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Full text of "Lezioni sperimentali sulla luce considerata come fenomeno elettromagnetico"

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,.  XX\        BIBLIOTECA   DELL'ELETTRICITÀ      vol.  XXV 


A.  GARBASSO 

INCARICATO   DI   ON   CORPO   DI   FISICA   MATEMATICA 
NELLA   U.    UNIVERSITÀ   DI   PISA 


LEZIONI  SrERIMENTALI 


SULLA 


LUCE 

CONSIDERATA    COME   FENOMENO  ELETTROMAGNETICO 

Con  loi  incisioni 
e   tre   tavole  fuori    testo 


ULRICO   HOEPLI 

EDITORE   LIBRAIO    DELLA    REAL   CASA 

MILANO 
1898 


Oc 


VVBRARy^- 


II 


Milaao  1897  —  Prem.  Stab.  Tip.  Colombo  e  Tarra  —  Via  Minghetti. 


Prefa.2:ione 


Questo  libro  riproduce,  per  una  parte,  il  corso,  che 
tenni,  nella  primavera  del  g^,  come  libero  docente,  a  l'U- 
niversità di  Torino.  Si  stampa  solamente  ora  per  ragioni 
indipendenti  da  la  mia  volontà. 

Il  pubblico,  al  quale  mi  rivolgevo,  era  molto  vario  e 
ineguale  di  coltura,  così  che  fui  costretto  a  separare  gli 
sviluppi  teorici  da  l'esposizione  dei  loro  fondamenti  e  delle 
verifiche  sperimentali. 

Queste  lezioni,  che  pubblico,  sono  quelle  relative  a  le 
esperienze.  Ho  conservato  ad  esse  la  forma,  sotto  la  quale 
furono  esposte.  Principalmente  perchè,  avendole  redatte 
una  prima  volta  così,  mi  sarebbe  riuscito  troppo  grave  di 
rifarmi  da  capo. 

Trattandosi  di  un  argomento  sul  quale  lavorarono, 
negli  ultimi  dieci  anni,  molti  fra  i  fisici  più  insigni,  in 
ogni  parte  del  mondo,  il  libro  non  è,  e  non  poteva  essere, 
un  lavoro  del  tutto  originale.  Pure  vi  sono,  qua  e  là,  al- 
cune cose  che  reputo  nuove. 

Tutte  le  volte  che  mi  giovavo  di  pubblicazioni  ante- 
riori, dovute  ad  altri  o  a  me  stesso,  le  ho    citate    scrupo- 


—  IV  — 

losamente  (*).  A  meno  che  si  trattasse  di  concetti  o  di  fatti y, 
entrati  da  tempo  nel T insegnamento.  Il  resto  va  a  conto  mio. 

Le  prime  quattro  lezioni  contengono  un  riassunto  di 
quelle  cose  più,  fondamentali  dell'elettricità  e  del  magne- 
tismo, che  occorrono  ad  ogni  passo  nel  seguito.  Le  avrei 
omesse  volontieri,  ma  a  l'Editore  è  parso  meglio  di  ripro- 
durle. Ho  aderito  al  suo  desiderio.  Vuol  dire  che  il  let- 
tore a  pena  versato  in  questi  studii  può  lasciarle,  senz'al- 
tro, da  banda. 

Quando  tenni  il  presente  corso,  a  Torino,  il  prof.  A., 
Naccari  mise  a  mia  disposizione  tutti  i  mezzi,  che  possiede 
il  suo  istituto,  ed  agevolò  il  mio  compito  con  consigli  ed 
aiuti  d'ogni  maniera.  Sono  lieto  che  misi  porga  occasione 
di  esprimergli  pubblicamente  la  mia  riconoscenza. 

Anche  sono  grato  a  l'ing.  L.  Ferraris,  che  mi  aiutò- 
nel  preparare  le  lezioni.  Molti  degli  apparecchii  e  degli 
esperimenti  descritti  più,  avanti  appartengono  così  a  lui 
come  a  me. 

Finalmente  devo  ringraziare  mio  fratello  Alberto,  te-^ 
nente  d'Artiglieria,  il  quale  disegnò  dal  vero  tutte  quante 
le  figure. 

A,  GABBASSO. 

Pisa,  Istituto  fisico  dell'Università 
28  Maggio   1897. 


(*)  Nel  testo  i  richiami  fatti  con  asterischi  si  riferiscono  a  le 
annotazioni  a  piede  di  pagina;  i  richiami  fatti  con  numeri  a  le 
note  bibliografiche,  in  fondo  al  volume. 


LEZIONE  PRIMA. 

Prim!  fatti    dell'elettrostatica  —   Quantità,   poten- 
ziale, capacità  —  Induzione  fra  corpi  elettrizzati. 

§  I.  —  In  quest'ultimo  decennio  si  è  raccolta  da  molte 
parti  una  ricca  serie  di  fatti,  che  valgono  a  mettere  in 
relazione  il  dominio  delPottica  e  quello  dell'elettricità. 

I  primi  passi  nella  nuova  strada,  e  i  più  decisivi,  furono 
mossi  da  Enrico  Hertz,  che  morì  nel  1894,  giovane  an- 
cora, professore  di  fisica  nell'università  di  Bonn. 

Molti  fisici,  in  tutti  i  paesi  civili,  seguirono  le  sue 
traccie,  e  completarono  i  suoi  resultati,  e  ne  riconobbero 
di  nuovi. 

Ricorderò,  fra  i  principali^  Lodge  in  Inghilterra  ;  Righi 
in  Italia;  Lecher,  Rubens,  Zehnder  e  Drude  in  Germania; 
Klemenczicz  in  Austria;  Sarasin  e  De  la  Rive  in  Svizzera  ; 
Blondlot  in  Francia;  Bjerknes  in  Svezia. 

È  mia  intenzione  di  esporre  in  questo  corso  le  cose 
più  notevoli,  trovate  da  codesti  fisici. 

Io  mi  studierò  di  essere,  per  quanto  è  possibile,  sem- 
plice e  piano. 

Come  accennavo  da  principio,  l'argomento,  che  im- 
preado  a  trattare,  interessa  ad  un  tempo  il  campo  del- 
Tottica  e  il  campo  dell'elettricità;  dovremo  quindi  fare  un 
uso  continuo  delle  nozioni  più  importanti  di  queste  due 
discipline.  E  però  tali  nozioni  sarà  conveniente  di  richia- 
mare. 


—  6  — 

Io  potrei,  a  l'uopo,  riassumere  rapidissimamente,  nelle 
prime  lezioni,  i  fatti  e  i  concetti,  a  i  quali  mi  dovrò  ri- 
chiamare nel  seguito;  o  pure  accennare,  volta  per  volta,, 
i  singoli  resultati,  quando  se  ne  presenti  il  bisogno. 

Ma  poi  che  nel  nostro  studio  ciò  che  importa  sono  i 
fenomeni  elettromagnetici,  e  il  significato  ottico  di  essi  ha 
un  interesse  secondario,  mi  sembra  conveniente  seguire 
una  strada  intermedia.  Così  otterremo  di  conciliare  la 
chiarezza  con  la  massima  economia  di  tempo  e  di  parole. 


Dedicherò  quindi  le  primissime  lezioni  ad  un  riassunto 
molto  rapido  di  quelle  cose,  che  formano  oggetto  di  un 
corso  ordinario  sopra  l'elettricità  e  il  magnetismo,  limi- 
tandomi a  ricordare  i  fatti  più  importanti  dell'ottica,  quando 
l'interesse  dell'esposizione  lo  richieda. 

§  2.  —  E  cominciamo  subito  da  i  primi  fenomeni  del- 
l'elettrostatica. 


—  7  — 

A  due  sottili  cordoncini  di  seta  ho  sospeso  (fig.  i) 
una  staffa  di  filo  di  rame,  su  la  quale  posso  disporre  un 
tubo  di  vetro,  assai  leggero,  spesso  forse  un  centimetro 
e  lungo  venti.  Il  tubo  assume  una  direzione  fissa  nello 
spazio,  ma  da  questa  si  può  allontanare,  esercitando  un 
pìccolissimo  sforzo. 

Accosto  ad  una  delle  estremità  del  tubo  sospeso  un 
altre  tubo  identico,  che  tengo  in  mano,  e  che  ho  passato 
per  un  momento  sopra  una  fiamma.  Come  vedono,  non  si 
osserva  ora  nel  sistema  mobile  nessuna  tendenza  a  de- 
viare da  la  posizione  d'equilibrio. 

In  vece  si  ha  uno  spostamento  se,  avanti  di  avvicinare 
al  primo  tubo  il  secondo,  lo  strofino  forte  con  un  panno- 
lano.  Propriamente,  adesso,  uno  dei  due  corpi  sembra 
attrarre  l'altro. 

Se  ne  conclude  che,  per  lo  strofinio,  il  vetro  assume 
delle  proprietà  particolari,  che  prima  non  aveva.  E  il  fatto 
si  enuncia  dicendo  che  il  vetro  si  è  elettrizzato. 

Anche  un  bastone  di  ebanite,  strofinato,  per  esempio, 
con  una  pelle  di  gatto,  si  elettrizza;  cioè  fa  deviare  il 
sistema  sospeso. 

Il  corpo  sorretto  da  la  staffa  è  al  presente  in  condi- 
zioni naturali,  vale  a  dire  non  fu  per  nulla  sfregato.  Ora 
è  interessante  di  studiare  come  si  modifichino  i  fenomeni 
quando,  in  vece,  lo  si  elettrizza  prima  di  fare  le  esperienze. 

Per  vedere  questo  tolgo  via  il  tubo  mobile  dal  suo 
sostegno,  e  lo  strofino  con  il  solito  panno;  quindi  lo  ri- 
metto al  posto  e,  come  prima,  avvicino  ad  una  delle  sue 
estremità  l'altro  tubo,  anche  sfregato. 

Succede  adesso  che  i  due  corpi  si  respingono. 

In  vece  ottengo  da  capo  un'attrazione  molto  chiara  se 
al  sistema  mobile  accosto  il  bastone  d'ebanite,  strofinato 
con  la  pelle  di  gatto. 

Reciprocamente,  se  sospendessi  l'ebanite  elettrizzata 
a  la  staffa,  troverei  che  un  altro  pezzo  della  stessa  so- 
stanza, nelle  stesse  condizioni,  la  respinge.  Mentre  il  vetro, 
strofinato  con  la  lana,  l'attrae. 


—  8  — 

Segue  di  qui  che  vetro  ed  ebanite  si  elettrizzano  in 
modo  differente,  o,  come  si  dice,  che  vi  sono  due  diverse 
elettricità. 

Per  ragioni,  che  vedremo  in  seguito,  si  distinguono 
queste  due  elettricità  con  i  nomi  di  positiva  e  negativa  ;  e 
propriamente  si  conviene  di  chiamare  positiva  l'elettricità 
del  vetro  strofinato  con  la  lana,  e  negativa  l'elettricità  del- 
l'ebanite strofinata  con  la  pelle  di  gatto. 

Esaminando  poi,  con  lo  stesso  procedimento,  qualun- 
que altro  corpo,  si  trova  che,  salvo  l'eccezione  dei  metalli, 
ognuno  si  compoita  come  il  vetro  o  come  l'ebanite.  Cioè, 
per  impiegare  la  terminologia  usuale,  vi  sono  due  sole 
elettricità.  Quanto  a  i  metalli,  se  non  si  ricorre  ad  artifizi!, 
dei  quali  dovremo  discorrere  più  avanti,  essi  non  si  elet- 
trizzano affatto. 

L'apparecchio  impiegato  da  noi  per  riconoscere  lo  stato 
elettrico  dei  corpi,  se  bene  convenga  per  certe  esperienze 
da  lezione,  è  però  alquanto  rozzo.  Dei  resultati  assai  mi- 
gliori si  ottengono  con  l'uso  di  un  comune  elettroscopio 
a  foglie  d'oro. 

Un  elettroscopio  è  un  pallone  con  un  unico  collo, 
chiuso  da  un  turacciolo.  A  traverso  a  questo  passa  un  asta 
metallica,  che  porta  in  basso  due  foglie  sottilissime  d'oro 
battuto.  L'asta  poi  reca,  a  l'estremità  superiore,  una  pal- 
lina di  ottone. 

Tocco  questa  pallina  con  un  bastone  di  ebanite,  elet- 
trizzato nel  solito  modo.  Come  vedono,  le  foghe  diver- 
gono ;  e  rimangono  divergenti  anche  quando  tolgo  via 
l'ebanite. 

E  bene,  accostiamo  ora  a  questo  elettroscopio,  senza 
stabilire  contatto,  un  corpo  qualunque  elettrizzato.  La  di- 
vergenza delle  foglie  d' oro  si  modifica,  e  propriamente 
cresce,  se  il  corpo,  che  impiego,  è  elettrizzato  negativa- 
mente ;  diminuisce  nel  caso  contrario. 

Troverei  un  resultato  affatto  opposto  se,  da  princìpio, 
avessi  toccato   la   pallina  dell'elettroscopio    con  un  corpo 


—  9  - 
positivo,  per  esempio  con  un  tubo  di  vetro  strofinato  contro 
un  pannolano. 

Il  nostro  apparecchio  ci  permette  dunque  di  ricono- 
scere l'esistenza  e  la  natura  dell'elettricità. 

Ho  fatto  vedere  dianzi  come  il  vetro  e  l'ebanite  si 
elettrizzino  per  strofinio.  In  realtà,  quando  due  corpi  ven- 
gono sfregati  uno  contro  l'altro,  entrambi  si  caricano  di 
elettricità,  e  di  elettricità  opposte. 

Come  esempio  scelgo  il  caso  dello  zolfo,  strofinato 
con  un  cencio  di  seta.  Prendo  questo  caso  a  preferenza 
di  tutti  gli  altri,  perchè  qui  il  fenomeno  riesce  molto  evi- 
dente. Strofino  dunque  un  bastone  di  zolfo  con  un  drappo 
di  seta,  e  accosto  successivamente  il  bastone  e  il  drappo 
a  la  pallina  dell'  elettroscopio.  E'  chiaro  che  nel  primo 
caso  la  divergenza  delle  foglie  cresce,  nel  secondo  dimi- 
nuisce. Ma  l'elettroscopio  lo  avevo  caricato  con  l'ebanite. 
Devo  quindi  concludere  che  lo  zolfo  si  è  elettrizzato  ne- 
gativamente, la  seta  positivamente. 

Farò  ancora  un'altra  esperienza.  Strofino  da  capo  il 
bastone  di  seta  con  il  solito  drappo,  ed  accosto  i  due  corpi 
a  l'elettroscopio,  senza  staccarli.  Ora  non  si  manifesta  nes- 
suna azione;  e  pure  i  due  corpi  sono  elettrizzati,  ed  ognuno 
di  essi  agisce  come  dianzi,  se  allontano  l'altro. 

Vuol  dire  che  la  carica  positiva  della  seta  neutralizza 
l'elettricità  negativa  dello  zolfo.  A  punto  come,  in  algebra, 
due  quantità  di  segno  opposto,  sommate,  si  possono  eli- 
dere. E'  precisamente  per  questa  ragione  che  si  danno  a 
le  cariche  elettriche  i  nomi  di  positive  e  negative.  Il  fissare 
poi  quale  fra  le  due  elettricità  si  debba  chiamare  positiva, 
è,  come  ho  già  avvertito,  aff"are  di  convenzione. 

§  3.  —  Oltre  che  per  strofinio  un  corpo  si  può  anche 
elettrizzare  per  contatto,  cioè  toccandolo  con  un  altro  corpo, 
precedentemente  elettrizzato. 

Per  esempio,  se  carico  un  bastone  di  ebanite,  strofi- 
nandolo, al  solito,  con  la  pelle  di  gatto,  e  quindi  porto  in 
contatto  della  parte   strofinata    una   pallina  d'ottone,  che 


—    IO 


tengo  sospesa  ad  un  filo  di  seta,  questa,  quando  la  accosto 
a  l'elettroscopio,  dà  segno  di  essere  elettrizzata,  e  preci- 
samente di  elettricità  negativa. 

A  la  carica  elettrica,  che  un  dato  corpo  assume,  qua- 
lunque sia  la  sua  origine,  si  può  attribuire  oltre  che  un 
segno  anche  una  grandezza. 

Guardino:  io  accosto,  come  prima,  a  l'elettroscopio 
una  pallina  elettrizzata;  anzi,  sospendendola  ad  un  sostegno, 
la  lascio  in  una  posizione  costante.  L'elettroscopio  se  ne 
risente,  e  la  divergenza  delle  sue  foglie  aumenta  di  molto. 

E  bene,  ora  tocco  quella  prima  pallina  con  un'altra 
scarica  e  sospesa  nel  solito  modo,  che  allontano  dopo  il 
contatto.  La  divergenza  delle  foglie  diminuisce.  E  poi  che 
dobbiamo  giudicare  da  gli  effetti  le  cause,  si  enuncia  questo 
con  dire  che^  comunicando  per  contatto  dell'elettricità  a  la 
seconda  pallina,  la  prima  ha  perduto,  in  parte,  la  sua  ca- 
rica. Questa  è  dunque  suscettibile  di  diminuzione.  Ed  è 
suscettibile  anche  di  aumento,  tanto  è  vero  che,  per  esem- 
pio, si  può  elettrizzare  un  corpo  affatto  scarico. 

Quindi  è  lecito  parlare  della  grandezza  di  una  carica 
elettrica,  o  della  quantità  di  elettricità,  che  un  dato  corpo 
possiede. 

L'azione,  che  una  carica  elettrica  esercita,  dipende, 
oltre  che  da  la  grandezza  della  carica  in  quistione,  anche 
da  la  distanza,  che  intercede  tra  essa  e  l'elettroscopio. 
In  fatti  se  accosto  una  pallina,  elettrizzata  negativamente, 
a  l'elettroscopio,  carico  esso  pure  di  elettricità  negativa, 
la  divergenza  delle  foglie  va  crescendo  quando  la  distanza 
diminuisce. 

Qualche  cosa  di  simile  avviene  anche  per  i  fenomeni 
di  attrazione  e  repulsione.  Si  sa  anzi  che  le  grandezze  di 
queste  azioni  sono  inversamente  proporzionali  a  i  quadrati 
delle  distanze,  che  intercedono  fra  i  corpi  agenti. 

Volendo  stabilire  un'unità  di  misura  per  le  cariche  elet- 
triche si  sceglie,  di  solito,  come  tale  una  carica  positiva,  che 
respinge  una  carica  identica,  posta  neWaria  o  nel  vuoto^ 
a  l'unità  di  distanza  (centimetro),  con  l' unità  di  forza  (dina). 


—  II  — 

Bisogna  aggiungere. la  condizione  che  le  due  cariche 
stiano  nell'aria  o  nel  vuoto  ;  perchè  si  trova  che  la  forza^ 
esercitantesi  fra  due  corpi  elettrizzati,  si  modifica  con  il 
mezzo ,  nel  quale  i  corpi  stessi  sono  immersi.  Se  si  sono 
raccolte  sopra  due  palline  di  ottone,  sospese  nell'aria,  per 
esempio,  delle  cariche,  che  soddisfino  a  la  definizione  del- 
l'unità, e  poi  queste  stesse  palline  si  portano  in  un  altro 
mezzo  qualunque ,  disponendole  ancora  a  l' unità  di  di- 
stanza, si  trova  che  esse  non  si  respingono  più  con  l'unità 
di  forza,  ma  bensì  con  una  forza 

I 

K  essendo  un  numero  sempre  maggiore  dell'unità.  Questa 
costante,  caratteristica  per  ciascun  mezzo,  viene  detta  co- 
stante dielettrica  del  mezzo  stesso. 

Una  carica  è  due,  tre,  quattro  volte  più  grande  di 
un'altra  se,  nelle  stesse  condizioni,  esercita  delle  azioni 
(attrattive  o  repulsive)  due,  tre,  quattro  volte    più  grandi. 

Si  potrebbe  parlare,  come  è  naturale,  di  unità  positiva 
e  di  unità  negativa  ;  ma  conviene  meglio  definire  la  sola 
unità  positiva,  e  chiamare  unità  di  elettricità  negativa  una 
quantità,  che  neutralizza  quella  prima. 

§  4.  —  Nella  carica  per  contatto  non  tutti  i  corpi  si 
comportano  ad  un  modo.  Per  formarci  un'idea  chiara  di 
questi  fenomeni,  cerchiamo  a  quali  fatti  diano  luogo  un 
ellissoide  di  zolfo  e  uno  di  ottone,  sostenuti  entrambi  da 
una  colonnina  di  vetro. 

Tocco  ripetutamente  i  due  ellissoidi  in  un  polo,  con 
un  bastone  di  ebanite  elettrizzato;  quindi  li  accosto,  uno 
dopo  l'altro,  a  l'elettroscopio.  Si  vede  subito  che  l'ottone 
appare  carico  in  tutti  i  punti  della  superficie;  mentre  lo 
zolfo  è  elettrizzato  solamente  in  quella  regione,  che  fu  a 
contatto  con  l'ebanite. 

Come  l'ottone  si  comportano  tutti  gli  altri  metalli^ 
come  lo  zolfo  l'ebanite,  il  vetro  e  molte  altre  sostanze. 

Per    ragioni,   che    impareremo   presto  a   conoscere,  i 


—    12   — 

corpi  della  prima  categoria  si  dicono  conduttori  e  quelli 
della  seconda  dielettrici. 

Si  capisce  ora  perchè  le  foglie  dell'  elettroscopio  di- 
vergano quando  elettrizzo  la  pallina.  Essendovi  comuni- 
cazione metallica  fra  questa  e  quelle,  le  due  foglie  pren- 
dono esse  pure  una  carica  del  medesimo  nome,  e  però  si 
respingono. 

L'elettrizzazione  dei  conduttori  dà  luogo  ad  un  altro 
fatto  interessante.  Si  trova  cioè  che  vi  è  bensì  una  carica 
su  tutti  i  punti  della  superficie  esterna,  ma  non  ve  ne  è 
affatto  nell'interno  del  corpo. 

Esaminiamo,  per  esempio,  il  comportamento  di  questa 
sfera  cava,  sorretta  anch'essa  da  una  colonna  di  vetro,  e 
forata  per  modo  che  si  può  toccare  la  faccia  interna  della 
sua  superficie. 

La  carico  al  solito  modo;  e  quindi  porto  a  contatto  a 
punto  della  superficie  interna ,  una  pallina,  appesa  ad  un 
filo  di  seta.  Come  vedono,  la  pallina,  accostata  a  l' elet- 
troscopio, non  dà  segno  di  elettrizzazione;  mentre  si  mostra 
iortemente  carica  se,  in  vece,  tocco  con  essa  la  palla  a 
l'esterno. 

Ma  anche  su  la  faccia  esterna  di  un  conduttore  la  elet- 
tricità non  è,  di  solito,  distribuita  uniformemente. 

Questo  fatto,  su  la  dimostrazione  del  quale  non  posso 
insistere,  conduce  a  la  considerazione  di  una  nuova  gran- 
dezza elettrica ,  la  densità  superficiale.  La  quale  si  può 
definire  dicendo  che  essa  è  il  rapporto  fra  la  quantità  di 
elettricità,  che  insiste  sopra  un  piccolo  tratto  della  super- 
ficie di  un  corpo,  e  la  grandezza  del  tratto  medesimo. 

L'esperienza  dimostra  poi  che,  su  la  faccia  esterna  di 
un  dato  conduttore,  la  densità  varia  da  punto  a  punto  con 
la  curvatura;  e  propriamente  è  maggiore  dove  la  curva- 
tura è  più  grande.  Così,  per  esempio,  sopra  un  ellissoide 
allungato,  di  rivoluzione,  la  densità  è  massima  a  i  poli  e 
mìnima  a  l'equatore. 

Quindi  si  capisce  che,  se  un  conduttore   è  munito  di 


—  es- 
punte, precisamente  su  queste  la  carica  sarà  addensata  al 
massimo  grado.  Si  trova  che,  in  tale  caso,  il  conduttore 
non  può  restare  a  lungo  elettrizzato.  Ma  anzi  si  riduce^ 
in  breve  tempo,  a  la  condizione  normale.  Sicché  sembra 
che  la  densità  della  carica  non  possa  andare  al  di  là  di 
un  certo  limite. 

§  5.  —  Sappiamo  già  che,  quando  due  corpi  si  ven- 
gono a  toccare,  e  uno  di  essi  è  elettrizzato  nel  punto,  dove 
il  contatto  ha  luogo,  anche  l'altro  si  elettrizza. 

Anche  abbiamo  osservato  che,  se  il  secondo  corpo  è 
un  metallo  (un  conduttore),  la  carica,  che  esso  riceve,  si 
distribuisce  su  tutta  la  superficie,  se  è  un  dielettrico  ri- 
mane confinata  nel  punto  di  contatto.  La  stessa  esperienza 
si  può. mettere  sotto  una  forma  un  po' differente. 

Io  prendo  due  elettroscopii  uguali,  e  li  colloco  ad  una 
certa  distanza  uno  da  l'altro,  ad  un  metro,  per  esempio. 
E  quindi  riunisco  le  palline,  che  li  terminano,  con  un  filo 
sottile  di  seta.  Poi,  con  un  bastone  di  ebanite,  strofinato 
con  la  pelle  di  gatto,  carico  uno  degli  elettroscopii. 

Come  vedono,  l'altro  rimane  nello  stato  ordinario,, 
cioè  le  sue  foglie  restano  a  contatto.  La  cosa  si  intende 
molto  bene,  se  si  bada  che  la  seta,  come  si  potrebbe  ve- 
rificare direttamente,  è  fra  quei  corpi,  che  abbiamo  chia- 
mato dielettrici. 

Nel  primo  elettroscopio  la  pallina  è  elettrizzata  (su 
tutta  la  superficie)  quindi  avrà  una  carica  anche  quel  tratto 
del  filo  di  seta,  che  è  in  immediato  contatto  con  essa.  Ma, 
per  quanto  avvertivo,  ciò  che  resta  del  filo  non  si  potrà 
caricare,  e  non  si  caricherà  nemmeno  il  secondo  elettro- 
scopio. 

E'  facile  vedere  che  cosa  dovrà^  in  vece,  accadere,  se 
i  due  elettroscopii  si  pongano  in  relazione  con  un  filo  me- 
tallico. Allora  tutto  il  sistema  costituisce,  manifestamente, 
un  unico  corpo  conduttore,  e  però,  quando  si  comunichi 
una  carica  ad  un  suo  punto,  tutti  gli  altri  punti  appari- 
ranno elettrizzati. 


—  14  — 

L'esperienza  conferma  questa  previsione.  Io  elettrizzo 
da  prima,  con  il  solito  bastone  d'ebanite  strofinato,  uno  degli 
elettroscopii  ;  poi  con  una  verghetta  sottile  di  ottone,  che 
ho  sospeso  a  due  fili  di  seta,  tocco  contemporaneamente 
^e  palline  dei  due  apparecchio  Subito  le  foglie  dell'elettro- 
scopio, che  era  scarico,  divergono  anch'  esse,  mostrando 
di  aver  ricevuto  una  certa  elettrizzazione. 

Tutto  accade  dunque  come  se  l'elettricità  fosse  con- 
dotta,  lungo  il  filo  di  ottone,  da  un  elettroscopio  a  l'altro. 
È  a  punto  per  questo  che  l'ottone  e  gli  altri  corpi,  che  si 
comportano  com'esso  (i  metalli,  gli  acidi,  l'acqua,  le  solu- 
zioni saline)  vengono  detti,  comunemente,  conduttori. 

§  6.  —  Dianzi,  quando  ho  messo  i  due  elettroscopii 
in  comunicazione  fra  loro,  avranno  osservato  che,  mentre 
le  foglie  dell'apparecchio  scarico  si  aprivano,  le  foglie  del 
primo  elettroscopio  si  sono  abbassate  alquanto. 

Se  ora  riunissi  al  sistema,  metallicamente,  un  altro 
conduttore,  per  esempio  questo  grande  ellissoide  di  ottone, 
sorretto  da  una  colonnina  di  vetro,  la  divergenza  delle 
foglie  diminuirebbe  ancora,  in  entrambi  gli  elettroscopii. 

Più  precisamente,  si  trova  che,  a  parità  di  carica,  le 
foglie  stanno  tanto  più  vicine  quanto  più  estesa  è  la  su- 
perficie libera  del  conduttore,  comunicante    con  esse. 

La  cosa  si  può  dimostrare  con  1'  apparecchio  sempli- 
cissimo, che  vedono  qui.  È  una  bacchetta  di  vetro,  che 
può  girare  sopra  sé  stessa,  rimanendo  orizzontale.  Su 
questa  ho  rotolato  un  foglio  di  carta,  foderato  di  stagnola. 
La  stagnola  è  un  buon  conduttore,  sicché  possiamo  dire 
di  avere  qui  un  rotolo  di  sostanza  conduttrice.  Se  lo  svol- 
gessi, naturalmente,  la  superficie  libera  aumenterebbe. 

Ora,  al  lembo  estremo  della  stagnola,  ho  appeso  due 
fuscellini  leggerissimi  di  paglia,  i  quali  faranno,  nel  caso 
attuale,  lo  stesso  ufficio  che  le  foglie  d'  oro  negli  elettro- 
scopii ordinarli. 

In  fatti,  se  elettrizzo  questo  mio  conduttore,  esse  si 
staccano  una  da  l'altra  e  rimangono  divergenti. 


—  15  — 

E  bene,  andiamo  svolgendo,  lentamente,  il  rotolo  di 
stagnola,  ed  osserviamo  come  si  comportino  le  foglie.  Già 
si  vede  che,  a  poco  a  poco,  esse  si  vanno  accostando, 
finché  si  riducono,  da  ultimo,  ad  essere  vicinissime.  Se 
ora  rifaccio  il  movimento  in  senso  inverso,  e  tomo  ad  av- 
volgere la  stagnola  su  l'asse  di  vetro,  le  due  pagliuzze  si 
staccano,  e,  finalmente,  ridoventano  così  divergenti  come 
prima. 

La  terra  agisce  come  un  conduttore  di  grandissima 
superficie.  Difatti  se,  con  una  verghetta  d'ottone,  sospesa, 
come  dianzi,  a  due  fili  di  seta,  metto  in  comunicazione 
con  il  suolo  un  elettroscopio  carico ,  le  sue  foglie  rica- 
dono, senza  più,  una  su  l'altra. 

Quindi,  se  si  vuole  che  un  corpo  conservi  la  sua  ca- 
rica, non  lo  si  può  appoggiare  direttamente  a  terra;  ma 
bisogna  reggerlo,  o  sospenderlo,  con  un  sostegno  dielet- 
trico, o,  come  si  suol  dire,  a  punto  per  questa  ragione, 
isolante. 

Un  elettroscopio  si  scarica  anche  se  ne  tocco,  sempli- 
cemente, la  pallina  con  la  mano.  Ciò  prova  che  il  corpo 
dell'uomo  si  comporta  come  un  buon  conduttore. 

E  per  questo  motivo  che,  quando  ho  voluto  mettere 
in  comunicazione  due  sistemi  elettrizzati,  non  ho  mai  toc- 
cato direttamente  il  conduttore  interposto,  ma  lo  sospen- 
devo, in  vece,  a  due  cordoncini  di  seta. 

Ho  accennato  da  principio  che  un  metallo  non  sì  elet- 
trizza per  strofinio,  se  non  si  prendono  delle  precauzioni 
particolari;  intendevo  dire  che  non  lo  si  può  tenere, 
senz'  altro,  in  mano,  come  si  fa  per  il  vetro  o  per  l'eba- 
nite. E  se  ne  intende  ora  il  perchè.  L'elettrizzazione,  in 
realtà,  si  produce,  ma  va  dispersa  continuamente  nel  suolo. 
Questo  è  tanto  vero,  che  si  può  ottenere  una  carica  sen- 
sibile, se  si  ha  l' avvertenza  di  unire  al  metallo,  che  si 
vuol  strofinare,  un  manico  di  vetro,  o  d'ebanite,  o  d'altra 
sostanza  dielettrica,  per  reggerlo  con  la  mano. 

§  7.  —  Abbiamo  veduto  un  momento  fa  che,  quando 


—  i6  — 

ponevo  in  comunicazione  due  elettroscopii,  dei  quali  uno 
era  carico  e  l'altro  no,  l'elettricità  passava,  almeno  in 
parte,  dal  primo  al  secondo. 

Voglio  fare  ora  un'esperienza  dello  stesso  genere,  ma 
leggermente  diversa.  Dò  ad  entrambi  gli  elettroscopii,  che 
sono  esattamente  uguali,  una  carica  positiva  ;  ma  in  modo 
che  la  divergenza  delle  foglie  sia  diversa.  Quindi  stabi- 
lisco la  comunicazione,  come  prima. 

Come  vedono,  sembra  che  dell'  elettricità  sia  passata 
da  quell'elettroscopio,  dove  la  divergenza  era  maggiore,  a 
l'altro.  In  guisa  che  ora  le  foglie  divergono  ugualmente 
nei  due  apparecchi. 

Per  due  elettroscopii  uguali,  carichi  positivamente,  la 
divergenza  delle  foglie  è  dunque  un  criterio  (*)  per  deci- 
dere del  senso,  nel  quale  si  dovrà  fare  il  trasporto  del- 
l'elettricità (positiva). 

Ma  è  facile  verificare  che  lo  stesso  criterio  vale  qua- 
lunque sia  il  segno  della  carica,  che  si  dà  a  i  due  appa- 
recchi. Vale  cioè  se  da  una  parte  e  da  l'altra  l'elettrizza- 
zione è  negativa  ;  come  pure  se  la  carica  è  positiva,  met- 
tiamo, per  l'elettroscopio  di  destra,  e  negativa  per  quello 
di  sinistra.  Solamente,  nel  fare  il  confronto,  bisognerà 
avere  l'avvertenza  di  dare  il  segno  +  o  il  segno  —  a  gli 
angoli  di  scostamento,  che  si  producono,  secondo  che  la 
carica,  nell'elettroscopio  considerato,  è  positiva  o  negativa. 

Ordinariamente  si  dice  che  due  corpi  sono  a  poten- 
ziale o  livello  elettrico  differente,  se,  riunendoli  con  un 
conduttore,  vi  è  passaggio  di  elettricità  da  uno  a  l'altro. 
E  si  dice  che  il  potenziale  è  maggiore  per  quello  dei 
due  corpi,  dal  quale  parte  l'elettricità  positiva. 


(*)  Si  intende  che  i  due  elettroscopii  devono  essere  in  comu- 
nicazione lontana,  e  lontani  da  ogni  altro  conduttore,  e  completa- 
mente liberi.  Se,  per  esempio,  tino  di  essi  fosse  circondato  da  un 
involucro  di  sostanza  conduttrice,  con  il  quale  comunicasse,  la 
divergenza  sarebbe  sempre  nulla,  per  qualunque  carica. 


—  17  — 

Da  quanto  ho  detto  innanzi  si  deduce  subito  che  la 
divergenza  delle  foglie  di  un  elettroscopio  fornisce  un 
mezzo  per  giudicare  del  potenziale,  al  quale  l'elettroscopio 
medesimo  si  trova. 

Due  elettroscopii  uguali,  posti  in  relazione  con  un  filo 
metallico,  divergono  ugualmente.  Cioè  tutti  i  punti  di  uno 
stesso  conduttore  hanno  lo  stesso  potenziale.  E  questo  si 
comprende  bene,  dal  momento  che  l'elettricità,  immedia- 
tamente dopo  il  contatto,  sembra  rimanere  in  equilibrio. 
In  un  certo  senso  si  può  dunque  dire  che  il  potenziale, 
sopra  un  conduttore,  si  propaga  da  una  regione  a  le  altre. 

11  potenziale  del  suolo  è  uguale  a  zero  ;  difatti  è  nulla 
la  divergenza  delle  foglie  in  un  elettroscopio  comunicante 
con  la  terra. 

§  8.  —  Una  stessa  carica  può  produrre  diversi  poten- 
ziali, a  seconda  del  corpo,  sul  quale  si  trova.  Ricordano 
che,  nell'esperimento  con  il  rotolo  di  stagnola,  le  paglie 
elettroscopiche  si  andavano  accostando  od  allontanando, 
a  misura  che  la  superficie  libera  cresceva  o  diminuiva. 
D'altra  parte  l'esperienza  dimostra  che  due  conduttori  di 
ugual  forma  e  grandezza  prendono  lo  stesso  potenziale, 
a  parità  di  cariche,  qualunque  sia  la  sostanza,  della  quale 
sono  formati.  In  vece  due  conduttori  diversi  di  forma 
e  di  grandezza  prendono  in  generale,  a  parità  di  cariche, 
dei  potenziali  diversi. 

Si  enuncia  un  tale  Ì2AX0 -dicendo  che  i  varii  condut- 
tori hanno,  per  regola,  delle  capacità  elettriche   differenti. 

E  si  prende  per  unità  di  capacità  la  capacitaci  una 
sfera,  avente  il  raggio  uguale  a  l' unità  di  lunghezza 
(centimetro) ,  immersa  nelV  aria,  e  lontana  da  ogni  altro 
corpo.  Si  dice  poi  che  un  conduttore  ha  la  capacità  due, 
tre,  quattro  se,  comunicandogli  2q,  jq,  4q  unità  di  quan- 
tità, esso  assume  lo  stesso  potenziale,  che  prende  la  sfera 
di  raggio  uno  con  la  carica  q. 

L'esperienza  prova  che  la  scala  così  stabilita  è  indi- 
pendente dal  valore  di  q. 


—  i8  — 

Fissata  Tunità  di  capacità  e  quella  di  quantità,  si  può 
introdurre  anche  l'unità  di  potenziale. 

Basta  prendere,  come  definizione  del  potenziale,  il 
quoziente  fra  la  carica  e  la  capacità.  Il  potenziale  uno  sarà 
dunque  //  potenziale,  che  assume  un  conduttore  di  capacità 
uno,  carico  con  l'unità  di  quantità. 

È  facile  vedere  come  si  possa  graduare  un  elettro- 
scopio. 

Matteremo  il  nostro  istrumento  in  comunicazione,  me- 
diante due  fili  sottilissimi,  con  due  palline  metalliche  di 
raggio  uno.  E  gli  daremo  una  carica  tale  che  le  due  pal- 
line, poste  di  fronte  una  a  l'altra,  nell'  aria,  ad  un  metro 
(per  esempio)  di  distanza,  si  respingano  con  una  forza  di 
un  decimillesimo  di  dina.  Segneremo  allora  l'angolo  delle 
due  foglie,  il  quale  corrisponderà  a  punto  al  potenziale  uno. 

Quindi  torneremo  a  caricare  l'elettroscopio  e  le  pal- 
line con  esso,  in  modo  che,  quando  le  si  riportano  nella 
posizione  di  prima,  esse  si  respingano  con  una  forza 
quattro  volte  maggiore.  Diremo  allora  che  il  potenziale  del- 
l'elettroscopio è  uguale  a  due  ;  e  così  di  seguito. 

Si  capisce  bene  che  questo  metodo,  che  ho  descritto, 
non  è  pratico.  Ma  basta  ad  ogni  modo  per  dimostrare  la 
possibilità  di  costruire  un  elettroscopio,  in  guisa  che  le  sue 
indicazioni  diano  direttamente  il  potenziale. 

§  9.  —  Nell'elettrizzazione  per  contatto  o  per  condu- 
zione vi  deve  essere  sempre  una  serie  ininterrotta  di  corpi 
conduttori  fra  il  sistema ,  che  agisce  e  quello,  che  riceve 
l'azione. 

Passiamo  ora  a  studiare  un'  altra  categoria  di  feno- 
meni, che  si  producono  quando  il  mezzo  interposto  è  die- 
lettrico. 

E  anzi  tutto,  avranno  veduto  parecchie  volte,  in  questa 
stessa  lezione ,  che  se ,  per  caso  ,  un  corpo  elettrizzato 
viene  a  passare  in  vicinanza  di  un  elettroscopio  scarico, 
le  foglie  di  questo  divergono. 

Se  prendiamo  ad  esaminare  con   cura  il   fatto,  ci  ac- 


—  19  — 

corgiamo  subito  di  una  particolarità  interessante.  E  di 
vero  si  osserva  che  la  divergenza  delle  foglie  dura  fino 
che  il  corpo  è  prossimo  a  l'elettroscopio  ;  ma  cessa  non  a 
pena  lo  porto  ad  una  certa  distanza. 

Ora  è  facile  trovare  quale  sia  il  meccanismo  del  fe- 
nomeno. Si  verifica  in  fatti  che,  mentre  il  corpo  agente 
(o,  come  si  dice,  Vindultore)  esercita  la  sua  azione,  esi- 
stono sul  corpo  passivo,  Vindotto,  delle  cariche  positive  e 
negative.  E  se  l'induttore  è  elettrizzato  positivamente, 
l'elettricità  negativa  si  porta  in  quelle  parti  dell'indotto, 
che  sono  più  prossime  ad  esso,  la  positiva  nelle  parti  più 
lontane;  accade  l'opposto  se  la  carica  inducente  cambia 
di  segno. 

Poi  che  l'indotto  torna  a  lo  stato  naturale,  quando  l'in- 
duttóre si  allontana,  dobbiamo  dire  che  le  due  cariche 
opposte ,  generate  sul  corpo  passivo ,  erano  uguali  in 
grandezza  (*). 

Si  studia  comodamente  il  fatto  dell' induzione,  impie- 
gando come  indotto  un  sistema  di  due  elettroscopii,  riu- 
niti da  un  filo  conduttore. 

Per  fare  l' esperienza,  prendo  quei  due  elettroscopii 
uguali,  che  ho  già  impiegato  dianzi.  E  li  collego  con  una 
verghetta  di  ottone,  munita  di  un  manico  di  vetro. 

La  verghetta  porta  a  le  estremità  due  anellini,  anche 
di  ottone,  che  stanno  in  un  medesimo  piano  con  essa  e 
fra  loro.  Tengo  i  due  elettroscopii  ad  una  distanza  tale 
che  gli  anelli  si  possano  appoggiare,  contemporaneamente, 
su  le  due  palline.  Gli  elettroscopii  e  la  verga  di  ottone 
formano  adesso  un  unico  sistema  conduttore. 


(*)  Almeno  secondo  le  nostre  convenzioni.  Che  una  certa 
quantità  di  elettricità  positiva  neutralizzi  una  certa  quantità  di  elet- 
tricità negativa,  è  un  fatto  sperimentale.  Che  le  due  quantità  in 
quistione  abbiano  la  stessa  grandezza,  è  affare  di  definiiione.  Defini- 
zione ragionevole  bensì,  perchè  l'esperienza  dimostra  che  le  quan- 
tità negative,  cosi  definite,  esercitano,  in  ogni  caso,  azioni  uguali 
di  grandezza  e  contrarie  di  segno  a  quelle  esercitate  da  le  quantità 
positive,  che  si  misurano  con  lo  stesso  numero. 


—    20   — 

Per  ora  non  vi  è  traccia  di  cariche.  E  bene,  acco- 
stiamo a  l'apparecchio  di  destra  un  bastone  di  vetro,  stro- 
finato con  il  pannolano.  Le  sue  foglie  si  aprono  immediata- 
mente ;  ma  si  aprono  anche,  ad  un  tempo,  le  foglie  nel- 
l'elettroscopio di  sinistra.  Se  togliessi  il  corpo  elettrizzato, 
ogni  segno  di  carica,  nell'indotto,  sparirebbe. 

Lasciamo  in  vece  l' induttore  al  suo  posto  ;  e  al- 
lontaniamo rapidamente  la  verghetta  di  comunicazione. 
Come  vedono,  non  vi  è  nessun  cambiamento  apparente. 
Di  qua  e  di  là  la  divergenza  delle  foglie  rimane  quella 
di  prima. 

Ma  ciò.  che  è  più  interessante,  si  è  che  ora  gli  elet- 
troscopii  continuano  ad  essere  carichi,  anche  se  rimovo 
l'induttore.  E  sono  carichi  di  elettricità  di  segno  opposto. 
Negativamente  quello  dei  due  apparecchi,  che  era  più  vi- 
cino al  vetro  elettrizzato,  e  positivamente  l'altro. 

Questo  è  d'accordo  con  ciò,  che  avevo  annunciato. 

Al  fenomeno  dell'induzione,  che  così  abbiamo  impa- 
rato a  conoscere,  è  dovuto  a  punto  il  comportamento  degli 
elettroscopii. 

Suppongano,  per  esempio,  di  aver  dato  a  l'apparec- 
chio di  misura  una  carica  positiva  ;  e  di  accostare  poi  a 
la  pallina  un  corpo,  anche  positivo.  Questo,  per  induzione, 
richiamerà  in  alto  dell'  elettricità  negativa  e  respingerà 
una  certa  quantità  di  elettricità  positiva  su  le  foglie.  In 
conseguenza  esse  divergeranno  in  maggiore  misura.  L'op- 
posto avverrebbe  se  il  corpo  inducente  avesse  una  carica 
di  nome  diverso  da  quella  dell'  elettroscopio  ;  perchè,  in 
questo  caso,  l'elettricità  indotta  tenderebbe  a  distruggere 
l'effetto  di  quella  preesistente  su  le  foglie. 

Le  leggi  quantitative  ■dell'induzione  sono  assai  com- 
plicate, in  generale.  Solamente  in  un  caso  particolare  si 
possono  ridurre  sotto  una  forma  assai  semplice.  E'  il  caso 
in  cui  l'induttore  si  trova  dentro  l'indotto,  e  questo  lo 
circonda  da  ogni  parte. 

Allora  si   dimostra,    con  alcune  semplici  esperienze. 


—   21    — 

dovute  al  Faraday  :  che  le  cariche  generate  per  induzione 
non  dipendono  dal  posto  dove  sta  l'inducente  (purché  ri- 
manga nell'interno  del  corpo,  sul  quale  agisce).  Di  più  le 
due  cariche  indotte  sono  entrambe  uguali  (in  grandezza) 
a  l'inducente. 

§  IO.  —  Sul  fatto  dell'  induzione  e  su  le  proprietà 
delle  punte  sono  fondate  le  macchine  elettriche,  apparecchi, 
che  si  impiegano  comunemente  per  produrre  delle  cariche. 
Noi  ne  adopereremo,  in  questo  corso,  di  varie  sorta,  e 
cioè  quelle  del  Ramsden,  del  Holtz  e  del  Whimshurst. 
Non  le  descrivo,  perchè  questo  ci  porterebbe  lontano  ;  e, 
d'altra  parte,  la  descrizione  di  tali  macchine  sì  può  trovare' 
in  qualunque  trattato. 

Mi  limito  a  rammentare  che  la  macchina  del  Ramsden 
fornisce  solamente  dell'elettricità  positiva  ;  in  vece  le  altre 
due,  che  ho  nominato,  danno  ad  un  tempo  cariche  posi- 
tive e  cariche  negative  (•). 

* 
«  * 

§  II.  —  Volendo  riassumere  le  cose,  che  abbiamo  ve- 
duto in  questa  prima  lezione,  ricorderò  come,  dopo  aver 
richiamato  alcuni  fatti  principalissimi  dell'elettrostatica,  ho 
stabilito  i  concetti  di  quantità,  di  potenziale  e  di  capacità, 
dei  quali  faremo  uso  continuamente  in  seguito. 

Anche  ho  fatto  un  cenno  del  fenomeno  dell'induzione 
fra  corpi  elettrizzati. 


(')  I  conduttori  sopra  i  quali,  nelle  macchine,  si  raccoglie  l'e- 
lettricità si  chiamano  poli  o  estremità  polari. 


LEZIONE  SECONDA. 

Importanza  del  dielettrico  nel  fatto  dell'induzione 
•—  Teoria  del  Mossotti  ~  Energia  di  polarizza- 
zione elettrostatica. 


§  I.  —  Uno  dei  fatti  più  notevoli,  che  dipendono  dal 
fenomeno  dell'  induzione ,  consiste  nell'  aumento,  che  su- 
bisce la  capacità  di  un  conduttore,  quando  glie  se  ne  ac- 
costa un  altro,  a  breve  distanza.  E  si  capisce  come  questo 
avvenga. 

Nel  corpo  accostato  si  inducono  delle  cariche,  le  quali 
hanno  per  effetto  risultante  di  attrarre  la  carica  inducente. 
Questa  riesce  così  meno  facile  a  muovere,  vale  a  dire  il 
suo  potenziale  si  abbassa. 

La  cosa  si  verifica  collegando  un  elettroscopio  (elet- 
trizzato) con  un  disco  metallico  isolato,  e  poi  presentando- 
a  questo  un  altro  disco  simile,  e  scarico.  La  divergenza 
delle  foglie,  nell'elettroscopio,  diminuisce  di  molto,  ciò  che 
corrisponde  a  punto  ad  un  abbassamento  del  potenziale. 

È  precisamente  in  vista  del  fenomeno,  che  ora  con- 
statiamo che,  parlando  della  capacità  dei  conduttori,  dissi 
che  si  dovevano  considerare  dei  corpi  isolati  nello  spazio,, 
o  dei  sistemi  costituiti  di  corpi  molto  lontani  gli  uni 
da  gli  altri  e  messi  in  relazione  con  fili  metallici  sottih. 

§  2.  —  Fino  ad  ora  noi  abbiamo  studiato  degli  effetti, 
che    si    producono  in  distanza,  a  traverso  a    l'aria   atmo- 


—  23  — 
sferica  ;  vogliamo    adesso    esaminare    quali    perturbazioni 
produca  nel  fenomeno  la  presenza  di  un  corpo  solido,  in- 
serito fra  l'indotto  e  l'induttore. 

Prendo  anzi  tutto  una  lastra  ampia  e  sottile  di  latta, 
che  metto  in  comunicazione  con  il  suolo,  semplicemente  te- 
nandola  in  mano.  E  la  dispongo  in  modo  da  coprire  l'elet- 
troscopio, senza  toccarlo.  Quindi  accosto  il  solito  bastone 
elettrizzato,  al  di  là  della  lastra,  per  modo  dunque  che 
da  l'elettroscopio  non  lo  si  possa  vedere. 

Ora,  accade  che  l'azione  induttrice  è  soppressa  com- 
pletamente ;  mentre  riapparirebbe,  quando  togliessi  via 
la  latta. 

Come  questo  mio  schermo  si  comporta  qualunque 
altra  lastra  di  sostanza  conduttrice.  Troviamo  dunque  una 
nuova  proprietà  dei  corpi  conduttori,  che  è  di  impedire 
le  azioni  induttive. 

La  proprietà,  di  cui  parlo,  è  veramente  peculiare  dei 
metalli  ;  perchè,  se  sostituissi  la  latta,  per  esempio,  con 
questo  largo  foglio  di  ebanite,  l' induzione  continuerebbe 
sempre  ad  esercitarsi.  È  a  punto  per  tale  motivo  che  le 
sostanze  non  conduttrici  si  chiamano  comunemente  dielet- 
triche, come  ho  già  accennato. 

§  3.  —  Il  fatto  che  la  capacità  di  un  corpo  dipende 
da  la  posizione  delle  masse  metalliche  nel  suo  intorno  è, 
secondo  ciò,  che  dicevo  da  principio,  un  fenomeno  di  in- 
duzione. Esso  fornisce  il  modo  di  studiare  un  po'  da  vi- 
cino se  e  come  la  natura  del  mezzo  dielettrico  interposto 
agisca  su  la  grandezza  delle  azioni  induttive. 

Faremo,  per  rischiarare  questo  punto,  un'  esperienza 
assai  semplice  (i). 

L'apparecchio  (fig.  2)  consta  di  tre  parti.  Vi  è  anzi 
tutto  un  conduttore  alquanto  capace,  una  sfera  d'ottone 
di  dieci  centimetri  di  diametro,  sorretta  da  una  colonnina 
di  vetro.  Quindi  un  sistema  di  due  lamine  metalliche  pa- 
rallele, delle  quali  posso  variare  agevolmente  la  distanza  ; 
fra  le  lamine  interporrò  a  suo  tempo  una  lastra  di  vetro, 


—   24  — 

appoggiandola  ad  un  telaio  disposto  a  l'uopo.  Da  ultimo 
ho  ancora  qui  un  elettroscopio  a  foglie  d'oro,  assai  sen- 
sibile. 

Con  due  fili  metallici  sottili  io  posso  riunire,  a  l'oc- 
correnza, la  sfera  con  la  prima  lamina,  e  la  seconda  lamina 
con  la  pallina  dell'elettroscopio. 


Flg.    2. 

Stabilisco,  anzi  tutto,  la  comunicazione  fra  i  due  con- 
duttori di  sinistra,  e  li  carico,  fortemente,  di  elettricità 
positiva.  Per  induzione  la  seconda  lamina  si  elettrizza  ed 
assume  un  potenziale  diverso  da  lo  zero  (e  precisamente 
positivo).  Ma  basta,  come  si  intende  subito,  che  io  la  tocchi 
con  il  dito,  perchè  il  suo  livello  elettrico  si  riduca  uguale 
a  quello  del  suolo. 

Voglio  fare  questo,  e  poi  stabilire  la  seconda  comu- 
nicazione. L'elettroscopio  non  si  muove  ;  ciò  che,  del  resto, 
si  poteva  prevedere. 

Ora,  badino,  su  la  lamina  di  destra,  vi  è  dell'elettri- 
cità negativa,  la  quale  è  immobilizzata  da  l'elettricità  po- 
sitiva, che  sta  su  la  lamina  di  sinistra.   Se  io,  in  qualche 


—  25  — 
modo,  potessi  variare  e,   per  esempio,   accrescere   questa 
carica  inducente,  avrei  da  capo  un   effetto    induttivo   e  il 
potenziale  della  seconda  lamina   salirebbe  di  nuovo  al  di 
sopra  dello  zero. 

Ma  da  che  dipende  la  carica  della  lamina  di  sinistra? 
■evidentemente  da  la  sua  capacità.  Per  vero,  sopra  il  si- 
stema formato  da  questa  prima  lamina  e  da  la  sfera  di 
ottone  vi  è  una  quantità  di  elettricità  determinata,  la  quale 
si  deve  distribuire  su  i  due  conduttori,  che  formano  il  si- 
stema, per  modo  da  produrre  in  entrambi  il  medesimo 
potenziale.  Quindi,  se  la  capacità  della  lamina,  poniamo, 
aumentasse,  dell'elettricità  dovrebbe  passare  da  la  sfera 
ad  essa. 

D'altra  parte  sappiamo  che  la  capacità  della  lamina 
di  sinistra  dipende,  fra  l'altre  cose,  da  la  presenza  della 
lamina  di  destra.  Abbiamo  dunque,  senz'altro,  un  mezzo 
per  riconoscere  se  e  come  questa  azione,  che  s'esercita 
fra  i  due  conduttori  affacciati,  dipenda  da  la  natura  del 
dielettrico. 

Basterà  che,  nel  modo  che  ho  detto  avanti,  io  inter- 
ponga la  lastra  di  vetro.  Eseguisco  ;  e  subito  le  foglie  del- 
l'elettroscopio si  aprono.  Accostando  a  la  pallina  un  ba- 
stone di  ebanite,  strofinato  con  la  pelle  di  gatto,  la  diver- 
genza diminuisce;  si  tratta  dunque  di  una  carica  positiva. 

Vuol  dire  che ,  per  l' interposizione  della  lastra  di 
vetro,  la  capacità  della  prima  lamina  si  è  accresciuta. 

Posso  ripetere  l'esperienza  in  un  modo  alquanto  di- 
verso ;  il  resultato  sarà,  naturalmente,  il  medesimo. 

Toccando  con  il  dito  la  pallina  dell'elettroscopio  riduco, 
di  nuovo,  a  lo  zero  il  suo  potenziale.  E  poi  tolgo  via  la 
lastra  di  vetro,  badando  a  non  urtare  le  lamine.  Ancora 
una  volta  le  foglie  d'oro  divergono  ;  ma  se  avvicino  adesso 
l'ebanite  elettrizzata  la  divergenza  cresce  ;  la  carica  è  dunque 
negativa.  E  deve  essere  così. 

Perchè,  portando  via  la  lastra  di  vetro,  ho  abbassato 
<li  nuovo  la  capacità  della  prima  lamina.  Quindi  una  parte 


—    26    — 

della  sua  carica  è  tornata  su  la  sfera  di  ottone.  Ciò  che 
resta  non  è  più  sufficiente  per  mantenere  su  la  seconda 
lamina  tutta  la  elettricità  negativa,  generata  per  induzione; 
quindi  il  potenziale  di  quest'  ultima  (e  dell'  elettroscopio) 
scenderà  al  di  sotto  dello  zero. 

L'esperienza  dimostra  che  tutti  i  corpi  dielettrici  agi- 
scono nello  stesso  senso  del  vetro,  benché  in  misura  dif- 
ferente. 

Si  supponga  di  avere  un  sistema  di  due  lamine  me- 
talliche, come  quello,  che  abbiamo  impiegato  dianzi  ;  e  si 
determini  la  capacità  di  una  delle  lamine,  quando  il  mezzo 
interposto  è  l'aria,  e  sia  C.  Si  determini  poi  la  capacità 
della  stessa  lamina,  sostituendo  completamente  l'aria  con 
un  altro  corpo  qualunque,  di  costante  dielettrica  K)  si 
troverà  per  valore  non  più  C,  ma  KC. 

§  4.  —  Questa  esperienza,  che  ho  fatto  ora,  basta  già 
per  mettere  in  luce  la  grande  importanza  del  mezzo  di- 
elettrico nei  fenomeni  di  induzione. 

Dal  riconoscere  che  l'effetto  induttivo  dipende  da  la 
natura  del  dielettrico  al  pensare  che  l'azione  stessa  in- 
dfuttiva  si  faccia  nel  dielettrico  e  per  il  dielettrico,  il  passo 
è  breve.  E  vi  sono  delle  buone  ragioni  per  pensare  che 
le  cose  vadano  realmente  così. 

È  noto  che  un  sistema  di  due  conduttori,  separati  in 
qualche  modo  da  uno  strato  di  sostanza  dielettrica,  come 
quello,  ad  esempio,  che  abbiamo  impiegato  or  ora,  si  suole 
indicare  con  il  nome  di  condensatore.  I  condensatori  si 
fanno  di  molte  forme  differenti. 

Spesso  hanno  l'aspetto  dì  bottiglie,  le  così  dette  bot- 
tiglie di  Leida.  Allora  il  dielettrico  è  rappresentato  dal 
vetro;  i  conduttori  o  le  armature,  come  si  chiamano  anche^ 
sono  due  fogli  di  stagnola.  Altre  volte  si  forma  un  con- 
densatore con  tre  vasi  a  tronco  di  cono,  che  entrano  uno 
nell'altro  ;  quello  intermedio  è  di  vetro,  e  gli  esterni  sono 
di  lamina  di  ottone.  A  punto  così  è  costituito  l'apparecchio, 
che  tengo  sul  tavolo,  davanti  a  me. 


—  27   — 

Si  possono  fare  con  i  condensatori  molte  esperienze 
interessanti.  Per  esempio,  scaricandoli,  si  possono  ottenere 
delle  scintille  molto  chiare  e  rumorose.  E  di  vero  è  un 
fatto  generale  questo  che,  quando  due  conduttori,  a  po- 
tenziale differente,  si  avvicinano  al  disotto  di  una  certa 
distanza  (*),  la  ricomposizione  delle  elettricità  si  fa  a  tra- 
verso al  dielettrico,  mediante  una  scarica,  che  nelle  con- 
dizioni ordinarie  ha  l'aspetto  di  scintilla. 

La  possibilità  di  ricavare  delle  scintille  da  un  con- 
densatore, in  date  circostanze,  costituisce  un  criterio  per 
giudicare  dell'esistenza  di  una  carica  su  le  armature  del 
condensatore  medesimo.  Di  questo  criterio  ci  serviremo 
spesso. 

Voglio  fare  ora  un'esperienza  servendomi  dell'appa- 
recchio tronco- conico,  che  ho  già  descritto. 

Anzi  tutto  lo  carico.  Per  questo  metto  a  terra,  cioè 
in  comunicazione  con  il  suolo,  l'armatura  esterna,  tenen- 
dola con  la  mano,  e  pongo  l' altra  armatura  in  contatto 
con  il  conduttore  di  una  macchina  del  Ramsden  in  azione. 

Quindi  colloco  il  conduttore  sopra  un  sostegno  iso- 
lante, e  separo  uno  da  l'altro  i  tre  vasi,  di  cui  è  formato. 
E  chiaro  che  le  armature,  se  anche  avevano  una  carica, 
ora  non  la  possono  più  avere  ;  in  vece  potrebbe  essere 
elettrizzato  il  dielettrico.  Mi  persuado  che  la  cosa  sta  ve- 
ramente così,  accostandolo  ad  un  elettroscopio  ;  le  foglie 
dell'apparecchio  di  misura  accusano  una  divergenza  molto 
chiara. 

E  bene,  ricomponiamo  ora  il  condensatore,  e  vediamo 
se  sia  possibile  cavarne  delle  scintille.  A  tale  uopo  prendo 
un  filo  metallico,  piegato  ad  arco,  e  munito  di  paUine  a  le 
estremità,  e  lo  pongo  in  contatto,  da  una  parte,  con  l'ar- 
matura estema.  E  poi  accosto  la  pallina  dell'altro  estremo 
a  l'armatura  interna.  Quando  sono  giunto  ad  una  distanza 
di  pochi  millimetri,  si  produce  una  scintilla  assai  chiara  e 
robusta. 


(*)  Che  dipende  da  la  differenza  dei  loro  poteoziali. 


—    28    — 

Vuol  dire  dunque  che  ciò  che  importa  nel  condensa- 
tore è  l'elettrizzazione  del  dielettrico  ;  in  tanto  le  armature 
appariscono  cariche  in  quanto  sono  a  contatto  con  le  faccie 
opposte  del  dielettrico  elettrizzato. 

§  5.  —  Come  tutte  queste  cose  avvengano  si  può  con- 
cepire in  diversi  modi.  Abbiamo  in  fatti  varie  teorie  del- 
l'induzione elettrostatica,  che  permettono  di  intendere  la 
parte,  che  il  dielettrico  prende  nella  produzione  del  fe- 
nomeno. 

Fra  queste  la  più  antica  e  la  più  semplice  si  deve  ad 
un  fisico  italiano,  il  Mossotti.  E  voglio  farne  un  cenno. 

Il  Mossotti  supponeva  che  ogni  mezzo  dielettrico  fosse 
■costituito  da  tanti  elementi  (che  ci  possiamo  raffigurare  in 
forma  di  aghetti)  di  natura  metallica,  immersi  in  una  so- 
stanza cattiva  conduttrice.  Le  cose  sarebbero  ordinate  per 
modo  che  due  aghetti  non  possano  mai  venire  diretta- 
mente a  contatto.  Quando,  per  una  ragione  qualunque,  in 
un  dato  punto  dello  spazio,  si  produce  una  forza  elettrica, 
vale  a  dire  una  causa,  che  tende  a  muovere  in  un  senso 
determinato  l'elettricità  positiva,  e  nel  senso  opposto  la 
negativa  (*),  gli  aghetti,  che  si  trovano  nell'  intorno,  si 
disporranno  secondo  la  direzione  della  forza,  e  assume- 
ranno a  le  due  estremità  delle  cariche,  uguali  di  grandezza 
€  contrarie  di  segno. 

Non  a  pena  alcuni  elementi  si  siano  polarizzati  in 
<luesto  modo,  qualcosa  di  simile  avverrà  anche  in  altri 
punti,  man  mano  più  lontani,  sicché  la  forza  elettrica  si 
propagherà  nel  mezzo. 

Dei  corpi  conduttori  poi  il  Mossotti  ammetteva  che  in 
essi  non  gli  aghi  soltanto,  ma  anche  la  sostanza,  nella 
quale  sono  immersi,  sia  capace  di  condurre  l' elettricità. 
Quindi  nell'interno  di  un  conduttore  la  polarizzazione  po- 


(*)  Propriamente  si  suol  chiamare  for^a  elettrica  in  un  punto 
dello  spazio  la  forza,  che  agirebbe  in  quel  punto  sopra  un  piccolo 
corpo,  recante  l'unità  di  qtiautità  (positiva). 


—   29  — 

irebbe  bensì  prodursi,  ma  non  pptrebbe  sussistere,  e  so- 
lamente la  superficie  riceverebbe  una  carica  ;  come  avviene 
in  realtà. 

Dell'ipotesi  più  importante  di  questa  teoria,  secondo 
la  quale  gli  aghi  conduttori  si  devono  disporre  dovunque 
nella  direzione  della  forza  elettrica,  si  può  dare  con  tutta 
facilità  una  verifica  sperimentale. 

È  destinato  a  punto  ad  una  simile  verifica  l'apparec- 
chio, che  vedono  qui  (fig.  3). 

Esso  consta  essen- 
zialmente di  una  larga 
lastra  di  latta ,  con  i 
vertici  arrotondati,  sor- 
retta da  un  sostegno 
isolante.  Davanti  a  que- 
sta lastra,  in  bilico  sopra 
una  punta,  sta  un'astic- 
ciuola  di  ottone,  termi- 
nata da  due  palline. 

Collego  metallica- 
mente la  lamina  di  latta 
con  il  conduttore  di  una 
macchina  elettrica ,  e 
faccio  agire  quest'  ul- 
tima. Subito  r  astic- 
ciuola  mobile  si  dispo- 
ne normalmente  al  pia- 
no della  lastra  ;  ed  è 
chiaro  che  a  punto  così  deve  essere  diretta,  in  quella 
regione  dello  spazio,  la  forza  elettrica. 

Del  resto  la  teoria  del  Mossotti  acquista  un  certo  grado 
di  accettabilità  da  la  circostanza  che,  in  base  ad  essa,  si 
possono  prevedere  taluni  curiosi  fenomeni,  a  i  quali  dà 
luogo  la  carica  di  un  condensatore. 

Suppongano  in  fatti  di  considerare  un  sistema  di  due 
lastre  parallele,  affacciate  a   breve   distanza  e   cariche  di 


Fig-  3- 


—  30  — 

elettricità  opposte.  Per  ragioni  di  simmetria  si  capisce  che, 
almeno  nella  parte  di  mezzo,  la  forza  elettrica  sarà  per- 
pendicolare a  la  giacitura  delle  armature. 

Due  aghetti,  che  si  trovino  nel  dielettrico,  sopra  uno 
stesso  piano,  appartenente  a  quella  giacitura ,  staranno 
dunque  normali  a  le  lastre  e  paralleli  fra  loro.  Ma,  avendo 
le  estremità,  che  guardano  da  una  medesima  parte,  cariche 
dello  stesso  segno,  i  due  aghetti  tenderanno  ad  allonta- 
narsi uno  da  l'altro. 

La  cosa  si  verifica  subito  con  questa  semplice  dispo- 
sizione, che  realizza,  per  quanto  è  possibile,  le  condizioni 
supposte  da  la  teoria.  Si    tratta,   come  vedono  (fig.  4),  di 


due  piatti  di  zinco,  paralleli,  e  portati  da  un  medesimo  so- 
stegno isolante. 

Al  sostegno  stesso,  per  mezzo  di  un  braccio  e  di  due 
fili  di  seta,  è  affidata  una  bacchettina  sottile  di  vetro,  che 


_  31  — 

regge,  a  l'estremità,  un  cilindretto  di  ottone.  L'apparecchio 
è  disposto  in  modo  che  questo  cilindro  viene  a  trovarsi 
fra  le  due  armature,  ed  è  normale  ad  entrambe. 

Un  altro  cilindretto  simile,  portato  anche  da  una  bac- 
chetta di  vetro,  tengo  in  mano,  ed  accosterò,  a  suo  tempo, 
a  quel  primo. 

Carichiamo  il  condensatore,  ponendo  a  terra  una  del- 
le armature  ed  elettrizzando  l'altra.  Con  questo  il  cilindro 
sospeso  si  sarà  polarizzato.  E  bene  accostiamogli  ora,  pa- 
rallelamente, l'altro  cilindretto.  Come  vedono  si  produce 
una  repulsione  assai  vivace  ;  d'accordo  con  quello,  che 
avevamo  preveduto. 

Tradotto  in  altre  parole  questo  resultato  significa  che, 
quando  un  dielettrico  si  elettrizza,  esso  viene  stirato  nor- 
malmente a  la  direzione  della  forza  elettrica. 

Andiamo  innanzi  e  consideriamo  ciò  che  deve  avve- 
nire fra  due  aghetti  allineati  sopra  una  retta  perpendico- 
lare a  le  armature.  Poi  che  le  estremità  affacciate  hanno 
cariche  di  nome  contrario,  i  due  aghetti,  manifestamente, 
si  devono  attrarre.  Arriviamo  dunque  ad  un'  altra  conclu- 
sione, che,  per  la  sua  semplicità,  non  ha  nemmeno  bisogno 
di  verifica  sperimentale  ;  troviamo  cioè  che  un  dielettrico 
elettrizzato  è  soggetto  a  compressione  secondo  la  dire- 
zione della  forza. 

Se  tutte  queste  conseguenze  della  teoria  sono  atten- 
dibili, ci  dobbiamo  aspettare  che  una  bottiglia  di  Leida, 
quando  si  carica,  aumenti  di  capacità  (*). 

Ora  questo  fatto  fu  posto  in  chiaro,  molti  anni  or 
sono,  dal  Covi  (2),  e  non  è  difficile  verificarlo. 

Nel  condensatore,  che  impiegheremo  per  fare  l'espe- 
rienza (fig.  5) ,  il  dielettrico  è  costituito  da  una  bottiglia 
di  vetro  ;  l' armatura  esterna  è  un  cilindro  di  lamina  di 
ottone. 

Quanto   a  l'armatura  interna  essa   manca,  o,   meglio, 

(*)  Di  volume. 


_  32  — 

è  rappresentata  dal  liquido,  che  riempie  la 
bottiglia.  Si  tratta  nel  caso  nostro  di  acqua, 
tinta  in  rosso  con  un  colore  d'anilina. 

