-
tomo a le palline uno schermo cilindrico di filo con-
duttore.
§ 4- "~ Questa proprietà delle correnti 'Oscillanti *di «on
interessare per nulla le parti interne dei conduttori, che le
guidano, dà luogo ad un fatto estremamente interessante,
sul quale mi voglio fermare un momento.
E' noto che le correnti indotte ordinarie (*) hanno
degli effetti fisiologici assai intensi ; e bene si trova che,
in vece, le correnti regolarmente oscillanti, anche se si pro-
ducono a potenziali considerevoli, non esercitano su l'or-
ganismo nessuna azione sensibile.
Non posso mostrare questo fatto con gli apparecchi,
*Ghe ho impiegato finora, perchè essi non danno delle cor-
renti alternative ab-
bastanza regolari;
ma di quando in
quando sono percorsi
da scariche continue,
ciò che , per lo spe-
rimentatore , è assai
poco piacevole (**).
L'esperienza riesce,
in vece, con tutta si-
curezza se si adopera
una disposizione, del-
la quale la prima
idea si deve al Tesi a.
Le estremità polari
di un rocchetto del
p- Ruhmkorff (14) comu-
nicano (fig. 44) con
le armature interne di due grossi condensatori e con le
palline di uno spinterometro.
Quanto a le armature esterne esse sono riunite una
(*) Correnti ad alto potenziale.
(*•) Potrebbe darsi anche che il corpo umano, con la sua re-
sistenza impedisca il regime alternativo delle scariche.
— "3 —
a r altra da un' elica , che conta dieci o dodici spire di
grosso filo di rame.
Se si fa agire l' induttore le bottiglie di Leida si ca-
ricano fino ad un certo potenziale, che è limitato da la
grandezza della distanza esplosiva a lo spinterometro.
Durante la scarica 1' elica è percorsa da correnti, le
quali, nel nostro caso (se la scintilla non è troppo lunga),
riescono oscillanti.
Ora quella prima spirale sta dentro un tubo di vetro
a pareti molto spesse , sul quale è avvolta un' altra
elica. Questa è di filo sottile e conta duecento spire a
l'in circa.
Per evitare delle scariche fra i due circuiti ho immerso
tutto il sistema nell'olio.
Si capisce che anche nella seconda spirale passeranno
a suo tempo delle correnti alternative ; sono a punto quelle
che serviranno a le nostre esperienze.
Per ora ho riunito gli estremi dell'elica indotta a i due
bracci di un secondo spinterometro.
Faccio agire il rocchetto e regolo il primo intervallo
di scarica per modo che esso abbia un sette od otto mil-
limetri di lunghezza. Anche nel secondo intervallo scattano
delle scintille, e posso allontanare le palline fino a quattro
o cinque centimetri.
E bene, se adesso afferro con le mani le due aste dello
spinterometro, così da inserire il mio corpo nel circuito,
non provo nessuna sensazione spiacevole, o, per meglio
dire, non provo sensazione di sorta.
E notino che, nelle stesse condizioni, un piccolo roc-
chetto del RuhmkorfF, un rocchetto capace di dare una
scintilla di mezzo centimetro, mi cagionerebbe già uno spa-
simo intollerabile.
La spiegazione del fenomeno si deve cercare, come
accennavo da principio , nella proprietà , che le correnti
oscillanti hanno, di rimanere confinate'negli strati superfi-
ciali del conduttore, che le guida. A punto per questo i
8
— 114 —
miei muscoli, quando impiego l'apparecchio del Tesla, non
vanno soggetti a contrazioni.
La disposizione, che abbiamo usato si presta assai
bene per dimostrare molti altri fenomeni, a i quali danno
luogo le correnti alternative ; approfitto della circostanza,
per ripetere alcune di tali esperienze.
E anzi tutto, se chiudo le finestre della sala e allontano
le palline nel secondo spinterometro, per modo che non
passino più scintille, vedranno che i fili, i quali portano
da le estremità della spirale indotta a l'intervallo di sca-
rica, si rivestono di fiocchi luminosi, di bellissimo aspetto.
L'esperienza si può rendere anche più brillante colle-
gando con l'elica secondaria due reofori isolati e disposti
parallelamente uno a l'altro, a breve distanza.
Quelli, che impiego (fig. 45), hanno forse un paio di
FJg. 45.
metri di lunghezza e sono tesi fra due bacchette orizzontali
di vetro; corrono fra essi sette od otto centimetri.
Quando metto l'apparecchio in azione passa fra i due
conduttori un gran numero di scintille molto sottili e ros-
sastre, per modo che tutto il fenomeno ha l'apparenza di
un lungo nastro luminoso.
— 115 —
Queste correnti alternative producono degli effetti in-
teressanti anche nei palloni a gas rarefatto.
Così per esempio, introducendo in circuito con la spi-
rale secondaria uno dei soliti tubi del Geissler (cfr. fig. 13),
questo si illumina, ma si illumina in un modo particolare,
e cioè non si osser\'a più nessuna differenza fra le due
estremità.
La cosa si intende subito quando si badi che, per
essere la scarica alternativa, ciascun elettrodo agisce suc-
cessivamente da anodo e da catodo ; sicché da le due parti
le apparenze caratteristiche si soprapongono.
Similmente, se studio il comportamento di quest'altro
tubo rettilineo, nel quale il vuoto fu spinto molto più avanti,
trovo che a i due estremi si sviluppano i raggi catodici.
Me ne persuado osservando una lastrina di marmo, che è
fissata nel mezzo deir apparecchio, normalmente al suo
asse; questa si illumina per fluorescenza su le due faccie.
Ma posso ottenere degli altri resultati , ben altri-
menti curiosi
Per esempio, non è necessario, per eccitare i palloni
a vuoto, che io li metta in diretto contatto con il circuito
secondario. Basta che appoggi una mano sopra un punto
di questo e poi accosti l'altra ad un tubo del Geissler,
perchè esso brilli di luce assai viva.
Le esperienze si potrebbero variare a l'infinito, ma
l'interesse, che offrono non è grande; sicché non è il caso
di spenderxn molte parole.
§ 5. — Piuttosto voglio fare un'altra digressione.
Alcuni dei fenomeni, che ho descritto oggi, hanno
un' importanza capitale per la teoria del parafulmine e
sarà bene accennare a questo, brevemente.
Molti di loro avranno certamente sentito raccontare
di fulmini caduti, recando danni, sopra case, che si stima-
vano protette con tutte le regole dell'arte. Avranno anche
sentito che, nella maggior parte dei casi, dopo il sinistro,
le condutture dei parafulmini si trovavano in ottime con-
— ii6 —
dizioni. Ora non è difficile intendere cóme queste cose
possano avvenire.
Per spiegarmi meglio disegnerò su la lavagna un pro-
filo ideale di casa (fig. 46). con il suo bravo parafulmine, py
Fig. 46.
e con il conduttore e e, destinato a disperdere nel suolo, /^
le scariche atmosferiche. Segno ancora in alto, nel cielo,,
una nuvola, n, e dentro la casa un grosso conduttore, C;
sarà per esempio una macchina, o una cassa forte, o qua-
lunque altra cosa.
Qui a canto riporto schematicamente la disposizione
di una delle esperienze, che ho mostrato poc'anzi: il pri-
mario dell'apparecchio del Lecher (fig 47), messo in serie
con uno spinterometro e con l'indotto del rocchetto del
Ruhmkorff. Distinguo con lettere le diverse parti, come ho
— 117 —
fatto per l'altro disegno. Chiamo n quel polo del rocchetto,
che è congiunto con un ramo del primario e / il secondo
polo: pp sarà il sistema forma'o da l'altro ramo del pri-
mario e da la pallina dello spinterometro, che è collegata
con esso; finalmente C sarà la seconda pallina e e e la
derivazione.
Fi?. 47
Basta dare un'occhiata a le due figure per compren-
dere come il fulmine possa danneggiare la casa malgrado
tutte le precauzioni. Sappiamo in fatti che , nella nostra
esperienza, quando la scarica fra p ed « era oscillante, si
avevano scintille fra p e C, quantunque vi fosse la deri-
vazione e e. Vuol dire che, se la scarica fra la nube e il
parafulmine sarà oscillante, quest'ultimo non costituirà per
nulla una difesa; anzi potranno passare delle lunghe scin-
tille fra esso e gli oggetti conduttori, che esistono nella
casa.
E' però facile vedere dove si debba cercare un riparo
veramente efficace ; bisognerà fare in modo che tutte le
vie, che il fulmine potrebbe seguire dentro la casa, diven-
tino elementi interni del conduttore, che gli si vuol far
percorrere. E' qua..vO dire che, in vece di congiungere l'asta
ii8 —
del parafulmine al suolo con una sola fune metallica, sì
dovrà disporre un gran numero di queste funi, in guisa
da chiudere la casa dentro un involucro conduttore.
§ 6. — Riprendiamo le nostre esperienze. Ho fatto
vedere che , per le correnti oscillanti , ciò che interessa è
la parte superficiale del conduttore. E bene , a questo
proposito si può affermare qualche cosa di più, si può
dire cioè che la corrente non è per nulla nel filo, ma è
sopra il filo, nel mezzo isolante, che lo circonda.
Questo è tanto vero che la velocità, con la quale si
propaga una perturbazione elettrica, lungo un filo condut-
tore, non dipende da la natura del conduttore stesso,
mentre varia con il mezzo dielettrico nel quale il condut-
tore è immerso.
Si verifica agevolmente questa proprietà con l'appa-
recchio del Lecher.
Il primario è ancora quello stesso, che ho impiegato
altre volte ; il secon-
dario è alquanto mo-
dificato. I fili sono ora
un po' più lunghi, han-
no come prima uno
spessore di un milli-
metro e tre decimi, ma
uno di essi è di rame
e l'altro è di ferro.
A quattro metri da
le lastre secondarie
mettono capo ad un
piccolo telaio rettan-
golare di legno (fig. 48)
e ne traversano un
lato. Qui sono assicu-
rati con due morsetti,
in modo che non pos-
sano sfuggire. Quindi, a partire da i morsetti, si ripiegano
— 119 —
verso il basso a foggia di ^, e raggiungono, il lato op-
posto del telaio , che traversano pure. Anche da questa
parte sono trattenuti da due morsetti. Usciti dal telaio i
due fih, dopo pochi centimetri di percorso , si vanno ad
uncinare a i soliti tubi di gomma, che servono per tenderli
e per isolarli.
11 telaio si può adat-
tare in alto ad una sca-
tola prismatica , aperta,
di latta (fig. 49), la qua-
le viene così a com-
prendere i due U, for-
mati da i conduttori se-
condarii : è alta circa
venti centimetri.
Bisogna badare che
la scatola non tocchi
ne i fili né i morsetti.
A la estremità del
secondario aggiungo al
solito il tubo del Geis-
sler, e faccio agire l'ap-
parecchio di induzione.
Fig. 49
Un ponte metallico mi permette di riconoscere, come
feci la volta passata, la posizione dei nodi. Comincio a
metterlo a canto a le seconde lastre, poi lo sposto adagino
verso la scatola. Incontro una prima coppia di nodi dopo
circa venticinque centimetri, un'altra ad un metro e set-
tantacinque da le lastre, una terza ne potrei trovare più
avanti (*). Ma è inutile continuare.
Abbandoniamo il ponte nel secondo nodo e facciamo
subito un'osservazione. Ho incontrato delle coppie di nodi
in punti affacciati dei due fili ; precisamente come quando
i conduttori secondari! erano formati con lo stesso metallo ;
(•) A metri tre e trenta circa, da le lastre secondarie.
120 —
questo prova che le onde hanno la medesima lunghezza,
vale a dire, nelle nostre condizioni, la medesima velocità
di propagazione, così se si guidano con un filo di rame
come se si guidano con un filo di ferro.
Ora posso mostrare facilmente che la velocità, e quindi
la lunghezza delle onde, si modifica, in vece, ove a l'aria
ambiente, si sostituisca, anche solo in parte, un altro die-
lettrico.
Il ponte è sempre nel secondo nodo e il tubo di
Geissler è vivamente illuminato. Verso un po' di petrolio
dentro la scatola di latta, la luce impallidisce gradatamente
e, a la fine, si spenge.
Le onde adesso sono costrette a passare per un breve
tratto nel petrolio, in questo liquido camminano più len-
tamente che nell'aria e quindi appariscono scorciate. Che
sia realmente così lo posso provare subito movendo il
ponte; lo scosto in fatti di venti o trenta centimetri da la
sua posizione attuale, verso la scatola, e ritrovo i nodi,
e il tubo si riaccende.
Si potrebbe forse dubitare che questo nuovo nodo
esistesse già prima, e fosse più netto di quello dove stava
il ponte. Ma dimostro senz'altro che il dubbio è infondato,
vuotando, con un sifone, la scatola. Come vedono il tubo
ridiventa oscuro, mentre torna a brillare vivamente se ri-
metto il ponte nella posizione primitiva.
Segue da queste esperienze che la corrente oscillante,
come avevo detto, scorre sul conduttore, il quale non ha
altro ufficio che di guidarla, a punto come nelle ferrovie
le rotaie guidano il treno.
Anche si intravede un metodo per determinare le
velocità relative delle onde elettriche nei diversi mezzi,
vale a dire gli indici di rifrazione elettrici.
Certe misure, fondate a punto su questo principio,
hanno permesso di concludere che tali indici di rifrazione
sono, nella maggior parte dei casi, uguali prossimamente
a quelli, che si trovano per la luce.
— 121 —
Ciò non prova, ben inteso, che i raggi luminosi si
muovano, in un determinato mezzo, con la stessa velocità,
con la quale si spostano le correnti oscillanti lungo un
conduttore, immerso in quel mezzo medesimo.
Ma è chiaro che basterebbe riconoscere in un solo
caso l'uguaglianza delle velocità, per poterne concludere
l'identità della propagazione in ogni altro caso.
§ 7. — Il Blondlot ha affrontato questo problema
con una ricerca diretta e lo ha risolto in modo piena-
mente soddisfacente (15). Egli si è limitato a lo studio di
fili tesi nell'aria atmosferica.
Darò un cenno del suo apparecchio e dei suoi re-
sultati.
Due condensatori uguaU A e A' (fig. 50) stanno di
fronte uno a l'altro. Le loro armature inteme comunicano
122 —
con gli estremi della spirale secondaria di un rocchetto
del Ruhmkorff e con le aste dello spinterometro Si-
Le armature esterne sono divise in due parti, ciò che
s'ottiene togliendo la stagnola sopra un tratto di superficie,
che gira ad anello intorno al condensatore.
Siano a ed a\, a' ed a\, i tratti metallici, che restano
sul vetro delle due boccie ; di questi ì superiori sono
riuniti con un pezzo di fune bagnata e , un conduttore
dunque di grande resistenza.
Di più le armature a a' comunicano ancora diretta-
mente con i bracci p /»' di uno spinterometro a punte (s^);
e le armature a\ a\ sono collegate a i bracci stessi da due
lunghi fili di rame, uguali.
Quando il rocchetto agisce, i conduttori interni si ca-
ricano di elettricità opposte, finché la differenza di poten-
ziale abbia raggiunto un certo limite ; quindi scatta in S\
una scintilla.
In questo istante le cariche, raccolte su le armature
esterne, si trovano libere e si vengono a neutralizzare a
traverso l'intervallo So.
Solamente da a ad a' la corrente arriva dopo un
cammino brevissimo; mentre, per andare da a\ ad a\,
essa deve percorrere i lunghi fili interposti.
Vuol dire che, in realtà, in S2 non si produce una
sola scintilla, ma se ne producono due, separate da un
certo intervallo di tempo. 11 quale dipende manifestamente
da la lunghezza dei fili intercalati fra ai, a\ e lo spinte
rometro, e da la velocità con la quale la perturbazione si
sposta lungo i fili medesimi.
Trattandosi di un intervallo assai piccolo non lo si
può determinare con l'osservazione diretta. Il Blondlot si
servì a l'uopo di un artifizio simile a quello del Feddersen
che abbiamo imparato a conoscere nella lezione passata
Egli proiettava un'imagine dell'intervallo di scarica s
sopra un rotolo di carta sensibile, che faceva girare rapi
dissimamente intorno ad un asse, parallelo a punto a l'in-
— 123 —
tervallo. In questo modo otteneva ad ogni scintilla due
impressioni separate.
Conoscendo la lunghezza dei fili e il numero dei giri,
che il cilindro sensibile compie nell' unità di tempo ; e mi-
surando ancora la distanza, che intercede fra le imagini,
corrispondenti a una stessa scarica, si può dedurre con
un calcolo molto semplice, la velocità della perturbazione
lungo il conduttore.
Da una delle sue esperienze (*) il Blondlot ottenne
per questa costante il valore:
2,96.10'^ centimetri per secondo.
Si tratta dunque di una velocità poco diversa da quella
della luce nell' aria, a la quale le numerose misure asse-
gnano concordemente la grandezza di
3.10IO centimetri per secondo.
Di qui si deduce subito, come avvertivo, che, anche
in ogni altro mezzo, i raggi luminosi e le perturbazioni
elettriche, guidate da i fili metallici, hanno, press'a poco,,
la stessa velocità.
« *
§ 8. — Nella lezione d'oggi abbiamo dunque ottenuto
alcuni resultati notevoli. E propriamente abbiamo veri-
ficato da prima che per le correnti oscillanti la resistenza
ohmica non ha il medesimo significato , che ha per le
correnti tmiformi. Quindi abbiamo riconosciuto che, nel
caso delle scariche alternative , la parte intema del con-
duttore non entra affatto in giuoco ; che anzi la corrente
è guidata dal filo, ma risiede propriamente nel dielettrico^
e si muove in esso come un raggio di luce.
(*) Fatu con fili di circa un chilometro.
LEZIONE OTTAVA.
Fenomeni di risonanza — Raggi di forza elettrica:
corpi opachi e corpi trasparenti ; propagazione
rettilinea; riflessione e rifrazione.
§ I. — Le proprietà delle scariche alternative, delle
ii^uali ho discorso nella lezione passata, dipendono dal loro
modo rapido di variare, ma non da la loro periodicità (*).
Passiamo oggi a lo studio di certi fenomeni , i quali ser-
vono, in vece, a porre in risalto la natura periodica delle
correnti oscillanti.
Intendo parlare dei fenomeni cosidetti di risonanza.
E' questo un argomento assai importante, perchè il
fatto deUa risonanza ha una gran parte in quasi tutte le
esperienze, che faremo d'ora innanzi. E del resto questo
fatto si presenta in altri campi della fìsica, in meccanica,
in acustica, e, come avremo occasione di vedere, anche
neir ottica.
Enunciare a parole, in modo generale, il principio della
risonanza non è molto facile. Volendo , si potrebbe dire
press'a poco così : dati due sistemi capaci di subire una
perturbazione periodica, se uno solo di essi è in quiete e
l'altro gli può in qualche modo comunicare il suo movi-
(*) In qualche caso bensì, per le nostre dimostrazioni, ci siamo
approfittati della circostanza che le correnti impiegate erano alter-
native; cosi, per esempio , nell'esperienza con l'apparecchio del
Lecher.
— 125 -
mento, l'eccitazione si farà tanto meglio quanto più vicini
sono i periodi, che spettano a i due sistemi in'quistione.
Mi spiegherò meglio con qualche esempio, e cercherò
anche di far comprendere la ragione dei fenomeni di ri-
sonanza.
Ho disposto uno a canto a l'altro, sopra un medesimo
sostegno tre pendoli (fig. 51); semplici fili d'acciaio, che
sostengono delle palline di piombo.
1 punti di sospen-
sione seno allineati, adi
intervalli uguali. Di que-
sti tre pendoli quello
dì destra e quello di i
sinistra sono in tutto
simili, avranno un metro
di lunghezza a l'in circa ;
il terzo è alquanto più
lungo.
Sposto un poco da
la sua posizione d'equi-
librio il pendolo di de-
stra e lo lascio oscillare
liberamente. Si comincia
già ora a vedere , e si
vedrà meglio fra qual-
che minuto, che il pen-
dolo di sinistra, a poco a poco, entra anch'esso in movi-
mento ; l'altro, più lungo, rimane quasi del tutto immobile.
Ora sanno bene che ciò, che determina il periodo di
oscillazione di un pendolo, è a punto la sua lunghezza.
Questo, che osserviamo, è dunque un vero fenomeno
di risonanza, almeno prendendo la parola nel senso più
generale, che ho indicato.
E si vede subito come il fatto si possa spiegare. Al
principio del suo movimento il pendolo mobile, a traverso
al sostegno, ha comunicato un piccolo impulso a quell'altro
Fig. 51,
— 126 —
pendolo, che gli è in tutto uguale ; questo sì è mosso in
un certo senso ed ha cominciato ad oscillare impercetti-
bilmente. Più tardi il pendolo di destra ha mandato sempre
degli impulsi che in ogni istante favorivano il movimento
del pendolo di sinistra. Per esempio , l' impulso impresso
dal pendolo di destra a la fine della sua prima mezza
oscillazione, tendeva a muovere 1' altro pendolo in senso
opposto a quello in cui s'era spostato al principio del
moto. Ora, mentre riceveva questo nuovo impulso, il pen-
dolo di sinistra aveva compiuto a punto una mezza oscil-
lazione e si muoveva, già di per sé, nel senso opposto a
quello, in cui s'era mosso da prima.
Naturalmente queste cose non si possono dire del
terzo pendolo, il quale, essendo più lungo di quello di
destra, ha un periodo d'oscillazione completamente diverso.
Qui è avvenuto, senza dubbio, che alcuni degli impulsi
successivi hanno distrutto, in parte, l'effetto di quelli, che
li avevano preceduti. Per questo non si è potuto produrre
un movimento così ampio e regolare come nel primo caso.
Altri esempii semplici di risonanza si possono cercare
nel campo dell'acustica ; a punto in esso si osservarono i
primi fenomeni di questa natura , e il termine stesso di
risonanza lo indica.
Ho qui davanti un sonometro, una cassa armonica,
su la quale ho disposto tre corde uguali. Di queste corde
la prima e l'ultima rendono il medesimo suono, quella di
mezzo invece dà un suono alquanto diverso e propriamente
più basso.
Voglio ora, con un archetto, strofinare vivamente una
delle due corde uguali , in modo da farle eseguire delle
oscillazioni assai ampie ; per rendermi conto di ciò, che
faranno le corde rimanenti^ pongo su ciascuna di esse,
verso il mezzo, un piccolo cavaliere di carta.
Faccio dunque vibrare la prima corda, dandole un
colpo d'archetto. Gli effetti di questo movimento sono
chiari, il cavaliere della terza corda è caduto di sotto,
l'altro è rimasto al suo posto.
— 127 —
Vuol dire che l'oscillazione si è comunicatfi solamente
a la corda, che era a l'unisono con quella sfregata. Ora
si sa da l'acustica, che l'altezza del suono è legata con il
periodo di vibrazione in questo modo: che due sistemi
danno il medesimo suono se oscillano con la stessa fre-
quenza. Il fatto, che abbiamo osservato, è dunque perfet-
tamente analogo a quello, che si riscontrava nel caso dei
tre pendoli.
In quest'esperienza e nella precedente i due sistemi,
che uno esercita e l'altro patisce 1' azione , erano in tutto
uguali. Non se ne deve concludere che le cose vadano
sempre necessariamente così. È possibile anzi, in certi casi,
ottenere dei fenomeni di risonanza fra sistemi di struttura
dissimile.
Un esempio di questo si ha già nel fatto notissimo
che la voce umana può mettere in vibrazione le corde di
un piano-forte ; un altro caso, particolarmente interessante,
lo forniscono le esperienze del Savart (i6) sopra le vene
liquide. Un getto d'acqua, formato a traverso ad una pa-
rete sottile, presenta, quando si verifichino alcune condi-
zioni, dei rigonfiamenti e delle strozzature (ventri e nodi),
e manda un suono di altezza determinata. Avviene qual-
che volta che i ventri e i nodi manchino e si sospenda
l'emissione delle onde sonore. Basta allora far vibrare, in
prossimità dell' apparecchio , una corda di violino , oppor-
tunamente tesa, perchè il fenomeno si riproduca.
§ 2. — Ma torniamo a le nostre correnti ; esse pure
offrono dei fatti di risonanza. E cioè: ogni conduttore,
costituito in modo che vi si possano eccitare delle sca-
riche rapidamente alternate, possiede un proprio periodo
di vibrazione. Se due di tali conduttori si pongono in
presenza, e se ne mette uno in azione , si destano per
ciò solo neir altro delle correnti oscillanti ; e queste sono
tanto più intense quanto più prossimi sono i periodi pro-
prii dei due conduttori.
Dimostrare direttamente questa proposizione è molto
128
difficile, mi accontenterò dunque di dame una prova in-
diretta. L'esperienza la condurremo così. Uno dei due con-
duttori, quello a punto che verrà eccitato con il rocchetto,
non avrà una forma fissa, bensì sarà costituito per modo
che si possa far variare continuamente una delle costanti
che lo definiscono. L'altro rimarrà sempre uguale a sé
stesso e sarà munito di un tubo a vuoto, che ci fornirà
un criterio per giudicare dell' intensità delle correnti , che
lo percorrono. Vedremo che la luminosità del tubo diven-
terà massima per un unico valore di quell'elemento va-
riabile del primo conduttore.
Gli apparecchi che si impiegano per quest'esperienza
sono relativamente semplici.
Il circuito nel quale ecciteremo, per risonanza, le cor-
renti oscillanti , e che chiameremo d' ora innanzi il riso-
natore o il secondario, è quello stesso rettangolo di filo
di rame, che impiegammo nella lezione passata, ho cam-
biato solamente il tubo a vuoto. Le correnti, che si pro-
ducono nell'esperienza presente , sono assai meno intense
di quelle , che si ottenevano allora, è
necessario quindi che il tubo di sca-
rica sia assai più sensibile.
In questo, a palla, che vedono qui
(fig. 52), il vuoto fu spinto molto in-
nanzi , così da rendere possibile la
produzione dei raggi catodici.
Non vi sono elettrodi o , meglio,
essi sono costituiti da due cerchietti
esterni di stagnola. Fra questi, nel
mezzo della palla, vi è una pastiglia
biancastra, portata da un tubicino di
vetro (17).
Se a le~due armature si fanno ar-
F»g- 52. rivare delle correnti oscillanti, la pa-
stiglia , che è probabilmente un miscuglio di solfuri di
metalli terrosi, brilla di una pallida luce verdognola, mentre
il resto del tubo rimane al buio.
— 129 —
Quanto a l'apparecchio, che va messo in azione con il
rocchetto, e che diremo eccitatore o primario, esso consta
essenzialmente di due tratti rettilinei di filo conduttore
sottile, posti uno sul prolungamento dell'altro (fig. 53).
Questi tratti di filo sono tesi a le estremità nel modo
consueto, ed in mezzo mettono capo ad un piccolo telaio,
al quale sono assicurati con due morsetti. E da i morsetti
si staccano i conduttori, che vanno a lo spinterometro.
Vi sono poi due grossi dischi di latta, di quaranta
centimetri di diametro, i quali, mediante certi tubetti d'ot-
tone, che li traversano nel mezzo e comprendono i fili,
possono scorrere su questi, uno da una parte e l'altro
da l'altra.
Si modificherà 1' eccita-
tore a punto con lo spo-
stare i dischi in un senso
arbitrario.
Pongo il risonatore a
canto a l'altro circuito
(fig. 54) in modo che sia hig.
parallelo ad esso , e ne
disti di pochi centimetri il lato corto, che non contiene
9
54.
— 130 —
il tubo di scarica. Quindi allontano i dischi fino a l'estre-
mità dei fili primarii e collego le sfere dello spinterometro
con i poli di un rocchetto. Faccio agire quest'ultimo.
11 pallone vuoto è per ora completamente spento. A
poco a poco sposto i due dischi, spingendoli con un ba-
stoncino di ebanite, e procurando che distino sempre en-
trambi ad un modo dal punto di mezzo del primario.
Quando i dischi sono giunti in tale posizione che la
distanza fra essi è di circa un metro, la pastiglia comincia
a brillare. Se continuo nel movimento la luce cresce an-
cora un poco, quindi diminuisce da capo e si spenge.
Vi è dunque per il conduttore primario una certa con*
dizione nella quale esso eccita il risonatore con particolare
efficacia. Sembra ovvio ammettere che questo massimo
effetto corrisponda a punto a l'istante, in cui s'uguagliano
i periodi di vibrazione dei due circuiti.
§ 3. — Si può trarre partito di tale proprietà per
studiare in che modo si propaghi l'azione dal primo al
secondo conduttore. Nel caso della risonanza , in fatti,
l'eccitazione si fa, quand'anche corra fra i due circuiti un
intervallo un po' grande.