La  bottiglia,  a  la  parte  superiore,  è  chiusa 
ermeticamente  con  un  tappo  ;  per  modo  che 
non  resti  aria  nell'interno,  ma  il  liquido  riempia 
tutta  la  cavità. 

A  traverso  al  tappo  passa  anzi  tutto  un 
conduttore,  munito  di  palline  a  i  due  capi,  il 
quale  serve  per  caricare  1'  apparecchio  ;  e  poi 
un  tubo  capillare,  aperto  a  gli  estremi.  In  que- 
sto entra  l' acqua  tinta ,  e  sale  fino  ad  una 
certa  altezza. 

Ogni  variazione  del  volume  interno  della 
bottiglia  si  traduce  in  uno  spostamento  del- 
l' indice  liquido,  nel  tubo  capillare.  Basta,  per  esempio, 
che  io  stringa  il  condensatore  con  le  mani,  perchè  la  co- 
lonnina d'acqua  accenni  sensibilmente  a  salire. 

Per  vero  questi  spostamenti  sono  sempre  assai  piccoli, 
e  con  difficoltà  si  potrebbero  vedere  bene  a  distanza.  Ri- 
paro a  l'inconveniente  proiettando  un'imagine  ingrandita 
del  tubo  capillare,  sopra  uno  schermo  bianco. 

Mi  valgo  a  l'uopo  di  una  lanterna  di  proiezione.  È 
un  apparecchio,  del  quale  mi  servirò  spesso  in  queste  mie 
lezioni. 

La  lanterna  (fig.  6),  in  cui  brucia  un  lume  Auer,  a 
gas  e,  illumina  vivacemente  il  tubetto  capillare,  unito  a  la 
boccia  di  Leida.  Una  lente  biconvessa  fornisce  quindi  di 
quest'ultimo  una  imagine  reale,  capovolta  e  ingrandita,  che 
raccolgo  sopra  uno  schermo  di  tela  bianca  umida  (*). 

Qui  l'indice  appare  come  una  colonna  rossastra,  larga 
parecchi  centimetri,  occupando  la  parte  superiore  di  quel 
tratto  del  tubo  capillare,  che  si  proietta  nel  campo  illu- 
minato 

(*)  Si  confronti  la  figura  6i,  nella  quale  è  rappresentata  una 
disposizione,  simile  in  tutto  a  quella,  che  qui  si  descrive. 


—  33  — 

Carichiamo  la  bottiglia  di  Leida.  Mentre  l'operazione 
si  fa ,  la  colonna  liquida  si  va  alzando,  lentissimamente  ; 
ciò  che  corrisponde  a  punto  ad  un  aumento  della  capa- 
cità interna,  occupata  da  l'acqua. 

Ma  forse  questo  movi- 
mento, così  poco  rapido,  non 
ha  potuto  essere  bene  av- 
vertito da  tutti. 

Si  vede ,  in  vece ,  con 
grande  nettezza ,  che  la  boc- 
cia si  restringe  ad  un  tratto 
quando,  provocandosi  la  sca- 
rica, cessa  la  polarizzazione 
del  dielettrico.  Per  vero  ,  se 
cavo  da  la  bottiglia  una  scin- 
tilla, nel  solito  modo,  l'indice 
rosso,  su  lo  schermo,  scende 
istantaneamente  di  parecchi 
centimetri.  E  torna  press' a 
poco  a  la  posizione,  che  oc- 
cupava da  principio. 

Con  questo  è  provato  a 
sufficienza  il  fatto^  che  avevo 
annunciato  ;  fatto,  al  quale  si 
dà  per  solito  il  nome  di  elet- 
trostriziotie  (*). 

§  6.  —  Sappiamo  da  la 
meccanica  che  a  la  deforma- 
zione di  un  sistema  elastico 
corrisponde  sempre  la  pre- 
senza   di   una   certa    quantità   di    energia   potenziale.    Di 


(*)  Con  il  fenomeno  dell'elettrostrizione  sono  collegati,  in  certo 
modo,  quelli  della  piesoelettricità  e  della  piroelettricità.  I  quali  con- 
sistono nello  sviluppo  di  cariche  elettriche,  che  si  può  osservare  in 
certi  cristalli,  assoggettati  a  compressione  e  riscaldamento. 


—  34  — 
energia,  cioè,  la  cui  esistenza  non  si  rivela  direttamente  a 
l'esterno,  ma  si  può  dedurre  dal  fatto  che,  cessando  la 
deformazione,  il  sistema  è  capace  di  produrre  un  certo 
lavoro,  o  di  fornire  una  quantità  di  calore,  o  di  provocare 
qualunque  altro  fenomeno,  che  esiga  il  consumo  di  lavoro 
o  di  calore. 

Abbiamo  il  diritto  di  aspettarci  che  qualche  cosa  di 
questo  genere  si  verifichi  quando  si  scarica  un  conden- 
satore. E  in  realtà  avviene  così. 

Quanto  a  la  produzione  di  calore  si  può  ritenerla 
come  dimostrata  indirettamente  dal  fenomeno  della  scin- 
tilla ;  perchè  si  sa  che,  di  regola,  uno  sviluppo  di  luce  è 
accompagnato  da  un  aumento  di  temperatura. 

Si  può  darne,  del  resto, 
una  prova  diretta  con  un 
piccolo  apparecchio ,  che 
dal  suo  inventore  ,  il  Vii- 
lari  ,  fu  chiamato  termo- 
metro a  scintille  (3). 

E',  in  sostanza ,  un  pal- 
lone   di    vetro,  a  tre    colli 

(fig.  7)- 

Due  di  questi  sono  chiusi 
da  tappi ,  attraverso  a  i 
quali  passano  dei  condut- 
tori, muniti  di  palline  ;  il 
terzo  si  prolunga  in  un 
tubo  capillare. 

Il  pallone  è  capovolto  sopra  un  bicchiere,  nel  quale 
sta  un  miscuglio  d'acqua  e  glicerina,  tinto  in  rosso  nel 
modo  ordinario.  Qui  dentro  viene  a  pescare  il  tubetto 
sottile. 

Scaldando  con  una  fiamma  il  matraccio,  se  ne  fanno 
uscire  alcune  bolle  d'aria;  per  modo  che,  quando  l'appa- 
recchio ritorna  a  la  temperatura  dell'ambiente,  il  liquido 
salga  nel  capillare,  fino  a  la  metà  della  sua  altezza,  a 
l'in  circa. 


Fig.  7. 


—  35  — 

Ogni  aumento  di  temperatura  nell'interno  del  pallone 
<ià  luogo,  come  si  intende  subito,  ad  un  abbassamento  del- 
l'indice glicerico.  O,  se  vogliono,  ad  un  moto  verso  l'alto 
■della  sua  imagine,  proiettata  con  la  lanterna  su  lo  schermo. 

E  bene,  provochiamo  due  o  tre  volte,  a  traverso  l'in- 
tervallo, che  resta  fra  le  palline,  la  scarica  di  un  conden- 
satore. Appare  subito  quello  che  si  attendeva,  cioè  la  co- 
lonna rossa  si  sposta  verso  la  parte  superiore  del  campo. 

Anche  possiamo  vedere  facilmente,  con  quest'altro  ap- 
parecchio (fìg.  8;  (*).  come  un  condensatore,  scaricandosi. 


Fig.  8. 

sia  capace  di  produrre  un  lavoro.  Propriamente  si  ottiene 

qui  di  imprimere  un  movimento  ad  un  sistema  materiale  (4). 

Si  tratta  di  due  dischi  di    ebanite,  tenuti   insieme  da 

un  asse  e  da   dodici   colonnine   anch'  esse   di   ebanite.  A 


(*)  La  figura  rappresenta  una  sezione  dell'  apparecchio  in  di- 
scorso, fatta  con  un  pinao  normale  a  1'  asse  di  rotazione  nel  suo 
punto  di  mezzo. 


-   36- 

brevissima  distanza  da  l'orlo  dei  dischi,  e  parallelamente 
a  le  colonnine,  sono  disposti  due  cilindretti  di  ottone,  dei 
quali  uno  sta  alquanto  più  in  alto  dell'  asse ,  e  1'  altro,  in 
vece,  un  poco  al  di  sotto.  Questi  cilindretti  sono  collegati 
metallicamente  a  due  pezzi  in  forma  di  pera.  Su  i  quali 
appoggierò  più  tardi  delle  asticine  conduttrici,  comunicanti 
con  le  armature  interne  di  due  boccie  di  Leida. 

Per  caricare  i  condensatori  io  metto  a  punto  le  loro 
armature  interne  in  contatto  con  le  estremità  polari  di  una 
macchina  del  Wimshurst,  con  due  conduttori  dunque, 
elettrizzati  di  segno  contrario.  Quanto  a  le  armature  esterne 
esse  sono  riunite  metallicamente  fra  loro. 

Ora  stabilisco  le  comunicazioni,  a  le  quali  ho  accen- 
nato. E  con  la  mano  tengo  fermo  il  sistema  dei  due  dischi 
di  ebanite.  Frattanto  un  aiuto,  ponendo  in  azione  la  mac- 
china elettrica,  carica  le  bottiglie. 

Quando  mi  sembra  che  i  condensatori  debbano  tro- 
varsi in  condizioni  opportune,  faccio  sospendere  il  movi- 
mento della  macchina  e  lascio  liberi  i  dischi. 

Come  vedono,  essi  cominciano  a  girare  ;  e  la  rotazione 
si  mantiene  per  qualche  minuto.  Se  aspettiamo  che  si  ar- 
restino ,  e  poi  cerchiamo  di  cavare  delle  scintille  da  le 
botti'glie ,  troveremo  che  non  conservano  più  una  carica 
sensibile. 

L'elettrizzazione  del  dielettrico,  dunque,  è  scomparsa,, 
e  nel  frattempo  si  realizzava  una  certa  quantità  di  forza 
viva. 

Così  abbiamo  una  prova  novella  dell'esistenza  di  una 
specie  particolare  di  energia  potenziale,  a  la  quale  si  po- 
trebbe dare  il  nome  di  energia  di  polarizzazione  elettro- 
statica. 

§  7.  —  Una  volta  che  abbiamo  riconosciuto  come  le 
forze  elettriche  generino  nei  corpi  cattivi  conduttori  certe 
speciali  deformazioni,  è  ovvio  pensare  che  il  fatto  stesso' 
dell'elettrizzazione  sia  collegato  intimamente  con  quelle 
deformazioni. 


—  37  — 

E  poi  che  si  tratta  di  fenomeni  simili  in  tutto  a  quelli 
che  le  forze  ordinarie  (meccaniche)  producono  nelle  so- 
stanze elastiche,  ci  possiamo  aspettare  che  si  verifichi  una 
certa  analogia  fra  i  fatti  dell'elasticità  e  quelli  della  pola- 
rizzazione elettrostatica. 

Questo  è,  veramente,  il  modo  nel  quale  suole  proce- 
dere il  nostro  spirito,  per  formare  le  scienze  di  osserva- 
zione. Noi  raccogliamo  da  prima  una  serie  di  fenomeni  sotto 
una  medesima  ipotesi  ;  e  poi,  da  l'ipotesi  stessa,  deduciamo 
la  possibilità  di  nuovi  fatti.  Verificando  i  quali  si  raggiunge 
una  più  profonda  cognizione  delle  cose,  e  si  intravede 
spesso  un  modo  più  perfetto  d'intenderle.  Quindi  nasce 
l'idea  di  altre  ricerche  sperimentali,  e  così  di  seguito,  a 
l'infinito. 

Nel  caso,  che  ci  oc- 
cupa, il  ravvicinamento 
fra  i  fenomeni  dell'elet- 
trizzazione e  quelli  del- 
l'elasticità suggerisce  a 
punto  alcune  esperienze 
interessanti.  E ,  per  e- 
sempio,  si  riesce  ad  ot- 
tenere un  fatto ,  che 
corrisponde  a  quello 
dell'elasticità  susse- 
guente. 

Mi  spiego.  Ho  sospe- 
so ad  un  uncino ,  per 
una  sua  estremità,  un 
tubo  di  gomma  (fig.  9), 
il  quale,  a  l'altro  estre- 
mo, porta  un  indice  o- 
rizzontale.  Questo  indice  si  può  spostare  sopra  una  scala 
graduata,  e,  al   presente,   segna  su  di  essa  lo  zero. 

Con  la  mano  stiro  il  tubo  di  gomma,  e  lo  allungo  di 
una  decina  di  centimetri,  e  lo  tengo    per   un  certo  tempo 


-38- 

nella  nuova  posizione.  Quindi  Io  abbandono  a  sé.  Esso  sì 
contrae  e  si  raccorcia,  ma  non  torna  esattamente  nelle  con- 
dizioni di  prima.  L'indice  rimane  ora  più  basso  di  una  di- 
visione a  l'in  circa.  E  si  va  alzando  solo  con  grande  len- 
tezza, così  da  ritrovarsi  a  lo  zero  fra  una  mezz'ora  o* 
poco  più. 

In  vece  di  condurre  l'esperienza  in  questo  modo,  io  la 
potrei  fare  diversamente.  Potrei  trattenere  il  tubo  nella 
posizione  attuale,  e  rilasciarlo  libero  dopo  qualche  minuto^ 
Allora  avrei  di  nuovo  un  piccolo  scatto  e  uno  sbalzo  re- 
pentino nelle  indicazioni  dell'  indice.  E  così  via. 

E  bene,  dei  fatti  simili  in  tutto  a  questi  si  osservano 
durante  la  scarica  di  una  bottiglia  di  Leida. 

Stirare  il  tubo  di  gomma  e  mantenerlo  nello  stato  di 
deformazione,  è  caricare  il  condensatore  e  tenere  isolate 
una  da  Taltra  le  sue  armature. 

Abbandonare  a  sé  il  tubo  elastico,  vuol  dire  provocare 
la  scarica. 

Lasciare  che  l'indice  torni  lentamente  a  lo  zero,  signi- 
fica tener  collegate  le  due  armature. 

Arrestare  l'estremo  inferiore  nella  nuova  posizione  e 
rimetterlo  in  libertà  dopo  qualche  tempo,  importa  di  in- 
terrompere il  contatto  a  pena  la  scarica  é  avvenuta,  e  cer- 
care poi  di  ottenere  da  capo  delle  scintilline. 

In  realtà  Tesperienza  riesce  e  da  una  bottiglia  di  Leida: 
si  possono  cavare,  una  dopo  l'altra,  ad  intervalli  un  po' gran- 
di, cinque  o  sei  scintille,  che  diventano  man  mano  più  deboli^ 


* 

*  * 


§  8»  —  In  questa-lezione  dunque ,  procedendo  nello 
studio  dei  fenomeni  di  induzione,  abbiamo  avuto  campo 
di  rilevare  la  parte,  che  prendono  in  essi  le  sostanze  die- 
lettriche. 

Abbiamo  veduto  come  in  codesti  corpi  l'elettrizzazione 

sia  accompagnata  da  deformazioni.  E  ci  è  riuscito  di  mo- 
strare che  il  fenomeno  stesso  della  polarizzazione  dielet- 
trica ha  dei  tratti  comuni  con  quelli,  che  si  originano  da 
l'elasticità. 


LEZIONE  TERZA. 

Movimento  dell'elettricità  a  la  superficie  dei  die- 
lettrici ;  e  nell'interno  dei  conduttori  solidi,  li- 
quidi ed  aeriformi. 

§  I.  — Nelle  lezioni  passate  ho  discorso  sempre  dei  fe- 
nomeni offerti  da  le  cariche  elettriche  in  equilibrio;  e  se, 
per  caso,  si  parlava  di  movimenti  deir  elettricità,  noi  ba- 
davamo piuttosto  a  le  conseguenze  del  moto,  una  volta 
compiuto,  che  non  a  i  fatti,  che  lo  accompagnano. 

Oggi  vogliamo  esaminare  un  po'  da  vicino  quest'altra 
quistione,  e  ci  occuperemo  anzi  tutto  di  ciò,  che  accade 
quando  una  carica  si  sposta  a  la  superficie  di  un  corpo 
dielettrico, 

10  prendo  un  disco  di  ebanite,  foderato  di  stagnola 
sopra  una  delle  faccie,  e  lo  dispongo  orizzontalmente,  per 
modo  che  rimanga  in  basso  lo  strato  conduttore.  Metto 
quest'ultimo  in  comunicazione  con  il  suolo.  E,  poi  sopra 
l'ebanite,  in  direzione  verticale,  fisso  con  un  sostegno  un 
lungo  ago  di  acciaio,  con  la  punta  a  l'in  giù,  e  una  pallina 
metallica  a  l'estremo  superiore  (*). 

11  sostegno  è  di  tale  altezza  che  la  punta  dell'ago  viene 
a  sfiorare  la  superficie  dell'ebanite. 


(*)  La  disposiziune  attuale  ha  una  certa  somiglianza  con  quella 
della  figura  12. 


—  4°  — 

Ora  carico  una  bottiglia  di  Leida,  nel  solito  modo,  te- 
nendola in  mano,  per  1'  armatura  esterna.  E ,  per  precau- 
zione, metto  a  terra  l'armatura,  oltre  che  con  il  mio  corpo, 
ancora  con  una  catenella  di  rame.  Quindi  avvicino  il  bot- 
tone del  condensatore  a  l'altro,  che  termina  l'ago  di  acciaio. 
Quando  la  distanza  è  divenuta  abbastanza  piccola,  passa 
fra  le  due  palline  una  scintilla.  L'ago  adunque  riceve  una 
carica.  Ma  questa,  come  sappiamo,  va  subito  dispersa  per 
la  punta  ;  e  si  distribuisce  su  la  superficie  dell'ebanite. 

Per  vedere  come  la  distribuzione  avvenga,  si  fa  uso 
di  un  artifizio,  che  serve  in  molti  altri  casi.  E  cioè  si  pro- 
ietta sul  disco,  con  un  soffietto,  un  miscuglio  di  polveri  di 
zolfo  e  minio. 

II  soffietto  è  chiuso,  a  l'orifizio,  con  uno  strato  di  garza, 
a  maglie  molto  fitte,  così  che  le  due  polveri,  nell'uscire  si 
debbono  strofinare  vivamente  una  contro  l'altra.  E  per  tal 
modo  si  elettrizzano.  Lo  zolfo  diviene  negativo  e  il  minio, 
in  vece,  positivo. 

Quindi  se  a  la  superficie  dei  corpi,  su  i  quali  il  miscu- 
glio va  a  cadere,  esistono  delle  cariche,  queste  attrarranno 
di  preferenza  una  delle  due  sostanze ,  e  però  le  regioni 
corrispondenti  appariranno  tinte  di  un  colore,  che  dipende 
dal  segno  dell'elettrizzazione. 

Saranno  gialli  i  tratti  positivi  e  rossi ,  in  vece,  i  ne- 
gativi. 

Ma  anche  se  vi  fossero  solo,  qua  e  là,  dei  punti  po- 
sitivi, e  il  rimanente  del  corpo,  che  si  studia,  fosse  scarico, 
le  regioni  e.ettrizzate  apparirebbero  pur  sempre  tinte  del 
loro  colore  caratteristico,  assumendo  Taltro  colore  i  tratti 
neutri. 

Nel  caso  nostro,  se  proietto  il  miscuglio  nel  modo  che 
ho  indicato,  si  ottiene  una  bellissima  figura  a  stella,  costi- 
tuita da  molti  tratti  a  zig-zag,  che  diramano  tutti  da  quel 
punto,  sul  quale  si  appoggia  l'ago  di  acciaio.  Questa  figura 
spicca  in  giallo  sul  fondo  rosso. 

In  realtà,  avendo  caricato  la  bottiglia  di  Leida  con  la 


—  41  — 

macchina  del  Ramsden,  l'armatura  interna  doveva  essere 
elettrizzata  positivamente,  e  però  doveva  essere  anche  po- 
sitiva l'elettricità,  che  è  sfuggita  da  la  punta.  Acquistiamo 
così  un'idea  del  modo  come  si  muove,  su  la  superficie  del- 
l'ebanite,  una  carica  col  segno  4-,  la  quale  si  irradii,  a 
partire  da  un  centro. 

Se  in  vece  di  un  disco  di  ebanite  avessi  impiegato 
un'  altra  sostanza  dielettrica  qualunque ,  la  forma  della 
figura  non  avrebbe  cambiato  per  nulla  ;  sì  bene  la  gran- 
dezza. Sopra  una  lastra  di  vetro,  per  esempio,  si  ottengono 
delle  stelle  assai  più  piccine. 

Vogliamo  adesso  ripetere  l'esperienza,  conservando  in 
tutto  le  disposizioni  di  prima,  ma  sostituendo  solamente  a 
l'elettricità  positiva  la  negativa. 

A  tal'uopo  io  carico  la  bottiglia  di  Leida  tenendola  per 
il  bottone  ,  in  vece  che  per  1'  armatura  esterna ,  ed  acco- 
stando quest'ultima  al  conduttore  della  macchina. 

Come  la  carica  è  avvenuta,  io  depongo  il  condensatore 
sopra  un  sostegno  isolante,  lo  abbandono,  e  poi  lo  ri- 
prendo; afferrandolo  questa  volta  per  l'armatura  esterna. 

E  adesso  sono  pronto  per  fare  la  nuova  esperienza. 
Solamente  voglio  ancora  scambiare  il  disco  di  ebanite,  con 
un  altro  simile  in  tutto,  ed  affatto  scarico. 

Produco,  come  prima,  refflusso  per  la  punta  e  proietto 
il  miscuglio. 

Come  vedono,  le  cose  mutano  assai  di  apparenza,  e 
in  luogo  di  una  stella,  si  ottiene  ora  una  figura  tondeg- 
giante; nella  quale  predomina  il  colore  rosso,  caratteristico 
dell'elettricità  negativa.  Questa  figura  è  assai  meno  grande 
e  meno  chiara,  e  per  tutti  i  rispetti  meno  bella,  dell'altra, 
che  avevamo  ottenuto  dianzi. 

Sembra  che  si  possa  dedurre  di  qui  che  il  movimento 
dell'elettricità  negativa,  a  la  superficie  dei  dielettrici  si  fa 
con  leggi  differenti  da  quelle,  che  regolano  il  moto  delle 
cariche  positive. 

Queste  figure,  che  abbiamo  ottenuto,  sono  note  con  il 
nome  di  figure  del  Lichtenberg. 


—  42  — 

Mi  sembra  che  non  sia  il  caso  di  insistere  troppo  su 
l'argomento;  piuttosto  passiamo  a  lo  studio,  ben  altrimenti 
interessante,  dei  fenomeni  di  conduzione. 

§  2.  —  Sanno  già  che  il  fatto  della  conduzione  si 
verifica  ogni  volta  che  un  corpo  conduttore  riunisce  due 
sistemi  a  potenziale  differente. 

Una  delle  cjuistioni  più  fondamentali,  che^si  possano 
fare  in  proposito,  è  quella  della  distribuzione  del  livello 
elettrico  lungo  il  corpo,  percorso  da  l'elettricità. 

Cercheremo  di  risolvere  sperimentalmente  il  problema. 
Sopra  due  sostegni  isolanti  ho  disposto  (fig.  io)  un  bastone 


a-<>ft 


BH 

^H 

H 

•^^^1 

UH 

't 

^M^ 

Fig.  IO. 

di  legno  di  castagno,  il  quale  conduce  mediocremente,  Jma 
pure  conduce  l'elettricità. 

Uno  degli  estremi  di  questo  bastone  Io  collego,  con 
una  catenella,  al  conduttore  della  macchina  del  Ramsden  ; 
e  l'altro  estremo,  anche  con  una  catenella ,  lo  metterò  a 
suo  tempo  in  comunicazione  con  il  suolo. 

Per  avere  poi  un'  idea  del  modo  come  si  distribuisce 
il  potenziale,  ho  fissato,  lungo  il  conduttore,  quattro  elet- 
troscopii.  Sono  semplici  aste  di  ottone,  ricurve,  che  reggono 
altrettante  palline  di  midollo  di  sambuco,  sospese  con  fili 
di  cotone. 

Mettiamo  in  movimento  il  disco  della  macchina.  Si 
produce  dell'  elettricità,  la  quale  invade  anche  il  bastone. 


—  43  — 

I  quattro  elettroscopii  si  comportano  tutti  ad  un  modo. 
E  questo  va  d'  accordo  con  quello  che  già  sappiamo.  Vi 
deve  essere  in  fatti  dovunque,  sul  nostro  sistema,  uno  stesso 
livello  elettrico. 

E  bene,  stabiliamo  il  contatto  con  la  terra.  Le  cose, 
subito,  cambiano  assai. 

Come  vedono  i  quattro  elettroscopii  danno  ora  delle 
indicazioni  differenti.  Quello  più  vicino  a  la  macchina  di- 
verge molto  ;  ma  negli  altri  la  divergenza  è  via  via  mi- 
nore ,  fino  a  r  ultimo  ,  che  è  a  pena  spostato  da  la  sua 
posizione  di  riposo. 

Dobbiamo  dunque  concludere  che  il  potenziale,  lungo 
un  conduttore  percorso  da  T  elettricità,  va  decrescendo  in 
modo  continuo. 

Se  facessimo  delle  misure  un  po'  esatte  troveremmo 
che,  nel  caso  nostro,  la  caduta  avviene  uniformemente.  Mi 
spiego.  Suppongano  di  alzare  nei  punti  del  conduttore 
(del  bastone)  dei  segmenti  rettilinei,  tutti  paralleli  fra  loro^ 
e  proporzionali  a  i  potenziali,  che  esistono  in  quei  punti. 
Le  estremità  di  questi  segmenti  si  verrebbero  a  trovare 
sopra  una  medesima  linea  retta. 

L'esperienza  dimostra  ancora  che,  per  un  determinato 
conduttore,  vi  è  un  rapporto  costante  fra  la  differenza  di 
potenziale,  che  esiste  a  i  suoi  estremi,  e  la  quantità  di  elet- 
tricità, che  passa  lungo  esso,  [n  un  intervallo  di  tempo 
determinato.  E'  un  resultato  questo,  che  va  sotto  il  nome 
di  Legge  dell'Ohm. 

Quel  rapporto,  caratteristico  per  ciascun  conduttore, 
si  suol  chiamare  la  resistenza  del  conduttore  stesso.  Per 
definire  la  resistenza  si  sceglie  come  intervallo  l'unità  di 
tempo  (secondo). 

§  3.  —  Ho  avuto  già  occasione  di  assimilare  una  bot- 
tiglia di  Leida  carica  ad  un  corpo  elastico  soggetto  a  de- 
formazioni. Ma  dei  condensatori  e,  in  generale,  dei  corpi 
elettrizzati  si  possono  dare  altre  rappresentazioni. 

Per  esempio  è  assai  comunemente    usato   quello,   che 


—  44  — 

potrebbe  chiamarsi  il  modello  idrodinamico  dei  fenomeni 
■elettrostatici. 

In  questo  ordine  di  idee  si  confrontano  i  corpi  elet- 
trizzati con  vasi  cilindrici,  nei  quali  si  versa  dell'acqua. 

Allora  la  quantità  del  liquido  corrisponde  ala  carica, 
la  sezione  del  recipiente  a  la  capacità,  e  V  altezza  della 
colonna  sul  fondo  al  potenziale. 

Vi  sono  manifestamente  fra  le  tre  grandezze,  che  si 
hanno  a  considerare  nel  modello,  le  stesse  relazioni,  che 
corrono  fra  le  grandezze  elettriche. 

Anzi,  in  realtà,  i  termini  di  capacità  e  di  livello  elet- 
trico (potenziale)  trovano  in  questa  analogia  la  loro  giu- 
stificazione. Non  è  necessario  che  io  faccia  osservare  che 
le  nozioni,  in  vece,  corrispondono  a  qualche  cosa  di  reale, 
•che  sussiste  indipendentemente  dal  modello. 

Se  due  vasi  si  fanno  comunicare,  e  in  essi  il  liquido 
arriva  ad  altezze  differenti,  si  produce  un  movimento  del- 
l'acqua, che  ha  per  resultato  di  uguagliare  i  livelli.  A  lo 
«tesso  modo  si  muove  l'elettricità  quando  si  collegano  due 
■conduttori  a  potenziale  diverso. 

E'  estremamente  interessante  di  constatare  che  la  legge 
■del  fenomeno  è  la  stessa  nell'uno  e  nell'altro  caso.  Ce  ne 
possiamo  persuadere  facendo  uso  della  disposizione,  che 
vedono  qui. 

E'  una  bottiglia  (fig.  ii),  la  quale  è  munita,  in  basso, 
•di  rubinetto.  A  questo  con  un  tubo  di  gomma,  ho  con- 
giunto una  lunga  canna  di  vetro  (orizzontale). 

La  canna  è  lavorata  per  modo  che,  di  tratto  in  tratto, 
ad  intervalli  regolari,  si  alzano  da  essa  quattro  tubicini, 
che  possono  servire  da  manometri,  vale  a  dire  da  indica- 
tori della  pressione. 

Per  ora  io  tengo  aperto  il  rubinetto,  così  che  la  bot- 
tiglia comunichi  liberamente  con  la  canna  ;  ma  chiudo  que- 
st'ultima, a  l'altro  estremo,  stringendo  con  un  morsetto  un 
pezzo  di  tubo  di  gomma,  che  le  è  adattato. 

Verso  nella  bottiglia  dell'acqua,  tinta  in  rosso. 


—  45  — 
Accade,  secondo   la   legge  ben  nota  dei  vasi  comuni- 
canti ,  che  il  liquido  entra  per  il  rubinetto  nella   canna,  e 
la  occupa  tutta,  e  sale  nei  tubi  manometrici,  raggiungendo^ 
in  ciascuno  di  essi  il  medesimo  livello. 


Fin  qui  dunque  ogni  cosa  va  per  l'a  punto  come  nel 
fenomeno  elettrico,  che  si  studiava  dianzi. 

Ma  l'analogia  continua  pur  sempre  se,  aprendo  l'e- 
stremo libero  della  canna,  lascio  che  il  liquido  effluisca 
da  esso. 

Nel  manometro,  che  è  più  vicino  a  1'  orifizio,  1'  acqua 
si  abbassa  di  molto  ;  negli  altri,  fino  a  l'ultimo,  la  caduta 
è  via  via  minore.  E  le  estremità  delle  colonne  liquide, 
come  posso  verificare,  avvicinando  un  regolo,  stanno  sopra 
una  medesima  retta. 

Vuol  dire  che  il  modello  idrodinamico  non  serve  so- 
lamente per  i  fatti  elettrici  di  natura  statica,  ma,  in  vece,  ha 
sempre  valore,  anche  quando  lo  si  confronta  con  taluni 
fenomeni  di  movimento. 

Non  è  inutile  osservare  che,  se  si  parla  nel  linguaggio 


-46- 

comune  di  correnti  elettriche,  e  si  considera  la  cosa  come 
una  vera  traslazione  di  una  sostanza  particolare  (l'elettri- 
cità), non  si  hanno  per  tutto  ciò  delle  ragioni  migliori  che 
questa  analogia. 

In  realtà  noi  non  sappiamo  nemmeno  se  in  un  con- 
duttore percorso  da  corrente  vi  sia  da  vero  qualche  cosa, 
che  si  muove. 

Una  circostanza  soltanto  potrebbe  far  supporre  che 
un  tale  modo  di  concepire  i  fatti  abbia  un  fondamento 
oggettivo.  Ed  è  questa  che  la  resistenza,  quella  costante, 
della  quale  ho  parlato,  è ,  per  un  conduttore  di  sezione 
uniforme,  proporzionale  direttamente  a  la  lunghezza,  e  in- 
versamente a  punto  a  la  sezione. 

Quindi  è  naturale,  benché  non  sia  necessario,  di  pen- 
sare che  qualche  cosa  passi  dentro  il  conduttore  ;  almeno 
nel  caso,  che  ci  occupa  in  questo  momento. 

§  4.  —  Ho  detto  già  che,  oltre  a  certi  corpi  solidi  an- 
che altre  sostanze  presentano  il  fenomeno  della  conduzione. 

FermiamcJci,  per  un  istante,  a  considerare  ciò,  che  ac- 
cade quando  l'elettricità  passa  a  traverso  ad  un  liquido 
conduttore. 

Qui  le  cose  sono  assai  più  complesse  che  non  siano 
nel  caso  dei  metalli  ;  in  realtà  si  presentano  alcuni  fatti 
nuovi.  I  fatti,  cioè,  deìV elettrolisi. 

È  una  nozione  questa,  che  molti  di  Loro,  senza  dub- 
bio hanno  già.  Riassumo  quindi  rapidamente  di  che  si 
tratta,  spiegandomi,  per  maggiore  chiarezza,  con  un  esempio. 

Io  ho  raccolto  in  questa  piccola  vaschetta  di  vetro,  a 
faccie  piane  e  parallele ,  un  po'  di  acqua ,  acidulata  con 
acido  solforico.  E  nella  vaschetta  ho  immerso  ancora  due 
fili  di  platino  sottili.  Questi  fili  sono  saldati  in  capo  a 
certi  tubetti  di  vetro,  per  modo  che  una  piccola  porzione 
di  essi  rimane  a  1'  aperto,  e  il  resto  penetra  nell'  interno 
dei  tubi.  Nei  tubi  stessi  poi,  per  l'altro  estremo  introduco 
ancora  due  reofori  (*),  comunicanti  con  i  poli  di  una  mac- 

(*)  Fili  conduttori. 


—  47  — 
china  del  Holtz.  Il  contatto  fra  i  fili  di  platino  e  quelli,  più 
grossi,  di  rame  è  assicurato    con    qualche    goccia  di  mer- 
curio. Io  proietto  questo  piccolo  apparecchio  con  la  solita 
lanterna  ;  e  ottengo  un'imagine  (capovolta)  su  lo  schermo. 

Si  vedono  distintamente,  qui  in  alto,  le  estremità  dei 
conduttori  di  platino. 

E  bene,  giriamo  ora  il  disco  della  macchina  e  met- 
tiamola in  azione.  Quelli  di  Loro,  che  sono  più  prossimi 
a  lo  schermo,  vedranno  già  ora  formarsi  su  i  fili  certe 
escrescenze  tondeggianti,  che  si  vanno  lentamente  ingros- 
sando, finché  si  staccano  e  sembrano  cadere  in  basso. 

Sono  queste  minute  bollicine  gassose,  che  si  svolgono 
a  punto  a  la  superficie  dei  conduttori  {elettrodi),  ì  quali 
portano  nel  liquido  l'elettricità. 

Lo  sviluppo  dèi  gassi  è  diverso  su  i  due  fili  ;  vi  sono 
molte  più  bolle  da  la  parte,  dove  entra  1'  elettricità  nega- 
tiva (da  la  parte  del  catodo,  come  si  suol  dire),  che  non  a 
quell'altro  conduttore  [l'anodo),  per  il  quale  arriva  1'  elet- 
tricità positiva. 

Le  due  sostanze  gassose  sono  di  natura  diff"erente.  la 
prima  è  dell'idrogeno,  la^seconda  è  ossigeno.  Come  è  noto, 
sono  questi  i  componenti  dell'  acqua  ;  e  la  proporzione 
nella  quale  lo  sviluppo  avviene  è  precisamente  quella, 
secondo  che  i  due  corpi  entrano  a  formare  l'acqua. 

Possiamo  dunque  dire  che,  per  il  passaggio  dell'elet- 
tricità, il  liquido  conduttore    riesce    in   parte    deocmposto. 

Per  intendere  come  questo  avvenga  si  può  imaginare 
che  gli  atomi  dell'idrogeno  e  dell'ossigeno  rechino  con  sé 
delle  cariche  elettriche.  Che  per  i  primi  sarebbero  positive 
e  per  i  secondi  negative. 

In  seno  al  liquido,  per  gli  urti ,  che  accadono  conti- 
nuamente fra  le  molecole,  alcune  di  queste  si  spezzereb- 
bero nei  loro  componenti ,  gli  toni.  I  quali  sentirebbero 
allora  l'azione  delle  forze  elettriche  ,  e  si  muoverebbero 
per  sensi  opposti,  a  seconda  del  segno  delle  loro  cariche. 
In  questo  modo  avviene  il  trasporto   dell'elettricità  a 


-48- 

traverso  i  conduttori  liquidi  (elettroliti).  Perchè,  quello,  che 
ho  detto  dell'acqua,  si  può  ripetere  anche  per  gli  acidi,  e 
le  basi,  e  le  soluzioni  saline.  Come  si  intende  il  processo 
è  alquanto  diverso  da  l'altro,  che  si  verifica,  in  vece,  nei 
metalli  ;  sicché  possiamo  distinguere  quelle  correnti  di 
conduzione,  da  queste,  che  constatiamo  ora ,  e  che  si  po- 
trebbero chiamare  di  convenzione.  Per  vero,  nel  caso  attuale, 
le  cariche  sono  portate  sempre  da  i  loro  sostegni  mate- 
riali, che  si  muovono  con  esse. 

Vi  sono  delle  buone  ragioni  per  ritenere  che  gli 
atomi  monovalenti  rechino  tutti  una  medesima  quantità 
di  elettricità,  qualunque  sia  la  sostanza  a  la  quale  appar- 
tengono. In  vece  gli  atomi  bivalenti  porterebbero  una  quan- 
■tità  doppia,  i  trivalenti  tripla,  e  così  di  seguito. 

Anzi  si  è  riusciti  a  determinare,  almeno  per  appros- 
simazione, la  grandezza  assoluta  di  queste  cariche.  Con  le 
unità,  che  ho  definito  nella  prima  lezione  ,  la  carica  del- 
l'atomo, monovalente  ha,  a  l'in  circa,  per  valore  : 

3-  io"- 

Vedremo,  più  avanti,  come  i  ^esultati ,  che  espongo, 
abbiano  un'importanza  grande  nelle  teorie  dell'ottica.  A  le 
cariche,  delle  quali  il  fatto  dell'elettrolisi  dimostra  in  qual- 
che modo  l'esistenza,  si  può  in  fatti  assegnare  una  parte 
nei  fenomeni  dell'emissione  della  luce  (*). 

§  5.  —  Come  passa  a  traverso  a  certi  solidi  e  liquidi, 
l'elettricità  può  anche  percorrere  le  sostanze  'gassose.  Que- 
ste anzi  si  comportano  tutte  ad  un  modo,  sicché  non  vi  è 
differenza  sensibile  tra  i  fenomeni  presentati,  per  esempio, 
da  l'aria  atmosferica,  o  da  Tidrogeno,  o  da  l'anidride  car- 
bonica. In  ogni  caso  però  si  ottiene  una  serie  svariatis- 
sima  di  fatti.  Vediamone  rapidamente  alcuni. 

Io  ho  disposto  qui  un  apparecchio ,  che  ha ,  nelle  li- 
nee generali ,  una  certa  analogia  con  quello  che  ci   servì, 


(•)  Si  confronti  la  lezione  quindicesima. 


—  49  — 
in  principio  della  lezione,  per  ottenere  le  figure  del  Lich- 
tenberg. 


Flg.    12. 


Vi  è  anzi  tutto  (fig.  12)  un  conduttore,  munito  di  punta 
acuminata,  e  sorretto  da  un  sostegno  isolante  ;  poi  una 
tavoletta  di  ebanite,  che  riposa  sopra  una  lastra  di  latta. 
La  quale  ho  messo  in  comunicazione  con  il  suolo. 

Però  la  punta  sta  ora  ad  una  distanza  di  forse  venti 
centimetri  dal  piano  dielettrico.  Fra  quella  e  questo  è  in- 
terposto uno  schermo,  tagliato  fuori  da  una  lamina  di  ot- 
tone, al  quale  ho  dato  la  forma  di  croce. 

Io  carico  una  bottiglia  di  Leida,  con  la  macchina  del 
Ramsden.  nel  modo  ordinario.  E  poi,  tenendola  in  mano, 
per  l'armatura  esterna,  ne  accosto  il  bottone  a  la  pallina, 
che  termina  il  conduttore  acuminato. 

Come  dianzi,  per  avere  una  buona  terra,  ho  messo  la 
stagnola  della  bottiglia  in  comunicazione  con  il  suolo,  con 
una  catenella  metallica. 

Avviene  fra  l'armatura  interna  e  il  conduttore  a  punta 

4 


—  50  — 
una  piccola  scarica,  e  si  sente  anche  un  fischio  debolis- 
simo ,  che   accompagna   sempre   la    dispersione  dell'  elet- 
tricità. 

E  bene,  proiettiamo  ora  su  la  tavoletta  di  ebanite  il 
solito  miscuglio  di  zolfo  e  minio.  Vedremo  che  si  forma 
un'imagine  della  croce,  rossa  sul  campo  giallo, 

L'imagine  è  alquanto  più  grande  dell'oggetto  e  corri- 
sponde a  l'ombra,  che  questo  porterebbe  sul  piano  dielet- 
lettrico,  quando  vi  fosse  nella  punta  una  sorgente  lumi- 
nosa. Per  questa  ragione  le  figure,  delle  quali  discorro, 
furono  dette  ombre  elettriche  dal  Righi,  che  le  scoprì  (5). 

Quanto  al  meccanismo  del  fenomeno,  sembra  che  lo  si 
possa  intendere  ammettendo  che  le  particelle  dell'aria,  at- 
tratte a  la  punta,  dove  la  densità  dell'  elettrizzazione  è 
grandissima,  ne  vengano  poi  respinte,  e  rechino  con  sé 
una  parte  della  carica.  Sarebbero  lanciate ,  per  questo 
modo,  secondo  certe  curve,  che  si  scostano  poco  da  la 
linea  retta. 

§  5.  —  Oltre  a  questo,  che  abbiamo  constatato,  vi  è 
tutta  un'altra  serie  di  fenomeni,  a  i  quali  anche  dà  luogo 
il  passaggio  dell'elettricità  a  traverso  a  i  gassi.  E  sono  spe- 
cialmente interessanti  perchè  si  collegano  con  apparenze 
luminose. 

Uno  di  tali  fenomeni  è  la  scintilla,  che  si  produce  nel- 
l'aria e  nelle  altre  sostanze  aeriformi,  a  la  pressione  so- 
lita dell'atmosfera. 

Ma  la  varietà  e  lo  splendore  delle  apparenze  luminose 
sono  di  gran  lunga  maggiori,  quando  le  scariche  si  pro- 
vochino dentro  recipienti  chiusi,  che  contengano  un  gasse 
rarefatto. 

Richiamo,  in  breve,  i  principali  resultati,  che  si  pos- 
sono constatare  in  queste  condizioni.  Lo  faccio  tanto  più 
volentieri  perchè  ci  dovremo  spesso  servire,  in  seguito, 
dei  fenomeni,  a  i  quali  alludo,  come  mezzo  di  dimostra- 
zione. 

Io  prendo  anzi  tutto  un  tubo  di  vetro  (fig.  13),  con  due 


—  51  — 
bolle  a  le  estremità,  e  un    tratto  capillare   nel   mezzo,  nel 
quale  penetrano,  e  sono  saldati  a  la  fiamma,  due  elettrodi 
di  platino. 

In  questo  tubo ,  che  è  chiuso  ermetica- 
mente ,  si  trova  del  vapor  d' acqua ,  ad  una 
pressione  venticinque  o  trenta  volte  minore 
di  quella  ordinaria  dell'atmosfera  (*). 

Collego  gli  elettrodi  con  i  conduttori  di 
una  macchina  del  Holtz ,  e  faccio  agire  que- 
st'ultima. Il  tubo  si  illumina  di  una  pallida 
luce  rossastra,  la  quale  diventa  molto  più  vi- 
vace se  lascio  nei  fili  esterni  una  piccola  in- 
terruzione, per  modo  da  introdurre  una  scin- 
tilla nel  circuito. 

Ora  si  possono  anche  rilevare  talune  par- 
ticolarità del  fenomeno  ;  propriamente  si  vede 
che  le  apparenze  a  i  due  elettrodi  sono  al- 
quanto diverse.  Da  una  parte  il  filo  è  circon- 
dato da  un  manicotto  di  luce  violacea,  da  ^^S-  H- 
l'altra  è  a  pena  luminoso,  ma  reca,  su  la  punta,  una  stel- 
letta assai  vivace. 

Se  prendessi,  in  luogo  del  vapor  d'acqua,  un'altra  so- 
stanza (gassosa)  qualunque,  il  carattere  del  fenomeno  non 
cambierebbe.  Muterebbero  bensì  i  colori  delle  luci. 

In  vece  si  possono  constatare  dei  fatti  via  via  diffe- 
renti quando,  in  un  medesimo  gasse,  si  fa  variare  la  pres- 
sione. 

Da  principio  sembra  che  la  scarica,  per  tal  modo,  venga 
agevolata;  poi  la  resistenza  passa  per  un  minimo  e  comincia 
a  crescere  di  nuovo. 

Il  carattere  dei  fenomeni  muta  radicalmente  allora  che 
si  raggiunge  una  pressione  dell'ordine  del  milionesimo  di 
atmosfera. 

{*)  Gli  apparecchi  di  questo  genere  si  chiamano  comunemente 
tubi  del  Geissler,  dal  nome  dell'artefice,  che  li  costruì  per  il  primo. 


—.52  — 

In  tale  caso  pare  che  la  scarica  non  vada  più,  come 
prima,  da  un  elettrodo  a  l'altro,  ma  anzi  dal  catodo  si 
sviluppano  certi  pennacchi  luminosi,  la  direzione  dei  quali 
non  dipende  per  nulla  da  la  posizione  dell'anodo.  Codeste 
apparenze  sono  note  sotto  il  nome  di  raggi  catodici. 

Noi  le  possiamo  riscontrare  con  il  pallone  a  quattro 
elettrodi,  che  vedono  qui  (fig.  14).  In  esso  penetrano  quattro 
fili,  dei  quali  uno  porta  un  dischetto,  e  gli  altri  finiscono 
in  punta. 

A  quel  primo  voglio  congiungere 
il  conduttore  negativo  ,  che  viene  da 
la  macchina  ;  ad  uno  dei  rimanenti 
il  conduttore  positivo.  Anche  lascio 
una  scintilla  nel  circuito. 

Quando  si  gira  il  disco  appare  nel 
pallone  un  fascio  luminoso  ,  di  color 
grigio  lavanda,  che  si  stacca  dal  catodo 
normalmente  a  la  sua  superficie,  e  va 
a  battere  su  la  parete  opposta.  E  vi 
1  produce  una  bella  macchia  verde  di 
\  fluorescenza. 

Non  accade  nessun  cambiamento 
sensibile  se  prendo  come  anodo  un 
altro  degli  elettrodi  rettilinei. 

I  raggi  catodici  godono  di  molte 
proprietà  interessanti,  le  quali  furono 
studiate,  la  prima  volta,  dal  Crookes  (*).  Anzi  tutto  quella 
di  eccitare  la  fluorescenza,  di  cui  ci  dovremo  anche  ser- 
vire, e  che  ricordai   or  ora. 

Questa  proprietà  non  si  riscontra  soltanto  per  l'azione 
dei  raggi  catodici  sul  vetro,  ma  bensì  ogni  volta  che  sul 
cammino  dei  raggi  stessi  si  interpone  un  ostacolo  ma- 
teriale. 


Fig.  14. 


(*)  Per  questo  i  tubi,  nei  quali  si  producono  i  raggi  catodici, 
si  ctiiamano  anche  tubi  del  Crookes. 


—  53 


Cosi,  per    esempio,   nei  due  tubi  che    presento  Loro 
(fig.  15  e  16),  si  può  ottenere    una    bellissima  luminosità, 


Fig.  15. 


Fig.  16. 

che  è  verde  erba  in  un  caso  e  rosata  nell'altro.  Vi  è  del 

silicato  di    zinco    nel  primo    e  un  pezzetto   di  marmo  nel 

secondo  apparecchio. 

Del  fenomeno  della  fluo- 
rescenza ci  si  può  servire 
per  dimostrare  che  i  rag- 
gi catodici  procedono  in 
linea  retta.  Con  che  si  giu- 
stifica a  punto  il  termine 
di  raggi. 

In  un  tubo  periforme  (fi- 
gura 17;  si  introducono 
due  elettrodi ,  che  uno  ha 
la  forma  di  disco  ,  1'  altro 
è  una  croce    di    lamina  di 

alluminio.  La  croce  è  munita  ,  in    basso  ,  di  cerniera,  per 


-54- 

modo  che  la  si  può  ripiegare ,  o  pure,  in  vece,  tenere 
rialzata. 

Per  l'a  punto  la  voglio  alzare,  e  voglio  congiungere 
gli  elettrodi  con  i  poli  della  macchina  ,  così  da  avere  il 
catodo  sul  dischetto.  Quando  si  producono  le  scariche,  si 
vede  disegnarsi,  a  la  base  del  tubo,  un'ombra  della  croce, 
nera  sul  verde  della  fluorescenza. 

Questa  proprietà  dei  raggi  catodici,  di  procedere  in 
linea  retta,  permette  di  concentrarli  in  un  punto,  per  rin- 
forzarne le  azioni.  Basta,  a  l'uopo,  impiegare  come  catodo 
(fig.  i8y  una  calotta  sferica,  di  un  metallo  qualunque,  di 
alluminio  per  esempio.  Per  tal  modo  i  raggi  si  vengono 
a  riunire  nel  centro  della  sfera ,  a  la  quale  la  calotta  ap- 
partiene. 


Fig.  19. 


big.  I». 

E  se  in  codesto  foco  si  colloca  una  laminetta  metallica, 
si  trova  che  essa  si  riscalda  al  punto  da  doventare  rovente. 

I  raggi  catodici  sono  ancora  capaci  di  esercitare  delle 
azioni  meccaniche  ;  esercitano  in  fatti  una  pressione  su  gli 
ostacoli,  che  si  interpongono  sul  loro  cammino. 


—  55  — 

La  cosa  si  verifica  con  questo  tubo  di  forma  allun- 
gata (fig.  19),  nel  quale,  su  due  rotaie,  può  girare  una  rota 
leggerissima,  fornita  di  palette  di  mica.  Eccitando  in  tale 
apparecchio  dei  raggi  catodici,  in  direzione  longitudinale, 
si  vede  che  la  rota  entra  in  movimento  e  si  sposta.  Il 
senso  della  traslazione  si  inverte  con  quello  della  scarica. 

Intendere  come  avvengano  tutti  i  fenomeni,  che  na- 
scono dal  passaggio  dell'elettricità  a  traverso  a  i  gassi  ra- 
refatti, è  estremamente  diffìcile. 

Dirò  soltanto  che,  in  alcuni  casi  almeno,  può  rendere 
ottimi  servizii  un'ipotesi  analoga  a  quella,  che  abbiamo  in- 
trodotto per  raccogliere  insieme  i  fatti  dell'elettrolisi. 

Le  proprietà  dei  raggi  catodici,  in  particolare,  si  com- 
prendono bene  se  si  ammette  che  essi  risultino  da  getti 
di  particelle  elettrizzate. 

§  6.  —  Le  cose  principali,  che  ho  esposto  in  questa 
lezione,  si  riducono  in  sostanza  a  la  constatazione  della 
analogia  fra  i  moti  deirelettricità  nei  conduttori  e  quelli 
dell'acqua  nei  tubi  ;  e  poi  a  l'esame  dei  fenomeni,  che  na- 
scono dal  passaggio  delle  cariche  a  traverso  a  i  liquidi  e 
a  i  gassi.  Abbiamo  veduto  come  da  tali  fatti  risulti  pro- 
babile l'esistenza  di  una  certa  quantità  di  elettricità  su  gli 
atomi  della  materia.  Se  anche  questo  non  è  oggettivamente 
vero,  almeno  molti  fenomeni  avvengono,  come  se  le  cose 
fossero  ordinate  a  punto  così. 


LEZIONE  QUARTA. 

Magnetismo  —  Campo  magnetico  della  corrente  — 
Azioni  ponderomotrici  ed  induttive  fra  circuiti 
elettrici. 

§  I.  —  Nelle  passate  lezioni  ho  riassunto  rapida- 
mente le  cose  principali  relative  a  i  fenomeni  deirelettro- 
statica  e  dell'elettrodinamica,  fermandomi  solo,  di  tratto 
in  tratto,  per  insistere  sopra  alcuni  fatti  o  sopra  alcuni 
concetti,  dei  quali  ci  dovremo  servire  spesse  volte  durante 
questo  corso. 

Voglio  fare  oggi  altrettanto  rispetto  a  i  fenomeni,  che 
nascono  da  l'azione  di  due  correnti  una  su  l'altra. 

Così  avremo  condotto  a  termine  la  parte  introduttiva. 

I  fatti,  a  i  quali  alludo,  hanno  un'  importanza  pratica 
immensa,  ma  presentano  anche  un  grande  interesse  logico 
perchè,  come  vedremo,  per  la  massima  parte,  non  si  pos- 
sono più  riprodurre  con  il  modello  idrodinamico. 

§  2.  —  Suppongo  sia  nota  a  tutti  Loro  l'esistenza  del 
magnete  naturale.  E*  un  tetrossido  di  ferro,  i  cui  cristalli, 
particolarmente  in  certe  regioni  della  superficie,  godono 
della  proprietà  di   attrarre  a  punto  la  limatura  di  ferro. 

Se  si  struscia  una  sbarra  d'acciaio  sopra  uno  di  questi 
centri  di  attrazione,  spostandola  sempre  in  un  medesimo 
senso,  da  un  estremo  a  l'altro,  la-  sbarra  si  magnetizza, 
vale  a  dire  acquista  alcune  delle  proprietà  del  magnete 
naturale. 


—  57  - 

Più  precisamente  si  trova  che  i  tratti  vicini  a  gli 
estremi  sono  doventati  capaci  di  attirare  la  limatura  di 
ferro  ;  la  parte  centrale,  a  l'in  contro,  non  esercita  nessuna 
azione  sensibile.  Quindi  si  parla,  nel  linguaggio  comune, 
di  poli  magnetici  e  di  linea  neutra. 

Una  sbarra  così  ottenuta  può  sostituire  in  ogni  caso 
il  magnete  naturale  ;  in  particolare  è  capace  di  trasferire 
in  altre  aste  simili  le  sue  proprietà. 

Quando  la  si  sospenda  orizzontalmente,  per  modo  che 
possa  girare  intorno  ad  una  retta  verticale,  una  sbarra 
magnetizzata  si  orienta,  vale  a  dire  assume  una  direzione, 
che  si  conserva  la  stessa,  in  un  dato  luogo  della  terra, 
entro  limiti  di  tempo  non  molto  grandi. 

Questa  direzione  non  è  mai  lontana  da  quella ,  che 
segna  sul  piano  orizzontale  la  traccia  del  meridiano.  Quindi 
si  dà  il  nome  di  polo  nord  a  quel  polo  di  un  magnete, 
che  si  volge  prossimamente  verso  il  settentrione,  mentre 
l'altro  si  chiama  polo  sud. 

E'  anche  ben  nota  la  legge  delle  attrazioni  e  repul- 
sioni magnetiche,  secondo  la  quale  i  poli  omonimi  si  re- 
spingono e  gli  eteronomi  si  attraggono. 

Avviene  qui  qualche  cosa  di  simile  a  quello,  che  ac- 
cade per  le  due  elettricità  di  opposto  segno. 

Realmente  lo  studio  del  magaetipr-io  ha  molte  analogie 
con  quello  dell'elettrostatica.  Ma  ha  solo  delle  analogie. 
Perchè  certe  proprietà  caratteristiche  distinguono  senz'al- 
tro i  due  agenti. 

Cosi,  per  esempio,  mentre  è  possibile  ottenere,  con 
lo  strofinio,  dell'elettricità  positiva  o  negativa  isolata  so- 
pra un  dato  corpo,  non  si  può  mai  creare  un  polo  nord 
in  una  sbarra  di  acciaio,  senza  che,  per  ciò  solo,  non  si 
produca  anche  un  polo  sud. 

E  se  si  spezza  un  magnete  artificiale,  così  da  isolare 
i  due  estremi,  si  ottengono  da  una  parte  e  da  l'altra  della 
frattura,  dei  poli  ;  per  modo  che  i  frammenti  tornano  ad 
essere,  a  la  loro  volta,  magneti  perfetti. 


-58- 

Non  è  necessario,  perchè  un  pezzo  d'acciaio  si  ma- 
gnetizzi, di  strusciarlo  secondo  che  ho  detto  avanti  ;  ma 
basta  tenerlo  nell'intorno  o,  come  si  dice,  nel  campo  di  una 
calamita  artificiale  o  naturale 

Ancora  qui  si  ottengono  dunque  dei  fenomeni  di  in- 
duzione, vale  a  dire  si  esercitano,  in  apparenza,  delle 
azioni  a  distanza. 

Oltre  a  1'  acciaio  anche  il  ferro  gode  della  proprietà 
di  magnetizzarsi  in  un  campo  magnetico.  Ma  la  sua  ma- 
gnetizzazione è  temporanea,  vale  a  dire  cessa,  quasi  com- 
pletamente, con  la  causa,  che  la  produsse. 

Per  intendere  questi  fenomeni  si  può  imaginare  una 
teoria  simile  a  quella  del  Mossotti,  che  ebbi  occasione  di 
esporre  in  una  delle  passate  lezioni. 

Si  supporrà  dunque  che  in  tutti  i  corpi  (compresa 
l'aria  atmosferica  e  il  vuoto)  esistano  dei  cilindretti  ele- 
mentari, i  quali  si  orientano  in  presenza  dei  magneti  e, 
per  tal  modo,  ne  trasmettono  l'azione 

Volendo  spiegare  come  esistano  le  calamite  perma- 
nenti, bisognerà  ammettere  che  gli  aghi  elementari  siano 
essi  stessi  sempre  magnetizzati. 

E  la  differenza  fra  il  modo  di  comportarsi  dell'acciaio 
e  quello  del  ferro  la  potremo  attribuire  ad  una  specie  di 
vischiosità,  che,  nel  primo  caso,  mantiene  gli  aghetti  in 
una  data  posizione,  quando  una  volta  l'abbiano  assunta. 

Come  outore  della  teoria,  che  riassumo,  si  suole  in- 
dicare il  Poisson  (6). 

§  3.  —  Per  le  azioni  mutue  dei  poli  magnetici  vale 
una  legge  analoga  a  quella,  che  regola  le  attrazioni  e  le 
repulsioni  delle  cariche  elettriche. 

Quindi  l'unità  di  magnetismo  si  definisce  in  modo  si- 
mile a  quello,  che  si  segue  per  definire  l'unità  di  quantità. 

E  si  chiama  forza  magnetica  la  forza,  che,  in  un  de- 
terminato punto  dello  spazio,  solleciterebbe  l'unità  di  ma- 
gnetismo nord. 

Quando  due  poli  di  nome  opposto  stanpo  in  presenza 


—  59  — 
uno  dell'altro,  la  forza,  su  la  loro  congiungente,  è  diretta 
secondo  la  congiungente  stessa  dal  nord  al  sud. 

§  4.  —  Vi  sono,  come  è  ben  noto,  delle  relazioni 
molto  strette  fra  i  fenomeni  dell'elettricità  e  quelli  del  ma- 
gnetismo. E  si  possono  mettere  in  luce  con  un'esperienza 
assai  semplice. 

Ho  «S5^olto  ad  elica,  intorno  ad  un  tubo  di  vetro 
(fig.  20},  un  grosso  filo  di  rame,  che  munisco  di  palline  a 
le  estremità.  La  spirale 
è  allungata  per  modo  che 
le  spire  adiacenti  non  si 
tocchino,  ma  anzi  riman- 
gano ad  una  certa  di- 
stanza. ^'^   ^^• 

Prendo  poi  un'asta  di  acciaio  e,  tuffandone  gli  estremi 
in  un  mucchietto  di  limatura  di  ferro,  o,  meglio,  accostan- 
doli ad  un  magnete  sospeso,  mi  accerto  che  non  presen- 
tano traccia  di  magnetizzazione.  Quindi  l'asta  la  introduco 
dentro  il  tubo  di  vetro. 

E  poi,  con  una  catenella,  metto  a  terra  una  delle  pal- 
line, che  terminano  la  spirale.  L'altra  riesce  a  pochi  mil- 
limetri dal  bottone  di  una  grande  giara  di  Leida,  la  cui 
armatura  esterna  comunica  anch'essa  con  il  suolo. 

Per  mezzo  della  solita  macchina  de'  Ramsden,  carico 
il  condensatore,  seguitando  a  girare  il  disco  fino  a  che 
non  si  produca  una  scintilla  fra  i  due  conduttori  aff'acciati. 

E'  evidente  che,  quando  questo  avviene,  una  certa 
quantità  di  elettricità  passa  per  la  spirale  e  si  disperde 
nel  suolo. 

Ripetiamo  la  cosa  due  o  tre  volte.  E  poi  ritiriamo 
la  sbarra  dal  tubo;  e  di  nuovo  avviciniamone  gli  estremi 
a  quelli  di  un  magnete  sospeso. 

Subito  si  vede  che  le  condizioni  sono  alquanto  cam- 
biate ;  e  cioè  delle  estremità  della  sbarra  una  attira  il  polo 
nord  dell'ago  sospeso,  e  l'altra  lo  respinge. 

In  poche  parole,  per  l'azione  della  scarica,  l'acciaio 
si  è  magnetizzato. 


~  6o  — 

Cerchiamo  di  precisare  come  sia  avvenuto  il  fenomeno. 

Ecco  :  se  a  i  due  capi  del  tubo  avessimo  disposto  due 
polì  di  nome  contrario,  vale  a  dire  se  vi  fosse  stata  da 
per  tutto  nel  vano  del  cilindro  una  forza  magnetica  diretta 
secondo  l'asse,  l'effetto  finale  sarebbe  il  medesimo. 

Si  può  dunque  dire  che  una  spirale,  percorsa  da  l'e- 
lettricità, esercita  le  stesse  azioni  magnetiche,  come  se 
generasse  nel  suo  interno  una  forza  magnetica,  diretta  se- 
condo le  generatrici  del  cilindro,  sul  quale  è  avvolta. 

E  poi  che  siamo  ridotti  sempre  a  giudicare  delle  cause 
da  gli  eff'etti ,  è  lecito  aff'ermare  senz'  altro  che  l' elica, 
nelle  condizioni,  che  s'  è  detto,  dà  luogo  a  la  produzione 
di  un  campo  magnetico. 

Ma  si  può  tirare  anche  un'altra  conseguenza.  Secondo 
le  nostre  vedute  in  fatti  il  campo  si  produce  perchè  il  mezzo 
si  polarizza  in  un  certo  modo  ;  e  questo  non  avverrà  senza 
un  consumo  corrispondente  di  energia. 

Nel  caso  attuale  l'energia  si  ottiene  a  punto  facendo 
cessare  la  polarizzazione  del  dielettrico  nel  condensatore. 

10  mi  sono  servito,  per  fare  l'esperienza,  dell'elettri- 
cità positiva  ;  potrei  ripeterla  ora  impiegando  delle  cariche 
negative. 

11  resultato  non  sarebbe  diffierente,  ma  solo  si  otter- 
rebbe un  polo  nord  a  quell'estremo  dell'elica,  dove  prima 
si  produceva  il  polo  sud  e  viceversa.  E  se  si  pensa  che 
il  partire  dell'elettricità  negativa  dal  condensatore  è,  in 
fondo,  un  arrivare  di  elettricità  positiva  dal  suolo,  si  vede 
subito  che  i  due  fatti  debbono  potersi  raccogliere  in  un 
medesimo  enunciato. 

Un*  altra  modificazione  si  può  portare  a  l' esperienza, 
e  consiste  nell'avvolgere  l'elica,  sul  tubo  di  vetro,  da  si- 
nistra a  destra,  in  vece  che  da  destra  a  sinistra,  come 
avevo  fatto  ora. 

Anche  così  le  scariche  danno  luogo  a  polarità  magne- 
tiche ben  determinate,  le  quali  pure  si  scambiano  con  il 
segno  dell'elettricità,  che  si  pone  in  movimento. 


—  6i  — 

Sono  dunque,  in  complesso,  quattro  esperienze  di- 
stinte, che  due  a  due  si  equivalgono.  E  bene,  si  trova  che 
è  possibile  enunciare  i  resultati  di  tutte  con  una  formola 
sola. 

La  quale  formola  suona  così  :  Se  ci  si  pone  a  quel- 
l'estremo del  tubo  di  vetro,  dove  si  formerà  il  polo  sud 
della  sbarra  magnetizzata,  e  si  guarda  la  spirale,  il  verso, 
nel  quale  si  vedrebbe  avvenire  il  movimento  dell'  elet- 
tricità positiva,  ove  questa  fosse  visibile,  è  quello  stesso, 
nel  quale  girano  sul  quadrante  gli  indici  di  un  orologio. 

§  5.  —  Abbiamo  veduto,  quando  si  parlava  della  teoria 
del  Mossotti,  che,  nell'  intorno  di  un  corpo  elettrizzato,  un 
aghetto  conduttore,  libero  di  muoversi,  si  disponeva  se- 
condo la  direzione  della  forza.  Si  comprende  bene  che 
qualche  cosa  di  simile  deve  avvenire  per  un  ago  magne- 
tizzabile o  magnetizzato  in  un  campo  magnetico. 

Sicché,  senza  più  fare  esperienze,  noi  possiamo  con- 
cludere con  sicurezza  che  se,  dentro  un'  elica  di  filo  con- 
duttore, si  sospende  una  piccola  calamita,  così  che  sia 
libera  di  orientarsi  come  le  piace,  essa  dovrà  disporsi  se- 
condo l'asse  del  cihndro,  sul  quale  l'elica  è  avvolta,  a 
pena  in  quest'ultima  passi  una  corrente  elettrica. 

Anzi  si  capisce  che  noi  abbiamo  in  tale  disposizione 
un  mezzo  per  renderci  conto  dell'esistenza  o  meno  di  una 
corrente  in  un  dato  conduttore.  Anch^  potremo  decidere 
in  che  senso  avvenga  il  movimento  dell'elettricità  positiva. 

A  punto  su  questo  principio  sono  fondati  gli  appa- 
recchi notissimi,  che  si  chiamano  galvanometri. 

In  pratica  gli  aghi  magnetici  non  sono  mai  del  tutto 
liberi  nei  loro  movimenti,  sia  perchè  devono  obbedire  a  la 
forza  del  campo  terrestre  (*),  sia  perchè  la  torsione  del  filo, 
al  quale  si  sospendono,  tende  sempre  ad  opporsi  ad  ogni 
causa,  che  porti  il  mobile  fuori  della  posizione  di  riposo. 


(*)  L'esistenza  del  quale   si   deduce  a  punto  dal  fatto    che  gli 
aghi  sospesi  si  orientano. 


—    62    — 

Quindi  non  è  possibile  che  la  piccola  calamita  si  di- 
sponga esattamente  secondo  la  forza,  che  è  prodotta  da 
un'elica,  percorsa  da  l'elettricità.  Assumerà  bensì  una  di- 
rezione che  si  scosta  tanto  meno  da  quella  dell'asse, 
quanto  più  energico  è  lo  sforzo,  che  la  corrente  esercita, 
in  confronto  degli  altri ,  a  i  quali  il  sistema  è  anche 
soggetto. 

Ciò  significa  che  il  galvanometro  fornisce  un  criterio 
per  giudicare  non  solo  dell'esistenza  e  della  direzione  del- 
le correnti,  ma  ancora  della  grandezza  delle  forze  magne- 
tiche, a  cui  danno  origine. 

§  6.  —  Fino  a  questo  momento,  volendo  produrre  un 
flusso  di  elettricità  noi  ci  siamo  serviti  dello  spediente  di 
scaricare  a  traverso  al  conduttore  un  corpo  elettrizzato 
(macchina  o  bottiglia  di  Leida).  Ma  vi  sono  altri  mezzi, 
molto  più  pratici,  benché  teoricamente  meno  semplici,  per 
ottenere  il  medesimo  resultato.  Vale  a  dire  vi  sono  degli 
altri  elettromotori. 

Ricordo  fra  questi  le  pile,  delle  quali  esistono  moltis- 
sime categorie ,  che  si  trovano  descritte  in  qualunque 
trattato. 

Di  alcuni  di  tali  apparecchi  faremo  uso  continuamente 
in  seguito  e  cioè  : 

i.°  della  pila  del  Bunsen,  in  cui  si  utilizza  la  diffe- 
renza di  potenziale,  che  si  produce  al  contatto  di  due 
corpi  eterogenei  ;  e  si  consuma  dell'  energia  di  origine 
chimica  ; 

2."  della  pila  secca  dello  Zamboni,  fondata  sopra  un 
principio  analogo; 

3.°  della  pila  termoelettrica  del  Nobili ,  dove  la  cor- 
rente è  ottenuta  scaldando  una  saldatura,  che  riunisce  due 
metalli  differenti  ; 

4.°  finalmente,  degli  accumulatori,  o  pile  secondarie, 
nei  quali  la  forza  elettromotrice  proviene  da  un  fenomeno, 
che  sussegue  a  l'elettrolisi. 

Se  si  confrontano    le   correnti,   date  da  questi  appa- 


-63- 

recchi,  con  lè  correnti  di  scarica,  impiegate  finora  da  noi, 
si  trovano  delle  differenze  notevoli. 

Propriamente  il  confronto  si  può  fare  in  due  modi 
distinti. 

E  cioè  si  possono  paragonare  fra  loro  le  differenze  di 
potenziale,  che  si  ottengono  nei  due  casi  a  i  capi  del  con- 
duttore, nel  quale  si  produce  la  corrente;©  pure,  in  vece, 
le  quantità  di  elettricità,  che  risultano  spostate. 

11  primo  confronto  si  farà  per  mezzo  dell'elettroscopio 
e  il  secondo,  per  esempio,  determinando  l' elettrolisi  del- 
l'acqua, acidulata  con  l'acido  solforico. 

Si  ottengono,  come  è  facile  prevedere  ,  dei  resultati, 
che  variano  di  molto  con  le  condizioni  delle  esperienze;  ma 
pure  si  può  concludere  questo  di  generale,  che  cioè,  nelle 
correnti  di  scarica,  vi  è  sempre  una  differenza  di  poten- 
ziale assai  maggiore  e  uno  spostamento  di  elettricità  assai 
minore  che  non  si  ottengano,  in  vece,  da  le  pile. 