Impiegheremo spesso, d'ora innanzi, una coppia spe-
ciale di apparecchi, rispondenti a tutte le esigenze. Sono
queUi, che ho disposto qui.
L'eccitatore (fig. 55) è formato, secondo le indicazioni
del Hertz (18), da due cilindri cavi di ottone, lunghi tre-
dici centimetri e larghi tre , muniti , a le estremità affac-
ciate, di sfere di quattro centimetri di diametro. Ognuno
di questi cilindri, mediante certi anelli di ebanite, lavorati,
in due pezzi, è assicurato ad un piede. Il quale può scor-
rere dentro una scanalatura praticata in una lunga tavo-
letta di legno. Serrando una vite si può fissare il cilindro
nella posizione più conveniente.
Quanto al conduttore secondario esso consta (fig. 56) di
due lamine di latta (19), lunghe ventisette centimetri ej
larghe cinque. Sono disposte una sopra 1' altra in un me-
— 131 —
desimo piano, a piccola distanza (cinque cent, circa). La
metà superiore è sospesa ad una tavoletta di legno con
due cordoncini di seta non tinta ; l' inferiore è raccoman-
data a la prima con altri due cordoncini simili a quelli.
E nello stesso modo vien tenuta ferma dal basso.
F'g- 5).
Da le estremità affacciate di queste lastre di latta par-
tono due fili metallici molto sottUi, che conducono a quella
parte dell'apparecchio, dove si verifica la presenza delle
correnti indotte.
— 132 —
Le differenze di potenziale, che si raggiungono quì^
sono assai piccole in confronto di quelle , che abbiamo ot-
tenuto per l'addietro ; sicché non sarebbe possibile l'impiega
di un tubo del Geissler o di altro apparecchio a vuoto.
Bisogna accontentarsi di osservare delle scintilline bre-
vissime.
Per questo uno dei due fili, dei quali ho parlato, e
precisamente l'inferiore, mette capo ad una sferetta di pla-
tino di quattro millimetri di diametro. L'altro, in vece, porta
ad una molla, fornita di una punta sottile, anch'essa di
platino. La punta sta proprio davanti a la pallina, a breve
distanza. Questa si può variare in modo continuo premendo
con una vite sopra la molla.
Siccome le piccolissime scintille, che s'ottengono nel
secondario, quando l'eccitatore funziona, non si potrebbero,
vedere da tutti, è indispensabile , per le esperienze dimo-
strative, ricorrere a qualche artifizio. Noi ne impiegheremo
uno, suggerito dal Boltzmann (20), che si fonda sopra una
proprietà, della quale godono le scintille, la proprietà cioè
di essere ottimamente conduttrici. Si tira partito di questa
-^^^T^^
T T
Fig. 57-
circostanza, corredando il risonatore di una pila secca e
di un elettroscopio. Dei due poli della pila uno si mette
a terra (fig. 57), e 1' altro si fa comunicare con il bottone
dell'elettroscopio. Il quale bottone si collega metallicamente
— 133 —
con la parte superiore del secondario, mentre la parte in-
feriore viene posta in comunicazione con il suolo (T';. Se
la punta non tocca la pallina , e nemmeno si producono
scintille, r elettroscopio riceve da la pila secca una carica
•e la conserva ; quando, in vece, scoccano delle scintilline,
l'elettricità passa direttamente da la pila nel suolo, e l'e-
lettroscopio non si può caricare.
Se adoperassi un comune apparecchio a foglie d'oro,
le sue indicazioni non sarebbero visibili a distanza ; pre-
ferisco dunque impiegare un piccolo elettroscopio, costituito
in modo che con la lanterna di proiezione se ne può for-
mare un'imagine assai chiara sopra uno schermo.
E' una cassettina di vetro, a faccie
piane e parallele (fig. 58) , il cui co-
perchio è traversato da uno stilo me-
tallico, che reca in basso due pagliuzze
sottili.
Questa cassettina è alta cinque cen-
timetri circa, larga tre, e profonda due.
§ 4, — Ed ora, conoscendo, almeno
nelle linee generali , tutti gli apparec-
chi necessarii per le esperienze, pos-
siamo fare un passo avanti , ed inco-
minciare quella , che è forse la parte
più importante del nostro corso.
Consisterà, come dicevo dianzi, nello
studio delle leggi, secondo le quali si
trasmette l' azione , che , movendo dal circuito primario
viene ad eccitare il risonatore. Il resultato della ricerca si
riassume dicendo che quell' azione si propaga a punto
come la luce ed il calore raggiante.
Comincerò constatando quest'analogia in una prima
esperienza.
Ho collocato uno in faccia a 1' altro, a quattro metri
di distanza, due specchii sferici, concavi, uguali, di rame
polito , avranno a un di presso un' apertura di cinquanta
Fig. 58.
— 134 —
centimetri. Nel piano focale del primo di questi specchii^
vale a dire in quel piano, che è normale, nel punto di
mezzo, a la congiungente del vertice della calotta con il
centro della sfera, da la quale Io specchio è tagliato, fisso
una candela e 1' accendo. I raggi di luce, che la fiamma
emette, cadono su la superficie riflettente, e vengono ri-
mandati nella direzione dell'asse. Incontrano poi il seconda
specchio, e per l'azione di questo vanno a riunirsi di nuova
nel suo piano focale. In fatti, se porto in tale piano una
schermo traslucido, di tela sottile, vi si delinea con suffi-
ciente nettezza l'imagine della fiamma.
Quello, che ho detto della luce, posso ripetere per il
calore raggiante, ed è facile persuadersene con un' espe-
rienza diretta. Al posto della candela pongo ora un ce-
stello di rete metallica con alcuni carboni accesi. E nel
piano, dove prima mettevo lo schermo, voglio fissare adessa
un'asta, che sostiene un bioccolo di cotone fulminante. Ha
annerito il pirossilo, impregnandola di polvere di carbone^
perchè le superfici nere assorbont» in maggior misura che
le bianche il calore raggiante L'effetto non si fa aspettare
a lungo ; dopo pochi istanti il cotone fulminante si infiam-
ma. Il calore si riflette dunque, e si concentra nei fochi
degli specchii concavi come la luce.
E bene, qualche cosa di molto simile avviene anche
per l'azione, che l'eccitatore del Hertz esercita sopra il ri-
sonatore. Noi possiamo in realtà riflettere quest' azione, e
concentrarla nei fochi di specchii cavi opportunamente
scelti. Vedono, davanti a Loro , due di questi specchii.
Hanno la forma di cilindri parabolici (fig. 59) (*) ; e sona
fatti di lastre di zinco. Hanno una distanza focale di dodici
(*) La figura 59 rappresenta uno dei riflettori, già disposto
per un'esperienza, che sarà descritta più avanti (cfr. la lezione tre-
dicesima), munito cioè di un asse orizzoutale.
Si confronti, per avere un' idea dell' apparecchio, quale viene
impiegato qui, la figura 79.
— 135 —
centimetri circa ; sono alti un metro ;
anche prossimamente di un metro.
la loro apertura è
i-ig. 59-
Le lastre di zinco sono
specchio, da quattro tavole
di legno d'abete ben secco,
nelle quali si sono inta-
gliate quattro parabole u-
guali (fig. 60). Queste ta-
vole poi sono congiunte
rigidamente con certe tra-
verse, anch' esse di legno
d'abete. Gli specchii sono
ancora forniti di gambe,
fermate a vite , alte cin-
quanta centimetri.
In una delle linee focali
è collocato l'eccitatore, che
ho descritto lungamente
dianzi ; nell'altra è posto,
in vece, il risonatore. I fili
tenute a posto, in ciascun
Fig. 60.
— 136 —
che conducono al rocchetto nel primo caso , e quelli che
portano a l'intervallo di scarica nel secondo, traversano
lo specchio ed escono dietro di esso a 1' aperto.
§ 5. — Colloco i due specchii di fronte, a sei metri
di distanza , e munisco il risonatore dell' elettroscopio e
hig. ói.
della pila, nel modo che ho detto. Proietto l'elettroscopio
con la lanterna (fig. 61). La sua imagine si produce su lo
schermo, capovolta ; le paglie divergono ora fortemente.
Avvicino nel secondario la punta a la pallina finché siano
quasi a contatto ; e nel primario lascio un intervallo di
scarica di tre o quattro millimetri. E faccio agire il roc-
chetto.
Le pagliuzze dell'elettroscopio cadono istantaneamente
yna sopra l'altra e non si staccano più. Vuol dire che al
risonatore passa una serie ininterrotta di scintille.
— 137 —
Fermando il rocchetto, naturalmente, le paglie tornano
a divergere.
Se i due circuiti non fossero muniti di specchii non si
avrebbero scintille nel secondario, tenendolo a più di un
metro dal conduttore primario.
L'azione dei nostri cilindri parabolici è dunque chiara
e simile in tutto a quella degli specchii sferici, per il caso
della luce e del calore.
In base a quest' ultima esperienza si può considerare
come dimostrato, almeno in via indiretta, che l'induzione,
esercitata dal primo sul secondo circuito, si riflette su le
lastre di zinco, regolarmente, cioè facendo l'angolo di ri-
flessione uguale a quello di incidenza. Del resto avremo
occasione di verificare tutto ciò direttamente.
Per ora, mentre gli specchi stanno cosi affacciati, vo-
glio indicare alcune proprietà, a le quali dà luogo il pro-
pagarsi dell'induzione.
Faccio agire il rocchetto e le paglie dell' elettroscopio
si riuniscono, come prima. Quindi mi pongo fra i due spec-
chi e riparo con il mio corpo il risonatore ; immediatamente
le paglie si staccano e divergono, indicando che la serie
delle scintille, al secondario, è interrotta. Se mi tolgo di
mezzo, come è facile prevedere, le scariche ricominciano,
e. ancora una volta, le paglie dell' elettroscopio cadono
una su l'altra.
Lo stesso effetto otterrei interponendo fra i due con-
duttori una lamina di zinco o di qualimque altro metallo.
In vece una tavola di legno, o una lastra di ebanite,
sono perfettamente trasparenti.
Questi fatti, che ho indicato ora, si presentano, in una
certa misura, anche nello studio della luce e del calore.
E di vero si sa che la maggior parte delle sostanze dia-
fane sono cattive conduttrici, il vetro per esempio e il
quarzo e le pietre preziose. Parimenti i corpi meglio dia-
termani, come il salgemma e lo spato d'Islanda, sono die-
lettrici.
- 138 -
D'altra parte i metalli, anche in strati molto sottili,
sono opachi per la radiazione luminosa e per la termica.
Doventano trasparenti solo quando siano estremamente
poco spessi ma allora lasciano passare 'anche l'induzione,
della quale ci occupiamo (21).
La cosa si dimostra con tutta facilità, ricorrendo ad
un sempHce artifizio.
Quando occorre di adoperare delle lamine metalliche
molto sottili si usa deporre, chimicamente, un velo d'ar-
gento sopra una lastra di vetro. Con un po' di pratica si
riesce ad ottenere, in ogni caso, quello spessore, che si
desidera.
Però è sempre assai difficile di precipitare degli strati
di grande superficie, con qualche regolarità. E nel nostro
caso sarebbe pur necessario di avere
■una lastra assai grande.
Si può girare l' ostacolo impiegan-
do, in luogo di uno schermo piano,
un manicotto, cioè un tubo cilindrico,
argentato, che ravvolga completamente
l'eccitatore.
Io mi valgo a punto di questo espe-
diente. Il velo d'argento, che adopero,
è tanto sottile da non essere ancora
opaco per la luce; mostra per traspa-
renza un bel colore azzurro cupo.
Sospendo questo manicotto intorno
al primario (fig. 62), e faccio agire il
rocchetto. Come appare , l' azione si
trasmette liberamente dal primo al se-
condo circuito , a traverso a lo strato
metallico, diafano per i raggi luminosi.
Notino però , a questo proposito,
che certi corpi, i quali , come l'acqua
e le soluzioni saline, non impediscono
passaggio della luce, esercitano, in vece,.
Fig. 62.
notevolmente il
— 139 --
un forte assorbimento su l'azione, che muove dal primario
al secondario.
Avremo occasione in seguito di spiegare tali anomalie
e di riconoscere come esse non diminuiscano per nulla la
somiglianza, che passa fra la luce ed il calor raggiante, da un
lato, e l'induzione, che studiamo presentemente, da l'altro ;*)
§ 6. — Intanto pongano mente ad una conseguenza,
che si può tirare subito da le nostre ultime esperienze.
Perchè il corpo umano od ogni altro conduttore inter-
rompa r effetto che 1' eccitatore produce nel risonatore, è
necessario che venga interposto su la retta, che congiunge
il primo con il secondo circuito. E' quanto dire che questa
particolare azione procede rettilineamente.
Impiegando qui una parola, che si adopera nello studio
della luce e del calore , e che si giustifica nello stesso
modo, si potrà dunque parlare di raggi d'induzione o, come
diceva il Hertz, di raggi di forza elettrica.
Che questi raggi si propaghino in linea retta si può
anche mostrare altrimenti. Per esempio ogni effetto del pri-
mario sul secondario cessa, se uno degli specchii si fa gi-
rare intorno a la sua linea focale di un certo angolo, o
si sposta alquanto lateralmente.
§ 7. — Ho detto che l'azione prodotta da gli specchii
sferici su i raggi luminosi e termici e quella, che gli spec-
chii parabolici esercitano su i raggi di forza elettrica, co-
stituiscono una prova indiretta del fatto che quelle radiazioni
si riflettono regolarmente secondo la legge ben nota. Vediamo
ora di dare di questo delle dimostrazioni più semplici.
Quanto al caso della luce non mi sembra necessario
di spendere parole. In realtà verifichiamo la legge della
riflessione tutte le volte che ci guardiamo in uno specchio.
In vece mi fermerò un momento a provare che il calore
viene rimandato nello stesso modo che la luce, da le su-
perfici piane. Gli apparecchii, che servono per l'esperienza^
{*) Si confronti la lezione decimi
— 140 —
sono essenzialmente una pila termo-elettrica ed un galva-
nometro. Una lastra d'argento polita mi serve da specchio
€d una spirale di platino, che rendo incandescente con un
becco Bunsen, a fiamma oscura, sarà la mia sorgente ter-
mica. Non sto a descrivere minutamente la pila termoelet-
trica ; ne ho indicato a suo tempo il principio, e i particolari
della costruzione li possono trovare in qualunque trattato.
Ricordo soltanto che, se del calore raggiante viene a ca-
dere su la faccia annerita e scoperta della pila, si produce
una forza elettromotrice ; quindi una corrente, che traversa
il gaìvanometro.
Questo è un semplice apparecchio del Nobili a sistema
astatico ; ho aggiunto a l'ago superiore due bandierine di
carta, perchè i movimenti ne^siano meglio visibili a distanza.
Fig. 63.
Pongo la spirale di platino davanti a lo specchio
A B (fig. 63) , ma un po' di fianco ; quindi colloco uno
schermo, con un foro tondo, normalmente a la direzione,
nella quale presumo che i raggi debbano venire riflessi.
— 141 —
Adatto l'occhio al foro e sposto un pochino Io schermo,
finché mi sia possibile vedere nello specchio l'imagine della
spirale. Poi davanti a questo primo schermo ne metto un
secondo , completamente opaco ; ed affaccio la pila al
foro, dove prima avevo l'occhio. Accendo il becco Bunsen
e quando il filo di platino ha raggiunto l' incandescenza
tolgo via lo schermo opaco. Subito l'ago del galvanometro
riceve un impulso violento, indicando così che una corrente
intensa traversa l'apparecchio.
Vuol dire che la radiazione termica viene a punto dove
arrivava anche la luminosa, cioè si riflette con la stessa
legge.
La medesima esperienza posso ripetere con i raggi di
forza elettrica. Mentre mi occupavo con Loro della rifles-
sione del calor raggiante, i due specchii del Hertz sono
stati spostati da i miei aiuti , e disposti uno a canto a
l'altro, con i piani assiali ad angolo retto. L'elettroscopio
è sempre proiettato su lo schermo e, come è naturale, le
sue paglie sono divergenti.
Faccio lavorare il rocchetto e nulla si cambia. Questo
lo potevamo prevedere : il raggio emesso dal primario se
ne va secondo il piano assiale del suo specchio ; e non
entra nemmeno nello specchio del risonatore. Lascio che
il rocchetto continui ad agire ed a quarantacinque gradi
su la direzione del raggio pongo una grossa lastra di zinco ;
è un rettangolo di un metro per uno e mezzo. Subito le
due paglie si riuniscono, indicando che vi è stata rifles-
sione. E questa è regolare, perchè, se faccio girare un poco
la lastra, le scintilline nel risonatore cessano ; e 1' elettro-
scopio torna a caricarsi.
Quello, che fa la lastra di zinco, fa anche il corpo
dell'uomo. Sicché posso ripetere l' ultima esperienza, po-
nendomi con uno degli aiuti nel luogo, dove collocavo lo
specchio piano.
Del resto non è nemmeno necessario, perchè rifles-
sione si abbia, che la superficie riflettente limiti un corpo
— 142 —
conduttore. Solamente, se la sostanza dello specchio è die-
lettrica, bisogna che la lastra sia alquanto spessa. E questo
in pratica riuscirebbe poco comodo.
§ 8. — Quando la luce e il calore raggiante traversano
la superficie, che separa due mezzi diversi, deviano, in gene-
rale, da la loro direzione primitiva di propagazione. E' un
fenomeno, che si pone in chiaro, particolarmente, con l'uso
del prisma.
Ora il Hertz ha trovato che lo stesso fatto si pre-
senta anche per i raggi di forza elettrica. I quali dunque
si devono propagare con velocità finita, come la luce e il
calore. Egli impiegava per le sue ricerche un grosso prisma
di asfalto. Non ho modo presentemente di ripetere questa
esperienza, d'altronde della rifrazione dei raggi elettro-
magnetici avremo campo di discorrere, con maggiore pro-
fìtto, un'altra volta. Per ora mi basta di aver accennato
che, anche per questo rispetto, sussiste un' analogia com-
pleta fra le tre radiazioni delle quali ci occupiamo.
*
« «
§ 9. — Riassumendo : ho fatto vedere Loro che i cir-
cuiti percorsi da correnti periodiche danno luogo a fenomeni
di risonanza, analoghi a quelli che si studiano in altre parti
della fisica, e più specialmente in acustica. E ho mostrato
inoltre come si possano ottenere dei raggi di forza elet-
trica, che si propagano in linea retta, e si riflettono rego-
larmente, a punto come la luce e il calore raggiante.
J
LEZIONE NONA.
Fenomeni di interferenza — Onde stazionarie —
Esperienze del Fresnel e di Klemenczicz e
Czermak-Colori delle lamine sottili.
§ I. — Delle nostre correnti oscillanti sappiamo già
che esse sono periodiche e pendolari, è naturale pensare
che Io stesso avvenga di quel fenomeno, la cui propaga-
zione dà origine a i raggi di forza elettrica. In fatti un tale
fenomeno nasce da un circuito percorso da scariche alter-
native, ed è capace di eccitarne in ogni altro circuito, op-
portunamente costituito.
Ad ogni modo si possono dare di questo delle prove
dirette. Ed è particolarmente interessante osservare che
alcune fra le esperienze, che si fanno a tal' uopo, sono
molto simili a quelle, onde s'era dedotto, al principio del
nostro secolo, la periodicità della perturbazione luminosa.
Esaminiamo queste prove un po' da vicino, cominciando
da lo studio della luce.
Anzi tutto si può produrre con un raggio luminoso
un'onda stazionaria, costituita a lin circa, come quella, che
vedemmo potersi ottenere con le correnti oscillanti, guidate
da i fili metallici. Solamente le difficoltà sperimentali sono
qui molto maggiori, sicché non sarebbe possibile dimo-
strare la cosa nella scuola. Mi limito a dame un cenno.
Si fa cadere un raggio di luce sopra uno specchio; e.
— 144 —
per evitare la moltiplicità delle riflessioni , si impiega a
questo scopo la superficie libera di una massa di mercurio.
11 raggio riflesso sopraponendosi al diretto, produce al
solito l'onda stazionaria. Vi è dunque, parallelamente a la
superficie del metallo, una serie di piani nodali e di piani
ventrali. La presenza di questi si riconosce con una pel-
licola sensibile.
Vi è però un inconveniente assai grave. Nel caso del-
la luce i ventri ed i nodi si susseguono a così piccola di-
stanza che, ove la pellicola fosse normale a la superficie
del mercurio, i tratti impressionati non si potrebbero distin-
guere da quelli, che non lo sono. Bisogna ricorrere ad un
artifizio, e collocare la pellicola in un piano, che faccia utl
angolo piccolissimo con quello dello specchio.
In questo modo lo strato sensibile incontra solo alcuni
piani nodali e ventrali ; e li taglia secondo una serie di
rette parallele, abbastanza discoste le une da le altre. Le
quali rette appariranno nella negativa come una succes-
sione di strie alternativamente chiare ed oscure.
Queste ricerche, che, come ho detto, sono assai deli-
cate, si debbono al Wiener {22 . Egli constatò che su la
superficie dello specchio vi ha un nodo dell' azione foto-
grafica.
Con i raggi di forza elettrica è facile ottenere 1' onda,
stazionaria (23). Per fare l' esperimento impiego la solita
coppia di circuiti. Il primario è munito del suo riflettore,
nel modo consueto; in vece ho tolto il risonatore da lo-
specchio secondario e 1' ho adattato ad un sostegno. Sta
ora davanti al primo circuito a un paio di metri di di-
stanza. L' altezza è la solita, vale a dire i due intervalli
di scarica sono sopra una medesima linea orizzontale.
Solamente i fili, che portano a la punta e a la pallina,
vanno adesso da la parte dell'eccitatore.
Per produrre l'onda stazionaria è necessario riflettere,
in qualche modo, il raggio di forza elettrica.
Impiego a l'uopo, una lastra quadrata di zinco, di ui>
— 145 —
metro e mezzo di Iato. È sospesa ad un asta dj legno che
Fig. b4-
può scorrere su certe traver-
se, portate da quattro sostegni
(fig. 64 e 65) (*). La lastra è
normale a la direzione in cui
si propaga il raggio; sta die-
tro al risonatore, vale a dire
da la parte di esso , che è
opposta a quella dove si trova
il primario. Posso muovere
questo mio specchio piano
così da portarlo a toccare
quasi il risonatore, e lo posso
ritirare indietro per lo spazio
di un metro circa. L'esperienza
consisterà a punto nel far ve-
dere che , quando si muove
lo specchio, il risonatore pas-
Fig. 05.
(•) Le figure 64 e 65 mostrano Io specchio di fronte e di fianco.
IO
— 146 —
sa, alternativamente, per una serie di nodi e di ventri. La
disposizione somiglia dunque a quella dell' esperienza del
V. Bezold , piuttosto che a quella dell' esperienza del Le-
cher. Per ora voglio fissare la lastra a dodici centimetri
Fig. ó6.
dal secondo circuito {A B, fig. 66). Come sempre collego
quest' ultimo con la pila e 1' elettroscopio, che proietto su
lo schermo.
Se faccio agire il rocchetto le foglie si riuniscono imme-
diatamente, indicando che adesso il risonatore viene ecci-
tato. Muovo la grande lastra di zinco e l'accosto al secon-
dario. Quando sono giunto a pochi centimetri da questo
le scintilline cessano; e difatti le foglie tornano a diver-
gere. Ne segue che, a canto a la superficie riflettente, l'onda
stazionaria ha un nodo. Quindi le cose non vanno adesso
esattamente come per il caso delle correnti oscillanti, gui-
date da i fili metallici. Allora il punto estremo del condut-
tore era un ventre. Tali onde dunque erano paragonabili
a quelle delle canne aperte , queste altre che stiamo stu-
diando, assomigliano, in vece, a quelle delle canne chiuse.
— 1+7 —
Proviamoci ora a ritirare la lastra. Le scariche, natu-
ralmente, tornano a passare e le foglie a riunirsi. Conti-
nuando nel movimento non si ha, per un poco , nessuna
indicazione da l'elettroscopio ; in realtà il risonatore attra-
versa un ventre e le scintilline sono assai vivaci. Ma pro-
cedendo sempre si finisce per arrivare ad un secondo
nodo ; sicché le paglie divergono.
Così la periodicità dei raggi di forza elettrica rimane
stabil'ta.
§ 2. — La stessa cosa si può verificare anche per altra
strada che non sia quella della produzione delle onde
stazionarie. Intendo parlare dei fenomeni detti di interfe-
renza, i quali risultano dal sopraporsi di due moti on-
dulatorii, propagantisi in direzioni poco differenti.
Non è difficile intendere quale debba essere l'aspetto
generale di questi fenomeni. Per rendercene conto imagi-
niamo di avere in due punti A e B, che segno sopra la
lavagna (fig. 67), due centri da i quali partono e si propa-
gano, tutto a l'intor-
no , nel piano della
figura , con velocità
finita, uniforme, delle
perturbazioni perio-
diche. E supponiamo,
per semplificare le
cose , che i due si-
stemi A e B comin-
cino ad oscillare nello
stesso istante, ed ab-
biano il medesimo pe-
riodo. Se in un punto
ad arbitrio del piano
è posto un terzo sistema, suscettibile di eccitarsi per ef-
fetto delle perturbazioni, che partono da quei due centri,
dopo un certo tempo esso pure oscillerà. Supponiamo, in
primo luogo, che il terzo sistema disti ugualmente da A
— 148 —
e da B, come sarebbe il caso del punto P' della figura»
E' chiaro che in ogni istante giungono in P' degli impulsi^
i quali sono partiti da ^ e da 5 contemporaneamente, vale
a dire degli impulsi, che tendono a produrre la stessa mo-
dificazione. Quindi gli effetti dovuti a i due eccitatori si
sommeranno.
Portiamo adesso il risonatore in un altro punto P".
E scegliamo questo P" in modo che le lunghezze BP' ed
AP" differiscano fra loro di un tratto uguale a quello, di
cui si propagano le perturbazioni, in un intervallo di mezzo
periodo. Gli impulsi, che giungono ora al risonatore, da
>4 e da P, in un certo istante, non sono più partiti insieme;,
ma anzi ad una tale distanza che tendono a produrre ef-
fetti esattamente opposti. Quindi, ove le due sorgenti siano
ugualmente intense, in P" non si potrà avere alcuna azione
sul risonatore.
Che se la differenza dei due cammini PP" ed ^P"'
si facesse ancora più grande , fino a raggiungere quella
lunghezza, che le perturbazioni percorrono nel tempo di
un periodo intero, quella cioè, che si suol chiamare la lun-
ghezza d'onda (*), di nuovo le due sorgenti produrrebbero
degli effetti cooperanti.
E così di seguito.
E' evidente che potremmo condurre le esperienze an-
che in modo divergo. E cioè potremmo tenere fermo il ri-
sonatore nella posizione P' e muovere, in vece, una delle
sorgenti, per esempio la B. Se gli spostamenti si facessero
lungo la congiungente P'P , è chiaro che si avrebbe in
P' un minimo, quando B si fosse spostato di una mezza
lunghezza d'onda ; quindi un massimo, quando il tratto
percorso giungesse ad un'onda intera ; e così via.
Tali sono, in realtà , i due procedimenti, che si pos-
sono impiegare per lo studio del modo, con che è distri-
buito un fenomeno nello spazio. Nel primo caso si fa muo-
(*) Si confronti in proposito la lezione sesta.
— 149 —
vere il punto d'osservazione, nel secondo si lascia questo
punto in riposo e si fa spostare il fenomeno.
In pratica, trattandosi della luce e dei raggi di forza
elettrica, non è possibile avere due sorgenti, che soddisfino
a tutte le condizioni, che abbiamo supposto verificate per
la coppia AB. Bisogna quindi girare la difficoltà con qual-
che artifizio.
Uno di questi consiste nell' impiego di una sola sor-
gente, la cui azione si fa riflettere da due specchii. Le ima-
gini virtuali di quell'unico eccitatore rappresentano i sistemi,
da i quali partono le perturbazioni, che debbono interferire.
Si intende come si potranno realizzare i due modi di
procedere, dei quali si è fatto parola. In un caso resteranno
fermi gli specchii, e varierà il punto, nel quale l'interferenza
si osserva ; nell'altro starà immobile il secondario, e si fa-
ranno subire degli spostamenti ad uno dei riflettori. Ora la
prima di queste disposizioni, serve particolarmente bene
per r esame delle interferenze della luce ; e la seconda è
opportuna per lo studio dei raggi di forza elettrica.
Ho disposto qui gli apparecchii necessarii per realiz-
zare l'una e l'altra esperienza.
Cominciamo da le interferenze luminose. Disgraziata-
mente, con i mezzi dei quali dispongo, non è possibile
proiettare questi fenomeni, che riuscirebbero troppo poco
intensi ; ognuno di Loro dovrà quindi vedere, a la sua
volta, di che si tratta.
La lanterna di proiezione mi ser\'e come sorgente lu-
minosa. Davanti ad essa ho collocato un pezzo di vetro
rosso ; poi una fenditura sottile verticale ; quindi una lente
cilindrica pure verticale. Dopo di questa vengono gli specchii
{a. b, fig. 68) destinati a produrre la coppia dei raggi in-
terferenti. Sono due pezzetti di vetro nero, pochissimo in-
i clinati uno su l'altro ; si incontrano secondo uno spigolo
parallelo a la fenditura. L'incidenza della luce su gli specchi
è quasi radente. E' chiaro che le sorgenti sono ora due
rette rosse, brillanti, verticali. Da ultimo vi è un oculare.
Fig. 68.
— 150 —
una lente biconvessa, adattando l'occhio a la quale vien
fatto d" osservare il fenomeno di interferenza, che si pro-
duce in un certo piano normale a la direzione, secondo
che si propagava
da prima la luce»
Questo feno-
meno consiste in
una successione
di linee verticali,
al ternativame n te
rosse e nere. Si
hanno delle linee,
in vece che dei
punti , perchè è
evidente che non
mutano per nulla
le condizioni del-
l' interferenza
quando ci si sposta sopra una retta parallela a la fenditura.
Se al vetro rosso ne sost'tuisco uno azzurro ottengo
ancora una successione di strie chiare ed oscure ; ma queste
strie sono assai più fitte di quelle, che si osservano in luce
rossa. E' facile vedere come questo si spieghi. Basta am-
mettere in fatti che le onde dei raggi azzurri sono alquanto
più brevi di quelle dei raggi rossi.
Se poi tolgo via ogni vetro colorato, il carattere ge-^
nerale del fenomeno non cambia. Solamente si hanno delle
frangie iridate. Questo dipende da ciò che , come si ri-
cava dal fatto della dispersione, la luce bianca si può
ammettere che risulti da la sopraposizione di molti raggi,
per i quali sono diverse le condizioni di interferenza.
Lungo certe linee il rosso, per esempio, è spento, mentre
l'azzurro rimane tuttavia visibile; e così di seguito.
Quest'esperienza, che ho fatto ora in diversi modi , è
nota sotto il nome di esperienza degli specchii del Fresnel.
Si capisce come segua da essa un metodo per misu-
— 152 —
rare la lunghezza delle onde luminose. Non mi fermo sopra
un tale argomento. Dirò soltanto che le lunghezze in di-
scorso risultano estremamente tenui ; sono comprese, per
i colori dello spettro visibile, fra sette e quattro decimil-
lesimi di millimetro.
Vengo a l'esame dei raggi di forza elettrica.
Il risonatore è stato rimesso nel suo specchio ; e questo
poniamo ora a canto a lo specchio primario (fig. 69). Si
procura che i due piani assiaH siano inclinati uno su l'altro,
in modo che si vengano a tagliare a tre metri circa da le
superfici riflettenti. Quindi, dove i piani assiaH si incontrano,
normalmente al bissettore del loro diedro, si collocano due
lastre quadrate di zinco, aventi entrambe un metro di lato.
Queste lastre le avviciniamo in modo da formare un unico
specchio piano [A B, fig. 69).
Come vedono sono sospese, una indipendentemente da
l'altra, a punto come quella grande lamina di zinco, che
ci -ha servito dianzi per la produzione dell'onda stazionaria.
Se faccio scoccare delle scintille fra le palline del
primario, l'elettroscopio unito al risonatore, scaricandosi,
fa vedere che il secondo circuito yiene eccitato. La cosa è
ovvia perchè si intende bene che il raggio di forza elet-
trica deve subire una riflessione sopra lo specchio piano.
Lascio che il rocchetto agisca sempre e, poco a poco,
faccio che una delle lastre si sposti, parallelamente a se
stessa, ritirandola indietro di una dozzina di centimetri. Le
paglie dell' elettroscopio si aprono, vale a dire l'azione del
primario si riduce a zero. Gli specchii piani sono adesso
due, distinti. Entrambi rimandano al risonatore il raggio di
forza elettrica ; ma il cammino necessario per andare dal
primo al secondo circuito, toccando una delle lastre, è di-
verso nei due casi. Il nostro resultato mostra che la diffe-
renza è vicina a la mezza lunghezza d'onda (*).
{*)■ Qjie«o esperimento è dovuto a i fisici Klemenczicz e
Czermak (34).
— 153 —
Facendo le misure con tutta l'esattezza possibile, si
verrebbe a constatare nel caso presente un'onda di cin-
quantun centimetri. In questo v-i è dunque una certa diffe-
renza fra i raggi di forza elettrica e quelli luminosi ; e pro-
priamente le onde dei primi sono assai più lunghe di quelle
della luce.
Se continuassi a far retrocedere lo specchio mobile,
fino a spostarlo di altrettanto, il risonatore tornerebbe, na-
turalmente, ad agire; perchè la differenza di cammino fra i
raggi interferenti raggiungerebbe la lunghezza dell' onda.
Poi si avrebbe un secondo minimo e così via.
Ho detto un momento fa che la lunghezza di cinquantun
centimetri per l'onda si determinava nelle condizioni della
nostra esperienza. Intendevo che, se si modificasse il riso-
natore, prendendolo più grande o più piccolo, o d' altra
forma, si troverebbe, in generale, per quella lunghezza un
valore diverso. In vece questa costante non dipende da
r eccitatore. Posso cambiare di molto le dimensioni e la
struttura del conduttore primario, senza che per ciò l'onda
risulti alterata. Naturalmente il fenomeno della risonanza,
■che avemmo già occasione di studiare, impone certi limiti,
al di là dei quali il secondario non è più eccitato sensi-
bilmente. Entro questi limiti, come osservavo, si può sce-
gliere l'eccitatore ad arbitrio.
§ 3- — Poi che ho pronti gli apparecchii, voglio an-
cora mostrare Loro un'esperienza, relativa a l'interferenza
della luce.
Quelli che hanno osservato il fenomeno, prodotto da i
due specchii del Fresnel, avranno notato che al centro di
€sso vi è una riga, brillante in luce monocromatica e bianca
in luce bianca. Questa deriva da la sopraposizione di due
raggi, che hanno percorso esattamente lo stesso cammino.
Fra essa e ciascuna delle due sorgenti virtuali vi è, in
altre parole, lo stesso numero di onde. E' ev'idente che se,
in qualche modo, in uno solo dei due raggi, alcune onde
si potessero scorciare, il luogo in cui arrivano insieme gli
— 154 —
impulsi partiti insieme, riuscirebbe alquanto spostato. Ora
vi è un modo per abbreviare le onde della luce, e con-
siste nel farle passare in un mezzo, che abbia un indice
di rifrazione più grande di quello dell' aria. La differenza
dell'indice di rifrazione importa la differenza della velocità
e quindi la differenza dell'onda. Perchè evidentemente un
raggio (monocromatico) non può cambiare di colore, cioè
di periodo, quando passa da un mezzo ad un altro. Vuol
dire che, se uno dei due raggi, che debbono interferire, si
farà passare a traverso ad una laminettà sottile, di vetro
per esempio, o di mica, la riga centrale del fenomeno di
interferenza si sposterà lateralmente. E si muoveranno con
essa tutte le altre. Perchè è chiaro che si può dire di cia-
scuna di queste quanto si disse di quella prima. Tutto il
fenomeno apparirà dunque trasportato di un certo tratto.
In pratica, perchè si possa realizzare una tale espe-
rienza, è necessario che i due raggi interferenti si tengano
alquanto discosti, affinchè si possa sicuramente agire sopra
uno di essi, senza disturbare la propagazione dell'altro. La
cosa non è punto difficile da ottenere. Basta porre dietro
gli specchii del Fresnel una buona lente convergente acro-
matica (25). Quella, che impiegheremo oggi, ha una distanza
focale di quaranta centimetri circa. Essa fornisce due ima-
gini reali della linea focale della lente cilindrica , la quale
è propriamente la nostra sorgente luminosa. Raccolgo sopra
uno schermo le imagini in discorso ; vi appariscono come
due piccole lineette parallele, brillanti e assai vicine. Pos-
siamo imaginare che i raggi, la cui sopraposizione deve
dar luogo al fenomeno d' interferenza, partano di qui. Ed
ora è facile, coprendo una delle lineette brillanti, trattenere
uno dei due raggi, o fargli attraversare quel mezzo, che
si vuole.
Per vedere l' interferenza si potrebbe impiegare come
prima un semplice oculare ; ma bisognerebbe portarlo ad
una certa distanza, sicché l'osservazione non riuscirebbe
comoda. Preferisco adoperare un cannocchiale, di quelli
— 155 —
che servono in laboratorio per varie esperienze, e che, po-
tendosi allungare di molto, permettono d' osservare degli
oggetti relativamente vicini.
Colloco questo cannocchiale a due metri circa da le
sorgenti luminose. Poi, con una laminetta sottile di vetro,
tenuta da un sostegno, copro una delle linee brillanti.
Nel campo del cannocchiale si vede ora il fenomeno
di interferenza, affatto simile a quello, che si osservava
prima con l'oculare. Un filo micrometrico permette di fis-
sare la posizione di una delle righe , per esempio della
centrale luminosa.
Ciò posto, se tolgo via la lamina di vetro, 1' osserva-
tore vede nettamente tutto il sistema delle righe muoversi
e trasportarsi di un certo tratto rispetto al filo del micro-
metro.
Quest'esperienza ha una certa analogia con quella, che
si fece da noi altra volta , con 1' apparecchio del Lecher.
Immergendo in parte i fili secondarii nel petrolio, i nodi
mutavano di luogo. In realtà allora come adesso il mede-
simo fatto veniva posto in luce, cioè il variare della lun-
ghezza dell'onda con la natura del mezzo^ che le pertur-
bazioni traversano. Solamente in un caso si trattava di
correnti oscillanti, guidate da fiH metallici, nell'altro sono
raggi luminosi, che si propagano liberamente.
La disposizione, che abbiamo impiegato dianzi , per-
mette di fare ancora alcune altre esperienze.
Anzi tutto posso ricoprire con uno schermo opaco una
delle hnee brillanti. Allora il campo del cannocchiale ap-
pare illuminato uniformemente. Per vero non si può più
produrre interferenza di sorta.
Lo stesso effetto si ottiene se sostituisco il diaframma
opaco con una lastra di vetro un po' spessa. Questo sì
spiega ammettendo che le sorgenti luminose non restino
sempre intense ad un modo, ma anzi vadano variando ra-
pidissimamente. Allora due onde partite in tempi alquanto
lontani potranno difficilmente soddisfare a tutte le condi-
- 156 -
zioni deirinterferenza. Per esempio, se le onde in quistione
producono, dove si incontrano, degli impulsi opposti, e se
di questi uno supera l'altro di molto, non ne seguirà per
nulla l'oscurità ; ma anzi l'impulso più forte resterà a pena
alterato.
La lastrina, che mi ha servito poco fa per produrre
lo spostamento delle righe dì interferenza, era estremamente
sottile. Per ottenere queste lamine si soffia una bolla in
capo ad una canna, con tanta rapidità da cagionare uno
scoppio ; allora il vetro, in certi tratti della parete lace-
rata, si riduce a punto ad uno spessore piccolissimo.
§ 4. — Anche i colori delle lamine sottili, quelli che
si osservano nelle bolle di sapone e in un'infinità di altri
casi, sono ottenuti, in sostanza, con l'impiego di due su-
perfici riflettenti. Solamente qui gli specchi, essendo for-
mati da una materia diafana, possono stare uno dietro a
l'altro.
Variando lo spessore dello strato, che li separa, va-
riano naturalmente le condizioni dell'interferenza. In luce
monocromatica si osserverebbero dunque, in generale, dei
tratti luminosi e dei tratti oscuri. In luce bianca si avranno,
in vece, delle apparenze iridate.
Gli apparecchii, che si impiegano di solito per la pro-
duzione del fenomeno , risultano di una lente piano-con-
vessa, che appoggia la convessità sopra un vetro nero.
I due specchii in questo caso sono rappresentati da la
faccia anteriore del vetro e da quella posteriore della lente.
Siccome quest'ultima tocca la superficie piana sola-
mente nel vertice della calotta , che limita la sua faccia
convessa, i punti di un medesimo cerchio, avente in que-
sto vertice il suo centro, si trovano tutti nella stessa con-
dizione. E però il fenomeno di interferenza consiste in una
serie di anelli concentrici, alternativamente chiari ed oscuri,
o pure iridati (anelli del Newton).
Come dicevo questi colori delle lamine sottili si in-
contrano spesso, sotto forme svariatissime , nella natura.
— 157 —
Citerò un caso solo , assai elegante. Si tratta delle
squame, che ornano le elitre di un coleottero Brasiliano,
r Entimiis imperialis (fig. 70).
Queste squame, che non supe-
rano in lunghezza un decimo di
millimetro, hanno una forma ovata
e sono adorne dei più vivaci co-
lori. Ne ho fatto riprodurre alcune,
che proietto con la solita lanterna.
Esse presentano degli aggruppa-
menti graziosissimi di tinte molto
brillanti ; aggruppamenti, che ri-
cordano a punto quelli delle bolle
di sapone e degli anelli del Newton.
Qui vi è una lamina d'aria molto
sottile, racchiusa fra due membrane
quasi affatto trasparenti; la parete
membrana e l' anteriore della se-
conda costituiscono la coppia di specchii (26).
Con i raggi di forza elettrica si possono, naturalmente,
osservare dei fatti analoghi a quelli di cui parlo. Però, con
gli apparecchi, che adoperiamo presentemente , le espe-
rienze sarebbero assai difficili ed incomode. Le lamine
sottili si dovrebbero prendere enormemente spesse.
Assai meglio riesce la cosa se, in luogo dell'eccitatore
e del risonatore del Hertz, si impiegano certi apparecchi,
ideati dal Righi, che avremo occasione di imparare a co-
noscere {27). Questi apparecchii, notevolmente più piccoli
di quelli ordinarli, danno origine ad onde assai corte, sicché
l'esecuzione delle esperienze è agevolata di molto.
Ad ogni modo si tratta sempre dì una ricerca di la-
boratorio, i cui resultati non si prestano ad essere dimo-
strati nella scuola. Basti in proposito questo cenno.
Voglio poi ricordare di passata che le correnti oscil-
lanti, guidate da i fili metallici , danno luogo anch'esse a
fenomeni paragonabili con le apparenze colorate degli anelli
Fig. 70
posteriore della prima
- 158-
del Newton. Per osservarli è necessario circondare con un
dielettrico, differente da l'aria, una porzione del conduttore
sul quale scorre la corrente. Questo resultato del resto non
ci apprende nulla di nuovo ; è naturale che le cose va-
dano a punto così, dal momento che la perturbazione si
muove, seguendo il filo, con velocità diverse nei diversi
mezzi (28;.
*
* *
§ 5. — I più notevoli fra i resultati, ottenuti oggi da noi,
si riassumono dicendo che la luce e il calore e i raggi di
forza elettrica sono costituiti da perturbazioni periodiche,
che si propagano nello spazio con velocità finita. E' pos-
sibile in fatti, nei tre casi, ottenere dei fenomeni di inter-
ferenza.
LEZIONE DECIMA.
1 risonatori come modelli delle molecole mate-
riali : assorbimento elettivo e colori superficiali
— Esperienze di Rubens e Nichols.
§ I. — Nella lezione precedente si è detto come, stu-
diando con diversi risonatori un fenomeno d'interferenza,
prodotto con la radiazione, che nasce da un determinato
eccitatore, si riconosca la presenza di raggi di periodo
differente. Propriamente le onde, che si vengono a de-
terminare, sono tanto più lunghe quanto più grande è il
secondario, che si impiega per la misura. Succede qui un
fatto analogo a quello che si incontra, per esempio, nel-
l'acustica, dove le canne da organo più lunghe rispondono
a i suoni più bassi. Similmente la durata dell'oscillazione
del pendolo cresce con la lunghezza del filo.
Nell'ultima lezione ho anche provato che i diversi colori
della luce corrispondono a differenti periodi della pertur-
bazione, che si propaga nel raggio. Di più facevo vedere
che la luce bianca genera delle interferenze iridate.
Vuol dire che un conduttore primario, come quello, che
abbiamo imparato a conoscere, emette una radiazione, la
quale è paragonabile, da un certo punto di vista, con la
radiazione, che parte dal sole e da qualunque corpo, so-
lido o liquido, incandescente.
In realtà nel primo, come nel secondo caso, coesistono
molte onde di lunghezze differenti.
— i6o —
Impiegando due parole dell'uso comune in un signifi-
cato un po' diverso da l'ordinario, si potrebbe dire che i
raggi elettromagnetici prodotti dal nostro eccitatore sono
bianchi, o, per lo meno, che essi non sono monocromatici.
Si badi però che il fatto della risonanza (in senso ri-
stretto), che avemmo già occasione di studiare, il fatto cioè
che un determinato primario eccita in maggior misura un
secondario di dimensioni definite, dimostra che vi è sempre,
nella radiazione emessa da l'eccitatore del Hertz, un colore
particolarmente intenso.
A l'in fuori dei fenomeni di interferenza ve ne sono
degli altri, "^ssai più facili da osservare, che valgono an-
ch'essi a porre in risalto la differente natura delle luci di
diverso colore. Intendo dire di tutti quei fenomeni lumi-
nosi, nei quali entra in giuoco la costituzione molecolare
della materia.
Qualunque sia l'ipotesi, che si vuole adottare, su la
natura della luce, si deve pure concedere, come una con-
seguenza dell'anaUsi spettrale, che l'emissione dei raggi
luminosi è legata intimamente con le proprietà della mo-
lecola, che quei raggi emette.
Si sa in fatti che un determinato corpo, vale a dire un
sistema di molecole, costituito in un certo modo, quando
sia posto in condizioni opportune, manda fuori alcuni raggi
di colore ben definito, e manda solamente quelli.
D'altra parte le diverse sostanze assorbono in modo
diverso un medesimo colore. Così, per esempio, se si in-
troduce nella pasta ordinaria del vetro un po' d'ossido di
rame, si ottiene un corpo trasparente, ma colorato in rosso ;
vale a dire, che assorbe ogni raggio a l'in fuori dei rossi.
Se si sostituisse a 1' ossido di rame un sale di cobalto la
tinta del vetro sarebbe turchina , e così via.
Ancora : è un'osservazione molto ovvia che i differenti
corpi rimandano in modo differente la luce ; illuminati da
una medesima sorgente ci offrono in fatti una varietà infi-
nita di colorazioni.
— i6i —
Si può tirare da tutto questo una conseguenza impor-
tante. Ed è che il comportamento delle molecole materiali,
verso la luce, ha una qualche analogia con il comporta-
mento dei nostri conduttori primarii e secondari!, verso i
raggi di forza elettrica.
A quel modo che una data molecola emette a preferenza
certi colori particolari, un determinato eccitatore manda
con maggiore intensità delle onde di lunghezza ben de-
finita.
A quel modo che le varie sostanze, esposte ad un
raggio bianco, si illuminano di colori differenti, vale a dire
scelgono fra le altre le onde di dati periodi, i nostri ri-
sonatori scelgono pure, nella radiazione dell'eccitatore, al-
cune onde di lunghezza determinata.
Quest'analogia è ben più intima e completa che non
debba parere a prima vista. Per vero noi possiamo imi-
tare con gli apparecchi del Hertz, in tutte le singolarità,
la maggior parte dei fenomeni a i quali dà origine la co-
stituzione molecolare dei corpi.
Voglio trattenermi oggi sopra questo argomento.
Ma, prima d'entrare in materia, credo opportuno pre-
mettere un' osservazione. Suppongano di aver dimostrato
che la somiglianza del comportamento, fra i nostri condut-
tori e le molecole dei corpi, è perfetta : avremo forse il
diritto di concludere che la costituzione di queste ultime
è analoga a la costituzione di quelli? evidentemente no..
Come ebbi già l'opportunità di osserv^are, degli effetti
simili si possono produrre con meccanismi molto differenti.
Non è lecito dunque ragionare, in quest'ordine di cose,
da l'effetto a la causa. Noi potremo dire soltanto che gli
eccitatori e i risonatori del Hertz sono buoni modelli per
le molecole dei corpi ; ma non potremo affermare niente
jii più.
§ 2, — Ed ora veniamo a le esperienze. Scelgo, natu-
ralmente, per fare il confronto, alcuni fatti semplici.
Anzi tutto : è una legge generale, dovuta al Kirchhoff,
II
— l62
e nota a punto sotto il suo nome , che ogni sistema vi-
brante assorbe di preferenza le perturbazioni, che hanno
il suo medesimo periodo.
Quando si tratti della luce la cosa si verifica, di so-
lito, impiegando un vapore come corpo assorbente.
Si può usare, con ottimi resultati, il piccolo apparec-
chio, che ho disposto qui, e che fu ideato dal Bunsfen.
Sono due boccie, dentro le quali ho versato dell'acqua
acidulata con acido solforico, e della limatura di zinco. Di
più ho sciolto ancora in quest'acqua una certa quantità dì
sai di cucina. L'idrogeno, che si svolge per l'azione dello
zinco su r acido, trasporta
con se molte minute bolli-
cine del liquido salato.
Il gasse, che si produce
ora nelle bottiglie, non sa-
rebbe sufficiente per intrat-
tenere due fiamme un po'
grandi. Supplisco a la defi-
cienza, facendo gorgogliare
attraverso il liquido, in en-
trambe le boccie, del gasse
illuminante.
Da una parte e da l'altra
il combustibile , per mezzo
di un tubo metallico, è con-
dotto a bruciare in un becco
di forma particolare. Di
questi becchi il primo dà
origine ad una fiammella
conica, il secondo , in vece,
produce una larga fiamma
accartocciata in forma di
ventaglio (fig. 71). Il -flusso
del gasse e la quantità dell'aria atmosferica, che si me-
scola ad e^so, prima che arrivi a bruciare , sono regolati
— i63 —
in modo che la piccola fiamma raggiunge una temperatura
alquanto inferiore a quella della fiamma grande.
Colloco le due boccie una a canto a 1' altra, in modo
che la fiamma piccina, stia proprio davanti a quella a ven-
aglio, e si proietti sopra di essa.
Quelli di Loro, che sono più vicini a me, possono ora
osservare un fatto curioso : il tratto della fiamma mag-
giore, che è coperto da la fiammella conica, apparisce tinto
di un colore giallastro fuliginoso, mentre tutto il rimanente
brilla di quel giallo caratteristico, che è proprio dei vapori
di sali sodici, portati a l'incandescenza.
Questa era pure la tinta della fiamma più piccola,
quando stava isolata.
L'esperienza ci prova dunque che le molecole del sodio
[assorbono a punto quei raggi, che esse sono capaci di
emettere.
Si potrebbe poi dimostrare che queste sole onde ven-
gono assorbite.
§ 3. — Una cosa perfettamente simile si veridica per
raggi di forza elettrica (29).
Dispongo, al solito, i due specchii primario e secon-
dario uno in faccia a l'altro ; e munisco il risonatore del-
'elettroscopio, che proietto nel modo consueto.
L'eccitatore rappresenta qui la parte, che era tenuta
prima da la fiamma a ventaglio ; e il secondario corrisponde
'occhio, con il quale si faceva l'osservazione. E' un occhio,
:he vede soltanto le onde di una determinata lunghezza.
Quanto a la fiammella conica, adopererò in sua vece questo
apparecchio. È una tavoletta di legno d'abete [ fig. 72}, su la
:iuale ho fermato a vite dieci striscie di latta rettangolari,
unghe cinquantaquattro centimetri e larghe cinque. Cia-
scuna di esse corrisponde dunque a ciò, che si otterrebbe
aldando, senz'altro, fra loro le due metà del conduttore
secondario. In altre parole sono dieci risonatori senza al-
:una interruzione, nei quali dunque si può fare liberamente
1 movimento dell'elettricità.
— 164 —
Metto il RuhmkorfF in azione ; come sempre le paglie
dell'elettroscopio si riuniscono.
ir.Q. 7^.
Interpongo ora la tavoletta A B, (fig, 73), tenendola
vicina al primo specchio, e procurando che le dieci strisele
riescano presso a poco_ verticali.
i-^- 73-
Immediatamente le scintilline al risonatore cessano^
e l'elettroscopio si carica, e le paglie divergono.
- i65 -
La tavoletta assorbe dunque quelle onde, che valgono
ad eccitare il secondo circuito.
Abbiamo veduto altra volta che i conduttori sono opachi
per i raggi elettromagnetici ; e però si potrebbe dubitare
che l'eccitazione del secondario sia sospesa, perchè i corpi,
che ho interposto, sono metallici, non perchè essi funzio-
nino da risonatori.
Questo dubbio si toglie facilmente. Basta in fatti gi-
rare la tavoletta di novanta gradi nel suo piano, perchè
le paghe dell'elettroscopio tornino a riunirsi. X'edremo a
suo tempo che, con questa rotazione, si impedisce il mo-
vimento dell' elettricità nei risonatori, che coprono lo
schermo.
Accennavo dianzi che una fiamma gialla assorbe so-
lamente i raggi gialli ; e non sarebbe capace, per esempio
di impedire la propagazione di raggi rossi o turchini, o
di qualunque altro colore. Similmente non mi riuscirebbe
di proteggere il secondario da l'azione dell'eccitatore, se
Fi«. 74-
— i66
impiegassi un sistema di risonatori, che fossero molto di-
versi da quello, che tengo collegato con l'elettroscopio.
Sopra una seconda tavoletta ho disposto qui sessanta
strisele di latta, assai più piccine delle altre, che impiegavo
prima; sono lunghe quindici centimetri e larghe tre.
Interpongo questo nuovo schermo (fig. 74) fra gli
specchii e, come vedono, esso non ha alcuna azione. Le
paglie rimangono a contatto.
§ 4. — Che l'assorbimento, esercitato da i sistemi di con-
duttori su i raggi di forza elettrica, è legato intimamente
con il fatto della risonanza, si può mostrare anche in un
altro modo.
Per questa esperienza impiego dei risonatori differenti
da quelli, che ho adoperato finora; e cioè dei circuiti
chiusi. Scelgo questi piuttosto che gli altri perchè in essi
si può interrompere la circolazione dell' elettricità senza
spezzare il conduttore in due ; ciò che, in sostanza, porta
a sostituire ad un unico
secondario una coppia di
secondarli di dimensioni
minori.
Disgraziatamente non
è più possibile, con que-
sti apparecchii , fare uso
dell'elettroscopio ; bisogna
limitarsi a l'osservazione
delle scintilline.
I risonatori , che im-
piego , sono quadrati di
grosso filo di rame (fig. 75*,
aventi quindici centimetri
di lato. Ne dispongo uno
^'8- 75- sopra un sostegno, davanti
a lo specchio primario, in modoi^ che il suo piano sia ver-
ticale e che risulti anche verticale il lato, in cui si trova
l'intervallo di scarica.
_ i67 -
Altri nove apparecchii, in tutto simili a questo primo,
ho fissato nello stesso modo sopra una tavolétta d'abete
(fig. 76), che colloco immediatamente davanti a l'eccitatore.
Movendo le viti, ab-
brevio gli intervalli
di scarica nei circuiti,
che costituiscono lo
schermo , finche in
ciascuno di essi si
producano le scintil-
Une.
E bene, adesso, si
trova che nel decimo
risonatore, quello che
sta isolato, è impos-
sìbile avere indizio
di correnti ; anche se
si porta la punta a Mg. 70.
toccare quasi la pallina.
Ma se faccio crescere un poco la distanza esplosiva
nei secondarii della tavoletta, così che le scariche non vi
si possano piìi produrre, l'ultimo risonatore comincia a
mostrare delle scintille.
E questo prova a punto ciò, che avevo enunciato.
§ 5. — Andiamo innanzi, e passiamo ad un altro ar-
gomento.
Ho incollato sopra un'assicella tre pezzi di carta co-
lorata; uno è rosso, l'altro è giallo, ed il terzo è turchino.
Se, in vece che con la luce del sole, illuminassi questi
pezzi di carta con la luce dell'arco voltaico, o con quella
di una qualunque sorgente bianca, le loro tinte rimarreb-
bero, a un dipresso, inalterate. Ma le cose vanno diversa-
mente, se mi servo di una sorgente monocromatica. Faccio
chiudere ermeticamente le finestre della sala, ed introduco
un po' di sale comune nella fiamma oscura di un becco
Bunsen (fig. 77). Subito questa si tinge vivamente in giallo.