Di  più  le  correnti,  che  si  producono  scaricando  una 
bottiglia  di  Leida,  non  durano  che  un  tempo  brevissimo, 
mentre  le  altre  possono  conservarsi,  dentro  un  intervallo 
assai  largo,  ad  intensità  costante. 

Sono,  come  si  vede,  delle  differenze  ben  nette,  ma,  ad 
ogni  modo,  solamente  quantitative. 

§  7.  —  D'  ora  in  avanti ,  volendo  studiare  le  azioni 
mutue,  che  si  esercitano  fra  due  conduttori  percorsi  da 
r  elettricità,  noi  ci  serviremo  sempre  delle  correnti  date 
da  le  pile,  perchè  souo  più  facili  da  maneggiare. 

1  fenomeni,  cui  alludo,  si  possono  dividere  in  due 
classi,  secondo  che  le  forze,  delle  quali  si  constata  l' esi- 
stenza, agiscono  su  i  conduttori  medesimi,  o  alterano,  in 
vece,  il  movimento  dell'elettricità. 

Nel  primo  caso  si  hanno  le  cosidette  azioni  pondero- 
niotrici,  nel  secondo  caso  i  fenomeni  di  induzione  elettro- 
dinamica. 

Dei  fatti  della  prima  categoria  non  abbiamo  ad  oc- 
cuparci ex  professo,  perchè  essi  non  hanno  importanza  es- 
senziale per  il  nostro  corso. 


-  64  ~ 

Ricordo  soltanto  che  si  può  dimostrare  come  due 
correnti  parallele,  dirette  nel  medesimo  senso,  sì  attirino 
e  due  correnti  dirette  in  senso  opposto  si  respingano. 

Anzi  farò  in  proposito  un'osservazione,  la  quale  non 
credo  sia  superflua. 

Nei  trattati  si  parla  comunemente  di  azioni  pondero- 
motrici,  che  s'esercitano  fra  due  conduttori  distinti.  In  realtà 
non  è  necessario,  perchè  effetto  vi  sia,  che  le  due  correnti 
rimangano  del  tutto  indipendenti.  Ma  anzi  due  tratti  del 
medesimo  filo,  quando  si  ripieghino  per  modo  da  renderli 
paralleli,  tendono,  a  seconda  dei  casi,  ad  attrarsi  o  pure  a 
respingersi. 

Mi  fermo  un  momento  sopra  questo  punto,  perchè, 
come  vedremo,  un  fatto  simile  a  quello,  del  quale  mi  oc- 
cupo ora,  si  presenta  anche  nel  caso  delle  azioni  indut- 
tive. E  ciò  ha  per  noi  un  grandissimo  interesse. 

Non  è  diffìcile  verificare 
l'esistenza  di  forze ,  agenti 
fra  tratti  del  medesimo  filo. 

Mostrerò,  come  esempio,  un 
esperimento,  che  vale  a  porre 
in  luce  r  attrazione ,  che  si 
esercita  fra  due  porzioni ,  di 
un  circuito ,  parallele  e  nello 
stesso  senso. 

Una  grossa  spirale  di  filo 
di  rame  (fìg.  2ij  è  sospesa 
ad  un  suo  estremo  ;  mentre 
l'altro  estremo  rimane  libero 
e  viene  ad  immergersi  per 
un  paio  di  millimetri  dentro 
un  bicchierino  pieno  di  mer- 
curio. 

La  spirale  ha  un  diametro  di  dieci  centimetri,  e  conta 
forse  una  ventina  di  spire. 

Si  capisce  che,  se  saldo  a  l'estremo  superiore  un  filo, 


Fig.    21. 


-65- 

comunicante  con  uno  dei  poli  di  un  elettromotore,  e  faccio 
arrivare  al  mercurio  un  altro  filo  in  contatto  con  il  secondo 
polo,  l'elica  verrà  percorsa  da  una  corrente. 

Ma  due  tratti  appartenenti  a  spire  successive,  e  posti 
sopra  una  medesima  retta,  parallela  a  l'asse,  vengono  ad 
essere  a  punto  nelle  condizioni  richieste  per  l'attrazione. 
Quindi  la  spirale,  a  pena  si  stabilisca  la  corrente,  si  ac- 
corcierà. 

Con  questo  movimento  l'estremo  inferiore  esce  dal 
mercurio  e  il  flusso  dell'  elettricità  rimane  interrotto.  Ma 
allora  la  spirale  si  distende  di  nuovo  e  chiude  manifesta- 
mente, per  sé  stessa,  il  circuito  ;  e  così  di  seguito. 

In  realtà  se,  nel  modo  che  ho  detto,  lancio  nell'  elica 
la  corrente  fornita  da  una  pila  di  quattro  accumulatori, 
essa  comincia  a  pulsare.  E,  ad  ogni  pulsazione,  la  punta 
esce  dal  mercurio  ;  e  il  flusso  si  interrompe,  dando  luogo 
ad  una  scintilla  assai  chiara  e  rumorosa. 

Manifestamente,  un'esperienza  analoga  a  questa  si  po- 
trebbe eseguire,  per  dimostrare,  in  vece,  l'azione  repulsiva 
fra  due  tratti  di  circuito  paralleli,  ma  diretti  in  senso  op- 
posto. 

§  8.  —  Veniamo  adesso  ad  esaminare  rapidamente  i 
fatti  principali  dell'induzione  fra  correnti.  Io  mi  servo  per 
queste  esperienze  di  due  eliche  di  £iO  di  rame,  avvolte 
sopra  cilindri  cavi  di  legno.  I  diametri  dei  cilindri  sono 
scelti  in  modo  che  una  delle  eliche  può  entrare  per  l'a 
punto  dentro  l'altra. 

Adopero  ancora  un  grande  galvanometro  a  quadrante 
verticale.  Su  quale  principio  siano  fondati  questi  appa- 
recchi ho  già  detto;  quanto  a  i  particolari  credo  inutile  in- 
sistervi. In  quello  che  impiego,  si  è  unito  a  1'  ago  un  in- 
dice lunghissimo  e  sottile,  i  cui  movimenti  sono  ben  vi- 
sibili a  distanza.  Nella  posizione  di  riposo,  vale  a  dire 
nella  posizione,  che  il  magnete  assume  quando  non  v'è 
corrente  nell'elica,  che  lo  circonda,  l'indice  segna  lo  zero. 
Da  una  parte  e  da  l'altra  di  questa  cifra  sono  segnati  dei 

S 


—  66  — 

numeri  via  via  crescenti.  Lanciando  una  corrente  nell'ap- 
parecchio avremo  uno  spostamento  a  destra,  o  pure  uno 
spostamento  a  sinistra,  a  seconda  del  senso  nel  quale  è 
diretto  il  flusso  dell'elettricità. 

E  la  grandezza  della  deviazione  fornirà  un  criterio 
per  giudicare  dell'intensità  del  flusso  medesimo. 

Io  metto  in  circuito  con  il  galvanometro  la  spirale  a 
diametro  più  grande,  e  faccio  passare  nell'altra  la  corrente 
data  da  quattro  accumulatori.  Come  è  naturale  l'indice  del 
galvanometro  non  accenna  a  muoversi. 

E  bene,  senza  nulla  alterare  nelle  comunicazioni,  in- 
troduciamo rapidamente  nella  spirale  larga  quella  sottile. 
Subito  si  osserva  una  deviazione,  che  in  questo  caso  av- 
viene verso  la  destra  di  chi  guarda  il  quadrante. 

Ma  la  deviazione  non  si  mantiene,  perchè  l'indice,  dopo 
di  aver  oscillato  tre  o  quattro  volte  ;  ritorna  a  lo  zero. 

Lasciamo  che  si  fermi  del  tutto,  e  poi  ritiriamo  la  spi- 
rale interna ,  rapidamente.  Da  capo  1'  ago  devia ,  però  il 
suo  movimento  si  fa  in  senso  opposto  a  quello  di  prima. 
L'indice  è  andato  ora  su  i  numeri  di  sinistra. 

Secondo  che  si  avvicina  o  si  allontana  1'  elica  indu- 
cente, si  producono  dunque  nell'elica  indotta  delle  correnti 
di  senso  contrario. 

Che  se  volessimo  esaminare  un  po'  minutamente  le 
condizioni  delle  nostre  esperienze,  si  troverebbe  che  nel 
primo  caso  il  flusso  dell'  elettricità  si  faceva  per  versi 
opposti  nei  due  circuiti  ;  nel  secondo  caso,  in  vece,  per  il 
medesimo  verso. 

Ho  detto  sempre  che  i  movimenti,  che  si  imprimono 
a  l'elica  inducente,  rispetto  a  l'indotta^  devono  essere  ra- 
pidi. In  realtà,  se  ripeto  le  esperienze  spostando  adagino 
la  spirale  interna,  non  si  osserva  nel  galvanometro  nes- 
suna tendenza  a  deviare.  Queste  correnti  eccitate  per  in- 
duzione hanno  dunque  un'intensità,  che  dipende  dal  modo 
come  -varia  la  distanza  fra  i  due  circuiti  in  presenza. 

Le  deviazioni,  che  abbiamo  ottenuto  finora,  per  quanto 


-67- 

sensibili,  erano  sempre  assai  piccole.  Posso  però  comuni- 
care a  l'ago  degli  impulsi  più  vivaci,  sommando  in  qualche 
modo  gli  effetti,  dovuti  a  parecchie  correnti. 

Per  questo  comincio  ad  introdurre  l'elica  inducente  nel- 
l'indotta ,  ciò  che  *  produce  uno  spostamento  dell'  indice 
verso  la  destra.  Ma  quando  l'ago  ritorna  indietro,  e  ol- 
trepassa, oscillando,  la  posizione  di  riposo,  ritiro  la  prima 
spirale.  Ottengo  così  una  deviazione  assai  ampia  da  la 
parte  di  sinistra.  E  poi  continuo  in  modo  analogo  a  por- 
tare avanti  e  indietro  il  circuito  inducente,  badando  sempre 
a  cogliere  il  momento  opportuno. 

Come  vedono,  si  riesce  assai  presto  a  raggiungere  degli 
angoli  di  novanta  gradi. 

In  vece  che  per  lo  spostamento  della  spirale  indu- 
cente, io  posso  ottenere  delle  correnti  indotte  anche  in 
altro  modo. 

Per  esempio  voglio  lasciare  le  due  spirali  una  dentro 
l'altra,  e  quando  il  galvanometro  è  ben  fermo  interrom- 
pere il  flusso  dell'  elettricità  nell'  elica  inducente.  Subito 
l'indice  si  sposta  verso  i  numeri  di  sinistra.  L'  effetto  è 
dunque  analogo  a  quello,  che  si  produceva  per  1'  allonta- 
namento del  primo  circuito. 

Senza  più  fare  esperienze,  dirò  ^he  lo  stabilirsi  della 
corrente  nella  spirale  interna  dà  luogo,  a  la  sua  volta,  ad 
una  induzione  analoga  a  quella,  che  risulta  avvicinando 
ia  spirale  medesima,  quando  è  percorsa  da  l'elettricità. 

Anzi  degli  effetti  simili  a  questi  si  ottengono  anche 
facendo  soltanto  variare  ^cioè  diminuire  o  crescere)  la  cor- 
rente dell'elica  interna. 

Tutti  i  fatti,  che  ho  ricordato,  li  possiamo  raccogliere 
in  una  formola  unica,  ove  si  osservi  che  lo  stabilire  o 
r  interrompere  o  il  modificare,  o  lo  spostare  la  corrente 
inducente  porta  sempre  ad  alterare  la  distribuzione  delle 
forze  magnetiche,  nell'intorno  del  circuito  indotto. 

La  cosa  è  tanto  vera  ed  interessa  così  profondamente 
il  meccanismo  del  fenomeno ,  che  le  nostre    esperienze  si 


—  68  — 

possono  ripetere,  sostituendo  un  magnete  a  la  spirale  in- 
ducente. 

Le  correnti  di  induzione,  quando  siano  prodotte  in 
modo  opportuno,  hanno  dei  tratti  a  comune  con  le  altre, 
che  si  ottengono  scaricando  i  condensatori.  In  particolare 
danno  luogo  a  differenze  di  potenziale  assai  grandi  in  con- 
fronto di  quelle  raggiunte  da  le  correnti  delle  pile. 

Questi  fenomeni  si  utilizzano  in  molti  apparecchi,  dei 
quali  il  più  noto  e  il  più  importante  per  noi  è  il  rocchetto 
del  Ruhmkorff". 

Il  rocchetto  del  Ruhmkorff  consta  essenzialmente  di  due 
spirali  cilindriche,  poste  una  dentro  l'altra.  L'interna,  l'in- 
ducente,  ha  poche  spire  di  filo  assai  grosso,  l'indotta,  in 
vece,  ha  un  gran  numero  di  spire  di  filo  sottile. 

Una  disposizione  automatica  [interruttore)  permette  di 
stabilire  e  interrompere  la  corrente  del  primo  circuito 
molte  volte  di  seguito.  Così  si  ottengono  nell'elica  esterna 
delle  correnti  di  induzione,  i  sensi  delle  quali  si  alternano. 

Ho  qui  un  rocchetto,  assai  grande,  che  ci  permetterà 
di  verificare  questa  circostanza. 

A  l'uopo  metto  in  circuito  con  l'indotto  un  tubo  del 
Geissler  e  faccio  agire  l' apparecchio.  Si  osserva  che  non 
vi  è  differenza  fra  l'aspetto  dei  due  elettrodi,  ciò  che  si 
deve  attribuire  per  l' a  punto  ad  una  sopraposizione  di 
fenomeni. 

Le  cose  cambiano  se  lascio  ancora  nel  circuito  una 
interruzione,  così  che  vi  scocchi  una  scintilla  di  tre  o 
quattro  centimetri.  Si  mostrano  subito  a  le  due  estremità 
le  apparenze  caratteristiche  dell'anodo  e  del  catodo. 

Bisogna  concludere  di  qui  che  delle  due  correnti  di  in- 
duzione, le  quali  si  generano  a  l'apertura  e  a  la  chiusura 
del  circuito  inducente,  una  deve  dar  luogo  a  differenze  di 
potenziale  assai  piccole  in  confronto  di  quelle,  che  sono 
raggiunte  da  l'altra. 

È  facile  persuadersi,  comandando  a  mano  l' interrut- 
tore, che  il  dislivello  maggiore  si  ottiene  in  corrispondenza 
dell'apertura  del  circuito  inducente. 


-69- 

§  9'  —  Poi  che  i  fenomeni  di  induzione  sembrano  di- 
pendere esclusivamejite  dal  modo  come  si  modificano  le 
forze  magnetiche  nell'  intorno  del  circuito  indotto,  ci  si 
presenta  subito  a  lo  spirito  l' idea  di  ottenere  delle  cor- 
renti per  le  azioni  induttive  di  un  filo  metallico  su  sé 
stesso. 

Realmente  la  cosa  è  possibile  e  si  può  constatare  con 
tutta  facilità. 

Io  metto  in  circuito  con  il  galvanometro  una  pila 
Bunsen  e  un'elica  di  filo  di  rame  sottile.  Questa  conta  un 
gran  numero  di  spire.  L'ago  devia  e  si  ferma  in  una  po- 
sizione costante. 

E  bene,  interrompiamo  la  corrente,  ad  un  tratto.  Su- 
bito l'indice  si  muove,  ma  non  si  dirige  verso  il  mezzo 
del  quadrante,  bensì  la  deviazione,  da  principio,  cresce 
ancora  un  poco. 

Quindi  si  fanno  alcune  oscillazioni;  e  si  torna  al  riposo. 

Vuol  dire  che,  interrompendo  il  flusso  dell'elettricità, 
si  è  prodotta  nel  filo  una  corrente,  che  va  nel  medesimo 
senso  di  quella  preesistente. 

Un  effetto  opposto  si  verificherebbe  a  la  chiusura  del 
circuito. 

A  questo  proposito  credo  opportu-.o  richiamare  la  loro 
attenzione  sopra  una  circostanza  notevole.  E  consiste  in 
ciò  che  gli  effetti  di  induzione  dipendono  da  la  forma  del 
circuito,  nel  quale  si  studiano. 

Così  per  esempio,  se,  in  luogo  di  tenere  il  filo  rav- 
volto ad  elica,  lo  avessi  disposto  in  un  cappio  unico,  la 
corrente  indotta  sarebbe  stata  assai  minore. 

Questo  fatto  è  collegato  con  l'altro  che  in  un  circuito, 
percorso  da  corrente,  si  hanno  degU  effetti  induttivi  con 
la  semplice  deformazione. 

§  io.  —  Ho  detto  già  che  la  maggior  parte  dei  feno- 
meni, dei  quali  ci  occupiamo  ora,  non  si  possono  più  ri- 
produrre con  il  modello  idrodinamico. 

Anzi  tutto    non  sono    imitabili  le  azioni  ponderorao- 


—  70  — 

trici;  tanto  se  si    tratta  di    un  solo  circuito  quanto  se,  in 
vece,  se  ne  considerano  due. 

Per  ciò  che  riguarda  poi  le  azioni  induttive  bisogna 
distinguere.  Per  vero  si  osserva,  nei  due  casi,  un  compor- 
tamento diverso. 

Propriamente  sono  i  fatti  àeìV induzione  mutua  quelli,. 
che  non  rientrano  nell'  orbita  del  nostro  modello  ;  mentre 
i  fenomeni  dell'  autoinduzione  vengono  ancora  riprodotti 
da  esso. 

Quanto  a  i  primi  la  cosa  si  intende  assai  bene,  perchè 
non  si  vedrebbe  come  il  movimento  dell'  acqua  dentro  un 
tubo  possa  venire  influenzato  da  ciò,  che  accade  in  urk 
altro  tubo  vicino  (*). 

In  vece  si  comprende  come  l'inerzia  dell'acqua  debba 
dar  luogo  a  fenomeni,  simili  in  tutto  a  quelli  dell'  autoin- 
duzione. 

Del  resto  è  facile  persuadersi  della  cosa,  con  un'espe- 
rienza diretta.  Riprendiamo  a  l'uopo  1'  apparecchio  con  i 
tubi  manometrici  (fig.  ii),  che  impiegammo  nella  lezione 
passata.  E  disponiamolo  come  allora,  e  lasciamo  che  il 
liquido  effluisca. 

Poi  tutto  ad  un  tratto,  serrando  il  tubo  di  gomma,  che 
si  trova  a  l' estremità,  cerchiamo  di  interrompere  il  mo- 
vimento. 

Accade  che  l'acqua  non  si  rialza  senz'altro,  tranquil- 
lamente nei  manometri.  Ma  anzi  si  solleva  ad  una  grande 
altezza,  tanto  da  sgorgare  a  l'esterno  ;  sopra  tutto  in  quello 
che  è  più  vicino  a  l'orifizio  di  efflusso. 

Anche  qui  si  verifica  dunque  la  corrente  indotta  di 
apertura,  come  nel  caso  dell'elettricità. 

Questo  comportamento  del  modello  idrodinamico  ha 
un  significato  logico  assai  profondo. 

Esso  ci  mostra  in  fatti  come  la  verità,  o  per  meglio' 
dire  l'accettabilità,  di  una  teoria,  possa  essere  limitata. 


(*)  Almeno  fino  a  che  le  pareti  dei  due  tubi  rimangono  rigide. 


—  71  — 

Ma  di   ciò   e   di   altre  cose   analoghe  discorrerò  più 
estesamente  nella  prossima  lezione. 


»  « 


§  II.  —  Ora  conviene,  in  vece,  riassumere  i  resultati 
principali,  che  oggi  abbiamo  ottenuto  o  anche  solo  ricordato. 

Si  riducono  in  sostanza  a  la  nozione  del  campo  ma- 
gnetico prodotto  da  una  corrente;  e  a  gli  effetti  che  a  sua 
volta  il  campo  esercita  sopra  i  circuiti. 

In  particolare  ho  fatto  cenno  delle  azioni  pondero- 
motrici  ed  induttive,  che  un  filo  esercita  sopra  sé  stesso. 


LEZIONE  QUINTA. 

Modelli  dei  fenomeni  —  Teorie  meccanicamente 
equivalenti  —  Leggi  teoriche  per  la  scarica  dei 
condensatori. 

§  I.  —  Abbiamo  visto,  nella  lezione  passata,  come  il 
modello  idrodinamico  non  riproduca  per  nulla  i  fenomeni 
di  induzione,  fra  correnti  distinte. 

Si  potrebbe  pensare  che  il  motivo  vero  di  questo 
fatto  non  stia  tanto  in  una  deficienza  del  nostro  appa- 
recchio, quanto,  in  vece,  nella  natura  stessa  della  quistione. 
E  di  vero  può  nascere  il  dubbio  che  i  fenomeni,  dei  quali 
ci  occupiamo,  non  siano  rappresentabili  con  modellijnec- 
canici.  f 

In  realtà  le  cose  non  vanno  punto  in  questo  modo,  e 
anche  per  l' induzione  mutua  si  possono  imaginare  delle 
disposizioni,  che  riproducono  in  ogni  dettaglio  ciò,  che 
s'osserva  nella  natura. 

Queste  disposizioni,  in  particolare,  rappresentano  an- 
che i  fenomeni,  a  i  quali  dà  luogo  un  circuito  isolato;  e 
riescono  molto  interessanti,  per  ciò  che  sono  completa- 
mente diverse  dal  modello  idrodinamico. 

Tale  sarebbe   ad    esempio    questo    mio    apparecchio, 

(fig.   32)   (*)   (7). 

(•)  La  figura  22,  in  realtà,  rappresenta  il  modello  sotto  una 
forma  più  completa,  quale  sarà  impiegata  più  tardi.  Per  ora  si  tenga 
conto  di  quelle  parti  soltanto,  che  vengono  descritte  nel  testo. 


—  73  — 

Ad  un  asse  di  acciaio,  che  può  girare  sopra  sé  stesso, 
conservandosi  orizzontale,  ho  fissato  un  piccolo  volano  di 
ghisa  e  due  manicotti.  Il  primo  di  questi  porta  due  sbarre, 
normali  a  l'asse,  e  poste  una  sul  prolungamento  dell'altra. 
Il  secondo  manicotto  regge,  in  vece,  quattro  asticelle,  delle 
quali  ^ascuna  fa  un  angolo  retto  con  quella ,  che  la 
precede.  Su  le  sbarre  scorrono  due  pesi  e  intorno  a  le 
aste  girano  quattro  palette  di  latta. 

In  questo  modo  si  può  variare  il  momento  di  inerzia 
dell'apparecchio  intorno  a  l'asse;  e  si  può  rendere  più  o 
meno  grande  la  resistenza,  che  l'aria  oppone  a  le  sue 
rotazioni. 

Così  si  rappresenta  un  circuito  isolato.  E  della  esat- 
tezza della  rappresentazione  ci  possiamo  persuadere  con 
alcune  esperienze  molto  semplici. 

Dissi  già,  la  volta  passata,  come  le  azioni  induttive  di 
un  conduttore  sopra  sé  stesso,  dipendano,  quanto  a  la 
grandezza,  da  la  forma,  che  al  conduttore  si  dà. 

Similmente ,  in  un  sistema  meccanico ,  gli  effetti  di 
inerzia,  dipendono  dal  modo,  come  le  masse  sono  distribuite. 

Un'ehca  a  spire  serrate  dà  luogo  a  fenomeni  di  indu- 
zione più  netti  che  un'altra  elica,  fatta  con  il  medesimo  filo, 
ed  avvolta  sul  medesimo  cilindro,  ma  con  un  passo  mag- 
giore. 

Così  si  riscontra  nel  nostro  apparecchio  una  tendenza 
più  spiccata  a  conservare  la  rotazione,  quando  fisso  i  pesi 
a- l'estremità  delle  sbarre,  che  non  quando  li  ritiro,  in 
vece,  prossimi  a  l'asse. 

A  la  spirale  a  breve  passo  corrisponde  dunque,  in  un 
certo  senso,  un  sistema  fornito  di  momento  di  inerzia 
assai  grande  ;  a  1'  altra  spirale,  più  allungata,  un  sistema 
<:on  momento  minore. 

Ma  dissi  anche  che  talune  azioni  induttive  possono  na- 
scere da  la  deformazione.  Per  l'analogia  con  quello,  che 
avviene  nel  caso  dei  due  circuiti,  si  può  prevedere  che 
schiacciando  una   spirale   si  produrrà  un  flusso    in  senso 


—  74  — 

opposto  a  quello  preesistente.  Mentre  si  deve  ottenere  un 
flusso  diretto  nello  stesso  senso  quando  la  spirale  si  allunga. 

E  bene,  dei  fatti  in  tutto  simili  a  questi  osserviamo 
anche  nel  nostro  modello.  Basta  assumere,  in  pieno  ac- 
cordo con  ciò  che  precede,  la  velocità  angolare  della  ro- 
tazione intorno  a  Tasse,  per  rappresentante  dell'  intensità 
del  flusso. 

Propriamente  si  porrà  in  movimento  1'  apparecchio  e 
poi,  abbandonandolo  a  se  stesso,  cercheremo  di  variare  ad 
un  tratto  il  momento  di  inerzia.  Vedremo  che  al  crescere 
del  momento  corrisponde  una  diminuzione  della  velocità; 
mentre  il  moto  si  accelera  quando  l' inerzia  diventa  più 
piccola. 

Nel  nostro  modello  questi  effetti  si  ottengono  facendo 
muovere  i  pesi  su  le  sbarre.  Supponiamo  anzi  tutto  che  li 
si  vogliano  allontanare  istantaneamente  da  l'asse.  A  l'uopo 
sono  intercalate  fra  il  manicotto  e  i  pesi  stessi  due  molle,, 
che  tendono  a  mantenerli  a  distanza.  Noi  le  comprimiamo 
ed  assicuriamo  le  masse  mobili  per  mezzo  di  certi  fìli^ 
che  vengono  a  fermarsi  ad  un  organo  centrale.  Questo  è 
costruito  per  modo  che,  a  l' istante  voluto,  ci  permetterà 
di  lasciar  liberi  i  pesi. 

Risulta,  essenzialmente,  da  un'asticina,  fissata  a  vite 
contro  il  manicotto,  perpendicolare  a  l'asse  e  a  le  sbarre. 
Intorno  a  la  quale,  in  alto,  rota,  con  un  po'  di  giuoco,  un 
cappelletto  di  ottone. 

E  il  cappelletto  porta,  a  la  sua  volta,  tre  sbarrette  di 
acciaio.  Due  di  queste  sono  uguali,  corte  e  stanno  una 
sul  prolungamento  dell'altra;  la  terza,  assai  più  lunga,  è 
parallela  a  quelle  prime  due. 

A  le  sbarrette  corte,  si  assicurano,  con  cappii,  i  fih\ 
che  trattengono  i  pesi  ;  mentre  la  sbarretta  più  lunga  si 
appoggia  a  l'estremità  di  un'appendice,  la  quale  è  fermata 
anch'essa  a  quell'asticina,  che  regge  il  cappelletto. 

Si  capisce  che,  quando  la  terza  sbarretta  superasse 
l'estremità  dell'appendice,  i  pesi  doventerebbero    liberi,  e 


—  75  — 
sarebbero  abbandonati  a  l' azione  delle  molle.    Questo  si 
ottiene  presentando  al  sistema  un  ostacolo,  in  modo  con- 
veniente. 

È  nel  caso  nostro  un  disco  di  ottone,  sorretto  da  un 
manico,  il  quale  è  fissato  ad  uno  dei  ritti,  che  sopportano 
l'asse.  In  generale  il  disco  non  urta  contro  la  sbarretta^ 
ma,  volendo ,  lo  si  può  spostare ,  in  guisa  che  l' incontro 
si  faccia. 

Una  disposizione  analoga  in  tutto,  a  quella,  che  ho 
descritto,  dà  modo  di  accostare  in  vece  i  pesi  a  l'asse  di 
rotazione.  Basta  per  questo  portare  le  molle  a  gli  estremi 
delle  sbarre;  e  avvolgere  i  fili  sopra  certe  carrucole,  che 
ivi  si  trovano. 

Non  mi  trattengo  ulteriormente  sopra  i  particolari  del- 
l'apparecchio, e  passo  senz'altro  ad  eseguire  le  esperienze. 

Comincio  da  quella,  che  dimostra  gli  effetti  di  un 
incremento  istantaneo  del  momento  di  inerzia.  Dispongo 
ogni  cosa  nel  modo,  che  ho  detto;  quindi  faccio  girare 
rapidamente  il  volano,  e  poi  lo  lascio  libero.  E  con  la 
mano,  abbasso  il  dischetto.  Trascinata  nel  moto  dell'  ap- 
parecchio, la  sbarretta  più  lunga  lo  viene  ad  urtare;  e  i 
pesi,  non  più  trattenuti,  sono  lanciati  a  l'estremità  dei  loro 
sostegni.  A  l'istante  il  sistema  subisce  come  un  arresto. 
Questo  corrisponde,  secondo  che  si  prevedeva,  a  la  cor- 
rente indotta,  che  s'ottiene  schiacciando  rapidamente  un'e- 
lica, percorsa  da  l'elettricità. 

Anche  l'altra  esperienza ,  nella  quale  si  fa,  in  vece,, 
diminuire  il  momento  di  inerzia,  riesce  con  esito  buono. 

Io  trasporto  ,  come  ho  accennato,  le  molle  al  di  là 
delle  masse  mobili;  e  tomo  a  fissare  queste  ultime  con  i 
loro  fili.  Quindi  rimetto  l'apparecchio  in  rotazione. 

Lasciando  adesso  che  i  pesi  doventino  liberi  di  muo- 
versi, essi  vengono  lanciati  contro  l'asse;  e  il  moto  del 
sistema  si  accelera. 

Similmente  si  ottiene  un  flusso,  che  coopera  con  quella 
preesistente,  quando  si  allunga  un'elica  di  filo  conduttore 


—  76- 

Con  questo  credo  di  aver  provato  a  sufficienza  la 
bontà  del  nuovo  modello.  Un  sistema  rotante  intorno  ad 
un  asse  equivale  dunque,  in  certo  modo,  ad  un  tubo  per- 
corso da  l'acqua. 

§  2.  —  Abbiamo  qui  un  fatto,  che  si  è  verificato  molte 
volte  nella  storia  della  scienza  ;  sul  quale  è  bene  tratte- 
nersi un  momento. 

Ogni  teoria,  che  si  dà  per  un  determinato  ordine  di 
fenomeni,  non  è  in  sostanza  che  un  modello,  o  meglio,  è 
la  descrizione  di  un  modello,  proposto  per  i  fenomeni  stessi. 

Quando  esponevo  Loro  l'ipotesi  del  Mossotti  su  la 
natura  dei  dielettrici,  o  quella  del  Poisson  su  l'induzione 
magnetica,  o  la  teoria  comunemente  accettata  dell'  elettro- 
lisi, io  descrivevo  in  realtà  dei  sistemi  che  riproducono, 
a  l'ingrosso,  i  fenomeni.  Ma  bisogna  guardarsi  dal  credere 
che  vi  sia  nelle  nostre  rappresentazioni  tutta  la  realtà  o 
anche  solo  una  parte. 

L'unico  legame  fra  la  natura  e  il  modello,  nel  caso 
più  favorevole,  consiste  in  ciò  che  le  leggi  secondo  le  quali 
variano  le  quantità  corrispondenti,  sono  nei  due  sistemi 
le  stesse. 

Ma  per  questo  non  si  richiede  l' identità  dei  mecca- 
nismi ;  dal  momento  che  di  un  medesimo  fenomeno  si 
possono  dare  due  modelli  diversi.  Quindi  una  teoria  può 
essere  vera,  per  noi,  senza  avere  in  sé  nulla  del  reale. 

Anche  si  comprende  come  sia  ozioso,  in  un  gran  nu- 
mero di  casi,  il  discutere  sopra  il  valore  relativo  di  due 
ipotesi  differenti.  Entrambe  possono  essere  ugualmente 
vere,  in  quanto  rendono  ragione  ugualmente  bene  di  una 
serie  di  fatti. 

Ho  detto  dt  una  serie  di  fatti  in  vece  di  dire  sen- 
z'altro dei  fatti  perchè  può  accadere  che  una  certa  ipotesi, 
vale  a  dire  un  certo  meccanismo  ,  spieghi ,  ossia  ripro- 
■duca,  alcuni  fenomeni  e  alcuni  altri  non  più. 

Da  questo  punto  di  vista,  ma  da  questo  soltanto,  si 
può  stabilire  un  ordine  di  accettabilità  fra  le  teorie  pro- 
poste per  spiegare  una  classe  di  fatti. 


—  77  — 

Un  esempio  di  ciò,  che  dico,  lo  abbiamo  nel  modello 
idrodinamico,  il  quale  riproduce  i  fenomeni  di  autoindu- 
zione, ma  non  quelli  di  induzione  mutua. 

Vedremo  che,  in  vece,  l'altro  modello,  che  ho  descritto 
oggiy  si  estende  anche  a  questi  fatti  più  complessi. 

Vuol  dire  che  esso  sarà  più  accettabile  del  primo. 

Ma,  lo  ripeto,  fino  a  che  si  resta  nel  campo  dell'au- 
toinduzione, i  due  apparecchi  sono  in  tutto  equivalenti. 

*  Noi  chiameremo  a  punto  equivalenti  meccanicamente 
due  teorie,  che  spiegano  gli  stessi  fenomeni,  basandosi  su 
la  descrizione  di  due  modelli  diversi. 

§  3.  —  Chiudiamo  la  parentesi  e  torniamo  al  nostro 
apparecchio.  Occupiamoci  subito  di  vedere  come  lo  si  di- 
sponga, per  metterlo  in  grado  di  riprodurre  i  fatti  del- 
l'induzione mutua. 

A  l'uopo  infilo  ancora  su  l'asse  una  rota  dentata  conica 
(pignone)  e.  due  manicotti.  La  rota  dentata  la  fisso  in  una 
posizione  invariabile,  con  una  vite;  e  i  manicotti  girano 
liberamente. 

Di  essi  il  primo  reca  due  sbarre  d'acciaio,  con  due 
pignoni,  e  l'altro  ha  pure  un  pignone. 

Le  cose  sono  disposte  in  modo  '^^e  le  quattro  rote 
vengono  ad  ingranare;  ciascuna  con  quella,  che  la  precede 
e  con  quella,  che  la  segue  (fig.  23) 

Il  secondo  manicotto  porta  ancora  un  volano  e  quattro 
asticelle,  munite  di  palette.  Esso  rappresenta,  con  la  sua 
velocità  angolare  di  rotazione,  la  corrente  del  circuito 
indotto. 

Quanto  a  la  parte  centrale,  il  suo  ufficio  è  dì  trasmet- 
tere le  azioni  induttive  dal  primo  al  secondo  sistema.  Gli 
effetti  sono  tanto  più  chiari  quanto  più  grande  è  il  mo- 
mento di  inerzia  di  quest'organo  intermedio. 

Ora,  nel  caso  dell'elettricità,  si  trova  che  le  correnti 
indotte  ,  a  parità  delle  altre  condizioni,  crescono  con  la 
vicinanza  dei  due  circuiti.  Aumentare  il  momento  di  inerzia 
della  parte  centrale  vuol  dunque  dire  rendere  più  vicini 
i  due  conduttori  in  presenza. 


-  78- 

Vedremo  che  le  variazioni  del  momento" danno  luogo 
a  punto  a  fenomeni  simili  a  quelli,  che  si  ottengono  per 
il  moto  dei  circuiti. 


Fig.  23. 

Queste  variazioni  le  produciamo,  nel  nostro  apparec- 
chio, con  lo  stesso  artifizio,  che  s'impiegava  testé  per  al- 
terare il  momento  di  inerzia  del  primo  sistema  rotante. 

Se  si  comincia  a  muovere,  a  punto,  il  primo  sistema 
si  vede  subito  che  nell'altro  circuito  si  produce  una  cor- 
rente opposta  a  Yindticente  ;  e  cioè  il  secondo  volano  si 
mette  a  rotare  nel  senso  contrario  a  quello,  in  che  rota 
il  primo. 

Ma,  quando  sono  giunto  ad  imprimere  con  la  mano 
un  movimento  uniforme,  1'  indotto  si  arresta.  Similmente 
non  si  osservano  azioni  induttive,  che  siano  dovute  ad 
una  corrente  costante. 

Fermiamo  adesso  il  primo  sistema;  e  senz'altro  il  se- 
condo si  metterà  a  girare,  nello  stesso  verso,  in  cui  quello 


—  79  — 

girava.  Così  se  in  uno  di  due  circuiti  in  presenza  si  in- 
terrompe il  flusso  dell'  elettricità,  si  ottiene  nell'altro  un 
movimento  diretto  come  l'inducente. 

Ora  passo  ad  eseguire  quelle  esperienze,  che  hanno 
il  loro  analogo  nei  fenomeni  di  induzione  prodotti  dai  moti 
dei  circuiti.  E  anzi  tutto  ritiro  in  vicinanza  dell'asse  i  pesi, 
mobili  su  le  sbarre  della  trasmissione.  Pongo  in  rapido 
movimento  il  primo  volano,  poi  lo  abbandono  e  faccio  che 
i  pesi  ridiventino  liberi.  Allora  il  secondo  volano  si  mette 
a  girare  in  senso  opposto  al  primo.  Ciò  che  si  poteva 
prevedere,  per  l'analogia  del  fenomeno  elettrico. 

Finalmente,  se  dispongo  le  cose  per  modo  da  dimi- 
nuire d'un  tratto  il  momento  d'inerzia  della  parte  inter- 
media, il  sistema  indotto  entra  in  rotazione  e  va  nello 
stesso  verso  dell'  inducente.  Qui  ancora  la  somiglianza  con 
il  fenomeno  elettrodinamico  è  completa. 

§  4.  —  L'ufficio  delle  teorie  non  è  soltanto  di  rac- 
cogliere sistematicamente  una  serie  di  fatti  conosciuti,  spie- 
gandoli con  un  unico  meccanismo  :  ma  anche  di  mostrare 
la  probabilità  di  altri  fenomeni,  non  ancora  enervati. 

La  ragione,  per  la  quale  ciò  riesce  possibile  è  duplice; 
può  darsi  anzi  tutto  che,  per  puro  caso,  il  modello  che  si 
è  adottato,  abbia  con  la  realtà  maggiori  punti  di  contatto 
che  non  si  potesse  credere  a  prima  vista. 

Ma  può  avvenire  anche  che  i  fatti  nuovi  siano  conse- 
guenze logiche  dei  fatti  già  noti;  vale  a  dire  siano  quelli 
stessi  sotto  un'altra  forma. 

Cosi,  per  esempio,  che  il  modello  idrodinamico  oltre 
a  rappresentare  i  corpi  elettrizzati,  renda  ancora  i  feno- 
meni, a  i  quali  dà  luogo  il  movimento  dell'elettricità,  in  un 
conduttore  isolato,  è  un  puro  caso. 

Ma  una  volta  che  si  sono  ottenuti  questi  dud  resultati, 
si  può,  senz'altro,  prevedere  che  il  modello  idrodinamico 
sarà  anche  capace  di  indicarci  quali  apparenze  debbono 
accompagnare  la  scarica  di  un  condensatore. 

In  realtà  esso  modello  riproduce  con  esattezza  i   due 


8o  — 


elementi,  che  entrano  nel  fenomeno,  la  scarica,  cioè,    e  il 
condensatore. 

Ora,  quando  si  cerca  di  rappresentare  l'analogo  del 
fatto  elettrico  si  trova  che  i  resultati  cambiano  di  molto 
ove  si  faccia  variare  il  diametro  interno  dei  tubi,  che  s' im- 
piegano per  fare  l'esperienza. 

Ce  ne  pessiamo  subito  persuadere. 

Ho  qui  davanti  due  ap- 
parecchi semplicissimi ,  in 
tutto  simili  fra  loro.  Si 
tratta  in  entrambi  i  casi 
di  una  canna  di  vetro 
(fìg.  24) ,  lunga  un  metro 
0  poco  meno,  curvata  ad 
U,  aperta  a  le  estremità. 
Da  una  e  da  l' altra  parte 
la  canna  si\  continua  in  un 
tubo  di  gomma.  Di  questi 
tubi  uno  è  munito  di  un 
rubinetto  a  largo  foro,  l'al- 
tro di  un  bocchino  di  ve- 
tro, aperto. 

La  sola  differenza  fra  le 
due  canne  consiste  in  que- 
sto che,  per  una  di  esse 
il  diametro  del  foro  interno 
è  di  due   millimetri   circa» 


Fig.  24. 


per  l'altra  è  di  un  centimetro  e  mezzo. 

In  entrambi  gli  apparecchi  vi  è  adesso  una  certa  quan- 
tità di  liquido  (deir  acqua  tinta  in  rosso  con  un  colore  di 
anilina),  che  s'eleva  nei  due  rami  a  metà  circa  della  loro 
altezza;  i  rubinetti  sono  aperti. 

Occupiamoci  prima  dell'  apparecchio  a  canna  sottile. 
Io  prenderò  ora  in  bocca  il  bocchino  di  vetro,  ed  aspirerò 
leggermente,  in  modo  da  produrre  un  dislivello  di  una 
trentina  di  centimetri.    Poi   chiuderò  il  rubinetto    a    l'altra 


—  8i  — 

estremità.  Come  vedono,  il  dislivello  si  mantiene  inalterato; 
abbiamo  dunque  ciò,  che  corrisponde  a  due  conduttori  in 
presenza,  elettrizzati  a  potenziale  differente.  Produciamo 
la  scarica.  Per  questo  basterà  aprire  rapidamente  il  rubi- 
netto. L'acqua  scende  man  mano  da  la  parte  del  bocchino 
e  s'innalza  da  l'altra ,  finche  le  altezze  de  Ile  colonne  si 
uguagliano.  Ed  ogni  movimento  cessa. 

E  bene,  voglio  tentare  di  ripetere  con  l'altro  appa- 
recchio la  stessa  esperienza. 

Per  avere  un  punto  di  riferimento  segno,  con  un  anel- 
lino di  carta  gommata,  l'altezza  a  la  quale  giunge  il  liquido 
da  la  parte  del  rubinetto.  Quindi  procedo  assolutamente 
come  dianzi:  aspiro  e  chiudo,  senza  più. 

Nel  ramo  chiuso  il  livello  dell'  acqua  è  ora  di  venti 
o  venticinque  centimetri  più  basso  che  nell'  altro  ;  e  così 
rimarrebbe  indefinitamente. 

Apriamo.  Subito  da  questa  parte  l'acqua  s'alza,  ma  le 
cose  non  vanno  più  nello  stesso  modo  di  prima.  Il  liquido 
supera  di  parecchio  l'anellino  di  carta,  poi  si  abbassa  di 
nuovo,  poi  torna  ad  alzarsi  ;  e  ripete  questi  movimenti 
diverse  volte,  facendo  escursioni  di  mano  in  mano  meno 
ampie,  finché  si  riduce  al  riposo.  In  ".Itre  parole  la  super- 
ficie libera  dell'acqua  ha  oscillato  adesso  alquanto  intorno 
a  la  posizione  di  equilibrio  prima   di  riprenderla. 

Tradotti  nel  linguaggio  dell'  elettrodinamica,  questi 
resultati  ci  dicono  che  la  scarica  di  un  condensatore  deve 
potersi  produrre  in  due  modi  differenti. 

In  certe  condizioni  l'elettricità  passerà,  in  una  sola 
volta,  da  l'armatura  positiva  a  la  negativa;  come,  nell'ap- 
parecchio a  tubo  sottile,  l'acqua  scendeva  dal  ramo,  dove 
la  colonna  era  più  alta,  fino  a  che  i  livelli  fossero  divenuti 
uguali. 

In  altre  condizioni  l'elettricità  si  porterà  bensì  da 
principio,  da  l'armatura  positiva  a  la  negativa  ;  ma  il  po- 
tenziale di  quest'ultima  si  eleverà  per  modo  da  cagionare 
un  movimento  in  senso  opposto  e  così  di  seguito. 


—    82    — 

Le  prime  scariche  si  chiameranno  continue,  e  queste 
altre,  delle  quali  ho  discorso  ora,  si  diranno  oscillanti. 

Per  analogia  possiamo  concludere  che  le  oscillazioni 
elettriche,  come  le  oscillazioni  dei  liquidi,  si  smorzeranno 
con  rapidità 

Da  l'esperimento  nel  quale,  con  il  modello  idrodinamico, 
si  imita  la  corrente  uniforme,  segue  senza  più  che  a  la 
resistenza  elettrica  corrisponde  l'attrito,  che  il  tubo  oppone 
a  ì  moti  dell'acqua. 

Da  questi  fatti,  che  abbiamo  constatato  oggi,  si  può 
dunque  dedurre  che  la  costante,  da  la  quale  dipenderà  la 
nat  ura  della  scarica,  sarà  a  punto  la  resistenza.  Perchè  è 
chiaro  che  ciò  che  cambia  da  uno  a  l'altro  dei  nostri  ap- 
parecchi, è  l'attrito  contro  le  pareti  della  canna. 

§  5.  —  Dei  resultati,  che  si  accordano  in  tutto  con 
qu  elli  trovati  ora,  si  possono  ottenere  anche  da  l'altro 
m  odello  della  corrente.  Ove  gli  si  aggiunga  un  organo, 
che  rappresenti  il  condensatore. 

Come  questo  si  possa  fare  è  assai  facile  di  vedere. 
Un  condensatore  è  in  fatti  una  disposizione,  la  quale  in- 
tro  duce  nel  circuito  una  differenza  di  potenziale,  che  va 
cr  escendo  proporzionalmente  a  la  quantità  di  elettricità, 
passata  a  partire  dal  riposo,  per  una  sezione  qualunque 
del  filo. 

Nel  nostro  modello,  poi  che  la  velocità  angolare  corri- 
sponde a  l'intensità  di  corrente,  la  quantità  totale  della 
carica,  trasportata  dal  flusso,  avrà  per  rappresentazione 
l'angolo,  di  cui  è  girato  a  partire  dal  riposo  l'asse  del  si- 
stema. Bisogna  dunque  trovar  modo  di  applicare  a  l'ap- 
parecchio una  forza,  che  tenda  ad  ostacolare  le  rotazioni, 
crescendo  proporzionalmente  a  la  grandezza  di  queste. 

Ciò  si  può  fare  ricorrendo  ad  un  corpo  elastico.  E  di 
vero  è  ben  noto  che  le  forze  prc dotte  da  l'elasticità  sono, 
entrò  certi  limiti,  proporzionali  a  la  deformazione.  Il  re- 
sultato è  interessante,  perchè  mostra  una  volta  di  più,  il 
nesso,  che  intercede  tra  i  fenomeni  dell'elasticità  e  quelli 
dell'elettrostatica  (nei  dielettrici). 


83    - 

AI  caso  pratico  dovremo  unire  al  nostro  modeHo  Un 
filo,  che  sì  stiri  o  si  torca,  quando   l'asse  gira. 

L'ultima  disposizione  è  di  gran  lunga  la  migliore  ;  ed 
quella,  che  ho  adottato  qui. 

Io  torao  a  rimettere  l' apparecchio  nelle  condizioni, 
nelle  quah  si  trovava  da  principio  ;  e  fermo,  in  capo  a 
l'asse,  una  corda  da  pianoforte.  La  quale,  a  l'altro  estremo, 
è  serrata  a  vite  contro  un  apposito  sostegno  (fig.  22). 

Ma  non  sarebbe  conveniente  che  la  corda  fosse  fissata 
direttamente  a  l'asse.  Perchè,  quando  lo  si  torce,  il  filo  di 
acciaio  si  accorcia;  sicché  si  incurverebbero  i  ritti  o  pure 
si  strapperebbe  ogni  cosa. 

Per  evitare  questo  ho  interposto  ancora,  fra  l'asse  e 
la  corda,  un  organo  metallico,  il  quale  è  destinato  a  sop- 
primere lo  sforzo  di  trazione,  senza  impedire  per  niente, 
la  torsione  del  filo. 

Un  manicottìno,  che  si  può  fermare  su  la  punta  del- 
l'asse (fig.  25},  porta  una  tavoletta  e  due  piccole  sbarre 
di  acciaio.  Su  le  quali  scorre  liberamente  una  seconda 
tavoletta,  simile  in  tutto  a  la  prima.  M  è  però  fra  le  due 
una  molla  robusta.  Finalmente  ad  un  altro  manicottino, 
incastrato  nella  seconda  tavoletta,  si  fissa  la  corda. 

Disponiamo  ogni  cosa  per  bene,  e  poi  diamo  tre  o 
quattro  giri  al  volano,  e  abbandoniamolo  a  sé.  11  filo  di 
acciaio  si  storce  ;  quindi  si  avvolge  nel  verso  opposto  a 
quello  di  prima,  e  così  di  seguito.  Sicché  l'asse  e  tutto  il 
sistema  rotano  alternatamente  nei  due  versi.  Si  ha  dunque 
ciò  che  corrisponde  ad  una  scarica  oscillante. 

Anche  qui  se  facessi  crescere  la  resistenza,  facendo 
più  grandi  le  palette,  si  arriverebbe  da  ultimo  a  la  corrente 
continua. 

Ma  io  non  voglio  perdere  tempo  con  questo.  Accenno 
piuttosto  ad  un'altro  resultato,  che  si  deduce  dal  modello. 
Propriamente  lascierò  invariata  la  resistenza;  e  cambierò, 
in  vece,  le  altre  costanti.  A  l'uopo  sostituisco  la  corda,  che 
ho  impiegato  or  ora,  con  un'altra  più  sottile  ;  ciò  che  cor- 


-  84  -  - 

risponde  a  introdurre  nel  circuito  un  condensatore  di  più 
grande  capacità.  Quindi  toglierò  affatto  i  pesi  da  le  sbarre  ; 
con  che  l'autoinduzione  doventa  meno  sensibile. 


Pig.  25. 


Tornando  a  fare  l'esperienza,  trovo  adesso  che  la  sca- 
rica è  continua.  Vuol  dire  dunque  che  quella  resistenza, 
al  di  là  della  quale  non  si  hanno  più  oscillazioni,  non  è 
fissa,  ma  bensì  è  determinata  per  ogni  circuito. 

In  particolare  si  vede  che  il  suo  valore  è  1  tanto  più 
piccolo  quanto  più  grande  è  la  capacità  e  meno  intensi  gli 
effetti  di  induzione,  nel  filo,  che   si  studia. 

Il  modello  ci  permette  di  riconoscere  ancora  un'altra 
cosa.  Si  trova  cioè  che,  nel  caso  delle  scariche  oscillanti, 
il  periodo,  vale  a  dire  la  durata  di  un'  oscillazione  intera, 


-  B5  - 

varia  con  la  corda  di  acciaio  e  con  il  momento  di  inerzia.  Io 
non  posso  esporre  tutto  ciò  per  esteso.  Dirò  soltanto  che 
i  resultati,  nel  linguaggio  deir  elettrodinamica ,  suonano 
così  : 

1.  il  periodo  dell'oscillazione  cresce  con  la  capacità 
del  condensatore  ; 

2.  ed  è  tanto  più  grande,  a  parità  delle  altre  circo- 
stanze, quanto  più  intensi  sono,  nel  circuito,  i  fenomeni  di 
autoinduzione  ; 

3.  la  resistenza,  al  contrario,  non  influisce  sul  periodo, 
ma  solo  su  lo  smorzamento  ;  il  quale  cresce  con  essa. 

* 
*   * 

§  6.  —  Tutte  queste  conclusioni,  a  le  quali  ci  ha  con- 
dotto lo  studio  dei  modelli,  le  dovremo  verificare  nelle 
prossime  lezioni.  Esse  formano  in  realtà  una  parte  essen- 
ziale del  nostro  corso. 

Per  ora  mi  limito  a  constatare  Tutile  che  deriva  da 
la  rappresentazione  meccanica  dei  fenomeni.  E  l'importanza 
e  il  significato  logico  di  questo  genere  di  ricerche. 


LEZIONE  SESTA. 

Oscillazioni  elettrìclie  —  Esperienze  del  Feddersen 
—  Prime  esperienze  del  Hertz  —  Onde  stazionarie 
lungo  i  fili  :  esperienze  del  v.  Bezold  e  del  Lecher. 

§  I.  —  I  modelli,  che  abbiamo  studiato  nella  lezione 
precedente,  ci  hanno  fatto  intravedere  la  possibilità  di 
produrre,  con  disposizioni  opportune,  delle  scariche  elet- 
triche alternative. 

A  punto  di  queste  oscillazioni  mi  voglio  occupare 
oggi;  e  per  entrare  nell'argomento  mostrerò  anzitutto  al- 
cune esperienze,  che  si  devono  al  Feddersen. 

Ogni  volta  che  si  provoca  la  scarica  di  un  condensa- 
tore, si  ottiene  necessariamente  una  scintilla  nell'  aria  at- 
mosferica o  in  un  altro  mezzo  dielettrico  qualunque.  Tali 
scintille  prendono  degli  aspetti  diversi  quando,  a  parità 
delle  altre  condizioni,  si  modifichi  il  circuito  di  scarica.  Il 
Feddersen  studiò,  molti  anni  or  sono,  i  fenomeni,  dei  quali 
discorro,  valendosi  di  uno  specchio  girante  (8). 

Suppongano  di  osservare  per  mezzo  di  un  riflettore  una 
scintilla,  e  suppongano  ancora  che  il  riflettore  sia  disposto 
in  guisa  da  poter  rotare  intorno  ad  un  asse,  parallelo  a 
la  scintilla  stessa. 

Se  questa  è  istantanea,  o  pure  ha  una  durata  brevis- 
sima, la  sua  imagine  non  dififerirà  di  molto  da  l'oggetto; 
in  vece,  quando  il  fenomeno  si  prolunghi  per  un  certo  in- 


-87  - 

tervallo,  il  riflettore  mostrerà  distinte  nello  spazio  quelle 
fasi,  che,  in  realtà,  sono  distinte  nel  tempo.  E  in  luogo 
di  un  unico  tratto  luminoso  si  vedrà  una  striscia  od  un 
nastro. 

Ho  fatto  costruire  un  apparecchio,  che  permette  di. 
ripetere  agevolmente  l'esperienza  fondamentale  del  Fed- 
dersen  ;  è  questo  che  vedono  davanti  a  me  (fig.  a6). 

L'organo  più  importante  di  esso  è  costituito  da  un 
movimento  d'orologeria,  che  si  fa  agire  provocando  la 
caduta  di  un  peso.  Questo  mette  in  moto  un  asse  oriz- 
zontale, che,  nelle  condizioni  presenti  dell'  apparecchio, 
può  compiere  da  cinquantacinque  a  sessanta  giri  per  se- 
condo. 

Su  l'asse  sono  montati  due  specchietti,  paralleli  ad 
esso  e  fra  loro,  ma  rivolti  in  direzioni  opposte.  Sono 
specchi  concavi  con  la  distanza  focale  di  cinquanta  centi- 
metri. Questo  vuol  dire  che  ognuno  di  essi  è  in  grado  di 
dare  un'imagine  capovolta,  in  grandezza  naturale,  di  un 
oggetto,  che  gli  stia  davanti  ad  un  metro  di  distanza.  Gli 
specchi  sono  assicurati  con  un  sistema  di  viti,  il  quale 
permette  di  regolarne  la  posizione  per  modo  che  uno 
prenda  esattamente  il  posto  dell'  altro,  quando  1'  asse  si 
gira  di  centottanta  gradi. 

Ad  un  metro  da  questo  primo  apparecchio  ho  collo- 
cato lo  spinterometro  (*|,  nel  quale  si  deve  produrre  la  sca- 
rica. Le  cose  sono  disposte  in  guisa  che  la  scintilla  riu- 
scirà parallela  a  la  direzione,  intorno  a  la  quale  rotano 
gli  specchi;  e  di  qualche  centimetro  più  alta  che  questi 
ultimi. 

Le  palline  e,  in  parte,  le  aste  dello  spinterometro 
stanno  dentro  una  cassetta  di  legno,  la  quale  è  munita  di 
una  piccola  finestra ,  su  quella  parete ,  che  guarda  gli 
specchii. 

(•)  Spinterometro  è  una  disposizione  formata  da  due  aste  me- 
talliche, con  punte  o  palline  affacciate ,  fra  le  quali  si  producono- 
le  scariche  elettriche. 


—  88   - 

Sotto  a  la  cassetta  poi  ho  disposto  verticalmente  una 
lastra  dì  vetro  spulito.  È  chiaro  che  a  punto  su  questa 
lastra  si  dovrà  formare  un'imagine  dell'intervallo  di  sca- 
rica, quando  gli  specchii  si  trovino  in  posizione  verticale. 
E,  se  si  vuole  osservare  qui  1'  aspetto  delle  scintille,  bi- 
sognerà disporre  le  cose  in  guisa  che  le  scariche  passino 
precisamente  nell'  istante,  nel  quale  i  riflettori  sono  giunti 
a  quel  determinato  punto  della  loro  corsa. 

Ciò  si  ottiene  assicurando  a  lo  stesso  asse,  che  regge 
gli  specchietti,  un  organo  metallico,  il  quale  chiuda  il  cir- 
cuito al  momento  voluto.  È  costituito  nel  nostro  caso  da 
due  bracci  d'ottone,  comunicanti  fra  loro  ma  isolati  dal 
resto  deir  apparecchio.  Questi  bracci,  in  continuazione  uno 
dell'  altro,  passano,  una  volta  per  ogni  giro,  a  pochi  mil- 
limetri da  due  asticine,  delle  quali  la  prima  è  messa  a 
terra  e  l'altra  è  riunita  metallicamente  a  uno  dei  rami  dello 
spinterometro. 

La  posizione  dei  bracci  intorno  a  l'asse  è^regolata  in 
modo  da  ottenere  il  resultato  che  si  desidera. 

Ed  ora  i  preparativi  dell'esperienza  sono  presto  com- 
pletati. Basta  in  fatti  collegare  il  secondo  ramo  dello  spin- 
terometro con  uno  dei  conduttori  di  una  Wimshurst  e 
con  l'armatura  interna  di  una  grossa  boccia  di  Leida;  e 
mettere  da  ultimo  l'  armatura  esterna  di  questa  e  1*  altro 
polo  della  macchina  in  comunicazione  con  la  terra. 

Adesso  il  circuito  di  scarica  è  completamente  metal- 
lico, salvo,  ben  inteso,  l'intervallo  d'aria. 

E  bene,  chiudiamo  le  finestre  della  sala  e  mettiam© 
in    azione  la  macchina  e  il  movimento  d'orologeria. 

Ad  intervalli  passano  delle  scintille,  e  quelli  di  Loro, 
che  sono  più  vicini  a  me,  possono  vederne  l'imagine  su 
la  lastra  spulita.  E'  formata,  in  ogni  caso,  da  un  tratto 
bianco,  luminoso,  vivacissimo  ;  che  si  prolunga  in  una  coda 
a  foggia  di  nastro,  di  un  bel  colore  rosso  cremisino.  Questa 
raggiunge  una  lunghezza  di  quindici  o  venti  centimetri. 

Sospendo  un  istante   l'esperimento    ed    introduco  nel 


-  «9     - 
circuito  di    scarica    una    resistenza    liquida,  cioè    un  tubo 
pieno  d'acqua,  acidulata  con    Tacido    solforico.  Quindi  ri- 
metto in  moto  la  macchina  e  gli  specchii. 

Ora  il  colore  e  il  suono  delle  scintille  è  cambiato  ; 
sono  più  rosse  e  meno  rumorose.  Anche  le  imagini  hanno 
preso  forma  differente.  La  coda  è  scomparsa  e  rimane  il 
solo  tratto  luminoso;  vale  a  dire  si  osserva,  in  sostanza, 
quello  stesso  che  si  vedrebbe  fermando  i  riflettori. 

Questi  esperimenti  bastano  già  per  provare  che  il 
fenomeno  della  scarica  si  modifica  con  la  resistenza  del 
circuito  e  che,  inoltre,  la  durata  ne ,  è  tanto  maggiore 
quanto  più  tale  resistenza  è  piccola. 

§  2.  —  Però  non  segue  ancora  di  qui  che  le  prime 
scariche  osservate  da  noi  fossero  oscillanti. 

L'esistenza  delle  correnti  alternative  si  deduce,  in  vece, 
senz'altro,  da  certe  esperienze  del  Hertz  {9). 


Gli  apparecchii,  che  ci  serviranno  a  ripeterle,  sono 
semplicissimi. 

Abbiamo  anzi  tutto  un  buon  rocchetto  del  RuhmkorfF, 
messo  in  azione  da  una  pila  di  sei  elementi  Bunsen,  ed 
URO  spinterometro   a    palline    un    pò     grosse    (di    quattro 


-    90  ~ 
centimetri  di  diametro),  le  cui  braccia  comunicano    con    le 
estremità  polari  della  spirale  secondaria  del  Ruhmkorff. 

Quindi  viene  la  parte  essenziale.  E'  un  telaio  rettan- 
golare (fig.  27)  di  legno,  il  cui  profilo  esterno  misura  no- 
vanta ^centimetri  nei  lati  più  lunghi  e  sessanta  nei  più 
corti  ;  è  orizzontale  e  sorretto  da  quattro  gambe  di  legno, 
alte  trenta  centimetri.  Intorno  a  questo  telaio  è  teso  un 
grosso  filo  di  rame  (di  tre  a  quattro  millimetri  di  dia- 
metro). Il  filo  segue  senza  interruzione  i  due  lati  lunghi 
ed  uno  dei  lati  corti  del  telaio;  su  l'altro  lato  corto  è  in- 
terrotto, da  entrambe  le  parti,  a  dieci  centimetri  da  l'orlo. 
Una  delle  estremità  è  ripiegata  ad  angolo  retto,  l'altra  è 
torta  ad  uncino.  Si  adattano  qui  i  due  elettrodi  di  un  tubo 
del  Geissler. 


Fig.  28. 


Di  cinque  in  cinque  centimetri  sono  saldati  al  filo  di 
rame  degli  occhielli  metallici,  così  che  si  può  appoggiare 
ad  uno  qualunque  di  essi  un  reoforo,  che  a  1'  altra  estre- 
mità si  attacca  ad  una  delle  sfere  dello  spinterometro. 
Di  questi  occhielli  ve  n'è  uno  nel  punto  di  mezzo  del 
lato^  corto,  opposto  a  quello,  che  contiene  il  tubo  dei 
Geissler. 

Da  prima  vogliamo  metter  precisamente  questo  punto 


—  91  — 

in  comunicazione  con  lo  spinterometro  (fig.  28).  Lascio  fra 
le  palline  un  intervallo  di  mezzo  centimetro  circa  e  faccio 
agire  il  rocchetto.  Passa  a  lo  spinterometro  una  serie  con- 
tinua di  scintille  bianche,  vivacissime,  particolarmente  so- 
nore, ma  il  tubo  del  Geissler  rimane  oscuro.  Interrompo  ; 
sposto  il  contatto  lateralmente  di  una  diecina  di  centimetri, 
e  da  capo  metto  in  azione  il  Ruhmkorff.  A  lo  spintero- 
metro^ come  è  ben  naturale,  le  cose  vanno  esattamente 
come  prima,  al  tubo  del  Geissler  no.  Qui  si  vede  ora 
della  luce,  vale  a  dire  si  producono  delle  scariche.  Se  io 
movessi  ancora  il  contatto,  sempre  nello  stesso  senso, 
le  apparenze  luminose  diventerebbero  man  mano  più  vivaci. 

Come  si  spiegano  questi  fatti? 

Ecco.  Noi  possiamo  ammettere  che  la  scarica  nello 
spinterometro  sia  rapidamente  oscillante.  Oscillerà  quindi, 
rapidamente,  sopra  una  .qualunque  delle  sfere  il  valore 
del  potenziale. 

Ad  ogni  istante  il  reoforo,  che  fa  capo  a  questa  sfera, 
e  il  rettangolo  di  filo  di  rame^  che  s^attacca  al  reoforo, 
tenderanno  ad  assumere  il  potenziale,  che  'corrisponde  a 
punto  a  quell'istante.  Supponiamo  per  un  momento  che 
ciò  non  accada  infinitamente  presto  ;  che  occorra  un 
certo  tempo  al  potenziale  per  percorrere  il  reoforo  e  le 
due  strade,  che  gli  si  aprono  lungo  il  rettangolo  di  filo 
conduttore.  Propriamente  supponiamo  che  questo  tempo 
sia  dell'  ordine  di  grandezza  di  quello,  che  è  necessario 
perchè  muti  alquanto  lo  stato  elettrico  di  una  delle  palline. 

Allora  è  evidente  che,  se  attacco  il  reoforo  in  modo 
che  il  potenziale  debba  percorrere  lunghezze  uguali  per 
arrivare  ad  ognuno  degli  elettrodi  del  tubo  del  Geissler, 
questi  si  troveranno,  ad  ogni  istante,  nelle  stesse  condi- 
zioni, e  non  si  potrà  produrre  fra  essi  alcuna  scarica. 
E'  ciò  che  abbiamo  riconosciuto  nella  prima  parte  dell'e- 
sperienza. 

Spostiamo,  in  vece,  di  alcun  poco  il  punto  di  contatto 
del  reoforo.  Le  vie  per  giungere  a  i  due  elettrodi  del  tubo 


—  92  — 

del  Geissler  non  sono  più  uguali,  bensì  una  è  più  lunga 
dell'  altra.  Ne  segue  che  i  potenziali,  che  arrivano  in  un 
determinato  istante  a  le  due  estremità  del  tubo  non  pos- 
sono essere  partiti  contemporaneamente  da  lo  spinte- 
rometro, cioè,  almeno  in  generale,  non  possono  essere 
uguali.  Sicché  il  tubo  sarà  percorso  da  scariche  e  diven- 
terà luminoso.  Hanno  veduto  poc'anzi  che  accade  real- 
mente così. 

Allontanare  sempre  più  il  contatto  del  reoforo  da  la 
posizione,  che  corrisponde  a  l'equilibrio,  vuol  dire  far  giun- 
gere a  i  due  elettrodi  del  tubo  dei  potenziali,  i  quali  sono 
partiti  da  lo  spinterometro  in  istanti  sempre  più  lontani. 
Si  aumenterà  così  la  forza  elettromotrice  (*),  e  le  scariche 
doventeranno  ognora  più  vivaci.  Come  si  intende  subito, 
quando  il  reoforo  sia  posto  nella  posizione  mediana,  ogni 
alterazione,  che  si  venga  a  produrre  in  una  delle  due 
vie  aperte  al  potenziale  per  giungere  a  gli  elettrodi  del 
tubo,  basterà  perchè  quest'ultimo  si  illumini. 

A  modo  d'esempio  voglio  appendere  ad  uno  degli 
elettrodi,  per  mezzo  di  un  uncinetto  metallico,  un  foglio 
di  latta  (di  trentacinque  per  cinquanta  centimetri);  quindi 
pongo  il  Ruhmkorff  in  azione.  11  Geissler  è  vivamente  il- 
luminato. Posso  ora  ristabilire  l'equilibrio  spostando  il 
contatto  del  reoforo.  Nelle  condizioni  della  nostra  espe- 
rienza, per  ottenere  tale  resultato,  è  necessario  portare  il 
contatto  fin  verso  la  metà  del  lato  lungo  del  rettangolo,  che 
resta  da  la  banda  della  lastra  di  latta.  Così  il  tubo  si 
spenge  da  capo. 

Abbiamo  visto  dianzi,  ripetendo  l'esperienza  del  Fed- 
dersen,  che  il  carattere  della  scarica  cambiava  'quando  si 
faceva  crescere  di  molto  la  resistenza  del  circuito.  E'  ovvio 
supporre  che  quel  cambiamento  corrispondesse  al  passaggio 
àa.  un  fenomeno  periodico  ad  un  fenomeno  aperiodico. 

E  bene,  ora  posso  dimostrare,  molto  semplicemente, 
che  le  cose  vanno  a  punto  così. 

(*)  Almeno  nelle  condizioni  delle  nostre  esperienze. 


—  93  — 

Pongo  il  contatto  del  reoforo  addirittura  a  canto  ad 
uno  degli  elettrodi  del  tubo  del  Geissler  ;  e  faccio  agire  il 
rocchetto.  Le  scariche  sono  ora  molto  intense;  e  il  tubo 
si  illumina  vivacissimamente.  A  poco  a  poco,  tirando  una 
delle  bacchette,  faccio  crescere  la  distanza  fra  le  due  pal- 
line dello  spinterometro  ;  le  scintille  doventano  più  robuste 
e  mandano  un  suono  più  forte  e  più  ingrato  di  prima. 
Essendo  ora  più  grande  l'intervallo  di  scarica  o,  come 
si  dice  anche,  la  distanza  esplosiva,  si  raggiungono  cer- 
tamente ad  ogni  scintilla  delle  differenze  di  potenziale 
maggiori  di  quelle,  che  si  avevano  dianzi;  e  pure  il  tubo 
del  Geissler  man  mano  impallidisce.  Faccio  crescere  la  di- 
stanza esplosiva  fino  a  cinque  o  sei  centimetri  e  il  tubo 
rimane  del  tutto  oscuro. 

Adesso  la  scarica  non  è  più  rapidamente  oscillante, 
i  potenziali  che  arrivano  in  un  determinato  istante,  a  i  due 
elettrodi,  benché  non  siano  partiti  insieme  da  lo  spintero- 
metro, sono  sensibilmente  uguali  ;  e  a  traverso  al  tubo  non 
passa  quasi  punta  elettricità. 