— i68 —
Ma, delle carte colorate, soltanto la gialla conserva il suo
aspetto : le altre due appariscono di un colore cupo, quasi
nero.
F'g- 77.
Vuol dire che i corpi assumono la loro tinta partico-
lare solamente se, nella radiazione, che viene a colpirli,
esistono certe onde determinate.
§ 6. — Dei fatti analoghi a questi si possono riscon-
trare con i raggi di forza elettrica (30),
Colloco adesso i due specchii del Hertz ad una certa
distanza uno da l'altro ; ma non li tengo più faccia a faccia,
bensì li pongo in modo che i piani assiali si incontrino ad
angolo retto.
A punto dove questi piani si tagliano, a quarantacinque
gradi su ciascuno di essi, voglio mettere la prima delle
tavolette, che ho adoperato oggi , quella con le strisele
grandi di latta AB, (fig. 78). E le striscie le tengo verticali.
Si verifica anzi tutto che questo schermo riflette viva-
cemente i raggi di forza elettrica.. In fatti, se il primario
— 169 —
viene eccitato con il Rulimkorff, l'elettroscopio, collegato al
risonatore, si scarica.
Perchè avvenga la riflessione è necessario che i se-
condarli, che formano lo specchio, siano verticali, cioè ec-
citabili. Se li disponessi orizzontalmente, facendo rotare
la tavoletta sopra sé stessa di un angolo retto, non vi sa-
rebbe più indizio di raggio riflesso.
Lascio la tavoletta nella posizione di prima; e davanti
a lo specchio primario pongo lo schermo con i sessanta pic-
coli risonatori, che abbiamo impiegato dianzi CD, (fig. 78).
Come vedono, non succede nessun cambiamento ; le pa-
glie dell'elettroscopio sono sempre riunite, ' vale a dire le
scintille continuano a passare.
E la cosa si intende bene. La tavoletta con i risona-
tori piccini sopprime bensì certi raggi, ma non quelli, che
sono capaci di eccitare i secondarii più grandi. In modo
simile, nell'esperienza con la luce, si potevano togliere vìz.
le onde di moltissimi periodi, senza che la carta gialla
mutasse colore.
_ I70 - I
Ma se, in luogo dello schermo con i risonatori piccoli,
ne metto uno con dieci striscie grandi di latta, simile in
tutto a ^quello, che mi serve da specchio, non si ha più
segno di raggio riflesso. Tanto che la parte del secondario,^
che è collegata con la pila secca, riceve una carica e la
conserva.
Similmente ho trovato poco fa che, sopprimendo nella
sorgente i raggi turchini, la carta turchina appariva ne-
rastra.
Si può dunque dire che le tavolette coperte di riso-
natori, impiegate da noi, si differenziano da le lastre con-
duttrici non interrotte in ciò che queste ultime riflettono
ogni raggio, quelle , in vece , sola-
mente i raggi di un certo periodo.
Una lamina di latta è dunque:
l'analogo di uno specchio ordinario,,
o di uno strato d'argento speculare,,
mentre uno schermo di risonatori
fa l'ufficio di un corpo colorato,
§ 7. — E' evidente che, quando
jsi voglia ottenere nei fenomeni la
massima intensità e la massima
nettezza , sarà opportuno di im-
piegare, così per il primo che per
il secondo circuito , dei riflettori
colorati , in vece che dei riflettori
incolori (31).
L' apparecchio , che presento
Loro (fig. 79), è costruito a punto
secondo questo concetto ; e s"* a-
datta al risonatore (di cinquanta-
quattro centimetri per cinque) che
abbiamo impiegato quasi esclusiva-
mente finora.
Le parti non metalliche di questo specchio non diffe
riscono per nulla da quelle degli specchii ordinarli. Al
— 171 —
biamo anche qui quattro assicelle incavate a parabola, mu-
nite di traverse, e sorrette con gambe di legno.' Solamente,
in luogo dell'unica lamina di zinco, vi sono in questo ap-
parecchio ventisei risonatori grandi di latta, disposti in
due righe orizzontali, simili in tutto a quelli dello schermo^
che testé funzionava da specchio piano.
Questo riflettore ha su quelli ordinarli parecchiì van-
taggi. Anzi tutto rinforza meglio quella particolare lunghezza
d'onda, per la quale è calcolato ; è alquanto più leggiero,
e permette che si veda nel suo interno da ogni punto
della sala.
L'unico inconveniente consiste in ciò che, come è na-
turale, l'apparecchio può servire per un solo risonatore :
sicché, quando si volesse, per esempio, fare uso di pa-
recchi! secondarii differenti, bisognerebbe procurarsi tutta
una serie di specchii.
§ 8. — Ho detto dianzi che gli schermi formati da riso-
natori, come quelli che abbiamo impiegato oggi, agiscono su i
raggi elettromagnetici come i corpi colorati su la luce. Non
sarà inutile di insistere un momento su questo punto.
In realtà le sostanze coloranti, quando si studiino in
luce bianca, si possono dividere in due categorie, netta-
mente distinte.
Alcune, e fra esse la maggior parte dei colori mine-
rali, presentano per riflessione e per trasparenza la me-
desima tinta.
Altre, come per esempio i metalli e i derivati del--
l'anihna, offrono, quando si osservino per trasparenza, una
colorazione ben diversa da quella che la loro superfìcie
rimanda. Si tratta, propriamente, di tinte, che, riunite,
danno il bianco, o, come si suol dire, tinte complementari.
Le sostanze della prima specie si possono chiamare
sostanze coloranti ordinarie ; queste altre, a le quali ac-
cennavo ora, si dicono sostanze a colore superficiale.
Una tale differenza si può spiegare ammettendo che
le molecole dei corpi a colore superficiale sono capaci di
— 172 —
«sercitare un fortissimo assorbimento sopra un colore de-
terminato, mentre non hanno, quasi, azione su tutti gli
altri. Ne viene che in queste sostanze la riflessione si fa
nei primi strati, vicini a la superficie, mentre nei corpi a
colorazione ordinaria la luce può penetrare alquanto nel-
l'interno.
Dicevo che i metalli appartengono a la seconda cate-
goria. In realtà, tutte le sostanze di questa natura presen-
tano a punto quell'aspetto caratteristico, che diciamo me-
tallico, e, come appare, in seguito a la somiglianza delle
proprietà ottiche.
La natura produce dei corpi a colore ordinario ed
anche dei corpi a colore superficiale. Come esempio posso
mostrare Loro, al microscopio, le squame di alcune far-
falle (32).
Se illumino l'oggetto che voglio studiare, con lo spec-
chio, che sta sotto la piattaforma, e, contemporaneamente,
riparo questa da l'azione diretta della luce, mi rendo conto
della tinta trasmessa. Se, in vece, allontano lo specchietto
e scopro la piattaforma, vedo, naturalmente, il colore ri-
flesso.
Colloco, per esempio, sul portaoggetti alcune squame
appartenenti ad una grossa farfalla nostrana, il Papitio Ma-
chaon. Queste presentano in luce trasmessa ed in luce ri-
flessa la medesima tinta gialla ; la sostanza che le colora
appartiene dunque a la prima categoria.
Assai diversamente vanno le cose con queste altre
squame che ho tolte a certe farfalle, del genere Morpho,
proprie dei Brasile. Esse mostrano per riflessione una tinta
celeste vivacissima, ma in luce trasmessa sono gialle (*).
(*) Le squame tolte a le parti turchine delie ali delle Morpho
sono così intensamente colorate che, in luce trasmessa, non lasciano
vedere che una tinta bruno-sudicia molto cupa. Qijeste farfalle
hanno però spesso, sempre su le faccìe superiori delie ali, certe
righe chiare, che, ad una prima osservazione, sembrano tinte di un
— 173 —
Ora questi due colori sono complementari ; in fatti, se illu-
mino la squama contemporaneamente dal di sopra e dal
di sotto, essa assume una tinta biancastra. Vuol dire che
siamo ora in presenza di una sostanza a colore super-
ficiale.
Chiudiamo la digressione e torniamo a i nostri schermi.
Adesso noi possiamo decidere subito in quale categoria
di corpi colorati si debbano mettere. Poi che rimandano
delle onde, che non lasciano passare, essi ci rappresentano
il modello di una sostanza a colore superficiale.
Ma vale la pena di insistere ancora su questo argo-
mento, per cercare di approfondirlo meglio.
Sanno che la radiazione emessa da una fiamma non
è tutta visibile, ma contiene, in generale, dei raggi ad onda
più lunga o più breve di quelli che il nostro occhio vede»
Li chiamiamo ultrarossi ed ultravioletti.
Ora, se si studia il comportamento di un corpo a co-
lorazione ordinaria, rispetto a questi raggi oscuri, si finisce
sempre per incontrare, nella regione ultrarossa o nell'ultra-
violetta, certe onde particolari, su le quali il corpo in esame
agisce come una sostanza della seconda categoria. \'oglio
dire che, per le perturbazioni prossime ad un determinato
periodo, r assorbimento è elettivo, e il raggio riflesso è
monocromatico.
Così, per esempio, la fluorite, che sembra a l'occhio
quasi del tutto diafana, e che rimanda a pena i varii ra^i
visibili, è, in vece, molto assorbente per certe onde ultra-
rosse, la cui lunghezza è prossima a ventiquattro millesimi
di millimetro. Una superficie di fluorite, tirata a pulimento,
riflette assai bene queste stesse onde, e riflette in modo
sensibile queste sole.
colore rosato. Ma si tratta solo di un effetto di contrasto. Se si
tolgono alcune squame a quelle righe e si isolano, si riconosce che
esse sono costituite a punto come le altre, che formano il fondo
dell'ala, ed hanno la stessa tinta, benché molto più pallida. Su queste
conviene fare l'osservazione, perchè qui si vede meglio che i colori
sono complementari.
— 174 — ■
Ciò è tanto vero che, volendo isolare fra i raggi ul-
trarossi, emessi da una fiamma, un fascetto monocrorriatico,
si può a punto ricorrere a l'espediente di far riflettere la
radiazione tre o quattro volte di seguito sopra altrettante
lastre di fluorite, bene spianate.
L'artifizio è in sostanza quello stesso al quale accen-
navo poco fa, indicando come sia vantaggioso impiegare
per i raggi di forza elettrica uno specchio formato di ri-
sonatori.
Se ripensiamo ora a tutto questo, che ho detto, si
intende subito come la distinzione fra le due categorie di
sostanze coloranti non è punto fondata nella natura delle
cose. Bensì ha valore solamente per il nostro occhio.
E si comprende anche perchè i risonatori, che ho mo-
strato Loro, agiscano come corpi a colore superficiale. La
causa sta in ciò che i raggi, studiati da noi , sono costi-
tuiti da onde, la cui lunghezza è paragonabile in ogni caso
con quella delle onde, che sono capaci a punto di eccitare
i risonatori, che formano il sistema.
Ma se continuando ad impiegare il primario ed il se-
condario, dei quali mi sono servito finora, o pure sosti-
tuendoli con una coppia di circuiti non troppo differenti,
io interponessi fra l'uno e l'altro apparecchio una tavoletta,
o una lastra di vetro, coperta di risonatori estremamente
pìccoli (lunghi per esempio un venti o venticinque mille-
simi di millimetro), questo sistema agirebbe press' a poco
ad un modo nei due casi, cioè costituirebbe il modello di
una sostanza colorante ordinaria.
La stessa lastra poi, come ben si comprende, appari-
rebbe, in vece, a tinta superficiale, se la mettessi in presenza
di onde paragonabili a quelle, che eccitano i suoi riso-
natori.
Ora abbiamo veduto, nella lezione passata, che il se-
condario di cinquantaquattro centimetri rivela delle onde che -^
hanno una lunghezza di poco inferiore a la sua. Se am-
mettiamo, ciò che corrisponde a l'in circa a la realtà, che'^^
— 175 —
il rapporto fra le dimensioni del secondario e la lunghezza
dell'onda sia sempre lo stesso, potremo subito concludere
che la lastra, della quale parlavo or ora, deve assorbire
e riflettere energicamente delle onde lunghe venti o ven-
ticinque millesimi di millimetro.
In pratica non è possibile produrre dei rctggi di forza
elettrica ad onda tanto corta ; bisognerebbe per questo
ridurre in proporzione la grandezza dell'eccitatore.
Ma le considerazioni, che ho svolto, non riescono del
tutto inutili, mostrano anzi l'opportunità di tentare una
esperienza, la quale, d'un solo tratto, metta i fenomeni
della luce in intimo rapporto con quelli della radiazione
elettromagnetica.
Noi abbiamo osservato sempre, in questa lezione e
nelle lezioni passate, una grande analogia di comporta-
mento fra le onde della luce e del calore da una parte e
quelle dei raggi di forza elettrica da l'altra. Tanto che si
può dire che, per noi, non v'è fra le prime e le seconde
altra differenza che di lunghezza.
Non potrebbe la somiglianza del comportamento spin-
gersi ancora più in là? non sarebbe possibile, per esem-
pio, ottenere dei fenomeni di risonanza con un raggio di
luce, facendolo riflettere sopra una lastra coperta di strisele
metalliche minutissime?
Badino che nemmeno la riuscita di quest' esperienza
indica la identità di struttura fra le molecole dei corpi ed
1 nostri conduttori. Anzi piuttosto il contrario, come si vedrà
meglio in seguito. Ho già fatto osservare espressamente,
in una delle ultime lezioni, che si possono avere fenomeni
di risonanza fra sistemi molto diversamente costituiti. Un
getto d'acqua sente, in qualche modo, il suono d'una corda
di violino ; e pure, in questo caso, la struttura del riso-
|.natore e quella dell'eccitatore non hanno assolutamente
nulla di comune. Ciò che pone in relazione i due sistemi
è una circostanza esteriore : è il fatto che entrambi emet-
tono delle onde di ugual natura, ed entrambi vengono in-
fluenzati da le onde, che sono capaci di emettere.
— 176 —
A lo stesso modo, l'esperienza, a la quale accennavo.
SI potrebbe considerare, quando fornisse un resultato affer-
mativo, come una prova rigorosa della natura elettroma-
gnetica della luce. Almeno per quanto è possibile fornire
delle prove m una scienza di osservazione.
fig. 60.
^.^^^fi~-^u^""'' ^^^^ "''^'■^^ '" intrapresa ultimamente
da due fisici abilissimi. E. Rubens ed E.F. Nichols, tedesco il
primo e 1 altro americano, e l'esito fu a punto quello, che
ie considerazioni teoriche lasciavano prevedere (33J
— 177 —
Io non ripeterò qui le esperienze di Rubens e Nichols,
che esigono dei mezzi d'osservazione molto delicati e che
ad ogni modo non si potrebbero mostrare ad un uditorio
un po' numeroso. Mi accontento soltanto di indicare, su la
lavagna, la disposizione del loro apparecchio (fig. 80) e di
riassumerne i resultati principali.
I raggi termici, emessi da la sorgente x, cadono sopra
lo specchio concavo b, che li rende alquanto convergenti,
così che essi si vadano da ultimo a riunire su la fendi-
tura, Si, di uno spettrometro.
Pij p2, P?, e p\ sono quattro pezzi di fluorite, con una
faccia piana e ben levigata ; su questi la radiazione si ri-
flette sotto un angolo di circa quindici gradi.
In tale modo, per una proprietà, che ho menzionato
poc' anzi, i raggi si riducono ad essere sensibilmente mo-
nocromatici. E le onde superstiti hanno quasi tutte una
lunghezza. di 24,4 millesimi di millimetro.
Queste onde sono rimandate da la superficie p^ sopra
una lastra di vetro, d, che incontrano sotto un angolo di
sessantanove gradi. Non mi fermo ora a spiegare minu-
tamente quale sia l'azione di questo specchio piano (*).
Dirò soltanto che, dopo la nuova riflessione, i raggi ter-
mici si comportano come se fossero emessi da eccitatori
tutti paralleli tra loro e perpendicolari al piano d' inci-
denza. (Nelle esperienze di Rubens e Nichols questo
era orizzontale).
In r si colloca il sistema di risonatori, che si vuol
studiare, o pure uno specchio ininterrotto d'argento; in v
un diaframma, munito di foro circolare, per limitare la
radiazione.
Così i raggi si vengono a raccogliere su la fenditura
Si dello spettrometro s^, g, Sg. E' questo un apparecchio
(*) Si confronti in proposito la lezione tredicesima.
— 178 —
a riflessione, di struttura particolare, su i dettagli del quale
è inutile insistere (*).
Da ultimo lo specchio convergente a corto foco e rac-
coglie i raggi sopra l'apparato di misura R, che è un ra-
diometro, cioè un sistema estremamente leggero, con due
alette di mica, il quale può rotare dentro uno spazio vuoto,
intomo ad un asse verticale. Un sistema di questo genere,
quando una delle alette si esponga a l'azione del calore
raggiante, gira di un certo angolo, la grandezza del quale
fornisce un criterio per giudicare della intensità della ra-
diazione incidente.
Gli schermi di risonatori, che Rubens e Nichols im-
piegarono nelle loro esperienze, venivano preparati rico-
prendo con uno strato d'argento delle lastre piane di
vetro. Nel velo metallico poi, mediante una macchina a
dividere, si praticavano due sistemi ortogonali di scalfit-
ture rettilinee, equidistanti. In questo modo rimanevano
isolati tanti minutissimi rettangoli uguali, d'argento.
E si realizzava il sistema di conduttori estremamente
piccoli, del quale ho parlato poco fa.
Rubens e Nichols costruirono parecchie lastre, con
risonatori di diverse grandezze ; riporto le costanti di due
fra esse, indicando in quale misura seguisse per queste la
riflessione del calore raggiante.
Primo Secondo
schermo schermo
Numero dei risonatori in un cm.^ . . . looo.io^ 333.10^
Lunghezza dei risonatori (in milles. di mm.) 6,5 24,4
Larghezza » » » » 4,6 5,5
Percento della radiazione incidente riflesso :
a) risonatori orizzontali .... 18,1 15,3
b) n verticali .... 22^7 50,2
(*) L'organo g, un reticolo di fili metallici, serve per la mi-
sura delia lunghezza d'onda, e si toglie via durante le esperienze
di risonanza.
— 179 —
Come si vede, per entrambi i sistemi la riflessione
segue meglio quando i risonatori sono verticali ; in questo
caso poi il secondo schermo rimanda i raggi termici oscuri
assai più che il primo.
L'uno e l'altro fatto è in completo accordo con i re-
sultati delle nostre esperienze su i raggi di forza elettrica^.
E però è verisimile che la radiazione termica e luminosa
sia. radiazione elettromagnetica. Almeno ogni cosa succede
come se questo fosse vero.
Segue ancora di qui che, se si impiegassero degli ec-
citatori adatti a secondarli di venticinque millesimi di mil-
limetro a l'in circa, essi produrrebbero, secondo ogni proba-
bilità, delle onde simili in tutto a quelle, che si isolano
riflettendo il calore raggiante su le lastre di fluorite.
Vuol dire che. se le molecole della fluorite fossero co-
stituite come i nostri conduttori, esse dovrebbero avere delle
dimensioni a<sai più grandi di quelle, che hanno in realtà.
Questo non distrugge, naturalmente, per nulla il signifi-
cato delle nostre esperienze; ma mette in chiara luce ciò, che
ho affermato più volte, vale a dire che le teorie e le ipotesi
sono semplici modelli di quello, che succede nella natura.
***
§ IO. — I fatti, che ho mostrato Loro in questa lezione,
si enunciano dunque rigorosamente dicendo che i sistemi di
conduttori impiegati da noi rappresentano bene il compor-
tamento della materia nei fenomeni di assorbimento e di
riflessione. Anche ho descritto un'esperienza, che mostra
probabile un' identità di natura fra i raggi del Hertz e i
raggi luminosi e termici.
LEZIONE UNDICESIMA.
I risonatori come modelli delle molecole materiali :
rifrazione e dispersione — Apparecchii del Rigiii.
§ I. — L'accettabilità dei risonatori come modelli delle
molecole materiali si può anche riscontrare con lo studio
di fenomeni diversi da quelli, che esaminammo nella le-
zione passata. E veramente la materia agisce su la luce
anche in altro modo che per assorbimento o per riflessione.
Per esempio si sa che, in diversi corpi, un medesimo
colore si propaga con velocità differenti e che, d'altra parte,
per uno stesso mezzo, sono disuguali le velocità di pro-
pagazione delle varie onde. Per questo, con l'impiego del
prisma, si può produrre ciò che si chiama lo spettro di
una data sorgente, vale a dire si possono isolare i raggi
di diverso periodo esistenti nella sua radiazione.
Ora vedemmo già che le correnti alternative si muo-
vono più o meno velocemente lungo i conduttori, a seconda
del mezzo, in cui questi sono immersi. Ed accennammo
a la possibilità di rifrangere i raggi di forza elettrica con
un prisma di asfalto (*).
Non abbiamo ripetuto 'codesta esperienza, per le dif-
ficoltà materiali che essa oifre.
La cosa, del resto, non ha, dal punto di vista teorico^
un interesse molto grande. In realtà il modo d' agire dei
(•) Si confrontino in proposito le lezioni settima ed ottava.
i8i
prismi materiali su la radiazione del Hertz non sembra
essere in tutto quello stesso che sopra la luce.
Come ricordavo un momento fa , 1' ottica constata il
fatto importantissimo della dispersione. E bene, pare che
niente di simile avvenga, in generale , nel caso dei ra^
di forza elettrica. Almeno per quanto si può dedurre da
esperienze indirette.
La cosa dopo tutto non sarebbe molto difficile da in-
tendere. Poi che la dispersione consiste, in ultima analisi,
in una differenza di comportamento di certe determinate
molecole rispetto ad onde di lunghezza diversa, bisogna
pur considerarla come un fenomeno di risonanza. Ma non
v'è risonanza quando il sistema secondario e la radiazione,
che lo colpisce, hanno dei periodi molto differenti.
D'altra parte si intende anche subito come si possa
costruire un apparecchio, che sia per la radiazione del Hertz
ciò, che è un prisma ordinario per la luce. Bisognerà pro-
curare che le sue molecole
siano paragonabili con
quelle, che, eccitate, pro-
ducono il raggio elettro-
magnetico. In altre parole
bisognerà che il prisma
sia formato di risonatori,
nello stesso modo che gli
schermi, dei quali ci siamo
valsi nella lezione passata.
Ho costruito un ap-
parecchio, che risponde a
tali esigenze ; è questo ,
che presento Loro. Lo im-
piegherò a produrre la
rifrazione, riservandomi di
dimostrare più tardi , con
disposizioni più comode, il fatto della dispersione.
Si tratta, come vedono, di un'armatura leggera di legno
l82
d'abete (fìg. 8i), formata da tre bastoni, che collegano due
telai in forma di triangolo. Queste basi del prisma sono
regolari ed hanno un metro di lato. Similmente sono qua-
drati di un metro le faccie laterali. Due lati di ciascun
triangolo sono ancora riuniti da otto traverse , parallele
tutte al terzo lato.
Fra le traverse corrispondenti superiore ed inferiore
sono tese delle file di risonatori : piccole striscie di latta
di quindici per due centimetri. In ciascuna fila un risona-
tore è assicurato a quello che gli sta sopra con due cor-
doncini di seta ; il primo è fermato nello stesso modo al
telaio superiore e l'ultimo al telaio di sotto.
Vi sono in ogni
fila cinque risonatori ;
nove file formano il
primo strato (fig. 82)^
otto il secondo , e
così via , una sola
l'ultimo. Sicché tutto
lo spazio del prisma
è riempito con du-
gentoventicinque stri-
scie di latta , distri-
buite uniformemente,
Io colloco ora i
due sohti specchii ,
con il primo e il
secondo circuito, fac-
^'K* ^^' eia a faccia, e inter-
pongo fra essi il prisma, in modo che dei tre lati delle
basi uno sia prossimamente parallelo a i piani assiaU dei
cilindri parabolici. Poi, da una parte e da l'altra del prisma,
dispongo ancora due grosse lastre di zinco ; in modo che
sia escluso il dubbio che alcuni raggi possano passare
fuori dello spazio occupato da i piccoli risonatori.
Quindi faccio che il rocchetto agisca. Accade adesso
- i83 -
che il secondario, benché il suo riflettore si trovi davanti
a quello dell'eccitatore , non dà segno di essere ' percorso
da correnti. E questa mancanza dell' azione induttrice
del primo sul secondo circuito non si deve attribuire ad
un assorbimento esercitato da le strisele di latta, che com-
pongono il prisma. In fatti, se sposto lo specchio del riso-
natore lateralmente, da la parte opposta a quella dello spi-
golo rifrangente del prisma, l'eccitazione si fa e l'elettro-
scopio perde la sua carica.
Vuol dire che il raggio traversa il corpo, che ab-
biamo posto su la sua strada, ed è deviato da esso. E la
deviazione succede in quello stesso senso, in cui si fa per
la luce, che esce da un prisma di vetro.
Posso fare l'esperienza anche in un altro modo , che
riesce più comodo. E cioè posso lasciare i due specchi di
fronte e, con una lastra piana di zinco, rimandare nel ri-
flettore del secondario il raggio deviato, che esce dal prisma.
Anzi non è nemmeno necessario che impieghi per questo
ima lastra metallica ; basta, per farne l'ufficio, il mio corpo
e quello di un aiuto.
§ 2. — Volendo constatare il fatto della dispersione è
necessario fare delle misure, sia pure grossolane; a questo non
si prestano bene gli apparecchi, che impiegammo fin qui
per la produzione dei raggi di forza elettrica.
L'eccitatore e il risonatore sono di dimensioni molto
grandi e però assai incomodi da maneggiare. Inoltre, come
ebbi già occasione di avvertire, la grandezza del primario
e del secondario ha per conseguenza la lunghezza del-
l'onda. Anche questo riesce in molte esperienze un incon-
veniente grave.
Per ovviare a tali difficoltà si è cercato da parecchii
di ridurre le dimensioni degli apparati del Hertz ; il Righi
ha ottenuto in questa ricerca dei resultati veramente pra-
tici, e le sue disposizioni sperimentali sono ora universal-
mente adottate (34).
L'ostacolo principale, che si incontra, quando si vuol
— i84 —
costruire un eccitatore di dimensioni ridotte, consiste in
ciò che i fili stessi, che servono per condurre la carica
a le due metà del primario, perturbano in qualche modo
il movimento dell'elettricità. Il Righi ha superato genial-
mente la difficoltà, sopprimendo senz'altro le condutture.
Il suo eccitatore risulta di due palline d'ottone, vici-
nissime una a l'altra ; a queste paUine si guida il flusso
dell'elettricità prodotto dal rocchetto, o, meglio, da una
macchina del Holtz, per mezzo di fili, che terminano in
due piccole sfere. Ma non vi è contatto fra le sfere della
conduttura e le palline dell'eccitatore. Bensì si lascia, da
una parte e da l'altra, un intervallo d'aria. Si fanno dunque
tre scintille consecutive. Quella di mezzo, naturalmente,
è piccolissima, le altre sono alquanto più lunghe.
Fig. 83.
Il Righi si è valso ancora di un artificio, che assicura
- i85-
l'andamento regolare della scarica oscillante, e ne rende
più intensi gli effetti. Ha fatto cioè che la scintilla minore
accadesse nell'olio in vece che nell'aria. In questo modo
gli elettrodi non si insudiciano tanto presto e per uguali
distanze esplosive si raggiungono delle differenze di po-
tenziale più grandi (*).
In pratica l'eccitatore del Righi si può costruire in
molti modi diversi. La disposizione adottata da me è delle
più semplici (fìg. 83).
Una cassettina di legno, senza coperchio, e munita di
una parete di vetro, reca nel fondo un foro, nel quale è
incastrata una delle palline, che formano il primario. Nel
caso nostro la cassetta è lunga dieci centimetri, alta e
larga cinque : le palline hanno due centimetri di diametro.
Vi è poi un'assicella, fermata a cerniera contro una
delle pareti laterali della scatola, questa è larga quattro
centimetri e lunga nove. E' forata essa pure verso il
mezzo, e nel foro riposa la seconda pallina.
Da la parte opposta a la cerniera l'assicella è traver-
sata da una grossa vite, la cui testa sporge fuori della
cassetta, e la punta s'appoggia, senz'altro, sul fondo.
Girando questa vite nel senso degli indici dell'orologio
o nell'opposto, si ottiene, naturalmente, di alzare o d'ab-
bassare alcun poco la pallina superiore, e così di variare
l'intervallo di scarica.
La scatola si riempie di olio minerale o di olio dì va-
selina.
Da principio si può, guardando per la finestra di
vetro^ fissare la pallina a la distanza, che si giudica con-
veniente ; più tardi l'olio annerisce e non è più possibile
discernere nulla nell'interno. E bisogna accontentarsi di
girare un pochino la vite a destra o a sinistfa,' a tentoni;
finché si ottengano degli effetti soddisfacenti.
§ 3. — Anche per il risonatore le difficoltà sono gravi. Si
(*) Questo artificio si deve a i sigaori Sarasia e De la Rive (3 5).
— i86 —
capisce in fatti che la vite e la punta e la piccola pallina,
che servono per regolare la produzione delle scintille,
mentre non perturbano sensibilmente le oscillazioni degli
apparecchii più grandi, produrrebbero qui degli inconve-
nienti sensibili.
In questo caso ancora è riuscito al Righi di risolvere
elegantemente il problema.
L'artificio che egli imaginò è analogo in tutto a quello,
del quale ho discorso a proposito delle esperienze di Ru-
bens e Nichols. Propriamente gli schermi adoperati da
questi ultimi derivano da i risonatori del fisico italiano.
I secondarii del Righi, in fatti, sono semplici striscie
metalliche, con un taglio verso il mezzo, nel quale scoc-
cano le scintille.
Per prepararli si depone, sopra una lastra di vetro
da specchii, un velo sottilissimo d'argento;
così sottile che a pena riesca opaco per la
luce. Quindi si intaglia, nella superficie del
metallo, la strisciolina delle dimensioni vo-
lute [fig. 84), e si raschia tutt' intorno V ar-
gentatura con un temperino.
Quanto a l' intervallo di scarica con-
viene praticarlo con una punta di diamante,
molto fine, che si fa scorrere leggermente
sul risonatore.
Questi secondarii, come s'intende, hanno
una distanza esplosiva, che non si può va-
riare e sono soggetti a l' inconveniente di
guastarsi assai presto. Al passare delle
scintille, poco a poco , l' argento si ossida
e brucia, e l' intervallo cresce. Sicché 1' ap-
parecchio diventa inservibile. La durata è
maggiore se lo strato metallico è più spesso,
ma anche in questo non si può eccedere, perchè, quando
lo spessore del velo è troppo grande , è difficile che il
taglio riesca netto e completo.
ig. 04.
- iS7 -
I risonatoli del Righi si fanno di varie dimensioni, a
seconda del periodo, che si preferisce.
Ne impiegheremo oggi due differenti, il primo dei quali
è lungo sei centimetri, e il secondo tre; le larghezze ri-
spettive sono di tre e due millimetri. Entrambi vengono
eccitati assai bene dal primario, che ho descritto dianzi.
Tanto l'eccitatore che il risonatore si debbono natu-
ralmente munire di specchii.
Per il primario preferisco impiegare un riflettore sfe-
rico. E' quello stesso, che mi servì altra volta per le espe-
rienze su la luce e sul calore raggiante. Bisognerà fare in
modo che la scintilla di mezzo riesca a punto nel foco
dello specchio; ciò che si ottiene collocandola là dove si
forma l'imagine di una fiamma, posta su l'asse, ad una di-
stanza assai grande.
Fig. «5.
Per i secondarli adopero, in vece, dei cilindri parabolici.
Sono costruiti sul principio degli specchii di risonatori, che
descrissi nella lezione passata. Ma la disposizione è un
po' diversa.
— i88 —
Si tratta, come vedono, in entrambi i casi, di un fo-
glio di cartoncino, al quale ho dato la forma più opportuna
adattandolo in un armatura parabolica d'ottone, che è fis-
sata a la sua volta sopra una tavoletta di legno (fig. 85).
Sul cartone poi sono incollate, in serie parallele, molte
striscioline di stagnola. Hanno in ciascuno specchio le stesse
dimensioni che il risonatore, per il quale lo specchio deve
servire. Ma naturalmente non sono munite di intervallo di
scarica.
Raccolgo in un quadro le costanti dei due riflettori.
Altezza
Distanza focale
Numero dei
risonatori
in una riga
Numero
delle righe
di risonatori
I. Specchio
13 cm.
8 cm.
35
3
2. Specchio
13 cm.
3 cm.
23
I
Le scintilline, che si producono nei secondarli del Ri-
ghi, sono tanto piccine che difficilmente si possono osser-
vare ad occhio nudo; tanto più se la stanza, nella quale si
sperimenta , non è completamente buia. Per questo nello
specchio, lateralmente, è praticato un foro, in cui entra
1 estremità di un microscopio, che si punta Su l' intervallo
di scarica. Non è necessario poi che l' ingrandimento su-
peri i trenta o quaranta diametri.
§ 4. — Come ho detto, mi voglio servire di questi ap-
parecchi! per dimostrare che un prisma di risonatori non
rifrange soltanto, ma anche disperde la radiazione emessa
da l'eccitatore.
A quest'uopo devierò per rifrazione un raggio di forza
elettrica, e, studiando con i due secondarli la radiazione,
che emerge dal prisma , farò vedere che nei due casi si
constata una deviazione diversa.
Non posso, come ben si comprende, impiegare quello
stesso sistema di conduttori, che ho adoperato in principio
— 189 —
di questa lezione. Perchè i risonatori, che lo compongono
sono troppo grandi rispetto a quelh', che stanno nelle linee
focali dei nostri specchii secondarii. Ma conviene, in vece,
che le dimensioni del prisma si riducano anch' esse di
molto.
L'apparecchio che vedono qui davanti a me, fu costruito
a punto secondo quest'idea (35). E funziona egregiamente
bene.
Consta di sette lastre di vetro, alte tutte trentacin-
que centimetri, e larghe rispettivamente trentacinque, trenta,
venticinque, venti, quindici, dieci e cinque centimetri.
Sopra ognuna di queste lastre ho incollato, in molte
file parallele, un gran numero di risonatori, vale a dire di
piccole striscie di stagnola, di quindici millimetri per due.
Ogni fila ne contiene dodici. E il numero delle file varia
da lastra a lastra.
Ve ne sono ventuna
su la prima, diciotto su la
seconda , e cosi via , tre
su l'ultima.
Abbiamo dunque in
tutto , su le sette lastre,
un migliaio di risonatori
a r in circa.
Ora ha fissato questi
sette schermi sopra una
rastrelliera di legno , cosi
che essi stanno ora pa-
ralleli e verticali (fig. 86).
E la distanza fra due qua-
lunque successivi è co-
stante.
Anche i risonatori ri-
sultano tutti quanti ver-
ticali, e riempiono uniformemente uno spazio di forma
prismatica regolare, che è limitato lateralmente da tre qua-
drati, con il lato di trentacinque centimetri.
Fig. 86.
Fig. 87.
— 190 —
Dispongo codesto prisma sopra un sostegno, davanti
a lo specchio sferico E , (fig. 87), per modo che i raggi
incidano sotto un angolo
di quaranta gradi , a l' in
circa. E da una parte e
da r altra accosto ancora
due lastre di zinco (Z Z,
nella figura), così da limi-
tare la radiazione.
Prendo ora il riflet-
tore secondario con le
stri scie metalliche più
grandi, e lo fisso davanti
a r eccitatore , sopra un
carrello munito di ruote (S).
Questo è fermato rigi-
damente ad una stanga,
che può girare intorno ad
un punto fisso. Per tal modo un indice, unito al carrello,
si viene a muovere sopra un cerchio diviso, che ho trac-
ciato sul tavolo, dove faccio l'esperienza {M D).
Pur troppo si tratta qui di un fenomeno, che ciascuno
di Loro dovrà vedere, a la sua volta ; non è possibile
rendere manifeste, in qualche modo, a distanza, queste
minute scintilline.
Poniamo in azione l'apparecchio, facendo girare il
disco di una macchina elettrica del Holtz, le cui estremità
polari sono collegate metallicamente con le due palline
esteme dell'eccitatore.
Guardando ora nel microscopio, che va unito al se-
condario, non si vede traccia di scariche. Ma le scintille
si mostrano, in vece, se sposto lo specchio del risonatore
verso la destra (D).
Continuando sempre nel movimento, si finisce per ar-
rivare ad un punto, nel quale ogni azione del primo sul
secondo circuito si annulla. Fermiamoci qui.
— igi —
Quando dianzi le scintille sono apparse, lo sposta-
mento dato a lo specchio del risonatore era di un certo
numero, c.«, di gradi, ora è alquanto maggiore; diciamo di
Cd gradi. Si potrebbe pensare che la deviazione del raggio,
o, per meglio dire, la deviazione della sua parte centrale
sia, senz' altro, la media aritmetica dei due valori e"., e
c'^j^ cioè:
C^s 4- COd
2
Ma bisogna riflettere che la materia , della quale
è formato il prisma, esercita sopra la radiazione un assor-
bimento, che ha per conseguenza di avvicinare al punto
di mezzo (M) dell'arco graduato gli orli apparenti del
raggio.
E' chiaro che da la parte di destra questa pseudo de-
viazione, ai , si oppone a quella reale, a , dovuta a la ri-
frazione, da U parte di sinistra, in vece, coopera con essa.
E si vede subito come si possano liberare i nostri
resultati da codesto errore.
Togliamo via il prisma e determiniamo, come prima,
gli orli del raggio ; siano s°s e s°d i valori corrispondenti
dello spostamento impresso a lo specchio secondario. Avremo
senza più che
co* — S'^s
rappresenta la somma di x con aj; mentre
COj — s^d
è la differenza fra le stesse due quantità.
Se poniamo per c«, Cd, s.,, e Sd i valori, che si trovano
effettivamente, nel nostro caso, viene :
c% — s°, = ó» 24',
c°d — s°d = 3° 36',
— 192 —
e quindi :
5" 00'.
E' questa la vera deviazione prismatica.
Adesso voglio togliere via il risonatore, che ho im-
piegato finora, e il suo specchio ; e sostituirvi il secondario
più piccino (di tre centimetri) e il relativo riflettore. Tutte
le altre condizioni dell'esperienza rimangono inalterate.
Ripetiamo, nello stesso ordine, le stesse determina-
zioni di prima.
Indicando con le medesime lettere le quantità corri-
spondenti si trova adesso :
c\ — 8% = 15" 18',
c°d — s'd = 1" 30' ;
da le quali uguaglianze segue :
a = 8° 24'.
Questo vuol dire che la deviazione, subita dal raggio,
appare diversa a seconda del conduttore secondario, che
s'impiega per fare l'esperienza.
In altre parole si riconosce che questo nostro prisma
disperde i raggi di forza elettrica. A punto come un prisma
di materia ordinaria disperde i raggi della luce.
E' quello che avevo annunciato.
Notiamo ancora che i raggi ad onda più corta sono
i più fortemente deviati ; a lo stesso modo, fra i colori che
emergono da un prisma di vetro, il violetto si scosta più
del rosso da la direzione primitiva di propagazione.
§ 5. — Prima di lasciare questo argomento farò un'ultima
esperienza, che vale ad illustrare sempre meglio il modo
d'azione dei nostri sistemi di conduttori.
Tolgo via il prisma e lo scompongo, levando una
— 193 —
dopo l'altra le lastre da la rastrelliera a la quale erano
affidate. E le aggruppo, in vece, sopra un altro sostegno,
in modo differente (fig. 88). La settima lastra, la più stretta.
Fig. 8«.
sta ora a canto a quella, che ha trenta centimetri di lar-
ghezza, e forma con essa un unico schermo; e così sono
avvicinate la terza e la sesta, la quarta e la quinta lastra.
Di modo che i piccoli risonatori riempiono ora uno
spazio a forma di parallelepipedo. Siccome la distanza fra
due schermi successivi è la stessa di prima, possiamo dire
che si tratta di una grossa lamina della medesima materia,
della quale era formato il prisma.
Questa lamina la interpongo fra l'eccitatore e il ri-
sonatore, normalmente a la direzione del raggio. Cercando
adesso di determinare, con lo spostamento del secondario,
i limiti della radiazione, si trova che essi, a destra e a
sinistra, distano ugualmente da l'asse dello specchio sferico.
Se, in vece, inclino alquanto la lastra, è facile riconoscere
13
— 194 —
che si produce un piccolo spostamento. Ma si capisce
bene che si tratta piuttosto di scostamento laterale, che
di una vera deviazione.
Anzi : le esperienze fatte con il prisma permettono di
calcolare l'indice di rifrazione per quello speciale corpo
e per il raggio che si studia. E in base a questo resultato
si può, con considerazioni teoriche molto semplici, asse-
gnare la grandezza dello spostamento, che deve produrre
la lamina a faccie piane e parallele. Se facessimo i calcoli
si troverebbe un valore conforme in tutto a quello che
fornisce la misura diretta.
§ 6. — Come conseguenza di ciò che abbiamo veduto oggi,
possiamo dunque affermare che, anche per quanto riguarda
la rifrazione e la dispersione, uno spazio nel quale sono
disseminati molti conduttori è un buon modello di un corpo
materiale.
LEZIONE DODICESIMA.
Luce bianca e radiazione del Hertz — Esperienze
di Le Royer e van Berchem — Teorie algebrica-
mente equivalenti.
§ I. — Più volte durante questo corso, ma special-
mente nelle ultime lezioni, abbiamo avuto campo di rico-
noscere r analogia , che passa fra i raggi emessi da V ec-
citatore del Hertz e quelli , che manda ogni corpo solido
o liquido portato a l' incandescenza. A quel modo che si
ammette che la luce bianca risulta da un complesso di
radiazioni di periodo differente, bisognerà pur concludere
che non sono monocromatici i raggi elettromagnetici, quali
noi li sappiamo produrre (*).
Ma, anche se si accetta questo come provato, resta sem-
pre a risolversi una quistione interessante. Si può doman-
(*) I primi ad accorgersi che con uà medesimo eccitatore si
possono far funzionare molti secondarli differenti furono i signori
E. Sarasin e L. De la Rive, di Ginevra. Essi diedero al fenomeno
il nome di risonanti mulHpla e lo spiegarono a punto nel modo,
che indico nel testo. I signori Sarasin e De la Rive hanno perfe-
zionato in molte parti l'opera del Hertz; e, fra l'altre cose, hanno
fatto vedere che ì raggi elettromagnetici si muovono nell'aria con
la stessa velocità che le correnti oscillanti guidate da i fili metal-
lici, vale a dire (si confronti in proposito la lezione settima) con
la velocità della luce (37).
— ig6 —
dare in fatti quale sia in realtà, in un istante determinato,
la forza elettrica, in un punto arbitrario del campo, che
l'eccitatore produce.
Perchè si capisce bene che le esperienze, nelle quali
si fa uso di risonatori, non possono fornire la grandezza
vera della perturbazione, ma solamente conducono a de-
terminare quella parte o componente, il cui periodo con-
viene al secondario impiegato.
Volendo sottoporre a misure la forza, nella sua in-
tensità complessiva, bisognerebbe far uso di apparecchi!,
che non avessero un proprio modo dì vibrare, ma sentis-
sero le azioni, indipendentemente da la loro frequenza.
Degli istrumenti di questo genere li possediamo da
gran tempo per la radiazione luminosa e calorifica, e sono
la pila termo-elettrica e il bolometro (*).
Ma anche per i raggi del Hertz fu trovato, alcuni anni
or sono, da A. Le Royer e P. v. Berchem, uno di tali
misuratori aperiodici.
Il Branly dimostrò fin dal 1890 che la resistenza, of-
ferta al passaggio della corrente da un tubo pieno di
limatura metallica , diminuisce enormemente quando , in
prossimità di esso, si faccia scoccare una scintilla (38).
Ripetendo queste esperienze, Le Royer e v. Berchem
si accorsero che il fenomeno si produce in modo sensi-
bile, in quei casi soltanto, in cui la scintilla agente corri-
sponde ad una scarica alternativa. Ebbero quindi V idea
di impiegare un metodo, fondato su tale proprietà, per lo
studio della radiazione del Hertz.
L'apparecchio del quale si servirono (39) era un tubo
di vetro, contenente un pizzico di limatura di ferro. Nel
tubo, per le estremità, entravano due aghi calamitati , in
(*) Il bolometro è essenzialmente un filo metallico, sottile,
annerito, la cui resistenza ohmica si altera (cresce) quatdo certe
radiazioni lo colpiscono.
— 197 —
modo che due poli opposti di essi venivano a trovarsi
faccia a faccia, a pochi millimetri di distanza.
Fra questi poli si stendeva, come un ponte, la lima-
tura di ferro. L' azione delle scariche la rendeva con-
duttrice.
Ma è chiaro che basta un piccolo urto, per distrug-
gere un simile ponte ; quando lo si ristabilisce l'effetto
è sparito.
Le Royer e v. Berchem trovarono che l'influenza
della scintilla si fa sentire ancora a venticinque metri di
distanza ; bensì va affievolendosi, quanto più ci si allon-
tana da l'eccitatore.
Nelle loro esperienze l'apparecchio primario aveva
due dischi di latta di dieci centimetri di diametro ; la di-
stanza fra essi poteva variare fra ventisette e quaranta
centimetri (*).
Disposero codesto circuito davanti ad uno specchio
piano di zinco, come si suol fare per l'esperienza del-
l'onda stazionaria. E, nello spazio compreso fra primario
e riflettore, collocarono il tubo a limatura, del quale ho
parlato or ora, per vedere se l'eftetto, prodotto in esso
da le scariche, variasse da punto a punto.
In questo modo riconobbero facilmente la presenza di
nodi e di ventri dell'azione.
Ma il fenomeno offriva una particolarità interessan-
tissima. E cioè, la distanza fra due nodi successivi dipen-
deva da la grandezza dell'eccitatore, e non mutava se, a
parità dell'altre condizioni, si alterava comunque il tubo a
limatura.
Questo comportamento è in tutto diverso da quello
dei secondarli del Hertz, sicché sembra che se ne possa
concludere a punto l'aperiodicità dell'apparecchio di misura.
Se la conclusione è legittima, dobbiamo ritenere che
{*) La forma di questo eccitatore era simile ia tutto a quella
del primario rappresentato da la figura 53.
— T98 —
le determinazioni di Le Royer e v. Berchem danno la
forza in vera grandezza.
E poi che tali esperienze dimostrano la presenza di
un' onda stazionaria, si è costretti ad ammettere che ciò,
che parte da l'eccitatore, è una perturbazione semplice-
mente periodica.
I due sperimentatori trovarono in oltre che la nettezza
dei nodi, diminuiva assai presto a partire da lo specchio.
E questo sembra accennare ad una mancanza di regolarità
nel fenomeno (*), o più probabilmente ad uno smorza-
mento, che la perturbazione periodica subisce.
Sicché, riassumendo, noi ci troviamo in presenza di
due resultati, che sembrano contradditorii.
Da una parte tutti i fatti, che si constatano per mezzo
dei risonatori, portano a considerare la radiazione, emessa
da l'eccitatore, come multipla.
Da l'altra questi esperimenti di Le Royer e v. Ber-
chem ci obbligano a concludere che si tratta, in vece, di
una grandezza semplicemente periodica e smorzata.
§ 2. — E bene, io mi propongo di far vedere che la
discordanza di tali conclusioni non è reale ; che, anzi, delle
due cose una segue da l'altra con necessità.
Per fare la dimostrazione io ragionerò, su la luce in
vece che sopra i raggi del Hertz, valendomi della conoscenza,
che abbiamo, del modo come è distribuita l'energia nello
spettro del sole.
E propriamente farò vedere che, da le misure bolo-
metriche, si deduce che la perturbazione, la quale si pro-
paga in un raggio di luce bianca, è semplicemente perio-
dica e smorzata (40).
Una volta provato questo, si comprenderà subito come
un fatto analogo possa avvenire per il caso dei raggi emessi
da l'eccitatore del Hertz.
Ma si vedrà anche una nuova profonda somiglianza
fra i due fenomeni.
(*) Si confronti la lezione nona.
— 199 —
E badino che non vi è difetto di logica nell' insìstere
su questa perfezione del nostro modello, come iale, anche
dopo aver riconosciuto che esso non corrisponde, probabil-
mente, a la realtà.
E' anzi di supremo interesse, per la teoria della co-
noscenza, di vedere fino a che punto un'imagine può dare
l'illusione dell'oggetto, quando le leggi più semplici, a le
quali i due sistemi soddisfano, sono le stesse.
Studiando, con un bolometro, lo spettro del sole, si
trova che l'energia non è distribuita uniformemente per
tutta la lunghezza, ma anzi le onde corrispondenti a certi
periodi sono assai più intense che le altre.
Ora è possibile dedurre, da le misure dirette, dei nu-
meri proporzionali a le ampiezze delle singole onde. Sanno
che cosa si intende con questa parola.
Ogni funzione periodica pendolare si può rappresen-
tare con la formola :
2-t
[I] i = a seti -yr
nelUa quale ^ è il tempo, T il periodo, t:, al solito, il
rapporto fra la circonferenza e il suo diametro, e final-
mente a è a punto ciò, che chiamiamo ampiezza.
Ora il modo, nel quale varia l'ampiezza dell'onda, al
variare del periodo, nello spettro del sole, si può rappre-
sentare, a un di presso, con la curva che ho disegnato su
questa tavola (fig. 89».
Qui le distanze contate secondo l'asse x si sono
prese proporzionali a i periodi, mentre le distanze contate
secondo l'asse y stanno in un rapporto costante con le
ampiezze corrispondenti.
Intendono bene che cosa significa questo. Volendo
conoscere a quale ampiezza arrivi in un raggio di luce
solare un' onda di determinato periodo, bisognerà prendere
su l'asse x, a partire da l'origine, un segmento proporzio-
— 200 —
naie a quel periodo, e da l'estremo di esso alzare una
perpendicolare, fino a l'incontro con la curva.
V
/ ' ! p- i- ■"■' t i ^ ^ L :
-- ' .i. .
• \
;
i
! 1
'Ù
-J
j
1
1
1
1 ]
\ i
( ì
{ 1
! i
1
i
1
U
T^
-4 !■
. 1 '
1
It-
t
• ~1
'
V
; ti
/■
|._A.
.i ■
i
.31
1
1 !
1 \
1
j-__.
l\|._. .„ :
/
1
big. »9.
Sicché la grandezza della perturbazione di periodo T,
si potrà rappresentare con la formola :
277/
t = hy sen
k X
h e. k essendo due coefficienti di proporzionalità.
Componendo le infinite i, che corrispondono a i varii
punti della curva, si ottiene, manifestamente, il valore della
perturbazione risultante, al tempo t.
In pratica non sarebbe possibile di fare rigorosamente
questa composizione , ma è chiaro che si troverà un
resultato poco diverso dal vero sopraponendo solamente
un numero un po' grande di /', distribuite con una certa
regolarità nello spettro (*).
(*; Che questo sia lecito si ricava dal fatto che la luce del
sole appare bianca, sebbene manchino in essa molti periodi, in cor-
rispondenza delle righe del Fra'jnhofer.
— 20I —
Prendiamo, per esempio, nella nostra curva, i punti
le cui ascisse (le coordinate x) progrediscono di quarto in
•quarto di centimetro. Si ricavano per le jv i seguenti
valori :
X
' y
X
y
0,25
0,50
0,75
1,00
'.25
1,50
i»75
2,5
5»5
9»5
15.0
24.5
42,0
54,0
2,00
2,25
2,50
2,75
3-00
3'25
3ÓO
47,0
34.0
24,0
15.0
10,0
7Ìo
3.5
1
E' inutile tener conto delle y corrispondenti a valori
■della .r, che superano i tre centimetri e mezzo; perchè, es-
sendo molto piccole, non possono avere un' influenza sen-
sibile sul resultato finale.
I coefficienti A e ^ di proporzionalità sono perfetta-
mente arbitrarii; cambiandoli non cambia, come si intende
subito, il carattere delle nostre funzioni. Solamente cam-
bierà la grandezza delle curve rappresentative.
Per avere dei disegni di dimensioni un po' comode
io faccio la scelta seguente :
k
h
1,60 ,
0.05,
cioè pongo :
T ^ 1,60 X,
a = 0,05 y.
In questo modo la tabellina ne fornisce un'altra, vale
a dire :
202
T
a
T
a
0,4
0,8
1,2
1,6
2,0
2.4
2,8
0,125
0,275
0470
0,750
^225
2,100
2,700
3>2
3,6
4,0
4»4
4.8
5»2
5>6
2,350
1,700
1,200
0,750
0,500
0,350
0,175
Noi dobbiamo adesso per ciascuna coppia di valori ( T,d)
calcolare la i secondo la formola [i], facendo variare an-
cora la t entro certi limiti.
Evidentemente basta limitare il calcolo a l' intervallo
di un quarto di periodo ; in seguito la grandezza della i
si ottiene senz' altro da i valori già trovati.
Ho raccolto in questa grande tavola i resultati, che si
calcolano eifettivamente per le quattordici coppie di co-
stanti {T,a).
1.^ Coppia,
t = o 02 0,04 0,06 0,08 0,10
/ = 0,038 0,073 0,101 0,119 0,125
/ =
2.» Coppia.
0,04 0,08 0,12 0,16 0,20
i = 0,085 0,161 0,222 0,261 0,275
3.» Coppia.
t= 0,03 0,06 0,09 0,12 0,15 0,18 0,21 0,54 0,27 0,30
/-- 0,074 0,147 0,215 0,279 0,336 0,382 0,423 0,451 0,469 0,470
4.* Coppia.
t= 0,04 0,08 0,12 0,16 0,20 0,24 0,28 0,32 0,36 0,40
/■= 0,117 0,231 0,340 0,441 0,530 0,606 0,668 0,713 0,741 0,750
— 203 —
^.^ Coppia.
t= 0.05 0,10 0,15 0.20 0,25 0,30 0,35 0,40 0,45 0,50
1'=^ 0,191 0.3780,5560,7200,8660.991 1,091 1,165 1,2101,225
6.* Coppia.
'= 0,06 0,12 0,18 0,24 0,30 0,36 0,42 0,48 0,54 0,60
■= 0,327 0,649 0,953 1.235 1,485 1,699 i»87i 1,997 2,075 2,100
7.* Coppia.
0,07 0,14 0,21 0,28 0,35 0,42 0,49 0,56 0,63 0,70
'=■ 0,421 0,989 1,226 1,587 1,909 2,184 2,405 2,567 2,667 2,700
8.» Coppia.
0,08 0,16 0,24 0,32 0,40 0,48 0,56 0,64 0,72 0^80
0,366 0,726 1,067 1,382 1,661 1,901 2,094 2,235 2,322 2,350
9.* Coppia.
'= 0,09 0,18 0,27 0,36 0,45 0,54 0^63 0,72 0,81 090
= 0,265 0^525 0,772 0,999 1,202 1.375 1,514 1,616 1,679 i»7oo
IO.* Coppia.
0,10 0,20 0,30 0,40 0,50 0,60 0,70 0,80 0,90 1,00
0,187 0,371 0,545 0,705 0,848 0,971 1,069 1,141 1,185 1,200
II.* Coppia.
■= 0,11 0,22 0,33 0,44 0,55 0,66 0,77 0,88 0,99 1,10
0.117 0,231 0,340 0,441 0,530 0,606 0,668 0,713 0,741 0,750
12.» Coppia.
0,12 0,24 0,36 0,48 0,60 0,72 0,84 0,96 1,08 1,20
0,078 0,154 0,227 0,294 0,353 0,404 0,445 0,475 0,494 0,500
13.* Coppia.
0,13 0,26 0,39 0,52 0,65 0,78 0,91 1,04 1,17 1,30
0,054 0,108 0,159 0,206 0,247 0,283 0,31 2 0,333 0,346 0,350
14.» Coppia.
= 0,14 0,28 0,42 0,56 0,70 0,84 0,98 1,12 1,26 1,40
= 0,027 0,054 0,079 0,103 0,123 0,141 0,156 0,166 0,17^ 0,175.
— 204 —
Ora è chiaro che, servendomi di questi numeri, posso
rappresentare facilmente , con quattordici curve, l'anda-
mento delle quattordici pertuibazioni di periodo via via
crescente.
Per esempio, potrei assumere due assi ortogonali e
contare lungo uno di essi il tempo, lungo l'altro la i.
Le linee tracciate su questa tavola (fig, 90) furono a
punto costruite secondo tale concetto.
In esse si è presa la / come ascissa, facendola va-
riare fino al valore 5,60, che corrisponde al periodo della
più lenta fra le quattordici onde considerate (*).
Secondo ciò, che ho detto poco fa, volendosi ora co-
noscere l'andamento della perturbazione bianca, basterà
disegnare una nuova curva, della quale l'ordinata, relativa
all'ascissa /, sia la somma delle ordinate possedute, a la
medesima ascissa, da le prime quattordici curve.
Nel fare la somma bisogna tenere conto dei segni,
vale a dire detrarre le lunghezze, che si contano sotto
l'asse t.
Facendo realmente l'operazione si ottiene la linea, che
vedono qui a canto (fig. 90 d).