L'esperienza,  che  ho  fatto  ora,  mi  porge  occasione  di 
richiamare  la  Loro  attenzione  sopra  un  particolare,  che 
ha  una  certa  importanza.  La  scarica  data  dal  rocchetto  del 
Ruhmkorff,  già  di  per  sé,  non  è  '^ontinua:  come  sanno 
ogni  volta  che  s'apre  la  corrente  primaria  si  ha  nell'in- 
dotto un  movimento  d'elettricità  in  un  determinato  senso  ; 
ogni  volta  che  quella  corrente  si  chiude  si  ha  nellindotto 
un  movimento  in  senso  opposto.  E'  evidente  che  tutto 
questo  deve  avvenire  indipendentemente  da  la  grandezza 
della  distanza  esplosiva.  Le  oscillazioni  della  scarica,  do- 
vute a  l'interruttore,  si  devono  dunque  produrre  a  lo  stesso 
modo,  sia  che  le  scintille  siano  molto  lunghe,  sia  che  esse 
siano,  in  vece,  assai  corte. 

Due  conseguenze  possiamo  ricavare  di  qui. 

In  primo  luogo  :  che  il  tempo  necessario  a  l'interruttore 
per  fare  una  volta  il  suo  movimento  di  va  e  vieni  è  gran- 
dissimo in  confronto  di  quello,  che  impiegano  i  potenziali 
a  percorrere  delle  lunghezze  di  uno  o  due  metri. 


—  94  — 

In  secondo  luogo:  che  le  oscillazioni  elettriche,  delle 
quali  abbiamo  verificato  l'esistenza,  si  fanno,  in  certo  modo, 
indipendentemente  dal  rocchetto.  In  realtà  la  parte  che  fa 
ii  rocchetto  in  queste  esperienze,  è  paragonabile  a  quella 
che  facevo  io  stesso,  la  volta  passata,  sollevando  la  co- 
lonna liquida  in  uno  dei  rami  del  tubo  ad  U,  o  pure  tor- 
cendo,    neir  altro  modello,  la  corda  da  pianoforte. 

§  3.  —  Posto  questo  vogliamo  fare  un  passo  innanzi;  vo- 
gliamo dimostrare  che  le  oscillazioni  elettriche,  che  ab- 
biamo imparato  a  produrre,  sono  pendolari;  vale  dire  se- 
guono, quanto  al  modo  di  variare,  almeno  nelle  linee  ge- 
nerali, le  stesse  leggi  secondo  le  quali  si  muovono  i  pen- 
doli, e  s'agita  l'aria  nelle  canne  sonore,  e  vibrano  le  corde 
degli  strumenti  musicali. 

Faremo  la  dimostrazione  per  via  indiretta,  provando 
che,  con  le  correnti  oscillanti,  si  possono  riprodurre  i  fe- 
nomeni delle  onde  stazionarie,  a  i  quali  danno  luogo  a 
punto  le  canne  da  organo  e  le  corde  vibranti.  Molti  di 
Loro  sanno  senza  dubbio  ciò  che  si  intende  per  onda 
stazionaria  ;  quelli,  che  non  ne  avessero  un'idea  abbastanza 
chiara,  la  potranno  ricavare  da  una  semplice  esperienza, 
che  mostrerò  ora. 

Prendo  un  pezzo  di  fune,  grossa  un  centimetro  e  lunga 
circa  tre  metri,  e  ne  attacco  una  estremità  ad  un  chiodo 
infisso  nel  muro,  tengo  1'  altra  in  mano,  press'a  poco  a 
l'altezza  del  chiodo,  e  faccio  in  modo  che  la  fune  resti 
alquanto  lenta.  Dietro,  per  tutta  la  lunghezza  della  corda 
ho  fatto  tendere  uno  schermo  nero.  Girando  un  poco  la 
mano  in  tondo  comunico,  gradatamente,  a  la  fune  un  mo- 
vimento di  rotazione,  à  punto  come  fanno  i  bimbi  quando 
vogliono  saltare.  A  pena  sono  giunto  ad  imprimere  una 
velocità  un  po'  grande,  arresto  la  mano  e  procuro  di  ten- 
dere la  fune.  Quelli,  che  stanno  di  fronte  a  lo  schermo, 
possono  vedere  particolarmente  bene  come  si  proietti  sopra 
di  esso  il  movimento.  I  due  punti  estremi  della  fune  sono 
immobili,  e  il  punto  di  mezzo  vibra  con  violenza  in  su  e  in 


—  95  — 

giù;  gli  altri  punti  vibrano  anch'essi,    ma    i    loro    sposta- 
menti sono  gradatamente  meno  ampii,    quanto    più    ci    si 
avvicina  a  le  estremità.  Questo  particolare  movimento  rap 
presenta  a  punto  una  delle  più  semplici  onde  stazionarie. 

Nella  teoria  generale  delle  oscillazioni  si  sogliono 
chiamare  nodi  quei  punti  dell'onda  stazionaria,  dove  la 
perturbazione  (*)  è  nulla  costantemente,  mentre  si  chiamano 
ventri  quegli  altri  punti,  dove  la  grandezza  della  pertur- 
bazione oscilla  fra  i  limiti  più  lontani. 

Possiamo  dire  dunque  di  aver  osservato  dianzi  il  mo- 
dello di  un'onda  stazionaria,  avente  un  ventre  nel  punto 
di  mezzo  e  un  nodo  a  ciascuno  degli  estremi  (fig.  29  a  . 

E'  molto  facile  ottenere, 
con  lo  stesso  procedimento, 
le  rappresentazioni  di  onde 
più  complesse. 

Riprendo  la  fune  e  agito 
in  giro  la  mano,  come  prima, 
imprimendole  ancora  un  mo- 
vimento poco  ampio  ma  ra- 
pido di  va  e  vieni.  Di  nuovo 
la  fune    si  muove  in  tondo,  Fig.  29. 

ma  la  sua  figura  è  cambiata.  11  punto  di  mezzo  è  sensibil- 
mente fermo  e  le  sue  metà  girano,  quasi  indipendenti,  come 
girava  prima  l'intero  tratto  (fig.  30).  Se  adesso  tendo  la 
fune  vivamente,  come  ho  fatto  allora,  si  proietta  su  lo 
schermo  un  movimento  più  complicato.  E'  ciò  che  corri- 
sponde ad  un'onda  stazionaria  avente  tre  nodi  e  due  ventri 
(fig.  29  6;. 

Ripigliando  l'esperimento  da  capo,  con  l'avvertenza  di 
muovere  la  mano    più  rapidamente,   potrei,    senza   alcuna 

(*)  Useremo  spesso  il  termine  generico  di />er/ttr&fl^/o«e,  quando 
non  importi  fisstre  la  natura  del  processo  che  si  studia,  ma  si 
debba  tener  conto  soltanto  dtl  modo,  secondo  il  quale  il  processo 
medesimo  si  compie. 


96  - 

difficoltà,  ottenere  il  modello    di    un'onda  stazionaria   con 
quattro  nodi  e  tre  ventri  (fig.  29  e),  e  così  di  seguito. 

Notino  una  cosa.  Le  onde,  delle  quali  abbiamo  veduto 
le  imagini,  hanno  questo  di  comune,  che  le  loro  estremità 
sono  sempre  nodi  della  vibrazione.  Ora  in  natura  le  cose 


Fig.  30. 


non  vanno  necessariamente  in  questo  modo.  Bensì  sì  pos- 
sono avere  delle  onde  con  ventri  a  le  estremità.  Il  carat- 
tere generale  rimane  però  sempre  il  medesimo. 

Si  ottiene  l'onda  stazionaria  tutte  le  volte  che  una  per- 
turbazione periodica  pendolare  è  rimandata  da  uno  spec- 
chio, in  modo  che  il  fenomeno  riflesso  si  sopraponga  al 
fenomeno  incidente. 

Chiamano  per  solito  lunghezza  d'onda  il  doppio  della 
distanza,  che  intercede  fra  due  nodi  successivi.  Di  tale 
distanza  si  dimostra  che  essa  è  il  tratto,  di  cui  si  propaga 
il  fenomeno,  nel  tempo,  che  il  sistema  vibrante  impiega  per 
compiere  una  vibrazione  intera. 

Per  rendere  più  chiari  questi  concetti  ho  disposto  qu), 
sopra  un  piccolo  mantice,  una  canna  da  organo,  aperta  in 
alto.  Vedranno  come,  in  questo  caso,  si  formi  nell'interno, 
un'onda  sonora  stazionaria;  qui  l'estremo  superiore,  dove 
si  fa  la  riflessione,  è  un  ventre  della  vibrazione. 


—  97  — 
Renderò  sensibile  il  modo ,  in  cui  si 
muove  r  aria  nei  vani  tratti  della  canna, 
con  un  artificio  assai  semplice.  Dentro  un 
tamburello  (fig.  31),  coperto  da  una  sola 
parte  con  una  membrana  sottile,  e  sospeso 
a  tre  fili  di  seta,  ho  posto  alcuni  semi  di 
miglio.  Verificheremo  che,  quando  la  canna 
suoni,  e  vi  si  immerga  dentro  il  tambu- 
rello, in  certe  posizioni  la  membrana  vi- 
brerà, facendo  saltare  i  semi,  con  un  ru- 
more secco  caratteristico,  in  altre  posi- 
zioni ogni  cosa  rimarrà  in  quiete.  Quelli  sa- 
ranno ventri  e  questi  nodi  della  vibrazione.  Fig.  31- 

Faccio  agire  il  mantice  e,  mentre  la  canna  suona,  pre- 
sento il  tamburello  a  l'imboccatura  ;  i  semi  si  agitano  vi- 
vamente, qui  si  ha  dunque  un  ventre.  Lascio  affondare 
man  mano  il  tamburello  nell^  interno  ;  il  rumore  si  calma, 
finché  cessa  del  tutto  indicando  che  siamo  giunti  ad  un 
nodo  ;  quindi  riprende  e  cresce  fino  ad  un  massimo  nel 
ventre  successivo,  e  così  di  seguito. 

Se  chiudessi  con  una  tavoletta  l' imboccatura  della 
canna  le  cose  camberebbero  di  molto;  propriamente  in 
alto  si  avrebbe  un  nodo  della  vibrazione. 

§  4.  —  Avremo  campo  in  questo  corso  di  incontrare 
delle  onde  elettriche  stazionarie  sia  dell'una  che  dell'  altra 
specie.  Per  ora  ci  occorre  studiare  quelle  ,  che  terminano 
ad  un  ventre. 

Le  prime  traccie  di  questi  fenomeni  si  hanno  in  im 
lavoro  già  antico  del  v.  Bezold  (io).  È  assai  interessante,  dal 
punto  di  vista  storico  e  critico,  riconoscere  come  vi  siano 
in  germe  in  quella  memoria  talune  delle  cose  più  notevoli, 
trovate  in  appresso  dal  Hertz,  dal  Lodge  e  da  i  loro  -se- 
guaci. Pur  troppo  i  tempi  non  erano  matiui  e  l'ambiente 
scientifico  era  allora  alquanto  distratto.  Le  ricerche  xiel 
V.  Bezold  vennero  in  luce  nel  1870,  anno  in  cui  in  Europa, 
e  particolarmente  in  Germania,  si   pensava    a    cose  meno 

7 


-  98- 

belle,  forse,  ma  più  immediate  a  la  vita  ciie  non  siano  le 
correnti  oscillanti. 

Ho  preparato  qui  tutto  ciò  che  occorre  per  ripetere 
l'esperie  nza  capitale  del  v.  Bezold.  Ma  prima  di  indicare 
come  sia  disposto  l'apparecchio,  vorrei  richiamare  l'atten- 
zione sopra  la  parte  più  importante  di  esso.  Si  tratta, 
come  vedono,  di  due  asticciuole  (fig.  32)  di  grosso  filo  di 


rame,  che  da  una  parte  terminano  in  un  anello,  da  l'altra 
in  una  specie  di  punta  acuminata.  Ciascuna  di  queste 
entra  a  dolce  sfregamento  in  un  tubetto  di  vetro.  I  due 
tubi  poi  sono  incastrati,  uno  a  canto  a  l'altro,  in  una  ta- 
voletta di  legno,  che  serve  a  sostenerli. 

La  disp  osizione,  che  si  impiega  per  fare  l'esperienza, 
è  questa.  Al  conduttore  di  una  piccola  macchina  del  Ramsden 
(fig.  33)  è  unita  metallicamente  una  delle  aste  di  uno  spin- 
terometro;   l'altra  asta,  per   mezzo    di   una    lunga   spirale 


99  - 
(la  spirale  secondaria  di  un  rocchetto  del  Ruhmkorfl),  vien 
posta  in  comunicazione  con  il  suolo.  Si  lascia  una  distanza 
esplosiva  di  mezzo  centimetro  circa.  Da  la  seconda  asta 
dello  spinterometro  parte  ancora  un  reoforo,  lungo  forse 
un  mezzo  metro,  che  va  a  saldarsi  a  l'anello  di  una  delle 


t-ig    55 

asticine  ,  che  ho  mostrato  poc'anzi.  Fra  questo  e  1'  altro 
anello  si  possono  intercalare  dei  tratti  di  filo  conduttore 
ad  arbitrio.  Così  la  seconda  asticina  rimane  sempre  a  l'e- 
stremità della  conduttura,  la  prima  ne  dista  più  o  meno. 
Voglio  intercalare  da  principio  un  tratto  di  filo  rettilineo; 
sarà  in  tutto  di  otto  o  dieci  centimetri.  Sotto  a  le  punte, 
in  immediato  contatto  con  esse,  collocherò  un  disco  di 
buon  vetro  isolante,  foderato,  su  la  faccia  inferiore,  di  sta- 
gnola. Con  una  catenella  pongo  questa  stagnola  in  comu- 
nicazione con  il  suolo. 

Facciamo  girare  adesso  lentamente  il  disco  della  mac- 
china del  Ramsden,  finché  scocchi  un'unica  scintilla;  quindi 
proiettiamo,  con  un  soffietto,  sul  disco  di  vetro  il  miscuglio 
di  zolfo  e  minio,  che  ci  servì  altra  volta  per  produrre  le 
figure  del  Lichtenberg.  In  corrispondenza  delle  due  punte 
si  presentano  ora  due  stelle,  le  caratteristiche  dell'elettri- 
cità positiva.  Hanno  sensibilmente  la  stessa  grandezza. 


—    lOO   — 

Andiamo  innanzi.  Spostiamo  il  disco  di  vetro  di  qualche 
centimetro,  sicché  le  punte  riposino  da  capo  sopra  una 
regione  non  elettrizzata,  poi  fra  i  due  anelli  interponiamo 
un  tratto  di  fil  di  rame,  assai  più  lungo  di  quello  che  vi 
era  prima.  Un  metro,  per  esempio.  Facciamo  scoccare 
un'altra  scintilla  e  proiettiamo  il  miscuglio.  Si  osserva 
adesso  un  fatto  curioso.  La  figura  del  Lichtenberg  corri- 
spondente a  la  bacchetta  che  sta  a  1'  estremità  della  con- 
duttura, ha  prossimamente  la  grandezza  di  prima,  l'altra, 
sebbene  sia  prodotta  da  una  punta  assai  più  vicina  a  lo 
spinterometro,  è,  in  vece,  alquanto  più  piccola. 

Se  intercalassi  fra  le  due  asticine  un  tratto  di  filo 
anche  più  lungo,  una  spirale  di  cinque  metri,  per  esempio, 
la  differenza  fra  le  figure  crescerebbe  ancora,  ma  sempre 
nello  stesso  senso.  Voglio  dire  che  la  figura  della  seconda 
punta  conserverebbe  la  sua  grandezza,  l'altra  diventerebbe 
più  piccina. 

E'  inutile  continuare  più  oltre  ;  perchè  già  ora  si  in- 
travedono alcune  conseguenze  importanti.  E  di  vero  si 
intende  facilmente  come  siano  andate  le  cose.  Non  occu- 
piamoci per  il  momento  della  spirale  che  pone  a  terra  la 
seconda  asta  dello  spinterometro;  avremo  occasione  più 
tardi  di  riconoscere  quale  sia  il  suo  modo  di  funzionare. 
Per  ora  ammettiamo  semplicemente  che  le  scariche  pro- 
dottesi a  lo  spinterometro  erano  scariche  oscillanti.  Vuol 
dire  che  dei  potenziali  variabili  si  saranno  propagati,  lungo 
il  reoforo  laterale,  fino  a  le  asticine,  che  reggono  le  due 
punte.  L'ultima  di  queste  asticine  non  si  trova  per  nulla 
in  condizioni  differenti  da  quelle,  per  esempio,  del  punto 
dello  spinterometro  da  cui  si  stacca  la  diramazione.  Fa 
parte  come  quello  di  un  certo  conduttore;  e  se  in  un  deter- 
minato istante  assume  un  dato  potenziale  questo  poten- 
ziale tenderà  a  propagarsi  di  lì  per  tutta  V  estensione  del 
conduttore.  E'  quanto  dire  che  la  perturbazione  elettrica, 
giunta  a  l'estremità  della  conduttura,  si  rifletterà',  e  se  il 
suo  modo  di  variare  è  pendolare,  darà  luogo  ad  un'onda 
stazionaria. 


—  lOI   — 

Le  figure  del  Lichtenberg  ottenute  da  noi  provano  che 
questo  accade  veramente,  ma  danno  anche  qualche  indi- 
cazione più  precisa.  Abbiamo  veduto  in  fatti  che,  a  l'estre- 
mità, si  ha  sempre  una  figura  assai  grande,  mentre  si 
trovano  dei  resultati  tanto  meno  belli,  quanto  più  lontani  si 
va  da  quel  punto.  Vuol  dire  che  l'estremo  del  filo  corrisponde 
ad"  un  ventre  della  vibrazione  ;  a  partire  di  lì  si  procede 
verso  un  nodo.  In  realtà,  quando  le  condizioni  dell'  appa- 
recchio sono  buone,  è  possibile  trovare,  a  tentoni,  una 
certa  distanza  da  l'estremità,  per  la  quale  la  figura  del  Lich- 
tenberg riesce  minima  ;  procedendo  innanzi  si  ottengono, 
in  vece ,  delle  figure  più  grandi,  perchè  si  va  verso  un  se- 
condo ventre. 

Devo  fare  ancora  un'avvertenza,  a  proposito  di  queste 
figure,  che  abbiamo  osservato.  Esse  corrispondono  tutte 
ad  un'elettrizzazione  positiva.  E'  naturale  che  avvenga 
così.  Difatti  in  ogni  caso  si  dovrebbero  avere  sopraposti 
i  segni  delle  due  elettricità  :  ora  sanno  bene  che,  a  parità 
di  condizioni,  la  figura  positiva  si  produce  molto  più  fa- 
cilmente che  non  la  negativa. 


§  5-  —  Si  possono  ottenere  delle  onde  elettriche  stazio- 
narie anche  con  un'altra  disposizione,  che  è  dovuta  al  Le- 


I03   — 


cher(i  i).  Con  questo  procedimento  le  esperienze  riescono  più 
brillanti  e  più  oggettive  e  si  possono  meglio  dimostrare  da- 
vanti ad  un  grande  uditorio. 

Ho  fatto  riprodurre  1'  apparecchio  del  Lecher  in  di- 
mensioni assai  minori  di  quelle,  che  si  impiegano  di  so- 
lito ;  bastano  ad  ogni  modo  per  le  esigenze  della  scuola. 

Sopra  un  tavolino  (fig.  34),  a  canto  al  rocchetto  del 
Ruhmkorff,  stanno  quattro  lastre  molto  spesse,  quadrate, 
di  zinco,  di  quindici  centimetri  di  lato,  affacciate  due  a 
due,  in  modo  da  formare  due  condensatori  uguali. 

Ognuna  di  queste  lastre,  indipendentemente  da  le  altre, 
è  sorretta  da  un  piede  di  ebanite, 
assicurato  al  tavolo   da  due  viti 
robuste  (fig.  35).  La  distanza  fra 
le  due  coppie  di  lastre  è  di  dieci 
centimetri;    fra  le  due  lastre    di 
luna  stessa  coppia  un    po'  meno 
di  tre.  Dal   vertice  superiore  in- 
1  terno  di  ciascuna  lastra  si  diparte 
un  filo  di  rame    (di  0,13  cm.  di 
j  diametro  )  ;  i  quattro    fili    vanno 
[  tutti  orizzontalmente,  e  sono  nor- 
mali  a    i  piani  delle    lastre.    Da 
luna  parte  i  due  conduttori  sono 
^^'  55*  lunghi  circa  mezzo  metro  e  met- 

tono capo  ad  uno  spinterometro;  dall'altra  si  estendono 
per  tre  metri  e  mezzo.  Questi  fili  più  lunghi  sono  tesi 
fo^emente,  mediante  due  uncini,  infissi  in  aste,  che  furono 
fermate  a  vite  contro  un  altro  tavolino.  La  congiunzione 
però  non  è  fatta  direttamente.  Bensì,  fra  gli  uncini  e  le 
estremità  dei  fili,  sono  interposti  due  brevi  tratti  di  tubo 
di  gomma  (fig.  36^  che  funzionano  da  isolante.  Queste 
sono  le  parti  essenziah  dell'  apparecchio.  Ma,  per  rendere 
i  fenomeni  alquanto  più  intensi,  si  è  trovato  conveniente 
di  aggiungere  ancora  un  condensatore  presso  a  l'estremità 
dei  fili  più  lunghi.  È  quello  che  abbiamo  fatto  qui  (fig.  37). 


—   103  — 

Un  trenta  centimetri  prima  dei  tubi  di  gomma,  abbiamo 
assicurato  a  ciascun  filo,  per  mezzo  di  un  morsetto,  una 
lastra  di  zinco,  uguale    in    tutto    a    quelle    dei    primi   due 


condensatori.  Queste  nuove  lastre  stanno  parallele  una  a 
l'altra,  e  parallele  a  i  fili  ;  riposano  sul  secondo  tavolino, 
ma  vi  è  interposto  un  foglio  di  ebanite. 


Finalmente,  per  rendere  visibili  a  distanza  i  movimenti 
deir  elettricità,  abbiamo  intercalato  qui  in  fondo  il  solito 
tubo  del  Geissler,  collegando  ciascuno  dei  suoi  elettrodi 
con  una  delle  armature  del  terzo  condensatore. 

Vediamo  ora,  prima  di  fare  le  esperienze,  di  renderci 
ragione  del  modo  di  funzionare  dell'apparecchio. 

Premetto  che  le  due  lastre,  collegate  con  lo  spintero- 
metro, si  sogliono  chiamare  lastre  primarie,  come  si  chiama 
conduttore  primario  il  sistema  formato  a  punto  da  esse  e 
da  lo  spinterometro.  In  modo  analogo  si  dà  il  nome  di 
lastre  secondarie  a  le  altre    due,    che    stanno    in  faccia  a 


—  I04  — 

quellfe  prime,  e  si  chiama  co«aWtor^  secondario  il  sistema 
dellie;  lastre  secondarie  e-  dei  fili  lunghi. 

Le-  due  braccia  dello  spinterometro  essendo  collegate 
con  le  estremità  polari  della  spirale  indotta  del  rocchetto 
del  Ruhmloorff  in^  azione,  le  lastre  primarie  si  caricano  di 
elettricità^  opposte;  Per  induzione  anche  le  lastre  secondarie 
si  elettrÌEKino  ;  in  parte  le  loro  cariche  saranno  trattenute, 
in  parte  potranno  muoversi,  seguendo  i  fili  lunghi.  Pro- 
priamente partirà  un  potenziale  positivo  da  quella  lastra 
secondaria,  che  sta  di  fronte  a  la  primaria  positiva;  da 
llaltra,  lastra  secondaria  partirà  un  potenziale  negativo  E 
giunti  a  le  estremità  dei  fili  lunghi  questi  potenziali  si  ri- 
fletteranno (*). 

Su  ciascun  filo  l'onda  incidente  e  l'onda  riflessa  sa- 
ranno!^ sopraposte  una;  a  l'altra  ;  se  dunque  la  scarica  a 
lo  spinterometro  è  rapidamente  oscillante,  si  produrranno 
nei  due  fili  secondami,  come  si  intende  subito,  due  onde 
stazionarie. 

Queste  onde,  come  avveniva  nel  caso  delle  esperienze 
del  V.  Bezold,  avranno^  un  ventre  a  l'estremità;,  e,  poiché 
ogni  cosa  è  simmetrica  da  una  parte  e  da  l'altra,  i  loro 
nodi  andranno  di  fronte,  per  coppie.  Anzi  si  può  dire  su- 
bito che,  in  generale,  due  punti  affacciati  dei  fili  secon- 
darli avranno  in  ogni  istante  potenziali  uguali  e  di  segno 
contrario. 

Se  ne  conclude  che,  quando  si  congiungano  con  un 
conduttore,  o,  come  si  suol  dire,  con  un  ponte ,  i  due  fili, 
ciò  porterà  delle  alterazioni  nei  movimenti  della  elettricità, 
ogni  volta  che  il  ponte  non  vada  da  un  nodo  ad  un  nodo. 

Abbiamo  dunque  un  mezzo  semplice  ed  elegante  per 
riconoscere  l'esistenza  dei  nodi  nelle  nostre  onde  stazio- 
narie. 

(*)  Non  teniamo  conto  delk  presenza  del  tubo  del  Geissler; 
in  realtà  esso  produce,  almeno  per  ciò  che  riguarda  il  movimenta 
dell'elettricità  lungp  i  fili,  delie  perturbazioni  trascurabili. 


—  I05  — 

L'esperienza  riesce  con  la  massima  facilità.  Metto  in 
azione  il  rocchetto  del  RuhmkorfF  e  lascio  a  lo  spintero- 
metro un  intervallo  di  scarica  di  quattro  o  cinque  milli- 
metri. 11  tubo  del  Geissler  a  l'estremità  del  conduttore  se- 
condario si  illumina  vivissimamente. 

Riunisco  ora  con  un  ponte,  un  pezzetto  di  fil  di  rame, 
le  cui  estremità  sono  torte  a  uncino  (fig.  38],  i  fili  secon- 
darii,  un  po'  prima  del  terzo 
condensatore.  Il  tubo  del  Geis- 
sler si  spenge.  Sposto  poco 
a'  poco'  il  ponte,  alzando  la 
mano  di  quando  in  quando, 
per    vedere    se    si    producono  Fig.  38. 

di  nuovo  delle  scariche.  Per  un  po'  di  tempo  il  tubo  ri- 
mane oscuro,  ma  quando  sono  giunto  ad  un  metro  e  trenta 
centimetri,  circa,  da  l'ultimo  condensatore,  si  comincia  ad 
intravedere  qualche  apparenza  luminosa.  Vado  ^innanzi 
ancora  una  ventina  di  centimetri  ed  abbandono  il  ponte, 
allontanando  la  mano.  Il  tubo  del  Geissler  è  adesso  tanto 
vivacemente  illuminato,  come  lo  era  dianzi,  quando  i  fili 
secondari  non  erano  riuniti  metallicamente.  Vuol  dire  che 
il  ponte  congiunge  ora  due  nodi  della  vibrazione. 

Se  procedo  innanzi  la  luce  torna  ad  indebolirsi  e  final- 
mente si  spenge. 


« 
»  « 


§  6.  —  Volendo  riassumere  in  poche  parole,  ciò,  che 
abbiamo  veduto  in  questa  lezione,  ricorderò  che,  ripetendo 
certe  esperienze  del  Feddersen  e  del  Hertz,  ci  siamo  persuasi 
della  possibilità  di  ottenere  delle  scariche  rapidamente 
oscillanti.  Abbiamo  riconosciuto  poi  che,  con  disposizioni 
convenienti,  si  possono  produrre  delle  vere  onde  elettriche 
stazionarie  lungo  i  fili  conduttori;  ne  abbiamo  concluso 
che  quelle  scariche  oscillanti  erano  periodiche  e  pendolari. 


LEZIONE  SETTIMA. 

Esperienze  del  Lodge  —  Esperienze  del  Tesla  — 
Fulmine  e  parafulmine  —  La  corrente  oscillante 
ha  la  sua  sede  nel  dielettrico  —  Esperienze  del 
Blondiot. 

§  I,  —  Le  correnti  oscillanti,  che  abbiamo  imparato  a 
produrre  nella  lezione  passata,  godono  di  alcune  proprietà 
caratteristiche,  su  le  quali  voglio  richiamare  oggi  la  Loro 
attenzione. 

Ripeterò  anzi  tutto  certe  esperienze  del  Lodge  (i2y,  che 
servono  a  dimostrare  come  la  resistenza  ordinaria  dei  con- 
duttori, quella,  che  si  potrebbe  chiamare  la  resistenza 
ohmica,  perchè  trova  nella  legge  dell'Ohm  la  sua  defini- 
zione, non  ha  più  per  le  correnti  oscillanti  lo  stesso  si- 
gnificato, che  ha  per  le  correnti  uniformi. 

Quando  i  poli  di  una  pila  si  congiungono  con  due 
conduttori  differenti  l'elettricità  scorre  per  entrambe  le  vie, 
ma  ne  passa  assai  più  per  la  strada,  che  presenta  minore 
resistenza,  comunque  sia  poi  conformata.  Per  esempio,  fra 
un  tratto  di  fil  di  rame  lungo  un  chilometro  e  un  inter- 
vallo d'aria  di  pochi  millimetri,  una  corrente  uniforme  pre- 
ferirebbe la  via  lunga;  e  di  vero  la  resistenza  ohmica  di 
quel  tratto  d'aria,  praticamente,  è  infinita. 

Per  le  correnti  oscillanti  non  avviene  così;  la  strada 
più  corta  e  più  diretta  è  la  prescelta,  qualunque  ne  sia  la 
resistenza  (*). 


(•)  Per  tale  ragione,  nell'esp;riea?a  del  v.  Bezold,  (fig.  33), 
l'elettricità  non  si  disperde  nel  suolo  (T)  fino  a  che  il  suo  movi- 
mento persiste. 


—  107  — 

Possiamo  provare  questo  in  diversi  modi. 

Ho  disposto  qui  (fig.  39)  una  macchina  del  Holtz,  munita 


Fig-  39- 

dei  suoi  condensatori,  nel  modo  ordinario  (*},  e  del  suo  spin- 
terometro. A  canto  a  questo  poi  ho  collocato  un  secondo 
spinterometro,  facendo  comunicare  ciascuna  delle  sue  aste 
con  una  delle  estremità  polari  della  macchina.  La  distanza 
esplosiva  è  per  il  primo  spinterometro  di  un  centimetro, 
o  poco  meno,  per  il  secondo  di  alcuni  millimetri  soltanto 
Ho  riunito  poi  uno  a  l'altro  i  due  rami  del  secondo  spin- 
terometro con  un  filo  conduttore. 

Faccio  girare  il  disco  della  macchina  del  Holtz,  in 
modo  da  produrre  nel  primo  inter\'allo  di  scarica  una 
serie  di  scintille.  Come  vedono  anche  nel  secondo  inter- 
vallo scoccano  delle  piccole  scintilline  bianchissime.  La 
scarica  preferisce  dunque  la  \da  più  breve  e  più  resistente 
a  la  via  meno  resistente  e  meno  diretta. 

Se  ora  allontano  una  da  l'altra  le  palline  del  primo 
spinterometro,  in  modo  da  ottenere  in  esso  delle  scin- 
tille più  rade  bensì,  ma  più  lunghe  e  più  robuste,  il  fe- 
nomeno cambia  di  natura.  E  cioè  non  si  hanno  più  scin- 
tille al  secondo  spinterometro. 

Ora  sappiamo  bene  che,  quando  la  distanza  esplosiva 


e*)  Sono  dne  bottiglie  di  Leida,  delle  quali  le  armature  in- 
terne comunicano  con  le  estremità  polari  della  macchina  :  le  arma- 
tore esteme  sono  tmite  metallicamente  una  a  l'altra. 


—  io8  — 

è  un  po'  grande,  la-  scarica  non  può  piiù-  essere  ràpida- 
litétite  oscillante,  vuol  dire  che  la  tendenza  a  scegliere  nel 
bivio  la  via  più  breve,  senza  badare  a  la  sua  resistenza, 
è  una  tendenza  peculiare  delle  correnti  alternative  (*). 

Possiamo  verificare  là  stessa  proprietà  anche  in  un 
altro  modo. 

Riprendiamo,  per  questo,  il  conduttore  primario  del- 
l'apparecchio del  Lecher,  del  quale  ci  servimmo  là  volta 
passata  (**),  ed  eccitiamolo  con  il  rocchetto  del  Ruhmkorff, 
avendo  cura  di  mettere  ancora  in  serie  su  l'indotto  del 
rocchetto,  lo  spinterometro  che  abbiamo  impiegato  or  ora. 

Se  la  distanza  esplosiva  nel  primario  del  Lecher  è 
piccola  passano  delle  scintille  anche  a  lo  spinterometro  ; 
se,  in  vece,  faccio  crescere  quella  distanza  al  di  là  di  un 
certo  limite,  la  scarica  (continua)  non  può  più  superare 
il  secondo  intervallo  d'aria.  Segue  bensì  la  derivazione 
conduttrice. 

§,  2.  —  Le  scintilline,  che  mi  hanno  servito  finora 
per  dimostrare  questa  curiosa  proprietà  delle  correnti  al- 
ternative, della  quale  ci  occupiamo,  sono  assai  piccole  e 
non  facilmente  visibili  da  ogni  parte.  Può  essere  dunque 
che  alcuni  di  Loro  non  abbiano  seguito  la  dimostrazione 
in  tutti  i  particolari. 

Per  ovviare  a  questo  inconveniente  ripeterò  la  prima 
delle  esperienze,  che  ho  fatto  oggi,  modificandola  un  poco. 

Prendo  in  luogo  della  macchina  del  Holtz  il  primario 
del  Lecher,  eccitato  dal  rocchetto,  ma  non  pongo  più  in 
derivazione  su  l'intervallo  di  scarica  il  secondo  spintero- 
metro, bensì  il  pallone,  che  vedono  qui  (fig.  40J. 

E'  un  grosso  matraccio  a  tre  colli,  nel  quale  con  una 
macchina  pneumatica  si  è  rarefatta  l'aria,  fino  ad  una  pres- 
sione di  dieci  o  dodici  millimetri  di  mercurio.  Per   le  due 


(*)  Qpesto    esperimeato    è    noto    sotto    il  nome  di   esperienza 
('*)  I  fili  secondari  si  potrebbero,  naturalmente,  tralasciare; 


—  109  — 

tubulature,  che  stanno  di  fronte  una  a  l'altra,  ho  fatto 
passare  delle  asticine  di  rame,  munite  di  sfere  di  ottone 
a  le  estremità.  Le  sfere  distano  fra  loro  di  dieci  centimetri 
circa.  Esse  sono  collegate  da  una  spirale  di  filo  condut- 
tore^ la  quale  conta  forse  cinquanta   spire. 


Fig.  40. 


Metto,  come  dicevo,  i  due  elettrodi  del  pallone  in  de- 
rivazione sul  primario  del  Lecher  ed  eccito  quest'ultimo 
con  il  rocchetto,  nel  modo  solito. 

La  distanza  esplosiva  è  ora  assai  piccola,  sicché  le 
scariche  devono  essere  rapidamente  oscillanti.  Come  vedono 
si  produce  fra  le  due  sfere,  dentro  il  pallone,  un  bel  fiocco 
di  luce  rossa  assai  vivace. 

Se  allontano  le  palline  dello  spinterometro  (*)  fino 
a  tre  o  quattro  centimetri,  ogni  luminosità  cessa  nell'in- 
terno dello  spazio  vuoto,  perchè  la  scarica  sceglie  a  pre- 
ferenza la  via  della  spirale. 


(")  Nel  primario  del  Lecher. 


Con  questo  mi  sembra  di  aver  provato  abbastanza  ciò, 
che  aveva  enunciato. 

§  3.  —  Passiamo  ad  un  altro  fenomeno  oiferto  da  le 
córrenti  oscillanti,  e  precisamente  dimostriamo  che,  quando 
seguono  un  dato  conduttore,  queste  correnti  si  comportano 
in  modo  t^le  che  sembrano  essere  confinate  negli  strati  super- 
ficiali del  conduttore  stesso.  Darò  di  questo  una  prova  molto 
semplice.  Tomo  a  disporre  la  macchina  del  Holtz  e  lo  spin- 
terometro esattamente  come  al  principio  della  lezione. 
Però,  in  vece  di  mettere  in  derivazione  su  le  palline  un 
unico  filo  di  rame,  come  ho  fatto  testé,  ne  pongo  quattro 
o  cinque,  uguali  ;  e  per  il  momento  li  tengo  tutti  vicini 
fra  loro  (fig.  41),  in  modo  che  si  tocchino  o  quasi  per 
l'intera  lunghezza. 

Metto  la  macchina  in  movi- 
mento e  verifico  che  le  cose 
vanno  esattamente  come  prima; 
voglio  dire  che  le  scintille  pas- 
sano sempre  nello  spinterome- 
tro, benché  il  conduttore  derivato 
resistente  che  dianzi. 

Sospendo  un  istante  il  movimento  della  macchina 
ed  allontano  una  da  l'altra  le  derivazioni  (fig.  42),  dispo- 
nendole a  distanze  press'a  po- 
co uguali,  in  modo  da  forma- 
re intorno  a  le  paUine  come 
una  gabbia  di  filo  ;  [quindi 
torno  a  girare. 

Nulla    é    cambiato   nei  due 
^"  intervalli  di  scarica;    le  scin- 

tille a  la  macchina  scoccano    sempre,    ma    nello    spintero- 
metro non  più. 

Torno  a  raccogliere  le  derivazioni  in  fascio,  e  le  scin- 
tilline si  ripresentano  senz'altro. 

Così  l'assunto  é  provato.  In  realtà  le  due  aste  dello 
spinterometro  e  i  fili,  che  le   congiungono,    rappresentano 


Fig.  41. 
sia    ora    anche    meno 


—  Ili  — 

tanti  elementi  di  un  medesimo  conduttore.  Quaxido  lo  spin- 
terometro funziona  da  elemento  intemo  non  è  più  percorso 
da  le  correnti  oscillanti. 

La  stessa  esperienza  si  può  ripetere  con  una  dispo- 
sizione poco  differente,  l'idea  della  quale  si  deve  al  Hertz  (13). 
Su  le  aste  di  uno  spinterometro  ho  infilato  due  dischi  di 
latta,  aventi  dieci  centimetri  di    diametro  ;  lungo    le    peri- 


ferie di  questi,  verso  l'interno,  a  distanze  costanti,  sono 
distribuiti  sei  anellini  di  filo  di  rame  'fig.  43).  Si  dispongono  le 
cose  in  modo  che  gli  anellini  su  i  dischi  stiano  per  coppie 
di  fronte,  sicché  si  possano  collegare,  due  a  due,  con  sei 
ponti  di  filo  conduttore,  paralleli  a  la  scintilla. 

Posto  questo  spinterometro  in  luogo  dell'  altro,  che 
impiegavo  prima,  si  verifica  senza  più  che  l'esperienza  del 
bivio  riesce  assai  bene  quando  i  sei  ponti  si  raccolgano 
tutti  insieme  ;  mentre  non  riesce  in  nessun  modo  ove  si 
collochi  ciascuno  di  essi  al  suo  posto,  così  da  formare  in- 
tomo  a  le  palline  uno  schermo  cilindrico  di  filo  con- 
duttore. 


§  4- "~  Questa  proprietà  delle  correnti 'Oscillanti  *di  «on 
interessare  per  nulla  le  parti  interne  dei  conduttori,  che  le 
guidano,  dà  luogo  ad  un  fatto  estremamente  interessante, 
sul  quale  mi  voglio  fermare  un  momento. 

E'  noto  che  le  correnti  indotte  ordinarie  (*)  hanno 
degli  effetti  fisiologici  assai  intensi  ;  e  bene  si  trova  che, 
in  vece,  le  correnti  regolarmente  oscillanti,  anche  se  si  pro- 
ducono a  potenziali  considerevoli,  non  esercitano  su  l'or- 
ganismo nessuna  azione  sensibile. 

Non  posso  mostrare  questo  fatto  con  gli  apparecchi, 
*Ghe  ho  impiegato  finora,  perchè  essi  non  danno  delle  cor- 
renti alternative  ab- 
bastanza regolari; 
ma  di  quando  in 
quando  sono  percorsi 
da  scariche  continue, 
ciò  che  ,  per  lo  spe- 
rimentatore ,  è  assai 
poco  piacevole  (**). 

L'esperienza  riesce, 
in  vece,  con  tutta  si- 
curezza se  si  adopera 
una  disposizione,  del- 
la quale  la  prima 
idea  si  deve  al  Tesi  a. 
Le  estremità  polari 
di  un  rocchetto  del 
p-  Ruhmkorff  (14)  comu- 

nicano (fig.  44)  con 
le  armature  interne  di  due  grossi  condensatori  e  con  le 
palline  di  uno  spinterometro. 

Quanto  a  le  armature  esterne    esse   sono  riunite    una 


(*)  Correnti  ad  alto  potenziale. 

(*•)  Potrebbe  darsi  anche  che  il  corpo  umano,  con  la  sua  re- 
sistenza impedisca  il  regime  alternativo  delle  scariche. 


—  "3  — 

a  r  altra  da  un'  elica ,  che  conta  dieci  o  dodici  spire  di 
grosso  filo  di  rame. 

Se  si  fa  agire  l' induttore  le  bottiglie  di  Leida  si  ca- 
ricano fino  ad  un  certo  potenziale,  che  è  limitato  da  la 
grandezza  della  distanza  esplosiva   a  lo  spinterometro. 

Durante  la  scarica  1'  elica  è  percorsa  da  correnti,  le 
quali,  nel  nostro  caso  (se  la  scintilla  non  è  troppo  lunga), 
riescono  oscillanti. 

Ora  quella  prima  spirale  sta  dentro  un  tubo  di  vetro 
a  pareti  molto  spesse ,  sul  quale  è  avvolta  un'  altra 
elica.  Questa  è  di  filo  sottile  e  conta  duecento  spire  a 
l'in  circa. 

Per  evitare  delle  scariche  fra  i  due  circuiti  ho  immerso 
tutto  il  sistema  nell'olio. 

Si  capisce  che  anche  nella  seconda  spirale  passeranno 
a  suo  tempo  delle  correnti  alternative  ;  sono  a  punto  quelle 
che  serviranno  a  le  nostre  esperienze. 

Per  ora  ho  riunito  gli  estremi  dell'elica  indotta  a  i  due 
bracci  di  un  secondo  spinterometro. 

Faccio  agire  il  rocchetto  e  regolo  il  primo  intervallo 
di  scarica  per  modo  che  esso  abbia  un  sette  od  otto  mil- 
limetri di  lunghezza.  Anche  nel  secondo  intervallo  scattano 
delle  scintille,  e  posso  allontanare  le  palline  fino  a  quattro 
o  cinque  centimetri. 

E  bene,  se  adesso  afferro  con  le  mani  le  due  aste  dello 
spinterometro,  così  da  inserire  il  mio  corpo  nel  circuito, 
non  provo  nessuna  sensazione  spiacevole,  o,  per  meglio 
dire,  non  provo  sensazione  di  sorta. 

E  notino  che,  nelle  stesse  condizioni,  un  piccolo  roc- 
chetto del  RuhmkorfF,  un  rocchetto  capace  di  dare  una 
scintilla  di  mezzo  centimetro,  mi  cagionerebbe  già  uno  spa- 
simo intollerabile. 

La  spiegazione  del  fenomeno  si  deve  cercare,  come 
accennavo  da  principio ,  nella  proprietà  ,  che  le  correnti 
oscillanti  hanno,  di  rimanere  confinate'negli  strati  superfi- 
ciali del  conduttore,  che   le    guida.  A  punto  per  questo  i 

8 


—  114  — 

miei  muscoli,  quando  impiego  l'apparecchio  del  Tesla,  non 
vanno  soggetti  a  contrazioni. 

La  disposizione,  che  abbiamo  usato  si  presta  assai 
bene  per  dimostrare  molti  altri  fenomeni,  a  i  quali  danno 
luogo  le  correnti  alternative  ;  approfitto  della  circostanza, 
per  ripetere  alcune  di  tali  esperienze. 

E  anzi  tutto,  se  chiudo  le  finestre  della  sala  e  allontano 
le  palline  nel  secondo  spinterometro,  per  modo  che  non 
passino  più  scintille,  vedranno  che  i  fili,  i  quali  portano 
da  le  estremità  della  spirale  indotta  a  l'intervallo  di  sca- 
rica, si  rivestono  di  fiocchi  luminosi,  di  bellissimo  aspetto. 

L'esperienza  si  può  rendere  anche  più  brillante  colle- 
gando con  l'elica  secondaria  due  reofori  isolati  e  disposti 
parallelamente  uno  a  l'altro,  a  breve  distanza. 

Quelli,  che  impiego  (fig.  45),  hanno  forse    un  paio  di 


FJg.  45. 

metri  di  lunghezza  e  sono  tesi  fra  due  bacchette  orizzontali 
di  vetro;  corrono  fra  essi  sette  od  otto  centimetri. 

Quando  metto  l'apparecchio  in  azione  passa  fra  i  due 
conduttori  un  gran  numero  di  scintille  molto  sottili  e  ros- 
sastre, per  modo  che  tutto  il  fenomeno  ha  l'apparenza  di 
un  lungo  nastro  luminoso. 


—  115  — 

Queste  correnti  alternative  producono  degli  effetti  in- 
teressanti anche  nei  palloni  a  gas  rarefatto. 

Così  per  esempio,  introducendo  in  circuito  con  la  spi- 
rale secondaria  uno  dei  soliti  tubi  del  Geissler  (cfr.  fig.  13), 
questo  si  illumina,  ma  si  illumina  in  un  modo  particolare, 
e  cioè  non  si  osser\'a  più  nessuna  differenza  fra  le  due 
estremità. 

La  cosa  si  intende  subito  quando  si  badi  che,  per 
essere  la  scarica  alternativa,  ciascun  elettrodo  agisce  suc- 
cessivamente da  anodo  e  da  catodo  ;  sicché  da  le  due  parti 
le  apparenze  caratteristiche  si  soprapongono. 

Similmente,  se  studio  il  comportamento  di  quest'altro 
tubo  rettilineo,  nel  quale  il  vuoto  fu  spinto  molto  più  avanti, 
trovo  che  a  i  due  estremi  si  sviluppano  i  raggi  catodici. 
Me  ne  persuado  osservando  una  lastrina  di  marmo,  che  è 
fissata  nel  mezzo  deir  apparecchio,  normalmente  al  suo 
asse;  questa  si  illumina  per  fluorescenza  su  le  due  faccie. 

Ma  posso  ottenere  degli  altri  resultati ,  ben  altri- 
menti curiosi 

Per  esempio,  non  è  necessario,  per  eccitare  i  palloni 
a  vuoto,  che  io  li  metta  in  diretto  contatto  con  il  circuito 
secondario.  Basta  che  appoggi  una  mano  sopra  un  punto 
di  questo  e  poi  accosti  l'altra  ad  un  tubo  del  Geissler, 
perchè  esso  brilli  di  luce  assai  viva. 

Le  esperienze  si  potrebbero  variare  a  l'infinito,  ma 
l'interesse,  che  offrono  non  è  grande;  sicché  non  è  il  caso 
di  spenderxn  molte  parole. 

§  5.  —  Piuttosto  voglio  fare  un'altra  digressione. 

Alcuni  dei  fenomeni,  che  ho  descritto  oggi,  hanno 
un'  importanza  capitale  per  la  teoria  del  parafulmine  e 
sarà  bene  accennare  a  questo,  brevemente. 

Molti  di  loro  avranno  certamente  sentito  raccontare 
di  fulmini  caduti,  recando  danni,  sopra  case,  che  si  stima- 
vano protette  con  tutte  le  regole  dell'arte.  Avranno  anche 
sentito  che,  nella  maggior  parte  dei  casi,  dopo  il  sinistro, 
le  condutture  dei  parafulmini  si  trovavano  in   ottime  con- 


—  ii6  — 

dizioni.    Ora   non  è  difficile   intendere    cóme    queste  cose 
possano  avvenire. 

Per  spiegarmi  meglio  disegnerò  su  la  lavagna  un  pro- 
filo ideale  di  casa  (fig.  46).  con  il  suo  bravo  parafulmine,  py 


Fig.  46. 

e  con  il  conduttore  e  e,  destinato  a  disperdere  nel  suolo,  /^ 
le  scariche  atmosferiche.  Segno  ancora  in  alto,  nel  cielo,, 
una  nuvola,  n,  e  dentro  la  casa  un  grosso  conduttore,  C; 
sarà  per  esempio  una  macchina,  o  una  cassa  forte,  o  qua- 
lunque altra  cosa. 

Qui  a  canto  riporto  schematicamente  la  disposizione 
di  una  delle  esperienze,  che  ho  mostrato  poc'anzi:  il  pri- 
mario dell'apparecchio  del  Lecher  (fig  47),  messo  in  serie 
con  uno  spinterometro  e  con  l'indotto  del  rocchetto  del 
Ruhmkorff.  Distinguo  con  lettere  le  diverse  parti,  come  ho 


—  117  — 

fatto  per  l'altro  disegno.  Chiamo  n  quel  polo  del  rocchetto, 
che  è  congiunto  con  un  ramo  del  primario  e  /  il  secondo 
polo:  pp  sarà  il  sistema  forma'o  da  l'altro  ramo  del  pri- 
mario e  da  la  pallina  dello  spinterometro,  che  è  collegata 
con  esso;  finalmente  C  sarà  la  seconda  pallina  e  e  e  la 
derivazione. 


Fi?.  47 

Basta  dare  un'occhiata  a  le  due  figure  per  compren- 
dere come  il  fulmine  possa  danneggiare  la  casa  malgrado 
tutte  le  precauzioni.  Sappiamo  in  fatti  che  ,  nella  nostra 
esperienza,  quando  la  scarica  fra  p  ed  «  era  oscillante,  si 
avevano  scintille  fra  p  e  C,  quantunque  vi  fosse  la  deri- 
vazione e  e.  Vuol  dire  che,  se  la  scarica  fra  la  nube  e  il 
parafulmine  sarà  oscillante,  quest'ultimo  non  costituirà  per 
nulla  una  difesa;  anzi  potranno  passare  delle  lunghe  scin- 
tille fra  esso  e  gli  oggetti  conduttori,  che  esistono  nella 
casa. 

E'  però  facile  vedere  dove  si  debba  cercare  un  riparo 
veramente  efficace  ;  bisognerà  fare  in  modo  che  tutte  le 
vie,  che  il  fulmine  potrebbe  seguire  dentro  la  casa,  diven- 
tino elementi  interni  del  conduttore,  che  gli  si  vuol  far 
percorrere.  E'  qua..vO  dire  che,  in  vece  di  congiungere  l'asta 


ii8  — 


del  parafulmine  al  suolo  con  una  sola  fune  metallica,  sì 
dovrà  disporre  un  gran  numero  di  queste  funi,  in  guisa 
da  chiudere  la  casa  dentro  un  involucro  conduttore. 

§  6.  —  Riprendiamo  le  nostre  esperienze.  Ho  fatto 
vedere  che  ,  per  le  correnti  oscillanti ,  ciò  che  interessa  è 
la  parte  superficiale  del  conduttore.  E  bene ,  a  questo 
proposito  si  può  affermare  qualche  cosa  di  più,  si  può 
dire  cioè  che  la  corrente  non  è  per  nulla  nel  filo,  ma  è 
sopra  il  filo,  nel  mezzo  isolante,  che  lo  circonda. 

Questo  è  tanto  vero  che  la  velocità,  con  la  quale  si 
propaga  una  perturbazione  elettrica,  lungo  un  filo  condut- 
tore, non  dipende  da  la  natura  del  conduttore  stesso, 
mentre  varia  con  il  mezzo  dielettrico  nel  quale  il  condut- 
tore è  immerso. 

Si  verifica  agevolmente  questa  proprietà  con  l'appa- 
recchio del  Lecher. 

Il  primario  è    ancora  quello  stesso,  che  ho   impiegato 

altre  volte  ;  il  secon- 
dario è  alquanto  mo- 
dificato. I  fili  sono  ora 
un  po'  più  lunghi,  han- 
no come  prima  uno 
spessore  di  un  milli- 
metro e  tre  decimi,  ma 
uno  di  essi  è  di  rame 
e  l'altro  è  di  ferro. 

A  quattro  metri  da 
le  lastre  secondarie 
mettono  capo  ad  un 
piccolo  telaio  rettan- 
golare di  legno  (fig.  48) 
e  ne  traversano  un 
lato.  Qui  sono  assicu- 
rati con  due  morsetti, 
in  modo  che  non  pos- 
sano sfuggire.  Quindi,  a  partire  da  i  morsetti,  si    ripiegano 


—  119  — 
verso  il  basso  a  foggia  di  ^,  e  raggiungono, il  lato  op- 
posto del  telaio ,  che  traversano  pure.  Anche  da  questa 
parte  sono  trattenuti  da  due  morsetti.  Usciti  dal  telaio  i 
due  fih,  dopo  pochi  centimetri  di  percorso  ,  si  vanno  ad 
uncinare  a  i  soliti  tubi  di  gomma,  che  servono  per  tenderli 
e  per  isolarli. 

11  telaio  si  può  adat- 
tare in  alto  ad  una  sca- 
tola prismatica ,  aperta, 
di  latta  (fig.  49),  la  qua- 
le viene  così  a  com- 
prendere i  due  U,  for- 
mati da  i  conduttori  se- 
condarii  :  è  alta  circa 
venti  centimetri. 

Bisogna  badare  che 
la  scatola  non  tocchi 
ne  i  fili  né  i  morsetti. 

A  la  estremità  del 
secondario  aggiungo  al 
solito  il  tubo  del  Geis- 
sler,  e  faccio  agire  l'ap- 
parecchio di  induzione. 


Fig.  49 


Un  ponte  metallico  mi  permette  di  riconoscere,  come 
feci  la  volta  passata,  la  posizione  dei  nodi.  Comincio  a 
metterlo  a  canto  a  le  seconde  lastre,  poi  lo  sposto  adagino 
verso  la  scatola.  Incontro  una  prima  coppia  di  nodi  dopo 
circa  venticinque  centimetri,  un'altra  ad  un  metro  e  set- 
tantacinque da  le  lastre,  una  terza  ne  potrei  trovare  più 
avanti  (*).  Ma  è  inutile  continuare. 

Abbandoniamo  il  ponte  nel  secondo  nodo  e  facciamo 
subito  un'osservazione.  Ho  incontrato  delle  coppie  di  nodi 
in  punti  affacciati  dei  due  fili  ;  precisamente  come  quando 
i  conduttori  secondari!  erano  formati  con  lo  stesso  metallo  ; 


(•)  A  metri  tre  e  trenta  circa,  da  le  lastre  secondarie. 


120    — 

questo  prova  che  le  onde  hanno  la  medesima  lunghezza, 
vale  a  dire,  nelle  nostre  condizioni,  la  medesima  velocità 
di  propagazione,  così  se  si  guidano  con  un  filo  di  rame 
come  se  si  guidano  con  un  filo  di  ferro. 

Ora  posso  mostrare  facilmente  che  la  velocità,  e  quindi 
la  lunghezza  delle  onde,  si  modifica,  in  vece,  ove  a  l'aria 
ambiente,  si  sostituisca,  anche  solo  in  parte,  un  altro  die- 
lettrico. 

Il  ponte  è  sempre  nel  secondo  nodo  e  il  tubo  di 
Geissler  è  vivamente  illuminato.  Verso  un  po'  di  petrolio 
dentro  la  scatola  di  latta,  la  luce  impallidisce  gradatamente 
e,  a  la  fine,  si  spenge. 

Le  onde  adesso  sono  costrette  a  passare  per  un  breve 
tratto  nel  petrolio,  in  questo  liquido  camminano  più  len- 
tamente che  nell'aria  e  quindi  appariscono  scorciate.  Che 
sia  realmente  così  lo  posso  provare  subito  movendo  il 
ponte;  lo  scosto  in  fatti  di  venti  o  trenta  centimetri  da  la 
sua  posizione  attuale,  verso  la  scatola,  e  ritrovo  i  nodi, 
e  il  tubo  si  riaccende. 

Si  potrebbe  forse  dubitare  che  questo  nuovo  nodo 
esistesse  già  prima,  e  fosse  più  netto  di  quello  dove  stava 
il  ponte.  Ma  dimostro  senz'altro  che  il  dubbio  è  infondato, 
vuotando,  con  un  sifone,  la  scatola.  Come  vedono  il  tubo 
ridiventa  oscuro,  mentre  torna  a  brillare  vivamente  se  ri- 
metto il  ponte  nella  posizione  primitiva. 

Segue  da  queste  esperienze  che  la  corrente  oscillante, 
come  avevo  detto,  scorre  sul  conduttore,  il  quale  non  ha 
altro  ufficio  che  di  guidarla,  a  punto  come  nelle  ferrovie 
le  rotaie  guidano  il  treno. 

Anche  si  intravede  un  metodo  per  determinare  le 
velocità  relative  delle  onde  elettriche  nei  diversi  mezzi, 
vale  a  dire  gli  indici  di  rifrazione  elettrici. 

Certe  misure,  fondate  a  punto  su  questo  principio, 
hanno  permesso  di  concludere  che  tali  indici  di  rifrazione 
sono,  nella  maggior  parte  dei  casi,  uguali  prossimamente 
a  quelli,  che  si  trovano  per  la  luce. 


—    121    — 

Ciò  non  prova,  ben  inteso,  che  i  raggi  luminosi  si 
muovano,  in  un  determinato  mezzo,  con  la  stessa  velocità, 
con  la  quale  si  spostano  le  correnti  oscillanti  lungo  un 
conduttore,  immerso  in  quel  mezzo  medesimo. 

Ma  è  chiaro  che  basterebbe  riconoscere  in  un  solo 
caso  l'uguaglianza  delle  velocità,  per  poterne  concludere 
l'identità  della  propagazione  in  ogni  altro  caso. 


§  7.  —  Il  Blondlot  ha  affrontato  questo  problema 
con  una  ricerca  diretta  e  lo  ha  risolto  in  modo  piena- 
mente soddisfacente  (15).  Egli  si  è  limitato  a  lo  studio  di 
fili  tesi  nell'aria  atmosferica. 

Darò  un  cenno  del  suo  apparecchio  e  dei  suoi  re- 
sultati. 

Due  condensatori  uguaU  A  e  A'  (fig.  50)  stanno  di 
fronte  uno  a  l'altro.  Le  loro  armature  inteme  comunicano 


122   — 

con  gli  estremi    della  spirale  secondaria    di    un  rocchetto 
del  Ruhmkorff  e  con  le  aste  dello  spinterometro  Si- 

Le  armature  esterne  sono  divise  in  due  parti,  ciò  che 
s'ottiene  togliendo  la  stagnola  sopra  un  tratto  di  superficie, 
che  gira  ad  anello  intorno  al  condensatore. 

Siano  a  ed  a\,  a'  ed  a\,  i  tratti  metallici,  che  restano 
sul  vetro  delle  due  boccie  ;  di  questi  ì  superiori  sono 
riuniti  con  un  pezzo  di  fune  bagnata  e ,  un  conduttore 
dunque  di  grande  resistenza. 

Di  più  le  armature  a  a'  comunicano  ancora  diretta- 
mente con  i  bracci  p  /»'  di  uno  spinterometro  a  punte  (s^); 
e  le  armature  a\  a\  sono  collegate  a  i  bracci  stessi  da  due 
lunghi  fili  di  rame,  uguali. 

Quando  il  rocchetto  agisce,  i  conduttori  interni  si  ca- 
ricano di  elettricità  opposte,  finché  la  differenza  di  poten- 
ziale abbia  raggiunto  un  certo  limite  ;  quindi  scatta  in  S\ 
una  scintilla. 

In  questo  istante  le  cariche,  raccolte  su  le  armature 
esterne,  si  trovano  libere  e  si  vengono  a  neutralizzare  a 
traverso  l'intervallo  So. 

Solamente  da  a  ad  a'  la  corrente  arriva  dopo  un 
cammino  brevissimo;  mentre,  per  andare  da  a\  ad  a\, 
essa  deve  percorrere  i  lunghi  fili  interposti. 

Vuol  dire  che,  in  realtà,  in  S2  non  si  produce  una 
sola  scintilla,  ma  se  ne  producono  due,  separate  da  un 
certo  intervallo  di  tempo.  11  quale  dipende  manifestamente 
da  la  lunghezza  dei  fili  intercalati  fra  ai,  a\  e  lo  spinte 
rometro,  e  da  la  velocità  con  la  quale  la  perturbazione  si 
sposta  lungo  i  fili  medesimi. 

Trattandosi  di  un  intervallo    assai    piccolo   non  lo  si 
può  determinare  con  l'osservazione    diretta.  Il  Blondlot  si 
servì  a  l'uopo  di  un  artifizio  simile  a  quello  del  Feddersen 
che  abbiamo  imparato  a  conoscere  nella   lezione   passata 

Egli  proiettava  un'imagine  dell'intervallo  di  scarica  s 
sopra  un  rotolo  di  carta  sensibile,  che  faceva  girare  rapi 
dissimamente  intorno  ad  un  asse,  parallelo  a  punto  a  l'in- 


—  123  — 

tervallo.  In  questo  modo    otteneva   ad    ogni   scintilla  due 
impressioni  separate. 

Conoscendo  la  lunghezza  dei  fili  e  il  numero  dei  giri, 
che  il  cilindro  sensibile  compie  nell'  unità  di  tempo  ;  e  mi- 
surando ancora  la  distanza,  che  intercede  fra  le  imagini, 
corrispondenti  a  una  stessa  scarica,  si  può  dedurre  con 
un  calcolo  molto  semplice,  la  velocità  della  perturbazione 
lungo  il  conduttore. 

Da  una  delle  sue  esperienze  (*)  il  Blondlot  ottenne 
per  questa  costante  il  valore: 

2,96.10'^  centimetri  per  secondo. 

Si  tratta  dunque  di  una  velocità  poco  diversa  da  quella 
della  luce  nell'  aria,  a  la  quale  le  numerose  misure  asse- 
gnano concordemente  la  grandezza  di 

3.10IO  centimetri  per  secondo. 

Di  qui  si  deduce  subito,  come  avvertivo,  che,  anche 
in  ogni  altro  mezzo,  i  raggi  luminosi  e  le  perturbazioni 
elettriche,  guidate  da  i  fili  metallici,  hanno,  press'a  poco,, 
la  stessa  velocità. 


«  * 


§  8.  —  Nella  lezione  d'oggi  abbiamo  dunque  ottenuto 
alcuni  resultati  notevoli.  E  propriamente  abbiamo  veri- 
ficato da  prima  che  per  le  correnti  oscillanti  la  resistenza 
ohmica  non  ha  il  medesimo  significato ,  che  ha  per  le 
correnti  tmiformi.  Quindi  abbiamo  riconosciuto  che,  nel 
caso  delle  scariche  alternative ,  la  parte  intema  del  con- 
duttore non  entra  affatto  in  giuoco  ;  che  anzi  la  corrente 
è  guidata  dal  filo,  ma  risiede  propriamente  nel  dielettrico^ 
e  si  muove  in  esso  come  un  raggio  di  luce. 


(*)  Fatu  con  fili  di  circa  un  chilometro. 


LEZIONE   OTTAVA. 

Fenomeni  di  risonanza  —  Raggi  di  forza  elettrica: 
corpi  opachi  e  corpi  trasparenti  ;  propagazione 
rettilinea;  riflessione  e  rifrazione. 

§  I.  —  Le  proprietà  delle  scariche  alternative,  delle 
ii^uali  ho  discorso  nella  lezione  passata,  dipendono  dal  loro 
modo  rapido  di  variare,  ma  non  da  la  loro  periodicità  (*). 
Passiamo  oggi  a  lo  studio  di  certi  fenomeni ,  i  quali  ser- 
vono, in  vece,  a  porre  in  risalto  la  natura  periodica  delle 
correnti  oscillanti. 

Intendo  parlare  dei  fenomeni  cosidetti  di  risonanza. 

E'  questo  un  argomento  assai  importante,  perchè  il 
fatto  deUa  risonanza  ha  una  gran  parte  in  quasi  tutte  le 
esperienze,  che  faremo  d'ora  innanzi.  E  del  resto  questo 
fatto  si  presenta  in  altri  campi  della  fìsica,  in  meccanica, 
in  acustica,  e,  come  avremo  occasione  di  vedere,  anche 
neir  ottica. 

Enunciare  a  parole,  in  modo  generale,  il  principio  della 
risonanza  non  è  molto  facile.  Volendo ,  si  potrebbe  dire 
press'a  poco  così  :  dati  due  sistemi  capaci  di  subire  una 
perturbazione  periodica,  se  uno  solo  di  essi  è  in  quiete  e 
l'altro  gli  può  in  qualche  modo  comunicare    il   suo   movi- 

(*)  In  qualche  caso  bensì,  per  le  nostre  dimostrazioni,  ci  siamo 
approfittati  della  circostanza  che  le  correnti  impiegate  erano  alter- 
native; cosi,  per  esempio ,  nell'esperienza  con  l'apparecchio  del 
Lecher. 


—  125  - 
mento,  l'eccitazione  si  farà  tanto  meglio  quanto  più  vicini 
sono  i  periodi,  che  spettano  a  i  due  sistemi  in'quistione. 

Mi  spiegherò  meglio  con  qualche  esempio,  e  cercherò 
anche  di  far  comprendere  la  ragione  dei  fenomeni  di  ri- 
sonanza. 

Ho  disposto  uno  a  canto  a  l'altro,  sopra  un  medesimo 
sostegno  tre  pendoli  (fig.  51);  semplici  fili  d'acciaio,  che 
sostengono  delle  palline  di  piombo. 

1  punti  di  sospen- 
sione seno  allineati,  adi 
intervalli  uguali.  Di  que- 
sti tre  pendoli  quello 
dì  destra  e  quello  di  i 
sinistra  sono  in  tutto 
simili,  avranno  un  metro 
di  lunghezza  a  l'in  circa  ; 
il  terzo  è  alquanto  più 
lungo. 

Sposto  un  poco  da 
la  sua  posizione  d'equi- 
librio il  pendolo  di  de- 
stra e  lo  lascio  oscillare 
liberamente.  Si  comincia 
già  ora  a  vedere  ,  e  si 
vedrà  meglio  fra  qual- 
che minuto,  che  il  pen- 
dolo di  sinistra,  a  poco  a  poco,  entra  anch'esso  in  movi- 
mento ;  l'altro,  più  lungo,  rimane  quasi  del  tutto  immobile. 

Ora  sanno  bene  che  ciò,  che  determina  il  periodo  di 
oscillazione  di  un  pendolo,  è  a  punto  la  sua  lunghezza. 

Questo,  che  osserviamo,  è  dunque  un  vero  fenomeno 
di  risonanza,  almeno  prendendo  la  parola  nel  senso  più 
generale,  che  ho  indicato. 

E  si  vede  subito  come  il  fatto  si  possa  spiegare.  Al 
principio  del  suo  movimento  il  pendolo  mobile,  a  traverso 
al  sostegno,  ha  comunicato  un  piccolo  impulso  a  quell'altro 


Fig.  51, 


—    126   — 

pendolo,  che  gli  è  in  tutto  uguale  ;  questo  sì  è  mosso  in 
un  certo  senso  ed  ha  cominciato  ad  oscillare  impercetti- 
bilmente. Più  tardi  il  pendolo  di  destra  ha  mandato  sempre 
degli  impulsi  che  in  ogni  istante  favorivano  il  movimento 
del  pendolo  di  sinistra.  Per  esempio ,  l' impulso  impresso 
dal  pendolo  di  destra  a  la  fine  della  sua  prima  mezza 
oscillazione,  tendeva  a  muovere  1'  altro  pendolo  in  senso 
opposto  a  quello  in  cui  s'era  spostato  al  principio  del 
moto.  Ora,  mentre  riceveva  questo  nuovo  impulso,  il  pen- 
dolo di  sinistra  aveva  compiuto  a  punto  una  mezza  oscil- 
lazione e  si  muoveva,  già  di  per  sé,  nel  senso  opposto  a 
quello,  in  cui  s'era  mosso  da  prima. 

Naturalmente  queste  cose  non  si  possono  dire  del 
terzo  pendolo,  il  quale,  essendo  più  lungo  di  quello  di 
destra,  ha  un  periodo  d'oscillazione  completamente  diverso. 
Qui  è  avvenuto,  senza  dubbio,  che  alcuni  degli  impulsi 
successivi  hanno  distrutto,  in  parte,  l'effetto  di  quelli,  che 
li  avevano  preceduti.  Per  questo  non  si  è  potuto  produrre 
un  movimento  così  ampio  e  regolare  come  nel  primo  caso. 

Altri  esempii  semplici  di  risonanza  si  possono  cercare 
nel  campo  dell'acustica  ;  a  punto  in  esso  si  osservarono  i 
primi  fenomeni  di  questa  natura  ,  e  il  termine  stesso  di 
risonanza  lo  indica. 

Ho  qui  davanti  un  sonometro,  una  cassa  armonica, 
su  la  quale  ho  disposto  tre  corde  uguali.  Di  queste  corde 
la  prima  e  l'ultima  rendono  il  medesimo  suono,  quella  di 
mezzo  invece  dà  un  suono  alquanto  diverso  e  propriamente 
più  basso. 

Voglio  ora,  con  un  archetto,  strofinare  vivamente  una 
delle  due  corde  uguali ,  in  modo  da  farle  eseguire  delle 
oscillazioni  assai  ampie  ;  per  rendermi  conto  di  ciò,  che 
faranno  le  corde  rimanenti^  pongo  su  ciascuna  di  esse, 
verso  il  mezzo,  un  piccolo  cavaliere  di  carta. 

Faccio  dunque  vibrare  la  prima  corda,  dandole  un 
colpo  d'archetto.  Gli  effetti  di  questo  movimento  sono 
chiari,  il  cavaliere  della  terza  corda  è  caduto  di  sotto, 
l'altro  è  rimasto  al  suo  posto. 