E tale linea corrisponde a punto ad un fenomeno pe-
riodico, la cui ampiezza decresce con il tempo.
Arriviamo dunque ad un resultato identico a quello,
che si otteneva per i raggi del Hertz, e vediamo inoltre
che non v' è contraddizione fra i singoli esperimenti, come
avevo affermato.
§ 3. — Non è forse inutile rilevare il senso logico
generale, che scaturisce da questo caso particolare , esa-
minato da noi.
Si comprende in fatti che è perfettamente nell'arbitrio
nostro di considerare la vibrazione dell'eccitatore del Hertz
(*) Le figure 90 a, b, e riproducono tre di queste linee; quelle
che risultano da la consderazione della quarta, settima, e decima
coppia.
— 205 —
come semplice o come multipla ; dal momento che l'una e
l'altra ipotesi si equivalgono.
Ma su l'una e su l'altra ipotesi si può edificare una
teoria, e le due teorie, benché diverse nella forma, potranno
essere ugualmente vere.
Il fenomeno logico è diverso da quello dell'equiva-
lenza meccan'ca, che avemmo già occasione di imparare
a conoscere. In vero qui non si fa quistione di mecca-
nismi ; e si può parlare soltanto di una equivalenza alge-
brica.
Le due cose sono completamente distinte. Due teorie
possono essere fra loro in relazione di equivalenza alge-
brica, e supporre due modelli diversi ; o basarsi, in vece,
sul medesimo modello ; o non invocare modello alcuno,,
limitandosi a la descrizione dei fenomeni.
§ 4. — Ma, senza insistere su questo punto, mi basta
di rilevare, come resultato della lezione presente, la com-
pleta analogia di costituzione fra i raggi elettromagnetici
e quelli della luce bianca.
LEZIONE TREDICESIMA.
Fenomeni di polarizzazione — Prisma del Nicol e
specchio del Hertz — Lamina di tormalina e
reticolo — Polarizzazione per riflessione.
§ I. — Noi ci siamo occupati finora di fenomeni, che
dipendono da le proprietà quantitative o, come si potrebbe
anche dire, algebriche della radiazione elettromagnetica.
Passeremo a considerare, in questa e nella ventura
lezione, alcuni fatti, che valgono, in vece, a rischiarare la
natura geometrica dei raggi luminosi e dei raggi del Hertz.
E' uno dei resultati della fisica moderna di aver posto in
chiaro che le condizioni e le perturbazioni, che occorrono
nella natura, si possono classificare tutte in due grandi
categorie, quella dei vettori e quella degli scalari. La dif-
ferenza fra vettori e scalari consiste in questo che i primi
hanno una grandezza e una direzione ; i secondi hanno
bensì una grandezza, ma nessuna direzione assegnabile.
Ne segue che i vettori si debbono rappresentare con
segmenti e gli scalari con numeri.
Per esempio, una velocità, una forza magnetica, un
flusso di calore sono vettori; una massa, un potenziale
elettrostatico, una temperatura sono grandezze scalari.
Ora, poi che abbiamo riconosciuto che la luce, e il ca-
lore, e i raggi di forza elettrica risultano da qualche cosa,
che si sposta in linea retta, con velocità finita (*), ci si
(•) Si confronti in proposito la lezione ottava.
207 —
presenta la quistione se questo qualche cosa sia di natura
scalare o vettoriale.
Ove si riconoscesse che si tratta di vettori, si po-
trebbe poi domandare se la loro direzione abbia o no
qualche rapporto fisso con quella della propagazione.
Cominciamo ad esaminare il caso della luce. Davanti
a la solita lanterna di proiezione, che illumino ora con
l'arco voltaico, ho collocato un piccolo apparecchio, al
quale si dà il nome di prisma del Nicol (*). Non mi fermo
ora a spiegare minutamente come questo prisma sia la-
vorato, e come si possa intendere il suo modo di funzio-
nare. Dirò soltanto che si tratta di due pezzi di spato di
Islanda, tagliati, secondo certe direzioni ben determinate,
in un cristallo naturale, e riuniti uno a l'altro con uno
strato sottile di balsamo del Canada.
Le due faccie estreme sono piane e parallele. Il prisma,
che impiego, è munito di un'armatura cilindrica d'ottone,
che mi permette di adattarlo a la lanterna. Volendo lo potrò
far girare sopra sé stesso, intorno ad un asse orizzontale.
Tutta la luce, che l'arco emette, per uscire a l'aperto,
è obbligata ad attraversare il Nicol.
Orbene, davanti a questo primo prisma ne voglio
mettere un secondo, in tutto uguale. E' portato da un so-
stegno e può compiere lo stesso movimento, di che è
suscettibile quel primo. Da ultimo aggiungo ancora una
lente, che mi dà su lo schermo un campo luminoso chia-
ramente limitato. La grossa lastra di zinco, forata, che sta
fra la lente e l'ultimo Nicol non ha altro ufficio che di
trattenere i raggi, i quali hanno attraversato il primo prisma
e non il secondo.
In questo istante, come dicevo. Io schermo è viva-
mente illuminato. Senza portare nessun'altra modificazione
a l'apparecchio, giro adagio, con la mano, il primo Nicol.
(*) Qualche volta, per brevità, Jo si chiama anche Nicol, sen
z'altro.
— 208 —
Questo movimento produce un effetto curioso. L'intensità
del campo illuminato su lo schermo si modifica a poco a
poco e, propriamente, nel nostro caso, diminuisce. Finché,
dopo un certo tempo, si arriva a l'oscurità completa.
Vado avanti ancora; e giro sempre nello stesso senso.
La luce ricompare, pallidissima da prima, e poi successi-
vamente più intensa. Ad un certo istante raggiunge uno
splendore massimo^ quindi accenna a diminuire di nuovo.
Se avessi mezzo di fare delle misure un po' accurate,
troverei che, fra l'oscurità assoluta e il massimo della luce,
il prisma ha girato esattamente di novanta gradi, cioè di
un angolo retto. Continuando nel movimento di rotazione,
si trova un altro minimo dell'intensità a centottanta gradi
dal primo, e poi da capo un massimo dopo altri novanta
gradi. Così si torna press'a poco al punto dal quale siamo
partiti.
Vi sono dunque in un giro intero quattro posizioni
singolari, e ciascuna di e^-^se dista di un angolo retto da
quella, che la precede. A queste posizioni singolari corri-
spondono alternativamente dei massimi e dei minimi della
luminosità.
In vece di girare il primo Nicol avrei potuto tenerlo
fermo e far muovere il secondo. Il resultato sarebbe stato
esattamente il medesimo. Si sarebbero incontrate le stesse al-
ternative di luce e di oscurità. La presenza dei due prismi
è necessaria perchè questi fatti si verifichino. Se ne tolgo
via uno e lascio l'altro, e lo faccio rotare su sé stesso, lo
schermo rimane sempre illuminato ad un modo.
Fermiamoci un momento sopra queste esperienze. Si
intende subito che esse bastano già per risolvere la qui-
stione, che c'eravamo proposta.
In fatti si possono esprimere, almeno in parte, i resul-
tati ottenuti da noi, diccxido che il raggio, che esce dal
primo Nicol, ha delle proprietà differenti in diversi piani^
passanti tutti per la direzione di propagazione. Ora è ma-
nifesto che non si dovrebbe verificare niente di simile
209 —
quando la perturbazione, che costituisce la luce, fosse di
sua natura scalare. Quel qualche cosa, che si propaga lungo
un raggio di luce, è dunque un vettore.
Resta a vedersi quale sia la sua direzione. Anche
questo possiamo dire, entro certi limiti. E di vero, si sup-
ponga che il vettore luminoso sia comunque inclinato sopra
il raggio. Si potrà sempre scindere in due componenti,
delle quali una stia secondo la direzione di propagazione,
e l'altra le sia normale. Ora è chiaro che la componente
trasversale si trova, in massima, in condizioni differenti
rispetto a due piani passanti pel raggio; la componente
longitudinale no. Ne segue che, se componente longitudi-
nale vi fosse, questa dovrebbe comportarsi sempre ad un
modo, e non risentire alcun effetto da la rotazione del
primo Nicol. E siccome in un certo istante la luminosità
si annulla, bisogna concludere che non vi è componente
secondo il raggio.
11 vettore luminoso è dunque normale a la direzione della
propagazione. Più diffìcile riuscirebbe assegnare dove sia
realmente questo vettore nel piano normale. In un certo
senso la cosa è anzi impossibile, e si rimane sempre in
dubbio fra due direzioni, ortogonali una a l'altra. Ma una
tale ricerca non ci interessa direttamente, e gli svolgimenti,
che essa richiede, ci porterebbero troppo lontano.
§ 2. — Passo, in vece, a lo studio di un altro feno-
meno, che si collega direttamente con quelli, che abbiamo
constatato or ora.
Giro il primo Nicol in modo che la luce si spenga
del tutto; quindi colloco fra i due prismi un sostegno, re-
cante ima lamina sottile di tormalina. La tormalina, come
sapranno, è un sihcato di magnesia e di ferro, che crista-
lizza nel sistema esagonale. La laminetta, che ho qui,
giallo-verde per trasparenza, ha le faccie piane e parallele;
esse appartengono ad una giacitura, che contiene la dire-
zione dell'asse cristallografico.
Vedono subito come l'interposizione della tormalina
14
si manifesta. Lo schermo, che era completamente al buio,
si è ora illuminato di una palHda luce verdognola. Il so-
stegno della laminetta è affatto simile a quello del secondo
Nicol; sicché posso farla girare sopra sé stessa nel suo
piano. Se eseguisco questo movimento, l'intensità del campo
illuminato su lo schermo si va mutando, e raggiunge dei
massimi e dei minimi. In questi la luce si spenge totalmente.
11 fenomeno é dunque simile, nelle linee generali, a
quello, che ottenevo prima girando uno dei due Nicol.
Ma non é in tutto il medesimo. Se facessi ora delle misure
troverei che fra un massimo ed un minimo consecutivi la la-
mina rota di quarantacinque gradi soltanto, vale a dire di
un mezzo angolo retto. Le esperienze, che ho fatto fin
qui con la luce, potrei ripeterle con il calore raggiante; l'arco
voltaico potrebbe servire benissimo come sorgente termica.
Solamente non si impiegherebbe più lo schermo, ma anzi,
subito dopo il secondo Nicol, andrebbe posta la pila ter-
moelettrica, collegata al galvanometro.
Non sto a fare queste esperienze, nelle quali non vi
è opportunità di imparare a conoscere nessuna disposi-
zione nuova. Dirò soltanto che si trovano pel calore esat-
tamente gli stessi fatti che per la luce. E se ne tirano,
come è naturale, le stesse conseguenze.
§ 3. — Ora vengo senz'altro a lo studio dei raggi di
forza elettrica. Il modo nel quale si conduce la ricerca in
questo caso, é in sostanza quello stesso di prima. Però
gli apparecchi! sono alquanto differenti.
Lo specchio che contiene l'eccitatore non riposa più,
come sempre finora, su le sue quattro gambe; ma è posto
in condizione da poter girare intorno ad un asse oriz-
zontale.
A le armature, destinate a conservare a la lastra di
zinco la forma di cilindro parabolico, abbiamo fermato a
vite una tavoletta robusta di legno di noce, da la quale si
stacca, normalmente, un grosso cilindro pure di noce.
Avrà forse otto o nove centimetri di diametro. Questo
211
specchio è verti-
asse è sostenuto da due cuscinetti, assicurati sopra un
tavolino (fig. 91) (•).
Presentemente la linea focale dello
cale ; e 1' eccitatore è così
alto dal suolo come di so-
lito.
Quanto a lo specchio del
secondario sta in faccia a
l'altro ; e nulla è mutato in
esso. Dispongo la pila secca
e l'elettroscopio come sem-
pre; e proietto quest'ultimo
nel modo consueto. Le pa-
glie, divergendo, accusano
una carica. Faccio agire il
rocchetto. Scoccano delle scintille nel risonatore, e le pa-
glie si riuniscono ; come abbiamo verificato tante volte.
Ora comincio ad inclinare lo specchio primario, giran-
dolo intorno al suo asse. Quando la linea focale è prossima
■ a l'orizzonte, le foglie dell'elettroscopio si staccano subi-
tamente, indicando che il flusso delle scintilline è sospeso.
Purtroppo il mezzo di dimostrazione, che impieghiamo,
non permette di riconoscere un andamento graduale nel
fenomeno. Appare distinto solamente quel punto, in cui le
scintille cessano di passare. Se ci servissimo di un altro
procedimento più dehcato, se, per esempio, misurassimo in
ogni istante la lunghezza delle scintilline secondarie, ciò
che naturalmente ciascuno dovrebbe fare per suo conto,
a la sua volta, troveremmo che l'azione dell'eccitatore sul
risonatore diminuisce gradualmente fino ad annullarsi,
quando l' eccitatore passa da la posizione verticale a la
orizzontale (41).
Se continuo a girare, finché lo specchio primario è
(*) Si confronti la figura 59. La figura 91 corrisponde a la st-
zione A "B di qaest'altima.
212
capovolto, le scintille tornano a passare; e le foglie cadono^
ancora una volta, una su l'altra.
In poche parole si ripetono qui le stesse alternative,
che si avevano, in seguito al movimento del primo Nicol,,
nell'esperienza che ho fatto poco fa con la luce dell'arca
voltaico.
L'analogia sussisterebbe ancora se, in vece, di girare
lo specchio primario, facessi rotare il secondario; si ripe-
terebbero quegli stessi fenomeni, che nascevano da le
rotazioni del secondo Nicol.
Bisogna dunque concludere che anche i raggi di forza
elettrica si ridu-
cono a la propa-
gazione di un vet-
tore trasversale.
§ 4. — Ma pro-
cediamo innanzi.
Il Hertz ha tro-
vato (41) delle di-
sposizioni sempli-
ci, che permettono
di fare, con questi
nuovi raggi, anche
un' esperienza si-
mile a quella della
lamina di torma-
lina.
Ricordano che
dianzi ponevo i
due Nicol in tale
posizione che dal
secondo non u-
scisse più luce.
Ora terrò oriz-
zontale la linea focale dello specchio primario, così che
il risonatore non sia per nulla eccitato. Le paglie del-
— 213 —
l'elettroscopio restano aperte, anche se il rocchetto fun-
ziona. L'apparecchio, che tiene nel caso presente il posto
della lamina di tormalina è questo (fig. 92}. Si tratta, come
vedono, di un ottagono regolare, fatto con alcune assi-
celle di legno d'abete. Da ogni vertice partono delle aste
leggere, che si riuniscono tutte nel centro, fermandosi
contro una tavoletta. Questa è traversata normalmente da
un asse, che riposa su due forchette. Sicché l'ottagono può
rotare sopra di sé nel suo piano. E' chiaro che, se gli
•faccio assumere una tale posizione che una coppia di lati
sia orizzontale, e poi lo giro finché divenga parallela a l'o-
rizzonte la coppia dei lati seguenti, la rotazione impressa
sarà a punto di quarantacinque gradi. Al telaio ottago-
nale sono assicurati molti fili di rame, paralleli fra loro
e normali tutti a due lati; ognuno dista da quello che lo
precede di due centimetri circa.
Interpongo questo reticolo fra i due specchi, con il piano
normale a la direzione del raggio ed i fili verticali. L'elet-
troscopio non dà segno di scintille. Vuol dire che, messo
così, il reticolo non alt era nulla. Ma se lo giro di quaran-
tacinque gradi le paglie si congiungono, cioè il secondario
si eccita. Ogni cosa ritorna in quiete se la rotazione ar-
riva ad un angolo retto. E così di seguito. Quindi l'ana-
logia annunziata sussiste.
§ 5. — A questo punto è conveniente di fare un'osser-
vazione.
Ho detto dianzi che é indispensabile la presenza di due
Nicol per la riuscita dei nostri esperimenti. Ciò significa,
in altre parole, che, nella luce ordinaria, in quella, che
ia lanterna emette, non vi é modo di distinguere uno da
l'altro i piani, i quali contengono il raggio.
Ma, passando a traverso al primo Nicol, la radiazione
luminosa si altera in qualche modo o, come si suol dire,
si polarizza. E solamente la luce polarizzata è paragona-
bile con i raggi del Hertz, solamente di essa si può con-
<:ludere che risulta da la propagazione di una grandezza
vettoriale.
— 214 —
Volendo supporre, come è logico di fare, che qualche
cosa di simile avvenga per la luce ordinaria, bisognerà
ammettere che nei raggi di questa siano sovraposti molti
vettori, distribuiti uniformemente. L'ufficio del prisma del
Nicol consisterebbe nel propagare la componente di tali
vettori, che è secondo una certa direzione, annullando la
componente normale.
Vi sono delle buone ragioni per ritenere che il mec-
canismo del fenomeno sia questo.
Accennavo poco fa che i prismi del Nicol sono for-
mati di spato d'Islanda.
Tale sostanza presenta, come è noto, il fenomeno della
doppia rifrazione. Quando, cioè, un raggio di luce pe-
netra in uno di questi cristalli, esso si scinde, general-
mente, in due, che emergono distinti.
Orbene, si trova che i raggi emergenti sono polariz-
zati, e il vettore luminoso di uno di essi è normale a
quello dell' altro. Si può quindi pensare che lo spato
d'Islanda abbia separato tutti i vettori della luce incidente
in due componenti ortogonali, che si propagano ciascuna
per suo conto.
Il fatto stesso della doppia rifrazione dimostra che i
due raggi nel cristallo hanno velocità differenti. Ed è pos-
sibile rintracciare delle sostanze, nelle quali la radiazione
luminosa abbia una velocità compresa fra quelle due. Il
balsamo del Canada si trova a punto in questo caso.
Ma si sa che quando la luce passa da un mezzo nel
quale procede con relativa lentezza, ad un altro nel quale
è più veloce, può intervenire il fatto della riflessione to-
tale. Quindi si intravede la possibilità di eliminare uno
dei due raggi, che si producono nello spato d'Islanda,
sezionando opportunamente il cristallo, e riunendone i
pezzi con uno strato di balsamo del Canada (*).
(*) In pratica il problema è reso più complesso dal fatto che
la velocità di uno dei due raggi, dentro lo spato d'Islanda, cambia.
con la direzione.
— 2iq —
A punto secondo questo concetto si preparano i prismi
el Nicol, come accennavo in principio della lezione.
Non insisto su l'argomento, e non faccio nemmeno
esperienze su la doppia rifrazione della luce, perchè tanto
non sarebbe possibile di studiare nello stesso modo i
raggi del Hertz. I cristalli, che noi possediamo, sono troppo
piccoli per questo.
Ciò non vuol dire che i mezzi birifrangenti per la
luce non lo siano anche per i raggi elettromagnetici ; solo
non si possono dare del fenomeno delle prove dirette.
Ne vedremo alcune di indirette, ma pure pienamente
convincenti, nella lezione prossima.
§ 6. — Ora passo a dimostrare una proprietà dei raggi
luminosi, della quale anche ci dovremo servire.
Vi è un altro modo per polarizzare la luce, che si
ricollega con il fenomeno della riflessione.
Si trova in fatti che i raggi, che una superficie specu-
lare rimanda, sono completamente polarizzati ogni volta
che la riflessione si faccia sotto un angolo, il quale varia
bensì con la sostanza dello specchio, ma è per ogni so-
stanza una costante caratteristica.
Questo fenomeno si può utilizzare in tutti quei casi,
dove torni necessario conoscere la direzione del vettore
luminoso, almeno per quanto ciò è possibile. Si capisce
in fatti, senz'altro, per pure ragioni di simmetria, che nella
luce polarizzata, ottenuta con riflettere il raggio, la per-
turbazione vettoriale sarà normale al piano di incidenza
o giacerà in esso. Altrimenti non si potrebbe individuarne
la direzione.
E chiaro d'altra parte che, almeno per ora, non si
saprà scegliere fra le due soluzioni possibili.
In pratica il fenomeno della polarizzazione per rifles-
sione si studia con un piccolo apparecchio, dovuto al
Nòrrenberg.
Da un piede rettangolare di legno ^fig. 93) si levano
due colonnine d'ottone, a le quali è assicurato anzi tutto lo
specchio, girevole intorno ad un asse orizzontale.
— 2l6
Più in alto, al sommo delle colonne, sta una piatta-
forma d'ottone, che regge un prisma del Nicol, il quale
può rotare, ala sua volta, intorno ad una retta verticale.
Finalmente fra il Nicol e lo
specchio , è ancora interposta una
seconda piattaforma , forata nel
mezzo , su la quale si può collo-
care un diaframma, quando importi
restringere il campo luminoso, o
pure qualunque corpo, che si voglia
far attraversare da la luce polariz-
zata.
Dispongo davanti a lo specchio
una candela accesa , a tale altezza
che r immagine ne sia rimandata
al Nicol sotto un angolo di cin-
quantacinque gradi a l' in circa.
Questo è , per il vetro, l' angolo
sotto il quale si fa la polarizza-
zione totale (*). Così l'apparecchio
è pronto per l'esperienza.
Se adesso uno di Loro accosta
r occhio al prisma , e la rotare
questo lentamente, vedrà il campo
passare per massimi e minimi di
luminosità ad ogni quarto di giro.
I minimi sono affatto oscuri,
e però i raggi della luce riflessa, nelle condizioni attuali,
si comportano a punto come quelli , che sono passati a
traverso ad un prisma del Nicol. Abbiamo dunque il
diritto di dire che si tratta , ancora nel caso presente, di
raggi polarizzati.
(*) L'angolo in quistione varia con la lunghezza dell'onda; il
valore qui riportato si riferisce a la parte più luminosa dello spettro
visibile. Per certi raggi ultrarossi l'angolo stesso sarebbe alquanto
più grande; si confronti in proposito la lezione decima.
Fig- 93.
— 217 —
Si è presa l'abitudine, parlando della luce polarizzata
in questo modo, di chiamare piano di polarizzazione il
piano di incidenza, nel quale il raggio incontrò lo specchio
polarizzatore.
Ora si è trovato che se la luce, polarizzata per rifles-
sione, incontra una seconda superficie speculare, per modo
che il nuovo piano di incidenza sia normale al piano di
polarizzazione, è sempre possibile scegliere l'angolo, sotto
il quale il raggio incide, in modo che non vi sia raggio
riflesso.
Di proprietà analoghe godono la luce, che ha attraver-
sato un prisma del Nicol, e le onde del Hertz. Propria-
mente si riconosce che, anche per tali radiazioni, vi è un
piano e un angolo di incidenza, che impediscono la rifles-
sione. E però in questi casi si può ancora definire il piano
di polarizzazione (42).
Ma per i raggi del Hertz vi è modo di concludere
qualche cosa di più. Il raggio elettromagnetico risulta in
fatti dal propagarsi della forza elettrica ; e di questa si sa
assegnare a priori la direzione, che è quella dell'eccitatore.
L'esperienza permetterà dunque di decidere come sia
disposta la forza rispetto al piano di polarizzazione. Si
trova che gli è normale.
Quando si voglia ammettere l'identità di natura fra i
raggi luminosi e i raggi del Hertz, la stessa conclusione si
dovrà estendere, senz'altro, al caso della luce.
t * * *
§ 7. — Il resultato, ottenuto oggi da noi, si enuncia
affermando che la perturbazione luminosa e la elettroma-
gnetica sono grandezze vettoriali ; anche si può, in un certo
senso, riconoscere come siano dirette nello spazio.
LEZIONE QUATTORDICESIMA.
Composizione delle vibrazioni — Fenomeni di po-
larizzazione cromatica — Azione dei gesso su
la luce e sopra i raggi del Hertz — Altri sistemi
birifrangenti.
§ I. — Parecchie volte, nelle lezioni passate, abbiamo
dovuto occuparci dei fenomeni, a i quali dà luogo il so-
praporsì di due vettori periodici , pendolari. Così , per
esempio, quando si studiarono i fatti dell'interferenza.
Nei nostri esperimenti si componevano, in ogni caso^
le perturbazioni di due raggi di luce ordinaria, o pure di
due raggi del Hertz , nei quali le forze elettriche erano
parallele. Si intende bene che, dal punto di vista geome-
trico, il primo di questi fenomeni si riduce senz' altro, al
secondo.
Vogliamo passare oggi a l'esame di un problema com-
pletamente nuovo; e, cioè, ci vogliamo domandare quali
apparenze devono originarsi da la composizione di due
vettori periodici, pendolari, ed ortogonali.
Ci limiteremo al caso, per noi più interessante, nel
quale il periodo delle due perturbazioni è il medesimo.
In pratica i fatti, che i nostri ragionamenti ci faranno
prevedere, si potranno realizzare con sopraporre due raggi
di luce polarizzata, o due raggi del Hertz, con i piani di
polarizzazione ortogonali.
219 —
Questo studio, che noi si intraprende ora , potrebbe
farsi con considerazioni puramente analitiche, 6 cinemati-
che; ma io preferisco, per rendere le cose più ovvie e
meglio comprensibili, esaminare un modello dei fenomeni,
e ragionare su questo.
E fra gli infiniti modelli , che possediamo delle per-
turbazioni periodiche, scelgo il più semplice di tutti, vale
a dire il pendolo.
Ecco come, al caso
pratico , si dispongono
le cose.
Due sostegni verti
cali, di legno , reggono
un'asta, che ho disposto
orizzontalmente (fig 94);
a questa , con quattro
funicelle , concorrenti
due a due, è raccoman-
data una tavoletta, an-
ch'essa di legno.
Le funi sono di
tale lunghezza che la
tavoletta, se la si lascia
nella sua posizione d'e-
quilibrio, riesce orizzon-
tale.
Quando l'allontano
da codesta posizione e
r abbandono , essa co-
mincia naturalmente ad
oscillare. E bene, tale
sistema corrisponderà
per noi ad una delle
perturbazioni , che si
vogliono comporre.
tig. 94.
Vediamo come si rappresenti la seconda.
— 220 —
A due sostegni, simili in tutto a quei primi, adatto da
capo una traversa orizzontale, e dispongo questa perpen-
dicolarmente a l'altra, un poco più in alto.
E poi, con quattro pezzi di spago, sospendo a la nuova
traversa un anello di piombo, che regge un imbuto. L'im-
buto è di vetro, e il suo collo fu tirato a la fiamma per
modo che gli resta, in fondo, un foro di pochi millimetri.
Qui abbiamo, come si intende, un altro pendolo; il
quale sarà a punto il modello per il secondo vettore pe-
riodico. Ho scelto la lunghezza delle funi per modo che
le durate d'oscillazione della tavola e dell' imbuto sono
uguali, sensibilmente. L'apparecchio soddisfa dunque a tutte
le condizioni del problema, che vogliamo risolvere.
Resta a trovarsi un artificio, il quale ci permetta di
inscrivere, volta per volta , le figure, che nascono da la
composizione dei due movimenti.
A tale uopo, seguendo il Righi (43), verserò dentro l'im-
buto un po' di sabbia; e questa, scendendo per il foro
sottile, segnerà su la tavoletta una traccia.
Se, per cominciare, tengo ferma la tavola e metto in
movimento l' imbuto, si produce, come vedono, un tratto
rettilineo, molto ben definito. Ad ogni mezza oscillazione
il sistema oscillante rifa il suo cammino, e le traccie si
soprapongono.
Qualche cosa di molto simile si ottiene quando, in vece,
la tavoletta si muove e l' imbuto rimane in riposo. Ma il
segmento, sopra il quale si dispone la sabbia, è perpen-
dicolare a r altro, che s' era tracciato nella prima espe-
rienza.
Andiamo avanti e cerchiamo di produrre qualche fe-
nomeno più complesso. Perchè le figure rimangano ben
chiare, io procurerò sempre che siano descritte nel tempo
di un'unica oscillazione. A l'uopo faccio che l' imbuto si
muova liberamente, e allontano la tavoletta da la posizione
del riposo, e la tengo ferma con la mano. Poi l'abbandono
ad un dato istante, ma sto pronto ad afferrarla e tratte-
nerla, quando essa torna la prima volta , dove 1' avevo
tenuta da principio.
Vedono quale sia il resultato della composizione dei
due movimenti. Non abbiamo più delle traccie rettilinee^
ma bensì una linea curva, chiusa, di forma ovata , che è
precisamente una ellissi.
Se ripeto molte volte l'esperienza, lasciando andare
la tavoletta quando l'imbuto è arrivato a diversi punti della
sua corsa, o pure dandole, da principio, uno spostamento
più o meno grande, le figure, tracciate da la sabbia, non
sono sempre uguali, ma anzi differiscono per la forma, e
per la grandezza, e per l'orientazione. Bensì la natura delle
curve rimane la stessa; tutte quante sono ellissi.
Questo si può dunque considerare come un resultata
generale della nostra ricerca ; che, cioè, componendo due
vettori periodici, ortogonali, di uguale periodo, e direzione
costante, si ottiene un vettore il quale rota in un piano, e
muta di lunghezza per modo che la sua estremità percorre
una ellissi.
§ 2. — Si sa bene che l'ellissi comprende come casi par-
ticolari il segmento di retta e il cerchio. Propriamente si ri-
duce ad un segmento rettilineo, contato due volte, se uno
degli assi tende a la lunghezza zero ; e degenera in un
cerchio, se 1 due assi doventano uguali.
Interessa di cercare sotto quali condizioni la risultante
di due vettori ortogonali avrà una direzione fissa, o pure,
in vece, una grandezza costante. Si capisce che questi due
casi corrispondono a punto a la retta e al cerchio.
Per risolvere la quistione comincio a spostare, come
dianzi, la tavoletta, quindi pongo in movimento l' imbuto.
Mentre sollevavo la tavoletta la sabbia ha tracciato
sopra di essa un segmento, ed ora, per il moto dell' im-
buto, ne traccia un altro, ortogonale al primo.
Colgo l'istante in cui il secondo sistema giunge a l'e-
stremo della sua corsa, e abbandono l'assicella. La sabbia
segna di nuovo un tratto rettilineo, inclinato sopra i due
di prima.
Ora la tavola, quando il suo moto comincia, si trova
sempre a la massima elongazione. Si ha dunque una retta,
in luogo di una ellissi più generale, quando le due oscil-
lazioni, che si compongono, cominciano insieme, o, coro.e
si dice, sono coincidenti di fase.
Ma è chiaro che un resultato simile avrei ottenuto, se
avessi aspettato a muovere la tavoletta quando l'imbuto
fosse giunto a l'altro estremo della sua oscillazione. In tale
caso dobbiamo dire che i due sistemi sono in ritardo uno
su l'altro di un mezzo periodo.
E si potrà concludere, in generale, che la resultante
di due vettori periodici deve conservare la sua direzione,
tutte le volte che i due sistemi sono in ritardo, uno su
l'altro, di un numero intero di mezzi periodi.
Cerchiamo adesso di ottenere dei cerchii.
Riprendo l' esperienza da capo. E, come prima, de-
scrivo i due segmenti rettilinei ortogonali.
Si capisce che il punto, dove queste rette si incon-
trano, segna la posizione d'equilibrio del secondo sistema
oscillante.
La lunghezza, che corre di qui a l'estremo del tratto,
prodotto da lo spostamento della tavoletta, o pure l' altra
distanza, che intercede fra lo stesso punto e il termine di
uno dei due segmenti (per diritto), generati dal moto del-
l'imbuto, mi rappresentano ciò, che posso chiamare le am-
piezze (*) delle due vibrazioni.
E bene, io voglio comunicare a l' imbuto un tale im-
pulso che queste ampiezze risultino uguali.
E poi lascio partire la tavola nell'istante a punto, in
cui il sistema oscillante ripassa per la posizione del riposo.
Vedono che la sabbia disegna un cerchio perfetto.
Nel caso presente la curva fu descritta nel senso, nel
quale girano gli indici dell'orologio, e il movimento della
tavola incominciò quando l'imbuto passava pel punto dì
(*) Si confronti la lezione dodicesima.
— 223 —
mezzo della sua escursione, procedendo da la mia sinistra
verso la mia destra.
Posso ripetere l'esperienza, cogliendo l'istante del pas-
saggio in senso opposto. Ottengo ancora un cerchio, ma
questa volta è descritto contrariamente a gli indici del-
l'orologio.
E' manifesto che i nuovi resultati si devono enunciare
dicendo che due vettori periodici, ortogonali, si compon-
gono in un vettore di grandezza costante, ogni volta che
le loro ampiezze sono uguali, e l'uno è in ritardo su l'altro
di un numero dispari di quarti di periodo.
§ 3. — Quando si vogliono riprodurre, nel modo che
ho accennato in principio della lezione, impiegando cioè due
raggi di luce o due raggi del Hertz, i fatti, che abbiamo
riconosciuto ora sul modello, non si potrà naturalmente
fare uso di due sorgenti distinte. Perchè non vi sarebbe
il mezzo per regolare le ampiezze dei vettori e il ritardo
relativo.
Si incontra qui una difficoltà analoga a quella che si
offerse a noi nello studio dei fenomeni di interferenza (*).
Il modo d'evitarla è il medesimo. Bisogna ricavare da uno
stesso raggio i due vettori, che si devono sopraporre.
Questo si potrà fare, manifestamente, per la luce, con
l'impiego di un corpo biri frangente.
Si supponga in fatti che un raggio polarizzato cada
per diritto sopra una laminetta, a faccie piane e parallele,
tolta a punto ad un cristallo, che presenti il fenomeno
della doppia rifrazione. Il vettore incidente si decompone
secondo due direzioni fisse, ortogonali, e le due compo-
nenti si propagano, ciascuna per suo conto, con velocità
diverse.
Essendo diverse le velocità saranno pure disuguali le
lunghezze delle onde (**), quindi, nello spessore della la-
(*) Si confronti la lezione nona.
(**) Si confronti la lexione nona.
— 224 —
mina, staranno, lungo uno dei due raggi, più onde che'
lungo l'altro. E' quanto dire che, a l'uscita, il secondo vet-
tore sarà in ritardo sul primo.
E, scegliendo convenientemente la lamina, si potrà
fare che il ritardo importi un numero intero di mezzi pe-
riodi, o pure un numero dispari di quarti di periodo.
Nel primo caso si avrà di nuovo un raggio di luce
polarizzata; nel secondo, ove l'ampiezza delle due compo-
nenti sia la stessa, si otterrà della luce, nella quale il
vettore luminoso si mantiene costante in grandezza, e rota
in un piano normale ala direzione della propagazione.
L'uguaglianza di ampiezza poi, fra i due vettori, dentro
il cristallo, si raggiunge girando la lamina, in guisa che il
piano di polarizzazione del raggio incidente bisechi l'an-
golo compreso fra le loro direzioni.
Per fare le esperienze mi valgo dell'apparecchio del
Norrenberg, che ho descritto nell'ultima lezione {*).
Come allora prendo per sorgente una candela, e ne
regolo l'altezza per modo che la luce arrivi polarizzata al
prisma del Nicol. Quindi giro quest' ultimo, fino a che il
campo doventi affatto bìiio.
E poi, su la piattaforma di mezzo, dispongo una lami-
netta, ricavata da un cristallo di gesso.
Se uno di Loro accosta l'occhio a l'orifizio del Nicol
vedrà, probabilmente, che è tornata la luce. E se ne in-
tende subito il perchè.
Il vettore luminoso, che emerge da la lamina cristal-
lina, descrive con la sua estremità un'ellissi ; ha dunque
una proiezione non costantemente nulla sopra ogni retta
del suo piano.
Questo almeno in generale. Perchè si può prevedere
che il campo rimarrà oscuro per due posizioni della la-
strina di gesso. Per quelle in cui le due direzioni possibili,,
per il vettore luminoso, sono una normale e l'altra paral-
(•) Si confronti la lezione tredicesima, fig. 93.
— 225 —
lela al piano di polarizzazione della luce riflessa da Io
specchio.
In questi casi si ha ciò, che corrisponde, nel modello,
al moto di uno solo dei due sistemi oscillanti.
Quando poi si abbia, effettivamente, l'ellissi, si intende
che la grandezza (massima) della proiezione dipenderà da la
direzione, su la quale il vettore si proietta. In altre parole,
girando il Nicol, si deve osservare un cambiamento nella
luminosità del campo.
E' ciò che si verifica facilmente con 11 nostro appa-
recchio.
Si trova, di più, che, in un giro intero, vi sono due
massimi e due minimi, i quali si alternano a novanta gradi
di distanza.
E' manifesto (*) che i massimi si devono verificare
quando il piano di polarizzazione della luce, che traversa
il Nicol, contiene l'asse minore dell' ellissi ; e i minimi, in
vece, quando in quel piano giace Tasse maggiore.
11 ritardo di uno dei due raggi su l'altro , a l'uscire
da la laminetta cristallina, dipende , essenzialmente , da lo
spessore della lamina e da la natura della sua sostanza.
Ma il rapporto fra il ritardo e il periodo varia , come è
naturale, con quest'ultimo. Quindi le condizioni della com-
posizione sono molto diverse per le varie onde ; e se si
osserva in luce bianca, come è il caso nostro , la lamina
appare colorata.
Per questo i fatti, che stiamo studiando, si chiamano
comunemente fenomeni di polarizzazione cromatica.
Si capisce che tali apparenze potranno servire, quando
si voglia riconoscere se un mezzo è, o meno, birifrangente.
Sopra tutto in quei casi, nei quali la separazione dei due
raggi non è così netta come nello spato d' Islanda, o pure
non si possiede un cristallo abbastanza grande per produrla.
(•) Almeno se si sappone che il vettore luminoso sia normale
al piano di polarizzazione (si confronti la lezione tredicesima).
15
— 220
§ 4- — Quest'ultima difficoltà si presenta a punto, come
notavo nella scorsa lezione, quando si vuole studiare il com-
portamento dei cristalli naturali, rispetto a i raggi di forza
elettrica.
Sembra dunque opportuno di ricorrere ad una dispo-
sizione analoga a quella, che fornisce i fenomeni di pola-
rizzazione cromatica, per vedere di risolvere questo im-
portante problema.
La cosa riesce bene con l'apparecchio, che ho dispo-
sto qui (44).
I circuiti , primario e secondario , dei quali mi servo,
sono quelli del Righi. Propriamente Teccitatore è lo stesso,
che ho impiegato già altre volte; il risonatore ha una
lunghezza di tre centimetri e sei. decimi.
Fig. 95-
Il primo circuito è munito dello specchio sferico, nel
modo consueto ; 11 secondo ha uqo specchio parabolico,
227
di cartoncino , coperto di striscia di stagnola f *). Questo
riflettore secondario è disposto sopra una tavoletta , per
modo che la sua linea focale riesca parallela al piano di
essa. E qui si trova anche il microscopio, destinato a l'os-
servazione delle scintille.
La tavoletta poi è girevole intorno ad un asse oriz-
sontale, sorretto da due cuscinetti 'fig. 95).
Quando l'assicella è orizzontale, come in questo mo-
mento, l'eccitatore e il risonatore restano incrociati. E però,
se anche il primo circuito lavora , il secondo rimane in
quiete, e al microscopio non si osservano scintille.
Possiamo verificarlo subito, eccitando , con una mac-
china del Holtz, le scariche del primario.
Ma le cose cam-
biano se, nello spazio
interposto fra i due
conduttori . si intro-
duce una lamina cri-
stallina.
Il corpo , che im-
piego per fare Tespe-
rienza, è una grossa
lastra di gesso. Avrà
forse quattro centi-
metri di spessore.
L'ho fissata soli
damente ad una larga
lamina ottagonale di o- 7 •
ferro, la quale ha , verso il mezzo , un foro circolare di
dieci centimetri (fig. 96. Questo \iene coperto a punto
dal gesso.
Ho dato a la lamina di ferro la forma di un ottagono
regolare, perchè sia facile imprimerle delle rotazioni di
quarantacinque gradi. Si capisce in fatti che se, con la mano.
(*) Si confronti la lezione undicesima.
— 228 —
rizzo questo schermo, per modo che uno dei lati si ap-
poggi sul tavolo; e poi lo roto, fino a che il lato seguente
sia venuto in luogo di quel primo, avrò girato il sistema
di un mezzo angolo retto (*).
Vediamo ora come l'esperienza riesce.
Uno di Loro può accostare 1' occhio al microscopio^
io metto in movimento la macchina del Holtz.
Adesso, naturalmente, non si vedono scintille. Intro-
duco lo schermo, appoggiando sul tavolo uno dei lati della
lamina ; nemmeno ora le scariche passano. E bene, por-
tiamo in basso il lato successivo e il secondario si ecci-
terà. Così accade in fatti.
Se ne conclude che il gesso è birifrangente per i raggi
del Hertz, come lo è per la luce.
E notino che l'analogia nei due casi è completa. Per
esempio, io posso ora lasciare in riposo lo schermo e far
rotare, in vece, lo specchio secondario ; ma in questo mo-
vimento non mi riesce di spengere le scintille indotte, bensì
esse raggiungono due massimi e due minimi, molto chiari»
ad ogni giro intero. E veramente ì vettori elettrici , che
emergono dal cristallo, si devono comporre in una forza,,
la cui estremità descrive un'ellissi.
§ 5. — In una lastrina di gesso le direzioni possibili per il
vettore luminoso sono sensibilmente indipendenti da la lun-
ghezza delle onde, su le quali si sperimenta.
Ce ne possiamo persuadere in un modo assai sem-
plice. Io prendo una laminetta di gesso e la sfaldo par-
zialmente, così che essa abbia in diversi punti diversi spes-
sori. E poi la colloco su la piattaforma dell' apparecchio
del Nòrrenberg.
Avevo avuto prima l'avvertenza di girare il Nicol in
modo che il campo fosse oscuro. Ma adesso, senza dubbio,
deve essere tornata la luce.
(•) Nel fissare la lastra di gesso, bisogna avere l'avvertenza di
disporla in tale posizione che le due direzioni possibili, per la
forza elettrica, nel cristallo, risultino normali a due coppie di lati.
— 229 —
Quello di Loro, che sta ad osservare , vedrà che le
diverse regioni della laminetta brillano di colóri diversi.
È naturale che sia così , dal momento che , da punto a
punto, varia lo spessore.
E bene, si provi ora a girare il cristallo ; 1* intensità
della luce trasmessa cambia ; fino a che, in un certo istante,
tutti i colori si spengono, contemporaneamente. Questo è
-d'accordo con ciò, che avevo detto.
Ma qui nasce subito una quistione. Si può domandare
in fatti se la cosa sarà sempre vera per i raggi del Hertz,
se cioè le direzioni possibili per il vettore luminoso e
quelle delia forza elettrica coincidono o no.
E molto facile rispondere ad una tale domanda.
Poniamo fra i due specchii il nostro schermo , procu-
rando che il secondario non si ecciti ; e quindi, servendoci
di un filo a piombo, tracciamo su la lastra di gesso una
scalfittura verticale. Questa indicherà la direzione di una
delle componenti, nelle quali si scinde ogni forza elettrica,
che si propaghi entro il cristallo (*).
Ora sfaldiamo la grande lastra, in modo da ricavarne
una laminetta sottile ; e prendiamola a punto, dove si era
praticata la scalfittura. Sicché anche su questo pezzo stac-
cato si avrà la traccia di quella direzione privilegiata.
La lastrina ora la portiamo su la piattaforma dell'ap-
parecchio del Norrenberg, e procuriamo che la traccia rie-
sca parallela al piano, nel quale la luce , incidendo su Io
specchio, si polarizza. Questo si fa agevolmente , perchè
su la piattaforma sono incisi dei segni , in corrispondenza
di tale piano.
Essendosi disposto, da principio, il Nicol a l'oscurità,
ci dobbiamo aspettare che il campo rimanga buio, quando,
nel gesso, le direzioni del vettore luminoso e del vettore
elettrico siano coincidenti.
(*; Perchè l'eccitatore è verticale e il risonatore è disposto a
novanta gradi da esso.
— 230 —
Ma basta accostare l'occhio al Nicol per riconoscere
che ciò non accade; il campo è anzi vivissimamente illu-
minato. E per ridurci a l'oscurità bisogna girare la lastrina
press'a poco di un mezzo angolo retto.
Questo vuol dire che, quando si passa dal caso della
luce a quello dei raggi del Hertz, le direzioni, corrispon-
denti a i massimi e a i minimi, sono sensibilmente scambiate.
Ho detto sensibilmente perchè , se si fanno delle misure
un po' esatte, si trova che in realtà, le due coppie di di-
rezioni privilegiate sono a quarantun grado, e non a qua-
rantacinque, una da l'altra (45).
Questa tavola, che ho fatto disegnare (fig. 97), mostra
a punto come stanno le cose.
In essa si può intendere che i segmenti a tratto con-
tinuo corti rappresentino i due vettori luminosi; allora i
segmenti a tratto interrotto corrispondono a i vettori elet-
— 231 —
trici ; e il segmento continuo lungo è la bissettrice dell'an-
golo compreso fra le prime due direzioni.
Il fatto, di cui parlo, è tanto più interessante perchè
per altri cristalli esso non si verifica ; bensì in essi la luce
e i raggi del Hertz si comportano esattamente a lo stesso
modo.
Sembra assai difficile rendere conto di questa azione
anormale del gesso.
§ 6. — I raggi di forza elettrica passando a traverso a
molte sostanze, opache per la luce, è interessante cercare se
talune di queste, le quali hanno una struttura manifesta-
mente non isotropa (*), presentino dei fenomeni di doppia
rifrazione.
Una di tali sostanze sarebbe il legno.
E bene, fu trovato dal Righi (46), che questo corpo a punto
è birifrangente per i raggi di forza elettrica. Le esperienze
del Righi furono anzi le prime, nelle quali fosse posta in
chiaro un'azione di questo genere.
Noi possiamo verificare agevolmente che una tavo-
letta di legno d'abete, tagliata parallelamente a le fibre,
dà luogo a tutti quei fatti di polarizzazione cromatica,
che abbiamo prodotto dianzi con una lastra di gesso. La
direzione delle fibre è una delle direzioni privilegiate.
Questa proprietà del legno è assai preziosa in quanto
ci fornisce un materiale birifrangente, che costa poco e
si lavora con facilità.
Io ne tirerò partito per dimostrare loro la possibilità
di produrre i fenomeni corrispondenti a i casi in cui l'el-
lissi degenera in una retta o pure in un cerchio (47).
Impiegherò a l'uopo due tavole di legno d'abete, di
venticinque e quattordici centimetri di spessore. La prima
si può chiamare lamina di urta mezz'onda e l'altra la-
mina di un quarto d'onda.
Faccio agire la macchina del Holtz, tenendo per ora
(.*) Cioè uniforme in tutte le direzioni.
— 232 —
i due conduttori incrociati, e interpongo la prima lamina.
Le scintilline al risonatore si producono , ma posso
ridurle a zero, semplicemente rotando lo specchio secon-
dario. E si capisce che deve essere così, se il raggio con-
vergente ha un vettore a direzione costante, come l'inci-
dente.
Passiamo a la lamina di un quarto d'onda. Questa la
disponiamo fra il primo e il secondo circuito, in modo
che le sue fibre sieno inclinate di sessantasette gradi
su l'orizzonte (*j. Adesso, se si osserva al microscopio, si
vedono delle scintille assai chiare; ma non è possibile
modificarne l'intensità, girando il risonatore. Perchè la la-
mina è così spessa che il vettore emergente rota nel suo
piano e si conserva costante in grandezza.
Fig. 98.
Assolutamente gli stessi fatti posso ottenere speri-
(*) Bisogna inclinare a sessantasette gradi, in vece che a qua-
rantacinque, perchè l'assorbimento esercitato dal legno è nella di-
rezione delle fibre assai più forte che in ogni altra.
— 233 —
meritando su la luce, con l'apparecchio del Norrenberg ;
purché io sostituisca a le tavole d'abete due lastrine di
mica di spessore conveniente.
§ 7. — Ma la doppia rifrazione dei raggi di forza
elettrica si può anche produrre con dei sistemi anisotropi
artificiali.
Si ottiene uno di questi modelli di cristalli, disponendo
parallelamente molte bacchettine di vetro e legandole con
un po' di paraffina fusa (fig. 98).
In tale corpo la direzione delle bacchettine è una
delle due possibili per il vettore elettrico (48).
Non è il caso di insistere troppo su questo argomento.
* »
§ 8. — Piuttosto conviene riassumere i resultati, a i
quali siamo giunti nella presente lezione.
Essenzialmente: abbiamo trovato che certi cristalli
sono birifrangenti per i raggi del Hertz, come lo sono
per la luce.
E, valendoci di una proprietà dei corpi dotati di doppia
rifrazione, abbiamo studiato i fenomeni, che nascono da la
composizione di due vettori (luminosi od elettrici) orto-
fifonali.
LEZIONE QUINDICESIMA.
Un altro modello per le molecole dei corpi — Azione
dell'aria ionizzata sopra i conduttori elettrizzati
e sopra le scariche.
§ I. — In due delle scorse lezioni, mentre esaminavo le
proprietà più notevoli del secondario del Hertz, e facevo ve-
dere come, raccogliendo in uno spazio chiuso un certo
numero di tali conduttori, si potessero riprodurre alcuni
dei fatti più caratteristici , che seguono da V azione della
materia ponderale su la luce, accennai ripetutamente al
carattere di model/o, che veniva ad assumere per noi
il risonatore.
Ora rammentano bene che, da la possibilità di rappre-
sentare, in un modo determinato, un fenomeno della na-
tura, non segue per nulla, in generale , che quel modo
di rappresentazione sia unico . Anzi piuttosto il con-
trario.
Anche ricordano che, talora, l'imagine, che noi ci for-
miamo di un dato fatto, può coincidere con la realtà per
alcuni caratteri, e non per altri ; sicché avviene che, fra
gli infiniti modelli possibili per il fatto in quistione, si
debba pure stabilire, in qualche modo, un ordine di ac-
cettabilità.
Ma , discorrendo della bella esperienza di Rubens e
Nichols, ho già accennato come l'uso del risonatore del Hertz,
— 235 —
per rappresentare la molecola materiale, conduce incontro
a certe difficoltà. Almeno se non si vogliono introdurre
delle ipotesi sul valore delle quali è assai difficile di pro-
nunciarsi.
E bene, voglio mostrare oggi in qual modo si possa>
sempre dal punto di vista elettromagnetico, imaginare un
modello delle molecole materiali , che a quelle obiezioni
non è soggetto. Sarà dunque un modello preferibile a
l'altro, sotto questo riguardo.
Quando riassumevo, da principio, le cose più importanti
dell'elettricità, ho fatto anche un cenno del fenomeno del-
l'elettrolisi. Ho detto allora che, per intendere come le so-
luzioni saline conducano, bisogna ammettere che la mole-
cola del sale si scinde in due parti , gli ioni , recanti ca-
riche uguali ed opposte.
Il fatto poi che l'elettricità passa anche a traverso a i
gassi si può interpretare nello stesso modo.
Possiamo immaginare invero che, in un tubo del Geis-
sler, percorso da le scariche, avvengano dei fenomeni ana-
loghi a quelli dell'elettrolisi.
Se la conducibilità cresce fino ad un certo punto con
la rarefazione, questo dipende probabilmente da ciò che^
in un gasse più rado, è maggiore il numero delle molecole
già dissociate in condizione normale, o, come' si dice, è
maggiore la ionizzazione.
Questo modo di considerare le cose ha acquistato un
alto grado di verisimiglianza, dopo che furono osservati
dal Pringsheim, in un tubo a vuoto, dei fatti, analoghi in
tutto a quelli della polarizzazione (*) elettrolitica (49).
§ 2. — Del resto l'esistenza delle cariche elettriche su le
molecole gassose dissociate si può verificare direttamente
in parecchii modi.
Suppongano di portare un conduttore elettrizzato posi-
(') La polarizzazione è un fenomeno secondario susseguente a
l'elettrolisi.
— 236 —
tivamente, per esempio, in un'atmosfera, che contenga un
certo numero di atomi liberi. Il conduttore attrarrà quelli
tra gli atomi, che hanno una carica negativa, e terrà lon-
tani i positivi.
Quindi l'elettrizzazione, che abbiamo dato al corpo,
sul quale si sperimenta, si andrà man mano neutralizzando,
iìno a che sia scomparsa del tutto. Tornato il conduttore
a la sua condizione normale potrà accadere bensì che ta-
luni ioni lo vengano ad urtare, ma non vi è, evidente-
mente, ragione perchè questi siano piuttosto carichi di
-elettricità negativa che di positiva ; sicché non vedremo
prodursi più nessuna elettrizzazione sensibile.
Un primo modo per disperdere le cariche elettro-sta-
tiche consiste nel far arrivare sul corpo, che si studia, i
prodotti gassosi risultanti da la combustione.
Per le reazioni violente, che succedono in una fiamma,
■è, in fatti, estremamente probabile che nei gassi, che ne de-
rivano, siano contenuti molti atomi liberi.
Per fare l'esperienza impiego un disco d'ottone, con
gli orli bene arrotondati. Ho sospeso questo conduttore a
tre cordoncini di seta non tinta (e quindi perfettamente
isolante) e l'ho riunito con un filo metallico ad un comune
•elettroscopio a foglie d'oro.
Toccando il disco con un bastone di ebanite, che ho
strofinato prima con la pelle di gatto, carico tutto il si-
stema di elettricità negativa. Come vedono le foghe del-
l'elettroscopio divergono ora fortemente.
Ma se, sotto al disco, ad un metro di distanza, pongo
una candela accesa , la carica si disperde con rapidità , e
le foglie d'oro si avvicinano, e cascano, da ultimo, una su
l'altra.
Posso lasciare la candela per un certo tempo dove si
trova ora, senza che si abbia a rilevare la minima traccia
-di elettrizzazione.
E questo è a punto quello che avevamo preveduto.
Ripeterò l'esperienza perchè la vedano ancora una
— 237 —
volta; e, magari, darò al disco una carica positiva, toccan-
dolo con un tubo di vetro, sfregato con un pannolano. Le
cose vanno esattamente come prima e nemmeno si osserva
una differenza sensibile nella durata del fenomeno.
E notino che i prodotti della combustione disperdono
le cariche elettrostatiche proprio perchè hanno quella spe-
ciale origine e non, per esempio, in causa della loro ele-
vata temperatura.
Per vero io li posso raffreddare senza che essi per-
dano la virtù scaricatrice.
A tal' uopo mi servo di un lungo tubo di vetro, pie-
gato a serpentino. Questo termina in basso con un imbuto
di latta, ed è immerso in un vaso pieno d'acqua fredda.
Immediatamente sopra l'apertura superiore del serpen-
tino colloco ora il disco d'ottone e lo carico, diciamo, di
elettricità negativa. Poi metto sotto l' imbuto la candela
accesa.
Già si vede che l'elettroscopio, lentamente, si scarica ;
e i gassi, che escono dal serpentino, sono così freddi che,
se tolgo via il disco e pongo in suo luogo la mano, provo
a pena una sensazione di calore.
D'altra parte possiamo riconoscere, con esperienze
molto facili, che dell'aria semplicemente calda non ha al-
cuna azione su i corpi elettrizzati.
Dispongo, per esempio, in luogo del tubo a serpen-
tino, un imbuto di latta, capovolto, a lungo collo, e lo fisso
sopra un sostegno, in direzione alquanto inclinata a l'oriz-
zonte. Ma in modo che l'orifizio superiore riesca prossimo
al disco.
Quindi carico quest'ultimo, e scaldo l'imbuto, accostan-
dogli in basso, da l'esterno, la fiamma oscura di un becco
Bunsen.
L'elettroscopio mantiene inalterata la sua carica ; e
pure vi è ora nel tubo di latta una corrente ascendente
di aria così calda che, se ponessi la mia mano dove sta
il disco, non ve la potrei mantenere a lungo.
k
- 238 -
Il medesimo effetto, che producono i gassi emessi da
una fiamma, può dare anche l'aria, che si trova in con-
tatto immediato con un sohdo incandescente. Così ottengo
di scaricare in breve tempo il mio elettroscopio, accostando
al disco un saldatoio, scaldato al rosso, o pure una siga-
retta accesa.
Come appare, la causa del fenomeno deve essere
<^uella stessa di poc'anzi. In realtà si hanno anche qui
■delle combustioni, perchè il saldatoio si ossida e la siga-
retta brucia.
§ 3 — Ma non è nemmeno necessario che l'azione,
dell'ossigeno dell'aria sul corpo scaldato sia rapida e violenta
perchè il fenomeno, del quale ci occupiamo, si produca.
Qualche cosa di molto simile si osserva anche nelle ossi-
dazioni lente.
Così, se presento al disco elettrizzato un pezzetto di
fosforo, in cima a una bacchetta di vetro, 1' elettroscopio
si scarica rapidissimamente (50).
E badino che l'esperienza non riesce se il fosforo non
fuma; vale a dire se non accadono a la sua superficie
dei fenomeni chimici.
§ 4. — Un modo completamente diverso per ionizzare
l'aria fu suggerito, come quello che precede, dal Naccari (51).
E consiste nel far scoccare delle scintille in prossim'tà del
corpo, del quale si vuole disperdere la carica. Tali scin-
tille possono essere minutissime.
Mi valgo, per dimostrare questo interessante fenomeno,
di un piccolo rocchetto del Rhumkorff, a le cui estremità
polari ho fissato due fili di rame, terminanti in punta. I
fili sono piegati in modo che si possano produrre delle
brevi scintille (di tre o quattro millimetri) a piccola distanza
dal solito disco (fig. 99).