—    127   — 

Vuol  dire  che  l'oscillazione  si  è  comunicatfi  solamente 
a  la  corda,  che  era  a  l'unisono  con  quella  sfregata.  Ora 
si  sa  da  l'acustica,  che  l'altezza  del  suono  è  legata  con  il 
periodo  di  vibrazione  in  questo  modo:  che  due  sistemi 
danno  il  medesimo  suono  se  oscillano  con  la  stessa  fre- 
quenza. Il  fatto,  che  abbiamo  osservato,  è  dunque  perfet- 
tamente analogo  a  quello,  che  si  riscontrava  nel  caso  dei 
tre  pendoli. 

In  quest'esperienza  e  nella  precedente  i  due  sistemi, 
che  uno  esercita  e  l'altro  patisce  1'  azione ,  erano  in  tutto 
uguali.  Non  se  ne  deve  concludere  che  le  cose  vadano 
sempre  necessariamente  così.  È  possibile  anzi,  in  certi  casi, 
ottenere  dei  fenomeni  di  risonanza  fra  sistemi  di  struttura 
dissimile. 

Un  esempio  di  questo  si  ha  già  nel  fatto  notissimo 
che  la  voce  umana  può  mettere  in  vibrazione  le  corde  di 
un  piano-forte  ;  un  altro  caso,  particolarmente  interessante, 
lo  forniscono  le  esperienze  del  Savart  (i6)  sopra  le  vene 
liquide.  Un  getto  d'acqua,  formato  a  traverso  ad  una  pa- 
rete sottile,  presenta,  quando  si  verifichino  alcune  condi- 
zioni, dei  rigonfiamenti  e  delle  strozzature  (ventri  e  nodi), 
e  manda  un  suono  di  altezza  determinata.  Avviene  qual- 
che volta  che  i  ventri  e  i  nodi  manchino  e  si  sospenda 
l'emissione  delle  onde  sonore.  Basta  allora  far  vibrare,  in 
prossimità  dell'  apparecchio ,  una  corda  di  violino ,  oppor- 
tunamente tesa,  perchè  il  fenomeno  si  riproduca. 

§  2.  —  Ma  torniamo  a  le  nostre  correnti  ;  esse  pure 
offrono  dei  fatti  di  risonanza.  E  cioè:  ogni  conduttore, 
costituito  in  modo  che  vi  si  possano  eccitare  delle  sca- 
riche rapidamente  alternate,  possiede  un  proprio  periodo 
di  vibrazione.  Se  due  di  tali  conduttori  si  pongono  in 
presenza,  e  se  ne  mette  uno  in  azione ,  si  destano  per 
ciò  solo  neir  altro  delle  correnti  oscillanti  ;  e  queste  sono 
tanto  più  intense  quanto  più  prossimi  sono  i  periodi  pro- 
prii  dei  due  conduttori. 

Dimostrare  direttamente  questa  proposizione  è   molto 


128 


difficile,  mi  accontenterò  dunque  di  dame  una  prova  in- 
diretta. L'esperienza  la  condurremo  così.  Uno  dei  due  con- 
duttori, quello  a  punto  che  verrà  eccitato  con  il  rocchetto, 
non  avrà  una  forma  fissa,  bensì  sarà  costituito  per  modo 
che  si  possa  far  variare  continuamente  una  delle  costanti 
che  lo  definiscono.  L'altro  rimarrà  sempre  uguale  a  sé 
stesso  e  sarà  munito  di  un  tubo  a  vuoto,  che  ci  fornirà 
un  criterio  per  giudicare  dell'  intensità  delle  correnti ,  che 
lo  percorrono.  Vedremo  che  la  luminosità  del  tubo  diven- 
terà massima  per  un  unico  valore  di  quell'elemento  va- 
riabile del  primo  conduttore. 

Gli  apparecchi  che  si  impiegano  per  quest'esperienza 
sono  relativamente  semplici. 

Il  circuito  nel  quale  ecciteremo,  per  risonanza,  le  cor- 
renti oscillanti ,  e  che  chiameremo  d'  ora  innanzi  il  riso- 
natore o  il  secondario,  è  quello  stesso  rettangolo  di  filo 
di  rame,  che  impiegammo  nella  lezione  passata,  ho  cam- 
biato solamente  il  tubo  a  vuoto.  Le  correnti,  che  si  pro- 
ducono nell'esperienza  presente  ,  sono  assai  meno  intense 
di  quelle ,  che  si  ottenevano  allora,  è 
necessario  quindi  che  il  tubo  di  sca- 
rica sia  assai  più  sensibile. 

In  questo,  a  palla,  che  vedono  qui 
(fig.  52),  il  vuoto  fu  spinto  molto  in- 
nanzi ,  così  da  rendere  possibile  la 
produzione  dei  raggi  catodici. 

Non  vi  sono  elettrodi  o ,  meglio, 
essi  sono  costituiti  da  due  cerchietti 
esterni  di  stagnola.  Fra  questi,  nel 
mezzo  della  palla,  vi  è  una  pastiglia 
biancastra,  portata  da  un  tubicino  di 
vetro  (17). 

Se  a  le~due  armature  si    fanno  ar- 
F»g-  52.  rivare  delle  correnti   oscillanti,  la  pa- 

stiglia ,  che  è  probabilmente  un  miscuglio  di  solfuri  di 
metalli  terrosi,  brilla  di  una  pallida  luce  verdognola,  mentre 
il  resto  del  tubo  rimane  al  buio. 


—   129  — 

Quanto  a  l'apparecchio,  che  va  messo  in  azione  con  il 
rocchetto,  e  che  diremo  eccitatore  o  primario,  esso  consta 
essenzialmente  di  due  tratti  rettilinei  di  filo  conduttore 
sottile,  posti  uno  sul  prolungamento  dell'altro  (fig.  53). 


Questi  tratti  di  filo  sono  tesi  a  le  estremità  nel  modo 
consueto,  ed  in  mezzo  mettono  capo  ad  un  piccolo  telaio, 
al  quale  sono  assicurati  con  due  morsetti.  E  da  i  morsetti 
si  staccano  i  conduttori,  che  vanno  a  lo  spinterometro. 

Vi  sono  poi  due  grossi  dischi  di  latta,  di  quaranta 
centimetri  di  diametro,  i  quali,  mediante  certi  tubetti  d'ot- 
tone, che  li  traversano  nel  mezzo  e  comprendono  i  fili, 
possono  scorrere  su  questi,  uno  da  una  parte  e  l'altro 
da  l'altra. 

Si  modificherà  1'  eccita- 
tore a  punto  con  lo  spo- 
stare i  dischi  in  un  senso 
arbitrario. 

Pongo  il  risonatore  a 
canto  a  l'altro  circuito 
(fig.  54)    in  modo    che  sia  hig. 

parallelo    ad    esso ,   e    ne 
disti   di    pochi    centimetri  il  lato  corto,  che  non    contiene 

9 


54. 


—  130  — 

il  tubo  di  scarica.  Quindi  allontano  i  dischi  fino  a  l'estre- 
mità dei  fili  primarii  e  collego  le  sfere  dello  spinterometro 
con  i  poli  di  un  rocchetto.  Faccio  agire  quest'ultimo. 

11  pallone  vuoto  è  per  ora  completamente  spento.  A 
poco  a  poco  sposto  i  due  dischi,  spingendoli  con  un  ba- 
stoncino di  ebanite,  e  procurando  che  distino  sempre  en- 
trambi ad  un  modo  dal  punto  di  mezzo  del  primario. 

Quando  i  dischi  sono  giunti  in  tale  posizione  che  la 
distanza  fra  essi  è  di  circa  un  metro,  la  pastiglia  comincia 
a  brillare.  Se  continuo  nel  movimento  la  luce  cresce  an- 
cora un  poco,  quindi  diminuisce  da  capo  e  si  spenge. 

Vi  è  dunque  per  il  conduttore  primario  una  certa  con* 
dizione  nella  quale  esso  eccita  il  risonatore  con  particolare 
efficacia.  Sembra  ovvio  ammettere  che  questo  massimo 
effetto  corrisponda  a  punto  a  l'istante,  in  cui  s'uguagliano 
i  periodi  di  vibrazione  dei  due  circuiti. 

§  3.  —  Si  può  trarre  partito  di  tale  proprietà  per 
studiare  in  che  modo  si  propaghi  l'azione  dal  primo  al 
secondo  conduttore.  Nel  caso  della  risonanza ,  in  fatti, 
l'eccitazione  si  fa,  quand'anche  corra  fra  i  due  circuiti  un 
intervallo  un  po'  grande. 

Impiegheremo  spesso,  d'ora  innanzi,  una  coppia  spe- 
ciale di  apparecchi,  rispondenti  a  tutte  le  esigenze.  Sono 
queUi,  che  ho  disposto  qui. 

L'eccitatore  (fig.  55)  è  formato,  secondo  le  indicazioni 
del  Hertz  (18),  da  due  cilindri  cavi  di  ottone,  lunghi  tre- 
dici centimetri  e  larghi  tre  ,  muniti ,  a  le  estremità  affac- 
ciate, di  sfere  di  quattro  centimetri  di  diametro.  Ognuno 
di  questi  cilindri,  mediante  certi  anelli  di  ebanite,  lavorati, 
in  due  pezzi,  è  assicurato  ad  un  piede.  Il  quale  può  scor- 
rere dentro  una  scanalatura  praticata  in  una  lunga  tavo- 
letta di  legno.  Serrando  una  vite  si  può  fissare  il  cilindro 
nella  posizione  più  conveniente. 

Quanto  al  conduttore  secondario  esso  consta  (fig.  56)  di 
due  lamine  di  latta  (19),  lunghe  ventisette  centimetri  ej 
larghe  cinque.  Sono  disposte  una  sopra  1'  altra  in  un  me- 


—  131  — 

desimo  piano,  a  piccola  distanza  (cinque  cent,  circa).  La 
metà  superiore  è  sospesa  ad  una  tavoletta  di  legno  con 
due  cordoncini  di  seta  non  tinta  ;  l' inferiore  è  raccoman- 
data a  la  prima  con  altri  due  cordoncini  simili  a  quelli. 
E  nello  stesso  modo   vien  tenuta  ferma  dal  basso. 


F'g-  5). 

Da  le  estremità  affacciate  di  queste  lastre  di  latta  par- 
tono due  fili  metallici  molto  sottUi,  che  conducono  a  quella 
parte  dell'apparecchio,  dove  si  verifica  la  presenza  delle 
correnti  indotte. 


—    132   — 

Le  differenze  di  potenziale,  che  si  raggiungono  quì^ 
sono  assai  piccole  in  confronto  di  quelle ,  che  abbiamo  ot- 
tenuto per  l'addietro  ;  sicché  non  sarebbe  possibile  l'impiega 
di  un  tubo  del  Geissler  o  di  altro  apparecchio  a  vuoto. 
Bisogna  accontentarsi  di  osservare  delle  scintilline  bre- 
vissime. 

Per  questo  uno  dei  due  fili,  dei  quali  ho  parlato,  e 
precisamente  l'inferiore,  mette  capo  ad  una  sferetta  di  pla- 
tino di  quattro  millimetri  di  diametro.  L'altro,  in  vece,  porta 
ad  una  molla,  fornita  di  una  punta  sottile,  anch'essa  di 
platino.  La  punta  sta  proprio  davanti  a  la  pallina,  a  breve 
distanza.  Questa  si  può  variare  in  modo  continuo  premendo 
con  una  vite  sopra  la  molla. 

Siccome  le  piccolissime  scintille,  che  s'ottengono  nel 
secondario,  quando  l'eccitatore  funziona,  non  si  potrebbero, 
vedere  da  tutti,  è  indispensabile ,  per  le  esperienze  dimo- 
strative, ricorrere  a  qualche  artifizio.  Noi  ne  impiegheremo 
uno,  suggerito  dal  Boltzmann  (20),  che  si  fonda  sopra  una 
proprietà,  della  quale  godono  le  scintille,  la  proprietà  cioè 
di  essere  ottimamente  conduttrici.  Si  tira  partito  di  questa 


-^^^T^^ 


T     T 


Fig.  57- 

circostanza,  corredando  il  risonatore  di  una  pila  secca  e 
di  un  elettroscopio.  Dei  due  poli  della  pila  uno  si  mette 
a  terra  (fig.  57),  e  1'  altro  si  fa  comunicare  con  il  bottone 
dell'elettroscopio.  Il  quale  bottone  si  collega  metallicamente 


—  133  — 

con  la  parte  superiore  del  secondario,  mentre  la  parte  in- 
feriore viene  posta  in  comunicazione  con  il  suolo  (T';.  Se 
la  punta  non  tocca  la  pallina  ,  e  nemmeno  si  producono 
scintille,  r  elettroscopio  riceve  da  la  pila  secca  una  carica 
•e  la  conserva  ;  quando,  in  vece,  scoccano  delle  scintilline, 
l'elettricità  passa  direttamente  da  la  pila  nel  suolo,  e  l'e- 
lettroscopio non  si  può  caricare. 

Se  adoperassi  un  comune  apparecchio  a  foglie  d'oro, 
le  sue  indicazioni  non  sarebbero  visibili  a  distanza  ;  pre- 
ferisco dunque  impiegare  un  piccolo  elettroscopio,  costituito 
in  modo  che  con  la  lanterna  di  proiezione  se  ne  può  for- 
mare un'imagine  assai  chiara  sopra  uno  schermo. 

E'  una  cassettina  di  vetro,  a  faccie 
piane  e  parallele  (fig.  58) ,  il  cui  co- 
perchio è  traversato  da  uno  stilo  me- 
tallico, che  reca  in  basso  due  pagliuzze 
sottili. 

Questa  cassettina  è  alta  cinque  cen- 
timetri circa,  larga  tre,  e  profonda  due. 

§  4,  —  Ed  ora,  conoscendo,  almeno 
nelle  linee  generali ,  tutti  gli  apparec- 
chi necessarii  per  le  esperienze,  pos- 
siamo fare  un  passo  avanti ,  ed  inco- 
minciare quella ,  che  è  forse  la  parte 
più  importante  del  nostro  corso. 

Consisterà,  come  dicevo  dianzi,  nello 
studio  delle  leggi,  secondo  le  quali  si 
trasmette  l'  azione  ,  che  ,  movendo  dal  circuito  primario 
viene  ad  eccitare  il  risonatore.  Il  resultato  della  ricerca  si 
riassume  dicendo  che  quell'  azione  si  propaga  a  punto 
come  la  luce  ed  il  calore  raggiante. 

Comincerò  constatando  quest'analogia  in  una  prima 
esperienza. 

Ho  collocato  uno  in  faccia  a  1'  altro,  a  quattro  metri 
di  distanza,  due  specchii  sferici,  concavi,  uguali,  di  rame 
polito  ,  avranno  a  un  di  presso    un'  apertura  di  cinquanta 


Fig.  58. 


—  134  — 
centimetri.  Nel  piano  focale  del  primo  di  questi  specchii^ 
vale  a  dire  in  quel  piano,  che  è  normale,  nel  punto  di 
mezzo,  a  la  congiungente  del  vertice  della  calotta  con  il 
centro  della  sfera,  da  la  quale  Io  specchio  è  tagliato,  fisso 
una  candela  e  1'  accendo.  I  raggi  di  luce,  che  la  fiamma 
emette,  cadono  su  la  superficie  riflettente,  e  vengono  ri- 
mandati nella  direzione  dell'asse.  Incontrano  poi  il  seconda 
specchio,  e  per  l'azione  di  questo  vanno  a  riunirsi  di  nuova 
nel  suo  piano  focale.  In  fatti,  se  porto  in  tale  piano  una 
schermo  traslucido,  di  tela  sottile,  vi  si  delinea  con  suffi- 
ciente nettezza  l'imagine  della  fiamma. 

Quello,  che  ho  detto  della  luce,  posso  ripetere  per  il 
calore  raggiante,  ed  è  facile  persuadersene  con  un'  espe- 
rienza diretta.  Al  posto  della  candela  pongo  ora  un  ce- 
stello di  rete  metallica  con  alcuni  carboni  accesi.  E  nel 
piano,  dove  prima  mettevo  lo  schermo,  voglio  fissare  adessa 
un'asta,  che  sostiene  un  bioccolo  di  cotone  fulminante.  Ha 
annerito  il  pirossilo,  impregnandola  di  polvere  di  carbone^ 
perchè  le  superfici  nere  assorbont»  in  maggior  misura  che 
le  bianche  il  calore  raggiante  L'effetto  non  si  fa  aspettare 
a  lungo  ;  dopo  pochi  istanti  il  cotone  fulminante  si  infiam- 
ma. Il  calore  si  riflette  dunque,  e  si  concentra  nei  fochi 
degli  specchii  concavi  come  la  luce. 

E  bene,  qualche  cosa  di  molto  simile  avviene  anche 
per  l'azione,  che  l'eccitatore  del  Hertz  esercita  sopra  il  ri- 
sonatore. Noi  possiamo  in  realtà  riflettere  quest'  azione,  e 
concentrarla  nei  fochi  di  specchii  cavi  opportunamente 
scelti.  Vedono,  davanti  a  Loro ,  due  di  questi  specchii. 
Hanno  la  forma  di  cilindri  parabolici  (fig.  59)  (*)  ;  e  sona 
fatti  di  lastre  di  zinco.  Hanno  una  distanza  focale  di  dodici 


(*)  La  figura  59  rappresenta  uno  dei  riflettori,  già  disposto 
per  un'esperienza,  che  sarà  descritta  più  avanti  (cfr.  la  lezione  tre- 
dicesima), munito  cioè  di  un  asse  orizzoutale. 

Si  confronti,  per  avere  un'  idea  dell'  apparecchio,  quale  viene 
impiegato  qui,  la  figura  79. 


—  135  — 

centimetri  circa  ;  sono  alti  un  metro  ; 
anche  prossimamente  di  un  metro. 


la    loro    apertura  è 


i-ig.  59- 


Le  lastre  di  zinco  sono 
specchio,  da  quattro  tavole 
di  legno  d'abete  ben  secco, 
nelle  quali  si  sono  inta- 
gliate quattro  parabole  u- 
guali  (fig.  60).  Queste  ta- 
vole poi  sono  congiunte 
rigidamente  con  certe  tra- 
verse, anch'  esse  di  legno 
d'abete.  Gli  specchii  sono 
ancora  forniti  di  gambe, 
fermate  a  vite ,  alte  cin- 
quanta centimetri. 

In  una  delle  linee  focali 
è  collocato  l'eccitatore,  che 
ho  descritto  lungamente 
dianzi  ;  nell'altra  è  posto, 
in  vece,  il  risonatore.  I  fili 


tenute    a    posto,    in    ciascun 


Fig.  60. 


—  136  — 

che  conducono  al  rocchetto  nel  primo  caso  ,  e  quelli  che 
portano  a  l'intervallo  di  scarica  nel  secondo,  traversano 
lo  specchio  ed  escono  dietro  di  esso  a  1'  aperto. 

§  5.  —  Colloco  i  due  specchii  di    fronte,  a   sei  metri 
di  distanza ,  e  munisco    il    risonatore    dell'  elettroscopio  e 


hig.  ói. 

della  pila,  nel  modo  che  ho  detto.  Proietto  l'elettroscopio 
con  la  lanterna  (fig.  61).  La  sua  imagine  si  produce  su  lo 
schermo,  capovolta  ;  le  paglie  divergono  ora  fortemente. 
Avvicino  nel  secondario  la  punta  a  la  pallina  finché  siano 
quasi  a  contatto  ;  e  nel  primario  lascio  un  intervallo  di 
scarica  di  tre  o  quattro  millimetri.  E  faccio  agire  il  roc- 
chetto. 

Le  pagliuzze  dell'elettroscopio  cadono  istantaneamente 
yna  sopra  l'altra  e  non  si  staccano  più.  Vuol  dire  che  al 
risonatore  passa  una  serie  ininterrotta  di  scintille. 


—  137  — 

Fermando  il  rocchetto,  naturalmente,  le  paglie  tornano 
a  divergere. 

Se  i  due  circuiti  non  fossero  muniti  di  specchii  non  si 
avrebbero  scintille  nel  secondario,  tenendolo  a  più  di  un 
metro  dal  conduttore  primario. 

L'azione  dei  nostri  cilindri  parabolici  è  dunque  chiara 
e  simile  in  tutto  a  quella  degli  specchii  sferici,  per  il  caso 
della  luce  e  del  calore. 

In  base  a  quest'  ultima  esperienza  si  può  considerare 
come  dimostrato,  almeno  in  via  indiretta,  che  l'induzione, 
esercitata  dal  primo  sul  secondo  circuito,  si  riflette  su  le 
lastre  di  zinco,  regolarmente,  cioè  facendo  l'angolo  di  ri- 
flessione uguale  a  quello  di  incidenza.  Del  resto  avremo 
occasione  di  verificare  tutto  ciò  direttamente. 

Per  ora,  mentre  gli  specchi  stanno  cosi  affacciati,  vo- 
glio indicare  alcune  proprietà,  a  le  quali  dà  luogo  il  pro- 
pagarsi dell'induzione. 

Faccio  agire  il  rocchetto  e  le  paglie  dell'  elettroscopio 
si  riuniscono,  come  prima.  Quindi  mi  pongo  fra  i  due  spec- 
chi e  riparo  con  il  mio  corpo  il  risonatore  ;  immediatamente 
le  paglie  si  staccano  e  divergono,  indicando  che  la  serie 
delle  scintille,  al  secondario,  è  interrotta.  Se  mi  tolgo  di 
mezzo,  come  è  facile  prevedere,  le  scariche  ricominciano, 
e.  ancora  una  volta,  le  paglie  dell'  elettroscopio  cadono 
una  su  l'altra. 

Lo  stesso  effetto  otterrei  interponendo  fra  i  due  con- 
duttori una  lamina  di  zinco  o  di  qualimque   altro  metallo. 

In  vece  una  tavola  di  legno,  o  una  lastra  di  ebanite, 
sono  perfettamente  trasparenti. 

Questi  fatti,  che  ho  indicato  ora,  si  presentano,  in  una 
certa  misura,  anche  nello  studio  della  luce  e  del  calore. 
E  di  vero  si  sa  che  la  maggior  parte  delle  sostanze  dia- 
fane sono  cattive  conduttrici,  il  vetro  per  esempio  e  il 
quarzo  e  le  pietre  preziose.  Parimenti  i  corpi  meglio  dia- 
termani, come  il  salgemma  e  lo  spato  d'Islanda,  sono  die- 
lettrici. 


-  138  - 

D'altra  parte  i  metalli,  anche  in  strati  molto  sottili, 
sono  opachi  per  la  radiazione  luminosa  e  per  la  termica. 
Doventano  trasparenti  solo  quando  siano  estremamente 
poco  spessi  ma  allora  lasciano  passare 'anche  l'induzione, 
della  quale  ci  occupiamo  (21). 

La  cosa  si  dimostra  con  tutta  facilità,  ricorrendo  ad 
un  sempHce  artifizio. 

Quando  occorre  di  adoperare  delle  lamine  metalliche 
molto  sottili  si  usa  deporre,  chimicamente,  un  velo  d'ar- 
gento sopra  una  lastra  di  vetro.  Con  un  po'  di  pratica  si 
riesce  ad  ottenere,  in  ogni  caso,  quello  spessore,  che  si 
desidera. 

Però  è  sempre  assai  difficile  di  precipitare  degli  strati 
di  grande  superficie,  con  qualche  regolarità.  E  nel  nostro 
caso  sarebbe  pur  necessario  di  avere 
■una  lastra  assai  grande. 

Si  può  girare  l' ostacolo  impiegan- 
do, in  luogo  di  uno  schermo  piano, 
un  manicotto,  cioè  un  tubo  cilindrico, 
argentato,  che  ravvolga  completamente 
l'eccitatore. 

Io  mi  valgo  a  punto  di  questo  espe- 
diente. Il  velo  d'argento,  che  adopero, 
è  tanto  sottile  da  non  essere  ancora 
opaco  per  la  luce;  mostra  per  traspa- 
renza un  bel  colore  azzurro  cupo. 

Sospendo  questo  manicotto  intorno 
al  primario  (fig.  62),  e  faccio  agire  il 
rocchetto.  Come  appare ,  l' azione  si 
trasmette  liberamente  dal  primo  al  se- 
condo circuito ,  a  traverso  a  lo  strato 
metallico,  diafano  per  i  raggi  luminosi. 
Notino  però ,  a  questo  proposito, 
che  certi  corpi,  i  quali ,  come  l'acqua 
e  le  soluzioni  saline,  non  impediscono 
passaggio   della  luce,  esercitano,  in  vece,. 


Fig.  62. 
notevolmente  il 


—  139  -- 

un  forte  assorbimento  su  l'azione,  che  muove  dal  primario 
al  secondario. 

Avremo  occasione  in  seguito  di  spiegare  tali  anomalie 
e  di  riconoscere  come  esse  non  diminuiscano  per  nulla  la 
somiglianza,  che  passa  fra  la  luce  ed  il  calor  raggiante,  da  un 
lato,  e  l'induzione,  che  studiamo  presentemente,  da  l'altro  ;*) 

§  6.  —  Intanto  pongano  mente  ad  una  conseguenza, 
che  si  può  tirare  subito  da  le  nostre  ultime  esperienze. 
Perchè  il  corpo  umano  od  ogni  altro  conduttore  inter- 
rompa r  effetto  che  1'  eccitatore  produce  nel  risonatore,  è 
necessario  che  venga  interposto  su  la  retta,  che  congiunge 
il  primo  con  il  secondo  circuito.  E'  quanto  dire  che  questa 
particolare  azione  procede  rettilineamente. 

Impiegando  qui  una  parola,  che  si  adopera  nello  studio 
della  luce  e  del  calore ,  e  che  si  giustifica  nello  stesso 
modo,  si  potrà  dunque  parlare  di  raggi  d'induzione  o,  come 
diceva  il  Hertz,  di  raggi  di  forza  elettrica. 

Che  questi  raggi  si  propaghino  in  linea  retta  si  può 
anche  mostrare  altrimenti.  Per  esempio  ogni  effetto  del  pri- 
mario sul  secondario  cessa,  se  uno  degli  specchii  si  fa  gi- 
rare intorno  a  la  sua  linea  focale  di  un  certo  angolo,  o 
si  sposta  alquanto   lateralmente. 

§  7.  —  Ho  detto  che  l'azione  prodotta  da  gli  specchii 
sferici  su  i  raggi  luminosi  e  termici  e  quella,  che  gli  spec- 
chii parabolici  esercitano  su  i  raggi  di  forza  elettrica,  co- 
stituiscono una  prova  indiretta  del  fatto  che  quelle  radiazioni 
si  riflettono  regolarmente  secondo  la  legge  ben  nota.  Vediamo 
ora  di  dare  di  questo  delle  dimostrazioni  più  semplici. 

Quanto  al  caso  della  luce  non  mi  sembra  necessario 
di  spendere  parole.  In  realtà  verifichiamo  la  legge  della 
riflessione  tutte  le  volte  che  ci  guardiamo  in  uno  specchio. 

In  vece  mi  fermerò  un  momento  a  provare  che  il  calore 
viene  rimandato  nello  stesso  modo  che  la  luce,  da  le  su- 
perfici  piane.  Gli  apparecchii,  che  servono  per  l'esperienza^ 


{*)  Si  confronti  la  lezione  decimi 


—  140  — 

sono  essenzialmente  una  pila  termo-elettrica  ed  un  galva- 
nometro.  Una  lastra  d'argento  polita  mi  serve  da  specchio 
€d  una  spirale  di  platino,  che  rendo  incandescente  con  un 
becco  Bunsen,  a  fiamma  oscura,  sarà  la  mia  sorgente  ter- 
mica. Non  sto  a  descrivere  minutamente  la  pila  termoelet- 
trica ;  ne  ho  indicato  a  suo  tempo  il  principio,  e  i  particolari 
della  costruzione  li  possono  trovare  in  qualunque  trattato. 
Ricordo  soltanto  che,  se  del  calore  raggiante  viene  a  ca- 
dere su  la  faccia  annerita  e  scoperta  della  pila,  si  produce 
una  forza  elettromotrice  ;  quindi  una  corrente,  che  traversa 
il  gaìvanometro. 

Questo  è  un  semplice  apparecchio  del  Nobili  a  sistema 
astatico  ;  ho  aggiunto  a  l'ago  superiore  due  bandierine  di 
carta,  perchè  i  movimenti  ne^siano  meglio  visibili  a  distanza. 


Fig.  63. 

Pongo  la  spirale  di  platino  davanti  a  lo  specchio 
A  B  (fig.  63) ,  ma  un  po'  di  fianco  ;  quindi  colloco  uno 
schermo,  con  un  foro  tondo,  normalmente  a  la  direzione, 
nella  quale  presumo  che  i  raggi  debbano  venire  riflessi. 


—  141  — 

Adatto  l'occhio  al  foro  e  sposto  un  pochino  Io  schermo, 
finché  mi  sia  possibile  vedere  nello  specchio  l'imagine  della 
spirale.  Poi  davanti  a  questo  primo  schermo  ne  metto  un 
secondo ,  completamente  opaco  ;  ed  affaccio  la  pila  al 
foro,  dove  prima  avevo  l'occhio.  Accendo  il  becco  Bunsen 
e  quando  il  filo  di  platino  ha  raggiunto  l' incandescenza 
tolgo  via  lo  schermo  opaco.  Subito  l'ago  del  galvanometro 
riceve  un  impulso  violento,  indicando  così  che  una  corrente 
intensa  traversa  l'apparecchio. 

Vuol  dire  che  la  radiazione  termica  viene  a  punto  dove 
arrivava  anche  la  luminosa,  cioè  si  riflette  con  la  stessa 
legge. 

La  medesima  esperienza  posso  ripetere  con  i  raggi  di 
forza  elettrica.  Mentre  mi  occupavo  con  Loro  della  rifles- 
sione del  calor  raggiante,  i  due  specchii  del  Hertz  sono 
stati  spostati  da  i  miei  aiuti ,  e  disposti  uno  a  canto  a 
l'altro,  con  i  piani  assiali  ad  angolo  retto.  L'elettroscopio 
è  sempre  proiettato  su  lo  schermo  e,  come  è  naturale,  le 
sue  paglie  sono  divergenti. 

Faccio  lavorare  il  rocchetto  e  nulla  si  cambia.  Questo 
lo  potevamo  prevedere  :  il  raggio  emesso  dal  primario  se 
ne  va  secondo  il  piano  assiale  del  suo  specchio  ;  e  non 
entra  nemmeno  nello  specchio  del  risonatore.  Lascio  che 
il  rocchetto  continui  ad  agire  ed  a  quarantacinque  gradi 
su  la  direzione  del  raggio  pongo  una  grossa  lastra  di  zinco  ; 
è  un  rettangolo  di  un  metro  per  uno  e  mezzo.  Subito  le 
due  paglie  si  riuniscono,  indicando  che  vi  è  stata  rifles- 
sione. E  questa  è  regolare,  perchè,  se  faccio  girare  un  poco 
la  lastra,  le  scintilline  nel  risonatore  cessano  ;  e  1'  elettro- 
scopio torna  a  caricarsi. 

Quello,  che  fa  la  lastra  di  zinco,  fa  anche  il  corpo 
dell'uomo.  Sicché  posso  ripetere  l' ultima  esperienza,  po- 
nendomi con  uno  degli  aiuti  nel  luogo,  dove  collocavo  lo 
specchio  piano. 

Del  resto  non  è  nemmeno  necessario,  perchè  rifles- 
sione si  abbia,  che  la  superficie  riflettente  limiti  un  corpo 


—  142  — 

conduttore.  Solamente,  se  la  sostanza  dello  specchio  è  die- 
lettrica, bisogna  che  la  lastra  sia  alquanto  spessa.  E  questo 
in  pratica  riuscirebbe  poco  comodo. 

§  8.  —  Quando  la  luce  e  il  calore  raggiante  traversano 
la  superficie,  che  separa  due  mezzi  diversi,  deviano,  in  gene- 
rale, da  la  loro  direzione  primitiva  di  propagazione.  E'  un 
fenomeno,  che  si  pone  in  chiaro,  particolarmente,  con  l'uso 
del  prisma. 

Ora  il  Hertz  ha  trovato  che  lo  stesso  fatto  si  pre- 
senta anche  per  i  raggi  di  forza  elettrica.  I  quali  dunque 
si  devono  propagare  con  velocità  finita,  come  la  luce  e  il 
calore.  Egli  impiegava  per  le  sue  ricerche  un  grosso  prisma 
di  asfalto.  Non  ho  modo  presentemente  di  ripetere  questa 
esperienza,  d'altronde  della  rifrazione  dei  raggi  elettro- 
magnetici avremo  campo  di  discorrere,  con  maggiore  pro- 
fìtto, un'altra  volta.  Per  ora  mi  basta  di  aver  accennato 
che,  anche  per  questo  rispetto,  sussiste  un'  analogia  com- 
pleta fra  le  tre  radiazioni  delle  quali  ci  occupiamo. 


* 
«  « 


§  9.  —  Riassumendo  :  ho  fatto  vedere  Loro  che  i  cir- 
cuiti percorsi  da  correnti  periodiche  danno  luogo  a  fenomeni 
di  risonanza,  analoghi  a  quelli  che  si  studiano  in  altre  parti 
della  fisica,  e  più  specialmente  in  acustica.  E  ho  mostrato 
inoltre  come  si  possano  ottenere  dei  raggi  di  forza  elet- 
trica, che  si  propagano  in  linea  retta,  e  si  riflettono  rego- 
larmente, a  punto  come  la  luce  e  il  calore  raggiante. 


J 


LEZIONE  NONA. 

Fenomeni  di  interferenza  —  Onde  stazionarie  — 
Esperienze  del  Fresnel  e  di  Klemenczicz  e 
Czermak-Colori  delle  lamine  sottili. 

§  I.  —  Delle  nostre  correnti  oscillanti  sappiamo  già 
che  esse  sono  periodiche  e  pendolari,  è  naturale  pensare 
che  Io  stesso  avvenga  di  quel  fenomeno,  la  cui  propaga- 
zione dà  origine  a  i  raggi  di  forza  elettrica.  In  fatti  un  tale 
fenomeno  nasce  da  un  circuito  percorso  da  scariche  alter- 
native, ed  è  capace  di  eccitarne  in  ogni  altro  circuito,  op- 
portunamente costituito. 

Ad  ogni  modo  si  possono  dare  di  questo  delle  prove 
dirette.  Ed  è  particolarmente  interessante  osservare  che 
alcune  fra  le  esperienze,  che  si  fanno  a  tal'  uopo,  sono 
molto  simili  a  quelle,  onde  s'era  dedotto,  al  principio  del 
nostro  secolo,  la  periodicità  della  perturbazione   luminosa. 

Esaminiamo  queste  prove  un  po'  da  vicino,  cominciando 
da  lo  studio  della  luce. 

Anzi  tutto  si  può  produrre  con  un  raggio  luminoso 
un'onda  stazionaria,  costituita  a  lin  circa,  come  quella,  che 
vedemmo  potersi  ottenere  con  le  correnti  oscillanti,  guidate 
da  i  fili  metallici.  Solamente  le  difficoltà  sperimentali  sono 
qui  molto  maggiori,  sicché  non  sarebbe  possibile  dimo- 
strare la  cosa  nella  scuola.  Mi  limito  a  dame  un  cenno. 

Si  fa  cadere  un  raggio  di  luce  sopra  uno  specchio;  e. 


—  144  — 
per  evitare  la  moltiplicità  delle  riflessioni ,  si  impiega  a 
questo  scopo  la  superficie  libera  di  una  massa  di  mercurio. 
11  raggio  riflesso  sopraponendosi  al  diretto,  produce  al 
solito  l'onda  stazionaria.  Vi  è  dunque,  parallelamente  a  la 
superficie  del  metallo,  una  serie  di  piani  nodali  e  di  piani 
ventrali.  La  presenza  di  questi  si  riconosce  con  una  pel- 
licola sensibile. 

Vi  è  però  un  inconveniente  assai  grave.  Nel  caso  del- 
la luce  i  ventri  ed  i  nodi  si  susseguono  a  così  piccola  di- 
stanza che,  ove  la  pellicola  fosse  normale  a  la  superficie 
del  mercurio,  i  tratti  impressionati  non  si  potrebbero  distin- 
guere da  quelli,  che  non  lo  sono.  Bisogna  ricorrere  ad  un 
artifizio,  e  collocare  la  pellicola  in  un  piano,  che  faccia  utl 
angolo  piccolissimo  con  quello  dello  specchio. 

In  questo  modo  lo  strato  sensibile  incontra  solo  alcuni 
piani  nodali  e  ventrali  ;  e  li  taglia  secondo  una  serie  di 
rette  parallele,  abbastanza  discoste  le  une  da  le  altre.  Le 
quali  rette  appariranno  nella  negativa  come  una  succes- 
sione di  strie  alternativamente  chiare  ed  oscure. 

Queste  ricerche,  che,  come  ho  detto,  sono  assai  deli- 
cate, si  debbono  al  Wiener  {22  .  Egli  constatò  che  su  la 
superficie  dello  specchio  vi  ha  un  nodo  dell'  azione  foto- 
grafica. 

Con  i  raggi  di  forza  elettrica  è  facile  ottenere  1'  onda, 
stazionaria  (23).  Per  fare  l' esperimento  impiego  la  solita 
coppia  di  circuiti.  Il  primario  è  munito  del  suo  riflettore, 
nel  modo  consueto;  in  vece  ho  tolto  il  risonatore  da  lo- 
specchio  secondario  e  1'  ho  adattato  ad  un  sostegno.  Sta 
ora  davanti  al  primo  circuito  a  un  paio  di  metri  di  di- 
stanza. L'  altezza  è  la  solita,  vale  a  dire  i  due  intervalli 
di  scarica  sono  sopra  una  medesima  linea  orizzontale. 
Solamente  i  fili,  che  portano  a  la  punta  e  a  la  pallina, 
vanno  adesso  da  la  parte  dell'eccitatore. 

Per  produrre  l'onda  stazionaria  è  necessario  riflettere, 
in  qualche  modo,  il  raggio  di  forza  elettrica. 

Impiego  a  l'uopo,  una  lastra  quadrata  di  zinco,  di  ui> 


—  145  — 
metro  e  mezzo  di  Iato.  È  sospesa  ad  un  asta  dj  legno  che 


Fig.  b4- 


può  scorrere  su  certe  traver- 
se, portate  da  quattro  sostegni 
(fig.  64  e  65)  (*).  La  lastra  è 
normale  a  la  direzione  in  cui 
si  propaga  il  raggio;  sta  die- 
tro al  risonatore,  vale  a  dire 
da  la  parte  di  esso ,  che  è 
opposta  a  quella  dove  si  trova 
il  primario.  Posso  muovere 
questo  mio  specchio  piano 
così  da  portarlo  a  toccare 
quasi  il  risonatore,  e  lo  posso 
ritirare  indietro  per  lo  spazio 
di  un  metro  circa.  L'esperienza 
consisterà  a  punto  nel  far  ve- 
dere che ,  quando  si  muove 
lo  specchio,  il  risonatore  pas- 


Fig.  05. 


(•)  Le  figure  64  e  65  mostrano  Io  specchio  di  fronte  e  di  fianco. 

IO 


—  146  — 

sa,  alternativamente,  per  una  serie  di  nodi  e  di  ventri.  La 
disposizione  somiglia  dunque  a  quella  dell'  esperienza  del 
V.  Bezold ,  piuttosto  che  a  quella  dell'  esperienza  del  Le- 
cher.  Per  ora  voglio  fissare  la  lastra    a  dodici    centimetri 


Fig.  ó6. 

dal  secondo  circuito  {A  B,  fig.  66).  Come  sempre  collego 
quest'  ultimo  con  la  pila  e  1'  elettroscopio,  che  proietto  su 
lo  schermo. 

Se  faccio  agire  il  rocchetto  le  foglie  si  riuniscono  imme- 
diatamente, indicando  che  adesso  il  risonatore  viene  ecci- 
tato. Muovo  la  grande  lastra  di  zinco  e  l'accosto  al  secon- 
dario. Quando  sono  giunto  a  pochi  centimetri  da  questo 
le  scintilline  cessano;  e  difatti  le  foglie  tornano  a  diver- 
gere. Ne  segue  che,  a  canto  a  la  superficie  riflettente,  l'onda 
stazionaria  ha  un  nodo.  Quindi  le  cose  non  vanno  adesso 
esattamente  come  per  il  caso  delle  correnti  oscillanti,  gui- 
date da  i  fili  metallici.  Allora  il  punto  estremo  del  condut- 
tore era  un  ventre.  Tali  onde  dunque  erano  paragonabili 
a  quelle  delle  canne  aperte  ,  queste  altre  che  stiamo  stu- 
diando, assomigliano,  in  vece,  a  quelle  delle  canne  chiuse. 


—  1+7  — 

Proviamoci  ora  a  ritirare  la  lastra.  Le  scariche,  natu- 
ralmente, tornano  a  passare  e  le  foglie  a  riunirsi.  Conti- 
nuando nel  movimento  non  si  ha,  per  un  poco  ,  nessuna 
indicazione  da  l'elettroscopio  ;  in  realtà  il  risonatore  attra- 
versa un  ventre  e  le  scintilline  sono  assai  vivaci.  Ma  pro- 
cedendo sempre  si  finisce  per  arrivare  ad  un  secondo 
nodo  ;  sicché  le  paglie   divergono. 

Così  la  periodicità  dei  raggi  di  forza  elettrica  rimane 
stabil'ta. 

§  2.  —  La  stessa  cosa  si  può  verificare  anche  per  altra 
strada  che  non  sia  quella  della  produzione  delle  onde 
stazionarie.  Intendo  parlare  dei  fenomeni  detti  di  interfe- 
renza,  i  quali  risultano  dal  sopraporsi  di  due  moti  on- 
dulatorii,  propagantisi  in  direzioni   poco  differenti. 

Non  è  difficile  intendere  quale  debba  essere  l'aspetto 
generale  di  questi  fenomeni.  Per  rendercene  conto  imagi- 
niamo  di  avere  in  due  punti  A  e  B,  che  segno  sopra  la 
lavagna  (fig.  67),  due  centri  da  i  quali  partono  e  si  propa- 
gano, tutto  a  l'intor- 
no ,  nel  piano  della 
figura ,  con  velocità 
finita,  uniforme,  delle 
perturbazioni  perio- 
diche. E  supponiamo, 
per  semplificare  le 
cose ,  che  i  due  si- 
stemi A  e  B  comin- 
cino ad  oscillare  nello 
stesso  istante,  ed  ab- 
biano il  medesimo  pe- 
riodo. Se  in  un  punto 
ad  arbitrio  del  piano 
è  posto  un  terzo  sistema,  suscettibile  di  eccitarsi  per  ef- 
fetto delle  perturbazioni,  che  partono  da  quei  due  centri, 
dopo  un  certo  tempo  esso  pure  oscillerà.  Supponiamo,  in 
primo  luogo,  che  il  terzo  sistema    disti  ugualmente   da  A 


—  148  — 

e  da  B,  come  sarebbe  il  caso  del  punto  P'  della  figura» 
E'  chiaro  che  in  ogni  istante  giungono  in  P'  degli  impulsi^ 
i  quali  sono  partiti  da  ^  e  da  5  contemporaneamente,  vale 
a  dire  degli  impulsi,  che  tendono  a  produrre  la  stessa  mo- 
dificazione. Quindi  gli  effetti  dovuti  a  i  due  eccitatori  si 
sommeranno. 

Portiamo  adesso  il  risonatore  in  un  altro  punto  P". 
E  scegliamo  questo  P"  in  modo  che  le  lunghezze  BP'  ed 
AP"  differiscano  fra  loro  di  un  tratto  uguale  a  quello,  di 
cui  si  propagano  le  perturbazioni,  in  un  intervallo  di  mezzo 
periodo.  Gli  impulsi,  che  giungono  ora  al  risonatore,  da 
>4  e  da  P,  in  un  certo  istante,  non  sono  più  partiti  insieme;, 
ma  anzi  ad  una  tale  distanza  che  tendono  a  produrre  ef- 
fetti esattamente  opposti.  Quindi,  ove  le  due  sorgenti  siano 
ugualmente  intense,  in  P"  non  si  potrà  avere  alcuna  azione 
sul  risonatore. 

Che  se  la  differenza  dei  due  cammini  PP"  ed  ^P"' 
si  facesse  ancora  più  grande  ,  fino  a  raggiungere  quella 
lunghezza,  che  le  perturbazioni  percorrono  nel  tempo  di 
un  periodo  intero,  quella  cioè,  che  si  suol  chiamare  la  lun- 
ghezza d'onda  (*),  di  nuovo  le  due  sorgenti  produrrebbero 
degli  effetti  cooperanti. 

E  così  di  seguito. 

E'  evidente  che  potremmo  condurre  le  esperienze  an- 
che in  modo  divergo.  E  cioè  potremmo  tenere  fermo  il  ri- 
sonatore nella  posizione  P'  e  muovere,  in  vece,  una  delle 
sorgenti,  per  esempio  la  B.  Se  gli  spostamenti  si  facessero 
lungo  la  congiungente  P'P ,  è  chiaro  che  si  avrebbe  in 
P'  un  minimo,  quando  B  si  fosse  spostato  di  una  mezza 
lunghezza  d'onda  ;  quindi  un  massimo,  quando  il  tratto 
percorso  giungesse  ad  un'onda  intera  ;  e  così  via. 

Tali  sono,  in  realtà  ,  i  due  procedimenti,  che  si  pos- 
sono impiegare  per  lo  studio  del  modo,  con  che  è  distri- 
buito un  fenomeno  nello  spazio.  Nel  primo  caso  si  fa  muo- 


(*)  Si  confronti  in  proposito  la  lezione  sesta. 


—  149  — 
vere  il  punto  d'osservazione,  nel  secondo  si  lascia  questo 
punto  in  riposo  e  si  fa  spostare  il  fenomeno. 

In  pratica,  trattandosi  della  luce  e  dei  raggi  di  forza 
elettrica,  non  è  possibile  avere  due  sorgenti,  che  soddisfino 
a  tutte  le  condizioni,  che  abbiamo  supposto  verificate  per 
la  coppia  AB.  Bisogna  quindi  girare  la  difficoltà  con  qual- 
che artifizio. 

Uno  di  questi  consiste  nell'  impiego  di  una  sola  sor- 
gente, la  cui  azione  si  fa  riflettere  da  due  specchii.  Le  ima- 
gini  virtuali  di  quell'unico  eccitatore  rappresentano  i  sistemi, 
da  i  quali  partono  le  perturbazioni,  che  debbono  interferire. 

Si  intende  come  si  potranno  realizzare  i  due  modi  di 
procedere,  dei  quali  si  è  fatto  parola.  In  un  caso  resteranno 
fermi  gli  specchii,  e  varierà  il  punto,  nel  quale  l'interferenza 
si  osserva  ;  nell'altro  starà  immobile  il  secondario,  e  si  fa- 
ranno subire  degli  spostamenti  ad  uno  dei  riflettori.  Ora  la 
prima  di  queste  disposizioni,  serve  particolarmente  bene 
per  r  esame  delle  interferenze  della  luce  ;  e  la  seconda  è 
opportuna  per  lo  studio  dei  raggi  di  forza  elettrica. 

Ho  disposto  qui  gli  apparecchii  necessarii  per  realiz- 
zare l'una  e  l'altra  esperienza. 

Cominciamo  da  le  interferenze  luminose.  Disgraziata- 
mente, con  i  mezzi  dei  quali  dispongo,  non  è  possibile 
proiettare  questi  fenomeni,  che  riuscirebbero  troppo  poco 
intensi  ;  ognuno  di  Loro  dovrà  quindi  vedere,  a  la  sua 
volta,  di  che  si  tratta. 

La  lanterna  di  proiezione  mi  ser\'e  come  sorgente  lu- 
minosa. Davanti  ad  essa  ho  collocato  un  pezzo  di  vetro 
rosso  ;  poi  una  fenditura  sottile  verticale  ;  quindi  una  lente 
cilindrica  pure  verticale.  Dopo  di  questa  vengono  gli  specchii 
{a.  b,  fig.  68)  destinati  a  produrre  la  coppia  dei  raggi  in- 
terferenti. Sono  due  pezzetti  di  vetro  nero,  pochissimo  in- 
i  clinati  uno  su  l'altro  ;  si  incontrano  secondo  uno  spigolo 
parallelo  a  la  fenditura.  L'incidenza  della  luce  su  gli  specchi 
è  quasi  radente.  E'  chiaro  che  le  sorgenti  sono  ora  due 
rette  rosse,  brillanti,  verticali.  Da  ultimo  vi  è  un  oculare. 


Fig.  68. 


—   150  — 
una  lente  biconvessa,    adattando    l'occhio  a  la  quale  vien 
fatto  d"  osservare  il  fenomeno  di  interferenza,  che  si  pro- 
duce in  un  certo  piano  normale    a    la    direzione,  secondo 

che  si  propagava 
da  prima  la  luce» 
Questo  feno- 
meno consiste  in 
una  successione 
di  linee  verticali, 
al  ternativame  n  te 
rosse  e  nere.  Si 
hanno  delle  linee, 
in  vece  che  dei 
punti ,  perchè  è 
evidente  che  non 
mutano  per  nulla 
le  condizioni  del- 
l' interferenza 
quando  ci  si  sposta  sopra  una  retta  parallela  a  la  fenditura. 
Se  al  vetro  rosso  ne  sost'tuisco  uno  azzurro  ottengo 
ancora  una  successione  di  strie  chiare  ed  oscure  ;  ma  queste 
strie  sono  assai  più  fitte  di  quelle,  che  si  osservano  in  luce 
rossa.  E'  facile  vedere  come  questo  si  spieghi.  Basta  am- 
mettere in  fatti  che  le  onde  dei  raggi  azzurri  sono  alquanto 
più  brevi  di  quelle  dei  raggi  rossi. 

Se  poi  tolgo  via  ogni  vetro  colorato,  il  carattere  ge-^ 
nerale  del  fenomeno  non  cambia.  Solamente  si  hanno  delle 
frangie  iridate.  Questo  dipende  da  ciò  che  ,  come  si  ri- 
cava dal  fatto  della  dispersione,  la  luce  bianca  si  può 
ammettere  che  risulti  da  la  sopraposizione  di  molti  raggi, 
per  i  quali  sono  diverse  le  condizioni  di  interferenza. 
Lungo  certe  linee  il  rosso,  per  esempio,  è  spento,  mentre 
l'azzurro  rimane  tuttavia  visibile;  e  così  di  seguito. 

Quest'esperienza,  che  ho  fatto  ora  in  diversi  modi ,  è 

nota  sotto  il  nome  di  esperienza  degli  specchii  del  Fresnel. 

Si  capisce  come    segua  da  essa  un  metodo  per  misu- 


—     152   — 

rare  la  lunghezza  delle  onde  luminose.  Non  mi  fermo  sopra 
un  tale  argomento.  Dirò  soltanto  che  le  lunghezze  in  di- 
scorso risultano  estremamente  tenui  ;  sono  comprese,  per 
i  colori  dello  spettro  visibile,  fra  sette  e  quattro  decimil- 
lesimi di  millimetro. 

Vengo  a  l'esame  dei  raggi  di  forza  elettrica. 

Il  risonatore  è  stato  rimesso  nel  suo  specchio  ;  e  questo 
poniamo  ora  a  canto  a  lo  specchio  primario  (fig.  69).  Si 
procura  che  i  due  piani  assiaH  siano  inclinati  uno  su  l'altro, 
in  modo  che  si  vengano  a  tagliare  a  tre  metri  circa  da  le 
superfici  riflettenti.  Quindi,  dove  i  piani  assiaH  si  incontrano, 
normalmente  al  bissettore  del  loro  diedro,  si  collocano  due 
lastre  quadrate  di  zinco,  aventi  entrambe  un  metro  di  lato. 
Queste  lastre  le  avviciniamo  in  modo  da  formare  un  unico 
specchio  piano  [A  B,  fig.  69). 

Come  vedono  sono  sospese,  una  indipendentemente  da 
l'altra,  a  punto  come  quella  grande  lamina  di  zinco,  che 
ci  -ha  servito  dianzi  per  la  produzione  dell'onda  stazionaria. 

Se  faccio  scoccare  delle  scintille  fra  le  palline  del 
primario,  l'elettroscopio  unito  al  risonatore,  scaricandosi, 
fa  vedere  che  il  secondo  circuito  yiene  eccitato.  La  cosa  è 
ovvia  perchè  si  intende  bene  che  il  raggio  di  forza  elet- 
trica deve  subire  una  riflessione  sopra  lo  specchio   piano. 

Lascio  che  il  rocchetto  agisca  sempre  e,  poco  a  poco, 
faccio  che  una  delle  lastre  si  sposti,  parallelamente  a  se 
stessa,  ritirandola  indietro  di  una  dozzina  di  centimetri.  Le 
paglie  dell'  elettroscopio  si  aprono,  vale  a  dire  l'azione  del 
primario  si  riduce  a  zero.  Gli  specchii  piani  sono  adesso 
due,  distinti.  Entrambi  rimandano  al  risonatore  il  raggio  di 
forza  elettrica  ;  ma  il  cammino  necessario  per  andare  dal 
primo  al  secondo  circuito,  toccando  una  delle  lastre,  è  di- 
verso nei  due  casi.  Il  nostro  resultato  mostra  che  la  diffe- 
renza è  vicina  a  la  mezza  lunghezza  d'onda  (*). 


{*)■  Qjie«o  esperimento    è  dovuto    a  i    fisici    Klemenczicz    e 
Czermak  (34). 


—  153  — 

Facendo  le  misure  con  tutta  l'esattezza  possibile,  si 
verrebbe  a  constatare  nel  caso  presente  un'onda  di  cin- 
quantun centimetri.  In  questo  v-i  è  dunque  una  certa  diffe- 
renza fra  i  raggi  di  forza  elettrica  e  quelli  luminosi  ;  e  pro- 
priamente le  onde  dei  primi  sono  assai  più  lunghe  di  quelle 
della  luce. 

Se  continuassi  a  far  retrocedere  lo  specchio  mobile, 
fino  a  spostarlo  di  altrettanto,  il  risonatore  tornerebbe,  na- 
turalmente, ad  agire;  perchè  la  differenza  di  cammino  fra  i 
raggi  interferenti  raggiungerebbe  la  lunghezza  dell'  onda. 
Poi  si  avrebbe  un  secondo  minimo  e  così  via. 

Ho  detto  un  momento  fa  che  la  lunghezza  di  cinquantun 
centimetri  per  l'onda  si  determinava  nelle  condizioni  della 
nostra  esperienza.  Intendevo  che,  se  si  modificasse  il  riso- 
natore, prendendolo  più  grande  o  più  piccolo,  o  d'  altra 
forma,  si  troverebbe,  in  generale,  per  quella  lunghezza  un 
valore  diverso.  In  vece  questa  costante  non  dipende  da 
r  eccitatore.  Posso  cambiare  di  molto  le  dimensioni  e  la 
struttura  del  conduttore  primario,  senza  che  per  ciò  l'onda 
risulti  alterata.  Naturalmente  il  fenomeno  della  risonanza, 
■che  avemmo  già  occasione  di  studiare,  impone  certi  limiti, 
al  di  là  dei  quali  il  secondario  non  è  più  eccitato  sensi- 
bilmente. Entro  questi  limiti,  come  osservavo,  si  può  sce- 
gliere l'eccitatore  ad  arbitrio. 

§  3-  —  Poi  che  ho  pronti  gli  apparecchii,  voglio  an- 
cora mostrare  Loro  un'esperienza,  relativa  a  l'interferenza 
della  luce. 

Quelli  che  hanno  osservato  il  fenomeno,  prodotto  da  i 
due  specchii  del  Fresnel,  avranno  notato  che  al  centro  di 
€sso  vi  è  una  riga,  brillante  in  luce  monocromatica  e  bianca 
in  luce  bianca.  Questa  deriva  da  la  sopraposizione  di  due 
raggi,  che  hanno  percorso  esattamente  lo  stesso  cammino. 
Fra  essa  e  ciascuna  delle  due  sorgenti  virtuali  vi  è,  in 
altre  parole,  lo  stesso  numero  di  onde.  E'  ev'idente  che  se, 
in  qualche  modo,  in  uno  solo  dei  due  raggi,  alcune  onde 
si  potessero  scorciare,  il  luogo  in  cui  arrivano  insieme  gli 


—  154  — 

impulsi  partiti  insieme,  riuscirebbe  alquanto  spostato.  Ora 
vi  è  un  modo  per  abbreviare  le  onde  della  luce,  e  con- 
siste nel  farle  passare  in  un  mezzo,  che  abbia  un  indice 
di  rifrazione  più  grande  di  quello  dell'  aria.  La  differenza 
dell'indice  di  rifrazione  importa  la  differenza  della  velocità 
e  quindi  la  differenza  dell'onda.  Perchè  evidentemente  un 
raggio  (monocromatico)  non  può  cambiare  di  colore,  cioè 
di  periodo,  quando  passa  da  un  mezzo  ad  un  altro.  Vuol 
dire  che,  se  uno  dei  due  raggi,  che  debbono  interferire,  si 
farà  passare  a  traverso  ad  una  laminettà  sottile,  di  vetro 
per  esempio,  o  di  mica,  la  riga  centrale  del  fenomeno  di 
interferenza  si  sposterà  lateralmente.  E  si  muoveranno  con 
essa  tutte  le  altre.  Perchè  è  chiaro  che  si  può  dire  di  cia- 
scuna di  queste  quanto  si  disse  di  quella  prima.  Tutto  il 
fenomeno  apparirà  dunque  trasportato  di  un  certo  tratto. 

In  pratica,  perchè  si  possa  realizzare  una  tale  espe- 
rienza, è  necessario  che  i  due  raggi  interferenti  si  tengano 
alquanto  discosti,  affinchè  si  possa  sicuramente  agire  sopra 
uno  di  essi,  senza  disturbare  la  propagazione  dell'altro.  La 
cosa  non  è  punto  difficile  da  ottenere.  Basta  porre  dietro 
gli  specchii  del  Fresnel  una  buona  lente  convergente  acro- 
matica (25).  Quella,  che  impiegheremo  oggi,  ha  una  distanza 
focale  di  quaranta  centimetri  circa.  Essa  fornisce  due  ima- 
gini  reali  della  linea  focale  della  lente  cilindrica ,  la  quale 
è  propriamente  la  nostra  sorgente  luminosa.  Raccolgo  sopra 
uno  schermo  le  imagini  in  discorso  ;  vi  appariscono  come 
due  piccole  lineette  parallele,  brillanti  e  assai  vicine.  Pos- 
siamo imaginare  che  i  raggi,  la  cui  sopraposizione  deve 
dar  luogo  al  fenomeno  d' interferenza,  partano  di  qui.  Ed 
ora  è  facile,  coprendo  una  delle  lineette  brillanti,  trattenere 
uno  dei  due  raggi,  o  fargli  attraversare  quel  mezzo,  che 
si  vuole. 

Per  vedere  l' interferenza  si  potrebbe  impiegare  come 
prima  un  semplice  oculare  ;  ma  bisognerebbe  portarlo  ad 
una  certa  distanza,  sicché  l'osservazione  non  riuscirebbe 
comoda.   Preferisco   adoperare    un    cannocchiale,  di  quelli 


—  155  — 
che  servono  in  laboratorio  per  varie  esperienze,  e  che,  po- 
tendosi allungare  di  molto,  permettono    d' osservare   degli 
oggetti  relativamente  vicini. 

Colloco  questo  cannocchiale  a  due  metri  circa  da  le 
sorgenti  luminose.  Poi,  con  una  laminetta  sottile  di  vetro, 
tenuta  da  un  sostegno,  copro  una  delle  linee  brillanti. 

Nel  campo  del  cannocchiale  si  vede  ora  il  fenomeno 
di  interferenza,  affatto  simile  a  quello,  che  si  osservava 
prima  con  l'oculare.  Un  filo  micrometrico  permette  di  fis- 
sare la  posizione  di  una  delle  righe ,  per  esempio  della 
centrale  luminosa. 

Ciò  posto,  se  tolgo  via  la  lamina  di  vetro,  1'  osserva- 
tore vede  nettamente  tutto  il  sistema  delle  righe  muoversi 
e  trasportarsi  di  un  certo  tratto  rispetto  al  filo  del  micro- 
metro. 

Quest'esperienza  ha  una  certa  analogia  con  quella,  che 
si  fece  da  noi  altra  volta ,  con  1'  apparecchio  del  Lecher. 
Immergendo  in  parte  i  fili  secondarii  nel  petrolio,  i  nodi 
mutavano  di  luogo.  In  realtà  allora  come  adesso  il  mede- 
simo fatto  veniva  posto  in  luce,  cioè  il  variare  della  lun- 
ghezza dell'onda  con  la  natura  del  mezzo^  che  le  pertur- 
bazioni traversano.  Solamente  in  un  caso  si  trattava  di 
correnti  oscillanti,  guidate  da  fiH  metallici,  nell'altro  sono 
raggi  luminosi,  che  si  propagano  liberamente. 

La  disposizione,  che  abbiamo  impiegato  dianzi ,  per- 
mette di  fare  ancora  alcune  altre  esperienze. 

Anzi  tutto  posso  ricoprire  con  uno  schermo  opaco  una 
delle  hnee  brillanti.  Allora  il  campo  del  cannocchiale  ap- 
pare illuminato  uniformemente.  Per  vero  non  si  può  più 
produrre  interferenza  di  sorta. 

Lo  stesso  effetto  si  ottiene  se  sostituisco  il  diaframma 
opaco  con  una  lastra  di  vetro  un  po'  spessa.  Questo  sì 
spiega  ammettendo  che  le  sorgenti  luminose  non  restino 
sempre  intense  ad  un  modo,  ma  anzi  vadano  variando  ra- 
pidissimamente. Allora  due  onde  partite  in  tempi  alquanto 
lontani  potranno  difficilmente    soddisfare  a  tutte  le  condi- 


-  156  - 

zioni  deirinterferenza.  Per  esempio,  se  le  onde  in  quistione 
producono,  dove  si  incontrano,  degli  impulsi  opposti,  e  se 
di  questi  uno  supera  l'altro  di  molto,  non  ne  seguirà  per 
nulla  l'oscurità  ;  ma  anzi  l'impulso  più  forte  resterà  a  pena 
alterato. 

La  lastrina,  che  mi  ha  servito  poco  fa  per  produrre 
lo  spostamento  delle  righe  dì  interferenza,  era  estremamente 
sottile.  Per  ottenere  queste  lamine  si  soffia  una  bolla  in 
capo  ad  una  canna,  con  tanta  rapidità  da  cagionare  uno 
scoppio  ;  allora  il  vetro,  in  certi  tratti  della  parete  lace- 
rata, si  riduce  a  punto  ad  uno  spessore  piccolissimo. 

§  4.  —  Anche  i  colori  delle  lamine  sottili,  quelli  che 
si  osservano  nelle  bolle  di  sapone  e  in  un'infinità  di  altri 
casi,  sono  ottenuti,  in  sostanza,  con  l'impiego  di  due  su- 
perfici  riflettenti.  Solamente  qui  gli  specchi,  essendo  for- 
mati da  una  materia  diafana,  possono  stare  uno  dietro  a 
l'altro. 

Variando  lo  spessore  dello  strato,  che  li  separa,  va- 
riano naturalmente  le  condizioni  dell'interferenza.  In  luce 
monocromatica  si  osserverebbero  dunque,  in  generale,  dei 
tratti  luminosi  e  dei  tratti  oscuri.  In  luce  bianca  si  avranno, 
in  vece,  delle  apparenze  iridate. 

Gli  apparecchii,  che  si  impiegano  di  solito  per  la  pro- 
duzione del  fenomeno ,  risultano  di  una  lente  piano-con- 
vessa, che  appoggia  la  convessità  sopra  un  vetro  nero. 

I  due  specchii  in  questo  caso  sono  rappresentati  da  la 
faccia  anteriore  del  vetro  e  da  quella  posteriore  della  lente. 

Siccome  quest'ultima  tocca  la  superficie  piana  sola- 
mente nel  vertice  della  calotta ,  che  limita  la  sua  faccia 
convessa,  i  punti  di  un  medesimo  cerchio,  avente  in  que- 
sto vertice  il  suo  centro,  si  trovano  tutti  nella  stessa  con- 
dizione. E  però  il  fenomeno  di  interferenza  consiste  in  una 
serie  di  anelli  concentrici,  alternativamente  chiari  ed  oscuri, 
o  pure  iridati  (anelli  del  Newton). 

Come  dicevo  questi  colori  delle  lamine  sottili  si  in- 
contrano spesso,  sotto  forme   svariatissime ,    nella  natura. 


—  157  — 
Citerò  un  caso  solo ,    assai    elegante.    Si    tratta   delle 
squame,  che  ornano  le  elitre    di  un    coleottero  Brasiliano, 
r  Entimiis  imperialis  (fig.  70). 

Queste  squame,  che  non  supe- 
rano in  lunghezza  un  decimo  di 
millimetro,  hanno  una  forma  ovata 
e  sono  adorne  dei  più  vivaci  co- 
lori. Ne  ho  fatto  riprodurre  alcune, 
che  proietto  con  la  solita  lanterna. 
Esse  presentano  degli  aggruppa- 
menti graziosissimi  di  tinte  molto 
brillanti  ;  aggruppamenti,  che  ri- 
cordano a  punto  quelli  delle  bolle 
di  sapone  e  degli  anelli  del  Newton. 
Qui  vi  è  una  lamina  d'aria  molto 
sottile,  racchiusa  fra  due  membrane 
quasi  affatto  trasparenti;  la  parete 
membrana  e  l' anteriore  della  se- 
conda costituiscono  la  coppia  di  specchii  (26). 

Con  i  raggi  di  forza  elettrica  si  possono,  naturalmente, 
osservare  dei  fatti  analoghi  a  quelli  di  cui  parlo.  Però,  con 
gli  apparecchi,  che  adoperiamo  presentemente ,  le  espe- 
rienze sarebbero  assai  difficili  ed  incomode.  Le  lamine 
sottili  si  dovrebbero  prendere  enormemente  spesse. 

Assai  meglio  riesce  la  cosa  se,  in  luogo  dell'eccitatore 
e  del  risonatore  del  Hertz,  si  impiegano  certi  apparecchi, 
ideati  dal  Righi,  che  avremo  occasione  di  imparare  a  co- 
noscere {27).  Questi  apparecchii,  notevolmente  più  piccoli 
di  quelli  ordinarli,  danno  origine  ad  onde  assai  corte,  sicché 
l'esecuzione  delle  esperienze  è  agevolata  di  molto. 

Ad  ogni  modo  si  tratta  sempre  dì  una  ricerca  di  la- 
boratorio, i  cui  resultati  non  si  prestano  ad  essere  dimo- 
strati nella  scuola.  Basti  in  proposito  questo  cenno. 

Voglio  poi  ricordare  di  passata  che  le  correnti  oscil- 
lanti, guidate  da  i  fili  metallici ,  danno  luogo  anch'esse  a 
fenomeni  paragonabili  con  le  apparenze  colorate  degli  anelli 


Fig.  70 
posteriore  della  prima 


-  158- 

del  Newton.  Per  osservarli  è  necessario  circondare  con  un 
dielettrico,  differente  da  l'aria,  una  porzione  del  conduttore 
sul  quale  scorre  la  corrente.  Questo  resultato  del  resto  non 
ci  apprende  nulla  di  nuovo  ;  è  naturale  che  le  cose  va- 
dano a  punto  così,  dal  momento  che  la  perturbazione  si 
muove,  seguendo  il  filo,  con  velocità  diverse  nei  diversi 
mezzi  (28;. 


* 
*     * 


§  5.  —  I  più  notevoli  fra  i  resultati,  ottenuti  oggi  da  noi, 
si  riassumono  dicendo  che  la  luce  e  il  calore  e  i  raggi  di 
forza  elettrica  sono  costituiti  da  perturbazioni  periodiche, 
che  si  propagano  nello  spazio  con  velocità  finita.  E'  pos- 
sibile in  fatti,  nei  tre  casi,  ottenere  dei  fenomeni  di  inter- 
ferenza. 


LEZIONE   DECIMA. 

1  risonatori  come  modelli  delle  molecole  mate- 
riali :  assorbimento  elettivo  e  colori  superficiali 
—  Esperienze  di  Rubens  e  Nichols. 

§  I.  —  Nella  lezione  precedente  si  è  detto  come,  stu- 
diando con  diversi  risonatori  un  fenomeno  d'interferenza, 
prodotto  con  la  radiazione,  che  nasce  da  un  determinato 
eccitatore,  si  riconosca  la  presenza  di  raggi  di  periodo 
differente.  Propriamente  le  onde,  che  si  vengono  a  de- 
terminare, sono  tanto  più  lunghe  quanto  più  grande  è  il 
secondario,  che  si  impiega  per  la  misura.  Succede  qui  un 
fatto  analogo  a  quello  che  si  incontra,  per  esempio,  nel- 
l'acustica, dove  le  canne  da  organo  più  lunghe  rispondono 
a  i  suoni  più  bassi.  Similmente  la  durata  dell'oscillazione 
del    pendolo    cresce  con  la  lunghezza  del  filo. 

Nell'ultima  lezione  ho  anche  provato  che  i  diversi  colori 
della  luce  corrispondono  a  differenti  periodi  della  pertur- 
bazione, che  si  propaga  nel  raggio.  Di  più  facevo  vedere 
che  la  luce  bianca  genera  delle  interferenze  iridate. 

Vuol  dire  che  un  conduttore  primario,  come  quello,  che 
abbiamo  imparato  a  conoscere,  emette  una  radiazione,  la 
quale  è  paragonabile,  da  un  certo  punto  di  vista,  con  la 
radiazione,  che  parte  dal  sole  e  da  qualunque  corpo,  so- 
lido o  liquido,  incandescente. 

In  realtà  nel  primo,  come  nel  secondo  caso,  coesistono 
molte  onde  di  lunghezze  differenti. 


—  i6o  — 

Impiegando  due  parole  dell'uso  comune  in  un  signifi- 
cato un  po'  diverso  da  l'ordinario,  si  potrebbe  dire  che  i 
raggi  elettromagnetici  prodotti  dal  nostro  eccitatore  sono 
bianchi,  o,  per  lo  meno,  che  essi  non  sono  monocromatici. 

Si  badi  però  che  il  fatto  della  risonanza  (in  senso  ri- 
stretto), che  avemmo  già  occasione  di  studiare,  il  fatto  cioè 
che  un  determinato  primario  eccita  in  maggior  misura  un 
secondario  di  dimensioni  definite,  dimostra  che  vi  è  sempre, 
nella  radiazione  emessa  da  l'eccitatore  del  Hertz,  un  colore 
particolarmente  intenso. 

A  l'in  fuori  dei  fenomeni  di  interferenza  ve  ne  sono 
degli  altri,  "^ssai  più  facili  da  osservare,  che  valgono  an- 
ch'essi a  porre  in  risalto  la  differente  natura  delle  luci  di 
diverso  colore.  Intendo  dire  di  tutti  quei  fenomeni  lumi- 
nosi, nei  quali  entra  in  giuoco  la  costituzione  molecolare 
della  materia. 

Qualunque  sia  l'ipotesi,  che  si  vuole  adottare,  su  la 
natura  della  luce,  si  deve  pure  concedere,  come  una  con- 
seguenza dell'anaUsi  spettrale,  che  l'emissione  dei  raggi 
luminosi  è  legata  intimamente  con  le  proprietà  della  mo- 
lecola, che  quei  raggi  emette. 

Si  sa  in  fatti  che  un  determinato  corpo,  vale  a  dire  un 
sistema  di  molecole,  costituito  in  un  certo  modo,  quando 
sia  posto  in  condizioni  opportune,  manda  fuori  alcuni  raggi 
di  colore  ben  definito,  e  manda  solamente  quelli. 

D'altra  parte  le  diverse  sostanze  assorbono  in  modo 
diverso  un  medesimo  colore.  Così,  per  esempio,  se  si  in- 
troduce nella  pasta  ordinaria  del  vetro  un  po'  d'ossido  di 
rame,  si  ottiene  un  corpo  trasparente,  ma  colorato  in  rosso  ; 
vale  a  dire,  che  assorbe  ogni  raggio  a  l'in  fuori  dei  rossi. 
Se  si  sostituisse  a  1'  ossido  di  rame  un  sale  di  cobalto  la 
tinta  del  vetro  sarebbe  turchina ,  e  così  via. 

Ancora  :  è  un'osservazione  molto  ovvia  che  i  differenti 
corpi  rimandano  in  modo  differente  la  luce  ;  illuminati  da 
una  medesima  sorgente  ci  offrono  in  fatti  una  varietà  infi- 
nita di  colorazioni. 


—  i6i  — 

Si  può  tirare  da  tutto  questo  una  conseguenza  impor- 
tante. Ed  è  che  il  comportamento  delle  molecole  materiali, 
verso  la  luce,  ha  una  qualche  analogia  con  il  comporta- 
mento dei  nostri  conduttori  primarii  e  secondari!,  verso  i 
raggi  di  forza  elettrica. 

A  quel  modo  che  una  data  molecola  emette  a  preferenza 
certi  colori  particolari,  un  determinato  eccitatore  manda 
con  maggiore  intensità  delle  onde  di  lunghezza  ben  de- 
finita. 

A  quel  modo  che  le  varie  sostanze,  esposte  ad  un 
raggio  bianco,  si  illuminano  di  colori  differenti,  vale  a  dire 
scelgono  fra  le  altre  le  onde  di  dati  periodi,  i  nostri  ri- 
sonatori scelgono  pure,  nella  radiazione  dell'eccitatore,  al- 
cune onde  di  lunghezza  determinata. 

Quest'analogia  è  ben  più  intima  e  completa  che  non 
debba  parere  a  prima  vista.  Per  vero  noi  possiamo  imi- 
tare con  gli  apparecchi  del  Hertz,  in  tutte  le  singolarità, 
la  maggior  parte  dei  fenomeni  a  i  quali  dà  origine  la  co- 
stituzione molecolare  dei  corpi. 

Voglio  trattenermi  oggi  sopra  questo  argomento. 

Ma,  prima  d'entrare  in  materia,  credo  opportuno  pre- 
mettere un'  osservazione.  Suppongano  di  aver  dimostrato 
che  la  somiglianza  del  comportamento,  fra  i  nostri  condut- 
tori e  le  molecole  dei  corpi,  è  perfetta  :  avremo  forse  il 
diritto  di  concludere  che  la  costituzione  di  queste  ultime 
è  analoga  a  la  costituzione  di  quelli?  evidentemente  no.. 

Come  ebbi  già  l'opportunità  di  osserv^are,  degli  effetti 
simili  si  possono  produrre  con  meccanismi  molto  differenti. 
Non  è  lecito  dunque  ragionare,  in  quest'ordine  di  cose, 
da  l'effetto  a  la  causa.  Noi  potremo  dire  soltanto  che  gli 
eccitatori  e  i  risonatori  del  Hertz  sono  buoni  modelli  per 
le  molecole  dei  corpi  ;  ma  non  potremo  affermare  niente 
jii  più. 

§  2,  —  Ed  ora  veniamo  a  le  esperienze.  Scelgo,  natu- 
ralmente, per  fare  il  confronto,  alcuni  fatti  semplici. 

Anzi  tutto  :  è  una  legge  generale,  dovuta  al  Kirchhoff, 

II 


—    l62 


e  nota  a  punto  sotto  il  suo  nome ,  che  ogni  sistema  vi- 
brante assorbe  di  preferenza  le  perturbazioni,  che  hanno 
il  suo  medesimo  periodo. 

Quando  si  tratti  della  luce  la  cosa  si  verifica,  di  so- 
lito, impiegando  un  vapore  come  corpo  assorbente. 

Si  può  usare,  con  ottimi  resultati,  il  piccolo  apparec- 
chio, che  ho  disposto  qui,  e  che  fu  ideato  dal  Bunsfen. 

Sono  due  boccie,  dentro  le  quali  ho  versato  dell'acqua 
acidulata  con  acido  solforico,  e  della  limatura  di  zinco.  Di 
più  ho  sciolto  ancora  in  quest'acqua  una  certa  quantità  dì 
sai  di  cucina.  L'idrogeno,  che  si  svolge  per  l'azione  dello 

zinco  su  r  acido,  trasporta 
con  se  molte  minute  bolli- 
cine del  liquido  salato. 

Il  gasse,  che  si  produce 
ora  nelle  bottiglie,  non  sa- 
rebbe sufficiente  per  intrat- 
tenere due  fiamme  un  po' 
grandi.  Supplisco  a  la  defi- 
cienza, facendo  gorgogliare 
attraverso  il  liquido,  in  en- 
trambe le  boccie,  del  gasse 
illuminante. 

Da  una  parte  e  da  l'altra 
il  combustibile ,  per  mezzo 
di  un  tubo  metallico,  è  con- 
dotto a  bruciare  in  un  becco 
di  forma  particolare.  Di 
questi  becchi  il  primo  dà 
origine  ad  una  fiammella 
conica,  il  secondo ,  in  vece, 
produce  una  larga  fiamma 
accartocciata  in  forma  di 
ventaglio  (fig.  71).  Il -flusso 
del  gasse  e  la  quantità  dell'aria  atmosferica,  che  si  me- 
scola ad  e^so,  prima  che   arrivi  a  bruciare ,  sono  regolati 


—  i63  — 

in  modo  che  la  piccola  fiamma  raggiunge  una  temperatura 
alquanto  inferiore  a  quella  della  fiamma  grande. 

Colloco  le  due  boccie  una  a  canto  a  1'  altra,  in  modo 
che  la  fiamma  piccina,  stia  proprio  davanti  a  quella  a  ven- 
aglio,  e  si  proietti  sopra  di  essa. 

Quelli  di  Loro,  che  sono  più  vicini  a  me,  possono  ora 
osservare  un  fatto  curioso  :  il  tratto  della  fiamma  mag- 
giore, che  è  coperto  da  la  fiammella  conica,  apparisce  tinto 
di  un  colore  giallastro  fuliginoso,  mentre  tutto  il  rimanente 
brilla  di  quel  giallo  caratteristico,  che  è  proprio  dei  vapori 
di  sali  sodici,  portati  a  l'incandescenza. 

Questa  era  pure  la  tinta  della  fiamma  più  piccola, 
quando  stava  isolata. 

L'esperienza  ci  prova  dunque  che  le  molecole  del  sodio 
[assorbono  a  punto  quei  raggi,  che  esse  sono  capaci  di 
emettere. 

Si  potrebbe  poi  dimostrare  che  queste  sole  onde  ven- 
gono assorbite. 

§  3.  —  Una  cosa  perfettamente  simile  si   veridica  per 
raggi  di  forza  elettrica  (29). 

Dispongo,  al  solito,  i  due  specchii  primario  e  secon- 
dario uno  in  faccia  a  l'altro  ;  e  munisco  il  risonatore  del- 
'elettroscopio,  che  proietto  nel  modo  consueto. 

L'eccitatore  rappresenta  qui  la  parte,  che  era  tenuta 
prima  da  la  fiamma  a  ventaglio  ;  e  il  secondario  corrisponde 
'occhio,  con  il  quale  si  faceva  l'osservazione.  E'  un  occhio, 
:he  vede  soltanto  le  onde  di  una  determinata  lunghezza. 
Quanto  a  la  fiammella  conica,  adopererò  in  sua  vece  questo 
apparecchio.  È  una  tavoletta  di  legno  d'abete  [ fig.  72},  su  la 
:iuale  ho  fermato  a  vite  dieci  striscie  di  latta  rettangolari, 
unghe  cinquantaquattro  centimetri  e  larghe  cinque.  Cia- 
scuna di  esse  corrisponde  dunque  a  ciò,  che  si  otterrebbe 
aldando,  senz'altro,  fra  loro  le  due  metà  del  conduttore 
secondario.  In  altre  parole  sono  dieci  risonatori  senza  al- 
:una  interruzione,  nei  quali  dunque  si  può  fare  liberamente 
1  movimento  dell'elettricità. 


—  164  — 

Metto  il  RuhmkorfF  in  azione  ;  come  sempre  le  paglie 
dell'elettroscopio  si  riuniscono. 


ir.Q.    7^. 


Interpongo  ora  la  tavoletta  A  B,  (fig,  73),  tenendola 
vicina  al  primo  specchio,  e  procurando  che  le  dieci  strisele 
riescano  presso  a  poco_  verticali. 


i-^-  73- 

Immediatamente  le  scintilline   al   risonatore    cessano^ 
e  l'elettroscopio  si  carica,  e  le  paglie  divergono. 


-  i65  - 

La  tavoletta  assorbe  dunque  quelle  onde,  che  valgono 
ad  eccitare  il  secondo  circuito. 

Abbiamo  veduto  altra  volta  che  i  conduttori  sono  opachi 
per  i  raggi  elettromagnetici  ;  e  però  si  potrebbe  dubitare 
che  l'eccitazione  del  secondario  sia  sospesa,  perchè  i  corpi, 
che  ho  interposto,  sono  metallici,  non  perchè  essi  funzio- 
nino da  risonatori. 

Questo  dubbio  si  toglie  facilmente.  Basta  in  fatti  gi- 
rare la  tavoletta  di  novanta  gradi  nel  suo  piano,  perchè 
le  paghe  dell'elettroscopio  tornino  a  riunirsi.  X'edremo  a 
suo  tempo  che,  con  questa  rotazione,  si  impedisce  il  mo- 
vimento dell'  elettricità  nei  risonatori,  che  coprono  lo 
schermo. 

Accennavo  dianzi  che  una  fiamma  gialla    assorbe  so- 
lamente i  raggi  gialli  ;  e  non  sarebbe  capace,  per  esempio 
di  impedire  la  propagazione  di  raggi  rossi  o    turchini,    o 
di  qualunque  altro  colore.  Similmente  non  mi    riuscirebbe 
di  proteggere  il    secondario    da  l'azione   dell'eccitatore,  se 


Fi«.  74- 


—  i66 


impiegassi  un  sistema  di  risonatori,  che  fossero  molto  di- 
versi da  quello,  che  tengo  collegato  con  l'elettroscopio. 

Sopra  una  seconda  tavoletta  ho  disposto  qui  sessanta 
strisele  di  latta,  assai  più  piccine  delle  altre,  che  impiegavo 
prima;  sono  lunghe  quindici  centimetri  e  larghe  tre. 

Interpongo  questo  nuovo  schermo  (fig.  74)  fra  gli 
specchii  e,  come  vedono,  esso  non  ha  alcuna  azione.  Le 
paglie  rimangono  a  contatto. 

§  4.  —  Che  l'assorbimento,  esercitato  da  i  sistemi  di  con- 
duttori su  i  raggi  di  forza  elettrica,  è  legato  intimamente 
con  il  fatto  della  risonanza,  si  può  mostrare  anche  in  un 
altro  modo. 

Per  questa  esperienza  impiego  dei  risonatori  differenti 
da  quelli,  che  ho  adoperato  finora;  e  cioè  dei  circuiti 
chiusi.  Scelgo  questi  piuttosto  che  gli  altri  perchè  in  essi 
si  può  interrompere  la  circolazione  dell'  elettricità  senza 
spezzare  il  conduttore  in  due  ;  ciò  che,  in  sostanza,  porta 

a  sostituire  ad  un  unico 
secondario  una  coppia  di 
secondarli  di  dimensioni 
minori. 

Disgraziatamente  non 
è  più  possibile,  con  que- 
sti apparecchii ,  fare  uso 
dell'elettroscopio  ;  bisogna 
limitarsi  a  l'osservazione 
delle  scintilline. 

I  risonatori ,  che  im- 
piego ,  sono  quadrati  di 
grosso  filo  di  rame  (fig.  75*, 
aventi  quindici  centimetri 
di  lato.  Ne  dispongo  uno 
^'8-  75-  sopra  un  sostegno,  davanti 

a  lo  specchio  primario,  in  modoi^  che  il  suo  piano  sia  ver- 
ticale e  che  risulti  anche  verticale  il  lato,  in  cui  si  trova 
l'intervallo  di  scarica. 


_  i67  - 

Altri  nove  apparecchii,  in  tutto  simili  a  questo  primo, 
ho  fissato  nello  stesso  modo  sopra  una  tavolétta  d'abete 
(fig.  76),  che  colloco  immediatamente  davanti  a  l'eccitatore. 
Movendo  le  viti,  ab- 
brevio gli  intervalli 
di  scarica  nei  circuiti, 
che  costituiscono  lo 
schermo ,  finche  in 
ciascuno  di  essi  si 
producano  le  scintil- 
Une. 

E  bene,  adesso,  si 
trova  che  nel  decimo 
risonatore,  quello  che 
sta  isolato,  è  impos- 
sìbile avere  indizio 
di  correnti  ;  anche  se 
si   porta   la  punta   a  Mg.  70. 

toccare  quasi  la  pallina. 

Ma  se  faccio  crescere  un  poco  la  distanza  esplosiva 
nei  secondarii  della  tavoletta,  così  che  le  scariche  non  vi 
si  possano  piìi  produrre,  l'ultimo  risonatore  comincia  a 
mostrare  delle  scintille. 

E  questo  prova  a  punto  ciò,  che  avevo  enunciato. 

§  5.  —  Andiamo  innanzi,  e  passiamo  ad  un  altro  ar- 
gomento. 

Ho  incollato  sopra  un'assicella  tre  pezzi  di  carta  co- 
lorata; uno  è  rosso,  l'altro  è  giallo,  ed  il  terzo  è  turchino. 

Se,  in  vece  che  con  la  luce  del  sole,  illuminassi  questi 
pezzi  di  carta  con  la  luce  dell'arco  voltaico,  o  con  quella 
di  una  qualunque  sorgente  bianca,  le  loro  tinte  rimarreb- 
bero, a  un  dipresso,  inalterate.  Ma  le  cose  vanno  diversa- 
mente, se  mi  servo  di  una  sorgente  monocromatica.  Faccio 
chiudere  ermeticamente  le  finestre  della  sala,  ed  introduco 
un  po'  di  sale  comune  nella  fiamma  oscura  di  un  becco 
Bunsen  (fig.  77).  Subito  questa  si  tinge  vivamente  in  giallo. 


—  i68  — 

Ma,  delle  carte  colorate,  soltanto  la  gialla  conserva  il  suo 
aspetto  :  le  altre  due  appariscono  di  un  colore  cupo,  quasi 
nero. 


F'g-  77. 


Vuol  dire  che  i  corpi  assumono  la  loro  tinta  partico- 
lare solamente  se,  nella  radiazione,  che  viene  a  colpirli, 
esistono  certe  onde  determinate. 

§  6.  —  Dei  fatti  analoghi  a  questi  si  possono  riscon- 
trare con  i  raggi  di  forza  elettrica  (30), 

Colloco  adesso  i  due  specchii  del  Hertz  ad  una  certa 
distanza  uno  da  l'altro  ;  ma  non  li  tengo  più  faccia  a  faccia, 
bensì  li  pongo  in  modo  che  i  piani  assiali  si  incontrino  ad 
angolo  retto. 

A  punto  dove  questi  piani  si  tagliano,  a  quarantacinque 
gradi  su  ciascuno  di  essi,  voglio  mettere  la  prima  delle 
tavolette,  che  ho  adoperato  oggi ,  quella  con  le  strisele 
grandi  di  latta  AB,  (fig.  78).  E  le  striscie  le  tengo  verticali. 

Si  verifica  anzi  tutto  che  questo  schermo  riflette  viva- 
cemente i  raggi  di  forza  elettrica..  In  fatti,   se  il   primario 


—  169  — 

viene  eccitato  con  il  Rulimkorff,  l'elettroscopio,  collegato  al 
risonatore,  si  scarica. 


Perchè  avvenga  la  riflessione  è  necessario  che  i  se- 
condarli, che  formano  lo  specchio,  siano  verticali,  cioè  ec- 
citabili. Se  li  disponessi  orizzontalmente,  facendo  rotare 
la  tavoletta  sopra  sé  stessa  di  un  angolo  retto,  non  vi  sa- 
rebbe più  indizio  di  raggio  riflesso. 

Lascio  la  tavoletta  nella  posizione  di  prima;  e  davanti 
a  lo  specchio  primario  pongo  lo  schermo  con  i  sessanta  pic- 
coli risonatori,  che  abbiamo  impiegato  dianzi  CD,  (fig.  78). 
Come  vedono,  non  succede  nessun  cambiamento  ;  le  pa- 
glie dell'elettroscopio  sono  sempre  riunite,  '  vale  a  dire  le 
scintille  continuano  a  passare. 

E  la  cosa  si  intende  bene.  La  tavoletta  con  i  risona- 
tori piccini  sopprime  bensì  certi  raggi,  ma  non  quelli,  che 
sono  capaci  di  eccitare  i  secondarii  più  grandi.  In  modo 
simile,  nell'esperienza  con  la  luce,  si  potevano  togliere  vìz. 
le  onde  di  moltissimi  periodi,  senza  che  la  carta  gialla 
mutasse  colore. 


_  I70  -  I 

Ma  se,  in  luogo  dello  schermo  con  i  risonatori  piccoli, 
ne  metto  uno  con  dieci  striscie  grandi  di  latta,  simile  in 
tutto  a  ^quello,  che  mi  serve  da  specchio,  non  si  ha  più 
segno  di  raggio  riflesso.  Tanto  che  la  parte  del  secondario,^ 
che  è  collegata  con  la  pila  secca,  riceve  una  carica  e  la 
conserva. 

Similmente  ho  trovato  poco  fa  che,  sopprimendo  nella 
sorgente  i  raggi  turchini,  la  carta  turchina  appariva  ne- 
rastra. 

Si  può  dunque  dire  che  le  tavolette  coperte  di  riso- 
natori, impiegate  da  noi,  si  differenziano  da  le  lastre  con- 
duttrici non  interrotte  in  ciò  che  queste  ultime  riflettono 
ogni  raggio,  quelle  ,  in  vece  ,  sola- 
mente i  raggi  di  un  certo  periodo. 
Una  lamina  di  latta  è  dunque: 
l'analogo  di  uno  specchio  ordinario,, 
o  di  uno  strato  d'argento  speculare,, 
mentre  uno  schermo  di  risonatori 
fa  l'ufficio  di  un  corpo  colorato, 

§  7.  —  E'  evidente  che,  quando 
jsi  voglia  ottenere  nei  fenomeni  la 
massima  intensità  e  la  massima 
nettezza ,  sarà  opportuno  di  im- 
piegare, così  per  il  primo  che  per 
il  secondo  circuito ,  dei  riflettori 
colorati ,  in  vece  che  dei  riflettori 
incolori  (31). 

L'  apparecchio ,  che  presento 
Loro  (fig.  79),  è  costruito  a  punto 
secondo  questo  concetto  ;  e  s"*  a- 
datta  al  risonatore  (di  cinquanta- 
quattro centimetri  per  cinque)  che 
abbiamo  impiegato  quasi  esclusiva- 
mente finora. 

Le  parti  non  metalliche  di  questo  specchio  non  diffe 
riscono  per  nulla  da  quelle    degli    specchii  ordinarli.    Al 


—  171  — 

biamo  anche  qui  quattro  assicelle  incavate  a  parabola,  mu- 
nite di  traverse,  e  sorrette  con  gambe  di  legno.'  Solamente, 
in  luogo  dell'unica  lamina  di  zinco,  vi  sono  in  questo  ap- 
parecchio ventisei  risonatori  grandi  di  latta,  disposti  in 
due  righe  orizzontali,  simili  in  tutto  a  quelli  dello  schermo^ 
che  testé  funzionava  da  specchio  piano. 

Questo  riflettore  ha  su  quelli  ordinarli  parecchiì  van- 
taggi. Anzi  tutto  rinforza  meglio  quella  particolare  lunghezza 
d'onda,  per  la  quale  è  calcolato  ;  è  alquanto  più  leggiero, 
e  permette  che  si  veda  nel  suo  interno  da  ogni  punto 
della  sala. 

L'unico  inconveniente  consiste  in  ciò  che,  come  è  na- 
turale, l'apparecchio  può  servire  per  un  solo  risonatore  : 
sicché,  quando  si  volesse,  per  esempio,  fare  uso  di  pa- 
recchi! secondarii  differenti,  bisognerebbe  procurarsi  tutta 
una  serie  di  specchii. 

§  8.  —  Ho  detto  dianzi  che  gli  schermi  formati  da  riso- 
natori, come  quelli  che  abbiamo  impiegato  oggi,  agiscono  su  i 
raggi  elettromagnetici  come  i  corpi  colorati  su  la  luce.  Non 
sarà  inutile  di  insistere  un  momento  su  questo  punto. 

In  realtà  le  sostanze  coloranti,  quando  si  studiino  in 
luce  bianca,  si  possono  dividere  in  due  categorie,  netta- 
mente distinte. 

Alcune,  e  fra  esse  la  maggior  parte  dei  colori  mine- 
rali, presentano  per  riflessione  e  per  trasparenza  la  me- 
desima tinta. 

Altre,  come  per  esempio  i    metalli    e    i    derivati    del-- 
l'anihna,  offrono,  quando  si  osservino  per  trasparenza,  una 
colorazione  ben  diversa  da  quella   che    la    loro    superfìcie 
rimanda.   Si    tratta,    propriamente,    di    tinte,    che,    riunite, 
danno  il  bianco,  o,  come  si  suol  dire,  tinte  complementari. 

Le  sostanze  della  prima  specie  si  possono  chiamare 
sostanze  coloranti  ordinarie  ;  queste  altre,  a  le  quali  ac- 
cennavo ora,  si  dicono  sostanze  a  colore  superficiale. 

Una  tale  differenza  si  può  spiegare  ammettendo  che 
le  molecole  dei  corpi  a  colore  superficiale  sono  capaci   di 


—  172  — 

«sercitare  un  fortissimo  assorbimento  sopra  un  colore  de- 
terminato, mentre  non  hanno,  quasi,  azione  su  tutti  gli 
altri.  Ne  viene  che  in  queste  sostanze  la  riflessione  si  fa 
nei  primi  strati,  vicini  a  la  superficie,  mentre  nei  corpi  a 
colorazione  ordinaria  la  luce  può  penetrare  alquanto  nel- 
l'interno. 

Dicevo  che  i  metalli  appartengono  a  la  seconda  cate- 
goria. In  realtà,  tutte  le  sostanze  di  questa  natura  presen- 
tano a  punto  quell'aspetto  caratteristico,  che  diciamo  me- 
tallico, e,  come  appare,  in  seguito  a  la  somiglianza  delle 
proprietà  ottiche. 

La  natura  produce  dei  corpi  a  colore  ordinario  ed 
anche  dei  corpi  a  colore  superficiale.  Come  esempio  posso 
mostrare  Loro,  al  microscopio,  le  squame  di  alcune  far- 
falle (32). 

Se  illumino  l'oggetto  che  voglio  studiare,  con  lo  spec- 
chio, che  sta  sotto  la  piattaforma,  e,  contemporaneamente, 
riparo  questa  da  l'azione  diretta  della  luce,  mi  rendo  conto 
della  tinta  trasmessa.  Se,  in  vece,  allontano  lo  specchietto 
e  scopro  la  piattaforma,  vedo,  naturalmente,  il  colore  ri- 
flesso. 

Colloco,  per  esempio,  sul  portaoggetti  alcune  squame 
appartenenti  ad  una  grossa  farfalla  nostrana,  il  Papitio  Ma- 
chaon.  Queste  presentano  in  luce  trasmessa  ed  in  luce  ri- 
flessa la  medesima  tinta  gialla  ;  la  sostanza  che  le  colora 
appartiene  dunque  a  la  prima  categoria. 

Assai  diversamente  vanno  le  cose  con  queste  altre 
squame  che  ho  tolte  a  certe  farfalle,  del  genere  Morpho, 
proprie  dei  Brasile.  Esse  mostrano  per  riflessione  una  tinta 
celeste  vivacissima,  ma  in  luce  trasmessa   sono  gialle  (*). 


(*)  Le  squame  tolte  a  le  parti  turchine  delie  ali  delle  Morpho 
sono  così  intensamente  colorate  che,  in  luce  trasmessa,  non  lasciano 
vedere  che  una  tinta  bruno-sudicia  molto  cupa.  Qijeste  farfalle 
hanno  però  spesso,  sempre  su  le  faccìe  superiori  delie  ali,  certe 
righe  chiare,  che,  ad  una  prima  osservazione,  sembrano  tinte  di  un 


—  173  — 

Ora  questi  due  colori  sono  complementari  ;  in  fatti,  se  illu- 
mino la  squama  contemporaneamente  dal  di  sopra  e  dal 
di  sotto,  essa  assume  una  tinta  biancastra.  Vuol  dire  che 
siamo  ora  in  presenza  di  una  sostanza  a  colore  super- 
ficiale. 

Chiudiamo  la  digressione  e  torniamo  a  i  nostri  schermi. 
Adesso  noi  possiamo  decidere  subito  in  quale  categoria 
di  corpi  colorati  si  debbano  mettere.  Poi  che  rimandano 
delle  onde,  che  non  lasciano  passare,  essi  ci  rappresentano 
il  modello  di  una  sostanza  a  colore  superficiale. 

Ma  vale  la  pena  di  insistere  ancora  su  questo  argo- 
mento, per  cercare  di  approfondirlo  meglio. 

Sanno  che  la  radiazione  emessa  da  una  fiamma  non 
è  tutta  visibile,  ma  contiene,  in  generale,  dei  raggi  ad  onda 
più  lunga  o  più  breve  di  quelli  che  il  nostro  occhio  vede» 
Li  chiamiamo  ultrarossi  ed  ultravioletti. 

Ora,  se  si  studia  il  comportamento  di  un  corpo  a  co- 
lorazione ordinaria,  rispetto  a  questi  raggi  oscuri,  si  finisce 
sempre  per  incontrare,  nella  regione  ultrarossa  o  nell'ultra- 
violetta, certe  onde  particolari,  su  le  quali  il  corpo  in  esame 
agisce  come  una  sostanza  della  seconda  categoria.  \'oglio 
dire  che,  per  le  perturbazioni  prossime  ad  un  determinato 
periodo,  r  assorbimento  è  elettivo,  e  il  raggio  riflesso  è 
monocromatico. 

Così,  per  esempio,  la  fluorite,  che  sembra  a  l'occhio 
quasi  del  tutto  diafana,  e  che  rimanda  a  pena  i  varii  ra^i 
visibili,  è,  in  vece,  molto  assorbente  per  certe  onde  ultra- 
rosse, la  cui  lunghezza  è  prossima  a  ventiquattro  millesimi 
di  millimetro.  Una  superficie  di  fluorite,  tirata  a  pulimento, 
riflette  assai  bene  queste  stesse  onde,  e  riflette  in  modo 
sensibile  queste  sole. 

colore  rosato.  Ma  si  tratta  solo  di  un  effetto  di  contrasto.  Se  si 
tolgono  alcune  squame  a  quelle  righe  e  si  isolano,  si  riconosce  che 
esse  sono  costituite  a  punto  come  le  altre,  che  formano  il  fondo 
dell'ala,  ed  hanno  la  stessa  tinta,  benché  molto  più  pallida.  Su  queste 
conviene  fare  l'osservazione,  perchè  qui  si  vede  meglio  che  i  colori 
sono  complementari. 


—  174  —  ■ 

Ciò  è  tanto  vero  che,  volendo  isolare  fra  i  raggi  ul- 
trarossi, emessi  da  una  fiamma,  un  fascetto  monocrorriatico, 
si  può  a  punto  ricorrere  a  l'espediente  di  far  riflettere  la 
radiazione  tre  o  quattro  volte  di  seguito  sopra  altrettante 
lastre  di  fluorite,  bene  spianate. 

L'artifizio  è  in  sostanza  quello  stesso  al  quale  accen- 
navo poco  fa,  indicando  come  sia  vantaggioso  impiegare 
per  i  raggi  di  forza  elettrica  uno  specchio  formato  di  ri- 
sonatori. 

Se  ripensiamo  ora  a  tutto  questo,  che  ho  detto,  si 
intende  subito  come  la  distinzione  fra  le  due  categorie  di 
sostanze  coloranti  non  è  punto  fondata  nella  natura  delle 
cose.  Bensì  ha  valore  solamente  per  il  nostro  occhio. 

E  si  comprende  anche  perchè  i  risonatori,  che  ho  mo- 
strato Loro,  agiscano  come  corpi  a  colore  superficiale.  La 
causa  sta  in  ciò  che  i  raggi,  studiati  da  noi ,  sono  costi- 
tuiti da  onde,  la  cui  lunghezza  è  paragonabile  in  ogni  caso 
con  quella  delle  onde,  che  sono  capaci  a  punto  di  eccitare 
i  risonatori,  che  formano  il  sistema. 

Ma  se  continuando  ad  impiegare  il  primario  ed  il  se- 
condario, dei  quali  mi  sono  servito  finora,  o  pure  sosti- 
tuendoli con  una  coppia  di  circuiti  non  troppo  differenti, 
io  interponessi  fra  l'uno  e  l'altro  apparecchio  una  tavoletta, 
o  una  lastra  di  vetro,  coperta  di  risonatori  estremamente 
pìccoli  (lunghi  per  esempio  un  venti  o  venticinque  mille- 
simi di  millimetro),  questo  sistema  agirebbe  press'  a  poco 
ad  un  modo  nei  due  casi,  cioè  costituirebbe  il  modello  di 
una  sostanza  colorante  ordinaria. 

La  stessa  lastra  poi,  come  ben  si  comprende,  appari- 
rebbe, in  vece,  a  tinta  superficiale,  se  la  mettessi  in  presenza 
di  onde  paragonabili  a  quelle,  che  eccitano  i  suoi  riso- 
natori. 

Ora  abbiamo  veduto,  nella  lezione  passata,  che  il  se- 
condario di  cinquantaquattro  centimetri  rivela  delle  onde  che -^ 
hanno  una  lunghezza  di  poco  inferiore  a  la  sua.    Se  am- 
mettiamo, ciò  che  corrisponde  a  l'in  circa  a  la  realtà,   che'^^ 


—  175  — 
il  rapporto  fra  le  dimensioni  del  secondario  e  la  lunghezza 
dell'onda  sia  sempre  lo  stesso,  potremo  subito  concludere 
che  la  lastra,  della  quale  parlavo  or  ora,  deve  assorbire 
e  riflettere  energicamente  delle  onde  lunghe  venti  o  ven- 
ticinque millesimi  di  millimetro. 

In  pratica  non  è  possibile  produrre  dei  rctggi  di  forza 
elettrica  ad  onda  tanto  corta  ;  bisognerebbe  per  questo 
ridurre  in  proporzione  la  grandezza  dell'eccitatore. 

Ma  le  considerazioni,  che  ho  svolto,  non  riescono  del 
tutto  inutili,  mostrano  anzi  l'opportunità  di  tentare  una 
esperienza,  la  quale,  d'un  solo  tratto,  metta  i  fenomeni 
della  luce  in  intimo  rapporto  con  quelli  della  radiazione 
elettromagnetica. 

Noi  abbiamo  osservato  sempre,  in  questa  lezione  e 
nelle  lezioni  passate,  una  grande  analogia  di  comporta- 
mento fra  le  onde  della  luce  e  del  calore  da  una  parte  e 
quelle  dei  raggi  di  forza  elettrica  da  l'altra.  Tanto  che  si 
può  dire  che,  per  noi,  non  v'è  fra  le  prime  e  le  seconde 
altra  differenza  che  di  lunghezza. 

Non  potrebbe  la  somiglianza  del  comportamento  spin- 
gersi ancora  più  in  là?  non  sarebbe  possibile,  per  esem- 
pio, ottenere  dei  fenomeni  di  risonanza  con  un  raggio  di 
luce,  facendolo  riflettere  sopra  una  lastra  coperta  di  strisele 
metalliche  minutissime? 

Badino  che  nemmeno  la  riuscita  di  quest'  esperienza 
indica  la  identità  di  struttura  fra  le  molecole  dei  corpi  ed 
1  nostri  conduttori.  Anzi  piuttosto  il  contrario,  come  si  vedrà 
meglio  in  seguito.  Ho  già  fatto  osservare  espressamente, 
in  una  delle  ultime  lezioni,  che  si  possono  avere  fenomeni 
di  risonanza  fra  sistemi  molto  diversamente  costituiti.  Un 
getto  d'acqua  sente,  in  qualche  modo,  il  suono  d'una  corda 
di  violino  ;  e  pure,  in  questo  caso,  la  struttura  del  riso- 
|.natore  e  quella  dell'eccitatore  non  hanno  assolutamente 
nulla  di  comune.  Ciò  che  pone  in  relazione  i  due  sistemi 
è  una  circostanza  esteriore  :  è  il  fatto  che  entrambi  emet- 
tono delle  onde  di  ugual  natura,  ed  entrambi  vengono  in- 
fluenzati da  le  onde,  che  sono  capaci  di  emettere. 


—  176  — 
A  lo  stesso  modo,  l'esperienza,  a  la  quale  accennavo. 
SI  potrebbe  considerare,  quando  fornisse  un  resultato  affer- 
mativo, come  una  prova  rigorosa  della  natura  elettroma- 
gnetica della  luce.  Almeno  per  quanto  è  possibile  fornire 
delle  prove  m  una  scienza  di  osservazione. 


fig.  60. 

^.^^^fi~-^u^""''  ^^^^  "''^'■^^  '"  intrapresa  ultimamente 
da  due  fisici  abilissimi.  E.  Rubens  ed  E.F.  Nichols,  tedesco  il 
primo  e  1  altro  americano,  e  l'esito  fu  a  punto  quello,  che 
ie  considerazioni  teoriche  lasciavano  prevedere  (33J 


—  177  — 

Io  non  ripeterò  qui  le  esperienze  di  Rubens  e  Nichols, 
che  esigono  dei  mezzi  d'osservazione  molto  delicati  e  che 
ad  ogni  modo  non  si  potrebbero  mostrare  ad  un  uditorio 
un  po'  numeroso.  Mi  accontento  soltanto  di  indicare,  su  la 
lavagna,  la  disposizione  del  loro  apparecchio  (fig.  80)  e  di 
riassumerne  i  resultati  principali. 

I  raggi  termici,  emessi  da  la  sorgente  x,  cadono  sopra 
lo  specchio  concavo  b,  che  li  rende  alquanto  convergenti, 
così  che  essi  si  vadano  da  ultimo  a  riunire  su  la  fendi- 
tura, Si,  di  uno  spettrometro. 

Pij  p2,  P?,  e  p\  sono  quattro  pezzi  di  fluorite,  con  una 
faccia  piana  e  ben  levigata  ;  su  questi  la  radiazione  si  ri- 
flette sotto  un  angolo  di  circa  quindici  gradi. 

In  tale  modo,  per  una  proprietà,  che  ho  menzionato 
poc'  anzi,  i  raggi  si  riducono  ad  essere  sensibilmente  mo- 
nocromatici. E  le  onde  superstiti  hanno  quasi  tutte  una 
lunghezza. di  24,4  millesimi  di  millimetro. 

Queste  onde  sono  rimandate  da  la  superficie  p^  sopra 
una  lastra  di  vetro,  d,  che  incontrano  sotto  un  angolo  di 
sessantanove  gradi.  Non  mi  fermo  ora  a  spiegare  minu- 
tamente quale  sia  l'azione  di  questo  specchio  piano  (*). 
Dirò  soltanto  che,  dopo  la  nuova  riflessione,  i  raggi  ter- 
mici si  comportano  come  se  fossero  emessi  da  eccitatori 
tutti  paralleli  tra  loro  e  perpendicolari  al  piano  d' inci- 
denza. (Nelle  esperienze  di  Rubens  e  Nichols  questo 
era  orizzontale). 

In  r  si  colloca  il  sistema  di  risonatori,  che  si  vuol 
studiare,  o  pure  uno  specchio  ininterrotto  d'argento;  in  v 
un  diaframma,  munito  di  foro  circolare,  per  limitare  la 
radiazione. 

Così  i  raggi  si  vengono  a  raccogliere  su  la  fenditura 
Si  dello  spettrometro  s^,  g,  Sg.    E'    questo  un  apparecchio 


(*)  Si  confronti  in  proposito  la  lezione  tredicesima. 


—  178  — 

a  riflessione,  di  struttura  particolare,  su  i  dettagli  del  quale 
è  inutile  insistere  (*). 

Da  ultimo  lo  specchio  convergente  a  corto  foco  e  rac- 
coglie i  raggi  sopra  l'apparato  di  misura  R,  che  è  un  ra- 
diometro, cioè  un  sistema  estremamente  leggero,  con  due 
alette  di  mica,  il  quale  può  rotare  dentro  uno  spazio  vuoto, 
intomo  ad  un  asse  verticale.  Un  sistema  di  questo  genere, 
quando  una  delle  alette  si  esponga  a  l'azione  del  calore 
raggiante,  gira  di  un  certo  angolo,  la  grandezza  del  quale 
fornisce  un  criterio  per  giudicare  della  intensità  della  ra- 
diazione incidente. 

Gli  schermi  di  risonatori,  che  Rubens  e  Nichols  im- 
piegarono nelle  loro  esperienze,  venivano  preparati  rico- 
prendo con  uno  strato  d'argento  delle  lastre  piane  di 
vetro.  Nel  velo  metallico  poi,  mediante  una  macchina  a 
dividere,  si  praticavano  due  sistemi  ortogonali  di  scalfit- 
ture rettilinee,  equidistanti.  In  questo  modo  rimanevano 
isolati  tanti  minutissimi  rettangoli  uguali,  d'argento. 

E  si  realizzava  il  sistema  di  conduttori  estremamente 
piccoli,  del  quale  ho  parlato  poco  fa. 

Rubens  e  Nichols  costruirono  parecchie  lastre,  con 
risonatori  di  diverse  grandezze  ;  riporto  le  costanti  di  due 
fra  esse,  indicando  in  quale  misura  seguisse  per  queste  la 
riflessione  del  calore  raggiante. 

Primo  Secondo 

schermo  schermo 

Numero  dei  risonatori  in  un  cm.^   .     .     .  looo.io^  333.10^ 
Lunghezza  dei  risonatori  (in  milles.  di  mm.)        6,5        24,4 
Larghezza    »           »                  »            »              4,6  5,5 

Percento  della  radiazione  incidente  riflesso  : 

a)  risonatori  orizzontali     ....       18,1         15,3 

b)  n  verticali      ....        22^7        50,2 


(*)  L'organo  g,  un  reticolo  di  fili  metallici,  serve  per  la  mi- 
sura delia  lunghezza  d'onda,  e  si  toglie  via  durante  le  esperienze 
di  risonanza. 


—  179  — 

Come  si  vede,  per  entrambi  i  sistemi  la  riflessione 
segue  meglio  quando  i  risonatori  sono  verticali  ;  in  questo 
caso  poi  il  secondo  schermo  rimanda  i  raggi  termici  oscuri 
assai  più  che  il  primo. 

L'uno  e  l'altro  fatto  è  in  completo  accordo  con  i  re- 
sultati delle  nostre  esperienze  su  i  raggi  di  forza  elettrica^. 
E  però  è  verisimile  che  la  radiazione  termica  e  luminosa 
sia.  radiazione  elettromagnetica.  Almeno  ogni  cosa  succede 
come  se  questo  fosse  vero. 

Segue  ancora  di  qui  che,  se  si  impiegassero  degli  ec- 
citatori adatti  a  secondarli  di  venticinque  millesimi  di  mil- 
limetro a  l'in  circa,  essi  produrrebbero,  secondo  ogni  proba- 
bilità, delle  onde  simili  in  tutto  a  quelle,  che  si  isolano 
riflettendo  il  calore  raggiante  su  le  lastre  di  fluorite. 

Vuol  dire  che.  se  le  molecole  della  fluorite  fossero  co- 
stituite come  i  nostri  conduttori,  esse  dovrebbero  avere  delle 
dimensioni  a<sai  più  grandi  di  quelle,  che  hanno  in  realtà. 

Questo  non  distrugge,  naturalmente,  per  nulla  il  signifi- 
cato delle  nostre  esperienze;  ma  mette  in  chiara  luce  ciò,  che 
ho  affermato  più  volte,  vale  a  dire  che  le  teorie  e  le  ipotesi 
sono  semplici  modelli  di  quello,  che  succede  nella  natura. 

*** 

§  IO.  —  I  fatti,  che  ho  mostrato  Loro  in  questa  lezione, 
si  enunciano  dunque  rigorosamente  dicendo  che  i  sistemi  di 
conduttori  impiegati  da  noi  rappresentano  bene  il  compor- 
tamento della  materia  nei  fenomeni  di  assorbimento  e  di 
riflessione.  Anche  ho  descritto  un'esperienza,  che  mostra 
probabile  un'  identità  di  natura  fra  i  raggi  del  Hertz  e  i 
raggi  luminosi  e  termici. 


LEZIONE  UNDICESIMA. 

I  risonatori  come  modelli  delle  molecole  materiali  : 
rifrazione  e  dispersione  —  Apparecchii  del  Rigiii. 

§  I.  —  L'accettabilità  dei  risonatori  come  modelli  delle 
molecole  materiali  si  può  anche  riscontrare  con  lo  studio 
di  fenomeni  diversi  da  quelli,  che  esaminammo  nella  le- 
zione passata.  E  veramente  la  materia  agisce  su  la  luce 
anche  in  altro  modo  che  per  assorbimento  o  per  riflessione. 

Per  esempio  si  sa  che,  in  diversi  corpi,  un  medesimo 
colore  si  propaga  con  velocità  differenti  e  che,  d'altra  parte, 
per  uno  stesso  mezzo,  sono  disuguali  le  velocità  di  pro- 
pagazione delle  varie  onde.  Per  questo,  con  l'impiego  del 
prisma,  si  può  produrre  ciò  che  si  chiama  lo  spettro  di 
una  data  sorgente,  vale  a  dire  si  possono  isolare  i  raggi 
di  diverso  periodo  esistenti   nella  sua  radiazione. 

Ora  vedemmo  già  che  le  correnti  alternative  si  muo- 
vono più  o  meno  velocemente  lungo  i  conduttori,  a  seconda 
del  mezzo,  in  cui  questi  sono  immersi.  Ed  accennammo 
a  la  possibilità  di  rifrangere  i  raggi  di  forza  elettrica  con 
un  prisma  di  asfalto  (*). 

Non  abbiamo  ripetuto 'codesta  esperienza,  per  le  dif- 
ficoltà materiali  che  essa  oifre. 

La  cosa,  del  resto,  non  ha,  dal  punto  di  vista  teorico^ 
un  interesse  molto  grande.    In   realtà  il  modo  d'  agire  dei 


(•)  Si  confrontino  in  proposito  le  lezioni  settima  ed  ottava. 


i8i 


prismi  materiali   su  la   radiazione   del    Hertz  non  sembra 
essere  in  tutto  quello  stesso  che  sopra  la  luce. 

Come  ricordavo  un  momento  fa ,  1'  ottica  constata  il 
fatto  importantissimo  della  dispersione.  E  bene,  pare  che 
niente  di  simile  avvenga,  in  generale ,  nel  caso  dei  ra^ 
di  forza  elettrica.  Almeno  per  quanto  si  può  dedurre  da 
esperienze  indirette. 

La  cosa  dopo  tutto  non  sarebbe  molto  difficile  da  in- 
tendere. Poi  che  la  dispersione  consiste,  in  ultima  analisi, 
in  una  differenza  di  comportamento  di  certe  determinate 
molecole  rispetto  ad  onde  di  lunghezza  diversa,  bisogna 
pur  considerarla  come  un  fenomeno  di  risonanza.  Ma  non 
v'è  risonanza  quando  il  sistema  secondario  e  la  radiazione, 
che  lo  colpisce,  hanno  dei  periodi  molto  differenti. 

D'altra  parte  si  intende  anche  subito  come  si  possa 
costruire  un  apparecchio,  che  sia  per  la  radiazione  del  Hertz 
ciò,  che  è  un  prisma  ordinario  per  la  luce.  Bisognerà  pro- 
curare che  le  sue  molecole 
siano  paragonabili  con 
quelle,  che,  eccitate,  pro- 
ducono il  raggio  elettro- 
magnetico. In  altre  parole 
bisognerà  che  il  prisma 
sia  formato  di  risonatori, 
nello  stesso  modo  che  gli 
schermi,  dei  quali  ci  siamo 
valsi  nella  lezione  passata. 

Ho  costruito  un  ap- 
parecchio, che  risponde  a 
tali  esigenze  ;  è  questo  , 
che  presento  Loro.  Lo  im- 
piegherò a  produrre  la 
rifrazione,  riservandomi  di 
dimostrare  più  tardi ,  con 
disposizioni  più  comode,  il  fatto  della  dispersione. 

Si  tratta,  come  vedono,  di  un'armatura  leggera  di  legno 


l82 


d'abete  (fìg.  8i),  formata  da  tre  bastoni,  che  collegano  due 
telai  in  forma  di  triangolo.  Queste  basi  del  prisma  sono 
regolari  ed  hanno  un  metro  di  lato.  Similmente  sono  qua- 
drati di  un  metro  le  faccie  laterali.  Due  lati  di  ciascun 
triangolo  sono  ancora  riuniti  da  otto  traverse ,  parallele 
tutte  al  terzo  lato. 

Fra  le  traverse  corrispondenti  superiore  ed  inferiore 
sono  tese  delle  file  di  risonatori  :  piccole  striscie  di  latta 
di  quindici  per  due  centimetri.  In  ciascuna  fila  un  risona- 
tore è  assicurato  a  quello  che  gli  sta  sopra  con  due  cor- 
doncini di  seta  ;  il  primo  è  fermato  nello  stesso  modo  al 
telaio  superiore  e  l'ultimo  al  telaio  di  sotto. 

Vi  sono  in  ogni 
fila  cinque  risonatori  ; 
nove  file  formano  il 
primo  strato  (fig.  82)^ 
otto  il  secondo ,  e 
così  via ,  una  sola 
l'ultimo.  Sicché  tutto 
lo  spazio  del  prisma 
è  riempito  con  du- 
gentoventicinque  stri- 
scie di  latta ,  distri- 
buite uniformemente, 
Io  colloco  ora  i 
due  sohti  specchii , 
con  il  primo  e  il 
secondo  circuito,  fac- 
^'K*  ^^'  eia  a  faccia,   e  inter- 

pongo fra  essi  il  prisma,  in  modo  che  dei  tre  lati  delle 
basi  uno  sia  prossimamente  parallelo  a  i  piani  assiaU  dei 
cilindri  parabolici.  Poi,  da  una  parte  e  da  l'altra  del  prisma, 
dispongo  ancora  due  grosse  lastre  di  zinco  ;  in  modo  che 
sia  escluso  il  dubbio  che  alcuni  raggi  possano  passare 
fuori  dello  spazio  occupato  da  i  piccoli  risonatori. 

Quindi  faccio  che  il  rocchetto  agisca.  Accade    adesso 


-  i83  - 

che  il  secondario,  benché  il  suo  riflettore  si  trovi  davanti 
a  quello  dell'eccitatore ,  non  dà  segno  di  essere  '  percorso 
da  correnti.  E  questa  mancanza  dell'  azione  induttrice 
del  primo  sul  secondo  circuito  non  si  deve  attribuire  ad 
un  assorbimento  esercitato  da  le  strisele  di  latta,  che  com- 
pongono il  prisma.  In  fatti,  se  sposto  lo  specchio  del  riso- 
natore lateralmente,  da  la  parte  opposta  a  quella  dello  spi- 
golo rifrangente  del  prisma,  l'eccitazione  si  fa  e  l'elettro- 
scopio perde  la  sua  carica. 

Vuol  dire  che  il  raggio  traversa  il  corpo,  che  ab- 
biamo posto  su  la  sua  strada,  ed  è  deviato  da  esso.  E  la 
deviazione  succede  in  quello  stesso  senso,  in  cui  si  fa  per 
la  luce,  che  esce  da  un  prisma  di  vetro. 

Posso  fare  l'esperienza  anche  in  un  altro  modo ,  che 
riesce  più  comodo.  E  cioè  posso  lasciare  i  due  specchi  di 
fronte  e,  con  una  lastra  piana  di  zinco,  rimandare  nel  ri- 
flettore del  secondario  il  raggio  deviato,  che  esce  dal  prisma. 
Anzi  non  è  nemmeno  necessario  che  impieghi  per  questo 
ima  lastra  metallica  ;  basta,  per  farne  l'ufficio,  il  mio  corpo 
e  quello  di  un  aiuto. 

§  2.  —  Volendo  constatare  il  fatto  della  dispersione  è 
necessario  fare  delle  misure,  sia  pure  grossolane;  a  questo  non 
si  prestano  bene  gli  apparecchi,  che  impiegammo  fin  qui 
per  la  produzione  dei  raggi  di  forza  elettrica. 

L'eccitatore  e  il  risonatore  sono  di  dimensioni  molto 
grandi  e  però  assai  incomodi  da  maneggiare.  Inoltre,  come 
ebbi  già  occasione  di  avvertire,  la  grandezza  del  primario 
e  del  secondario  ha  per  conseguenza  la  lunghezza  del- 
l'onda. Anche  questo  riesce  in  molte  esperienze  un  incon- 
veniente grave. 

Per  ovviare  a  tali  difficoltà  si  è  cercato  da  parecchii 
di  ridurre  le  dimensioni  degli  apparati  del  Hertz  ;  il  Righi 
ha  ottenuto  in  questa  ricerca  dei  resultati  veramente  pra- 
tici, e  le  sue  disposizioni  sperimentali  sono  ora  universal- 
mente adottate  (34). 

L'ostacolo  principale,  che  si  incontra,  quando  si  vuol 


—  i84  — 

costruire  un  eccitatore  di  dimensioni  ridotte,  consiste  in 
ciò  che  i  fili  stessi,  che  servono  per  condurre  la  carica 
a  le  due  metà  del  primario,  perturbano  in  qualche  modo 
il  movimento  dell'elettricità.  Il  Righi  ha  superato  genial- 
mente la  difficoltà,  sopprimendo  senz'altro  le  condutture. 
Il  suo  eccitatore  risulta  di  due  palline  d'ottone,  vici- 
nissime una  a  l'altra  ;  a  queste  paUine  si  guida  il  flusso 
dell'elettricità  prodotto  dal  rocchetto,  o,  meglio,  da  una 
macchina  del  Holtz,  per  mezzo  di  fili,  che  terminano  in 
due  piccole  sfere.  Ma  non  vi  è  contatto  fra  le  sfere  della 
conduttura  e  le  palline  dell'eccitatore.  Bensì  si  lascia,  da 
una  parte  e  da  l'altra,  un  intervallo  d'aria.  Si  fanno  dunque 
tre  scintille  consecutive.  Quella  di  mezzo,  naturalmente, 
è  piccolissima,  le  altre  sono  alquanto  più  lunghe. 


Fig.  83. 
Il  Righi  si  è  valso  ancora  di  un  artificio,  che  assicura 


-  i85- 

l'andamento  regolare  della  scarica  oscillante,  e  ne  rende 
più  intensi  gli  effetti.  Ha  fatto  cioè  che  la  scintilla  minore 
accadesse  nell'olio  in  vece  che  nell'aria.  In  questo  modo 
gli  elettrodi  non  si  insudiciano  tanto  presto  e  per  uguali 
distanze  esplosive  si  raggiungono  delle  differenze  di  po- 
tenziale più  grandi  (*). 

In  pratica  l'eccitatore  del  Righi  si  può  costruire  in 
molti  modi  diversi.  La  disposizione  adottata  da  me  è  delle 
più  semplici  (fìg.  83). 

Una  cassettina  di  legno,  senza  coperchio,  e  munita  di 
una  parete  di  vetro,  reca  nel  fondo  un  foro,  nel  quale  è 
incastrata  una  delle  palline,  che  formano  il  primario.  Nel 
caso  nostro  la  cassetta  è  lunga  dieci  centimetri,  alta  e 
larga  cinque  :  le  palline  hanno  due  centimetri  di  diametro. 

Vi  è  poi  un'assicella,  fermata  a  cerniera  contro  una 
delle  pareti  laterali  della  scatola,  questa  è  larga  quattro 
centimetri  e  lunga  nove.  E'  forata  essa  pure  verso  il 
mezzo,  e  nel  foro  riposa  la  seconda  pallina. 

Da  la  parte  opposta  a  la  cerniera  l'assicella  è  traver- 
sata da  una  grossa  vite,  la  cui  testa  sporge  fuori  della 
cassetta,  e  la  punta  s'appoggia,  senz'altro,  sul  fondo. 

Girando  questa  vite  nel  senso  degli  indici  dell'orologio 
o  nell'opposto,  si  ottiene,  naturalmente,  di  alzare  o  d'ab- 
bassare alcun  poco  la  pallina  superiore,  e  così  di  variare 
l'intervallo  di  scarica. 

La  scatola  si  riempie  di  olio  minerale  o  di  olio  dì  va- 
selina. 

Da  principio  si  può,  guardando  per  la  finestra  di 
vetro^  fissare  la  pallina  a  la  distanza,  che  si  giudica  con- 
veniente ;  più  tardi  l'olio  annerisce  e  non  è  più  possibile 
discernere  nulla  nell'interno.  E  bisogna  accontentarsi  di 
girare  un  pochino  la  vite  a  destra  o  a  sinistfa,'  a  tentoni; 
finché  si  ottengano  degli  effetti  soddisfacenti. 

§  3.  —  Anche  per  il  risonatore  le  difficoltà  sono  gravi.  Si 


(*)  Questo  artificio  si  deve  a  i  sigaori  Sarasia  e  De  la  Rive  (3  5). 


—  i86  — 


capisce  in  fatti  che  la  vite  e  la  punta  e  la  piccola  pallina, 
che  servono  per  regolare  la  produzione  delle  scintille, 
mentre  non  perturbano  sensibilmente  le  oscillazioni  degli 
apparecchii  più  grandi,  produrrebbero  qui  degli  inconve- 
nienti sensibili. 

In  questo  caso  ancora  è  riuscito  al  Righi  di  risolvere 
elegantemente  il  problema. 

L'artificio  che  egli  imaginò  è  analogo  in  tutto  a  quello, 
del  quale  ho  discorso  a  proposito  delle  esperienze  di  Ru- 
bens e  Nichols.  Propriamente  gli  schermi  adoperati  da 
questi  ultimi  derivano  da  i  risonatori  del  fisico  italiano. 

I  secondarii  del  Righi,  in  fatti,  sono  semplici  striscie 
metalliche,  con  un  taglio  verso  il  mezzo,  nel  quale  scoc- 
cano le  scintille. 

Per  prepararli  si  depone,  sopra  una  lastra  di  vetro 
da  specchii,  un  velo  sottilissimo  d'argento; 
così  sottile  che  a  pena  riesca  opaco  per  la 
luce.  Quindi  si  intaglia,  nella  superficie  del 
metallo,  la  strisciolina  delle  dimensioni  vo- 
lute [fig.  84),  e  si  raschia  tutt'  intorno  V  ar- 
gentatura con  un  temperino. 

Quanto  a  l' intervallo  di  scarica  con- 
viene praticarlo  con  una  punta  di  diamante, 
molto  fine,  che  si  fa  scorrere  leggermente 
sul  risonatore. 

Questi  secondarii,  come  s'intende,  hanno 
una  distanza  esplosiva,  che  non  si  può  va- 
riare e  sono  soggetti  a  l' inconveniente  di 
guastarsi  assai  presto.  Al  passare  delle 
scintille,  poco  a  poco ,  l' argento  si  ossida 
e  brucia,  e  l' intervallo  cresce.  Sicché  1'  ap- 
parecchio diventa  inservibile.  La  durata  è 
maggiore  se  lo  strato  metallico  è  più  spesso, 
ma  anche  in  questo  non  si  può  eccedere,  perchè,  quando 
lo  spessore  del  velo  è  troppo  grande ,  è  difficile  che  il 
taglio  riesca  netto  e  completo. 


ig.  04. 


-  iS7  - 

I  risonatoli  del  Righi  si  fanno  di  varie  dimensioni,  a 
seconda  del  periodo,  che  si  preferisce. 

Ne  impiegheremo  oggi  due  differenti,  il  primo  dei  quali 
è  lungo  sei  centimetri,  e  il  secondo  tre;  le  larghezze  ri- 
spettive sono  di  tre  e  due  millimetri.  Entrambi  vengono 
eccitati  assai  bene  dal  primario,  che  ho  descritto  dianzi. 

Tanto  l'eccitatore  che  il  risonatore  si  debbono  natu- 
ralmente munire  di  specchii. 

Per  il  primario  preferisco  impiegare  un  riflettore  sfe- 
rico. E'  quello  stesso,  che  mi  servì  altra  volta  per  le  espe- 
rienze su  la  luce  e  sul  calore  raggiante.  Bisognerà  fare  in 
modo  che  la  scintilla  di  mezzo  riesca  a  punto  nel  foco 
dello  specchio;  ciò  che  si  ottiene  collocandola  là  dove  si 
forma  l'imagine  di  una  fiamma,  posta  su  l'asse,  ad  una  di- 
stanza assai  grande. 


Fig.  «5. 

Per  i  secondarli  adopero,  in  vece,  dei  cilindri  parabolici. 
Sono  costruiti  sul  principio  degli  specchii  di  risonatori,  che 
descrissi  nella  lezione  passata.  Ma  la  disposizione  è  un 
po'  diversa. 


—  i88  — 

Si  tratta,  come  vedono,  in  entrambi  i  casi,  di  un  fo- 
glio di  cartoncino,  al  quale  ho  dato  la  forma  più  opportuna 
adattandolo  in  un  armatura  parabolica  d'ottone,  che  è  fis- 
sata a  la  sua  volta  sopra  una  tavoletta  di  legno    (fig.  85). 

Sul  cartone  poi  sono  incollate,  in  serie  parallele,  molte 
striscioline  di  stagnola.  Hanno  in  ciascuno  specchio  le  stesse 
dimensioni  che  il  risonatore,  per  il  quale  lo  specchio  deve 
servire.  Ma  naturalmente  non  sono  munite  di  intervallo  di 
scarica. 

Raccolgo  in  un  quadro  le  costanti  dei  due  riflettori. 


Altezza 

Distanza  focale 

Numero  dei 

risonatori 

in  una  riga 

Numero 
delle  righe 
di  risonatori 

I.  Specchio 

13  cm. 

8  cm. 

35 

3 

2.  Specchio 

13  cm. 

3  cm. 

23 

I 

Le  scintilline,  che  si  producono  nei  secondarli  del  Ri- 
ghi, sono  tanto  piccine  che  difficilmente  si  possono  osser- 
vare ad  occhio  nudo;  tanto  più  se  la  stanza,  nella  quale  si 
sperimenta ,  non  è  completamente  buia.  Per  questo  nello 
specchio,  lateralmente,  è  praticato  un  foro,  in  cui  entra 
1  estremità  di  un  microscopio,  che  si  punta  Su  l' intervallo 
di  scarica.  Non  è  necessario  poi  che  l' ingrandimento  su- 
peri i  trenta  o  quaranta  diametri. 

§  4.  —  Come  ho  detto,  mi  voglio  servire  di  questi  ap- 
parecchi! per  dimostrare  che  un  prisma  di  risonatori  non 
rifrange  soltanto,  ma  anche  disperde  la  radiazione  emessa 
da  l'eccitatore. 

A  quest'uopo  devierò  per  rifrazione  un  raggio  di  forza 
elettrica,  e,  studiando  con  i  due  secondarli  la  radiazione, 
che  emerge  dal  prisma ,  farò  vedere  che  nei  due  casi  si 
constata  una  deviazione  diversa. 

Non  posso,  come  ben  si  comprende,  impiegare  quello 
stesso  sistema  di  conduttori,  che  ho  adoperato  in  principio 


—  189  — 

di  questa  lezione.  Perchè  i  risonatori,  che  lo  compongono 
sono  troppo  grandi  rispetto  a  quelh',  che  stanno  nelle  linee 
focali  dei  nostri  specchii  secondarii.  Ma  conviene,  in  vece, 
che  le  dimensioni  del  prisma  si  riducano  anch'  esse  di 
molto. 

L'apparecchio  che  vedono  qui  davanti  a  me,  fu  costruito 
a  punto  secondo  quest'idea  (35).  E  funziona  egregiamente 
bene. 

Consta  di  sette  lastre  di  vetro,  alte  tutte  trentacin- 
que centimetri,  e  larghe  rispettivamente  trentacinque,  trenta, 
venticinque,  venti,  quindici,  dieci  e  cinque  centimetri. 

Sopra  ognuna  di  queste  lastre  ho  incollato,  in  molte 
file  parallele,  un  gran  numero  di  risonatori,  vale  a  dire  di 
piccole  striscie  di  stagnola,  di  quindici  millimetri  per  due. 
Ogni  fila  ne  contiene  dodici.  E  il  numero  delle  file  varia 
da  lastra  a  lastra. 

Ve  ne  sono  ventuna 
su  la  prima,  diciotto  su  la 
seconda ,  e  cosi  via ,  tre 
su  l'ultima. 

Abbiamo  dunque  in 
tutto ,  su  le  sette  lastre, 
un  migliaio  di  risonatori 
a  r  in  circa. 

Ora  ha  fissato  questi 
sette  schermi  sopra  una 
rastrelliera  di  legno ,  cosi 
che  essi  stanno  ora  pa- 
ralleli e  verticali  (fig.  86). 
E  la  distanza  fra  due  qua- 
lunque successivi  è  co- 
stante. 

Anche  i  risonatori  ri- 
sultano tutti  quanti  ver- 
ticali, e  riempiono  uniformemente  uno  spazio  di  forma 
prismatica  regolare,  che  è  limitato  lateralmente  da  tre  qua- 
drati, con  il  lato  di  trentacinque  centimetri. 


Fig.  86. 


Fig.  87. 


—   190  — 

Dispongo  codesto  prisma  sopra  un  sostegno,  davanti 
a  lo  specchio  sferico  E ,  (fig.  87),  per   modo    che    i  raggi 

incidano  sotto  un  angolo 
di  quaranta  gradi  ,  a  l' in 
circa.  E  da  una  parte  e 
da  r  altra  accosto  ancora 
due  lastre  di  zinco  (Z  Z, 
nella  figura),  così  da  limi- 
tare la  radiazione. 

Prendo  ora  il  riflet- 
tore secondario  con  le 
stri  scie  metalliche  più 
grandi,  e  lo  fisso  davanti 
a  r  eccitatore  ,  sopra  un 
carrello  munito  di  ruote  (S). 
Questo  è  fermato  rigi- 
damente ad  una  stanga, 
che  può  girare  intorno  ad 
un  punto  fisso.  Per  tal  modo  un  indice,  unito  al  carrello, 
si  viene  a  muovere  sopra  un  cerchio  diviso,  che  ho  trac- 
ciato sul  tavolo,  dove   faccio    l'esperienza  {M  D). 

Pur  troppo  si  tratta  qui  di  un  fenomeno,  che  ciascuno 
di  Loro  dovrà  vedere,  a  la  sua  volta  ;  non  è  possibile 
rendere  manifeste,  in  qualche  modo,  a  distanza,  queste 
minute  scintilline. 

Poniamo  in  azione  l'apparecchio,  facendo  girare  il 
disco  di  una  macchina  elettrica  del  Holtz,  le  cui  estremità 
polari  sono  collegate  metallicamente  con  le  due  palline 
esteme  dell'eccitatore. 

Guardando  ora  nel  microscopio,  che  va  unito  al  se- 
condario, non  si  vede  traccia  di  scariche.  Ma  le  scintille 
si  mostrano,  in  vece,  se  sposto  lo  specchio  del  risonatore 
verso  la  destra  (D). 

Continuando  sempre  nel  movimento,  si  finisce  per  ar- 
rivare ad  un  punto,  nel  quale  ogni  azione  del  primo  sul 
secondo  circuito  si  annulla.  Fermiamoci  qui. 


—  igi  — 
Quando  dianzi  le  scintille  sono  apparse,  lo  sposta- 
mento dato  a  lo  specchio  del  risonatore  era  di  un  certo 
numero,  c.«,  di  gradi,  ora  è  alquanto  maggiore;  diciamo  di 
Cd  gradi.  Si  potrebbe  pensare  che  la  deviazione  del  raggio, 
o,  per  meglio  dire,  la  deviazione  della  sua  parte  centrale 
sia,  senz'  altro,  la  media  aritmetica  dei  due  valori  e".,  e 
c'^j^  cioè: 

C^s  4-  COd 
2 

Ma  bisogna  riflettere  che  la  materia ,  della  quale 
è  formato  il  prisma,  esercita  sopra  la  radiazione  un  assor- 
bimento, che  ha  per  conseguenza  di  avvicinare  al  punto 
di  mezzo  (M)  dell'arco  graduato  gli  orli  apparenti  del 
raggio. 

E'  chiaro  che  da  la  parte  di  destra  questa  pseudo  de- 
viazione, ai ,  si  oppone  a  quella  reale,  a ,  dovuta  a  la  ri- 
frazione, da  U  parte  di  sinistra,  in  vece,  coopera  con  essa. 

E  si  vede  subito  come  si  possano  liberare  i  nostri 
resultati  da  codesto  errore. 

Togliamo  via  il  prisma  e  determiniamo,  come  prima, 
gli  orli  del  raggio  ;  siano  s°s  e  s°d  i  valori  corrispondenti 
dello  spostamento  impresso  a  lo  specchio  secondario.  Avremo 
senza  più  che 

co*  —  S'^s 

rappresenta  la  somma  di  x  con  aj;  mentre 

COj  —  s^d 

è  la  differenza  fra  le  stesse  due  quantità. 

Se  poniamo  per  c«,  Cd,  s.,,  e  Sd  i  valori,  che  si  trovano 
effettivamente,  nel  nostro  caso,  viene  : 

c%  —  s°,  =  ó»  24', 
c°d  —  s°d  =  3°  36', 


—  192  — 
e  quindi  : 


5"  00'. 


E'  questa  la  vera  deviazione  prismatica. 

Adesso  voglio  togliere  via  il  risonatore,  che  ho  im- 
piegato finora,  e  il  suo  specchio  ;  e  sostituirvi  il  secondario 
più  piccino  (di  tre  centimetri)  e  il  relativo  riflettore.  Tutte 
le  altre  condizioni  dell'esperienza  rimangono  inalterate. 

Ripetiamo,  nello  stesso  ordine,  le  stesse  determina- 
zioni di  prima. 

Indicando  con  le  medesime  lettere  le  quantità  corri- 
spondenti si  trova  adesso  : 

c\  —  8%  =  15"  18', 
c°d  —  s'd  =  1"  30'  ; 

da  le  quali  uguaglianze  segue  : 

a  =  8°  24'. 

Questo  vuol  dire  che  la  deviazione,  subita  dal  raggio, 
appare  diversa  a  seconda  del  conduttore  secondario,  che 
s'impiega  per  fare  l'esperienza. 

In  altre  parole  si  riconosce  che  questo  nostro  prisma 
disperde  i  raggi  di  forza  elettrica.  A  punto  come  un  prisma 
di  materia  ordinaria  disperde  i  raggi  della  luce. 

E'  quello  che  avevo  annunciato. 

Notiamo  ancora  che  i  raggi  ad  onda  più  corta  sono 
i  più  fortemente  deviati  ;  a  lo  stesso  modo,  fra  i  colori  che 
emergono  da  un  prisma  di  vetro,  il  violetto  si  scosta  più 
del  rosso  da  la  direzione  primitiva  di  propagazione. 

§  5.  — Prima  di  lasciare  questo  argomento  farò  un'ultima 
esperienza,  che  vale  ad  illustrare  sempre  meglio  il  modo 
d'azione  dei  nostri  sistemi  di  conduttori. 