Capico quest'ultimo nel modo consueto e, per mezzo
di una pila a bicromato, faccio agire il rocchettino.
L'effetto su l'elettroscopio è quasi istantaneo, sicché
in questo caso la dispersione deve essere rapidissima.
— 239 —
Avevo dato ora al disco una carica positiva; posso
ricaricarlo, negativamente questa volta, e ripetere l'espe-
rienza. Tutto succede a punto come prima.
Fig. 99-
Anche in questo caso, come in quello dei prodotti della
combustione, non è difficile dimostrare che l'aria ionizzata
conserva per alcun tempo, e trasporta con sé la virtù sca-
ricatrice. A l'uopo è necessario produrre una dissociazione
alquanto energica, ciò che riesce assai bene con l'apparec-
chio, che vedono qui (52).
Si tratta di un grosso tubo cilindrico di vetro, chiuso
con due tappi a le estremità. A traverso a i tappi passano
altre due canne di minore diametro, per le quali si con-
duce e si fa effluire il gasse, che si vuole ionizzare.
Dentro al tubo grande sta una striscia rettangolare di
ebanite, e su questa è fissato un filo di platino a zic-zac
(fig. 100). Il filo è interrotto in quattro punti e le interru-
zioni hanno una lunghezza di mezzo centimetro. Le estre-
mità del conduttore escono a l'aperto e le posso collegare
— 240 —
con i poli di un rocchetto di media grandezza. Per ottenere
degli effetti più intensi unisco ancora al rocchetto due
bottiglie di Leida.
Fig. 100.
E poi, con un grosso tubo di gomma, congiungo una
delle canne sottili con la camera di un mantice; e da ul-
timo colloco davanti a l'altra il solito disco, che ho disposto
verticalmente (fig. lói).
Carichiamo l' elettroscopio e
facciamo agire il rocchetto. Si sen-
tono scoccare delle scariche ru-
morose (e, in fatti, nell'interno del
tubo vi deve essere ora tutta una
fila di scintille) ; ma l'elettroscopio
non dà segno di dispersione.
In vece il fenomeno si produce
se faccio funzionare il mantice ;
vale a dire se porto in contatto
con il disco elettrizzato l' aria, che
fu ionizzata da le scintille.
§ 5. — Voglio ancora accen-
nare ad un altro fatto, di scoperta
Fig. loi. recente, che ha una certa analogia
con quelH, che ho descritto fin qui.
Ricordano senza dubbio come, parlando delle scariche
elettriche, che attraversano un gasse rarefatto, ho detto Loro
che, se la pressione, nel tubo a vuoto, scende al disotto
di un certo limite, si mostrano delle apparenze luminose
estremaipente interessanti, a le quali si dà il nome di raggi
catodici.
— 241 —
Orbene fu trovato, l'anno scorso, dal Rontgen, che
un tubo, nel quale si eccitino dei raggi catodici, esercita
a l'esterno certe influenze, così che si può dire che esso
emette delle speciali radiazioni. Queste radiazioni si chia-
mano ora comunemente raggi del Rontgen o raggi X.
Esse attraversano quasi tutti i corpi (salvo i metalli
pesanti in strati un po' spessi), eccitano la fluorescenza
in certe sostanze, impressionano le lastre fotografiche, e,
quello che più importa per noi, se percorrono un gasse,
mettono gli ioni in libertà (53).
Volendo verificare questo fatto bisogna prendere al-
cune precauzioni. E per vero un tubo a vuoto, caricandosi
staticamente, quando è attraversato da le scariche, esercita,
per ciò solo, un'influenza su l'elettroscopio.
Per evitare queste cause d' errore io pongo davanti
al disco d'ottone, che impiegavo dianzi e che continuo a
tenere verticale, una grossa lastra di piombo, nella quale,
in corrispondenza a punto del disco, è praticata una fine-
stra, che chiudo con una reticella metallica. Metto questo
schermo in comunicazione con il suolo e carico l'elettro-
scopio.
E poi, davanti a la finestra, colloco il tubo a vuoto.
E' quello stesso tubo periforme, un elettrodo del quale
è formato da una croce d'alluminio, che impiegai già altra
volta (*). Ora abbasso la croce, e stabilisco le congiunzioni
fra gli elettrodi e i poli di un rocchetto del Ruhmkorff ; ,
quindi eccito quest'ultimo per modo da ottenere un catodo
sul dischetto, che sta nella parte più stretta del tubo.
Immediatamente si forma su la base della pera una
bella macchia luminosa verde-erba e l'elettroscopio si sca-
rica con una certa rapidità.
Anche qui non vi è differenza di comportamento fra
le cariche positive e le negative ; anche qui l'azione non
si esercita direttamente su la superficie del disco, ma bensì
per mezzo dell'aria, che lo circonda.
(•) Si confrooti la lezione terza.
16
— 242 —
Lo dimostro nel solito modo, procurando che l'aria sì
ionizzi da prima e quindi venga ad incontrare il corpo
elettrizzato.
A tal' uopo tolgo via il pallone periforme e dispongo
davanti a la finestra un tubo di latta a tre piegature
(fig. 102) (54^. Una delle estremità di questo tubo viene
a terminare davanti al disco, l'altra si può collegare con
il mantice.
Fig. 102.
Quando si soffia, l'aria deve percorrere tutta la canna
di latta prima d'arrivare al conduttore elettrizzato (le trec-
jCie, nella figura, indicano la direzione della corrente).
Ora nella canna è inserita una camera cubica, anche
a pareti metalliche, che reca sopra un fianco una finestra
di mica (proiettata in AB nel disegno) ; davanti a quesjta
vogliamo collocare il tubo a vuoto.
Do al disco una carica di segno qualunque, per modo
che le foglie dell'elettroscopio divergano fortemente ; quindi
faccio agire il mantice, tenendo il tubo in riposo. Come
vedono non vi è il minimo accenno a dispersione. E nem-
meno si osserva nulla se sospendo di soffiare ed eccito i
raggi catodici.
— 243 —
Ma la dispersione comincia subito, e procede con una
certa rapidità, se faccio agire contemporaneamente il man-
tice e il rocchetto.
Non starò a discutere quale sia il meccanismo del fe-
nomeno ; la discussione ci porterebbe lontano e non ap-
proderebbe a nulla, perchè la natura dei raggi del Rontgen
è ancora male conosciuta. Ciò che importa a noi è sola-
mente di stabilire che abbiamo in essi un nuovo mezzo
per rivelare l'esistenza delle cariche elettriche nelle mole-
cole gassose dissociate.
E dopo tante prove il fatto mi sembra sufficientemente
stabilito.
§ 6. — Ora queste cariche, che le molecole, scindendosi,
vengono a manifestare, è ragionevole supporre che esistano
già, prima della scissione, su i loro sostegni materiali.
Se così è, ci possiamo domandare quale effetto (elet-
tromagnetico) debba prodursi, quando si "imprima a le par-
ticelle, che costituiscono un gasse, un rapido movimento di
vibrazione.
È questo un caso particolare di un problema assai
più generale, che si formula chiedendo quale sarà il com-
portamento elettromagnetico di una carica elettrica traspor-
tata, con una certa rapidità, a traverso lo spazio.
A tale quesito la teoria risponde con dire che le cor-
renti di convezione non si distinguono per rulla da le
ordinarie correnti di conduzione. A pari intensità sono
uguali gli effetti su l'ago calamitato ; e reciprocamente sono
uguali le azioni di un campo magnetico sopra un getto di
particelle elettrizzate e sopra un conduttore flessibile.
In pratica è assai difficile di verificare questo, che la
teoria prevede. Finora si hanno tre sole esperienze su l'ar-
gomento. E concordano bene con i resultati teorici.
Anzi tutto, fu dimostrato dal Rowland che una circo-
lazione ininterrotta di materia elettrizzata agisce come una
corrente ordinaria (55).
Nelle sue esperienze il corpo , destinato a trascinar
— 244 —
seco, movendosi, la sua carica, era un disco dì ebanite^
con il diametro di ventun centimetri e lo spessore dì mezzo
centimetro.
Questo disco poteva rotare, rapidissimamente, intorno
ad un asse verticale , che lo attraversava per diritto nel
centro ; così da raggiungere una velocità dì sessantun giri
al secondo.
L'ebanite era dorata su le due faccìe, ma la doratura
non veniva in contatto con l'asse.
Parallelamente a quel primo disco , sopra e sotto , a
pìccola distanza, ne erano disposti altri due , più grandi,,
di vetro, forati nel mezzo per modo che l'asse di rotazione
lì attraversava senza toccarli.
Anche questi dischi erano dorati, ma sopra una sola
faccia, e secondo una zona anulare, con i diametri di nove
e ventiquattro centimetri ; tali armature si mettevano in
comunicazione con il suolo.
In vece il disco di ebanite era elettrizzato per mezzo
d'una punta, vicinissima al suo contorno e comunicante
con uno dei poli di un condensatore, il cui secondo polo
sì poneva a terra.
A pochi millimetri da la lastra di vetro più alta , iJ
Rowland sospese un sistema astatico dì aghi magnetici,,
assai sensibile, tutto circondato da un involucro metallico^
in comunicazione con il suolo.
Quando si metteva in movimento il disco di ebanite,.
il sistema astatico girava di un certo angolo; e la devia-
zione cambiava di segno se cambiava dì segno la carica
comunicata a l'organo rotante.
Il Rowland verificò che la forza magnetica, dovuta
a la convezione, era, nei limiti d'esattezza delle sue espe-
rienze, a punto così grande come la teoria richiede.
§ 7. — Un altro esperimento, che per il suo significato
si ricollega a quello che ho descritto ora, si può fare dimo-
strando la forza magnetica prodotta dal passaggio dell' e-
lettricità a traverso ad un elettrolitro.
— 245 —
Prendo una vaschetta prismatica di vetro, di otto per
dieci per venti centimetri, e la riempio con una soluzione
di solfato di rame. Immergo in essa , a le estremità , due
lastre quadrate di rame, che collego, a traverso ad un in-
terruttore, con i poli di una pila assai potente. E poi, a un
centimetro sopra la superficie del liquido, sospendo un ago
magnetizzato.
Per ora la corrente è interrotta e l'ago è parallelo al
lato più lungo della vaschetta.
Ma se chiudo il circuito esso gira senz'altro di novanta
gradi e si arresta nella nuova posizione. Si potrebbe an-
che verificare che il senso della deviazione è quello or-
dinario.
§ 8. — Un'ultima conferma per le vedute teoriche, delle
' quali discorro, si può trarre dal modo, con che si compor-
tano i raggi catodici in un campo magnetico.
Di questi, in fatti, ho già detto altra volta che risultano,
secondo ogni probabilità, di getti di particelle elettrizzate.
E poi che un cordoncino metallico , percorso da una
corrente intensa, si avvolge in spire intorno ad una cala-
mita rettilinea, ci dobbiamo aspettare che, quando si col-
lochi un tubo del Crookes in un campo magnetico, i raggi
catodici si torcano essi pure ad elica, intorno a la direzione
della forza.
Questo accade in realtà.
Verifichiamo la cosa , da prima , per il caso del con-
duttore flessibile.
Io dispongo verticalmente un'elettrocalamita rettilinea
e lavorata in modo che gli estremi del filo di rame , av-
volto intomo ad essa , escono in basso entrambi. Anche
dal basso la voglio reggere con la forchetta di un sostegno.
Di più, in prossimità del magnete , sospendo ancora
un pezzo di cordoncino metallico, i capi del quale comu-
nicano con i poli d'una pila. Questo cordoncino è alquanto
lento, così che, volendo, lo potrei girare due o tre volte
intorno a l'elettrocalamita.
— 246 —
E bene , eccitiamo quest'ultima , per modo che a 1' e-
stremo superiore si formi un polo sud. Quindi facciamo
passare nel cordoncino una corrente, diretta dal basso a
l'alto; subito esso si avvolge intorno al magnete e forma
un'elica, le spire della quale scendono da sinistra a destra.
Se invertissi la corrente, che crea il campo, o quella,
che percorre il conduttore flessibile, l'avvolgimento avver-
rebbe in senso opposto.
Andiamo innanzi; stacchiamo il cordoncino e toglia-
molo via, e collochiamo, in vece, sopra il magnete il solito-
tubo a pera, per modo che la base resti in basso, e l'asse
sia parallelo a quello del campo magnetico.
Eccitando la calamita e i raggi catodici, questi non
appaiono piià rettilinei ; ma, in vece, si torcono a vite, come
faceva dianzi il cordoncino dì rame.
Il parallelismo dei due casi è perfetto.
§ 9. — Se, in base a questi pochi fatti sperimentaH, sì
vuole ammettere in tutta la sua generalità il resultato della
teoria, noi dobbiamo concludere che, quando un atomo ma-
teriale vibri secondo una retta, trascinando seco la sua
carica elettrica, esso produrrà, tutto a l' intorno , gli stessi
effetti che produce un primario del Hertz.
Solamente qui il periodo della perturbazione emessa.
non dipende più come prima da le dimensioni del sistema
ìrràggiante.
Si ottiene per questa vìa un nuovo modello delle mo-
lecole dei corpi, completamente diverso da l'altro, che ab-
biamo studiato nelle scorse lezioni.
Il nuovo modello può rendere gli stessi servizìi , che
rendeva quel primo e inoltre, come osservavo, sfugge assai
meglio a talune difficoltà.
Che le molecole dì un dato gasse, portate a V incan-
descenza, emettano luce di periodo determinato, si spiega
in questa ipotesi , ammettendo che, a punto in virtù dei
vìncoli , che intercedono fra essi , gli atomi compiano^
dentro la molecola, delle oscillazioni completamente de-
finite.
— 247 —
10 non mi voglio trattenere più a lungo sopra un ar-
gomento, che non presenta, in fondo, un interesse molto
grande l*) Piuttosto accennerò, prima di chiudere il corso,
ad alcuni altri fatti , nei quali si rivela l' azione dei gassi
ionizzati.
§ IO. — Per vero tali agenti esercitano delle influenze
notevolissime sopra le scariche elettriche.
11 meccanismo di questi fenomeni è ancora molto
oscuro, mi limito quindi a ripetere alcune esperienze, senza
cercare di darne un'interpretazione teorica.
E per amore di semplicità, scelgo il caso dei prodotti
della combustione (58}.
Ho disposto qui uno spinterometro munito, al solito,
di palline e ne ho congiunte le aste con i poli del rocchetto ;
regolo la corrente che eccita quest'ultimo, per modo che
la lunghezza delle scintille non possa superare il centi-
metro. Quindi allontano le palline ad una distanza un pò"
maggiore. Quantunque il rocchetto funzioni, non si produ-
cono scariche, come è naturale.
Accosto ora a l'intervallo, dal basso, la fiamma oscura
di un becco Bunsen.
Immediatamente si stabilisce un flusso di scintille ros-
sastre, poco rumorose.
I prodotti della combustione agevolano dunque, in
qualche modo, il passaggio delle scariche.
Si può domandare se l'influenza si eserciti sopra gli
elettrodi o, in vece, su lo strato d'aria interposto.
Per rispondere a questo quesito basta modificare un
poco la disposizione dell'esperienza.
Torno ad avvicinare alquanto le palline, per modo
che le scintille passino, quindi pongo fra esse, raccoman-
I
(•) La teoria delle vibrazioni degli ioni fu svolta in tutte le sue
conseguenze dal I^orentz (56). Per l'altra ipotesi, che riguarda le
molecole dei corpi come conduttori, analoghi a quelli del Hertz,
si confrontino i bei lavori del Kolàcrek (57).
— 248 —
dandola ad apposito sostegno (fig. 103), una lastra di vetro.
Questa lastra arriva , con il suo orlo superiore, un po' più
in alto dell' asse dello spinterometro, così [che il flusso
delle scintille si interrompe di nuovo.
Fig. 103.
Se ora accosto, come prima, la fiamma, ci accorgiamo
subito che le cose vanno diversamente secondo che la
tengo da una parte della lastra di vetro, o pure, in vece,
da l'altra.
Nelle condizioni attuali dell'esperienza non v'è azione
di sorta quando la fiamma rimane a sinistra, mentre si ha
lo stesso effetto di dianzi se la porto a destra. Invertendo
i poli del rocchetto il fenomeno si inverte. L'influenza si
esercita dunque sopra uno degli elettrodi, e propriamente
si trova che l'elettrodo sensibile è il negativo.
Un fatto del tutto diverso si può osservare impie-
gando, in luogo dello spinterometro a palle, uno spintero-
metro a punte, e facendo l'intervallo così grande che le
scintille passino con difficoltà, ma pure passino ancora.
— 249 —
Noi otteniamo questo con una distanza esplosiva di
cinque centimetri circa.
Pongo la fiamma come prima, sotto l'intervallo, tenen-
dola alternativamente a i due estremi.
Come vedono, in un caso non si esercita azione, nel-
l'altro la scarica è ostacolata e le scintille cessano.
E bene, si potrebbe verificare che l'elettrodo sensibile
•è ora il positivo.
Fig. 104.
L'esperienza riesce anche se, in vece di porre il becco
Bunsen immediatamente sotto le punte, faccio arrivare a
■queste i prodotti della combustione, a traverso ad un
lungo imbuto capovolto (fig. 104). La stessa avvertenza
vale per l'altro effetto che ho mostrato poco fa.
— 250 —
Fatti analoghi si ottengono impiegando degli agenti
diversi, per esempio i raggi del Rontgen (59).
*
§ II. — Ciò, che ho esposto di più importante in questa
ultima lezione, si riassume dicendo che gli atomi della ma-
teria, secondo ogni probabilità , recano delle cariche elet-
triche, a le oscillazioni delle quali si può attribuire l'emis-
sione della luce. Tale fenomeno sarebbe ad ogni modo di
natura elettromagnetica.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
Avvertenza. — Nelle citazioni il numero arabico fra
parentesi tonde, se v'è, indica la serie; il numero ro-
mano il volume) la cifra arabica seguente Vanno della
pubblicazione.
I lavori del Hertz sono citati dal libro : Untersu-
chungen ilber die AusbreiUmg der elektrischen Kraft
(Leipzig, Barth, 1892). Qui la cifra romana sta ad indi-
care la memoria.
Similmente i lavori del Righi sono citati dal volume:
L'oitica delle oscillazioni elettriche (Bologna, Zanichelli,
1897). Qui il numero romano indica la parte^ la cifra
arabica successiva il capitolo.
(i) A. Garbasso. [N. Cim., (4), III, 1896].
(2) G. Govi. [N. Cim., (i), XXI, 1866].
{3) E. Villari. [Mem. R. Acc. d. Scienze di Bologna, '4),
IV, 1883].
(4) Quest'esperienza si deve al Sig. Conte E. Siccardi ; egli
mi ha permesso cortesemente di pubblicarla.
(5) A. Righi. [Mem. R- Acc. </, Scienze di Bologna, ^4),
U e UI, 1881-82J.
— 252 —
(6) Secondo il Caverni [Storta del Metodo sperimentale
in Italia, II, [Firenze, Civelli, 1892)] la teoria, che va
comunemente sotto il nome del Poisson, si dovrebbe,
in vece, attribuire al P. Benedetto Castelli, discepolo
del Galilei.
A proposito di un Discorso del Castelli intorno al
magnete (dell'anno 1639), il Caverni scrive :
Aveva il nostro Autore nel citato Discorso proposta
la soluzione di un problema importantissimo e prin-
cipalissimo in questa scienza nuova, il qual problema
era : come la Calamita potesse operare in distanza e
attraverso a corpi amagnetici, che vi fossero in mezzo
frapposti. A tale intento egli presupponeva che tutti
i corpi, di qualunque natura si fossero, tenessero nella
loro sostanza disseminate particelle di calamita, le
quali mobilissime per la loro piccolezza fossero di-
sposte a rivolgersi facilmente per quel verso, a cui
fossero dirette dalla forza del Magnete. Così fatti cor-
puscoli , disordinatamente disseminati, costituiscono
secondo il Castelli i corpi magnetici, ch'ei chiama di
second' ordine. Presupposte le quali cose « si apre, segue
a dire l'Autore, spaziosa strada di render la ragione
come pare che la virtù della Calamita penetri in certo
modo quasi in istante ogni sorta di corpo, e che si
faccia la sua operazione come in un momento con le
altre calamite e con i ferri senza toccarli, in distanza
molto notabile, imperocché quando si vedrà v. g. che
la Calamita operi trapassando il vetro, il legno, l'ar-
gento, ecc., noi possiam dire che i corpuscoli di se-
cond'ordine sparsi per la sostanza de' suddetti corpi,
con la presenza della Calamita, subito vengono ordi-
nati calamiticamente, e però essi, senza introdurre al-
tra penetrazione di virtù, sono quelli che operano con
i loro ordinati toccamenti, e rimossa la Calamita, ri-
tornando nella loro primiera costituzione, mancano di
quella forza ».
— 253 —
(7) A. Garbasse. [Atti R. Acc. di Scienze di Torino,
XYXII, 1897].
cfr. H. Ebert. [Wied. Ami., XLIX, 1893).
(8) W. Feddersen. [Pogg. Ann., CXIU, 1861].
(9) H. Hertz. [Untersuchungen, X].
(io) W. V. Bezold. [Pogg. Ann., CXL, 1870].
(li) E. Lecher. [IVied. Ann., XLI, 1890].
(12) O. J. Lodge. [Proc. R. Society, L, 1891].
(13) H. Hertz. [Untersuchungen, XL].
(14) F. Himstedt. [IVied. Ann., LII, 1894].
(15) R. Blondlot. [C. R., CXVII, 1893].
(16) F. Savart. [Ann. d. eh. et d. pìiys., (2), LUI, 1833].
(17) H. Ebert. [Jahrbuch fur Photo graphie, IX, 1895].
(18) H. Hertz. [Untersuchungen, XI].
(19) I. Klemenczicz u. P. Czermak [Sitz. ber. K. Ali. d.
ÌVissenscha/ten in JVien, CI, 1892).
(20) L. Boltzmann. [IVied. Ann., XL, 1890].
(21) A. Garbasso. [Rend. R. Acc. d. Lincei^ III, 1894].
(22) O. Wiener. [Wied. Ann., XL, 1890].
(23) H. Hertz. [Untersuchungen, VIII].
(24) I. Klemenczicz u. P. Czermak. [Sitz. ber. K. Ak. d.
Wissenschaften in Wien, CI, 1892].
(25) A. Righi. [A^. Cini., (3), III, 1878].
(26) A. Garbasso. [Meni. R. Acc. d. Scienze di Torino,
(3), XLVI, 1896].
(27) A. Righi. [Ottica d. Oscillazioni, II, 2].
(28) G. Udny Jule. [Proc. R. Society, LIV, 1893].
^'29) A. Garbasso. [Aiti R. Acc. d. Scienze di Torino,
XXVUl, 1893].
(30) A. Garbasso. [Atti R. Acc. d. Scienze di Torino,
XXVIII, 1893].
(31) L. Zehnder. [Wied. Ann., LII, 1894].
(32) A. Garbasso. [Mem. R. Acc. d. Scienze di Torino,
(2), XLVI, 1896].
— 254 —
(33) H- Rubens u. E. F. Nichols. [Siiz. ber. K. Ak. d.
Wissenschaften zu Berlin, LII, 1896).
(34) A. Righi. [Ottica d. Oscillazioni, I, i].
(35) E. Sarasìn et L. De la Rive. [Arch. d. sctences phys.
et nat., (3J, XXVIII, 1892].
(36) A. Garbasse u. E. Aschkinass. [Wied. Ann., LUI, 1894].
(37) E. Sarasin et L. De la Rive. [Arch. d. sciences phys.
etnat.,{s), XXII, 1889; (3Ì, XXIII, 1890; (3),
XXIX, 1893].
(38) E. Branly. [C R., CXI, 1890].
(39) A. LeRoyeret P. v. Berchem. [Arch. d. sciences phys,
et nat., ("3), XXXI, 1894].
(40) A. Garbasse et A. Garbasse. [Arch. d. sciences phys.
et nat., (4), IV, 1897).
(41) H. Hertz. [Untersuchungen, XI].
(42; A Righi. [Ottica d. Oscillazioni, II, 5].
(43) A. Righi. [A^. Cim., (3), XXXV, 1894].
f44) A. Garbasse. [Atti R. Acc. d. Scienze di Torino,
XXX, 1895].
{45) A. Righi. [Ottica d. Oscillazioni, II, 7].
(46} A. Righi. [Ottica d. Oscillazioni, II, 7].
{47) A. Righi. [Ottica d. Oscillazioni, II, 7].
(48) A. Garbasse. [Atti R. Acc. d. Scienze di Torino,
XXX, 1895].
(49) E. Pringsheim. [Sitz. ber. K. Ak. d. Wissenschaften
zu Berlin, XVIII, 1895].;
(50) A. Naccari. {Atti R. Acc. d. Scienze di Torino,
XXV, 1889].^
(51) A. Naccari. [Atti R. Acc. d. Scienze di Torino,
XXIV, 1888].
(52) E. Villari. [Rend. R. Acc. d. Lincei, V, 1896].
(53) W* K- Rontgen. [Sitz. ber. Wilrz. phys. mea. Gè-
selL, 1896].
(54) A. Battelli e A. Garbasse. [N. Cim., {4), III, 1896].
— 255 —
(55) H. V. Helmholtz. [ Wissenschaflliche Abhandlungen,
I, 1882].
(56) H. A. Lorentz. [J^ersuch einer Theorìe der electrischen
utid optischen Erscheinungen, ecc., Leiden, Brill,
18951-
(57) F Kolàczek \Wied. Ann., XXXII, 1887).
{58) A. Garbasse. [A^. Cim., (4), III, 1896).
(59^ A. Sella e Q. Maiorana. [Rend. R. Acc. d. Lincei,
V, 1896].
INDICE
Lezione I. — Primi fatti dell'elettrostatica —
Quantità, potenziale, capacità —
Induzione fra corpi elettrizzati. Pag. 5
>^ li. — Importanza del dielettrico nel
fatto dell' induzione — Teoria
del Mossotti — Energia di po-
larizzazione elettrostatica. . . » 22
111. — Movimento dell'elettricità a la
superficie dei dielettrici e nel-
r interno dei conduttori solidi,
liquidi od aeriformi ^> 39
^^ 1\'. — Magnetismo — Campo magne-
tico della corrente — Azioni
ponderomotrici ed induttive fra
circuiti elettrici « 56
V. — Modelli dei fenomeni — Teorie
meccanicamente equivalenti —
Leggi teoriche per la scarica
dei condensatori « 72
\'l. - Oscillazioni elettriche — Espe-
rienze del Feddersen — Prime
esperienze del Hertz — Onde
- 258 -
stazionarie lungo i fili: espe-
rienze del V. Bezold e del Lecher Pag. 86
w VII. — Esperienze del Lodge — Espe-
rienze del Tesla — Fulmine e
parafulmine — La corrente oscil-
lante ha la sua 'sede nel dielet-
trico — Esperienze del Blondlot » io6
» Vili. — Fenomeni di risonanza — Raggi
di forza elettrica : corpi opachi
e corpi trasparenti ; propaga-
zione rettilinea; riflessione e
rifrazione » 124
» IX. — Fenomeni di interferenza —
Onde stazionarie — Esperienze
del Fresnel e di Klemencziz e
Czermak — Colori delle lamine
sottili »> 143
•» X. — I risonatori come modelli delle
molecole materiali; assorbimento
elettrico e colori superficiali —
Esperienze di Rubens e Nichols » 159
» XI. — I risonatori come modelli delle
molecole materiali: rifrazione e
dispersione — Apparecchi del
Righi ti 180
» XII. — Luce bianca e radiazione del
Hertz — Esperienze di Le Ro-
yer e van Berchem — Teorie
algebricamente equivalenti . . " 195
» XIII. — Fenomeni di polarizzazione —
Prisma del Nicol e specchio del
Hertz' Lamina di tormalina e
reticolo — Polarizzazione per
riflessione " 206
— 259 —
XIV. — Composizione delle vibrazioni
— Fenomeni di polarizzazione
cromatica — Azione del gesso
su la luce e sopra i raggi del
Hertz — Altri sistemi birifran-
genti Pag. 218
XW — Un altro modello per le mole-
cole dei corpi — Azione del-
l'aria ionizzata sopra i condut-
tori sterilizzati e sopra le sca-
riche « 234
Fine.
o
BINDING SECT. AU6 23 1977
PLEASE DO NOT REMOVE
CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY
QC Garbasse, Antonio Giorgio
4.03 Lezioni sperimentali
G37 sulla luce
P&ASci.
3<f