Tolgo  via   il    prisma    e    lo    scompongo,  levando    una 


—  193  — 

dopo  l'altra  le  lastre  da  la  rastrelliera  a  la  quale  erano 
affidate.  E  le  aggruppo,  in  vece,  sopra  un  altro  sostegno, 
in  modo  differente  (fig.  88).  La  settima  lastra,  la  più  stretta. 


Fig.  8«. 

sta  ora  a  canto  a  quella,  che  ha  trenta  centimetri  di  lar- 
ghezza, e  forma  con  essa  un  unico  schermo;  e  così  sono 
avvicinate  la  terza  e  la  sesta,  la  quarta  e  la  quinta  lastra. 

Di  modo  che  i  piccoli  risonatori  riempiono  ora  uno 
spazio  a  forma  di  parallelepipedo.  Siccome  la  distanza  fra 
due  schermi  successivi  è  la  stessa  di  prima,  possiamo  dire 
che  si  tratta  di  una  grossa  lamina  della  medesima  materia, 
della  quale  era  formato  il  prisma. 

Questa  lamina  la  interpongo  fra  l'eccitatore  e  il  ri- 
sonatore, normalmente  a  la  direzione  del  raggio.  Cercando 
adesso  di  determinare,  con  lo  spostamento  del  secondario, 
i  limiti  della  radiazione,  si  trova  che  essi,  a  destra  e  a 
sinistra,  distano  ugualmente  da  l'asse  dello  specchio  sferico. 

Se,  in  vece,  inclino  alquanto  la  lastra,  è  facile  riconoscere 

13 


—  194  — 

che  si  produce  un  piccolo  spostamento.  Ma  si  capisce 
bene  che  si  tratta  piuttosto  di  scostamento  laterale,  che 
di  una  vera  deviazione. 

Anzi  :  le  esperienze  fatte  con  il  prisma  permettono  di 
calcolare  l'indice  di  rifrazione  per  quello  speciale  corpo 
e  per  il  raggio  che  si  studia.  E  in  base  a  questo  resultato 
si  può,  con  considerazioni  teoriche  molto  semplici,  asse- 
gnare la  grandezza  dello  spostamento,  che  deve  produrre 
la  lamina  a  faccie  piane  e  parallele.  Se  facessimo  i  calcoli 
si  troverebbe  un  valore  conforme  in  tutto  a  quello  che 
fornisce  la  misura  diretta. 


§  6.  —  Come  conseguenza  di  ciò  che  abbiamo  veduto  oggi, 
possiamo  dunque  affermare  che,  anche  per  quanto  riguarda 
la  rifrazione  e  la  dispersione,  uno  spazio  nel  quale  sono 
disseminati  molti  conduttori  è  un  buon  modello  di  un  corpo 
materiale. 


LEZIONE  DODICESIMA. 

Luce  bianca  e  radiazione  del  Hertz  —  Esperienze 
di  Le  Royer  e  van  Berchem  —  Teorie  algebrica- 
mente equivalenti. 

§  I.  —  Più  volte  durante  questo  corso,  ma  special- 
mente nelle  ultime  lezioni,  abbiamo  avuto  campo  di  rico- 
noscere r  analogia  ,  che  passa  fra  i  raggi  emessi  da  V  ec- 
citatore del  Hertz  e  quelli ,  che  manda  ogni  corpo  solido 
o  liquido  portato  a  l' incandescenza.  A  quel  modo  che  si 
ammette  che  la  luce  bianca  risulta  da  un  complesso  di 
radiazioni  di  periodo  differente,  bisognerà  pur  concludere 
che  non  sono  monocromatici  i  raggi  elettromagnetici,  quali 
noi  li  sappiamo  produrre  (*). 

Ma,  anche  se  si  accetta  questo  come  provato,  resta  sem- 
pre a  risolversi  una  quistione  interessante.  Si  può  doman- 

(*)  I  primi  ad  accorgersi  che  con  uà  medesimo  eccitatore  si 
possono  far  funzionare  molti  secondarli  differenti  furono  i  signori 
E.  Sarasin  e  L.  De  la  Rive,  di  Ginevra.  Essi  diedero  al  fenomeno 
il  nome  di  risonanti  mulHpla  e  lo  spiegarono  a  punto  nel  modo, 
che  indico  nel  testo.  I  signori  Sarasin  e  De  la  Rive  hanno  perfe- 
zionato in  molte  parti  l'opera  del  Hertz;  e,  fra  l'altre  cose,  hanno 
fatto  vedere  che  ì  raggi  elettromagnetici  si  muovono  nell'aria  con 
la  stessa  velocità  che  le  correnti  oscillanti  guidate  da  i  fili  metal- 
lici, vale  a  dire  (si  confronti  in  proposito  la  lezione  settima)  con 
la  velocità  della  luce  (37). 


—  ig6  — 

dare  in  fatti  quale  sia  in  realtà,  in  un  istante  determinato, 
la  forza  elettrica,  in  un  punto  arbitrario  del  campo,  che 
l'eccitatore  produce. 

Perchè  si  capisce  bene  che  le  esperienze,  nelle  quali 
si  fa  uso  di  risonatori,  non  possono  fornire  la  grandezza 
vera  della  perturbazione,  ma  solamente  conducono  a  de- 
terminare quella  parte  o  componente,  il  cui  periodo  con- 
viene al  secondario  impiegato. 

Volendo  sottoporre  a  misure  la  forza,  nella  sua  in- 
tensità complessiva,  bisognerebbe  far  uso  di  apparecchi!, 
che  non  avessero  un  proprio  modo  dì  vibrare,  ma  sentis- 
sero le  azioni,  indipendentemente  da  la  loro  frequenza. 

Degli  istrumenti  di  questo  genere  li  possediamo  da 
gran  tempo  per  la  radiazione  luminosa  e  calorifica,  e  sono 
la  pila  termo-elettrica  e  il  bolometro  (*). 

Ma  anche  per  i  raggi  del  Hertz  fu  trovato,  alcuni  anni 
or  sono,  da  A.  Le  Royer  e  P.  v.  Berchem,  uno  di  tali 
misuratori  aperiodici. 

Il  Branly  dimostrò  fin  dal  1890  che  la  resistenza,  of- 
ferta al  passaggio  della  corrente  da  un  tubo  pieno  di 
limatura  metallica ,  diminuisce  enormemente  quando ,  in 
prossimità  di  esso,  si  faccia  scoccare  una  scintilla  (38). 

Ripetendo  queste  esperienze,  Le  Royer  e  v.  Berchem 
si  accorsero  che  il  fenomeno  si  produce  in  modo  sensi- 
bile, in  quei  casi  soltanto,  in  cui  la  scintilla  agente  corri- 
sponde ad  una  scarica  alternativa.  Ebbero  quindi  V  idea 
di  impiegare  un  metodo,  fondato  su  tale  proprietà,  per  lo 
studio  della  radiazione   del  Hertz. 

L'apparecchio  del  quale  si  servirono  (39)  era  un  tubo 
di  vetro,  contenente  un  pizzico  di  limatura  di  ferro.  Nel 
tubo,  per  le  estremità,    entravano  due  aghi   calamitati ,  in 


(*)  Il  bolometro  è  essenzialmente  un  filo  metallico,  sottile, 
annerito,  la  cui  resistenza  ohmica  si  altera  (cresce)  quatdo  certe 
radiazioni  lo  colpiscono. 


—  197  — 

modo  che  due  poli  opposti  di  essi  venivano  a  trovarsi 
faccia  a  faccia,  a  pochi  millimetri  di  distanza. 

Fra  questi  poli  si  stendeva,  come  un  ponte,  la  lima- 
tura di  ferro.  L' azione  delle  scariche  la  rendeva  con- 
duttrice. 

Ma  è  chiaro  che  basta  un  piccolo  urto,  per  distrug- 
gere un  simile  ponte  ;  quando  lo  si  ristabilisce  l'effetto 
è  sparito. 

Le  Royer  e  v.  Berchem  trovarono  che  l'influenza 
della  scintilla  si  fa  sentire  ancora  a  venticinque  metri  di 
distanza  ;  bensì  va  affievolendosi,  quanto  più  ci  si  allon- 
tana da  l'eccitatore. 

Nelle  loro  esperienze  l'apparecchio  primario  aveva 
due  dischi  di  latta  di  dieci  centimetri  di  diametro  ;  la  di- 
stanza fra  essi  poteva  variare  fra  ventisette  e  quaranta 
centimetri  (*). 

Disposero  codesto  circuito  davanti  ad  uno  specchio 
piano  di  zinco,  come  si  suol  fare  per  l'esperienza  del- 
l'onda stazionaria.  E,  nello  spazio  compreso  fra  primario 
e  riflettore,  collocarono  il  tubo  a  limatura,  del  quale  ho 
parlato  or  ora,  per  vedere  se  l'eftetto,  prodotto  in  esso 
da  le  scariche,  variasse  da  punto  a  punto. 

In  questo  modo  riconobbero  facilmente  la  presenza  di 
nodi  e  di  ventri  dell'azione. 

Ma  il  fenomeno  offriva  una  particolarità  interessan- 
tissima. E  cioè,  la  distanza  fra  due  nodi  successivi  dipen- 
deva da  la  grandezza  dell'eccitatore,  e  non  mutava  se,  a 
parità  dell'altre  condizioni,  si  alterava  comunque  il  tubo  a 
limatura. 

Questo  comportamento  è  in  tutto  diverso  da  quello 
dei  secondarli  del  Hertz,  sicché  sembra  che  se  ne  possa 
concludere  a  punto  l'aperiodicità  dell'apparecchio  di  misura. 

Se  la  conclusione  è  legittima,    dobbiamo   ritenere  che 


{*)  La  forma  di  questo  eccitatore  era  simile  ia  tutto  a  quella 
del  primario  rappresentato  da  la  figura  53. 


—  T98  — 

le  determinazioni    di  Le  Royer    e    v.    Berchem    danno  la 
forza  in  vera  grandezza. 

E  poi  che  tali  esperienze  dimostrano  la  presenza  di 
un'  onda  stazionaria,  si  è  costretti  ad  ammettere  che  ciò, 
che  parte  da  l'eccitatore,  è  una  perturbazione  semplice- 
mente periodica. 

I  due  sperimentatori  trovarono  in  oltre  che  la  nettezza 
dei  nodi,  diminuiva  assai  presto  a  partire  da  lo  specchio. 
E  questo  sembra  accennare  ad  una  mancanza  di  regolarità 
nel  fenomeno  (*),  o  più  probabilmente  ad  uno  smorza- 
mento, che  la  perturbazione  periodica  subisce. 

Sicché,  riassumendo,  noi  ci  troviamo  in  presenza  di 
due  resultati,  che  sembrano  contradditorii. 

Da  una  parte  tutti  i  fatti,  che  si  constatano  per  mezzo 
dei  risonatori,  portano  a  considerare  la  radiazione,  emessa 
da  l'eccitatore,  come  multipla. 

Da  l'altra  questi  esperimenti  di  Le  Royer  e  v.  Ber- 
chem ci  obbligano  a  concludere  che  si  tratta,  in  vece,  di 
una  grandezza  semplicemente  periodica  e  smorzata. 

§  2.  —  E  bene,  io  mi  propongo  di  far  vedere  che  la 
discordanza  di  tali  conclusioni  non  è  reale  ;  che,  anzi,  delle 
due  cose  una  segue  da  l'altra  con  necessità. 

Per  fare  la  dimostrazione  io  ragionerò,  su  la  luce  in 
vece  che  sopra  i  raggi  del  Hertz,  valendomi  della  conoscenza, 
che  abbiamo,  del  modo  come  è  distribuita  l'energia  nello 
spettro  del  sole. 

E  propriamente  farò  vedere  che,  da  le  misure  bolo- 
metriche,  si  deduce  che  la  perturbazione,  la  quale  si  pro- 
paga in  un  raggio  di  luce  bianca,  è  semplicemente  perio- 
dica e  smorzata  (40). 

Una  volta  provato  questo,  si  comprenderà  subito  come 
un  fatto  analogo  possa  avvenire  per  il  caso  dei  raggi  emessi 
da  l'eccitatore  del  Hertz. 

Ma  si  vedrà  anche  una  nuova  profonda  somiglianza 
fra  i  due  fenomeni. 


(*)  Si  confronti  la  lezione  nona. 


—  199  — 

E  badino  che  non  vi  è  difetto  di  logica  nell' insìstere 
su  questa  perfezione  del  nostro  modello,  come  iale,  anche 
dopo  aver  riconosciuto  che  esso  non  corrisponde,  probabil- 
mente, a  la  realtà. 

E'  anzi  di  supremo  interesse,  per  la  teoria  della  co- 
noscenza, di  vedere  fino  a  che  punto  un'imagine  può  dare 
l'illusione  dell'oggetto,  quando  le  leggi  più  semplici,  a  le 
quali  i  due  sistemi  soddisfano,  sono  le  stesse. 

Studiando,  con  un  bolometro,  lo  spettro  del  sole,  si 
trova  che  l'energia  non  è  distribuita  uniformemente  per 
tutta  la  lunghezza,  ma  anzi  le  onde  corrispondenti  a  certi 
periodi  sono  assai  più  intense  che  le  altre. 

Ora  è  possibile  dedurre,  da  le  misure  dirette,  dei  nu- 
meri proporzionali  a  le  ampiezze  delle  singole  onde.  Sanno 
che  cosa  si  intende  con  questa  parola. 

Ogni  funzione  periodica  pendolare  si  può  rappresen- 
tare con  la  formola  : 


2-t 
[I]  i    =  a  seti  -yr 


nelUa  quale  ^  è  il  tempo,  T  il  periodo,  t:,  al  solito,  il 
rapporto  fra  la  circonferenza  e  il  suo  diametro,  e  final- 
mente a  è  a  punto  ciò,  che  chiamiamo  ampiezza. 

Ora  il  modo,  nel  quale  varia  l'ampiezza  dell'onda,  al 
variare  del  periodo,  nello  spettro  del  sole,  si  può  rappre- 
sentare, a  un  di  presso,  con  la  curva  che  ho  disegnato  su 
questa  tavola  (fig.  89». 

Qui  le  distanze  contate  secondo  l'asse  x  si  sono 
prese  proporzionali  a  i  periodi,  mentre  le  distanze  contate 
secondo  l'asse  y  stanno  in  un  rapporto  costante  con  le 
ampiezze  corrispondenti. 

Intendono  bene  che  cosa  significa  questo.  Volendo 
conoscere  a  quale  ampiezza  arrivi  in  un  raggio  di  luce 
solare  un'  onda  di  determinato  periodo,  bisognerà  prendere 
su  l'asse  x,  a  partire  da  l'origine,  un  segmento  proporzio- 


—    200    — 


naie  a  quel    periodo,    e  da  l'estremo    di    esso  alzare    una 
perpendicolare,  fino  a  l'incontro  con  la  curva. 


V 

/      '       !       p-   i-        ■"■'  t     i  ^  ^       L    : 

--  '      .i.      . 

•  \ 

; 

i 

!      1 

'Ù 

-J 

j 

1 

1 
1 

1   ] 

\    i 

(      ì 

{            1 

!        i 

1 

i 

1 

U 

T^ 

-4                     !■ 

.   1      ' 

1 

It- 

t 

•  ~1 

' 

V 

; ti 

/■ 

|._A. 

.i  ■ 

i 

.31 

1 

1             ! 

1  \ 

1 

j-__. 

l\|._.  .„  : 

/ 

1 

big.  »9. 
Sicché  la  grandezza  della  perturbazione  di  periodo  T, 
si  potrà  rappresentare  con  la  formola  : 

277/ 


t  =  hy  sen 


k  X 


h  e.  k   essendo  due  coefficienti  di  proporzionalità. 

Componendo  le  infinite  i,  che  corrispondono  a  i  varii 
punti  della  curva,  si  ottiene,  manifestamente,  il  valore  della 
perturbazione  risultante,  al  tempo  t. 

In  pratica  non  sarebbe  possibile  di  fare  rigorosamente 
questa  composizione ,  ma  è  chiaro  che  si  troverà  un 
resultato  poco  diverso  dal  vero  sopraponendo  solamente 
un  numero  un  po'  grande  di  /',  distribuite  con  una  certa 
regolarità  nello  spettro  (*). 


(*;  Che  questo  sia  lecito  si  ricava  dal  fatto  che  la  luce  del 
sole  appare  bianca,  sebbene  manchino  in  essa  molti  periodi,  in  cor- 
rispondenza delle  righe  del  Fra'jnhofer. 


—    20I    — 


Prendiamo,  per  esempio,  nella  nostra  curva,  i  punti 
le  cui  ascisse  (le  coordinate  x)  progrediscono  di  quarto  in 
•quarto  di  centimetro.  Si  ricavano  per  le  jv  i  seguenti 
valori  : 


X 

'  y 

X 

y 

0,25 

0,50 
0,75 

1,00 

'.25 
1,50 

i»75 

2,5 

5»5 

9»5 

15.0 

24.5 

42,0 

54,0 

2,00 
2,25 
2,50 
2,75 
3-00 
3'25 
3ÓO 

47,0 

34.0 
24,0 

15.0 
10,0 

7Ìo 
3.5 

1 

E'  inutile  tener  conto  delle  y  corrispondenti  a  valori 
■della  .r,  che  superano  i  tre  centimetri  e  mezzo;  perchè,  es- 
sendo molto  piccole,  non  possono  avere  un'  influenza  sen- 
sibile sul  resultato  finale. 

I  coefficienti  A  e  ^  di  proporzionalità  sono  perfetta- 
mente arbitrarii;  cambiandoli  non  cambia,  come  si  intende 
subito,  il  carattere  delle  nostre  funzioni.  Solamente  cam- 
bierà  la  grandezza  delle  curve  rappresentative. 

Per  avere  dei  disegni  di  dimensioni  un  po'  comode 
io  faccio  la  scelta  seguente  : 


k 
h 


1,60  , 
0.05, 


cioè  pongo  : 

T  ^  1,60  X, 
a    =  0,05  y. 

In  questo  modo  la  tabellina  ne  fornisce  un'altra,  vale 
a  dire  : 


202 


T 

a 

T 

a 

0,4 
0,8 

1,2 

1,6 

2,0 

2.4 
2,8 

0,125 
0,275 
0470 

0,750 
^225 
2,100 
2,700 

3>2 

3,6 
4,0 

4»4 
4.8 
5»2 
5>6 

2,350 
1,700 
1,200 

0,750 
0,500 

0,350 

0,175 

Noi  dobbiamo  adesso  per  ciascuna  coppia  di  valori  (  T,d) 
calcolare  la  i  secondo  la  formola  [i],  facendo  variare  an- 
cora la  t  entro  certi  limiti. 

Evidentemente  basta  limitare  il  calcolo  a  l' intervallo 
di  un  quarto  di  periodo  ;  in  seguito  la  grandezza  della  i 
si  ottiene  senz'  altro  da  i  valori  già  trovati. 

Ho  raccolto  in  questa  grande  tavola  i  resultati,  che  si 
calcolano  eifettivamente  per  le  quattordici  coppie  di  co- 
stanti {T,a). 

1.^  Coppia, 
t  =  o  02  0,04  0,06  0,08  0,10 
/  =  0,038  0,073  0,101  0,119  0,125 


/  = 


2.»     Coppia. 
0,04    0,08    0,12    0,16    0,20 


i  =  0,085  0,161  0,222  0,261  0,275 

3.»     Coppia. 
t=    0,03    0,06   0,09  0,12   0,15   0,18   0,21    0,54   0,27   0,30 
/--  0,074  0,147  0,215  0,279  0,336  0,382  0,423  0,451  0,469  0,470 

4.*     Coppia. 
t=    0,04    0,08   0,12    0,16   0,20   0,24   0,28   0,32   0,36   0,40 
/■=  0,117  0,231  0,340  0,441  0,530  0,606  0,668  0,713  0,741  0,750 


—  203  — 

^.^      Coppia. 
t=    0.05    0,10   0,15   0.20   0,25   0,30   0,35   0,40    0,45    0,50 
1'=^  0,191  0.3780,5560,7200,8660.991  1,091  1,165  1,2101,225 

6.*     Coppia. 
'=    0,06    0,12    0,18   0,24   0,30   0,36   0,42   0,48    0,54   0,60 
■=  0,327  0,649  0,953  1.235  1,485  1,699  i»87i  1,997  2,075  2,100 

7.*     Coppia. 
0,07   0,14   0,21    0,28   0,35   0,42   0,49   0,56   0,63   0,70 
'=■  0,421  0,989  1,226 1,587  1,909  2,184  2,405  2,567  2,667  2,700 

8.»     Coppia. 
0,08   0,16   0,24   0,32   0,40   0,48    0,56   0,64   0,72   0^80 
0,366  0,726  1,067  1,382  1,661  1,901  2,094  2,235  2,322  2,350 

9.*     Coppia. 

'=    0,09    0,18    0,27   0,36   0,45   0,54   0^63   0,72   0,81    090 
=  0,265  0^525  0,772  0,999  1,202  1.375  1,514  1,616  1,679  i»7oo 

IO.*      Coppia. 
0,10    0,20    0,30    0,40   0,50    0,60    0,70    0,80   0,90    1,00 
0,187  0,371  0,545  0,705  0,848  0,971  1,069  1,141  1,185  1,200 

II.*     Coppia. 

■=    0,11    0,22   0,33  0,44  0,55   0,66  0,77   0,88    0,99    1,10 
0.117  0,231  0,340  0,441  0,530  0,606  0,668  0,713  0,741 0,750 

12.»     Coppia. 
0,12    0,24  0,36   0,48   0,60  0,72  0,84   0,96    1,08    1,20 
0,078  0,154  0,227  0,294  0,353  0,404  0,445  0,475  0,494  0,500 

13.*     Coppia. 
0,13   0,26   0,39   0,52   0,65    0,78   0,91    1,04    1,17    1,30 
0,054  0,108  0,159  0,206  0,247  0,283  0,31 2  0,333  0,346  0,350 

14.»      Coppia. 

=    0,14    0,28   0,42    0,56   0,70   0,84   0,98    1,12    1,26    1,40 
=  0,027  0,054  0,079  0,103  0,123  0,141  0,156  0,166  0,17^  0,175. 


—  204  — 

Ora  è  chiaro  che,  servendomi  di  questi  numeri,  posso 
rappresentare  facilmente ,  con  quattordici  curve,  l'anda- 
mento delle  quattordici  pertuibazioni  di  periodo  via  via 
crescente. 

Per  esempio,  potrei  assumere  due  assi  ortogonali  e 
contare  lungo  uno  di  essi  il  tempo,  lungo  l'altro  la  i. 

Le  linee  tracciate  su  questa  tavola  (fig,  90)  furono  a 
punto  costruite  secondo  tale  concetto. 

In  esse  si  è  presa  la  /  come  ascissa,  facendola  va- 
riare fino  al  valore  5,60,  che  corrisponde  al  periodo  della 
più  lenta  fra  le  quattordici  onde  considerate  (*). 

Secondo  ciò,  che  ho  detto  poco  fa,  volendosi  ora  co- 
noscere l'andamento  della  perturbazione  bianca,  basterà 
disegnare  una  nuova  curva,  della  quale  l'ordinata,  relativa 
all'ascissa  /,  sia  la  somma  delle  ordinate  possedute,  a  la 
medesima  ascissa,  da  le  prime  quattordici  curve. 

Nel  fare  la  somma  bisogna  tenere  conto  dei  segni, 
vale  a  dire  detrarre  le  lunghezze,  che  si  contano  sotto 
l'asse  t. 

Facendo  realmente  l'operazione  si  ottiene  la  linea,  che 
vedono  qui  a  canto  (fig.  90  d). 

E  tale  linea  corrisponde  a  punto  ad  un  fenomeno  pe- 
riodico, la  cui  ampiezza  decresce  con  il  tempo. 

Arriviamo  dunque  ad  un  resultato  identico  a  quello, 
che  si  otteneva  per  i  raggi  del  Hertz,  e  vediamo  inoltre 
che  non  v'  è  contraddizione  fra  i  singoli  esperimenti,  come 
avevo  affermato. 

§  3.  —  Non  è  forse  inutile  rilevare  il  senso  logico 
generale,  che  scaturisce  da  questo  caso  particolare  ,  esa- 
minato da  noi. 

Si  comprende  in  fatti  che  è  perfettamente  nell'arbitrio 
nostro  di  considerare  la  vibrazione  dell'eccitatore  del  Hertz 


(*)  Le  figure  90  a,  b,  e  riproducono  tre  di  queste  linee;  quelle 
che  risultano  da  la  consderazione  della  quarta,  settima,  e  decima 
coppia. 


—  205   — 

come  semplice  o  come  multipla  ;  dal  momento  che  l'una  e 
l'altra  ipotesi  si  equivalgono. 

Ma  su  l'una  e  su  l'altra  ipotesi  si  può  edificare  una 
teoria,  e  le  due  teorie,  benché  diverse  nella  forma,  potranno 
essere  ugualmente  vere. 

Il  fenomeno  logico  è  diverso  da  quello  dell'equiva- 
lenza meccan'ca,  che  avemmo  già  occasione  di  imparare 
a  conoscere.  In  vero  qui  non  si  fa  quistione  di  mecca- 
nismi ;  e  si  può  parlare  soltanto  di  una  equivalenza  alge- 
brica. 

Le  due  cose  sono  completamente  distinte.  Due  teorie 
possono  essere  fra  loro  in  relazione  di  equivalenza  alge- 
brica, e  supporre  due  modelli  diversi  ;  o  basarsi,  in  vece, 
sul  medesimo  modello  ;  o  non  invocare  modello  alcuno,, 
limitandosi  a  la  descrizione  dei  fenomeni. 


§  4.  —  Ma,  senza  insistere  su  questo  punto,  mi  basta 
di  rilevare,  come  resultato  della  lezione  presente,  la  com- 
pleta analogia  di  costituzione  fra  i  raggi  elettromagnetici 
e  quelli  della  luce  bianca. 


LEZIONE  TREDICESIMA. 

Fenomeni  di  polarizzazione  —  Prisma  del  Nicol  e 
specchio  del  Hertz  —  Lamina  di  tormalina  e 
reticolo  —  Polarizzazione  per  riflessione. 

§  I.  —  Noi  ci  siamo  occupati  finora  di  fenomeni,  che 
dipendono  da  le  proprietà  quantitative  o,  come  si  potrebbe 
anche  dire,  algebriche  della  radiazione  elettromagnetica. 

Passeremo  a  considerare,  in  questa  e  nella  ventura 
lezione,  alcuni  fatti,  che  valgono,  in  vece,  a  rischiarare  la 
natura  geometrica  dei  raggi  luminosi  e  dei  raggi  del  Hertz. 
E'  uno  dei  resultati  della  fisica  moderna  di  aver  posto  in 
chiaro  che  le  condizioni  e  le  perturbazioni,  che  occorrono 
nella  natura,  si  possono  classificare  tutte  in  due  grandi 
categorie,  quella  dei  vettori  e  quella  degli  scalari.  La  dif- 
ferenza fra  vettori  e  scalari  consiste  in  questo  che  i  primi 
hanno  una  grandezza  e  una  direzione  ;  i  secondi  hanno 
bensì  una  grandezza,  ma  nessuna  direzione  assegnabile. 

Ne  segue  che  i  vettori  si  debbono  rappresentare  con 
segmenti  e  gli  scalari  con  numeri. 

Per  esempio,  una  velocità,  una  forza  magnetica,  un 
flusso  di  calore  sono  vettori;  una  massa,  un  potenziale 
elettrostatico,  una  temperatura  sono  grandezze  scalari. 

Ora,  poi  che  abbiamo  riconosciuto  che  la  luce,  e  il  ca- 
lore, e  i  raggi  di  forza  elettrica  risultano  da  qualche  cosa, 
che  si  sposta  in  linea  retta,  con  velocità    finita    (*),  ci    si 


(•)  Si  confronti  in  proposito  la  lezione  ottava. 


207   — 

presenta  la  quistione  se  questo  qualche  cosa  sia  di  natura 
scalare  o  vettoriale. 

Ove  si  riconoscesse  che  si  tratta  di  vettori,  si  po- 
trebbe poi  domandare  se  la  loro  direzione  abbia  o  no 
qualche  rapporto  fisso  con  quella  della  propagazione. 

Cominciamo  ad  esaminare  il  caso  della  luce.  Davanti 
a  la  solita  lanterna  di  proiezione,  che  illumino  ora  con 
l'arco  voltaico,  ho  collocato  un  piccolo  apparecchio,  al 
quale  si  dà  il  nome  di  prisma  del  Nicol  (*).  Non  mi  fermo 
ora  a  spiegare  minutamente  come  questo  prisma  sia  la- 
vorato, e  come  si  possa  intendere  il  suo  modo  di  funzio- 
nare. Dirò  soltanto  che  si  tratta  di  due  pezzi  di  spato  di 
Islanda,  tagliati,  secondo  certe  direzioni  ben  determinate, 
in  un  cristallo  naturale,  e  riuniti  uno  a  l'altro  con  uno 
strato  sottile  di  balsamo  del  Canada. 

Le  due  faccie  estreme  sono  piane  e  parallele.  Il  prisma, 
che  impiego,  è  munito  di  un'armatura  cilindrica  d'ottone, 
che  mi  permette  di  adattarlo  a  la  lanterna.  Volendo  lo  potrò 
far  girare  sopra  sé  stesso,  intorno  ad  un  asse  orizzontale. 

Tutta  la  luce,  che  l'arco  emette,  per  uscire  a  l'aperto, 
è  obbligata  ad  attraversare  il  Nicol. 

Orbene,  davanti  a  questo  primo  prisma  ne  voglio 
mettere  un  secondo,  in  tutto  uguale.  E'  portato  da  un  so- 
stegno e  può  compiere  lo  stesso  movimento,  di  che  è 
suscettibile  quel  primo.  Da  ultimo  aggiungo  ancora  una 
lente,  che  mi  dà  su  lo  schermo  un  campo  luminoso  chia- 
ramente limitato.  La  grossa  lastra  di  zinco,  forata,  che  sta 
fra  la  lente  e  l'ultimo  Nicol  non  ha  altro  ufficio  che  di 
trattenere  i  raggi,  i  quali  hanno  attraversato  il  primo  prisma 
e  non  il  secondo. 

In  questo  istante,  come  dicevo.  Io  schermo  è  viva- 
mente illuminato.  Senza  portare  nessun'altra  modificazione 
a  l'apparecchio,  giro  adagio,  con  la  mano,  il    primo  Nicol. 


(*)  Qualche  volta,  per  brevità,  Jo  si  chiama  anche  Nicol,  sen 
z'altro. 


—    208    — 

Questo  movimento  produce  un  effetto  curioso.  L'intensità 
del  campo  illuminato  su  lo  schermo  si  modifica  a  poco  a 
poco  e,  propriamente,  nel  nostro  caso,  diminuisce.  Finché, 
dopo  un  certo  tempo,  si  arriva  a  l'oscurità  completa. 

Vado  avanti  ancora;  e  giro  sempre  nello  stesso  senso. 
La  luce  ricompare,  pallidissima  da  prima,  e  poi  successi- 
vamente più  intensa.  Ad  un  certo  istante  raggiunge  uno 
splendore  massimo^  quindi  accenna  a  diminuire  di  nuovo. 
Se  avessi  mezzo  di  fare  delle  misure  un  po'  accurate, 
troverei  che,  fra  l'oscurità  assoluta  e  il  massimo  della  luce, 
il  prisma  ha  girato  esattamente  di  novanta  gradi,  cioè  di 
un  angolo  retto.  Continuando  nel  movimento  di  rotazione, 
si  trova  un  altro  minimo  dell'intensità  a  centottanta  gradi 
dal  primo,  e  poi  da  capo  un  massimo  dopo  altri  novanta 
gradi.  Così  si  torna  press'a  poco  al  punto  dal  quale  siamo 
partiti. 

Vi  sono  dunque  in  un  giro  intero  quattro  posizioni 
singolari,  e  ciascuna  di  e^-^se  dista  di  un  angolo  retto  da 
quella,  che  la  precede.  A  queste  posizioni  singolari  corri- 
spondono alternativamente  dei  massimi  e  dei  minimi  della 
luminosità. 

In  vece  di  girare  il  primo  Nicol  avrei  potuto  tenerlo 
fermo  e  far  muovere  il  secondo.  Il  resultato  sarebbe  stato 
esattamente  il  medesimo.  Si  sarebbero  incontrate  le  stesse  al- 
ternative di  luce  e  di  oscurità.  La  presenza  dei  due  prismi 
è  necessaria  perchè  questi  fatti  si  verifichino.  Se  ne  tolgo 
via  uno  e  lascio  l'altro,  e  lo  faccio  rotare  su  sé  stesso,  lo 
schermo  rimane  sempre  illuminato  ad  un  modo. 

Fermiamoci  un  momento  sopra  queste  esperienze.  Si 
intende  subito  che  esse  bastano  già  per  risolvere  la  qui- 
stione,  che  c'eravamo  proposta. 

In  fatti  si  possono  esprimere,  almeno  in  parte,  i  resul- 
tati ottenuti  da  noi,  diccxido  che  il  raggio,  che  esce  dal 
primo  Nicol,  ha  delle  proprietà  differenti  in  diversi  piani^ 
passanti  tutti  per  la  direzione  di  propagazione.  Ora  è  ma- 
nifesto che  non    si    dovrebbe    verificare   niente    di    simile 


209  — 

quando  la  perturbazione,  che  costituisce  la  luce,  fosse  di 
sua  natura  scalare.  Quel  qualche  cosa,  che  si  propaga  lungo 
un  raggio  di  luce,  è  dunque  un  vettore. 

Resta  a  vedersi  quale  sia  la  sua  direzione.  Anche 
questo  possiamo  dire,  entro  certi  limiti.  E  di  vero,  si  sup- 
ponga che  il  vettore  luminoso  sia  comunque  inclinato  sopra 
il  raggio.  Si  potrà  sempre  scindere  in  due  componenti, 
delle  quali  una  stia  secondo  la  direzione  di  propagazione, 
e  l'altra  le  sia  normale.  Ora  è  chiaro  che  la  componente 
trasversale  si  trova,  in  massima,  in  condizioni  differenti 
rispetto  a  due  piani  passanti  pel  raggio;  la  componente 
longitudinale  no.  Ne  segue  che,  se  componente  longitudi- 
nale vi  fosse,  questa  dovrebbe  comportarsi  sempre  ad  un 
modo,  e  non  risentire  alcun  effetto  da  la  rotazione  del 
primo  Nicol.  E  siccome  in  un  certo  istante  la  luminosità 
si  annulla,  bisogna  concludere  che  non  vi  è  componente 
secondo  il  raggio. 

11  vettore  luminoso  è  dunque  normale  a  la  direzione  della 
propagazione.  Più  diffìcile  riuscirebbe  assegnare  dove  sia 
realmente  questo  vettore  nel  piano  normale.  In  un  certo 
senso  la  cosa  è  anzi  impossibile,  e  si  rimane  sempre  in 
dubbio  fra  due  direzioni,  ortogonali  una  a  l'altra.  Ma  una 
tale  ricerca  non  ci  interessa  direttamente,  e  gli  svolgimenti, 
che  essa  richiede,  ci  porterebbero  troppo  lontano. 

§  2.  —  Passo,  in  vece,  a  lo  studio  di  un  altro  feno- 
meno, che  si  collega  direttamente  con  quelli,  che  abbiamo 
constatato  or  ora. 

Giro  il  primo  Nicol  in  modo  che  la  luce  si  spenga 
del  tutto;  quindi  colloco  fra  i  due  prismi  un  sostegno,  re- 
cante ima  lamina  sottile  di  tormalina.  La  tormalina,  come 
sapranno,  è  un  sihcato  di  magnesia  e  di  ferro,  che  crista- 
lizza  nel  sistema  esagonale.  La  laminetta,  che  ho  qui, 
giallo-verde  per  trasparenza,  ha  le  faccie  piane  e  parallele; 
esse  appartengono  ad  una  giacitura,  che  contiene  la  dire- 
zione dell'asse  cristallografico. 

Vedono  subito  come   l'interposizione   della   tormalina 

14 


si  manifesta.  Lo  schermo,  che  era  completamente  al  buio, 
si  è  ora  illuminato  di  una  palHda  luce  verdognola.  Il  so- 
stegno della  laminetta  è  affatto  simile  a  quello  del  secondo 
Nicol;  sicché  posso  farla  girare  sopra  sé  stessa  nel  suo 
piano.  Se  eseguisco  questo  movimento,  l'intensità  del  campo 
illuminato  su  lo  schermo  si  va  mutando,  e  raggiunge  dei 
massimi  e  dei  minimi.  In  questi  la  luce  si  spenge  totalmente. 

11  fenomeno  é  dunque  simile,  nelle  linee  generali,  a 
quello,  che  ottenevo  prima  girando  uno  dei  due  Nicol. 
Ma  non  é  in  tutto  il  medesimo.  Se  facessi  ora  delle  misure 
troverei  che  fra  un  massimo  ed  un  minimo  consecutivi  la  la- 
mina rota  di  quarantacinque  gradi  soltanto,  vale  a  dire  di 
un  mezzo  angolo  retto.  Le  esperienze,  che  ho  fatto  fin 
qui  con  la  luce,  potrei  ripeterle  con  il  calore  raggiante;  l'arco 
voltaico  potrebbe  servire  benissimo  come  sorgente  termica. 
Solamente  non  si  impiegherebbe  più  lo  schermo,  ma  anzi, 
subito  dopo  il  secondo  Nicol,  andrebbe  posta  la  pila  ter- 
moelettrica, collegata  al  galvanometro. 

Non  sto  a  fare  queste  esperienze,  nelle  quali  non  vi 
è  opportunità  di  imparare  a  conoscere  nessuna  disposi- 
zione nuova.  Dirò  soltanto  che  si  trovano  pel  calore  esat- 
tamente gli  stessi  fatti  che  per  la  luce.  E  se  ne  tirano, 
come  è  naturale,  le  stesse  conseguenze. 

§  3.  —  Ora  vengo  senz'altro  a  lo  studio  dei  raggi  di 
forza  elettrica.  Il  modo  nel  quale  si  conduce  la  ricerca  in 
questo  caso,  é  in  sostanza  quello  stesso  di  prima.  Però 
gli  apparecchi!  sono  alquanto  differenti. 

Lo  specchio  che  contiene  l'eccitatore  non  riposa  più, 
come  sempre  finora,  su  le  sue  quattro  gambe;  ma  è  posto 
in  condizione  da  poter  girare  intorno  ad  un  asse  oriz- 
zontale. 

A  le  armature,  destinate  a  conservare  a  la  lastra  di 
zinco  la  forma  di  cilindro  parabolico,  abbiamo  fermato  a 
vite  una  tavoletta  robusta  di  legno  di  noce,  da  la  quale  si 
stacca,  normalmente,  un  grosso  cilindro  pure  di  noce. 
Avrà  forse  otto  o    nove  centimetri    di    diametro.    Questo 


211 


specchio  è  verti- 


asse  è  sostenuto   da  due    cuscinetti,    assicurati    sopra    un 
tavolino  (fig.  91)  (•). 

Presentemente  la  linea  focale   dello 
cale  ;  e  1'  eccitatore   è    così 
alto  dal  suolo  come  di  so- 
lito. 

Quanto  a  lo  specchio  del 
secondario  sta  in  faccia  a 
l'altro  ;  e  nulla  è  mutato  in 
esso.  Dispongo  la  pila  secca 
e  l'elettroscopio  come  sem- 
pre; e  proietto  quest'ultimo 
nel  modo  consueto.  Le  pa- 
glie, divergendo,  accusano 
una  carica.  Faccio  agire  il 
rocchetto.  Scoccano  delle  scintille  nel  risonatore,  e  le  pa- 
glie si  riuniscono  ;  come   abbiamo  verificato  tante  volte. 

Ora  comincio  ad  inclinare  lo  specchio  primario,  giran- 
dolo intorno  al  suo  asse.  Quando  la  linea  focale  è  prossima 
■  a  l'orizzonte,  le  foglie    dell'elettroscopio  si  staccano  subi- 
tamente, indicando  che  il  flusso  delle  scintilline  è  sospeso. 

Purtroppo  il  mezzo  di  dimostrazione,  che  impieghiamo, 
non  permette  di  riconoscere  un  andamento  graduale  nel 
fenomeno.  Appare  distinto  solamente  quel  punto,  in  cui  le 
scintille  cessano  di  passare.  Se  ci  servissimo  di  un  altro 
procedimento  più  dehcato,  se,  per  esempio,  misurassimo  in 
ogni  istante  la  lunghezza  delle  scintilline  secondarie,  ciò 
che  naturalmente  ciascuno  dovrebbe  fare  per  suo  conto, 
a  la  sua  volta,  troveremmo  che  l'azione  dell'eccitatore  sul 
risonatore  diminuisce  gradualmente  fino  ad  annullarsi, 
quando  l' eccitatore  passa  da  la  posizione  verticale  a  la 
orizzontale  (41). 

Se  continuo  a  girare,    finché    lo  specchio    primario  è 


(*)  Si  confronti  la  figura  59.  La  figura  91  corrisponde  a  la  st- 
zione  A  "B  di  qaest'altima. 


212 


capovolto,  le  scintille  tornano  a  passare;  e  le  foglie  cadono^ 
ancora  una  volta,  una  su  l'altra. 

In  poche  parole  si  ripetono  qui  le  stesse  alternative, 
che  si  avevano,  in  seguito  al  movimento  del  primo  Nicol,, 
nell'esperienza  che  ho  fatto  poco  fa  con  la  luce  dell'arca 
voltaico. 

L'analogia  sussisterebbe  ancora  se,  in  vece,  di  girare 
lo  specchio  primario,  facessi  rotare  il  secondario;  si  ripe- 
terebbero quegli  stessi  fenomeni,  che  nascevano  da  le 
rotazioni  del  secondo  Nicol. 

Bisogna  dunque  concludere  che  anche  i  raggi  di  forza 

elettrica  si  ridu- 
cono a  la  propa- 
gazione di  un  vet- 
tore trasversale. 

§  4.  —  Ma  pro- 
cediamo innanzi. 

Il  Hertz  ha  tro- 
vato (41)  delle  di- 
sposizioni sempli- 
ci, che  permettono 
di  fare,  con  questi 
nuovi  raggi,  anche 
un'  esperienza  si- 
mile a  quella  della 
lamina  di  torma- 
lina. 

Ricordano  che 
dianzi  ponevo  i 
due  Nicol  in  tale 
posizione  che  dal 
secondo  non  u- 
scisse  più  luce. 
Ora  terrò  oriz- 
zontale la  linea  focale  dello  specchio  primario,  così  che 
il  risonatore   non    sia    per    nulla    eccitato.  Le  paglie  del- 


—  213  — 

l'elettroscopio  restano  aperte,  anche  se  il  rocchetto  fun- 
ziona. L'apparecchio,  che  tiene  nel  caso  presente  il  posto 
della  lamina  di  tormalina  è  questo  (fig.  92}.  Si  tratta,  come 
vedono,  di  un  ottagono  regolare,  fatto  con  alcune  assi- 
celle di  legno  d'abete.  Da  ogni  vertice  partono  delle  aste 
leggere,  che  si  riuniscono  tutte  nel  centro,  fermandosi 
contro  una  tavoletta.  Questa  è  traversata  normalmente  da 
un  asse,  che  riposa  su  due  forchette.  Sicché  l'ottagono  può 
rotare  sopra  di  sé  nel  suo  piano.  E'  chiaro  che,  se  gli 
•faccio  assumere  una  tale  posizione  che  una  coppia  di  lati 
sia  orizzontale,  e  poi  lo  giro  finché  divenga  parallela  a  l'o- 
rizzonte la  coppia  dei  lati  seguenti,  la  rotazione  impressa 
sarà  a  punto  di  quarantacinque  gradi.  Al  telaio  ottago- 
nale sono  assicurati  molti  fili  di  rame,  paralleli  fra  loro 
e  normali  tutti  a  due  lati;  ognuno  dista  da  quello  che  lo 
precede  di  due  centimetri  circa. 

Interpongo  questo  reticolo  fra  i  due  specchi,  con  il  piano 
normale  a  la  direzione  del  raggio  ed  i  fili  verticali.  L'elet- 
troscopio non  dà  segno  di  scintille.  Vuol  dire  che,  messo 
così,  il  reticolo  non  alt  era  nulla.  Ma  se  lo  giro  di  quaran- 
tacinque gradi  le  paglie  si  congiungono,  cioè  il  secondario 
si  eccita.  Ogni  cosa  ritorna  in  quiete  se  la  rotazione  ar- 
riva ad  un  angolo  retto.  E  così  di  seguito.  Quindi  l'ana- 
logia annunziata  sussiste. 

§  5.  —  A  questo  punto  è  conveniente  di  fare  un'osser- 
vazione. 

Ho  detto  dianzi  che  é  indispensabile  la  presenza  di  due 
Nicol  per  la  riuscita  dei  nostri  esperimenti.  Ciò  significa, 
in  altre  parole,  che,  nella  luce  ordinaria,  in  quella,  che 
ia  lanterna  emette,  non  vi  é  modo  di  distinguere  uno  da 
l'altro  i  piani,  i  quali  contengono  il  raggio. 

Ma,  passando  a  traverso  al  primo  Nicol,  la  radiazione 
luminosa  si  altera  in  qualche  modo  o,  come  si  suol  dire, 
si  polarizza.  E  solamente  la  luce  polarizzata  è  paragona- 
bile con  i  raggi  del  Hertz,  solamente  di  essa  si  può  con- 
<:ludere  che  risulta  da  la  propagazione  di  una  grandezza 
vettoriale. 


—   214  — 

Volendo  supporre,  come  è  logico  di  fare,  che  qualche 
cosa  di  simile  avvenga  per  la  luce  ordinaria,  bisognerà 
ammettere  che  nei  raggi  di  questa  siano  sovraposti  molti 
vettori,  distribuiti  uniformemente.  L'ufficio  del  prisma  del 
Nicol  consisterebbe  nel  propagare  la  componente  di  tali 
vettori,  che  è  secondo  una  certa  direzione,  annullando  la 
componente  normale. 

Vi  sono  delle  buone  ragioni  per  ritenere  che  il  mec- 
canismo del  fenomeno  sia  questo. 

Accennavo  poco  fa  che  i  prismi  del  Nicol  sono  for- 
mati di  spato  d'Islanda. 

Tale  sostanza  presenta,  come  è  noto,  il  fenomeno  della 
doppia  rifrazione.  Quando,  cioè,  un  raggio  di  luce  pe- 
netra in  uno  di  questi  cristalli,  esso  si  scinde,  general- 
mente, in  due,  che  emergono  distinti. 

Orbene,  si  trova  che  i  raggi  emergenti  sono  polariz- 
zati, e  il  vettore  luminoso  di  uno  di  essi  è  normale  a 
quello  dell'  altro.  Si  può  quindi  pensare  che  lo  spato 
d'Islanda  abbia  separato  tutti  i  vettori  della  luce  incidente 
in  due  componenti  ortogonali,  che  si  propagano  ciascuna 
per  suo  conto. 

Il  fatto  stesso  della  doppia  rifrazione  dimostra  che  i 
due  raggi  nel  cristallo  hanno  velocità  differenti.  Ed  è  pos- 
sibile rintracciare  delle  sostanze,  nelle  quali  la  radiazione 
luminosa  abbia  una  velocità  compresa  fra  quelle  due.  Il 
balsamo  del  Canada  si  trova  a  punto  in  questo  caso. 

Ma  si  sa  che  quando  la  luce  passa  da  un  mezzo  nel 
quale  procede  con  relativa  lentezza,  ad  un  altro  nel  quale 
è  più  veloce,  può  intervenire  il  fatto  della  riflessione  to- 
tale. Quindi  si  intravede  la  possibilità  di  eliminare  uno 
dei  due  raggi,  che  si  producono  nello  spato  d'Islanda, 
sezionando  opportunamente  il  cristallo,  e  riunendone  i 
pezzi  con  uno  strato  di  balsamo  del  Canada  (*). 

(*)  In  pratica  il  problema  è  reso  più  complesso  dal  fatto  che 
la  velocità  di  uno  dei  due  raggi,  dentro  lo  spato  d'Islanda,  cambia. 
con  la  direzione. 


—   2iq    — 


A  punto  secondo  questo  concetto  si  preparano  i  prismi 
el  Nicol,  come  accennavo  in  principio  della  lezione. 

Non  insisto  su  l'argomento,  e  non  faccio  nemmeno 
esperienze  su  la  doppia  rifrazione  della  luce,  perchè  tanto 
non  sarebbe  possibile  di  studiare  nello  stesso  modo  i 
raggi  del  Hertz.  I  cristalli,  che  noi  possediamo,  sono  troppo 
piccoli  per  questo. 

Ciò  non  vuol  dire  che  i  mezzi  birifrangenti  per  la 
luce  non  lo  siano  anche  per  i  raggi  elettromagnetici  ;  solo 
non  si  possono  dare  del  fenomeno  delle  prove  dirette. 

Ne  vedremo  alcune  di  indirette,  ma  pure  pienamente 
convincenti,  nella  lezione  prossima. 

§  6.  —  Ora  passo  a  dimostrare  una  proprietà  dei  raggi 
luminosi,  della    quale  anche  ci  dovremo  servire. 

Vi  è  un  altro  modo  per  polarizzare  la  luce,  che  si 
ricollega  con  il  fenomeno  della  riflessione. 

Si  trova  in  fatti  che  i  raggi,  che  una  superficie  specu- 
lare rimanda,  sono  completamente  polarizzati  ogni  volta 
che  la  riflessione  si  faccia  sotto  un  angolo,  il  quale  varia 
bensì  con  la  sostanza  dello  specchio,  ma  è  per  ogni  so- 
stanza una  costante  caratteristica. 

Questo  fenomeno  si  può  utilizzare  in  tutti  quei  casi, 
dove  torni  necessario  conoscere  la  direzione  del  vettore 
luminoso,  almeno  per  quanto  ciò  è  possibile.  Si  capisce 
in  fatti,  senz'altro,  per  pure  ragioni  di  simmetria,  che  nella 
luce  polarizzata,  ottenuta  con  riflettere  il  raggio,  la  per- 
turbazione vettoriale  sarà  normale  al  piano  di  incidenza 
o  giacerà  in  esso.  Altrimenti  non  si  potrebbe  individuarne 
la  direzione. 

E  chiaro  d'altra  parte  che,  almeno  per  ora,  non  si 
saprà  scegliere  fra  le  due  soluzioni  possibili. 

In  pratica  il  fenomeno  della  polarizzazione  per  rifles- 
sione si  studia  con  un  piccolo  apparecchio,  dovuto  al 
Nòrrenberg. 

Da  un  piede  rettangolare  di  legno  ^fig.  93)  si  levano 
due  colonnine  d'ottone,  a  le  quali  è  assicurato  anzi  tutto  lo 
specchio,  girevole  intorno  ad  un  asse  orizzontale. 


—   2l6 


Più  in  alto,  al  sommo  delle  colonne,  sta  una  piatta- 
forma d'ottone,  che  regge  un  prisma  del  Nicol,  il  quale 
può  rotare,  ala  sua  volta,  intorno  ad  una  retta  verticale. 

Finalmente  fra  il  Nicol  e  lo 
specchio ,  è  ancora  interposta  una 
seconda  piattaforma  ,  forata  nel 
mezzo ,  su  la  quale  si  può  collo- 
care un  diaframma,  quando  importi 
restringere  il  campo  luminoso,  o 
pure  qualunque  corpo,  che  si  voglia 
far  attraversare  da  la  luce  polariz- 
zata. 

Dispongo  davanti  a  lo  specchio 
una  candela  accesa  ,  a  tale  altezza 
che  r  immagine  ne  sia  rimandata 
al  Nicol  sotto  un  angolo  di  cin- 
quantacinque gradi  a  l' in  circa. 
Questo  è ,  per  il  vetro,  l' angolo 
sotto  il  quale  si  fa  la  polarizza- 
zione totale  (*).  Così  l'apparecchio 
è  pronto  per  l'esperienza. 

Se  adesso  uno  di  Loro  accosta 
r  occhio  al  prisma ,  e  la  rotare 
questo  lentamente,  vedrà  il  campo 
passare  per  massimi  e  minimi  di 
luminosità  ad  ogni  quarto  di  giro. 
I  minimi  sono  affatto  oscuri, 
e  però  i  raggi  della  luce  riflessa,  nelle  condizioni  attuali, 
si  comportano  a  punto  come  quelli ,  che  sono  passati  a 
traverso  ad  un  prisma  del  Nicol.  Abbiamo  dunque  il 
diritto  di  dire  che  si  tratta ,  ancora  nel  caso  presente,  di 
raggi  polarizzati. 

(*)  L'angolo  in  quistione  varia  con  la  lunghezza  dell'onda;  il 
valore  qui  riportato  si  riferisce  a  la  parte  più  luminosa  dello  spettro 
visibile.  Per  certi  raggi  ultrarossi  l'angolo  stesso  sarebbe  alquanto 
più  grande;  si  confronti  in  proposito  la  lezione  decima. 


Fig-  93. 


—  217  — 

Si  è  presa  l'abitudine,  parlando  della  luce  polarizzata 
in  questo  modo,  di  chiamare  piano  di  polarizzazione  il 
piano  di  incidenza,  nel  quale  il  raggio  incontrò  lo  specchio 
polarizzatore. 

Ora  si  è  trovato  che  se  la  luce,  polarizzata  per  rifles- 
sione, incontra  una  seconda  superficie  speculare,  per  modo 
che  il  nuovo  piano  di  incidenza  sia  normale  al  piano  di 
polarizzazione,  è  sempre  possibile  scegliere  l'angolo,  sotto 
il  quale  il  raggio  incide,  in  modo  che  non  vi  sia  raggio 
riflesso. 

Di  proprietà  analoghe  godono  la  luce,  che  ha  attraver- 
sato un  prisma  del  Nicol,  e  le  onde  del  Hertz.  Propria- 
mente si  riconosce  che,  anche  per  tali  radiazioni,  vi  è  un 
piano  e  un  angolo  di  incidenza,  che  impediscono  la  rifles- 
sione. E  però  in  questi  casi  si  può  ancora  definire  il  piano 
di  polarizzazione  (42). 

Ma  per  i  raggi  del  Hertz  vi  è  modo  di  concludere 
qualche  cosa  di  più.  Il  raggio  elettromagnetico  risulta  in 
fatti  dal  propagarsi  della  forza  elettrica  ;  e  di  questa  si  sa 
assegnare  a  priori  la  direzione,  che  è  quella  dell'eccitatore. 

L'esperienza  permetterà  dunque  di  decidere  come  sia 
disposta  la  forza  rispetto  al  piano  di  polarizzazione.  Si 
trova  che  gli  è  normale. 

Quando  si  voglia  ammettere  l'identità  di  natura  fra  i 
raggi  luminosi  e  i  raggi  del  Hertz,  la  stessa  conclusione  si 
dovrà  estendere,  senz'altro,  al  caso  della  luce. 

t    *  *  * 

§  7.  —  Il  resultato,  ottenuto  oggi  da  noi,  si  enuncia 
affermando  che  la  perturbazione  luminosa  e  la  elettroma- 
gnetica sono  grandezze  vettoriali  ;  anche  si  può,  in  un  certo 
senso,  riconoscere  come  siano  dirette   nello  spazio. 


LEZIONE   QUATTORDICESIMA. 

Composizione  delle  vibrazioni  —  Fenomeni  di  po- 
larizzazione cromatica  —  Azione  dei  gesso  su 
la  luce  e  sopra  i  raggi  del  Hertz  —  Altri  sistemi 
birifrangenti. 

§  I.  —  Parecchie  volte,  nelle  lezioni  passate,  abbiamo 
dovuto  occuparci  dei  fenomeni,  a  i  quali  dà  luogo  il  so- 
praporsì  di  due  vettori  periodici ,  pendolari.  Così ,  per 
esempio,  quando  si  studiarono  i  fatti  dell'interferenza. 

Nei  nostri  esperimenti  si  componevano,  in  ogni  caso^ 
le  perturbazioni  di  due  raggi  di  luce  ordinaria,  o  pure  di 
due  raggi  del  Hertz ,  nei  quali  le  forze  elettriche  erano 
parallele.  Si  intende  bene  che,  dal  punto  di  vista  geome- 
trico, il  primo  di  questi  fenomeni  si  riduce  senz'  altro,  al 
secondo. 

Vogliamo  passare  oggi  a  l'esame  di  un  problema  com- 
pletamente nuovo;  e,  cioè,  ci  vogliamo  domandare  quali 
apparenze  devono  originarsi  da  la  composizione  di  due 
vettori  periodici,  pendolari,  ed  ortogonali. 

Ci  limiteremo  al  caso,  per  noi  più  interessante,  nel 
quale  il  periodo  delle  due  perturbazioni  è  il  medesimo. 

In  pratica  i  fatti,  che  i  nostri  ragionamenti  ci  faranno 
prevedere,  si  potranno  realizzare  con  sopraporre  due  raggi 
di  luce  polarizzata,  o  due  raggi  del  Hertz,  con  i  piani  di 
polarizzazione  ortogonali. 


219   — 

Questo  studio,  che  noi  si  intraprende  ora ,  potrebbe 
farsi  con  considerazioni  puramente  analitiche,  6  cinemati- 
che; ma  io  preferisco,  per  rendere  le  cose  più  ovvie  e 
meglio  comprensibili,  esaminare  un  modello  dei  fenomeni, 
e  ragionare  su  questo. 

E  fra  gli  infiniti  modelli ,  che  possediamo  delle  per- 
turbazioni periodiche,  scelgo  il  più  semplice  di  tutti,  vale 
a  dire  il  pendolo. 

Ecco  come,  al  caso 
pratico ,  si  dispongono 
le  cose. 

Due  sostegni  verti 
cali,  di  legno ,  reggono 
un'asta,  che  ho  disposto 
orizzontalmente  (fig  94); 
a  questa ,  con  quattro 
funicelle ,  concorrenti 
due  a  due,  è  raccoman- 
data una  tavoletta,  an- 
ch'essa di  legno. 

Le  funi  sono  di 
tale  lunghezza  che  la 
tavoletta,  se  la  si  lascia 
nella  sua  posizione  d'e- 
quilibrio, riesce  orizzon- 
tale. 

Quando  l'allontano 
da  codesta  posizione  e 
r  abbandono  ,  essa  co- 
mincia naturalmente  ad 
oscillare.  E  bene,  tale 
sistema  corrisponderà 
per  noi  ad  una  delle 
perturbazioni ,  che  si 
vogliono  comporre. 


tig.  94. 


Vediamo  come  si  rappresenti  la  seconda. 


—   220    — 

A  due  sostegni,  simili  in  tutto  a  quei  primi,  adatto  da 
capo  una  traversa  orizzontale,  e  dispongo  questa  perpen- 
dicolarmente a  l'altra,  un  poco  più  in  alto. 

E  poi,  con  quattro  pezzi  di  spago,  sospendo  a  la  nuova 
traversa  un  anello  di  piombo,  che  regge  un  imbuto.  L'im- 
buto è  di  vetro,  e  il  suo  collo  fu  tirato  a  la  fiamma  per 
modo  che  gli  resta,  in  fondo,  un  foro  di  pochi  millimetri. 

Qui  abbiamo,  come  si  intende,  un  altro  pendolo;  il 
quale  sarà  a  punto  il  modello  per  il  secondo  vettore  pe- 
riodico. Ho  scelto  la  lunghezza  delle  funi  per  modo  che 
le  durate  d'oscillazione  della  tavola  e  dell'  imbuto  sono 
uguali,  sensibilmente.  L'apparecchio  soddisfa  dunque  a  tutte 
le  condizioni  del  problema,  che  vogliamo  risolvere. 

Resta  a  trovarsi  un  artificio,  il  quale  ci  permetta  di 
inscrivere,  volta  per  volta ,  le  figure,  che  nascono  da  la 
composizione  dei  due  movimenti. 

A  tale  uopo,  seguendo  il  Righi  (43),  verserò  dentro  l'im- 
buto un  po' di  sabbia;  e  questa,  scendendo  per  il  foro 
sottile,  segnerà  su  la  tavoletta  una  traccia. 

Se,  per  cominciare,  tengo  ferma  la  tavola  e  metto  in 
movimento  l' imbuto,  si  produce,  come  vedono,  un  tratto 
rettilineo,  molto  ben  definito.  Ad  ogni  mezza  oscillazione 
il  sistema  oscillante  rifa  il  suo  cammino,  e  le  traccie  si 
soprapongono. 

Qualche  cosa  di  molto  simile  si  ottiene  quando,  in  vece, 
la  tavoletta  si  muove  e  l' imbuto  rimane  in  riposo.  Ma  il 
segmento,  sopra  il  quale  si  dispone  la  sabbia,  è  perpen- 
dicolare a  r  altro,  che  s' era  tracciato  nella  prima  espe- 
rienza. 

Andiamo  avanti  e  cerchiamo  di  produrre  qualche  fe- 
nomeno più  complesso.  Perchè  le  figure  rimangano  ben 
chiare,  io  procurerò  sempre  che  siano  descritte  nel  tempo 
di  un'unica  oscillazione.  A  l'uopo  faccio  che  l' imbuto  si 
muova  liberamente,  e  allontano  la  tavoletta  da  la  posizione 
del  riposo,  e  la  tengo  ferma  con  la  mano.  Poi  l'abbandono 
ad  un  dato  istante,  ma  sto  pronto   ad    afferrarla  e  tratte- 


nerla,  quando  essa  torna  la  prima  volta ,  dove  1'  avevo 
tenuta  da  principio. 

Vedono  quale  sia  il  resultato  della  composizione  dei 
due  movimenti.  Non  abbiamo  più  delle  traccie  rettilinee^ 
ma  bensì  una  linea  curva,  chiusa,  di  forma  ovata  ,  che  è 
precisamente  una  ellissi. 

Se  ripeto  molte  volte  l'esperienza,  lasciando  andare 
la  tavoletta  quando  l'imbuto  è  arrivato  a  diversi  punti  della 
sua  corsa,  o  pure  dandole,  da  principio,  uno  spostamento 
più  o  meno  grande,  le  figure,  tracciate  da  la  sabbia,  non 
sono  sempre  uguali,  ma  anzi  differiscono  per  la  forma,  e 
per  la  grandezza,  e  per  l'orientazione.  Bensì  la  natura  delle 
curve  rimane  la  stessa;  tutte  quante  sono  ellissi. 

Questo  si  può  dunque  considerare  come  un  resultata 
generale  della  nostra  ricerca  ;  che,  cioè,  componendo  due 
vettori  periodici,  ortogonali,  di  uguale  periodo,  e  direzione 
costante,  si  ottiene  un  vettore  il  quale  rota  in  un  piano,  e 
muta  di  lunghezza  per  modo  che  la  sua  estremità  percorre 
una  ellissi. 

§  2.  —  Si  sa  bene  che  l'ellissi  comprende  come  casi  par- 
ticolari il  segmento  di  retta  e  il  cerchio.  Propriamente  si  ri- 
duce ad  un  segmento  rettilineo,  contato  due  volte,  se  uno 
degli  assi  tende  a  la  lunghezza  zero  ;  e  degenera  in  un 
cerchio,  se  1  due  assi  doventano  uguali. 

Interessa  di  cercare  sotto  quali  condizioni  la  risultante 
di  due  vettori  ortogonali  avrà  una  direzione  fissa,  o  pure, 
in  vece,  una  grandezza  costante.  Si  capisce  che  questi  due 
casi  corrispondono  a  punto  a  la  retta  e  al  cerchio. 

Per  risolvere  la  quistione  comincio  a  spostare,  come 
dianzi,  la  tavoletta,  quindi  pongo  in  movimento  l' imbuto. 

Mentre  sollevavo  la  tavoletta  la  sabbia  ha  tracciato 
sopra  di  essa  un  segmento,  ed  ora,  per  il  moto  dell'  im- 
buto, ne  traccia  un  altro,  ortogonale  al  primo. 

Colgo  l'istante  in  cui  il  secondo  sistema  giunge  a  l'e- 
stremo della  sua  corsa,  e  abbandono  l'assicella.  La  sabbia 
segna  di  nuovo  un  tratto  rettilineo,  inclinato  sopra  i  due 
di  prima. 


Ora  la  tavola,  quando  il  suo  moto  comincia,  si  trova 
sempre  a  la  massima  elongazione.  Si  ha  dunque  una  retta, 
in  luogo  di  una  ellissi  più  generale,  quando  le  due  oscil- 
lazioni, che  si  compongono,  cominciano  insieme,  o,  coro.e 
si  dice,  sono  coincidenti  di  fase. 

Ma  è  chiaro  che  un  resultato  simile  avrei  ottenuto,  se 
avessi  aspettato  a  muovere  la  tavoletta  quando  l'imbuto 
fosse  giunto  a  l'altro  estremo  della  sua  oscillazione.  In  tale 
caso  dobbiamo  dire  che  i  due  sistemi  sono  in  ritardo  uno 
su  l'altro  di  un  mezzo  periodo. 

E  si  potrà  concludere,  in  generale,  che  la  resultante 
di  due  vettori  periodici  deve  conservare  la  sua  direzione, 
tutte  le  volte  che  i  due  sistemi  sono  in  ritardo,  uno  su 
l'altro,  di  un  numero  intero  di  mezzi  periodi. 

Cerchiamo  adesso  di  ottenere  dei  cerchii. 

Riprendo  l' esperienza  da  capo.  E,  come  prima,  de- 
scrivo i  due  segmenti  rettilinei  ortogonali. 

Si  capisce  che  il  punto,  dove  queste  rette  si  incon- 
trano, segna  la  posizione  d'equilibrio  del  secondo  sistema 
oscillante. 

La  lunghezza,  che  corre  di  qui  a  l'estremo  del  tratto, 
prodotto  da  lo  spostamento  della  tavoletta,  o  pure  l' altra 
distanza,  che  intercede  fra  lo  stesso  punto  e  il  termine  di 
uno  dei  due  segmenti  (per  diritto),  generati  dal  moto  del- 
l'imbuto, mi  rappresentano  ciò,  che  posso  chiamare  le  am- 
piezze (*)  delle  due  vibrazioni. 

E  bene,  io  voglio  comunicare  a  l' imbuto  un  tale  im- 
pulso che  queste  ampiezze  risultino  uguali. 

E  poi  lascio  partire  la  tavola  nell'istante  a  punto,  in 
cui  il  sistema  oscillante  ripassa  per  la  posizione  del  riposo. 
Vedono  che  la  sabbia  disegna  un  cerchio  perfetto. 

Nel  caso  presente  la  curva  fu  descritta  nel  senso,  nel 
quale  girano  gli  indici  dell'orologio,  e  il  movimento  della 
tavola  incominciò  quando  l'imbuto   passava    pel   punto  dì 


(*)  Si  confronti  la  lezione  dodicesima. 


—   223    — 

mezzo  della  sua  escursione,  procedendo  da  la  mia  sinistra 
verso  la  mia  destra. 

Posso  ripetere  l'esperienza,  cogliendo  l'istante  del  pas- 
saggio in  senso  opposto.  Ottengo  ancora  un  cerchio,  ma 
questa  volta  è  descritto  contrariamente  a  gli  indici  del- 
l'orologio. 

E'  manifesto  che  i  nuovi  resultati  si  devono  enunciare 
dicendo  che  due  vettori  periodici,  ortogonali,  si  compon- 
gono in  un  vettore  di  grandezza  costante,  ogni  volta  che 
le  loro  ampiezze  sono  uguali,  e  l'uno  è  in  ritardo  su  l'altro 
di  un  numero  dispari  di  quarti  di  periodo. 

§  3.  —  Quando  si  vogliono  riprodurre,  nel  modo  che 
ho  accennato  in  principio  della  lezione,  impiegando  cioè  due 
raggi  di  luce  o  due  raggi  del  Hertz,  i  fatti,  che  abbiamo 
riconosciuto  ora  sul  modello,  non  si  potrà  naturalmente 
fare  uso  di  due  sorgenti  distinte.  Perchè  non  vi  sarebbe 
il  mezzo  per  regolare  le  ampiezze  dei  vettori  e  il  ritardo 
relativo. 

Si  incontra  qui  una  difficoltà  analoga  a  quella  che  si 
offerse  a  noi  nello  studio  dei  fenomeni  di  interferenza  (*). 
Il  modo  d'evitarla  è  il  medesimo.  Bisogna  ricavare  da  uno 
stesso  raggio  i  due  vettori,  che  si  devono  sopraporre. 

Questo  si  potrà  fare,  manifestamente,  per  la  luce,  con 
l'impiego  di  un  corpo  biri frangente. 

Si  supponga  in  fatti  che  un  raggio  polarizzato  cada 
per  diritto  sopra  una  laminetta,  a  faccie  piane  e  parallele, 
tolta  a  punto  ad  un  cristallo,  che  presenti  il  fenomeno 
della  doppia  rifrazione.  Il  vettore  incidente  si  decompone 
secondo  due  direzioni  fisse,  ortogonali,  e  le  due  compo- 
nenti si  propagano,  ciascuna  per  suo  conto,  con  velocità 
diverse. 

Essendo  diverse  le  velocità  saranno  pure  disuguali  le 
lunghezze  delle  onde  (**),  quindi,  nello  spessore  della  la- 


(*)  Si  confronti  la  lezione  nona. 
(**)  Si  confronti  la  lexione  nona. 


—   224   — 

mina,  staranno,  lungo  uno  dei  due   raggi,   più    onde   che' 
lungo  l'altro.  E'  quanto  dire  che,  a  l'uscita,  il  secondo  vet- 
tore sarà  in  ritardo  sul  primo. 

E,  scegliendo  convenientemente  la  lamina,  si  potrà 
fare  che  il  ritardo  importi  un  numero  intero  di  mezzi  pe- 
riodi, o  pure  un  numero  dispari  di  quarti  di  periodo. 

Nel  primo  caso  si  avrà  di  nuovo  un  raggio  di  luce 
polarizzata;  nel  secondo,  ove  l'ampiezza  delle  due  compo- 
nenti sia  la  stessa,  si  otterrà  della  luce,  nella  quale  il 
vettore  luminoso  si  mantiene  costante  in  grandezza,  e  rota 
in  un  piano  normale  ala  direzione  della  propagazione. 

L'uguaglianza  di  ampiezza  poi,  fra  i  due  vettori,  dentro 
il  cristallo,  si  raggiunge  girando  la  lamina,  in  guisa  che  il 
piano  di  polarizzazione  del  raggio  incidente  bisechi  l'an- 
golo compreso  fra  le  loro  direzioni. 

Per  fare  le  esperienze  mi  valgo  dell'apparecchio  del 
Norrenberg,  che  ho  descritto  nell'ultima  lezione  {*). 

Come  allora  prendo  per  sorgente  una  candela,  e  ne 
regolo  l'altezza  per  modo  che  la  luce  arrivi  polarizzata  al 
prisma  del  Nicol.  Quindi  giro  quest'  ultimo,  fino  a  che  il 
campo  doventi  affatto  bìiio. 

E  poi,  su  la  piattaforma  di  mezzo,  dispongo  una  lami- 
netta,  ricavata  da  un  cristallo  di  gesso. 

Se  uno  di  Loro  accosta  l'occhio  a  l'orifizio  del  Nicol 
vedrà,  probabilmente,  che  è  tornata  la  luce.  E  se  ne  in- 
tende subito  il  perchè. 

Il  vettore  luminoso,  che  emerge  da  la  lamina  cristal- 
lina, descrive  con  la  sua  estremità  un'ellissi  ;  ha  dunque 
una  proiezione  non  costantemente  nulla  sopra  ogni  retta 
del  suo  piano. 

Questo  almeno  in  generale.  Perchè  si  può  prevedere 
che  il  campo  rimarrà  oscuro  per  due  posizioni  della  la- 
strina di  gesso.  Per  quelle  in  cui  le  due  direzioni  possibili,, 
per  il  vettore  luminoso,  sono  una  normale  e  l'altra  paral- 


(•)  Si  confronti  la  lezione  tredicesima,  fig.  93. 


—    225    — 

lela  al  piano    di    polarizzazione    della    luce    riflessa  da  Io 
specchio. 

In  questi  casi  si  ha  ciò,  che  corrisponde,  nel  modello, 
al  moto  di  uno  solo  dei  due  sistemi  oscillanti. 

Quando  poi  si  abbia,  effettivamente,  l'ellissi,  si  intende 
che  la  grandezza  (massima)  della  proiezione  dipenderà  da  la 
direzione,  su  la  quale  il  vettore  si  proietta.  In  altre  parole, 
girando  il  Nicol,  si  deve  osservare  un  cambiamento  nella 
luminosità  del  campo. 

E'  ciò  che  si  verifica  facilmente  con  11  nostro  appa- 
recchio. 

Si  trova,  di  più,  che,  in  un  giro  intero,  vi  sono  due 
massimi  e  due  minimi,  i  quali  si  alternano  a  novanta  gradi 
di  distanza. 

E'  manifesto  (*)  che  i  massimi  si  devono  verificare 
quando  il  piano  di  polarizzazione  della  luce,  che  traversa 
il  Nicol,  contiene  l'asse  minore  dell'  ellissi  ;  e  i  minimi,  in 
vece,  quando  in  quel  piano  giace  Tasse  maggiore. 

11  ritardo  di  uno  dei  due  raggi  su  l'altro  ,  a  l'uscire 
da  la  laminetta  cristallina,  dipende  ,  essenzialmente  ,  da  lo 
spessore  della  lamina  e  da  la  natura  della  sua  sostanza. 
Ma  il  rapporto  fra  il  ritardo  e  il  periodo  varia ,  come  è 
naturale,  con  quest'ultimo.  Quindi  le  condizioni  della  com- 
posizione sono  molto  diverse  per  le  varie  onde  ;  e  se  si 
osserva  in  luce  bianca,  come  è  il  caso  nostro  ,  la  lamina 
appare  colorata. 

Per  questo  i  fatti,  che  stiamo  studiando,  si  chiamano 
comunemente  fenomeni  di  polarizzazione  cromatica. 

Si  capisce  che  tali  apparenze  potranno  servire,  quando 
si  voglia  riconoscere  se  un  mezzo  è,  o  meno,  birifrangente. 
Sopra  tutto  in  quei  casi,  nei  quali  la  separazione  dei  due 
raggi  non  è  così  netta  come  nello  spato  d' Islanda,  o  pure 
non  si  possiede  un  cristallo  abbastanza  grande  per  produrla. 


(•)  Almeno  se  si  sappone  che  il  vettore  luminoso  sia  normale 
al  piano  di  polarizzazione  (si  confronti  la  lezione  tredicesima). 

15 


—    220    

§  4-  —  Quest'ultima  difficoltà  si  presenta  a  punto,  come 
notavo  nella  scorsa  lezione,  quando  si  vuole  studiare  il  com- 
portamento dei  cristalli  naturali,  rispetto  a  i  raggi  di  forza 
elettrica. 

Sembra  dunque  opportuno  di  ricorrere  ad  una  dispo- 
sizione analoga  a  quella,  che  fornisce  i  fenomeni  di  pola- 
rizzazione cromatica,  per  vedere  di  risolvere  questo  im- 
portante problema. 

La  cosa  riesce  bene  con  l'apparecchio,  che  ho  dispo- 
sto qui  (44). 

I  circuiti ,  primario  e  secondario ,  dei  quali  mi  servo, 
sono  quelli  del  Righi.  Propriamente  Teccitatore  è  lo  stesso, 
che  ho  impiegato  già  altre  volte;  il  risonatore  ha  una 
lunghezza  di  tre  centimetri  e  sei. decimi. 


Fig.  95- 

Il  primo  circuito  è  munito  dello  specchio  sferico,  nel 
modo  consueto  ;  11  secondo    ha  uqo   specchio    parabolico, 


227    

di  cartoncino ,  coperto  di  striscia  di  stagnola  f  *).  Questo 
riflettore  secondario  è  disposto  sopra  una  tavoletta ,  per 
modo  che  la  sua  linea  focale  riesca  parallela  al  piano  di 
essa.  E  qui  si  trova  anche  il  microscopio,  destinato  a  l'os- 
servazione delle  scintille. 

La  tavoletta  poi  è  girevole  intorno  ad  un  asse  oriz- 
sontale, sorretto  da  due  cuscinetti  'fig.  95). 

Quando  l'assicella  è  orizzontale,  come  in  questo  mo- 
mento, l'eccitatore  e  il  risonatore  restano  incrociati.  E  però, 
se  anche  il  primo  circuito  lavora  ,  il  secondo  rimane  in 
quiete,  e  al  microscopio  non  si  osservano  scintille. 

Possiamo  verificarlo  subito,  eccitando  ,  con  una  mac- 
china del  Holtz,  le  scariche  del  primario. 

Ma  le  cose  cam- 
biano se,  nello  spazio 
interposto  fra  i  due 
conduttori  .  si  intro- 
duce una  lamina  cri- 
stallina. 

Il  corpo ,  che  im- 
piego per  fare  Tespe- 
rienza,  è  una  grossa 
lastra  di  gesso.  Avrà 
forse  quattro  centi- 
metri di  spessore. 

L'ho    fissata    soli 
damente  ad  una  larga 

lamina  ottagonale  di  o-  7  • 

ferro,  la  quale  ha  ,  verso  il  mezzo  ,  un  foro  circolare  di 
dieci  centimetri  (fig.  96.  Questo  \iene  coperto  a  punto 
dal  gesso. 

Ho  dato  a  la  lamina  di  ferro  la  forma  di  un  ottagono 
regolare,  perchè  sia  facile  imprimerle  delle  rotazioni  di 
quarantacinque  gradi.  Si  capisce  in  fatti  che  se,  con  la  mano. 


(*)  Si  confronti  la  lezione  undicesima. 


—    228    — 

rizzo  questo  schermo,  per  modo  che  uno  dei  lati  si  ap- 
poggi sul  tavolo;  e  poi  lo  roto,  fino  a  che  il  lato  seguente 
sia  venuto  in  luogo  di  quel  primo,  avrò  girato  il  sistema 
di  un  mezzo  angolo  retto  (*). 

Vediamo  ora  come  l'esperienza  riesce. 

Uno  di  Loro  può  accostare  1'  occhio  al  microscopio^ 
io  metto  in  movimento  la  macchina  del  Holtz. 

Adesso,  naturalmente,  non  si  vedono  scintille.  Intro- 
duco lo  schermo,  appoggiando  sul  tavolo  uno  dei  lati  della 
lamina  ;  nemmeno  ora  le  scariche  passano.  E  bene,  por- 
tiamo in  basso  il  lato  successivo  e  il  secondario  si  ecci- 
terà. Così  accade  in  fatti. 

Se  ne  conclude  che  il  gesso  è  birifrangente  per  i  raggi 
del  Hertz,  come  lo  è  per  la  luce. 

E  notino  che  l'analogia  nei  due  casi  è  completa.  Per 
esempio,  io  posso  ora  lasciare  in  riposo  lo  schermo  e  far 
rotare,  in  vece,  lo  specchio  secondario  ;  ma  in  questo  mo- 
vimento non  mi  riesce  di  spengere  le  scintille  indotte,  bensì 
esse  raggiungono  due  massimi  e  due  minimi,  molto  chiari» 
ad  ogni  giro  intero.  E  veramente  ì  vettori  elettrici ,  che 
emergono  dal  cristallo,  si  devono  comporre  in  una  forza,, 
la  cui  estremità  descrive  un'ellissi. 

§  5.  —  In  una  lastrina  di  gesso  le  direzioni  possibili  per  il 
vettore  luminoso  sono  sensibilmente  indipendenti  da  la  lun- 
ghezza delle  onde,  su  le  quali  si  sperimenta. 

Ce  ne  possiamo  persuadere  in  un  modo  assai  sem- 
plice. Io  prendo  una  laminetta  di  gesso  e  la  sfaldo  par- 
zialmente, così  che  essa  abbia  in  diversi  punti  diversi  spes- 
sori. E  poi  la  colloco  su  la  piattaforma  dell'  apparecchio 
del  Nòrrenberg. 

Avevo  avuto  prima  l'avvertenza  di  girare  il  Nicol  in 
modo  che  il  campo  fosse  oscuro.  Ma  adesso,  senza  dubbio, 
deve  essere  tornata  la  luce. 


(•)  Nel  fissare  la  lastra  di  gesso,  bisogna  avere  l'avvertenza  di 
disporla  in  tale  posizione  che  le  due  direzioni  possibili,  per  la 
forza  elettrica,  nel  cristallo,  risultino  normali  a  due  coppie  di  lati. 


—    229    — 

Quello  di  Loro,  che  sta  ad  osservare  ,  vedrà  che  le 
diverse  regioni  della  laminetta  brillano  di  colóri  diversi. 
È  naturale  che  sia  così ,  dal  momento  che ,  da  punto  a 
punto,  varia  lo  spessore. 

E  bene,  si  provi  ora  a  girare  il  cristallo  ;  1*  intensità 
della  luce  trasmessa  cambia  ;  fino  a  che,  in  un  certo  istante, 
tutti  i  colori  si  spengono,  contemporaneamente.  Questo  è 
-d'accordo  con  ciò,  che  avevo  detto. 

Ma  qui  nasce  subito  una  quistione.  Si  può  domandare 
in  fatti  se  la  cosa  sarà  sempre  vera  per  i  raggi  del  Hertz, 
se  cioè  le  direzioni  possibili  per  il  vettore  luminoso  e 
quelle  delia  forza  elettrica  coincidono  o  no. 

E  molto  facile  rispondere  ad  una  tale  domanda. 

Poniamo  fra  i  due  specchii  il  nostro  schermo  ,  procu- 
rando che  il  secondario  non  si  ecciti  ;  e  quindi,  servendoci 
di  un  filo  a  piombo,  tracciamo  su  la  lastra  di  gesso  una 
scalfittura  verticale.  Questa  indicherà  la  direzione  di  una 
delle  componenti,  nelle  quali  si  scinde  ogni  forza  elettrica, 
che  si  propaghi  entro  il  cristallo  (*). 

Ora  sfaldiamo  la  grande  lastra,  in  modo  da  ricavarne 
una  laminetta  sottile  ;  e  prendiamola  a  punto,  dove  si  era 
praticata  la  scalfittura.  Sicché  anche  su  questo  pezzo  stac- 
cato si  avrà  la  traccia  di  quella  direzione  privilegiata. 

La  lastrina  ora  la  portiamo  su  la  piattaforma  dell'ap- 
parecchio del  Norrenberg,  e  procuriamo  che  la  traccia  rie- 
sca parallela  al  piano,  nel  quale  la  luce  ,  incidendo  su  Io 
specchio,  si  polarizza.  Questo  si  fa  agevolmente  ,  perchè 
su  la  piattaforma  sono  incisi  dei  segni ,  in  corrispondenza 
di  tale  piano. 

Essendosi  disposto,  da  principio,  il  Nicol  a  l'oscurità, 
ci  dobbiamo  aspettare  che  il  campo  rimanga  buio,  quando, 
nel  gesso,  le  direzioni  del  vettore  luminoso  e  del  vettore 
elettrico  siano  coincidenti. 


(*;  Perchè  l'eccitatore  è  verticale  e  il    risonatore  è  disposto   a 
novanta  gradi  da  esso. 


—  230  — 

Ma  basta  accostare  l'occhio  al  Nicol  per  riconoscere 
che  ciò  non  accade;  il  campo  è  anzi  vivissimamente  illu- 
minato. E  per  ridurci  a  l'oscurità  bisogna  girare  la  lastrina 
press'a  poco  di  un  mezzo  angolo  retto. 

Questo  vuol  dire  che,  quando  si  passa  dal  caso  della 
luce  a  quello  dei  raggi  del  Hertz,  le  direzioni,  corrispon- 
denti a  i  massimi  e  a  i  minimi,  sono  sensibilmente  scambiate. 
Ho  detto  sensibilmente  perchè ,  se  si  fanno  delle  misure 
un  po'  esatte,  si  trova  che  in  realtà,  le  due  coppie  di  di- 
rezioni privilegiate  sono  a  quarantun  grado,  e  non  a  qua- 
rantacinque, una  da  l'altra  (45). 


Questa  tavola,  che  ho  fatto  disegnare  (fig.  97),  mostra 
a  punto  come  stanno  le  cose. 

In  essa  si  può  intendere  che  i  segmenti  a  tratto  con- 
tinuo corti  rappresentino  i  due  vettori  luminosi;  allora  i 
segmenti  a  tratto  interrotto  corrispondono  a  i  vettori  elet- 


—   231   — 

trici  ;  e  il  segmento  continuo  lungo  è  la  bissettrice  dell'an- 
golo compreso  fra  le  prime  due  direzioni. 

Il  fatto,  di  cui  parlo,  è  tanto  più  interessante  perchè 
per  altri  cristalli  esso  non  si  verifica  ;  bensì  in  essi  la  luce 
e  i  raggi  del  Hertz  si  comportano  esattamente  a  lo  stesso 
modo. 

Sembra  assai  difficile  rendere  conto  di  questa  azione 
anormale  del  gesso. 

§  6.  —  I  raggi  di  forza  elettrica  passando  a  traverso  a 
molte  sostanze,  opache  per  la  luce,  è  interessante  cercare  se 
talune  di  queste,  le  quali  hanno  una  struttura  manifesta- 
mente non  isotropa  (*),  presentino  dei  fenomeni  di  doppia 
rifrazione. 

Una  di  tali  sostanze  sarebbe  il  legno. 

E  bene,  fu  trovato  dal  Righi  (46),  che  questo  corpo  a  punto 
è  birifrangente  per  i  raggi  di  forza  elettrica.  Le  esperienze 
del  Righi  furono  anzi  le  prime,  nelle  quali  fosse  posta  in 
chiaro  un'azione  di  questo  genere. 

Noi  possiamo  verificare  agevolmente  che  una  tavo- 
letta di  legno  d'abete,  tagliata  parallelamente  a  le  fibre, 
dà  luogo  a  tutti  quei  fatti  di  polarizzazione  cromatica, 
che  abbiamo  prodotto  dianzi  con  una  lastra  di  gesso.  La 
direzione  delle  fibre  è  una  delle  direzioni  privilegiate. 

Questa  proprietà  del  legno  è  assai  preziosa  in  quanto 
ci  fornisce  un  materiale  birifrangente,  che  costa  poco  e 
si  lavora  con  facilità. 

Io  ne  tirerò  partito  per  dimostrare  loro  la  possibilità 
di  produrre  i  fenomeni  corrispondenti  a  i  casi  in  cui  l'el- 
lissi degenera  in  una  retta  o  pure  in  un  cerchio  (47). 

Impiegherò  a  l'uopo  due  tavole  di  legno  d'abete,  di 
venticinque  e  quattordici  centimetri  di  spessore.  La  prima 
si  può  chiamare  lamina  di  urta  mezz'onda  e  l'altra  la- 
mina   di  un  quarto  d'onda. 

Faccio  agire  la  macchina  del  Holtz,  tenendo  per  ora 


(.*)  Cioè  uniforme  in  tutte  le  direzioni. 


—    232    — 

i  due  conduttori  incrociati,  e  interpongo  la  prima  lamina. 

Le  scintilline  al  risonatore  si  producono ,  ma  posso 
ridurle  a  zero,  semplicemente  rotando  lo  specchio  secon- 
dario. E  si  capisce  che  deve  essere  così,  se  il  raggio  con- 
vergente ha  un  vettore  a  direzione  costante,  come  l'inci- 
dente. 

Passiamo  a  la  lamina  di  un  quarto  d'onda.  Questa  la 
disponiamo  fra  il  primo  e  il  secondo  circuito,  in  modo 
che  le  sue  fibre  sieno  inclinate  di  sessantasette  gradi 
su  l'orizzonte  (*j.  Adesso,  se  si  osserva  al  microscopio,  si 
vedono  delle  scintille  assai  chiare;  ma  non  è  possibile 
modificarne  l'intensità,  girando  il  risonatore.  Perchè  la  la- 
mina è  così  spessa  che  il  vettore  emergente  rota  nel  suo 
piano  e  si  conserva  costante  in  grandezza. 


Fig.  98. 
Assolutamente  gli  stessi    fatti   posso    ottenere    speri- 


(*)  Bisogna  inclinare  a  sessantasette  gradi,  in  vece  che  a  qua- 
rantacinque, perchè  l'assorbimento  esercitato  dal  legno  è  nella  di- 
rezione delle  fibre  assai  più  forte  che  in  ogni  altra. 


—  233  — 

meritando  su  la  luce,  con  l'apparecchio  del  Norrenberg  ; 
purché  io  sostituisca  a  le  tavole  d'abete  due  lastrine  di 
mica  di  spessore  conveniente. 

§  7.  —  Ma  la  doppia  rifrazione  dei  raggi  di  forza 
elettrica  si  può  anche  produrre  con  dei  sistemi  anisotropi 
artificiali. 

Si  ottiene  uno  di  questi  modelli  di  cristalli,  disponendo 
parallelamente  molte  bacchettine  di  vetro  e  legandole  con 
un  po'  di  paraffina  fusa  (fig.  98). 

In  tale  corpo  la  direzione  delle  bacchettine  è  una 
delle  due  possibili  per  il  vettore  elettrico  (48). 

Non  è  il  caso  di  insistere  troppo  su  questo  argomento. 

*     » 

§  8.  —  Piuttosto  conviene  riassumere  i  resultati,  a  i 
quali  siamo  giunti  nella  presente  lezione. 

Essenzialmente:  abbiamo  trovato  che  certi  cristalli 
sono  birifrangenti  per  i  raggi  del  Hertz,  come  lo  sono 
per  la  luce. 

E,  valendoci  di  una  proprietà  dei  corpi  dotati  di  doppia 
rifrazione,  abbiamo  studiato  i  fenomeni,  che  nascono  da  la 
composizione  di  due  vettori  (luminosi  od  elettrici)  orto- 
fifonali. 


LEZIONE  QUINDICESIMA. 

Un  altro  modello  per  le  molecole  dei  corpi  —  Azione 
dell'aria  ionizzata  sopra  i  conduttori  elettrizzati 
e  sopra  le  scariche. 

§  I.  —  In  due  delle  scorse  lezioni,  mentre  esaminavo  le 
proprietà  più  notevoli  del  secondario  del  Hertz,  e  facevo  ve- 
dere come,  raccogliendo  in  uno  spazio  chiuso  un  certo 
numero  di  tali  conduttori,  si  potessero  riprodurre  alcuni 
dei  fatti  più  caratteristici ,  che  seguono  da  V  azione  della 
materia  ponderale  su  la  luce,  accennai  ripetutamente  al 
carattere  di  model/o,  che  veniva  ad  assumere  per  noi 
il  risonatore. 

Ora  rammentano  bene  che,  da  la  possibilità  di  rappre- 
sentare, in  un  modo  determinato,  un  fenomeno  della  na- 
tura, non  segue  per  nulla,  in  generale ,  che  quel  modo 
di  rappresentazione  sia  unico .  Anzi  piuttosto  il  con- 
trario. 

Anche  ricordano  che,  talora,  l'imagine,  che  noi  ci  for- 
miamo di  un  dato  fatto,  può  coincidere  con  la  realtà  per 
alcuni  caratteri,  e  non  per  altri  ;  sicché  avviene  che,  fra 
gli  infiniti  modelli  possibili  per  il  fatto  in  quistione,  si 
debba  pure  stabilire,  in  qualche  modo,  un  ordine  di  ac- 
cettabilità. 

Ma  ,  discorrendo  della  bella  esperienza  di  Rubens  e 
Nichols,  ho  già  accennato  come  l'uso  del  risonatore  del  Hertz, 


—  235  — 
per  rappresentare  la  molecola  materiale,  conduce  incontro 
a  certe  difficoltà.  Almeno  se  non   si    vogliono   introdurre 
delle  ipotesi  sul  valore  delle  quali  è  assai  difficile  di  pro- 
nunciarsi. 

E  bene,  voglio  mostrare  oggi  in  qual  modo  si  possa> 
sempre  dal  punto  di  vista  elettromagnetico,  imaginare  un 
modello  delle  molecole  materiali ,  che  a  quelle  obiezioni 
non  è  soggetto.  Sarà  dunque  un  modello  preferibile  a 
l'altro,  sotto  questo  riguardo. 

Quando  riassumevo,  da  principio,  le  cose  più  importanti 
dell'elettricità,  ho  fatto  anche  un  cenno  del  fenomeno  del- 
l'elettrolisi. Ho  detto  allora  che,  per  intendere  come  le  so- 
luzioni saline  conducano,  bisogna  ammettere  che  la  mole- 
cola del  sale  si  scinde  in  due  parti ,  gli  ioni ,  recanti  ca- 
riche uguali  ed  opposte. 

Il  fatto  poi  che  l'elettricità  passa  anche  a  traverso  a  i 
gassi  si  può  interpretare  nello  stesso  modo. 

Possiamo  immaginare  invero  che,  in  un  tubo  del  Geis- 
sler,  percorso  da  le  scariche,  avvengano  dei  fenomeni  ana- 
loghi a  quelli  dell'elettrolisi. 

Se  la  conducibilità  cresce  fino  ad  un  certo  punto  con 
la  rarefazione,  questo  dipende  probabilmente  da  ciò  che^ 
in  un  gasse  più  rado,  è  maggiore  il  numero  delle  molecole 
già  dissociate  in  condizione  normale,  o,  come'  si  dice,  è 
maggiore  la  ionizzazione. 

Questo  modo  di  considerare  le  cose  ha  acquistato  un 
alto  grado  di  verisimiglianza,  dopo  che  furono  osservati 
dal  Pringsheim,  in  un  tubo  a  vuoto,  dei  fatti,  analoghi  in 
tutto  a  quelli  della  polarizzazione  (*)  elettrolitica  (49). 

§  2.  —  Del  resto  l'esistenza  delle  cariche  elettriche  su  le 
molecole  gassose  dissociate  si  può  verificare  direttamente 
in  parecchii  modi. 

Suppongano  di  portare  un  conduttore  elettrizzato  posi- 


(')  La  polarizzazione  è  un  fenomeno  secondario  susseguente  a 
l'elettrolisi. 


—  236  — 

tivamente,  per  esempio,  in  un'atmosfera,  che  contenga  un 
certo  numero  di  atomi  liberi.  Il  conduttore  attrarrà  quelli 
tra  gli  atomi,  che  hanno  una  carica  negativa,  e  terrà  lon- 
tani i  positivi. 

Quindi  l'elettrizzazione,  che  abbiamo  dato  al  corpo, 
sul  quale  si  sperimenta,  si  andrà  man  mano  neutralizzando, 
iìno  a  che  sia  scomparsa  del  tutto.  Tornato  il  conduttore 
a  la  sua  condizione  normale  potrà  accadere  bensì  che  ta- 
luni ioni  lo  vengano  ad  urtare,  ma  non  vi  è,  evidente- 
mente, ragione  perchè  questi  siano  piuttosto  carichi  di 
-elettricità  negativa  che  di  positiva  ;  sicché  non  vedremo 
prodursi  più  nessuna  elettrizzazione  sensibile. 

Un  primo  modo  per  disperdere  le  cariche  elettro-sta- 
tiche consiste  nel  far  arrivare  sul  corpo,  che  si  studia,  i 
prodotti  gassosi  risultanti  da  la  combustione. 

Per  le  reazioni  violente,  che  succedono  in  una  fiamma, 
■è,  in  fatti,  estremamente  probabile  che  nei  gassi,  che  ne  de- 
rivano, siano  contenuti  molti  atomi  liberi. 

Per  fare  l'esperienza  impiego  un  disco  d'ottone,  con 
gli  orli  bene  arrotondati.  Ho  sospeso  questo  conduttore  a 
tre  cordoncini  di  seta  non  tinta  (e  quindi  perfettamente 
isolante)  e  l'ho  riunito  con  un  filo  metallico  ad  un  comune 
•elettroscopio  a  foglie  d'oro. 

Toccando  il  disco  con  un  bastone  di  ebanite,  che  ho 
strofinato  prima  con  la  pelle  di  gatto,  carico  tutto  il  si- 
stema di  elettricità  negativa.  Come  vedono  le  foghe  del- 
l'elettroscopio divergono  ora  fortemente. 

Ma  se,  sotto  al  disco,  ad  un  metro  di  distanza,  pongo 
una  candela  accesa ,  la  carica  si  disperde  con  rapidità ,  e 
le  foglie  d'oro  si  avvicinano,  e  cascano,  da  ultimo,  una  su 
l'altra. 

Posso  lasciare  la  candela  per  un  certo  tempo  dove  si 
trova  ora,  senza  che  si  abbia  a  rilevare  la  minima  traccia 
-di  elettrizzazione. 

E  questo  è  a  punto  quello  che  avevamo  preveduto. 

Ripeterò    l'esperienza   perchè  la  vedano   ancora   una 


—  237  — 
volta;  e,  magari,  darò  al  disco  una  carica  positiva,  toccan- 
dolo con  un  tubo  di  vetro,  sfregato  con  un  pannolano.  Le 
cose  vanno  esattamente  come  prima  e  nemmeno  si  osserva 
una  differenza  sensibile  nella  durata  del  fenomeno. 

E  notino  che  i  prodotti  della  combustione  disperdono 
le  cariche  elettrostatiche  proprio  perchè  hanno  quella  spe- 
ciale origine  e  non,  per  esempio,  in  causa  della  loro  ele- 
vata temperatura. 

Per  vero  io  li  posso  raffreddare  senza  che  essi  per- 
dano la  virtù  scaricatrice. 

A  tal'  uopo  mi  servo  di  un  lungo  tubo  di  vetro,  pie- 
gato a  serpentino.  Questo  termina  in  basso  con  un  imbuto 
di  latta,  ed  è  immerso  in  un  vaso  pieno  d'acqua  fredda. 

Immediatamente  sopra  l'apertura  superiore  del  serpen- 
tino colloco  ora  il  disco  d'ottone  e  lo  carico,  diciamo,  di 
elettricità  negativa.  Poi  metto  sotto  l' imbuto  la  candela 
accesa. 

Già  si  vede  che  l'elettroscopio,  lentamente,  si  scarica  ; 
e  i  gassi,  che  escono  dal  serpentino,  sono  così  freddi  che, 
se  tolgo  via  il  disco  e  pongo  in  suo  luogo  la  mano,  provo 
a  pena  una  sensazione  di  calore. 

D'altra  parte  possiamo  riconoscere,  con  esperienze 
molto  facili,  che  dell'aria  semplicemente  calda  non  ha  al- 
cuna azione  su  i  corpi  elettrizzati. 

Dispongo,  per  esempio,  in  luogo  del  tubo  a  serpen- 
tino, un  imbuto  di  latta,  capovolto,  a  lungo  collo,  e  lo  fisso 
sopra  un  sostegno,  in  direzione  alquanto  inclinata  a  l'oriz- 
zonte. Ma  in  modo  che  l'orifizio  superiore  riesca  prossimo 
al  disco. 

Quindi  carico  quest'ultimo,  e  scaldo  l'imbuto,  accostan- 
dogli in  basso,  da  l'esterno,  la  fiamma  oscura  di  un  becco 
Bunsen. 

L'elettroscopio  mantiene  inalterata  la  sua  carica  ;  e 
pure  vi  è  ora  nel  tubo  di  latta  una  corrente  ascendente 
di  aria  così  calda  che,  se  ponessi  la  mia  mano  dove  sta 
il  disco,  non  ve  la  potrei  mantenere  a  lungo. 


k 


-  238  - 

Il  medesimo  effetto,  che  producono  i  gassi  emessi  da 
una  fiamma,  può  dare  anche  l'aria,  che  si  trova  in  con- 
tatto immediato  con  un  sohdo  incandescente.  Così  ottengo 
di  scaricare  in  breve  tempo  il  mio  elettroscopio,  accostando 
al  disco  un  saldatoio,  scaldato  al  rosso,  o  pure  una  siga- 
retta accesa. 

Come  appare,  la  causa  del  fenomeno  deve  essere 
<^uella  stessa  di  poc'anzi.  In  realtà  si  hanno  anche  qui 
■delle  combustioni,  perchè  il  saldatoio  si  ossida  e  la  siga- 
retta brucia. 

§  3  —  Ma  non  è  nemmeno  necessario  che  l'azione, 
dell'ossigeno  dell'aria  sul  corpo  scaldato  sia  rapida  e  violenta 
perchè  il  fenomeno,  del  quale  ci  occupiamo,  si  produca. 
Qualche  cosa  di  molto  simile  si  osserva  anche  nelle  ossi- 
dazioni lente. 

Così,  se  presento  al  disco  elettrizzato  un  pezzetto  di 
fosforo,  in  cima  a  una  bacchetta  di  vetro,  1'  elettroscopio 
si  scarica  rapidissimamente  (50). 

E  badino  che  l'esperienza  non  riesce  se  il  fosforo  non 
fuma;  vale  a  dire  se  non  accadono  a  la  sua  superficie 
dei  fenomeni  chimici. 

§  4.  —  Un  modo  completamente  diverso  per  ionizzare 
l'aria  fu  suggerito,  come  quello  che  precede,  dal  Naccari  (51). 
E  consiste  nel  far  scoccare  delle  scintille  in  prossim'tà  del 
corpo,  del  quale  si  vuole  disperdere  la  carica.  Tali  scin- 
tille possono  essere  minutissime. 

Mi  valgo,  per  dimostrare  questo  interessante  fenomeno, 
di  un  piccolo  rocchetto  del  Rhumkorff,  a  le  cui  estremità 
polari  ho  fissato  due  fili  di  rame,  terminanti  in  punta.  I 
fili  sono  piegati  in  modo  che  si  possano  produrre  delle 
brevi  scintille  (di  tre  o  quattro  millimetri)  a  piccola  distanza 
dal  solito  disco  (fig.  99). 

Capico  quest'ultimo  nel  modo  consueto  e,  per  mezzo 
di  una  pila  a  bicromato,  faccio  agire  il  rocchettino. 

L'effetto  su  l'elettroscopio  è  quasi  istantaneo,  sicché 
in  questo  caso  la  dispersione  deve  essere  rapidissima. 


—  239  — 
Avevo  dato  ora  al  disco    una    carica    positiva;  posso 
ricaricarlo,  negativamente  questa  volta,   e  ripetere  l'espe- 
rienza. Tutto  succede  a  punto  come  prima. 


Fig.  99- 

Anche  in  questo  caso,  come  in  quello  dei  prodotti  della 
combustione,  non  è  difficile  dimostrare  che  l'aria  ionizzata 
conserva  per  alcun  tempo,  e  trasporta  con  sé  la  virtù  sca- 
ricatrice. A  l'uopo  è  necessario  produrre  una  dissociazione 
alquanto  energica,  ciò  che  riesce  assai  bene  con  l'apparec- 
chio, che  vedono  qui  (52). 

Si  tratta  di  un  grosso  tubo  cilindrico  di  vetro,  chiuso 
con  due  tappi  a  le  estremità.  A  traverso  a  i  tappi  passano 
altre  due  canne  di  minore  diametro,  per  le  quali  si  con- 
duce e  si  fa  effluire  il  gasse,  che  si  vuole  ionizzare. 

Dentro  al  tubo  grande  sta  una  striscia  rettangolare  di 
ebanite,  e  su  questa  è  fissato  un  filo  di  platino  a  zic-zac 
(fig.  100).  Il  filo  è  interrotto  in  quattro  punti  e  le  interru- 
zioni hanno  una  lunghezza  di  mezzo  centimetro.  Le  estre- 
mità del  conduttore  escono  a  l'aperto  e  le  posso  collegare 


—  240  — 

con  i  poli  di  un  rocchetto  di  media  grandezza.  Per  ottenere 
degli  effetti  più  intensi  unisco  ancora  al  rocchetto  due 
bottiglie  di  Leida. 


Fig.  100. 

E  poi,  con  un  grosso  tubo  di  gomma,  congiungo  una 
delle  canne  sottili  con  la  camera  di  un  mantice;  e  da  ul- 
timo colloco  davanti  a  l'altra  il  solito  disco,  che  ho  disposto 
verticalmente  (fig.  lói). 

Carichiamo  l' elettroscopio  e 
facciamo  agire  il  rocchetto.  Si  sen- 
tono scoccare  delle  scariche  ru- 
morose (e,  in  fatti,  nell'interno  del 
tubo  vi  deve  essere  ora  tutta  una 
fila  di  scintille)  ;  ma  l'elettroscopio 
non  dà  segno  di  dispersione. 

In  vece  il  fenomeno  si  produce 
se  faccio  funzionare  il  mantice  ; 
vale  a  dire  se  porto  in  contatto 
con  il  disco  elettrizzato  l' aria,  che 
fu  ionizzata  da  le  scintille. 

§  5.  —  Voglio   ancora    accen- 
nare ad  un  altro  fatto,  di  scoperta 
Fig.   loi.  recente,  che  ha  una  certa  analogia 

con  quelH,  che  ho  descritto  fin  qui. 

Ricordano  senza  dubbio  come,  parlando  delle  scariche 
elettriche,  che  attraversano  un  gasse  rarefatto,  ho  detto  Loro 
che,  se  la  pressione,  nel  tubo  a  vuoto,  scende  al  disotto 
di  un  certo  limite,  si  mostrano  delle  apparenze  luminose 
estremaipente  interessanti,  a  le  quali  si  dà  il  nome  di  raggi 
catodici. 


—   241    — 

Orbene  fu  trovato,  l'anno  scorso,  dal  Rontgen,  che 
un  tubo,  nel  quale  si  eccitino  dei  raggi  catodici,  esercita 
a  l'esterno  certe  influenze,  così  che  si  può  dire  che  esso 
emette  delle  speciali  radiazioni.  Queste  radiazioni  si  chia- 
mano ora  comunemente  raggi  del  Rontgen  o  raggi  X. 

Esse  attraversano  quasi  tutti  i  corpi  (salvo  i  metalli 
pesanti  in  strati  un  po'  spessi),  eccitano  la  fluorescenza 
in  certe  sostanze,  impressionano  le  lastre  fotografiche,  e, 
quello  che  più  importa  per  noi,  se  percorrono  un  gasse, 
mettono  gli  ioni  in  libertà  (53). 

Volendo  verificare  questo  fatto  bisogna  prendere  al- 
cune precauzioni.  E  per  vero  un  tubo  a  vuoto,  caricandosi 
staticamente,  quando  è  attraversato  da  le  scariche,  esercita, 
per  ciò  solo,  un'influenza  su  l'elettroscopio. 

Per  evitare  queste  cause  d' errore  io  pongo  davanti 
al  disco  d'ottone,  che  impiegavo  dianzi  e  che  continuo  a 
tenere  verticale,  una  grossa  lastra  di  piombo,  nella  quale, 
in  corrispondenza  a  punto  del  disco,  è  praticata  una  fine- 
stra, che  chiudo  con  una  reticella  metallica.  Metto  questo 
schermo  in  comunicazione  con  il  suolo  e  carico  l'elettro- 
scopio. 

E  poi,  davanti  a  la  finestra,  colloco  il  tubo  a  vuoto. 
E'  quello  stesso  tubo  periforme,  un  elettrodo  del  quale 
è  formato  da  una  croce  d'alluminio,  che  impiegai  già  altra 
volta  (*).  Ora  abbasso  la  croce,  e  stabilisco  le  congiunzioni 
fra  gli  elettrodi  e  i  poli  di  un  rocchetto  del  Ruhmkorff  ; , 
quindi  eccito  quest'ultimo  per  modo  da  ottenere  un  catodo 
sul  dischetto,  che  sta  nella  parte  più  stretta  del  tubo. 

Immediatamente  si  forma  su  la  base  della  pera  una 
bella  macchia  luminosa  verde-erba  e  l'elettroscopio  si  sca- 
rica con  una  certa  rapidità. 

Anche  qui  non  vi  è  differenza  di  comportamento  fra 
le  cariche  positive  e  le  negative  ;  anche  qui  l'azione  non 
si  esercita  direttamente  su  la  superficie  del  disco,  ma  bensì 
per  mezzo  dell'aria,  che  lo  circonda. 

(•)  Si  confrooti  la  lezione  terza. 

16 


—  242  — 

Lo  dimostro  nel  solito  modo,  procurando  che  l'aria  sì 
ionizzi  da  prima  e  quindi  venga  ad  incontrare  il  corpo 
elettrizzato. 

A  tal'  uopo  tolgo  via  il  pallone  periforme  e  dispongo 
davanti  a  la  finestra  un  tubo  di  latta  a  tre  piegature 
(fig.  102)  (54^.  Una  delle  estremità  di  questo  tubo  viene 
a  terminare  davanti  al  disco,  l'altra  si  può  collegare  con 
il  mantice. 


Fig.  102. 


Quando  si  soffia,  l'aria  deve  percorrere  tutta  la  canna 
di  latta  prima  d'arrivare  al  conduttore  elettrizzato  (le  trec- 
jCie,  nella  figura,  indicano  la  direzione  della  corrente). 

Ora  nella  canna  è  inserita  una  camera  cubica,  anche 
a  pareti  metalliche,  che  reca  sopra  un  fianco  una  finestra 
di  mica  (proiettata  in  AB  nel  disegno)  ;  davanti  a  quesjta 
vogliamo  collocare  il  tubo  a  vuoto. 

Do  al  disco  una  carica  di  segno  qualunque,  per  modo 
che  le  foglie  dell'elettroscopio  divergano  fortemente  ;  quindi 
faccio  agire  il  mantice,  tenendo  il  tubo  in  riposo.  Come 
vedono  non  vi  è  il  minimo  accenno  a  dispersione.  E  nem- 
meno si  osserva  nulla  se  sospendo  di  soffiare  ed  eccito  i 
raggi  catodici. 


—  243  — 

Ma  la  dispersione  comincia  subito,  e  procede  con  una 
certa  rapidità,  se  faccio  agire  contemporaneamente  il  man- 
tice e  il  rocchetto. 

Non  starò  a  discutere  quale  sia  il  meccanismo  del  fe- 
nomeno ;  la  discussione  ci  porterebbe  lontano  e  non  ap- 
proderebbe a  nulla,  perchè  la  natura  dei  raggi  del  Rontgen 
è  ancora  male  conosciuta.  Ciò  che  importa  a  noi  è  sola- 
mente di  stabilire  che  abbiamo  in  essi  un  nuovo  mezzo 
per  rivelare  l'esistenza  delle  cariche  elettriche  nelle  mole- 
cole gassose  dissociate. 

E  dopo  tante  prove  il  fatto  mi  sembra  sufficientemente 
stabilito. 

§  6.  —  Ora  queste  cariche,  che  le  molecole,  scindendosi, 
vengono  a  manifestare,  è  ragionevole  supporre  che  esistano 
già,  prima  della  scissione,  su  i  loro  sostegni  materiali. 

Se  così  è,  ci  possiamo  domandare  quale  effetto  (elet- 
tromagnetico) debba  prodursi,  quando  si  "imprima  a  le  par- 
ticelle, che  costituiscono  un  gasse,  un  rapido  movimento  di 
vibrazione. 

È  questo  un  caso  particolare  di  un  problema  assai 
più  generale,  che  si  formula  chiedendo  quale  sarà  il  com- 
portamento elettromagnetico  di  una  carica  elettrica  traspor- 
tata, con  una  certa  rapidità,  a  traverso  lo  spazio. 

A  tale  quesito  la  teoria  risponde  con  dire  che  le  cor- 
renti di  convezione  non  si  distinguono  per  rulla  da  le 
ordinarie  correnti  di  conduzione.  A  pari  intensità  sono 
uguali  gli  effetti  su  l'ago  calamitato  ;  e  reciprocamente  sono 
uguali  le  azioni  di  un  campo  magnetico  sopra  un  getto  di 
particelle  elettrizzate  e  sopra  un  conduttore  flessibile. 

In  pratica  è  assai  difficile  di  verificare  questo,  che  la 
teoria  prevede.  Finora  si  hanno  tre  sole  esperienze  su  l'ar- 
gomento. E  concordano  bene  con  i  resultati  teorici. 

Anzi  tutto,  fu  dimostrato  dal  Rowland  che  una  circo- 
lazione ininterrotta  di  materia  elettrizzata  agisce  come  una 
corrente  ordinaria  (55). 

Nelle  sue  esperienze   il   corpo ,   destinato   a  trascinar 


—  244  — 

seco,  movendosi,  la  sua  carica,  era  un  disco  dì  ebanite^ 
con  il  diametro  di  ventun  centimetri  e  lo  spessore  dì  mezzo 
centimetro. 

Questo  disco  poteva  rotare,  rapidissimamente,  intorno 
ad  un  asse  verticale  ,  che  lo  attraversava  per  diritto  nel 
centro  ;  così  da  raggiungere  una  velocità  dì  sessantun  giri 
al  secondo. 

L'ebanite  era  dorata  su  le  due  faccìe,  ma  la  doratura 
non  veniva  in  contatto  con  l'asse. 

Parallelamente  a  quel  primo  disco ,  sopra  e  sotto ,  a 
pìccola  distanza,  ne  erano  disposti  altri  due ,  più  grandi,, 
di  vetro,  forati  nel  mezzo  per  modo  che  l'asse  di  rotazione 
lì  attraversava  senza  toccarli. 

Anche  questi  dischi  erano  dorati,  ma  sopra  una  sola 
faccia,  e  secondo  una  zona  anulare,  con  i  diametri  di  nove 
e  ventiquattro  centimetri  ;  tali  armature  si  mettevano  in 
comunicazione  con  il  suolo. 

In  vece  il  disco  di  ebanite  era  elettrizzato  per  mezzo 
d'una  punta,  vicinissima  al  suo  contorno  e  comunicante 
con  uno  dei  poli  di  un  condensatore,  il  cui  secondo  polo 
sì  poneva  a  terra. 

A  pochi  millimetri  da  la  lastra  di  vetro  più  alta ,  iJ 
Rowland  sospese  un  sistema  astatico  dì  aghi  magnetici,, 
assai  sensibile,  tutto  circondato  da  un  involucro  metallico^ 
in  comunicazione  con  il  suolo. 

Quando  si  metteva  in  movimento  il  disco  di  ebanite,. 
il  sistema  astatico  girava  di  un  certo  angolo;  e  la  devia- 
zione cambiava  di  segno  se  cambiava  dì  segno  la  carica 
comunicata  a  l'organo  rotante. 

Il  Rowland  verificò  che  la  forza  magnetica,  dovuta 
a  la  convezione,  era,  nei  limiti  d'esattezza  delle  sue  espe- 
rienze, a  punto  così  grande  come  la  teoria  richiede. 

§  7.  —  Un  altro  esperimento,  che  per  il  suo  significato 
si  ricollega  a  quello  che  ho  descritto  ora,  si  può  fare  dimo- 
strando la  forza  magnetica  prodotta  dal  passaggio  dell'  e- 
lettricità  a  traverso  ad  un  elettrolitro. 


—  245  — 

Prendo  una  vaschetta  prismatica  di  vetro,  di  otto  per 
dieci  per  venti  centimetri,  e  la  riempio  con  una  soluzione 
di  solfato  di  rame.  Immergo  in  essa ,  a  le  estremità ,  due 
lastre  quadrate  di  rame,  che  collego,  a  traverso  ad  un  in- 
terruttore, con  i  poli  di  una  pila  assai  potente.  E  poi,  a  un 
centimetro  sopra  la  superficie  del  liquido,  sospendo  un  ago 
magnetizzato. 

Per  ora  la  corrente  è  interrotta  e  l'ago  è  parallelo  al 
lato  più  lungo  della  vaschetta. 

Ma  se  chiudo  il  circuito  esso  gira  senz'altro  di  novanta 
gradi  e  si  arresta  nella  nuova  posizione.  Si  potrebbe  an- 
che verificare  che  il  senso  della  deviazione  è  quello  or- 
dinario. 

§  8.  —  Un'ultima  conferma  per  le  vedute  teoriche,  delle 
'  quali  discorro,  si  può  trarre  dal  modo,  con  che  si  compor- 
tano i  raggi  catodici  in  un  campo  magnetico. 

Di  questi,  in  fatti,  ho  già  detto  altra  volta  che  risultano, 
secondo  ogni  probabilità,  di  getti  di  particelle  elettrizzate. 

E  poi  che  un  cordoncino  metallico ,  percorso  da  una 
corrente  intensa,  si  avvolge  in  spire  intorno  ad  una  cala- 
mita rettilinea,  ci  dobbiamo  aspettare  che,  quando  si  col- 
lochi un  tubo  del  Crookes  in  un  campo  magnetico,  i  raggi 
catodici  si  torcano  essi  pure  ad  elica,  intorno  a  la  direzione 
della  forza. 

Questo  accade  in  realtà. 

Verifichiamo  la  cosa ,  da  prima ,  per  il  caso  del  con- 
duttore flessibile. 

Io  dispongo  verticalmente  un'elettrocalamita  rettilinea 
e  lavorata  in  modo  che  gli  estremi  del  filo  di  rame ,  av- 
volto intomo  ad  essa ,  escono  in  basso  entrambi.  Anche 
dal  basso  la  voglio  reggere  con  la  forchetta  di  un  sostegno. 

Di  più,  in  prossimità  del  magnete ,  sospendo  ancora 
un  pezzo  di  cordoncino  metallico,  i  capi  del  quale  comu- 
nicano con  i  poli  d'una  pila.  Questo  cordoncino  è  alquanto 
lento,  così  che,  volendo,  lo  potrei  girare  due  o  tre  volte 
intorno  a  l'elettrocalamita. 


—  246  — 

E  bene ,  eccitiamo  quest'ultima  ,  per  modo  che  a  1'  e- 
stremo  superiore  si  formi  un  polo  sud.  Quindi  facciamo 
passare  nel  cordoncino  una  corrente,  diretta  dal  basso  a 
l'alto;  subito  esso  si  avvolge  intorno  al  magnete  e  forma 
un'elica,  le  spire  della  quale  scendono  da  sinistra  a  destra. 

Se  invertissi  la  corrente,  che  crea  il  campo,  o  quella, 
che  percorre  il  conduttore  flessibile,  l'avvolgimento  avver- 
rebbe in  senso  opposto. 

Andiamo  innanzi;  stacchiamo  il  cordoncino  e  toglia- 
molo via,  e  collochiamo,  in  vece,  sopra  il  magnete  il  solito- 
tubo  a  pera,  per  modo  che  la  base  resti  in  basso,  e  l'asse 
sia  parallelo  a  quello  del  campo  magnetico. 

Eccitando  la  calamita  e  i  raggi  catodici,  questi  non 
appaiono  piià  rettilinei  ;  ma,  in  vece,  si  torcono  a  vite,  come 
faceva  dianzi  il  cordoncino  dì  rame. 

Il  parallelismo  dei  due  casi  è  perfetto. 

§  9.  —  Se,  in  base  a  questi  pochi  fatti  sperimentaH,  sì 
vuole  ammettere  in  tutta  la  sua  generalità  il  resultato  della 
teoria,  noi  dobbiamo  concludere  che,  quando  un  atomo  ma- 
teriale vibri  secondo  una  retta,  trascinando  seco  la  sua 
carica  elettrica,  esso  produrrà,  tutto  a  l' intorno ,  gli  stessi 
effetti  che  produce  un  primario  del  Hertz. 

Solamente  qui  il  periodo  della  perturbazione  emessa. 
non  dipende  più  come  prima  da  le  dimensioni  del  sistema 
ìrràggiante. 

Si  ottiene  per  questa  vìa  un  nuovo  modello  delle  mo- 
lecole dei  corpi,  completamente  diverso  da  l'altro,  che  ab- 
biamo studiato  nelle  scorse  lezioni. 

Il  nuovo  modello  può  rendere  gli  stessi  servizìi ,  che 
rendeva  quel  primo  e  inoltre,  come  osservavo,  sfugge  assai 
meglio  a  talune  difficoltà. 

Che  le  molecole  dì  un  dato  gasse,  portate  a  V  incan- 
descenza, emettano  luce  di  periodo  determinato,  si  spiega 
in  questa  ipotesi ,  ammettendo  che,  a  punto  in  virtù  dei 
vìncoli ,  che  intercedono  fra  essi ,  gli  atomi  compiano^ 
dentro  la  molecola,  delle  oscillazioni  completamente  de- 
finite. 


—  247  — 

10  non  mi  voglio  trattenere  più  a  lungo  sopra  un  ar- 
gomento, che  non  presenta,  in  fondo,  un  interesse  molto 
grande  l*)  Piuttosto  accennerò,  prima  di  chiudere  il  corso, 
ad  alcuni  altri  fatti ,  nei  quali  si  rivela  l' azione  dei  gassi 
ionizzati. 

§  IO.  —  Per  vero  tali  agenti  esercitano  delle  influenze 
notevolissime  sopra  le  scariche  elettriche. 

11  meccanismo  di  questi  fenomeni  è  ancora  molto 
oscuro,  mi  limito  quindi  a  ripetere  alcune  esperienze,  senza 
cercare  di  darne  un'interpretazione  teorica. 

E  per  amore  di  semplicità,  scelgo  il  caso  dei  prodotti 
della  combustione  (58}. 

Ho  disposto  qui  uno  spinterometro  munito,  al  solito, 
di  palline  e  ne  ho  congiunte  le  aste  con  i  poli  del  rocchetto  ; 
regolo  la  corrente  che  eccita  quest'ultimo,  per  modo  che 
la  lunghezza  delle  scintille  non  possa  superare  il  centi- 
metro. Quindi  allontano  le  palline  ad  una  distanza  un  pò" 
maggiore.  Quantunque  il  rocchetto  funzioni,  non  si  produ- 
cono scariche,  come  è  naturale. 

Accosto  ora  a  l'intervallo,  dal  basso,  la  fiamma  oscura 
di  un  becco  Bunsen. 

Immediatamente  si  stabilisce  un  flusso  di  scintille  ros- 
sastre, poco  rumorose. 

I  prodotti  della  combustione  agevolano  dunque,  in 
qualche  modo,  il  passaggio  delle  scariche. 

Si  può  domandare  se  l'influenza  si  eserciti  sopra  gli 
elettrodi  o,  in  vece,  su  lo  strato  d'aria  interposto. 

Per  rispondere  a  questo  quesito  basta  modificare  un 
poco  la  disposizione  dell'esperienza. 

Torno  ad  avvicinare  alquanto  le  palline,  per  modo 
che  le  scintille  passino,  quindi  pongo  fra  esse,  raccoman- 


I 


(•)  La  teoria  delle  vibrazioni  degli  ioni  fu  svolta  in  tutte  le  sue 
conseguenze  dal  I^orentz  (56).  Per  l'altra  ipotesi,  che  riguarda  le 
molecole  dei  corpi  come  conduttori,  analoghi  a  quelli  del  Hertz, 
si  confrontino  i  bei  lavori  del  Kolàcrek  (57). 


—  248  — 

dandola  ad  apposito  sostegno  (fig.  103),  una  lastra  di  vetro. 
Questa  lastra  arriva ,  con  il  suo  orlo  superiore,  un  po'  più 
in  alto  dell'  asse  dello  spinterometro,  così  [che  il  flusso 
delle  scintille  si  interrompe  di  nuovo. 


Fig.  103. 


Se  ora  accosto,  come  prima,  la  fiamma,  ci  accorgiamo 
subito  che  le  cose  vanno  diversamente  secondo  che  la 
tengo  da  una  parte  della  lastra  di  vetro,  o  pure,  in  vece, 
da  l'altra. 

Nelle  condizioni  attuali  dell'esperienza  non  v'è  azione 
di  sorta  quando  la  fiamma  rimane  a  sinistra,  mentre  si  ha 
lo  stesso  effetto  di  dianzi  se  la  porto  a  destra.  Invertendo 
i  poli  del  rocchetto  il  fenomeno  si  inverte.  L'influenza  si 
esercita  dunque  sopra  uno  degli  elettrodi,  e  propriamente 
si  trova  che  l'elettrodo  sensibile  è  il  negativo. 

Un  fatto  del  tutto  diverso  si  può  osservare  impie- 
gando, in  luogo  dello  spinterometro  a  palle,  uno  spintero- 
metro a  punte,  e  facendo  l'intervallo  così  grande  che  le 
scintille  passino  con  difficoltà,  ma  pure  passino  ancora. 


—   249  — 

Noi  otteniamo  questo  con  una  distanza  esplosiva  di 
cinque  centimetri  circa. 

Pongo  la  fiamma  come  prima,  sotto  l'intervallo,  tenen- 
dola alternativamente  a  i  due  estremi. 

Come  vedono,  in  un  caso  non  si  esercita  azione,  nel- 
l'altro la  scarica  è  ostacolata  e  le  scintille  cessano. 

E  bene,  si  potrebbe  verificare  che  l'elettrodo  sensibile 
•è  ora  il  positivo. 


Fig.  104. 


L'esperienza  riesce  anche  se,  in  vece  di  porre  il  becco 
Bunsen  immediatamente  sotto  le  punte,  faccio  arrivare  a 
■queste  i  prodotti  della  combustione,  a  traverso  ad  un 
lungo  imbuto  capovolto  (fig.  104).  La  stessa  avvertenza 
vale  per  l'altro  effetto  che  ho  mostrato  poco  fa. 


—  250  — 

Fatti  analoghi  si  ottengono    impiegando    degli    agenti 
diversi,  per  esempio  i  raggi  del  Rontgen  (59). 


* 


§  II.  —  Ciò,  che  ho  esposto  di  più  importante  in  questa 
ultima  lezione,  si  riassume  dicendo  che  gli  atomi  della  ma- 
teria, secondo  ogni  probabilità  ,  recano  delle  cariche  elet- 
triche, a  le  oscillazioni  delle  quali  si  può  attribuire  l'emis- 
sione della  luce.  Tale  fenomeno  sarebbe  ad  ogni  modo  di 
natura  elettromagnetica. 


NOTE  BIBLIOGRAFICHE 


Avvertenza.  —  Nelle  citazioni  il  numero  arabico  fra 
parentesi  tonde,  se  v'è,  indica  la  serie;  il  numero  ro- 
mano il  volume)  la  cifra  arabica  seguente  Vanno  della 
pubblicazione. 

I  lavori  del  Hertz  sono  citati  dal  libro  :  Untersu- 
chungen  ilber  die  AusbreiUmg  der  elektrischen  Kraft 
(Leipzig,  Barth,  1892).  Qui  la  cifra  romana  sta  ad  indi- 
care la  memoria. 

Similmente  i  lavori  del  Righi  sono  citati  dal  volume: 
L'oitica  delle  oscillazioni  elettriche  (Bologna,  Zanichelli, 
1897).  Qui  il  numero  romano  indica  la  parte^  la  cifra 
arabica  successiva  il  capitolo. 

(i)    A.  Garbasso.  [N.  Cim.,  (4),  III,  1896]. 
(2)    G.  Govi.   [N.  Cim.,  (i),  XXI,  1866]. 
{3)    E.  Villari.    [Mem.  R.  Acc.  d.  Scienze  di  Bologna,  '4), 

IV,  1883]. 

(4)  Quest'esperienza  si  deve  al  Sig.  Conte  E.  Siccardi  ;  egli 
mi  ha   permesso  cortesemente  di  pubblicarla. 

(5)  A.  Righi.  [Mem.  R-  Acc.  </,  Scienze  di  Bologna,    ^4), 

U  e  UI,  1881-82J. 


—    252    — 

(6)  Secondo  il  Caverni  [Storta  del  Metodo  sperimentale 
in  Italia,  II,  [Firenze,  Civelli,  1892)]  la  teoria,  che  va 
comunemente  sotto  il  nome  del  Poisson,  si  dovrebbe, 
in  vece,  attribuire  al  P.  Benedetto  Castelli,  discepolo 
del  Galilei. 

A  proposito  di  un  Discorso  del  Castelli    intorno  al 
magnete  (dell'anno  1639),  il  Caverni  scrive  : 

Aveva  il  nostro  Autore  nel  citato  Discorso  proposta 
la  soluzione  di  un  problema  importantissimo  e  prin- 
cipalissimo  in  questa  scienza  nuova,  il  qual  problema 
era  :  come  la  Calamita  potesse  operare  in  distanza  e 
attraverso  a  corpi  amagnetici,  che  vi  fossero  in  mezzo 
frapposti.  A  tale  intento  egli  presupponeva  che  tutti 
i  corpi,  di  qualunque  natura  si  fossero,  tenessero  nella 
loro  sostanza  disseminate  particelle  di  calamita,  le 
quali  mobilissime  per  la  loro  piccolezza  fossero  di- 
sposte a  rivolgersi  facilmente  per  quel  verso,  a  cui 
fossero  dirette  dalla  forza  del  Magnete.  Così  fatti  cor- 
puscoli ,  disordinatamente  disseminati,  costituiscono 
secondo  il  Castelli  i  corpi  magnetici,  ch'ei  chiama  di 
second' ordine.  Presupposte  le  quali  cose  «  si  apre,  segue 
a  dire  l'Autore,  spaziosa  strada  di  render  la  ragione 
come  pare  che  la  virtù  della  Calamita  penetri  in  certo 
modo  quasi  in  istante  ogni  sorta  di  corpo,  e  che  si 
faccia  la  sua  operazione  come  in  un  momento  con  le 
altre  calamite  e  con  i  ferri  senza  toccarli,  in  distanza 
molto  notabile,  imperocché  quando  si  vedrà  v.  g.  che 
la  Calamita  operi  trapassando  il  vetro,  il  legno,  l'ar- 
gento, ecc.,  noi  possiam  dire  che  i  corpuscoli  di  se- 
cond'ordine  sparsi  per  la  sostanza  de'  suddetti  corpi, 
con  la  presenza  della  Calamita,  subito  vengono  ordi- 
nati calamiticamente,  e  però  essi,  senza  introdurre  al- 
tra penetrazione  di  virtù,  sono  quelli  che  operano  con 
i  loro  ordinati  toccamenti,  e  rimossa  la  Calamita,  ri- 
tornando nella  loro  primiera  costituzione,  mancano  di 
quella  forza  ». 


—  253  — 

(7)  A.  Garbasse.  [Atti  R.    Acc.   di   Scienze    di    Torino, 

XYXII,  1897]. 
cfr.  H.  Ebert.  [Wied.  Ami.,  XLIX,  1893). 

(8)  W.  Feddersen.  [Pogg.  Ann.,  CXIU,  1861]. 

(9)  H.  Hertz.  [Untersuchungen,  X]. 

(io)  W.  V.  Bezold.  [Pogg.  Ann.,  CXL,  1870]. 
(li)  E.  Lecher.  [IVied.  Ann.,  XLI,  1890]. 

(12)  O.  J.  Lodge.  [Proc.  R.  Society,  L,  1891]. 

(13)  H.  Hertz.  [Untersuchungen,  XL]. 

(14)  F.  Himstedt.  [IVied.  Ann.,  LII,   1894]. 

(15)  R.  Blondlot.  [C.  R.,  CXVII,  1893]. 

(16)  F.  Savart.  [Ann.  d.  eh.  et  d.  pìiys.,  (2),  LUI,  1833]. 

(17)  H.  Ebert.  [Jahrbuch  fur  Photo graphie,  IX,  1895]. 

(18)  H.  Hertz.  [Untersuchungen,  XI]. 

(19)  I.  Klemenczicz  u.  P.   Czermak  [Sitz.  ber.    K.    Ali.  d. 

ÌVissenscha/ten  in   JVien,  CI,  1892). 

(20)  L.  Boltzmann.  [IVied.  Ann.,  XL,  1890]. 

(21)  A.  Garbasso.  [Rend.  R.  Acc.  d.  Lincei^  III,  1894]. 

(22)  O.  Wiener.  [Wied.  Ann.,  XL,  1890]. 

(23)  H.  Hertz.  [Untersuchungen,  VIII]. 

(24)  I.  Klemenczicz  u.  P.  Czermak.   [Sitz.  ber.  K.    Ak.  d. 

Wissenschaften  in    Wien,  CI,  1892]. 

(25)  A.  Righi.  [A^.  Cini.,  (3),  III,  1878]. 

(26)  A.  Garbasso.  [Meni.  R.  Acc.  d.    Scienze   di    Torino, 

(3),  XLVI,  1896]. 

(27)  A.  Righi.  [Ottica  d.  Oscillazioni,  II,  2]. 

(28)  G.  Udny  Jule.  [Proc.  R.  Society,  LIV,  1893]. 

^'29)  A.  Garbasso.  [Aiti  R.    Acc.   d.    Scienze   di    Torino, 

XXVUl,  1893]. 

(30)  A.  Garbasso.  [Atti  R.    Acc.    d.    Scienze    di    Torino, 

XXVIII,  1893]. 

(31)  L.  Zehnder.  [Wied.  Ann.,  LII,  1894]. 

(32)  A.  Garbasso.  [Mem.  R.  Acc.  d.    Scienze    di    Torino, 

(2),  XLVI,  1896]. 


—  254  — 

(33)  H-  Rubens  u.  E.  F.  Nichols.  [Siiz.    ber.   K.    Ak.     d. 

Wissenschaften  zu  Berlin,  LII,  1896). 

(34)  A.  Righi.  [Ottica  d.  Oscillazioni,  I,  i]. 

(35)  E.  Sarasìn  et  L.  De  la  Rive.  [Arch.  d.  sctences  phys. 

et  nat.,  (3J,  XXVIII,  1892]. 

(36)  A.  Garbasse  u.  E.  Aschkinass.  [Wied.  Ann.,  LUI,  1894]. 

(37)  E.  Sarasin  et  L.  De  la  Rive.  [Arch.  d.  sciences  phys. 

etnat.,{s),    XXII,    1889;   (3Ì,   XXIII,    1890;    (3), 
XXIX,  1893]. 

(38)  E.  Branly.  [C  R.,  CXI,  1890]. 

(39)  A.  LeRoyeret  P.  v.  Berchem.  [Arch.  d.  sciences  phys, 

et  nat.,  ("3),  XXXI,  1894]. 

(40)  A.  Garbasse  et  A.  Garbasse.  [Arch.  d.  sciences  phys. 

et  nat.,  (4),  IV,  1897). 

(41)  H.  Hertz.  [Untersuchungen,  XI]. 

(42;  A   Righi.  [Ottica  d.  Oscillazioni,  II,  5]. 
(43)  A.  Righi.  [A^.  Cim.,  (3),  XXXV,  1894]. 
f44)  A.  Garbasse.  [Atti  R.   Acc.    d.    Scienze    di    Torino, 

XXX,   1895]. 
{45)  A.  Righi.  [Ottica  d.  Oscillazioni,  II,  7]. 
(46}  A.  Righi.  [Ottica  d.  Oscillazioni,  II,  7]. 
{47)  A.  Righi.  [Ottica  d.  Oscillazioni,  II,  7]. 

(48)  A.  Garbasse.  [Atti  R.    Acc.    d.    Scienze    di    Torino, 

XXX,  1895]. 

(49)  E.  Pringsheim.  [Sitz.  ber.  K.  Ak.  d.    Wissenschaften 

zu  Berlin,  XVIII,  1895].; 

(50)  A.  Naccari.    {Atti   R.    Acc.    d.    Scienze    di    Torino, 

XXV,  1889].^ 

(51)  A.  Naccari.    [Atti   R.    Acc.    d.    Scienze    di    Torino, 

XXIV,  1888]. 

(52)  E.  Villari.  [Rend.  R.  Acc.  d.  Lincei,  V,    1896]. 

(53)  W*  K-  Rontgen.    [Sitz.  ber.   Wilrz.  phys.    mea.     Gè- 

selL,  1896]. 

(54)  A.  Battelli  e  A.  Garbasse.  [N.  Cim.,  {4),  III,  1896]. 


—  255  — 

(55)  H.  V.  Helmholtz.    [  Wissenschaflliche   Abhandlungen, 

I,  1882]. 

(56)  H.  A.  Lorentz.  [J^ersuch  einer  Theorìe  der  electrischen 

utid  optischen  Erscheinungen,  ecc.,  Leiden,    Brill, 

18951- 

(57)  F    Kolàczek    \Wied.  Ann.,  XXXII,  1887). 

{58)  A.  Garbasse.  [A^.  Cim.,  (4),  III,  1896). 
(59^  A.  Sella  e  Q.    Maiorana.    [Rend.  R.    Acc.  d.  Lincei, 

V,  1896]. 


INDICE 


Lezione        I.  —  Primi  fatti  dell'elettrostatica  — 
Quantità,  potenziale,  capacità  — 
Induzione  fra  corpi  elettrizzati.  Pag.       5 
>^  li.  —  Importanza    del    dielettrico   nel 

fatto  dell'  induzione  —  Teoria 
del  Mossotti  —  Energia  di  po- 
larizzazione elettrostatica.     .     .       »       22 

111.  —  Movimento  dell'elettricità  a  la 
superficie  dei  dielettrici  e  nel- 
r  interno    dei  conduttori  solidi, 

liquidi  od  aeriformi ^>       39 

^^  1\'.  —  Magnetismo  —  Campo  magne- 
tico della  corrente  —  Azioni 
ponderomotrici  ed  induttive  fra 
circuiti  elettrici «       56 

V.  —  Modelli  dei  fenomeni  —  Teorie 
meccanicamente  equivalenti  — 
Leggi  teoriche  per  la  scarica 
dei  condensatori «       72 

\'l.  -  Oscillazioni  elettriche  —  Espe- 
rienze del  Feddersen  —  Prime 
esperienze  del  Hertz   —   Onde 


-  258  - 

stazionarie  lungo  i  fili:  espe- 
rienze del  V.  Bezold  e  del  Lecher  Pag.    86 

w  VII.  —  Esperienze  del  Lodge  —  Espe- 

rienze del  Tesla  —  Fulmine  e 
parafulmine  —  La  corrente  oscil- 
lante ha  la  sua  'sede  nel  dielet- 
trico —  Esperienze  del  Blondlot       »     io6 

»  Vili.  —  Fenomeni  di  risonanza  —  Raggi 
di  forza  elettrica  :  corpi  opachi 
e  corpi  trasparenti  ;  propaga- 
zione rettilinea;  riflessione  e 
rifrazione »     124 

»  IX.  —  Fenomeni  di  interferenza  — 
Onde  stazionarie  —  Esperienze 
del  Fresnel  e  di  Klemencziz  e 
Czermak —  Colori  delle  lamine 
sottili »>     143 

•»  X.  —  I  risonatori  come  modelli  delle 

molecole  materiali;  assorbimento 
elettrico  e  colori  superficiali  — 
Esperienze  di  Rubens  e  Nichols       »     159 

»  XI.  —  I  risonatori  come  modelli  delle 
molecole  materiali:  rifrazione  e 
dispersione  —  Apparecchi  del 
Righi ti     180 

»  XII.  —  Luce   bianca    e   radiazione    del 

Hertz  —  Esperienze  di  Le  Ro- 
yer  e  van  Berchem  —  Teorie 
algebricamente  equivalenti   .     .       "      195 

»  XIII.  —  Fenomeni  di  polarizzazione  — 
Prisma  del  Nicol  e  specchio  del 
Hertz'  Lamina  di  tormalina  e 
reticolo  —  Polarizzazione  per 
riflessione "     206 


—  259  — 
XIV.  —  Composizione  delle  vibrazioni 
—  Fenomeni  di  polarizzazione 
cromatica  —  Azione  del  gesso 
su  la  luce  e  sopra  i  raggi  del 
Hertz  —  Altri  sistemi  birifran- 
genti Pag.  218 

XW  —  Un  altro  modello  per  le  mole- 
cole dei  corpi  —  Azione  del- 
l'aria ionizzata  sopra  i  condut- 
tori sterilizzati  e  sopra  le  sca- 
riche   «     234 


Fine. 


o 


BINDING  SECT.       AU6  23  1977 


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QC  Garbasse,  Antonio  Giorgio 

4.03  Lezioni  sperimentali 

G37  sulla  luce 


P&ASci. 

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